Autumn Leaves.

di tedsweeran13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno. ***
Capitolo 2: *** Due. ***
Capitolo 3: *** Tre. ***
Capitolo 4: *** Quattro. ***
Capitolo 5: *** Cinque. ***
Capitolo 6: *** Sei. ***
Capitolo 7: *** Sette. ***
Capitolo 9: *** Otto. ***
Capitolo 10: *** Nove. ***



Capitolo 1
*** Uno. ***


UNO.




Give me love, like her; 'cause lately I've been waking up alone.

- Ehi, buddy! - gridò Taylor dal palco smettendo di cantare improvvisamente, con grande disappunto di Amos, che alzò gli occhi al cielo per l'ennesima volta. Era da circa un'ora che quei due provavano Stay Stay Stay, ma lei, quel giorno stranamente solare e più fuori di testa del solito, si interrompeva e si distraeva fin troppo facilmente. Smetteva di cantare la canzone che stavano provando, cominciandone di sua iniziativa un'altra; si metteva a chiacchierare con Caitlin o con me, più sovreccitata del solito - a dir la verità stavo cominciando ad avere dei dubbi sulla sua sanità mentale. Nonostante fossi seduto sul bordo del palchetto più piccolo, a più di cinquanta metri di distanza, era lì che si sbracciava e urlava frasi senza senso. Nel giro di cinque minuti aveva inventato circa venti diversi animali mitologici. Tutti rossi. Tutti luccicanti. E tutti che amavano avere l’ultima parola, come lei. Ed ecco che, ad un certo punto, la vidi balzare giù dal palco e mettersi a girovagare per lo stadio. Più che girovagare, a correre come una pazza. Sapevo benissimo perché si comportava così, probabilmente stava scrivendo una canzone: ecco spiegato perché era così svampita. La conoscevo ormai da più di un anno, fin troppo bene direi, come il palmo della mia mano; e mi ero abituato a quei comportamenti, così come aveva fatto la sua band, con lei da addirittura più tempo.
Mi piaceva quando faceva la pazza, in questo modo. Era così … serena. Era un piacere non vederla piangere, come era successo, spesso, nei mesi precedenti.

Pain splatter teardrops on my shirt; I told you I'd let them go.

Solitamente, Taylor non mi chiamava per disperarsi sulle sue relazioni; per quello c'erano Selena, o Emma. Con me, preferiva parlare di musica, o farsi quattro risate, proprio come due vecchi amiconi. Ma quando aveva rotto con Harry - ed era stata una brutta rottura - lei era corsa subito da me, a farsi abbracciare, mentre si sfogava piangendo disperata, come non l'avevo mai vista. Per me fu alquanto imbarazzante; dopotutto, sono un suo amico, proprio come lo era lei. Era strano sentire lei così terribilmente distrutta e disperata da una parte e, dall'altra, Harry, sereno, forse un po' giù di morale, ma perfettamente tranquillo. Non so bene come siano andate le cose tra loro due: entrambi preferirono evitare l'argomento, la maggior parte delle volte e Tay, anche quando si sfogava, rimaneva in silenzio, singhiozzando; le parole e la rabbia sarebbero venute fuori solo successivamente, in una canzone, ne ero sicuro. Comunque, ero felice che stesse bene e che stesse, almeno apparentemente, passando sopra quella storia, che era stata complicata sotto molti punti di vista; non solo tra i due diretti interessati, quanto più tra la ragazza e le fan dei One Direction che, inviperite, l'avevano riempita d'insulti senza esitazioni né ritegno. Ecco, se c'era una cosa che potevo rimproverare ad Harry, sarebbe stata quella: non aveva nemmeno provato a difendere Taylor da quegli attacchi così meschini, nonostante sapesse bene che la stavano distruggendo piano piano.

- Cosa strimpelli? –. La sua voce mi giunse alle orecchie, facendomi girare e me la ritrovai alle spalle. Feci un salto di cinquanta metri, rischiando di cadere dal palchetto, mentre lei si metteva a ridere come una squilibrata. Che effetivamente, era quello che era.
- Ma sei pazza! – le dissi. – Non puoi piombarmi alle spalle all’improvviso! – . Cercai di apparire minaccioso, ma evidentemente la cosa non doveva riuscirmi molto bene perché lei si buttò a terra e rimase lì. Giù, ferma. A ridere. Agitava i piedi avanti ed indietro, come una bambina. Era sovreccitata. Avrei voluto sapere che cavolo si era bevuta quella mattina.
- Niente di che - risposi, posando lo strumento sul palchetto e guardandola negli occhi.
-Cosa? – mi chiese, continuando ad agitare i piedi. Sembrava una bambinetta. Stava sicuramente scrivendo una canzone.
- Sto rispondendo alla sua domanda, signorina Swift. Resti connessa per favore, abbiamo bisogno di lei al centralino –. Lei allora mi guardò; tentò di rispondere a tono, ma po ci ripensò. Doveva aver capito che era meglio per lei ricomporsi. In un unico gesto elegante si alzò, fingendo di pulirsi i vestiti, dopo di che mi guardò e mi sorrise. Poi si volse a fissare il grande palco, il vero centro dello spettacolo, dove la sua band, avendo ormai intuito l'andazzo della giornata, si era sistemata comoda, posando gli strumenti e rilassandosi.

And that I'll find my corner, maybe tonight I'll call you after my blood turns into alcohool. No, I just wanna hold you.

- E tu, cosa scrivi? – le chiesi piantandomi dietro di lei, senza dirle nulla, stile stalker, o fantasma. Volevo farla saltare di trenta metri, come LEI aveva fatto con ME. Ma ovviamente non ci riuscii. No, quella era come uno dei suoi amati gatti. Aveva un sesto senso. E dei baffi. E probabilmente anche una coda, nascosta da qualche parte.
- Non provarci neanche Sheeran, sai benissimo che non ti dirò una parola - sogghignò, saltando giù dal palco con un gesto agile e sicuro. Certo che lo so, ti conosco quasi come il dorso della mia mano, avrei voluto dirle. Ma lei lo sapeva benissimo.
- Ehi, squilibrati! Perché vi siete accomodati? Forza! Tutti a provare! Provare provare provare! Cavolo, non vi posso lasciare soli un momento – urlò mentre, mezza saltellando e mezza correndo, tornava verso il palco grande. Ok, cominciava a diventare quasi fastidiosa, tanta era la sua energia. E poi... Aspettate. Squilibrati? Aveva veramente detto squilibrati? Aveva chiamato loro squilibrati? La fissai, ad occhi sbarrati, non sapendo se mettermi a ridere o a piangere. Stava dando fuori di matto? Si, stava dando fuori di matto. Magari mi ero sognato tutto. Oppure era la voce di Dio che mi guidava. No, non stavo sognando. Ci aveva veramente chiamato SQUILIBRATI, a noi. Ma si era guardata allo specchio quella mattina? Anche i suoi capelli sembravano indovinare il suo umore. Erano ricci, molto ricci, ribelli, e sparavano da tutte le parti, fuoriuscendo dall'elastico con cui aveva cercato di tenerli in ordine.
Taylor cominciò ad accorgersi delle nostre occhiate. A quel punto non ce la feci più a resistere: scoppiai a ridere, come ero capace di fare solo con lei. Risi convulsamente, come un idiota - che in fondo, era quello che ero. E il resto della band mi venne dietro, prima Amos, poi Paul, che si piegò in due in preda ai crampi allo stomaco, provocati dalle troppe risate, e poi Caitlin, e gli altri.
Taylor, invece, restò ferma, a guardarsi intorno quasi confusa. Non capiva, non riusciva a capire che la fonte del nostro divertimento era lei. Ma alla fine, ridevamo di lei perchè la conoscevamo, perchè ci piaceva così, pazza, fuori di testa, e le volevamo bene per quello che era.
E poi, tutto era meglio di quel brutto periodo che aveva passato qualche mese prima.
La biondina aggrottò le sopracciglia, sempre perplessa, poi scoppiò finalmente a ridere, contagiata dal nostro attacco isterico collettivo. L'aria era alleggerita, l'atmosfera era piena di buonumore.
Poi, con un gesto improvviso, Tay prese la chitarra - per la precisione, la MIA chitarra, sì esatto, quella con la zampina di gatto. Quante volte le avevo detto di NON TOCCARE LA MIA CHITARRA?! - e inziò a suonare Stay Stay Stay; non dal punto dal quale aveva smesso, bensì, dall'inizio.

- I’m pretty sure we almost broke up last night. - canticchiò, in falsetto, prendendosi letteralmente in giro. Sembrava un chipmunck. Nel frattempo Amos, dopo aver ridotto l'attacco isterico ad una ridarella contenuta, aveva ripreso la sua chitarra e si era messo a suonare, seguendo il ritmo della bionda; lei, che aveva risalito le scalette del palchetto e si era messa a volteggiare in tondo, si lasciò cadere ai miei piedi, strimpellando senza pietà le corde della mia povera chitarra, in chiaro segno provocatorio. Alzò la testa, sorridendo come un gatto sornione. Quanto avrei voluto schiaffeggiarla di santa ragione!
- I throw my phone across the room... - continuò, chiudendo gli occhi e cessando all'improvviso di cantare. Sapevo che stava aspettando che continuassi. Volevo davvero darle questa soddisfazione?
- At you - cedetti infine, con uno sbuffo. La mia voce, rauca e più profonda, contrastava nettamente con il suono leggero ed acuto della chitarra e con la vocetta di Taylor. Lei aprì di nuovo gli occhi e mi sorrise, un sorriso sincero e divertito; “a questo punto”, direte voi, “si sarà tirata su e avrà continuato la canzone, come una persona normale. O, meglio ancora, si sarà alzata per tornare nel palco principale e continuare le prove, in modo decente”. Invece no; insomma, stiamo parlando di Taylor Swift. Infatti, con uno scatto da gatta, si buttò all'indietro, sdraiandosi completamente sul B-Stage, con le gambe penzolanti. Sui miei piedi. E di nuovo si mise a sorridermi, in tono di sfida, continuando a suonare - come diavolo faceva?! - in quell'astrusa posizione. Non c'erano dubbi; tutta quella farsa era una chiara vendetta, un modo per rispondere a come ci eravamo presi gioco di lei, poco prima. Ero quasi tentato di muovere i piedi e di buttarla di sotto. Quella sì che sarebbe stata una vendetta degna di questo nome.

- I was expecting some dramatic turn away -, continuai io, fissandola, a mia volta, con aria di sfida, - but you...
- STAYED! -, gridiamo insieme, senza nemmeno coordinarci. Un sorriso da ebete mi si dipinse sul viso; evidentemente lei se ne accorse, perché ridacchiò sotto i baffi e continuò a cantare.

- This morning I said we should talk about it cause I read you should never leave a fight unresolved - disse lei, con fare da maestrina. Le mancavano solo gli occhiali sulla punta del naso, poi sarebbe stata perfetta. Da qualche parte doveva averli, quei suoi occhiali da secchiona. Magari nel camerino. Stupida, stupida Taylor. Non cambiava mai. Decisi allora che la cosa stava andando un po' per le lunghe. Volevo indietro la mia chitarra - ci tenevo - ora, subito; dovevo quindi comunicarglielo, nel miglior modo possibile.
- That’s when you came in STEALING MY OLD, OLD GUITAR AND PUT THIS GRIN ON YOUR FACE. -, sparai, cambiando sul momento le parole. D'altronde, ero o non ero un compositore di grande talento? Volevo proprio vedere cosa mi avrebber risposto, adesso.
Per un momento, la bionda rimase spiazzata, poi scoppiò a ridere - il tutto continuando a suonare, tanto che le sue risa si coordinarono con la musica - e non attaccò con la strofa dopo, troppo impegnata a sbellicarsi. Quando fu sicura di esssersi ripresa, si alzò in piedi - finalmente - e riprese la canzone dal ritornello.

- Stay stay stay - cantammo allora insieme, mentre lei improssiva un balletto, girando su se stessa, sul piccolo palco - I've been loving you for quite some time time time - continuò; a quel punto mi unii anch’io: - You think that it's funny when i'm MAD -; c’era un leggero punto di domanda nella sua voce, lo sentii. Come se stesse aspettando una conferma. - MAD, MAD! - le risposi io - tanto per assicurarle che sì, era pazza, da legare - ridacchiando come un bimbetto e ballando insieme a lei - sì, sono instancabile.
- But I think that it's best if we both stay -, e questa fu la conclusione del nostro duetto. Sì, perché lei, slacciatasi la mia chitarra dal collo, fece per scendere dal palco, ma mi accorsi ben presto che non ci sarebbe riuscita, in quanto i nostri balletti scatenati ed la nostra momentanea pausa dal “duro lavoro” avevano provocato una specie di grosso disastro con i fili presenti sul palchetto; ed è per questo che Taylor non si accorse di dove stava mettendo i piedi. Non ci mise molto, infatti, ad aggrovigliarsi con quella massa informe di plastica nera. Quando notai che stava per ruzzolare malamente al suolo, corsi in suo aiuto. Grosso errore. Infatti, proprio mentre stavo per darle una mano ad uscire da lì, lei perse l'equilibrio, ed indovinate un po' dove andò a finire? Esatto. Addosso a me. Con tutto il suo peso - che non è poi granchè, alla fine -. Fu inevitabile, a quel punto, cadere entrambi come due sacchi di patate. Sentii subito il dolore alla schiena appena toccammo terra, e sentii anche il breve urletto di Taylor. Dopo mezzo secondo, mi ritrovai i suoi capelli in faccia, i suoi riccissimi e fitti capelli; stavo per soffocare. Qualcuno, dal palco grande, ci urlava se stessimo bene. Io continuai a dimenarmi, a cercare di alzarmi, ma la biondina mi schiacciava, impedendomi qualsiasi movimento.
- Taylor! Sto soffocando, qui sotto! - la informai, con voce roca. Lei, dal canto suo, stava ridendo. Di gusto. Si sollevò sui gomiti e si spostò i capelli all'indietro, dandomi finalmente modo di respirare.
- Tu lo sapevi, Eddy Rosso! – . Sì, mi chiama così. Non chiedete nulla. Avete avuto modo di constatare con i vostri occhi quanto sia fuori di testa. – Lo sapevi! Mi hai teso una trappola, con tutti quei dannatissimi fili! Te lo leggo in faccia!
Stavo tentando l'impossibile per non scoppiare a ridere. Una vocina, nella mia coscienza, mi stava dicendo che Taylor me l'avrebbe fatta pagare se mi fossi azzardato a lasciar uscire anche solo una piccola risatina. Ma d'altronde, anche lei stava ridendo come un'ossessa, quindi mi unii.
-Sei un impostore, Eddy Rosso! Un impostore! Stavo quasi per chiederti di cantare Stay Stay Stay con me stasera, ma non te lo meriti! Mi hai quasi ucciso! - protestò, tra una risata e l'altra.
-Veramente, ci tengo a precisare, sono stati i tuoi capelli che hanno tentato di assassinarmi, Saylor Twift. –. Oh, bene, e questa da dove mi era uscita? Fatto sta che sembrava un’altra meravigliosa vendetta, in quanto lei smise di ridere e mi piantò gli occhi addosso, fissandomi arcigna.
E' in quel momento che successe. Mentre io stavo ancora ridendo, tentando di togliermela di dosso, lei si chinò verso di me, con uno scatto così improvviso che cominciai a sudare freddo. Che diavolo stava combinando, questa volta? Eravamo vicini, fin troppo. Dieci, quindici centimetri separavano i nostri nasi. Mi sentii arrossire. Oddio, odiavo arrossire. Era una cosa poco mascolina.
Fatto sta che alla fine, Taylor si chinò vicino al mio orecchio e mi sussurrò, con un tono a metà tra l'ironico e il serio: Eddy Rosso.Il suo fiato caldo mi fece, stranamente, rabbrividire.
-Stai attenta che ti faccio cadere, Saylor Twift – le sussurrai di rimando, riprendendomi un poco. Lei ridacchiò, ancora; ma poi, vedendo che non la seguivo, smise pian piano, e restammo lì, a fissarci, occhi negli occhi, come due emeriti idioti. Le guance di Taylor, lentamente, andarono ad imporporarsi, specchio delle mie.

-Vuoi una mano, Ed? –, fece una voce strana, distorta da una risata contenuta, alle mie spalle. Rischiai di sobbalzare per la sopresa e l'imbarazzo, cosa non molto adatta in quanto l'equilibrio di Taylor, ancora comodamente distesa addosso a me, era già abbastanza precario. Con una forza che non sapevo di avere, riuscii a tenere a freno i miei nervi, resi suscettibili da quella cosa strana che era appena successa - che poi, cosa diamine era successo?! - e mi voltai verso sinistra; era Amos, accorso in nostro aiuto insieme a Paul e Caitlin. Tutti e tre, si vedeva, trattenevano a stenta le risa. - Anche se vedo che voi due piccioncini state benissimo dove siete, sbaglio?
Bella figura, Ed. Bella, bellissima figura. Taylor, sopra di me, trasalì, imbarazzata quanto me.
-Sì grazie – gli risposi. Con delicatezza, spostai Taylor da una parte, in modo che potesse rialzarsi, e agguantai la mano che Amos, visibilmente divertito, mi offriva; nel contempo, cercai di riprendermi dalla situazione abbastanza grottesca che si era creata.
D'improvviso, sembrava che l'allegria fosse scivolata via da Taylor. Aveva il viso rosso, per il troppo ballare e scatenarsi ed anche per quello che era accaduto. Mi lanciò uno sguardo, uno sguardo strano, che non riuscii a decifrare; ma non mancai di arrossire, ripensando a come mi si era avvicinata, prima. Ma che diavolo mi era passato per la mente? Taylor era mia amica, la mia migliore amica. Certi pensieri non dovevo nemmeno sfiorarli.
Era stato un grosso equivoco, ma era ovvio che, in un certo senso, aveva rovinato l'atmosfera esageratemente gioiosa di quella mattina. Taylor, fattasi d'improvviso mogia, non mi lanciò nemmeno uno sguardo d'intesa prima di saltare giù dal B - stage e di urlare al resto della sua band, che la guardava esterefatta: - Ragazzi? Forza, riprendiamo a suonare.




Angolo Autrici.

Buongiorno! Se siete arrivati fin qua, vi ringraziamo vivamente! In questa storia mettiamo tutte noi stesse, ed è bello sapere che qualcuno la legge, ahahhaha.
Comunque. Sì, avete capito, questa storia parla proprio di Ed Sheeran e di Taylor. Una coppia che noi due - a proposito, siamo Liuba e Arianna! - ameremmo vedere insieme. Così, abbiamo deciso di scrivere questa ff, a due mani. Arianna, la tipa simpatica, ci mette l'ironia e la fantasia, ed io ci metto la depressione. Ovviamente sto scherzando.
Se state leggendo, vuol dire che siete stati incuriositi o che, come noi, shippate questa coppia. In ogni caso, speriamo vivamente che vi piaccia :3
Detto questo, vi ringraziamo di nuovo, e ci vediamo... al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Due. ***


DUE.




Consiglio: vi consigliamo di ascoltare QUESTA canzone durante la lettura, di metterla anche a ripetizione, se necessario; ha molto ispirato questo capitolo e ne segue un po' la "struttura" se così si può dire :)


Non so perché ma, quella sera, quando mi misi a letto, invece di addormentarmi, cominciai a pensare. Non tanto a quello che era successo quel pomeriggio – anzi tutt’altro, cercavo di evitarlo il più possibile - quanto agli eventi di qualche mese prima. Se dovessi spiegare come mai il mio povero cervello si fosse messo a rielaborare un flashback così lungo e assurdo probabilmente non sarebbe bastata una vita per capirlo neanche per me; fatto sta che, senza un vero motivo valido - o, perlomeno, un motivo che riuscissi a comprendere - mi tornavano in mente a spezzoni, come scene di un film, eventi di qualche mese fa.

Erano giorni che non sentivo né Taylor, né Harry; e la cosa era piuttosto strana perché, almeno con lei, eravamo soliti fare lunghe chiacchierate, la sera. Più che “chiaccherate” li chiamerei “deliri”. Ci dicevamo frasi del tipo “Hey Ed, ieri ho incontrato un pegicorno: mi ha detto di chiamarsi Christopher, come te” oppure “Hey Taylor, la tua gatta mi ha parlato in sogno stanotte: ha detto che devi smetterla di strimpellare la chitarra come un’ossessa tutta la notte perché lei vuole dormire”. E poi alla fine ci ritrovavamo a parlare del senso della vita. O di quale fosse la parola più lunga del mondo. Era piacevole, chiacchierare con Taylor; non servivano tanti freni perché rideva più o meno di tutto, parlava più o meno di tutto, e ascoltava più o meno tutte le scemenze che dicevo. E ci rideva anche. Ma era un bel po’ che non la sentivo, e stavo cominciando a preoccuparmi. Non mi aveva mandato nemmeno un messaggio, l'ultimo risaliva ad una settimana prima. Era una cosa strana e, sicuramente, non era da Taylor. Avevo provato anche a fare un giro di telefonate fra le sue amiche più strette.
- Non so che dirti, Ed - aveva detto Selena, preoccupata quanto me. - Anche io non la sento da un po'. Posso solo dirti che c'è qualcosa che bolle in pentola con la storia di Harry, già da qualche settimana. Ma per il resto non so niente.
Avevo aspettato un altro giorno, poi mi ero deciso a chiamarla. Ma non aveva risposto, né al cellulare, né a casa. C'era qualcosa che non andava, ormai era certo. Il mio primo pensiero fu di partire di corsa verso casa sua. Con cosa poi, rimaneva un mistero, considerato che non avevo idea di come fare per arrivare fino a lei, visto che ero in tour. Decisi però di chiamare Harry, per chiedergli se ne sapesse qualcosa. Sulle prime, nemmeno lui rispose, tanto che pensai che forse quei due si erano concessi una vacanza fuori dal mondo, da soli; ma, alla terza volta che provavo, il ragazzo aveva alzato la cornetta.
- Ed? Ma si può sapere che ti prende? - sbottò, in tono seccato. - Uno non può rilassarsi cinque minuti senza ricevere un numero indefinito di telefonate?
- Sì, scusa - dissi, poco convinto. - È soltanto che sono giorni che non sento Taylor, non risponde al cellulare, né a casa, e mi chiedevo se magari tu sapessi qualcosa.
Dall'altra parte, mi giunse solo il silenzio, tanto che pensai che Harry avesse riattaccato.
- Harry? Ci sei?
- Sì, sì, ci sono - brontolò, ancora più irritato. - Comunque, non so niente di Taylor. Sono giorni che non la sento nemmeno io. Più o meno da quando abbiamo litigato.
- Avete litigato? - gli chiesi, sempre più sospettoso e preoccupato.
- Già. È finita.- rispose, con nonchalance. - Ci siamo lasciati.
- Cosa? E perché? - esclamai, sorpreso. Lasciati? Quando? Perché Taylor non me lo aveva detto?
- Qualcuno le ha inviato una foto di me con un'altra ragazza, una mia... amica - esitò. Leggermente più rammaricato. - E niente, Taylor non ha retto, e nemmeno io. Così le ho detto che era meglio se la finivamo qua.
Rimasi in silenzio. Dio Santo. Certo che Harry era sempre il solito. Al primo problema - che solitamente era lui a creare - si tirava indietro. Sospirai e mi massaggiai le tempie. Le risposte di Harry, così fredde e scostanti, mi aveva dato un fastidio tremendo.
- Certo che hai un tatto straordinario, amico - gli dissi, con tono acido, per poi riagganciare.
Sostanzialmente mi ritrovai più in confuso di prima. E dovevo trovare un modo per andare da lei: era evidente che l’aveva presa molto male. Anche se la cosa tra i due era nata più per gioco che per altro, e dall’esterno poteva apparire più come una trovata pubblicitaria, alla fine si vedeva che un po’ si erano legati. Poco, certo, ma comunque lo erano; non so cosa li legasse veramente, ma sapevo che per Taylor era stato un duro colpo, visto com'era sparita dalla circolazione, all'improvviso. E Taylor non è il tipo che sparisce, quindi vuol dire che quel genio del mio migliore amico aveva combinato qualcosa in più di ciò che voleva far intendere.

Cominciai a fare due calcoli mentali per capire quanto tempo avrei impiegato ad andare e tornare, se fosse un’idea stupida - sì, era stupida, ma non importava -, se avrei mandato in fumo un intero concerto e se la mia geniale trovata avrebbe risollevato il suo morale che ero sicuro essere a terra, se non ancora più sotto. Il cervello elaborò che era fattibile, anche se probabilmente avrei fatto infuriare un bel po' di persone, e non parlavo solo dei fans. Sarei voluto partire all'istante; non avevo capito quando era avvenuta la rottura, ma era davvero troppo tempo che non sentivo Taylor, ed avevo paura che le fosse successo qualcosa. Presi il portatile posto sul comodino dell’albergo e cominciai a fare qualche ricerca su internet, nel tentativo di trovare un aereo che portasse da qui a Los Angeles. O almeno, credevo fosse a Los Angeles. E se fosse tornata a casa, per prendersi una pausa? Forse era per quello che non rispondeva. O forse le era successo qualcosa. Panico.
“Calmati, Ed!” urlò una voce nella mia testa. La mia coscienza. Sì, ho una coscienza che mi parla. Ormai l'avete capito che sono strano. “Se ti fai prendere dal panico non riuscirai ad aiutare Taylor. Calma. Pensa”.
Mi appoggiai allo schienale della sedia, per niente calmo, ma più riflessivo; avrei potuto chiamare Selena, raccontarle quello che mi aveva detto Harry e chiederle se poteva andare lei stessa a controllare. Ma sapevo che avere notizie per terze persone non mi avrebbe tranquillizzato; volevo vederla di persona. Non sapevo bene perché, ma avevo la sensazione che solo vederla con i miei stessi occhi, di fronte a me, sana e salva, avrebbe potuto calmare la mia ansia. Per questo mi riavvicinai al computer, cercai il primo aereo per Los Angeles e prenotai un biglietto. Di sola andata.

Il volo era fissato per le undici e mezza di sera; erano appena le otto, ma buttai qualcosa in valigia e mi fiondai fuori dalla stanza e dall'hotel il più velocemente possibile. L'ansia era sempre lì, come una fedele amica, aggrappata al mio stomaco con un gatto al suo giocattolo a forma di topolino. Fu così che riuscii ad essere all'aeroporto prima delle nove e mezza.
L'attesa mi stava uccidendo. Nel mentre attendevo al gate, con il mio povero bagaglio e la custodia con dentro la chitarra - non chiedetemi perché me la fossi portata dietro. Ricordate? Sono strano - provai nuovamente a chiamare Taylor. Non rispose nemmeno questa volta. Avevo la tentazione di lanciare il cellulare sulla pista. Non sapevo il numero di casa sua a Nashville, quindi mi era impossibile accertarmi se era lì. Aspettai pazientemente - per quanto mi fosse possibile.
Finalmente salii sull'aereo, e la mia ansia si allentò un po'. Non sapevo quante ore di volo mi aspettassero, ma non m'importava. Il desiderio di accertarmi che la mia migliore amica stesse bene cresceva di minuto in minuto, quindi sperai fossero poche.
Cercai di rimanere il più tranquillo possibile, ma fu molto difficile. Mi infossai nella poltroncina di prima classe, ad occhi chiusi, tentando di non pensare al peggio. Ero terrorizzato, a quel punto. Non sapevo da dove venisse quella reazione esagerata, fatto sta che il tempo che passai su quell'aereo fu il più terribile della mia vita. Quando riuscii a rimettere piede a terra, ero quasi tentato di fare un balletto. Guardai l'orologio. Erano quasi le due. Che orario improponibile per presentarsi a casa di qualcuno.
“Bravo Ed” esclamò Coscienza, con un tono da maestrina. “Probabilmente Taylor ti butterà fuori a calci nel sedere. Anche perchè credo che, in questo momento, l'ultima cosa che vorrebbe vedere è un uomo”.
Ah, certo. Non avevo pensato a questo particolare; se Taylor era così distrutta come sembrava, forse vedermi non le avrebbe fatto tanto piacere. Probabilmente in questo istante detestava tutto il genere maschile.
Scrollai le spalle. Ormai ero lì, e dovevo vederla.

Mi ricordavo benissimo dove si trovasse casa sua; c'ero stato molte volte, mentre lavoravamo ad “Everything Has Changed”, appena qualche mese prima. Perciò, non ci misi molto tempo a raggiungerla.
In questo momento, il cancello di casa Swift, nero e lucente - non avevo dubbi - mi sovrastava. Era qualcosa di così gigantesco. Non sapevo se suonare il campanello o cosa. Forse avrei potuto sedermi lì davanti stile barbone e cominciare a cantare qualcosa, nel tentativo di svegliarla.
Sfiorai il metallo freddo. Sicuramente non sarei riuscito a passare tra una sbarra e l'altra, erano troppo strette ed io non ero certo uno scheletro.
Mentre cercavo uno stratagemma per entrare senza dover suonare il campanello - che avrebbe certamente ignorato, a quell'ora di notte - vidi una luce, oltre le piante dell'immenso giardino. Spostandomi un po' verso destra, riuscii a capire da dove provenisse. Era una finestra aperta; sul bordo di questa, stava qualcosa, una figura alta e slanciata, che proiettava un'ombra scura sul terreno sottostante.
Ammetto che mi ci volle un po' per riconoscervi una figura umana. E ci misi ancora di più a riconoscere il profilo di Taylor, le spalle infossate e la testa bassa. Ogni tanto sussultava. Stava piangendo. Era seduta sullo stipite della finestra, con le gambe penzolanti fuori e qualcosa appoggiato sulle ginocchia. D'un tratto, una luce bianca le illuminò il volto, e capii che era un computer.
Fu un sollievo vedere che stava bene, almeno fisicamente; ma non mi piaceva lì, da sola, in equilibrio su quella finestra, al secondo piano. Sarebbe potuta cadere da un momento all'altro, senza tralasciare che mi sembrava abbastanza sconvolta. Dovevo raggiungerla, quindi feci la prima cosa che mi venne in mente: mollai bagaglio e chitarra dietro una siepe lì vicino - pregando tutti i santi che conoscevo che nessuno li scoprisse - e cominciai ad arrampicarmi, con la mia goffaggine caratteristica, lungo il cancello di ferro. Il metallo era freddo e scivoloso e avrei potuto cadere da un momento all'altro. Con questo pensiero fisso in mente e il panico che mi saliva su per la gola, riuscii abbastanza velocemente a raggiungere la cima. Il problema adesso era scavalcare. Mi sentivo un criminale. Speravo che nessuno mi vedesse e chiamasse la polizia; sarebbe stato abbastanza difficile ed umiliante spiegare il motivo della mia incursione.
Stranamente, scavalcare fu più facile che arrampicarsi; mi ritrovai aggrappato all'altra parte, mentre guardavo il giardino di casa Swift sempre più nel panico. Mentre pensavo se sarebbe stato meglio saltare o scendere con cautela, un passo alla volta, il destino scelse per me: persi la presa con un piede e, con un urlo istintivo, che avrebbe svegliato anche una famigliola intera che dormiva a Nashville, atterrai sul suolo freddo e duro.
“Ahi, questo fa male” disse Coscienza, nella mia testa, mentre io me ne stavo sdraiato per terra, a pancia in giù, sentendo dolore ovunque. Ma che idea malsana era stata quella? Ero un cretino. Tanto più che, dopo il mio fantastico acuto, era sicuro che qualcuno avrebbe chiamato la polizia. Magari la stessa Taylor. Oh, bene. Un'altra delle mie maginifiche figure di merda.
Non riuscivo a muovermi. Forse mi ero rotto qualcosa. La spina dorsale. O l'osso del collo. Magari ero morto. Già, ero morto e quello solo un terribile incubo. Ecco la verità.
Perciò, quando sentii dei passi svelti avvicinarsi, pensai fosse un angelo. O forse un demone. Già, era più probabile che finissi all'Inferno piuttosto che in Paradiso. Chiusi gli occhi, ormai convintissimo di essere trapassato.
Ma poi una voce femminile, una voce che conoscevo benissimo, mormorò: - Ed?!
D'un tratto, recuperai tutte le forze che mi sembrava di aver perduto e il dolore scomparve all'improvviso, mentre mi alzavo a sedere di scatto per ritrovarmi ad un palmo del naso di Taylor. Per poco non strillai un'altra volta.
- Che diavolo ci fai qua?! Mi hai fatto prendere un colpo, pensavo fosse entrato qualcuno! - sbottò, evitando il mio sguardo. - E quando ti ho visto sdraiato per terra, pensavo fossi morto.
- Ti consola sapere che ho pensato di esserlo anche io? - scherzai, arrossendo per l'imbarazzo. Un'altra meravigliosa figura da aggiungere alla mia lista interminabile di gaffes.
Lei mi sorrise appena, preoccupata per la mia sanità mentale, probabilmente; ma il sorriso sparì in fretta come era apparso. Ora che i miei occhi si stavano abituando al buio, potevo guardarla in faccia: aveva gli occhi rossi, gonfi, ed era struccata. Il viso era chiazzato, stanco e distrutto; sembrava dimagrita di decine di chili. Stava accucciata di fronte a me e sembrava faticasse a reggersi sulle gambe. Non l'avevo mai vista così; sentii il cuore sprofondare per la pena e per la preoccupazione.
Mi alzai per primo, sotto il suo sguardo triste ed interrogativo. Le porsi la mano e lei ci mise un po', ma poi l'afferrò.
Appena l'ebbi tirata su, la tirai verso di me, facendola quasi sbilanciare in avanti, e la strinsi con tutta la forza che avevo.
Non credo se lo aspettasse. Si irrigidì sotto la mia presa e, in un primo momento, quasi d'istinto, cercò di staccarsi; ma non la lasciai, non avevo nessuna intenzione di farlo. Ed evidentemente lo capì, perchè smise di divincolarsi, mi abbracciò a sua volta e scoppiò a piangere disperatamente.
Sentirla urlare contro di me per il dolore, battere i pugni sul mio petto, sfogarsi, mi distrusse e mi spezzò il cuore riducendolo ad un mucchietto di pezzettini abbandonati in un angolo. Sembrava che il mio cuore avesse seguito la stessa strada del suo; riuscivo a provare quello che provava lei. Appoggiai la testa sulla sua spalla; profumava di pesche. Lei affondò il viso nella mia, continuando a piangere come una bambina. Esatto, la sentivo come una neonata, tra le mie braccia. Inerme, privata di qualsiasi volontà o sentimento che non fosse la disperazione.
Era la prima rottura della mia migliore amica che vivevo, ma avevo già capito che odiavo vedere il suo cuore, così buono e gentile, spezzarsi; odiavo vedere i suoi occhi scurirsi, come era successo prima. Non credo mi ci sarei mai abituato.
In questa storia, molti sono i ricordi che, alla sua conclusione, mi sono tornati in mente. Uno di questi fu quella scena. Ricordo benissimo ogni singolo istante, ogni singolo singhiozzo di Tay ed ogni singolo pensiero. E ce ne fu uno in particolare, tra tutti quelli che mi affollavano la mente, mi travolse, facendomi scostare da Taylor in modo quasi rude.
Ricordo di aver pensato che era troppo buona per subire tutto questo. Che non lo meritava. Che mi sarebbe piaciuto renderla felice, come avrebbe dovuto essere. Che avrei voluto guarire il suo cuore.
Afferrai Taylor per le spalle e la allontanai in fretta, sentendo il mio cuore accelerare. Lei smise di piangere e mi guardò stupita. Io mi sentii di nuovo avvampare, imbarazzato dai miei stessi pensieri; perciò smisi di guardarla, mentre lei si scrollava le mie mani di dosso e si abbracciava con le mani.
- Non mi hai ancora detto - disse, per rompere quel silenzio carico di tensione. - Cosa ci fai qui. E come ti è venuto in mente di scavalcare il mio cancello.
Non risposi subito. Le diedi le spalle e mi misi a fissare casa sua. Almeno non dovevo guardarla negli occhi. Temevo che potesse leggerci cosa mi passasse per la testa. - Era un po' che non ti sentivo - esitai. - Mi stavo preoccupando. Poi ho chiamato Harry e mi ha detto tutto.
Mi voltai nuovamente verso di lei, sentendomi abbastanza sicuro di me stesso, e la guardai negli occhi. - Mi dispiace, Taylor. Mi dispiace così tanto. Odio vederti così.
Lei, in tutta risposta, tirò su con il naso. - Dio, Ed. Domani non hai un concerto da qualche parte?
- Beh, dovrei.
- E allora cosa ci fai qui?
- Ero preoccupato per te, te l'ho detto. Volevo venire a vedere come stavi e... magari consolarti, con qualche battuta delle mie o qualcuna delle mie gaffe.
Mi fissò intensamente, con quegli occhioni blu da cerbiatta, tanto che cominciai a sentirmi quasi esposto. Di nuovo, arrossii. Uhm. Da quando stare con Tay mi provocava tutto questo afflusso di sangue alle guance?
Finalmente sorrise; non era un sorriso dei suoi, ma era ciò che più gli s'avvicinava. - Dio, Ed, sei un tale idiota. Nessun altro avrebbe mai fatto una cosa del genere per la sua migliore amica.
- Ma io non sono “nessun altro” - sbottai. Era squallida, okay, ma riuscii a strapparle un risolino, quindi la considerai una vittoria. - Come stai?
- Sono stata meglio, certo - obiettò, calciando la ghiaia del vialetto con il piede. Notai che indossava delle pantofole a forma di gatto. Classico. - Ma in un certo senso, non sono mai stata peggio.
Non capii cosa volesse dire. Mi avvicinai di nuovo a lei, temendo che stesse di nuovo per scoppiare a piangere e quindi pronto ad offrirle una spalla per farlo, ma lei tirò fuori il suo IPhone, ci aggeggiò un attimo e poi lo voltò verso di me. In quei pochi secondi in cui la luce illuminò il suo volto, vidi che aveva nuovamente gli occhi colmi di lacrime.
Quella che mi stava facendo vedere era la sua pagina twitter. Aveva un sacco di menzioni, ma non capii quale fosse il problema; ne aveva sempre tantissime, i suoi fan la adoravano. Ma poi, stringendo gli occhi, riuscii a leggere meglio. E capii che non erano tweet festosi da parte delle sue fan.

@taylorswift13 muori.
@taylorswift13 stai lontana da Harry!!!!! sei una lurida puttana. Tornatene da dove sei venuta!
@taylorswift13 spero che Harry ti mandi a quel paese in grande stile, brutta troia.
@taylorswift13 sei una stronza, gira al largo da Harry.
@taylorswift13 non provare a scrivere una canzone su di lui!!!

E non era finita qui. I tweet che la insultavano continuavano, ancora, ed ancora. Sembravano non finire mai, e sovrastavano quelli - sempre numerosi - del suo fandom che la difendeva a spada tratta.
Rimasi schifato da quei messaggi. Come osavano trattarla così, solo perchè era uscita con il loro stupido Harry? Ci credevo che Taylor era distrutta. Era così buona, e vedere tutti quegli insulti rivolti a lei, che non aveva mai fatto niente di male, a parte innamorarsi del ragazzo sbagliato...
Mi sentii montare la rabbia. Ma come osavano? Come osavano comportarsi così con lei, la persona più gentile esistente su questa terra? Avrei voluto picchiarli uno per uno con le mie stesse mani, finché non sarebbero tornate strisciando a chiederle perdono.
- Mi odiano - sussurrò lei, mettendo via il cellulare e tuffando il viso nelle mani. - Mi odiano tutti, Ed. Sono la persona più orribile di questa terra.
- Ma cosa dici Tay? - sbottai, afferrandola per le spalle e scuotendola. Non doveva azzardarsi a pensarle nemmeno quelle cose. - Tu, tu sei una persona orribile? Cosa avresti fatto di sbagliato? Innamorarti? Non è mai uno sbaglio innamorarsi. Loro stanno sbagliando, Taylor. Non ti conoscono, non sanno chi sei, non hanno nessun diritto di giudicarti. Sono delle bambine. Non sanno nemmeno di cosa stanno parlando.
Lei non sembrava avermi ascoltato. Aveva ricominciato a piangere, quasi più forte di prima. Non riuscivo a vederla così, veniva da piangere anche a me. Era terribile, e non sapevo più cosa fare per consolarla. Così, la strinsi a me, di nuovo, e lei sembrava così piccola - quando, in realtà, sappiamo tutti benissimo quanto sia alta. È un colosso - che ci si perse, tra le mie braccia; la abbracciai così stretta da temere di poterla rompere, affondando la testa nel suo collo e tentando di calmarla, accarezzandole la schiena ed i capelli, biondi e mossi. E di nuovo, pensai che odiavo vederla così. Che era ingiusto che lei non riuscisse a trovare l'amore, mentre persone cento volte più meschine e terribili sì. E che avrei voluto vederla felice, a qualunque costo.

Il flashback si concluse all'improvviso, riportandomi alla realtà con uno strattone. Stavo fissando il soffitto con aria assente, intento a pensare a tante, troppe cose. Forse, avrei dovuto pensare meno; mi avrebbe fatto molto bene. Ma non ci riuscivo, avevo la testa così piena, di confusione e ricordi e parole che sapevo che c'era un unico modo per fare un po' di ordine.
Scalciai via le coperte come avrebbe fatto un bambino e mi alzai, dirigendomi verso lo scrittoio che stava in fondo alla stanza. Prima, però, presi la mia adorata chitarra, poggiata alla parete lì affianco. Mi sedetti e la imbracciai. Poi, strappai un foglio dal block notes dell'albergo e presi la penna, cominciando a buttare giù qualche nota.

Ancora non sapevo di stare scrivendo una canzone per Taylor.


Angolo Autrici
Buonasera! Eccoci di nuovo qua (CAUSE THERE WE ARE AGAAAAAAAAAAAAAIN!, per dirlo con una delle nostre Swift song preferite!) con un altro bel capitolo per la nostra FF :)
Vi comunichiamo che non ci aspettavamo così tante recensioni già al primo capitolo! Siamo veramente contente, è bellissimo vedere così tanti commenti positivi. Ci dispiace di non poter rispondere personalmente ad ognuno di voi, ma gli impegni ci obbligano a dedicarci poco anche alla scrittura. Comunque, vi ringraziamo vivamente!
Siamo già a buon punto con in terzo capitolo, quindi lo pubblicheremo in tempi più brevi :) non vediamo l'ora di mostrarvelo!
Per ora speriamo che questo vi sia piaciuto! :3
A la prossima volta!
P.S. No, ovviamente, quella nella foto all'inizio non è la casa di Taylor. LOL

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Capitolo 3
*** Tre. ***


TRE.



Nel mio dormiveglia, sentii chiaramente qualcuno che saliva rapidamente le scale, che si trovavano proprio davanti alla mia camera ; era un passo leggero, acuto, ticchettante e molto fastidioso: probabilmente tacchi. Ma non me ne curai molto.

Perché, come sapete bene lui se ne intende di scarpe con il tacco” mormorò la vocina dentro la mia testa, con il chiaro scopo di prendermi in giro. Oh, bene, adesso anche la mia stessa coscienza si prendeva gioco di me.
Ehi Coscienza” la richiamai. “Smettila di farmi sembrare uno sciroccato che parla da solo e lasciami dormire in pace”.
Ma tu sei uno sciroccato, Ed. Eddy. Eddy Rosso” confermò, per poi sghignazzare. Com'è che mi ricordava una certa bionda svampita che non faceva altro che appiopparmi quel nomignolo assurdo ogni volta che le capitava? Aveva anche il suo stesso tono di voce. Stupida, antipatica, acida di una Coscienza. Non bastava la mia migliore amica a farmi sentire un folletto, per via dei capelli. Dovevo essere stato influenzato parecchio. Oppure avevo davvero qualcosa che non andava ed effettivamente, il dubbio cominciava a sorgere, visto che continuavo a sentirla parlottare nel cervello come se ce l'avessi seduta accanto a me...
No idiota, solo Taylor ti chiama Eddy Rosso, è una sua priorità” eccola, di nuovo, con quel tono di scherno che mi faceva venire voglia di prenderla a schiaffi. Peccato che non esistesse.
Ti ho detto di stare zitta” le intimai, spegnendo il cervello con l'intenzione di tornarmene a dormire. E poi, eccolo. Sentii dei leggeri colpi sulla porta, chiari ma allo stesso tempo ovattati. No, te li stai immaginando, Ed. E' la Coscienza, quell'antipatica, che ti sta giocando uno scherzetto dei suoi. Con questa convinzione fissa in mente, rimasi dov'ero e non mi mossi di un millimetro. D'altronde, nessuno sano di mente avrebbe osato venirmi a svegliare alle … Beh, non avevo idea di che ore fossero, e non avevo nessuna intenzione di scoprirlo. Per questo, incurante del rumore che continuava a riecheggiarmi nelle orecchie - e convinto che fosse frutto della mia immaginazione - girai la testa dall'altra parte e continuai a dormire. Ma il rumorino persisteva, martellante. Stava diventando peggio di un martello pneumatico, mi trapassava il cervello. Era irritante, molto.
- Smettila di turbare il mio sonno! – urlai a quella presenza rossa evanescente, che avevo identificato come la mia Coscienza, che si era disegnata nella mia testa, mentre il rumore proveniente dalla porta continuava e cresceva, impertinente. No, non mi alzo. Basta; continuai imperterrito a dormire, nel tentativo - inutile - di ignorarlo.
Ad un certo punto, il rumore cessò. Nella mia testa, esultai, contento di potermi finalmente rilassare. Non lo sopportavo veramente più. Passarono alcuni minuti, nel silenzio più assoluto, nella pace più paradisiaca... poi sentii un crepitio, che, evidentemente, proveniva da un luogo al di fuori di me; stavolta non me lo stavo immaginando, visto che si trasformò prima nel cigolio della porta, poi nello stesso rumore di tacchi che avevo avvertito prima, che mi si avvicinò cauto; il che mi fece ritenere che, probabilmente, c’era VERAMENTE qualcuno che stava bussando alla mia porta, e adesso quel qualcuno si trovava tranquillamente nella mia stanza. Ed io ero mezzo rimbecillito, e non avevo assolutamente niente per difendermi da qualche incursore indesiderato, a parte una chitarra. Avrei potuto spaccargliela in testa se necessario? Non credo.
Ma, mentre facevo queste riflessioni, una voce femminile, che conoscevo meglio della mia, sussurrò il mio nome in tono interrogativo, ricordandomi il flashback avuto la sera precedente. Per questo aprii gli occhi di scatto, ritrovandomi, con mio grande stupore, due pozzi blu che mi fissavano, a metà tra il divertito, il preoccupato e qualcosa che non riuscivo a definire.
-AAAAAAAAAAAAAH! – urlai, agitando le braccia, tirato fuori così violentemente dal mio dolce, dolcissimo sonno. Prima che me ne potessi anche solo rendere conto, la sedia su cui mi ero (s)comodamente assopito - e qui sorse spontanea una domanda: che diavolo ci facevo su una sedia?! - non resse il mio scatto dovuto alla sorpresa e si ribellò, perdendo l'equilibrio e facendomi cadere all'indietro. Sul pavimento. Uh, quella scena mi suonava fin troppo familiare.
Una risata cristallina, scatenata dalla mia bella gaffe, cominciò ad alleggiare nell’aria; e solo allora cominciai a capire chi mi stava davanti. Come al solito, avevo fatto la più classica delle mie figure. Avrei voluto sparire, o qualcosa del genere. Probabilmente la mia faccia era dello stesso colore dei miei capelli. Dio, ma com'era che ultimamente finivo sempre per terra? Doveva piacermi il suolo. Polvere siamo e polvere torneremo; ops, citazione sbagliata. Le figure di Ed Sheeran, il libro, volume uno. Finalmente in libreria!
- Taylor. – dissi, mentre mi rialzavo con uno scatto nel tentativo di mantenere un minimo di dignità. Senza volerlo, il mio tono uscì più crudo del voluto. Sono un po' intrattabile, di prima mattina.
- Ed. – rispose lei, cercando di imitare la mia voce, seria e aspra, ma sulle sue labbra intravedevo ancora quel rimasuglio di sorrisino ironico che mi riservava solo quando ne combinavo una delle mie. La guardai un po’ meglio da sotto le mie sopracciglia - che provavano a restare accigliate, senza successo - per capire come diamine aveva fatto a entrare nella MIA stanza senza che io le avessi aperto. Notai che nella mano stringeva una di quelle card magnetiche che si usavano in quell'hotel, e realizzai che era la chiave di riserva. E lei, ovviamente, era nella lista delle persone che possono riceverle.
- Sei in forma stamattina, vedo. – continuò lei guardandosi intorno e osservando il disordine. Cercava di fare la seria, ma era EVIDENTE come il colore dei miei capelli che si stava trattenendo dal buttarsi per terra come aveva fatto ieri in prova, in preda ad una risata con tanto di convulsioni. E così decisi di prendere la palla al balzo.
-Lo sarei stato, se QUALCUNO – affermai marcando la parola qualcuno – non mi avesse fatto urlare di prima mattina, provocando dei seri danni alla mia angelica e sopraffina voce da solista, – mormoro in falsetto, per poi ritornare al mio tono di voce abituale – e non mi avesse fatto agitare le braccia come un bambino idiota che nuota coi braccioli ma non si accorge di averli e sguazza disperato come se stesse per andare a fondo, facendomi cadere dalla sedia e peggiorando il mio umore già pessimo a quest'ora del mattino – conclusi con un rapido volta testa. “Urca Ed, questa era proprio degna di te”, pensai, elogiandomi e vantandomi, con me stesso.
Dall’altra parte mi arrivò solo il silenzio, ma decisi di continuare la mia parte, per lasciarle il tempo di pensare ad una risposta sagace. Ma non disse niente, anzi, per dir la verità, mi sentivo i suoi occhi addosso, che mi fissavano insistenti. Che diamine fa? Con molta scioltezza, tentai di captare con gli occhi che faccia aveva E me la vidi lì, vicina - si era avvicinata con il suo solito passo da gatto -, intenta a continuare a fissarmi con il suo sguardo mezzo divertito e mezzo stupito. Per precisare, stava fissando la mia guancia.
Dopo qualche istante dovette accorgersi del mio sguardo, perché avvampò leggermente e poi abbassò gli occhi per un secondo. Quando faceva in quel modo metteva in imbarazzo anche me. Dopo di che riprese la sua scioltezza abituale e mi si avvicinò, un sorriso divertito ed ironico stampato sulle labbra rosa.
- Hai lottato con il letto stanotte? – mi chiese quasi seria - e sottolineo il QUASI. Quel sorrisetto non era ancora sparito. Rimasi alquanto perplesso di fronte alla sua domanda; le mie sopracciglia non possono fare a meno di aggrottarsi … lottato con il letto? Che cavolo voleva intend…AH. Rimasi di sasso quando, voltandomi, vidi le coperte ammassate sul pavimento. E solo allora mi accorsi che la mia chitarra - quella con la zampina di gatto - era posata sulla scrivania, accanto a dove mi ero assopito, con sotto il cuscino. E all'improvviso ricordai, fin troppo bene, cosa ci facevo su quella sedia maledettamente scomoda, con lo spartito davanti e la penna sull’orecchio destro. Quasi mi prese un colpo; andai nel pallone, per l'imbarazzo; ma tentai di mascherarlo nella maniera migliore possibile: sparando la prima bestialità che mi venne in mente.

- Nigel voleva stare comoda, così l’ho fatta dormire sul cuscino – balbettai, tentando di apparire convinto, mentre indicavo come un cretino quel povero, innocente oggetto, che si era sformato, a forza di avere la pancia della chitarra gettata sopra a peso morto per tutta la notte. La stessa chitarra su cui io, Ed Sheeran, famoso per il mio peso piuma, mi ero addormentato, di colpo, come un bambino. Taylor rimase a fissarmi come se davanti avesse esattamente un bambino, trattenendosi dal ridere, ma non ci riuscì per molto; apprezzi il fatto che cercasse di tapparsi la bocca, per nasconderlo, inutilmente. Io cercai di battere il nervosismo e di ridere con lei, ma si sentiva chiaramente che c’era qualcosa di finto nella mia voce. “Non deve vedere niente finché non è finita. Non deve vedere niente finché non è finita. Non deve vedere niente finché non è finita.” pensai convulsamente, ignorando tutto il resto, fin quando un “Eddy, ti sei tatuato delle note sulla guancia?” mi fece tornare drasticamente alla realtà.
- Note sulla guancia?! – chiesi, palesemente stupito. Lei si avvicinò; per poco non mi spaventai, poi però tirò fuori uno specchietto e mi disse: - Note. Tua guancia. – e la mia guancia apparve riflessa nel piccolo vetro.
- Oh Dio santo! – esclamai, rischiando di cadere nuovamente per terra, nonostante fossi ben saldo sui piedi. No, non provateci, non ridete. Non è un bello spettacolo svegliarsi e ritorvarsi la guancia BLU dall’inchiostro e la barbetta rossa arruffata con macchioline blu ovunque quando hai la pelle chiara come la mia. Sembri un puffo con la scarlattina. Ed è inquietante, specialmente se riflesso nello specchietto da viaggio della tua migliore amica che aspetta con ansia la tua prossima “figura-alla-Ed”. Giusto per fasri quattro risate di prima mattina.
Passato il trauma, mi ricomponsi - non so bene come - e cercai di inventarmi qualcosa di NORMALE, che per me, ve lo assicuro, sarebbe stata un'impresa molto ardua. - No no, non mi sono tatuato la guancia, è solo che stavo scrivendo, e scrivevo le note, e avevo lo spartito davanti, e era tardi e … sì, insomma, era tardi e mi ci sono addormentato sopra. –; Il silenzio investì tutta la stanza, come un'onda, affogandomi. Ecco, la giornata è iniziata alla perfezione. Prima la caduta, poi questo. Sentii che le mie guance stavano andando a fuoco - chissà che effetto faceva una guancia con la barba rossa a macchie blu e le note sbiadite ovunque mentre si arrossava. Se l’istinto non si sbaglia direi … inquietante -. Ma evidentemente lei era abbastanza forte per sopportare quel trauma, perché mi sorrise, un sorrriso luminoso, di quelli che mi piacevano tanto, e mi pulì quella roba dalla guancia con un fazzoletto - mi sentivo un infante, seriamente. Poi, senza chiedermi nulla di più, mi dissee di prepararmi perché aveva una sorpresa per me.

Dai Ed, ti devi preparare. Non è una cosa così difficile.”, mi impose Coscienza da qualche angolo della mia testa, tentando di darmi forza. Sistemai un po' la scrivania e, con quella scusa, ne approfittai per voltare la pagina dello spartito con la canzone. Per fortuna, Taylor non ci aveva fatto assolutamente caso. Posai la mia chitarra a terra”, quasi mi dispiaceva abbandonarla lì, da sola, e mi sentii subito più fragile. “Quanto sei stupido Sheeran, devi solo andare in bagno e poi non ti vedrà più. A quel punto sei libero di entrare in panico quanto vuoi” grazie mille, Coscienza. Ora sì che mi sentivo meglio, come no. Mossi i primi titubanti passi verso la porta, chissà come apparivo da dietro, probabilmente come uno zombie … mi imposi fermamente di non pensarci e di continuare a camminare - anche perché dubitavo che altrimenti sarei riuscito a muovere un solo muscolo. Uno, due, tre passi e raggiunsi la maniglia. L’abbassai, cercando di non sembrare freneticamente in panico - come in effetti ero - ed entrai. Poi chiusi la porta e a quel punto mi lasciai scivolare giù lungo di essa. CHE DIAVOLO MI PRENDE. CHE DIAVOLO MI PRENDE. Mi guardai le mani e vidi con terrore che sto palesemente tremando. Il cuore sembrava volermi uscire dal petto, anzi, se l'avesse fatto, sarebbe stato un sollievo; batteva così forte che faceva quasi male. Rimasi per un po’ lì disteso guardando il soffitto, nella speranza che quella sensazione di ansia martellante che si era presa possesso del mio corpo passasse in fretta. Ma niente. Niente. Persisteva, fastidiosa e assillante. Allora mi alzai, mi avvicinai al lavandino e ci infilo la testa sotto. Non potevo affermare di essere tornato nel mondo reale, ma almeno un po' del panico si era dissolto. Mi sedetti sul bordo della vasca e cercai di tranquillizzarmi, per quanto fosse possibile - ma poi, ora che ci penso, non capisco perché aver scritto una canzone mi avesse fatto questo effetto. Questo stupido, brutale effetto. E poi, tra le altre cose, non era neanche una canzone. Era una bozza, perché non l’avevo finita, mi ci ero allegramente addormentato sopra. E la mattina me la ero ritrovata scritta sulla guancia. Quindi … qual era il problema? “Già Ed … QUAL È IL PROBLEMA?” gridò Coscienza nella mia testa. “Il problema è che sei un povero rincoglionito che entra in panico perché ha scritto una canzone per la sua migliore amica. Cretino, cosa avresti fatto di male? Niente. E allora smettila di commiserarti e asciugati questi dannati capelli se non vuoi prenderti un accidente.” E a quel punto, puntuale come un orologio, lei bussò alla porta, scatendando nuovamente la mia ansia.
- Ed, ci sei? Devo chiamare qualcuno? Stai poco bene? – domandò, preoccupata. Ma davvero ero stato in trance così tanto?
-Sì sì sono vivo, dammi cinque minuti. – balbettai, cercando di modulare il tono di voce, inutilmente ovviamente; intanto, freneticamente, mi appropriai del phon dell’albergo, per asciugare quella marmaglia rossa che ho in testa. In due minuti riuscii a finire - tanto per farvi capire come mi ero asciugato. Il resto dei cinque minuti li passai a fissarmi allo specchio, dandomi forza ed imponendomi di non sembrare un bambino idiota, non appena fossi uscito da quella dannatissima porta. Acquistata poi un minimo di sicurezza, ma proprio minima, riuscii ad uscire fuori dal bagno ed ecco che mi ritrovo Taylor intenta ad esaminare la mia chitarra. La mia povera chitarra. Non si era nemmeno accorta che ero ricomparso, e la scritta “VENDETTA” continuava ad apparire e scomparire nella mia testa in maniera così frenetica che era impossibile per me ignorarla. E allora mi appostai dietro di lei. “Questo è per avermi quasi ucciso, Saylor Twift” pensai, diabolico.

- Perché stai mentalmente stuprando la mia ragazza? – sussurrai, al suo orecchio, con un tono da killer; lei fece un salto di trenta metri, come quello che avevo fatto io poco prima - oh, dolce vendetta, così impari a farmi prendere colpi -, poi si voltò mezza accigliata e mi disse “Eddy Rosso, l’hai scaraventata per terra! Qualcuno doveva pur prendersi cura di lei!”. Allora i miei sospetti erano fondati: ero appaso veramente un completo, totale idiota. Questa volta però mi imposi di non entrare in panico e affrontai la situazione in maniera credibile.
- Lei sa che la amo profondamente. E comprende anche quando i miei nervi sono ipersensibili a causa di qualche persona che si diverte tanto a farmi morire di spaventi. – poi lanciai a Taylor uno sguardo di sfida, e lei rispose sghignazzando.
-Dai Eddy, vestiti che ti porto fuori.
- Dove vorresti portarmi che appena metti piede in strada un’orda di paparazzi ti investe? – scherzai, tirando fuori la mia valigia, ovvero un bellissimo ed anonimissimo borsone. Per tutta risposta lei mi guardò misteriosa. Si avvicinò a me, sempre fissandomi con quello sguardo. Smisi di rovistare tra vecchie felpe e jeans e la fissai a mia volta, cercando di imitarla. Una ciocca ribelle, rimasta riccia - sapevo che lottava costantemente con i suoi capelli, avrebbe voluto che rimanessero lisci - le era sfuggita dalla coda. Senza pensarci, allungai una mano e gliela spostai, appuntandogliela dietro l'orecchio e sfiorandole involontariamente una guancia. Quel minimo tocco mi provocò un brivido assurdo, che si propagò lungo tutto il braccio, tanto che ritirai la mano di scatto, proprio mentre lei arrossiva, sbarrando gli occhi. Dio, ma cosa stava succedendo? Entrai nuovamente nel panico ed abbassai gli occhi, tentando di non nascondermi nella mia stessa vergogna. La tensione riempì nuovamente la stanza. Cosa stavo combinando? Tra quello che era successo ieri, la canzone e adesso, questo, mi sentivo come se stessi per esplodere.
Per fortuna lei, incurante della mia stupidaggine, ridacchiò, sollevando quella coltre che si era adagiata su di noi. Mi spostò con una mano, allontanandomi dalla mia valigia, e si mise a rovistare tranquillamente tra la mia roba; io ero ancora troppo in palla per impediglierlo. Dovevo sembrare un idiota, di nuovo. Uffa, cosa mi impediva di nascondermi in bagno per il resto della mia vita? In quel momento, Taylor fischiò, facendomi spostare gli occhi su di lei.
- Che fai con i miei vesitit..AH! – chiesi, ma il Lancio Della Marmaglia mi colpì e mi affondò in un secondo.
- Tu vestiti – rispose lei, imperatrice. Poi, tranquilla, uscì dalla stanza, lasciandomi solo con il mio imbarazzo e la mia ansia.

- Mi vuoi spiegare dove andiamo? Non dovremmo provare? Ti ricordo che abbiamo un concerto, stasera -. Okay, si vedeva parecchio che ero iperteso? Strinsi le mani sul bordo della sedia sul quale ero seduto, nel tentativo di sfogare un po' di nervosismo, di nuovo senza risultati accettabili. Taylor, seduta di fronte a me, non sembrava accorgersi di niente. Parlava allegramente con una delle sue ballerine, sorseggiando il suo frappuccino comodamente seduta da Starbucks come una persona normale. Solo che lei non era una persona normale, era Taylor Swift, ed inoltre non aveva fatto niente per tentare di nasconderlo. Per questo circa una ventina di fan erano già venuti a chiederci una foto; lei chiaramente li aveva accontetati, ma mi avevano reso ancora più nervoso; avevo paura notassero che c'era qualcosa che non andava.
La prima parte della sorpresa consisteva in una colazione come si deve a Starbucks. Peccato non riuscissi a mandare giù niente. Mi sentivo un perfetto idiota, l'ho già detto? Nella mia testa, quella parola troneggiava, lampeggiando come un neon nella notte più buia. Idiota, idiota, idiota. La tua migliore amica ti ha organizzato una sorpresa e l'unica cosa che sai fare è stare qui con quel muso lungo tre metri. Già, ero un vero ingrato.
- Abbiamo già provato ieri, Ed. Dai, goditi la colazione che il bello deve ancora arrivare! - mi rispose lei, sgranando gli occhioni blu e sorridendo. Non so perchè ma quella affermazione mi giunse come una minaccia. Lei cambiò espressione, aggrottando le sopracciglia, come a chiedermi “cosa c'è che non va?”. La stavo facendo preoccupare, dovevo darci un taglio, diamine. Staccai le mani dalla sedia e me le ficcai in tasca, era già un bel passo avanti. Le mie dita incontrarono un foglio stropicciato: lo spartito con la nuova canzone. L'avevo infililato nella felpa prima di uscire, d'istinto. Non mi fidavo a lasciarlo in camera, era troppo esposto. Ripensandoci, mi sentii di nuovo sprofondare nel panico, ma cercai di non darlo a vedere. Feci un sorriso a Taylor, che aveva ripreso a chiacchierare con la ballerina ma continuava a tenermi d'occhio, e cominciai a sorseggiare la mia bevanda, nel tentativo di sembrare normale. Forse ci stavo riuscendo. Cominciai a tranquillizzarmi, e il pensiero della canzone sparì totalmente dalla mia testa, mentre Taylor raccontava un anedotto su Meredith, facendoci ridere di gusto.
Quando ci alzammo dal tavolo ero così tranquillo che mi feci quasi paura. “E' una canzone, Ed, come tante altre che hai scritto” mi confermò Coscienza. Ci credetti e seguii gli altri fuori dal locale. Ci dirigemmo verso il bus con il quale eravamo arrivati fin lì, riuscendo a scansare abbastanza facilmente tutti i paparazzi. Mi inquietò molto sapere che tutti erano a conoscenza di dove saremmo andati successivamente, tranne me. Avevo paura di Taylor, quando elaborava questi piani diabolici. Era un diavolo, un diavolo travestito da angelo ma pur sempre un diavolo.
Stavo parlando con lei, scherzando su Meredith e sui gatti in generale, quando, per gioco, mi venne addosso, dandomi uno spintone. Risposi con un pugno sulla spalla, che la fece gemere e sbilanciare verso destra. Risi, prendendomi gioco di lei, mentre si massaggiava la spalla lamentandosi. D'un tratto, mentre io ancora me ne stavo tranquillo a ridere come un cretino, il suo sguardo si posò a terra, vicino ai miei piedi. Si chinò e raccolse un foglio stropicciato. Smisi di ridere di scatto e mi bloccai. Gli altri erano andati avanti, ignorandoci del tutto.
- Cos'è questo? Ti è caduto dalla tasca - indagò lei, sorridendo.
- Non è niente, è un appunto - brontolai, cercando di riprenderlo. Ma lei lo spostò, allontanandosi di un passo. - Eddai, Saylor Twift. Ridammelo.
Lei non mi ascoltò e lo aprì, ignorando del tutto la mia richiesta. Mi sentii sbiancare e sprofondare, nello stesso momento, mentre lei spiegazzava il foglio nel tentativo di decifrare la mia non proprio chiarissima scrittura.
- Taylor, ridammi quel coso, forza. Sono cose personali - le intimai, con tono acido. Nella mia testa era ritornato in ritornello di quella mattina: non deve vederla finchè non è finita. Mi sporsi in avanti, proprio mentre lei, fischiettando, riproduceva quelle poche note che ero riuscito a mettere insieme. Glielo strappai di mano, ricevendo in risposta un ehi! di protesta e lo appallottolai alla bell'è meglio, infilandolo questa volta nella tasca dei jeans.
- Uffa Ed, quanto sei scontroso - si lamentò lei, mettendo il broncio. - E' la nuova canzone? Mi sembra carina.
- Non sono cose che ti riguardano - sbottai, prima di poter tenere a freno la lingua. Oh Santa pace! Sul volto della bionda si dipinse la sorpresa, poi lo sgomento e poi la delusione; c'era rimasta malissimo. Mi sentii sprofondare di nuovo, per la seconda volta, quel giorno. Dio, ma che disastro stavo diventando?
- Scusa, Tay - mormorai, avvicinandomi a lei. - E' che è sempre una bozza ma ne sono già molto geloso, e non voglio che nessuno la veda finchè non è finita, capisci? Mi dispiace. Scusa, mi scusi, signorina Twift. Sono l'essere peggiore di questa terra, devo baciarle i piedi per mostrarle quando mi senta in colpa?
Lei sbuffò, segno che stava tentando di trattenere una risata involontaria. Mise il broncio, e capii che, anche se forse rimaneva un po' delusa, non era arrabbiata. Sorrisi e la abbracciai di istinto, quasi soffocandola. Non potevo desiderare amica migliore di lei, era perfetta per me. Eravamo così simili.
Lei sbuffò, questa volta rassegnata, e mi abbracciò suo malgrado. Mi baciò una guancia, come se fosse una bambina, e poi mormorò: - Andiamo, o ci lasceranno qua. La tua sorpresa ti aspetta!

Angolo Autrici
Buon pomeriggio cari lettori! Lo sappiamo, è davvero un bel po' che non aggiorniamo. Ma sapete come si dice, "maggio studente fatti coraggio", ed, essendo due liceali (una in terza liceo linguistico ed una in quarta classico) questo detto vale anche di più. Comunque, ormai manca poco più di una settimana, e quindi si spera che il ritmo di aggiornamento diventi più veloce. Intanto godetevi questo capitolo, per la gran parte composto da Arianna. Che volete, è una storia a quattro mani :) crediamo che anche voi lettori siate sommersi dai compiti, visto l'unica recensione che ha ottenuto il secondo capitolo. Va bene, per questa volta vi perdoniamo! Alla prossima :3

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Capitolo 4
*** Quattro. ***




QUATTRO.



Non potevo crederci. No, non poteva essere quella la sorpresa di cui Taylor mi aveva tanto parlato. Se era quella, beh, avrebbe fatto bene a cominciare a correre.
Guardai orripilato l'entrata del parco divertimenti come se fossero i cancelli dell'Inferno. Certo, eravamo a Orlando. E Taylor è praticamente una dodicenne troppo cresciuta. Avrei dovuto aspettarmelo che la sorpresa consisteva in una gita a Disney World. Sbattei le palpebre un paio di volte, sperando di essere in un incubo; per sicurezza, mi tirai anche un pizzicotto sul braccio, nel tentativo di svegliarmi. Ma purtroppo era la dura e terribile realtà: avevo una migliore amica svampita che stava per trascinarmi in quello che io identificavo come una prigione, o peggio.
Taylor, dal canto suo, era sovraeccitata. Saltellava. Si era cambiata le scarpe e aveva messo qualcosa di più comodo. Avrei voluto metterle un piede davanti e farla finire faccia a faccia con il cemento, per vendicarmi del brutto scherzetto che mi stava giocando. Ma evitai.
- Che c'è, Eddy Rosso? Perchè quel muso lungo? - domandò, mettendo il broncio. Dio, di nuovo quel soprannome. - Non ti piace la mia sorpresa?
- No - sbottai, non guardandola. Continuavo a fissare davanti a me, lanciando, ogni tanto, una breve e sospettosa occhiata alle attrazioni accanto alle quali sfilavamo. Perchè mi aveva fatto questo?
Lei per tutta risposta mi prese sottobraccio. - Eddai, abbiamo passato delle lunghe e difficili giornate lavorando come muli per il tour, una pausa era quello che ci meritavamo.
- Di tutti posti che ci sono in Florida, proprio qui dovevi portarmi? - mi lamentai in tono acido, tentando di scrollarmela di dosso. Lei si strinse ancora di più a me e spalancò gli occhioni da cucciolo.
- Uffa, Eddy, cosa c'è che non va? Questo posto è stupendo - scandì, con la voce eccitata di una bambinetta. Alzai gli occhi al cielo. - Faremo un sacco di giri sulle montagne russe. E poi voglio andare sulla Hollywood Tower! E ingozzarmi di schifezze al ristorante.
Sentendola elencare il programma della giornata, rabbrividii e cercai di nuovo di scrollarmela di dosso. Chissà se c'era qualche via di fuga... Magari una porta antincendio.
- Odio le montagne russe. Non ci sono mai salito - dichiarai, sempre mantenendo il mio tono da “Ed incazzato nero”.
- Un motivo in più per essere qui oggi! - esultò Taylor in risposta, staccandosi dal mio braccio per battere le mani. Perchè doveva essere così dolcemente svampita? Mio malgrado, mi lasciai contagiare dal suo entusiasmo di ragazzina. Soltanto un po'.
Mi diede una strizzatina al braccio, per tranquillizzarmi, e mi sorrise. - Eddai, sarà divertente. Promesso - disse, prima di allontanarsi per raggiungere il resto della combriccola, che si era avvantaggiato. Io rimasi indietro, più calmo, ma sempre nervoso. Anche se ora non sapevo da cosa fosse dato, se da quell'oggetto che tenevo in tasca - la canzone, che sembrava pesare come un macigno - o da quel posto. Non mi andava di appurarlo, perciò misi su un sorriso e raggiunsi Taylor e gli altri, che stavano sbirciando la mappa del parco e scegliendo le varie attrazioni. Eravamo circondati da persone, persone ovunque, ed era strano che nessuno ci avesse ancora riconosciuti. Forse era proprio quello lo scopo. Perdersi un po' tra la folla, e non essere al centro dell'attrazione, almeno per quel giorno. Decisi che mi andava bene, essere un “signor nessuno”, almeno per qualche ora.

La maggior parte delle attrazioni furono meno peggio di quanto me le aspettassi. C'era un gran caos, era vero, ma molte volte riuscimmo a passare avanti perchè, beh, eravamo noi. Taylor non era molto contenta di questa cosa; ogni qualvolta che ci trovavamo in fila e l'addetto all'attrazione la riconosceva, invitandola a passare avanti, aggrottava la fronte e si scusava con le persone rimaste in coda, che, dal canto loro, stavano immobili ad ammirarla ad occhi sbarrati. Comunque, mi piaceva questo tratto della mia migliore amica; era gentile con tutti, ed era anche umile. Per fortuna, appena salita, quell'espressione di disappunto spariva e tornava a fare la bambinetta pazza.
A metà giornata ci fermammo per pranzo. Taylor, come promesso, ordinò ogni qualgenere di schifezza. Tanto non ingrassava di un grammo, quella. Anzi, era più probabile che dimagrisse.
Comunque, preferivo vederla mangiare ed ingozzarsi, che digiunare come era successo nelle settimane successive alla rottura con Harry. Gli insulti da parte delle directioners erano continuati per molto, moltissimo tempo; in realtà non erano ancora cessati, ma la mia amica sembrava prenderli molto più alla leggera adesso. Avevo sempre paura che potesse ricadere in depressione, da un momento all'altro. Lei sapeva che ero sempre lì, pronto a sostenerla. Ma se stava bene, tanto meglio.
La guardai con invidia divorare il suo terzo pezzo di pizza in tutta tranquillità. - Il tuo metabolismo non esiste - dichiarai.
Lei alzò gli occhi e ridacchiò a bocca piena. - Fei folo invidiofo. Perchè io poffo e tu no.
Mi veniva da ridere a sentirla parlare in quel modo. Era buffa, Taylor. Ed era formidabile. Perchè riusciva ad essere così naturale con noi, i suoi amici, e poi poteva trasformarsi subito in qualcuno di completamente diverso, sofisticata e graziosa, come appariva nelle interviste, o passionevole e determinata, come durante i concerti. Sapeva essere dolcissima con le sue fan, sapeva farmi ridere con una battuta stupida al momento giusto, e sapeva essere anche sexy, quando voleva, lo ammetto. Eppure era sempre lei, sempre Taylor, non fingeva mai. Lei era tutte queste cose insieme, e molto di più. “Una bellissima anima”, avevo dichiarato una volta riferendomi a lei. Sì, era proprio una bellissima anima, una bellissima persona, una...
Una bellissima donna” aggiunse Coscienza, intrufolandosi nei miei pensieri come al solito. Beh, sì. Era anche bella in quel senso. Non solo perchè bionda, o con gli occhi azzurri. Aveva delle fattezze delicate, che ti trasmettevano subito simpatia, con una sola occhiata, e gli occhi blu come il cielo, caldi e amichevoli. E le labbra rosa, mi piacevano un sacco le sue labbra.
FRENA FRENA FRENA FRENA. Perchè ti perdi in questi pensieri?mi rimproverai, arrossendo mio malgrado. Per fortuna che Taylor non stava guardando. Dio, perchè mi ero messo a pensare a lei in quel modo? E perchè mi ero messo a fantasticare sulle sue labbra?!
Scossi la testa, come se quello potesse servirmi a liberarmi di quei pensieri, e decisi di chiacchierare con Taylor, per impegnare la mente. - Allora, come va la canzone?
Lei sorseggiò la sua Coca Cola, mordicchiando la cannuccia e lasciando del rossetto rosso sulla plastica bianca. - Che canzone? - domandò distrattamente, troppo impegnata a cercare di aprire il bicchiere di carta, probabilmente per mettersi in bocca un pezzo di ghiaccio rimasto sul fondo.
- Quella che stavi scrivendo ieri. Pronto? Terra chiama Saylor Twift. Terra chiama Saylor Twift, a rapporto - scherzai, riciclando una battuta che avevo fatto anche il giorno prima, convinto che si sarebbe messa a ridere comunque.
Ma lei non rise. D'improvviso, drizzò le spalle magre, e il suo sguardo si perse nel vuoto per un momento. Impallidì, come avevo fatto io quella mattina, per poi arrossire violentemente. - Ah. Quella canzone.
La guardai stupito dalla sua reazione. Sembrava che le avessi chiesto che misura di reggiseno portava. Non che mi interessasse, sia chiaro.
- Beh, credo bene. Ieri notte ho buttato giù testo e melodia. Mi sembra buona - rispose, vaga, senza guardarmi. Tornò a cercare di aprire il bicchiere, ma con meno entusiasmo di prima. Sembrava imbarazzata.
Allora capii. Stava scrivendo su Harry, era chiaro. Forse era per quello che aveva reagito in quel modo. Non voleva dirmi molto, perchè io ero il miogliore amico di Harry, e lei era la mia migliore amica, e la sua ex - perchè mi sembrava peggio di Beautiful? Insomma, era un po' caotica la situazione.
- Come si chiama?
Finalmente si voltò a fissarmi, e sembrava essere tornata la solita Taylor, tranquilla e svampita. - TU non hai voluto rivelarmi niente sulla tua, io non ti rivelo niente sulla mia. Sia chiaro, Eddy Rosso.

- Ma questa è una minaccia bella e buonaesclamai spontaneamente. E, per tutta risposta, sulla sua faccia si dipinse un sogghigno irriverente, quasi diabolico. Sì, lo stava facendo apposta! Era il suo diabolico piano di vendetta per farmi sentire in colpa. Sei una mente diabolica, Saylor Twift. Una dannatissima mente diabolica.
E così cominciai a guardarla in cagnesco, mentre un suono strano e indistinto, un verso gutturale, un grugnito, si sprigionò da qualche angolo sperduto dentro di me. Lei mi fissò per un momento, quasi stupita, poi scoppiò a ridere, rischiando di rovesciarsi addosso quel poco che era rimasto sul fondo del bicchiere. Sembrava tanto di vivere dentro Begin Again, anche perché lei continuava a ridere convusalmente, agitando pericolosamente il bicchiere e avvicinando sempre di più il rischio di rovesciarsi tutto addosso, o di rovesciarlo addosso a me. La mia espressione intanto era mutata verso lo stupito … che avevo fatto di così assurdo? In quell’istante, lei si fermò, mi riservò uno sguardo complice e mi grugnì contro, più o meno come avevo fatto io poco prima. Finalmente capii cos'avevo fatto di così esilarante. Smisi di guardarla.

- È inutile che cerchi di imitarmi – le dissi – non hai la mia voce perfetta e sublime.
-Toh! Ma davvero? – mi rispose lei, con un sorrisino ironico – E io che credevo che l’arte del grugnire te l’avessi insegnata IO. –
Rimasi a fissarla allibito. Ma di cosa stava parlando? Io ho sempre grugnito. Fin da quando sono nato. Dal giorno in cui i miei capelli rossi videro la luce del sole per la prima volta. Sono io che ho il primato nel…AH.

Il ricordo di noi due sul trampolino elastico di casa sua, l’estate scorsa, intenti a saltare come matti, mi colpì, improvviso, come un'onda - una di quelle che ti prende in pieno mentre tu sei intento a rilassarti su un materassino, in mezzo al mare. Io ovviamente in pantaloncini, senza maglietta. E la chitarra al collo. Sì, la chitarra. Perché quella faccia? Non posso saltare su un trampolino con la chitarra? L’ispirazione colpisce sempre all’improvviso, è un bene avere continuamente una chitarra a disposizione. Anche se devo ammettere che per uno che è già abbastanza goffo di suo, come me, cercare di non cadere sulla fredda e dura terra saltellando come un bambino su un trampolino elastico con una chitarra allacciata al collo non è proprio un'impresa facile. Fu in quel giorno che scrivemmo Everything Has Changed. Io e Taylor ci conoscevamo da poco più di una settimana, quindi, quando mi aveva chiamato a casa sua senza alcun preavviso, mi era parso abbastanza strano. A primo impatto, Taylor sembrava una persona normale. Appunto, sembrava. Perchè in realtà Taylor è il tipo di persona che ti invita a fare quattro salti sul suo trampolino e, mentre ride e saltella come la bambina che è, di punto in bianco se ne esce con scriviamo una canzone, io e te!
Per fortuna porto sempre la chitarra con me.
Dicevo, eravamo io e lei. E la chitarra. Io, come ogni volta che mi mettevo a scrivere qualcosa, mi ero perso nel mio mondo fatto di note fruttuanti e melodie indistinte; ero concentrato, nel tentativo di fare ordine nella mia testa, cosa già difficile di per sé, figurarsi se dovevo anche stare attento a non cadere; probabilmente fu per questo motivo che non mi accorsi dei suoi strani movimenti alle mie spalle. Colpito da una nuova ispirazione, strimpellai qualche nota convinto e mi girai un attimo per dirle di aver avuto un’idea per il ritornello; errore, grande errore. Me la ritrovai LETTERALMENTE addosso, attaccata alla pancia della mia povera, povera Nigel. Vi giuro che non so come diamine ha fatto a non scaraventarmi fuori da quell’aggeggio; Taylor pesa poco, è vero, ma immaginatevi una chitarra, più una Taylor Swift, con tutto il loro peso scaricato su di me. Probabilmente il fantasma di qualche canzone passata aveva guidato il mio corpo verso la giusta inclinazione da prendere. Il suo salto alla sono-un-koala-impazzito-alla-ricerca-del-suo-albero-di-eucalipto-per-fare-un-riposino, infatti, mi avrebbe con tutta probabilità sfracellato il cervello al suolo se non fossi stato così agile - e fortunato, molto fortunato- da inclinarmi verso destra. Naturalmente non riuscii a rimanere in piedi, però. Caddi sul trampolino, con Taylor ancora aggrappata alla mia povera Nigel. L’impatto fu talmente forte che ci fece balzare tutti e due di un metro buono, in quella assurda posizione. Credetti veramente di passare a miglior vita da un momento all’altro, ma evidentamente lo Spirito della Canzone Passata voleva che vivessi ancora un po’. Ma lo Spirito della Canzone Presente no, visto che quella dannata donna adesso mi aveva anche fatto dimenticare la mia ispirazione!
Tu sei completamente matta!” le avevo urlato a metà fra il sono-quasi-morto-di-paura-porca-cipollina e il se-ti-avvicini-troppo-ti-sgozzo. Lei allora mi aveva guardato con i suoi occhioni blu, spalancati e luccicanti, e mi aveva detto “Volevo prendere la chitarra, Eddy Rosso.”
Oh, beh. Il fascino della mia chitarra, fantastico, a quanto pare aveva più charming di me. Infatti lei fa più conquiste. Ma, un momento. Come diavolo mi aveva chiamato? Eddy cosa!?
Mentre facevo queste riflessioni, la bionda mi si era avvinghiata ancora di più addosso, tentando di strapparmi via la chitarra. Aveva un'espressione buffa, imbronciata, e per poco non le scoppiai a ridere in faccia. “Questa ragazza finirà per uccidermi”, pensai .
Se non ti togli di torno potrei ACCIDENTALMENTE rovesciarti sulla fredda e nuda terra e successivamente prenderti a chitarrate sulla tua bella testolina” le avevo detto con naturalezza. Lei allora mi aveva puntato gli occhi addosso, ma non in un modo normale: sembrava finita in qualche località indistinta e ignota del suo essere. E aveva fatto un verso indistinto. Io non credo che voi abbiate mai sentito un suono gutturale, così…Taylor. Vi giuro, è qualcosa di inquietante. Lì per lì rimasi spiazzato, poi lei tornò a guardarmi con gli occhioni spalancati da cucciolo abbandonato, e io ero scoppiato a ridere convulsamente, facendola sobbalzare sopra di me, ancora ferma e immobile in quella posizione, pronta a scattare come quando Meredith vede un topo-giocattolo.
Strano a dirsi, ma fu proprio in quel momento esatto, mentre ridevo in preda agli spasmi tentando di togliermi Taylor Swift di dosso, che capii che saremmo diventati migliori amici. Tentando di smettere di ridere, la guardai negli occhi e vidi quell'espressione svampita e spaesata. La conoscevo da pochissimo, eppure sapevo già così tanto di lei, come se la conoscessi da sempre. Avevamo tantissime cose in comune, e con lei mi sentivo libero; queste però, sono cose che avrei scoperto più avanti.

Quando ritornai sulla Terra dopo il mio breve nel passato, capii in fretta che in realtà non ero del tutto concentrato su quello che mi accadeva intorno; una parte di me si era persa nuovamente nel mio mondo, fatto di spartiti e note colorate che cantano. Più che una parte, direi LA MAGGIOR PARTE visto che avevo proprio lo spartito che mi ballava davanti: ispirazione in arrivo!
Questa volta, però, non avevo la chitarra con me. PROBLEMA. Ma prima che riesca a realizzarlo mi balla davanti la prossima frase della canzone, quella stessa canzone che mi aveva fatto entrare nel panico quella mattina, quella che, sottoforma di bozza senza senso, se ne stava appallottolata sul fondo della tasca dei miei jeans … “Sunny days that left my skin a breathe and you squeeze me until these thoughts leave my head.” Perfetto. adesso avrei avuto un sorriso da idiota materializzato in faccia per il resto della giornata. Ma sapete cosa? Non mi interessava proprio per niente.

Taylor doveva essersi accorta che non ero del tutto presente; chissà da quanto ero in catalessi. La sua espressione era passata dalla sfida ironica al sorriso confuso e curioso. Mi agitò una mano davanti agli occhi, preoccupata.
- Ed? Ci sei? - mi fece, scuotendomi. No, cioè sì, c'ero, ma non del tutto. In piena frase di scrittura, mi trovavo adesso in quello strano stato di passaggio, a metà fra il mio mondo e la nuda e cruda realtà. E quando sono in quello stato, faccio cose stupide. Cose stupide e insensate, che se fossi in me, non mi verrebbe mai in mente di fare. Una lucina rossa, funzionante ad intermittenza e con scritto “AGISCI” si materializzò nella mia testa.
- Che cosa sta elaborando il tuo cervello, Eddy Rosso? Sei in trance da ispirazion... CHE COSA STAI FACENDO. – gridò la bionda, prima di poter finire la frase. In men che non si dica, mi ero alzato, l'avevo presa di peso da dove era comodamente seduta e me l'ero caricata in spalla, stile sacco di patate, sotto gli sguardi stupiti di tutti. Tanto pesava meno di niente.
Uscii dal ristorante con Taylor urlante sulle spalle, mentre gli altri clienti ci guardavano straniti. Per un attimo il sole mi disorientò, ma proseguii tranquillo per la mia strada.
-ED! ED! ED, METTIMI GIÙ! NON STO SCHERZANDO, METTIMI GIÙ SUBITO! ADESSO! SHEERAN! SMETTILA! SHEERAN! SEI UN IDIOTA, CAVOLO, METTIMI GIÙ ALL'ISTANTE! - strillò, tirandomi pugni sulla schiena e scalciando. Mmm, mi aveva chiamato per cognome, doveva essere davvero arrabbiata.
- Ma neanche per idea. Tu adesso vieni a saltare con me, su un trampolino elastico –. Ecco, come vi dicevo in questo stato faccio cose MOLTO INSENSATE. Mi sembrava di averne visto uno, mentre cercavamo un posto per mangiare, in uno di quei piccoli parchi giochi per bambini che si trovano vicino ai punti di ristoro, dove i genitori scaricano i figli per un po' sperando in qualche minuto di relax.
- Non so come mai, ma ho una voglia matta di un po' di ripetizioni di grugnito oggi. – affermai, stringendola più stretta per paura che cadesse. Non stava un secondo ferma.
Non dire cavolate, Eddy. Lo sappiamo che non lo fai per quello”, mi martella Coscienza, riportandomi per un attimo sulla terra. “Stai zitta” le intimai. “Sto scrivendo una canzone”.
- EDWARD CHRISTOPHER SHEERAN, TI ORDINO DI METTERMI GIU' ALL'ISTANTE! PORCA CIPOLLA, FAMMI SCENDERE. FAMMI. SCENDERE. – strillò di nuovo, tirandomi un pugno proprio in un polmone e facendomi tossire. Beh, grazie, signorina Swift. Dovevo ammettere che mi stavo divertendo, però. Tay aveva ragione: quel posto era davvero uno sballo.
-ED! ED, TE LO DICO PER L'ULTIMA VOLTA. – sbottò; ma il suo tono di lotta estrema ormai si stava incrinando: stava per mettersi ridere come una pazza di nuovo, me lo sentivo. E infatti. Tempo due secondi, ed era già partita in quarta. Mi persi dietro a quel suono e mi lasciai sfuggire un nuovo sorrisino ebete. Ero così perso nella mia stessa testa da non accorgermi che non avevo la minima idea di dove stavo andando. “Dove vai stupido, il trampolino è dalla parte opposta, vicino all'entrata!” Coscienza, ancora. Se non ci fosse lei...
Mi voltai dalla parte opposta di scatto, facendo sfuggire un urletto a Taylor, e camminai ancora, fin quando non me lo trovai davanti. Lo sapevo che c’eri, lo sapevo! Ricordavo bene. Per una volta stare attento mi era servito a qualcosa e, per una volta le mappe mentali fornitemi da Coscienza mi erano state utili; un nuovo sorriso da idiota, o meglio il solito sorriso idiota che avevo dal momento in cui avevo elaborato quell'idea geniale, mi si dipinse in faccia. Misi Taylor a terra, con delicatezza, e le sorrisi complice. Lei mi guardò in cagnesco per un minuto buono, ma poi pian piano la sua espressione si addolcì; mi accorsi solo dopo un bel po' che avevo ancora le mani sui suoi fianchi, e lei era ancora abbracciata a me. Mi allontanai di scatto, un po' imbarazzato. Queste cose ultimamente succedevano fin troppo spesso.
- Bene, adesso lanciati in una esilarante lezione di grugnito, guru Swift – dissi, inchinandomi platealmente e cercando di far tornare l'atmosfera giocosa. Lei intanto, ripresa confidenza con il suolo, aveva messo su un espressione confusa, come prima al tavolo; spostava lo sguardo da me al trampolino, come se non capisse. Mi guardò con gli occhioni da gatta e quello sguardo, unito a quei capelli scompigliati, con la coda ormai disfatta e i ciuffi ribelli ovunque, contribuivano largamente al quadretto generale. Ma io non le avrei detto niente, no no. Non le avrei detto proprio niente. Doveva ricordare, era impossibile che non lo ricordasse; fino a poco fa era stata lei stessa a rinfacciarmi l'episodio. Forse non capiva cosa volevo che facesse. La guardai serio. Avanti Taylor, pensai. Di solito ci capivamo con uno sguardo. Fatti sotto ed aiutami a continuare la mia canzone.
Come se avesse sentito il mio richiamo, lei smise di rimuginare sul perché del mio apparente, anzi, leviamo pure apparente, atto di follia e mi sorrise a cinquantamila denti, facendomi venire lo stesso brivido di quella mattina. Poi, toltasi le scarpe, si fiondò sul tappetino, stranamente vuoto.

Fu abbastanza ridicolo ed incredilmente divertente vedere una ventitréenne saltellare come una bambina di sei anni su un trampolino elastico, ridendo come se fosse la cosa più bella del mondo. Il bello era che ci credeva davvero, era davvero felice di essere lì a saltellare, con il suo migliore amico che la guardava sorridendo.
Con la bava alla bocca...” aggiunse Coscienza. Zittii quel pensiero e lo rilegai in un angolino, come avevo già fatto con altri da quella mattina. Che cavolo mi prendeva? Sembravo uno squilibrato. In effetti, mi accorsi di avere un po' un'espressione ebete dipinta in faccia, mentre la guardavo fare capriole e ridacchiare convulsamente. Scossi la testa come si scuote un cane bagnato. Stavo impazzendo, era ufficiale.
- Beh? Come faccio a farti ripetizioni se non sali con me? Eddai, Eddy! Eddy Rosso! Eddyno! - mi prese in giro, sporgendosi. La fissai con un sopracciglio alzato; mi stava sfidando. Stanco di stare fermo a terra a fare la figura dell'imbecille, mi tolsi le scarpe e salii, aiutato da lei. Cercai di ritrovare un equilibrio, mentre lei si metteva a saltellare di nuovo, come un canguro sotto caffeina. Rischiai veramente di cadere di sotto; se solo avesse smesso di saltare per un secondo, avrei potuto ritrovare una certa stabilità. Cominciò a girare in tondo, mentre io cominciavo a saltellare più di riflesso a lei che per altro.
Canticchiava. - And everytime I look at you I could go crazy but I don't, say it but I won't cause I'd rather be alone than lose you - mormorò, col fiatone. Come diavolo faceva a cantare saltellando e girando in tondo su un cavolo di trampolino elastico? Bah, era Taylor Swift.
Di colpo, però, così improvvisamente che temetti stesse per svenire, si bloccò. Era a mezz'aria, quindi cadde di sedere sul trampolino, con uno sbuffo. Con qualche saltello mi avvicinai a lei, terrorizzato dal fatto che si fosse fatta male. Ma lei alzò uno sguardo orripilato ed imbarazzato su di me, che mi stavo lasciando cadere accanto a lei, rimbalzando. Aveva le guance rosse, e gli occhi luccicanti e sembrava in preda ad un imbarazzo terribile.
- Che succede? - chiesi, stupito. Strano, un attimo fa era così allegra, ed adesso sembrava nel panico. Lei si schiarì la voce. Sembrò tranquillizzarsi.
- No, niente. Sono solo stanca. Dal modo in cui evitava il mio sguardo, capii cosa c'era di sbagliato. Aveva cantato un verso della nuova canzone, la canzone per Harry. Aveva paura che io avessi capito, e che sarei andato subito a spifferarglielo. O qualcosa del genere. Lasciai perdere, e finsi di credere alla sua scusa. Non volevo indagare sul perchè si preoccupasse così tanto per quella canzone, si vedeva che la metteva a disagio. Alzai gli occhi al cielo e mi soffermai a guardare le nuvole, mentre Taylor, accanto a me, si torceva le mani guardando tutto tranne me. Aspettai che le passasse, sapevo che non ci avrebbe messo molto.“If it gets too complicated, I'll give up and be frustated; can you see what's wrong? If you feel like you've been hated...Ed eccola, l'ispirazione, era tornata, ed una nuova frase si era andata ad aggiungere alla bozza di quella notte. Sorrisi di nuovo, come un ebete. E poi buttai le braccia al collo di Taylor, accanto a me, ancora impegnata a rimuginare, e la strinsi a me. Lì, seduti su un trampolino. Mi piaceva abbracciarla; era scheletrica, sì, ma allo stesso tempo sembrava di abbracciare un orsacchiotto. E poi sapeva di buono. Pesche.
- Che ti prende? - sbottò, acida. Era ancora in imbarazzo. Mise il broncio e continuò a non guardarmi. Uffa, faceva la preziosa.
- Che c'è, non posso abbracciare la mia migliore amica presa da un momento di sconforto durante il suo delirio giornaliero? - sbottai, imitando il suo tono. Lei sbuffò, e questo stava a significare che si stava trattenendo dal ridere. - Ehi Tay, te l'ho mai detto che ti voglio bene?
- Okay, cosa vuoi da me, dove hai messo il mio migliore amico? CHI SEI TU? - esclamò, voltandosi di scatto e lanciandomisi addosso. DI NUOVO. SU UN MALEDETTO TRAMPOLINO. IL SUO ERA UN DANNATO VIZIO ALLORA.
Risi di gusto mentre lei mi abbracciava. Alla fine dovetti ammettere, quella giornata non era del tutto sprecata. C'era un bel sole, mi stavo divertendo, gli uccellini cinguettavano...
Una bella ragazza ti sta appiccicata addosso...” continuò Coscienza per me. La ignorai e circondai Taylor in una stretta da orso. Rimanemmo così per un bel po', in silenzio, ad ascoltare l'uno i respiri dell'altra, e per la prima volta dopo quei giorni pieni di tensione, mi sentii tranquillo. Era bello. E non mi importava se qualcuno fuori poteva vederci. Quella stretta, quell'intimità era solo nostra. E mi piaceva. Sarei potuto rimanere così per sempre.
- Sarà meglio tornare indietro, gli altri si staranno preoccupando - fece lei all'improvviso, sussurandomi all'orecchio. Aprii gli occhi di scatto; di nuovo, come era successo il giorno prima durante le prove, la sentii tesa. Cambiò all'improvviso umore mentre si allontanava da me, mentre tutto quello che avrei voluto fare era stringerla un altro po'. Che c'era di male? Eravamo amici. Non stavamo facendo niente di che.
Eppure la vidi scivolare via. Si allontanò in fretta, si alzò e saltò giù da trampolino, sparendo dalla mia vista e lasciandomi allibito, con un'espressione da vero cretino in faccia.
Scuotendo la testa - dovevo avere un aspetto orribile - la seguii e scesi con più cautela dal quel coso. La trovai seduta per terra, intenta a legarsi le scarpe. Mi guardò giusto un attimo.
- Non c'era tutta questa fretta - affermai, un po' acido, mentre recuperavo le mie, di scarpe.
- Dimentichi che stasera dobbiamo suonare - mi rispose. Aveva recuperato il sorriso, e già questo mi tranquillizzò. - Quindi, muovi il culo. Abbiamo ancora un sacco di cose da fare! E tu devi salire sulle montagne russe.
- Okay, okay, ho capito. Ma sulle montagne russe non ci vengo - sbottai, imbronciato, seguendola. Si era già avviata, facendosi strada tra la folla formata da famiglie che, abbandonati i punti di ristoro, ricominciavano il loro giro per il parco. A quel punto, Taylor fece una cosa strana: mi prese la mano. All'inizio pensai che fosse per non perdermi, visto che c'era davvero tanta gente, ma poi intrecciò le dita alle mie, in un modo che mi fece sobbalzare il cuore, e strinse.
- Sì che ci vieni.

Angolo Autrici
SALVE PEOPLE! Finalmente siamo tornate :') le vacanze sono iniziate ma gli impegni non sono finiti çwç da luglio credo riusciremo ad aggiornare più spesso :D
Alloooora. Questo capitolo potrebbe avere poco senso HAHAHAHAHAHAH il motivo è che in realtà sarebbe più lungo, ma siccome stava venendo TROPPO LUNGO abbiamo deciso di dividerlo in due. Comunque siamo abbastanza soddisfatte, e spero lo sarete anche voi u.u
P.S. AVETE VISTO IL VIDEO DI EHC E' LA COSA PIU' PERFETTA DEL MONDO E' UN MEZZO COMING OUT MA IN REALTA' NON LO E' OMMIODIO E' STUPENDO KSJDHHVSAGSGHCGDCGDGHDSH

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Capitolo 5
*** Cinque. ***


CINQUE.

CINQUE.

Se dicessi che il fatto di stare mano nella mano con Taylor non mi provocasse brividi freddi lungo la spina dorsale, mentirei. Forse quello che mi sconvolgeva era l'intimità di quel gesto, il modo in cui le nostre dita si intrecciavano alla perfezione, come la sua mano piccola e affusolata si perdeva nella mia. Riuscivo a sentire le piccole ferite causate dalle corde della chitarra sui suoi polpastrelli, le cicatrici, i calli. La sua pelle. Ed era una bella sensazione. Stranamente, non volevo che finisse. Così, anche se avevo accellerato il passo per starle dietro, mentre tornavamo al ristorante, strinsi la sua mano, in modo che non potesse liberarsi. Anche se non sembrava averne intenzione; ricambiò la stretta e sorrise come una bambina tra sé e sé. Guardandola, ricambiai il sorriso. Per quel momento, lasciai perdere le domande. Non sarebbero servite a niente.
Finalmente raggiungemmo il punto di ristoro dove ci eravamo fermati con tutti gli altri. Adesso stavamo camminando in tutta tranquillità, sempre tenendoci per mano, con due espressioni idiote gemelle stampate in faccia. Sinceramente non mi importava che ci vedessero, e a quanto pare, nemmeno a lei. Poi Taylor avvistò Caitlin, con il cellulare all'orecchio e la fronte corrugata per la preoccupazione. In quell'istante, il suo iPhone squillò. La bionda liberò la mano dalla mia, in fretta, cambiando di nuovo umore. Corse verso l'amica, lasciandomi indietro, immobile e sorpreso come un imbecille. I suoi voltafaccia riuscivano a stupirmi sempre di più.

Che ci sta succedendo, Taylor?

Le raggiunsi mogio, ficcando le mani in tasca. Mi sentivo vuoto, come se lasciandomi la mano mi avesse strappato un polmone, o roba del genere. Era una reazione esagerata. Era tutto esagerato, ultimamente. Non riuscivo davvero a capire cosa stava accadendo, e pensarci troppo mi faceva venire l'emicrania. Perciò scossi la testa, nel vano tentativo di liberarmi di tutte le mie preoccupazioni, e mi misi ad ascoltare cosa si stavano dicendo quelle due. Caitlin stava facendo la ramanzina a Taylor.
- Dov'eravate finiti? Siete spariti così all'improvviso senza dirci dove cavolo stavate andando. Ho provato a chiamarti ma la linea è intasata - sbottò, buttando indietro i lunghi capelli rossi. - Ed il tuo amico, qui, ha sempre il cellulare spento, occupato o disperso in qualche angolo del mondo.
- Io il cellulare lo uso per registrarci le canzoni, donna - replicai, in tono seccato. Taylor, che stava probabilmente controllando il suo twitter, alzò gli occhi e mi lanciò un'occhiata da sotto la frangetta. Non ricambiai. Non ce l'avevo con lei, ma allo stesso tempo mi infastidiva il suo comportamento.
- Eddai, Caitlin, adesso siamo qui, è questo l'importante - disse allora, mettendo il telefono in tasca. - Dai, chiama gli altri. Le montagne russe ci aspettano!
- Le uniche russe che mai potranno aspettarmi sono quelle del centro benessere di Londra – dissi, senza neanche pensarci troppo o prestare attenzione al resto della comitiva che stava uscendo in massa dal locale; infatti, dopo essermi voltato in preda al fastidio, me ne stavo cocciutamente girato dalla parte opposta … fin quando non mi sentii inchiodare da un’occhiataccia, proveniente da due occhioni blu alla Bambi. Solo allora realizzai la portata dell’idiozia che avevo appena detto, ma non per questo persi il controllo … o almeno credo. Cioè, io mi sentivo abbastanza normale … ma vabbeh, elementi inutili. Fatto sta che razionalizzai. Rimasi ancora cocciutamente girato dalla parte opposta, imbronciandomi ancora di più, se possibile, fin quando l’occhiataccia si trasformò in uno sguardo minaccioso. Mi premeva sulla schiena nemmeno fosse stato un pugnale. Ma anche quello sguardo sparì, per trasformarsi in una risata mal contenuta, accompagnata da una testa bionda che si agitava e sussultava. Sentir ridere Taylor mi faceva sempre sorridere, e dopo un po' non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere anche io; l’unico problema era che io non stavo scherzando, no signore: NON SCHERZAVO PROPRIO PER NIENTE. E ci tenni molto a metterlo ben in chiaro, così mi feci serio all’improvviso. Così all’improvviso che Taylor per poco non cadde a terra dallo scatto che fece per rimettersi in posizione normale.
- Non stavo scherzando. Io non ne voglio sapere niente sul serio. – e per completare il quadretto cominciai a guardarmi intorno terrorizzato. Lei, per tutta risposta, mi guardò ammaliante … e grugnì. Sì, gnugnì. E con scatto felino si incamminò verso la-morte-di-ferro-battuto.

“OH MERDA” fu l’unica cosa che riuscii a pensare.
Osservai con terrore l'ammasso di ferraglia che ci sormontava. Perché, perché, perché Taylor mi aveva trascinato in quel postaccio? Non me lo sarei mai domandato abbastanza. Eppure mi conosceva bene, sapeva che non ero tipo da queste cose. Mi appoggiai alle transenne che separavano le varie parti della fila, sbuffando. La biondina, intanto, saltellava e strillava eccitata, attirando l'attenzione di tutti presenti. Qualcuno cominciava a mormorare. “Ma è Taylor Swift?” “Sì, è lei! E' lei per davvero!” “E c'è anche Ed Sheeran con lei!” Perfetto, finito il relax dato dall'anonimato. Mi infossai nelle spalle, cercando di nascondermi il più possibile e vagando con lo sguardo tra la folla, con una cospicua dose di terrore in faccia. Fu così che notai due ragazzine - avranno avuto più o meno tredici anni - che mi fissavano intensamente e parlottavano, ridacchiando.
“Beh, vorrano un autografo” suggerì Coscienza “Non essere rude con tutti solo perché sei un fifone senza speranza che si trascina dietro alla sua migliore amica stile chiuhauha”.
“Grazie Coscienza, sempre amichevole.” pensai stizzito. Per tutta risposta me la vidi scuotersi i capelli. “Ma da quant’è che ti sei messa a prendere forma umana, brutta stronzetta?”se non fosse stata una cosa totalmente incorporea e astratta, esistente solo nella mia testolina malata, probabilmente l’avrei uccisa. Ma in fin dei conti aveva ragione, dovevo fare il buon cantante, al di là di tutto. Cercai di sorridere, incoraggiandole. Dopotutto mi piaceva incontrare i fans. Insomma, era merito loro se mi trovavo lì, e non in qualche sperduto bar a cantare le mie canzoni, misconosciuto.
Le ragazze fecero un sorrisone a trentadue denti e si avvicinarono, stranamente in sincronia. Quando furono abbastanza vicine cominciarono a dare di matto, saltellando e gemendo per la gioia.
- Ed! Adoro le tue canzoni, e adoro te! - fece una. Era piccola, minuta, con lunghi capelli bruni e le lentiggini sul naso. - Che ci fai qua, a Disney World? Possiamo farci una foto insieme?
La sua amica annuì, sorridendo e mostrando l'apparecchio per i denti. Acconsentii. Feci qualche foto con loro, ci chiaccherai ed accettai con piacere i loro complimenti. Incontrare i miei fans era sempre una bella esperienza.
- Dimmi una cosa, Ed! - fece la bruna all'improvviso. - Ma tra te e Taylor c'è qualcosa?
Detto questo, ammiccò con fare complice. L’altra intanto saltellava eccitata, sembrava stesse per lanciarsi in un burrone per fare bunjee jumping. MA CHE DIAMINE DI DOMANDE SONO?! Sbarrai gli occhi. Non me la sarei mai aspettata, sinceramente.
- Beh... Qualcosa, cosa intendi? E' la mia migliore amica, tutto qua. - risposi, balbettando. Sperai di non essere arrossito. “Sei un caso perso, Eddy.” DIO, CHE QUALCUNO MI AIUTASSE A FARLA FUORI. Ah giusto, nessuno poteva, perché quell'irritante vocetta esisteva solo nella mia testa. Sono io lo sciroccato. E se mi fossi fatto internare in qualche centro psichiatrico, sarei riuscito a liberarmene? O sarebbe solo peggiorata? “Sei un caso perso Eddy, ma proprio perso perso perso. Per questo, da oggi in poi, ti chiamerò Eddy Caso Perso! Anche se Eddy Rosso ti dona di più”.
- Ah, peccato - fece la sua amica con l'apparecchio. - Perché beh, noi...
Ridacchiò, in quel modo civettuolo delle ragazze, e guardò la compagna.
- Noi vi shippiamo! - esultarono all'unisono, tutte contente. E ridacchianti. E saltellanti.

PANICO.
Avevo veramente paura che mi saltassero addosso. Cercai di mostrare una facciata di divertita tranquillità, ma non so quanto possa esserci riuscito. Poi, con disinvoltura, chiesi: - Cos’è che fate ESATTAMENTE? – . Non so perché, ma la parola “shippiamo” mi faceva tanto pensare a un rito wodoo. Magari appartenevano a qualche setta e volevano rapire me e Taylor per farci qualche strano rituale satanico.
- Ma sì, come coppia! - continuò la ragazza con l'apparecchio. - Siete carini insieme.
- Molto carini - assentì l'altra. - E poi dai, non puoi negarlo! A te Taylor piace. Tanto. E si vede.
Rimasi di stucco. Cosa, dove, come, quando? Quando era successo tutto questo? Cosa avevano visto queste piccole pesti che io non avevo notato?
Decisi di finirla lì, quel discorso stava dilagando in acque inesplorate, melmose e anche abbastanza puzzolenti. Salutai le mie piccole ammiratrici e, con un'espressione da vero imbecille sul viso, raggiunsi Taylor.
- Hai trovato due fans? Che carine! Ehi, perché quella faccia? - domandò. Di nuovo, aveva cambiato umore, ed era tornata la solita Taylor. La mia migliore amica.
- Mi hanno sconvolto quelle due – balbettai con la bocca tremolante, incredulo del mio stesso sconvolgimento. Lei mi fissò negli occhi, blu contro blu, e scoppiò a ridere divertita.
-È inutile che sghigniazzi, signorina occhi-di-ghiaccio! Non saresti così allegra se avessi sentito le loro aliene congetture.
- Addirittura! Cos'è, ti hanno chiesto di autografargli le mutande?
- No - negai, scuotendo la testa come un barboncino che tenta di scrollarsi di dosso l’acqua del bagno appena fatto - a forza, aggiungerei -. Le parole delle due ragazzine continuavano a rimbombarmi nella mente, come un’eco assurda.
- Hanno detto che … ci shippano. – dissi con una vocina distorta, quasi femminile, resa ancora più macabra da una ben marcata vena di disgusto misto a stordimento emotivo. CI SHIPPANO.
Taylor smise di ridere di colpo e tornò a fissarmi, adesso con un'espressione curiosa.
-Loro ciscicòsa?
- Ci shippano. Cioè, ci vedono bene come coppia. – spiegai attonito, abbassando la voce in modo che gli altri non ci potessero sentire. Nonostante stessi cercando di eliminare quella conversazione dal cervello, non ci riuscivo, e continuavo a rimuginarci. “E poi dai, non puoi negarlo! A te Taylor piace. Tanto. E si vede”. Era vero, Taylor mi piaceva. Ma non il quel senso. Era la mia migliore amica, era una persona stupenda, mi piaceva come persona, solamente come persona. O forse no?! Se era così, perché mi ero messo a fantasticare sulle sue labbra, a pranzo?
“Devo dirtelo io, Eddy Caso Perso Sheeran?” fece Coscienza. Di nuovo, la zittii. No, non era possibile.
“Ora che ci penso … SHIPPARE SWIFT E SHEERAN ha un suono veramente piacevole! Potremmo anche mischiare i vostri nomi. Formare un fan club. Fare delle spillette con la vostra foto!” MA CHE DIAMINE. Perché quella dannata … presenza? … non la smetteva di prorompere in affermazioni di questo tipo? Quelle due piccole pesti. Mi avevano condizionato. Sì, era sicuramente così. Taylor era la mia migliore amica, e non sarebbe mai stata nient'altro, per me. Le volevo bene. Tutto qua.
Sollevato, guardai mentre Taylor sbuffava e si faceva una mezza risata su quello che le avevo detto. Eppure, mentre alzava lo sguardo verso di me, mi sembrò di notare un guizzo, uno strano scintillio nei suoi occhi. Ma cosa...?
- Queste ragazzine, sono assurde - dichiarò. - Non farci caso, Ed. Hanno una grande fantasia.
- Sì, è quello che penso anche io - assentii.
Proprio in quel momento, una delle carrozze dell'attrazione passò sopra le nostre teste. Gli occupanti urlavano, eccitati, spaventati o semplicemente trascinati dal resto del gruppo. Dimenticai all'istante le ragazzine, la cosa dello “shippare”, Taylor, tutto ciò che non fosse il terrore: rabbrividii così violentemente da temere di essere in preda alle convulsioni.
- Taylor - sibilai, senza guardarla. - Io su questo coso non ci salgo.
Lei si voltò di nuovo verso di me ed incrociò le braccia, imbronciata. - Eddai, Eddy Rosso. Cosa c'è che non va?
- Non è una cosa naturale. Mi terrorizza. - le spiegai, assumendo un tono scientifico.
- Siamo quasi arrivati, Ed, ti prego. Non ti puoi tirare indietro ora - mugolò, seriamente dispiaciuta.
- Tay. Ho paura, okay? - ammisi. - E se uno di quei cosi si stacca e precipitiamo e moriamo tutti?
La sua espressione triste si sciolse in una risata. - Oh, Ed. Sei così tenero. - mi prese in giro. Poi, con una naturalezza che non le riconobbi, mi strinse di nuovo le dita tra le sue. In quel modo intimo e nostro. Per un istante il mio cuore smise di battere. Perché mi piaceva così tanto tenerla per mano? Perché da qualche tempo a questa parte, quando la toccavo mi sentivo completo? Cosa diavolo mi stava succedendo?
Pensai che l'avesse fatto per tranquillizzarmi, una stretta di conforto, invece mi attirò a sé e mi abbracciò.
- Stai tranquillo, fifone. Andrà tutto bene. - mi sussurò, mentre stringeva le braccia intorno al mio collo. Per qualche strano motivo, sentire quelle parole mi tranquillizzò seriamente. “… and you squeeze me until these thoughts leave my head”, la canzone … la frase che aveva “scritto”, cioè, che io avevo scritto, ma che la voce di Tay aveva cantato nella mia testa quando l’avevo caricata in spalla … mi martellava benevolmente il cervello. La strinsi per i fianchi, grato.
- Okay, mi fido - ammisi. Lei si staccò, mi fece un sorriso che avrebbe potuto illuminare un'intera città e tornò a stringermi la mano.

- E' STATA L'ESPERIENZA PIU' TERRIBILE DELLA MIA VITA - gridai, imboccando l'uscita di quel tremendo strumento di tortura, mentre Taylor se la faceva sotto dal ridere.
- E' STATO FANTASTICO - mi gridò allora contro lei, quando mi raggiunse fuori. Me ne stavo piegato, con le mani appoggiate alle ginocchia, tentando di non vomitare.
- Stai fottutamente scherzando, vero Taylor?! - sbottai. Lei, per tutta risposta, mi saltellò intorno, più eccitata di un bambino di fronte ad un negozio di caramelle.
- Macché! E' stato magico, il giro della morte, gli avvitamenti. Non ho mai strillato così tanto!
“Non dirlo a me” pensai, orripilato, trattenendo a stento un conato. Sentivo il pranzo ballare la samba nel mio stomaco. Perché mi ero lasciato convincere a fare quel coso?
“Perché sei impazzito dopo che la tua migliore amica ti ha preso per mano” mi ricordò gentile Coscienza.
- Ci hanno anche fatto le foto! Oh mio Dio, Ed! Andiamo a vederle! - strillò, prendendomi per un braccio e strattonandomi fino allo stand fotografico, mentre io ero ancora in stato di shock. Avrei avuto gli incubi per mesi.
- OMMIODIO ED! - gridò Taylor. Ma perché doveva strillare? Ci sentivo benissimo. - Guarda la tua faccia!
Stava ridendo di gusto, buttando la testa all'indietro e divertendosi un mondo. I capelli le erano sfuggiti dalla coda, di nuovo, e le coprivano mezzo viso.
Strinsi gli occhi e guardai dove mi stava indicando. Impallidii di fronte alla faccia da imbecille immortalata nella foto. Però, dovevo ammettere che ero abbastanza buffo.
- Tu ti sei vista? - la ripresi.
- Sì. Non fono belliffima? - scherzò. Poi tirò fuori il portafogli dalla borsa ed allungò delle monete all'addetto. Un momento, voleva davvero comprarne una copia?
Beh, a quanto pare era così. Ringraziò di cuore il ragazzo quando questi gli consegnò un cartoncino rilegato, e lui arrossì. Poi mi lanciò un'occhiata, come a dire “beato te che ce l'hai sempre vicina”.
Beh.
Taylor lanciò dei gemiti eccitati, mentre apriva il cartoncino per riguardare la foto. Mi appostai dietro di lei e sbirciai da sopra la sua spalla. Da vicino la mia faccia era anche peggio, se possibile.
Ma ovviamente quello non era un motivo abbastanza valido per impedirle di farla vedere a chiunque. Infatti, non perse tempo. In pochi minuti, prima che me ne potessi anche solo accorgere, l'aveva già tweetata ai suoi milioni di followers. Dio, perché?! Avrei voluto prenderla a pugni finché non avesse cancellato il tweet. Doveva proprio piacerle mettermi in ridicolo.
Come se non bastasse, corse poi incontro al nostro gruppetto, per mostrare a tutti il suo nuovo tesoro e la mia faccia che a quanto pare sarebbe rimasta nella storia.
Mi passai una mano tra i capelli - tanto erano un disastro già di suo - e sbuffai. Era stato davvero traumatizzante; non credo che sarei mai più salito su qualcosa del genere. Eppure, nonostante immaginassi che sarebbe finita in quel modo, mi ero lasciato convincere come un idiota da una stretta di mano e qualche parolina sussurrata nel modo giusto. Taylor sapeva davvero ammaliare, quando voleva. Ed io mi ero lasciato abbindolare come un cretino.
“Caro Eddy Caso Perso Sheeran, non è che vi shippano a ragione?” si intromise di nuovo Coscienza. Oggi era davvero insopportabile. Mi chiesi se, sbattendo la testa nel muro più volte, me ne sarei liberato. Insieme a quel pensiero, però, ne arrivò un altro, una strofa cantata, una melodia nuova. Rieccola, l'ispirazione, arrivava all'improvviso, quel giorno. “Everything will lighten up, if you feel too frightened I'll make it disappear...” sembrava quasi che la vocina di Taylor la cantasse nella mia testa, in fin dei conti era quello che aveva fatto proprio prima. In quel momento stavo veramente cominciando a pensare di aver bisogno di un bravo psichiatra, qualcosa nella mia testa non andava per il verso giusto. Non avevo la benché minima idea di dove quella canzone stesse andando a parare; i versi si formavano spontanei nella mia testa, così come la melodia, senza un apparente collegamento logico. Sapevo che era per Taylor, perché ogni volta che ci pensavo sentivo un tuffo al cuore, come se me ne dovessi vergognare. Ma cosa stavo scrivendo? Una canzone d'amicizia? Una specie di grosso complimento? Guardai la mia migliore amica, intenta a scatenarsi nel mostrare a tutti il suo nuovo acquisto. Perché mi sentivo così confuso verso di lei? Se fino a qualche tempo prima tutto stava andando alla grande, cosa stava accadendo, ora, di diverso? Cercai di darmi una scrollata nel vano tentativo di riprendermi e così mi indirizzai verso gli altri: DIREZIONE ATTRAZIONI TRANQUILLE … o almeno speravo.

- Oggi, come avete potuto vedere dai miei tweets, abbiamo passato la giornata a Disney World, meravigliosa Orlando! - disse Taylor nel microfono, e la sua voce venne sovrastata dagli urli eccitati dei suoi fans. Si voltò verso di me, dall'altro lato del Bstage, e mi sorrise angelica. - Ed è anche salito sulle montagne russe per la prima volta in assoluto. Si è divertito molto, non è vero Ed?
- No - sbottai, d'istinto, facendo ridere l'intera arena. Lanciai uno sguardo alla miriade di facce che si stagliavano di fronte a me, quella sera. Il resto della giornata era trascorso in modo abbastanza tranquillo, ed il concerto era arrivato così in fretta che non avevo nemmeno avuto il tempo di rendermene conto che già ero sul palco per il mio numero di apertura. Avevo poi osservato Taylor esibirsi, come facevo ogni notte, finché non era arrivato il momento di Everything Has Changed. Taylor mi aveva presentato, proprio mentre io arrivavo scortato dalla sicurezza sotto il palco al centro dell'arena. Avevo salito le scale con la mia fidata chitarra al collo, come ogni sera, ed avevo abbracciato Taylor, come al solito. E poi ci eravamo messi a chiacchierare, davanti a migliaia di persone. La solita routine, insomma. Eppure non c'era niente di uguale al solito; la mia testa era un delirio totale. Non ero riuscito a togliermi dalla mente la canzone, le ragazzine e tutto quello che stava succedendo tra me e Taylor. Mi sentivo un disastro ed ero sicuro che da fuori si vedesse benissimo, perché Taylor mi lanciò un'occhiata preoccupata. Le sorrisi, era tutto okay. Più o meno. Così, anche quella sera, iniziammo a suonare.
Era la mia parte preferita di ogni serata. Strano, direte voi. Non era più eccitante quando l'intera attenzione dell'arena era diretta verso di te, all'inizio? E io vi rispondo, no. Perché quando io e Taylor cantavamo insieme, l'atmosfera si trasformava. C'eravamo solo io e lei e le nostre voci e le nostre chitarre. Lei cantava il suo pezzo ed io suonavo e ogni tanto la guardavo. Splendeva di luce propria quando faceva quello che amava. Ed era bellissima, davvero bellissima.
Mi unii a lei per il ritornello. Come ci eravamo accordati fin dall'inizio del tour, al verso “and your eyes look like coming home” ci guardammo. I suoi occhi splendevano, era sempre felice quando ci esibivamo insieme. Lo trovava divertente, aveva detto una volta; sentiva che in quel momento eravamo più legati che mai, ed io mi trovavo d'accordo con lei. Le sorrisi, continuando a cantare, e lei fece lo stesso. Il suo volto si illuminò di nuovo, pieno di nuova felicità. E di nuovo pensai che fosse bellissima.
“Siete perfetti l'uno per l'altra. Giusto per informazione, IO SHIPPO SWIFT E SHEERAN. Vi ho anche trovato un nomignolo, vuoi saperlo?” sussurrò Coscienza dentro di me.
“Non ora, cara. Non è il momento adatto” la ripresi, innervosendomi. Tra poco sarebbe toccato a me, non potevo fare brutte figure.
“Ti ho solo detto quello che sai già, Eddy Caso Perso” acconsentì, per poi sparire. In quel momento, Taylor si allontanò dal microfono e si avvicinò a me. Era il segnale, era il mio turno di cantare.
- And all my walls, they're tall painted blue; I'll take 'em down, take 'em down and open all the doors for you - intonai, lanciando di tanto in tanto uno sguardo a Taylor, che mi stava affianco e suonava. Mi sorrise di nuovo, e io non riuscii a non fare lo stesso. - And all I feel in the stomach is butterflies, the beautiful kind making up for lost time, taking flights, making me feel right.
Che strano, mi sembrava davvero di avere le farfalle nello stomaco. Guardai di nuovo Taylor, che si era allontanata per tornare alla sua postazione, e ricominciammo a cantare insieme.
Il resto della canzone volò via veloce, e in pochi minuti avevamo finito. Gli strilli dei fan entusiasti erano assordanti. Taylor fece un piccolo inchino, poi si avvicinò a me. Era lei la grande star, ma come ogni notte, mi stava facendo sentire al suo pari.
- Signori e signore, Ed Sheeran! - strillò nel microfono, ricevendo in risposta vere e proprie ovazioni. Arrossii, tutto quell'apprezzamento mi imbarazzava ancora. Taylor mi buttò le braccia al collo, sorridendo felice, e io la strinsi con un braccio, delicatamente, ai fianchi.
Rimanemmo così per qualche minuto, mentre le urla intorno a noi non accennavano a spegnersi. Forse fu per questo che sentii a stento quello che mi stava mormorando Taylor all'orecchio.
- Never Mind.
Mi staccai un po' da lei, in modo da poterla guardare negli occhi con espressione interrogativa. Lei sillabò, in modo chiaro e semplice, la spiegazione.
- Never Mind. La mia nuova canzone, si chiama Never Mind.
-Ma … perché proprio Never Mind? – le domandai, sempre sillabando. Lei arrossì violentemente, e mi ignorò completamente. Poi, con grande charme, si voltò di nuovo verso il pubblico per regalare un nuovo sorriso e un nuovo sguardo luccicante. “Darling don't be nervous … I'll understand if you let me go.”

“Bene Sheeran, sembra proprio che tu abbia composto una strofa!” pensai, contento, sbattendo distrattamente la porta del mio camerino; questo però lo elaborai dopo, stremato dalla lunga, ma piacevole, giornata. Ricordo di essermi alzato e aver preso dalla tasca dei jeans il mio spartito senza senso. Me l'ero rigirato tra le mani, era ridotto parecchio male. Ci mancava solo che si mettesse a cantare “I'm a crumbled - up piece of paper lying here”. Lo aprii: recava le parole “Take me back to your old home, take me back to the Beverly road, and now I'm missing you”, ovvero tutto quello che ero riuscito a mettere insieme la sera precedente. A quanto pare la maggior parte del tempo l’avevo impiegata a fare flashback e a dormirci sopra, nel senso letterale ovviamente. Mi scappò un sorriso, quasi di tenerezza, poi presi la penna, tracciai lo spartito nella parte ancora vuota del foglio e cominciai a scrivere le note che da tutto il giorno mi avevano bonariamente perseguitato, come fedeli amiche, e poi sotto scrissi le parole.

Everything will lighten up,
If you feel too frightened I'll make it disappear,
darling don't be nervous
iIll understand if you let me go.

C’era anche un’altra parte che mi martellava in testa da tutto il giorno, solo che non sapevo dove infilarla in quell’ammasso di frasi senza connessione, così lasciai altro spazio, feci un altro sparito e scrissi l’altra frase: Sunny days that left my skin a breathe, and you squeeze me until these thoughts leave my head. Non sapevo ancora se andasse all’inizio o alla fine, se prima la strofa o dopo, così la scrissi lì, quasi come una nota, nell’attesa che quella canzone cominciasse ad avere un senso, sia sulla carta che nella mia testa.

 

ANGOLO AUTRICI

Wwwoooh! Ho pubblicato un capitolo! Ok, nel caso non si fosse capito sono l'altra scrittrice, quella che non è veterana e non ha la minima idea di come si pubblichi un capitolo ... o almeno non la aveva, visto che l'ha pubblicato. 

Vabbeh, deliri a parte, questo ultimo capitolo è stato scritto abbastanza velocemente sia grazie al tempo che FINALMENTE sta ricominciando a scorrere in maniera normale, sia perché la storia sta cominciando piano piano a prendere forma ... sarà forse dovuto a qualche interessante dichiarazione di un possibile bacio il tredici luglio? Beh, non potete certo dire che quei due non si impegnino anima e corpo per far pensare a qualcosa di più di semplice amicizia! *delirio_da_shipper_mode_on*

Senza starvi a tediare con noiosi discorsi privi di senso, volevo solo dirvi che speriamo vivamente che vi sia piaciuto, anche perché qui, come in tutti gli altri, c'è un po' dello stile di ognuna di noi, e ci siamo comunque messe in gioco con questa ff.

Ciancio alle bande, se avete qualcosa da dire, scrivete quaggiù e noi ne saremo molto molto molto mooolto felici! Al prossimo capitolo wuhuhuhuh.

A.

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Capitolo 6
*** Sei. ***


sei.

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SEI.

Un mese dopo. 11-12 Maggio 2013, Washington DC.

-Andremo al mare.
-Cosa? - sbottai, sbattendo le paplebre e cercando di darmi una svegliata; la mia migliore amica aveva dei modi meravigliosi per svegliarmi dal mio mini abbiocco serale delle DUE DI NOTTE. Certo, perché dopo aver appena finito un’estenuante concerto di fronte a migliaia di persone era del tutto normale farsi venire in mente la geniale idea di fare nottata. Ma lei è Taylor Swift, e con lei tutto è possibile. E io sono Ed Sheeran, il povero fesso che le andrà sempre dietro, finché morte non ci separerà.
“Amen.”
“Stai zitta tu, non c’entri niente adesso.”
“Io c’entro sempre Eddyno, sono la tua mente, non ricordi?”
Dio, quanto è fastidiosa.
Comunque, dicevo, prima che quella presenza estranea mi interrompesse, quella pazza voleva fare nottata. E così adesso eravamo seduti sul B-Stage, io stravaccato stile Meredith-post-pasto, lei … boh, probabilmente da qualche parte intorno a me intenta a fare qualsiasi altra cosa tranne quella ragionevole: ossia prendere le chiavi nascoste nel suo vestito da Love Story che stava indossando come se fosse la cosa più naturale del mondo - sì, aveva nascosto le chiavi perché non voleva che gliele rubassi per scappare all’hotel: lo so, è matta. Che poi dove le teneva, in quel cavolo di vestito da principessa delle fate? Aveva forse qualche tasca interna? Magari nel reggiseno -, scendere da quel dannato palchetto e aprire la porta per farmi tornare in albergo a DORMIRE.
Volevo dormire. Avevo un disperato, agognato bisogno di dormire.
Ormai il Red Tour era iniziato da due mesi, e non erano stati due mesi facili. Prove su prove, concerti fino a tardi, ed una Taylor più attiva e svampita che mai, che amava trattenersi a cantare e a suonare quando lo stadio era ormai vuoto o che veniva a bussare alla porta della mia stanza d'hotel in piena notte per chiedermi se volevo vedere Law & Order con lei e Meredith. Tutto questo, però, sembrava averci avvicinati ancora di più; spesso gli altri membri della band ci prendevano in giro, perché ci perdevamo nel nostro mondo con facilità. Non mi ero mai sentito così legato ad una persona, soprattutto ad una donna. Eppure era come se fosse una parte di me, ormai. Mi ero anche abbassato a vedere Grey's Anatomy con lei, solo perché sapeva tutte le battute a memoria e guardarla mentre le recitava nel modo giusto al momento giusto mi faceva sganasciare dalle risate. Era bello. Era bella questa cosa con Taylor, era un'amicizia vera e forte. Indistruttibile. Non volevo che finisse, non lo volevo assolutamente. Ormai mi sentivo come se perdere Taylor fosse stato come perdere una gamba. Più o meno.
Dicevo, avevo bisogno di dormire. Gliel'avevo fatto presente ma, sapete, lei è Taylor, quindi qualsiasi cosa vagamente razionale non le appartiene.
Scossi la testa, sentendomi ancora parecchio intontito. Forse avevo sentito male. Perché voleva andare al mare? Stavamo facendo un tour. Un tour soldout, ci terrei a specificare. Non potevamo andare al mare.
Molto, ma molto svogliatamente, mi smossi dalla mia posizione da abbiocco e feci per dar voce ai miei pensieri, quando, aperti gli occhi, me la ritrovai praticamente in faccia, appostata nella mia stessa, identica posizione, solo a pancia in giù, e per poco non sbattemmo l’uno contro l’altra. Strano ma vero: questa volta ero riuscito a tenere a freno i nervi, come, non lo so. I suoi occhioni blu luccicanti, nel frattempo, mi stavano guardando da sotto la sua tendina di capelli biondi, ormai non più perfettamente lisci dopo due ore di spettacolo e il restante tempo passato a cantare canzoni a caso con il sottoscritto, fin quando non mi ero abbioccato lì, sul B-Stage, mentre lei suonava una strana versione di quella che poteva essere una cover di Kiss Me. Non so se stava per ridermi in faccia; probabilmente sì, visto che aveva appena distorto leggermente la bocca e sbuffato, ma per il resto sembrava seria. Molto seria. Troppo seria. Non Taylor-seria. Ma esageratamente seria. Cos’aveva intenzione di fare? Annullare il resto delle date del tour e prendersi una bella vacanza, magari portandomi con lei in qualche isola sperduta? Non riuscivo a interpretare quel guizzo di convinzione che le vedevo negli occhi, e questo mi metteva tremendamente a disagio. Di solito mi bastava un'occhiata, la sua mente era come un libro aperto per me. Ma adesso no. Era seria e paurosamente chiusa in sé stessa. Che le passava per la testa?
- Finito il tour. Andremo al mare. O meglio: TU mi porterai al mare. Ho sempre voluto fare un giro in Gran Bretagna, in maniera normale, non schizofrenica come succede con i tour. Non toccata e fuga, ma una lunga, e piacevole vacanza. E ho deciso che la voglio fare. Con te. Mi porti a fare un giro in Gran Bretagna finito il tour? – mormorò, sorridendo divertita e dandomi una strizzatina al polso.
Stavo ancora cercando, convulsamente, un segno, una traccia di quello che le passava per la testa. Mi aveva veramente chiesto di portarla a fare un giro in Gran Bretagna? Mi stava mettendo in confusione; non c’era traccia di quell’abituale guizzo di allegria nei suoi occhi, si vedeva che era seria, nonostante il sorriso. E io non riuscivo a capirla. Come era successo più volte nell'ultimo mese, mi aveva chiuso fuori dalla sua testa, e non la capivo. Ma che le succedeva? Voleva scappare? Da cosa? Stava impazientemente aspettando una risposta, lo vedevo. Si mordeva il labbro, ma per il resto non si era ancora mossa di un centimetro. Non era in procinto di ammettere che stava scherzando, per poi buttare lì qualche battuta divertente, sui miei capelli o sulla mia pellaccia pallida che si brucia anche a novembre. Si aspettava una risposta seria questa volta, perché lei era seria, al cento per cento. All'improvviso si mise seduta, con le gambe penzolanti al di là del palchetto, perciò la imitai, senza smettere di guardarla. Anche lei, nel frattempo non mi toglieva gli occhi di dosso. Era diventata una statua, ferma e immobile: l’unica cosa che si muoveva erano gli occhi. Probabilmente stava cercando di capire se stessi per scappare a gambe levate, ma non ce l'avrei fatta neanche a volerlo: era come se un macigno mi si fosse piantato alla bocca dello stomaco e mi impedisse di fare qualsiasi altra cosa se non avvicinarmi più a lei, per farle capire che non volevo andarmene. Volevo capire cosa le stava succedendo. Perché le era venuta quell'idea.
Evidentemente, mettersi a sedere era stata un'azione più lunga del previsto, perché nella frazione di secondo in cui avevo abbassato gli occhi per appoggiare le mani in modo da non scivolare qualcosa era cambiato; perché lei non mi stava fissando più. I suoi occhi erano giù, piantati verso terra, e sembrava che stesse facendo di tutto per non esplodere, lì, davanti a me. E subito un nuovo macigno si piantò dentro di me, questa volta sul cuore. L'avevo vista solo un'altra volta così.

-Taylor, che diavolo succede? – sbottai, dandole una spallata. Ecco, alla fine gliel’avevo chiesto, buttandolo lì nella maniera più diretta e insensibile possibile. “Complimenti Ed, sei proprio un galantuomo” osservò Coscienza. Aveva ragione, ma non ce la facevo più a tenermelo dentro. Odiavo non riuscire a capire quello che stava pensando, mi faceva sentire a disagio. E poi lei stessa aveva ammesso che sapevo essere “brutalmente onesto”. Ma in quel momento, quando vidi il suo sguardo scurirsi, avrei dato tutte le mie amate e preziose chitarre per potermi rimangiare quello sbotto di sincerità fin troppo diretta. Avrei dovuto cercare di capire da solo, non metterla con le spalle al muro così. Per tutta risposta lei continuò a fissare per terra. Perfetto, adesso l’avevo pure fatta sentire attaccata. Stavo per aprire bocca nuovamente, quando lei si risvegliò all’improvviso dal suo torpore.
- Non riesco proprio a nasconderti niente, eh Sheeran? – affermò, sorridendo triste.
“Hai visto che non sei un totale idiota, Eddy testa di carota?” per una volta mi fece piacere avere questa, di solito irritante, vocina nella testa. Quantomeno non avrebbe avuto da ridire, o almeno speravo, sulla mia prossima uscita.
- Ma Taylor – dissi, fingendo un tono di offesa. – come potresti mai nascondere qualcosa A ME, L’UOMO CHE SUSSURRA ALLE CHITARRE? –. E conclusi la performance con un sorriso smagliante alla Mentadent - con cinquantamila denti e tanto di sparkle alla fine. Per tutta risposta lei mi guardò come se fossi un completo imbecille - che poi, in effetti, è vero - e iniziò a ridere scuotendo la testa. Speravo di averle alleggerito un po’ il cuore con questa piccola perla di figure alla Ed, ma non sapevo quanto fosse possibile: sembrava meno tesa, ora, ma la sua risata non era la sua solita risata, anche se era pur sempre contagiosa; perciò non riuscii a stare lì a fare il riflessivo mentre lei rideva sulle mie perle filosofiche, quindi mi unii a lei.
“Suonano bene insieme le vostre risate, dovreste aggiungerle a qualche duetto sai?” Ok, ritiro tutto quello che ho detto in precedenza: IO LA ODIO. “Puoi smetterla? Sto cercando di fare un discorso serio.”
“Come shei shuttebile Sheeran.”
osservò, acida, per poi sparire così come era apparsa. Adesso si era messa anche a parlare come Sid, eppure era una vita che non guardavo l’Era Glaciale! Cominciavo a sospettare che qualcuno del mio staff mi correggesse il caffè con la polverina bianca. O forse con del whisky. Era veramente TROPPO inquietante: stava diventando polimorfica! Tra un po' sarebbe uscita dal mio corpo, avrebbe messo gambe e braccia e avrebbe cominciato ad andare a giro come un'entità a sé.
- Sei veramente scemo, lo sai? – scherzò Taylor, riportandomi così sulla Terra, ovvero nel mondo delle persone normali che non parlano con esserini polimorfici che abitano nella loro testa.
- Guarda che non ti porto in Gran Bretagna. – dissi facendo il finto serio, sperando di mantenere l’atmosfera leggera ancora per un po’, ma evidentemente il mio fascino aveva perso la presa, perché lei si era lasciata nuovamente andare con lo sguardo a terra. Si torturava distrattamente le mani, scrocchiando le nocche e rigirando l'anellino che teneva all'anulare della mano destra.
Cercando di non perdere la calma, o di farmi venire qualche stupido senso di colpa, smisi di giocare e mi misi nella sua stessa posizione, cercando di farle il verso, ma diventa complicato quando pesi 30 kg di più e hai le mani ciccione come le mie. Feci un po’ di contorsioni con il collo, cercando di capire dove diamine stesse tenendo fisso lo sguardo fin quando non la vidi, con la coda dell'occhio, ridacchiare di nuovo: evidentemente aveva qualche sensore che riusciva a captare i miei movimenti da anguilla. Per tutta risposta posai una mano sulla sua testolina bionda ed arruffata, e questo il sensore non l’aveva captato visto che per poco non la spostò, e la voltai verso di me.

-Taylor, che succede? – le domandai per la seconda volta, il più dolcemente possibile. Le spostai un ciuffo dietro l'orecchio, per poterla guardare bene in faccia. Deglutii e mi feci serio, quando mi accorsi che aveva gli occhi lucidi, e vedevo bene che il suo sorriso di prima non era divertito. Era strano ma … mi sentivo come se fosse colpa mia. Forse non avrei dovuto buttare lì così brutalmente quella domanda, all’inizio. Magari voleva che facessi finta di non aver capito niente, che tutto fosse normale. Ma io non ci ero riuscito. Non riesco a far finta di qualcosa, è nella mia natura da barone Von Edward Christopher Sheeran.
-Io … ho una paura tremenda che finisca tutto quanto, Ed. – dichiarò infine, mentre la prima lacrima scivolava giù lungo la sua guancia. Ho paura che finisca tutto quanto. In che senso?
- Che vuoi dire? Non ti seguo.
- Questo, Ed … il mio mondo. Quello che mi sono costruita con una vita di lotte e sacrifici. Il mio contratto discografico, i miei album, la mia band, il mio tour, i mei amici, la mia vita … tutto. Che tutto vada a rotoli. Che nessuno compri più i miei dischi o che nessun sito internet pubblichi qualche notizia su di me che sia diversa da “Taylor Swift esce con Tizio?” oppure “Quella canzone della Swift è per Caio?”. È tutto così … soffocante. – sbottò, scoppiando a piangere. Ecco, alla fine l’avevo fatta espoldere. Sono un idiota. Sono un fottuto idiota.
- Tay …
-No, non provare neanche a scusarti. Non è colpa tua. – mi minacciò, asciugandosi rabbiosamente le lacrime. Allora perché mi sentivo come se tutto fosse venuto fuori a causa mia?
- Sarei esplosa lo stesso, prima o poi … magari in diretta televisiva in qualche award show dove qualche stupido sarebbe salito sul palco per rubarmi il microfono dalle mani e dire a tutti quanti quanto quel premio se lo meriti qualcun altro al posto mio. – borbottò, cercando invano di smettere di piangere. Quasi si strozzò con un singhiozzo. Non succederà Taylor, non succederà mai più, e lo sai. – Perché risuccederà Ed … sappiamo entrambi che risuccederà. – disse, come se mi avesse letto nel pensiero. Aveva smesso di tentare di asciugarsi il viso ed io avevo un'inspiegabile voglia di farlo al posto suo. Non è vero, Taylor. Perché ti fai del male in questo modo?
– Non faccio mai niente di giusto, secondo gli altri adesso. Sono solo una stronza, un'arpia che usa la gente per scriverci canzoni e guadagnarci sopra. E' questo che tutti pensano. Lo so io, lo sai tu, lo sa tutto il mondo. Me ne sto convincendo anche io ormai – si lamentò, interrotta ogni tanto da un singhiozzo. Mi piantò uno sguardo blu come l'oceano addosso, fissandomi con un'espressione che mi spaventava. L'avevo vista così solo dopo la rottura con Harry, e non mi piaceva, non mi piaceva per niente. Che diamine stai dicendo, dannata te? – E sicuramente anche tu penserai che… - sussurrò. Cosa? Cosa devo pensare adesso? – Che ti uso per … - non finì la frase, non ce n'era bisogno. Si tappò la bocca, singhiozzando. Sembrava stesse per mettersi ad urlare.
- Taylor?! Che cavolo stai dicendo?! Seriamente: CHE. DIAVOLO. STAI. DICENDO. Tu? Usi la gente? Stronza, arpia? Non ne fai una giusta? Perché?! Perché lo dici? Sai che non è vero. Io non potrei mai pensare una cosa del genere di te, neanche sotto tortura - le dissi, quasi sbottando. Sentirle dire quelle cose mi faceva male. Non si fidava di me, e questo mi feriva.
- No Ed! Non lo so! – mi urlò contro, tirando su col naso. Si alzò in piedi di scatto, le mani chiuse a pugno, appoggiate contro i fianchi. Il trucco si era sciolto praticamente tutto ormai, tra la stanchezza, lo show e le lacrime … e adesso quel viso, di solito così luminoso anche senza nessun make up, sembrava tanto distrutto e tramortito. Questa non era la ragazza che ero solito conoscere. Questa era la sua versione spezzata in mille pezzi. Non era Taylor Swift, non era la mia migliore amica, non era la mia Taylor. Avrei voluto portarla via da quel limbo nel quale si era infilata, ma pareva volerci entrare a capo fitto quella sera. Si era infilata quelle idee in testa, ce le aveva attaccate a forza, e non voleva liberarsene. Lo vedevo dalla luce di disperazione nei suoi occhi. Alzò le mani al cielo, urlando nel mezzo dello stadio, vuoto, tutto il dolore che aveva dentro. – Io leggo solo notizie di gossip su di me!
Taylor Swift ha scritto I Knew Were Trouble per Harry Styles. Taylor Swift in “22” imita l’abbigliamento di Harry Styles. Taylor Swift modifica ai grammys una parte di We Are Never Ever Getting Back Together per lanciare una frecciatina a Harry Styles. Taylor Swift ha dichiarato di aver paura di morire da sola, senza nessuno accanto, tipico cliché hollywoodiano ma neanche una settimana dopo si sente con John John Florence … ma non ho mai fatto niente con questo tizio! NIENTE! LORO NON SANNO NIENTE DI ME, MA TUTTI DANNO PER SCONTATO CHE SIA VERO! – gridò, per poi tuffare la testa tra le mani. Aveva davvero perso il controllo adesso, si vedeva che era sconvolta, e io non avevo la più pallida idea di cosa fare. Che devo fare? Mi accorsi che la stavo guardando con la mia solita faccia a cretino, ma non riuscivo a muovere un muscolo. Era come se fossi paralizzato … paralizzato dalla potenza delle sue parole, come se tutte queste bugie e sproloqui avessero colpito anche me, ferito anche me e affondato anche me. Come facevano male a lei, facevano male anche a me. E più di tutti mi faceva male vederla in quelle condizioni. E Taylor aveva ragione. Stavano tutti giocando a battaglia navale col suo cuore ultimamente, come se il fatto che lei fosse una persona famosa la rendesse automaticamente immune da ogni sentimento che non sia L’AUTOGLORIFICAZIONE. Cosa che lei, per altro, non aveva mai fatto, non esisteva persona più umile di lei. E io sapevo quanto queste accuse fossero false, e patetiche, e meschine, e ignobili … e anche i suoi fan lo sapevano. CHIUNQUE la conoscesse lo sapeva … ma la maggior parte si rifiutava di vedere.
I giornalisti che continuavano a scrivere queste cose, a mesi di distanza dalla rottura con Harry.
I lettori online che continuavano a commentare con violenza, come se lei non avesse un cuore, un’anima, e queste cose non potessero ferirla. Come se fosse una bambola.
Harry, che non aveva mosso un dito per fermare questa corrente maligna che rischiava concretamente di buttarla giù e farla affogare.
E se stessa, che stava finendo per credere a queste bestialità.
E io che cosa ero capace di fare? NIENTE. Ero il suo migliore amico, la conoscevo meglio del palmo della mia mano, e mi sentivo completamente inutile. Me ne stavo lì a guardarla come se fosse una matta senza alzare un muscolo, senza dire una parola, senza cercare di consolarla in qualche modo … niente. La guardavo e basta. E sentivo che qualcosa stava per venire giù anche dai miei occhi, perché mi sentivo pizzicare proprio lì, alla coda dell’occhio. Come faceva a dire che non fosse colpa mia se lei adesso stava esplodendo così? Se io non le avessi chiesto niente, lei sarebbe stata bene, ancora. Ci avrebbe scritto una canzone, e tutto sarebbe passato. Invece no. Io l’avevo costretta a tirarlo fuori. Quando lei non voleva. Quando lei non era pronta. Quando lei sapeva che questa cosa l’avrebbe affogata, sotterrata e distrutta. Ma adesso basta, non avrei permesso che si faccia del male ancora.
- Sai che Red non è piaciuto così tanto come sembra? Leggo i commenti dei miei fans. Sto cominciando a perdere anche loro - aggiunse, mentre facevo queste riflessioni. - Non hanno più fiducia in me. Dicono che sono cambiata, che non sono più la stessa. Se perdo anche loro, la mia famiglia, il motivo per cui sono qui, io...
Adesso era veramente troppo. Mi scossi dalla mia immobilità, che sembrava perenne, e mi alzai in piedi … lei mi dava le spalle adesso, voltata verso la tribuna, con le braccia strette intorno al corpo, urlando quanto tutto questo l'avesse ferita in questi ultimi mesi, quanto avesse tentato di tenersi tutto dentro perché non ne valeva la pena, perché erano solo capricci da star e sarebbe passato tutto, quanto lei non fosse più riuscita a vivere bene con la sua scrittura e come avesse paura che questa sarebbe stata la sua vita da ora in poi. Non si era accorta minimamente del fatto che mi ero alzato da terra e che adesso ero lì, dietro di lei.
Mentre ancora stava urlando, nel tentativo di buttare fuori tutto quel male, la presi per le spalle, la voltai e la abbracciai, come avevo fatto quella sera, mesi prima, quando da solo ero partito in aereo, in piena notte, per raggiungerla a casa sua, a Los Angeles. E anche questa volta lei si irrigidì sotto la mia presa, ma almeno aveva smesso di parlare … di urlare quelle cose, che la stavano uccidendo. Ma io non mollai. Oh no, non ti lascerò qui da sola a macerarti l’anima.

- Andrà tutto bene. – le sussurrai all’orecchio, e questa semplice frase bastò per scuoterla da quella immobilità disarmante. Ricambiò la mia stretta, forte come quella che provai a darle cercando di non romperla … sembra così facile farlo quando è in queste condizioni. Le sue braccia si incrociarono dietro al mio collo e la sentii piangere, di nuovo, come quella sera a Los Angeles, quando tutto quel veleno gratuito lanciatole addosso la stava soffocando.
- Sai cosa c’è di bello in Gran Bretagna? – continuai io. Dovevo distrarla, farla smettere di piangere. Non sopportavo quel suono, mi sentivo come se mi stesse spezzando il cuore. – Brighton. Non ci sono mai stato, eppure è una vita che ci vivo. Credo proprio che ti porterò a fare un giro da quelle parti finito il tour, ti va? – le mormorai, accarezzandole dolcemente i capelli. Le ultime parole mi si strozzarono in gola, non ce la facevo davvero a vederla così, era come se mi uccidesse. E poi, non rispondeva. E se avesse cambiato idea?
- E allora Brighton sia, Eddy Rosso. – mi rispose lei, la testa affossata nella mia spalla destra. Si strinse a me come un bambino al suo giocattolo, come un marinaio al salvagente che è la sua unica speranza di salvezza.
- Poi potremmo fare un giro per la Amber Road, che dici? Ti va di girare l’Europa in maniera non schizofrenica? Magari ci compriamo una casetta in Belgio e ci mettiamo a coltivare barbabietole! – scherzai, stringendola a mia volta. Ok, forse avevo esagerato. Lei però sembrava averla presa bene, perché ridacchiò, sempre affossata nella mia spalla destra.
- Ti dimentichi che sono una donna impegnata, Eddy Rosso, ho un’altra parte del tour da preparare.
-Vabbeh, puoi sempre farlo dalla nostra casetta in Belgio. – buttai lì. E fu qui che lei cominciò a ridere veramente, come suo solito. Allora capii che era passata, che stava meglio, e che il merito era mio. C'ero riuscito un'altra volta.
- Sei veramente, ma veramente scemo.
- Ehi bellona, sei tu quella con un vestito da principessa, non io!
- Ma io poffo, tu no. – borbottò, allontanandosi per guardarmi in faccia, senza però smettere di abbracciarmi. Mi sorrise, il viso rigato di trucco e lacrime. Era strano che mi sembrasse bellissima anche così? Ed ecco, l’aveva fatto di nuovo: l’ispirazione. C’entrava lei, come sempre.

Everything will brighten up,
if we got to Brighton I’ll take you along the pier.
Everything will lighten up,
If you feel too frightened I'll make it disappear;
darling don't be nervous
I'll understand if you let me go.

 

Non chiedetemi niente. So solo che le parole andavano così. In questo esatto ordine. Non sapevo se fosse un bridge, un ritornello o una semplice strofa, ma solo che c’era, faceva parte di quella canzone, e andava all’inizio. Stava finalmente cominciando ad assumere un senso, a diventare qualcosa di più che un'idea malsana e confusa nella mia testa. Ed ero sicuro di un'altra cosa, anche: era per Taylor. Tutta quanta, al cento per cento per Taylor. E per quel sorriso che non volevo più veder sparire in quel modo dalle sue labbra. La strinsi ancora più forte, per essere sicuro che non sguisciasse via come un’anguilla dopo aver sentito quello che mi stava per uscire di bocca.
- Ti voglio un bene dell'anima, Taylor. Sei una delle persone più importanti della mia vita. Lo sai questo vero? Non voglio più sentirti dire quelle cose. Ok? Mai più - mormorai, allontanandola di nuovo per poterla guardare in faccia. Volevo che fissasse bene quelle parole nella sua testa. Com'era riuscita a fissarsi quelle cavolate prima.
- Anche io ti voglio bene, Ed! - esclamò ridendo. Un guizzo, qualcosa di diverso passò nei suoi occhi. - Più di quanto immagini.
- Bene, questo - affermai, sfiorandole le labbra con l'indice. - Non voglio più vederlo sparire. Intesi?
Annuì. Eravamo ancora abbracciati. Ultimamente sembrava che non potessimo fare a meno di toccarci. - Intesi, Eddy Rosso.
Le sorrisi di rimando. Lei non si allontanò, né slacciò le braccia dal mio collo, e io non osavo muovere le mani dai suoi fianchi. Mi fissava sorridendo, il viso sporco di trucco e gli occhi luminosi, finalmente. Sembrava quasi drogata. Mmm, magari lo era. La osservai a mia volta, cercando di imitare il suo sguardo, e mi ritrovai a soffermarmi sulle sue labbra. Di nuovo. Avevo una specie di fissa per la sua bocca, a quanto pare. Quando l'avevo sfiorata, prima, le avevo portato via il suo solito rossetto rosso, e adesso erano del loro colore naturale, un rosa chiaro ma allo stesso tempo intenso. Mi piaceva molto di più senza rossetto. Sapevo che lo metteva per richiamare l'attenzione sul suo album, ma ero convinto che la invecchiasse troppo. Era giovane, aveva solo ventitré anni. Ed era bellissima anche senza trucco.
Perso com'ero nelle mie riflessioni sulle labbra di Taylor Swift, non mi ero accorto che lei si era riavvicinata, stringendosi nuovamente a me. Quando alzai lo sguardo, me la ritrovai a un palmo dal naso, il che mi spaventò e mi fece venire le palpitazioni allo stesso tempo. Ehi, fermi tutti, un secondo, stop. Cosa mi ero perso? Qualcuno che mette in rewind, per favore? Taylor mi stava ancora fissando, ma più seria. Non seria come prima, ma nemmeno Taylor seria. Aveva una luce strana negli occhi. Arrossii, non eravamo mai stati così vicini. O forse sì? Quando mi era caduta addosso, un mese prima?
“Ma cosa te ne importa?! Ce l'hai a tre centimetri, baciala, cretino” esclamò Coscienza dentro di me. No, aspettate, COSA?! “Ba-cia-la. Sai, quella cosa in cui si toccano le labbra, e poi succede un sacco di altra roba che implica saliva, lingua ed altre cose disgustose” continuò lei tranquilla. “Ma che diamine stai dicendo?” le urlai contro. “Perché, non è quello che vuoi, Eddy Caso Perso?”
Era quello che volevo? Ma che diamine! Mi stavo davvero facendo condizionare da una presenza inesistente dentro la mia testa? Evidentemente sì, visto che mi ritrovai ad inclinare leggermente la testa da una parte e ad avvicinare Taylor a me. Lei non si irrigidì, come mi aspettavo. Fece un altro passo avanti, con naturalezza, e adesso i nostri corpi erano praticamente appiccicati. La osservai per un secondo. Aveva gli occhi chiusi e sembrava addormentata, ma la sentivo benissimo respirare affannosamente contro di me. Chiusi gli occhi anche io e mi avvicinai un altro po'. Il mio naso sfiorò il suo, e lei sospirò e sussultò.
“MA CHE MINCHIA STO FACENDO” gridai a me stesso, allontanando di scatto la mia migliore amica, rosso come un peperone e con una voglia assurda di sotterrarmi minimo quattrocento chilometri sotto terra. “Cosa fai cosa fai cosa fai Ed, hai completamente perso il cervello?! E' la tua migliore amica! La tua fottuta migliore amica!” mi rimproverai. Mi scrollai le braccia di Taylor di dosso. Oddio, dovevo nascondermi. Scappare. Danno asilo politico ai rossi in Siberia?
Taylor, dal canto suo, non era messa meglio di me. Si era irrigidita, come pensavo avrebbe fatto prima, ed era rossa quasi al pari mio. Continuava a deglutire e a borbottare qualcosa, mentre si spostava i capelli su una spalla ed iniziava a giocherellarci.
- Sì, beh, ehm. Sarà meglio tornare in hotel, che dici? - esclamò. Io mi ero messo nuovamente a sedere sul palchetto, con la testa tra le mani nel vano tentativo di far rallentare il battito del mio cuore, senza riuscirci. Che diamine stavo per fare, stavo per baciare la mia migliore amica. L'unica persona a cui io tenga veramente in questo momento, che non posso permettermi di perdere.
“E lei ce stava pure, è quello il bello” aggiunse, simpatica come sempre, la mia cara amica inconsistente. “Naaah, Ed, non ci siamo. Sei arrugginito su queste cose”.
- Sì, torniamo in hotel. Sono sfinito - sbottai, alzandomi di scatto. Chiusi Coscienza a chiave in un angolo di me, sperando che non si intromettesse più nei miei pensieri. Era tutta colpa sua. Avevo rischiato di fare un casino, un dannato casino, per una voce nella mia testa.
“Eddy Caso Perso, io non esisto, l'hai dimenticato? Non puoi darmi la colpa” affermò. Prima di sparire, di nuovo.

 

- Bene, quindi, io andrei a letto - dissi a Taylor mentre lei apriva la porta della sua stanza ed entrava. Io mi fermai sulla soglia. Ero davvero sfinito ed avevo paura che, se fossi entrato, mi avrebbe obbligato a guardare qualche telefilm con lei. E poi mi sentivo ancora a disagio per quello che era successo allo stadio. O quello che non era successo.
Lei si voltò verso di me. Si era tolta il vestito da Love Story ed aveva messo su degli shorts ed una camicetta. - Ah, beh, sì, anche io. E' stato stancante stasera, vero?
- Già. Beh, buonanotte allora - sussurrai, chinandomi in avanti per darle un bacio sulla guancia. Ommiodio, sembravamo due estranei. Era imbarazzante.
Feci per andarmene, ma mentre pescavo le chiavi della mia stanza di hotel - che lei mi aveva finalmente riconsegnato - dalla tasca dei jeans, mi sentii afferrare per un polso. - Ed, posso chiederti una cosa, un po', ecco, strana?
Girai la testa di scatto e la guardai negli occhi. Era di nuovo seria, nello stesso modo di prima, sul palchetto, prima che succedesse il quasi-patatrack. - Beh, dipende quanto strana.
Mollò la presa e abbassò lo sguardo. - Beh, tra una settimana ci sono i Billboard Music Awards. Di solito mi accompagna Austin a queste cose, però lui quel giorno ha un impegno, e quindi mi chiedevo se... Non lo so...
Smisi di giocherellare con le chiavi - non mi ero accorto nemmeno di aver iniziato - e la fissai. Lei si stava strusciando un braccio con aria distratta.
- Sì, insomma. Ti andrebbe di essere il mio accompagnatore?

 

 

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Capitolo 7
*** Sette. ***




SETTE.

“Qualcosa di elegante Ed. Di elegante, distinto e signorile. Vedi di essere meno … Ed per una volta.” Ci mancava la voce squillante di una stupida presenza invisibile che mi martellava la testa per scegliere in santa pace un dannato abito, per un dannato award show, a cui avevo dannatatemente accettato di andare come accompagnatore.
Mi ero perso nel mio oceano di ROBA.
ROBA INUTILE.
Perché ho così tanta roba inutile?!
“Stai zitta, non sono cose che ti riguardano.” sbottai, mentre cercavo di avvitare intorno al mio collo una cravatta da abbinare a un’anonimissima t-shirt nera, jeans neri e converse blu scuro: tutte cose che avevo appena pescato da quello che era rimasto del mio armadio.
Mi guardai allo specchio cercando di assumere un aspetto perlomeno dignitoso, confidando che il silenzio che c’era nella mia testa rimanesse tale per un bel po’.
“Beh … devo migliorare con la cravatta ma per il resto …” non feci in tempo a finire il pensiero che ecco che si ripresentava, impertinente e boriosa come sempre. Ad interrompere le mie riflessioni, pensieri o qualsiasi altra cosa: “Sei l’antisesso conciato così.”
“Ti ho detto di stare zitta!”
“Ma dai Sheeran, GUARDATI! Sembri un barbone che ha appena rovistato tra l’immondizia di Steve Jobs!”. Sbuffai, chiudendo gli occhi. Ma cosa ne poteva sapere una presenza incosistente di come ci si veste per un award show?! Queste sono cose da esseri umani. Esseri umani in carne e ossa che parlano, camminano e respirano. Non sono cose da esserini fluttuanti che sbiadiscono all’improvviso.
Stavo per replicare in tono stizzito quando, aprendo gli occhi, per poco non mi prese un colpo vedendomi conciato in quel modo. Sembrava che l’armadio mi avesse vomitato addosso. E anche l’armadio, dal canto suo, mi guardava corrucciato e sembrava urlarmi con i suoi ammassi di legno “LEVATI QUELLA ROBA DI DOSSO! NON MI FAI ONORE!”.
“Per questa volta hai vinto tu. Ma solo per questa volta!” le intimai puntandole il dito contro. Cioè … glielo avrei puntato se fosse esistita veramamente, ma visto che NON ESISTEVA mi limitai a guardarmi in cagnesco nello specchio facendole arrivare la mia disapprovazione. Uno sguardo veramente carico di odio. Ma, ovviamente, non bastò a spezzarla una volta per tutte.
“Io sono nata per vincere, Eddy Rosso.” mi rispose lei con tono teatrale - e con un tono a coniglietta di Playboy - per poi dileguarsi dalla mia testa e lasciarvi uno strano, piacevole silenzio. Avrei dovuto farmi internare prima o poi, ne ero sicuro, ma nel frattempo decisi di godermi quel - sicuramente breve - attimo di pace, concedendomi un solo, piccolo, tremulo sorriso di libertà … per poi rimettermi a cercare tra l’ammasso di roba che avevo sul pavimento per trovare qualcosa di indossabile. Magliette, magliette, magliette e ancora magliette. Lunghe, corte, estive, invernali, monocromo, variopinte: magliette di ogni tipo.
Tutte rigorosamente ineleganti, inappropriate e immettibili.
E poi quattro jeans: uno blu, uno nero, uno blu scuro, uno nero fumo. “L’allegria, eh Ed?”. Eccola, di nuovo. La mia unica reazione fu ignorarla; mi avrebbe lasciato in pace prima o poi … o no? In ogni caso, non volevo pensarci: stavo cercando della roba da mettermi, ed era un’operazione decisamente più complicata del previsto. Ma ovviamente non avevo niente. Come tutte le dannate volte.
Non era stata una buona idea mettersi a cercare la roba per vestirsi … più o meno sei ore prima l’inizio dello show. Avrei dovuto fare come Taylor: cercare convulsamente in ogni negozio possibile qualcosa di bello, elegante e moderatamente sfarzoso da poter indossare per mostrare a tutti che ero onorato di partecipare a questa premiazione e non vedevo l’ora di andarci.
Ma non era vero. Io odio questi eventi. Sono pieni di gente, gente, gente e ancora gente.
E lucine colorate che ti accecano.
E giornalisti che ti assillano da tutte le parti.
E scalette e orari da rispettare.
E sudore, tanto sudore, perché in quegli studi televisivi c’è sempre un fottutissimo caldo, e io tutte le volte me ne torno in albergo sputando letteralmente acquiccia dai pori, stile cascate del Niagara.
Sì, avrei decisamente dovuto fare come Taylor, e forse, dico forse, non sarei apparso un completo, totale coglione accanto a lei, vestita con un abito blu, talmente elettrico da farla brillare, che poi, unito ai tacchi, l’avrebbe fatta sembrare ancora più alta, ancora più brillante e ancora più bella.
E io sarei apparso sempre di più il suo nano da giardino. “Grandioso!” esultai tristemente: se non fosse stato il giorno di uno show pubblico, probabilmente mi sarei ubriacato. Era decisamente un bel po’ che non prendevo una sbornia, e ne avevo una voglia colossale.
Mi buttai sul letto stile balena-che-mangia sperando che il cuscino potesse comunicarmi una qualche via per uscire da quel tipico cliché da donna, ovvero il tanto amato, premiato e gettonato “ODDIIIIIIIIIIIIIO!!!!!! NON HO NIENTE DA METTERMIIIIIIIIIIIIIII!!!!!!”.
La mia Becks, nel frattempo, mi guardava tentatrice da un’ora … era lì, semi aperta, che aspettava solo di essere stappata e ingerita. Mi ritrovai così a fissarla con sguardo implorante, un misto di cane bastonato e gattino adorante: “Ok amica mia, se io ti scolo tu mi dai una sola, fottutissima idea su cosa diavolo mettermi?” la interrogai mutamente nella mia testa, sperando che ricevesse il segnale, ma tutto ciò che ottenni fu uno sterile, vuoto silenzio. Ma lei non si era spostata di un centimetro, il che vuol dire che ci stava … giusto?
Sicuro della sua collaborazione, mi allungai molto goffamente arrivando a prendere la amata, adorata, agognata bottiglia di birra, stapparla e scolarmela. Ed ecco che arrivò, fulminea come sempre, lei: L’ILLUMINAZIONE. Arruffata lì, tra le mille magliette inutili, si sporgeva timida e innocente una camicia.
“Hai una camica Ed! Hai una fottuta camicia!” ecco Coscienza che mi spronava a compiere il grande atto. Era un segno. Mi rotolai giù dal letto e afferrai, grato, quell’unica, spiegazzata camicia che, non so per quale assurdo miracolo, mi ero portato dietro dall’altra parte del globo.
“Ebbene sì, HO UNA CAMICIA.” dissi a me stesso mentre mi alzavo in piedi, trionfante e gaudente.
Mi svestii, gettando con noncuranza la mia magliettaccia per terra, come avevo fatto per le precedenti DUE ORE, e mi infilai la camicia sopra gli stessi anonimissimi jeans neri. Sorrisi allo specchio, e anche un po’ a me stesso. Decisi senza batter ciglio che mi sarei messa quella. Sì, insieme a delle anonimissime scarpe da ginnastica, così sarei sembrato elegante, ma sobrio. Me. Più raffinato, ma sempre me.
Il mio senso dell’onore di uomo della foresta mi impedì di mettermi a saltellare come un bambino, così, per esprimere l’euforia, mi limitai a sorridere trionfante e orgoglioso.
“Ho una camicia, ho una camicia, ho una camic …” non riuscii a finire la mia sequela di ovazioni perché una presenza ignota si era intrufolata nella mia stanza nel bel mezzo del mio momento di gloria. La porta aveva cigolato, il che voleva dire che qualcuno era entrato nella mia povera camera da letto, dove l’unica arma vagamente contundente era … un plettro. Un semplicissimo plettro che potevo usare per … cavare un occhio? Un plettro può cavare un occhio? Avrei potuto anche farlo ingerire. Se lo avessi fatto, l’intruso si sarebbe strozzato … giusto? Il che lo rendeva un’arma contundente e quindi USABILE.
Appurato di essere ben difeso, mi acquattai dietro lo stipite dell’armadio, pronto a scattare al momento giusto: il plettro in mano pronto a essere lanciato stile fresbee per centrare in pieno la bocca dell’avversario - o qualsiasi altro punto del viso. La seconda parte del mio piano consisteva nello scappare a gambe levate urlando a più non posso sperando di essere salvato. Nella stanza, però, il silenzio regnava sovrano. Mi domandai se magari me la fossi sognata, quella porta cigolante … poi però sentii dei passi venire verso di me, e a quel punto capii di non essermi sognato proprio un accidente, c’era VERAMENTE della gente in camera mia! Mi appiattii ancora di più contro il muro e attesi il momento propizio per passare all’attacco frontale. L’ignota presenza intanto continuava a vagare indisturbata per la stanza fin quando non si avvicinò all’armadio e, percepito che si trovava accanto a me, balzai fuori dal mio rifugio stile tartaruga ninja e urlando a più non posso fondendo la fase uno e la fase due del mio piano in una sola. Il braccio intanto era teso, pronto a lanciare il proiettile, e i sensi bene all’erta. Aperti gli occhi per prendere la mira, ecco che me la ritrovai davanti, allibita. Lei, Taylor. Tutto quel trambusto e quell’ansia per … Taylor. Nel frattempo però non ero riuscito a trattenere un urlo di terrore misto a sollievo.
Solo dopo un po’ mi colpì la consapevolezza che mi aveva visto fare quelle mosse da deficiente e che probabilmente mi avrebbe preso in giro fino alla fine dei miei giorni e che io non avevo possibilità alcuna di sfuggire. POSSIBILITA’. ALCUNA. Lei, per tutto il tempo poi, non si era mossa di un centimetro. Era lì che mi fissava intontita come a dire “Che minchia sta facendo questo coglione?”. Mi trattenni da scavarmi la fossa e sotterrarmi: ecco un’altra perla di figure alla Ed. Dopo poco però si riprese dal suo trauma … più che riprendersi, si mosse: con mano tremante, infatti, indicò la mia camicia … quella bellissima, stupenda camicia che stavo rimirando con tanta fierezza allo specchio, prima che lei entrasse senza preavviso nella mia stanza, uno sguardo allibito negli occhi. Io la guardai interdetto, non l’aveva affatto colpita la mia scenata di prima? Stavo per chiederle se si sentisse bene quando lei, così, di punto in bianco, scoppiò a ridere. E quando dico RIDERE intendo vere e proprie risate isteriche con tanto di crollo sul pavimento. Io rimasi di sasso. Impietrito, là davanti. Non comprendevo se fossero per la scenata di prima o per la mia bellissima, innocente camicia. Aprii bocca, nuovamente per porre una domanda, e, pure sta volta, mi rimase ferma in gola, perché ci pensò lei a rispondermi, nel mezzo delle risate compulsive: - Ed – disse, cercando di non soffocare dalle risate e di ridarsi perlomeno un contegno da signorina – ma che diavolo ti sei messo?
Quel commento così di scherno mi colpì. Ma come, non era fiera del mio abbigliamento? Finalmente avevo trovato qualcosa di elegante in quell'ammasso di roba e lei lo denigrava così?
-Perché? Non ti piace la mia camicia? – le risponsi affranto. Ma evidentemente non abbastanza da farla smettere di ridere, perché lei, tra le lacrime, continuò il suo bel discorsetto.
- Ed ti prego, mettiti una maglietta. – disse indicando la cianfrusaglia confusa che c’era sul pavimento.
- Ma cos’ha che non va la mia camicia?! – le risposi, ancora più sensibilmente affranto: aveva distrutto la mia unica cosa certa per quella sera! Avevo faticato due ore e mezzo per trovare quell’unica cosa decente!
Per tutta risposta lei mi voltò, per farmi guardare allo specchio … dopo di che indicò la mia immagine riflessa e mi disse: - Prova a guardarti un solo momento, ti prego.
Io, bendisposto, mi guardai un solo momento, come lei voleva: e fu allora che capii. Preso com’ero dalla gioia di aver trovato UNA FOTTUTISSIMA CAMICIA, non avevo neanche perso tempo a guardarla: l’avevo messa e basta. E poi mi ero compiaciuto al solo pensiero di possederne una. Non avevo affatto notato che quella cosa avesse dei pois bianchi su sfondo nero. E per POIS intendo macchie informi e grandi come le chiazze delle mucche. Ed erano ovunque. Ovunque. Sembravo un clown. Ci mancava solo il fioccone multicolore e il naso rosso. Automaticamente mi venne da pensare al giorno prima, quando l’avevo accompagnata a ritirare il vestito.

- Perché è tutto così... rosa e fioccoso?! - le avevo chiesto, guardando con orrore un abitino rosa fucsia che era posizionato accanto allo sgabello su cui mi ero accomodato mentre la mia amica si provava l'abito.
La sua risata mi giunse da dentro il camerino. - Perché è un negozio di abiti da cerimonia?
- Non credo che un uomo si vesta di rosa e con i fiocchi - osservai, squadrando un altro vestitino pacchianissimo posizionato più in là. Speravo che Taylor non avesse scelto niente del genere. Era passata a scegliere il vestito qualche settimana prima, insieme a Selena, ma avevano dovuto cucirne uno apposta per lei. Così mi aveva chiesto di andare con lei alla prova finale.
- Magari trovi qualcosa anche tu! - aveva detto.
Ne dubitavo fortemente.
- Quanto ci metti? - le domandai scocciato. Erano ore che era chiusa in quel camerino.
- E' che... non lo so. Sembra strano.
- Fammi vedere, no? Ci sono scollature vertiginose? Magari qualcosa alla Lady Gaga? Un abito fatto di gattini? – scherzai, anche se conoscendola qualcosa coi gatti avrebbe tirato fuori di sicuro. Non feci in tempo ad elaborarmi un’immagine mentale che lei aprì la tendina del camerino e io rimasi lì, inerme, a fissarla intontito. Sbarrai gli occhi come un bambino di fronte ad un cesto pieno di barrette di cioccolata. Lei avanzò esitante, continuando a guardarsi indietro. Fece una mezza giravolta e quindi un sorriso timido. Io non riuscivo a levarle gli occhi di dosso. Il vestito le fasciava le forme, più pronunciate da quando aveva iniziato a dimagrire per via del tour. Le stava d'incanto.
- Quando l'ho visto l'altra volta ho pensato che fosse adatto: audace ma sobrio al punto giusto. Però adesso non mi convince. Che ne pensi? - mi domandò esitante.
“Penso che tu sia meravigliosa” era quello che avrei voluto dirle.
- Stai tranquilla, va benissimo - fu quello che mi uscì di bocca.
Non so perché ma avevo paura che a esprimere pienamente la mia approvazione per quel vestito mi avrebbe reso in qualche modo più … distante? … da lei. Qualcosa di più vicino a un ammiratore che a un migliore amico, non se mi spiego. E gli eventi degli ultimi mesi ci avevano già creato troppi problemi.

Fatto sta che al “risveglio” da questo flashback, quel poco che mi era rimasto dell’euforia da camicia sbiadì e mi ritrovai a fissarmi nello specchio, mogio mogio.
- Dici che è meglio una maglietta? – le chiesi, a metà tra l’esausto e l’amareggiato.
- Direi di sì Ed. Direi proprio di sì! – mi rispose lei, ancora intenta ad asciugarsi le lacrime della risata precedente. Era vestita in tenuta da casa, ovvero maglia larga, pantaloni corti larghi, pantofole, niente trucco e chignon sfatto, tenuto su da un laccino. L’unica cosa che tradiva il fatto che stasera sarebbe andata ad un award show era lo smalto. Niente di esagerato, solo un semplice rosa confetto: d’altraparte aveva catalizzato tutta l’attenzione sul vestito, quella meraviglia color blu elettrico.
- Ok, di che colore? Vuoi che mi intoni a te? - scherzai. Pescai una t-shirt azzurra dal mucchio. - Stranamente ho magliette in ogni gradiazione possibile del blu.
Lei mi osservò per un secondo. Si era messa seduta sul mio letto, in mezzo alla mia roba, a gambe incrociate, e mi guardava preoccupata. - Ed, senti. Mi sembra di farti uno spregio a farti venire con me, stasera.
Mi voltai verso di lei. - Io ci vengo volentieri, Tay. Non ti preoccupare. Se ti ho detto di sì ci sarà un motivo, no?
- E' che ti stai impegnando tanto... Insomma, ti sei messo una camicia. Tu. Una camicia - scherzò, facendo una smorfia. - Beh, per quanto orribile. Il punto è che fai sempre così tanto per me. Hai attraversato mezzo mondo per venirmi a consolare. Mi supporti nei momenti di crisi. Ti offri di essere il mio accompagnatore ad un Award Show. E a me sembra di non fare niente per te, in cambio. A parte terrorizzarti portandoti sulle montagne russe.
La fissavo sorpreso, leggermente intontito dalla birra, e probabilmente anche a bocca aperta. Ma da quando era diventata così insicura? Sembrava che la crisi dei giorni scorsi l'avesse buttata più giù del previsto.
Avrei voluto dire “non è vero, Taylor, tu nemmeno lo sai, ma mi stai aiutando a scrivere una canzone” ma non potevo, perché mi ero ripromesso di non dirle niente finché non fossi riuscito a cavare un ragno dal buco.
- Taylor, odio quando fai questi discorsi - sbottai. - Sei una donna in carriera, hai un patrimonio intero da portare avanti, un impero di fans pronti a buttarsi ai tuoi piedi, e sei sempre così insicura. Non ti capisco. Tu fai così tanto per me anche solo essendomi amica. Mi hai dato l'opportunità di venire in tour con te, di suonare con te, e questo credo basti a ripagare tutto.
Non sembrava affatto convinta delle mie parole.
- Cosa c'è che non va? Ancora la cosa della scorsa volta? - le chiesi. Poi, ripensando alla mia domanda, arrossii. Senza volerlo, sembrava le stessi chiedendo del nostro quasi bacio. O quella era l'impressione. Evidentemente lo pensò anche lei, perché le sue guance si imporporarono esattamente come le mie.
- No, no, Ed. Sto solo rivalutando certi miei parametri - disse. Di nuovo, non la capii. Mi dovevo arrendere al fatto che non mi era più così facile entrare nella sua testa. Era cambiato qualcosa, nell'ultimo mese, per quanto cercassimo di negarlo. Ancora, però, non sapevo se in bene o in male.
“Io direi in bene. Vi siete quasi baciati. Smack smack. Eddy e Taylor seduti sotto un pino, si danno un bacino...” cantinelò quell'impertinente di Coscienza. Si può detestare ardentemente qualcosa che non esiste? Evidentemente sì. “Ricorda che io vi shippo. Oh, ma ancora non ti ho detto il nomignolo che vi ho dato! Lo vuoi sapere, Ed? Eh? Eh?”
Magari sparandomi un colpo di pistola dritto in testa sarei riuscito a zittirla.
Taylor intanto, aveva ripreso a torcersi le mani, come quella sera. - Beh, allora, cosa ti metti? - domandò, d'un tratto, rianimandosi. Si guardò intorno, adocchiando un maglione blu scuro. - Che ne pensi di questo?
- Beh, non saprei - esitai. Sicuramente tutto era meglio di quella camicia a pois. - Non sarò troppo sciatto? Uffa, Taylor. Tu sei vestita come una diva di Hollywood ed io sembrerò il tuo paggetto porta valigie.
- Uh, che carino, ne ho sempre voluto uno! - esclamò, scoppiando a ridere. Le lanciai un'occhiataccia. - Ed, è ok. E' per questo che ti ho chiesto se non ti pesava accompagnarmi. Non importa come sei vestito, okay? A me basta che tu sia accanto a me - ammise, senza guardarmi. - Mi fai sentire... Più sicura di me, ecco. Nel caso qualcuno faccia qualche battuta o lanci qualche frecciatina. So che tu mi difenderai, e che sarai dalla mia parte, di nuovo.
Rimasi scioccato dalle sue parole. Probabilmente ero sempre sotto l'effetto dell'alcol, ma rimasi comunque scioccato. Non riuscii a replicare. Né con una battuta ad effetto, né con un commento sarcastico, niente. Mi limitai a fissarla, incapace di trovare le parole giuste. Mi succedeva troppo spesso, ultimamente.
“Taylor, ma che stiamo combinando?”
Non ricevendo alcuna risposta, lei si alzò e mi diede una lieve stretta. - Beh, sarà ora che mi vada a preparare, e tu devi cambiarti, no? Ci vediamo più tardi. E ti prego, butta quella camicia. – chissà come mai, me l’aspettavo un’affermazione del genere. Almeno non avevo perso la prontezza di captare le sue battute.
-Sì sergente Swift! Ai suoi ordini, sergente Swift! – sbottai platealmente, con tanto di saluto militare incorporato. Lei rimase molto soddisfatta della mia performance e, per dimostrarlo, si lisciò la maglia. Poi, con il mento alto, annuì in segno di approvazione, dopo di che aprì la porta e se ne andò, lasciandomi lì, da solo, a destreggiarmi nel disastro confuso e indistinto delle mie magliette. Sembrava fosse esplosa una bomba nel mio armadio.
Non sopravviverò a questo award show” fu l’unica cosa che riuscii a pensare.

Passata mezz’ora, avevo trovato qualcosa di vagamente accettabile: maglia blu, jeans neri e scarpe enormi nere. Era il massimo dell’eleganza che potevo permettermi. Coscienza criticò, come al solito, ma io la ignorai: TUTTO ERA MEGLIO DI QUELLA CAMICIA.
Bussai alla porta della camera di Taylor per sapere se fosse pronta, anche se onestamente ne dubitavo.
- Ed? – stavo per rispondere, ma lei continuò - Senti, la macchina è già arrivata, io qui ho quasi fatto. Se non ti va di aspettarmi possiamo arrivare separati, tanto sono famosa per arrivare in ritardo - fece la voce di Taylor da dietro la porta. Cinque secondi dopo si aprì, rivelandola tutta messa in tiro: come facesse a dire che non fosse pronta ancora non lo so. Credo che in quello stesso istante la mia mascella sia rotolata via da qualche parte, non era umana. Non era affatto umana. Indossava un vestito blu elettrico, corto; le arrivava appena sotto la coscia, scoprendole le gambe lunghe e perfette. Il motivo era strano, ma stranamente le stava da Dio. Il colore intenso si accordava come una nota ai suoi occhi, illuminati da un trucco leggero ma deciso. Non c'era traccia del suo rossetto rosso, e neanche di molti gioielli, a parte un paio di orecchini a forma di gatto - ma vah? - con dei cristalli incastonati e un anello alla mano destra. I tacchi erano vertiginosi: sandali, di un blu più scuro del vestito. Come faceva a starci anche solo in piedi? Oddio, io sarei davvero sembrato un nanetto da giardino accanto a lei. Aveva anche stirato perfettamente i capelli, che ora le ricadevano lungo le spalle come cascate dorate.
Era bellissima. Era radiosa, splendeva come una stella nel cielo notturno.
Cosa diamine ci facevo io, sciatto e confuso, accanto ad un essere del genere? Improvvisamente non ero più così sicuro di essere pronto. In quello stesso istante lei mi guardò e captò la mia incertezza, ma non so se riuscì a vedere anche la mia venerazione.
- Deduco che tu non sia pronto - scherzò, ridacchiando. Si mosse agile su quei trampoli e si avvicinò a me, e io improvvisamente mi resi conto di avere di fronte a me un gigante truccato e ingioiellato. Mi passò alla mente, come un film, il probabile titolo di qualche articolo su internet di domani: Taylor Swift fa incetta di premi al Billoboard Music Awards accompagnata dal suo paggetto porta valige … ah no, è Ed Sheeran.
- No. – risposi - Qualsiasi cosa mi metta, sfigurerò accanto a te. Faccio prima a venire in mutande.
Lei rise di gusto. - Te l'avevo detto di cercare qualcosa al negozio dove abbiamo preso questo - osservò, facendo un piccolo inchino.
“Eddy Caso Perso, attento, stai sbavando” mi avvisò Coscienza. Scossi la testa. La birra mi aveva dato al cervello in fretta … da quant’è che non reggevo neanche una bottiglia? La mia astinenza mi aveva prosciugato la forza.
- Quando mai ti ascolto, io? - balbettai, cercando di riprendermi. Nel frattempo, lei rientrò in camera, probabilmente per prendere qualcosa, ma si fermò davanti allo specchio. Si guardò un secondo e fece una smorfia.
- Che c'è? - le chiesi stupefatto. Non credevo che potesse trovarsi dei difetti abbigliata così.
- Questi capelli. Non so... Non mi convincono - ammise, lisciandosi la frangetta con due dita. - Uff. Certe volte mi pento di averli tagliati.
- Stai benissimo, Tay - la rassicurai, trattenendomi dal dirle che era bellissima. - Non ti preoccupare. Sai che a me piaci così. – E questa da dove mi era uscita? Mi incavai nelle spalle sperando di non far trapelare l’imbarazzo, ma lei, stranamente, non reagì come mi aspettavo.
- Mah … non lo so, Eddy Rosso - sbottò, lasciandosi cadere sul letto.
Mi sedetti accanto a lei e la guardai mentre cercava di sistemare la sua criniera bionda.
- E' che... A volte mi sento come se non riuscissi a mettermi d'accordo con la vera me stessa. Capisci cosa intendo? - chiese, alzando lo sguardo verso di me. - Questi capelli... i capelli stirati... li tenevo al liceo, perché mi faceva sentire strana averli ricci. Ed ora con questo nuovo stile, mi sento come se stessi cercando di nascondere chi sono veramente. Di nuovo.
- Taylor, non dire cavolate. Un taglio di capelli non cambia una persona - la rassicurai, stringendole le spalle con un braccio. Lei appoggiò la testa sulla mia spalla. - Te lo ripeto, stai benissimo. Sarai la stella più splendente, stasera. Non ti preoccupare. – anche perché dubitavo sul serio che fosse possibile superarla.
Lei allungò le braccia e mi strinse. - Grazie, Ed. - rimasi di sasso, ma fortunamente mi ripresi in fretta.
- E di cosa. – risposi contraccambiando.
- Di stare sempre dalla mia parte, anche quando non ci sto io.
- Sono qui apposta, no? - scherzai, ridendo. Lei alzò la testa e sorrise. Io la osservai per qualche secondo. Qualche ciuffo le ricadeva sul viso, coprendolo.
- Sai cosa potresti fare? - le dissi, spostandole quei ciuffi via dal vio e ispirato all’improvviso da non so che cosa. - Legarli. Ti cadono sul viso, invece dovresti tenerlo scoperto.
Lei mi fissò per qualche secondo. Poi si alzò, si squadrò di nuovo allo specchio e provò a tirare i capelli indietro. Poi si voltò di nuovo verso di me e mi sorrise interrogativa.
- Molto meglio - assentii, annuendo.
Li lasciò ricadere all'indietro e poi si chinò su di me, per abbracciarmi e darmi un bacio sulla guancia. - Grazie di nuovo.
SSSSSSSSSSSSSMACK!!” eccola, era tornata.
Oh! Piantala!” le urlai acido. E lei, stranamente, si zittì.


Alla fine, non so come, fui io il primo ad arrivare all'evento, separato da Taylor. Ero tornato in camera per cambiarmi, di nuovo, ma alla fine mi ero lasciato quelle cose: tanto sarei sembrato inadatto lo stesso, qualsiasi cosa mi fossi messo. Ero poi sceso nella hall e l’avevo aspettata per un po', ma non mi aveva raggiunto. Avevo provato la tentazione di andarle a bussare, ma poi mi era arrivato un suo messaggio: “Ho avuto un intoppo col vestito. Ci vediamo là, T.
E così adesso mi ritrovavo da solo, vestito con il mio maglione ed i miei jeans e le mie scarpe da ginnastica, su un cavolo di tappeto rosso - che poi era blu - a posare per le foto e a rispondere alle domande dei giornalisti. Prima di uscire mi ero scolato un'altra birra, tanto per darmi forza, e ora dovevo sembrare strafatto da fare schifo. Beh, io almeno mi sentivo più leggero. Riuscivo stranamente a destreggiarmi nel marasma di fotografi flescianti e giornalisti-metti-ansia: rispondevo a monosillabi e sorridevo quanto potevo. Le loro domande erano sempre le stesse, non cambiavano mai: sempre lì, pronti a scavare per trovare qualche crepetta da ingigantire o strapparti di bocca una news che non potevi rivelare. Il mio stile di risposta quel giorno comprendeva il “Sì”, il “No” e il classicissimo e gettonatissimo “Ahahah”. Non credo di essermi spinto più in là, onestamente. Passavo di microfono in microfono senza nemmeno accorgermene. Ma il tempo passava e Taylor ancora non si vedeva. Mi stavo preoccupando, dove era finita? Stava bene?
Le stavo per mandare un messaggio quando venni chiamato per l'ennesima intervista. Questa volta sbuffando, mi avvicinai alla sorridente giornalista e al cameraman che la seguiva come un cagnolino. Ficcai le mani in tasca e risposi alle solite, noiose, domande. Certo che avevano un'originalità da Oscar.
Proprio mentre mi perdevo in questo pensiero, la ragazza esclamò: - Un'ultima domanda, Ed: stasera sei l'accompagnatore di Taylor Swift, giusto? Siete grandissimi amici, grandissimi artisti e siete in tour insieme da ben due mesi. Ma ora dimmi, non è un po' come se fosse un appuntamento, questo?

Ma che diavolo di domanda è. Di fronte ad una sfacciataggine tale, l'unica reazione che riuscii ad avere, nelle condizioni in cui ero, fu di arrossire pesantemente.
Un appuntamento? Non l'ho mai pensato così. Siamo amici, Taylor mi ha chiesto di accompagnarla al posto di suo fratello che aveva un impegno, ed io ho accettato perché le voglio bene e la rispetto. Questo era quello che sarebbe dovuto uscirmi dalla bocca: una risposta sicura, diretta quasi quanto la domanda. Quella che tutti si sarebbero aspettati. Ma, messo davanti a quelle parole, in questo modo così rude, la mia testa si perse. E non so, di preciso, quanto possa essere stata colpa della birra. Tanto per facilitare la situazione, arrivò Coscienza con le sue congetture: “Hey Eddyno, vorrei ricordarti una cosa: hai presente il giorno in cui per poco non la baciavi? È lo stesso in cui ti ha chiesto di accompagnarla. Io due calcolini me li farei.” Detto questo, senza neanche darmi il tempo di formulare un penserio appropriatamente ingiurioso, se ne andò, lasciando un imbarazzate e vacuo vuoto nella mia povera testa stordita. Ma dovevo rispondere, la giornalista cominciava a guardarmi in modo strano. “Forza Ed, tira fuori qualcosa di sensato” mi spronai. Ma l'unica cosa che riuscii a fare fu alzare le spalle, sorridere imbarazzato e rispondere con un timido – Nah.
Nello stesso momento una luce a neon lampeggiò nella mia testa: diceva “IDIOTA”.
Tanto per confermare la teoria, la giornalista scoppiò a ridere. - Ok, ok, fingiamo di crederci. – e si dileguò con il suo fedele amico cameraman.
Era finita? Era davvero finita? Speravo di sì. Avrei voluto sotterrarmi sotto metri e metri di terra. Ma che risposta del cavolo era quella? Che diamine stavo combinando? Forse bere quelle birre non era stata una buona idea.
Ma fu proprio in quel momento che arrivò la mia salvezza, sottoforma di donna con le gambe infinite strette in un abitino blu. Scendendo dalla sua auto, Taylor attirò automaticamente l'attenzione di tutti i giornalisti. Era in ritardo, come al solito. Aveva legato i capelli come le avevo consigliato, e ciò mi rese stranamente felice. Al contrario di me, lei mi ascoltava sempre.
Posò per le foto come una vera diva, posando le mani sui fianchi e assumendo le posizioni giuste. Probabilmente stavo sbavando di nuovo. Perchè doveva essere così dannatamente... strepitosa?
Eluse le domande dei giornalisti più in fretta di quanto avrei fatto io nei migliori dei mie sogni, posò per altre foto e sorrise nei momenti giusti. Era davvero una stella, una stella splendente, e arrivando in ritardo aveva fatto davvero un'entrata di scena. Notai che ogni tanto si guardava intorno preoccupata, probabilmente mi stava cercando, perciò mi decisi ad uscire dal mio nascondiglio. Proprio in quel momento il suo sguardo si posò su di me, perciò accennai un sorriso ed un gesto con la mano.
Avreste dovuto essere lì, vi giuro. Essere lì e vedere la sua reazione quando incrociò il mio sguardo. Perchè fu una cosa straordinaria, che non dimenticherò tanto facilmente. I suoi occhi si illuminarono, brillando di luce propria, e la sua bocca si piegò in un sorriso spontaneo e bellissimo, che mi fece sobbalzare il cuore. Liquidò i giornalisti con una nonchalance degna di nota e marciò agile verso di me, nonostante i trampoli su cui si reggeva. Mi buttò le braccia al collo come se non ci vedessimo da tre mesi, e non da poco più di un'ora. Con sollievo, notai che alla fine non era molto più alta di me; le mie scarpe dovevano avere un rialzo o qualcosa del genere. Forse non sarei sembrato un nano da giardino, almeno quella sera.
Affondò il viso nella mia spalla e strinse ancora di più le braccia intorno al mio collo. - Credevo che saresti scappato, sai?
Risi di fronte a quell'affermazione, ancora stordito dalla sua reazione di prima. - Te l'ho promesso, ricordi?
Eddy e Taylor seduti sotto un pino si danno un bel bacino...” ricominciò Coscienza nella mia testa. La ignorai.
Lei si staccò da me ed incrociò le dita alle mie. Era un mese che non lo faceva. Istintivamente arrossii. Per fortuna eravamo abbastanza appartati, e i giornalisti non potevano vederci. - Andiamo, Selena ci aspetta dentro.
Detto questo, strinse la presa sulla mia mano e mi trascinò via con sé.


Angolo Autrici
Buonasera cari lettori, e scusate per l'ora tarda! Ma questo capitolo ha preso più tempo del previsto, soprattutto perchè una delle due autrici (Liuba) ha avuto qualche problema. Ma adesso siamo qui ed è questo quello che conta :D
Questo capitolo serve più di collegamento tra quello prima e quello dopo, più importante, che racconterà la serata dei Billboard per intero (secondo la nostra opinione, ovvio!). Stiamo procedendo abbastanza spedite, e cerchiamo di seguire il più possibile la realtà. Già l'inserimento delle due canzoni che entrambi stanno scrivendo, Never Mind e Be Like You, che in realtà esistono già, va già un po' nel 'paradossale', perciò per il resto cerchiamo di essere abbastanza realiste u.u
Beh, che dire, speriamo che questo capitolo vi piaccia. A me (Liuba) personalmente sì. E QUELLA FOTO E' LA COSA PIU' SHJVAGCGGACSH DEL MONDO. Mi ricorda una citazione di Taylor, che dice 'Puoi vedere qualcuno illuminarsi quando è con la persona che ama' E SKNBHJJHAH. I MIEI BABIES.
Non vediamo l'ora che possiate leggere i prossimi capitoli, vi promettiamo che saranno da jkjavkhask.
A presto <3

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Capitolo 9
*** Otto. ***


otto.

OTTO.


Lo show cominciò con un frastuono allucinante di luci e rumori che durò per tipo … cinque minuti, per poi sfociare in un’esibizione fluorescente di Bruno Mars, con un’allegra compagnia di ballerini che gli “danzavano” intorno. Erano tutti rossi, e in quella confusione di luci, semplicemente SPLENDEVANO. Non so perché, ma mi dava tanto l’idea di una danza primordiale di qualche tribù del sud Africa.  Un “ma che diamine ci faccio qui” mi si formò automaticamente in testa. Tanto per cambiare, avevo già cominciato a sudare, a causa della gente e delle mie scarpacce invernali, inadatte per uno show a maggio. Taylor, accanto a me, sembrava pure divertirsi: muoveva la testa a ritmo e sorrideva. Davvero le piaceva quell'esibizione da circo? Fluttuavano palle da discoteca ovunque, riflettendo tutte quelle dannatissime lucine accecanti. Il tutto fuso a un gruppo indistinto di cantanti ballanti vestiti alla Jackson 5 che si estendeva accanto a Bruno, tutti vestiti di rosso. Rosso luminescente. Rabbrividii immaginando me stesso in quelle stesse condizioni, assediato da ballerini isterici. Probabilmente avrei dato di matto. Mentre ero tutto assorto a distruggere  mentalmente quella mini farsa, da qualche luogo indistinto dello studio furono eruttati coriandoli. Sì, coriandoli. Lunghi, colorati coriandoli che andarono a finirmi dritti in faccia e nei capelli. Questo fu veramente troppo per la mia povera anima, sembrava di stare al circo del paese.

“Ci manca solo il tizio che vaga tra le sedie vendendo popcorn”, ecco il mio acido commento.

“Senti Eddy, vedi di farla finita con queste lamentele assurde. E smettila di sembrare così dannatamente strafatto, non è un bello spettacolo.”, ed ecco che lei ricomparì, con questo suo commento molto indicato. Immancabile come sempre. La ignorai, per l’ennesima volta. Non avevo voglia di mettermi a discutere con esserini inesistenti quella sera, mi sentivo già abbastanza fuori luogo per conto mio. Come per darmi ragione, un fiume di applausi irruppe intorno a me … e io fui l’unico a rimanere lì, con le braccia lungo i fianchi, a guardarmi intorno nella speranza di trovare quacuno che ragionasse come me. Ma la mia ricerca fu vana. Alla fine, più per spirito di emulazione che per altro, detti due colpettini alla mano sinistra, per poi rificcarle lungo i fianchi. Evitavo di metterle in tasca, sarebbe stato davvero troppo, anche se la tentazione c'era.

Ma questa era solo l’intro, dopo poco, infatti, Tracy Morgan spuntò da un angolo del palco, per aprire ufficialmente i Billboard Music Awards 2013. “Ci mancava”, pensai acido. La sua comicità la trovavo spesso banale. Ma ovviamente tutta la sala già rideva per l’apparizione che aveva scelto di fare: ballerine vestite di rosa, e sottolineo che facevano uno stacchetto per introdurre la sua entrata in studio. Mi ritornò automaticamente in mente quel vestito orrendo che avevo criticato il giorno prima al negozio insieme a Taylor; la fattura in effetti era più o meno simile, solo che quello del negozio non aveva quella specie di cappello da cosacco rosa confetto da conficcare sopra la testa dello sciroccato che avesse osato accettare di indossarlo. Un sorrisino involontario si fece largo sulla mia faccia e mi voltai verso Taylor, per vedere se stava ripensando anche lei a quella specie di aborto che avevo largamente criticato mentre si cambiava in camerino. Di rimando, lei mi guardò quasi compiaciuta per poi assentire con la testa e ridacchiare, mentre sillabava piano “PERCHÉ È TUTTO COSÌ ROSA E FIOCCOSO?”. In catalessi com’ero, tutto quello che riuscii a fare fu un sorriso sbilenco e un altro mini applauso alla nuova farsa di quella sera. Una delle tante.

Il tuonante “BUONASERA BILLBOARD!” mi riportò sulla Terra. Le risate appena accennate di prima, traboccarono in un vero e proprio sfogo collettivo. Io mi limitai a fare “ahahah”, poi rimisi le mani lungo i fianchi e ritornai nel mio mondo di evasione. Non mi dedicai granché al suo discorso, che già sapevo essere pieno di scemenze, buttate lì per far ridere la gente a caso, ma appena spuntò fuori il nome di Taylor … messo accanto a quello di Kesha, nella lista delle cantanti più in voga della serata, mi prese un colpo. La mia faccia, fino ad allora quasi inflessibile, si spalancò in un evidente “MA CHE CAZZO.” Guardai la mia migliore amica, seduta accanto a me con le gambe accavallate, ma non sembrava minimamente scossa da quell'accostamento. Pareva che nessuno, nello studio ne avesse percepito l’assurdità come me, infatti la risata collettiva aumentò. Tracy se ne compiacque altamente, per poi lasciare spazio allo show vero e proprio, il tutto chiaramente accompagnato da una profusione di risate e applausi.

Shania Twain salì sul palco, per annunciare il vincitore del RAP ARTIST che si rivelò essere Nicki Minaj. La mia faccia si fossilizzò … la scritta “RIP RAP” si materializzò a caratteri cubitali nella mia testa: per una volta tanto la mia amichetta mentale aveva ragione. Povero, povero rap. La mia apatia stava seriamente raggiungendo il livello di saturazione. Cos'era che mi tratteneva dal fuggire a gambe levate, imboccando quella bella porticina in fondo alla sala?

- Ed, che succede? – la voce di Taylor mi riportò per un momento sul pianeta Terra. Ecco, cosa mi tratteneva. Si vedeva così tanto che mi sentivo dannatamente fuori luogo? Non sapevo cosa dirle, perciò inventai.

- Niente, Tay, sto solo cercando di non evaporare. Fa un caldo asfissiante, qua dentro. – dissi sventolandomi platealmente. Anche perché stavo veramente evaporando.

Lei mi guardò interrogativa, capiva che la situazione era strana per me. Tanto strana. Anche troppo strana. Non sono adatto a questo genere di cose, e cercavo veramente di non farglielo pesare … ma evidentemente non ero abbastanza bravo. Guardando la sua espressione triste, mi sentii immediatamente in colpa per il mio comportamento da imbecille; stavo lì a commentare acido ogni cosa senza godermi neanche per un momento l’opportunità che mi era stata data. Mi misi a sedere decentemente e le sorrisi, sperando che le arrivasse la mia, seppur flebile, partecipazione. Per tutta risposta, mi rivolse un sorriso incerto e continuò a guardare lo show.

Mentre la Minaj saliva sul palco, diedi una scrollata alle spalle nel tentativo di sciogliermi un po'. Devo dire che almeno per una volta non se ne uscì con qualche frase cretina delle sue. Il pubblico era entusiasta, ci fu addirittura una standing ovation, e pure Taylor applaudiva compiaciuta. Evidentemente, la sua vittoria era uno schiaffo in faccia solo per me, ma cercai di non farlo notare. Mi stampai in faccia un sorriso e applaudii voltandomi per guardare la mia amica, che conteporaneamente fece la stessa cosa verso di me. Fu un po’ strano, in effetti; per un attimo tutti e due stavamo per distogliere lo  sguardo in contemporanea, ma poi l’ilarità prevalse e scoppiammo a ridere continuando a battere le mani. Sembrava che fosse un normale concerto, solo io e lei … e non un formale evento televisivo.

Selena era seduta accato a Taylor, e proprio in quel momento si alzò per andare dietro le quinte e cambiarsi per la sua esibizione, immediatamente successiva alla consegna del primo award. Toccò  leggermente la spalla di Taylor per salutarla e le lanciò un’occhiata strana. Non so bene se strana sia l’aggettivo giusto, ma aveva sicuramente un che di segreto e eccitante che sarebbe stato veramente difficile non notare. Il mio sguardo si fece interrogativo, mentre Taylor arrossiva e la picchiava leggermente sul braccio. Lei si alzò ridacchiando e mi lanciò un’altra occhiata strana sibilando un “Ciao”, il tutto per ottenere come effetto una Taylor ancora più imbarazzata e un me ancora più intontito. Dopo di che girò sui tacchi - letteralmente - e se ne andò.

Noi due rimanemmo lì, io a guardare Taylor abbastanza interrogativo, lei impegnata a torturarsi l’orlo del vestito, come se di punto in bianco si fosse scucito. Stavo per chiederle a cosa fosse dovuto tutto quel forte imbarazzo quando tutto lo studio diventò buio di colpo. Pensavo che ci dovesse essere stato un conto circuito o qualcosa di simile, ma poi sentii cantare e realizzai che l’esibizione di Selena stava iniziando. Taylor si rianimò all’improvviso e si rimise a guardare il palco, estasiata e contenta per la sua migliore amica. Io invece rinunciai alle mie domande  e mi ributtai sulla poltroncina cercando di dare un senso alla mia venuta.

Mi costrinsi a stare composto e, giusto per fare un piacere a Taylor, mi misi a fissare con un minimo di  interesse il contenuto il palco. Era stato decorato con delle specie di tende, e lo sfondo era illuminato da un cerchio luminoso in stile Hollywood e c’erano molte ballerine. La canzone iniziò, e la brunetta avanzò cantando e ballando una specie di danza indiana, seguita a ruota dalle sue ballerine, vestita all’orientale. Tutta l'atmosfera aveva un che di orientale a dire il vero, cosa che a me sinceramente non diceva niente, ma che il resto del pubblico sembrava adorare. Lanciai uno sguardo a Taylor, che era in piedi, intenta a cantare, ad incintare l'amica e a ballare nel suo solito modo strano. Mi scappò un sorriso, era così buffa. Riportai lo sguardo sul palco. La performance durò ancora qualche minuto, e alla fine anche io mi ritrovai a scuotere la testa a ritmo, mio malgrado. Taylor mi lanciò un'occhiata e ridacchiò, ed io in tutta risposta le feci una linguaccia. Alla fine mi alzai in piedi ed applaudii educatamente. Non mi piaceva la musica di Selena, ma era comunque una bella persona. Taylor si stupì, e io le risposi scuotendo il petto e alzando il mento, come si confà al barone Von Edward Christpher Sheeran quale sono. La sua espressione si trasformò in un’altra risata istintiva, e io mi unii a lei. Forse accettare il suo invito non era stato solo una maledizione. Essere con lei alla fine rendeva tutto più sopportabile.

 

Prima che Taylor si esibisse, quella sera, passò un bel po’: fecero la loro apparizione alcuni cantanti, intervallati da uno spot per l’unica categoria in cui era ammesso il voto popolare, cioè il Milestone Award, e in cui era candidata anche lei. Teneva molto a quel premio, si vedeva, e quando passò lo spot era eccitatissima, tanto che mi guardò piena di gioia e mi indicò lo schermo saltellando dalla contentezza. Si divertiva. Si divertiva un mondo. E io non riuscivo proprio a starmene seduto lì a fare l’acido con lei che si scatenava. Le rivolsi un sorriso caloroso, sperando che capisse che ce la stavo mettendo veramente tutta per non sembrare uno stoccafisso, e credo che l’avesse capito perché fermò  il suo delirio momentaneo per guardarmi negli occhi e regalarmi un silenzioso “Grazie”. Dopo di che tornò a guardare lo show.

Avril Lavigne e Alyssa Milano lessero il nome del vincitore nella categoria Top Digital Song, che si rivelò essere quello di Carly Rae Jepsen. Dopo di che ci fu l’esibizione di una specie di duo rap di cui non ricordo neanche il nome, ma è ancora vivo in me lo shock puro che mi provocarono. Povero, povero, povero rap. Quella sera lo stavano proprio uccidendo. Rimasi poi ancora più sconvolto quando, pochi minuti dopo, quei due furono nominati vincitori nella categoria RAP SONG.

Ero ancora intontito da quella specie di trauma quando mi sentii toccare la gamba. Sussultai spaventato, ma una risatina familiare mi riportò sulla Terra: era Taylor che mi stava salutando perché doveva prepararsi per la sua esibizione, della quale aveva tassativamente voluto evitare di parlare. Io le sorrisi augurandole buona fortuna, e poi tornai a guardare il palco, dove quei due di prima si stavano scambiando frasi senza senso. A quel punto la scritta “RIP RAP” tornò a troneggiare nella mia mente. “Che strazio”, pensai.

Per grazia divina, il nuovo duo si dileguò quasi rapidamente, e sul palco salì Selena, che aveva il compito di annunciare l’esibizione di Taylor. Aveva scelto il portare 22, il nuovo singolo scelto appositamente per l’Europa. Molti l’avevano criticata per questo, e ricordo che quel giorno, quel famoso giorno in cui mi chiese di accompagnarla a questo show, mi parlò di quanto l’avesse infastidita questo fatto. Non mi aveva anticipato niente di quanto avesse intenzione di fare per questo numero, il che mi aveva fatto sospettare, fin da subito, che avesse in mente qualcosa: Taylor Swift è capacissima di prendersi una rivincita soltanto cantando una canzone, ed era una cosa che adoravo di lei. Riusciva sempre a difendersi usando la sua musica, anche quando era essa stessa l’oggetto dell’accusa. E fu mentre pensavo questo che lo studio si rabbuiò e iniziò  la performance. Una delle coriste si materializzò in scena, come dal nulla, e bussò al camerino di Taylor: “Signorina Swift, è ora di andare in scena!”. Poi la porta si aprì e rivelò Paul intento a suonare e Taylor che si rimirava allo specchio con fare annoiato, per poi prendere in mano il microfono, ovviamente rosso e scintillante, e saltare, girarsi e cantare, il tutto contemporaneamente, come c’è da aspettarsi da Taylor. Assistevo a tutto questo dal maxi schermo presente in studio, perché la perfomance era iniziata veramente dai camerini: non era una messa in scena buttata lì. Mi venne da sorridere, anche stavolta aveva superato tutti. Indossava degli shorts a vita alta neri, con dei grandi bottoni vicino ai fianchi, e una maglietta azzurra con un unicorno e una nuvola color arcobaleno che mandava riflessi a contatto con le luci di scena: sembrava ammiccare alle telecamente che la seguivano grazie a quella. Lei cantava estasiata, c’era felicità nella sua voce, voglia di riscattarsi, determinazione e un pizzico di velata ironia, cosa che allora non riuscii a cogliere. La vidi salire su un tavolo con dei finti manager in riunione, facendo finta di confondere le carte. E intanto i suoi occhi brillavano. Brillavano come se fosse ad un concerto e per tutta la vita non avesse fatto altro che quello. Si muoveva abile in mezzo a tutta quella gente esperta, e ammiccava a tutti per invitarli a cantare e ballare con lei. E non lo faceva solo grazie a quella nuvoletta variopinta! Erano i suoi occhi ad attirarti nel suo mondo, quello dove lei era capace di stritolarti il cuore in una morsa oppure di farti volare mille metri sopra il cielo solo cantando un innocuo “I don’t know about you, but I’m feeling twenty-two”. Era semplicemente mozzafiato. Si sedette su una sedia da ufficio con le ruote, poi si alzò altrettanto velocemente e passò in mezzo a un appendiabiti portatile che si trovava nel mezzo del corridoio per poi cominciare a correre verso le scale, il tutto seguita da una troupe di ballerini e le coriste. E senza smettere per un secondo di cantare. Arrivata in cima alle scale di uscita c’era un ragazzo in bicicletta che la aspettava, Taylor salì sopra di essa tenendosi a lui e continuando la canzone. Poi, insapettatamente, mi passò vicino, mi fece una piroetta davanti e mi sorrise con tanto di occhiolino. Fu una frazione di secondo, ma era come se un uragano mi avesse travolto in  pieno, stordito e poi ributtato nel posto in cui ero prima. Lei sinuosamente se ne andò e salì sul palco continuando a ballare e a cantare. Era radiosa quando saliva su quei palchi così grandi e sconfinati, non come me che mi sentivo sempre inadeguato là sopra. A me bastava solo la mia chitarra e il mio microfono, mi sentivo pacchiano e impacciato in mezzo a tanti fronzoli e lucette varie. Ma lei … lei era stupenda in qualunque modo. Che facesse un’esibizione solo chitarra e voce sul B-Stage, o che cantasse Love Story in un vestito da principessa, o che ballasse e cantasse scatenata 22 sull’enorme e sconfinato palco dei Billboard Music Awards 2013. Era perfetta. Si guardava intorno soddisfatta, concentrata nel finale della sua esibizione e in attesa che tutti si accorgessero della sua chicca. Perché doveva per forza averla escogitata qualche chicca, altrimenti non sarebbe Taylor. Mi venne da ridere. Così, spontaneamente: è l’effetto Taylor. Riesce a portarti nel suo mondo e nel suo stato d’animo ogni volta che prende in mano un microfono. E io lo adoravo.

“It feels like one of those nights you look like bad news”

L’esibizione stave per giungere al termine, e lei teneva lo sguardo fisso verso il pubblico, compiaciuta e fiera.

I gotta have you”, cantò guardando Selena, che per tutta risposta si alzò in piedi alzando un braccio in aria e mimando un urletto da fan. Poi la bionda spostò lo sguardo verso di me, seduto poco distante.

“I gotta have you” concluse gorgheggiando, mentre teneva gli occhi fissi su di me. Sentii subito Selena ridacchiare pochi posti distante da me. Io la guardai cercando spiegazioni, ma lei si limitò a scuotere la testa. Io, imbarazzato, distolsi lo sguardo e tornai a concentrarmi su di lei, che dal palco ancora mi guardava, sempre più compiaciuta. La sua bocca si atteggiò ad un sorriso malizioso. Poi, quasi distrattamente, la telecamera si concentrò sulla sua maglietta, e specialmente sulla nuvoletta multicolore. Solo allora mi accorsi che al suo interno aveva una scritta, ed era argentata, per questo luccicava al contatto con le luci: diceva “HATERS GONNA HATE”… chi odia continuerà ad odiare. Ecco la vera chicca della serata, il vero colpo di scena. E dovevo dire che era davvero d'impatto. Per un momento, quasi mi meravigliai, ma poi mi ricordai che avevo a che fare con Taylor Swift, che in queste cose era una regina. Lei, sempre in piedi sul palco circondata dai suoi ballerini, mi lanciò un altro sguardo, come per dire “Hai capito il messaggio?”. Per tutta risposta, mi alzai in piedi applaudendo con vivacità e muovendo in su e in giù la testa in un chiaro e lampante “SÌ!”. Lei mi sorrise, impercettibilmente. Dopo di che tornò a fissare il pubblico con aria di sfida, girò su se stessa e svanì nel dietro le quinte, inglobata dai suoi ballerini.

 

Finita l'esibizione, era tornata al suo posto, tutta eccitata e contenta. Molti si congratularono con lei, era stata davvero una bella performance. Anche io le rifilai una pacca sulla spalla.

- Sei stata grande. Bella maglietta. - Lei rise del mio stupido commento. Aveva le guance rosse e gli occhi lucidi per l'eccitazione.

- Grazie Ed, significa molto per me.

Il resto dello show poi trascorse lentamente: altre esibizioni, altre presentazioni di premi, altre battute cretine da parte del presentatore. La nomination dell’ARTIST OF THE YEAR, a cui era candidata anche Taylor, era una delle parti più importanti. Ci teneva parecchio anche a quello, era uno dei più rinomati. Così, mentre annunciavano i nomi, cominciò a mordicchiarsi un labbro, stringendo la mia mano e quella di Selena. Ma lei non doveva preoccuparsi, ce l’aveva scritto in faccia VINCITRICE. E infatti così fu.

Venne letto il suo nome, Taylor si alzò in piedi con uno scatto e si portò le mani alla bocca come per parare un urlo di gioia che nasceva dal profondo di lei. Era sempre così quando vinceva un premio, ed era sempre bellissimo. E vero. Era tutto vero in lei. Mi alzai insieme contento, emozionato quanto lei, e le la strinsi forte a me. Se lo meritava quel premio.

- Te l’ho mai detto che sei la donna più strepitosa che abbia mai incontrato in vita mia? - le dissi, mentre la stringevo con un braccio. La sentii sorridere contro la mia spalla, mentre lasciava trapelare degli urletti di gioia. Era stupenda anche così. Poi si staccò e mi strinse la mano, come in segno di gratitudine. Selena intanto le lanciò un’altra occhiata strana, seguita da un abbraccio, dopo di che salì sicura sul palco. Nonostante l’emozione, riuscì a fare un discorso, un grande discorso dove ringraziava tutti e lasciava un’altra perla, anche migliore della precedente, e per la quale ancora sorrido. Con disinvoltura, infatti, concluse così il suo discorso:

-…e poi vorrei ringraziare tutti i mie fan, la ragione per cui sono qui adesso: voi siente la più lunga e la migliore relazione che abbia mai avuto – dopo di che ammiccò nuovamente alla telecamera, come aveva fatto alla fine di 22, e sinuosamente lasciò il palco.

“Sei strepitosa” fu il mio unico pensiero.

 

Taylor venne chiamata sul palco molte volte, ma tanti premi non le furono consegnati in diretta. Era candidata in undici categorie, e ne vinse otto. Verso la fine della serata mi ero esibito anche io, con Lego House: era stata un’idea di Taylor. Era stata una cosa molto semplice, ovviamente, ma ebbe il suo successo, nonostante le mie scarse aspettative.

Dopo lo show, fui grato del fatto che Taylor decise di rinunciare all'after-party per tornare all'hotel con me. Ero già sfinito e non avrei resistito ad un'altra stanza buia e chiusa e piena di gente che ballava. Così, temendo di avere sulla coscienza la mia precoce morte nel caso mi avesse portato nel bunker, aveva affidato i suoi otto nuovi bambini – come li aveva definiti lei prima di “abbandonarli” – a uno staff fidato, che se ne sarebbe preso cura fino al suo ritorno a casa. Dopo di che era salita in macchina con me, lasciandosi cadere sul sedile con uno sbuffo esausto. Appena l’auto partì, si tolse quegli aggeggi mostruosi dai piedi e si accasciò esausta sui seggiolini.

- Adoro queste scarpe – aveva detto - ma sono dei veri e propri strumenti di tortura – poi lasciò andare la testa all'indietro e chiuse gli occhi. Era sudata per il caldo e per l'intervista post show che aveva dovuto affrontare, a cui non avevo assistito ma che, a quanto pare, era stata parecchio pesante. Si massaggiò le tempie. L'avevo vista davvero eccitata e felice, prima, ma adesso sembrava che tutta quella gioia le fosse scivolata via di dosso. Non aveva vinto il Milestone Award, che invece era andato a Bieber, forse c’entrava anche questo nel suo scivolare sul seggiolino in quel modo? Pensai a quello che mi aveva detto prima dello show, che mi aveva chiesto di accompagnarla perché le infondevo sicurezza, ma mi sembrava che quella sera se la fosse cavata benissimo da sola, prima con la sua troneggiante maglietta che urlava “HATERS GONNA HATE” – ovvero un lampante “Chi se ne frega” -, poi con il discorso ai fan. Era stata davvero geniale, ed ero veramente orgoglioso di lei. Però non mi piaceva com'era crollata adesso. Sperai fosse solo la stanchezza.
Scendemmo all'hotel e, per fortuna, non incontrammo paparazzi. Taylor sospirò felice e aprì la portiera dell’auto. Così, senza scarpe.

- Ma scendi così? – le chiesi, a metà fra lo stupito e il divertito – Credevo che per una donna fosse una specie di affronto al proprio orgoglio scendere dalla macchina con i tacchi in mano. – lei mi guardò  sogghignando e mi rispose con fare a maestra di vita.

-Eddy, Eddy, Eddy … non puoi definirti DONNA se almeno una volta nella vita non sei tornata a casa con i tacchi in mano, è la legge di natura. – è la legge di natura, addirittura? Allora ero proprio scarso in fatto di donne.

“Io sono anni che te lo dico bellimbusto, ma tu continui a non ascoltarmi.” mi rimproverò Coscienza, che fino ad allora mi aveva fatto la grazia di farsi un pisolino.

“Zitta tu, tornatene a dormire” e lei, stranamente, mi ascoltò.

Camminò tranquilla e a piedi scalzi fino alla porta dell’albergo, poi, facendomi un occhiolino provocatorio, aprì la porta, e fieramente, sempre con i tacchi in mano, si avvicinò alla Reception per chiedere le chiavi della sua stanza. Sembrava aver recuperato un po' di energia, per fortuna. Zampettò veloce per la hall, ignorando tutti e tutto, tanto che dovetti accellerare il passo per starle dietro ed affiancarla, prendendo a mia volta le chiavi, proprio mentre saliva sull'ascensore. Era un sollievo che fosse tornata ad un'altezza normale. Adesso la potevo guardare negli occhi, cosa che feci, perdendomici, appena si voltò verso di me con un gran sorrisone.
- Beh Ed – mi richiamò lei con aria trionfante - abbiamo saltato l'after-party, ma non penserai mica di andare a letto, spero! – e poi si mise a saltellare sul posto. Sì, aveva decisamente recuperato le energie. - Ho giusto comprato un nuovo cofanetto di Law&Order e vorrei vederlo con te.
- No Taylor, scordatelo - sbottai, deciso, incrociando le braccia.

Ero stanco.

Volevo dormire.

Dormire, perché quella parola era sconosciuta a quella donna?
Lei per tutta risposta smise di saltellare, mise il broncio e spalancò gli occhioni.

- Eddai, Eddy Rosso. Ti prego. Ti preeeeeego. Non ho voglia di stare da sola, stasera.
- Neanche per sogno. Hai Meredith, no? Lei adora Law&Order. Io sono stanco, vado a letto. – chiarii sventolando le chiavi davanti al suo musino implorante appena si spalancarono le porte dell’ascensore. Lei mi fissò come un cucciolo abbandonato e mi seguì affranta lungo il corridoio. Poi mi lanciò le braccia al collo, appendendomisi addosso come un koala.
- Ti prego Ed. Ti prego. Lo sai che ti voglio tanto bene, vero? - mi sussurrò con una vocetta leggera - Dai. Ci tengo tanto. – e, tanto per confermare, mise il broncio facendo ciondolare il labbro inferiore, come una bambina triste.
Mi ritrovai così fermo in mezzo al corridoio, come se fosse stato un movimento involontario, e la testa girata verso di lei, avvinghiata alla schiena con uno sguardo implorante che avrebbe sciolto un gelato meglio della luce del sole. Mio malgrado, esitai.
- Ti prego - fece di nuovo, allungandosi per darmi un bacetto sulla guancia - Ti prego ti prego ti prego. Te ne sarò per sempre grata. – e poi si mise a sbattere gli occhioni. “Ma questo è terrorismo psicologico!” esclamai dentro di me.
Quel lieve contatto tra la sua pelle e la mia aveva fatto vacillare ancora di più la mia sicurezza, e mi fece venire il batticuore. Ormai non potevo più dare la colpa all'alcool, visto che avevo cominciato a smaltirne gli effetti. Dovevo ammetterlo: c'era qualcosa che non andava, tra me e Taylor. O forse era solo una cosa mia. Ma non riuscivo più a guardarla negli occhi senza avere un mini infarto. Specialmente se spalancati in quella maniera … e questa non era una cosa sana.
Sbuffai, cercando di calmare il mio povero cuore. - E va bene. Ma ti giuro, è l'ultima volta che lo faccio.
A lei sembrò di non crederci, all’inizio. Rimase un secondo a fissarmi, con quei suoi occhioni blu resi ancora più grandi e splendenti dal trucco, e poi un sorriso scoppiò sul suo volto, illuminandolo di scatto. D'improvviso l'idea di passare la notte a guardare un telefilm con lei non mi sembrava più tanto brutta. Fece un piccolo urletto, tanto che le intimai di zittirsi - era l'una di notte! - e ricominciò a saltellare felice.
- Grazie Ed. Grazie grazie grazie!
Mi faceva piacere vederla così contenta per così poco. E mi fece ancora più piacere quando mi prese per mano e mi trascinò verso la sua stanza. Forse c'era ancora dell'alcool nel mio sangue, mi sentivo inebriato.
Taylor aprì la porta e lanciò i tacchi in un angolo, entrando sicura al buio. Io aspettai paziente sullo stipite, mentre lei accendeva le varie luci. Sentii miagolare e la voce di Taylor che faceva dei versetti strani. Poi ricomparve, con Meredith in braccio che le leccava la guancia. Mi fissò interrogativa.
- Beh, che aspetti? Entra, cretino - esclamò, ridacchiando. Beh, detto così, mi sentii veramente un cretino. Perciò attraversai la porta e la chiusi alle mie spalle, avanzando e guardandomi intorno. Altro indizio che c'era qualcosa che non andava: ero stato tante volte nella stanza di Taylor, eppure quella la sentivo diversa. Mi sentivo in imbarazzo. Guardai i cosmetici sparsi sulla toeletta e i vestiti buttati alla rinfusa sul letto: Taylor non era un granché ordinata, il che mi fece sentire in pace con me stesso pensando a come avevo lasciato camera mia.
Mise giù il gatto, che zampettò fino al letto e ci saltò sopra, acciambellandosi, poi prese una maglietta e un paio di pantaloni della tuta - gli stessi abiti che stava indossando prima - e mi lanciò un'occhiata.

- Vado a levarmi questa roba. Tu intanto metti su il dvd, okay?
- Sì sergente Swift - borbottai. Lei sparì in bagno, probabilmente destinata a rimanerci per un bel po', perciò feci come mi aveva detto. Dopo di che mi buttai sul letto, mettendomi a fissare il menù di apertura del dvd, come richiamata da qualcosa, Meredith si mosse e cominciò a strusciarsi sulla mia mano, perciò mi sentii costretto a regalarle qualche carezza. Lei si rivoltò sulla pancia, miagolando e guardandomi con i suoi occhioni giganteschi. Assomigliava quasi alla sua padroncina, le mancavano solo il labbrino tremolante e la voce umana. Il penserio di una Meredith Swift che mi implorava di guardare Law&Order sbattendo gli occhioni mi fece sorridere.
Ma erano passati venti minuti, e la porta del bagno rimaneva ancora ottusamente chiusa. Mi stavo annoiando da morire, ci stava mettendo una vita! Decisi perciò di gironzolare per la stanza, magari avrei trovato qualcosa da sgranocchiare visto che dovevamo ancora fare cena. Aprii il frigobar, sicuro di trovarlo vuoto, ma vi scorsi ben quattro birre. “Questo sì che è un miracolo!” esclamai dentro di me. Erano lì che mi chiamavano, perciò le tirai fuori, ne aprii una e lasciai l’altra sul comodino, anche se dubitavo che Taylor l'avrebbe bevuta.
Buttai giù qualche sorso, sentendomi subito molto meglio, e intanto mi misi a fissare la chitarra che stava mollemente appoggiata in un angolo della stanza. Era la preferita di Taylor, quella di legno, che portava il suo nome, e con la quale scriveva la maggior parte delle sue canzoni. Non mi sorpresi del fatto che fosse lì, sicuramente le serviva per quella sua famigerata nuova canzone. Mi stava venendo in mente una mezza idea per la mia, ma proprio mentre mi alzavo per prenderla, Taylor sbucò fuori dal bagno, struccata e con i capelli sbarazzini che le ricadevano leggeri sulle spalle. Quando mi vide in piedi, con la mano allungata verso lo strumento, sorrise.
- Che c'è, vuoi rubarmi la chitarra, Eddy Rosso? - scherzò.
- Beh, tu hai cercato di rubare la mia, quindi saremmo pari.
- Il problema è che io ci sono riuscita - precisò, facendo una giravolta e buttandosi sul letto, con il telecomando in mano. - Tu no. Avanti, vieni qua. Law&Order ci aspetta!
Mentre diceva questo, il suo sguardo si posò sulla bottiglia che le stava affianco. Mi guardò alzando un sopracciglio. Io accennai un sorriso e sollevai la mia.
- Dobbiamo festeggiare la tua vittoria di stasera, no? – inventai per camuffare i miei veri sentimenti – che poi, a dirla tutta, non sapevo neanche io quali fossero - avvicinandomi al letto e sedendomi vicino ai suoi piedi. Lei scosse la testa e mi fece segno di salire su, a quel punto tolsi le scarpe e mi accomodai lì accanto, in mezzo a una miriade di cuscini color panna e un gatto a pancia in su in attesa di carezze. Taylor mi diede qualche colpetto sul braccio, come per farmelo alzare, mentre grattava la pancia di Meredith, e quando lo feci lei si appoggiò a me, con la testa sul petto.
- Beh, non hai tutti i torti - disse, avvicinandosi ancora di più. Aveva la bottiglia in mano e la guardava. - Solo che non sono una gran bevitrice. Mi chiedo che effetto mi farà. – mi disse guardandomi al contrario, con uno strano sorriso di eccitazione disegnato in faccia. E quello mi fece venire voglia di spingerla verso quella piccola trasgressione.
- Allora scopriamolo! Ho sempre voluto vederti ubriaca - scherzai. Ma solo fino ad un certo punto.
Lei rise, allargando ancora di più quello strano sorriso.

- Okay, ci sto. – rispose convinta, e poi stappò la bottiglia. O meglio, ci provò, perché alla fine dovetti farlo io per lei.
Se l'avvicinò al naso e l'annusò. Fece una smorfia e alzò lo sguardo verso di me, quasi come se non fosse più tanto sicura. Io alzai la mia al cielo, per darle coraggio, e ci riuscii perché ritornò a sorridere come prima.
- Ai tuoi otto premi vinti! – brindai. Lei mi imitò, ed io la strinsi con il braccio … stava imparando in fretta, dovevo ammetterlo.
- Ai miei otto premi vinti. – fece una riverenza con la mano e poi si avvicinò la bottoglia alla bocca.
Mi lanciò un ultimo sguardo, come per cercare conferma, e io, per tutta risposta, ridacchiai invitandola a “saltare il confine”.

E così buttò giù un sorso.

Angolo autrici

OK! Scrivere questo capitolo è stato letteralmente UN PARTO, anche perché i BBMA sono stati due mesi fa, e nessuna si ricordava l'esatta sequenza degli avvenimenti, quindi abbiamo dovuto praticamente riguardarci lo show. In più era anche complicato inserirlo nella storia in modo che non risultasse una pesante e inutile sequela di fatti senza capo né coda che non c'entravano niente con la trama principale, ovvero la storia tra Ed e Taylor. Però, dopo ben tre giorni di lavoro, varie bozze e autocommiserazioni da parte delle autrici (specialmente me, A, l'unica che aveva guardato i Billboard in diretta e che quindi aveva il compito di scrivere la prima bozza) ce l'abbiamo fatta! Ho cercato di scrivere questa parte come potrebbe averla vissuta Ed, che quella sera, onestamente, mi sembrava molto perso nel suo mondo, e così mi sono inventata una critica acida alla performance di Bruno (che effettivamente lasciava abbastanza a desiderare), e uno shock di fronte alla vittoria di certe persone nella categoria RAP. Spero che non risulti un mattone pesante e illeggibile perché abbiamo fatto veramente DI TUTTO per evitare che ciò accadesse çwç. Fateci sapere cosa ne pensate! E un grazie a tutti coloro che ci leggono e hanno fatto sì che questa storia sia arrivata ALL'OTTAVO CAPITLO PORCA ZUCCHINA! dssahgreghagre

A.

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Capitolo 10
*** Nove. ***




NOVE.

- See, I’m true, my songs are where my heart is, I’m like glue, I stick to other artists, I’m not you, now that would be disastrous; let me sing and do my thing and move to greener pastures, see, I’m real, I do it all, it’s all me, I’m not fake, don’t ever call me lazy. I won’t stay put, give me the chance to be free, suffolk sadly seems to sort of suffocate me...‘Cause you need me, man, I don’t need you, you need me, man, I don’t need you, you need me, man, I DON'T NEED YOU AT ALL!!!! - strillò Taylor, torturando la sua povera chitarra come una pazza infervorata, e facendomi scoppiare in una risata assurda. La sua cover di You need me, I don’t need you era veramente qualcosa di esilarante. La suonava con pathos, quasi non avesse aspettato altro per tutta la vita, e cercava anche di imitare qualche mossa da rapper mentre tentava, invano, di non intrigarsi con le parole. La scritta “T-Swizzle il ritorno” lampeggiava nella mia testa dal momento in cui aveva deciso di abbandonare il suo amato telefilm – che tra l’altro era anche la causa della mia presenza in camera sua – per fare qualcosa di più adatto a gente del suo rango, come lo aveva definito lei nel mezzo del suo delirio da sbronza. E ci tengo a precisare che aveva perso il controllo dopo aver bevuto due bottiglie di birra soltanto, e devo dire che in quello stato era la cosa più esilarante del mondo. Andava avanti da un'ora a fare cover delle mie canzoni, imitando - o almeno provandoci - la mia voce. Stavo ridendo come un cretino ma era davvero troppo, troppo buffa. All’inizio mi guardò confusa, come se fossi io l’ubriaco perso che faceva versi idioti, ma dopo appena due secondi cominciò a ridere convulsamente anche lei. Le sue pupille erano dilatate, come se invece di bersi un paio di birre si fosse appena fatta di cocaina. Ed era stramaledettamente bella anche così. Struccata, spettinata ed ubriaca, rimaneva la donna più bella del mondo.
Eddy Eddy Eddy … anche quando è così senti “vibrazioni strane”? C’è un problema amico, mi sa che sei cotto. Ma giusto un po’ eh.” commentò sarcastica Coscienza dentro la mia testa. Strano a dirsi, ma questa volta la sua presenza non mi turbò affatto, tanto che mi sentivo in vena di fare conversazione.
Ma tu dov'eri andata?” le chiesi; era dallo show che non la sentivo. Non è che magari stava progettando di trasferirsi in un’altra testa?
Hey, mica vivo per te, sai?” mi rispose permalosa. E io che credevo di essere il suo passatempo preferito. “Comunque, Taylor così è davvero carina. Sembra un cucciolo, sai quelli che pisciano ovunque quando sono contenti?”
Beh, la metafora non era un granché, però Taylor era davvero carina in questo stato. Mi veniva voglia di abbracciarla fino a soffocarla.
O di ficcarle la lingua in gola fino a soffocarla. Non guardarmi male, io parlo solo in base a quello che tu mi fai vedere. E smettila di evocare certe immagini! È imbarazzante.”
Ho una coscienza che si immagina le cose, grandioso”, fu questo il mio unico pensiero davanti a quel commento assurdo; il sospetto di soffrire di qualche strana forma di disturbo della personalità o robe simili si fece sempre più largo nella mia mente e per questo decisi di troncare di netto quella conversazione solitaria, temendo di scoprire cose non proprio carine se avessi continuato di quel passo. Ignorando quindi quella vocetta nella mia testa, seguii il mio istinto e la abbracciai, chitarra inclusa. Lei rise.
- Sai, non avrei mai pensato che ubriacarsi con te fosse così divertente - le mormorai vicino all’orecchio, mentre lei continuava a sussultare per le risate.
- Ma io sono divertente - esclamò, mettendo il broncio, come una bambina che vuole una nuova bambola che la mamma non vuole comprarle.
- Ma certo che lo sei, – le risposi con il miglior tono da mamma che riuscii a cavare fuori – solo che così lo sei molto di più -. E poi la stritolai maggiormente, dandole un bacio affettuoso sui capelli.
Uh, ma guarda! Eddy Rosso si è svegliato dal letargo. Anche se, tesoro, hai un po' sbagliato mira: la bocca è più in basso” osservò la mia amichetta immaginaria, concludendo la performance con tanto di occhiolino. Forse prima le avevo dato troppo spazio. Era meglio evitare di intavolare una nuova discussione, così continuai ad abbracciare la mia amica che, per tutta risposta, si aggrappò di nuovo alle corde della sua chitarra cimentandosi in un’interessante versione di You Belong With Me.
- IF YOU COULD SEE THAT I'M THE ONE WHO UNDERSTANDS YOU – cantava con talmente tanta foga che temetti svegliasse tutto quanto l’albergo. Le feci cenno di abbassare un po’ la voce ma, tra le mie risate e il suo cervello fuso dall’alcool, non doveva essere sembrata una mossa molto credibile; infatti continuò a sbraiatare - BEEN HERE ALL ALONG SO WHY CAN'T YOU SEEEEEEE?
E qui ci fu addirittura un rimbalzo giù dal letto, con tanto di scivolata sul pavimento - YOU BELONG WITH MEEEE! – cantò con la testa rivolta all’indietro, gli occhi chiusi come a cercare concentrazione. Strimpellò le corde come se si stesse esibendo in un concerto rock.
Ok, era andata, giusto un pochino.
Mi immaginai come sarebbe apparsa una performance del genere sul grande palco in cui si era esibita stasera; sicuramente avrebbe ottenuto un successo enorme. Stavo per chiederle di fare un remake di quello stacchetto al prossimo award show, quando quel pensiero me ne fece balzare subito in mente un altro, ovvero il suo strano scambio di sguardi con Selena, e la conclusione della sua esibizione … quel “I gotta have you”. Sicuramente era un modo per dimostrarmi che a me teneva, e quindi devo averti nel senso che ho bisogno di te, mio caro, carissimo, tenerissimo migliore amico … ma c’era qualcosa che non mi convinceva. Probabilmente mi ero fatto condizionare da quella strana risatina che era fuoriuscita dalla bocca di Selena nel momento stesso in cui la mia migliore amica mi fissava, ma avevo percepito anch’io qualcosa di strano, di nuovo. E così, d’istinto, decisi di chiarirmi un po’ le idee.
Dato che non c’era nessun altro modo per farla stare zitta, scivolai giù dal letto e le tappai la bocca con una mano. Lei fece un urletto – come se già non ne avesse fatti abbastanza - e poi mi morse.
- Ahi! – scattai ridendo – Taylor, ma che fai? – per tutta risposta lei si buttò con la testa sopra le mie ginocchia, visto che stava sempre suonando praticamente sdraiata per terra, e spalancò i suoi occhioni blu dritti nei miei. Per poco non mi prese un colpo, sembrava strafatta. E menomale che le birre in quel frigobar erano solo quattro!
-YOU'RE ON THE PHONE WITH YOUR GIRLFRIEND SHÈS UPSEEET! Daaai, Eddy, canta con me! Dai dai dai! - mi implorò, sbattendo le lunghe ciglia e mettendo il broncio. Non potei fare a meno di ridacchiare sotto i baffi, in queste condizioni non avrebbe potuto mentire su nulla.
- Dopo - le promisi, mettendole l'indice sulle labbra per zittirla, o almeno sperando che potesse farlo - prima rispondi alle mie domande. Ho visto che ti dicevi qualcosa con Selena, stasera. Posso sapere di cosa si tratta? – lei bloccò la sua esibizione di chitarra e sbarrò gli occhi, dopo di che si mise allegramente a ridacchiare sulle mie ginocchia. Non so perché mi interessasse tanto. Forse il fatto era che mi era sembrato... che parlassero di me, ecco. E questa cosa mi piaceva e non mi piaceva allo stesso tempo.
Dopo un po’ si rimise in posizione normale, sedendosi, stranamente senza oscillare, e si mise ad osservare la visuale della città che si aveva dalla finestra del balcone, aperta. Ci fu uno strano silenzio, che durò per pochi secondi, poi rispondendomi riprese a ridere.
-No, no no! Non ci provare Eddy Rosso! – sentenziò muovendo il dito in segno di diniego proprio davanti al mio naso, anche se non so come ci riuscisse visto che mi dava le spalle - Sono cose da ragazze.
La situazione, messa così, cominciava a preoccuparmi, così mi buttai sull’ironia.
- Anche io sono una ragazza, non lo sapevi? – dissi fingendo una voce femminile e ruotandola verso di me; lei aveva ancora gli occhioni spalancati di qualche minuto prima.
- Questo non ti rende necessariamente degna di avere accesso alla risposta, Eduarda. – mi rispose lei trasformandosi per un momento in una perfetta insegnante modalità interrogazione. Io, però, non avevo intenzione di rimanere nel dubbio su tutto il resto, così passai alla seconda domanda.
- E quel tuo strano comportamento durante 22? Quello me lo puoi spiegare? – le domadai; lei a quel punto mi guardò perplessa, poi scoppiò a ridere. Nel giro di poco si ributtò sul letto e cominciò ad agitare le gambe come se le avessi raccontato la barzelletta più divertente del mondo. Arrivò addirittura a mettersi le mani sulla pancia! Ma era davvero una domanda così stupida? Mi voltai, nel tentativo di renderla meno idiota e di darle una spiegazione, quando lei, inaspettatamente, riuscì a formulare una risposta.
- Ma quanto sarai cretino Ed! Davvero non l’hai capito? - sbottò, tra una risata e l'altra. Io decisi di andare sul sincero, ovvero triplicare la mia figura di merda, tanto domani sarebbe stata troppo intontita dalla sbornia per ricordaserlo... giusto?
- Sinceramente? No. Cioè, mi sono fatto un'idea, ma ovviamente sarà sbagliata. - arrancai. Involontariamente mi misi a fissarla in maniera strana, come se volessi a tutti costi che la risposta fosse la stessa che mi ero immaginato, ma che non avevo nemmeno il coraggio di pensare per intero.
Non pensare di sfuggirmi stupidone, tanto io so tutto lo stesso.” cinguettò Coscienza. Interrotto così bruscamente nel mio momento di panico mi venne voglia di strozzare quella vocina, poi mi ricordai che non esisteva.
DORMI.” le intimai. E lei sparì.
La bionda intanto continuava a non rispondere, anzi! Si mise a ridere anche più forte, se possibile, tanto che il letto si mise a cigolare, poi all’improvviso si calmò. E lì mi fece veramente paura.
- Ed – sbottò, facendomi prendere un colpo.
- Taylor - le dissi. Io ero ancora in ginocchio sul pavimento, poco distante dal punto in cui qualche minuto prima era lei. Mi sembrava di essere ancora più imbecille messo lì così, dunque mi alzai e mi sdraiai sul letto vicino a quella povera sciroccata della mia migliore amica. Non so con quale audacia, e molto serio in volto, mi voltai in modo da poterla guardare in faccia e la abbracciai. Lei, per tutta risposta, si fece piccola piccola tra le mie braccia e si appoggiò al mio petto, sorridendo. Rimanemmo così per un po’, quasi che il suo scatto di prima fosse stato un fischio per dire abbracciami, brutto stronzo. La chitarra era ancora appesa al suo collo, quindi praticamente la abbracciavo insieme a quell’ammasso di ossicini che era la sua proprietaria. Era piacevole quella sensazione, mi dava un che di familiare.
La stavo ancora tenendo tra le braccia quando, sottraendosi dalla mia stretta in modo da potermi guardare in faccia, e sfilandosi lo strumento dal collo per posarlo a terra, si mise seduta sul letto e mi invitò a fare lo stesso, strattonandomi. Poi riprese il discorso che aveva lasciato in sospeso in precedenza.
- Sono contenta che tu sia qui con me, stasera - mormorò, sorridendo dolce. I capelli le cadevano in faccia e aveva la frangetta sparata da tutte le parti. Dovetti resistere all'impulso di sistemargliela. Sembrava quasi tornata lucida … quasi, quegli occhioni sornioni infatti tradivano una sbronza nel pieno del suo circolo. Ridacchiai per quell’affettuosità così semplice e chiara.
- Anche io sono contento di essere qui con te - le risposi, sincero. Lei mi guardò come se fossi un completo idiota, e non ne compresi il motivo in quel momento: quello sguardo sembrava scavarmi dentro. Anche in quello stato sapeva mettermi in soggezione peggio di qualsiasi altra cosa. Tanto per ribadire che ero un completo imbecille, mi diede un buffetto sulla spalla. Poi, passandosi una mano tra i capelli che avevano ormai perso la piega, continuò a parlare.
- No, non hai capito – disse - Sono DAVVERO CONTENTA che TU sia qui con me. Che tu ci sia. Che ci sia tu e non qualcun altro. Non so se mi sono spiegata.
Io rimasi di sasso, ma ci pensò Coscienza a farmi riprendere.
Sì che si è spiegata! Deficiente!” urlò “Metti in attivo quei due neuroni che hai, su!”
In tutto il tempo che abitava nella mia testa non l’avevo mai sentita sbraitare così. Ero forse diventato il peggior cretino del mondo in una sera? Non sapendo che strada intraprendere, ancora una volta optai per la sincerità.
- Non molto - borbottai. Poi l’istinto prese il sopravvento e allungai la mano per spostarle qualche ciuffo dietro l'orecchio. Lei sorrise e arrossì.
- È che... - esitò.
La mia mano ancora indugiava tra i suoi capelli. Il mio sguardo serio di prima non era mutato di una virgola. Volevo sapere se avevo ragione.
Ne avevo bisogno.
Dovevo sapere se stavo per rovinare tutto o no. Senza pensarci tanto, la feci scorrere fino al suo collo, accarezzandole lo zigomo con le dita. Lei rabbrividì, e si avvicinò un po' a me.
Lei ti è accanto, se ne sta seduta lì, non sa cosa dire maaaaa i suoi occhi ti parlano, e tu lo sai che vorresti darle un bacio; e allora bacialaaaaaaaaa!” gridò Coscienza, cantando la canzone dalla Sirenetta. Certo che aveva un tempismo perfetto. Ma chissà perchè, riuscii ad ignorarla meglio del solito. Con uno scatto, avvicinai Taylor a me, tanto che la feci sussultare e sospirare. Appoggiai la fronte alla sua e chiusi gli occhi. Sapevo che lei aveva fatto lo stesso. Il pensiero “stai per baciare la tua migliore amica, idiota” lampeggiò nella mia testa, ma anche questa riuscii ad ignorarla benissimo. Allungai anche l'altra mano e le accarezzai una guancia, facendola sussultare di nuovo, e poi feci scivolare anche quella lungo il suo collo. Lei sospirò di nuovo. Sapeva di alcool.
- Ed... - mi chiamò, preoccupata.
- Shh, Tay. Va tutto bene - la tranquillizzai. Va tutto bene. Più che bene.
Dai Ed! Fai diventare realtà quell’immaginetta di prim…”. La zittii senza troppe manovre, rilegandola negli scompartimenti più profondi del mio cervello.
Mi chinai appena e le baciai la guancia, con una delicatezza che non sapevo nemmeno di avere. Ma con Taylor mi veniva naturale, era come una bambola di porcellana. Fragile, e bellissima.
- Ed, io... - provò di nuovo lei, ma io la zittii di nuovo, baciandole l'altra guancia con la stessa tenerezza. Stavo giocando con lei. Mi piaceva sentirla sussultare ad ogni tocco.
-Devi rispondermi, lo sai. – le dissi sussurrando, avevo paura che a dirlo troppo forte si rompesse qualcosa tanta era la fragilità di quell’istante. Adesso non aveva scampo e, in ogni caso, non sembrava voler sfuggire. Si era avvicinata anche lei, instintivamente.
Finalmente, mi avvicinai alle sue labbra, che erano appena dischiuse. Ora che c'ero così vicino, mi rendevo conto di quanto le avessi agognate. Volevo baciarla. Lo volevo davvero, ma davvero tanto...
- UNA STELLA CADENTE! - strillò all'improvviso, facendomi venire un infarto. Mi allontanai da lei con uno scatto, e lei ne approfittò per sfuggire. Mentre io ero ancora disteso sul letto, paonazzo e in preda ad una crisi isterica, lei si era già precipitata fuori, sul balcone della stanza, che dava un'ottima veduta di Las Vegas, ed indicava il cielo saltellando.
- Ed! Ed! Guarda! La vedi? – strillò, rivolgendo gli occhi al cielo.
L'unica cosa che vedevo era la figura di merda che avevo appena fatto, in replay costante nella mia testa. Scesi dal letto con cautela; mi sentivo le gambe molli, e contrassegnai questa come la risposta alla mia domanda. La scritta “IDIOTA” tornò a troneggiare nella mia mente.
Piano piano la raggiunsi e guardai il punto che mi stava indicando. Io non vedevo un bel niente, in realtà, ma questo non la placò.
- Hai espresso un desiderio? Si fa così, con le stelle cadenti! - mi informò tornando in modalità professoressa, come se già non lo sapessi.
- Tay, non vedo un bel niente, giusto per informazione - chiarii. Il mio tono era acidità pura, ma era comprensibile. Il suo modo di interrompere quello che stava succedendo era stato uno dei peggiori che potesse trovare. Però era una chiara e lampante risposta, questo c’era da ammetterlo. Lei mi guardò avvilita, per poi rispondermi a tono con un “Guastafeste”, e si appoggiò alla ringhiera.
La situazione stava diventando imbarazzante, e all’improvviso mi accorsi che praticamente non avevo più niente da dirle. Decisi di tornarmene in camera a smaltire la tremarella che minacciava di incombere al più presto ma non feci però in tempo a dirle che me ne stavo andando che lei si voltò di scatto e mi si buttò al collo, stringendomi forte. La sentivo tremare. C’era sentore di allarme nell’aria, la cosa non mi piaceva affatto.
- Non vuoi sapere che cos’ho desiderato? – mi fece esultante, ma aveva un qualcosa di strano quella voce, e mi ricordava fin troppo bene quella di quando mi era scoppiata a piangere tra le braccia, qualche giorno prima. Decisi di non dirle niente di diretto, questa volta. Mi limitai così ad alleggerire l’atmosfera.
- Se me lo dici non si avvera, lo sai no? – le risposi rispondendo all’abbraccio e cercando di sistemarle i capelli, lisciandoli dolcemente. Poi lei crollò. Così, senza che io le avessi domandato niente, il che mi fece venire in mente che magari lei avebbe voluto sincerità in quel momento, e io non gliel’avevo data. I suoi occhi erano pieni di lacrime e finirono per cedere proprio sulle mie spalle.
Oh, no. Non di nuovo.” Deglutii. Ancora una volta mi sentivo in colpa.
- Taylor...
- No Ed, tranquillo, va tutto bene. - disse. Si stropicciò gli occhi e si allontanò da me, scostandomi non solo in senso fisico. Chiuse nuovamente la sua mente, in modo che non potessi entrarci, e mi scansò per tornare in camera.
- No non va bene, stai piangendo - feci, rientrando subito dopo di lei. Si era fermata nel mezzo della stanza, e si era stretta con le braccia, come se avesse freddo.
- Ed. Ti ho detto che va tutto bene. Ora passa. - sbottò, acida, dandomi le spalle. Non ci avrei creduto nemmeno tra un milione di anni, perciò la afferrai per un braccio e la feci voltare. Le lacrime adesso le avevano inondato le guance, e stava singhiozzando. Tremava ancora. Io la fissai cercando di capirci qualcosa, ma non capii niente. Scostava lo sguardo, non voleva che le leggessi negli occhi la verità. - Cosa c'è che non va? Mi sembravi felice, prima - mormorai, accarezzandole i capelli per poi abbracciarla - Insomma, hai fatto incetta di premi, e adesso stiamo passando una bella serata... – A parte la mia figura di prima sul letto.
- Lo so, lo so - singhiozzò al mio orecchio. - È che... forse ho esagerato, stasera.
La allontanai, in modo che potesse vedere il mio sguardo interrogativo.
- Con tutte quelle provocazioni. La maglietta, il discorso di ringraziamento, come ho sviato la domanda sul Milestone Award... - borbottò. Quest'ultima non la sapevo, quindi le riproposi lo stesso sguardo. Lei scosse la testa. - Niente, mi hanno chiesto cosa ne pensavo del fatto che Justin avesse vinto al posto mio, ed ho chiesto se potevano fare un'altra domanda. Ma non è questo il punto - fece, appoggiando la testa sulla mia spalla - Ho cercato di dimostrare che non mi importa. Che non mi importa dei commenti, dei tweet minacciosi, degli insulti. Ma non è vero, Ed, non è vero. Mi importa cosa pensa la gente di me. E mi fa male, cavolo. Mi fa tanto male.
- Ti hanno minacciata di nuovo? - chiesi, sorpreso. Non potevo crederci, pensavo che la cosa stesse passando, piano piano. Lei non rispose subito, ma abbassò lo sguardo. Sembrava volersi rituffare tra le mie braccia, ma volevo vederla in viso, quindi non glielo permisi.
- Ho trovato dei commenti abbastanza acidi sul mio comportamento di stasera. – Dio, avrei voluto strozzarla adesso. Perché continuava a guardare quelle cose? Nel frattempo, però, aveva smesso di tremare.
- Dovresti lasciar perdere le menzioni di Twitter. – dissi dando voce al mio pensiero.
- Lo so, Ed, lo so – ripeté per l'ennesima volta. - Ma ci sono anche persone che mi amano, là fuori, e non posso semplicemente ignorarle.
- Ma le minacce sorpassano i tweet dei tuoi fans, giusto?
Annuì.
Avevo voglia di scuoterla come un paio di maracas e farla tornare in sé.
- Tu non meriti questo, Taylor! - le dissi, forse con più enfasi di quella che dovevo metterci perché lei mi allontanò con uno scatto … e nel frattempo aveva ripreso a tremare e a singhiozzare.
- E chi lo dice?! - mi gridò addosso, acida - Chi lo dice, eh Ed? Magari hanno ragione. Anzi, hanno ragione, e basta. – poi si voltò e fece per avventarsi contro le bottiglie di birra, vuote, adagiate sulla scrivania; probabilmente le avrebbe lanciate contro il muro o roba del genere, se non l'avessi fermata, bloccandola da dietro e facendola voltare. Questa volta non contrastai l’impulso e la scossi, tenendo le mani ben salde sulle sue spalle.
- Non le pensare nemmeno queste cose! Non farlo! – le sbottai, forse con un tono più rude del dovuto; per tutta risposta lei piantò i suoi pugni sul mio petto, nel tentativo di allontanarmi.
- Stammi lontano, Ed! Tu non puoi capire! – singhiozzò mentre tentava di scansarmi, ma io la tenevo molto, molto stretta. - Tu sei mio amico! E adesso tra noi va tutto bene, no? Tu mi vuoi bene e mi proteggi dagli insulti, ma cosa succederà se un giorno litigheremo, eh, Ed? Ci hai mai pensato? – strillò, ormai furibonda. Si agitava per allonarmi ma io non la lasciavo. La strinsi ancora di più e in quel momento lasciò cadere la sua testa sulla mia spalla; pensai che si stesse calmando, ma non era così - Cosa succederà se scriverò una canzone su di te? – riprese a voce più bassa, ma piena di paura. – Mi odierai anche tu, come già fanno tutti. – e fu in quel momento che mi tornò in mente la scena di quella sera, quando aveva concluso la canzone guardandomi fissa. Aveva detto “I gotta have you”. E allora capii che avevo ragione.
La allontanai da me per piantarle gli occhi addosso, come avevo fatto prima, sul letto, deciso a farle capire che lei mi aveva già. E che non avevo intenzione di andare da nessuna parte.
- Perché dici tutto questo? – le chiesi affranto - Taylor, ti puoi convincere del fatto che non succederà mai? Mi faceva male vedere che lei aveva così tanta paura di perdermi. Eppure mi sembrava di averle dimostrato quanto tenevo a lei. - Io non riuscirei mai ad odiarti, nemmeno tra milioni di anni, nemmeno se scrivessi una canzone su di me. – le dissi, convinto; lei mi guardò, gli occhi azzurri pieni di lacrime che non riusciva a trattenere.
- Non lo puoi sapere, Ed. – sibilò piena di paura , di rabbia e di risentimento. - Non lo puoi semplicemente sapere. Anche con i miei ex era così. Andava tutto bene, poi mi hanno lasciata, o comunque è finita, ho scritto una canzone, e mi odiano. Mi detestano più di ogni altra cosa al mondo. E tu … - non riuscì a finire la frase perché le parlai sopra, sbottando. Come poteva paragonarmi a loro?
- Io non sono un tuo ex, Taylor!esplosi guardandola negli occhi, ma nemmeno quello sembrò calmarla, o convincerla … i suoi occhi, infatti, si piantarono sul pavimento, per niente decisi a guardarmi in faccia.
Preso dalla disperazione, e sperando che almeno questo riuscisse a convincerla, le sollevai il mento con una mano, costringendola a fissarmi. Poi mi allontanai un po', arrotolando la manica del maglione per farle vedere il tatuaggio che mi ero fatto, quello con il nome del suo album. - Ricordi questo? – le dissi - L'ho fatto per farti capire che non ti abbandonerò. – la mia voce adesso aveva una sfumatura strana, quasi di delusione. - Non sono uno dei tuoi fottuti ex, Taylor! Sono il tuo migliore amico. Sono Ed. E non sono come loro, io ti voglio bene veramente!
Lei mi fissò il braccio, gli occhi spenti e rossi di pianto. Le lacrime scorrevano sulle sue guance senza sosta. Non ce l’avevo fatta neanche stavolta. Mi avvicinai di nuovo a lei, con cautela, per paura che mi respingesse di nuovo, cercando almeno di calmarla.
- Scusa - singhiozzò. - Scusa. È che è così difficile. Certi giorni mi sembra che mi cada tutto addosso. Mi sembra che tutto questo non ne sia valso per nulla la pena. È come se tutti volessero giocarsi a dadi la mia vita … mi sento vittima di qualcosa più grande di me. E non riesco a reagire come vorrei Ed … non ci riesco. Sto diventando come in The Lucky One.
Purtroppo, riuscivo a capirla. Era facile vedere il mondo dello spettacolo come un paradiso quando non ne facevi parte. E lei era nel business da più tempo di me, e aveva dovuto sopportare più batoste di me. E spesso le persone si dimenticavano che era umana. Una superstar, sì, ma pur sempre umana.
La conoscevo da un anno e nel giro di pochi mesi l'avevo vista piangere tre volte. Sempre perché il suo stesso mondo, che prima l'aveva portata all'apice, le pesava addosso come un macigno. Ma doveva convincersi del fatto che non era tutto così nero. E io dovevo riuscire a farglielo capire, feci così un ultimo tentativo. La parte finale della sua esibizione continuava a ripetersi nella mia testa all’infinito, come un cortometraggio in replay.
I gotta have you.
Mi aveva fatto capire che aveva bisogno di me, ed io ero l'unico che poteva dimostrarle che si stava sbagliando.
- Taylor ti prego, guardami negli occhi, e convinciti delle mie parole. Per davvero, questa volta – le mormorai, prendendola per le spalle; non sarebbe scappata, non questa volta.
Lei puntò i suoi occhi blu nei miei, mentre altre lacrime le scivolavano giù. - Tu. Tu sei una persona stupenda. Sei talentuosa, sei dolce, sei gentile, fin troppo a volte. Sei divertente, sei svampita, sei determinata. Io ti conosco Tay, so chi sei veramente. E sei tutte queste cose, e molto di più. Non lasciare che persone che non sanno chi sei ti buttino giù, perché quelle che ti amano, ti conoscono. Sei vittima del tuo stesso mondo, è vero, lo siamo tutti. Ma ti prego, non dire più quelle cose. Non meriti questo. E sei bella, Taylor. Sei bellissima, sei radiosa, sei semplicemente … la donna più bella che io abbia mai visto.
Detto questo, una coltre di silenzio riempì la stanza, ci ricoprì completamente e ci lasciò senza fiato. Gliel'avevo detto, le avevo detto quello che pensavo di lei. E adesso mi sentivo schiacciare dalle mie stesse parole, come se avessi dovuto rimangiarmele, mentre lei mi fissava spalancando gli occhi. Tra l'effetto dell'alcool e il pianto, erano diventati enormi, e mi sentivo sovrastare da quello sguardo blu, blu come il cielo fuori. Ma il fatto era che non avrei voluto rimangiarmi niente di quello che avevo detto, volevo farlo da tanto, tantissimo tempo.
Lei mi fissava, cercando di assimilare il tutto. Ma io non mi mossi di lì. Allungai una mano per asciugarle le lacrime, che avevano filamente smesso di scendere e poi azzardai una carezza al suo zigomo. Di nuovo, lei si fece tesa e sembrò pietrificarsi davanti al mio sguardo.
Ma questa volta non sarebbe scappata.
Nessuna stella cadente, crisi di pianto o stupida voce nella mia testa me lo avrebbe impedito.
Perciò, non esitai. Feci scivolare il mio braccio intorno al suo fianco, accarezzando la stoffa della sua maglietta, e poi la strinsi, in modo da avvicinarla con uno scatto deciso. Lei sembrò irrigidirsi ancora di più, ma non si spostò, e questo mi incoraggiò ad andare avanti. Appoggiai la mano sul suo collo e avvicinai di nuovo la sua fronte alla mia, come avevo fatto prima.
Eravamo esattamente allo stesso punto in cui lei era sguisciata via, prima, attratta da una fantomatica stella cadente.
I miei occhi la inchiodavano, così come le mie braccia. E non sarebbe fuggita via stavolta.
Stava per dirmi qualcosa per fermarmi, ma io fui più rapido e la baciai. Non esitai, non feci giochetti; l'avrei resa solo più nervosa e sarebbe scappata di nuovo. Così, d’impeto e d’impulso. Senza lasciare spazio a inutili ragionamenti. Posai le labbra sulle sue e la baciai come se fosse l'ultima cosa che facevo su quella terra.
Le sue labbra erano proprio come le avevo sempre immaginate - tra cui anche quella volta a Disney World, quando lei aveva cominciato a scrivere la mia nuova canzone -, morbide e carnose. E, strano a dirsi, sapevano di pesche. Già, anche loro. Mi resi conto di volerlo fare da tanto, troppo tempo, e mi pentii di aver esitato così a lungo perché, ne stava valendo veramente la pena.
Non mi ero nemmeno accorto della resistenza che stava facendo per cercare di staccarsi, seppur debolmente, come se non ci credesse nemmeno lei. Aveva le mani sulle mie braccia, strette intorno ai suoi fianchi, e sembrava che volesse separarsi dal mio abbraccio. Allora cominciai a temere di aver fatto la cosa sbagliata. Forse non era questo che voleva. Stavo quasi per allontanarmi, pronto a morire nella mia vergogna, quando mi accorsi di aver scambiato per resistenza quella che resistenza non era. Contro ogni mio pensiero, Taylor cercò di avvicinarsi ancora di più a me, invitandomi a stringerla maggiormente. Quando lo feci, la sentii sorridere contro le mie labbra e le sue braccia stringersi intorno al mio collo, come avevano fatto tante volte prima d'ora, eppure in modo diverso, con dolcezza e con un po' di esitazione. E questa fu la risposta definitiva alla mia domanda.

Sì, lo voleva anche lei.
Non ero mai stato così felice.
Ci separammo dopo qualche istante, continuando a tenerci stretti e senza alcuna intenzione di mollarci. Ci guardammo negli occhi e per me fu come se la vedessi per la prima volta. Mi sembrò una specie di angelo. E, cavolo. L'avevo baciata. Avevo baciato la mia migliore amica. Ed era stato incredibile.
In quel momento, lei scoppiò a ridere, e io la seguii.
Tutta l'ansia, tutta la tensione che si era creata tra noi negli ultimi mesi, sembrava così ridicola adesso. Era stato così semplice, alla fine.
- Non ci posso credere che mi hai baciata. Finalmente. - mormorò, appoggiando la testa sulla mia spalla. L'aveva già fatto tante volte, ma adesso sembrava diverso. Più nostro.
- Hey, guarda, che anche tu possiedi il libero arbitrio – scherzai, per poi intonare un semplice semplice “I gotta have youuu”. Non avevo la potenza per farlo tutto pieno di fronzoli come lei, ma il messaggio arrivò chiaro e tondo lo stesso. Sobbalzò davanti a quell’atto di audacia, probabilmente non se lo aspettava, ma non si lasciò turbare. Alzò di scatto la testa e mi baciò di nuovo.
In quel momento fu come se non ci fossero mai state bottiglie di birra o crisi di pianto.
Sembrava lucidissima.
E, Dio, era fantastica.
Mi diede un bacio a stampo.
Poi un altro.
Poi un altro ancora.
Finché non mi intontì con quei baci.
Sentirla così vicina, così mia, mi fece venire i brividi lungo la schiena. Sapevo come sarebbe finita, la tensione stava montando, più forte di prima, e diversa.
Dovevo smettere di ragionare di testa, non mi serviva a niente. E lei … lei lo stava praticamente urlando. Stava rispondendo anche questa volta. Ed era come se fossimo tornati i soliti Ed e Taylor; ci capivamo senza bisogno di parole.
D'istinto le sollevai la maglietta. Lei sorrise di nuovo, senza smettere di baciarmi, ed alzò le braccia, in modo che la potessi sfilare.
Mi staccai un secondo per guardarla. Era così dannatamente bella che mi toglieva il fiato.
Lei non disse niente, piantò solo i suoi occhi nei miei. Lo voleva anche lei, forse anche più di me. Così mi avvicinai di nuovo alle sue labbra e la baciai con trasporto, come se non aspettassi altro da una vita intera … che poi effettivamente era vero. Dio se era vero.
Lei, tremando leggermente, pose le sue mani sul mio maglione per togliermelo, e io l’aiutai.
Buttai l'indumento in un angolo.
Poi mi piegai e la presi in braccio e indugiai per un solo, flebile secondo.
Fu la voce di Coscienza a togliermi ogni remora: “Ed, buttati.” diceva amichevole. Ed io mi buttai.
La adagiai sul letto con delicatezza, strisciai sopra di lei e ricominciai a baciarla, e fu come se non lo avessi mai fatto prima. Tutto con lei sapeva di prima volta, anche se non lo era affatto.
Avevo baciato prima di lei.
Avevo fatto l’amore prima di lei.
Ma non c’era niente che si fosse potuto paragonare a questo.
E io non volevo altro se non lei, il suo corpo, e tutto quello che stava succedendo in quel momento.

Angolo Autrici
Buongiorno cari lettori! Sì, lo sappiamo che ci siete, anche se non recensite (sfaticati!). Per questo eccovi il nono capitolo (NOOOONOOOO) che sarà sicuramente uno dei miei preferiti di sempre.
La cosa che mi piace, oltre al fatto CHE CAUSA UN'ESPLOSIONE DI FEELINGS DI PROPRORZIONI IMMANI, è che è un perfetto mix di me e Arianna. C'è un po' di suo e un po' di mio, e vi giuro che non sarebbe stato lo stesso se non fosse stato così. E' bello scrivere insieme a lei, perchè siamo una bella squadra. Quando io non ho idee ne ha lei e viceversa, ed ognuna migliora i difetti dell'altra. Sono fortunata ad averla nella mia vita.
Ma non voglio tediarvi oltre con tante smancerie. Spero che il capitolo vi sia piaciuto - SE NON E' COSI' VI UCCIDO PERCHE', OMG, SWEERAN FEELINGS.
Al prossimo capitolo!
L.
P.S. L'immagine in cima l'ho fatta io, vi piace? La canzone è Arms, di Christina Perri, una canzone stupenda a mio parere <3 BUON FANGIRLING :3



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