That December day my life changed.

di dreams___
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Prologo

Il mio nome è Pablo, cosa faccio nella mia vita? Lavoro nella biblioteca ereditata dai miei genitori in una piccola città nella contea di West Yorkshire in Inghilterra: Halifax. E’ una città di circa 82.056 abitanti.

Passo le giornate a leggere i libri, a togliere la polvere da quelli un po' meno usati.
Non vengono molte persone qua, adesso c'è internet, nessuno ha più bisogno di una biblioteca, ma io qui ci sono cresciuto e ho troppi ricordi per abbandonarla, questa è la mia vita, o meglio la vita che mi è capitata.
Quello che avevo in mente di fare, dopo il liceo, era l'università per diventare psicologo, ma un incidente ha cambiato per sempre la mia vita, il mio destino, adesso ho 18 anni e lavoro nella biblioteca di famiglia, bella vita eh?

La mia è una vita alquanto monotona: la mattina alle sette meno venti sono in piedi, mi faccio una doccia e vado a fare un po’ di spesa in centro a Halifax, torno in biblioteca e passo tutto il resto del giorno a leggere.

Mi piace cantare e devo dire che mi hanno sempre detto che ho anche una bella voce, mia mamma mi diceva sempre che avrei potuto fare il cantante, ma dopo la loro morte ho dovuto prendermi cura delle mie due sorelline più piccole e il tempo di fare altro non ne ho mai trovato.

Sono stato un tipo abbastanza studioso, quando ero piccolo passavo le mie giornate a leggere, il reparto Romanzi era il mio preferito, passavo lì ore intere, leggevo una marea di libri. Anche adesso leggo tanti libri, un po’ per il fatto che non ho altro da fare un po’, invece, perché mi piace ancora leggere.

Ma la storia che sto per raccontarvi è la storia di un ragazzo, che è cambiato grazie a una persona, incontrata per caso, in un giorno d’inverno.

“Sofia, Lucy, svegliatevi che la colazione è pronta”. Chiamai le mie sorelline per la colazione, anche se mancava poco alle vacanze di Natale, dimostravano di non avere più voglia di andare a scuola. “Allora piccole, avete fatto i compiti per oggi?” dissi servendo la colazione alle bambine “Si però fratellone” Lucy sorrise con un’aria da furbetta “dobbiamo andarci per forza a scuola?” “Lucy, non cominciare, mancano solamente dieci giorni e ci saranno le vacanze di Natale, dopodiché faremo l’albero, il presepe e starete a casa con me, ma devi resistere almeno dici giorni, vedi prendi esempio da tua sorella” sbuffai mettendo il latte in frigo e la tazza nell’acquaio.

“Pablo, oggi posso rimanere da una mia amica a fare dei compiti?” Sofia si risvegliò dal nulla, era ancora addormentata, penso che fosse innamorata “Certo piccoletta, tu Lucy che programmi hai per la giornata? Non voglio avere molte rompiballe intorno oggi” “Tranquillo, anche io rimango da un’amica” sorrisi, non le volevo intorno “Bene, adesso mettetevi il giubbotto e andate che il bus sta arrivando”. Uscirono di casa e io andai a ripulire un po’ la cucina.

Era venerdì e dopo essere tornato da fuori, andai in giardino e dopo essermi steso sull’amaca mi misi a leggere i primi righi di una pagina a caso “..«Siamo solo noi due, Elena», disse Damon con voce intensa. «Tu sei mia. Io sono tuo. Ci amiamo fin dall'inizio dei tempi».
Ma certo. Doveva essere quello il motivo dei brividi: tremava di gioia. Lui le apparteneva. Lei apparteneva a lui. Erano fatti l'uno per l'altra. Mormorò una sola parola: «Sì».”.
Chiusi il libro, era troppo romantico per i miei gusti, tornai dentro e andai nell’ingresso della biblioteca.

Una ragazza dai capelli scuri era appena entrata, le andai incontro “posso aiutarla signorina?” lei si guardò intorno e “veramente sto cercando una persona”, “ oh capisco, ma è finita nel posto sbagliato, questa è una biblioteca, non una stazione di polizia”. Lei rise “lo so, ma stavo cercando Carol”. Mi irrigidii. Erano secoli che non sentivo il nome di mia madre, tranne che dalla mia vocina nella testa, ma ora questa ragazza, che non avevo la minima idea di chi fosse, stava cercando mia mamma. “Mi dispiace, sei arrivata in ritardo di qualche anno, è morta” presi una sigaretta e la misi in bocca “oh Dio, come? Non posso crederci” si barcollò sulle gambe, si mise a sedere su una piccola poltroncina che stava a pochi passi da noi “povera, come è successo?” “vuoi un sorso d’acqua?” le domandai e “beh è successo, cosa volevi da lei?” mi guardò con le lacrime che stavano cominciando la loro discesa sul suo bel viso “io.. lei.. non so ero passata a trovarla e tu.. ora.. lei..” la fermai “senti io non ho idea di chi tu sia, ma se devi stare qui a balbettare, puoi anche andartene” mi diressi verso la porta del giardino e accesi la sigaretta “si perdonami” si alzò, “sono Giada, sua nipote”.

Il mio sguardo divenne incredulo, non sapevo di avere una cugina, o almeno non mi ricordavo di lei, per quale motivo non sapevo della sua esistenza? Come mai mia mamma non mi aveva mai parlato di lei? Tante domande e nessuna risposta.

“Piacere, adesso puoi anche andartene, mia mamma non c’è” uscii fuori e lei se ne andò.









Salve a tutti, mi chiamo Pablo e questa è la mia prima storia a capitoli, sinceramente ammetto di non saper scrivere molto bene e che faccio molti errori di ortografia, punteggiatura ecc.
Voglio scrivere perché scrivere mi chiude in un mondo tutto mio, in un mondo che creo io, ed essendo io il creatore, è un mondo perfetto.
Mi aspetto recensioni da chiunque e di qualsiasi genere, positive e negative, in nessun caso mi offendo.
Se volete seguirmi su Twitter sono: @wjldestdreams
Grazie mille e a presto

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


1.
Quella mattina stavo cercando, tra gli oggetti di mia mamma, qualsiasi indizio sulla mia presunta cugina. Dopo la sua assenza avevo messo tutte le loro cose in una scatola color marrone, che avevamo comprato insieme in una bancarella poco distante da casa nostra;

“Mamma compriamo qualcosa a papà?” dissi tenendola per mano e correndo verso una piccola bancarella, “Potremmo comprargli una scatola o un baule” disse lei osservando una specie di scatoletta su una bancarella, “Come mai una scatola?” la guardai senza capire, “mamma la scatola papà te la tira dietro” mia mamma rise, la sua era una risata stupenda, rideva di cuore “Tesoro, una scatola l’apprezzerà sicuramente, potrà metterci dentro tutti i suoi piccoli ricordi e magari quando sarà vecchio potrà aprirla e viaggiare in un mondo di emozioni” io divenni serio e “Hai ragione mamma, sarà perfetto”

Mia mamma abbracciata a mio papà, su una panchina, che guardavano Sofia e Lucy giocare ai giardinetti. Quella foto la stavo guardando da un bel po’ di tempo mentre mi immergevo nei ricordi. Amavo le foto perché anche se le persone cambiano, o spariscono, le foto rimanevano intatte senza cambiare. Quelle foto però facevano male, come ogni ricordo dei miei genitori, tutto faceva male.

Nella scatola intravidi una foto di famiglia: c’era lo zio Mark, fratello di mio papà, che teneva in braccio Mary, sua figlia, e abbracciava sua moglie Rose, poi c’era mia mamma in primo piano che affettava una torta, forse del mio quarto compleanno, mio papà aveva in braccio un cagnolino, poi c’era la nonna e il nonno e accanto a loro c’era una bambina di cui non avevo idea di chi fosse, o almeno non ricordavo. Poteva essere mia cugina? Chiunque fosse non l’avrei mai saputo e se fosse stata mia cugina, non l’avrei mai più rivista.

“Mi dispiace siamo chiusi” urlai appena sentii il campanello appeso sopra la porta suonare, nel dirlo chiusi la scatola e mi diressi verso la porta e “ho detto che siamo chiusi, ci sen-” mi fermai. Lei era lì davanti la porta e “ti avevo detto di andartene” “buongiorno anche a te” disse “lo so, dovevo andarmene ma, ecco vedi non ci siamo nemmeno presentati e io volevo tanto bene alla zia. Tu mi hai detto che è tua mamma e io non sapevo della tua esistenza” si avvicinò a me. “sai è buffo, nemmeno io sapevo della tua esistenza, comunque sono stato diciotto anni senza sapere di te, posso starne altrettanti senza parlarti” lei mi guardò piegando la testa e “che bel caratterino che hai” disse. Le feci un finto sorriso a trentadue denti e dissi “vattene”.

Lei non mi ascoltò, comincio a girovagare per la biblioteca “se vuoi, posso raccontarti la mia storia” disse mentre camminava vicino agli scaffali, sfiorando con un dito ogni libro “anche a me piacciono i libri” mi misi a sedere sul bancone, “bene, non mi interessa” dissi alzando gli occhi al cielo e “e visto che non mi interessa puoi benissimo stare zitta e andartene”. Lei mi ignorò “io non so il tuo nome, come ti chiami?” mi guardò e io scesi da dove ero seduto, mi avvicinai a lei con passo svelto, le presi il viso costringendola a guardarmi “Pablo, adesso te ne puoi anche andare okay?”, lei si liberò dalla mia presa e “Pablo, bel nome. Tua mamma non mi ha mai parlato di te”.

Si mise a sedere su una poltroncina, la stessa su cui si mise la prima volta che venne, le gambe accavallate una sopra l’altra e entrambe le braccia sul bracciolo di sinistra, era veramente una bella ragazza “senti carissima cugina di cui non sapevo l’esistenza fino a qualche giorno fa, non ho nessuna voglia di conoscerti, d’accordo?” “invece io voglio conoscerti” “che testa dura che hai, vattene” mi diressi verso il giardino e accesi la sigaretta, come facevo da sempre ormai. Lei non se ne andò anzi, mi venne dietro “fa male fumare, lo sai?” fece per prendermi la sigaretta di bocca e la bloccai “tu non sei mia madre okay? Tu non sei nessuno per me e non sarai mai nessuno, voglio che te ne vada, voglio che sparisci dalla mia vita e che lasci in pace la mia famiglia e se voglio farmi del male non sono affari tuoi” i suoi occhi brillavano, la stavo guardando dritto negli occhi, era vicinissima a me, a dire il vero una parte di me voleva che se ne andasse e sparisse per sempre dalla mia vita, una parte di me avrebbe voluto che rimanesse, non so per quale motivo.

Le squillò il telefono, sicuramente un messaggio lei lo lesse e “Devo andare Pablo, ma per favore se hai bisogno chiamami, ti lascio il mio numero” tornò dentro e “Addio Giada” rimasi fuori, mentre lei se ne andò.

“Allora questa sera usciamo a divertirci, che ne dici?” dall’altro capo del telefono Fred, il mio migliore amico da sempre, facevamo le cazzate più cazzate insieme e ogni tanto mi aiutava a staccare un po’ la spina da tutte le mie preoccupazioni, dalla mia monotona vita, “Allora? Ci sei? Mi sembra di parlare da solo” disse sbuffando e “si ci sono e d’accordo per stasera, discoteca alle 21?” mi risvegliai dai miei pensieri e “Perfetto, passami a prendere tu, ho la macchina dal meccanico” attaccò prima che potessi rispondergli.

Lui aveva 20 anni, in prima media bocciò due volte e me lo ritrovai in classe insieme, da allora divenne il mio migliore amico, ne avevamo passate tante insieme.

Quel giorno mi ritrovai come gli altri a leggere, solo che questa volta lessi senza capire, avevo la testa da un’altra parte, non so di preciso, ma non avevo voglia di leggere, così mi alzai, chiamai le amiche delle mie sorelle per sentire dove erano e se potevano rimanere là per la notte, dopodiché andai a farmi una doccia e mi vestii. Alle 21 meno venti ero sotto casa di Fred e lui, come al solito, era in ritardo. Appena usci di casa entrò in macchina di corsa mentre sua mamma dalla porta lo brontolava perché aveva incasinato il bagno senza averlo rimesso a posto “tua mamma sempre arrabbiata?” domandai, “mia mamma è pazza” disse ridendo, “solo perché ho lasciato mutande a giro in bagno si mette a urlare” rise ancora più forte e io mi unii alla risata “andiamocene prima che decida di tirarmele dietro” disse senza smettere di ridere.

Ci avviammo verso la nostra destinazione. A quell’ora le strade erano deserte, non perché fosse tardi, ma perché molte persone non avevano voglia di uscire con il freddo di dicembre e altre sicuramente erano già partite per trascorrere le vacanze di Natale con i famigliari. Arrivammo a destinazione alle 21 esatte, Fred scese e io andai a parcheggiare e dopo raggiunsi il mio amico dentro. In effetti era abbastanza freddo, le temperature ad Halifax in inverno sono sempre bassissime ma ci saremmo riscaldati ben presto. Una volta dentro mi diressi al bancone e ordinai da bere. Le mie intenzioni erano quelle di ubriacarmi fino a perdere i sensi e ci stavo riuscendo.

Dopo aver bevuto abbastanza vidi una ragazza, mi avvicinai e “Ciao bella bambina” le mie gambe tremavano e il mio alito ero sicuro puzzasse “allora, come ti va la vita?” lei si girò e “Pablo?” disse incredula di trovarmi lì “Pablo, che ci fai qui? E come ti sei conciato?” continuò “ci conosciamo? Perché una bella ragazza come te sicuramente l’avrei ricordata” le dissi ridendo “Pablo, quanto hai bevuto?” lei si allontanò dai suoi amici con una scusa e mi portò fuori, “sei ubriaco marcio, cazzo” io mi ero appoggiato con la schiena al muro tenendola per mano “Giada! Ecco sei la cugina rompiballe che non mi lascia mai in pace!” lei mi ignorò completamente e “sei venuto qui da solo?” feci per alzarmi e caddi, lei mi cadde addosso. Eravamo sdraiati, lei sopra di me che mi guardava negli occhi, aspettando una risposta, una risposta che le arrivò con l’apertura della porta “Pablo, ti ho cercato tutta la sera, ma dove eri finito?” lui rideva, era ubriaco marcio anche lui. Giada si mise in piedi e mi aiutò ad alzarmi “vi riporto a casa, avete bevuto troppo, non potete guidare”, Fred continuava a ridere e “vuoi fare una cosa a tre cara? Se ti procuri un’amica posso starci a fare una cosa a tre, ma con Pablo mai” continuò a ridere mentre lei alzava gli occhi al cielo senza rispondergli, mi portò alla macchina e mi aiutò a salire sui seggiolini dietro, Fred si mise vicino a me e disse a Giada dove doveva portarlo. Mi addormentai.

Appena arrivati a casa Giada mi svegliò “Ehi piccoletto, siamo a casa, ce la fai ad alzarti?” io mi svegliai e “perché lo fai?” lei mi aiutò ad alzarmi “cioè perché mi aiuti?”, chiuse la portiera e la macchina. Tirai fuori le chiavi e le diedi a lei. Non mi rispose, forse nemmeno lei sapeva il motivo di perché mi stesse aiutando ma “Grazie” la ringraziai, “figurati, per così poco” rispose.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. ***


2.
La mattina seguente mi ritrovai nel letto. Della sera precedente non ricordavo assolutamente niente. Mi alzai e andai in bagno, con fatica riuscii a trovarlo. Ero ancora tutto scombussolato. Eppure la mia camera da letto non era così grande nella quale una persona si perde facilmente. Anche un neonato, che ci mette piede la prima volta, non si sarebbe perso. Era una stanza normale come le altre: un letto matrimoniale sulla parete opposta alla porta, un armadio a muro sulla sinistra e la porta del bagno sulla sinistra. Sopra il letto c’era una finestra abbastanza grande. Vicino alla porta, c’era un mobile che faceva sia da scrivania che da appoggia televisione. Era un mobile che occupava tutta quanta la parete e era a scaffali, in mezzo c’era un enorme scrivania.
Anche il bagno non era molto grande: vicino alla porta c’era il lavandino sulla sinistra e un mobiletto, in fondo alla stanza, all’angolo destro c’era la vasca ad angolo, nell’angolo sinistro, invece c’era la doccia. Dalla parte destra della porta infine c’era il water e il bidet.
Una volta in bagno entrai in doccia, avevo un bisogno pazzesco di farmi una doccia ghiacciata, e così feci. Stetti circa venti minuti sotto la doccia fredda cercando di ricordarmi cosa successe la sera prima.

Appena arrivati a casa Giada mi svegliò “Ehi piccoletto, siamo a casa, ce la fai ad alzarti?” io mi svegliai e “perché lo fai?” lei mi aiutò ad alzarmi “cioè perché mi aiuti?”, chiuse la portiera e la macchina. Tirai fuori le chiavi e le diedi a lei. Non mi rispose, forse nemmeno lei sapeva il motivo di perché mi stesse aiutando ma “Grazie” la ringraziai, “figurati, per così poco” rispose.
Entrammo dentro casa e lei mi aiutò a sedermi sul divano “vuoi rimanere qui stanotte?” le domandi “no grazie” mi disse guardandomi, a dire il vero non ho idea di come mi stesse guardando, il suo viso era indecifrabile “tranquilla, non ho intenzione di fare chissà che” dissi scherzando “e poi è tardi non posso lasciarti andare in giro da sola a quest’ora” aggiunsi. Lei ci pensò un po’ e poi si sedette accanto a me “d’accordo, rimango”.
L’accompagnai in camera e io andai nella mia. Mi spogliai e mi misi sotto le coperte. Dopo poco venne Giada e “Ehi, dormi?” “no” dissi sbadigliando, “ti va se parliamo?” mi disse venendo verso di me “vuoi parlare adesso?” si sedette ai piedi del letto e “si perché?” “va bene” la feci sedere vicino a me e mi tirai un po’ su. “di cosa vuoi parlare?” “voglio dirti chi sono” “lo so già chi sei Giada, la mia cugina che risalta fuori dopo chissà quanto, della quale non ho mai sentito parlare” dissi in tono quasi ironico “non so per quale motivo tua mamma non mi ha mai parlato di te” mi irrigidii, ogni volta che sentivo parlare di mia mamma, mi saliva la rabbia e lei se ne accorse ma continuò “però posso dirti cosa ha fatto per me: vedi in realtà io non sono tua cugina di sangue diciamo, tua mamma aveva una sorella la quale non poteva avere figli e” la bloccai “come mia mamma aveva una sorella?” lei mi zittì “vuoi ascoltare la mia storia o no?” feci segno di sì con la testa e continuò “stavo dicendo ehm..” pensò un secondo e io per tutto il tempo guardavo il soffitto della mia camera “ah si ecco, tua zia non potendo avere figli mi adottò quando ero piccola, avevo circa due mesi quando mi prese con se però diciamo che lei non è mai stata una madre molto presente. Quando avevo circa tre anni lei mi abbandonò in un orfanotrofio e appena tua mamma lo seppe, mi venne a trovare ogni giorno, mi manteneva lei anche se vivevo in un orfanotrofio, tua mamma è sempre stata un angelo con me. Una volta uscita da lì dentro, dopo essere stata adottata da una nuova famiglia, tua mamma continuava a venirmi a trovare, però poi mi trasferii a Londra con la mia famiglia e ci sentivamo sempre meno fino a non sentirla più e non sapevo che fosse… cioè che se ne fosse andata, credevo che si era stancata di me” una lacrima le rigò il viso e si asciugò velocemente con la maglia del pigiama che le avevo prestato. Mi tirai più su e la guardai negli occhi “come mai ti trovi da queste parti, adesso?” “ah giusto, ero venuta qui per le vacanze di Natale con la mia nuova famiglia e ho pensato di passare a trovarla” le asciugai un’altra lacrima caduta sul suo bel viso “mia mamma ti voleva bene, lei quando voleva bene ad una persona, difficilmente smetteva e aveva un grande cuore”.
Ci sdraiammo tutti e due sul letto a guardare il soffitto. Eravamo in silenzio. Non so per quanto tempo restammo in quella posizione prima di addormentarci. Tutti e due a fissare il soffitto, lei persa nei suoi pensieri, io perso nei miei. Pensai a quello che mi aveva raccontato lei. Pensai a come mia mamma si era presa cura di lei. Pensai a mia mamma. Pensai a quanto mi mancava. Pensai a tante cose quella notte, prima di addormentarmi. 

Uscii dalla doccia e mi vestii, che fine aveva fatto Giada?
La cercai per tutta casa e di lei non c’era traccia, se non fosse per il profumo che aveva lasciato, sarebbe sembrato che non fosse mai stata lì la sera prima.
Cercai di non farci caso e scesi di sotto a prepararmi la colazione.
Come al solito brioche con crema e cappuccino, non al bar, ma anche a casa mi trattavo bene. Finita la colazione decisi che non era necessario andare a fare la spesa, avevamo già abbastanza cose da finire così dedicai la giornata al dolce far niente.
Accesi il computer e mi sistemai sulla poltrona dell’ingresso della biblioteca. Cercavo un posto per passare le vacanze di Natale, non avevo voglia di passarlo in questa biblioteca anche se, alle mie sorelle sarebbe piaciuto un sacco addobbarla tutta per Natale. Guardai diversi posti: Londra, Venezia, Roma, Parigi ma non trovai nulla. Mi arresi e lasciai perdere mettendo il computer sul piccolo tavolino davanti alle quattro poltrone messe a cerchio. Mi appoggiai allo schienale della poltrona e pensai. Non so per quale motivo ma pensai a Lei. Dovevo sapere dov’era. Mi alzai e andai vicino al bancone e cercai, doveva essere da quelle parti. Cercai per circa due minuti e poi lo trovai, era davanti ai miei occhi, il bigliettino con il suo numero di telefono. Digitai il numero sul mio telefonino. Uno squillo. Due squilli. Tre squilli e niente. Non rispose. Ci riprovai una seconda volta e stessa storia, non rispose. Lasciai perdere e decisi di uscire a fare una passeggiata. 
Fuori era freddo, così misi sciarpa e cappello e uscii. Non avevo una destinazione precisa, volevo solo fare quattro passi. Mi aiutavano a pensare e a rilassarmi. Non che la mia vita fosse stressante però dovevo rilassarmi lo stesso.
La città in quel periodo era deserta, le persone preferivano andarsene in qualche altro posto per passare il Natale, così mi ritrovai in giro per Halifax, completamente solo, o quasi. Le vetrine erano addobbate dei soliti colori natalizi: verde, rosso, giallo e arancione. La neve non si era ancora fatta vedere, stranamente.
Stavo camminando da più di mezz’ora quando dalla porta di un negozio uscì Lei. Senza rendermene conto le andai incontro, era vestita con un minidress di lana color beige, dei leggins neri e degli stivali bassi sul grigio, e aveva un piccolo cappellino di lana color beige. Mi avvicinai e “Ehi, Giada!” lei si girò verso di me “Ciao” era fredda e non ne capivo il motivo, quindi “Che succede?” lei iniziò a camminare e “niente, perché questa domanda?” “beh, stamattina te ne sei andata senza dire niente e adesso sei, come dire, fredda” la guardai per studiare le sue espressioni ma, come al solito, non riuscivo a capire cosa stesse pensando “non sono fredda e non ho niente, stamani ho ricevuto una chiamata da mia mamma e sono dovuta tornare via” “capito”. Lei mi guardò un ultima volta e mi salutò con la testa, il suo sguardo era triste, non volevo se ne andasse “ti fai un giro con me?” abbassai la testa di lato, e lei si fermò guardandomi negli occhi “Vuoi lasciarmi in pace per favore?”.

Non capivo la sua reazione, non avevo idea di perché facesse così “che ti prende, Giada?” “non mi prende niente okay? Voglio solo starmene da sola, è possibile?” “d’accordo”. Lei riprese a camminare e io la seguii con le mani nelle tasche e fischiettando, non volevo lasciarla da sola “ma tu capisci quando qualcuno ti parla?” “si perché?” “perché ti ho detto che voglio stare sola” mi disse, “si ma, Giagi, la strada non è tua, io posso camminare dove voglio” mi guardò perplessa e “Giagi?” ripeté “si, da ora in poi ti chiamerò Giagi! Ti piace?” ci pensò un po’ su e “E’ carino” riprese a camminare.

Silenzio. Nessuno dei due parlò più per un bel po’. Fu lei a rompere il silenzio “Scusami, non volevo trattarti così..” continuava a camminare “tranquilla, capisco, non preoccuparti” “è che oggi sono nervosa e tratto male chiunque mi trovo davanti..” la fermai, la presi per un braccio e la guardai dritta negli occhi “Giada, davvero, non preoccuparti, capisco”.

Mi fece un sorriso, uno splendido sorriso. Penso che fosse il sorriso più bello del mondo “senti io devo andare a recuperare le mie due pesti, ti va di accompagnarmi?” “Le tue due pesti?” mi chiese confusa “beh si, Sofia e Lucy, le mie sorelline” lei sorrise “con piacere, non sapevo avessi due sorelle”. Ci avviammo a prendere Sofia e Lucy.

 Il resto della giornata passò velocemente. Dopo che avevamo preso le bambine, le portammo a casa e Giada rimase un po’ con noi, dopodiché se ne andò e io passai tutta la sera a vedermi un film in televisione fino a che, verso le undici di sera non ricevetti un messaggio:

Che fai?

 Il numero era sconosciuto, quindi risposi:

 Sto vedendo un film.. chi sei?

La risposta non tardò ad arrivare:

 Ti va di vederci? Così saprai chi sono..

Non sapevo se accettare o no, ci pensai un secondo e risposi al messaggio. Volevo sapere chi fosse.

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