Avatar: La Leggenda di Atlas

di Rouge e Minori
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Avatar: La Leggenda di Atlas
Prologo

Le onde dell’ oceano si facevano sempre più imponenti e tumultuose, la nave oscillava a contatto con esse, l’impatto con uno spigoloso scoglio aveva aperto una falla nella prua. Il capitano aveva buttato l’ancora in mare e i passeggieri avevano incominciato a salire sulle scialuppe di salvataggio.
  «Prima le donne e i bambini!» aveva gridato la voce del primo ufficiale.
La pioggia batteva forte sul viso di una donna, che con forza stringeva in grembo un bambino, di al massimo tre anni.   I lunghi capelli castani, anche se fradici, le incorniciavano un viso snello e spigoloso; il naso era piccolo, coperto di lentiggini e lievemente all’insù. Nei suoi occhi verdi si riflettevano paura e preoccupazione, le stesse che la intimavano a stringere la presa sul figlio, sopito tra le braccia materne.
 «Riusciremo a salvarci Sirrah, vai alla scialuppa e fatti assicurare un posto su di essa. Io me la caverò» aveva detto un uomo, cingendola a sé. Era un individuo alto e avvenente, la  barba era appena accennata e i capelli castani erano spettinati e bagnati. Per quanto cercasse di rassicurare la moglie, nei suoi occhi castani, c’erano i suoi identici timori.
  «Aeden, non posso abbandonarti qui» aveva detto la donna, lasciando scendere dal viso tutto il suo dolore e tutta la sua angoscia.
«Sappiamo entrambi che nostro figlio è più importante, ti prego, vai e educalo anche per me» aveva baciato la moglie per l’ultima volta, prima che questa si voltasse per l’ultima volta anche lui, aveva dato libero sfogo alle sue emozioni.
 Sirrah, facendo attenzione a non scivolare, si era diretta dal primo ufficiale che stava calando una delle ultime scialuppe.
 «Mi perdoni ma, anche io e mio figlio avremmo bisogno di salire su una barca di salvataggio» aveva detto la donna, pregando che la facesse salire,  anche se in cuor suo diffidava in una risposta positiva.
  «Siete prima, o seconda classe, signora?» aveva domandato il primo ufficiale, con un tono severo.
«Nessuna delle due, noi siamo di terza classe» aveva umilmente risposto la donna.
  «Allora non potete salire. Sono le regole del comandante» aveva proferito lui ferreo.
«Ma avevate detto solo donne e bambini ed è necessario, per  noi, salire su quella barca!» aveva ribattuto Sirrah, cercando di ingoiare le lacrime di frustrazione e sofferenza.
  «Ho detto: non si sale se non si è di minimo seconda classe» aveva ribadito il primo ufficiale.
«Lei non capisce, la nostra salvezza è di vitale importanza, mio figlio è…» l’uomo  le aveva dato una poderosa spinta, per far passare le persone più ricche di lei.
  «Accetti l’idea di morire signora. Ed ora, se non le è di troppo disturbo, non mi faccia più perdere tempo e lasci passare chi davvero lo merita» aveva detto l’ufficiale, in tono glaciale.
«Si pentirà di quello che ha fatto signor primo ufficiale, questa notte, cambierà il destino di molta gente innocente e bisognosa. E tutto ciò, grazie a voi e al vostro cuore di pietra» aveva detto la donna, scandendo le parole come l’incudine che batte sul metallo.
 Il bambino si era risvegliato, spaventato ed infreddolito. Sirrah, era corsa dall’altro lato della nave, aveva fatto un profondo respiro ed aveva guardato il figlio con tutta la sicurezza che poteva trovare all’interno del suo cuore.
 «Andrà tutto bene tesoro, ce la caveremo. La mamma è qui» aveva detto lei accarezzandogli e guance paffute ed arrossate.
  «Papà?» aveva domandato il bambino, che ancora si mangiava un po’ di parole.
«Lui ti manda un grande bacio e dice che ti guarderà sempre dall’alto» aveva dato un bacio sulla fronte del figlio e col suo lungo scialle ci aveva avvolto il figlio e lo aveva  infine legato intorno al suo collo. Come una fascia «Reggiti a me» aveva detto lei per poi prendere la rincorsa e buttarsi in mare, nel mezzo della tormenta.
 Il bambino aveva cominciato a piangere, per paura, per il dolore, per l’acqua che aveva ingoiato. Sirrah, nuotava più velocemente che poteva, ad ogni onda si voltava per prendere i colpi degli scogli al posto del figlio, che era sempre più scosso ed irrequieto.
 «Mamma ho paula » aveva detto il bambino, che ancora faticava a pronunciare le “r”.
  «Ora mamma ti canta una canzone, va bene tesoro?» aveva detto lei con tutto il fiato che poteva permettersi di sprecare.
«Sì» aveva gridato il bambino, terrorizzato dalle possenti onde e dai rumorosi lampi.
  « Oltre le montagne, la chiara alba fa risplendere la rugiada. Nel vento lo scrosciare della fonte si diffonde….» una forte onda l’aveva sbattuta contro uno scoglio, ma lei, con il poco fiato che aveva, continuava la sua soave ninnananna « Anche se la notte ti confonde, non avere timore, la luna alta brilla, le stelle luminose splendono; senti il mio dolce canto che ti cullerà, che in te alimenterà una viva fiamma, guarda la cera colare dalla candela, il tempo passa e torna la fresca alba. Non avere timore, ascolta la mia voce, che rimane viva e chiara in te. Non scordare le dolci parole di questa mia canzone, che la notte tempestosa cacciano via» le mancava il respiro, faceva fatica a nuotare, ma il figlio si era riaddormentato ingenuamente, senza più il timore della tempesta.
Aveva profonde ferite procuratagli dagli appuntiti faraglioni, ma riusciva ancora a sopportare il dolore, tanto, da poter scorgere, finalmente, la salvezza. Un isola. Aveva nuotato verso di essa, accompagnata anche dalle onde che prima l’avevano scaraventata conto gli scogli.  Le nubi si stavano diradando e il cielo si stava rasserenando, dato che la tempesta era conclusa.
Sulla spiaggia una famiglia era intenta a rincorrere la propria figlia, di al massimo quattro anni, che era decisa a voler vedere nascere l’arcobaleno dall’oceano. Sirrah, si era aggrappata ad uno scoglio vicino alla riva e pian piano, vogata dopo vogata, era riuscita ad arrivare alla spiaggia. La madre della famiglia le era corsa in contro e con lei, anche il resto dei familiari. Aveva tolto la fascia dove suo figlio dormiva sereno, l’aveva spinta verso l’altra donna, che la guardava  con timore. Anzi, guardava le sue ferite grondanti di sangue, con timore.
«Hywen!» aveva ordinato al marito «Presto cerca aiuto e porta Meissa con te» aveva detto la donna con voce tremante.
L’uomo aveva preso in braccio la figlia ed era corso verso i soccorsi. Ma Sirrah sapeva che era troppo tardi, lei non poteva salvarsi, ma aveva fatto il possibile per proteggere suo figlio. Il suo più grande e prezioso tesoro. Provava dolore, perché non sarebbe stata lei ad occuparsi di lui, lei non lo avrebbe cresciuto. Lei non avrebbe realizzato il suo sogno di crescerlo come un forte e coraggioso uomo, ma forse, poteva farlo qualcun altro, anche se era così tremendo per lei doversi separare da suo figlio. L’altra donna aveva preso in mano il bambino, lasciandosi sfuggire un sorriso nel vederlo illeso.
 «Anche voi avete bisogno di cure, mio marito arriverà subito»
Sirrah aveva fatto un cenno di negazione triste e sconsolato col capo. Era la fine, per lei.
  «Proteggi mio figlio Atlas, proteggi l’Avatar» aveva detto Sirrah, per poi spegnersi per l’eternità. Aveva lasciato suo figlio, il suo Atlas ad una donna che nemmeno conosceva. Ma sapeva di averlo lasciato in buone mani, l’isola di Kyoshi era un posto sicuro, ne era certa. Ma il suo più grande rammarico, l’avrebbe seguita ovunque. Non sarebbe più stata chiamata “mamma”, non avrebbe mai più visto i vivaci occhi del figlio e non le sarebbe potuta stare accanto nella sua pubertà. I suoi occhi si erano chiusi per l’ultima volta, con la certezza, di una vita finalmente sicura per il piccolo Atlas.
«Alhena!» aveva gridato il marito, tornato con i soccorsi, purtroppo, in ritardo.
  «Se ne è già andata, i soccorsi non sono più utili» aveva detto la donna con in braccio il bambino, ancora sopito «Questa notte, renderemo onore alla madre del nuovo Avatar con un banchetto in suo onore e un funerale degno di Kyoshi » aveva detto, stringendo forte a sé Atlas.
Degli uomini avevano portato la donna senza vita al villaggio, l’avevano cremata . Nella camera ardente, i due coniugi discutevano sul giovane Avatar.
«Alhena, sei sicura di voler crescere l’Avatar?» aveva domandato il marito.
«Era l’ultimo desiderio di sua madre, quindi…Sì. Non mi farò mai chiamare madre da lui, io non lo merito. Lui aveva già dei genitori ed è giusto che nella sua mente rimanga così. Inoltre sembra che abbia legato con Meissa» aveva fatto notare la moglie, nel vedere i due che giocavano.
  «Come vuoi» aveva detto  Hywen «Io ti starò accanto»
 La sera stessa, dopo il gran banchetto in onore di Sirrah, il piccolo Atlas cominciava a domandarsi dove fosse la sua mamma. Ignaro, che, le fiamme sotto la statua della donna col trucco strano era sua madre che ardeva.
 «Dov’è la mia mamma?» aveva domandato il bambino ad Alhena.
 «In cielo, lassù» aveva detto lei indicando la volta scura del cielo notturno « e da lì, ti veglierà sempre»
  «Come papà? Mamma ha detto che anche lui ela là»
«Può darsi. Non perdere la speranza Atlas, questo è un capitolo scuro della tua vita, ma lo supererai. Spero che mi accetterai, se non come nuova mamma, come zia» aveva detto Alhena, scompigliandoli i capelli  castani, più di quanto già non fossero. Dai grandi occhi castano chiaro del bambino avevano cominciato a scendere lacrime che gli rigavano il viso arrossato. Non avrebbe più rivisto la sua mamma e il suo papà, e questo lo aveva capito.

Appa's Corner
 Rouge: Bene, ecco a voi il prologo
Minori: Spero che vada bene
 Rouge: Mi sento fiduciosa, anche se in effetti è un po' triste come inizio
Minori: E' necessario ai fini della storia
 Rouge: Bene, oramai ci siamo. Bene popolo di Efp, speriamo di aver catturato il vostro interesse e che voi decidiate di derci le vostre impressioni sul nostro lavoro
Minori: Che siano positive o negative delle opinioni sono sempre bene accette. Se non ne avrete voglia capiremo, vero Appa?
 Rouge: Ehm... Minori?
Minori: Si?
 Rouge: Perchè Appa è qui?
Minori: Oh lui? L'ho ehm... chiesto in prestito... 
 Rouge: Oh no...
Minori: Dai, è così carino
 Rouge: E' un bisonte volante di quasi due tonnellate!
*Appa fa versi di disapprovazione*
Minori: Non urlare il suo peso al mondo, è suscettibile. Ora andiamo Appa, voliamo via insieme! Hip-Hip *Vola via con Appa*
 Rouge: Ho idea che sarà qui ogni volta... va beh. Scusate la pazzia della mia collega. Alla prossima.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***



Capitolo 1

Era da un pezzo che Alhena li osservava, in piedi vicino alla porta. I suoi due ragazzi, la sua gioia più grande. Erano cresciuti in fretta, quasi senza che lei se ne accorgesse. Erano passati tredici anni dal giorno in cui la madre del ragazzo era naufragata sulle coste dell’isola al limite delle forze, il suo ultimo desiderio era stato quello di proteggere suo figlio e così lei aveva fatto. Gli anni erano passati in fretta e Atlas era cresciuto sereno e spesso Alhena si chiedeva come, quel ragazzo allampanato, coi capelli spettinati e con la perenne faccia di chi si è appena svegliato, potesse essere il nuovo Avatar. Complessivamente Atlas era un bel ragazzo, dai capelli castani costantemente disordinati, il viso virile dai tratti spigolosi simili a quelli della madre; il naso dritto leggermente all’insù e gli occhi castani e profondi sembravano molto più saggi di un normale sedicenne. Nel complesso poteva persino sembrare un po’ più grande della sua età, ma l’effetto era smorzato dal sorriso bonario e solare che gli dipingeva sempre il viso. Il talento naturale però non mentiva: sin da piccolo aveva provato una forte attrazione per il dominio della terra e quando Meissa aveva preso ad insegnarglielo aveva subito capito le basi, diventando in fretta un’eccellente dominatore. Quel giorno era il sedicesimo compleanno di Atlas e, la donna sapeva cosa comportasse quel giorno. Dentro di se, aveva sempre desiderato che non arrivasse mai. Si era persa ancora ad osservarli  mentre si allenavano con il dominio: lanciandosi rocce enormi, proteggendosi con muri di pietra e sprofondando nella terra come se fosse acqua. I due prendevano molto seriamente il combattimento, se pur si trattasse solo di uno scontro amichevole. Atlas aveva lanciato una roccia appuntita contro Meissa che, però, si era protetta velocemente con una colonna fatta spuntare dal terreno.
«Migliori sempre di più Atlas» si era complimentata la ragazza, spostandosi all’indietro i lunghi capelli castani raccolti in una coda bassa dalla quale, durante il combattimento, erano sfuggite delle ciocche. Una ragazza alta, senza tratti particolari e con un viso piuttosto comune, ma grazioso. Il naso privo di imperfezioni e le labbra carnose stese in un sorriso, gli occhi castano scuro leggermente allungati con una scintilla perenne, a volte d’orgoglio a volte di scherno.
   «Ma non abbastanza per battere te… Non vuoi proprio farmi vincere eh?» le aveva chiesto il ragazzo con ilarità.
«Nemmeno per sogno. Che razza di allenamento sarebbe altrimenti?» aveva detto lei aiutandolo a rialzarsi
   «Che persona crudele, nemmeno il giorno del mio compleanno mi lascia vincere» aveva esclamato lui, con finto tono drammatico.
«Ma piantala!» l’aveva sgridato lei, fingendosi offesa.
   «Tanto lo sai che, prima o poi, sarò migliore di te!» aveva affermato convinto Atlas, inconscio di quanto fossero vere le sue parole. Meissa sapeva chi davvero fosse il suo amico di sempre, infatti per un attimo aveva smesso di ridere.
«Infatti, un giorno, sarai mille volte più forte di me…» alle parole della figlia, Alhena era stata attraversata da un brivido, lungo tutta la spina dorsale. Temeva che le avrebbe rivelato la verità così, su due piedi, ma poi però la giovane aveva sorriso e aveva continuato «Ma quel giorno non è oggi!» aveva gridato mentre, con un colpo del piede, faceva comparire una colonna di terra che aveva fatto volare in alto Atlas. Il ragazzo aveva gridato per la sorpresa, ma durante la caduta, poco prima di toccare il suolo, aveva tramutato la pietra in uno scivolo, finendo dritto addosso all’amica, facendo cadere entrambi.
   «Sei maligna…» aveva sussurrato lui, gli occhi ridotti a due fessure
«Lo so» aveva risposto lei, con un sorriso falsamente innocente
   «Ah si? E allora prendi questo!» aveva esclamato lui, iniziando a farle il solletico, portando lei a fare lo stesso. Entrambi ridevano spensierati e allegri e Alhena si chiedeva se Atlas, dopo la notizia, avrebbe riso allo stesso modo. Dietro di lei era comparso suo marito che le aveva posato una mano sulla spalla e l’aveva guardata negli occhi con fare serio.
«È ora Alhena» aveva detto lui, con tono cupo
   «Non possiamo proprio rimandare?» aveva domandato la donna, sperando inutilmente in una risposta affermativa.
«No cara… Deve iniziare a fare i conti con il suo destino. So che non vuoi che se ne vadano ma…»
  «È necessario, lo so» aveva fatto un profondo respiro lasciando da parte la paura «Ragazzi!» li aveva chiamati la donna alzando la voce
«Si?» avevano domandato i due in coro, smettendo di rotolarsi per terra.
   «Smettete di giocare per un attimo» Alhena aveva messo la mano sulla spalla dell’Avatar, aveva uno sguardo serio e professionale «Dobbiamo dirti una cosa importante Atlas» aveva detto la donna
«Non puoi aspettare ancora un po’ zia?» aveva domandato il ragazzo, ansioso di continuare a torturare l’amica, ma Meissa sapeva cosa volevano dirgli. Lei già lo conosceva per cui si era alzata, perdendo il sorriso e diventando improvvisamente seria.
  «Credo sia meglio che tu vada con loro Atlas» aveva detto lei.
«Ma che avete tutti? Perché siete diventati così tremendamente seri?» aveva chiesto il ragazzo leggermente confuso.
«Ora ti spiegheremo tutto. Meissa, voglio che ci sia anche tu» aveva decretato Hywen
   «Va bene papà» aveva asserito lei. Tutti e quattro si erano seduti in salotto attorno al tavolo e l’aria era talmente tesa che si poteva tagliare con il coltello.
«Allora? Cosa volete dirmi? Ora inizio a preoccuparmi sul serio» aveva detto il ragazzo nervoso
«Ecco Atlas… oramai sei diventato grande e dovresti sapere una cosa. Come tu ben sai tu sei stato adottato da me e Hywen quando eri molto piccolo» aveva iniziato a parlare Alhena
«Si, mi avete già raccontato come sono arrivato qua: la nave su cui viaggiavano i miei genitori è naufragata, mia madre è arrivata fino a qua con me e poi è morta. Questo lo so già, ma perché quelle facce turbate?» aveva chiesto nuovamente il ragazzo.
«Vedi Atlas… è una cosa molto complicata e non sappiamo proprio come dirtela. Non è proprio  ciò che devi dire tutti i giorni» aveva detto Meissa guardando l’amico
«Tu sai che sta succedendo? Dimmelo Meissa, ti prego!» aveva esclamato lui, tra l’esasperato e il perplesso.
«Non sta a me dirti la verità» aveva detto decisa la ragazza
«Zio, per favore» aveva scongiurato lui a mani giunte.
«Ragazzo mio, non è facile da dire. E forse, anzi sicuramente, non mi crederai»
 «Mai dire mai» aveva detto lui incoraggiante.
« Vedi quando tua madre ti affidò a noi, ci confessò anche un prezioso segreto. Noi lo abbiamo custodito per tredici anni ma ora è il momento di dirti la verità. Atlas, tu sei l’Avatar, tu salverai il mondo» l’ultima parola uscita dalle labbra di Hywen si era persa nel silenzio che permeava la stanza. Tutti e tre osservavano Atlas in attesa di una qualche reazione.
«Sono l’Avatar…» aveva sussurrato il ragazzo «Forte! Sono l’Avatar, salverò il mondo… Salvarlo da cosa?» aveva chiesto ingenuamente spezzando la tensione.
«Atlas, non cambi proprio mai» aveva detto Alhena accennando una risata.
«Guardate che io ero serio. Salvare il mondo, okay. Ma da cosa?»
 «C’è un’organizzazione denominata “il Loto Bianco”, che si occupa di rintracciare l’Avatar e di allenarlo nei quattro domini. Loro sapevano già chi tu fossi, volevano venirti a prendere, ma ci siamo rifiutati. Tu dovevi apprendere il tuo destino a tempo debito e tu solo puoi scegliere gli insegnanti, che ritieni adatti, per l’acquisizione dei domini»
  «Non hai risposto alla mia domanda zio» aveva detto Atlas interrompendolo.
«Fammici arrivare!» aveva esclamato stizzito « Sai che sono lento e preciso con le spiegazioni» lo aveva rimproverato lo zio con lo sguardo severo e le braccia conserte.
  «Scusa, vai pure avanti» aveva detto il giovane, già tenendosi la testa castana e spettinata, con lo sguardo rivolto al cielo.
 Si era schiarito la voce ed aveva continuato: « Come stavo raccontando, il Loto ti voleva recuperare, ma non è successo. Ora però è il momento che tu vada a Republic City e ti faccia conoscere. Non è importante se ti indurranno a rimanere, tu non cedere e continua per la tua strada. Hai una riunione con i consiglieri, a Republic City Ovest, loro ti illustreranno  i  problemi correnti» aveva detto lui concludendo grave.
  «Ma io non so nulla di politica!» aveva esclamato alzandosi freneticamente in piedi « E se non ne fossi in grado? Non so nulla di come essere Avatar, in verità, non so nulla di me stesso. Non so dove sono nato, il nome di mia madre, per non parlare di quello di papà» lo zio si era alzato e lo aveva abbracciato, con foga e amore. Aveva dato tutto ai suoi ragazzi e veder partire uno di essi era una gran sofferenza.
 «Io sono orgoglioso di te. Troverai te stesso solo con i viaggi che compirai, con la gente che conoscerai e con le avventure che vivrai. Io sono certo che tu sarai un ottimo Avatar, abbi fiducia in te stesso…Figlio» aveva detto Hywen, scompigliandoli la chioma ribelle e facendogli tornare il sorriso.
«Partirò nel tardo pomeriggio» aveva detto con un largo sospiro « Il mondo deve sapere che l’Avatar è tornato» era uscito dal tempio di Kyoshi a passo lento, ma appena oltrepassata la porta era corso verso la statua dell’Avatar presente all’inizio del villaggio. L’alba sorgeva calma e il sole nascente si rispecchiava nel golfo dell’isola, e osservando l’orizzonte davanti a lui lasciava spazio alle sue profonde fantasie.
«Tu come l’hai presa al tempo?» aveva domandato alla statua dell’Avatar Kyoshi, come se potesse rispondergli «Eri una mia vita precedente, no?» sapeva tutto di Kyoshi. Era una donna che ammirava e stimava, ma si sentiva messo in confronto. E se non fosse riuscito a diventare in gamba come lei? Come l’avrebbero presa i suoi compaesani?
Ancora immerso nei suoi angusti pensieri, si era diretto alle stalle. Lì gli abitanti dell’isola tenevano i loro cavalli-struzzo, ma infondo ad essa non riposava uno di quest’ultimi, bensì, un enorme Ligre. Era una grossa gattona, non sapeva bene descriverne le dimensioni, ma  quel felino era in grado di portare quattro persone.
 «Leda ti ho portato da mangiare» aveva detto lui sorridendo, mostrando una bella bisteccona, ovviamente molto al sangue, come lei gradiva. La ligre si era sporta dalla sua recinzione e lo aveva leccato direttamente sulla faccia. Atlas gli aveva lanciato la colazione, che Leda aveva afferrato al volo trangugiandola in due bocconi «Ti voglio bene anche io Leda» aveva abbracciato la sua adorata cucciolona. Tutti avevano paura di lei, ma era molto mansueta per essere una ligre. Voleva farla uscire, ma come poteva? Non appena metteva una zampa fuori tutti si mettevano ad urlare terrorizzati. Continuava ad accarezzare il pelo striato della sua amata Leda, il suo pelo era morbido e fresco e gli occhi gialli erano profondi ed inquisitori. Nemmeno quando l’aveva trovata sotto quel cumolo di pietre aveva avuto paura di lei e non ne avrebbe certo avuta in quel momento «Leda, sta sera si parte. Dovremo affrontare un lungo viaggio, ma ce la faremo. Leda… Io sono l’Avatar» la guardava perso, nonostante sapesse che Leda non poteva farci nulla «Io devo portare pace ed equilibrio nel mondo, ma non c’è nemmeno in me stesso» aveva detto lui entrando nella recinzione e sedendosi accanto a lei.
 «Troverai il tuo equilibrio con tempo, durante i tuoi viaggi, che non farai certo da solo, Atty» aveva detto una voce fuori del recinto di Leda. Era una voce fraterna ed amica, quella della sua migliore amica, sua sorella.
  «Meissa!» aveva esclamato lui offeso «Piantala con questi insopportabili nomignoli. Io sono l’Avatar» aveva detto lui imbronciandosi e incrociando le braccia.
«Non attacca, tu sarai sempre il mio fratellino. Avatar, o non Avatar» aveva detto lei abbracciandolo «Non vedo l’ora di partire. Mia madre dice che è molto cambiata dai tempi in cui l’Avatar Korra ha scritto le prime riforme» ora che lo notava, Meissa era già pronta per partire. Aveva la sua borsa fatta, con tanto di sacchi a pelo (per entrambi) e maglioni pesanti.
 «Scordatelo, tu non vieni. Ѐ una cosa che devo affrontare da solo» aveva proferito lui serio, incominciando a mettere la sella a Leda.
  «Nemmeno Aang sarebbe riuscito a battere il signore del fuoco senza i suoi amici, per non dire che Korra senza Mako, Boulin e Asami non avrebbe proprio combinato nulla. E poi… Sei mio fratello ed io vengo comunque con te» aveva detto lei sorridendogli. Atlas era salito sulla sella e aveva sistemato i viveri nelle tasche a destra della sella in cuoio.
«Che stai aspettando Sorella? Sali altrimenti parte la nave e noi rimaniamo qui» le aveva detto lui facendole l’occhiolino.
 In un balzo Meissa era su Leda. La nave sarebbe partita prima del previsto, quindi avevano salutato in fretta Alhena e Hywen.
«Tornate qui almeno una volta, quando avrete finito il vostro viaggio» aveva detto la donna.
  «Contaci, mamma» aveva risposto Atlas sorridendole benevolo.
Mentre li salutavano, il sole del mezzodì batteva ininterrottamente sulle loro teste e Leda aveva preso a correre verso il porto. Sulla nave vedeva il luogo in cui era naufragato da bambino ed ora riusciva solo a vedere la sua casa, la sua vita da spensierato adolescente, scivolargli via dalle mani e vederla scendere sott’acqua a fare compagnia a Lunaghi. Cominciava la sua avventura.


Appa's Corner:
Rouge: Sbaglio o ti avevo chiesto di restituire Appa?
 Minori: Ma che fastidio ti da? 
Rouge: Il noleggio è salato e non lo paghi te!
 Minori: Ma... Ma... ma io l'ho rapito
Rouge: E io ho ripagato i danni! Vabbè, teniamoci Appa, tanto lo studio è immenso, ci stanno giuste giuste tre sedie oltre al bisonte! Ma comunque, parlando del capitolo speriamo che vi sia piaciuto.
 Minori: Anche perchè l'abbiamo revisionato due volte, quindi...
Rouge: Zitta tu! Occupati di Appa! Tornando a noi... Speriamo che il primo capitolo vi abbia soddisfatto e chiarito. Sono entrati in scena i primi due personaggi principali, Atlas e Meissa. Fateci sapere cosa pensate di loro. Ora ce ne andiamo, alla prossima!

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

La nave aveva attraccato al porto di Città della Repubblica al sorgere del sole. Atlas si era svegliato prima del tempo, quando ancora la luna splendeva alta nel cielo, era in estasi. Voleva visitare la Repubblica da quando era bambino, gli zii avevano raccontato spesso le avventure dell’Avatar Korra e dell’unione delle colonie da parte del signore del fuoco Zuko e dell’Avatar Aang. Erano due giorni che non vedevano la luce del mattino, erano tutti accalcati e c’era un forte odore di marcio e chiuso che echeggiava sotto coperta. Atlas aveva svegliato Meissa ignorando il suo mal di mare e l’aveva condotta fino al ponte, sporgendosi leggermente riuscivano a scorgere la grande città, ma il sorriso era lentamente morto sui loro volti. Un grande muro di pietra divideva la metropoli a metà. La parte Est aveva il filo spinato a circondare il porto, per non parlare delle case; la parte Ovest era esattamente come i due ragazzi si erano sempre immaginati Città della Repubblica. Atlas era sceso sotto coperta ed aveva fatto uscire Leda dalla gabbia per condurla fuori, appena in tempo per vedere il tempio dell’Avatar Aang e la grande statua che lo rappresentava. Atlas era felice di notare che almeno quello era rimasto fedele ai racconti dello zio. Attraccati nella parte Ovest Meissa aveva esultato.
  «Che bella la terra ferma!» aveva esclamato lei entusiasta «Ora visitiamo questa parte di città, era da quando avevo sette anni che voglio visitarla» aveva proferito lei stiracchiandosi.
 «Tu corri troppo» aveva detto Atlas rompendole le uova nel paniere «Sono venuto qui per parlare con i consiglieri, per quanto vorrei visitarla, credo dovremmo rimandare a dopo il giro turistico» aveva concluso lui in tono autoritario, per poi salire sulla sella di Leda e porgerle una mano.
  «Uff» aveva sbuffato lei «Detesto quando hai ragione» ma anche continuando a brontolare era salita in groppa a Leda. Lo zio raccontava delle Sato-mobili che vagavano per la città, ma non c’era la minima ombra di esse per la città, bensì c’erano mezzi pubblici che andavano ad elettricità, come i Tram creati dall’ingegnere Asami e dall’Avatar Korra. Avevano percorso parecchi metri, a quasi un chilometro dal porto, Atlas riusciva a scorgere il palazzo del consiglio. Atlas era sceso dalla sua Ligre ed aveva umilmente bussato alla porta. Ad aprirgli era giunto un uomo alto, smilzo, dai lunghi baffi neri e folti, anche se il resto del capo era calvo; era vestito con uno smoking nero e con il farfallino nero ben sistemato al centro del colletto bianco. Si era sistemato i piccoli occhialetti tondi sulla grossa appendice nasale, attraverso i tali occhiali s’intravedevano due occhi porcini particolarmente vispi .
   «Desidera?» aveva detto l’uomo a gran voce.
«Buon giorno, mi chiamo Atlas e dovrei conferire con i consiglieri» aveva risposto lui cercando di apparire simpatico ed aperto. Il portiere si era messo a ridere senza il benché minimo ritegno.
   «Un ragazzino che chiede di conferire con i grandi consiglieri? Che assurdità!» aveva esclamato l’uomo, ancora ridendo.
«Non è come crede» aveva replicato Atlas offeso « Io sono l’Avatar» aveva concluso lui a braccia conserte.
   «Oh l’Avatar!» aveva esclamato ostentando paura, con insuccesso «Santi numi fuggiamo! » iniziava a diventare irritante e Atlas era sull’orlo del baratro, stava esaurendo la pazienza « Ne ho visti sei solo in una giornata, di Avatar» aveva risposto lui piccato, stava per sbattere la porta in faccia al ragazzo quando una voce femminile, non certamente appartenente a Meissa, aveva richiamato all’ordine il portinaio.
    «Gerard» aveva chiamato «Chi bussa alla nostra porta verrà sempre accolto» era una donna alta e magra, avvolta in delle vesti rosse e ocra; gli occhi erano castani e grandi, esattamente come i capelli lunghi e lisci. Nonostante alcune ciocche fossero legate in un mugno in cima alla testa, un ciuffo sbarazzino le copriva l’occhio destro.
   «C-Consigliera Jinora!» aveva esclamato l’uomo, preso alla sprovvista «Costui insinua di essere l’Avatar»
    «Sei stato più che esauriente Gerard, prego, conduci la ligre del ragazzo alle scuderie del tempio dell’aria grazie» aveva conferito lei in tono mellifluo e con un caldo sorriso.
   «M-Ma illustrissima Jinora, il tempio dell’aria è parecchio lontano da qui, dovrei prendere la barca e…» la consigliera lo aveva bloccato con un elegante cenno della mano.
    «Non credo che ti dispiacerà portare la Ligre dell’Avatar Atlas sin laggiù, potrebbe essere anche un’occasione per te per mettere su qualche muscolo e provare ad interagire col mondo animale» aveva concluso lei mettendogli una mano sulla spalla e sorridendo complice ai due ragazzi. Atlas aveva porto le briglie di Leda all’uomo, quest’ultimo le aveva prese con trepidazione e con circospezione. Leda aveva mostrato i grandi canini bianchi, cominciando a ringhiare ponderosamente.
«Buona Leda, il signore non ha alcuna intenzione di affrontarti, vuole solo condurti al tempio dell’aria. Mi raccomando, non azzannare nessuno mentre sono via» sulla schiena del povero Gerard era percorso un lungo brivido freddo. Si era lisciato nervosamente i baffi e deglutendo aveva chiesto al ragazzo:
   «Chi l’ha affrontata, se mi è concesso chiedere?»
«Un uomo, molto poco furbo, se devo dire la mia» aveva risposto il ragazzo quieto.
   «E-E che fine ha fatto quell’uomo?» aveva domandato lui, nonostante le gambe gli tremassero. Il volto del sedicenne si era fatto serio e il tremolio era cessato.
«Nessuno lo sa, da quel giorno, non si è più visto » il volto del ragazzo era leggermente inquietante e scatenava in Gerard parecchie paure che credeva sepolte.
   «L-La porterò sino al tempio dell’aria signore, si fidi, non le mancherà nulla» «Ne sono certo» aveva detto Atlas, per poi congedarsi dell’umile valletto. Aveva silenziosamente seguito Jinora e Meissa attraverso un corridoio stretto e decorato. Sul tetto erano presenti affreschi riguardanti gli Avatar Aang e Korra, e, a dividere le loro grandi imprese vi erano modanature perlate ben rifinite. Alla fine del corridoio si erano aperte due imponenti porte in vetro, che dividevano il androne dalla sala del consiglio. Era una grande stanza con al centro, posto su un rialzo, un grande tavolo circolare a cui erano seduti i consiglieri, c’era solo un posto libero, riservato a Jinora. Quest’ultima si era seduta ed aveva invitato Atlas ad avvicinarsi.
«Io sono l’Avatar Atlas, molto piacere» aveva cominciato lui accennando un inchino.
    «Lo sapevamo» aveva replicato Jinora ridendo «E sappiamo che sei in compagnia della tua amica e, di fatto, diamo il permesso anche a lei di assistere alle richieste della corte» Meissa si era avvicinata all’amico, aveva accennato un inchino ed aveva atteso che la consigliera cominciasse a parlare
    «Io, come avrete intuito, mi chiamo Jinora e sono la nipote dell’Avatar Aang, nonché portavoce degli accoliti dell’aria» Un uomo alto, con i capelli neri e gli occhi ambrati si era alzato e sistemandosi la folta barba nera, si era presentato:
     «Io sono Dheneb, rappresentante della Nazione del Fuoco, è un onore conoscerti Avatar» la voce dell’uomo era rauca e profonda, quasi avesse il mal di gola.
«Piacere mio» aveva educatamente risposto il ragazzo. Dopo si era alzata una giovane donna, che aveva all’’incirca l’età di Jinora, era snella e con un volto giovane e fresco. Sembrava più giovane di quello che in realtà era.
      «Il mio nome è Agena, mio Avatar, e sono l’ incaricata del Regno della Terra» aveva detto lei scostando i lungi capelli neri dalla spalla.
«È un onore» si era alzato inoltre un uomo sulla trentina, con i capelli castani raccolti in due lunghe trecce e la carnagione scura, metteva in risalto gli occhi azzurri come le acque degli oceani.
        «Sono Achenar, provengo dalla tribù dell’acqua del Sud, in nome dei due clan gemelli» aveva detto lui inchinandosi «Onorato»
-Non possono risparmiarsi le carinerie?- si domandava il ragazzo, mentre ringraziava. Infine si era alzato l’ultimo consigliere, un uomo altero, con i capelli corvini e laccati, gli occhi erano anch’essi neri e rigidi. Era quello che, ad Atlas, piaceva di meno… A primo impatto.
        «Buon giorno Avatar, io sono il rappresentante dei non-dominatori, mi chiamo Grafias» gli aveva porto la sua mano callosa e nodosa, che Atlas aveva stretto solo per educazione, ma quel tipo non gli andava a genio.
«Felice di aver fatto la vostra conoscenza, vostro onore» aveva borbottato Atlas ostentando gioia.  
    «Torniamo ai fatti attuali» aveva incominciato Jinora «Come avrai notato arrivando qui, la nostra città è stata divisa. Già l’Avatar Korra aveva constatato disguidi forti, credendo di fare un bene a Città della Repubblica, ella innalzò una grande muraglia di pietra che divideva la città tra: dittatoriale e democratica. Il persecutore dell’ Est si chiama Alcor, è un uomo infido e vile. Sfortunatamente Korra è morta prima di poterlo fermare e impedirgli di conquistare la parte Est della città. Alcor tratta la sua gente con tirannia, li affama, li fa vivere nella miseria, già diverse volte gli abitanti dell’Est hanno appiccato rivolte, ma nessuna si era rivelata efficacie; sta di fatto che il tiranno non si è fermato a Città della Repubblica, egli ha formato un esercito di mercenari e assassini provetti, che ora marcia nelle lande del Regno della terra e come se non bastasse, circola voce che ci siano dei traditori che confabulano con Alcor per spodestare la democrazia»
«Io cosa centro con tutto ciò? In cosa potrei aiutarvi? Conosco solo il dominio della terra» aveva confessato lui mesto.
    «Atlas, nessun Avatar è nato imparato, col tempo imparerai i quattro domini» lo aveva rassicurato Jinora, con un sorriso incoraggiante «Noi vorremmo che tu spodestassi il tiranno. Può sembrarti una cosa da nulla, ma non è così. Lui è un potente dominatore della terra e del metallo, inoltre è un pluriomicida»
«Fantastico!» aveva esclamato «Sono morto»
      «No» lo aveva esortato Agena «Ma ti converrebbe imparare in fretta gli altri domini. Devi cominciare dal fuoco, poi l’aria ed infine l’acqua. Io proporrei di affidarlo ai maestri del Loto Bianco, loro addestrarono Korra nei domini del fuoco e della terra» aveva suggerito la consigliera.
«Potrei dissentire?» aveva bisbigliato Atlas, anche se non voleva farsi sentire, tutti lo avevano udito e si erano zittiti per ascoltare le sue parole «Io vorrei cercare da solo i miei maestri. So che perderò tempo prezioso utile alla causa, me ne rendo conto, ma devo essere io a tracciare la mia strada. Come Gli Avatar precedenti a Korra, sento di dover girare il mondo per capire chi sono e da chi voglio imparare»
    «Concordo con l’Avatar» aveva proferito Jinora spezzando l’increscioso silenzio che si era venuto a creare «Noi non dobbiamo forzarlo e comunque, potrebbe comunque esserci utile a distanza, basta che tenga conto degli attacchi di Alcor e che tenti di rallentarli, se non addirittura di respingerli. È un ragazzo sveglio e sono certa che potrà diventare un grande Avatar solo seguendo il suo cuore. Chi concorda con me?» aveva domandato infine la donna, facendo alzare le mani di tre consiglieri (sua compresa), contro quelle abbassate di due.
     «Non condivido» aveva confessato Dheneb «Ma se il consiglio suppone si meglio così, allora saprò farmene una ragione» aveva concluso lui sistemandosi l’ispida barba nera.
      «Io continuo ad essere contro questa sentenza» aveva proferito severa Agena «La gente dell’Est muore e patisce, subisce l’ira di Alcor mentre l’Avatar impara i domini. Se si esercitasse qui, con i grandi maestri del Loto Bianco, sono sicura che potrebbe battere il dittatore molto prima»
    «Ci metterebbe tanto ugualmente» aveva replicato Jinora «Rammento quando Korra venne da mio padre per farsi insegnare il dominio dell’aria, ci volle tempo, molto più di quanto Korra non desiderasse. Ogni cosa ha il suo tempo Agena, non sappiamo nemmeno quale dominio gli risulterà più difficile rispetto agli altri ed inoltre, se lui vuole tornare alle mere origini dell’Avatar, ben venga. E con questo, la sentenza è chiusa: l’Avatar Atlas girerà il mondo alla ricerca dei maestri per il dominio, affinché possa battere il tiranno Alcor, ma durante i suoi viaggi egli continuerà a tenerci informati sugli spostamenti dell’esercito nemico. L’assemblea è sciolta, se l’Avatar è d’accordo» la dominatrice dell’aria, si era voltata verso di lui alla ricerca di un consenso.
«Sono a favore della sentenza data, l’assemblea può sciogliersi» aveva assecondato lui. Gli uomini si erano alzati dalle loro sedie, per poi dirigersi in quattro direzioni differenti, tranne Jinora che era rimasta seduta al suo posto.
    «Ottimo inizio Atlas, è giusto dar fede ai propri ideali, scommetto che questa caratteristica ti sarà utile» aveva detto lei alzandosi calma.
«La ringrazio. Onorevole Jinora» aveva cominciato Atlas inchinandosi «Vorrei chiederle se acconsentirebbe a divenire la mia insegnante di dominio dell’aria»
    «Allievo Atlas raddrizzati, o ti verrà male alla spina dorsale. Ora tu e la tua amica seguitemi» Atlas si era lasciato sfuggire un “sì” molto entusiasta, che aveva scatenato l’ilarità dell’amica e della nuova maestra. Usciti dal palazzo, Jinora aveva soffiato in un fischietto e dopo qualche minuto, era atterrato ai loro piedi un bisonte volante, munito di sella e briglie.
  «Wow!» aveva esclamato Meissa « non aveva mai visto un bisonte volate prima d’ora. Davvero un poderoso maschio della specie»
    «È una femmina » aveva corretto Jinora «Il suo nome è Gienah. Accarezzala pure» l’aveva invitata lei. Meissa aveva poggiato cautamente la mano, ma poi si era liberata del suo piccolo timore per accoccolarsi sul morbido pelo della bisonte. Dall’alto Città della Repubblica sembrava ancora più segnata dalla dittatura e ad Atlas dispiaceva, se si fosse rivelato prima, se avesse cominciato il suo viaggio qualche tempo addietro, forse, avrebbe potuto evitare tutto ciò.
  «Atlas, non ci pensare, aiuteremo quella gente, ma non ora. Prima devi apprendere gli altri domini» aveva detto Meissa, cercando di confortarlo.
«Lo so» aveva detto lui «Ero semplicemente sovrappensiero» Il bisonte era atterrato al tempio dell’aria, un monaco era arrivato, aveva preso le briglie e lo aveva condotto fino alle stalle, dalle quali era uscita Leda con in groppa due bambini esagitati. La ligre era saltata addosso al suo padrone, leccandolo e , di conseguenza, bagnandolo.
«Leda seduta» aveva ordinato Atlas per poi rialzarsi.
     «È tua?» aveva domandato una bambina, dagli occhi grigi e vispi, il cui naso era piccolo e all’insù, capelli erano castani e legati in una lunga treccia.
«Sì» aveva confermato l’Avatar «Si chiama Leda, è un esemplare di Ligre»
       «Woow!» aveva sospirato sognante anche l’altro bambino, con gli occhioni castani sgranati. Come il resto degli accoliti dell’aria maschi era pelato, ma non aveva alcun tatuaggio, era probabilmente troppo piccolo per farselo.
    «Rigel! Merope! Scendete dalla Ligre dell’Avatar e presentatevi come si deve, mostrate agli ospiti le loro stanze e il tempio il generale»
«Va bene mamma!» avevano esclamato in coro i bambini, di al massimo dieci anni, che erano saltati giù da Leda atterrando su una palla d’aria.
     «Tu quindi sei l’Avatar?» aveva domandato la bambina «Io sono Merope, tanto piacere»
 «Atlas e il piacere è tutto mio»
      «Ed io sono Rigel!» aveva esclamato l’altro, spintonando la sorella «e io sono il maggiore»
      «Smettila!» aveva gridato l’atra «Sei nato solo un’ora prima»
      «Sono comunque più grande»
     «Hai la mia stessa età mongolo» erano sul punto di pestarsi, ma una voce li aveva fermati.
       «BASTA!» aveva gridato una voce maschile sulla porta «Disturbate ragazzi. Vi sembra modo? Vostra madre non è in condizione di sculacciarvi, ma io sì. Fate quello che vi ha detto» l’uomo aveva i capelli lunghi e legati in una coda, indossava le vesti degli accoliti dell’aria, ma Atlas intuiva che egli non fosse un dominatore di alcun genere. Gli occhi dell’uomo erano grigi e profondi e il viso era massiccio, ma non appariva severo.
«Sì papà» avevano detto i due in coro, con aria afflitta.
    «Lesath, lui è Atlas, il nuovo Avatar» aveva detto Jinora, una volta raggiunta dal marito, la cui bocca, nel vedere il ragazzo, si era aperta in un largo sorriso.
       «È meraviglioso averti qui, ora i miei due piccoli demoni, che fra qualche mese saranno in tre, vi faranno fare il giro del tempio» a quel “tre” Atlas era rimasto spiazzato.
«Maestra Jinora, siete incinta?» aveva domandato Atlas in tono scioccato.
    «Sì» aveva risposto lei sorridente «Da ben due mesi oramai»
«Allora dovrò trovare un’altra maestra, o maestro del dominio dell’aria, lei deve rimanere a riposo»
    «Tranquillo Atlas, il dominio dell’aria è basato sulla meditazione, non c’è nulla di più rilassante e inoltre, tu dovrai cominciare la tua istruzione dal dominio del fuoco» le aveva ricordato lei «Ora segui Merope, lei ti condurrà nei tuoi alloggi. Mentre tu Meissa, segui Rigel» Atlas aveva ringraziato e si era diretto con Merope nelle sue stanze. Era una camera umile e semplice, molto simile a quella che aveva sull’isola di Kyoshi, in un certo senso aveva sapore di casa. Le pareti erano intonacate di bianco, c’era una scrivania in legno d’acacia, un armadio nello stesso materiale, un letto attaccato la parete con lenzuola in lino ed infine una finestra dalla quale si riusciva a scorgere il santuario dedicato all’Avatar Aang. La cena vegetariana non era male, ma Atlas era un carnivoro convinto e si era tenuto da parte qualche avanzo di carne essiccata, per lui e per Leda. Il piccolo Rigel aveva preso anche lei per vegetariana, ma a Leda il fieno proprio non andava giù.
  «Allora Atty» aveva detto Meissa alle sue spalle «Domani che facciamo di bello? La città è grande e aspetta solo noi» aveva detto lei sedendosi affianco a lui e Leda.
«Stavo pensando di andare nella parte Est della città» aveva confessato lui.
  «Che cosa?!» aveva gridato Meissa scioccata «Dico ma ti è dato di volta il cervello fratello? Quello è territorio nemico, se scoprono chi sei metteranno una taglia sulla tua testa»
«Vero, ma devo correre il rischio. Sento che là troverò il maestro del fuoco di cui ho bisogno, e poi devo rendermi conto a pelle di quello che accade laggiù» si era spiegato lui.
  «Atlas, capisco, ma questa è senz’ombra di dubbio la cosa più scema e avventata che tu abbia mai fatto in vita tua!» lo aveva rimproverato lei.
«Vero anche questo, ma tu, lo farai con me» aveva detto lui con un sorrisetto sornione.
  «Certo, checché ne dicano tu sei come un fratello per me, non ti abbandonerò ora»
«Lo so» La notte era passata tranquilla, peccato che i materassi fossero duri come le pietre, tanto da provocare un forte mal di schiena ai due ragazzi. Avevano fatto una silenziosa colazione, avevano preso qualche mantello ed erano salpati con Leda alla volta della parte Est. Il muro era alto e grigio, circondato da filo spinato, dalle postazioni di vedetta, un poliziotto, ai tempi di Korra era una grande autorità, vigilava il muro. In poco tempo li aveva notati e gli aveva puntato contro un poderoso masso.
«Vorremmo transitare nella parte est della città, il mio nome è Lee e lei è mia sorella Jin» aveva urlato Atlas, cercando di nascondere il volto col cappuccio del mantello arancione.
 «Siete dominatori?» aveva domandato indagatore.
«No signore, umili commercianti del Regno della Terra, signore» aveva mentito Atlas, convincendo la guardia, che aveva aperto loro un varco nella grande muraglia armata. Le strade erano sporche di sputo e sangue, odoravano di urina e fumo. Molta gente elemosinava e viveva alla mercé della carreggiata, tra lo sporco e la miseria. Le guardie frustavano i coloro che non stavano alle regole, negli sguardi della gente Atlas vedeva la voglia di rinascere, vedeva la ribellione, vedeva la loro impossibilità di farcela con le loro uniche forze.
  «È uno spettacolo orrendo Atlas, ti scongiuro, andiamocene» aveva proferito Meissa con voce grave, stringendosi al ventre dell’amico.
«Cerchiamo in un altro posto, qui ho visto abbastanza» aveva concordato Atlas. Avevano fatto svoltare Leda un paio di volte a destra ed un paio a sinistra, credevano di essere ritornati al muro, ma erano finiti nel pieno di una rissa organizzata. Era un grande piazzale, dove tanta gente si era adunata per vedere due uomini che se le davano di santa ragione in una gabbia.
  «Forte!» aveva esclamato Meissa «finalmente qualcosa di interessante in tutto questo sudiciume depressivo»
«Mah sì, stiamo a vedere» l’aveva assecondata Atlas. «Alla mia destra, con un peso effettivo di 78 chilogrammi, Il Distruttore!» era un classico omone tutto muscoli e niente cervello, con solo le donne e i soldi in testa «Contro il campione in carica alla mia sinistra, con un peso di 50 chilogrammi, l’uomo senza identità!» era un uomo mingherlino, senza muscoli, nascosto da un mantello rosso. Atlas aveva intuito che il suo punto di potenza era l’arguzia e non la forza bruta.
  «Pfft…» aveva cercato di contenersi Meissa «Quel secchettume non lo batterà mai, è una battaglia vinta in partenza. Sembra Thop Beifong quando si spacciava per la bandita cieca»
«Non credo sia un dominatore Meissa, ritengo sia solo furbo» il campanello dell’inizio era suonato e il distruttore, come volevasi dimostrare si era subito accanito contro l’avversario, che rimaneva immobile.   
  «Pazzo!» aveva gridato Meissa «Quello è pazzo, verrà massacrato! Lo spezzerà in due come uno stuzzicadenti» L’uomo col mantello si era scansato ed aveva tirato un poderoso calcio al ventre dell’avversario.
«Ahia!» aveva esclamato Atlas, provando dolore al posto del Distruttore, gli aveva tirato un colpo parecchio poderoso. Ma non si era certo fermato lì, anzi! Il ragazzo col mantello aveva preso a tirargli pugni sul viso, fino a fargli perdere un dente e procurargli un occhio pesto. Aveva concluso con una botta in testa, con conseguente nasca sanguinante, facendolo cadere a terra sfinito.
«Ancora una volta vince… L’uomo senza identità!» aveva gridato il cronista dal microfono. Il distruttore si era rialzato ed aveva puntato contro il dito all’uomo col mantello.
   «Cacciatela, è una donna! Ho visto attraverso il suo cappuccio, non merita i soldi che le date! I nostri!» l’uomo dal viso nascosto era rimasto in silenzio, muto, senza ribattere.
  «Hanno mangiato la lingua a quell’uomo? O-O donna che sia?» aveva domandato Meissa, ma Atlas non la stava ascoltando, perché credeva alle parole del Distruttore.
  «Che sciocchezza!» aveva esclamato il cronista «Abbiamo già esaminato è un uomo»
   «Chi, se mi è permesso chiedere, gli ha mai tirato un calcio al ventre? Nessuno, vero? Costui, o meglio dire, costei è una bugiarda» Il cronista era scoppiato in una risata isterica
   «Vai pure ragazzo, portati a casa i soldi, non dar retta a questo stolto» il ragazzo col mantello aveva preso la grana ed era uscito dalla gabbia di metallo.
    «Stolto io?» aveva gridato offeso il Distruttore.
   «Costui semplicemente è più svelto dell’avversario, se si tiene ben stretti i gioielli di famiglia fa solo che bene»
    «Vi dimostrerò che costui è una donna! Parola mia!» era corso fuori dalla gabbia ed aveva cominciato a seguire l’uomo senza identità ed Atlas lo aveva imitato.
  «Che stai facendo? La muraglia, è dall’altra parte Atlas» aveva ricordato Meissa.
«Ma io non sto andando alla muraglia» aveva confessato lui «Io sto seguendo l’uomo col mantello»
  «Din-din-din! Altra pessima mossa per l’Avatar Atlas, è qui già da due giorni e ha combinato solo casini. Dammi retta, squagliamocela» aveva proposto lei.
«No. Io devo scoprire chi è» si era intestardito lui. Al crocevia di due strade il Distruttore era andato a destra, ma non si era accorto del lembo di mantello rimasto incastrato nella parte sinistra. Lo aveva fatto pazientemente annusare a Leda, che aveva subito seguito la pista fino ad una vecchia locanda diroccata, in cui l’uomo senza identità era appena entrato. Meissa ed Atlas si erano affacciati alla finestra del locale: potevano vedere ed udire tutto. Il ragazzo col mantello aveva nascosto i soldi dietro una fessura nel muro, in modo da non destare sospetti.
   «Arawen, sei tu?» aveva detto una poderosa voce maschile. Dalle scale era sceso un uomo grasso e baffuto, i capelli anche se radi erano grigi come i baffi, gli occhi porcini erano nascosti dietro due piccole lenti tonde. Egli scendeva goffamente le scale per via di una gamba di legno al posto del piede destro.   
  «Arawen?» aveva ribadito Meissa, rimarcando bene il nome «Non mi sembra un nome maschile» aveva commentato lei. Atlas aveva fatto un cenno d’assenso, perché concordava con lei, quello era un nome tutt’altro che maschile.
 «Sì Avior, sono io» aveva confermato una voce suadente, fresca, ma allo stesso tempo calda come le fiamme. Quella non era la voce di un uomo.
  «Allora ce l’ha la voce la bastarda!» aveva commentato Meissa furiosa.
«Abbassa i toni Meissa» l’aveva rimproverata Atlas.
  «Scusa…» La ragazza si era tolta i l cappuccio mostrando il volto, finalmente. Era un viso snello, quello di una classica sedicenne, gli occhi erano color dell’ambra caldi e profondi come gli ignoti tesori della Nazione del Fuoco, ma quella ragazza aveva qualcosa di diverso rispetto a qualsiasi altra: era bionda. Aveva dei lunghi capelli lisci raccolti in una coda. Con soffio aveva spostato il ciuffo di capelli biondo cenere qua e là, tanto per toglierseli dagli occhi; le labbra erano sottili, ma piene e carnose. Atlas doveva ammettere che era davvero bella, con la sua data quantità di fascino femminile.
  «Ehy» lo aveva richiamato Meissa «Sei ancora in preda agli ormoni, o ti si può parlare?»
«In preda agli…Meissa! Non sono in preda proprio ad un bel niente!» si era messo lui sulla difensiva.
  «Okay, okay, ma se non lo fossi realmente stato non te la saresti presa Atty… Comunque» aveva continuato lei, mentre Atlas tentava di ricomporre i nervi «Direi di entrare e pigliarci qualcosa da bere, presentiamoci, conosciamola, forse lei può darci informazioni sul tiranno»
«Hai avuto un idea geniale!» aveva esclamato Atlas sorpreso.
  «Lo so» aveva detto lei atteggiandosi. I due avevano legato Leda ad un palo, Atlas aveva fatto dei nodi impossibili vista la gente che girava nei dintorni aveva preferito legarla stretta. Poi erano entrati nella locanda, che nel mentre facevano i nodi si era riempita. Era pieno di uomini e ragazzini dell’età sua e di Meissa, si erano seduti all’unico tavolo libero infondo alla sala. Non capivano, soprattutto Meissa, perché così tanta fauna maschile radunata in un solo luogo. Era un posto carino, molto più all’interno che non all’esterno, il lampadario in vetro illuminava la sala e la radio passava la musica ad alto volume. Al loro tavolo si era presentata una cameriera, e non una qualsiasi, era la ragazza del mantello. Atlas aveva capito perché i maschi si erano radunati a fiotti: quella ragazza era vestita in modo a dir poco provocante. Portava una camicia bianca che le lasciava i seni in gran parte scoperti, sostenuti da un corsetto che le arrivava all’incirca a metà busto, che era lasciato anch’esso scoperto lasciando in vista il fisico snello e atletico. La gonna le arrivava a metà delle gambe sottili e allenate, infine portava ai piedi dei bellissimi sandali in cuoio.
 «Vuole ordinare signore o vuole fare entrare le mosche in bocca tutta la sera? Ho altri clienti, io» aveva detto lei sorridendo calma, cercando di nascondere il tono seccato.
«Fiocchi di fuoco, grazie» aveva detto Atlas, era certo di averlo detto alla velocità della cometa di Sozin. Si vergognava come un cane.
 «Molto bene, un tè al gelsomino e dei fiocchi di fuoco in arrivo al tavolo 19» aveva detto lei tranquilla.
  «Ti ho capito sai?» aveva detto Meissa dando un pugnetto amichevole sul gomito dell’amico «Lei, ti piace»
«Cosa?!» aveva detto quasi in falsetto.
  «Hai capito: lei-ti-piace!» aveva ribadito Meissa scandendo bene le parole.
«Non essere ridicola!» aveva esclamato lui «L’ho appena conosciuta, manco so il suo nome, come fai ad affermare una cosa del genere?» La ragazza era tornata col loro vassoio, aveva premurosamente poggiato i fiocchi di fuoco sul tavolo ed Atlas era rimasto a guardarla assorto. La locandiera aveva poggiato anche il tè di Meissa ed aveva levato le tende.
  «Credo che tu possa risponderti da solo faccia da triglia» aveva proferito lei , mentre sorseggiava il suo tè
  «Chiedile il nome, anche se lo sai già» Atlas l’aveva fermata
«Scusa, ehm…Non so il tuo nome»
 «Arawen» aveva risposto lei laconica.
«Giusto, ehm…Arawen, volevo chiederti un altro tè al gelsomino al tavolo 19» aveva proferito lui, cercando di trattenersi ed evitare di parlare a macchinetta.
 «Arriva, tu vai pure a sederti al tavolo….Nome?» aveva domandato lei sorridente.
«Atlas, mi chiamo Atlas»
«Bene, Atlas, che ne diresti di sederti e smetterla di toccarmi la gonna? Sai, è leggermente irritante»
«Sì, scusa» ed era velocemente tornato al tavolo, con Meissa che rideva silenziosamente.
  «Sei davvero pessimo»
«Che bell’incoraggiamento» aveva detto tenendosi sfacciatamente il capo. La porta della locanda si era aperta di botto, lasciando entrare tutto il vento gelido di Febbraio. Arawen ed Avior erano accorsi in sala ed anche Atlas era stupito nel rivedere il Distruttore lì, che si era subito accanito contro Arawen.
   «Dimmi dove lo nascondi donna!» aveva gridato lui.
 «Nascondere chi, alito che uccide?» aveva detto lei con strafottenza.
   «O forse sei tu l’uomo senza identità?» aveva continuato a sbraitare lui.
 «Non l’ho mai sentito nominare, né io, né il mio titolare. Ora, fuori dalla locanda» aveva detto lei seria e velenosa. L’uomo era uscito a testa bassa con un ghigno feroce disegnato sul volto, non sarebbe finita lì. Atlas e Meissa si erano capiti solo con uno sguardo: tenere d’occhio Arawen. Anche se era perfettamente in grado di cavarsela da sola. Come sospettavano una volta chiusa la locanda, Arawen aveva ripreso il malloppo guadagnato nella gabbia, si era rimessa il mantello ed, una volta uscita, il Distruttore aveva iniziato a pedinarla. Atlas e Meissa erano saltati in groppa a Leda, che aveva seguito la traccia dell’odore di Arawen fino ad un piazzale. Era circondato da catapecchie che cadevano a pezzi, stavano in piedi per miracolo, i panni sporchi non venivano lavati, ma utilizzati come coperte. Non circolava acqua potabile. Atlas e Meissa erano nascosti negli anfratti di un vicolo, ad osservare.
  «Che ci fa in un posto simile?» aveva domandato lei.
«Non ne ho idea» I bambini erano vestiti di stracci, ma le venivano incontro con i volti illuminati di gioia, Arawen dava loro parte del compenso della gabbia. Dava denaro a tutti, finché il sacchetto di iuta che li conteneva era rimasto vuoto.
  «Però» aveva commentato Meissa a gran voce « In gamba per essere una non-dominatrice»
«Già…» aveva concordato Atlas, a bassa voce.
«Attenta Arawen!» aveva gridato una bambina «Alle tue spalle!» Arawen non aveva fatto in tempo a difendersi che il Distruttore le era piombato addosso come una fuia cieca, l’aveva attaccata al muro prendendola per il collo.
   «Avevo detto che eri una donna, ma nessuno mi ha creduto. Maledetta, ti sei nascosta bene, ma cosa volevano verificare, con un po’ di carta nei pantaloni si fa tutto non è così?» le aveva sbattuto la testa contro il muro, stentava a respirare. Come Atlas immaginava, l’aveva presa in contropiede
   «Guardati come se forte ora» un forte masso aveva colpito la testa dell’uomo, facendolo cadere a terra sanguinante. Atlas era corso incontro ad Arawen che tossicchiava a malapena.
«Stai bene?» aveva detto lui porgendole la mano.
 «Mai stata meglio, Atlas» aveva detto lei rialzandosi da sola. Lo guardava fisso negli occhi e lui non poteva fare altro che fissarli a sua volta. Anche perché si era ricordata il suo nome!
 «Stupido fai attenzione!» aveva gridato lei, facendogli riprendere il controllo della situazione. Aveva fatto un gesto con le mani che aveva diviso loro dal Distruttore, ma non era bastato. Il Distruttore aveva saltato il muro, e stava per tirare un pugno ad Atlas, ma era stato bloccato da un colpo di fuoco. Alle sue spalle Arawen lo stava distruggendo a colpi di dominio. Si muoveva sinuosamente, attaccava la radice dei piedi, fino a far cadere l’avversario. Atlas gli aveva dato il colpo di grazia, bloccandolo tra degli spuntoni di roccia.
   «C-Chi siete?» aveva domandato quasi spaurito lui.  
 «Io sono Arawen, sono una dominatrice del fuoco»
«Ed io sono l’Avatar Atlas….Direi che dicendo questo ho spiegato tutto, no?» si era voltato verso Arawen alla ricerca di un consenso, ma si era appena reso conto, grazie alla faccia sbalordita della ragazza, che aveva sbandierato il suo nome e la sua identità ai quattro venti. Aveva fatto salire Arawen su Leda ed insieme erano arrivati nella locanda, erano scesi nei sotterranei dove alloggiava la giovane dominatrice del fuoco. Era una stanza piccola e buia, senza finestre, con solo delle candele ad illuminare la camera. Una branda di paglia con un lenzuolo in lino sopra era quello che Arawen definiva letto e non aveva scrivanie.
 «Quindi» aveva cominciato lei «Tu sei l’Avatar»»
«Esatto, sono proprio io» aveva confermato lui fiero.
 «Sei il più stupido di tutti» aveva detto lei facendo ridere Meissa e smorzando l’entusiasmo del diretto interessato «Come ti viene in mente di dire, ad un ceffo come quello soprattutto, di essere l’Avatar?! Sai che ti metteranno sui manifesti»
«Forte, spero mi ritraggano bene»
 «Lo faranno, dato che ci sarà una taglia sulla tua testa, razza di incosciente!» lo aveva rimproverato lei, mentre accarezzava un falco che si era appollaiato sulla sua spalla. Atlas prima non lo aveva notato
 «Oh, ragazzi, lui è Avalon, il mio falco messaggero»
«Carino…Cioè, volevo dire: hai ragione, ma ora che sono qui vorrei chiederti una cosa importante» aveva cominciato lui.
 «Sarebbe?»
«Vorresti essere la mia insegnate di dominio del fuoco?» aveva domandato lui ritornando all’entusiasmo iniziale.
 «Io? Non ti converrebbe scegliere qualcun altro?» aveva domandato lei.
«No, io sento che tu sei la migliore, sia per come combatti, sia per come affronti la vita» Arawen aveva fatto un sorriso complice e nel vedere la mano di Atlas tesa verso di lei non aveva esitato nel stringerla.
 «E sia Avatar, dammi il tempo di salutare» Arawen aveva salutato il titolare della locanda e si era scusata per il licenziamento. Poi era salita su Leda e, tutti e tre, erano tornati nella parte Ovest, a nuoto, a parte Avalon che volava fiero sopra le loro teste. Ma nessuno di loro poteva sapere, che cosa stava accadendo all’interno del palazzo della signoria.
      «Come hai detto che si chiama?» aveva proferito una voce guardinga e malvagia.
   «Atlas signore, Avatar Atlas» aveva confessato il tanto temuto Distruttore, ora ammanettato. Con un gesto della mano l’uomo aveva richiamato le guardie:
     «Portatelo nelle segrete, non mi serve più»
   «No la prego Alcor signore» gridava esasperato l’uomo, ma il tiranno ignorava le sue grida tormentate.
    «Shedar! Shayla! Venite qui, oh miei fedeli, ho una missione per voi» dall’ombra dei tendoni in velluto rosso erano apparsi due loschi figuri, di non si vedeva il volto «Trovate l’Avatar, portatemelo qui voglio ucciderlo con le mie stesse mani» una profonda risata aveva riempito la sala del trono, se non tutto il palazzo.


Appa's Corner:
Rouge: Fiu, meno male, anche questo è andato
 Minori: Forse ti peserebbe di meno lavorare se non lo facessi alle due del mattino!
Rouge: Non ho sonno, sfrutto la cosa in maniera utile non come te che ti acciambelli contro Appa e dormi!
 Minori: Ehi, non tirarlo in mezzo, lui è innocente! Comunque, di solito di notte si dorme.
Rouge: Io sono una sovversiva, e comunque il prossimo capitolo è tutto tuo quindi... 
 Minori: Ah, è vero...Beh salutiamo... Un ultima cosa, vi mostriamo i personaggi come ce li siamo immaginati noi con qualche informazione, speriamo sia cosa gradita.
Rouge: Si, si, bla-bla... Arrivederci gente, fateci sapere che ne pensate!


Nome: Atlas
 Dominio: E' L'Avatar... Non c'è molto da dire
Nazione: Della Terra
 Compleanno: 7 Febbraio

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 

Avevano percorso qualche metro prima di arrivare al porto dell’Ovest, ma erano comunque riusciti a salire sul traghetto che fermava al tempio degli accoliti dell’aria. Il sole stava sorgendo ed Avalon, il falco di Arawen, volava leggero sopra di loro. In seguito ad un lungo fischio il falco era ritornato dalla padrona, appollaiandosi comodo sul suo braccio e si godeva i grattini che lei gli faceva sul capo.
Atlas si era seduto affianco alla ragazza, suscitando l’euforia di Meissa. Voleva attaccare bottone con Arawen, era certo che lei potesse rivelarsi molto più spigliata, perché non si era aperta con loro, era rimasta silenziosa, schiva e sfuggevole. Atlas era certo che lei poteva essere una ragazza davvero simpatica.
 «Allora Arawen, quanti anni hai?» aveva domandato lui lì per lì. Era una domanda idiota, lo sapeva, ma voleva conoscerla nel profondo, a partire dalle cose più inutili.
  «Ho sedici anni» aveva detto lei, incisiva come sempre.
«E…Dove sei nata?» aveva chiesto ancora lui. Era curioso, quella ragazza era affascinante sotto parecchie luci, molte delle quali ancora spente… Ma lui avrebbe trovato il modo di accenderle tutte.
  «Sono nata nella Nazione del Fuo…Ehy, ma a te che interessa?» aveva sbottato lei, rigirando la domanda.
«Dato che sarai la mia maestra vorrei sapere qualcosa in più di te» aveva detto lui facendo spallucce.
  «E ti serve per forza la storia della mia vita?» aveva domandato lei insospettita, inarcando un sopracciglio.
«Sì» aveva risposto lui conciso.
  «Beh, io non credo di volerla raccontare ad un estraneo!» aveva esclamato lei indispettita, per poi rifugiarsi nella cabina di comando.
   «Uh-Uh, brucia questa, eh?» lo aveva canzonato Meissa, mentre si dedicava a coccolare Leda.
«Non volevo le saltasse la mosca al naso» aveva confessato Atlas dispiaciuto «anche perché è molto carino»
   «Riecco la conferma: tu hai una cotta per Arawen» aveva detto lei in tono beffardo, soffocando qualche risata.
«Anche se fosse, quanto ti costa un incoraggiamento?» era  sbottato lui esasperato dai commenti dell’amica « È troppo dire: “ dai Atlas sono certa che riuscirai a conoscerla meglio e farla aprire al mondo”! Ma no! Tu devi sempre prendermi in giro»
  «Senti don Giovanni, se lei non ti degna di uno sguardo, non è colpa mia» Atlas le aveva messo il broncio ed aveva cominciato a fare l’offeso «Ma le cose migliori non si ottengono così, ma bisogna conquistarsele e credo che tu lo sappia meglio di altri» aveva detto lei mettendogli un braccio intorno alla spalla.
«Ecco! Quanto ti è costato dirmi una cosa gentile?»
 «Ho mandato nel regno dello spirito tutto il mio orgoglio, quando con i tuoi mistici poteri di Avatar ci andrai, riportamelo per favore» 
«Ah-Ah-Ah. Che ironia, chissà perché non mi fa ridere» aveva detto lui imbronciandosi ancora di più.
 «Oh avanti musone!» aveva esclamato lei «Ti consiglio di prenderla da parte farvi una chiacchierata. In questo modo potrebbe aprirsi un po’ con noi»
«Grazie per il consiglio»  aveva esultato lui ritrovando l’entusiasmo «lo farò e la metterò a suo agio»
 Erano tornati al tempio dell’aria e Jinora li attendeva sul molo. Atlas capiva che era arrabbiata, si vedeva dal suo sguardo, serio e severo. Avrebbero ricevuto una bella strigliata.
 «Atlas, Meissa!» aveva, infatti, esclamato lei adirata «Siete andati nella parte Est della città? Come avete potuto essere così avventati? Vi hanno scoperti, sanno chi sei Atlas tutto l’Est è tappezzato di manifesti che ti rappresentano. C’è una taglia sulla tua testa» lo aveva rimproverato lei.
  «È tutta colpa mia» aveva confessato Atlas pentito «Ho agito senza pensare alle conseguenze, sono stato un incosciente»
«Almeno hai riconosciuto le tue colpe, è un gran passo in avanti. Ora è il momento di trovare alla svelta un maestro del dominio del fuoco» aveva detto lei  stringendogli le spalle con fare materno.
 «Beh, si dà il caso, che nella mia gita nell’Est io ne abbia trovato uno» aveva detto Atlas, porgendo la mano ad Arawen. Era strano per lei fare da insegnante, far conoscere ad altri il dominio.
 «Buon giorno, il mio nome è Arawen e, beh, spero di insegnare ad Atlas il dominio del fuoco» aveva cercato di essere il più formale possibile, si sentiva in imbarazzo. Era molto tempo che non assaporava l’aria delle persone benestanti, di quelli che non vivevano nella più completa miseria come lei aveva fatto per anni.
 «È un piacere conoscerti, io sono Jinora, capo degli accoliti dell’aria. Sostieni che il tempio possa essere all’altezza per l’apprendimento del dominio del fuoco?» aveva domandato lei sorridente. Arawen si era guardata intorno qualche attimo per poi sorridere bonaria.
  «Sarà perfetto onorevole Jinora»
«Ne sono entusiasta» aveva affermato lei, ricambiando il sorriso «Atlas» aveva poi continuato la donna rivolgendosi a lui «Accompagna la tua maestra nelle sue stanze, per quanto riguarda te Meissa, ho una lettera a te indirizzata da parte di tua madre» Meissa era corsa con Jinora mentre Atlas accompagnava Arawen nelle sue stanze. Nel vedere la camera, la ragazza si era buttata istintivamente sul letto, ridendo liberamente. Aveva una bella risata, calda e fresca allo stesso tempo, come il suo sorriso: luminoso come il sole.
 -Perché sorride così di rado?- si domandava Atlas –È così bella quando è se stessa-
«Ti piace?» aveva domandato Atlas sorridendo. Era contagiato dall’allegria di Arawen in quel momento.
  «Sì, tantissimo!» aveva esclamato lei ridendo «erano anni che non dormivo su un letto vero, con una finestra»
«Cosa ti è successo per farti chiudere ed incupire così tanto? Ora sembri una persona totalmente differente da quella che mi ha scaricato sul traghetto» aveva commentato lui sedendosi al suo fianco e levandole il sorriso.
 «Io non ne ho mai parlato con nessuno» aveva confessato lei.
   «Puoi provare a raccontarlo a me» aveva detto lui sorridendo rassicurante.
«Ah! E va bene!» aveva ceduto lei, lasciandosi cadere sul letto, per poi raggomitolarsi nel cuscino «Non so perché lo racconto proprio a te, però… Beh, la mia storia inizia da mio padre. Lui  viaggiò per tutto il mondo, conoscendo popoli e arti marziali differenti, imparò tanto e un giorno volle ritornare in patria: la Nazione del Fuoco. Lì conobbe mia madre ed ebbero me, inutile dire che si amavano molto. Mio padre divenne caporale al servizio del generale Iroh e si trasferì a Città dell’Est, lo vedevamo di rado, ma lui tornava sempre e rimaneva con noi il più possibile. Un giorno ci regalò Avalon e quel giorno iniziò il mio addestramento al dominio del fuoco. Non ho avuto un’infanzia particolarmente traumatica come puoi notare, vivevamo bene, eravamo agiati. Mio padre venne promosso allo stato di generale dopo la morte di Iroh, a quell’incarico mio padre era deciso ad assemblare un’offensiva contro Alcor, ma andò in fumo. L’Avatar Korra era morta ormai da sei anni, le colonie avevano perso il loro miglior generale e quello nuovo, conosciuto per le sue grandi imprese, era stato sconfitto miseramente. Alcor prese la parte di Città della Repubblica dove vivevamo, prima ci imbottì di tasse, poi ci sfrattò mandandoci a vivere sotto i ponti. Mio padre non si arrese con me, era deciso ad insegnarmi le tecniche del dominio, mi disse che anche una donna doveva difendersi. Era passato un anno,  e mio padre non si era dato per vinto, né con i miei allenamenti, né con l’Ordine del Drago»
  «Ordine del Drago?» aveva domandato Atlas, interrompendo la storia di Arawen.
«Esatto. Mio padre dopo essere stato sfrattato si coalizzò con la gente maltratta da Alcor e con loro creò l’Ordine del Drago. Insegnò anche ai più deboli come impugnare una spada, cercarono di accendere la rivolta. Agli occhi di una bambina di sette anni, beh, erano degli eroi. I primi passi del piano erano andati a buon fine, ma qualcosa andò storto. Quella sera Alcor si assicurò di persona che mio padre non destasse più problemi a lui e alla sua dittatura, io e mia madre, nel giro di un giorno, eravamo ricercate. Scappammo da Città dell’Est per miracolo. Nel  viaggio io continuavo ad appianare tattiche del dominio e le fondevo con le mosse che imparavo dalle genti delle varie colonie che incontravo, come mio padre prima di me. Durante quel viaggio, mia madre si ammalò gravemente e persi una persona cara. La scomparsa di quella persona era stata la seconda, dopo la morte di mio padre, vera grande pugnalata al cuore. Io e mia madre tornammo alla Città dell’Est, Avior, un vecchio membro dell’Ordine del Drago, ci accolse e mia madre tentava di lavorare nonostante la sua malattia. Io non potevo rendermi utile, mia madre guadagnava uno stipendio, ma quello non bastava per sfamarci  e di certo non era sufficiente neppure per comperare i medicinali a mia madre. Allora decisi che era tempo di fare qualcosa, ma potevo solo elemosinare. Lì conobbi un’altra persona, a cui, col tempo, mi affezionai. Mia madre stava morendo in quel periodo, lo sapevo, ma non volevo accettarlo, sta di fatto che un giorno lei non si svegliò più per dirmi di alzarmi. La persona conosciuta nei vicoli mi era stata vicino in quel terzo terribile momento della mia vita. Era dura, all’epoca avevo undici anni ed era già tanto se mia madre aveva resistito tutto quel tempo, comunque Avior mi diede il consenso di iniziare la mia carriera da locandiera e, dato che cominciavo a diventare una “signorina”, il mio titolare pensò bene di mettere in risalto le mie forme per attirare una clientela maschile più elevata. Funzionò, io sembravo più grande rispetto ad una ragazzina della mia età. Quella persona era un ragazzo, si chiamava Izar e aveva un anno in più di me, posso affermare che quella fu la mia prima e vera cotta. Ero innamorata persa, lui mi era stato vicino nel momento in cui io mi ero resa conto di non avere più nulla. Un giorno, mentre elemosinavamo in giro, un suo amico venne per dirgli che la sua famiglia era stata portata al cospetto di Alcor per sotterfugi tramati contro di lui, per spodestarlo. Quella sera lui volle partire. Eravamo in camera mia, mi baciò e mi disse che avrebbe recuperato la sua famiglia e mi sarebbe venuto a prendere, per poi scappare insieme verso un futuro più radioso. Non volevo andasse da solo, ero contraria, ma lui mi fece promettere di rimanere nascosta in camera fino all’alba del giorno dopo. Al sorgere del sole, sotto le mura come da programma, lo attesi. Ma non venne lui, bensì il suo amico Castor, a portarmi ciò che rimaneva di lui: il suo mantello rosso» dal volto di Arawen erano scese calde lacrime solitarie, ma non aveva smesso di raccontare «Avevo perso tutto, sembrava quasi che tutte le persone che provassero ad avvicinarmi, a conoscermi, persone alle quali poi mi affezionavo, sembravano essere destinate a lasciarmi nei modi peggiori. Decisi di ricominciare, di tenermi alla larga da tutto e da tutti alla locanda e di sfogarmi nei rioni più isolati dove erano soliti a fare risse. Poi un giorno scoprii il brivido della gabbia, era un modo per me di mettere in pratica quello che sapevo sull’autodifesa, mentre alla locanda ero diventata famosa per il mio fisico e per il mio carattere misterioso ed enigmatico. Il resto credo che tu lo conosca»
 «Hai avuto davvero un passato tortuoso ed ora hai il timore di affezionarti ad altri per paura di perderli in modi orribili, esatto?» aveva ricapitolato lui cercando conferma nel volto della ragazza, che aveva fatto un lieve cenno d’assenso «Non avere paura di legarti a me, o a Meissa, credo che sia meglio per te vivere la vita e sorriderle con quello che ti ha offerto di buono nonostante tutto. Insomma, abbiamo sedici anni è giusto fare amicizie e vivere la nostra adolescenza senza troppe paranoie» Arawen aveva fatto un lungo sospiro, poi  il sorriso era ricomparso sul suo volto.
 «Grazie» aveva bisbigliato lei.
Atlas stava per aggiungere qualcosa, quando Meissa era entrata spalancando furiosamente la porta.
  «Atlas, mamma è andata in paranoia» aveva cominciato lei esasperata «Ha scoperto che siamo andati a Città dell’Est, come ancora non lo so, e ti ordina di imparare in fretta il dominio del fuoco per poi slittare via da qui»
«La zia può ordinare quello che vuole, ma l’ultimo dominio che devo apprendere è l’acqua, quindi scrivile che è inutile farsi venire un diavolo per capello. Sono l’Avatar me la saprò cavare»
  «Come vuoi, ma se succede qualcosa io ti avevo avvertito...Ho, per caso, interrotto qualcosa?» aveva domandato lei successivamente.
«No» aveva detto Arawen laconica «Avevamo appena finito. Ora è meglio dedicarsi al dominio»
  «Concordo» aveva borbottato Atlas, poco convinto e per nulla voglioso di cominciare l’addestramento.
«Seguimi Avatar» aveva detto lei sbrigativa. Lo aveva condotto sul retro del tempio, dove erano situati gli strumenti per l’allenamento dei dominatori dell’aria. Arawen si era seduta per terra a gambe incrociate ed Atlas l’aveva imitata.
  «Che stiamo facendo?» aveva domandato Atlas.
«Questo è il primo passo per dominare le fiamme: il respiro» aveva risposto lei inspirando profondamente.
  «Sembra una cosa da dominatore dell’aria» aveva replicato Atlas scettico.
«Dimmi Atlas» aveva cominciato lei «I dominatori del fuoco da dove attingono la loro energia?» aveva domandato infine.
  «Da…Un camino?» aveva azzardato lui.
«Risposta sbagliata» aveva detto lei continuando ad inspirare «È il sole, nonché più grande fonte di calore e fuoco. Devi cominciare a respirare e devi sentire su di te il calore del sole, esso ti infonderà energia e grazie ad esso riuscirai a dominare il fuoco, ma ci vuole pazienza» aveva spiegato lei.
Atlas aveva cominciato a inspirare ed espirare profondamente, cercava di concentrarsi e di sentire il sole. Tuttavia, nonostante facesse ciò che Arawen gli spiegava sentiva il calore del sole, sì, ma per il semplice fatto che si stava ustionando la testa. Per essere Febbraio il sole splendeva alto in cielo e non sembrava affatto una giornata invernale, bensì una primaverile.
 «Arawen» aveva detto lui  dopo un’ora e mezza di profondi respiri «Credo di sentire il sole»
  «Ah sì?» aveva detto lei «E com’è?»
«Caldo, tremendamente caldo»
  «Credo che tu non abbia chiaro il senso di questo allenamento, vero?»
«Non vedo a cosa può essermi utile bruciarmi la testa e respirare» aveva replicato lui seccato «Fammi produrre il fuoco» aveva chiesto lui «Una fiamma piccina» l’aveva pregata lui. Arawen si era alzata ed aveva fatto un profondo respiro.
  «Prova» aveva detto lei sicura «Fammi vedere la quantità di fuoco che emana il tuo spirito»
Atlas si era impegnato, aveva fatto un profondo respiro, aveva provato a sentire il sole sopra la sua pelle, aveva fatto un poderoso gesto della mano, ma da essa non era uscito neanche un lapillo  di fuoco.
«Io non capisco» aveva brontolato lui «Ho respirato, ho sentito il sole, perché non è successo nulla?»
  «Hai ragione» aveva affermato Arawen «la posizione c’era, il movimento c’era, il respiro c’era…Ho come un brutto presentimento che mi percorre la schiena» aveva detto lei pensierosa.
«Che tipo di presentimento?» aveva domandato Atlas preoccupato.
  «Stellina, mi sa che questo dominio per te sarà difficilissimo da apprendere, spero solo che non sia bloccato come quello di Korra» aveva sentenziato lei.
«Non posso darmi per vinto Arawen! Io devo farcela e sono sicuro che riuscirò a dominare il fuoco» aveva replicato lui.
  «Tesoro io mica ti ho detto che avremmo smesso l’allenamento, devo solo trovare un modo per sbloccarti»
Arawen ce la metteva tutta per insegnargli il dominio e ad Atlas piaceva il modo in cui lei spiegava, capiva e apprendeva, ma non riusciva a produrre nulla. Arawen si era lasciata cadere sul terreno.
«Accidenti!» aveva esclamato furiosa «È trascorsa una settimana e ancora non so come mai non riesci a produrre il fuoco»
  «Atlas ci ha messo poco per imparare il dominio della terra» si era intromessa Meissa, che stava osservando gli allenamenti.
«Sì, è vero, ma esiste sempre un dominio più difficile degli altri da apprendere e questo varia di Avatar in Avatar, dipende dal carattere. Per Aang fu il dominio della terra, per Korra il dominio dell’aria, evidentemente per Atlas è il domino del fuoco. Ci vorrà del tempo, ma riuscirò ad insegnarglielo»
  «Se tu non ci riuscissi invece?» aveva fatto notare Meissa.
«Vuol dire che Atlas dovrà trovare un nuovo maestro del dominio del fuoco, magari qualcuno di più esperto»
  «No» aveva proferito secco lui «Io sento che sei quella giusta, ho imparato già moltissimo su questo dominio e mi piace come mi insegni, non sei tu è un blocco mio. Mi chiedo solo se…»
«Solo se cosa?» avevano domandato in coro le due ragazze.
 «Mi chiedo solo se sia possibile infrangere le regole ed imparare prima gli altri due domini, tanto per portarmi avanti e lasciare il fuoco per ultimo»
 «Non lo so» aveva affermato Arawen dispiaciuta «ma sicuramente ti seguirò, ovunque tu deciderai di andare, almeno finché non ti avrò insegnato il dominio» aveva detto lei facendogli l’occhiolino «Prova a parlarne con Jinora, sono certa che saprà consigliarti al meglio» aveva concluso lei infine.
 «Credo che farò così» aveva detto lui, per poi andare verso l’ufficio di Jinora. Aveva fatto per bussare alla porta, ma si era bloccato.
  «Entra pure Atlas» era entrato socchiudendo leggermente la porta, per poi sedersi su una delle comode poltrone che c’erano nello studio. Era ampio, ben illuminato e arieggiato. Dietro la scrivania alla quale Jinora era seduta c’era un immensa libreria, ricolma di antichi volumi.
«Maestra Jinora, io…» le parole gli morivano in bocca, quella gente contava su di lui e non aveva ancora concluso nulla «Io non sto avendo i risultati sperati con il dominio del fuoco» aveva confessato lui «Arawen è un’ottima maestra e con me cerca sempre di non arrendersi, mi ha insegnato le posizioni, la radice, il respiro, ma io sono bloccato. Non riesco a produrre neanche una fiammella»
Jinora rimembrava la fatica che l’Avatar Korra aveva fatto per il dominio dell’aria e, nonostante Atlas avesse un carattere totalmente differente da quelli dei suoi predecessori, lei sapeva quanto avrebbe faticato per apprendere quel dominio e sapeva quale sarebbe stata la sua richiesta.
«E quindi?»
 «Quindi vorrei avere il suo permesso, anche se è contro le regole, di lasciare per ultimo il dominio del fuoco e di incominciare ad apprendere il dominio dell’acqua» aveva proferito lui.
«E sia» aveva assecondato lei «Se ritieni sia meglio così non posso che essere d’accordo con te, mi sembra comunque mi sembra anche possa essere una soluzione per quanto riguarda la tua taglia. Io ti asseconderò e aspetterò il tuo ritorno per l’apprendimento del dominio dell’aria, tu tienici informati sugli spostamenti degli eserciti tramite Avalon, se ad Arawen non dispiace»
«Non credo sarà un problema per lei» aveva detto Atlas entusiasta «Partiremo immediatamente»
Si era congedato ed era corso dalle sue amiche all’entrata del tempio, gli aveva raccontato la novità e poi, mentre loro facevano le valige, Atlas era corso a slegare Leda.
 «Si parte amica mia, si parte per il polo Nord»

Appa's Corner:
Minori: Oggi fa un caldo devastante...
 Rouge: Concordo con te... Proprio oggi si doveva rompere il condizionatore dello studio?
Minori: Ehh Rou, la iella è iella, c'è poco da fare.
 Rouge: Sostengo la mia volontà nel voler compare un ventilatore!
Minori: Ma è inutile! Non fa nulla, almeno il condizionatore fa fresco sul serio!
 Rouge: Ma il condizionatore si rompe
Minori: Vuoi vedere che se lo prendo a calci si rompe pure il ventilarore?
 Rouge: Tu provaci e ti devasto!
Minori: AHHH!! Appa, proteggimi! *Si nasconde dietro ad Appa*
 Rouge: Appa, spostati.
Appa: ...
Minori: Lo vedi? Lui mi ama, mi protegge!
 Rouge: Oddio, il caldo le ha dato alla testa... arrivederci gente, alla prossima... Saluta Minori
Minori: Byebye gente, vi lasciamo all'identikit del giorno: La misteriosa Arawen!

Nome: Arawen
 Dominio: Fuoco e Fulmine
Nazione: Del Fuoco
 Compleanno: 17 Maggio

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