ciao
Buongiorno, notte...
Mi giro e mi rigiro nel letto, in
un eterna lotta con me stessa. Sempre così, tutte le notti.
È tutta finzione quella di tirare
le coperte sopra la testa, di chiudere gli occhi, di respirare piano. Cerco di
mentire a me stessa, ma è tutto inutile.
Le coperte mi attanagliano, la stanchezza non si addensa sotto le
ciglia, e l’odore accaldato della mia pelle è intenso, mi dà alla testa.
Il corpo si abbandona, stremato
dal continuo lottare, ma la mente, vivida, pulsa contro le tempie, condannata a
pensare.
E il buio… rende tutto più
intenso: tutto riaffiora, accende i sensi. È un incubo molto più reale di quello
che potrei vivere nel sonno.
Le ora scivolano nel buio.
Ho smesso di contare i respiri, i passi, i
ticchettii di questo inferno, ma la notte è di un’esasperante lentezza.
Lo schiamazzo nella mia testa
non tace: mi spinge ad aprire gli occhi, a smetterla di fare finta di
dormire.
Rovescio le coperte da dosso e mi
siedo sul bordo del letto, con la testa tra le mani. Le tempie pulsano.
Percepiscono, loro, questa mia fiammella interna che mi impedisce il sonno. Ho
bisogno del buio, del buio assoluto.
Mi alzo, nonostante la testa
pesante, la stanchezza delle membra. Mi trascino come un automa per i corridoi,
accendendo una luce dopo l’altra. La lampada sul comodino, la luce della stanza,
i lumini in corridoio, il salotto… una scia di luce segnala il mio passaggio di
insonne.
Girovago per la stanza, alzando
gli oggetti sulle mensole, uno dopo l’altro; li rigiro tra le dita, a
riconoscerne il tocco ormai conosciuto; do un occhiata ai titoli impilati sulla
libreria; li passo in rassegna con lo sguardo, borbottando a bassa voce i loro
nomi. È una filastrocca conosciuta ormai.
Tutto questo passeggiare,
guardare, toccare… è un balletto imparato a memoria. Ripeto questi gesti ogni
notte. Giro intorno al tavolino di vetro, tre volte; osservo i miei piedi
descrivere cerchi sulla moquette sgualcita. C’è una bruciatura di sigaretta,
proprio lì tra i miei alluci vicini. Ci giocherello, infilando il mignolo nel
piccolo foro.
Ma a che scopo fingere ancora?
Non dormirò stanotte. Lo so.
C’è vita che scalpita dentro di
me.
Il sonno è così simile alla
morte. Quella condizione di vuota incoscienza, di indolenza passiva… mi
spaventa. Sono le azioni che fanno di noi ciò che siamo e nel sonno… nel sonno,
non siamo già più.
Ma fuori, il mondo continua a
vivere anche di notte. E io vorrei così tanto fare parte di quel mondo!
Mi avvicino alla finestra
semiaperta. È solo una barriera di vetro e imposizioni a tenermi dentro. A
separarmi dalla vita di fuori. Scorgo di sbieco il riflesso slavato della mia
immagine. Tic tic. L’unghia sul vetro. Rumore reale. Barriera reale. E io
prigioniera.
Allora scuoto la maniglia con
forza, per aprirla totalmente. E mi affaccio su questa notte che per me è ancora
vergine. Io stessa finora lo sono stata, troppo paurosa per superare le
barriere.
Ma il vento gelato mi colpisce
come uno schiaffo, e basta il suo invito per rendermi ormai sicura di quello che
sto per fare.
Chiudo la finestra lentamente,
evitando di fare rumore, e con gli stessi movimenti felpati corro in camera;
afferro la giacca, mi allaccio le scarpe con un’eccitazione tutta nuova, e via…
il corridoio, la porta, poi di corsa giù per le scale!
Ed eccomi qui, finalmente. Sono
fuori. Non posso fare a meno di annusare quest’aria che sa di libertà. È un
odore forte, di vita appena scoperta.
Proseguo con passo vacillante,
inebriata da tutto questo, ubriaca di vita.
Questo buio, questa nera
immensità sembra avere un effetto quasi magico su di me. Il tocco della notte ha
lo strano potere di far sembrare tutto possibile. Potrebbe succedere qualsiasi
cosa, qui, adesso, con le stelle a fare da uniche spettatrici alla mia follia.
Ma questa notte sa, questa notte è
veggente. Conosce quello che noi non sappiamo, nasconde nelle sue pieghe
un mondo sconosciuto.
Ed io, accecata dal buio, per ora
non riesco a vedere.
Avanzo a tentoni, lasciando la
mente libera di vagare e affidandomi ai sensi:
seguo i fruscii, gli odori, le
tracce; un segugio in cerca di emozioni. Davvero, vorrei leccare l’adrenalina di questo momento,
sperando che non sia solo un istante.
E io cammino, e cammino…
Il tempo passa, e questa notte
scivola via, mentre io mi addentro sempre di più nelle sue pieghe.
Svelta e agile come un gatto, mi
confondo nel buio, e poco a poco le immagini si delineano più chiaramente.
Inizio a riconoscere le strade, i portoni… ma il mio mondo di sempre appare
trasfigurato; l’oscurità, con la sua carezza gentile ha addolcito ogni
cosa, lo ha rivestito di ombre.
Poco a poco è come se questa
notte, idealizzata finora dalle mie stesse emozioni, si concretizzasse ai miei
occhi. È vicina, straordinariamente vicina. Mi abbandono a lei senza più timore.
E lei mi svela il suo segreto
nascosto, sussurrandomi parole nel vento.
Mi parla, e io cerco di sentirla.
Dentro di me.
Sento tutto molto più
chiaramente. Il mio cuore è vivo come non mai, qui nel petto, dove fa più male.
Ma non è un dolore maligno. È un dolore che amo, che aspiro come ossigeno. Ha un odore inebriante che mi nausea e mi
affascina; me ne impregno le dita, i la capelli, le labbra.
E il cuore batte, e io sono
tentata di gridare.
Dio, quanto adoro l’aria che
respiro!
È tutta questa notte che amo, la
amo di un amore devastante, incontrollato.
Come vorrei che non avesse mai
fine!
Ma ecco ormai. L’alba. Il suo
chiarore imminente coprirà tutto, nascondendo nella luce il fascino delle
tenebre. E d’improvviso c’è una strana ansia che mi prende, una furia nel godermi gli ultimi istanti, quasi
sentissi che il mio dominio sta finendo.
Sono una creatura notturna io,
compagna ideale di vampiri, ladri, pipistrelli. E la luce mi fa paura. Non sarò
più nessuno, appena quest’alba sorgerà. Tornerò a fingere, a vivere uno strano
surrogato di vita. Il mio esistere è legato indissolubilmente alla notte, ed è
la luce della mia anima che morirà, accecata dalla luce tanto più grande del
sole.
Eppure… la notte non mi è mai
sembrata così nera come adesso. Né così ostile. La luna, lassù in alto, sembra
un sorriso maligno affondato nel velluto del cielo. L’aria è ferma, immobile.
Intorno risuona il fragore di mille silenzi. E io sono sola.
E adesso… capisco… capisco che la
notte non si è lasciata incantare dalle mie lusinghe inesperte. Oh! Che
arrogante a pensare di fare parte del suo mondo, a considerarmi creatura
notturna! Mi ero illusa che la notte, seppur eterna, non fosse poi così distate
da noi mortali. Ma ora mi sento così estremamente piccola sotto questo cielo
greve.
Mi scopro prigioniera della
notte, intrappolata in ciò che da sola avevo cercato. Come liberarsene ormai,
come fuggire? Mi giro e rigiro intorno cercando una via d’uscita, ma è tutto
così buio…
Il giorno è ancora lontano. Per
quale paradosso adesso imploro
quell’alba che prima fuggivo?
Potrei stendermi qui, attendere
paziente la luce…
Incespico, cercando un punto
d’appoggio. I miei occhi vagano in
questa oscurità, cercano la luna, tentano ancora di appigliarsi a qualcosa. Ma
anche lei è stata inghiottita dalle tenebre. Non c’è più niente, nessuna
certezza. Tempo e spazio appaiono dilatati, immensi, e il mio cuore tradito è
troppo debole per sopportare ancora.
Potrei chiudere gli occhi, così,
semplicemente. Negarmi alla realtà.
Allora chiudo gli occhi, ma non
dormo; non aspetterò inerme che la notte mi rapisca.
Chiudo gli occhi, si, ma non
dormo.
Non dormo.
Non dormo…
Ed è un attimo, un ultimo barlume
di coscienza. Poi il buio mi avvolge.
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