Le mirabolanti avventure di una diciassettenne innamorata

di Judee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La pioggia di metà Agosto ***
Capitolo 2: *** Sentimenti in contrasto ***



Capitolo 1
*** La pioggia di metà Agosto ***


Capitolo primo: La pioggia di metà Agosto

If I fell in love with you, 
would you promise to be true?

Seduta sulla sedia girevole in camera sua, una ragazza dai lunghi capelli castani sospirava, i gomiti poggiati sulla scrivania. Ogni tanto prendeva in mano una piuma e la rigirava tra le dita, pallide e affusolate, per poi rimetterla al suo posto, e sospirava di nuovo. Quando faceva così, i boccoli castani le cadevano sulle spalle, e il ciuffo si alzava leggermente dalla fronte. Tutto, nel suo aspetto, lasciava capire che stesse aspettando qualcosa o qualcuno. I suoi piedi battevano sul pavimento, le dita tamburellavano sulla scrivania,  mentre i suoi occhi guizzavano spesso verso l’orologio appeso alla parete, unico oggetto Babbano in tutta la sua casa, regalo di una zia che non ricordava di aver mai incontrato. Forse era una parente del padre, una Maganò. Di sicuro, concluse, non si ricordava assolutamente la sua faccia. Stanca di fissare l’orologio e sospirare, la ragazza si alzò in piedi, e, quasi a passo di danza, si diresse fuori dalla camera, giù per le scale. Senza prestare attenzione agli elfi domestici che attraversavano la stanza e alla urla di sua madre perché l’argenteria non brillava abbastanza, andò in cucina, dove trovò suo padre intento a leggere la Gazzetta del Profeta. Sembrava presissimo, così la ragazza evitò di disturbarlo con la sua presenza: prese dalla credenza il barattolo di Nutella, qualche fetta di pane e un cucchiaio, poi uscì in giardino. L’aria che l’accolse era fredda, e l’erba era bagnata. Senza ulteriori indugi si tolse le scarpe, e si incamminò per il giardino. Il temporale che era appena passato aveva distrutto metà delle rose che erano l’orgoglio della madre, ma per il resto non c’erano altri danni, se si escludono delle foglie sparse qua e là. La ragazza, tenendo in mano il barattolo, il pane ed il cucchiaio oltrepassò quello che sembrava un antico tempietto greco, e si sedette in un chiosco nascosto da un grosso salice piangente. Pulì il tavolo con le mani, poi si sedette ed iniziò, con una precisione quasi maniacale, a preparare la sua merenda. Era intenta a gustarsi il suo pane e Nutella, quando un urlo interruppe il suo riposo:
“Astoria!”
Sbuffando, chiuse gli occhi, cercando di ignorare sua madre che urlava. Forse, se avesse fatto finta di non sentirla, avrebbe smesso di darle il tormento.
“Astoria!”
Ancora un po’…
“ASTORIA!”
Ok, meglio muoversi. Infilandosi in bocca l’ultimo rimasuglio della sua merenda, si alzò controvoglia. Si infilò le scarpe e rientrò in cucina, dove rimise a posto il barattolo. Suo padre era ancora intento a leggere il giornale. Sua madre, una donna che un tempo era stata molto più bella di quel giorno, era in piedi in mezzo al soggiorno, che sbraitava contro gli elfi che stavano addobbando la sala.
“Ah, eccoti. Si può sapere dove sei stata?!” sbottò, una volta che Astoria fu entrata nella stanza.
“Mah, in giardino… a fare merenda…” rispose lei, cercando di schivare un vaso di fiori che sfrecciava sul soffitto.
“Sempre a mangiare tu. Dovresti smetterla e cercare di curare un po’ di più il tuo aspetto” disse acida, ma Astoria fece finta di non aver nemmeno sentito. I commenti sul fatto che lei non dedicasse abbastanza tempo a farsi bella, cosa che sua madre disapprovava del tutto. Lei, obbligata dalla famiglia a sposare un mago tanto ricco quanto amante dei Babbani, figlio di maghi Purosangue, di famiglia antica e nobile. Era per questo, forse, che i suoi suoceri non lo apprezzavano: era chiaro che il matrimonio era stato fatto per convenienza, ma speravano in un cognato più conforme ai loro standard. Ed invece, si erano ritrovati un uomo con una passione sviscerata per i Babbani che, grazie al cielo, si curava di nascondere almeno in pubblico. Poi, in casa, dava sfogo al suo fanatismo che aveva, in qualche modo, passato alla figlia. Non che lei ambisse a conoscere i non-magici o ad avere a che fare con loro: semplicemente, non li umiliava, cosa che sembrava essere il passatempo preferito della madre e della sua famiglia. Ovviamente, dopo criticare le abitudini di Astoria.
“Che cosa c’è, mamma?”
“Guarda un momento questi stupidi elfi. Stanno cercando di addobbare la sala, ma sembra che non riescano a fare nulla senza qualcuno che li sorvegli…”
“Va bene”
La donna uscì dalla stanza, non senza aver prima assestato un calcio ad uno di quelli. Astoria alzò gli occhi al cielo: un paio d’anni prima, a scuola, aveva sentito che una Grifondoro, una certa Granger, aveva fondato un comitato per gli elfi, il C.R.E.P.A.. Ovviamente, tra i Serpeverde la notizia era girata solo perché la prendevano in giro e la deridevano, ma lei era stata tentata di andare a parlarle per sapere se poteva iscriversi. Ma era bastata una discussione con Daphne, sua sorella maggiore, per farle cambiare idea. Così, alla fine, aveva rinunciato al piano. Guardò uno di quegli esserini, che stava tentando di appendere una ghirlanda al soffitto, e alzò gli occhi al cielo: tutti quei preparativi erano per la cena di mezza estate, una cosa ridicola che facevano da sempre, a quanto ricordava Astoria. Venivano a cena i suoi nonni materni e, a turno, una famiglia di maghi Purosangue. Chissà a chi sarebbe toccato, quest’anno, l’onore di una cena con una famiglia di maghi mezzi matti. All’improvviso, un pensiero le attraversò la testa: che forse…? No, non poteva essere. Non in quel periodo. Non con Lucius ancora in prigione… Astoria, suo malgrado, sorrise. Aveva sperato, per un solo istante, che quell’anno toccasse ai Malfoy. Li aveva sempre invidiati: ricchi, famosi e tutti incredibilmente belli. E poi, c’era quella mega cotta per Draco, il figlio. Amico di sua sorella Daphne, spesso gli capitava di incrociarlo nei corridoi in sua compagnia,  ma non aveva mai il coraggio di rivolgergli la parola. E così, erano passati cinque anni. Poi c’era stata la guerra, e Draco, che in ogni caso aveva due anni più di lei, aveva terminato la scuola. Lui e sua sorella avevano perso i contatti, come se la loro amicizia si fosse infranta non appena avevano varcato per l’ultima volta i cancelli di Hogwarts. Così, tra una cosa e l’altra, erano passati due anni. Anche Astoria aveva terminato la scuola e preso i suoi M.A.G.O, nove in tutto, e aveva iniziato a pensare ad una carriera come Auror, ma sua madre non era stata molto dell’idea. Per Daphne era stato molto più facile: con la scusa di voler “ampliare i suoi orizzonti” era andata a vivere per un certo periodo in Francia, da una zia che aveva promesso alla madre di concludere una matrimonio da sogno, o almeno un fidanzamento. Così Astoria si era trovata bloccata a casa, in attesa di trovare una strada che soddisfacesse lei e la sua famiglia. All’improvviso, un grido la riportò alla realtà: un elfo era rimasto incastrato sotto ad una sedia, e urlava come un ossesso.
“Che diamine succede qui?!” strillò sua madre, arrivata di corsa.
“Tu, alzati subito! E piantala di gridare in quel modo!”  L’elfo si zittì all’istante: era suo preciso ordine obbedire ai padroni.
“Tu Astoria, vatti a cambiare. E cerca di apparire un po’ decente, che stasera abbiamo ospiti”
“E cosa dovrei mettermi?” sua madre la guardò bieca.
“Alla tua età hai ancora bisogno che ti dica cosa metterti? Fila in camera”
Astoria s’infilò su per le scale, ma si fermò a metà.
“Posso almeno sapere – urlò – chi c’è stasera oltre ai nonni?”
“I Malfoy”
“Chi? Non ho sentito”
“I Malfoy”
“Chi?!”
“I MALFOY!”
“Ah ok, grazie”
Una strana felicità le partì dallo stomaco, come se una bestia finora addormentata da due anni si fosse svegliata all’improvviso, mandandole in brodo di giuggiole l’intera pancia, ed anche il sistema nervoso. Fu quasi ballando che entrò in camera per prendere un completo intimo da indossare e l’accappatoio, e poi andò in bagno. Canticchiava tra sé e sé, ma non appena entrò nella vasca un dubbio atroce l’assalì: Draco si sarebbe ricordato di lei? E, problema ancora più grande, sarebbe riuscita a fare colpo? Improvvisamente si sentì preoccupata ed agitata: doveva essere al meglio, quella sera. Fermamente decisa, cacciò la testa sott’acqua, e si lavò i capelli. Stette bene attenta a risciacquarsi con l’acqua gelida, battendo così i denti ma rendendo la pelle più elastica o luminosa, come sua madre le ripeteva quasi tutti i giorni. Combatté con la Tricopolvere e la spazzola, ma alla fine ne era valsa la pena: i suoi capelli erano molto più morbidi e luminosi del solito. Decise di truccarsi subito, onde evitare di sbavare il tutto indossando il vestito: ombretto rosa e mascara nero, con un rossetto a completare l’opera. Poi, fu la volta dell’armadio: panico. Astoria osservava l’armadio a bocca aperta, senza avere la più pallida idea di cosa scegliere. Fu con orrore che sentì il campanello suonare: gli ospiti. E lei era ancora in intimo. Disperata, afferrò la prima cosa che aveva sotto mano: un abito in seta rosa pallido, con una spallina nera di pizzo ricamato a fiori, che continuava sull’intero corpetto, per poi terminare in un intreccio sotto al seno. Un regalo di mamma, che aveva ancora l’etichetta attaccata. Si guardò fugacemente allo specchio mentre scendeva e dovette ammettere che il risultato non era poi così male. Arrivata in bagno, infilò in fretta un paio di decolletes nere e si precipitò in salotto. Grazie al cielo i Malfoy e i nonni erano ancora nell’atrio con sua madre, così nessuno si accorse del suo ritardo.
“Perché non ci accomodiamo di là?” sentì dire a sua madre.
“Ma certo cara” le rispose la nonna.
Astoria sentì i loro passi avvicinarsi: indossò il suo sorriso migliore e si preparò ad accogliere i suoi ospiti e il ragazzo di cui era innamorata. 





**************


Ciao a tutti :)
Beh, comincio col presentare la storia: come avrete capito è incentrata su Astoria e Draco, e su loro due come coppia. Il narratore è in terza persona, anche se principalmente prevarrà il punto di vista di Astoria, un personaggio che, secondo me, lascia abbastanza spazio all'immaginazione, dato che non è stato particolarmente approfondito. Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto o vi abbia almeno incuriosito, io conto di aggiornare una volta a settimana, il lunedì o il martedì. Vi aspetto, allora. Se vi va, lasciatemi un commentino o anche una critica, mi servirà per migliorare la trama, i dialoghi, dato che questa è la mia primissa FF a capitoli. 
Alla prossima :3

Judee

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Capitolo 2
*** Sentimenti in contrasto ***


Capitolo secondo: Sentimenti in contrasto

He's a real nowhere man sitting in his nowhere land,
making all his nowhere plans for nobody.

Sua nonna fu la prima ad attraversare la porta.
“Nipote cara! Come stai?”
“Bene nonna. E tu?”
“Una meraviglia. Tuo nonno mi tratta sempre come se fossi una gran regina”
“Così le lascio credere. In realtà, quando lei fa i suoi bagni di bellezza, io faccio un salto a Diagon Alley per scommettere qualcosa”
“Nonno!”
Astoria abbracciò anche lui, facendo finta di trovare spassosissima la battuta che ripeteva tutte le volte che si vedevano. Lasciò che i suoi nonni la guardassero, la studiassero, la strapazzassero come una bambina di cinque anni, rispondendo alle loro domande come aveva imparato a fare nel corso degli anni.
“Suvvia mamma, lascia un po’ in pace Astoria. Abbiamo altri ospiti” intervenne ad un certo punto Jezabel, ponendo fine allo studio sulla figlia.
“Vieni cara”
Astoria si liberò della presa dei nonni, e si voltò verso le due persone ferme sulla porta, forse un po’ intimorite. La donna, alta, magra e pallida, sembrava eterea, come se non appartenesse a mondo reale. I lunghi capelli lisci era biondi quasi bianchi, e la figura sottile era fasciata da un abito blu notte che le lasciava nude le spalle. Alle orecchie brillavano un paio di pendenti probabilmente opera di folletti, mentre al collo aveva una collana, con un diamante incastonato nel ciondolo. La bocca, piccola e sottile, era di un rosso scuro, in netto contrasto con il candore della pelle, curvata in un vago sorriso.  Gli occhi castani erano sottolineati da una linea nera sulla palpebra. Il suo viso, pallido e leggermente triste nonostante il sorriso, ricordava quello di una Banshee, le streghe che si manifestano solo alla morte di qualcuno. Alla sua destra, leggermente impettito e con un’espressione sdegnosa sul viso, stava suo figlio Draco. Astoria, nel guardarlo, sentì il cuore perdere un battito, e le guance farsi roventi: era bello, bello come il sole. Indossava dei semplici pantaloni neri ed una camicia bianca arrotolata ai polsi. I capelli erano identici a quelli della madre, quasi bianchi, e scappavano da tutte le parti, come se avesse tentato di pettinarli invano. Anche la sua carnagione era pallida, ma non più di quanto lo fosse quella di Astoria. Gli occhi grigi, fissi come se guardasse avanti ma non vedesse nulla, sembravano totalmente, immensamente tristi. Astoria ebbe per un momento l’impressione di leggervi la sofferenza per un’infanzia rubata, una padre assente ed egoista, ambizioni mancate e solitudine, ma Draco, non appena si accorse che lo stava guardando distolse in fretta lo sguardo. Lei abbassò la testa, imbarazzata.
“Allora cara, questi sono Narcissa Malfoy e suo figlio, Draco”
“Molto piacere”
“Piacere mio Astoria”
Strinse la mano alla donna e si girò verso il figlio, tendendogliela. Questi la strinse frettolosamente nella sua, come se volesse evitare qualsiasi contatto con lei. La sua mano era ghiacciata.
“Ma voi due dovreste conoscervi già. Sai Narcissa, Astoria mi raccontava spesso di tuo figlio. Sai, lui e Daphne, mia figlia maggiore, erano amici a scuola” intervenne Jezabel.
“Si, certo. Draco mi parlava spesso di lei…”
Era una bugia bella e buona, osservò Astoria, quella donna non doveva aver mai sentito parlare di Daphne, Astoria o dei Greengrass in generale, ma entrambe fecero finta di credervi.
“Allora, ci accomodiamo?”
Alan Fabien Greengrass era appena comparso alle spalle dei suoceri, che lo stavano fissando arcigno.
“Oh, eccoti caro. Lascia che ti presenti in nostri ospiti, Narcissa e Draco Malfoy”
“Incantato”
Fece il baciamano, e Astoria alzò gli occhi al cielo: era incredibile quanto i suoi familiare diventassero melliflui, in certe occasioni.
“Allora, ci accomodiamo? – ripeté – Vi faccio strada”
“Ci siamo presi la libertà di assegnare già i posti… ma se c’è qualche problema cambiateli pure!” cinguettò Jezabel, ridendo come una bambina di cinque anni. Astoria girò il tavolo in cerca del suo segnaposto: con orrore realizzò che sua madre l’aveva messa tra sua nonna e Draco. Le sue guance diventarono di un colore terribilmente simile al bordeaux, mentre nel suo stomaco strane creature simili a farfalle presero vita. Stai calma, pensò. Andrà tutto bene. Cerca di comportarti bene, così magari si ricorderà di te. Sfoderando un sorriso ed una sicurezza che non sentiva, si sedette. Il suo vicino arrivò poco dopo, ma non diede alcun segno di notare la ragazza alla sua destra. Astoria, leggermente infastidita e molto delusa per il suo comportamento, si girò verso la nonna, che stava parlando con Narcissa di quanto fosse bella e brava Daphne, la sua prima nipote.
“Sai – stava dicendo – io ho solo una figlia, Jezabel. E credimi, mi è bastata! I figli sono un gran lavoro, eh? Ultimamente però, mi era tornata coglia di accudire una giovane faccetta sorridente, e di insegnarle a vivere… come mia nonna a fatto con me, e come sua nonna ha fatto con lei. E Daphne è stata una tale soddisfazione! È una ragazza davvero incredibile, riesce sempre a trovare dei vantaggi per sé in qualsiasi situazione. Qualità che spero abbia ereditato anche la mia piccola Astoria. Ah, guardala, ci sta ascoltando: a volte le piace sentir parlare di sé stessa e di sua sorella. È un po’ vanitosetta alle volte, ma se non lo sono le donne, dove finirà il mondo?”
Scoppiò a ridere, convinta di aver detto qualcosa di incredibilmente spassoso, e sia Astoria che Narcissa sorrisero con poca convinzione. La donna sembrava sull’orlo di una crisi di nervi, così Astoria le sorrise incoraggiante, come a dire: è sempre così, non c’è niente da fare. L’unica è sopportarla. Fu sorpresa di veder Narcissa sorriderle di rimando, mentre sua nonna si calmava e riprendeva la tiritera. All’improvviso, suonò una campanella, e mentre sua  madre diceva deliziata “Ecco l’antipasto!” una serie di elfi domestici, con i loro stracci incredibilmente lindi e puliti, che sorreggevano numerosi piatti.
“Abbiamo cucinato dei piatti italiani… benché siano molto difficili, sono davvero deliziosi!” disse Jezabel, come se volesse lasciar intendere di aver passato l’intero pomeriggio ai fornelli. Astoria guardò Draco di nascosto, che sembrava gradire quella cena e i piatti italiani quanto un Ungaro Spinato nascosto sotto al suo letto, e non poté fare a meno di provare un po’ di fastidio: che si sforzasse almeno un pochino! Cosa credeva, che tutti i presenti fossero felici e divertiti dalla serata come mostravano? Lei in primis avrebbe dato un rene, pur di poter sgattaiolare in camera sua. Infastidita, gli voltò le spalle, e cercò di ignorarlo per il resto della serata, conversando amabilmente con sua madre, sua nonna, Narcissa e persino suo padre e suo nonno, mentre tra loro due non ci fu nulla più di un “Mi passi l’acqua, per piacere?”.
Finita la cena, i commensali si alzarono. Astoria fece un passo avanti in direzione del divano, certa che a quel punto la conversazione si sarebbe tenuta su di esso, ma sua madre la trattenne.
“Perché tu e Draco – disse, con la voce più alta di due ottave rispetto al solito – non andate a fare un giro in giardino e lasciate noi vecchietti qui a parlare di cosa da grandi?”
Astoria la guardò, premurandosi di mettere tutta la furia omicida possibile nei suoi occhi. Cose da grandi? E lei cos’era, una neonata forse? Scrutò bieca i nonni che stavano ridacchiando tra di loro, poi Narcissa e la sua carnagione pallida, infine il padre, che aveva cercato di sedersi il più possibile vicino alla Gazzetta del Profeta, poi rispose.
“Certo mamma.”
“Oh guardali che carini! Hanno già fatto amicizia! Vedi Narcissa, i giovani oggi corrono, non sono mica lenti come noi!”
La nonna di Astoria scoppiò a ridere, mentre la nipote si trovò a combattere tra il desiderio di ucciderla e quello di avere una botola aperta sotto ai suoi piedi. Amici? Quando non si erano parlati per tutta la cena? Non ebbe nemmeno il coraggio di guardare Draco, in piedi dietro di lei. Era certa che dentro di sé si stesse chiedendo in quale razza di famiglia era finito. Di sicuro stava pensando a loro come dei mentecatti. Suo padre le sorrise, incoraggiandola a non mettere mano alla bacchetta, lui che con sua suocera e le sue battutine ci conviveva da più tempo di lei, ed aveva trovato la forza per spedirle una Fattura Orcovolante tutte le volte che se l’era trovata davanti. Astoria inspirò, poi borbottò un “Ti faccio strada” e uscì in giardino. Alle sue spalle sentì sua nonna e sua madre ridere come oche, mentre Narcissa discuteva con suo padre, l’unico nella stanza che non ridacchiava e beveva Burrobirra. Percorse il vialetto che portava al padiglione estivo, una specie di mini gazebo in legno, e si fermò, senza avere la più pallida idea di dove andare e cosa fare. Dal rumore dei ciottoli che si muovevano intuiva che Draco era dietro di lei, ma non avrebbero di certo potuto passare la serata camminando in tondo per il giardino. Ad essere sincera, se l’era immaginata diversa, la cena: era convinta che Draco sarebbe arrivato con un mazzo di rose rosse solo per lei, le avrebbe fatto il baciamano con galanteria, le avrebbe spostato la sedia per permettere che si sedesse, poi avrebbero parlato per tutta la cena, dimentichi dei loro genitori seduti lì vicino, e a fine serata, quando sarebbero rimasti soli in giardino, lui le avrebbe detto che era stato amico di sua sorella solo perché voleva conoscere lei e, con infinita dolcezza, l’avrebbe baciata, dicendo che le era mancata da morire… Almeno ho azzeccato la parte in cui avremmo dovuto uscire, pensò Astoria, avvampando al pensiero dei film che si era fatta. Decisamente, non era andata così. Anzi.
“Carino questo posto”
Una voce bassa, leggermente roca e incredibilmente dolce la riscosse dai suoi pensieri. Il suono di quelle parole le entrarono nel corpo, facendola tremare. Respirare le diventò improvvisamente complicato. Il suo corpo, la sua pelle, furono attraversati da una scarica di elettricità, e provo il terribile, incontrollabile impulso di stringere a sé il ragazzo, di baciarlo e giocare con i suoi capelli. Deglutendo, si costrinse a tenere a bada i suoi istinti, rispondendo con calma.
“Grazie… questo è il… ehm, il padiglione estivo. Non so perché si chiami così, in realtà ci veniamo ad ogni stagione…” si zittì. Meglio non parlare, piuttosto che dire una scemenza come quella. Ci veniamo ad ogni stagione… patetico. L’avrebbe di sicuro presa per pazza.
“Anche noi a casa abbiamo un posto del genere… ogni tanto ci passano i pavoni”
“Pavoni? Avete dei pavoni in casa?” la domanda uscì prima che potesse bloccarla. Ma ormai il danno era fatto.
“Sì, ce li ha voluti papà. Lui ama queste cose”  La sua mascella si indurì leggermente, come se stesse rimproverando al padre la passione per il lusso e l’eccessivo. La ragazza non si sentì di fare nulla: non avrebbe nemmeno saputo cosa dire, come dirlo. Lucius Malfoy era ad Azkaban, e probabilmente ci sarebbe rimasto per il resto della sua vita. Era stato un Mangiamorte, uno di quelli più in vista e più famosi, parente dell’ancora più terribile Bellatrix Lestrange, morta per mano di Molly Weasley. Astoria aveva sentito dire che anche la madre di Draco era stata una sostenitrice di Tu-Sai-Chi, ma non aveva mai avuto il Marchio Nero, e di conseguenza non era mai stata considerata una Mangiamorte. Draco invece no. Lui lo era diventato, e sotto la manica bianca della camicia si intravedevano il teschio ed il serpente, una macchia scura contro la sua pelle pallida. L’aveva notato appena era entrato in casa, forse perché era curiosa. Di certo, la manica abilmente arricciata in quel punto lo nascondeva leggermente, ma la stoffa era così chiara che lo poteva vedere, se si sapeva dove guardare. All’improvviso Draco si mosse, ed Astoria scostò in fretta lo sguardo, temendo che si fosse accorto che stava guardando il Marchio Nero.
“Allora, come sta Daphne? È da un po’ che non la sento…”
“Bene credo … è in Francia…” Credo? Aveva detto credo? Era sua sorella, per la barba di Merlino! Non avrebbe dovuto credere che stesse bene. E poi, pensò Astoria, era stato proprio maleducato a chiederla una cosa del genere: lei era lì, mica sua sorella, di cui si era ampiamente parlato durante la cena. Era stato tutto un Daphne di qua, Daphne di là… come se ce ne fosse davvero bisogno. Tutti conoscevano sua sorella. Alta, magra, incredibilmente bella con i suoi lunghi capelli neri, lisci e lucidi, senza contare i grandi occhi verdi e le labbra rosse, che Astoria le aveva sinceramente invidiato da quando aveva iniziato a pensare. Le sue erano ridicolmente sottili e di un colore insulso. Per non parlare degli occhi. Castano chiaro contro verde? E i capelli? Insulsi boccoli molto spesso crespi contro la perfezione di quelli di sua sorella? Non c’era da meravigliarsi se gliela additavano spesso a esempio. Daphne Greengrass, infatti, oltre ad essere bella, era anche brava a scuola, brava a casa, di sani princìpi Purosangue, con la fissa del matrimonio perfetto. Una degna figlia di sua madre e nipote di sua nonna, completamente l’opposto di Astoria, che aveva più volte pensato ad uno scambio di culle. Chissà, magari l’avevano presa per sbaglio al posto di Dahlia, un’altra Serpeverde. O di Morgana. Insomma, chiunque sarebbe stata una figlia migliore di sua madre , se confrontata con lei. Per fortuna c’era suo padre, pensò.
“Vi sentite spesso?”
“Un paio di volte a settimana… sai, è impegnata là, non credo abbia tempo per scriverci. Ma credo che se volessi potresti mandarle un gufo anche tu. Credo che a te risponderebbe”
“Magari…”
“Potreste vedervi. L’ho sentita parlare spesso di una rimpatriata tra vecchie Serpi…”
“No. Non se ne parla”
Il suo tono era diventato improvvisamente freddo e cattivo. La mascella si era di nuovo indurita e gli occhi sembravano mandare lampi. Era furioso. Astoria si maledisse per aver detto una cosa che l’aveva offeso così tanto, ma ormai era tardi.
“Scusami, io…”
“Non fa niente. Lascia perdere” tagliò corto lui, ponendo fine ad ogni possibilità di conversazione. Le voltò le spalle e se ne andò qualche metro avanti a lei, lasciandola sola. Cercando di ricacciare indietro le lacrime e la sensazione di aver sbagliato tutto e perso ogni chance con lui la ragazza si sedette su una panchina bagnata di umidità, e si prese la testa fra le mani. Era stata una stupida. Nel suo cuore cominciò a farsi strada la disperazione. Si sentiva così affranta. Aveva perso ogni possibilità. E dire che era stata così felice quando aveva saputo che i Malfoy sarebbero venuti a cena… Ma ora aveva rovinato tutto. Tutto… all’improvviso un gridò riecheggiò per l’intero giardino.
“Astoria!” Grazie al cielo. Sua madre. Non era mai stata così felice di sentirla. Si alzò in fretta.
“Dobbiamo andare” borbottò, ma il suo ospite era già partito. Accelerò un po’ il passo, onde evitare che i suoi parenti, vedendoli arrivare separati, pensassero che fosse successo qualcosa. Ma fortunatamente anche Draco doveva averla pensata così, perché una volta arrivato alla finestra si fermò ad aspettarla. Quando lo raggiunse entrarono, sempre senza guardarsi.
“Allora cari, com’è andata la vostra serata? Avete fatto le vostre cosette?”
Tutto l’improvviso affetto per sua madre svanì. Era cieca o cosa? Non si era accorta che si stavano evitando? E poi, a quali cosette alludeva? Senza rispondere, fu tentata di mandarle una fattura, senonché aveva lasciato la bacchetta in camera. Accidenti.
“Noi allora andiamo” disse Narcissa.
“Ma certo. Vi prendo i mantelli” rispose subito Alan Fabien, alzandosi. Quando i due Malfoy furono pronti, ringraziarono per la serata Jezabel e i suoi genitori, che finsero modestia. Ovviamente, rinnovarono l’invito a venirli a trovare di nuovo, di sicuro già fatto almeno tre volte nel corso della serata. Narcissa salutò con calore Astoria, baciandola sulle guance, mentre Draco si limitò a stringerle la mano in un’altra presa ghiacciata. Seguiti da un coro di arrivederci e ciao cara, i due si Smaterializzarono. Solo a quel punto, l’elfo domestico chiuse la porta. In fretta e furia, Astoria biascicò una scusa come “Sono stanca, vado a letto, vi voglio bene ciao” e sparì su per le scale. Non avrebbe di certo sopportato un interrogatorio da parte della nonna sulla sua serata. Senza neanche farsi di nuovo il bagno si infilò il pigiama e si sedette sulla ringhiera del balcone, non prima di aver ben chiuso la porta. Finalmente sola, lasciò libero sfogo alle lacrime. La serata era  stata terribile. Terribile. Sentiva di aver perso ogni possibilità di felicità, ora che Draco la odiava. Se solo fosse stata zitta… Pianse a lungo, in silenzio. Non le sembrava possibile di essere passata da una gioia così grande ad una tristezza infinita nell’arco di così poco tempo. Cullata dal ronzio delle zanzare fuori dalla finestra e dal rumore della pioggia che aveva iniziato a cadere, Astoria strinse a sé il suo gatto, chiedendosi se anche alla sua perfetta sorella fosse mai capitato di piangere di notte per amore, con un gatto come unico amico nel mare di solitudine che si sentiva dentro.
*
Il mattina dopo, quando si svegliò, Astoria scoprì di essere ancora sul balcone. Ricordava di aver chiuso gli occhi, ad un certo punto, e di aver poggiato la schiena al muro. Solo per un momento, aveva pensato, solo per un momento… Quando provò a muoversi si accorse di aver le gambe, le braccia, persino la schiena ed il collo addormentati. Rapidamente, cominciarono tutti a formicolarle, e passò un abbondante quarto d’ora prima che potesse scavalcare di nuovo la finestra e rientrare in camera. Si sentiva incredibilmente triste ed aveva una gran voglia di piangere, e il sole che entrava e le scaldava la pelle le sembrava quasi un insulto del mondo, come se si stesse facendo beffe di lei e della sua tristezza. Si vestì senza particolare cura, scese a fare colazione e a malapena si accorse che né sua madre né suo padre erano in casa. Fu solo quando lesse il biglietto che le avevano lasciato sul tavolo che realizzò che avrebbe avuto un’intera mattinata per stare da sola. Finì i suoi cereali con calma, poi mise la tazza nel lavandino e uscì. Scalza, si diresse all’amaca sotto al Faggio, probabilmente piantato dal primo proprietario di quella casa, un capostipite della famiglia Greengrass, che aveva continuato a risiedervi generazione dopo generazione. In mano aveva il suo libro preferito, L’ombra del Vento. Era un libro Babbano, ma la trama, l’uso delle parole, i personaggi le avevano rubato l’anima. Era facile identificarsi in Daniel, innamorato della sorella del migliore amico… Eppure, quella mattina, neanche la magia della parola scritta riuscì a consolarla. Si sentiva uno straccio. Passò due ore sdraiata sull’amaca, continuando a scivolare nel sonno e a svegliarsi di soprassalto. A mezzogiorno, quando sentì il campanile suonare, decise che nessun ragazzo l’avrebbe mai più resa simile ad un vegetale. Si alzò in fretta, forse anche troppo perché le girò la testa, poi corse in casa. In soggiorno trovò una lettera da parte di Corinne, la sua migliore amica, Corvonero , che la invitava a trascorrere un pomeriggio insieme. È proprio quello che mi ci vuole, pensò. Mi divertirò con la mia amica e smetterò di pensare a Draco. Sì sì, farò così. Prese penna e pergamena e buttò giù una risposta frettolosa, che consegnò a Ermes, il suo gufo reale indiano. Mentre gliela legava alla zampa, vide il suo riflesso nella vetrina, si accorse di essere vestita completamente di nero, dalla testa ai piedi, neanche fosse una suora di clausura. Quando Ermes si alzò in volo lei andò in camera e aprì l’armadio con decisione. Mezz’ora dopo, sembrava rinata. Si era fatta un bagno ed aveva messo un bel po’ di Tricopozione, aveva indossato una gonna a vita alta grigia e una camicia di jeans chiara sbracciata, infilata dentro alla camicia. Il tutto completato da una piccola cintura in vita azzurra, che si abbinava alle ballerina ai suoi piedi. I capelli aveva deciso di lasciarli sciolti. Quando fu pronta, notò che Ermes era già tornato con una risposta da parte di Corinne, che le dava appuntamento per pranzo a Diagon Alley. Premurandosi di lasciare un biglietto ai genitori e infilata la bacchetta in una borsa, si smaterializzò. Riapparve pochi chilometri lontano da casa, a Bibury, uno dei pochi insediamenti totalmente non-magici dell’Inghilterra. Motivo per cui, a detta di Corinne, tutti si conoscevano, e non era detto che il fornai non fosse imparentato con il becchino. Lei stessa aveva dieci tra zii e cugini sparsi per il paese. La casa della sua amica era esattamente davanti a lei, e Astoria premette con forza il campanello, che fece un suono simile a quello di un fuoco d’artificio. Il cancello si aprì con un leggero pop e lei entrò nel giardino, dove nani, elfi e creature magiche di ogni tipo si stavano allegramente facendo guerra. Li oltrepassò cercando di schivare le loro micidiali bombe di fango, ed arrivò alla porta, che si aprì non appena lei le fu davanti.
“Astoria!” Gridò una voce che ben conosceva.
“Corinne!” rispose lei, spalancando le braccia alla ragazza che le correva incontro. Un familiare profumo di pane fatto in casa e marmellata l’avvolse, mentre la sua migliore amica la stringeva a sé. I suoi capelli, lisci e color del grano, lunghi fino alle spalle, le solleticarono il viso.
“Astoria! È da settimane che non ci sentiamo!” la rimproverò quando i sciolsero dall’abbraccio.
“Lo so, ma ho avuto un sacco da fare…”
“Cose così importanti da superare la tua migliore amica?!” Corinne incrociò le braccia fingendosi offesa.
“E dai! Lo sai com’è mia madre… tra la partenza di Daphne, gli esiti dei M.A.G.O. e un brillante futuro come souvenir di qualche ricco mago da progettarmi non ho avuto un minuto libero… se poi contiamo che c’è stata anche la cena con i Malfoy…” Astoria lasciò cadere la notizia quasi con noncuranza, ma ottenne lo stesso l’effetto desiderato.
“I Malfoy?!”
“Eh già”
“Forza, racconta!”
Anche se era stata un fiasco, la ragazza sentiva lo stesso il bisogno di parlarne. Doveva capire se fosse lei quella strana, che provava sentimenti così contrastanti, o se era colpa di… l’aveva letto sul libro di Babbanologia… ah sì, degli ormoni. I non-magici davano spesso la colpa a loro, quando erano innamorati e facevano le peggiori figure possibili e immaginabili. Quando ebbe finito di parlare, guardò Corinne, che sembrava persa nei suoi ragionamenti. Fece per parlare, ma questa la bloccò con un dito.
“Beh, è normale – disse, iniziando a camminare in cerchio per la stanza – Anche io mi sentivo così quando mia piaceva Terry e lui non lo sapeva. Sei vittima dei Nargilli” concluse, soddisfatta.
“Nargilli?”
“Mai parlato con Luna Lovegood?”
“Luna Lovegood? Ma chi …? Aspetta. Quella Luna Lovegood?”
“Quella Luna Lovedgood”
“Ah… no, non credo. Sai che sono timida, con i ragazzi più grandi di me”
“E con Draco come fai, scusa?”
“Difatti con lui sono timida”
“E come ti dichiarerai a lui se sei timida?”
“Dichiararmi a lui? Ma dico, sei impazzita? Neanche se avesse tutto l’oro della Gringott mi accetterebbe!”
“Mi sembra di parlare con mia zia di settant’anni… Non ci perdi nulla!”
“Sì, se escludiamo la faccia, la scarsa reputazione e il coraggio di uscire di casa”
“Come sei noiosa”
“Non è colpa mia se da quando stai con quel Terry Steeval sei convinta che l’amore trionfi sempre! A te è andata bene… come sempre del resto” aggiunse sottovoce. Corinne fece finta di non sentirle, quelle ultime quattro parole. In passato avevano litigato per quello: infatti Astoria, spesso sminuita di fronte alla sorella e ai suoi successi, aveva invidiato Corinne per molto tempo, quando la loro amicizia non era solida come in quel momento. Aveva invidiato il suo essere affascinante, il suo piacere alla gente nonostante non fosse una bionda alta un metro e ottanta con la coppa C. Avrebbe dato un rene pur di sapersi mettere in gioco come lei, che aveva tentato le selezioni per il Quidditch ed era stata esclusa, ma non l’aveva presa male, anzi: il giorno seguente era tornata a lezione più allegra e spigliata che mai, salutando amici, fantasmi e professori. Naturalmente tra i Serpeverdi  era odiatissima, quasi quanto Harry Potter e i suoi amici, e forse era per questo che Astoria, così timida e insicura, l’aveva invidiata all’inizio. Ma ora è acqua passata, pensò. È la mia migliore amica, e le voglio bene così com’è. Anche se ha più successo di me.
“Io resto della mia idea. Ora, se non ti spiace, la pasta è in tavola, e spero che non si sia raffreddata”
“Sei proprio testarda tu, eh. Comunque te l’ho detto, la serata ieri è stata un disastro”
“L’unica cosa che non capisco – disse, infilandosi una forchettata di spaghetti in bocca – è come mai si sia offeso. Voglio  dire, non hai mica detto niente di male…”
“Per la verità, nemmeno io. E comunque… oh no!” una grossa goccia di pomodoro era colata dalla forchetta, e la camicia di Astoria era irrimediabilmente sporca.
“Tranquilla, ci penso io” Corinne levò la bacchetta e in un momento la macchia era sparita.
“Grazie.”
“Prego. Allora, dicevi…”
“Dicevo… ah sì. Beh, non so cosa sia successo. Stavo dicendo che mia sorella avrebbe voluto organizzare una rimpatriata di Serpi, e lui si è rabbuiato”
“Beh, anche io l’avrei fatto, se metà dei padri dei miei compagni fossero in prigione. E soprattutto, dopo essere diventato Mangiamorte”
“Beh, quello sì. Ma lo sanno tutti che è stato obbligato!”
“Sì certo, ma ciò non cambia il fatto. Lui è stato un Mangiamorte, volente o nolente. E non credo che abbia molta voglia di farsi vedere in giro, ora come ora”
“Dici? In effetti, a casa mia sembrava a disagio…”
“Quello non vuol dire. Con tua madre e tua nonna chiunque si sentirebbe a disagio”
“Vero anche questo. Ma allora?”
“Allora cosa?”
“Era a disagio o no?”
“E io che ne so! Mica c’ero”
“Grazie per essere sempre così illuminante”
“E grazie per pretendere sempre l’impossibile”
“Sei la mia migliore amica! Dovresti dirmi il tuo parere anche solo per confortarmi!”
“E cosa vuoi che ti dica? Hai ragione, era a disagio. Ma tu dovresti dichiararti. Fine della storia”
“Ho detto confortarmi, non fare la solita ramanzina”
“Dimmi cosa vuoi che ti dica”
“Mah, non saprei… che era a disagio e che dovrei dimenticarlo”
“Era a disagio e dovresti dimenticarlo”
“Ma come faccio? Io lo amo Corinne, lo amo!”
“Sei impossibile. E sh sh! – mi zittì con il dito – Vedi di non rispondere, o ti faccio un incantesimo Languelingua. E muoviti, che non possiamo andare a Diagon Alley alle sei di sera, Terry mi aspetta”
“Cosa? E io cosa dovrei fare, la terza incomoda per tutto il pomeriggio?”
“No. Solo quando arriverà Terry”
Astoria la guardò bieca. Odiava le situazioni imbarazzanti e beh, quella lo era. Per quanto Terry fosse simpatico, aveva il sacrosanto diritto di stare da solo con la sua ragazza, senza una zavorra a rompere le scatole.
“Scordatelo. Io non ci vengo”
“E dai!”
“Non voglio fare la terza incomoda”
“Vedrai che ci saranno anche Iris o Thelma! Ho sentito dire che ultimamente passano molto tempo da Florian”
“Te lo sei inventata”
“No no, è vero! Me l’ha detto… Justih Finch –Fletcheley!”
“E da quando senti Justih Finch –Fletcheley?”
“Da quando… mi è molto simpatico!”
“Oh, non ne dubito. Stanno tutti simpatici, a te
“Non vedo cosa ci sia di male”
“Niente, assolutamente. E ora muoviamoci principessa, o il tuo povero Terry rimarrà a bocca asciutta”
“A bocca che?”
“Niente, detto Babbano. Mio padre”
“Ah…”
Parlottando tra di loro, Astoria e Corinne
si Smaterializzarono, destinazione Diagon Alley. 


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Angolino della vergogna

Eccomi di nuovo! Questo secondo capitolo è stato scritto subito dopo il primo, mentre il terzo... quellò sì che è stato un lavoraccio. In ogni caso, eccolo qui. Spero che vi piaccia, perchè a me non convince molto... Comunque, questa domenica partirò, qiundi dubito che aggiornerò nelle prossimo settimane... vi toccherà aspettare (non so se questo sia un bene o un male!)
Grazie a chi legge, a chi recensisce, e, perchè no, anche a chi non legge!

Judee

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