Autumn Leaves. di tedsweeran13 (/viewuser.php?uid=428544)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno. ***
Capitolo 2: *** Due. ***
Capitolo 3: *** Tre. ***
Capitolo 4: *** Quattro. ***
Capitolo 5: *** Cinque. ***
Capitolo 6: *** Sei. ***
Capitolo 7: *** Sette. ***
Capitolo 9: *** Otto. ***
Capitolo 10: *** Nove. ***
Capitolo 1 *** Uno. ***
UNO.
Give
me love, like her; 'cause lately I've been waking up alone.
-
Ehi, buddy! - gridò Taylor dal palco smettendo di cantare
improvvisamente, con grande disappunto di Amos, che alzò gli
occhi
al cielo per l'ennesima volta. Era da circa un'ora che quei due
provavano Stay Stay Stay, ma lei, quel giorno
stranamente
solare e più fuori di testa del solito, si interrompeva e si
distraeva fin troppo facilmente. Smetteva di cantare la canzone che
stavano provando, cominciandone di sua iniziativa un'altra; si
metteva a chiacchierare con Caitlin o con me, più
sovreccitata del
solito - a dir la verità stavo cominciando ad avere dei
dubbi sulla
sua sanità mentale. Nonostante fossi seduto sul bordo del
palchetto più piccolo, a più di cinquanta metri
di distanza, era lì
che si sbracciava e urlava frasi senza senso. Nel giro di cinque
minuti aveva inventato circa venti diversi animali mitologici. Tutti rossi. Tutti luccicanti. E tutti che amavano avere
l’ultima parola, come lei. Ed ecco che, ad un certo punto, la
vidi
balzare giù dal palco e mettersi a girovagare per lo stadio.
Più
che girovagare, a correre come una pazza. Sapevo benissimo
perché si
comportava così, probabilmente stava scrivendo una canzone:
ecco
spiegato perché era così svampita. La conoscevo
ormai da più di un
anno, fin troppo bene direi, come il palmo della mia mano; e mi ero
abituato a quei comportamenti, così come aveva fatto la sua
band,
con lei da addirittura più tempo.
Mi piaceva quando faceva la
pazza, in questo modo. Era così … serena. Era un
piacere non
vederla piangere, come era successo, spesso, nei mesi
precedenti.
Pain splatter teardrops on my shirt; I told you
I'd let them go.
Solitamente, Taylor non mi chiamava per
disperarsi sulle sue relazioni; per quello c'erano Selena, o Emma.
Con me, preferiva parlare di musica, o farsi quattro risate, proprio
come due vecchi amiconi. Ma quando aveva rotto con Harry - ed era
stata una brutta rottura - lei era corsa subito da me, a farsi
abbracciare, mentre si sfogava piangendo disperata, come non l'avevo
mai vista. Per me fu alquanto imbarazzante; dopotutto, sono un suo
amico, proprio come lo era lei. Era strano sentire lei così
terribilmente distrutta e disperata da una parte e, dall'altra,
Harry, sereno, forse un po' giù di morale, ma perfettamente
tranquillo. Non so bene come siano andate le cose tra loro due:
entrambi preferirono evitare l'argomento, la maggior parte delle
volte e Tay, anche quando si sfogava, rimaneva in silenzio,
singhiozzando; le parole e la rabbia sarebbero venute fuori solo
successivamente, in una canzone, ne ero sicuro. Comunque, ero felice
che stesse bene e che stesse, almeno apparentemente, passando sopra
quella storia, che era stata complicata sotto molti punti di vista;
non solo tra i due diretti interessati, quanto più tra la
ragazza e
le fan dei One Direction che, inviperite, l'avevano riempita
d'insulti senza esitazioni né ritegno. Ecco, se c'era una
cosa che
potevo rimproverare ad Harry, sarebbe stata quella: non aveva nemmeno
provato a difendere Taylor da quegli attacchi così meschini,
nonostante sapesse bene che la stavano distruggendo piano piano.
- Cosa strimpelli? –. La
sua voce mi giunse alle orecchie, facendomi girare e me la
ritrovai alle spalle. Feci un salto di cinquanta metri, rischiando
di cadere dal palchetto, mentre lei si metteva a ridere come una
squilibrata. Che effetivamente, era quello che era.
- Ma sei pazza! – le dissi. – Non
puoi piombarmi alle spalle all’improvviso! – .
Cercai di apparire
minaccioso, ma evidentemente la cosa non doveva riuscirmi molto bene
perché lei si buttò a terra e rimase
lì. Giù, ferma. A ridere.
Agitava i piedi avanti ed indietro, come una bambina. Era
sovreccitata. Avrei voluto sapere che cavolo si era bevuta quella
mattina.
- Niente di che - risposi, posando lo
strumento sul palchetto e guardandola negli occhi.
-Cosa? – mi chiese, continuando ad
agitare i piedi. Sembrava una bambinetta. Stava sicuramente
scrivendo una
canzone.
- Sto rispondendo alla sua domanda,
signorina Swift. Resti connessa per favore, abbiamo bisogno di lei al
centralino –. Lei allora mi guardò;
tentò di rispondere a tono,
ma po ci ripensò. Doveva aver capito che era meglio per lei
ricomporsi. In un unico gesto elegante si alzò, fingendo di
pulirsi
i vestiti, dopo di che mi guardò e mi sorrise. Poi si volse
a
fissare il grande palco, il vero centro dello spettacolo, dove la sua
band, avendo ormai intuito l'andazzo della giornata, si era sistemata
comoda, posando gli strumenti e rilassandosi.
And that I'll find my corner, maybe
tonight I'll call you after my blood turns into alcohool. No, I just
wanna hold you.
- E tu, cosa scrivi? – le chiesi
piantandomi dietro di lei, senza dirle nulla, stile stalker, o
fantasma. Volevo farla saltare di trenta metri, come LEI aveva fatto
con ME. Ma ovviamente non ci riuscii. No, quella era come uno dei
suoi amati gatti. Aveva un sesto senso. E dei baffi. E probabilmente
anche una coda, nascosta da qualche parte.
- Non provarci neanche Sheeran, sai
benissimo che non ti dirò una parola - sogghignò,
saltando giù dal
palco con un gesto agile e sicuro. Certo che lo so, ti
conosco
quasi come il dorso della mia mano, avrei voluto dirle. Ma
lei lo
sapeva benissimo.
- Ehi, squilibrati! Perché vi siete
accomodati? Forza! Tutti a provare! Provare provare provare! Cavolo,
non vi posso lasciare soli un momento – urlò
mentre, mezza
saltellando e mezza correndo, tornava verso il palco grande. Ok,
cominciava a diventare quasi fastidiosa, tanta era la sua energia. E
poi... Aspettate. Squilibrati? Aveva veramente detto squilibrati?
Aveva chiamato loro squilibrati? La
fissai, ad occhi sbarrati, non sapendo se mettermi a ridere o a
piangere. Stava dando fuori di matto? Si, stava dando fuori di matto.
Magari mi ero sognato tutto. Oppure era la voce di Dio che mi
guidava. No, non stavo sognando. Ci aveva veramente chiamato
SQUILIBRATI, a noi. Ma si era guardata allo specchio quella mattina?
Anche i suoi capelli sembravano indovinare il suo umore. Erano ricci,
molto ricci, ribelli, e sparavano da tutte le parti, fuoriuscendo
dall'elastico con cui aveva cercato di tenerli in ordine.
Taylor cominciò ad accorgersi delle
nostre occhiate. A quel punto non ce la feci più a
resistere:
scoppiai a ridere, come ero capace di fare solo con lei. Risi
convulsamente, come un idiota - che in fondo, era quello che ero. E
il resto della band mi venne dietro, prima Amos, poi Paul, che si
piegò in due in preda ai crampi allo stomaco, provocati
dalle troppe
risate, e poi Caitlin, e gli altri.
Taylor, invece, restò ferma, a
guardarsi intorno quasi confusa. Non capiva, non riusciva a capire
che la fonte del nostro divertimento era lei. Ma alla fine, ridevamo
di lei perchè la conoscevamo, perchè ci piaceva
così, pazza, fuori
di testa, e le volevamo bene per quello che era.
E poi, tutto era meglio di quel brutto
periodo che aveva passato qualche mese prima.
La biondina aggrottò le sopracciglia,
sempre perplessa, poi scoppiò finalmente a ridere,
contagiata dal
nostro attacco isterico collettivo. L'aria era alleggerita,
l'atmosfera era piena di buonumore.
Poi, con un gesto improvviso, Tay prese
la chitarra - per la precisione, la MIA chitarra, sì esatto,
quella
con la zampina di gatto. Quante volte le avevo detto di NON TOCCARE
LA MIA CHITARRA?! - e inziò a suonare Stay Stay
Stay; non
dal punto dal quale aveva smesso, bensì, dall'inizio.
- I’m pretty
sure we almost broke up last night. - canticchiò,
in falsetto, prendendosi letteralmente in giro. Sembrava un
chipmunck.
Nel
frattempo Amos, dopo aver ridotto l'attacco isterico ad una ridarella
contenuta, aveva ripreso la sua chitarra e si era messo a suonare,
seguendo il ritmo della bionda; lei, che aveva risalito le scalette
del palchetto e si era messa a volteggiare in tondo, si
lasciò
cadere ai miei piedi, strimpellando senza pietà le corde
della mia
povera chitarra, in chiaro segno provocatorio. Alzò la
testa,
sorridendo come un gatto sornione. Quanto avrei voluto
schiaffeggiarla di santa ragione!
- I throw my
phone across the room... - continuò,
chiudendo gli occhi e cessando all'improvviso di cantare. Sapevo che
stava aspettando che continuassi. Volevo davvero darle questa
soddisfazione?
- At you - cedetti
infine, con uno sbuffo. La mia voce, rauca e più profonda,
contrastava nettamente con il suono leggero ed acuto della chitarra e
con la vocetta di Taylor. Lei aprì di nuovo gli occhi e mi
sorrise,
un sorriso sincero e divertito; “a questo
punto”, direte
voi, “si sarà tirata su e avrà
continuato la canzone, come una
persona normale. O, meglio ancora, si sarà alzata per
tornare nel
palco principale e continuare le prove, in modo decente”.
Invece
no; insomma, stiamo parlando di Taylor Swift.
Infatti, con uno
scatto da gatta, si buttò all'indietro, sdraiandosi
completamente
sul B-Stage, con le gambe penzolanti. Sui miei piedi.
E di nuovo si mise a sorridermi, in tono di sfida, continuando a
suonare - come diavolo faceva?! - in quell'astrusa posizione.
Non c'erano dubbi; tutta quella farsa era una chiara vendetta, un
modo per rispondere a come ci eravamo presi gioco di lei, poco prima.
Ero quasi tentato di muovere i piedi e di buttarla di sotto. Quella
sì che sarebbe stata una vendetta degna di questo nome.
- I was expecting
some dramatic turn away -, continuai
io, fissandola, a mia volta, con aria di sfida, - but
you...
- STAYED! -, gridiamo insieme,
senza nemmeno coordinarci. Un sorriso da ebete mi si dipinse sul
viso; evidentemente lei se ne accorse, perché
ridacchiò sotto i
baffi e continuò a cantare.
- This morning I
said we should talk about it cause I read you should never leave a
fight unresolved - disse
lei, con fare
da maestrina. Le mancavano solo gli occhiali sulla punta
del
naso, poi sarebbe stata perfetta. Da qualche parte doveva averli,
quei suoi occhiali da secchiona. Magari nel camerino. Stupida,
stupida Taylor. Non cambiava mai. Decisi allora che la cosa stava
andando un po' per le lunghe. Volevo indietro la mia chitarra - ci
tenevo - ora, subito; dovevo quindi comunicarglielo, nel miglior modo
possibile.
- That’s when
you came in STEALING MY OLD, OLD GUITAR AND PUT THIS GRIN ON YOUR
FACE. -, sparai,
cambiando sul momento le parole. D'altronde, ero o non ero un
compositore di grande talento? Volevo proprio vedere cosa mi avrebber
risposto, adesso.
Per un momento, la bionda rimase
spiazzata, poi scoppiò a ridere - il tutto continuando a
suonare,
tanto che le sue risa si coordinarono con la musica - e non
attaccò
con la strofa dopo, troppo impegnata a sbellicarsi. Quando fu sicura
di esssersi ripresa, si alzò in piedi - finalmente
- e
riprese la canzone dal ritornello.
- Stay stay stay - cantammo
allora insieme, mentre lei improssiva un balletto, girando su se
stessa, sul piccolo palco - I've been loving you for quite
some
time time time - continuò;
a quel punto mi unii anch’io: - You
think that it's
funny when i'm MAD -; c’era un leggero punto di
domanda nella
sua voce, lo sentii. Come se stesse aspettando una conferma. - MAD,
MAD! - le risposi io - tanto per assicurarle che
sì, era pazza,
da legare - ridacchiando come un bimbetto e ballando insieme a lei -
sì, sono instancabile.
- But I think that it's best if we
both stay -, e questa fu la conclusione del nostro duetto.
Sì,
perché lei, slacciatasi la mia chitarra dal collo, fece per
scendere
dal palco, ma mi accorsi ben presto che non ci sarebbe riuscita, in
quanto i nostri balletti scatenati ed la nostra momentanea pausa dal
“duro lavoro” avevano provocato una specie di
grosso disastro con
i fili presenti sul palchetto; ed è per questo che Taylor
non si
accorse di dove stava mettendo i piedi. Non ci mise molto, infatti,
ad aggrovigliarsi con quella massa informe di plastica nera. Quando
notai che stava per ruzzolare malamente al suolo, corsi in suo aiuto.
Grosso errore.
Infatti,
proprio mentre stavo per darle una mano ad uscire da lì, lei
perse
l'equilibrio, ed indovinate un po' dove andò a finire?
Esatto.
Addosso a me. Con tutto il suo peso - che non è poi
granchè, alla
fine -. Fu inevitabile, a quel punto, cadere entrambi come due sacchi
di patate. Sentii subito il dolore alla schiena appena toccammo
terra, e sentii anche il breve urletto di Taylor. Dopo mezzo secondo,
mi ritrovai i suoi capelli in faccia, i suoi riccissimi e fitti
capelli; stavo per soffocare. Qualcuno, dal palco grande, ci urlava
se stessimo bene. Io continuai a dimenarmi, a cercare di
alzarmi, ma la biondina mi schiacciava, impedendomi qualsiasi
movimento.
- Taylor! Sto soffocando, qui sotto! -
la informai, con voce roca. Lei, dal canto suo, stava ridendo. Di
gusto. Si sollevò sui gomiti e si spostò i
capelli all'indietro,
dandomi finalmente modo di respirare.
- Tu lo sapevi, Eddy Rosso! – . Sì,
mi chiama così. Non chiedete nulla. Avete avuto modo di
constatare
con i vostri occhi quanto sia fuori di testa. – Lo
sapevi!
Mi hai teso una trappola, con tutti quei dannatissimi fili! Te lo
leggo in faccia!
Stavo tentando l'impossibile per non
scoppiare a ridere. Una vocina, nella mia coscienza, mi stava dicendo
che Taylor me l'avrebbe fatta pagare se mi fossi azzardato a lasciar
uscire anche solo una piccola risatina. Ma d'altronde, anche lei
stava ridendo come un'ossessa, quindi mi unii.
-Sei un impostore, Eddy Rosso! Un
impostore! Stavo quasi per chiederti di cantare Stay Stay Stay
con me stasera, ma non te lo meriti! Mi hai quasi ucciso! -
protestò,
tra una risata e l'altra.
-Veramente, ci tengo a precisare, sono
stati i tuoi capelli che hanno tentato di assassinarmi, Saylor
Twift. –. Oh, bene, e questa da dove mi era uscita?
Fatto sta
che sembrava un’altra meravigliosa vendetta, in quanto lei
smise di
ridere e mi piantò gli occhi addosso, fissandomi arcigna.
E' in quel momento che successe. Mentre
io stavo ancora ridendo, tentando di togliermela di dosso, lei si
chinò verso di me, con uno scatto così improvviso
che cominciai a
sudare freddo. Che diavolo
stava combinando, questa volta? Eravamo vicini, fin troppo. Dieci,
quindici centimetri separavano i nostri nasi. Mi sentii arrossire.
Oddio, odiavo arrossire. Era una cosa poco mascolina.
Fatto
sta che alla fine, Taylor si chinò vicino al mio orecchio e
mi
sussurrò, con un tono a metà tra l'ironico e il
serio: Eddy
Rosso.Il suo
fiato caldo mi
fece, stranamente, rabbrividire.
-Stai attenta che ti faccio cadere,
Saylor Twift – le sussurrai di rimando, riprendendomi un
poco. Lei
ridacchiò, ancora; ma poi, vedendo che non la seguivo, smise
pian
piano, e restammo lì, a fissarci, occhi negli occhi, come
due
emeriti idioti. Le guance di Taylor, lentamente, andarono ad
imporporarsi, specchio delle mie.
-Vuoi una mano, Ed? –, fece una voce
strana, distorta da una risata contenuta, alle mie spalle. Rischiai
di sobbalzare per la sopresa e l'imbarazzo, cosa non molto adatta in
quanto l'equilibrio di Taylor, ancora comodamente distesa addosso a
me, era già abbastanza precario. Con una forza che non
sapevo di
avere, riuscii a tenere a freno i miei nervi, resi suscettibili da
quella cosa strana che era appena successa - che poi, cosa diamine
era successo?! - e mi voltai verso sinistra; era Amos, accorso in
nostro aiuto insieme a Paul e Caitlin. Tutti e tre, si vedeva,
trattenevano a stenta le risa. - Anche se vedo che voi due
piccioncini state
benissimo
dove siete, sbaglio?
Bella figura, Ed. Bella, bellissima
figura. Taylor, sopra di me, trasalì, imbarazzata quanto me.
-Sì grazie – gli risposi. Con
delicatezza, spostai Taylor da una parte, in modo che potesse
rialzarsi, e agguantai la mano che Amos, visibilmente divertito, mi
offriva; nel contempo, cercai di riprendermi dalla situazione
abbastanza grottesca che si era creata.
D'improvviso, sembrava che l'allegria
fosse scivolata via da Taylor. Aveva il viso rosso, per il troppo
ballare e scatenarsi ed anche per quello che era accaduto. Mi
lanciò
uno sguardo, uno sguardo strano, che non riuscii a decifrare; ma non
mancai di arrossire, ripensando a come mi si era avvicinata, prima.
Ma che diavolo mi era passato per la mente? Taylor era mia amica, la
mia migliore amica. Certi pensieri non dovevo nemmeno sfiorarli.
Era stato un grosso equivoco, ma era
ovvio che, in un certo senso, aveva rovinato l'atmosfera
esageratemente gioiosa di quella mattina. Taylor, fattasi
d'improvviso mogia, non mi lanciò nemmeno uno sguardo
d'intesa prima
di saltare giù dal B - stage e di urlare al resto della sua
band,
che la guardava esterefatta: - Ragazzi? Forza, riprendiamo a suonare.
Angolo
Autrici.
Buongiorno! Se
siete arrivati fin qua, vi ringraziamo vivamente! In questa storia
mettiamo tutte noi stesse, ed è bello sapere che qualcuno la
legge, ahahhaha.
Comunque. Sì, avete capito, questa storia parla proprio di
Ed Sheeran e di Taylor. Una coppia che noi due - a proposito, siamo
Liuba e Arianna! - ameremmo vedere insieme. Così, abbiamo
deciso di scrivere questa ff, a due mani. Arianna, la tipa simpatica,
ci mette l'ironia e la fantasia, ed io ci metto la depressione.
Ovviamente sto scherzando.
Se state leggendo, vuol dire che siete stati incuriositi o che, come
noi, shippate questa coppia. In ogni caso, speriamo vivamente che vi
piaccia :3
Detto questo, vi ringraziamo di nuovo, e ci vediamo... al prossimo
capitolo!
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Capitolo 2 *** Due. ***
DUE.
Consiglio: vi consigliamo di
ascoltare QUESTA
canzone durante la lettura, di metterla anche a ripetizione, se
necessario; ha molto ispirato questo capitolo e ne segue un po' la
"struttura" se così si può dire :)
Non
so perché ma, quella sera, quando mi misi a letto, invece di
addormentarmi, cominciai a pensare. Non tanto a quello che era successo
quel pomeriggio – anzi tutt’altro, cercavo di
evitarlo il più possibile - quanto agli eventi di qualche
mese prima. Se dovessi spiegare come mai il mio povero cervello si
fosse messo a rielaborare un flashback così lungo e assurdo
probabilmente non sarebbe bastata una vita per capirlo neanche per me;
fatto sta che, senza un vero motivo valido - o, perlomeno, un motivo
che riuscissi a comprendere - mi tornavano in mente a spezzoni, come
scene di un film, eventi di qualche mese fa.
Erano giorni
che non sentivo né Taylor, né Harry; e la cosa
era piuttosto strana perché, almeno con lei, eravamo soliti
fare lunghe chiacchierate, la sera. Più che
“chiaccherate” li chiamerei
“deliri”. Ci dicevamo frasi del tipo “Hey
Ed, ieri ho incontrato un pegicorno: mi ha detto di chiamarsi
Christopher, come te” oppure “Hey Taylor, la tua
gatta mi ha parlato in sogno stanotte: ha detto che devi smetterla di
strimpellare la chitarra come un’ossessa tutta la notte
perché lei vuole dormire”. E poi alla fine ci
ritrovavamo a parlare del senso della vita. O di quale fosse la parola
più lunga del mondo. Era piacevole, chiacchierare con
Taylor; non servivano tanti freni perché rideva
più o meno di tutto, parlava più o meno di tutto,
e ascoltava più o meno tutte le scemenze che dicevo. E ci
rideva anche. Ma era un bel po’ che non la sentivo, e stavo
cominciando a preoccuparmi. Non mi aveva mandato nemmeno un messaggio,
l'ultimo risaliva ad una settimana prima. Era una cosa strana e,
sicuramente, non era da Taylor. Avevo provato anche a fare un giro di
telefonate fra le sue amiche più strette.
- Non so che
dirti, Ed - aveva detto Selena, preoccupata quanto me. - Anche io non
la sento da un po'. Posso solo dirti che c'è qualcosa che
bolle in pentola con la storia di Harry, già da qualche
settimana. Ma per il resto non so niente.
Avevo
aspettato un altro giorno, poi mi ero deciso a chiamarla. Ma non aveva
risposto, né al cellulare, né a casa. C'era
qualcosa che non andava, ormai era certo. Il mio primo pensiero fu di
partire di corsa verso casa sua. Con cosa poi, rimaneva un mistero,
considerato che non avevo idea di come fare per arrivare fino a lei,
visto che ero in tour. Decisi però di chiamare Harry, per
chiedergli se ne sapesse qualcosa. Sulle prime, nemmeno lui rispose,
tanto che pensai che forse quei due si erano concessi una vacanza fuori
dal mondo, da soli; ma, alla terza volta che provavo, il ragazzo aveva
alzato la cornetta.
- Ed? Ma si
può sapere che ti prende? - sbottò, in tono
seccato. - Uno non può rilassarsi cinque minuti senza
ricevere un numero indefinito di telefonate?
-
Sì, scusa - dissi, poco convinto. - È soltanto
che sono giorni che non sento Taylor, non risponde al cellulare,
né a casa, e mi chiedevo se magari tu sapessi qualcosa.
Dall'altra
parte, mi giunse solo il silenzio, tanto che pensai che Harry avesse
riattaccato.
- Harry? Ci
sei?
-
Sì, sì, ci sono - brontolò, ancora
più irritato. - Comunque, non so niente di Taylor. Sono
giorni che non la sento nemmeno io. Più o meno da quando
abbiamo litigato.
- Avete
litigato? - gli chiesi, sempre più sospettoso e preoccupato.
-
Già. È finita.- rispose, con nonchalance. - Ci
siamo lasciati.
- Cosa? E
perché? - esclamai, sorpreso. Lasciati? Quando?
Perché Taylor non me lo aveva detto?
- Qualcuno le
ha inviato una foto di me con un'altra ragazza, una mia... amica -
esitò. Leggermente più rammaricato. - E niente,
Taylor non ha retto, e nemmeno io. Così le ho detto che era
meglio se la finivamo qua.
Rimasi in
silenzio. Dio Santo. Certo che Harry era sempre il solito. Al primo
problema - che solitamente era lui a creare - si tirava indietro.
Sospirai e mi massaggiai le tempie. Le risposte di Harry,
così fredde e scostanti, mi aveva dato un fastidio tremendo.
- Certo che
hai un tatto straordinario, amico - gli dissi, con tono acido, per poi
riagganciare.
Sostanzialmente
mi ritrovai più in confuso di prima. E dovevo trovare un
modo per andare da lei: era evidente che l’aveva presa molto
male. Anche se la cosa tra i due era nata più per gioco che
per altro, e dall’esterno poteva apparire più come
una trovata pubblicitaria, alla fine si vedeva che un po’ si
erano legati. Poco, certo, ma comunque lo erano; non so cosa li legasse
veramente, ma sapevo che per Taylor era stato un duro colpo, visto
com'era sparita dalla circolazione, all'improvviso. E Taylor non
è il tipo che sparisce, quindi vuol dire che quel genio del
mio migliore amico aveva combinato qualcosa in più di
ciò che voleva far intendere.
Cominciai a
fare due calcoli mentali per capire quanto tempo avrei impiegato ad
andare e tornare, se fosse un’idea stupida - sì,
era stupida, ma non importava -, se avrei mandato in fumo un intero
concerto e se la mia geniale trovata avrebbe risollevato il suo morale
che ero sicuro essere a terra, se non ancora più sotto. Il
cervello elaborò che era fattibile, anche se probabilmente
avrei fatto infuriare un bel po' di persone, e non parlavo solo dei
fans. Sarei voluto partire all'istante; non avevo capito quando era
avvenuta la rottura, ma era davvero troppo tempo che non sentivo
Taylor, ed avevo paura che le fosse successo qualcosa. Presi il
portatile posto sul comodino dell’albergo e cominciai a fare
qualche ricerca su internet, nel tentativo di trovare un aereo che
portasse da qui a Los Angeles. O almeno, credevo fosse a Los Angeles. E
se fosse tornata a casa, per prendersi una pausa? Forse era per quello
che non rispondeva. O forse le era successo qualcosa. Panico.
“Calmati,
Ed!” urlò una voce nella mia testa. La mia
coscienza. Sì, ho una coscienza che mi parla. Ormai l'avete
capito che sono strano. “Se ti fai prendere dal panico non
riuscirai ad aiutare Taylor. Calma. Pensa”.
Mi appoggiai
allo schienale della sedia, per niente calmo, ma più
riflessivo; avrei potuto chiamare Selena, raccontarle quello che mi
aveva detto Harry e chiederle se poteva andare lei stessa a
controllare. Ma sapevo che avere notizie per terze persone non mi
avrebbe tranquillizzato; volevo vederla di persona. Non sapevo bene
perché, ma avevo la sensazione che solo vederla con i miei
stessi occhi, di fronte a me, sana e salva, avrebbe potuto calmare la
mia ansia. Per questo mi riavvicinai al computer, cercai il primo aereo
per Los Angeles e prenotai un biglietto. Di sola andata.
Il volo era
fissato per le undici e mezza di sera; erano appena le otto, ma buttai
qualcosa in valigia e mi fiondai fuori dalla stanza e dall'hotel il
più velocemente possibile. L'ansia era sempre lì,
come una fedele amica, aggrappata al mio stomaco con un gatto al suo
giocattolo a forma di topolino. Fu così che riuscii ad
essere all'aeroporto prima delle nove e mezza.
L'attesa mi
stava uccidendo. Nel mentre attendevo al gate, con il mio povero
bagaglio e la custodia con dentro la chitarra - non chiedetemi
perché me la fossi portata dietro. Ricordate? Sono strano -
provai nuovamente a chiamare Taylor. Non rispose nemmeno questa volta.
Avevo la tentazione di lanciare il cellulare sulla pista. Non sapevo il
numero di casa sua a Nashville, quindi mi era impossibile accertarmi se
era lì. Aspettai pazientemente - per quanto mi fosse
possibile.
Finalmente
salii sull'aereo, e la mia ansia si allentò un po'. Non
sapevo quante ore di volo mi aspettassero, ma non m'importava. Il
desiderio di accertarmi che la mia migliore amica stesse bene cresceva
di minuto in minuto, quindi sperai fossero poche.
Cercai di
rimanere il più tranquillo possibile, ma fu molto difficile.
Mi infossai nella poltroncina di prima classe, ad occhi chiusi,
tentando di non pensare al peggio. Ero terrorizzato, a quel punto. Non
sapevo da dove venisse quella reazione esagerata, fatto sta che il
tempo che passai su quell'aereo fu il più terribile della
mia vita. Quando riuscii a rimettere piede a terra, ero quasi tentato
di fare un balletto. Guardai l'orologio. Erano quasi le due. Che orario
improponibile per presentarsi a casa di qualcuno.
“Bravo
Ed” esclamò Coscienza, con un tono da maestrina.
“Probabilmente Taylor ti butterà fuori a calci nel
sedere. Anche perchè credo che, in questo momento, l'ultima
cosa che vorrebbe vedere è un uomo”.
Ah, certo. Non
avevo pensato a questo particolare; se Taylor era così
distrutta come sembrava, forse vedermi non le avrebbe fatto tanto
piacere. Probabilmente in questo istante detestava tutto il genere
maschile.
Scrollai le
spalle. Ormai ero lì, e dovevo vederla.
Mi ricordavo
benissimo dove si trovasse casa sua; c'ero stato molte volte, mentre
lavoravamo ad “Everything Has Changed”, appena
qualche mese prima. Perciò, non ci misi molto tempo a
raggiungerla.
In questo
momento, il cancello di casa Swift, nero e lucente - non avevo dubbi -
mi sovrastava. Era qualcosa di così gigantesco. Non sapevo
se suonare il campanello o cosa. Forse avrei potuto sedermi
lì davanti stile barbone e cominciare a cantare qualcosa,
nel tentativo di svegliarla.
Sfiorai il
metallo freddo. Sicuramente non sarei riuscito a passare tra una sbarra
e l'altra, erano troppo strette ed io non ero certo uno scheletro.
Mentre cercavo
uno stratagemma per entrare senza dover suonare il campanello - che
avrebbe certamente ignorato, a quell'ora di notte - vidi una luce,
oltre le piante dell'immenso giardino. Spostandomi un po' verso destra,
riuscii a capire da dove provenisse. Era una finestra aperta; sul bordo
di questa, stava qualcosa, una figura alta e slanciata, che proiettava
un'ombra scura sul terreno sottostante.
Ammetto che mi
ci volle un po' per riconoscervi una figura umana. E ci misi ancora di
più a riconoscere il profilo di Taylor, le spalle infossate
e la testa bassa. Ogni tanto sussultava. Stava piangendo. Era seduta
sullo stipite della finestra, con le gambe penzolanti fuori e qualcosa
appoggiato sulle ginocchia. D'un tratto, una luce bianca le
illuminò il volto, e capii che era un computer.
Fu un sollievo
vedere che stava bene, almeno fisicamente; ma non mi piaceva
lì, da sola, in equilibrio su quella finestra, al secondo
piano. Sarebbe potuta cadere da un momento all'altro, senza tralasciare
che mi sembrava abbastanza sconvolta. Dovevo raggiungerla, quindi feci
la prima cosa che mi venne in mente: mollai bagaglio e chitarra dietro
una siepe lì vicino - pregando tutti i santi che conoscevo
che nessuno li scoprisse - e cominciai ad arrampicarmi, con la mia
goffaggine caratteristica, lungo il cancello di ferro. Il metallo era
freddo e scivoloso e avrei potuto cadere da un momento all'altro. Con
questo pensiero fisso in mente e il panico che mi saliva su per la
gola, riuscii abbastanza velocemente a raggiungere la cima. Il problema
adesso era scavalcare. Mi sentivo un criminale. Speravo che nessuno mi
vedesse e chiamasse la polizia; sarebbe stato abbastanza difficile ed
umiliante spiegare il motivo della mia incursione.
Stranamente,
scavalcare fu più facile che arrampicarsi; mi ritrovai
aggrappato all'altra parte, mentre guardavo il giardino di casa Swift
sempre più nel panico. Mentre pensavo se sarebbe stato
meglio saltare o scendere con cautela, un passo alla volta, il destino
scelse per me: persi la presa con un piede e, con un urlo istintivo,
che avrebbe svegliato anche una famigliola intera che dormiva a
Nashville, atterrai sul suolo freddo e duro.
“Ahi,
questo fa male” disse Coscienza, nella mia testa, mentre io
me ne stavo sdraiato per terra, a pancia in giù, sentendo
dolore ovunque. Ma che idea malsana era stata quella? Ero un cretino.
Tanto più che, dopo il mio fantastico acuto, era sicuro che
qualcuno avrebbe chiamato la polizia. Magari la stessa Taylor. Oh,
bene. Un'altra delle mie maginifiche figure di merda.
Non riuscivo a
muovermi. Forse mi ero rotto qualcosa. La spina dorsale. O l'osso del
collo. Magari ero morto. Già, ero morto e quello solo un
terribile incubo. Ecco la verità.
Perciò,
quando sentii dei passi svelti avvicinarsi, pensai fosse un angelo. O
forse un demone. Già, era più probabile che
finissi all'Inferno piuttosto che in Paradiso. Chiusi gli occhi, ormai
convintissimo di essere trapassato.
Ma poi una
voce femminile, una voce che conoscevo benissimo, mormorò: -
Ed?!
D'un tratto,
recuperai tutte le forze che mi sembrava di aver perduto e il dolore
scomparve all'improvviso, mentre mi alzavo a sedere di scatto per
ritrovarmi ad un palmo del naso di Taylor. Per poco non strillai
un'altra volta.
- Che diavolo
ci fai qua?! Mi hai fatto prendere un colpo, pensavo fosse entrato
qualcuno! - sbottò, evitando il mio sguardo. - E quando ti
ho visto sdraiato per terra, pensavo fossi morto.
- Ti consola
sapere che ho pensato di esserlo anche io? - scherzai, arrossendo per
l'imbarazzo. Un'altra meravigliosa figura da aggiungere alla mia lista
interminabile di gaffes.
Lei mi sorrise
appena, preoccupata per la mia sanità mentale,
probabilmente; ma il sorriso sparì in fretta come era
apparso. Ora che i miei occhi si stavano abituando al buio, potevo
guardarla in faccia: aveva gli occhi rossi, gonfi, ed era struccata. Il
viso era chiazzato, stanco e distrutto; sembrava dimagrita di decine di
chili. Stava accucciata di fronte a me e sembrava faticasse a reggersi
sulle gambe. Non l'avevo mai vista così; sentii il cuore
sprofondare per la pena e per la preoccupazione.
Mi alzai per
primo, sotto il suo sguardo triste ed interrogativo. Le porsi la mano e
lei ci mise un po', ma poi l'afferrò.
Appena l'ebbi
tirata su, la tirai verso di me, facendola quasi sbilanciare in avanti,
e la strinsi con tutta la forza che avevo.
Non credo se
lo aspettasse. Si irrigidì sotto la mia presa e, in un primo
momento, quasi d'istinto, cercò di staccarsi; ma non la
lasciai, non avevo nessuna intenzione di farlo. Ed evidentemente lo
capì, perchè smise di divincolarsi, mi
abbracciò a sua volta e scoppiò a piangere
disperatamente.
Sentirla
urlare contro di me per il dolore, battere i pugni sul mio petto,
sfogarsi, mi distrusse e mi spezzò il cuore riducendolo ad
un mucchietto di pezzettini abbandonati in un angolo. Sembrava che il
mio cuore avesse seguito la stessa strada del suo; riuscivo a provare
quello che provava lei. Appoggiai la testa sulla sua spalla; profumava
di pesche. Lei affondò il viso nella mia, continuando a
piangere come una bambina. Esatto, la sentivo come una neonata, tra le
mie braccia. Inerme, privata di qualsiasi volontà o
sentimento che non fosse la disperazione.
Era la prima
rottura della mia migliore amica che vivevo, ma avevo già
capito che odiavo vedere il suo cuore, così buono e gentile,
spezzarsi; odiavo vedere i suoi occhi scurirsi, come era successo
prima. Non credo mi ci sarei mai abituato.
In questa
storia, molti sono i ricordi che, alla sua conclusione, mi sono tornati
in mente. Uno di questi fu quella scena. Ricordo benissimo ogni singolo
istante, ogni singolo singhiozzo di Tay ed ogni singolo pensiero. E ce
ne fu uno in particolare, tra tutti quelli che mi affollavano la mente,
mi travolse, facendomi scostare da Taylor in modo quasi rude.
Ricordo di
aver pensato che era troppo buona per subire tutto questo. Che non lo
meritava. Che mi sarebbe piaciuto renderla felice, come avrebbe dovuto
essere. Che avrei voluto guarire il suo cuore.
Afferrai
Taylor per le spalle e la allontanai in fretta, sentendo il mio cuore
accelerare. Lei smise di piangere e mi guardò stupita. Io mi
sentii di nuovo avvampare, imbarazzato dai miei stessi pensieri;
perciò smisi di guardarla, mentre lei si scrollava le mie
mani di dosso e si abbracciava con le mani.
- Non mi hai
ancora detto - disse, per rompere quel silenzio carico di tensione. -
Cosa ci fai qui. E come ti è venuto in mente di scavalcare
il mio cancello.
Non risposi
subito. Le diedi le spalle e mi misi a fissare casa sua. Almeno non
dovevo guardarla negli occhi. Temevo che potesse leggerci cosa mi
passasse per la testa. - Era un po' che non ti sentivo - esitai. - Mi
stavo preoccupando. Poi ho chiamato Harry e mi ha detto tutto.
Mi voltai
nuovamente verso di lei, sentendomi abbastanza sicuro di me stesso, e
la guardai negli occhi. - Mi dispiace, Taylor. Mi dispiace
così tanto. Odio vederti così.
Lei, in tutta
risposta, tirò su con il naso. - Dio, Ed. Domani non hai un
concerto da qualche parte?
- Beh, dovrei.
- E allora
cosa ci fai qui?
- Ero
preoccupato per te, te l'ho detto. Volevo venire a vedere come stavi
e... magari consolarti, con qualche battuta delle mie o qualcuna delle
mie gaffe.
Mi
fissò intensamente, con quegli occhioni blu da cerbiatta,
tanto che cominciai a sentirmi quasi esposto. Di nuovo, arrossii. Uhm.
Da quando stare con Tay mi provocava tutto questo afflusso di sangue
alle guance?
Finalmente
sorrise; non era un sorriso dei suoi, ma era ciò che
più gli s'avvicinava. - Dio, Ed, sei un tale idiota. Nessun
altro avrebbe mai fatto una cosa del genere per la sua migliore amica.
- Ma io non
sono “nessun altro” - sbottai. Era squallida, okay,
ma riuscii a strapparle un risolino, quindi la considerai una vittoria.
- Come stai?
- Sono stata
meglio, certo - obiettò, calciando la ghiaia del vialetto
con il piede. Notai che indossava delle pantofole a forma di gatto.
Classico. - Ma in un certo senso, non sono mai stata peggio.
Non capii cosa
volesse dire. Mi avvicinai di nuovo a lei, temendo che stesse di nuovo
per scoppiare a piangere e quindi pronto ad offrirle una spalla per
farlo, ma lei tirò fuori il suo IPhone, ci
aggeggiò un attimo e poi lo voltò verso di me. In
quei pochi secondi in cui la luce illuminò il suo volto,
vidi che aveva nuovamente gli occhi colmi di lacrime.
Quella che mi
stava facendo vedere era la sua pagina twitter. Aveva un sacco di
menzioni, ma non capii quale fosse il problema; ne aveva sempre
tantissime, i suoi fan la adoravano. Ma poi, stringendo gli occhi,
riuscii a leggere meglio. E capii che non erano tweet festosi da parte
delle sue fan.
@taylorswift13
muori.
@taylorswift13
stai lontana da Harry!!!!! sei una lurida puttana. Tornatene da dove
sei venuta!
@taylorswift13
spero che Harry ti mandi a quel paese in grande stile, brutta troia.
@taylorswift13
sei una stronza, gira al largo da Harry.
@taylorswift13
non provare a scrivere una canzone su di lui!!!
E non era
finita qui. I tweet che la insultavano continuavano, ancora, ed ancora.
Sembravano non finire mai, e sovrastavano quelli - sempre numerosi -
del suo fandom che la difendeva a spada tratta.
Rimasi
schifato da quei messaggi. Come osavano trattarla così, solo
perchè era uscita con il loro stupido Harry? Ci credevo che
Taylor era distrutta. Era così buona, e vedere tutti quegli
insulti rivolti a lei, che non aveva mai fatto niente di male, a parte
innamorarsi del ragazzo sbagliato...
Mi sentii
montare la rabbia. Ma come osavano? Come osavano comportarsi
così con lei, la persona più gentile esistente su
questa terra? Avrei voluto picchiarli uno per uno con le mie stesse
mani, finché non sarebbero tornate strisciando a chiederle
perdono.
- Mi odiano -
sussurrò lei, mettendo via il cellulare e tuffando il viso
nelle mani. - Mi odiano tutti, Ed. Sono la persona più
orribile di questa terra.
- Ma cosa dici
Tay? - sbottai, afferrandola per le spalle e scuotendola. Non doveva
azzardarsi a pensarle nemmeno quelle cose. - Tu, tu sei una persona
orribile? Cosa avresti fatto di sbagliato? Innamorarti? Non
è mai uno sbaglio innamorarsi. Loro stanno sbagliando,
Taylor. Non ti conoscono, non sanno chi sei, non hanno nessun diritto
di giudicarti. Sono delle bambine. Non sanno nemmeno di cosa stanno
parlando.
Lei non
sembrava avermi ascoltato. Aveva ricominciato a piangere, quasi
più forte di prima. Non riuscivo a vederla così,
veniva da piangere anche a me. Era terribile, e non sapevo
più cosa fare per consolarla. Così, la strinsi a
me, di nuovo, e lei sembrava così piccola - quando, in
realtà, sappiamo tutti benissimo quanto sia alta.
È un colosso - che ci si perse, tra le mie braccia; la
abbracciai così stretta da temere di poterla rompere,
affondando la testa nel suo collo e tentando di calmarla,
accarezzandole la schiena ed i capelli, biondi e mossi. E di nuovo,
pensai che odiavo vederla così. Che era ingiusto che lei non
riuscisse a trovare l'amore, mentre persone cento volte più
meschine e terribili sì. E che avrei voluto vederla felice,
a qualunque costo.
Il flashback
si concluse all'improvviso, riportandomi alla realtà con uno
strattone. Stavo fissando il soffitto con aria assente, intento a
pensare a tante, troppe cose. Forse, avrei dovuto pensare meno; mi
avrebbe fatto molto bene. Ma non ci riuscivo, avevo la testa
così piena, di confusione e ricordi e parole che sapevo che
c'era un unico modo per fare un po' di ordine.
Scalciai
via le coperte come avrebbe fatto un bambino e mi alzai, dirigendomi
verso lo scrittoio che stava in fondo alla stanza. Prima,
però, presi la mia adorata chitarra, poggiata alla parete
lì affianco. Mi sedetti e la imbracciai. Poi, strappai un
foglio dal block notes dell'albergo e presi la penna, cominciando a
buttare giù qualche nota.
Ancora non sapevo di stare scrivendo una canzone per Taylor.
Angolo Autrici
Buonasera! Eccoci di nuovo qua (CAUSE THERE WE ARE AGAAAAAAAAAAAAAIN!,
per dirlo con una delle nostre Swift song preferite!) con un altro bel
capitolo per la nostra FF :)
Vi comunichiamo che non ci aspettavamo così tante recensioni
già al primo capitolo! Siamo veramente contente,
è bellissimo vedere così tanti commenti positivi.
Ci dispiace di non poter rispondere personalmente ad ognuno di voi, ma
gli impegni ci obbligano a dedicarci poco anche alla scrittura.
Comunque, vi ringraziamo vivamente!
Siamo già a buon punto con in terzo capitolo, quindi lo
pubblicheremo in tempi più brevi :) non vediamo l'ora di
mostrarvelo!
Per ora speriamo che questo vi sia piaciuto! :3
A la prossima volta!
P.S. No, ovviamente, quella nella foto all'inizio non è la
casa di Taylor. LOL
|
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Capitolo 3 *** Tre. ***
TRE.
Nel
mio dormiveglia, sentii chiaramente qualcuno che saliva rapidamente
le scale, che si trovavano proprio davanti alla mia camera ; era un
passo leggero, acuto, ticchettante e molto fastidioso: probabilmente
tacchi. Ma non me ne curai molto.
“Perché,
come sapete bene lui se ne intende di scarpe con il tacco”
mormorò
la vocina dentro la mia testa, con il chiaro scopo di prendermi in
giro. Oh, bene, adesso anche la mia stessa coscienza si prendeva
gioco di me.
“Ehi
Coscienza” la richiamai. “Smettila di farmi
sembrare uno
sciroccato che parla da solo e lasciami dormire in pace”.
“Ma
tu sei uno sciroccato, Ed. Eddy. Eddy Rosso”
confermò, per poi
sghignazzare. Com'è che mi ricordava una certa bionda
svampita che
non faceva altro che appiopparmi quel nomignolo assurdo ogni volta
che le capitava? Aveva anche il suo stesso tono di voce. Stupida,
antipatica, acida di una Coscienza. Non bastava la mia migliore amica
a farmi sentire un folletto, per via dei capelli. Dovevo essere stato
influenzato parecchio. Oppure avevo davvero qualcosa che non andava
ed effettivamente, il dubbio cominciava a sorgere, visto che
continuavo a sentirla parlottare nel cervello come se ce l'avessi
seduta accanto a me...
“No
idiota, solo Taylor ti chiama Eddy Rosso, è una sua
priorità”
eccola, di nuovo, con quel tono di scherno che mi faceva venire
voglia di prenderla a schiaffi. Peccato che non esistesse.
“Ti
ho detto di stare zitta” le intimai,
spegnendo il cervello
con l'intenzione di tornarmene a dormire. E poi, eccolo. Sentii dei
leggeri colpi sulla porta, chiari ma allo stesso tempo ovattati. No,
te li stai immaginando, Ed. E' la Coscienza, quell'antipatica, che ti
sta giocando uno scherzetto dei suoi. Con
questa convinzione fissa in mente, rimasi dov'ero e non mi
mossi di un millimetro. D'altronde, nessuno sano di mente avrebbe
osato venirmi a svegliare alle … Beh, non avevo idea di che
ore
fossero, e non avevo nessuna intenzione di scoprirlo. Per questo,
incurante del rumore che continuava a riecheggiarmi nelle orecchie - e
convinto che fosse frutto della mia immaginazione - girai la testa
dall'altra parte e continuai a dormire. Ma il rumorino persisteva,
martellante. Stava diventando peggio di un martello pneumatico, mi
trapassava il cervello. Era irritante, molto.
-
Smettila di turbare il mio sonno! – urlai a quella presenza
rossa
evanescente, che avevo identificato come la mia Coscienza, che si era
disegnata nella mia testa, mentre il rumore proveniente dalla porta
continuava e cresceva, impertinente. No, non mi alzo. Basta;
continuai
imperterrito a
dormire, nel tentativo - inutile - di ignorarlo.
Ad
un certo punto, il rumore cessò. Nella mia testa, esultai,
contento
di potermi finalmente rilassare. Non lo sopportavo veramente
più.
Passarono alcuni minuti, nel silenzio più assoluto, nella
pace più
paradisiaca... poi sentii un crepitio, che, evidentemente,
proveniva da un luogo al di fuori di me; stavolta non me lo stavo
immaginando, visto che si trasformò prima nel cigolio della
porta,
poi nello stesso rumore di tacchi che avevo avvertito prima, che mi
si avvicinò cauto; il che mi fece ritenere che,
probabilmente, c’era
VERAMENTE qualcuno che stava bussando alla mia
porta, e adesso
quel qualcuno si trovava tranquillamente nella mia stanza. Ed io ero
mezzo rimbecillito, e non avevo assolutamente niente per difendermi
da qualche incursore indesiderato, a parte una chitarra. Avrei potuto
spaccargliela in testa se necessario? Non credo.
Ma,
mentre facevo queste riflessioni, una voce femminile, che conoscevo
meglio della mia, sussurrò il mio nome in tono
interrogativo,
ricordandomi il flashback avuto la sera precedente. Per questo aprii
gli occhi di scatto, ritrovandomi, con mio grande stupore, due pozzi
blu che mi fissavano, a metà tra il divertito, il
preoccupato e
qualcosa che non riuscivo a definire.
-AAAAAAAAAAAAAH!
– urlai, agitando le braccia, tirato fuori così
violentemente dal
mio dolce, dolcissimo sonno. Prima che me ne potessi anche solo
rendere conto, la sedia su cui mi ero (s)comodamente assopito - e qui
sorse spontanea una domanda: che diavolo ci facevo su una sedia?! -
non resse il mio scatto dovuto alla sorpresa e si ribellò,
perdendo
l'equilibrio e facendomi cadere all'indietro. Sul pavimento. Uh,
quella scena mi suonava fin troppo familiare.
Una
risata cristallina, scatenata dalla mia bella gaffe,
cominciò ad
alleggiare nell’aria; e solo allora cominciai a capire chi mi
stava
davanti. Come al solito, avevo fatto la più classica delle
mie
figure. Avrei voluto sparire, o qualcosa del genere. Probabilmente la
mia faccia era dello stesso colore dei miei capelli. Dio, ma com'era
che ultimamente finivo sempre per terra? Doveva piacermi il suolo.
Polvere siamo e polvere torneremo;
ops, citazione sbagliata. Le figure di Ed
Sheeran, il
libro, volume uno. Finalmente in libreria!
-
Taylor. – dissi, mentre mi rialzavo con uno scatto nel
tentativo di
mantenere un minimo di dignità. Senza volerlo, il mio tono
uscì più
crudo del voluto. Sono un po' intrattabile, di prima mattina.
-
Ed. – rispose lei, cercando di imitare la mia voce, seria e
aspra,
ma sulle sue labbra intravedevo ancora quel rimasuglio di sorrisino
ironico che mi riservava solo quando ne combinavo una delle mie. La
guardai un po’ meglio da sotto le mie sopracciglia - che
provavano
a restare accigliate, senza successo - per capire come diamine aveva
fatto a entrare nella MIA stanza senza che io le avessi aperto. Notai
che nella mano stringeva una di quelle card magnetiche che si usavano
in quell'hotel, e realizzai che era la chiave di riserva. E lei,
ovviamente, era nella lista delle persone che possono riceverle.
-
Sei in forma stamattina, vedo. – continuò lei
guardandosi intorno
e osservando il disordine. Cercava di fare la seria, ma era EVIDENTE
come il colore dei miei capelli che si stava trattenendo dal buttarsi
per terra come aveva fatto ieri in prova, in preda ad una risata con
tanto di convulsioni. E così decisi di prendere la palla al
balzo.
-Lo
sarei stato, se QUALCUNO – affermai marcando la parola qualcuno
– non mi avesse fatto urlare di prima mattina, provocando dei
seri
danni alla mia angelica e sopraffina voce da solista, –
mormoro in
falsetto, per poi ritornare al mio tono di voce abituale – e
non mi
avesse fatto agitare le braccia come un bambino idiota che nuota coi
braccioli ma non si accorge di averli e sguazza disperato come se
stesse per andare a fondo, facendomi cadere dalla sedia e peggiorando
il mio umore già pessimo a quest'ora del mattino –
conclusi con un
rapido volta testa. “Urca Ed, questa era proprio
degna di te”,
pensai, elogiandomi e vantandomi, con me stesso.
Dall’altra
parte mi arrivò solo il silenzio, ma decisi di continuare la
mia
parte, per lasciarle il tempo di pensare ad una risposta sagace. Ma
non disse niente, anzi, per dir la verità, mi sentivo i suoi
occhi
addosso, che mi fissavano insistenti. Che diamine fa?
Con
molta scioltezza, tentai di captare con gli occhi che faccia aveva E
me la vidi lì, vicina - si era avvicinata con il suo solito
passo da
gatto -, intenta a continuare a fissarmi con il suo sguardo mezzo
divertito e mezzo stupito. Per precisare, stava fissando la mia
guancia.
Dopo
qualche istante dovette accorgersi del mio sguardo, perché
avvampò
leggermente e poi abbassò gli occhi per un secondo. Quando
faceva in
quel modo metteva in imbarazzo anche me. Dopo di che riprese la sua
scioltezza abituale e mi si avvicinò, un sorriso divertito
ed
ironico stampato sulle labbra rosa.
-
Hai lottato con il letto stanotte? – mi chiese quasi seria -
e
sottolineo il QUASI. Quel sorrisetto non era ancora sparito. Rimasi
alquanto perplesso di fronte alla sua domanda; le mie sopracciglia
non possono fare a meno di aggrottarsi … lottato con il
letto? Che
cavolo voleva intend…AH. Rimasi di sasso quando, voltandomi,
vidi
le coperte ammassate sul pavimento. E solo allora mi accorsi che la
mia chitarra - quella con la zampina di gatto - era posata sulla
scrivania, accanto a dove mi ero assopito, con sotto il cuscino. E
all'improvviso ricordai, fin troppo bene, cosa ci facevo su quella
sedia maledettamente scomoda, con lo spartito davanti e la penna
sull’orecchio destro. Quasi mi prese un colpo; andai nel
pallone,
per l'imbarazzo; ma tentai di mascherarlo nella maniera migliore
possibile: sparando la prima bestialità che mi venne in
mente.
-
Nigel voleva stare comoda, così l’ho fatta dormire
sul cuscino –
balbettai, tentando di apparire convinto, mentre indicavo come un
cretino quel povero, innocente oggetto, che si era sformato, a forza
di avere la pancia della chitarra gettata sopra a peso morto per
tutta la notte. La stessa chitarra su cui io, Ed Sheeran, famoso per
il mio peso piuma, mi ero addormentato, di colpo, come un bambino.
Taylor rimase a fissarmi come se davanti avesse esattamente un
bambino, trattenendosi dal ridere, ma non ci riuscì per
molto;
apprezzi il fatto che cercasse di tapparsi la bocca, per nasconderlo,
inutilmente. Io cercai di battere il nervosismo e di ridere con lei,
ma si sentiva chiaramente che c’era qualcosa di finto nella
mia
voce. “Non deve vedere niente finché non
è finita. Non deve
vedere niente finché non è finita. Non deve
vedere niente finché
non è finita.” pensai convulsamente,
ignorando tutto il resto,
fin quando un “Eddy, ti sei tatuato delle note sulla
guancia?”
mi fece tornare drasticamente alla realtà.
-
Note sulla guancia?! – chiesi, palesemente stupito. Lei si
avvicinò; per poco non mi spaventai, poi però
tirò fuori uno
specchietto e mi disse: - Note. Tua guancia. – e la mia
guancia
apparve riflessa nel piccolo vetro.
-
Oh Dio santo! – esclamai, rischiando di cadere nuovamente per
terra, nonostante fossi ben saldo sui piedi. No, non provateci, non
ridete. Non è un bello spettacolo svegliarsi e ritorvarsi la
guancia
BLU dall’inchiostro e la barbetta rossa arruffata con
macchioline
blu ovunque quando hai la pelle chiara come la mia. Sembri un puffo
con la scarlattina. Ed è inquietante, specialmente se
riflesso nello
specchietto da viaggio della tua migliore amica che aspetta con ansia
la tua prossima “figura-alla-Ed”. Giusto per fasri
quattro risate
di prima mattina.
Passato
il trauma, mi ricomponsi - non so bene come - e cercai di inventarmi
qualcosa di NORMALE, che per me, ve lo assicuro, sarebbe stata
un'impresa molto ardua. - No no, non mi sono tatuato la guancia,
è
solo che stavo scrivendo, e scrivevo le note, e avevo lo spartito
davanti, e era tardi e … sì, insomma, era tardi e
mi ci sono
addormentato sopra. –; Il silenzio investì tutta
la stanza, come
un'onda, affogandomi. Ecco, la giornata è iniziata
alla
perfezione. Prima la caduta, poi questo. Sentii che le mie
guance stavano andando a fuoco - chissà che effetto faceva
una
guancia con la barba rossa a macchie blu e le note sbiadite ovunque
mentre si arrossava. Se l’istinto non si sbaglia direi
…
inquietante -. Ma evidentemente lei era abbastanza forte per
sopportare quel trauma, perché mi sorrise, un sorrriso
luminoso, di
quelli che mi piacevano tanto, e mi pulì quella roba dalla
guancia
con un fazzoletto - mi sentivo un infante, seriamente. Poi, senza
chiedermi nulla di più, mi dissee di prepararmi
perché aveva una
sorpresa per me.
“Dai
Ed, ti devi preparare. Non è una cosa così
difficile.”, mi impose
Coscienza da qualche angolo della mia testa, tentando di darmi forza.
Sistemai un po' la scrivania e, con quella scusa, ne approfittai per
voltare la pagina dello spartito con la canzone. Per fortuna, Taylor
non ci aveva fatto assolutamente caso. Posai la mia chitarra a
terra”, quasi mi dispiaceva abbandonarla lì, da
sola, e mi sentii
subito più fragile. “Quanto sei stupido
Sheeran, devi solo
andare in bagno e poi non ti vedrà più. A quel
punto sei libero di
entrare in panico quanto vuoi” grazie mille,
Coscienza. Ora sì
che mi sentivo meglio, come no. Mossi i primi titubanti passi verso
la porta, chissà come apparivo da dietro, probabilmente come
uno
zombie … mi imposi fermamente di non pensarci e di
continuare a
camminare - anche perché dubitavo che altrimenti sarei
riuscito a
muovere un solo muscolo. Uno, due, tre passi e raggiunsi la maniglia.
L’abbassai, cercando di non sembrare freneticamente in panico
-
come in effetti ero - ed entrai. Poi chiusi la porta e a quel punto
mi lasciai scivolare giù lungo di essa. CHE
DIAVOLO MI PRENDE.
CHE DIAVOLO MI PRENDE. Mi guardai le mani e vidi con terrore
che
sto palesemente tremando. Il cuore sembrava volermi uscire dal petto,
anzi, se l'avesse fatto, sarebbe stato un sollievo; batteva
così
forte che faceva quasi male. Rimasi per un po’ lì
disteso
guardando il soffitto, nella speranza che quella sensazione di ansia
martellante che si era presa possesso del mio corpo passasse in
fretta. Ma niente. Niente. Persisteva, fastidiosa e assillante.
Allora mi alzai, mi avvicinai al lavandino e ci infilo la testa
sotto. Non potevo affermare di essere tornato nel mondo reale, ma
almeno un po' del panico si era dissolto. Mi sedetti sul bordo della
vasca e cercai di tranquillizzarmi, per quanto fosse possibile - ma
poi, ora che ci penso, non capisco perché aver scritto una
canzone
mi avesse fatto questo effetto. Questo stupido, brutale effetto. E
poi, tra le altre cose, non era neanche una canzone. Era una bozza,
perché non l’avevo finita, mi ci ero allegramente
addormentato
sopra. E la mattina me la ero ritrovata scritta sulla guancia. Quindi
… qual era il problema? “Già
Ed … QUAL È IL PROBLEMA?”
gridò
Coscienza nella mia
testa. “Il problema è che
sei un povero rincoglionito
che entra in panico perché ha scritto una canzone per la sua
migliore amica. Cretino, cosa avresti fatto di male? Niente. E allora
smettila di commiserarti e asciugati questi dannati capelli se non
vuoi prenderti un accidente.” E a quel punto,
puntuale come un
orologio, lei bussò alla porta, scatendando nuovamente la
mia ansia.
-
Ed, ci sei? Devo chiamare qualcuno? Stai poco bene? –
domandò,
preoccupata. Ma davvero ero stato in trance così tanto?
-Sì
sì sono vivo, dammi cinque minuti. – balbettai,
cercando di
modulare il tono di voce, inutilmente ovviamente; intanto,
freneticamente, mi appropriai del phon dell’albergo, per
asciugare
quella marmaglia rossa che ho in testa. In due minuti riuscii a
finire - tanto per farvi capire come mi ero asciugato. Il resto dei
cinque minuti li passai a fissarmi allo specchio, dandomi forza ed
imponendomi di non sembrare un bambino idiota, non appena fossi
uscito da quella dannatissima porta. Acquistata poi un minimo di
sicurezza, ma proprio minima, riuscii ad uscire fuori dal bagno ed
ecco che mi ritrovo Taylor intenta ad esaminare la mia chitarra. La
mia povera chitarra. Non si era nemmeno accorta che ero ricomparso, e
la scritta “VENDETTA” continuava ad apparire e
scomparire nella
mia testa in maniera così frenetica che era impossibile per
me
ignorarla. E allora mi appostai dietro di lei. “Questo
è per
avermi quasi ucciso, Saylor Twift” pensai, diabolico.
-
Perché stai mentalmente stuprando la mia ragazza?
– sussurrai, al
suo orecchio, con un tono da killer; lei fece un salto di trenta
metri, come quello che avevo fatto io poco prima - oh, dolce
vendetta, così impari a farmi prendere colpi -, poi si
voltò mezza
accigliata e mi disse “Eddy Rosso, l’hai
scaraventata per terra!
Qualcuno doveva pur prendersi cura di lei!”. Allora i miei
sospetti
erano fondati: ero appaso veramente un completo, totale idiota.
Questa volta però mi imposi di non entrare in panico e
affrontai la
situazione in maniera credibile.
-
Lei sa che la amo profondamente. E comprende anche quando i miei
nervi sono ipersensibili a causa di qualche persona che si diverte
tanto a farmi morire di spaventi. – poi lanciai a Taylor uno
sguardo di sfida, e lei rispose sghignazzando.
-Dai
Eddy, vestiti che ti porto fuori.
-
Dove vorresti portarmi che appena metti piede in strada
un’orda di
paparazzi ti investe? – scherzai, tirando fuori la mia
valigia,
ovvero un bellissimo ed anonimissimo borsone. Per tutta risposta lei
mi guardò misteriosa. Si avvicinò a me, sempre
fissandomi con
quello sguardo. Smisi di rovistare tra vecchie felpe e jeans e la
fissai a mia volta, cercando di imitarla. Una ciocca ribelle, rimasta
riccia - sapevo che lottava costantemente con i suoi capelli, avrebbe
voluto che rimanessero lisci - le era sfuggita dalla coda. Senza
pensarci, allungai una mano e gliela spostai, appuntandogliela dietro
l'orecchio e sfiorandole involontariamente una guancia. Quel minimo
tocco mi provocò un brivido assurdo, che si
propagò lungo tutto il
braccio, tanto che ritirai la mano di scatto, proprio mentre lei
arrossiva, sbarrando gli occhi. Dio, ma cosa stava succedendo? Entrai
nuovamente nel panico ed abbassai gli occhi, tentando di non
nascondermi nella mia stessa vergogna. La tensione riempì
nuovamente
la stanza. Cosa stavo combinando? Tra quello che era successo ieri,
la canzone e adesso, questo, mi sentivo come se stessi per esplodere.
Per
fortuna lei, incurante della mia stupidaggine, ridacchiò,
sollevando
quella coltre che si era adagiata su di noi. Mi spostò con
una mano,
allontanandomi dalla mia valigia, e si mise a rovistare
tranquillamente tra la mia roba; io ero ancora troppo in palla per
impediglierlo. Dovevo sembrare un idiota, di nuovo. Uffa, cosa mi
impediva di nascondermi in bagno per il resto della mia vita? In quel
momento, Taylor fischiò, facendomi spostare gli occhi su di
lei.
-
Che fai con i miei vesitit..AH! – chiesi, ma il Lancio Della
Marmaglia mi colpì e mi affondò in un secondo.
-
Tu vestiti – rispose lei, imperatrice. Poi, tranquilla,
uscì dalla
stanza, lasciandomi solo con il mio imbarazzo e la mia ansia.
-
Mi vuoi spiegare dove andiamo? Non dovremmo provare? Ti ricordo che
abbiamo un concerto, stasera -. Okay, si vedeva parecchio che ero
iperteso? Strinsi le mani sul bordo della sedia sul quale ero seduto,
nel tentativo di sfogare un po' di nervosismo, di nuovo senza
risultati accettabili. Taylor, seduta di fronte a me, non sembrava
accorgersi di niente. Parlava allegramente con una delle sue
ballerine, sorseggiando il suo frappuccino comodamente seduta da
Starbucks come una persona normale. Solo che lei non era una persona
normale, era Taylor Swift, ed inoltre non aveva fatto niente per
tentare di nasconderlo. Per questo circa una ventina di fan erano
già
venuti a chiederci una foto; lei chiaramente li aveva accontetati, ma
mi avevano reso ancora più nervoso; avevo paura notassero
che c'era
qualcosa che non andava.
La
prima parte della sorpresa consisteva in una colazione come si deve a
Starbucks. Peccato non riuscissi a mandare giù niente. Mi
sentivo un
perfetto idiota, l'ho già detto? Nella mia testa, quella
parola
troneggiava, lampeggiando come un neon nella notte più buia.
Idiota,
idiota, idiota.
La tua
migliore amica ti ha organizzato una sorpresa e l'unica cosa che sai
fare è stare qui con quel muso lungo tre metri.
Già, ero un vero ingrato.
-
Abbiamo già provato ieri, Ed. Dai, goditi la colazione che
il bello
deve ancora arrivare! - mi rispose lei, sgranando gli occhioni blu e
sorridendo. Non so perchè ma quella affermazione mi giunse
come una
minaccia. Lei cambiò espressione, aggrottando le
sopracciglia, come
a chiedermi “cosa c'è che non va?”. La
stavo facendo
preoccupare, dovevo darci un taglio, diamine. Staccai le mani dalla
sedia e me le ficcai in tasca, era già un bel passo avanti.
Le mie
dita incontrarono un foglio stropicciato: lo spartito con la nuova
canzone. L'avevo infililato nella felpa prima di uscire, d'istinto.
Non mi fidavo a lasciarlo in camera, era troppo esposto.
Ripensandoci, mi sentii di nuovo sprofondare nel panico, ma cercai di
non darlo a vedere. Feci un sorriso a Taylor, che aveva ripreso a
chiacchierare con la ballerina ma continuava a tenermi d'occhio, e
cominciai a sorseggiare la mia bevanda, nel tentativo di sembrare
normale. Forse ci stavo riuscendo. Cominciai a tranquillizzarmi, e il
pensiero della canzone sparì totalmente dalla mia testa,
mentre
Taylor raccontava un anedotto su Meredith, facendoci ridere di gusto.
Quando
ci alzammo dal tavolo ero così tranquillo che mi feci quasi
paura.
“E' una canzone, Ed, come tante altre
che hai scritto”
mi confermò Coscienza. Ci credetti e seguii gli altri fuori
dal
locale. Ci dirigemmo verso il bus con il quale eravamo arrivati fin
lì, riuscendo a scansare abbastanza facilmente tutti i
paparazzi. Mi
inquietò molto sapere che tutti erano a conoscenza di dove
saremmo
andati successivamente, tranne me. Avevo paura di Taylor, quando
elaborava questi piani diabolici. Era un diavolo, un diavolo
travestito da angelo ma pur sempre un diavolo.
Stavo
parlando con lei, scherzando su Meredith e sui gatti in generale,
quando, per gioco, mi venne addosso, dandomi uno spintone. Risposi
con un pugno sulla spalla, che la fece gemere e sbilanciare verso
destra. Risi, prendendomi gioco di lei, mentre si massaggiava la
spalla lamentandosi. D'un tratto, mentre io ancora me ne stavo
tranquillo a ridere come un cretino, il suo sguardo si posò
a terra,
vicino ai miei piedi. Si chinò e raccolse un foglio
stropicciato.
Smisi di ridere di scatto e mi bloccai. Gli altri erano andati
avanti, ignorandoci del tutto.
-
Cos'è questo? Ti è caduto dalla tasca -
indagò lei, sorridendo.
-
Non è niente, è un appunto - brontolai, cercando
di riprenderlo. Ma
lei lo spostò, allontanandosi di un passo. - Eddai, Saylor
Twift.
Ridammelo.
Lei
non mi ascoltò e lo aprì, ignorando del tutto la
mia richiesta. Mi
sentii sbiancare e sprofondare, nello stesso momento, mentre lei
spiegazzava il foglio nel tentativo di decifrare la mia non proprio
chiarissima scrittura.
-
Taylor, ridammi quel coso, forza. Sono cose personali - le intimai,
con tono acido. Nella mia testa era ritornato in ritornello di quella
mattina: non deve vederla finchè non
è finita.
Mi sporsi in avanti, proprio mentre lei, fischiettando, riproduceva
quelle poche note che ero riuscito a mettere insieme. Glielo strappai
di mano, ricevendo in risposta un ehi!
di protesta e lo appallottolai alla bell'è meglio,
infilandolo
questa volta nella tasca dei jeans.
-
Uffa Ed, quanto sei scontroso - si lamentò lei, mettendo il
broncio.
- E' la nuova canzone? Mi sembra carina.
-
Non sono cose che ti riguardano - sbottai, prima di poter tenere a
freno la lingua. Oh Santa pace! Sul volto della bionda si dipinse la
sorpresa, poi lo sgomento e poi la delusione; c'era rimasta
malissimo. Mi sentii sprofondare di nuovo, per la seconda volta, quel
giorno. Dio, ma che disastro stavo diventando?
-
Scusa, Tay - mormorai, avvicinandomi a lei. - E' che è
sempre una
bozza ma ne sono già molto geloso, e non voglio che nessuno
la veda
finchè non è finita, capisci? Mi dispiace. Scusa,
mi scusi,
signorina Twift. Sono l'essere peggiore di questa terra, devo
baciarle i piedi per mostrarle quando mi senta in colpa?
Lei
sbuffò, segno che stava tentando di trattenere una risata
involontaria. Mise il broncio, e capii che, anche se forse rimaneva
un po' delusa, non era arrabbiata. Sorrisi e la abbracciai di
istinto, quasi soffocandola. Non potevo desiderare amica migliore di
lei, era perfetta per me. Eravamo così simili.
Lei
sbuffò, questa volta rassegnata, e mi abbracciò
suo malgrado. Mi
baciò una guancia, come se fosse una bambina, e poi
mormorò: -
Andiamo, o ci lasceranno qua. La tua sorpresa ti aspetta!
Angolo Autrici
Buon
pomeriggio cari lettori! Lo sappiamo, è davvero un bel po'
che non aggiorniamo. Ma sapete come si dice, "maggio studente fatti
coraggio", ed, essendo due liceali (una in terza liceo linguistico ed
una in quarta classico) questo detto vale anche di più.
Comunque, ormai manca poco più di una settimana, e quindi si
spera che il ritmo di aggiornamento diventi più veloce.
Intanto godetevi questo capitolo, per la gran parte composto da
Arianna. Che volete, è una storia a quattro mani :) crediamo
che anche voi lettori siate sommersi dai compiti, visto l'unica
recensione che ha ottenuto il secondo capitolo. Va bene, per questa
volta vi perdoniamo! Alla prossima :3
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Capitolo 4 *** Quattro. ***
QUATTRO.
Non
potevo crederci. No, non poteva essere quella la sorpresa di cui
Taylor mi aveva tanto parlato. Se era quella, beh, avrebbe fatto bene
a cominciare a correre.
Guardai orripilato
l'entrata del parco divertimenti come se fossero i cancelli
dell'Inferno. Certo, eravamo a Orlando. E Taylor è
praticamente una
dodicenne troppo cresciuta. Avrei dovuto aspettarmelo che la sorpresa
consisteva in una gita a Disney World. Sbattei le palpebre un paio di
volte, sperando di essere in un incubo; per sicurezza, mi tirai anche
un pizzicotto sul braccio, nel tentativo di svegliarmi. Ma purtroppo
era la dura e terribile realtà: avevo una migliore amica
svampita
che stava per trascinarmi in quello che io identificavo come una
prigione, o peggio.
Taylor, dal canto suo,
era sovraeccitata. Saltellava. Si era cambiata le scarpe e aveva
messo qualcosa di più comodo. Avrei voluto metterle un piede
davanti
e farla finire faccia a faccia con il cemento, per vendicarmi del
brutto scherzetto che mi stava giocando. Ma evitai.
-
Che c'è, Eddy Rosso? Perchè quel muso lungo? -
domandò, mettendo
il broncio. Dio, di nuovo quel soprannome. - Non ti piace la mia
sorpresa?
- No - sbottai, non guardandola.
Continuavo a fissare davanti a me, lanciando, ogni tanto, una breve e
sospettosa occhiata alle attrazioni accanto alle quali sfilavamo.
Perchè mi aveva fatto questo?
Lei per tutta
risposta mi prese sottobraccio. - Eddai, abbiamo passato delle lunghe
e difficili giornate lavorando come muli per il tour, una pausa era
quello che ci meritavamo.
- Di tutti posti
che ci sono in Florida, proprio qui dovevi portarmi? - mi lamentai in
tono acido, tentando di scrollarmela di dosso. Lei si strinse ancora
di più a me e spalancò gli occhioni da cucciolo.
-
Uffa, Eddy, cosa c'è che non va? Questo posto è stupendo
- scandì, con
la voce eccitata di una bambinetta. Alzai gli occhi al cielo. -
Faremo un sacco di giri sulle montagne russe. E poi voglio andare
sulla Hollywood Tower! E ingozzarmi di schifezze al ristorante.
Sentendola elencare il programma
della
giornata, rabbrividii e cercai di nuovo di scrollarmela di dosso.
Chissà se c'era qualche via di fuga... Magari una porta
antincendio.
- Odio le montagne russe. Non ci
sono mai
salito - dichiarai, sempre mantenendo il mio tono da “Ed
incazzato
nero”.
- Un motivo in più
per essere qui
oggi! - esultò Taylor in risposta, staccandosi dal mio
braccio per
battere le mani. Perchè doveva essere così
dolcemente svampita? Mio
malgrado, mi lasciai contagiare dal suo entusiasmo di ragazzina.
Soltanto un po'.
Mi diede una strizzatina al
braccio, per tranquillizzarmi, e mi sorrise. - Eddai, sarà
divertente. Promesso - disse, prima di allontanarsi per raggiungere
il resto della combriccola, che si era avvantaggiato. Io rimasi
indietro, più calmo, ma sempre nervoso. Anche se ora non
sapevo da
cosa fosse dato, se da quell'oggetto che tenevo in tasca - la
canzone, che sembrava pesare come un macigno - o da quel posto. Non
mi andava di appurarlo, perciò misi su un sorriso e
raggiunsi Taylor
e gli altri, che stavano sbirciando la mappa del parco e scegliendo
le varie attrazioni. Eravamo circondati da persone, persone ovunque,
ed era strano che nessuno ci avesse ancora riconosciuti. Forse era
proprio quello lo scopo. Perdersi un po' tra la folla, e non essere
al centro dell'attrazione, almeno per quel giorno. Decisi che mi
andava bene, essere un “signor nessuno”, almeno per
qualche ora.
La maggior parte delle
attrazioni furono
meno peggio di quanto me le aspettassi. C'era un gran caos, era vero,
ma molte volte riuscimmo a passare avanti perchè, beh,
eravamo noi.
Taylor non era molto contenta di questa cosa; ogni qualvolta che ci
trovavamo in fila e l'addetto all'attrazione la riconosceva,
invitandola a passare avanti, aggrottava la fronte e si scusava con
le persone rimaste in coda, che, dal canto loro, stavano immobili ad
ammirarla ad occhi sbarrati. Comunque, mi piaceva questo tratto della
mia migliore amica; era gentile con tutti, ed era anche umile. Per
fortuna, appena salita, quell'espressione di disappunto spariva e
tornava a fare la bambinetta pazza.
A metà
giornata ci fermammo per pranzo. Taylor, come promesso,
ordinò ogni
qualgenere di schifezza. Tanto non ingrassava di un grammo, quella.
Anzi, era più probabile che dimagrisse.
Comunque,
preferivo vederla mangiare ed ingozzarsi, che digiunare come era
successo nelle settimane successive alla rottura con Harry. Gli
insulti da parte delle directioners erano continuati per molto,
moltissimo tempo; in realtà non erano ancora cessati, ma la
mia
amica sembrava prenderli molto più alla leggera adesso.
Avevo sempre
paura che potesse ricadere in depressione, da un momento all'altro.
Lei sapeva che ero sempre lì, pronto a sostenerla. Ma se
stava bene,
tanto meglio.
La guardai con invidia divorare
il suo terzo pezzo di pizza in tutta tranquillità. - Il tuo
metabolismo non esiste - dichiarai.
Lei alzò
gli occhi e ridacchiò a bocca piena. - Fei folo invidiofo.
Perchè
io poffo e tu no.
Mi
veniva da ridere a sentirla parlare in quel modo. Era buffa, Taylor.
Ed era formidabile. Perchè riusciva ad essere
così naturale con
noi, i suoi amici, e poi poteva trasformarsi subito in qualcuno di
completamente diverso, sofisticata e graziosa, come appariva nelle
interviste, o passionevole e determinata, come durante i concerti.
Sapeva essere dolcissima con le sue fan, sapeva farmi ridere con una
battuta stupida al momento giusto, e sapeva essere anche sexy,
quando voleva, lo ammetto. Eppure era sempre lei, sempre Taylor, non
fingeva mai. Lei era tutte queste cose insieme, e molto di
più. “Una
bellissima anima”, avevo dichiarato una volta riferendomi a
lei.
Sì, era proprio una bellissima anima, una bellissima
persona, una...
“Una
bellissima donna” aggiunse Coscienza, intrufolandosi nei miei
pensieri come al solito. Beh, sì. Era anche bella in
quel senso.
Non solo perchè bionda, o con gli occhi azzurri. Aveva delle
fattezze delicate, che ti trasmettevano subito simpatia, con una sola
occhiata, e gli occhi blu come il cielo, caldi e amichevoli. E le
labbra rosa, mi piacevano un sacco le sue labbra.
“FRENA
FRENA FRENA FRENA. Perchè ti perdi in questi pensieri?”
mi
rimproverai, arrossendo mio malgrado. Per fortuna che Taylor non
stava guardando. Dio, perchè mi ero messo a pensare a lei in
quel
modo? E
perchè mi ero messo a fantasticare sulle sue labbra?!
Scossi la testa, come se quello
potesse
servirmi a liberarmi di quei pensieri, e decisi di chiacchierare con
Taylor, per impegnare la mente. - Allora, come va la canzone?
Lei
sorseggiò la sua Coca Cola, mordicchiando la cannuccia e
lasciando
del rossetto rosso sulla plastica bianca. - Che canzone? -
domandò
distrattamente, troppo impegnata a cercare di aprire il bicchiere di
carta, probabilmente per mettersi in bocca un pezzo di ghiaccio
rimasto sul fondo.
- Quella che stavi
scrivendo ieri. Pronto? Terra chiama Saylor Twift. Terra chiama
Saylor Twift, a rapporto - scherzai, riciclando una battuta che avevo
fatto anche il giorno prima, convinto che si sarebbe messa a ridere
comunque.
Ma
lei non rise. D'improvviso, drizzò le spalle magre, e il suo
sguardo
si perse nel vuoto per un momento. Impallidì, come avevo
fatto io
quella mattina, per poi arrossire violentemente. - Ah.
Quella canzone.
La
guardai stupito dalla sua reazione. Sembrava che le avessi chiesto
che misura di reggiseno portava. Non che mi interessasse, sia chiaro.
- Beh, credo bene. Ieri notte ho
buttato giù
testo e melodia. Mi sembra buona - rispose, vaga, senza guardarmi.
Tornò a cercare di aprire il bicchiere, ma con meno
entusiasmo di
prima. Sembrava imbarazzata.
Allora capii.
Stava scrivendo su Harry, era chiaro. Forse era per quello che aveva
reagito in quel modo. Non voleva dirmi molto, perchè io ero
il
miogliore amico di Harry, e lei era la mia migliore amica, e la sua
ex - perchè mi sembrava peggio di Beautiful? Insomma, era un
po'
caotica la situazione.
- Come si chiama?
Finalmente si voltò a
fissarmi, e sembrava
essere tornata la solita Taylor, tranquilla e svampita. - TU non hai
voluto rivelarmi niente sulla tua, io non ti rivelo niente sulla mia.
Sia chiaro, Eddy Rosso.
- Ma questa è
una minaccia bella
e buona
– esclamai
spontaneamente. E, per tutta
risposta, sulla sua faccia si dipinse un sogghigno irriverente, quasi
diabolico. Sì,
lo stava facendo apposta!
Era il
suo diabolico piano di vendetta per farmi
sentire in colpa. Sei
una mente diabolica,
Saylor Twift.
Una dannatissima mente
diabolica.
E così cominciai a
guardarla in
cagnesco, mentre un suono strano e indistinto, un verso gutturale, un
grugnito, si sprigionò
da qualche angolo sperduto dentro di me. Lei mi fissò per un
momento, quasi stupita, poi scoppiò a ridere, rischiando di
rovesciarsi addosso quel poco che era rimasto sul fondo del
bicchiere. Sembrava tanto di vivere dentro Begin
Again,
anche perché lei continuava a ridere
convusalmente, agitando pericolosamente il bicchiere e avvicinando
sempre di più il rischio di rovesciarsi tutto addosso, o di
rovesciarlo addosso a me.
La mia espressione intanto era mutata verso lo stupito … che
avevo fatto di così assurdo? In
quell’istante, lei si fermò, mi riservò
uno sguardo complice e mi
grugnì contro, più o meno come avevo fatto io
poco prima.
Finalmente capii cos'avevo fatto di così esilarante. Smisi
di
guardarla.
- È inutile che
cerchi di
imitarmi – le dissi – non hai la mia voce perfetta
e sublime.
-Toh! Ma davvero? – mi
rispose lei, con un
sorrisino ironico – E io che credevo che l’arte del
grugnire te
l’avessi insegnata IO. –
Rimasi a
fissarla allibito. Ma di cosa stava parlando? Io
ho sempre grugnito. Fin da quando sono nato. Dal giorno in cui i miei
capelli rossi videro la luce del sole per la prima volta. Sono io che
ho il primato nel…AH.
Il ricordo di noi due sul
trampolino
elastico di casa sua, l’estate scorsa, intenti a saltare come
matti, mi colpì, improvviso, come un'onda - una di quelle
che ti
prende in pieno mentre tu sei intento a rilassarti su un materassino,
in mezzo al mare. Io ovviamente in pantaloncini, senza maglietta. E
la chitarra al collo. Sì, la chitarra.
Perché quella faccia? Non posso saltare su un trampolino con
la
chitarra? L’ispirazione colpisce sempre
all’improvviso, è un
bene avere continuamente una chitarra a disposizione. Anche se devo
ammettere che per uno che è già abbastanza goffo
di suo, come me,
cercare di non cadere sulla fredda e dura terra saltellando come un
bambino su un trampolino elastico con una chitarra allacciata al
collo non è proprio un'impresa facile. Fu in quel giorno che
scrivemmo Everything
Has Changed. Io
e Taylor ci conoscevamo da poco più di una settimana,
quindi, quando
mi aveva chiamato a casa sua senza alcun preavviso, mi era parso
abbastanza strano. A primo impatto, Taylor sembrava una persona
normale. Appunto, sembrava. Perchè in realtà
Taylor è il tipo di
persona che ti invita a fare quattro salti sul suo trampolino e,
mentre ride e saltella come la bambina che è, di punto in
bianco se
ne esce con scriviamo
una canzone, io e
te!
Per
fortuna porto sempre la chitarra con me.
Dicevo, eravamo io e lei. E la
chitarra. Io,
come ogni volta che mi mettevo a scrivere qualcosa, mi ero perso nel
mio mondo fatto di note fruttuanti e melodie indistinte; ero
concentrato, nel tentativo di fare ordine nella mia testa, cosa
già
difficile di per sé, figurarsi se dovevo anche stare attento
a non
cadere; probabilmente fu per questo motivo che non mi accorsi dei
suoi strani movimenti alle mie spalle. Colpito da una nuova
ispirazione, strimpellai qualche nota convinto e mi girai un attimo
per dirle di aver avuto un’idea per il ritornello; errore,
grande
errore. Me la ritrovai LETTERALMENTE addosso, attaccata alla pancia
della mia povera, povera Nigel. Vi giuro che non so come diamine ha
fatto a non scaraventarmi fuori da quell’aggeggio; Taylor
pesa
poco, è vero, ma immaginatevi una chitarra, più
una Taylor
Swift, con tutto il loro peso scaricato su di me.
Probabilmente
il fantasma di qualche canzone
passata aveva guidato il mio corpo verso la giusta inclinazione da
prendere. Il suo salto alla
sono-un-koala-impazzito-alla-ricerca-del-suo-albero-di-eucalipto-per-fare-un-riposino,
infatti, mi avrebbe con tutta probabilità sfracellato il
cervello al
suolo se non fossi stato così agile - e fortunato, molto
fortunato-
da inclinarmi verso destra. Naturalmente non riuscii a rimanere in
piedi, però. Caddi sul trampolino, con Taylor ancora
aggrappata alla
mia povera Nigel. L’impatto fu talmente forte che ci fece
balzare
tutti e due di un metro buono, in quella assurda posizione. Credetti
veramente di passare a miglior vita da un momento all’altro,
ma
evidentamente lo Spirito
della Canzone Passata
voleva
che vivessi ancora un po’. Ma lo Spirito
della Canzone Presente no,
visto che quella dannata donna adesso mi aveva anche fatto
dimenticare la mia ispirazione!
“Tu sei
completamente matta!” le
avevo urlato a metà fra il sono-quasi-morto-di-paura-porca-cipollina
e il se-ti-avvicini-troppo-ti-sgozzo.
Lei
allora mi aveva guardato con i suoi occhioni
blu, spalancati e luccicanti, e mi aveva detto “Volevo
prendere la chitarra, Eddy Rosso.”
Oh,
beh. Il
fascino della mia chitarra,
fantastico, a quanto pare aveva più charming di me. Infatti
lei fa
più conquiste. Ma, un momento. Come diavolo mi aveva
chiamato? Eddy
cosa!?
Mentre
facevo
queste riflessioni, la bionda mi si era
avvinghiata ancora di più addosso, tentando di strapparmi
via la
chitarra. Aveva un'espressione buffa, imbronciata, e per poco non le
scoppiai a ridere in faccia. “Questa ragazza
finirà per uccidermi”, pensai .
“Se
non ti togli di torno potrei ACCIDENTALMENTE rovesciarti sulla fredda
e nuda terra e successivamente prenderti a chitarrate sulla tua bella
testolina” le
avevo detto con naturalezza. Lei allora mi
aveva puntato gli occhi addosso, ma non in un modo normale: sembrava
finita in qualche località indistinta e ignota del suo
essere. E
aveva fatto un verso indistinto. Io non credo che voi abbiate mai
sentito un suono gutturale, così…Taylor. Vi
giuro, è qualcosa di
inquietante. Lì per lì rimasi spiazzato, poi lei
tornò a guardarmi
con gli occhioni spalancati da cucciolo abbandonato, e io ero
scoppiato a ridere convulsamente, facendola sobbalzare sopra di me,
ancora ferma e immobile in quella posizione, pronta a scattare come
quando Meredith vede un topo-giocattolo.
Strano
a dirsi, ma fu proprio in quel momento esatto, mentre ridevo in preda
agli spasmi tentando di togliermi Taylor Swift di dosso, che capii
che saremmo diventati migliori amici. Tentando di smettere di ridere,
la guardai negli occhi e vidi quell'espressione svampita e spaesata.
La conoscevo da pochissimo, eppure sapevo già
così tanto di lei,
come se la conoscessi da sempre. Avevamo tantissime cose in comune, e
con lei mi sentivo libero; queste però, sono cose che avrei
scoperto
più avanti.
Quando ritornai sulla Terra
dopo il mio breve nel passato, capii in fretta che in realtà
non ero
del tutto concentrato su quello che mi accadeva intorno; una parte di
me si era persa nuovamente nel mio mondo, fatto di spartiti e note
colorate che cantano. Più che una parte, direi LA
MAGGIOR PARTE
visto
che
avevo proprio lo spartito che mi ballava davanti: ispirazione in
arrivo!
Questa volta, però,
non avevo la
chitarra con me. PROBLEMA.
Ma
prima che riesca a realizzarlo mi balla
davanti la prossima frase della canzone, quella stessa canzone che mi
aveva fatto entrare nel panico quella mattina, quella che, sottoforma
di bozza senza senso, se ne stava appallottolata sul fondo della
tasca dei miei jeans … “Sunny
days that left my skin a breathe and you squeeze me until these
thoughts leave my head.” Perfetto.
adesso avrei avuto un sorriso da idiota materializzato in faccia per
il resto della giornata. Ma sapete cosa? Non mi interessava proprio
per niente.
Taylor doveva essersi accorta
che non ero del tutto presente; chissà da quanto ero in
catalessi.
La sua espressione era passata dalla sfida ironica al sorriso confuso
e curioso. Mi agitò una mano davanti agli occhi,
preoccupata.
-
Ed? Ci sei? - mi fece, scuotendomi. No, cioè sì,
c'ero, ma non del
tutto. In piena frase di scrittura, mi trovavo adesso in quello
strano stato di passaggio, a metà fra il mio mondo e la nuda
e cruda
realtà. E quando sono in quello stato, faccio cose stupide.
Cose
stupide e insensate, che se fossi in me, non mi verrebbe mai in mente
di fare. Una lucina rossa, funzionante ad intermittenza e con scritto
“AGISCI” si materializzò nella mia
testa.
-
Che cosa sta elaborando il tuo cervello, Eddy Rosso? Sei in trance da
ispirazion... CHE COSA STAI FACENDO. – gridò la
bionda, prima di
poter finire la frase. In men che non si dica, mi ero alzato, l'avevo
presa di peso da dove era comodamente seduta e me l'ero caricata in
spalla, stile sacco di patate, sotto gli sguardi stupiti di tutti.
Tanto pesava meno di niente.
Uscii dal
ristorante con Taylor urlante sulle spalle, mentre gli altri clienti
ci guardavano straniti. Per un attimo il sole mi disorientò,
ma
proseguii tranquillo per la mia strada.
-ED!
ED! ED, METTIMI GIÙ! NON STO SCHERZANDO, METTIMI
GIÙ SUBITO!
ADESSO! SHEERAN! SMETTILA! SHEERAN! SEI UN IDIOTA, CAVOLO, METTIMI
GIÙ ALL'ISTANTE! - strillò, tirandomi pugni sulla
schiena e
scalciando. Mmm, mi aveva chiamato per cognome, doveva essere davvero
arrabbiata.
- Ma neanche per idea. Tu adesso
vieni a saltare con me, su un trampolino elastico –. Ecco,
come vi
dicevo in questo stato faccio cose MOLTO INSENSATE. Mi sembrava di
averne visto uno, mentre cercavamo un posto per mangiare, in uno di
quei piccoli parchi giochi per bambini che si trovano vicino ai punti
di ristoro, dove i genitori scaricano i figli per un po' sperando in
qualche minuto di relax.
- Non so come mai,
ma ho una voglia matta di un po' di ripetizioni di grugnito oggi.
–
affermai, stringendola più stretta per paura che cadesse.
Non stava
un secondo ferma.
“Non dire cavolate,
Eddy.
Lo sappiamo che non lo fai per quello”, mi martella
Coscienza,
riportandomi per un attimo sulla terra. “Stai
zitta” le intimai.
“Sto scrivendo una canzone”.
- EDWARD
CHRISTOPHER SHEERAN, TI ORDINO DI METTERMI GIU' ALL'ISTANTE! PORCA
CIPOLLA, FAMMI SCENDERE. FAMMI. SCENDERE. –
strillò di nuovo,
tirandomi un pugno proprio in un polmone e facendomi tossire. Beh,
grazie, signorina Swift. Dovevo ammettere che mi stavo divertendo,
però. Tay aveva ragione: quel posto era davvero uno sballo.
-ED!
ED, TE LO DICO PER L'ULTIMA VOLTA. – sbottò; ma il
suo tono di
lotta estrema ormai si stava incrinando: stava per mettersi ridere
come una pazza di nuovo, me lo sentivo. E infatti. Tempo due secondi,
ed era già partita in quarta. Mi persi dietro a quel suono e
mi
lasciai sfuggire un nuovo sorrisino ebete. Ero così perso
nella mia
stessa testa da non accorgermi che non avevo la minima idea di dove
stavo andando. “Dove vai stupido, il trampolino è
dalla parte
opposta, vicino all'entrata!” Coscienza, ancora. Se non ci
fosse
lei...
Mi voltai dalla parte opposta di
scatto, facendo sfuggire un urletto a Taylor, e camminai ancora, fin
quando non me lo trovai davanti. Lo sapevo che c’eri, lo
sapevo!
Ricordavo bene. Per una volta stare attento mi era servito a qualcosa
e, per una volta le mappe mentali fornitemi da Coscienza mi erano
state utili; un nuovo sorriso da idiota, o meglio il
solito sorriso idiota che avevo dal momento in cui avevo elaborato
quell'idea geniale,
mi si dipinse in faccia.
Misi Taylor a terra, con delicatezza, e le sorrisi complice. Lei mi
guardò in cagnesco per un minuto buono, ma poi pian piano la
sua
espressione si addolcì; mi accorsi solo dopo un bel po' che
avevo
ancora le mani sui suoi fianchi, e lei era ancora abbracciata a me.
Mi allontanai di scatto, un po' imbarazzato. Queste cose ultimamente
succedevano fin troppo spesso.
- Bene, adesso
lanciati in una esilarante lezione di grugnito, guru Swift –
dissi,
inchinandomi platealmente e cercando di far tornare l'atmosfera
giocosa. Lei intanto, ripresa confidenza con il suolo, aveva messo su
un espressione confusa, come prima al tavolo; spostava lo sguardo da
me al trampolino, come se non capisse. Mi guardò con gli
occhioni da
gatta e quello sguardo, unito a quei capelli scompigliati, con la
coda ormai disfatta e i ciuffi ribelli ovunque, contribuivano
largamente al quadretto generale. Ma io non le avrei detto niente, no
no. Non le avrei detto proprio niente. Doveva ricordare, era
impossibile che non lo ricordasse; fino a poco fa era stata lei
stessa a rinfacciarmi l'episodio. Forse non capiva cosa volevo che
facesse. La guardai serio. Avanti
Taylor,
pensai. Di solito ci capivamo con uno sguardo. Fatti
sotto ed aiutami a continuare la mia canzone.
Come
se avesse sentito il mio richiamo, lei smise di rimuginare sul
perché
del mio apparente, anzi, leviamo pure apparente, atto di follia e mi
sorrise a cinquantamila denti, facendomi venire lo stesso brivido di
quella mattina. Poi, toltasi le scarpe, si fiondò sul
tappetino,
stranamente vuoto.
Fu abbastanza ridicolo
ed incredilmente divertente vedere una ventitréenne
saltellare come
una bambina di sei anni su un trampolino elastico, ridendo come se
fosse la cosa più bella del mondo. Il bello era che ci
credeva
davvero, era davvero felice di essere lì a saltellare, con
il suo
migliore amico che la guardava sorridendo.
“Con
la bava alla bocca...” aggiunse Coscienza. Zittii quel
pensiero e
lo rilegai in un angolino, come avevo già fatto con altri da
quella
mattina. Che cavolo mi prendeva? Sembravo uno squilibrato. In
effetti, mi accorsi di avere un po' un'espressione ebete dipinta in
faccia, mentre la guardavo fare capriole e ridacchiare convulsamente.
Scossi la testa come si scuote un cane bagnato. Stavo impazzendo, era
ufficiale.
- Beh? Come faccio a farti
ripetizioni se non sali con me? Eddai, Eddy! Eddy Rosso! Eddyno! - mi
prese in giro, sporgendosi. La fissai con un sopracciglio alzato; mi
stava sfidando. Stanco di stare fermo a terra a fare la figura
dell'imbecille, mi tolsi le scarpe e salii, aiutato da lei. Cercai di
ritrovare un equilibrio, mentre lei si metteva a saltellare di nuovo,
come un canguro sotto caffeina. Rischiai veramente di cadere di
sotto; se solo avesse smesso di saltare per un secondo, avrei potuto
ritrovare una certa stabilità. Cominciò a girare
in tondo, mentre
io cominciavo a saltellare più di riflesso a lei che per
altro.
Canticchiava. - And
everytime I look at you I could go crazy but I don't, say it but I
won't cause I'd rather be alone than lose you
-
mormorò, col fiatone. Come diavolo faceva a
cantare saltellando e girando in tondo su un cavolo di trampolino
elastico? Bah, era Taylor Swift.
Di colpo,
però, così improvvisamente che temetti stesse per
svenire, si
bloccò. Era a mezz'aria, quindi cadde di sedere sul
trampolino, con
uno sbuffo. Con qualche saltello mi avvicinai a lei, terrorizzato dal
fatto che si fosse fatta male. Ma lei alzò uno sguardo
orripilato ed
imbarazzato su di me, che mi stavo lasciando cadere accanto a lei,
rimbalzando. Aveva le guance rosse, e gli occhi luccicanti e sembrava
in preda ad un imbarazzo terribile.
- Che
succede? - chiesi, stupito. Strano, un attimo fa era così
allegra,
ed adesso sembrava nel panico. Lei si schiarì la voce.
Sembrò
tranquillizzarsi.
- No, niente. Sono solo
stanca. Dal modo in cui evitava il mio sguardo, capii cosa c'era di
sbagliato. Aveva cantato un verso della nuova canzone, la canzone per
Harry. Aveva paura che io avessi capito, e che sarei andato subito a
spifferarglielo. O qualcosa del genere. Lasciai perdere, e finsi di
credere alla sua scusa. Non volevo indagare sul perchè si
preoccupasse così tanto per quella canzone, si vedeva che la
metteva
a disagio. Alzai gli occhi al cielo e mi soffermai a guardare le
nuvole, mentre Taylor, accanto a me, si torceva le mani guardando
tutto tranne me. Aspettai che le passasse, sapevo che non ci avrebbe
messo molto.“If
it gets too complicated,
I'll give up and be frustated; can you see what's wrong? If you feel
like you've been hated...” Ed
eccola, l'ispirazione, era tornata, ed una nuova frase si era andata
ad aggiungere alla bozza di quella notte. Sorrisi di nuovo, come un
ebete. E poi buttai le braccia al collo di Taylor, accanto a me,
ancora impegnata a rimuginare, e la strinsi a me. Lì, seduti
su un
trampolino. Mi piaceva abbracciarla; era scheletrica, sì, ma
allo
stesso tempo sembrava di abbracciare un orsacchiotto. E poi sapeva di
buono. Pesche.
- Che ti prende? -
sbottò,
acida. Era ancora in imbarazzo. Mise il broncio e continuò a
non
guardarmi. Uffa, faceva la preziosa.
- Che
c'è, non posso abbracciare la mia migliore amica presa da un
momento
di sconforto durante il suo delirio giornaliero? - sbottai, imitando
il suo tono. Lei sbuffò, e questo stava a significare che si
stava
trattenendo dal ridere. - Ehi Tay, te l'ho mai detto che ti voglio
bene?
- Okay, cosa vuoi da me, dove
hai messo
il mio migliore amico? CHI SEI TU? - esclamò, voltandosi di
scatto e
lanciandomisi addosso. DI NUOVO. SU UN MALEDETTO TRAMPOLINO. IL SUO
ERA UN DANNATO VIZIO ALLORA.
Risi di gusto
mentre lei mi abbracciava. Alla fine dovetti ammettere, quella
giornata non era del tutto sprecata. C'era un bel sole, mi stavo
divertendo, gli uccellini cinguettavano...
“Una
bella ragazza ti sta appiccicata addosso...”
continuò Coscienza
per me. La ignorai e circondai Taylor in una stretta da orso.
Rimanemmo così per un bel po', in silenzio, ad ascoltare
l'uno i
respiri dell'altra, e per la prima volta dopo quei giorni pieni di
tensione, mi sentii tranquillo. Era bello. E non mi importava se
qualcuno fuori poteva vederci. Quella stretta,
quell'intimità era
solo nostra. E mi piaceva. Sarei potuto rimanere così per
sempre.
-
Sarà meglio tornare indietro, gli altri si staranno
preoccupando -
fece lei all'improvviso, sussurandomi all'orecchio. Aprii gli occhi
di scatto; di nuovo, come era successo il giorno prima durante le
prove, la sentii tesa. Cambiò all'improvviso umore mentre si
allontanava da me, mentre tutto quello che avrei voluto fare era
stringerla un altro po'. Che c'era di male? Eravamo amici. Non
stavamo facendo niente di che.
Eppure la vidi
scivolare via. Si allontanò in fretta, si alzò e
saltò giù da
trampolino, sparendo dalla mia vista e lasciandomi allibito, con
un'espressione da vero cretino in faccia.
Scuotendo
la testa - dovevo avere un aspetto orribile - la seguii e scesi con
più cautela dal quel coso. La trovai seduta per terra,
intenta a
legarsi le scarpe. Mi guardò giusto un attimo.
-
Non c'era tutta questa fretta - affermai, un po' acido, mentre
recuperavo le mie, di scarpe.
- Dimentichi
che stasera dobbiamo suonare - mi rispose. Aveva recuperato il
sorriso, e già questo mi tranquillizzò. - Quindi,
muovi il culo.
Abbiamo ancora un sacco di cose da fare! E tu devi salire sulle
montagne russe.
- Okay, okay, ho capito. Ma
sulle montagne russe non ci vengo - sbottai, imbronciato, seguendola.
Si era già avviata, facendosi strada tra la folla formata da
famiglie che, abbandonati i punti di ristoro, ricominciavano il loro
giro per il parco. A quel punto, Taylor fece una cosa strana: mi
prese la mano. All'inizio pensai che fosse per non perdermi, visto
che c'era davvero tanta gente, ma poi intrecciò le dita alle
mie, in
un modo che mi fece sobbalzare il cuore, e strinse.
-
Sì che ci vieni.
Angolo
Autrici
SALVE
PEOPLE! Finalmente siamo tornate :') le vacanze sono iniziate ma gli
impegni non sono finiti çwç da luglio credo
riusciremo ad
aggiornare più spesso :D
Alloooora. Questo
capitolo potrebbe avere poco senso HAHAHAHAHAHAH il motivo è
che in
realtà sarebbe più lungo, ma siccome stava
venendo TROPPO LUNGO
abbiamo deciso di dividerlo in due. Comunque siamo abbastanza
soddisfatte, e spero lo sarete anche voi u.u
P.S.
AVETE VISTO IL VIDEO DI EHC E' LA COSA PIU' PERFETTA DEL MONDO E' UN
MEZZO COMING OUT MA IN REALTA' NON LO E' OMMIODIO E' STUPENDO
KSJDHHVSAGSGHCGDCGDGHDSH
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Capitolo 5 *** Cinque. ***
CINQUE.
CINQUE.
Se dicessi che il fatto di stare mano nella mano con
Taylor non mi provocasse brividi freddi lungo la spina dorsale, mentirei. Forse
quello che mi sconvolgeva era l'intimità di quel gesto, il modo in cui le
nostre dita si intrecciavano alla perfezione, come la sua mano piccola e
affusolata si perdeva nella mia. Riuscivo a sentire le piccole ferite causate
dalle corde della chitarra sui suoi polpastrelli, le cicatrici, i calli. La sua
pelle. Ed era una bella sensazione. Stranamente, non volevo che finisse. Così,
anche se avevo accellerato il passo per starle dietro, mentre tornavamo al
ristorante, strinsi la sua mano, in modo che non potesse liberarsi. Anche se
non sembrava averne intenzione; ricambiò la stretta e sorrise come una bambina
tra sé e sé. Guardandola, ricambiai il sorriso. Per quel momento, lasciai
perdere le domande. Non sarebbero servite a niente.
Finalmente raggiungemmo il punto di ristoro dove ci eravamo fermati con
tutti
gli altri. Adesso stavamo camminando in tutta tranquillità,
sempre tenendoci
per mano, con due espressioni idiote gemelle stampate in faccia.
Sinceramente
non mi importava che ci vedessero, e a quanto pare, nemmeno a lei. Poi
Taylor avvistò Caitlin, con il cellulare all'orecchio e la
fronte corrugata
per la preoccupazione. In quell'istante, il suo iPhone squillò.
La bionda
liberò la mano dalla mia, in fretta, cambiando di nuovo umore.
Corse verso
l'amica, lasciandomi indietro, immobile e sorpreso come un imbecille. I
suoi
voltafaccia riuscivano a stupirmi sempre di più.
Che ci sta succedendo, Taylor?
Le raggiunsi mogio, ficcando le mani in tasca. Mi sentivo vuoto, come se
lasciandomi la mano mi avesse strappato un polmone, o roba del genere. Era una
reazione esagerata. Era tutto esagerato, ultimamente. Non riuscivo davvero a
capire cosa stava accadendo, e pensarci troppo mi faceva venire l'emicrania.
Perciò scossi la testa, nel vano tentativo di liberarmi di tutte le mie
preoccupazioni, e mi misi ad ascoltare cosa si stavano dicendo quelle due.
Caitlin stava facendo la ramanzina a Taylor.
- Dov'eravate finiti? Siete spariti così all'improvviso senza dirci dove cavolo
stavate andando. Ho provato a chiamarti ma la linea è intasata - sbottò,
buttando indietro i lunghi capelli rossi. - Ed il tuo amico, qui, ha sempre il
cellulare spento, occupato o disperso in qualche angolo del mondo.
- Io il cellulare lo uso per registrarci le canzoni, donna - replicai, in tono
seccato. Taylor, che stava probabilmente controllando il suo twitter, alzò gli
occhi e mi lanciò un'occhiata da sotto la frangetta. Non ricambiai. Non ce l'avevo
con lei, ma allo stesso tempo mi infastidiva il suo comportamento.
- Eddai, Caitlin, adesso siamo qui, è questo l'importante - disse allora,
mettendo il telefono in tasca. - Dai, chiama gli altri. Le montagne russe ci
aspettano!
- Le uniche russe che mai potranno aspettarmi sono quelle del centro benessere
di Londra – dissi, senza neanche pensarci troppo o prestare attenzione al resto
della comitiva che stava uscendo in massa dal locale; infatti, dopo essermi
voltato in preda al fastidio, me ne stavo cocciutamente girato dalla parte
opposta … fin quando non mi sentii inchiodare da un’occhiataccia, proveniente
da due occhioni blu alla Bambi. Solo allora realizzai la portata dell’idiozia
che avevo appena detto, ma non per questo persi il controllo … o almeno credo.
Cioè, io mi sentivo abbastanza normale … ma vabbeh, elementi inutili. Fatto sta
che razionalizzai. Rimasi ancora cocciutamente girato dalla parte opposta,
imbronciandomi ancora di più, se possibile, fin quando l’occhiataccia si
trasformò in uno sguardo minaccioso. Mi premeva sulla schiena nemmeno fosse
stato un pugnale. Ma anche quello sguardo sparì, per trasformarsi in una risata
mal contenuta, accompagnata da una testa bionda che si agitava e sussultava.
Sentir ridere Taylor mi faceva sempre sorridere, e dopo un po' non riuscii a
trattenermi e scoppiai a ridere anche io; l’unico problema era che io non stavo
scherzando, no signore: NON SCHERZAVO PROPRIO PER NIENTE. E ci tenni molto a
metterlo ben in chiaro, così mi feci serio all’improvviso. Così all’improvviso
che Taylor per poco non cadde a terra dallo scatto che fece per rimettersi in
posizione normale.
- Non stavo scherzando. Io non ne voglio sapere niente sul serio. – e per
completare il quadretto cominciai a guardarmi intorno terrorizzato. Lei, per
tutta risposta, mi guardò ammaliante … e grugnì. Sì, gnugnì. E con scatto
felino si incamminò verso la-morte-di-ferro-battuto.
“OH MERDA” fu l’unica cosa che riuscii a pensare.
Osservai con terrore l'ammasso di ferraglia che ci sormontava. Perché, perché,
perché Taylor mi aveva trascinato in quel postaccio? Non me lo sarei mai
domandato abbastanza. Eppure mi conosceva bene, sapeva che non ero tipo da
queste cose. Mi appoggiai alle transenne che separavano le varie parti della
fila, sbuffando. La biondina, intanto, saltellava e strillava eccitata,
attirando l'attenzione di tutti presenti. Qualcuno cominciava a mormorare. “Ma
è Taylor Swift?” “Sì, è lei! E' lei
per davvero!” “E c'è anche Ed Sheeran con
lei!” Perfetto, finito il relax dato dall'anonimato. Mi infossai nelle spalle,
cercando di nascondermi il più possibile e vagando con lo sguardo tra la folla,
con una cospicua dose di terrore in faccia. Fu così che notai due ragazzine -
avranno avuto più o meno tredici anni - che mi fissavano intensamente e
parlottavano, ridacchiando.
“Beh, vorrano un autografo” suggerì Coscienza “Non essere rude con tutti solo
perché sei un fifone senza speranza che si trascina dietro alla sua migliore
amica stile chiuhauha”.
“Grazie Coscienza, sempre amichevole.” pensai stizzito. Per tutta risposta me
la vidi scuotersi i capelli. “Ma da quant’è che ti sei messa a prendere forma
umana, brutta stronzetta?”se non fosse stata una cosa totalmente incorporea e
astratta, esistente solo nella mia testolina malata, probabilmente l’avrei
uccisa. Ma in fin dei conti aveva ragione, dovevo fare il buon cantante, al di
là di tutto. Cercai di sorridere, incoraggiandole. Dopotutto mi piaceva
incontrare i fans. Insomma, era merito loro se mi trovavo lì, e non in qualche
sperduto bar a cantare le mie canzoni, misconosciuto.
Le ragazze fecero un sorrisone a trentadue denti e si avvicinarono, stranamente
in sincronia. Quando furono abbastanza vicine cominciarono a dare di matto,
saltellando e gemendo per la gioia.
- Ed! Adoro le tue canzoni, e adoro te! - fece una. Era piccola, minuta, con
lunghi capelli bruni e le lentiggini sul naso. - Che ci fai qua, a Disney
World? Possiamo farci una foto insieme?
La sua amica annuì, sorridendo e mostrando l'apparecchio per i denti.
Acconsentii. Feci qualche foto con loro, ci chiaccherai ed accettai con piacere
i loro complimenti. Incontrare i miei fans era sempre una bella esperienza.
- Dimmi una cosa, Ed! - fece la bruna all'improvviso. - Ma tra te e Taylor c'è
qualcosa?
Detto questo, ammiccò con fare complice. L’altra intanto saltellava eccitata,
sembrava stesse per lanciarsi in un burrone per fare bunjee jumping. MA CHE
DIAMINE DI DOMANDE SONO?! Sbarrai gli occhi. Non me la sarei mai aspettata,
sinceramente.
- Beh... Qualcosa, cosa intendi? E' la mia migliore amica, tutto qua. -
risposi, balbettando. Sperai di non essere arrossito. “Sei un caso perso,
Eddy.” DIO, CHE QUALCUNO MI AIUTASSE A FARLA FUORI. Ah giusto, nessuno poteva, perché
quell'irritante vocetta esisteva solo nella mia testa. Sono io lo sciroccato. E
se mi fossi fatto internare in qualche centro psichiatrico, sarei riuscito a
liberarmene? O sarebbe solo peggiorata? “Sei un caso perso Eddy, ma proprio
perso perso perso. Per questo, da oggi in poi, ti chiamerò Eddy Caso Perso!
Anche se Eddy Rosso ti dona di più”.
- Ah, peccato - fece la sua amica con l'apparecchio. - Perché beh, noi...
Ridacchiò, in quel modo civettuolo delle ragazze, e guardò la compagna.
- Noi vi shippiamo! - esultarono all'unisono, tutte contente. E ridacchianti. E
saltellanti.
…
PANICO.
Avevo veramente paura che mi saltassero addosso. Cercai di mostrare una
facciata di divertita tranquillità, ma non so quanto possa esserci riuscito.
Poi, con disinvoltura, chiesi: - Cos’è che fate ESATTAMENTE? – . Non so perché,
ma la parola “shippiamo” mi faceva tanto pensare a un rito wodoo. Magari
appartenevano a qualche setta e volevano rapire me e Taylor per farci qualche
strano rituale satanico.
- Ma sì, come coppia! - continuò la ragazza con l'apparecchio. - Siete carini
insieme.
- Molto carini - assentì l'altra. - E poi dai, non puoi negarlo! A te Taylor
piace. Tanto. E si vede.
Rimasi di stucco. Cosa, dove, come, quando? Quando era successo tutto questo?
Cosa avevano visto queste piccole pesti che io non avevo notato?
Decisi di finirla lì, quel discorso stava dilagando in acque inesplorate,
melmose e anche abbastanza puzzolenti. Salutai le mie piccole ammiratrici e,
con un'espressione da vero imbecille sul viso, raggiunsi Taylor.
- Hai trovato due fans? Che carine! Ehi, perché quella faccia? - domandò. Di
nuovo, aveva cambiato umore, ed era tornata la solita Taylor. La mia migliore
amica.
- Mi hanno sconvolto quelle due – balbettai con la bocca tremolante, incredulo
del mio stesso sconvolgimento. Lei mi fissò negli occhi, blu contro blu, e
scoppiò a ridere divertita.
-È inutile che sghigniazzi, signorina occhi-di-ghiaccio! Non saresti così
allegra se avessi sentito le loro aliene congetture.
- Addirittura! Cos'è, ti hanno chiesto di autografargli le mutande?
- No - negai, scuotendo la testa come un barboncino che tenta di scrollarsi di
dosso l’acqua del bagno appena fatto - a forza, aggiungerei -. Le parole delle
due ragazzine continuavano a rimbombarmi nella mente, come un’eco assurda.
- Hanno detto che … ci shippano. – dissi con una vocina distorta, quasi
femminile, resa ancora più macabra da una ben marcata vena di disgusto misto a
stordimento emotivo. CI SHIPPANO.
Taylor smise di ridere di colpo e tornò a fissarmi, adesso con un'espressione
curiosa.
-Loro ciscicòsa?
- Ci shippano. Cioè, ci vedono bene come coppia. – spiegai attonito, abbassando
la voce in modo che gli altri non ci potessero sentire. Nonostante stessi
cercando di eliminare quella conversazione dal cervello, non ci riuscivo, e
continuavo a rimuginarci. “E poi dai, non puoi negarlo! A te Taylor piace.
Tanto. E si vede”. Era vero, Taylor mi piaceva. Ma non il quel senso. Era la
mia migliore amica, era una persona stupenda, mi piaceva come persona,
solamente come persona. O forse no?! Se era così, perché mi ero messo a fantasticare
sulle sue labbra, a pranzo?
“Devo dirtelo io, Eddy Caso Perso Sheeran?” fece Coscienza. Di nuovo, la
zittii. No, non era possibile.
“Ora che ci penso … SHIPPARE SWIFT E SHEERAN ha un suono veramente piacevole!
Potremmo anche mischiare i vostri nomi. Formare un fan club. Fare delle
spillette con la vostra foto!” MA CHE DIAMINE. Perché quella dannata …
presenza? … non la smetteva di prorompere in affermazioni di questo tipo?
Quelle due piccole pesti. Mi avevano condizionato. Sì, era sicuramente così.
Taylor era la mia migliore amica, e non sarebbe mai stata nient'altro, per me.
Le volevo bene. Tutto qua.
Sollevato, guardai mentre Taylor sbuffava e si faceva una mezza risata su
quello che le avevo detto. Eppure, mentre alzava lo sguardo verso di me, mi
sembrò di notare un guizzo, uno strano scintillio nei suoi occhi. Ma cosa...?
- Queste ragazzine, sono assurde - dichiarò. - Non farci caso, Ed. Hanno una
grande fantasia.
- Sì, è quello che penso anche io - assentii.
Proprio in quel momento, una delle carrozze dell'attrazione passò sopra le
nostre teste. Gli occupanti urlavano, eccitati, spaventati o semplicemente
trascinati dal resto del gruppo. Dimenticai all'istante le ragazzine, la cosa
dello “shippare”, Taylor, tutto ciò che non fosse il terrore: rabbrividii così
violentemente da temere di essere in preda alle convulsioni.
- Taylor - sibilai, senza guardarla. - Io su questo coso non ci salgo.
Lei si voltò di nuovo verso di me ed incrociò le braccia, imbronciata. - Eddai,
Eddy Rosso. Cosa c'è che non va?
- Non è una cosa naturale. Mi terrorizza. - le spiegai, assumendo un tono
scientifico.
- Siamo quasi arrivati, Ed, ti prego. Non ti puoi tirare indietro ora - mugolò,
seriamente dispiaciuta.
- Tay. Ho paura, okay? - ammisi. - E se uno di quei cosi si stacca e
precipitiamo e moriamo tutti?
La sua espressione triste si sciolse in una risata. - Oh, Ed. Sei così tenero.
- mi prese in giro. Poi, con una naturalezza che non le riconobbi, mi strinse
di nuovo le dita tra le sue. In quel modo intimo e nostro. Per un istante il
mio cuore smise di battere. Perché mi piaceva così tanto tenerla per mano?
Perché da qualche tempo a questa parte, quando la toccavo mi sentivo completo?
Cosa diavolo mi stava succedendo?
Pensai che l'avesse fatto per tranquillizzarmi, una stretta di conforto, invece
mi attirò a sé e mi abbracciò.
- Stai tranquillo, fifone. Andrà tutto bene. - mi sussurò, mentre stringeva le
braccia intorno al mio collo. Per qualche strano motivo, sentire quelle parole
mi tranquillizzò seriamente. “… and you squeeze me until these thoughts leave
my head”, la canzone … la frase che aveva “scritto”, cioè, che io avevo
scritto, ma che la voce di Tay aveva cantato nella mia testa quando l’avevo
caricata in spalla … mi martellava benevolmente il cervello. La strinsi per i
fianchi, grato.
- Okay, mi fido - ammisi. Lei si staccò, mi fece un sorriso che avrebbe potuto
illuminare un'intera città e tornò a stringermi la mano.
- E' STATA L'ESPERIENZA PIU' TERRIBILE DELLA MIA VITA -
gridai, imboccando l'uscita di quel tremendo strumento di tortura, mentre
Taylor se la faceva sotto dal ridere.
- E' STATO FANTASTICO - mi gridò allora contro lei, quando mi raggiunse fuori.
Me ne stavo piegato, con le mani appoggiate alle ginocchia, tentando di non
vomitare.
- Stai fottutamente scherzando, vero Taylor?! - sbottai. Lei, per tutta
risposta, mi saltellò intorno, più eccitata di un bambino di fronte ad un
negozio di caramelle.
- Macché! E' stato magico, il giro della morte, gli avvitamenti. Non ho mai
strillato così tanto!
“Non dirlo a me” pensai, orripilato, trattenendo a stento un conato. Sentivo il
pranzo ballare la samba nel mio stomaco. Perché mi ero lasciato convincere a
fare quel coso?
“Perché sei impazzito dopo che la tua migliore amica ti ha preso per mano” mi
ricordò gentile Coscienza.
- Ci hanno anche fatto le foto! Oh mio Dio, Ed! Andiamo a vederle! - strillò,
prendendomi per un braccio e strattonandomi fino allo stand fotografico, mentre
io ero ancora in stato di shock. Avrei avuto gli incubi per mesi.
- OMMIODIO ED! - gridò Taylor. Ma perché doveva strillare? Ci sentivo
benissimo. - Guarda la tua faccia!
Stava ridendo di gusto, buttando la testa all'indietro e divertendosi un mondo.
I capelli le erano sfuggiti dalla coda, di nuovo, e le coprivano mezzo viso.
Strinsi gli occhi e guardai dove mi stava indicando. Impallidii di fronte alla
faccia da imbecille immortalata nella foto. Però, dovevo ammettere che ero
abbastanza buffo.
- Tu ti sei vista? - la ripresi.
- Sì. Non fono belliffima? - scherzò. Poi tirò fuori il portafogli dalla borsa
ed allungò delle monete all'addetto. Un momento, voleva davvero comprarne una
copia?
Beh, a quanto pare era così. Ringraziò di cuore il ragazzo quando questi gli
consegnò un cartoncino rilegato, e lui arrossì. Poi mi lanciò un'occhiata, come
a dire “beato te che ce l'hai sempre vicina”.
Beh.
Taylor lanciò dei gemiti eccitati, mentre apriva il cartoncino per riguardare
la foto. Mi appostai dietro di lei e sbirciai da sopra la sua spalla. Da vicino
la mia faccia era anche peggio, se possibile.
Ma ovviamente quello non era un motivo abbastanza valido per impedirle di farla
vedere a chiunque. Infatti, non perse tempo. In pochi minuti, prima che me ne
potessi anche solo accorgere, l'aveva già tweetata ai suoi milioni di
followers. Dio, perché?! Avrei voluto prenderla a pugni finché non avesse
cancellato il tweet. Doveva proprio piacerle mettermi in ridicolo.
Come se non bastasse, corse poi incontro al nostro gruppetto, per mostrare a
tutti il suo nuovo tesoro e la mia faccia che a quanto pare sarebbe rimasta
nella storia.
Mi passai una mano tra i capelli - tanto erano un disastro già di suo - e
sbuffai. Era stato davvero traumatizzante; non credo che sarei mai più salito
su qualcosa del genere. Eppure, nonostante immaginassi che sarebbe finita in
quel modo, mi ero lasciato convincere come un idiota da una stretta di mano e
qualche parolina sussurrata nel modo giusto. Taylor sapeva davvero ammaliare,
quando voleva. Ed io mi ero lasciato abbindolare come un cretino.
“Caro Eddy Caso Perso Sheeran, non è che vi shippano a ragione?” si intromise
di nuovo Coscienza. Oggi era davvero insopportabile. Mi chiesi se, sbattendo la
testa nel muro più volte, me ne sarei liberato. Insieme a quel pensiero, però,
ne arrivò un altro, una strofa cantata, una melodia nuova. Rieccola,
l'ispirazione, arrivava all'improvviso, quel giorno. “Everything will lighten
up, if you feel too frightened I'll make it disappear...” sembrava quasi che la
vocina di Taylor la cantasse nella mia testa, in fin dei conti era quello che aveva
fatto proprio prima. In quel momento stavo veramente cominciando a pensare di
aver bisogno di un bravo psichiatra, qualcosa nella mia testa non andava per il
verso giusto. Non avevo la benché minima idea di dove quella canzone stesse
andando a parare; i versi si formavano spontanei nella mia testa, così come la
melodia, senza un apparente collegamento logico. Sapevo che era per Taylor,
perché ogni volta che ci pensavo sentivo un tuffo al cuore, come se me ne
dovessi vergognare. Ma cosa stavo scrivendo? Una canzone d'amicizia? Una specie
di grosso complimento? Guardai la mia migliore amica, intenta a scatenarsi nel
mostrare a tutti il suo nuovo acquisto. Perché mi sentivo così confuso verso di
lei? Se fino a qualche tempo prima tutto stava andando alla grande, cosa stava
accadendo, ora, di diverso? Cercai di darmi una scrollata nel vano tentativo di
riprendermi e così mi indirizzai verso gli altri: DIREZIONE ATTRAZIONI
TRANQUILLE … o almeno speravo.
- Oggi, come avete potuto vedere dai miei tweets, abbiamo
passato la giornata a Disney World, meravigliosa Orlando! - disse Taylor nel
microfono, e la sua voce venne sovrastata dagli urli eccitati dei suoi fans. Si
voltò verso di me, dall'altro lato del Bstage, e mi sorrise angelica. - Ed è
anche salito sulle montagne russe per la prima volta in assoluto. Si è
divertito molto, non è vero Ed?
- No - sbottai, d'istinto, facendo ridere l'intera arena. Lanciai uno sguardo
alla miriade di facce che si stagliavano di fronte a me, quella sera. Il resto
della giornata era trascorso in modo abbastanza tranquillo, ed il concerto era
arrivato così in fretta che non avevo nemmeno avuto il tempo di rendermene
conto che già ero sul palco per il mio numero di apertura. Avevo poi osservato
Taylor esibirsi, come facevo ogni notte, finché non era arrivato il momento di
Everything Has Changed. Taylor mi aveva presentato, proprio mentre io arrivavo
scortato dalla sicurezza sotto il palco al centro dell'arena. Avevo salito le
scale con la mia fidata chitarra al collo, come ogni sera, ed avevo abbracciato
Taylor, come al solito. E poi ci eravamo messi a chiacchierare, davanti a
migliaia di persone. La solita routine, insomma. Eppure non c'era niente di
uguale al solito; la mia testa era un delirio totale. Non ero riuscito a
togliermi dalla mente la canzone, le ragazzine e tutto quello che stava
succedendo tra me e Taylor. Mi sentivo un disastro ed ero sicuro che da fuori
si vedesse benissimo, perché Taylor mi lanciò un'occhiata preoccupata. Le
sorrisi, era tutto okay. Più o meno. Così, anche quella sera, iniziammo a
suonare.
Era la mia parte preferita di ogni serata. Strano, direte voi. Non era più
eccitante quando l'intera attenzione dell'arena era diretta verso di te,
all'inizio? E io vi rispondo, no. Perché quando io e Taylor cantavamo insieme,
l'atmosfera si trasformava. C'eravamo solo io e lei e le nostre voci e le
nostre chitarre. Lei cantava il suo pezzo ed io suonavo e ogni tanto la
guardavo. Splendeva di luce propria quando faceva quello che amava. Ed era
bellissima, davvero bellissima.
Mi unii a lei per il ritornello. Come ci eravamo accordati fin dall'inizio del
tour, al verso “and your eyes look like coming home” ci guardammo. I suoi occhi
splendevano, era sempre felice quando ci esibivamo insieme. Lo trovava
divertente, aveva detto una volta; sentiva che in quel momento eravamo più
legati che mai, ed io mi trovavo d'accordo con lei. Le sorrisi, continuando a
cantare, e lei fece lo stesso. Il suo volto si illuminò di nuovo, pieno di
nuova felicità. E di nuovo pensai che fosse bellissima.
“Siete perfetti l'uno per l'altra. Giusto per informazione, IO SHIPPO SWIFT E
SHEERAN. Vi ho anche trovato un nomignolo, vuoi saperlo?” sussurrò Coscienza
dentro di me.
“Non ora, cara. Non è il momento adatto” la ripresi, innervosendomi. Tra poco sarebbe
toccato a me, non potevo fare brutte figure.
“Ti ho solo detto quello che sai già, Eddy Caso Perso” acconsentì, per poi
sparire. In quel momento, Taylor si allontanò dal microfono e si avvicinò a me.
Era il segnale, era il mio turno di cantare.
- And all my walls, they're tall painted blue; I'll take 'em down, take 'em
down and open all the doors for you - intonai, lanciando di tanto in tanto uno
sguardo a Taylor, che mi stava affianco e suonava. Mi sorrise di nuovo, e io non riuscii a non
fare lo stesso. - And all I feel in the stomach is butterflies, the beautiful
kind making up for lost time, taking flights, making me feel right.
Che strano, mi sembrava davvero di avere le farfalle nello stomaco.
Guardai di nuovo Taylor, che si era allontanata per tornare alla sua
postazione, e ricominciammo a cantare insieme.
Il resto della canzone volò via veloce, e in pochi minuti avevamo finito. Gli
strilli dei fan entusiasti erano assordanti. Taylor fece un piccolo inchino,
poi si avvicinò a me. Era lei la grande star, ma come ogni notte, mi stava
facendo sentire al suo pari.
- Signori e signore, Ed Sheeran! - strillò nel microfono, ricevendo in risposta
vere e proprie ovazioni. Arrossii, tutto quell'apprezzamento mi imbarazzava
ancora. Taylor mi buttò le braccia al collo, sorridendo felice, e io la strinsi
con un braccio, delicatamente, ai fianchi.
Rimanemmo così per qualche minuto, mentre le urla intorno a noi non accennavano
a spegnersi. Forse fu per questo che sentii a stento quello che mi stava
mormorando Taylor all'orecchio.
- Never Mind.
Mi staccai un po' da lei, in modo da poterla guardare negli occhi con
espressione interrogativa. Lei sillabò, in modo chiaro e semplice, la
spiegazione.
- Never Mind. La mia nuova canzone, si chiama Never Mind.
-Ma … perché proprio Never Mind? – le domandai, sempre sillabando. Lei arrossì
violentemente, e mi ignorò completamente. Poi, con grande charme, si voltò di
nuovo verso il pubblico per regalare un nuovo sorriso e un nuovo sguardo
luccicante. “Darling don't be
nervous … I'll understand if you let me go.”
“Bene Sheeran, sembra proprio che tu abbia composto una
strofa!” pensai, contento, sbattendo distrattamente la porta del mio camerino;
questo però lo elaborai dopo, stremato dalla lunga, ma piacevole, giornata.
Ricordo di essermi alzato e aver preso dalla tasca dei jeans il mio spartito
senza senso. Me l'ero rigirato tra le mani, era ridotto parecchio male. Ci
mancava solo che si mettesse a cantare “I'm a crumbled - up piece of paper
lying here”. Lo aprii: recava le parole “Take me back to your old home, take me
back to the Beverly road, and now I'm missing you”, ovvero tutto quello che ero
riuscito a mettere insieme la sera precedente. A quanto pare la maggior parte
del tempo l’avevo impiegata a fare flashback e a dormirci sopra, nel senso
letterale ovviamente. Mi scappò un sorriso, quasi di tenerezza, poi presi la
penna, tracciai lo spartito nella parte ancora vuota del foglio e cominciai a
scrivere le note che da tutto il giorno mi avevano bonariamente perseguitato, come
fedeli amiche, e poi sotto scrissi le parole.
Everything will lighten up,
If you feel too frightened I'll make it disappear,
darling don't be nervous
iIll understand if you let me go.
C’era anche un’altra parte che mi martellava in testa da tutto il giorno,
solo che non sapevo dove infilarla in quell’ammasso di frasi senza connessione,
così lasciai altro spazio, feci un altro sparito e scrissi l’altra frase: Sunny
days that left my skin a breathe, and you squeeze me until these thoughts leave
my head. Non sapevo ancora se andasse all’inizio o alla fine, se prima la
strofa o dopo, così la scrissi lì, quasi come una nota, nell’attesa che quella
canzone cominciasse ad avere un senso, sia sulla carta che nella mia testa.
ANGOLO AUTRICI
Wwwoooh! Ho pubblicato un capitolo! Ok,
nel caso non si fosse capito sono l'altra scrittrice, quella che non
è veterana e non ha la minima idea di come si pubblichi un
capitolo ... o almeno non la aveva, visto che l'ha pubblicato.
Vabbeh, deliri a parte, questo
ultimo capitolo è stato scritto abbastanza velocemente sia
grazie al tempo che FINALMENTE sta ricominciando a scorrere in maniera
normale, sia perché la storia sta cominciando piano piano a
prendere forma ... sarà forse dovuto a qualche interessante
dichiarazione di un possibile bacio il tredici luglio? Beh, non potete
certo dire che quei due non si impegnino anima e corpo per far pensare
a qualcosa di più di semplice amicizia!
*delirio_da_shipper_mode_on*
Senza starvi a tediare con noiosi
discorsi privi di senso, volevo solo dirvi che speriamo vivamente che
vi sia piaciuto, anche perché qui, come in tutti gli altri,
c'è un po' dello stile di ognuna di noi, e ci siamo comunque
messe in gioco con questa ff.
Ciancio alle bande,
se avete qualcosa da dire, scrivete quaggiù e noi ne saremo
molto molto molto mooolto felici! Al prossimo capitolo wuhuhuhuh.
A.
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Capitolo 6 *** Sei. ***
sei.
SEI.
Un mese dopo. 11-12 Maggio 2013, Washington DC.
-Andremo al mare.
-Cosa? - sbottai, sbattendo le paplebre e cercando di darmi una svegliata; la
mia migliore amica aveva dei modi meravigliosi per svegliarmi dal mio mini
abbiocco serale delle DUE DI NOTTE. Certo, perché dopo aver appena finito
un’estenuante concerto di fronte a migliaia di persone era del tutto normale farsi
venire in mente la geniale idea di fare nottata. Ma lei è Taylor Swift, e con
lei tutto è possibile. E io sono Ed Sheeran, il povero fesso che le andrà
sempre dietro, finché morte non ci separerà.
“Amen.”
“Stai zitta tu, non c’entri niente adesso.”
“Io c’entro sempre Eddyno, sono la tua mente, non ricordi?”
Dio, quanto è fastidiosa.
Comunque, dicevo, prima che quella presenza estranea mi interrompesse, quella
pazza voleva fare nottata. E così adesso eravamo seduti sul B-Stage, io
stravaccato stile Meredith-post-pasto,
lei … boh, probabilmente da qualche parte intorno a me intenta a fare qualsiasi
altra cosa tranne quella ragionevole: ossia prendere le chiavi nascoste nel suo
vestito da Love Story che stava
indossando come se fosse la cosa più naturale del mondo - sì, aveva nascosto le
chiavi perché non voleva che gliele rubassi per scappare all’hotel: lo so, è
matta. Che poi dove le teneva, in quel cavolo di vestito da principessa delle
fate? Aveva forse qualche tasca interna? Magari nel reggiseno -, scendere da
quel dannato palchetto e aprire la porta per farmi tornare in albergo a
DORMIRE.
Volevo dormire. Avevo un disperato, agognato bisogno di dormire.
Ormai il Red Tour era iniziato da due mesi, e non erano stati due mesi facili.
Prove su prove, concerti fino a tardi, ed una Taylor più attiva e svampita che
mai, che amava trattenersi a cantare e a suonare quando lo stadio era ormai
vuoto o che veniva a bussare alla porta della mia stanza d'hotel in piena notte
per chiedermi se volevo vedere Law & Order con lei e Meredith. Tutto
questo, però, sembrava averci avvicinati ancora di più; spesso gli altri membri
della band ci prendevano in giro, perché ci perdevamo nel nostro mondo con
facilità. Non mi ero mai sentito così legato ad una persona, soprattutto ad una
donna. Eppure era come se fosse una parte di me, ormai. Mi ero anche abbassato
a vedere Grey's Anatomy con lei, solo perché sapeva tutte le battute a memoria
e guardarla mentre le recitava nel modo giusto al momento giusto mi faceva
sganasciare dalle risate. Era bello. Era bella questa cosa con Taylor, era
un'amicizia vera e forte. Indistruttibile. Non volevo che finisse, non lo
volevo assolutamente. Ormai mi sentivo come se perdere Taylor fosse stato come
perdere una gamba. Più o meno.
Dicevo, avevo bisogno di dormire. Gliel'avevo fatto presente ma, sapete, lei è
Taylor, quindi qualsiasi cosa vagamente razionale non le appartiene.
Scossi la testa, sentendomi ancora parecchio intontito. Forse avevo sentito
male. Perché voleva andare al mare? Stavamo facendo un tour. Un tour soldout,
ci terrei a specificare. Non potevamo andare al mare.
Molto, ma molto svogliatamente, mi smossi dalla mia posizione da abbiocco e
feci per dar voce ai miei pensieri, quando, aperti gli occhi, me la ritrovai
praticamente in faccia, appostata nella mia stessa, identica posizione, solo a
pancia in giù, e per poco non sbattemmo l’uno contro l’altra. Strano ma vero:
questa volta ero riuscito a tenere a freno i nervi, come, non lo so. I suoi
occhioni blu luccicanti, nel frattempo, mi stavano guardando da sotto la sua
tendina di capelli biondi, ormai non più perfettamente lisci dopo due ore di
spettacolo e il restante tempo passato a cantare canzoni a caso con il
sottoscritto, fin quando non mi ero abbioccato lì, sul B-Stage, mentre lei
suonava una strana versione di quella che poteva essere una cover di Kiss Me. Non so se stava per ridermi in
faccia; probabilmente sì, visto che aveva appena distorto leggermente la bocca
e sbuffato, ma per il resto sembrava seria. Molto seria. Troppo seria. Non
Taylor-seria. Ma esageratamente seria. Cos’aveva intenzione di fare? Annullare
il resto delle date del tour e prendersi una bella vacanza, magari portandomi
con lei in qualche isola sperduta? Non riuscivo a interpretare quel guizzo di
convinzione che le vedevo negli occhi, e questo mi metteva tremendamente a
disagio. Di solito mi bastava un'occhiata, la sua mente era come un libro
aperto per me. Ma adesso no. Era seria e paurosamente chiusa in sé stessa. Che
le passava per la testa?
- Finito il tour. Andremo al mare. O meglio: TU mi porterai al mare. Ho sempre
voluto fare un giro in Gran Bretagna, in maniera normale, non schizofrenica
come succede con i tour. Non toccata e fuga, ma una lunga, e piacevole vacanza.
E ho deciso che la voglio fare. Con te. Mi porti a fare un giro in Gran
Bretagna finito il tour? – mormorò, sorridendo divertita e dandomi una
strizzatina al polso.
Stavo ancora cercando, convulsamente, un segno, una traccia di quello che le
passava per la testa. Mi aveva veramente chiesto di portarla a fare un giro in
Gran Bretagna? Mi stava mettendo in confusione; non c’era traccia di
quell’abituale guizzo di allegria nei suoi occhi, si vedeva che era seria,
nonostante il sorriso. E io non riuscivo a capirla. Come era successo più volte
nell'ultimo mese, mi aveva chiuso fuori dalla sua testa, e non la capivo. Ma
che le succedeva? Voleva scappare? Da cosa? Stava impazientemente aspettando
una risposta, lo vedevo. Si mordeva il labbro, ma per il resto non si era
ancora mossa di un centimetro. Non era in procinto di ammettere che stava
scherzando, per poi buttare lì qualche battuta divertente, sui miei capelli o
sulla mia pellaccia pallida che si brucia anche a novembre. Si aspettava una
risposta seria questa volta, perché lei era seria, al cento per cento.
All'improvviso si mise seduta, con le gambe penzolanti al di là del palchetto,
perciò la imitai, senza smettere di guardarla. Anche lei, nel frattempo non mi
toglieva gli occhi di dosso. Era diventata una statua, ferma e immobile:
l’unica cosa che si muoveva erano gli occhi. Probabilmente stava cercando di
capire se stessi per scappare a gambe levate, ma non ce l'avrei fatta neanche a
volerlo: era come se un macigno mi si fosse piantato alla bocca dello stomaco e
mi impedisse di fare qualsiasi altra cosa se non avvicinarmi più a lei, per
farle capire che non volevo andarmene. Volevo capire cosa le stava succedendo. Perché
le era venuta quell'idea.
Evidentemente, mettersi a sedere era stata un'azione più lunga del previsto, perché
nella frazione di secondo in cui avevo abbassato gli occhi per appoggiare le
mani in modo da non scivolare qualcosa era cambiato; perché lei non mi stava
fissando più. I suoi occhi erano giù, piantati verso terra, e sembrava che
stesse facendo di tutto per non esplodere, lì, davanti a me. E subito un nuovo
macigno si piantò dentro di me, questa volta sul cuore. L'avevo vista solo
un'altra volta così.
-Taylor, che diavolo
succede? – sbottai, dandole una spallata. Ecco, alla fine gliel’avevo chiesto,
buttandolo lì nella maniera più diretta e insensibile possibile. “Complimenti Ed, sei proprio un galantuomo”
osservò Coscienza. Aveva ragione, ma non ce la facevo più a tenermelo dentro.
Odiavo non riuscire a capire quello che stava pensando, mi faceva sentire a
disagio. E poi lei stessa aveva ammesso che sapevo essere “brutalmente onesto”.
Ma in quel momento, quando vidi il suo sguardo scurirsi, avrei dato tutte le
mie amate e preziose chitarre per potermi rimangiare quello sbotto di sincerità
fin troppo diretta. Avrei dovuto cercare di capire da solo, non metterla con le
spalle al muro così. Per tutta risposta lei continuò a fissare per terra.
Perfetto, adesso l’avevo pure fatta sentire attaccata. Stavo per aprire bocca
nuovamente, quando lei si risvegliò all’improvviso dal suo torpore.
- Non riesco proprio a nasconderti niente, eh Sheeran? – affermò, sorridendo
triste.
“Hai visto che non sei un totale idiota,
Eddy testa di carota?” per una volta mi fece piacere avere questa, di
solito irritante, vocina nella testa. Quantomeno non avrebbe avuto da ridire, o
almeno speravo, sulla mia prossima uscita.
- Ma Taylor – dissi, fingendo un tono di offesa. – come potresti mai nascondere
qualcosa A ME, L’UOMO CHE SUSSURRA ALLE CHITARRE? –. E conclusi la performance
con un sorriso smagliante alla Mentadent - con cinquantamila denti e tanto di sparkle alla fine. Per tutta risposta
lei mi guardò come se fossi un completo imbecille - che poi, in effetti, è vero
- e iniziò a ridere scuotendo la testa. Speravo di averle alleggerito un po’ il
cuore con questa piccola perla di figure
alla Ed, ma non sapevo quanto fosse possibile: sembrava meno tesa, ora, ma
la sua risata non era la sua solita risata, anche se era pur sempre contagiosa;
perciò non riuscii a stare lì a fare il riflessivo mentre lei rideva sulle mie
perle filosofiche, quindi mi unii a lei.
“Suonano bene insieme le vostre risate, dovreste
aggiungerle a qualche duetto sai?” Ok, ritiro tutto quello che ho detto in
precedenza: IO LA ODIO. “Puoi smetterla?
Sto cercando di fare un discorso serio.”
“Come shei shuttebile Sheeran.” osservò, acida, per poi sparire così come
era apparsa. Adesso si era messa anche a parlare come Sid, eppure era una vita
che non guardavo l’Era Glaciale! Cominciavo a sospettare che qualcuno del mio
staff mi correggesse il caffè con la polverina
bianca. O forse con del whisky. Era veramente TROPPO inquietante: stava
diventando polimorfica! Tra un po' sarebbe uscita dal mio corpo, avrebbe messo
gambe e braccia e avrebbe cominciato ad andare a giro come un'entità a sé.
- Sei veramente scemo, lo sai? – scherzò Taylor, riportandomi così sulla Terra,
ovvero nel mondo delle persone normali che non parlano con esserini polimorfici
che abitano nella loro testa.
- Guarda che non ti porto in Gran Bretagna. – dissi facendo il finto serio,
sperando di mantenere l’atmosfera leggera ancora per un po’, ma evidentemente
il mio fascino aveva perso la presa, perché lei si era lasciata nuovamente
andare con lo sguardo a terra. Si torturava distrattamente le mani,
scrocchiando le nocche e rigirando l'anellino che teneva all'anulare della mano
destra.
Cercando di non perdere la calma, o di farmi venire qualche stupido senso di
colpa, smisi di giocare e mi misi nella sua stessa posizione, cercando di farle
il verso, ma diventa complicato quando pesi 30 kg di più e hai le mani ciccione
come le mie. Feci un po’ di contorsioni con il collo, cercando di capire dove
diamine stesse tenendo fisso lo sguardo fin quando non la vidi, con la coda
dell'occhio, ridacchiare di nuovo: evidentemente aveva qualche sensore che
riusciva a captare i miei movimenti da anguilla. Per tutta risposta posai una
mano sulla sua testolina bionda ed arruffata, e questo il sensore non l’aveva
captato visto che per poco non la spostò, e la voltai verso di me.
-Taylor, che succede? – le
domandai per la seconda volta, il più dolcemente possibile. Le spostai un
ciuffo dietro l'orecchio, per poterla guardare bene in faccia. Deglutii e mi
feci serio, quando mi accorsi che aveva gli occhi lucidi, e vedevo bene che il
suo sorriso di prima non era divertito. Era strano ma … mi sentivo come se
fosse colpa mia. Forse non avrei dovuto buttare lì così brutalmente quella
domanda, all’inizio. Magari voleva che facessi finta di non aver capito niente,
che tutto fosse normale. Ma io non ci ero riuscito. Non riesco a far finta di
qualcosa, è nella mia natura da barone
Von Edward Christopher Sheeran.
-Io … ho una paura tremenda che finisca tutto quanto, Ed. – dichiarò infine,
mentre la prima lacrima scivolava giù lungo la sua guancia. Ho paura che finisca tutto quanto. In
che senso?
- Che vuoi dire? Non ti seguo.
- Questo, Ed … il mio mondo. Quello che mi sono costruita con una vita di lotte
e sacrifici. Il mio contratto discografico, i miei album, la mia band, il mio
tour, i mei amici, la mia vita … tutto. Che tutto vada a rotoli. Che nessuno
compri più i miei dischi o che nessun sito internet pubblichi qualche notizia
su di me che sia diversa da “Taylor Swift
esce con Tizio?” oppure “Quella
canzone della Swift è per Caio?”. È tutto così … soffocante. – sbottò,
scoppiando a piangere. Ecco, alla fine l’avevo fatta espoldere. Sono un idiota.
Sono un fottuto idiota.
- Tay …
-No, non provare neanche a scusarti. Non è colpa tua. – mi minacciò,
asciugandosi rabbiosamente le lacrime. Allora perché mi sentivo come se tutto
fosse venuto fuori a causa mia?
- Sarei esplosa lo stesso, prima o poi … magari in diretta televisiva in
qualche award show dove qualche stupido sarebbe salito sul palco per rubarmi il
microfono dalle mani e dire a tutti quanti quanto quel premio se lo meriti
qualcun altro al posto mio. – borbottò, cercando invano di smettere di piangere.
Quasi si strozzò con un singhiozzo. Non
succederà Taylor, non succederà mai più, e lo sai. – Perché risuccederà Ed
… sappiamo entrambi che risuccederà. – disse, come se mi avesse letto nel
pensiero. Aveva smesso di tentare di asciugarsi il viso ed io avevo
un'inspiegabile voglia di farlo al posto suo. Non è vero, Taylor. Perché ti fai del male in questo modo?
– Non faccio mai niente di giusto, secondo gli altri adesso. Sono solo una
stronza, un'arpia che usa la gente per scriverci canzoni e guadagnarci sopra.
E' questo che tutti pensano. Lo so io, lo sai tu, lo sa tutto il mondo. Me ne
sto convincendo anche io ormai – si lamentò, interrotta ogni tanto da un
singhiozzo. Mi piantò uno sguardo blu come l'oceano addosso, fissandomi con
un'espressione che mi spaventava. L'avevo vista così solo dopo la rottura con
Harry, e non mi piaceva, non mi piaceva per niente. Che diamine stai dicendo, dannata te? – E sicuramente anche tu
penserai che… - sussurrò. Cosa? Cosa devo
pensare adesso? – Che ti uso per … - non finì la frase, non ce n'era
bisogno. Si tappò la bocca, singhiozzando. Sembrava stesse per mettersi ad
urlare.
- Taylor?! Che cavolo stai dicendo?! Seriamente: CHE. DIAVOLO. STAI. DICENDO.
Tu? Usi la gente? Stronza, arpia? Non ne fai una giusta? Perché?! Perché lo
dici? Sai che non è vero. Io non potrei mai pensare una cosa del genere di te,
neanche sotto tortura - le dissi, quasi sbottando. Sentirle dire quelle cose mi
faceva male. Non si fidava di me, e questo mi feriva.
- No Ed! Non lo so! – mi urlò contro, tirando su col naso. Si alzò in piedi di
scatto, le mani chiuse a pugno, appoggiate contro i fianchi. Il trucco si era
sciolto praticamente tutto ormai, tra la stanchezza, lo show e le lacrime … e
adesso quel viso, di solito così luminoso anche senza nessun make up, sembrava
tanto distrutto e tramortito. Questa non era la ragazza che ero solito
conoscere. Questa era la sua versione spezzata in mille pezzi. Non era Taylor
Swift, non era la mia migliore amica, non era la mia Taylor. Avrei voluto
portarla via da quel limbo nel quale si era infilata, ma pareva volerci entrare
a capo fitto quella sera. Si era infilata quelle idee in testa, ce le aveva
attaccate a forza, e non voleva liberarsene. Lo vedevo dalla luce di
disperazione nei suoi occhi. Alzò le mani al cielo, urlando nel mezzo dello
stadio, vuoto, tutto il dolore che aveva dentro. – Io leggo solo notizie di
gossip su di me! Taylor Swift ha scritto I Knew Were Trouble per Harry Styles. Taylor
Swift in “22” imita l’abbigliamento di Harry Styles. Taylor Swift modifica ai
grammys una parte di We Are Never Ever Getting Back Together per lanciare una
frecciatina a Harry Styles. Taylor Swift
ha dichiarato di aver paura di morire da sola, senza nessuno accanto, tipico
cliché hollywoodiano ma neanche una settimana dopo si sente con John John
Florence … ma non ho mai fatto niente con questo tizio! NIENTE! LORO NON SANNO
NIENTE DI ME, MA TUTTI DANNO PER SCONTATO CHE SIA VERO! – gridò, per poi
tuffare la testa tra le mani. Aveva davvero perso il controllo adesso, si vedeva
che era sconvolta, e io non avevo la più pallida idea di cosa fare. Che devo fare? Mi accorsi che la stavo
guardando con la mia solita faccia a cretino, ma non riuscivo a muovere un
muscolo. Era come se fossi paralizzato … paralizzato dalla potenza delle sue
parole, come se tutte queste bugie e sproloqui avessero colpito anche me,
ferito anche me e affondato anche me. Come facevano male a lei, facevano male
anche a me. E più di tutti mi faceva male vederla in quelle condizioni. E
Taylor aveva ragione. Stavano tutti giocando a battaglia navale col suo cuore
ultimamente, come se il fatto che lei fosse una persona famosa la rendesse
automaticamente immune da ogni sentimento che non sia L’AUTOGLORIFICAZIONE.
Cosa che lei, per altro, non aveva mai fatto, non esisteva persona più umile di
lei. E io sapevo quanto queste accuse fossero false, e patetiche, e meschine, e
ignobili … e anche i suoi fan lo sapevano. CHIUNQUE la conoscesse lo sapeva …
ma la maggior parte si rifiutava di vedere.
I giornalisti che continuavano a scrivere queste cose, a mesi di distanza dalla
rottura con Harry.
I lettori online che continuavano a commentare con violenza, come se lei non
avesse un cuore, un’anima, e queste cose non potessero ferirla. Come se fosse
una bambola.
Harry, che non aveva mosso un dito per fermare questa corrente maligna che
rischiava concretamente di buttarla giù e farla affogare.
E se stessa, che stava finendo per credere a queste bestialità.
E io che cosa ero capace di fare? NIENTE. Ero il suo migliore amico, la conoscevo
meglio del palmo della mia mano, e mi sentivo completamente inutile. Me ne
stavo lì a guardarla come se fosse una matta senza alzare un muscolo, senza
dire una parola, senza cercare di consolarla in qualche modo … niente. La
guardavo e basta. E sentivo che qualcosa stava per venire giù anche dai miei
occhi, perché mi sentivo pizzicare proprio lì, alla coda dell’occhio. Come faceva
a dire che non fosse colpa mia se lei adesso stava esplodendo così? Se io non
le avessi chiesto niente, lei sarebbe stata bene, ancora. Ci avrebbe scritto
una canzone, e tutto sarebbe passato. Invece no. Io l’avevo costretta a tirarlo
fuori. Quando lei non voleva. Quando lei non era pronta. Quando lei sapeva che
questa cosa l’avrebbe affogata, sotterrata e distrutta. Ma adesso basta, non
avrei permesso che si faccia del male ancora.
- Sai che Red non è piaciuto così tanto come sembra? Leggo i commenti dei miei
fans. Sto cominciando a perdere anche loro - aggiunse, mentre facevo queste
riflessioni. - Non hanno più fiducia in me. Dicono che sono cambiata, che non
sono più la stessa. Se perdo anche loro, la mia famiglia, il motivo per cui
sono qui, io...
Adesso era veramente troppo. Mi scossi dalla mia immobilità, che sembrava
perenne, e mi alzai in piedi … lei mi dava le spalle adesso, voltata verso la
tribuna, con le braccia strette intorno al corpo, urlando quanto tutto questo
l'avesse ferita in questi ultimi mesi, quanto avesse tentato di tenersi tutto
dentro perché non ne valeva la pena, perché erano solo capricci da star e sarebbe
passato tutto, quanto lei non fosse più riuscita a vivere bene con la sua
scrittura e come avesse paura che questa sarebbe stata la sua vita da ora in
poi. Non si era accorta minimamente del fatto che mi ero alzato da terra e che
adesso ero lì, dietro di lei.
Mentre ancora stava urlando, nel tentativo di buttare fuori tutto quel male, la
presi per le spalle, la voltai e la abbracciai, come avevo fatto quella sera,
mesi prima, quando da solo ero partito in aereo, in piena notte, per
raggiungerla a casa sua, a Los Angeles. E anche questa volta lei si irrigidì
sotto la mia presa, ma almeno aveva smesso di parlare … di urlare quelle cose,
che la stavano uccidendo. Ma io non mollai. Oh
no, non ti lascerò qui da sola a macerarti l’anima.
- Andrà tutto bene. – le
sussurrai all’orecchio, e questa semplice frase bastò per scuoterla da quella
immobilità disarmante. Ricambiò la mia stretta, forte come quella che provai a
darle cercando di non romperla … sembra così facile farlo quando è in queste
condizioni. Le sue braccia si incrociarono dietro al mio collo e la sentii
piangere, di nuovo, come quella sera a Los Angeles, quando tutto quel veleno
gratuito lanciatole addosso la stava soffocando.
- Sai cosa c’è di bello in Gran Bretagna? – continuai io. Dovevo distrarla,
farla smettere di piangere. Non sopportavo quel suono, mi sentivo come se mi
stesse spezzando il cuore. – Brighton. Non ci sono mai stato, eppure è una vita
che ci vivo. Credo proprio che ti porterò a fare un giro da quelle parti finito
il tour, ti va? – le mormorai, accarezzandole dolcemente i capelli. Le ultime
parole mi si strozzarono in gola, non ce la facevo davvero a vederla così, era
come se mi uccidesse. E poi, non rispondeva. E se avesse cambiato idea?
- E allora Brighton sia, Eddy Rosso. – mi rispose lei, la testa affossata nella
mia spalla destra. Si strinse a me come un bambino al suo giocattolo, come un
marinaio al salvagente che è la sua unica speranza di salvezza.
- Poi potremmo fare un giro per la Amber
Road, che dici? Ti va di girare l’Europa in maniera non schizofrenica?
Magari ci compriamo una casetta in Belgio e ci mettiamo a coltivare
barbabietole! – scherzai, stringendola a mia volta. Ok, forse avevo esagerato.
Lei però sembrava averla presa bene, perché ridacchiò, sempre affossata nella
mia spalla destra.
- Ti dimentichi che sono una donna impegnata, Eddy Rosso, ho un’altra parte del
tour da preparare.
-Vabbeh, puoi sempre farlo dalla nostra casetta in Belgio. – buttai lì. E fu
qui che lei cominciò a ridere veramente, come suo solito. Allora capii che era
passata, che stava meglio, e che il merito era mio. C'ero riuscito un'altra
volta.
- Sei veramente, ma veramente scemo.
- Ehi bellona, sei tu quella con un vestito da principessa, non io!
- Ma io poffo, tu no. – borbottò, allontanandosi per guardarmi in faccia, senza
però smettere di abbracciarmi. Mi sorrise, il viso rigato di trucco e lacrime.
Era strano che mi sembrasse bellissima anche così? Ed ecco, l’aveva fatto di
nuovo: l’ispirazione. C’entrava lei, come sempre.
Everything will brighten up,
if we got to Brighton I’ll take you along the pier.
Everything will lighten up,
If you feel too frightened I'll make it disappear;
darling don't be nervous
I'll understand if you let me go.
Non chiedetemi niente. So
solo che le parole andavano così. In questo esatto ordine. Non sapevo se fosse
un bridge, un ritornello o una semplice strofa, ma solo che c’era, faceva parte
di quella canzone, e andava all’inizio. Stava finalmente cominciando ad
assumere un senso, a diventare qualcosa di più che un'idea malsana e confusa
nella mia testa. Ed ero sicuro di un'altra cosa, anche: era per Taylor. Tutta
quanta, al cento per cento per Taylor. E per quel sorriso che non volevo più
veder sparire in quel modo dalle sue labbra. La strinsi ancora più forte, per
essere sicuro che non sguisciasse via come un’anguilla dopo aver sentito quello
che mi stava per uscire di bocca.
- Ti voglio un bene dell'anima, Taylor. Sei una delle persone più importanti
della mia vita. Lo sai questo vero? Non voglio più sentirti dire quelle cose.
Ok? Mai più - mormorai, allontanandola di nuovo per poterla guardare in faccia.
Volevo che fissasse bene quelle parole nella sua testa. Com'era riuscita a
fissarsi quelle cavolate prima.
- Anche io ti voglio bene, Ed! - esclamò ridendo. Un guizzo, qualcosa di
diverso passò nei suoi occhi. - Più di quanto immagini.
- Bene, questo - affermai, sfiorandole le labbra con l'indice. - Non voglio più
vederlo sparire. Intesi?
Annuì. Eravamo ancora abbracciati. Ultimamente sembrava che non potessimo fare
a meno di toccarci. - Intesi, Eddy Rosso.
Le sorrisi di rimando. Lei non si allontanò, né slacciò le braccia dal mio
collo, e io non osavo muovere le mani dai suoi fianchi. Mi fissava sorridendo,
il viso sporco di trucco e gli occhi luminosi, finalmente. Sembrava quasi
drogata. Mmm, magari lo era. La osservai a mia volta, cercando di imitare il
suo sguardo, e mi ritrovai a soffermarmi sulle sue labbra. Di nuovo. Avevo una
specie di fissa per la sua bocca, a quanto pare. Quando l'avevo sfiorata,
prima, le avevo portato via il suo solito rossetto rosso, e adesso erano del
loro colore naturale, un rosa chiaro ma allo stesso tempo intenso. Mi piaceva
molto di più senza rossetto. Sapevo che lo metteva per richiamare l'attenzione
sul suo album, ma ero convinto che la invecchiasse troppo. Era giovane, aveva solo
ventitré anni. Ed era bellissima anche senza trucco.
Perso com'ero nelle mie riflessioni sulle labbra di Taylor Swift, non mi ero
accorto che lei si era riavvicinata, stringendosi nuovamente a me. Quando alzai
lo sguardo, me la ritrovai a un palmo dal naso, il che mi spaventò e mi fece
venire le palpitazioni allo stesso tempo. Ehi, fermi tutti, un secondo, stop.
Cosa mi ero perso? Qualcuno che mette in rewind, per favore? Taylor mi stava ancora
fissando, ma più seria. Non seria come prima, ma nemmeno Taylor seria. Aveva
una luce strana negli occhi. Arrossii, non eravamo mai stati così vicini. O
forse sì? Quando mi era caduta addosso, un mese prima?
“Ma cosa te ne importa?! Ce l'hai a tre
centimetri, baciala, cretino” esclamò Coscienza dentro di me. No,
aspettate, COSA?! “Ba-cia-la. Sai, quella
cosa in cui si toccano le labbra, e poi succede un sacco di altra roba che
implica saliva, lingua ed altre cose disgustose” continuò lei tranquilla. “Ma che diamine stai dicendo?” le urlai
contro. “Perché, non è quello che vuoi,
Eddy Caso Perso?”
Era quello che volevo? Ma che diamine! Mi stavo davvero facendo condizionare da
una presenza inesistente dentro la mia testa? Evidentemente sì, visto che mi
ritrovai ad inclinare leggermente la testa da una parte e ad avvicinare Taylor
a me. Lei non si irrigidì, come mi aspettavo. Fece un altro passo avanti, con
naturalezza, e adesso i nostri corpi erano praticamente appiccicati. La
osservai per un secondo. Aveva gli occhi chiusi e sembrava addormentata, ma la
sentivo benissimo respirare affannosamente contro di me. Chiusi gli occhi anche
io e mi avvicinai un altro po'. Il mio naso sfiorò il suo, e lei sospirò e
sussultò.
“MA CHE MINCHIA STO FACENDO” gridai a
me stesso, allontanando di scatto la mia migliore amica, rosso come un peperone
e con una voglia assurda di sotterrarmi minimo quattrocento chilometri sotto
terra. “Cosa fai cosa fai cosa fai Ed,
hai completamente perso il cervello?! E' la tua migliore amica! La tua fottuta
migliore amica!” mi rimproverai. Mi scrollai le braccia di Taylor di dosso.
Oddio, dovevo nascondermi. Scappare. Danno asilo politico ai rossi in Siberia?
Taylor, dal canto suo, non era messa meglio di me. Si era irrigidita, come
pensavo avrebbe fatto prima, ed era rossa quasi al pari mio. Continuava a
deglutire e a borbottare qualcosa, mentre si spostava i capelli su una spalla
ed iniziava a giocherellarci.
- Sì, beh, ehm. Sarà meglio tornare in hotel, che dici? - esclamò. Io mi ero
messo nuovamente a sedere sul palchetto, con la testa tra le mani nel vano
tentativo di far rallentare il battito del mio cuore, senza riuscirci. Che
diamine stavo per fare, stavo per baciare la mia migliore amica. L'unica
persona a cui io tenga veramente in questo momento, che non posso permettermi
di perdere.
“E lei ce stava pure, è quello il bello”
aggiunse, simpatica come sempre, la mia cara amica inconsistente. “Naaah, Ed, non ci siamo. Sei arrugginito su
queste cose”.
- Sì, torniamo in hotel. Sono sfinito - sbottai, alzandomi di scatto. Chiusi
Coscienza a chiave in un angolo di me, sperando che non si intromettesse più
nei miei pensieri. Era tutta colpa sua. Avevo rischiato di fare un casino, un
dannato casino, per una voce nella mia testa.
“Eddy Caso Perso, io non esisto, l'hai
dimenticato? Non puoi darmi la colpa” affermò. Prima di sparire, di nuovo.
- Bene, quindi, io andrei
a letto - dissi a Taylor mentre lei apriva la porta della sua stanza ed
entrava. Io mi fermai sulla soglia. Ero davvero sfinito ed avevo paura che, se
fossi entrato, mi avrebbe obbligato a guardare qualche telefilm con lei. E poi
mi sentivo ancora a disagio per quello che era successo allo stadio. O quello
che non era successo.
Lei si voltò verso di me. Si era tolta il vestito da Love Story ed aveva messo su degli shorts ed una camicetta. - Ah,
beh, sì, anche io. E' stato stancante stasera, vero?
- Già. Beh, buonanotte allora - sussurrai, chinandomi in avanti per darle un
bacio sulla guancia. Ommiodio, sembravamo due estranei. Era imbarazzante.
Feci per andarmene, ma mentre pescavo le chiavi della mia stanza di hotel - che
lei mi aveva finalmente riconsegnato - dalla tasca dei jeans, mi sentii
afferrare per un polso. - Ed, posso chiederti una cosa, un po', ecco, strana?
Girai la testa di scatto e la guardai negli occhi. Era di nuovo seria, nello
stesso modo di prima, sul palchetto, prima che succedesse il quasi-patatrack. -
Beh, dipende quanto strana.
Mollò la presa e abbassò lo sguardo. - Beh, tra una settimana ci sono i
Billboard Music Awards. Di solito mi accompagna Austin a queste cose, però lui
quel giorno ha un impegno, e quindi mi chiedevo se... Non lo so...
Smisi di giocherellare con le chiavi - non mi ero accorto nemmeno di aver
iniziato - e la fissai. Lei si stava strusciando un braccio con aria distratta.
- Sì, insomma. Ti andrebbe di essere il mio accompagnatore?
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Capitolo 7 *** Sette. ***
SETTE.
“Qualcosa
di elegante Ed. Di elegante, distinto e signorile. Vedi di essere
meno … Ed per una volta.”
Ci mancava la voce squillante di una stupida presenza invisibile che
mi martellava la testa per scegliere in santa pace un dannato abito,
per un dannato award show, a cui avevo dannatatemente accettato di
andare come accompagnatore.
Mi ero perso nel mio oceano di
ROBA.
ROBA INUTILE.
Perché ho così tanta
roba
inutile?!
“Stai
zitta, non sono cose che ti riguardano.”
sbottai, mentre cercavo di avvitare intorno al mio collo una cravatta
da abbinare a un’anonimissima t-shirt nera, jeans neri e
converse
blu scuro: tutte cose che avevo appena pescato da quello che era
rimasto del mio armadio.
Mi guardai allo specchio cercando di
assumere un aspetto perlomeno dignitoso, confidando che il silenzio
che c’era nella mia testa rimanesse tale per un bel
po’.
“Beh
… devo migliorare con la cravatta ma per il resto
…”
non feci in tempo a finire il pensiero che ecco che si ripresentava,
impertinente e boriosa come sempre. Ad interrompere le mie
riflessioni, pensieri o qualsiasi altra cosa: “Sei
l’antisesso conciato così.”
“Ti ho detto di stare
zitta!”
“Ma dai Sheeran,
GUARDATI! Sembri un barbone che ha
appena rovistato tra l’immondizia di Steve Jobs!”.
Sbuffai, chiudendo gli occhi. Ma cosa ne poteva sapere una presenza
incosistente di come ci si veste per un award show?! Queste sono cose
da esseri umani. Esseri umani in carne e ossa che parlano, camminano
e respirano. Non sono cose da esserini fluttuanti che sbiadiscono
all’improvviso.
Stavo per replicare in tono stizzito
quando,
aprendo gli occhi, per poco non mi prese un colpo vedendomi conciato
in quel modo. Sembrava che l’armadio mi avesse vomitato
addosso. E
anche l’armadio, dal canto suo, mi guardava corrucciato e
sembrava
urlarmi con i suoi ammassi di legno “LEVATI
QUELLA ROBA DI DOSSO! NON MI FAI ONORE!”.
“Per
questa volta hai vinto tu. Ma solo per questa volta!” le
intimai puntandole il dito contro. Cioè … glielo
avrei puntato se
fosse esistita veramamente, ma visto che NON ESISTEVA mi limitai a
guardarmi in cagnesco nello specchio facendole arrivare la mia
disapprovazione. Uno sguardo veramente carico di odio. Ma,
ovviamente, non bastò a spezzarla una volta per tutte.
“Io
sono nata per vincere, Eddy Rosso.” mi
rispose lei con tono teatrale - e con un tono a coniglietta di
Playboy - per poi dileguarsi dalla mia testa e lasciarvi uno strano,
piacevole silenzio. Avrei dovuto farmi internare prima o poi, ne ero
sicuro, ma nel frattempo decisi di godermi quel - sicuramente breve -
attimo di pace, concedendomi un solo, piccolo, tremulo sorriso di
libertà … per poi rimettermi a cercare tra
l’ammasso di roba che
avevo sul pavimento per trovare qualcosa di indossabile. Magliette,
magliette, magliette e ancora magliette. Lunghe, corte, estive,
invernali, monocromo, variopinte: magliette di ogni tipo.
Tutte
rigorosamente ineleganti,
inappropriate
e immettibili.
E
poi quattro jeans: uno blu, uno nero, uno blu scuro, uno nero fumo.
“L’allegria,
eh Ed?”.
Eccola, di nuovo. La mia unica reazione fu ignorarla; mi avrebbe
lasciato in pace prima o poi … o no? In ogni caso, non
volevo
pensarci: stavo cercando della roba da mettermi, ed era
un’operazione
decisamente più complicata del previsto. Ma ovviamente non
avevo
niente. Come tutte le dannate volte.
Non era stata una buona idea
mettersi a cercare la roba per vestirsi … più o
meno sei ore prima
l’inizio dello show. Avrei dovuto fare come Taylor: cercare
convulsamente in ogni negozio possibile qualcosa di bello, elegante e
moderatamente sfarzoso da poter indossare per mostrare a tutti che
ero onorato di partecipare a questa premiazione e non vedevo
l’ora
di andarci.
Ma non era vero. Io odio questi eventi.
Sono pieni di
gente, gente, gente e ancora gente.
E lucine colorate che ti
accecano.
E giornalisti che ti assillano da tutte le
parti.
E
scalette e orari da rispettare.
E sudore, tanto sudore, perché
in
quegli studi televisivi c’è sempre un fottutissimo
caldo, e io
tutte le volte me ne torno in albergo sputando letteralmente
acquiccia
dai pori, stile cascate del Niagara.
Sì, avrei decisamente dovuto
fare come Taylor, e forse, dico forse, non sarei apparso un completo,
totale coglione accanto a lei, vestita con un abito blu, talmente
elettrico da farla brillare, che poi, unito ai tacchi,
l’avrebbe
fatta sembrare ancora più alta, ancora più
brillante e ancora più
bella.
E io sarei apparso sempre di più
il suo nano da giardino.
“Grandioso!”
esultai tristemente: se non fosse stato il giorno di uno show
pubblico, probabilmente mi sarei ubriacato. Era decisamente un bel
po’ che non prendevo una sbornia, e ne avevo una voglia
colossale.
Mi buttai sul letto stile balena-che-mangia
sperando che il cuscino potesse comunicarmi una qualche via per
uscire da quel tipico cliché da donna, ovvero il tanto
amato,
premiato e gettonato “ODDIIIIIIIIIIIIIO!!!!!!
NON HO NIENTE DA METTERMIIIIIIIIIIIIIII!!!!!!”.
La
mia Becks, nel frattempo, mi guardava tentatrice da un’ora
… era
lì, semi aperta, che aspettava solo di essere stappata e
ingerita.
Mi ritrovai così a fissarla con sguardo implorante, un misto
di cane
bastonato
e gattino
adorante:
“Ok
amica mia, se io ti scolo tu mi dai una sola, fottutissima idea su
cosa diavolo mettermi?”
la interrogai mutamente nella mia testa, sperando che ricevesse il
segnale, ma tutto ciò che ottenni fu uno sterile, vuoto
silenzio. Ma
lei non si era spostata di un centimetro, il che vuol dire che ci
stava … giusto?
Sicuro della sua collaborazione, mi
allungai
molto goffamente arrivando a prendere la amata, adorata, agognata
bottiglia di birra, stapparla e scolarmela. Ed ecco che
arrivò,
fulminea come sempre, lei: L’ILLUMINAZIONE. Arruffata
lì, tra le
mille magliette inutili, si sporgeva timida e innocente una
camicia.
“Hai
una camica Ed! Hai una fottuta camicia!”
ecco Coscienza che mi spronava a compiere il grande atto. Era un
segno. Mi rotolai giù dal letto e afferrai, grato,
quell’unica,
spiegazzata camicia che, non so per quale assurdo miracolo, mi ero
portato dietro dall’altra parte del globo.
“Ebbene
sì, HO UNA CAMICIA.” dissi
a me stesso mentre mi alzavo in piedi, trionfante e gaudente.
Mi
svestii, gettando con noncuranza la mia magliettaccia per terra, come
avevo fatto per le precedenti DUE ORE, e mi infilai la camicia sopra
gli stessi anonimissimi jeans neri. Sorrisi allo specchio, e anche un
po’ a me stesso. Decisi senza batter ciglio che mi sarei
messa
quella. Sì, insieme a delle anonimissime scarpe da
ginnastica, così
sarei sembrato elegante, ma sobrio. Me. Più raffinato, ma
sempre
me.
Il mio senso dell’onore di uomo
della foresta mi
impedì di mettermi a saltellare come un bambino,
così, per
esprimere l’euforia, mi limitai a sorridere trionfante e
orgoglioso.
“Ho
una camicia, ho una camicia, ho una camic …”
non riuscii a finire la mia sequela di ovazioni perché una
presenza
ignota si era intrufolata nella mia stanza nel bel mezzo del mio
momento di gloria. La porta aveva cigolato, il che voleva dire che
qualcuno era entrato nella mia povera camera da letto, dove
l’unica
arma vagamente contundente era … un plettro. Un
semplicissimo
plettro che potevo usare per … cavare un occhio? Un plettro
può
cavare un occhio? Avrei potuto anche farlo ingerire. Se lo avessi
fatto, l’intruso si sarebbe strozzato … giusto? Il
che lo rendeva
un’arma contundente e quindi USABILE.
Appurato di essere ben
difeso, mi acquattai dietro lo stipite dell’armadio, pronto a
scattare al momento giusto: il plettro in mano pronto a essere
lanciato stile fresbee per centrare in pieno la bocca
dell’avversario
- o qualsiasi altro punto del viso. La seconda parte del mio piano
consisteva nello scappare a gambe levate urlando a più non
posso
sperando di essere salvato. Nella stanza, però, il silenzio
regnava
sovrano. Mi domandai se magari me la fossi sognata, quella porta
cigolante … poi però sentii dei passi venire
verso di me, e a quel
punto capii di non essermi sognato proprio un accidente,
c’era
VERAMENTE della gente in camera mia! Mi appiattii ancora di
più
contro il muro e attesi il momento propizio per passare
all’attacco
frontale. L’ignota presenza intanto continuava a vagare
indisturbata per la stanza fin quando non si avvicinò
all’armadio
e, percepito che si trovava accanto a me, balzai fuori dal mio
rifugio stile tartaruga ninja e urlando a più non posso
fondendo la
fase uno e la fase due del mio piano in una sola. Il braccio intanto
era teso, pronto a lanciare il proiettile, e i sensi bene
all’erta.
Aperti gli occhi per prendere la mira, ecco che me la ritrovai
davanti, allibita. Lei, Taylor. Tutto quel trambusto e
quell’ansia
per … Taylor.
Nel frattempo però non ero riuscito a trattenere un urlo di
terrore
misto a sollievo.
Solo dopo un po’ mi
colpì la consapevolezza
che mi aveva visto fare quelle mosse da deficiente e che
probabilmente mi avrebbe preso in giro fino alla fine dei miei giorni
e che io non avevo possibilità alcuna di sfuggire.
POSSIBILITA’.
ALCUNA. Lei, per tutto il tempo poi, non si era mossa di un
centimetro. Era lì che mi fissava intontita come a dire “Che
minchia sta facendo questo coglione?”.
Mi trattenni da scavarmi la fossa e sotterrarmi: ecco
un’altra
perla di figure
alla Ed.
Dopo poco però si riprese dal suo trauma …
più che riprendersi,
si mosse: con mano tremante, infatti, indicò la mia camicia
…
quella bellissima, stupenda camicia che stavo rimirando con tanta
fierezza allo specchio, prima che lei entrasse senza preavviso nella
mia stanza, uno sguardo allibito negli occhi. Io la guardai
interdetto, non l’aveva affatto colpita la mia scenata di
prima?
Stavo per chiederle se si sentisse bene quando lei, così, di
punto
in bianco, scoppiò a ridere. E quando dico RIDERE intendo
vere e
proprie risate isteriche con tanto di crollo sul pavimento. Io rimasi
di sasso. Impietrito, là davanti. Non comprendevo se fossero
per la
scenata di prima o per la mia bellissima, innocente camicia. Aprii
bocca, nuovamente per porre una domanda, e, pure sta volta, mi rimase
ferma in gola, perché ci pensò lei a rispondermi,
nel mezzo delle
risate compulsive: - Ed – disse, cercando di non soffocare
dalle
risate e di ridarsi perlomeno un contegno da signorina – ma
che
diavolo ti sei messo?
Quel commento così di scherno mi
colpì.
Ma come, non era fiera del mio abbigliamento? Finalmente avevo
trovato qualcosa di elegante in quell'ammasso di roba e lei lo
denigrava così?
-Perché? Non ti piace la mia
camicia? – le
risponsi affranto. Ma evidentemente non abbastanza da farla smettere
di ridere, perché lei, tra le lacrime, continuò
il suo bel
discorsetto.
- Ed ti prego, mettiti una maglietta.
– disse
indicando la cianfrusaglia confusa che c’era sul pavimento.
- Ma
cos’ha che non va la mia camicia?! – le risposi,
ancora più
sensibilmente affranto: aveva distrutto la mia unica cosa certa per
quella sera! Avevo faticato due ore e mezzo per trovare
quell’unica
cosa decente!
Per tutta risposta lei mi voltò,
per farmi
guardare allo specchio … dopo di che indicò la
mia immagine
riflessa e mi disse: - Prova a guardarti un solo momento, ti
prego.
Io, bendisposto, mi
guardai un solo momento,
come lei voleva: e fu allora che capii. Preso com’ero dalla
gioia
di aver trovato UNA FOTTUTISSIMA CAMICIA, non avevo neanche perso
tempo a guardarla: l’avevo messa e basta. E poi mi ero
compiaciuto
al solo pensiero di possederne una. Non avevo affatto notato che
quella cosa avesse dei pois bianchi su sfondo nero. E per POIS
intendo macchie informi e grandi come le chiazze delle mucche. Ed
erano ovunque. Ovunque. Sembravo un clown. Ci mancava solo il
fioccone multicolore e il naso rosso. Automaticamente mi venne da
pensare al giorno prima, quando l’avevo accompagnata a
ritirare il
vestito.
-
Perché è tutto così... rosa e
fioccoso?! - le avevo chiesto,
guardando con orrore un abitino rosa fucsia che era posizionato
accanto allo sgabello su cui mi ero accomodato mentre la mia amica si
provava l'abito.
La sua risata mi giunse da dentro il
camerino. -
Perché è un negozio di abiti da cerimonia?
- Non credo che un
uomo si vesta di rosa e con i fiocchi - osservai, squadrando un altro
vestitino pacchianissimo posizionato più in là.
Speravo che Taylor
non avesse scelto niente del genere. Era passata a scegliere il
vestito qualche settimana prima, insieme a Selena, ma avevano dovuto
cucirne uno apposta per lei. Così mi aveva chiesto di andare
con lei
alla prova finale.
- Magari trovi qualcosa anche tu! - aveva
detto.
Ne dubitavo fortemente.
- Quanto ci metti? - le domandai
scocciato. Erano ore che era chiusa in quel camerino.
- E' che...
non lo so. Sembra strano.
- Fammi vedere, no? Ci sono scollature
vertiginose? Magari qualcosa alla Lady Gaga? Un abito fatto di
gattini? – scherzai, anche se conoscendola qualcosa coi gatti
avrebbe tirato fuori di sicuro. Non feci in tempo ad elaborarmi
un’immagine mentale che lei aprì la tendina del
camerino e io
rimasi lì, inerme, a fissarla intontito. Sbarrai gli occhi
come un
bambino di fronte ad un cesto pieno di barrette di cioccolata. Lei
avanzò esitante, continuando a guardarsi indietro. Fece una
mezza
giravolta e quindi un sorriso timido. Io non riuscivo a levarle gli
occhi di dosso. Il vestito le fasciava le forme, più
pronunciate da
quando aveva iniziato a dimagrire per via del tour. Le stava
d'incanto.
- Quando l'ho visto l'altra volta ho
pensato che fosse
adatto: audace ma sobrio al punto giusto. Però adesso non mi
convince. Che ne pensi? - mi domandò esitante.
“Penso
che tu sia meravigliosa”
era quello che avrei voluto dirle.
- Stai tranquilla, va benissimo
- fu quello che mi uscì di bocca.
Non so perché ma avevo paura
che a esprimere pienamente la mia approvazione per quel vestito mi
avrebbe reso in qualche modo più … distante?
…
da lei. Qualcosa di più vicino a un ammiratore che a un
migliore
amico, non se mi spiego. E gli eventi degli ultimi mesi ci avevano
già creato troppi problemi.
Fatto sta che al
“risveglio”
da questo flashback, quel poco che mi era rimasto
dell’euforia da
camicia sbiadì e mi ritrovai a fissarmi nello specchio,
mogio
mogio.
- Dici che è meglio una
maglietta? – le chiesi, a metà
tra l’esausto e l’amareggiato.
- Direi di sì Ed. Direi
proprio di sì! – mi rispose lei, ancora intenta ad
asciugarsi le
lacrime della risata precedente. Era vestita in tenuta da casa,
ovvero maglia larga, pantaloni corti larghi, pantofole, niente trucco
e chignon sfatto, tenuto su da un laccino. L’unica cosa che
tradiva
il fatto che stasera sarebbe andata ad un award show era lo smalto.
Niente di esagerato, solo un semplice rosa confetto:
d’altraparte
aveva catalizzato tutta l’attenzione sul vestito, quella
meraviglia
color blu elettrico.
- Ok, di che colore? Vuoi che mi intoni a
te?
- scherzai. Pescai una t-shirt azzurra dal mucchio. - Stranamente ho
magliette in ogni gradiazione possibile del blu.
Lei mi osservò
per un secondo. Si era messa seduta sul mio letto, in mezzo alla mia
roba, a gambe incrociate, e mi guardava preoccupata. - Ed, senti. Mi
sembra di farti uno spregio a farti venire con me, stasera.
Mi
voltai verso di lei. - Io ci vengo volentieri, Tay. Non ti
preoccupare. Se ti ho detto di sì ci sarà un
motivo, no?
- E'
che ti stai impegnando tanto... Insomma, ti sei messo una camicia.
Tu. Una camicia - scherzò, facendo una smorfia. - Beh, per
quanto
orribile. Il punto è che fai sempre così tanto
per me. Hai
attraversato mezzo mondo per venirmi a consolare. Mi supporti nei
momenti di crisi. Ti offri di essere il mio accompagnatore ad un
Award Show. E a me sembra di non fare niente per te, in cambio. A
parte terrorizzarti portandoti sulle montagne russe.
La fissavo
sorpreso, leggermente intontito dalla birra, e probabilmente anche a
bocca aperta. Ma da quando era diventata così insicura?
Sembrava che
la crisi dei giorni scorsi l'avesse buttata più
giù del
previsto.
Avrei voluto dire “non
è vero, Taylor, tu nemmeno lo sai, ma mi stai aiutando a
scrivere
una canzone”
ma non potevo, perché mi ero ripromesso di non dirle niente
finché
non fossi riuscito a cavare un ragno dal buco.
- Taylor, odio
quando fai questi discorsi - sbottai. - Sei una donna in carriera,
hai un patrimonio intero da portare avanti, un impero di fans pronti
a buttarsi ai tuoi piedi, e sei sempre così insicura. Non ti
capisco. Tu fai così tanto per me anche solo essendomi
amica. Mi hai
dato l'opportunità di venire in tour con te, di suonare con
te, e
questo credo basti a ripagare tutto.
Non sembrava affatto convinta
delle mie parole.
- Cosa c'è che non va? Ancora la
cosa della
scorsa volta? - le chiesi. Poi, ripensando alla mia domanda,
arrossii. Senza volerlo, sembrava le stessi chiedendo del nostro
quasi bacio. O quella era l'impressione. Evidentemente lo
pensò
anche lei, perché le sue guance si imporporarono esattamente
come le
mie.
- No, no, Ed. Sto solo rivalutando certi
miei parametri -
disse. Di nuovo, non la capii. Mi dovevo arrendere al fatto che non
mi era più così facile entrare nella sua testa.
Era cambiato
qualcosa, nell'ultimo mese, per quanto cercassimo di negarlo. Ancora,
però, non sapevo se in bene o in male.
“Io
direi in bene. Vi siete quasi baciati. Smack smack. Eddy e Taylor
seduti sotto un pino, si danno un bacino...”
cantinelò quell'impertinente di Coscienza. Si può
detestare
ardentemente qualcosa che non esiste? Evidentemente sì. “Ricorda
che io vi shippo. Oh, ma ancora non ti ho detto il nomignolo che vi
ho dato! Lo vuoi sapere, Ed? Eh? Eh?”
Magari
sparandomi un colpo di pistola dritto in testa sarei riuscito a
zittirla.
Taylor intanto, aveva ripreso a torcersi le
mani, come
quella sera. - Beh, allora, cosa ti metti? - domandò, d'un
tratto,
rianimandosi. Si guardò intorno, adocchiando un maglione blu
scuro.
- Che ne pensi di questo?
- Beh, non saprei - esitai. Sicuramente
tutto era meglio di quella camicia a pois. - Non sarò troppo
sciatto? Uffa, Taylor. Tu sei vestita come una diva di Hollywood ed
io sembrerò il tuo paggetto porta valigie.
- Uh, che carino, ne
ho sempre voluto uno! - esclamò, scoppiando a ridere. Le
lanciai
un'occhiataccia. - Ed, è ok. E' per questo che ti ho chiesto
se non
ti pesava accompagnarmi. Non importa come sei vestito, okay? A me
basta che tu sia accanto a me - ammise, senza guardarmi. - Mi fai
sentire... Più sicura di me, ecco. Nel caso qualcuno faccia
qualche
battuta o lanci qualche frecciatina. So che tu mi difenderai, e che
sarai dalla mia parte, di nuovo.
Rimasi scioccato dalle sue
parole. Probabilmente ero sempre sotto l'effetto dell'alcol, ma
rimasi comunque scioccato. Non riuscii a replicare. Né con
una
battuta ad effetto, né con un commento sarcastico, niente.
Mi
limitai a fissarla, incapace di trovare le parole giuste. Mi
succedeva troppo spesso, ultimamente.
“Taylor,
ma che stiamo combinando?”
Non
ricevendo alcuna risposta, lei si alzò e mi diede una lieve
stretta.
- Beh, sarà ora che mi vada a preparare, e tu devi
cambiarti, no? Ci
vediamo più tardi. E ti prego, butta quella camicia.
– chissà
come mai, me l’aspettavo un’affermazione del
genere. Almeno non
avevo perso la prontezza di captare le sue battute.
-Sì
sergente Swift! Ai suoi ordini, sergente Swift! – sbottai
platealmente, con tanto di saluto militare incorporato. Lei rimase
molto soddisfatta della mia performance e, per dimostrarlo, si
lisciò
la maglia. Poi, con il mento alto, annuì in segno di
approvazione,
dopo di che aprì la porta e se ne andò,
lasciandomi lì, da solo, a
destreggiarmi nel disastro confuso e indistinto delle mie magliette.
Sembrava fosse esplosa una bomba nel mio armadio.
“Non
sopravviverò a questo award show”
fu l’unica cosa che riuscii a pensare.
Passata
mezz’ora, avevo trovato qualcosa di vagamente accettabile:
maglia
blu, jeans neri e scarpe enormi nere. Era il massimo
dell’eleganza
che potevo permettermi. Coscienza criticò, come al solito,
ma io la
ignorai: TUTTO ERA MEGLIO DI QUELLA CAMICIA.
Bussai
alla porta della camera di Taylor per sapere se fosse pronta, anche
se onestamente ne dubitavo.
-
Ed? – stavo per rispondere, ma lei continuò -
Senti, la macchina è
già arrivata, io qui ho quasi fatto. Se non ti va di
aspettarmi
possiamo arrivare separati, tanto sono famosa per arrivare in ritardo
- fece la voce di Taylor da dietro la porta. Cinque secondi dopo si
aprì, rivelandola tutta messa in tiro: come facesse a dire
che non
fosse pronta ancora non lo so. Credo che in quello stesso istante la
mia mascella sia rotolata via da qualche parte, non era umana. Non
era affatto umana. Indossava un vestito blu elettrico, corto; le
arrivava appena sotto la coscia, scoprendole le gambe lunghe e
perfette. Il motivo era strano, ma stranamente le stava da Dio. Il
colore intenso si accordava come una nota ai suoi occhi, illuminati
da un trucco leggero ma deciso. Non c'era traccia del suo rossetto
rosso, e neanche di molti gioielli, a parte un paio di orecchini a
forma di gatto - ma
vah?
- con dei cristalli incastonati e un anello alla mano destra. I
tacchi erano vertiginosi: sandali, di un blu più scuro del
vestito.
Come faceva a starci anche solo in piedi? Oddio, io sarei davvero
sembrato un nanetto da giardino accanto a lei. Aveva anche stirato
perfettamente i capelli, che ora le ricadevano lungo le spalle come
cascate dorate.
Era bellissima. Era radiosa, splendeva come
una
stella nel cielo notturno.
Cosa diamine ci facevo io, sciatto e
confuso, accanto ad un essere del genere? Improvvisamente non ero
più
così sicuro di essere pronto. In quello stesso istante lei
mi guardò
e captò la mia incertezza, ma non so se riuscì a
vedere anche la
mia venerazione.
- Deduco che tu non sia pronto -
scherzò,
ridacchiando. Si mosse agile su quei trampoli e si avvicinò
a me, e
io improvvisamente mi resi conto di avere di fronte a me un gigante
truccato e ingioiellato. Mi passò alla mente, come un film,
il
probabile titolo di qualche articolo su internet di domani: Taylor
Swift fa incetta di premi al Billoboard Music Awards accompagnata dal
suo paggetto porta valige … ah no, è Ed Sheeran.
-
No. – risposi - Qualsiasi cosa mi metta, sfigurerò
accanto a te.
Faccio prima a venire in mutande.
Lei rise di gusto. - Te l'avevo
detto di cercare qualcosa al negozio dove abbiamo preso questo -
osservò, facendo un piccolo inchino.
“Eddy
Caso Perso, attento, stai sbavando” mi
avvisò Coscienza. Scossi la testa. La birra mi aveva dato al
cervello in fretta … da quant’è che non
reggevo neanche una
bottiglia? La mia astinenza mi aveva prosciugato la forza.
-
Quando mai ti ascolto, io? - balbettai, cercando di riprendermi. Nel
frattempo, lei rientrò in camera, probabilmente per prendere
qualcosa, ma si fermò davanti allo specchio. Si
guardò un secondo e
fece una smorfia.
- Che c'è? - le chiesi
stupefatto. Non credevo
che potesse trovarsi dei difetti abbigliata così.
- Questi
capelli. Non so... Non mi convincono - ammise, lisciandosi la
frangetta con due dita. - Uff. Certe volte mi pento di averli
tagliati.
- Stai benissimo, Tay - la rassicurai,
trattenendomi dal
dirle che era bellissima. - Non ti preoccupare. Sai che a me piaci
così. – E questa da dove mi era uscita? Mi incavai
nelle spalle
sperando di non far trapelare l’imbarazzo, ma lei,
stranamente, non
reagì come mi aspettavo.
- Mah … non lo so, Eddy Rosso -
sbottò, lasciandosi cadere sul letto.
Mi sedetti accanto a lei e
la guardai mentre cercava di sistemare la sua criniera bionda.
-
E' che... A volte mi sento come se non riuscissi a mettermi d'accordo
con la vera me stessa. Capisci cosa intendo? - chiese, alzando lo
sguardo verso di me. - Questi capelli... i capelli stirati... li
tenevo al liceo, perché mi faceva sentire strana
averli ricci. Ed ora con questo nuovo stile, mi sento come se stessi
cercando di nascondere chi sono veramente. Di nuovo.
- Taylor, non
dire cavolate. Un taglio di capelli non cambia una persona - la
rassicurai, stringendole le spalle con un braccio. Lei
appoggiò la
testa sulla mia spalla. - Te lo ripeto, stai benissimo. Sarai la
stella più splendente, stasera. Non ti preoccupare.
– anche perché
dubitavo sul serio che fosse possibile superarla.
Lei allungò le
braccia e mi strinse. - Grazie, Ed. - rimasi di sasso, ma
fortunamente mi ripresi in fretta.
- E di cosa. – risposi
contraccambiando.
- Di stare sempre dalla mia parte, anche
quando
non ci sto io.
- Sono qui apposta, no? - scherzai,
ridendo. Lei
alzò la testa e sorrise. Io la osservai per qualche secondo.
Qualche
ciuffo le ricadeva sul viso, coprendolo.
- Sai cosa potresti fare?
- le dissi, spostandole quei ciuffi via dal vio e ispirato
all’improvviso da non so che cosa. - Legarli. Ti cadono sul
viso,
invece dovresti tenerlo scoperto.
Lei mi fissò per qualche
secondo. Poi si alzò, si squadrò di nuovo allo
specchio e provò a
tirare i capelli indietro. Poi si voltò di nuovo verso di me
e mi
sorrise interrogativa.
- Molto meglio - assentii, annuendo.
Li
lasciò ricadere all'indietro e poi si chinò su di
me, per
abbracciarmi e darmi un bacio sulla guancia. - Grazie di nuovo.
“SSSSSSSSSSSSSMACK!!”
eccola, era tornata.
“Oh!
Piantala!”
le urlai acido. E lei, stranamente, si zittì.
Alla
fine, non so come, fui io il primo ad arrivare all'evento, separato
da Taylor. Ero tornato in camera per cambiarmi, di nuovo, ma alla
fine mi ero lasciato quelle cose: tanto sarei sembrato inadatto lo
stesso, qualsiasi cosa mi fossi messo. Ero poi sceso nella hall e
l’avevo aspettata per un po', ma non mi aveva raggiunto.
Avevo
provato la tentazione di andarle a bussare, ma poi mi era arrivato un
suo messaggio: “Ho
avuto un intoppo col vestito. Ci vediamo là, T.”
E
così adesso mi ritrovavo da solo, vestito con il mio
maglione ed i
miei jeans e le mie scarpe da ginnastica, su un cavolo di tappeto
rosso - che poi era blu - a posare per le foto e a rispondere alle
domande dei giornalisti. Prima di uscire mi ero scolato un'altra
birra, tanto per darmi forza, e ora dovevo sembrare strafatto da fare
schifo. Beh, io almeno mi sentivo più leggero. Riuscivo
stranamente
a destreggiarmi nel marasma di fotografi flescianti e
giornalisti-metti-ansia:
rispondevo a monosillabi e sorridevo quanto potevo. Le loro domande
erano sempre le stesse, non cambiavano mai: sempre lì,
pronti a
scavare per trovare qualche crepetta da ingigantire o strapparti di
bocca una news che non potevi rivelare. Il mio stile di risposta quel
giorno comprendeva il “Sì”,
il “No”
e il classicissimo e gettonatissimo “Ahahah”.
Non credo di essermi spinto più in là,
onestamente. Passavo di
microfono in microfono senza nemmeno accorgermene. Ma il tempo
passava e Taylor ancora non si vedeva. Mi stavo preoccupando, dove
era finita? Stava bene?
Le
stavo per mandare un messaggio quando venni chiamato per l'ennesima
intervista. Questa volta sbuffando, mi avvicinai alla sorridente
giornalista e al cameraman che la seguiva come un cagnolino. Ficcai
le mani in tasca e risposi alle solite, noiose, domande. Certo che
avevano un'originalità da Oscar.
Proprio
mentre mi perdevo in questo pensiero, la ragazza esclamò: -
Un'ultima domanda, Ed: stasera sei l'accompagnatore di Taylor Swift,
giusto? Siete grandissimi amici, grandissimi artisti e siete in tour
insieme da ben due mesi. Ma ora dimmi, non è un po' come se
fosse un
appuntamento,
questo?
Ma
che diavolo di domanda è. Di fronte ad una sfacciataggine
tale,
l'unica reazione che riuscii ad avere, nelle condizioni in cui ero,
fu di arrossire pesantemente.
Un
appuntamento? Non l'ho mai pensato così. Siamo amici, Taylor
mi ha
chiesto di accompagnarla al posto di suo fratello che aveva un
impegno, ed io ho accettato perché le voglio bene e la
rispetto.
Questo era quello che sarebbe dovuto uscirmi dalla bocca: una
risposta sicura, diretta quasi quanto la domanda. Quella che tutti si
sarebbero aspettati. Ma, messo davanti a quelle parole, in questo
modo così rude, la mia testa si perse. E non so, di preciso,
quanto
possa essere stata colpa della birra. Tanto per facilitare la
situazione, arrivò Coscienza con le sue congetture: “Hey
Eddyno, vorrei ricordarti una cosa: hai presente il giorno in cui per
poco non la baciavi? È lo stesso in cui ti ha chiesto di
accompagnarla. Io due calcolini me li farei.”
Detto questo, senza neanche darmi il tempo di formulare un penserio
appropriatamente ingiurioso, se ne andò, lasciando un
imbarazzate e
vacuo vuoto nella mia povera testa stordita. Ma dovevo rispondere, la
giornalista cominciava a guardarmi in modo strano. “Forza
Ed, tira fuori qualcosa di sensato”
mi spronai.
Ma l'unica cosa che riuscii a fare fu alzare le spalle, sorridere
imbarazzato e rispondere con un timido – Nah.
Nello
stesso momento una luce a neon lampeggiò nella mia testa:
diceva
“IDIOTA”.
Tanto
per confermare la teoria, la giornalista scoppiò a ridere. -
Ok, ok,
fingiamo di crederci. – e si dileguò con il suo
fedele amico
cameraman.
Era
finita? Era davvero finita? Speravo di sì. Avrei voluto
sotterrarmi
sotto metri e metri di terra. Ma che risposta del cavolo era quella?
Che diamine stavo combinando? Forse bere quelle birre non era stata
una buona idea.
Ma
fu proprio in quel momento che arrivò la mia salvezza,
sottoforma di
donna con le gambe infinite strette in un abitino blu. Scendendo
dalla sua auto, Taylor attirò automaticamente l'attenzione
di tutti
i giornalisti. Era in ritardo, come al solito. Aveva legato i capelli
come le avevo consigliato, e ciò mi rese stranamente felice.
Al
contrario di me, lei mi ascoltava sempre.
Posò
per le foto come una vera diva, posando le mani sui fianchi e
assumendo le posizioni giuste. Probabilmente stavo sbavando di nuovo.
Perchè doveva essere così dannatamente... strepitosa?
Eluse
le domande dei giornalisti più in fretta di quanto avrei
fatto io
nei migliori dei mie sogni, posò per altre foto e sorrise
nei
momenti giusti. Era davvero una stella, una stella splendente, e
arrivando in ritardo aveva fatto davvero un'entrata di scena. Notai
che ogni tanto si guardava intorno preoccupata, probabilmente mi
stava cercando, perciò mi decisi ad uscire dal mio
nascondiglio.
Proprio in quel momento il suo sguardo si posò su di me,
perciò
accennai un sorriso ed un gesto con la mano.
Avreste
dovuto essere lì, vi giuro. Essere lì e vedere la
sua reazione
quando incrociò il mio sguardo. Perchè fu una
cosa straordinaria,
che non dimenticherò tanto facilmente. I suoi occhi si
illuminarono,
brillando di luce propria, e la sua bocca si piegò in un
sorriso
spontaneo e bellissimo, che mi fece sobbalzare il cuore.
Liquidò i
giornalisti con una nonchalance degna di nota e marciò agile
verso
di me, nonostante i trampoli su cui si reggeva. Mi buttò le
braccia
al collo come se non ci vedessimo da tre mesi, e non da poco
più di
un'ora. Con sollievo, notai che alla fine non era molto più
alta di
me; le mie scarpe dovevano avere un rialzo o qualcosa del genere.
Forse non sarei sembrato un nano da giardino, almeno quella sera.
Affondò
il viso nella mia spalla e strinse ancora di più le braccia
intorno
al mio collo. - Credevo che saresti scappato, sai?
Risi
di fronte a quell'affermazione, ancora stordito dalla sua reazione di
prima. - Te l'ho promesso, ricordi?
“Eddy
e Taylor seduti sotto un pino si danno un bel bacino...”
ricominciò Coscienza nella mia testa. La ignorai.
Lei
si staccò da me ed incrociò le dita alle mie. Era
un mese che non
lo faceva. Istintivamente arrossii. Per fortuna eravamo abbastanza
appartati, e i giornalisti non potevano vederci. - Andiamo, Selena ci
aspetta dentro.
Detto
questo, strinse la presa sulla mia mano e mi trascinò via
con sé.
Angolo
Autrici
Buonasera cari
lettori, e scusate per l'ora tarda! Ma questo capitolo ha preso
più tempo del previsto, soprattutto perchè una
delle due autrici (Liuba) ha avuto qualche problema. Ma adesso siamo
qui ed è questo quello che conta :D
Questo
capitolo serve più di collegamento tra quello prima e quello
dopo, più importante, che racconterà la serata
dei Billboard per intero (secondo la nostra opinione, ovvio!). Stiamo
procedendo abbastanza spedite, e cerchiamo di seguire il più
possibile la realtà. Già l'inserimento delle due
canzoni che entrambi stanno scrivendo, Never
Mind e
Be
Like You,
che in realtà esistono già, va già un
po' nel 'paradossale', perciò per il resto cerchiamo di
essere abbastanza realiste u.u
Beh, che dire,
speriamo che questo capitolo vi piaccia. A me (Liuba) personalmente
sì. E QUELLA FOTO E' LA COSA PIU' SHJVAGCGGACSH DEL MONDO.
Mi ricorda una citazione di Taylor, che dice 'Puoi vedere qualcuno
illuminarsi quando è con la persona che ama' E SKNBHJJHAH. I
MIEI BABIES.
Non vediamo
l'ora che possiate leggere i prossimi capitoli, vi promettiamo che
saranno da jkjavkhask.
A presto
<3
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Capitolo 9 *** Otto. ***
otto.
OTTO.
Lo show cominciò con un frastuono allucinante di
luci e rumori che durò per tipo … cinque minuti, per poi sfociare in
un’esibizione fluorescente di Bruno Mars, con un’allegra compagnia di ballerini
che gli “danzavano” intorno. Erano tutti rossi, e in quella confusione di luci,
semplicemente SPLENDEVANO. Non so perché, ma mi dava tanto l’idea di una
danza primordiale di qualche tribù del sud Africa. Un “ma
che diamine ci faccio qui” mi si formò automaticamente in testa. Tanto per
cambiare, avevo già cominciato a sudare, a causa della gente e delle mie
scarpacce invernali, inadatte per uno show a maggio. Taylor, accanto a me,
sembrava pure divertirsi: muoveva la testa a ritmo e sorrideva. Davvero le
piaceva quell'esibizione da circo? Fluttuavano palle da discoteca ovunque,
riflettendo tutte quelle dannatissime lucine accecanti. Il tutto fuso a un
gruppo indistinto di cantanti ballanti
vestiti alla Jackson 5 che si estendeva accanto a Bruno, tutti vestiti di
rosso. Rosso luminescente. Rabbrividii immaginando me stesso in quelle stesse
condizioni, assediato da ballerini isterici. Probabilmente avrei dato di matto.
Mentre ero tutto assorto a distruggere
mentalmente quella mini farsa, da qualche luogo indistinto dello studio
furono eruttati coriandoli. Sì, coriandoli. Lunghi, colorati coriandoli che
andarono a finirmi dritti in faccia e nei capelli. Questo fu veramente troppo
per la mia povera anima, sembrava di stare al circo del paese.
“Ci manca solo il tizio che vaga tra le sedie vendendo
popcorn”, ecco il mio acido commento.
“Senti Eddy, vedi di farla finita con queste lamentele
assurde. E smettila di sembrare così dannatamente strafatto, non è un bello
spettacolo.”, ed ecco che lei
ricomparì, con questo suo commento molto indicato. Immancabile come sempre. La
ignorai, per l’ennesima volta. Non avevo voglia di mettermi a discutere con
esserini inesistenti quella sera, mi sentivo già abbastanza fuori luogo per conto
mio. Come per darmi ragione, un fiume di applausi irruppe intorno a me … e io
fui l’unico a rimanere lì, con le braccia lungo i fianchi, a guardarmi intorno
nella speranza di trovare quacuno che ragionasse come me. Ma la mia ricerca fu
vana. Alla fine, più per spirito di emulazione che per altro, detti due
colpettini alla mano sinistra, per poi rificcarle lungo i fianchi. Evitavo di
metterle in tasca, sarebbe stato davvero troppo, anche se la tentazione c'era.
Ma questa era solo l’intro,
dopo poco, infatti, Tracy Morgan spuntò da un angolo
del palco, per aprire ufficialmente i Billboard Music Awards 2013. “Ci mancava”, pensai acido. La sua
comicità la trovavo spesso banale. Ma ovviamente tutta la sala già rideva per
l’apparizione che aveva scelto di fare: ballerine vestite di rosa, e sottolineo
che facevano uno stacchetto per introdurre la sua entrata in studio. Mi ritornò
automaticamente in mente quel vestito orrendo che avevo criticato il giorno
prima al negozio insieme a Taylor; la fattura in effetti era più o meno simile,
solo che quello del negozio non aveva quella specie di cappello da cosacco rosa
confetto da conficcare sopra la testa dello sciroccato che avesse osato
accettare di indossarlo. Un sorrisino involontario si fece largo sulla mia
faccia e mi voltai verso Taylor, per vedere se stava ripensando anche lei a
quella specie di aborto che avevo largamente criticato mentre si cambiava in
camerino. Di rimando, lei mi guardò quasi compiaciuta per poi assentire con la
testa e ridacchiare, mentre sillabava piano “PERCHÉ
È TUTTO COSÌ ROSA E FIOCCOSO?”. In catalessi com’ero, tutto quello che riuscii
a fare fu un sorriso sbilenco e un altro mini applauso alla nuova farsa di
quella sera. Una delle tante.
Il tuonante “BUONASERA BILLBOARD!” mi riportò sulla
Terra. Le risate appena accennate di prima, traboccarono in un vero e proprio
sfogo collettivo. Io mi limitai a fare “ahahah”,
poi rimisi le mani lungo i fianchi e ritornai nel mio mondo di evasione. Non mi
dedicai granché al suo discorso, che già sapevo essere pieno di scemenze,
buttate lì per far ridere la gente a caso, ma appena spuntò fuori il nome di
Taylor … messo accanto a quello di Kesha, nella lista delle cantanti più in
voga della serata, mi prese un colpo. La mia faccia, fino ad allora quasi
inflessibile, si spalancò in un evidente “MA CHE CAZZO.” Guardai la mia
migliore amica, seduta accanto a me con le gambe accavallate, ma non sembrava
minimamente scossa da quell'accostamento. Pareva che nessuno, nello studio ne avesse
percepito l’assurdità come me, infatti la risata collettiva aumentò. Tracy se
ne compiacque altamente, per poi lasciare spazio allo show vero e proprio, il
tutto chiaramente accompagnato da una profusione di risate e applausi.
Shania Twain salì sul
palco, per annunciare il vincitore del RAP ARTIST che si rivelò essere Nicki
Minaj. La mia faccia si fossilizzò … la scritta “RIP RAP” si
materializzò a caratteri cubitali nella mia testa: per una volta tanto la mia
amichetta mentale aveva ragione. Povero, povero rap. La mia apatia stava
seriamente raggiungendo il livello di saturazione. Cos'era che mi tratteneva
dal fuggire a gambe levate, imboccando quella bella porticina in fondo alla
sala?
- Ed, che succede? – la
voce di Taylor mi riportò per un momento sul pianeta Terra. Ecco, cosa mi
tratteneva. Si vedeva così tanto che mi sentivo dannatamente fuori luogo? Non sapevo
cosa dirle, perciò inventai.
- Niente, Tay, sto solo
cercando di non evaporare. Fa un caldo asfissiante, qua dentro. – dissi
sventolandomi platealmente. Anche perché stavo veramente evaporando.
Lei mi guardò
interrogativa, capiva che la situazione era strana per me. Tanto strana. Anche troppo strana. Non sono adatto a questo
genere di cose, e cercavo veramente di non farglielo pesare … ma evidentemente
non ero abbastanza bravo. Guardando la sua espressione triste, mi sentii
immediatamente in colpa per il mio comportamento da imbecille; stavo lì a
commentare acido ogni cosa senza godermi neanche per un momento l’opportunità
che mi era stata data. Mi misi a sedere decentemente e le sorrisi, sperando che
le arrivasse la mia, seppur flebile, partecipazione. Per tutta risposta, mi
rivolse un sorriso incerto e continuò a guardare lo show.
Mentre la Minaj saliva sul
palco, diedi una scrollata alle spalle nel tentativo di sciogliermi un po'. Devo
dire che almeno per una volta non se ne uscì con qualche frase cretina delle
sue. Il pubblico era entusiasta, ci fu addirittura una standing ovation, e pure
Taylor applaudiva compiaciuta. Evidentemente, la sua vittoria era uno schiaffo
in faccia solo per me, ma cercai di non farlo notare. Mi stampai in faccia un
sorriso e applaudii voltandomi per guardare la mia amica, che conteporaneamente
fece la stessa cosa verso di me. Fu un po’ strano, in effetti; per un attimo
tutti e due stavamo per distogliere lo
sguardo in contemporanea, ma poi l’ilarità prevalse e scoppiammo a
ridere continuando a battere le mani. Sembrava che fosse un normale concerto,
solo io e lei … e non un formale evento televisivo.
Selena era seduta accato a
Taylor, e proprio in quel momento si alzò per andare dietro le quinte e
cambiarsi per la sua esibizione, immediatamente successiva alla consegna del
primo award. Toccò leggermente la spalla
di Taylor per salutarla e le lanciò un’occhiata strana. Non so bene se strana sia l’aggettivo giusto, ma aveva
sicuramente un che di segreto e eccitante che sarebbe stato veramente difficile
non notare. Il mio sguardo si fece interrogativo, mentre Taylor arrossiva e la
picchiava leggermente sul braccio. Lei si alzò ridacchiando e mi lanciò
un’altra occhiata strana sibilando un “Ciao”,
il tutto per ottenere come effetto una Taylor ancora più imbarazzata e un me
ancora più intontito. Dopo di che girò sui tacchi - letteralmente - e se ne
andò.
Noi due rimanemmo lì, io a
guardare Taylor abbastanza interrogativo, lei impegnata a torturarsi l’orlo del
vestito, come se di punto in bianco si fosse scucito. Stavo per chiederle a
cosa fosse dovuto tutto quel forte imbarazzo quando tutto lo studio diventò
buio di colpo. Pensavo che ci dovesse essere stato un conto circuito o qualcosa
di simile, ma poi sentii cantare e realizzai che l’esibizione di Selena stava
iniziando. Taylor si rianimò all’improvviso e si rimise a guardare il palco,
estasiata e contenta per la sua migliore amica. Io invece rinunciai alle mie
domande e mi ributtai sulla poltroncina
cercando di dare un senso alla mia venuta.
Mi costrinsi a stare
composto e, giusto per fare un piacere a Taylor, mi misi a fissare con un
minimo di interesse il contenuto il
palco. Era stato decorato con delle specie di tende, e lo sfondo era illuminato
da un cerchio luminoso in stile Hollywood e c’erano molte ballerine. La canzone
iniziò, e la brunetta avanzò cantando e ballando una specie di danza indiana,
seguita a ruota dalle sue ballerine, vestita all’orientale. Tutta l'atmosfera
aveva un che di orientale a dire il vero, cosa che a me sinceramente non diceva
niente, ma che il resto del pubblico sembrava adorare. Lanciai uno sguardo a
Taylor, che era in piedi, intenta a cantare, ad incintare l'amica e a ballare
nel suo solito modo strano. Mi scappò un sorriso, era così buffa. Riportai lo
sguardo sul palco. La performance durò ancora qualche minuto, e alla fine anche
io mi ritrovai a scuotere la testa a ritmo, mio malgrado. Taylor mi lanciò
un'occhiata e ridacchiò, ed io in tutta risposta le feci una linguaccia. Alla
fine mi alzai in piedi ed applaudii educatamente. Non mi piaceva la musica di
Selena, ma era comunque una bella persona. Taylor si stupì, e io le risposi
scuotendo il petto e alzando il mento, come si confà al barone Von Edward Christpher Sheeran quale sono. La sua espressione
si trasformò in un’altra risata istintiva, e io mi unii a lei. Forse accettare
il suo invito non era stato solo una maledizione. Essere con lei alla fine
rendeva tutto più sopportabile.
Prima che Taylor si
esibisse, quella sera, passò un bel po’: fecero la loro apparizione alcuni
cantanti, intervallati da uno spot per l’unica categoria in cui era ammesso il
voto popolare, cioè il Milestone Award,
e in cui era candidata anche lei. Teneva molto a quel premio, si vedeva, e
quando passò lo spot era eccitatissima, tanto che mi guardò piena di gioia e mi
indicò lo schermo saltellando dalla contentezza. Si divertiva. Si divertiva un
mondo. E io non riuscivo proprio a starmene seduto lì a fare l’acido con lei
che si scatenava. Le rivolsi un sorriso caloroso, sperando che capisse che ce
la stavo mettendo veramente tutta per non sembrare uno stoccafisso, e credo che
l’avesse capito perché fermò il suo
delirio momentaneo per guardarmi negli occhi e regalarmi un silenzioso “Grazie”. Dopo di che tornò a guardare
lo show.
Avril Lavigne e Alyssa
Milano lessero il nome del vincitore nella categoria Top Digital Song, che si
rivelò essere quello di Carly Rae Jepsen. Dopo di che ci fu l’esibizione di una
specie di duo rap di cui non ricordo neanche il nome, ma è ancora vivo in me lo
shock puro che mi provocarono. Povero, povero, povero rap. Quella sera lo
stavano proprio uccidendo. Rimasi poi ancora più sconvolto quando, pochi minuti
dopo, quei due furono nominati vincitori nella categoria RAP SONG.
Ero ancora intontito da
quella specie di trauma quando mi sentii toccare la gamba. Sussultai
spaventato, ma una risatina familiare mi riportò sulla Terra: era Taylor che mi
stava salutando perché doveva prepararsi per la sua esibizione, della quale
aveva tassativamente voluto evitare di parlare. Io le sorrisi augurandole buona
fortuna, e poi tornai a guardare il palco, dove quei due di prima si stavano
scambiando frasi senza senso. A quel punto la scritta “RIP RAP” tornò a
troneggiare nella mia mente. “Che strazio”,
pensai.
Per grazia divina, il
nuovo duo si dileguò quasi rapidamente, e sul palco salì Selena, che aveva il
compito di annunciare l’esibizione di Taylor. Aveva scelto il portare 22, il
nuovo singolo scelto appositamente per l’Europa. Molti l’avevano criticata per
questo, e ricordo che quel giorno, quel famoso giorno in cui mi chiese di
accompagnarla a questo show, mi parlò di quanto l’avesse infastidita questo
fatto. Non mi aveva anticipato niente di quanto avesse intenzione di fare per
questo numero, il che mi aveva fatto sospettare, fin da subito, che avesse in
mente qualcosa: Taylor Swift è capacissima di prendersi una rivincita soltanto
cantando una canzone, ed era una cosa che adoravo di lei. Riusciva sempre a
difendersi usando la sua musica, anche quando era essa stessa l’oggetto
dell’accusa. E fu mentre pensavo questo che lo studio si rabbuiò e iniziò la performance. Una delle coriste si
materializzò in scena, come dal nulla, e bussò al camerino di Taylor: “Signorina Swift, è ora di andare in scena!”.
Poi la porta si aprì e rivelò Paul intento a suonare e Taylor che si rimirava
allo specchio con fare annoiato, per poi prendere in mano il microfono,
ovviamente rosso e scintillante, e saltare, girarsi e cantare, il tutto
contemporaneamente, come c’è da aspettarsi da Taylor. Assistevo a tutto questo
dal maxi schermo presente in studio, perché la perfomance era iniziata
veramente dai camerini: non era una messa in scena buttata lì. Mi venne da
sorridere, anche stavolta aveva superato tutti. Indossava degli shorts a vita
alta neri, con dei grandi bottoni vicino ai fianchi, e una maglietta azzurra
con un unicorno e una nuvola color arcobaleno che mandava riflessi a contatto
con le luci di scena: sembrava ammiccare alle telecamente che la seguivano
grazie a quella. Lei cantava estasiata, c’era felicità nella sua voce, voglia
di riscattarsi, determinazione e un pizzico di velata ironia, cosa che allora
non riuscii a cogliere. La vidi salire su un tavolo con dei finti manager in
riunione, facendo finta di confondere le carte. E intanto i suoi occhi
brillavano. Brillavano come se fosse ad un concerto e per tutta la vita non
avesse fatto altro che quello. Si muoveva abile in mezzo a tutta quella gente
esperta, e ammiccava a tutti per invitarli a cantare e ballare con lei. E non
lo faceva solo grazie a quella nuvoletta variopinta! Erano i suoi occhi ad
attirarti nel suo mondo, quello dove lei era capace di stritolarti il cuore in
una morsa oppure di farti volare mille metri sopra il cielo solo cantando un
innocuo “I don’t know about you, but I’m
feeling twenty-two”. Era semplicemente mozzafiato. Si sedette su una sedia
da ufficio con le ruote, poi si alzò altrettanto velocemente e passò in mezzo a
un appendiabiti portatile che si trovava nel mezzo del corridoio per poi
cominciare a correre verso le scale, il tutto seguita da una troupe di
ballerini e le coriste. E senza smettere per un secondo di cantare. Arrivata in
cima alle scale di uscita c’era un ragazzo in bicicletta che la aspettava,
Taylor salì sopra di essa tenendosi a lui e continuando la canzone. Poi,
insapettatamente, mi passò vicino, mi fece una piroetta davanti e mi sorrise
con tanto di occhiolino. Fu una frazione di secondo, ma era come se un uragano
mi avesse travolto in pieno, stordito e
poi ributtato nel posto in cui ero prima. Lei sinuosamente se ne andò e salì
sul palco continuando a ballare e a cantare. Era radiosa quando saliva su quei
palchi così grandi e sconfinati, non come me che mi sentivo sempre inadeguato
là sopra. A me bastava solo la mia chitarra e il mio microfono, mi sentivo
pacchiano e impacciato in mezzo a tanti fronzoli e lucette varie. Ma lei … lei
era stupenda in qualunque modo. Che facesse un’esibizione solo chitarra e voce
sul B-Stage, o che cantasse Love Story in un vestito da principessa, o che
ballasse e cantasse scatenata 22 sull’enorme e sconfinato palco dei Billboard
Music Awards 2013. Era perfetta. Si guardava intorno soddisfatta, concentrata
nel finale della sua esibizione e in attesa che tutti si accorgessero della sua
chicca. Perché doveva per forza averla escogitata qualche chicca, altrimenti
non sarebbe Taylor. Mi venne da ridere. Così, spontaneamente: è l’effetto Taylor. Riesce a portarti nel
suo mondo e nel suo stato d’animo ogni volta che prende in mano un microfono. E io lo adoravo.
“It feels like one of those
nights you look like bad news”
L’esibizione stave per
giungere al termine, e lei teneva lo sguardo fisso verso il pubblico,
compiaciuta e fiera.
“I gotta have you”,
cantò guardando Selena, che per tutta risposta si alzò in piedi alzando un
braccio in aria e mimando un urletto da fan. Poi la bionda spostò lo sguardo
verso di me, seduto poco distante.
“I gotta have you”
concluse gorgheggiando, mentre teneva gli occhi fissi su di me. Sentii subito
Selena ridacchiare pochi posti distante da me. Io la guardai cercando
spiegazioni, ma lei si limitò a scuotere la testa. Io, imbarazzato, distolsi lo
sguardo e tornai a concentrarmi su di lei, che dal palco ancora mi guardava,
sempre più compiaciuta. La sua bocca si atteggiò ad un sorriso malizioso. Poi, quasi
distrattamente, la telecamera si concentrò sulla sua maglietta, e specialmente
sulla nuvoletta multicolore. Solo allora mi accorsi che al suo interno aveva
una scritta, ed era argentata, per questo luccicava al contatto con le luci:
diceva “HATERS GONNA HATE”… chi odia
continuerà ad odiare. Ecco la vera chicca della serata, il vero colpo di
scena. E dovevo dire che era davvero d'impatto. Per un momento, quasi mi
meravigliai, ma poi mi ricordai che avevo a che fare con Taylor Swift, che in
queste cose era una regina. Lei, sempre in piedi sul palco circondata dai suoi
ballerini, mi lanciò un altro sguardo, come per dire “Hai capito il messaggio?”. Per tutta risposta, mi alzai in piedi
applaudendo con vivacità e muovendo in su e in giù la testa in un chiaro e
lampante “SÌ!”. Lei mi sorrise,
impercettibilmente. Dopo di che tornò a fissare il pubblico con aria di sfida,
girò su se stessa e svanì nel dietro le quinte, inglobata dai suoi ballerini.
Finita l'esibizione, era
tornata al suo posto, tutta eccitata e contenta. Molti si congratularono con
lei, era stata davvero una bella performance. Anche io le rifilai una pacca
sulla spalla.
- Sei stata grande. Bella
maglietta. - Lei rise del mio stupido commento. Aveva le guance rosse e gli
occhi lucidi per l'eccitazione.
- Grazie Ed, significa
molto per me.
Il resto dello show poi trascorse
lentamente: altre esibizioni, altre presentazioni di premi, altre battute
cretine da parte del presentatore. La nomination dell’ARTIST OF THE YEAR, a
cui era candidata anche Taylor, era una delle parti più importanti. Ci teneva
parecchio anche a quello, era uno dei più rinomati. Così, mentre annunciavano i
nomi, cominciò a mordicchiarsi un labbro, stringendo la mia mano e quella di
Selena. Ma lei non doveva preoccuparsi, ce l’aveva scritto in faccia
VINCITRICE. E infatti così fu.
Venne letto il suo nome,
Taylor si alzò in piedi con uno scatto e si portò le mani alla bocca come per
parare un urlo di gioia che nasceva dal profondo di lei. Era sempre così quando
vinceva un premio, ed era sempre bellissimo. E vero. Era tutto vero in lei. Mi
alzai insieme contento, emozionato quanto lei, e le la strinsi forte a me. Se lo
meritava quel premio.
- Te l’ho mai detto che
sei la donna più strepitosa che abbia mai incontrato in vita mia? - le dissi,
mentre la stringevo con un braccio. La sentii sorridere contro la mia spalla,
mentre lasciava trapelare degli urletti di gioia. Era stupenda anche così. Poi
si staccò e mi strinse la mano, come in segno di gratitudine. Selena intanto le
lanciò un’altra occhiata strana, seguita da un abbraccio, dopo di che salì sicura
sul palco. Nonostante l’emozione, riuscì a fare un discorso, un grande discorso
dove ringraziava tutti e lasciava un’altra perla, anche migliore della
precedente, e per la quale ancora sorrido. Con disinvoltura, infatti, concluse
così il suo discorso:
-…e poi vorrei ringraziare
tutti i mie fan, la ragione per cui sono qui adesso: voi siente la più lunga e
la migliore relazione che abbia mai avuto – dopo di che ammiccò nuovamente alla
telecamera, come aveva fatto alla fine di 22, e sinuosamente lasciò il palco.
“Sei strepitosa” fu il mio unico pensiero.
Taylor venne chiamata sul
palco molte volte, ma tanti premi non le furono consegnati in diretta. Era
candidata in undici categorie, e ne vinse otto. Verso la fine della serata mi
ero esibito anche io, con Lego House: era stata un’idea di Taylor. Era stata
una cosa molto semplice, ovviamente, ma ebbe il suo successo, nonostante le mie
scarse aspettative.
Dopo lo show, fui grato
del fatto che Taylor decise di rinunciare all'after-party per tornare all'hotel
con me. Ero già sfinito e non avrei resistito ad un'altra stanza buia e chiusa
e piena di gente che ballava. Così, temendo di avere sulla coscienza la mia
precoce morte nel caso mi avesse portato nel
bunker, aveva affidato i suoi otto
nuovi bambini – come li aveva definiti lei prima di “abbandonarli” – a uno
staff fidato, che se ne sarebbe preso cura fino al suo ritorno a casa. Dopo di
che era salita in macchina con me, lasciandosi cadere sul sedile con uno sbuffo
esausto. Appena l’auto partì, si tolse quegli aggeggi mostruosi dai piedi e si
accasciò esausta sui seggiolini.
- Adoro queste scarpe –
aveva detto - ma sono dei veri e propri strumenti di tortura – poi lasciò
andare la testa all'indietro e chiuse gli occhi. Era sudata per il caldo e per
l'intervista post show che aveva dovuto affrontare, a cui non avevo assistito
ma che, a quanto pare, era stata parecchio pesante. Si massaggiò le tempie.
L'avevo vista davvero eccitata e felice, prima, ma adesso sembrava che tutta
quella gioia le fosse scivolata via di dosso. Non aveva vinto il Milestone Award, che invece era andato a
Bieber, forse c’entrava anche questo nel suo scivolare sul seggiolino in quel
modo? Pensai a quello che mi aveva detto prima dello show, che mi aveva chiesto
di accompagnarla perché le infondevo sicurezza, ma mi sembrava che quella sera
se la fosse cavata benissimo da sola, prima con la sua troneggiante maglietta
che urlava “HATERS GONNA HATE” – ovvero un lampante “Chi se ne frega” -, poi con il discorso ai fan. Era stata davvero geniale,
ed ero veramente orgoglioso di lei. Però non mi piaceva com'era crollata
adesso. Sperai fosse solo la stanchezza.
Scendemmo all'hotel e, per fortuna, non incontrammo paparazzi. Taylor sospirò
felice e aprì la portiera dell’auto. Così, senza scarpe.
- Ma scendi così? – le chiesi,
a metà fra lo stupito e il divertito – Credevo che per una donna fosse una
specie di affronto al proprio orgoglio scendere dalla macchina con i tacchi in
mano. – lei mi guardò sogghignando e mi
rispose con fare a maestra di vita.
-Eddy, Eddy, Eddy … non
puoi definirti DONNA se almeno una
volta nella vita non sei tornata a casa con i tacchi in mano, è la legge di
natura. – è la legge di natura,
addirittura? Allora ero proprio scarso in fatto di donne.
“Io sono anni che te lo dico bellimbusto, ma tu
continui a non ascoltarmi.” mi
rimproverò Coscienza, che fino ad allora mi aveva fatto la grazia di farsi un
pisolino.
“Zitta tu, tornatene a dormire” e lei, stranamente, mi ascoltò.
Camminò tranquilla e a
piedi scalzi fino alla porta dell’albergo, poi, facendomi un occhiolino provocatorio,
aprì la porta, e fieramente, sempre con i tacchi in mano, si avvicinò alla
Reception per chiedere le chiavi della sua stanza. Sembrava aver recuperato un
po' di energia, per fortuna. Zampettò veloce per la hall, ignorando tutti e
tutto, tanto che dovetti accellerare il passo per starle dietro ed affiancarla,
prendendo a mia volta le chiavi, proprio mentre saliva sull'ascensore. Era un
sollievo che fosse tornata ad un'altezza normale. Adesso la potevo guardare
negli occhi, cosa che feci, perdendomici, appena si voltò verso di me con un
gran sorrisone.
- Beh Ed – mi richiamò lei con aria trionfante - abbiamo saltato l'after-party,
ma non penserai mica di andare a letto, spero! – e poi si mise a saltellare sul
posto. Sì, aveva decisamente recuperato le energie. - Ho giusto comprato un
nuovo cofanetto di Law&Order e
vorrei vederlo con te.
- No Taylor, scordatelo - sbottai, deciso, incrociando le braccia.
Ero stanco.
Volevo dormire.
Dormire, perché
quella parola era sconosciuta a quella donna?
Lei per tutta risposta smise di saltellare, mise il broncio e spalancò gli
occhioni.
- Eddai, Eddy Rosso. Ti
prego. Ti preeeeeego. Non ho voglia di stare da sola, stasera.
- Neanche per sogno. Hai Meredith, no? Lei adora Law&Order. Io sono stanco, vado a letto. – chiarii sventolando
le chiavi davanti al suo musino implorante appena si spalancarono le porte dell’ascensore.
Lei mi fissò come un cucciolo abbandonato e mi seguì affranta lungo il
corridoio. Poi mi lanciò le braccia al collo, appendendomisi addosso come un
koala.
- Ti prego Ed. Ti prego. Lo sai che ti voglio tanto bene, vero? - mi sussurrò
con una vocetta leggera - Dai. Ci tengo tanto. – e, tanto per confermare, mise
il broncio facendo ciondolare il labbro inferiore, come una bambina triste.
Mi ritrovai così fermo in mezzo al corridoio, come se fosse stato un movimento
involontario, e la testa girata verso di lei, avvinghiata alla schiena con uno
sguardo implorante che avrebbe sciolto un gelato meglio della luce del sole.
Mio malgrado, esitai.
- Ti prego - fece di nuovo, allungandosi per darmi un bacetto sulla guancia -
Ti prego ti prego ti prego. Te ne sarò per sempre grata. – e poi si mise a
sbattere gli occhioni. “Ma questo è
terrorismo psicologico!” esclamai dentro di me.
Quel lieve contatto tra la sua pelle e la mia aveva fatto vacillare ancora di
più la mia sicurezza, e mi fece venire il batticuore. Ormai non potevo più dare
la colpa all'alcool, visto che avevo cominciato a smaltirne gli effetti. Dovevo
ammetterlo: c'era qualcosa che non andava, tra me e Taylor. O forse era solo
una cosa mia. Ma non riuscivo più a guardarla negli occhi senza avere un mini
infarto. Specialmente se spalancati in quella maniera … e questa non era una
cosa sana.
Sbuffai, cercando di calmare il mio povero cuore. - E va bene. Ma ti giuro, è
l'ultima volta che lo faccio.
A lei sembrò di non crederci, all’inizio. Rimase un secondo a fissarmi, con
quei suoi occhioni blu resi ancora più grandi e splendenti dal trucco, e poi un
sorriso scoppiò sul suo volto, illuminandolo di scatto. D'improvviso l'idea di
passare la notte a guardare un telefilm con lei non mi sembrava più tanto
brutta. Fece un piccolo urletto, tanto che le intimai di zittirsi - era l'una
di notte! - e ricominciò a saltellare felice.
- Grazie Ed. Grazie grazie grazie!
Mi faceva piacere vederla così contenta per così poco. E mi fece ancora più
piacere quando mi prese per mano e mi trascinò verso la sua stanza. Forse c'era
ancora dell'alcool nel mio sangue, mi sentivo inebriato.
Taylor aprì la porta e lanciò i tacchi in un angolo, entrando sicura al buio.
Io aspettai paziente sullo stipite, mentre lei accendeva le varie luci. Sentii
miagolare e la voce di Taylor che faceva dei versetti strani. Poi ricomparve,
con Meredith in braccio che le leccava la guancia. Mi fissò interrogativa.
- Beh, che aspetti? Entra, cretino - esclamò, ridacchiando. Beh, detto così, mi
sentii veramente un cretino. Perciò attraversai la porta e la chiusi alle mie
spalle, avanzando e guardandomi intorno. Altro indizio che c'era qualcosa che
non andava: ero stato tante volte nella stanza di Taylor, eppure quella la
sentivo diversa. Mi sentivo in imbarazzo. Guardai i cosmetici sparsi sulla
toeletta e i vestiti buttati alla rinfusa sul letto: Taylor non era un granché ordinata,
il che mi fece sentire in pace con me stesso pensando a come avevo lasciato
camera mia.
Mise giù il gatto, che zampettò fino al letto e ci saltò sopra, acciambellandosi,
poi prese una maglietta e un paio di pantaloni della tuta - gli stessi abiti
che stava indossando prima - e mi lanciò un'occhiata.
- Vado a levarmi questa
roba. Tu intanto metti su il dvd, okay?
- Sì sergente Swift - borbottai. Lei sparì in bagno, probabilmente destinata a
rimanerci per un bel po', perciò feci come mi aveva detto. Dopo di che mi
buttai sul letto, mettendomi a fissare il menù di apertura del dvd, come
richiamata da qualcosa, Meredith si mosse e cominciò a strusciarsi sulla mia
mano, perciò mi sentii costretto a regalarle qualche carezza. Lei si rivoltò
sulla pancia, miagolando e guardandomi con i suoi occhioni giganteschi. Assomigliava
quasi alla sua padroncina, le mancavano solo il labbrino tremolante e la voce
umana. Il penserio di una Meredith Swift che mi implorava di guardare Law&Order sbattendo gli occhioni mi
fece sorridere.
Ma erano passati venti minuti, e la porta del bagno rimaneva ancora ottusamente
chiusa. Mi stavo annoiando da morire, ci stava mettendo una vita! Decisi perciò
di gironzolare per la stanza, magari avrei trovato qualcosa da sgranocchiare
visto che dovevamo ancora fare cena. Aprii il frigobar, sicuro di trovarlo
vuoto, ma vi scorsi ben quattro birre. “Questo
sì che è un miracolo!” esclamai dentro di me. Erano lì che mi chiamavano,
perciò le tirai fuori, ne aprii una e lasciai l’altra sul comodino, anche se
dubitavo che Taylor l'avrebbe bevuta.
Buttai giù qualche sorso, sentendomi subito molto meglio, e intanto mi misi a
fissare la chitarra che stava mollemente appoggiata in un angolo della stanza.
Era la preferita di Taylor, quella di legno, che portava il suo nome, e con la
quale scriveva la maggior parte delle sue canzoni. Non mi sorpresi del fatto
che fosse lì, sicuramente le serviva per quella sua famigerata nuova canzone.
Mi stava venendo in mente una mezza idea per la mia, ma proprio mentre mi
alzavo per prenderla, Taylor sbucò fuori dal bagno, struccata e con i capelli
sbarazzini che le ricadevano leggeri sulle spalle. Quando mi vide in piedi, con
la mano allungata verso lo strumento, sorrise.
- Che c'è, vuoi rubarmi la chitarra, Eddy Rosso? - scherzò.
- Beh, tu hai cercato di rubare la mia, quindi saremmo pari.
- Il problema è che io ci sono riuscita - precisò, facendo una giravolta e
buttandosi sul letto, con il telecomando in mano. - Tu no. Avanti, vieni qua. Law&Order ci aspetta!
Mentre diceva questo, il suo sguardo si posò sulla bottiglia che le stava
affianco. Mi guardò alzando un sopracciglio. Io accennai un sorriso e sollevai
la mia.
- Dobbiamo festeggiare la tua vittoria di stasera, no? – inventai per camuffare
i miei veri sentimenti – che poi, a dirla tutta, non sapevo neanche io quali
fossero - avvicinandomi al letto e sedendomi vicino ai suoi piedi. Lei scosse
la testa e mi fece segno di salire su, a quel punto tolsi le scarpe e mi
accomodai lì accanto, in mezzo a una miriade di cuscini color panna e un gatto
a pancia in su in attesa di carezze. Taylor mi diede qualche colpetto sul
braccio, come per farmelo alzare, mentre grattava la pancia di Meredith, e
quando lo feci lei si appoggiò a me, con la testa sul petto.
- Beh, non hai tutti i torti - disse, avvicinandosi ancora di più. Aveva la
bottiglia in mano e la guardava. - Solo che non sono una gran bevitrice. Mi
chiedo che effetto mi farà. – mi disse guardandomi al contrario, con uno strano
sorriso di eccitazione disegnato in faccia. E quello mi fece venire voglia di
spingerla verso quella piccola trasgressione.
- Allora scopriamolo! Ho sempre voluto vederti ubriaca - scherzai. Ma solo fino
ad un certo punto.
Lei rise, allargando ancora di più quello strano sorriso.
- Okay, ci sto. – rispose convinta,
e poi stappò la bottiglia. O meglio, ci
provò, perché alla fine dovetti farlo io per lei.
Se l'avvicinò al naso e
l'annusò. Fece una smorfia e alzò lo sguardo verso di me, quasi come se non
fosse più tanto sicura. Io alzai la mia al cielo, per darle coraggio, e ci
riuscii perché ritornò a sorridere come prima.
- Ai tuoi otto premi vinti! – brindai. Lei mi
imitò, ed io la strinsi con il braccio … stava imparando in fretta, dovevo
ammetterlo.
- Ai miei otto premi vinti. – fece una
riverenza con la mano e poi si avvicinò la bottoglia alla bocca.
Mi lanciò un ultimo sguardo, come per cercare conferma, e io, per tutta
risposta, ridacchiai invitandola a “saltare
il confine”.
E così buttò giù un sorso.
Angolo autrici
OK! Scrivere questo capitolo è stato
letteralmente UN PARTO, anche perché i BBMA sono stati due mesi
fa, e nessuna si ricordava l'esatta sequenza degli avvenimenti, quindi
abbiamo dovuto praticamente riguardarci lo show. In più era
anche complicato inserirlo nella storia in modo che non risultasse una
pesante e inutile sequela di fatti senza capo né coda che non
c'entravano niente con la trama principale, ovvero la storia tra Ed e
Taylor. Però, dopo ben tre giorni di lavoro, varie bozze e
autocommiserazioni da parte delle autrici (specialmente me, A, l'unica
che aveva guardato i Billboard in diretta e che quindi aveva il compito
di scrivere la prima bozza) ce l'abbiamo fatta! Ho cercato di scrivere
questa parte come potrebbe averla vissuta Ed, che quella sera,
onestamente, mi sembrava molto perso nel suo mondo, e così mi
sono inventata una critica acida alla performance di Bruno (che
effettivamente lasciava abbastanza a desiderare), e uno shock di fronte
alla vittoria di certe persone nella categoria RAP. Spero che non
risulti un mattone pesante e illeggibile perché abbiamo fatto
veramente DI TUTTO per evitare che ciò accadesse
çwç. Fateci sapere cosa ne pensate! E un grazie a tutti
coloro che ci leggono e hanno fatto sì che questa storia sia
arrivata ALL'OTTAVO CAPITLO PORCA ZUCCHINA! dssahgreghagre
A.
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Capitolo 10 *** Nove. ***
NOVE.
-
See,
I’m true, my songs are where my heart is, I’m like
glue, I stick
to other artists, I’m not you, now that would be disastrous;
let me
sing and do my thing and move to greener pastures, see, I’m
real, I
do it all, it’s all me, I’m not fake,
don’t ever call me lazy.
I won’t stay put, give me the chance to be free, suffolk
sadly
seems to sort of suffocate me...‘Cause you need me, man, I
don’t
need you, you need me, man, I don’t need you, you need me,
man, I
DON'T NEED YOU AT ALL!!!! - strillò
Taylor, torturando la sua povera chitarra come una pazza infervorata,
e facendomi scoppiare in una risata assurda. La
sua cover di You need
me, I don’t need you
era veramente qualcosa di esilarante. La suonava con pathos,
quasi non avesse aspettato altro per tutta la vita, e cercava anche
di imitare qualche mossa da rapper mentre tentava, invano, di non
intrigarsi con le parole. La scritta “T-Swizzle
il ritorno”
lampeggiava nella mia testa dal momento in cui aveva deciso di
abbandonare il suo amato telefilm – che tra l’altro
era anche la
causa della mia presenza in camera sua – per fare qualcosa
di più adatto a gente del suo rango,
come lo aveva definito lei nel mezzo del suo delirio da sbronza. E ci
tengo a precisare che aveva perso il controllo dopo aver bevuto due
bottiglie di birra soltanto, e devo dire che in quello stato era la
cosa più esilarante del mondo. Andava avanti da un'ora a
fare cover
delle mie canzoni, imitando - o almeno provandoci - la mia voce.
Stavo ridendo come un cretino ma era davvero troppo, troppo buffa.
All’inizio mi guardò confusa, come se fossi io
l’ubriaco perso
che faceva versi idioti, ma dopo appena due secondi cominciò
a
ridere convulsamente anche lei. Le sue pupille erano dilatate, come
se invece di bersi un paio di birre si fosse appena fatta di cocaina.
Ed era stramaledettamente bella anche così. Struccata,
spettinata ed
ubriaca, rimaneva la donna più bella del mondo.
“Eddy
Eddy Eddy … anche quando è così senti
“vibrazioni strane”?
C’è un problema amico, mi sa che sei cotto. Ma
giusto un po’
eh.” commentò
sarcastica Coscienza dentro la mia testa. Strano a dirsi, ma questa
volta la sua presenza non mi turbò affatto, tanto che mi
sentivo in
vena di fare conversazione.
“Ma
tu dov'eri andata?”
le chiesi; era dallo show che non la sentivo. Non è che
magari stava
progettando di trasferirsi in un’altra testa?
“Hey,
mica vivo per te, sai?”
mi rispose permalosa. E io che credevo di essere il suo passatempo
preferito. “Comunque,
Taylor così è davvero carina. Sembra un cucciolo,
sai quelli che
pisciano ovunque quando sono contenti?”
Beh,
la metafora non era un granché, però Taylor era davvero
carina in questo
stato. Mi veniva voglia di abbracciarla fino a soffocarla.
“O
di ficcarle la lingua in gola fino a soffocarla. Non guardarmi male,
io parlo solo in base a quello che tu mi fai vedere. E smettila di
evocare certe immagini! È imbarazzante.”
“Ho
una coscienza che si immagina le cose, grandioso”,
fu questo il mio unico pensiero davanti a quel commento assurdo; il
sospetto di soffrire di qualche strana forma di disturbo della
personalità o robe simili si fece sempre più
largo nella mia mente
e per questo decisi di troncare di netto quella conversazione
solitaria, temendo di scoprire cose non proprio carine se avessi
continuato di quel passo. Ignorando quindi quella vocetta nella mia
testa, seguii il mio istinto e la abbracciai, chitarra inclusa. Lei
rise.
-
Sai, non avrei mai pensato che ubriacarsi con te fosse così
divertente - le mormorai vicino all’orecchio, mentre lei
continuava
a sussultare per le risate.
-
Ma io sono divertente
- esclamò, mettendo il broncio, come una bambina che vuole
una nuova
bambola che la mamma non vuole comprarle.
-
Ma certo che lo sei, – le risposi con il miglior tono
da mamma che riuscii a
cavare fuori – solo che così lo sei molto di
più -. E poi la
stritolai maggiormente, dandole un bacio affettuoso sui capelli.
“Uh,
ma guarda! Eddy Rosso si è svegliato dal letargo. Anche se,
tesoro,
hai un po' sbagliato mira: la bocca è più in
basso”
osservò la mia amichetta immaginaria, concludendo la
performance con
tanto di occhiolino. Forse prima le avevo dato troppo spazio. Era
meglio evitare di intavolare una nuova discussione, così
continuai
ad abbracciare la mia amica che, per tutta risposta, si
aggrappò di
nuovo alle corde della sua chitarra cimentandosi in
un’interessante
versione di You Belong
With Me.
-
IF YOU COULD SEE THAT I'M THE ONE WHO UNDERSTANDS YOU –
cantava con talmente tanta foga che temetti svegliasse tutto quanto
l’albergo. Le
feci cenno di abbassare un po’ la voce ma, tra le mie risate
e il
suo cervello fuso dall’alcool, non doveva essere sembrata una
mossa
molto credibile; infatti continuò a sbraiatare - BEEN
HERE ALL ALONG SO WHY CAN'T YOU SEEEEEEE?
–
E
qui ci fu addirittura un rimbalzo giù dal letto, con tanto
di
scivolata sul pavimento - YOU
BELONG WITH MEEEE! –
cantò con la testa rivolta all’indietro, gli occhi
chiusi come a
cercare concentrazione. Strimpellò le corde come se si
stesse
esibendo in un concerto rock.
Ok,
era andata, giusto un pochino.
Mi
immaginai come sarebbe apparsa una performance del genere sul grande
palco in cui si era esibita stasera; sicuramente avrebbe ottenuto un
successo enorme. Stavo per chiederle di fare un remake di quello
stacchetto al prossimo award show, quando quel pensiero me ne fece
balzare subito in mente un altro, ovvero il suo strano scambio di
sguardi con Selena, e la conclusione della sua esibizione …
quel “I
gotta have you”.
Sicuramente era un modo per dimostrarmi che a me teneva, e quindi
devo averti
nel senso che ho
bisogno di te, mio caro, carissimo, tenerissimo migliore amico
… ma c’era qualcosa che non mi convinceva.
Probabilmente mi ero
fatto condizionare da quella strana risatina che era fuoriuscita
dalla bocca di Selena nel momento stesso in cui la mia migliore amica
mi fissava, ma avevo percepito anch’io qualcosa di strano, di
nuovo. E così, d’istinto, decisi di chiarirmi un
po’ le idee.
Dato
che non c’era nessun altro modo per farla stare zitta,
scivolai giù
dal letto e le tappai la bocca con una mano. Lei fece un urletto
–
come se già non ne avesse fatti abbastanza - e poi mi morse.
-
Ahi! – scattai ridendo – Taylor, ma che fai?
– per tutta
risposta lei si buttò con la testa sopra le mie ginocchia,
visto che
stava sempre suonando praticamente sdraiata per terra, e
spalancò i
suoi occhioni blu dritti nei miei. Per poco non mi prese un colpo,
sembrava strafatta. E menomale che le birre in quel frigobar erano
solo quattro!
-YOU'RE
ON THE PHONE WITH YOUR GIRLFRIEND SHÈS UPSEEET! Daaai,
Eddy, canta con me! Dai dai dai! - mi implorò, sbattendo le
lunghe
ciglia e mettendo il broncio. Non potei fare a meno di ridacchiare
sotto i baffi, in queste condizioni non avrebbe potuto mentire su
nulla.
-
Dopo - le promisi, mettendole l'indice sulle labbra per zittirla, o
almeno sperando che
potesse farlo - prima rispondi alle mie domande. Ho visto che ti
dicevi qualcosa con Selena, stasera. Posso sapere di cosa si tratta?
– lei bloccò la sua esibizione di chitarra e
sbarrò gli occhi,
dopo di che si mise allegramente a ridacchiare sulle mie ginocchia.
Non so perché mi interessasse tanto. Forse il fatto era che
mi era
sembrato... che parlassero di me, ecco. E questa cosa mi piaceva e
non mi piaceva allo stesso tempo.
Dopo
un po’ si rimise in posizione normale, sedendosi, stranamente
senza
oscillare, e si mise ad osservare la visuale della città che
si
aveva dalla finestra del balcone, aperta. Ci fu uno strano silenzio,
che durò per pochi secondi, poi rispondendomi riprese a
ridere.
-No,
no no! Non ci provare Eddy Rosso! – sentenziò
muovendo il dito in
segno di diniego proprio davanti al mio naso, anche se non so come ci
riuscisse visto che mi dava le spalle - Sono cose da ragazze.
La
situazione, messa così, cominciava a preoccuparmi,
così mi buttai
sull’ironia.
-
Anche io sono una ragazza, non lo sapevi? – dissi fingendo
una voce
femminile e ruotandola verso di me; lei aveva ancora gli occhioni
spalancati di qualche minuto prima.
-
Questo non ti rende necessariamente degna
di avere accesso alla risposta, Eduarda.
– mi rispose lei trasformandosi per un momento in una
perfetta
insegnante
modalità
interrogazione. Io,
però, non avevo intenzione di rimanere nel dubbio su tutto
il resto,
così passai alla seconda domanda.
- E
quel tuo strano comportamento durante 22?
Quello me lo puoi spiegare? – le domadai; lei a quel punto mi
guardò perplessa, poi scoppiò a ridere. Nel giro
di poco si ributtò
sul letto e cominciò ad agitare le gambe come se le avessi
raccontato la barzelletta più divertente del mondo.
Arrivò
addirittura a mettersi le mani sulla pancia! Ma era davvero una
domanda così stupida? Mi voltai, nel tentativo di renderla
meno
idiota e di darle una spiegazione, quando lei, inaspettatamente,
riuscì a formulare una risposta.
-
Ma quanto sarai cretino Ed! Davvero non l’hai capito? -
sbottò,
tra una risata e l'altra. Io decisi di andare sul sincero, ovvero
triplicare la mia figura di merda, tanto domani sarebbe stata troppo
intontita dalla sbornia per ricordaserlo... giusto?
-
Sinceramente? No. Cioè, mi sono fatto un'idea, ma ovviamente
sarà
sbagliata. - arrancai. Involontariamente mi misi a fissarla in
maniera strana, come se volessi a tutti costi che la risposta fosse
la stessa che mi ero immaginato, ma che non avevo nemmeno il coraggio
di pensare per intero.
“Non
pensare di sfuggirmi stupidone, tanto io so tutto lo stesso.”
cinguettò
Coscienza.
Interrotto così bruscamente nel mio momento di panico mi
venne
voglia di strozzare quella vocina, poi mi ricordai che non esisteva.
“DORMI.”
le intimai. E lei sparì.
La
bionda intanto continuava a non rispondere, anzi! Si mise a ridere
anche più forte, se possibile, tanto che il letto si mise a
cigolare, poi all’improvviso si calmò. E
lì mi fece veramente
paura.
-
Ed – sbottò, facendomi prendere un colpo.
-
Taylor - le dissi. Io ero ancora in ginocchio sul pavimento, poco
distante dal punto in cui qualche minuto prima era lei. Mi sembrava
di essere ancora più imbecille messo lì
così, dunque mi alzai e mi
sdraiai sul letto vicino a quella povera sciroccata della mia
migliore amica. Non so con quale audacia, e molto serio in volto, mi
voltai in modo da poterla guardare in faccia e la abbracciai. Lei,
per tutta risposta, si fece piccola piccola tra le mie braccia e si
appoggiò al mio petto, sorridendo. Rimanemmo così
per un po’,
quasi che il suo scatto di prima fosse stato un fischio per dire
abbracciami, brutto
stronzo. La chitarra
era ancora appesa al suo collo, quindi praticamente la abbracciavo
insieme a quell’ammasso di ossicini che era la sua
proprietaria.
Era piacevole quella sensazione, mi dava un che di familiare.
La
stavo ancora tenendo tra le braccia quando, sottraendosi dalla mia
stretta in modo da potermi guardare in faccia, e sfilandosi lo
strumento dal collo per posarlo a terra, si mise seduta sul letto e
mi invitò a fare lo stesso, strattonandomi. Poi riprese il
discorso
che aveva lasciato in sospeso in precedenza.
-
Sono contenta che tu sia qui con me, stasera - mormorò,
sorridendo
dolce. I capelli le cadevano in faccia e aveva la frangetta sparata
da tutte le parti. Dovetti resistere all'impulso di sistemargliela.
Sembrava quasi tornata lucida … quasi, quegli occhioni
sornioni
infatti tradivano una sbronza nel pieno del suo circolo. Ridacchiai
per quell’affettuosità così semplice e
chiara.
-
Anche io sono contento di essere qui con te - le risposi, sincero.
Lei mi guardò come se fossi un completo idiota, e non ne
compresi il
motivo in quel momento: quello sguardo sembrava scavarmi dentro.
Anche in quello stato sapeva mettermi in soggezione peggio di
qualsiasi altra cosa. Tanto per ribadire che ero un completo
imbecille, mi diede un buffetto sulla spalla. Poi, passandosi una
mano tra i capelli che avevano ormai perso la piega,
continuò a
parlare.
-
No, non hai capito – disse - Sono DAVVERO
CONTENTA che TU
sia qui con me. Che tu
ci sia. Che ci sia tu e non qualcun altro. Non so se mi sono
spiegata.
Io
rimasi di sasso, ma ci pensò Coscienza a farmi riprendere.
“Sì
che si è spiegata! Deficiente!”
urlò “Metti in
attivo quei due neuroni che hai, su!”
In
tutto il tempo che abitava nella mia testa non l’avevo mai
sentita
sbraitare così. Ero forse diventato il peggior cretino del
mondo in
una sera? Non sapendo che strada intraprendere, ancora una volta
optai per la sincerità.
-
Non molto - borbottai. Poi l’istinto prese il sopravvento e
allungai la mano per spostarle qualche ciuffo dietro l'orecchio. Lei
sorrise e arrossì.
- È
che... - esitò.
La
mia mano ancora indugiava tra i suoi capelli. Il mio sguardo serio di
prima non era mutato di una virgola. Volevo sapere se avevo ragione.
Ne
avevo bisogno.
Dovevo
sapere se stavo per rovinare tutto o no. Senza pensarci tanto, la
feci scorrere fino al suo collo, accarezzandole lo zigomo con le
dita. Lei rabbrividì, e si avvicinò un po' a me.
“Lei
ti è accanto, se ne sta seduta lì, non sa cosa
dire maaaaa i suoi
occhi ti parlano, e tu lo sai che vorresti darle un bacio; e allora
bacialaaaaaaaaa!”
gridò Coscienza, cantando la canzone dalla Sirenetta.
Certo che aveva un tempismo perfetto. Ma chissà
perchè, riuscii ad
ignorarla meglio del solito. Con uno scatto, avvicinai Taylor a me,
tanto che la feci sussultare e sospirare. Appoggiai la fronte alla
sua e chiusi gli occhi. Sapevo che lei aveva fatto lo stesso. Il
pensiero “stai
per baciare la tua migliore amica, idiota” lampeggiò
nella mia testa, ma anche questa riuscii ad ignorarla benissimo.
Allungai anche l'altra mano e le accarezzai una guancia, facendola
sussultare di nuovo, e poi feci scivolare anche quella lungo il suo
collo. Lei sospirò di nuovo. Sapeva di alcool.
-
Ed... - mi chiamò, preoccupata.
-
Shh, Tay. Va tutto bene - la tranquillizzai. Va
tutto bene. Più che bene.
“Dai
Ed! Fai diventare realtà quell’immaginetta di
prim…”. La
zittii senza troppe manovre, rilegandola negli scompartimenti
più
profondi del mio cervello.
Mi
chinai appena e le baciai la guancia, con una delicatezza che non
sapevo nemmeno di avere. Ma con Taylor mi veniva naturale, era come
una bambola di porcellana. Fragile, e bellissima.
-
Ed, io... - provò di nuovo lei, ma io la zittii di nuovo,
baciandole
l'altra guancia con la stessa tenerezza. Stavo giocando con lei. Mi
piaceva sentirla sussultare ad ogni tocco.
-Devi
rispondermi, lo sai. – le dissi sussurrando, avevo paura che
a
dirlo troppo forte si rompesse qualcosa tanta era la
fragilità di
quell’istante. Adesso non aveva scampo e, in ogni caso, non
sembrava voler sfuggire. Si era avvicinata anche lei,
instintivamente.
Finalmente,
mi avvicinai alle sue labbra, che erano appena dischiuse. Ora che
c'ero così vicino, mi rendevo conto di quanto le avessi
agognate.
Volevo baciarla. Lo volevo davvero, ma davvero tanto...
-
UNA STELLA CADENTE! - strillò all'improvviso, facendomi
venire un
infarto. Mi allontanai da lei con uno scatto, e lei ne
approfittò
per sfuggire. Mentre io ero ancora disteso sul letto, paonazzo e in
preda ad una crisi isterica, lei si era già precipitata
fuori, sul
balcone della stanza, che dava un'ottima veduta di Las Vegas, ed
indicava il cielo saltellando.
-
Ed! Ed! Guarda! La vedi? – strillò, rivolgendo gli
occhi al cielo.
L'unica
cosa che vedevo era la figura di merda che avevo appena fatto, in
replay costante nella mia testa. Scesi dal letto con cautela; mi
sentivo le gambe molli, e contrassegnai questa come la risposta alla
mia domanda. La scritta “IDIOTA”
tornò a troneggiare nella mia mente.
Piano
piano la raggiunsi e guardai il punto che mi stava indicando. Io non
vedevo un bel niente, in realtà, ma questo non la
placò.
-
Hai espresso un desiderio? Si fa così, con le stelle
cadenti! - mi
informò tornando in modalità professoressa, come
se già non lo
sapessi.
-
Tay, non vedo un bel niente, giusto per informazione - chiarii. Il
mio tono era acidità pura, ma era comprensibile. Il suo modo
di
interrompere quello che stava succedendo era stato uno dei peggiori
che potesse trovare. Però era una chiara e lampante
risposta, questo
c’era da ammetterlo. Lei mi guardò avvilita, per
poi rispondermi a
tono con un “Guastafeste”, e si appoggiò
alla ringhiera.
La
situazione stava diventando imbarazzante, e all’improvviso mi
accorsi che praticamente non avevo più niente da dirle.
Decisi di
tornarmene in camera a smaltire la tremarella che minacciava di
incombere al più presto ma non feci però in tempo
a dirle che me ne
stavo andando che lei si voltò di scatto e mi si
buttò al collo,
stringendomi forte. La sentivo tremare. C’era sentore di
allarme
nell’aria, la cosa non mi piaceva affatto.
-
Non vuoi sapere che cos’ho desiderato? – mi fece
esultante, ma
aveva un qualcosa di strano quella voce, e mi ricordava fin troppo
bene quella di quando mi era scoppiata a piangere tra le braccia,
qualche giorno prima. Decisi di non dirle niente di diretto, questa
volta. Mi limitai così ad alleggerire l’atmosfera.
-
Se me lo dici non si avvera, lo sai no? – le risposi
rispondendo
all’abbraccio e cercando di sistemarle i capelli, lisciandoli
dolcemente. Poi lei crollò. Così, senza che io le
avessi domandato
niente, il che mi fece venire in mente che magari lei avebbe voluto
sincerità in quel momento, e io non gliel’avevo
data. I suoi occhi
erano pieni di lacrime e finirono per cedere proprio sulle mie
spalle.
“Oh,
no. Non di nuovo.”
Deglutii. Ancora una volta mi sentivo in colpa.
-
Taylor...
-
No Ed, tranquillo, va tutto bene. - disse. Si stropicciò gli
occhi e
si allontanò da me, scostandomi non solo in senso fisico.
Chiuse
nuovamente la sua mente, in modo che non potessi entrarci, e mi
scansò per tornare in camera.
-
No non va bene, stai piangendo - feci, rientrando subito dopo di lei.
Si era fermata nel mezzo della stanza, e si era stretta con le
braccia, come se avesse freddo.
-
Ed. Ti ho detto che va tutto bene. Ora passa. - sbottò,
acida,
dandomi le spalle. Non ci avrei creduto nemmeno tra un milione di
anni, perciò la afferrai per un braccio e la feci voltare.
Le
lacrime adesso le avevano inondato le guance, e stava singhiozzando.
Tremava ancora. Io la fissai cercando di capirci qualcosa, ma non
capii niente. Scostava lo sguardo, non voleva che le leggessi negli
occhi la verità. - Cosa c'è che non va? Mi
sembravi felice, prima -
mormorai, accarezzandole i capelli per poi abbracciarla - Insomma,
hai fatto incetta di premi, e adesso stiamo passando una bella
serata... – A parte
la mia figura di prima sul letto.
-
Lo so, lo so - singhiozzò al mio orecchio. - È
che... forse ho
esagerato, stasera.
La
allontanai, in modo che potesse vedere il mio sguardo interrogativo.
-
Con tutte quelle provocazioni. La maglietta, il discorso di
ringraziamento, come ho sviato la domanda sul Milestone
Award... - borbottò.
Quest'ultima non la sapevo, quindi le riproposi lo stesso sguardo.
Lei scosse la testa. - Niente, mi hanno chiesto cosa ne pensavo del
fatto che Justin avesse vinto al posto mio, ed ho chiesto se potevano
fare un'altra domanda. Ma non è questo il punto - fece,
appoggiando
la testa sulla mia spalla - Ho cercato di dimostrare che non mi
importa. Che non mi importa dei commenti, dei tweet minacciosi, degli
insulti. Ma non è vero, Ed, non è vero. Mi
importa cosa pensa la
gente di me. E mi fa male, cavolo. Mi fa tanto male.
-
Ti hanno minacciata di nuovo? - chiesi, sorpreso. Non potevo
crederci, pensavo che la cosa stesse passando, piano piano. Lei non
rispose subito, ma abbassò lo sguardo. Sembrava volersi
rituffare
tra le mie braccia, ma volevo vederla in viso, quindi non glielo
permisi.
-
Ho trovato dei commenti abbastanza acidi sul mio comportamento di
stasera. – Dio, avrei voluto strozzarla adesso.
Perché continuava
a guardare quelle cose? Nel frattempo, però, aveva smesso di
tremare.
-
Dovresti lasciar perdere le menzioni di Twitter. – dissi
dando voce
al mio pensiero.
-
Lo so, Ed, lo so – ripeté per l'ennesima volta. -
Ma ci sono anche
persone che mi amano, là fuori, e non posso semplicemente
ignorarle.
-
Ma le minacce sorpassano i tweet dei tuoi fans, giusto?
Annuì.
Avevo
voglia di scuoterla come un paio di maracas e farla tornare in
sé.
-
Tu non meriti questo, Taylor! - le dissi, forse con più
enfasi di
quella che dovevo metterci perché lei mi
allontanò con uno scatto …
e nel frattempo aveva ripreso a tremare e a singhiozzare.
- E
chi lo dice?! - mi gridò addosso, acida - Chi lo dice, eh
Ed? Magari
hanno ragione. Anzi, hanno
ragione, e basta. –
poi si voltò e fece per avventarsi contro le bottiglie di
birra,
vuote, adagiate sulla scrivania; probabilmente le avrebbe lanciate
contro il muro o roba del genere, se non l'avessi fermata,
bloccandola da dietro e facendola voltare. Questa volta non
contrastai l’impulso e la scossi, tenendo le mani ben salde
sulle
sue spalle.
-
Non le pensare nemmeno queste cose! Non farlo! – le sbottai,
forse
con un tono più rude del dovuto; per tutta risposta lei
piantò i
suoi pugni sul mio petto, nel tentativo di allontanarmi.
-
Stammi lontano, Ed! Tu non puoi capire! –
singhiozzò mentre
tentava di scansarmi, ma io la tenevo molto, molto stretta. - Tu sei
mio amico! E adesso tra noi va tutto bene, no? Tu mi vuoi bene e mi
proteggi dagli insulti, ma cosa succederà se un giorno
litigheremo,
eh, Ed? Ci hai mai pensato? – strillò, ormai
furibonda. Si agitava
per allonarmi ma io non la lasciavo. La strinsi ancora di
più e in
quel momento lasciò cadere la sua testa sulla mia spalla;
pensai che
si stesse calmando, ma non era così - Cosa
succederà se scriverò
una canzone su di te? – riprese a voce più bassa,
ma piena di
paura. – Mi odierai anche tu, come già fanno
tutti. – e fu in
quel momento che mi tornò in mente la scena di quella sera,
quando
aveva concluso la canzone guardandomi fissa. Aveva detto “I
gotta have you”. E
allora capii che avevo ragione.
La
allontanai da me per piantarle gli occhi addosso, come avevo fatto
prima, sul letto, deciso a farle capire che lei mi aveva
già. E che
non avevo intenzione di andare da nessuna parte.
-
Perché dici tutto questo? – le chiesi affranto -
Taylor, ti puoi
convincere del fatto che non succederà mai? Mi faceva male
vedere
che lei aveva così tanta paura di perdermi. Eppure mi
sembrava di
averle dimostrato quanto tenevo a lei. - Io non riuscirei mai ad
odiarti, nemmeno tra milioni di anni, nemmeno se scrivessi una
canzone su di me. – le dissi, convinto; lei mi
guardò, gli occhi
azzurri pieni di lacrime che non riusciva a trattenere.
-
Non lo puoi sapere, Ed. – sibilò piena di paura ,
di rabbia e di
risentimento. - Non lo puoi semplicemente sapere. Anche con i miei ex
era così. Andava tutto bene, poi mi hanno lasciata, o
comunque è
finita, ho scritto una canzone, e mi odiano. Mi detestano
più di
ogni altra cosa al mondo. E tu … - non riuscì a
finire la frase
perché le parlai sopra, sbottando. Come poteva paragonarmi a
loro?
-
Io non sono un tuo ex,
Taylor! – esplosi
guardandola negli occhi, ma nemmeno quello sembrò calmarla,
o
convincerla … i suoi occhi, infatti, si piantarono sul
pavimento,
per niente decisi a guardarmi in faccia.
Preso
dalla disperazione, e sperando che almeno questo riuscisse a
convincerla, le sollevai il mento con una mano, costringendola a
fissarmi. Poi mi allontanai un po', arrotolando
la manica del maglione per farle vedere il tatuaggio che mi ero
fatto, quello con il nome del suo album. - Ricordi questo? –
le
dissi - L'ho fatto per farti capire che non ti abbandonerò.
– la
mia voce adesso aveva una sfumatura strana, quasi di delusione. - Non
sono uno dei tuoi fottuti ex, Taylor! Sono il tuo migliore amico.
Sono Ed. E non sono come loro, io ti voglio bene veramente!
Lei
mi fissò il braccio, gli occhi spenti e rossi di pianto. Le
lacrime
scorrevano sulle sue guance senza sosta. Non ce l’avevo fatta
neanche stavolta. Mi avvicinai di nuovo a lei, con cautela, per paura
che mi respingesse di nuovo, cercando almeno di calmarla.
-
Scusa - singhiozzò. - Scusa. È che è
così difficile. Certi giorni
mi sembra che mi cada tutto addosso. Mi sembra che tutto questo non
ne sia valso per nulla la pena. È come se tutti volessero
giocarsi a
dadi la mia vita … mi sento vittima di qualcosa
più grande di me.
E non riesco a reagire come vorrei Ed … non ci riesco. Sto
diventando come in The
Lucky One.
Purtroppo,
riuscivo a capirla. Era facile vedere il mondo dello spettacolo come
un paradiso quando non ne facevi parte. E lei era nel business da
più
tempo di me, e aveva dovuto sopportare più batoste di me. E
spesso
le persone si dimenticavano che era umana. Una superstar,
sì, ma pur
sempre umana.
La
conoscevo da un anno e nel giro di pochi mesi l'avevo vista piangere
tre volte. Sempre perché il suo stesso mondo, che prima
l'aveva
portata all'apice, le pesava addosso come un macigno. Ma doveva
convincersi del fatto che non era tutto così nero. E io
dovevo
riuscire a farglielo capire, feci così un ultimo tentativo.
La parte
finale della sua esibizione continuava a ripetersi nella mia testa
all’infinito, come un cortometraggio in replay.
I
gotta have you.
Mi
aveva fatto capire che aveva bisogno di me, ed io ero l'unico che
poteva dimostrarle che si stava sbagliando.
-
Taylor ti prego, guardami negli occhi, e convinciti delle mie parole.
Per davvero, questa volta – le mormorai, prendendola per le
spalle;
non sarebbe scappata, non questa volta.
Lei
puntò i suoi occhi blu nei miei, mentre altre lacrime le
scivolavano
giù. - Tu. Tu sei una persona stupenda. Sei talentuosa, sei
dolce,
sei gentile, fin troppo a volte. Sei divertente, sei svampita, sei
determinata. Io ti conosco Tay, so chi sei veramente. E sei tutte
queste cose, e molto di più. Non lasciare che persone che
non sanno
chi sei ti buttino giù, perché quelle che ti
amano, ti conoscono.
Sei vittima del tuo stesso mondo, è vero, lo siamo tutti. Ma
ti
prego, non dire più quelle cose. Non meriti questo. E sei
bella,
Taylor. Sei bellissima, sei radiosa, sei semplicemente … la
donna
più bella che io abbia mai visto.
Detto
questo, una coltre di silenzio riempì la stanza, ci
ricoprì
completamente e ci lasciò senza fiato. Gliel'avevo detto, le
avevo
detto quello che pensavo di lei. E adesso mi sentivo schiacciare
dalle mie stesse parole, come se avessi dovuto rimangiarmele, mentre
lei mi fissava spalancando gli occhi. Tra l'effetto dell'alcool e il
pianto, erano diventati enormi, e mi sentivo sovrastare da quello
sguardo blu, blu come il cielo fuori. Ma il fatto era che non avrei
voluto rimangiarmi niente di quello che avevo detto, volevo farlo da
tanto, tantissimo tempo.
Lei
mi fissava, cercando di assimilare il tutto. Ma io non mi mossi di
lì. Allungai una mano per asciugarle le lacrime, che avevano
filamente smesso di scendere e poi azzardai una carezza al suo
zigomo. Di nuovo, lei si fece tesa e sembrò pietrificarsi
davanti al
mio sguardo.
Ma
questa volta non sarebbe scappata.
Nessuna
stella cadente, crisi di pianto o stupida voce nella mia testa me lo
avrebbe impedito.
Perciò,
non esitai. Feci scivolare il mio braccio intorno al suo fianco,
accarezzando la stoffa della sua maglietta, e poi la strinsi, in modo
da avvicinarla con uno scatto deciso. Lei sembrò irrigidirsi
ancora
di più, ma non si spostò, e questo mi
incoraggiò ad andare avanti.
Appoggiai la mano sul suo collo e avvicinai di nuovo la sua fronte
alla mia, come avevo fatto prima.
Eravamo
esattamente allo stesso punto in cui lei era sguisciata via, prima,
attratta da una fantomatica stella cadente.
I
miei occhi la inchiodavano, così come le mie braccia. E non
sarebbe
fuggita via stavolta.
Stava
per dirmi qualcosa per fermarmi, ma io fui più rapido e la
baciai.
Non esitai, non feci giochetti; l'avrei resa solo più
nervosa e
sarebbe scappata di nuovo. Così, d’impeto e
d’impulso. Senza
lasciare spazio a inutili ragionamenti. Posai le labbra sulle sue e
la baciai come se fosse l'ultima cosa che facevo su quella terra.
Le
sue labbra erano proprio come le avevo sempre immaginate - tra cui
anche quella volta a Disney World, quando lei aveva cominciato a
scrivere la mia nuova canzone -, morbide e carnose. E, strano a
dirsi, sapevano di pesche. Già, anche loro. Mi resi conto di
volerlo
fare da tanto, troppo tempo, e mi pentii di aver esitato
così a
lungo perché, ne stava valendo veramente la pena.
Non mi ero
nemmeno accorto della resistenza che stava facendo per cercare di
staccarsi, seppur debolmente, come se non ci credesse nemmeno lei.
Aveva le mani sulle mie braccia, strette intorno ai suoi fianchi, e
sembrava che volesse separarsi dal mio abbraccio. Allora cominciai a
temere di aver fatto la cosa sbagliata. Forse non era questo che
voleva. Stavo quasi per allontanarmi, pronto a morire nella mia
vergogna, quando mi accorsi di aver scambiato per resistenza quella
che resistenza non era. Contro ogni mio pensiero, Taylor
cercò di
avvicinarsi ancora di più a me, invitandomi a stringerla
maggiormente. Quando lo feci, la sentii sorridere contro le mie
labbra e le sue braccia stringersi intorno al mio collo, come avevano
fatto tante volte prima d'ora, eppure in modo diverso, con dolcezza e
con un po' di esitazione. E questa fu la risposta definitiva alla mia
domanda.
Sì,
lo voleva anche lei.
Non
ero mai stato così felice.
Ci
separammo dopo qualche istante, continuando a tenerci stretti e senza
alcuna intenzione di mollarci. Ci guardammo negli occhi e per me fu
come se la vedessi per la prima volta. Mi sembrò una specie
di
angelo. E, cavolo.
L'avevo baciata. Avevo baciato la mia migliore amica. Ed era stato
incredibile.
In
quel momento, lei scoppiò a ridere, e io la seguii.
Tutta
l'ansia, tutta la tensione che si era creata tra noi negli ultimi
mesi, sembrava così ridicola adesso. Era stato
così semplice, alla
fine.
-
Non ci posso credere che mi hai baciata. Finalmente. -
mormorò,
appoggiando la testa sulla mia spalla. L'aveva già fatto
tante
volte, ma adesso sembrava diverso. Più nostro.
-
Hey, guarda, che anche tu possiedi il libero arbitrio –
scherzai,
per poi intonare un semplice semplice “I
gotta have youuu”. Non
avevo la potenza per farlo tutto pieno di fronzoli come lei, ma il
messaggio arrivò chiaro e tondo lo stesso.
Sobbalzò davanti a
quell’atto di audacia, probabilmente non se lo aspettava, ma
non si
lasciò turbare. Alzò di scatto la testa e mi
baciò di nuovo.
In
quel momento fu come se non ci fossero mai state bottiglie di birra o
crisi di pianto.
Sembrava
lucidissima.
E,
Dio, era fantastica.
Mi
diede un bacio a stampo.
Poi
un altro.
Poi
un altro ancora.
Finché
non mi intontì con quei baci.
Sentirla
così vicina, così mia,
mi fece venire i
brividi lungo la schiena. Sapevo come sarebbe finita, la tensione
stava montando, più forte di prima, e diversa.
Dovevo
smettere di ragionare di testa, non mi serviva a niente. E lei
…
lei lo stava praticamente urlando. Stava rispondendo anche questa
volta. Ed era come se fossimo tornati i soliti Ed e Taylor; ci
capivamo senza bisogno di parole.
D'istinto
le sollevai la maglietta. Lei sorrise di nuovo, senza smettere di
baciarmi, ed alzò le braccia, in modo che la potessi sfilare.
Mi
staccai un secondo per guardarla. Era così dannatamente
bella che mi
toglieva il fiato.
Lei
non disse niente, piantò solo i suoi occhi nei miei. Lo
voleva anche
lei, forse anche più di me. Così mi avvicinai di
nuovo alle sue
labbra e la baciai con trasporto, come se non aspettassi altro da una
vita intera … che poi effettivamente era vero. Dio se era
vero.
Lei,
tremando leggermente, pose le sue mani sul mio maglione per
togliermelo, e io l’aiutai.
Buttai
l'indumento in un angolo.
Poi
mi piegai e la presi in braccio e indugiai per un solo, flebile
secondo.
Fu
la voce di Coscienza a togliermi ogni remora: “Ed,
buttati.” diceva
amichevole. Ed io mi buttai.
La
adagiai sul letto con delicatezza, strisciai sopra di lei e
ricominciai a baciarla, e fu come se non lo avessi mai fatto prima.
Tutto con lei sapeva di prima
volta, anche se non lo
era affatto.
Avevo
baciato prima di lei.
Avevo
fatto l’amore prima di lei.
Ma
non c’era niente che si fosse potuto paragonare a questo.
E
io non volevo altro se non lei, il suo corpo, e tutto quello che
stava succedendo in quel momento.
Angolo Autrici
Buongiorno
cari lettori! Sì, lo sappiamo che ci siete, anche se non
recensite (sfaticati!). Per questo eccovi il nono capitolo (NOOOONOOOO)
che sarà sicuramente uno dei miei preferiti di sempre.
La cosa che mi
piace, oltre al fatto CHE CAUSA UN'ESPLOSIONE DI FEELINGS DI
PROPRORZIONI IMMANI, è che è un perfetto mix di
me e Arianna. C'è un po' di suo e un po' di mio, e vi giuro
che non sarebbe stato lo stesso se non fosse stato così. E'
bello scrivere insieme a lei, perchè siamo una bella
squadra. Quando io non ho idee ne ha lei e viceversa, ed ognuna
migliora i difetti dell'altra. Sono fortunata ad averla nella mia vita.
Ma non voglio
tediarvi oltre con tante smancerie. Spero che il capitolo vi sia
piaciuto - SE NON E' COSI' VI UCCIDO PERCHE', OMG, SWEERAN FEELINGS.
Al prossimo
capitolo!
L.
P.S. L'immagine in
cima l'ho fatta io, vi piace? La canzone è Arms, di Christina Perri,
una canzone stupenda a mio parere <3 BUON FANGIRLING :3
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