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di annies
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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Nikki odiava aspettare. Beh, in realtà Nikki odiava molte cose: quando doveva dare da mangiare al cane di Rocio, la sua coinquilina spagnola, e le restavano le mani unte di quella carne in scatola abominevole; odiava mettere mano alla sua tesi, perché ogni volta era sempre peggio; odiava essere chiamata con il suo nome intero - Nicole -, non perché non le piacesse, ma perché Nicole era un modo per ricordarle la sua famiglia lontana chilometri e chilometri. Ecco, la distanza. La distanza era una cosa che Nikki Fox odiava più di qualsiasi altra cosa al mondo. Perché suo padre l'aveva spedita a Londra per studiare giurisprudenza, una materia che - tra l'altro - neanche le piaceva particolarmente? Le mancava da morire Los Angeles e tutto quello che aveva lasciato lì. Si, anche quell'idiota di Garrett, suo fratello. 
«Niks, sei pronta?» domandò Rocio, con quel suo accento ispanico e con tanto - fin troppo - entusiasmo. 
«In realtà no, Rocio, e non credo di voler esserlo.» sentenziò Nikki, sistemandosi meglio sul divano e fissando lo sguardo sulla mora che aveva di fronte: Rocio era un metro e sessantacinque di allegria e di esuberanza, e lo si poteva notare dai suoi tacchi a spillo verde fluo o dai suoi capelli cotonati.
«Ma non puoi farmi felice per una volta? Ho letto che questa cosa degli appuntamenti al buio è una figata! Ci divertiamo una sera e magari conosciamo gente figa!» esclamò la spagnola, mettendosi praticamente in ginocchio di fronte a Nikki. Quando Rocio cominciava a mettere su il broncio c'era da preoccuparsi, ma questa volta la rossa sarebbe stata irremovibile: non avrebbe mai e poi mai sprecato il suo tempo in brevi appuntamenti al buio con uomini magari vecchi e decrepiti invece di scrivere la tesi che avrebbe dovuto consegnare entro breve tempo. Tra qualche giorno avrebbe compiuto ventiquattro anni, ed era tempo di laurearsi. 
«Sai bene che ho la tesi da completare» cominciò Nikki «e tra l'altro mi sembra proprio che è quello che dovresti fare anche tu, senorita!» la rimproverò infine, puntandole l'indice contro.
«Fox, sono le nove di venerdì sera, tu pensi davvero che io mi metta a scrivere la tesi adesso?» Rocio scandì bene l'ultima parola, sollevandosi da terra e prendendo le mani di Nikki, per cercare di scollarla dal divano. Erano giorni interi che la sua amica americana vegetava sul divano con il Mac sulle gambe e la voglia di vivere pari a quella di una depressa che tenta il suicidio, e non aveva intenzione di uscire senza di lei, quella volta.
«Okay, sentiamo. Se tu mi spieghi per quale motivo dovrei partecipare al tuo stupido gioco, vado a vestirmi, ma non ti prometto niente.» la rossa mise le mani avanti, scuotendo la testa. Non le piaceva quando Rocio diventava così insistente.
«Perché ho già avvisato online che-»
«Cosa hai annunciato online tu?» la bloccò sconcertata Nikki, alzandosi dal divano e sistemandosi meglio il pigiama addosso «Giuro che ti uccido Rocio Maria Torres!», la minacciò, arricciando il naso.
Nonostante vivesse con Rocio da quasi quattro lunghi anni, Nicole non si era minimamente abituata al suo troppo entusiasmo e alla sua insistente voglia di coinvolgerla in ogni cosa.
«Ho già detto che saremmo state in due, e tu non vuoi farmi fare questa brutta figura, vero?» chiese retorica Rocio, mettendo su un sorriso che non prometteva niente di buono. «Insomma, testa rossa, potrei trovare l'uomo della mia vita! Non ti sentiresti in colpa ad avermelo impedito?»
«Ma che uomo e uomo! Queste cose sono per malati di mente come te, capisci?» disse Nikki, muovendosi avanti e indietro per il piccolo salottino del loro appartamento con le mani dietro la schiena. 
«Okay, sono malata di mente. Che ne dici di metterti le scarpe rosse? Sarebbero in tinta con i tuoi capelli!» 
«Ma io non ho detto s-»
«Vieni con me!» esclamò Rocio, afferrandola per un braccio e trascinandola nella sua camera.
 
Nikki odiava aspettare, l'abbiamo già detto, vero? Ecco, e se prima per Rocio provava un minimo di affetto, da circa dieci minuti era entrata nella sua lista nera. Barcollava sui tacchi dal momento stesso in cui la sua amica glieli aveva fatti infilare e si sentiva tremendamente a disagio, stretta in quel mini abito nero che le copriva a stento l'ombelico. Perché aveva accettato di accompagnarla? Quel posto non le diceva niente di buono: era pieno di tavoli rotondi coperti da dei separé decorati con fantasie orientali, e la luce soffusa che ne costituiva l'atmosfera le faceva venire il mal di testa. Scosse la testa, sistemandosi su una sedia e picchiettando con le unghie - un parolone, dato che le mordicchiava di continuo - sul tavolo in attesa del suo cavaliere. Non sapeva esattamente come avrebbe dovuto comportarsi, ma Rocio le aveva spiegato che avrebbe dovuto parlare con il partner per un massimo di cinque minuti; certo era che se questo l'avesse infastidita, avrebbe potuto mandarlo via.
Proprio mentre escogitava piani malefici per rendersi antipatica al resto del mondo - non che ci volesse poi moltissimo - un ragazzo che sembrava avere uno o due anni in più di lei con un paio di occhiali da sole addosso, si sedette proprio sulla sedia di fronte a lei. Non parlò, sorrise e, una volta poggiate le mani sulla superficie liscia del tavolino, le congiunse, inclinando poi la testa.
Nicole non sapeva se suonare il campanello per mandarlo via o cominciare a parlare per prima: il ragazzo Rayban - l'aveva soprannominato così perché aveva riconosciuto il bollino sulle lenti a specchio - la fissava intensamente e non accennava a dire una parola.
«Insomma, come mai sei qui?» domandò Nikki, battendo il piede sul pavimento. 
Silenzio. 
Un sorriso.
«Io sono Nikki, tu?» gli porse la mano destra, educatamente, ma il ragazzo Rayban non la strinse, anzi, si mosse appena e sorrise di nuovo. La stava prendendo in giro? 
«Beh, se hai sbagliato tavolo puoi anche dirmelo!» l'americana si guardò in giro: almeno altre cinque ragazze - non contando Rocio - erano nella sua stessa situazione, quindi era più che comprensibile.
Nikki aspettò pazientemente i cinque minuti, provando ad analizzare il viso del ragazzo che le era davanti, con la fronte corrugata e le mani congiunte sotto il mento. Pensava davvero che la stesse prendendo in giro; magari aveva capito che era alla sua prima esperienza.
Due brufoli sulla fronte e uno sul mento, dei ricci disordinati e un accenno di barba sulla mascella. Niente di più comune, constatò Nikki.
«I cinque minuti sono passati, grazie per avermi presa in giro, a modo tuo.» disse acida, non porgendogli neanche la mano e guardando il pavimento, aspettando impaziente che lui se ne andasse. 
Il misterioso ragazzo non ci mise molto ad alzarsi, a sorriderle un'ennesima volta e ad andarsene come se nulla fosse stato. Nicole rimase impassibile per un paio di secondi, e sarebbe rimasta a fissare un punto impreciso sul muro, se un ennesimo ragazzo non le avesse sventolato una mano di fronte agli occhi, riuscendo a distrarla.
 
«L'hai vista?» domandò una voce stanca, dall'altro capo del telefono.
«L'ho vista.» rispose il riccio, con voce altrettanto stanca, uscendo di fretta dal locale.
«E quindi?» 
«Ma cosa, Niall? Che cazzo vuoi sapere?» sbottò, arrabbiato.
«E' cambiata, Harry?» sospirò l'amico.
«No, cazzo, no, fratello. E' sempre più bella.»
 
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Buongiorno ragazze :) Sono sempre io, e lo so che sembra strano che stia postando una fan fiction proprio prima di partire ma ... non riuscivo più a trattenermi! Volevo solo dirvi che non credo aggiornerò presto perché sarò a Berlino e perché devo prima portarmi avanti con "Noel". 
Fatemi sapere cosa ne pensate. 
ps. la protagonista femminile è Holland Roden, vi piace?
Ari
 
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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***



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just a second, we're not broken just bent

and we can learn to love again

«Sei sicuro che si tratti di Nicole?» domandò Zayn, sorseggiando con la cannuccia il suo cocktail colorato. Si ritrovavano ogni domenica notte nello stesso pub più o meno da quando il loro gruppo si era sciolto. I One Direction avevano deciso di smettere di fare musica e con il passare del tempo le ragazzine impazzite avevano smesso di appostarsi sotto le loro case. Louis si era trasferito in Giappone con la sua ragazza e raramente is faceva sentire, mentre Liam aveva deciso che il relax e il sole di Dubai sarebbero stati la miglior cura dopo tutto lo stress che aveva in accumulo. Restavano Harry, Zayn e Niall. Quest'ultimo si era dato al babysitting dopo la nascita di suo nipote, Theo, e da un paio di mesi a quella parte Harry aveva cominciato a vederlo sempre più spesso con il neonato in braccio attraverso i parchi di Londra; Zayn aveva scoperto uno dei suoi tanti talenti nascosti - come si ostinava a ripetere - e disegnava a più non posso, tanto che ogni singola parete di casa sua era ricoperta da fogli a quatto scarabocchiati. Restava Harry. Cosa faceva il grande Harry Styles? Una parte dell'Harry che tutti conoscevano, quello con le fasce in testa, con le rondini sul petto e quello dai sorrisi larghi era morto e sepolto. Ogni tanto lo si vedeva suonare in un pianobar qualche vecchia canzone rosa dal tempo, magari dei Queen, magari dei Pink Floyd e qualcuno giurava di averlo visto ubriaco varie volte, per strada a notte fonda. Quell'Harry accompagnato da una rossa costantemente nervosa, sorridente e con gli occhi innamorati era finito nelle fognature di Londra per lasciare spazio ad un ventiseienne con un accenno di barba sul mento, con delle occhiaie profonde e un odio incommensurabile verso qualsiasi cosa in grado di intendere e volere. Era così che aveva cominciato ad odiare prima Louis, poi Liam e poi tutti gli altri. Che fosse pazzo? Probabile.
«Styles, sei ancora tra noi o stai rappando con 2Pac in paradiso?» scherzò Niall, sorseggiando la sua birra e sventolando la mano sinistra di fronte agli occhi di un Harry assonnato e - probabilmente - poco lucido.
«Niall, purtroppo non sto rappando proprio con nessuno e sono ancora con voi, il che mi sta cominciando a procurare l'orticaria.» disse il riccio, spettinandosi i capelli e guardandosi intorno: una miriade di corpi indistinti si dimenavano e si facevano trasportare dal caos e dal volume altissimo della musica. Era abbastanza sicuro che un buon novanta per cento di quelle persone aveva assunto qualche stupefacente prima di entrare in quella discoteca da quattro soldi.
«Quindi, che ci dici di Nicole?» domandò Zayn, imperterrito.
«Nikki. Odiava essere chiamata con il suo nome per intero» puntualizzò Harry, lasciandosi cadere su un divanetto in pelle nera stranamente vuoto.
Da tempo con Zayn e Niall non era più lo stesso. Insomma, prima si sarebbero divertiti con qualsiasi cosa e adesso non riusciva più neanche a ridere, in loro presenza. Voleva un bene dell'anima ad entrambi - ne voleva anche a Louis e a Liam, ma quella era un'altra storia - ma era da un po' di tempo che il suo cuore si era come smaterializzato.
«Comunque si, era decisamente lei.» disse in un sussurro smorzato, prima di ingurgitare il fondo di un cocktail forse troppo alcolico e di un colore stranamente acceso.
«Come fai ad esserne certo?» domandò ancora Zayn, che a quanto pare era davvero interessato all'argomento.
Harry odiava le persone insistenti, e le odiava da sempre. Aveva odiato per tanto tempo sua sorella Gemma, che da piccola adorava fargli domande noiose e inutili per ore e ore - le stesse poi -, odiava il commesso da Costa che gli chiedeva sempre se nel caffè ci volesse lo zucchero, quando questo ormai lo sapeva benissimo, dato che Harry andava in quel bar ogni mattina da almeno tre anni e aveva odiato anche Nikki, quando gli chiedeva se l'amasse veramente.
Certo che l'amava, che razza di domanda era?
«La fossetta» rispose fermo Harry, passandosi una mano sul volto «la fossetta che le spunta sulla fronte quando è agitata».
«E se tu avessi incontrato una delle sosia di Nikki, venerdì? In fondo si dice che al mondo...» cominciò Niall, sorridente. Era sempre stato orgoglioso di quella storiella.
«Niall, sai bene quanto mi snervi quella storia dei sosia, quindi, cerca di evitare.» disse Harry, battendosi una mano sulla coscia e cominciando a picchiettare nervosamente le unghie sul bracciolo del divano. Non vedeva l'ora di andare via da quel postaccio, voleva soltanto togliersi le scarpe - le aveva ricomprate quelle marroni, era stato più forte di lui - e guardare la partita del Manchester United.
«Sei di cattivo umore, Harry? Non mi pare che ti abbiamo forzato ad uscire» sbottò Zayn, infastidito. Il comportamento scostante di Harry stava cominciando a stargli sulle scatole, non ne poteva davvero più delle sue risposte acide e delle sue battute poco carine. Voleva davvero bene ad Harry, ma cominciava a preferire uscire da solo con Niall.
«Lo sai che sono sempre così, Zayn, devi farci l'abitudine» Harry sfilò una Marlboro dal pacchetto che conservava sempre in tasca e fece un cenno con la testa ai suoi amici: aveva bisogno di fumare e loro avrebbero capito. Dopotutto lo conoscevano da anni ormai, sapevano il significato di ogni sua singola mossa.
«Dici che gli ha fatto bene vedere Nikki dopo tutto questo tempo?» domandò sottovoce Niall a Zayn, per non farsi sentire dal migliore amico ancora nei paraggi.
«Io credo di no. Prima di vederla stava quasi tornando normale.» sentenziò Zayn, finendo il suo cocktail e poggiandolo su un tavolino lì vicino.
Era vero. Harry stava cominciando ad assumere la forma del suo divano e andava in giro come un trasandato. Ben vestito, ma pur sempre un trasandato.
Una serie di avvenimenti - e non c'entrava solo Nicole - l'aveva colpito dritto in fronte e non s'era ancora ripreso del tutto: la fine della sua carriera musicale, la fine della sua storia d'amore e  la fine del rapporto con sua madre dopo che si era risposata avevano contribuito alla fine di Harry stesso.
«Comincerà ad andarci ogni venerdì, ne sono sicuro» disse sconfitto Niall, passandosi una mano sul viso e guardandosi in giro per vedere la figura vagante di Harry.
«Sempre se lei continuerà ad andarci...» sussurrò Zayn, come se si fosse lasciato sfuggire un pensiero.
«Faremo in modo che questo succeda. Voglio che Harry cominci di nuovo a vivere come prima, anche se questo dovesse comportare di nuovo Nicole nella sua vita».

«Probabilmente era soltanto un idiota che voleva incuriosirti, Nikita, non farti strani film mentali.» disse con il suo solito tono solare e menefreghista Rocio, spingendo il carrello verso il reparto dei surgelati.
Erano passati già due giorni ma Nicole non faceva altro che pensare
a quel pazzo che le si era presentato all'appuntamento al buio senza neanche spiccicare una parola. Aveva voglia di fare indagini su indagini per scoprire chi fosse e per spaccargli la faccia.
«Prendi lo yoghurt all'ananas? Sai che senza quello non riesco a concentrarmi per studiare!» esclamò la rossa, mettendosi a braccia conserte e guardando la sua coinquilina sbuffare e prendere lo yoghurt come se fosse sua madre.
«Verrai di nuovo con me, venerdì?» domandò, senza porsi troppi problemi.
Rocio era fatta così, non le importava molto il mondo circostante: adorava imbucarsi alle feste, ubriacarsi e poi tornare a casa a piedi nudi, non mettere mano alla tesi e soprattutto non pensare a quanto tempo avesse fatto passare prima di prendere la decisione di laurearsi e darsi gli ultimi esami.
Nicole era tutto il contrario, un fascio di nervi, costantemente arrabbiata con il mondo e a tratti zitella acida a cui importava soltanto il suo computer, i suoi libri di legge e la sua carriera. Con gli uomini aveva chiuso.
«Intendi all'Università, vero? C'è il ricevimento del professor Fitz, sai com'è...» Nikki cercò di fare appello al buon senso della sua amica, ricordandole del'Università, ma quando vide Rocio scuotere la testa divertita, maledì di aver riposto fiducia in qualcosa di inesistente.
«Ovviamente intendo agli appuntamenti al buio! Ho promesso a Josh che ci sarò!» esclamò la spagnola sempre con quell'aria divertita e frizzante addosso. Nicole le avrebbe spaccato la faccia entro pochi minuti, ormai ne era certa.
«Non uscirò mai più con te, Torres. Sia chiaro che sei ancora mia coinquilina soltanto perché sono una delle persone più altruiste e generose sulla faccia della terra!» si lamentò - come di consueto - Nikki, afferrando un pacco di conchiglie per poi gettarle con rabbia nel carrello.
«Se stasera ti faccio le conciglie con la salsa prometti che venerdì verrai con me? Magari viene di nuovo il ragazzo con i Rayban, vi sposerete e farete tanti di quei figli che non ti ricorderai neanche i loro nomi!» Rocio aveva lo scocciante difetto di delirare, ad una certa. Cominciava a fare discorsi che non c'entravano niente, parole sconnesse e frasi barcollanti, che non stavano in piedi, come se qualcuno l'avesse drogata. Non poteva di certo scordare quando aveva cominciato a parlare di Kant, di Schopenauer e di filosofi che non avevano un nesso e allo stesso tempo di quanto fosse bella e sexy la nuova collezione di Victoria's Secret.
«Posso farmele anche da sola, le conchiglie... e poi io ho chiuso con gli uomini, dovresti saperlo!» borbottò tra sé e sé Nikki, che cominciava a camminare sempre più veloce per il supermercato alla ricerca delle tisane rilassanti: abitare con Rocio aveva gravi ripercussioni sul suo sistema nervoso.
«Sai benissimo che non verranno mai come le mie!» esclamò l'amica, raggiungendola «E poi dai, non vorrai mica dirmi che Harry Styles era l'unico uomo della tua vita o stronzate del genere!».
«Non parlare di Harry, continua a parlare di conchiglie con la salsa che è meglio.» disse gelida Nicole.
Solo pensare ad Harry le faceva venire il sudore freddo. Poteva ancora sentire la presa salda sui suoi fianchi, quando le aveva dato l'ultimo bacio ed era sparito per sempre dalla sua vita; poteva percepire il calore dei suoi sussurri dopo i concerti e conservava ancora la sua maglia sgualcita del pigiama. Nikki non era mai stata innamorata prima di Harry. Non si ricordava di essersi mai interessata ad un ragazzo prima di Harry e non voleva neanche farlo. Ricordava con tenerezza le sue carezze e i suoi baci, ma a pensarci, amava anche i suoi sospiri innervositi e la sua fronte corrugata quando si arrabbiava. Aveva amato Harry Styles alla follia, non c'era alcun dubbio, ma forse lo stesso ragazzo a cui aveva donato il cuore anni prima, non aveva mai ricambiato i suoi sentimenti.
«Sei sempre troppo suscettibile!» esclamò Rocio, ancora infastidita dal comportamento asociale dell'amica.
«E tu sei sempre la solita rompicoglioni.» sbuffò, con il fumo che le usciva dalle orecchie e sfrecciando per i reparti del supermercato per far sbollire la rabbia e il dolore che il ricordo di Harry le procurava.

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Buonasera ragazze :) Non so perché ma stasera mi sentivo ispirata e quindi ho deciso di postare questo capitolo. In realtà ho iniziato questa fanfiction senza avere un'idea precisa, quindi mi scuso in anticipo se ci saranno errori o porcherie varie, mi sto buttando in questo "progetto" e per ora non ne sono delusa. Poi io adoro Holland, la amo proprio e ce la vedo bene come Nikki.
Mi hanno chiesto come mi immaginassi Rocio e .. boh, non so in realtà come rispondervi. Me la immagino mulatta e con i capelli riccissimi, tipo quella delle Little Mix che .. boh non so come si chiama AHAHHA.
Sono contentissimissimissima che la mia storia abbia già 13 seguiti e non so quanti preferiti/ricordati. Vi mando un bacio grossissimo,
Ari

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


 

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I knew you were trouble when you walked in,
so shame on me now


Nikki non odiava prendere la metropolitana. Nikki detestava prendere la metropolitana. Ed era anche un odio profondo il suo: ogni volta che usciva dall’Università però, era costretta a doversi inoltrare nella stazione oscura e putrida e strusciarsi contro milioni di corpi ognuno diverso dall’altro. Si, Nikki odiava decisamente la metropolitana di Londra.
«E stia un po’ più attento, la prossima volta!» esclamò infastidita verso un mezzo punk che le aveva pestato il piede – oltretutto fasciato da un paio di prezioso Louboutin – e riprese a camminare verso il binario a ridosso del quale il treno che l’avrebbe portata a casa si sarebbe fermato. Faceva sempre la stessa strada da un paio di anni ormai, non si rendeva neanche più conto di quello che faceva: usciva dall’Università, camminava con mille appunti e quaderni ad anelli stretti al petto e faticosamente riusciva a salire sulla metropolitana. Rocio poi, le avrebbe fatto trovare una scarna cena sul tavolo – di solito consisteva sempre in un kebab – preso da Aladdin, il turco strambo che aveva un baracchino sotto casa loro – un po’ troppo pieno di cipolla e con troppa salsa piccante e si sarebbe messa a letto con il sangue al cervello e con un alito non proprio invitante. Questa era la loro routine, non facevano altro che questo, giorno per giorno.
Mentre pensava alla sua vita movimentata, una folata di vento le fece quasi crollare per terra tutti gli appunti che aveva preziosamente raccolto: dopo sei minuti d’attesa, adesso aveva il treno e mille persone agitate – sia da fuori che da dentro – davanti.
Sospirò, afferrò saldamente la presa della sua mano sulla borsa e si diresse in modo deciso verso l’interno del treno, una volta aperte le porte.
«Ormai la metropolitana è diventata un inferno! Troppi idioti!» disse una voce – probabilmente appartenente a quel ragazzo un po’ troppo alto e coperto da un cappotto scuro appena sceso dal treno – che lì per lì, la ragazza non riconobbe neanche. Si voltò infastidita, sebbene fosse già dentro e quindi lontana dal soggetto e per poco non ebbe un collasso.
Harry, il suo Harry era in piedi di fronte a lei e la guardava interdetto, facendosi spintonare dalla miriade di persone affrettate che erano appena scese. Solo il vetro della metro lo separava da Nikki ma lui l’avrebbe spaccato con un solo colpo pur di abbracciarla per un solo momento.
Harry era così, probabilmente neanche lui era pienamente consapevole dei sentimenti che ancora provava per Nicole, e adesso che il treno stava prendendo sempre più velocità per partire, gli faceva un male maledetto il cuore. Neanche quando l’aveva vista qualche sera prima in quella specie di night club aveva avuto una reazione simile.
Nikki lo guardò sparire velocemente attraverso il finestrino opaco e si sentì morire: era bello come se lo ricordava, i tratti del viso dolci ma nascosti da una durezza nuova, che probabilmente aveva acquisito con il tempo ma che lo rendeva più maturo e qualche tatuaggio in più sulle braccia che era riuscita ad intravedere. In realtà provava un rancore indicibile nei suoi confronti, ma nonostante tutto non riuscita ad odiarlo.
«Non dirmi che ti sei scordata di comprare gli assorbenti perché…» la voce agitata e tremendamente solare di Rocio l’assordò dopo il primo squillo, tanto che Nicole fu costretta ad allontanare il telefono per qualche secondo.
«Ho visto Harry.» disse seria la rossa, prima di sospirare e lasciarsi cadere con una stanchezza inesorabile sul primo posto libero.
Rocio fece silenzio – e questo era un segno buono, voleva dire che stava sul serio pensando a quello che la sua coinquilina le aveva detto – e Nikki prese a guardare un punto indefinito di fronte a sé.
«Ma è assolutamente impossibile. Ho letto che è a Pechino con una ragazza alta quasi quattro metri e con un nome più simile a quello di una pornostar che a quello di una persona normale e…» il nanosecondo in cui Rocio aveva pensato era durato davvero poco, ma Nikki era assolutamente abituata a quel fiume di idee e pensieri strambi che la sua amica aveva in testa.
«Era Harry.» la stoppò, non riuscendo a sorridere seppur la situazione lo prevedesse. Nessuno riusciva a stare serio con Rocio.
«Harry Potter?» domandò ingenuamente la spagnola, e Nikki avrebbe potuto giurare di poterla vedere con la sua tutina rosa shocking e un pesetto nella mano destra, intenta a trovare una soluzione alla sua situazione.
«Rocio…»
«Harry Clayton! Il tuo professore di diritto internazionale!» ipotizzò, ancora.
«Ti dico che…»
«Forse Harry Buxton…»
Nikki sussultò «Ma, Rocio! Harry Buxton è quell’idiota ultra ottantenne del supermarket sotto casa, come puoi pensare che io sia così sconvolta per quel vegetale!».
«Però non è male…» mormorò la mora, trattenendo un risolino divertito.
«Ma stai zitta! Io ti dico che ho visto Harry – e tu sai perfettamente di chi io stia parlando –, sono sconvolta e l’unica cosa di cui tu mi sai parlare è di quando appeal abbia l’ottantenne che dirige uno stramaledetto supermercato!» le guance di Nikki si erano tinte di un rosso violento, rosso come la furia che Rocio – come al solito – le aveva messo addosso.
«Gli assorbenti li hai comprati?» domandò, ovviamente ironica, Rocio.
Rocio non era una cattiva persona, era una di quelle ragazze che tu incontri, ci esci una, magari due volte e poi ne hai abbastanza. Dopo il primo caffè insieme ti racconterà subito di come abbia attraversato l’Oceano Atlantico con il peschereccio di suo padre, e se gli stai abbastanza simpatico può anche darsi che ti faccia vedere pure la foto. Rocio era una solare, una tipa che però dimentichi facilmente, ma che con la sua simpatia ti riempie le giornate.
«Rocio, io credo di odiarti» disse Nikki, accorgendosi solo dopo cinque minuti buoni di dover scendere. Sarebbe volentieri arrivata fino all’aeroporto per prendere il primo volo per Los Angeles ma purtroppo doveva tornare a casa, farsi una doccia e fiondarsi di nuovo sui libri.
«Il tuo buonissimo kebab feccioso di aspetta, non fare tardi e compra gli assorbenti, lo so che li hai dimenticati.» disse la sua amica, chiudendole il telefono in faccia e lasciandola di stucco, come al solito.
 
La notorietà, le false luci del successo e milioni di ragazzine urlanti avevano creato ad Harry un velo di protezione che nessuno era mai stato in grado di restituirgli; era come se in quel periodo avesse vissuto in una bolla, lontano dalle fogne di Londra, dal lezzo dei fastfood scadenti e dei barboni coi calli ai piedi che gli chiedevano l’elemosina. Pur vivendo in un bellissimo quartiere al centro della città, Harry si accorgeva soltanto ora di quanta miseria ci fosse in giro, soltanto camminandoci in mezzo, odorando e guardando con occhi sgranati lo scempio della quotidianità.
Pigiò il tasto pausa del suo iPod grigio e improvvisamente la voce calda di Bon Jovi lasciò il posto a miliardi di clacson frenetici e nervosi: era già sotto casa ma avrebbe volentieri camminato fino al suo piccolo paese nel Cheshire per trovare serenità e riposo per la sua mente stanca.
Dicevano tutti – persino i giornali e i notiziari indiscreti – che si era rovinato, che adesso era più simile ad un bisbetico vecchietto che ad una star mondiale ma a lui non importava più di tanto. Non sorrideva più, non si preoccupava neanche di cercare i suoi amici – erano quasi sempre loro che venivano da lui, lo conoscevano meglio di chiunque altro – e si rovinava l’esistenza pensando a Nikki e a tutto quello che aveva distrutto.
«Signor Styles, sta bene?» domandò Renée Michelle, la portiera cinquantenne del suo palazzo. Era una signora francese, venuta da Parigi in cerca di un lavoro, per poi trovare un misero posto come portiera e donna di servizio di un palazzo pieno di ricchi miserabili. Niente di più invidiabile.
«Si» borbottò con tono infastidito il riccio, scuotendo la testa e facendo un cenno impercettibile, in segno di saluto. Renée non l’afferrò e si incupì, intristita come ogni sera dal fare scorbutico di quel ragazzo.
Prese l’ascensore fino al quinto piano, afferrò le chiavi d’acciaio nascoste nelle tasche del cappotto e aprì la porta del suo loft: bianco, spazioso, vuoto.
Sospirò ed entrò, scaraventando – letteralmente – le chiavi sulla mensola d’ingresso e guardando oltre le grandi portefinestre dalle quali si aveva una vista mozzafiato su tutta la città. Pensò che a Nikki sarebbe piaciuta da morire: gli ripeteva in continuazione di come desiderasse un loft spazioso a Londra con una vista come quelle, era uno dei suoi più grandi sogni e adesso Harry si ritrovava a condividerlo da solo e con dei tremendi rimorsi che delle volte gli bloccavano il fiato.
I suoi pensieri furono bruscamente interrotti dallo squillo del telefono di casa e «ciao, mamma».
«Come fai a sapere che sono io? – disse Anne, trattenendo un sospiro. Harry poteva già immaginarla sorridente con il telefono incastrato tra la spalla e l’orecchio – Ciao, tesoro.»
«Sei l’unica persona che mi chiama, ormai» spiegò, aprendo il frigo e prendendo una busta di un surgelato random da infilare nel microonde.
«Come stai, amore?» chiese la donna, ignorando coscientemente le parole del figlio che le facevano male al cuore per quanto vere. Harry era lontano da tanto tempo ormai, ma mai come adesso lo aveva sentito così distante. Da quando aveva rotto con quella ragazza dai capelli rossi – le pareva si chiamasse Nicole, o qualcosa del genere – suo figlio era diventato scostante e con lo sguardo perso di chi non sa più cosa sia la vita.
«Come sempre, mamma, è sempre il solito» rispose il riccio, buttandosi sul divano di pelle nero e accendendosi una Camel blu senza preoccuparsi di sua madre al telefono. Lo sapeva già da tempo, e lui era anche già abbastanza grande per decidere della sua vita autonomamente.
«L’hai sentita quella Nicole?» domandò, di punto in bianco.
«Nikki, si chiama Nikki» la corresse Harry, indurendo la mascella e di conseguenza l’espressione, già arrabbiata.
«Quella. L’hai più sentita?» ripeté Anne ed Harry aveva già cominciato a battere il piede nervosamente sulla superficie liscia del parquet scuro. Non gli piaceva parlare con altre persone di Nikki. Nikki era un argomento sacro, intoccabile e gente come Niall e Zayn lo sapevano benissimo. Sua madre no, ma non poteva fargliene una colpa. Non a lei.
«Possiamo cambiare argomento, mamma?» domandò, respirando sempre più in fretta, come se avesse il fiatone, come se stesse correndo e non parlando tranquillamente con la persona che gli voleva più bene al mondo.
«Era così carina e gentile…» insisté la donna.
Harry stava cominciando a sudare, il pensiero crudele di Nikki, della sua pelle candida e liscia e dei suoi capelli così deliziosamente rossi si stava insinuando con morbidezza e con una lentezza inesorabile di nuovo nel suo cuore e nel suo cervello. Sudava freddo.
Odiava pensare al disastro che aveva combinato, a tutto quello che aveva rotto con la sua schifosa presunzione. Nikki se n’era andata perché lui l’aveva chiesto, lui l’aveva ordinato.
«Harry?» lo chiamò Anne, con un tono di preoccupazione nella voce.
«Amore, stai bene?» chiese ancora, allarmata.
I respiri di Harry erano nervosi, come se stesse piangendo o se stesse facendo un grosso sforzo. Anne cominciava a preoccuparsi davvero per lui, sembrava davvero depresso da un paio di mesi a quella parte.
«Smettetela di chiedermelo, io sto benissimo» Harry chiuse la telefonata.
Sua madre avrebbe capito. Avrebbe capito come al solito. Tutti capivano quando Harry stava male, tutto sapevano che ultimamente il suo cervello era andato.
Gli occhi gli pungevano: era come se mille spilli aguzzi gli perforassero la cornea. Non poteva piangere. Un vero uomo non piange. Un vero uomo non impazzisce. Un vero uomo non alza le mani alla sua donna. Una vero uomo non ordina all’unico essere che ama al mondo di andarsene via dalla sua vita.
Prima Harry era un vero uomo, ora non si vedeva neanche più l’ombra della persona che era prima.


 


Eccomi dopo un po' di giorni di attesa :) sono a Berlino e non so ancora come io abbia fatto a postare (o anche solo a pensare di farlo) un capitolo. Forse è solo che io a questa storia ci tengo davvero tanto. L'altro giorno pensavo alla scaletta, e purtroppo mi sto rendendo conto che dopo un certo numero di capitoli non ho idea di cosa scrivere AHAH ma non temete, troverò una soluzione. Questo è un po' un capitolo di passaggio, ma spero abbiate capito un po' del rapporto che Nicole e Harry hanno avuto quando i One Direction erano famosi. Tra un po' si scoprirà tutto.
Vi mando un bacio,
Ari

 

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