La guerra dei Signori delle Tenebre

di AxXx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scelta dei Personaggi ***
Capitolo 2: *** Presagi di Morte ***
Capitolo 3: *** L'inizio Della Fine ***
Capitolo 4: *** La guerra ha inizio ***
Capitolo 5: *** Solo la Fuga, per Ora ***
Capitolo 6: *** Venti di Morte ***
Capitolo 7: *** Disperazione ***
Capitolo 8: *** Prigioni e Incontri ***
Capitolo 9: *** Dolori di Guerra ***
Capitolo 10: *** Oscurità ***



Capitolo 1
*** Scelta dei Personaggi ***


 

                            Scelta dei Personaggi

 

 

 

 

 

 

 

Salve, gente, il mio secondo tentativo di fare una storia interattiva, ma questa volta nel fantasy. Questa è abbastanza simile al Signore degli Anelli, ma i personaggi saranno diversi e scelti da voi e, soprattutto, non ci saranno né Anelli né compagnie. Ogni personaggio avrà una storia assestante che si incrocerà con quelle degli altri.

Oltre a questo posso dirvi che siete liberi di scegliere qualsiasi personaggio compilando questa ‘scaletta’.

Quando avrò abbastanza personaggi inizierò la storia, ma potrete scrivermi altri personaggi finché non avviserò con un messaggio che vi informerà.

 

 

 

 

Nome:

Sesso:

Razza:

Aspetto:

Età:

Abilità*:

Segni particolari:

Carattere (Pregi e difetti):

Arma preferita:

Paura più grande:

Storia (Solo se volete):

 

 

 

 

 

*Ho sostituito le voci Classi e Poteri, con la voce ‘Abilità’: la quale riassume, in pratica, tutto ciò che il personaggio sa fare ed è in grado di fare, compresi poteri magici (Se li descrivete è meglio), capacità di sopravvivenza e caratteristiche particolari utili ai fini delle azioni (un esempio è il Sesto senso)

 

Vi sarei grato se voleste partecipare e farvi due risate. Ricordate che, oltre le varie razze normali (Elfi, mezzelfi, Nani, umani) Potreste sceglierne una inventata da voi con varie qualità e capacità. Ricordate che, se lo faceste, dovreste anche raccontarmi la storia della sua razza. Se, inoltre, avesse qualche immunità particolare, potreste mettere anche un ‘punto debole’?

Grazie a tutti.

 

 

 

 

 

 

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AxXx

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Capitolo 2
*** Presagi di Morte ***


 

                               Presagi di Morte

 

 

 

 

 

 

 

[Secondo Castello del Sole. Nord di Summerland, a est del regno di Kazas]

Kaim Osservò dalla cima della torre del sole il panorama che si godeva da quell’altezza. Il sole tramontava sempre a occidente, dietro i monti della notte, Oltre ai quali si trovava il regno oscuro di Kazas. Secondo i pochi che si avventuravano là ed erano sopravvissuti al viaggio, raccontavano che fossero terre desolate, valli che emettevano fumi acidi e velenosi, con bestie, Jalak, e tribù di barbari che uccidevano tutti coloro che vedevano. Era un luogo malvagio e corrotto, ma silenzioso. Da più di trecento anni il male si era ritirato nelle terre oscure, grazie al coraggio dei cavalieri del sole e del re Raius, che aveva respinto i signori delle tenebre oltre le montagna, distruggendo il loro esercito di creature oscure.

Il Re aveva donato la Spada del Sole, l’arma che aveva sconfitto i signori delle Tenebre, ai suoi alleati, il re di Hammerland, che si era alleato a lui nel respingere il Male. I due signori avevano giurato eterna alleanza e amicizia per difendersi in caso di attacco.

La zona in cui si trovava era uno dei dodici castelli dei Cavalieri del Sole, un armata di uomini scelti e addestrati appositamente per combattere contro i Signori delle tenebre. Esistevano dodici fortezze sparse in tutto il continente, spesso nascoste sia fisicamente che magicamente e avevano il benestare di tutti i popoli e di tutti i regni. Il pericolo era sempre in agguato e il compito dei cavalieri del sole era assicurarsi che le forze delle tenebre non colpissero di sorpresa i regni liberi. Tra le fila dei Cavalieri Del Sole, militavano tutti coloro che potevano essere d’aiuto: Maghi, assassini, esploratori, guerrieri. Tutti potevano essere scelti, sia maschi che femmine. Spesso tra loro militavano anche orfani, giovani scelti dai Cavalieri stessi per le loro possibili abilità, tra le loro fila si potevano ascoltare le storie più disparate.

Kaim era un orfano: non aveva mai conosciuto i suoi genitori. Aveva vissuto da solo, in un villaggio, faticando nell’aiutare un fattore e la migli edu quest’ultimo che gli davano solo cibo sufficiente per vivere. Non che potessero dargli altro, dato che entrambi tiravano avanti a stento.

Poi la svolta: Un giorno un Cavaliere del Sole raggiunse la loro abitazione e chiese di essere ospitato  e, il giorno dopo, propose al fattore di porre Kaim sotto la sua protezione. In cambio avrebbe dato sostegno al fattore e alla sua famiglia. Questi accettarono e Kaim fu condotto al castello del Sole. Un imponente struttura che si ergeva ai piedi delle spoglie montagne nere, circondata da una foresta verdeggiante. Da quando era arrivato, aveva preso l’abitudine di arrampicarsi sui bastioni per potersi godere il tramonto.

“bella vista, come al solito, eh?” Disse una voce femminile alle sue spalle.

Lui si voltò e riconobbe la ragazza dai capelli biondi farsi avanti. “Maua! Mi hai spaventato! Cosa succede?” Chiese sorpreso di vederla là sopra. Di solito quella parte dei bastioni era senza guardie o altri che le sorvegliassero.

“Ti stavo cercando… e sapevo dov’eri… sta succedendo qualcosa, il Gran Maestro sembra nervoso e ha dato disposizioni per rimanere in guardia.” Spiegò lei sedendosi accanto al ragazzo.

Kaim si passò una mano tra i capelli neri e ricci, un po’ preoccupato, da quando era entrato nel castello del Sole, si era detto più volte che quel posto non gli piaceva: lo vedeva più come una prigione che come un luogo sicuro… ma era pur sempre casa sua. Le alte torri di pietra, sulle cui cime svettavano i vessilli del sole,  i solidi bastioni che proteggevano la fortezza interna, le scuderia di legno che ospitavano i loro cavalli. Tutto lì sapeva di casa.

“Anche se è irrequieto, non ho idea di cosa possa accadere… sono trecento anni che non ci sono pericoli, possiamo stare relativamente tranquilli.” Asserì lui noncurante. Da tempo molti cavalieri del Sole avevano cessato di considerare i monti neri un pericolo, dato che da troppo tempo il Nemico aveva cessato i suoi attacchi.

“Bisogna fare attenzione, comunque. Le antiche leggende parlano di lunghi intervalli di tempo tra un’invasione e l’altra.” Gli ricordò Maua, critica. Lei sapeva di essere una dei pochi a prendere ancora sul serio i pericoli oltre le montagne nere.

“Forse… comunque, tra poco è ora di cena… nessuno vuole perdersi il rancio, no?” Fece Kaim, cambiando discorso e incamminandosi verso la porta più vicina per raggiungere l’ala del castello dove si trovava le mensa.

 

 

 

 

 

 

 

[Ai confini del deserto a sud, città di Malakus]

Luna si guardò intorno cercando l’erba di martrus, che il suo maestro le aveva chiesto di recuperare. Il problema era che, con tutti quegli scaffali e con tutta la roba che c’era, era impossibile capire dove si trovasse ciò che cercava.

‘Cavolo, e adesso che faccio!?’  Si chiese in ansia, cominciando a scorrere i ripiani, nel tentativo di ricordare le particolarità dell’erba che cercava.

‘Foglie piatte… lunghe, piccole… color verde chiaro, con leggere venature scura… ma dov’è!?’ Pensò l’elfa dai capelli neri e gli occhi blu, cercandola in ogni parte. Alla fine, dopo un attenta ricerca, la trovò sull’ultimo scaffale alla sua destra, vicino alla porta d’uscita. Soddisfatta, tornò dal suo maestro nella stanza accanto. Entrò di gettò nell’enorme studio dello stregone: un immenso stanzone con una grande scrivania di mogano al centro e decine di scaffali pieni di manufatti, pergamene e oggetti magici.

Corse verso di lui che stava in piedi davanti a un camino spento e disse: “Maestro Rimoah, ho…” Ma subito si fermò quando vide l’espressione sul viso. Leggeva su di esso preoccupazione e paura. Qualcosa lo spaventava ed erano assai poche le cose che spaventavano gli stregoni della Luna.

“Maestro, che succede?” Chiese la ragazza con un filo di voce, avvicinandosi a lui. 

Lui rimase voltato, espirando e ispirando profondamente. “Ho avuto una visione…” Sussurrò, voltandosi lentamente. “I signori delle Tenebre stanno tornando alla loro antica forza.”

Luna sobbalzò, spaventata, le sue pupille si dilatarono per il terrore che la prese per quelle parole. Da trecento anni non si avevano notizie di movimenti da parte dei signori delle tenebre e un loro risveglio poteva significare solo guerra, morte e rovina.

“Questo… questo è impossibile! Li avevamo sconfitti secoli fa!” Sussurrò lei, cercando di calmarsi. Ma non ci riusciva: per troppo tempo i Signori delle Tenebre erano sinonimo di Male Assoluto e non c’era nessuno, né adulti né stupidi che prendeva alla leggera il loro nome.

“Non definitivamente… dopo ogni ondata… essi tornano nelle velenose terre di Kazas e da lì attendono e attendono il momento opportuno per tornare a devastare le nostre terre…” Sussurrò, mentre afferrava da uno scaffale una mappa che poi stese sulla sua scrivania.

Sulla mappa era raffigurata tutto il continente. A nord i Regni di Hammerdal e Sommerland con le loro coste frastagliate e il grande golfo dal quale partivano le navi dirette a Nord. Sotto di loro gli stati più piccoli e le città-stato della parte centrale del continente, affiancate dalla litigiosa Vassagonia, un grande impero con un esercito particolarmente grande. Ad Est il territorio era occupato dal Regno di Nautilus, detto l’Impero orientale, che controllava una grande porzione del continente che ospitava anche i maggiori luoghi di culto della loro religione. A sud, infine, c’erano tre grandi regni di Malakus, Forius e Adiut, al confine del deserto e con grandi territorio pianeggianti e abbastanza ricchi. Ad occidente, però, c’era una grande zona colorata di scura con sopra scritto Kazas, l’Impero dei Signori delle Tenebre.

“Il loro territorio è incredibilmente ampio, dal quale possono radunare un esercito sconfinato per distruggere ogni nostro dominio.” Sussurrò indicando la parte scura.

“Cosa vuol fare, allora?” Chiese preoccupata, mentre si sporgeva sulla mappa.

“Manderò subito messaggeri a tutti gli stregoni della luna e cercheremo di mandare convincere quanti più regni a combattere contro i Signori delle tenebre, ma ho bisogno di te.” Disse, afferrando una pergamena e iniziando a scrivere rapidamente qualcosa. Dopodiché lo porse a Luna.

“Portalo al Castello del Sole più vicino, dista tre giorni a nord al confine tra il nostro regno e Adiut.” Ordinò lo stregone con tono imperioso.

Luna osservò il pezzo di carta, soppesandola attentamente, rendendosi conto di quanto fosse importante quello che gli veniva chiesto.

“È sicuro? Perché non altri? Non può chiedere a qualcun altro? Magari uno dei vostri apprendisti.” Chiese con gli occhi dilatati dalla preoccupazione. Lei raramente aveva messo piede fuori dalla regione e dalla città.

“No! Voglio una persona fidata, tu sei mia nipote e non mi fiderei nessun’altro.” Rispose Rimoah, avvicinandosi a lei, posandole una mano sulla spalla, guardandola con un sorriso. “So che ce la puoi fare, raggiungi il Castello del Sole e informa i Cavalieri: devono essere pronti alla guerra imminente.”

Lei annuì e corse nelle sue stanze per prepararsi al viaggio. Si cambiò, indossando abiti in pelle e afferrò la sua spada corta, assicurandosi di portare con se anche una mappa dei regni per potersi orientare. Dopodiché scese le scale e raggiunse le cucine dove si assicurò di avere cibo a sufficienza per il viaggio: un po’ di carne secca, una mela e un po’ di pane, oltre che a un’intera borraccia d’acqua. Appena raggiunse il cortile del palazzo delle stelle, raggiunse lo zio che le dette le ultime raccomandazioni: “Sii rapida e veloce. Non fermarti mai, i Signori delle Tenebre hanno servi ovunque e potrebbero intuire le tue intenzioni.”

“Grazie, Maestro, me la caverò.” Lo rassicurò lei, abbracciandolo, prima di salire a cavallo.

“Aaah… solo diciassette anni e già costretta ad affrontare tali pericoli… pregherò il Dio Sole e la Dea Luna di proteggerti in questo periglioso viaggio.” Sussurrò l’uomo porgendole il suo sigillo personale, grazie al quale si sarebbe fatta aprire le porte della città.

Luna cavalcò rapidamente, sotto le la volta celeste, imperlata di stelle che osservavano il suo cammino. Superati i cancelli della città, seguì la strada che conduceva a nord, superando rapida i campi e il boschetti del regno, senza fermarsi. Cavalcò tutta la notte e tutto il giorno dopo, senza fermarsi per nulla al mondo. Solo al tramonto si fermò con per potersi sfamare, mangiando velocemente la mela e soddisfare i suoi bisogni corporali; ma sentendosi ancora in forze, decise di continuare il suo viaggio.

 

 

 

 

 

Kaim osservò il terreno dinnanzi a sé con gli occhi sbarrati, mentre le immagini di morte e distruzione si facevano strada nella sua mente. I suoi compagni morti, i loro resti a terra e le loro teste impalate su delle picche, mentre il castello andava a fuoco, distruggendo tutto ciò che conteneva: il sapere, la conoscenza e il potere che era racchiuso nelle sue spesse mura. Lui sollevò il corpo senza vita di uno dei suoi compagni, osservandolo disperato. Dal cielo oscurato da un’innaturale cappa di nubi nere piovevano mostri alati orribili e proiettili di fuoco che distruggevano tutto. Una fila di schiavi scorreva poco lontano con un gruppo di creature mostruose che li frustava crudelmente. Cercò di dire qualcosa, ma l’orrore e la paura gli aveva serrato la trachea, fecendogli morire le parole in gola.

Poi… un ombra oscurò il terreno davanti a sé, mentre un’oscura presenza si faceva largo tra i mostri fino a sovrastarlo da dietro con la sua imponente figura. Kaim prese coraggio e si voltò per poter vedere il mostro alle sue spalle.

Sì voltò… e vide due occhi rossi, come braci ardenti, che lo catturarono, portandolo inesorabilmente in una spirale di follia, mentre un lama nera lo trafiggeva da parte a parte…

E si svegliò con le sinistre risa di quell’essere sovrannaturale che ancora premevano nelle sue orecchie. Il corpo imperlato di sudore e la mente ancora invasa da quelle immagini di morte. Si guardò intorno, notando che l’intero era ancora assopito. Si alzò e si vesti con la con la tunica degli iniziati del Sole e, silenziosamente per non svegliare l’intero dormitorio, uscì dalla stanza raggiungendo il cortile respirando a pieni polmoni l’aria fresca della notte. Aveva paura… odiava ammetterlo, ma ce l’aveva davvero. C’era qualcosa nell’aria e nella sua mente che gli faceva intuire che qualcosa non andava.

“Kaim! Cosa ci fai qui a quest’ora!?” Chiese un’imperiosa voce alle sue spalle.

Il ragazzo sobbalzò e si voltò osservando il Maestro Amarius avvicinarsi impettito con la torcia in mano.

“Maestro! Mi perdoni, ma non mi sentivo bene… vi chiedo scusa.” Sussurrò il ragazzo inchinandosi, con la sensazione di dover tenere nascosto il suo sogno.

“Comunque, avresti dovuto andare da un guaritore. Domani avrai una sanzione per questo!” Rispose l’uomo, senza ascoltare altro, dopodiché lo riaccompagnò nel dormitorio con passo militare.

Kaim aveva imparato a non farci più caso, dopotutto era da un po’ che i ranghi dei cavalieri si erano riempiti di tronfi uomini interessati solo ad guadagnare ricchezze e accumulare prestigio per azioni che non compivano. Lui era una specie di eccezione nei loro ranghi, forse proprio per questo si era legato a Maua in maniera così stretta: lei era stata diseredata dopo aver fatto fallire un matrimonio tra la sua casata e un’altra famiglia rivale. Per questo era stata mandata al Castello del Sole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Risalve! Cosa credevate? Che mi sarei arreso così facilmente con questa storia? Comunque, questo è una specie di prologo in cui introducevo il personaggio principale e un altro personaggio che una mia amica ha avuto la gentilezza di darmi. Come avete capito la storia è ancora libero e ho voluto dare una veloce descrizione del mondo che ospita la mia storia e, come avete visto, è abbastanza diverso dal Signore Degli Anelli e, quindi, avete libertà di scelta del personaggio. Inoltre potete recensire comunque, senza darmi un vostro personaggio. Vi prego, comunque, di recensire questa storia.

                                                                                    AxXx

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Capitolo 3
*** L'inizio Della Fine ***


 

                                L’Inizio della Fine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Secondo Castello del Sole]

 

Kaim soffiò scocciato, mentre, per l’ennesima volta, afferrava l’ascia lanciata dalla squadra avversaria. Il gioco del lancio dell’ascia non era noioso, a meno che la squadra avversaria non fosse fatta da gente che l’ascia non la sa usare. Era una specie di ‘sport’, un passatempo che gli allievi del castello praticavano nei periodi di tempo in cui non avevano nulla da fare. Consisteva nel dividersi in due squadre di dieci membri ognuna delle quali doveva proteggere tre bersagli dai lanci della squadra avversaria. Era assolutamente vietato deviare l’ascia, bisognava afferrarla al volo. La quantità di incidenti era sorprendentemente bassa, ma ogni tanto qualcuno ci lasciava qualche dito. D’altro canto la paura di farsi e fare male faceva in modo che nessuno facesse tiri letali. I maestri avevano fatto di tutto per sradicare quest’abitudine, ma inutilmente, dato che era così popolare che, ormai, persino alcuni di loro si mettevano a praticare quel passatempo. Kaim era particolarmente abile in quel ‘gioco’ tanto che spesso le due squadre se lo contendevano, dato che la sua presenza, spesso, significava la vittoria per chi ce l’aveva.

All’improvviso, il Maestro Utils lo richiamò tra le lamentele dei suoi compagni di squadra che sapevano dell’abbassamento delle loro possibilità di vittoria.

“Maestro… cosa posso fare per voi?” Chiese il giovane inchinandosi rispettosamente, facendo il segno del sole. Per lui, era come un padre: era un uomo alto, dai capelli biondi e il fisico muscoloso e asciutto senza barba. Gli occhi azzurri erano particolarmente simili al cielo diurno.

“Figliolo… vedo che ti stai allenando… attento, non voglio che tu perda le dita per questo gioco.” Disse l’uomo, sorridendo con sinceramente dando una pacca sulle spalle al ragazzo, che si alzò rispondendo al sorriso.

“Non si preoccupi, non perderò la testa con questo passatempo.” Rispose Kaim divertito, pensando a quanto vecchie fossero quelle battutine che sembravano fatte a posta per quello sport.

“Vieni, sediamoci…” Rispose il biondo, accompagnando il suo allievo a una delle panche, vicino al poligono di tiro con l’arco. “Cosa ti turba?” chiese, una volta accomodati, porgendogli una mela.

Il giovane abbassò lo sguardo sospirando, mentre addentava il frutto senza molta voglia. “Solo… non so, ieri sera… ho avuto uno strano incubo…” Sussurrò, guardando uno degli allievi colpire un bersaglio molto vicino al centro.

“Non vuoi parlarmene? Potrei aiutarti…” Propose l’uomo, evidentemente curioso, ma anche preoccupato.

“No… credo di no… è probabile che sia solamente un sogno particolarmente realistico.” Rispose Kaim, gettando il torsolo di mela nella mangiatoia dei cavalli poco distante, centrandola con una buona precisione.

“Molto bene… comunque, è stata scelta la tua ‘punizione’: Sarai mandato all’esterno a raccogliere legna per le cucine. Almeno cinque fasci di legna entro sera per poter preparare la cena.” Annunciò l’uomo facendo l’occhiolino. A molti sarebbe sembrata una punizione piuttosto crudele, ma erano rare le occasioni per uscire, quindi, molti e lo stesso Kaim, apprezzavano quei momenti per potersi aggirare da soli all’esterno, Lui, in particolare ci teneva a rimanere un po’ da solo per riordinare le idee, dopo la notte insonne che aveva passato.

“grazie per l’informazione, maestro…” Disse il ragazzo facendo di nuovo il segno del sole che consisteva nel fare un cerchio all’altezza del petto con il palmo della mano sinistra completamente aperta per poi fermarla al centro della circonferenza con le dita aperte.

 

 

 

 

 

 

 

[Due giorni di viaggio da Malakus]

 

Luna si fermò in una radura non lontano dalla strada, Ormai era troppo stanca e doveva assolutamente riposarsi. Gli occhi gli si chiudevano e, appena scesa da cavallo, inciampò e cadde sull’erba. Ormai era messa male, così, dopo aver legato il cavallo ad un albero vicino, stese una coperta di pelle usandola come sacco a pelo e vi si stese sopra. Era così stanca che non mangiò nemmeno. Il sonno la colse praticamente subito e si assopì appena posò la guancia sul tessuto.

Sognò di essere un aquila… volava alta nel cielo, sopra il mondo, osservando le città, come se fossero ammassi di stelle. La vista era bellissima e lei non aveva paura, si sentiva solo libera… libera e spensierata, senza preoccupazioni. Non sapeva come, ma sapeva come muovere le ali, sentendo ogni muscolo delle ali contrarsi come se gli appartenessero da sempre.

Poi, all’improvviso, una gigantesca nuvola nera oscurò il cielo e lei si trovò a volare ceca, in mezzo all’oscurità più assoluta. Spaventata dall’improvviso cambiamento meteorologico e preoccupata dall’improvvisa sensazione di pericolo, cercò di abbassarsi per poter vedere cosa stava succedendo sotto la cappa di nubi.

Vide uno scenario completamente cambiato: le città erano in fiamme, invase da mostri deformi che bruciavano le case e uccidevano impunemente tutti coloro che incontravano, impilando i corpi degli infanti al centro delle piazze, impalando le donne per le strade e impiccando gli uomini ai tetti delle abitazioni.

‘No… non può essere… dev’essere un incubo!’ Cercando di distogliere lo sguardo, ma i suoi occhi erano continuamente attratti dalle macabre immagini che vedeva.

All’improvviso sentì un rumore gracchiante come il verso di un corvo, ma molto più stridulo e macabro. Lei si voltò e vide un stormo di corvi enormi che volavano verso di lei a decine. La ragazza cercò di fuggire, volando più velocemente che poteva, ma quelle creature la circondarono. Lei cercò di difendersi, ma i suoi avversari le strapparono le ali a morsi, mentre la uccidevano a colpi di becco.

Si svegliò urlando per lo spavento. Guardandosi intorno, certa di veder apparire da un momento all’altro i corvi che l’avevano assalita nel sogno, mentre si asciugava il sudore che le imperlava la fronte.

‘Dei… vi prego, fate che sia un sogno…’ Pregò, mentre si alzava, notando che era già mattina. Si alzò e si lavò il viso ad un laghetto poco distante, per poi addentare, rapidamente una fetta di pane secco, sia perché aveva poco tempo, sia perché aveva poca fame a causa del sogno.

Aveva una brutta sensazione, era certa che quel sogno fosse una premonizione, ma non ne era certa. Comunque fosse, era solo un altro motivo per raggiungere più in fretta possibile il Castello del Sole, che distava poco più di un giorno, ormai.

 

 

 

 

 

 

 

[Holmagard, Capitale di Summerland]

 

Una giovane donna dai capelli castano chiari, lunghi fino alle spalle, si stava dirigendo nella parte più malfamata della città. Le strade strette e sterrate, erano incastrate tra edifici di legno fatiscenti che sembravano sul punto di crollare da un momento all’altro. Indossava vestiti in pelle molto maschili e un lungo mantello con cappuccio che gli copriva il volto. L’odore di escrementi e urine impregnava l’aria come un muro di puzza schifosa. Benché abituata a vivere in posti malfamati, non riuscì a non arricciare il naso per quell’orribile fetore.

‘Dei… che schifo…’ Sussurrò, coprendosi la bocca e il naso con le braccia.

All’improvviso due uomini alti e parecchio robusti le si pararono davanti e le bloccarono la strada, iniziando ad avvicinarsi pericolosamente. Lei sapeva cosa volessero fare, ma lei non era una persona indifesa e loro non lo sapevano. Aveva un’altra buona ragione per far fuori quei maiali.

“Ehi! Bellezza! Oggi è parecchio freddo! Vieni a scaldarmi un po’!?” Fece quello più vicino, allungando le mani per poterla toccare.

Lei, per tutta risposta, brandì con rapidità quasi sovraumana il suo karambit, roteandolo con ferocia, tagliandogli la mano di netto, facendolo urlare di dolore e sorpresa.

“Credi che io sia una puttana qualunque, porco!?” Chiese lei, piantandogli il coltello ricurvo nella gola dissanguandolo.

Il suo compagno estrasse un lungo coltellaccio affilato, cercando di colpirla, ma lei rispose agganciando l’arma dell’avversario con la curvatura della sua. Con una torsione del braccio lo disarmò e con l’altra mano, afferrò il secondo karambit e lo piantò nell’occhio del suo avversario, uccidendolo. Estratta l’arma, la ripulì dal sangue e dalla materia grigia che lo sporcava, nascondendoli di nuovo sotto il mantello e dileguandosi nell’ombra. Aveva altro da fare per potersi intrattenere con tizi di quella risma. Dopo pochi minuti raggiunse la casa che le avevano descritto i tizi che l’avevano contattata: era un edificio in legno piuttosto fatiscente, ma stranamente inquietante.

Lei prese un respiro profondo e aprì la porta che si aprì con un cigolio sinistro. Si incamminò cautamente all’interno immerso nell’oscurità più completa. Fatti pochi passi all’interno, la porta si richiuse cigolando.

‘Ma che…!? Dei, questo non è normale… mi pento di aver accettato questo lavoro… maledetti tizi incappucciati alla locanda.’ Pensò, maledicendosi in silenzio decisa, comunque, a proseguire.

Ormai aveva deciso e sarebbe andata fino in fondo. Si diresse verso la porta che si trovava dall’altra parte dell’entrata e la aprì, mettendo mano a uno dei suoi coltelli. Si ritrovò in una stanza, con un solo tavolo di legno marcio. L’ambiente era abbastanza piccolo e angusto e lei venne subito colta dalla solita sensazione di claustrofobia. Cercò di controllare il respiro e il battito cardiaco, ma un improvvisa sensazione di pericolo le impedì di concentrarsi. Si guardò freneticamente attorno alla ricerca della fonte di pericolo, ma non vide nulla.

“Finalmente… sei arrivata, ragazza mortale…” Sussurrò una voce stridula.

Lei sobbalzò e si voltò spaventata notando che una persona si era seduta su una sgabello. Un individuo incappucciato, dalle mani scheletriche con brandelli di carne che pendevano dalle dita, si accomodato, appoggiandosi al tavolo. La ragazza si sentì invadere da un ingiustificato terrore che si mescolò al disgusto per quell’essere che emanava una soprannaturale aura di morte e malvagità.

“C-chi… c-cosa sei?” Sussurrò lei, cercando di controllarsi, ma sembrava impossibile concentrarsi su se stessa, come se la sua sola presenza bastasse a renderla impotente.

“Chi o cosa sono non è importante, ma credo che tu lo possa intuire… Aleida. Io sono qui per proporti un lavoro. Molto ben retribuito, aggiungerei.” Sussurrò lentamente quell’essere mostruoso.

Lei cercò di controllarsi, ma non ci riusciva, l’agitazione era troppa, aumentata dal fatto che quella mostruosità conoscesse il suo nome. La ragazza aveva nascosto il suo nome in maniera che nessuno la potesse riconoscere.

“Come… come sai il mio nome?” Chiese, deglutendo. Aveva una paura insensata. Nella sua vita si era trovata davanti essere davvero terrificanti, ma era sempre riuscita a controllarsi, invece a quella creatura bastava la sola presenza per farla andare nel panico.

“Non sono uno sciocco… io so tutto di te, la tua innata abilità nel combattimento e nel lancio dei coltelli, la morte del tuo migliore amico a causa del vaiolo, il tuo matrimonio di convenienza, e la tua carriera di assassina professionista.” Bisbigliò ancora più lentamente quel mostro. Ogni sua parola sembrava essere impregnata di odio e malvagità.

“E cosa vuoi?” Ormai Aleida era fuori controllo e la stanza sembrava schiacciarsi su se stessa, aumentando esponenzialmente la sua sensazione di claustrofobia e terrore.

“Ascoltami bene… dovrai partire subito per il Castello del Sole più vicino. Lo troverai distrutto e voglio che tu dia la caccia a qualsiasi uomo sia sopravvissuto. Mille corone per ogni persona uccisa. Ogni volta che farai fuori una persona, tocca questo pendente e vieni da noi, ti diremo noi dove rintracciarci.” Concluse la creatura, lasciando cadere una specie di medaglietta con raffigurato sopra un semplice pentacolo rosso, svanendo senza lasciare traccia.

La porta si aprì e la ragazza non perse tempo e, dopo aver afferrato l’oggetto, si fiondò all’esterno liberandosi da quell’orribile sensazione di paura che la attanagliava. Ora che era più tranquilla intuì di aver avuto davanti un Signore delle Tenebre. Era eccitata e spaventata allo stesso tempo: erano pochi coloro che avrebbero potuto dire di essere sopravvissuti a un incontro con loro, ma erano terribilmente in ansia, perché se non l’avesse fatto era abbastanza sicura che l’avrebbero uccisa.  E lei, di certo non voleva morire. E poi, accidenti, le avevano promesso mille corone d’oro per ogni uccisione. Per quanto fosse spaventata, doveva ammettere che era una cifra enorme e che le avrebbe permesso di sparire velocemente, senza che la rintracciassero e, se ne avesse uccisi anche solo cinque, avrebbe potuto fare la bella vita, ritirandosi.

‘Non ho altra scelta… dovrò accettare…’ Pensò, dirigendosi velocemente verso le porte della città.

 

 

 

 

 

 

 

[Nei Pressi del Castello del Sole]

 

Kaim si chinò e afferrò l’ennesimo pezzo di legno e lo portò al legò al resto degli altri legni che aveva radunato e legato insieme con una corda. Ormai aveva concluso: gli mancava solo un fascio e avrebbe finito. Si guardò intorno e iniziò a raccogliere gli ultimi. Il tramonto era vicino, il sole stava già calando all’orizzonte e, presto, si sarebbe fatto buio.

‘Ormai ho quasi finito… dovrò tornare subito…’ Pensò, mentre si caricava in spalla la legna da ardere, incamminandosi lungo il sentiero che l’avrebbe riportato al castello.

Stava procedendo con una certa tranquillità, dato che aveva un po’ di tempo, quando sentì un acuto stridio provenire dal cielo che si fece improvvisamente scuro, coperto da una pesante cappa di nubi nere.

‘Ma che diavolo… cosa sta succedendo?’ Si chiese, osservando preoccupato le nuvole che lo sovrastavano. Colto da improvvisa preoccupazione, lasciò cadere la legna e corse verso il castello, temendo che il suo incubo diventasse realtà.

Infatti, quando lo vide in lontananza, tra le fronde degli alberi, lo vide circondato da uno stormo di orribili e gigantesche creature alate. Ali nere di pipistrello, corpo squamoso come quello di una lucertola, becco e zampe di corvo e occhi rossi iniettati di sangue. Alcuni sollevavano da terra i corpi di alcuni guerrieri sventrandoli in volo, mentre le grida e le urla dei cavalieri sovrastavano il loro verso sinistro.

‘No! Non può essere!’ Pensò, mettendosi a correre a perdifiato, tra la vegetazione, seguendo il sentiero. Stava per uscire allo scoperto, fuori dagli alberi, quando, inaspettatamente, sentì qualcosa che lo fece inciampare. Cadendo rovinosamente a terra, cadendo e sbattendo violentemente la testa contro un sasso. L’ultima cosa che riuscì a pensare fu che, quel tronco d’albero, sul sentiero, non c’era quando era passato di lì la prima volta. Qualcuno l’aveva messo a posta per farlo cadere.

 

 

 

 

 

 

 

 

Rieccomi: ecco, questa è una di quelle storie che mi prende un sacco, così, dopo aver avuto le prime recensione, mi sono dato da fare, soprattutto per la recensione (e il personaggio) che mi ha lasciato Flareon24. Per questo ho deciso di mettere subito il suo personaggio e di descriverlo. Attenti, però: non pensate che sia una persona debole, anzi, è una donna particolarmente forte, nelle mie intenzioni. Il problema è che i Signori Delle Tenebre (Dei quali, questa era solo un’emanazione’) fanno questo effetto. La loro sola presenza distorce la realtà. Spero che vi sia piaciuto.

AxXx

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** La guerra ha inizio ***


 

                                  La guerra ha inizio

 

 

 

 

 

 

 

 

Luna proseguì velocemente verso il castello, sempre più preoccupata per il sogno che aveva fatto la notte scorsa. Ormai era pomeriggio e proseguiva speditamente lungo un sentiero boschivo che l’avrebbe condotta più velocemente alla sua destinazione. All’improvviso fu investita da un pregnante odore di fumo e cenere, mentre in cielo si alzava una nube nera sinistra. La ragazza dai lunghi capelli ebbe una specie di presentimento e pregò che non si sbagliasse, così scese da cavallo e, dopo averlo legato a un ramo proseguì a piedi, facendo attenzione a non fare rumore, tenendo stretta la sua spada corta. Camminò verso il Castello, fino ad averlo in vista. L’immagine che le apparve, fu orribile.

L’edificio era avvolto da lingue di fuoco che si alzavano fino a venti metri d’altezza, mentre orribili creature, tra le quali goblin e gurgaz, uccidevano brutalmente i guerrieri ancora in vita, mentre un essere, alto, con un cappuccio e stranamente inquietante, menava fendenti a destra e a manca facendo strage. Luna rimase nascosta, impaurita e disgustata da quella vista, mentre una strana sensazione di paura le attanagliava il cuore. Quell’essere che stava guidando i mostri le stava devastando la mente con immagini di morte. Lei iniziò a respirare velocemente, cercando di controllarsi, ma non ci riusciva. Paralizzata dal terrore, non si rese subito conto che quella creatura sovrannaturale l’aveva individuata e si stava avvicinando inesorabilmente al suo nascondiglio. L’erba e le piante vicino ad esso appassivano e si disfacevano i polvere, come se la sua sola presenza bastasse a distruggere la vita.

La ragazza, però, riuscì a riprendere abbastanza a lungo il controllo di sé, quel tanto che bastava per alzarsi e fuggire nella boscaglia, allontanandosi abbastanza per non essere più sotto l’effetto di quella misteriosa influenza maligna. Corse a più non posso, inoltrandosi sempre più in profondità nella boscaglia, fino a raggiungere la sua cavalcatura, certa che, qualsiasi cosa avesse visto la stesse inseguendo. Aveva ancora quella sensazione di paura che l’aveva colta alla vista della creatura, perché era certa che, qualsiasi cosa fosse, non era umana, ma si stava attenuando. Il suo battito cardiaco, nonostante fosse ancora veloce come un cavallo al galoppo,  si era leggermente attenuato.

Dopo almeno un minuto di corsa incessante, si fermò per riprendere fiato, mentre sentivo la sensazione appiccicaticcia del sudore le impregnava il corpo. Aveva la gola in fiamme per la sete e gli occhi appannati per la fatica. Ma dopo pochi secondi sentì il terreno tremare, mentre i versi orribili di chissà quale mostruosità si facevano sempre più vicini.

Luna si rimise a correre a perdifiato e raggiunse la sua cavalcatura che nitriva e scalpitava spaventata almeno quanto la sua padrona, cercando di liberarsi dal tronco a cui era stata legata.

“Avanti, bello… dobbiamo andarcene da qui!” Disse lei, dopo essere salita in sella e averlo liberato. L’animale si mise a correre, mentre una creatura simile a un’enorme lupo dalla pelliccia nera con la criniera usciva dal sottobosco cavalcata da un goblin armato di spada.

La ragazza spronò il cavallo al galoppo sfrenato, mentre la bestia le teneva dietro ringhiando inferocita. Cercò in ogni modo di seminarla, ma quella era troppo veloce e non ci volle molto perché la raggiungesse. Stavano correndo fianco a fianco lungo una strada che affiancava il margine di un fiume parecchio alto, quando il lupo gigante azzannò il cavallo al collo. Quello nitrì di dolore, impennandosi paurosamente. Il goblin allungò la spada arrugginita, cercando di colpire Luna che tentava di riprendere il controllo dell’animale. Quello cadde di lato, disarcionandola e facendola cadere in acqua. Urlò di paura, poco prima di finire sott’acqua con i polmoni invasi dal liquido che la soffocava.

Cercò di disperatamente di raggiungere la superficie, purtroppo la caduta l’aveva disorientata e non riusciva a capire dove si trovasse. Mosse convulsamente le braccia, ma la corrente era troppo forte e la trascinò inesorabilmente a valle.

Iniziò a sentire le braccia indebolirsi e il cuore diminuire i battiti, mentre la vista le si appannava.

‘Alla fine… è così che gli dei hanno scelto la mia fine…’ Pensò sconsolata, mentre sentiva l’abbraccio della morte farsi sempre più vicino.

Ma non fu la Morte a tirarla fuori dall’acqua.

Una mano forte e decisa la afferrò per il braccio, tirandola fuori e, dopo averla allontanata dal fiume, la depose delicatamente a terra. Luna cercò di guardare in faccia la persona che l’aveva salvata, ma l’unica cosa che vide prima di cadere nell’oblio furono due profondi occhi argentati come la Luna piena.

 

 

 

 

 

 

 

[Nei pressi del secondo Castello del Sole]

 

Kaim si risvegliò, gemendo per il dolore, massaggiandosi la fronte che gli doleva terribilmente. Dette un calcio al tronco maledetto che lo aveva fatto inciampare mettendosi a correre verso le rovine fumanti del castello. Non c’era più una persona viva. I corpi di decine di Cavalieri giacevano morti tra le macerie del castello, orribilmente mutilati. Alcuni dei loro volti erano così contratti dalla paura e dal dolore da risultare irriconoscibili. Si aggirò come un fantasma tra i morti alla ricerca di qualsiasi cosa potesse confermargli che quello fosse un incubo.

Ma nulla: ogni cosa era terribilmente reale: il castello era caduto e tutti i Cavalieri del Sole erano stati sterminati, massacrati senza pietà, mentre lui dormiva in mazzo a un campo. Cadde in ginocchio tenendosi la testa tra le mani, incapace persino di piangere. Il castello era virtualmente imprendibile, ma senza una guarnigione a difenderlo e senza un preavviso, i difensori erano stati messi in minoranza praticamente subito. Inoltre c’era una specie di residuo di una sorta di aura: paura e orrore, ecco cos’era.

Kaim non era mai stato particolarmente brillante, ma aveva sentito fin troppe volte i suoi maestri parlare di come i Signori delle Tenebre lasciassero dietro di se una scia di morte e distruzione sia fisica che psichica, tanto che certi luoghi in cui loro sostavano per lungo tempo venivano colti da una specie di maledizione che li rendeva sterili o faceva crescere alberi e piante contorte e velenose.

Quella era la loro aura che impregnava l’aria: erano scesi in campo personalmente e questo era un male. Solo se davano inizio a una crociata nera uscivano dalle loro nere roccaforti nelle terre di Kazas per marciare sui loro territori, rendendoli spesso sterili e invivibili.

“K-K-Kaim…” Sussurrò una voce poco distante.

Lui si voltò e vide il suo Maestro che strisciava fuori dalla scuderia in macerie, tra le carcasse dei cavalli morti.

“Maestro! Resistete, maestro… vi curerò…” Sussurrò il ragazzo con le lacrime agli occhi, correndo verso l’uomo che aveva una profonda ferita all’altezza del ventre e decine di ferite minori.

Kaim cercò di curare le ferite dell’uomo con dei brandelli di pelle, tentando in ogni modo di bloccare l’emorragia, ma fu tutto inutile: il sangue continuava a scorrere inesorabile, portandosi con se la vita dell’uomo.

“N-non perdere tempo…. Kaim… r-raggiungi Holmagard e… e informa li re… che raduni gli eserciti… presto… presto i Signori delle tenebre saranno… alle… p-porte…” Sussurrò l’uomo posandogli una mano sulla schiena, mentre con l’altra gli accarezzava debolmente i capelli castani. Il giovane pianse disperatamente, mentre l’uomo perdeva a poco a poco conoscenza, finché non spirò lentamente tra le sue braccia.

Il ragazzo iniziò a piangere disperatamente, urlando a squarciagola tutto il suo dolore. Non gli importava di essere sentito: aveva perso tutto. Per quanto lo odiasse, per quanto si sentisse prigioniero, quel luogo era stato la sua casa troppo a lungo e vederlo saccheggiato e spogliato della sua magnificenza gli procurava quasi dolore fisico. Sentiva il cuore lacerato come se lo avessero pugnalato. Passarono alcuni attimi in cui la sua mente fu travolta da immagini orribili e lui stesso fu sul punto di impazzire. Ma alla fine, con un incredibile sforzo di volontà, riuscì a riprendersi e a ragionare lucidamente.

“Dei! Se esistete e se mi state ascoltando! Sappiate che non mi arrenderò mai! Io vendicherò il massacro dei Cavalieri del Sole, anche a costo di morire! Mi avete sentito!? Io non mi arrenderò mai!!!” Urlò ancora arrabbiato in direzione del cielo nero sopra di lui.

Una volta che si fu sfogato si guardò intorno e cercò di decidere cosa fare: sicuramente i Signori delle Tenebre avrebbero mandato dei ricognitori per controllare che fossero davvero tutti morti, quindi doveva agire in fretta. Si mise a rovistare tra le macerie, alla ricerca di qualsiasi cosa potesse essere utile. Avrebbe voluto dare un onorevole sepoltura ad ogni uomo che trovava sotto i muri crollati, ma non ne aveva il tempo. Trovò una spada bastarda e il suo fodero. Se lo mise a tracollo e con essa prese uno scudo tondo abbastanza grande da proteggerlo, ma allo stesso tempo non troppo pesante. Trovò anche un arco, che incordò rapidamente, una mappa aggiornata di Summerland e alcune provviste scampate miracolosamente all’incendio e qualche corona d’oro. Alla fine, dopo essersi assicurato di avere tutto l’occorrente, si decise ad allontanarsi dalle rovine fumanti del castello per raggiungere la capitale. Non aveva tempo da perdere, così si mise subito in cammino evitando la strada principale, seguendo una sentiero sterrato che si inerpicava nei boschi. Si voltò un ultima volta per osservare ciò che rimaneva della sua casa e sulle montagne vide un’enorme massa nera: un esercito di goblin, Drakar, barbari, gurgaz e chissà quali altri terribili mostri i Signori delle Tenebre avevano evocato dal più profondo pozzo infernale.

‘La guerra sta per iniziare… solo gli Dei possono dire chi di noi ne vedrà la fine…’ Pensò stranamente tranquillo. Tutta la paura era svanita, il terrore si era acquietato. Sentiva solo la consapevolezza che quello sarebbe stato solo l’inizio: il peggio doveva ancora arrivare.

 

 

 

 

 

 

 

[Nei pressi dell’avamposto ovest di Maruth, al confine tra Vassagonia e Roninia]

Tenorh proseguiva tranquillo lungo la strada principale che lo avrebbe portato all’ennesimo villaggio tranquillo, sperduto ai piedi delle montagne nere. Erano dieci anni che viaggiava e ormai non sapeva più nemmeno dire cosa volesse davvero. Aveva vissuto troppo e combattuto troppe battaglie per poterne sopportare ancora. Ricordava ogni singolo compagno perso: Kalid, Meria, Faston, Aurid, Erton, Alasa, Mut, Nart, Aquira. Uomini e donne di grande valore che lui aveva imparato a rispettare: con loro aveva combattuto un infinità di battaglie, ma solo lui era sopravvissuto. Le spade, la neve, le malattie, il mare, le frecce… a poco a poco erano tutti morti. A volte in incidenti, altre volte per l’imprudenza altre ancora per il volere del fato o degli dei. Ma alla fine era sopravvissuto solo lui.

Sospirò pesantemente, mentre con un rapido movimento del pollice, faceva saltare la sua moneta portafortuna che roteo in aria per poi ricadergli in mano. Da quando aveva lasciato l’esercito si sentiva a disagio, come se non fosse sicuro della sua scelta… ma era troppo tardi per pensarci. Erano dieci anni che viaggiava; aveva visitato ogni regno, toccando ogni angolo del continente, ma ancora non aveva trovato la risposta al suo interrogativo.

‘Forse… perché nemmeno io so cosa voglio chiedere…’ Pensò con un sorriso amaro. Ed era vero. Non sapeva cosa lo avesse spinto ad abbandonare un’onorata carriera militare, ma sentiva, in fondo al cuore, una sensazione di vuoto che lo faceva star male, che non lo faceva dormire la notte e che rendeva il cibo amaro e le bevande insapori. Così, aveva dato le sue dimissioni, portando con se tutto il suo denaro e la sua spada con la quale aveva combattuto così tante battaglie che si era persino dimenticato dove l’avesse trovata. Oltre a quella, l’unico ricordo tangibile del suo passato, oltre alle sue cicatrici, era la moneta che Nart gli aveva prestato il giorno prima che finisse per essere ingoiato dalle oscure acque gelide del Mare del Nord. Non aveva mai avuto l’occasione di restituirla. Scherzava con se stesso che non l’avrebbe mai spesa e sarebbe morto con essa per poterla restituire al suo proprietario nell’aldilà.

Fu abbastanza sorpreso di ritrovarsi davanti un avamposto di frontiera e non un villaggio, quando ebbe di fronte la spessa palizzata in legno che gli impediva di proseguire.

“Chi va là!?” Chiese una guardia armata. Indossava un’armatura con sopra un manto di copertura celeste chiaro e un leone rampante giallo al centro: il simbolo del regno di Ronina.

“Sono solo un viaggiatore stanco… chiedo solo ospitalità e una locanda, dove poter passare la notte.” Rispose seccamente Tenorh, attendendo la risposta.

“Siate il benvenuto, straniero, scusate, ma oggi il villaggio è un po’ in subbuglio, non ci aspettavamo visite.” Rispose la guardia, aprendo un porta più piccola, abbastanza grande da far passare un uomo.

“Nessuno si aspetta visite, cosa succede?” Chiese il vecchio soldato squadrando il suo interlocutore: un giovane senza nemmeno un accenno di barba e senza nemmeno mezza cicatrice.

‘Scommetto che questo ragazzino non ha mai nemmeno combattuto, al di fuori degli allenamenti… se si trovasse in una battaglia scapperebbe via.’ Pensò, con un sorriso amaro che nascose sotto il cappuccio. Troppe volte aveva visto soldati codardi darsela a gambe, prima dello scontro frontale con i nemici, ma non li biasimava, la paura era una brutta bestia. Quello non era un avamposto comune, ma uno dei così detti, villaggi di frontiera: luoghi molto interessanti, dato che erano delle specie di fortini, dove i soldati si trasferivano con le loro famiglie. Sorgevano principalmente nei confini tranquilli e negli ultimi anni anche ai piedi delle montagne nere. Ne aveva già visitati parecchi ed era sempre un buon posto dove sostare.  

Il soldato indicò il centro dell’accampamento, dove c’era una gabbia di metallo stretta che conteneva una ragazza non molto alta dai capelli argentei molto chiari con un strano tatuaggio sul collo. Era distesa a terra e ansimava, mentre le guardie si tenevano prudentemente lontane. I lineamenti non mentivano: una mezzanima. “Eccolo il motivo della nostra preoccupazione… si è presentata qui vicino, non poco tempo fa… dovreste stare attento, la loro razza è subdola e pericolosa.” Disse il ragazzo, guardandola come se fosse il male assoluto.

Tenorh sbuffò, sinceramente imbarazzato dall’ignoranza che la sua razza, spesso, dimostrava. Era vero che i mezzanima erano esseri che, per vivere, dovevano assorbire l’anima di altri esseri viventi, ma erano comunque creature socievoli inoltre lui aveva visto più volte creature malvagie e pericolose, molto più di quella ragazzetta che, probabilmente, aveva la sola colpa di aver mostrato le sue abilità davanti a qualcuno.

“Cos’ha fatto?” Chiese, avvicinandosi, seguito dal giovane che lo aveva accolto.

“Signore… io non capisco… è una mezzanima! Avremmo dovuto ucciderla a vista…” Sussurrò il ragazzo confuso.

L’uomo gli rifilò un’occhiata talmente penetrante che il giovane indietreggiò deglutendo. Sapeva essere autorevole e aveva domato teste calde ben peggiori di quel ragazzetto di campagna. “Che crimine ha commesso!? Per essere imprigionata dev’essere una criminale, no!? Quindi. Cos’ha fatto per essere rinchiusa!?” Chiese con rabbia, mentre altre guardie lo circondavano.

“N-nulla che io sappia.” Rispose il ragazzo con rispetto. Evidentemente si era accorto di avere davanti un uomo molto più esperto di lui.

“Molto bene… allora desidero parlare con il vostro comandante, per fargli notare che state trattenendo un innocente.” Disse Tenorh senza troppi preamboli. Non era il tipo da sposare cause in particolare, ma semplicemente, non amava le ingiustizie. Non ci volle molto per veder arrivare un uomo sui circa trent’anni impettito e orgoglioso.

“Io sono Mitar, figlio di Etar, cosa posso fare per voi, viaggiatore?” Chiese il comandante, senza nemmeno fare un segno di saluto.

‘Eccone un altro… rimani calmo e cerca di non perdere la calma….’ Pensò, il vecchio soldato, appena il suo interlocutore si presentò. Gli era bastato sentirlo parlare: dato che aveva presentato il padre, probabilmente era il figlio di qualche alta autorità che credeva di poter fare quello che gli pareva. Ne aveva incontrati anche troppi, di tipi del genere.

“Io sono Tenorh, e sono un semplice viaggiatore. Vorrei sapere cosa ha fatto quella giovane mezzanima per essere imprigionata.” Disse mantenendo un autocontrollo ferreo. Non sarebbe stato quel tronfio damerino a fargli perdere le staffe.

“Creature immonde come lei non dovrebbero esistere… è già di per se un motivo per tenerla lì dentro.” Rispose orgogliosamente l’altro, convinto che bastasse un armatura scintillante a sottomettere un uomo.

“Io sono dell’idea che quella ragazza non abbia fatto nulla di male, quindi vi chiedo di liberarla e, se proprio volete delle garanzia, mi offro come responsabile delle sue azioni, finché sono all’interno del villaggio.” Rispose Tenorh senza preamboli, facendo capire che non era per nulla impressionato.

Per un attimo i due uomini si guardarono negli occhi, quasi a valutare il rischio di attaccare. Il più vecchio sapeva che sarebbe stato in inferiorità numerica, ma dubitava che quei sei soldati potessero avere la sua stessa esperienza, li avrebbe sopraffatti facilmente. Certo, era meglio evitare di dare inizio ad un combattimento, dato che avrebbe messo in pericolo se stesso.

“E sia, se hai proprio voglia di morire… liberato quella mezzanima, sarà un problema suo, ora.” Ordinò il comandante. Subito uno dei suoi estrasse da una tasca un mazzo di chiavi e aprì la gabbia.

Tenorh si avvicinò alla giovane dai capelli bianchi e la esaminò con attenzione. Era a malapena cosciente e difficilmente sarebbe sopravvissuta. Aveva bisogno di assorbire l’anima di una persona o di un animale, o sarebbe morta.

“Come ti chiami?” Chiese l’uomo mettendola a sedere, cercando di non ferirla.

Lei lo osservò con occhi vuoti e vitrei, ma riuscì solo a dire: “Io… io sono Faith…”

 

 

 

 

 

 

 

[Nei pressi del secondo Castello del Sole]

 

Aleida osservò i cadaveri delle decine di soldati che giacevano tra le macerie, orribilmente mutilati e trucidati nel tentativo di difendersi. Ebbe un conato di vomito quando, per esaminare le tracce inciampò, per sbaglio in una mezza testa di un uomo che era stata letteralmente tagliata a metà, dalla fronte al mento, lasciando fuoriuscire resti di cervello e carne.

‘Concentrati… tutto ciò non ti riguarda…’ Pensò, coprendosi la bocca con la mano destra, mentre si metteva a esaminare il terreno con metodica precisione.

Di solito era abituata a lavori in città, o comunque, non andava mai a cercare lavori particolarmente difficili, ma mille corone d’oro non capitavano tutti i giorni. Certo, non era stupida, i Signori delle Tenebre l’avrebbero uccisa, se avesse fallito, ma lei lo percepiva solo come un altro stimolo a non fallire. Sembrava che non ci fossero sopravvissuti, ma all’improvviso notò che alcune pietre crollate erano state rimosse e che qualcuno aveva saccheggiato i resti del castello portando via qualcosa.

‘Probabile che sia un sopravvissuto… forse ha cercato dell’equipaggiamento tra le macerie… e si sta dirigendo verso il bosco…’ Pensò, individuando le tracce che portavano a un sentiero sterrato siretto nelle profondità della foresta.

‘A quanto pare la caccia ha inizio…’ Pensò la ragazza, iniziando a seguire le tracce come un segugio.

Per un attimo si voltò osservando l’esercito dei Signori delle Tenebre dividersi in due: una diretta a nord, per attaccare Toran e le altre città sotto la protezione della confraternita dei Maghi delle Stelle, mentre l’altra metà era diretta a sud, per attaccare la capitale. Dovevano essere scesi più ventimila creature, eppure, non si vedeva ancora la fine della loro armata che continuava a venire giù come un incessante alluvione di morte e distruzione. Per un attimo, lei, pensò se non avesse fatto meglio a scappare, magari andarsene il più lontano possibile. Però non era il tipo: ogni lavoro lei lo accettava, indipendentemente da chi glielo offriva. Così avrebbe fatto anche quella volta. Seguì le tracce nel bosco, però, con la sensazione di aver fatto la scelta sbagliata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Risalve! Eccomi qui di nuovo con un nuovo lunghiiiiiiiismoooooooo capitolo di uesta mia piccola (grande) saga fantasy che racconta le vicissitudini dei pochi prescelti dagli Dei.  Facciamo la presentazione di Tenorh, veterano di mille battaglie alla ricerca del suo posto nel mondo. E Faith, ragazza mezzanima alla ricerca di vendetta per la sua razza. Spero che arrivino recensioni come le precedenti che mi hanno sinceramente compiaciuto e ringrazio in particolar modo Flareon24 che mi ha dato un ottimo personaggio e m ha dato una mano, grazie un bacio.

AxXx

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Capitolo 5
*** Solo la Fuga, per Ora ***


 

                             Solo la fuga, per ora.

 

 

Nei capitoli precedenti: La pace di cui il continente di Magnamund da oltre trecento anni è giunta al termine. I Signori Delle Tenebre sono risorti e il male inizia a dilagare sulle Terre Libere. Dopo aver distrutto i Dodici Castelli del Sole, le forze del Nemico marciano sulle terre libere in forze, colpendo di sorpresa i regni vicini. Kaim, giovane cavaliere del Sole sopravvissuto, riesce a scappare, ma un assassino lo sta braccando. Intanto i regni a sud sono in subbuglio e i loro eserciti si preparano ad accogliere i nemici. Tutte le nazioni schierano le loro forze, ma da che parte staranno? La vittoria è sul filo della lama. L’Ultima Crociata nera a inizio.

                        

 

 

 

[A sud del Secondo Castello del Sole]

 

Kaim stava camminando velocemente verso sud, cercando di farsi strada nel sottobosco, facendo del suo meglio per ignorare il dolore dei rami che gli frustavano dolorosamente il viso. Sapeva che lo avrebbero cercato sulla strada principale, ma lui non era così stupido da lasciarsi trovare così facilmente. Sentiva ancora forte, in se stesso, la rabbia e la frustrazione per non essere riuscito a fare nulla, ma a lui non importava: andava avanti, usando la sua rabbia come incentivo ad avanzare. Ore e ore passarono in quella intricata foresta, fino a uscire in una valle pianeggiante, non lontano da un ampio fiume, del quale si vedeva a malapena l’altra riva: era il fiume di Holmagard che nasceva sulle montagne nere fino a sfociare a fianco della città.

‘Bene… seguendolo dovrei raggiungere la capitale…’ Pensò, asciugandosi il sudore dalla fronte e sistemandosi meglio lo scudo in spalla. Si incamminò di nuovo, ma, all’improvviso, uno strano sibilo solleticò il suo udito e, istintivamente, si buttò a terra, rotolando, proprio nel momento in cui un coltello gli sfiorò l’orecchio destro.

“Ma chi diavolo è stato!?” Chiese ad alta voce guardandosi intorno, fino ad individuare una giovane donna che avanzava verso di lui: aveva i capelli castani, un fisico asciutto e occhi bicolori. Impugnava due coltelli ricurvi. “Chi diavolo sei, tu!?” Chiese, estraendo la spada con la mano sinistra e lo scudo nella destra.

“Sei un Cavaliere del Sole… mi dispiace, niente di personale, ma m hanno offerto un sacco di soldi per far fuori tu e i tuoi compagni.” Disse la sua avversaria, lanciandosi in avanti roteando i due coltelli cercando di colpirlo alla gola.

Kaim evitò le letali armi, rotolando e portandosi alle sue spalle. Menò un potente fendente cercando di tagliarle le gambe senza successo. Tentò un altro paio di fendenti che la donna evitò con agilità rispondendo con due veloci attacchi che finirono con impattare contro lo scudo. I due si fronteggiarono per un attimo, senza entrare in contato, poi lei, si lanciò di nuovo all’attacco cambiando strategia: iniziò a colpire, puntando alle gambe per farlo inciampare. Kaim, però, sapeva difendersi e riuscì ad evitare le terribili lame, approfittando di un attimo di pausa per tornare all’attacco. La ragazza, tuttavia, non aspettava altro: dopo aver parato due e evitati altri tre, agganciò la spada dell’avversario con la curvatura dei suoi karambit, torcendogli la mano costringendolo a mollare la presa. Ormai disarmato, Kaim indietreggiò cercando di evitare una lunga serie di attacchi, usando lo scudo come arma, nel tentativo di colpirla. Ma quella era troppo agile e non c’era modo di farla indietreggiare, anzi, con una rapida mossa, dopo aver evitato un attacco, agganciò lo scudo del giovane con i suoi coltelli e lo fece volare via, lasciandolo disarmato.

“L’unica cosa che puoi fare è lasciarti uccidere velocemente…” Sussurrò lei, facendolo indietreggiare.

“Tu credi!?” Urlò l’altro di rimando estraendo fulmineo l’arco e incoccando una freccia.

La ragazza sgranò gli occhi, sorpresa, ma con i suoi riflessi fulminei, riuscì ad evitare la freccia, facendo una veloce capriola all’indietro. Ma Kaim voleva solo distrarla, infatti, mentre lei volteggiava, lui si lanciò verso la spada, afferrandola e lanciandosi verso l’avversaria menando fendenti violenti e veloci, impugnando l’arma con le mani. La donna, pur essendo riuscita a mettersi in piedi, non si aspettava una reazione così feroce e si ritrovò in netta difficoltà. Il ragazzo continuò a colpire con violenza, costringendola a indietreggiare. Colpì ancora e ancora, colto da rabbia e frustrazione, scaricandole in ogni singolo fendente. L’altra, capendo di avere poche possibilità, rotolò via e, mentre si rialzava, lanciò un coltello a distanza ravvicinata, colpendo il giovane alla spalla.

Lui ringhiò di dolore, tenendosi la spalla. “Maledetta…” Sussurrò, indietreggiando, tenendo, però, ancora stretta la spada. La ragazza, a quel punto si lanciò su di lui, gettandolo in avanti, e buttandolo nel fiume.

Kaim urlò per lo spavento e per l’improvvisa mancanza di un punto d’appoggio e finì in acqua, sbattendo la testa contro un sasso sul fondo. La vista si appannò di colpo e, per un attimo, fu sul punto di svenire, ma, con un incredibile sforzo di volontà riuscì a rimanere cosciente. Allungò la mano, cercando di afferrare qualsiasi cosa potesse aiutarlo a riemergere, mentre i polmoni gli si riempivano d’acqua. Alla fine riuscì ad afferrare un ramo di albero e riuscì ad usarlo per puntellarsi e tirarsi su.

Appena sentì l’aria tornare a scorrere nelle sue vie respiratorie percepì il bruciore alla gola attenuarsi, pensò di non essere mai stato così felice di poter respirare.

‘Dei… cavolo, me la sono vista davvero brutta…’ Pensò, sbattendo le palpebre per l’adrenalina e lo spavento, mentre il cuore riprendeva il suo battito regolare.

Si issò a riva e si distese un attimo per riaversi, dopodiché, sentendo dei passi, si nascose dietro a dei cespugli per osservare chi fosse. Sporgendosi notò la ragazza dagli occhi bicolore che camminava a passo di marcia sussurrando qualcosa ad un ciondolo che lui non riuscì a sentire. Kaim la osservò con rabbia ed estrasse silenziosamente la spada, pronto a colpirla, ma, all’improvviso, sentì come se una mano gli stesse trattenendo il braccio. Alla fine, invece di attaccarla, decise di seguirla per sapere cosa stessero macchinando i suoi nemici.

 

 

 

 

 

 

 

[Da qualche parte, nei pressi della città di Malakus]

 

 

Luna si svegliò sussultando per il freddo e la paura. Per un attimo ebbe la certezza di essere morta, ma le sensazioni sulla sua pelle erano troppo reali per non essere reali. Si trovava in una piccola conca lungo il letto rialzato del fiume, circondata da arbusti dai quali crescevano bacche dagli sgargianti colori rossi e gialli. Il sole stava sorgendo, quindi era passata un’intera notte da quando era caduta nel fiume.

“Dovresti sederti… sei ancora convalescente.” Sussurrò una voce che fece sobbalzare la ragazza.

Lei si voltò e si ritrovò davanti una donna velata, con un lungo abito completamente bianco che arrivava fino alle caviglie, con delle rifiniture argentee e strane immagini di varie fasi della luna cucite sulle vesti.

“Io… io, siete stata voi a salvarmi?” Chiese la ragazza, inchinandosi rispettosamente. Sentiva una strana aura di pace e benignità emanata dalla sua interlocutrice, ma era incredibilmente potente, come se avesse potuto distruggere tutto nel raggio di chilometri.

“Sì, maga-bambina, ho avuto la fortuna di vedere ciò che ti era accaduto e non ho avuto il cuore di lasciarti in quella situazione… prego, mangia.” Rispose quella, mostrando una specie di coperta con sopra un po’ di carne secca, qualche frutto e una focaccia coperta da un sottile strato di miele.

“Oh… ehm… grazie, mia signora… ma non voglio approfittare della vostra gentilezza, mi avete già salvata. Ora devo assolutamente raggiungere il mio maestro.” Disse la giovane, scuotendo la testa, cercando di non essere scortese. Non le piaceva ferire le persone, soprattutto se così gentili, ma il pericolo era davvero grande.

“Maga-bambina… il tuo corpo è stanco e ha bisogno di mangiare.” La riprese la donna dolcemente, indicando di nuovo il cibo con un fluido gesto, dolce e armonioso. Quello si fece improvvisamente più appetitoso e invitante e Luna non ebbe la capacità di resistere. Si sedette e iniziò a mangiare voracemente. In effetti il suo stomaco brontolava: probabilmente non mangiava da più di mezza giornata.  Alla fine, sazia, si lasciò cadere a terra e, bevendo un po’ d’acqua dal fiume, si distese a terra, stranamente tranquilla.

“Maga-bambina… ora devi ascoltarmi.” Sussurrò la donna, dolcemente, attirando magneticamente l’attenzione della ragazza.

Luna si sedette di nuovo e incrociò le gambe, osservando la velata che, dopo alcuni istanti, indicò l’acqua che iniziò a ribollire e gorgogliare, fino a che, sulla sua superficie non fu proiettata l’immagine di un immenso esercito di mostri e uomini dalle armature nere. Attraversavano il valico di una montagna, armati con lance e spade dentate, intonando urla e canti di guerra bestiali e spaventosi.

“Cosa!? Chi sono?” Chiese impaurita Luna, osservando l’immagine che veniva proiettata sull’acqua.

“I Signori delle Tenebre… questa è solo una piccola parte dell’esercito che stanno radunando nelle oscure valli di Kazas. Essi intendono distruggere tutto ciò che vive… tu ora hai paura, ma non hai idea di cosa stia per avvenire. Tuo è il compito di scongiurare la catastrofe.” Sussurrò la donna che, colpita dalla luce, stava diventando sempre più pallida, quasi trasparente.

“Cosa!? Io!? Ma… ma io… io sono solo un’allieva, un serva-apprendista! Come posso fermare tutto questo!?” Chiese sorpresa e spaventata al tempo stesso. Chi era quella donna? Cosa voleva da lei? Perché le stava dicendo quelle cose assurde.

“Non da sola… abbiamo già contattato gli altri prescelti… solo che io voglio essere diretta con te: questa non è una Crociata nera come le altre… questa deciderà la sorti del Magnamund per i prossimi secoli, forse millenni. Tu devi andare a oriente… e cercare di riunirti con gli altri. Tutti gli eserciti devono unirsi, anche i popoli che sono rimasti neutrali e il vostro compito è riunirli.” Asserì, mentre la sua immagine diventava sempre più labile. Luna cercò di toccarla, presa dalla paura e dalla curiosità, ma la sua mano passò attraverso l’immagine, come se non ci fosse. Sobbalzò e si ritrasse.

“Sappi che non sarà un compito facile… vi troverete davanti nemici senza cuore e anima e dovrete superare le vostre peggiori paure e i vostri incubi. Ma noi abbiamo fiducia in voi… siete i soli che potete farcela.” Sussurrò la donna velata prima di sparire del tutto.

“Aspetta! Noi chi!? Chi sono gli altri!? Chi devo cercare!? Ti prego, aspetta! Spiegati!” Urlò Luna nervosa, cercando di afferrare i resti dell’immagine che fino a pochi istanti prima aveva davanti. Ma nulla; era sparita, senza lasciare traccia, persino la sua aura era sparita, come se non ci fosse mai stata. Eppure era un aura incredibilmente intensa, più di quella di qualsiasi gruppo di maghi: nemmeno i più potenti radunati insieme ne avrebbero creata una altrettanto potente.

Preoccupata, si mise in cammino: avrebbe dovuto attraversare l’intera pianura per raggiungere la città, ma doveva informare il suo Maestro, se non era stato già informato. Sapeva che ci avrebbe messo almeno due giorni, dal luogo in cui si trovava, senza una cavalcatura, ma non doveva perdersi d’animo. Lui solo poteva darle consiglio e spiegarle ciò che era accaduto in quella conca.

 

 

 

 

 

 

 

[Villaggio-avamposto di Maruth]

 

 

Faith sisvegliò, ma non aprì subito gli occhi. L’unica cosa che ricordava era di aver assorbito l’energia vitale da un maiale destinato al macello e di addormentarsi di botto, tra le braccia di un uomo sulla cinquantina di anni. Si aspettò di sentire di nuovo le sue gambe sbattere contro il duro legno della gabbia, invece, riuscì a distendersi e ciò le fece intuire di non essere più prigioniera. Sbatté le palpebre e si guardò intorno: era in una piccola, ma accogliente stanza di legno, con un piccolo tavolo, una cassapanca e un letto, sul quale era distesa lei. Accanto alla finestra era seduto, su un semplice sgabello, l’uomo che l’aveva salvata. Un vecchio dalla barba incolta e il volto stanco. Al fianco pendeva il fodero di una spada. Stava guardando il villaggio all’esterno, avvolto nell’oscurità della notte.

“Finalmente… ti sei svegliata…” Disse quello, con voce rauca e profonda, voltandosi verso di lei.

Faith, però, mantenne un ostinato silenzio, rigirandosi dall’altra parte del letto. Non voleva la pietà di nessuno, specialmente degli umani. La sua razza era già stata quasi totalmente sterminata da quelli come lui e non voleva essere trattata come una bambina.

L’uomo, però, continuò ostinatamente a parlare: “Sei di poche parole, eh? Be’, fai come vuoi, comunque, hai ancora i capelli un po’ bianchi, ti consiglio di assorbire velocemente qualcos’altro, prima di lasciarci la pelle.” Disse in tono canzonatorio, quasi a prenderla in giro.

Lei si stupì dal modo in cui quell’uomo si stava rivolgendo a lei: di solito lo facevano mostrandosi sospettosi, irritati o, addirittura, impauriti. Quel tipo, invece, le parlava come se stesse disquisendo amabilmente del tempo, incurante del possibile pericolo che lei rappresentava. Semplicemente, la considerava una persona e questo lei lo capì subito.

“Perché mi hai aiutata? Sai che sono una mezz’anima, vero?” Chiese lei, piano, voltandosi di nuovo verso di lui.

“Semplice: eri in difficoltà e ti ho aiutata… io…” All’improvviso si interruppe e si mise ad osservare qualcosa fuori dalla finestra. “Aspettami qui…” Sussurrò dirigendosi verso l’uscita, poi, però, tornò indietro aprendo la cassapanca tirando fuori un arco e una faretra piena di frecce. “Ecco… erano tue, me le hanno date, stai qui e non ti muovere.” Aggiunse, prima di andarsene di corsa, chiudendosi la porta alle spalle.

 

 

 

Tenorh scese le scale, superando la sala ristoro della locanda, ormai completamente vuota, e scese in strada proprio nell’istante in cui due guardie, sul muro che dava ad ovest, venivano colpite da alcune frecce. I soldati si stavano radunando, mentre un gruppo di uomini dall’armatura nera e i volti nascosti sotto pesanti elmi, scavalcavano le mura brandendo spade e asce.

“Uomini! Siamo sotto attacco! Evacuate i civili! Difendetevi!” Urlò il comandante, sguainando una lunga spada dal manico ingioiellato.

Tenorh si lanciò di corsa contro il nemico più vicino trafiggendolo prima che quello si accorgesse di chi o cosa lo stesse attaccando. Altri due uomini dalle pesanti armature nere gli corsero incontro brandendo due asce, cercando di tagliargli la testa, ma il vecchio soldato sapeva come muoversi sul campo di battaglia evitando il primo e parando velocemente i colpi del secondo. Di nuovo evitò e parò altri fendenti, tagliando la testa a uno dei due. L’altro cercò di farlo fuori con un potente colpo dall’alto verso il basso, ma, quando Tenorh lo evitò, l’arma si piantò nel terreno e l’uomo lo uccise con un singolo fendente. All’improvviso una freccia gli volò accanto e fece fuori un energumene che impugnava un ascia bipenne. Il vecchio soldato si voltò e vide la mezzanima che teneva saldamente l’arco in mano, pronta a dargli supporto. L’uomo, allora si lanciò all’attacco uccidendo altri due Drakar e notò a guidarli era uno strano individuo avvolto in un mantello marrone emanante una strana aura che sembrava rafforzare i suoi spaventando i difensori. La battaglia era molto disordinata: la gente fuggiva alla rinfusa, dall’altra parte del villaggio travolgendo, nel panico, chi non era abbastanza agile o veloce, i guerrieri drakar facevano strage di soldati, mossi da una violenza e da una ferocia senza pari, mentre impugnando torce, davano fuoco a tutto ciò che potevano. Un soldato cadde a terra trafitto da uno spadone, e un altro fu colpito alla testa da una mazza con tale forza che il rumore del collo spezzato giunse fino alle orecchie di Tenorh. Lui, intanto stava combattendo al fianco del soldato che lo aveva accolto al villaggio che brandiva una spada corta e, nell’altra mano, un scudo. Era spaventato e disorientato, cosa che fece capire al vecchio soldato di aver visto giusto: quel tipo era una recluta.

“Attento!” Urlò, tirandolo via, evitando che la testa del giovane venisse tagliata da un ascia per poi mettersi a combattere contro il guerriero avversario che fu ucciso rapidamente con un profondo taglio al petto. Approfittando di un temporaneo momento di calma, si diresse verso il giovane, prendendolo per le spalle.

“Che diavolo stai facendo!? Sei un soldato!?” Chiese in tono furioso, mentre i difensori tenevano a distanza  nemici.

“Io… io… si… sisignore…” Balbettò quello sbattendo le palpebre, con gli occhi dilatati per la paura.

“Be’, a me non sembra! Dimostra di esserlo e combatti da uomo!” Urlò Tenorh, afferrandolo per la collottola e lanciandolo in avanti verso la mischia. Per un attimo pensò il ragazzo sarebbe scappato, invece prese fiato e attaccò.

I difensori erano in netta inferiorità: ormai il fuoco divampava, illuminando la notte, mentre i nemici attuavano un vero massacro, uccidendo non solo i soldati, ma anche chiunque non fosse fuggito. Erano sopravvissuti solo Tenorh, Faith e un piccolo manipolo di uomini.

“Ritiratevi!” Urlò il vecchio soldato, afferrando la ragazza per le spalle, mettendosi a correre verso l’uscita.

I soldati tentarono di allontanarsi tra le fiamme che radevano al suolo il villaggio, ma i drakar non gli davano tregua, inseguendoli e trucidandoli alle spalle. Intanto i due, stavano per raggiungere le porte del villaggio dalle quale lui era arrivato quando il misterioso figuro incappucciato tagliò loro la strada, circondandoli con altri cinque soldati.

“Mortali… implorate pietà e vi farò morire velocemente…” Li minacciò quella creatura con voce rauca e sibilante. Il suo aspetto era mostruoso: il suo viso era tumefatto, pieno di piaghe e senza pelle. La carne era semidecomposta e gli occhi erano due orbite vuote con una strana luce rossa inquietante al posto delle pupille.

I soldati in nero risero schernendoli, ma i due compagni si guardarono e, con un cenno di intesa li anticiparono: Faith scagliò una freccia trafiggendo al collo un drakar e ne estrasse rapidamente un'altra colpendone un secondo alla testa e, alla fine, quando il terzo fu vicino, impose le mai su di lui, assorbendo la sua anima in pochi secondi. Tenorh, intanto, brandendo con violenza la sua spada, decapitò gli altri due per poi lanciarsi contro il mostro incappucciato che parò l’attacco con una spada che sembrava fatta con uno strano metallo nero.

“Hai condannato te stesso, sciocco mortale, hai attirato su di te la furia dei Signori delle tenebre…” Sussurrò la bestia, guardandolo negli occhi con i suoi, inquietanti.

Tenorh ebbe uno strano sussulto, ma non si arrese e spinse via l’arma avversaria: “Che si facciano avanti! Non ho certo paura dei tuoi signori!” Urlò lanciandosi all’attacco.

“Presto imparerai a temerli!” Rispose l’altro di rimando, attaccando a sua volta.

I due iniziarono a menare fendenti, cercando di tenersi a distanza l’uno dall’altro parando e colpendo con violenza. Il vecchio soldato parò e lanciò un altro fendente che il suo avversario parò con facilità. Tornò all’attacco colpendo ancora e ancora, ma quell’essere sembrava intoccabile. Faith cercò di lanciare una freccia che attraversò il corpo dell’avversario come se fosse impalpabile. Quello, intanto si era portato in vantaggio rispetto a Tenorh, andando vicino a colpirlo, ma questi evitò fortuitamente il fendente e, portandosi vicino alla creatura, trafiggendola da parte a parte. Quello inizio a sciogliersi e a urlare orribilmente, tentando di strangolare l’uomo con le sue ultime forze. Questi, però, nonostante il collo fumante, mantenne salda la presa, finché il mostro non si fu completamente sciolto in una pozza di acido fumante.

“Cosa… cosa diavolo era quello!?” Chiese Faith, afferrando il soldato che si teneva la gola che aveva letteralmente impressa a fuoco l’impronta delle mani del loro defunto avversario.

“Un Hellgast… ne avevo già incontrato uno, ma non pensavo di vederlo così lontano dalle Montagne Nere… per fortuna ho fatto incantare Nessie per affrontare mostri come lui… sono immuni alle armi ordinarie… ora andiamocene.” Rispose Tenorh, mentre osservava i drakar impegnati a saccheggiare l’avamposto. Non si sarebbero accorti di loro.

I due se ne andarono fuggendo nella foresta, sapendo che avrebbero potuto fuggire.

 

 

 

 

 

 

 

[Sulle montagne azzurre, hai confini dell’Impero di Nautilus.]

 

 

Sairus si svegliò sobbalzando guardandosi intorno: era appena l’alba e i primi raggi del sole accarezzavano le cime degli alberi riflettendosi sulla fresca rugiada del mattino non ancora sciolta.

‘L’ennesimo incubo… devo capire cosa mi stia succedendo…’ Pensò quell’uomo dall’aspetto giovanile che si alzò, infilandosi un paio di pantaloni in pelle, molto spessi.

Uscì dalla sua baita di montagna e afferrò si mise ad osservare l’orizzonte, cosa che faceva spesso, in quel periodo. Da oltre un anno era tormentato da strani incubi che gli facevano rivivere la sua travagliata infanzia come schiavo e gladiatore. Si toccò per un attimo il petto, sentendo sotto le dita i solchi delle tante cicatrici che segnavano il suo corpo. Ormai era abituato, ma ogni volta che la toccava sentiva e ricordava l’arma e l’uomo che gliel’aveva procurata. Erano ricordi indelebili, scolpiti nella sua mente come le cicatrici sul corpo. Non a caso lo chiamavano ‘Il Guerriero Pazzo’. Eppure qualcosa lo inquietava, come se qualcosa non stesse andando nel mondo. Come ogni Yorok, lui aveva una specie di ‘empatia’ con la natura e questo lo portava a percepire i grandi cambiamenti nel mondo. Ecco perché aveva una brutta sensazione: qualcosa stava cambiando e in modo molto negativo e gli incubi dovevano essere collegati in qualche modo a tutto ciò. Da molto tempo sentiva l’impellente bisogno di andare ad ovest, ma non si sentiva ancora pronto ad abbandonare il suo rifugio di montagna.

Solo che quel sogno era ben diverso dai normali incubi: aveva sognato di tornare al suo villaggio d’origine, un piccolo agglomerato di capanne di pelli tra le valli dei Monti Gelati ancora più a est che, oltretutto, si estendevano anche a nord, fino ai confini del regno di Hammerdal. Vi tornò, ma solo per vederlo bruciare, mentre gruppi di uomini con armature ed elmi neri massacravano donne e bambini. A quel punto, preso da una rabbia incontenibile si scagliò contro i sui avversari brandendo il suo Martello con entrambe le mani facendo strage di nemici, ma subito arrivò un strano individuo incappucciato che alzando le mani, oscurò il cielo e colpì lo Yorok con un fulmine.

Sairus aveva già intuito da tempo che quel sogno era premonitore. Presto la sua razza avrebbe dovuto combattere per salvarsi perché lui non sarebbe riuscito a salvarla. Il problema era che lui non se la sentiva di tornare nel mondo. Non che avesse paura, ma perché spesso si chiedeva se davvero valesse la pena salvarlo: troppo spesso aveva sofferto per quello che vi aveva trovato: la sua infanzia e tutta la sua vita, passata e distrutta da schiavisti che l’avevano usato come schiavo nella città-arena di Krabios, dove aveva sostenuto un infinità di combattimenti.

‘Gli spiriti sembrano volermi spingere a partire… ma non so se lo voglio davvero…’ Pensò, mentre rientrava in casa vestendosi con la sua giacca di pelle d’orso e afferrando il suo martello di mitri, il Piede di Gigante. Prese un po’ di provviste e partì alla volta del villaggio vicino: l’unico luogo che visitava, al di fuori delle immense foreste dei monti di Derus.

Lo raggiunse in mattinata inoltrata e andò alla locanda di Mur, un uomo suo amico che ospitava i viaggiatori che andavano a oriente. In quel momento, in effetti, c’era un bell’affollamento: un uomo stava raccontando di ciò che stava succedendo a occidente, cosa che interessò non poco Sairus che si avvicinò per poter sentire meglio. Era un uomo sui trent’anni con una barbetta incolta e un i capelli corti, entrambi castani e gli occhi verdi.

“… E così siamo andati oltre le Montagne Nere per seguire l’orso, cercando di colpirlo con una lancia e, in lontananza, abbiamo visto questo tipo… un giovane con uno strano mantello e sembrava un mago. E stava andando proprio nelle valli di Kazas… doveva essere impazzito: nessuno si avventurerebbe lì, probabilmente è già morto.” Stava dicendo per poi bere un sorso di birra. Sembrava stesse raccontando una favoletta.

‘Possibile che c’entri qualcosa?’ Pensò Sairus, pensieroso.

“Ah, non preoccuparti… è da tempo che passano avventurieri che raccontano storie strane su quello che sta succedendo a occidente… secondo me se lo inventano.” Disse Mur, dandogli una pacca sulle spalle. La gente di quel villaggio si era, ormai abituata a vedere quel gigante scendere dalla montagne per fare qualche acquisto e, diversi, ormai, lo trattavano come amico, cosa per la quale lui era molto grato.

“Che genere di storie?” Chiese lo yorok, sedendosi al bancone, in modo da poter parlare un po’ con il locandiere, mentre quello gli passava una birra di malto.

“Ba’, un po’ di tutto, strani movimenti di goblin, esseri incappucciati, creature che si aggirerebbero su di essi… secondo me sono tutte invenzioni per attirare l’attenzione e farsi offrire qualcosa di forte.” Rispose l’altro noncurante, con un sorriso, mentre puliva una brocca con uno straccio.

Quella sera, Sairus, osservò di nuovo il sole tramontare e prese la sua decisione: per quanto disinteressato, sarebbe partito per l’ovest. Tornò in casa, prese una borsa e la riempì di provviste, dopodiché se la legò in spalla insieme al martello, si spogliò mettendo i vestiti nel sacco e si concentrò su se stesso visualizzando nella mente l’immagine di un leone di montagna. Sentì l’energia della natura scorrere in lui e gli dette forza, spingendola e deviandola in modo che il suo corpo assumesse fattezze leonine. Una volta mutato iniziò a correre nella foresta a più non posso. Sapeva che avrebbe fatto in fretta, ma doveva raggiungere la parte occidentale del continente e, anche in quella forma, ci avrebbe messo più di due settimane.

 

 

 

 

 

 

[Sulla strada tra Summerland e Vassagonia]

 

Due figure incappucciate stavano avanzando tranquillamente verso sud, in direzione del regno di Vassagonia erano due ragazzi giovani e dal corpo asciutto. Era impossibile capire chi fossero, dato che erano praticamente identici.

“Kat… la prossima volta, evita di mostrare le tue capacità così apertamente: quel mercante ti aveva visto.” Disse il maschio avvicinandosi ancora di più alla sua compagna, quasi a volerla proteggere.

“Dai, Kyle! Smettila di essere così paranoico! È vero che dobbiamo stare attenti, ma non possiamo essere sempre così… invisibili. Non c’è divertimento, se no.” Sbuffò l’altra, trotterellando in avanti sorridendo infantilmente, voltandosi di nuovo verso il fratello che non poté fare a meno di sorridere di rimando.

“Sei sempre la solita… lo sai che gli umani vedono con molta diffidenza quelli come noi. Dobbiamo stare attenti a non farci scoprire.” Insistette il fratello con un sorriso tirato, tornando ad affiancarla.

Era più forte di lui: avevano già perso la loro madre e anche il loro clan; tutto per colpa degli umani. Erano rimasti solo loro due, persi in un mondo troppo grande per poter capire cosa succedeva intorno a loro. Nessuno mostrava un minimo di pietà nei loro confronti, nessuno li voleva sfamare o ospitare per un po’ di tempo. Avevano sempre tirato avanti con quel poco che avevano ed erano riusciti a impossessarsi di un bel po’ di soldi a Holmagard, così avevano deciso di lasciare la città, prima che la fortuna cambiasse. Si stavano dirigendo verso la Vassagonia, un luogo abbastanza pericoloso, ma affascinante a modo suo. Era stata un’idea di lei visitare quel paese, mentre lui avrebbe preferito andare a est, verso paesi più tranquilli.

‘Forse ha ragione… dovrei calmarmi… ma… ma come diavolo faccio!?’ Si chiese Kyle, rimuginando su ciò che era accaduto nella loro vita. Come poteva fidarsi degli umani che tanto avevano fatto per rovinare la sua esistenza?

“Fratello! Guarda!” Disse la sorella, all’improvviso, indicando uno strano lenzuolo marrone e sporco in mezzo alla strada.

“Stai indietro… c’è qualcosa che non va…” Sussurrò. Kayle, avvicinandosi, sfruttando il suo olfatto di drago. Percepì subito che quel lenzuolo, non solo non era abbandonato, ma era un essere sovrannaturale camuffato. Si avvicinò cautamente, afferrò il suo spadone che portava alla schiena e lo infilzò. Quello, però, riprese la sua forma naturale e il ragazzo si ritrovò davanti un’orribile creatura dalle fattezze umane, ma dalla carne in decomposizione e con due occhi di fuoco che lo fissavano.

“Mortale… torna indietro e potremmo non ucciderti…” Sussurrò il demone estraendo una lunga spada nera, puntandogliela contro, mentre altri suoi simili apparivano, circondando i due fratelli.

“Certo… credi di potermi dare ordini!? Non hai idea di chi io sia!” Urlò Kyle brandendo la sua spada, cercando di trafiggerlo, ma la lama passò da parte a parte senza ferirlo.

Lui osservò stupito l’avversario, cercando di dire qualcosa, ma le parole le morirono in gola quando la spada nera di quel demonio lo colpì alla pancia, facendogli cadere in un lago di sangue.

“No! Kayle!” Urlò la sorella impugnando la sua falce argentata, menando diversi fendenti che ebbero il solo effetto di far ridere quegli esseri mostruosi. “E va bene… volete ridere!? Ridete adesso!” Urlò concentrandosi su se stessa sentendo il suo corpo mutare e ingigantirsi, fino a diventare alto tre metri e lungo cinque. La sua pelle si era coperta di squame e il suo viso si era allungato creando un affilato muso di drago. Con un getto di ghiaccio cercò di distruggere quelle creature, ma non ebbe fortuna, dato che si allontanarono velocemente. Cercò di inseguirle, ma, fatti pochi passi, sentì un forte dolore alla testa che la deconcentrò. Cercò in tutti i modi di mantenere la sua forma di drago, ma, alla fine, dovette cedere sotto i colpi dell’attacco mentale dei suoi avversari. Le ultime cose che sentì, mentre l’immagine di suo fratello sbiadiva, furono le dure parole di quei mostri che la afferravano e dicevano: “Portiamo questa piccola bastardella dal nostro padrone… sono certo che saprà divertirsi.”

 

 

 

 

 

 

 

 

Fiiiiiiiinalmente… pensate che questo capitolo doveva durare ancora un po’, ma se no diventava troppo lungo. Siamo quasi arrivati a 5000 parole!!! Comunque, lasciatemelo dire: Grazie! Grazie a tutti quelli che mi hanno lasciato i personaggi perché stanno venendo fuori dei grandiosi pezzi, degni di una ballata epica, credo che possano bastare. Ora basta la selezione dei personaggi è finita! Ho avuto tutti i personaggi che mi servivano e sono ben dodici, dodici che bastano. Mi dispiace per gli ultimi che vedranno i loro personaggi apparire solo nel prossimo capitolo, ma non avevo lo spazio materiale per metterli.

A presto e attendo con ansia i vostri pareri :D

AxXx

 

       

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Capitolo 6
*** Venti di Morte ***


 

                               Venti di Morte

 

 

 

 

 

 

 

 

Il sole era ormai tramontato, ma Kaim si mise a seguire la ragazza, che puntava ad ovest, proprio verso l’orda di nemici che avanzavano su Summerland. Si mosse silenziosamente, come gli avevano insegnato al Castello, tenendosi sempre abbastanza distante, in modo che lei non potesse individuarlo. Il problema era che stava cominciando a sentirsi strano: il punto in cui il coltello l’avevo colpito gli stava formicolando in maniera davvero fastidiosa. Ma la sua concentrazione era rivolta ad altro. Seguì con attenzione i movimenti della giovane nella foresta, seguendo un sentiero poco battuto fino a trovarsi nei pressi di un piccolo avamposto nemico. Erano semplicemente tre fuochi e qualche sacco a pelo dove riposavano dei guerrieri drakar, lasciati lì, in mezzo alla strada principale. Probabilmente erano un gruppo di esploratori che stava tornando all’orda. La cosa strana era che tra loro c’era anche una gabbia di ferro le cui sbarre sembravano ricoperte di una strana polverina dorata. All’interno vi era una giovane dai capelli neri e corti, ma dagli strani riflessi argentati. Era sdraiata in posizione fetale, gli occhi dilatati e spaventati, mentre, ogni tanto, se cercava di muoversi, riceveva delle frustate da in secondino in armatura nera, gemendo per il dolore.

‘Animali… li dovrei ammazzare…’ Penso Kaim, mentre iniziava a sentire una specie di dolore sordo propagarsi dalla spalla ferita. Lui, però, non ci fece caso e continuò a seguire attentamente gli spostamenti della donna, rimanendo comunque nascosto al limitare del campo nemico.

Stava parlando con una figura incappucciata dai lineamenti disfatti. Un hellgast. Kaim sentì un brivido lungo la schiena: quegli esseri non andavano mai oltre le Montagne Nere a meno che non prendessero parte a una Crociata Nera, sapeva che erano invulnerabili alle armi ordinarie e particolarmente abili negli attacchi mentali. Una fortuna che lui sapesse difendersi. All’improvviso la creatura afferrò la donna per la collottola e la gettò a terra urlando: “Tu stai mentendo… il Cavaliere è ancora vivo! Il mio Signore ne percepisce ancora la forza vitale!”. Ora aveva una lama nera in pugno e la stava puntando contro la sua nemica che si era alzata, me circondata da tre Drakar armati di lancia.

‘Be’… se lo merita… ma… perché non me la sento di lasciarla lì?’ Pensò afferrando l’arco. Dopo un attimo di riflessione si decise, tese l’arco e, con la freccia colpì il soldato nemico più vicino, uccidendolo sul colpo. Gli altri si distrassero e la giovane assassina li colpì entrambi con due pugnali da lancio, ma quando cercò di colpire l’hellgast, le sue armi lo trapassarono senza alcun effetto. Quello, intanto, fissò i suoi occhi su di lei che iniziò a tremare violentemente, gemendo per il dolore.

‘La stanno attaccando mentalmente! Devo aiutarla!’ Pensò lanciandosi verso di lei concentrando la sua mente su quella dell’essere sovrannaturale impegnato ad attaccare. Si concentrò, nel tentativo di spegnere la furia offensiva, creando una specie di scudo mentale per accerchiare e far ritirare quella creatura nella sua psiche. La cosa funzionò e la ragazza fu di nuovo libera di muoversi. Kaim corse verso la gabbia, inseguito da lei e da alcune guardie che si erano svegliate per il trambusto.

“Dobbiamo liberarla!” Urlò, estraendo la spada e decapitando al volo il secondino che stava torturando la fanciulla rinchiusa.

“Troppo tardi! Siamo circondati!” Lo informò la sua nuova compagna, mentre una decina di drakar e diversi goblin li circondavano, puntando contro di loro le lance e lanciando urla gutturali di scherno.

I due si misero schiena contro schiena, pronti a respingerli pur sapendo che sarebbero stati sopraffatti. Ma all’improvviso il suono basso e pesante di un corno squarciò l’aria distraendo i soldati. Dalla boscaglia uscì una pioggia di frecce che falcidiò le fila nemiche, e a seguire, un gruppo di soldati a cavallo caricò i drakar facendone strage. Portavano sull’armatura il simbolo si Summerland: una montagna sovrastata da un sole coronato. Colti di sorpresa, i picchieri non riuscirono a mettersi in posizione e la cavalleria era già penetrata nelle loro fila, massacrandoli a colpi di spada. Mentre il sangue bagnava il terreno, Kaim si buttò sulla gabbia rompendone la serratura e tirando fuori la giovane prigioniera che si aggrappò a lui con foga, gemendo un po’ per il dolore un po’ per la paura.  Intanto il comandante di quella, un soldato che indossava un elegante e resistente armatura d’acciaio scintillante ornata d’argento, aveva teso la mano all’assassina, issandola in sella e lei era salita senza fare domande. Il giovane Cavaliere del Sole abbatté un drakar che cercò di fermarlo, dopodiché attirò l’attenzione di un soldato li vicino che issò a cavallo la ragazza ferita. Infine prese la rincorsa e, aiutato da un terzo guerriero, salì anche lui a cavallo e si dettero alla fuga, dopo aver massacrato tutti i nemici.

 

 

 

Aleida era scioccata: per una frazione di secondi che sembravano non finire mai era stata sul punto di morire in modo atroce e poi era stata salvata e, cosa ancora più ironica, dalla persona che lei stessa aveva cercato di uccidere. Mentre cavalcava tenendosi a quel cavaliere che l’aveva issata dietro di se pensò a quanto la sua vita fosse stata ironica, persino in quel momento. Sbuffò per quello che era accaduto e vide che si stavano avvicinando a un ponte che attraversava il fiume in cui si era buttato il Cavaliere che aveva attaccato. Dall’altra parte c’era un vero accampamento fortificato con tanto di palizzate, torrette di avvistamento e grossi pali appuntiti per bloccare la cavalleria. Le guardia aprirono i cancelli di legno per farli entrare. Lei, intanto, notò che il suo precedente bersaglio che si teneva la ferita che lei gli aveva procurato.

“Hai preso l’antidoto?” Chiese subito, senza nemmeno pensare, cosa che le fece venire voglia di mordersi la lingua.

“Cosa? Mi hai avvelenato?” Chiese lui sgranando gli occhi, per poi scuotere la testa. “Ecco perché non sentivo più il braccio… Morte Lenta, giusto?”

“Sì… ti uccide lentamente, paralizza tutti gli organi che raggiunge, comunque, eccoti.” Disse Alieda, estraendo una boccetta e porgendogliela. “Ti devo la vita, ecco l’antidoto.”

Lui bevve rapidamente, facendo poi un verso disgustato. In poco tempo i cavalieri entrarono tutti e, mentre smontavano i loro compagni d’armi, chiusero di nuovo i cancelli dell’accampamento. Il comandante, dopo aver cavallerescamente aiutato la ragazza a scendere, andò verso il Cavaliere del Sole, togliendosi l’elmo. Appena Aleida lo vide in faccia rimase molto sorpresa nel vedere che quello non doveva avere più di qualche anno più di lei. I capelli erano biondi e gli occhi color nocciola vagamente malinconici. I lineamenti non troppo duri erano coperti da un leggero accenno di barba.

“Cavaliere del Sole! Kaim, sei tu che bello vedere proprio te. Finalmente! Dove sono i suoi fratelli!? Abbiamo bisogno del vostro aiuto.” Disse il giovane comandante, avvicinandosi all’altro con passo di marcia. 

“Eda… ehmm… principe Edaran! Salute a voi… mi duole informarvi che tutti i miei compagni sono morti.” Rispose il ragazzo, inchinandosi al cospetto dell’erede al trono di Summerland.

Quell’informazione colpì parecchio Aleida che non si aspettava che una persona di così alto rango si arrischiasse in prima linea. Il giovane principe imprecò a bassa voce, mentre ordinava ai suoi uomini di portare la ragazza ferita nell’infermeria da campo, mentre spiegava la situazione.

“Non ci voleva… spero che almeno abbiano avuto una fine rapida e meno dolorosa possibile… I Signori Delle Tenebre hanno colpito tutta la zona a ovest del nostro regno, mettendo a ferro e fuoco i villaggi e travolgendo le nostre guarnigioni di frontiera… hanno schierato un esercito nettamente superiore di numero ma stanno puntando verso la capitale.” Disse, conducendo il Cavaliere del Sole e Aleida nella sua tenda: una semplice costruzione in tela circolare con un tavolo e una mappa aggiornata di Summerland stesa su di esso. All’interno c’erano altri uomini in armatura che tenevano in mano i propri elmi.

“Come mai non siete alla capitale, allora?” Chiese la ragazza perplessa. Se il nemico puntava alla capitale, era logico riunirsi lì.

“Lo faremmo, se i Signori delle Tenebre non stessero cercando di circondarla e isolarci dalla Città-Isola di Toran, la Fortezza dei Maghi. Abbiamo fortificato tutti i ponti del fiume usando il fiume come fossato.” Rispose il principe, indicandolo sulla mappa.

“Quindi Che volete fare, ora?” Chiese Kaim inarcando le sopracciglia chinandosi sulla carta. Bisognava ammettere che il nemico si era spostato velocemente e aveva preso metà del regno in meno di due giorni.

“Volevo mandare dei messaggeri da mio padre per informarlo della situazione… non volevo privarmi di nessun uomo, ma visto che siete qui, potreste andare voi.” Propose l’Erede al trono, guardandoli speranzoso.

“Signore! Permettetemi di esprimere i miei dubbi! Non sappiamo se fidarci di questo Cavaliere. È Molto giovane e potrebbe essere stato corrotto dal nemico! E la ragazza? Non sappiamo nemmeno chi sia!” Protestò uno dei comandanti che stava ascoltando: un vecchio guerriero calvo dal viso magro.    

“Quando sono stato al Castello del Sole per l’allenamento ho imparato ad avere fiducia in Kaim… è un amico e un ragazzo forte… sono certo che non tradirebbe mai la nostra causa. Inoltre… se lui dice che la ragazza è a posto, io mi fiderò.” Rispose il principe di summerland, guardando l’amico negli occhi.

Per un attimo Aleida temette che il ragazzo l’avrebbe fatta arrestare, magari torturare dicendo che aveva servito i Signori delle Tenebre. Di solito, le persone che aveva incontrato, avrebbero fatto così. Ma Kaim la guardò un attimo dopodiché si rivolse all’altro e disse: “Lei è a posto, vorrei che venisse con me… prima, però, vorremmo accertarci che le condizioni della ragazza che avete salvato siano stabili…”

“Molto bene… partirete domani e vi daremo tutto l’equipaggiamento necessario per il viaggio di tre giorni che vi aspettano.” Acconsentì il principe, mentre la ragazza sentiva il cuore sciogliersi per il sollievo esultando e ringraziando gli dei per averla favorita, almeno una volta.

 

 

 

 

 

 

 

Legolas, un giovane elfo dai capelli biondi e gli occhi azzurri, stava scendendo dalle montagne nere in una zona tra il Regno di Summerland e l’Impero di Vassagonia insieme al compagno: un giovane mago elfo taciturno con una strana cicatrice sulla guancia sinistra di nome Kaith. Avevano entrambi vesti pesanti per proteggersi dalle esalazioni velenose delle terre di Kazas, ma, mentre Legolas aveva con se un arco lungo e due spade corte, Kaith, essendo un mago temporale, aveva solo due lame con sé. Una fortuna che suo padre si fosse accorto dell’avanzare delle tenebre. Ormai le oscure nubi di del male avevano coperto summerland e, a quel che aveva capito, anche a sud non andava meglio. Sembrava che avessero schierato un esercito di oltre quarantamila guerrieri, ma, in realtà, dietro le montagne, in mezzo alle velenose pianure delle terre oscure, c’era un esercito grande almeno dieci volte tanto.

Decisi a tornare al loro regno, si erano messi in viaggio appena finita la loro ispezione. Stavano attraversando una strada quando, il giovane principe degli elfi vide sulla strada il corpo di un giovane steso a terra in un lago di sangue.

“Aspetta, Kaith! Guarda!” Disse Legolas indicando il corpo e avvicinandosi per controllare se fosse ancora vivo.

“È morto?” Chiese il mago camminando verso il giovane principe, con un aria stranamente tranquilla. Intorno a loro c’era un aria maligna e sinistra, come se di li a poco dovessero apparire dei mostri.

“No… ma è gravemente ferito, prendi le sue armi e nascondiamoci là!” Disse il principe degli elfi indicando delle rocce ai lati della strada abbastanza grandi da ripararli da sguardi indiscreti.  

In poco tempo bendò il profondo taglio che quell’individuo aveva con una benda e usò una veloce magia curativa per stabilizzarne le condizioni. Dopodiché lo prese in spalla e se lo portò dietro di peso, stando attento a non aggravare la ferita appena medicata. I due si distesero sulla nuda roccia, accomodando il ragazzo esanime su due coperte di pelle per farlo stare più comodo. Non accesero nessun fuoco per evitare che pattuglie del Nemico li individuassero mangiarono un po’ di pane secco.

“Cosa hai visto oltre le Montagne Nere?” Chiese Kaith senza preamboli. Era un tipo strano: dormiva poco e male ed era molto silenzioso. Al contrario della maggior parte degli elfi boschivi, lui aveva vissuto a lungo all’esterno, era tornato solo sei anni prima, da solo e ferito. Dopodiché era stato addestrato come mago ed era stato mandato in quella missione come supporto al principe degli elfi che si era offerto volontario per andare a controllare i movimenti dei Signori Delle Tenebre.

“Un esercito sconfinato… è la più grande armata che abbia mai visto… mio padre va avvertito affinché raduni ogni singolo elfo. Magnamund non può resistere ad una tale orda se non è unita.” Rispose Legolas sospirando pesantemente.

Di regola il Re degli elfi non avrebbe mai inviato il proprio figlio in una missione così pericolosa, ma questi era stanco di rimanere in disparte, tra la bambagia del suo palazzo. Voleva vedere il mondo e, soprattutto voleva capire ed aiutare la sua gente e sapeva anche che, rimanendo seduto sul suo trono a palazzo, non l’avrebbe fatto. Per questo si era offerto volontario, nonostante le proteste della sua famiglia. Mentre ci pensava il ragazzo che avevano salvato gemette, svegliandosi di colpo.

“Kat! Dove… dove mi trovo?” Chiese sgranando gli occhi indaco e alzandosi di botto per poi gemere toccandosi la ferita. Legolas gli si avvicinò e lo riportò giù cercando di non essere troppo brusco. “Rilassati, amico… non intendiamo farti del male… hai ricevuto una brutta ferita, ma ora sei salvo.” Disse, cercando di calmarlo.
L’altro, però, si guardò intorno nel panico. “Mia sorella… dov’è mia sorella? È con voi? Vi prego!” Iniziò a dire, balbettando, cercando di rialzarsi. “Mi spiace… lei non è con noi… è probabile che i servi dei Signori delle Tenebre l’abbiano portata via.” Sussurrò il principe elfo dispiaciuto.

A quelle parole il giovane ferito si distese con gli occhi spalancati mentre una lacrima gli bagnava il volto.

“Che ne facciamo di quel tipo? Potrebbe compromettere la nostra missione…” Sussurrò Kat che era rimasto in silenzio per tutto quel tempo. Il suo compagno guardò il ferito per vari secondi, poi si voltò di nuovo e disse: “Io non intendo lasciarlo qui… lo porteremo con noi.”

“Io non sono d’accordo, ma siete voi a comandare… io rispetterò la vostra idea, mio sire.” Sussurrò l’altro elfo chinando la testa per poi stendersi e addormentarsi. Intanto Legolas si avvicinò al ragazzo ferito. “Tu sei un dragoviano vero?  Solo loro hanno gli occhi indaco… inoltre i riflessi dorati dei tuoi capelli parlano chiaro.”

“Sì… è un problema? Domani me ne andrò, così non sarete costretti ad avermi tra i piedi.” Rispose quello sprezzante, rigirandosi.

“In realtà volevo solo sapere il tuo nome.”

Il dragoviano lo squadrò da capo a piedi per diversi minuti, come se dovesse decidere a occhi se fidarsi o no.

“Kyle… mi chiamo Kyle.” Rispose alla fine.

 

 

 

 

 

 

Tenorh si sedette stanco per la lunga corsa. Pur essendo abituato a sforzi prolungati, l’età avanzata stava iniziando a farsi sentire. Ormai le gambe gli dolevano e anche la schiena non era proprio in piena forma. Odiava sentirsi così, lo faceva sentire persino più debole di quanto non fosse. Intanto la ragazza si era distesa a terra a pancia in giù, anche lei terribilmente stanca per lo sforzo e, probabilmente, anche per la prigionia. Tuttavia erano ancora vivi e abbastanza interi e la notte stava volgendo al termine. Per un po’ avrebbero potuto dirsi salvi.  

“Credo… credo che li abbiamo seminati…” Sussurrò l’uomo ansimando e detergendo il sudore dalla fronte. “Meglio riposare… tu bevi un po’, io controllo i dintorni per vedere se c’è qualcuno.” Disse, porgendole una borraccia d’acqua per poi mettersi a perlustrare il sottobosco circostante. Non c’era traccia di nemici e la cosa lo tranquillizzò, anche se solo in parte. Sapeva che presto sarebbero arrivati. Intanto, Faith stava bevendo avidamente l’acqua che quell’uomo le aveva dato, sentendosi rinvigorire, nonostante la sentisse calda e sabbiosa. Ma le privazioni della prigionia riuscirono a farle apprezzare anche quel liquido che le scorreva lungo la gola, quasi stesse assorbendo un anima. Era certa che presto i nemici sarebbero tornati e teneva stretto l’arco, ma sentiva le ciglia stanche e pesanti. Fortunatamente a risvegliarla fu il vecchio soldato.

“Riposa pure per qualche ora… quelli non ci hanno seguiti e tra poco sarà giorno… dobbiamo riposarci e andarcene il prima possibile.” Disse, sedendosi e appoggiando la schiena ad un albero.

La mezzanima si rannicchio in un angolo della piccola radura, vicino ad una roccia, e lo squadrò con sospetto. Lei proprio non si fidava. Aveva paura che lui le facesse del male per essere di una razza diversa. Non capiva proprio perché quello la stesse aiutando.

“Sei sicuro di non essere stanco? Potrei fare io da guardia…” Propose, cercando di intavolare una conversazione.

“Vero… ma io ero un soldato, sono addestrato e sono anche più vecchio. Se arrivassero sarei io a morire e tu avresti il tempo di scappare.”  Rispose quel vecchio con un sorriso triste. Era un tipo davvero strano, sembrava non avere paura di nulla e, se l’aveva, non lo dava a vedere.

“Perché non mi hai uccisa… o lasciata indietro?  Sai cosa sono, non hai paura?” Chiese perplessa, guardandolo con curiosità quasi morbosa. Non capiva perché, ma quell’uomo la affascinava e turbava al tempo stesso.

“Senti, io so cosa sei, ma non chi sei. Non ho idea del perché eri rinchiusa, cosa hai fatto nel passato, cosa pensi di me e della mia razza e, francamente, non mi interessa. Il fatto è che io non ho paura e non ho niente contro di te… ho imparato a non averne. Altrimenti non sarei un soldato. Ora riposa, il viaggio che stiamo per affrontare sarà assai lungo.” Disse lui, senza troppi preamboli.

“Dove andiamo?” ‘Mamma mia, com’è antipatico… ma almeno non mi vuole morta…’

“Alla mia patria… Hammerdal. Lì potremmo essere al sicuro e potrò riarruolarmi in modo da poter tornare a combattere.” Rispose l’uomo alzando le spalle con noncuranza.

“Perché proprio là?” Chiese la giovane mezzanima, un po’ esasperata dalle continue risposte fin troppo dirette del compagno di viaggio.

“Là ho degli amici che possono tenerti al sicuro… e perché io sono un soldato. Il mio destino è morire in guerra… e questa sarà la più grande mai combattuta. Se devo morire, voglio morire combattendo questa.” Rispose sbuffando, quasi non gli interessasse. Era un tipo davvero strano: aveva combattuto per la sua vita, eppure sembrava pronto a buttarla via in ogni momento.

“Non credi di essere un po’ troppo pessimista?” Chiese Faith sorpresa da quelle parole.

“Forse… ma ho visto così tanta gente morire che ormai so per certo che la morte arriva sempre… l’unica differenza è il come… ora dormi, altrimenti domani non riuscirai a camminare.” Affermò lui con un sorriso, anche se i suoi occhi rimasero tristi e spenti. La ragazza, a quel punto, si distesa, stranamente tranquilla nel sapere di avere un uomo del genere a vegliare su di lei. Non aveva idea del perché, dato che avrebbe potuto ucciderla in qualsiasi momento, ma qualcosa le diceva che era sincero e che potevano fidarsi l’uno dell’altra.

 

 

 

 

 

Drakur guardò il suo riflesso nel ghiaccio del nord.  I suoi occhi rossi e aurei lo fecero rabbrividire, mentre la sua pelle pallida sembrava quella di un fantasma, se non fosse stata coperta da tagli e lividi. Se lo ricordava: all’inizio a picchiarlo era stato suo padre, un semplice mercante che, vergognandosi di avere un figlio così strano, aveva ucciso la moglie e tentato di violentare e uccidere il figlio. Poi i Maghi oscuri. L’avevano portato nelle oscure Terre di Kazas, sul continente, dove l’avevano rinchiuso in una fortezza d’acciaio, tenendolo legato e facendo esperimenti su di lui. Lo avevano aperto, lasciato le sue interiore su dei tavoli, studiandoli con lui sveglio che urlava di dolore, sentendosi violato e soffocato da quelle orribili persone. Fuggire fu una pena immane: la semplice distrazione di una guardia e una corsa disperata che finì con una freccia nella schiena e un canale di scolo. Una fortuna che il suo corpo di demone fosse in grado di rigenerarsi velocemente, cosa che lo aveva salvato in più occasioni. Nella sua breve vita aveva viaggiato parecchio nei paesi del nord, ma solo nel Nord estremo aveva trovato un clima adatto a lui: il freddo a lui faceva solo piacere e il caldo lo rendeva lento e spossato. Lì, vicino alla colonia di Mautut, aveva trovato una casa: una caverna di ghiaccio che con i suoi poteri aveva modellato. Aveva modellato le sporgenze a forma di letto, tavolo, sedie, armadi e credenze. Aveva addirittura piatti e bicchieri fatti di ghiaccio. Il giovane demone, però, immerso nei suoi ricordi, non si rese conto di quanto tempo era passato e rimase fermo per diversi minuti prima di riprendersi e vestirsi con delle leggeri vesti in pelle che solo lui era in grado di indossare in quel clima rigido. Con la spada al fianco, uscì dalla sua caverna e respirò l’aria fresca, anzi gelida del mattino del Nord, che in quel periodo significava più o meno le dieci di mattina. Decise di raggiungere la città per dare un occhiata ai nuovi arrivi, dato che ogni tanto, i cacciatori di mammut avevano qualche storia interessante. Era facile capire quando ci fossero, dato che alle porte della città si creava un piccolo accampamento di barbari. Si avvicinò con calma, camminando tranquillamente lungo la pista che lui stesso aveva tracciato per collegare la sua grotta alla città. Il piccolo accampamento di tende di pelle, però, era stranamente calmo. I bambini che di solito giocavano allegramente vicino al centro rimanevano seduti e rannicchiati accanto alle tende e le donne, di solito intente a conciare le pelli erano sedute davanti alle entrate delle tende, squadrandolo con sospetto.

‘Non mi hanno mai considerato un amico… ma due chiacchiere ce le facevo… come mai sembrano così sospettosi?’ Si chiese perplesso il demone, mentre superava il cancello della città le cui saracinesche erano alzate e con due guardie che lo sorvegliavano. Tutto sembrava stranamente cupo, persino i cacciatori barbari, di solito sempre ansiosi di barattare il frutto delle loro fatiche, avevano gli occhi spenti e stanchi, come se avessero visto l’infermo.

‘C’è qualcosa che non va in questa gente… dev’essere successo qualcosa.’ Pensò, mentre si avvicinava a una bancarella con prodotti provenienti dal continente.

“Drakur! Ancora da queste parti, eh?” Chiese un uomo sulla quarantina, robusto e con una folta barba grigia.

“Minfor! Come va? Ancora a caccia?” Chiese il demone, sorridendo e dando una pacca sulla spalla dell’uomo che lo sovrastava con la sua corporatura. L’uomo sorrise allegro e lo accompagnò a una locanda. L’interno era caldo e accogliente, cosa che fece un po’ arricciare il naso a Drakur, dato che lui era nato per il freddo. Ma non gli importava davvero molto, era curiosi di sapere cosa gli avrebbe detto l’amico.  Minfor era un cacciatore di foce, il loro grasso e la loro carne erano molto richieste e non era raro che si assentasse per giorni. I due si conoscevano da tanto ed era uno dei pochi a sapere che il giovane fosse un demone. Aveva giurato di non dirlo a nessuno e mai tale giuramento era stato infranto. Il cacciatore portava spesso notizie al ragazzo che, in quel momento era davvero interessato a saperne di più.

“Allora, vecchio… cosa succede? Come mai i ‘barbari’ sembrano tutti così tesi?” Chiese, il giovane, mentre osservava l’altro bersi un intera pinta di birra.

“Ah…  quindi l’hai notato.” Constatò il cacciatore, mentre si asciugava la barba. “Anche io ho cercato di interrogarli, ma sembrano terrorizzati. Sta succedendo qualcosa a nord… qualcosa di molto oscuro. È stato difficile, ma, alla fine, sono riuscito a far cantare uno di loro.” Iniziò sottovoce, come per non farsi sentire.

“E cosa ti ha detto?” Domandò curioso il giovane sporgendosi per sentire meglio e non perdersi una parola.

“Ha parlato di uno stregone… una persona che sta radunando i barbari del nord. I giganti delle montagne gelate sono già discesi e si sono uniti al suo esercito. Sembra che viva molto a nord e che voglia attaccare il continente. Il suo nome sembra sia Vonatar.” Sussurrò Minfor, allontanandosi di nuovo.

A quel nome, Drakur sobbalzò e il nome gli tornò alla mente come un maglio. Vonatar… se lo ricordava. Lo stregone che l’aveva rinchiuso e aveva fatto su di lui degli esperimenti.

Quella notte, dopo aver lasciato la città, stava osservando il suo stesso riflesso sulla parete. Di ghiaccio della sua grotta. I ricordi del suo passato tornarono alla mente.

 

Un essere deforme e contorto, con la pelle piena di piaghe e le dita sottili si stava avvicinando a un mago che indossava una lunga veste nera. Era un uomo gobbo dal naso adunco, che armeggiava con vari oggetti in quella buia cella in cui Drakur era legato a un tavolo.

“Maestro Vonatar… il soggetto è pronto all’esperimento.” Sussurrò l’abominio dalle dita sottili e senz’occhi, inchinandosi davanti allo stregone.

“Molto bene…” Sussurrò quello avvicinandosi al ragazzo incatenato a un tavolo con un coltello arroventato in mano. “Questo farà un po’ male, ma non ho mai visto un corpo così adatto ad ospitare un demone.”  

Drakur cercò di divincolarsi, ma le catene erano troppo resistenti. Sentì il coltello penetrargli nelle carni con un dolore lancinante, urlò, urlò e urlò ancora, ma quel folle mago sembrava insensibile alle sue suppliche. Sentì qualcosa di liquido entrargli in corpo e altro dolore.

 

Il ragazzo si riprese, uscendo dalla dolorosa spirale di ricordi che stava riaffiorando nella sua mente.

‘Quindi c’è di nuovo lui, dietro tutto questo… ma cosa starà tramando?’ Si chiese perplesso, mentre afferrava la sua spada. Ormai aveva deciso: pur non essendo un tipo vendicativo, odiava l’idea che il colpevole di quelle torture fosse ancora vivo. Sarebbe andato a nord e avrebbe affrontato Vonatar personalmente.

 

 

 

 

 

 

 

La guardia si avvicinò alla stanza e bussò piano.

“Avanti.” Rispose una dolce voce femminile dall’altra parte.

L’uomo entrò nella stanza e si mise sull’attenti, mentre una ragazza sui vent’anni dai capelli rossi e gli occhi a mandorla castani con sfumature porpora si faceva avanti, allontanandosi da una libreria. Il suo corpo, magro e flessuoso era davvero attraente, coperto da una leggera veste, tipica della Vassagonia. I suoi occhi penetranti lo squadrarono con attenzione.

“Cosa succede?” Chiese lei, sedendosi su una poltrona vicina a un camino spento.

“Kaltros, sultano di Vassagonia, ha chiesto a lei, ambasciatrice Annae, di partecipare a una cena. Per onorarla della sua venuta.” Annunciò il soldato rimanendo compostamente sull’attenti.

“D’accordo… informatelo che questa sera sarò presente… puoi andare.” Rispose lei, con un annoiato cenno della mano.

Osservò la guardia ritirarsi e chiudere nuovamente la porta, lasciandola sola con i suoi pensieri. Era da un mese che viveva come ambasciatrice temporanea a Vassagonia in attesa che l’impero Orientale ne nominasse un altro a lungo termine. Si chiedeva spesso perché l’avessero dato a lei, quel compito. Lei che era talmente irascibile e testarda, del tutto inadatta a fare da ambasciatrice, era stata scelta per rappresentare il più importante Impero del continente di Magnamund. Sospirò, sapendo che presto si sarebbe dovuta confrontare con l’alta nobiltà Vassaka, nota per i suoi costumi bizzarri e i modi di fare eccentrici. Da tempo il Sultano si comportava in modo strano, ma questo non era un buon motivo per mandare lei. E poi lei faceva parte di una famiglia relativamente marginale, nobili, certo, ma non potevano competere con i governatori, i generali e i gran consiglieri dell’imperatore. Quindi, perché proprio lei quando c’era sicuramente qualcuno che fremeva di più per quel dannato posto. Poi lei non si sentiva a suo agio in quel clima, così caldo e torrido, troppo diverso dal clima mite, quasi fresco dell’Impero. Vassagonia non era il paese che faceva per lei. Sospirò, aprendo l’armadio e scegliendo il vestito più consono alla situazione che stava per presentarsi. Alla fine scelse un vestite elegante, ma anche abbastanza semplice, rosso e aureo, colore che lei amava parecchio.

Quella sera, la giovane Figlia della Luna, abbandonò l’ala del palazzo che le era stata assegnata e raggiunse il salone, dove il Sultano la attendeva, ma prima che lei potesse entrare, l’uomo la raggiunse nell’anticamera. Era un giovane sui ventotto anni, calvo e senza barba. Portava un elegante armatura d’acciaio e oro ed era circondato di diverse guardie. Accanto a lui c’era una figura incappucciata che emanava una strana aura di malvagità e terrore.

“Benvenuta, ambasciatrice, lasciate che vi dia il benvenuto.” La accoglie il sultano con un sorriso finto e tirato.

“Grazie, mio signore, come mai qui fuori? Non dovremmo accomodarci?” Chiese lei sospettosa, mentre si guardava intorno, sentendosi rassicurata dal peso del suo coltello che teneva nascosto nel corpetto.

“Temo che il programma sia cambiata… vede… io ho stretto un alleanza con il mio qui presente compagno.” Indicando il personaggio celato al suo fianco. “Lui mi ha chiesto di unirmi ai suoi padroni… quindi mi dispiace… ma le trattative terminano qui.” Rispose facendo cenno ai soldati che, subito, abbassarono le lance intrappolando lei e i suoi uomini.

“Siete impazzito? L’impero orientale si vendicherà di voi!” Urlò Annae, estraendo il pugnale.  Le sue guardie misero mano alle spade, puntandole contro gli aggressori.

“Oh, lo farà… ma ho alleati potenti e non intendo mancargli di rispetto… arrendetevi… e la vostra vita sarà risparmiata.” Asserì il Sultano con un sorriso.

Prima che lei potesse rispondere, però, una delle guardie urlò e colpì un soldato vassaco con la spada. Subito si scatenò il finimondo. I guerrieri con il turbante, si lanciarono contro la scorta della giovane. Questi, invece di abbassare le armi, si schierarono per difenderla, pur essendo pochi di numero. Annae si abbassò per evitare una freccia e, adocchiate una rampa di scale a chiocciola, si mise a correre, evitando la lama un soldato che lei colpì al volo con il suo coltello.

“Prendetela! Non lasciatela fuggire!” Urlò il sultano indicandola. Alcuni suoi guerrieri provarono a raggiungerla, ma furono intercettati dall’ultimo soldato della scorta. “Fugga, mia signora!” Urlò quello prima di lanciarsi sui nemici.

Annae corse su per le scale correndo a più non posso, maledicendo il lungo vestito che indossava che le rendeva difficile muoversi con agilità. Sentiva i passi delle guardie dietro di lei, ma doveva concentrarsi. Non aveva capito cosa stesse succedendo, ma una cosa era chiara : Vassagonia voleva dichiarare guerra all’impero e lei poteva intuire chi fossero i suoi alleati. Svoltò l’angolo, aprì la porta più vicina e si trovò davanti a un'altra rampa di scale che scendeva.

‘Non ho altra scelta… devo capire dove va questo passaggio.’ Pensò, mentre si chiudeva dentro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rieccomi con il nuovo lunghissimo capitolo! Lo so, lo so ho aggiunto altri personaggi, ma, credetemi sulla parola, saranno gli ultimi. Non ce ne saranno più. Ora, vi prego di concedermi la piccola licenza poetica di usare il nome di Legolas. Sì esatto, il personaggio sopra descritto doveva essere solo ‘ispirato’ al Legolas, ma, causa di motivi personali (pigrizia, mancanza di fantasia, nullafacenza.) ho voluto usare il nome principale. Quindi vi prego di perdonarmi. Per il resto, spero che questo capitolo vi piaccia e che commentiate tanti quanti siete stati fino ad ora.

AxXx

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Disperazione ***


 

                                La disperazione

 

 

 

 

 

 

 

Kat si svegliò piano, certa che avrebbe ancora sentito il duro terreno sotto la guancia, ma, invece sentì qualcosa di morbido sotto di sé. Non era proprio il massimo come giaciglio, ma, almeno non era la gabbia in cui l’avevano rinchiusa. Sopra di lui riuscì a distinguere un telo di colore giallo chiaro e accanto a lei sentì due persone che parlavano. Era molto indebolita, ma non si sentiva così male. L’avevano spogliata per curarle le ferite e le avevano messo un coperta addosso. Un ragazzo dai capelli neri come la notte si fece avanti squadrandola con aria preoccupata.

“Ehi… ehm… sei… sei sveglia?” Gli chiese quello, piegandosi su di lei per vedere in che condizioni era.

Lei si tirò un po’ su, stando attenta che la coperta non scivolasse troppo. “C-credo… credo di sì… sto bene. Dove mi trovo?” Sussurrò lei, massaggiandosi la testa e chiudendo gli occhi quando il mondo intorno a lei iniziò a girare.

“In un accampamento di Summerland, per ora sei al sicuro.” Rispose il giovane che indossava una strana tunica verde con un sole dorato cucito sul petto. Aveva l’aria preoccupata e triste, ma sembrava voler mascherare il suo turbamento. “Ricordi come sei stata catturata?”

“Io… io ricordo solo che ho affrontato delle orribili creature… mi hanno sconfitta e hanno ferito mio fratello e…” Con le parole, ritornarono alla mente anche i terribili ricordi di quello che era accaduto. Suo fratello morto, il dolore lancinante alla testa, le mani brucianti di quegli esseri sulle braccia.

‘Ora cosa faccio!? Kayle… Kayle, ti prego… ho paura senza di te? Non puoi essere morto…’  Pensò, mentre le lacrime iniziavano a rigarle il volto uscendo a fiotti dagli occhi, minacciando di non fermarsi mai. Era certa che sarebbe impazzita, seduta su quella branda, quando il giovane le asciugò dolcemente le lacrime. “Ehi, cos’hai? Ho detto qualcosa che ti ha fatto preoccupare?” Chiese lui, apparendo stranamente ansioso.

“No… sono io… mio… mio fratello è morto! Non sono riuscita a fermarli… sembravano invincibile. Non ho potuto fermarli!” Confessò lei, scoppiando a piangere tristemente.

“Quelli che hai affrontato sono helgast… non li avresti mai sconfitti da sola. Tu sei stata fortunata a non morire… mi dispiace.” Sussurrò lui, accarezzandole la schiena per tranquillizzarla.

Quando quello vide che le sembrava inconsolabile, sospirò e lasciò la tenda con l’aria stranamente afflitta. La dragoviana si lasciò crogiolare nella tristezza, ripensando al fratello che sentiva, ormai lontano. Voleva solo che lui fosse ancora al suo fianco, senza si sentiva perduta. Non seppe quanto stette lì, ferma, in uno stato di dormiveglia, chiusa nel suo guscio di disperazione, ma dopo un po’ iniziò a pensare. Capì che doveva fare qualcosa e vendicare suo fratello. Quel ragazzo di prima, forse l’avrebbe aiutata. Quando, finalmente, riuscì ad uscire, si era fatto giorno.

 

 

 

 

Kaim uscì dalla tenda dell’infermeria e incrociò il principe che stava parlando con alcuni ufficiali. A quanto pareva le truppe del ponte di Dob stavano per essere sopraffatte e avevano bisogno di rinforzi.

“Cosa facciamo, mio signore?” Chiese il ragazzo, una volta che l’altro ebbe concluso.

“Dobbiamo fare in modo che mio padre raduni le forze alla capitale… quando partirai?”

“Domani all’alba… prima parto meglio è.” Rispose, raggiungendo la tenda che era stata assegnata a lei e ad Aleida. Di regola non si sarebbe fidato, ma la situazione disperata non gli permetteva di avere altre alternativa: si sarebbe fidato. D’altro canto aveva bisogno di un compagno per viaggiare verso la capitale . Edaran annuì e si diresse verso la sua tenda, probabilmente per riposarsi un po’, prima di tornare in prima linea.

Ad attenderlo davanti alla tenda c’era, però, Aleida ancora sveglia che stava fissando un gruppo di profughi appena arrivati, per lo più donne e bambini. I pochi uomini presenti erano anziani che a malapena si reggevano in piedi, probabilmente gli altri erano rimasti indietro, per difendere le proprie terre e le proprie case, dando a quel carro di sventurati il tempo di fuggire. Non era difficile intuire cosa fosse accaduto a quelli rimasti indietro. Kaim pregò che almeno la loro fine fosse giunta veloce.

“Allora… suppongo di doverti ringraziare per avermi salvato la vita… due volte. Prima con quel mostro strano scheletrico e poi con il tuo signore. Perché?” Chiese a bruciapelo la castana inarcando le sopracciglia.

“Come sarebbe a dire perché? Ti ho salvata, non ti basta?” Ribatté il ragazzo sorpreso. Raramente aveva avuto a che fare con persone tanto testarde.

“Voglio sapere perché!? La gente che ho incontrato fino ad ora avrebbe colto l’occasione per rimanere al proprio posto e vedermi morire nel peggiore dei modi. Invece, anche se ho cercato di ucciderti, non hai esitato a rischiare la tua vita per salvarmi! Perché?”

“Che vuoi che ti risponda… sono fatto così… ammetto di averci pensato di lasciarti lì, ma nessuno merita di morire per mano dei signori delle Tenebre, nemmeno un assassino.” Rispose il Cavaliere del Sole esasperato. Non ne aveva proprio voglia di discutere di quello con lei. L’aveva fatto e basta, come se qualcuno gliel’avesse imposto.

“Be’… allora grazie… sono in debito. Viaggeremo insieme e, anche se probabilmente non significa niente per te, non ti tradirò, prometto.” Disse lei abbassando la testa, apparendo stranamente malinconica.

 

 

 

I due entrano nella tenda e si distesero su due brande, per la precisione due sacchi di fieno che fungevano da brande. Non che non ci fosse abituata, ma il sonno tardò ad arrivare. Odiava quel ragazzo che era venuto a devastare la sua vita e le sue convinzioni. Aveva sempre pensato che la gente fosse egoistica e che combattesse solo per se stessa, che millantasse amore e amicizia solo per accaparrarsi i servigi e la lealtà di altri. Come i suoi genitori che l’avevano data in moglie a un pomposo signorotto della più alta società al solo scopo di essere più influente. Da quando era scappata aveva visto con i suoi occhi che tutti, nobili e poveri, condividevano un egoismo smisurato. A nessuna interessava di nessuno. Eppure quel ragazzo era piombato nella sua vita come un uragano sconvolgendola nel profondo. Odiava ammetterlo, ma stava cominciando a pentirsi di aver cercato di ucciderlo per qualche migliaio di monete.

‘Le persone rare come lui valgono più di qualsiasi cosa…’ Pensò malinconica, mentre, finalmente, riusciva a prendere un minimo di sonno.

 

 

Appena si svegliò, Kaim si tirò su. Non si era nemmeno tolto la tunica, aveva dormito semplicemente, vestito e sul ruvido giaciglio che gli era stato assegnato. Si stiracchiò, osservando la sua compagna di viaggio che ancora dormiva deciso a non svegliarla ancora, prima voleva fare una cosa. Si alzò, uscì dalla tenda e percorse l’accampamento fino ad una strana tenda bianca con un sole giallo sgargiante dipinto sopra: una tenda-tempio per il dio Sole. Capitava spesso che i soldati avessero la necessità di pregare, per questo alcuni sacerdoti di vari culti accompagnavano gli eserciti nelle loro marce per fornire il loro supporto come intermediari gli Dei. Kaim scostò un lembo della tenda e entrò. L’interno era completamente spoglio, a parte alcuni stracci buttati per terra per fare in modo che chi pregasse potesse farlo con un minimo di comodità.

“Buongiorno fratello… i miei compagni stanno ancora dormendo, ma se hai bisogno di qualcosa chiedi a me.” Lo accolse un sacerdote dall’aria stanca che indossava una lunga tunica bianca con un sole cucito sopra.

“Grazie, buon sacerdote… ma desidero solo pregare per i miei fratelli caduti.” Rispose il ragazzo con un inchino per poi inginocchiarsi su una delle coperta. Dopodiché giunse le mani aperte sul petto, all’altezza del cuore e iniziò a pregare.

“Sole, luce che illumina il cielo diurno, padre, fratello e sposo della Luna. Guardiano della Terra. I giorni si sono fatti bui e il male è disceso di nuovo su di noi. Molti miei fratelli sono caduti, nei giorni passati, nel nome della tua gloria e della tua luce. Essi giacciono insepolti sulla nuda roccia delle rovine del nostro Castello. Ti prego, oh padre Sole, creatore del stirpe dei draghi, abbi pietà delle loro anime, e conducile insieme a te oltre il buio. Sii la loro guida affinché raggiungano le Terre dell’Eterno Riposo, dove essi possano giacere in pace con i loro antenati. Non chiedo pietà per me stesso, ma per Maua, Iusha, Tira, Caren, Util, Utlis e tutti coloro che sono morti in tuo nome.”

Dopodiché smise di parlare, rimanendo in religioso silenzio, in ginocchio, mentre una lacrima gli solcava il volto. Non era mai stato un fervente religioso, ma aveva sentito impellente il bisogno di appoggiarsi a qualcosa per non impazzire. Aveva passato la propria vita tenendosi distaccato dal resto degli allievi e non si era mai reso conto di quanto gli sarebbero mancati. Perché gli mancavano. Si era pentito di non aver passato più tempo con loro.

Ma capì che non era il momento di piangere: doveva agire e avrebbe vendicato la loro morte, a costo di morire nell’impresa. Quando uscì dalla tenda, però, dovette digerire un’altra sorpresa; la dragoviana era in piedi davanti a lui con un cipiglio che non ammetteva repliche e disse: “Io vengo con te.”

 

 

 

 

 

 

Quando arrivò nei pressi della città non riuscì a credere ai propri occhi. La città era stretta d’assedio da un gruppo di creature orribili: i goblin erano i più numerosi, ma non erano gli unici. Bestie schifose di tutte le forme azionavano terribili macchine d’assedio, facendo piovere sui difensori una letale pioggia di proiettili infuocati, trucidando decine di soldati in poco tempo.

‘No! Non può essere vero… come hanno fatto ad arrivare prima di me?’ Pensò in agitazione, mentre si nascondeva dietro un cespuglio per evitare una pattuglia di Drakar.

L’unica cosa da fare era avvertire il suo maestro tramite un contatto telepatico, ma era pericoloso: avrebbero potuto essere intercettati. Però si decise; nonostante la paura, doveva tentare. Almeno il suo maestro avrebbe potuto mettersi in contatto con gli altri ordini dei maghi in tutta Magnamund, mentre lei sarebbe stata catturata, ma almeno avrebbe fatto qualcosa di utile. Per un attimo la paura le annebbiò la mente, ma, scacciato ogni timore, si concentrò, aprì la mente e cercò quella del suo maestro tra le decine di persone nel panico.

Le urla… il dolore… la paura… la città ne era piena e lei ricevette quell’ondata di sensazioni direttamente, senza alcuna protezione. Si concentrò per superare quell’ondata di male, non senza qualche lo difficoltà, e riuscì a percepire diverse menti familiari: altri maestri dell’Ordine, allievi e maghi. Erano tutti impegnati a combattere una qualche magia nera. Alcuni proteggevano i cancelli, altri ancora difendevano i punti chiave della città per permettere agli ufficiali di coordinare la difesa. Alla fine riuscì ad individuare il maestro Romoah, impegnato a difendere un magazzino di scorte mediche. Appena le loro due menti si toccarono lei senti la sua invasa da una potente ondata di energia, e solo la sua forza di concentrazione le impedì di essere devastata da un tale attacco.

“Maestro! Aspetta, sono io! Luna!!!” Urlò la ragazza, sia mentalmente che nella realtà.

‘Luna!? Grazie agli Dei… temevo che ti avessero catturata o uccisa. La città è stata presa d’assedio da un giorno, ma siamo già in difficoltà… temo che entro due giorni saremo sconfitti.’ Rispose lui, e lei percepì tutta la sua ansia e preoccupazione.

‘Mi dispiace, Maestro… ma io non posso fare nulla per aiutarvi… i Cavalieri del Sole sono tutti morti e io sono stata presa in un imboscata di un goblin…’ Disse Luna abbassando il capo dispiaciuta.

‘Ormai non puoi più farci nulla… dobbiamo fare del nostro meglio per resistere, abbiamo già mandato messaggeri per chiedere aiuto ad altri regni… o avvertirli. Ma tu devi andartene, nasconditi.’ Le ordinò Rimoah in tono imperioso.

‘No! Aspetti, Maestro… prima… prima devo mostrarvi una cosa!’ Lo interruppe la ragazza, iniziando a trasferire immagini e parole. Gli mostrò cos’era successo in quella valle, cosa le aveva detto quella donna e della sua presunta missione. Il suo maestro rimase in silenzio per diverso tempo prima di rispondere.

‘Una Dea si è mostrata… questa non è una comune Crociata Nera… informerò gli altri ordini di maghi, ma tu ora devi fuggire prima che…’

All’improvviso un rumore acutissimo attraversò la mente di Luna che si distrasse e cadde a terra, perdendo il contatto con il suo maestro. Il cielo nero assunse un colore verde acido e si formò una specie di crepa nell’etere, dalla quale precipitarono degli enormi proiettili magici che abbatterono decine di edifici in città, massacrando la popolazione inerme.

“Mi… mi hanno trovata…” Pensò disperatamente, mentre strisciava tra l’erba, cercando di sfuggire ai ricognitori che, di lì a poco, sarebbero stati in zona.

Raccolse le sue cose e corse a perdifiato nella foresta, allontanandosi dalla piccola altura dove si era appostata per vedere , ma aveva fatto solo pochi passi che sentì un forte bruciore alla schiena, mentre una zaffata di aria fumosa le solleticò il naso. La sua veste era in fiamme e una strana figura deforme e coperta da un lungo mantello e da un cappuccio si avvicinò minacciosa, puntandole contro una specie di asta avvolta in un alone di fiamme nere. Quando Luna si alzò ebbe appena il tempo di vedere un’altra fiammata volarle contro di lei, ebbe appena il tempo per alzare una barriera di energia per difendersi. Appena l’attacco magico cessò, estrasse la spada e cercò di infilzare il suo avversario che, però, deviò l’attacco con l’asta, dopodiché le afferrò la gola con le mani iniziando a cantilenare una strana e inquietante formula magica. Lei cercò di liberarsi, ma le palpebre si fecero improvvisamente pesanti e lei cadde in un sonno maledetto costellato da incubi.

 

 

 

 

 

 

 

Tenorh cosse dolcemente la giovane mezzanima che dormiva su un fianco. Il suo volto era rilassato, tranquillo, mentre dormiva e il suo cuore da soldato si sciolse un po’ quando la vide svegliarsi con un aria stranamente innocente, per una che era stata sbattuta in prigione.

“Mmmmm… che ore sono?” Chiese sbadigliando e afferrando ancora assonnata, l’arco e la faretra.

“Da poco passata l’alba… dobbiamo partire prima che arrivino dei ricognitori.” Rispose il vecchio, sbrigativo, mentre si guardava velocemente intorno per individuare possibili esploratori nascosti.

Mangiarono velocemente un po’ di pane secco e, dopo essersi velocemente preparati, si misero in cammino.

“Il regno di Esintia, confina direttamente con il territorio dei Signori delle Tenebre… sicuramente l’avanguardia avrà già fatto la sua strada… e probabilmente avrà già raggiunto la capitale… meglio deviare e andare direttamente ad est.” Sussurrò lui, consultando rapidamente una mappa.

“Sei un buon viaggiatore… come sei arrivato qui?” Chiese la ragazza, cercando di intavolare una conversazione. Anche se aveva sempre odiato gli uomini per quello che avevano fatto alla sua famiglia, lui le stava simpatico. Dopotutto l’aveva salvata.

“Io ho vissuto come soldato, figlio di una famiglia della media nobiltà. Ho combattuto in tutte le guerre che mi hanno chiesto, ma… diciamo che la vita mia ha dato solo dubbi… sono in viaggio per togliermi in peso dal cuore.” Rispose lui, arrotolando la mappa, osservando l’orizzonte con occhi con occhi vacui. “Tu, invece? Perché eri in quella gabbia?”

La mezzanima abbassò il capo. “io… ho fatto uno sbaglio. Ero vicino a quel villaggio e ho visto un uomo aggredire una donna. La difesi, ma, nella colluttazione, spinta dal bisogno di assorbire un anima… presi la sua. La donna se ne accorse e chiamò le guardie e… be’ si sa cosa la pensano gli altri di quelli come me.” Rispose tristemente Faith, volgendo lo sguardo altrove per non mostrare l sue lacrime. Non capiva perché, anche se facevano la cosa giusta, quelli come lei venivano trattati in quel modo. Come i suoi genitori… di loro non ricordava nulla, tranne che erano stati uccisi, proprio dagli uomini. Questo la rendeva ancora più triste. Il fatto di aver avuto l’amore di una madre e la protezione di un padre… il solo fatto di sapere e di non poterli ricordare, di non sapere a chi indirizzare le proprie preghiere… la rendeva terribilmente infelice.

Tenorh se ne dovette essere accorto, perché subito cambiò discorso. “Ho notato ce sei abile nel tiro con l’arco… sei una buona combattente, per essere così giovane.”

“G-grazie… io non… non saprei, mi viene quasi naturale.” Rispose lei sorridendo in imbarazzo, il primo, vero sorriso che rivolgeva a un umano.

Il duo continuò la propria marcia pacato a tranquillo. Sempre vigile contro ogni minaccia, ma senza sospettare l’uno dell’altra, certi che si sarebbero difesi fimo alla fine. Lui alleggeriva un po’ il loro cammino raccontando qualche aneddoto della sua vita e la mezzanima si stupì di quanto lui avesse combattuto. Una vita spesa sulla spada e sul sangue. Lei, invece, si sentiva così inutile e fuori luogo, invidiava la maturità di quel vecchio. Lei, invece, aveva sempre paura. I suoi poteri, la sua razza… tutto per lei era fonte di paura e angoscia. Certi giorni aveva persino paura, come se sentisse di essere lei stessa indegna di quel mondo a causa di ciò che faceva con le sue capacità. Il loro cammino andò presto a incrociarsi con quello di un gruppo di profughi. Gente disperata, trascinavano i loro pochi averi, tirando carri stracolmi di cianfrusaglie. Un uomo a cavallo, armato di lancia, con sulla fronte una benda intrisa di sangue, stava scortando quella massa disperata.

“Che è successo a questa gente?” Chiese inorridita la mezzanima, alla vista di un bambino magro come uno scheletro, con una benda improvvisata su un occhio.

“La guerra… le grandi ballate non ne parlano, ma la guerra è anche questo: gente che scappa, senza una casa, senza speranza, in cerca solo di un altro giorno di vita, senza altro conforto che non siano i loro stessi familiari. “ Rispose Tenorh con durezza, mentre si univano a quel gruppo disperati.

Mentre camminavano videro altri soldati malconci e stanchi, mentre la colonna era formata, per lo più, da donne e bambini disperati. Una giovane scoppiò a piangere, mentre il figlio di quattro anni che teneva in braccio, spirava per gli stenti. Tenorh le fu subito a fianco cercando di confortarla, mentre faith distolse lo sguardo disgustata e triste nel vedere una così giovane vita spegnersi. Una lacrima le solcò il volto. Appena il suo compagno la raggiunse, si guardò intorno con lo sguardo sospettoso. Il timore che qualcuno la riconoscesse come mezzanima la rendeva nervosa. Sapeva che, se l’avessero riconosciuta, l’avrebbero uccisa lì, senza esitare. Ma grazie al cappuccio, nessuno notò i suoi lineamenti così ‘anomali’. Il peggio, però, doveva ancora arrivare.

“I Kraan! Stanno per attaccarci!”

L’urlo si propagò tra le sentinelle, scatenando il panico. Alcuni si gettarono a terra disperati, pregando, altri ancora scappavano disordinatamente disperdendosi nelle campagne, mentre una ventina orribili bestie alate cavalcate dai goblin si precipitavano sulla colonna di profughi. Tenorh estrasse la spada pronto a colpire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Kayle si rimise completamente entro la fine del giorno, cosa che permise ai suoi due compagni di mettersi in marcia.

“Certo che voi dragoviani siete davvero coriacei… se fossi stato colpito da un una spada nera non sarei sopravvissuto.” Si complimentò Legolas sottovoce, scrutando in ogni direzione, alla ricerca di pericoli.

“Non vi da fastidio? Che io sia così, intendo.” Chiese assai sorpreso dalla loro reazione così poco… sorpresa. Avevano capito subito che lui era un dragoviano, ma non erano apparsi né sorpresi né spaventati.

“Perché dovrebbe?” Chiese l’altro elfo. “In questo momento abbiamo problemi ben peggiori, inoltre nessuno dovrebbe morire così… ora muoviamoci.”

A quel punto il giovane mezzo-drago si decise, afferrò il suo spadone e si avvicinò ai suoi nuovi compagni. Se sua sorella era stata uccisa, avrebbe fatto a pezzi i responsabili. Li avrebbe aiutati e cercato di distruggere ogni nemico che avesse visto. Doveva solo collaborare con quegli elfi.

“Avete un piano?” Chiese piano, mentre osservava una pattuglia di drakar a cavallo, sentendo il forte impulso di saltare su di loro e sbranarli. Ogni tanto era difficile tenere a bada quella parte di se.

“Se ci dirigessimo subito ad est, probabilmente verremmo intercettati… i Signori delle Tenebre hanno isolato Summerland per evitare che chiami rinforzi… per questo andremo a sud, toccando la Vassagonia, dopodiché ci dirigeremo ad est, per raggiungere il regno degli elfi, nella Foresta Lussureggiante.” Rispose l’elfo biondo, lasciando passare la pattuglia nemica.

Si misero subito in marcia, cercando di rimanere al coperto tra le rocce che costellavano la spoglia valle. Non c’erano alberi né arbusti, solo roccia, alcune alte anche decine di metri. Muoversi era particolarmente difficile, soprattutto per il dragoviano che, per non attirare l’attenzione, evitava di usare le ali. Invece gli elfi saltavano e correvano come gazzelle, muovendosi tra le rocce come ombre, senza provocare nemmeno un rumore.

‘Come li invidio…’ Pensò lui, cercando di imitarli con poco successo. Nonostante la sua forza non riusciva a competere con l’agilità e la destrezza degli elfi. All’improvviso, però, si fermarono di colpo e anche Kyle si arrestò dietro di loro.

“Guardate!” Sussurrò, Legolas indicando una colonna di soldati. Indossavano lunghe armature in catene metalliche, elmi appuntiti e turbanti rossi. Accanto a loro soldati drakar in pesanti armature nere ed elmi pesanti.

“Ma… sono soldati di Vassagonia… e stanno marciando al fianco dei signori delle Tenebre… ci hanno tradito…” Sussurrò Kaith aggrottando le sopracciglia.

“Sapete che vi dico… basta! Io vado ad ammazzarli!” Urlò il dragoviano, impugnando la spada, pronto a trasformarsi nella sua forma draconica. Ma subito i suoi due compagni, lo fermarono, afferrandolo per le spalle.

“Fermo… fermo! Non puoi attaccarli, sono troppi, ti massacreranno!” Disse Legolas osservandoli. Una fortuna che non si fossero accorti di loro, nonostante stessero parlando anche abbastanza forte.

I due elfi lo trattennero per diversi minuti e Kyle fu davvero tentato di trasformarsi in drago per distruggerli, ma, alla fine, si arrese e li lasciò andare. “Scusatemi… io… non so… è come se fossi impazzito. Con mia sorella non sarebbe mai accaduto.” Si scusò lui, abbassando il capo dispiaciuto.

“Non preoccuparti… sei scosso, ti capisco… andiamo…” Sussurrò il biondo, lasciandolo andare. Anche Kyle si lasciò convincere lasciando il ragazzo.

Il dragoviano si alzò a fatica, rinfoderando la spada. Proprio mentre lo faceva, però, mise il piede in fallo e una manciata di sassolini cadde provocando un polverone. Attirando l’attenzione visiva dei soldati.

“Oh… cavolo…” Sussurrò il guerriero elfo dai capelli neri volgendo lo sguardo verso la colonna di soldati, il cui comandante stava volgendo lo sguardo verso di loro.

“Andiamocene!” Urlò, iniziando a correre velocemente tra le rocce.

 

 

 

 

 

 

 

Annae guardò attraverso la visiera dell’elmo: una fortuna che anche in vassagonia le donne potessero entrare nell’esercito e gli elmi avessero visiere pesanti: il che le dava la possibilità di nascondersi facilmente. Il problema era che, però, tutta quella roba addosso, la stava facendo sudare parecchio. Le alte temperature di quella regione la rendevano nervosa, non c’era da stupirsi che la gente andasse in giro solo verso sera e la mattina presto. Il cortile del castello era gremito di guardie ch stavano trascinando via la servitù della ragazza, iniziando a interrogarli sulla sua posizione. Aveva fatto bene a non tornare nelle sue stanze; l’avrebbero catturata subito. Tuttavia non poté trattenere una lacrima di pietà quando vide una delle sua ancelle trafitta da parte a parte, quando non rispose alle domande di un ufficiale.

‘Bastardi! Loro non sanno niente! Lasciateli andare!’  Pensò, mentre cercava di resistere al forte impulso di usare la spada che aveva a fianco e rivelarsi. Avrebbe davvero voluto ucciderli, ma riuscì a mantenere l’autocontrollo. Da tempo era affetta da crisi di rabbia, dopo la morte della sua sorellina a causa di un gruppo di banditi, ma non poteva lasciarsi scoprire proprio in quel momento, anche perché stava arrivando il Sultano Meretik. Scendeva altezzosamente le scale in marmo del suo palazzo in stile orientale, mentre alcuni servi dalla pelle scura si sbrigavano a ripulire il terreno sabbioso pieno di sangue. A quel punto i soldati si schierarono tutti sull’attenti in file ordinate e Annae, per non farsi scoprire, li imitò. L’uomo li squadrò uno ad uno, passandoli attentamente in rassegna.

‘Non guardare me… ti prego…’ Pensò la ragazza, abbassando leggermente il capo per non incrociare lo sguardo di lui e iniziando a sudare ancora di più. L’armatura le copriva tutta la pelle, quindi nessuno si sarebbe accorto della sua pelle chiara, così diversa da quella mulatta, tipica dei Vassaki. Ma gli occhi azzurri l’avrebbero sicuramente tradita e non era proprio il caso, in mezzo ad altre guardie. Il sovrano si fermò proprio a pochi passi da lei e poi tornò indietro, permettendole, così, di liberare l’aria dai polmoni. Era così vicino che avrebbe potuto toccarlo, e ancora una volta, sentì l’impulso di volerlo accoltellare, data la vicinanza. Sentiva come un disgustoso piacere a pensare la morte di chi odiava e questo la spaventava, non era mai stata crudele e questa sua parte di sé la faceva sentire sporca e malvagia.

“L’ambasciatrice Annae è sparita dopo avermi aggredito… la sua guardia ha tentato di assassinarmi, ma ha fallito e ora è in fuga. Crediamo sia ancora nel castello, non avendola ancora rintracciata dobbiamo setacciare anche la città! Andate! E portatemela viva!” ordinò con una nota di rabbia nella voce.

Tutti si misero sull’attento urlando: “Sissignore!” Mentre la ragazza sentiva un tuffo al cuore rendendosi conto della fortuna che aveva: La stavano aiutando a fuggire. Iniziò a marciare a testa bassa, cercando, cercando di rimanere più calma possibile, mentre il ponte levatoio veniva abbassato. Marciò insieme agli altri soldati con passo cadenzato, mantenendo cercando di mantenere un basso profilo. Doveva tornare a casa sua e avvertire tutti della minaccia.

 

 

 

 

 

 

 

Re Marcus osservò dall’altro dell’alto della torre del suo castello l’armata dei signori delle tenebre in avvicinamento. Una compatta massa di soldati, bestie, mostri e demoni, tutti accorsi al richiamo del Male assoluto, pronti a distruggere il suo regno.

“Mio Signore… è ora della riunione.” Lo informò con tono marziale un uomo sui trentacinque anni dai lunghi capelli biondi.

“Sì… eccomi, comandante Val…” Rispose il sovrano con un sospiro.

Quando finì di scendere le scale raggiungendo la sala del consiglio notò con rabbia ce le vetrate, un tempo luminose e splendenti per la forte luce del sole, erano diventate opache e spente per via della pesante cappa nera che oscurava il cielo. Aveva sempre sperato che il suo regno sarebbe stato ricordato per la pace e la prosperità, non per una guerra che avrebbe messo in ginocchio il suo popolo. Quei pensieri furono un macigno e la corona gli parve mille volte più pesante di quanto fosse mai stata.

‘Facile essere una guida nei momenti felici… il difficile è esserlo in momenti tristi… la gente chiederà a me aiuto, protezione e sostegno… e io devo darglielo… questo è il mio regno.’ Pensò tristemente, mentre gli ufficiali delle guardie e i consiglieri lo aggiornavano.

La città era isolata da due giorni, non avevano notizia da nessun loro avamposto. Le loro armate erano state spazzate via e la guarnigione cittadina aveva difficoltà a mantenere l’ordine. Nessuno era arrivato a dare man forte, nessun alleato, nessuna richiesta d’aiuto. I signori delle Tenebre volevano spazzare via i nemici con un solo colpo.

‘Questo è solo l’inizio… lo sento…’ Pensò il vecchio sovrano scrutando gli occhi preoccupati dei suoi sottoposti. Tutti gli dicevano la stessa cosa: resistere era impossibile.

 

 

 

 

 

 

 

Karagont osservò il resto della sua armata uscire dal portale Oscuro che il Dio del male Xavados aveva chiamato per aiutarlo. Mostri di ogni sorta, alcuni giganteschi. Le terre velenose del suo nuovo dominio erano sommerse da una massa nera di demoni malvagi, pronti a seguire ogni suo ordine. Si ritirò nella fortezza nera di Hellgedad, camminando lungo gli oscuri corridoi di quel castello. Sentiva forte, in lui, la soddisfazione per l’ottimo lavoro che stava svolgendo. Solo una cosa lo preoccupava: la profezia. Se fosse stata vera, c’era qualcuno che avrebbe potuto fermarlo… ma chi? Era questo che lo tormentava durante l’infinita notte di Kazas. Il timore che l’Ultima Crociata Nera fosse fermata da un solo uomo. Immerso nei suoi pensieri non si accorse del vecchio uomo gobbo dalla lunga veste che si avvicinava a lui tenendo un lungo oggetto avvolto in un pesante straccio.

“Mio signore… Possa la vostra grandezza essere eterna, ho compiuto il mio dovere come richiesto.” Disse lui, in tono reverente, inchinandosi con rispetto. Il suo tono era viscido e disgustoso, ma era anche uno dei suoi più fedeli servitori.

“Alzati, Vonatar… non ho tempo per i tuoi raggiri. Hai portato ciò che ho chiesto!?” Chiese sprezzante l’Oscuro sovrano continuando a camminare, seguito dal mago.

“Sì, mio signore! La Spada Astrale è qui… mostrargliela sarebbe pericoloso, lei potrebbe rimanere ferito, ma sono certo che riesce a percepire l’incredibile potere che ho con me.” Sussurrò l’altro, mentre entravano in una grande sala del trono, completamente scolpita nella nera pietra vulcanica.

Quattro file di colonne, due per ogni lato, con al centro una lunga navata che raggiungeva i duecento metri. A sorreggere la pesante volta, le statue di orribili creature deformi, con volti animaleschi e arti ferini. Per il resto, era completamente spoglio, a parte lo squadrato trono di pietra nera vulcanica che si innalzava in fondo, davanti a uno strano macchinario che sorreggeva un cristallo rosso sangue che illuminava tutta la stanza, mettendo il trono in contro luce, dando un effetto ottico per il quale era colui che vi si sedeva sopra a emanare quel bagliore sinistro. Spesso piccoli trucchi potevano essere più utili di mille magie. Karagot vi si sedette sopra, scrutando il mago con sufficienza, constatando come fosse abile nel difendere la propria mente. In caso contrario, il suo cervello sarebbe già esploso.

“Ben fatto, Vonatar… vai alla tua fortezza nei ghiacci e raduna le tue armate! Tieni la Spada Astrale fuori dalla portata dei Cavalieri del Sole.” Ordinò il Signore dei Signori delle tenebre con tono quasi scocciato, come se la presenza altrui fosse solo un fastidio.

Appena quello se ne fu andato, il Sovrano Oscuro si rivolse alle tenebre: “Erin, Nire! Venite qui!”

Al suo ordine due strani bambini simili a bambini umani si materializzarono accompagnati da una strana brezza. I capelli erano neri, gli occhi innaturalmente piccoli e rossi, le pelli chiare coperte da lentiggini e i corpi piuttosto minuti, persino per la loro età. Non dovevano avere più di otto anni ciascuno, ma indossavano abiti in pelle, come assassini e alle loro cinture erano appesi dei pugnali. Se non fosse stato che lei aveva i capelli lunghi, sarebbero potuti essere gemelli.

“Io ho un compito per voi… un Cavaliere del Sole è sopravvissuto alla distruzione del Secondo Castello, andate! E portatemi la sua testa!” Ordinò con tono imperioso. I due bambini sorrisero come se gli avessero offerto delle caramelle e svanirono di nuovo in un soffio di vento gelido in quelle vuote stanze. Non era mai accaduto nei millenni che lui temesse qualcosa, ma ora lui temeva quel ragazzo… perché lui, l’aveva sognato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rieccomi, vi sono mancato (Si alza un coro di: NOOOOO!!!) Lo so, grazie, so di essere un rompiscatole, ma finalmeeeente sono riuscito a scrivere anche questo capitolo. Come vedete le cose sono un tantino… cambiate, rispetto all’ultima volta. Innanzi tutto, uno dei protagonisti è stato catturato, poi, come avete potuto vedere’ c’è una religiosità in questo mondo, e non è solo ‘accennato’, come, magari in altri Fantasy. Qui Dei e Personaggi saranno molto a contatto. (Come si è già visto con Luna e la Dea) Se volete saperlo lei non è morta. Inoltre abbiamo presentato un gruppo di personaggi ‘secondari’, ma solo… per modo di dire, infatti avranno il loro Ruolo: Re Marcus, il comandante Val, il Signore dei Signori delle Tenebre, Vonatar (Che voi, probabilmente odierete a morte) e i fratelli Erin e Nire. Tutti questi personaggi, anche se ‘secondari’ o antagonisti, avranno un ruolo centrale in tutta la storia. Ma secondo voi, quante volte le divinità hanno fatto ‘qualcosa’? Voglio proporvi questo gioco per stuzzicare la vostra attenzione: a parte i momenti in cui la Dea si è rivelata realmente, secondo voi, quante volte sono entrati in gioco gli Dei? Consiglio, inoltre, a tutti quelli che passeranno di qui di andare alla storia di una mia cara amica: Mixer_Smile che è interattiva come questa e coniglio e chiedo, di inserire un proprio personaggio ;) (La storie è "Pyr Ydor Cthon Aer ". )

So di essere un rompiballe e per questo vi saluto.

http://www.youtube.com/watch?v=YYpHBeegL40

Da questo video ho preso l’idea degli assedi… dura poco ma è emblematico.

AxXx   

 

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Capitolo 8
*** Prigioni e Incontri ***


 

                             Prigioni e incontri

 

 

 

 

 

 

 

Il principe dette ai tre viaggiatori due forti cavalli: un baio marrone e un purosangue. Erano forti e allenati, e avrebbero retto per tutto il tempo necessario per raggiungere la capitale.

“Due giorni a cavallo diretti, muovetevi senza fermarvi, temo che il Nemico stia per raggiungere la capitale.” Raccomandò loro il principe, mentre si salutavano all’uscita posteriore del campo fortificato.

“Com’è possibile che si siano mossi così rapidamente? Ci vogliono giorni per muovere tali masse di soldati.” Fece notare loro la dragoviana, mentre montava dietro Kaim. Per il viaggio avrebbe potuto portarli lei, ma era meglio non mostrarsi, soprattutto con tutti i Kraan che sorvolavano il regno.

“Magia… credo che qualcuno abbia occultato ai nostri occhi i loro spostamenti, permettendogli di distruggere e saccheggiare non visti diversi villaggi… e muoversi senza essere individuati. Presto saranno anche qui.” Rispose il giovane Cavaliere del Sole, mentre spronava il suo cavallo, seguito da Aleida.

I tre attraversarono velocemente la pianura e si mossero lungo la via di pietra che conduceva alla capitale. Non si permisero nemmeno una sosta, nel timore che i Signore delle Tenebre avessero inviato loro agenti oltre confine per catturarli e ucciderli, così cavalcarono un giorno e una notte interi senza fermarsi. Superarono diverse carovane di rifugiati, che cercavano aiuto nelle città lungo la costa e molti erano diretti a Holmagard, tuttavia non vollero fermarsi per unirsi a loro. Solo alla fine del secondo giorno si permisero una pausa per dormire qualche ora e arrivare abbastanza freschi. I tre si guardarono in silenzio, imbarazzati. Si sentivano così diversi tra loro, uniti solo dal desiderio di sopravvivere e dall’alleanza contro il nemico comune. Solo il rumore del pane spezzato interferiva con l’assenza di suoni.

“Allora… che ne dite di parlare un po’?” Chiese, all’improvviso, Kaim, rompendo il silenzio. Le altre due lo guardarono sorprese, mentre lui sorrideva. “Sapete… stiamo lavorando insieme… dovremmo conoscerci meglio, no?” Propose, cercando di intavolare una conversazione.

“E di cosa vorresti parlare? Del tempo?” Chiese l’assassina, sospirando piano, come se fosse estranea a tutto.

“Di qualcosa… per esempio… nessuna di voi due ha qualcosa di interessante da dire?” Chiese, mentre giocherellava con un legnetto, pensando malinconico ai giorni in cui giocava a ‘Lancio dell’Ascia’ con i suoi compagni. All’improvviso il dolce suono della voce di Kat riempì l’aria. Un dolce canto, sofferente, che parlava della creazione dei dragoviani.

 

 

(Non so voi, ma questa musica di sottofondo ce la vedo benissimo: http://www.youtube.com/watch?v=wK-j2XVl_mc )

Quando il sole tornò a splendere,

quando la luce squarciò le tenebre,

il padre vide i suoi figli senza vita cadere.

Pietà per loro ebbe, e dei nuovi figli crebbe.

In essi vi era degli uomini il sangue,

ma dei draghi lo spirito dette.

Essi crebbero e con le loro ali raggiunsero le vette.

Solitaria la loro esistenza era,

perché il male nelle vene degli uomini scorreva.

Ma loro continuarono a vivere silenti,

Incuranti degli altrui desideri.

Alla purezza del sole agognavano

E solo l’isolamento speravano.

Una sola volta scesi in guerra, il loro sangue versarono,

e di nuovo alle solitarie vette tornarono.

Mai uomo li vedette,

mai donna li sedusse,

Essi lontani dal mondo vivevano,

in esso solo il male vedevano.

Dei loro antenati ebbero la forza,

dal loro sangue ebbero la gloria,

ma mai agli altri si mostrarono,

perché il male da essi era negato.

Un giorno, dal male sarebbero stati chiamati,

ma se essi non saranno preparati

Solo la morte vedranno alzarsi,

Perché solo loro, contro il male possono innalzarsi.

Solo la purezza loro desiderano,

e per questo il resto del mondo deridono.

Con gloria il cielo solcano,

ma dimentichi della loro forza crollano.

Un giorno chiamati saranno dal male,

ma se essi non risponderanno,

il destino di morte sarà tale.

Unirsi agli altri popoli dovranno

O anche loro, con gli altri crolleranno.

 

 

 

Kaim e Aleida rimasero in silenzio, ascoltando quasi estasiati quella giovane fanciulla che decantava i versi della dolce poesia, mentre gli sembrava che una dolce musica riempisse l’aria. Alla fine della poesia, i due si sentirono come se avessero dimenticato di respirare.

“S-sei bravissima… la poesia non è il massimo, ma hai una voce… angelica…” Sussurrò Kaim guardandola con occhi al limite dell’adorante, mentre Aleida sbuffava. La reazione di lui era parecchio esagerata, ma non poteva non concordare sul fatto che Kat avesse una voce stupenda.

La loro compagna, per tutta risposta si abbracciò le gambe, arrossendo per l’imbarazzo. “Grazie.” Rispose. “Di solito ho un pubblico un po’ più numeroso e meno silenzioso, per cui non si sente benissimo. Quando non sono impegnata in altre attività… meno… oneste.” Sussurrò piano, come per non far sentire l’ultima parte.

“Parla della tua razza, giusto? Dei Dragoviani.” Chiese Kaim, capendo l’imbarazzo della compagna.

“Già?”

“So poco di loro… al Castello mi hanno insegnato che vivono sulle Isole Fluttuanti, lontano dagli altri popoli… ma non ne so molto.” La curiosità del ragazzo era evidente e anche l’assassina non nascondeva un po’ di interesse. Dopotutto non sapeva nemmeno se credere all’esistenza dei dragoviani.

“La mia razza è molto particolare… la poesia dice il vero. Essi, come gli Yorok, temono la corruzione delle altre razza… considerano l’isolamento l’unico modo per rimanere ‘puri’. Si considerano i diretti discendenti dei draghi e non vogliono mescolarsi.”

“Allora tu come sei finita qui? Hanno attaccato le vostre tribù?” Chiese Aleida perplessa. Se davvero le loro tribù erano isolate, lei non avrebbe dovuto trovarsi lì.

“Io non sono pura… mia madre… noi… siamo stati generati da un rapporto con un uomo… un umano.  Il clan non volle più avere a che fare con lei… con il artigli le lacerarono la pelle, imprimendogli sulla schiena una cicatrice a forma di artiglio di corvo, il simbolo delle puttane. Dopodiché le strapparono le ali e la esiliarono sulla terra ferma.” Spiegò con le lacrime agli occhi. “Da allora non siamo più tornati sulle Isole… siamo… siamo considerati dei traditori.” Iniziò a singhiozzare sommessamente. Era evidente che, benché non avesse mai vissuto lì, sentiva la mancanza di un luogo da chiamare casa. Kaim le si avvicinò e le accarezzò i capelli per confortarla.

“Tranquilla… non hai nulla di diverso dagli altri…” Disse, sorridendo.

“Ha ragione… la gente pensa che quelli come te siano diversi… ma io… so che la verà malvagità alberga in altri.” Disse, Aleida, sorprendentemente dolce nei confronti della compagna. In un certo senso si sentiva simile a lei, forse per il fatto che erano entrambe esuli e senza patria.

La notte avanzò e presto la luce sparì del tutto. Si distesero a terra avvolgendosi nelle loro coperte da viaggio. Kat si accoccolò accanto a Kaim, mentre Aleida prese posto su un albero, addormentandosi su un ramo sufficientemente resistenze e largo da ospitarla.

 

 

 

 

 

Drakur avanzò lentamente tra la neve, evitando il ghiaccio per non scivolare. Era in viaggio da giorni e il cibo stava per esaurirsi. Ma non era proprio quello a preoccuparla. C’era qualcosa che non andava. Non solo non aveva trovato nessuna tribù di nomadi dei ghiacci, ma non aveva visto nemmeno le tracce del loro passaggio. Niente slitte, né cani. E la cosa lo preoccupava non poco. Qualcosa li aveva spinti lontano e non era un buon segno. Quella gente era barbara, ma aveva un forte senso dell’onore, e il loro coraggio e la loro forza erano ineguagliabili. Se qualcosa li aveva spinti a fuggire senza combattere, doveva essere qualcosa di davvero potente… e forse malvagio. Il suo viaggio proseguì monotono. La costante tempesta di neve bloccava i raggi del sole e un umano normale sarebbe morto, ma Drakur non era un umano. Il demone che era in lui gli permetteva di essere insofferente al freddo e il vento non lo feriva. La neve non lo rallentava, era come immune a tutto ciò che riguardasse il ghiaccio. Man mano che andava avanti, sentiva come una strana sensazione, nel cuore, come un presagio di male che gli faceva intuire che qualcosa non andava. Un richiamo oscuro, misterioso e malvagio.

‘Qualunque cosa sia, non è normale… devo concentrarmi…’ Pensò scuotendo la testa, mentre, finalmente individuava le tracce di un passaggio recente, deciso a seguirle.

Verso sera, mentre cercava un riparo, vide due sagome nere sorvolare l’oscuro cielo del Nord. Sembravano enormi pipistrelli con il becco, ma la distanza gli impedì di vederli con chiarezza. La cosa strana era che stavano puntando verso nord, dove non c’era nulla, se non i giganti. E questo lo insospettì.

‘Perché mai quelle creature dovrebbero andare là? Che siano cavalcature? Ma allora chi vorrebbe andare così a nord, con il freddo che c’è? Nemmeno io riuscirei a sopportarlo.’

I suoi pensieri furono interrotti dalla vista di un apertura in un costone di roccia. Su di essa vi erano accumuli di neve e ghiaccio, ma era possibile vedere quella che sembrava una grotta. Drakur si avvicinò cautamente, osservandone l’interno. All’apparenza era disabitata, ma le recenti tracce di artigli, facevano presagire che fosse l’abitazione di un orso, o di un Terbor. Alla fine, notando il muro di vento che si stava avvicinando, decise di correre il rischio. Anche se il freddo non lo intaccava, il vento avrebbe potuto sbalzarlo facilmente. Entrò nella grotta e andò fino in fondo, coprendosi con il mantello, appoggiandosi alla nuda roccia per dormire un po’ e riprendere le forze. Cercò di rimanere guardingo, ma la fatica della marcia lo aveva indebolito non poco e il sonno, lentamente, lo trascinò nella sua rete.

Fu un ruggito a svegliarlo.

Un essere enorme, con due lunghe zanne simili a quelle di un mammut, bipede e con denti affilatissimi, si impennò, cercando di schiacciarlo. Drakur ebbe pochi istanti per togliersi di mezzo, ma i suoi sensi maggiormente sviluppati gli permisero di non essere travolto. Rotolò a destra, afferrando la spada. Il Terbor era alto tre metri, con zampe possenti e artigli acuminati. Il suo pelo bianco gli permetteva di mimetizzarsi tra i ghiacci e le nevi. Il giovane saltò, evitando una potente zampata e colpendo il suo gigantesco avversario al braccio. Un ruggito di dolore squarciò l’aria, mentre l’esile figura del demone usciva dalla caverna, deciso a mettere più distanza tra se e il mostro. Presto però, si rese conto che il vento era troppo forte. Provò a farsi strada tra la neve, ma, all’improvviso, una folata di vento più forte delle altre, lo sollevò da terra. Lui cercò di mantenere l’equilibrio, ma senza un punto d’appoggio era praticamente impossibile. Con le sue ultime forze, riuscì ad afferrare una roccia che spuntava dal terreno e a puntellarsi. Scavò una piccola fossa nella neve e ci si accucciò dentro.

‘non ho altra scelta… devo aspettare…’  Pensò, scosso, mentre il vento ululava sopra di lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tenorh abbassò istintivamente la testa, cosa che lo salvò dall’essere afferrato da un gigantesco corvo con le ali da pipistrello. La gente, intanto si era sparpagliata, nel disperato tentativo di sfuggire a quei terribili aggressori. Si lanciò in avanti mulinando Nessie con ferocia, abbattendo due goblin che erano atterrati li vicino. Un altro kraan stava per atterrare, ma, prima che potesse raggiungere terra, fu colpito da una freccia che lo face sbandare, disarcionando i suoi cavalieri. I soldati che scortavano i rifugiati facevano del loro meglio per difendere la gente, ma feriti e deboli, erano facile preda delle piccole creature verdi. Uno di loro fu disarcionato e finito a colpi di coltello, mentre era tenuto immobilizzato a terra, mentre due suoi compagni furono raggiunti da delle frecce che li fecero cadere dai loro cavalli. Tenorh corse verso un carro di bambini, rimasto incastrato in una crepa della strada, mentre Faith abbatteva un altro goblin, riparandosi dietro un carro, per evitare le frecce avversarie. Il vecchio soldato salì su di esso, mentre i bambini urlavano, troppo spaventati per muoversi e correre via.

“State giù!” urlò lui, mentre abbatteva un altro avversario, con un fendente per poi parare un altro colpo che gli stava per venire inferto alle spalle. All’improvviso un kraan piombò su di lui, cercando di afferrare i bambini, ma non si lasciò intimorire, facendo roteare la spada per tenere lontana l’oscura creatura. Quella, però, per nulla intimorita, cercò di piombare di nuovo, artigliandolo per le spalle e ferendolo.

“Tenorh!” Urlò la mezzanima, vedendo il suo compagno in difficoltà correndo verso di lui, colpendo due goblin con le sue frecce, ma prima che lo potesse raggiungere un ragazzo di corporatura massiccia irruppe sul campo di battaglia, brandendo un enorme martello, uccidendo il kraan con un unico colpo.

Tutti rimasero sorpresi dall’apparizione di quel massiccio gigante in campo, vestito di pelle e i capelli bruni, quasi rossi che urlava selvaggiamente, abbattendo i nemici con ferocia. Sembrava in preda a una furia terribile. La sua arma era inarrestabile e i suoi colpi devastanti. Rinfrancati dalla potenza del loro alleato, i soldati ripresero a combattere, massacrando i goblin e mettendo in fuga i nemici.

Dopo pochi minuti la gente si riunì e bruciò i corpi delle creature seppellendo i morti.

“Tutto a posto?” Chiese Faith al suo compagno di viaggio, che si stava medicando la spalla sinistra.

“Sì… sto bene.” Rispose, terminando la fasciatura, per poi rivolgersi al loro salvatore. “Comunque, non sei male, come guerriero, sai!?”

Quello alzò le spalle e si sedette li vicino, posando la sua pesante arma sul terreno erboso ricoperto di sangue.

“Grazie. Io sono Sarius… sei un buon combattente.” Disse tendendo la mano verso il vecchio soldato.

“Piacere, Tenorh, lei è Faith… tu sei uno yorok, vero?” Rispose quello, rispondendo alla mano.

“Yorok? A me sembra un uomo, cos’è uno yorok?” Chiese la ragazza, inarcando le sopracciglia, osservando curiosa il loro interlocutore.

“Gli yorok sono una fiera popolazione delle montagne, abili combattenti e dalla forza incredibile… anche se il nostro amico ne ha dimostrata più di quanto pensassi.” Spiegò Tenorh, sorridendo. Sarius, sorrise tristemente. “Sarà… non vado fierissimo della mia forza ma…”

Un urlo lo interruppe, mentre due soldati minacciavano una famiglia di tre persone con le lance.

“Oh no…” Sussurrò Faith, osservando preoccupata la scena con le lacrime agli occhi. “Sono mezzanime…”

Lei corse verso di loro, seguita dai due guerrieri che le tennero dietro. La folla gridava, tirando sassi contro il bambino e la madre, mentre il padre veniva preso a bastonate da un gruppo di contadini inferociti.

“A morte i servi dei signori delle tenebre!”… “Uccidete quei demoni!” … “Sono assassini!”

Il bambino piangeva disperato, mentre la madre lo copriva dalle pietre con il suo corpo, cercando di tranquillizzarlo. I soldati non facevano nulla per fermare quello scempio, anzi, uno di loro, pungolava la povera donna con la lancia.

“Ora basta!” Urlò Tenorh, estraendo la spada e puntandola contro i contadini che ammutolirono di botto. “Cosa significa tutto questo!?”

Intanto lo Yorok gli si era affiancato, mentre Faith andava a medicare la donna. Il soldato si fece avanti.

“Voi siete forse cieco!? Tenete vostra figlia lontano da quei mostri, sono mezzanime, servi dei Signori delle Tenebre! Vanno uccisi subito!” Urlò, puntando la propria lancia contro di loro.

Tenorh, però, per nulla impressionato, mulinò la propria arma per spezzare quella dell’altro. La gente sobbalzò, ma lui non sembrava arrabbiato, né divertito… solo calmo. “Primo, lei non è mia figlia, secondo, questi mezzanima, a quel che ho capito, non vi hanno mai dato problemi, quindi non sono pericolosi. Sono in fuga esattamente come voi!” Disse, squadrando uno per uno i presenti.

“Hanno assorbito l’anima di un cavallo!” Protestò qualcuno, subito zittito dalla possente stazza dello Yorok.

“Hanno anche loro bisogno di vivere, non hanno assorbito la vostra anima… siatene grati!” Urlò Faith, tra le lacrime, mentre aiutava i suoi simili a rialzarsi. Nessuno aprì più bocca e un paio di persone la aiutarono a medicare il piccolo.

Dopo poco, il convoglio si rimise in marcia, diretti a Lencia.

 

 

 

 

 

Legolas si lanciò rapido sulla roccia vicina, mentre Kail e kait gli stavano dietro. Ormai avevano seminato i loro nemici, ma temevano comunque di essere presi. Corsero tutto il giorno nella landa desolata costellata di massi e solo a notte inoltrata si decisero a fermarsi. Il dragoviano ansimava, invidiando la naturale agilità degli elfi che si muovevano facilmente anche in quei territori difficili e impervi.

“Dovremmo accamparci per la notte… ma non accenderemo nessun fuoco.” Propose l’elfo biondo, iniziando a esplorare i dintorni alla ricerca di un buon riparo. Non ci volle molto per individuare una piccola conca naturale, probabilmente il letto di un vecchio fiume, ormai seccato, che attraversava il territorio roccioso. Era molto ben riparata e non ebbero problemi a stendere le loro coperte e a dormire.

“Dovremmo fare dei turni di guardia… per assicurarci che i vassaki non ci prendano.” Disse legolas, mentre mangiavano un po’ di pane secco.

“Allora faccio io il primo.” Disse subito Kait, alzando la mano. In un certo senso avrebbe potuto evitare gli sguardi degli elfi per un po’ e mettersi a riflettere, senza che nessuno lo disturbasse. E poi non era per niente stanco.

Il sole calò e presto la notte arrivò, con il suo cielo stellato e l’aria fresca. I due elfi si erano addormentati velocemente, avvolti nei loro mantelli da viaggio, che li riparavano, mentre il Dragoviano montava la guardia. Era triste, ma sentiva ancora un forte calore al cuore, segno che, probabilmente, sua sorella, era ancora viva. Strinse il suo spadone con fermezza, giurando a se stesso che avrebbe fatto di tutto per trovarla. Rimase sveglio per diverse ore, ma l’unica cosa che vide furono i fuochi da campo dei Vassaki, accampati lontani, troppo lontani per essere un pericolo. Stava per andare a svegliare Legolas, quando vide un cavaliere vassako cavalcare lungo la valle, poco lontano dal loro campo. Il turbante gli copriva il volto e la pesante armatura impediva di capire chi fosse, ma avrebbe potuto scoprili, così, il dragoviano, andò a svegliare i suoi compagni.

“Come mai così lontano dal resto delle truppe?” Chiese Kail, dubbioso, osservando il cavaliere che procedeva piano.

“Aspettatemi qui…” Sussurrò Legolas, scendendo silenziosamente le rocce.

L’elfo si acquattò piano, tra i massi, impugnando un coltello ricurvo con la mano destra. Attese, con pazienza incrollabile, osservando da dietro la roccia il suo bersaglio avvicinarsi sempre di più.

Attese…

Ancora qualche metro…

Appena il cavallo lo affiancò, saltò. Il suo cavaliere si voltò appena in tempo per vedere l’elfo, afferrarlo per l’armatura, disarcionandolo e facendogli cadere l’elmo. Legolas puntò la sua lama alla gola del soldato, ma si fermò.

Davanti ai suoi occhi vi era una ragazza dai capelli rossi e gli occhi verdi.

E non era un umana… era una Figlia della Luna.

“Aspetta! Ti prego!” Gridò lei, alzando le mani. “Non sono tua nemica, sono Annae, ambasciatrice dell’impero Nautilus!”

 

 

 

 

 

 

 

Luna si svegliò, con la testa che le girava. Cercò di muoversi, ma il corpo non le rispondeva. Le sue braccia erano state immobilizzate al muro di pietra di una cella con dei legacci in pelle che le stringevano dolorosamente i polsi. L’unica fonte di luce era una piccola finestra sbarrata che proiettava la luce del sole al tramonto sulla nuda roccia di cui era composta quella stretta stanzetta. Cercò di strattonarli, ma non riuscì a muoversi. E nemmeno la magia sembrava funzionare. La disperazione la colse, comprendendo di non essere riuscita nel suo compito.

‘Ho fallito… sono un disastro, ho fallito…’ Pensò disperata, mentre si accasciava a terra.

Il sole era già calato e la luna si era già alzata parecchio in cielo, quando la porta si aprì ed entrò un orribile essere dalle fattezze scheletriche. Lei si schiacciò al muro, nell’estremo tentativo di rendersi invisibile, ma quello la guardò con le sue orbite vuote e inespressive.

“Il mio maestro desidera incontrarti…” Sussurrò con voce gracchiante e sinistra, slegandola e trascinandola per i capelli in malo modo.

Lei tremò, ma non si ribellò, cercando di trattenere il disgusto che provava. Doveva rimanere lucida e affrontarli. Se non l’avevano uccisa un motivo ci doveva essere. Forse aveva ancora una piccola possibilità di cavarsela. Il mostro la trascinò con rabbia per un lungo corridoio, attraversò una porta e altri corridoi tutti uguali, stretti e poco illuminati da torce. Alla fine, dopo diversi minuti di camminata, raggiunsero un ampia sala, dal soffitto a volta sorretto da spesse colonne di pietra che procedevano lungo tre navate, la cui centrale terminava con un ampia apertura che ospitava un trono. Su di esso era seduta una figura incappucciata e il corpo ammantato. Intorno a lei sembrava che la luce si fosse ritirata, tenendola in costante penombra.

“Mio signore… la maga è qui…” Sussurrò la bestia, inchinandosi rispettosamente per poi andarsene, sbattendo malamente Luna per terra.

Da terra lei si guardò intorno, osservando delle picche con delle teste appese, attaccate alle colonne. Il pavimento era ricoperto di sangue rappreso e, a parte, persino delle ossa e della carne in putrefazione. L’odore nauseabondo di marcio raggiunse le sue narici, mentre la creatura si alzava dal suo scranno, avvicinandosi alla maga. La sua mente fu subito travolta da un’ondata di dolore.

“Piccola maga… cosa ci facevi all’esterno della città assediata? Stavi spiando le nostre truppe? Rispondi, o subirai l’ira di Sardavok! Signore delle Tenebre, Maestro del dolore!” Ordinò la creatura, imperiosa con voce profonda e malvagia.

Lei si accucciò in posizione fetale, mentre con i suoi poteri difendeva la sua mente. Sapeva che non avrebbe potuto affrontarlo, ma se avesse detto quello che gli chiedevano, l’avrebbero uccisa. L’unica era difendersi in modo da non parlare. La sua mente fu travolta da un incessante e violentissimo attacco che il suo interlocutore esercitava su di lei. Nonostante il dolore, lei resistette… non avrebbe ceduto. Pregò tutti gli dei, sentendo la paura invaderle il cuore, ma non le permise di compromettere la sua concentrazione. Dopo diversi minuti, quando era certa che l’avrebbe uccisa, Il Signore Delle Tenebre, cessò il suo attacco.

“Non mi servi da morta… forse la tua mente è forte, ma il dolore può essere inflitto in altri modi…”

Nello stesso istante in cui concluse quella minaccia, due massicce guardie entrarono e presero la maga per le braccia. Luna cercò di divincolarsi, ma una delle due le rifilò un pugno nello stomaco.

“Portatela nella sala delle torture e fatela soffrire come mai ha sofferto nella sua vita!” Ordinò, con rabbia la creatura.

Luna pianse, mentre la portavano via. Non era certa che avrebbe resistito.

 

 

 

 

 

 

 

Finalmente! *Parte coro angelico*

Ce l’ho fatta a fare l’ennesimo capito. Sono proprio contento! J Come potete vedere, finalmeeente, si vedono tutti i protagonisti in un unico capitolo e, se volete sapere anche questo, non ci saranno più salti temporali, i personaggi, adesso saranno su un'unica linea temporale. Inoltre, cercherò di mantenere tutti i personaggi in un unico capitolo. Ora, se recensirete bene, ma, in vorrei le vostro opinioni sulla poesia all’inizio e del ‘Destino di Piccola Serpe.’ (Anche su tutto il resto, ma vorrei comunque delle opinioni specifiche ;) )

PS: Il personaggio di 'Piccola Serpe' è stato rimosso perché 'plagiato da un'altra storia'. Il motivo di tale inserimento era dettato dal mio dispiacere per la morte di quel personaggio e il mio desiderio che sopravvivesse. Chiedo pubblicamente scusa a fantasiiana, vera autrice del personaggio, e chiedo scusa a tutti i lettori, ma temo che, a meno che lei non mi dia il suo permesso, non potrà più esserci.                                                                                                                                               AxXx   

 

 

 

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Capitolo 9
*** Dolori di Guerra ***


                                                   Dolori di Guerra

 
 
 
 
 
 
 
Kaim si destò subito, disturbato dalle strane vibrazioni del terreno. Qualcuno, o meglio, qualcosa si stava avvicinando velocemente e stava cavalcando un animale. Non era un cavallo, però, i passi erano troppo pesanti.
‘Devono essere tigerwolf, le cavalcature dei goblin…’  Intuì, mentre svegliava gli altri: “Presto, dobbiamo andarcene!” Urlò, mentre sentiva i passi farsi sempre più vicini. Tra pochi minuti sarebbero stati attaccati.
Le due compagne si ridestarono subito e, capita la situazione, non ci misero molto a prepararsi. Arrotolarono le coperte che avevano usato come giaciglio e raccolsero i loro averi.
“Aspettate, dobbiamo cancellare le tracce del nostro passaggio!” Protestò l’assassina, mentre gli altri montavano in sella.
“Non c’è tempo… sono vicini e i tigerwolf hanno un ottimo fiuto, ci individueranno anche senza tracce visibili. La città dista mezza giornata, se ci sbrighiamo potremmo contare sui soldati a difesa per liberarci di loro.” Urlò il cavaliere del Sole, mentre spronava il cavallo, dopo aver fatto salire Kat.
I tre corsero rapidi lungo la via principale, correndo più che potevano, cercando di distanziare i loro inseguitori. Superarono velocemente la valle, e si infilarono in una foresta, cercando di seminarli. Dopo diverse ore, però, i loro nemici furono visibili. Un battaglione di una ventina di goblin che cavalcavano altrettante creature simili a lupi con una criniera leonina e il muso un po’ schiacciato. I loro ringhi e i loro ululati erano così forti che raggiungevano le loro orecchie, rendendoli ancora più desiderosi di prendere le distanze. Superarono vari villaggi in fiamme e diverse fattorie distrutte, risultato dell’avanzata dei loro ricognitori e degli attacchi dal cielo. Erano certi di essere spacciati, ma, dopo diverse ore, le alte mura della città furono in vista. Alte, bianche, imponenti. Su di esse sventolavano i vessilli di Summerland e si potevano vedere i difensori di guardia. La pianura che le circondava sarebbe stata bellissima, se non fosse stato per l’immensa massa nera che avanzava da ovest.
“L’esercito dei Signori delle Tenebre!” urlò Kat, indicandola. In lontananza si potevano notare le avanguardie che cercavano di rallentarne l’avanzata.
“Già… facciamo in fretta… dobbiamo informare il Re!” Urlò Aleida, mentre i loro cavalli davano fondo alle loro ultime energie.
I loro inseguitori, però, avevano tutte le intenzioni di fermarli. Alcuni di loro misero mano agli archi e tirarono. Le frecce volarono verso i tre sfiorandoli, ma nessuna andò a segno. Mancavano pochi chilometri alla meta, e presto gli arcieri avrebbero avuto a tiro i goblin. Erano a un passo dalla salvezza.
Un urlo squarciò l’aria.
Kaim fu colpito da una freccia e cadde a terra.
“Maledizione…” Sussurrò, mentre, con un incredibili sforzo si rimetteva in piedi. La freccia gli si era conficcata nella spalla destra e arrivava fino all’osso, provocandogli un forte dolore.
Lui si guardò intorno e vide i tigerwolf a poche centinaia di metri. Non aveva scelta, doveva affrontarli. Prese l’arco e tirò abbattendo una delle orribili cavalcature e con essa, i suoi cavalieri. Prese un’altra freccia e ne uccise un altro. Ma gli altri erano vicini, e uno lo colpì con l’arco allo stomaco. Il ragazzo si piegò in due, mentre un dolore sordo gli attraversava il corpo inibendo le sue forze e annebbiandogli la vista. Con le sue ultime forze si rialzò, estraendo la spada e preparandosi a combattere fino in fondo.
Nella sua mente…
Le parole del giuramento.
 
Mi unisco a voi, fratelli e sorelle.
Mi unisco alla veglia contro il male perenne.
Mi unisco, in difesa dei popoli liberi.
Mi unisco, rinunciando a ricchezze e averi.
Mi unisco, davanti alla vita e alla morte.
Mi unisco, per difendere i popolo liberi.
Mi unisco per farlo con ogni mio sforzo.
Mi unisco sapendo che se perirete,
anche nella morte… a voi mi unirò.
 
 
Fu certo che si sarebbe davvero unito ai suoi fratello quando la nera spada del goblin si abbassò per tagliargli la gola. Alzò la spada, in un ultimo tentativo di difendersi, sapendo che sarebbe stato inutile. Ma il colpo non arrivò. Un coltello roteò in aria, colpendo la creatura al petto uccidendola, mentre Aleida e Kat si posizionavano tra lui e nemici. L’assassina aveva in mano i suoi karambit e la dragoviana impugnava la sua falce e il corpo era ricoperto da un strato di spesse squame, e i capelli e sulla schiena le erano apparse due forti ali di drago. Insieme tennero lontane le orribili creature.
 
 
 
 
 
Kat usò il suo alito gelante per ghiacciare due lupi giganti, mentre Aleida ne uccideva altri due con altri coltelli da lancio. Kail, intanto, alle loro spalle, era svenuto per il dolore e le ferite. Si guardarono intorno preoccupate, sapevano che non avrebbero potuto resistere. Era certa che ne sarebbero arrivati altri, ma non avrebbero abbandonato Kaim al terribile destino che gli avrebbero riservato. I goblin ringhiarono furiosi, puntando le loro armi contro le due ragazze cercando di spaventarle, ma non sortirono l’effetto sperato.
“Fatevi sotto, mostri!” Sussurrò Aleida, pronta con i suoi coltelli.
Kat vide i nemici pronti a caricare, ma furono interrotti quando una freccia colpì il loro comandante colpito a morte da una freccia. Un corno suonò quando un muro di frecce piovve sulla strada uccidendo diversi goblin. Alcuni soldati a cavallo uscirono dalla boscaglia guidati da un uomo con lunghi capelli scuri che con la spada tagliò la testa a uno dei nemici. Gli altri tigerwolf e i loro padroni cercarono di fuggire, per finire la loro corsa trafitti da lance e frecce dei cavalieri venuti in aiuto dei tre.
Aleida sollevò il Kaim da terra avvicinandosi al comandante dei soldati.
“Grazie per l’aiuto… ci avete salvati da una fine orribile.” Disse, facendo un leggero inchino. Di solito non era rispettosa delle autorità, ma non era un’ingrata e una vita valeva un po’ di rispetto.
“Non ringraziatemi, mia signora. Sono Val, comandante dei Ranger delle terre del sud e Generale della guardia reale. Il vostro compagno è un Cavaliere del Sole? Seguitemi! Raggiungiamo la città, prima che arrivino altri esploratori nemici!” Ordinò quello, mentre un gruppo di arcieri emergeva dalla foresta, correndo verso la città.
Kat osservò Aleida e, con uno sguardo di intesa, si unirono ai cavalieri, raggiungendo, finalmente la città.
 
 
 
 
 
 
Luna fu trascinata di peso a una cella. La sua vista era annebbiata e aveva difficoltà a pensare lucidamente. Non aveva nemmeno idea di quanto tempo fosse rimasta nella sala delle torture, sottoposta a ogni tipo di trattamento. Il suo corpo era già ricoperto da cicatrici e bruciature, ma non aveva parlato. Non importava quanto l’avessero frustata, ustionata o graffiata.
Non aveva detto nulla.
Era stata zitta, senza dire niente.
Sapeva che l’avrebbero torturata ancora, ma l’unico modo per adempiere completamente alla sua missione, era salvarsi, fuggire e raggiungere un luogo temporaneamente sicuro. La gettarono di peso nella cella, con rabbia, rifilandole un ultimo violento calcio. Lei si rannicchiò in posizione fetale, cercando di raccogliere i vestiti ridotti a brandelli e coprirsi come meglio poteva, cercando di ignorare quel terribile dolore che le attraversava tutto il corpo.
Pianse piano, per non allertare i suoi carcerieri e attese…
Attese a lungo…
Finché non sentì una mano toccarla delicatamente, una mano calda e rassicurante, umana. Sentì una lieve pressione all’altezza della spalla sinistra e il dolor scomparve, sostituito da un lieve fastidio di fondo.
“Stai bene, ora?” Chiese una profonda voce maschile, a poca distanza da lei.
L’elfa scosse la testa e alzò lo sguardo, incrociando lo sguardo di un uomo sui trent’anni, dalla barba incolta e i capelli arruffati neri e la pelle mulatta. Indossava solo un paio di laceri pantaloni in pelle che mettevano in risalto il corpo ben scolpito e allenato.
“Io… ora sto meglio. Che magia avete usato?” Chiese la maga, ancora fortemente provata dalle torture.
“Nessuna magia, ho usato una tecnica che noi Cavalieri del Sole usiamo spesso per alleviare il dolore, facendo pressione su dei singoli punti del corpo, in cui si concentrano i nervi. Con la giusta applicazione di forza essi inibiscono il dolore, rendendo quindi più sopportabili anche le torture peggiori.” Spiegò l’uomo, con un sorriso, andandosi a sedere su una branda di legno marcio che scricchiolò appena toccata.
“Quindi siete un cavaliere del sole. Per gli dei, vi credevo tutti morti!” Esclamò la ragazza stupefatta, osservando l’uomo, quasi temendo fosse un fantasma.
“Sfortunatamente, credo di essere uno dei pochi sopravvissuti. I signori delle Tenebre hanno catturato alcuni di noi, per estorcerci delle informazioni potenzialmente utili per la loro conquista, molti miei compagni sono già morti, ma io non intendo cedere.” Rispose l’uomo, osservando pensieroso la porta. “Eri ridotta davvero male, che ti hanno fatto?” Aggiunse squadrandola preoccupato.
“Io… ora sto bene, ma… ma ho paura. Credono che io sappia qualcosa, ma se anche lo sapessi, mi ucciderebbero una volta confessato, lo so. Io non voglio morire, ma ho così paura. Sono già condannata.” Sussurrò, ancora sconvolta per le torture subite, cercando di non piangere. Non sapeva perché stesse dicendo tutte quelle cose a uno sconosciuto, probabilmente, anche un alleato dei Signore delle Tenebre, messo lì apposta per farla cadere in trappola. Ma aveva disperatamente bisogno di qualcuno che la ascoltasse e che le fosse vicino. Non si era mai trovata in una situazione del genere e temeva di impazzire.
“Non preoccuparti.” Sussurrò l’uomo avvicinandosi a lei, e poggiandole una mano sulla spalla per confortarla.
Lei si calmò per un attimo, felice di sentire una mano amica.
“Tra qualche giorno sarai libera, vedrai.” Aggiunse, mentre si sedeva per terra davanti a lei.
“Come fai ad esserne sicuro? E come fai a dirlo a me? Potrei essere una spia, sai?” Chiese lei, perplessa, ma un po’ più sicura vista la presenza di un possibile compagno.  
“Diciamo che i cavalieri del sole non si lasciano ingannare facilmente. Siamo capaci di percepire gli inganni. Tu non mi stai ingannando, quindi ti aiuterò. Qualsiasi sia la tua missione, dev’essere importante per contrastare i Signori delle Tenebre.” Spiegò lui con un sorriso rassicurante.
“Quindi? Mi aiuterai a fuggire?” Chiese l’elfa sentendo la speranza tornare a scaldarle il cuore.
“Per ora non sono in condizione di fuggire, ma ti aiuterò. Per ora, se vuoi, posso darti la capacità di resistere alle torture dei Signori delle Tenebre. Tra qualche tempo ritorneranno. Userò la stessa capacità che ho utilizzato per farti passare il dolore, ma farò in modo di inibire le tue percezioni.” Spiegò lui, scuotendo il capo mestamente. Il piano per la fuga ce l’aveva, metterlo in atto non era così semplice.
“Allora aspetterò. Devo uscire di qui e subito. Ho un compito importante da svolgere e devo compierlo, nel nome degli Dei.” Rispose lei decisa.
 
 
 
 
 
“Così… sei giunto qui per aiutarci? Non sapevo che gli Yorok si muovessero in armate, pensavo fossero disinteressati a ciò che accadeva nel nostro mondo.” Sentenziò Tenorh, alla fine del racconto del loro nuovo compagno.
Sarius aveva raccontato di come, in meno di dieci giorni avesse attraversato tutto il continente per scoprire la strana interferenza percepita nel corso naturale delle cose. In questo modo era venuto a sapere della guerra in corso.
“Infatti non ce l’hanno… io vivo solo e non ho alleati. Il mio popolo non è interessato alla vostra guerra, temo.” Rispose il ragazzo, osservando pensieroso Faith che aiutava la famiglia di mezzanime che avevano salvato durante il giorno.
Ormai la notte era calata e il convoglio si era fermato per riposare, in attesa che si facesse giorno, pronti a ripartire. Le guardie avevano fatto dei turni e molti civili si erano accampati in maniera disordinata al lato della strada.
“Un peccato. So che gli Yorok sono un fiero popolo di combattenti, averli al nostro fianco sarebbe stato davvero molo utile.” Osservò il vecchio soldato, pensieroso. Ormai era chiaro che non era un incursione ridotta, ma una vera e propria Crociata Nera.
‘Non pensavo sarei vissuto abbastanza da vederne una…’ Pensò, turbato, rendendosi conto di quanto raro fosse il suo caso.
“Quindi? Cosa conti di fare, ora?” Chiese Faith, tornando con in braccio il bambino, guardando il loro compagno con curiosità.
“Credo che cercherò di unirmi a gruppi di resistenza locale. Gli eserciti sono troppo gerarchici. Tu che vuoi fare con quel bambino?” Fece lui, in tono piatto, osservando il piccolo addormentato tra le braccia di lei.
“Io… be’, mi avevano chiesto di farlo dormire. Era molto spaventato e non riuscivano a calmarlo. Quando mi ha visto ha smesso di piangere, quindi mi sono offerta di tenerlo per una notte, fino a che non partiamo.” Spiegò lei, arrossendo un po’. Non che fosse una tipa materna, ma, semplicemente, non se la sentiva a lasciare la sua gente in difficoltà e badare a quel bambino non le costava nulla.
“Fa come vuoi, ma ricorda che non è tuo, domani ripartiremo e ci dirigeremo a nord. Dovremmo essere abbastanza lontani da non tagliare troppo per le terre desolate e dirigerci subito a Durenor.” Rispose Tenorh, tenendo a mente il percorso per tornare in patria. Pensarci gli fece venire i rimorsi. Ricordò per quanti anni aveva servito.
“Allora sarà meglio riposare.” Tagliò corto Sarius, distendendosi su un giaciglio in pelle che aveva estratto dallo zaino.
“Ha ragione, domani saremo in viaggio.” Aggiunse il soldato sdraiandosi
Faith sospirò, adagiando piano il bambino accanto a lei, assicurandosi che non fosse sveglio e si coricò, tranquilla, certa che presto sarebbero fuggiti abbastanza lontano da essere al sicuro.
Si svegliarono all’improvviso, tutti e tre, dal pungente odore del fumo. Nella notte il fuoco aveva invaso il campo e, a giudicare dalle urla, erano stati attaccati.
“presto, andiamo!” Urlò il Tenorh, mettendo mano alla spada.
Faith e Sarius furono altrettanto rapidi e la cosa li salvò da due goblin che stavano per attaccarli alle spalle. Lui mulinò il martello, ruggendo furioso, abbattendo quello più vicino e lei tagliò di netto la testa al suo nemico.
Il terso si lanciò verso un gruppo di goblin che stava aggredendo un carro pieno di bambini. Le creature, colte di sorpresa, caddero sotto i potenti colpi dell’uomo e i pochi che riuscirono a reagire si trovarono a combattere un breve, ma intenso scontro con un soldato letale.
Anche Sarius dette fondo alla sua incredibile forza. Con un solo attacco era in grado di abbattere tre nemici insieme. Nulla sembrava fermarlo, quasi come se la sua sola presenza incutesse timore. I goblin cercavano di fuggire d’innanzi alla sua furia e quei pochi che rimanevano al loro posto venivano travolti dalla potenza del suo maglio.
Faith scagliava frecce, rimanendo tra i suoi due compagni, certa della loro protezione. Appena vedeva un nemico attaccare una persona a terra o ferita, subito lo puntava uccidendolo. I suoi proiettili erano letali e veloci e, appena un goblin le si avvicinava, evitava l’attacco, per poi toccarlo, drenandolo della sua anima.
All’improvviso sentì un urlo e, voltandosi verso un carro, vide la donna mezzanima che aveva salvato il giorno prima trafitta dalla spada di un uomo altissimo che indossava una pesante armatura a piastre e un elmo che celava completamente il viso e la testa. Dietro la schiena era appesa un ascia enorme che sarebbe stata impossibile da maneggiare per qualsiasi umano.
Il marito della donna uccisa impugnò una spada, mulinando un colpo al petto, ma le piastre della protezione erano così spesse che la lama si spezzò in due. L’uomo lo guardò, come se il mezzanima fosse solo un insetto da schiacciare, dopodiché lasciò andare la spada e impugnò l’ascia, sollevandola con una mano solo, afferrò l’uomo con l’altra, facendolo cadere e, con un unico colpo, gli tagliò la testa.
“No!” Urlò Faith, furiosa, scagliando una freccia che si spezzo senza effetto sull’armatura dell’uomo che la osservò con sguardo sprezzante, dirigendosi verso di lei a passo di marcia.
Capendo di non poter fare molto estrasse la spada, decisa a combattere fino all’ultimo e attese.
Sarius, però, non era d’accordo, liberatosi dell’elfo drow con cu combatteva, sollevò il suo martello e attaccò. I due giganti sollevarono le rispettiva armi, dopodiché, con furia incredibile, le calarono l’uno verso l’altro. L’impatto fu tale che furono travolti entrambi da l’onda d’urto.
“Finalmente un degno avversario!” Urlò l’umano rialzandosi in fretta, quasi si fosse divertito.
Sarius lo squadrò con odio. Mai un uomo l’aveva sopraffatto, eppure nemmeno la sua forza aveva sortito effetto su quel tipo. Si rialzò con furia, e si trasformò in leone. I suoi occhi cambiarono, diventando rossi con iridi azzurre e vide.
L’energia spirituale che pervadeva il mondo.
La forza e le anime degli uomini che combattevano intorno a lui e come esse si spegnevano, trafitti dalle spade dei goblin e dei Drow, creature vuote, prive di energia vitale. Solo l’uomo davanti a lui era pervaso da energia, ma era malata, sporca, distorta e oscura. La sua forza era data da qualcosa di esterno.
Seppur preoccupato, Non si scoraggiò e con tutta la forza, si alzò, evocando gli spiriti della natura, pronto a usarli nel prossimo attacco quando…
Tutto si fermò.
Tenorh, fisso nell’atto di trafiggere un goblin che aveva avuto la sfortuna di trovarsi davanti a lui. Faith che tendeva l’arco, mirando a un drow che stava aggredendo un soldato ferito a terra, mentre copriva il bambino mezz’anima.
Persino il suo avversario si era fermato.
“Non ora, Sarius. Non è ancora l’ora di combattere.” Disse un voce melodiosa accanto a lui.
Lo Yorok si voltò e vide una femmina della sua razza farsi avanti, alta, dalla pelle bronzea, vestita con una tunica bianca che la copriva completamente. I suoi capelli verdi erano lunghi fino ai fianchi e i suoi occhi gialli e ferini lo trapassarono come una lama.
Il giovane sentì un improvvisa ondata di potere attraversarlo da parte a parte, mentre, nella mente vide tutti i tempi: la creazione della sua razza, i primi spiriti, la loro alleanza con gli spiriti e tutte le guerre del suo popolo.
“Mia signora…” Sussurrò inchinandosi dinnanzi alla Dea della natura. Mai nessuno aveva mai visto un emanazione della divinità della natura.
“Fuggi, Sarius. Oggi non è il giorno di combattere. Riunisci gli spiriti e riunisci la tua gente. Devi andare o non sopravvivrai oggi.” Disse lei, toccandogli la fronte.
Fu un attimo. Il calore della dea guarì le sue ferite e le sue energie tornarono al massimo, mentre la voce della dea sussurrava: “Vai…”
Il tempo tornò a scorrere e per un attimo rimase sconcertato, dando il tempo al suo avversario di attaccare. Ma, abituato allo scontro, si riprese subito ed evitò l’attacco, tirando un calcio all’umano, facendolo cadere a terra.
“Via! Dobbiamo andarcene!” Urlò ai suoi compagni mettendosi a correre verso la foresta vicina, seguito da Tenorh e Faith, che ancora teneva il bambino in braccio.
 
 
 
 
 
 
Drakur si svegliò, rendendosi conto di non essere più nella buca nella neve che aveva fatto per ripararsi dalla neve. Era in un’ampia tenda in pelle di mammut, pesantemente isolata e chiusa, in modo che il gelo non penetrasse.
Qualcuno l’aveva curato e coperto.
‘Barbari probabilmente… ma perché non derubarmi?’  Si chiese perplesso, guardandosi intorno, rivestendosi e alzandosi velocemente.
La sua spada era ancora lì, a fianco, il che significava che non volevano trattenerlo, se no gliele avrebbero tolte. Si mosse lentamente, finché una persona non entrò. Il giovane si ritrasse velocemente, mettendosi in posizione di combattimento, ma si rilassò subito, vedendo che era una vecchia. Indossava una lunga veste marrone, con decine di ornamenti a forma di corno, zanne e denti. I capelli bianchi le ricadevano sul viso come una tenda lacera e distrutta, ma, per il resto, non sembrava particolarmente debole.
“Così, demone di ghiaccio, ti sei svegliato.” Sussurrò lei, avvicinandosi a un piccolo mobiletto della tenda, estraendo delle erbe e iniziando a pestarle. “Come ti senti? Un uomo normale sarebbe morto e anche tu non saresti sopravvissuto per più di una settimana.” Chiese lei, preparando un intruglio con ciò che aveva preparato.
“Io sto bene. Grazie per avermi aiutato. Come mai siete così a nord? Nemmeno la vostra gente si spingerebbe in queste lande desolate.” Disse subito, senza preamboli. Aveva imparato che quella gente era molto schietta e fare troppi giri di parole li irritava.
“Siamo qui per decidere. Molte nostre tribù si sono riunite sotto il controllo di uno stregone che dice di essere il messaggero degli Dei. Per dimostrarlo, quest’inverno a creato, da solo, un intero castello di ghiaccio. Molti capi si sono sottomessi, ma noi delle tribù ancora libere dubitiamo fortemente che ciò sia un bene. I nostro compagni sono diventati crudeli e selvaggi. Ora abbiamo indetto una riunione sul Dente. Ci stiamo muovendo per parteciparvi.” Spiegò in poche parole l’anziana barbara, porgendogli un intruglio verdastro.
“Perché me lo dite? Potrei essere una spia.” Gli fece notare il ragazza, osservando sospettoso la pozione che aveva davanti. Quando la bevve, però, si stupì che il sapore non fosse malvagio e che si sentisse rinvigorito da essa.
“Ho letto la tua mente, mentre eri svenuto. Non sei nemico del nostro popolo e, se non ci uniremo a noi, siamo certi che ci distruggerà. In te vedo una grande forza e devi rimanere con noi. Potresti essere l’unica nostra speranza per difenderci dal Demone Blu.” Rispose la vecchia, scrutandolo con occhi penetranti.
Mentre se ne andava Drakur rimase seduto, pensando a quello che gli era stato detto, con una strana domanda che lo tormentava: Chi era il Demone Blu?.
 
 
 
 
 
 
 
Kaim si svegliò di soprassalto, mettendosi seduto. Si rese conto che era su un comodo letto, con cuscini imbottiti e coperte finemente ricamate. Sospettoso, provò a rimanere fermo, espandendo la sua mente, alla ricerca di illusioni o inganni dei sensi, per fargli credere di non essere in trappola.
Nulla.
Quella stanza esisteva davvero e lui non era prigioniero: non c’era alcun legaccio mentale o fisico che lo teneva fermo in un punto e tutto quello che vedeva e sentiva era reale.
“Kaim!” Urlò qualcuno alle sue spalle, saltandogli letteralmente addosso tra le coperte. Era Kat, felice di non aver perso di nuovo un suo compagno in battaglia.
Il ragazzo sì alzò a fatica, mentre l’amica si staccava e notò che non erano solo in due. Anche Aleida era presente. Accanto a lei un uomo dai lunghi capelli neri e una spada al fianco i lineamenti duri e l’uniforme da guardia reale sporchi di sangue.
“Siamo felici di vederti vivo, Cavaliere del Sole. Dove sono i tuoi fratelli, senza la loro guida saremo presto perduti.” Disse subito il soldato, facendo il saluto militare.
L’assassina sbuffò, quasi divertita dall’impazienza dell’uomo.
Kaim si prese tutto il tempo per rialzarsi e rimettersi la casacca, pulita e tirata a lucido. Anche lui era stato lavato e i segni della fatica e degli scontri erano molto evidenti e parcati. Lividi e piccoli tagli da poco rimarginati, risaltavano parecchio sulla sua pelle non molto scura dando al ragazzo un aspetto da reduce di guerra.
Kaim ricordò le ferite dei suoi maestri, che, spesso, andavano ad allenarsi ai confini delle Montagne Nere, o respingevano le incursioni di goblin, gurgaz e drow nelle zone di confine. Il ricordo lo rese malinconico, ma subito la rabbia rimpiazzò la malinconia, rendendolo ancora più deciso a vendicare la loro morte.
“I Signori Delle Tenebre li hanno uccisi tutti… dovete cavarvela senza di loro.” Rispose lui, senza mezzi termini. Inutile crogiolare gli altri in una falsa speranza. Holmagard avrebbe dovuto difendersi da sola.
Il soldato non disse nulla, anche se la luce di speranza nei suoi occhi si spense, si limitò a mettersi sull’attenti e dire: “Il Re desidera la vostra presenza nella sala del trono.”
I tre si guardarono, mentre il soldato si allontanava a passo di marcia.
“Sembra che la città sarà presa d’assedio entro domani.” Constatò l’assassina, guardando fuori dalla finestra. Il cielo era limpido, ma diverse nuvole nere stavano iniziando ad oscurarlo e già buona parte di Holmagard era sotto la cappa di nubi.
“Dannazione… la città non resisterà a lungo, senza rinforzi.” Ringhiò furioso, il giovane guerriero. Non riusciva a capacitarsi che avesse fatto tutta quella strada per nulla.
“Non è detto… ho visto che c’è molta attività al Castello. Forse non tutto è perduto.” Cercò di rassicurarlo la dragoviana, posandogli una mano sulla spalla.
I tre rimasero un po’ fermi, parlando poco, fissandosi, quasi riflettendo. Ormai erano arrivati dove volevano, non avevano più motivo di rimanere uniti. Eppure qualcosa li fermava. Qualcosa era nato tra loro. Qualcosa che li aveva uniti e impediva loro di abbandonarsi.
“Quindi… andiamo?” Chiese Kaim, legandosi la cintura con la spada al fianco.
“Ti seguiremo.” Rispose semplicemente Aleida, sorridendo per la prima volta da tanto tempo.
Forse, mentre attraversavano le alte porte della sala del trono, qualcosa stava cambiando in meglio.
 
 
 
 
 
 
 
 
Fiiiiiiiiiiiiiiiiinalmente. Ce l’ho fatta. Vi mancavo? (Sale un coro di NOOOOOOOOOOO, dalla folla.) Sì, lo so, sono un vero testone. Sto scrivendo un libro, quindi ho poco tempo per questa storia (che continuo ad amare, sia chiaro -_- ) Comunque, che ne dite? I prossimi capitoli saranno di presentazione dei cattivi e una ‘piccola’ legenda di dei, personaggi e creature varie ;) a presto (forse :/ )
AxXx
PS: Dopo la presentazione dei cattivi, se riuscirò ad aggiornare, le scene saranno incentrate su Kaim e Aleida, e gli altri appariranno poco, per poi tornare importanti. Mi spiace :(

 

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Capitolo 10
*** Oscurità ***


                                                    Nell’Oscurità

 
 
 
 
 
 
 
I tre compagni entrarono nella sala del trono. Al centro vi era un enorme tavolo ovale con sopra una cartina precisa di Sommerland. Alcune pedine erano state posizionate sulla mappa e, accanto alla mappa vi era una riproduzione della città. Il tutto avrebbe dato l’idea di un gioco se non fosse stato che tutto quello era riprodotto dalla realtà.
Gli strateghi stavano discutendo animatamente, muovendo le pedine il varie posizioni, cercando di riprodurre le possibile strategie del nemico e rispondere al meglio, ma senza mai giungere ad un accordo. Era impossibile prevedere le mosse del nemico senza conoscere i numeri esatti dell’armata. Bisognava, inoltre, essere a conoscenza di quali unità avesse a disposizione il nemico, inoltre, senza rinforzi e senza i Cavalieri del Sole a guidarli, difficilmente avrebbero vinto.
Tutti, però, ammutolirono, all’ingresso dei tre nella sala. Kaim osservò con attenzione i presenti: al centro vi erano una trentina di persone, tra nobili, generali e strateghi tra i quali riconobbe il Comandante Val, con l’armatura e l’arco a tracollo. Tra di loro vi era, inoltre un mago dalla lunga tunica rossa e il mantello marrone, con un alto cappello a punta. Solo di vista lo conosceva, ma era certo che si trattasse di Elminster il Mago Rosso, fondatore dell’ordine delle Stelle di Toran, immortale e potente, forse unica speranza della città.
Poco lontano un giovane mago dai capelli blu, stava consultando la mappa, di Magnamund e si era voltato verso di loro. Probabilmente uno dei proseliti dell’Ordine delle Stelle.
Il Re era seduto su un alto trono, posto in cima a una scalinata. Il volto era stanco e spossato, probabilmente per la difficoltà dell’assedio. Dal taglio che aveva una guancia si poteva capire che aveva anche partecipato personalmente ad alcuni scontri. Molto coraggioso da parte sua, ma anche pericoloso. Senza una guida il regno sarebbe caduto molto presto. Certo, la sua presenza sarebbe stata di grande aiuto per il morale delle truppe.
“Cavaliere del Sole, il vostro arrivo è una buona notizia per noi e le nostre forze, ma la perdita dei tuoi fratelli può significare solo la fine. Senza la loro esperienza e la loro forza, la nostra fine potrebbe essere certa.” Disse il sovrano vedendoli arrivare, mentre tutti gli altri ammutolivano.
“Mi dispiace, mio Signore. I miei fratelli hanno fatto di tutto per difendersi, ma l’oscurità i ha ingoiati. Mi solleva solo il fatto che essi abbiano combattuto fino alla fine, adempiendo al loro giuramento. Porto anche notizie di vostro figlio. Egli sta guidando le truppe a nord, ma il grosso dell’armata si sta dirigendo qui. Presto Holmagard sarà invasa.” Disse il giovane guerriero, accarezzando il pomello della spada, preoccupato.
“Indubbiamente siamo in difficoltà, ma non permetteremo che i Signori Prendano la città. Se necessario, combatteremo fino alla morte.” Sentenziò il comandante Val con decisione, subito accolto con favore da diversi presenti.
“La vostra morte non salverà la città. Ma avete ragione: lo scudo dell’est non deve cadere. L’unica cosa che possiamo fare è combattere fino alla fine. Il fatto è che, però, non abbiamo aiuto. Se potessimo contare su degli alleati, potremmo vincere.” Rispose lo stregone Elminster accarezzandosi la barba pensieroso.
La discussione degenerò presto in un resoconto su quanti messaggeri erano stati mandati e che non avevano fatto ritorno. Avevano provato di tutto, ma alla fine, l’unica cosa di cui erano sicuri era che la Vassagonia li aveva traditi.
Anche le dimensioni dell’esercito erano incredibili: trentamila guerrieri delle tenebre, diecimila vassaki da sud a cui presto si sarebbe quasi sicuramente aggiunta una flotta proveniente da nord per bloccare ogni approvvigionamento.
“Le nostre aspettative sono di tre mesi nei casi migliori. Nel peggiore forse nemmeno due. Se, però, i nostri alleati di Hammerdal intervenissero con le loro armate potremmo vincere. Inoltre sono loro a custodire la Spada Astrale, è l’unica arma in grado di abbattere i Signori Delle Tenebre.” Affermò alla fine, Elminster battendo il suo bastone sul terreno.
“Scusate… cos’è la Spada Astrale?” Chiese Kat, perplessa, osservando gli altri nobili.
Tutti la osservarono sorpresi, quasi fosse venuta da un altro pianeta.
“La Spada Astrale è, probabilmente, l’arma più potente che abbiamo a disposizione. Essa fu creata nel lontano passato, durante l’era dell’Oscurità Perenne e abbatté il Campione delle Tenebre Hagerkan. Creata da tutte le razze riunite è, probabilmente, il più grande simbolo dell’alleanza mai esistito. Creata partendo dal minerale misterioso estratto da un meteorite che il Padre Sole fece precipitare sulla terra, essa fu lavorata dai più abili fabbri nanici, temprata nelle fiamme di un drago, e incantata dai maghi più potenti di tutte le razze. Le storie narrano che, nell’incantarla essi infusero nella spada le loro stesse anime, lasciando i loro corpi morti. L’unica cosa certa, però è che è l’unica arma in gradi di sconfiggere i signori delle Tenebre.” Spiegò Elminster con tono calmo e pacato.
“Non esattamente, ci sono incantesimi in grado di ucciderli, ma solo temporaneamente. Essi, alla fine, rinascono dopo pochi mesi, massimo un anno. Solo la Spada Astrale, li uccide definitivamente.” Precisò il giovane mago di Toran.
“Il che, però ci riporta a un problema già accennato.” La spada è custodita a Durenor, capitale di Hammerdal, nostri alleati e vicini. Tuttavia temiamo che essi non abbiano ricevuto i nostri messaggeri. I Servi del Male devono averli intercettati e uccisi.” Aggiunse tristemente il sovrano con occhi stanchi.
Presto la discussione degenerò di nuovo su quanti erano morti nel tentativo e quanto fosse difficile. Paura si sparse nella sala e nel cuore dei nobili finché la possente voce del Sovrano non riecheggiò nelle sale, riportando l’ordine.
“Invero bui tempi ci attendono, tuttavia l’arrivo del Cavaliere del Sole mi infonde speranza. Forse, con il suo aiuto e quello di Elminster, potremmo resistere fino all’arrivo dei rinforzi. Tuttavia vanno avvertiti. Ci serve una persona coraggiosa, ma scaltra e veloce, abituata a viaggiare, dal piede veloce e furtivo, in modo che possa sfuggire alle insidie del Nemico, in questo periglioso viaggio.” Fu la proposta. Nessuno la accolse.
Ben pochi potevano vantare queste abilità e non erano in quella stanza. Ancora paura, avvolse la sala rotta da un improvvisa voce femminile.
“Andrò io a chiamare Durenor!” Urlò Aleida, facendosi avanti.
Sotto gli occhi di tutti la fanciulla non si mosse, mai uomo aveva dimostrato coraggio tale da essere paragonato a quella che, con tanto ardire si faceva avanti per affrontare quelle insidie. Con passo fermo si chinò dinnanzi al re.
Egli stupito la osservò: “Il tuo coraggio indubbiamente è senza pari, ma io la mia fiducia non posso concederti, dato che in questa corte non ti ho mai visto, ma se ivi sarà qualcuno che per te sarà garante, allora tale sarà la tua missione.”
“Io sarò il suo garante, ella mi è stata alleata e ha in dispetto i Signori delle Tenebre. Il suo piede rapido e la sua abile ombra saranno meglio di qualsiasi cavallo in questa missione.” Disse, subito, kaim facendosi avanti, anche lui con un inchino.
E allora sul volto del re non vi fu più l’ombra del dubbio: “Che sia preparata una spedizione per costei via nave, che solo il capitano e pochi fidi compagni sappiano la verità e siate rapidi perché le Tenebre si muoveranno subito per impedirci di trovare ciò che le può dissipare.”
L’ordine fu subito recepito e una guardia corse rapidamente, mentre subito i nobili e i comandanti si misero a discutere del modo migliore per far giungere la nave a destinazione. Kaim, certo di non esser più utile si rivolse al banedon, che, curioso, si era rivolto a Kat per conoscere meglio i Dragoviani.
“Buondì, Cavaliere, la notizia della perdita dei tuoi compagni mi rattrista, ma confido che la tua spada non tremi nelle battaglie a venire. Il tuo comando e la tua forza saranno ora messi a dura prova. Io son banedon, della corporazione di Toran e sotto il comando del mio maestro sono qui con venti miei prodi compagni, in difesa della città.” Annunciò quello, vedendolo arrivare.
“Non temere mago, la mia perdita rafforza la mia furia. La scaglierò contro ogni servo del nemico avrò innanzi, ma starò attento affinché ella non mi accechi.” Furono le tranquillizzanti parole del cavaliere.
“Questo mago è molto colto, sono felice di poter mettere un freno alla tua curiosità, la mia razza è assai lontana ed è certo che i tuoi fratelli ne sappiano poco, nonostante la grande sapienza.” Aggiunse, Kat, con un sorriso.
Presto i tre si trovarono subito d’accordo su molto, iniziando a parlare del loro passato e di quello che facevano, ma in qualche modo, c’era sempre qualcosa che nessuno voleva rivelare. Kat notò subito che Banedon era molto restio a parlare di colui che gli avesse insegnato l’arte della magia, quasi se ne vergognasse.
Infine, Fu Kaim ad andarsene per primo, adducendo il fatto che fosse ancora debole per le ferite. Una donna, vice del Comandante Van si prese l’incarico di condurlo e lo aggiornò sulla situazione, spiegando la poca forza di Holmagard, nei primi giorni, senza sapere dell’orda, molti gruppi di soldati si erano dispersi per contrastare le avanguardie, ma, rimasti intrappolati, non avevano avuto speranze contro le schiaccianti forze nemiche e i pochi supersiti erano dispersi nelle campagne, impossibilitate a tornare.
Dalla sua candida stanza, kaim, rimasto solo, osservò la città dalla fortezza, costruita in cima a una collina. Quattro erano le cinte di mura che la difendevano e i bianchi edifici, si ergevano maestosi, con guglie di chiese costruzioni imponenti. Più avanti le case si facevano più povere, fino a diventare agglomerati di case senza ordine, con stradine e viuzze strette e tortuose con poche strade principali asfaltate che portavano alle cinque porte e al porto della città. Esse erano fiancheggiate da immensi edifici di venditori e caserme che, come una barricata proteggevano la via principale dall’ondata di case dietro di loro.
All’esterno una massa informe nera di bestie orribile che avanzava inesorabilmente il cui numero era tale che era impossibile dire quanti fossero. Tale era la massa che si disperdeva all’orizzonte, tanto che, nemmeno dall’alta cittadella di Holmagard se ne scorgeva la fine.
Il giovane si lasciò cadere sconsolato, ma non cedette alla paura. Incrociò le gambe e si mise a meditare, portando la calma nella sua mente, portandola a espandersi, come un mare di colori. Sentì le voci, le paure e i timori della gente, sotto la Candida Fortezza e le urla di guerra dei mostri vuoti di mente e di cuore, oltre le mura difensive.
“Partirò sta’ notte.” Lo interruppe la voce di Aleida.
Così concentrato il giovane si distrasse subito e alcuni oggetti che si erano messi a levitare, sollecitato dalla forza del suo pensiero ricaddero a terra, infrangendosi o sbattendo rumorosamente.
“Buona fortuna, necessaria in questi tempi bui. Che il Sole possa illuminare sempre il tuo cammino.” Gli augurò, il giovane, con un inchino.
“Ti ringrazio, amico mio… volevo anche scusarmi per il nostro ‘primo incontro’. Io ho cercato di ucciderti, eppure continui a darmi fiducia. Non so dire se tu sia pazzo o coraggioso, ma sappi che ti devo molto.” Disse lei dopo un attimo, abbassando gli occhi, con un misto di dispiacere e di rispetto.
“Non è nulla, sono felice di averti aiutato. Ti ringrazio anche io per non avermi abbandonato alle porte della città. E anche per esserti offerta volontaria.” Rispose lui, scuotendo la testa, felice di aver trovato un’amica fedele in quei momenti difficili.
“Voglio fare ammenda. Ti ringrazio ancora. Posso chiederti come hai fatto a far fluttuare quegli oggetti?” Chiese, indicando le brocche e i secchi che giacevano abbandonati a terra.
“Solo concentrazione, niente magia… sono capacità di concentrazione che noi Cavalieri del Sole apprendiamo fin dagli inizi del nostro addestramento. Con una forte concentrazione possiamo usare la nostra mente per difenderci da parte delle magia, controllare a distanza gli oggetti, combattere mentalmente. Questo ci aiuto per difenderci dalle influenze maligne delle creature Oscure. Alcuni dei maestri avrebbero potuto soggiogare mentalmente un intera guarnigione di soldati.” Spiegò il giovane illustrando il lungo e difficile addestramento del Castello. L racconto fu per lui doloroso, ma anche molto liberatorio, quando si aggiunse anche kat, che aveva terminato il suo discorso con banedon.
Solo a tarda notte, l’assassina si congedò per dare inizio alla sua missione.
“Tieni, possa proteggerti nei momenti difficili.” Sussurrò la dragoviana, dando qualcosa alla compagna. Una scaglia che aveva perso in battaglia.
“Grazie… Possano Sole e Odineos affiancarvi in battaglia.” La ringraziò Aleida, con un sorriso, mentre usciva silenziosamente dal palazzo, senza che occhio potesse scorgerla.
 
 
 
 
 
 
 
La mezzelfa avanzò tra le celle della fortezza di ghiaccio tenendo la testa bassa, mentre le mani di coloro che vi erano imprigionati. Alcuni chiedevano aiuto con occhi disperati e doloranti, altri, rassegnati e devastati dagli esperimenti, erano rannicchiati negli angoli delle celle, senza ricordi e senza speranze, in attesa della morte. Diversi erano ridotti a poco più che scheletri rinsecchiti, che balbettavano frasi sconnesse e senza senso in attesa della fine. Ignorando tutto ciò lei procedette lungo i gelidi corridoi della fortezza, fino a giungere a una grande laboratorio.
In esso vi era chiuso il suo caro padre: Vonatar, intento a portare avanti uno dei suoi tanti esperimenti.
Su di un tavolo, vi era una giovane fanciulla, un’elfa dai lunghi capelli dorati tenuta ferma da una gabbia magica. Il suo volto era rigato di lacrime e ogni volta che i terribili ragni estrattori dello stregone prendevano un po’ del suo sangue, emetteva delle flebili grida di dolore.
“Padre…” Sussurrò la giovane dai capelli blu, inchinandosi davanti allo stregone, intento ad analizzare il sangue tenuto sospeso in una bolla di energia, con una strana lente.
“Figlia mia. Come ti senti oggi?” Chiese la voce roca del vecchio, che si pulì le mani, con uno straccio.
“Bene, padre. Ero intenta ad allenarmi nei miei alloggi, ma ho saputo che volevate vedermi? Ho dei nuovi ordini?” Chiese la mezzelfa rispettosamente, guardando negli occhi il proprio genitore che le accarezzò il viso con dolcezza.
Anche se non erano padre e figlia, ormai il loro legame era tale. Lei ricordò quello che era successo molto tempo prima. Anche se la sua razza era quasi sempre accettata ovunque, non mancavano coloro che li deridevano e li odiavano per i loro capelli blu.
Per quello sua madre era stata allontanata dal palazzo a Durenor, dove il nobile Maresciallo Logain l’aveva buttata fuori con la sola scusa di non essere ‘umana’.
“Non ho bisogno di una puttana mezzelfa! Tu e la tua figlia bastarda potete anche andare al diavolo!” Urlò l’uomo, furioso, dando una spinta alla povera donna che, per anni, aveva fedelmente servito in quella dimora.
“Mio signore, vi prego… ho servito qui per anni, se mi cacciate, mia figlia morirà, vi prego!” Supplicò la donna tenendo dietro di se kara che, all’epoca aveva solo sei anni.
La piccola si riparò dietro la gonna della madre, cercando di non guardare gli occhi crudeli di colui che le stava cacciando. Troppe volte l’aveva visto punire duramente i propri servi per ogni minima cosa. Così diverso dal padre che era noto per essere un uomo benevolo e comprensivo.
“Fuori, maledette puttane!” Urlò il maresciallo, sguainando la spada, puntandola contro la mezzelfa.
Jiana, spaventata, si allontanò subito, stringendo la figlia, inseguita dalle ingiuriose urla del crudele umano. Nei giorni seguenti la donna mendicò per le strade della città, contando sulla pietà della gente, ma nessuno volle concederle una moneta. Disperata e affamata, si aggirò come un fantasma tra le vie strette, cercando di consolare la piccola Kara che, affamata, guardava la madre con occhi tristi e spenti.
Alla fine la povera donna morì di stenti in mezzo alle strade della città.
Pianse, Kara, per giorni le sue lacrime si confusero alla pioggia che scrosciava incessante bagnando le strade di pietra e il viso della bambina che non lasciava uomo avvicinarsi al corpo della madre. Pregò tutti gli Dei perché le restituissero i genitori adorati, ma nessuna fu la risposta dei padroni del cielo.
Un giorno, però, un uomo passò per la grande strada di Durenor, accompagnato da una scorta di uomini armati. Accanto a lui un giovane dai capelli blu, un mezzelfo, proprio come lei. Il mago era gobbo, dal naso adunco, tuttavia emanava una specie di ‘aura di forza’, quasi come se la sua sola presenza bastasse a rinvigorire la gente.
Poi, quello si voltò e distesa, in mezzo alla strada vide Kara distesa a terra, ormai sola e senza speranza, decisa a lasciarsi morire. Eppure il duro viso di quell’uomo si dischiuse in un moto di pietà.
“Banedon, mio allievo, prendi quella ragazzina e che sia portata con me, come se fosse mia figlia. Che ella sia nutrita e coperta e che possa sempre usufruire delle mie attenzioni.” Ordinò quello con voce imperiosa.
La sorpresa si dipinse sul volto di Kara, mentre gli uomini del mago la portavano in spalla fino a lui che, con un solo tocco ne guarì tutti i mali.
Da quel giorno, mai tradì la lealtà di Vonatar.
 
“In effetti sì… tu e il Generale Nefros dovrete rimanere qui a vegliare sulla Fortezza di Ghiaccio. Al raduno di Picco della Zanna parlerai tu in mia vece. Io ho necessità di andare alle porte di Holmagard, ove la mia flotta dovrà bloccare ogni accesso navale alla città.” Spiegò il Mago, mentre la giovane tornava al presente.
“Certo, padre. Ogni cosa per voi.” Rispose Kara con un inchino, sorridendo, grata della fiducia che in lei era riposta.
“Eccellente, figliola… ho preparato per te una piccola sorpresa che ti aiuterà.” Disse lui, mostrando una lancia lunga due metri e mezzo.
Il manico era nero con rune rosse come il sangue che lo solcavano fino alla punta che terminava con tre punte simili ad un artiglio.
“Questa è la Straziacuori. Quest’arma è letale e potente, un solo colpo al petto e con essa sarai in grado di strappare il cuore degli avversari.” Spiegò il mago consegnandogliela con rispetto. “Non per niente sei il Demone Blu.” Aggiunse sorridendo e accarezzandole i capelli.
“Vi ringrazio, padre. Giuro che non vi deluderò.” Disse lei, dopo averla fatta roteare e saggiandone il peso. Era un’arma stupenda.
“Prega gli Dei Oscuri affinché mi concedano la vittoria, allora.” Rispose il Mago afferrando la sua asta nera per poi sparire in un portale che sembrava fatto di fiamme nere.
La figlia rimase per qualche secondo ad osservare tristemente il punto in cui suo padre l’aveva abbandonata, dopodiché si avviò verso la porta, ma no prima di aver chiamato le guardie.
“Portate quello scarafaggio nelle segrete! Io ho altro a cui pensare.” Ordinò facendo un cenno sprezzante all’elfa ancora dolorante legata al tavolo da laboratorio.
Quella non oppose resistenza e fu trascinata via in catene, ma non prima che ebbe scoccato alla mezzelfa uno sguardo supplicante.
“Fermi!” Ordinò, allora Kara, avvicinandosi all’elfa. “Parla.”
Quella non disse nulla ma si limitò a guardare l’altra con disperazione, chinandosi, in ginocchio davanti alla giovane dai capelli blu.
“Vuoi essere libera?”
L’elfa si limitò ad annuire.
“Bene.” Sussurrò kara.
Con un singolo colpo vibrò la lancia e colpì la schiava in pieno petto. L’arma trapassò il fragile corpo come se quasi non esistesse e, tra gli artigli, sotto una pioggia di sangue, vi era conficcato il cuore ancora pulsante dell’elfa.
La povera donna provò a divincolarsi, aggrappandosi disperatamente alla mezzelfa, mentre lacrime di disperazione le rigavano il volto.
“Ora sei libera.” Sussurrò freddamente Kara mentre il corpo dell’altra si accasciava in un mare di sangue che bagnava le candide sale della Fortezza di Ghiaccio.
 
 
 
 
 
 
 
Erine si avvicinò di nuovo al fratello e lo abbracciò teneramente, anche se entrambi erano ancora sporchi di sangue. Ormai l’armata aveva raggiunto le porte della città e si preparava ad assediarla. Le bianche mura difendevano le abitazioni che presto sarebbero state abbattute.
Le scale e le torri avrebbero preso le torri, le catapulte erano pronte e allineate e le loro forze superiori di numero.
“Fratello… possiamo andare nella nostra tenda?” Chiese dolcemente la bambina, staccandosi da lui, con uno strano sorriso sul volto.
“Certo. Andiamo.” La incoraggiò lui prendendola per mano con dolcezza.
Scortati da due possenti Drakar furono portati a un tendone circolare abbastanza grande dal colore rosso e nero con un teschio rosso con un coltello che lo trapassava. Il vessillo del Signore delle Tenebre Krangetskull. All’interno vi erano due brande abbastanza comode, con tanto di coperte e una specie di comodino portatile.
“Quanto ci metteremo a vendicarci? Sono rimasti i Cavalieri del Sole nell’Impero di Nautilus. Anche loro devono morire, vero, fratello?” Chiese la bambina, sedendosi sulla branda, facendo roteare in mano il pugnale nero che aveva sottratto agli assassini Bark e Turik.
“Loro sono solo degli sciocchi. C’è un Cavaliere del Sole qui… sarò lui il primo a morire per la nostra vendetta.” Sussurrò il piccolo di otto anni che osservava con odio il coltello che teneva in mano. “Nessuno ci ha aiutati, nessuno ha voluto nostra madre… che siano dannati gli spiriti, i Cavalieri del Sole e l’ipocrisia umana. Saremo noi a vincere, questa volta.”
“Calma, Nire… dobbiamo avere pazienza, ricordi? Dobbiamo comunque essere cauti.” Sussurrò la sorella, accarezzandogli la spalla.
I due si guardarono negli occhi rossi come il sangue e si abbracciarono di nuovo.
“La mamma meritava di meglio… quel Cavaliere del Sole l’ha uccisa. Dobbiamo ammazzarli tutti.” Sussurrò lei freddamente.
All’improvviso una guardia Drakar si fece avanti e si inchinò davanti ai due.
“Miei signori, il Signore delle Tenebre desidera incontrarvi.” Disse rialzandosi osservandoli sospettoso da dietro la visiera dell’elmo.
“Certo… puoi andare.” Disse il maschio, sfoggiando un sorriso verso la sorella che rispose mostrando i denti aguzzi. Volevano divertirsi un po’, dopotutto.
Con una magia Erine fece inciampare il soldato che cadde in avanti sorpreso e spaventato per la mancanza di un punto di appoggio. Subito, Nire puntò la mano contro la spada che la guardia portava al fianco e quella si sciolse, uscendo dal fodero. La lama scivolò fuori nello stesso istante in cui il Drakar cadeva e finì con tagliargli il ventre all’altezza dello stomaco.
Il soldato urlò, mentre i due fratelli ridevano crudelmente dell’orribile scherzo, facendo accorrere le guardie.
“Portate via questo sciocco… dev’essere inciampato su se stesso.” Ordinò il piccolo, uscendo tenendo per mano la sorella.
L’accampamento dei Drakar era ancora in costruzione, a distanza di sicurezza rispetto alle armi di Holmagard e i soldati tenevano sotto controllo le possenti porte della città per assicurarsi che nessuno ne uscisse. Alcuni issavano palizzate e torrette d’avvistamento, altri montavano le tende, molti scavavano le trincee e altri ancora montavano la guardia.
La tenda di Krangetskull era ampia e circolare, rosso e nero, con un’alta bandiera nera con il suo simbolo cucito sopra, con due Hellgast di guardia, armati di lance e spade.
Alla vista dei due bambini le due bestie sovrannaturali emisero un flebile sibilo, ma li lasciarono passare.
Erine e Nire, questa volta, stettero attenti a ciò che facevano. L’interno della tenda era incredibilmente buio e opprimente, senza nemmeno una torcia ad illuminarla. Perfino la luce che avrebbe dovuto filtrare dalle piaghe e dalle lacerazioni della tenda sembrava ritirarsi. Avvolti da quell’innaturale oscurità i due avanzarono fino a trovarsi ai piedi di un trono di pietra che si trovava al centro della tenda.
“Mio signore.” Sussurrò il bambino inchinandosi insieme alla sorella.
Davanti a loro, tra l’oscurità, vi era una figura orribilmente deforme, dal corpo scheletrico, alto due metri, al fianco una spada a due mani enorme e che sembrava avvolta da un aura di fiamme nere. Le mani erano scheletriche e deformi, incredibilmente grande rispetto al corpo e il volto, appena coperto dal cappuccio, era una maschera scheletrica dagli occhi di fuoco con grumi di carne marcia ancora attaccati al viso.
I due capirono subito che era solo grazie al loro addestramento psichico che non erano ancora impazziti dalla paura e dal terrore.
Il Signore delle Tenebre si alzò dal trono che fu ingoiato dalla terra, e avanzò verso di loro squadrandoli con le orbite vuote.
“Voi siete inutili qui. So qual è il vostro compito, ma non sono qui per fare da balia a due mocciosi. Uccidete il Cavaliere del Sole e andatevene. Le nostre operazioni militari hanno la priorità. Se vi scoprirò ad intralciarle o a mettere bocca sulle mie decisioni, farò in modo che possiate tornare a Helgedad… pezzo per pezzo. Spero di essere stato abbastanza chiaro.”
“Si, mio Signore.” Risposero in coro i due fratelli con la paura negli occhi.
 
 
 
 
 
 
 
Non riesco a crederci… ho fatto l’ennesimo capitolo e non sono morto. Amatemi. Ok, come già accennato la storia torna a vedere il punto di vista dei cattivi, qui, per altro, pochi, perché ci saranno moooolti altri cattivissimi campioni del male.
Be’, mi sa che questo sarà un aggiornamento che aspetterà moooolto tempo ad avere un successore. Però ditemi cosa ne pensate.
AxXx

 

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