That December day my life changed. di dreams___ (/viewuser.php?uid=303711)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 1 *** Prologo. ***
Prologo
Il mio nome è Pablo,
cosa faccio nella mia vita? Lavoro
nella biblioteca ereditata dai miei genitori in una piccola
città nella contea
di West Yorkshire in Inghilterra: Halifax. E’ una
città di circa 82.056
abitanti.
Passo le giornate a leggere i
libri, a togliere la polvere
da quelli un po' meno usati.
Non vengono molte persone qua, adesso c'è internet, nessuno
ha più bisogno di
una biblioteca, ma io qui ci sono cresciuto e ho troppi ricordi per
abbandonarla, questa è la mia vita, o meglio la vita che mi
è capitata.
Quello che avevo in mente di fare, dopo il liceo, era
l'università per
diventare psicologo, ma un incidente ha cambiato per sempre la mia
vita, il mio
destino, adesso ho 18 anni e lavoro nella biblioteca di famiglia, bella
vita
eh?
La mia è una vita
alquanto monotona: la mattina alle sette
meno venti sono in piedi, mi faccio una doccia e vado a fare un
po’ di spesa in
centro a Halifax, torno in biblioteca e passo tutto il resto del giorno
a
leggere.
Mi piace cantare e devo dire che mi
hanno sempre detto che
ho anche una bella voce, mia mamma mi diceva sempre che avrei potuto
fare il
cantante, ma dopo la loro morte ho dovuto prendermi cura delle mie due
sorelline più piccole e il tempo di fare altro non ne ho mai
trovato.
Sono stato un tipo abbastanza
studioso, quando ero piccolo
passavo le mie giornate a leggere, il reparto Romanzi era
il mio
preferito, passavo lì ore intere, leggevo una marea di
libri. Anche adesso
leggo tanti libri, un po’ per il fatto che non ho altro da
fare un po’, invece,
perché mi piace ancora leggere.
Ma la storia che sto per
raccontarvi è la storia di un
ragazzo, che è cambiato grazie a una persona, incontrata per
caso, in un giorno
d’inverno.
“Sofia, Lucy, svegliatevi
che la colazione è pronta”.
Chiamai le mie sorelline per la colazione, anche se mancava poco alle
vacanze
di Natale, dimostravano di non avere più voglia di andare a
scuola. “Allora
piccole, avete fatto i compiti per oggi?” dissi servendo la
colazione alle
bambine “Si però fratellone” Lucy
sorrise con un’aria da furbetta “dobbiamo
andarci per forza a scuola?” “Lucy, non cominciare,
mancano solamente dieci
giorni e ci saranno le vacanze di Natale, dopodiché faremo
l’albero, il presepe
e starete a casa con me, ma devi resistere almeno dici giorni, vedi
prendi
esempio da tua sorella” sbuffai mettendo il latte in frigo e
la tazza
nell’acquaio.
“Pablo, oggi posso
rimanere da una mia amica a fare dei
compiti?” Sofia si risvegliò dal nulla, era ancora
addormentata, penso che
fosse innamorata “Certo piccoletta, tu Lucy che programmi hai
per la giornata?
Non voglio avere molte rompiballe intorno oggi”
“Tranquillo, anche io rimango
da un’amica” sorrisi, non le volevo intorno
“Bene, adesso mettetevi il
giubbotto e andate che il bus sta arrivando”. Uscirono di
casa e io andai a
ripulire un po’ la cucina.
Era venerdì e dopo
essere tornato da fuori, andai in
giardino e dopo essermi steso sull’amaca mi misi a leggere i
primi righi di una
pagina a caso “..«Siamo
solo noi due, Elena», disse Damon con voce intensa.
«Tu sei mia. Io sono tuo.
Ci amiamo fin dall'inizio dei tempi».
Ma certo. Doveva essere quello il motivo dei brividi: tremava di gioia.
Lui le
apparteneva. Lei apparteneva a lui. Erano fatti l'uno per l'altra.
Mormorò una
sola parola: «Sì».”. Chiusi il libro, era troppo
romantico per i miei gusti, tornai
dentro e andai nell’ingresso della biblioteca.
Una ragazza dai capelli scuri era
appena entrata, le andai
incontro “posso aiutarla signorina?” lei si
guardò intorno e “veramente sto
cercando una persona”, “ oh capisco, ma
è finita nel posto sbagliato, questa è
una biblioteca, non una stazione di polizia”. Lei rise
“lo so, ma stavo
cercando Carol”. Mi irrigidii. Erano secoli che non sentivo
il nome di mia
madre, tranne che dalla mia vocina nella testa, ma ora questa ragazza,
che non
avevo la minima idea di chi fosse, stava cercando mia mamma.
“Mi dispiace, sei
arrivata in ritardo di qualche anno, è morta”
presi una sigaretta e la misi in
bocca “oh Dio, come? Non posso crederci” si
barcollò sulle gambe, si mise a
sedere su una piccola poltroncina che stava a pochi passi da noi
“povera, come
è successo?” “vuoi un sorso
d’acqua?” le domandai e “beh è
successo, cosa
volevi da lei?” mi guardò con le lacrime che
stavano cominciando la loro
discesa sul suo bel viso “io.. lei.. non so ero passata a
trovarla e tu.. ora..
lei..” la fermai “senti io non ho idea di chi tu
sia, ma se devi stare qui a
balbettare, puoi anche andartene” mi diressi verso la porta
del giardino e
accesi la sigaretta “si perdonami” si
alzò, “sono Giada, sua nipote”.
Il mio sguardo divenne incredulo,
non sapevo di avere una
cugina, o almeno non mi ricordavo di lei, per quale motivo non sapevo
della sua
esistenza? Come mai mia mamma non mi aveva mai parlato di lei? Tante
domande e
nessuna risposta.
“Piacere, adesso puoi
anche andartene, mia mamma non c’è”
uscii fuori e lei se ne andò.
Salve a
tutti, mi chiamo
Pablo e questa è la mia prima storia a capitoli,
sinceramente ammetto di non
saper scrivere molto bene e che faccio molti errori di ortografia,
punteggiatura ecc.
Voglio scrivere perché
scrivere mi chiude in un mondo tutto mio, in un mondo che creo io, ed
essendo
io il creatore, è un mondo perfetto.
Mi aspetto recensioni da
chiunque e di qualsiasi genere, positive e negative, in nessun caso mi
offendo.
Se volete seguirmi su
Twitter sono: @wjldestdreams
Grazie
mille
e a presto
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
1.
Quella mattina stavo cercando, tra gli oggetti di mia mamma, qualsiasi
indizio
sulla mia presunta cugina. Dopo la sua assenza avevo messo tutte le
loro cose
in una scatola color marrone, che avevamo comprato insieme in una
bancarella
poco distante da casa nostra;
“Mamma compriamo
qualcosa a papà?” dissi tenendola per
mano e correndo verso una piccola bancarella, “Potremmo
comprargli una scatola
o un baule” disse lei osservando una specie di scatoletta su
una bancarella,
“Come mai una scatola?” la guardai senza capire,
“mamma la scatola papà te la
tira dietro” mia mamma rise, la sua era una risata stupenda,
rideva di cuore
“Tesoro, una scatola l’apprezzerà
sicuramente, potrà metterci dentro tutti i
suoi piccoli ricordi e magari quando sarà vecchio
potrà aprirla e viaggiare in
un mondo di emozioni” io divenni serio e “Hai
ragione mamma, sarà perfetto”
Mia mamma abbracciata
a
mio papà, su una panchina, che guardavano Sofia e Lucy
giocare ai giardinetti. Quella
foto la stavo guardando da un bel po’ di tempo mentre mi
immergevo nei ricordi.
Amavo le foto perché anche se le persone cambiano, o
spariscono, le foto
rimanevano intatte senza cambiare. Quelle foto però facevano
male, come ogni
ricordo dei miei genitori, tutto faceva male.
Nella
scatola intravidi
una foto di famiglia: c’era lo zio Mark, fratello di mio
papà, che teneva in
braccio Mary, sua figlia, e abbracciava sua moglie Rose, poi
c’era mia mamma in
primo piano che affettava una torta, forse del mio quarto compleanno,
mio papà
aveva in braccio un cagnolino, poi c’era la nonna e il nonno
e accanto a loro c’era
una bambina di cui non avevo idea di chi fosse, o almeno non ricordavo.
Poteva essere
mia cugina? Chiunque fosse non l’avrei mai saputo e se fosse
stata mia cugina,
non l’avrei mai più rivista.
“Mi
dispiace siamo chiusi”
urlai appena sentii il campanello appeso sopra la porta suonare, nel
dirlo
chiusi la scatola e mi diressi verso la porta e “ho detto che
siamo chiusi, ci
sen-” mi fermai. Lei era lì davanti la porta e
“ti avevo detto di andartene” “buongiorno
anche a te” disse “lo so, dovevo andarmene ma, ecco
vedi non ci siamo nemmeno
presentati e io volevo tanto bene alla zia. Tu mi hai detto che
è tua mamma e
io non sapevo della tua esistenza” si avvicinò a
me. “sai è buffo, nemmeno io
sapevo della tua esistenza, comunque sono stato diciotto anni senza
sapere di
te, posso starne altrettanti senza parlarti” lei mi
guardò piegando la testa e “che
bel caratterino che hai” disse. Le feci un finto sorriso a
trentadue denti e
dissi “vattene”.
Lei
non mi ascoltò,
comincio a girovagare per la biblioteca “se vuoi, posso
raccontarti la mia
storia” disse mentre camminava vicino agli scaffali,
sfiorando con un dito ogni
libro “anche a me piacciono i libri” mi misi a
sedere sul bancone, “bene, non
mi interessa” dissi alzando gli occhi al cielo e “e
visto che non mi interessa
puoi benissimo stare zitta e andartene”. Lei mi
ignorò “io non so il tuo nome,
come ti chiami?” mi guardò e io scesi da dove ero
seduto, mi avvicinai a lei
con passo svelto, le presi il viso costringendola a guardarmi
“Pablo, adesso te
ne puoi anche andare okay?”, lei si liberò dalla
mia presa e “Pablo, bel nome.
Tua mamma non mi ha mai parlato di te”.
Si
mise a sedere su una
poltroncina, la stessa su cui si mise la prima volta che venne, le
gambe
accavallate una sopra l’altra e entrambe le braccia sul
bracciolo di sinistra,
era veramente una bella ragazza “senti carissima cugina di
cui non sapevo l’esistenza
fino a qualche giorno fa, non ho nessuna voglia di conoscerti,
d’accordo?” “invece
io voglio conoscerti” “che testa dura che hai,
vattene” mi diressi verso il
giardino e accesi la sigaretta, come facevo da sempre ormai. Lei non se
ne andò
anzi, mi venne dietro “fa male fumare, lo sai?”
fece per prendermi la sigaretta
di bocca e la bloccai “tu non sei mia madre okay? Tu non sei
nessuno per me e
non sarai mai nessuno, voglio che te ne vada, voglio che sparisci dalla
mia
vita e che lasci in pace la mia famiglia e se voglio farmi del male non
sono
affari tuoi” i suoi occhi brillavano, la stavo guardando
dritto negli occhi,
era vicinissima a me, a dire il vero una parte di me voleva che se ne
andasse e
sparisse per sempre dalla mia vita, una parte di me avrebbe voluto che
rimanesse, non so per quale motivo.
Le
squillò il telefono,
sicuramente un messaggio lei lo lesse e “Devo andare Pablo,
ma per favore se
hai bisogno chiamami, ti lascio il mio numero”
tornò dentro e “Addio Giada”
rimasi fuori, mentre lei se ne andò.
“Allora questa sera
usciamo a divertirci, che ne dici?” dall’altro
capo del telefono Fred, il mio migliore amico da sempre, facevamo le
cazzate
più cazzate insieme e ogni tanto mi aiutava a staccare un
po’ la spina da tutte
le mie preoccupazioni, dalla mia monotona vita, “Allora?
Ci sei? Mi sembra
di parlare da solo” disse sbuffando e
“si ci sono e d’accordo per stasera,
discoteca alle 21?” mi risvegliai dai miei pensieri e “Perfetto,
passami a
prendere tu, ho la macchina dal meccanico” attaccò
prima che potessi rispondergli.
Lui
aveva 20 anni, in
prima media bocciò due volte e me lo ritrovai in classe
insieme, da allora
divenne il mio migliore amico, ne avevamo passate tante insieme.
Quel
giorno mi ritrovai
come gli altri a leggere, solo che questa volta lessi senza capire,
avevo la
testa da un’altra parte, non so di preciso, ma non avevo
voglia di leggere,
così mi alzai, chiamai le amiche delle mie sorelle per
sentire dove erano e se
potevano rimanere là per la notte, dopodiché
andai a farmi una doccia e mi
vestii. Alle 21 meno venti ero sotto casa di Fred e lui, come al
solito, era in
ritardo. Appena usci di casa entrò in macchina di corsa
mentre sua mamma dalla
porta lo brontolava perché aveva incasinato il bagno senza
averlo rimesso a
posto “tua mamma sempre arrabbiata?” domandai,
“mia mamma è pazza” disse
ridendo, “solo perché ho lasciato mutande a giro
in bagno si mette a urlare”
rise ancora più forte e io mi unii alla risata
“andiamocene prima che decida di
tirarmele dietro” disse senza smettere di ridere.
Ci
avviammo verso la
nostra destinazione. A quell’ora le strade erano deserte, non
perché fosse
tardi, ma perché molte persone non avevano voglia di uscire
con il freddo di
dicembre e altre sicuramente erano già partite per
trascorrere le vacanze di
Natale con i famigliari. Arrivammo a destinazione alle 21 esatte, Fred
scese e
io andai a parcheggiare e dopo raggiunsi il mio amico dentro. In
effetti era
abbastanza freddo, le temperature ad Halifax in inverno sono sempre
bassissime
ma ci saremmo riscaldati ben presto. Una volta dentro mi diressi al
bancone e
ordinai da bere. Le mie intenzioni erano quelle di ubriacarmi fino a
perdere i
sensi e ci stavo riuscendo.
Dopo
aver bevuto
abbastanza vidi una ragazza, mi avvicinai e “Ciao bella
bambina” le mie gambe
tremavano e il mio alito ero sicuro puzzasse “allora, come ti
va la vita?” lei
si girò e “Pablo?” disse incredula di
trovarmi lì “Pablo, che ci fai qui? E come
ti sei conciato?” continuò “ci
conosciamo? Perché una bella ragazza come te
sicuramente l’avrei ricordata” le dissi ridendo
“Pablo, quanto hai bevuto?” lei
si allontanò dai suoi amici con una scusa e mi
portò fuori, “sei ubriaco marcio,
cazzo” io mi ero appoggiato con la schiena al muro tenendola
per mano “Giada! Ecco
sei la cugina rompiballe che non mi lascia mai in pace!” lei
mi ignorò
completamente e “sei venuto qui da solo?” feci per
alzarmi e caddi, lei mi
cadde addosso. Eravamo sdraiati, lei sopra di me che mi guardava negli
occhi,
aspettando una risposta, una risposta che le arrivò con
l’apertura della porta “Pablo,
ti ho cercato tutta la sera, ma dove eri finito?” lui rideva,
era ubriaco
marcio anche lui. Giada si mise in piedi e mi aiutò ad
alzarmi “vi riporto a
casa, avete bevuto troppo, non potete guidare”, Fred
continuava a ridere e “vuoi
fare una cosa a tre cara? Se ti procuri un’amica posso starci
a fare una cosa a
tre, ma con Pablo mai” continuò a ridere mentre
lei alzava gli occhi al cielo senza
rispondergli, mi portò alla macchina e mi aiutò a
salire sui seggiolini dietro,
Fred si mise vicino a me e disse a Giada dove doveva portarlo. Mi
addormentai.
Appena
arrivati a casa
Giada mi svegliò “Ehi piccoletto, siamo a casa, ce
la fai ad alzarti?” io mi svegliai
e “perché lo fai?” lei mi
aiutò ad alzarmi “cioè
perché mi aiuti?”, chiuse la portiera
e la macchina. Tirai fuori le chiavi e le diedi a lei. Non mi rispose,
forse
nemmeno lei sapeva il motivo di perché mi stesse aiutando ma
“Grazie” la ringraziai,
“figurati, per così poco” rispose.
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Capitolo 3 *** Capitolo 2. ***
2.
La mattina seguente mi
ritrovai nel letto. Della sera precedente non ricordavo assolutamente
niente.
Mi alzai e andai in bagno, con fatica riuscii a trovarlo. Ero ancora
tutto
scombussolato. Eppure la mia camera da letto non era così
grande nella quale una
persona si perde facilmente. Anche un neonato, che ci mette piede la
prima
volta, non si sarebbe perso. Era una stanza normale come le altre: un
letto
matrimoniale sulla parete opposta alla porta, un armadio a muro sulla
sinistra
e la porta del bagno sulla sinistra. Sopra il letto c’era una
finestra
abbastanza grande. Vicino alla porta, c’era un mobile che
faceva sia da
scrivania che da appoggia televisione. Era un mobile che occupava tutta
quanta
la parete e era a scaffali, in mezzo c’era un enorme
scrivania.
Anche il bagno non era
molto grande: vicino alla porta c’era il lavandino sulla
sinistra e un
mobiletto, in fondo alla stanza, all’angolo destro
c’era la vasca ad angolo,
nell’angolo sinistro, invece c’era la doccia. Dalla
parte destra della porta
infine c’era il water e il bidet.
Una volta in bagno entrai
in doccia, avevo un bisogno pazzesco di farmi una doccia ghiacciata, e
così
feci. Stetti circa venti minuti sotto la doccia fredda cercando di
ricordarmi
cosa successe la sera prima.
Appena arrivati a casa
Giada mi svegliò “Ehi piccoletto, siamo a casa, ce
la fai ad alzarti?” io mi
svegliai e “perché lo fai?” lei mi
aiutò ad alzarmi “cioè
perché mi aiuti?”,
chiuse la portiera e la macchina. Tirai fuori le chiavi e le diedi a
lei. Non
mi rispose, forse nemmeno lei sapeva il motivo di perché mi
stesse aiutando ma
“Grazie” la ringraziai, “figurati, per
così poco” rispose.
Entrammo dentro casa e
lei mi aiutò a sedermi sul divano “vuoi rimanere
qui
stanotte?” le domandi “no grazie” mi
disse guardandomi, a dire il vero non ho
idea di come mi stesse guardando, il suo viso era indecifrabile
“tranquilla,
non ho intenzione di fare chissà che” dissi
scherzando “e poi è tardi non posso
lasciarti andare in giro da sola a quest’ora”
aggiunsi. Lei ci pensò un po’ e poi
si sedette accanto a me “d’accordo,
rimango”.
L’accompagnai
in camera e
io andai nella mia. Mi spogliai e mi misi sotto le coperte. Dopo poco
venne
Giada e “Ehi, dormi?” “no”
dissi sbadigliando, “ti va se parliamo?” mi disse
venendo verso di me “vuoi parlare adesso?” si
sedette ai piedi del letto e “si
perché?” “va bene” la feci
sedere vicino a me e mi tirai un po’ su. “di cosa
vuoi parlare?” “voglio dirti chi sono”
“lo so già chi sei Giada, la mia cugina
che risalta fuori dopo chissà quanto, della quale non ho mai
sentito parlare”
dissi in tono quasi ironico “non so per quale motivo tua
mamma non mi ha mai
parlato di te” mi irrigidii, ogni volta che sentivo parlare
di mia mamma, mi
saliva la rabbia e lei se ne accorse ma continuò
“però posso dirti cosa ha
fatto per me: vedi in realtà io non sono tua cugina di
sangue diciamo, tua
mamma aveva una sorella la quale non poteva avere figli e” la
bloccai “come mia
mamma aveva una sorella?” lei mi zittì
“vuoi ascoltare la mia storia o no?”
feci segno di sì con la testa e continuò
“stavo dicendo ehm..” pensò un secondo
e io per tutto il tempo guardavo il soffitto della mia camera
“ah si ecco, tua
zia non potendo avere figli mi adottò quando ero piccola,
avevo circa due mesi
quando mi prese con se però diciamo che lei non è
mai stata una madre molto
presente. Quando avevo circa tre anni lei mi abbandonò in un
orfanotrofio e
appena tua mamma lo seppe, mi venne a trovare ogni giorno, mi manteneva
lei
anche se vivevo in un orfanotrofio, tua mamma è sempre stata
un angelo con me.
Una volta uscita da lì dentro, dopo essere stata adottata da
una nuova
famiglia, tua mamma continuava a venirmi a trovare, però poi
mi trasferii a
Londra con la mia famiglia e ci sentivamo sempre meno fino a non
sentirla più e
non sapevo che fosse… cioè che se ne fosse
andata, credevo che si era stancata
di me” una lacrima le rigò il viso e si
asciugò velocemente con la maglia del
pigiama che le avevo prestato. Mi tirai più su e la guardai
negli occhi “come
mai ti trovi da queste parti, adesso?” “ah giusto,
ero venuta qui per le
vacanze di Natale con la mia nuova famiglia e ho pensato di passare a
trovarla”
le asciugai un’altra lacrima caduta sul suo bel viso
“mia mamma ti voleva bene,
lei quando voleva bene ad una persona, difficilmente smetteva e aveva
un grande
cuore”.
Ci sdraiammo tutti e due
sul letto a guardare il soffitto. Eravamo in silenzio.
Non so per quanto tempo restammo in quella posizione prima di
addormentarci.
Tutti e due a fissare il soffitto, lei persa nei suoi pensieri, io
perso nei
miei. Pensai a quello che mi aveva raccontato lei. Pensai a come mia
mamma si
era presa cura di lei. Pensai a mia mamma. Pensai a quanto mi mancava.
Pensai a
tante cose quella notte, prima di addormentarmi.
Uscii
dalla doccia e mi
vestii, che fine aveva fatto Giada?
La cercai per tutta casa e di lei non c’era traccia, se non
fosse per il
profumo che aveva lasciato, sarebbe sembrato che non fosse mai stata
lì la sera
prima.
Cercai di non farci caso e scesi di sotto a prepararmi la colazione.
Come al solito brioche con crema e cappuccino, non al bar, ma anche a
casa mi
trattavo bene. Finita la colazione decisi che non era necessario andare
a fare
la spesa, avevamo già abbastanza cose da finire
così dedicai la giornata al
dolce far niente.
Accesi il computer e mi
sistemai sulla poltrona dell’ingresso della biblioteca.
Cercavo un posto per
passare le vacanze di Natale, non avevo voglia di passarlo in questa
biblioteca
anche se, alle mie sorelle sarebbe piaciuto un sacco addobbarla tutta
per
Natale. Guardai diversi posti: Londra, Venezia, Roma, Parigi ma non
trovai
nulla. Mi arresi e lasciai perdere mettendo il computer sul piccolo
tavolino
davanti alle quattro poltrone messe a cerchio. Mi appoggiai allo
schienale
della poltrona e pensai. Non so per quale motivo ma pensai a Lei.
Dovevo sapere
dov’era. Mi alzai e andai vicino al bancone e cercai, doveva
essere da quelle
parti. Cercai per circa due minuti e poi lo trovai, era davanti ai miei
occhi,
il bigliettino con il suo numero di telefono. Digitai il numero sul mio
telefonino. Uno squillo. Due squilli. Tre squilli e niente. Non
rispose. Ci
riprovai una seconda volta e stessa storia, non rispose. Lasciai
perdere e
decisi di uscire a fare una passeggiata.
Fuori era freddo, così
misi sciarpa e cappello e uscii. Non avevo una destinazione precisa,
volevo
solo fare quattro passi. Mi aiutavano a pensare e a rilassarmi. Non che
la mia
vita fosse stressante però dovevo rilassarmi lo stesso.
La città in quel
periodo era deserta, le persone preferivano andarsene in qualche altro
posto
per passare il Natale, così mi ritrovai in giro per Halifax,
completamente
solo, o quasi. Le vetrine erano addobbate dei soliti colori natalizi:
verde,
rosso, giallo e arancione. La neve non si era ancora fatta vedere,
stranamente.
Stavo camminando da più di mezz’ora quando dalla
porta di un negozio uscì Lei.
Senza rendermene conto le andai incontro, era vestita con un minidress
di lana
color beige, dei leggins neri e degli stivali bassi sul grigio, e aveva
un
piccolo cappellino di lana color beige. Mi avvicinai e “Ehi,
Giada!” lei si
girò verso di me “Ciao” era fredda e non
ne capivo il motivo, quindi “Che
succede?” lei iniziò a camminare e
“niente, perché questa domanda?”
“beh,
stamattina te ne sei andata senza dire niente e adesso sei, come dire,
fredda”
la guardai per studiare le sue espressioni ma, come al solito, non
riuscivo a
capire cosa stesse pensando “non sono fredda e non ho niente,
stamani ho
ricevuto una chiamata da mia mamma e sono dovuta tornare via”
“capito”. Lei mi
guardò un ultima volta e mi salutò con la testa,
il suo sguardo era triste, non
volevo se ne andasse “ti fai un giro con me?”
abbassai la testa di lato, e lei
si fermò guardandomi negli occhi “Vuoi lasciarmi
in pace per favore?”.
Non
capivo la sua
reazione, non avevo idea di perché facesse così
“che ti prende, Giada?” “non mi
prende niente okay? Voglio solo starmene da sola, è
possibile?” “d’accordo”.
Lei riprese a camminare e io la seguii con le mani nelle tasche e
fischiettando, non volevo lasciarla da sola “ma tu capisci
quando qualcuno ti
parla?” “si perché?”
“perché ti ho detto che voglio stare
sola” mi disse, “si
ma, Giagi, la strada non è tua, io posso camminare dove
voglio” mi guardò
perplessa e “Giagi?” ripeté
“si, da ora in poi ti chiamerò Giagi! Ti
piace?” ci
pensò un po’ su e “E’
carino” riprese a camminare.
Silenzio.
Nessuno dei
due parlò più per un bel po’. Fu lei a
rompere il silenzio “Scusami, non volevo
trattarti così..” continuava a camminare
“tranquilla, capisco, non
preoccuparti” “è che oggi sono nervosa e
tratto male chiunque mi trovo
davanti..” la fermai, la presi per un braccio e la guardai
dritta negli occhi
“Giada, davvero, non preoccuparti, capisco”.
Mi
fece un sorriso, uno
splendido sorriso. Penso che fosse il sorriso più bello del
mondo “senti io
devo andare a recuperare le mie due pesti, ti va di
accompagnarmi?” “Le tue due
pesti?” mi chiese confusa “beh si, Sofia e Lucy, le
mie sorelline” lei sorrise
“con piacere, non sapevo avessi due sorelle”. Ci
avviammo a prendere Sofia e Lucy.
Il
resto della giornata
passò velocemente. Dopo che avevamo preso le bambine, le
portammo a casa e
Giada rimase un po’ con noi, dopodiché se ne
andò e io passai tutta la sera a
vedermi un film in televisione fino a che, verso le undici di sera non
ricevetti
un messaggio:
Che fai?
Il
numero era
sconosciuto, quindi risposi:
Sto vedendo un film.. chi
sei?
La risposta non tardò ad arrivare:
Ti va di vederci?
Così saprai
chi sono..
Non
sapevo se accettare o
no, ci pensai un secondo e risposi al messaggio. Volevo sapere chi
fosse.
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