Your Lies

di IamShe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il porta(s)fortuna ***
Capitolo 3: *** L'azoto ***
Capitolo 4: *** I suoi perché ***
Capitolo 5: *** Il karate ***
Capitolo 6: *** Le prime scintille ***
Capitolo 7: *** La nuova studentessa ***
Capitolo 8: *** Lo Chandon ***
Capitolo 9: *** Il noi che non saremo ***
Capitolo 10: *** Mia ***
Capitolo 11: *** Attimi e brividi ***
Capitolo 12: *** Delusione ***
Capitolo 13: *** Vicini e lontani ***
Capitolo 14: *** Minaccia all'orizzonte ***
Capitolo 15: *** San Valentino ***
Capitolo 16: *** Il galà di beneficenza ***
Capitolo 17: *** Fuoco e fiamme ***
Capitolo 18: *** Dove il fiume scorre ***
Capitolo 19: *** Romeo o Shinichi? ***
Capitolo 20: *** Romeo & Giulietta: Atto Primo ***
Capitolo 21: *** Romeo & Giulietta: Atto Secondo ***
Capitolo 22: *** Le impronte di Shinichi ***
Capitolo 23: *** Un Mercuzio in affitto ***
Capitolo 24: *** Scorci di una vita sperata ***
Capitolo 25: *** La quiete... ***
Capitolo 26: *** ...prima della tempesta ***
Capitolo 27: *** Le tue bugie ***
Capitolo 28: *** Non mi manchi tu, non ti manco io ***
Capitolo 29: *** Il seggiolino della crescita ***
Capitolo 30: *** Un foro nella rabbia ***
Capitolo 31: *** Incontri e scontri ***
Capitolo 32: *** Complicazioni ***
Capitolo 33: *** Equivoci e decisioni ***
Capitolo 34: *** Tra Oriente ed Occidente ***
Capitolo 35: *** Una difficile convivenza ***
Capitolo 36: *** I Masuyama ***
Capitolo 37: *** Appeso ad un filo ***
Capitolo 38: *** L'ultima decisione ***
Capitolo 39: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Your Lies


Prologo



 

Ci mise un po’ ad abituarsi a quelle voci. Alcune erano familiari, altre distorte, altre ancora estranee. Da queste sentì scoppiarsi: le riempirono le orecchie, e fastidiosamente erano riuscite a svegliarla, tormentandola. Ma una, una sola invece, era meravigliosamente bella. Non sapeva a chi appartenesse, e nemmeno cosa stesse dicendo, ma ebbe la sensazione che quella voce, così dolce e sicura, potesse proteggerla. E mentre la riscaldava, la coccolava, e si viziava di quel tono, avvertì i muscoli abbandonarla, e le palpebre che stentavano ad aprirsi: non sapeva cosa le fosse successo, ma si sentiva dannatamente debole.
Quando poté farlo, scorse una scia di luci che le passò davanti e che nel buio scomparve, da dove era nata. La seguì con gli occhi, e col capo si sporse più in là. La ricercò, ma la perse. Per sempre.
Non riuscì mai a capire perché, ma quell’immagine le mozzò il fiato.

“Ti sei svegliata...”
Fu nuovamente quella voce ad ancorarla alla realtà, stavolta senza tormenti. E quando finalmente si rese conto di quanto fosse vicina, sussultò: aveva paura di non sentirla mai più. Chiese di lei al primo pensiero che le occupò il cervello, e trovò in lui la sua risposta.
Non era una voce qualunque, non era un tono qualunque, non era una risata qualunque.
Era la sua voce, era il suo tono, era la sua risata. Era lui.
E senza salvagente, si ritrovò immersa in un oceano di misteri e segreti, ma così profondo e caldo, che avrebbe voluto, e potuto, volentieri morirci dentro.
Un oceano azzurro come quelli delle cartoline che si spediscono in vacanza, come quella foto che ritrae il più bello dei mari e il più bianco dei granelli di sabbia; un unico fine: suscitare invidia e farne innamorare. E i suoi occhi la suscitavano e i suoi occhi ammaliavano, e facevano sentire dannatamente stupido il cielo, che, con il suo blu, cuori non faceva innamorare più.
“Shinichi...”
Il giovane curvò le labbra in un sorriso, che quasi l’accecò: quella luce, la sua, era ancora più forte della scia che aveva perduto nell’oscurità. Ed inoltre non scemava mai, anzi, rimaneva sempre lì, accanto a lei. Così nitida e chiara, che a molti avrebbe dato fastidio, che molti non avrebbero accettato.
“Come ti senti?”
Riuscì ad avvertire un velo di preoccupazione nella sua voce, e così non poté fare a meno di provarlo anche lei.
“Bene” mentì, forse avrebbe potuto farlo meglio. “Ma cosa...” esitò leggermente, aveva paura di staccare gli occhi dai suoi. “Cosa mi è successo?”
Si aggrappò ai suoi occhi. Aveva paura di girarsi e non trovarlo più lì, accanto a lei.
“Sei svenuta...” sorrise, grattandosi lentamente la tempia con due dita.
“Io...” si guardò il corpo, seduta sui sedili posteriori del Maggiolino d’epoca. “Ma...” buttò lo sguardo altrove, designando con la mente la morfologia del luogo dove si trovava. Era un’auto, era piccola, ed era familiare.

“Ran! Finalmente! Ben svegliata!”
Osservò oltre il poggiatesta, ritrovandosi negli occhi teneri e paterni del professor Agasa, alla guida dell’automobile. A fianco, seduta con braccia incrociate e gambe accavallate, viso seccato e smorfia dipinta sul volto, la piccola Ai Haibara. Dinanzi a lei, oltre il vetro, la sua Beika scivolava frettolosamente dai finestrini, muovendosi contro senso. Dietro, l’auto noleggiata e distrutta per via del caso, di suo padre, con a bordo Heiji e l’amica Kazuha. I due giovani le rivolsero un sorriso divertito, e le sventolarono la mano come per salutarla, ma l’espressione di Kogoro diceva tutt’altro. Anche lui, e chissà per quale motivo, era terribilmente seccato.
Ran tornò a fissare Shinichi, che continuava imperterrito a starle accanto. Non stava ancora fuggendo.
“E tu?” gli domandò, ricambiando il suo sorriso. “Come ti senti?”
“Meglio” mentì anche lui, ma non avrebbe potuto farlo peggio. “Era solo un mal di stomaco.”
Sorvolò sui particolari. Sorvolò sul come avesse sentito strapparsi l’anima da dentro.
Non la convinse, ma dovette annuire alle sue parole, che sentiva terribilmente false e montate.
“Ran?”
Lo invitò a proseguire, con una leggera incurvatura delle sopracciglia.
Ma gli occhi del detective si tramutarono in due puntini piccoli, e il suo viso si sfumò di rosso.
“Potresti lasciarmi la mano, adesso?”
Forse era per la velocità con cui l’aveva posta, ma la domanda sembrò arrivare tre minuti dopo all’amica. Il tempo di interpretarla, che sembrò passare un’eternità. Un’eternità dal momento in cui abbassò gli occhi, e sul sedile dell’auto, vide le loro mani strette l’una nell’altra, così forte da cambiare colore, e le nocche vestirsi di bianco.
Le loro mani...
“Scusami!” si agitò, si dimenò con violenza, liberandosi a malincuore da quella stretta, quando il rossore le scoppiò potente in viso. Sentì il cuore batterle, e la razionalità scemare, e farle girare la testa.
Imbarazzata, si voltò verso il finestrino, osservando la strada, ma non riuscì a non mandare occhiate continue su di lui. Voleva parlargli, voleva sapere; sapere quale fosse la sua deduzione. Continuò ad osservarlo di nascosto, ma dopo tre minuti, non resistette.
“Avevo paura scappassi.”
Annuì lei, palpitando. Cominciò a credere di avere un martello pneumatico al posto del cuore.
Shinichi mandò giù un sospiro, abbassando le palpebre, come per rasserenarsi e poi riaprirle, con convinzione.
Tornò a guardarla, e a sorriderle.
“Sono qui.” La rassicurò, mordicchiandosi un labbro.
“Rimani?” chiese lei di rimando, velocemente. Non voleva una vera risposta, voleva solo ascoltare la sua voce. Voleva solo sentirlo parlare.
Perché sapeva che ogni cosa, ne avrebbe nascosta un’altra.
Ogni verità, avrebbe nascosto una bugia.
Una scia di luce, forse quella di prima, forse quella che si era persa nell’oscurità, forse quella che aveva cercato costantemente, passò negli occhi di Shinichi.
Ran non seppe interpretarla, ma non le importò.
“Sì.”
La bastò solo quello: credere alle sue bugie.
 

 
 





Ehm, no, non vi siete proprio liberati di me. Assolutamente, no XD Allora, questa è la fan fiction di cui parlavo nei “Missing Moments” qualche giorno fa. Vi premetto che sarà abbastanza lunga, e che, come avrete capito, parte proprio da un capitolo di Detective Conan. Esattamente, è la fine del caso dello Shiragami (Volume 62 File 5 – 11, Volume 63 File 1 – 2 / Episodi "Tutti contro Shinichi" versione mediaset/ Vi consiglio vivamente di leggerlo-vederlo, se non l’aveste fatto. E’ meraviglioso!) e Shinichi, invece di tornare ad essere Conan, rimane adulto. Quello che verrà lo scoprirete presto, ma vorrei informarvi di una cosa importante: la “saga di Bourbon” non è mai iniziata, e con lei, tutti i suoi misteri. Mio piccolo cruccio nei confronti di questo momento di DC, che non è di certo il più fiorente. Ho provato a pensare a come le cose sarebbero potute andare da quei file, e la fantasia ha fatto il resto. Ah, i capitoli saranno più lunghi di questo eh XD Questo funge solo da prologo!
Niente, spero mi seguirete :)
Un bacione, e al prossimo e primo capitolo! 

Tonia

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Capitolo 2
*** Il porta(s)fortuna ***


Your Lies 


1.
Il porta(s)fortuna

• • •



 
Arrivarono nei pressi dell’agenzia investigativa qualche minuto dopo, avvolti da un tombale silenzio ed un profondo imbarazzo. Luci notturne illuminarono le stradine deserte, alcune auto sfrecciarono a gran velocità presso il cavalcavia lì vicino, e qualche ubriaco volteggiò per i vicoli, infastidendo la quiete pubblica. Agasa accostò lentamente al marciapiede, seguito dall’auto a noleggio di Kogoro dal paraurti completamente ammaccato.
Fu proprio il detective più grande il primo a scendere dalla macchina; e scivolando frettolosamente intorno ad essa, tentò di quantificare i danni che, quel “moccioso”, gli aveva volutamente fatto procurare. Lo imitarono i più piccoli, le donzelle, ed infine, il professore.
Si riunirono in cerchio dinanzi alle scale di casa Mouri, permettendo al lampione lì vicino di illuminare i loro volti stanchi. Erano state, senza ombra di dubbio, delle giornate fitte di emozioni ed adrenalina, che difficilmente avrebbero dimenticato il mattino dopo.
Tutti aspettarono impazienti che Kogoro sbrigasse la sua revisione intorno all’auto, mentre Ran lanciava continue occhiate a Shinichi che, silenzioso, se ne stava a fissare la strada col capo abbassato e le mani nelle tasche, muovendo soltanto un piede, come per scacciare dei sassolini.
“Dovrò pagare minimo 100 000 yen” esordì con fastidio il detective in trance, avvicinandosi al gruppetto. “Dico io... tra tante auto, proprio la mia doveva sfasciarsi?”
Chi assottigliò gli occhi, chi smosse una risatina nervosa, tutti ebbero lo stesso pensiero: Kogoro non sarebbe cambiato mai.
“Beh, prendila con filosofia” improvvisò Heiji, sorridendo. “Abbiamo risolto un nuovo caso, e mandato in cella un altro omicida.”
“Un corno!” lo rimbeccò, seccato. “Cosa dico al noleggiatore quando gli presenterò l’auto distrutta? ‘la prenda con filosofia’?”
Shinichi si lasciò scappare un risolino, che contagiò tutti i presenti, compresa Ran. In pensiero per l’amico, e per il suo atteggiamento, ambiguo e taciturno, la karateka comprese che la miglior cosa da fare fosse dormirci su, ed affrontarlo il giorno dopo, se non fosse ancora scappato. Per questo si limitò a fissarlo, forse con troppa costanza, tanta che lui ne sentì la profondità: si scambiarono per un attimo un fugace sguardo imbarazzato, per poi voltare velocemente le loro guance accaldate in tutt’altra direzione.
“Bene, noi andremmo” annunciò agli altri Agasa.
“Sì, si è fatto tardi...” fece notare Kogoro di rimando, osservando l’orologio da polso che gli aveva regalato Eri. Kazuha strattonò la maglia dell’amico d’infanzia,
ma il giovane si liberò all’istante della presa.
“Ehm, io dormo da Kudo stanotte.” Rivelò, forse leggermente in imbarazzo. In effetti si guadagnò l’occhiata sinistra della giovane, che non mancò a lamentarsi.
“Heiji, domani dobbiamo partire presto” lo avvisò, temeraria. “Non vorrei perdere l’aereo.”
“Chi ti ha detto che lo perderemo?” sbuffò lui, seccato. “Voglio solo dormire da Kudo, è a seicento metri da qui. Non abita nell’Hokkaido, per tua informazione!”
“Fai come vuoi.” Sputò Kazuha irritata, voltandosi a guardare l’amica che, impacciata, era indecisa sul come e se salutare Shinichi. Quel Shinichi che, ignorandola quasi, incominciò a camminare spedito verso il Maggiolino, seguito dalla piccola Ai. Ran mosse qualche passo verso di lui, chiamandolo per nome, e riuscendo così a farlo voltare, prima che si introducesse nel veicolo.
“Domani...” esordì, immobilizzandosi, mentre il suo viso si sfumò di rosso. “Vengo da te”.
Il detective annuì, rivolgendole un sorriso, per poi scomparire dalla stessa portiera dalla quale entrò Heiji. Agasa mise in moto pochi istanti dopo, giusto il tempo che, Shinichi e Ran, oltre il vetro, potessero lanciarsi un’ultima, profonda, occhiata.
 

 
“Si può sapere che cacchio mi sta succedendo?”
Il tono di voce, perplesso, amareggiato ed inquieto, lasciò trasparire tutti i pensieri e le paure che turbavano l’abile investigatore. Non che riavere il suo corpo originale fosse un incubo, al contrario, ma capire cosa stesse accadendo per lui era fondamentale. Aveva preso l’ultimo antidoto una decina d’ore prima, con l’avvertimento che sarebbe durato poco, pochissimo. ‘Perché i tuoi anticorpi reagiscono sempre meglio a quel veleno che ogni volta ingoi, e perché presto correrai anche il rischio di non esserlo più, Shinichi Kudo’ – gli diceva sempre Haibara.
Ma allora perché, a quelle fitte lancinanti al cuore, non era tornato ad essere Conan?
Intanto, uno starnuto arrivò a disturbargli il cervello. E poi ancora un altro, ed ancora un altro. Dannato raffreddore.
“Senti, Kudo, non ne ho idea.” Gli rispose di getto la scienziata, esasperata. “Devo capirlo prima io. Probabilmente si sarà intromesso qualcosa nel solito processo che l’apotoxina fa dopo uno dei miei antidoti. Ma non so cosa, al momento.”
“Forse questo era quello ufficiale,” s’intromise il giovane d’Osaka, vaneggiando. “Insomma, potrebbe essere che alla fine l’aptx si sia arresa.”
“Magari...” si lasciò sfuggire il migliore amico, assottigliando gli occhi.
“No, l’ho inventata io e so più o meno come funziona. I miei antidoti non sono ancora definitivi perché ci manca ancora qualcosa che possa contrastare completamente l’effetto del veleno.”
Shinichi osservò entrambi, per poi grattarsi la testa con le mani, e scompigliarsi i capelli.
“Non sai nemmeno quanto resterò così?”
“Sei sordo?” lo rimbeccò ancora, stizzita. “Ti ho appena detto che non ho idea di cosa ti sia successo! Il mio antidoto sarebbe dovuto durare qualche ora, non di più. Per trovare una spiegazione devo arrivare al fattore scatenante; capire perché non ha agito la prima, ma la seconda sì*, e solo allora potrò darti delle risposte... approssimative.”
“Okay.” Mandò giù un sospiro il detective, stringendo i pugni. “Al momento non posso fare nulla, quindi...”
La piccola ramata gli lanciò un’occhiata truce.
“Quindi... niente! Senti un po’ tu...” accentuò l’ultima parola, come per fargli capire meglio che si riferisse a lui. “Cerca di non combinare casini come al tuo solito. Ti devo forse ricordare che l’organizzazione ti crede morto?”
Shinichi la osservò in silenzio, sbuffando seccato.
“Ho capito che hai gli ormoni a mille per via della signorina dell’agenzia investigativa, ma datti un contegno!”
“Haibara!” sbottò lui, imbarazzato. “Ran non c’entra assolutamente nulla...”
Una tosse li richiamò, facendoli zittire. “Appunto, Ran...” esordì Heiji, osservando prima l’uno poi l’altro.
“Cosa diavolo ti inventerai per giustificare l’assenza di Conan?”
Shinichi divaricò un po’ le palpebre, preso alla sprovvista. Aveva dimenticato il problema più grande della questione.
“Ehm...” osservò Ai, speranzoso. Ma lei, intuendo a volo le sue intenzioni, lo bloccò all’istante. “Scordatelo, io non mi travesto da Conan per salvarti di nuovo il sedere con la tua fidanzatina.”
“Gentilissima.” La sfotté ironico, mentre Heiji si manteneva il mento con due dita.
D’un botto si illuminò, entusiasta.
“Ehi, io un’idea ce l’avrei!”
Lo sapeva, in fondo, che ad Heiji Hattori non avrebbe mai dovuto dar retta.
 

 
Ran non dormì molto quella notte; il suo pensiero, fisso e costante sull’ultimo sguardo che il suo amico d’infanzia le aveva rivolto, sull’ultimo sorriso, e sull’ultima parola, non le permisero di risposarsi come avrebbe voluto. Chiuse gli occhi soltanto quando le forze l’avevano completamente abbandonata, cullandosi nel rimbombo dell’ultimo ‘sì’ stentato, forzato, falso ed enigmatico che, il giovane detective, le aveva regalato.
‘Sì, rimango’ O più semplicemente ‘Sì, continua ad aspettarmi’.
Un suo sì, che più che dare certezze, faceva sorgere dubbi.
Un suo sì, e mille mila significati che le attraversarono il cervello, martellandolo.
 
Ne ignorò la motivazione, ma quella mattina sbrigò le faccende domestiche fin troppo presto. Si rinfrescò sotto una doccia con altrettanta velocità, ed infilò la divisa scolastica del Teitan con troppa poca cura. Salutò suo padre quando lui scese a fare colazione, ricordandogli di dover pagare gas e corrente. Salì repentina le scale, e raccogliendo lo zaino dalla sua stanza si diresse spedita verso casa Kudo. Non prima, però, di aver lanciato un’occhiata al letto vuoto di Conan.
 
Seicentoventuno metri la dividevano dalla villa occidentale del detective; li avevano contati insieme, uno ad uno, qualche anno prima.
E lei li percorse come ne fossero cinque, lei li avvertì come ne fossero diecimila.
Non sapeva perché lo facesse, né perché fosse così dannatamente in tensione; in fondo, era solo Shinichi. Era l’amico di una vita, era il ragazzino fin troppo timido che da piccoli preferiva chiamarla per cognome, era lo sbruffone che si dava arie da grande investigatore.
Ma allora perché, da un giorno all’altro, era diventato così importante?
Così suo?
 
Prima di bussare al citofono, Ran respirò ed inspirò profondamente almeno una ventina di volte; qualcuno le aveva detto che serviva per rilassarsi, ma non ci credeva molto. Aspettò qualche altro minuto, ma poi si decise a far forza su quel bottone. Un cancello la divideva dalla verità, e dalle speranze che aveva riposto al pensiero di poterlo, davvero, rivedere. Gli attimi che trascorsero sembrarono ore, quasi giornate. E pensò di poter trattenere il respiro per tanto tempo, quasi non fosse umana. Ma poi, qualcosa di terribilmente umano tornò, nuovamente, ad ancorarla alla realtà. La realtà da cui lei fuggiva continuamente, solo per ricercare altrove quella voce.
“Chi è?”
Quasi le venne voglia di tirarsi uno schiaffo per capire se stesse ancora sognando.
Ma non lo fece.
“S-sono... R-Ran.” Trascinò le lettere come fossero serpenti sulle sue labbra. “A-apri.”
Le mani le cominciarono a sudare, le gambe a tremare. Ripeté ad inspirare ed espirare, cominciando a mandare mille e più maledizioni a colui che le aveva rifilato questa illusione; rilassarsi, era davvero difficile.
Il cancello automatico le si spalancò davanti, permettendole di attraversare il piccolo viale alberato. Rallentò i passi; ci mise due minuti per percorrere quindici metri. Due minuti.
Le servirono per calmarsi, stavolta a modo suo.
“Siamo mattiniere oggi, eh.”
Ran alzò gli occhi e si scontrò con quelli azzurri di Shinichi. Le mancò il fiato, ma era felice: non le aveva mentito. Non più.
“Anche tu a quanto vedo.” Lo scimmiottò, notandolo già bello e pronto sulla soglia della porta. Soprattutto bello.
“Hattori non si è svegliato alle cinque... ha svegliato tutto il vicinato alle cinque.” Si lamentò, permettendo che la giovane entrasse in casa. “Ho dormito pochissimo.”
L’amica ridacchiò.
“Anche Kazuha.” Mentì, lei era già sveglia da un pezzo. “Ma lei si è svegliata alle sei però.”
“Gli abitanti del Kansai sono un tantino burrascosi.” Evitò il discorso l’amico, ignorando l’ultima frase.
“Giusto un po’.” Ran lo assecondò ed osservandogli la schiena nascosta dalla camicia bianca, lo seguì in cucina. Shinichi si fermò dinanzi al frigo, ed aprendolo ne estrasse una bottiglia di latte. Prese due bicchieri, e ne versò il contenuto dentro; così, con disinvoltura, ne diede uno a Ran.
“Tieni, bevi.”
“Eh?”
“Bevi. Non hai fatto colazione, giusto?”
La giovane serrò le palpebre, sorpresa. “Come fai a saperlo?!”
Lui sorrise, bevendo tutto d’un fiato il suo bicchiere. “Hai ancora un po’ di dentifricio sulle labbra, che sono anche terribilmente secche. Ciò vuol dire che non hai fatto colazione, e che non hai bevuto neppure nulla.”
Ran si sfumò di rosso, portandosi velocemente due dita sulla bocca, cominciando a sfregarla nel tentativo di eliminare qualsiasi traccia non desiderata. Una volta arrossata la zona, e sentirla bruciare, decise di fermarsi.
“Grazie.” Accettò il bicchiere con sguardo basso, imbarazzata.
Avrebbe voluto dirgli altro, rispondergli a tono, ma non ci riuscì. Shinichi ridacchiò, ma non proferì parola. Calò tra di loro un silenzio assordante, che non fu smosso via nemmeno dal rumore dei bicchieri che s’appoggiavano al lavabo. Nemmeno dai passi che scricchiolavano sul parquet, nemmeno dal fruscio dei tessuti l’uno contro l’altro. Dopo aver bevuto il latte, Ran vide Shinichi allontanarsi un attimo, e risalire le scale della villa: probabilmente andava a mettersi la giacca.
La giovane approfittò dell’assenza dell’amico per sciacquare i bicchieri. L’acqua fredda le raggelò le mani, ma nulla poté fare con il suo animo. Ogni istante si ritrovò a lanciare occhiate verso la porta della cucina, dalla quale attendeva con ansia il ritorno del detective. E se fosse scappato nuovamente? E se fosse andata a cercarlo, e non l’avrebbe trovato più?
Si sentì una stupida, ed anche una bambina. Lui le aveva detto che sarebbe rimasto, perché sarebbe dovuto scomparire, ancora? Scosse la testa per cacciare via quei brutti pensieri, e s’asciugò le mani con uno strofinaccio, ripiegandolo poi ordinatamente.
In attesa di Shinichi, si appoggiò al ripiano della cucina, cercando d’ammazzare il tempo lanciando sguardi un po’ in tutti gli angoli della stanza.
E fu lì che, tra un giornale ed una rivista di vecchia stampa, lo vide.
Il porta(s)fortuna di Heiji.
 

 
“Ma quanto ci mette il dottore ad aprire?!”
Si lamentò la karateka, con le mani dritte sui fianchi, ed un piede ticchettante sulla strada. Ferma insieme a Shinichi davanti al cancello del professore, la giovane aspettava impaziente di poter rivedere il suo fratellino. Conan era partito per Tokyo quando loro ancora si trovavano avvolti dal caso, o almeno, è questo quello che lei credeva...
“Ran...” cominciò il detective, grattandosi il capo. “Comunque ho sentito che il moccioso con gli occhiali sta male.”
“Che?”
“Beh, Agasa mi ha detto che ha contratto una malattia strana, non mortale, ma infettiva... e quindi...”
Per quanto potesse sembrare azzardata, quella scusa l’avevano progettata per tutta la notte. Hattori aveva avuto la grande idea, e Kudo, costretto, aveva deciso di assecondarlo. Anche perché molte alternative non c’erano
“Quindi cosa, Shinichi?” Il tono cominciò a sfumarsi di impazienza.
“Beh, vedi, Hattori è partito prima, stamane.”
“E allora?”
“Conan... Conan non è a Tokyo.”
Ran si destò, incurvando un sopracciglio e simulando una smorfia. “Cosa?”
“E’ partito con Hattori stamattina per Osaka, sai... lì c’è un istituto apposito per la sua malattia.”
“Ma di cosa parli? Quale malattia?”
L’amico ridacchiò per stemperare la tensione. In realtà, dentro, qualcosa gli stava divorando l’anima.
“Non è nulla di grave, ma ha contratto una malattia infettiva, e deve stare molto poco a contatto con le persone. Ma guarirà presto...” abbassò il tono sulle ultime parole, sperando che in realtà il moccioso si stesse un bel po’ per i fatti suoi. Non aveva voglia di rivederlo, a quel Conan.
Ran cominciò a preoccuparsi seriamente, tant’è che avanzò di qualche passo senza neanche rendersene conto. Shinichi la seguì, col volto basso.
“Cioè, tu mi stai dicendo che un bambino di sette anni è partito stamattina all’alba con un diciassettenne per farsi curare ad Osaka di una malattia del quale io non sapevo assolutamente nulla?” e mentre gli sputava contro quell’ennesima menzogna, la giovane azzardò un sorriso canzonatorio e si portò le mani ai capelli, sconvolta.
Shinichi si limitò ad annuire, sperando che le bastasse quella stupida motivazione.
“Sei serio?”
Ma il detective non riuscì a guardarla negli occhi.
“E’ la verità, Shinichi?” 
Gli si pose sotto il mento, e cominciò ad osservarlo dal basso verso l’alto. L’investigatore la sentì così vicina che dovette scostarsi, sennò avrebbe fallito: non le avrebbe mentito.
“Sì, Ran. Ma puoi chiamarlo se vuoi.” Stavolta non mentì. “Non ci sono problemi.”
“Ah, grazie.” Si lasciò andare ad uno sbuffo seccato, esasperata.
Shinichi non poté fare altro che osservarla incamminarsi verso scuola.
Sentì una fitta trafiggergli il cuore, e questo accartocciarsi su se stesso per le verità che non poteva rilevarle. Ma se voleva continuare a tenerla fuori da ogni pericolo, avrebbe dovuto mentirle ancora.
Furono già lontani quando Agasa aprì il cancello, e maledisse i bambini che si divertivano a suonare e a scappare.
Quegli stessi bambini che adesso stavano scappando, lentamente e miseramente, l’uno dall’altro.
 

 
Il rumore dei tasti invase la stanza silenziosa di un letto d’ospedale del villaggio Higashi-Okuho*. Il ventre fasciato, ed una fitta lancinante a mozzarle il fiato quasi la convinsero a lasciar perdere, a rimandare ad un altro giorno. Ma una giornalista diffonde notizie, e non esistono pause per la verità - se lo ripeteva sempre.
Digitò le ultime parole dell’articolo, e con un sorriso sincero ripensò allo sguardo estenuante che quel ragazzo le aveva rivolto qualche ora prima, quando le aveva chiesto perdono.
“Fa che tutti sappiano la verità.”
Makoto* era cambiato dall’ultima volta che l’aveva visto; Misato Kawauchi* non ebbe più esitazioni, l’avrebbe fatto per lui: per quel mostro che salvò la sua bambina*.
 
Shinichi Kudo e il suo sosia: l’amarezza degli equivoci.
 
Inspirò lentamente dal naso, avvertendo una nuova fitta all'addome.
Il capitolo era pubblico.

 

 
••
 
Precisazioni:
* “...capire perché non ha agito la prima, ma la seconda sì...” : Shinichi, nel caso dello Shiragami torna bambino la prima volta, nel bagno dell’albergo, ma alla seconda volta (quando nel manga erano nel Maggiolino di Agasa) io non l’ho fatto rimpicciolire nuovamente.
* villaggio Higashi-Okuho : è il villaggio dove Shinichi ha risolto un caso un anno prima degli eventi attuali, ed è invitato a tornarci per un presunto errore nelle deduzioni.
* Makoto : Makoto è Makoto Okuda, il ragazzo che si è finto Shinichi.
* Misato Kawauchi : è la giornalista accoltellata da Makoto.
* “Per quel mostro che salvò la sua bambina.” : Makoto, travestito da Shiragami, aveva portato in salvo la figlia della giornalista spingendola fuori dal bosco.
 
 

 
•••
 
Ma ciaaaaaaaaaaaaao!!!!!
Sono sempre io, sì. Non sono morta, e neanche voi. I maya hanno fatto cilecca. Per questo siete riusciti a leggere il mio primo capitolo di questa fan fiction. Devo dire che mi emoziona abbastanza, ma allo stesso tempo mi infonde incredibile insicurezza. Ho appena finito di leggere un libro meraviglioso, di Gramellini (...grazie eh, Pri), e ciò che scrivo mi sembra tutto assurdo e banale. Comunque XD Spero che a voi non dia lo stesso effetto ma che vi coinvolga il giusto per farvi seguire la storia. E’ comunque un capitolo di base, ovvero mi serve per costruire le fondamenta al progetto, e quindi dovrete pazientare al prossimo per la trama vera e propria. Comunque già si avverte molto di questa, ve lo posso garantire.
 
Niente, passo ai ringraziamenti <33333
Ringrazio infinitamente shinichi e ran amore, LunaRebirth_, Hoshi Kudo, Nana Kudo, Martins, Kaori_, aoko_90, kilamy, Delia23a e arya_drottningu per aver recensito il prologo!
Cioè, siete meravigliose!
E shinichi e ran amore per aver già inserito la storia tra le preferite e... LunaRebirth_, Nana Kudo, Martins, Kaori_, aoko_90, kilamya, arya_drottningu, ciachan, arianna20331, tittymome, robyroby_chan, totta1412, Delia23 per aver inserito la storia tra le seguite!!!
Graziiiiiiie!!!
 
Gente, se non ci si vede (non so sinceramente) vi faccio gli auguri da adesso.
MERRY CHRISTMAS!!!!
Mangiate tanto, aprite tanti regali, e recensitemi :P
 
Un bacione, e ancora Buon Natale!
 
 
Tonia

 
 
 
 

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Capitolo 3
*** L'azoto ***


Your Lies


2.
L'azoto

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* I periodi in grassetto corsivo sono flashback.
* I periodi fra due trattini (- ; -) ed in corsivo sono pensieri personali.



 
“Non... ci... posso... credere!”
Al suono della voce sorpresa e stupita di Sonoko, e all’indirizzo dei suoi occhi, un corridoio di ragazzi s’aprì dinanzi all’investigatore che, come su una passerella, sfilava tra sguardi innamorati di ragazzine invaghite, urla spropositate di vecchi amici di calcio, e professori stupefatti, increduli di poterlo rivedere per davvero.
“Oh! Oh! Guarda chi si rivede!!”
“Kudo! Appena tornato e già arrivi con la mogliettina, eh?!”
Alla sua destra Ran abbassò il capo, leggermente in imbarazzo, ma continuò a camminare e lasciarsi guidare dal corpo di Shinichi che, come Mosè, sembrava spartire le acque del corridoio e crearsi un sentiero indipendente. Arrivarono in aula qualche secondo dopo, ma la folla non tendeva a scemare nemmeno lì: i liceali attorniarono il detective come dei fan circondano il loro idolo, e proprio come degli appassionati, gli fecero mille e più domande.
Ma lui rispose perlopiù con dei sorrisi che con delle vere risposte. Anche perché, delle vere risposte, non le aveva nemmeno per sé.
“Il tuo maritino è qui e non mi hai detto nulla?!”
La voce che la stuzzicò fu la stessa che per prima aveva avvertito gli altri del ritorno dell’investigatore: quella di Sonoko. Ma stavolta fu diretta solo a Ran, che prese posto al suo solito banco, poggiando lo zaino sopra di esso.
“Non lo sapevo nemmeno io, pensa un po’...” La avvisò la karateka, cominciando a sfilare i libri che le servivano dalla cartella. Fermandosi, dopo qualche secondo, assottigliò gli occhi. “E non è il mio maritino!”
“Voglio tutti i dettagli di quello che è successo! Racconta! Racconta!”
“Cosa dovrei raccontarti? Non è successo nulla!”
“E dai!” La pregò quasi, sorreggendosi al banco con i gomiti. “Dove vi siete rivisti? Ti ha chiamato lui? E per quanto tempo rimarrà, te l’ha detto?”
Ran poté quasi avvertire una lampada conficcata nei suoi occhi: le sembrò di trovarsi in questura.
Sbuffò, e ripensando agli ultimi eventi, stette attenta a non lasciarsi trascinare dai ricordi e dalle emozioni.
“L’ho rivisto al villaggio Higashi-Okuho qualche giorno fa, in seguito ad un caso... non mi aveva chiamata, non mi aveva avvisata... e mi ha solo detto che, sì, rimarrà...”
Sonoko si strofinò il mento con le dita. “E non vi siete parlati?”
“Certo.” La karateka aprì il libro di analisi, ma ci diede poca attenzione. Mentre duettava con l’amica, continuava a lanciare occhiate verso Shinichi, che tentava invano di liberarsi dall’assedio degli amici. Per quanto sarebbe ancora durato tutto quello?
La risposta gliela diede il suo cervello: poco. Ma lei scosse la testa, e lo ignorò.
“Ran allora?!” la richiamò l’ereditiera, snervandosi. “Che cosa vi siete detti?!”
“Niente di importante.” Ribatté poi, lasciando che Sonoko si sedesse al suo posto sospirante e delusa. Ma nella sua mente, viaggiavano come schegge le parole che si erano rivolti qualche sera prima...
“Anche io ho delle cose da chiederti e da dirti... perciò aspettami!”
“Secondo la mia deduzione, probabilmente, sono le stesse che tu vorresti chiedere a me...”*
Eppure a lui era bastato guardarla per capirlo; l’aveva fissata per qualche secondo, ed aveva compreso. Ran arrossì di botto: doveva dedurre che Shinichi sapesse? Sapesse cosa provava lei per lui?
Si attorcigliò i capelli intorno ad un dito, ed osservandolo prendere posto in quel banco dietro lei, che troppo tempo era restato vuoto, sorrise. Ma fu un sorriso amaro, stentato e sofferto.
- Sì, certo che lo sai... -
 
•••
 
“Torni a casa con me?”
Sebbene amasse sentirglielo dire, le sembrò così strano che lo avesse rifatto ancora dopo tutto quel tempo. Alzò il capo e si ritrovò negli occhi azzurrini del suo amico d’infanzia, accostato al suo banco con le mani nelle sacche dei pantaloni, e sulle spalle lo zaino. Il sorrisetto la diceva lunga, ma Ran cercò di non imbambolarsi a fissarlo; era tremendo soccombere a quell’attrazione.
Sorrise anche lei, come per acconsentire alla sua domanda, ma perse volontariamente del tempo nel prepararsi: voleva gustarsi quel momento di inaspettata pace. Sul finire della giornata scolastica tutti tendono a correre, a fuggire, a tornare a casa; in classe sarebbero rimasti soli, lui e lei. Arrossì all’idea, ma le piacque: amava stare con lui.
“Se hai finito di fare l’idiota, certo.” Lo sfotté, leggermente irritata per il suo atteggiamento. Certo, ad essere strano nell’ultimo periodo era strano; ma quando si trattava di pavoneggiarsi e farsi grande dinanzi a tutti non sembrava subire mutazioni: rimaneva il solito Shinichi sbruffone ed esaltato.
“Io? Idiota? E perché mai?” Si finse ignaro, sebbene avesse capito benissimo. Un sorrisino spavaldo provò a nascergli in viso; e nonostante lui tentasse di sopprimerla, la voglia di agguantare nuovamente quel suo ego represso per troppo tempo crebbe fortemente in lui.
“Solo per aver firmato qualche autografo, fatto qualche foto con i miei fan, ed averli intrattenuti per tutta la giornata?”
“Ma smettila!” Ran gli diede un buffetto sulla guancia, che lo allontanò un po’ da sé. Il giovane, però, le afferrò il polso e l’attrasse al suo corpo, senza darle nemmeno il tempo di rendersene conto.
“Tu non lo vuoi il mio autografo?”
“No, grazie... non ci tengo.” Lo sfotté, mentre il suo viso cominciò a sfumarsi di rosso.
“Non vuoi nemmeno una foto?”
Lei scoppiò a ridere, appoggiando il capo al suo petto. “Beh...” ci pensò un attimo, staccandosi di nuovo. “Ultimamente ho potuto vederti solo nelle foto...”
Lui sorrise, stringendo le sue dita attorno a quelle esili di Ran. Si stavano avvicinando l’uno all’altro senza nemmeno rendersene conto.
“Facciamo così. Ce ne facciamo una nuova stasera, così potrai guardarmi in un’altra posa...” il suo tono s’abbassò e si incupì d’un tratto. “...quando non ci sarò.”
Lei chiuse le palpebre, sospirando. “E’ un modo carino per dirmi che scomparirai di nuovo?”
“No, è un modo carino per dirti che stasera sei invitata a cena a casa mia. E a cucinare sono io.” Le fece l’occhiolino, sorridendole.
Lei ridacchiò, appoggiandosi quasi involontariamente al suo petto. Si rese conto solo dopo di ritrovarsi appiccicata ai pettorali di Shinichi, e ai suoi muscoli. Più sodi che mai. La nuca alzata, gli occhi fissi e guardare i suoi, le mani nelle mani e le labbra che distavano qualche centimetro, talmente pochi che i loro respiri, caldi e deboli, s’infrangevano sulla pelle fredda. Un velo di rossore si poggiò sui volti di entrambi, ma Shinichi e Ran non ci badarono; si persero in quel momento, come estraniati dal mondo intero.
“Ehm... scusate?”
Dall’entrata dell’aula giunse loro una voce divertita, accompagnata ad un sottofondo misto di mormorii ilari. I due, voltandosi, si ritrovarono un ragazzo di fronte, e i loro amici di classe ad osservarli con smorfie sarcastiche e maliziose dipinte in viso.
Alla loro vista, Shinichi e Ran si staccarono violentemente, spingendosi l’uno dall’altro. Tentarono di non arrossire, ma non potevano sapere che i loro volti erano già paonazzi. Facce che si accesero ancora di più nel sentire i commenti, che i tanto cari amici rivolgevano loro.
“Andate in albergo ragazzi!”
“Oppure in palestra, lì non c’è nessuno!”
“No, no... lasciamoli soli, che qui tra poco se ne vanno tutti!”
Shinichi li fulminò con lo sguardo, assottigliando le palpebre seccato. “Tacete voi!”
“Ehm... scusa?”
La stessa voce di prima, quella che l’aveva bloccati, provenne da un ragazzo dalla divisa un po’ stropicciata ed usurata. Il giovane, dalla carnagione olivastra, gli occhi verde smeraldo e le palpebre leggermente tirate, i capelli che sfidavano la forza gravitazionale, issandosi verso l’altro in mille punte, tentava invano di comunicare con Ran nella baldoria generale della classe. La karateka lo notò e si avvicinò a lui, suscitando l’attenzione improvvisa di Shinichi.
“Dimmi!”
“Io ho da poco cominciato a far parte del gruppo di karate scolastico, e...” guardò altrove con gli occhi, leggermente in imbarazzo. “Avendo visto quanto sei brava, mi farebbe davvero piacere se mi dessi delle lezioni private per raggiungere il livello di tutti.”
Ran spalancò gli occhi, sorpresa. L’amico d’infanzia invece simulò una smorfia.
“Ti... ti pago eh!” aggiunse, repentino. La ragazza scoppiò a ridere, mostrandogli un sorriso che lo illuminò.
“No, non devi pagarmi... non preoccuparti!” Lo rassicurò poi, facendogli l’occhiolino. “Dimmi quando vorresti incontrarmi che mi organizzo.”
La gentilezza dell’amica fece storcere il naso a Shinichi, che, abbandonando completamente le battutine sarcastiche dei compagni di classe, si era immerso nella conversazione tra Ran e il giovane, cominciando a provare un leggero fastidio.
“Oh, benissimo!” esclamò lui, gioioso. “Allora... domani, va bene?”
Lei annuì, porgendogli la mano. “Piacere, Ran Mouri.”
“Saigo Yami” pronunciò fiero il suo nome, presentandosi. “Il piacere è tutto mio.”
 
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“Papà, sono tornata!”
Ran spalancò la porta dell’ufficio investigazioni, e salutando Kogoro, seduto alla scrivania con una radiolina pendente dai pantaloni, lasciò cadere la borsa sul divano. Osservandola compiere movimenti veloci e distratti, il padre s’infastidì. Senza ombra di dubbio, era così in fermento per la presenza di quel detective.
“Ran sai dov’è il moccioso?” le chiese distrattamente, riferendosi al piccolo Conan, che da un giorno all’altro sembrava misteriosamente scomparso.
“Ad Osaka” gli rispose la figlia, piegando repentinamente uno ad uno gli asciugami appena asciugati.
Ci pensò un attimo su, poi serrò gli occhi, sorpreso. “Come ad Osaka?!”
“Shinichi mi ha detto che ha contratto una malattia infettiva ed è partito stamane con Hattori” approfondì la questione, ma parlò talmente a bassa voce che Kogoro stentò a capirla.
“Malattia infettiva?!” sbiancò quasi l’investigatore, toccandosi il petto. “Quel moccioso porta germi!”
La karateka assottigliò le palpebre, scuotendo il capo.
“Papà, tu sei sano come un pesce, non preoccuparti. E poi Shinichi mi ha detto che non è nulla di grave.” Lo rassicurò, facendogli l’occhiolino.
Kogoro si mordicchiò un labbro, non convinto.
“E l’altro moccioso che si crede un detective?”
“Ha un nome... si chiama Shinichi.”
 “Sì, lui.” Alla voce accompagnò uno sbuffo, tanto per dimostrare quanto gli fosse simpatico il giovane Kudo.
“Si chiama Shinichi.” Ripeté la figlia, seccata.
“Non mi interessa come si chiama... vorrei solo che non ti coinvolgesse in idee strane.”
La karateka incurvò un sopracciglio, e simulò una smorfia. “Idee... strane?”
“Sì, quel ragazzino mi ha fatto sfasciare l’auto...” ribadì il concetto, come se tutte le volte che l’aveva fatto non erano bastate. “Non mi sorprenderei che si cacciasse in qualche altro guaio.”
La figlia sobbalzò, come se avesse avvertito qualcosa.
“Shinichi non è un teppista.” Lo difese velocemente, tentando di convincerlo.
“E fa cose che non dovrebbe fare.” La ignorò volutamente, ticchettando le dita sulla scrivania.
Ran inarcò un sopracciglio, esterrefatta. “Che?”
“Eh! Lo so io, lo so.” Pronunciò con rabbia poi, ripensando alla conversazione che aveva volontariamente sentito in auto prima dell’impatto con l’altra auto. Quel ragazzino aveva sbirciato qualcosa di troppo...
“Cosa sai?”
“Che è troppo spinto per i miei gusti.”
“Spinto?”
“Sì, prova continuamente a sedurti.”
Ran divenne paonazza, e sobbalzando dal salotto, gli si parò contro. “Shinichi non prova a sedurmi!”
“Non ancora, forse... e per questo mi piacerebbe comunque che...” cominciò, ma non trovò il coraggio di continuare a parlare.
“Che?” Lo invitò a proseguire lei, irritata.
Kogoro sbuffò ancora, e giocherellò con la cuffietta della radio, fissandola intensamente. Non riusciva a guardarla negli occhi.
“Insomma... che non lo frequentassi.” Sputò velocemente, sebbene se ne pentì subito dopo. Il suo istinto di padre gli diceva d’avvertirla che quel tipo non gli piaceva, che lei meritava di più, ma nonostante ciò, sentiva comunque che stesse sbagliando.
“Ma cosa stai dicendo!?”
“Ran...” la interpellò, come per prepararsi un discorso. “Lo so che alla tua età ci si sente pieni di vita, con gli ormoni in subbuglio,” tossicchiò a quella voce dell’elenco “che si ha voglia di provare, di fare esperienze, ma secondo me quel tipo non fa per te. Insomma, non c’è mai e non sai cosa fa e dove sta, compare e scompare all’improvviso... a mio parere... meriti di meglio...”
Restò ad ascoltarlo incredula, senza parole. “Papà, decido io cosa è meglio per me!”
“No, sei troppo piccola per decidere, non riesci a capire!”
“Capire cosa!?” gli chiese di rimando, certa che lui non avesse la risposta. “Decidere cosa?!”
Kogoro sbuffò ancora, dovendogliene dare atto. Effettivamente, lui non capiva granché di persone giuste e non. Era innamorato da sempre di una donna, ma per orgoglio e testardaggine, non riusciva a confessarglielo. Chi era lui per dare consigli ad una ragazza? Insomma, una ragazza come sua figlia: così dolce e gentile, aperta e disponibile a tutti, fotocopia della madre ringiovanita... che un simile angelo che correva appresso ad un ragazzino qualunque, non gli garbava.
“Stasera non ci sono... preparatela tu, la cena!”
E cacciando fuori tutta l’aria che aveva nei polmoni, raccolse la borsa e filò dritta di sopra, senza salutarlo.
Kogoro la guardò andarsene: gli sembrò Eri da giovane. Era cresciuta, doveva pur rendersene conto.
Ma lei, lei era troppo piccola per rendersi conto di quanto lui le volesse bene, quanto fosse preoccupato, e quanto, forse, fosse anche un po’ geloso.
- Aspetta... che significa che devo prepararmi io la cena?! -  
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“Ciao Shinichi!”
Il professore Agasa spalancò l’entrata, ed accolse con grande gioia il suo giovane amico; lo invitò ad entrare, e gli offrì un bicchiere di tè che il detective accettò molto volentieri. Si sedette alla scrivania, facendo dondolare leggermente le gambe avanti e indietro, in attesa che Haibara, terminati gli studi, gli svelasse cosa gli stesse accadendo.
“Ha scoperto qualcosa?” domandò speranzoso all’amico anziano, che deglutendo il tè, annuì leggermente col capo.
“Sì, e mi è costato un giorno di elementari.”
Dal seminterrato, ormai immerso nel buio, salì con flemma la ragazzina dai capelli ramati; il camice bianco addosso, e qualche foglio tra le mani esili e piccole, le donavano un senso di professionalità che spesso mancava anche ai migliori professionisti.
Shinichi ridacchiò, osservandola. “Povera... oggi dovevano spiegare le moltiplicazioni. Come potrai mai recuperare?”
Ma Ai gli regalò un’occhiata truce, che tentò, invano, di smorzare quell’entusiasmo. Ci avrebbe scommesso milioni di yen che riavere il suo corpo originale gli avrebbe innalzato l’umore alla stelle, ma sperò solo che tutto ciò non potesse ritorcergli contro.
“Taci Kudo. Ho passato una mattinata a cercare di capire cosa ti sta succedendo, e i risultati non sono dei migliori.”
“Beh, ho il mio corpo... qualsiasi notizia sembrerà più bella di quella che è realmente.”
Lei sbuffò, porgendogli i fogli bianchi che aveva in mano.
“Questi sono articoli di giornale riguardo il lago del villaggio Higashi-Okuho dove ti sei fatto quel bel bagnetto.” Lo avvisò, mentre Shinichi leggeva distrattamente le informazioni che più gli saltavano agli occhi. “Hai bevuto quando sei caduto?”
Lui annuì, senza alzare il capo.
“L’acqua di quel lago ha un’eccessiva percentuale d’azoto e di fosforo per millimetro cubo. Ingerendone, l’azoto ha la capacità di rallentare la pressione sanguigna, e di conseguenza, diminuire i processi intermolecolari. Ogni volta che prendi un antidoto, esso combatte con gli anticorpi che l’apotoxina ha formato, fallendo miseramente. Ma essendo i processi rallentati, allo stesso modo l’aptx ha perso... come dire...” ci pensò un attimo su, guardando in alto. “...energia. La prima volta è riuscita a
vincere, ma la seconda volta si è ritrovata indebolita.”
“Ciò vuol dire che finalmente avrò per sempre il mio corpo?” si illuminò Shinichi, entusiasta.
“No. Anche in questo momento i tuoi anticorpi stanno lottando per la vittoria, e quindi...”
“Da un momento all’altro potrei tornare Conan.” Completò la frase il detective, mutando il tono.
Lei annuì, osservandolo. “Però, sulla base di ciò, potrei sperimentare un nuovo antidoto, che potrebbe essere quello definitivo.”
Shinichi sorrise di nuovo, poggiando i fogli sul bancone. “Davvero? Ma è una bellissima notizia!”
“Sì, ma...” s’incupì lei, abbassando il capo. “Come i nitrati e i nitriti reagiscono con l'emoglobina, causando la diminuzione della capacità di trasporto dell'ossigeno del sangue... l’azoto ha un’alta capacità di formazione delle nitrosammine, che sono note come...” si fermò un attimo, mordicchiandosi il labbro. “...una delle cause più comuni di cancro.”
“E allora?”
Lei spalancò le palpebre. “Ma come? Avrai il tuo corpo, ma potresti morire di tumore!”
Lui sorrise, spavaldo. “Non mi interessa.”
“Shinichi...” lo chiamò il dottore, con preoccupazione. “Ragiona... potresti continuare la tua vita da Conan, crescere e riavere comunque il tuo corpo...”
Lui scosse il capo, sorridendo. “No. Non se ne parla. Mi sarei arreso.”
“Come?”
“Io non voglio riavere il mio corpo, ma la mia vita. E’ il mio obiettivo, proprio come quello di sbattere in galera quei bastardi dell’organizzazione. E come un sogno, necessita d’essere raggiunto. Non mi arrenderò, nemmeno di fronte alla paura.”
Ai sospirò, incrociando le braccia.
“Riavrò il mio corpo anche a costo di dover combattere un cancro. Io non sono un codardo, non scapperò dal mio destino.”
La scienziata sorrise; quelle parole le aveva già sentite.
“L’antidoto potrebbe non funzionare.” Lo avvisò, tagliente.
“Non mi interessa, ci proverò di nuovo.”
“L’antidoto potrebbe alterare dei meccanismi del tuo corpo.”
“Non mi interessa, lo ha già fatto l’aptx.”
“L’antidoto potrebbe farti morire direttamente.” Continuò Ai, quasi volendo testare la sua tenacia.
“Non mi interessa vivere...” Sorrise: il suo pensiero andò a Ran. “...se non da Shinichi Kudo.”
 
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- Che nervi! -
Salendo velocemente le scale, Ran sfogò la sua rabbia nei pugni, stringendoli con violenza, fino a far sbiancare le nocche.
- Come può credere di gestire la mia vita!? La mia vita! -
Estraendo il cellulare dalla tasca destra, ne scrutò l’orario sul display: erano le 17 passate. Sullo sfondo una foto di lei e Sonoko impostata dall’ereditiera, con dietro i fuochi d’artificio di fine anno che illuminavano i loro volti di mille colori accesi. Riguardando l’immagine, le venne una gran voglia di chiamare l’amica, e consolarsi tra le sue parole; ma ripensando a ciò che le aveva detto il padre, e al parere che la Suzuki avesse di Shinichi, pensò che forse non fosse proprio la persona adatta a calmare gli animi.
Disfacendo lo zaino sulla scrivania, ne mise a posto il contenuto. Ma tra un libro ed una matita, cadde a terra l’unica cosa che aveva avuto il potere di turbarla seriamente quella mattina, e che l’aveva attratta così violentemente che non poté fare a meno di appropriarsene.
L’amuleto di Heiji le sussurrò ciò che il suo cuore avrebbe voluto sentire; e le regalò la forza che da sempre avrebbe voluto avere.
- Ok, la chiamo... la chiamo... -
 
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‘Gli occhiali da sole gli davano un’aria più seria’ aveva sempre ripetuto a se stesso. Non li dimenticava mai, e ne aveva anche un paio di scorta, casomai si rompessero. Li apprezzava perché gli permettevano di osservare il mondo con quel velo di nero e d’oscurità che da sempre l’attraeva e lo spingeva a sentirsi più sicuro e più forte – era quello di cui si convinceva sempre. Vetri neri, non per ripararsi dal sole ma per combatterlo, perché secondo lui, la vera energia risiedeva nell’oscurità. Quel giorno camminò a piedi per la capitale, poiché, dovendo svolgere un servizio di poco conto, aveva preferito lasciare il suo capo nella loro tana, affinché non si scomodasse. E mentre il vento gli tagliava il viso, notò, in un ammucchio di giornali e riviste, un quotidiano nazionale, dalla prima pagina dedicata ad un caso strano ed ambiguo. Si avvicinò di più, ed afferrandolo, con le mani cominciò a leggerlo. Avrebbe voluto farlo solo con la mente, ma i pensieri guizzarono così veloci che fuoriuscirono da essa.
“Shinichi Kudo e il suo sosia: l’amarezza degli equivoci” recitava la testata nera, al centro del foglio. Rimase a bocca aperta nel fissare l’immagine che ritraeva il detective.
Era quel ragazzo, quello di quella notte.
Velocemente prese il cellulare e compose un numero, allontanandosi dall’edicolante. Scambiò alcune parole col suo interlocutore, e si impegnò parecchio nel scandirle: dovevano essere dirette.
“Sono Vodka. Preparami la cartella di Kudo Shinichi.”

 
 
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Precisazioni:
* “Anche io ho delle cose da chiederti e da dirti... / sono le stesse che tu vorresti chiedere a me...”: Volume 63, File 1.
 

 
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Eccomi gente!!!!
Allora? Come sono andate le varie abbuffate, Natale, e i regali? Spero tutto bene... anche perché a me è andato tutto una schifezza XD
Alla Vigilia ho fatto un incidente stradale insieme al mio ragazzo... siamo usciti quasi illesi, ma la macchina è distrutta... va beh, cose che accadono.
Ritornando a cose più belle, parliamo del secondo capitolo :D Allora, cosa ne pensate? Partendo dal principio, Shinichi e Ran hanno i loro momenti dolci... Shinichi la invita a casa sua... cosa vorrà fare? ;) Ran litiga con Kogoro, che non sostiene Shinichi... Ai chiarisce meglio la situazione riguardo l’antidoto e ciò che potrebbe accadere e... dulcis in fundo, Vodka legge l’articolo. Cosa accadrà? Si prevedono guai!!!!
 
Ringrazio infinitamente shinichi e ran amore, LunaRebirth_, Hoshi Kudo, Nana Kudo, Martins, Junna, aoko_90, Delia23 e arya_drottningu per aver recensito il primo capitolo!
E a ciccia98 (ehilà!!! Da quanto tempo!!!) per aver inserito la storia tra le preferite, Kilamya per averla inserita nelle ricordate e... GiulyIchigo, ChibiRoby, Junna e Kirito per aver inserito la storia tra le seguite!!!
 
Ci vediamo al terzo, e mi raccomando, recensite!!!
A big kiss!
 
Tonia

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Capitolo 4
*** I suoi perché ***


 
Your Lies

3.
I suoi perché
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Perché lo stava facendo?
Non credeva forse di fidarsi di lui, ciecamente? Eppure, ogni volta che Shinichi le regalava quei sorrisi così belli da mozzare il fiato, e quelle frasi talmente semplici da impiantarsi nel cervello, aveva paura che dietro l’angolo si nascondesse la più brutta delle menzogne, pronta ad agguantarsi alle sue parole, e pomparle di finte speranze. Che fosse perché doveva farlo o no, Ran sospettava che nascondesse qualcosa di tremendo dietro quella maschera di ghiaccio che, ormai, si era abituato a portare. Ed era lì che l’attanagliava il dubbio. Doveva scoprire cosa gli stesse accadendo, o lasciare che fosse lui, un giorno, a volerglielo spiegare?
E se, quel giorno poi, fosse stato troppo tardi per aiutarlo?
“Sì, quel ragazzino mi ha fatto sfasciare l’auto...” ribadì il concetto, come se tutte le volte che l’aveva fatto non fossero bastate. “Non mi sorprenderei che si cacciasse in qualche altro guaio.”
Le parole di suo padre le risuonarono con violenza nella mente, martellandola.
- Qualche altro guaio... - alzò gli occhi al cielo, mentre una lacrima andò a gonfiarle le palpebre arrossate. - Shinichi... perché? -
 
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Attraversò il corridoio grigiastro velocemente, udendo il rumore dei suoi stessi passi morire sotto le suole delle sue scarpe. La luce che proveniva dalla finestra alla fine della piccola galleria lo accecò, ma dovette sopportarla per poco: all’angolo, svoltò a sinistra, ritrovandosi di fronte ad una porta blindata in ferro massiccio. Aprì ai suoi occhi un ambiente ampio e tetro, particolarmente buio. Si sentiva già a suo agio.
Si avvicinò all’uomo che sostava vicino ad uno scaffale abnorme, di un’altezza smisurata, che sembrasse toccare cielo; l’addetto ai fascicoli era minuto e miope, ed anche un po’ astigmatico da quando lavorava lì. Per lui, un po’ di luce non avrebbe guastato.
“Allora? L’ha preparata?”
Gli si rivolse con un tono fermo ed autoritario, che lo fece vibrare di paura.
“Sì” A dispetto del corpo, la voce era molto marcata. “Kudo Shinichi, giusto?”
Vodka annuì con un leggero ed impercettibile movimento del capo, ed attese che l’addetto ai fascicoli gli passasse la cartella con tutti i dati relativi alla morte di quel ragazzo.
Sfogliò le pagine con violenza, sino ad arrivare a quella che più gli interessava: la certificazione della sua morte.
Con l’indice s’aiutò a leggere, facendolo scorrere verso il basso come una guida da seguire nell’oscurità.
- Il primo rilievo, effettuato a domicilio, non presenta alcuna... -lesse in mente velocemente, sorvolando le parti.
- In data, è stato effettuato un secondo rilievo a domicilio, trenta giorni dopo la prima perizia. L’abitazione presenta chiari sintomi d’abbandono: polvere e odori di chiuso la dominano, finestre semiaperte. In luce di ciò e di quanto già annotato la scorsa, in seguito all’ingerimento dell’apotoxina 4869, da me sperimentata, certifico la morte di Kudo Shinichi - si fermò un attimo, tornò indietro con l’indice e rilesse, per convincersi meglio.
- ...certifico la morte di Kudo Shinichi. Dott.ssa Miyano Shiho -
Spalancò gli occhi, e dalla sorpresa fece precipitare il fascicolo a terra. Proprio come ricordava...
- Dannata Sherry! -
 
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Lo squillo muto della chiamata la snervò. Afferrò una ciocca di capelli e la attorcigliò attorno all’indice, creando dei boccoli nell’aria. Quanto tempo ancora c’avrebbe messo Kazuha a rispondere?
- Lo faccio o non lo faccio? -si chiese, mordicchiandosi un labbro e saltellando su se stessa. Non riusciva a rimanere ferma. - Va bene, cerco solo conferma... solo conferma... -
Conferma di una pazzia, come la chiamava lei. Di qualcosa di sovrannaturale ed impensabile, di impossibile. Eppure, quei dubbi, i suoi dubbi, s’alimentavano ogni giorno di più, affamandosi di coincidenze impreviste. Ma lei credeva al destino, e non al caso.
“Ehi Ran!”
La giovane di Osaka aveva riconosciuto il numero, e sembrava felice di sentirla. Ma il tono di voce della karateka tradiva tutte le promesse che s’era fatta. Era decisamente agitata...
“Ehi Kazuha...” esitò un attimo, deglutendo il nervosismo. “Tutto bene?”
“Certo!”le confermò entusiasta. “A parte l’idiota di Heiji, ma è roba di tutti i giorni...”
La Mouri inarcò un sopracciglio, incuriosendosi. “Che altro succede?” chiese, provando a rilasciare un tono divertito che non facesse insospettire l’amica.
“Mah, niente!”replicò seccata la mora. “Stamattina mi ha lasciata all’aeroporto da sola, perché lui doveva partire prima... con Conan!” decretò poi, ancora incredula.
“Ah, sì...” annuì esitando un po’ e serrando le palpebre Ran. Era arrivata al punto senza dover fiatare... “Nemmeno io sapevo di questa malattia, ma... tu l’hai visto?” le chiese diretta.
“L’hai visto Conan?” Aggiunse poi, con più decisione.
“Ehm no, Ran. Heiji è partito alle cinque e mezza da Tokyo, io ho preso l’aereo che doveva prendere anche lui, alle sette. Quando sono arrivata ad Osaka, mi ha detto che Conan era già in clinica per vari accertamenti. E purtroppo la clinica è lontana dal centro, e se non mi accompagna Heiji in moto, non posso andarci...”la informò, leggermente rattristata. “Comunque Heiji mi ha detto che non è nulla di grave, e che si cura facilmente! Non preoccuparti!”
“Per fortuna, a quanto pare...” Ran chiuse le palpebre, sospirando. “Nemmeno io posso andare a trovarlo, è periodo d’esami a scuola...” continuò a mordicchiarsi il labbro con i denti, tentando di scaricare i suoi dubbi sulla sua bocca. “Se casomai vai... mi avvisi?”
“Certo! Anzi, domani tartasso l’idiota e lo obbligo ad accompagnarmi, così vedo come sta!”
L’amica ridacchiò per il nomignolo, rilasciando un nuovo sospiro. “E puoi mandarmi anche una foto?” le chiese, quasi con timore. A cosa stava arrivando... “Di Conan?”
Kazuha annuì, ma lei non poté vederla. “Non preoccuparti molto però! Sta bene, ne sono sicura!”
“Lo so, lui è forte...”
Di questo, Ran, ne era certa. Ma lei stessa non riuscì capire a quale ‘lui’ si fosse riferita.
 
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Si specchiò per qualche minuto, non ben convinta che quello fosse l’abbigliamento adatto per quella serata così speciale ed attesa. Tutto doveva essere perfetto, ma nulla le sembrò andare per il verso giusto. I jeans erano troppo stretti e sportivi, i top forse un po’ troppo scollati, i tacchi troppo alti: alla fine optò per un vestitino nero e un foulard rosso a coprirle il petto. Calze trasparenti e dei stivaletti neri bassi a combinare il tutto. Sul viso solo un po’ di fard e lucidalabbra.
Continuò a scrutarsi allo specchio, tentando di allentare la tensione con leggeri movimenti del capo; da quanto tempo lei e Shinichi non si concedevano una serata tutta per loro? E perché aveva il presentimento che quella non sarebbe stata la semplice cena tra due vecchi amici?
Erano cambiati, erano cresciuti e maturati. E mai aveva sentito che quel detective l’attraesse così tanto come quella stessa mattina in classe, quando si erano ritrovati a pochi centimetri di distanza senza nemmeno accorgersene. Lo aveva visto uomo, e non più semplicemente Shinichi; e lei si era sentita donna, e non più soltanto Ran.
Ma quello sguardo assente e stanco non le era passato inosservato; negli occhi dell’investigatore non vi era più la luce di una volta, quella della spensieratezza e della gioia di emergere. Lei lo conosceva, e sapeva che stesse nascondendo, con tutte le sue forze, qualcosa di tremendo.
Lanciò uno sguardo alla foto che aveva riposto sulla scrivania. Li ritraeva insieme, al Tropical Land, quella sera dove tutto cominciò e finì. Dove cominciarono le domande, e finirono le risposte.
Così, col cuore palpitante d’emozione, strinse le mani in pugni e rilasciò andare un sospiro.
Era pronta ad affrontarlo, pronta a crederlo, pronta ad avere le sue risposte.
 
•••
 
Al suono del campanello sussultò, rendendosi improvvisamente conto di quanto Ran fosse, finalmente, vicina. Probabilmente, pensò, lo stava aspettando dinanzi alla porta con le gambe tremolanti e il respiro affannoso, impaziente nel chiedersi quanto ci mettesse ad aprire. O meglio, lo sperò.
Perché aveva progettato quella serata affinché fosse indimenticabile, talmente tanto da desiderarne una uguale ogni sera che sarebbe venuta; affinché fosse il ricordo dove andare a cercare riparo e dolcezza nei momenti più bui e tristi che la loro vita avrebbe affrontato.
Nell’istante in cui Shinichi aprì il portone, Ran s’imbambolò a fissarlo, per l’ennesima volta. Dapprima gustò il suo fisico, fasciato in una camicia bianca leggermente sbottonata sul petto, dalle maniche arrotolate sino ai gomiti, e in jeans chiari con qualche strappo in corrispondenza dei ginocchi. I muscoli allenati ben visibili, ed il viso, scevro di imperfezioni, contratto in uno splendido sorriso, di cui non poté fare a meno d’innamorarsi. Anche lui la scrutò per qualche attimo, incapace a formulare frasi concrete che non trapelassero l’emozione che provava ad averla lì, con sé, a casa sua.
- E’ bellissimo... -
- E’ bellissima... -
Entrambi lo ammisero a loro stessi, senza però darne atto alla bocca. Dalle labbra del detective, però, nacque un nuovo risolino, che provò a smorzare la tensione che si era posata nell’aria.
“Mhm... che dici? Entriamo o ceniamo qui fuori?”
Lei dapprima arrossì, per poi lasciarsi andare ad un sorriso. “Entriamo, non vorrei prendermi un’influenza.”
Lui, sebbene sapesse che non ne avesse bisogno, le fece strada sino alla cucina. Ran inspirò il profumo che proveniva dalle pentole, ed immediatamente ne intuì la fragranza.
“Cena a base di pesce, eh?”
Shinichi sorrise, convinto. Sapeva quanto Ran amasse quei piatti marini; lo aveva capito durante la sua convivenza dai Mouri come Conan, ma si guardò bene dal rivelarglielo. Così, ispirandosi alla madre, finse:
“Non ti piace?”
Lei guizzò, illuminandosi. “Scherzi? Adoro!”
Poi, d’un tratto, s’incupì. Era una coincidenza che lui le avesse preparato i suoi piatti preferiti, o lo sapeva per altri motivi? Ed era giusto supporre che ne fosse a conoscenza, perché lui, in fondo, era vissuto con lei per un bel periodo? Scosse il capo, tentando di scacciare quei pensieri. Eppure non faceva che pensarci: Conan e Shinichi... così simili da sembrare la stessa persona. Compariva uno e scompariva l’altro, come due faccia di una stessa medaglia.
Ma era davvero possibile concepire un’idea del genere, in natura?
“Ran?”
L’amico la richiamò, facendola sobbalzare. “Tutto apposto?” aggiunse, leggermente preoccupato.
“Sì, sì” si passò una mano fra i capelli, azzardando un sorrisetto stentato.
“Pensavo... che, insomma, hai preparato proprio i miei piatti preferiti...” rise nel frattempo, come per mascherare il sospetto. Ma Shinichi colse a volo il senso vero della frase, e quasi sbiancò.
“Beh, dai... ti conosco abbastanza da sapere cosa ti piace e cosa no.” Quella frase risultò talmente convincente da persuadere anche se stesso.
“Sì, questo è vero.” Annuì lei, ma il dubbio non scemò via. Anzi, s’impiantò col cemento nella parte più in vista del suo cervello, come un post-it sul frigo.
Tentò di staccarlo con forza, ma fallì. Doveva chiarire, doveva avere le sue risposte. Doveva sedare i suoi dubbi, una volta per tutte.
Sedendosi a tavola, permise che Shinichi la servisse: le porse un bicchiere d’aperitivo giallastro molto dolce, che lei bevve con grande voglia. Sapeva d’arancio.
“Shinichi... hai per caso chiamato Conan?”
Il detective sussultò, ma fortunatamente poté fingersi impegnato nel girare la pasta.
“Mhm... sì.” Finse ancora, grattandosi una tempia. “Mi ha detto che i medici sono molto bravi, e le infermiere tanto disponibili. Gli hanno già somministrato una cura...” e mentre parlava si rese conto di quanto quella scusa fosse folle. “Quindi, probabilmente, guarirà molto presto...” il tono s’abbassò, come se gli dispiacesse tale eventualità.
Ran non fiatò per qualche minuto, senza sapere cosa rispondergli. Poi le guizzò un’idea in mente, che dovette necessariamente assecondare.
“Vorrei chiamarlo anche io...” gli confidò, prendendo il cellulare dalla borsa. “Ho bisogno di sentirlo...”
Shinichi si voltò di scatto. “Ora?!”
“Sì, purtroppo oggi non ho avuto tempo e...”
“Non puoi!” La bloccò, senza nemmeno lasciarle completare la frase.
Lei inarcò un sopracciglio, incuriosita. “E perché?”
Lui esitò solo un attimo. “E’ tardi! Sì, mi ha detto che lo fanno addormentare molto presto, e adesso starà già dormendo...”
Poi, Shinichi, si rilasciò andare ad uno starnuto. Il raffreddore non voleva proprio passare...
Ran girò il capo e guardò l’orologio. “Alle nove e dieci?”
“Sì, è un bambino di sette anni... ha bisogno di dormire...” finse, sperando che quella conversazione si concludesse quanto prima possibile. Ran obiettò, non concorde.
“Ma se Conan prima delle undici non si è mai addormentato!”
L’investigatore lo sapeva bene, ma come spiegarglielo?
“Beh, ma lì ha delle regole da seguire... non può fare i suoi comodi, no?”
Ran sospirò, stufa. I dubbi crescevano e l’istinto  le suggeriva di non credergli: stava, probabilmente, raccontando nuovamente un mare di bugie. Cambiò così discorso, ma che aveva sempre lo stesso fine. Quello di indurlo a dirle la verità.
“Comunque io oggi ho chiamato Kazuha... mi ha detto che domani andrà a visitarlo.”
Shinichi sbiancò di nuovo, stando ben attento a non voltarsi, obbligandosi così a guardarla negli occhi. Era sicuro che, in quel caso, non sarebbe riuscito a mentirle.
“Ah, davvero?” provò un tono felice, ma invano.
“Sì, ha detto che mi manderà anche una foto...” lo avvisò, ma le sue frasi tendevano a somigliare a frecce che scoccavano dalla sua bocca per colpirlo in pieno petto. Shinichi sospirò, per poi mordicchiarsi un labbro. Ran era decisamente strana...“Mi manca molto, desidero rivederlo...”
“Sono sicuro che lo rivedrai prima di quanto tu creda...”  Stavolta la frase gli uscì volontariamente cupa. In effetti, non sapeva nemmeno lui quando sarebbe ritornato ad essere un moccioso; sperava che fosse più tardi possibile, ma sapeva che sarebbe potuto accadere da un momento all’altro: anche lì, di fronte a lei.
“E tu scomparirai, giusto?”
Shinichi si sentì come colpito da un cannone in pieno mare, dove non si intravedevano isole su cui salvarsi. Fu obbligato anche a guardarla nel frattempo: la pasta era cotta, e dovette servirla nei piatti.
“Che stai dicendo?” rise, fingendosi ignaro, mentre le pose davanti la sua porzione.
“Che quando Conan tornerà, tu andrai via.” Il tono fu sempre più convinto, ma Shinichi non poté nemmeno cominciare a mangiare. Ran gli aveva afferrato il braccio, e con forza lo tratteneva a sé. Non voleva che scappasse da lei.
“E’ vero, Shinichi? Andrai via?” Stavolta, la voce della karateka, si sfumò di lacrime, che cominciarono a scenderle una ad una sul viso. Il detective la osservò, senza riuscire a proferire parola. Sentì solo lo stomaco attorcigliarsi su se stesso, causandogli una fitta all’addome, e le mani accaldarsi. Il sangue, infatti, cominciò a scorrere più velocemente nel suo corpo, spinto dalla tensione e dagli occhi umidi della sua amica, che gli imploravano di rivelarle la verità.
Ma lui non poteva... non poteva metterla in pericolo.
“Non ti sto capendo...” rise, osservandola distratto.
“Ah no?” cominciò ad innervosirsi. “Pensi che io sia un’idiota? Pensi che non mi sia accorta di niente?”
“Ran... non, so, di, cosa, tu, stia, parlando!” scandì le parole una dopo l’altra, come per rafforzare il concetto.
“Invece lo sai benissimo...” replicò convinta. “Non capisco perché tu non me lo dica però, cosa ti sta succedendo? Dimmelo...”
Lui non fiatò, scosso. La serata non  stava prendendo proprio la piega desiderata...
“Dimmelo Shinichi...”
Alzandosi, Ran si aggrappò alla sua camicia, stringendo il tessuto bianco fra le dita esili. Col viso rivolto verso gli occhi di lui, sperava invano di strappargli qualche parola di bocca, anche un piccola ma grande confessione.
“Non so cosa dirti.” Continuò a mentire lui, imperterrito.
Lei si distanziò, lasciando andare la camicia, ma si fermò dopo qualche secondo. Ad un metro da lui.
“Ok.” Annuì, non contenta. “Spiegami perché tu e Conan siete così simili, perché un bambino di sette anni è così intelligente, perché sembra così adulto, ma soprattutto... perché... quando non c’è lui, ci sei tu!”
Lui rise, come se stesse ascoltando un discorso da folli. “Ancora con questa storia? Ran ma ti sembra normale pensare che io possa essere un moccioso? E poi non è vero ciò che dici... alla recita c’eravamo entrambi!” Si fece forte di quel ricordo, tentando di convincerla a desistere. Gli faceva male mentirle, ma cosa poteva fare di più per proteggerla? Per tenerla al sicuro da quegli uomini?
“Da te ci si può aspettare di tutto!” Replicò diretta lei, mantenendosi i fianchi con le mani.
Lui rise ancora, ma quel sorriso spavaldo, per quanto le piacesse, la fece stizzire. Lui non sembrava prenderla sul serio...
“Ok che credi nei fantasmi e nei mostri, ma pensare che un corpo si possa ristringere a proprio piacimento è assurdo Ran.”
“Non ridere, io sono serissima!” Lo rimbeccò, rossa dalla rabbia.
“Anche io sono serio.” Continuò ad usare il riso come maschera: gli era più facile mentirle.
“E allora dammi delle risposte serie!” I toni si stavano alzando pian piano, e quella serata così speciale si stava tramutando in litigio colossale.
“Alle tue domande folli!?”
“Alle mie domande sensate!”
Lui sbuffò, seccato. “Ran, per favore, non roviniamo la serata eh...”
Stavolta fu lei a deriderlo. “Ah, certo, hai finito le scuse, detective dei miei stivali?”
Nessuna strada, se non quella di deriderla ancora. “Scuse? Ma su cosa dovrei mentirti?”
“Sul fatto che ti puoi trasformare in un bambino di sette anni a tuo piacimento!”
“Wow, sapevo di saper fare molto... ma questo mi mancava.” Emise un tono vanitoso, che fece imbestialire ancora di più l’amica.
“Tu sai solo mentire!” Lo accusò, furibonda.
“Ancora?!” rise nuovamente, fingendosi anche irritato per la sua insistenza.
“Sì, oltre a rimpicciolirti!”
“Ho poteri magici, dunque?” Si avvicinò col viso a quello di lei, lasciando che a separarli fossero solo qualche centimetro.
“Smettila di fare l’idiota e dimmi perché ci sono tutte queste coincidenze!”
“La pasta si raffredda...” provò a cambiare discorso, girando il capo altrove.
“Perché Shinichi?!” gli ripeté, ignorandolo  e riavvicinandosi.
“Perché fa freddo ed il calore si disperde.” Le rispose lui, convinto.
Fu in quel momento che sentì il sincero bisogno di tirargli un calcio nello stomaco che lo lasciasse al pavimento inerme per diverse ore, ma ci rinunciò. In fondo, le serviva sveglio.
“Smettila di dire idiozie!”
“Smettila tu!” Ma il tono del detective le sembrò troppo duro, che la giovane si allontanò d’istinto.
Perché si comportava così? Perché continuava a deriderla?
“Perché... non ti interessa più nulla di me?”
Shinichi si voltò a guardarla: stava piangendo di nuovo. Anche la voce era tremolante e singhiozzante, e le mani strette in pugni bianchi.
“Perché dopo tutto quello che abbiamo passato non mi dici nulla? Perché non ti fidi di me, non ti confidi con me?” aggiunse poi, mentre dagli occhi solcavano lacrime calde che si infrangevano sulle labbra secche.
“Perché mi ignori? perché mi menti?”
Sospirò pesantemente, deglutendo.
“Ran...”
“Io ci tengo a te, Shinichi... ci tengo più di quanto pensassi...” arrossì a quelle parole, ma non ci diede peso. Al momento non aveva altro per la mente che le sue domande, le sue richieste.
“Perché mi fai tutto questo male?!” continuò a singhiozzare, tremolante.
“Fa male senza di te. Fa male da morire...” abbassò il capo, osservando il pavimento. “Da mor...”
Ma non riuscì a completare la frase, che sentì due dita alzarle il mento e due labbra scontrarsi sulle sue, umide di lacrime. E quel tocco, così morbido e caldo, riuscì a mozzarle il fiato. Si sentì svenire, e quando Shinichi le cinse i fianchi con le braccia, attraendola al suo corpo tremolante, pregò Dio che il ragazzo non s’accorgesse del suo cuore palpitante ed irrequieto nello sterno.
Per qualche istante rimase immobile, con palpebre spalancate ed occhi fissi, incapace a compiere alcun movimento.
Ma quando sentì le loro lingue, ancora più calde, scontrarsi nelle loro bocche, si destò.
Non volle più né domande né risposte. I problemi sembrarono svanire, e forse, come in un gioco di prestigio, lo fecero davvero.
E la magia, in quel momento, era il loro primo vero bacio.

 
 
 
•••
 
Ciao cari!!!! Olè!!! Regalino di inizio 2013! *_*
Esattamente un anno fa pubblicai il primo capitolo di Vivere d’emozioni, e adesso, i due, sono alle prese con il loro PRIMO BACIO. Eh sì, chi s’aspettava che ci riuscissero davvero? Molti di voi dubitavano della mia buona fede, ma mica voglio sempre torturarli sti ragazzi certo che lo farò!
Però, sono belli eh? *___* Prima litigano, e poi, Shinichi, incapace a risponderle come si deve, le dimostra che in realtà, a lei ci tiene, eccome se ci tiene!!!
Qualcuno mi procuri uno Shinichi in pelle ed ossa!! Lo faccia!!! *_____________________* :Q__________
Gosho, dannato Gosho, è colpa tua se c’ho sta fissa xD Dannato, non potevi renderlo meno bello? Meno intelligente? Meno figo? Meno LUI?!?
Ehm, torniamo seri XD
Oh *_* Sono belli eh? Lo so, l’ho già detto, ma io adoro questi momenti.
Pregusto già cosa avverrà dopo Ehm, dicevo, che li amo troppo e, attraverso Ran, godo anch’io XDD
 
A parte loro, Ran ha chiamato anche Kazuha. Non sembra proprio starci alla scusa che si sono inventati Hattori e Kudo, sebbene l’abbiano pensata per bene! *se va beh, cerca di difenderli*
Lei sospetta che lui sia Conan, arriverà alla verità? E chi lo sa....
Shinichi quante altre bugie si inventerà? Ma soprattutto... Vodka, cosa deciderà di fare adesso che ha capito che a falsificare la morte è stata Sherry?
 
Se volete sapere questo, altro, e come si comporteranno i due piccioncini dopo il bacio (*____*) continuate a seguirmi!!!
 
Ah, a proposito, grazie miliardi di volte a shinichi e ran amore, LunaRebirth_, Hoshi Kudo, Nana Kudo, Martins, Kaori_, J_angel, aoko_90, Delia23, ciccia98 e arya_drottningu per aver recensito il secondo capitolo!!!
Grazie a bessielizzie per aver inserito la storia tra le preferite; E ad J_angel ed Hermione Claire Grenger per averla inserita tra le seguite!!!

 
ARIGATOU! <3
 
Un abbraccio a tutti!!!!
Anche a coloro che non commentano e leggono soltanto, vi auguro un buon 2013!
:*


xxx 
Tonia

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Capitolo 5
*** Il karate ***


 Your Lies

4.
Il karate
•••

 

Ma non riuscì a completare la frase, che sentì due dita alzarle il mento e due labbra scontrarsi sulle sue, umide di lacrime.
 
“Mouri?”
Ma quando avvertì le loro lingue, ancora più calde, scontrarsi nelle loro bocche, si destò.
“Mouri...”

“E’... è... è meglio che vada a casa. E’... è t-tardi...”
Lui convenne col capo abbassato, annuendo. I loro volti fiammanti, le loro mani tremanti e le loro pupille guizzanti su ogni cosa che avesse il potere di distrarli dalla presenza dell’altro; non potevano, o meglio, non osavano, guardarsi negli occhi. 
“C-certo. Vuoi che t’accompagna?” riuscì a chiederle lui, azzardando una certa gentilezza. Ed inoltre, addio cena: dopo quel bacio, gli si era chiuso lo stomaco a tripla mandata. E non solo a lui.
“No!” Replicò lei, brusca dall’imbarazzo. Poi gli regalò un mezzo sorriso, che provò ad allentare la tensione. “Non ce n’è bisogno.”
 
“Mouri!”
 
“A d-domani.”
Lei annuì debolmente, per poi chiudersi la porta in legno massiccio alle sue spalle.
Si accasciò ad essa per qualche secondo, lasciandosi andare ad un sorriso pieno di gioia.
- Mi ha baciata... mi ha baciata... MI HA BACIATA!! -
 
“MOURI?!?!?!”
I suoi ricordi vennero spezzati violentemente dall’ennesimo richiamo della professoressa, che, indispettita, aveva tentato inutilmente di riportarla al concreto, causando l’ilarità dei compagni. Ran sussultò al suono del suo cognome, ma si rese conto un po’ troppo tardi d’essersi immersa fin troppo nei suoi pensieri: l’intera classe stava ridendo di lei. Sperò solo che non lo stesse facendo anche Shinichi, ma non poté averne la prova; girarsi e guardare verso il suo banco, ed incrociare i suoi occhi cristallini, era l’ultima cosa che avesse voglia di fare.
“Sì?”
“Bentornata nel nostro mondo.”
Un’altra risata generale caratterizzò la classe intera, che altro non causò che arrossire ancora di più il viso già porpora della karateka.
“Mi... mi scusi.” Lo disse col capo basso e la mani ingiunte. “Mi... mi sono distratta.”
La stessa insegnante rise ancora. “Dopo pensi al fidanzatino... adesso stai attenta.”
Mai avrebbe potuto dire frase più inopportuna.
“Oooh! Mouri a Kudo ci pensi dopo!”
“Kudo, la tua mogliettina ti pensa sempre!”
“A quando le nozze, ragazzi?”
Ed ai commenti ilari di quei simpatici dei loro compagni di classe, s’intromise anche la professoressa. Pettegola come mai, quel giorno.
“Ah, tra Mouri e Kudo c’è del tenero?”
Le occhiate volarono tutte a loro due, che, col capo abbassato, si finsero ignari. Si alzò un coro di sfottò e risa, che, i due, tentarono di ignorare e di sorvolare. In fondo, c’erano abituati.
Ma comunque, al pensiero di quanto successo la sera prima, Ran desiderò con tutte le sue forze di scavarsi una fossa nel pavimento e scomparire per sempre dalla vista di tutti, Shinichi in primis. Il detective, a due banchi di distanza, col volto infiammato e le mani sudate sperò che quella giornata si concludesse quanto prima possibile, ma non senza esser riuscito a riparlarle di nuovo.
E quella, allora, sembrava l’impresa più ardua.
 
•••
 
“Capo...”
L’uomo dalla folta capigliatura argentea si voltò nella direzione del suo interlocutore lentamente, aiutandosi con un leggero movimento della sedia sulla quale era seduto. Un pull-over grigiastro a coprirgli il petto, e giacca e pantaloni rigorosamente neri a nasconderlo dal sole. Occhi agghiaccianti e vitrei, mani esili e contratte. In bocca una sigaretta, tra le dita un bicchiere di Gin, e nell’aria sbuffi di fumo ed alcol, che da sempre accompagnavano le sue giornate.
“Vodka...” pronunciò il nome con fievole stizza. “Ce ne hai messo di tempo.”
L’uomo più forzuto si sedette di fronte a lui, azzardando un sorrisetto compiaciuto; al suo capo sarebbero piaciute quelle notizie. Poggiando sul bancone i fascicoli appena consultati e il quotidiano dove vi era stampata la notizia, lasciò cadere un po’ di liquore anche nel suo bicchiere. Gli piaceva imitarlo.
“Ho avuto da fare capo.” Lo avvisò, come per scusarsi d’averlo fatto aspettare. “Ma ho speso bene il mio tempo.”
Gin lo osservò, e con gli occhi lo fulminò. “Lo spero.” Poi, buttando uno sguardo sui fascicoli, li agguantò. “Cosa sono?”
“Capo, ricordi quando ti dissi d’aver rivisto quello Shinichi Kudo sulla nave fantasma?”*
Il suo superiore continuò ad ascoltarlo, senza accennare a muoversi.
“Che era quello stesso ragazzo che l’aptx avrebbe dovuto uccidere al Tropical Land, quella sera di mesi fa?”
Gin contrasse i muscoli della faccia, simulando una smorfia. “Non mi piace l’avrebbe dovuto.”
“Non l’ha fatto, capo.” Gli indicò l’articolo di giornale dove, a caratteri neri e grossi, vi era stampato il nome del giovane detective. “Questo ragazzino è vivo e vegeto.”
A quelle parole, Gin concentrò l’ attenzione sulla cartella, ed afferrandola con violenza, fuggì repentino all’ultima pagina, dove vi era la certificazione della morte del ragazzo. Quasi attratto da una calamita invisibile, riuscì a cogliere le righe essenziali del discorso senza il minimo sforzo; perché non c’era bisogno che lui capisse cosa vi era scritto, dovevano essere le parole a spiegarsi per bene a lui.
“Oh, oh...” Sogghignò maligno, mentre nella mente gli si formò nitida e chiara l’immagine di quella donna dai capelli ramati che, per fortuna o per destino, era riuscita a sfuggirgli sempre.
“La caccia alla traditrice è conclusa...”
- A presto, Sherry... -
 
•••
 
La campanella decretò la fine del divertimento. I ragazzi quasi si dispiacquero di dover lasciare la classe e le risa, ma per cause di forza maggiore dovettero abbandonarla per forza, uno ad uno.
Shinichi e Ran ringraziarono all’unisono, senza donarsi il minimo sguardo.
Lui lanciò varie occhiate all’amica d’infanzia, ma non riuscì a muovere alcun passo verso di lei. Certo, il bacio era stato bellissimo, ma aveva fatto bene ad essere così diretto? Lui che non voleva che Ran soffrisse, s’era ritrovato ad essere vittima delle sue stesse ed incontrollabili passioni, decretando un brusco cambiamento alla loro relazione. Lei, poi, ci mise più del solito a sistemare lo zaino e i quaderni, poiché desiderava ardentemente avere più tempo a disposizione, per affrontare Shinichi: il loro rapporto, volente o nolente, dopo quel bacio, era mutato. Troppo.
Dove avrebbe trovato la forza di guardarlo in viso e non arrossire? Al solo pensiero delle loro lingue che si scontravano sulle loro labbra, riscaldando l’atmosfera di quella sera e di quella cena, il cuore le partiva di scatto, e cominciava a correre freneticamente senza alcuna meta. E quelle labbra erano così calde da riuscire a lasciarle una scia di fuoco fiammante, che s’alimentava al solo ricordo del bacio ed esplodeva nel momento in cui provasse a sfiorarsi le labbra, ancora umide...
E si ritrovò a pensare che tutto in lui fosse perfetto: i suoi occhi, le sue mani, il suo viso, la sua bocca, e la sua lingua...
“Ciao Mouri.”
Per fortuna riuscì a sentire al primo richiamo il suo cognome, stavolta. Ma sussultò nell’interrompere così bruscamente i suoi pensieri, e non riuscì a far altro che regalargli una smorfia di troppo.
“Eh?”
Lui non sembrò farci molto caso comunque, anzi, le regalò un nuovo sorriso che avrebbe fatto innamorare anche i cuori più freddi: certo, non il suo, che era già caldo da un po’.
“Ciao.” Ripeté lui di nuovo, sorridendo, e facendola sentire profondamente idiota. “Ti ricordi di me?”
Solo allora, Ran si rese conto di star parlando con quel ragazzo che le aveva chiesto allenamenti privati di karate; si destò, e tentò d’abbozzare un sorriso sincero, che potesse donarle una certa dignità.
“Oh, certo... certo. Yami...” inarcò un sopracciglio, tentando di ricordare. “Yami Saigo... giusto?”
Lui annuì dolcemente. “Chiamami pure Saigo.”
“Oh.” Si sentì nuovamente in imbarazzo lei. “Ok.”
“Sai, mi piace di più il mio nome” Le face la linguaccia, sorridente. “Ed io... posso chiamarti... Ran?”
Lei annuì, riuscendo a sorridere spontaneamente. “Certo che puoi!”
“Adoro utilizzare i nomi con i miei amici, mi fa sentire più a mio agio.”
La karateka annuì. “Posso capirti.”
“Beh, che dici? Andiamo adesso in palestra o hai da fare?” continuò velocemente e senza alcun imbarazzo lui. Era senz’altro un giovane abbastanza sicuro di sé e poco timido per approcciare così facilmente con una persona del sesso opposto, e forse per Ran era perfetto così: l’avrebbe aiutata a sciogliersi.
“No, possiamo andare adesso.” Lo informò, prendendo lo zaino da terra. “Dovrei solo avvisare...”
- Shinichi... - completò la frase in mente, arrossendo al solo suono del suo nome. Trovò, così, finalmente il coraggio d’alzare lo sguardo per ricercarlo, ma non trovò l’amico da nessuna parte. La classe era vuota.
- Shinichi... ? -
“Chi devi avvisare?”
Lei tornò in sé, leggermente delusa. “Oh... nessuno.”
- Se n’è andato... -
Non poteva certo sapere che, il suo geloso amico d’infanzia avesse ascoltato tutta la conversazione dietro lo stipite della porta, con le orecchie attaccate al legno e i pugni stretti dalla stizza. Non aveva ancora trovato il coraggio di parlarle faccia a faccia, ma a quel tipo due parole le avrebbe dette molto volentieri.  
- Ed io come dovrei chiamarti, eh? Imbecille ti piace, o preferisci idiota? -
 
•••
 
“Allora, direi che possiamo iniziare col riscaldamento, no?”
Ran aveva indossato lo gi da karateka*; l’abito le calzava a pennello, come se le fosse stato disegnato addosso: stretto nei punti giusti, e morbido in altri, le lasciava la piena comodità e bellezza. Bianco, con un cintura nera alla vita stretta, andava a risaltare la sua carnagione chiara ed i suoi occhi azzurrini.
Saigo la osservò avvicinarsi, dopo aver poggiato un asciugamano sui gradini della palestra, a fianco all’amica Sonoko: ne rimase affascinato.
“Sì, direi di sì.” Le sorrise, stringendosi nel suo, di gi, con un’infima cintura verde al stringerlo.
- Maestra più carina non potevo trovarla... -
“Ehi, Ran!”
I due atleti si voltarono all’unisono nella direzione degli spalti, dove Sonoko era intenta a sventolare la mano con insistenza, richiamando l’amica: voleva dirle qualcosa. Ran si scusò con Saigo, e velocemente la raggiunse, chinandosi sui fianchi. Il giovane osservò la scena rapito: anche da dietro non era male, la ragazza...
“Che c’è?”
L’ereditiera spalancò gli occhi, dipingendo un’espressione di gioia sul suo viso e sventolando lo gi all’amica.
“Chi cavolo è quel figo!?”
Ran inarcò un sopracciglio, stranita. “Ma chi?”
“Ma come chi! Quel ragazzo con cui ti stai allenando!”
“Ah, lui?” l’amica lo indicò con gli occhi, senza farsi notare. 
“Si chiama Saigo, mi ha chiesto il favore di dargli delle lezioni private di karate cosicché da raggiungere il livello di tutti gli altri al corso.”
Sonoko le regalò uno sguardo malizioso. “E il tuo maritino non è geloso?”
“SHINICHI NON E’ IL MIO MARITINO!” replicò, inevitabilmente arrossita. Ignorando la bellissima sensazione di sentir ancora la sua lingua esplorare la sua bocca, si concentrò di più sulla sua scomparsa: perché non le aveva parlato? Anche lui era in imbarazzo quanto lei, o c’era qualche altro motivo?
- Forse il bacio non gli è piaciuto... - pensò, colorandosi di rosso acceso, e cominciando ad avvertire un po’ di caldo.
“Ma chi ha parlato di Shinichi?” la canzonò l’ereditiera, fissando gli occhi sull’altro karateka. “Comunque se non lo vuoi, ci provo io.”
“Sonoko!” sbottò l’amica, facendo ridacchiare l’altra. “Hai già Kyogoku tu!”
“Ehi, mica posso aspettarlo per l’eternità?” le chiese con convinzione, come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
“Ci rinuncio” sbuffò, esasperata.
- Povero Makoto... - rifletté sospirando, ritornando a passo svelto dal suo allievo, che l’attendeva al centro della palestra con un sorriso dolcissimo ad illuminargli il viso. Si scusò nuovamente, ma, nel guardarlo bene non poté fare a meno di ammetterlo: effettivamente, era carino.
 
•••
 
“Allora...” giocherellò con una moneta, facendola roteare sul ripiano orizzontale. “Progressi?”
Ai neppure lo guardò; aveva gli occhi immersi nello schermo del computer di fronte a lei, e con le mani digitava velocemente alcune sequenze di parole. In alto, su uno sfondo blu, una scritta bianca alleggiava gloriosa, come una bandiera che si pone sulle vette più alte del mondo. Fece accapponare la pelle al detective, tanto chiara era: Antidoto Definitivo dell’Apotoxina4869.
“Al momento, nulla di importante.” Lo informò, continuando a tenere lo sguardo sui tasti. “I miei studi sono tutti sull’azoto: mi risulta davvero pericoloso somministrartelo a grandi quantità, quindi, per quanto tu abbia dichiarato volontariamente di essere pronto a morire, mi farebbe piacere che ti salvassi.”
Shinichi inarcò un sopracciglio, stupito ed incuriosito. “Ti farebbe piacere?”
Ai spalancò gli occhi, ma riuscì a non mostrarglielo: d’altronde, l’investigatore era alle sue spalle, e tutta la sua attenzione era senz’altro catturata da quella scritta. Ma comunque, tentò di non scomporsi troppo.
“Sì, mi farebbe piacere che non morissi per un mio errore.” Impostò la frase diversamente, come se così risultasse meno diretta. “Ti avrei sulla coscienza.” Aggiunse poi, sarcastica.
“Ah, beh, se dovesse accadere...” la guardò, ignorando per un po’ quella scritta. “Pensa che avrai fatto del tuo meglio per salvarmi e per assecondarmi, e che di più non avresti potuto fare.”
Lei ridacchiò. “Come la fai facile...”
“Non la faccio facile... credi che non veda l’ora di morire?” le chiese, tra sarcasmo e serietà.
Lei scosse il capo, sorridendo. “No, soltanto perché tu la morte non la temi, la ignori... fingi non esista.”
Shinichi incrociò le braccia al petto, poi rilasciò un sorriso ed abbandonò la porta. “Può darsi.”
E mentre s’allontanò, si girò di nuovo: “avvisami se ci sono novità.”
Quando scomparve dalle scale che lo portarono alla luce, la scienziata si voltò finalmente nella sua direzione.
- Io, invece, non riesco a fare a meno di pensarci... -
 
•••
 
“Sei molto brava!”
Concluso il primo allenamento, Saigo e Ran si erano lasciati andare ad una pausa rivitalizzante; gli esercizi eseguiti erano tanti e faticosi, e sebbene la karateka fosse abbastanza abituata, quel giorno si era sentita più fiacca del normale. Probabilmente, però, la causa era da ricercare nella mancanza di concentrazione: le labbra di Shinichi tornavano in continuazione, e non solo nella sua mente. E proprio come se riuscisse a  riassaggiarle di nuovo, sentì il cuore palpitare, e farle perdere più fiato del solito.
A metà allenamento Sonoko aveva dovuto lasciarla da sola, e lo aveva fatto lanciandole occhiate maliziose e saluti provocanti, tutti diretti al giovane accanto a lei. Saigo, fortunatamente, non sembrò essersene accorto.
Anzi, era rimasto così soddisfatto dalla sua prima lezione, da volerne subito ricominciare un’altra.
“Per essere una liceale sei un vero portento! Ma a che età hai cominciato a praticare karate?”
Ran bevve dalla sua borraccia velocemente, facendogli cenno d’aspettare. Ma lo stesso tocco della bottiglia le fece tornare in mente il detective e la sua lingua. E non potendo sopportare oltre, si staccò.
“Beh, avrò avuto una decina d’anni.” Sorrise, cercando di ignorare i suoi continui tormenti. “E’ sempre stato una sorta di sfogo per me.”
“Sfogo?” si interessò lui, curioso. Quella ragazza dalla dolcezza infinita lo colpiva sempre di più, pareva un angelo. Si muoveva con grazia e sensualità, sebbene avesse la forza di due uomini accoppiati; era gentile e disponibile, ma allo stesso tempo di un’umiltà infinita.
Dove s’era nascosta fino a quel momento?
“Sì...” sorrise lei amaramente, abbassando lo sguardo alla borraccia. “Un po’ per mia mamma, quando i miei si sono separati... un po’ per la scuola, nei periodi di grande stress... un po’ per gli amici, e le incomprensioni che si creano... ed un po’ per...”
Ma non completò a voce la frase, non ci riuscì.
- Ed un bel po’ per Shinichi... -
“...per?” la invitò a continuare lui, incuriosito. Poi, al suo viso sconcertato, cercò di scusarsi, agitando le mani.
“Cioè, se vuoi dirmelo, ovviamente!”
Lei sorrise divertita. “Per...” ci pensò un attimo su, ridendo di se stessa. “Per una persona che, a causa della lontananza, mi è mancata molto in questo periodo...”
“Il... il tuo ragazzo?” provò lui, azzardando. Sperò solo che la risposta fosse negativa.
Lei arrossì all’improvviso, ma s’affrettò a rispondere, imbarazzata: “No, no!”
- In fondo, non è mica il mio ragazzo... - pensò tra sé e sé, riportando lo sguardo al pavimento. I suoi occhi, però, si tramutarono in puntini neri.
- Shinichi... il mio ragazzo? -
“Beh, allora...” rise lui, risollevandosi. “Spero che adesso sia ritornata... questa persona.”
Lei sprofondò gli occhi nella palestra. Saigo la osservò bene: sembrava affranta.
“Più o meno...” gli rispose amara, senza prestagli troppa attenzione.
 
•••
 
“Chiamami pure Saigo.”
Un mugugno infastidito gli abitò il cervello, ed una smorfia sulle labbra gli irrigidì i muscoli del viso.
- Chiamami pure Saigo... - imitandolo, lo scimmiottò con la voce, guardando fisso un punto indefinito della sua stanza. - Idiota... -
Disteso sul letto, Shinichi tentava invano di dedicarsi ad altro: ma in quel momento non gli andava di far nulla, se non pensare alla sua bellissima amica d’infanzia. Né un saluto, né uno sguardo, né una parola quella mattina. Gli sembrò quasi d’averla spaventata con quel bacio. Forse era stato un po’ troppo passionale, irruento, diretto, violento o rude... eppure appena aveva assaggiato le sue labbra aveva avvertito il desiderio di non lasciarle andare più, e la voglia inaudita di fermare il tempo in quel preciso istante.
“Beh, che dici? Andiamo adesso in palestra o hai da fare?”
- E come se non bastasse, adesso è anche da sola insieme a Mr Nonmipiaccionoicognomi... -
Si strinse più forte a sé, emettendo vari grugniti stizziti. Chiuse le palpebre, ma non lo aiutò molto. Provò a girarsi su un fianco ed addormentarsi, ma pure quello risultò vano.
Stufo, si bloccò improvvisamente. Osservò l’orario sulla sveglia alla sua destra e, capendo che non era poi così tardi, s’alzò di scatto dal letto.
Era inutile tergiversare: doveva rivederla.
 
•••
 
Con la mente alla sera precedente, Ran tentò di concentrarsi sull’atteggiamento dell’investigatore: aveva tentato in tutti i modi di sviare le sue domande. In tutti i modi. E allora, se l’avesse baciata solo per zittirla? E se quel bacio non fosse voluto, ma forzato? Forzato da lei, senza che riuscisse a rendersene conto?
“Anche per me è più o meno lo stesso, sai.” Le rivelò poi lui, alzando lo sguardo al cielo. Un velo di tristezza si posò sui suoi occhi, che divennero lucidi, quasi luccicanti alle luci in neon.
“Vivo da solo a Tokyo... i miei genitori sono morti quando ero molto piccolo, ed io e mia sorella siamo stati accuditi e cresciuti da mio nonno per i primi due anni. Però, per non so quale motivo, la legge ci ha voluti separare e sbattere in due collegi diversi. L’ho persa di vista... non so nemmeno se sia viva.”
“Mi dispiace” Il tono della karateka era sinceramente rattristito. “Potresti cercarla.”
“Non so nemmeno da cosa partire... non so neanche se ha cambiato nome, o se peggio, ha cambiato nazione...”
Ran stette per un po’ in silenzio, poi guizzò, contenta. “Il mio rag...” si morse la lingua, appena in tempo. Ma non poté fermare il rossore sul suo viso, che s’espanse senza freno. 
Il bacio non smetteva di tormentarla...
“Il mio migliore amico è un genio nelle investigazioni! Lui potrebbe aiutarti, che ne dici?”
Lui inarcò un sopracciglio, curioso. “Davvero?”
Lei annuì, quasi fiera.
“E’ capace di risolvere ogni genere di mistero. Sono sicura che riuscirà anche a trovare tua sorella, se glielo chiedi...”
“Beh, perché no... in fondo, cos’ho da perdere...” abbassò il capo al pavimento Saigo, ricercando nei suoi ricordi un misero indizio che potesse rinfrancarlo. Di lei, ormai, non aveva più nulla.
- Rivederla... potrei rivederla... -
“Ok” si decise lui, issandosi all’in piedi. “Possiamo andare da questo tuo amico?”
Lei gli sorrise spontaneamente. “Certo!”
Poi, alzandosi, rimembrò. Ed i suoi occhi, da azzurri, divennero improvvisamente neri e piccoli.
- Andare da Shinichi? A casa di Shinichi?! -
“A-adesso?!” gli chiese, senza riuscir a controllare la sua agitazione.
“Ci sono problemi?” inarcò un sopracciglio lui, stranito.
“Ehm, beh... ecco, vedi, cioè... non so se... se ci sia a-adesso... a casa...” inventò la prima scusa che le attraversò il cervello, esponendola neanche troppo bene. Ma improvvisamente si sentì in colpa: quel ragazzo aveva un problema, ed a condizionarlo doveva essere lei, per la sua sciocca timidezza?
“Senti...” continuò, risedendosi sui gradini. Saigo la imitò, ascoltandola. “Tu... tu potresti anche conoscerlo... quindi, potreste vedervi direttamente domani a scuola.”
Provò. In fondo, non era male come strada alternativa.
“Perché dovrei conoscerlo?”
“Beh, è famoso!” Lo informò, convincente. “Il suo nome è...”
“Shinichi Kudo.”
Ma fu una voce, fin troppo conosciuta, ad anticiparla. Avvampò nel risentirla, e tremò nell’avvertirla così vicina.
- E’ lui... -
Non poté fare a meno di girarsi. E nonostante avesse tentato in tutti i modi d’evitarlo, scontrarsi di nuovo con quello sguardo magnetico le fece mancare un battito al cuore. 
Risiedeva lì, il bello: Shinichi la faceva sentire viva.
“Piacere di conoscerti.”
 
••
Precisazioni:
* “Capo, ricordi quando ti dissi d’aver rivisto quello Shinichi Kudo sulla nave fantasma?”* : Halloween Party, volume 42.
* gi da karateka : è il nome ufficiale dell'abito.

 •••
Ehilààà!!! Ho fatto presto vero? vero? Sono brava, vero? Sì, lo sono!!!!
Più che altro ho pensato che non potevo lasciarvi col fiato sospeso a lungo dopo il finale da scoppio dello scorso capitolo, e quindi, ho tentato di scrivere nel minor tempo possibile un altro XD Merito o non merito un premio? XDDDD
Coooomunque! Altro capitolo.... siamo al quarto gente! Ebbene, come potevano comportarsi i due tonni? Ovviamente, nessuno dei due avrebbe avuto il coraggio di parlarsi e, inoltre, goodbye cena tanto bella a base di pesce. Nessuno ti vuole più XD Shinichi e Ran vengono presi in giro da tutti ormai, ma c'è qualcuno che tenta da lontano di insediarsi in questa coppietta di promessi sposi.... Saigo sembra saperci fare, eh? E la cosa non va molto giù al caro Shinichi! Lo adoro quant'è geloso!!! *_____*
Haibara inoltre continua a lavorare all'antidoto, e Vodka, beh, ha avvisato, come si sapeva, il suo adorato capo: cosa vorrà fare adesso Gin?
E Shinichi accetterà di cercare la sorella di Saigo? Mhm XD Ho i miei dubbi XDDD
Comunque, cioè, non so, siete troppo *____*
Vi amo ogni giorno di più, mi date soddisfazioni a non finire :') (Almeno voi -.- C'è certa gente in giro... lasciamo perdere, và...)
Di chi parlo? Ma ovvio, dei miei accaniti recensori:
LunaRebirth_, Hoshi Kudo, Nana Kudo, Martins, J_angel, aoko_90, Delia23, ciccia98 e arya_drottningu! Grazie per aver commentato anche il terzo chap!
E grazie anche a ciccio fino e noisemaker89 per aver inserito la storia tra le preferite!!!!

Roxi loves you <3<3<3<3


Spero che anche questo chap vi sia piaciuto, adesso vado, che è anche tardino!

xxx
Tonia

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Capitolo 6
*** Le prime scintille ***


Your Lies

5.
Le prime scintille
•••
 
 
Saigo lo osservò fisso per un po’. Effettivamente, gli sembrava d’averlo visto da qualche parte; probabilmente, pensò, sui giornali della zona, o proprio su quelli nazionali. Anche il suo nome non gli era nuovo; aveva sicuramente letto qualcosa su di lui. E, se davvero fosse così bravo quanto dicevano, avrebbe potuto raggiungere finalmente uno dei suoi sogni: quello di rivedere sua sorella, capire come e perché fossero stati separati da piccoli.
“Piacere” si presentò così dopo qualche istante, felice di poter finalmente intravedere una luce nel buio della sua infanzia. “Io sono Saigo...”
L’investigatore lo interruppe, brusco. “So chi sei.”
Poi tentò di ricomporre una certa freddezza, accompagnata da un sorriso finto.
“Ti ho sentito parlare con Ran.”
“Oh” rimase un po’ perplesso il giovane, preso alla sprovvista. “Sì...” sorrise, osservandola.
La karateka, dal canto suo, aveva il viso fisso su Saigo, cosicché da non dover obbligatoriamente guardare il detective. Ma nel saperlo così vicino, nell’avvertire la sua voce così vicina, il suo fiato, le sue mani, e perché no, anche la sua bocca, non poté fare a meno di tremare. La sua vicinanza le aveva mandato in tilt il corpo, irrigidendola. Ma Shinichi non lo capì, anzi: pensò che ce l’avesse con lui.
“Ho avuto il piacere di conoscere Ran, è davvero fantastica. Vedessi come calcia!” fece gentile Saigo verso Kudo, ridacchiando. Ma quei complimenti non andavano molto a genio all’investigatore.
“Lo so, la conosco fin dall’infanzia.” Marcò la voce sull’ultima parola come per tracciare il suo territorio, unendola ad un altro sorriso stentato.
- Quindi fai poco l’idiota... - aggiunse in mente, assottigliando gli occhi.
“Ran mi stava dicendo che sei un genio nelle investigazioni... a me, effettivamente, servirebbe il tuo aiuto...” gli propose, un po’ in imbarazzo. La Mouri ancora non s’azzardava a parlare con i due, tanto da sembrare esser caduta in uno stato di trance perpetua; non solo Shinichi, se ne accorse anche Saigo.
“Sempre... se tu... vuoi e puoi... ovviamente.” Aggiunse poi il giovane, osservando il detective.
Lui abbassò il capo, lasciandosi andare ad uno sbuffo seccato. 
“Il lavoro va alienato dalle questioni personali” se lo ripeteva da sempre, e non poteva certo mancare ad un suo dovere da detective. Certo, anche se questo avrebbe significato creare nuove occasioni di incontro tra la sua Ran e quel tipo.
- Ma dai... di che mi preoccupo... Ran è innamorata di me... - si autoconvinse, sospirando. - Però... perché... non mi guarda neppure? - rifletté ancora, tramutando i suoi occhi in punti.
“Certo” replicò, distogliendosi dai suoi pensieri, sebbene non pienamente convinto. Poi assunse un tono più professionale, che lo incoraggiò: “Di che si tratta?”
Saigo guizzò, e col corpo si voltò nella direzione del detective. Anche Shinichi si mise più comodo: si sedette sui gradini più alti, proprio sopra Ran, con le ginocchia in avanti e i gomiti appoggiati a queste. Le mani, poi, unite in pugno debole.
L’amica d’infanzia lo avvertì avvicinarsi, e la cosa non poté che turbarla. Dunque, se a voltarsi non ci riusciva, e a partecipare alla conversazione nemmeno, pensò che la cosa migliore da fare fosse dileguarsi.
“Ragazzi io vado via, ho tantissime cose da fare e non posso proprio restare. Saigo ci vediamo domani per un’altra lezione, ok?” parlò così velocemente che quasi inceppò nelle parole, ma provò con tutte le sue forze ad essere più chiara possibile: non gli andava di ripeterlo. Non si voltò neppure verso Shinichi, imbarazzata, e provò a girarsi e dileguarsi, mentre il suo nuovo allievo le rivolgeva un deluso “ciao, a domani”.
Ma, non fece in tempo a fare tre passi, che una mano le afferrò il braccio all’altezza del polso, e la costrinse a girarsi. Si girò e si sentì morire: era lui...
“Che hai?” le chiese, provando a sorriderle. Stava incominciando a preoccuparsi...
“Io?” si finse ignara lei, sprofondando gli occhi nei suoi. Erano, di nuovo, vicinissimi. E l’attrazione che l’aveva colpita in quei giorni, tornò a farsi sentire, ancora più potente. Le piaceva la forza con cui lui era riuscito a trattenerla: la forza con cui riusciva a dominarla. Le piaceva il suo sorriso, che gli illuminava quel volto angelico; le piacevano i suoi occhi cristallini; le piaceva il suo corpo, ben visibile attraverso la camicia bianca della divisa. I suoi muscoli e la sua voce, e senza ombra di dubbio, le sue labbra...
“Sì, tu...” le sorrise ancora, riuscendo a sciogliersi. Se lei era in imbarazzo, lui avrebbe dovuto avere il compito di rompere quel ghiaccio che s’era formato. Ma non gli pareva così facile.
“N-niente...” Finse, arrossendo lievemente. Poi riuscì a respirare, e lasciarsi andare alla sua stretta senza trattenere il fiato. “Ma devo fare alcune cose, e non posso trattenermi.”
“Sicura?” inarcò un sopracciglio lui, divertito.
Ed il suo sorriso, contagiò lei. “S-sì.”
Shinichi le lasciò andare il braccio, sospirando ed abbassando il capo, un po’ imbarazzato.
“E noi...?” entrambi sussultarono a quel pronome. “Quando... ci vediamo?”
 “B-beh... io e te...” non lo utilizzò Ran, arrossendo. “Domani a scuola.” Gli rispose, ovviandolo.
Lui annuì, ed incapace a replicarle come volesse, finse un sorriso. “Sì,... giusto.”
“Io allora vado... ehm, hai... hai mica avuto altre notizie di Conan?”
Shinichi sussultò, colto alla sprovvista. Glielo stava domandando perché sospettava ancora di lui o perché volesse davvero sincerarsi sulla saluta del piccolo? Non disturbiamo il can che dorme, rifletté, ed ignorò il loro dibattito avuto la sera prima.
“Mhm... no, non l’ho chiamato oggi.”
Ran sbuffò. “Ok...” lo osservò profondamente, come a volerlo sfidare. “Lo chiamerò io.”
“Certo...certo...” annuì il detective, senza obiettare. “Fai bene...” le sorrise anche. Certo, lei non sapeva che lui avesse il papillon per cambiare voce, quindi poteva senza ombra di dubbio considerarlo un’arma in più. Ma ci avrebbe messo molto, a capirlo?
“Ok” lo scrutò per un po’, come se lo volesse studiare. Poi mutò espressione, e sventolando la mano al vento, salutò l’altro giovane, rimasto seduto sulle gradinate: “Ciao Saigo!!”
“Ciao Ran! A domani!!” esclamò felice lui, illuminandosi.
Shinichi mandò occhiate ad entrambi. Tutti quei convenevoli non gli garbavano per nulla.
 
•••
 
Dinanzi ai colori d’una vetrina sentì il suo cellulare vibrare; lo ricercò nella borsa frettolosamente, per poi scrutarne sul display il numero. Era Kazuha.
“Ehi Kazu! Ciao!!” la accolse gioiosa, forse come non aveva mai fatto prima. Effettivamente, si rese conto d’esser un po’ meschina: al nome dell’amica aveva direttamente collegato Conan. Era sera, e probabilmente la Toyama aveva raggiunto la clinica, parlato con il piccolo, e magari anche scattatogli una foto. O almeno, ci sperò.
“Ran! Scusami se ti chiamo solo adesso, ma purtroppo ho concluso in questo preciso istante di litigare con quel decerebrato di Heiji Hattori.”
La karateka assottigliò gli occhi, e sentì un gocciolone caderle sul capo.
“Che altro è successo?”
“Ran, ti giuro che ho provato in tutti i modi a convincerlo! Gli ho detto che l’avrei seguito ovunque, che non gli avrei parlato più, che non ci sarei più uscita insieme, che non avrei più ascoltato i suoi smatti investigativi... ma nulla! Non ha voluto portarmi!”
Ran spalancò le palpebre, interessandosi. “Perché?”
“Prima mi ha detto che aveva da fare...poi mi ha detto che doveva aggiustare la moto che s’era rotto non so quale pezzo... poi mi ha detto che suo padre l’aveva chiamato per un caso... poi che aveva fame... poi che doveva studiare!” recitò esasperata la Toyama. “Tutto oggi doveva fare!!”
Ran si fermò di scatto, per poi ritornare a camminare.
- Potrebbero essere tutte scuse, effettivamente... - ragionò la giovane Mouri, senza dare una risposta all’amica. - Potrebbe essere che lui sa... sa che Shinichi è Conan... e quindi lo sta aiutando, in fondo, si conoscono bene... però... perché lui sì ed io no? Perché a lui l’ha detto e a me no? - si morse il labbro con i canini, continuando comunque a camminare. - Si fida più di Hattori che di me... e per farmi zittire mi ha baciata... sì, è così, è così... -
“Ran? Ci sei ancora?”
Sussultò lei, avendo completamente dimenticato di essere a telefono. “Sì, scusami... è che...”
“Ohi amica!” le arrivò una pacca sulla spalla, che la costrinse ad interrompere il flusso delle sue parole. “Come è andata con quel figo?!”
La voce le era familiare certo, ma fu la frase a toglierle ogni dubbio prima che si girasse.
“Sonoko! Mi hai fatto prendere un colpo!” la sgridò seccata, riprendendo fiato con la bocca.
“Come ti spaventi presto per essere una karateka!” la canzonò, ridacchiando. “Ti ho vista camminare tutta pensierosa! Ma quando la finirai di pensare a Kudo?!”
Ran arrossì di nuovo. “E tu quando la finirai di dire sciocchezze?!”
“Dai su! Non stavi pensando a lui?!”
“Ran?!? Ran?!”
- Oh cavolo, Kazuha! - s’accorse d’averla messa fin troppo in disparte, così tornò a parlarle, facendo cenno a Sonoko di pazientare.
“Senti, Kazu, io ora devo andare... se casomai vai...” insistette, sebbene le sembrò non proprio carino farlo. “Dimmelo...”
“Certo, Ran!! Ci sentiamo!”
“Certo... ciao...” la salutò di nuovo, un po’ delusa. Avrebbe desiderato appurare se Conan si trovasse davvero in quell’ospedale, o se fosse soltanto una messa in scena del suo detective preferito. Fatto stava che l’atteggiamento di Hattori, e dello stesso Shinichi, era ambiguo.
“Allora Ran? Com’è sto Saigo?”
La figlia dell’investigatore in trance si ritrovò di nuovo a sbuffare. Possibile che l’unico problema di Sonoko fosse fare conquiste?
“E’ carino... ed anche simpatico...” ammise, incamminandosi con lei verso casa. “Ha una brutta storia alle spalle, sai? Shinichi sta cercando d’aiutarlo...”
L’ereditiera la stuzzicò, colpendola col gomito. “E allora che aspetti?”
“A fare cosa?” inarcò un sopracciglio lei, stranita.
“A consolarlo!” esclamò entusiasta, come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
“Gli piaci, non te ne sei accorta?!”
Ran si ritrovò nuovamente, nel giro di pochi minuti, in completo imbarazzo. “Eh?!”
“Sì!! Ho visto come ti guardava... senti a me, lascia perdere quel cretino patentato di Kudo e mettiti con lui! E’ gentile, dolce e bello! Dai... e poi hai visto quanti complimenti t’ha fatto durante la lezione?”
“M-ma che dici... voleva essere solo gentile, p-perché gli do lezioni gratis...”
L’ereditiera assottigliò gli occhi, incredula. Quella ragazza era un caso perso!
“Ma sei idiota? Quali lezioni gratis... il ragazzo ci sa fare, a differenza di qualcuno...” marcò la voce, lasciando chiaramente intuire a chi si riferisse. Ma non diede tempo all’amica di rispondere, che subito attaccò a parlare: “Kudo non ti merita... ma lo vedi quanto è sbruffone? Si crede di essere chissà chi! Guarda altrove amica! Ci sono tantissimi ragazzi più interessanti di lui!”
Ran rimase sinceramente colpita dalle sue parole. Sonoko era così: non utilizzava mezzi termini, e diceva esattamente quello che le passava per il cervello, senza obiezioni. Sebbene sapesse da tempo cosa pensasse l’ereditiera al riguardo e come definisse Shinichi uno dei tanti montati, quella volta, o per delusione o per l’amarezza di essere ancora all’oscuro della verità, la karateka non riuscì proprio a difenderlo.
Non ci provò nemmeno.
- Forse... forse più interessanti no... - ammise a se stessa, stavolta senza problemi. Era inutile girarci intorno: a lei Shinichi piaceva. Le piaceva tanto, troppo. E forse, il suo attaccamento nei suoi confronti andava oltre l’attrazione fisica. Ma sebbene palpitasse al solo suono del suo nome, faceva bene a credergli ancora? Insomma, era lui, davvero, quello giusto?
- Già, più interessanti no... ma più sinceri sì... -
 
•••
 
“E questo è tutto.”
Saigo aveva quasi finito il fiato: il racconto era stato veloce e senza interruzioni, dettato dall’emozione di riuscirne di nuovo a parlare con qualcuno; con qualcuno che, in quel caso, potesse davvero aiutarlo. Shinichi era rimasto ad ascoltarlo in silenzio, proprio come un ottimo detective: aveva completato scordato la sua gelosia, e mettendola da parte, s’era concentrato sulle poche informazioni che quel giovane riuscisse a dargli.
“Allora” assunse un tono incredibilmente professionale Kudo, che quasi fece tremare Yami. “Abbiamo pochi indizi. Pochi davvero, e soprattutto, non chiari. Sappiamo solo che è più grande di te di cinque anni; capelli biondi e ricci (per quanto ricordi) ed occhi azzurri. Quando vi siete separati lei aveva nove anni, e tu soltanto quattro...” si grattò il capo, scompigliandosi i capelli tra le mani. In quel momento aveva la testa bassa a pensare.
Saigo, alle sue parole, sembrò sconfortarsi. Effettivamente, non gli aveva dato chissà che informazioni utili...
“Quindi...è impossibile?”
Shinichi tornò ad osservarlo, lasciandosi andare ad uno dei suoi sorrisi, pieni di sicurezza.
“Niente è impossibile per me.” Ribatté, fiero.
“Mhm?”
“A me piacciono i misteri, soprattutto se sono complicati.” Gli fece l’occhiolino. “La ritroveremo, ci puoi contare.”
“Oh, oh! Davvero?!” esclamò entusiasta il giovane, allargando le braccia.
“E’ una vera fortuna averti conosciuto!”
Ma Shinichi assottigliò gli occhi, e finse un risolino.
- Il sentimento non è reciproco... -
La sua gelosia era risalita a galla; che il ragazzino non fraintendesse che la sua disponibilità derivava solo dal fatto che, risolvere i misteri, fosse il suo lavoro. E nulla di più.
“Senti...” interruppe il silenzio che s’era venuto a creare il giovane karateka, assumendo un tono amichevole. “Visto che siamo entrati in confidenza...”
Shinichi simulò una smorfia.
- Non credo proprio... -
“Ho visto che sei molto amico di Ran. Beh, lei effettivamente ti ha definito il suo migliore amico, quindi... beh, tu dovresti conoscerla meglio di chiunque altro...”
L’investigatore alzò il capo di scatto, strabuzzando le palpebre. Sapeva già quel discorso dove voleva arrivare...
- Non ci pensare proprio, idiota... - strinse i denti, e s’innervosì ancora prima che Saigo completasse la sua richiesta.
“E allora?” Non gli diede comunque il tempo di farlo. Bloccò il flusso delle sue parole con freddezza, tanta che arrivò al giovane. Tanta che lo fece sussultare.
“Niente.” Non capì però la ragione del suo comportamento Yami. “Magari sai cosa le piace, cosa no... cioè, è molto carina...”
“Lo so.” Shinichi gli si avvicinò, ma la sua freddezza sembrava essersi tramutata in rabbia.
“Sai cosa?” s’incuriosì lui, inarcando un sopracciglio.
“Tutto.” Rispose secco l’investigatore.
“E quindi?”
Ma Shinichi non poté zittirlo. All’improvviso, dalla sua tasca, un cellulare cominciò a squillare. Lo fece tremare un po’ nelle sue mani, osservando il giovane di fronte a sé con tenacia, e controbilanciando quel suo sguardo stizzito. Poi, regalandogli un’ultima occhiata, si allontanò velocemente.
 
 •••
 
- Quanto ci mette a rispondere?! - sbuffò esasperata la karateka, ticchettando la punta del piede sul pavimento. - Ma certo che non può rispondere... lui è Conan... non può fingere la sua vera voce... -
“Pronto?”
Ma, al di là di tutte le sue congetture, la persona che aveva risposto oltre quell’aggeggio, sembrava essere proprio il suo fratellino occhialuto, con la sua infantile voce bianca.
“C-Conan...?”
Ran allargò le palpebre, seriamente sorpresa.
“Ran-neechan!” esclamò entusiasta il - finto - bambino, che, appoggiato alle mura della palestra, lontano da occhi indiscreti, portava alla bocca un papillon rosso, che mai nessuno avrebbe immaginato la reale funzione. “Come sono felice di risentirti!!”
“C-Conan...” sbatté ancora le palpebre, per convincersi: era stupefatta. “C...come stai?”
“M-meglio... i dottori sono molto gentili, e mi hanno detto che con una cura adatta guarirò anche abbastanza presto...” Shinichi provò a non mutare tono, cercò dunque d’apparire sempre gioioso ed infantile. Forse, con questa conferma, Ran avrebbe smesso di sospettare.
“Oh, mi fa piacere piccolo...”
- Sto forse delirando? Che mi stia sbagliando? In fondo, non è possibile che un corpo riesca a rimpicciolirsi... - si tormentò le labbra con i denti, proprio nel punto dove il detective l’aveva baciata, o dove la sua lingua aveva iniziato a tormentarla. La poté avvertire ancora, come se mai si fosse staccato. Era calda e seducente, così morbida da volerla prendere a morsi, ma all’improvviso dura da esplorarle l’intera bocca.
Neanche si rese conto di star arrossendo e di aver dimenticato, per l’ennesima volta, il suo interlocutore.
“Ran-neechan?” la chiamò, leggermente preoccupato Shinichi. “Ci sei?”
“Eh?” si riprese all’improvviso, deglutendo. “Sì, sì, Conan. Pensavo... pensavo a quali potessero essere i sintomi di questa malattia... Anche perché oltre al raffreddore non ho notato particolari stranezze in te ultimamente...”
Shinichi si morse la lingua. “Sì, infatti il dottore la chiama con un nome strano...” finse di non saperlo lui, ingenuamente. “Tipo, sesta malattia* o una cosa del genere... ed ha gli stessi sintomi della febbre... però, sai, ran-neechan.. mi hanno detto che mi compariranno anche delle macchioline per qualche giorno...”
Ran ci pensò un attimo su. “Sì, ne ho sentito parlare... beh, fortunatamente mi sembra davvero che non sia nulla di grave.” Poi si sentì molto sciocca, ma dovette dirglielo per forza:
“Non avere paura piccolo, appena posso vengo a trovarti...”
Shinichi strabuzzò le palpebre, sospirando.
“Certo, Ran-neechan! Ti aspetto!”
- Ran... ti prego, perdona tutte le mie bugie... -
- E’ lui o non è lui? Mi sta prendendo in giro o no? Dannazione... - si scompigliò i capelli corvini, infilandoci una mano dentro e grattandosi il capo. - Non so più cosa pensare... -
“C-Conan... fai il bravo ok?” si premurò comunque di dirglielo, sospirando rassegnata.
“Sì... Ran... neechan...” aggiunse il suffisso dopo, quasi dimentico di quanto la giovane sospettasse di lui. “Ran... neechan?”
La chiamò dopo qualche istante, con vocina triste. L’amica sussultò a quel tono, ma s’affrettò comunque a rispondergli.
“Dimmi...”
“Ti voglio bene, Ran...” cominciò, poi più lentamente aggiunse un fievole “neechan”.
Forse perché non seppe se stesse parlando a nome di Conan o di Shinichi. E forse lo avvertì anche lei, l’amica, che si fermò improvvisamente, stupita. 
E che poi sorrise, osservando le stelle.
“Anche io, anche io... ti voglio bene...”
Ma dovette ammetterlo. Nemmeno lei, seppe a chi dei due si stesse rivolgendo.
 
•••
 
“Davvero, davvero interessante...”
In quella stanza buia al quarto piano di un hotel periferico, riuscì ad espandersi un ghigno, alla luce di un monitor acceso. Informazioni scialbe e neanche troppo chiare ne scorrevano sopra, pubblicate probabilmente da mani poco sicure e menti poco sincere.
Ma sfoderò un nuovo sorriso, ancora più luminoso.
- Basteranno... per me, basteranno... -
Bevve un sorso della bevanda che il cameriere aveva portato da qualche minuto in camera: l’aroma del limone profumò l’intero ambiente.
- Verranno tempi amari... sì, amari come questo tè... -
 
••
 
Precisazioni:
* Sesta malattia: è una malattia abbastanza comune nei bambini. Mostra sintomi febbrili con l’aggiunta di macchioline o bollicine sul corpo. Certo, in realtà si potrebbe benissimo curare a casa, per quanto ne so io, ma... dovrete accontentarvi perché non ho trovato altro di più grave XD
 
 
 
•••
 
Hi!! Ciao gente!! Sì, sono ancora io XD Vi starete chiedendo se non altro da fare che mettermi a pubblicare capitoli... ma io vi rispondo che sì, c’ho da fare, ma non lo faccio! XD
Alloooora XD come v’è sembrato questo chap? Mhm... mi sembra che qualcuno sia geloso. Geloso marcio. E Saigo invece, non sembra proprio essersi accorto di nulla.
E Kazuha, e Sonoko? Cosa pensate del discorsetto dell’ereditiera? E la telefonata tra Conan e Ran? E i loro “ti voglio bene”? ** Sono belli eh?
Niente, come sospettavate Shinichi ha accettato, ma non accetta molto la presenza di Saigo accanto a Ran. Ed inoltre, è riuscito a farsi “avanti”, sebbene la karateka sembri ancora molto imbarazzata...
 Cosa succederà? Chi mai può saperlo!
 
Faccio un veloce saluto e ringraziamento speciale a coloro che hanno commentato lo scorso chap, e quelli che hanno inserito la storia tra le preferite e tra le seguite. Non me ne vogliate, oggi internet và una vera schifezza, e non posso perdere tempo a scrivere tutti i nomi! :)
 
Scusatemi tanto. <3
 
Spero comunque che il capitolo sia piaciuto, e niente, come sempre vi aspetto al prossimo!
 
Buona Epifania a tutti!!!
Tonia

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Capitolo 7
*** La nuova studentessa ***


Your Lies


6.
La nuova studentessa
•••

 

 
Le avevano sempre detto che la fiducia era alla base di ogni rapporto. Era cemento armato delle mura di una relazione, il suo pilastro portante, le sue fondamenta; che fosse amorosa, amichevole o soltanto confidenziale, era qualcosa di cui chiunque non avrebbe potuto fare a meno, se solo avesse voluto avere a che fare con il mondo lì fuori.
Ed era ciò che la tormentava più di tutto.
Aveva ormai compreso che, ciò che era venuto a mancare con Shinichi, era proprio il loro fidarsi ciecamente l’uno dell’altro. E sebbene ci avesse pensato tutta la notte, non riuscì a venirne a capo: com’erano riusciti ad arrivare a quel punto? Loro erano cresciuti insieme. Ed insieme avevano condiviso ogni sorpresa che una nuova alba regalava loro. Le sembrò quasi che, da un giorno all’altro, la persona di cui mai avrebbe dubitato, aveva cominciato a mentire. A mentirle.
Ed era un lato del detective che, lei, proprio non conosceva; e di cui, lei, avrebbe voluto volentieri farne a meno. Le sue bugie parevano costruire un muro invalicabile fra i loro occhi, che ormai faticavano a guardarsi e a comprendersi. Non v’era più quella sintonia tra loro, quella magica telepatia che sembrava unirli in tutti i giorni in cui avrebbero avuto bisogno l’uno dell’altro. Nulla più.
Ran s’accasciò al letto, lasciando che i capelli svolazzassero sul letto, per poi posarsi dolcemente su quel cuscino bianco, troppe volte intriso di lacrime; ne scorse un’altra sul suo viso, accelerando il battito del suo cuore e il numero dei suoi respiri. Se fossero andati avanti così, si sarebbero persi.
- Ma io non voglio perderlo... -
Singhiozzò le parole, preparandosi al solito sfogo mattutino di cui non avrebbe più lasciato traccia qualche minuto dopo. Strinse il cuscino fra le mani, tuffandoci il viso dentro e nascondendolo.
- Cosa devo fare? Credergli o no? Credergli o no!? - 
S’agitò e si dimenò sul letto, prendendo a pugni il materasso. Le sue parole vennero offuscate dal cuscino sul quale si riversavano tutte le sue lacrime. Poi s’afflosciò d’improvviso, rimanendo stesa a pancia in giù, quasi senza respirare.
Le tornò in mente quel bacio e quelle labbra, quella bocca e quella lingua.
- Forse... forse quel bacio è stata l’unica cosa sincera... -
Si diede della sciocca, mentre uno sbuffo si espanse dalle sue narici.
Si giurò che fosse per l’ultima volta. Sì, per l’ultima volta, ma gli avrebbe creduto. Di nuovo.
 
•••
 
Shinichi arrivò a scuola abbastanza in anticipo; non che non vedesse l’ora di cominciare, ma l’ansia lo stava talmente divorando da fargli perdere completamente la dimensione del tempo. Mai s’era sentito più nervoso: Ran a stento gli parlava e quell’altro, a cui non piacevano i cognomi, s’era azzardato anche a chiedergli consigli sul come conquistare la ragazza che, da sempre, era definita la sua mogliettina. Insomma, si ripeté in mente, convinto e quasi fiero lui, ci sarà un motivo perché portavano quella nomea a scuola. Certo, quasi nessuno avrebbe potuto immaginare quanto quegli sfottò s’avvicinassero alla realtà, ma era decisamente meglio così.
Sospirò nell’osservare il cancello scolastico; pochi ragazzi dinanzi ad esso, dall’aria serena e scherzosa, del tutto spensierata. Strinse i pugni ed i denti.
- Se solo non mi fossi rimpicciolito... se solo non avessi seguito Vodka... adesso... adesso farei una vita normale, da ragazzo normale, senza bugie o scuse inutili a giustificarmi, senza aver paura di recar danno alle persone a me più care... -deglutì, tentando di far lo stesso col nervosismo. - Passerei il mio tempo a giocare a calcio, a scherzare con gli amici, e a magari a lamentarmi su quanto siano noiose le lezioni d’analisi... e non quelle sulle tabelline! -
“A cosa pensi?” una voce molto dolce gli arrivò alle spalle, sorprendendolo. “Detective?”
Shinichi quasi non credé alle sue stesse orecchie: come un tempo, quel tono, tornò ad allietarlo. Sorrise, e girandosi, ritrovò la sua amica d’infanzia alle sue spalle, con la cartella marroncina ad unirle le mani, le gambe strette e dritte, e le guance leggermente arrossate. Forse per il freddo, forse per altro...
“Ran...”
Poi subito si ridestò da quell’attimo di stupore. Riassunse un’espressione normale, ed il suo solito tono seccato. Aveva voglia di far finta di nulla.
“Sei in ritardo.” La accusò, ridacchiando sarcastico.
“Sei tu che sei in anticipo, non sono nemmeno le otto...” gli ricordò, osservando l’orologio da polso. “Avevi fretta oggi?”
“Non sai quanta” ripeté, ironizzando. In fondo, però, un po’ di fretta ce l’aveva di vederla...
“E tu? Come mai già qui? Non sei neppure passata per casa mia...”
Shinichi sapeva che l’amica era repentina la mattina, ma il punto della questione era un altro.
Ran, intanto, tentò di mascherare l’imbarazzo che provava a camminargli accanto, provando a pensare a tutto fuorché al bacio. Era l’unico modo per avvicinarlo, quello di ignorarlo.
“Se tu non fossi mancato per mesi sapresti che io arrivo sempre prima delle otto a scuola. E se avessi una memoria un po’ migliore ricorderesti che m’hai sempre avvisata quando dovevo passare per casa tua...”
“Ah, davvero?” rise lui, incamminandosi verso l’aula, al suo fianco.
“E spesso mi pregavi anche di prepararti il panino, sfaticato che non sei altro!”
“In casa mia non c’è mai nulla, dovrei effettivamente riempire un po’ la dispensa...” il tono era scherzoso, ma si rese conto per davvero d’esser rimasto senza sprovviste in frigo. Certo, anche perché ancora non sapeva quando quel moccioso di Conan avrebbe fatto ritorno...
“Se vuoi oggi andiamo al supermercato insieme... compri riserve per un mese...” Lo squadrò, sorridente. Shinichi la osservò per un po’, senza fiatare: finalmente s’era sciolto quel ghiaccio che li divideva da qualche giorno. Non si chiese perché, ne fu solo felice.
“Okay” annuì. Poi assottigliò gli occhi, senza farsi notare da Ran. “Ma tu oggi non avevi da fare con Mr Nonmipiaccionoicognomi?”
La karateka aggrottò le sopracciglia, stranita. “Con chi?”
Lui ridacchiò, tentando comunque di mantenere un certo sarcasmo. Non gli piaceva dimostrarle d’essere infastidito.
- Quel tizio mi da troppo fastidio... -
“Ah...Saigo!”
Ran, a quel soprannome bizzarro, scoppiò a ridere, intuendo poi a chi si fosse riferito.
“Possiamo andare dopo l’allenamento... no?”
Lui sospirò, sorridente. “Potresti anche non allenarlo, no?”
L’amica inarcò un sopracciglio. “E perché...?”
“Beh, non ho mai visto nessuno fare karate sette giorni su sette.” Azzardò la prima scusa che gli passò per il cervello, rendendosi poi subito conto di quanto fosse stupida.
“Beh, ma non posso dargli buca. Mi aspetterà in palestra e non mi presento? Sarebbe poco carino da parte mia!”
- Sei fin troppo carina nei suoi confronti, Ran... -
“Certo, hai ragione...” annuì, ma il tono era stentato. Si capiva chiaramente stesse fingendo.
“Però... però potrei mandargli un messaggio ed avvisarlo!” esclamò lei, entusiasta. Shinichi quasi si strozzò con la sua stessa saliva.
“Vi siete scambiati i numeri di telefono?!” ma gliel’aveva domandato con troppa decisione, tant’è che si morse la lingua appena finito. La cosa cominciava a dargli sempre più fastidio.
“Sì...” s’insospettì Ran, osservandolo. Ma che aveva? Sembrava stranamente indispettito, nervoso, infastidito... geloso. E mentre lo pensò, si colorò di rosso. Quel detective, era geloso di lei? Geloso di Saigo e di come si comportasse? Che poi tutto questo interesse da parte del ragazzo non è che lo riscontrava, eh.
Che fossero solo sue impressioni?
“Ma... stai bene?” azzardò lei, arrossendo.
Lui la guardò in viso, assottigliando gli occhi. “Sì, perché?”
“No... nulla” avendo tramutato i suoi occhi in puntini, la karateka pensò bene di sviare il discorso. “Comunque, perché non vieni anche tu oggi in palestra? E poi ce ne andiamo a fare compere... che ne dici?”
Shinichi sorrise, seppure tentando di mascherarlo. Il pensiero di poter controllare quel tipo lo stuzzicava fin troppo, ed il fatto che Ran ci tenesse alla sua presenza gli portò l’umore alle stelle.
“Mhm... potrei avere da fare...” la schernì, osservandola di sbieco. “Sai com’è... le interviste, le foto, gli autografi, le fan...”
Ma la Mouri assottigliò gli occhi, ed indispettita lo superò, dandogli le spalle.
“Quando la smetterai di fare l’idiota è sempre troppo tardi.”
Lui, al suo atteggiamento, scoppiò a ridere.
“Okay...” la rincorse, dalla voce rotta dalle risa. “Vengo, vengo... proprio perché ci tieni eh!”
 
•••
 
“E quindi sei di Niigata?*”
“Eh sì...”
“Oh, bella città, ci sono stata!”
“Ma vivi da sola al momento, o con qualcuno?”
“No, no... da sola, ma ci sono abituata.”
Quando Shinichi e Ran si ritrovarono in aula, le loro risa furono interrotte da un gruppetto di compagni di classe che circondava, senza lasciar trasparire spazi o minime insenature, un banco della stanza. Precisamente, il banco del detective; che, alla vista degli amici, inarcò un sopracciglio, curioso.
Lo imitò Ran, che avanzò di qualche passo, superandolo.
“Ma per quanto rimarrai a Tokyo?”
“Mi sono trasferita per restarci, non per una vacanza!”
“Oh... benissimo!!”
La karateka s’avvicinò all’amico che, intanto, stava tentando di riappropriarsi del suo posto.
“Ma chi è?” gli domandò, quasi sussurrandoglielo all’orecchio.
“Non so.” Le rispose, per poi assottigliare le palpebre, e cercare di farsi spazio tra la folla.
“Scusatemi... permesso? io dovrei passare.” Li spazzò via con un inconfondibile espressione seccata sul viso.
Gli amici, alla sua vista, guizzarono; ed illuminando i loro occhi, cominciarono a sorridere.
“Oh, Kudo! Guarda che sventola abbiamo qui!”
“Sakito!! Non essere maleducato!”
“Non lo sai che Kudo è promesso a Mouri?”
“Infatti, non portarlo su brutte strade!”
Entrambi arrossirono, come di consueto, ma allo stesso tempo, entrambi non ci fecero poi così caso; concentrarono, infatti, tutte le attenzioni sulla nuova attrazione della classe, che sembrava destare tanto stupore e meraviglia. Superato il gruppetto, Shinichi si ritrovò davanti una ragazza dalla lunga chioma ramata, dagli occhi vispi e brillanti come due diamanti, di un bellissimo azzurro cielo. Le labbra carnose e qualche lentiggine a colorarle le guance, che, se possibile, la rendevano ancor più adorabile.
Le dita sfilate, la carnagione olivastra come quella dell’amico d’Osaka.
“Oh, scusa... è il tuo banco questo, vero?”
Anche la voce non era male, un misto tra dolcezza e seduzione.
“Ehm...sì.” Rispose l’investigatore, annuendo.
“Scusami, scusami!” La giovane prese la borsa e si issò all’istante dalla sedia, lasciando libero il posto. “Mi sposto immediatamente altrove..” Gli sorrise, e repentina voltò lo sguardo nell’aula, ricercando un banco vuoto.
“No, se vuoi puoi restare...” la informò Shinichi, superandola  e sorridendole. “Mi sposto io.”
Ran sentì un sopracciglio tremarle. Quanta gentilezza improvvisa da parte del detective...
“Oh, no, non voglio causare disturbi. Non preoccuparti, in fondo... questo è il posto del grande Shinichi Kudo...”
Lui sorrise, sorpreso. “Mi conosci?”
“Perché... qualcuno non ti conosce?”
Shinichi ridacchiò, prendendo posto al suo banco. “Beh, non sono di certo l’imperatore nipponico...”
“Però sei apparso molte volte sui giornali... io li leggo sempre gli articoli che ti riguardano!” fece lei, deliziandolo.
“Oh, grazie.” Non poté non ammetterlo a se stesso: tutte quelle attenzioni gli erano davvero mancate...
La ragazza trovò banco libero in fondo alla classe, ne appoggiò sopra la borsa, ma distrattamente continuò a parlare con Shinichi, come se lo conoscesse da una vita. Tutto ciò non sfuggì ai compagni di scuola, e tantomeno a Ran che, ancora con la cartella marrone tra le mani, si mordicchiava un labbro, avvertendo il nervosismo crescere in lei.
“E’ da tanto che non leggo di te. Ma che fine hai fatto?”
“Eh... sono stato un po’ impegnato.” Finse.
- A fare il bambino... -aggiunse in mente, guardandosi bene dal farlo.
“Oh... riguardo sempre investigazioni, o altro? Sai, anche io spesso mi interesso di gialli e misteri... sono la mia passione, fin da quand’ero piccina!”
“Ah, davvero? Sei un’investigatrice anche te?”
“Se! Magari...” rise lei. “Nah, al massimo mi diletto ad indovinare i colpevoli nelle fiction televisive... il più delle volte non azzeccandoci!”
Anche Shinichi ridacchiò. “Io lo facevo con quelli dei libri...”
“Scommetto che tu, invece, indovinavi sempre...”
“Me la cavavo.” Annuì il detective, ghignando.
Un tossicchio improvviso arrivò alle loro orecchie, facendoli sussultare. Solo in quel momento, i ragazzi si resero conto d’essere gli unici a parlare in classe, e che questa s’era riempita di liceali, compreso il professore. Dinanzi a Shinichi, Ran, seduta, tratteneva la rabbia in un pugno stretto sul banco, e sfogava la tensione su di un sopracciglio tremolante.
“Se aveste finito, potremmo anche incominciare.”
I due si sedettero all’istante, un po’ imbarazzati. La professoressa, così, poté riavere l’attenzione della classe che, però, subito direzionò alla nuova studentessa. La invitò ad alzarsi ed a presentarsi, cosicché da farsi conoscere.
“E’ un piacere conoscervi ragazzi, il mio nome è Hana Yami.”
Shinichi e Ran strabuzzarono gli occhi. Avevano capito bene?
 
•••
 
“Ehi Ran! Ran!? Aspetta!!”
Suonata la campanella, i ragazzi si precipitarono all’esterno dell’edificio, desiderosi di tornare a casa dopo sei ore martorianti di scuola ed interrogazioni. La karateka fu la prima a prepararsi ed a lasciare la classe, ignorando di proposito il suo amico d’infanzia. Colui che, vedendola scappare, l’aveva rincorsa per i corridoi, affaticandosi.
“Ran!? Si può sapere dove scappi?”
Raggiuntala, l’affiancò, osservandola. In realtà la giovane non stava né correndo né scappando, anzi: i suoi erano passi normali e composti, non tanto quanto il suo atteggiamento. Shinichi subito lo notò: non si girava nemmeno a guardarlo.
“Ho da fare...”
“Fare cosa?”
“Preparare il pranzo a mio padre, studiare, fare una telefonata a Conan, e poi ho la lezione con Saigo...” rispose seccamente, senza staccare lo sguardo dal corridoio dinanzi a lei.
Shinichi tremò al riferimento al suo alter-ego, ma fece per ignorarlo.
“Sì, okay... ma perché non mi guardi neppure in faccia?”
La karateka esaudì il suo desiderio. Gli rivolse un’occhiata seccata, per poi girare nuovamente il viso altrove.
“Perché quando si cammina si guarda avanti, sennò si rischia di investire qualcuno.”
Lui sbuffò, afferrandola per il braccio, e costringendola a fermarsi. La giovane sussultò a quel tocco, ma la stizza in quel momento era troppa da offuscarle anche la sensibilità.
“Che c’è? Che ho fatto?” le domandò, curioso.
- Il galletto con quella tipa... -pensò tra sé e sé, osservandolo truce. “Nulla.” Rispose poi, fingendo.
“E dai, Ran! Quanto sei lunatica!”
Si guadagnò un’ulteriore occhiata sinistra. “Io non sono lunatica, idiota.”
“E cosa sei, allora...?” le rivolse un ghigno che, per quanto bello, ebbe il potere di farla innervosire ancora di più.
“Una karateka a cui, se non togli immediatamente le mani dal polso, ti spezzerà il braccio in un nano secondo.”
“Oh, oh” ridacchiò lui, stringendo ancora di più la presa. “Sto morendo di paura...”
Lei avvicinò i loro volti, guardandolo sarcastica. “E fai bene, detective.”
Shinichi si ritrovò così le labbra della giovane ad infima distanza, proprio come quella sera di due giorni prima. Spinto da una voglia sempre più pompante e straripante, approfittò della situazione e della posizione, per catturare quella bocca così carnosa e calda che aveva avuto già il piacere d’assaggiare. Ran restò immobile, anche perché, proprio come quella volta, il corpo aveva deciso d’ignorare i suoi comandi. Le era soltanto partito il cuore, e le gambe avevano cominciato a divenire sempre più pesanti tanto da sembrare due macigni tremolanti.
“Oh mio...Dio!”
La stava per baciare, lo stava rifacendo, per davvero...
Il mondo intorno a loro si annullò, quando la stessa Ran incurvò la testa ed avvicinò le loro bocche, già trepidanti di passione.
“E con il mio consenso, vi dichiaro... marito e moglie!”
Ma un voce giunse fino alle loro orecchie, costringendoli ad interrompersi: restarono col viso a mezz’aria per qualche istante, allargando le palpebre a dismisura. Poi, all’unisono, si voltarono verso la persona che l’aveva interrotti, e, all’unisono, scoppiarono in viso di rossore.
“S-Sonoko?!”
“Lo sposo può baciare la sposa!” Continuò la celebrazione lei, scoppiando a ridere come mai. Due lacrime le scesero dagli occhi, mentre, dalle risa, sentì lo stomaco contorcersi su se stesso.
“Su forza, vi... vi ho dato la mia benedizione!!” continuò poi, dal tono rotto e strascicante.
I due giovani si staccarono con violenza l’uno dall’altro, dimenandosi con le mani sui loro corpi. Che i loro volti stessero andando letteralmente in fiamme era un dato di fatto, ma entrambi, nel loro inconscio, mandarono mille e più maledizioni all’ereditiera e alle sue inopportune intrusioni.
“Ran! Sono la tua migliore amica e non m’hai avvisata di nul...” ma non riuscì a completare la frase che, la karateka, ignorandola completamente, fuggì via verso casa, lasciandola sola con l’investigatore. Troppo era l’imbarazzo da sopportare, talmente tanto che non ci sarebbe mai riuscita: l’unica cosa da fare era appunto scappare, proprio come una vigliacca. Come una vera sciocca.
Shinichi, sorpreso, tornò ad osservare la ragazza che, impalata, si stava rendendo conto del danno combinato...
“Ottimo  Suzuki, sei sempre la migliore!” la schernì, accompagnando alla voce irritata anche un applauso sarcastico. Sonoko deglutì, rattristendosi. Cos’aveva combinato?
“Io...io...non sapevo che...” balbettò, interdetta. “N-non volevo...”
Seccato, decise di non risponderle oltre, ed abbassando il capo, incominciò ad avviarsi a casa. Ma dopo qualche metro si vide superare da Sonoko che, repentina, stava correndo nella stessa direzione dell’amica.
Shinichi simulò una smorfia, lanciando uno sbuffo nell’aria.
- Un po’ di pace... voglio solo un po’ di pace... - pregò quasi, rilasciando un altro sospiro.
Solo una cosa poté rinfrancarlo: il volto di Ran che, nonostante tutto, ricambiava il suo bacio.
 
•••
 
Giunta a casa, la giovane Mouri risalì le scale con flemma, stanca anche d’aver corso per quasi tutto il tragitto. Non avrebbe voluto scappare, ma guardare negli occhi Shinichi, dopo quello che stava per accadere, era fuori discussione. La timidezza la stava mangiando, e sebbene avesse provato con tutta l’anima ad ignorarla, Sonoko l’aveva violentemente ritirata fuori e presasi gioco di lei.
- Dannazione però... -pensò, presa dallo sconforto generale. - Perché mi sento così idiota?! Avrei dovuto ignorare Sonoko e baciarlo... in fondo... è quello che voglio... - arrossì alle sue stesse parole, ma non poté fare a meno di ammetterlo.
“Ran!?”
- Se, ignorare Sonoko... adesso lo saprà come minimo tutta Tokyo, poi finirà sui giornali regionali e poi su quelli nazionali...-
“Ran!!”
Le sue elucubrazioni vennero interrotte dalla stessa voce dell’amica che l’aveva disturbata nel momento più dolce della sua giornata. Quasi ne provò il disgusto, ma, quando la vide affannarsi per raggiungerla, sentì una gran voglia di urlarle contro. Intanto, era già entrata in casa: infatti, Kogoro, pazientava sulla scrivania, in attesa che la figlia la salutasse.
“Ran, chiudi la porta...?”
Ma non ebbe alcuna risposta l’investigatore. Era chiaro che, la giovane stesse attendendo qualcuno.
Qualcuno che, dopo una corsa da record, era riuscita  a raggiungere l’agenzia investigativa.
“Ran, aspetta!”
“Che c’è?” replicò la karateka, seccata.
“Scusami... Ran!” le disse, dal fiato corto. Si accovacciò su se stessa, sentendo la milza pizzicarle, ma in quel momento non ci badò: desiderava, soltanto, farsi perdonare.
L’amica, intanto, non le aveva risposto, e non era di certo un buon segno.
“Scusami Ran! Davvero! Io...io non credevo che già vi baciaste!”
Dall’interno dell’ufficio Kogoro quasi cadde dalla sedia. Aveva sentito bene? Baciare?
- CHI HA OSATO BACIARE LA MIA BAMBINA?! - s’alzò all’in piedi, raggiungendo l’entrata, ma, allo sguardo truce della karateka, fece un passo all’indietro. Gesto che gli permise di non ricevere la porta dritta in faccia. Dall’infisso, comunque, sentì impercettibilmente il nome del detective in miniatura che tanto non gli andava a genio, ed subito capì. - QUEL MOCCIOSO! AH LO AMMAZZO! Sì CHE LO AMMAZZO!! -
Così riaprì la porta, irritato.
“Ran! Dimmi immediatam...”
Ma a quelle grida, dovette bloccarsi all’istante. Davanti all’entrata dell’agenzia, non c’era nessuno.
Si guardò intorno, sbattendo più volte le palpebre.
- Ma... ma l’ho sognato...? -
 

 
••

Precisazioni:
* Niigata: Sì, lo ammetto. E’ un chiaro riferimento a Vivere d’emozioni XD Perdonate questa mia mania XD
 
 
•••
 
Ciaooooo!!!!
Sono tornata gente :) Altro capitoletto, cosa ne pensate?
Shinichi e Ran hanno ripreso i loro normali rapporti, ignorando il bacio, ma...........
Ehm, sì, si stavano proprio per baciare di nuovo, se qualcuno, di nome Sonoko Suzuki, non si fosse intromesso XD
E poi, in classe, è arrivata questa nuova ragazza... cosa succederà?

Scusatemi se sono lapidaria, ma come sempre internet và una schifezza.
Ringrazio tutti quelli che hanno commentato il precedente chap, tutti quelli che l’hanno inserita tra le preferite, ed anche quelli che l’hanno inserita tra le seguite.
Un giorno, alla fine, citerò tutti ;)
Grazie anche a chi legge soltanto!!!  
Un bacione! <333
Tonia 

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Capitolo 8
*** Lo Chandon ***


Your Lies

7.
Lo Chandon
•••

 

 
“Ran...”
In realtà, le due giovani liceali non furono solo pura immaginazione del detective dormiente. La figlia, infatti, aveva ben pensato di rintanarsi in camera sua, trascinando l’amica per il braccio e chiudendo la porta nel momento preciso in cui l’investigatore aveva aperta quella dell’ufficio. Ran sapeva quanto il padre fosse geloso, e quanto non volesse che frequentasse Shinichi; metterlo a corrente di un presunto bacio avrebbe potuto scatenare la sua ira più folle e causare imprevedibili conseguenze. Meglio prevenire che curare, si diceva così, no?
Ma la sua, di rabbia, non era certo passata. L’ereditiera l’aveva umiliata, rincorsa e poi, quasi con occhi lacrimanti, aveva pregato potesse perdonarla.
Era, d’altronde, la sua migliore amica.
“Ran, per favore... scusami, davvero! Sono una stupida, hai ragione! Però almeno fammi parlare!” La pregò ancora, innalzando fin troppo il tono di voce. La karateka le fece segno di abbassare il volume, appoggiandosi un dito sulle labbra. Non replicò però alle sue invocazioni, ancora un po’ irritata.
“Davvero, scusami! Se solo tu m’avessi detto che...” abbassò improvvisamente il tono, guardandosi intorno furtiva. “...che stavate insieme, io... io non avrei fatto quella scenata!”
“Hai la minima idea di come mi sia sentita?!” sbottò lei, infuriata. Poi aggiunse, timida: “E non stiamo insieme!”
“Sì! scusami, scusami, scusami, scusami!” congiunse le mani a mo’ di preghiera, per risultare ancora più convincente. Poi s’interruppe, sconcertata. “Non state insieme?”
L’amica arrossì, mantenendo comunque una smorfia sulle labbra. Poi, timidamente, le rispose. “No...”
Sonoko strabuzzò gli occhi, bloccandosi d’un tratto. “Ma... ma vi stavate per baciare o è stata mia impressione?!”
Ran deglutì, imbarazzata. “Mi stava per baciare lui... ma io... io...”
“Lo stavi ricambiando, no?”
“Ehm...” La karateka s’immobilizzò. “Forse...”
“Allora si è dichiarato?!” cominciò il suo interrogatorio la Suzuki, mettendosi a sedere sul letto, accanto all’amica. Ran rilasciò un sospiro, - non proprio - pronta alla tortura che avrebbe dovuto subire da lì a qualche oretta.
“No... ma... ma mi ha... mi ha baciata qualche giorno fa, a casa sua...” ammise poi, dipingendosi di rosso. Alla sua confessione, l’ereditiera tramutò il suo viso in un sorriso a trentadue denti, dall’aria entusiasta.
“No, non ci credo! E tu? Tu l’hai ricambiato?!”
“No!” urlò repentina e paonazza. Ma poi, avvertendo lo sguardo incerto di Sonoko addosso, e riuscendo a ricomporsi, trasformò gli occhi in puntini. “Sì.”
“Wow!” esclamò ancora la castana, divaricando le braccia. “Si è deciso a farsi avanti, finalmente! Devo essere sincera, lo sto rivalutando!”
Ma l’amica aveva altro per la testa. Aveva paura ed aveva voglia di provare ancora. Si sentiva al settimo cielo, ma allo stesso tempo temeva di sprofondare in una nuvola di sciocchezze. L’aveva perdonato certo, o meglio, l’aveva creduto, ancora. Ma allora perché si sentiva così confusa ed emozionata? Il loro rapporto era completamente mutato, e ciò poteva essere un bene quanto un male. Avrebbero potuto fraintendere, ed in realtà credere che non siano davvero così perfetti insieme, oppure avrebbero potuto confondere i loro sentimenti con qualcosa di più. Stufa, sbuffò attraverso le labbra, sdraiandosi al materasso. “Sonoko...?”
“Mhm?”
“Come devo comportarmi, Sonoko?” rilasciò ancora un sospiro. “Non so cosa fare... cioè, noi eravamo migliori amici, adesso... adesso cosa siamo?”
L’ereditiera fece spallucce. “Che importa?”
Ran la guardò sconcertata. “Come?”
“Che importa, scusa? Che siate migliori amici, conoscenti, compagni di classe, amanti o, come si dice adesso, amici di letto...” ridacchiò all’elenco. “Che importanza ha? Sarete sempre Shinichi e Ran. Sempre quei due che si conoscono fin da piccoli e che fin da piccoli s’amano, perché dovreste classificarvi? Di coppie come voi non ce ne sono più, credimi.”
L’amica inarcò, così, un sopracciglio. Era improvvisamente diventata profonda... “Ma... ma tu non eri contro di lui?”
Sonoko la osservò, scoppiando a ridere. “Ma io lo dicevo perché avevo paura potesse farti soffrire ancora, più di quanto ha già fatto... ma se tu lo vuoi... beh, a me non è che stia così simpatico, ma per te... beh, chiuderò un occhio!” Le fece l’occhiolino, facendola sorridere.
“Quindi... dovrei accettare tutto quello che ci sta accadendo?”
“Sì, tutto... avete perso fin troppo tempo, no?”
Ran annuì. “Ho paura...”
“Si ha sempre paura d’amare, è normale. Devi solo fare in modo che quella paura non comprometta i tuoi sogni.”
“Come?” s’interessò Ran, guardandola.
“Sconfiggi quella paura insieme a lui.”
La karateka sembrò zittirsi. Quel discorso la introdusse in una nuova ottica, dove forse non aveva mai guardato: quella in cui, Shinichi Kudo, era e poteva davvero essere un compagno di vita. Non più l’amico d’infanzia appassionato di misteri, ma il suo detective preferito, il suo Shinichi. Suo e di nessun altro.
Certo, insieme avrebbero dovuto imparare a coltivare quel sentimento. A farlo crescere, a rafforzarlo, e casomai a curarlo, quando ce ne sarà bisogno.
E finalmente si sentì pronta, pronta ad amarlo.
Ma, nonostante tutto, quel discorso era stato troppo intenso per credere davvero fosse stata Sonoko a pronunciarlo. Non che l’amica non ne fosse capace, ma era solo forse troppo poco seria per parlare in tal modo, in quelle parole che Ran sentì dannatamente sue, lei.
Così la guardò, colpita. “Belle parole, davvero! Grazie amica!” e con le mani l’abbracciò, felice.
L’ereditiera si voltò verso di lei, fiera. “Ah, non sono mie. L’ho sentite in un telefilm, vedessi quanto è bello!”
Ran assottigliò gli occhi. “Sonoko...”
“Guarda, ti racconto. Praticamente, questi due si conoscono in un viale alberato, ma non riescono a vedersi mai, sai perché? perché...”
Probabilmente, comunque, la karateka aveva già smesso di prestarle attenzione. In quel momento, avrebbe voluto ascoltare solo la voce del suo Shinichi.
 
•••
 
Shinichi si rivoltò sul materasso come una palla di fieno cade e si rotola dalla discesa d’una collina. La casa era desolata e silenziosa, gli unici rumori provenivano da fuori: uccellini sui suoi alberi centenari e qualche voce di fondo appartenente a dei ragazzini che giocavano a calcio gli permisero di socchiudere gli occhi e lasciarsi andare ai suoi pensieri. Uno starnuto lo obbligò a chiudere gli occhi, e a spezzare quell’armonia. Quel maledetto raffreddore sembrava tartassarlo ancora. Ma, in quei giorni, non era stato proprio la sua influenza a scuoterlo. Anzi, l’aveva proprio accantonata. Perché dopo il caso, l’antidoto, l’azoto, le scuse, le bugie, il litigio, il bacio, quel tizio, la timidezza e il fastidio, poi di nuovo loro e di nuovo il bacio, tempo per starnutire quasi non ne aveva trovato.
Ah, il quasi bacio, si ricordò, dato che Sonoko Suzuki aveva avuto la grande idea di interromperli sul più bello.
- Speriamo solo che Ran torni a parlarmi... speriamo solo che non se la prenda con me per quanto quell’oca ha combinato! -la maledisse, stringendo i denti. - Ah, se non si fosse messa in mezzo... l’avrei baciata di nuovo... è tutta colpa sua... mannaggia, ah... te la faccio pagare Suzuki, puoi giurarci... - ghignò con le labbra, maligno.
- Chissà se Haibara ha completato l’antidoto... dannazione, se solo fosse davvero pronto, potrei non trasformarmi più in Conan, potrei avere sempre il mio corpo... -si mise supino, mandando lo sguardo al soffitto. - Troppo bello per essere vero... -
- Se solo avessi qualche indizio in più su di loro... potrei scovare la loro base e tentare in qualche modo di farli arrestare... non possono passarla liscia! - strinse i pugni con decisione, stendendo le gambe.- Certo è che stare qui non è che mi aiuti... - ammise poi, tramutando i suoi occhi in puntini.
Così, alzandosi dal materasso, s’infilò le scarpe e filò dritto verso l’entrata, diretto a casa del professore. Sperò solo che la piccola scienziata avesse fatto seri progressi per l’antidoto, e che quella, finalmente, fosse la volta buona.
 
•••
 
“Ciao Shinichi!”
Lo scienziato pazzo, che definiva suo vicino di casa, lo accolse con grande entusiasmo, sbarrandogli la porta d’entrata e permettendogli d’entrare. L’investigatore mosse alcuni passi verso di lui, accompagnato da un inconfondibile sorriso sulla bocca. E quell’espressione, che gli andava ad allargare le guance magre, non sfuggì al professore.
“Ti vedo felice... ti è successo qualcosa di bello?”
Shinichi sviò il suo sguardo, leggermente imbarazzato. “A me? Niente di che...”
“E dai, dimmi... come è andata con Ran?” lo prese in giro il dottore, stuzzicandolo col gomito.
Ma il detective pensò bene d’ignorarlo. In fondo, il coraggio di confessare cosa fosse successo, ad una persona che l’aveva visto crescere e che con ogni probabilità l’avrebbe riferito all’istante a sua madre, non ce l’aveva proprio.
“Professore... Haibara è in casa?”
“Sì, è di sotto... sta faticando molto per l’antidoto!”
“Immagino...” L’investigatore annuì, muovendosi verso il seminterrato dell’abitazione. Scese le scale con passo svelto, seguito con flemma dal dottore.
“Allora? Progressi?” si affacciò alla porta, per poi introdursi nel laboratorio ed avvicinare la finta bambina che, seduta su di una poltrona fin troppo grande per lei, continuava a lavorare al computer.
Alla sua voce, Ai si girò ad osservarlo, mandandogli un’occhiata truce. “Ma non avevi detto che avrei dovuto avvisarti io?”
“Non ti ho sentita più dall’altro giorno.” Le ricordò l’amico, sedendosi ad una delle sedie della stanza. Il professore lo imitò, stanco.
“Forse perché non avevo nulla da dirti?”
Shinichi sbuffò, stiracchiandosi. “Ciò vuol dire che sei ancora a zero?”
La scienziata lo imitò, voltandosi con l’intero corpo, aiutata dal movimento rotatorio della sedia, verso il dottore e l’amico.
“No. Grazie alle informazioni sull’azoto so ormai qual era il processo che non ti ha mai permesso, quando prendevi i miei antidoti, di rimanere Shinichi Kudo. L’azoto ne è in parte responsabile, ma in sé non risolverebbe granché.”
“Cioè... non è l’azoto il perno della questione?” dedusse lui, poggiando il viso sui palmi delle mani, e i gomiti sulle ginocchia.
“Lo è e non lo è. Cioè, voglio dire, potrebbe essere una combinazione di alcuni fattori...” si provò a spiegare, pensando alle parole giuste. “Ovvero, eri influenzato, hai bevuto l’acqua di quel lago ed hai ingerito l’antidoto. Questi tre avvenimenti, messi insieme, hanno prolungato l’effetto della pillola. Precedentemente avevi solo preso l’antidoto, altre volte eri soltanto raffreddato... invece, l’ultima volta, a contrastare l’aptx si son messe insieme ben tre cose.”
“Okay” sospirò il detective, deglutendo. “Tutto ciò per dire che?”
“Come va il raffreddore, Kudo?”
Shinichi s’incuriosì, inarcando un sopracciglio. “Il raffreddore? Beh, un po’ meglio... starnutisco ogni tanto...”
“Ti sta passando?” gli chiese ancora.
“Ehm... direi di sì.” Affermò, stranito. Poi, strabuzzando gli occhi, cominciò a balbettare. “Con questo... vuoi dirmi... che...” non riuscì nemmeno a completare la frase quando ne capì il vero fine.
Lei fece spallucce. “E’ probabile che, quando ti passerà del tutto, tornerai ad essere Conan...”
“Eh!??” s’alzò di sbotto dalla sedia, facendola sobbalzare. “No, questa è un’ingiustizia!”
Lei assottigliò gli occhi, tornando a concentrare l’attenzione al monitor del suo computer. “Lo sapevi che saresti tornato piccolo... non fare scene inutili.”
“No...” Shinichi si guardò intorno, ricercando qualcosa di indefinito sugli scaffali. Spostò gli occhi su più cose, per poi soffermarsi sulla porta d’entrata. Scrutandola per un po’, decise di muovere qualche passo verso di essa, per poi accelerare e risalire le scale, lasciando i due da soli nel seminterrato. Si guardarono allibiti quando sentirono la porta d’entrata aprirsi e poi richiudersi, nel giro di qualche secondo. Se n’era andato, ma i suoi ‘no’ riecheggiavano ancora nell’aria.
 
•••
 
Avendo già preparato lo gi e la borsa da karateka, Ran non esitò un minuto in più: dopo aver parlato ancora con Sonoko, ed averle confidato i dubbi riguardo la sua, nascente, relazione, aveva deciso d’accompagnarla a casa, e durante il tragitto fermarsi in palestra. Le due avevano mangiato insieme un panino al fast food, divertendosi a spettegolare del più e del meno. Nei discorsi balzò anche il nome di Hana Yami, che tanto fastidio aveva procurato alla Mouri quella stessa mattina. Riuscì comunque a mascherarlo al meglio, sebbene bramasse dalla voglia di saperne di più su quella ragazza così misteriosa e saltata lì dal nulla. Sonoko l’avvisò che aveva sentito alloggiasse in un albergo, alla ricerca di una casa vera e propria; ed inoltre, la informò che, tipi come quelle, avevano il potere di mettere i bastoni tra le ruote ad una relazione. Ran deglutì, sorseggiando la sua bibita, ma non poté fare a meno di darle ragione. Quella tipa era fin troppo estroversa per i suoi gusti.
Ran arrivò in palestra abbastanza in anticipo, e si sorprese di vedere che Saigo era già lì ad aspettarla. Scendendo i gradini, gli rivolse un sorriso benevolo che il giovane ricambiò molto volentieri.
“Sei già qui? Come mai?” gli chiese , appoggiando il borsone su una panchina apposita, e prendendo da esso lo gi.
“Non vedevo l’ora di iniziare... ho già fatto il riscaldamento ed alcuni esercizi che mi hai fatto vedere tu la scorsa lezione... sono carico!!” esclamò, avvicinandosi alla ragazza con passo svelto.
“Ah, davvero? Molto bravo... vado a cambiarmi, ci metto un attimo!” Lo avvisò, cominciando a muoversi verso gli spogliatoi presenti nella palestra.
Saigo annuì, e ridacchiando, le si avvicinò. “Se vuoi ti faccio compagnia...”
A quell’invito, Ran arrossì di sbotto, e fermandosi ad osservarlo, si ritrovò ad essere indecisa se avesse capito o meno quello che le aveva appena detto. “Eh!?”
Ma lui rise, e sventolandole una mano di fronte agli occhi, allentò la tensione. “Sto scherzando! Vai, vai...”
“Ah” ridusse i suoi occhi a puntini, imbarazzata. “Certo, certo” rise anche lei dopo, per poi girarsi e correre verso le cabine. Saigo si sedé nuovamente sui gradini, in attesa che la sua maestra si cambiasse. Strinse un po’ i pugni, dandosi mentalmente dello stupido per l’avances che continuava a mandarle ma che lei sembrava non avvertire minimamente.
- Devo essere più incisivo... con queste mezze frasette non vado da nessuna parte... -si rimproverò poi, mandando alcune occhiate agli spogliatoi, impaziente di vederla uscire. E quando lo fece, non poté che rimanere esterrefatto nuovamente da tanta bellezza. Quello gi le stava da vera dea.
 
•••

 
- Okay, non sembro un idiota... no... -si autoconvinse il detective, lasciando che la porta di villa Kudo si chiudesse alle sue spalle. Mani, alquanto gelide, in tasca e passo tutt’altro che svelto: quella giornata faceva più freddo di quanto pensasse. Ma, quando sentì un nuovo starnuto disturbarlo, pensò che avesse fatto la cosa giusta. E s’incamminò così, rabbrividendo ad ogni minimo passo, verso il liceo Teitan.
- Mannaggia...solo a me possono venire certe idee... -
“Ciao Shinichi Kudo!”
Una dolce voce lo richiamò da lontano, costringendolo a voltarsi. Dall’incrocio di due strade, proveniva con passo svelto, e con un gran sorriso stampato in viso, la ragazza che aveva conosciuto stamattina a scuola, di nome Hana. Si fermò così l’investigatore, e nell’aspettare che lo raggiungesse, fece altri tre starnuti, uno di seguito all’altro.
“Se ti vesti in questo modo altro che raffreddore! Ti prenderai una bronchite!” lo sfotté poi, quando fu ad un metro da lui.
Il detective sorrise falso, stringendosi nei pochi stracci che lo coprivano.
“No, no... è solo allergia.” Finse, asciugandosi il naso. “Ciao...” la salutò poi, sorridendole. “Come mai qui?”
“Sto cercando casa... mi hanno detto che qui ci sono molti appartamenti carini. Sto dando un’occhiata...” lo avvisò, entusiasta.
Poi, continuando ad osservarlo, lo scrutò per bene. “Non per farmi i fatti tuoi... ma potrei sapere perché a febbraio sei a mezze maniche?”
Shinichi sobbalzò. Infatti, per prevenire un probabile rimpicciolimento, aveva deciso bene di cambiarsi d’abiti ed indossare una semplice t-shirt a mezze maniche blu, che andava a risaltare il colore dei suoi occhi, ed un pantalone di cotone nero abbastanza leggero, che potessero fargli raggiungere il suo fine. In fondo, la scienziata gli aveva detto che presto si sarebbe trasformato in Conan a causa della scomparsa del raffreddore; quindi, aveva pensato lui, se vado in giro a fine gennaio come se fosse agosto dovrei riuscire ad ammalarmi. Peccato che non avesse messo in conto quanto freddo avrebbe beccato con questa sofisticata tecnica.
“Io? Ehm... ho caldo, sì... soffro di alcuni sbalzi di temperatura tremendi. Tipo, adesso, non sai quanto vorrei stare al mare...”
Ebbe solo la fortuna di riuscire a non ticchettare i denti mentre lo diceva.
- Sotto il Sole cocente... - aggiunse in mente, raggelandosi.
“Ah, davvero?” rise lei, non pienamente convinta. “Comunque, visto che conosci la zona... mi vuoi fare compagnia? Potresti darmi dei consigli utili!”
“Accompagnarti?” esitò, osservando in direzione della sua scuola. Avrebbe voluto parlare con Ran, e controllare quel tipo cosa combinasse con la sua amica. Come declinare cordialmente l’invito di una ragazza?
“Sì, dai! E poi, essendo tu famoso, vuoi vedere che mi fanno qualche sconto?”
Shinichi rise, stringendosi su se stesso. “Mica sono un architetto!”
Lei sbuffò, continuando a ridere. “Che c’entra! Hai tantissime fan... casomai ne becchiamo una, sai che fortuna?”
“Beh, io...” provò a dirle, ma quasi non ci riuscì. - Dovrei andare da Ran e da quell’idiota... -
“Dai!!” continuò, congiungendo le mani a mo’ di preghiera. “Però, se davvero la incontriamo... specifichiamo che io non sono la tua fidanzata!” rise, divertita. “Sono tua sorella, dai. Sennò mi mangerebbe.”
Anche a Shinichi scappò un risolino. “Beh, potremmo dire la verità: sei una mia amica.”
“Mhm...” puntò lo sguardo al cielo lei, sfottendolo. “La verità è sempre una sola! Sei fissato proprio eh!”
“Oh, mi conosci bene...” constatò, osservandola.
“Sì, e se dobbiamo dirla tutta, la verità non è che sono una tua amica...” fece maliziosa lei, afferrandogli un braccio. Se ne rese conto appena lo toccò: era gelato.
“Mhm?” emise un suono smorzato lui, stranito.
“Sono una tua fan!” Rise ancora lei, e con l’altro braccio lo spinse da dietro la schiena, trascinandolo con sé. “Quindi... non puoi negare un piacere ad una tua fan!”
Shinichi sospirò, rassegnato. Sperò solo di potersi sbrigare presto.
 
•••
 
“Ehi Ran...”
- Ma dov’è... - Sebbene apparisse concentrata e fin troppo assorta negli esercizi, per chi come Saigo la osservava da fuori, la karateka pareva distratta nel mandare occhiate verso il portone d’entrata della palestra. Ed ogni volta che notava un’ombra oscurare la luce del Sole, sentiva il cuore mancarle un battito ed aumentarle la respirazione. Ma, quando constatava che quella figura non fosse l’investigatore, si lasciava andare ad uno sbuffo seccato, da cui trapelava tutta la sua delusione.
“Ran...?”
- Mi aveva detto che sarebbe venuto...! -
“RAN?!”
All’ennesimo richiamo fu forzata a voltarsi, rendendosi improvvisamente conto d’essersi, nuovamente, persa a pensarlo. Sorrise all’amico, grattandosi un po’ la testa, imbarazzata.
“Oh, scusami, ero sovrappensiero.”
“Non preoccuparti” fece gentile lui, avvicinandola. “Sei molto distratta oggi... mi devo preoccupare?”
“Eh?” ridusse i suoi occhi a puntini Ran, arrossendo all’istante. “No, macché... pensavo ad una cosa...”
“Cosa?” s’incuriosì lui, mentre s’abbassò al pavimento per eseguire particolari esercizi.
“Ehm...” balbettò la karateka, ma mentre ricercava una scusa per mentirgli, tornò con la testa a quella stessa mattina, quando in classe s’era presentata quella nuova ragazza.
“In realtà, sai... oggi in aula abbiamo conosciuto una ragazza.”
“Ah, sì?”
“Ed ha il tuo stesso cognome...” lo avvisò, col tono perplesso.
S’interessò così lui, fermandosi un attimo. “Davvero?”
“Si chiama Hana Yami... è molto carina... cioè, non so, ho pensato potesse essere...” non riuscì comunque a continuare lei, indecisa se rivelarglielo o meno.
Ma lui l’anticipò, esterrefatto. “... mia sorella?”
Lei annuì.
“Ma Ran...” balbettò poi, incredulo. Si fermò d’un tratto e si sedette al pavimento, congiungendo le gambe. “Ma mia sorella... mia sorella ha 22 anni...”
“Lo so...” lo avvertì lei, ricordando quel - piccolo - particolare. “Ma mica ricordi come si chiamava?”
“Beh, il suo nome originale era Yukiko Masuyama.” L’avvertì, poggiando un indice sotto il mento e alzando gli occhi al soffitto.
“Aspetta...” lo interruppe Ran, stranita. “Avete cambiato nomi?”
Lui annuì. “Sì. Quando si viene adottati da altre famiglie, per legge, si acquista il cognome di suddetta famiglia, che può, se vuole, cambiarti anche il nome.”
“Ma quindi... il tuo vero nome qual è?” Le chiese lei, curiosa.
“Per esteso sarebbe...” ci pensò un attimo su, tornando a guardarla. “Higo Saigo Masuyama Yami.”
A Ran scappò un sorriso. “E perché non ti fai chiamare Higo?”
Lui fece spallucce. “Per quanto ricordo mi hanno sempre chiamato Saigo... mi sembrerebbe strano farmi chiamare diversamente. Tutto qui.”
Lei s’intenerì, socchiudendo leggermente gli occhi. “Dev’essere stato difficile per te...”
Lui sorrise, issandosi da terra. “C’è chi sta peggio. In fondo, io, ho trovato una famiglia che m’ha accudito e m’ha cresciuto come un vero figlio... può darsi che mia sorella non abbia avuto altrettanta fortuna.”
“Questo è vero...” annuì Ran, abbassando il capo.
“Avrei soltanto voluto incontrarla in questi anni, ma sebbene l’avessimo cercata ovunque, non l’abbiamo trovata da nessuna parte.”
“Non credi proprio possa essere questa Hana Yami, vero?”
Lui fece una smorfia, insicuro. “Non so. Mi sembra più un’incredibile coincidenza che, questa tizia, abbia il mio cognome adottivo. Avrebbe dovuto essere presa in custodia da una famiglia col mio stesso cognome... e poi, lo sai, mia sorella è più grande di noi.”
Ran rimase zitta per un po’, rattristita da quella conversazione. Ma, quando il Sole, tramontando, tornò a proiettare uno dei suoi raggi sull’infisso della porta, sussultò.
E mentre si girò a controllare, si diede mentalmente dell’idiota. Shinichi non era venuto.

 
•••

Un sbuffo di fumo aleggiò nella stanza cupa e buia di quel seminterrato, nella periferia di Tokyo. Nel silenzio di quella notte, un ghigno maligno si aprì sulla bocca dell’uomo, mentre un po’ di cenere si distruggeva al pavimento. Un bicchiere di spumante in mano, come a festeggiare quella vittoria. Così prossima.
- Ah, lo Chandon... è così dolce e amaro allo stesso tempo... -

 





•••

Hello to everybody!!! I'm back ;)
Okay, la smetto di fare l'idiota XD Sono tornata gente!!! In realtà, non pensavo nemmeno io di riuscire ad aggiornare così presto, ma alla fine ce l'ho fatta. Diciamo che questo settimo capitolo si è quasi scritto da solo! :P
Ha fatto bene? Sì, no, non lo sapete? E ditemelo!!!
In realtà, chi credeva che le cose sarebbero dovute andare lisce per i due piccioncini? E vi sbagliavate di grosso! Chi conosce Tonia sa che mai da quiete a questi due poveri giovani che hanno l'unica colpa d'essere i miei beniamini, o perlomeno, la mia coppia preferita di tutti gli anime e manga esistenti sul pianeta! :P
Allora!!! Come vi è sembrato il SEVENth?"
Shinichi che vuole prendere la febbre ad ogni costo... XD è idiota, o no?
Ran e Sonoko che fanno pace... l'ereditiera abbozza anche un minimo di filosofia... rubata! :P 
Hana che trasporta l'investigatore di qua e di là alla ricerca di un appartamento...!
E Saigo che continua a confidarsi con la sua dolce maestrina, facendola intenerire. E poi, la parte finale. Per chi non lo sa: lo Chandon è uno spumante. Anche molto buono, direi XD
E dunque... A BUON INTENDITORE, POCHE PAROLE!

Grazie mille ai recensori del precedente chap: ciccia, assu, Luna, Kaori, Marta, Delia, Shin e ran amore, bessielizzie, j_angel, mangaka-chan, Hoshi e arya!!
SIETE MERAVIGLIOSI!!!! <3

Io, dunque, fuggo via. Sperando d'avervi fatto gioire/piangere/bestemmiare anche con questo chap, vi do un saluto affettuoso!
E ci sentiamo alla prossima!!!

xxx
Tonia

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Capitolo 9
*** Il noi che non saremo ***


Your Lies


8.
Il noi che non saremo
•••

 
 
“Quell’appartamento era davvero carino, ma poco esposto al Sole! Quell’altro invece era troppo grande, l’altro ancora troppo piccolo... mhm, quell’altro era troppo caro, quell’altro invece...”
Tra tutte le qualità che ostentava di possedere il detective, la pazienza non gli mancava di certo. D’altronde, aveva sopportato il rimpicciolimento, aveva sopportato il dolore del suo corpo che, ardente, tornava ad essere quello di un tempo, aveva sopportato la tristezza di Ran e l’impossibilità di rivelarle quanto ci tenesse a lei, ed aveva sopportato le elementari e quei bambini, quindi, sì, ne aveva di pazienza. Ma quando la mettevano a dura prova e testavano quanto grande fosse la sua calma e freddezza, sembrava quasi che tutta la sua armatura di ferro cadesse all’istante, scoppiando da dentro, come scaraventata al di fuori da una bomba a mano. Non solo per la prima volta in vita sua aveva fatto tutto il giro del vicinato - e quasi anche di Beika, in realtà -, ma aveva dovuto anche subirsi per ogni metro le lamentele della sua compagna di classe, alla quale sembrava non andare bene nulla.
Così, dopo ben tre ore di giri - in cui, inoltre, era diventato un blocco di ghiaccio -, era riuscito a stento a convincerla a tornare indietro, con la scusa che, quella sera, avesse proprio da fare.
“Quindi tu abiti tutto solo in una villa enorme?” Gli domandò Hana, affiancandolo nel rientro a casa.
“Sì, i miei genitori vivono a Los Angeles da qualche anno.” Le riferì lui, con un tono tutt’altro che giovale, avanzando il passo.
“Come mai?” S’interessò lei però, cercando comunque di non sembrare troppo invadente.
La guardò, incerto. Forse non l’aveva mai saputo neppure lui il vero motivo.
“Mhm” sibilò un mugugno strano. “Desideravano scappare dalla fama che li aveva invasi in Giappone, e si sono rintanati in America dove pochi li conoscevano. Comunque, poi, mio padre è divenuto famoso anche lì, quindi...”
“E tu... ci sei stato male...” dedusse lei, osservandolo.
Shinichi inarcò un sopracciglio, scoppiando a ridere. “Chi? Io? macché... sono stato benissimo.”
“Beh, deve essere stato tremendo per un quattordicenne, comunque...”
“Non per me” ribatté velocemente lui, stringendosi su se stesso, alla ricerca di un po’ di calore. “Non mi perdo per sciocchezze del genere.”
Hana gli sorrise, mordicchiandosi il labbro inferiore con i denti. Aveva sospettato che dietro la fama d’investigatore ci fosse ben altro; ci fosse un giovane che, comunque, avesse dovuto affrontare molto più di quanto le sue forze riuscissero a controllare. Un giovane che, oltre al fisico, avesse anche cervello, proprio come aveva creduto. Perciò l’attraeva così assai, come non avrebbe dovuto: aveva qualcosa di indescrivibile che, agli occhi suoi e forse di qualcun altro, lo rendevano speciale.
“Cos’è? E’ una maschera, o sei proprio tu?” gli domandò poi, dopo qualche secondo di silenzio.
Shinichi tornò a stranirsi. “Che?”
Lei rise. “Sei veramente così interessante, o è una tattica?”
Fu a quella domanda che, inevitabilmente, arrossì; rossore impercettibile però per la ragazza, che lo guardava attraverso la fioca luce della luna.
Così, per mascherare il lieve imbarazzo, ma soprattutto il grande ego che ricominciò a fiorire dai suoi pori, rise. “Io sarei interessante?”
Lei convenne, sicura. “Non te ne sei accorto? A scuola le liceali ti sbavano dietro.”
Lui sospirò, fingendo un piccolo stupore. In realtà, aveva intuito qualcosa, ma era troppo impegnato a pensare a Ran per accorgersene sul serio.
“Però tu non sembri dare corda a nessuna di loro...” aggiunse lei, maliziosa. “Mhm...”
“Che c’è?” le domandò lui, sorridendo.
“Due sono le cose...” e mentre lo disse, gli parò indice e medio avanti, come il segno della vittoria. “Anzi tre!” Continuò, ridendo.
“Mhm?”
“O sei incredibilmente tonto...” cominciò ad elencare, chiudendo l’indice.
“O terribilmente innamorato...” fece lo stesso col medio. “O...”
Shinichi la invitò a proseguire, osservandola.
“O sei gay!”
L’investigatore scoppiò a ridere, mantenendo comunque ben salde le mani nelle tasche e le braccia lungo il corpo.
“Direi che... la terza la puoi scartare.”
Anche lei rise. “Beh, questo è confortante.”
“Ah. Per ME invece è confortante sapere che sei VIVO.”
Shinichi deglutì, ed alzando il viso, sentì un’aura minacciosa incombere su di lui, quasi come se avesse appeso sopra la sua testa un macigno di venti tonnellate. La voce che amava e la donna a cui apparteneva, era ad un misero metro da lui, appoggiata al cancello di casa sua, con le braccia incrociate e sul viso un’espressione leggermente arrabbiata.
“R-Ran...” balbettò, ritrovandosela davanti. “Ti ho mandato un messaggio, non l’hai ricevuto?” Le chiese poi, in difensiva, tentando di scusarsi. Era riuscito, infatti, quel pomeriggio ad avvisarla attraverso un misero sms, dove freddamente l’avvertiva che non sarebbe venuto all’appuntamento per un imprevisto. Ma la karateka, per sua sfortuna, non era rimasta soddisfatta.
“Sì. Mi è arrivato.” Rispose lei, con un’impercettibile rabbia. Non solo non s’era presentato in palestra, ma era andato anche in giro con quella tizia, conosciuta quella stessa mattina, come se niente fosse. Aveva preferito la compagnia di quell’ochetta alla sua.
Mancava per mesi, e poi, quando finalmente tornava, se n’andava in giro con altre.
Ran s’impose l’autocontrollo, attraverso i pugni e i piedi, tenendo tutto fermo e ben saldo verso la strada.
“Oh, scusami! Aveva appuntamento con te?” s’intromise Hana, avvicinandosi al ragazzo e tentando di scusarlo. “E’ colpa mia. L’ho trascinato per gli appartamenti di Beika, ed abbiamo fatto tardi.”
Lui annuì, tentando di convincerla. Ma per qualche oscuro motivo, sapeva che non sarebbe stato facile.
Ran mandò occhiate ad entrambi, come se stesse decidendo chi per primo avrebbe assaggiato i suoi calci micidiali, ma, ancora una volta, dovette calmarsi.
“Ah, non c’è problema. Se morirà di fame però, spero che venga a mangiare da te.” Rispose, rendendosi conto lei stessa di quanto il tono fosse risultato acido.
Hana rise, un po’ stranita. “Beh... okay. La porta è sempre aperta per il mio detective preferito.”
La karateka infilzò le unghie nella carne, torturandosi le mani.
- Ma sentitela... il mio detective preferito! - deglutì più rabbia che saliva. - Come si permette quest’oca?! -
Shinichi, intanto, non azzardava a parlare. Ogni parola, in fondo, poteva essere usata contro di lui. Si allontanò da Hana, e lentamente s’avvicinò all’amica d’infanzia, racchiusa in un’insolita aura di fuoco.
“Ran?” la provò a chiamare poi, tremando con la voce. La giovane gli rivolse uno sguardo sinistro che difficilmente avrebbe dimenticato.
“Cosa vuoi?”
“Vuoi... entrare?” le chiese, indicando con la testa la sua villa.
Lei, così, lo fissò, come un leone osserva imperterrito la sua preda.
“No” rispose poi, cominciando ad indietreggiare. “Mi sembra che tu abbia già compagnia. Buonanotte!”
E senza dargli nemmeno il tempo di replicare, fuggì via, per la seconda volta in quella giornata.
 
•••
 
La mattina seguente Ran non si presentò in classe. Sebbene Shinichi le avesse mandato diversi messaggi durante le ore notturne, e l’avesse ricercata per tutta la mattinata, dovette necessariamente rendersi conto di quanto la karateka fosse arrabbiata con lui. Non solo non s’era fatta sentire, ma, stranamente, aveva anche marinato scuola; e tutto ciò, non era da lei. Ignorando completamente le lamentele dell’ereditiera che mai come quella mattina era risultata irritante, alla fine delle lezioni era fuggito via dall’aula come un vero ladro. Hana, infatti, lo perse di vista nel giro di qualche minuto, e se ne rattristò tantissimo. Avrebbe voluto chiedergli di tornare insieme, e non aveva nemmeno il suo numero affinché potesse chiamarlo.
Shinichi, in realtà, s’era diretto verso casa della sua amica d’infanzia. L’aveva raggiunta nel giro di una decina di minuti, affaticandosi. Dovette, infatti, necessariamente fermarsi per qualche minuto sotto l’agenzia in modo da recuperare fiato ed energie. Poi, rilasciando l’ultimo grosso respiro, si decise a salire le scale. Bussò alla porta dell’appartamento, ben conscio che la sua amica stesse lì. Non a caso aveva origliato da fuori per ascoltare la sua voce, tralasciando di proposito l’ufficio.
Kogoro, inoltre, se c’era... era di sotto; a - tentare, inutilmente, senza il suo aiuto di - risolvere casi. Ed era assolutamente all’oscuro che sua figlia fosse in casa. Infatti, la giovane, quella stessa mattina gli aveva detto che sarebbe andata a mangiare da Sonoko, e non sarebbe tornata prima del pomeriggio. Kogoro aveva molte commissioni da fare, e di certo non sarebbe rimasto in casa. Quindi, aveva via libera.
Ran andò ad aprire, totalmente ignara che, al di là dell’infisso, ci fosse il giovane che tanto amava ed odiava. Nel vederlo, il suo cuore fece una capriola all’indietro. Non solo perché, nonostante fosse dannatamente arrabbiata con lui continuasse a trovarlo splendido, ma anche perché, tutto si sarebbe aspettata, tranne di ritrovarselo lì. A casa sua. Quasi ne rimase felice; in fondo, ciò voleva dire che un po’, anche a lui, importava di loro.
Ma non lo diede a vedere. Anzi, simulò una smorfia, sulla quale compresse tutto l’astio che, smisurato, cresceva in lei.
“Che ci fai qui?”
Shinichi sorrise, e l’abbagliò. Ma lei si tenne stretta alla maniglia, cosicché quella luce non riuscisse ad accecarla. “Perché non sei venuta a scuola?”
Lei sbuffò, distogliendo lo sguardo. “Non sono affari tuoi.”
“Sì che lo sono.” Replicò lui, poggiandole una mano sulla sua. Ma a quel tocco, quanto bello fosse, Ran sussultò, e la ritirò via.
“No.” Incrociò le braccia, quasi come per difendersi dall’attrazione che la spingeva nelle sue braccia. “Non lo sono.”
Stavolta sospirò lui, ma tentò comunque d’avvicinarsi. “Ran, vuoi che ti chieda scusa per non essere venuto?”
Lei lo guardò truce.
- Come minimo... -
“Scusa.” Recitò, abbandonando il tutto con un leggero tono malinconico. “Non è stata colpa mia, quella ragazza è un tornado, mi ha trascinato per tutta Beika!”
“Era anche provvista di catene e manette?” replicò lei, stizzita.
Lui sorrise, mentre dentro, gioii. Ran era gelosa. Gelosa. Gelosa di lui. “No, non mi ha incatenato per seguirla.”
- Appunto, idiota! - si lamentò in mente la karateka, respirando rumorosamente.
“Ma pensavo ci mettessimo di meno, non credevo che avesse intenzione di vedere tutti gli appartamenti del vicinato. Davvero.”
Si guadagnò, comunque, un’occhiata sinistra. “Poverino, avrai camminato molto, vuoi che ti massaggi i piedi?” lo schernì poi, simulando un tono sarcastico.
Lui rise. “Perché no?”
Ma lei tornò seria, ed assottigliò gli occhi. “Stavo scherzando, non lo farei nemmeno se mi pagassi.”
Lui la osservò per un po’, lasciando che i secondi scorressero veloci sul quadrante dell’orologio. Non seppe né perché né come riuscì a dirlo.
“E se ti baciassi?”
Il tempo quasi si fermò attorno a loro. Ma mentre il cuore di Shinichi palpitava di tenacia ed intraprendenza, quello di Ran si bloccò per qualche istante, incredulo. Le sue stesse orecchie s’erano chiuse per poi riaprirsi violentemente, al suono di quella voce. E dopo qualche attimo di trance, la karateka si risvegliò, come da un dolce e bellissimo sonno.
Comprese, allora. Era mutato il loro rapporto? Tanto valeva andare fino in fondo, e non guardare più al passato. E se lui voleva giocare a vincere, lei no, non gliel’avrebbe data di nuovo vinta.
Sorrise così, sicura. “Ti rifiuterei.”
Lui ghignò. “Come le ultime due volte?”
Lei scostò lo sguardo, ridendo per non arrossire. Da quanto in qua era divenuto così sfacciato? Le era salita una gran voglia di prenderlo a calci nel sedere. Ma, magicamente, era scomparsa la sua rabbia. Non la provava più.
“Ti credi così irresistibile?” azzardò lei, non volendo perdere quel dibattito. Ma non si rese conto di dare solo alito a quell’ego di espandersi.
Così, da abile oratore qual era, Shinichi rivoltò la domanda. “Tu come mi credi?”
Lei sospirò, stringendo i denti. La stava avendo vinta lui. “Sbruffone, egocentrico ed idiota.” Riuscì a rispondere però, ed anche con grande decisione.
“Oh” ridacchiò lui, sarcastico. “Pensavo peggio.”
“Ah, dimenticavo” lo guardò fitta lei, sorridente. “Anche bugiardo.”
“Qualcos’altro?” chiese, ironico.
Ma lei avvampò. Perché da un momento all’altro aveva lo smisurato bisogno d’abbracciarlo? E nonostante odiasse ammetterlo, avrebbe anche voluto baciarlo? Perché non riusciva più a controllarsi nemmeno nei suoi confronti? Shinichi le era sempre piaciuto, ma adesso perché non riusciva nemmeno a staccare gli occhi dal suo corpo?
Così, lentamente s’avvicinò a lui, senza nemmeno rendersene conto.
“Cosa sono questi rumori...” ma una voce lontana li interruppe, facendoli sobbalzare. “Ran, sei di sopra?”
Shinichi e Ran strabuzzarono gli occhi. Entrambi erano a conoscenza dell’irruente gelosia del caro oji-san, e trovare il moccioso detective, da solo, in casa con sua figlia, non gli avrebbe di certo fatto piacere. Così, presa da un coraggio sconosciuto, e forse rubato dall’amico, lo afferrò per il polso e lo trascinò velocemente dietro la spalliera del salotto di casa, nascondendosi, insieme a lui, giusto in tempo che Kogoro varcasse l’atrio di casa.
E seppur non avesse voluto, dovette accovacciarsi su di lui, affinché il divano li nascondesse per bene.
Tutto dei loro corpi combaciava. Lui le stava dietro, ma aveva le gambe verso le sue, mentre lei, con la schiena, s’appoggiava al suo torace.
“Perché ti nascondi?” le domandò con un filo di voce, ridendo.
Lei avvertì il fiato del detective sul suo collo, e sentì il cuore accelerarle furiosamente. “M-mio padre... non sa che sono qui...”
“Ah, brava. E poi dici che io sono il bugiardo.” La sfotté, appoggiando il mento all’incavo della sua spalla.
Ran sentì mani e gambe tremare.
“Non sapevo tornasse così presto, mi ha detto che aveva da fare!” replicò comunque sottovoce, come per difendersi.
Intanto, Kogoro aveva dato un fugace sguardo all’ambiente, ma, non trovandoci nessuno, pensò bene che fossero tutte sue impressioni. Incerto, e con una mano fra i capelli scompigliati, s’avviò di nuovo verso l’ufficio, dal quale era risalito dopo una mattinata di corse di cavalli.
I due, accovacciati, tirarono un sospiro di sollievo. Ma non si mossero da terra, nemmeno quando il detective dormiente era andato via.
“L’abbiamo scampata” decretò Shinichi, più sollevato che ironico. Menomale che Kogoro non era così sveglio da chiedersi perché la porta d’entrata fosse aperta.
Ma lui, forse, non era così sveglio da rendersi conto quale fosse l’effetto che causava in Ran, quando le stava così appiccicato. Il suo lo ignorò, poiché la paura dell’oji-san era subentrata sovrana, ma quello dell’amica non lo calcolò proprio.
La karateka era paonazza, ed indecisa tra il ‘mi alzo e me ne vado’ e il ‘rimango attaccata a lui per tutto il resto della mia vita’, avrebbe voluto optare per la seconda.
E come si fa con il letto, quando la mattina vorresti non lasciarlo mai, lei non ebbe il coraggio di staccarsi da quel torace, che sentiva incredibilmente tonico, e da quelle gambe, che la imprigionavano, le facevano perdere la ragione; perché mai si sarebbe sentita meglio, se non in quella gabbia fatta di muscoli e fiato caldi.
- Oddio, ma che c’è una calamita?! - pregò Dio che ci fosse. - E lui nemmeno si alza! - pregò Dio non lo facesse.
“Vogliamo rimanere qui per sempre, o hai intenzione d’alzarti?” le fece Shinichi, sarcastico.
Lei assottigliò gli occhi, girando un po’ il capo verso di lui. Ma non si era resa conto di quanto il suo viso fosse vicino a quelle labbra.
Deglutì, desiderosa di baciarle. “Perché non ti alzi tu, invece di lamentarti?”
“Tu mi stai addosso, come faccio a spostarmi?”
Entrambi arrossirono, ma riuscirono a mascherarlo. Erano esperti ormai.
“Chi ti sta addosso!” Fece lei, staccandosi con violenza dal suo petto. “Alzati!” Gli ordinò, riducendo i suoi occhi a piccoli punti.
“Okay, okay” sorrise lui, ritraendo una ad una le gambe dal corpo della giovane e facendo leva sulla spalliera del salotto per alzarsi. Purtroppo, però, essendo questo fin troppo leggero per sopportare il suo peso, ammaccò verso di lui, e colto di sorpresa, Shinichi fu costretto ad interporsi tra il divano e Ran, in modo da non farglielo cadere addosso. Riuscì, così, a bloccarlo, ma la posizione che s’era venuta a creare era decisamente imbarazzante. Sdraiato sul fisico della sua amica, aveva tutte le parti del suo corpo a toccare quelle altrettanto sensuali della giovane; con i nasi che si toccavano, gli occhi gli uni negli altri,  e le labbra a pochi millimetri di distanza, ancora una volta, si persero in quell’istante, avvertendo i loro cuori tamburellare nello sterno, irrequieti come stelle impazzite.
Shinichi appoggiò i gomiti ai lati del viso di Ran, e con le ginocchia le imprigionò le gambe. Con la mano poi, delicatamente, le alzò la nuca, e l’avvicinò alla sua testa. Ruotò leggermente il suo profilo, e socchiuse gli occhi, donandole un secondo, leggero, bacio. Le loro labbra si sfregarono ed aumentarono vertiginosamente quell’attrazione che da tempo li dominava, e soggiogandoli, si divertiva ad unirli. Le loro lingue si andarono ad unire a quel gioco di eccitazione e di scariche d’adrenalina che scorrevano lungo i loro corpi, facendoli faticare a stare fermi. La stessa Ran, ripresasi, fece scivolare una mano tra i suoi capelli corvini, deliziandosi per quanto fossero morbidi e setosi al tatto. Rimpianse di non averli mai toccati prima.
Sentirono il cuore arrivare in gola, ma dovettero bloccarsi.
Qualcuno bussava alla porta e, dalle voci che si udivano dall’esterno, poterono immaginare anche chi fosse.
 
 
Il campanello suonò altre tre volte: il tempo che Shinichi e Ran arrossissero, tornassero a parlarsi (con dei stentati ‘vai tu?’ e ‘vado io’, quando, alla fine, optarono per un ‘andiamo insieme’), riuscissero ad alzarsi e a muoversi verso la porta d’entrata dell’appartamento, lasciata chiusa da Kogoro. Ran l’aprì lentamente, non perché avesse paura di chi ci fosse dietro (di cui, in effetti, non scorgeva ombre) ma principalmente a causa del tremolio che le aveva colpito braccia e gambe. Tentò di non pensarci, cullandosi nel bellissimo profumo che il corpo dell’investigatore - a pochi centimetri dalle sue spalle -, emanava.
Ma quando, osservando dritto, non vide nessuno, fu costretta ad abbassare lo sguardo. Ed è lì che si scontrò con tre volti tristi e quasi arrabbiati, con le mani racchiuse in piccoli pugni, e smorfie di dolore dipinte sul viso. Shinichi strabuzzò gli occhi, quando, oltre il corpo dell’amica, intravide Ayumi, Mistuhiko e Genta.
“Ran-neechan...” cominciò la piccola, trattenendo a stento le lacrime dagli occhi. “Ran-neechan!?”
“Ragazzi!” esclamò con sorpresa la Mouri, sbattendo le palpebre. “Che ci fate qui?”
“Conan come sta??” fu Mistuhiko il primo a parlare, agitato.
“Ai ci ha detto che ha una malattia!!” aggiunse Ayumi, saltellando intrepida su se stessa. “Ma cosa gli è successo?!”
“Io gli ho preparato tantissime merende buone!” continuò poi Genta, facendo cadere un gocciolone sulle teste dei presenti.
La karateka ridacchiò, mentre Shinichi, alle sue spalle, assottigliava gli occhi.
- A quanto pare mi sono affezionati... -
“Ragazzi... Conan è ad Osaka, ma non preoccupatevi, sta benone. L’ho chiamato ieri e mi ha detto che...” Provò a rassicurarli, ma i detective boys la interruppero, frenetici.
“Lo andiamo a trovare?!”
“Sì! andiamo, andiamo!” aggiunse piagnucolona la piccola, imitando l’amico magro.
“Io porto da mangiare!” continuò poi Genta, dimostrando in un modo tutto suo la preoccupazione.
Shinichi, a quei lamenti, sentì un sopracciglio tremare.
- Dannati... speriamo che Ran non voglia assecondarli... -
“Beh, vedete... io...” cominciò la karateka, in difficoltà. Si girò verso Shinichi, quasi come a volergli chiedere cosa dovesse rispondere a quei bambini così impiccioni e curiosi, ma dal cuore incredibilmente grande. Affetto che, per quanto tentasse di raggirarlo, aveva colpito anche il detective. Quello stesso investigatore che si ritrovava spiazzato tra la tenerezza e la freddezza, e a spezzar quelle piccole ed ingenue speranze che covavano in loro proprio non poteva riuscirci. Si fece così avanti, lasciando Ran alle sue spalle.
“Ragazzi, Conan è in ospedale... non possiamo...” provò a rincuorarli il detective, ma venne, come sempre, interrotto.
Ayumi, nel vederlo, sussultò: era incredibilmente somigliante al suo amichetto occhialuto.
“Oddio!” esclamò Mistuhiko, puntando l’indice contro Shinichi. “Sei identico a Conan!”
“E’ vero...” sospirò la piccola, sbalordita. “Gli somigli tantissimo...”
“Sono come due anguille!” azzardò infine Genta, annuendo.
Shinichi indietreggiò di qualche passo a quelle affermazioni, andando quasi a sbattere sul petto di Ran. Quei ragazzini non la smettevano un secondo di fissarlo e, per giunta, l’amica li guardava con aria estremamente interessata.
Non che fosse novità notare la somiglianza tra i due, ma per la karateka fu quasi un sollievo capire che non fosse l’unica a pensarla in quel modo. Senza contare che, non solo fisicamente, ma anche caratterialmente avevano molto in comune.
D’altronde, lei, da qualche giorno aveva preso la decisione di fidarsi di lui; credere dunque alle sue parole, pensando che dietro non ci fosse assolutamente nulla a pomparle. Ma, ogniqualvolta ci pensava, quei dubbi le tornavano. E così li raggirava, ed evitandoli, le pareva di rimpicciolirli; ma oltre ad ignorarli, non poteva sapere di star misconoscendo anche la loro potenza devastatrice.
“Bambini... voi già mi conoscete...” finse un sorriso il detective, come a voler interrompere quella discussione. “Sono Shinichi Kudo... non vi ricordate?”
Loro annuirono, entusiasti.
“Sì!! Sei un parente di Conan, giusto??” domandò curioso il piccolo Tsuburaya, convinto d’aver ragione.
“Ma che dici!! E’ il fidanzato di Ran!!”
Al che, la karateka arrossì, imitata dal suo amico d’infanzia.
“Ragazzi...” li richiamò l’investigatore, dal sopracciglio tremante.
“Io ricordavo fosse un cuoco...” rimuginò Genta, causando l’ilarità degli amici.
“Macché! E’ un calciatore!” se ne uscì convinta Ayumi, sorridente.
“Non era uno scrittore?”
I due liceali avrebbero voluto lasciarli lì, sul ciglio della porta, e rintanarsi in casa. Ma un’idea folgorò la mente della giovane, facendola sussultare. Aspettò prima che i bambini avessero concluso la lista di mestieri - non azzeccandone uno, in verità -, per poi prendere parola, e farsi avanti.
“Ragazzi... visto che siete qui, perché non accompagnate me...” e, guardando Shinichi, sorrise. “...e il detective qui presente, a fare la spesa?”
Shinichi ridacchiò, benevolo. La sua Ran non dimenticava mai nulla.
Ma alla frase della karateka, i bambini si ritrovarono a gioire, forse come mai avevano fatto.
“Sei un detective?!?”
“Ma sì! Ecco come l’avevo sentito!”
“Vuoi farci da maestro?!”
“Abbiamo già Conan, che è il migliore!” obiettò la piccola, pronta a difendere il suo amico.
I tre, dunque, cominciarono a battibeccare, e il moro ne approfittò per avvicinarsi all’amica.
Shinichi osservò Ran, con aria furbetta. “Non c’era bisogno di dire cosa facevo...”
Lei ridacchiò. “Ma loro sono dei piccoli investigatori, non lo sai? Hanno risolto molti casi! Sono davvero intelligenti!”
- Veramente, chi risolve i casi, qua, sono sempre io... -ammise in mente, fingendo un risolino.
“Ah davvero...?”
“Sono i migliori amici di Conan e...” guardò poi Ayumi, indicandola col capo. “E penso che lei abbia una bella cotta per lui.”
Shinichi si sfumò di un lieve rossore.
“Che playboy che è il piccoletto...” disse con ironia, e forse anche un po’ di vanto.
“Mi ricorda qualcuno.” Fece lei allusiva, storcendo il labbro, leggermente infastidita. Sebbene si fosse fatto perdonare, e a modo suo, non aveva certo dimenticato quella Hana che gli girava intorno come un girasole col suo Sole.
Lui le mandò un’occhiata maliziosa. “Ma guarda, mi stai di nuovo paragonando a Conan...”
“Chi ha parlato di te, scusa?” azzardò un tono infastidito la karateka, ma che avesse centrato il punto il detective era noto a chilometri di distanza.
“Quindi pensi anche che Ayumi sia innamorata di me?” le scoppiò a ridere in faccia, come a far divenire la cosa più ridicola. Lei lo guardò truce, desiderando di donargli un bel pugno nello stomaco ma, allo stesso modo, arrossì. In fondo, la cosa, posta così, era davvero assurda.
“Okay, mi sono sbagliata, va bene? Tutti lo possono fare.”
Shinichi si fece serio all’improvviso, osservandola. “Quindi non pensi più io sia Conan, vero?”
“No.” Ammise lei, imbarazzata. “Effettivamente... è una cosa...”
“Impossibile?” continuò lui, facendo forza su quelle affermazioni. Per qualche santo in cielo, Ran aveva smesso di sospettare di lui; e doveva approfittarne.
Lei lo fissò, intensamente. “Sì... impossibile.”
Shinichi ebbe un sussulto al cuore. Certo, era riuscito, nuovamente, a mentirle.
Era riuscito, nuovamente, a tenerla fuori dai guai. A tenerla lontana dall’organizzazione.
Ma forse, era proprio lì, il guaio: Ran si stava allontanando, e probabilmente, non avrebbe più ritrovato la strada per giungere di nuovo da lui, quando la tempesta sarebbe conclusa.
Ma non era dunque quello che voleva?
“Ragazzi...? Allora, andiamo a fare la spesa?!”
Al ‘sì’ generale dei bambini la karateka sorrise, per poi girarsi a dare un’ultima occhiata al suo amico d’infanzia con cui, ormai, aveva capito provare qualcosa che andava ben oltre l’amicizia. Quello stesso amico che, in quel momento, li fissava immobile, come perso in un mondo tutto suo.
Lei non poteva saperlo, ma Shinichi aveva capito, osservandola scendere le scale, che mentirle equivaleva a perderla per sempre. Forse non in quel momento, non il giorno dopo, e nemmeno una settimana dopo. Ma ci sarebbe stato un giorno che lei se ne sarebbe andata, e nulla l’avrebbe più spinta a tornare.
Si diede dello sciocco, ma non poté  fare a meno di sentirsi infinitamente triste; quel bacio, forse, era stato l'ultimo che avrebbe potuto donarle. 
L’avrebbe salvata, sì. Ed era questo che contava.
Ma non avrebbe potuto mai fare altrettanto con loro due.

 
 
•••

Ciao cariiii!!! Sono tornata!!! :D 
Non so quanto piacere v'abbia suscitato questo capitoletto.... mhmm, è bello pieno, no?
In primis, partiamo dalle cose più importanti: Shinichi e Ran si baciano di nuovo, olè!!!! **
Lo volevate un altro bacio.... vero? vero? Ed eccovi accontentati!
Poi mi dicono che sono cattiva... ma chi, io? Non c'è persona più dolce e buona di me al mondo! Ve lo garantisco! XD *sese*
Hana ci ha rotto le scatole... vero? Come fa la civetta? Taaanto!!! 
"Il mio detective di qua, di là... è confortante... fan, non fan...." Ohh!XD Mia cara, ti avviso che hai contro la maggior parte delle lettrici di questa ff!
Be careful!!!!
Dico verità, o no? ù.u
E poi... chi si rivede?? I detective boys!!! Chi se l'aspettava di rivederli? Adesso accompagneranno i nostri due eroini a fare la spesa, per non
far morire quel tonno di Shinichi di fame, che... attenzione... alla fine del chap sembra esser stato preso dalla malinconia..
Che dite? Pensieri normali, o ha in mente altro?
Ah, e poi c'è stato il grande Kogoro a dare una scossa a quel detective (anche se involontariamente hahaha) XD
Va beh, comunque io ora vado. E' notte, e dovrei stare a dormire!! Ed invece sono qui, solo per voi! :P
Domani sarò uno zombie vivente! 

Grazie a Luna, Assu, Meli, Hoshi, Ciccia, Arya, Delia, Shin e ran amore, Marta, j_angel, mangakachan e bessie per aver recensito il settimo capitolo!
E grazie a totta1412 e  a Delia23 per aver inserito la storia tra le preferite!
Un grazie anche a quelli che leggono soltanto!
Un bacione!

Tonia

 

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Capitolo 10
*** Mia ***


Your Lies

9.
Mia
•••

 

 
“Gin, la smetti di fumarmi in faccia? Ho appena messo il profumo.”
L’uomo dai capelli argentei si voltò, adirato, imprimendo una smorfia sul suo viso magro. Vodka, alle sue spalle, appoggiato ad una colonna in ferro che sosteneva il soppalco sopra i loro capi, aveva le braccia incrociate al petto e il volto fisso sulla figura di fronte a lui: di una bellezza sconvolgente, quella donna non dimostrava affatto la sua longeva età, e sapeva bene come ingannare le apparenze. Lunghi capelli biondi a cingerle le curve prosperose, ed un paio di occhi azzurri a penetrare qualsiasi mente incontrasse. L’attrice Sharon Vineyard recitava da sempre sul set della sua vita.
“Fumo dove voglio io, Vermouth.”
“Il fumo ti fa male, ti farà invecchiare.” Lo sfotté lei, osservandosi le unghie.
“Sono io che faccio male al fumo, non il contrario.” Ripeté freddamente lui, senza battere ciglio.
La donna cambiò posizione, ed appoggiandosi ad una ringhiera, accavallò le gambe.
“Piuttosto, è vero che hai ritrovato Sherry?”
“Così pare.” Continuò a boccheggiare l’uomo, senza donarle nemmeno uno sguardo.
Lei sospirò impercettibilmente, e curiosa, si avvicinò a lui. “E dove sarebbe?”
Gin le rivolse un’occhiata seccata, abbassò lo sguardo agli scaffali dietro di lui, ed ordinò a Vodka di prendere dei fascicoli da essi. L’uomo eseguì l’ordine nel giro di qualche secondo, e con poca delicatezza, s’avvicinò all’attrice, porgendoglieli.
Sharon si ritrovò fra le mani la cartella di certificazione di morte di Shinichi Kudo, e l’articolo dedicato a lui da quella giornalista. Ebbe un tuffo al cuore. Gli occhi le si spalancarono, e la proverbiale freddezza che ostentava di possedere quasi crollò al suono di quel nome nella sua mente.
- Silver bullet... -lo ricordò, sbattendo più volte le palpebre. Poi, alzando lievemente lo sguardo verso il collega, lo scrutò per bene.
- Che Gin abbia capito...? -
“Lo conosci?” sbuffò fuori più fumo che parole l’uomo.
Vermouth ebbe modo di pensarci su qualche secondo, tentando di ricomporsi. “No, chi è?”
“Sherry ha certificato la sua morte, quando in realtà è ancora vivo.”
La donna sentì le mani tremare, e il corpo cominciare ad agitarsi. Ma riuscì a fingere, da grande attrice quale fosse.
“E quindi?”
“Pensiamo che possa essere una sua complice.” Sputò l’uomo, stizzito.
“Sherry si sarebbe nascosta...” fece finta di dare un’occhiata all’articolo, e sempre con maestria, abbozzò una risata ironica. “...da un ragazzino che gioca a fare il detective?”
“Quel ragazzino l’ha fatta franca, per un motivo o per un altro. Probabilmente avrà grossi aiuti dietro.” S’intromise nella discussione Vodka, esponendo la sua opinione. Né Gin né Vermouth gli diedero attenzione, fin troppo presi da quei fascicoli. Anche se per motivi diversi, i loro pensieri erano fissi a quel detective liceale che sorrideva impavido in tutte le foto, vaneggiando una certa intelligenza.
“Al momento Chandon è sulle sue tracce.” Le rivelò l’uomo, osservandola sprezzante.
“Chandon?” sibilò lentamente il nome Vermouth, come a volerlo gustare come si fa con l’omonimo champagne.
Gin annuì impercettibilmente.
“Non so come questo Kudo l’abbia scampata, ma dovrà pagare caro per averlo fatto.”
Ma la donna lo ignorò, e saltando dal parapetto, fece stoccare il tacchi sul pavimento.
“Dov’è Chandon adesso?” gli chiese, recitando un insolito menefreghismo.
“Perché lo vuoi sapere?”
“Perché avrà bisogno dei consigli di una maga del travestimento come me...” gli fece l’occhiolino, tentando di convincerlo. “Per riuscire nell’intento.”
Gin sbuffò ancora, seccato. “Se la saprà cavare benissimo anche senza il tuo aiuto.”
“Anche se è come suo nonno?” buttò lì l’attrice, causando la stizza di Gin.
“Non sarebbe con noi se lo fosse.”
“Il nonno però c’era, e c’è rimasto per un bel po’.” Gli ricordò.
L’uomo spense il mozzicone, gettandolo a terra, e calpestandolo con i piedi.
Poi le si avvicinò, e superandola, lasciò che Vermouth scorgesse di lui solo le sue spalle.
“Ed è diventato cenere, come questa sigaretta...”
 
•••
 
Alla fine avevano optato per un supermercato. Bello, grande e ben fornito, che però, distava un bel po’ dall’agenzia investigativa. I ragazzi presero così la metropolitana, e nel giro di qualche minuto si ritrovarono a due passi dal centro.
Gironzolando tra i reparti del supermercato, i ragazzi s’erano divisi i vari compiti: il detective avrebbe pensato a latticini ed affini, i bambini a quello dolciario (con grande insistenza da parte di Genta), e Ran a quello dedicato alla pasta e al pane.
- Ma dove s’è andato a cacciare?- sbuffò, lanciando occhiate profonde in varie direzioni, ricercando la figura dell’amico tra quelle estranee delle persone.
- Avevamo detto al reparto frigo! Ha la facoltà di scomparire sempre!! -
Attraversando diversi scaffali, ritrovò i quattro insieme, l’uno a fianco all’altro. Il carrello era nelle mani dei tre detective in miniatura, e sebbene ogni tanto scivolasse senza guida da un corridoio ad un altro, vantava una vasta scelta di alimenti, che lo riempivano sino all’orlo. Shinichi, osservandolo, aveva sperato che potesse rimanere adulto per un altro mese, in modo da poter consumare quei chili di cibo senza doverli necessariamente buttare.
La Mouri ebbe un tuffo al cuore. Nel vederlo così vicino ai quei ragazzini, talmente a suo agio come se li conoscesse da una vita, sentì una scossa attraversarle la schiena e costringerla a bloccarsi d’un botto, a pochi metri da loro. Shinichi parlottava con loro come se fosse loro amico, come se sapesse come prenderli, e come rivolgersi nei loro confronti.
“No ragazzi, a me non piace il ketchup...” disse il più grande, ignaro del fatto che la karateka lo stesse osservando.
“Wow, neanche a Conan piace!!” constatò la più piccola, sorridendo. “Gli assomigli davvero molto!!”
Ran ridacchiò, annuendo.
- E’ proprio vero, Ayumi... -
Lui comunque non la ascoltò, tanto che era preso nello scegliere i vari cibi.
“Però, un po’ di maionese ci vuole...” disse il detective, con un risolino.
“Io direi anche un po’ di salsa barbecue!”
Shinichi osservò Genta per un po’, e distogliendo lo sguardo, lasciò andare un piccolo sbuffo.
“No Genta, non mi piace...” gli rispose, interessandosi ai piccanti. “Lo sapete, no...” aggiunse spontaneo poi, con un filo di voce.
Tono che, però, non sfuggì all’amica di infanzia. Che, a quella esclamazione, sussultò.
- Lo... lo sapete? -si ripeté in mente, strabuzzando le palpebre. - Lo sapete... lo sapete? -
“Non sai cosa ti perdi!!”
- Aspetta... che vuol dire? Che vuol dire? Come fanno a saperlo? -
“Ran-neechan!”
Alla voce di Mistuhiko, che fece prendere un colpo alla diretta interessata, gli altri due bambini si voltarono in direzione della karateka, e andandole contro, la invitarono a partecipare all’importantissima selezione di salse per alimenti. Shinichi finse disinteresse, sebbene fosse fin troppo contento di rivederla.
I pensieri di qualche ora prima lo avevano segnato. Aveva capito che mentire ancora, portava Ran su una strada, la quale fine fosse impossibile per lui da raggiungere. E allora cosa fare? O doveva dirle la verità, o doveva mentirle e accettare di perderla. La prima avrebbe significato metterla in pericolo, ma avere comunque un sostegno nei momenti più bui e tetri, e sapeva anche di averne passati molti. La seconda avrebbe significato regalarle la sicurezza di non veder spezzare la sua vita per qualsiasi e futile ragione, ma allontanarla per sempre da sé. Lasciar andare la persona a cui più teneva al mondo.
Immerso com’era nei suoi pensieri, nemmeno s’accorse che la giovane lo aveva raggiunto, ed aveva poggiato una mano sulla sua spalla.
“Oh?”
Lui sussultò. “Oh... ciao...” ostentò un tono un po’ troppo insicuro, che all’istante rinforzò. “Hai... preso la pasta?”
“S-sì. Penso che... cinque pacchi al momento vadano bene, no?” gli chiese, tentando invano di non pensare a quella frase da poco ascoltata.
“Sì, perfetto.” Rispose lui, annuendo. “Possiamo andare?”
“S-sì...” lo imitò lei, voltandosi verso i bambini. “Ragazzi... andiamo?”
“Ciao Shinichi!! Che coincidenza!!”
Quella voce così netta e squillante arrivò alle orecchie dei presenti, costringendoli a voltarsi e ad interessarsi improvvisamente ai passanti. Alle sue spalle, Ran ritrovò la figura di Hana Yami, sorridente e solare come sempre, a fianco ad una giovane ragazza, leggermente più adulta della loro età. Tutti si fermarono, compreso l’investigatore.
- Questa ragazza è ovunque! - constatò lui, avvertendo un sopracciglio tremare.
- Quest’oca è ovunque!! -pensò invece la karateka, irritata. - E lo chiama anche per nome!! -
“Ciao Hana...” le rivolse un cordiale saluto lui, osservando la giovane accanto a lei. Sembrava essere molto timida e riservata, poiché a stento alzava lo sguardo da terra per osservare i presenti. E quando qualcuno le fissava gli occhi addosso, incuriosito, girava il capo, leggermente imbarazzata.
“Che ci fai qui?”
Shinichi rise. “Quello che fai tu, suppongo.”
Lei lo imitò. “Eh sì... Sono qui con un’amica, stasera pigiama party!”
Ma solo in quel momento notò anche la presenza di Ran che, d’altronde, le stava rivolgendo mille e più occhiate truci.
“Oh, ciao! Scusami, non t’avevo vista!”
“Ciao.” Fece scorbutica la karateka, stizzita.
- Figurati, vedi solo Shinichi... sta gallina... -
“Noi invece siamo a fare rifornimento...” la avvisò il detective, indicando col capo il carrello. Al che, la giovane Yami, nel notare anche i bambini e la karateka, sussultò.
“Ah! Non sapevo foste tutti fratelli! Potevi dirmelo che avevi una sorella e altri tre a seguito!”
Ran sentì la rabbia accumularsi tutta nei pugni. - Ma quale sorella!! -
Il detective ridacchiò, e s’apprestò a correggerla, ma la giovane figlia di Mouri fu più tempestiva. Avvicinandosi alle due, le si parò dinanzi come una montagna dai contorni ardenti di fuoco.
“Senti, io non sono sua sorella! Sono una sua amica... una sua cara, carissima, intima, intimissima... amica!!” sbottò fuori, e in seguito, indicando i ragazzini, continuò.
“E loro sono dei nostri amichetti! Qui nessuno è parente a nessuno!!”
E quando tutti sbatterono le palpebre, allibiti, Ran riuscì a darsi un contegno, sia fisico che morale. L’investigatore era leggermente arrossito alla sua definizione, mentre i tre bambini rimasero sbalorditi da tanto cambiamento nella sorella del loro più caro amico. Hana, dapprima rimase senza parole, un po’ come la sua amica (che sotto sotto ridacchiava), poi riuscì a risponderle; sebbene con esitazione.
“Sì, ma non c’è bisogno di arrabbiarsi.” Le fece notare, ridendo.
“Io non sono arrabbiata. Ho solo messo in chiaro una cosa. E adesso, se vuoi scusarci...” tornò a guardare l’amico d’infanzia, con aria sinistra. “Shin, possiamo andare o facciamo notte?”
Lui sussultò, ma non osò darle contro. “Sì... sì. Possiamo andare.”
Lei sospirò, soddisfatta.
Ma Hana non aveva le sue stesse intenzioni...
“Ah, Shin, prima che vai via...!” lo richiamò, facendo accrescere vertiginosamente l’ira della giovane.
Lui si girò, ed imitandolo, lo fecero tutti gli altri.
- Adesso la ammazzo!! -
“Su, dai... non vergognarti!!” disse all’amica accanto, trascinandola col gomito. Ma la giovane era in totale imbarazzo, tant’è che non riusciva a staccare gli occhi dal pavimento.
“Che succede?”
“No, è che...” rise lei, spingendola ancora verso lui. “Questa timidona alla mia sinistra è una tua grandissima fan, proprio come me! Però non ha il coraggio di chiederti l’autografo!!”
“Ah” fece lui, sorridendo. Avvertì comunque lo sguardo truce di Ran addosso, e preferì non voltarsi nella sua direzione.
“Dai, Yukiko!” la spronò ancora, facendola giungere a pochi centimetri da lui. “Non ti mangia mica!”
“Sì, è c-che...” alzando lo sguardo su di lui, le si mozzò il fiato. “P-puoi farmi un... un autografo?!”
“Ce l’hai fatta!” la incoraggiò Hana, esultando.
Ran, intanto, ticchettò nervosamente il piede al pavimento, incrociando le braccia al petto.
- Quando hanno intenzione di concluderlo questo teatrino? -
Ma il detective non sembrava stufo, affatto. Gentilmente chiese alla ragazza dove volesse scrivesse, al che, la giovane, cacciò fuori la maglia bianca che aveva nei pantaloni. Il tempo che Hana andasse a chiedere un pennarello al reparto apposito, che i due riuscirono a scambiare anche qualche parolina.
E quando la ragazza tornò, Shinichi impresse la sua firma sul tessuto tirato della giovane, afferrandolo con due dita per tenerlo ben teso. Yukiko lo salutò, ed altrettanto fece Hana che, però, si spinse oltre. Gli regalò, infatti, due baci schioccanti sulle guance, come si stese intrattenendo con il suo amico più caro. A quel gesto, la karateka tentò di mantenere la calma attraverso la respirazione, anche perché le sceneggiate non le piacevano più di tanto. Attese che le due si fossero allontanate dalla loro vista, per regalare uno sguardo truce e carico d’astio all’investigatore; colui, che, a quei segni d’affetto gratuiti, era leggermente arrossito.
Ma, quando Shinichi tornò ad incrociare i suoi occhi cristallini a quelli della giovane, Ran dovette distogliere il capo; se l’avesse osservato altrove, si sarebbe sciolta come burro al sole.
“Ehm... andiamo?” esordì poi lui, rivolgendosi anche ai bambini che, intanto, avevano assistito a tutta la scena con grande stupore e meraviglia.
L’amica tornò ad osservarlo, stizzita. “Se hai finito sì, sennò ce ne andiamo da soli.”
“Ma non è colpa mia se mi hanno...”
Ma la giovane lo interruppe, con freddezza agghiacciante. “Non mi interessa. Non ti sopporto quando metti in scena questi teatrini, sei davvero irritante.”
Lui sbuffò. “Io sarei irritante?”
“Sì.” Replicò seccamente lei.
E senza aspettare la risposta, ed avanzando col carrello lungo il reparto, Ran giunse alla cassa qualche minuto dopo, pazientando la fila per pagare.
Immersa nei suoi pensieri, ammise a se stessa la più bruciante delle verità: era gelosa di lui, era un po’ troppo gelosa di lui.
 
•••
 
“Ran?”
L’amica lo ignorò, accingendosi a riporre le cibarie nei vari mobili in modo tale che fossero più in vista ed ordinate per il suo stupido detective. I bambini, intanto, erano andati via, facendosi ripromettere che, appena avessero avuto notizie di Conan, avrebbero dovuto contattarli all’istante. Li avevano lasciati in un silenzio tombale, spezzato soltanto da qualche colpo di tosse di Shinichi, ancora leggermente raffreddato. Ma la karateka non aveva fatto alcun caso ai suoi decimi di febbre. I baci che quell’oca aveva osato regalargli per salutarlo non le erano certo sfuggiti; e la sua faccia imbambolata al tocco di quelle labbra, nemmeno.
Non solo non s’era preoccupato minimamente della sua presenza, che, la Yami sembrava praticamente ignorare, ma aveva anche preferito dedicarsi di più alle sue fan, piuttosto che lasciare più tempo a loro due.
“E dai Ran! Rispondimi!”
Colta nei pensieri, Ran lo osservò truce. “Cosa vuoi?”
Lui sospirò, spazientito. “E’ mai possibile che ultimamente ti arrabbi sempre per nulla?”
“E’ mai possibile che ultimamente tu sia incredibilmente idiota?” imitò il suo tono, sarcastica.
“Ma cosa ho fatto? Spiegamelo.” La incitò lui, invitandola a parlare.
Ma Ran non aveva alcuna voglia di confessargli quanto fosse gelosa di lui, anche perché, se avesse voluto, l’avrebbe capito da solo in un nano secondo.
Così non rispose neppure a quella domanda, continuando a trasportare biscotti e creme dalla tavola ai ripiani della cucina.
“Me lo spieghi?” ripeté ancora lui, insistendo.
Lei, asfissiata, sbuffò. “Arrivaci da solo. Sei un detective, o no?”
“Tutto mi dice che sei gelosa...” buttò lì lui, mutando improvvisamente tono. “Sbaglio, o no?”
Ran arrossì, capendo d’essersi imbucata in un vicolo cieco. Ma poteva mai dargliela nuovamente vinta?
“Se ti circondi di persone fastidiose e alquanto irritanti, non accusare me di essere gelosa.”
“Ma Hana è così simpatica...” la sfotté lui, sedendosi sul tavolo, ed osservandola da dietro.
Ran sentì i nervi attorcigliarsi, ma si impose la calma.
“Simpaticissima...” disse ironica, senza staccare lo sguardo dal mobile.
- Come un calcio sui denti -aggiunse poi, in mente.
“Le mie fan sono tutte simpatiche.” Continuò il gioco lui, ridacchiando. “Diciamo che rispecchiano il loro idolo.”
“Ah, menomale non sono una tua fan... allora.” Replicò lei, sorridendo beffarda.
Ma, quando si rese conto che stava riuscendo nuovamente a calmarla e a farsi perdonare, ricompose la sua rabbia, come con un puzzle.
E girandosi verso la cucina, evitò anche il suo sguardo.
“Mhm...”
Interessata senza interesse al cibo, non poté vederlo alzarsi, muoversi silenziosamente avanzando a piccoli passi, abbracciarla da dietro ed, infine, circondarle le braccia al collo, facendola sussultare. Shinichi avvicinò il suo volto ai capelli della karateka, ed annusandoli, si drogò di quel dolcissimo profumo di fragola. Ran rimase paralizzata, ma quando si rese davvero conto di cosa stesse accadendo, provò – ignorando le mani che sudavano, il cuore in palpitazione e le gambe tremolanti – ad imporsi un certo autocontrollo.
“Perché? Cosa sei tu...?” Le fece malizioso, facendo forza sulle braccia.
Stava prendendo un brutto/bello vizio, quel detective...
“Staccati immediatamente!” fece brusca, combattuta tra lui e la voglia crescente di girarsi e baciarlo.
“No...” Rise lui, stringendo ancora di più la presa.
“Guarda che sono una karateka...” lo avvisò, tentando di impaurirlo. “Ti sta per arrivare un calcio nello stomaco, sappilo!”
“Anche se volessi, è umanamente impossibile che tu ci riesca.” Continuò col suo tono ilare lui, schernendola.
Effettivamente, bloccata com’era in quella posizione, lo stomaco era l’ultimo punto raggiungibile.
“Lo vuoi nel menisco?” Gli propose, tentando di mantenere serietà.
“No...”
Ma lei lo ignorò. Provò a caricare tutta la forza che aveva nelle gambe, e direzionarla verso il corpo dell’investigatore, ma fallì miseramente. Shinichi le intrappolò l’arto tra le sue cosce, facendola rimanere con un solo piede al pavimento.
“Lasciami! Lasciami!” si lamentò, dimenandosi.
Shinichi sprofondò il viso nei suoi capelli corvini. “Sarai anche una karateka, ma hai poca forza...”
Lei sbuffò; ma incredibilmente non si sentiva irritata, ma divertita. “Ho ancora le mani e l’altra gamba!”
“Usale allora...” continuò ad istigarla, soffiandole nell'orecchio.
Era una sfida?
Ran caricò i pugni all’indietro, nel tentativo di colpirlo, ma non riuscendoci optò per un’altra soluzione. Afferrò le sue mani e tentò di spostarle dalle sue spalle, alzandole al cielo. Il risultato fu effimero: Shinichi tornò ad imprigionarla nuovamente, ed anche con più tenacia di prima.
“Sembra che tu non riesca a liberarti, karateka...” le soffiò in un orecchio, facendola rabbrividire.
“Ci riuscirei, se volessi farti del male...”
Ran sospirò, esasperata.
“Se vuoi la guerra...”
Utilizzò, così, la gamba. Facendo carico su di lui, e rimanendo a mezz’aria per qualche secondo, spintonò il suo piede contro quello dell’investigatore. Essendo teso a trattenere l’altro arto, Shinichi perse equilibrio alla sua destra, e in pochi istanti cadde a terra, trascinando con sé Ran. Era riuscita ad indebolirlo, ma non a liberarsi.
Trattenendola per i polsi, il detective si pose su di lei, malizioso.
“E questo era farmi male?”
Lei deglutì, imbarazzata.
“Ti ho fatto cadere, almeno...”
“Ma sei caduta anche tu, e sei doppiamente imprigionata adesso: tra me e il pavimento.”
Lei sorrise. “Ma ho più punti per colpirti...”
Shinichi rise, abbassandosi un po’ verso di lei. “E colpiscimi...”
“No...”
“Fallo...” ripeté ancora lui, quasi sottovoce, ma stavolta non le diede il tempo di rispondere. Incurvando la testa verso di lei, avvicinò le loro labbra e socchiuse gli occhi, pregustando già la sua calda lingua...
Ran capì le sue intenzioni, e ne approfittò; caricando una gamba, gli sferrò un calcio all’inguine, facendolo desistere ed allontanare. Colto di sorpresa, Shinichi lasciò andare la presa sui polsi dell’amica, che riuscì a ribaltare le posizioni, colpendolo nuovamente. Il detective era così sdraiato a terra, con Ran a cavalcioni su di lui. I palmi delle mani della giovane andavano a poggiarsi al pavimento, ai lati della testa dell’investigatore.
“Non puoi sperare di zittirmi sempre allo stesso modo...”
Lui ghignò, malizioso. “Zittiscimi tu, allora...”
Così lasciò correre le mani sui fianchi di lei, fino a risalire lungo il profilo del suo sterno. Ran non riuscì a muoversi. Non solo il cuore sembrava essersi fermato, ma anche la circolazione sanguigna, quella linfatica, i processi nervosi, e tutto ciò che caratterizzava il suo corpo. Quegl’occhi erano in grado di azzerarla.
Cos’era? Emozione, o qualcos’altro?
“Ho paura...” gli confidò improvvisamente, facendolo sussultare.
Lui si preoccupò, ed alzando un po’ lo sterno, gli accarezzò un braccio. “...Di cosa?”
Lei scosse il capo. “Di perderti...” Poi, respirando più rumorosamente, abbassò gli occhi nei suoi.
“Ho la terribilmente sensazione che dopo tutto questo te ne andrai...”
L’investigatore rimase di sasso. Deglutì più ansia che saliva. Si sentiva terribilmente in difetto, ma poteva mai dirle la verità? Non era ancora il momento!
“Ran...” esordì, mettendosi a sedere. La karateka era comunque a cavalcioni su di lui, ma non più sdraiata. “Io...” Provò a parlare, ma le parole morivano in gola, e quelle più fortunate, che arrivavano sulla lingua, precipitavano senza fine nel vortice delle sue bugie.
“Io... io non...”
La giovane si interessò, senza fiatare.
“Non posso...”
“Non puoi?” lo scimmiottò, impaziente. “Cosa non puoi, Shinichi?”
Lui non riuscì a proseguire oltre. Scostò leggermente Ran per permettersi d’alzarsi da terra, ed issandosi, si allontanò un po’, agitato.
- Cosa faccio? Glielo dico o no? Glielo dico o no!? - si torturò mentalmente, come a voler ottenere dal suo cervello la risposta al quesito.Nulla ebbe in cambio se non la confusione più totale. Inoltre si sentiva dannatamente debole, e stava incominciando a sudare. Sentiva caldo, eppure le temperature non erano delle più alte.
“Shinichi? Che hai?” si riavvicinò lei, preoccupata. Non solo lo vedeva pallido, ma anche incredibilmente scosso. “Shinichi? Shinichi?”
Ma lui si scostò dalla sua presa.
“Ran, stammi lontano... ti prego...”
Lei si bloccò d’un tratto, incredula. “Cosa?”
“Ran... per favore...” la pregò, ma quando lei tornò a toccarlo, lui sfuggì di nuovo.
“Che significa adesso questo? Prima mi baci poi non mi vuoi... cosa significa? Cosa significa?”
- Non posso metterla in pericolo... non posso... sarei un egoista... -
E tormentandosi, la osservò fisso, deglutendo.
Lei o loro. Lei o loro. Salvare lei... o loro?
“Ho sbagliato...” aggiunse poi, sottovoce.
“Hai sbagliato?! A fare cosa...?” gli chiese prima, poi ci arrivò da sola. E non fu piacevole. “A baciarmi? Hai sbagliato a baciarmi, Shinichi?!”
Stavolta s’allontanò lei, esterrefatta.
Lui non fiatò, cosa doveva dirle? Mentirle ancora?
Ma come poteva quando lei, a quelle supposizioni, stava per scoppiare in lacrime? E le guance le si stavano per arrossare e irradiarsi di rabbia, e gli occhi di incredulità.
“Scusa.” Riuscì solo a dire, finalmente sincero.
Lei indietreggiò ancora di qualche passo, sorpassando in retromarcia la porta della cucina. Aveva le palpebre spalancate, e i muscoli del viso tirati al massimo, proprio come quelli del suo amico. Respirò affannosamente, sperando che da un momento all’altro si svegliasse da quel sogno, tramutatosi in un orribile incubo.
Si appoggiò così alla spalliera del divano, sospirante. Alzando gli occhi, non poté più scorgersi in quell’oceano d’azzurro: era troppo lontano affinché attutisse il suo peso.
“Dimmi la verità, per una volta...” lo pregò, mentre una lacrima le solcò il viso. “C-Cosa sono per te?”
Ma lui non rispose.
“Cosa sono?... cosa sono!? Cosa?!”
Shinichi deglutì, abbassando lo sguardo. “Qualcosa di importante, perciò ti chiedo scusa...”
Lei sbuffò, esasperandosi. Una risata nervosa le uscì spontanea.
“Sono importante per te?! Ah, beh, non mi sembra!!”
“Lo sei...” rinforzò il concetto lui, mordicchiandosi il labbro.
“Dimostramelo!” lo rimbeccò, iraconda. “Sono stufa di questi misteri!”
“Non posso...” tornò a ripeterlo, impallidendo sempre di più.
A quel punto, Ran prese coraggio: si staccò dal divano e, velocemente, lo raggiunse. Si parò dinanzi a lui, obbligando ad alzare il capo. Aveva il volto stanco, le occhiaie gli andavano ad oscurare la luce degli occhi e goccioline di sudore gli cavalcano il viso.
Ma, lei, ignorò tutto ciò.
“Se sono importante per te...” si mantenne sui fianchi, deglutendo. “Baciami.”
Lui rimase interdetto. Ci mancava solo questo.
“Hai capito bene! Baciami!!”
“Sei molto più importante di un bacio...”
Lei sospirò. “Okay! Baciami e fai di me quello che vuoi.”
Lui rise, scostando il capo. “Non in quel senso.”
Ran ci pensò un attimo su, preoccupata. “Allora... in che senso sono importante? Per te sono come una sorella?”
Ma Shinichi continuò a non guardarla. “Di più.”
“Sono io che non ti capisco, o sei tu che non ti fai capire? Sai, perché sento il fumo uscirmi dalle orecchie...!”
“Hai capito già quello che c’era da capire...” ribatté lui, un po’ freddo.
Ran lasciò andare un’altra lacrima. “Ho solo capito che tu non mi vuoi...”
Lui rise, malinconico; no, non era quella la verità.
“Ti fidi di me, Shin?” insisté lei, tenace.
Lui annuì, indietreggiando verso il tavolo. Gli girava la testa.
“Allora confidati...” lo riavvicinò, accarezzandogli il viso.
Lui si sostò ancora, dominato da un miscuglio d’emozioni controversie che non davano pace al suo cervello.
“Io mi fido di te, io sì...” gli ripeté, abbracciandolo. Ma Shinichi non riuscì subito a contraccambiare quella stretta. Avrebbe voluto tenerla distante da sé, dai pericoli e dai problemi. Ma per lui Ran era come calamita con ferro. Per quanto ci provasse, non riusciva a staccarsi; c’era qualcosa di incredibilmente naturale a legarli.
Affondando il viso nell’incavo della sua spalla, Ran socchiuse gli occhi.
“Mi piaci...”
Lo sussurrò sottovoce. Doveva dimostrargli che lei aveva piena fiducia in lui, e che lui avrebbe potuto fare altrettanto con lei. Era uno scambio alla pari, senza compromessi.
Così, oltre a spalancare occhi e orecchi, il detective aprì alla sua voce anche il suo cuore.
“Mi piacciono i tuoi occhi azzurri, la tua intelligenza, la tua intraprendenza, la tua perspicacia, il tuo sorriso, il tuo fisico...”
Lui continuò a rimanere impassibile, stretto su se stesso.
“Ricordi New York, Shin? E’ da lì che non faccio altro che pensare a te...*” sorrise, rimembrando quei momenti. Poi si staccò leggermente, per osservarlo; non dava segni di risposta, né tanto meno di adesione. Aveva lo sguardo fisso in basso, e le mani ingiunte al petto. Ogni tanto si concedeva un respiro.
La karateka indietreggiò di qualche centimetro; non rispondeva, e voleva forse dire che per lui non era lo stesso? Non provava gli stessi sentimenti?
Sbattendo le palpebre con inesorabile lentezza, Ran fece un passo all’indietro. Si sentì come svenire, e probabilmente l’avrebbe fatto se non fosse stato per un braccio che, afferrandola, la portò verso sé, e l’abbracciò come mai prima. Si accucciò al suo petto, e pianse sul suo maglione, bagnandolo.
Proprio, d’improvviso, lo sentì ridere. Si voltò verso di lui, interrogativa, forse anche un po’ offesa.
“Cosa... ti fa ridere, adesso?”
“Prima hai detto di non essere una mia fan, no?”
Lei annuì. “Beh... sì. Ma cosa c’entra?”
“Però... che peccato...” Fece scherzoso, osservandola.
Le passò un dito sotto le palpebre, e cacciò via le lacrime dal suo volto
Ma lei si stranì. “Peccato... cosa?”
Lui sorrise.
Sarebbe stato uno di quei sorrisi che non avrebbe dimenticato più.
“...che la mia fidanzata non sia una mia fan...”




•••

Hooooooooola!!!! Tonia è tornata con un nuovo capitoletto!
Si intotila "Mia" perché... beh, perché... penso si sia capito... Shinichi e Ran si sono ufficialmente fidanzati! :clap clap:
ella mia storia, ovviamente... e tutto per merito mio, ovviamente *devil*
Ciò non vuol dire che abbiano finito di passare guai! Devono vedersela con me, eh sì!
Okay, però, partiamo dal principio!
Gin, Vodka e Vermouth confabulano. Vermouth incomincia a temere per il suo "Silver Bullet", e chiede informazioni su Chandon :P
Shinichi e Ran, accompagnati dai mocciosi, vanno a fare la spesa... chi potevano mai incontrare? Ma ovviamente Hana, con tanto di fan a seguito che si fanno autografare le magliette ò.ò XDDD E Ran si ingelosisce! Inoltre, Ran nota nuovamente qualcosa in Shin... che ricominci a sospettare? :P
Infine fanno la lotta (anche io vorrei fare la lotta con Shinichi Kudo, lo ammetto) e, dopo un nuovo e piccolo litigio, dove il detective sta per confessare tutto... Ran si dichiara, cercando di fargli capire quanto lei si fidi di lui, e quanto lui possa fare altrettanto con lei! 
Impacciato e malinconico, però, riesce solo a farle capire che lui la vuole. E come fidanzata.

Spero di aver reso tutto al meglio. Sono dei momenti un po' complicati da descrivere, e trasmettere le emozioni dei personaggi è un vero e proprio problema... quindi spero sempre di riuscirci. Ovviamente senza far uscire i personaggi dall'IC. 
Dunque, giudicate voi :P

Ringrazio Meli, Hoshi, Marta, Arya, Angel, Delia, Shin e Ran amore, Luna, Bessie, Mangaka-chan (e Shin hahah) e ciccia per aver commentato l'ottavo chap! Grazie anche a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite o tra le seguite.
Grazie anche a chi legge soltanto!


Vi aspetto al prossimo, non mancate ;)


xxx
Roxi

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Capitolo 11
*** Attimi e brividi ***


Your Lies

10.
Attimi e brividi
•••

 

Rimasero abbracciati per circa dieci minuti. Nessuno dei due aveva voglia di lasciare l’altro, poiché nessuno dei due aveva voglia di parlare. In quel momento, pensarono, era meglio tacere e lasciar parlare i loro corpi. Ran conosceva Shinichi, e sapeva che non era solito parlare molto: ciò che provava lo trasmetteva attraverso gesti e silenzi che valevano più di mille parole messe insieme. E sentirsi stretta così tanto a lui, aggrappata alla sua schiena e appoggiata al suo petto, non poté fare a meno di rasserenarla. Improvvisamente si sentì felice, come non mai. Perché in quelle braccia sentì la voglia di fidarsi di lui straripare, e la forza di farlo davvero dominarla. Sfregò lentamente il viso sui suoi pettorali, come un cucciolo strofina il muso sulla gamba del suo padrone. Socchiuse gli occhi, ascoltando il suono incessante dei secondi ticchettare sul quadrante dell’orologio. Quel silenzio era così rilassante che sentì il bisogno di non interromperlo mai. Tutto le avrebbe dato fastidio in quel momento, tutto.
“Ran...”
Tutto... ma non la sua voce. Sorrise nell’ascoltare il suo nome pronunciato da quelle labbra. Si pentì però di non averlo guardato, così alzò gli occhi a lui.
Brillavano anche i suoi.
“Ran, io...”
Ma quando provò a completare la frase, una fitta gli perforò il cuore. Fu costretto così ad accovacciarsi su se stesso, mentre un sudore freddo gli percorreva il corpo caldo. Si sentì dannatamente debole, e dovette appoggiarsi al tavolo per non cadere. Le gambe gli tremavano, la respirazione era frenetica. Strabuzzò le palpebre, rendendosi improvvisamente conto di cosa stesse accadendo.
- No, non adesso... non con lei...! -
“Shinichi che hai?”
Ran si preoccupò, inclinando leggermente la schiena verso di lui. Gli accarezzò le spalle, ed impallidì anche.
Il detective provò a respirare profondamente, e sembrò funzionare. Le fitte lo abbandonarono, ed anche la temperatura del suo corpo s’abbassò. Riuscì anche a rilassare i muscoli, e a riprendere un battito normale.
- E’ passato... –constatò gioioso, quasi incredulo. - E’ passato! -
“Shinichi? Come ti senti?”
Lui alzò gli occhi lucidi a lei. Aveva sul volto dipinta un’espressione terrorizzata.
“Sto... sto bene.” Riuscì a dire poi, azzardando anche un sorriso. Non riuscì ancora a capacitarsene, ma si convinse che il suo corpo, provando a rimpicciolirsi, non ci sia riuscito. Non gli importò perché, ma ringraziò il cielo non fosse accaduto.
“Ma... ma cosa ti è preso?”
“Nulla... non ti preoccupare...” le rispose, con voce bassa e ancora un po’ tremolante. Il dolore sembrava svanito, ma un senso di infinita debolezza gli aveva scosso il corpo.
Ma lei non ci stette. “Ma come nulla?! Anche qualche giorno fa ti sei sentito male!” Gli ricordò, tornando con la mente al viaggio di ritorno dal villaggio Higashi-Okuho.
Anche in quell’occasione, Shinichi, s’era mostrato più che strano. Ma anche in quell’occasione non aveva voluto rivelarle nulla.
“Devi assolutamente andare da un dottore!” lo ammonì poi, preoccupata.
Lui ridacchiò, falso, per stemperare la tensione. “Ma dai, non essere catastrofica... ho solo un po’ di raffreddore.”
“Un po’ di... raffreddore? A te sembrano normali sintomi da raffreddamento?”
Il detective si bloccò per qualche istante, poi rise. “Da quando in qua sei una dottoressa?” La sfotté, sperando di deragliare il discorso su altri binari.
“Non c’è bisogno di una laurea in medicina per capire che non stai bene, Shin...”
“Ma se ti dico che sto bene!” Ribatté lui, sicuro.
Lei sbuffò. “Menti...”
E lui la imitò. “Perché dovrei mentirti?”
“Non lo so.” Ammise, abbassando il capo. “Ma sento che non sei sincero.”
Shinichi deglutì, in difficoltà. Perché i loro discorsi dovevano sempre concludersi a quel punto?
“Ran...” Si avvicinò alla giovane, lentamente, e provò a riabbracciarla. Ma la karateka si scostò, gettando lo sguardo sull’orologio.
“E’ tardi, dannazione, devo tornare a casa! Mio padre mi ucciderà!”
“Okay” sospirò lui, osservandola. “Ti accompagno.” Mosse così qualche passo verso l’entrata, ignorando completamente la reazione dell’amica. In effetti, distavano pochi metri, ma pensarla da sola in quelle strade buie e deserte, pullulanti di ubriachi e tizi pochi raccomandabili, non lo rassicurava per nulla.
“No, non ce n’è bisogno, non preoccup...”
Provò, ma non riuscì a completare la frase che, il suo fidanzato, era già fuori casa.
 
Marciarono verso l’agenzia avvolti da un profondo silenzio. Le strade erano deserte, e le sole luci che vi erano accese creavano un’atmosfera surreale, e per nulla rassicurante. Shinichi aveva fiondato lo sguardo a terra, e camminava lento con le mani nelle sacche, ondulandosi da un piede ad un altro con incredibile sensualità. Anche quella sciocchezza, il suo modo di camminare, l’attraeva. Ran gli lanciò fugaci occhiate, stando attenta a non farsi notare. In realtà, il detective, aveva avvertito il suo sguardo addosso. E rattristito, ripensava alla fitte lancinanti sofferte pochi minuti prima. Era forse un presagio che Conan stesse tornando?
E se così fosse, come l’avrebbe spiegato a Ran? Dopo quei giorni, quella sera, e quegli attimi vissuti insieme? Dopo i baci? Poteva ancora tergiversare, o aveva ormai imboccato una strada senza ritorno? S’incupì, e all’amica non sfuggì affatto quel suo silenzio.
“Che hai?” Si preoccupò che fosse a causa sua.
Shinichi si voltò, riportato al concreto dalla sua voce. Sorrise, mascherando i suoi pensieri. “Nulla.”
“Sei strano...”  Gli disse. “A cosa pensi?”
“Mhm?” Si finse ignaro lui, sobbalzando. “A nulla.”
“Dai..” lo pregò quasi lei, con occhi lucidi.
“Eh...” Ma Shinichi cominciò a balbettare. Cosa avrebbe potuto dirle? Aiutato dalla fortuna - o dalla sfortuna, dipende dal punto di vista -, fu interrotto dalla vista di Kogoro. Era dinanzi a loro, ma col viso girato verso il cassonetto più vicino, intento a gettare i rifiuti. Ran seguì lo sguardo dell’investigatore e si imbatté in suo padre che, notandoli, sobbalzò. Si avvicinò così a loro, leggermente minaccioso.
“Ti sembra questa l’ora di rientrare?” La accusò, infastidito dalla presenza del detective piccolo. In fondo non vedeva la figlia dalla mattina, e un po’ di preoccupazione gli era salita.
“Scusami papà, ma ho incontrato Shinichi, e...”
“Non mi interessa.” Rispose brusco e, lanciando un’occhiata al detective, proseguì. “Non so tu che orari faccia, ma Ran non può ritirarsi a quest’ora.”
Il moretto sbatté le palpebre, incapace a rispondergli. Così, pensò bene di scusarsi. “Mi dispiace signor Mouri, non...”
“Sali su, forza.” Il detective dormiente lo ignorò, rivolgendosi alla karateka.
“Papà ma che hai?” Lo bloccò la figlia, esasperata. Okay la preoccupazione, okay la gelosia. Ma stava esagerando.
“Nulla. Tu e tua madre fate sempre quello che volete!”
“Che c’entra la mamma, adesso?”
Ma Kogoro non rispose, bofonchiando qualcosa di strano. “Niente. Lei non c’entra mai niente.”
Ran buttò un’occhiata al neo fidanzato, che si limitò ad alzare leggermente le spalle. Indietreggiando di qualche passo, Shinichi liberò le mani dalle tasche, e con un leggero cenno, salutò i Mouri.
“Aspetta! Domani passo a prenderti, okay?”
Lui annuì, girando il capo. “Arrivederci Kogoro.” Salutò poi il padre della giovane, sebbene non s’aspettasse chissà cosa come risposta.
“Sì, ciao.” Sbuffò, nervoso. Allo sguardo truce di Ran, Kogoro s’accinse a salire le scale. Mentre la figlia, dolcemente, rivolse uno sguardo ed un sorriso al suo detective. E dalle sue labbra poté scorgere un bellissimo “a domani.”
 
Ran scrutò per bene il soffitto, il cielo, la finestra, la scrivania. Provò ad addormentarsi, ma fallì miseramente. Solo in quel momento aveva realizzato cosa fosse successo: da quanto tempo lo bramava? Erano anni che si immaginava al suo fianco, tra le sue braccia, nelle sue mani. L’aveva desiderato. Aveva pianto per lui durante la sua assenza, aveva sperato ritornasse, aveva pregato di poter riascoltare la sua voce. E adesso, era suo. Era tutto suo. Ma non come un giocattolo di cui presto si sarebbe stancata. Era suo in anima e corpo, e lei era totalmente sua. Provò l’irrefrenabile impulso di stare accanto a lui, nello stesso letto, attaccati l’uno all’altro, proprio come quella sera. Desiderava baciarlo, abbracciarlo, accarezzarlo. Voleva toccarlo.
Arrossì a quei suoi pensieri, ma non se ne curò: in quel letto era da sola. Così si portò la coperta fino al naso, nascondendosi sotto essa. Era sola, ed il letto non era mai sembrato così grande come quella notte.
 
Shinichi tornò alla villa pochi minuti dopo. Non si spaventò dell’atteggiamento dell’investigatore, in quanto tutt’era fuorché una novità. Ed in fondo, non poteva nemmeno biasimarlo. Lui non c’era mai - secondo loro -, ed era giusto Kogoro fosse in pensiero.
Si spogliò e si lavò velocemente, rivivendo la serata appena trascorsa. Proiettò l’immagine di Ran sotto di lui, a terra, e le loro labbra così vicine da vibrare. Sprofondò nel materasso e provò ad addormentarsi. Anche per lui fu arduo. In testa non aveva solo Ran, ma anche la sua incombente ritrasformazione. Per quanto tempo sarebbe ancora rimasto così? Un giorno, due massimo? Si strofinò il viso con le mani, scompigliandosi i capelli. Lottava tra il desiderio di voler già rivedere la giovane, e la volontà di proteggerla a tutti i costi.
Sospirò, stanco.
Era tutto così dannatamente complicato.
 
La notte passò molto lentamente.
Ran s’alzò con un sorriso vivo sul viso. Non riusciva a sopprimerlo, sebbene ci provasse. Spuntava spontaneo, e s’alimentava ancora di più nel pensare all’incontro che di lì a poco avrebbe avuto col suo detective. Così si lavò frettolosamente, indossò la divisa scolastica e cominciò a preparare la colazione. Dal corridoio vide arrivare suo padre, più intontito ed assonnato che mai. Kogoro si strofinò i capelli e allargò i muscoli del volto in un rumoroso sbadiglio. Anche per lui, quella notte, era passata in bianco.
“Buongiorno papà.”
“Buongiorno...”
Ran si voltò un attimo verso di lui, stranita. “Ma è successo qualcosa?”
Kogoro sbuffò, sedendosi al tavolino in stile orientale. Prese qualche attimo di pausa, poi riuscì a parlare. “Tua madre ha chiesto il divorzio.”
Alla karateka scivolò la tazza che aveva tra le mani, facendola ricadere nel lavabo. Strabuzzò e sbatté più volte le palpebre, come per capacitarsi meglio di quello che aveva sentito.
“Cosa...? Sei... serio?”
“Certo. Ti sembra stia scherzando?” Il tono era impercettibile.
“Ma... perché?! Avete litigato di nuovo? L’hai fatta arrabbiare come sempre?!” Lo accusò la figlia, innervosita. Come rovinare una mattinata perfetta.
“Non ho fatto nulla Ran.” Provò a replicare Kogoro, ma la ragazzina aveva ben altre idee.
“E tu non le hai detto nulla, suppongo!”
“Ran, non puoi capire...sei piccola...”
“Io NON SONO PICCOLA!” obiettò, sbraitando. “Anche io so cosa significare amare. E quando si ama una persona si fa di tutto pur di non perderla!”
Kogoro la guardò truce. “E tu chi ameresti? Quel ragazzino che si atteggia ad investigatore?”
Lei abbozzò una risata nervosa. “E se pur fosse?”
Kogoro sussultò, allargando le palpebre. “Sei troppo piccola per amare!”
“Papà?” lo richiamò, quasi sarcastica. “Ho diciassette anni!”
“Sei piccola lo stesso!” la accusò. “Non capisci cosa sia importante o no.”
Ci fu una pausa, dove entrambi si studiarono.
“Bene.” Fece poi la giovane, lasciando andare le stoviglie. Si sfilò i guanti, li gettò nel lavabo, e con furia si diresse verso la porta. “Visto che tu sei quello grande e maturo, preparati da solo la colazione.” Gli annunciò, adirata. Poi prese la borsa, ripose con non curanza qualche quaderno dentro, e la mise alle spalle. Filò dritta verso l’uscita, ma prima d’andarsene, rivolse un ultimo sguardo a suo padre.
“E tanto per la cronaca, quello che tu chiami ‘ragazzino che si atteggia ad investigatore’ ha un nome. E sempre per la cronaca...” aprì la porta. “...è il mio fidanzato!”
E la sbatté con violenza.
Kogoro poté ascoltare gli scricchioli per i successivi venti minuti.
 
Ran scese le scale, fissando lo sguardo a terra e compiendo passi svelti e sbadati. Si ritrovò in strada nel giro di qualche secondo, e senza accorgersene, andò a sbattere contro qualcuno. Alzando gli occhi, si ritrovò in quelli di Shinichi. L’investigatore l’aiutò ad alzarsi con un braccio, al quale la giovane s’aggrappò.
“Ma dove vai?”
Lei sospirò, con gli occhi leggermente lucidi. Ignorò la sua domanda, non aveva voglia di parlarne.
“Ma non dovevo venire io da te?”
Lui sorrise, con le mani nelle sacche e i piedi lontani. “Ti ho fatto una sorpresina.”
Anche lei sorrise. Non gli rispose, ma rivolse lo sguardo prima alle vetrate dell’agenzia, poi alla strada.
“Scappiamo insieme?”
Shinichi arrossì leggermente. “Cosa?”
Ran sospirò, e tornò ad osservarlo. “Scappiamo...”
Lui rise. “E dove vorresti andare?”
“Tu dove vorresti portarmi?”
“Ovunque tu voglia.”
Lei annuì. Gli afferrò la giacca e lo trascinò lontano dall’agenzia, dietro ad un vicolo.
“Lontano da mio padre, dalla scuola, da Beika.”
Lui rise. “Signorina, sta marinando un po’ troppe volte la scuola...”
“Da che pulpito viene la predica...” ridacchiò lei, avvicinandosi al suo corpo.
Quella mattina sembrava ancora più bello di quanto ricordasse.
Lui annuì, aveva colpito nel segno. Poi mantenne vivo il gioco.
“Mhm... ma tu non mi imitare... non sono un buon modello...”
Ran si aggrappò a lui, stringendolo a sé. Sprofondò il seno sul suo torace, facendolo sussultare. Quel tocco morbido e profondo gli impediva di allontanarsi da lei.
“Beh. E’ vero...” annuì, totalmente rapita dai suoi occhi. “Tu mi distrai, sai?”
Shinichi appoggiò la sua fronte a quella della compagna. I loro profili si sfregarono, mentre il cuore tornò a palpitare. Un attimo, ed anche le loro labbra si ricongiunsero.
Fu un bacio tenero e casto. Ma appena il calore li avvolse, sentirono il bisogno di portarsi oltre. Anche le loro lingue entrarono in gioco, e tutto sembrò perdere valore attorno a loro. Shinichi le prese il viso tra le mani e la spinse più forte al muro, mozzandole il fiato. La karateka era di nuovo intrappolata nelle braccia del detective, e di nuovo in balia delle sue emozioni. Il loro bacio si fece talmente appassionato che dovettero staccarsi; stavano attirando troppi curiosi. Ran odiava gli occhi addosso, ma amava stare con lui. Staccandosi a malincuore dal suo corpo, lo trascinò via verso la metropolitana più vicina. Aveva bisogno d’evadere dal mondo.
 
“Peccato non avere un camper...”
Shinichi rise. Dopo un’ora e mezza di viaggio, avevano raggiunto una collinetta alla periferia della capitale, silenziosa in quel periodo, ma spesso destinata ai campeggi. In effetti lui ne era venuto a conoscenza grazie al professore Agasa ed alle innumerevoli vacanze trascorse su per le montagne con i ragazzini. Aveva portato Ran su quella che più l’aveva colpito. Sulla cima si ergeva un tempietto scintoista, piccolo e composto, con un grazioso giardino tipicamente giapponese. L’accesso era libero a tutti. Shinichi e Ran camminarono lentamente lungo le strade folte di vegetazione, respirando tranquillità e silenzio. Una brezza fresca accarezzò loro le guance calde.. Stare lì, era qualcosa di meraviglioso...
“Che beatitudine...”
Il detective annuì, rilassandosi a quel momento.
“Abituati al traffico frenetico di Tokyo, questo posto pare un paradiso.” In effetti era vero: per quanto ci fosse già stato, Shinichi si sentì incredibilmente rinvigorito nel trovarsi lì, con lei. Pensò che forse aveva proprio fatto bene ad assecondarla; certo, avrebbe potuto trasformarsi in un moccioso da un momento all’altro, ma in quel momento non se ne curò. Stare vicino Ran gli sconvolgeva le priorità.
“Come lo hai scoperto?” gli chiese la karateka, avvicinandosi a lui.
Se l’aspettava quella domanda. “Mio padre mi ci portò da bambino, una volta, insieme alla mamma.”
Lei rise. “Ed io dov’ero?”
Shinichi fece spallucce. Ran gli prese la mano e la intrecciò nella sua, assaporando il suo tocco morbido e caldo. Ma Shinichi non ci stette; fece scivolare il suo braccio lungo la schiena della karateka, stringendola a sé. Con un leggero movimento, poi, l’attrasse alle sue labbra, e le schioccò un bacio sulla fronte. Così, lasciandosi trasportare, la Mouri sentì il braccio del compagno posarsi sulle sue spalle, mentre la sua mano andò ad accarezzare la schiena del detective. Sprofondò il viso nel suo petto, socchiudendo gli occhi.
Continuarono a camminare, e senza neanche accorgersene, raggiunsero il tempio. Vi era molta più gente lì di quanto ce ne fosse a valle, ma pensarono fosse normale. Entrarono anche loro, staccandosi leggermente, ma mantenendo comunque il contatto fisico. Le dita di Ran trattenevano quelle di Shinichi, manco avesse paura scappasse.
“E’ molto bello qui.”
“Ho sentito dire è uno dei templi più famosi di Tokyo...”
“Uh!” guizzò improvvisamente Ran, fissando lo sguardo alla sua destra. “Guarda! I portafortuna!”
S’avvicinò al banco, dove la signora vendeva amuleti d’ogni genere.
“Signorina, questi sono benedetti.” La informò la donna, entusiasta. “Ne regali uno alla persona che ama, e con lei condividerà per sempre gioie e dolori.”
La karateka parve accendersi. Scrutò più volte gli amuleti, ce ne erano di tutti i colori e di tutti i tipi. E sopra ognuno c’era un ideogramma cinese che richiamava un sentimento.
Shinichi intanto la raggiunse, con viso scocciato; non era il tipo di credere a quelle cose, ma se a Ran piacevano...
“Ecco, questo!” Lo indicò con il dito la giovane, guizzando. “Scelgo questo!”
La signora glielo porse, per farglielo vedere meglio: era azzurro ed aveva inciso sopra l’ideogramma cinese dell’intelligenza.
Faceva proprio per lui. Girandosi a guardarlo, notò Shinichi a pochi centimetri da lei, curioso. Prese il portafortuna per il laccetto e glielo infilò dal capo, lasciandolo cadere sul suo petto.
“Per te.” Gli disse, sorridente.
Lui lo guardò, sfiorandolo con le dita. “Vuoi lo indossi?”
“Sì... Non toglierlo mai.”
Shinichi sorrise, ed afferrandolo, lo portò sotto la camicia. Sebbene fosse nascosto, attraverso quel portafortuna sperava di poterlo proteggere, visto che spesso l’aveva fatto lui con lei.
“Non cacciarti nei guai, che se lo fai adesso, ci cadrò anche io...”
Ran la buttò sul ridere, ma il detective a quell’affermazione sussultò.
S’incupì d’un tratto, e sperò che lei non se ne accorgesse.
- Farò sempre di tutto pur di non farti fare del male... -
 
Camminarono a lungo. Entrarono furtivi in un bosco adiacente al tempio, abitato da querce e alberi secolari. Verso est trovarono anche un ruscello ed un ponte in legno, sul quale si soffermarono per qualche minuto. S’appoggiarono alla balaustra, e meditarono profondamente l’acqua che scorreva incessante, e i pesciolini che in essa nuotavano.
“Mia madre ha chiesto il divorzio a mio padre.”
Confessò improvvisamente Ran, senza osservarlo. A girarsi fu però Shinichi, leggermente stupito. Silenziò per qualche istante, poi s’avvicinò ancora di più a lei.
“Divorzio?”
“Sì.” Disse, triste. “So soltanto che mio padre è distrutto, ed un po’ anche io.”
“Glielo ha detto ieri?”
Lei annuì. “Credo sia per questo abbia reagito così male nel vederti.”
Shinichi sorrise. Aveva capito ci fosse una ragione che andava oltre la gelosia per la figlia.
“Ho fatto così tanto per cercare di ricongiungerli...” continuò Ran, avvertendo gli occhi gonfiarsi. “E adesso, tutto mi sembra così ridicolo...”
“No, Ran...” Le passò una mano sulle spalle, e l’avvicinò a sé. La karateka arrossì, ma cominciava ad abituarsi a quelle attenzioni. Si fece trasportare nel suo abbraccio, e sentì le labbra del detective toccarle la fronte. Socchiuse gli occhi, leggermente arrossati, ed assaporò quel momento.
“Non devi sentirti ridicola... tutto quello che hai fatto è stato dolcissimo.”
“Sì, ma non è servito a nulla...” ammise poi lei, avvertendo le palpebre gonfiarsi di lacrime.
“Li vorrei di nuovo insieme, perché davvero credo che si amino ancora... ma a quanto pare mi sbagliavo...”
Lui scosse il capo. “Se si amano troveranno la strada per stare insieme, ma tu non puoi farci nulla.”
Una lacrima le solcò il volto, ed andò ad infrangersi sulla camicia di Shinichi.
“Non capisco perché tutto debba essere così complicato.” Proseguì lei, dal tono basso.
“Se fossimo meno orgogliosi, più diretti, meno ipocriti, meno coglioni e più spontanei... avremmo meno problemi.” Ammise poi, facendolo sorridere.
“Non sempre si riesce ad essere sinceri Ran...” Si rese conto di aver parlato troppo.
“Perché?” Gli chiese, rattristita. Lui sospirò. Sì, aveva parlato troppo.
“Non lo so...” ammise.
“Tu sei sincero con me?” Alzò lo sguardo e lo compenetrò nel suo. Si studiarono per qualche attimo interminabile, dove tornarono ad essere soli al mondo.
Come poteva ancora mentirle? Quando lo guardava così, con quegli occhi pieni di speranza e di dolcezza, gli era impossibile recitare.
“Per quel che conta.”
Lei si stranì. “Che vuoi dire...?”
Lui rise, ma dal nervoso. “Quello che ho detto, no?”
Ran lo scrutò per qualche istante, non sapendo bene cosa e come rispondergli.
“Perché più vado avanti e meno mi sembra di conoscerti?”
Lui la osservò. “Sono sempre lo stesso, Ran.”
“Ti offendi se ti dico che non sono d’accordo?”
Lui sorrise. “No.”
“Bene.” Sospirò, prendendo e rilasciando fiato. “Sei cambiato.”
“Cioè...?” ricercò spiegazioni lui, incuriosito.
“Non so, sei cambiato e basta. Lo sento a pelle.”
Ci fu una pausa, poi Shinichi riprese parola.
“Mi preferivi prima?”
Lei sorrise triste. “Non lo so nemmeno io.”
Il detective non fiatò, ma avvertì il suo malessere.
“Prima non c’era nessun segreto... mentre adesso mi sembra che tra noi due ci sia un muro invisibile che non mi permette di arrivare a te come vorrei.”
Lui sospirò. Sapeva bene cosa fosse quel muro.
“Ti devo confessare una cosa.” Continuò lei, osservandolo. “Anche io non sono stata del tutto sincera con te...”
Shinichi la guardò, curioso.
“Ricordi il portafortuna di Hattori?”
Lui annuì.
“L’ho preso io.” Sorrise la karateka, sentendosi una sciocca. “Quando è andato via l’ha dimenticato da te... ed io... l’ho rubato senza dirtelo.”
Shinichi deglutì a fatica. “Perché?”
“Perché...” rise. “Ho pensato potesse servirmi.”
Lui non rispose, ma per come la guardò, Ran intuì che dovesse andare avanti.
Prese coraggio allora.
“Posso farti una domanda?”
Lui annuì.
“Quando l’hai toccato?”
Shinichi strabuzzò leggermente le palpebre. Era così vicina alla verità che non la vedeva.
Ancora una volta si sentì un verme viscoso.
“Una volta...” ma non mentì.
Lei si interessò. “...quando?”
Cosa doveva risponderle? Un bel dilemma.
“Un po’ di tempo fa.”
“Io c’ero?” Lei insistette.
Shinichi la osservò ancora. I suoi occhi chiedevano risposte, ma lui non poteva dargliele.
“Ran...” abbassò le palpebre, staccandosi un po’ da lei. Tutto quel tempo erano rimasti abbracciati.
“Se ti chiedo di non fare altre domande lo faresti?”
“Ecco cosa intendevo prima.” Replicò delusa lei, tornando a poggiarsi sulla balaustra. “Mi sei vicino, ma ti sento lontano.”
Lui sentì un nodo alla gola. “Mi dispiace.”
“...Anche a me.”
 
 
Un suono del campanello, poi un altro, e poi altri tre. Deluso guardò oltre il cancello, ma non scorse alcun segno di vita. Aveva lasciato la scuola in anticipo per dirigersi a casa di quel detective, per chiedere di sua sorella, ed arrivare e non trovarlo lo innervosì parecchio. Saigo aspettò altri due minuti, poi, seccato, decise di chiedere al suo vicino. S’imbatté così in un’altra villa, con un giardino ben curato e un maggiolone giallo parcheggiato.
Benestanti da queste parti, eh...
Bussò, ma dal cancello intravide, in lontananza, un uomo anziano ed una bambina dai capelli ramati, poco distanti da lui.
“Mi scusi?”
Li richiamò, ed entrambi si voltarono. Ma quando scorse Ai, ebbe un sussulto.
Incredibile.Constatò, incredulo. La figlia piccola dei Miyano...




SONO. IN. UN. RITARDO. PAZZESCO.
Sono imperdonabile. Lo so. Posso solo dirvi che l'uni mi ha mangiato il tempo, e non ho potuto scrivere il chap. Spero mi perdoniate perché mi sento troppo in debito con voi e con tutto l'affetto che mi mostrate. E spero che il capitolo vi sia piaciuto (questo lo dico ogni volta, vero xD). 
La storia sta avviandosi verso la vera e propria trama, spero vi entusiasmi e vi prenda ogni volta di più. Non ho risposto nemmeno a tutte le recensioni (T___T lo farò a momenti, sorry!) talmente da come sono stata impegnata! Posso solo ringraziarvi ogni giorno di più! :)


Un bacione enorme, gigantesco, grande quanto un pianeta e dolce quanto lo zucchero a miei recensori accaniti, a coloro che l'hanno aggiunta tra le preferite, ed anche a quelli che l'hanno inserita tra le ricordate e le seguite!
Vi amo tutti. <3
Grazie anche a chi legge soltanto!


Roxi!

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Capitolo 12
*** Delusione ***


Your Lies

11.
Delusione

•••

 

“Ti serve qualcosa ragazzo?”
Sembrava proprio lei, dannazione, quella bambina con cui aveva giocato qualche volta da piccolo. Un po’ introversa e silenziosa - ricordava -, ma con un bel sorriso a compensare il resto. Rimase sbalordito lì innanzi per qualche secondo, senza nemmeno rendersi conto di quanto tempo fosse trascorso: Agasa cercò di richiamarlo, ma lui era preso dalla figura della piccola.
Anche Ai, in effetti, nell’osservarlo, provò una strana sensazione. Non riuscì a spiegarsi come, ma l’aveva già visto. Certo, i ricordi erano sbiaditi e le immagini sfuocate, ma c’era qualcosa in lui che la turbava. Ma com’era possibile?
“Ragazzo?” Ripeté ancora il professore, cominciando a spazientirsi un po’. Saigo ritornò al concreto, e sobbalzando, sbatté le palpebre.
“Ehm... sì” balbettò dapprima, poi riuscì a ricomporsi. “Stavo cercando il vostro vicino, Shinichi Kudo. Voi... lo conoscete?”
Agasa annuì, mentre Ai approfondì lo sguardo. Quel detective non aveva capito cosa significasse ‘non mettersi in mostra’.
“Certo. Sarà a scuola, adesso.”
Saigo scosse il capo. “Vengo da lì e non c’era.”
“Oh.” Il professore ebbe l’impressione di non saper cosa dire. “Allora può darsi sia con... Ran, la sua amica.”
Ma quando lo disse, Ai lo guardò truce. Non doveva dar lui tutte quelle informazioni; non sapevano chi fosse, da dove venisse e perché lo cercasse...
Ma il karateka, a quell’affermazione, si incuriosì. “Con...Ran?”
Il dottore annuì. “La conosci?”
“Sì,” lo imitò Saigo, prendendo il cellulare dalla tasca. “Beh... chiederò a lei. Grazie mille per la disponibilità.”
Fece per andarsene, e con un cenno della mano li salutò. S’avviò verso la fine della strada, ed osservando il display, fece scorrere il dito sino a cercare il numero della giovane. Erano quasi due giorni che non aveva notizie di lei, in fondo, ed era anche un po’ preoccupato. Ma, quando l’ebbe trovato, sbatté violentemente e finì per cadere a terra.
“Ehi, ma guarda un po’ dove vai!”
 
“Che dici, andiamo via?”
Ran inspirò l’aria nelle narici, e si rallegrò della brezza che le scompigliava i capelli.
“Da questo paradiso?”
“Ma è quasi l’una.” La avvisò Shinichi, osservando l’orologio. “Non hai fame?”
Talmente presa che nemmeno s’era accorta che il suo stomaco brontolasse. Effettivamente si stava facendo tardi, a casa non aveva avvisato, e fame ne aveva fin troppa.
A malincuore si staccò dalla balaustra, e passando una mano nei capelli, tentò di sistemarli.
“Un po’ sì.” Ammise, osservandolo. “Ma dove andiamo?”
“Ho visto un centro qui sotto. Vogliamo raggiungerlo?”
Il suo stomaco brontolò di nuovo, facendo scoppiare a ridere il detective.
“Direi di sì!”
 
“E’ permesso?”
Raggiunto il centro nel giro di dieci minuti, con un passo sostanzialmente veloce, Shinichi e Ran varcarono la porta d’ingresso, imbattendosi in un profondo silenzio. Le luci erano spente, ed i tavoli avevano ancora le sedie sistemate su di essi. Dovevano avere pochi clienti.
E se li accoglievano in quel modo, era anche un po’ lecito.
“Mi sa che non c’è nessuno...”
L’investigatore si fece avanti, e con gli occhi ricercò camerieri o addetti al servizio. Attraversò la sala e si ritrovò in un’altra, molto più piccola. Oltre essa c’era l’ufficio, mentre da destra proveniva un inconfondibile profumo di cloro. Probabilmente avevano anche una piscina, ed anche al coperto - dedusse Shinichi -, per quanto forte era l’odore.
“Trovato qualcuno?”
“Deserto totale.”
“Ma com’è possibile? Lasciano anche aperto...” fece incredula lei. “Se venissero i ladri?”
“A rubare piatti e bicchieri?” la schernì, ironizzando.
“Ci sono anche sedie, tavoli e...” si bloccò, mentre gli occhi le si illuminarono. “Un buffet meraviglioso!”
Shinichi osservò nella sua stessa direzione, e scorse, vicino alla piscina, una montagna di cibo. Antipasti, bibite ed anche qualche semifreddo.
La fidanzata si avvicinò, ma non osò toccare nulla. In fondo, non era roba loro.
“Tutto ciò e non poterlo avere!”
“Ma mi pare strano loro non ci siano...”
Continuò a guardarsi intorno, ma non scorse nessuno.
“Shin?”
Lui si voltò, richiamato.
“Che dici se ci prendiamo solo un panino?”
Il detective scoppiò a ridere, mentre l’eco delle parole rimbombò nella sala. L’abbracciò da dietro, e facendola sussultare, avvicinò le labbra al suo orecchio.
“Ladra...”
Ran si cullò in quel momento, e sorrise.
“Ma solo uno...” Lo pregò lei. “Piccolino...ino...ino...”
Lui ridacchiò. “Ed uno per me, no?”
E lei lo imitò. “Anche uno per te, okay. Ma poi se mio complice nel misfatto.”
“Rischieremo la galera.” Scherzò, e spazientito, decise di dedicarsi per davvero al buffet. Suvvia, un panino in più o in meno non aveva mai arricchito nessuno.
Entrambi presero un po’ di pane, lanciando occhiate furtive all’ingresso. Sperarono che non arrivasse nessuno proprio in quel momento.
“Che dici se prendiamo anche una bottiglia di cola?”
Lui la guardò, divertito. “Stiamo facendo una brutta cosa.”
“Ma solo due panini ed una cola, suvvia!”
“Stiamo facendo una brutta cosa...”
“Nessuno se ne accorgerà...” gli disse, ridendo.
“No!” la fermò d’un tratto lui, facendola sobbalzare.
Lei si girò, terrorizzata. “Che è successo?”
“Stai lasciando le impronte digitali!” la sfotté, mettendosi a ridere.
Ma prima di lasciarsi trasportare anche lei dalle risa, e prima di abbandonare il centro, la karateka avvertì una vena di tristezza scorrere in lei.
E non poté fare a meno di pensarlo.
- Pensa alle tue, di impronte digitali... -
 
 
“Perché mi hai detto di non farti domande?”
Non ce la fece più. Aveva cercato di ignorare quella richiesta di sapere, ma ogni minuto tornava a tartassarle il cervello. Lei voleva conoscere. Non si trattava nemmeno più di fiducia, ma di presa in giro. Shinichi era il suo ragazzo ormai, e perché mai doveva mentirle? Lei lo avrebbe aiutato se necessario. Ma voleva sentirsi partecipe della sua vita, non semplice spettatrice.
Al detective, intanto, andò quasi un morso di traverso.
E non rispose.
Ran sbuffò.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma sentiva qualcosa dentro di lei che non avrebbe mai voluto avvertire. Non nei primi giorni, non nelle prime volte.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma era Delusione.
“Grazie per la risposta.”
Era delusa perché mentre si sentiva in paradiso con lui, cadeva a picco nell’inferno. Delusa perché lui non si confidava, e perché lui mostrava sempre più ciò che lei non avrebbe voluto conoscere. Delusa perché aveva creduto in qualcosa che non c’era. Non se l’era certo immaginato così il loro fidanzamento. Aveva fantasticato talmente tanto, che tutte le volte s’era domandata come sarebbe andata una volta che fosse successo sul serio. Ed era andato peggio di ogni aspettativa.
Certo, attrazione ce n’era. Ed anche tanta. Ma si fermava lì il loro rapporto? Quando erano da soli non avevano argomenti su cui parlare, sebbene si conoscessero da anni e anni. Erano quelli, in realtà, loro?
Shinichi sospirò, tentando di ignorarla. Non la guardò, ma fissò gli occhi sul manto erboso dinanzi a lui.
Era tremendamente difficile.
“Ti sto parlando..” continuò lei, evidentemente provata. Non era così che doveva essere il loro rapporto. Non c’era complicità, fiducia, e forse nemmeno più rispetto. Ma cos’era? Sentì una lacrima attraversarle un occhio, ma riuscì a fermarla.
Lui finalmente si voltò, ma aveva un’espressione tutt’altro che felice. “Ti ho detto che mi dispiace.”
Ran continuò ad osservarlo. Cos’è il dispiacere? Le stava facendo un torto o cos’altro?
“Io... non ti capisco.”
“Perché insisti?” Staccò di nuovo lo sguardo lui.
“Perché?” assunse un tono più che ironico la compagna, esterrefatta. “Ma come... perché? Mettiti nei miei panni... non vorresti che io ti dicessi tutto di me?!”
“Ma cosa dovrei dirti?” tentò di mantenersi freddo e calmo lui, ma gli risultò complicato.
Lei sbuffò, e s’alzò dall’erba.
“Tutto, tutto! Voglio sapere tutto di te!”
Fece qualche passo, si bloccò e tornò a voltarsi nella sua direzione. Aveva le mani incrociate al petto, il viso tirato e le labbra secche.
“Mi sento un’estranea certe volte! Ho paura... ho paura Shinichi.”
Non disse più nulla, si limitò soltanto ad osservarlo. I suoi occhi si specchiarono in quelli azzurri e profondi del detective, viaggiarono sul suo corpo e si fermarono sui suoi zigomi. Aveva le occhiaie, adesso che ci faceva caso. Doveva essere stanco, sfinito, distrutto. Anche quel viso, sempre così perfetto, appariva così pallido adesso, alla luce del sole. Lui stesso si sentiva tremendamente debole. Alcune gocce di sudore freddo gli solcarono la tempia, mentre un leggero tremolio gli colpì le mani. Stava accadendo di nuovo?
Si preoccupò allora.
“Andiamo via.” spezzò poi il silenzio che s’era venuto a creare lei, col capo basso. Non volle insistere. Il detective s’alzò, sebbene non avesse ben compreso le intenzioni della compagna, e la ringraziò mentalmente. La seguì, non fiatò, ma la tenne sott’occhio. La karateka camminava dinanzi a lui, con passo lento e posato, lo sguardo immerso nel panorama, e la tristezza dipinta sul viso. Lui non poteva scorgerla, ma lei l’aveva capito.
Fidanzarsi l’aveva allontanati soltanto di più.
 
 
“Vuoi guardare dove vai?”
Saigo non rispose, intento a massaggiarsi il capo indolenzito. Con lo sguardo osservò la figura davanti a lui, già all’in piedi. Si trattava di una bellissima ragazza dai capelli ramati e dagli occhi vispi e luminosi. Un paio di belle gambe e forme al punto giusto. S’alzò dopo qualche secondo, ma nello scontrarsi con i suoi occhi, non poté fare a meno di notare qualcosa di famigliare. Non ci diede importanza, anche perché la giovane schivò il suo viso con abilità.
“Scusami.” Provò, educatamente. Lei nemmeno lo guardò, che direzionò il volto altrove.
“Lascia stare.” Fece molto più sgarbata lei, sistemandosi la gonna.
Saigo si ritrovò improvvisamente impacciato. Tentò di ignorarla, ma nel guardarla attraversare la strada, e bussare al campanello dei Kudo, sobbalzò.
“Sei un’amica del detective?”
Le domandò da lontano, incuriosito. Lei si girò, un po’ seccata.
“Sì. Lo conosci anche tu?”
“Ho avuto modo di parlarci.” Disse sincero.
“Oh,” si finse sorpresa lei, pigiando di nuovo. “Io sono una sua fan.” Lo avvisò, come se non avesse voluto dire altro.
“Fan?”
“Sì.” Annuì, convincente. “Ma non ti nascondo che... beh, potremmo anche diventare qualcosa di più.”
Al suo tono malizioso, Saigo sorrise. “Beh, è fortunato... il tipo.”
“Perché?”
“E’ circondato da belle ragazze...” constatò, portando il pensiero alla maestra karateka.
“Che c’è? Ti ha soffiato la fidanzata?” Lo sfotté.
Lui rise. “No. Ran è soltanto la sua migliore amica...”
La giovane, a quel nome, sobbalzò. Smise di guardare la villa, per osservare interrogatoria il karateka. “Ran? Ran Mouri?”
Lui annuì. “La conosci?”
“Quella tipa moscia? Beh, non credo abbia speranze con lui...” Poi si bloccò d’un tratto, interessata. “Ti piace?”
Ancora una volta annuì.
“Beh, provaci no? Sei ancora qui?”
“Fosse facile!”
“Oh, ragazzo! E’ tutto semplice se ti ci metti d’impegno.”
Saigo sorrise, e le porse la mano. “Piacere, mi chiamo Saigo Yami.”
Lei abbassò lo sguardo o lo osservò per qualche istante indefinito. Le parve un’eternità.
“Che coincidenza...” fece poi. “Yami anche io... ma Hana. Hana Yami.”
 
 
 
Il silenzio non cessò nemmeno quando arrivarono a Beika. Scesero dalla metropolitana, e sempre insieme si avviarono verso casa. Nessuno dei due osò fiatare. Shinichi si sentiva sempre peggio, ma Ran non poté accorgersene. Si fingeva distratta ad osservare in avanti, nel cielo dove predominavano invasivi alcuni nuvoloni grigi, che niente di bello facevano presagire. Non si affrettarono comunque, anzi, quasi diminuirono il passo per godersi almeno quegli attimi insieme. Sembravano eterni, e per quanto tetri ed insignificanti, assunsero un valore speciale. Non seppe spiegarsi perché, ma Ran credé fosse l’ultima volta potesse viverli. Lui le era più vicino che mai ma, come al solito, era distante anni luce. Cosa li divideva? Cosa non c’era più tra loro? Immersa nei suoi pensieri, vide l’agenzia avvicinarsi sempre più, fino a divenire gigantesca.
Si fermarono sotto le vetrate, dinanzi alle scale, avvolti da un velo di malinconia.
“Eccoci qui” esordì Ran, dando sfogo al suo fiato. Lui annuì, infilando le mani in tasca, proprio come quella mattina.
Non sapeva cosa dirle, così preferì tacere. Ma la karateka sembrò ancora più delusa da quell’atteggiamento.
“Okay” disse poi, sospirando. Fece per salire le scale, ma si bloccò. Una fitta le perforò il cuore, ma la ignorò.
E d’improvviso, capì anche perché. Perché Eri aveva chiesto il divorzio, perché aveva deciso di mettere fine a quel matrimonio.
“Shinichi?”
Lo richiamò, facendolo voltare. Passarono altri secondi ancora, il tempo giusto per isolarli dal mondo.
“Dimmi.”
Una nuova fitta a colpirla. Ma doveva continuare. Per lei. Per loro.
Lei aveva bisogno di lui, ma del suo Shinichi, non di quello che le era di fronte.
“Senti...” cominciò, riscendendo i gradini. Si grattò la testa, sospirò e sbuffò nel giro di qualche istante. Il detective non disse nulla, pazientò soltanto.
“Io penso che...” si strofinò la fronte con le dita, si stropicciò il viso. Non ci credeva davvero, eppure era ancora più difficile da dire.
Come riuscirci? Le sembrava una bestemmia.
“...Che dovremmo finirla qui...”
Shinichi si sentì cadere il mondo addosso. Come se ad un tratto tutto, ma proprio tutto, si fosse bloccato, e non fosse più ripartito, congelandolo a quel momento. Non poté fare a meno di strabuzzare gli occhi e di chiedersi, spontaneo, in qualche millesimo di secondo, che cosa fosse successo nel giro di una giornata. Eppure qualche ora prima tutto sembrava andare perfettamente...
“Eh?” Non riuscì a trattenersi. Sapeva che forse sarebbe stata la cosa più giusta, ma in quell’istante non era più il cervello a rispondere, ma il suo cuore. Quello stesso muscolo che batteva sempre un po’ di meno, ad ogni attimo che passava.
Lei sospirò ancora. Lo stava facendo per loro, si ripeté. Doveva avere una smossa, una prova, qualcosa che le desse conferme. Non riuscì nemmeno a capacitarsi di come ci stesse riuscendo, ma ogni secondo che passava, se ne pentiva.
E’ vero che lui era cambiato, ma lei poteva fare a meno di lui, in ogni caso?
Deglutì, nervosa. “Credo che... non... non sia cosa stare insieme.”
Ma il tono era poco più che impercettibile. Non sapeva mentire, anche perché non aveva mai imparato. Stava, volontariamente, dicendo all’uomo di cui era innamorata di lasciarsi, solo per testare una sua reazione. Se l’amava davvero, aveva pensato, l’avrebbe fermata. Avrebbe tentato di persuaderla, e non l’avrebbe persa così, senza spiegazioni.
Shinichi deglutì, ma non fiatò. Cosa doveva dirle? Che per lei era molto più sicuro stargli lontano, ma che tutto avrebbe voluto tranne che lasciarla andare?
Combatteva tra la sua ragione e i suoi istinti, e le sue emozioni gli impedirono di formulare frasi complicato. Così, arretrando di un passo, sospirò, rassegnato.
“Oh...”
Lei lo osservò. Certo, un po’ turbato lo sembrava.
“Io e te...” abbassò gli occhi, e provò ad alimentare la questione.
“Noi non...” provò di nuovo, ma nulla. “Non so... me l’aspettavo diverso...”
Fu l’unica cosa sincera gli confidò.
Shinichi tentò di ammortizzare la notizia.
Okay, sarà al sicuro, finalmente.
Okay, troverà qualcuno migliore.
Okay, doveva finire così.
Ma dannazione, perché non riusciva a smettere di stringere i pugni?
“Non dici nulla?” Tentò ancora lei, osservandolo per bene. Era più che difficile decifrarlo.
Lui alzò il capo, lasciò andare un lungo respiro e, col cuore a pezzi, annuì.
“Okay” le diede le spalle, ma i denti gli tremavano. L’intero corpo gli tremava.
“Va bene. Come vuoi.”
Cominciò a camminare, ma le rivolse uno sguardo prima d’andarsene.
Non potevano sapere fosse l’ultimo.
“Ciao.”
 
 
Ran rimase immobile per i successivi dieci minuti.
Non poteva crederci.
Non aveva battuto ciglio.
 
 
“Va bene. Come vuoi.”
Un secondo, poi un altro. Il ticchettio dell’orologio, l’infernale silenzio della casa.
“Va bene. Come vuoi.”
Le palpebre spalancate a vista, la bocca dischiusa in un’immobile volto, e il corpo bloccato, quasi a non sentirlo. La notte era calata, il freddo l’aveva accompagnata, ma nulla era più gelido della sua pelle.
Un semplice ‘ciao’ a concludere diciassette anni d’amicizia e d’amore, che mai più sarebbero ritornati.
Non aveva detto nulla, né aveva fatto nulla. Anzi, sembrava quasi essere anche d’accordo.
Il cuore le batteva lentamente, forse un po’ troppo. Non voleva piangere, perché presto o tardi, pensò si sarebbe svegliata da quell’incubo.
Sì, doveva essere per forza un incubo. Cos’altro sennò?
Lui ci teneva a lei. Si convinse. Ci teneva.
E allora perché per tutto il pomeriggio, e per tutta la sera, e per tutta quella dannatissima notte... non l’aveva chiamata?
Erano le quattro, ormai. E di lui nemmeno l’ombra. Provò l’irrefrenabile impulso di prendere il cellulare, di risentire la sua voce, di cullarsi delle sue parole.
Le mancava già.
Aveva fatto una sciocchezza, solo una sciocchezza. Gliel’avrebbe spiegato il mattino dopo. Era uno scherzo, dai - avrebbe detto -, facciamo finta non sia successo nulla.
Perché non è successo nulla.
Lui voleva soltanto fare un po’ l’orgoglioso. Lo conosceva bene, in fondo, lei. Era timido, non amava esternare i suoi sentimenti. Il giorno dopo sarebbe tornato da lei col suo solito sorriso, e si sarebbero baciati di nuovo.
Già, le sue labbra. Quanto le mancavano.
Eppure, perché aveva la sensazione che non stessero affatto giocando a guardie e ladri?
Una nuova fitta, pesante come un macigno, si posò sul suo letto.
Deglutì, e sentì la lingua scivolarle sul palato.
La sua lingua, dannazione. La sua bocca.
Le sue mani e il suo corpo.
Prese a respirare sempre più velocemente.
No, non voleva perderlo.
Cosa diavolo aveva combinato?
 
 
Arrivò a scuola correndo. Quella notte non aveva dormito più di un’ora, ma il sonno era l’ultima cosa a preoccuparla, in quel momento.
Voleva soltanto parlargli. Chiarire con lui cosa fosse successo, e rimediare.
S’era comportata da vera bambina, in fondo. Perché doveva metterlo alla prova?
Lei avrebbe dovuto fidarsi di lui, sempre. No?
La mente le si offuscò. Ran non riusciva più a ragionare lucidamente, ed ignorava completamente la totale indifferenza del detective.
Fuori dall’aula, sentì il cuore palpitarle forte. Si sistemò la giacca e la gonna, si pettinò i capelli con le mani. Tirò su un respiro, e poi lo lasciò andare.
Ma nell’aprire la porta, fu colta da una profonda delusione. Tra tanti dei suoi amici, mancava quello più importante.
Osservò la classe per un po’, immobile. Non s’accorse nemmeno che l’ereditiera le si avvicinò, e le diede un colpetto con la mano.
“Ehi, Ran... oggi arrivi senza principe azzurro?”
La karateka si voltò verso di lei, con gli occhi sbarrati.
“Hai visto Shinichi?!” Le chiese velocemente, con voce scossa dal terrore.
L’amica scosse il capo.
“No.”
Ran sospirò preoccupata. Aveva il corpo che le tremava, e non riusciva a stare ferma.
“Non l’hai visto nemmeno giù, al cancello?”
Ripeté ancora, insistente.
“No, Ran... ma perché? Che sta succedendo?”
La giovane si morse un labbro, mandò occhiate a destra e a sinistra nella speranza d’intravederlo, ma nulla.
Dove sei?
E ad ogni liceale che giungeva in aula, il cuore perdeva un battito e tornava a tamburellare nello sterno solo poco dopo.
Dove sei?
Lo ricercò tra i banchi, tra gli zaini, tra le penne.
“Buongiorno professoressa.”
Le due furono interrotte dall’insegnante che, entrando in aula, velocemente s’apprestò a raggiungere la cattedra. I compagni di classe la salutarono educatamente, e Ran non poté fare a meno di andare a prendere posto, insieme a Sonoko.
Guardò ripetutamente la porta, poi il suo banco, poi di nuovo la porta. Sperò che apparisse da un momento all’altro come il migliore dei prestigiatori, magari anche avvolto da una nuvola fumo.
Ma non accadde.
E quella fu la giornata scolastica più lunga della sua vita.
 

 
“Beh, non si può certo dire che non piaccia.”
Vermouth s’appoggiò alla scrivania in legno scuro, illuminata soltanto dalla luce fredda del monitor accesso. Dinanzi a lei, Chandon osservava il desktop con falso entusiasmo.
“Sì, vero.” Sorrise, poi si rivolse alla donna bionda di fronte. “Piace.”
Passarono alcuni istanti indefiniti, dove i loro sguardi si studiarono.
“Posso fidarmi di te, sì?”
Vermouth ghignò. “Cos’è la fiducia, in fondo?”
“Ho bisogno di sapere che non mi tradirai.” Specificò la figura, avvolta da una semioscurità.
“La fiducia è un patto. Un compromesso tra due persone.” Rispose l’attrice con sicurezza.
“Se tu hai fiducia in me, perché io non dovrei averla in te?”
Chandon silenziò per qualche minuto. Poi tornò a guardarla.
“Perché lo fai?” Le domandò, la voce intrisa di curiosità.
Sharon sorrise ancora.
“Sai invece cos’è la speranza?”
Chandon s’ammutolì. Quanto era ammaliante il suo modo di fare?
“E’ avere fiducia in qualcosa...”





Salve! :3 Questa volta ho fatto presto, no? :)
Non vi preoccupate che la storia è tutta nella mia mente, devo solo trovare tempo e voglia di scriverla! XD
Bene °° Passando alle cose serie... ho pensato che, dopo la lettura, vorreste uccidermi.
E' reato gente. Non lo potete fare :D
Sì, si sono lasciati! .----------. Perché? Beh. Mettetevi nei panni di Ran: la persona a cui più tenete si rifà vivo dopo secoli, e non vi parla di nulla, e molto probabilmente vi nasconde qualcosa. Passate dei bei momenti insieme, ma quando si tratta di confrontarvi, lui viene meno. Dopo innumerevoli tentativi, non decidereste di fare qualcosa di più concreto?
Lei l'ha messo alla prova. Ha pensato di scuoterlo, ma non l'ha avuta buona.
D'altronde Shinichi sta male ogni giorno per i possibili guai che le farebbe passare, e - effettivamente - lasciarsi sarebbe la cosa più sicura da fare, per lei.
Però, Ran si pente. Si pente dopo un po'... qualche ora. Le manca tantissimo, e non sentirlo le crea un vuoto dentro. Lo cerca ma non lo trova. Shinichi non si presenta a scuola...
Intanto, Saigo incontra Hana, e Vermouth chiacchiera con Chandon.

Spero che il capitolo v'abbia messo la giusta tristezza XD E forse, so che non ve l'aspettavate, così di punto in bianco!
Sia il capitolo, che la loro separazione!
Ma, d'altronde, non è finita qui!
C'è tanto ancora da scoprire e da vivere, dovrete solo seguirmi ;)

Ringrazio Arya, Hoshi, Angel, Marta, Assu, Ciccia, Delia, Shineran amore, Bessie e Mangaka-chan per aver commentato il precedente capitolo!
Grazie mille per esser arrivati sin qui!
Ci si vede al dodicesimo!

Roxi

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Capitolo 13
*** Vicini e lontani ***


Your Lies

12.
Vicini e lontani
•••

 
 
 
Dall’istituto s’udì finalmente la campanella che segnava la fine delle lezioni giornaliere, accompagnata da un sospiro generale dei liceali. Un’intera giornata scolastica passata con la mente altrove per Ran, che neanche l’ora di filosofia, che spesso e volentieri l’attraeva, non poté fare nulla. Sonoko aveva provato più volte a richiamarla, ma senza alcun risultato; la karateka sembrava immersa in un mondo tutto suo, dove nessuna voce o rumore poteva giungere.
Quando i suoi compagni di classe s’alzarono e cominciarono a prepararsi, Ran rimase ancora qualche minuto ferma, assorta nei suoi infiniti e complicati pensieri. Lo sguardo rivolto verso la finestra, contro la quale rifletteva il viso di Shinichi. Che fine aveva fatto? Perché non era venuto? Ma soprattutto, perché sembrava non importarsene nulla di loro due?
Erano quasi ventiquattro ore che l’aveva lasciato, ma di lui nemmeno una traccia. Non le aveva chiesto nemmeno spiegazioni, né s’era fatto vivo per farle cambiare idea.
Era un incubo, o cosa? Aveva sempre pensato che, per lui, lei contasse qualcosa. Ma sul serio. Eppure, ai primi intoppi, la loro storia s’era frantumata come vetro.
“Si può sapere cos’è successo?”
La voce di Sonoko la fece sobbalzare. Girandosi intorno, la karateka si rese conto d’essere rimasta da sola in classe, insieme all’ereditiera che le stava all’in piedi e di fronte al banco. Non rispose subito. Dapprima pensò se inventarsi qualcosa, successivamente dovette necessariamente trovare il modo di frenare le lacrime. In fondo le si leggeva in faccia cosa stava pensando, ed era difficile nasconderlo.
“Niente di che.” Rispose impercettibilmente, col tono intriso di note tristi.
Ma l’amica prese una sedia da un banco vicino, la posò a fianco alla sua, e si sedé sopra.
“Okay. Che ha combinato Kudo?” riprovò, sospirando.
Ran abbassò lo sguardo, respirando appena.
“L’ho lasciato...”
Sonoko spalancò le palpebre. “Cosa?!”
Ma l’amica non le rispose subito. Calmandosi, dunque, riformulò la domanda.
“Aspetta.” Prese tempo la bionda. “Mi sono persa qualche passaggio. Sono arrivata al vostro bacio, che cacchio è successo in due giorni?!”
La brunetta sospirò, non aveva nemmeno la forza di sorridere.
“Ci siamo messi insieme... ed io l’ho lasciato.”
Sonoko allargò ancora di più le palpebre. “E’ uno scherzo?”
“No.” Scosse il capo Ran, il volto pietrificato nella tristezza. “E’ la verità.”
“Ma...” non riuscì immediatamente a trovare le parole. “Come? Cioè... perché? Quando?”
L’amica sospirò di nuovo. “E’ complicato, Sonoko...”
“Farò uno sforzo.” Le rispose, convinta.
Ran la osservò per qualche secondo. Non aveva neanche voglia di parlarne, ed in fondo, non sapeva neanche cosa dire. Trovò la forza di pensare allora, e almeno tentare di sfogarsi.
“Shinichi è distante, è strano, è cambiato... lo sento a pelle... non mi dice cosa gli succede, tende a tenersi tutto per sé. Da quanto ho potuto capire, qualcosa gli ha sconvolto la vita... ma nonostante c’abbia provato in tutti i modi, non m’ha voluto dire cosa sia. Mi ha anche chiesto, esplicitamente, di non fargli domande!” concluse poi, esterrefatta. Prese una piccola pausa, poi continuò.
“Ho pensato che, se gli avessi detto che, per questi motivi, la nostra storia non andava bene, e di conseguenza l’avrei lasciato, lui avrebbe tentato - almeno - di farmi cambiare idea...”
Sonoko congiunse le mani e cominciò a giocherellare con le dita. “Cosa ha fatto, invece?”
Ran rise ironica e malinconica. “Nulla! Non ha fatto nulla!”
Una lacrima le solcò il viso, ma nessuno delle due ci badò. “Io non so cosa gli stia accadendo... ma non ha fatto una piega! E’ stato difficilissimo per me recitare e fingere di non volerlo, eppure lui non ha mosso un dito. Non s’è scomposto, non ha detto niente.”
“Cioè...se ne è andato via senza fare nulla?”
Ran annuì. “Io gli ho detto... una cosa tipo... ‘dovremmo finirla qui’... lui... imperterrito... ‘va bene. Come vuoi’...e poi se ne è andato!”
Sonoko pazientò un po’, il tempo di metabolizzare la notizia.
“Okay. Lo sai che non mi ha mai ispirato chissà quanta simpatia, ma credevo che a te ci tenesse davvero, per questo non mi sono messa in mezzo... ma se mi dici una cosa del genere... ho il compito di importi di non cercarlo e di non metterti ad aspettarlo come il tuo solito. A me importa molto più di te che di lui.”
L’amica scosse il capo. “No... devo cercarlo. Può darsi si sia arrabbiato perché, di punto in bianco, ho preso questa decisione... quindi devo scusarmi, ho fatto una stronzata...”
“Cosa?! Lui se ne sbatte di te e tu devi scusarti? Cosa sentono le mie orecchie?!”
Ran la osservò torva. “Shinichi non se ne sbatte di me. E’ impossibile. Non ci voglio credere.”
“Beh, non crederci pure. Ma la realtà dei fatti è questa.”
“No.” Scosse di nuovo la testa, la karateka. “Ci dev’essere qualcosa sotto. Non è possibile, no...”
Sonoko sbuffò, incredula.
“Toglimi una curiosità.”
La brunetta tornò a guardarla. Gli occhi gonfi di lacrime.
“Dimmi.”
“Ci sei andata a letto?”
Ran arrossì di botto. “Eh?!”
“Non è che ha ottenuto quello che voleva e se l’è filata come fanno tutti gli uomini?”
La figlia dell’investigatore si stupì di quanta naturalezza c’era nelle sue parole.
Poi prese coraggio e posò via la timidezza.
“No. Non l’abbiamo fatto.” La informò, come a voler difenderlo. “E lui non è assolutamente tutti gli uomini. Non farebbe mai una cosa del genere.”
“Ah, io lo dico per te.” Replicò l’ereditiera, leggermente sollevata. “Beh, allora cosa vuoi che ti dica? Vallo a cercare in cima al mondo? Buttati sotto i suoi piedi come un tappeto? Vedi un po’ tu...”
Ran sospirò, stizzita. “Io non ho detto voglio umiliarmi. Voglio solo cercarlo per capire. Solo questo.”
“Dovrebbe essere lui a cercarti, però.”
“Ma non c’è mica qualche legge universale da seguire...”
“No, ma è lui in torto. Anche se tu avessi avuto vere intenzioni di lasciarlo, l’avresti fatto per certi motivi di cui anche lui avrebbe dovuto rendersi conto. E se teneva a voi, non avrebbe di certo acconsentito senza muovere dito...”
“Sì, ma... può darsi che anche lui si sia accorto di questa cosa, e quindi si stia prendendo tempo per rifletterci? Forse lui ci tiene a me, però crede che io abbia ragione...”
“Ran, mi hai appena finito di dire che è lui la questione. Se lui fosse rimasto lo stesso di un tempo, non si sarebbe presentato questo problema, no?”
La giovane fu costretta ad annuire. “Vero.”
“Quindi è lui che è in torto. Non tu.”
“Anche io ho sbagliato... non dovevo metterlo alla prova.”
Sonoko sbuffò. “Lo stai facendo di nuovo!”
“Cosa?”
“Lo stai difendendo, come sempre. Come puoi?”
L’amica scosse il capo. “Tu non lo conosci come lo conosco io...”
“Non credi che, forse tu, pensavi di conoscerlo?”
Ran s’ammutolì. Non poteva darle torto.
 
 
“Ehilà! Ciao!”
Incamminandosi verso casa con l’amica di sempre, la conversazione tra Ran e Sonoko fu interrotta da una terza voce, sempre femminile, che giungeva sempre più vicina. Forse l’ultima che avrebbe voluto sentire in quel momento.
Voltandosi, la karateka si scontrò con Hana, che correva nella sua direzione, con quell’espressione indelebile da sonolapiùbelladelmondo a (s)graziarle il viso.
“Ci mancava solo lei...” disse, esponendo i suoi pensieri all’ereditiera.
L’altra assottigliò gli occhi, mentre la Yami era praticamente vicinissima.
“Ohi, non vi ho visti ieri a te e a Shin...”
Ran strinse i pugni. Aveva voglia di sfogarsi con qualcuno.
“Che fine avete fatto?”
“Eravamo insieme. Perché?” chiese, quasi a voler marcare il suo territorio.
Ma Hana non si scompose.
“No, è che ho cercato Shinichi a casa sua... volevo parlargli un po’, ma non l’ho trovato. Sai dov’è?”
Ran sospirò.
Calma.
L’omicidio è reato.
Calma.
“Perché lo stai cercando? Cosa vuoi da lui?” Non riuscì a trattenere una certa aggressività.
Hana sorrise, disinvolta. Non si curava minimamente della gelosia straripante della giovane.
“Beh, ... non posso cercarlo? Comunque volevo invitarlo ad una festa organizzata da una mia amica. Quella del supermercato, la ricordi? Yukiko...”
“E cosa c’entra lui?”
Intanto Sonoko alternava gli sguardi per osservarle entrambe. Ran era avvolta da un fuoco intenso, pronto a scoppiare, ma Hana appariva incredibilmente calma.
“Lo volevo invitare?” fece, ovviandola.
“Questo me l’hai già detto.”
“Okay. Non so che problemi hai, ma potresti gentilmente dirmi dov’è?”
Era quasi arrivata al limite di sopportazione. Avrebbe voluto rispondergli, proprio con gentilezza, “è il mio ragazzo. Levati dalle scatole” ma si ricordò improvvisamente di averlo lasciato il giorno precedente. Così fu obbligata a zittirsi.
“Non lo so dov’è.”
“Non è che potresti darmi il suo numero di cellulare?”
Ran le lanciò un’occhiata fulminante.
“No, non potrei.”
“Perché?”
Poi sbuffò. Era esasperata.
Prese per la manica della giacca Sonoko, e la trascinò via.
“Andiamocene.”
“Ehi, tu!” La richiamò Hana, stizzita.
“Andiamocene...”
“Ran, ma che diavolo...” provò ad obiettare l’ereditiera, stranita.
Ma lei insistette. E non scherzava.
“Andiamocene prima che l’ammazzo!”
 
 
Giunte sotto l’agenzia investigativa, Ran spiegò a Sonoko chi fosse Hana, e perché s’era comportata così sgarbatamente con lei. L’ereditiera aveva simulato una smorfia, per niente d’accordo con tutte le attenzioni che le ragazze sembravano dedicare a quel detective.
“Comunque, io ora vado... tu non fare follie, okay?” Si raccomandò, chiaramente preoccupata per l’amica. Vederla a pezzi era una botta al cuore, e sapere che fosse solo colpa dell’investigatore montato aumentava sproporzionatamente la sua rabbia.
“Ci proverò.” Disse con tono triste l’amica, sospirando.
“Diciassette anni per mettersi insieme, e due giorni per lasciarsi...” ironizzò quasi l’ereditiera. “Solo tu e Kudo avreste potuto farlo...”
Ran annuì sconcertata, per poi girarsi verso le scale. Salutò un’ultima volta Sonoko, che le chiese di avvisarla di nuovi sviluppi, e sospirando, salì verso casa. Ad ogni gradino un pensiero nuovo le tormentò il cervello. Si chiese dov’era, come stava, cosa stava facendo, e se per caso stava anche pensando a lei. Si fermò a dopo qualche istante, prese il cellulare dalla borsa e lo guardò attentamente.
“Dovrebbe essere lui a cercarti, però.”
Sentiva la voce di Sonoko petulante e fastidiosa come un diavoletto che ti si poggia sulla spalla per dirti cosa fare o no. Sospirò più volte, ma riuscì ad ignorarla. Digitò il numero, che ormai conosceva a memoria, e pigiò il verde.
Lo portò all’orecchio.
Il cuore accelerò la sua corsa.
Su, rispondi, per favore, rispondi...
- Il numero da lei chiamato potrebbe essere spento o non raggiungibile, la invitiamo a riprovare più tardi. Grazie e arrivederci. - 
Te pareva... Potrebbe essere spento o non raggiungibile...
Schernì quella voce con la sua, restando col telefono a mezz’aria e l’espressione sconcertata sul viso per qualche altro minuto. Sembrava esser tornata a qualche giorno prima, quando, per sentirlo, doveva aspettare settimane...
Perché ha spento il cellulare?! Uffa!
A pochi gradini dalla porta d’entrata dell’agenzia investigativa, Ran avvertì alcune voci provenire dall’interno dell’abitazione. S’incuriosì, inarcando un sopracciglio, ma non ci mise molto a riconoscere di chi fossero. Il dialetto di Osaka era inconfondibile, e quell’altro tono, bianco e puro, altrettanto...
Spalancando la porta, ebbe un tuffo al cuore.
Spalancò gli occhi, e il fiato le morì in gola.
Ma una cosa riuscì ad urlarla. Il suo nome.
“CONAN!”
 
 
“Ma perché non mi hai avvisato saresti tornato?”
Incredula, la karateka si avvicinò a lui. Ma prima che il piccoletto potesse risponderle, l'altro lo anticipò.
“Il piccoletto qui presente s’è ripreso velocemente, e i dottori hanno pensato bene, nel giro di qualche giorno, di lasciarlo andare. Adesso sta benone!” Fece così, Heiji al posto dell’amico rimpicciolito, accarezzandogli la testa e scompigliandogli i capelli. Non era proprio dell’umore giusto per scherzare, e fingere, adesso, era quasi impossibile. Doveva riuscirci, ma si rese conto lui stesso della difficoltà della situazione. Non doveva soltanto recitare d’essere Conan - un’altra vita, altri amici, altri affetti - , ma anche di ignorare palesemente quello che c’era stato tra lui e Ran. Guardarla e non provare la voglia di chiarire, di parlarle semplicemente. Nel giro di qualche giorno era cambiato tutto nella sua vita di Shinichi Kudo, e adesso non sapeva nemmeno più se voler ritornare ad esserlo.
Le parole dell’amica d’infanzia lo aveva tartassato per tutta la notte.
E avevano fatto e facevano più male del suo corpo che, in qualche minuto, s’era ristretto a quello di un moccioso.
“Conan, ti senti bene sul serio?”
La guardò, così vicina. Qualche ora prima, e avrebbe potuto baciarla.
Ora invece era soltanto uno stupido ragazzino di sette anni.
“Sì, Ran-neechan, sto benissimo!” provò a recitare, e ringraziò mentalmente sua madre per tutte le lezioni che gli aveva impartito fin da piccolo. La vocina gli era uscita più falsa del previsto, ma non avrebbe dovuto destare sospetti.
“Mi hai fatto stare in pensiero, sai?”
Lui annuì, rimandando all’interno un sospiro di troppo. Quanto poteva fare male quella situazione?
“Non permetterti mai più.”
“Certo.” Continuò con un’ostentata ingenuità, che non convinceva nemmeno lui.
“E tu, Hattori? Come stai?” Issandosi all’in piedi, la karateka tornò ad osservare l’amico investigatore d’Osaka. Heiji annuì convincente, abbozzando anche un sorriso.
“Bene, bene anche io.”
“Questo monello ti ha fatto sudare?” disse scherzosa, riferendosi al piccolo.
Ma il brunetto ridacchiò, negando. “No, no. E’ stato buonissimo.”
“Non saprò mai come ringraziarti per tutto quello che hai fatto. Sei davvero un ragazzo dal cuore d’oro.”
Heiji si grattò il capo, in imbarazzo. “Macché, non ho fatto nulla...”
Anche perché nulla ho fatto per davvero...
Per un po’ silenziarono tutti. Improvvisamente nessuno sapeva cosa dire, imprimendo l’aria di un insolito nervosismo. Ran decise così di spezzare il silenzio con la sua voce, annunciando di dover andare di sopra per sistemare la sua roba. Guardò anche Conan, e lo invitò a salire, cosicché da potersi cambiare e mettersi abiti nuovi.
Hattori disse che li avrebbe aspettati giù, facendo compagnia a Kogoro.
 
I due ex fidanzati salirono dopo pochi secondi. Ran sistemò la sua borsa in camera, e quella di Conan da suo padre. Mentre il finto bambino si cambiava in bagno, la karateka pensò bene di accomodarsi nel soggiorno per aspettarlo. Tornando in cucina, la mente viaggiò e la riportò a qualche giorno prima, quando, per nascondersi da Kogoro, lei e Shinichi avevano fatto tana dietro il divano. E poi... poi s’erano dati il loro secondo bacio. A quel ricordo fu colpita da una scossa di malinconia, che mai più sarebbe andata via dal suo volto. S’avvicinò al salotto, ed osservandolo, si re immaginò tra le sue braccia e sotto il suo corpo. Sospirò, ed osservò intesa il cellulare che aveva tra le mani. Nessun messaggio di risposta, nemmeno dalla segreteria. 
Sbuffò di nuovo, ritornando a martellarsi il cervello come qualche ora prima a scuola.
Dov’era? Come stava? Cosa stava facendo? Cosa stava pensando?
Si rabbuiò in se stessa, quando ad un tratto avvertì il cellulare vibrare. Sentì il cuore palpitarle ancor prima di sapere chi fosse, e s’affrettò ad afferrarlo, prima che potesse.
Già s’immaginava che lui le avrebbe mandato un messaggio, o meglio ancora, l’avrebbe chiamata, anche solo per chiederle come stava. Ma rimase delusa.
Non era Shinichi, e non era neppure una chiamata.
Era un messaggio, e da parte di Saigo.

Ciao bellissima... è da tanto che non ti vedo. Il mio spirito da karateka richiama la sua istruttrice preferita. Pensi di poter insegnarmi ancora qualcosa, oggi?
 
A quelle parole arrossì. Rilesse il messaggio un altro paio di volte, fin quando non si decise a rispondere. Ci mise un po’ a scegliere il modo adatto per declinare l’invito, ma alla fine lo trovò.
Non aveva proprio voglia d’uscire.
 
 
La sera stessa, i detective boys, compresi Ai e il dottor Agasa, andarono a far visita al loro amichetto. Ayumi scoppiò in un mare di lacrime, mentre Mistuhiko e Genta si limitarono ad abbracciarlo forte. La piccola scienziata nemmeno lo salutò, mentre il professore gli rivolse un sorriso divertito. Ran osservò la scena tentando di dimenticare le sue pene, tenendo comunque sempre il cellulare in tasca, casomai vibrasse. Heiji le si affiancò, mentre il suo piccolo grande amico era alle prese con la vita del suo alter-ego. Prendendo un dolcetto dal contenitore, si mise anche lui ad osservare il tutto, leggermente spaesato.
L’aveva contattato la sera prima per riferirgli che gli serviva aiuto, che s’era ritrasformato in Conan, ed aveva bisogno della sua presenza per rendere il tutto più credibile ai Mouri. S’era anche scusato in anticipo per tutti i problemi che gli causava, ma Heiji gli aveva risposto che per lui avrebbe fatto questo ed altro.
“Senti, Hattori...”
I suoi pensieri furono interrotti dalla voce debole di Ran, che per qualche istante era rimasto ad osservarlo. Heiji si voltò, invitandola a proseguire.
“Scusami se te lo chiedo... forse è assurdo per te... però, vedi, ecco... vorrei sapere se hai notizie di Shinichi...”
Il detective quasi si strozzò col boccone di biscotto. Non aveva la minima idea di quale scusa si fosse inventato stavolta, e non immaginava nemmeno che, il motivo della richiesta, era un altro. Certo lui non era a conoscenza delle ultime novità, in quanto Shinichi non aveva fatto parola con nessuno, quindi, ignaro, decise di rimanere sul vago.
“Ehm... no. Mi pare abbia detto doveva svolgere qualche investigazione, ma... boh... non ho capito bene...”
Ran strabuzzò le palpebre. “E’ andato di nuovo via?”
“Ehm...” Heiji s’intenerì. Il viso della giovane era un’esplosione di sentimenti. “Non so dirti, ma... ma penso di... sì.”
La karateka sentì gli occhi gonfiarsi di lacrime. “Ma come? Sai mica dove è andato?”
Lui scosse il capo.
Ran sospirò, affranta, e tornò dopo qualche istante ad osservare i bambini. Era scappato via da lei, o aveva davvero da fare? In quel momento gli pareva più logico e scontata la seconda, anche perché il suo Shinichi non era un vigliacco. Ma allora perché non l’aveva nemmeno avvisata? Okay, lei lo aveva lasciato. Ma perché lui non aveva chiesto neppure uno stupido ‘perché’?
Ci furono altri attimi di silenzio, ma che venne presto smorzato dai suoi pensieri. Aveva bisogno di sapere.
“Hattori...?”
“Mhm...?”
Il suo volto si sfumò di rosso. “Senti, ma... Shinichi ti ha mai parlato di me?”
“Eh?” Heiji era incredibilmente impacciato a parlare di certi argomenti.
“Sì, insomma. Vorrei sapere se ti ha mai detto qualcosa su noi due.”
Lui esitò qualche momento, poi sorrise.
“Non è il tipo da confidarsi, a dire la verità.” Ammise lui.
Ran annuì, concorde. “Lo so.” Poi sospirò ancora. “Volevo solo sapere se qualche volta ti ha accennato a me, anche un po’...”
Heiji ci pensò su. Cosa avrebbe dovuto risponderle?
“Beh, la maggior parte delle volte devi cavargli le parole di bocca. Non ti dice mai cosa gli sta accadendo, tende a tenersi tutto per sé.”
Ran fece un sorriso triste. “Ah, è confortante sapere che non sono l’unica con cui lo fa.”
“Ma lui è fatto così.” Proseguì il detective, osservando il diretto interessato.
“Lo so, ma a te... non scoccia?”
Heiji provò ancora a rimanere vago.
“Vuoi sapere se preferissi fosse più aperto?”
Lei annuì.
“Beh, mi farebbe piacere se lo fosse. A volte penso non si fidi di me, ma a volte mi convinco sia solo carattere.”
Le sue non erano frasi astratte. Ci aveva pensato per davvero in tutto quel periodo che l’aveva conosciuto. Ran si sentì risollevata.
“Esattamente. Anche io vorrei si fidasse di me!” esclamò, concorde.
Poi lo osservò. “Tu cosa faresti al posto mio?”
Lui la guardò, stranito. “In che senso?”
“Cercheresti di scoprire cosa nasconde, o no?”
Il detective sospirò, poi sorrise.
Io cercherei di scoprirlo in tutti i modisi ripeté in mente, anche perché era quello che aveva fatto tempo addietro. Sebbene il suo collega avesse tentato di tenerlo all’oscuro di tutto, Heiji era riuscito a scoprire il suo segreto più grande, mettendosi anche egli in pericolo. Non s’era mai pentito di quella decisione, nemmeno una volta. Quindi comprendeva perfettamente la karateka. Ma sapeva anche quanto l’amico ci tenesse a lei, e quanto desiderasse tenerla lontana dai guai.
Avrebbe, quindi, dovuto mentire.
S’apprestò a rispondere, ma il fiato gli morì in gola, interrotto dalla voce del diretto interessato in versione mignon.
“Cosa sono quelle facce serie?”
I due sussultarono, mentre Conan era riuscito, finalmente, a svincolarsi dall’attacco affettuoso dei suoi amichetti di scuola.
“Di cosa parlate?” Riprovò ancora, curioso.
Heiji lo schernì da dietro le spalle di Ran, simulando con la bocca un “di te” che la karateka non poté mai vedere.
“Di nulla.” Obiettò lei, arrossita. “Non si è fatto un po’ tardi?”
“Sì, infatti stanno per andare via.” La informò il piccolo Shinichi, abbozzando un sorriso stentato.
“Tu Hattori, rimani qui?”
“Oh, se non è di disturbo...”
Lei s’affrettò a fermarlo. “Macché. Sei sempre il benvenuto.”
Poi sorrise. “Anche perché dove andresti, sennò?”
Lui rise, aveva ragione.
Conan la osservò, stranita. Stavano prendendo troppa confidenza o era sua impressione?
“Se qualcuno è scomparso, non è mica colpa mia...” azzardò Heiji, riferendosi al collega con tono ironico. Ma non poté sapere quanto quella frase fece male ai suoi due amici.
 
 
Ayumi e gli altri lasciarono l’agenzia qualche minuto dopo. I bambini si fecero ripromettere di rivederlo nuovamente domani a scuola, mentre Ai gli disse, in segreto, che aveva bisogno di parlargli. Tutto comunque sarebbe stato rimandato all’indomani. Kogoro decise così di salire sopra, mentre Heiji, Ran e Conan rimasero giù per un altro po’ di tempo. Parlarono del più e del meno, della scuola, delle stupidaggini che commetteva Kazuha e degli incarichi che aveva ricevuto. Risero anche un po’, dimentichi della triste situazione in cui erano caduti. Ran controllò il telefono circa ogni dieci minuti, e lo stesso Shinichi se ne accorse. Non capì se stava aspettando un suo messaggio o quello di qualcun altro, ma preferì non pensarci. Lei l’aveva lasciato, e non era affatto facile accettarlo. Per quanto si fosse ripetuto che era la scelta giusta, non avere più la possibilità - non solo più fisica - di abbracciarla e baciarla lo angustiò.
Verso le undici decisero fosse il momento di andare a dormire. Conan e l’amico si misero il pigiama, e mentre Ran si fece una veloce doccia, Hattori lo avvisò anche della conversazione avuta con lei.
“Ma è successo qualcosa?” Gli chiese, non sperando in alcuna conferma.
“Nulla” Gli rispose malinconico lui, comportandosi come al solito.
Dopodiché lasciarono trascorrere, e mentre il giovane d’Osaka si mise nel letto, da dove telefonò Kazuha e la rassicurò, Shinichi andò in cucina per bere un po’ d’acqua. Ma lì incontrò Ran, girata di spalle, con il volto verso il lavabo.
“Ehi.” La chiamò, leggermente preoccupato. “Che ci fai ancora sveglia?”
Quel richiamo la fece sussultare.
“Avevo un po’ di sete.” Mentì lei, senza voltarsi. Probabilmente, non voleva mostrargli qualcosa.
“Anche io.” Rispose un po' freddo lui, dimentico quasi in che panni fosse.
Ci fu qualche istante di silenzio, durante i quali Conan non fece altro che osservarla.
“Ran...neechan...”
La chiamò, azzardando un tono fin troppo adulto.
Lei si voltò appena, lasciandogli scorgere il suo profilo. Era umido di lacrime. “Dimmi.”
“Come stai?” Le domandò poi. Non aveva potuto farlo da Shinichi, e lo martellava l'idea che lei stesse male.
Ran sussultò. Non rispose, ma si decise finalmente ad osservarlo.
Fu come ritornare improvvisamente alla normalità. Rivedere Conan, a fianco ad Heiji, con tanto di borsoni ad accompagnarli, fu un tuffo nel mondo. Come se per qualche giorno avesse affittato una navicella spaziale, ed insieme a Shinichi, fosse volata via da quella routine.
Incominciava a chiedersi se fosse successo per davvero tutto quello che aveva vissuto. Le sue labbra, i suoi baci, le sue carezze.
Rivedere quel faccino, quegli occhi azzurri - terribilmente simili ai suoi -, quei capelli sbarazzini e quei modi di fare, le creò un nodo alla gola pesantissimo, che non permetteva all’aria di passare, ma che si sfogava attraverso i suoi occhi.
Ran cominciò a piangere, senza sosta e forse neanche senza una vera spiegazione.
S’avvicinò a Conan, fece leva sulle gambe, l’abbracciò forte e lo strinse al suo petto.
E per un momento, ebbe l’impressione di star abbracciando Shinichi.

 
 




Ciao italiani ed italiane :3
*siamo in tema elezioni*
Va beh, anche se c'è qualche straniero che legge, ben venga! :D Siamo internazionali qui!
Okay, la smetto di fare l'idiota XD 
Ciao gente! :D
Sono tornata! Solo per voi, vedete? Sono bravissima! Merito tante tante recensioni! *devil*
Ehm ù.ù
Insomma, mi do un contegno!
Allora?
Come mi è parso il dodicesimo chap? Oddio, mi sa che sta fan fiction avrà tantissimi capitoli per come sta prendendo piega,
o meglio, per come ha preso già piega nella mia testa XD
Indovinate un po' chi è tornato?! Ma il piccoletto più puccioso del mondo.... Conan! **
Ehm, molti preferivano che rimanesse Shinichi... lo so. Ma alla fine doveva tornarci bambino, e pensa si fosse anche capito XD
Per quanto riguarda Ran.. la vediamo sfogarsi con Sonoko, ed anche arrabbiarsi con Hana. Quanta confidenza si prende questa, eh? Pure il numero di cellulare ù.ù
Arriva a casa, prova a chiamarlo ma... tu tu tu.. segreteria telefonica! Quanto è odiosa quella voce?!?!
e poi, trova il suo fratellino, insieme ad Heiji, per rendere il tutto più credibile. Si confida anche con Hattori che, d'altronde, dice le sue stesse cose. Ma al detective l'atteggiamento freddo di Kudo non sembra creare particolari problemi. Forse perché so uomini? bah ù.ù
Infine, momento tenero, Shin/Conan chiede all'ormai ex fidanzata come sta, e lei si aggrappa al bambino, piangendo disperatamente e rivedendo in lui il suo amico d'infanzia. :'(
Anche questo è un capitolo un po' triste, è vero... ma questa storia sarà quasi tutta così, vi avverto XD Non a caso nei generi è citato proprio "triste". :P
Comunque, bando alle ciance, adesso dovete solo dirmi cosa ne pensate!

Ringrazio tutti i recensori del precedente chap: Assu, Mary, bessie, angel, mangaka, hoshi, nana, Delia, arya, chiocchiolina e Meli! :*
Grazie anche a chi legge soltanto!


Un abbraccio
Roxi

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Capitolo 14
*** Minaccia all'orizzonte ***


Your Lies

13.
Minaccia all’orizzonte
•••

 
 
 
“Dunque, dunque... a quanto ho potuto notare, hai smesso di giocare al detective liceale.”
Rinchiusi nella saletta, adibita a laboratorio, del dottor Agasa, l’aria era quasi opprimente. Conan ed Heiji avevano raggiunto i due dopo che Hattori aveva passato la mattinata in compagnia di Kogoro. Ran era dovuta andare obbligatoriamente a scuola, sebbene di voglia ne avesse fin troppo poca, e il piccolo detective aveva fatto ritorno alle tanto amate elementari. Lì, i suoi amici, gli avevano fatto una gran festa, ma nulla era servito a sollevargli il morale. Se ne erano accorti tutti, in fondo: era più taciturno, freddo e distaccato del solito. Heiji aveva pensato fosse a causa dell’amica d’infanzia, ma ancora non aveva avuto l’opportunità di chiederglielo. D’altronde, non s’aspettava nemmeno glielo dicesse apertamente lui, conoscendolo.
“A quanto pare sì.” Replicò Conan, seduto su di una sedia girevole, con le gambe esili che non toccavano terra e le mani congiunte sulle cosce. Dondolandole, avvertì una sgradevole sensazione addosso. Era incredibile quanto gli mancasse il suo corpo.
“Ti sei messo abbastanza in mostra?” riprese parola Ai, ironica.
“No. Non abbastanza.” Sorrise amaro, senza rivolgerle lo sguardo.
“Sei stato troppo impegnato a flirtare con la signorina dell’agenzia investigativa?” continuò a sfotterlo, guadagnandosi un’occhiata truce dal piccoletto. Conan non era proprio dell’umore adatto per introdurre o minimante scherzare sull’argomento Ran, quindi sperò vivamente che nessuno continuasse quella discussione.
“Di cosa volevi parlarmi?” cambiò così discorso, repentino. La sera prima, la scienziata, gli aveva infatti riferito che aveva bisogno di parlargli. Sperò solo fossero buone notizie.
Ai simulò una smorfia con le labbra. “Di questo.” Fece poi, aprendo un cassetto ed estraendo da esso uno scatolino. Glielo porse con delicatezza, scivolando sul pavimento con le rotelle della sedia.
Shinichi strabuzzò gli occhi, incredulo. “E’ l’antidoto?!”
Lei annuì. “Sì, ma è il primo prototipo con le informazioni sull’azoto. Non è definitivo, t’avverto.”
Heiji guizzò, felice. “Ma è fantastico, Kudo! Potrai tornare di nuovo ad essere te stesso!”
Conan, però, non fiatò. Continuò ad osservare quella scatoletta trasparente, dentro la quale risiedeva il suo vero corpo. Deglutì e respirò lentamente, come a pensare cosa fosse meglio fare.
Una pillola dal doppio colore poteva cambiare tutta la sua vita, improvvisamente. Ma era davvero quello che voleva, adesso? Ran non c’era più per lui...
“Okay. Grazie.” Rispose semplicemente, senza curarsene troppo. I presenti rimasero sconvolti. Normalmente avrebbe fatto le feste, e nel giro di qualche secondo sarebbe già filato in bagno per ritrasformarsi. Perché pazientava così tanto? Per un po’ tutti lo guardarono. La stessa Ai sembrò leggermente sorpresa da quell’atteggiamento, e non fece nulla per nasconderlo.
“Non lo prendi?”
Lui fece un altro sorriso amaro. “No.”
Ancora una volta i presenti si ritrovarono a sorprendersi. Agasa guardò i due ragazzi, per poi prendere parola, preoccupato.
“Shinichi... stai bene?”
Lui issò il volto, fingendosi indifferente. “Sì, perché?”
“Normalmente avresti fatto mille feste.” Rispose l’uomo, sinceramente stranito. “E’ successo qualcosa?”
Conan s’accorse, improvvisamente, d’avere tutti gli sguardi addosso. S’indispettì e, alzandosi e scendendo dalla sedie, rivolse loro un’occhiata sinistra.
“Che avete da guardare? Non voglio prenderlo perché come avete sempre detto ‘è pericoloso’, quindi lo terrò per le situazioni d’emergenza.”
Ma Ai continuò a strabiliarsi. “E’ una vita che te lo dico, ci sei arrivato soltanto adesso?”
Lui fece spallucce. “Meglio tardi che mai.”
“Sicuro che non c’entri...” provò Agasa, ma s’interruppe dopo un po’. Non seppe perché, ma gli sembrò meglio zittirsi.
Conan intuì al volo, e decise fosse tempo di dileguarsi. Di spiegazioni proprio non ne voleva dare e di parlarne proprio non aveva voglia. Fece un cenno ad Heiji, e lo avvisò stesse andando via. Il detective di Osaka si staccò dal muro, in assoluto silenzio, e lo seguì. Ma prima che potesse scomparire, il professore lo richiamò di nuovo.
“Ah, Shinichi, aspetta!”
Kudo si voltò. “Mi dica.”
“L’altro giorno ti cercava un ragazzo... non so cosa volesse. Credo avesse più o meno la tua stessa età.”
“Le ha detto il nome?”
“No.” Scosse il capo Agasa, sincero. “Credo che venga a scuola con te però, perché ci ha detto di averti cercato anche lì. Ah, e conosceva anche Ran.”
Conan ci pensò un attimo su, poi giunse a conclusione.
Sarà stato Mr Nonmipiaccionoicognomi, in fondo... io dovevo fare quelle investigazioni su sua sorella...
beh, anche se volessi, mi è praticamente impossibile adesso...

“Va beh. Fa nulla, anche se volesse, adesso non mi troverebbe. Ci vediamo.”
Alzò la mano e salutò i due, dopodiché salì verso l’entrata accompagnato da Hattori.
 
Anche quella giornata scolastica giunse alla fine. Ran lasciò andare un sospiro di sollievo, benedicendo tutti i templi shintoisti per la magnanima concessione.  Mai come allora di studio non voleva proprio sentirne, e tantomeno di spiegazioni, voti ed interrogazioni. L’unica cosa a cui era riuscita a pensare quella mattina, era l’ardente speranza di rivederlo seduto al suo posto, come nell’ultima settimana. Speranza, prontamente, delusa. Ma il suo cervello era in panne; la sua mente era occupata da un solo grande problema, che poteva definirsi l’enigma principale della sua vita: capire cosa stesse accadendo a Shinichi Kudo, capire dove si fosse cacciato, e che cosa stesse facendo. S’alzò dal banco con flemma, cominciò a riporre i libri nello zaino, quando venne raggiunta da Sonoko.
“Allora? Novità?”
Lei sospirò, affranta. Prese il diario e porse dentro. “No, nulla.”
“Non s’è fatto sentire?”
Ran scosse il capo, mordicchiandosi il labbro. “No, ma ieri l’ho chiamato io.”
L’ereditiera parve stizzirsi. “Cosa?! Non t’avevo detto esplicitamente di non farlo?”
Ran ignorò il suo tono insolente, anche perché lo capiva più che bene. “Non preoccuparti, non ha risposto. Risulta irraggiungibile.” L’avvisò, rattristita. “In tutti i sensi.”
“Cosa intendi fare?” le chiese poi, dopo qualche secondo di silenzio.
“Vorrei sentirlo, vederlo. Vorrei capire.”
Sonoko fece una smorfia stizzita. “Sei un caso perso.”
Lei azzardò un sorriso triste. “Eh lo so. Me ne sto rendendo conto. Ma è difficile accettare di ignorare tutta una vita vissuta insieme.”
“Ran, si lasciano persone dopo anni e anni, e tu dici che è dura? Hai tutta la gioventù avanti, suvvia.”
L’amica sospirò, rassegnata. Aveva concluso di riporre la roba nello zaino, così lo mise dietro alle spalle.
“Non puoi neanche lontanamente immaginare quanto lui fosse importante per me.”
“Okay. Hai ragione. Non ho mai avuto un rapporto così speciale con un ragazzo. Ma non posso accettare di vederti così male per lui. Dannazione!”
Ran sorrise. “Grazie...”
“Di che?” Inarcò un sopracciglio Sonoko, stranita.
“Ti preoccupi per me. Sei una vera amica.”
Al che, anche la Suzuki rise. Ed avvicinandosi, le due, si scambiarono un dolcissimo abbraccio. Si strinsero l’una all’altra con forza, ricercando in quelle braccia un po’ della felicità persa per strada. Si scambiarono alcuni sussurri, mentre gli altri studenti scivolavano via dall’aula.
“Mhm? Quanto sono dolci queste ragazze.”
La voce che arrivò a loro, fece sciogliere l’abbraccio. Sonoko e Ran si ritrovarono di fronte Saigo, con un’espressione divertita sul viso, mentre attendeva invano che la karateka s’accorgesse di lui.
“Ciao Saigo! Che ci fai qui?” Fece cordiale Ran, dimentica completamente del messaggio rivoltole il giorno prima dal ragazzo. Lui fece spallucce, sorridendo.
“Sono venuto a cercarti. Non ti vedo da tempo. Tutto apposto?”
Lei sospirò. “Più o meno. Beh, sì... sono stata un po’ impegnata.”
“Non mi hai più allenato...” Le ricordò, quasi malizioso. Lei arrossì leggermente.
“Hai ragione, scusami.”
“Non devi scusarti!” s’affettò a risponderle lui, dolcemente. “Ma mi sei mancata, sai?”
“Oh oh.” Sonoko guizzò con gli occhi, lanciando un’occhiatina all’amica. “Ehm, Ran... io vado via. Ho da fare, ma tu... tu resta con lui.”
S’allontanò di qualche passo, poi si voltò verso il giovane. “Ran ha bisogno di tanto affetto. Stalle vicino.” Gli fece l’occhiolino, e ridacchiando, uscì repentina dalla classe.
L’amica la maledì in tutte le lingue del mondo. Com’era capace Sonoko Suzuki di metterla in imbarazzo non ci riusciva nessuno. Sia con lui che con Shinichi, qualche giorno prima.
Saigo sorrise a quell’esclamazione, ricercando spiegazioni nella sua istruttrice.
“Hai bisogno d’affetto? E’ successo qualcosa?”
Ran divenne paonazza. “Macché! Non stare mai ad ascoltare Sonoko, dice un mucchio di stupidaggini!”
“Mhm, sarà.” Fece stranito lui. “Che dici? Hai voglia di fare un giro?”
Ran sospirò, aveva il volto triste. Non aveva voglia di fare nulla. “Dovrei andare ad una parte dopo.”
Lui sorrise. “Posso accompagnarti o creo fastidio?”
“No, no. Se non ti dispiace, puoi accompagnarmi.” Fece cordiale lei, incamminandosi verso l’uscita della classe.
“Dove vuoi andare di bello?” le chiese, seguendola. Ebbe la strana impressione di non dover fare quella domanda, e non capì perché.
Lei deglutì, infatti. Si sentiva incredibilmente stupida. “A casa di Shinichi.”
 
Heiji e Conan camminarono verso l’agenzia investigativa in un sostanziale ed assordante silenzio. Il detective in miniatura era sempre più distaccato e freddo, e la cosa incominciava ad infastidire anche il collega del Kansai. Dopo dieci minuti di camminata, Hattori decise di prender parola. Non si sarebbe arreso fin quando non gli avesse detto cosa stesse accadendo.
“Mi dici cosa è successo?”
Conan si voltò, un’espressione seccata dipinta sul volto. Avevano tutti voglia di sapere, in quel periodo. “Che?”
“Cosa... ti... è... successo?” scandì le parole, come a voler rinforzare il concetto. “Sei più antipatico e insopportabile del solito. Su, spara.”
Ma Shinichi non fece una piega. “Nulla.”
“Questo lo puoi dire a Ran, non a me. Che hai?”
“Niente.” Ripeté, cominciando a stizzirsi. Ma poi perché mettere in mezzo la karateka?
“Litigato con la Mouri?”
Il bambino assottigliò gli occhi. “No.”
“Intendo da Shinichi Kudo, non da bambino adorabile e indifeso quale vuoi sembrar d’essere adesso.” Lo sfotté, sperando di smorzare quel nervosismo.
Conan emise un sospiro. “Non sono affari tuoi.”
Heiji sorrise. C’era da aspettarselo. “Perché non vuoi prendere l’antidoto?”
Il piccolo sbuffò, sentendo i nervi attorcigliarsi. “L’ho già spiegato.”
“Per favore eh, Kudo! Sono più credibili gli asini volanti che tu.” Lo sfotté, continuando a punzecchiarlo.
“Sono anche meno rompiballe gli asini volanti che tu, ma mica vengo a dirtelo.” Replicò, sogghignando.
Heiji sbuffò. “Ran ha proprio ragione, sei insopportabile quando fai così.”
D’improvviso Conan s’interessò, ed osservandolo, si fermò. “Ran ti ha parlato di me?”
Hattori guizzò. Aveva colpito il punto debole. “Ah, questo ti interessa eh?” Ironico, sorrise.
Ma Shinichi rimpicciolito lo guardò torvo, e riprese a camminare. “No. Era per sapere.”
“Sì, ieri mi ha parlato di te. Non l’hai nemmeno avvisata saresti scomparso di nuovo, perché?”
“Non potevo.” Ammise, quasi sottovoce.
“Perché?” Insistette Heiji, pronto ad infrangere quel muro di ghiaccio.
“Perché... non posso chiamarla.” Continuò ancora, col volto basso. “Avrebbe voluto lo facessi?” tornò ad osservare l’amico, chiedendo risposte.
Hattori annuì. “Mi ha chiesto anche se mi hai mai parlato di voi due.”
“E tu? Cosa le hai risposto?”
“La verità. Che non dici quasi mai nulla su quello che ti succede.” Gli rispose, sincero.
“E lei?” Continuò a volerne sapere di più Shinichi, non prestando nemmeno più attenzione ai pedoni e alla strada davanti a lui.
“Mi ha detto che ha la sensazione che tu non ti fidi di lei.”
Conan sorrise triste. “Non è vero. Peccato che non posso farglielo capire.”
Heiji sospirò ancora, incrociando le braccia. “Allora? Mi dici che vi è successo?”
Shinichi sbuffò attraverso le labbra esili. “Mi ha lasciato.”
L’amico si bloccò d’un tratto, arrestando il passo. Di conseguenza lo fece anche Conan, osservandolo.
“Come? Cosa?”
Shinichi simulò una smorfia con le labbra. “Perché tutte ste moine?”
“Quando vi siete messi insieme!?”
Conan sospirò. “Qualche giorno fa.”
“E ti ha lasciato...?” fece incredulo.
Lui annuì.
“E perché?”
“Mi ha detto che s’aspettava diverso il nostro rapporto. E non posso biasimarla, ha ragione. Ma come faccio ad essere sincero con lei? Lei vorrebbe sapere cose che non posso rivelarle. L’ho anche pregata di non farmi più domande, ma non ce l’ha fatta... all’ennesima negazione, mi sa che ha capito che non siamo fatti per stare insieme.”
Hattori ci pensò un po’ su, poi tornò a parlare.
“E tu? Non hai fatto nulla per convincerla del contrario?”
Lui scosse il capo. “No.”
“E perché?”
Conan sospirò. “Perché, secondo te? Se mi sta lontano sarà al sicuro, e non dovrò più preoccuparmi per lei.”
“Ma così la perderai prima o poi...”
Lui annuì, concorde. “Lo so, ma preferisco saperla al sicuro che saperla con me. Mi sono fin troppo lasciato andare in questi giorni. E’ difficile che, ritornando Shinichi, riesca ad ignorarla del tutto. E visto che ho bisogno mi stia lontana, è meglio rimanere piccolo.”
“Bah.” Fece Heiji, discorde. “Ti capisco ma non condivido. Ran farebbe di tutto pur di aiutarti, tu le neghi questa possibilità.”
“E’ questo il punto... farebbe di tutto. Non voglio si metta in pericolo per me, per un errore che non ha commesso. Non me lo perdonerei mai se le accadesse qualcosa.”
Hattori si zittì per un po’. Nel frattempo, Conan ricercò irrequieto qualcosa nelle sue tasche. Scavò ma non trovò nulla. Ed improvvisamente, si bloccò.
“Cacchio, l’antidoto!”
“L’hai dimenticato a casa di Agasa?”
Il piccolo annuì. “Su, dai, torniamo a prenderlo.”
Heiji sorrise. No, non aveva proprio voglia di tornare se stesso, in fondo, eh.
Così lo seguì, ma non dimenticò la loro conversazione.
“Io non mi sono mai pentito d’aver scoperto della tua doppia identità.” Gli rivelò poi, osservandolo, dopo qualche altro minuto di silenzio.
 “E’ vero. Adesso anche io sono in pericolo, ma siamo in due. Ed è più facile vincere insieme.”
Conan sorrise, dirigendosi verso casa del dottore. “Ma tu sei un pazzo scapestrato...”
“No, sono serio.”
“Anche io quando dico che sei un pazzo...” continuò a smorzare il momento Kudo.
“Io non ti avrei mai perdonato se mi avessi tenuto nascosto tutto questo.” Continuò il detective di Osaka, con tono deciso.
“Lo so.”
“Neanche lei potrebbe farlo.”
“Lo so.”
Heiji sbuffò, era un caso perso.
“Shinichi?” Lo chiamò per nome per la prima volta, sorprendendolo.
Lui si voltò, invitandolo a proseguire.
“Pensaci bene.”
 
 
In rotta verso casa Kudo, Ran osservò per tutto il tragitto la strada. Nei sassolini rivedeva tutti i momenti passati con Shinichi, e più erano grandi, più erano profonde le emozioni che provava nel rimembrarli. Su un sasso proiettò il loro viaggio a New York; fu lì a rendersi conto quanto l’amava, e da tutto quel tempo l’aveva tenuto per sé, pronta per rivelarglielo nel momento più giusto. Sospirò; non era andata come s’aspettava.
Su di un altro proiettò la loro serata al Tropical Land. Fu lì che iniziò tutto, lo ricordava bene. Da lì Shinichi mutò completamente, e sebbene fosse passato già qualche mese, i particolari erano ancora nitidissimi nella sua mente. Lui che correva lontano, e lei che tentava, invano, di fermarlo. Il suo laccio che si spezzava, e quelle scarpe sempre più distanti. Non riuscì mai a capire cosa fosse accaduto poi, quella notte. Ricordava solo due uomini, due uomini vestiti di nero, che Shinichi volle a tutti i costi seguire. Erano rimasti coinvolti anche nel caso d’omicidio risolto da lui poco prima, ma non erano risultati colpevoli o minimamente implicati. Ma allora... perché lui l’aveva seguiti?
“Ran...?”
La voce dolce di Saigo la fece rinvenire. S’era persa di nuovo a pensarlo, ed inoltre in presenza di un ragazzo simpatico e disponibile, come non era lui.
“A cosa pensi?”
Ran si voltò ad osservarlo, ed azzardò un sorriso per smuovere l’imbarazzo. “A nulla, a nulla.” Mentì, con lui non aveva proprio voglia di parlarne.
“Sei sicura vada tutto bene?”
“Sì, perché?”
“Sei incredibilmente silenziosa. Se vuoi sfogarti per qualcosa, dimmelo...”
“No, no.” Sorrise lei, pronta a negare. “Va tutto bene.”
“Comunque...” decise di cambiare discorso lui, ma non poté sapere che non lo stava facendo affatto. “Come mai vai a casa di Kudo?”
Appunto.
“Ehm... devo... chiedergli una cosa.” Fece lei, molto riassuntiva.
Lui la guardò stranito. “Anche io sai. L’altro giorno l’ho cercato a casa, ma non c’era.”
Ran si interessò. “Quando?”
“Tre, quattro giorni fa. Ah, ricordo. Quando tu e lui non veniste a scuola.”
La giovane provò una fitta al cuore.
Quando ci siamo lasciati...
“Come mai lo cercavi?”
“Volevo chiedergli di mia sorella. Beh, se aveva iniziato ad investigare...”
Ran annuì, rattristita.
“Guarda, non so se...”
Dall’altro capo, intanto, proveniva un’altra voce.
“Secondo me sbagli, dovresti...”
E ad un tratto, tutti si bloccarono. Conan ed Heiji, chiacchierando, si ritrovarono davanti Ran e Saigo. Shinichi strabuzzò le palpebre, spiacevolmente sorpreso; la sua, ormai, ex era già in giro con quel tizio che altro non faceva che fargli ribollire il sangue nelle vene.
Pensò che, dal momento che lui fosse scomparso, il karateka aveva tutte le carte in regola per provarci, nonostante, in fondo, l’avesse già fatto con lui presente.
E poi, che diavolo ci faceva Ran con quel tipo? Sola, a camminare, con quel tipo?
Stavano tornando da scuola? No, impossibile, pensò. Non era quello il tragitto. Ma allora che ci faceva lì? Non è che, il ragazzino, zitto zitto, voleva portarla in qualche posto sperduto, isolato e silenzioso per provarci sul serio? Divaricò le iridi chiare, indemoniato.
Ran è spesso e volentieri troppo ingenua per capire certe cose.
Pensò. Si sarebbe fatta abbindolare da tutti, lei. Persino da lui. Persino da lui.
“Ciao Hattori! Ciao Conan!!” Li salutò cordiale lei, correndo loro incontro. Non si chiese perché fossero lì, ma si preoccupò perlopiù di presentarli al suo allievo, che li osservava con curiosità.
“Saigo... ti presento Heiji Hattori, un mio amico d’Osaka, nonché abile detective... e Conan, il mio fratellino!” sorrise dolce, ma non s’accorse della tempesta di fuoco che ricopriva il suo fratellino.
“Ragazzi... vi presento Saigo Yami. Un mio allievo!”
Hattori si stranì. “Da quando impartisci lezioni?”
Nel frattempo strinse la mano al giovane, rivolgendogli un saluto. E mentre il karateka s’apprestò a farlo anche con Conan, dovette scontrarsi con la furia che racchiudeva il bambino.
“Ciao piccolo!” provò ancora, gentile. Ma Shinichi non fece altro che lanciargli un’occhiata truce, che lo fulminò. Saigo pensò bene di sorvolare.
E’ solo un bambino, in fondo.
Così si voltò verso la sua amica, curioso.
“Non m’avevi detto avessi un fratello più piccolo.”
Lei rise. “No, è che...”
“Non sono suo fratello, ma un semplice conoscente.”
Tutti si girarono a guardarlo. Heiji fece un’espressione ambigua, ma Ran si fece pensierosa. Che aveva adesso da comportarsi così? Certo che, alle volte, era proprio strano quel bambino.
“Oh.” Emise un suono smorzato Saigo, sorpreso. Aveva notato una nota di gelosia, o era sua impressione?
“Beh sì. E’ a casa mia per un po’ di tempo... è figlio di nostri conoscenti.” Chiarì poi la situazione Ran.
“Ah, capisco.” Fece lui, un po’ in imbarazzo.
“Che state facendo qui?” chiese Conan, intromettendosi nuovamente. “Casa tua è da quell’altra parte, lo sai no, Ran?” la informò ovviandola, stizzito. Poi, dopo qualche secondo, si ricordò d’aggiungere qualcosa. “...neechan?”
“Noi?” Si finse ignara lei. Non aveva proprio voglia di dir loro perché fosse lì. “Ehm, nulla. Un giro.”
Saigo la osservò stranito. Perché non diceva la verità? S’ammutolì comunque, pensando non fossero affari suoi.
“E voi? Che ci fate qui?” chiese di rimando lei, sorridendo.
“Noi?” entrambi scattarono, presi alla sprovvisti. “Ehm...”
“Facciamo un giro.”
“Andiamo da Agasa.”
I due investigatori si guardarono, lanciandosi occhiate furtive. Erano sempre sulla stessa lunghezza d’onda, ma quando si trattava di inventarsi scuse, viaggiavano su due binari diversi.
Shinichi, dunque, cercò di rimediare, sorridendo alla giovane.
“Andiamo dal professore e poi facciamo un giro.” Disse poi, con la voce più ingenua che avesse.
“Oh.” Fece lei dopo un po’, non sapendo più cosa dir loro. “Va beh. Rientrate per cena però, perché ho intenzione di cucinare a Conan il suo piatto preferito! Il riso al curry! Contento?”
Il piccolo fece una smorfia, che avrebbe dovuto somigliare ad un sorriso e mascherare l’eruzione di gelosia che gli cavalcava il sangue. S’impose la freddezza che da sempre lo contraddistingueva, e si autodefinì un idiota. Ma cosa sperava? Che Ran continuasse ad aspettarlo?
S’erano lasciati. Non aveva funzionato.
Doveva continuamente ricordarlo a se stesso perché quasi gli sembrava un brutto incubo.
S’erano lasciati, e lei non era più sua.
“Okay, Ran-neechan.” Azzardò un altro sorriso. “Però... anche tu rientri presto, no?”
La sorellastra gli lanciò un’occhiata strana. “C-certo. Il tempo di fare un giro e sono tutta per te!” Gli fece poi la linguaccia, divertita. Saigo sorrise, e al suo fianco anche Heiji, ma per ben altri motivi. Solo Conan non ci riuscì.
Non era più tutta sua, anche volendo.
 
Il pomeriggio passò molto velocemente. Ran poté constatare che, effettivamente, Shinichi non era nemmeno a casa sua, e sebbene ne fosse già a conoscenza, ne rimase comunque tremendamente addolorata. Sperò che Saigo non se ne accorgesse, anche perché proprio non le piaceva influenzare le persone accanto a lei col suo umore; già in quei giorni aveva decisamente esagerato, così decise di imporsi un certo autocontrollo.
Non avrebbe più fatto il nome di Shinichi Kudo e non avrebbe mai più parlato di lui.
Si convinse che quella fosse, al di sopra di tutte, la scelta più giusta.
Saigo l’accompagnò a casa dopo un paio d’ore, e stranamente, si convinse fosse anche riuscito a distrarla. Si fece promettere che, l’indomani avrebbe ricominciato a dargli lezioni, e nonostante l’iniziale titubanza, Ran accettò.
La stessa sera si ritrovò tutta la famiglia a cena, insieme ad Hattori, a capotavola. E mentre Conan dimostrava una certa freddezza e stranezza, a cui la karateka non fece particolare caso, Kogoro appariva più affranto che mai. Quello stesso pomeriggio aveva provato a parlare con la moglie, ma lei non gli aveva dato poi grande soddisfazione; non gli aveva nemmeno spiegato perché avesse preso quella decisione, sebbene Ran l’avesse capito qualche giorno prima.
“Papà, credo che la mamma voglia metterti alla prova.” Gli aveva rivelato poi, durante la cena. “Forse si è scocciata di questa situazione, e vuole dare una scossa al vostro rapporto.”
“Una scossa?”
Conan ed Heiji non si stavano interessando granché alla conversazione, anzi. Mangiavano in gran silenzio, ascoltando soltanto.
“Sì. Insisti, e vedrai che cambierà idea.”
“Non siamo più dei bambini Ran. Questi giochetti non vanno più.”
Lei lo guardò torvo. “A volte è meglio voler essere giovani, che sentirsi terribilmente vecchi.”
Il padre sbuffò, contrariato, ma dovette ammettere a se stesso che, quel tarlo che la figlia gli aveva impresso nella mente, non passò molto facilmente. E se avesse ragione, la sua piccola Ran?
 
Intanto i giorni passarono. Heiji andò via l’indomani, dovendo necessariamente tornare a scuola per dare alcune interrogazioni di fine quadrimestre. Ran riprese la sua solita routine senzal’innominabile e ricominciò anche a dar lezioni di karate a Saigo. Si ritrovarono in palestra verso le cinque del pomeriggio, per poi uscire alle sei, e fare un piccolo giro. Cominciò così una piacevole abitudine che, provò - seppur invano - a farle alleviare il dolore. Lui era innominabile, ma la sua mente lo ricordava continuamente, e nel pensarlo, non riusciva a fare a meno di provare un miscuglio di emozioni indecifrabili. Cos’era? Rabbia, frustrazione, ira, angoscia, tristezza, delusione o quanto altro? Ogni qualvolta ritornava in camera sua, e dava uno sguardo a quella foto appoggiata sulla scrivania - che li ritraeva così sorridenti e spensierati al Tropical Land - una fitta le perforava lo sterno e, per qualche secondo, le bloccava il respiro.
Perché era finita così? Dovette lottare contro se stessa più volte, perché troppo spesso era troppo forte la voglia di chiamarlo e risentirlo. Di chiedere di lui ai passanti che incontrava per strada, ai cani che accarezzava in quei vicoli di Beika.
Cosa stava pensando lui, nel frattempo? Stava male, o aveva già dimenticato tutto? Probabilmente - tartassava così il suo cervello - era già nelle braccia di un’altra, era già a raccontare bugie ad un’altra.
Invece, quel detective montato, era più vicino a lei di quanto potesse pensare. Anche lui aveva ricominciato la sua solita e noiosa routine di bambino delle elementari; giocava a calcio con Mistuhiko e i gli altri, s’intratteneva con i suoi casi d’infimo livello (assegnati ai detective boys), ogni tanto a parlava con Haibara e il dottore, ed indossava una maschera ogni qualvolta ritornava a casa da Ran. S’era convinto, ormai, che il suo ruolo, fosse solo quello del fratellino piccolo. Inoltre, manco a farlo apposta, la sua ex fidanzata non aveva neanche motivo di dubitare della sua assenza. Ran aveva ormai creduto che, la nuova ed improvvisa scomparsa dell’innominabile, fosse strettamente correlata alla loro separazione.
 
Ma nessuno di loro poteva prevedere il futuro, e nessuno di loro avrebbe immaginato cosa sarebbe successo da un giorno all’altro. Forse perché ormai rintanati nelle loro abitudini di persone normali e senza più alcuna emozione, ed avevano quasi dimenticato cosa fosse provarle. Erano passati dieci giorni dalla loro separazione, e nulla più sembrava aver senso in quella vita.
Ma quando sul calendario s’avvicinò la data del quattordici febbraio, giorno di San Valentino, oltre ad un velo di infinita tristezza, giunse a casa Mouri qualcos’altro.
Era un invito ad una festa, ed era particolarmente strano.
Perché, il mittente, era un certo Chandon.
 

 

Salve bella gente :3 Rieccomi qui! 
Oh mamma! Quanto è lungo questo capitolo? E' il più lungo fino ad adesso, dovreste essere soddisfatti XD
Cosa ne pensate, comunque? Succedono un paio di cosette... Shinichi ha l'antidoto ma non lo prende, Heiji parla con lui, Ran esce con Saigo, Shinichi dimostra ancora la sua gelosia XD, e i giorni intanto passano... Dulcis in fundo, il 14 *siamo in tema, poi* arriva uno strano invito a casa Mouri... da un certo Chandon.... :P
Spero vi sia piaciuto, come sempre :P E spero di non aver fatto troppi errori di distrazione... l'ultimamente lo sono parecchio, e tendo a sbagliare XD
Va beh. Adesso si passa ai ringraziamenti!
Grazie ad Assu, Luna, Angel, Arya, Nana, Martins, Delia, Bessie, Mangaka ed Hoshi per aver recensito il precedente chap! Grazie anche a chi ha inserito la storia tra le preferite e tra le seguite! :D
Grazie anche a chi legge soltanto!
Un bacione a tutti!

Roxi

 
 

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Capitolo 15
*** San Valentino ***


Your Lies

14.
San Valentino
•••

 


 
“L’amore sa sperare quando la ragione già dispera.”*
Girò intorno alla sua gonnella, facendola roteare in aria.
“La vita è il fiore per il quale l’amore è il miele.”*
Portò le mani al petto, congiungendole a mo’ di preghiera. Socchiuse gli occhi e volteggiò sul marciapiede. Volando quasi. Sonoko era più che entusiasta: San Valentino era alle porte, Makoto le aveva promesso fosse arrivato in città entro poche ore, e quella stessa mattina, aveva ricevuto un bellissimo bouquet di rose rosse, accompagnato ad un paio di Baci Perugina*.
“Sonoko...” provò a chiamarla l’amica, leggermente stizzita.
L’ereditiera si voltò verso di lei, guardandola allusiva, e melodrammatica recitò a voce l’ennesima frase stampata.
“Ma tu chi sei che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri?”*
“Se studiassi Shakespeare ed Hugo con tutto l’entusiasmo che hai nel leggere le loro frasi, avresti tutti dieci a scuola.”
La bionda guizzò, dipingendo sul viso un altro sorriso. “Si vede che sono felice?!”
“Leggermente.” La sfotté Ran, incamminandosi verso casa al suo fianco. Dietro, in silenzio assordante, Conan.
“Makoto viene! Makoto viene! Makoto viene! Passeremo il San Valentino alla festa! Non vedo l’ora!”
“Non credi che sia meglio per voi passarlo da soli? In fondo non vi vedete da un po’.” Le fece notare la karateka, tentando di sopprimere in lei una certa tristezza. L’indomani era la festa degli innamorati, e di lui, nemmeno una traccia...
“No no! Alla festa ci sarà un sacco di gente! E quelle ragazzine dovranno morire d’invidia nel vedermi a fianco ad un fusto come il mio Kyogoku!”
“Sonoko...” assottigliò gli occhi Ran, incredula.
“Piuttosto, tu con chi verrai?” Non le diede il tempo necessario per concludere, costringendola a fermarsi. La figlia dell’investigatore fece spallucce, cercando di far finta di nulla.
“Non so nemmeno se ci verrò.”
Sonoko mise il muso. “Devi venire, dai!”
“Non saprei proprio.” Fece fredda l’amica, abbassando lo sguardo.
“Chiedi a Saigo! Sono sicura che ti accompagnerà.” Conan alzò lo sguardo, interessato. Ma di cosa stavano parlando? Festa, accompagnatore, Saigo?
Ran emise un sospiro stentato, che attrasse l’attenzione dell’amica.
“Che c’è? Non vorrai mica ti accompagni Kudo?”
Lei rise triste, non aveva nemmeno la forza di negare.
“Figurati, non so nemmeno che fine abbia fatto...”
Conan, dietro di lei, abbassò il viso alla strada. Il freddo del vento si scontrò con la sua faccia, e nascose per bene la sua malinconia. Ma bastava osservarlo con un po’ più di attenzione, per capire cosa stesse pensando...
“Non si è più fatto sentire, eh?” cambiò tono di voce l’ereditiera, osservandola.
Ran scosse il capo. “No. Quanto mi piacerebbe sapere dov’è e se sta bene...”
Conan sentì il cuore mancargli un battito. Sprofondò lo sguardo sull’asfalto, perché osservarla l’avrebbe ammazzato. Era lì, lui, vicino a lei, ma non poteva dirlo. Non avrebbe mai potuto dirlo.
“Perché ci pensi ancora? Non credi sia ora di voltare pagina, una buona volta?” continuò Sonoko, rattristendosi.
L’amica sbuffò, spostando gli occhi sulle vetrine. “Non capisci. Io voglio soltanto avere delle spiegazioni, tutto qui.”
Il piccolo ascoltò tutto, senza fiatare. Spiegazioni? Riguardo che, poi? Non era stata forse lei, a lasciarlo? Perché lo cercava ancora, allora?
- Che voglia ancora stare con me? -
Per un attimo ebbe l’impressione che una leggere luce potesse accecarlo. Non lo avrebbe ammesso, nemmeno a se stesso, ma era forse la speranza di tornare insieme a lei, che mai era scemata.
“Senti, amica. Vai alla festa, divertiti, e dimenticalo.”
Ran sospirò. “Facile a dirsi. Poi non ho nemmeno l’accompagnatore...”
Conan deglutì a stento. Come? Cosa? Lui aveva ancora qualche opportunità con lei?
“Chiedi a Saigo!” Le ripeté, esasperata. “Ci divertiremo un mondo!”
“Non so. E poi credo di andarci con papà.” L’avvisò Ran, sincera.
“Ma tuo padre è possibile ci vada con Eri, così cerca di riguadagnare punti, no?”
Ran la osservò qualche istante, non era male come idea. “Effettivamente. Speriamo c’abbia pensato.”
“Scusate?” le richiamò il piccolo, incuriositosi. Ran si voltò ad osservarlo; camminava dietro loro con le mani nelle sacche e il passo ponderato, proprio come qualcuno...
Scosse il capo, facendo svolazzare i capelli in aria, e scacciando via quell’immagine.
- Sono io che lo vedo ovunque? -
“Parla marmocchio.” Lo invitò a proseguire Sonoko, con la sua solita gentilezza.
“Di quale festa state parlando?”
“I marmocchi come te non devono intromettersi in queste cose da adulti!” Lo sfotté ilare lei, mettendosi a ridere fragorosamente. Shinichi piccolo la fulminò con lo sguardo, stizzito.
“Ran-neechan?” Si rivolse alla ragazza poi, ignorando l’altra.
La sorellona gli sorrise. “È una festa a cui sono state invitate molte persone, anche del nostro liceo. Sarà domani, a San Valentino.”
“Davvero? E chi l’ha organizzata?” s’interessò il finto bambino, continuando a camminare.
Ran sembrò pensarci su, poggiando l’indice sotto il mento. “A dirti il vero non c’era né indirizzo, né nome. C’era solo una parola... Chandon.”
Il detective strabuzzò gli occhi.
Lo Chandon...
Sentì l’ansia intrappolarlo in una rete di pensieri e di dubbi atroci, che non vedevano l’ora di essere chiariti. Possibile c’entrassero loro? Non osò immaginare oltre, così tornò ad osservare la giovane.
“Ma quando è arrivato l’invito?!”
Ran ragionò un istante. “L’altro ieri...”
“E l’hai ricevuto anche tu, Sonoko?!” Fece tempestoso. Poi aggiunse, ricordandosi: “neechan?”
Lei annuì. “Sì. In classe nostra l’hanno ricevuto una decina di persone, ma a sentire dalle voci, anche nelle altri sezioni se ne parlava.”
“E cosa diceva l’invito?!” continuò, il tono di voce tremante.
No, non potevano essere loro. Non voleva e non poteva crederci.
“Che il 14 eravamo invitati ad una festa di beneficenza, in favore dei bambini meno fortunati. Chi partecipava, all’ingresso pagava una somma di 2000 yen*, che sarebbero andati direttamente alle fondazioni autorizzate. La cena si sarebbe svolta a partire dalle 20.30. Era gradito l’abito da sera per le signore, e lo smoking per gli uomini. Tutto qui.”
“Erano citate le fondazioni che avrebbero aderito?” s’informò ancora Shinichi, preoccupato.
“Mhm sì.” Rispose l’ex fidanzata, ripensandoci. “Anche se ammetto di non conoscerle.”
Conan strinse i pugni, serrando le palpebre.
Che siano loro? Che sia un’altra delle loro feste? Chi è questo Chandon, adesso? Un nuovo membro? Che compito avrà? E perché hanno invitato anche Ran e Sonoko? Che sappiano già di me? Che abbiano scoperto la mia doppia identità?
Mille domande gli affollarono il cervello, mentre le due liceali continuavano a chiacchierare e a camminare, ignare di quello che sarebbe potuto accadere. Sbattendo i denti, pensò bene di fermarsi e far dietro fronte. Doveva assolutamente parlare con lei.
“Ragazze cominciate ad andare! Vi raggiungo dopo!”
Le salutò, e correndo, scappò verso casa del professore. Ran e Sonoko si voltarono, incuriosite. Ma nel guardarlo andare via, la karateka ebbe un silenzioso e martoriante déjà vu.
 
“Shinichi!! Ciao! Com...”
“Professore dov’è Haibara?!” Gli impedì di completare il suo piccolo amico, entrando in casa come un uragano. Nelle mani aveva una bustina rettangolare di color beige, evidentemente aperta.
“Ehm” fece sorpreso il professore, per poi rispondergli. “Di sotto.”
“Ma è sempre di sotto?” Replicò il giovane, con grande spontaneità. “Ancora a lavorare sull’antidoto?”
Il dottore fece spallucce. “Credo di sì.”
“Devo parlarle, la raggiungo.” Disse poi, avanzando di qualche passo.
“Sono qui.”
Proprio in quel momento, dalle scale risalì la piccola, con la sua solita espressione dipinta sul viso.
Conan la osservò per un po’: aveva il camice fatto su misura per lei dal dottore, e un vestitino azzurro sbarazzino a nasconderle il corpo. Sulle gambe dei leggins blu notte, e delle scarpette bianche.
Se ne meravigliò: a prima vista, appariva come una semplice e comune bambina.
“Devo parlarti di una cosa seria.” Aggiunse poi, incamminandosi verso di lei, seguito dal professore.
“Mhm... i Tokyo Spirits hanno buone probabilità di vincere il campionato?” Lo sfotté la piccola, ridacchiando.
Lui la guardò truce. “Nell’organizzazione conoscevi un certo Chandon?”
“Mhm?”
“Gira voce che un certo Chandon abbia mandato inviti a mezza Tokyo per partecipare ad una cena di beneficenza. Ricordi l’altra volta, Vermouth, organizzò qualcosa di simile ma per Halloween?”
Lei sospirò. “Non ti so dire. Di certo dell’organizzazione non conosco nessuno che abbia quel nome in codice.”
“Quindi dev’essere un nuovo membro.” Dedusse lui, corrugando la fronte e strofinandosi il mento con l’indice e il pollice. “Chissà che compiti ha.”
“Hanno mandato l’invito anche a te?” s’informò il professore, osservando la bustina che aveva tra le mani.
Conan annuì. “Sì. È indirizzato a Shinichi Kudo, ed è identico a quello ricevuto da Ran. Questa volta, però, c’è scritto soltanto il mio vero nome. Vuol dire che questo membro non sa della mia doppia identità.*”
“Ma come fai ad essere sicuro che sia uno di loro?” li interruppe la biondina, sedendosi sul divanetto del professore. “È vero che lo Chandon è uno spumante, ma non credo sia una prova sufficiente per accusarli.”
“Infatti sto solo temendo possano essere loro. Ma se lo fossero per davvero, devo saperlo.”
“Capisco.” Annuì Ai, sospirando leggermente. “Tanto raccomandarti di non farlo sarebbe inutile. Sai quali sono i rischi che corri, ed io incomincio a stufarmi di ripeterteli.”
Seguirono alcuni secondi di silenzio, durante i quali, Shinichi cambiò espressione. Era incredibile come e perché, ma il tutto lo allettava.
“Che intenzioni hai, Shinichi?” Gli chiese il dottore, con un velo di preoccupazione.
“Che domande...” ghignò lui. “Indagare, ovviamente.”
 
- Mhm... potrei infiltrarmi alla festa, in fondo da bambino nessuno ci farebbe caso... ma che mi invento con Ran? Potrei chiederle di andare a dormire dal professore per testare un nuovo gioco... ma sì, potrebbe andare... ma come ci entro al ricevimento? Speriamo non ci siano troppe guardie, sennò son guai...e se... -
In tragitto verso l’agenzia investigativa Mouri, il piccolo Kudo a stento notava le persone che gli camminavano contro. Così assorto e preso nelle sue elucubrazioni, che il mondo intorno a lui sembrava abbassare il volume dell’audio, ed innalzare quello dei suoi pensieri.
- Non posso andare lì da Shinichi... se Ran mi vedesse ritornerebbe a sospettare, ed inoltre, non potrei nemmeno indagare come voglio... un bambino desta meno sospetti... resta solo un problema... come ci entro? E se chiedessi al prof di accompagnarmi? Non sarebbe male... verrebbe a nome dei Kudo, mhm... sì... sì... dopo lo chiamo e glielo dico... -
“Sono passato di qui, e ho pensato di salutarti.”
Una voce in sottofondo gli ronzava nelle orecchie, ma non ci fece poi neanche tanto caso.
“Oh, ciao. Ci sei anche te.” Nemmeno il tono acido della karateka lo svegliò.
- Però, a questo punto, non posso inventarmi quella scusa con Ran... me ne serve un’altra... che dico? Se mi vede alla festa son fritto, anche perché potrei andarci benissimo insieme a lei e Kogoro... quindi... quindi devo star attento a non farmi vedere da lei, e posso inventarmi d’andare a dormire da Mistuhiko, perché, visto che il dottore non c’è, dormiamo tutti i bambini da lui... sì, potrebbe andare... -
“Sì. L’ho accompagnato a fare un servizietto” fece maliziosa l’altra, ignorando completamente la giovane. Il ragazzo la osservò ridacchiando.
“E non rovinare la sorpresa!”
“Su su, chiediglielo.” Lo spronò la ramata, dandogli una pacca dietro la spalla.
“Adesso... adesso...”
“Non fare il timido, Saigo!”
E purtroppo, non s’accorse nemmeno d’esser arrivato.
- Ran, in fondo, ha detto che non è sicuro ci vada. Speriamo che sia così! Sarebbe un sollievo saperla a casa... al sicuro... Speriamo vada tut... ahio! -
D’esser arrivato sulla gamba del karateka. Ci sbatté contro con forza, attirando l’attenzione di tutti i presenti: Saigo, Hana e Ran. Nel vederlo farsi male, la sorella adottiva si sporse immediatamente verso di lui, preoccupata. Lo raccattò da terra, mentre il piccolo si massaggiava debolmente la fronte.
“Tutto bene Conan?!”
Lui annuì, ancora dolorante. “Più o meno.”
“Sei andato a sbattere contro Saigo, stai più attento!” Lo rimproverò dolcemente la compagna, accarezzandogli la fronte. Solo in quel momento Conan si rese conto di cosa stesse succedendo: dinanzi a lui, i due Yami lo osservavano interrogativi e incredibilmente curiosi. La ramata si sporse verso il giovane per meglio osservare il piccolo, mentre Saigo non proferì parola, conoscendolo già.
“Oh, ma questo meraviglioso bimbo chi è?”
Ran ridacchiò nervosa. “È figlio di nostri conoscenti, abita a casa mia per un po’.”
“Ma è carinissimo!!”
Hana gli corse incontro, e prima che potesse alzarsi, lo stritolò fra le sue braccia. Il detective in miniatura di ritrovò sbattuto sul suo petto, o meglio, nel suo seno.
“Come ti chiami, piccolino?”
Lui si staccò, per meglio respirare. Era un po’ intontito. “Ehm... Conan.”
“Conan?! Che bel nome! Come Conan Doyle!” esclamò gioiosa lei, mentre Ran le mandò un’occhiata truce. Possibile che facesse l’oca con qualsiasi persona di sesso maschile che incontrava?
“Ehm sì.” Fece in imbarazzo lui, un po’ arrossito.
“Ma lo sai che somigli un po’ a Shinichi?”  lo scosse ancora, sempre col sorriso sulle labbra. Poi, afferrandogli gli occhiali, li cacciò via. Ed osservandolo, strabuzzò le palpebre.
“Macché! Sei proprio la sua miniatura! Siete due gocce d’acqua!”
Kudo tentò di riprenderli, mentre la sua amica d’infanzia tentava di riportare l’attenzione a sé. Proprio non voleva parlare di un certo detective.
“Ehm, quindi perché siete qui?” Provò a domandare all’amico allievo, invano.
“Ma sei suo parente?!”
Conan sbuffò. “Una specie.”
E con lui, la karateka.
“Si vede! Oddio, sei proprio uguale a lui!” Gli prese le guanciotte e le stropicciò, ridacchiando. “Sei carinissimo.”
“G...gr...a-a-a...zi...e” cacciò fuori solo sillabe, il piccolo, impossibilitato a muoversi.
“Potrebbe essere lui, chissà. A quanto pare è scomparso da quando è riapparso il piccolo.” Per un attimo si zittirono tutti. La voce di Saigo, incredibilmente seria, penetrò nelle menti delle due giovani, mentre fece rabbrividire lo stesso Shinichi. Seguirono istanti interminabili, lungo i quali Ran osservò con tenacia Conan; non poteva proprio dar torto al suo allievo. Ma quando il giovane Yami si sentì gli sguardi di tutti addosso, scoppiò a ridere.
“Ehi, gente! Scherzavo, ovviamente! Che credete!”
Gli altri tirarono un sospiro di sollievo, come a smorzare quel nervosismo. In primis il piccolo, che per un secondo aveva sentito il cuore fermarsi.
“Oh, io non so che guance abbia Shinichi, ma le tue sono proprio da tirare!” continuò a torturarlo Hana, divertendosi. Poi s’alzò, soddisfatta.
“Eh eh.” Fece Conan, assottigliando le palpebre, e riprendendo possesso dei suoi occhiali.
Ran, intanto, mandava giù a stento la saliva.
- Shinichi è scomparso, Conan è riapparso... Shinichi è scomparso, Conan è riapparso... No, ma dai, è ridicolo... Shinichi m’ha ripetuto più volte che non è vero... che sono tutte coincidenze... no, non può essere lui... non può avermi preso in giro anche su questo... no... mi rifiuto di crederci... no... -
“Ran?”
Saigo la richiamò, sorprendendola. Shinichi, intanto, si sistemava i calzoncini.
“Dimmi.”
“Ehm...” incominciò lui, intimidito. “Vorresti venire con me alla festa di San Valentino?”
Conan aprì così tanto le palpebre che ebbe paura che le iridi gli uscissero di fuori. L’amica ebbe una reazione simile, ma molto più moderata. Tesa e noncurante del giovane, quelle parole le erano balzate in mente all’improvviso, senza che avesse nemmeno la possibilità di decifrarle. Ma quando lo fece, passò a deglutire più saliva di quanta ne avesse. Andare con lui? Sul serio?
Aveva parlato a Kogoro pochi minuti, e lo aveva esortato a chiedere alla madre, cosicché da cercar di far pace; ma proprio non aveva pensato a Saigo, sebbene Sonoko, quella stessa mattina, gliel’avesse ripetuto più volte. Forse perché la sua testa era altrove, era da lui; ovunque lui fosse.
“Con... te?”
Riuscì soltanto a sillabare, mentre gli sguardi di tutti erano fissi su di lei. Shinichi aspettava la sua risposta più di ogni altra cosa, ed un po’, anche Hana.
Saigo annuì, leggermente sorpreso. Aveva creduto fosse più convinta. “Sì, se vuoi, ovviamente.”
Lei titubò qualche istante. Ripensò al detective, e a quanto potesse essere giusto uscire con Saigo, di sera, come in un appuntamento. Avrebbe forse fatto un torto a lui?
Mentalmente si diede della stupida.
Macché, si ripeteva, lui sarà già con qualcun’altra a divertirsi.
Eppure sospettava non fosse così: che dietro a quei silenzi e a quelle freddezza ci fosse più di quanto lui riuscisse a nascondere. Qualcosa che per lei era inaccessibile, perché lui l’aveva sigillata con una tripla o quadrupla mandata.
Ma allo stesso tempo si convinceva che fossero solo sue supposizioni; che quel menefreghismo fosse vero, e nulla di recitato. E gliel’aveva anche dimostrato, molti giorni prima:
“Va bene. Come vuoi.” erano state le sue ultime parole. Come se lei gli avesse chiesto Andiamo al cinema stasera? E lui Va bene, come vuoi. Come se stessero scegliendo quale gusto prendere del gelato, o quale marca di patatine comprare. Non poteva piantare una storia, un’amicizia, un amore e una vita con un Va bene, come vuoi perché, mio caro, con una frase del genere non puoi concludere nemmeno una telefonata.
Per questo sorrise a Saigo, e un po’ spavalda, gli rispose.
“Va bene. Come vuoi.”
Il karateka ricambiò il sorriso, che contagiò anche la Yami.
Ma nessuno s’accorse della malinconia che travolse il piccolo ed innocente Conan Edogawa.
 
 
Uno sbuffo di fumo volò nella stanza, baciando le labbra rosse e carnose dell’attrice Sharon Vineyard. La sigaretta tra le sue dita sembrava esserci stata dipinta col pennello, tanto bene s’andava ad intonare col suo corpo. Chandon la osservò per un po’, dopo aver scrutato per bene il monitor del computer.
“Raccomandi a Gin di non fumare e poi lo fai anche te.”
Lei rise, decapitando il mozzicone nel portacenere. “Ci spii?”
“Qualche volta. Ho bisogno d’assicurarmi che tu sia sincera.”
Vermouth sorrise. “Ti ho già detto puoi fidarti di me, tengo a lui molto più di quanto credi.”
“Non capisco perché, però. Cos’ha di speciale per te?”
“Quello che ha di speciale per tutte le donne che lo incontrano. In lui c’è la luce, c’è protezione.”
Chandon fece un’espressione strana. “Come può un ragazzino di diciassette anni essere la tua speranza?”
“Tu lo conosci, no?” Ed aggiunse un occhiolino.
“Sì, ma... va beh che... è scomparso, forse.”
Vermouth scoppiò a ridere. “Sì, lo fa sempre.”
L’ombra nera sbuffò, spegnendo il computer. “Tutto pronto per domani?”
“Tutto pronto.” Annuì l’attrice.
“Ci sarai anche tu, ovviamente. No?”
“Come potrei non esserci?”
“A Gin e Vodka che dirai?”
“La verità. È una festa di beneficenza.” Ridacchiò la bionda, ticchettando le dita sul tavolo.
Passarono alcuni minuti, sospiri immersi nel silenzio, sguardi fissi l’uno nell’altro.
 “Hai detto di fidarti di me, no?” fiatò Chandon.
Lei annuì.
“Dimmi la verità.” Inspirò e deglutì, il nervosismo cominciava a salire. “Quel bambino... Conan... è Shinichi Kudo, vero?”
Sharon s’alzò dalla sedia e s’allontanò, ma non prima d’aver rivolto un ultimo sorriso.
“Che c’è? Hai visto anche in lui... la speranza?”
 
 
14 Febbraio: San Valentino.
Le strade e le vetrine si riempiono di cuori rossi, luminosi e non, e fiori di rosa conoscono il più alto numero di vendite dell’anno. È la festa degli innamorati, si sa. Quasi nessuno concorda nel ricordarla, però: tutti si lamentano che ‘chi ama, ama tutti i giorni’ ma puntualmente, la sera, si ritrovano a festeggiare a qualcosa in cui, in fondo, non credono neppure.
Puntualmente si ritrovano immersi di cioccolato, anche nei casi più disperati.
A volte è il padre a regalarlo, a volte la persona che si vorrebbe lo facesse.
Tutti adorano i regali materiali se son fatti dalla persona che si ama, perché - almeno - son fatti col cuore. Perché si ama fissarli dalla mattina alla sera, sulla scrivania, accanto al computer, cosicché da sentire la sua presenza, anche quando quella persona non c’è.
È inutile negarlo, siamo un po’ tutti degli inguaribili romantici.
E un po’ tutti soffriamo, quando, a San Valentino, quella persona, non c’è.
“Ran sei pronta?”
Una voce lontana, non la sua. Sorrise, già. Lei lo sapeva.
E allora non si ha più bisogno né di cioccolato né di regali, perché a render importante il materiale è l’essenza.
E l'essenza di Ran, era Lui.
 

 
 
 
Precisazioni:
* La prima frase è liberamente tratta da uno degli incarti dei BaciPerugina.
* Seconda frase di Victor Hugo.
* Terza frase di William Shakespeare.
* So che in Giappone non mangiano i Baci, ma le ragazze regalano cioccolato ai loro amati. Ho voluto italianizzare un po’ la cosa, spero non dispiaccia. E poi a me i Baci piacciono, oh XD
* 2000 yen sono circa 20 euro.
* Vermouth sa della doppia identità di Shinichi, perché, durante l’Halloween Party, nell’invito mandato a lui, citava entrambi i suoi nomi (Conan Edogawa/Shinichi Kudo).
 


 

Ciao bella gente! Sono tornata!
C’ho messo un po’ di più, ma ce l’ho fatta. Allora, allora, mi preme dire che è PURA COINCIDENZA che il 14esimo capitolo si chiami San Valentino e che sia uscito in questo periodo. Per giunta mi ha dato parecchi problemi, e poi io ho avuto poco tempo per scriverlo. Quindi c’ho messo qualche giorno a giostrarlo. Nel prossimo si inizia con l’azione, e con le sorprese... aspettate di leggere ;)
Ovviamente spero vi sia piaciuto, anche perché accadono un paio di cosette, che fanno da base a quello che POI accadrà. Ran va alla festa con Saigo, ma pensa a Shinichi. Shinichi si rendere finalmente conto che la sua amica d’infanzia ci tiene ancora a lui, e che non l’ha lasciato per sport, ma ci rimane male quando Ran accetta di andare alla festa con Saigo.....ah, Hana è tornata! XD e poi... beh, Conan vuole iniziare ad indagare riguardo la festa. Voi cosa ne pensate? Che hanno in mente Chandon e Vermouth?
Fatemi sapere ^^

Ringrazio Luna, Hoshi, Nana, Shineranamore, Delia, Marta, Meli, Mangaka, MangAnime, Angel ed Arya per aver commentato il chap!
Grazie anche a chi ha inserito la storia tra le preferite!

 
E sperando abbiate passato un bel San Valentino (io sì :P), vi saluto.
*mi sono ingozzata di Baci Perugina, e ho rubato una frase per far fare la melodrammatica a Sonoko. Ricordo che prima le frasi erano più belle però XDD*
Un bacione!
 

Tonia

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Capitolo 16
*** Il galà di beneficenza ***


Your Lies

15.
Il galà di beneficenza
•••

 
 
« Wow. »
Era senza ombra di dubbio la festa più bella che avesse visto; non solo per la location - un lussuoso hotel fuori mano, dai profili dorati -, e nemmeno tanto per l’organizzazione - i tavoli acconciati a meraviglia, fazzoletti di seta e posate d’argento -, ma principalmente per quell’insieme di elementi che andavano a combinarsi alla perfezione, anche su di una semplice pianta. Tutto sembrava luccicare, come se fosse stato dipinto il giorno prima da un Botticelli o un Leonardo dei giorni nostri, e che avesse preso vita così, quasi per incanto. Era un vero e proprio castello, come quello delle fiabe, e ritrovarcisi dentro non era propriamente una di quelle esperienze che si dimenticano alla nuova alba. I camerieri indossavano la loro solita divisa, ma stranamente, quella sera, pareva più elegante che mai. Le dame sfoggiavano vestiti lunghi e scuri, gli uomini smoking o frac. Ma chiunque varcava la soglia d’ingresso, si fermava ad osservare per qualche minuto quella meraviglia: bocche aperte ed occhi strabuzzanti, come se, per una volta, il creato dell’uomo potesse superare quello di Dio.
« È una meraviglia, vero? Non ho mai visto niente di simile.»
Le labbra ancora un po’ secche, ma il cuore palpitante. Anche quello poteva farla emozionare.
« Credo di aver appena trovato il ristorante del mio matrimonio» esclamò Sonoko, accanto alla migliore amica, stupefatta quanto lei. I cavalieri, dietro di loro, non facevano eccezione.
« Hai già intenzioni di sposarti Sonoko? Non m’hai detto nulla, Kyogoku...» lo sfotté Saigo, mentre sul volto gli nasceva un sorriso malizioso. Durante il tragitto, i due s’erano presentati, ed erano anche entrati subito in confidenza. In fondo, avendo una passione in comune - il karate - non era difficile per loro trovare argomenti di conversazione. Così, parlando di un campionato ed un altro, avevano tirato in ballo anche Ran, che era riuscita a distrarsi anche della perenne assenza di un altro cavaliere, ma Nero.
Makoto ridacchiò, in imbarazzo. « Forse un po’ più in là. »
Il riso generale contagiò anche la giovane Mouri.
« Oh, oh. Questa è una dichiarazione ufficiale! »
« Dai, smettetela! »
Tutti continuarono a ridere, fin quando l’attenzione non cadette su Kogoro. In smoking nero, era riuscito a convincere Eri ad accompagnarlo alla festa. La scusa era stata “suvvia, Ran non vuole che l’accompagni, e l’idea di mandarcela da sola non mi garba, vieni con me”. Dopo un attimo di turbamento, la moglie aveva acconsentito. Non le sarebbe dispiaciuto andare alla cena, sebbene fosse per passare un po’ di tempo con sua figlia, convinta al cento dieci per cento di trovarla in compagnia del presuntuoso pargolo di Yukiko. Ma accanto alla piccola, ormai cresciuta, Ran, era apparso un altro giovane, anche piuttosto carino. E la madre, aveva assolutamente voglia di saperne di più.
« Ciao mamma, ciao papà! » Li salutò entusiasta la loro creatura, contentissima di vederli insieme. « Ma lo sapete che siete uno schianto stasera? Che bella coppia! »
I due girarono i volti, imbarazzati. Ran rilasciò un sospiro, ma non si diede per vinta. Se la mamma aveva accettato, qualche chance allora Kogoro ce l’aveva.
« Anche tu sei bellissima tesoro » le sorrise Eri, ignorando il marito che tentava, senza farsi vedere, di ottenere informazioni sull’individuo di sesso maschile che sostava accanto alla piccola Mouri. E lo sbarbatello che fine aveva fatto? Da una parte fu felice di non vederlo, ma quest’altro moccioso, adesso, chi era?
« Salve Eri » la salutò cordialmente Sonoko, seguita dal fidanzato.
« Ciao cari » poi, sporgendosi verso Saigo, gli lanciò un’occhiata. « E tu sei...?»
Il giovane arrossì leggermente. La madre dell’amica era fasciata in un bellissimo vestito nero, morbido sui fianchi e sulle curve, che molto oltre la fantasia lasciava andare.
Tale madre, tale figlia.
Erano di una bellezza sconvolgente quelle due.
« Mi chiamo Saigo Yami, sono un amico di Ran. Felice di conoscervi.» Sorrise poi ad entrambi i genitori, cercando d’apparire educato, a modi, e simpatico.
« Piacere tutto nostro. »
Eri sorrise a sua volta, mentre Kogoro lavò via quell’espressione bronciata su suo volto. Non sapeva perché, ma quel ragazzo gli ispirava fiducia.
« Oh, accompagni Ran stasera? Allora noi leviamo il disturbo, non vorremmo confonderci tra i giovani. » Fece ironica, allontanandosi di qualche pasto. « Tra qualche minuto nell’altra sala aprono il buffet, fate presto che sennò non mangerete nulla di quello. »
I ragazzi annuirono, ridenti.
« Certo, non preoccuparti.» fece Ran, gioiosa. « E divertitevi! »
« Oh, con tuo padre di sicuro » fece sarcastica, guadagnandosi un’occhiata truce del marito.
La figlia sospirò, affranta. E mentre li vide allontanarsi, sperò vivamente potessero fare pace.
« Ragazzi?» li richiamò Saigo, concentrando l’attenzione su di lui.
 « Che ne dite se ci facciamo un giro di questa meraviglia? Vediamo un po’ cosa nasconde.»
Sono guizzò, entusiasta. « Sì, sì! Assolutamente.»
Poi, rivolgendo lo sguardo alla karateka, domandò lei cosa volesse fare.
« Anche per me va bene.» Rispose dolcemente. « Tanto non ho nemmeno tanta fame. »
« Torniamo per l’antipasto. Tanto si sa come succede in questi casi, ci mettono tempo a servire le portate.» S’intromise Makoto, dando pace anche ai loro stomachi.
« Perfetto, allora. Da dove iniziamo?»
« Beh, andiamo a vedere la sala principale e poi le altre. Non sappiamo nemmeno quante ce ne sono.»
Saigo annuì, ed indietreggiando sino a Ran, camminò accanto a lei. Mentre Sonoko e Makoto erano davanti, mano nella mano.
La giovane aveva lo sguardo fisso nel vuoto. Nemmeno la bellezza di quel luogo riusciva a farglielo levare dalla mente.
Dove sei? Con chi sei?
Lo ricercava nei ricordi, perché solo lì poteva rivederlo.
Adesso le sue frasi sembravano palloncini di elio, volati nel cielo. Tutte quelle belle parole, da quando s’erano rivisti, prendevano forma di mille aghi appuntiti che le andavano a perforare la pelle.
«Anche io ho delle cose da chiederti e da dirti... perciò aspettami! »
Le aveva confidato al villaggio Higashi-Okuho, poco dopo avergli afferrato la giacca.
Cosa avevi da dirmi eh? Solo bugie...
Una lacrima le attraversò le palpebre, ma s’impose di non piangere. Non più.
Nel frattempo, il karateka osservava la compagna, sperando di emulare i gesti degli altri due. Così, scosso da coraggio e adrenalina, sfiorò la mano dell’amica, e fu tentato di prendergliela. Come avrebbe reagito, lei?
 
 
 
« Che lusso!»
« A quanto pare l’organizzazione ha abbastanza soldi da potersi permettere serate del genere. A che scopo, poi, vorrei tanto saperlo.»
Nell’hotel dei sogni erano giunti anche Conan e il professore. Sebbene mossi da tutt’altri fini, all’entrata non poterono fare a meno di meravigliarsi di fronte a tanta lussuria. Fu solo qualche attimo però, che tornarono in senno.
« Sei sicuro ci siano loro qui?»
« Lo scopriremo.»
« E se dovessi imbatterti in Gin e Vodka? Che faresti?»
« Nah, loro non ci saranno.» Fece sicuro il piccolo, stando bene attento chi incontrasse.
« Gin e Vodka non si esporrebbero mai così tanto, ormai li conosco.»
Sapeva che Ran e Sonoko, accompagnate, erano andate al galà, e che anche Kogoro aveva intenzione di andarci con Eri. Senza contare che avrebbe potuto imbattersi in qualcuno che conosceva e che ingenuamente lo andasse a riferire alla sua sorellina. Appunto, la sua Ran che adesso era in compagnia di un altro... il giorno di San Valentino. Aveva accettato il suo invito, quindi ciò valeva a dire che lei provava qualche interesse per Saigo. Più ci pensava più si sentiva male. Il volto triste era celato da una maschera di nervosismo e freddezza, che metteva ogni qualvolta desiderava. E poi, quella sera, non poteva pensare ad altro. Se l’organizzazione era lì, e l’aveva invitati, c’era un motivo.
« Speriamo che non abbiano intenzioni di fare stragi.»
Il bambino scosse il capo. « Non credo. Sono un’organizzazione segreta, e non compierebbero mai tale errore. Se hanno organizzato questa festa, temo sia per uccidere qualcuno. Devo capire chi e quando vogliono farlo.»
« Speriamo non succeda nulla di brutto! Alla fine Ai ha fatto bene a rimanere da Mistuhiko, era pericoloso per lei venire qui.»
« Sì, con gli altri bambini sarà senz’altro al sicuro. Però noi cerchiamo di darci da fare.»
Conan attraversò l’entrata velocemente, e tentando di non farsi notare, s’incappucciò. Furono bloccati però da un cameriere che, davanti al portone, indicò loro di fermarsi.
« Buona sera. Invito, prego.»
Fece lui, inchinandosi ai due. Agasa aveva indossato per l’occasione un frac di qualche anno prima, e il piccolo aveva il suo solito completo azzurrino con papillon rosso alla gola.
Più eleganti di così?
Il dottore porse al ragazzo l’invito ricevuto dai Kudo, e mentre l’altro lo scrutava, Conan lo osservò a lungo.
« Signore, signore!» Lo chiamò poi, fingendo un’ingenua voce da bambino.
Il cameriere abbassò lo sguardo, sorridendogli. « Dimmi piccolo.»
« C’è l’organizzatore della festa stasera? Voglio ringraziarlo per avermi invitato in questo ristorante bellissimo!» Continuò la sua commedia, alzando anche le mani in alto, come per indicare la maestosità del luogo.
L’altro si grattò il capo, non sapendo che dire. « Mhm, veramente non so nemmeno chi sia.»
Shinichi puntò gli occhi su di lui, sospettoso.
« E come mai?» Finse curiosità, sperando, così, di ottenere nuove informazioni.
« Non so dirti. Quando mi sono presentato al colloquio per il posto, lì ho incontrato soltanto una donna che, dopo un paio di domande, mi ha detto che mi avrebbero assunto. Ma non s’era presentata come organizzatrice.» Rivelò il giovane, con schiettezza.
« Oooooh.» Fece il finto stupito Shinichi, divaricando gli occhi. « Era bella?»
Il giovane sorrise. « Sì, lo era.»
« Bionda?»
« Sì, sì. Bionda, occhi azzurri.» Poi s’abbassò all’altezza del piccolo, e gli scompigliò i capelli, ridendo. « Ma penso fosse un po’ troppo grande per te! »
- Dev’essere stata Vermouth...- rifletté, ritornando serio nella sua mente. - O no?-
« Anche la mia mamma è bionda con occhi azzurri, era bella come lei, allora!» Finse di nuovo poi, e si stupì di quanto riuscisse ad alterare il tono di voce.
Sembrava un vero e proprio moccioso.
Il cameriere gli sorrise, per poi ridar loro l’invito. Agasa fece scivolare i 2000 yen nel contenitore apposito, e ricambiò il saluto del giovane.
Dopodiché, filarono dritti verso il ristorante.
 
 
« Ciao ragazzi!»
Nel momento esatto in cui l’indice stava per sfiorare la mano morbida di Ran, una voce squillante interruppe i viaggi mentali di Saigo, frantumandoli in mille pezzi. I quattro liceali, girandosi, si trovarono di fronte Hana, più raggiante che mai. Anche lei, quella sera era davvero bella. I capelli ramati le scivolavano addosso, il vestito nero sembrava fatto apposta per il suo corpo snello e slanciato.
« Oh, Hana.» Disse spontaneo Saigo, sorridendole. Ran azzardò una piccola smorfia incolore. Proprio non la sopportava...
« Siete arrivati presto.»
« Per colpa di Saigo!» Lo accusò Sonoko, dietro i due. « Andiamo! Andiamo! Si fa tardi!» Lo imitò poi, assottigliando gli occhi.
Ran sorrise, mentre Hana si incuriosì, maliziosa.
« Che avevi da venire così presto? »
Lui sembrò esser preso in contropiede. « Io? Nulla... mi piace arrivare prima del solito agli appuntamenti. Odio i ritardi.»
« Beh, almeno Ran non deve aspettarti quando uscite insieme » buttò lì, mettendo in imbarazzo la diretta interessata.
« Anche io sono solita far anticipo. » Ci tenne a precisare la karateka, tanto per contraddirla. Il tono acido e pungente, che come sempre, la ramata ignorò. Non s’era mai sentita così infastidita per una persona. Eppure quella ragazza, volente o nolente, faceva crescere in lei la sua parte maligna. Quando Shinichi era il suo fidanzato, Hana gli volava sempre intorno, come un’ape sul miele. Fosse lei la causa della freddezza eccessiva del detective? Se lui, uscendoci insieme, si fosse invaghito e si stesse tenendo in contatto con lei, di nascosto? Pensò che forse, quando aveva finto di lasciarlo, aveva colto la palla al volo e approfittato della situazione per evitare dovute spiegazioni? Si morse il labbro, stringendo le mani in pugni.
- Shinichi si è innamorato di Hana? Potrebbe essere... è una bella ragazza, tutta la scuola le muore dietro, e lei sembra non interessarsi a nessuno... che stiano insieme di nascosto? -
Sentì il labbro farle male, ma non ci badò.
- Voglio assolutamente delle spiegazioni... voglio sapere perché è scomparso senza nemmeno una chiamata... perché non ha tentato nemmeno una volta di farmi cambiare idea... No, se sta con lei deve dirmelo, assolutamente... sennò lo chiederò direttamente a lei... -
« È bello qui, eh?»
« Una meraviglia davvero.» Le rispose Saigo, continuando ad osservare il ristorante.
« Te sei senza accompagnatore?»
Lei sorrise. « Dovrebbe arrivare a momenti.»
Ran sussultò, spalancando gli occhi.
« È Shinichi?»
Chiese, prendendola alla sprovvista.
« Eh?»
Sono osservò Ran, lanciandole occhiate truci. Che diavolo le saltava in mente, adesso?
« È lui?» continuò la karateka, con un tono così deciso che prese anche l’attenzione di Saigo. Perché gli interessava tanto di quel detective? Erano solo amici... o no?
« Perché me lo chiedi?»
« Curiosità.» Disse semplicemente lei, mascherando l’ardente desiderio di sapere.
« Ma come? Sei la sua migliore amica e non lo sai? »
Quella domanda suonò un po’ troppo profonda.
Ran si morse di nuovo il labbro. « Cosa dovrei sapere?»
Pensò che glielo stesse per rivelare. “Sì, sto con lui” le avrebbe risposto, impertinente come al solito. Il cuore prese ad accelerarle, ma tornò a rallentare quando la scorse ridere.
« Che è scomparso, no?»
La Mouri rilasciò un sospiro. « Beh, sì. » Poi, tornando a guardarla, ci riprovò: « Tu l’hai sentito, per caso? Sono un po’ preoccupata. »
« No.» Rispose velocemente Hana. « Come potrei? Non ho nemmeno il suo numero.»
Le ricordò, riferendosi al battibecco avuto con lei qualche settimana prima.
Ran lasciò andare un nuovo sospiro, stavolta di liberazione.
- Ciò vuol dire che non stanno insieme. Sì, vuol dire che non stanno insieme. -
Continuò a pensare, finché non la vide andare via, e salutare tutti con un sorriso.
« Ohi, andiamo?» Le richiamò Sonoko, accostandosi all’amica.
« Forse è meglio se facciamo dopo un giro, hanno appena aperto il buffet.» Constatò Makoto, osservando da lontano la sala. Ran annuì, concorde.
« Dai, ragazzi... mangiamo l’antipasto dopo!» Replicò Saigo, in disaccordo.
« Non so voi, ma a me è già venuta fame.»
« Anche a me.» Fece eco all’amica la Mouri, ridacchiando.
Saigo sbuffò. « Okay, andiamo. Ma dopo voglio assolutamente fare un giro. »
I tre giovani si voltarono a guardarlo, straniti.
« Ma che hai stasera? Sei strano.» Constatò Ran, sincera.
« Ti comporti come un bambino capriccioso.» Lo sfotté poi Sonoko, ridendo.
Saigo le ignorò, ma girando il capo altrove si morse un labbro, preoccupato.
- Sono solo nervoso, solo nervoso... Speriamo vada tutto come deve andare... -
« Sapete dov’è il bagno?» chiese poi, riattivando l’attenzione degli amici. Sonoko sbuffò, mentre Ran si voltò a chiedere ad un cameriere informazioni al riguardo.
« È di sotto.» Rispose l’altro, gentilmente. « Vicino alle cucine.»
Saigo annuì, ringraziandolo.
« Vado un attimo, ragazzi. Ci vediamo al buffet.»
 
 
« Professore vado a fare un giro per l’hotel, lei rimanga qui. »
« Che faccio se incontro Ran e gli altri? » gli domandò Agasa, prima che il piccolo detective volasse via. Lui mosse qualche passo, poi si fermò, e si rigirò.
« Dica che è stato invitato alla festa, e se le chiede di me... sono insieme ai bambini da Mistuhiko. »
« Okay. Cerca d’essere prudente.» Gli raccomandò l’uomo anziano, preoccupato per la sua incolumità. Conan mosse un leggero cenno del capo, gli fece l’occhiolino e scappò via. Attraversò velocemente la sala principale, imbattendosi in centinaia di persone dagli abiti eleganti e sopraffini, e scivolò via tra i tavoli, riuscendo così a nascondersi da occhi di troppo, come quelli di Ran. Raggiunse un corridoio ampio e lungo, illuminato da lampade raffinate che donavano al percorso una luce dorata. Arrivò alla prima porta sulla destra, e nel tentare di aprirla, constatò che fosse chiusa. Fece lo stesso con le altre, finché non si decise a scendere lungo la rampa di scale in marmo che portava al piano terra. Capì di starsi dirigendo verso la cucina e gli ambienti di servizio, dato anche il gran numero di camerieri che faceva su e giù sulle rampe. Riuscì comunque a superare la cucina dall’esterno, imbattendosi così nelle toilette.
- Mhm... non mi pare ci sia molto qui...- Constatò Shinichi, bloccandosi e girandosi intorno.
- Tutto sembra normale... -
Osservò gli smoking dei camerieri, per cercare anche nel minimo dettaglio un indizio che potesse aiutarlo a capire. Scrutò anche il numero di portate, e che tipo di cibarie avessero scelto per la cena, ma nulla gli parse particolarmente strano da poter sospettare oltre.
Tornò indietro verso l’altro, fermandosi dapprima dinanzi ad una porta laterale. Vide un cameriere avvicinarsi, e subito s’armò di sorriso innocente.
« Tutto apposto piccolo? Hai perso la mamma?»
« No no.» Rispose con voce estremamente ingenua lui.
« E che ci fai a gironzolare qui tutto solo?»
« Gioco a nascondino con i miei amici!» inventò la prima scusa che nacque nel suo cervello, sorridendo.
Il tizio simulò una smorfia, contrariato. « State attenti.»
« Ma questa porta si può aprire?» chiese poi, dopo qualche attimo, il piccolo. Il tono dolce, e l’indice a puntare l’infisso in legno.
L’uomo si voltò, ed annuì. « Sì, è la lavanderia.»
« Oh.» Emise un sospiro stupito il finto bambino.
« Per quando i signori sporcano i loro abiti.» Gli ammiccò, facendogli l’occhiolino.
« Adesso va’ di sopra, farai preoccupare i tuoi genitori.» disse poi, congedandosi.
« Sissignore.» Annuì Conan, salutandolo.
Ovviamente, non stette ad ascoltarlo. Aspettò rientrasse in cucina per poi aprire la porta alle sue spalle. Si ritrovò sopra una piccola rampa di scale, che portava alla lavanderia, proprio come l’uomo gli aveva accennato. Giù vi erano alcuni invitati alla cena, che aspettavano ricambi provvisori per i loro abiti sporchi o bagnati di bevande. Quando il bambino aprì la porta, gli adulti si girarono a guardarlo, e curiosi, aggrottarono le sopracciglia. Ma Shinichi diede uno sguardo fugace a tutto l’ambiente, ed anche lì, dovette constatare non ci fosse nulla. Decise così di tornare indietro, e fermandosi dopo qualche metro, cominciò a strofinarsi il mento con le dita.
Qual era il loro scopo? Cosa volevano e cosa cercavano?
Dove sarebbero andati tutti quei soldi?
Difficilmente, si disse, sarebbero giunti a vere associazioni di beneficenza.
Dunque, a cosa servivano?
Sprofondando nelle sue elucubrazioni, non s’accorse di una figura che, dall’oscurità, prese luce sotto le lampade alle sue spalle. Ed improvvisamente, avvertì due braccia stringerlo, un corpo allontanarlo e un fazzoletto otturargli la bocca. Capì subito che si trattava di cloroformio, e anche quali fossero le intenzioni dell’aggressore. E mentre quelle mani lo tenevano stretto e lo trascinavano altrove, Shinichi provò a svincolarsi, ma la sua forza da bambino delle elementari non gli concedeva i movimenti che avrebbero potuto agevolargli la fuga. Dopo qualche secondo, comunque, non riuscì più a muovere le braccia, e in seguito nemmeno più le gambe. I rumori divennero lontani, e tutt’intorno si fece buio pesto.
« Mi sa che il gioco è finito qui, piccolo detective...»
 
 
Saigo ricercò l’amica karateka per qualche minuto e per tutta la sala principale della festa. Non vedendola, chiese a Sonoko dove fosse.
« Mi pare sia andata fuori al balcone. » Gli aveva risposto, indicandoglielo col dito. Il giovane s’apprestò così a raggiungerla, e si fermò nel ritrovarla appoggiata alla balaustra della balconata. Era alle sue spalle, ma gli pareva incredibilmente pensierosa. Lo sguardo fisso sulla luna splendente in cielo, e le mani a sorreggerle la mandibola. S’avvicinò cauto, muovendo piccolo passi.
Ran si sentiva insolitamente strana. Non capiva perché, ma aveva un brutto presentimento. Era una semplice sensazione, ma bastava a farla preoccupare sul serio. Di solito il suo sesto senso non aveva mai fatto cilecca ma, in quel momento, non riusciva proprio a capirne il perché.
Cos’era che non andava? Il ristorante era meraviglioso. Sua madre e suo padre stavano passando una serata insieme, da soli, e sembravano anche divertirsi. Sonoko era a scherzare con Makoto. E lei? Beh, lei era con Saigo, l’unico che fosse rimasto.
« Ti piace la luna? »
Presa alla sprovvista, strabuzzò gli occhi. Si voltò ed incontrò quelli del diretto interessato, brillanti.
« Abbastanza. » Rispose solamente, sorridendo.
Il ragazzo s’accostò alla balaustra, avvicinandosi all’amica. Per qualche istante, guardarono insieme il cielo.
« Vuoi seguirmi ad una parte? » le disse poi con dolcezza, prendendo coraggio.
Le mani strette in pugni, la salivazione eccessiva. Ran notò che sembrava nervoso.
« Certo. » Annuì, incurvando le labbra all’in su. « Dove? »
Lui sospirò, e ridacchiando, si fece di qualche passo indietro. « È una sorpresa, fatta apposta per te. »
Lei allargò le palpebre. « Per me? »
« Oggi è San Valentino. » Le ricordò, mordicchiandosi un labbro. « Vorrei che tu vedessi una cosa. »
Ran deglutì. Già, era San Valentino. Ma che importanza aveva poi? Osservò Saigo, e notò che il ragazzo s’aspettava una risposta. Improvvisamente comprese tutto.
Era forse innamorato di lei? No, non poteva essere. No.
Cosa gli avrebbe risposto? Cosa gli avrebbe detto?
Lei... lei lo vedeva come un amico a cui s’era molto affezionata, nulla di più.
« Ma... che tipo... » provò ad informarsi, ma bloccò le parole dopo qualche secondo. Le aveva forse preparato una sorpresa? Qualcosa di romantico e dolce tutto per lei?
Shinichi non l’avrebbe mai fatto...
« Fidati di me, su. Vieni. » Insistette lui, notando la sua incertezza.
Ran sospirò ancora, l’indecisione regnava sovrana nel suo cervello.
Era curiosa, doveva ammetterlo, ma se davvero lui aveva fatto qualcosa per lei, come gliel’avrebbe spiegata la verità?
La verità... Dirgli che era ancora innamorata di un tizio che non si faceva né vedere né sentire, che era scomparso da Tokyo nuovamente, e che se n’era fregato del loro rapporto, pompandolo di bugie ed illusioni. Quella era la verità...
« Okay, » rispose poi, col capo basso, accennando un sorriso. Almeno lei la volontà di non mentire ce l’aveva. Se Saigo avesse frainteso qualcosa, era suo compito e dovere rivelargli come davvero stavano le cose. Anche se avrebbe dovuto ammettere prima a se stessa che amava quel detective, e non era semplice. « Ma è lontano? »
« No no. » Scosse il capo lui. « È qui, al piano di sotto. »
 
 
 
Conan riaprì gli occhi nel sostanziale buio dell’ambiente. Sdraiato a terra, ma non legato - da come poté constatare -, era stato rinchiuso in qualche stanza dell’albergo, anche se, a primo impatto, non aveva la minima idea di dove fosse. Ci mise un po’ ad abituare gli occhi all’oscurità, ma quando lo fece, riuscì anche ad alzarsi dal pavimento. La testa gli girava leggermente, le gambe erano pesanti come macigni.
Respirando rumorosamente, ripensò all’aggressione appena avvenuta. Chi poteva essere stato?
Chandon, Vermouth? Gin, Vodka? No, i due uomini non l’avrebbero lasciato in vita, conoscendoli. Sharon difficilmente avrebbe ucciso il suo proiettile d’argento, ma perché chiuderlo in una stanza buia? E Chandon, beh, era una vera e propria incognita. Non sapeva né il suo sesso né la sua età, e nemmeno le sue intenzioni.
Camminò per qualche metro, vagando nel buio, e dall’eco dei suoi passi, capì di trovarsi in una stanza abbastanza grande. Improvvisamente si ricordò dell’orologio spara anestetici, che aveva anche una torcia incorporata, e sperando che le batterie fossero cariche, l’accese.
Strabuzzò gli occhi, sorpreso.
Pareva la lavanderia dell’albergo, quella visitata poco prima dell’aggressione. Pareva, perché c’era qualcosa che non andava.






Mhm, ciao gente. Sono un po' in ritardo, sempre causa uni. Sono sotto esami, ma un po' di tempo -notturno xD- l'ho trovato per completare il chap.
V'avevo detto che si incominciavano a smuovere le acque! Secondo voi chi è Chandon? E Saigo cosa dovrà fare? E Shinichi rinchiuso in... lavanderia?
Ho cercato di descrivere tutto al meglio, sia sentimenti che ambienti, spero di esserci riuscita.
Comunque grazie mille a tutti i recensori del precedente chap, scusate se non ho risposto ai vostri meravigliosi commenti, ma ho preferito dedicarmi al capitolo per non far troppo tardi. Chiedo venia >.<
Comunque mi rifarò in questo, non preoccupatevi! :3

Grazie anche a chi ha inserito la storia tra le preferite! <333
Niente, 
spero vi sia piaciuto!

Scusatemi ancora! Vado a ninnare!
Ci vediamo alla prossima! 


Tonia

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Capitolo 17
*** Fuoco e fiamme ***


Your Lies

16.
Fuoco e fiamme
•••

 
 
Conan risalì le scale della lavanderia ricercando l’interruttore della luce. Illuminando la stanza avrebbe avuto molta più facilità di quantificare le possibilità e di ragionare come si deve. Ma premendolo, s’accorse che le lampadine non davano segni di vita.
Le luci non sono fulminate, pensò, anche perché non è scoccata nemmeno una piccola scintilla nel vetro.
Probabilmente, erano state disattivate appositamente.
Riscese lungo le scale, puntando la torcia ad orologio lungo il suo sentiero. Camminò lungo il pavimento al livello più basso, illuminando il soffitto. La porta ovviamente era chiusa a chiave, l’aveva testato poco prima. Che vie d’uscite c’erano?
Il fascio di luce si stanziò su una griglia color grigiastro, probabilmente il condotto dell’aria condizionata. Ma era troppo in alto per poterlo raggiungere, e in giro non pareva esserci una scala.
Sbuffando, proseguì ancora. Tre lavatrici enormi posizionate al centro della stanza; s’avvicinò e le aprì, non c’erano vestiti all’interno. Si girò intorno, fece qualche passo, e si trovò di fronte degli stenditoi, lungo i quali erano ancorati un pantalone, una camicia ed una giacca.
Shinichi aggrottò le sopracciglia, stranito. Che ci facevano quei vestiti lì? Quel luogo sembrava chiuso da un bel po’. C’era polvere ovunque, anche se a strati decisamente sottili. Ciò stava a significare che, nonostante fosse ripulito di tanto in tanto, non era aperto al pubblico. E allora, di chi erano? Li toccò, li annusò, e si stupì nel constatare che profumassero. Sembravano esser stati lavati pochi minuti prima, al massimo qualche ora.
Tornando indietro, il piccolo s’accorse che da fuori non provenivano voci. Quando era stato nella lavanderia qualche tempo prima aveva osservato per bene la porta e il suo spessore; ed ora, a meno che fuori non passasse nessuno, era da tutt’altra parte.
Proprio in quel momento si ricordò di dover controllare l’orario: constatando che era arrivato al ristorante alle nove passate, contando il tempo speso a parlare col cameriere e i minuti persi a gironzolare, prima d’essere narcotizzato, doveva esser passato massimo mezz’ora. Scrutò il quadrante: erano le dieci e tredici minuti. Era rimasto addormentato per circa tre quarti d’ora.
Il cloroformio non era potente allora...
Pensò, rimuginando sull’accaduto.
Volevano soltanto addormentarmi? E perché?
Lanciando lo sguardo su un mobiletto lì vicino, notò un foglietto bianco attaccato ad esso con dello scotch trasparente. S’avvicinò per poter leggere meglio cosa stesse scritto; era alla sua altezza, quindi non si sforzò tanto. Ma a quelle parole, un brivido gli attraverso la schiena, e non di freddo.
 
Vediamo un po’ di cosa sei capace, Shinichi Kudo...
 
 
 
“Mi dici dove stiamo andando?”
Saigo fece una smorfia. “E dove sarebbe lo sfizio poi?”
Ran s’ammutolì, ma sentì la tensione aumentare. Cosa aveva combinato?
Ma soprattutto... lei come si sarebbe comportata?
Come si sarebbe dovuta comportare?
Che avesse ancora in mente quel detective era chiaro come il Sole, ma fino a quando sarebbe riuscita ad aspettarlo?
Lui non c’era, non l’aveva chiamata, e se ci ripensava, le veniva ancora da piangere... lui non aveva fatto nulla.
Saigo, invece, era sempre stato carino con lei. Si comportava con dolcezza, qualche volta la faceva ridere, non le aveva fatto particolari domande riguardo lei e Shinichi... ma forse anche perché non s’era accorto assolutamente di nulla. Il giovane le fece attraversare tutta la sala, poi scendere le scale. Ran si ritrovò di fronte alla lavanderia. Ma il karateka non si fermò, e facendo un cenno della mano ad un cameriere, riuscì ad entrare nella cucina, e ad attraversarla.
“Dove andate?” Li bloccò una donna bionda, parandosi avanti.
“Abbiamo il permesso di andare sul terrazzo, ho parlato con un vostro collega.” Spiegò Saigo alla ragazza, cercando d’essere convincente.
“Non mi interessa. Di qua non si passa, è chiuso al personale non autorizzato.”
Il giovane si guardò intorno, stupito. La donna guardò sia lei che lui, con occhi agghiaccianti. Sembrava provenire da uno di quei collegi in cui ti crescono a dovere, con certe regole stabilite, e senza sbavature.
“Ma l’accordo...”
“Senti ragazzino, non puoi pretendere d’andare ad appartarti con la tua ragazza altrove. Questo è un ristorante, quindi fila via.”
Ran arrossì al soprannome.
“Ma...” provò ancora lui, invano. La donna fece capir loro che non li avrebbe fatti passare. Il karateka sbuffò, incredulo.
“Per favore.”
“Se ho detto di no è no. Tornate di sopra.”
“Parli con uno dei camerieri, si chiama Shu. Mi ha assicurato mi avrebbe fatto passare.”
“Te lo ripeto,” disse con convinzione l’altra. “Non passi. E adesso, vai di sopra.”
Saigo sbuffò, non poteva crederci. Ran osservò il tutto a fianco a lui, sentendosi impotente. Non sapeva cosa fare. Quando il karateka capì di non avere chance, decise di far dietro fronte. L’amica lo seguì, con un leggero rossore a colorarle il viso.
“Non fa nulla Saigo.”
“Non preoccuparti, andiamo lo stesso. Conosco un’altra strada.”
“Come fai a conoscere un’altra strada se è la prima volta che ci vieni?” chiese lei, stranita.
Lui sobbalzò. “Ehm, prima ho fatto un giro, quando sono andato in bagno.” Disse poi, convincente. “Allora, mi segui?”
“Davvero, non mettiamoci nei guai.” Lo pregò quasi lei, poggiandogli una mano sulla spalla.
Per un attimo i loro occhi si scrutarono. Il tocco debole ed elegante di quelle dita lo inebriò. Sentì gli occhi illuminarsi, e capì di rabbrividire ogniqualvolta lei stesse accanto a lui.
“Seguimi. Fidati, principessa...”
 
 
 
Sanno di me...
Per il suo abituale temperamento, era raro che Shinichi sbiancasse. Eppure in quel momento provò un misto tra paura e tensione, non strettamente collegato a se stesso, ma piuttosto alle persone a cui voleva bene. Se sapevano chi era, sapevano anche chi frequentava. E lì c’era il dottor Agasa, c’era Sonoko, c’era Makoto, c’era Kogoro e la moglie... ma soprattutto, c’era Ran.
Strinse i pugni, e sapendo che la maggior parte di loro non sapesse di essere in pericolo, maledisse se stesso e il suo comportamento; Haibara aveva ragione, alla fine...
Ma non era il momento di rimuginare sugli errori. Era il momento d’agire. Doveva tornare al galà il prima possibile, capire cosa volessero da lui, e cercare di proteggere tutti gli altri. Ma come fare?
Non c’erano vie d’uscite, tranne quel condotto d’aria condizionata...
Lo guardò ancora: era troppo in alto affinché potesse arrivarci.
Sotto c’era uno scaffale, alcuni scatoloni poggiati sopra.
Il condotto d’aria, gli scaffali...
Qualcosa gli illuminò la mente, ma bastò poco a farlo ricadere nel buio. Si guardò dietro di nuovo.
La giacca, la camicia e il pantalone profumati, il condotto, e gli scatoli con i scaffali...
Un sorriso amaro gli attraversò il viso: era caduto dritto nella loro trappola.
 
 
Principessa...
Ran ripensò a quel nomignolo, arrossendo vistosamente. L’aveva chiamata proprio così, e lei non era riuscita a far altro che scoppiare in viso dall’imbarazzo.
Nemmeno Shinichi mi ha mai chiamata così...
Rifletté, sguardo e capo bassi al pavimento. I piedi le si muovevano da soli, il braccio trainato da Saigo.
Shinichi...Il solo suono di quel nome le faceva mancare il respiro, ma cosa c’era di sbagliato in tutto questo? Un ragazzo dolce e comprensivo la trattava come una vera dama di corte, mentre invece Lui, era lontano, era scomparso, era freddo.
“Lo sapevi che questo ristorante ha pianta speculare?”
Ran si destò improvvisamente dai suoi pensieri. Aggrottò le sopracciglia. “Vuoi dire che è diviso in due parti uguali?”
Lui annuì. “Sì, e comunicanti. Se non entriamo da qui, entreremo dall’altra parte.” Le fece l’occhiolino poi, indietreggiando sino a lei. Avevano già percorso buona parte della sala, e come ladri la lasciarono, ritrovandosi a camminare gli stessi metri all’inverso.
“Ma cosa c’è di così importante?”
“Vorrei farti vedere una cosa.”
Ran  lo osservò camminare vicino a lei, aveva il volto basso, ma dalle guance si scorgeva un lieve rossore. Intanto scesero le scale, mentre la folla accanto a loro andava scemando sempre più. Quella parte del ristorante era meno scoperta al pubblico. Qualcuno comunque c’era lo stesso: sebbene le aree funzionali fossero abbandonate, uomini e donne di svariate età si intrattenevano a parlare, alcuni di loro camminavano verso i balconcini per poter fumare una sigaretta in santa pace.
“Siamo quasi arrivati.” La avvisò dopo un po’ Saigo, prendendole la mano.
La karateka abbassò il viso.
Cosa devo dirgli? La verità... è giusto che sappia...
“Saigo, senti...” cominciò lei, ritraendo le dita dalle sue. Il giovane si fermò improvvisamente, fissandola.
“Siamo arrivati.” Le disse, come per convincerla.
“Saigo, ho bisogno di dirti una cosa.” Lo informò lei.
Yami continuò a guardarla, senza fiatare.
“Sei un ragazzo davvero dolce e comprensivo, è difficile trovarne come te in giro.”
“Grazie.” Le sorrise, senza muoversi. Dopo qualche istante, deglutendo a fatica, replicò: “Ma...?”
“Mhm?”
“C’è un ‘ma’, giusto?”
La ragazza prese fiato prima di rispondergli. Avrebbe dovuto trovare la giusta intonazione e le giuste parole se non avesse voluto ferirlo. Non avrebbe voluto che lui sopportasse nemmeno un minimo di quello che stava provando lei sulla sua pelle.
Innamorarsi di una persona, senza essere ricambiati...
Ormai l’aveva capito, era inutile girarci intorno: Shinichi non l’amava, e forse aveva creduto di farlo in tutti quegli anni. Probabilmente, trasformando il loro rapporto in qualcosa di più serio, aveva capito che non era come se l’aspettava. Forse a lui non era piaciuto come lo baciava, o come l’abbracciava. Forse erano sciocchezze quelle; ma anche se stupido, qualche motivo li aveva allontanati...
“Saigo, io...”
Ma non completò la frase, quando uno scoppio sordo, e successivo fumo, li investì in pieno. Furono sbalzati per qualche metro più lontano, insieme a due donne che erano a pochi metri da loro. Caddero a terra, strisciando per un po’, e rimasero lì per qualche istante, senza riuscire  a muoversi. Dopodiché, Saigo fu il primo ad alzarsi. La gente dietro di lui correva irrequieta, mentre le fiamme cominciavano a percorrere le tende, per poi crescere sul parquet in legno. Il karateka osservò il balcone dove avrebbe voluto condurre l’amica: era saltato in aria.
Anche Ran era riuscita a muoversi, aiutandosi con i gomiti e le ginocchia.
“Stai bene?!” strisciò verso di lei Saigo, raggiungendola.
“Sì, sì.” Disse, la voce affannosa. “Tu?”
Lui annuì, una leggera linea di sangue gli attraversò l’occhio.
“Cosa... cosa è successo?”
“È scoppiato qualcosa.” Rispose lui. Poi, aiutandola ad alzarsi, aggiunse: “il balconcino.”
Ran strabuzzò gli occhi. “Il fuoco... le fiamme... dobbiamo andarcene, e avvisare gli altri!”
“Sì, risaliamo... presto.”
Rimettendosi entrambi all’in piedi, fuggirono via verso le scale, ma qualcosa li bloccò nuovamente. Affiancati da altri, in preda al panico, provarono a risalire, ma furono inghiottiti nella folla. Tentarono di scavalcarla, ma fu più difficoltoso del previsto.
“Il ristorante è in fiamme!”
Udirono delle voci spaventate arrivare dall’alto, mentre si facevano spazio con le spalle tra la gente.
“Tutto?”
“Anche l’altro lato!”
“Signori, vi prego di mantenere la calma! Mantenete la calma!!”
Ma gli invitati tutto fecero, tranne che rimanere composti e quieti. Chi correva da una parte, chi lo faceva dall’altra. Ran riuscì a risalire le scale, e tentò di arrivare nella sala principale, in modo anche da trovare i suoi genitori e Sonoko. Anche lì vide mucchi di persone irrequiete e terrorizzate, ma di Kogoro e Eri nemmeno l’ombra. Anche lì le fiamme bruciavano le pareti: c’era stato un altro scoppio.
“Su, Ran, andiamo!” La richiamò Saigo, prendendole il braccio. “Seguimi!”
“Devo trovare i miei genitori!! E Sonoko anche!”
“Magari sono già usciti!” le disse lui, provando a trascinarla altrove.
“No, Saigo, io...”
Aveva qualche strano presentimento. Come se riuscisse a sentire che c’era qualcuno di importante per lei lì, ed era in pericolo. Ma chi? Davvero suo padre, sua madre, o Sonoko? Scrollò il braccio, in modo tale da liberarsi, e continuò a guardarsi intorno, terrorizzata. La gente continuava a correre ovunque, mentre il fumo cominciò ad investirli in pieno, dimezzando l’ossigeno.
Dove sei?Chi sei?
“Ran...” il giovane la richiamò, ma la karateka aveva già fatto qualche passo in avanti, ricercando chiunque riuscisse a spegnerle quella brutta sensazione.
Con gli occhi cercò i volti dei suoi genitori, con l’udito provò a sentire la voce di Sonoko. Ma non servì a nulla. Quella sensazione, non si spense.
All’improvviso, un nuovo scoppio, fece sbriciolare il muro che separava la sala principale dal corridoio. I detriti caddero a terra verso la giovane, che riuscì a scansarsi, sebbene all’ultimo momento. Quando il fumo causato dal tonfo sparì, Ran capì d’esser intrappolata: aveva la strada sbarrata dai massi, mentre Saigo l’osservava impotente, dall’altra parte.
“Ran!!” la chiamò l’amico, gridando. “Tutto bene?!”
“Sì, tutto apposto!”accertò lei, impaurita. Cominciò a guardarsi intorno: scavalcare quell’ammasso di rocce era impossibile. Anche se fosse riuscita ad arrampicarsi, il passaggio era bloccato da tubi d’acqua che sporgevano oltre il muro, limitando lo spazio.
Che faccio?!
Ansimò, ed incominciò ad indietreggiare. Alla sua destra, le fiamme s’avvicinavano, mentre il fumo aveva invaso completamente il suo abitacolo. Sentì le lacrime gonfiarle gli occhi, ma non era il momento di piangere: avrebbe dovuto combattere. Eppure, eppure... 
“Ran?!” La richiamò ancora Saigo, urlando a squarciagola. Non riusciva nemmeno a scorgerla più: i massi la coprivano.
“Cerca di oltrepassare il muro!”
“Non posso! Non ci riesco!”
Si mordicchiò un labbro, e deglutì a stento la saliva, che sapeva di paura.
Ho paura... non passo... non riesco a passare...
Quel muro era troppo grande, eppure... eppure...
“Provaci!! Arrampicati!!”
Shinichi...
Eppure se ci fosse stato Shinichi... se lui fosse stato lì, con lei, avrebbe senza ombra di dubbio trovato una soluzione.
Shinichi? Dove sei Shinichi!? Ho bisogno di te...
Singhiozzò, afflitta. Una lacrima le solcò il viso, e le gambe cominciarono a tremarle.
Era davvero finita lì? Intrappolata tra una roccia ed un muro, inghiottita dalle fiamme?
Indietreggiando con le gambe, si rese conto che dietro di lei vi era una porta. Era leggermente sbarrata dai massi caduti, ma una volta spostati, sarebbe anche riuscita ad  aprirla. Così, con le mani tremanti, concentrò la forza nelle sue braccia: l’aprì, e notò che la strada era libera, anche dal fumo.
Una luce di speranza la illuminò: forse quella era la via d’uscita.
“C’è una porta qui, Saigo!! Esco per di qui!!”
“Dov’è la porta?!”
“Dietro di me! È quella che va verso i bagni!”
“Okay, okay!” Continuò ad urlare Saigo, mentre le fiamme lo avvicinarono sempre di più. “Io sono con Sonoko, l’ho trovata! Esci per di lì, vedi... dovrebbe portarti all’uscita d’emergenza del primo piano!”
L’ereditiera dietro di lui si portò le mani alla bocca, a mo’ di megafono. “Stai attenta Ran!! E fai presto!”
Ran sospirò, osservando l’infisso: aveva una sola possibilità, e la dea bendata della fortuna doveva regalargliela per forza. Con un ultimo slancio, sorpassò i massi, ed imboccò il corridoio; sperando che, in un modo o nell’altro, l’avrebbe portata alla salvezza.
 
 
“State tutti bene?”
Sul luogo, oltre ai vigili del fuoco, giunse anche la polizia. Buona parte degli invitati erano usciti, ma qualcuno era ancora all’interno. Qualcuno piangeva sui scalini, e pregava le forze dell’ordine di riportar loro i familiari. Secondo alcune donne, era scomparsa anche una bambina.
“È mora, carnagione scura! Ha dei codini, e un vestitino azzurro! Per favore, trovatela!”
Sato e Takagi osservarono la scena allibiti. Erano arrivati al ristorante in una decina di minuti, e s’erano ritrovati davanti un ammasso di fiamme e di calore. Preoccupati, non potevano far altro che sostenere le persone già messe in salvo. Li avvicinarono, e provarono anche ad aiutare i vigili del fuoco, per quanto riuscivano a fare.
Così s’informarono sulle persone scomparse, e riferirono tutto ai volontari.
Girando tra la gente, scorsero a qualche metro di distanza Kogoro ed Eri. Sorpresi, li avvicinarono, correndo.
“Signor Mouri! Signor Mouri!”
L’investigatore si voltò, il viso pallido. “Sato, Takagi!”
“State bene?!” chiesero loro, d’istinto.
“Sì, noi sì. Avete mica visto Ran!?”
Eri s’accostò ai due, in cerca d’informazioni. Ran era scomparsa, e con lei Saigo, Sonoko e Makoto.
I due poliziotti negarono. “Ran era con voi?”
“Sì, era con quel ragazz...” ma le parole dell’uomo si bloccarono, nel vedere arrivare proprio Saigo, accanto a Sonoko e Makoto. I tre giovani, purtroppo, erano senza Ran.
Terrorizzato, gli piombò addosso.
“Dov’è mia figlia?!” Lo scrollò, destando l’attenzione dei due poliziotti e della moglie. Il viso rosso di rabbia, le mani forti di collera. I vigili del fuoco gli avevano proibito di avvicinarsi di nuovo al ristorante, ma veder tornare l’amico della figlia senza di lei, era stato un colpo troppo forte da subire.
“Dov’è?!”
“Kogoro, calmati!” Lo pregò Eri, cercando di staccarlo dal karateka.
“Ran è rimasta intrappolata in un ammasso di rocce. Ha preso un’altra strada...” spiegò, gli occhi aperti a più non posso. Anche lui, come gli altri, era preoccupatissimo.
“Cosa?! E tu dov’eri!?”
Lo scrollò ancora un po’, finche Takagi non riuscì a trascinarlo lontano dal giovane.
“Ero con lei, ma le pietre c’hanno diviso. Dovrebbe riuscire ad uscire, comunque.”
Sonoko annuì, le mani tremanti di paura. “Ha preso il percorso che va verso i bagni del primo piano, per di lì dovrebbe esserci una porta d’emergenza!”
“Ran...” la chiamò la madre, portando le mani alla bocca. “RAN!!!”
Kogoro indietreggiò: portandosi le mani ai capelli, e scompigliandoli, prese a correre verso il ristorante, senza ragione.
“Signor Mouri, si calmi!” riuscì a fermarlo Takagi, agguantadolo per la giacca. Poi, circondandolo con le braccia, lo bloccò.
“Mia figlia, è ancora lì dentro...” obiettò il detective. “Devo salvarla!!”
Provò a dimenarsi, cercando di tornare all’interno del ristorante. Ma il poliziotto glielo impedì.
“Non posso lasciarla andare!”
“Devo andare da mia figlia, è in pericolo! Ran!!!”
Alla fine, dovettero intervenire anche Makoto e Sato per calmarlo.
L’investigatore si rilassò, ma il cuore gli palpitava di terrore. Eri s’avvicinò a lui, e stringendosi forte, pregò insieme al marito.
La loro bambina era in mezzo alle fiamme.
 
 
Ran attraversò un ulteriore corridoio, correndo ed affannandosi. Grazie al karate aveva le gambe allenate, ed aumentare il passo non le creava chissà quale disagio; ma il problema risiedeva nell’angoscia: unendosi all’ansia, le dimezzavano il fiato a disposizione. Non sapeva dove stesse andando, e né se stesse facendo bene. Dopo aver lasciato la porta, aveva percorso circa duecento metri.
Non aveva incontrato né fuoco né fumo, e ciò era anche abbastanza positivo. Valeva a dire che la strada che stava percorrendo, per il momento, non andava nella direzione sbagliata. Ma, probabilmente, verso l’uscita.
Ci sperò vivamente, anche perché non aveva nessuna voglia di morire lì sotto, tra le macerie di un ristorante di lusso andato in fiamme. Per cosa, per chi poi? Perché quello scoppio improvviso, e poi ancora quell’altro? Sembrava opere di bombe, ma per quale motivo qualcuno voleva uccidere ad una festa di beneficenza?
Ripensò così all’invito... quel nome: Chandon. Era un nome di un alcolico, proprio come Vermouth, che spedì loro un altro invito qualche mese prima.
C’era, per caso, qualche legame?
Dopo qualche metro, si ritrovò di fronte ad un incrocio, ed arrestò i suoi passi.
Dove sarebbe dovuta andare? A destra o a sinistra?
Guardò entrambe le parti, ma parevano uguali. Tutte e due si incanalavano in altri corridoi, alla fine dei quali c’erano altre porte.
Sospirando, decise per la destra. Era solo fortuna, alla fine.
Riprese a camminare, ma dopo aver fatto qualche passo, sentì una porta sbattere davanti a lei.
C’è ancora qualcuno...
Quel pensiero la fece sorridere. Non era da sola lì sotto.
Si girò di scatto, e improvvisamente capì che non era qualcuno.
Almeno non un qualcuno qualsiasi.
Era alto, bruno, e aveva degli occhi terribilmente azzurri.
Già. Non era qualcuno, era lui. Shinichi.
 

 
 
 
Ciao gente!!!!
Rieccoci, ce l’ho fatta ad aggiornare, ed anche presto. Allora, allora. In questo nuovo capitolo sono successe un paio di cose, c’è molta azione, vero? Scoppiano bombe, Ran è in pericolo... e, cosa più importante, ha rincontrato Shinichi!!!!!
È tornato, è tornato, è tornato! È tornato nella sua fighissima e bellissima forma adulta, pronto a far balzare gli ormoni di una certa signorina a mille! (ed anche i miei xD)

Grazie ai recensori dello scorso chap: hoshi, nana, manganime, mangaka, assu, luna, shineranamore, marta, arya, bessie, delia e ciccia!
a tutti quelli che hanno inserito la storia tra le preferite, ed anche a quelli che l'hanno inserita tra le seguite!
Grazie anche a chi legge soltanto!!!

Un bacione grande, 
Tonia

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Capitolo 18
*** Dove il fiume scorre ***


Your Lies

17.
Dove il fiume scorre
•••

 
 
 
Rivederlo era stato come gettarsi in un fiume freddo e gelido, quando la temperatura esterna rasenta i quaranta gradi; perché era una bellissima sensazione, ma così potente ed improvvisa da non riuscire ad accettarla.
L’acqua pura e candida era lui; la materia lei, che viveva di lui. Che viveva della sua freschezza, della sua essenza, della sua bellezza e naturalezza.
E proprio come nel tuffarsi sott’acqua, non riuscì più a respirare. Il fiato si spezzava quando le arrivava alla gola, e da lì riscendeva ai polmoni. Era un circolo viziato di ossigeno e sangue: entrambi arrivavano al cuore, ma senza pomparlo del tutto.
Ran ebbe addirittura l’impressione si fosse fermato, che tutto il mondo si fosse fermato.
Non solo lei, anche Shinichi era immobilizzato.
E mentre le fiamme dilaniavano nell’hotel di sopra, un’ondata di freddo attraversò quel corridoio illuminato da lampade al neon.
«Shinichi...»
Il giovane deglutì, riprendendo pieno possesso delle sue facoltà. In quel momento tornò a rendersi conto di quanto la situazione fosse complicata ed ingestibile, e quanto ancora avrebbe dovuto risolvere. Ed ora, Ran, era davanti a lui. Che ci faceva ancora lì? Perché non era fuori con tutti gli altri?
«Ran...»
Lei sbatté le palpebre più volte. Pensò che fosse un sogno, o magari un incubo - a seconda dei punti di vista -, ma nulla pareva più vero di quel volto di fronte a lei. Quante volte, in quelle settimane, aveva sperato di rivederlo? Anche per un’ora, un minuto. Parlargli, chiarire, sapere.
Non aveva potuto: sembrava scomparso. Come al solito. E lei s’era cullata nella convinzione che, alla fine, doveva andare così.
Occhio non vede, cuore non piange – così diceva il proverbio, no?
Peccato che, sebbene non lo vedesse, il suo cuore continuava a far male, e la sua presenza, in un modo o nell’altro, l’avvertiva sempre.
«Che ci fai qui?»
Fu la prima domanda che le balzò in mente. Forse era scontata, ma era quella più diretta. Insomma, è naturale chiederselo: dopo settimane che giochi a nascondino, che ci fai intrappolato in un ristorante in fiamme?
Lui sospirò. Play  alle bugie. «Ero... ero alla festa.»
Strinse i pugni, era davvero sfigato a volte. Tra tante persone, proprio Ran doveva incontrare?
«Alla festa?» Ripeté, incredula. Per un attimo le ritornò in mente Hana.
«Tu sei senza accompagnatore?»
Lei sorrise. «Dovrebbe arrivare a momenti.»
Ran sussultò, spalancando gli occhi.
«È Shinichi?»
Chiese, prendendola alla sprovvista.
«Eh?»
Sonoko osservò Ran, lanciandole occhiate truci. Che diavolo le saltava in mente, adesso?
«È lui?» continuò la karateka, con un tono così deciso che prese anche l’attenzione di Saigo. Perché gli interessava tanto di quel detective? Erano solo amici... o no?
«Perché me lo chiedi?»

«Curiosità.» Disse semplicemente lei, mascherando l’ardente desiderio di sapere.
«Ma come? Sei la sua migliore amica e non lo sai?»

Già. Quella frase le era suonata strana. Ingannevole quasi. Che lo stesse nascondendo? Che fosse venuto davvero con lei? In fondo, questo tanto sospirato accompagnatore di Hana, non s’era fatto vivo. O no?
«Sì.» Rispose Shinichi, la voce sottile.
Ran lo osservò ancora. Non riusciva a staccare gli occhi da lui per due motivi: primo, aveva paura che, distogliendo lo sguardo, svanisse, proprio come un fantasma; secondo, era bellissimo, più bello di quanto ricordasse.
«Oh.» Rispose solamente lei, senza sapere cosa aggiungere. Non voleva tartassarlo di domande, ma aveva il bisogno di sapere.
«Come mai sei qui sotto?»
Menomale che era stato lui a riprender parola.
«Sono rimasta incastrata di sopra» spiegò, il tono impercettibile e tremante. «Ho preso questa strada per uscire. Dovrebbero esserci delle uscite d’emergenze per di qua.»
Shinichi non aspettò che aggiungesse altro.
«Eri sola?»
Lei negò. «No, ero con Saigo.»
L’amico fece una smorfia. «E lui adesso dov’è?»
Perché ti ha lasciata sola?
«Credo sia fuori.» Ammise dopo un po’ lei. Adesso doveva subirsi anche l’interrogatorio.
«E non ti ha accompagnato?»
«Che importanza ha adesso questo?» Ran emise un sospiro. Rifletté un momento: perché non era sorpreso che Saigo stesse con lei alla festa?
Davvero non gli importava più nulla, allora?
«Curiosità.»
«Non ha potuto.»
Se avesse voluto davvero...concluse in mente sua la frase Shinichi, inaridito. Quel ragazzino se l’era svignata lasciando Ran da sola in mezzo alle fiamme? Che razza di uomo era?
Dopo qualche attimo, fu lei a riprendere parola.
«E tu, invece? Che ci facevi qui?»
Il cervello di Shinichi creò automaticamente una scusa. Probabilmente, pensò, una parte di esso s’era specializzato in quello.
«Sono andato in bagno, e mi sono ritrovato intrappolato anche io.»
«Intendevo alla festa.» Il tono di Ran incominciò ad essere più pungente.
Lui la fissò intensamente. «Mi pare ovvio. Sono stato invitato, forse?»
Lei sbuffò. «Già.»
Osservandolo, sentì le lacrime accumularsi.
Perché mi tratti così freddamente?
«Gli altri sono tutti usciti?»
Shinichi continuava a farle domande. E lei incominciava ad odiarle, perché lei, e solo lei, non avrebbe ottenuto risposte. Lui invece sì.
«Non so.» Ammise. «Spero di sì.»
«Okay, mi sa che ci conviene andare.» Riprese a camminare, sorpassandola di qualche centimetro. Ran non si mosse, osservandolo. Adesso che ci faceva caso, aveva uno zainetto dietro le spalle, chissà cos’era. Shinichi si bloccò, nel vederla esitare.
«Ran?»
Ma lei non si voltò. Trascorsero una decina di secondi. Il silenzio era martoriante.
«Perché sei scomparso?» Gli chiese poi, dopo qualche istante. Lui deglutì, il volto nascosto dalle spalle. Non riusciva a vederla, ma poté giurare di avvertire la sua tristezza.
E non rispose.
«Perché non mi hai nemmeno avvertita?» Ma lei rincarò la dose.
«Che dici se cerchiamo di salvarci prima la pelle?» e lui deviò il discorso.
Ran lasciò andare le braccia lungo i fianchi. Sorpassandolo, emise uno sbuffo stizzito.
«Lascia stare.»
 
 
«Si hanno novità?»
Abbracciato alla moglie, che si sosteneva al suo petto, Kogoro era ormai sbiancato. Le pupille dilatate, le gambe tremolanti. Erano passati dieci minuti, e di sua figlia nessuna notizia. Erano stati i dieci minuti più lunghi della sua vita.
Aveva visto il salvataggio di una donna anziana, e i vigili del fuoco avevano ritrovato anche una ragazza.
«No, mi spiace signore. Al momento le unità due e tre hanno sfondato le porti d’emergenza del piano terra. Lì le fiamme non sembrano essere ancora arrivate.»
Saigo ascoltò il tutto, aveva il viso leggermente preoccupato.
«Io ho lasciato Ran al secondo piano.» Avvisò i presenti, poi. Sonoko era tra le braccia di Makoto; Takagi, invece, circondava la schiena della compagna con il braccio destro. Kogoro lo fulminò con lo sguardo, stizzito.
«Giuro che se non rivedo mia figlia ti faccio a pezzettini!»
«Calmati, Kogoro. Saigo non c’entra nulla, non dare la colpa a lui...» lo riprese la moglie, osservandolo. Il detective dormiente tornò a guardarla, gli occhi immersi in quelli splendidi di Eri.
«Se succedesse qualcosa a Ran... io... io...»
«Non preoccuparti, davvero... Non preoccuparti.»
«Sì, hai ragione, la rivedremo...»
I due coniugi si unirono in un altro abbraccio, ancora più dolce del precedente. Cercavano di farsi forza insieme, perché in momenti come quelli non desideravano altro che sciogliersi l’uno nell’altro.
Sonoko era in lacrime dietro di loro, Makoto le accarezzava la schiena.
«Perché proprio Ran? Perché non era vicino a te, Saigo?»
«Le ho detto di andare via, ma continuava a dire che doveva cercarvi. Si è allontanata di qualche metro, ed è scoppiata la bomba.» Spiegò il karateka, il volto affranto.
«S-si è fatta male?» chiese ancora l’ereditiera, la voce singhiozzante.
Lui scosse il capo. «No, stava bene.»
«Ma avete novità riguardo le bombe?» chiese Sato, cercando di riprendere un atteggiamento professionale.
«La prima bomba è scoppiata al piano terra, pianta ovest, vicino alla cucina e alla lavanderia.» Una voce da dietro anticipò le risposte di tutti. A Saigo sembrò di conoscerla.
«Era un ordigno al plastico.»
Già, era la donna che aveva impedito loro di andare sul balconcino. Quella bionda.
«Lei come fa ad avere tutte queste informazioni?» chiese Takagi, staccandosi dalla collega.
«Ero lì.» Rispose semplicemente quella, affiancando il karateka. «Vero, ragazzo?»
Lui annuì. «Sì, era lì.»
«Vi conoscete?»
La conversazione prese tutti, tranne Kogoro ed Eri. Erano troppo impegnati ad osservare il ristorante in fiamme.
«Ho incontrato questo ragazzo poco prima dell’esplosione, e gli ho impedito di andare sul balconcino insieme all’amica.» Rispose quella. «Ti ho salvato la vita, ragazzino.»
Gli ammiccò, facendogli l’occhiolino.
Saigo continuò ad osservarla, gli occhi fissi su di lei.
«La tua amica dov’è?» tornò a chiedergli, dopo qualche minuto di silenzio.
«È rimasta intrappolata nell’albergo.»
Quella strabuzzò gli occhi. «Cosa?»
«Un’esplosione.» Chiarì Saigo, la voce profonda. «Ha preso un’altra strada, speriamo riesca a trovare l’uscita.»
«Perché non eri con lei?» domandò la bionda.
«I massi c’hanno diviso. Non ho potuto aiutarla.»
«Dov’è andata, di preciso?» continuò a chiedere lei, interessata.
«Ha imboccato il corridoio che portava ai bagni del primo piano.»
La cameriera osservò con profondità le fiamme. Il riflesso arancione si stagliò sui suoi capelli biondi e su tutto il suo corpo.
«Dannazione...»
Gli altri non la udirono, ma a Saigo non sfuggì quell’imprecazione.
 
 
«Sai almeno dove stai andando?»
Shinichi era rimasto in silenzio sino a quel momento. Il passo svelto, e le mani rigorosamente nelle tasche, dava le spalle all’amica, che lo aveva seguito senza proferir parola.
«Fidati di me.» Rispose semplicemente lui, osservando con attenzione le camere che superavano. Pochi metri e avrebbero raggiunto i bagni.
Ran simulò un sorriso ironico. «Fidarmi di te?»
«Non credo tu abbia alternative.»
Lei rilasciò un altro sbuffo, questa volta più rumoroso.
«Almeno posso sapere che fine hai fatto in queste settimane?»
«Non avevamo detto “dopo”?»
La giovane si impose l’autocontrollo. Dall’emozione di rivederlo, era scaturita la rabbia nel sentirlo così menefreghista. Come se per lui non fosse successo nulla: era tutto normale.
«Potremmo morire, e io non lo potrei mai sapere.»
«E quindi, a quel punto, che senso avrebbe dirtelo?»
Ran strinse i pugni con forza. Era al limite della sopportazione. Tra poco avrebbe pianto, se lo sentiva. No, no, no - si ripeteva in mente - non farlo.
«Per favore.» Lo implorò quasi, mettendo il broncio.
Shinichi si fermò all’improvviso, e l’amica quasi andò a sbattere contro di lui. Riuscì ad evitarlo per pochi millimetri.
«E adesso che succede?» gli chiese, guardandolo. Ma gli occhi del detective erano presi da tutt’altro: il viso era fisso davanti a lui, la fronte leggermente sudata.
«Stiamo sbagliando direzione.»
«Che?»
«Forza, torniamo indietro. Dobbiamo prendere un’altra strada, e alla svelta.»
Ran lo osservò imperterrita. «Potrei almeno sapere per quale motivo?»
Shinichi l’affiancò, e puntò l’indice contro la porta alla fine del corridoio.
«La vedi quella porta in legno? Comincia ad annerirsi per via del fumo generato dalle fiamme. Essendo una materia aeriforme, esso arriva prima delle stesse fiamme... ma ciò vuol dire che, ad un centinaio di metri da qui, l’incendio sta divampando. Stiamo andando nella direzione sbagliata.»
«Oh.» Acconsentì Ran, soddisfatta della spiegazione ricevuta.
«E questo era perché dovevo fidarmi di te...» lo sfotté, il tono intriso di ironia.
Shinichi sorrise. «Già.»
«Mi stavi portando dritta nel fuoco.» Continuò a camminare vicino a lui, senza staccarsi. Le doleva ammetterlo, ma non aveva paura nel stare lì, se lui c’era.
«Veramente stavo portando anche me.» la corresse lui. «E poi le possibilità erano alte di incontrarlo. Lo scoppio della prima bomba è avvenuto vicino ai bagni del primo piano, l’altro al secondo piano, nella sala principale. Ciò vuol dire che, quei piani, volente o nolente, sono prossimi all’ustione. Ci resta il piano terra, non ancora visitato. Lì cercheremo la nostra via d’uscita.»
«Se, se... ciò non toglie che hai fatto cilecca.» Non poté fare a meno di sorridergli. Sperò solo che non se la prendesse per quella sua improvvisa ironia. Alla fine, non sapeva nemmeno più come definirlo. Non era più un suo amico, né tantomeno il migliore, ma non era neanche più il suo ragazzo.
Shinichi ridacchiò. «È vero, potrei sempre commettere un omicidio. Chi verrebbe poi a scoprire la verità?»
«Mio padre.» Sostenne il gioco lei, senza sapere d’aver fatto scoppiare a ridere lui.
«Dì la verità... mi stai ingannando, e mi stai portando nella direzione sbagliata, vero?»
Lui annuì, il viso contratto in un sorriso. «Segui il tuo assassino?»
Lei rise, scompigliandosi i capelli. «Quanto sei idiota...»
 
 
«Sato, Takagi!»
La voce grossa dell’ispettore Megure spezzò le preghiere dei Mouri. Lo video arrivare con la sua solita divisa, color arancio, con in testa quel cappello da cui non si separava mai. Arrivò correndo, sebbene la sua stazza non gli permettesse una velocità discreta.
«Megure...»
Lo chiamò Kogoro, la voce fievole e bassa. Le forze lo stavano abbandonando, ed Eri era diventata ormai il suo bastone: la paura lo stava divorando da dentro.
«Mouri» lo salutò con rispetto. «State tutti bene?»
Intervenne Sato a chiarire la situazione; anche il suo tono era lievemente triste.
«Quasi tutti. Ran è rimasta intrappolata dentro il ristorante.»
L’uomo strabuzzò gli occhi e lasciò la bocca semiaperta. «R...Ran? Cosa?»
«I vigili del fuoco stanno facendo di tutto pur di trovarla. Sappiamo solo che non è l’unica ad essersi dispersa, ci sono anche dei bambini.» proseguì Wataru, riaffiancando la compagna.
«Dannazione» imprecò l’ispettore, stringendo i denti.
«Si sa qualcosa sulla natura dell’incendio?»
«Doloso» rispose all’immediato la donna in gonnella. «Sono scoppiate due bombe al plastico.»
Megure annuì. «Si ha qualche sospettato?»
I suoi subordinati scossero il capo. «Vuoto totale.»
«Chi è il pazzo che attira centinaia di persone qui, e poi tenta di ammazzarle? Dobbiamo trovarlo. È nostro compito.»
Li scosse con un colpo di voce più grosso Megure, decisamente convinto; posò poi una pacca sulla spalla dell’ex collega, Kogoro Mouri.
«La ritroveranno, non preoccuparti.»
Kogoro annuì, gli occhi leggermente lucidi.
«Anche tu, Eri.» La donna imitò il marito, si strinse ancora di più a lui ed appoggiò il capo sul suo petto. Una lacrima le bagnò una guancia, ma fu prontamente asciugata da Kogoro, che la portò via con un dito. Si guardarono intensamente, e per un attimo ebbero l’impressione di non essersi mai lasciati.
 
 
 
Shinichi fece ancora qualche passo, fino ad arrestarsi dinanzi ad una porta di legno con una targhetta indicativa sopra: era il bagno delle donne. Entrò con nonchalance, causando l’ilarità di Ran.
«Lo sai che è il bagno delle donne, vero?»
Lui fece un sorriso stentato. «No, non me ne ero accorto, guarda.»
«Si può sapere che cerchi qui dentro?»
Lo vide avanzare vicino ai lavabi, sporsi verso di essi, e ricercare qualcosa per arrampicarsi. Lo sguardo era fisso sulle finestre che permettevano a quell’aria, ormai viziata dal fumo, di circolare.
«Che fai?»
«Qui sotto c’è un fiume, se non sbaglio ha la foce vicino all’hotel.»
«Continuo a non capire.»
«La foce potrebbe...» ma le parole gli morirono in gola, nel vedere accovacciata, nel buio generale dell’ambiente - oramai privo di alimentazione luminosa -, una bambina con un vestitino azzurro. Era in lacrime, nascosta dietro alla porta, con le ginocchia al petto. Era, probabilmente, quella che stavano cercando fuori.
«Ehi, e tu che ci fai qui?»
Shinichi le si avvicinò lentamente, e nel tentativo di non terrorizzarla ulteriormente, abbassò il tono della voce. Dietro di lui, Ran lo raggiunse, ed accovacciandosi all’altezza della bimba, tentò di accarezzarla.
«Oddio, è spaventata a morte.»
«Dobbiamo portarla via da qui, il prima possibile.»
«C’è qualcuno?»
Una voce arrivò alle loro spalle, facendoli scattare all’in piedi. Anche la bimba aguzzò la vista, per meglio capire da dove arrivasse. Shinichi scattò fuori i bagni velocemente, imbattendosi in uno dei vigili del fuoco. Dietro di lui, altri sette.
«Abbiamo trovato un ragazzo.» Comunicò quello al suo capo, all’esterno dell’hotel.
«C’è anche una ragazza ed una bambina.» Lo avvisò prontamente il detective, indicando loro il bagno.
«Perfetto. State tutti bene?»
Kudo annuì.
L’uomo oltrepassò il giovane, cosicché da ritrovarsi di fronte Ran, alle prese con la piccola. Era terrorizzata, e non permetteva la si toccasse.
«Ci pensiamo noi, signorina vada con il mio collega.»
«State attenti alla piccola... ha paura.»
«Capisco, ma al momento non possiamo fare altro che portarla fuori di qui. Ha mica incontrato qualcun altro?»
Ran scosse il capo. «C’è ancora qualcuno?»
L’uomo sbuffò. «Spero di no.»
I vigili del fuoco presero di forza la bimba, e sebbene si muovesse in tutte le direzioni, riuscirono a trattenerla con sicurezza. Il piano terra, su cui si trovavano, affacciava su uno strapiombo; non era altissimo, ma il sufficiente per non permettere a nessuno di uscire oltre i bagni: solo le uscite d’emergenza si trovavano sulla terra ferma.
Gli uomini avevano già programmato un elicottero che li portasse via, dovevano solo riuscire a passare oltre le finestre dei bagni.
L’uomo avvertì i suoi colleghi sull’elicottero, in modo che si avvicinassero. Fecero passare la fune attraverso le finestre, e si agganciarono a questa. La bimba fu legata con il resto della fune, mentre Ran andò tra le braccia di uno dei vigili. Shinichi, invece, fu legato ad un altro. L’elicottero cominciò la sua manovra di salvataggio, si issò al cielo, e trascinò via i tre superstiti. Ma proprio quando furono a pochi metri dall’edificio, un nuovo scoppio, forse il più tremendo, generò un’onda d’urto smisurata, che s’abbatté su di loro.
L’uomo in divisa andò a sbattere contro un pilastro, e svenendo, lasciò che Ran cadesse giù dalle sue braccia. Shinichi osservò l’amica precipitare, e senza pensarci un secondo in più, si lasciò andare dalle braghe che lo collegavano alla fune, e cadde anche lui verso il buio scuro e tetro della sera.
 

 
«Credo che abbiano trovato vostra figlia.» Disse il capo delle forze a Kogoro e alla moglie, avvicinandosi al resto del gruppetto. Il detective e l’avvocato sentirono quasi le gambe cedere, e fiondandosi contro di lui, lo strattonarono per la divisa.
«Dov’è?! Come sta?!»
Saigo li imitò, e dietro di lui arrivarono Sonoko e Makoto. Poco distante, la donna bionda.
L’uomo sospirò. Si tolse il berretto, lasciò andare la pompa che aveva in mano.
«Non so come dirvelo...» Cominciò, il tono basso.
Gli sguardi di tutti gli erano addosso, e per un attimo giurò di poter sentire i loro fiati arrestarsi.
«È precipitata nel fiume insieme ad un ragazzo.»






Sìììì! Sono sempre io!!! Chi s'aspettava di rivedermi così presto!?!??!
Sono finiti gli esami *siano ringraziati tutti gli esseri superiori* ed io, per rilassarmi, e per ringrarziarvi, ho voluto completarvi questo capitolo!!!
Cosa è successo!?!?!? Shinichi e Ran sono precipitati insieme nel fiume.... è finita qui la storia?
*solo una cosa volevo farvi notare.. il capitolo è iniziato con un riferimento al fiume, ed è finito allo stesso modo....*
Io l'avevo detto che non era il solito lieto fine........ Ma..non anticipo nulla :P
Devo soltanto ringraziarvi... a tutti quelli che commentano, che recensiscono, che mi seguono.
Sappiate che, se non ho risposto alle ultime recensioni, è stato solo per mancanza di tempo! 
Mi scuso davvero tanto! :(
Nella speranza che, questo capitolo vi lasci col fiato sospeso, ci risentiamo al prossimo! ;)
Un bacione a tutti! :D

Tonia

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Capitolo 19
*** Romeo o Shinichi? ***


Your Lies

18.
Romeo o Shinichi?
•••

 
 
Il suono di quelle parole spezzò i respiri di tutti. Per un attimo il mondo si fermò, e il cuore di ognuno di loro smise di battere. Kogoro ed Eri non mossero un dito, i loro occhi erano fissi sulla figura dell’uomo; le palpebre provavano a sbattere, ma qualcosa di indecifrabile le fermava.
«Ci dispiace.» Disse ancora quello, gli occhi e il volto bassi. Ma sapeva perfettamente che, qualsiasi cosa avrebbe pronunciato, sarebbe risultata inutile.
Sonoko, a poca distanza, si portò le mani alla bocca, e in un attimo le palpebre le si gonfiarono di lacrime. Cominciò ad ansimare, e dopo alcuni secondi, anche a lacrimare.
Saigo era immobilizzato, non riusciva nemmeno a deglutire. La donna bionda, infine, aveva gli occhi sgranati al massimo, e la bocca leggermente aperta.
«Ran...» la chiamò la migliore amica, in preda alla disperazione. «No, Ran...»
«La mia piccola...» finalmente anche il detective parlò, le mani a scompigliargli i capelli. «La mia bambina...»
Scosse il capo, non voleva crederci. Eri, intanto, era in stato di shock.
«RAN!!»
Un altro urlo, ancora più straziante, echeggiò nel cielo. Kogoro cadde in ginocchio, il viso pallido, i denti stretti.
«Sono qui papà.»
Come colti da un fulmine, i volti di tutti si alzarono all’unisono e fissarono un punto ben preciso. Dinanzi a loro, un po’ sporca di fango e dai vestiti stropicciati, c’era Ran. Raggiante, bellissima e viva.
Dietro di lei, come sbucato dal nulla, l’affiancò Shinichi. Anche lui aveva la camicia e il pantalone sporchi, e un po’ di sangue a scorrergli sul viso.
«Ran?» la chiamarono Sonoko e Eri, incredule, mentre il detective in trance osservò il tutto allibito.
«Ran? Sei proprio tu?»
Anche Saigo si fece avanti, curioso. Diede uno sguardo a Shinichi, scambiandosi con lui un’occhiata profonda.
Lei di tutta risposta, annuì; un sorriso ad abbellirle ancor di più il viso.
«R-Ran...!»
Sonoko, Eri e Kogoro si fiondarono su di lei, la stritolarono fra le sue braccia e quasi non le permisero di respirare. Shinichi li osservò con un sorriso sereno dipinto sul volto, gli occhi lucidi. Saigo aspettò che la giovane fosse libera, per donarle un abbraccio. Il detective assottigliò gli occhi, senza proferir parola.
«Come... come hai fatto a salvarti?»
«Shinichi mi ha salvata. Si è buttato dall’elicottero per raggiungermi, e all’improvviso mi sono ritrovata agganciata ad un paracadute! È successo tutto in un attimo!» spiegò loro gioiosa, allargando le braccia. Poi, girandosi a guardarlo, illuminò gli occhi.
«È stato magnifico.»
L’amico distolse lo sguardo, arrossendo lievemente.
«Elicottero?»
«Paracadute?»
«Shinichi?»
Ran annuì ad ogni domanda, come se fosse tutto normale.
«L’elicottero dei vigili del fuoco ci ha tratto in salvo, ma ad un certo punto un nuovo scoppio ci ha sbalzato verso un muro... l’uomo che mi teneva ha perso conoscenza, ed io sono precipitata! Shinichi è saltato giù, e non so per quale motivo, aveva un paracadute con lui!» rispiegò ancora, sempre col sorriso stampato sul volto. Ebbe l’impressione che non si sarebbe mai stancata di ripeterlo.
I suoi conoscenti la guardarono sbalorditi. Sonoko s’avvicinò al detective, gli occhi assottigliati.
«Scusami... ma tu da dove sbuchi fuori?»
Kudo indietreggiò leggermente. «Ehm... ero anche io alla festa.»
«Ah, davvero?» Fece Saigo, il tono freddo. «E perché avevi un paracadute con te?»
«Io...?» Tutti gli sguardi si concentrarono su di lui, fin quando una persona lo trasse in salvo.
«Ma che m’importa! Hai salvato la mia piccola! Grazie... moccioso...»
Kogoro gli rivolse un sorriso sincero, gli tese il braccio, e dopo un primo attimo di smarrimento, Shinichi ricambiò la stretta di mano.
E il padre di lei, ebbe finalmente l’impressione di potersi fidare ciecamente di quel saputello impertinente e arrogante.
 
 
«Si può sapere cosa accidenti è successo?»
Vermouth raggiunse la fine del vialetto in moto, affiancando Chandon. Camminava lentamente, dirigendosi verso l’uscita. Erano le quattro del mattino, e del ristorante non era rimasto più nulla.
«A cosa ti riferisci?»
«L’hai fatta scoppiare tu l’ultima bomba?» proseguì la bionda, andando dritta al punto.
Chandon sorrise. «Sì, perché?»
«Sarebbero potuti morire! Te ne rendi conto?»
«Volevo metterlo alla prova per bene. È o non è il “proiettile d’argento”?» le fece l’occhiolino. «Chi se l’aspettava avesse un paracadute!»
Vermouth fermò la moto, parandosi davanti al complice.
«E se non l’avesse avuto?»
«Suvvia Sharon. Non ti facevo così apprensiva.»
«Non permetterti mai più. Ti ho dato la mia fiducia, ma non puoi fare di testa tua. Avevamo degli accordi.»
«Ed io l’ho rispettati, no? Shinichi Kudo e Ran Mouri non si toccano.» rispose Chandon, incrociando le braccia al petto.
Vermouth lanciò un’occhiata truce. «Non mi sembra.»
«Sono sani e salvi, e io adesso ho la conferma che il ragazzino è capace per davvero. Tutto fila liscio.»
La bionda sospirò. «Per quanto tempo ancora hai intenzione di travestirti così?»
Chandon fece spallucce. «Ancora un po’. Devo prima allontanare il detective dall’amica d’infanzia.»
«Hai già un piano?» chiese Sharon, le dita affusolate sul manubrio.
«Sì. E dovrebbe essere abbastanza efficace.»
L’attrice accese la moto, e cominciò ad accelerare.  «Non farmi soffrire Angel. Ci tengo.»
Chandon le fece l’occhiolino, prima di vederla scappare via.
«Lo sai, anche io ci tengo.»
 
 
 
Il mattino seguente, dopo un sonno ristoratore, e sebbene ancora un po’ scossa, Ran decise di andare a trovare Shinichi. Rivederlo era stato magnifico, e il suo gesto, poi... le aveva riacceso la speranza di poter avere ancora qualche chance con lui. Quando l’aveva visto lasciarsi andare e cadere insieme a lei, aggrapparla con le braccia, e dopo qualche secondo, risalire su sotto la forza di un paracadute, non aveva potuto far altro che stringersi forte a lui. Il mento nell’incavo della sua spalla, le cosce strette intorno la sua schiena. Anche in aria, nel bel mezzo del nulla, il suo fisico emanava un profumo bellissimo, di cui s’era drogata ormai. Erano scesi lentamente, ma il vento li aveva spinti su dei rami di un albero: anche lì, Shinichi s’era sacrificato. L’aveva protetta col suo corpo, ed era andato a sbattere con la testa su uno dei rami: da lì, il sangue che gli colava.
Eppure era sempre bellissimo. Certo, anche lei si chiedeva come mai in quel momento avesse avuto un paracadute dietro alle spalle - avrebbe giurato di averglielo visto uscire dallo zainetto -, ma appena arrivata a casa sua gliel’avrebbe domandato. Sì, gliel’avrebbe domandato. Questo ed altro. Se lui avesse risposto. Se lui ci fosse stato ancora.
Scosse il capo, e s’impose d’essere ottimista. In fondo, era stata per la sua poca fiducia in lui che la loro storia era finita. Era pronta a prendersi tutte le responsabilità, a spiegargli tutto quello che le era passato per il cervello in quel maledetto pomeriggio d’inverno, e a tornare insieme a lui.
In fondo, se lui non ci tenesse a lei, non avrebbe rischiato la vita per salvarla, no? Quindi, il suo silenzio, era forse ricollegabile al suo carattere, o forse anche alla stizza del momento.
Magari s’è sentito offeso...pensò, i piedi che viaggiavano verso casa Kudo.
Eppure, era da settimane che non si sentiva così viva. Così Ran. Attraversò l’ultima casa, quel del professore, ed incrociò le dita.
Voleva soltanto far pace con lui...
 
 
Shinichi s’era appena alzato dal letto. La ferita gli faceva un po’ male, ma non era un dolore insopportabile. L’aveva bendata con una fascia, che gli aveva scompigliato un po’ i capelli, con ciocche che fuoriuscivano ed altre che rimanevano sotto la benda. Pronto a farsi una doccia, aveva tolto la giacca del pigiama. La mente era alla sera prima: qualcuno dell’organizzazione aveva progettato tutto affinché lui dimostrasse quanto valeva. L’aveva capito con quegli indizi, messi in lavanderia; con la voglia di spingerlo a tornare ad essere se stesso, ed infine, con l’attacco diretto a Ran. Per fortuna, da Conan, aveva portato anche il paracadute nascosto nello zainetto, ed aveva potuto usarlo nel migliore dei modi. Ma se, malauguratamente, quell’aggeggio non si fosse aperto, se ci fosse stato più o meno vento, e se Ran fosse precipitata a diversi metri di distanza, come l’avrebbe salvata? Vederla cadere era stato uno shock talmente grande da spingerlo a non pensarci nemmeno un secondo in più.
Se lei fosse morta... lui non se lo sarebbe mai, e poi mai, perdonato.
Entrò sotto la doccia, si sciacquò e si rilassò per qualche minuto, finché non si decise ad uscire. Si coprì con un asciugamano, che dal ventre gli arrivò sino alle ginocchia, mentre lasciò il petto scoperto. Passò davanti allo specchio, e lì si scrutò: era di nuovo lui, il vero lui. Indossò i boxer e i pantaloni, senza mai staccare gli occhi da se stesso. Per quanto tempo sarebbe rimasto così? Haibara gli aveva detto che anche questo antidoto non era quello definitivo. Ebbene, ciò cosa significava? Aveva di meno o di più rispetto alle altre volte?
All’improvviso sentì il citofono suonare. Velocemente lo raggiunse, e dando un’occhiata all’esterno, si accorse che fosse proprio Ran. Deglutì, sgranando un po’ gli occhi. Come si sarebbe dovuto comportare? Era lì, perché era lì? Forse aveva dimenticato di dirgli qualcosa, o più semplicemente voleva parlargli. Ci pensò qualche attimo su, finché non si decise ad aprire il cancello.
La voglia di sapere cosa volesse era troppa.
 
 
Dopo qualche minuto d’attesa, Ran sentì il cancello vibrare. Sorrise, felice che l’amico fosse davvero in casa e contenta che avrebbe finalmente potuto parlargli. Avanzò lungo il vialetto, finché non vide anche la porta d’entrata aprirsi. Dinanzi a lei, Shinichi era a petto nudo, con i soli jeans a coprirlo; i capelli bagnati, la fascia a coprirgli la testa, e i piedi scalzi. Arrossì a quella vista, ma non staccò gli occhi da lui per nemmeno un secondo. Lo squadrò per circa due tre minuti, imbambolandosi a fissarlo.
Era semplicemente meraviglioso.
«Ciao» La sua voce la riportò al concreto. «Che ci fai qui?»
«Oh» Le guance calde e la lingua non le permettevano di formulare frasi compiute.
Aspettò ancora qualche istante, fin quando non si decise a darsi un contegno.
«Sono passata per ringraziarti.»
Lui continuò ad osservarla, sembrava imbarazzata. «Di cosa?»
Lei avanzò di qualche passo, ma appena poggiava lo sguardo sull’amico, non poteva fare a meno di fissargli il petto. Sembrava scolpito da qualche scultore.
«Ovvio, per avermi salvato la vita.» Rispose, cercando di staccare il viso dal suo corpo. Si concentrò così sui suoi occhi, ma erano azzurri, troppo azzurri.
Lo maledisse: mai possibile avesse tutto perfetto?
«Sei stato grande.» Continuò, il volto ormai paonazzo.
«Ah, non ho fatto nulla di che.» Si fece modesto Shinichi, qualità che certo non gli apparteneva.
«Senza di te non sarei qui, quindi hai fatto molto.»
Senza di me non saresti proprio capitata in quella situazione, Ran...si morse la lingua lui, stando ben attento a non riferirglielo.
«Di niente.» Le rispose semplicemente, mettendo le mani in tasca.
«Sei da solo?» Gli chiese dopo un po’ lei, osservando all’interno della villa. Voleva parlargli... voleva chiarire.
Anche se, con lui a petto nudo, s’era dimenticata di ogni cosa.
Lui aggrottò le sopracciglia. «Sì, perché?»
Ran inspirò, prendendo coraggio. «Volevo parlarti.»
Shinichi si mordicchiò un labbro.
Cosa mi invento, adesso?
«Di cosa?» Le chiese poi, il tono lievemente seccato.
La karateka ebbe l’impressione che lui non avesse altrettanta voglia. E tutto il suo entusiasmo si smorzò in un istante.
«Di...» cominciò, ma lo sguardo del detective era così glaciale da metterle paura. Possibile che si fosse fatta solo illusioni? In effetti, Shinichi avrebbe potuto salvarla così, solo per carattere... non perché ci tenesse a lei, a loro.
Sorrise amaramente. Che sciocca che era.
«Di niente.»
Fece qualche passo indietro, gli occhi le cominciavano a far male.
«Scusami se t’ho disturbato. Comunque, bentornato.»
Gli diede le spalle e lasciò la villa, mentre una lacrima le solcò il viso candido.
Shinichi la vide allontanarsi molto velocemente. Rimase lì per qualche minuto, leggermente allibito. Scosse il capo, e rientrò in casa.
Bah, io le donne non le capirò mai!
 
 
Ran si avviò verso scuola, sebbene quel giorno avesse pensato per davvero di non andarci. Conan era da Mistuhiko, aveva dormito lì - così credeva -, quindi prima del pomeriggio non l’avrebbe visto. Tanto meglio: avrebbe avuto più tempo per fare le pulizie in casa, visto che, a causa dell’incidente, non aveva potuto far granché. Mentre camminava verso il liceo, Ran ripensò alla conversazione con il detective. S’era fatta mille illusioni per niente: l’atteggiamento menefreghista di Shinichi le aveva fatto capire che non aveva alcuna intenzione di tornare sui suoi passi, quindi era forse meglio metterci una pietra bella grossa sopra.
Giunse al Teitan in una decina di minuti; aveva camminato molto velocemente, forse per sfuggire da quella casa, da quegl’occhi, da quel fisico e da lui. Ma non era servito a molto: vederlo sulla soglia di quella porta le aveva mandato gli ormoni in tilt. Una sensazione che forse mai aveva provato prima: vera e propria attrazione verso il suo corpo. Perché non ci avrebbe messo molto a saltargli addosso...
E a baciarlo, e a spogliarlo...
Ran scosse il capo, scompigliandosi i capelli; non si rese conto di star arrossendo ai suoi stessi pensieri. Era paonazza, e incominciava a darsi anche dell’imbecille cronica;
Ma che pensieri ti fai Ran!
Alzò gli occhi sulle persone, così, per distrarsi; ma appena distoglieva lo sguardo dalla gente, le tornavano in mente quei pettorali, e la sua mente cominciava a viaggiare, a viaggiare lontano...
 
 
Shinichi giunse in classe abbastanza in ritardo. Dopo l’arrivo di Ran, era indeciso se andarci o meno; in fondo, un giorno in più o in meno di assenze non cambia nulla. Eppure starsene a casa non era di certo la scelta più giusta. Doveva agire, e poteva farlo soltanto muovendosi. E stando più lontano possibile dall’amica d’infanzia, se solo ci fosse riuscito...
Ma allo stesso tempo non poteva sempre rinunciare al liceo; in fondo, aveva pur sempre un diploma da prendere. E con tutte quelle assenze...
Quando varcò la porta dell’aula, sentì subito tutti gli sguardi posarsi su di lui; così, non poté fare a meno di cercare quello dell’ex fidanzata. Era lì, solito banco vicino alla finestra, dietro Sonoko - che quel giorno non c’era -, e accanto al suo di banco, che troppo spesso era vuoto.
Si scambiarono un’occhiata veloce, e notò che lei subito deviò lo sguardo sul suo libro, come per evitarlo.
«Ehilà, Kudo!»
«Guarda chi è tornato!»
Come sempre i suoi compagni di classe lo accolsero con grande gioia. Le ragazzine tramutarono i loro occhi in cuoricini, svenendo quasi ad un suo sussulto. Shinichi fece un sorriso per ricambiarli, mentre diede uno sguardo all’indietro, verso la cattedra: era vuota. La professoressa non era ancora arrivata.
Filò dritto verso il suo banco, ed incrociò anche gli occhi di Hana, che gli rivolgevano un bellissimo sorriso.
«Bentornato, detective.»
«Ciao.» Disse semplicemente lui, prima di prender posto al suo banco. Appena si sedé, sentì nuovamente Ran osservarlo. Si girò a guardarla, ma appena lo fece, lei distolse il viso, come colta da un colpo alla schiena.
Rigirandosi, Shinichi vide Hana poggiata sul suo banco con il gomito, mentre faceva leva sulla sedia per avvicinarsi a lui.
«Che fine hai fatto, bellissimo?»
Il detective arrossì lievemente. «Eh?»
Lui non poté vederla, ma Ran fece una smorfia di disgusto.
«Sei scomparso... mi hanno detto lo fai spesso. Eh, eh... non si fa.»
Shinichi rise appena. «Ho parecchio da fare.»
«Posso farti compagnia in questo parecchio
L’investigatore quasi si strozzò con la sua stessa saliva. Ran, invece, aveva voglia di strozzare qualcos’altro...
«Credo ti annoieresti.» Disse lui dopo qualche secondo.
Lei scosse il capo, un sorriso malizioso a dipingerle il volto.
«So come ravvivare le cose.»
«Non ne dubito.» Ricambiò il sorriso lui, anche se sapeva più di fine conversazione.
Passarono alcuni secondi, durante i quali Ran fissò gli occhi sui due compagni di classe. Lo sguardo infuocato e le mani sudate, se non fosse stato per tutti gli altri, le avrebbe volentieri fatto assaggiare uno dei suoi micidiali colpi di karate. E lui poi? Come sapeva fare l’idiota! Perché non le diceva chiaro e tondo di togliersi dalle scatole?
«Che hai fatto alla testa?» Gli indicò poi la fasciatura, sorridendo beffarda.
Shinichi ci passò una mano sopra, scompigliando i capelli. «Mhm... nulla di che.»
«Qualche fidanzatino geloso ti ha dato una lezione?»
Stupida! Si è fatto male per salvare me! Me! Me!
Ran urlò in cuor suo, ma nessuno la sentì.
Shinichi ridacchiò, gli occhi bassi sul libro.
«Hai da fare stasera?»
Di nuovo la voce di Hana, e dopo qualche secondo, il detective rialzò il capo. Alla karateka si fermò quasi il cuore.
«Perché?» rispose, le mani a sorreggere il viso.
«Volevo invitarti a casa mia.» disse con nonchalance l’altra, accompagnando alle parole sempre un sorriso.
Ran afferrò una matita tra le mani, e la spezzò nel giro di qualche secondo. Il rumore dell’oggetto attrasse l’attenzione del detective, che si voltò verso di lei. Ancora una volta, nell’incrociare il suo sguardo, l’amica distolse il suo.
Sorrise, quasi senza farsi notare. Poi guardò Hana ed alzò il volto.
«Non credo di avere tempo.»
 
 
La giornata scolastica passò senza ulteriori intoppi. Ran, di tanto in tanto, mandava delle occhiate a Shinichi, mentre l’immagine di quella stessa mattina le aveva posseduto il cervello. Era al settimo cielo per la risposta data a quell’oca di Hana, ma non aveva voglia di farsi ulteriori illusioni.
Shinichi è misterioso, strano... aveva pensato. Quindi meglio non fare congetture sul nulla...
Quando avvertì la campanella suonare, cominciò a preparare la sua roba, mentre Shinichi rimase seduto al suo banco, quasi immobile. La voglia di avvicinarlo e di parlargli era troppa, ma cosa doveva dirgli? Lui pareva non avere altrettanta smania di conversare con lei. E mentre la classe si svuotava, vide Saigo entrare dalla porta della classe, e avvicinarsi a lei.
«Ciao principessa.»
Principessa?  L’amico d’infanzia aggrottò le sopracciglia e simulò una smorfia.
«Ciao.»
Ma gioii nell’avvertire il tono di lei poco più che scocciato.
«Non pensavo venissi a scuola dopo quello che è successo ieri. Ti senti bene?»
Lei annuì. «Sì.»
Saigo diede un’occhiata a Shinichi. «E tu, come stai? La testa?»
Il detective assottigliò gli occhi, sebbene il tono del giovane gli era parso gentile.
«Tutto a meraviglia.» rispose l’investigatore, cominciando ad alzarsi dalla sedia.
Prima che vedessi te, andava anche meglio!
«Perfetto. Ran torniamo insieme?» si sporse verso lei Saigo, ignorando completamente la presenza dell’investigatore.
L’amica fece spallucce. «Come vuoi.»
«Non è andato come volevo il San Valentino ieri.»
Kudo gli lanciò un’occhiata truce, che nessuno vide.
Ma dai! Scoppiavano bombe dappertutto, siamo quasi morti, e tu l’unica cosa che hai fatto è stata svignartela fuori! Brutto imbecille!
«Già.» Fece un sorriso amaro lei, chiudendo lo zaino.
«E tu non mi hai finito di dire quella cosa.»
Shinichi ingrandì le orecchie: quale cosa?
Ran, invece, sussultò. Certo non avrebbe potuto confessargliela lì, col diretto interessato a due passi.
“No, sai... mi sono innamorata di questo tizio che è alla mia destra, cosa vuoi che sia”, le pareva troppo pacchiano.
«Certo, hai ragione.» si limitò a dire, stando ben attenta a non incrociare lo sguardo dell’ex fidanzato. «Lo farò appena posso.»
«Ma così mi fai diventare curioso...»
Lei ridacchiò, nervosa. «Andiamo?» spezzò il discorso, sperando di non dover tornare sull’argomento.
Saigo annuì, seguendola. Shinichi li vide andare via dall’aula, sopprimendo con tutta la forza che aveva la voglia di raggiungerli; quando un ragazzo li fermò prima della porta.
«Mouri, dove vai?»
«A casa. Perché?»
Quello scosse il capo. Dietro di lui apparvero tre ragazze, erano della loro stesse classe.
«Abbiamo una proposta da farti, e non puoi rifiutare.»
 
 
«Mi stai chiedendo di inscenare Romeo e Giulietta?»
Ran osservò i tre un po’ allibita, mentre le due ragazze le consegnavano il copione della recita. Il ragazzo annuì.
«Assolutamente sì. L’hanno scorso è stato un successone la tua interpretazione della Principessa di Cuori, sei adattissima anche a questa parte.»
Ran sospirò appena. «Ma... quanto tempo avrei?»
Shinichi e Saigo, intanto, erano poggiati sui banchi vuoti della classe. Il detective era a braccia incrociate, curioso.
«È lì il problema... rimangono quattro giorni alla recita.» Disse, il tono di voce leggermente triste. «Ma sei brava, e se ti impegni, riusciresti sicuramente ad imparare la parte. Conta che molte scene le ho tagliate, devi solo concentrarti su quelle più importanti! Che poi, diciamocelo, le conoscono tutti!»
«Sei impazzito!? In quattro giorni dovrei imparare a memoria la tragedia di Shakespeare?!»
Intervennero le due ragazze. «Suvvia, Ran-chan! All’interrogazione di letteratura inglese hai preso un bel 10! Dovresti già sapere tutto!»
La giovane assottigliò gli occhi, mentre un gocciolone le coprì il capo.
«Cosa c’entra un’interrogazione con una recita? So qual è la storia, ma mica conosco a memoria le battute!»
«Per favore Mouri, sei la mia unica salvezza!» La pregò il ragazzo. «Mi hanno eletto da poco capo organizzatore della sezione recitazione, devo assolutamente farci una bella figura!»
«Io... non...» provò la karateka, visibilmente impacciata.
«Scusate?» si intromise Saigo, alzando la mano. «Potrei chiedere una cosa?»
Shinichi si voltò a guardarlo, e con lui anche Ran.
«Dici.»
«Ma chi farà la parte di Romeo?»
L’organizzatore rilasciò uno sbuffo.
«Anche lì ci sarebbe un piccolo problemino... avremmo pensato a...»
«Potrei farla io?» lo bloccò nuovamente il karateka, guizzando con gli occhi. Shinichi simulò una smorfia, mentre Ran arrossì lievemente.
«So recitare bene, davvero. E poi con Giulietta qui presente ho parecchia confidenza, non ci sarebbero problemi.» Le ammiccò Saigo, facendo imbestialire l’amico d’infanzia.
Anche io con Giulietta qui presente ho confidenza! Brutto approfittatore!
Il ragazzo ci pensò un attimo su, mentre il detective continuava a mandare occhiatacce a quel bell’imbusto. Voleva approfittare della recita per stare con Ran, eh?
S’alzò dal banco e fece qualche passo in avanti, avvicinandosi all’amica.
«Veramente, noi...» Riprovò a parlare il giovane, ma venne nuovamente interrotto.
«Fammi provare.» Ripeté Saigo. Si voltò verso Ran, e le prese le mani, facendola arrossire.
«Il mio amore nato dal mio unico odio. Solo ora ti riconosco, ora che é troppo tardi!...Oh! perché il destino vuole da me,che io ami un esecrato nemico?»* recitò alla perfezione il karateka, sbalordendo un po’ tutti. Shinichi, invece, era leggermente disgustato. E mentre il capo organizzatore lo applaudiva, l’investigatore si fece ancora qualche passo più avanti.
«Ti si addice il ruolo di Giulietta, Yami.» lo derise Kudo, il tono poco più che scocciato.
Ran scoppiò a ridere, mentre Saigo gli lanciò un’occhiata truce.
«Era per fare un esempio.»
«Kudo, tu che ne dici?»
Gli occhi guizzarono su di lui all’istante.
«Di cosa?» rispose fingendo un tono disinteressato.
«Avevamo pensato a te... per Romeo.»
Ran arrossì all’istante, immaginandosi già tra le sue braccia su quel palco. Il detective, invece, tentò di frenare il suo imbarazzo. Se lui avesse interpretato Romeo, e Ran Giulietta...
«Non saprei. Ho molto da fare.» Finse poi, non sapendo cosa rispondere. Avrebbe voluto accettare, ma era la scelta giusta?
Ran abbassò gli occhi al pavimento, leggermente delusa. Tutti i suoi sogni shakespeariani si frantumarono all’istante.
«Appunto.» Si intromise nuovamente Saigo, il tono seccato. «Visto che lui non può e non vuole, ci sono io.»
«Veramente io ho soltanto detto di avere molto da fare.» replicò il detective, con una voce ancora più fredda. Tutti si voltarono prima verso il biondino, e poi verso il moro.
«Quindi non hai tempo per imparare il copione.» rispose Yami, la faccia contratta in un’espressione fastidiosa.
«Non ne avrei nemmeno bisogno.» Una vena di vanagloria era ben visibile nella sua frase. «La maggior parte delle battute già la conosco. Mia mamma è fissata con il caro William.» Spiegò poi, osservando tutti tranne il rivale.
L’organizzatore della recita s’avvicinò al detective, superando Ran, che aveva il cervello in panne.
«Allora? Sei dei nostri?»
Lui fece spallucce. Era incredibile quanto riuscisse a trattenere la voglia di dare una lezione a quell’idiota.
«Fate decidere a Ran, no?» s’intromise una ragazza, ridendo beffarda.
«Anche se già immagino chi voglia sia Romeo.» La sfotté un’altra.
«Oh, Shinichi! Shinichi! Perché sei tu, Shinichi?» continuò quella con voce melodrammatica, facendola arrossire all’istante.
«Non è assolutamente vero!»
Saigo simulò una smorfia, mentre il detective abbozzò un sorriso impacciato.
Stavolta le attenzioni fuggirono a lei che, imbarazzata ed immobilizzata, non aveva la minima idea di cosa ribattere.
«Ehm... n-non lo so... s-scegliete voi.»
«Suvvia, Ran! Non mi vedi perfetto per il ruolo del Montecchi?» le chiese Saigo con un sorriso, avvicinandosi ancora di più a lei.
«Secondo me saresti perfetto per il ruolo di Paride.» Lo sfotté ancora Shinichi, guadagnandosi un’occhiata sinistra dal rivale.
Ma quanto era fastidioso quel tipo? Non c’aveva fatto caso, sino ad adesso...
Sei il migliore amico di Ran, ma non pretendere di avere tutti i diritti su di lei...
Lei si allontanerà da te...
«Ah, ah.» Finse di ridere Saigo, imbestialito.
La figlia dell’investigatore, intanto, non sapeva più che colorazione prendere. Era passata da un rosa pallido ad un rosso fuoco in un secondo, e al momento il suo viso pareva più un viola melanzana.
Passarono alcuni minuti di silenzio assordante, durante i quali Shinichi e Saigo continuavano a guardarsi furtivi, Ran ad arrossire, e le due ragazze a prenderla in giro.
«Allora? Chi farà Romeo?» spezzò quel mutismo l’organizzatore dell’evento, incrociando le braccia al petto.
«Io, vero Ran?» rimbeccò ancora il karateka, gli occhi che la pregavano.
Cosa faccio? Cosa dico? Non posso mica sbraitare ai quattro venti chi vorrei lo facesse... uffa...si lamentò in cuor suo la giovane, mentre l’espressione del suo viso tradiva ogni resistenza. Comunque, se Shinichi interpretasse Romeo, dovrei baciarlo... di nuovo... e non so se riuscirei a trattenermi poi... Se lo facesse Saigo, invece, sono sicura che sarei molto più professionale...
«Ehm...» tentò di prendere coraggio lei, voltandosi ad osservare l’investigatore.
«Possiamo... tentare a fortuna...»
Saigo aggrottò le sopracciglia. «Vorrai dire a sorteggio.»
Lei tramutò i suoi occhi in puntini neri. «Ehm sì. Sorteggio.»
Shinichi rilasciò uno sbuffo seccato. Perché tutte queste moine? Davvero preferiva quell’idiota a lui? S’era forse innamorata di quel tizio? Ran era solita essere gentile con tutti, quindi probabilmente non voleva ferirlo, scartandolo dal ruolo.
«Sentite, quando avete deciso mi fate un fischio. Io me ne vado, buona giornata.» Decretò così la fine a tutto Shinichi, dirigendosi verso la porta dell’aula. Tutti rimasero ad osservarlo uscire. La karateka avvertì una fitta al cuore, e più lui s’allontanava, più il petto le faceva male. Ma lui non si voltò, nemmeno per salutarla. E Ran ritrovò a maledirsi e a maledirlo per l’ennesima volta.
 
 
Shinichi tornò a casa e si sdraiò sul salotto in vinile, comprato dai suoi anni e anni fa. Si diede dieci minuti di pausa, e decise di andar a trovare il professore, anche per accertarsi stesse bene dopo l’incendio. Cercò di non pensare a Ran e a Mr Nonmipiaccionoicognomi, anche perché si rese conto che, anche se al sorteggio fosse uscito quel tipo, lui avrebbe avuto più tempo da dedicare alle sue indagini.
Investigare su chi avesse messo le bombe al ristorante, e su cosa avesse realmente avuto intenzione di fare. S’alzò dal divano, pronto a raggiungere l’ormai ex hotel di lusso, quando il campanello attrasse la sua attenzione.
Sbuffando, avanzò verso la porta. Aprendola, si ritrovò Ran di fronte. Le mani congiunte in grembo, gli occhi bassi alla strada, e un’incredibile tonalità di rosso a sfumarle il volto.
«Ciao. Volevo avvisarti che iniziamo le prove oggi pomeriggio.» Disse tutto d’un fiato, dopodiché si concesse il diritto a deglutire.
Alzò anche gli occhi su di lui, sebbene l’imbarazzo non le permetteva d’essere pienamente spontanea nei movimenti.
«Se vuoi passo dopo, verrà anche Saigo.» disse ancora, la saliva assente nella sua bocca.
«Ah, Romeo... sei tu.»
I suoi occhi non poterono fare a meno di illuminarsi a quelle parole.
Non rispose subito, così vide l’amica d’infanzia indietreggiare per andarsene. Ma lui le afferrò il braccio, facendola sussultare. Voltandosi, lo vide sorridere.
«Io ti piglio in parola: chiamami soltanto amore, ed io sarò ribattezzato; da ora innanzi non sarò più Shinichi.»* recitò lui, ironico, facendo scivolare le dita sul suo braccio.
Ran sentì la terra sotto di lei scomparire.
A chi doveva resistere prima? A Romeo, o a Shinichi?




*Le frasi sono prese liberamente dalla tragedia di W. Shakespeare.
*Paride era il promesso sposo di Giulietta.





Salve amori miei!!! 
Sono tornata prestissimo! :D Vero, vero? E con un capitolo lunghissimo! Spero vi faccia piacere sia così lungo XD
Ehm...allora, secondo voi, POTEVO DAVVERO FARLI MORIRE? IO? 
Dai, faccio un po' come Gosho... scherzo, scherzo.... ma alla fine non concludo nulla XD Nah, non è vero, io concludo molto :P
Chandon e Vermouth parlano intanto..... cosa avranno in mente?! :P
Comunque, ovviamente, si sono salvati. Shinichi aveva lo zainetto che Conan mostra nell'ottavo film, se fosse ancora sfuggito a qualcuno.
I nostri eroi tornano alla loro vita! Ran cerca di parlare con Shinichi, ma fraintende il suo comportamento, e crede che lui non voglia fare altrettanto!
A scuola Saigo e Hana rompono i cosiddetti, ma qualcuno si traveste da Cupido, e tenta di riappacificare i due innamorati....
Una recita, Romeo e Giulietta. L'amore per antonomasia. Lo so che è scontato, ma io ADORO ALLA FOLLIA Shakespeare e la sua tragedia, e non posso che condividere con voi tale sentimento!
Comunque... ovviamente XD Shinichi chi interpreterà? Romeo!!! Devo dire che, i due personaggi, sono un po' agli antipodi. 
Shinichi di romanticismo non sa un'acca. Però qualcosa li accumuna.... :P
Va beh, adesso vi lascio. Ci vediamo alla prossima, per scoprire un po' cosa accadrà!


Ringrazio Delia, Nana, Ale, Marta, Angel, Hoshi, ShineRanamore, Mangaka, Ciccia, Bessielizzie e manganime per aver recensito lo scorso chap!
Grazie anche a chi legge soltanto!


See you soon!
Tonia

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Capitolo 20
*** Romeo & Giulietta: Atto Primo ***


Your Lies

19.
Romeo & Giulietta: Atto Primo
•••

 
 
«Vedo che sei già entrato nella parte.»
Lo sfotté Ran, sentendo a poco a poco il suo braccio lasciarla. Avrebbe voluto che la trattenesse ancora per un po’, ma sapeva bene che non doveva illudersi.
In fondo, se fossero stati vicini in quei giorni, era solo grazie alla recita. Sennò lui avrebbe ripreso il suo sostanziale atteggiamento menefreghista, e nulla sarebbe cambiato.
«Hai visto?» Le ammiccò, facendole l’occhiolino.
Ran si sentì svenire, e vista l’incapacità che aveva a formulare frasi di senso compiuto, stette zitta.
«Perché viene anche Yami?» s’informò dopo qualche istante Shinichi, camminando verso l’entrata. Fuori faceva abbastanza freddo, ed era meglio rientrare in casa.
«Farà la parte di Mercuzio.» Lo avvisò l’amica, seguendolo con impaccio. Non sapeva come muoversi in sua presenza.
Shinichi strabuzzò ironicamente le palpebre, senza farsi notare.
«Il mio migliore amico, eh?» Constatò, rivolgendo le spalle alla karateka.
«Parte più azzeccata non potevano dargliela.» Fece ironico poi, scoppiando a ridere.
La giovane rimase in silenzio, sebbene non riuscisse a capire da dove provenisse tutto quel sarcasmo. Che aveva contro Saigo? Era un bravo ragazzo, e a lui non aveva mai fatto nulla. Camminò ancora un po’, sino a ritrovarsi sulla soglia del portone. Non sapeva se entrare o meno: probabilmente gli avrebbe dato fastidio. In fondo, quella stessa mattina, era stato chiaro come il Sole: non voleva parlare con lei.
Shinichi continuò ad avanzare, finché non si rese conto che l’amica non lo stava seguendo. Girandosi verso di lei, aggrottò le sopracciglia.
«Che fai lì?»
Lei fece spallucce. Il cuore le martoriava il petto, ma trovò comunque il fiato di parlargli. «Torno dopo, okay?»
Lui la osservò profondamente. «Perché?»
Ma Ran non riusciva nemmeno a muoversi, o far qualcosa che potesse rendere più convincente le sue parole. Era un misto tra imbarazzo, impaccio e incapacità.
«Non vorrei disturbarti.» Disse poi, tra un sorso di saliva e un altro.
Lui la guardò come se fosse pazza.
«Non mi disturbi.»
«Oh.» Emise quel sospiro come se scendesse dalle nuvole. «Va beh, allora entro.»
Lui sorrise. «Chiudi la porta. Yami sa dove abito, giusto?»
L’amica annuì, lasciandosi la porta alle spalle. «Sì, venimmo una volta quando...» ma si bloccò, dato che, il proseguo della frase sarebbe stata “...io ti cercavo dopo averti lasciato, e tu eri scomparso improvvisamente”. Così si morse la lingua, ed interruppe il discorso a metà.
«Ehm, un po’ di tempo fa.» Disse poi, ridacchiando, in preda al panico.
Shinichi lasciò correre, anche perché sapeva quando Mr Nonmipiaccionoicognomi aveva visto casa sua. Avrebbe dovuto essere in seguito alla sua trasformazione in Conan, settimane prima, quando Heiji lo accompagnò a riprendere l’antidoto da Agasa.*
Salirono insieme verso la stanzetta del detective, senza proferir parola. Ran continuava ad essere impacciata, e al pensiero che Shinichi dovesse interpretare Romeo andava in tilt.
«Vuoi qualcosa da mangiare?»
Spezzò la tensione lui. Ran scosse il capo.
«No grazie.»
«Da bere?» continuò a chiederle Shinichi, mettendosi a sedere sulla scrivania. Ran entrò in camera dopo qualche secondo, e rimase in piedi. Aveva vergogna perfino di sedersi sul materasso.
Scosse nuovamente il capo, abbozzando un lieve sorriso. «No, nulla.»
Il detective abbassò gli occhi, rilasciando andare un sospiro. Era sua impressione o Ran era tremendamente a disagio? Trascorsero alcuni minuti. Il nervosismo e l’imbarazzo rendeva pesante l’aria da respirare.
«Perché non ti siedi?»
La karateka era appoggiata allo stipite della porta, e mai come allora, sentiva lo sguardo di lui troppo profondo per lei. Dover far finta di nulla, che non fosse successo nulla, era tremendo e difficile. Eppure doveva riuscirci.
Certo era che, anche lei, se le cercava: lei Giulietta e lui Romeo? Perfetto. Proprio il giusto.
«Sto bene all’in piedi.» Disse poi, inspirando forte. «Non preoccuparti.»
Ran fece finta di muoversi e di guardare un po’ la stanza, per perdere tempo. Ma appena vide una loro foto di qualche anno prima, appiccicata sull’armadio, sentì il cuore fare una capriola all’indietro. Tornò così sui suoi passi.
Osservò l’orologio. Saigo le aveva detto che sarebbe arrivato entro le quattro, quindi mancava un’altra ora. Un’ora. Un’ora con Shinichi. Un’ora da sola con Shinichi.
«Ran?» la richiamò l’interessato, costringendola a voltarsi.
«Dimmi.»
«Ti senti bene?» s’informò lui, un po’ preoccupato. Aveva notato il suo viso pallido e il comportamento ambiguo, ma non aveva capito che era lui la ragione di tanto nervosismo.
Lei rise, anche se apparve un riso finto. «Certo.»
«Sei strana.»
Così decise di andare a sedersi, anche perché le gambe incominciavano a tremarle. Fece pressione sul materasso, e scelse l’angolino. Altro segno che non voleva dar fastidio, e che era profondamente in imbarazzo.
«Mi sono seduta, va bene?» ironizzò lei, dandogli un’occhiata.
Lui sorrise. «Io lo dicevo per te.»
«Lo so.»
«Sei sicura di sentirti bene?»
Shinichi decise d’alzarsi e avvicinarsi alla giovane. Fece qualche passo, ma quando la vide stringere i pugni e abbassare lo sguardo, capì che qualcosa non andava.
«Hai paura di me, Ran?»
Lei finalmente alzò gli occhi. «No, perché dovrei?»
L’investigatore fece spallucce. «Dimmelo tu.»
Ho paura di quello che sento per te Shinichi...
«Non volevi io fossi Romeo?» le domandò ancora, il tono ironico e accompagnato ad un sorriso. «Se vuoi faccio Giulietta.» Ammiccò, sarcastico.
Ran scoppiò a ridere, riuscendo finalmente a lasciar andare un po’ di nervosismo. Anche il detective avvertì l’aria alleggerirsi. Pensò che quella fosse la tattica giusta per cominciare, così proseguì.
«Allora? Vuoi che faccia Giulietta?»
Lei scosse il capo, le labbra ancora contratte all’in su. «Però faresti un figurone.»
Lui ricambiò il riso, e sedendosi accanto a lei sul letto, sporse il corpo verso il suo.
«È deciso allora.» Le fece l’occhiolino, mentre Ran scoppiò di nuovo a ridere.
«Quanto sei scemo...» lo scosse con un piccolo colpo lei, facendolo cadere sul materasso. Shinichi smise di ridere, e prese ad osservare l’ex fidanzata con dolcezza.
«Sei più carina quando ridi...» Le disse spontaneo, gli occhi fissi sui suoi.
Ran arrossì all’istante, e di scatto si voltò nella direzione opposta. S’alzò dal letto e prese i due copioni che le ragazze le avevano consegnato quella stessa mattina, per poi tornare al capezzale del materasso. Shinichi era ancora sdraiato a pancia all’in su, e ciò non faceva che accrescere la sua voglia di raggiungerlo. Buttarsi sul suo corpo, abbracciarlo, baciarlo, magari anche spogliarlo. Frenò i suoi pensieri lì, anche perché si rese conto di star pensando troppo spesso alla stessa cosa.
«Iniziamo? Che dici?» disse, distogliendo lo sguardo dal suo corpo ed abbassandolo sul quaderno.
«Senza il tuo amico?» Fece lui, leggermente seccato.
«Saigo ha detto verrà verso le quattro, quindi manca un’oretta.»
Lui annuì. «Okay, dammi il copione di Giulietta, va’.» Fece poi, sorridendole.
Ran rise di nuovo, ma consegnò lui quello di Romeo.
«Da dove iniziamo?» fece lei, cominciando a sfogliare le pagine.
«Dall’inizio, no?»
Lei annuì, portando il copione a quella pagina.
«Ma dobbiamo saltare un bel pezzo. Perché ci sei te che sei innamorato di un’altra.» Lo sfotté Ran, osservandolo ridere a sua volta.
«Okay, che ne dici dell’incontro iniziale?»
«Perfetto.»
Shinichi s’alzò, diede un rapido sguardo alle battute, dopodiché posò il copione sul letto. S’avvicinò a Ran, ma appena i loro occhi si incrociarono, i due arrossirono all’istante. Il detective prese per mano l’amica, e la trascinò a sé, facendo forza sulle braccia. Ran sentì il cuore accelerare, e decise di fermare il tutto.
«Che fai?»
Lui la osservò ridente. «Recito?»
«E perché ti... ti stai avvicinando?» gli chiese, come se fosse la domanda più stupida del mondo.
«Qui c’è scritto che Romeo e Giulietta devono stare all’in piedi, uno di fronte all’altro, a pochi centimetri di distanza. Non lo leggi il copione?» La sfotté, indicandoglielo.
«Ah.» Ran diede uno sguardo al testo, poi a lui, poi di nuovo al testo, e poi di nuovo a lui.
«Meraviglioso.» Fece ironica, senza guardarlo negli occhi.
«Che c’è? Vuoi fare un’altra scena?»
Lei sospirò. A che pro? Prima o poi, avrebbe dovuto farle tutte. Tanto valeva cominciare...
«No, no. Iniziamo, sennò non ce la facciamo con la recita.»
S’avvicinò nuovamente a Shinichi, e gli porse nuovamente la mano. Cominciò a deglutire, anche quando di saliva non ne aveva più, e sentì il cuore accelerare, nel momento in cui il giovane le sfiorava le dita.
Lui la prese con sé, e cominciò a recitare.
«Se con indegna mano profano questa tua santa reliquia,queste mie labbra, piene di rossore, al pari di contriti pellegrini, son pronte a render morbido quel tocco con un tenero bacio.» 
Ran avvertì anche le gambe tremare, insieme alle mani. Diede di nuovo uno sguardo al copione.
Per tutti i templi shintoisti!!  le iridi strabuzzate, il corpo immobile. Nella scena iniziale ‘sti due si baciano!!!
Il respiro le accelerò, mentre Shinichi aspettava impaziente che lei proseguisse la scena.
«Ran?»
Ran è inutile che fai l’idiota... tanto lo dovrai baciare... okay, calmati, calmati... respira...provò a darsi un contegno, mentre l’amico d’infanzia continuava a guardarla.  Dannati Romeo e Giulietta! Questi appena si incontrano già si baciano! Io ci c’ho messo diciassette anni per baciarlo!!
«Ran?»
Il suo cuore accelerò sempre di più.
«Che c’è?»
«Dovresti continuare tu.» Le fece notare lui, indicandole con gli occhi il copione.
Lei prese un sospiro, come se dovesse immergersi sott’acqua, e cominciò a proseguire. «S-sì.»
Deglutì, e strinse ancor di più la mano a lui. Poggiò gli occhi sul copione, ed iniziò a recitare. La voce tremante.
«B-Buon pellegrino non disprezzare la tua...tua mano...» si fermò e rilasciò andare un altro sospiro. Aveva la testa che le girava.
Guardò lui e sorrise. «Okay, ricomincio.»
Sospirò ancora.
«Buon pellegrino non disprezzare la tua mano, ti ha dimostrato solo devozione; perché i santi hanno mani che i pellegrini toccano con le mani, ma palmo contro palmo! Questo è il bacio dei santi.»
Shinichi ricambiò il sorriso, mentre le loro dita si sfregavano. Spontanee, indomabili.
«I santi non hanno labbra come le hanno i pellegrini.»
Ran deglutì di nuovo. Passarono altri istanti preziosi, durante i quali fissò gli occhi sul bacio, distante due o tre battute.
Ce la fai Ran... ce la fai...
«Sì, pellegrino! Ma servono solo per pregare.»
Il detective si avvicinò ancora di più a lei.
«Allora mia santa, concedi che le labbra preghino come le mani, o la fede diventa disperazione.»
Dimezzò la distanza tra i loro volti, che si ritrovarono così a pochi centimetri. Posizionò il suo palmo in modo tale che combaciasse perfettamente con quello della giovane, ed aspettò che lei continuasse.
Un corno ce la fai Ran... No che non ce la fai...
La karateka continuò a mandare giù, ma saliva non ne aveva più. Quel viso così perfetto, nuovamente così vicino, le mandò in panne il cervello. Si fermò a fissarlo, senza il coraggio di proseguire. Voleva baciarlo...
«Ran?» la richiamò lui, ancora; aveva una voce così melodiosa...
Lei rilasciò andare un altro sospiro.
«I santi non si muovono, ascoltano chi prega e nient’altro.» riuscì a continuare, il cuore le picchiettava al massimo nello sterno.
Oddio...
«E allora tu non muoverti, mentre mi esaudisco da solo.»
Ran vide il volto di lui avvicinarsi, ed istintivamente chiuse gli occhi. Aspettò quelle labbra, anche perché le aveva desiderate per fin troppo tempo. Le ricordava bene: erano morbide, calde e profumate. Tralasciando la sua lingua, poi. Ma dopo alcuni secondi, in cui non sentì muoversi nulla, decise di riaprire le palpebre. Shinichi era lontano da lei, o meglio, le sue labbra erano lontane. Lui... non l’aveva baciata.
«Ecco, dalle tue labbra ora le mie purgate son così del loro peccato.» Aveva proseguito la scena lui, noncurante di ciò che tormentasse l’amica.
Quell’amica che, in quel momento, si sentì profondamente sciocca. Abbassò il viso, spalancando le palpebre e quasi avvertì una lacrima gonfiarle. Lui non voleva baciarla...
«Ran?» la richiamò di nuovo, osservandola.
«Sì?» Fece lei, fingendo nulla.
«Devi continuare.»
«Ah.» Per un attimo credé che Shinichi non l’aveva baciata perché lei aveva saltato qualche battuta. Ma osservando il copione, capì che non s’era sbagliata. Il primo bacio tra Romeo e Giulietta era proprio lì, e lui s’era allontanato.
«Tutto bene, Giulietta?» la sfotté lui, sorridendo.
Lei rilasciò un sospiro pesante, annuendo.
«Ehm... Ma... ma allora sulle mie testa...» s’impannò con le parole, e mordicchiandosi la lingua all’istante, maledisse se stessa per tutti i filmini che aveva girato nel giro di qualche minuto.
«Scusami, ricomincio.» Fece, passandosi una mano sulla fronte.
«Avvicinati.»
«Eh?»
Shinichi le prese il braccio e la strinse a sé, come avrebbe voluto il copione. Ran sussultò a quel contatto, e sbatté dolcemente sui suoi pettorali.
«Adesso puoi.»
Eh, posso un corno! Per te è facile!
«Ma... allora sulle mie resta... il peccato di cui... si son ...purgate le tue.» disse poi, sbagliando i tempi.
Shinichi simulò una smorfia, mista tra riso e curiosità.
«Oh colpa dolcemente rinfacciata! Il mio peccato succhiato da te... e rendimelo, allora, il mio peccato!» recitò lui perfettamente, avvicinandosi nuovamente a lei. Ran fece per sottrarsi e girarsi, ma lui la fermò.
«Dove scappi?»
«È finita la scena.»
«Veramente no, ci sarebbe il bacio» disse lui, sorridendole malizioso. I suoi denti bianchi la fulminarono.
«C’era anche prima, se è per questo.» Gli ricordò Ran, arrossendo. Il tono un po’ troppo deluso.
«Vero, ma ho pensato di giungere alla fine per provarlo.» Continuò lui, dolce ma allo stesso tempo ironico. Ed un sorriso a complicare ancora di più le cose.
«Non c’è bisogno di provare un bacio...» Gli fece notare lei, ancora un po’ rossa. In realtà, dopo la batosta di prima, pensò che lui stesse scherzando.
«Sicura?» Fece Shinichi, la voce ancora sarcastica.
Ran non rispose, e non riuscì nemmeno a guardarlo negli occhi: aveva lo sguardo indirizzato altrove, nel bel mezzo del nulla.
«Io e te già ci siamo baciati, quindi non c’è nulla da provare.»
«Vero.» Il detective ridacchiò. «E come lo vuoi sto bacio? Più o meno passionale? Come amico? Come amante, o come ex ragazzo?»
Ran arrossì ancora di più, il cuore accelerò forte nello sterno. Adesso faceva anche lo spiritoso!
Mi dia un bacio alla francese, è in saldo!
Credé quasi di essere ai mercati generali.
«Fa’ un po’ come ti pare.» Disse poi, sebbene se ne pentì subite, dopo qualche istante. Perché Shinichi le circondò la schiena con un braccio, e fece aderire i loro corpi alla perfezione.
«E allora tu non muoverti...» sussurrò alle sue orecchie, facendola palpitare.
«Mentre mi esaudisco da solo...» recitò nuovamente quella parte lui, ma con molta più cura; bisbigliò quelle parole, come se fossero così preziose da doverle lasciare andare con cautela. Ma quando fu così vicino a lei, da non poter più tornare indietro, per una volta decise di non pensare... aveva voglia d’agire: così, in un istante avvicinò le labbra a quelle di lei, prendendo possesso della sua bocca. Ran avvertì quel tocco dolce e morbido come una tempesta che le sconvolse l’animo; le labbra di lui erano sulle sue, dopo tanto troppo tempo. E così, ripresasi da un’iniziale momento di smarrimento, ricambiò il bacio. Sfregò la sua bocca con quella del detective, e sentì le mani di lui cominciare ad accarezzarle la schiena, con estrema dolcezza. Ma dove i due innamorati per antonomasia si fermarono, loro continuarono: Romeo aprì la bocca della sua Giulietta con la lingua, e diede un nuovo ritmo a quel peccato, che si fece sempre più profano. Ran fece scivolare le mani sul petto di lui, per poi arrivare alla sua schiena. Tutto era perfetto, tutto era come l’aveva visto quella mattina stessa. E proprio in virtù di quell’immagine, sentì l’ansia di averlo logorarla. Non gli bastava più quel bacio, se il giorno dopo non avrebbe avuto la certezza di rivederlo. E proprio come se lui le stesse leggendo il pensiero, la sollevò dalle cosce e la portò sul letto, sul quale la giovane cadde. Si staccarono per qualche istante, giusto il tempo che il detective strisciasse sul materasso e raggiungesse di nuovo le sue labbra, di cui riprese nuovamente possesso. Le loro lingue si sfregarono ingorde ed insaziabili, e le loro mani cominciarono a viaggiare curiose. L’investigatore accarezzò il suo addome, mentre le dita di lei andarono a stuzzicare l’orlo della sua camicia, per poi arrivare ai bottoni. Con mani tremanti e insicure, Ran tolse il primo ed anche il secondo. Dopodiché passò al terzo, ma ebbe difficoltà col quarto, che proprio non aveva voglia di venir via. Shinichi imitò le gesta dell’amante, ma con molto meno impaccio e tremore. Liberò la camicia dall’incastro con la gonna -portandola fuori- passando subito ai bottoni e togliendoli uno ad uno; l’altra mano, intanto, scivolò sulla coscia di lei, fino ad alzarle la divisa del tutto, e lasciarle l’intimo allo scoperto.
Ran riuscì a sbottonargli completamente la camicia, e mentre l’investigatore le baciava la pancia, per poi risalire sullo sterno, sentì il campanello suonare.
Un campanello ad interromperli.
La giovane si staccò da Shinichi bruscamente; il volto paonazzo, il corpo immobilizzato. Occhi negli occhi, non ebbero nemmeno il coraggio di parlare.
Il detective s’alzò da lei, lasciò andare un sospiro, e cominciò a riabbottonarsi la camicia, mentre si diresse verso l’entrata, in silenzio.
Ran rimase sdraiata sul letto per qualche istante, vedendolo scomparire oltre la stanzetta; sentì un nuovo suono del campanello, e decise ad alzarsi. La camicia era quasi tolta, il reggiseno leggermente spostato, e la gonna alzata sino ai fianchi, che lasciava vedere l’intimo. I capelli, inutile a dirlo, parevano quelli di una psicopatica.
E nel guardarsi allo specchio, realizzò di sentirsi come non aveva mai provato prima.
Così bene da toccare il cielo con un dito.
Così bene d’avvertire la testa girare, e tutto intorno a lei fare lo stesso.
Così bene da non sentire più le gambe e le cosce, che non reggevano più il suo peso.
Così bene che tutto le sembrò perdere di consistenza.
Così bene che, prima di cadere inerme e senza più forze al letto, sentì un sorriso illuminarle il volto e gli occhi.
Shinichi...
 
 
Shinichi raggiunse la porta d’entrata abbastanza lentamente, tant’è che il visitatore suonò nuovamente il campanello. Si riabbottonò la camicia repentinamente, e sbagliò addirittura a far quadrare i bottoni. Aveva i capelli scompigliati; alcuni catturati dalla benda che gli fasciava la testa poco sopra la fronte, altri che, ribelli, scodinzolavano all’aria. Pensò che, oltre la porta, ci fosse Mr Nonmipiaccionoicognomi. Ed infatti era così: lo accertò dall’occhiello. Prima di aprire al liceale, rilasciò andare un bel sospiro.
«Ciao. Ran è già in casa?» Fece Saigo, entrando in villa Kudo e cominciando a sbirciarla.
Shinichi annuì, richiudendo la porta dietro di lui.
«Ho fatto un po’ prima, così abbiamo più tempo da dedicare alle prove.» Disse ancora il karateka, alzando lo sguardo al salone.
Il detective ridacchiò beffardo.
Te ne potevi stare dove stavi un’altra oretta eh!
«Che gentile.» Rispose poi, ironico, dopo qualche istante d’esitazione.
«Gran bella casa.»
Insieme attraversarono il corridoio, per poi cominciare a salire le scale.
«Grazie.» rispose semplicemente l’investigatore, dirigendosi verso la sua stanzetta.
Sorpassò il liceale, e diede lui le spalle. Saigo era fin troppo distratto ad osservare la villa per notare la sua inquietudine.
«Ci vivi da solo?»
Lui annuì, la porta della cameretta ormai vicina. «Già.»
Aveva voglia di rivederla. Già gli mancava.
«E i tuoi?» Saigo continuò con le domande, infastidendo leggermente Shinichi. Aveva intenzione di fargli il quarto grado?
«In America, a Los Angeles.»
«E perché tu qui?» glielo chiese come se fosse scontata la risposta.
«Sono nato qui» replicò il moro, ovviandolo.
Finalmente giunse in camera, ma dando una veloce occhiata alla stanza, notò che Ran non era presente. Velocemente diede uno sguardo alla porta del bagno di fronte, e notò che fosse chiusa. Dall’insenatura si intravedeva la luce accesa; ciò valeva a dire che era lì.
«Dov’è Ran?»
«In bagno.»
«Avevate già incominciato?» domandò poi Saigo, osservando stranito i copioni. Uno era a terra, l’altro aperto sul letto.
Il detective sorrise malizioso. «Più o meno.»
 
 
Ran era fuggita in bagno per darsi una sorta di contegno; anche farsi trovare da Saigo - in quelle condizioni - non era certo il massimo. Così s’era appartata lì dentro. Aveva sistemato la gonna, abbassandola per bene, aveva messo a posto il reggiseno, ed infine, aveva riabbottonato la camicia bianca della divisa. Aveva cercato ovunque una spazzola, e trovandola, era anche riuscita a dar nuovamente dignità ai suoi capelli.
S’era così guardata allo specchio: aveva le guance rosse ed accaldate, e gli occhi era luccicanti. Anche le mani e le gambe continuavano a tremare, come percosse da una sorta di scossa infinita.
Ci siamo ribaciati... come un tempo... come quando stavamo insieme...
Pensò, gli occhi fissi sulla sua figura allo specchio.
Anzi... meglio...constatò, arrossendo ancora di più. Notando che il tremolio ai suoi arti non tendeva a scemare, la karateka cercò di auto convincersi che avrebbe dovuto lasciar correre. Che non avrebbe dovuto dar peso al nulla, anche perché probabilmente tutto quello era successo solo grazie alle prove della recita; insomma, lei donna, lui uomo, lei Giulietta, lui Romeo... era anche prevedibile accadesse qualcosa di simile. Non perché provassero attrazione l’uno verso l’altro, ma solo per cause di forza maggiore.
Suvvia Ran... non è successo nulla...
Inspirò ed espirò lentamente, socchiudendo gli occhi.
Ran?Si chiamò da sola, riflettendosi allo specchio. Non è successo nulla. Capito? Nulla. Adesso vai di là, e fai finta che non sia mai accaduto niente! Niente!
La karateka rilasciò andare un altro sospiro, e prendendo coraggio, decise a muoversi verso la porta. Ma appena udì la voce di Shinichi, si bloccò e tornò indietro.
Okay, okay...inspirò nuovamente, socchiudendo gli occhi. Calmati Ran, calmati...
Provò a tornare sui suoi passi, ma si fermò per l’ennesima volta.
Ma come farò a baciarlo e a non saltargli addosso!? Proprio Romeo doveva fare!? Cioè, non so, andava bene anche il cane di Giulietta! Ma Romeo no!
Un ultimo sbuffo, e decise finalmente di tornare in camera sua; nella mente tutto, fuori che lui.
«Ehilà, siamo tutti qui!»
 
 
«Mhm, quanti premi.»
Saigo fece un rapido giro della cameretta, tenendo sempre lo sguardo alto. Gli occhi fissi sui trofei, medaglie e riconoscimenti che il detective aveva ricevuto e vinto durante la sua breve, seppure intensa, attività calcistica.
«Eri un calciatore?»
Lui annuì, le braccia incrociate al petto. Diede uno sguardo alla porta del bagno.
Ma che diavolo stava combinando Ran?
«Lo sei ancora?»
«È più un hobby per tenermi in forma.»
Saigo passò davanti ad un’altra foto: c’erano Shinichi e Ran, poco più di quattro anni. La karateka era, come sempre, gioiosa. L’amico, invece, molto di meno: un’espressione scocciata lo contraddistingueva dall’infanzia.
«Ma da quanto tempo vi conoscete?» chiese poi, spontaneo.
Shinichi sorrise beffardo. «Un po’.»
«Siete stati sempre molto uniti a quanto noto.» Fece l’altro, prendendo la foto tra le dita.
«Già.» Shinichi diede un’altra occhiata al bagno. Sbuffò, deglutendo. Ma era ancora viva?
Saigo si voltò verso di lui, facendogli l’occhiolino. «Adesso è venuto il mio turno però.»
Il detective assottigliò gli occhi; sulla fronte una vena si ingrossò, e pulsò sempre più forte. «Eh?»
«Mi piace. E credo anche di piacerle.»
Dopo qualche attimo di silenzio, Shinichi tornò ad osservare la porta. Era sorpreso di quella dichiarazione così diretta, ma allo stesso tempo incredibilmente infastidito.
Ran non era più la sua ragazza, ma pensare che dovesse essere di qualcun altro lo logorava da dentro.
«Convinto tu» replicò poi, il tono freddo e seccato. Lasciò trascorrere qualche secondo, ma non poté frenare la sua curiosità.
«Aspetta, perché dici che credi di piacerle?»
«In questo periodo che tu non c’eri siamo usciti spesso insieme. Ed ha accettato anche l’invito alla festa di San Valentino. Sono piccoli segnali, no?»
Il detective fece una smorfia di disappunto, ma non disse nulla; dunque fu Saigo a proseguire.
«A proposito, ma perché sei scomparso?»
«Lavoro. E poi...» Shinichi sorrise amaro. «Avevamo litigato, io e Ran...»
«Davvero?»
«Già.»
«Tra amici è normale litigare. L’importante è chiarirsi.»
Noi, noi... lei per me non è un’amica...obiettò in testa sua il moro.
«Questa volta era diverso.» Fece poi, a tono basso, il capo verso il pavimento.
«Cioè?» chiese Saigo, ingenuamente. «Che vuoi dire?»
Shinichi sospirò, e lo guardò come se venisse da un altro mondo.
«Io e lei non siamo semplici amici.» Rispose soltanto, lo sguardo ancora chino.
«In che senso?»
Alzò gli occhi a quelli smeraldo del giovane di fronte a lui.
Tu non sai nulla di noi... Ran non ti ha detto niente... non ti ha parlato di me...
Saigo s’avvicinò, e notando che il detective era restio a parlare, lo scosse leggermente, posandogli le mani sulle spalle.
«Allora?!»
Shinichi assottigliò gli occhi, ed afferrandogli le mani, se le scrollò di dosso.
«Non mi toccare.»
Lui indietreggiò di qualche passo. «Piace anche a te?»
«Non sono fatti tuoi.» Replicò il detective, il tono freddo.
«Se si tratta di Ran, sì!»
Shinichi simulò un sorriso sarcastico.
«Che cacchio ridi?»
L’investigatore continuò a sorridere.
«Togliti quel sorrisetto dalla faccia, mi fai innervosire!»
Ma l’imprecazione non ebbe l’effetto desiderato, e Kudo ghignò ancora.
«Problemi tuoi.»
Saigo simulò una smorfia di disgusto.
«Ma chi ti credi di essere? Pensi di poter esercitare tutti i diritti su di lei, ma sei soltanto il suo migliore amico! Come cacchio fa Ran a starti vicino?»
Shinichi gli lanciò un’occhiata truce.
«Shinichi Kudo, detective privato. Non ho mai pensato di avere tutti i diritti su Ran, e mai lo farò. Ah, per la cronaca, non sono soltanto il suo migliore amico...» Il tono era sicuro, ed anche leggermente ironico. «Ma sono anche il suo ex ragazzo.»
Il karateka, dapprima, non disse nulla. Poi, recependo il vero significato delle parole del giovane liceale, strabuzzò gli occhi.
«Ex...?» Ripeté, allibito. «Siete stati insieme?»
Shinichi non disse nulla, si limitò semplicemente a guardarlo negli occhi con ardore.
«Ecco perché fai tanto lo spavaldo...ci sei rimasto male.»
«Io?» si finse freddo Kudo, nonostante la voce gli uscì decisamente sotto tono. «Non sai nulla di me, e nemmeno di Ran.»
«Beh, aggiornami. Ti ha lasciato lei?» continuò a chiedere Saigo, stavolta il tono spavaldo l’aveva lui.
«Non sono fatti tuoi.»
«Uh, uh... ho indovinato.» lo sfotté il karateka, ridacchiando.
Shinichi gli regalò un sorriso di scherno. «Una volta un tizio disse: “tirare ad indovinare è una pessima abitudine, distruttiva delle facoltà logiche.”»
Saigo incurvò un sopracciglio. «Chi l’avrebbe detta quest’idiozia?»
«Nah...» Il moro fece spallucce, fingendo un tono disinteressato. «...un certo Sherlock Holmes.»
«Holmes? Il detective?» chiese, come per accertarsene. Poi incurvò un sopracciglio. «E questo che c’entra con Ran?»
«Ehilà, siamo tutti qui!»
Dal bagno, con un’ondata di freschezza, giunse proprio lei, l’argomento principale di quell’accesa discussione. Shinichi si voltò a guardarla, e nell’istante in cui i loro volti si incrociarono, i due amanti arrossirono all’unisono, distogliendo immediatamente gli occhi.
Okay, facciamo finta non sia successo nulla...pensò il detective in cuor suo, rilasciando un sospiro di rassegnazione.
La giovane, osservando i due, s’accorse d’aver interrotto qualche discussione importante. In cuor suo sperò che non stessero parlando di lei; che Shinichi non stesse parlando di lei! Sarebbe stato troppo imbarazzante sapere cosa gli stesse passando per la testa, anche se di curiosità ne aveva fin troppa. 
Ma non si fece illusioni: avere udito il suo nome, pronunciato poco prima dalla bocca di Saigo, non era proprio ciò che si dice un buon segno. 
L’investigatore strinse i pugni poi, imponendosi l’autocontrollo. Saigo s’era avvicinato a lei, e lui non doveva far nulla.
Perché...
Solo per lei, solo per il suo bene... Devo starle lontano...
 



Ciao popolo di EFP! Anche questa volta ho fatto abbastanza presto a scrivere il capitolo. Devo dire che è grazie soprattutto a voi che mi seguite e mi spronate ad andare avanti! Quindi, ancora, grazie!
Tornando al chap....mmmmhm! Recita o non recita, Romeo e Giulietta....mi sembra che qui i due piccioncini complessati si stian svegliando! Cioè, rimangono pur sempre complessati, ma....*rullo di tamburi*...SI SONO RIBACIATI!! Anzi, non solo XD Sono andati un po' oltre! Ve l'aspettavate? Vi è piaciuto!?
Comunque, se qualcuno mi conosce bene, sapeva già che qualcosa doveva interromperli! XD
Questa volta è stato Saigo ù.ù
A proposito di Mr Nonmipiaccionoicognomi, finalmente è venuto a conoscenza del fatto che Ran e Shinichi sono ex! Dico finalmente perché, almeno, si è un tantino reso conto delle cose come stanno... e che sarà più difficile "allontanarli"..... :D E lui e l'ex cominciano a battibeccare xD
Intanto, mentre Ran cerca di non pensare a quello che è successo, Shinichi pensa che dovrebbe starle lontano....
Eh, Shin, abbiamo notato come le stai lontano XD
Va beh, con questo ho concluso :)
Come dissi a qualcuno, la ff è a metà dell'opera... diciamo che è molto lunga XD
Quindi dovrete sopportarmi ancora per un bel po'!

Ringrazio Assu, Mary, Ale, Delia, Shineranamore, MangAnime, Marta, Nana, Mangakagirl, ciccia, LisaLower, Hoshi e bessie!
Grazie anche a tutti coloro l'hanno inserita tra le preferite! :)


Sperando di rivedervi sempre così numerosi, vi lascio!

Un bacione grandissimo
Tonia

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Capitolo 21
*** Romeo & Giulietta: Atto Secondo ***


No, ragazze, ho deciso. Non continuo più la storia. Purtroppo non ne sono più capace, e la abbandono....
Questo è il mio ultimo messaggio, dopodiché la toglierò da EFP!
...
...
...
...
...
CI SIETE CASCATE, EH! xD
Oggi sono in vena di scherzi XD
Stavolta mi son messa sopra perché... beh, poi capirete XD No, non è solo per farvi questo scherzo idiota!
Ci tengo a ringraziare tutti i recensori dello scorso chap: Assu, ale, marta, luna, angel, hoshi, delia, lisa lower, manganime, mary, ciccia, mangaka e bessie!
Grazie anche a chi legge soltanto!
Buon Romeo e Giulietta! Ciaooooo! <3

Tonia


   

Your Lies   

20.
Romeo & Giulietta: Atto Secondo

•••

 
 
 
Nonostante quello che fosse successo un paio di minuti prima, Ran e Shinichi riuscirono a portare avanti le prove senza ulteriori problemi. Quando la karateka chiese ai due di provare la scena dove Romeo Montecchi avvisava il migliore amico, Mercuzio, dell’amore che provava per una Capuleti, si rese ben presto conto che, tra Shinichi e Saigo, c’era stato qualche dibattito acceso. Si conoscevano appena e già si lanciavano occhiate truci e battutine spiritose? E sebbene lei provò a capire cosa fosse accaduto, quei due glielo nascosero per bene. Soprattutto lui, il suo eterno e più grande incubo e sogno. Dopo l’arrivo di Saigo s’era mostrato molto più freddo di prima: non aveva più scherzato con lei, e a malapena le aveva parlato.
È facile intuire come, un atteggiamento del genere, fece piombare nel buio più profondo la piccola e ingenua Ran. Perché un minuto prima erano attaccati, e il secondo dopo si ritrovavano a due poli opposti della terra? Lei non l’avrebbe mai capito. Ci stava soltanto male.
Spariva e tornava, la baciava e si allontanava!
Perché non intraprendeva un percorso dritto, senza ramificazioni di alcun genere? Lei voleva sapere, anzi, pretendeva di conoscere quello che lui sentisse.
Tant’è che, dopo tre ore di prove, aveva deciso d’andare via, volendo testare la reazione di lui. Sperava che Shinichi l’avrebbe fermata, o almeno avrebbe avuto intenzione di parlare di quello che era successo, ma niente. Proprio come quando l’aveva lasciato, il detective non fiatò e non mosse un singolo dito.
Fu così che decise di non averlo più come suo migliore amico; insomma, un amico si confida con te, ti dice cosa gli passa per la testa. E se ne sbatteva che era carattere, perché loro si conoscevano da sempre. Lei lo amava da sempre, possibile lui non ci arrivasse? O forse c’era arrivato e se ne giocava di quella sua debolezza?
Non lo sapeva più. Camminando verso casa, gli occhi e il viso bassi sulla strada, constatò di non conoscerlo più. Chi era Shinichi Kudo?
Un gran guaio, rispose subito a se stessa.
Così era giunta sotto l’agenzia: sopra probabilmente la stava aspettando suo padre, ed il piccolo Conan, che non vedeva dalla mattina di San Valentino.
Peccato che, posando la borsa e salutando il padre, Ran constatò che, del suo fratellino non c’era traccia.
«Che vuol dire rimarrà da Mistuhiko un altro po’?»
Kogoro sbuffò. «Mi ha detto che il professore Agasa ha organizzato un campeggio, e visto che erano tutti da lui, ci sono rimasti.»
Shinichi aveva chiamato, mutando la propria voce,il detective in trance, quella stessa mattina.
«Ma ha preso i ricambi, lo spazzolino? Quando è tornato?» si preoccupò lei, allargando le braccia, esasperata.
«Cosa vuoi che ne sappia io, Ran!» sbottò il padre, scocciato. Alla tv stavano trasmettendo uno dei programmi di Yoko Okino, ed essere distratto lo faceva innervosire come nulla.
«Ma è un bambino, e non può fare quello che gli pare! E la scuola? Certe volte mi sembra proprio...» Sbraitò in cuor suo, e sempre tra sé e sé, completò la frase.
Mi sembra proprio Shinichi...
Già, perché sempre lui era. Piccolo o grande, quell’atteggiamento menefreghista e indipendente non lo abbandonava mai. Ma Ran non lo sapeva, e Ran non sospettava. Perché Shinichi l’aveva convinta di non avere nulla a che fare con quel moccioso occhialuto, a parte un lasco legame parentale.
«Già. Quel ragazzino fa sempre di testa sua.» Diede corda Kogoro, osservando il display luminoso della televisione.
«A che ora ti ha chiamato?»
«Stamattina... saranno state le otto.» La avvisò, lo sguardo sempre fisso sulla tv.
«Ed era proprio lui?» s’informò, avvicinandosi al padre. «Cioè, voglio dire, era proprio la sua voce?»
E lui annuì. «Sì, Ran. Che razza di domande mi fai?»
«No, così... per curiosità.»
La karateka scosse il capo, socchiudendo gli occhi.
Era proprio sciocca a pensare assurdità del genere...
 
 
 
Ran telefonò a Conan nella serata, subito dopo essersi fatta un bel bagno. Al di là della cornetta gli rispose proprio il suo fratellino, che le spiegò per filo e per segno cosa dovessero fare l’indomani.
«Il professore Agasa ci porta in campeggio per un paio di giorni, non preoccuparti per la scuola!» le aveva detto, cercando di convincerla.
Ran si fece ripromettere che fosse stato attento e che si sarebbe comportato bene, dopodiché gli augurò una buona notte.
Prima d’addormentarsi, fu combattuta nell’osservare il cellulare per circa un’ora. Aveva voglia di mandare un messaggio a Shinichi, ma la paura di disturbarlo la frenava.
Lui inoltre, e ovviamente, non s’era fatto sentire.
Non so cosa fare... vorrei parlargli... ma lui sembra sempre così distante e così lontano... vorrei chiarire... ma non so se lui lo voglia altrettanto...
E con in mente l’immagine sua e di quel pomeriggio, il corpo di lui che si muoveva sopra il suo, il profumo di lui che la inebriava, e la lingua che la faceva impazzire, Ran s’addormentò senza contattarlo.
 
 
Il mattino dopo, la karateka incontrò Shinichi e Sonoko a scuola. L’ereditiera fu la prima ad arrivare, mentre il detective fece nuovamente ritardo. Per tutta la giornata scolastica, Kudo non diede un solo sguardo a Ran. Né una parola, né un singolo gesto. L’aveva osservato per tutte le ore, e lui non aveva accennato a muovere gli occhi dai libri o dal professore. Come se lei non esistesse, come se nulla fosse successo.
Sonoko, d’altronde, s’era accorta della sua distrazione, e durante la ricreazione, l’aveva avvicinata.
«Ieri ero troppo stanca per venire. Il galà mi ha messo una paura immane.» Avvisò l’amica, vedendola osservare al di là dell’infisso bianco.
Lei rispose con un sorriso amaro e stentato. «Hai fatto bene.»
«Che hai Ran?» s’era informata, appoggiandosi al davanzale della finestra della classe.
Lei sospirò. «Nulla.»
«Su, dai. Che è successo?»
Lei fece un altro sospiro. «Io e Shinichi interpreteremo Romeo e Giulietta in una recita che ci sarà tra qualche giorno.»
L’ereditiera strabuzzò gli occhi. «Che cosa?!»
«Eh, hai visto che sfiga?» disse spontanea, abbassando gli occhi e rilasciando uno sbuffo.
«Sfiga? Hai finalmente la possibilità di sbaciucchiartelo tutto, così non rompi più, e la chiami sfiga!?»
Ran arrossì di botto. «Ma che dici, Sonoko!»
«Uh! Quanto vuoi fare la santarellina non ti sopporto, sai?»
«Non voglio fare la santarellina!» replicò lei, mettendo il broncio.
«Invece sì. Secondo me quello che servirebbe a te e a Mr Simpatia che ti piace tanto, è un bell’hotel a cinque stelle con tanto di vasca idromassaggio a rilassarvi insieme!»
«Sonoko!!» divenne ancora più paonazza, mentre per un attimo la sua mente viaggiò lungo quel pensiero. Scosse il capo, imponendosi raziocino.
«Tanto è ricco e può permetterselo.»
«Sonoko!!»
«Vuoi dire che non è ricco?»
Ran ridusse i suoi occhi in puntini. Il volto infuocato. «Adesso cosa c’entra questo?»
«Ah, giusto, ho capito! c’è la sua villa... che è meglio di un hotel!» la sfotté maliziosa e pungente, stuzzicandola per il gomito.
«Smettila! Io ti stavo parlando di una cosa seria!»
«Anche io sono seria, tesoro.»
«Pensa tu a fare quelle cose con Kyogoku!» le disse Ran, in modo da rispondere a tono.
Sonoko sospirò, affranta. «Secondo te non vorrei? Quello è in giro per il mondo a vincere tutti i campionati di karate organizzati. E che cacchio.»
Anche l’amica rilasciò andare del fiato, ma rassegnata. «Lasciamo perdere.»
«Sì, infatti, lasciamo perdere. Dimmi allora... te lo sei sbaciucchiato?!» continuò per quel verso l’ereditiera; quella mattina non aveva voglia di demordere.
Quando finisce la ricreazione!?
Ran non rispose, ma distolse lo sguardo, sentendosi profondamente in imbarazzo.
Sonoko guizzò con gli occhi. «Dal tuo viso deduco di sì!»
Ran arrossì ancora, colorandosi di rosso accesso. Pareva un evidenziatore.
«FINALMENTE!» urlò così l’ereditiera, ma talmente tanto da attrarre l’attenzione di un’intera classe. Compreso Shinichi, che repentinamente fece finta di nulla.
Ran continuò a colorarsi d’arcobaleno, mentre cercò di zittirla con un dito.
«Abbassa la voce, stupida!»
«Allora te lo sei baciato, vero!?»
Ran sospirò. «Sì, contenta?» disse, mormorando appena.
«Ti ha baciato lui?» si fece più vicina a lei Sonoko, in modo che l’orecchio fosse poco distante dalle labbra dell’amica.
«Sì, ma... l’ha fatto solo perché Romeo doveva farlo!»
Sonoko assottigliò gli occhi. «Sì, come no.»
«Davvero!» continuò ad obiettare Ran, i pugni stretti.
«Perché lo dici?»
«Mi ha baciato quando Romeo lo ha fatto con Giulietta la prima volta. Ricordi?»
Sonoko annuì, facendo la melodrammatica. «Sì, palmo contro palmo. Questo è il bacio dei santi. Pellegrino e tutto il resto appresso!» Poi, avvicinandosi ancora di più, la fissò intensamente negli occhi. «Si è fermato lì?»
Ran arrossì di nuovo. Gli occhi ridotti a puntini, e la bocca continuamente a deglutire.
«Ehm, no, sì, insomma, cioè, in realtà...»
«Eh?»
«Erabaro stesi tul fetto.» rivelò, non scandendo le parole dalla vergogna.
L’ereditiera fece una smorfia, aggrottando le sopracciglia.
«Ran ma che cacchio stai di dicendo?!»
Lei deglutì ancora. «Eravamo stesi sul letto.» Si fermò un secondo, poi continuò. «Cioè... lui mi ha sdraiata sul letto.»
Sonoko strabuzzò le palpebre. «Oooh! E prima facevi anche tanto la santarellina!»
L’amica l’osservò truce. «Non stavo facendo la santarellina!»
Sonoko s’attaccò a lei. «L’avete fatto?» sussurrò poi.
«No!» s’affrettò a rispondere, paonazza. E dopo alcuni secondi aggiunse: «Saigo ci ha interrotti.»
L’ereditiera scoppiò a ridere, quasi da lacrimare. «Saigo!? Noooo!!!»
«Che cacchio ti ridi!?»
«Questo è il colmo dei colmi!» continuò ancora, sempre ridente. Si asciugò le lacrime con un dito, il viso rosso di risate. «Il rivale che interrompe i due amanti!»
«Dai, Sonoko, sii seria!»
«Okay, la smetto.» Fece poi, dandosi un contegno. Ran le lanciò occhiate sinistra, mettendo il broncio.
Smesso di ridere, l’ereditiera riprese parola. «Posso sapere allora perché prima hai detto ‘che sfiga’?»
L’amica sospirò, abbassando lo sguardo. «Dopo l’arrivo di Saigo non mi ha più parlato. Nemmeno oggi in classe lo ha fatto. Io non lo capisco!»
Sonoko ci rifletté un attimo su. «Che cavolo dici?»
Ran annuì, una lacrima le passò negli occhi. «Sì, mi sta facendo impazzire! Prima mi dice che sono la sua fidanzata, poi ci lasciamo e se ne sbatte, torna e mi salva la vita, alle prove mi bacia ed ora... fa finta di nulla!!»
«Kudo morirà di una fine atroce. Per mano mia.» S’imbestialì la migliore amica, avvertendo una vena pulsare. Fissò lo sguardo sul banco del giovane amico, e fece per raggiungerlo.
Ran la bloccò per il polso. «No, Sonoko, per favore! Non dirgli niente!»
«Come? Si merita una lezione!»
Lei la implorò quasi. «No, non fare nulla!»
«Ma Ran...»
«È una questione tra me e lui. Per favore.»
Sonoko avvertì la stretta della migliore amica sul braccio, e decise di desistere. Ma mai come in quel momento, odiò Shinichi Kudo così tanto da sperare che, almeno un po’, soffrisse anche lui tutto quello che stava facendo passare alla dolce e ingenua Ran.
 
 
 
Quando le lezioni si conclusero, Ran trovò finalmente il coraggio d’avvicinarsi a Shinichi. Nonostante l’atteggiamento che ostentava e tutto i problemi che le dava, rimaneva pur sempre il Romeo con cui doveva recitare. Ed anche se lui non l’aveva degnata di uno sguardo, in quei giorni avrebbe dovuto farlo. Non poteva mica fare la recita da sola.
«Ciao.»
Il detective stava per andarsene, quando la voce dell’amica lo richiamò. Si girò lentamente, come a pensare cosa dovesse dirle e come doverglielo dire.
«Senti, visto che abbiamo poco tempo, oggi dovremmo provare di nuovo.» Lo avvertì, seguendolo. Shinichi, infatti, non s’era nemmeno fermato a parlarle. Percorsero il corridoio in silenzio, fin quando non uscirono dall’edificio scolastico, imbattendosi nel vocifero di sottofondo del Teitan.
«Allora? Vengo sempre io da te?» provò ancora lei, il tono leggermente seccato.
«Non accetto la parte.»
Disse lui dopo un po’, a capo chino.
«Cosa?» Fece Ran, incredula. Aveva sentito bene, o si stava tirando indietro?
«Trovati un altro Romeo.»
Il cuore di lei si fermò, come colto da una saetta. Anche le sue gambe si bloccarono, mentre gli occhi si spalancarono, quasi impauriti.
«P...perché?» gli chiese dopo qualche istante, la voce fievole e singhiozzante. Le lacrime le facevano male nelle palpebre, come a richiedere di voler uscire.
«Ho da fare.» Rispose lui poi, il tono glaciale. Ran non poteva di certo sapere che, le stesse fitte che colpivano lei, facevano male anche a lui. Ma Shinichi era così bravo a fingere che nulla faceva trapelare dalle sue parole.
«Ma... ma come?» La karateka non aveva più parole, e non sapeva nemmeno più cosa dirgli.
Dopo qualche secondo lo vide allontanarsi: le spalle muscolose che aveva abbracciato il giorno prima adesso parevano solo frutto della sua immaginazione e della sua perversione.
«Davvero... lasciami in pace.»
Una lacrima le solcò il viso.
Perdonami, perdonami di amarti, e di avertelo lasciato capire...
 
 
Dietro uno degli alberi del cortile scolastico, Chandon osservò l’intera scena. Sogghignò nell’ascoltare quella conversazione: Shinichi Kudo aveva palesemente rifiutato la compagnia dell’amica d’infanzia, lasciandola in lacrime dinanzi alla scuola.
«Mhm... questi ragazzini mi risparmiano il lavoro...»
 
 
Ran s’incamminò verso casa col capo basso. Sebbene cercasse di fermarle, le lacrime continuavano a scendere copiose lungo il suo volto. Aveva avuto la conferma dei suoi sospetti: per qualche assurdo motivo, Shinichi non voleva parlarle più, e non voleva nemmeno più interpretare Romeo!
L’aveva lasciata da sola, nuovamente, fregandosene delle prove e della recita. Fregandosene di tutto, e soprattutto di lei. Si passò una mano sulle palpebre, e con il dorso tolse via le lacrime. Gli occhi erano comunque rossi, gonfi e luccicanti, e non era di certo difficile immaginare cosa avesse fatto. Tirando su col naso un paio di volte, continuò a camminare verso l’agenzia, sperando di non incontrare suo padre. Dare spiegazioni era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare in quel momento, anche perché non le aveva nemmeno lei.
«Ehi, Ran-kun!»
Sentì una voce chiamarla, così si decise ad alzare il mento. Intravide, così, sull’altro marciapiede, la madre di Mistuhiko, l’amichetto di Conan. Tornò a passare un dito sotto gli occhi, per levare via gli ultimi residui di lacrime, e salutò la signora, alzando la mano e sventolandola.
«Buongiorno, signora.»
La tizia attraversò la strada e le si avvicinò, stando attenta alle auto che provenivano da destra.
«Buongiorno a te, cara. Tutto bene?»
«Sì, sì.» fece Ran. «È solo che... mi è entrato qualcosa nell’occhio...» giustificò così il rossore, sorridendo.
«Dovresti sciacquarlo con dell’acqua.» Le consigliò la donna, sincera. La karateka annuì.
«Scusami, Ran... volevo chiederti di questo campeggio che i bambini devono fare. Cioè, non so, è periodo scolastico... non vorrei che, per via di queste scampagnate, Mistu-chan si distraesse da scuola. Ma questo Dottor Agasa, è un tipo affidabile, sì?»
La ragazza annuì. «Certo, non si preoccupi. Anche io credo che non debbano saltare scuola, ma Conan mi ha detto che, grazie alla Golden Week, salteranno meno giorni.»
La donna sembrò rasserenarsi. «Se lo dici tu, mi fido. Sei tanto una brava ragazza.»
Ran sorrise distrattamente. «A proposito, mi permetta di ringraziarla per aver ospitato Conan in questi giorni... purtroppo io non ci sono stata, e...»
La madre del bambino parve cadere dalle nuvole; aggrottò un sopracciglio e sembrò pensarci un attimo.
«Ma Conan-kun non era da me.» Rivelò poi, sicura.
Ran spalancò gli occhi. «Cosa?»
La donna annuì. «L’altro ieri c’erano tutti i bambini, ma tranne il piccolo Conan. Ed anche ieri non c’era.»
La karateka sorrise, incredula. «Sta scherzando?»
«No, sono serissima. Perché? T’ha detto una bugia?»
La giovane rimase immobilizzata per un po’, finché non si risvegliò, come percossa da un brivido.
«Lei è sicura Conan non c’era? Non l’ha proprio visto?»
Quella annuì. «Tutto bene, Ran-kun?»
Ran deglutì, e velocizzando i processi nel suo cervello, pensò tutto ciò che dovesse fare nel giro di qualche secondo. Cominciò ad allontanarsi dalla signora, e salutandola con un gesto della mano, le augurò una buona giornata. Dopodiché, filò dritta verso l’agenzia investigativa.
Aveva qualcosa da prendere.
Adesso basta!
 
 
Nonostante l’avesse visto un migliaio di volte, la maestosità di quell’edificio non smetteva mai di stupirla. Era la fortezza adatta a dei poliziotti, pareva espugnabile.
Dentro, inoltre, era incredibilmente moderno. Ran ricordava che, qualche anno prima, la questura aveva indotto un rinnovamento degli ambienti, modernizzandoli a loro piacimento.
Incantandosi ad osservarlo, arrivò all’ingresso. Dinanzi al tabellone indicativo, ricercò la voce che più gli serviva.
Mhm... dipartimento omicidi... quarto piano... dipartimento furti... dipartimento analisi..
«Ehilà, Ran-kun! Che bello rivederti!!»
Una voce familiare la richiamò, costringendola a voltarsi.
Girandosi, vide Sato e Takagi avvicinarsi, con fare lento e calmo.
«Salve agente Sato, e salve anche a lei, agente Takagi!» li salutò cordiale, regalando loro un sorriso. Anche se, in quel momento, di sorridere non ne aveva proprio voglia.
«Ciao cara. Tutto bene? Ti sei ripresa dallo shock dell’incendio?»
Lei annuì. «Abbastanza.»
«Oh, perfetto. È stato un vero disastro. Io e Takagi stiamo ritornando sul luogo per scoprire qualcosa in più, ma pare essere un vero enigma!» rivelò lei Sato, incrociando le braccia.
«Sono sicura che riuscirete ad assicurare il colpevole alla giustizia.»
«Speriamo. Piuttosto, che ci fai tu qui?»
Ran sussultò, sentendo le gambe tremare. «Mio... mio padre mi ha mandato per... per far analizzare certi... certe cose. Voleva usufruire del laboratorio della... questura...» fece poi, il tono tutt’altro che convincente.
«Oh, cosa deve fare?» s’informò Takagi, facendosi avanti. «Lo porto io in laboratorio analisi.»
La karateka ebbe un attimo di esitazione. Deglutì ed inspirò aria, imponendosi l’autocontrollo.
Aprì la borsa a tracolla che aveva, e cominciò a rovistarla.
Stai facendo la cosa giusta Ran... la cosa giusta...
Una voce glielo suggerì, ma nonostante tutto, ebbe sempre l’impressione di starsi comportando male. Perché era essere meschini, o no?
Con mani tremanti, riuscì ad estrarre da essa una bustina bianca. Era intatta, e dalla leggera trasparenza che aveva, era possibile anche immaginare cosa ci fosse all’interno.
Li guardò ancora, e dopo alcuni secondi, Ran rilasciò andare uno sbuffo.
Ora... o mai più...
«Dovreste...» cominciò a spiegare, la voce singhiozzante. Gliela porse, e Takagi ci diede uno sguardo, stranito.
«Dovreste verificare se... se le impronte digitali di questi due oggetti... appartengono alla stessa persona...»
 
 
Dopo esser stato dal dottor Agasa, Shinichi tornò in villa. L’umore non era dei migliori, e nonostante facesse un male tremendo anche a lui, non poté fare a meno di pensare che fosse la scelta giusta allontanarla. Lui era in pericolo, e se Ran gli stava vicino, anche lei avrebbe rischiato la vita. E tutto avrebbe voluto tranne perderla, tranne vederla morire per colpa sua.
Era un futuro che non voleva nemmeno immaginare, e che non doveva avere nessuna prospettiva d’esistere.
Dopo esser stato in cucina, ed aver bevuto un succo di frutta, il detective avvertì il campanello suonare. Chi mai poteva essere?
Andò a sbirciare dall’occhiello, e si sorprese nel ritrovare Ran.
Aveva la pelle dura quella ragazza! Non sapeva se esserne felice o meno, e nemmeno se aprire o no. Ma la karateka suonò altre tre volte, impaziente. Aveva lo sguardo di fuoco, e totalmente diverso da quello che gli aveva rivolto fuori scuola. Era sicuro, quasi minaccioso.
Shinichi bevve un altro sorso di succo, per poi aprire la porta.
«Che vuoi?» Fece il freddo e l’infastidito, sperando che lei, in questo modo, se ne andasse il prima possibile. Ma Ran non sembrò colpita da quel tono glaciale.
«Fammi entrare.» Stavolta il tono duro ce l’aveva più lei.
«Perché?»
«Dobbiamo provare. Non c’è tempo e la recita è tra tre giorni, e al momento siamo lontani anni luce dalla prova generale.» Rispose tranquilla lei, mettendo piede in villa. Shinichi la osservò entrare, e provò a bloccarla.
«Senti, mi pare d’averti già detto che...»
Ma lei lo fulminò con lo sguardo. «Non mi importa di quello che dici tu. Non comandi tu. Mi sono rotta, capisci?! Se prendi un impegno devi rispettarlo. Le persone non stanno ai tuoi comodi, Kudo!» usò appositamente il cognome, proprio per fargli capire quanto forte fosse il suo rancore.
«Ma...» Lui provò ad obiettare, ma Ran pareva un ciclone umano.
«Andiamo su o stiamo qui? Sai com’è, non vorrei mi saltassi addosso un’altra volta.»
Shinichi arrossì lievemente, mentre lei sembrò non curarsene. Ma che le era successo?
«Aspetta, io...» riprovò ancora, ma lei lo bloccò nuovamente.
«Io, io, e io!» lo sfotté lei, il tono allo stesso tempo esasperato e ironico. «Sempre io! Mamma mia, c’hai un ego che si espande in tutto l’emisfero boreale! Ti muovi o no!? Non ho tempo da perdere con te!»
Shinichi sbatté le palpebre un paio di volte, imperterrito.
Ran gli faceva più paura di Gin, certe volte...
 

«Ma perché è andata alla centrale di polizia?»
Intanto, fuori la villa, Chandon osservò la scena. Non riuscì ad ascoltare cosa si stessero dicendo, ma il fatto che Ran fosse tornata dall’amico d’infanzia, non era un buon segno.
Strinse i pugni, maledicendoli.
«Dannazione! Stare appresso a ‘sti due mi farà impazzire!»
 
 
«Allora? Facciamo la scena della morte? O quella in cui ricercano Romeo e lui dorme da Giulietta?»
Shinichi non fiatò neppure allora. Era troppo preso a capire cosa avesse animato così tanto la sua amica d’infanzia, e perché così all’improvviso. L’aveva lasciata quasi lacrimante davanti alla scuola, perché adesso faceva finta di nulla?
«Allora?»
«Eh? Oh... come vuoi.» Fece lui, tenendosi lontano dalla giovane.
«Romeo che va da Giulietta la escluderei, approfitteresti della situazione.» Pensò lei ad alta voce, ma forse volontariamente. Shinichi arrossì di nuovo, e distogliendo lo sguardo, simulò una smorfia.
«Non mi pare che ti sia dispiaciuto così tanto ieri.»
Lei lo osservò profondamente. «Già.» Fece un sorriso di scherno. «Tutti commettono degli errori.»
Il detective parve scosso da quella risposta. «Te ne sei pentita?»
Ran lo osservò truce. «Hai anche il coraggio di chiedermelo?»
«Era... per curiosità.»
Lei rise, ma fu un sorriso ironico. «Curiosità? Ah, beh, io non sono uno stupido avvenimento di tanti anni fa, che vuoi conoscere per curiosità! Sono...» ma si bloccò, correggendosi. «Ero la tua migliore amica, ma tu hai pensato bene di buttare a puttane tutto quello che abbiamo costruito insieme in questi anni: il nostro rapporto, la nostra fiducia, i nostri sogni!»
Kudo non fiatò, sentì soltanto la gola seccarsi. Ormai deglutiva solo aria, perché non aveva più saliva.
«Ma lasciamo perdere, che è meglio. Proviamo questa recita, e finiamola per davvero.»
«Ran, io...» cominciò lui, ma venne nuovamente interrotto.
«Ancora con questo ‘io’? Se vuoi parlarmi di noi, non usare il pronome singolare, perché ci sono anche io! Siamo noi, non io!» Fece poi, il respiro accelerato. Non era mai stata più furiosa di quel momento.
Lui si comportava una schifezza, e Conan scompariva improvvisamente. Ma questa volta era diverso, questa volta sarebbe giunta fino alla fine: le serviva solo un’ultima cosa...
«Volevo solo dirti che...» riprovò, il volto basso. «Mi dispiace che sia finita così. Io non volevo... non avrei mai voluto distruggere il nostro rapporto.»
«Ah, davvero?» domandò ironica lei. «Ma guarda un po’... mi tratti uno schifo, e poi mi dici che non avresti mai voluto far una cosa del genere. Poco coerente, no?»
Ran s’alzò dal letto su cui era seduta. S’avvicinò a lui, e nonostante sentì il cuore palpitarle forte, decise d’andare avanti. Shinichi la vide avanzare, ma non ebbe il coraggio di risponderle: cosa doveva dirle poi? Non poteva rivelare la verità, ma se non l’avesse fatto, non avrebbe potuto dare un senso al suo comportamento.
«Che dici? Le facciamo queste prove o no?» cambiò così discorso, mentre Ran gli rivolse un’occhiata truce.
«Ah, adesso vuoi fare Romeo?»
«Mi hai praticamente costretto.»
«Te la posso dire una cosa?»
Lui sorrise ironico. «Una in più, una in meno...»
«Sei la persona più volubile che abbia mai conosciuto in vita mia. Sei anche terribilmente sbruffone e sicuro di te da far venire il voltastomaco.»
Shinichi sospirò, continuando a sorridere. «Me lo dicono in molti.»
«Ci sarà un motivo!» sbraitò lei, allargando le braccia.
Il detective sorrise, mentre lei s’avvicinò ancora di più. Ormai era a pochi centimetri da lui, e sporgendosi col busto avanti, aveva poggiato i palmi sulla scrivania, a fianco alle gambe di Shinichi.
«E la vuoi sapere un’altra cosa?»
«Se proprio devo...»
Lei prese un sospiro, e nonostante un po’ di rossore le sfumò il volto, ebbe il coraggio di continuare. «Se io ti baciassi adesso, tu ricambieresti.»
L’investigatore la osservò profondamente, sbattendo un paio di volte le palpebre. Poi ricominciò a sorridere. «Chi lo sa, può darsi.»
«No, no, è sicuro. E saresti anche capace di portarmi a letto. Perché per qualche assurda ragione ti passerebbe tutto e torneresti ad essere te stesso: quel Shinichi spontaneo che non so più che fine abbia fatto.»
«Vuoi provare?» la sfotté lui, ironico e malizioso. Si morse la lingua dopo un secondo però: lui doveva starle lontano, lontano, lontano... e se lei lo provocava in quel modo gli era particolarmente difficile.
Ran non arrossì, per prima volta che Shinichi tentava di stuzzicarla: ormai s’era scocciata d’imbarazzarsi ad ogni sacrosanto dettaglio, e fingere che tutto quello che avevano fatto era nulla.
«Ti piacerebbe, eh?» Così rise, riallontanandosi. Era sempre meglio che stargli appiccicata; meglio prevenire che curare.
Anche il detective rise. «Piacerebbe prima a te.»
Ran cominciò a stizzirsi. Volente o nolente, quel ragazzino voleva sempre avere l’ultima parola.
«È una gara a chi piace prima? Come sei stupido.»
«No, è una constatazione.» Continuò lui, con quel tono beffardo.
La karateka assottigliò gli occhi, lo sguardo feroce. «Oh, abbiamo Casanova qui... tutte gli cadono ai piedi.»
Shinichi ridacchiò.
«Come ti devo chiamare? Romeo, Casanova o idiota?»
Il detective s’alzò dalla scrivania, e cominciò ad avvicinarla. Intanto, partì a recitare: «Io ti piglio in parola: chiamami soltanto amore, ed io sarò ribattezzato; da ora innanzi...»
Ma Ran spezzò la sua voce, pungente. «Ho capito che la conosci quella frase, ma cerca di imparare a memoria anche le altre!»
Lui le lanciò un’occhiata truce. «Ragazzina? Guarda che quella che qui non sa bene le battute sei tu.»
«Sarà perché ho un Romeo poco stimolante?»
Lui annuì, malizioso. «Ho notato ieri quanto ero poco stimolante...»
Ran assottigliò gli occhi. «C’è bisogno di ripeterlo sempre, adesso?»
«Mi piace provocarti.» Ammise poi lui, sempre col sorriso sulle labbra.
«Ops! Ho dimenticato il tuo copione a casa!» Fece Ran, mettendosi una mano sulla bocca.
Ma Shinichi la ignorò.
«Te la posso dire io una cosa, adesso?» Fece poi lui.
«Prego.»
«Se io ti baciassi, anche tu mi ricambieresti.»
Ran alzò gli occhi lentamente, come a volersi prendere il tempo giusto per rispondergli. Dirgli cosa poi? Era la verità, dannazione...
Così si limitò a sospirare. «E allora?» Fece, riabbassando gli occhi.
Lui la osservò per qualche minuto stupito, proprio non s’aspettava quella risposta. Così tacque, fin quando non decise di fare spallucce.
«Così, per dire» e sorrise.
«E allora taci.» Fece, per poi tornare ad osservare il copione. «Comunque reciterai dal mio, perché il tuo l’ho dimenticato.»
«Macchebrava!» la sfotté, parlando velocemente.
«Scusa, tu non eri quello che sapeva già tutto alla perfezione?» lo sfotté ancora, sorridendogli.
«Certamente» disse lui, sicuro e spavaldo. «Se vuoi faccio tutto anche senza copione.»
«Se, va beh!»
Shinichi sospirò, e si rassegnò a quelle condizioni: per un altro paio di giorni, avrebbe dovuto star ancora vicino, troppo vicino, alla sua Ran... Sbatterla fuori di casa non era da lui, la violenza non gli apparteneva. Ma la karateka gli sembrò talmente sicura ed insolente -quasi- che pensò che nulla avrebbe potuto allontanarla da lui.
Tossicchiando e schiarendo la voce, Shinichi lesse il copione dell’amica velocemente, per poi gettarlo sul letto, a fianco a Ran.
«Allora? Vieni da me o ti devo trascinare?»
«Idiota, guarda che sei tu che dovresti venire da me. Cosa sono, una morta all’in piedi?»
Già, è vero... Giulietta è morta...si rese conto lui, sbattendo le palpebre. Sospirò, e sapendo perfettamente a cosa stava andando incontro, s’avvicinò a lei.
Ran fece per indietreggiare sul materasso, fino ad arrivare al cuscino. Lentamente si sdraiò, e fece affondare la testa nel guanciale, osservando Shinichi raggiungerla. Nella scena originale, Romeo s’abbassava a contemplare Giulietta, finta morente: lui l’avrebbe fatto?
«Ecco, poi non dire che sono io che ti porto sul letto.» Disse poi, sogghignando. Sedendosi sul materasso, all’altezza del seno di lei, Shinichi cominciò ad osservarla: era davvero bella...
Deglutendo, decise di pensare alla recita.
«Mia sposa... chi ti ha tolto il tuo...» cominciò a provare, ma vedendola con gli occhi aperti, si bloccò.
«Una morta non ha nemmeno gli occhi spalancati come i tuoi, sai!»
Lei lo osservò truce. «Controllo se hai intenzione di saltarmi addosso.»
Il detective rise, e passando un dito su entrambe le palpebre, gliele socchiuse. «Shhhh!»
Accarezzandole il viso, con estrema delicatezza, ripartì a recitare. Ma tutto stava diventando di nuovo difficile: come avrebbe fatto a fermarsi?
Anche Ran aveva il cuore che le palpitava: stupido o no, sbruffone o no, stronzo o no, quando lui la toccava era sempre un colpo all’anima. Non poteva farci nulla, in fondo. Le piaceva. E non sapeva nemmeno se sperare che tutto tornasse come il pomeriggio prima, o se non accadesse nulla.
«Mia sposa, chi ti ha tolto il tuo alito profumato non ha potuto nulla con la tua bellezza... non ti hanno vinta; splende ancora il rubino sulle tue labbra e sulle tue guance, la morte mai ci pianterà la sua pallida bandiera!» si fermò un attimo, per rilasciare andare un sospiro. Ran aprì un occhio, ma lo chiuse appena lui si girava a guardarla.
«Oh, Giulietta... perché sei ancora così bella? Mi vuoi far credere che anche la morte si è invaghita, ti ha rapita, e ti tiene qui come sua amante?» Fece un’altra lunga pausa, e si sdraiò accanto a lei. Le passò un braccio sotto il capo, facendola sussultare. Ran aprì gli occhi.
«Non guardarmi così... devo farlo. Hai voluto facessi Romeo?»
«Non ti sto dicendo nulla. Va’ avanti.» replicò Ran, chiudendo le palpebre.
Shinichi sospirò, avvicinando il viso al suo. «Qui, qui voglio avere il mio eterno riposo, e togliere dal gioco delle avverse stelle questo mio corpo stanco della vita! Occhi, ditele addio... braccia, stringetela in un ultimo abbraccio... labbra, oh voi... porte del fiato, con un bacio, chiudetele!»
Shinichi si bloccò per alcuni secondi, e Ran se ne rese conto. Riaprendo gli occhi, lo osservò intensamente, e lui fece altrettanto.
«Lo sai che... insomma, qui... ci sarebbe il bacio.»
«Lo so...»
Il detective deglutì. «Devo dartelo?»
«Alla recita dovrai.»
«Lo so.»
«Non ti costringo a fare nulla, fai un po’ come vuoi.»
L’investigatore si sporse verso lei, e le donò un tenero bacio sulla guancia. Ed al di là delle previsioni, Ran dovette ammettere di rimanerci delusa.
«La scena prevede che, in questo caso, io dovrei ingerire dell’arsenico. Oh che bello, niente cianuro di potassio almeno!» ironizzò lui, ripensando a tutti gli omicidi risolti per colpa di un veleno.
«Già, ed io mi dovrei risvegliare.» Fece Ran, alzandosi dal materasso. Invertendo così i ruoli, Shinichi si sdraiò su di esso, mentre l’amica si accovacciò su di lui.
«E così, con un bacio, io muoio...» recitò la sua ultima battuta, per poi chiudere gli occhi. Ran si imbambolò a fissarlo: era bellissimo... aveva tolto la benda al capo, e i suoi capelli erano tornati ad essere quelli ribelli di un tempo; il viso era scevro di imperfezioni, le labbra erano morbide e carnose. Un dio sceso in terra.
Lo accarezzò, e tentò di recitare la sua parte, che avrebbe dovuto avere un tono drammatico.
«Romeo?! Veleno?! Nemmeno una goccia mi hai lasciato per seguirti?»
Ran sospirò, lasciandosi andare sul materasso, a fianco all’amico.
«A questo punto dovrei prendere la tua pistola e spararmi, e ciao ciao Giulietta.»
«Che sfigati ‘sti due...» disse Shinichi sorridendo, riaprendo gli occhi.
«Già.» Fece lei, senza osservarlo. Lo sguardo fisso al soffitto. «Ma sono l’amore per antonomasia, e meritano pienamente il ruolo. L’amore sa dimostrarsi appieno anche tragicamente.»
Il detective rimase zitto, limitandosi a guardarla.
«Credi esista un amore così, al mondo?» Fece poi lei, girandosi a guardarlo.
«Che intendi?»
«Una persona che sacrifichi tutta se stessa per amore dell’altro. Due persone che si amino sempre e contro tutti e tutto. Questo intendo.»
Shinichi sorrise, tutto ciò gli era vagamente familiare. «Io penso di sì.»
Ran lo osservò. «Io lo spero...»
Passarono alcuni minuti che sembrarono interminabili; il silenzio fa più profonde le cose, perché a parlare sono i pensieri. Quando, in quegli istanti, Shinichi osservò Ran, pensò che lui avrebbe voluto lei come suo amore per tutta la vita. Era essere egoisti e stupidi? Forse anche volubili e confusi. Ma quando Ran gli era vicino, il detective non riusciva a ragionare lucidamente. Come se, per una volta, il suo cuore prendesse il sopravvento sulla sua fredda e calcolatrice ragione.
«Vogliamo provarci?» disse poi, interrompendo quel rumore assordante di idee. Lui la voleva, la voleva adesso, e l’avrebbe sempre voluta...
Ran tornò a specchiare i suoi occhi in quelli azzurri di lui. «A fare cosa?»
Shinichi rimase zitto per altri secondi. Permise a lei di scrutarlo per bene, come se volesse che ci arrivasse da sola a capirlo; ma i suoi occhi cristallini, tanto belli, erano un cancello che non era lecito attraversare. Come se dei pellegrini dovessero osservare da fuori tanto splendore, ma fossero lasciati lì, a compiangere ciò che avrebbero potuto vedere dentro.
Shinichi era così: meraviglioso fuori, ma dentro impenetrabile.
«A costruire qualcosa come quello di Romeo e Giulietta...» confessò poi, fissandola con ardore. Ran strabuzzò le palpebre, e sembrò affogarsi con la sua stessa saliva. Il cuore cominciò ad accelerarle, e sebbene fosse sdraiata, avvertì nitidamente le sue gambe tremare e divenire pesanti.
«C-che...»
«Sai, è stupido dirlo...» sorrise tra sé e sé, sentendosi un gran debole in quel momento. «Ma credo di amarti come Romeo amava Giulietta.»
«Shin...Shinichi...» Lo fissò incredula, la voce le moriva in gola.
«Lo so che ti sembro un bastardo, ma io ti amo... ed è l’unica cosa di cui non devi mai dubitare.»
Fu da quel momento che ebbero l’impressione di non potersi staccare più; come se fossero legati da qualche filo indivisibile che, quando arrivava la tempesta, li teneva uniti per non farli dividere. Come se loro avessero superato anche il vento violento, e il mare sommosso.
Come se, proprio come i due innamorati per antonomasia, riuscissero a superare anche la morte. Perché nulla può dividere due anime, che a lungo viaggiano sugli stessi binari, ed insieme giungono alla meta. Loro erano solo a metà del viaggio: tanto avevano ancora da percorrere, ma tanto avevano già affrontato.
Ran non sentì più nessun rumore in quella stanza: la presenza del suo amico era troppo forte da lasciare in secondo piano qualsiasi altra cosa.
Avvertì la mano di lui unirsi alla sua, e far scivolare le dita tra le altre.
S’avvicinò a lui, e con l’altra mano gli accarezzò il capo. Poi unirono le loro labbra in un nuovo, dolce, bacio. Si staccarono e s’osservarono ancora, per poi riunirsi in un altro bacio, questa volta più profondo del precedente.
Ran poté avvertire le labbra di lui scagliarsi sulle sue, ed emettere quasi delle vibrazioni. Il suo intero corpo tremava, ma non ci badò più di tanto.
Allontanandosi di qualche centimetro da lui, dovette resistere alla voglia di ribaciarlo.
Avvicinò la sua bocca al suo orecchio, e gli sussurrò tutto ciò che era importante in quel momento.
«Io ti amo ancora di più, quando fai il bastardo...»
A quelle parole, Shinichi tornò a fissarla, mentre un sorriso sincero s’aprì sulle sue labbra. Così il suo cuore s’animò: trovò il coraggio di stringerla tra le sue braccia, e riavvicinare le loro labbra. Si scambiarono un altro bacio, un nuovo segno del loro amore, che regalarono a quella giornata.
Fecero unire le lingue al gioco, e fecero entrare anche le mani tra di loro. Ran lo accarezzò sul petto, e sussultò nell’avvertire quanto fosse perfetto: pregò solo che lui pensasse altrettanto di lei...
Shinichi le tolse via la cravatta verde, e passò subito ai bottoni della camicia. Questa volta riuscì a toglierli nel giro di qualche secondo: per un istante, infatti, si interessò solo a quelli. Ran lo vide spogliarla e non mosse un dito, ma permise che le si portasse fuori il reggiseno. Shinichi cacciò via anche la camicia, gettandola sul pavimento, poco lontano dal letto. La giovane sentì un brivido percorrerla, nel momento in cui lui cominciò a baciarle la pancia. Le mani del detective erano aggrappate all’orlo della gonna, pronta ad abbassarla. Ma lei lo richiamò a sé, e facendolo cadere sul suo corpo seminudo, tornò a baciarlo. Così, mentre la loro lingue s’amavano, le mani di lei andarono a sbottonargli anche la sua camicia. Anche in questo caso, Ran trovò molto meno difficoltà. Gliela sfilò, facendosi aiutare da lui, per poi tornare ad accarezzare i suoi pettorali. Lui cominciò a baciarle il viso per poi scendere lungo il collo, con una lentezza così struggente da farla impazzire. Ran socchiuse gli occhi a quella scia di baci, mentre con i piedi s’avvicinò ancora di più al suo corpo, ed annusando i suoi capelli, si deliziò del suo profumo.
Shinichi risalì nuovamente lungo il collo, ma le mani tornarono a prendere possesso sulla gonna dell’amica. Abbassandone la cerniera, l’aggrappò e gliela sfilò, tanto dolce quanto deciso. Tornando sulle sue labbra, avvertì che l’amante avrebbe voluto fare altrettanto, ma con molto più impaccio del suo. Le agevolò ogni cosa, superandola in altezza, e permettendo che le sue mani esili riuscissero nell’azione tanto complicata del togliergli i pantaloni.
Così entrambi si ritrovarono in intimo, per la prima volta in vita loro. Era una sensazione meravigliosa: ancora più bella di quanto avessero letto o visto in quegli anni. Era ciò che più ti avvicinava carnalmente a qualcuno, ciò che più ti legava a lui per l’eternità.
Mettendosi su di lei, Shinichi continuò a baciarla, impavido. Le alzò leggermente la schiena, e facendo scivolare le mani dietro ad essa, le sbottonò il reggiseno. Ran ebbe un fremito: pregò con tutta se stessa che lui l’adorasse anche così. Certo, non poteva sapere che il suo amante l’aveva già vista nuda, e se ne era anche compiaciuto,* ma poteva sperare che lui continuasse a baciarla e accarezzarla. E infatti così fu: non smisero un secondo di toccarsi.
E quando liberarono i loro corpi anche dell’ultimo impaccio, riuscirono finalmente ad unirsi. Forse fu il tempo speso a cercarsi che rese tutto più dolce; forse la voglia d’appartenersi, e l’impossibilità di farlo, che rese ogni cosa più profonda; o forse erano semplicemente loro che, proprio come quei due ragazzini di Verona, non avevamo smesso un solo secondo d’amarsi.
 
 
 
 
* Volume 9 File 4-6, Conan e Ran fanno il bagno alle terme insieme.

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Capitolo 22
*** Le impronte di Shinichi ***


Your Lies

21.
Le impronte di Shinichi
•••

 
 
Restare abbracciati per ore alla persona che si ama è la cosa più bella che si possa desiderare. Restare per ore sdraiati su un letto, con solo un lenzuolo a coprire quei corpi nudi e ormai raffreddati, è ciò di più intimo che ci possa esistere. Perché fare l’amore non è solo unirsi in un solo corpo, e gioire di quel contatto; è qualcosa di più, che va oltre la mente e che arriva allo spirito, e che ti porta a stringerti a lui, quando fuori fa freddo, e donargli la tua coperta, quando la sua non è abbastanza. Perché l’amore è dopo e non è un momento; non è un attimo di passione vissuto alla rapidità della luce, ma è ciò che fa brillare quella luce.
Shinichi e Ran non s’erano resi conto di quanto tempo fosse passato: era come se le lancette dell’orologio avessero continuato a girare, ma perdendo importanza. Quando si svegliarono, ancora uniti in quell’abbraccio forte, ma allo stesso tempo dolce, videro le luci dei lampioni illuminare fievolmente la strada. S’era fatta sera, o notte probabilmente. Nella stanza era tutto buio, e il silenzio vigeva padrone a qualsiasi rumore.
Il detective alzò il busto e provò ad aprire le palpebre; le abituò al buio, e cercò di intravedere sulla sveglia luminosa l’orario. L’amante era ancora sdraiata al letto, ma percepì nettamente le movenze di lui. Per questo, un po’ intontita, anche Ran serrò gli occhi.
Per un attimo non riuscì a capire cosa fosse e dove si trovasse; la sua mente ci impiegò un po’ per rimettere a posto tutti i pezzi del puzzle che avevano composto.
Vide Shinichi stropicciarsi le palpebre e passarsi le mani sul viso, come a volersi svegliare. Deglutì, quasi intimorita. Solo in quel momento la karateka si rese conto che fossero ancora nudi, nascosti dalle coperte. E riuscì anche e per bene a concepire cosa fosse accaduto nelle ultime ore.
L’investigatore la guardò, e notò che fosse sveglia. Le sorrise, e vide lei fare altrettanto.
«Buongiorno» disse lei, un po’ imbarazzata.
«Più che altro buonanotte...» la sfotté lui, facendole l’occhiolino.
Ran si sgranchì i muscoli, stendendo le braccia verso l’alto. «Che ore sono?»
«Le otto di sera...»
«Oh» scoppiò a ridere lei, mentre nascondeva uno sbadiglio con le mani. «Perfetto. Mio padre mi ucciderà: non gli ho preparato la cena.»
«Non l’hai fatto per una giusta causa...» le ricordò lui, malizioso.
«...di cui non verrà a conoscenza» continuò ironica lei, avvicinandosi un altro po’ a lui.
Shinichi scoppiò a ridere. «Se ci tieni alla mia vita, sì!»
Ran si fece contagiare dal suo riso, per poi fermarsi ad osservarlo. Era successo ciò che non aveva neanche osato immaginare in tutta la sua vita: non solo lui s’era dichiarato, ma erano anche riusciti a completare il loro rapporto. Era accaduto tutto così improvvisamente che non aveva avuto nemmeno il tempo di preoccuparsene o di pensarci.
Shinichi si sdraiò nuovamente al materasso; la coperta gli nascondeva il corpo fino all’ombelico, per poi lasciare scoperti i pettorali e le braccia. Incrociarono i loro occhi, e si studiarono per qualche secondo, immobili. Dopo qualche istante, scoppiarono a ridere.
«Ma secondo te ci dobbiamo alzare?»
«Così giochiamo a far finta non sia successo nulla?» la sfotté ironico lui.
«Come al solito?» Gli fece la linguaccia lei.
«Non possiamo smentirci.»
«Okay» fece lei, rimettendosi a sedere sul materasso. Con la coperta si coprì il seno, e girandosi ad osservarlo, arrossì nel notare lui stesse facendo altrettanto. «Non mi guardare, pervertito!»
«Già stai recitando?» fece lui, ironico.
Ran scoppiò a ridere, ma continuò comunque a mantenere la coperta alta al petto.
«No, ma mi da fastidio mi guardi!» disse, sebbene pur senza smettere di sorridere.
«E per quale assurda ragione?» assottigliò gli occhi lui, ma il tono era divertito.
«Mi metti in imbarazzo.» Fece lei, distogliendo lo sguardo, e proferendolo a voce bassa.
«Credi che prima non abbia visto nulla?»
«Prima era prima, adesso è adesso!»
Shinichi rise, e sporgendosi verso di lei, la strinse con un braccio e la fece ricadere di nuovo sul letto, abbracciandola di lato.
«Questa Giulietta è timida a fatti suoi.» Le disse poi ironico, poggiando il capo sul cuscino di lei, a pochi centimetri dal suo.
Ran sbuffò, arrossita. «Tu non hai vergogna?» gli chiese poi, voltando gli occhi nei suoi.
Le loro labbra si ritrovarono di nuovo a pochi centimetri di distanza.
«No. Non più.»
«E perché non ti alzi?» domandò ancora, sbattendo le palpebre.
Shinichi arrossì lievemente. Poi, volendo dare una svolta a quella situazione, cominciò a ridere. E ridendo, si rimise a sedere sul materasso ed alzandosi, trascinò con sé la coperta, coprendosi.
Ovviamente, il lenzuolo andò a lasciare nuda lei, che, nel vedersi “spogliare”, istintivamente portò le mani avanti.
«SHINICHI!» urlò, paonazza. «La coperta!! Dammela!!»
«Suvvia. Stai meglio così.» fece lui, tra ironia e malizia.
«E dai! Non fare i dispetti!»
«Guarda che si vede tutto lo stesso. Hai due mani non una decina di tentacoli.»
Lui continuava a guardarla, e Ran si rese conto che avesse anche ragione. Ma proprio non ce la faceva ad alzarsi da quel letto come se niente fosse.
«Ti odio, stupido!»
«Ma come? Non avevi detto d’amarmi di più quando faccio il bastardo?» la sfotté ancora, facendole l’occhiolino.
Lei mise il broncio, arrossendo. «No, ti odio!»
Shinichi non smise di ridere, ma finalmente distolse lo sguardo da lei. Piantandolo al pavimento, ricercò i vestiti di lei, lanciati con poca delicatezza per tutta la stanza.
Trovando l’intimo di lei, ed anche la camicia, gliele gettò sul letto.
«Proprio perché non ho voglia di fare il bastardo» le fece, raccogliendo anche i suoi boxer e vestiti.
E scomparendo dalla camera, le rivolse un ultimo sorriso dolce.
«Ti aspetto giù.»
Ran rimase sul letto per un altro po’, vedendolo uscire dalla sua stanzetta.
Rilasciò andare un sospiro, di piena soddisfazione, e sentì nascerle un sorriso sul viso, nel momento in cui osservò il copione.
Proprio come Romeo e Giulietta, avevano avuto la loro prima esperienza seria e da adulti.
E proprio come Romeo e Giulietta, non avrebbero mai potuto immaginare ciò che il fato aveva riservato loro.
 
L’indomani, Shinichi andò a far visita al dottor Agasa. Dopo aver preso un succo di frutta, si intrattenne a parlare con Haibara e l’amico, circa l’incendio e dei suoi sospetti.
«Dannazione, in questi giorni non ho un minuto libero per andare a cercare indizi lì sopra. Sono sicuro che qualcosa dovrei pur trovare.»
«Potrei sapere che cosa hai da fare?» domandò lui la scienziata, palpebre assottigliate e voce seccata.
Shinichi si grattò il capo. «Sono impegnato con le prove di una recita.»
«Il giusto per non farsi notare, eh? Kudo?»
«Beh, ormai mi hanno scoperto, ma per qualche ragione non intervengono ancora. Credo che dietro ci sia Vermouth.» Fece lui, pensieroso.
«E lei...?» chiese la piccola, la voce glaciale.
«Lei chi?»
«La principessa Elisabetta?» lo sfotté, mettendosi a sedere sul divano. «La figlia dell’investigatore, chi sennò?»
«Ah, Ran...» concluse lui, sospirando.
«Sì. Le stai lontano, vero?»
Lui scosse il capo debolmente.
«Cosa? Le hai detto tutto?» fece spaventata la piccola, mentre Agasa spalancò gli occhi.
«No... ma... penso che potrei tenerla fuori comunque, anche... anche rimanendo le cose come stanno.» confessò Shinichi, deglutendo. «Lei non c’entra nulla con la faccenda dell’organizzazione... loro... loro sicuramente si accerteranno di questo. Non faranno vittime inutili che potrebbero solo danneggiarli, ormai li conosciamo.»
«Spero che tu sappia cosa stai rischiando.» Lo avvisò il professore, bevendo un sorso di succo.
«Lo so, ma lo sto rischiando io. Purtroppo ancora non so chi abbia posizionato le bombe al ristorante, ma una cosa è certa: erano dirette a me. Sapevano che io, in qualche modo o nell’altro, sarei venuto.»
Ai sospirò, tenendo lo sguardo basso. «Vuoi dire che non mi stanno dando più la caccia?»
«Vermouth mi ha promesso di no, ricordi? Quindi probabile che rispetti la sua parola.»
«Ho i miei dubbi...» disse la piccola, simulando una smorfia. Dopo alcuni secondi, tornò a fissare lo sguardo su di lui. «A proposito di dubbi... ma la tua fidanzata che ha detto della scomparsa di Conan?»
Shinichi parve cadere dalle nuvole. In un attimo si rese conto che, al di là di tutto, Ran non gli aveva chiesto nulla del piccolo. È vero che avrebbe dovuto rivederlo solo la sera prima, e che probabilmente aveva creduto alla scusa del campeggio, ma è mai possibile non avesse accennato a nulla con lui?
«Ehm... nulla. Penso si sia bevuta la scusa. A proposito, quando arrivano i bambini?»
«Li vado a prendere tra un’ora a casa di Mistuhiko.» lo avvisò il dottore, alzandosi dal salotto. «Ho detto loro che non ci sei per via della febbre.»
«Perfetto.» Gli sorrise Shinichi, imitandolo. «E grazie, dottore. Senza di lei non so come farei.»
«Non preoccuparti. Per te questo ed altro.» L’amico anziano ricambiò lui il sorriso. «Pensa soltanto ad essere prudente, e cerca di non cacciarti nei guai.»
Shinichi sospirò, il volto felice. «Ci proverò.»
 
 
Per i due giorni seguenti, Shinichi e Ran provarono senza tregua. A casa del detective giunse anche Saigo che, tra una scena e l’altra, faceva di tutto per avvicinarsi all’amica karateka. Infatti, sebbene tra di loro andasse tutto bene, i due non avevano fatto parola con nessuno di quanto fosse successo. Anzi, proprio come avevano ironizzato quella sera, giocarono a far finta di nulla. Durante le prove si mandavano occhiate maliziose e subdole, ed aspettavano che queste finissero per baciarsi di nuovo. Da soli, lontani da tutto e da tutti.
«Domani è il grande giorno. Aaaah! Che ansia!»
«Di che ti preoccupi...» fece lui, accarezzandole i capelli. «Ci sarà solo mezza Tokyo.»
La sfotté poi, sorridendo. Ran si rilassò alla sua mano, abbassando le palpebre. Aveva il capo poggiato sul suo petto e i piedi accovacciati su salotto. Shinichi manteneva il corpo di lei con un ginocchio, e con l’altra mano le coccolava la pancia.
«Perché ho il presentimento qualcosa vada storto?»
«Non andrà nulla storto, tranquilla.»
«E se incepperò con le parole? E se mi verrà da vomitare?»
«Ma perché mai dovrebbe venirti da vomitare?» rise lui, donandole un bacio sulla fronte.
«Per il nervosismo!» fece lei, socchiudendo le palpebre al suo tocco.
«Ti basterà guardare un figo come me, e ti passerà tutto.» Fece lui, ironico e spavaldo. Ran assottigliò gli occhi, dandogli un buffetto.
«Quanto siamo modesti!»
«Vero, eh?» le fece l’occhiolino lui, per poi cominciare ad infastidirla col solletico. Ran cominciò a dimenarsi, e senza riuscire a trattenersi, scoppiò a ridere.
«No! S-smettila dai! Shinichi!!»
Cercò di allontanarsi da lui, e sbattendo i piedi sul divano, provò anche a scendere. Ma il detective la teneva ferma nel suo abbraccio, e quando la vide ansimare, avvicinò le loro labbra. Le donò così il suo ossigeno, ed anche un bacio. Ma quando le loro bocche si staccarono, i due provarono la sensazione di volerne ancora.
Ma prima che le loro lingue riuscissero a toccarsi, uno squillo di cellulare interruppe l’atmosfera. E dopo qualche secondo di troppo, Ran decise di alzarsi e andare a rispondere; lo ricercò nella borsa, e velocemente lo afferrò. Prese a guardare il display: era Sato.
Strabuzzò gli occhi, rendendosi improvvisamente conto perché la stesse chiamando: il test, le impronte. E Shinichi era lì, vicino a lei, e non sapeva nulla.
Decise comunque di rispondere; le dita le tremavano.
«Ciao Ran-kun.»
La giovane deglutì. Ricercò freneticamente nella sua testa un sinonimo all’agente che non avrebbe fatto capire all’amico d’infanzia con chi stesse parlando, ma non ci riuscì.
«Salve!» fece solamente, cercando di mostrarsi gentile.
«Volevo avvisarti che abbiamo i risultati. Puoi venire a prenderli quando vuoi, anche adesso.»
«Oh» fece la giovane, dando uno sguardo a Shinichi. La stava osservando, e sembrava curioso.
«Bene... allora... ci vediamo dopo. Grazie.»
L’agente annuì, e cordialmente la salutò. Quando anche Ran chiuse la telefonata, dovette soccombere allo sguardo inquisitore del suo pseudo fidanzato che, in tutti i modi, stava cercando di trattenere la sua gelosia.
«Chi era?» fece lui, tentando di mostrarsi indifferente. Ma la voce era un po’ troppo curiosa.
«Oh...» Lei cominciò ad emettere una serie di suoni mozzati, che fecero accrescere i nervi del ragazzo.
«Era... Sonoko. Mi ha detto che... che visto che oggi non siamo andati a scuola, mi ha scritto degli appunti...» provò così a mentire lei, sebbene la voce fosse leggermente bassa. Non le piaceva mentirgli.
«Sonoko prende appunti?» Fece Shinichi, assottigliando gli occhi e curvando un sopracciglio.
Lei ridacchiò, in difficoltà. «L’ha fatto per me...»
«Sicura fosse Sonoko?» chiese lui, seriamente dubbioso. E poi perché lei pareva così nervosa?
«C-certo. Perché lo chiedi?»
«Così.» rilasciò andare uno sbuffo lui, distogliendo lo sguardo. Gli tornarono in mente le ultime parole che la karateka aveva rivolto al misterioso interlocutore, e non seppe trattenersi dal domandare altro.
«Saluti Sonoko con un... salve?»
Ran parve sorpresa. Mentre stava per indossare il cappotto, vide Shinichi alzarsi e raggiungerla all’ingresso, l’aria perplessa e leggermente nervosa.
«Ehm... sì.» Fece lei, distogliendo lo sguardo.
«E adesso dove vai?»
«Da... da lei.»
«Non puoi andarci dopo?»
Ran scosse il capo, cercando di mantenere un sorriso.
«Ha detto che mi deve parlare anche di... di una cosa importante.» Finse poi, tentando d’essere convincente.
«Ah» emise un sospiro stupito Shinichi, lo sguardo tutt’altro che accondiscendente.
Ran fece per andarsene; raggiunse la porta e diede lui un’ultima occhiata. Ma prima che potesse chiuderla, il suo ragazzo la richiamò di nuovo.
«Ehi?»
Lei si voltò, invitandolo a proseguire.
«Non era Yami, vero?»
La karateka non riuscì a trattenere un sorriso. «Perché? Sei geloso?»
Shinichi mise il broncio, distogliendo lo sguardo. «Assolutamente no.»
Ran continuò a sorridere, e socchiuse ancora un po’ la porta.
«Non era lui, tranquillo.»
«Era solo per chiedere.»
«Certo.» Fece Ran, sogghignando.
L’investigatore tornò a guardarla, le labbra leggermente contratte in una smorfia.
«Torni dopo?»
«Spero di far presto.» 
Ran avrebbe voluto andarsene, ma qualcosa la fermò. Si voltò di nuovo a guardarlo, e dopo alcuni secondi, sentì il bisogno di chiamarlo.
«Hai dimenticato qualcosa?» fece lui, stranito.
Lei deglutì. «Mi fido di te, Shinichi.»
«Eh?»
«Sappi che mi sono sempre fidata di te.»
«Ran, non...» provò ad obiettare il detective, ma non ebbe il tempo materiale di farlo.
Stavolta, la porta d’entrata in legno massiccio di casa Kudo, fu chiusa completamente. E il suo padrone rimase così, inerme, ad osservarla scricchiolare.
E qualcosa nella testa, gli diceva che Ran non stava affatto andando da Sonoko.
 
 
Chandon vide la giovane uscire da casa dell’amico, e dirigersi con frettoloso nervosismo verso la centrale. Cominciò a seguirla, intenta a scoprire cosa avesse combinato pochi giorni prima lì. La pedinò per tutto il tragitto, certa che lei non avrebbe mai potuto accorgersene.
In fondo, anche io devo andare in centrale...
 
 
Ran lasciò villa Kudo, e silenziosamente, si diresse verso la centrale. Per strada, in metropolitana, e per tutto il tragitto che la divideva da quell’esito, la karateka si domandò se avesse fatto la cosa giusta. Quando portò  quei due oggetti alla polizia, era più che arrabbiata. Ma non ce l’aveva solo con lui, ma anche con se stessa. S’odiava per non riuscire mai a contraddirlo, per non riuscire mai a mostrarsi forte, fredda. Ciò che lei provava era ben visibile oltre i suoi occhi, e sebbene lei avesse sempre avuto fiducia in lui, quando aveva scoperto della scomparsa del piccolo, i suoi dubbi erano tornati violenti in lei.
Prima d’entrare in centrale, tirò su un respiro profondo. Le dispiaceva non averlo avvisato, ma per qualche motivo oscuro, aveva pensato fosse giusto non dirglielo. Forse perché lui si sarebbe sentito offeso, anche dopo quello che era successo tra loro.
Appunto, adesso loro due erano insieme. S’amavano, se l’erano detti. E se lui l’amava, non avrebbe mai potuto mentirle.
Quell’esito è senz’altro negativo, Shinichi non può avermi mentito. Lui mi ama.
Era quello che s’era ripetuta in quei due giorni.
Chi ama non mente, sennò non ama per davvero. E lui mi ama davvero... ne sono sicura...
Attraversò con tenacia l’entrata, e ricercò velocemente il piano che le serviva. S’intrufolò nell’ascensore, ed avvertì il cuore cominciare a batterle forte, e le gambe tremare d’ansia. S’impose la calma, e quando vide le porte dell’ascensore aprirsi, ci mise qualche secondo di troppo ad uscire da quella scatola. Attraversò il corridoio freddo di quel reparto, ricercando l’agente Sato, o magari Takagi, che l’avrebbero fatta sentire molto di più a suo agio.
Li trovò qualche metro più avanti, indaffarati a chiacchierare con i loro colleghi di argomenti tutt’altro che seri. Quando la videro avvicinarsi, Sato regalò lei un bellissimo sorriso, e si staccò dal gruppo di poliziotti per salutarla.
«Ran-kun! Hai fatto presto!»
«Non volevo disturbarvi oltre.» Fece la più piccola, ricambiando il sorriso.
«Ah, non preoccuparti... per il detective in trance, questo ed altro!»
La karateka distolse lo sguardo, leggermente imbarazzata. Sperò solo che i due poliziotti non parlassero mai a suo padre di quella prova.
«Questo è l’esito, Ran-kun. Abbiamo fatto prima possibile perché si trattava di tuo padre.»
L’agente le porse una bustina marroncina, sigillata all’estremità con della colla. Era semplice, senza scritte, ed aveva il timbro del simbolo della polizia nipponica sopra. La karateka l’afferrò con indecisione, quasi intimorita.
«Grazie mille.» Si inchinò leggermente a loro, educatamente.
«E questi sono gli oggetti con cui abbiamo fatto le analisi.»
«Oh...» annuì lei, prendendoli. «Grazie ancora.»
 
 
La giovane Mouri lasciò il corridoio del reparto velocemente, e tentando di giungere all’ascensore, affrettò anche il passo. Ma girando l’angolo, andò a sbattere contro qualcuno, che camminava velocemente quanto lei. Caddero insieme al pavimento, e l’impatto fu talmente grande, che Ran non riuscì a non far cadere la cartellina con l’esito.
Spontaneamente si massaggiò la testa, un po’ indolenzita, e riuscì anche ad aprire gli occhi. Davanti a lei, con altrettanta espressione scocciata, c’era una ragazza bionda e dai capelli ondulati. Una ragazza che, ricordava bene, di conoscere già.
«Oddio, scusami. È che ero di fretta e non ti ho proprio vista.» Le disse quella, aiutandola e aiutandosi ad alzarsi. Ran fece un sorriso.
«Non preoccuparti, non è successo nulla.»
«Ma... ma io e te non ci conosciamo già?» disse la giovane, un sopracciglio incurvato.
La karateka avrebbe voluto annuire, ma proprio non ricordava dove l’avesse incrociata.
«Mi... mi pare di sì.» le rispose, un po’ incerta. Continuarono a scrutarsi, finché, ricordando, non strabuzzarono gli occhi all’unisono.
«Tu... tu sei la ragazza che era al supermercato con Hana Yami, vero?! La fan di Shinichi!!» constatò poi Ran, seriamente sorpresa. In un attimo le tornò in mente quella sera di qualche settimana prima, dove accompagnò il detective al supermercato, per non permettere morisse di fame. E lei e la sua amica vennero a deliziare la serata, con le loro voci da oche e le loro grida stridule.
Quella parve stupita. «Sì, e tu eri quella che era con lui.»
«Già.»
«Come ti chiamavi...?»
«Ran... Ran Mouri.»
«Ah sì, adesso ricordo.» fece quella, sorridendo.
«E tu...?»
«Yukiko... Yukiko Masuyama. Piacere di conoscerti.»
«Piacere tutto mio.» sorrise Ran, per poi accovacciarsi insieme a lei, e riprendere la sua cartellina. La ragazza fece lo stesso con la sua, sempre dello stesso colore.
«Anche tu delle analisi?»
«Eh? No... sono venuta per fare un piacere a mio padre, sai... lui è un detective.»
«Capisco. Va beh, io adesso scappo, che sono di fretta! Spero di rivederti, e spero di rivedere anche Shinichi!» La salutò poi, ammiccando. Ran fece una smorfia di fastidio, ma non ebbe la facoltà di risponderle prontamente. In qualche secondo la vide scomparire nel nulla, ma per un attimo rimase lì, ad osservarla dissolversi. C’era qualcosa che non le tornava...
 
 
Cosa faccio?! L’apro o no?!
Ferma su una panchina, con le gambe incrociate e lo sguardo fisso sulla bustina, Ran era indecisa sul cosa fare o meno. Aveva assolutamente voglia di sapere dell’esito, ma era quasi convinta che fosse negativo. In fondo, Shinichi non poteva essere Conan. Per mille e più ragioni.
E Conan l’aveva avvisata poi, in quei giorni, dicendo che, avendo litigato con i ragazzini in quel weekend, era andato a dormire a casa di un altro amichetto; ma che alla fine, era partito anche lui con Agasa e gli altri.
Certo, che succedesse tutto proprio quando Shinichi tornava, era leggermente sospetto. Ma poteva essere semplice coincidenza. Puro caso. Destino, insomma.
Forse è meglio che avviso prima lui... è scorretto ciò che sto facendo...
Ran emise un sospiro seccato, portando gli occhi al cielo. Accarezzò quasi la bustina, ed osservandola, vide in essa i volti dei due: come potevano essere davvero la stessa persona? Shinichi aveva diciassette anni, Conan solo sette. Shinichi aveva la sua vita, come Conan la sua. E poi, alla recita scolastica, c’erano entrambi.
Già... Shinichi interpretava il Cavaliere Nero, e Conan... Conan era tra il pubblico... E visto che nessuno possiede il dono dell’ubiquità, devono per forza essere due persone diverse!
La voce nella sua testa era decisa, quasi convinta. Eppure...
Quando Shinichi c’è, Conan scompare... Riappare Conan, e Shinichi scompare...
Lasciò andare un altro sospiro, di rassegnazione.
Shinichi non può essere Conan... Mi ha detto d’amarmi, e non mi mentirebbe mai su qualcosa di talmente importante... e poi... poi significherebbe che lui mi stia prendendo in giro da mesi e mesi!
Scosse il capo, scompigliandosi i capelli. Diede un’ultima occhiata alla bustina, e deglutendo, s’alzò dalla panca.
Ho già sbagliato a fare le analisi senza il suo permesso... non sbaglierò una seconda volta...
A passo svelto, si diresse verso villa Kudo. Se c’era una cosa che Ran non sapeva proprio fare, era mentire.
 
 
 
Il punto forte di Beika era che tutte le strade erano ben collegate tra loro. Ran impiegò all’incirca dieci minuti per giungere a casa del detective e chiedergli di poter aprire la busta con il risultato. L’onestà, la fiducia e il rispetto sono alla base di ogni rapporto. E se loro avrebbero voluto, per davvero, costruirne uno, era giusto innalzare le fondamenta su un terreno stabile.
Quando si vide la casa davanti, ebbe un leggero fremito. E se lui si fosse arrabbiato? E se non avesse capito quel suo bisogno di sapere, di accertare quei dubbi?
Al solo pensiero di doverlo perdere le girava la testa. Lasciò andare un sospiro e si fermò per qualche secondo, recuperando le forze necessarie. Da dove sarebbe dovuta partire? Dall’inizio. Sì, gli avrebbe spiegato di come avesse incontrato la mamma di Mistuhiko, dei dubbi che l’attanagliavano, e della scelta di agire.
Suonò così il campanello, e pazientò gli istanti necessari che l’investigatore arrivasse al citofono. Per sua sorpresa, Shinichi comparve direttamente dalla porta d’entrata, che spalancò con forza.
«Già di ritorno?»
Ran annuì. «Devo parlati, Shin...»
Il detective sussultò a quelle parole, avvertendole fin troppo profonde. Il sospetto che non fosse andata davvero da Sonoko crebbe ancora di più, ma la logorante curiosità di sapere che avesse combinato non gli dava pace.
La fece entrare in casa, e si sedette sul divano accanto a lei, ma sufficientemente distante. Lo sguardo gli cadde sulla bustina che la giovane aveva in mano, marroncina e rettangolare. Fin troppo conosciuta.
«Non sei andata da Sonoko, vero?» le chiese, deglutendo a fatica.
Ran scosse il capo, abbassando gli occhi. «No. Ti ho mentito, scusami.»
Shinichi annuì col capo, come a farle capire che accettava le scuse. «Da Yami...?»
Ran deglutì a vista. «No, nemmeno da lui. Sono... sono stata alla centrale di polizia.»
Il detective strabuzzò gli occhi. «Centrale... di polizia? Perché ci sei andata?»
Alla karateka tremavano le mani. «Per questa.» Disse, mostrandogliela meglio.
«Bustina marrone, rettangolare e sigillata. Pare contenere informazioni importanti.» Dedusse lui, dando un’occhiata veloce.
«Già» annuì Ran.
Shinichi sentì il fiato mancargli. Quella busta la davano, di solito, per proteggere quelle analisi di laboratorio a cui, per ovvi motivi, gli altri non potevano accedervi. Era... era quello che pensava?
«L’altro ieri, al ritorno da scuola, ho incontrato la mamma di Mistuhiko. Mi ha detto che Conan non aveva dormito da lei durante il weekend, e che non sapeva dove fosse.»
«La... mamma di Mistuhiko?» Shinichi aveva gli occhi spalancati, ma lo sguardo fisso al pavimento, come a non farglielo notare.
Dannazione...
«Sì. Considerando che ce l’avevo a morte con te per come m’avevi trattato, non c’ho pensato su due volte. Sono tornata a casa e... sono andata alla centrale. Avevo portato il portafortuna di Heiji, e... il tuo copione, quello di Romeo...»
Lui chiuse gli occhi, sentendosi un idiota. Come aveva fatto a non pensarci prima? Ecco perché, quel giorno, aveva finto di averlo dimenticato a casa...
«Ero arrabbiatissima con te... ma poi, poi sono venuta qui, e tu... e noi... insomma... è successo quello che è successo...» continuò lei, leggermente imbarazzata.
Shinichi non le permise di andare oltre. «L’hai aperta?» le chiese, la saliva a zero.
La ragazza scosse il capo. «No. Ho voluto... prima riferirti perché l’ho fatto. Io... io non volevo mentirti, solo che... che avevo troppi dubbi! Mettiti nei miei panni... Conan scompare, tu riappari!»
Shinichi non le rispose, e non sembrava nemmeno tanto sereno. Aveva gli occhi e il volto bassi, le mani che frenetiche si strofinavano tra loro. Ran rimase a guardarlo per qualche secondo, poi prese il coraggio di farsi avanti qualche centimetro verso di lui.
«Sei arrabbiato?» chiese con un filo di voce.
Il detective chinò ancora di più il capo, alzando ed abbassando lo sterno velocemente.
Cosa faccio?! Se apre quella busta scoprirà che sono Conan... ed anche lei... anche lei sarà in pericolo... dannazione!!
Ran cominciò a preoccuparsi, e notando che lui non le rispondeva, s’avvicinò ancora un po’. Gli posò una mano sulla coscia, costringendolo ad alzare lo sguardo.
«Sei arrabbiato con me, Shin?»
Lui scosse il capo. «No, non lo sono. Posso capire i tuoi dubbi.»
Lei deglutì. «Quindi... posso aprirla?»
Ran... Ran tu potresti... tu potresti non capire perché ti ho mentito per tutto questo tempo... ma come faccio a privarti di aprire quella busta? Se ti dicessi che non voglio, tu potresti comunque sospettare... e alla fine, bene o male, lo faresti...
Shinichi rilasciò un lungo sospiro, abbassando le palpebre. Quella storia era arrivata ad un punto di non ritorno, e per andare avanti, era necessario superare quell’ostacolo. «Aprila.»
La ragazza parve sorpresa. «Vuoi lo faccia? Sicuro?»
Lui annuì, deglutendo.
Ran lo osservò ancora per qualche istante. Lo notava teso, aveva gli occhi bassi al pavimento, e le mani sudate. Per un attimo credé che, tutti suoi dubbi, fossero davvero fondati. Shinichi era Conan? Era il suo fratellino? Era il bambino con cui aveva fatto il bagno alle terme, nuda? Era quel bambino dall’intelligenza spiccata? Quel bambino un po’ saputello e, alle volte, impiccione? Ma soprattutto... era il bambino a cui aveva confidato d’essere innamorata di lui?
Stentava a crederci, forse perché non voleva crederci. Se Shinichi e Conan erano davvero la stessa persona, lui le aveva mentito per mesi. Impavido, e senza vergogna. E poi le aveva detto di amarla?
Sentì l’ansia divorarla, e le mani tremare per scartare quella busta. La stracciò, e con poca delicatezza, fece scivolare fuori il foglio bianco in A4 su cui erano incise varie stampe nere sopra. Ma prima di leggere, gli rivolse un ultimo sguardo.
«Shinichi... io...»
Ma lui la bloccò. «Tutto quello che ti ho detto era vero.»
«Che vuoi dire?» Ran sembrava ogni secondo in più perplessa.
«Non ho mai mentito su quello...» abbassò di nuovo il capo. «Su quello che provo per te...»
«Vuoi... vuoi dire che...» Ran non ci pensò un secondo in più, e senza leggere i convenevoli, filò dritta all’esito.
Il cuore le si fermò per un secondo.
Ma quando tornò a battere, un sorriso di piena gioia le comparve sul viso.
«Mi hai fatto venire un colpo, stupido!!»
Fissò il suo ragazzo, e saltando su di lui, gli circondò il collo con le braccia.
Appoggiò le labbra alle sue, e gli donò un bacio. 
Dolce, forte, energico, sognato e sincero. 
Adesso ne aveva la conferma:
«È NEGATIVO!»
 

 



Ehm, ciao :3 Sono tornata giù XD Stavolta c'ho messo un po' di più a scrivere il chap... ho dovuto prepararmi per l'esame di teoria di scuola guida che ho... DOMANI... *speriamo che la sfiga non mi colpisca* e ho perso parecchio tempo, tra un test ed un altro! Infatti non sono riuscita nemmeno a rispondere alle recensioni, spero mi perdoniate :)
Allora... vado di fretta, ma comunque intendo fare un breve riassunto del chap.... allora, abbiamo i due che si risvegliano dalla loro prima volta, ancora un po' imbarazzati, ma finalmente più sciolti l'uno con l'altro... Shinichi che parla ad Agasa e Ai di Ran, e sostiene che potrebbe tenerla fuori dall'organizzazione, anche standole accanto (o forse lo dirà solo perché non ha voglia e non ha forza di staccarsi...?), Ran che riceve l'esito delle analisi, l'incontro furtivo con quella, e poi... poi la scoperta finale... Shinichi e Conan non sono la stessa persona.... 
C'è qualcosa che non va, vero?! Per scoprire cosa è successo, vi aspetto al prossimo!
Baci,
Tonia

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Capitolo 23
*** Un Mercuzio in affitto ***


Your Lies

22.
Un Mercuzio in affitto
•••

 
 
 
«C-come?»
Shinichi avrebbe voluto chiedere spiegazioni, più che a Ran all’esito stesso. Ma l’abbraccio della sua giovane gli impediva ogni movimento, e lo intrappolava all’angolino del salotto, dove la karateka l’aveva sbattuto.
«Ho avuto una paura incredibile! Perché mi fai questi scherzi, eh?»
Ran si staccò dall’incavo della spalla del detective, per riuscire a guardarlo meglio in viso. Shinichi aveva un’espressione incredula, e non riusciva nemmeno a togliersela: come era possibile che fosse negativo? A stento provò a sbattere le palpebre, e a cercare di formulare qualche parola.
«Eh... hai visto... d-di cosa dubitavi...»
«Per un attimo mi si è fermato il cuore, ti giuro!»
Il detective spalancò ancora di più le palpebre. «Ah, davvero? E... e perché?»
«Tu e Conan la stessa persona? Significherebbe che ti stai prendendo gioco di me da mesi e mesi!»
Lui annuì, deglutendo a fatica. «Hai... hai ragione.»
Ran tornò ad abbracciarlo, e con le labbra gli baciò le guance leggermente arrossite.
«Come sono felice!» strusciò il volto sul suo, abbassando le palpebre e sorridendo soddisfatta. Aveva ancora in mano l’esito delle analisi a cui a stento aveva dato uno sguardo, e lo faceva svolazzare con poca curanza dietro le spalle di Shinichi. Il detective rimase stordito per qualche altro minuto; si lasciò stringere nell’abbraccio della karateka, completamente all’oscuro di quale fosse la verità.
«Ma... così... per sapere, se... fosse stato positivo... che avresti fatto?»
Ran lo guardò per qualche secondo: sembrò pensarci per davvero.
Poi simulò una smorfia, riabbracciandolo sorridente.
«Non ci voglio nemmeno pensare!» fece, donandogli un altro bacio. «L’importante è che non lo è.»
Shinichi si lasciò andare nuovamente; le palpebre spalancate e la bocca secca testimoniavano l’incredibile stato d’animo in cui si trovava. Non sapeva cosa pensare, e nemmeno da dove partire a farlo. Lui e Conan erano la stessa persona, ma per qualche assurdo motivo, il fato aveva deciso di tenerlo ancora segreto.
 
 
Quando Ran andò via quella stessa sera, Shinichi diede uno sguardo più attento all’esito; aveva fatto in modo che la ragazza lo lasciasse lì, dimentica di prenderlo. Ancora stentava a credere a quello che fosse successo: Ran aveva sfiorato con tutte e dieci dita la verità, e senza rendersene conto, se l’era fatta sfuggire. Come avrebbe dovuto sentirsi lui? Un po’ sorpreso, allibito, scioccato. Aveva i sensi di colpa che gli attanagliavano e chiudevano a mandate il suo stomaco, ma cosa poteva farci? Svelare tutto, in quel momento, era fuori discussione. L’aveva vista la sua espressione, la sua reazione. Ran era sollevata del fatto che lui non fosse Conan. Come spiegarle il contrario? Come dirle che, dopo tutti quei mesi, lui c’era sempre stato? Forse, in quel momento, non importava nemmeno più la pericolosità di quel segreto, quanto ciò che racchiudesse. Doveva continuare a mentirle, per il suo bene, e per il loro bene. Era una bugia a fin di bene, detta e portata avanti solo per lei. Non doveva sentirsi in colpa. Non poteva.
Si lasciò così andare ai suoi pensieri, e scrutando per bene il foglio, il detective constatò che si trattava di un fac-simile di quello fornito dalle centrali. Era identico in tutto a quello originale; peccato che mancasse il timbro della questura dove l’analisi era stata effettuata, e la carta fosse di una grammatura troppo fine da poterla ricondurre a quella dei poliziotti. Ricordava bene, infatti, che per analisi del genere, la questura forniva loro dei fogli abbastanza spessi col fine di non far intravedere l’esito in controluce.
Dunque, era una copia.
Chi l’aveva consegnata a Ran? Probabilmente la stessa persona che aveva appiccato il fuoco al ristorante.
Ma perché non farle conoscere la verità? Perché permettere che lui potesse scappare da quell’ammasso di fiamme? Perché non fare nulla per ucciderlo davvero? Sapeva perfettamente che Vermouth, per qualche strano motivo, aveva a cuore la sua incolumità. E forse, aveva a cuore anche quella di Ran.
Vermouth... ripeté il nome di quella donna col capo chino al pavimento, e le analisi fasulle tra le mani.
È veramente lei ad architettare tutto?
 
 
«Oggi Giulietta è senza Romeo?»
In quel momento qualsiasi forma di sfottò o di semplice presa in giro non avrebbe sortito alcun effetto. Come se fosse circondata da un’aura di felicità e serenità che contagiava chiunque la incontrasse. Ed anche se Shinichi, l’unica e pura ragione di tale sensazione, quel giorno, era assente, lei riusciva comunque a sentirlo vicino. Un sentimento che viveva al polo opposto di quello che aveva provato qualche settimana prima, nel lasciarlo. Adesso aveva la certezza che lui c’era, e che tutti quei dubbi stupidi che le erano venuti in mente, e le avevano quasi fatto perdere di vista l’unica cosa che contava. Averlo vicino.
Sorrise all’amica, vendendola appoggiarsi al suo banco.
«Shinichi mi ha detto che stanotte si sentiva poco bene, e per non rischiare di saltare la prova generale, ha deciso di saltare scuola.»
Sonoko assottigliò le palpebre, inarcando un sopracciglio. «Siamo ancora sicuri riesca ad essere promosso?»
Ran fece un risolino. «Se non promuovono lui dovrebbero bocciarci tutti.»
L’ereditiera sospirò.
«E invece tu? L’hai promosso?»
«Eh?»
L’amica le lanciò un’occhiata maliziosa, stuzzicandola col braccio. «Vi ho visto molto affiatati in questi ultimi giorni. Avete fatto pace, vero? Vero?»
Ran arrossì sino alle punte dei capelli. «Ehm... beh, direi di sì.»
«Hai qualcosa da dirmi?»
La giovane tramutò i suoi occhi in puntini. «No no.»
Sonoko s’avvicinò al suo viso, e l’osservò maligna. «Non è che mi ritrovo zia nel giro di qualche mese, vero?»
Ran ci impiegò qualche secondo a capire quella frase, anche perché l’espressione del viso dell’altra l’aveva lasciata un po’ stupita. Recependola, dunque, arrossì ancora di più.
«Ma che dici!»
«Ho la sensazione che mi stai nascondendo qualcosa» l’avvisò, ridacchiando malefica. «E lo sai che io, in deduzioni, sono un portento!»
Perché quella ragazza era così pestifera? Per un attimo si ritrovò nei panni di Shinichi e capì perfettamente come si sentisse quando, ogni santo giorno lo incontrava, lo sfottesse per ogni piccola cosa.
Ma questa volta, questa volta doveva tentare di dissuaderla. Era un qualcosa di troppo intimo da poterne discutere così, come se niente fosse.
«Se lo dici tu.»
«Ce l’hai scritto in faccia Ran.»
La karateka s’immaginò il viso ripieno di scritte nere che citavano Ho fatto l’amore con Shinichi.
«Che? Cosa?» le chiese allarmata, girandosi intorno.
«Era un modo di dire, scema.» La sfotté con ironia. «Ma dai tuoi occhi traspare troppa felicità, e c’è qualcosa sotto. Okay, lo so che il tuo maritino è l’origine di tutte le tue fobie e gioie, però di solito sei più... come dire... contenuta. Adesso c’hai un sorriso stampato in faccia che neanche ad investirti andrebbe via!»
Ran arrossì ancora di più, deglutendo a vista. «Sono solo contenta d’aver fatto pace con lui.»
«C’è qualcosa sotto» ripeté ancora l’ereditiera, guardandola furbescamente.
«Magari sono contenta d’aver fatto pace con lui e d’interpretare con lui la recita.» Provò a convincerla, ma capì immediatamente che sarebbe stato più difficile.
«Scava più a fondo, Miss Capuleti.»
Ran sospirò, socchiudendo gli occhi ed arrossendo di nuovo. Menomale che in classe non c’era più nessuno per via dell’intervallo.
«Sono contenta d’aver fatto pace con lui, d’interpretare con lui la recita, e di passare molto... tanto tempo con lui.»
«...E poi?» la istigò, sorridendole beffarda.
Ran sbuffò, piagnucolando. «Sei terribile, guarda!»
«Devi tenere aggiornata la tua migliore amica, fa parte degli accordi» le disse, ridacchiando.
La mora prese un respiro. «Okay. Ci siamo rimessi insieme! Contenta?»
«Ci voleva tanto?!» Sonoko guizzò, saltando via dal banco.
«Toglimi una curiosità: questa volta ce la fate a superare i due giorni?»
Ran assottigliò gli occhi, poi le fece la linguaccia. «Oggi sono tre giorni.»
«Record, sì!!»
«Spiritosa!»
L’amica alzò un pugno al cielo, esultando. «Vai che il quarto è vicino!»
«La smetti di fare l’idiota, Sonoko!?»
Ma non smise di prenderla in giro, nemmeno quando la professoressa rientrò in classe. Dopo qualche minuto, tutti i liceali si sedettero al loro posto, e la lezione cominciò. Due ore di inglese, la materia preferita di Ran*, e un’ora di storia. Alla fine delle lezioni Ran rimase in classe, mentre tutti gli altri fuggirono via verso casa. Aveva lì l’appuntamento con Saigo e Shinichi per compiere la prova generale, ma era abbastanza fiduciosa. In quei giorni era riuscita anche ad imparare per bene le battute, e particolari problemi non avrebbe dovuto avere.
Seduta al suo banco, aveva la testa poggiata tra le mani e le gambe accavallate l’una sull’altra. Lo sguardo era fisso nel vuoto, ma la mente era dritta al suo amico d’infanzia: non vedeva l’ora di rivederlo. Non lo sentiva da appena cinque ore, eppure poté giurare fosse un’eternità; sperò solo si sentisse meglio adesso, e si sbrigasse a raggiungerla.
«Ciao Ran» la voce di Saigo la distolse dai suoi consueti pensieri, portandola ad alzare il viso nei suoi confronti. Lo salutò e gli rivolse un sorriso, mentre il giovane s’accomodò al banco successivo al suo.
«Kudo non è ancora qui?» domandò, girandosi intorno.
Lei scosse il capo. «Verrà a momenti. Stamattina non è venuto a scuola perché si è sentito poco bene.»
«Capisco. Pronta per la recita?»
Lei annuì, gioiosa. «Prontissima.»
Saigo si fermò ad osservarla per qualche secondo, rapito dalla sua espressione. In quei giorni l’aveva vista soltanto in occasione delle prove, ma non aveva avuto modo di parlarle e di domandarle cosa ci fosse tra lei e il detective. Perché da quando quel sbruffone era tornato lei pareva molto più contenta, e tutto questo non gli piaceva.
«Sembri felice.» Le disse, appoggiandosi al muro sotto la finestra.
Ran si sentì leggermente in imbarazzo: era talmente evidente?
«Lo sono.» rispose, stringendosi su se stessa.
«Per la recita?»
«Ehm...» lo guardò, poi sorrise. «Anche.»
Saigo abbassò gli occhi e girò la testa verso la lavagna. Stava cercando il coraggio di chiederle come stessero realmente le cose, ma quasi aveva paura della risposta che lei avrebbe potuto dargli.
«È per Kudo, Ran?» ci riuscì poi, senza guardarla negli occhi. «Sei felice perché è tornato?»
Lei deglutì, torturandosi le mani. Perché avvertiva un’incredibile nervosismo?
«Già.» Sorrise, osservandolo.
«Non lo consideri solamente il tuo migliore amico, vero?»
Lei scosse il capo debolmente. «No.»
Saigo sospirò, e scoppiò a ridere. Ma il suo era un riso sarcastico, quasi derisorio nei suoi stessi confronti. Appoggiò la fronte alla sua mano, scuotendo il capo.
«Che idiota che sono...»
«Saigo, io...»
«Ho davvero sperato che tra voi non ci fosse niente, davvero... ma poi lui mi ha avvertito d’essere tuo ex, e lì mi sono fatto due domande... ed ora... ora sembri al settimo cielo...»
Ran non seppe cosa rispondergli, così si zittì.
«Suppongo che vi siate rimessi insieme...»
Finalmente tornò a guardarla, e la intravide annuire, con un impercettibile movimento del capo. Avvertì una fitta al cuore trafiggerlo, e fu talmente forte che probabilmente anche Ran la notò. S’intristì per lui, perché sapeva perfettamente cosa significa soffrire, ma non sapeva cosa dirgli per consolarlo. In fondo, le parole erano inutili.
«Posso farti una domanda?»
«Certo.» Annuì la karateka.
«Cosa ci trovi in lui? Cioè... cos’è che ha lui che...» Ma non completò la frase, forse perché gli mancava il coraggio necessario per farlo. Avrebbe voluto dirle “cos’ha lui che io non ho?”, ma non ci riuscì, e pazientò la sua risposta.
Ran arrossì leggermente. «Non... non lo so.»
«Come fai a non saperlo?» s’incuriosì lui, il tono infastidito.
«Potrei elencarti mille motivi per cui mi sono innamorata di lui, ma nessuno è abbastanza per comprendere ciò che provo.»
«Già...» sbuffò lui, abbassando le palpebre. «Da quanto ne sei innamorata?»
«Da... un po’.» Ammise, ma quelle domande cominciavano a darle un leggero fastidio.
«Prima che scomparisse dalla circolazione?»
Lei annuì.
«E se scomparisse di nuovo?»
Ran parve sorpresa da quella domanda. Effettivamente non aveva ancora chiarito con lui questo punto. Sapere dove fosse e con chi fosse stato era un suo diritto, e lui doveva soddisfare tutte le sue curiosità. Comunque, era certa che l’avrebbe fatto. L’amava e si amavano, non c’era motivo di preoccuparsi.
«Non lo farà.» Rispose, con sicurezza.
«E se lo farà?»
Ran sospirò. «Gli chiederei spiegazioni.»
Il karateka la guardò profondamente, stranito. «Non ti arrabbieresti?»
«Non lo so.»
Saigo distolse lo sguardo e per qualche minuto non le rivolse parola. Non riusciva a dirle la verità, eppure non aveva voglia di perderla completamente.
Calò il silenzio in quella stanza, e gli sguardi si fissarono al pavimento, senza il coraggio d’alzarsi. Ran non sapeva cosa dirgli e come dirglielo; voleva scusarsi, ma non capiva per cosa. In fondo lei non gli aveva mai fatto capire nulla: era sempre stata innamorata di Shinichi, e sebbene non gliel’avesse mai detto esplicitamente, non aveva comunque fatto altrettanto con lui.
Sbuffò, avvertendo il nervosismo alimentare quel silenzio fatto di sguardi e fiati. Scrutò l’orologio e capì che era anche tardi. Il detective sarebbe dovuto esser lì da una mezz’ora buona, ed invece non c’era. Così, come un fulmine le ritornarono in mente le parole di Saigo: «E se scomparisse di nuovo?»; si ritrovò a pensare che, se davvero fosse successo, lei non avrebbe proprio saputo come comportarsi.
Ma no, non succederà...
Scosse il capo, allontanando quei pensieri, e prese il cellulare. Gli scrisse due semplici parole, che tante altre volte avrebbe voluto mandargli:
“Dove sei?”
 
 
Shinichi si passò una mano sul viso, facendo scivolare i capelli tra le dita. Intorno a lui un accumulo di macerie nere era tutto ciò che rimaneva del ristorante di lusso del galà di San Valentino. Era giunto lì in mattinata, e aveva cercato senza sosta qualche indizio che lo riconducesse alla fonte di quel disastro. Ma non aveva trovato nulla che si potesse definire lontanamente rilevante. Tutto ciò che sapeva era ciò che gli aveva detto il cameriere all’entrata del ristorante, qualche giorno prima. E non sapeva neppure da dove cominciare ad indagare; poteva soltanto immaginare che dietro quell’incendio c’era l’organizzazione, ma non sapeva come beccarla.
«Ma cosa fai da stamattina qui, detective?»
Shinichi alzò gli occhi e si ritrovò davanti una giovane dai capelli biondi e dagli occhi azzurri. Aveva un bel fisico, ed anche un bel portamento. Inoltre, la voce, come i tratti, gli erano particolarmente familiari.
«Ci conosciamo?»
Quella sorrise, sedendosi accanto a lui, sul muretto. «Certo, ci siamo già incontrati. Non ti ricordi di me?»
Il moro strabuzzò un po’ gli occhi, inarcando un sopracciglio. «Diciamo che mi sei familiare.»
La donna annuì, sorridendo.
«Sei... sei la ragazza che era con Hana al supermercato. La mia fan.» fece lui, ricordando.
«Ottimo spirito d’osservazione» si complimentò lei. «Mi fa piacere ti ricordi di questo particolare. Hana ti sta a cuore?»
Shinichi si stranì, ma non rispose.
«Ah, già. Tu sei promesso a Ran, Ran Mouri. Ma credo che Hana faccia più al caso tuo.»
«Diciamo che so scegliere chi fa al caso mio.»
Quella parve offesa. «Hana può darti di più della tua amica d’infanzia, e tu puoi dare di più a lei.»
Shinichi sorrise. «Scusa?»
«Non riesci proprio a capirlo, vero?»
«Non so cosa ci sia da capire.»
La donna s’alzò e cominciò ad allontanarsi, ma non prima d’avergli rivolto un ultimo sguardo.
«Lo capirai.»
Il detective s’alzò dal muretto, e fece per seguirla, ma si bloccò.
«Aspetta. Come ti chiami?»
«Importa il mio nome? Ne ho tanti, ma nessuno dice davvero chi sono.»
E scomparve nella nebbia, rivolgendogli un ultimo sorriso.
 
 
«Va be’.» Ad un tratto Saigo interruppe il silenzio, alzandosi dalla sedia e cominciando a camminare. «Spero che ti renda felice.»
Ran sorrise, contenta che quella tetra atmosfera si fosse spezzata. «Grazie.»
«Piuttosto, che fine ha fatto?» fece, la voce un po’ stizzita.
Ran scosse il capo, e mostrando il cellulare, si mostrò dubbiosa.
«Non lo so... gli ho mandato un messaggio, ma non mi ha ancora risposto.»
Magari è andato sotto un tram... «Va be’. Cominciamo noi?»
Nel frattempo, entrarono in aula anche i restanti interpreti della tragedia. Erano una decina di ragazzi, tutti del liceo, e tutti appartenenti al club di recitazione. Tra di loro vi era anche il capo responsabile; colui che, qualche giorno prima, aveva invogliato i ragazzi a partecipare alla recita. Salutarono i loro colleghi e chiesero di Kudo, ma Ran non seppe dar loro molte spiegazioni.
«Adesso lo chiam...»
Per sua fortuna, non riuscì a completare la frase, che dalla soglia della porta apparve proprio lui. In maglietta sottile ed un paio di jeans chiari, sembrava ancora più bello di quanto già fosse. Nel momento esatto in cui lo vide, Ran non poté fare a meno di sorridergli a trentadue denti. Si fiondò verso di lui, ignorando completamente l’amico karateka che, alla vista del rivale detective, s’era nuovamente incupito.
«Ohi...» lo chiamò, accorciando le distanze tra loro. Shinichi le ricambiò il sorriso, mentre a Saigo lanciò un’occhiata sinistra. «Ti ho mandato un messaggio prima. Dov’eri?»
«Scusami, ho fatto tardi per via del professore Agasa. Mi ha chiesto un favore.» Azzardò la prima scusa che gli passò per il cervello, e sembrò anche piuttosto convincente.
«Okay... perdonato» gli fece la linguaccia lei, mentre Shinichi rivolse un saluto generale agli attori.
«Kudo eri con qualche fan? Guarda che Mouri si ingelosisce!»
Il detective ignorò volontariamente quei commenti, e con lui la ragazza. Presero le borse ed incominciarono ad incamminarsi verso l’aula magna, dove li aspettava la prova generale. Ran e Shinichi rimasero dietro tutti, a scapito di Saigo che, seppur costretto, andò in cima alla fila.
«Non eri con qualche fan, vero?» la voce di lei era un misto di dolcezza e tenerezza.
L’investigatore si voltò a guardarla, furbetto. «Perché? Sei gelosa?»
«È solo per sapere, scemo.» Sviò la domanda lei, sfumandosi di rosso.
«E se c’ero davvero?» la spronò lui, un po’ per prenderla in giro, un po’ per ricollegarsi alla realtà. Quella ragazza che l’aveva raggiunto fin lassù e gli aveva parlato in quel modo così strano ed enigmatico non tendeva a scemare dalla sua mente.
Ran fece una smorfia. «Mi arrabbierei.»
Lui rise. «Allora sei gelosa.»
«No!» s’affrettò a precisare. «È che mi avresti mentito. Sai che odio le bugie.»
 Shinichi deglutì a vista. «Sì, lo so.»
«Allora? Eri con qualche fan?» ritornò a chiedere lei, quando ormai aveva messo il broncio.
«Macché! Te l’ho detto... ero col professore.»
«Okay, ti credo.»
Sai che odio le bugie...le parole di lei gli tormentarono il cervello. Così finse un riso.
«Ciò non toglie che avrei potuto incontrare qualche fan sulla strada...»
Ran assottigliò gli occhi, dandogli un colpetto alla spalla. «Non fai ridere, stupido.»
«È la verità.» Le rilevò col sorriso, ormai stufo di raccontarle bugie. Almeno, quando avrebbe potuto, avrebbe evitato di farlo.
La karateka spalancò gli occhi. «Cosa? E chi era?!»
«Era quella ragazza che incontrammo al supermercato con Hana. Ricordi? Quella che mi chiese l’autografo...»
Ran strabuzzò ancora di più le palpebre. «Yukiko? Yukiko Masuyama?!» disse, incredula.
Shinichi si incuriosì, ed aggrottando le sopracciglia, s’avvicinò un po’ di più a lei. «Come fai a ricordati il suo nome?»
Lei si sentì improvvisamente in colpa. «Ehm... ricordi le analisi? L’ho incontrata in centrale quando sono andata a ritirarle. E lì ci siamo presentate.»
E poi.. poi il suo nome mi sembra familiare... ma non riesco a ricordare dove l'ho sentito...
«Come... scusa?» Il detective quasi non credé alle sue orecchie.
«Che c’è?» e Ran parve capirlo.
«No, cioè... dico... che ci faceva in centrale lei?» si mostrò più vago.
L’amica d’infanzia fece spallucce. «Non so, ma credo abbia fatto delle analisi anche lei. Aveva una cartellina simile alla mia.»
Il detective strabuzzò gli occhi improvvisamente, e temette il peggio del peggio. Eppure, tutto tornava. Quella ragazza... quella ragazza aveva scambiato le analisi? Era lei dietro ogni cosa, o era solo un’azzardata supposizione? Non poteva tirare ad indovinare, lui odiava farlo. Doveva e poteva soltanto fare congetture sugli elementi che aveva, e che erano anche relativamente pochi. Semplici coincidenze o altro? Doveva capirlo, scoprirlo. Per lui, ma principalmente per Ran.
«Shinichi?» lo richiamò lei, notandolo pensieroso.
«Eh?»
«Che hai?»
«Nulla.» Sorrise, per non farla preoccupare. «Pensavo che devi darmi un premio per avermi costretto a recitare Romeo.»
Lei assottigliò gli occhi in un’espressione furba. «Non ti ho costretto a far nulla io.»
«Invece sì.» s’avvicinò e le circondò le spalle con un braccio. «Mi hai costretto, mi hai costretto.»
 Le sussurrò quelle parole quando le loro teste furono così vicine da far in modo che lui riuscisse a strapparle un bacio, tenero e profondo allo stesso tempo. Un bacio che nessuno vide, ma che fece comunque divenire color rosso fuoco Ran.
«Shinichi! Non siamo soli!»
«E dai!» Lui sbuffò. «Ci prendono sempre in giro, che lo facciano almeno per qualcosa di concreto.»
Lei rise ma non riuscì a sottostare al suo abbraccio ancora per molto. D’altronde, se avessero continuato, non era tanto sicura di farla, la prova generale.
«Questo non è un buon motivo per dare spettacolo.» Fece, il tono divertito.
«Okay, lo diamo dopo spettacolo...» le disse malizioso, per poi farle l’occhiolino. «...da soli.»
Ran si sfumò di rosso, ma tenne il gioco, e gli sorrise. «È il premio che vuoi per recitare il romantico Montecchi?»
Lui annuì. «Mi va più che bene.»
«Ad una condizione.» Sottolineò lei, con tono beffardo.
Shinichi tornò ad osservarla improvvisamente. «E quale?»
«Andiamo al Tropical Land, insieme, di nuovo. E questa volta senza interruzioni di alcun genere.»
Lui parve sorpreso ed anche un po’ scettico all’idea. Quel parco non gli era particolarmente simpatico.
«Vuoi andare al Tropical Land?» la voce gli uscì troppo dubbiosa.
Ran annuì.
«Perché?»
La giovane abbassò lo sguardo, mentre vide tutti gli altri entrare in aula magna.
«Perché vorrei dimenticare quello che accadde la prima volta che ci andammo» gli confidò, deglutendo, un po’ imbarazzata. «Voglio... voglio che tutto questo tempo tra noi due non sia mai passato, e voglio ricominciare da lì, annullando il passato.»
Shinichi non poté fare a meno di osservarla e di intristirsi. Non riuscì a parlare, anche perché non sapeva cosa risponderle.
«È da quel giorno che sei scomparso, lo ricordo bene.»
Ran sprofondò nei suoi pensieri e ripercorse tutto il tempo passato senza di lui. Tutte quelle volte che aveva pianto su un cuscino, tutte quelle volte che l’aveva cercato in classe, in un sorriso di qualche estraneo. L’aveva cercato ovunque e senza sosta, ma senza possibilità di vederlo.
«Ma adesso sono qui.» Provò ad obiettare lui con un filo di voce.
Lo osservò, e pensò d’essere così fortunata in quel momento.
«Sì, ma forse... forse se dimentico quella giornata, scorderò anche tutte le volte che mi sei mancato.»
Shinichi sentì il cuore fermarsi e non poté fare a meno di abbassare le palpebre. «Ran...»
«Ci andiamo?»
Si girò ad osservarla e sprofondò nei suoi occhi azzurro chiaro. Erano più luccicanti del solito, e quel viso, che lui adorava, era molto più dolce del normale. Come avrebbe potuto dirle di no?
Sospirò e sorridendole, le fece l’occhiolino. «Dopo aver riscosso il mio premio, però.»
Ran rise e scosse il capo, dandogli uno spintone. «Pervertito...»
 
 
 
«Smetti di pensare a lei...»
La voce debole di Saigo innescò una nuova smorfia sulla faccia del regista. Erano due ore che provavano ed erano due ore che non concludevano nulla. Saigo Yami era sottotono, scocciato, svogliato. Non si sapeva il perché, ma alla fine a nessuno interessava. Ciò che avrebbe dovuto fare era recitare come Mercuzio farebbe, e non come un bambino al primo giorno di scuola.
«Stop!» lo bloccò così il ragazzo, causando uno sbuffo generale. «Yami... che hai oggi?»
Gli sguardi andarono su di lui, mentre Shinichi decise di sedersi su uno degli scatoloni. Ran osservò il tutto da sotto il palco, dove erano state posizionate le sedie per i vari spettatori.
Il karateka voltò gli occhi altrove. «Niente.»
«Senti un po’. Tu sei Mercuzio. Migliore amico di Romeo. E stai tentando di fargli dimenticare quella benedetta donna! Dovresti usare più forza nelle tue parole, più sicurezza! Non deve essere recitato come un consiglio, ma come un comando!»
«Come un comando, eh?» pensò quello, forse un po’ troppa ad alta voce.
Si avvicinò al detective, che nel frattempo s’era alzato, e lo scrutò profondamente.
«Smetti di stare con lei.» Fece, con un tono incredibilmente sicuro, che fece inarcare un sopracciglio a Shinichi. Già, la voce l’aveva azzeccata, ma non la battuta.
«Stop! Stop!» mise le mani avanti il regista. «È smetti di pensare a lei, pensare! Non stare!»
Il ragazzo sospirò, abbassando lo sguardo. «Non ce la faccio.»
Gli altri lo sentirono, compresi Shinichi e Ran.
«Come scusa?» chiese lui il regista.
«Non ce la faccio, non ci riesco.»
«Yami, non fare scherzi!»
Il karateka sbuffò. «La parte non mi si addice.»
Il detective fece un risolino di scherno. Quanta immaturità in quelle parole.
«E te ne accorgi a tre ore allo spettacolo!?»
«È una stupida recita scolastica. Non farne un dramma.»
Il ragazzo salì velocemente le scale, e lo scrollò per le spalle.
«Ragazzino, è per te una stupida recita! Ci abbiamo lavorato tantissimo sopra!»
Ma Saigo non demorse. «Ti chiami per caso Shakespeare? Hai visto qualche film ed hai azzardato il copione, tu non hai fatto un bel niente!»
Il regista gli avrebbe volentieri sferrato un pugno, ma Shinichi gli bloccò il polso. Lo fece indietreggiare e guardò il ragazzo con aria accusatoria.
«Facciamo una pausa e rinfreschiamoci le idee. Riprendiamo dopo.»
Il karateka s’avvicinò al suo volto, e lo scrutò per bene negli occhi.
«Non permetterti di darmi ordini.»
Ma Shinichi non si scompose. «Rinfrescati le idee.»
«Smettila di usare questo tono con me.» Disse, ed afferrandolo per le spalle, lo fece indietreggiare di qualche passo. Ran spalancò gli occhi e, preoccupata, subito risalì le scale.
«Smettila di comportarti come un poppante.» Rimbeccò il detective. «E toglimi le mani di dosso.»
Ma Saigo non sembrò sentirlo. Gli prese nuovamente la maglietta e lo attirò a sé.
«Ti ho detto non darmi ordini!»
«Ti ho detto toglimi le mani di dosso.»
Strinse la presa, al che il detective poggiò gli avambracci sul suo petto, e tentò di scostarsi.
«Lasciami andare.»
«Ragazzi...» fece per avvicinarsi Ran, mentre i due continuavano a scrutarsi a pochi centimetri di distanza.
«È proprio vero che in questo mondo vincono gli stronzi.»
Shinichi rise. «Ma ti senti?»
Ma quel sorriso lo fece stizzire ancora di più. E perdendo completamente la ragione, Saigo riuscì a colpirlo dritto in viso, facendolo indietreggiare di qualche passo. Shinichi lo osservò feroce, e per quelle poche volte che accadeva, sentì di non riuscire a trattenersi. Si fiondò su di lui e, trattenendolo per una spalla, gli ricambiò il favore.
«Ti basta o ne vuoi un altro?»
Lo lasciò cadere al pavimento, e prima che riuscisse ad alzarsi, lo vide bloccare da due degli attori lì presenti. Ran, invece, era vicino a lui, tentando di allontanarlo.
«Ma siete impazziti!?» fece il regista, mentre Saigo provò a svincolarsi dalla presa. Riuscitoci, si sistemò la camicia e, dopo un fugace sguardo ai due fidanzati, filò dritto verso la porta dell’aula. Aula che ormai aveva visto l’entrata di molti spettatori che, per curiosità, avevano avuto il desiderio d’assistere anche alla prova generale. E tra quelli, ce ne era uno in particolare che, nell’osservare la scena, aveva visto per la prima volta l’altra faccia della medaglia di Shinichi Kudo. Ed aveva goduto.
«Io mi ritiro.» Disse Saigo.
«Eh?!» cercò di fermarlo il regista, ma era troppo tardi.
«Trovatevi un altro Mercuzio.» Furono le sue ultime parole, prima di scomparire dalla scena.
Al suono sordo della porta, tutti concentrarono gli sguardi sul detective, che però li svincolò abilmente.
«Non guardate me. Ha seri problemi quel tipo.»
Ran lo osservò sinistra. «Anche tu, però.»
E lui ricambiò lo sguardo. «Anche io? Quel tizio ce l’ha con me e sai bene il perché!»
«Sentite, a me non interessa perché e con chi ce l’ha Yami, ma mancano tre cazzo di ore allo spettacolo! Vallo a riprendere!» si rivolse a Shinichi il regista, con un tono un po’ troppo duro.
Al che, il moro, assottigliò gli occhi. «Non ci penso nemmeno.»
«Kudo te lo do anche io un pugno!»
«Provaci e me ne vado pure io.»
«Scusate?» Fece una voce dalla sala, fin troppo familiare. I ragazzi si voltarono ad osservare da chi provenisse, e Shinichi sbiancò nel ritrovarsi di fronte l’unica persona che non avrebbe voluto lì dentro.
«Io ero venuto per vedere Romeo e Giulietta, ma mi sa d’essere capitato in Dragon Ball!» disse quello, facendo scoppiare a ridere i presenti spettatori.
Il detective assottigliò gli occhi, maledicendolo.
«Ci mancava solo Heiji Hattori...»
 
 
Come suggerito da Shinichi qualche minuto prima, la troupe si prese un attimo di pausa. Due ragazzi furono mandati in missione di pace, con il tentativo di 1. Trovare Saigo Yami 2. Convincerlo a tornare 3. Farlo recitare e 4. Massacrarlo di mazzate. Peccato che, dopo dieci minuti, quei due tornarono senza il karateka dalla vena pulsante. Kudo e Hattori si ritrovarono, mentre Ran salutò Kazuha e Sonoko, colei che aveva avvisato la giovane d’Osaka dell’imminente recita dei due piccioncini per eccellenza. E colei che l’aveva anche avvisata della loro relazione. Dettaglio che Kazuha decise bene di mettere in evidenzia nel raccontare tutta la faccenda all’amico d’infanzia, noto come Heiji Hattori. E da lì, l’aereo per Tokyo.
Il detective dalla carnagione olivastra, aveva infatti decretato che “era impossibile mancare”.
«Non mi hai detto niente infame.» Fece l’offeso quello di Osaka, distanziandosi dalle ragazze per poter parlare meglio con lui.
Shinichi lo seguì e assottigliò gli occhi, mandando giù un sorso di caffè dalla lattina acquistata al distributore. «Della recita?»
«Della recita? Cosa vuoi che mi freghi se ti metti a fare lo sdolcinato!» lo rimbeccò l’amico. «Di te e Ran ovviamente... e del fatto che sei ritornato adulto.»
Shinichi sospirò, svuotando la lattina. «Sarebbero affari miei, sai com’è.»
«Uh, quanto sei noioso! E poi non sono del tutto affari tuoi. Ti ricordo che io sono a conoscenza del tuo piccolo segreto, e che ti ho sempre aiutato nel bene o nel male in ogni tuo guaio, e che continuerò a farlo nei secoli dei sec...» fece, dal tono melodrammatico.
«Ok, frena.» Lo bloccò il detective dagli occhi azzurri. «Cosa vuoi sapere?»
«Quando sei tornato adulto?»
«Qualche giorno fa.»
«Perché hai preso l’antidoto? Avevi detto che l’avresti preso solo in casi di pericolo.»
«Infatti lo era. Un membro dell’organizzazione ha ridotto in cenere un ristorante dove mi aveva condotto e sono stato costretto a tornare Shinichi per salvare me e Ran.»
Heiji spalancò gli occhi. «Cosa!? Un membro dell’organizzazione?»
«Già, un certo Chandon. So solo il suo nome, nulla di più. Ho cercato degli indizi, ma ormai era tutto andato a fuoco, e non c’era più nulla da fare. So soltanto che, probabilmente, è una donna bionda.»
L’amico sembrò pensarci un attimo. «Vermouth?»
Shinichi scosse il capo. «L’ho pensato anche io, ma ho il sospetto non sia lei.»
«Perché?»
Il moro sbuffò. «Devi sapere che Ran ha fatto le analisi del DNA tra me e Conan.»
Hattori quasi perse un battito del cuore, e gonfiando i polmoni, rilasciò andare l’aria con un po’ troppa forza. «CHE COSA!?»
Shinichi gli intimò di zittirsi, avendo attirato gli sguardi di tutti, compreso quello della karateka. «Abbassa la voce, idiota!»
«Ti ha scoperto?» chiese, dal tono basso ma terrorizzato.
«No. Qualcuno ha scambiato i risultati e ha dato a lei quello errato.»
«Q-Qualcuno?»
«Già» Shinichi si mise ad osservare la fidanzata. «Probabilmente la donna dai capelli biondi.»
«C’entra anche con le analisi?»
Shinichi sorrise, non gli sfuggiva nulla. Poi riprese un’espressione seria.
«Ran mi ha detto di aver scontrato questa stessa ragazza il giorno che ha ritirato i risultati. Più ovvio di così.»
Heiji socchiuse gli occhi, stringendo i pugni. «Cazzo... allora sa di voi.»
Lui annuì. «Già. Ma come non saperlo? In questo periodo non ho fatto altro che...» avrebbe voluto continuare la frase, ma sentì una voce richiamarlo da lontano. Si voltò, ed era il regista.
«Kudo, dammi un’idea e ti ergo una statua d’oro in pieno centro. La recita è tra due ore e mezza, gli spettatori cominciano ad arrivare, Yami non si trova, e io non so chi cazzo debba prendere il suo posto!»
Shinichi sbuffò, e guardandosi intorno, cercò di scrutare i volti delle persone che lo circondavano. Soprattutto dei ragazzi, ma ce ne erano ben pochi che avrebbero potuto recitare Mercuzio. Il problema principale era trovare qualcuno che riuscisse ad imparare le battute nel giro di poche ore, quasi tre.
In quel caso, soltanto una persona poteva aiutarlo, come aveva sempre fatto.
«Forse ho trovato.» Disse, attirando l’attenzione delle ragazze che, in quel momento, smisero di parlare. Calò il silenzio e tutti aspettarono che parlasse, compreso il detective suo amico di Osaka, che lo osservava stranito.
«Mercuzio... lo farà lui.»
Lo indicò con nonchalance, causando lo stupore generale, soprattutto quello del diretto interessato. Le sue amiche lo avvicinarono, esterrefatte, e Kazuha si lasciò andare ad un incredulo: «Heiji!?»
«Ma... ma lui chi è?» si informò il regista, del tutto diffidente alla decisione presa dal detective.
«Kudo!? Che cos’è questa storia?!»
Shinichi ridacchiò. «Sei appena divenuto Mercuzio, complimenti. Adesso andiamo, che dobbiamo prepararci.»
Cercò di trascinarlo ma Heiji si oppose, piantando i piedi a terra. «Ma... ma dico... sei impazzito?»
«Vorrai mica lasciare Romeo senza Mercuzio?»
«È un modo carino per dirmi che mi consideri il tuo migliore amico?»
Shinichi distolse lo sguardo. «È un modo carino per dirti che mi serve qualcuno che impari le battute, ed anche alla svelta!»
Hattori si lasciò trascinare, e dando uno sguardo all’orologio, cominciò a preoccuparsi. «Ma quanto manca?»
«Ah, non preoccuparti» fece Kudo, sereno. «Più di due ore.»
«Due... due ore?!»
«Sono un’eternità, dai.»
«Ma Kudo!»
«Non ti lamentare sempre.»
«Questa me la paghi cara!» Hattori ringhiò. «E non tirare!!»
Shinichi riuscì a portarlo sotto forza nei camerini, tra lo stupore generale dei presenti. Il regista pregò affinché tutto andasse alla perfezione e ordinò che i due detective non fossero disturbati per nessuna cosa al mondo. Vietò pure a Ran e Kazuha di entrare, perché pensava che avrebbero potuto distrarli.
Dopo una decina di minuti, la figlia di Mouri decise fosse il momento di provare il vestito e di preparare gli ultimi dettagli. Ma prima che andasse via, notò Hana in fondo alla sala. Era da sola e aveva le braccia incrociate. Eppure pareva aver visto un diavolo. Un diavolo travestito da angelo.
 
 
Le due ore trascorsero molto lentamente. Almeno per gli spettatori che, oltre ad accozzarsi per i posti a sedere, dovette subire anche un ritardo di mezz’ora dello spettacolo. Pochi sapevano il motivo, ma coloro che ne erano a conoscenza poterono provare sulla loro pelle l’ansia e il terrore di ciò che accadesse. La voce che l’interprete di Mercuzio fosse stato sostituito viaggiò velocemente, e poco prima della recita, quasi tutti sapevano che il migliore amico di Romeo non l’avrebbe recitato più Saigo Yami.
E quando entrò in scena quel ragazzo dalla carnagione olivastra e dagli occhi verdi, tutti ebbero l’impressione che quel ruolo gli si addicesse alla perfezione.
Recitava con il detective con grande maestria, e sebbene sbagliasse le battute di continuo, tra un verbo e un altro, seppe conquistarsi il pubblico.
E per la prima volta, nell’imbattersi in Shakespeare, nessuno più ebbe l’impressione che si parlasse soltanto d’amore. C’era un’altra forza su quel palco, ed era altrettanto immensa.
Alcuni la chiamarono complicità, altri empatia tra i due attori.
Ma in fondo, era solo amicizia. Solo amicizia.
 
«Smetti di pensare a lei.»
«Sarebbe come smettere di pensare.»

 
 
 
 
 
Ehm... facciamo così. Io vi porto al Tropical Land per farmi perdonare di tutti questi giorni in cui sono scomparsa! XD
CIAO GEEEEEEEEEEENTE!
E prima d’ogni cosa, buona Pasqua e Pasquetta! In ritardo, sì XD
Seconda cosa... imploro perdono!!!
Non ho molte scuse... in realtà il tempo l’ho avuto per scrivere. Ma c’è un stato un piccolo intoppo che mi ha impedito di proseguire. E grazie all’aiuto di Assu, sono riuscita a venirne fuori. Grazie Assu! <3
E così, rieccoci qui! Non potevo e volevo abbandonare la storia, e soprattutto non dovevo farlo, anche solo per l’affetto che mi mostrate, e di cui vi sono infinitamente grata!
Tornando al chap XD Abbiamo un paio di cosette:
Ran e Shinichi dopo le analisi… e va be’. Credo che la reazione della karateka sia la più logica, ed ormai, essendo convinta che lui e Conan siano due persone diverse, sprizza gioia da tutti i pori!
Poi c’è Sonoko, che rompe. Ma è una cosa normale XD
Poi c’è Saigo che *udite udite* viene finalmente a conoscenza del fatto che Ran e Shin stiano insieme. E diciamo che non la prende proprio bene!
Poi c’è la donna bionda che torna! Chissà cosa vorrà e cosa farà, vero?
E poi c’è Heiji che, inaspettatamente, si ritrova a recitare la parte di Mercuzio, migliore amico di Shinichi! Credo che il personaggio s’addica più a lui... vero? ;)
A proposito, so che il titolo è qualcosa di leggermente orrendo ma... non sapevo che titolo metterci XDDDD Se ne avete uno migliore ditemelo, provvederò a correggerlo!

Comunque, come sempre spero che il capitolo vi sia piaciuto :)
E come sempre ringrazio i recensori dello scorso chap: assu, luna, hoshi, celiane, mary, shineranamore, mangaka, delia, shiho, noemina, bessie, angel, manganime e arya!
Grazie anche a chi ha aggiunto la storia tra le preferite!
GRAZIE A TUTTI.
 
 
Un bacione,
Tonia 

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Capitolo 24
*** Scorci di una vita sperata ***


Your Lies

23.
Scorci di una vita sperata
•••

 
 
Quando Saigo tornò, la recita era già iniziata da mezz’ora circa. Stemperata la rabbia per le strade di Tokyo, aveva deciso di far dietro fronte, e s’era nascosto dietro ad un pilastro da dove aveva osservato lo scivolare della tragedia. Ran era bellissima in quegli abiti, ma non poté fare a meno di ammettere che anche quell’odioso detective se la cavava bene a recitare. Quell’altro invece, quello che aveva preso il suo posto, e che non aveva mai visto in vita sua, era tutt’altro che preparato. Sbagliava le battute di continuo, ma per qualche assurdo motivo il pubblico si incantava a guardarlo.
Metteva ironia e sorrisi nelle sue parole, rendendo Mercuzio meno serio di quello che già non era in principio. Il momento migliore fu quando Romeo e Giulietta si baciarono, ed insieme assistettero ad un applauso incontenuto e incontenibile del pubblico. Saigo strinse i pugni, arrabbiato. Era deluso, perché credeva che quel ragazzo non fosse giusto per Ran. Ogniqualvolta lei gli aveva parlato di Shinichi, aveva potuto avvertire una nota di tristezza e malinconia nelle sue parole, una vena di rassegnazione che sfuggiva a molti. Probabilmente sfuggiva anche alla stessa Ran, e lui c’aveva fatto caso.
Aveva notato quanto lei sopportasse e non dicesse.
Dal fondo della sala, a lui sfuggirono due occhi azzurri che lo guardavano da lontano, e che si illuminarono ancora di più alla sua vista. Quegli occhi trasmettevano la stessa tristezza e malinconia che Saigo avvertiva nelle parole di Ran, un’emozione repressa di cui lui non poteva venire a conoscenza, perché così aveva voluto il destino.
Io ti proteggerò... ti proteggerò a costo della mia stessa vita...
 
 
 
 
«Ragazzi, che successone! Qui si deve festeggiare!»
Heiji s’accomodò al salotto di villa Kudo, lasciandosi sprofondare nei cuscini. Kazuha lo imitò, e la seguì Sonoko, con aria allegra e frizzante. Il padrone di casa e Ran entrarono qualche secondo dopo, in scia ai loro amici.
«È vero» continuò la giovane d’Osaka. «Siete stati magnifici.»
«Credo che prenderò in considerazione l’idea di far l’attore» si vantò Hattori, sogghignando.
Shinichi assottigliò gli occhi. «Ma se hai sbagliato il novanta per cento delle battute.»
«Ehi, impara tu un intero copione in meno di due ore!»
Ran lo osservò e sorrise. «Hai ragione Hattori. Sei stato davvero bravo.»
«Puoi dirlo forte!» rispose fiero Heiji, picchiettandosi il petto. «Mica come te, Kudo, che quando hai preso il veleno hai recitato una schifezza! Sei caduto troppo di piombo sul letto, dovevi essere più lento!»
Shinichi sbuffò sedendosi sulla poltrona, di fronte ai suoi amici. «Sei ancora più insopportabile da finto attore.»
«Però le scene dei baci erano il tuo forte... eh, Kudo?»
Shinichi si sfumò di rosso, e con lui Ran decise di alzarsi per andare, o meglio fingere, di bere. Avrebbero pagato miliardi per far sì che i loro amici li lasciassero in pace, senza battutine di troppo o sorrisi sconvenienti. In fondo loro erano così: riservati, timidi ed introversi su questo genere di cose. Amavano tenerle per loro, perché era qualcosa di talmente intimo e importante da avere la sensazione di non poterlo condividere con nessuno. Nemmeno con chi conoscevano da una vita, o di chi si fidavano ciecamente.
«Credi ci tartasseranno per tutta la sera?»
«Non è che credo...» Shinichi la guardò afflitto. «È sicuro.»
Ran sospirò, poggiando i palmi sul lavabo. «Poveri noi.»
«Eh» fece una smorfia contrariata il detective, assottigliando le palpebre. «E addio premio...»
Ran gli lanciò un’occhiata truce che, in certo senso, aveva una nota di ironia. Ma non gli rispose e tornò in salotto, mostrando il sorriso più grande che aveva. Pregò con tutte le sue forze che non riprendessero l’argomento Shinichi&Ran, almeno non in presenza del suo partner. Parlare di lui insieme a lui era maledettamente imbarazzante.
 
 
 
«Papà, io scendo!»
«Arrivederci, detective Mouri!»
Ran e Kazuha percorsero velocemente le scale di casa, ma quando furono di fronte all’ufficio la voce di Kogoro le bloccò. Spuntò dall’appartamento con solo la testa, come un bruco in una mela.
«Ma dove andate così presto?»
Ran esitò un po’. «Ehm... abbiamo appuntamento con i ragazzi. Ieri è venuto anche Hattori alla recita.»
L’investigatore annuì, un po’ perplesso. «Torni a pranzo?»
«Ehm... non credo.»
La karateka credé che il padre si sarebbe arrabbiato, ma al di là di ogni aspettativa, lo vide sorridere.
«Perfetto.» Lo sentì addirittura pronunciare. «Neanche io ci sono, quindi è inutile che torni.»
«Ah.» fece Ran, un po’ stranita. «Ma dove devi andare tu?»
«Lavoro, lavoro e lavoro!» recitò Kogoro. «Sarò impegnato fino a stasera!»
«Okay, ma stai attento papà.»
«Certo.» Annuì con un sorriso che gli arrivava sino alle orecchie. «Allora buona giornata ragazze, e divertitevi!»
E chiuse la porta, quasi sbattendola. Ran e Kazuha si guardarono perplesse. Ma cosa gli era successo?
 
 
 
 
«Siete fidanzati, eh...»
«Hattori mi stai dando sui nervi.»
Heiji sogghignò, appoggiandosi alla spalliera del divano. Da quando s’erano svegliati, non aveva fatto altro che tormentarlo. Ma quando successo? E come è successo? E cosa ti ha detto? E cosa lei hai fatto? Vi siete baciati? E quanto è durato?
Ovviamente, Shinichi non aveva risposto a nessuna delle domande. Non aveva la minima intenzione di riferirgli una cosa del genere, e nemmeno nei particolari. Sperò solo che Ran avesse fatto altrettanto con Kazuha.
«Ma adesso vi terrete mano nella mano?»
«Hattori...» Il detective di Tokyo lo osservò truce, mentre il rivale collega amico si sganasciava dalle risate.
«Perché non pensi a te e al fatto che non hai ancora combinato nulla con Kazuha?»
Heiji sembrò destarsi. Si bloccò d’un tratto, e le sue risa sfumarono in un istante.
«Ma cosa dici? Io e Kazuha non siamo come te e Ran... noi siamo soltanto amici d’infanzia!»
Shinichi assottigliò le palpebre. «Ma dai... smettila con questa recita...»
«Kudo, se tu e Ran siete tanto affiatati, non vuol dire che lo dovremmo essere anche io e quella lì!»
«Mi vuoi far credere che non ti piace?» ci riprovò il detective di Tokyo, osservando intensamente.
Heiji arrossì lievemente. «Certo che no, che domande fai!»
«Allora non ti da fastidio se le presento un amico di Ran, vero? Si chiama Saigo...» lo sfotté poi, azzardando un sorrisetto ironico. Vide Heiji lanciargli un’occhiata tremenda, che avrebbe fatto paura al più cattivo dei cattivi.
«Adesso questo cosa c’entra?!»
«Lo vedi che avevo ragione io?»
«No, non avevi ragione! Ma Kazuha è sotto la mia tutela... non posso farle conoscere gente a destra e a manca!» Convinse se stesso che quella non fosse una stupida scusa per mascherare la sua stupida ossessione nei confronti della giovane. Lei per lui era soltanto un’amica, una cara amica, e nulla di più. Però... però sapere che avrebbe potuto conoscere qualcun altro non era proprio ciò che si definisce una bella notizia...
«Ma ti senti, almeno?» Lo prese ancora un po’ in giro, ridacchiando.
«Kudo, mamma mia. Oggi sei più insopportabile del solito. Che cacchio ti sei mangiato a colazione?»
Lui sorrise. «Quello che hai mangiato tu.»
«Ah, già... latte scaduto e cereali. Ecco cosa ti fa male.»
Shinichi bloccò il fiato per un secondo. «Veramente il latte era scaduto?»
«Se non lo sai tu.»
«Oh cazzo...»
I due scoppiarono a ridere, mentre dall’agenzia di Kogoro si levarono le voci delle ragazze. Il detective si girò a guardare Ran, splendida come al solito. E ripensando alla conversazione con l’amico, si diede mentalmente dello stupido per aver perso così tanto tempo. La sentì avvicinare ed avvertì il suo profumo alla fragola. Lo annusò e se ne inebriò, e sperò che non svanisse per tutta la giornata.
 
 
 
«Ma per quanto rimarrete a Tokyo?»
Kazuha alzò la testa dal panino che stava masticando. Salse varie spuntavano fuori come lava da un vulcano. Deglutì il tutto, sapendo che a rispondere a Ran toccava a lei. Heiji non aveva nemmeno dato segno d’ascolto.
«Restiamo fino a stasera. Poi abbiamo delle interrogazioni a scuola, e dobbiamo prepararci.»
Ran annuì col capo. «Vero... anche noi a scuola siamo impegnati in questo periodo.»
«Voi siete impegnati in tutt’altro» li sfotté ironico quello di Osaka, balzando dal nulla del suo cheeseburger.
Ran rilasciò un sospiro, mentre Shinichi gli lanciò un’occhiataccia. Effettivamente, li avevano presi in giro troppo poco in quei due giorni. E tutto ciò li terrorizzava.
«Eccoli che ricominciano...» sussurrò Kudo, osservando furtivamente la ragazza.
«Perché... non è vero, Kudo?» fece il malizioso l’amico, guardandolo intensamente.
Shinichi storse il naso e il labbro, e fissando gli occhi su Kazuha, sfoderò un sorriso ampissimo.
«Ran... perché non presenti Saigo a Kazuha? Secondo me andrebbero d’accordo insieme.»
L’interessata lo guardò spaesata, mentre Heiji cominciò a ringhiare.
«Che c’è... non sei d’accordo, Hattori?»
Kazuha li osservò arrossendo, e notando il fastidio dell’amico d’infanzia, si colorò ancora di più di rosso. 
«Hattori è geloso...» ingranò la marcia Ran allusiva, volendo prendersi una certa rivincita.
Quello per poco non si strozzò. «Ma che assurdità andate dicendo! Che conosca chi le pare!»
La Toyama non riuscì a trattenere una smorfia. «Infatti lo faccio, idiota!»
«Ma se stasera dobbiamo andarcene, come credi di conoscerlo, scema?» obiettò immediatamente il detective, afferrando il bicchiere e bevendo un sorso di Cola.
«Io potrei anche rimanere se è per questo! Sei tu che devi fare le interrogazioni!»
«Ma dove rimani! Stupida!»
Kazuha gli tirò un calcio sulle gambe. «Da Ran, ovviamente! E stupido ci sarai te!»
«Mi hai fatto male, idiota!»
«La prossima volta impari, imbecille!»
Era risaputo che la gente di Osaka fosse un po’ irascibile, ma quei due battevano tutti i record. Shinichi e Ran li osservarono, e rivolgendosi lo sguardo, scoppiarono a ridere.
«Li hai fatti litigare!»
«Già.» Lui sorrise, bevendo dalla sua lattina. «Almeno la finiscono di prenderci in giro.»
La ragazza continuò ad osservarli battibeccare. C’era mancato poco e il bicchiere di Cola sarebbe finito giusto in testa ad Heiji.
«Credi che durerà per molto?»
Shinichi fece spallucce. «Non preoccuparti. Litigare fa bene, aiuta a fare pace.»
Ran sorrise, e stringendosi al suo braccio, appoggiò la testa alla sua spalla. «Infatti... a noi ha fatto bene.»
Il detective osservò dapprima i due litiganti, e notandoli impegnati, s’avvicinò alla ragazza. Velocemente socchiuse gli occhi e le baciò la fronte, stringendole un braccio intorno alla spalla.
«Molto molto bene...»
 
 
 
«Ancora non mi hai detto cosa è successo tra voi!»
La karateka arrossì, mandando un’occhiata al suo ragazzo. Si stava allontanando col migliore amico verso una gelateria, mentre loro erano rimaste sedute su una panchina, tra il verde del parco.
«Cosa vuoi che ti dica?» Le rispose, un po’ imbarazzata.
«Tutto!»
Ran sospirò, mordicchiandosi un labbro. «Be’... diciamo che grazie alla recita abbiamo avuto molte occasioni d’incontro... e insomma... tra una prova ed un’altra...»
Kazuha pazientò che concludesse la frase, ma più i secondi passavano e più l’amica si sfumava di rosso.
«Vi siete baciati?» la completò lei per Ran, osservandola entusiasta.
Lei annuì, intimidita.
«Beata te...» fece la ragazza, con gli occhi luccicanti. Poi, mandando un’occhiata truce all’amico d’infanzia, simulò una smorfia. «Il massimo del romanticismo di Heiji è portarmi ovunque in mezzo ai cadaveri.»
L’amica rise. «È solo molto timido...»
«Comincio a pensare di non interessargli. In fondo, anche Kudo è timido, ma alla fine vi siete messi insieme.»
Ran sorrise. «Be’, non è stato così semplice.»
«Perché?» fece Kazuha, tornando ad interessarsi all’argomento. «Come te l’ha detto?»
«Avevamo litigato e lui mi aveva detto di non voler fare più Romeo. Io, incazzata nera, vado a casa sua e lo costringo letteralmente a recitare. Stavamo provando la scena finale della tragedia, e quindi eravamo stesi sul suo letto...»
«Aspetta, aspetta.» Kazuha la bloccò, spalancando le palpebre. «L’avete fatto?!»
Ran divenne paonazza. «Ehm...»
«Sì!?» insistette quella di Osaka, colorandosi d’entusiasmo.
Ma l’amica non aveva voglia di risponderle. Con gli occhi ridotti a puntini, continuò la sua spiegazione: «E allora, lì, mi ha detto che io e lui eravamo come Romeo e Giulietta.»
Kazuha congiunse le mani a mo’ di preghiera. «Oddio, che bello!»
«Già» fece Ran, esultando interiormente per esser riuscita a dissuaderla dalla voglia di sapere qualcosa di troppo. Non sapeva perché, ma ancora non era pronta a raccontarlo alle sue amiche.
«Sei davvero fortunata, lo sai?»
Ran annuì.
«Sei fidanzata con un bellissimo ed intelligentissimo ragazzo. Senza contare che ha tantissime corteggiatrici, e tutte le donne che la sua notorietà porta!»
«Già» emise uno sbuffo contrariata, ripensando ad Hana. «Un po’ troppa notorietà.»
«Ma lui ama te, che ti importa?»
«Nulla, mi da fastidio.» Sbuffò la karateka. «Non fanno altro che provarci con lui spudoratamente.»
«E lui? Che fa?»
«Nulla. O meglio... non gli danno di certo fastidio le loro attenzioni.» Fece contrariata, con una smorfia.
Kazuha sorrise. «Ma lo sai come son fatti i maschi!»
«Già» sbuffò. «So com’è fatto lui... ed ho paura che tutto questo possa svanire.»
«Ma perché? Siete meravigliosi insieme.»
Ran abbassò il capo e sentì gli occhi luccicare. «Mi sembra tutto troppo bello per essere vero.»
 
 
 
«A che ora avete l’aereo?»
«Alle sei.» Rispose l’amico, prendendo le monete dal portafoglio e pagando il gelato per lui e l’amica. «Ce la facciamo ad arrivare all’aeroporto, vero?»
Shinichi annuì, mentre sceglieva i gusti del suo cono. «Con la metropolitana ci vuole meno di mezz’ora.»
«Perfetto. Allora mangiamo i gelati e cominciamo ad avviarci.»
«Allora... uno al cioccolato e panna, e l’altro... cioccolato, kinder e caffè.» Disse il detective più grande all’uomo, cosicché da poter riempire i coni. Shinichi pazientò che avesse finito, ed intanto si fermò ad osservare Heiji che, per non far gocciolare i gelati, li leccava entrambi. Sorrise, ma non gli disse nulla.
«Per quanto tempo rimarrai così?» fece dopo qualche secondo di silenzio Hattori.
Shinichi sembrò incupirsi. «Non lo so.»
«Hai già pensato cosa dirai a Ran quando tornerai ad essere Conan?»
Lui scosse il capo, afferrando il primo gelato. «Non ne ho idea.»
«Non sarebbe meglio che ti organizzi? Adesso la tua fidanzata è convinta che tu non sia il suo adorato fratellino. Ed in questa convinzione deve rimanere se vuoi tenertela vicina.»
L’ex calciatore lo osservò per un po’, ripensando alle sue parole. «Perché lo dici?»
«Be’...» fece Hattori, continuando a leccare entrambi i gelati. «Ora lei si fida di te e di tutto quello che le hai detto. Non so come reagirebbe se scoprisse la verità.»
L’amico silenziò per un altro paio di secondi. «Quindi non potrò mai dirle chi sono davvero?»
Heiji fece una smorfia. «Temo di no.»
Shinichi sospirò, afferrando anche l’altro gelato. «Io avevo intenzione di parlarle quando sarebbe finito tutto, quando non ci sarebbe stato più pericolo.»
«Certo, ma pensi che riuscirebbe ad accettare il fatto che tu abbia mentito per tutti questi mesi?»
«Spero di sì.» Il detective di Tokyo mandò giù un altro sospiro. Fece cadere le monete sul bancone, e pagò i gelati.
«Secondo me ti conviene tenerle nascosto tutto. Così le eviti anche un certo trauma.»
I due cominciarono a dirigersi verso le ragazze, sedute su una panchina di un parco, una cinquantina di metri distante. Shinichi ripensò alle parole dell’amico, ed osservando Ran avvicinarsi sempre di più, s’incupì d’un tratto. E prima che potesse raggiungerle lo guardò, ed abbozzando un mezzo sorriso, cominciò a leccare il suo gelato.
«Forse hai ragione.»
 
 
 
Dopo aver accompagnato Kazuha ed Heiji all’aeroporto, Shinichi e Ran tornarono sui loro passi e si diressero a casa. Era stata una bella giornata, caratterizzata da risate e dalla migliore compagnia che potessero desiderare. I due di Osaka non avevano ancora fatto del tutto pace, ma erano senza ombra di dubbio su quella strada. Già col gelato, il detective, era riuscito a guadagnare terreno.
«Chissà mio padre cosa aveva da fare oggi.»
Shinichi la guardò stranito. «Che intendi dire?»
«Stamattina era strano. Non ha detto nulla riguardo al fatto che dovevamo uscire con voi per tutta la giornata.»
Il ragazzo rise. «Si sarà rassegnato.»
«Ha detto che aveva molto lavoro da fare... speriamo non si cacci nei guai!»
Shinichi fece un risolino ironico. Kogoro senza di me lavora?
Giunti sotto l’agenzia, Ran notò le luci spente e constatò che il padre non fosse ancora tornato.
«A quanto pare non c’è ancora.»
Si voltò ad osservare il fidanzato, ed afferrandogli la mano, si fece seguire per le scale.
«Fammi compagnia.»
Shinichi si lasciò trascinare, osservando la sua schiena muoversi a ritmo con i gradini, e i suoi capelli svolazzare sulle sue spalle, rilasciando nell’aria un intenso aroma di fragola. Lo stesso di quella mattina, che non svaniva mai.
Ran aprì la porta di casa lentamente, e con cura ricercò l’interruttore della luce. Ma prima che potesse trovarlo, Shinichi le bloccò il braccio, stringendola da dietro.
«Che fai?» gli chiese, ma lui non le rispose.
L’abbracciò e la strinse tra le sue braccia, e con le labbra le baciò il collo, lasciandole una scia di baci che parevano fuoco. Ran non si ritrasse, ma al tocco della sua bocca, chiuse gli occhi, sebbene fossero circondati dal buio. Shinichi tentennò sulle gambe, e trasportandola con sé, la portò in cameretta. Conosceva perfettamente gli spazi di quella casa, e non fu difficile per lui raggiungere quella stanza così familiare e sofferta. La camera dove Ran chiedeva di lui al cielo.
Continuò a baciarla, ma quando furono sulla porta, sentì Ran girarsi e appoggiare il seno al suo petto. Non si vedevano, ma potevano avvertire tutti i muscoli in contatto, e la voglia di appartenere l’uno all’altro sempre di più. Con la lingua aprì la sua bocca, e con le mani strinse i loro corpi in uno solo.
Ran cadde sul materasso e trascinò con sé il detective, che s’adagiò sopra di lei.
Le trattenne il viso tra le dita, facendole scivolare tra i suoi capelli corvini e setosi. Ran fece altrettanto col suo viso. Lo baciò, lo baciò fin quando avrebbe sentito il cuore batterle nel petto.
Si deliziò delle sue labbra, e della sua perfetta lingua. Non sapeva quali fossero i parametri per definire la bellezza di una lingua, ma era certa che la sua li battesse tutti.
Alzandosi di un po’ dal suo corpo, Shinichi passò una mano sotto la sua maglia, ed accarezzandole l’addome, gliel’alzò fino a toglierla del tutto. Ran lasciò che essa scivolasse oltre la sua testa, e rabbrividì al tocco freddo delle dita del suo fidanzato.
«Ricorda che devi darmi ancora un premio...» le sussurrò all’orecchio, strappandole un sorriso, di cui lui poté notare soltanto la luminosità.
«Non prenderci l’abitudine.» Gli mormorò così lei, strappandogli un sorriso. E mentre Shinichi continuava ad accarezzarle il petto, lei gli baciò il viso e scese lungo il collo e la spalla. E nel momento in cui lui fece scivolare le mani dietro la sua schiena, e le slacciò il reggiseno, Ran avvertì dei rumori provenire dalla porta d’ingresso. Immediatamente strabuzzò le palpebre, ed insieme a lei, il detective s’alzò dal letto. Una scossa di terrore li percosse, e mentre Ran s’apprestò a rivestirsi - mettendoci più del necessario -, Shinichi si piazzò dietro la porta, in modo da non farsi vedere.
Non sentirono voci, ma solo rumori. E sporgendo il capo un po’ più fuori, videro Kogoro ed Eri.
Kogoro ed Eri che si baciavano.
Ad entrambi mancò il fiato.
Kogoro ed Eri si stavano baciando.
Kogoro ed Eri si stavano baciando.
Ran aveva gli occhi talmente fuori che sarebbero potuti caderle dalle orbite.
«Mio padre e mia... mamma...» provò a dire, ma non ci riuscì.
Shinichi le intimò il silenzio con un dito sulla bocca. «Se tuo padre mi trova qui io sono morto!»
«Ma... ma mio padre e mia mamma...»
Le passò una mano sulla bocca e l’attrasse a sé. Sperò con tutte le sue forze che i suoi futuri suoceri si sarebbero diretti nella loro stanza, e per sua fortuna, così fecero. Non si accorsero della loro presenza nella stanza accanto ed aprendo la porta della camera matrimoniale, la socchiusero leggermente, senza staccarsi un attimo.
«Cerca di non fare rumore» le sussurrò, e lentamente la trascinò nel soggiorno, sperando di non urtare nulla. D’altronde era ancora buio pesto. E nemmeno gli ex coniugi  avevano avuto la delicatezza di accendere le luci.
Tra mille ostacoli e diverse peripezie, Shinichi riuscì ad arrivare alla porta, ad aprirla con estrema lentezza, e scaraventarsi fuori, insieme a Ran.
Corse le scale velocemente e nel notare le luci dei lampioni, rilasciarono un profondo sospiro.
Ce l’avevano fatta.
 
 
 
«Ma ci pensi?! Mio padre e mia mamma erano insieme! Insieme, capisci? Si stavano baciando! Come un tempo! Come quand’ero piccola! Non ci credo! Non ci credo!»
Shinichi ridacchiò, travolto dall’entusiasmo della sua karateka. Gli piaceva vederla sorridere. Si illuminava.
«Tutto ciò che ho sempre sperato si è avverato!» rilasciò un sospiro, come per calmarsi.
«Mi sembra tutto un sogno.»
Si portò una mano alla bocca, ancora incredula, stupefatta, spaesata. Era qualcosa che non s’aspettava, che non aveva nemmeno messo in programmazione. Avrebbe voluto sapere tutto, tutto ciò che le avevano tenuto nascosto e che aveva scoperto nel giro di qualche secondo.
Ma alla fine non le importava nemmeno perché. Le importava solo che davvero li avesse visti, e che davvero fossero scappati nella loro stanza.
«È tutto vero, puoi crederci.»
Ran si rilassò sulla morbidezza di quel letto matrimoniale, socchiudendo gli occhi. Tutti i suoi pori trapelavano felicità.
«Ho paura che possa svanire.» Gli confessò poi, riaprendo le palpebre al soffitto.
«Perché?»
Lei tornò a guardarlo, lo sguardo serio. «Di solito le cose belle finiscono.»
«Non è vero. Basta lottare.»
Ran sorrise. «Tu combatterai con me?»
Lui fece spallucce, girò il capo per non farsi beccare a ridere. «Se avrò voglia...»
Ran gli diede uno spintone. «Idiota!»
Shinichi non smise di ridere, e rigirandosi su di lei, la bloccò sotto il suo corpo. Ran avvertì il loro muscoli combaciare e il viso perfetto di lui sovrastarla, illuminato dalla fioca luce della luna.
Ran arrossì lievemente. Quegli occhi azzurri erano tremendamente luccicanti in quell’atmosfera.
«Hai detto che siamo come Romeo e Giulietta.»
Lui sorrise. «Veramente preferirei un destino un tantino migliore per noi.»
«Ma dovremo combattere... resistere. Non sappiamo il futuro cosa ci riserverà.»
Il tono di Ran era leggermente triste, come se quelle parole le dicessero più del dovuto.
«Lo faremo.» Assicurò lui, la voce incredibilmente profonda.
Ran gli accarezzò il viso. «Quindi me lo prometti?»
Lui annuì semplicemente. Si sporse su di lei e le strappò un tenero bacio.
La karateka sorrise, quel contatto la inebriò. «Anche io te lo prometto.»
Shinichi la imitò, e fece scivolare le dita sul suo viso. «Ricorda che ogni promessa è debito.»
«Le mie promesse nei tuoi confronti non sono debiti, ma investimenti.»
Shinichi rise, ma soltanto perché non sapeva cosa risponderle. Lui non era così dolce, per questo rimase zitto.
S’abbassò su di lei, e la baciò di nuovo. Si lasciò trasportare dalla sua lingua, e con la bocca rilevò tutto ciò che era impossibilitato a dirle a voce.
“Non sai quanto ti amo...”
L’accarezzò, strisciò su di lei, ed infine la spogliò. Si spogliarono e fecero l’amore.
“Ma proverò a fartelo capire...”
Fu diverso dalla prima volta, perché sentirono il bisogno di poter osare. Si sentivano esperti, ormai maturi, e volevano andare oltre. Oltre la dolcezza di un istante, oltre la violenza di un orgasmo.
Avvertirono il bisogno di volerne ancora, di non fermarsi, di non perdersi. Erano insieme, erano una cosa sola, e tutto il resto del mondo perdeva importanza. Erano ciò che bastava, tutto il resto era superfluo.
Quella notte Ran si fermò a dormire da Shinichi. Non aveva voglia di lasciarlo, e non voleva tornare a casa sua perché non avrebbe mai voluto interrompere i suoi genitori.
Perché adesso capiva cosa significava voler rinchiudersi in una stanza ed amare una persona.
Adesso sì, adesso che l’aveva provato sulla sua candida e chiara pelle.
 
 
 
Il Sole rischiarò oltre le tende, e andò a posarsi sugli occhi chiusi ed assonnati di Ran. Li aprì con debolezza, e stropicciandoseli con un polso, focalizzò a poco a poco la stanza. Dopo qualche secondo si rese conto di non essere nella sua. Quella casa sapeva di lui, di loro. Così capì: la sera prima aveva chiamato il padre, e fingendo, gli aveva detto che avrebbe dormito da Sonoko. Ovviamente, Kogoro non aveva mostrato alcuna esitazione.
Era impegnato a fare tutt’altro probabilmente, e Ran se ne rallegrò.
Tornando col pensiero a Shinichi, lo ricercò in quel letto così grande per due anime come loro.
Lo trovò al suo fianco, con il petto nudo all’insù che si muoveva ad intervalli regolari, una mano sulla testa e gli occhi azzurri aperti a fissare il soffitto.
«Ehi, buongiorno.»
Shinichi si girò ad osservarla, e sorrise spontaneamente. «Buongiorno.»
Ran si stiracchiò su di lui, emettendo un debole sbadiglio. «Come mai già sveglio?»
«Ho riposato abbastanza.» Fece con voce bassa e serena.
«Ciò vuol dire che sono una buona compagnia notturna?»
«Meravigliosa.» Lui annuì, ridacchiando. «Hai anche russato.»
La compagna arrossì di botto. «Non è vero!»
«Giuro.» Lui scoppiò a ridere e continuò a sfotterla. «Ma lo fai in modo... simpatico.»
«Simpatico?» inarcò un sopracciglio lei.
«Già.» sorrise ancora Shinichi.
«Che significa russo in modo simpatico?»
«Non lo so. Ma eri divertente.»
Ran mise il broncio. «E sentiamo... come avresti potuto sentirmi russare se dormivi anche tu?»
«Ho il sonno leggero... mi sveglio per il minimo rumore.»
Lei si intristì, ormai rossa in volto. «Mi dispiace averti svegliato. Scusami.»
Lui rise ancora ed afferrandola la portò a sé. Le diede un bacio e la lasciò andare dietro, come una molla.
«Non preoccuparti.» Le disse. «E poi mi son svegliato con te nuda avanti. Russa tutte le volte che vuoi!»
Ran assottigliò gli occhi, ma non riusciva a non ridere.
«Brutto pervertito che non sei altro!»
«Ma non ho fatto nulla!» obiettò, ridendo.
«Ci mancava anche che facessi qualcosa!» gli diede un colpo alla spalla lei, che avrebbe dovuto risultare un po’ forte. Ma lo sfiorò appena.
«Ho solo guardato.» Ammise lui, scoppiando a ridere.
«Vuoi un applauso?»
«Se tu non avessi russato io non mi sarei svegliato. Quindi prenditela con te stessa. E poi ti vedo sempre nuda ormai. Che male c’è?»
Lei afferrò il cuscino e glielo sbatté contro, dritto sul viso. «Ma quale sempre? Due volte sono sempre?»
Shinichi sbiancò. Ah, già... le altre volte era da Conan...
«E poi c’è che sei un pervertito!» ribatté ancora lei, tirandogli nuovamente contro il cuscino.
Shinichi non si mosse di un solo millimetro, sebbene Ran continuasse a prenderlo a cuscinate.
«Ma dobbiamo andare a scuola oggi?»
«Sì, alziamoci che è meglio.» Lasciò andare sul letto il cuscino lei, e provò ad alzarsi. Ma quando si girò all’indietro, lo vide fissarla. Come sempre.
«Non dirmi che hai di nuovo vergogna!» fece lui, mettendosi a ridere.
Lei arrossì un po’.
«Sai com’è. Dietro di me mi sembra di avere un lupo affamato.»
Shinichi non smise di ridere. «Addirittura?»
Ran fece spallucce. Poi si girò un attimo a guardare il vuoto.
«Ma di sotto hai qualcosa da mangiare?»
Improvvisamente si ricordò del latte scaduto. «Se vuoi vado a comprare i cornetti.»
Lei annuì, sorridente. «Aggiudicato.»
Lui l’attrasse a sé e la baciò di nuovo, facendo schioccare le loro labbra.
«Il lupo potrebbe mangiare anche te a colazione però.»
Lei fece una smorfia. «I cornetti sono più dolci e morbidi. Anche il lupo lo sa.»
Il lupo annuì, e le regalò un altro bacio. Più profondo, più passionale. Le accarezzò il bacino e lei poggiò le mani sul suo petto. Sui suoi muscoli, che adesso appartenevano anche un po’ a lei. Si sdraiarono lungo il letto e continuare a baciarsi. Si sdraiarono e continuarono ad accarezzarsi.
Non riuscivano a staccarsi e non avevano intenzione di farlo.
Ma il lupo capì che avrebbe dovuto darsi una regolata, perché di questo passo l’avrebbero davvero bocciati.
A tutti e due. Al lupo, e all’agnello.
 

 
 
 
Ciiiiiiiiiiiiiiiao! Sono tornata! :)
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto. *lo dico sempre, lo so!*
Ma si avverte questi due quanto sono innamorati? Quanto si amano, quanto non fanno altro che adorarsi?
Io li adoro, li adoro troppo! Sono troppo carini! 
Ma andiamo in ordine ù.ù
Hattori e Kazuha rompono le balls come al solito, e Shinichi cerca addirittura di metterli insieme XD Comunque la recita è andata una meraviglia!
Hattori ha sbagliato quasi tutte le battute, ma se l'è cavata lo stesso XD 
Intanto, sembra che qualcosa si sia smosso anche per Eri e Kogoro! Finalmente *si spera* sono tornati insieme!
E stavano per beccare sul fattaccio i pargoli che, alla fine, hanno beccato sul fattaccio loro!
I pargoli che ovviamente si ritanano in casa Kudo e fanno quel che devono fare! 
Quanto ci avete messo ad arrivare a tutto questo?! Baka, siete! Lo stesso Shin ha capito quanto tempo ha perso appresso alle sciocchezze!
Comunque, non vi sembra tutto un po' troppo rose e fiori? Ci vuole qualcosa a sconvolgere sti due.... chissà cosa sarà...
ah, Saigo e Hana si so tolti dalle scatole XD E il ragazzino s'è pure pentito d'aver perso il ruolo! Ti sta bene!
E quel "ti proteggerò" a chi è riferito? e da chi? :)
Vi lascio immaginare.


Ringrazio i recensori dello scorso chap, e tutti coloro che hanno letto.

Grazie a tutti!

Tonia

 
 
 
 

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Capitolo 25
*** La quiete... ***


A fine capitolo troverete Saigo e Hana, dateci un'occhiata! ;)

Your Lies

24.
La quiete...
•••

 
 
«Allora ragazzi, ho portato per voi una bella sorpresa.»
I liceali della seconda B si fecero curiosi come bambini di prima elementare. Aspettarono impazienti che la loro professoressa rilevasse loro la sorpresa. Sperarono in qualche dvd che avrebbero dovuto subirsi per tutta l’ora, o magari a qualche personaggio letterario che era venuto ad impartire loro l’importanza dello studio. Shinichi osservò la professoressa frugare nella borsa, e girandosi all’indietro, scorse il viso ansioso di Ran. Ansioso perché anche lei sapeva che, quelle poche volte che non riusciva a prepararsi, non l’avrebbe fatta franca. E in quel periodo tutto stava facendo tranne che studiare. Shinichi la distraeva tanto, troppo. E il pensiero d’aver dormito, e russato, con lui, ancora di più.
Lo vide guardarla, e gli sorrise.
«Hai studiato?» le sussurrò lui, muovendo impercettibilmente le labbra.
Ran deglutì a vista. «No, nemmeno un po’.»
Lui strinse i denti, mascherando un sorriso.
«Credo che voglia farci fare un compito a sorpresa.»
Lei strabuzzò le palpebre, terrorizzata. «Cosa!?»
Neanche il tempo di metabolizzare la notizia, che vide la prof con dei fogli bianchi in mano.
«Ragazzi, ho portato un test da farvi fare. Ma non preoccupatevi, non varrà come voto.»
E lei lo sapeva. Lo sapeva che alla fine valeva sempre come voto.
 
 
Ran osservò il foglio bianco dinanzi a lei per circa dieci minuti. Aveva da risolvere quindici questioni, tutte sugli ultimi argomenti del programma. Proprio quelli che lei non aveva studiato.
Per la prima volta si sentì terribilmente in colpa. Aveva ragione Sonoko quando le diceva “il tuo maritino è la fonte di tutte le tue gioie e fobie” e che senza di lui lei si sarebbe sentita persa.
Guardò la sua amica, e la vide con la sua stessa espressione dipinta in viso. Certo, la Suzuki era in panico ogniqualvolta dovesse affrontare un’interrogazione, però in quel momento riusciva a capirla pienamente.
«Sai qualcosa?!»
Ran scosse il capo. «Vuoto totale!»
Provò a leggere le domande, a ricercare nei meandri del suo cervello qualcosa che l’aiutasse, ma non riuscì a trovare nulla. Sapeva che avrebbe dovuto sempre studiare matematica. Perché se perdi un anello slacci tutta la catena, e non saprai mai ricomporla. Lo sapeva.
Ma perché un compito a sorpresa? Proprio in quel periodo che sembrava andare tutto bene? Lei, Shinichi, i suoi genitori... tutto a gonfie vele. E la prof se ne veniva con un compito a sorpresa.
Davanti a lei sentì un leggero fruscio di fogli, che fortunatamente sfuggì a quella strega travestita da insegnante.
Da sotto il banco vide un foglio balzare fuori.
Alzò gli occhi su Shinichi, la stava guardando. Era lui che le stava passando qualcosa.
«Prendilo, prima che mi becchi.»
Ran esitò un attimo. «Ma Shinichi...»
Lui cercò di esortarla. «Prendilo!»
Dal banco a fianco sentì un’altra voce, tremendamente irritante, giungere alle sue orecchie. Ma non era diretta a lei.
«Lo passi anche a me il compito, detective?»
Hana. E chi sennò.
Ran non ci vide più. E che andassero all’inferno tutte quelle regole sul non copiare. Afferrò il compito e lo mise sul banco, sotto al suo foglio.
«Lo sto copiando prima io» fece alla ramata, come una bambina coi capricci.
Lei fece spallucce e la ignorò. «Me ne fai un’altra copia a me, Shin?»
Ran ringhiò. Quanto la odiava? Quanto era insopportabile? Nel frattempo, dietro di lei, Sonoko le tirò una pallina.
«Anche a me! Anche a me!» bisbigliò, terrorizzata. Ran sbuffò: possibile che nessuno studiasse in quella classe? Diede uno sguardo al compito che le aveva passato il fidanzato, e vide che aveva risolto tutti i problemi ed anche le tre interminabili equazioni trigonometriche.
Davanti a lei, Hana, aspettava paziente. Ringhiò di nuovo, come un cane affamato.
Ma non poteva farselo passare da qualcun altro? Ma non poteva fare la civetta con qualcun altro?
La osservava e notava il suo sorrisetto compiaciuto. Ma di cosa era felice? Shinichi era suo. Che film si girava quella tipa?
Sonoko le tirò un’altra pallina. Stavolta aveva una scritta sopra: “Ti sbrighi o no!?”
Fece un cenno a Sonoko. Le fece capire che Shinichi l’aveva già finito, e che lo stava ricopiando.
Le arrivò un suo biglietto, mascherato in un fazzoletto.
“Ecco a cosa serve il tuo maritino!”
Ran sorrise, Hana ottenne il suo compito copiato e così anche Sonoko.
Tutti gli altri li guardarono con occhi da cerbiatti innamorati.
Shinichi sospirò e scosse il capo. Dovette riscrivere altre dieci volte quel compito.
Maledetta trigonometria, mai possibile nessuno la studi? Eppure qualche giorno prima aveva a che fare con le tabelline del tre e del quattro.
Lo passò a tutti, come era suo solito fare. 
La karateka ricontrollò quel compito per tutta l’ora. Come faceva lui, che non aveva nemmeno seguito, a saper fare tutto? Era un genio, e lei lo amava anche per quello. Solo alla fine si accorse di un appunto, scritto da Shinichi, con una matita leggerissima. Era sull’angolo destro alto del foglio.
“Riscrivilo con la tua grafia” le aveva suggerito, ma lei l’avrebbe fatto comunque. E poco più in basso: “Merito un altro premio!”
Ran rise. Questa volta il premio lo meritava per davvero.
 
 
 
«Un altro giro della palestra e siete apposto.»
Kezumi-sempai batté il tempo con un fischio, ed incitò i suoi allievi a dare il meglio del meglio. Ran correva accanto ai suoi amici, con i capelli tirati in una coda. Poco dietro di lei, Saigo si stava tormentando sul raggiungerla o meno. Dopo la recita non le aveva più parlato, e si sentiva anche un po’ vigliacco.
Riuscì a prendere il coraggio necessario e l’affiancò. Lei si girò, ed aspettò che lui parlasse.
«Scusami per l’altro giorno. Sono stato un idiota.»
Lei sospirò, poi gli sorrise. «L’importante è capirlo. Ma sei perdonato.»
«Lo so, mi sono comportato male. Ma è che... credo che Kudo non faccia per te. Tu sei una ragazza così gentile e sempre disponibile, lui è spesso e volentieri freddo e distaccato.»
«Non lo conosci. Ti posso assicurare che è diverso da quello che sembra.»
Continuò a marciare lei, avvertendo il sudore bagnare la sua pelle.
«Mi dispiace d’aver fatto quella sceneggiata.»
Ran sorrise. «Non preoccuparti. Capita a tutti d’essere un po’ nervosi.»
Saigo annuì, felice che lei l’avesse perdonato. Lei era così.
«Ma chi era quel tizio che mi ha sostituito?»
«Heiji Hattori. Un amico di Shinichi, detective anche lui.» Gli rispose, sorridente.
«Ha sbagliato gran parte delle battute...»
«Ha imparato tutto il copione in due ore, perché qualcuno c’aveva abbandonato...» fece riferimento a lui, donandogli un’occhiata furtiva.
Saigo ridacchiò. «Già. Ma a quanto pare il pubblico ha apprezzato.»
«Sì, è stato molto bravo.»
I due continuarono ad allenarsi, e dopo un’estenuante corsa, la coach permise loro di riposarsi. Si sedettero su una dei gradoni della palestra; Saigo mise un asciugamano dietro la nuca, facendolo ricadere sul petto. Avevano sudato parecchio, e l’allenamento era stato anche parecchio tosto.
Ran si rinfrescò bevendo una bottiglina d’acqua, finendola nel giro di qualche secondo.
Saigo la osservò e scoppiò a ridere. Lei ricambiò il sorriso.
«Sono stanchissima.»
«Anche io.»
Lei deglutì l’ultimo sorso d’acqua, e notò lo sguardo del giovane su di lei.
«Come va a scuola?»
«Mmh» fece un verso strano Ran. «Stamattina la prof ci ha fregati. Compito a sorpresa.»
«Ahia» rise lui, asciugandosi un po’ di sudore dalla fronte. «Impreparata?»
Lei ridacchiò. «No... in un certo senso, me la sono cavata.»
«Ti ha aiutato Kudo?» le chiese, il tono un po’ freddo.
Ran strabuzzò gli occhi, poi rise. «È così evidente?»
«Sì, perché quando parli di lui ti brillano gli occhi. Ed anche adesso ti brillavano.»
«Oh» arrossì leggermente, abbassando lo sguardo. «È perché... sto bene con lui.»
«L’ho notato.»
«Però con te mi trovo bene a parlare. Sarà che hai avuto un passato difficile, e che quindi hai patito molto... però allo stesso tempo sei solare e determinato. Non sempre ci si riesce.»
Saigo sorrise amaramente. «È vero, ho perso tutta la mia famiglia da piccolo... ma sono vissuto con un’altra che non mi ha fatto mancare nulla.»
Ran curvò le labbra all’insù. «Tua sorella è ancora viva però.»
«Non so dove cercarla, e alla fine non so nemmeno se sia ancora viva.»
«Shinichi purtroppo è mancato per molto tempo... ma sono sicura che se avesse potuto t’avrebbe dato una mano.»
«Io non più.»
Lei inarcò un sopracciglio. «Che vuoi dire?»
«Sì, insomma... è il tuo ragazzo, e credo che sia un geloso di me, o meglio, della nostra amicizia.»
«Ma cosa dici!» Ran gli mise una pacca sulla spalla. Sapeva, ed in fondo, credeva che il suo fidanzato fosse tutto fuorché geloso di lei. Aveva ricondotto quel pugno dato alle prove alla stizza e all’ansia del momento, ma il pensiero che lui potesse odiare Saigo non l’aveva neanche minimamente sfiorata.
Shinichi era fatto così. Secondo lei.
«Anche lui era un po’ nervoso alla recita. Ecco perché avete litigato.»
«Ran, quello non era nervosismo. Credimi.» Obiettò lui. «Ma alla fine me la sono anche cercata, l’ho... istigato.»
Lei scosse il capo. «No, non preoccuparti. Facciamo così... adesso ci cambiamo e andiamo da lui. E con lui parleremo di tua sorella.»
«Non credo sia la cosa giusta da fare...» cercò di frenarla Saigo, ma sembrava impossibile. Quando la karateka si metteva qualcosa in mente era difficile dissuaderla.
«Niente storie.» Ran s’alzò sorridente, e poggiò le mani ai fianchi. «Andiamo su. Che tua sorella ci aspetta.»
 
 
 
Suonò il campanello della maestosa villa in stile occidentale, squillante e proteso nel tempo. Shinichi scivolò rapidamente di sotto, sapendo che, ad aspettarlo oltre il portone, c’era la sua Ran. Aveva da poco finito gli allenamenti di karate, e s’erano accordati di vedersi a casa sua per guardare un film. Shinichi aveva già preparato l’atmosfera. Il salotto e la tv, i pop corn e le bibite gassate. Le luci soffuse e tanti cuscini. In fondo non sapeva nemmeno se fossero riusciti a vederlo tutto, il film.
Ma quando aprì la porta, oltre a lei, ritrovò lui.
Impacciato, con la testa bassa e lo sguardo fisso alle scarpe, le mani nelle sacche e i piedi penzolanti. Saigo.
Il detective mutò espressione e se ne stampò una irritata addosso.
Che ci faceva Ran con Saigo? E perché lui era lì?
«Scusami se ho fatto un po’ tardi ma mi sono fermata a parlare con Saigo.» Gli spiegò, convincente.
«Ah.» Non riuscì a mascherare il suo disappunto il detective.
Ran fece qualche passo avanti nella villa. Non notò le sensazioni del suo ragazzo, poiché si preoccupò per lo più di mettere a proprio agio Saigo, che sembrava incredibilmente freddo.
«Ehm... ti ricordi della faccenda della sorella di Saigo?»
Shinichi fece un leggero cenno del capo, annuendo.
«Be’, vedi... perché non lo aiutiamo a cercarla? Potrebbe ritrovarla per davvero dopo anni.»
«Ma non dovevamo vedere il film?»
«Lo vediamo domani?»
Il detective sospirò, un po’ contrariato. «Okay.»
Saigo alzò lo sguardo ai due. «Ragazzi, non preoccupatevi, me ne vado. Sto dando fin troppo fastidio.»
«No!» lo bloccò Ran. «Shinichi può aiutarti. Vero?» si girò nuovamente al suo ragazzo, chiedendo conferma. Una conferma che non arrivò subito. Il detective non sapeva cosa fare e come comportarsi e aveva un’infinita voglia di stare da solo con lei.
Sbuffò, maledicendo il suo eccessivo senso d’altruismo. Perché doveva aiutare tutti quelli che le capitavano intorno? Alcune volte avrebbe fatto bene ad essere un po’ più egoista.
«Okay.»
Ran si dipinse in volto un sorriso a trentadue denti. Saigo gli fece un cenno di ringraziamento.
«Quindi la cercheremo.»
La ragazza annuì.
«Da dove partiamo?»
La domanda prevedeva una risposta ben precisa, un dubbio che poteva essere fuorviato soltanto da lui. Il detective sembrò pensarci un attimo su, poi tornò a guardarlo.
«Come avevi detto si chiamava tua sorella?»
Ran sembrò quasi fare un tuffo nel passato. Ecco da dove proveniva quella sensazione, ecco dove l’aveva avvertita.
«Ma Ran...» balbettò poi, incredulo. Si fermò d’un tratto e si sedette al pavimento, congiungendo le gambe. «Ma mia sorella... mia sorella ha 22 anni...»
«Lo so...» lo avvertì lei, ricordando quel - piccolo - particolare. «Ma mica ricordi come si chiamava?»
«Beh, il suo nome originale era...»

«...Yukiko Masuyama.»
 
 
 
«Cosa cazzo stai facendo?»
Un brivido freddo le attraversò la tempia. Non impiegò molto a percepire la canna della pistola appiccicata alla sua testa, che sembrava quasi l’accarezzasse con estrema delicatezza. Oltre quel nero, ritrovò due occhi di ghiaccio a scuoterla. Gin teneva la pistola salda alla sua tempia, mentre col suo viso riusciva quasi a bloccare il tempo. Chandon deglutì a fatica, riposando il cellulare.
«Nulla.»
«Perché non ho ancora Sherry?»
«Sherry non è con quel ragazzo.» Provò così a mentirgli, ma sapeva che sarebbe stato difficile.
«Cazzate!» il tono le parve un po’ troppo forte. «Gli ha salvato la vita.»
«Ciò non significa che è con lui.»
«Voglio quella traditrice qui, adesso. O farai la stessa fine di tuo nonno.»
Chandon arricciò la mente e il labbro. Gin fece un sorriso sadico.
«Lo sai che chi sbaglia da noi paga con la morte, no?»
«Ti credi tanto superiore per averlo ucciso? Sei solo una pedina di quella persona, come tutti noi.»
L’uomo le si avvicinò, le afferrò il polso e le impedì di muoversi. La donna si ritrovò Gin a pochi centimetri di distanza, lo sguardo gelido e penetrante. Cercò di mantenere l’autocontrollo, di imporsi la calma. Ma quel sadico la intimoriva ogni giorno di più, perché sapeva che avrebbe potuto essere capace di tutto.
«Lo sai che, con questo travestimento, le assomigli molto?»
«Non capisco di chi stai parlando.» Mantenne il tono freddo, ma un goccia di sudore le scivolò lungo il viso, rigandolo d’ansia. Gin la strinse ancora un po’ più a lui, facendo sempre più forza sul polso.
«Sherry.» Lo sussurrò quasi quel nome. «Assomigli a lei.»
«Peccato che, per l’appunto, sia un travestimento.»
Sentì il polso cominciarle a fare male, ma strinse i denti per non urlare. Era sola lì, insieme a lui, e Vermouth era scomparsa chissà dove.
«Lasciami. Mi stai facendo male.»
Gin fece un altro ghigno. «Anche lei lo diceva.»
L’uomo le girò il polso all’indietro, e con l’altra mano afferrò il braccio destro. Chandon fece una smorfia mista tra dolore e disgusto. «Lasciami.»
Lui le si avvicinò all’orecchio.
«Ti dispiace se, nel frattempo, mi diverto con te?»
 
 
 
«La conoscete!?»
Per un attimo Saigo ebbe l’impressione di poterla toccare con le mani. Come se fosse davvero facile adesso, e come se lo fosse sempre stato da una vita. I due annuirono, un po’ sconcertati. Shinichi, soprattutto, ripensava alla conversazione avuta con la ragazza, pochi giorni prima.
«L’abbiamo incontrata un paio di volte.» Spiegò poi, mentre Ran gli diede corda. «Si definisce la sua fan!»
«Ma com’era?» s’interessò Saigo, gli occhi e la bocca incapaci a chiudersi.
«Bionda, occhi azzurri, più o meno vent’anni.»
«Era anche molto carina.» Aggiunse la giovane, ripescando l’immagine della donna nella sua mente.
Il karateka quasi si strozzò con la sua stessa lingua. «Quindi abita a Tokyo!»
«Potrebbe.»
«Dovrebbe!» disse lei. «Ah, e poi è amica di Hana! La incontrammo la prima volta insieme a lei.»
«Non ci credo...»
Shinichi rimuginò qualche istante, lo sguardo fisso a terra. Poi mosse qualche passo in avanti, e volgendo lo sguardo ai due, fece loro cenno di seguirlo. La prima tappa non poteva che essere quella.
 
 
 
«Senti, Kudo...»
La voce di Saigo attrasse l’attenzione del detective, che distolse lo sguardo dalla figura della sua ragazza. Ran era qualche metro lontana perché, per non far nascere sospetti, aveva accettato di andare al Comune e cercare le natività di Yukiko Masuyama. Oltre il bancone vi era una donna grossa e un po’ scorbutica, ma che la karateka riuscì a conquistarsi con la sua gentilezza. Fece dapprima la vaga, poi puntò dritta al punto: abitava a Tokyo quella donna? E nel frattempo che quella ricercava nel database, Ran si voltò ad osservare Shinichi e l’amico. Stavano parlando, perciò sorrise.
«Scusa per il pugno.»
Shinichi aveva mantenuto la sua espressione seccata. Incominciava a pensare che erano passati parecchi giorni dall’assunzione dell’antidoto, e lui non aveva la minima idea di quanto potesse durare ancora. Certo, l’affascinava il mistero di quella donna scomparsa, ma avrebbe potuto benissimo ricercarla da Conan in fondo. Invece, da Conan, non avrebbe potuto stare con Ran. E Saigo sì, invece.
«Scusa anche da parte mia.» Disse soltanto, tornando ad osservare la sua ragazza.
«È che... ero nervoso.»
«Non preoccuparti, e poi non mi hai fatto neanche male.» Fece un leggero sorriso beffardo il detective.
«Sei incazzato con me per Ran, vero?»
Shinichi fissò gli occhi nei suoi. Lo scrutò per un po’, poi tornò a distogliere lo sguardo.
«Preferirei che non ci provassi continuamente...» ammise poi, col tono deciso.
«Ran ha occhi solo per te.» Saigo incrociò le braccia al petto e lo imitò, osservando la diretta interessata di quel discorso. «Non temere che qualcuno possa portartela via. È troppo presa da te, l’ho capito anche io.»
«Il pugno t’ha schiarito le idee?»
Dapprima sogghignò, poi avvertì l’umore calare a picco, allo scorrere delle parole di Saigo nella sua mente. Era vero che Ran era innamorata di lui, ma era altrettanto vero dire che niente avrebbe potuto dividerli? Qualche giorno prima, nel parlare con Hattori, aveva concordato con lui che fosse meglio che lei non venisse mai a conoscenza della sua doppia identità. Però lui era stufo di mentirle, scocciato e seccato di guardarla negli occhi e velarli di menzogne. Proprio lui che aspirava sempre alla verità, era costretto a tener segreto qualcosa che, a poco a poco, lo stava divorando.
«No, lei. Lo ha ammesso ed io mi sono fatto da parte.» Disse dopo un po’ il karateka, mordicchiandosi un labbro. «Però continuo a credere che tu non la meriti.»
Forse no. Non la meritava. Ma c’era una cosa che aveva capito in quei giorni: l’amore non è razionale, ma soprattutto è egoista. Com’è vero che non lo controlli, è altrettanto vero che, per la tua felicità, non riesci di fare a meno di quella persona. Anche quando potresti metterla in pericolo.
Come lui.
Shinichi fece un mezzo sorriso sarcastico, mettendo da parte i pensieri avuti poco prima.
«Grazie della sincerità.»
Anche Saigo rise. «Prego.»
 
 
Dopo qualche minuto di interminabile silenzio imbarazzante, Shinichi e Saigo videro finalmente Ran avvicinarsi. Aveva lo sguardo spaesato ed incredulo, come se stesse cercando una qualche risposta nella sua mente. Il suo ragazzo si preoccupò, e mosse qualche passo verso di lei, sfiorandole la mano.
La karateka sussultò, ma rivolse lo sguardo all’altro, un po’ intontita.
«Ragazzi, all’anagrafe non esiste nessuna Yukiko Masuyama viva.» specificò l’aggettivo, per poi tornare a guardare il collega di sport.
«Vuoi dire che mia sorella è morta?»
Ran non gli rispose. «Abbiamo controllato anche negli stati di famiglia. Tuo padre si chiamava Shiro e tua madre Hana, vero?»
Lui annuì.
«Tuo nonno invece si chiamava Kenzo Masuyama, vero?»
Shinichi parve avere un déjà-vu. Quel nome l’aveva già sentito da qualche parte, ma non riusciva a collegarlo al ricordo esatto.
«Tu... Higo Masuyama, vero?»
Saigo fece un mezzo sorriso, cominciava a non capirci più nulla. «Sì, Ran. Ma non ti seguo...»
La giovane abbassò lo sguardo, spalancando le palpebre.
«Ecco, vedi...» provò ad unire insieme le lettere, ma le sembrava impossibile.
«Ran... che succede?» La voce di Shinichi le diede coraggio. Strinse forte i pugni e poi rialzò il volto.
«Risultano tutti morti, Saigo. Tutti... compreso tu.»
 
 
 
«Ai, hai per caso visto Shinichi?»
Tornati dal campeggio, Haibara e Agasa avevano accompagnato i ragazzini nelle loro rispettive case. Avevano raccomandato loro di non parlare dell’assenza di Conan con la scusa che, gli adulti, non sapevano che il piccolo avesse da recuperare alcuni brutti voti a scuola. Era l’ultima di una serie di menzogne che, prima o poi, avrebbe ceduto al minimo particolare.
La ramata scosse il capo. «A casa sua non c’è. Speriamo che in questi giorni non abbia combinato guai.»
«Ma per quanto ancora durerà l’antidoto?»
La piccola fece spallucce, riponendo i suoi vestiti nell’armadio. «Non so di preciso. Ma non più di ventiquattro ore.»
Il dottore strabuzzò gli occhi, lasciando cadere la valigia sul letto. «Dobbiamo avvisarlo!»
«Già. Comunque, conoscendolo, sarà sicuramente in giro con sua moglie a spargere morti ovunque.»
«Ai...»
«Perché, non è la verità?»
Il dottore ridacchiò leggermente.
«Ne hai già preparato un altro?»
«No, non li può prendere di continuo se ancora non conosco la formula definitiva. Peggiorerei la situazione.»
«Credo che lui lo farebbe lo stesso, nonostante i rischi.»
Ai assottigliò gli occhi, facendo un lieve sbadiglio. «Questo ed altro per la signorina dell’agenzia investigativa...»
«Eh?»
«Niente... niente...» sussurrò andando via dalla stanza, con estrema silenziosità.
 
 
 
«Cosa?»
Per un attimo credé d’aver sbagliato a sentire. Saigo spalancò gli occhi, ma più che preoccuparsi, cadde in una sorta di shock emotivo. Come se tutta la strada che avesse percorso sino a quel momento gli si stesse sbriciolando tra i piedi.
«Non so come sia possibile, ma Higo Masuyama risulta morto anni fa.»
Shinichi aggrottò la fronte. «Sicura sia lui?»
Lei annuì. «Ho controllato la data di nascita, non posso essermi sbagliata.»
«Quando sarebbe morto?»
«Tredici anni fa, all’età di quattro anni.»
Saigo parve risorgere dal coma. «Quando sono morti i miei...»
«Credi possa centrarci?»
«Non... non so. Non ci capisco più nulla.» Si portò le mani sul viso, e scompigliò i capelli biondi. Le fece scivolare sulla bocca e cercò di sciogliere la matassa di enigmi e misteri che gli si parava avanti. Shinichi lo vide, e notando la sua difficoltà, pensò bene di mettere da parte ogni sentimento di rancore che lo animava.
«Qualcuno ha il numero di Hana?» Se ne uscì improvvisamente, causando la stizza della fidanzata.
«Perché? A cosa ti serve?»
«Lei conosceva quella bionda.» Le ricordò poi, la voce ferma.
Già...Ran pensò alla ragazza e a quando l’avessero viste in quel supermercato. Le erano parse le solite due fan oche e civette che sbavano dietro il loro idolo, ma probabilmente nascondevano qualcosa. Ma cosa? E poi, perché fissarsi con Shinichi? Che centrassero con quel suo famoso caso che l’aveva tenuto distante per mesi e mesi?
«Ce l’ho io.» Disse Saigo, emettendo un sospiro. Prese il cellulare e fece scorrere il dito sul display, ricercando il numero dell’amica. Alzando lo sguardo a Shinichi, lo vide fare un cenno che gli fece capire che avrebbe potuto chiamarla, ma senza farla insospettire troppo. Così avvicinò all’orecchio il telefono, ed avvertì il suono muto dello squillo snervarlo. Provò e riprovò, ma senza alcun esito.
Il cellulare squillava insistente e senza fine, ma lei non rispondeva.
 
 
 
 
Dopo aver lasciato Saigo nei pressi di casa sua, ed aver riprovato altre volte a chiamare la giovane studentessa, Shinichi e Ran tornarono verso le loro rispettive abitazioni, con addosso un’infinita cupezza. La karateka era indecisa sul cosa pensare, ma il detective sapeva bene che spesso accadevano situazioni del genere per persone inserite in programmi di protezione speciale. Annullavano la loro identità per crearne un’altra che avrebbe potuto far vivere loro un’esistenza normale.
Era quello che era successo a Saigo? Probabile, possibile. Ma chi l’aveva inserito nel programma e perché?
Quella donna bionda, incontrata tra le rovine di quel ristorante, gli aveva suggerito di star lontano da Ran. Ma non gli era parsa una minaccia. Più un consiglio.
Ma allora perché non s’era presentata, e perché era scomparsa improvvisamente?
«Tu che pensi?»
Shinichi venne scosso dalle parole di lei, e sussultò leggermente. «Non so. È tutto molto strano.»
«Lo sai...» fece Ran, con sguardo basso. «Ho un brutto presentimento...»
«Riguardo cosa?»
«Saigo, Hana, te... noi.» Alzò lo sguardo nel pronunciare quel pronome, e fissò gli occhi nei suoi.
Shinichi sprofondò nell’azzurro di quelle iridi, e poté avvertire tutto il suo terrore. Cercò dunque di rasserenarla, mettendosi a ridere.
«Ma che dici... tu hai sempre paura.»
Ma Ran non parve rispondere a quell’istigazione al sorriso. Riabbassò nuovamente il capo, e continuò a camminare dritto, sempre allo stesso ritmo. Si rintanò nel suo silenzio, e sperò che il suo fidanzato capisse che, in quel momento, aveva più bisogno di lui di chiunque altro. Anche sapere che i suoi genitori fossero tornati in qualche modo insieme non la rallegrava più di tanto.
«Vogliamo andare al Tropical Land?»
Tornò a guardarlo e vide nascere sul suo volto un’espressione strana.
«Adesso?» Le chiese lui, osservando l’orologio. «Sono le sei passate.»
«Andiamo a fare un giro, dai.» Lo pregò ancora, mettendo quasi il broncio.
«Tuo padre non s’arrabbierà per non averti visto per tutto questo tempo?»
«Shinichi...» lo chiamò, la voce quasi offesa. «Me l’avevi promesso!»
«E tu mi avevi promesso un altro premio.»
Ran assottigliò gli occhi ed avvertì un sopracciglio tremare.
«Ti rendi conto che pensi sempre alla stessa cosa?»
Shinichi rise, mentre con le braccia l’attrasse a sé, con un dolce e debole movimento.
«Ho una partner molto allettante.»
Ran arrossì leggermente, ma mantenne vivo il tono di sfida.
«La tua partner ti ha chiesto d’andare al Tropical Land da circa una settimana. E se non mi ci porti, puoi anche scordartelo... il premio.»
Il detective deglutì, quasi intimorito.
«Tsk!» Così le afferrò la mano, fece dietro fronte, e andò dritto verso la metropolitana. Il Tropical Land li aspettava.
«Pensi che mi perda per così poco?»








Ehm.... ciao. °////°
Da quanti anni non aggiorno? Dai no, saranno all'incirca due settimane, o di meno? XD Va be', capitemi, non ho avuto molto tempo per scrivere e di conseguenza non ho potuto aggiornare XD Poi, nel farlo, mi sono accorta che questo capitolo non è che mi piaccia chissà che... però alla fine è un chap di transizione.... *attenti al titolo* e dunque un po' noioso può esserlo, no? XD *Dite di sì!*XD
Comunque, cosa abbiamo qui? Compito a sorpresa per la II B, e chi poteva aiutare la dolce e sempre studiosa Ran? Ma ovvio, Shinichi! Colui che tutto sa! XD Però alla fine tutta la classe si fa aiutare, compresa Hana...
Saigo torna a parlare alla karateka ed insieme al detective partano alla ricerca della sorella... sorella che si chiama? Yukiko Masuyama! Ma è mai possibile che nessuno ricordava di questo particolare? Nei primi chap Saigo parlava del fatto che lui avesse cambiato nome e citava quello della sorella; io speravo che molti lo dimenticassero, ma non credevo che nessuno ci avesse fatto casoXD
Va be', meglio così, vuol dire che la sorpresa sarà stata doppia! 
Piuttosto, cosa scoprono? Sono tutti morti. Anche Saigo, secondo i registri comunali, è defunto all'età di quattro anni. Perché, secondo voi?
Poi abbiamo la parte con gli uomini in nero. Abbiamo Gin e Chandon. E Gin.................
Ed infine, i due piccioncini. Vanno al Tropical Land, pensiate riescano ad avere un po' di pace?
Per questo ed altro aspettate il prossimo... che sarà scoppiettante!


Grazie infinite a chi ha recensito lo scorso chap!


Ho per voi un regalino! Ecco a voi Saigo e Hana, gentilmente disegnati da Assu!
Saigo --->http://i.imgur.com/z5ZUFRW.jpg
Hana ---> http://i.imgur.com/TF9Xdh1.jpg
Bellissimi, vero!? *___________* Grazie Assu!!!

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Capitolo 26
*** ...prima della tempesta ***


Your Lies
25.
...prima della tempesta

 
 

Tornare al Tropical Land era prendere il telecomando e riavvolgere il nastro di una videocassetta vista un po’ troppe volte in quei mesi. Un nastro che s’era usurpato ma non distrutto, e che riusciva ancora a mostrare, con un po’ di sforzo, la prima immagine di tutto.
Eccola, la prima istantanea. Shinichi e Ran fuori quel cancello color argento spento con l’imbarazzo di non sapere chi per primo dovesse entrare o parlare. Un imbarazzo che è rimasto, ma che si è affievolito, perché il tempo ha fatto sì che divenissero una cosa sola, e che nulla potesse dividerli.
Il detective aveva lo sguardo fisso lì, all’entrata, e vide passargli avanti, come in una sfilata, tutto quello che accadde quel giorno. Gin, Vodka, l’omicidio, l’apotoxina. Lì la sua vita cambiò per sempre, e la sua priorità divenne improvvisamente l’organizzazione.
Trovarli, sconfiggerli ed arrestarli.
Ma poi tutto si era fatto più difficile del previsto. Lui era rimasto un bimbo di sette anni, e scovare quei maledetti non pareva più così facile. E nemmeno mentire a Ran aveva più la sua efficacia. Le bugie che aveva inventato per salvarla non riusciva nemmeno più a ricordarle per quante fossero.
«Entriamo allora?»
Ma Ran non meritava alcun genere di male. Lei era un angelo, e non avrebbe mai dovuto venire a conoscenza di tutto quello che nascondeva la corteccia pura e casta del mondo.
Lui annuì, ed insieme si diressero verso la biglietteria. Pagarono l’ingresso ed entrarono.
«Prima tappa?» le chiese.
«La torre?»
Era quella dove, mesi prima, aveva potuto ammirare l’intera visuale del parco. * Dalla torre s’accedeva infatti ad un osservatorio che, nei giorni più chiari e celesti, donava un panorama meraviglioso.
Si avviarono lentamente, ed urtando dolcemente contro le sue mani, Shinichi ne infilò una tra le sue dita. Ran arrossì, e si imbambolò a guardare le loro mani penzolare insieme tra i loro corpi. Nonostante tutto, era la prima volta che camminavano mano nella mano. Passarono dinanzi al treno dei misteri. A Shinichi venne la pelle d’oca, ma stranamente, cominciò a sentire caldo. Non ci diede peso e continuò a camminare, dando uno sguardo un po’ ovunque. Quel posto era come girare un coltello in una ferita ancora fresca e sanguinante. Faceva male, ma solo per riflesso condizionato, perché ormai le terminazioni nervose erano tutte rotte dalla prima botta.
Salirono le scale e poi presero l’ascensore, e in una manciata di minuti si ritrovarono nel punto più alto del Tropical Land. Ran sembrava entusiasta come una bambina. Shinichi la seguì abbozzando un sorriso al suo comportamento, felice di vederla finalmente contenta e spensierata.
«Chissà se ci sono ancora i dinosauri!»
S’avvicinò ad un binocolo, e proprio come allora, lo invitò a raggiungerla.
«Vuoi qualcosa da bere?»
Ran ci pensò un attimo su. «Una coca-cola?»
Shinichi stirò un sorriso finto. Già, tutto come quella giornata...
 
 
Qualche minuto dopo, i due erano seduti su una panchina dell’osservatorio. Ran portava di tanto in tanto la lattina alle labbra, sorseggiando un po’ del suo contenuto. Shinichi, invece, non aveva sete. Sentiva particolarmente caldo, tant’è che si spogliò anche del cardigan nero e lo poggiò sulle sue spalle.
«Shinichi?»
La voce della sua ragazza lo destò dal guardare un bambino che provava con tutte le sue forze ad arrampicarsi su per il binocolo, per poter giungere all’occhiello e sbirciare attraverso esso. Il detective la osservò e la invitò a continuare, notando la sua bocca leggermente umida per la cola.
«Mi chiedevo...» cominciò lei, bevendone un altro sorso. «L’ultima volta che siamo venuti qui...»
Shinichi avvertì un brivido percorrergli la schiena.
«Dopo che hai rincorso quei due uomini...» il giovane smise di respirare, «che hai scoperto?».
«C...cosa?»
«Sì, insomma. Quei due uomini vestiti di nero! Quelli che rincorresti lasciandomi come al solito tutta sola...»
«Oh», il detective era alla ricerca di una scusa. Anche sciocca e stupida, ma gli serviva inventare qualcosa, e all’istante.
«Ehm...»
Passarono alcuni secondi, durante i quali Ran aspettò che Shinichi proseguisse il racconto, ma a quanto pare non aveva proprio voglia di farlo. Lo guardò con fare ironico, dandogli una leggera gomitata ai fianchi.
«Cos’è? Un segreto di stato? A me puoi dirlo, dai».
Lui ridacchiò, nervoso. Si sventolò la mano davanti al viso, sbuffando.
Doveva cambiare discorso. «Fa caldo, oggi».
Ran sorrise appena. «Davvero non puoi dirmelo?»
Il detective fece un sospiro, abbassando lo sguardo. «No, Ran, non posso».
«E perché?» Shinichi si voltò a guardarla. Stranamente, pareva divertita da quella conservazione. Il suo cuore s’alleggerì nel constatare che non fosse arrabbiata e per nulla delusa di non essere al corrente di qualcosa sul suo conto.
«Anche questo non posso dirti».
Ran cominciò a mutare espressione. «Non ti sarai mica ficcato nei guai, vero?»
Shinichi deglutì. «No, non preoccuparti».
«Ok» sorrise lei, «ti credo. Però una cosa devi dirmela.»
«Se posso...» aggiunse lui, mordicchiandosi il labbro.
«È per loro che sei stato così lontano, vero? È questo il caso che ti ha tenuto così impegnato?»
Il detective rimuginò sul cosa risponderle. Se avesse detto la verità, avrebbe potuto correre il pericolo che la sua fidanzata potesse indagare oltre e finire risucchiata nel suo stesso giro di morte. Ma in fondo, se le avesse detto di non farlo, Ran non lo avrebbe tradito.
«Però mi devi giurare una cosa», disse, un po’ preoccupato. «Non farai nulla per scoprire altro».
La karateka parve sorpresa da quella risposta.
«Certo. Te lo giuro», disse.
«Sì, è per loro» ammise lui, dopo qualche istante.
Seguirono una decina di minuti di un silenzio imbarazzante e fastidioso. Ran aveva promesso che non avrebbe più fatto parola sulla questione, ma era evidente che fosse molto curiosa di sapere altro. Cercò di immaginarsi che tipo di caso avrebbe potuto essere. Era difficile fare supposizioni sul nulla, ma provò un moto di sollievo nel sapere che non fosse niente di pericoloso, come lui le aveva rivelato prima.
Shinichi si sforzò di non guardarla. Sapeva bene che lei stava rimuginando su quello che le aveva detto, e sperò che si fosse arresa presto all’impossibilità di scoprire altro sulla questione. Per fortuna, Ran non era curiosa ed impicciona quanto lui.
«Ma quello non è l’agente Takagi?»
D’improvviso Shinichi si voltò nel punto indicato dalla compagna. Una ventina di metri distante, all’altro estremo dell’osservatorio, c’era Wataru e qualche altro poliziotto, tra cui riconobbe anche Chiba.
«Che ci fa qui?» chiese ancora lei, ma le sue parole scemarono lungo la scia di passi che Shinichi aveva ormai condotto verso le forze dell’ordine. Lo seguì senza dire una parola, e mentre lo raggiunsero, i due videro gli agenti borbottare tra di loro e poi scendere frettolosamente le scale. Shinichi affrettò il passo, e con dietro Ran, richiamò l’amico.
Quello si voltò, vagamente sorpreso di vederlo lì. Si bloccò sulla rampa, lasciando spazio alle altre persone di poterla impegnare. Gli altri agenti fecero un cenno al collega, dicendogli che avrebbero cominciato a scendere.
«Ragazzi! Come mai siete qui? Appuntamento romantico, eh?»
Ran arrossì lievemente, ma Shinichi era troppo preso dalla voglia di sapere perché l’amico poliziotto si trovasse lì.
«Chiamata urgente» disse poi, rispondendogli, con il volto incrociato. «Omicidio».
Per un attimo i due liceali sgranarono gli occhi. «Qui? Al Tropical Land?»
Alcuni poliziotti richiamarono l’agente da una rampa di scale molto più in basso, attirando l’attenzione dei passanti, ma Takagi annuì, quasi ignorandoli. «Già, ed è la terza volta in una settimana».
Shinichi non gli fece aggiungere altro. Raggiungendo gli altri, volò via verso Megure, seguito da Ran, Takagi e Chiba.
 
 
Le braccia e le gambe le facevano particolarmente male come se fossero state prese a martellate. Dalle labbra fuoriusciva ancora un po’ di sangue, ma era nulla in confronto a come si sentiva. Denudata, violata e privata della sua intimità, adesso aveva un motivo in più per volerlo morto. Non era solo per lui, o per loro, ma anche per lei stessa. Cercherò di raggiungere l’appartamento che da qualche mese fingeva di abitare, e con estrema difficoltà, provò a non far notare nulla ai passanti. Aveva freddo ma non poteva sopportare il caldo del suo sangue.
Girò l’angolo e camminò altri cento metri, finché dovette fermarsi. Di fronte a lei c’era un ragazzo dall’aria familiare. La osservò quasi spaventato.
«Hana...» fece lui, avvicinandosi. Ma lei non voleva che la vedesse così, e si ritrasse.
«Ciao Saigo» disse brusca, cercando di andarsene.
«Hana... ti stavamo cercando» la informò, «io, Ran e Kudo. Volevamo chiederti...»
«Kudo mi stava cercando?» si bloccò improvvisamente, dandogli le spalle.
Saigo annuì.
«Sai dov’è?» chiese Hana, quasi inaspettatamente. Lui negò, poi deglutì.
«Hana... conosci mica una certa Yukiko Masuyama?»
La giovane parve colta da un fulmine. Per un attimo si voltò ad osservarlo, spaurita, poi riprese a dargli le spalle.
«Perché la cerchi?»
«È... era mia sorella».
Hana trattenne il respiro. Ricominciò a camminare, con le braccia incrociate per donarsi un po’ di calore.
Prima di sparire dietro quel vicolo, lo guardò e gli sorrise.
«La conoscevo, ma ormai non esiste più».
 
 
«È il terzo ragazzo che uccide la propria fidanzata in una settimana» borbottò l’ispettore al suo pupillo preferito, che l’ascoltava con gran interesse. Affiancandolo, Shinichi raggiunse con lui il luogo del delitto. Si stavano addentrando nei bagni pubblici riservati ai clienti del parco, quando avvertirono una voce stridula e soffocata. Apparteneva ad un giovane, trasportato da due agenti, ammanettato, ma con nessuna voglia di starsene fermo.
«ISPETTORE! LA PREGO! IO NON C’ENTRO NULLA! COME AVREI POTUTO AMMAZZARLA? LA MIA CHIKA!» scoppiò così a piangere, piegandosi in due dal dolore, e finendo col toccare le ginocchia a terra. Ran lo fissava atterrita. Shinichi lo osservò con freddezza, fin quando non tornò a guardare Megure.
«C’è qualche collegamento tra i tre casi, ispettore?»
Megure simulò una smorfia. «A parte il fatto che le donne vengono uccise dal proprio compagno al Tropical Land,e che tutte portavano una collana di perle, no...»
Il detective più piccolo inarcò un sopracciglio. «Una collana di perle?»
«Già».
«E...come fa ad essere sicuro che sia lui il colpevole?»
«L’abbiamo colto in bagno con l’arma del delitto sul lavandino... Ma lui continua ad affermare di essere andato lì solo in seguito ad un messaggio d’aiuto della sua ragazza» spiegò l’uomo, quando venne interrotto da altri lamenti del giovane.
«È VERO, I...ISPETTORE!», i singhiozzi divennero sempre più forti da indurlo a prendersi delle lunghe pause e ad abbassare la voce. «Non sto men... mentendo...»
«Certo», tagliò corto Megure con fare brusco. «Peccato che il messaggio sia stato mandato quando la ragazza era già morta, l’ha appurato la scientifica. Quindi il suo alibi non regge».
Shinichi ascoltò tutto con estrema attenzione, registrando ogni singola parola nel nastro della sua mente e facendolo girare all’infinito, cosicché da imprimerselo per bene. Ma c’era qualcosa che non andava. Si voltò a guardare il giovane, in manette davanti a Chiba e all’altro agente, e lo scrutò meglio che potesse. In lui c’era qualcosa che non andava. Non c’era traccia di sangue sui suoi vestiti.
«Qual è l’arma del delitto, ispettore?» chiese dopo un po’.
«Un’arma da taglio. Più precisamente un pugnale».
Il detective sembrò cogliere la palla al volo.
«Se la vittima è stata pugnalata...» cominciò, inarcando un sopracciglio. «Come mai lui è pulito?»
L’ispettore parve sorpreso da quella domanda, e sembrò rimuginarci anche lui sopra. Ma dopo qualche istante di indecisione, tornò a guardare il giovane ed emise una smorfia.
«Si sarà cambiato e liberato dei vestiti».
Il detective liceale fece un breve sorriso. «E perché non liberarsi anche del cellulare?»
Un silenzio imbarazzante ricoprì tutti i poliziotti.
«Ehm...» Megure cominciò a grattarsi il capo con due dita, in seria difficoltà. Takagi si portò le dita al mento e fissò lo sguardo al cielo, non si sa se per pensare o per non guardare l’ispettore. Chiba finì di mangiare il suo panino e ne gettò metà nel cassonetto. Si erano appena resi conto d’aver toppato per l’ennesima volta. E per giunta, considerato che quello era il terzo caso in una settimana, era molto probabile che avessero mandato a giudizio degli innocenti.
Megure fece un sorriso, ed avvicinandosi repentino all’investigatore più piccolo, col suo insostituibile impermeabile arancione, gli diede una pacca sulla spalla. «Ma è per questo che ci sei tu!»
Shinichi fece un’espressione molto simile ad un e-voi-che-ci-state-a-fare, ma comunque l’orgoglio e la sensazione di onnipotenza che lo prendeva in quei casi era troppo forte per badare all’incapacità di certi poliziotti.
Guardò il ragazzo e poi si voltò di nuovo verso l’ispettore.
«Qualcuno può affermare di averli visti insieme?»
Megure si gonfiò il petto, fiero, come a dimostrare che qui sapeva come rispondere. Ma Takagi lo surclassò, guadagnandosi un’occhiata truce.
«Quando abbiamo trovato la donna abbiamo chiesto informazioni qui in giro, anche per sapere se qualcuno la conoscesse. Ad un certo punto l’addetto del parco ci ha informati che era qui in dolce compagnia, ma che subito dopo li ha visti litigare di brutto. Ci ha detto anche d’aver visto il ragazzo correre verso il bagno con molta agitazione...»
Ma il giovane si divincolò di nuovo, mentre nuove lacrime gli solcavano la pelle raggrinzita dallo shock.
«Io e Chika non abbiamo mai litigato! Stava andando tutto alla perfezione! Mi creda, ispettore!»
Megure non seppe cosa dire, ma il sospettato si voltò ad osservare Shinichi, e gli aggrappò i calzoni, piangendo disperato.
«Tu... tu sei... tu sei Shinichi Kudo, g...giusto?»
Il detective non si ritrasse, ma vide Megure avvicinarsi a lui spazientito, e dare ordine agli agenti di allontanarlo.
«Chika era una tua fan... credimi... io... io non l’avrei mai uccisa...»
Kudo sospirò appena. Cominciava a sentire davvero troppo caldo. Eppure pareva che nessuno avvertisse tale sensazione, nemmeno Ran, quasi stregata alla vista di quell’uomo. Si passò una mano sulla fronte, asciugandosi il sudore, e si guardò intorno. Più pensava alla faccenda, più credeva che ci fosse qualcosa di insensato. Ad un tratto, un addetto del parco, con una divisa bianca e un cappellino si avvicinò al gruppo. Si presentò, seguito da un suo collega.
«Agenti, la ragazza si dimenava con violenza dal suo fidanzato. Non so cosa fosse successo tra i due, ma sembrava grave.»
«Kishida Shitori, agenti. Anche io ho visto lo stesso» disse il secondo, con fermazza.
Shinichi osservò l’addetto con fare curioso. Perché quel nome gli era vagamente familiare?
«Voi confermate di averli visti litigare?» chiese Megure, decisamente meno convinto di prima. Era come se i dubbi di Shinichi alleggiassero nell’aria e influenzassero tutti.
«Assolutamente».
Ma il detective non sembrò scosso da quella risposta.
«Ispettore, mi dice chi c’era oltre a lei nel bagno?»
«Ehm... io, Takagi, e l’addetto...» puntò debolmente l’indice contro quello che era arrivato per primo, facendolo sobbalzare.
«Lei è l’addetto al camioncino hot dog?» Shinichi gli si avvicinò, ma dopo un passo avvertì una profonda fitta al petto, che quasi gli strappò via gli organi dal fisico. Si accovacciò su se stesso, stringendo le dita intorno alla sua maglia e respirando rumorosamente. In un attimo Ran gli si avvicinò, pallida in viso.
«Shinichi? Che succede? Ti senti bene?»
Il ragazzo la scrutò terrorizzato. Era mai possibile l’effetto stesse svanendo proprio lì, di fronte  a lei? Adesso sapeva spiegarsi la ragione di tutto quel calore. L’antidoto si stava esaurendo, e l’apotoxina era in lotta libera con il suo corpo, tentando di prendere il sopravvento. Ma non poteva abbandonare la scena proprio in quel momento. Aveva quasi tutto del caso, gli mancava solo un ultimo dettaglio e il colpevole sarebbe stato smascherato. Doveva resistere, fosse l’ultima cosa che faceva.
Si alzò così con fatica, e rilasciando un profondo respiro, osservò la sua Ran con un sorriso.
«Tutto apposto. Non preoccuparti».
«Ma sembravi stare malissimo! E sei pallido! E stai sudando!»
A dare man forte alla karateka si aggiunse Megure.
«Ha ragione, Kudo. Sei sicuro di sentirti bene?»
«Sto benissimo» rispose brusco, quasi scocciato di doverlo sempre ripetere. Ma il suo respiro rotto e irregolare non gli dava credibilità. Per fortuna la fitta pareva conclusa, ma un senso di profonda debolezza gli attraversò il corpo, minando le sue forze.
«Shinichi, davvero... Tu stai...»
«Lei è l’addetto al camioncino hot dog, vero?» Il detective interruppe la fidanzata e riformulò la domanda con tutta la fermezza che possedeva. Doveva risolvere il caso, e presto, e doveva andarsene prima che Ran scoprisse tutto.
Quello annuì debolmente, mentre la karateka sbuffò. Intanto il parco s’era svuotato. Loro erano all’entrata e vedevano la gente uscire di corsa, anche un po’ impaurita dai poliziotti.
«Considerata la sua postazione ha potuto vedere ogni spostamento del ragazzo, giusto?»
Quello annuì ancora.
«Ma se il suo collega lavora dall’altro lato della strada, e considerando clown e persone che passavano davanti, come ha potuto lei vedere il ragazzo litigare con la fidanzata? O almeno, non potevate vederlo entrambi. Quindi uno dei due mente. Perché?»
L’uomo parve cominciare a sudare. Shinichi pensò quasi che anche a lui stesse svanendo l’effetto dell’antidoto talmente glaciale divenne il suo sguardo. Poi, dopo qualche istante, quello confessò: «Effettivamente, non li ho visti».
Shinichi fece un debole sorriso. «E allora perché ha mentito?»
«Perché lui...» ed indicò il collega, «mi ha riferito di una coppia sospetta. Mi ha chiesto di sostituirlo al camioncino così da poter aiutare la ragazza in difficoltà. Però mi ha chiesto di non dirvelo... per non perdere il lavoro».
L’altro lo guardò truce, come se avesse voluto pugnalarlo.
Ma Shinichi intercettò il suo sguardo e lo spense.
«Gli schizzi sui suoi pantaloni», continuò col tipo.
L’uomo lo rispose con un’occhiata sinistra. «Sì...?»
«Sicuro sia ketchup?»
L’uomo sbiancò. «Oh... questi. Be’, in realtà... potrebbe essere...»
«... il sangue della vittima», concluse per lui l’investigatore.
«Be’, quando sono andato dalla ragazza, mi sono chinato e ho cercato di capire se fosse ancora viva. Lì mi sono sporcato» s’affrettò a precisare. «Non penserà mica che sono io l’assassino!»
Shinichi lo ignorò, ma il sorriso era vivo sul suo volto. Un volto che cercava in tutti i modi di nascondere il dolore che riprendeva ad attanagliarli le viscere. Sentì una corda di spine circondargli il cuore, e quando fu troppo stretta, gridò: «Ah!»
«SHINICHI!» Ran gli andò nuovamente vicino, ma stavolta per il detective era difficile addirittura stare all’in piedi. Il corpo mezzo chino e la mano posata sul cuore, gli occhi che scrutavano l’addetto di fronte a lui. Ancora una volta, eclissò palesemente la sua fidanzata. Gli agenti parevano preoccupati.
«Lei ha mai lasciato il camioncino?»
«No» rispose quello, velocemente. «Prima di andare a soccorrere la ragazza, no».
«E l’ha soccorsa?»
«Quando sono arrivato era già morta».
«Mi saprebbe dire chi è andato in bagno? Era nelle vicinanze, dopotutto.»
«Prima il fidanzato della vittima, poi il mio collega, poi l’agente alto e magro, poi l’ispettore basso e grosso, e poi altri quattro poliziotti.» Era incredibile come ricordasse la sequenza.
«E mi saprebbe dire perché lei non c’era nel bagno?»
Per la prima volta, l’uomo non diede subito una risposta. Farfugliò qualcosa di incomprensibile, ma prima che potesse dar alito alle sue scuse, Kudo lo anticipò.
«Ispettore, ha di fronte a lei il vero assassino» fece, indicandolo con un cenno del capo. «Costui si è diretto dal collega fingendo preoccupazione per la giovane vittima. Si è fatto sostituire dall’amico per avere il tempo necessario di compiere il delitto ed incastrare il fidanzato» aggiunse, guardando il ragazzo piegato in due dalle lacrime. Tutti lo ascoltavano e nessuno osava interromperlo. E nonostante parlasse velocemente, tutte le lettere erano scandite alla perfezione, e nessuna parola mancava del giusto suono. Era sempre uno spettacolo osservarlo all’opera.
«Appena allontanatosi dal camioncino, ha ucciso la ragazza e ha preso il suo cellulare. Si è diretto nel bagno e lì ha mandato un messaggio di aiuto al fidanzato della vittima, chiedendogli di venire in bagno in modo che l’altro addetto potesse notarlo. Così ha indotto tutti ad entrare nella toilette, e mentre la polizia arrivava - chiamata da lui -, sgattaiolava fuori attraverso la finestra. Così si è unito agli altri agenti, fingendo il nulla.»
L’uomo scoppiò in una sonora risata, mentre Shinichi avvertiva la stessa fune di spine stringergli di nuovo il cuore. Doveva resistere, mancava poco...
«Notevole fantasia ragazzo. Notevole» lo adulò quasi. «Ma dove sono le prove, saputello?»
Per qualche secondo il detective non rispose. Una nuova fitta gli aveva traforato lo sterno, e l’aveva indotto ad inginocchiarsi sempre più su se stesso.
«Shinichi! Tu stai male! Dobbiamo chiamare un medico!»
«Takagi, per favore, chiama immediatamente un’autoambulanza. Subito.»
«Ce... ce... ce l-l’hai addosso».
Riprese a parlare, strascicante, e tutti si zittirono, compresa Ran.
«Cosa?»
«Il... il telefonino. Non avevi il tempo per liberartene e cancellare la chiamata alla polizia.»
«Ma... ma cosa farnetichi?»
«Ed oltretutto...» strinse i denti. «Sono sicuro che se controlliamo gli altri omicidi ti troveremo sempre nei paraggi».
Megure distolse lo sguardo preoccupato dal suo pupillo e lo rivolse a Takagi.
«Per favore, controlla queste cose».
L’uomo fece per avvicinarsi, ma quello lo interruppe. «Non serve».
«Eh?»
L’accusato si coprì di un ghigno malevolo. «Io ti conosco Shinichi Kudo, sei sempre arguto ed intelligente come un anno fa. Io mi ricordo di te, ma tu... detective... ti ricordi di me?»
Effettivamente, a Shinichi pareva familiare. Il suo nome, il suo viso...
«Ci... ci siamo già incontrati?»
«Un anno fa. Maledetto sia quel giorno. Ti ricordi il caso di allora, Kudo? Quel giovane che morì sull’ottovolante, strangolato dalla ragazza che diceva di amarlo? Ricordi?»
Sebbene avesse gli ormoni legati a mo’ di sacco e il cuore quasi spappolato, il giovane liceale fece un tuffo nel passato. Un anno fa, proprio quando s’era rimpicciolito, aveva risolto quel caso sull’ottovolante.
«La vittima... si chiamava...» cercò di ricordare.
«Aiko Kishida» concluse per lui l’uomo. «Era mio fratello. Ammazzato da quella sudicia stupida ragazzina. Ammazzato perché lei lo amava, sapete? Lo amava? E lo ha ammazzato... e lei portava una collana di perle. E con quella l’ha ucciso. Una collana di perle. Per questo, quando vedo queste coppiette, quando le vedo lì, con quelle collane, mi prende qualcosa... qualcosa che io... io non so...» strinse i pugni, e rivolse lo sguardo a terra. Forse stava piangendo. Ma Shinichi non aveva più tempo. Una nuova fitta gli perforò il cuore. Era ora di andare, scappare, fuggire via da Ran.
Cominciò a percorrere la strada del ritorno a tentoni, ma la giovane lo bloccò dopo qualche passo.
«Dove speri di andare, eh? Sei uno straccio! Adesso andiamo insieme all’ospedale e vediamo che ti succede!»
Lui cercò di scrollarsela da dosso, ma lei trattenne la stretta.
«No, Shinichi! Dove vai?!»
Ma stavolta il detective non ebbe altre idee migliori.
«Scusami, scusami...»
Con un spinta più violenta delle altre, riuscì a staccarla da sé, e cominciò a correre, senza voltarsi... voleva fuggire, voleva che Ran non scoprisse nulla... intorno s’era fatto tutto buio, ormai era sera inoltrata. Avrebbe potuto ripararsi da Agasa, ma se non fossero tornati? Un posto l’avrebbe trovato, sicuro... ma dopo cento metri di corsa affannosa un grido gelido gli arrivò alle orecchie. E fece ancora più male delle fitte. Erano le urla di Ran. Si voltò ed era nelle mani dell’assassino.
Cosa diavolo era successo nel giro di pochi secondi? Ran aveva il pugnale puntato alla gola, lo stesso pugnale con cui era stata uccisa quella ragazza. Il pugnale era nelle mani di un agente, come è possibile lo avesse lui? E poi capì. L’agente era steso a terra, probabilmente perché, nell’urtare lui Ran poco prima, aveva fatto in modo che lei finisse sull’agente, facendogli perdere l’equilibrio e la presa sul pugnale. Non era possibile... la sua Ran... era in pericolo...
Fece rapidamente dietro front e raggiunse l’omicida ancora più velocemente di come l’aveva lasciato. Quasi non sentì neppure più il dolore dell’effetto svanire. Adesso era lei la sua priorità.
«Lasciala stare!» provò, avvicinandosi, ma quando vide che quello puntò ancora più forte il coltello alla gola della giovane si bloccò.
«Fermo! O la ammazzo!»
«Ok, stiamo calmi. Ok?» provò ancora Shinichi, mentre Megure s’avvicinò di qualche passo.
«Adesso tu la lasci andare.»
Ma l’uomo pareva in preda ad una crisi isterica. «Per cosa? Per farmi sbattere in galera da voi? O peggio ancora per farmi ammazzare? Ricordo che c’è la pena di morte, sapete... e per cosa dovrei morire? Per aver fatto giustizia?!»
Il pugnale strisciò la pelle di Ran, una goccia di sangue le cavalcò la gola. Shinichi sbiancò, avrebbe voluto afferrarlo, ma quell’uomo era imprevedibile.
«Ascoltami, c’è ancora speranza per te. Non fare altre stragi inutili.» Provò Megure, quasi dolce, ma l’assassino non parve sentire una parola. Anzi, si coprì il volto con quello di Ran, in modo che non fosse bersaglio di proiettili.
«Abbassate le pistole o la ammazzo», ordinò. I poliziotti non lo fecero, e l’uomo perforò ancora di più la pelle della karateka. Uscì ancora un po’ di sangue.
«Abbassate le pistole!» ordinò stavolta Shinichi agli agenti, furibondo. Gli uomini diedero un’occhiata a Megure, che fece loro cenno di ascoltarlo. Gli agenti abbassarono le pistole.
«Che bravi bambini» li sfotté. Poi avvicinò le sue labbra all’orecchio della liceale, e con l’alito che quasi puzzava di sangue, la fece rabbrividire.
«Quello è il tuo fidanzato?» indicò Shinichi, e Ran non parve dare segni di risposta.
«Rispondi o ti ammazzo!» le perforò ancora di più la pelle, al che il detective fece per avvicinarsi, ma lui lo fermò.
«Se fai un altro passo glielo conficco nel cuore».
Shinichi aveva i brividi. Il corpo gli doleva, ma la vista della sua ragazza ancora di più. Era colpa sua... tutta colpa sua... lui l’aveva sbattuta sull’agente, lui aveva fatto in modo che si trovasse in quella situazione...
«Allora, è il tuo fidanzato?» mormorò ancora al suo orecchio. La voce pazza, penetrante e senza ragione le attraversò la mente. La terrorizzava.
«Cosa vuoi da me?» rispose Shinichi al suo posto. «Ce l’hai con me perché ti ho incastrato? Ti ricordo che ho incastrato anche l’assassino di tuo fratello un anno fa. Dovresti essermene grato!»
«TACI!» lo zittì all’istante l’uomo. Il pugnale sempre più profondo nel collo di Ran.
«Ti interessa minimamente di questa ragazza? E allora fai quello che dico».
Ran tremava, scossa dalla paura.
«Ok. Dimmi.» Fece Shinichi, ormai aveva dimenticato il dolore delle fitte.
«Lanciami le manette».
«Eh?» Nessuno parve capire.
«Ho detto le manette. Subito. Due paia. ORA!» e fece schizzare altro sangue dal collo di Ran, provocando un’altra fitta al cuore a Shinichi. Non sapeva nemmeno più se fosse per via dell’apotoxina o per quel pazzo squilibrato che aveva in pugno la sua Ran.
Il detective prese le manette e le lanciò ai piedi dell’omicida, ma lui non si abbassò a prenderle.
«Ed ora, le pistole. Buttate a terra le pistole e lanciatele verso di me, sennò lei muore.»
Megure e Takagi si scambiarono sguardi preoccupati. Ma l’assassino fece scivolare il pugnale dalla gola al braccio della karateka. E lì le inflisse un taglio di circa cinque centimetri. Il sangue schizzò via, e Shinichi mancò il respiro per un attimo...
«Sono serio. Non mi faccio scrupoli. LA UCCIDO!»
«Cazzo, ispettore! Dica ai suoi uomini di lanciargli le pistole!» la voce irata di Kudo fece sussultare Megure, che ordinò. In una manciata di secondi, le sette pistole erano ai piedi dell’uomo e di Ran. Con un gesto istintivo, l’uomo riuscì a far rimbalzare attraverso il piede una pistola verso l’alto, che arrivò sulla sua mano. In un attimo, quella fu puntata alla tempia di Ran, mentre l’altra mano sorreggeva il pugnale, tornato a minacciare la gola.
«Tu, detective!» si rivolse di nuovo a Shinichi. «Vieni immediatamente qui.»
Mosse verso di lui, ben consapevole che la fidanzata fosse sotto mirino...
«Fai un solo passo falso, e la tua ragazza avrà la gola tagliata e la testa saltata.»
«Ok, ma stai calmo...» Shinichi si avvicinò ancora e quello lo bloccò.
«Le manette. Voglio che le blocchi braccia e gambe.»
«Senti...» provò lui, con voce rotta, ma l’assassino aveva puntato la lama minacciosa sul viso di Ran. «Ok.»
Eseguì il compito. Ran fu quasi sollevata di ritrovarselo a così infima distanza, ma fu un’illusione effimera. L’uomo indietreggiò di una decina di passi, trasportando la ragazza con sé. Ran pareva un sacco di patate, adesso che aveva tutto bloccato. Era impossibile anche sperare di usare qualche mossa di karate così intrappolata.
«Tu, Kudo. La vedi l’auto della polizia? Salici a bordo. Sai guidare un’auto, giusto?»
Shinichi annuì debolmente. Sapeva che se avesse detto di no, l’uomo l’avrebbe chiesto a qualcun altro, e nella macchina con Ran voleva starci solo lui. Shinichi prese il posto del guidatore, mentre Ran venne sbattuta sui sedili di dietro, accanto all’aggressore. Costui aveva lasciato andare il coltello, ma aveva preso possesso di un’altra pistola. Adesso una era puntata alla ragazza e l’altra al detective.
«Metti in moto e vai» ordinò, e il detective scoccò un’occhiata a Ran. Per quanto ancora avrebbe durato l’antidoto? Era agli sgoccioli, lo sapeva, ne era convinto. Ma se non avesse eseguito gli ordini, Ran sarebbe morta. E non poteva permetterselo. Tanto valeva che scoprisse tutto allora.
Mise la prima e cominciò ad accelerare, lasciandosi indietro i poliziotti. Sentì Megure urlare “seguiamoli”, ma ormai erano abbastanza lontani da non avvertirli nemmeno più.
«Vai più veloce». Un nuovo ordine, che lui dovette eseguire per forza.
Sospirò, aveva le mani che gli tremavano sul volante.
«Per favore, lasciala andare. Risolviamo la questione io e te, ok? Lasciamo lei sulla strada, avrai sempre me come ostaggio. Hai due pistole e io sono disarmato. Guiderò fin quando vuoi, ma lascia andare Ran.»
«Taci moccioso.»
Shinichi sospirò ancora. Doveva riprovarci. La vita di lei era troppo importante.
«Ascoltami. Io sono ricco. Molto ricco. Posso darti tutti i soldi che vuoi, davvero. Ma devi lasciare andare la ragazza.»
L’uomo parve pensarci. Ovviamente aveva ancora la pistola puntata alla tempia di Ran, e un’altra a quella di Shinichi.
«E quanto potresti darmi?»
«Quanto vuoi? Quello che vuoi. Ma devi lasciare andare lei.» Shinichi aveva sempre le mani tremanti sul volante e lo sguardo fisso sulla strada, ma riusciva ad intravedere l’uomo attraverso lo specchietto.
«Come faccio ad essere sicuro che mi pagherai? E che sei davvero ricco? Mi dispiace, non sono così idiota.»
«Ma la polizia ti sta cercando! Senza soldi dove vai, eh? E poi non conosci mio padre? È Yusaku Kudo, è uno scrittore. Mia madre è un’attrice. Ho una casa tutta per me a Tokyo. Non scherzo. Davvero. Ti do tutti i soldi che vuoi ma lascia andare Ran.»
«Gira a destra e accelera» ordinò l’uomo, quasi ignorandolo. Shinichi obbedì. Sentì nuovamente il cuore contorcersi, ormai mancava poco, e lui era alla guida di un’auto con Ran prigioniera. Cosa sarebbe successo nel momento in cui si sarebbe trasformato e avrebbe perso il controllo dell’auto? Non voleva nemmeno pensarci.
«Se sei veramente ricco avrai una carta di credito» notò quello.
Il detective sospirò. «Ce l’ho».
«Allora facciamo così. Andiamo alla banca, andiamo a prelevare tutti i soldi dalla carta e ce ne andiamo di nuovo. Non voglio obiezioni.»
«Ok» deglutì l’investigatore, il cuore si contorse. «Ma lascia andare lei.»
«Decido io quando la ragazza va via.»
«Per favore. Avrai me come ostaggio. Lei non ti serve.»
L’assassino si rivolse a Ran, tremante di terrore. Era impossibile muoversi con gambe e braccia strette, ma aveva una gran voglia di provare su quell’uomo un po’ del suo karate.
«Signorina, com’è cavaliere il tuo ragazzo» fece ironico quello, facendole strisciare la pistola dalla fronte alla gola.
«Certo è che sei proprio carina».
Shinichi sentì il sangue ribollirgli nelle vene, ma avvertì anche una profonda sensazione di debolezza colpirlo. Mancavano pochi minuti ormai, e si sarebbe trasformato...
«Non mi toccare» fece Ran, disgustata. Shinichi aveva gli occhi di fuoco. Doveva fare qualcosa. Subito.
«Non la toccare, lurido v-verme...»
Quello scoppiò in una risata fragorosa. «Quanto amo le coppie di fidanzatini! Voi due siete proprio mitici.»
Shinichi strinse più forte le mani al volante. Guardò sul parabrezza, sul cruscotto e sul sedile a fianco. Ci doveva essere qualcosa, una pistola magari. Ma nulla, c’era solo la sirena staccata e poggiata lì abbandonata.
In quel preciso istante, avrebbe tanto voluto piangere... l’unica persona di cui dipendeva la sua vita era nelle mani sporche di un assassino pazzo, che cominciava a toccarla ovunque. Doveva distrarlo. Non poteva sopportare. E c’era una sola cosa che potesse fare...
«Ehi, senti, Kishida. Ormai ci cercano, no? E te hai bisogno di qualcuno che sia insospettabile. Io lo sono.»
L’uomo parve concentrarsi di nuovo su Shinichi lasciando stare Ran, che si divincolava inutilmente.
«Ma se ti conoscono tutti! Perché credi che non ti voglia come ostaggio?»
«Non conoscono il mio alter-ego».
Stavolta fu anche Ran ad immobilizzarsi. Lo fissava e lui vedeva che lei lo stava scrutando da dietro.
«Ma che diavolo stai farneticando?»
Kishida, finalmente, parve abbassare la guardia. Shinichi rallentò, senza farsene accorgere. Raggiunsero i trenta chilometri orari. Stava andando come aveva previsto... l’uomo era distratto dalle sue parole...
«Ho un’altra identità. E non mi conosce quasi nessuna in quella».
«Un’altra identità?» ripeté quello. «Cioè saresti due persone contemporaneamente?»
Shinichi riuscì ancora a decelerare, ormai erano a venti chilometri orari. Ora a quindici, ora a dieci... In un ultimo grande sforzo, il suo corpo da diciassettenne frenò improvvisamente l’auto in modo che l’impatto contro il muro non fosse troppo violento. Poi Shinichi urlò. Il suo corpo non resistette più. Aveva lottato contro l’apotoxina per tutto quel tempo, contro la voglia di dire a Ran ogni cosa, contro la possibilità di non mentirle più, solo per proteggerla e tenerla fuori dai guai. Solo per nasconderla ad un destino atroce. E adesso finiva tutto. Tutti i suoi sforzi, tutte le sue bugie, tutto il suo impegno racchiusi in urlo forte, strozzato, deciso. Nessuno dei due s’era accorto che Shinichi aveva puntato contro una parete mentre guidava, perché entrambi i passeggeri erano stati così distratti dalle sue parole da non far caso alla strada. Nell'impatto scoppiarono gli air-bag. Nell’aprirsi, uno fece cadere la pistola da mano all’aggressore, mentre Shinichi era in preda alle urla più disperate. La sua pelle pareva quasi emanare una luce incandescente, e le grida rimbombarono nell’auto scagliandosi contro i finestrini. Ran era immobilizzata tra l’air-bag e l’assassino. Non poteva muoversi, ma vide chiaramente il suo ragazzo cominciare a contorcersi. Era come preso da degli spasmi, e prima che potesse aprire bocca, lo vide scivolare dietro il sediolino. Prima le mani, che da grandi e possenti divennero le dita di un bambino... poi le gambe, che si trasformarono in quelle deboli e fragili di un ragazzino... poi il viso... i suoi bellissimi occhi azzurri mutarono e si rimpicciolirono. La sua faccia sparì oltre lo specchietto, e si nascose in quella maglia, che adesso era troppo grande da poterla indossare.
Passò circa un minuto di serio sgomento. Il silenzio alleggiava nell’abitacolo, e né l’assassino né lei avevano il coraggio di parlare. Ran aveva il fiatone. Cos’era successo? Shinichi... Shinichi stava male? S’era trasformato... davanti ai suoi occhi... il cuore cominciò a batterle forte...
L’aggressore, a cui una pistola era caduta e l’altra era ancora nella mano destra, aveva gli occhi spalancati.
«Ma... ma dov’è quel ragazzo? Che cazzo è successo!?»
«Shi... Shinichi...» lo chiamò Ran con voce flebile, impossibilitata a muoversi.
L’uomo scese dall’auto e scrutò il posto del guidatore. Un paio di pantaloni erano penzolanti sul sediolino, le scarpe del ragazzo abbandonate vicino ai pedali. Ma non c’era nessuno...
Poi la porta si aprì, ed un bambino si aggrappò a lui, facendolo indietreggiare e cadere a terra. Il bimbo gli sottrasse la pistola, l’afferrò e gliela sbatté in testa. Una volta, due... finché quello non perse conoscenza. Ran poté intravedere solo la figura dell’uomo che lottava e perdeva contro un bambino...
Ma quel bambino era...
Non poteva crederci... quel bambino era...
La porta dov’era lei seduta s’aprì. Forse era un incubo, forse s’era addormentata nel parco sulle spalle di Shinichi. Forse era tutto solo un sogno, magari se si fosse svegliata adesso sarebbe a casa di Shinichi, dove la notte prima aveva dormito... Dove la notte prima s’erano baciati... abbracciati... dove avevano fatto l’amore...
Ma quel bambino, che purtroppo conosceva perfettamente, gli aveva aperto la portiera. E l'incubo si tramutò in realtà. E tutto divenne nitido, complesso, incredibile. Si scrutarono per parecchi minuti. Il tempo che cominciassero ad avvertire le sirene della polizia e Conan capisse che non fosse vantaggioso restare lì.
Afferrò i suoi abiti, e prima di sparire oltre una radura, le rivolse un ultimo amareggiato sorriso.
«E così adesso conosci il mio piccolo segreto...»

 
 
* Particolari del quarto film "Solo nei suoi occhi"  

LO SO.
LO SO.
LO SO.
Sono sparita per tantissimo tempo, e non è stata una bella cosa da parte mia! Vi prego, perdonatemi! È difficile anche trovare delle scuse, ma posso solo dirvi che non è stato un bel periodo :( Comunque sono tornata XD Spero di non sparire ancora, penso che non lo farò comunque... anche perché siamo nella parte più importante della storia!
Ran ha scoperto che Shinichi e Conan sono la stessa persona. In realtà ho riflettuto a lungo, e non avevo mai pensato a come volessi che lei lo scoprisse. Questo è senza ombra di dubbio il modo più tragico e sconvolgente. Vedere una persona rimpicciolirsi davanti ai tuoi occhi non dev'essere uno bello spettacolo! Comunque, Shinichi non ha potuto far nulla... Ha voluto seguire Ran, nonostante sapesse che l'effetto stesse per svanire... sapete com'è fatto, no? Spero di aver reso il momento bene... deve dare il giusto stupore e tragicità XD
T__T lo so che siete arrabbiati con me, ma siate buoni :P
Non ho risposto nemmeno alle recensioni, gommen me :( 
Spero solo che il capitolo vi sia piaciuto abbastanza per farmi perdonare! 

E grazie a tutti quelli che hanno recensito, aggiunto la storia alle preferite, ricordate e seguite!

Un bacione enorme.
A presto!
Tonia

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Capitolo 27
*** Le tue bugie ***


Your Lies
26.
Le tue bugie


 

 
Attraversò rapidamente l’atrio principale, sbattendo con non curanza e abbastanza bruscamente le persone che gli ostacolavano il cammino. Fece cadere qualche paziente a terra, e tra urla e grida di insulti, riuscì a far barcollare anche un medico. Kogoro Mouri era furioso. Sua moglie, Eri, lo seguiva con aria terrorizzata. Avevano ricevuto dieci minuti prima una chiamata dalla polizia. La loro Ran era stata rapita e messa in grave pericolo da un assassino, ma per fortuna – aveva aggiunto Megure – non era successo nulla. L’ospedale era abbastanza affollato per essere sera tarda, e l’attenzione a chi lo circondava era l’ultimo pensiero per il detective in trance. Giunsero alla stanza indicata loro dall’agente Takagi e con violenza aprirono la porta. Si fecero spazio nella camera chiara, dove intorno ad un letto vi erano Megure, Sato e Chiba.
«Mouri!» lo chiamò il vecchio collega, facendogli spazio per permettergli di vedere la figlia. Kogoro avanzò qualche passo. Ran era seduta sul materasso con una tazza di camomilla in mano, che strofinava con delicatezza per far sì che il calore potesse riscaldarla. Aveva una gamba sotto ad un’altra, e il braccio fasciato e medicato. Sulla gola vi era qualche cerotto di troppo, che permettesse alle piccole ferite di rimarginarsi rapidamente.
«Tesoro...» la chiamò la madre con dolcezza, posandole una mano sulla spalla. «Come ti senti?»
Ma Ran non rispose. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, e gli occhi violacei terribilmente vuoti.
«Piccola... cos’è successo? Stai bene, vero? E dov’è quella sottospecie di detective con cui esci? Non dirmi che se l’è data a gambe...» avrebbe continuato se non fosse che Eri, con un’occhiata truce, lo avesse pregato di starsene buono, almeno in quel momento. Ma nemmeno allora Ran rispose. Non aveva neanche alzato gli occhi per salutare i suoi genitori. E quella tazza di camomilla era ormai diventata fredda.
Megure diede una piccola gomitata a Kogoro e lo invitò ad uscire fuori, seguito da Chiba. Sato ed Eri restarono con Ran nella stanza, nell’invana speranza di capire cosa la tormentasse così tanto.
Il detective chiuse la porta alle sue spalle ed afferrò Megure per la giacca, visibilmente agitato.
«Cosa è successo a mia figlia?! Dov’è quel ragazzino?!»
«Ehm... Mouri, siediti un attimo» lo invitò l’ispettore, tossicchiando. «Ti spieghiamo tutto».
Gli raccontarono del caso, di come Shinichi l’avesse risolto, e di come quell’assassino avesse preso in ostaggio Ran. Di come avesse costretto il liceale a portare l’auto per permettergli di fuggire, e...
«Quando siamo arrivati lì c’era solo Ran con l’aggressore svenuto a terra. Di Kudo neanche l’ombra! Abbiamo provato a chiederle cosa fosse successo, ma è da quando l’abbiamo liberata che non pronuncia parola».
«Quel vigliacco se ne è andato con la mia bambina in pericolo!? E dire che mi stavo incominciando a fidare di quel tipo! Non avrei mai dovuto permettere la loro relazione!!» sbottò esasperato Kogoro, con le vene che gli pulsavano sulla gola.
Megure tossicchiò di nuovo. «Ma... non credo sia andata così. Pensaci un attimo: Ran aveva mani e piedi legati, e quando se ne sono andati l’aggressore era armato! Io credo che... credo che Kudo in qualche modo sia riuscito a distrarlo e frenare l’auto...»
«E allora perché è andato via!?», l’ira di un padre è implacabile.
«Non... non lo so» ammise l’ispettore. «Ho provato a chiamarlo, ma non risponde».
«Non m’importa un accidenti dove sia quel ragazzino adesso! Io voglio solo che la mia piccola torni a parlare! Perché è così sconvolta?!»
Kogoro tornò a sedersi su una delle sedie poste nel corridoio.
«Forse è meglio se torni dentro» gli consigliò l’ispettore, osservando il vetro opaco della porta.
Lui annuì, decisamente percosso. Fece per aprire la porta, ma con ancora la maniglia in mano, si fermò e si voltò verso il collega.
«Se ha notizie di quel ragazzino... lo porti immediatamente da me» disse, con tono netto. «Devo parlargli».
Poi scivolò nella stanza e sparì dietro quel vetro.
 
 
 
Per fortuna i vestiti da bambino che aveva non li aveva trasferiti tutti a casa Mouri. Anche se dai Kudo vi erano rimasti quelli più vecchi e stropicciati, l’ex liceale ringraziò di non dover passare a casa dell’amica per potersi coprire le sottili gambe.
Afferrò una maglietta ed un pantaloncino e li indossò, facendo scivolare via la maglia di Shinichi, che adesso non gli apparteneva più. Si scrutò allo specchio ed intravide quel bambino che tanto odiava. Conan. E adesso lei sapeva chi nascondeva dietro quegli occhiali così grandi. Un profondo senso d’angoscia e di frustrazione lo colpì da capo a piedi. Non solo s’era reso conto d’aver reso invano tutti i sacrifici, i complotti e le bugie inventate per nasconderle chi era davvero; ma anche che, da quel momento in poi, la vita di Shinichi Kudo e di Conan Edogawa erano cambiate radicalmente. Non si trattava più di giocare al detective arrogante e stacanovista, o al bambino ingenuo ed intelligente. Adesso Ran sapeva che lui era sempre stato con lei. Ma avrebbe compreso le sue motivazioni? Avrebbe perdonato tutte le menzogne e avrebbe accettato le sue condizioni?
Il piccolo si sforzò di non pensarci. Era impossibile dimenticare l’espressione gioiosa sul volto dell’amica che, nel leggere quel negativo, gli aveva buttato le braccia al collo e l’aveva baciato.
«Ma... così... per sapere, se... fosse stato positivo... che avresti fatto?»
Ran lo guardò per qualche secondo: sembrò pensarci per davvero.
Poi simulò una smorfia, riabbracciandolo sorridente.
«Non ci voglio nemmeno pensare!» fece, donandogli un altro bacio. «L’importante è che non lo è.»
L’importante è che non lo è... Conan sospirò, sprofondando lo sguardo nella maglia di Shinichi, che aveva ancora tra le mani piccole da bambino.
Se solo avesse saputo che l’effetto stava per svanire...
Se solo, per una volta, si fosse comportato da persona coscienziosa e ragionevole, e dinanzi alle labbra di Ran e al suo entusiasmo, avesse almeno provato a starle lontano...
Gettò la maglia sul letto matrimoniale, dove sole ventiquattro ore prima aveva dormito con lei, e scese giù. Quanto odiava essere così basso... anche prendere l’acqua dal frigo era impossibile. Bevve, e vide poggiato sul comò della cucina il portafortuna che Ran gli aveva regalato parecchio tempo prima. La veggente disse che, una volta indossato, avrebbe condiviso con quella persona gioie e dolori... per sempre.
Scosse il capo, sospirando, ripetendosi che lui non avrebbe mai potuto credere a quelle sciocchezze. Diede uno sguardo alla villetta a fianco alla sua: le luci erano accese.
Già immaginava quale sarebbe stata la reazione di Haibara.
 
 
 
 
«E così ha scoperto chi sono».
Aveva raccontato loro tutto molto velocemente. Come un vero vigliacco, aveva abbassato lo sguardo e chinato il capo al pavimento. Non sarebbe riuscito a dir loro tutto, mentre Haibara gli lanciava continue occhiate sinistre. Alzò gli occhi solo alla fine. Vide i due sbigottiti. Il professor Agasa aveva uno sguardo che sfiorava il preoccupato, ma quello di Ai era furibondo.
La piccola scienziata parve imporsi l’autocontrollo. Mandò giù un lungo sospiro, e mentre i muscoli del viso cominciarono a contrarsi in una smorfia, Conan si preparò al peggio.
«Dottore, mi dica. Tutti i modi per uccidere una persona sono illegali?»
«Ai, cerca di capire...» provò Agasa, ma lei lo interruppe.
«IO NON CAPISCO, NO! Kudo sei la persona più stupida ed irresponsabile che io abbia MAI e poi MAI conosciuto in vita mia!» cominciò, marcando alcune parole su altre. La sua voce risuonava in tutta la villa, infrangendosi contro i muri e le finestre talmente forte da farli vibrare.
«Ti sei ALMENO reso conto del grandissimo guaio in cui ci hai cacciato tutti, la tua fidanzata compresa!?»
Shinichi fece una smorfia di disgusto.
«Senti, non l’ho fatto apposta! Ran era in pericolo, non potevo abbandonarla!»
«RAZZA DI IDIOTA! Ma perché non te ne sei andato prima del caso!? Hai cominciato ad avvertire i primi sintomi e sei restato lì!? Ma sei deficiente o cosa!?»
«Dovevo assicurare un criminale alla giustizia!» si giustificò lui, imbronciato.
Ai si fermò d’un tratto, allibita. Aveva le mani a mezz’aria e i capelli indemoniati. Si girò verso Agasa e lo guardò torvo.
«Adesso lo ammazzo», disse.
«Cerchiamo di calmarci ragazzi», il dottore fece un mezzo risolino. Ai tornò a sedersi, esterrefatta. Stava pensando seriamente di avvelenarlo.
«Shinichi... quindi non hai spiegato a Ran dell’organizzazione? Lei ti ha soltanto visto rimpicciolire?»
Il piccolo annuì, ancora con le mani incrociate.
«Sai che adesso dovrai spiegarle tutto, vero?»
«Certo» fece lui. «Adesso sarà in ospedale, ma non so se ha voglia di parlarne ora o no» ammise poi, mentre Ai continuava a guardarlo indemoniata.
«Ah, certo! Perché adesso i fidanzatini dovranno passare un altro quarto di secolo a non parlarsi!»
Conan la osservò truce. «Ran è una ragazza sensibile, la conosco fin troppo bene. Sarà sicuramente scioccata dopo quello che ha visto... e non oso immaginare i suoi sentimenti nei miei confronti».
«Che cosa commovente» commentò ancora Haibara, scoccando sguardi di puro odio all’amico detective.
«Hai paura che non ti sbavi più dietro? Oh, non preoccuparti. Non sa fare altro.»
Il piccolo strinse i denti. «Smettila Haibara.»
«Stasera tornerai dai Mouri?» gli chiese Agasa, ignorando volontariamente i battibecchi dei due.
«Io... no. Credo di no. Credo che aspetterò almeno a domani... per parlarle.»
Il dottore annuì, senza ribattere. Non voleva interferire con la loro relazione, ma poteva soltanto pensare a quanto sciocco si sentisse il giovane liceale in quel momento. Sapeva quanto ci tenesse all’amica d’infanzia, e quanto avesse fatto per tenerla fuori dai guai.
«Tu... tu stai bene, Shinichi?» gli chiese, ma era ovvio che non gli interessasse la sua condizione fisica. Il detective annuì e lasciò il divano con sguardo basso.
«In fondo... ho passato momenti peggiori».
E fuggì via verso villa Kudo, dove lo aspettava una lunga ed insonne notte.
 
 
 
«Tesoro se vuoi riposarti vai in camera, è stata davvero una brutta nottata».
Erano quattordici ore che Ran non proferiva parola, ed altrettanti minuti che i suoi genitori provassero a strappargliele. Sconfortati, Eri e Kogoro decisero che, per il momento, la miglior cosa da fare fosse darle del tempo. La invitarono ad andare nella sua stanza, ma Ran non aveva voglia di addormentarsi. In realtà non si rendeva nemmeno conto di quello che stesse succedendo accanto a lei e di quanto i suoi genitori fossero preoccupati per la sua salute. Lei, semplicemente, non riusciva a rispondere a nessun stimolo.
Era come se tutto il mondo intorno a lei si fosse oscurato e lei non riusciva ad intravedere e sentire più nessun rumore. L’unica cosa che ricordava era la sua trasformazione. Il volto di un adulto deformatosi in quello di un bambino, e la paura di sentir le sue ossa spaccarsi e ricomporsi sotto i suoi stessi occhi.
Scivolò in camera, dove poggiò la borsa sulla scrivania. C’era ancora la loro foto, sorridenti e spensierati al Tropical Land, un anno prima. Un profondo senso di disgusto le salì fino al cervello, penetrando nelle sue viscere. Con un movimento veloce, scagliò un pugno alla cornice e la fece schiantare per terra. Il vetro che proteggeva la foto si frantumò ed essa volò via sul pavimento. Ran la osservò con gli occhi vuoti e terrificati. La prese e la strappò. Prima a metà, poi a metà di quella metà, poi ancora a metà... e più piccoli i pezzi divenivano più grande era la sua soddisfazione. Man mano i loro volti sorridenti vennero lacerati, e al posto di quella foto, sul pavimento caddero le sue lacrime. Sbatté la porta per non farsi sentire da nessuno, non voleva che la vedessero piangere. Era stufa d’esser privata della sua privacy.
Cadde a cavalcioni sul pavimento e poggiò i palmi delle mani sulla moquette, dove le scaglie del vetro della cornice le provocarono piccoli tagli. Nulla in confronto a ciò che aveva fatto. Lui l’aveva privata di tutto. L’aveva squarciata da dentro, e s’era messo a curiosare sulla sua intimità, i suoi sentimenti, i suoi pensieri...
«Ce l’hai la ragazza, Conan?»
Il piccolo aveva sorriso, imbarazzato. Sembrava quasi che si stesse chiedendo perché mai gli facesse una domanda del genere.
«Io ce l’ho! Un ragazzo che mi piace tanto!»
Lui aveva sorriso. Malizioso. Fiero. «Non sarà... quello Shinichi che cercavi prima?»
Ran l’aveva guardato, sbalordita. S’era già resa conto di quanto quel bimbo fosse intelligente.
«Sì!» rispose, con tutta la naturalità del mondo. «È lui! Un po’ dispettoso e presuntuoso, ma quando ho avuto bisogno di lui c’è sempre stato! È coraggioso e perso nel suo mondo dei gialli! E poi...è bellissimo!» gli aveva confidato.
«Mi piace da morire...» disse con aria sognante. Poi si girò verso il piccolo, che era stranamente arrossito.
«Però a lui non lo diciamo, ok?»
Scagliò un pugno violento al pavimento. Quanto era stata stupida? E lui, cos’aveva fatto o detto? Nulla. S’era compiaciuto dell’ennesima conquista, magari vantandosi con se stesso di quanto fosse figo. Avrà pensato anche che, vivere con lei, sarebbe stata una pacchia!
Un bambino... Ran si fermò un attimo a pensare. Come diavolo era possibile fosse un bambino?
Ma la rabbia in quel momento prese il sopravvento, e qualcos’altro riaffiorò nella sua mente...
«Ran... sono io, mi riconosci?»
L’aveva atteso per tre giorni, e solo quella sera si fece sentire. Ran non era mai stata così in pensiero per lui come allora. Si ritrovò a piangere disperatamente, e singhiozzando...
«S-Shinichi!»
«Pensavo stessi piangendo per me dalla preoccupazione...»
Solo ora si rendeva conto di quanto quelle parole la ferissero.
«Dove sei Shinichi?»
«Sto indagando su un caso difficile e complicato».
Menzogne, menzogne e menzogne... Perché non l’aveva capito prima? Lui non ha mai impiegato più di una giornata a risolvere i casi, qualsiasi fossero. Qual era il suo caso difficile? Decidere con che sapone farsi il bagno, adesso?
Ran strabuzzò le palpebre, facendo scivolare le mani sul suo viso. A proposito di bagni...
«Avete fatto il bagno insieme?!», Kogoro era esterrefatto.
«Certo! Lui non voleva, però è stato divertente no? Lavarci a vicenda!»
E lì un gran fiotto di sangue gli era uscito dal naso. Solo adesso capiva...
«Ti sanguina il naso? Forse il bagno era un po’ troppo caldo...»
«Non sarà l’emozione per averti visto nuda
«Ma dai! Conan è soltanto un bambino!»
L’altro pugno andò a scontrare violentemente il pavimento, mentre Ran piangeva con il viso chino all’ingiù. Ne aveva anche approfittato...
«L-lurido verme schifoso approfittatore che non è altro!» sbottò tra sé e sé, indignata e singhiozzante.
Poi ricordò di quando aveva avuto sospetti su di lui, e puntualmente venne salvato da sua madre. Ciò voleva dire che lei sapeva, e nessuno gliel’aveva detto. E di quando gli aveva donato il sangue, convinta ormai che Shinichi e Conan fossero la stessa persona... lì era stato un vero maestro, c’era da riconoscerglielo. Era riuscito a prenderla in giro alla grande.
«Lo sai... ho pensato che Conan fossi tu...». Lui aveva riso, poi era scappato via a risolvere quel maledetto caso, ed ancora una volta era tornato piccolo...
«No basta! Di scuse non ne voglio più sentire!» aveva pregato il piccolo, ignara che fosse lui. Come aveva fatto ad essere due persone allo stesso momento? Qualcun altro lo stava aiutando, e con lui, qualcun altro si stava divertendo alle sue spalle...
«Shinichi mi ha chiesto di dirti di aspettarlo... vuole che tu lo aspetti, Ran».
Shinichi non s’era però preso la briga di dirle che ogni santo giorno era accanto a lei a vederla piangere per lui.
«Oh, Conan, sei tu!» udì la voce della madre dalle scale, e in un istante si irrigidì. Era lì, ed aveva anche il coraggio di tornare! Eri pareva particolarmente felice di vedere il piccolo. Probabilmente perché sapeva che Ran teneva tanto al suo fratellino. Incredibile ciò che provava adesso: irrefrenabile odio verso le due persone che più amava al mondo, che poi in realtà ne erano una...
«Ran è in casa?» si accertò lui. La karateka poteva solo sentirlo, dato che la porta della stanza era chiusa. Ma non aveva voglia né di vederlo né di parlargli. Con un salto rapido sprofondò nelle coperte, che si squarciarono per permetterle di infilarsi.
«Certo è in camera».
Adesso poteva sentire i piccoli passi avvicinarsi. Avvertì la porta aprirsi appena e quasi riuscì a percepire che fosse solo Conan ad aprirla. Probabilmente Eri sperava che il fratellino riuscisse a sollevarle il morale. Ma Ran era girata dal lato opposto, e recitava di dormire nel modo peggiore che riuscisse a fare. Conan fece qualche altro passo verso di lei. Ran si irrigidì nel suo posto. Aveva paura di lui improvvisamente. Non voleva vederlo, non osava immaginare la sua reazione nell’incontrare di nuovo quei falsi e meschini occhi blu.
Poi il piccolo parve fermarsi. E la karateka ricordò d’aver dimenticato quel che restava della fotografia sul pavimento, accanto al vetro rotto. Sentì il rumore di alcuni tasselli che si muovevano. Era sicura stesse guardando la foto. Tanto meglio – cercò di convincersi – ormai non faceva più differenza se sapesse come si sentiva o no. Ma quella era l’ultima volta che gli avrebbe permesso di frugare nella sua privacy.
«So che non stai dormendo.»
Quella voce era a dir poco disgustosa, le dava il volta stomaco. Ma la cosa più strana era che non riusciva più ad avvertire la voce di Conan, ma solo quella di Shinichi. Era come se lui le stesse parlando da adulto. Un adulto arrogante, odioso. Un adulto che, anche in un momento come quello, si dava arie di sapere che cosa la turbasse... Ma lei non rispose. Strinse il cuscino nel suo pugno e fissò gli occhi al muro, imponendosi di non voltarsi per nessuna ragione al mondo.
«Volevo spiegarti come stanno le cose... è tutto più complicato di quanto credi» provò ancora Shinichi, con la voce fievole e rotta. Ma ancora una volta Ran tacque. Non voleva dargli nessuna soddisfazione, ma sentì le lacrime abbondare sul suo viso e fermarsi sul cuscino da lei stretto in un pugno.
«Ran...?» la chiamò, evitando di proposito il suffisso “neechan” che adesso non aveva più valore d’essere usato. Ma lei non diede alcuna risposta. Conan distingueva chiaramente il suo corpo fremere e il diaframma alzarsi ed abbassarsi troppo velocemente per un respiro normale... stava piangendo di nuovo, e per lui...
«Ran, per favore...» le disse, avvicinandosi leggermente. Era quasi ai bordi del letto e la giovane riusciva ad avvertirlo nitidamente. Si impose di non girarsi. Non doveva farlo per nulla al mondo. Quando Conan stette per sfiorarle il braccio, la porta si aprì di nuovo, annunciando Kogoro e poco più dietro, Eri.
«Ah, sei tu, moccioso» fece il padre di lei, irritato. «Esci forza, falla riposare».
Conan indietreggiò ed obbedì, lasciando la stanza insieme ai due Mouri. Ran era ancora ferma nel letto, impassibile, e per tutta la giornata non ne uscì nemmeno per mangiare.
 
 
 
I giorni che seguirono furono fitti di un’atmosfera cupa e tetra. Casa Mouri era perennemente sovrastata da una nube di nervosismo e tensione, che per Conan e Ran erano particolarmente evidenti e sentiti, mentre Eri e Kogoro non ci fecero caso, anche perché avevano annunciato a loro figlia – anche per cercare di rallegrarla – d’essere tornati insieme. Al contrario di come credevano, Ran non fece particolari smorfie di gioia nel saperlo. Il problema principale però era che Conan non poteva più dormire in camera con Kogoro, dove ormai c’era anche la mamma dell’amica. Così Eri aveva avuto la geniale idea di provare a farlo dormire insieme a Ran. S’era fatta sera, e mentre i novelli sposi s’erano rintanati in camera loro, il piccolo detective avrebbe dovuto trovare il coraggio di parlare con la ragazza.
Lei glielo avrebbe permesso? D’altronde la karateka era ancora all’oscuro del piano della madre, e a lui, in quei giorni, non aveva rivolto nemmeno una parola. Sospirò e aprì la porta della stanza, con passo leggero e calmo. Ran era seduta sul letto con in mano un libro. Avvicinandosi un altro po’, Shinichi notò fosse Cime Tempestose.
Sospirò di nuovo nel suo pigiama azzurrino, a cui Ran diede un leggero e fugace sguardo, simulando una smorfia di disgusto.
«Ciao» provò a cominciare una conversazione, ma la giovane pareva far finta d’ignorare la sua presenza.
«T... tua madre ha pensato che, visto che lei è tornata a vivere con voi, fosse meglio che io...» provò ancora, ma il fiato gli si mozzava in gola e la paura di scatenare un litigio non gli permetteva d’andare avanti.
«Be’, ecco...» fece, cominciando a blaterare parole insensate. «Lei pensa che io... io potrei dormire... qui...»
Ran sentì il pugno stringersi sulla copertina del libro. Ma come poteva anche lontanamente pensare che lei lo lasciasse dormire lì? Dopo tutte le menzogne, aveva ancora il coraggio di parlarle? Provò ad ignorarlo, come ormai faceva da giorni, ma Shinichi insistette.
«Hai intenzione di non parlarmi per tutta la vita?»
Ran si morse il labbro per reprimere la crescente voglia di prenderlo a calci.
«Ran, rispondimi».
«Vattene via» disse lei, rapidamente.
«Allora ce l’hai ancora la lingua...» fece lui, sperando di farla sorridere. Ma Ran era ferma sulla sua posizione.
«Ho detto di andartene via».
«Non vuoi sapere cosa è successo, perché è successo e perché ti ho mentito?»
«Voglio solo che tu sparisca dalla mia vita, per sempre».
Shinichi avvertì una fitta al cuore colpirlo. Il dolore era ancora più forte di quando stava per trasformarsi, e quel tono freddo e distaccato non faceva che peggiorare il problema. Ran non era mai stata così glaciale con lui. Certo, qualche volta avevano litigato, ma lei non s’era mai sognata di non volerlo più nella sua vita. Adesso, invece, era la cosa che più desiderava al mondo. Avrebbe fatto di tutto per dimenticarlo, per scordarsi di tutto quello che era successo. Avrebbe speso miliardi per tornare indietro nel tempo e non incontrarlo mai.
«Lascia almeno che ti spieghi...»
«Ho detto sparisci...» sibilò a denti stretti, quasi incapace a trattenersi.
«Ran... io... io l’ho fatto per te...», il tono gli uscì debole, malinconico, frustato. Ma lei lo fulminò con lo sguardo.
«Stai zitto. Non voglio più ascoltare in vita mia la tua lurida voce, non voglio più dover vedere la tua orrenda faccia. Devi sparire, è difficile da comprendere?»
«Vuoi davvero buttare a puttane tutto?», detto da un bambino era particolarmente strano.
Ma lei non fece caso al fatto che fosse piccolo. Ormai aveva voglia di sputargli contro tutto quello che lui le aveva fatto passare in un anno.
«IO?! Ma quanto fai schifo? Sei tu quello che ha rovinato tutto... tu quello che mi ha sempre mentito! Non io!»
Il detective cercò di imporsi l’autocontrollo. «Ripeto: l’ho fatto per te. Se solo mi lasciassi spiegare!»
«Ma allora non hai capito? Io non voglio più stare a sentirti! Ho sopportato troppo! C’è un limite anche per me, sai!»
«Cazzo, Ran! Sono io quello che si è rimpicciolito! Credi mi abbia fatto piacere!?»
«Sicuramente ti ha fatto piacere sentirmi chiamare il tuo nome ogni giorno... ti sarai divertito, vero?»
Conan continuò ad osservarla, allibito. Possibile che lei non capisse nulla?
«Affatto. Non mi sono per nulla divertito. È stato... sconvolgente».
La giovane fece una mezza risata ironica.
«Non sarà mica quel Shinichi che stavi cercando prima?» lo imitò poi, dalla faccia disgustata. «Ma quanto sei ridicolo? Volevi la prova che mi piacessi? L’hai avuta e allora?»
Lui sospirò. «Ran, dai, quel giorno stavo scherzando... e poi era la prima volta che mi trasformai in Conan... non potevo sapere quanto sarebbe durato tutto! Ero davvero sconvolto!»
«Certo. Anche farti il bagno con me è stato sconvolgente, vero?!»
Conan arrossì lievemente. «Ti ricordo che tu mi hai trascinato!»
«Certo, perché adesso è colpa mia!»
«Non volevo dire questo...» provò lui, ma era inutile. «Però che ti frega adesso del bagno, dai!»
Lei scattò all’in piedi, sbattendo il libro sul materasso. Shinichi indietreggiò di alcuni passi.
«Ah, certo, che cosa può mai fregarmi! Tanto tu hai ottenuto tutto quello che volevi! Sia da piccolo che da grande!» gli urlò contro, indemoniata. «“Ti ho visto tante di quelle volte nuda”» lo imitò ancora, furibonda. «Certo, io non avevo messo in conto tutte le volte da Conan!»
Il piccolo andò a fermarsi contro il muro, mentre Ran proseguiva minacciosa contro di lui.
«Ok, ti chiedo scusa. Va bene? Scusa, scusa e scusa.»
Lei gli scoccò un’occhiata truce. «E tu credi di risolvere così tutto? “Scusa”? Hai approfittato del mio corpo, e chiedi Scusa?!»
Lui sbuffò, esasperato. «Approfittato!? Ran ma mi vedi?! Sono un bambino! Bambino! Come avrei potuto approfittarne?!»
«Non sei un bambino, hai diciassette anni!»
«Intendevo di corpo...»
«Solo perché non potevi far nulla non significa che tu non abbia voluto far nulla!»
«Cioè mi stai colpevolizzando d’esser attratto da te?! Perché mi sarebbe piaciuto fare l’amore con te?!»
La giovane parve bloccarsi per un momento poi, in preda ad una crisi di nervi, strinse i pugni e i denti e soffocò la voglia di ammazzarlo.
«Dovrei essere triste del fatto che non potevi scoparmi come volevi?!»
«Io non ho detto questo!»
«L’hai fatto capire però!»
«Oh, per favore, Ran, eh! Ci sono cose più importanti di uno stupido bagno!»
Lei indietreggiò e gli diede le spalle. Le lacrime le solcarono il volto, cominciando a farla singhiozzare. Shinichi se ne accorse, e lentamente provò ad avvicinarsi.
«Ran, scusami, è che...»
«Stai zitto, vattene».
Silenziarono per qualche minuto. L’aria era pesante e fredda. Pareva esser sprofondati nell’oceano senza alcuna ancora di salvezza.
«Vuoi che me ne vada anche da casa tua?»
«Avresti già dovuto farlo da molto tempo» gli rispose, con gelido assenso.
Non poteva crederci...
«Per favore, ascoltami...» riprovò ancora lui, ormai disperato.
«Sparisci, ho detto». Ripeté lei con tono fermo. «Sparisci per sempre dalla mia vita. Lasciami in pace, fai in modo che non ci fossimo mai conosciuti.»
«Ran ti...»
«Vattene!».
«Cazzo, Ran! Ti amo! Ascoltami!»
Era l’ultima chance che aveva, e l’aveva pronunciata più velocemente possibile. Lei doveva sapere la verità. Ma era del tutto inutile. Le lacrime le scesero ancora più copiose sul volto deturpato e segnato dal dolore. Perché continuava a mentirle? Non erano abbastanza tutte le bugie che le aveva raccontato? Come aveva il coraggio di dirle che l’amava? Una persona che ama non mente, si fida di chi gli sta accanto. Lui s’era soltanto divertito a prenderla in giro, mettendosi in bocca le parole che lei avrebbe voluto sentirgli dire.
«Non osare parlare d’amore» lo rimbeccò, cruenta. «Tu non sai nemmeno cosa significhi amare. Sei solo uno stupido e meschino bugiardo.»
Shinichi deglutì a fatica. Adesso anche lui aveva il volto chino al pavimento.
«Quindi... finisce qui? Vuoi davvero che finisca tutto qui?»
Lei strinse i pugni. «Sì.»
Il piccolo fece qualche passo verso la porta e le lanciò un’ultima profonda occhiata. Lei era ancora lì, che non lo guardava. In un secondo ripercorse tutta la sua vita segnata dalla sua perenne presenza. Da bimbi, da piccoli, da ragazzini, da adolescenti... Ran c’era sempre stata. Era stata l’amica a cui aveva confidato i suoi guai, la ragazza su cui poteva contare se avesse voluto farne altri. Avevano affrontato insieme talmente tante di quelle cose che adesso tutto gli pareva stupido ed insensato. Varcò la soglia, staccò gli occhi da lei in quell’attimo che parve un’eternità.
«Addio Ran.»
Lei aspettò che chiudesse la porta, e trascinasse via con lui tutto ciò che le era appartenuto.
«Addio» disse.





Poi dite che ci metto tempo a scrivere i capitoli U_______________U
No, non mi sto atteggiando U__U Ma sono proprio veeeeloce! 

Ok, la smetto XD Allora! Vi ho fatto o no una bella sorpresa!?
Quando è passato dall'ultimo, eh?! E sono di nuovo qui!
Lo ammetto: l'ho fatto anche un po' per farmi perdonare XD 

Parliamo del chap! Vi è piaciuto?! Un po' triste, vero?! Già... si sono detti Addio T______________T
Chi si aspettava la reazione di Ran? Credo un po' tutti, vero? In fondo, chiunque capisca che la persona a cui tiene non fa altro che mentire, vorrebbe cacciarla via dalla sua vita... per sempre. O almeno io così farei, e credo anche un po' Ran. D'altronde quante volte lei gli ha chiesto la verità e lui si è stato zitto? Non è proprio un bel comportamento, e nonostante noi sappiamo e comprendiamo il perché, mettiamoci nei panni della karateka. Io l'avrei ammazzato XD
Ovviamente Shinichi ha dovuto informare anche Haibara e Agasa del guaio combinato... e come poteva prenderla Ai?XD
E con questo, Conan se ne andrà definitivamente dai Mouri! D'ora in poi vivrà sbattuto tra casa sua e quella del professore, con di tanto in tanto visite speciali ;)

Non dico nient'altro, e lascio a voi i commenti! Spero di aver reso la parte bene :)

Ringrazio i recensori dello scorso chap, e chi ha inserito la storia tra le preferite!


Grazie ancora per seguirmi. Siete magnifici.
Ci vediamo alla prossima! (chissà se altrettanto veloce.....)XD
Un bacione grande,
Tonia

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Capitolo 28
*** Non mi manchi tu, non ti manco io ***


Your Lies
27.
Non mi manchi tu, non ti manco io

 

 
 
Erano passati cinque giorni dal loro addio, e la cosa più buffa era che il mondo pareva non accorgersene. Come sotto l’effetto di un ingranaggio gigante ed invisibile, tutto intorno ruotava e si muoveva esattamente come se non fosse successo nulla: i genitori accompagnavano i propri figli a scuola, i ragazzi si incamminavano assonnati verso casa, i manager e gli impiegati correvano su e giù per le metro per beccare il treno che avrebbe fatto arrivar loro due minuti prima al traguardo. Tutto era maledettamente uguale. Cinque giorni di lotta interiore e di pianti, cinque giorni di parole dette e non. Sonoko aveva provato inutilmente a scucire la bocca dell’amica ma senza alcun risultato. Anche Saigo aveva tentato a fare altrettanto, borbottando parole di disgusto nei confronti del detective. Solo Hana non era tornata a scuola, e se ne ignorava la ragione. In altro modo, Conan era precipitato ancora nella sua deprimente e odiosa vita da bambino di sette anni. I detective boys avevano notato la sua silenziosità e la sua bruschezza nel rispondere alle loro domande, ma era troppo ingenui e piccoli per capire che cosa stesse accadendo. Sapevano soltanto che il loro piccolo amico era andato a vivere nella casa che un tempo avrebbero voluto visitare, perché credevano fosse infestata dai fantasmi. E vuoi per i compiti, vuoi per un po’ di paura, non erano ancora passati a trovarlo. Ma a Shinichi non importava la loro compagnia. Dopo esser andato a scuola, tornava a casa accompagnato da Haibara, che non la smetteva un secondo di rinfacciargli quanto fosse idiota e stupido. Erano stati cinque giorni di puro mistero: che cosa aveva inventato Ran per giustificare l’improvvisa partenza del piccolo da casa loro ancora era ignoto. Contraria a solo pensiero di dover raccontare bugie per lui, e divisa nell’insolito volere di tener tutto segreto, era riuscita a biascicare solamente un «doveva andare», mandando Kogoro su tutte le furie. Erano cinque giorni che il detective in trance non risolveva nessun caso, e Ran aveva intuito anche il perché. Ciò non fece che farla infuriare di più: pensare che quel ragazzino avesse sfruttato e preso in giro anche il padre, con chissà quale metodo, la mandava fuori di sé.
Erano cinque giorni che Shinichi Kudo era segnato assente in classe, e cinque giorni che s’era imposta di non pensarci. Nel letto, la sera, era solita ricordare gli ultimi momenti passati con lui e tutti i guai combinati con Conan. Ancora non riusciva a distinguere i due per bene perché, anche se sapeva di dover essere arrabbiata con entrambi, provava forte odio e rancore solo nei confronti di quello adulto. Nonostante l’ultima volta che c’aveva parlato aveva fuso la voce di Shinichi con il corpo del piccolo, non era facile pensare a Conan come il liceale. Certe volte provava anche la mancanza di quel bambino dolce e occhialuto, chiedendosi dove fosse.
Ma poi si riprendeva, sapendo di star solo farneticando. E prima d’addormentarsi tornava a dirgli sottovoce, lasciando che una lacrima bagnasse il cuscino infreddolito, «addio».
Shinichi, invece, non faceva che scrutare  il display del cellulare per controllare se fosse arrivato qualche messaggio, e quando succedeva, si deprimeva nel constatare che non fosse lei. Ma non lo ammetteva, e se glielo notavano fare, inventava la scusa dell’orario.
Passava le giornate nella biblioteca di casa sua, col naso all’insù ad osservare i libri e a leggerli, qualsiasi fossero. In un pomeriggio rilesse tutto Sherlock Holmes daccapo, con particolare attenzione a Il segno dei quattro, il suo preferito; due giorni per la collezione di Agatha Christie e due ore abbondanti per Assassino sull’Orient Express; e un altro giorno per i libri di Ellery Queen, quelli che gli ricordavano Heiji, perché erano i suoi preferiti. Eppure anche i gialli parevano non suscitare più l’interesse di un tempo; ma lui si convinse che fosse a causa del fatto che li aveva riletti per la centesima volta, e che non ci fossero altre spiegazioni.
L’ultimo che aveva iniziato era I delitti della rue Morgue di Poe, ma dovette fermarsi al ventesima pagina a causa del professore Agasa. Come ogni sera lo chiamava per farlo venire a cena da loro in modo che non rimasse a digiuno per molto. Posò il libro sulla scrivania e si diresse verso la villa del dottore, particolarmente impermeabile a ciò che lo circondava. Aprì la porta di casa recitando uno scocciato «ciao», poi alzò il volto e notò che non fosse l’unico ospite quella sera.
«Kudo! Finalmente! Sono arrivato proprio cinque minuti fa! Si può sapere che cavolo è successo!?»
Conan strabuzzò leggermente gli occhi. «Hattori... tu che ci fai qui?»
L’amico si grattò la testa con una mano. «Sai, il professore mi ha avvisato che tu e Ran avete litigato... che lei ti ha scoperto... che ora vivi a casa tua... e appena l’ho saputo sono corso!»
Shinichi osservò il professore con sguardo truce. «Non c’era bisogno ti scomodassi» gli disse poi, freddo.
Ma Heiji non ci fece caso: era abituato a quel comportamento. Conosceva alla perfezione questo suo insopportabile aspetto. Quando c’era qualche problema lo voleva solo per lui, senza il bisogno di sfogarsi con qualcun altro. Ma lui c’era sempre, bene o male. E gliel’avrebbe fatto capire.
«Non avevo nulla da fare ad Osaka» disse, sorridente. Poi lo imitò e prese posto a tavola, dove il dottore aveva riempito i piatti di riso al curry. «Allora?»
«Allora cosa?» fece lui, ignorandolo quasi.
«Che è successo?»
«Non te l’ha già detto il dottore?»
«Sì, ma...» provò Heiji, sempre col sorriso sulle labbra.
«E allora non ho nulla da dirti» tagliò corto il bambino, addentando un po’ di riso e facendosi passare del pane. Agasa fece una smorfia ma Ai avrebbe tanto voluto tirargli il piatto appresso.
«Kudo, solo perché la tua fidanzata non ne vuole più sapere di te non c’è bisogno di trattare male tutti quelli che hai intorno».
«Taci Haibara».
«Ragazzino? Abbassa la cresta e torna coi piedi per terra. Qui non stiamo a tua disposizione!»
Ma Shinichi la ignorò, ed Heiji si sentì leggermente imbarazzato. Il piatto del detective fu svuotato nel giro di qualche minuto, e l’amico di Osaka parve capire anche il perché.
«Grazie della cena, meravigliosa» disse, indietreggiando con la sedia e poggiando i piedi a terra. «Adesso vado via. Buonanotte.»
«Aspetta, Shinichi!» lo richiamò il dottore, prima che potesse lasciare il tavolo. «C’è ancora la frutta... e il dolce!»
«Non ne ho voglia, ma grazie lo stesso» disse, e velocemente fuggì via, lasciando che la sua piccola figura divenisse sempre più scura e si nascondesse tra il buio del giardino. Heiji abbassò il capo sulla fetta di torta che il dottore gli aveva servito, fingendosi disinteressato.
«Non farci caso, Heiji. È un brutto periodo per lui» cercò di rincuorarlo il dottore, sorridendogli benevolo.
«Oh... no, non fa nulla. Lo conosco abbastanza da poterlo capire» disse lui, ricambiando il sorriso. Ma dovette ammetterlo a se stesso: un po’ era dispiaciuto.
«Non è un buon motivo per trattare una schifezza chi gli sta accanto» fece laconica la piccola.
«Però anche tu, Ai! Citare Ran...» fece il dottore, esasperato, mentre Heiji gli passava i piatti da lavare.
«Cos’è, adesso? Il nuovo Voldemort del mondo del detective Conan? Colei-che-non-deve-essere-nominata?»
Heiji sorrise appena, e il dottore lo imitò.
«No, ma... lo sai che fa finta di non pensarci quando in realtà sta male...»
Ai sbuffò, seccata. Riordinò la tavola, aiutata dal giovane di Osaka, e lasciò cadere le posate nel lavandino. Si mise il camice da scienziata e lo aggiustò in modo da farlo aderire per bene. Scese lungo la scala curva che portava al seminterrato e lasciò i due uomini da soli.
Agasa si divertiva a lavare i piatti, e nonostante Heiji si fosse proposto di aiutarlo, lui volle fare tutto da solo.
«Lo sai, è dal primo giorno che ti ho visto che ho capito che sei proprio un bravo ragazzo. Shinichi è stato fortunato a trovare un amico come te» gli disse, facendolo imbarazzare.
«Ci siamo trovati a vicenda», Heiji lo sguardo alla televisione, tanto per non guardare il vecchio.
«Potrebbe sembrare che lui non ci tenga a nulla però...» provò il dottore, ma lui lo bloccò.
«Lo so, professore. So com’è fatto.»
«È ammirevole pensare che ti sta bene così.»
«A me non sta bene così. Però lo accetto. Abbiamo tutti dei difetti.» Hattori scosse il capo. «Quando incontrai Shinichi per la prima volta pensai che fosse perfetto. Parlo del suo modo d’investigare, eh, precisiamo!» sorrise, poi tornò a parlare. «Mi affascinò talmente tanto che decisi di rivederlo, ma nulla. Chiesi di lui a molte persone e mi dissero che era da tempo che non si vedeva... così cominciai ad avere dei dubbi. Poi scoprii che s’era rimpicciolito, e lui voleva negarlo...»
E mentre parlava gli ritornarono in mente tutti i momenti passati insieme. Era incredibile come fosse riuscito a capirlo man mano, ed era altrettanto impensabile credere che Ran, dopo anni, non volesse farlo.
«Forse era meglio lasciarla morire davvero...» fece Heiji, colpito dalle lacrime della giovane assassina. Ma Shinichi lo zittì, abbassando gli occhi al pavimento. «Stupido...» disse, attirando la sua attenzione.
«Un detective che incastra un colpevole spingendolo al suicidio, non è diverso da un assassino...»
Hattori sorrise, e facendo finta di tapparsi le orecchie, lo stuzzicò: «Ahi, ahi, che dolore all’orecchio!» disse, poi aggiunse: «una battuta proprio degna di te, Mister Perfezione...»
Ma Conan non sembra proprio entusiasta. Ridacchiò, ma fu un sorriso amaro.
«Eh! La perfezione non esiste... io sono una persona, una persona soltanto...»
«Era per non metterti in pericolo!» aggiunse il dottore, sistemando i piatti su un panno per farli asciugare.
«Forse.»
«Come “forse”?» inarcò un sopracciglio Agasa, stranito.
«Credo che lui abbia sempre voluto voler fare tutto da solo. Non era solo una questione di protezione, ma anche di orgoglio. Shinichi credeva che da solo potesse risolvere tutto. Poi s’è accorto di non essere perfetto, di essere anche lui un essere umano... ed io l’ho capito insieme a lui. Ed anche se s’era infranto quel mito di perfezione che mi ero creato, inaspettatamente... è stato meglio. Perché penso che puoi dire di voler bene ad una persona solo quando riesci ad accettare i suoi più tremendi difetti.»
Agasa parve colpito da quelle parole, ma non disse più nulla sull’argomento. Per un’oretta lui ed Heiji guardarono la tv, poi andarono a dormire. Il giovane di Osaka era stato sistemato sul divano della villa, un po’ arrangiato, ma abbastanza comodo. Certo, aveva immaginato una serata diversa, ma si disse che il giorno dopo avrebbe riprovato a parlarci. Perché se il peggior difetto di Shinichi Kudo era la freddezza, quello di Heiji Hattori era la testardaggine.
 
 
 
«Ran, ti muovi? Faremo tardi a scuola!»
«Vengo, vengo!»
La giovane karateka scivolò giù per le scale velocemente, e piombò sul suolo della strada con leggera violenza. Ad aspettarla c’erano Sonoko e Saigo, entrambi con le cartelle marroni in mano. Ran rivolse un sorriso ad entrambi s’avviò con loro verso l’istituto, acconciandosi i capelli che per la foga s’erano elettrizzati tutti.
«Oggi c’è il compito di Giapponese. Ran tu hai studiato?»
«Certo!» disse, gioiosa. «E tu, Sonoko?»
Lo studio era un ottimo modo per distrarsi. Considerando che l’ultimo compito gliel’aveva passato lui, perché lei s’era impegnata troppo a perdere tempo appresso alle sue idiozie, Ran s’era ripromessa di riprendere il ritmo che aveva prima che lui tornasse. Così, dopo esser tornata dal liceo, si rinchiudeva in camera e studiava il più possibile. Le materie che aveva tralasciato in quel periodo furono quelle su cui si impegnò di più, mentre delle altre fece solo una ripetizione generale.
«No! Makoto mi ha chiamato e mi ha detto che sarebbe tornato oggi... ed io, dall’impazienza, ho abbandonato il libro a se stesso...»
«Sonoko, non dare la colpa al tuo ragazzo se non hai voglia di metterti sui libri...» la punzecchiò Saigo, ridacchiando.
«Ma è vero! È tutta colpa sua!» scoppiò a ridere, contagiando anche Ran. E visto che la karateka era stia al sorriso in quei giorni, ciò non poté che far immensamente piacere ai due amici.
«Io invece oggi ho il compito di informatica. Che noia.»
«E tu, Saigo Yami!? Hai studiato?!» lo rimbeccò Sonoko, punzecchiandolo con il gomito.
Il giovane sorrise. «Sono troppo genio per studiare...»
Sonoko scoppiò a ridere, ma Ran si bloccò all’improvviso. Lo fissava con terrore e paura. Quella frase, quel modo di dirlo, era troppo da...
«Ran? Ti vuoi muovere o no?»
Gli amici la richiamarono. Lei si diede una scossa. Come poteva anche lontanamente paragonare quell’essere schifoso a Saigo? Si morse un labbro, nervosa. Poi li guardò e li raggiunse.
Odiava ricordarlo, ma era soddisfacente pensare a lui in quel modo. Non era più il desiderio di una volta, né c’era più la voglia di vederlo e sentirlo, non provava più il desiderio di chiamarlo. Era tutto finito ed era straordinariamente liberatorio.
 
 
 
Il campanello di casa Kudo suonò per tre volte prima che il suo piccolo abitante decidesse di andare ad aprire. In quei giorni aveva seriamente pensato di non voler più andare a quella stupida scuola: che senso aveva? Lui il diploma d’elementari già l’aveva, perché doveva fare sempre le stesse cose? Avrebbe potuto passare un’intera giornata a leggere libri, o magari a rivedere i fascicoli dei casi risolti da suo padre, ancora nella biblioteca. Avrebbe potuto ricavarne consigli preziosi, e lui non voleva mai smettere di imparare ad essere un detective. Ma era inutile, tutto inutile. Probabilmente adesso erano quei mocciosi che avevano finalmente trovato il coraggio di passare il cancello. Shinichi odiava tutti in quel periodo e non osava chiedersi il perché. Ma sulla soglia della villa apparve Heiji, sempre col solito sorriso stampato in faccia.
«Buongiorno Kudo. Passata una bella nottata?»
«Sei ancora qui?» gli chiese rapidamente, quasi stupito. La domanda non era brusca ed Hattori parve capirlo.
«Be’ sì, vuoi proprio cacciarmi?» lo punzecchiò, facendosi spazio sull’entrata.
«N-no» disse, un po’ incerto. Ma era per via dello sguardo: Shinichi non stava osservando Heiji, ma un punto fisso più o meno di fronte a lui, in lontananza.
«C’è qualcuno lì» disse rapidamente, poi cominciò a correre, nella speranza di dare delle prove ai suoi sospetti. Raggiunse il cancello d’entrata e diede uno sguardo a destra e a sinistra, qualche secondo dopo si accodò il giovane di Osaka, stranito.
«Chi era?» chiese Heiji.
«Non... non lo so. Ho visto un’ombra, ma...» osservò la strada, completamente deserta. «Ma è scomparsa».
«Be’, non può essersi smaterializzata» constatò quello di Osaka. «Che dici se la cerchiamo?»
Ma Shinichi fece una smorfia. Da lontano vide arrivare i detective boys, con la loro solita felicità ed allegria, che proprio in quel periodo, faceva saltare tutti i nervi del piccolo liceale.
«Non posso, sono arrivati».
«Suvvia! Dico loro che stai con me» disse Hattori, facendogli l’occhiolino. I piccoli arrivarono e il detective dalla carnagione olivastra li avvicinò, con le mani sui fianchi.
«Ragazzi, oggi vi rubo per un po’ il vostro amico. Fate le tabelline anche per lui eh, non sia mai se ne perdesse una...» ridacchiò tra sé e sé, ma Conan rimase impassibile.
«Uffa Conan! Già hai saltato tantissimi giorni! Guarda che ti bocciano!» lo rimbeccò Ayumi, contrariata.
«Non me ne può fregare un accidenti».
Heiji scoppiò a ridere per smorzare la tensione che s’era venuta a creare, facendo loro pensare che Conan li stesse prendendo in giro.
«Su su! Andate a scuola che è tardi!»
«Ok...» disse la piccola, imbronciata. «Però domani vieni, vero?»
«Se avrò voglia» ribatté brusco. Ma Ayumi era quasi sull’orlo di una crisi di pianto. I suoi occhi cominciarono a luccicare e le palpebre a gonfiarsi di lacrime. Un attimo dopo stava piagnucolando, con il naso che tirava all’insù.
«Ma... ma... cos’hai co-contro d-di m-me?» singhiozzò, mentre Mistuhiko e Genta la raggiungevano e tentavano di rassicurarla.
«Conan, chiedile scusa!»
«Ma cos’hai eh? Se non vuoi più essere nostro amico diccelo!»
Ma Shinichi aveva occhi solo per Ayumi. Quel modo di strofinarsi le palpebre umide, quel modo di singhiozzare e lamentarsi... assomigliava terribilmente al suo...
«Scusami piccola» aggiunse quel soprannome dimentico di esserlo anche lui. Ma lì era Shinichi a parlare, e quasi accadde quello che avvertì Ran circa una settimana prima: le loro voci parevano fondersi... Ma forse perché lui non stava più parlando ad Ayumi, forse perché davanti aveva Ran...
La bambina parve riprendersi, e con la velocità di un fulmine mutò espressione. Lo strinse in un abbraccio e gli diede un bacio sulla guancia, ridacchiando felice.
«Ayumi!» la scrollò da sé Conan, imbarazzato. Mistuhiko e Genta parvero indiavolarsi, mentre Heiji rideva a più non posso.
«Che dolce che sei certe volte!»
I due bambini protestarono all’unisono.
«Ma se fino ad adesso ti ha trattata male!»
«Tsk, donne...» fece Genta.
Heiji aveva le lacrime agli occhi.
«Ayumi!!» continuò a chiamarla, nella vana speranza che si stesse zitta, almeno in quel momento, almeno quando c’era Hattori nei paraggi.
«Conan dai, non fare il timido!» lo rimbeccò l’amico, piangente.
Il piccolo lo osservò torvo. «Stai zitto tu!»
«Va be’, adesso allora noi andiamo... a presto, Conan!» lo salutò amorevole Ayumi, e trascinando i suoi due amichetti, si diresse verso la scuola elementare. I lamenti di Mistuhiko e Genta erano ancora udibili dal fondo della strada.
Shinichi rimase lì, a fissarla, ancora per un po’... Somigliava molto a Ran per certi versi, ma in altri era proprio l’opposto. L’amica d’infanzia era stata sempre così timida, non gli aveva mai dato un bacio da piccoli... e molto probabilmente, anche da adulti, non gliene avrebbe dato più nessuno in vita sua...
Heiji tossicchiò, facendolo rinsavire.
«Non-dire-una-parola» disse Conan, ancora imbarazzato.
«Hai fatto colpo eh?»
Shinichi sbuffò, ma l’amico rincarò la dose.
«Oh, Conan! Che dolce che sei! Oh, Conan!» disse melodrammatico, imitando la vocina stridula di Ayumi.
«Ok, me ne vado» fece, tornando verso casa, ma Heiji lo bloccò per il braccio e rise.
«Dai, scherzavo! Andiamoci a fare un giro, ti va?»
Shinichi sospirò. Tornò indietro e chiuse la porta a chiave, poi s’avviò con l’amico verso un’ignota destinazione.
 
 
 
Un calcio, poi un altro, poi altri due. Il manichino di gomma messo apposta lì per far esercitare i karateki era sotto gli abili colpi della campionessa della scuola, Ran Mouri. La cintura nera stretta alla vita e il sudore che le colava in faccia facendole appiccicare i capelli sulla fronte erano solo una piccola immagine di quello che sentiva dentro. Nella sua mente quel manichino aveva preso la forma di Shinichi. Vedeva ogni particolare, e con tutta la forza che aveva, mirava sempre a colpire quegli occhi. Quanto li odiava? Occhi ingannatori e traditori. E poi le labbra, che avrebbe tanto voluto spaccargli per davvero, visto che aveva osato prenderla in giro proprio in tutti i modi. Magari se avesse mirato ancora più sotto gli avrebbe fatto passare proprio la voglia di prenderla in giro!
Adesso che ci pensava avrebbe tanto voluto averlo di fronte: che dolori gli avrebbe fatto passare... un pugno, un calcio, uno schiaffo, un altro calcio ed un altro pugno...
«E se ti baciassi?»
Il tempo quasi si fermò attorno a loro. Ma mentre il cuore di Shinichi palpitava di tenacia ed intraprendenza, quello di Ran si bloccò per qualche istante, incredulo. Le sue stesse orecchie s’erano chiuse per poi riaprirsi violentemente, al suono di quella voce. E dopo qualche attimo di trance, la karateka si risvegliò, come da un dolce e bellissimo sonno.
Comprese, allora. Era mutato il loro rapporto? Tanto valeva andare fino in fondo, e non guardare più al passato. E se lui voleva giocare a vincere, lei no, non gliel’avrebbe data di nuovo vinta.
Sorrise così, sicura. «Ti rifiuterei.»
Lui ghignò. «Come le ultime due volte?»

Scagliò un calcio ancora più potente al manichino, quello barcollò per alcuni secondi poi riprese l’equilibrio.
«Stronzo!»
Diede un pugno al viso dell’omino, facendolo quasi cadere all’in piedi, ma ancora una volta, quello si rialzò.
«Sembra che tu non riesca a liberarti, karateka...» le soffiò in un orecchio, facendola rabbrividire.
«Ci riuscirei, se volessi farti del male...»
Ran sospirò, esasperata.
«Se vuoi la guerra...»
Utilizzò, così, la gamba. Facendo carico su di lui, e rimanendo a mezz’aria per qualche secondo, spintonò il suo piede contro quello dell’investigatore. Essendo teso a trattenere l’altro arto, Shinichi perse equilibrio alla sua destra, e in pochi istanti cadde a terra, trascinando con sé Ran.

Ran imitò la sua stessa mossa di qualche mese prima, ignorando completamente di trovarsi di fronte ad inerme manichino rosso. Lo scagliò a terra con tutta la violenza che aveva e quasi esultò nel constatare che non si muovesse dal pavimento.
«Ma che diavolo t’ha fatto quel manichino?»
La giovane si girò all’improvviso. Ad un metro di distanza c’era Saigo, con un asciugamano sulle spalle e la borsa appena poggiata a terra. Gli sorrise, felice di vederlo.
«Vuoi sostituirlo?» lo stuzzicò, ridacchiando.
Saigo scoppiò a ridere. «Avrei voglia di tornare intero a casa, sai com’è».
«Farò piano, dai...» si avvicinò e lo trascinò per qualche metro, mentre lui rideva. Saigo s’avvicinò dolcemente a lei, e sfiorandole l’orecchio, fece: «Poi mi guarisci tu se mi fai male?»
Ran si ritrasse all’istante. Pareva aver sentito parlare Shinichi. Lo fissò per un po’, terrorizzata, poi si staccò e distanziò di un metro.
«Che ho detto?» sorrise lui.
«Presta attenzione, Yami» fece, poi cominciò a tartassarlo di calci. Uno di questi colpì la sua spalla, e quando il giovane si fu accovacciato, Ran gli sferrò un colpo sul petto.
«Ferma, ferma», Saigo era scoppiato a ridere.
Ran lo fece cadere all’indietro, dandogli un nuovo colpo al petto.
«Sei ancora lento nei movimenti».
«O forse tu sei troppo veloce».
«Ciò non toglie che devi allenarti ancora».
Saigo sorrise, tendendole la mano. «Allenami, allora».
Lei fece sì che si rialzasse. Prese l’asciugamano e lavò via il sudore, poi si sedette sugli scalini. Saigo la imitò, guadagnandosi un’occhiata truce.
«Tu dovresti allenarti, non riposarti».
«Ma se la mia insegnante si riposa a me chi insegna le tattiche?»
Ran sorrise. «Furbo così».
«Io sono un furbetto».
Le strappò un risolino. «Ma non ti impegni abbastanza! Vuoi partecipare o no alla finale?»
«Tu non lo farai?»
Ran fece spallucce. «Non so, non mi sono impegnata abbastanza in questo periodo».
L’amico strabuzzò gli occhi. «Ran, tu hai massacrato quel manichino! Guardalo, è ancora lì che giace a terra, inerme!» indicò l’omino.
«Ma quello era un manichino! Contro gli avversari veri è più difficile! E tu hai bisogno proprio di questo!»
Saigo s’alzò e trascinò con sé l’amica.
«Allora penserò che sia qualcuno che mi sta sulle... hai capito» disse poi, facendola ridere.
«Tipo? Chi?» s’incuriosì lei.
«Kudo» disse. Ran spazzò via il suo sorriso in un attimo.
«Lo odio perché ti ha fatto qualcosa che ti fa star male... lo capisco sai?»
La ragazza non rispose, abbassò soltanto il capo.
«Non ti merita quel ragazzo, non capisco cosa ci trovi di bello».
«Che ci trovavo, al massimo» ci tenne a puntualizzare lei.
Ma il karateka non aveva voglia di fermarsi. «Perché è scomparso? Che ti ha fatto, Ran? Ti giuro che se ti ha fatto qualcosa di male, io...»
«Saigo, per favore...»
«Ti ha fatto qualcosa di male? Ran, rispondi!»
«SAIGO!» urlò lei, mentre la sua voce rimbombava sulle pareti della palestra. «Per favore! possiamo far finta che lui non sia mai esistito?!»
Il ragazzo annuì, ancora intrepido. La vide tornare indietro e prendere la borsa, posare l’asciugamano sulle spalle e cominciare ad avviarsi. Si girò e lo guardò: «ci alleniamo domani dai. Adesso ho voglia di un gelato».
 
 
 
«Secondo te quell’ombra che hai visto a chi apparteneva?»
«A qualcuno che piace farsi i fatti degli altri» rispose laconico Shinichi, camminando a piccoli passi sulla riva del lago. «Ma comunque, anche se fosse qualcuno dell’organizzazione, non ho problemi ad affrontarlo.»
Hattori fece per ribattere ma il suo cellulare squillò ed interruppe momentaneamente i suoi pensieri. Lo afferrò e rispose alla chiamata; dall’altra parte c’era Kazuha.
«Stasera? Ma sei impazzita?» disse, ma Conan non poteva ascoltare la voce dell’amica e dunque il resto della conversazione. Quindi rimase ad aspettare che Hattori concludesse la chiamata e gli spiegasse che stesse accadendo.
«Ok, ok... allora ci vediamo qui» fece, poi rivolgendosi all’amico: «Sta venendo a Tokyo. Dice che vuole passare un po’ di tempo con Ran. Ti manda i saluti.»
Conan fece un debole sorriso. «A Conan o a Shinichi?»
«Entrambi».
«Ricambia, da entrambi.»
«Oh cavolo! Perché non c’ho pensato?!» esclamò all’improvviso il giovane di Osaka, mettendosi le mani sul viso.
«A cosa?»
«E se invece fosse stata di Ran?» buttò lì Heiji, al che il detective piccolo alzò il capo e lo guardo per un po’, come a chiedergli se fosse idiota o deficiente.
«Impossibile».
«Perché impossibile? Potrebbe voler vedere che vita stai facendo... magari le manchi già.»
«Hattori... forse non hai afferrato la situazione.»
«Spiegamela.»
Conan sbuffò. «Non ho voglia di parlarne, ma posso assicurarti che lei ha fatto la sua scelta.»
«Ma perché lo dici?»
«Perché la conosco! Abbiamo chiuso, capisci? Chiuso, per sempre! Ran non è la tipa che spara parole perché ne ha voglia... se mi ha detto certe cose è perché le pensava. Io non posso farci più nulla.»
«Ma tu le hai spiegato perché le hai mentito?»
Lui scosse il capo. «No, non me ne ha dato la possibilità».
«Ma devi farlo! Appena torni normale parlale, dannazione!»
«No... e poi alla fine lei ha fatto quello che io non ho mai avuto il coraggio di fare. L’ho esposta a fin troppi rischi da quando combatto contro l’organizzazione. Anche solo andare a vivere a casa sua è stata una stronzata.»
«Sono sicuro che la sua è solo rabbia. Aspetta che si calmi, vedrai che le passerà...» Heiji sospirò. «Lei sta male quanto te, Kudo...»
«Io non sto male, Hattori!» lo rimbeccò lui, torvo.
«Sì, come no... stai una favola, guarda...»
«No, non sto male. Sono solo... deluso» disse, mentre l’erba si afflosciava sotto i suoi piedi.
Heiji lo guardò strano e lui continuò: «pensavo che la prendesse meglio... cioè, non m’aspettavo che mi facesse un applauso, però che capisse... o che si interessasse almeno al motivo... invece no. E va be’, significa che doveva andare così.»
L’amico incrociò le braccia al petto e aspettò che finisse di parlare. Quando furono giunti al punto più bello del lago, dove un centinaio di cigni galleggiavano sopra, Hattori si schiarì la voce.
«E allora perché indossi quel talismano?»
Conan parve strozzarsi. «Eh?»
«Quello che hai al collo. Se non stai male, perché lo indossi?»
«Ah, questo...» fece il piccolo, sfiorandolo con le dita. Finse disinteresse. «Mi piaceva.»
«È un talismano condiviso, vero?»
«Che?»
«Un talismano di cui gli effetti ne risentono due persone.»
Conan parve stupito. «Ma come...»
«Come lo so? Amico, ti ricordo che sono perennemente in contatto con Kazuha. Lei è un’esperta di queste cose.»
Silenziarono qualche minuto, giusto il tempo di osservare due cigni unire le loro testi.
Shinichi riprese a camminare, furioso. Aveva stampata sul volto un’espressione disgustata.
Si vergognava di se stesso. Lui non ci credeva a quelle stupidaggini. Sapeva che in realtà quell’oggetto non aveva nessun potere magico, né nessuna influenza sulla sua vita. Eppure l’aveva messo al collo, proprio come fece lei quando glielo regalò.
«Non lo so nemmeno io perché lo indosso... ‘sto coso...», e lo strappò via, gettandolo a terra. 





Ciiiiao! :) Sono tornata, altrettanto veloce! 
Allora.. di cosa parliamo? XD Di Shinichi e Ran che ormai sembrano più lontani che mai? Di Hattori che non si fa mai i fatti suoi? Di Ayumi che tra qualche anno farà le stessa fine di Ran? Del talismano gettato a terra dal detective? Non è dolce il fatto che l'abbia messo nella vana speranza di riavvicinarla? ** Oppure parliamo di Ran proprio? E di Saigo che ha totale campo libero al momento? Ne sono sucesse tante U___U
Come avrete intuito, la rabbia di Ran Mouri va ben oltre la semplice litigata. Quando pensa a lui è totalmente disgustata ed incapace a ragionare!
Non so se siete mai stati arrabbiati a morte con qualcuno... io sì, e posso assicurarvi che non passa in fretta U_U Shinichi finge di stare bene ma non potrebbe recitare peggio, e Hattori si preoccupa per lui ** Voglio un amico come Heijiiiiiiiiiii! :(
Ah, e poi c'è l'ombra fuori casa Kudo... di chi sarà? :P
Bene, lascio a voi i commenti XD
Ah, ci tenevo a dire una cosa... Se avete notato, uno dei generi della storia è "triste" perché in realtà Your Lies sarebbe dovuta partire dal momento in cui Ran scopre Shinichi. Ma capendo che, in qualche modo, dovevo porre delle basi alla reazione di Ran, ho sviluppato tutti gli altri capitoli... Dunque non aspettatevi momenti gioiosi da questo punto in poi, perché rimarrete un po' delusi XD Vi ho avvertito U_U Tutto sta nel capire la reazione di Ran. La karateka è arrabbiata perché, proprio come nel manga (File 814 docet), dopo che lui le ha detto di amarla viene a scoprire che le ha raccontato solo bugie. Non è una bella cosa. Ovviamente Shinichi si aspettava di meglio, ma anche lui ha esagerato nel mentirle... e dobbiamo ammettere (nonostante siamo un po' tutti fan di Shinichi) che i suoi torti ce li ha xD
Vedremo come si evolverà ;)
Un bacione ai recensori dello scorso chap! <333333


Alla prossima!
Tonia

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Capitolo 29
*** Il seggiolino della crescita ***


◆ Capitolo Ventotto 
Il seggiolino della crescita






L’ufficio di suo padre era praticamente deserto dopo la dipartita di Conan. La questione era che a Kogoro erano stati affidati tre compiti, ed in tutti i casi non era riuscito a cavarne nemmeno un indizio. Adesso era più che sicura che quell’essere, come lo chiamava adesso, aveva sfruttato anche suo padre durante quel maledetto periodo che lo aveva considerato come un fratellino. Però, in fondo, Kogoro non sembrava farci caso. Per fortuna le cose con Eri andavano una meraviglia, talmente bene che Ran quasi provò invidia per loro. Due volte li aveva beccati a baciarsi in cucina ed intimidita era fuggita via, sperando vivamente che non le capitassero più situazioni del genere. Era felice che i suoi fossero tornati insieme, ma vederli in certi atteggiamenti era qualcosa di tremendamente imbarazzante. Forse perché adesso capiva cosa significa sentirsi desiderate e desiderare, forse perché l’aveva provato, e forse perché se ne era pentita, ma da un paio di giorni aveva incominciato a controllare gli spostamenti dei suoi genitori, cosicché da poterli evitare. Quella sera erano entrambi sopra in camera da letto (Ran non osò chiedersi a fare cosa e perché fossero saliti prima) ma una voce squillante arrivò a spezzare quell’angosciante e monotona giornata. Proveniva dal basso, oltre la finestra dell’ufficio del padre (dove lei si era rifugiata), e continuava a chiamarla con insistenza.
Sporgendosi oltre il vetro, la karateka si imbatté in Kazuha. Era sul bordo del marciapiede, e mentre con una mano sorreggeva un borsone, con l’altra la salutava allegramente.
«Kazuha!» esclamò, sorridente. «Che ci fai qui?»
«Sono venuta a trovarti» spiegò quella, come se fosse ovvio. «Salgo?»
Ran annuì e si precipitò alla porta, dove vide l’amica affaticarsi nel salire le scale. Poco prima dell’ultimo gradino le si fiondò sopra, abbracciandola con forza.
«Scusami se mi presento a quest’ora, ma il volo che avrei dovuto prendere è stato annullato.»
«Non preoccuparti! Sei venuta da sola?» le chiese, ma si pentì due secondi dopo averlo detto. Era impossibile non collegare Hattori a Shinichi, neanche volendo.
«Be’, sì! Heiji è già qui... ma perché? Non vi siete visti? Mi ha detto che era con Conan...»
Ran trattenne a stento la rabbia. Certo, era facile collegare Hattori a Shinichi, ma Hattori a Conan era un po’ più strano. Adesso riusciva a comprendere l’attaccamento morboso del detective al piccoletto! Le era sempre parso strano quel rapporto... e prima d’allora non c’aveva nemmeno mai pensato! Ciò valeva a dire che l’amico di Osaka era a conoscenza di tutto quello che l’essere le aveva fatto passare, e nemmeno lui gliel’aveva detto. Probabilmente anche Kazuha lo sapeva, pensò, ma poi si ricredette. Se le aveva parlato in quel modo significava che non conosceva la verità, e dunque Ran non si sarebbe potuta sfogare come avrebbe voluto. Le sarebbe piaciuto parlare con qualcuno della verità di tutto, ma per qualche strano motivo faticava a spiegarla. Era come un tabù.
«Ehm... Conan è andato via da qui» si limitò a dire poi, notando la curiosità dell’amica nell’aspettare una risposta.
«Davvero?! E come? Cioè, voglio dire, perché è andato via?»
«È una storia lunga da spiegare» disse.
Kazuha non parve convinta. Ran la aiutò a trasportare il borsone all’interno, dove le offrì un po’ di the e dei biscotti. Si sedettero sul divano una di fronte all’altra.
«E Kudo? Come sta? Come va tra di voi?»
La karateka strinse forte tra le mani la tazza. Era confermato che Kazuha fosse all’oscuro di tutto, e ciò valeva a dire che anche Hattori s’era preso la briga di non dire nulla.
Sbuffò, bevendo un sorso del the. «Ci siamo lasciati.»
Quella strabuzzò gli occhi e si mosse talmente velocemente che quasi si rovesciò tutto il liquido addosso.
«Cosa!?!?» sbottò, incredula. «Ma voi... voi stavate insieme l’ultima volta che ci siamo visti! Che è successo?!»
Ran sbuffò ancora una volta. Parlare di quell’essere le faceva salire l’ira fino alla punta dei capelli, ed era questo il motivo per cui aveva evitato di farlo negli ultimi giorni. Avrebbe distrutto la tazza se non si fosse contenuta.
«Ci siamo lasciati circa una settimana fa...» cominciò debolmente, mentre le dita tentavano di non distruggere i biscotti sotto le sue mani. «Mi ha mentito su tutto, mancato di rispetto e fiducia. Ho capito che non faceva per me e da allora non l’ho più visto né sentito.»
Kazuha aveva la bocca talmente aperta che la mandibola quasi arrivava al pavimento. Poi rise, un po’ nervosa. «Aspetta... stai... stai scherzando, vero?»
Ran scosse il capo, mordendosi il labbro. «No, no... sono seria.»
«Ma che significa ti ha mancato di rispetto e fiducia? E... ti ha mentito su tutto? In che senso?!»
Ran fece un altro sospiro. Una morsa le contrasse lo stomaco e tenne il the in bocca più del previsto. Sentì che avrebbe potuto vomitare da un momento all’altro. Poi alla fine si decise a deglutire, e con grande sforzo, addentò un altro biscotto.
«Kazu... non dirmi nulla, ti prego. Scusami, ma non ho voglia di parlarne...» disse poi, con voce fievole e rotta. Sembrava quasi che stesse per piangere, ma le lacrime erano bloccate da un muro invisibile all’altezza delle palpebre. L’amica parve intenerirsi.
«Certo...» fece lei, poco convinta. «Però quando vuoi ci sono, ok? Se hai bisogno di una spalla su cui piangere...» disse, sorridendo leggermente, ma Ran la fulminò con gli occhi.
«Ho smesso di piangere per lui, non esiste più per me» disse, riassumendo un tono più deciso. «Però, comunque, grazie» e ricambiò il sorriso.
«Ma quindi Heiji non è passato a salutarti?» cambiò discorso l’amica, capendo che l’altra non aveva proprio voglia di intavolare la questione ‘Shinichi Kudo’. «Ma quanto è idiota? Un vero maleducato! Domani appena lo vedo gliene dico quattro! Stai sicura!»
«Ma no... lascia stare... sarà col suo amichetto preferito», marcò un tono molto più seccato alle ultime due parole.
«Non è un buon motivo per non passare a salutarti! E poi io ho pensato fosse da te, perché mi ha detto che era andato a dormire da Conan e non da Kudo...»
«È la stessa cosa» disse Ran, con gli occhi assottigliati, disgustata.
«Eh?»
«No, nulla, non farci caso» s’affrettò a rimediare, per poi alzarsi per posare le tazze e quei pochi biscotti che nessuno aveva mangiato. Ritornò dieci secondi dopo, e vide Kazuha frugare nel suo borsone, con gli occhi sprofondati in esso. Ne trasse fuori una piccola ruota marroncina, incastrata ad una catenina che lo sorreggeva.
«Ti piace? È un portafortuna! Per te!!» esclamò gioiosa, offrendoglielo. Ran lo prese, ma era scettica. Non credeva più a quegli aggeggi da quando gliene aveva regalato uno a quell’essere. Ricordò le parole della signora che gliel’aveva venduto: “ne regali uno alla persona che ama, e con lei condividerà per sempre gioie e dolori”. Fece un’espressione disgustata, che l’amica quasi avrebbe ricondotto al suo di ciondolo. Quante sciocchezze...
«È carinissimo, grazie amica» si sforzò di dire, non volendo smorzare l’entusiasmo della giovane e la sua passione gli amuleti.
«Vero, eh? È una ruota della fortuna!»
Ran la guardò sorridente. «Dovrei sapere che benefici ha?»
«È una ruota che aiuta a far girare la sorte all’occorrenza. Se tutto va bene, non si deve toccarla; se le cose vanno male, farla girare aiuta il cambiamento! Bello no?»
La osservò con interesse, sfiorandola con le dita. Non si deve toccarla... farla girare... e mentre ripensava alle parole dell’amica, si chiese che cosa volesse per davvero. Voleva che fosse tutto finito realmente o avrebbe preferito che fosse accaduto qualcosa che, anche se un poco, le avrebbe fatto cambiare idea su di lui?
E poi si ritrovò a chiedere che cosa avrebbe voluto dirle lui una settimana prima...
«Lascia almeno che ti spieghi...»
«Ho detto sparisci...» sibilò a denti stretti, quasi incapace a trattenersi.
«Ran... io... io l’ho fatto per te...», il tono gli uscì debole, malinconico, frustato.

Scosse il capo, imponendosi il raziocino. Ma cosa andava a pensare, adesso? La sua scelta era stata giusta. Per troppo tempo aveva sopportato le sue bugie e la sua assenza, e tantissime volte l’aveva supplicato di dirle la verità. Non voleva sapere perché l’aveva fatto, non voleva che anche lontanamente lui potesse avere ragione...
«Ran? Ti posso chiedere un consiglio?»
Ringraziò mentalmente Kazuha per averla distolta da pensieri tanto idioti. «Certo, dimmi.»
«Io... io lo so che tu non hai la minima voglia di parlare di Kudo, però... però... visto che lui ed Heiji sono molto simili... be’, io... io vorrei sapere come... cioè... cosa hai fatto per riuscire a... ad attrarlo... non so... a mutare il vostro rapporto... capisci?» disse tutto talmente velocemente che quasi le mancò il fiato. Si sentiva terribilmente in imbarazzo nel chiederle una cosa del genere.
Ran fu presa alla sprovvista. Non sapeva cosa risponderle, ed inoltre ripensare a tutto quello che era successo con l’essere negli ultimi mesi non era proprio ciò che avrebbe voluto fare. Però lei era sua amica, e in qualche modo avrebbe dovuto aiutarla...
«Oh... be’... sinceramente non so... io non ho fatto nulla di preciso... diciamo che è accaduto tutto per una serie di circostanze, credo...»
«Cioè... ad esempio il vostro primo bacio lo ricordi, no?»
Ran tirò un sospiro. «Purtroppo sì».
«E... ti ha baciato lui... cioè...», Kazuha sbuffò, amareggiata. «Non so come fare per smuovere la situazione tra me e Heiji! Sono stufa... voglio sapere se gli piaccio...»
Ran si sforzò di continuare. «Oh, be’... lui mi invitò a cena... e poi...»
Una serie di immagini le si crearono nella mente, e mentre ritornò col pensiero a villa Kudo, dove tutto era magicamente pronto sul tavolo e le sue lacrime sgorgavano dagli occhi, vide il volto di Shinichi avvicinarsi... aspetta, ma perché l’aveva baciata lui, in effetti?
«Perché mi ignori? perché mi menti?»
Sospirò pesantemente, deglutendo.
«Ran...»
«Io ci tengo a te, Shinichi... ci tengo più di quanto pensassi...» arrossì a quelle parole, ma non ci diede peso. Al momento non aveva altro per la mente che le sue domande, le sue richieste.
«Perché mi fai tutto questo male?!» continuò a singhiozzare, tremolante.
«Fa male senza di te. Fa male da morire...» abbassò il capo, osservando il pavimento. «Da mor...»
Ma non riuscì a completare la frase, che sentì due dita alzarle il mento e due labbra scontrarsi sulle sue, umide di lacrime. E quel tocco, così morbido e caldo, riuscì a mozzarle il fiato.

«Brutto lurido verme schifoso...» disse fra sé e sé, ma poté sentirlo anche l’amica, che si stranì. «L’ha fatto per zittirmi... non ci posso credere...»
«Ran... tutto bene? Di che stai parlando?»
Ma la karateka aveva il viso chino al pavimento e le mani in faccia, con i gomiti sulle ginocchia. Non riusciva a credere che il loro primo bacio, la cosa che aveva più sognato da parecchi anni a quella parte, era stato indotto dalla voglia di ammutolirla...
Era qualcosa di talmente deplorevole, orrido, schifoso e disgustoso che il genere umano avrebbe fatto fatica ad immaginare. Come aveva potuto spingersi a tanto? Aveva sperato almeno che la loro relazione fosse stata dettata da un briciolo di sincerità in quelle vene da verme che si ritrovava ad avere, ed invece, riflettendoci, lui l’aveva portata avanti solo per zittirla e divertirsi.
Continuava a mordersi inutilmente il labbro per darsi un dolore fisico più forte di quello psicologico ma era più forte di lei... sentì le lacrime calde sbattere sulle sue dita fredde, e cominciò a singhiozzare, affannandosi a respirare. Kazuha, allarmata, s’affrettò a raggiungerla.
«Ran, che succede?!»
L’amica scosse il capo e cercò di sottrarsi alla sua presa, ma non fu facile. Kazuha le stava molto vicina.
«Che sciocca che... che sono... eh... avevo detto che... che non avrei mai più pianto per lui... e invece...»
Le gocce amare caddero sul suo pantalone, bagnandolo e macchiandolo della sua debolezza. La giovane di Osaka le accarezzò le spalle e la strinse a sé. «Ran, piangi se vuoi... ti farà bene...»
«Lo o-odio...» singhiozzò, appoggiando il viso umido alle spalle dell’amica. «Vorrei n-non averlo mai conosciuto...»
Kazuha non rispose, ma a quelle parole provò un profondo senso di antipatia nei confronti del detective. Non sapeva cosa fosse successo, ma vedere Ran era in quelle condizioni era deprimente... Osservare il suo petto alzarsi e abbassarsi ripetutamente era tragico, ed ascoltare i suoi gemiti di dolore la uccideva...
«Troverai un ragazzo migliore di lui... Ran tu sei bellissima e fortissima, hai un carattere favoloso... sono sicura che lì fuori c’è una fila di liceali che non vede l’ora di stare con te... non preoccuparti...»
Sentì la giovane deglutire sulle sue spalle. Poi si staccò leggermente e si passò una mano sotto agli occhi e lavò via le lacrime. Gli rimasero gonfi e rossi e la bocca secca senza un briciolo di saliva.
«S-sai che è? L-lui è s-sempre... sempre stato tutto ciò che a-avevo... era la p-persona di cui mi fidavo di p-più... da tutti me lo sarei aspettato... tranne che da lui...»
Kazuha rimase a guardarla senza parlare.
«Vuoi u-un consiglio hai detto? Be’... a-accertati che lui ti voglia davvero bene, c-che ti rispetti s-sul serio e che non voglia p-prenderti in giro... solo così potrai davvero fidarti di lui...» disse, con voce rotta e strascicante.
«Non fare come me... non incantarti ogni volta che lo vedi, non perdonargli tutto... sennò arriverà un giorno in cui te ne pentirai... proprio come me...» le rivelò, rilasciando una nuova lacrima. «Proprio come me...»
 
 
 
Due mattine dopo, Shinichi ed Heiji scesero dalle loro stanze – al giovane di Osaka era stata assegnata quella degli ospiti – per fare colazione insieme al dottore e Ai. Shinichi aveva un umore diverso di qualche giorno prima. Era ritornato ad essere il seccato bambino liceale che non vede l’ora di tornare nel suo corpo, e l’amico, pensando che fosse più felice così, non gli chiese nemmeno perché.
Attraversarono i pochi metri e varcarono la porta d’ingresso – perennemente aperta, e se ne ignorava il motivo – ritrovandosi di fronte ad un aggeggio di dubbio utilizzo.
All’apparenza pareva una sedia con infiniti fili e tubicini intorno, con dietro due macchine rettangoli di mezzo metro con varie lucine accese. Era leggermente inquietante.
«Ma cos’è sta roba?» chiese Heiji, visibilmente sorpreso quanto l’amico.
«Oh, ragazzi, siete arrivati!!» li accolse il dottore, come sempre gioioso e ridente. «Avete visto l’ultima invenzione di me e Ai? Lei ha avuto l’idea ed io l’ho messa in pratica!»
Conan lo osservò come se fosse vestito da pagliaccio. «Professore, lungi da me disprezzare le genialità partorite dalle vostre menti, ma mi farebbe il piacere di dirmi cos’è?»
«Ehm... Ai non è d’accordo, ma io la chiamerei “il seggiolino della crescita”» esclamò fiero, mentre Heiji e l’altro lo guardarono perplessi.
«Il seggiolino della crescita?» chiese conferma Conan, allibito. Il nome era in effetti orrendo.
«...impareeeeremo a cammiiinare...» commentò sarcastico quello di Osaka, intonando la canzone. Conan lo fulminò con lo sguardo.
«Ma che avete capito! È per te, Shinichi! Con questo potrai tornare ad essere te stesso fin quando vorrai!»
Il cuore del detective di Tokyo perse un battito. Anche se Ran non c’era più nella sua vita, lui odiava quel corpo da bambino. Non gli permetteva di fare quel che voleva, né di comportarsi come doveva. 
«Cosa!? Davvero?!»
«Non esaltarti tanto, Kudo», arrivò una voce fredda a spezzare i suoi sogni. Ma non era la solita voce da bimba. Dalle scale giunse una ragazza bionda ed alta, dalle gambe slanciate e dagli occhi agghiaccianti. Shinichi si fermò per un attimo a guardarla. Era Shiho Miyano. «Non è un antidoto definitivo, se è quello che stai pensando.»
«Tu... tu... perché sei... sei adulta?» fece lui, sinceramente colpito. Anche Heiji la guardava ed era stranito.
«Mi pare ovvio, no?» disse lei. «Per provare la macchina ho dovuto testarla su me stessa, ed ha funzionato. Ma se non mi sottopongo ad un’altra seduta tornerò ad essere Ai Haibara.»
«Ok, continuo a non capire molto...» disse, sincero.
Shiho sbuffò. «Allora, quella che hai davanti è una macchina che, attraverso la corrente e delle continue trasfusioni di piccole quantità di azoto nel tuo corpo, ti permetterà di tornare ad essere te stesso. Non preoccuparti, non ho intenzione di riempirti d’azoto. Nello stesso liquido è contenuta una sostanza che, nel momento in cui raggiunge l’organismo, elimina le particelle d’azoto in eccesso. Dunque, la seduta dura due ore e copre l’arco di una giornata, il tempo che la tossina uccida l’azoto che ti ha permesso di ridiventare te stesso. Ciò vuol dire che, se non ti sottoporrai ogni giorno, alla stessa ora, alla trasfusione, tornerai piccolo. Tutto chiaro?»
Conan annuì, mentre Heiji assumeva un’espressione sbalordita.
«Sì... è meraviglioso. Cioè, nonostante le sedute di due ore, ma chissenefrega...»
«Ho il dovere di avvisarti che può essere nociva» continuò lei. «Considerando tutti gli antidoti presi già, e aggiungendo tutte le sedute, senza ombra di dubbio il tuo corpo comincerà a non capire più nulla. L’azoto in eccesso potrebbe non essere smaltito, e qualche processo delle tue cellule potrebbe non andare a buon fine. Ovviamente queste sono supposizioni, ma c’è il rischio. Così come negli antidoti con l’azoto c’è il rischio che t’ammala di cancro.» Lo avvisò, mentre Shinichi ricordava gli avvertimenti che Ai gli fece qualche mese prima sulle pillole...
«Sì, ma...» s’incupì lei, abbassando il capo. «Come i nitrati e i nitriti reagiscono con l'emoglobina, causando la diminuzione della capacità di trasporto dell'ossigeno del sangue... l’azoto ha un’alta capacità di formazione delle nitrosammine, che sono note come...» si fermò un attimo, mordicchiandosi il labbro. «...una delle cause più comuni di cancro.»
Ma ancora una volta non gli importava. Non aveva nemmeno più nulla da perdere...
Sorrise e alzò il capo. «Afferrato. Quando si inizia?»
Agasa guardò Shiho, che si limitò ad alzare le spalle. «C’avrei scommesso tutte le provette che se ne sarebbe infischiato...»
Heiji non provò a ribattere. Poteva comprendere come si sentiva l’amico...
«Ma quante flebo mi metterete?» si accertò Shinichi, avvicinandosi e scrutando per bene la macchina.
«Una per ogni braccio, più dei trasduttori sul viso, petto e cosce» rispose velocemente Shiho, mentre s’avvicinava ad Agasa. «Ti avviso, Kudo, la prima volta sarà un inferno, le altre è sopportabile. Il fatto è che la tua trasformazione non sarà immediata come con gli antidoti, ma molto più lenta. Quindi puoi immaginare.»
«Oh...» per un attimo il detective sbiancò, ma poi si riprese. Ne aveva sopportate di peggiori... «Non fa nulla. Sopporterò.»
«Dottore, che ne dice se lo spostiamo di sotto? Qui, in mezzo al salone, non mi pare il posto giusto per averlo. I bambini potrebbero combinarci qualche guaio...» chiese la ragazza all’uomo, che annuì, concorde. Con l’aiuto di Heiji, Agasa trasportò la macchina nel seminterrato, e con delicatezza la poggiarono di fronte ad uno dei computer della scienziata.
«Ok, lì è perfetto» disse. «Kudo, dato che non ho voglia di vederti nudo, fammi il piacere d’andarti a vestire da adulto e tornare, in modo che quando ti trasformerai non ci sarà nulla da guardare.»
Conan fece un mezzo sorrisetto ironico. «E quando l’hai provato tu il dottore dov’era, eh, Miyano?»
La ragazza arrossì leggermente, mentre Agasa si voltò di scatto.
«Shinichi! Io non avrei mai e poi mai approfittato della situazione!!»
«Era per chiedere, eh...» continuò lui, con voce sarcastica.
«Kudo, prima che ti arrivi una provetta in faccia, fila nella tua villa e vestiti.»
Lui rise e risalì le scale, seguito da Heiji e da Agasa. Shiho rimase lì a controllare alcuni dati a computer. Uscì all’aria aperta con la gioia di un bambino. In quei giorni di puro sgomento, qualcosa di bello era ancora riuscito a provarlo...
Si incamminò verso casa, e sulla soglia del cancello notò un’ombra, nascosta dietro il muro dello svincolo che tagliava la strada. Corse più velocemente che poteva, e maledisse quelle gambe da bambino per essere così corte e fragili. Raggiunse il punto quando quell’ombra era già scomparsa. Guardò a destra, a sinistra, nei viali vicini ed anche nei giardini delle abitazioni, ma nulla... Tornò sul posto dove aveva visto l’ombra e notò che a terra c’era un mozzicone di sigarette. Era umido, quindi probabilmente apparteneva alla persona che lo stava spiando... ma chi poteva essere? Davvero uno dell’organizzazione? Chi fumava tra di loro? Gin, Vermouth... loro erano degli accaniti fumatori, ma perché non agire, se l’avessero scoperto? Che fosse quel Chandon di cui ignorava ancora l’identità? Dannazione, per stare appresso a Ran, aveva perso tantissimo tempo...
Filò dritto in casa per recuperare un jeans ed una maglietta, e tornò dal dottore, molto meno felice di prima.
 
 
 
«Heiji dice d’essere impegnato, e aggiunge anche che, visto che tu e Shinichi vi siete lasciati, preferisce stare con lui...» lesse il messaggio con una leggera vena di stizza. «Ah, e poi sottolinea che Kudo vuole parlarti di quella questione...»
Ran girò il viso talmente veloce che quasi la testa sarebbe potuta volarle via dal collo. «Quell’essere schifoso vuole parlarmi? Ok, allora tu rispondi con un “Ran non ha intenzione di parlare con i vermi”.»
In realtà non era vero, ma lei non poteva saperlo. Il detective non aveva mai confidato all’amico di avere il bisogno di chiarire come stavano le cose, ma Heiji era convinto che, se la karateka l’avesse saputo, si sarebbe ricreduta. Ed inventava bugie che non solo non facevano altro che inferocire ancora di più lei, ma che avrebbero minato alla sua amicizia con Kudo. Ma a questo Heiji non ci pensava. Era un tipo troppo impulsivo, anche per i gusti di Shinichi.
«Fatto» fece Kazuha, riponendo il cellulare in tasca. «Comunque, perché non provi a parlargli? Magari ha davvero qualcosa di importante da dirti. Vuoi rimanere col dubbio tutta la vita?»
«Preferisco evitare di ascoltare altre sue inventate e strampalate storielle.»
«Va be’, come vuoi. Comunque, nonostante io tra un po’ torni a Osaka, tu mi devi promettere che mi farai sapere come stai e se ci sono novità.»
«Certo» rispose lei, sorridente. «Lo farò, promesso».
Camminarono ancora un po’, fin quando non decisero di mangiarsi un gelato. Si sedettero alla panchina di un parco, ed insieme chiacchierarono della scuola, di alcuni vestiti e trucchi. E mentre Kazuha si lamentava di alcune sue compagne di classe, due mani cinsero gli occhi di Ran e non le permisero di vedere più nulla.
«Indovina chi sono» disse una voce, volontariamente alterata. Kazuha osservò il giovane dietro l’amica, che le ostacolava la visuale con le mani, e ne scrutò i lineamenti marcati e la carnagione scura. I capelli biondi e gli occhi verdi. Sembrava carino...
Ran, intanto, ripresasi dalla sorpresa iniziale, cercava di liberarsi dalla presa.
«Come faccio a capire chi sei se non mi dai un indizio?»
«Sono il tuo allievo preferito, prof!»
Ran rise, e quando quello lasciò finalmente andare le mani, si voltò a guardarlo. «Saigo!!»
Lo cinse in un abbraccio che il giovane ricambiò. Poi, voltandosi a guardare la ragazza, fece le presentazioni: «Kazu, lui è Saigo Yami, un mio amico. Saigo, lei è Kazuha Toyama, una mia amica.»
I due si strinsero le mani e le rilasciarono dopo qualche secondo.
«È un karateka come me» spiegò Ran. «Ed io gli ho dato qualche lezione, perciò mi definisce professoressa.»
«Oh! Be’, quale migliore professoressa?»
«Già» fece lui, ridente. «È un vero portento. Mi mette sempre in ridicolo.»
«Non dire sciocchezze... sei migliorato tantissimo dall’inizio» disse lei, con un sorriso.
«E non hai torto» ammise Saigo. «Sono passato per di qui e ti ho vista, così ho pensato di venirti a salutare. Fate una passeggiata?»
Le due annuirono, poi Ran aggiunse: «ma Kazuha partirà tra un’ora per Osaka, dunque dobbiamo muoverci».
«Ah, non sei di Tokyo?»
«No, sono dell’ovest io!» rispose lei, fiera.
Saigo sorrise. «E come vi siete conosciute?»
Tasto dolente. Ran e Kazuha si guardarono per un attimo, poi fu la seconda a prendere posizione: «Amici in comune» disse, capendo lo stato d’animo della ragazza.
Poi la karateka sospirò. Non poteva trattarlo come fosse un tabù, doveva affrontarlo.
«In realtà, lei è l’amica d’infanzia del migliore amico di... di Kudo.» Utilizzò appositamente il cognome, rifiutandosi di dovergli comunque dare una certa confidenza.
«Ah», l’espressione sul volto del giovane mutò. «Be’, spero che il tuo amico non sia come l’ex di Ran.»
«Si assomigliano molto in realtà, però...» cominciò Kazuha.
Ran la bloccò. «...Heiji è decisamente più affidabile, sincero e simpatico di Kudo. Quindi sì, non è come lui. E poi tu l’hai intravisto sai!»
«Davvero? Quando?»
«Alla recita» scoppiò a ridere lei. «Prese il tuo posto».
«Ah», Saigo la emulò. «Colui che sbagliò tutte le battute...»
«No, dai, fu bravissimo. Nessuno riuscirebbe ad imparare a memoria un copione in due ore.»
«E tu perché non hai partecipato più alla recita?» intervenne Kazuha. Saigo e Ran si guardarono, ed insieme ripensarono al motivo di quel litigio. Ovviamente, c’entrava lui...
«Litigai con l’ex di Ran e me ne andai... ero furioso.»
La giovane di Osaka parve sorpresa. «Oddio... ma che ha combinato Kudo quest’anno?»
«Si è semplicemente mostrato per quel che è davvero» rispose Ran, infastidita.
Saigo annuì, concorde, e Kazuha si zittì, non sapendo più cosa dire.
«Che ne dite se vi accompagno all’aeroporto? Così tu poi non torni da sola» disse lui, rivolgendosi alla karateka.
«Oh, davvero lo faresti? Non avevo proprio voglia di tornare al buio in metropolitana» rivelò Ran, «mi inquieta leggermente di sera. È piena di clandestini».
«Certo, chi ti lascia» fece lui, leggermente malizioso. «Ti proteggo io».
Kazuha si lasciò andare ad un risolino che solo l’amica vide.
«Mi sa che Ran non ha bisogno del tuo aiuto, è pur sempre la tua professoressa».
«Io infatti non ho intenzione di difenderla dagli uomini, ma dal buio...» disse lui, con tenerezza. «Quello ti penetra dentro ancora prima che provi a dargli un pugno.»
Ran rimase sinceramente colpita da quelle parole. Non poté fare a meno di pensare a quante volte Kudo, con quell’aria seccata, le aveva detto che era stupido aver paura del buio. Saigo invece no...
Camminarono per un po’, e l’amico si tenne davanti a loro, non volendosi intromettere nei loro discorsi. Quando la poté avvicinare, la giovane di Osaka diede una gomitata al fianco dell’amica karateka.
«Che ti avevo detto l’altro ieri?»
«Cosa mi avevi detto?» si finse ignara Ran, osservandola.
«Che hai una fila di liceali dietro... ed anche carini, aggiungerei!»
 
 
 
Conan aveva indosso un jeans ed una maglietta a righe bianche e azzurre che gli andavano decisamente larghi. Aveva portato anche le scarpe ed i calzini, ed aveva messo a posto gli occhiali dove la prima volta li aveva trovati, nella biblioteca di casa. Il fatto era che, pure da bambino, ormai non gli servivano più.
Scese nel laboratorio, dove trovò Heiji e Agasa intenti a borbottare qualcosa su ciò che avevano visto alla televisione, e Shiho con in mano due aghi e qualche filo argentato.
«Eccomi, sono pronto».
Il bambino le si avvicinò, stando attento a non inciampare nei suoi stessi vestiti, e si sedette su quella specie di seggiolino, così come lo chiamava il dottore. Alla sua vista, Hattori dedicò di nuovo tutta l’attenzione a lui, ed avanzò verso la macchina, seguito dal dottore.
«Allora, Kudo, stai calmo che devo trovare le vene» gli spiegò, e mentre Conan poggiava i piccoli arti sul bracciolo della sedia, Shiho gli infilò un ago ad entrambe le braccia, un po’ sotto il gomito. La flebo percorreva un lungo filo e andava a concludersi in una sacca dove brillava un liquido giallastro. Shiho gli si avvicinò di nuovo e gli attaccò le terminazioni nervose della macchina, dove scorreva la corrente, sulla fronte, sul petto e sulle cosce. «Ok, adesso aspetta che devo controllare gli ultimi dati».
Shinichi non disse nulla, ma notando che l’amico lo fissava – evidentemente preoccupato – sorrise.
«Sembra che sono condannato a morte, vero?»
«Effettivamente assomiglia parecchio alla sedia elettrica» rispose lui, con una smorfia sul viso. Poi rise anche lui: «ma con questa non muori, al massimo una piccola scossa».
«È forse peggio della sedia elettrica» commentò Shiho con sadismo, che raggelerò l’aria. «Almeno la prima volta».
Shinichi si sentiva un animale in gabbia. Avvertì il potenziale pericolo vicino, ma invece che evitarlo, gli andò incontro.
«Pronto?» gli domandò l’amica, sfiorando con le dita un pulsante. Il detective annuì. Shiho lo pigiò e alcune luci della macchina si accesero, mentre il liquido cominciò a muoversi nella sacca. Il tempo di imbambolarsi a vederlo, che Heiji avvertì un urlo agghiacciante e tetro.
Abbassò lo sguardo e ritrovò Shinichi con le palpebre spalancate, le mani tremanti e le braccia tese sui poggioli. Le piccole gambe erano sotto le scosse della corrente che, seppur lieve e quasi impercettibile, permetteva alla sostanza che avrebbe dovuto eliminare l’azoto fare il giro completo del corpo. Ma era terrorizzante vederlo fare ad un bambino.
«Aaah!» Conan rilasciò un altro urlo secco, e poi strinse i denti e i pugni. Heiji era sconvolto.
«Fai... fai qualcosa» disse a Shiho, ma lei lo guardò con freddezza. «Avevo avvisato che avrebbe fatto male.»
Poi si girò al piccolo, che aveva il viso verso il basso e si sforzava di non urlare.
«Kudo, se vuoi smettere, dimmelo.»
Il piccolo scosse leggermente il capo, ma fece capire che voleva continuare. Aveva gli occhi iniettati di sangue e le guance rosse di dolore, i denti stretti e tremanti. Sentiva come se un fuoco ardente e scoppiettante gli stesse abbrustolendo gli organi, mentre le ossa parevano contorcersi, restringersi, allargarsi e piegarsi. Sentì il cuore a mille, e il fiato mancargli e mozzarsi in gola. Era spaventoso. Era davvero peggiore delle altre trasformazioni, perché tutto quello sarebbe dovuto durare per due ore. Due ore infernali.  
Non osò alzare il capo ed osservare Heiji e gli altri. Non gli piaceva farsi vedere in certi atteggiamenti, ma in quella situazione, era difficile anche trattenere un urlo...
Emise un gemito strozzato che richiamò l’attenzione dei presenti. Hattori deglutì, sconcertato, imitato da Agasa. Shiho aveva lo sguardo fisso su Shinichi, e non osava far trasparire emozioni.
Il detective di Osaka li guardò e poi rivolse lo sguardo all’amico, di cui nessun muscolo restava fermo.
«Ehm...avete sentito la novità? Hide dei Tokyo Spirits s’è fatto male... credo che lo sostituiranno con un altro molto meno bravo.»
Shiho e Agasa lo guardarono dapprima confusi, poi capirono.
«Già» fece lei. «Ma io preferisco sempre Higo dei Big Osaka. È decisamente un gradino al di sopra di tutti».
«Sono tutti dei bravissimi calciatori... ma quanto guadagnano, dannazione? Quasi quasi da piccolo mi sarei messo a dare per io due calci ad un pallone...» fece Agasa, col tono volontariamente alto da poter farlo sentire al giovane sulla sedia.
«Be’, c’è chi è un portento a calcio e preferisce fare il detective...» disse allusivo Heiji, divertito. Conan aveva ascoltato tutto, ed aveva capito anche le loro intenzioni. E a quella frase alzò anch’egli il capo e si lasciò andare ad un breve, seppur intenso, sorriso.
«Tu ne sai qualcosa, eh, Shinichi?» continuò Heiji, nel tentativo di farlo distrarre dalla ferocia di quella macchina. Lo chiamò apposta col nome, proprio per attrarre di più la sua attenzione. Lui non rispose, una fitta gli aveva colpito lo stomaco e il fegato, ma Shiho sopraggiunse a non far calar il silenzio: «pensa che quando giochiamo a calcio, io e i bambini ci schieriamo tutti contro di lui. Tranne Ayumi che decide di stare perennemente dalla sua parte, ma questo è risaputo. E sebbene siano in due contro tre, e lei non sa calciare una palla nemmeno a tenerla sotto i piedi, non vinciamo mai!»
Heiji sorrise, e le labbra si incurvarono ancora di più nel sentire la voce dell’amico.
«...e allora... mi costringono ad usare...» provò a parlare, ma gli mancava il fiato. Era evidentemente affannato, e loro non potevano sapere che il cuore gli faceva troppo male per pensare di poter battere ancora. «...solo una gamba o la testa... c-che ingiustizia...»
«Comunque dovresti incominciare ad allenarti più nei combattimenti corpo a corpo... insomma, sai dare i calci, sì...» riprese Heiji. «Però devi aumentare la forza e i riflessi nei pugni. Anche perché ho scoperto una tecnica niente male... poi ne parliamo...»
«A-appena torno ne... nel mio c-corpo...» riuscì a comporre la frase Shinichi, sempre col visibile affanno. Una nuova fitta lo colpì al cuore, costringendolo a piegarsi su se stesso. Heiji lo osservò, avvertendo una terribile sensazione di impotenza.
«Ragazzi cercate di non farvi male, eh» disse Agasa, un po’ preoccupato.
«Miyano, quando ci vuole ancora?» chiese quello di Osaka, sperando che fosse già passato.
Lei lo osservò torva. «Mi pare di aver già spiegato che ci vogliono due ore.»
«Certo... e q-quanto è passato?» domandò ancora, un po’ intimorito.
«Mezz’ora» disse, e Heiji sprofondò nell’angoscia. Sarebbe riuscito ad inventarsi abbastanza argomenti da poter fare in modo di alleviare, anche lontanamente, quel dolore? Il piccolo avvertì di nuovo gli organi in fiamma, e rilasciò un altro gemito. Quasi avrebbe potuto vomitare se non si fosse trattenuto. Ma resistette, com’era resistito a tante cose.
Furono le due ore peggiori della sua vita, e sebbene Heiji tentasse di distrarlo, il dolore che sentiva non era lontanamente paragonabile a qualcosa di umano. Ma quando l’inferno cessò e la testa smise di rimbombare ogni parola, Shinichi rilasciò un respiro talmente grande che i suoi polmoni furono privi d’ossigeno per qualche secondo. Si guardò allo specchio, e riuscì ad accennare ad un sorriso.
Heiji lo guardò e ricambiò. Gli mise una pacca sulla spalla e gli disse «bentornato».
 
 
Un suono di tacchi echeggiò nella stanza, rimbombando sul pavimento e sulle pareti intorno. Chandon alzò il capo, scontrandosi con gli occhi azzurri di Sharon Vineyard, che si sedette di fronte a lei, scostando un po’ la sedia. Poggiò i gomiti sul tavolo e la scrutò, mentre la complice aveva lo sguardo nel vuoto e le ginocchia alte al petto.
«Ho saputo quello che è successo» fece l’attrice con voce dolce. «Mi dispiace».
«Lascia stare, Sharon. È solo un brutto schifoso verme».
Vermouth buttò uno sguardo alla stanza, illuminata dai raggi del Sole. In realtà si trattava di un monolocale, dove l’unica parete divisoria era quella del bagno. Dietro di lei vi era la cucina, avanti il letto.
«E sai cos’è successo a loro?»
Quella scosse il capo. «No, ma probabilmente è per via di quel motivo.»
«Potrebbe essere» assentì l’attrice, osservando con faccia disgustata la cucina. «Credi che adesso sia più facile incastrarlo?»
Chandon annuì, sputando fumo. «Sì, anche se spesso e volentieri non è solo.»
«Ovvero? Sherry, Angel?»
«No... l’ho visto spesso con un ragazzo di carnagione scura... aveva un forte accento...» le rivelò. «Lo conosci?»
Vermouth annuì. «Sì, è... è credo uno dei suoi amici più fidati».
«Anche lui è intoccabile?» domandò Chandon.
«Perché no, in fondo...» concordò l’altra.
«Lo sai che a me importa solo di lui. Ricordi il nostro accordo, no?»
«Chiaro e forte come se l’avessimo stipulato ieri...» rispose Sharon, fermandosi ad osservare un paio di quadri di dubbio artista.
«Perfetto. Ah, la ragazza sta facendo esattamente quello che vogliamo. Troppo ingenua, direi.»
Vermouth sorrise. «Non è come te.»
«È un vantaggio. Se continua così, non dovrò nemmeno impegnarmi a farle accadere, certe cose...»
Vermouth azzardò un sorrisetto, poi tornò al tavolo. «Ma da quando vivi in questo obbrobrio?»
«Da un po’... fa pena, vero?» dichiarò lei, osservando il tutto con la stessa espressione della collega.
«Già. È ora di cambiare residenza, che dici? Lo mandiamo adesso, l’avviso al comune?»
Lei rise, compiaciuta. «Da quand’è che i morti cambiano casa?»

 
 


 
I’m back!!!!
No, non mi sono munita di penna magica e i capitoli si scrivono da soli, eh XD
È che... mi piace scrivere questa parte ** Ce l'avevo in serbo da un po', e non vedo l'ora di condividerla con voi!!!!
Comunque! Nuovo capitolo, nuova angoscia! Non sapete che tristezza scrivere la parte dove Shinichi era costretto a stare lì sopra... T____T
Mi dicevo “no, no, fa’ che sia meno dolorosa... perché devi sopportare questo?! Shiiiiin!! T___T”
Shin: Imbecille, sei tu che scrivi la storia! Trova un modo meno doloroso!
-.- Ehm sì... ma nessuno ti ha chiesto di uscire dalla storia... -.-
Dicevo... -.-
Alla fine, come ha detto Shiho, doveva durare il giusto per permettergli una vita abbastanza normale, e non con la solita paura di ritrasformarsi. Seguendo le ricette del medico (Shiho Miyano XD) Shinichi sarà per sempre lui... ma avrà il coraggio di sottoporsi ancora a quella tortura?! Chissà XD
Ringraziamo Assu per il nome all'aggeggio che permetterà a figo Shin d'essere fra noi ** Ah, il nome è orribile apposta eh XD
Passiamo ad altro e parliamo di Ran...
Ma ditemi un po’... quanto è diventata odiosa!? Taaanto!
Sempre a sparlare di Shin e fare comunella con quell’altro su quanto lui sia verme e schifoso... ma sai che ti dico? Mettiti con lui e lascia a me il detective!!
*hem hem* *i lettori mi ricordano che sarei una ShinRan* *Io ricordo ai lettori che se potessi sarei una ShinTonia... tsk, suona anche bene XD*
Ok, torniamo a fare le persone serie XD
Chi altro abbiamo?! Aaaaah! L’ombra! Si è fatta rivedere!!! Chi pensate che sia...? :P secondo me state sbagliando tutti... XD
...a proposito, ma... ma… *____*...ma vogliamo parlare di Heiji Hattori, o no? Quanto lo adoro quel ragazzo, quanto!?!? Perché io non ho un amico così?!? Perché!?!??!?! Per distrarre Shinichi incomincia a parlare di calcio e di altro... è favoloso!!! T___T Dannato Gosho che mi ha creato un mondo di gente che vorrei avere qui con me! E poi... Chandon e Vermouth, non potevano mancare! Di cosa stavano parlando e che cosa hanno intenzione di fare? :P Questo ed altro nel prossimo chap!
Ah, ci tenevo a dire una cosuccia... ricordo che a qualcuno di voi dissi che questa storia sarebbe potuta essere un probabile prequel di Vivere d’emozioni. Bene XD, diciamo che, quando pensai alla vera storia (ovvero quella che è partita da qualche capitolo, con Ran odiosa e incazzata nera) avevo un’idea diversa in mente, e credo che seguirò quella XD Volevo dirvelo per non andare in confusione!!
 
Va be’, dopo questo poema, vi lascio alle vostre vite... <3

Grazie infinite, soprattutto a chi recensisce...
senza di voi sarei molto di meno di quello che penso di essere!

 
Ok, vi saluto...
Shinichi * da versione figo liceale, eh... lo terrei a precisare*, Ran ed Heiji tornano nel prossimo chap!
Alla prossima!
 
 
P.s. Lo volete sapere perché sono così felice e apparentemente pazza?! Oggi è il mio compleannooooooooo!! *______*
Tanti auguri a me, tanti auguri a me XD
 
Ok, me ne vado sul serio, non mi sopportate più! XD
 
 
Tonia,
da pochissimi minuti diciannovenne <33333
 
 
Kiss <3

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Capitolo 30
*** Un foro nella rabbia ***


Your Lies
29.
Un foro nella rabbia

 
 
 
 
Il ragazzo con la divisa azzurrina era circondato da una miriade di liceali. Avevano tutte più o meno la stessa espressione, quella di una giovane dagli occhi a cuori, e lo accarezzavano sulle cosce e sul petto. Avvicinandosi, poté notare che la scena si schiariva e diveniva più nitida. Shinichi era seduto su un banco della classe, aveva la camicia sbottonata sino al basso petto e la cravatta verde che penzolava sul suo addome. Il suo sorriso era ornato da vanagloria e stupidità, ma allo stesso tempo di infinita arroganza.
Si girò verso una di quelle, che però lei non riusciva a distinguere bene. Probabilmente era bionda ed anche molto prosperosa.
«E lo sai poi che ha detto? “Un po’ dispettoso e presuntuoso...”» emulò la voce dell’amica d’infanzia, poi accarezzando il mento di un’altra di loro, le sorrise. «Ma perché? Io sono presuntuoso?»
«Meravigliosamente presuntuoso!»
Poi il ragazzo continuò. «“...ma quando ho avuto bisogno di lui c’è sempre stato! È coraggioso e perso nel suo mondo dei gialli! E poi...è bellissimo!”» disse ancora, sempre imitando la voce della ragazza. Tutte le altre scoppiarono a ridere.
«Però su una cosa ha ragione...» dissero, con l’aria sognante. «Sei meraviglioso...»
«E poi, lo sapete, ho fatto il bagno con lei... se vedessi come mi lavava...»
Una di loro sospirò con aria allusiva. «Anche noi... detective... anche noi...»
Ma Shinichi parve non sentirle. «La prima volta che le diedi il mio numero di cellulare passò un’intera giornata ad ascoltare la mia voce alla segreteria!*»
Nuovamente le sue fan risero, una quasi aveva i crampi allo stomaco. La scena si spostò un po’ più avanti. Adesso il volto del detective era davvero nitido, ed era anche perfetto. Probabilmente non era mai stato più bello di così.
«Ma il massimo è stato quando ha creduto a quello che mi sono inventato su Romeo e Giulietta...», aveva un sorriso meraviglioso, ma tutto il contesto sembrava odiarlo. Intorno a lui c’erano solo sfumature di grigio, l’unico colore era quello dei suoi occhi.
«No» fece una voce.
«Le ho detto che l’amavo come Romeo amava Giulietta» disse, scoppiando a ridere.
Il suo riso contagiò le ragazze, che ancora una volta, si ritrovarono a concordare col suo stato d’animo.
«No...» ripeté quella voce, adesso più marcata e sofferta.
«La situazione era perfetta...»
«Smettila...», sembrava quasi che quel tono potesse salvarla.
«Che stupida, quella Mouri...» disse una di quelle ragazze, divertita dal racconto.
«Che idiota...» annuì un’altra.
«No, smettila, non parlare...» fece la voce. «Non di noi, non di me...»
Shinichi rise. Era maligno, spregevole e senza alcun interesse ai suoi sentimenti. Intanto la scena cominciò a sfocarsi, ma le voci erano ancora ben marcate ed udibili.
«E poi me l’ha data... da lì, sempre... non ci voleva nulla a convincerla...» disse lui, con incredibile fierezza.
Quelle risero di nuovo.
«Ran...?»
«Sembra ingenua... ma a letto...» continuò Shinichi, ma non poté più sentirlo.
La scena si allontanò e la voce continuò a strascicare, come un serpente a terra: «No, no! Noooo!»
«Ran?!?»
Poi tutto svanì. Ran si svegliò di soprassalto, con gli occhi sbarrati e con le lacrime che le scorrevano sul viso. Sulla fronte il sudore le aveva appiccicato i capelli che la sera prima aveva raccolto in una coda. Solo dopo parecchi secondi distinse le facce del padre e della madre, accovacciati su di lei, in evidente preoccupazione.
«Tesoro stai bene?» le chiese Eri.
«Ma puoi mai fare incubi ogni notte?» aggiunse Kogoro, mordendosi un labbro. Era più che sicuro che il colpevole fosse quella sottospecie di detective... ma un giorno se ne sarebbe pentito, sicuro...
Ran era ancora sconvolta. Non poteva credere di averlo sognato di nuovo. Erano sei maledette notti che non faceva altro che ritrovarlo in quella dannata classe, a vantarsi di quanto lei fosse stata sciocca a concedersi a lui, a credere alle sue bugie, o più semplicemente... ad amarlo.
«Io... sì, sì...» disse, poco convincente. «Il solito incubo... sogno... sogno dei mostri terrificanti, dei fantasmi... non posso farci nulla... scusatemi davvero se vi ho svegliati ancora...».
Aveva ormai imparato quel copione a memoria, ma odiava più di ogni altra cosa recitarlo. Perché, anche in sonno, quel detective doveva disturbarla? E non solo lei, ma tutta la famiglia!
«Tesoro sei sicura di stare bene? Hai urlato parecchio stavolta...» s’accertò la madre, mentre Kogoro camminava su e giù per la stanza, con le braccia conserte nel pigiama a righini.
«Sì, mamma... scusa, scusami davvero...», era l’unica cosa che riuscisse a dire. Non avrebbe mai voluto che fossero stati svegliati a causa sua e delle sue paranoie. Eri le donò un bacio sulla fronte, sistemandole le coperte.
Avvicinò il marito e gli prese la mano, ma Kogoro le fece cenno di cominciare ad andare. La moglie, seppur perplessa, rivolse un ultimo sguardo alla figlia e tornò in camera. Il detective si avvicinò a Ran e si sedette sul materasso.
«C’entra quel ragazzino, vero?»
Oh, di male in peggio. Ran strabuzzò talmente gli occhi che quasi avrebbero potuto scambiarli per due fanali.
«Papà... ma che dici? Quale ragazzino?» si finse ignara, ma non pareva funzionare.
«Quello Ran... lo sai di chi parlo. Di quella sottospecie di detective. Negli incubi c’è lui, no?»
«No!» si affrettò a rispondere, forse un po’ troppo velocemente. «Sono... sono mostri...»
«Ran, come padre ho diritto a sapere. Perché è scomparso dopo l’incidente, eh? Ti ha fatto qualcosa? Dimmelo tesoro, e io lo uccido con le mie stesse mani...»
Ran deglutì più aria che saliva. «Papà, io... io non lo frequento più. E ti basta questo. Non mi ha fatto nulla, semplicemente ognuno di noi ha preso la sua strada...»
Sperò di averlo convinto e non sapeva perché. Non voleva che suo padre potesse davvero mettergli le mani addosso. Neanche sotto tortura l’avrebbe ammesso, ma al pensiero che suo padre potesse fargli del male... rabbrividiva. Eppure lei avrebbe voluto tanto ucciderlo, magari torturarlo, anche solo graffiarlo... prenderlo a calci e pugni, sì. Sarebbe stata una grandissima soddisfazione. Grandissima.
«Sicura, Ran?»
Lei annuì. «Sicuro papà.»
Kogoro sorrise, e prima di chiudere la porta le augurò la buonanotte.
 
 
 
 
Nove del mattino di un qualsiasi giorno, abituale appuntamento col seggiolino. Era divenuto parte di lui ormai. Shinichi aveva già compiuto sette sedute, e doveva ammettere che il tutto funzionava alla meraviglia; purtroppo, se ritardava di qualche minuto, cominciava ad avvertire già le prime fitte che segnalavano l’arrivo di Conan e s’affrettava a correre dal dottore. Era costretto a fare quelle sedute, che fortunatamente s’erano fatte meno dolorose della prima. Adesso si limitava ad essere affannato e ad avvertire qualche piccola fitta, che non erano lontanamente paragonabili alle prime.
Intanto, la scienziata aveva deciso di tornare bambina, ed erano sette giorni che s’assentava da scuola, a causa del suo amico. I detective boys avevano chiesto di loro al dottor Agasa, ma lui aveva inventato la scusa che i due erano andati a far visita al fratello di Conan, a Los Angeles. Comunque non li aveva lasciati convinti, e se ne era anche accorto. I bambini non avevano mai sentito parlare di un ipotetico parente Edogawa.
«Credi che hanno intenzione di scoprire cosa c’è dietro?» chiese il dottore, mentre la scienziata collegava i fili al corpo di Shinichi. Da quand’era tornato adulto e lei bambina era diventato più difficile legarlo per bene alla sedia.
«Temo di sì, sono molto curiosi. Ma vedendo me non avrebbero comunque motivo di insospettirsi» spiegò il detective, mentre Shiho mostrava una faccia seccata.
«Ci mancano solo loro Kudo e puoi incominciare ad affissare manifesti per strada» fece Heiji, ridacchiando. «Se qualcuno ancora non lo sapesse... sono io Shinichi Kudo
«A proposito...» Shinichi sbuffò e l’amico si zittì. «Sapete che ho la sensazione che qualcuno mi stia spiando? Ho notato un’ombra ultimamente. Ah, ho scoperto anche che è un fumatore... o fumatrice.»
Ai strabuzzò gli occhi, impaurita. «Cosa?! E tu così lo dici?!»
«Non preoccuparti, se mi avesse voluto attaccare l’avrebbe già... già f-fatto» disse convinto, rilasciando un gemito nel momento in cui la macchina fu azionata e l’azoto liquido aveva cominciato a scorrere nelle sue vene.
«Forse ti sta spiando, capire chi sono le persone a te legate! Potrebbe essere Gin, dannazione!» fece Ai, sedendosi su una sedia e accovacciandosi su se stessa.
Heiji scosse il capo ed anche Shinichi non parve d’accordo. «N-Non so, non credo sia lui... Lui non... non lascerebbe la sua saliva per terra.»
«Non potrebbe essere Ran?» azzardò il professore, da un’altra sedia.
Il detective aveva cominciato ad affannarsi, e a quel nome una fitta gli colpì il cuore. Ma non capì se fosse a causa della macchina o meno.
«Oh, ma siete fissati?» si finse scocciato, dando uno sguardo al giovane di Osaka. «N-Non è lei, e poi non fuma.»
«Come fai ad essere convinto che sono dell’ombra quei mozziconi?» chiese Ai.
«Perché ne ho trovati parecchi allo stesso posto e tutti umidi» spiegò lui, abbassando leggermente il capo per reprimere un gemito.
«Potrebbe comunque essere uno dell’organizzazione» disse la ragazza, mentre Agasa annuiva.
«Be’ sì... è possibile» rispose lui.
«E tu sei così sereno!?»
«Dovrei mettermi a piangere?»
«Mostrare un po’ di preoccupazione?»
«No. Stare in pensiero per una persona mi fa solo male, non riesco a ragionare» spiegò, mentre il viso di Ran si materializzava dal nulla davanti ai suoi occhi. Era incredibile quanto avesse fatto per lei e quanto non l’avesse capito...
«Ogni riferimento a cose o persone è puramente casuale, eh?» lo sfotté Ai, mentre il dottore lo guardava intenerito. Heiji lo guardò e giurò di poter avvertire il suo disagio. Doveva fare qualcosa, magari se avesse potuto incontrare Ran...
Shinichi distolse lo sguardo e rispose con un semplice e amaro «già».
 
 
 
 
 
Dopo quelle nottate, Ran era un ibrido tra un fantasma ed uno zombie. Talmente scure erano le fosse sotto i suoi occhi che facilmente avrebbero potuto scambiarla per un panda. Osservandosi allo specchio, la karateka le coprì con un po’ di correttore prestatole da Sonoko, dato che lei di trucchi non ne faceva largo uso.
Seguì le lezioni con noia e fastidio, e quando le cadeva lo sguardo sul banco – vuoto – di Shinichi se lo immaginava ancora circondato da ragazzine, in piena esplosione ormonale, a spettegolare di quanto lei fosse stata stupida. A vantarsi della sua ingenuità.
La rabbia le saliva come mai aveva provato in tutta la sua vita.
Avrebbe tanto voluto che quel banco fosse scomparso, bruciato o distrutto, ma era impossibile chiedere una cosa del genere alla classe o all’istituto. Così, rallegrandosi del fatto che, in fondo, era dietro di lei, lo avrebbe visto solo nei momenti in cui tornava a posto.
Alla fine della lezioni sarebbe dovuta passare in palestra per allenarsi. Sonoko le disse che le avrebbe fatto piacere accompagnarla, anche perché spesso si scocciava a rimanere da sola a casa.
«Non hai dormito stanotte, Ran?»
La karateka scosse debolmente il capo, e mentre camminava, dava uno sguardo alle finestre che scorrevano. Riusciva ad intravedere la palestra da quel punto, e probabilmente Saigo era lì già. Nel pensare che la stesse aspettando provò uno sconosciuto senso di felicità.
«E perché?»
L’amica sospirò. «Incubi. Dura da un paio di giorni ormai...»
«Kudo?» chiese Sonoko, che la vide sbuffare.
«Sì», si passò una mano sul viso. «È disgustoso.»
«Perché? Cosa fa nel sogno?» domandò l’ereditiera, curiosa.
«È circondato da tante ragazze... ed è seduto sul suo banco in classe... queste lo guardano manco fosse un dio greco... poi ad un certo punto si sente la sua voce... arrogante...», Ran emise una smorfia schifata, «parla di me e di quanto sia stupida a credere a tutto quello che dice... rivela tante di quelle cose sulla nostra relazione...»
«E perché tu pensi che lui lo farebbe?»
Ran si voltò a guardarla. «Perché è un emerito cretino? So per certo che si è compiaciuto del mio atteggiamento... Cavolo e quanto sono stata stupida...» disse, portandosi una mano in fronte.
«Sì, però... sono due settimane che vi siete lasciati, ed io ancora ne ignoro il perché!» disse. «Sembravate Romeo e Giuli...»
«No, eh! Romeo e Giulietta no!» sbottò Ran, ripensando all’incubo e alla voce vanitosa del detective.
«Ok, Paolo e Francesca» andò cauta l’amica. La karateka la guardò torva: adesso dove anche sentirsi dire che era una lussuriosa?
«Ma perché vi siete lasciati...?»
Lei sbuffò. «Immagina che io, da quando mi conosci, non avrei fatto altro che raccontarti bugie. Immagina che tu staresti male per me e per la mia assenza, ed io in realtà sarei proprio lì... vicino a te, ma a fare niente per consolarti! Immagina che tu mi riveleresti segreti imbarazzanti...»
«Segreti imbarazzanti?» chiese Sonoko, spaesata.
«È per fare un esempio!» fece l’amica, un po’ arrossita.
«Immagina che tu non faresti altro che parlare di me... in modo imbarazzante...» sottolineò ancora, «in mia presenza!»
L’amica continuava a guardarla stranita. Ran sembrava essersi sfogata. Aveva messo insieme una serie di metafore e cambiato i protagonisti, ma la sostanza quell’era.
«Capito, ora?» chiese, un po’ irritata.
Sonoko si morse la lingua. «Veramente ho capito solo “immagina”».
 
 
 
Come aveva presupposto Ran, Saigo era già in palestra ad allenarsi. Stavolta toccava al suo manichino soccombere e soffrire sotto i colpi duri del karateka. Appena Sonoko lo vide, tirò all’amica una gomitata, guardandola maliziosa.
«Segue i tuoi consigli».
Lei sorrise. «Già, e speriamo che non smetta di farlo. C’è un campionato da vincere».
Si sedettero sulle gradinate e per un po’ osservarono il ragazzo prendere a calci e pugni il manichino. Nel guardarlo con attenzione, si notava che Saigo fosse stato suo allievo. Si muoveva esattamente come lei, e tanto era conosciuto quel modo di combattere che Ran gli anticipava le mosse in mente. Dopo un po’ decise di raggiungerlo, dato che Sonoko s’era abbandonata nella telefonata tra lei e Makoto.
«Ma che bravo» disse lei, sorridente. «Migliori a vista d’occhio».
Saigo sussultò leggermente nel trovarsela all’improvviso così vicina. Ricambiò il sorriso, infrangendo la scia di una gocciolina di sudore che gli cavalcava le guance.
«È perché ho avuto te come professoressa... sei stimolante», fece, mentre le guance dell’amica si colorarono un po’ di rosso. Non ci badò e continuò: «se fossero tutti come te gli insegnanti, credo che sarei il primo dell’intero istituto».
Ran non sapeva cosa rispondergli, e per questo accennò ad un imbarazzato «grazie, sei gentile».
«Di niente, scema. Non c’è bisogno che mi ringrazi. Sono io a ringraziare te».
«Di cosa?» chiese Ran, con le braccia incrociate.
Lui fece spallucce, distogliendo un po’ lo sguardo. «Di essermi amica, di volermi aiutare qualsiasi sia il problema. Non dimentico quello che hai fatto per aiutarmi a scoprire la verità su mia sorella.»
«Oh, be’...», alla giovane quel riferimento non piacque, perché le ricordava Shinichi. «In realtà è rimasto un po’ di mistero. Non sappiamo perché risulti morto...»
Lui annuì, un po’ addolorato. «Già, scommetto che c’entra mio nonno con tutta questa storia, sai».
«Tuo nonno?», Saigo si poggiò un asciugamano sulle spalle e si sedette ai gradini, molto più distante di Sonoko. Ran lo imitò spontaneamente, volgendosi a lui.
«Sì, mio nonno era un tipo strano... molto misterioso e chiuso, ma con me e mia sorella era davvero dolce. Lui conosceva persone particolari, spesso cupe e avvolte da un alone di mistero, quasi quanto il suo...»
La karateka strizzò un po’ gli occhi. «Non è che ricordi qualcuno di loro? Sai, potremmo incontrarlo e chiedere informazioni, magari scopriamo cosa è successo!»
Saigo sospirò, e volse lo sguardo alla palestra, perso nel vuoto. «Da piccolo... ero solito incontrarmi con due bambine. Ricordo che mio nonno mi disse che era molto amico dei loro genitori, ma che questi erano morti un po’ dopo che la seconda nascesse... Mmh...» fece, grattandosi il mento. Ran sussultò a quel gesto. «Si chiamavano Akemi e Shiho, o una cosa del genere...»
L’amica ci pensò un attimo su, ma quei nomi non le dicevano nulla.
«Be’, ricordi il cognome? Magari le cerchiamo!...»
«Mmh... mi pare si chiamassero... Minato... mmh, no... Yami, no aspetta, quello sono io... allora forse Miyato... no, no...»
Ran lo guardava divertita, con un sopracciglio tremante. «Sarà impossibile cercarle senza conoscere il cognome.»
«Aaaah! Lo so, lo so!» si scompigliò i capelli, infastidito da se stesso. «Te lo dissi che non sono bravo coi cognomi, dannazione a me!»
Passarono parecchi minuti, durante i quali i due giovani si limitarono a pensare a cosa e come potessero trovare un appiglio che li portasse a scavare tutto il tunnel della verità. Le ultime indagini, svoltesi con Kudo, parevano aver soltanto aperto una porta, dietro la quale c’era ancora un buio pesto. Sonoko concluse la sua telefonata con Makoto, e s’avvicinò ai due. Vedendoli pensierosi, decise di salutarli e lasciarli un po’ da soli, anche perché la karateka sembrava molto serena con il suo collega di sport.
All’improvviso Saigo sbuffò, passandosi una mano tra i capelli biondi. «Nulla, non riesco a ricordare come si chiamassero. Sono una frana.»
«Non preoccuparti, magari possiamo controllare i registri scolastici di quegli anni, o magari andiamo all’anagrafe... potremmo rimpicciolire il campo di indagine a Tokyo e ai bambini nati in un certo anno. Ricordi almeno le età precise?»
Saigo sbiancò. «Mmh... Akemi era più grande, ma Shiho aveva più o meno la mia età... anno più o anno meno...»
«Saigo, hai la minima idea di quante Shiho siano nate a Tokyo quando siamo nati noi?»
«Effettivamente... no» ammise, ridacchiando.
«Sarà un lavoraccio, ma ce la possiamo fare. Su forza, torniamo ad allenarci» lo invitò ad alzarsi, e cominciò a camminare; ma Saigo le bloccò il polso, facendola girare dalla sua parte.
«Che c’è?» fece lei, notando il suo sorrisetto.
«Come posso ringraziarti?»
«Non devi farlo, lo faccio con piacere.»
«Be’, che ne dici di uscire stasera? Offro io!»
Per un attimo la karateka credé di non aver sentito bene. Si sfumò di rosso, anche perché le sembrava un vero e proprio appuntamento. Un appuntamento con un altro ragazzo che non era lui, per giunta. Il primo della sua vita. Ci pensò un attimo su: erano passate solo due settimane dal tragico addio, e di certo non poteva dire di non averlo più pensato. Però che non provasse per lui quei tediosi sentimenti, sì. Sentiva solo rabbia adesso, rabbia e odio mescolati in un cocktail devastante. E poi doveva ammettere che Saigo le piaceva: era dolce, era molto carino ed inoltre trionfava dove Kudo peccava. Magari...
«Mi piacerebbe, però sono devastata di compiti!» disse poi, sincera ed un po’ delusa.
«Possiamo fare un altro giorno?» la pregò quasi lui.
«Ehm... sì. Sì. Quando?»
«Quando vuoi tu.» Rispose lui, sorridente.
«Ok» fece Ran, con timidezza. «Sabato... va bene?»
«È perfetto» disse lui.
«Perfetto» ripeté lei. «Ma adesso hai intenzione di allenarti, o no?»
Saigo scoppiò a ridere, l’abbracciò e la trascinò verso il manichino. E la cosa più bella era che lei non si sottrasse.
 
 
 
Quando Kazuha prese l’aereo per tornare ad Osaka giorni prima, Heiji le disse chiaramente che non sarebbe partita con lei. L’amica parve irritata, e per una decina di minuti discussero sulla situazione; per lei era impensabile saltare tutti quei giorni scolastici, e a causa di chi, poi?
«Kudo ha fatto del male a Ran, Heiji.»
«Stai zitta, tu non sai nulla. E lei peggio di te!» replicò brusco, facendola arrabbiare.
Nonostante l’ira, Kazuha comunque riuscì a rispondere alle domande dell’amico di infanzia, principalmente riguardanti i due ragazzi di Tokyo.
«Mi ha detto solo che lui l’ha presa in giro, e quando le ho chiesto su che cosa, ha cambiato argomento» aveva così sintetizzato la questione, per poi imbarcarsi e minacciare Heiji di tornare presto a casa. Hattori avrebbe voluto trascorrere un altro mese lì, ma sapeva per certo che non era possibile. Così, il giorno prima d’andare via, si recò a casa Mouri, senza nemmeno avvisare Shinichi. E mentre Conan era da Agasa per la seduta della domenica, il detective bussò alla porta dell’ufficio, dove gli giunse un gentile «avanti». Era la voce di Ran, e a vederlo, pareva anche abbastanza sorpresa. Kogoro alzò lo sguardo sul ragazzo, simulando una smorfia di rabbia. Probabilmente collegava Heiji a Shinichi.
«Hattori, ciao» lo salutò la ragazza, cercando un sorriso che non aveva.
«Ciao Ran. Tutto bene?»
«Oh sì, certo» fece lei. «Ma Kazuha è andata via da un po’... non sei andato con lei?»
Heiji ridacchiò. «No, no. Sono rimasto qui un altro po’.»
«E chi sarebbe lo sventurato che ti ospita?» chiese Kogoro, con lo sguardo fisso e vuoto sulla corsa dei cavalli in tv.
Hattori si grattò il capo, in imbarazzo. Ran distolse gli occhi.
«Ehm... Kudo.»
L’investigatore più vecchio parve rinascere. Alzò il capo e lo scrutò con attenzione, quasi come se si fosse messo sull’attenti.
«Da quel moccioso sei?»
Heiji annuì debolmente, col capo chino. Vide Ran fare dei passi verso la cucina, probabilmente per la voglia di non ascoltare oltre.
«Perché non lo fai venire un po’ qui? Avrei voglia di parlargli.»
«È... impegnato al momento» disse lui, leggermente in difficoltà. Avrebbe voluto parlare a Ran, ma lei era fuggita in cucina, quasi come se avesse compreso le sue intenzioni. E lui era intrappolato nelle furie omicida di Kogoro, che era meglio tenere a debita distanza, sia la sua che quella dell’amico.
«Impegnato?! Dopo l’incidente non s’è fatto più vedere! Digli da parte mia che se lo vedo lo riduco in  briciole.»
Heiji sgranò un po’ gli occhi. «Riferirò.»
«Hattori vieni un attimo?» La voce di Ran era aria per i suoi polmoni. Pensò che la karateka avesse capito la situazione e avesse voluto salvarlo dalle grinfie del padre, e ne ebbe la conferma quando la ritrovò in cucina, di fronte al frigorifero (un po’ vuoto, notò lui).
«Perché sei venuto, Hattori?» chiese lei, sempre col suo tono gentile, totalmente differente a quello che aveva usato col detective liceale tempo prima. Chiuse il frigo e ne estrasse due fette di carne congelate.
«Volevo parlarti.»
«Di cosa?»
Heiji rilasciò un lungo sospiro. «Di Shinichi.» Usò appositamente il nome, forse perché voleva renderlo più vicino a loro, anche se era assente in quel momento.
Ran pareva aspettarselo, e non si scompose. Poggiò la carne sul tavolo e si avvicinò ai mobili, alla ricerca di qualche ingrediente.
«Ti ha mandato lui qui? Cosa sei, il suo ambasciatore? Ti paga per caso?» Lo schernì, facendo una smorfia. Heiji non capì se fosse per l’amico o per l’impossibilità di trovare quello che voleva.
«No, ci sono venuto io. Lui non sa nulla.»
«Be’, sprechi il tuo tempo. Non ho intenzione di ascoltare una sola parola.»
«Ran, per favore... Tu non sai come stanno le cose. Non riesci a capire...»
La ragazza sbuffò. «Devo scendere un attimo. Mi manca l’aglio e il curry.»
«Ti accompagno» disse lui, attraversando con la ragazza l’ufficio, sviando gli sguardi assassini di Kogoro, e ritrovandosi sull’uscio della porta, in cima alle scale. Le scese insieme a lei rapidamente, cosicché si ritrovò in strada. Ran accelerò il passo ed Heiji la imitò, fin quando non rallentarono di fronte ad un supermercato. Avevano fatto appena cento metri.
«Senti, Hattori, io non so tu come e quando l’abbia scoperto...» cominciò, ma l’amico la bloccò.
«Al club di Sherlock Holmes, ricordi? Lì lo scoprii... ma neanche a me avrebbe voluto dirmelo!»
«Ah, da allora lo sai?! Che bello! Dimmi un po’, come vi divertivate a sfottermi? Scommetto che si è sempre vantato di quanto gli stavo appresso!» rise appena, ironica e amara.
Heiji la seguì tra gli scaffali della frutta e degli ortaggi, dopodiché voltarono in quelli delle paste.
«Ti sbagli, anzi. Si è sempre preoccupato del fatto che tu avresti potuto scoprirlo. Aveva paura di metterti in pericolo, tu non capisci...»
Ran si fermò all’improvviso, e quasi Hattori sarebbe potuto caderle addosso.
«Aveva paura di mettermi in pericolo?» ripeté le sue parole, frastornata.
«Sì! Tu non lo sai, ma Shinichi...»
«Zitto!» urlò. «Ma che scusa è “aveva paura di mettermi in pericolo”?!»
Ran era diventata rossa dalla rabbia. Aveva gli occhi di fuoco e di scintille, pronti a scoppiare.
«Non è una scusa! È la verità, credimi! Vedi...» riprovò, ma lei non gli permise di continuare.
«E allora perché è venuto a vivere a casa mia? Se era veramente in pericolo, cosa di cui ormai dubito fortemente, non mi ha esposto a più rischi vivendo a casa mia?!»
Heiji si zittì, non sapendo cosa risponderle. Lei così rise, avendo ottenuto ciò che voleva.
«Lo vedi? Non tornano i conti» disse, riabbassando il tono della voce. «Hattori... si è permesso di prendere in giro anche mio padre, capisci? Mio padre!» sbottò.
«Ma che dici?»
«Ah, no? Vuoi spiegarmi allora perché da quando Conan se ne è andato mio padre non cade più in trance?»
Heiji si zittì.
«È stato lui, vero? Mi dici che cosa faceva a mio padre? Tu lo sai, no?!»
Il ragazzo sbuffò. «Lo anestetizzava.»
Ran sgranò gli occhi, e dalla furia di muoversi, gettò a terra due pacchi di pasta. «Anestetizzava mio padre?! Cosa!? Adesso capisco perché non ricordava nulla dopo i casi!!»
«Sì... però senti Ran, se non fosse per lui, tuo padre non avrebbe avuto neanche l’1% del successo che ha! Sii realista!»
L’amica serrò i pugni e si impose l’autocontrollo. Aveva voglia di prendere a schiaffi anche lui in quel momento. «Ma come ti permetti?!»
«Ran, per favore eh! Tuo padre non è nemmeno l’unghia di Shinichi come detective!»
«E ALLORA?!» urlò, infuriata. «Se anche fosse, se anche lui fosse ‘sto gran genio, chi gli da il diritto di anestetizzare mio padre?! Come si è permesso?!!?!»
Heiji pareva sconvolto. «Lo ha fatto per risolvere i casi in cui vi siete imbattuti! Tuo padre da solo non ce la fa, e lui non poteva esporsi come bambino! Sarebbe stato sospetto!!»
«Ah, certo! Perché per lui la cosa più importante è risolvere i casi. Non sia mai non accada! E allora addormentiamo chiunque... ah già, l’ha fatto anche con Sonoko!»
Il giovane di Osaka sbuffò. «Ran, ripeto, ha le sue ragioni. Non l’ha fatto per mancanza di rispetto...»
«Ma per divertirsi.» Concluse lei.
«No! C’è stato anche male al fatto che non fosse lui a risolverli, ma che i meriti se li prendessero gli altri...» tentò di dire altro, per convincerla, ma forse avrebbe fatto meglio a stare zitto. Ran mutò di nuovo la sua espressione, guardandolo esterrefatta.
«Oh, la povera vittima! Poverino, non poteva pavoneggiarsi come un idiota davanti a tutti! Mi sta quasi venendo da piangere...» fece ironica, mentre Heiji si passava una mano sul viso, incredulo.
«Non intendevo questo, solo che tu non sai la verità».
«E cosa intendevi? Quale sarebbe questa verità?!» chiese, con tono marcato ed esasperato. Incominciava a scocciarsi di quella situazione..
Ma Heiji si zittì per un momento. Credeva che dovesse essere Shinichi a raccontarle come stanno davvero le cose, quindi non si espose più di tanto:
«Volevo farti capire che per lui non è facile essere un bambino. Odia essere Conan, odia non poter vivere la sua vita. Perché non lo capisci?»
Lei strinse i pugni. Detesteva sentire che si era anche lamentato. «Anche io odio aver sprecato tutto il mio prezioso tempo appresso a lui. E sai, è brutto averlo capito dopo diciassette anni
Possibile che non volesse capire, e tantomeno sentire? Ascoltare quelle ragioni, quei motivi che avrebbero dato un senso a tutte le bugie, che avrebbero posto fine alla sua rabbia...
«Ran, per favore... Tu lo conosci, sai chi è. Non è cambiato. Cerca di calmarti.»
Lei rise, poi ricominciò a camminare. Dopo due metri si fermò di nuovo.
«Conosco? Pensavo!» sbottò, iraconda. «Posso darti un consiglio? Lascialo perdere. È uno stupido, Hattori. Non merita minimante la tua amicizia. È un ragazzino viziato e montato, che solo perché ha due ochette appresso e un po’ di sale in zucca – scaduto, aggiungerei – si crede d’essere chissà chi. Adesso vado, che devo cucinare.»
Riprese a camminare, ma la voce di Heiji la bloccò.
«Mi sbagliavo. E lui... lui aveva ragione ad essere deluso, sai».
«Cosa? Lui... è deluso? Lui!?»
Hattori annuì.
«Sì, lui. Sai, tu non lo conosci per niente. Ed è brutto averlo capito dopo diciassette anni
La imitò volontariamente, poi la sorpassò, col capo chino.
«Ti auguro una buona vita, Ran.»
Lei non si mosse, nemmeno di un millimetro. Qualcuno era riuscito a perforare la sua rabbia per scavarci dentro un muro di accuse e sentenze, ed era tremendo. Perché, nonostante tutto, sembrava aver ragione.
 

 
 
 
*Volume 47, file 4
 
 
 
 
 
Ciiiiiiiiiiiiiiao! :D
Allora, prima di tutto, quanti di voi hanno pensato che fossi impazzita all'inizio del chap? C'ho messo tutta la mia buona volontà per trarvi in inganno sull'incubo XD Comunque, pare proprio che Ran stia impazzendo al pensiero che lui possa aver parlato di lei... in un certo modo, diciamo...
Sonoko le chiede spiegazioni ma non ci capisce un fico secco, e Saigo? Saigo torna all'attacco... ebbene sì, hanno un appuntamento. 
Ed inoltre abbiamo la conferma di una cosuccia a cui accennai capitoli e capitoli fa! XD
Shinichi ripensa all'ombra, Avete capito chi è?!?!? :P
Ma non finisce qui... perché Hattori, con fare mitico, acchiappa quell'idiota di Ran (ultimamente sta diventando odiosa, spero non continui per molto....:P), e cerca di farla ragionare... Ci sarà riuscito!? Chissà.....XD
Questo ed altro nel prossimo chap, dove scopriremo certe cosuccie....e forse... ma dico forse... quei due....


Un bacione a tutti, grazie a chi ha commentato, e grazie degli auguri!


Tonia ^^

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Capitolo 31
*** Incontri e scontri ***


Your Lies
30.
Incontri e scontri

 
 
 
Shinichi gettò via nel cestello l’asciugamano zuppo del suo sudore. Ormai era d’obbligo farsi una doccia dopo ogni seduta, dato che durante le due ore che trascorreva su quell’infernale sedia prendeva più la fisionomia di un’anguilla viva che di un essere umano. Scivolò nelle vasca del bagno del primo piano ed incominciò a sciacquarsi. Erano gli attimi più rilassanti delle sue giornate. Una decina di minuti dopo era in camera, dove indossò un pantalone nero ed una maglietta azzurra. Si infilò calzini e scarpe, e si preparò ad andare da Agasa. Erano passati due giorni dalla partenza di Heiji, e tutto era diventato dannatamente noioso. Oltre a chiacchierare col professore della sua problematica situazione e a litigare con Haibara perfino sul sale da mettere in cucina, tutto era troppo statico. Non c’erano più quelle innumerevoli discussioni su delitti, crimini, mafiosi e trucchi dei malviventi che spesso nascevano col collega liceale. Non c’erano più quelle risate che solo lui riusciva a rubargli, e non c’erano più nemmeno quelle tartassanti domande su Ran che lo mandavano in visibilio ogni tre secondi. Non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto la peggiore delle torture, ma un po’ Hattori gli mancava. Giusto un po’. Giusto il tempo che ricopriva le ore che andavano dalla fine della seduta al momento d’andare a letto.
Ma sapeva che era giusto così. Un po’ come sapeva che Ran aveva davvero fatto la sua scelta e non sarebbe tornata, un po’ come sapeva che era stupido mostrarsi triste per quello che era successo.
Aprì la porta della villa, ma prima che potesse chiuderla, si accorse di aver dimenticato il cellulare in camera. Risalì le scale, velocemente giunse nella stanza e prese il telefono, quando un rumore sordo, proveniente dal basso, gli bloccò i movimenti. Scattando, corse di nuovo all’entrata, dove trovò il vaso che poggiava sulla consolle dell’ingresso in frantumi. Non ci pensò un attimo in più, e correndo si versò all’esterno. Superò il cancello e in attimo si ritrovò in strada. Scorse alcune persone camminare e chiacchierare tra di loro, dei bambini che giocavano a palla a qualche metro di distanza, delle automobili parcheggiate e qualche auto che procedeva a passo d’uomo. Chi era la persona che aveva distrutto il vaso? Si guardò ancora un po’ intorno  e non vide nulla di particolarmente sospetto. Era sul punto di rientrare, quando fissò lo sguardo su una delle auto che si muovevano lentamente. Erano ben nascoste dalle gomme, ma c’erano dei piedi lì! S’affrettò a raggiungerli, ma ebbe la sfortuna che l’auto girò e prese velocità, e delle gambe non ce n’era più traccia.
Ma chi era la persona che lo seguiva? Chi voleva entrare in casa sua? Un ladro? Era molto improbabile. Qualcuno che conosceva? Forse. Non era nemmeno riuscito a capire se quei piedi appartenessero ad un uomo o ad una donna. Ritornò in casa ed osservò i cocci del vaso. Vide che erano sparsi un po’ ovunque, ma quelli più grandi, raggruppati dove s’erano infranti al pavimento, assumevano una forma strana, ad U. Shinichi si abbassò e, scrutandola per bene, capì che c’era una sola spiegazione. Probabilmente, il vaso era caduto su un piede dell’individuo, e s’era frantumato tutto intorno. Meditò sulla lunghezza e la larghezza del varco, e concluse che, da quel che si avvinceva, sarebbe potuta essere una donna.
È molto piccolo come lunghezza...si grattò il mento, stranito. Per quanto riguarda la larghezza è indubbiamente standard... sia un uomo che una donna potrebbero avere una pianta di 6 cm...
Per un attimo un brivido gli percorse il cuore. E se davvero fosse stata Ran?
No, impossibile...disse in mente, mentre continuava ad osservare i cocci a terra. Ma che piede ha Ran? Se non sbaglio era abbastanza piccolo, sicuramente più di questo... peccato non averle mai chiesto che numero portasse...
All’improvviso sopraggiunse un’ombra dalla porta. Istintivamente si voltò a guardarla e scorse Shiho, adulta.
Strabuzzò un po’ gli occhi, sorpreso, poi si rialzò.
«Kudo perché contempli un vaso rotto?»
«E tu perché sei adulta?»
«È un reato?» fece lei, mostrandosi seccata.
«No, ma fino a mezz’ora fa eri una bambina. Che magia hai fatto?»
Shiho fece un sorriso sadico. «Magari conosco un metodo per non sopportare due ore di trasfusioni...»
Shinichi sbatté le palpebre, seccato. «Mi stai prendendo in giro?»
«No, idiota, è il solito antidoto che prendevi ma migliorato di qualche ora. Sto ancora cercando un metodo che ti porti definitivamente al tuo stadio antipatico...»
Lui aggrottò un sopracciglio. «Stadio... che?»
«Niente, lascia perdere. Mi dici perché hai ridotto in frantumi un vaso dell’ottocento di dubbia bellezza?»
Shinichi ritornò a fissare gli occhi sui cocci ed emise uno sbuffo. «Non io, ma qualcuno che avrebbe voluto farmi una visitina.»
Shiho spalancò un po’ gli occhi. «Ancora quell’ombra?» fece, e lo vide annuire.
«Però, effettivamente, sono più serena adesso. Gin non è così idiota da far cadere un vaso a terra. Dunque ciò presuppone che abbiamo a che fare con una persona di scarso spirito investigativo.» Meditò la ramata, con un dito puntato sul mento. «Anche se, pensandoci bene, Vodka è una persona di scarso spirito investigativo...»
Shinichi la osservò intensamente per qualche minuto, tant’è che la stessa Shiho se ne accorse. Arrossì leggermente e mise il broncio.
«Mi dici che hai da fissarmi?»
«Quanto sei alta?»
«Eh?»
«La tua altezza...?»
Shiho non riusciva a comprenderlo, ma rispose lo stesso. «Ehm... boh. Credo un metro e sessanta. Perché?»
Più o meno quanto Ran allora...Shinichi le si avvicinò e si chinò a terra, afferrandole il piede destro.
«Ma... ma che fai!?» chiese lei, cercando di svincolarsi senza riuscirci.
«Posso misurarti il piede, vero?»
«Eh?!», Shiho arrossì ancora, ma il detective le girò il piede e ne scrutò attentamente la pianta per alcuni secondi. «Kudo, sei forse impazzito?»
Shinichi la lasciò andare e si rialzò, raggiungendo i cocci.
«Si può sapere che ti prende?»
«Voglio capire se è una donna o un uomo... tu hai la pianta larga circa 6 cm... dunque può essere una donna.»
Dannazione, che sia davvero Ran? No, ma lei non fuma... Però... però le cicche effettivamente potrebbero non essere sue... potrebbe esser stata una coincidenza trovarle lì...
Pensò, mentre un senso di euforia lo pervase da capo a piedi. Si sentiva felice al solo pensiero che Ran avesse voluto entrare in casa sua. Ed anche se il suo inconscio lo decretava improbabile, quasi si convinse che fosse così.
«Kudo, continuo a non capire. Che c’entra il mio piede col vaso?»
Lui s’alzò e la guardò, ma la mente era a tutt’altro.
Però potrebbe essere anche che le cicche siano dell’ombra ed oggi sia stata Ran... non è detto che si tratti in fondo della stessa persona... forse lei voleva parlarmi... forse voleva sapere cosa è successo davvero...
Sentì l’umore alzarsi come mai in quelle settimane. Come se avesse appena bevuto un litro di speranza liquida.
E Shiho non mancò di notare quel cambiamento, anche perché aveva un sorriso sul volto indelebile.
«E adesso perché ridi?»
«Eh?» arrossì lui, distolto dai suoi pensieri. «Chi sta sorridendo!» sbottò poi, fingendo una faccia seccata.
«Non me la racconti giusta».
Lui sbuffò. «Piuttosto, perché sei venuta?»
Lei fece spallucce, e tornò indietro, verso il cancello.
«Per nulla...» fece poi. «Ci vediamo dopo...»
 
 
 
«Mi sbagliavo. E lui... lui aveva ragione ad essere deluso, sai».
«Cosa? Lui... è deluso? Lui!?»
Hattori annuì.
«Sì, lui. Sai, tu non lo conosci per niente. Ed è brutto averlo capito dopo diciassette anni.»
La imitò volontariamente, poi la sorpassò, col capo chino.
«Ti auguro una buona vita, Ran.»
La giovane sbuffò, passandosi una mano sulle palpebre. Era seduta sul letto della sua camera, dove aveva abbandonato un vestitino rosa cipria, che avrebbe dovuto indossare all’appuntamento con Saigo. Al suo fianco, l’amica le stava scegliendo le scarpe e la borsetta, proponendone una sua.
«Che dici di questa nera? Mi pare si abbini bene col vestito».
Ran nemmeno la guardò.
«Sonoko, posso chiederti una cosa?» disse, osservando il pavimento in tatami.
«Mmh?», l’amica le si sedette a fianco. «Perché quell’aria seria?»
Ran finalmente spostò gli occhi su di lei. «Tu... tu faresti qualsiasi cosa per me, vero?»
L’ereditiera le sorrise. «Certo! Ne dubiti?»
«E se... commettessi qualcosa di sbagliato, tu... mi appoggeresti contro il parere della gente?»
Sonoko sbatté le palpebre più volte, stranita. «Cosa vuoi dire?»
Ran sospirò, torturandosi le mani. «Qualche giorno fa ho parlato con Hattori... ricordi di lui?»
Lei annuì. «È quel detective di Osaka, giusto?»
«Sì, ma è anche un amico di Shi... di Kudo» si corresse a tempo, non volendo pronunciare quel nome. «Forse il suo più caro.»
Sonoko la guardò, invitandola a continuare. Ran le spiegò per filo e per segno tutta la conversazione, dal momento in cui erano a casa fin quando lui se n’era andato dal supermercato.
«Secondo te lo ha fatto perché è suo amico?»
L’ereditiera ci pensò un attimo su. «Be’, credo di sì. In fondo, se sono così intimi, potrebbe benissimo significare che Kudo lo abbia indotto a farti dire quelle cose. Però... se devo dirti la verità, non riesco a dare un giudizio completo non sapendo cos’è successo tra voi due...»
Ran guardò ancora in basso. Era da un po’ che le ultime parole del detective di Osaka le tormentavano la mente, ma s’era quasi convinta che lui le avesse detto quelle cose solo perché fosse, effettivamente, troppo di parte. In fondo, anche Sonoko avrebbe fatto la stessa cosa con lei. Ma in quel momento aveva bisogno di capire per bene l’opinione dell’amica, quindi...
«Se te la dico, mi devi promettere che non la dirai a nessuno. Nessuno, Sonoko. Capito?»
«Ok» disse lei, annuendo, anche se un po’ spaesata. «Te lo prometto.»
Ran trasse un lungo respiro, chiuse gli occhi e strinse i pugni sul materasso.
«Sonoko... ricordi... Conan?»
«Sì, il piccoletto con gli occhiali? Mi manca prenderlo in giro!» disse l’amica, ridendo.
Ma Ran non era altrettanto gioiosa. «Sonoko... Conan... Conan è... è... lui».
Passarono molti secondi, durante i quali regnò incontrastato il silenzio. Erano quasi udibili i battiti dei cuori delle due in quella stanza. Il vento si infiltrava nelle finestre causando un debole e fastidioso fischio. L’ereditiera sbatté le palpebre molto velocemente.
«Come... scusa?»
Ran deglutì, abbassando nuovamente il capo. «Sono la stessa persona. Shi... Kudo ha due identità.»
L’amica quasi si strozzò con la sua stessa saliva. Aveva strabuzzato le palpebre, ma gli occhi erano immobili.
«Stai... s-scherzando?» fece, incredula.
Ran scosse il capo, mordicchiandosi un labbro. «No. Purtroppo... no.»
«Ma... com’è possibile? Cioè... lui... no, aspetta, era per questo che non si faceva vedere mai?»  chiese l’ereditiera, tra lo scetticismo e la sorpresa.
L’altra annuì. «Sì... capito adesso? Capito perché l’ho lasciato?»
«Erano davvero la stessa... persona?!», ma l’amica cercò un’ulteriore conferma. Credé di non aver sentito bene.
«Sì, Sonoko.»
«E tu... come... come l’hai scoperto?»
«Si è trasformato davanti a me... non farmi pensare...», Ran distolse il capo dagli occhi increduli dell’amica.
«Non ci p-posso c-credere» balbettò l’ereditiera, esterrefatta. «Sei sicura di quello che hai visto... vero?»
«Ti ho detto di sì!» sbottò Ran, leggermente infastidita.
«Non te lo sei sognata, vero?»
Ran sbuffò. «Mi credi pazza per caso?!»
«No... no... no. Cioè. Wow. Che... scoop» ammise poi, col fiatone.
«Sonoko? Mi hai giurato che non l’avresti detto a nessuno!»
«No... ma infatti... cioè, io ti credo perché sei la mia migliore amica... però, ammetterai che è leggermente surreale tutto ciò, Ran».
L’altra annuì. «E come se lo ammetto... sono rimasta traumatizzata.»
«Ok, quindi... mi stai dicendo che è sempre stato lui? Che... il moccioso... oh no, aspetta, ecco perché era così saputello!»
Ran si limitò ancora ad annuire. «Ah, e la sai un’altra cosa? Tu non hai mai risolto nessun caso. Come ha fatto con mio padre, ti ha anestetizzato» ricordò Heiji in quel momento, «e ha parlato per te».
Sonoko quasi non respirava più. «A... a...ane...anestetizzarmi?!»
«Già». Ran si fissò a guardare delle ombre che parevano muoversi fuori la stanza, offuscando la luce che proveniva dagli altri ambienti. Ma non era sola in casa? Capì d’esserselo immaginato.
«Ma... ma come...» provò a parlare Sonoko, ma le mancavano le parole.
Fu Ran a proseguire, permettendole di riprendere fiato, e distogliendo lo sguardo dalla porta.
«Capisci, adesso? Ti rendi conto per quanto tempo mi ha presa in giro? Ti rendi conto che io pregavo per rivederlo quasi ogni giorno, e Conan lo sapeva? Ti rendi conto che la prima volta che lo incontrai gli confessai in faccia quanto mi piacesse? Ti rendi conto che tutte le volte che gli ho chiesto cosa stesse combinando, lui si limitava ad un semplice “caso difficile e complicato”? Mi ha vista piangere per lui notte e giorno, e non ha fatto nulla Sonoko... nulla...»
Sentì le palpebre cominciare a gonfiarsi e ad arrossarsi. Ma doveva essere forte, non poteva continuare a piangere...
«Io... io ho riposto la piena fiducia in lui... gli ho creduto su t-tutti i fronti, t-tutti... » continuò, ma la voce le cominciò a mancare. Il fiato si spezzò e una lacrima si staccò dall’occhio destro.
«C-ci sono andata perfino a letto... capisci? mi s-sono concessa a-anima e c-corpo...» abbassò la voce in quel momento, rendendola quasi impercettibile.
L’amica la lasciò sfogare per alcuni secondi, sembrava un cucciolo indifeso.
«Io... non sapevo c’avessi fatto... tu... tu non me l’hai detto...»
«Lo volevo tenere per me. È successo durante le prove dello spettacolo...» ammise sussurrando, col capo basso. Il cuore martellava furioso nel petto a quei ricordi. Si graffiò il viso con le mani, facendole scivolare fino ai capelli. «Quanto sono stata stupida...»
«Ran... tu non devi pentirti di quello che hai fatto... l’hai fatto con amore, e di certo non potevi immaginare che lui fosse così verme...» fece Sonoko, adesso infuriata. Accarezzò la spalla dell’amica, e senza che lei se l’aspettasse, l’abbracciò.
«Tu vali molto più di lui» le sussurrò ad un orecchio.
Ran si staccò. Finalmente stava provando a sorridere.
«Quindi tu la pensi come me, vero? Non credi che stia esagerando?»
«Sì, Ran. Non vedo come si potrebbe pensare il contrario!» disse, con convinzione.
Poi guardò il vestitino poggiato sul letto e l’aiuto ad alzarsi.
«Ci vuoi andare a questo appuntamento, o no? Non è bello far aspettare il proprio cavaliere...»
«Povero Saigo, spero di non rompere anche lui sempre con la stessa storia...»
«Sono sicura che vorrà ascoltarti tutte le volte che ne avrai bisogno».
Ran sorrise, compiaciuta. Anche lei la pensava come Sonoko.
 
 
 
 
«Si avvisano i telespettatori che un’ondata di caldo colpirà la provincia di Tokyo nei prossimi giorni, si raccomanda dunque...»
La televisione accesa in cucina era uno stupido tentativo di far tacere la propria mente. Shinichi, giocando a far saltellare il cellulare tra le sue mani, era in attesa di qualcosa che non sapeva nemmeno lui cosa fosse. Agasa era ai fornelli, mentre Shiho era seduta sul salotto, con le gambe accavallate e le braccia incrociate. Il detective non aveva mai sopportato serate più noiose di quelle. Voleva alzarsi, fare qualsiasi cosa che potesse distrarlo, ma non gli veniva in mente nulla. Era andato anche a giocare a calcio due ore prima, ma da solo non c’era sfizio, e s’era seccato dopo un’ora.
Osservava l’amica scienziata fare zapping coi canali, con la stessa espressione scocciata che la contraddistingueva anche da bambina. Shinichi sorrise, ma appena lo sguardo gli cadde sul cellulare, si rabbuiò. Quella stessa mattina aveva pensato che Ran potesse essere entrata in casa sua. Non gli importava il motivo, ma credere che qualcosa avesse spinto l’ex fidanzata e migliore amica da lui, era già incredibile. Sapeva anche che erano solo sue congetture e soprattutto inutili speranze. Quell’impronta sarebbe potuta essere di chiunque, e lei non aveva motivo di incontrarlo...
Sbuffò, lanciando nuovamente lo sguardo alla televisione.
«Oh, amore... non sai quanto tempo ho aspettato prima di questo momento... sei tutto ciò che ho sempre desiderato», Shinichi fece una faccia disgustata a quella visione. Non gli erano mai piaciuti i film romantici. Ma stranamente, Shiho pareva interessata.
«Non sapevo ti interessassi di questi generi» la sfotté, ridacchiando. Al principio la scienziata non fece caso alle sue parole, quasi come se non le avesse ascoltate. Poi, recependole per bene, si girò lentamente e lo guardò truce.
«Non sono mica come qualcuno che si interessa solo di cadaveri» rispose, con freddezza.
«Che sono certamente qualcosa di più istruttivo di queste sciocchezze» ribatté lui, contrariato.
«Kudo, ti ricordo che queste sciocchezze le facevi anche tu con la tua principessa qualche tempo fa» disse lei, senza scomponendosi. Aveva toccato un tasto dolente, e lo sapeva.
«Non sono mai stato così sdolcinato» fece, fiero di se stesso. «E non lo sarò mai».
Agasa s’era improvvisamente interessato alla conversazione. Il dottore fece un’espressione mista tra lo stranito e l’ignorato. Si abbassò ad uno dei cassetti della cucina, e ne tirò fuori delle posate.
«Peccato» sorrise sadica Shiho. «A me piacciono i tipi dolci.»
«Come scusa?»
Ma quando lo disse, Agasa fece cadere tre piatti a terra, frantumandoli. Shinichi e Shiho si voltarono, mostrandosi seccati.
«Professore, ma che combina?» fece lei, tornando a guardare la televisione.
«Scusatemi ragazzi!» disse lui, abbassandosi per raccogliere i cocci. Il detective s’alzò e fece per aiutarlo, ma Agasa lo mandò via.
«No, no, faccio io», e prese la scopa da uno sgabuzzino. «Piuttosto, perché tu non vai a comprare dei piatti di plastica al supermercato? Sennò dobbiamo farne a meno».
Shinichi non desiderava ascoltare altro. Voleva soltanto una scusa per smuovere un po’ quella serata.
«Volo» disse. Uscì di fretta dalla villa di Agasa, e cominciò a dirigersi verso il supermercato. Il più vicino era quello a pochi metri dall’agenzia. E più s’avvicinava più gli veniva voglia di salire sopra e parlare. Era incredibile pensare che vivevano a soli seicento metri e non si vedevano da quasi tre settimane. Si impose di camminare con lentezza, ma quando svoltò l’angolo e vide le luci dell’agenzia spente si fermò per qualche secondo. Parevano anni.
Riprese ad avanzare verso il supermercato, e quando ormai distava pochi metri, distinse una figura di fronte alle scale della casa dei Mouri. Avvicinandosi un po’ di più, notò che fosse Saigo.
Che diavolo ci fa lui qui?
Si nascose dietro un albero per guardarlo meglio, e non poté fare a meno di vedere come fosse vestito. Era tirato a lucido da capo a piedi, ed in mano aveva un mazzo di rose. Shinichi strinse i pugni, cominciando a capire che stesse succedendo.
Non mi dire che... che lui...
Ma non finì neanche di pensarlo, che udì dei passi scendere dalle scale. Dopo alcuni secondi, l’incubo si tramutò in realtà. Sulla soglia dell’ingresso c’era Ran, in un adorabile vestitino rosa, che alla vista dei fiori aveva assunto un’espressione idilliaca. E la sua vista gli procurava dolore e gioia insieme. Perché era bello rivederla, ma se era lì con Saigo, ciò voleva dire una sola cosa...
«Sono bellissimi, grazie» la sentì parlare, felice come mai. «Non ho fatto tardi, vero?»
«No, no. Sono io in anticipo» disse Saigo, grattandosi il capo. Aveva un sorriso che nemmeno ad investirlo sarebbe andato via.
«Be’, salgo un attimo su e metto i fiori nell’acqua, non vorrei s’appassissero. Vuoi mica salire?»
Shinichi volse lo sguardo pietrificato a Saigo, che era leggermente arrossito. «Non vorrei... non vorrei disturbare. Magari ci sono i tuoi e...»
«No, sono da sola. Mamma è ancora in ufficio e mio padre... mio padre non so dove sia. Dai, sali, ci mettiamo un attimo» disse, varcando il primo scalino. Shinichi continuò ad osservarli, senza osare né muoversi né parlare.
Vide Saigo seguirla e scomparire nel giro di qualche secondo, oltre il muro della rampa.
Rimase lì, da solo, ad osservare le luci dell’agenzia riaccendersi.
Ran...
Passarono cinque minuti, e dei due nemmeno l’ombra. Le luci erano ancora accese, ma nessuno dei due era sceso. Shinichi si staccò dall’albero, e senza pensarci, camminò verso l’agenzia. Si fermò sulle scale, osservando le porte chiuse. Quel ragazzino era in casa da solo con Ran... con la sua Ran...
Risalì le scale, si fermò dinanzi alla porta dell’agenzia e aprendola lentamente capì che non fossero lì. Quindi erano su, nelle camere... Un’ondata di gelosia lo percorse fino a fargli perdere la ragione. Risalì anche quella rampa e notò che la porta d’entrata era socchiusa. L’aprì leggermente.
«E questa è la mia stanza» sentì udire dalla karateka, mentre Saigo le faceva i complimenti con la sua disgustosa voce smielata.
«Mi piace casa tua, è accogliente».
«È piccola, ma ha tutto quello che serve» disse lei, guardandosi intorno.
«Anche la mia è più o meno così. Però la mia stanza non è bella quanto la tua».
Shinichi strinse i denti. Che modo stupido di far colpo su una ragazza...
«Prima o poi me la farai vedere» fece lei.
Il detective si sporse ancora più avanti.
È mai possibile che Ran si sia innamorata di questo idiota? No... non ci credo... non è possib...
Ma all’ingresso, fece cadere un vaso che aveva sempre detestato per essere stato messo lì. Il tonfo sordo richiamò i due nel salone, che in qualche attimo lo raggiunsero. Shinichi era sul punto di scappare, ma non ebbe la stessa fortuna dell’ombra quella mattina. D’altronde, se l’individuo di stamattina era riuscito a nascondersi perché un piano e parecchie scale li avevano divisi, tra lui e i ragazzi mancavano soltanto tre metri. E così si ritrovò faccia a faccia con Ran.
Cazzo!
 
 
 
«Tu!»
La karateka era sconvolta. Cosa diavolo ci faceva quel verme in casa sua? Come s’era permesso d’entrare lì dopo quello che aveva fatto? Era inconcepibile. La rabbia la rapì. La fece impazzire. Saigo la raggiunse ma non disse una parola. Gli occhi erano tutti puntati su Shinichi.
«Cosa vuoi?» disse, dal tono iracondo. Il detective riuscì a leggere tutto l’odio che provava. I suoi occhi spruzzavano fiamme, e la sua bocca tremante non era affatto un buon segno.
Si inventò la prima scusa che gli passò per la testa.
«Sono... sono venuto a prendere una cosa. Credo di averla lasciata qui», non sapeva nemmeno lui di cosa stesse parlando. «Ah... scusa... per il vaso».
Saigo si stava chiedendo perché mai Kudo avrebbe dovuto lasciar qualcosa di suo in casa di Ran, ma capì che non era il momento di domandarlo. Osservò l’amica e non poté fare a meno di notare i suoi pugni stretti.
«Bene. Cerca quello che ti manca e vattene» sputò fuori, col massimo della stizza.
Shinichi sentì una fitta al cuore. Tre settimane e il suo odio non era scemato di un po’. Anzi, pareva addirittura aumentato dall’ultima volta che l’aveva vista. Fece qualche passo verso di lei, e quando le fu vicino la vide spostarsi, quasi come se lui avesse la lebbra. Senza pensare a cosa stesse facendo, andò in camera di Kogoro, dove cominciò a cercare il nulla.
Cosa ci faccio qui? Che m’è passato per la testa?
Diede uno sguardo al comodino, e notò che sopra esso vi erano delle bende raggrinzite e leggermente sporche di sangue. S’avvicinò, le prese in mano ed annusando, capì che il sangue era secco. La striscia rossa era trasversale alla benda, e ricopriva all’incirca 6 cm...
Aspetta, potrebbe non essere un piede...
Ran rimase in salotto con Saigo. Aveva lo sguardo fisso sulla porta della stanza, in attesa che quel verme ne uscisse fuori. Aveva dimenticato qualcosa? Ne dubitava. Dopo la sua partenza aveva perlustrato ogni centimetro di quella casa, e non aveva trovato più nulla che appartenesse a Conan. A proposito, era tornato adulto...
Il karateka la osservò e le rivolse un sorriso preoccupato.
«Stai bene?»
Lei scosse il capo, mordicchiandosi un labbro. «Lo vorrei uccidere.»
Saigo rise appena, anche solo per la serietà con cui l’aveva detto.
«Scusami un attimo. Rimani qui» disse, mentre l’amico le rivolse un stupito «ok, se è qualcosa, chiamami». Ma Ran non ci badò, e lo lasciò indietro, cominciando a camminare verso la stanza. Era furibonda. Non osava ammetterlo lì dentro. L’avrebbe volentieri preso a calci e pugni.
Si appoggiò sullo stipite della porta, quando lo vide alzarsi e voltarsi dalla sua parte.
«Che ci fai qui, Kudo?» gli domandò, con i pori che spruzzavano odio.
Shinichi si voltò di scatto e posò le bende sul tavolo. Aveva capito...
«Adesso mi chiami col cognome?» ribatté lui, senza sapere cosa risponderle.
«Ti chiamo come mi pare e piace. O forse vuoi che ti chiami Edogawa?» fece ancora, gelida e sarcastica al tempo stesso.
Lui sbuffò. «Continui a parlare di una situazione che non conosci... non mi hai lasciato il tempo di...» disse, ma venne interrotto.
«Oh, certo. Lo ha detto anche Hattori, sai? “Lui l’ha fatto per proteggerti”, mmh, commovente» continuò a dire lei, pungente.
«Hattori è venuto a parlare con te?» si stranì Shinichi, essendone completamente all’oscuro.
Ran rise, ironica. «Adesso fai finta che non lo sapevi? Ma per favore».
«Certo che non lo sapevo!» ribatté il detective, incredulo. «E cosa ti ha detto?»
«Sei diventato un maestro nel dire stronzate, sai. Potresti fare l’attore. Cambia mestiere.»
«Io non sto mentendo, Ran».
«Mouri, Kudo. Prenditi meno confidenza.»
Il detective rise per non piangere. «Tu sei impazzita.»
«Meglio pazza che meschina come te, Kudo» ribatté. «Ah, grazie per avermi baciato solo per zittirmi mesi fa. Bastava un semplice “non rompere”.»
«Ma di che stai parlando?» fece lui, esterrefatto. Ma quella... era davvero la sua Ran?
«Lo sai benissimo, verme» sputò fuori. «E adesso spiegami perché sei qui».
«Te l’ho detto già» rispose, mentre l’ira cominciava ad impossessarsi anche di lui. Non poteva credere che lei non volesse ascoltare nemmeno una parola di tutto quello che aveva da dirle...
«Per favore, Kudo. Sai benissimo quanto me che qui non c’è niente. Ma cos’è? Speri di prendermi in giro per il resto della tua vita? Non è noioso?»
«No, è divertente, sai. Del resto con te è anche facile,» ribatté lui, arrabbiato e sarcastico allo stesso tempo, «...Mouri»
Ran strinse i pugni, mentre tenne a bada la voglia di prenderlo a schiaffi e calci. Si imponeva una calma che non aveva.
«Ti sentirai soddisfatto adesso» rise lei, quando in realtà avrebbe voluto piangere.
«No, non molto. Sarebbe potuto durare ancora, ma sono stato sfortunato...» disse Shinichi, facendo un sorriso falso.
«Hai voglia di farti del male stasera, Kudo?»
«E chi me lo farebbe, tu?» la derise, avvicinandosi di qualche passo. «Sto tremando di paura, Mouri...»
«No, io, Kudo.» Sopraggiunse la voce di Saigo. «Comincia a tremare».
Shinichi assottigliò gli occhi, disgustato. «Nessuno ti ha interpellato, Yami».
«Smettila di infastidire Ran.»
«Stavamo solo parlando, e nessuno ti ha interpellato.»
«Controllo che la situazione sia a posto.»
«Non abbiamo bisogno del tuo controllo».
Ran osservò i due preoccupata. E non sapeva perché...
«Smettila di comportati così. Non vedi che non vuole parlarti?»
«Non mi pare d’aver chiesto la tua opinione.»
«E invece dovresti farlo...» fece il biondino, coi pugni stretti.
«Non spreco il mio tempo con stupidi come te» fece il detective, seccato.
Il karateka cominciò ad avvicinarsi, minaccioso. Ran strabuzzò gli occhi.
Saigo è migliorato tantissimo...
Pensò, osservando Shinichi e provando un insolito moto di terrore.
Saigo era ormai vicinissimo al detective, e lo scrutava con la stessa intensità con cui l’altro lo guardava.
Gli farà del male...
L’ira lasciò spazio alla paura. Perché non voleva che avesse una lezione adesso? Era davvero strana a volte!
Ma cosa sto dicen...
Alzò gli occhi e vide due pugni volare. Ma prima che potessero toccarsi...
«NO!» urlò Ran, con le mani sulla bocca. I due si fermarono all’istante, stupiti.
Saigo si staccò e indietreggiò di qualche passo, ma Shinichi non mosse un piede.
«Perché non vuoi che lo prenda a pugni? Se lo merita!» fece il karateka.
Ran scosse il capo con violenza. «Q-questa è casa mia! Non voglio che succedano queste stupidaggini. E poi... poi non ti devi abbassare al suo livello, Saigo».
«Veramente chi ha incominciato è stato lui» precisò Shinichi.
Ran gli lanciò uno sguardo truce.
«Vattene adesso Kudo. Non sei il benvenuto qui.»
Il detective non si mosse, si limitò soltanto a scrutarla senza interruzioni.
«Agli ordini, Mouri.»
Superò Saigo, superò lei, e lasciò l’appartamento. Ran avrebbe voluto seguirlo e prenderlo a pugni. Ma sentiva che solo lei avrebbe potuto e dovuto farlo. Ne ignorava il motivo. Ma solo lei...
 
 
 
 
In ritorno verso casa, Shinichi aveva il capo basso e si muoveva a piccoli e lenti passi. Ripensava a Ran, e all’appuntamento che aveva con Saigo, e che lui gli aveva rovinato. Ripensava al volto felice di lei alla vista dei fiori, e a quello iracondo alla sua vista...
A pochi metri da casa sua, udì dei passi seguirlo. Echeggiavano nel buio e silenzio dell’ambiente, arrivando sino alle sue orecchie da un vicolo a destra. Il detective si bloccò, e lo fecero anche quei passi.
«Hai intenzione di spiarmi ancora per molto?» chiese all’ombra che lo scrutava, ma quella non si mosse e non disse nulla. Il detective pazientò, sperando che si rivelasse.
«Le ho viste, sai... le bende nella tua camera. Ti sei fatto male la mano stamattina, giusto?» domandò ancora, osservando un punto preciso del buio. «...Kogoro?»
La figura si mosse e si mostrò al chiaro di luna. L’uomo rimase a guardare Shinichi per qualche istante, poi fece qualche passo avanti. Aveva le mani nelle tasche dei pantaloni che indossava sempre e che per mancanza di denaro era impossibilitato a cambiare.
«Perché mi stai seguendo?»
«Per scoprire cosa nascondi. E ci sono riuscito. Perché sei andato da lei stasera?»
«Volevo solo spiegarle come stanno davvero le cose» replicò il più piccolo, mantenendo vivo il gioco di sguardi. Kogoro era imperturbabile. Pareva fatto di ghiaccio.
«Cioè? Che riesci a trasformarti in un moccioso di sette anni? Come hai potuto prenderci in giro per tutto questo tempo? Ti abbiamo offerto una casa, e tu non hai fatto altro che mentire.»
Shinichi tremò nel capire che anche lui sapeva di Conan.
«No, sono stato obbligato» ammise. «Ma non me lo lasciate spiegare.»
«Io sono tutt’orecchi moccioso. Parla.»
Shinichi tirò un sospiro, si guardò intorno e osservò nuovamente Kogoro.
«Qui no. Entriamo in casa?»
L’investigatore più grande annuì. Lo seguì, ma quando furono di fronte al cancello, videro Agasa e Shiho aspettarli. Il dottore era sul punto di fiondarsi su Shinichi, ma si bloccò alla vista di Kogoro.
«Mouri... che ci fai, qui?»
«Avendo ospitato il ragazzino per un anno credo che debba almeno essere messo al corrente di tutto» replicò con freddezza.
Agasa guardò Shinichi come a dire “quando l’ha scoperto?” e ricevette in risposta solamente un’occhiata preoccupata. Shiho li seguì nella villa, chiudendo la porta dietro di sé.
«Era lei l’ombra, vero?» chiese la scienziata al detective in trance, raggiungendo Shinichi davanti all’entrata.
«Sì. Quando Conan è andato via di casa ho incominciato a sospettare che tra i due ci fosse qualche legame, ed infatti, spiandolo... ho notato che il piccoletto era venuto a vivere a casa Kudo. Ma il più bello è stato il momento in cui l’ho visto entrare da Agasa coi vestiti di un adulto ed uscire con il corpo di questo saputello. Non sarò una grande mente, ma ci arrivo anche io a certe cose.»
Shinichi sospirò, dandosi dell’idiota. Ricordava d’aver sentito la presenza di qualcuno in quel momento...
«Adesso esigo una spiegazione.» Fece, sempre freddo. «E poi, pretendo di sapere cosa mi hai fatto per farmi risolvere i casi. Non è una bella sensazione scoprire che tua figlia capisce che non sei il genio che vanti di essere.»
Il liceale perse un battito del cuore. «Tu sai che...?»
«Che mi anestetizzavi? Sì, l’ho sentito dire a Ran.» Disse, ricordando ciò che aveva origliato quello stesso pomeriggio a casa sua. In fondo, le ombre, la figlia non le aveva immaginate...
«Ran sa che...?», era un colpo dopo un altro. Shiho fece uno sbuffo, mentre Agasa respirava ansimante.
«Allora, ragazzino? Cosa hai da dire a tua discolpa?»
Shinichi fece per parlare, ma il campanello lo bloccò. Gli sguardi corsero alla porta, ed uno strano senso di nervosismo si trascinò nell’aria. Shiho s’avvicinò all’amico e gli afferrò le braccia, terrorizzata. C’era qualcuno dietro quella porta, qualcuno che emetteva uno strano ma conosciuto odore...
Shiho avvertì una fitta, poi altre ancora.
Abbracciò Shinichi e si nascose dietro il suo corpo. Il detective la guardò stranito.
«Che succede?» le chiese, girando leggermente il viso verso di lei.
La scienziata fece cenno alla porta con la testa.
«C’è... c’è...» provò a parlare ma la voce le moriva in gola.
Il campanello suonò di nuovo.
«Nessuno va ad aprire?» chiese il detective in trance, scocciato.
«NO!» urlò Shiho, stringendo la maglia del detective sotto le sue mani.
«Ai?» la chiamò Agasa, preoccupato.
«N-non aprite» balbettò. «Shin... Shinichi... ti prego».
Ancora il campanello. Sembrava che, chiunque ci fosse dietro quella porta, non aveva altro da fare che suonare. Sapevano che loro erano lì. Kogoro fece uno sbuffo seccato e andò ad aprire. Si ritrovò di fronte ad una bella ragazza dai capelli ramati e dagli occhi chiari.
Lei accennò un sorriso e avanzò verso di loro, con estrema lentezza.
«...Hana?» domandò il liceale, imperterrito.
Non era sola. Dietro di lei apparve un’altra donna, molto più alta e affascinante. Aveva lunghi capelli biondi e due occhi azzurri ghiaccio. Shiho cominciò a tremare, e terrorizzata, si strinse ancora di più a Shinichi, affondando la testa sulla sua schiena.
Il detective non aveva più fiato in gola.
Era Vermouth.

 








Sto aggiornando troppo velocemente, vero? u.u 
Se continuo di questo passo la fic finirà in un batter d'occhio...
no no, mi devo dare una calmata u.u Assolutamente u.u
Ehm.... ciao cari :D
Sono di nuovo qui XD 
Finalmente abbiamo scoperto chi era l'ombra... adesso chi mi dice chi è che aveva pensato a Kogoro? Non ve l'aspettavate, eh?! Il senso era proprio quello di trarvi in inganno u.u 
Ma andiamo con calma.... all'inizio del capitolo, Shin non è puccioso nel pensare che Ran possa aver voluto parlargli? :(
Dolce lui <3 Ovviamente... l'idiota è andata a chiedere consiglio a Sonoko... e fu così che tutte le belle parole di Heiji furono mandate a quel paese grazie all'intervento della Suzuki!
Dunque, Ran è più incazzata di prima... ma almeno il suo "appuntamento" con Mr Nonmipiaccionoicognomi è rovinato a causa di Shin... già, la gelosia gli ha fatto perdere la ragione e s'è fatto sgamare! Però, però... in questo capitolo risalta ancora di più una delle caratteristiche della rabbia di Ran... chissà chi l'ha notato...:P
Intanto Shinichi torna e incontra Kogoro.... il detective ha bisogno di chiarimenti, ma mentre stanno per cominciare... chi arriva?
Hana e Vermouth!!!!! O_____O 
*causando un infarto a Shiho, inoltre* XD



Cosa succederà e cosa avranno in mente le due? :P
Tutto.. nella prossima... puntata XD

Ringrazio chi ha recensito e chi ha inserito la storia tra le preferite!<3333
Vi adoro!!!!

Un bacione a tutti!!!
Tonia

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Capitolo 32
*** Complicazioni ***


Your Lies
31.
Complicazioni

 
 
 
Vermouth avanzò verso di loro come una tigre segna e avvicina la sua preda; ma prima che potesse catturarli, virò a destra e si sedette sul salotto, accavallando le gambe con incredibile sensualità. Kogoro si immobilizzò a guardarla: era una delle donne più belle che avesse mai visto in vita sua. Hana imitò la collega, e con un sospirò superò Shinichi e Shiho.
La scienziata era ancora aggrappata all’amico, e non sembrava aver voglia di staccarsi per il resto della giornata. Il suo cuore non era stato mai così veloce e battere e gli occhi non erano mai rimasti per così tanto tempo fissi su un punto. Il detective avvertì la stretta della giovane e non la ritrasse, sebbene volesse raggiungere la donna in nero e chiederle per quale assurdo motivo fosse a casa sua.
Così calò un silenzio pesante e nervoso, che nemmeno il tamburellare delle dita di Hana sul tavolino a fianco al salotto spezzò. Nessuno, chi per un motivo chi per un altro, osava parlare.
«Ehm», esordì all’improvviso Kogoro, ripresosi dallo stato di incoscienza. «Ma... voi chi siete?»
«Piacere di conoscerla detective, il mio nome è Chris Vineyard.» La donna fece un sorriso largo, pieno di dolcezza. «Ma molti mi chiamano Vermouth».
Shiho sussultò al suono del nome in codice. Kogoro sembrava più spaesato che mai; in un attimo si chiese chi fosse e perché fosse lì, ma tentò in tutti i modi di ricollegare i neuroni al cervello. L’istinto gli diceva che tutto questo aveva a che fare con quel ragazzino e con la sua piccola Ran, quindi aveva bisogno di capire.
«Oh, piacere» fece, poi guardò Shinichi, in cerca di spiegazioni.
«È inutile che cerca in Silver Bullet  la ragione della mia venuta, ne è anche lui all’oscuro» lo anticipò poi, dando uno sguardo al salone. Kogoro inarcò un sopracciglio a quel buffo soprannome.
«Bella casa, Silver Bullet. Ma d’altronde Yukiko ha sempre avuto bei gusti».
Il detective deglutì leggermente. Osservò Hana e la scrutò per bene, maledicendosi per ogni volta in cui le aveva parlato.
«Che ci fai qui?» chiese, riportando lo sguardo alla più grande.
Vermouth sorrise, avvicinandosi a loro. Shiho si strinse ancora di più all’amico, attirando l’attenzione dell’ex complice in misfatti. La osservò come se fosse un verme.
«Non preoccuparti, Sherry. Non ho alcuna intenzione di ucciderti. Puoi lasciar andare il tuo amico che quasi gli stai bloccando la respirazione.»
Shiho strinse i denti e lasciò andare leggermente la presa, ma non si staccò da Shinichi.
«Che ci fai qui, Vermouth?» ripeté il detective, con un tono più deciso.
«Sono qui...» cominciò lei, muovendo lentamente le labbra rosse. «...per te».
Shinichi strinse i pugni con forza. «Te l’ha ordinato il tuo capo? Gin? Sei qui per uccidermi?»
Kogoro dilatò le palpebre, spaventato. Di cosa stavano parlando? E perché quella bionda avrebbe potuto voler uccidere il piccolo Conan?
Sharon si lasciò andare ad una fragorosa risata. «Silver Bullet... mi deludi. Credi davvero che se volessi ucciderti ti verrei a prendere con una graziosa signorina ed entrerei in casa tua come se nulla fosse?»
Il detective non rispose.
«Come ho già detto... sono qui... per te. Non... contro te. Sono sempre stata dalla tua parte, in fondo.»
«Ed io dovrei crederti?» chiese lui.
«Non credo che tu abbia alternative».
«E allora dimmi sul serio perché sei qui», si irritò l’investigatore, consapevole d’esser in casa sua con una temibile assassina.
«Chandon? Vuoi per favore chiarire le idee a questo bel giovanotto?»
I due ragazzi sussultarono. Shinichi strabuzzò le iridi azzurre e le fissò sulla ragazza dai lunghi capelli ramati.
«Chandon...? Eri... tu?»
Hana annuì. «Già. Bello il mio nome in codice, no?»
Kogoro ritornò con la mente a circa un mese prima, quando arrivò a casa sua quell’invito stravagante, sotto la firma di un certo ‘Chandon’. E poi quello prima ancora, di Halloween, sotto la firma di un certo ‘Vermouth’.
«Siete state voi!» sbottò all’improvviso, richiamando l’attenzione di tutti i presenti. «Voi avete mandato gli inviti a casa mia! C’erano i vostri nomi scritti sopra! Ma... chi siete? E cosa volete da questo ragazzo!?» aggiunse poi, un po’ iracondo, ma visibilmente preoccupato. E la dolcezza con cui aveva pronunciato ‘questo ragazzo’ quasi intenerì Agasa.
«Mmh» fece un mugolio la donna bionda, avvicinandosi a lui. «Ti abbiamo visto spiarlo, sai? Abbiamo pensato che fosse stupido impedirti di scoprire cosa nascondesse, perché è ormai inutile che lui si nasconda. Ormai è all’aria aperta. L’organizzazione tra pochissimo scoprirà chi è, ed anche che Sherry è qui. Mancherà poco e proveranno ad attaccarlo, ad ucciderlo... e ad annientare chiunque sappia di lui, di loro.»
Poi si voltò verso Shinichi, ed incrociò le braccia al petto.
«La tua cara Angel, il tuo amico di Osaka, i tuoi genitori, quel ragazzino fratello di Kir, il vecchietto qui presente, e forse anche i bambini con cui giochi a pallone il lunedì pomeriggio» disse, facendolo rabbrividire. «Tutti, Silver Bullet. Sono tutti in pericolo.»
«Come... come sai che loro...?» provò a domandare Shinichi, mentre la paura lo divorava nel risentire l’eco di tutti i nomi che aveva fatto. Angel... Ran... il tuo amico di Osaka... Heiji... i tuoi genitori... mamma e papà... i bambini... Ayumi, Genta, Mistuhiko...
«Ti spiegheremo tutto, ma con le dovute precauzioni» fece Hana, sorridente.
«Il fatto è che Chandon è riuscita a scappare a Gin per un pelo, ma adesso lui la ritiene una traditrice. La sta cercando, e quando scoprirà che non è mai stata dalla sua parte, non ci metterà più di un secondo a cercare te e chi ti sta vicino. Dobbiamo sparire per un po’, organizzarci e contrattaccare.»
«Che intendi per ‘sparire’?» si informò Kogoro, mentre tutti ascoltavano.
«Andare via, Mouri. Se ci tieni a tua moglie e a tua figlia, è bene che vengano anche loro».
«Ci stai dicendo che dovremmo fuggire?» chiese Shinichi, imperterrito.
«Sempre coraggioso, eh? Ti da fastidio il termine? In realtà non è fuggire, è prepararsi alla battaglia.»
«Non mi da fastidio il termine. Ma prima che io accetti devi spiegarmi tutto. Lo pretendo.»
Vermouth gli fece l’occhiolino. «Ma certo che sì, sciocchino. Per il momento... hai due letti su cui farci dormire? Siamo stanche.»
Il detective sospirò. Cosa avrebbe dovuto fare? D’altronde sarebbe potuto essere un modo per incastrarlo, ma allo stesso tempo era sciocco evitare un avvertimento del genere.
Avvertì la pelle stringersi su un fianco, ed abbassando lo sguardo incrociò quello di Shiho. Era terrorizzato.
«Non vorrai accettare!» sussurrò, in preda al panico.
«Cos’altro posso fare?»
«Ma sei impazzito? È Vermouth! Ti rendi conto? Non puoi fidarti di lei, Shinichi!»
«E ti rendi conto che sa praticamente tutto?» ribatté lui. «Se anche fosse un modo per intrappolarci, volente o nolente loro due sono al corrente di tutto quello che abbiamo cercato di nascondere. Dobbiamo tentare.»
«Shinichi... ti prego, per una volta, ascoltami...»
«Non posso. Ci sono in ballo le vite di troppe persone... dobbiamo rischiare» fece, poi le prese la mano e la strinse. Shiho arrossì leggermente. «Fidati di me».
La scienziata assottigliò gli occhi, nascondendosi di nuovo dietro di lui. Lo osservò lasciarle andare la mano, e piano piano avanzare verso le due donne.
Di te mi fido... mi fido ciecamente... ma di loro no, Shinichi...
«Seguitemi» disse il detective, e Chandon e Vermouth sparirono oltre la porta in legno di rovere. Di loro non restarono che le ombre.
 
 
 
«Cooosa? Ieri sera era a casa tua?»
L’intervallo tra una lezione ed un’altra aveva segnato l’inizio delle lamentele di Ran. I ragazzi intorno a loro mangiavano e chiacchieravano in allegria, mentre Ran aveva raccontato a Sonoko cosa fosse successo il giorno prima, dell’appuntamento andato a male con Saigo e dell’improvvisa venuta di quel verme. Di come fosse andato via, e di come lei avesse mandato via il karateka, in presa ad una crisi isterica.
«Devo assolutamente scusarmi con Saigo. Non sono stata per nulla gentile con lui.»
«Sì, ma... cosa voleva Kudo?»
Ran sbuffò, passandosi le mani sulla faccia. «Lo sai tu? Mi ha detto che era lì perché aveva dimenticato una cosa, ma data la sua ormai nota ‘sincerità’ stento a crederci. Poi abbiamo incominciato a discutere... e lui alla fine si stava anche divertendo! Finché non è arrivato Saigo, si son messi a litigare, e quasi volevano prendersi a schiaffi... quando io... li ho fermati.»
Ran ripensò al pugno in volo del karateka ed un altro brivido le scosse la schiena, obbligandola a cambiare posizione. Perché non aveva voluto che succedesse? Era sicura che lei, se potesse, lo ammazzerebbe con le sue stesse mani... ma perché allora le dispiaceva, anzi le faceva male, pensare a lui... ferito?
«Oddio, che razza di idiota! Perché non l’hai preso a calci, eh?», Sonoko pareva quasi averle letto in mente.
«Se solo avessi potuto... ma eravamo a casa mia, ed i miei sarebbero potuti tornare da un momento all’altro. Non mi andava di creare scompiglio.»
«E Saigo? Come siete rimasti?»
Ran sbuffò ancora. «Ci vedremo dopo in palestra. Spero solo non sia arrabbiato.»
«Buongiorno ragazzi» salutò all’improvviso una vocina stridula dall’ingresso dell’aula. I liceali si voltarono e all’istante si sedettero, scontrandosi con gli occhi della docente di inglese.
«Buongiorno professoressa» recitarono in coro i ragazzi, compreso le due amiche.
La donna si sedette alla cattedra e cominciò a sfogliare il registro. «Oggi avevamo detto che facevamo delle verifiche orali, vero?» s’accertò, ma più che una domanda pareva un avvertimento. «Vediamo un po’...»
La docente cominciò a scorrere le dita sull’elenco dei nomi, ignara della tensione che colpiva i suoi alunni in momenti come quelli. Ran vide persone pregare, altre girarsi e cercare qualcosa di indeterminato negli zaini, altri nascondersi sotto i banchi, altri ancora sfogliare con violenza le pagine del libro nella vana speranza di ripetere qualcosa. Lei non si mosse di un millimetro: era preparata ed aveva già due interrogazioni. Comunque sia, sarebbe andata bene.
«Isao...» enunciò la professoressa, continuando a scorrere il dito su e giù. Il giovane chiamato sbiancò all’istante e con una faccia cadaverica si avvicinò alla cattedra, osservando di sbieco i suoi amici e minacciandoli di suggerirgli qualcosa.
«Suzuki...» disse ancora la donna, e Sonoko chiuse le palpebre all’istante, emettendo un sospiro.
«Te pareva!» Guardò Ran e si morse un pugno. «Suggerisci, ti prego! L’ultimo capitolo non l’ho studiato!»
«Certo, ci provo!» sussurrò la karateka, facendole un sorriso di incoraggiamento.
«Yami...?» chiamò ancora la docente, alzando gli occhi al banco di Hana. Ran provò un moto di fastidio nell’ascoltare quel nome, e non voleva chiedersi perché...
«Yami Hana è assente da parecchio. Sapete perché?»
L’intera classe scosse il capo.
«Mmh... va be’, Kudo è un fantasma. Nemmeno ci provo.»
I ragazzi si lasciarono andare ad un risolino generale, mentre Ran emise una smorfia di disgusto. La professoressa era sul punto di chiamare un altro alunno, quando sentì bussare alla porta. Disse uno striminzito «avanti» ed essa lentamente si aprì. La donna strabuzzò le palpebre nell’osservare chi vi fosse dietro, ma i ragazzi erano impossibilitati a guardare, essendo coperti dal muro e dall’infisso stesso.
«Oh! Proprio di voi stavo parlando! Quale onore! Entrate, entrate!»
Ran sussultò. Proprio... di loro?
«Prof, in realtà avremmo bisogno di parlarle in privato». Era la voce di Hana, ne era sicura. Squillante e smielata come sempre. «È possibile?»
«Ora? Siete pazzi? Avete forse voglia di scampare l’unica interrogazione che riuscirò a farvi? Su, su. Venite qui.»
«Ma prof...» provò ancora la giovane, ma la docente si alzò dalla cattedra.
«Non se ne parla proprio. Avrò pure l’onore di sentirvi parlare. Alla lavagna.»
Ran aveva il cuore in tachicardia. Vide la Yami entrare e guardarsi all’indietro, regalando al suo accompagnatore un sorriso ironico e divertito. Non poteva essere. Non voleva credere che dietro quella porta ci fosse...
«KUDO!» si lasciarono andare ad un boato i suoi amici di classe. Forse per la felicità di rivederlo dopo quasi un mese, o forse per la gioia di scampare all’interrogazione, quasi tutti erano in lacrime. La karateka, invece, era pietrificata. Cosa ci faceva lui... insieme a lei?
Shinichi fece un breve cenno di saluto a tutti ed osservò gli interrogati: Sonoko, che lo guardava con occhi fiammanti e truci, e Isao, che pareva sul punto di avere un arresto cardiaco. Quanto avrebbe voluto che anche per lui, le interrogazioni, fossero l’unico problema di cui preoccuparsi...
Non si voltò nemmeno a guardare Ran, e non poté notarla con gli occhi fissi su di lui. Volse il volto direttamente alla professoressa, alla quale pareva esser arrivata Natale in anticipo. Si avvicinò alla lavagna e affiancò gli altri tre. Osservò Hana e scoppiò a ridere insieme a lei.
Ran aveva la pelle incendiata e i pori lasciavano scintille di fuoco. Ma che diamine facevano quei due?
«Parlando del diavolo, eh?» chiese ai suoi alunni la docente, che stavano ancora tirando sospiri di sollievo per la scampata insufficienza.
«Well! Obviously, we start with our fugitives.*»
Shinichi la sentì parlare e per un attimo si ricordò di quella stessa mattina.
«Cosa?! Vermouth è da te?!» sbottò l’agente Jodie, facendo risuonare la sua voce acuta in tutta la cornetta.
«Sì...», Shinichi era in difficoltà. Anche perché non sapeva bene cosa dirle. «Dice che Gin è alla mia ricerca. Dobbiamo andare via.»
«Ma non siamo pronti! Chiamo James, ho bisogno di sapere se devo inserire delle persone nel programma per la protezione testimoni...»
Il detective sospirò, e diede uno sguardo a Kogoro. «In effetti, qualcuno ci sarebbe...»
«Perfect. I hope you know at what point of the program we are.*»
I due ‘fuggitivi’ si osservarono ancora. Hana fece cenno a Shinichi di cominciare.
«Yeah. Eighteen century, more precisely... the age of romanticism. Byron, Keats, Wordsworth... who want to start talking you?*»
La karateka quasi spezzò una matita. Era mai possibile che dovesse fare il saccente e lo spaccone anche da interrogato? E perché poi era con quella oca travestita da liceale? Sperò con tutte le sue forze che andasse male ad entrambi e che, in qualche modo, la professoressa riuscisse a metterli in difficoltà. Ma sapeva che era difficile, quasi impossibile... Shinichi parlava l’inglese come la sua lingua madre. I suoi genitori, dopotutto, vivevano in America...
«Wordsworth and his idea of a romantic poet, thanks.*»
Il detective sospirò, socchiudendo gli occhi. Cosa doveva mettersi a fare mentre lì fuori c’era un’organizzazione criminale che lo voleva morto...
«Wordsworth thought that a poet was a man speaking to men. A man, it is true, endued with more lively sensibility, more enthusiasm and tenderness, who has a greater knowledge of human nature, ad a more comprehensive soul.*» Recitò con maestria, mentre la stessa professoressa si incantava ad osservarlo.
Tutta la classe si incantò a guardarlo e a sentirlo parlare in inglese. Alcuni lo avrebbero voluto come docente; chi per quanto fosse carino, chi per quanto credeva che non avrebbe mai messo un voto davvero basso come la vipera che lo ascoltava. Di tanto in tanto interveniva Hana, che se la cavava altrettanto egregiamente. Dopo mezz’ora di interrogazioni estenuanti su Byron e Wordsworth, i due furono mandati a posto.
Ran s’era trasformata in una fiamma vivente: come poteva e come riusciva a sapere tutto?
Perché è così...ma si fermò in tempo, mordendosi la lingua. No, non poteva pensare a lui in positivo...
«Siete stati magnifici. Incredibile, sono davvero soddisfatta. Andate a posto!»
E nonostante avessero di nuovo chiesto di parlarle in privato, la docente disse che doveva compiere altre due interrogazioni e che alla fine dell’ora era tutta per loro. Fece di nuovo loro i complimenti e diede loro il massimo, estasiata.
I due giovani si sedettero, rassegnati e sbuffanti, tra le maledizioni di Sonoko.
Avevano detto alla prof tutto ciò che lei sapeva. E lei Keats  non l’aveva studiato.
«Well. Now... Suzuki. Can you tell me about Ode on a Grecian Urn
Appunto.
 
 
 
E mentre Sonoko si arrampicava su tutti gli specchi esistenti in natura, Ran si scordò completamente della promessa fatta all’amica. Aveva dimenticato che avrebbe dovuto provare a suggerirle qualcosa. Il problema era che Shinichi Kudo era dietro di lei, e ciò non faceva che distrarla. Ciò che provasse era irrilevante, perché odio o rancore o attrazione o voglia di sbirciarlo o qualsiasi altra cosa fosse, non riusciva a fare a meno di sentire la sua presenza dietro di lei. E non riusciva a smettere di pensare di averlo visto entrare, sorridente, insieme ad Hana. Insieme a quella oca.
Ma non voleva fargli vedere che volesse vederlo.
Scosse il capo, passandosi una mano sulla fronte. Ma cosa stava dicendo? Voleva... vederlo? Era impazzita o cosa? Non sapeva cosa le stava succedendo, ma temeva che fosse cominciata dal momento in cui l’aveva visto entrare insieme a quella.
È solo che... mi da fastidio che ci sia Hana... non la sopporto, non li sopporto... si autoconvinse, mentre Sonoko dalla cattedra parlava dell’estetismo di Keats.
Sbuffò e prese lo specchietto dall’astuccio. Lo aprì e lo poggiò in modo che riflettesse ciò che fosse dietro di lei. Dopo due tre tentativi, riuscì ad inquadrare il viso di Shinichi ed anche parte del suo corpo.
Aveva lo sguardo perso nel vuoto, le mani nelle sacche, la labbra chiuse e il respiro regolare, troppo regolare... gli occhi azzurri che riflettevano la luce dello specchio, abbagliandola...
Sentì la testa girare e chiuse di scatto lo specchietto.
Il rumore sordo richiamò i ragazzi intorno a lei, compresi gli ultimi arrivati. Ran avvertì lui guardarla e sentì una scossa percuoterla. Cosa le stava succedendo? Lei lo odiava... certo, non voleva si facesse male, ma lo odiava. Lui le aveva fatto del male... troppo per poterlo perdonare...
Avvertì il cuore batterle più forte. Voleva rivederlo, sbirciare ancora...
Riprese lo specchietto, tirò un leggero sospiro e lo riposizionò ancora sull’astuccio. Ma appena il vetro riflesse Shinichi, Ran si accorse che lui la stava fissando, proprio da lì, da quello specchietto. E nell’incontrare i suoi occhi azzurri lo chiuse nuovamente, molto più violentemente della prima volta.
L’unica spiegazione era che fosse impazzita. Gettò lo specchietto nello zaino, tra gli sguardi straniti dei suoi compagni e di Hana, che gli lanciò una strana occhiata.
«Suzuki... mi aspettavo di meglio, lo ammetto» sentì dire alla professoressa.
«Vero, è che sono stata parecchio impegnata con le altre materie...» provò a scusarsi l’ereditiera.
Ran le osservò e capì che l’interrogazione era terminata. Ciò significava che anche l’ora stava per concludersi, e che presto lui sarebbe andato via, con quella...
«Bene. La prossima volta sarà spiegazione» avvisò la donna, mettendo il voto ai due ragazzi. Isao aveva preso un po’ di colorito ma Sonoko l’aveva perso...
Shinichi osservò i due tornare a posto ed immerse lo sguardo nel vuoto della classe. Una voce da lontano lo fece abbandonare ai suoi pensieri...
«Mi state chiedendo d’esser ritirati?» chiese il preside, esterrefatto. Non s’aspettava che quella mattina, così bella e soleggiata, gli arrivasse una tale batosta da uno dei suoi alunni preferiti.
«Sì. Abbiamo problemi familiari e personali e non possiamo continuare a fare assenze. Chiediamo di svolgere gli esami alla fine dei corsi per non perdere l’anno.» Spiegò il detective con un lieve sorriso.
«Ma... ma mi comprenda, Kudo. Siete entrambi minorenni. Ed io come minimo dovrò parlarne con i vostri genitori...» provò l’uomo, strofinandosi il mento.
Hana e il giovane si guardarono.
«I miei sono morti» fece la ragazza, e indicando Shinichi aggiunse: «i suoi sono a Los Angeles, non mi pare il caso di farli venire fin qui per una sciocchezza del genere.»
«Ma...», sbuffò il preside, passandosi una mano sugli occhi. «Ok. Mi fate un piacere? Andate a chiamare tutti i vostri professori? ne parleremo insieme con loro...»
«Kudo, Yami?», sentì la voce della professoressa richiamarli. «Sono tutta per voi».
Shinichi sbuffò, issandosi insieme alla ragazza dal banco. Attraversò la classe sotto il suono della campanella, e sotto lo sguardo furioso di Ran.
 
 
 
La palestra non era mai stata così vuota da quando lei vi si allenava, e un po’ di caos le avrebbe proprio fatto bene. Il silenzio dà voce ai tormenti, e non era proprio ciò che le serviva. In lontananza scorse la professoressa di ginnastica che parlava con altri due professori, ma di karateki e altri atleti non vi era traccia. Ran camminò, ma la mente era a poche ore prima: perché quei due erano venuti insieme a scuola, e perché parevano così confidenziali?
Forse... in questo mese che non l’ho visto,  loro si saranno incontrati...pensò, mordicchiandosi l’unghia di un dito. Ma perché era fastidioso pensare che potessero essersi incontrati? D’altronde lui non faceva più parte della sua vita, l’aveva cacciato via proprio lei. Quindi non doveva importarsene. Doveva dedicarsi solo a se stessa.
Raggiungendo dei piccoli pesi, Ran cominciò ad usarli e ad esercitarsi. Ma non aveva proprio voglia di allenarsi quel pomeriggio. Il pensiero di Shinichi Kudo e Hana Yami insieme, a fare chissà cosa e a chiedere chissà che alla professoressa, era martellante. Era una strana sensazione, qualcosa di forse indescrivibile. Però... la infastidiva. Solo questo.
«Brutta giornata?»
Ran fece un leggero sospiro nel riconoscere Saigo. «Ne ho vissute migliori» disse poi, sforzandosi di allenarsi con quei pesi. Parevano anche più pesanti del normale.
«Ho sentito che è tornato Kudo oggi» disse lui, superandola e mettendosi di fronte alla ragazza.
«Come... lo sai?» gli chiese, sorpresa.
«Mmh... tu non immagini nemmeno quanto sia popolare... l’hanno visto entrare insieme ad un’altra, se non sbaglio».
«Era Hana...», assottigliò gli occhi lei. «Sono entrati in classe che volevano parlare con la professoressa, ma si sono beccati un’interrogazione. Andata anche bene, purtroppo...»
Saigo fece un mezzo riso amaro. «Ti... ti da fastidio che sia con lei?»
«C-certo che no!» sbottò lei paonazza, lasciando andare un peso e sollevandone un altro. «Cosa vuoi che me ne importi?»
Saigo l’avvicinò ancora un po’, osservandola negli occhi. «Lui non ti merita Ran.»
«Lo so!» disse, ma il tono così sicuro e forte era per convincere più se stessa che lui. «Comunque, scusa per quello che è successo ieri. Purtroppo... non potevo immaginare che...»
«Non preoccuparti. Avremo altre possibilità, no?» le fece l’occhiolino, sorridente.
La karateka annuì, non molto convinta. Vide Saigo avvicinarsi ancora un po’ ed essere tremendamente vicino. Non alzò gli occhi dai pesi e si sforzò di pensare all’allenamento. L’atmosfera stava diventando pesante...
«Che ne dici se stasera ci rivediamo?»
«O-ok, perché no...» rispose velocemente, non volendoci pensare oltre. Non sapeva cosa le stava succedendo, ma improvvisamente si sentiva a disagio. Eppure con Saigo, nell’ultimo periodo, non le era mai accaduto. Era per via del pensiero di Shinichi con Hana?
«Vorrei portarti in un bel posto. Sono sicuro ti piacerà.» Disse lui, mentre Ran aveva ancora il viso chino al pavimento.
«Oh, n-non vedo l’ora...» ribatté senza voglia, pentendosi un secondo dopo averlo pronunciato. Ma dal basso dei suoi occhi vide Saigo avvicinarsi e alzarle il viso con le mani. Si scontrò con i suoi occhi verde smeraldo e poté intravedersi nel loro riflesso.
«Cos’hai?» le chiese, avvicinando il viso a quello di lei.
«N-nulla...» disse, ma lui era a pochi centimetri. Troppo vicino da poterlo evitare. Era sul punto di baciare Saigo, un ragazzo che non era Shinichi. Qualcuno che non aveva le sue labbra e la sua lingua. Qualcuno che le avrebbe fatto dimenticare le sue mani e i suoi occhi, il suo corpo nudo sotto le coperte. Qualcuno che le avrebbe permesso di andare davvero avanti, e di smetterla di avere rimorsi su quello che era successo. Qualcuno che non aveva occhi azzurri da far male. Qualcuno che non era lui.
Lui...
 
 
 
«Chi ci manca?» domandò il detective, scocciato. Erano ore che era in giro insieme ad Hana per la scuola, alla ricerca dei suoi professori; ed erano ore che questi non facevano altro che farlo aspettare.
«Quella di Storia e quella di Ginnastica. Ho chiesto e dovrebbero essere entrambe in palestra» rispose lei, altrettanto seccata.
«Speriamo solo non ci metta a fare una partita» disse Shinichi, leggermente ironico. Si incamminarono insieme verso l’edificio, distante circa un centinaio di metri. Il detective non aveva fatto più domande sulla questione, perché Vermouth gli aveva detto che gli avrebbe spiegato tutto a tempo debito. Ma c’erano innumerevoli questioni da risolvere. Heiji sarebbe stato inserito nel programma di protezione, o avrebbe cercato di unirsi a loro? Kogoro che avrebbe deciso di fare? Ran e sua madre erano potenzialmente in pericolo, un po’ come i bambini e adesso anche Sonoko!
Girò l’angolo e si ritrovò di fronte la porta della palestra. L’aprì con delicatezza, scontrandosi con un denso odore di chiuso. Era sul punto di raggiungere i due professori, quando una scena in fondo alle scale attrasse la sua attenzione.
Per un attimo sperò di non aver visto bene, ma purtroppo i suoi occhi funzionavano alla perfezione.
Ran e Saigo insieme, Ran e Saigo a baciarsi.
Si bloccò, ma non per volere suo, ma più delle sue gambe e del suo corpo. Tutto s’era immobilizzato e non era più capace a ripartire. I suoi muscoli si rifiutavano di collaborare e forse anche quelli involontari, come il suo cuore, avevano smesso di funzionare.
Ran e Saigo erano labbra su labbra.
Non era possibile.
Non voleva crederci.
No...
Riprese possesso delle sue funzioni motorie e andò via, sbattendo contro una spalla di Hana, altrettanto esterrefatta dalla situazione. Sparì, senza una spiegazione, senza una parola.
Non c’era nemmeno più bisogno di discutere della verità o delle menzogne.
È solo che faceva male capirlo. L’aveva persa, e per sempre.
 

 
 
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* Traduzione: “Bene! Ovviamente, cominceremo dai nostri fuggitivi.”
* Traduzione: “Perfetto. Spero che sappiate a che punto del programma siamo.”
* Traduzione: “Sì. Il diciottesimo secolo, più precisamente... l’epoca del romanticismo. Byron, Keats, Wordsworth... di chi vuole che cominci a parlarle?”
* Traduzione: “Wordsworth e la sua idea di poeta romantico, grazie.”
* Traduzione: “Wordsworth pensava che un poeta fosse un uomo che comunica ad altri uomini: un uomo veramente dotato di una più acuta sensibilità, di maggiore entusiasmo e sentimento, che ha una maggiore conoscenza della natura umana e un’anima capace di maggiore comprensione.”
* Traduzione: “Bene. Adesso... Suzuki. Puoi parlarmi di Ode on a Grecian Urn?”
(è una delle poesie di Keats, se non forse la più importante.)

 
 
 
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...Ehm...ciao!
Non mi ammazzate, eh! XD Sta andando tutto secondo i miei *perfidi* piani... dunque, se proprio volete vedere la fine della storia, dovrete pazientare e stare calmini! XD
C’è qualcuno che essendo a conoscenza di quello che verrà ha esultato nel sapere che Ran e Saigo dovessero baciarsi XD Non faccio nomi... :P
So che è scioccante e che non ve l’aspettavate... ma vi posso assicurare che non è finita qui! XD Dunque armatevi di buona pazienza, perché ne succederanno delle belle!
Saigo e Ran si metteranno insieme? Shinichi cosa farà? E Vermouth e Hana cosa vorranno? Kogoro che deciderà di fare? Tutto questo, ed altro, nel prossimo chap!
Mi dispiace non aver risposto alle recensioni, ma purtroppo ho problemi con la connessione... ed anche per questo non ho aggiornato prima :( Infatti non riesco a mettere nemmeno un'impostazione della pagina migliore... mi dispiace, ma sono da cellulare T______T

Niente, spero che il chap vi sia piaciuto, e non posso che dirvi... ci vediamo al prossimo! ;)
 
 
Tonia

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Capitolo 33
*** Equivoci e decisioni ***


Your Lies
32.
Equivoci e decisioni

 
 
 
C’era qualcosa di terribilmente sbagliato in lei, e lo sapeva. Perché far finta che va tutto bene anche nella peggiore delle catastrofi è stupido quanto insensato. Peggio ancora è quando ci si convince che quella catastrofe non esiste per nulla, che lì fuori il cielo è azzurro e le nuvole sono bianche. Ignorare un problema è ingrandirlo a dismisura, e non esiste sfida o pensiero che possa reggere.
Come non esisteva ragione per cui le labbra di Saigo non le dessero la stessa emozione delle sue, eppure doveva accettarlo. Aveva provato a dimenticarlo attraverso un altro canale, un altro corpo e un’altra storia da scrivere, ma non c’era riuscita. Aveva provato a sostituirlo con un’altra immagine da amare, altri ricordi a cui pensare, e un’altra lingua da leccare, ma non c’era riuscita.
E se lei odiava ammetterne la ragione, detestava altrettanto spiegarla a colui che avrebbe dovuto fargliela dimenticare.
Saigo la guardava in attesa di una parola, di un sussurro, di una semplice frase che avesse potuto rincuorarlo.
Qualcosa che gli facesse dimenticare che lei s’era sottratta a quel bacio, appena le loro lingue s’erano sfiorate. Neanche ad avere il veleno in bocca.
«Scusa» la sentì sussurrare, con voce rotta dai nascenti singhiozzi. Stava per piangere. «Scusa...»
Saigo riuscì a sorridere. Si abbassò alla sua altezza e fece leva sulle gambe per sorreggersi. Ran aveva le mani sulla faccia nella vana speranza di coprire il suo volto.
«Ran, guardami...»
La karateka alzò un po’ gli occhi a lui e lo fissò.
«Non chiedermi scusa, ok? Non è colpa tua. Non mi hai mai fatto credere più di tanto, e quelle volte che abbiamo parlato per ore era solo per Kudo. Ho sbagliato io» le disse con un lieve sorriso. «Invece di trovare un modo per aiutarti ho fatto di tutto per assecondare la tua rabbia. Non sono stato un buon amico, e a te sarebbe servito qualcuno che vedesse le cose con oggettività e non con sconsiderato interesse.»
Lei scosse il capo con debolezza. «No, no... sono stata io a non essere pienamente sincera con te. Dopotutto non ti ho detto perché ci siamo lasciati e perché non l’ho più visto.»
«Ran, come puoi esser sincera con me se non riesci ad esserlo nemmeno con te stessa?»
La giovane si asciugò le lacrime col polso e tirò su col naso.
«È che... non voglio ammettere che lui possa aver ragione. È una vita che gli giro intorno e che lo appoggio in ogni cosa che fa. Ho sempre sopportato tutti i suoi difetti e le sue prese di posizione perché l’ho sempre adorato» ammise lei, mentre Saigo si sedette a fianco per ascoltarla. «Da bambini si mise in testa che voleva chiamarmi col cognome, perché eravamo troppo grandi per fare diversamente... almeno mi sono presa una piccola rivincita nel sentire quella stessa richiesta ma fatta da me.»
L’amico sorrise. «Ran, stai parlando di un capriccio di un moccioso.»
«Lo so! Ma lui è sempre stato così! È dispettoso! Hai visto come si è comportato ieri a casa mia? Lo capisci, tu? È enigmatico! Non ti fa capire mai cosa prova davvero e cosa pensa, ed è odioso sapere che lui invece è a piena conoscenza di ciò che io penso e provo per lui! Capisci? Non voglio che lui lo sappia, mi fa sentire... debole, stupida.»
«Ma perché mai lui dovrebbe sapere queste cose? Non... ti seguo.»
«Perché le ho confessate a lui senza sapere che fosse lui» disse lei, mentre Saigo la guardava stranito.
«Eh?» fece, inarcando un sopracciglio.
Ran sbuffò. «È una storia lunga, Saigo... Ti basti sapere che, non volendo, gli ho detto ciò che provavo per lui in tempi non sospetti, e mi fa sentire idiota. Capisci?»
«E cosa gli avresti detto di tanto imbarazzante?» si incuriosì il giovane.
Ran arrossì lievemente. «Se te lo dico non ti metti a ridere, vero?»
«No», fece lui, ma stava già ridendo.
Ran gli lanciò un’occhiata truce per farlo smettere. Poi sbuffò. «Tutta sognante dissi una cosa tipo: “Io ce l’ho un ragazzo che mi piace tanto. È Shinichi... un po’ dispettoso, presuntuoso, però è bellissimo... mi piace da impazzire”» ricordò lei quella conversazione, passandosi una mano sugli occhi. «Ho detto questo a lui. Capisci? È come se gli stessi dicendo: “sei tu, ti adoro da quando sei nato anche se sei uno stupido sbruffone. Però sei meraviglioso, ti amo ti amo ti amo”.» Emise una smorfia di disgusto, mentre Saigo rideva.
«Ecco, grazie eh» fece, un po’ indispettita.
«Non capisco perché ti da fastidio avergli detto queste cose se è la verità» disse poi, osservandola.
«Perché a parlare così sono le sue fan! Ed io non voglio essere una di quelle ochette!» sbottò, rossa in viso.
«E lui cosa ha fatto nel sentire queste parole?»
«Che io ricordi fece una risata ironica, ma poi non so se è andato a dirlo a qualcun altro...» mise il broncio Ran, paonazza al pensiero di quella sera.
Saigo si sforzò di essere neutrale. «Hai mai incontrato qualcuno che t’abbia dato l’impressione di conoscere questo dettaglio?»
Ci pensò un attimo su. «No.»
«E lui... te l’ha mai rinfacciato questo dettaglio? Magari mettendoti in particolare imbarazzo?»
Lei scosse il capo. «No, non l’ha mai fatto.»
«Ti ha mai umiliato pubblicamente per una cosa del genere?»
Ran deglutì. «No.»
«Ok» fece Saigo, guardandosi le mani. «Hai detto che non vuoi essere considerata una “sua fan”. Ti ha mai trattato come una di loro?»
Ran si voltò a guardarlo. «Che vuoi dire?»
«Come si comportava con le sue fan così si comportava con te?»
«Be’, di certo loro non hanno mai avuto il rapporto che avevo io. Siamo amici d’infanzia, lo conosco da una vita.»
«Ma lui ha mai avuto gli stessi atteggiamenti che aveva con qualche sua fan?»
«No» ammise. «Al massimo lo faceva per prendermi in giro, ma una volta mi disse anche “che peccato che la mia fidanzata non sia una mia fan”...» ricordò quel momento, inebriandosi della sua voce che risuonava nella sua mente.
«Ha fatto qualcosa di particolarmente sbagliato?» chiese allora lui.
«Sì, mi ha mentito» rispose lei, velocemente.
«Su qualcosa di molto importante?»
«Be’ sì!» sbottò lei, senza pensarci. «Avevo fiducia in lui, e adesso non riesco più ad averne.»
«Ma sai perché lo ha fatto?» domandò Saigo. «Magari c’è un motivo particolare.»
Ran scosse il capo con debolezza, socchiudendo gli occhi. Ripensò a Shinichi, nel corpo di Conan che gli chiedeva di ascoltarlo, e ad Heiji, che la accusava di essere una delusione.
«Non ho voluto saperlo.»
«E perché?»
Lei alzò leggermente le spalle. «Non lo so. La rabbia mi ha fatto pensare che tutto quello che avrebbe detto sarebbe stata una scusa,...una bugia insomma. Ed io, le sue bugie, non volevo e voglio più ascoltarle.»
«E non sei curiosa?», Saigo la osservò sospirare e trattenere le lacrime.
«S-sì. Lo s-sono» ammise balbettando. «È che adesso noi siamo in pessimi rapporti, anzi... direi che non abbiamo più un rapporto.»
«Gli devi soltanto chiedere perché, Ran.»
L’amica alzò gli occhi a lui e si morse il labbro. «E se mentisse ancora? Come farei a saperlo? Come potrei riuscire a capire dove e quando è sincero? Mi sembra di non conoscerlo più.»
Il karateka alzò le spalle e scosse il capo. «Non lo so. Il tempo, forse.»
Ran strinse i pugni e li congiunse, fissando lo sguardo sul pavimento.
«Continui a parlare di una situazione che non conosci... non mi hai lasciato il tempo di...»
Gliel’aveva detto anche il giorno precedente, a casa sua.
«Ran, ripeto, ha le sue ragioni. Non l’ha fatto per mancanza di rispetto...»
L’aveva ripetuto Hattori con fastidiosa insistenza.
«Cazzo, Ran! Ti amo! Ascoltami!»
Chissà se diceva sul serio...
«Ok», s’alzò dalle gradinate all’improvviso, facendo sobbalzare l’altro. «Ho deciso».
«Andrai da lui?» domandò lui con una leggera vena amara.
«Sì. Devo» disse,  rilasciando un altro sospiro. «Grazie, Saigo. Sei... un vero amico.»
Il giovane Yami fece un mezzo sorriso di risposta, regalandole anche un occhiolino.
«Di niente» mosse un po’ la bocca, ma lei era già lontana. «Figurati...»
 
 
Imporsi di smettere di pensare a qualcosa è mandare il comando opposto al proprio cervello. È come se questo volesse farci uno scherzo e ridere della nostra stupidità e debolezza. Uomini capaci di creare, distruggere, ammazzare, pensare e trasformare; eppure tutti condizionabili da ciò che ci circonda.
L’organizzazione da un lato a volerlo morto, e Ran da un altro a tormentarlo. Era impossibile sopportare tutt’e due.
«Io... credo siano una bella coppia», fu la voce di Hana a risvegliarlo dal coma. Sdraiato sul salotto di casa sua, Shinichi aveva chiuso le palpebre e cercato – invano – di dimenticare ciò che i suoi occhi parevano aver visto. Ran e Saigo insieme, uno nell’altro. Era convinto di non aver mai sentito dolore più grande.
«Già, lo sembravano».
La ramata si avvicinò e si sedette sul salotto, a pochi centimetri dal suo petto. Si fece spazio nel vuoto dei cuscini lasciati da Shinichi, e poggiò la mani ai suoi fianchi.
«Sono perfetti insieme. Loro non hanno niente a che fare con l’organizzazione e tutti questi guai. Potranno vivere serenamente, senza particolari pensieri e paure. Sai anche tu che è la cosa migliore.»
Il moro non rispose subito.
...Sai anche tu che è la cosa migliore...
Lo sapeva da una vita, ma era difficile da accettare. Non sempre ciò che è giusto è ciò che si vuole.
«È per loro, Shinichi» aggiunse Hana, molto più decisa. «E poi, questo, non è il momento adatto per avere partner, no?»
Il detective sospirò. «Pare proprio di no.»
«Metteremmo solo altre persone in pericolo» disse ancora lei. Poi, osservandolo maliziosa, si avvicinò di qualche centimetro a lui: «certo, questo se coinvolgiamo partner esterni ai fatti...»
«Cioè?» fece lui, ignorando involontariamente l’ironia.
«Be’, se due persone sono già in pericolo, non vedo perché non possano avere una relazione...»
Shinichi si sentiva terribilmente stupido, perché proprio non riusciva a percepire il senso del discorso. L’aveva sempre detto che le donne parlavano in un linguaggio sconosciuto. Comunque rimase zitto: fare la figura dell’idiota non gli piaceva.
Hana però sembrò capire il suo stato d’animo. Lo guardò con interesse e per un attimo si perse a fissare i suoi occhi azzurri e le sue palpebre che si richiudevano ad ogni battito, stranite dalla conversazione.
Ridacchiò, portandosi una mano sulla bocca. «Perché quella faccia sconcertata?»
Kudo voltò lo sguardo altrove, imbarazzato. Non gli piaceva non capire.
«Incomincio a pensare che stare troppo tempo appresso alla karateka ti abbia fatto perdere un po’ il senso delle cose».
«Ma quale senso? Non ho perso un bel niente» replicò acido.
«Sicuro?» lo sfotté.
«Certo che sono sicuro!»
Hana sbuffò e si alzò. Saltò sul salotto e si mise a cavalcioni su di lui, lasciando che le gambe cadessero ai suoi fianchi. Shinichi strabuzzò gli occhi, preso alla sprovvista e la fissò con intensità, cercando di capire se fosse seria o meno.
«Hana, ma che...?»
«Ti salto addosso» disse lei, con estrema sincerità.
«Questo lo noto!»
Hana fece un sorriso malizioso. S’afferrò i lembi del top verde petrolio che indossava e lo fece scivolare sopra la testa, portando allo scoperto il reggiseno.
Shinichi arrossì, e repentinamente portò lo sguardo all’entrata.
«Ma che fai!? Potrebbe venire qualcuno!» l’avvisò, ma lei sembrava tutt’altro che preoccupata.
«Che c’è? Il detective ha paura?»
«Io? E di cosa dovrei avere paura?» Lui si destò, come colpito da una freccia. «È solo che la porta è aperta...»
«Non l’hai mai fatto? Sei ancora più inesperto di quanto credessi...» lo stuzzicò ancora, con fare ironico.
L’osservò e per un attimo lo sguardo gli cadde sul petto. Però, non pareva niente male...
«Lo dici tu che sono inesperto» replicò con un leggero sorriso.
«E allora dimostrami cosa sai fare...»
Hana si abbassò e avvicinò pericolosamente le loro labbra, tanto che i loro nasi si sfioravano.
«Hai paura di quello che potrebbe succedere?» sussurrò a labbra strette, con fare decisamente intrigante.
Shinichi deglutì, e il suo pensiero andò a Ran. Anche lei, in fondo, s’era rifatta una vita... e con Saigo... non con lui...
L’immagine del loro bacio si insediò nella mente e lo scosse di rabbia. Era furibondo, deluso...
Perché lei non l’aveva fatto parlare? Dannazione...
«Sei così diverso da Gin... sei coraggioso, leale, sei bello...» mormorò ancora Hana, poggiando i palmi delle mani ai lati del viso di lui. «Però, lui era molto esperto in questo campo...»
Shinichi sorrise. «Stai cercando di provocarmi?»
La ragazza gli sfiorò la bocca con la sua. «Tu che dici?»
Il tempo che il fiato si scontrò con le sue labbra, che Hana le aveva già unite in un bacio. Per alcuni istanti il detective rimase fermo, quasi impassibile. Quasi come se stesse decidendo cosa fare. L’immagine di Ran e Saigo era ancora viva in lui, e a contatto con Hana pareva far meno male. In fondo, se Ran aveva voltato pagina, lui non era di certo il tipo di rimanere a piangere in un angolino con una sua foto in mano.
Avvertì la lingua di Hana sciogliersi con la sua, e subito s’accorse di quanto tutto fosse diverso da ciò che aveva provato con la karateka.
Non c’era attenzione né emozione in lui, né dolcezza e amore in quel tocco.
Nemmeno sfiorarle i fianchi e percorrerli era innamorarsene, ma per qualche assurdo motivo non voleva smettere. Non provava nulla, eppure non si fermò; il suo corpo gli diceva di non farlo.
 
 
 
 
Ran aveva il cuore che le batteva all’impazzata. Non sapeva come e perché, ma non sentiva più quel terribile senso di odio nei suoi confronti. Era ancora un po’ arrabbiata, ma sapeva che presto le sarebbe passata. Il bacio con Saigo le aveva chiarito le idee: qualsiasi altro corpo non le avrebbe dato le stesse emozioni del suo.
Cosa gli dico? Come comincio? Forse dovrei scusarmi... no, aspetta, mi faccio prima spiegare perché l’ha fatto e poi casomai mi scuso...ragionò di fronte al cancello della maestosa villa Kudo. E se lui avesse avuto tutte le ragioni di mentirmi? Allora cosa faccio? Dannazione... non so più cosa pensare!
Fece qualche passo verso la casa. Notò che la porta d’entrata era socchiusa.
È lì dentro...constatò, mentre le gambe cominciarono a tremarle. Era più di un mese che non entrava in quella villa meravigliosa. Quanti ricordi aveva legati a quella casa? Il loro primo bacio in cucina, la loro prima volta in camera sua... il solo pensiero la drogava.
Era incredibile come avesse scordato i loro momenti più belli e significativi. Adesso le bugie non facevano nemmeno più male.
Rilasciò un sospiro, si portò una mano al cuore e socchiuse gli occhi. Era ora d’entrare.
Camminò a passi lenti ma decisi, e alla soglia della porta si fermò. L’aprì con delicatezza, scivolò dentro e diede uno sguardo all’entrata. Non c’era nessuno, probabilmente era in camera, o magari in salotto.
Evitò di chiamarlo perché non sapeva come farlo: cognome o nome? Non voleva dargliela vinta...
Vide il salone alla sua destra e vi entrò.
Non se ne accorse subito, a primo impatto pareva tutto perfettamente normale. Il suo occhio ci mise un po’ a focalizzare quello che stava succedendo e a rendersi conto di ciò che significava. Era come se il suo cervello avesse comandato ai suoi occhi di non guardare e a se stesso di non capire.
Ma bastò vedere Hana in reggiseno che sentì il suo cuore frantumarsi. E proprio come se fosse stato formato da dei cocci uniti da una colla di qualità davvero scadente. E quei cocci adesso cadevano sugli altri organi, disturbandoli. Non solo avvertì un profondo senso di nausea, ma anche di debolezza.
Non era più capace a muovere dito.
La ramata era sul punto di togliere la camicia della divisa a lui, quando si accorse di Ran. E con lei Shinichi, che strabuzzò gli occhi e si sentì sprofondare.
«RAN!?!» sbottò il giovane, imperterrito, alzandosi e staccando via da sé Hana, altrettanto sbalordita.
La karateka era immobilizzata. Non credeva a ciò che stava guardando. Poi, come al risveglio da un incubo, sentì un brivido percorrerla. Distolse lo sguardo da loro e indietreggiò, cercando di non pensare.
«Non ci credo...» disse, ma più a se stessa che a loro.
«RAN!» sentì che lui la chiamava, ma non si fermò. Appena si ritrovò in corridoio cominciò a correre. Veloce, più veloce che poteva. Abbassò il capo e neanche guardò la strada davanti a lei. Le lacrime cominciarono ad abbondare sulle palpebre, tant’è che alla fine caddero. Una dopo l’altra, come tutte le speranze che s’era costruita nell’ultima mezz’ora. Tutto si infranse, niente aveva più importanza.
Uscì dalla villa udendo ancora la voce di Shinichi. Corse via, svoltò l’angolo e accelerò il passo.
Non voleva sentirlo né ascoltarlo, perché non aveva mai sentito tanto dolore in vita sua.
Che stupida, che stupida, che stupida...
 
 
 
L’agenzia investigativa era il primo posto dove cercarla, seppur scontato. In realtà avrebbe potuto essere in altri cento posti: la scuola, da Sonoko, in palestra, o con Saigo...
Già, solo un’ora prima l’aveva vista abbracciata a lui! Perché era venuta a casa sua allora?
Il primo pensiero che ebbe andò a Kogoro. Probabilmente le aveva parlato e adesso aveva bisogno di delucidazioni, o magari avrebbe voluto continuare ad offenderlo come era solita fare da un mese a quel momento. Salì le scale e giunse in ufficio con irruenza.
«Ehi, moccioso, che ci fai qui?»
Il detective più grande era in ritorno dal bagno e si stava sistemando la camicia.
«Kogoro, hai detto a Ran dell’organizzazione? Le hai detto del programma protezione testimoni?!» sbottò, ormai sempre più convinto di quell’idea.
«No, non le ho ancora parlato...» disse l’uomo con una vena di amarezza.
«Non le hai detto nulla?» s’accertò ancora il più piccolo. «Ma allora...»
«Perché me lo chiedi? È successo qualcosa?» domandò con evidente preoccupazione.
Shinichi sbuffò, mettendosi a sedere sul divano. Ma era incredibile pensare ad una cosa: da quando il detective in trance aveva scoperto tutto, non lo odiava più. Anzi, era sempre più gentile e... paterno.
«È venuta a casa mia e non so perché...»
«E adesso dov’è?» chiese Kogoro, affiancandolo sul salotto.
«Ehm... è scappata via, e la sto cercando.»
«È SCAPPATA!?!?» urlò il padre, con gli occhi fuori dalle orbite. «E perché diavolo lo ha fatto!?»
Il liceale arrossì e ridusse gli occhi in puntini. «Boh!»
«E adesso dov’è!?»
Il più piccolo fece spallucce. «Non lo so.»
«Dio mio, ma ti rendi conto che è sempre colpa tua?», si portò le mani in viso l’uomo, esterrefatto. «Sei un disastro vivente, moccioso! Per la tua incolumità, ti obbligo a venire a cercarla con me, adesso!»
L’uomo fece per alzarsi, ma notò il liceale ancora seduto.
«Mi dispiace Kogoro» lo sentì dire, col capo basso. «È colpa mia se dovete sopportare certe cose, io non avrei mai voluto che foste implicati in un guaio del genere.»
«Senti, è inutile che ti spremi tanto. Io lo faccio solo per Conan, mica per te...»
Shinichi alzò lo sguardo e si scontrò col sorriso ironico del suo ex suocero.
«Che vuo...»
«Non guardarmi così» distolse gli occhi Kogoro, bloccandolo. «Sei più simpatico in versione rimpicciolita, e oltretutto non cerchi di sedurre mia figlia in tutte le maniere possibili e immaginabili».
Il detective più piccolo arrossì di nuovo ma non rispose, anche perché notò l’altro aprire di nuovo bocca.
«E se lo vuoi sapere... non accetto il programma, moccioso. Vengo con voi e vi aiuterò. Non sono un codardo, non mi tiro indietro. Ma farò in modo che Ran e Eri lo accetteranno e cambieranno vita, il tempo che noi ci sbarazziamo di questi delinquenti e rimettiamo le cose a posto.»
Shinichi sentì la saliva mancargli. «Non... accetti?»
«No.» Scosse il capo lui.
«Ma ti rendi conto che stiamo parlando di un’organizzazione criminale? Potrebbero ucc...»
«E allora?!», Kogoro lo zittì con sguardo truce. «Credi di poter fare tutto da solo? Sei solo un moccioso, ricordatelo! E ricorda anche che promisi a tua madre di badare a te mesi e mesi fa...»*
«Non dovresti» replicò il bruno. «Lo sai che non devi, che non sei obbligato.»
«Appunto, non sono obbligato, e per questo lo faccio.»
Shinichi non disse più nulla, anche perché non sapeva cosa rispondergli. Da una parte gli era grato, ma dall’altro si sentiva in colpa. Ran l’avrebbe odiato ancora di più se fosse successo qualcosa a suo padre per colpa sua.
Ma poi perché era venuta a casa sua, se non aveva parlato con Kogoro? Voleva forse informarlo del fidanzamento col suo nuovo amore? Avrebbe anche potuto risparmiarselo...
«Allora? Hai qualche idea di dove sia mia figlia?» domandò, facendo qualche passo verso la porta dell’agenzia. Shinichi s’alzò e lo seguì, scuotendo il capo.
«Potrebbe essere da Sonoko, o magari a scuola, o...» distolse lo sguardo, imbronciato, «o col suo ragazzo, Saigo.»
Kogoro quasi si strozzò con la sua stessa saliva. «Ragazzo!?! E chi diavolo è!? Stai scherzando, vero?!»
Il liceale si limitò a negare, scendendo le scale dell’agenzia con il padre di Ran.
«No, aspetta! Ora chi è questo moccioso che vuole la mia Ran!? Io sapevo che eri tu quello che ci provava!»
Shinichi mise il broncio, assottigliando gli occhi. «Tua figlia non ha voluto più sentir parlare di me dal momento esatto in cui ha scoperto che sono Conan, e da allora mi odia. Fine della storia.»
«E tu permetti che stia con un altro!? Dimmi chi è sto tipo, forza!!» sbraitò Kogoro, mentre il sangue pulsava irrequieto in una vena sulla sua fronte.
«Lo conosci... è Saigo, quel ragazzo che venne con lei al galà...» lo informò, camminando con lo sguardo basso e le mani nelle tasche. «E poi... ‘permetto’? Sai anche tu che è meglio per lei starmi lontano, quindi...»
«Ah sì, quell’idiota che la lasciò in mezzo alle fiamme mentre lui se la svignò fuori! Maledetto!!»
«Già» convenne Shinichi, infastidito.
«A te oramai mi ci ero abituato! Sai com’è, le disgrazie accadono, ma provi comunque a sopportarle!»
Il liceale sentì un sopracciglio pulsare, ironico.
Grazie eh...
«Quella ragazzina ha dei gusti troppo strani!! Le devo parlare un po’!!»
Gusti... strani?
«Sai dove abita ‘sto moccioso?» chiese poi Kogoro, furibondo.
Shinichi scosse il capo. «No, ma possiamo scoprirlo a scuola. Nei registri ci sono queste informazioni.»
«Bene.» Fece con determinazione, avanzando il passo e trascinando con sé il ragazzo. «Andiamo!»
 
 
 
 
 
«Ran?», Saigo sussultò nel ritrovarsela davanti casa sua con sguardo basso e corpo tremolante. «Che ci fai qui!?»
«S-scusa se p-piombo a c-casa tua c-così... è c-che non sapevo dove a-andare...» rispose tra balbettii e singhiozzi. Avanzò verso l’amico e alzò leggermente gli occhi. Erano rossi e pieni di lacrime, pronti a scoppiare.
«Ma che è successo??» domandò preoccupato, afferrandola per le spalle. Poi, dando uno sguardo all’interno, la portò verso l’ingresso.
«Entra, sono da solo a casa...»
Ran annuì e lo seguì, stringendosi a se stessa. Saigo la portò in camera sua, facendola entrare nella terza camera in fondo al corridoio. Diede un leggero sguardo all’ambiente e lo trovò molto carino: dei poster tappezzavano le pareti verde spento, mentre il letto era addossato alla finestra sul lato.
«Puoi sederti sul letto, se vuoi» la invitò lui, sorridente. Ran obbedì, mantenendo sempre lo sguardo basso.
«Vuoi qualcosa da bere, mangiare?»
Lei scosse il capo. «No, grazie.»
«Ok», Saigo si osservò le mani per un po’, leggermente in imbarazzo. «Su, dici. Cosa è successo?»
Lei trasse un lungo respiro, e dopo qualche secondo deglutì. Abbassò le palpebre, tentando di richiamare le lacrime all’interno, e le riaprì, rilasciando andare l’aria nei polmoni.
«Vado a casa sua con l’intenzione di stare ad ascoltarlo, magari di perdonarlo e di dirgli che mi dispiace di non avergli nemmeno dato l’opportunità di parlare e spiegarsi. Bene, arrivo di fronte alla villa e noto che la porta è aperta... ovviamente entro, no? All’ingresso non c’è, quindi penso sia o in salone o in cameretta. Ebbene, era in salone.» Disse, cercando di mantenere un tono dignitoso.
«E...?» la invitò a proseguire lui.
«E... non era solo! No! C’era quella stronza, quell’oca e quella grandissima tr... ehm, c’era Hana.» Si dette un contegno lei, non volendo apparire cafona. «Direi molto... impegnati a... come dire, divertirsi.»
Saigo strabuzzò gli occhi, facendo precipitare la mascella al pavimento. «Che!?»
«Sì, lo stavano per fare sul divano! Mi hanno visto e si sono fermati! Sono scappata e lui mi ha rincorso, ma per fortuna sono riuscita a seminarlo. Già, avrà perso tempo a rivestirsi!»
«Ah», Saigo non sapeva cosa dirle. «Be’...insomma, è un po’ idiota a lasciare la porta aperta se devi fare certe cose.»
«Ma ti rendi conto?! Ed io stupida, stupida e stupida! Mi preoccupavo e invece? Lui sta nel suo meglio! Non mi sono mai sentita più idiota e cretina, credimi!», sferrò un pugno sul materasso, lasciandone il suo segno. Cominciò a respirare rumorosamente e molto più velocemente, tant’è che Saigo le chiese di calmarsi.
«È inutile adesso arrabbiarsi, Ran.»
«INUTILE!??!» urlò indiavolata lei, terrificando l’amico. «Io gli farò pentire di essere nato, a lui e quell’oca della sua amica! Oh sì che lo farò! E adesso basta prendermi per i fondelli, e che cacchio!»
«Sarà per questo che erano insieme stamattina?»
La giovane lo guardò e tramutò i suoi occhi in rosso fuoco e brillante. «Aspetta, vuoi vedere che questi due si frequentano fin da quando stavamo insieme?»
“Oh, scusami! Aveva appuntamento con te?” s’intromise Hana, avvicinandosi al ragazzo e tentando di scusarlo. “E’ colpa mia. L’ho trascinato per gli appartamenti di Beika, ed abbiamo fatto tardi.”
Lui annuì, tentando di convincerla. Ma per qualche oscuro motivo, sapeva che non sarebbe stato facile.
Ran mandò occhiate ad entrambi, come se stesse decidendo chi per primo avrebbe assaggiato i suoi calci micidiali, ma, ancora una volta, dovette calmarsi.
“Ah, non c’è problema. Se morirà di fame però, spero che venga a mangiare da te.” Rispose, rendendosi conto lei stessa di quanto il tono fosse risultato acido.
Hana rise, un po’ stranita. “Beh... okay. La porta è sempre aperta per il mio detective preferito.”
Saigo cominciò ad avere paura. Ran era circondata da un alone di fuoco e scintille.
“Ma Hana è così simpatica...” la sfotté lui, sedendosi sul tavolo, ed osservandola da dietro.
Ran sentì i nervi attorcigliarsi, ma si impose la calma.
“Simpaticissima...” disse ironica, senza staccare lo sguardo dal mobile.
Quei due... quei due si divertono alle mie spalle da mesi! Ne sono sicura! Ma certo!!
“E cosa c’entra lui?”
Intanto Sonoko alternava gli sguardi per osservarle entrambe. Ran era avvolta da un fuoco intenso, pronto a scoppiare, ma Hana appariva incredibilmente calma.
“Lo volevo invitare?” fece, ovviandola.
“Questo me l’hai già detto.”
“Okay. Non so che problemi hai, ma potresti gentilmente dirmi dov’è?”
Aspetta, lei sapeva, lei l’ha sempre saputo... ecco perché al galà mi ha detto quella frase!
“Ma come? Sei la sua migliore amica e non lo sai?”
Quella domanda suonò un po’ troppo profonda.
«Lei l’ha sempre saputo! Lui gliel’ha detto ed insieme si sono presi gioco di me! Ma certo!!»
L’amico la osservò stranito e disorientato. «Cosa ha sempre saputo?»
Ma il discorso venne interrotto dal campanello. Ran e Saigo portarono gli sguardi al di fuori della camera e per un attimo si immobilizzarono.
«Mmh, chi sarà? I miei hanno le chiavi...» s’alzò il karateka sbuffando, e dirigendosi verso la porta d’entrata. L’amica si affacciò alla porta, guardandolo scattare la serratura, e sprofondando nel petto di suo padre. Ran strabuzzò gli occhi e corse in avanti, incredula.
«Papà! Che... che ci fai qui?»
«Siamo venuti a prenderti» rispose semplicemente, con freddezza.
«Siamo...?» chiese lei, sporgendosi un po’ per guardare meglio chi ci fosse dietro di lui. E nel capirlo, una fitta al cuore le fece mancare il respiro. «Tu!!» sbottò.
Shinichi la osservò con le palpebre leggermente abbassate. Come aveva pensato, era da lui...
«Senti, perché ti sei portato dietro lui? E poi perché mi sei venuto a cercare? Adesso non sono nemmeno più libera di andare dove voglio?»
«Smettila, Ran!» urlò Kogoro. «Adesso vieni con noi. Dobbiamo parlarti di una cosa importante, e volente o nolente dovrai ascoltare.»
La giovane mise il broncio e si tenne i fianchi. «Va bene, andiamo, che ti devo dire!»
Camminò verso loro e diede uno sguardo all’indietro, verso l’amico. «Scusa Saigo. Ti chiamo appena posso.»
Shinichi fece una smorfia di disgusto e dissenso, ma continuò a camminare, affiancato da Kogoro. Ran li raggiunse poco dopo, ed insieme presero la metropolitana.
«Posso sapere perché sei con lui?» indicò il detective con riluttanza, rivolgendosi al padre.
«Te lo spiegheremo tra un po’. Adesso calmati, ma perché sei così arrabbiata?» chiese l’altro, evidentemente sorpreso. La figlia non rispose, anche perché non poteva farlo; si limitò soltanto a lanciare uno sguardo assassino a Shinichi, che abbassò il capo.
Arrivarono a villa Kudo dieci minuti dopo. Ran esitò ad entrare, anche perché non aveva proprio voglia di rivivere le stesse immagini di qualche ora prima. Ed inoltre non aveva voglia di incontrare quell’oca. Ci sarebbe stata anche lei? Entrarono tutti insieme, in estremo silenzio, ed insieme arrivarono in cucina.
Ran non aveva mai visto tante persone concentrate in così piccolo spazio.
Tra quelli che conosceva vi erano Heiji, la professoressa Jodie, Sonoko, sua madre Eri, Hana – e provò un vero istinto omicida –, Agasa e l’uomo che incontrò a New York, Shuichi Akai. Poi c’erano una ragazza ramata dai capelli a caschetto, molto simile alla piccola Ai Haibara, una donna estremamente bella dai lunghi capelli biondi e alcuni uomini dall’aria strana e sospetta.
«Oh! Angel, accomodati! Mancavi solo tu!» le disse Vermouth con dolcezza, mentre Shiho guardava di sottecchi Shinichi che stava raggiungendo l’amico detective.
Ran si stranì. Come l’aveva chiamata?
«Sei qui, Hattori? Chi ti ha avvisato?» fece il moro, sorpreso.
«Certo, potevo mancare? Il dottor Agasa, se aspettiamo te... si fa notte!»
«Piuttosto...» Shinichi sbuffò. «Accetterai il programma, vero?»
Heiji fece un risolino, ma Sharon zittì tutti.
«Bene, visto che ci siamo, è ora di decidere».
«Vermouth, se permetti parlo io alla ragazza...» propose Jodie, per niente felice di averla lì. «Così chiariamo un po’ le idee a tutti.»
Ran si sentì improvvisamente fissata da tutti i presenti. Odiava essere così al centro dell’attenzione, ma detestava soprattutto il fatto di ignorare completamente di ciò che stavano parlando.
«Ran... siamo qui per decidere della nostra vita. Lì fuori c’è un organizzazione criminale sulle nostre tracce, e prima o poi arriverà a tutti noi, e credimi... non avrà scrupoli.»
La karateka strabuzzò gli occhi. Organizzazione criminale? Ma di che stavano parlando?
«Ho qui con me un programma protezione testimoni. Chi deciderà di accettarlo sarà al sicuro dall’organizzazione, ma dovrà affrontare alcuni cambiamenti. Vi verrà affidato un altro nome e un’altra identità, insomma... avrete tutta un’altra vita in un’altra città» cominciò a spiegare, e mentre Sonoko ed Eri lo ascoltarono per la seconda volta, Ran osservò tutti spaesata.
«Ehm... scusate... ma...» provò, ma Shinichi la fermò, parlando per lei.
«Lei non sa nulla dell’organizzazione» disse, e di nuovo gli sguardi si fiondarono su di lei.
«Allora è normale tu sia confusa» disse Vermouth con voce dolce. «Silver Bullet, vuoi chiarirle le idee?»
Ran si voltò verso Shinichi, ancora più disorientata. Ma che stava succedendo?
Il detective sbuffò. Aveva provato a farlo tantissime volte, e non aveva voluto ascoltarlo! Se l’era immaginato diverso questo momento, ma non poteva fare altrimenti...
«Sono stato rimpicciolito a causa di un farmaco che, invece di uccidermi, mi ha trasformato in un bambino. L’organizzazione che me l’ha somministrato credeva che io fossi morto; purtroppo ha scoperto che non è così, e dunque vogliono farmi fuori. Chiunque è entrato in contatto con me ha le ore contate. Accettando il programma sarai al sicuro e loro ignoreranno la tua esistenza. Fine.»
Forse il tono era risultato un po’ troppo irritato, perché tutti si voltarono a guardarlo, allibiti da come aveva posto la questione. La stessa Ran ne risultò scossa. Un po’ per la rivelazione, un po’ per quel modo.
Volevano ucciderlo?
«Tesoro, vedi...» sentì la voce del padre richiamarla. «Ho già garantito un posto per te, Sonoko e la mamma nel programma. Non preoccuparti, non devi avere paura, andrà tutto bene.»
Ran lo guardò e poté percepire tutta la preoccupazione nelle sue parole, però...
«Chi ha accettato il programma al momento?» chiese poi, rivolgendosi agli altri.
«Sonoko, Eri...» fece Kogoro.
«Agasa e Hattori» aggiunse Shinichi.
«No, Hattori no! Io non lo accetto!» fece lui repentinamente, facendosi notare.
Il moro lo squadrò allibito. «Ma che cavolo dici??!»
«Non ci penso minimamente a lasciarti solo a farti prendere tutti i meriti della sconfitta dell’organizzazione, mi dispiace! Io non lo accetto!» disse fiero e quasi orgoglioso.
«Hattori!» lo richiamò l’amico, preoccupato. «Ma sei impazzito? Ragiona per una volta!»
«Scusate?» si fece notare il dottore. «Nemmeno io lo accetto.»
Kudo impallidì. «Professore! Ma che cavolo...?»
«Mi dispiace, Shinichi. Non posso lasciarti da solo.» Fece l’uomo con un sorrisetto.
Jodie sbuffò. «Ran, tu che fai?»
«Ovviamente accetterà...» fece Kogoro, persuasivo.
La karateka aveva ascoltato e aveva pensato che, effettivamente, sarebbe stata la cosa più giusta e saggia accettare. Ma Heiji non l’aveva fatto, perché voleva aiutarlo, e neanche il professore. Da quanto aveva capito la stessa cosa avrebbe voluto fare suo padre. Per Hana era un mistero, dato che ne ignorava la funzione lì. Però, se non era stata nominata, vuol dire che non l’aveva accettato...
«Forse è brutto per lei cambiare vita così radicalmente. Magari potrai portare qualcuno con te, tipo Saigo Yami... ci sei molto amica, no? Aggiungeremo anche lui nel programma» fece Chandon con un sorriso fastidioso sulle labbra. Shinichi abbassò lo sguardo, consapevole che, probabilmente, era ciò che davvero voleva Ran...
«Se non lo accettassi, cosa succederebbe?» la ignorò volontariamente la karateka, rivolgendosi a Jodie.
«Oh, be’... o rimani qui, a tuo rischio, o dovrai seguirci. Noi partiremo domani mattina per l’America, in un posto al sicuro dall’organizzazione. Ma lì dovremmo organizzarci e lottare... dunque, ti consiglio di accettare» fece la donna, con sincerità.
«Non penso che tu possa essere di grosso aiuto, sai...» disse Hana, azzardando un sorrisetto. Ran sentì l’ira sfondarle gli organi. Ma come si permetteva quell’oca? Voleva stare da sola con lui?
«Vuoi qualche minuto per pensarci, magari?» chiese Jodie, comprensiva.
«Ma a che serve! Accetterà!» ripeté Kogoro, cercando di convincerla a farlo.
«Sì, lui. Sai, tu non lo conosci per niente. Ed è brutto averlo capito dopo diciassette anni.»
La imitò volontariamente, poi la sorpassò, col capo chino.
«Ti auguro una buona vita, Ran.»
Guardò Hattori e si scontrò con gli stessi occhi che quella sera le dissero che era stata una delusione. No, lei non era una delusione... lei non era vigliacca!
Rilasciò un sospiro, che bloccò il respiro un po’ a tutti.
«No. Non accetto.»
Ci fu un tumulto generale, ma fu la voce di Shinichi a schiarirsi tra le altre; nitida e preoccupata.
«Ma cosa dici?! Cosa credi di fare, eh? L’hai almeno percepita la gravità della situazione?!»
«Sì. Credi che io sia inutile?» chiese, mentre gli sguardi di tutti si spostavano da un volto ad un altro.
«Eh? Ma che stai dicendo?»
«Rispondi! Credi che io sia inutile?»
Shinichi si sentì un attimo disorientato. «No, ma ciò non signif...»
«Bene, se Kudo crede che possa servire a qualcosa vi aiuterò. Anche solo a cucinarvi per non farvi morire di fame.»
«Ran, per favore, eh!» sbottò Kogoro, indiavolato. «Non fare la sciocca!»
La figlia lo ignorò volontariamente, così come fece con le lamentele di Sonoko e Eri.
Lei non era una vigliacca, non lo era...
«Sei sicura Ran?» domandò poi Jodie, tra dissensi e assensi generali.
Annuì. «Sicurissima.»







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* Kogoro ricorda il caso in cui i genitori di Shinichi si travestirono e fecero uno scherzo al loro figlio.
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Eccomiiiiiiiiiii!!!!XD
Sono ancora da cellulare, purtroppo Infostrada non si decide a mandarmi il modem a casa! -.-
Per il momento dovrò arrangiarmi così, ma spero che presto la situazione si risolverà! Sempre a me succedono! :(
Alloooora XD Cosa abbiamo qui? Mi pare che Shinichi si sia preso una bella rivincita su Ran, anche se ha combinato un bel pasticcio dato che la nostra amica era sul punto di perdonarlo :) E così viene anche lei a scoperta della verità, raccontata da un detctive incazzato che crede che sia fidanzata con Saigo XD E lei crede invece che Hana e Shin siano sempre stati insieme!
Chi è più tonno fra i due? Mmmmh! Scegliere non saprei!
E Kogoro che ormai è anche lui passato dalla parte degli ShinRan? Saigo non gli piace, no no.. invece il "piccolo Conan" sì!XD
E poi, siamo alla svolta! Chi accetterà il programma e chi no? Secondo voi ha fatto bene Ran a non volerlo accettare? E credete che la sua decisione sia dettata solo dalla voglia di riscattarsi agli occhi di Shinichi ed Heiji? Mmmmmh! XD E adesso cosa faranno?
Bene, questo ed altro nel prossimo chap! ;D


Adesso vi saluto... che è tardissimo!!! come sempre un ringraziamento speciale ai recensori dello scorso chap!
I love you!<3


Tonia

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Capitolo 34
*** Tra Oriente ed Occidente ***


Your Lies
33.
Tra Oriente ed Occidente

 
 
 
Tempo di partenze in casa Mouri in quella domenica mattina. Mentre Eri sceglieva per sé e per Kogoro i vestiti da portare e quali no, Ran era in camera sua a sistemare il suo piccolo borsone blu, dove aveva raccolto perlopiù tute e felpe. Non sapeva in quale parte dell’America fossero diretti, ma era abbastanza certa che tacchi e vestitini non le sarebbero serviti molto. Nel borsone gettò anche il talismano di Kazuha, quello a forma di ruota, e un paio di foto. Una con Sonoko e un’altra con sua madre. Le uniche che non avrebbe visto in quella vera e propria sfida contro la morte.
Si preparò abbastanza in fretta, e scese giù nell’ufficio ad aspettare i suoi genitori.
Era ancora un po’ riluttante a credere a quello che Shinichi le aveva confessato la sera prima. Non avrebbe mai immaginato tanto, anche perché quando ascoltava quel fatidico “l’ha fatto per proteggerti”  le pareva molto una frase fatta, detta così, per scusarsi.
In realtà, a quanto sembrava, il suo ex fidanzato aveva avuto davvero tutti i buoni propositi nel mentirle, e dunque, non aveva più motivi d’esser arrabbiata con lui su quel frangente. Anche se ancora ignorava la ragione per cui era venuto a vivere a casa sua, Ran dovette ammettere a se stessa che aveva sbagliato a non dargli nemmeno l’opportunità di parlare. Ma, se da una parte si pentiva di non averlo ascoltato prima, dall’altra lo odiava per la sua nuova (o magari prolungata) relazione con Hana.
I pensieri erano sempre gli stessi, ed anche abbastanza angoscianti: non aveva perso tempo a voltare pagina dopo la loro rottura, o forse anche prima. Era ancora all’oscuro dei dettagli della nuova coppia, creatasi nella sua mente, ma aveva tutta l’intenzione di venirne a conoscenza.
Se, come e quando s’erano messi insieme, con relativi particolari su ciò che avevano fatto. Anche se era abbastanza facile immaginarlo dopo averli visti avvinghiati sul divano.
«Non cercare di fare l’eroe. Sii prudente, per favore. Fai fare tutto agli agenti dell’FBI. Stai attento a Ran, e controlla che non combini guai...» sentì la voce petulante di sua madre provenire dalla porta, e lo sbuffo di Kogoro dilatarsi nell’ufficio.
«Ho capito Eri. Non c’è bisogno che me lo ripeti duecento volte.»
Ran fece un sorriso, ma ricevette solo un’occhiata truce dai suoi.
«Sei ancora sicura di non accettare? Guarda che siamo ancora in tempo ad inserirti nel programma.»
La figlia sbuffò, seccata. In quelle dodici ore gliel’avranno ripetuto circa mille volte.
«Ho detto di sì.»
«Dovrebbero impedire ai minorenni di decidere. Dovrebbero essere i genitori o al massimo i tutori a farlo per loro. Siete troppo stupidi e immaturi per capire la gravità della situazione» si lamentò Kogoro, che tutto avrebbe voluto tranne che la piccola di famiglia lo seguisse nello scontro.
Ran non rispose, scocciata di doverlo rifare.
«Guarda un po’ quel moccioso in che guaio s’è cacciato per voler giocare a fare il detective! Dannati i Kudo che l’hanno lasciato da solo a 14 anni! Appena li rivedo gliene dico quattro...»
«Ah, certo. Aspetta che riveda Yukiko...» aggiunse la madre, mantenendosi le mani coi fianchi.
«Mamma ma sapete già dove andrete a vivere? Tu e Sonoko insieme, giusto?» chiese Ran nel tentativo di far scemare quella conversazione.
«Jodie ci ha procurate una casa a Kyoto. Staremo lì per un po’.»
«Anche voi, eh. Diffidate dagli sconosciuti» fece Kogoro con aria preoccupata.
«Non stare in pensiero per noi, siamo al sicuro. Piuttosto, tornate voi a casa sani e salvi», Eri aveva gli occhi pieni di lacrime. «Non posso immaginare di sapervi... sapervi... m-mor...» provò a dire, ma proprio non ci riuscì. Ran e il padre si guardarono e sorrisero, e ancora prima che le lacrime dell’avvocato potessero toccare suolo, l’abbracciarono. E uno nell’altro, si giurarono di rivedersi.
 
 
 
Villa Kudo profumava di Shinichi. Era la sensazione che aveva ogni volta che c’entrava, ed era inevitabile mettersi a inspirare quell’odore così familiare, dolce e forte allo stesso tempo. Era quasi un tic.
Entrò in casa ritrovandosi di fronte Heiji, in piena tenuta mattutina. Aveva l’aria ancora un po’ addormentata.
«Ohi, buongiorno.» Fece il giovane, reprimendo uno sbadiglio. «Di là c’è il tuo ragazzo. Credo che voglia venire anche lui...»
Ran inarcò un sopracciglio, mentre Kogoro tentò a stento di calmarsi.
«Il mio che...?» fece lei, stranita. Non ricordava d’esser fidanzata, a meno che non si riferisse a Shinichi, ma era impossibile, date le circostanze. Heiji alzò le spalle e si diresse in cucina, dove Jodie e Shiho stavano facendo colazione. Lei virò a destra ed entrò del salone, dove si imbatté in un giovane dall’aria scura e frastornata.
«Saigo!» sbottò, sorpresa di vederlo lì. «Tu qui?»
«Ran! Sì, stamattina mi ha chiamato quella signorina bionda, Jodie mi pare si chiami. Mi ha spiegato un po’ come stanno le cose.» Disse lui, indicando col capo Shinichi. Il detective era seduto sul salotto, intento ad allacciarsi le scarpe. Aveva il viso basso e sembrava non essersi proprio accorto della presenza della karateka. E già quell’aria di indifferenza e sufficienza la fece stizzire, ma la rabbia salì ancora di più nel vederlo accanto ad Hana. Su quel salotto, di nuovo. Avranno intenzione di consumarlo?
La ramata la guardò e le rivolse un sorriso profondo, che a Ran diede il voltastomaco.
«Che vuoi fare?» chiese lei, cercando di ignorare a sua volta quei due.
«Credo di venire con voi. Potrei essere utile! E poi mi dispiace saperti da sola in questo branco di detective» le sorrise amichevole. «Inoltre dovrei cambiare nuovamente identità? No, grazie. Ho già due cognomi e me li tengo. Se me ne danno un altro forse non riuscirei a ricordarlo.»
«Un terzo non ti farebbe male, ragazzino» fece Hana, guardandolo con serietà.
«Pensa a te» replicò il biondo, stizzito. «E non sono un ragazzino, ho la tua stessa età.»
«Tu e la tua fidanzata credete di poter fare qualcosa solo perché siete dei karateki? Dovreste imparare a percepire il pericolo, perché siete totalmente immaturi e sconsiderati nel fare certe scelte...» continuò lei, visibilmente irritata.
Ran arrossì, avendo bloccato l’udito alle prime parole della frase.
«Scusate? Cos’è questa storia dei fidanzati, me la spiegate?»
Hana fece un sorriso diabolico, mentre Shinichi aveva ancora lo sguardo basso.
«Lo sappiamo che lo siete, non c’è bisogno di fingere.»
«Eeeh?» sbottò la mora. «Io e Saigo non siamo fidanzati!»
Chandon sorrise malevola, rivolgendo un’occhiata strana a Shinichi. Il detective aveva appena finito d’allacciarsi le scarpe (c’aveva messo più tempo del previsto), e s’era alzato, ignorando completamente la sua amica d’infanzia. Per un attimo i loro occhi si incrociarono: la giovane notò il viso del ragazzo afflitto e stanco, ma lei non poteva sapere che fosse a causa delle continue trasfusioni sopra quell’infernale sedia.
Ma nel notarlo andare via, completamente indifferente, Ran si irritò ancora di più.
«Chi ha messo in giro questa voce?», poi osservò Saigo e lo esortò ad appoggiarla. «Tu ne sai qualcosa?»
Quello scosse il capo. «Veramente no» disse, e poi, avvicinandosi, aggiunse: «Dopo ti devo dire una cosa.»
Ran annuì, volgendo lo sguardo alla porta da dove era sparito Shinichi. Incredibile, non l’aveva nemmeno salutata. Forse era arrabbiato per questa strana voce messa in giro? Però perché farlo? Se anche fosse stato vero, anche lui s’era fidanzato con Hana!
«Allora, siete pronti?», Sharon entrò in salone, con la sua solita aria seducente. Ran la osservò, e non poté fare a meno di notare che le ricordava molto la sua attrice preferita.
«Che hanno deciso gli sbirri, Vermouth?» chiese la ramata, seccata.
«Si va a Washington.» Annunciò Jodie, con freddezza e sostanziale irritazione. Odiava dover collaborare con dei criminali. «Alla sede centrale dell’FBI.»
 
 
 
 
«Guardate un po’ l’FBI com’è attrezzata», Sharon salì sull’aereo con sguardo ironico e malizioso. «Hanno messo a disposizione anche uno jet privato per noi. E bravi.»
«Non è per te, Vermouth. Ma non potevamo permetterci di prendere un volo normale. Questo ferma a Los Angeles, e poi va diretto fino a Washington» replicò Jodie, avanzando tra i sedili in pelle bianca e riponendo le sue valigie negli scomparti appositi. Ran la seguì e la imitò, posizionandosi vicino ad un finestrino, due file dopo di lei, mentre Kogoro si sedette accanto alla sua ex professoressa di inglese.
«Ferma a Los Angeles per i Kudo?» s’accertò Heiji, entrando dopo Agasa, Shiho e Saigo. Il biondino le si avvicinò, sedendosi accanto a lei.
«Sì» annuì Akai, andandosi a sedere in fondo, isolato da tutti. «Ci sono anche loro.»
Ran si caricò di felicità: sapere che erano presenti anche Yukiko e Yusaku la rasserenava. D’altronde, dato che il loro unico figlio non faceva altro che ignorarla, la karateka avrebbe potuto assaporare un po’ di Kudo, un po’ di Shinichi, anche in loro. Odiava ammetterlo, ma ne era dannatamente in astinenza...
Shinichi entrò per ultimo, camminando dietro Hana. La ramata si fermò a sedersi a fianco a Vermouth, rivelandole qualcosa all’orecchio, mentre il detective camminò ancora un po’, fino ad arrivare ad Heiji e a Shiho.
«Posso, vero?» chiese sorridente all’amico di Osaka, che gli fece l’occhiolino. Lo vide sedersi lì, a circa due file distante da lei; e dato che l’aereo era praticamente deserto, la lontananza era ancora più sentita.
In tutto quella situazione, la karateka ancora ignorava l’identità di quella ragazza vicino i due detective: chi era? Pareva in confidenza con loro...
Seppur triste di averlo così lontano, Ran si rallegrò e stupì al tempo stesso di non vederlo vicino Hana. Probabilmente – si disse – era inutile per loro stare accanto se non potevano fare quel che volevano.
Il rombo del motore si fece sempre più assordante, e dopo la chiusura di tutte le porte ad opera delle uniche due hostess presenti, Ran avvertì una forza incredibile attrarla all’indietro e l’aereo accelerare a dismisura. In un attimo si ritrovò in volo, e attraverso il finestrino poté vedere l’aeroporto farsi sempre più piccolo, e Tokyo allontanarsi sempre di più. Stava andando via dalla sua casa, dalla sua migliore amica e da sua mamma, e non aveva la più pallida idea di quando li avrebbe rivisti. Le veniva da piangere, e l’unica cosa che voleva era abbracciare Shinichi e farsi assicurare che sarebbe andato tutto bene, che c’avrebbe pensato lui. Ma a fianco a lei c’era solo Saigo, che si guardava intorno, spaesato.
Ran lo guardò: Saigo era un bravissimo ragazzo, ma non era lui...
Tornò a fissare Shinichi e notò che stava chiacchierando con Heiji, con un bellissimo sorriso sulle labbra. Era assurdo pensare che solo la sera prima gli aveva inveito contro, perché non voleva che lo seguisse in quel gioco pericoloso. Ma Hattori non aveva mai avuto intenzione di accettare il programma, e lei lo sapeva bene. L’aveva capito quando avevano parlato, quando lui le aveva detto che era stata una delusione.
No, lei non poteva accettare quel programma. Anche solo per dimostrare chi era davvero non poteva farlo!
 E poi, non le piaceva l’idea di lasciare Shinichi da solo, da solo a combattere, da solo con Hana...
«Benvenuti sul volo privato della JapanLine diretto a Washington. Il volo si fermerà a Los Angeles tra circa tre ore. Giungerà nella capitale statunitense domani mattina alle quattro.» Informò il comandante attraverso lo speaker. «La temperatura esterna è di circa 23 gradi, in California raggiunge i 28, mentre a Washington ricade ai 21. La velocità del vento è pressoché nulla.»
Ci fu una pausa e poi l’uomo ricominciò a parlare. «Il comandante e tutta la troupe vi augura buon viaggio.»
Ran sospirò, abbandonando la testa al cuscino dietro di lei. Assottigliò leggermente gli occhi, mentre dal finestrino vedeva passare nuvole bianche e grigiastre. Intorno a lei pian piano si alzò un vocifero generale: sentì suo padre chiacchierare con Jodie, Akai parlare con alcuni uomini dell’FBI, Shinichi ed Heiji scambiarsi chissà quale opinione e Hana guardare dalla parte del detective, sorridente. La karateka le avrebbe volentieri fatto del male.
«Conosci tutti da queste parti?» le chiese poi Saigo, osservandola.
«Quasi tutti. Molti agenti dell’FBI no» ammise lei, voltandosi a guardarlo.
«E credi che Hana sia qui perché sta con Kudo?» domandò poi, curioso.
Ran fece una smorfia, sbuffando. «Molto probabile.»
«Non mi pare andiate d’accordo, eh» la sfotté l’amico, sorridendo.
«Ma la senti quando parla? Non fa altro che istigarmi! E poi ci crede fidanzati! Non vorrei che sia proprio lei ad aver messo questa voce in giro... secondo me lo ha fatto per allontanare lui da me.»
«Sì, può darsi» convenne Saigo, osservando i due detective e zittendosi, non sapendo più cosa dire. Quelle ore passarono abbastanza velocemente. Ran non fece che guardare Shinichi parlare con quei due, e cominciò a spezzarsi le unghie nel momento in cui Hana s’alzò e li affiancò. Parevano tutti in gran sintonia, come se fossero amici da sempre, come se insieme avessero passato la più grande delle tempeste! E lei invece si sentiva esclusa, derisa e sottovalutata. Provò anche a dormire ma fu del tutto inutile. Nel momento esatto in cui aveva abbassato il copri occhi sulle sue palpebre vide Hana e Shinichi ridere insieme, mentre Heiji e l’altra ragazza stavano dormendo. Quanto erano odiosi...
Giunsero a Los Angeles in anticipo, e per fortuna di Ran, i due dovettero staccarsi per l’atterraggio dell’aereo. I Kudo salirono abbastanza velocemente, ed anche al loro arrivo, la sensazione di esclusione non fece che aggravarsi. Al contrario di come aveva ipotizzato, Yusaku e Yukiko nemmeno si accorsero di lei. Certo, erano preoccupati per il figlio, ma era strano per lei sentirsi rivolgere da loro solo un semplice e freddo «ciao».
Yusaku avanzò verso gli agenti dell’FBI e cominciò a parlottare con loro, mentre l’ex attrice salutò Sharon e si sedette accanto a lei, visibilmente segnata dalla situazione. Ciò significò far spostare definitivamente Hana accanto a Shinichi, Heiji e l’altra ragazza, e questo non le piaceva proprio per nulla.
Si rabbuiò su se stessa e riprovò ad addormentarsi quando l’aereo ripartì. Il cielo cominciò ad oscurarsi e le nuvole ad annerirsi. Spuntarono le stelle e si riuscì ad intravedere anche la luna dai finestrini, che pareva sempre più vicina da lassù.
Intanto, due file davanti a lei pareva esserci un festino. Probabilmente Hattori avrà fatto una battuta, a cui risero tutti, tranne la ragazza dai capelli ramati a caschetto, che rimase sostanzialmente impassibile. Mezz’ora più tardi erano di nuovo tutti addormentati. Ma l’immagine più brutta era vedere Hana sognare sulla spalla del detective, di cui riusciva a scorgere solo un po’ del profilo e degli occhi chiusi.
Due ore dopo una leggera scossa dell’aereo li svegliò, facendoli scoppiare a ridere.
Saigo osservava Ran che osservava Shinichi. Non faceva altro che guardarlo da più di otto ore, e sentì chiaramente il cuore frantumarsi nel momento in cui il detective e l’altra si alzarono e si sedettero, in disparte, una fila dietro gli altri. Hana cominciò a sussurrargli qualcosa, che doveva essere talmente sorprendente, che Shinichi sbarrò gli occhi.
Gli sentì chiaramente udire un «davvero?», e la vide annuire soddisfatta.
«Sei d’accordo con me, vero?» disse Hana, non rendendosi conto che il suo tono era troppo alto nel sostanziale silenzio dell’ambiente.
Shinichi fece spallucce, girandosi a guardare da un’altra parte. «Non decido io» lo sentì dire, e poi aggiunse: «ma credo che non ce ne sia nemmeno bisogno».
«Ehi smettila» la richiamò all’improvviso Saigo, facendola sobbalzare. Ran lo fissò stranita, come se cadesse da un altro mondo.
«Di fare... cosa?»
«Di spiarli. Non stai facendo altro da quando siamo saliti...» le ricordò, tenendo le palpebre chiuse e la testa poggiata al cuscino dello schienale.
«Se vuoi parlargli, va’ da lui e fallo. È inutile restare qui a tormentarsi.»
La ragazza sospirò, mantenendosi la fronte con una mano. «Eh...vorrei, ma lui mi ignora. Come se fossi io quella in difetto, capisci? Eppure era lui quello sul divano ieri, eh... è lui quello che si diverte con la sua oca, eh... che nervi...» disse, mordendosi il labbro. «Anche se... be’, vorrei chiedergli solo scusa per non averlo fatto parlare. Su quello ho sbagliato io...»
«E così era lui il piccolo Conan eh» rise lui. «E dire che una volta l’avevo anche detto, ma per scherzo!»
«Già» fece lei, con amarezza. «Comunque... avevi detto che dovevi dirmi qualcosa stamattina... di che si trattava?» si informò poi, cambiando discorso.
«Ah sì!», Saigo si illuminò. «La vedi quella ragazza vicino il detective Osaka? Be’, assomiglia terribilmente a quella Shiho di cui ti parlai. E se non sbaglio, il tuo ex l’ha chiamata ‘Miyano’ che, se la memoria non m’inganna, era proprio il cognome degli amici di mio nonno.»
«Davvero?!», strabuzzò gli occhi Ran. «E perché non glielo chiedi? Potrebbe sapere qualcosa di tua sorella!»
Il giovane fece una smorfia. «Non lo so... mi intimorisce, mi fa uno strano effetto. Sta sempre sulle sue, parla solo con Kudo. Potrei chiedere a lui, ma non credo di essere la persona più adatta, sai...»
La karateka annuì, concorde. «Mmh... nemmeno io la conosco. In realtà somiglia ad una bambi...» si bloccò all’improvviso, esterrefatta. Ciò che stava pensando era impossibile e assurdo, o, dati i recenti avvenimenti, era qualcosa di fondato? A quella ragazza era toccata la stessa sorte di Shinichi Kudo, o stava solo delirando? Il cuore cominciò a batterle forte, ricordando tutte le volte che la piccola Ai Haibara s’era mostrata un po’ troppo adulta per la sua età, proprio come Conan. E poi quella bambina aveva sempre vissuto dal dottore, che come qualcun altro, era a conoscenza della doppia identità di Shinichi.
«Oddio... credo di aver capito chi sia...», aveva la bocca secca e leggermente aperta.
«Chi?», e mentre Saigo inarcava un sopracciglio, Ran vide Kudo alzarsi. Per un attimo temé che lui e Hana stessero per nascondersi altrove, ma in realtà lo vide diretto da solo nella direzione opposta. Si girò a seguirlo con gli occhi e lo guardò raggiungere il bagno, in fondo ai sedili. Tornò ad osservare l’amico, che la guardava stranito.
«Ehm... credo che anche lei, anche lei si sia rimpicciolita, sai...» ammise poi, portandosi una mano sulle labbra, esterrefatta. «Sì, dev’essere così... aspetta... un momento» fece, alzandosi e lasciando Saigo lì seduto. Si diresse verso Hattori e la giovane ramata dagli occhi di ghiaccio, e quando fu davanti al sediolino di Shinichi, si sedé al suo posto. Heiji le sorrise, mentre la ragazza non fece che ignorarla.
«Ehilà! Ci hai abbandonati, eh!» la sfotté il giovane di Osaka. Ran fu contenta di non avvertire più rancore nelle sue parole. «Ti sei seduta vicino al tuo ragazzo e...»
Ma lei non lo fece completare, arrossendo. «Senti, Hattori, non so chi abbia messo in giro questa voce, ma io e Saigo non siamo fidanzati! Ok?»
«Calma, calma» fece lui. «A me l’ha detto Kudo, però se vuoi che non si dica è ok» le fece l’occhiolino.
«È lui che lo va dicendo!?» Ran strabuzzò le palpebre, incredula. «E poi non è che non voglio che non si dica, ma non è così, semplicemente!»
«A me l’ha detto lui» ripeté il detective di Osaka. «Che ne so io...»
«Ah, sì?» La karateka si alzò di nuovo, esasperata. Avrebbe voluto parlare con Shiho, ma al momento era più importante risolvere un’altra questione. Camminò velocemente verso il bagno, dietro il quale aveva visto Shinichi scomparire. Raggiunse la porta che separava l’antibagno da occhi indiscreti, e vi trovò lui dentro, intento a lavarsi le mani. Si squadrarono per un po’, poi Ran gli diede un colpo al petto, facendolo indietreggiare.
«Perché vai dicendo che io e Saigo siamo fidanzati?» chiese con stizza, che crebbe sempre più nel notare i suoi tentativi di ignorarla. Infatti, Shinichi fece per andarsene, ma lei lo bloccò per il braccio, impedendoglielo. E per un attimo, si drogò del contatto con la sua pelle.
«Rispondi!»
«Oh, ma che vuoi?» sbottò lui, infastidito.
«Dimmi perché vai dicendo queste stronzate!» replicò lei, con lo stesso tono.
«Che c’è? Hai vergogna che si sappia?» replicò il detective, ironico.
«Senti, io e Saigo non stiamo insieme, perché inventi queste stupidaggini?» ripeté, leggermente più calma.
«Io non invento proprio nulla.»
«Eeeh? Ma sei impazzito? Mi hai forse preso per te, eh?»
«Preso... per me?», inarcò un sopracciglio lui.
Ran deglutì, arrabbiata. «Sì, per te. Per te che ti sei fatto una nuova compagna senza problemi. Da quand’è che te la fai, eh? Dimmelo, su!»
«Ma di che stai parlando?!»
«Di chi secondo te?! Di Hana, razza di verme schifoso! Da quand’è che vi divertite alle mie spalle?»
Shinichi la guardò esterrefatto. «Ma che film hai girato?»
«Già, quello che ho visto ieri era un trailer molto avvincente e riassuntivo, se proprio lo vuoi sapere!» sbottò ancora, mentre sentì gli occhi riempirsi di lacrime calde. Ma non voleva piangere per lui, non ancora, non dopo tutto quello che aveva visto. Eppure era più forte di lei. L’immagine di loro due su quel divano non l’avrebbe dimenticata per tutta la vita, ne era sicura. Non riusciva a sopportare l’idea delle sue labbra sopra quelle di Hana...
«E adesso perché cavolo stai piangendo?» la rimbeccò lui, tra il preoccupato e il seccato.
Ran cercò di asciugarsi le lacrime con il polsino della maglia che indossava, ma scendevano troppo velocemente una dopo l’altra. Non rispose, anche perché sentì la voce cominciare a mancarle.
Aveva voglia di abbracciarlo e baciarlo, riprendersi ciò che era suo... ma non riusciva a muoversi. Era immobilizzata.
«Mi dici come vuoi sconfiggere un’organizzazione criminale se piangi sempre? Perché non hai accettato il programma, eh? Cosa cavolo speri di fare, stupida!?»
Ran lo osservò con gli occhi rossi e gonfi. Era questo ciò che pensava di lei?
Era questa la reputazione che aveva di lei?
Non ci pensò un attimo in più, non voleva: con tutta la forza che aveva gli tirò uno schiaffo in pieno volto. Shinichi indietreggiò, incredulo. Avvertì la guancia sinistra pulsare e arrossarsi per la botta subito, ma non mosse un dito. Si limitò soltanto a guardarla.
«Ti odio!» urlò, lacrimante e singhiozzante.
Shinichi la vide indietreggiare e chiudersi in bagno. Fece scattare la serratura e lo lasciò fuori, a guardare la porta in pvc sbattere sul suo naso. Era consapevole che lui avesse ragione, per questo non poteva uscire e farsi vedere da una decina di poliziotti piangere. Non per questo, non per lui.
Era indubbiamente ridicolo, quando tutti erano sul punto di morire per via di pazzi assassini e criminali.
Rimase chiusa lì dentro per mezz’ora, e Shinichi non ebbe il coraggio di tornarsene a posto. S’appoggiò alla porta con la schiena, ad ascoltare i suoi singhiozzi e ansimi attraverso l’infisso.
Gli struggeva il cuore sentirla piangere, come sempre...
«Mi fai entrare? Voglio solo parlare. Apri questa porta, dai.»
«V-vattene via! S-sei ancora qui, cos-a vuoi-i? T-torna dalla tua b-bella!»
Il detective era sul punto di rispondere, quando nell’antibagno entrò Saigo, leggermente preoccupato.
«Ma dov’è Ran?» chiese.
Shinichi sbuffò, indicando il bagno. «Qui dentro.»
«E perché è lì da più di mezz’ora?»
«Lo vorrei sapere anche io.»
«È per colpa tua che è qui dentro?» si irritò anche il biondino, squadrandolo con fervore.
«A-andatevene!» fece lei da dentro il bagno, ancora in singhiozzi
«Ma sta piangendo?» chiese ancora il karateka, stranito.
Il detective annuì.
«E perché?!»
Lui sbuffò. «Lo sai tu? Mi ha dato uno schiaffo e si è chiusa qui dentro. Sto cercando di farla uscire da mezz’ora senza risultati.»
«Lo schiaffo te lo sarai meritato» fece il giovane. «Ran, vuoi uscire? Sono passate le hostess con un sacco di roba buona da mangiare! Se esci ci facciamo una bella mangiata! Non hai fame?»
«NO!!!» urlò lei, spiazzandolo.
Shinichi rise, compiacendosi che il tentativo non fosse andato in porto.
«Ran, hai intenzione di rimanere qui ancora per molto? Tra poco più di mezz’ora arriveremo a Washington.»
«Veramente arriveremo tra quasi un’ora» aggiunse Shinichi, superbo.
Saigo lo guardò truce. «Poco più di mezz’ora è quasi un’ora...»
«Ma che concezione del tempo hai?» lo rimbeccò il detective.
«Era per esortarla ad uscire, idiota!» si arrabbiò l’altro.
«Ehi Mouri... vedi? anche Yami racconta bugie... a lui non dici nulla però.» La sfotté ironico, sperando con tutto se stesso che questo bastasse ad attrarre la sua attenzione.
«C-certo. P-proprio lo s-stesso tipo di b-bugie.» Balbettò lei, dall’interno. Saigo assottigliò gli occhi, esasperato, e nonostante riprovò a farla uscire, Ran rimase all’interno del bagno per altri dieci minuti.
«Ci penso io» mormorò all’altro il detective, scostandolo dalla porta. «Va’ e tranquillizza Kogoro, se ne ha bisogno.»
«Stai attento a quel che fai, Kudo» fece Saigo, scomparendo dietro la porta. Shinichi l’afferrò e la chiuse a chiave, scivolando sul pavimento e appoggiando la schiena al muro vicino il lavabo.
«Ran...?» la chiamò per nome, socchiudendo gli occhi
«C-cosa v-vuoi?»
«Ma quante lacrime hai?»
«C-che ti i-importa?»
«Era per sapere se moriremo allagati o meno...» sorrise lui.
«U-ucciditi» disse lei, ancora imbronciata.
«Grazie per queste parole d’affetto.»
«Prego, verme» fece lei, col tono più sicuro. Aveva smesso di singhiozzare.
«Ran?» la richiamò di nuovo.
«Che vuoi?»
«Che ci facevi ieri a casa mia?» chiese poi, senza che lei se lo aspettasse.
Passarono alcuni secondi, durante i quali nessuno dei due fiatò.
«Ero venuta a girare le nuove scene del mio film, sai» disse, tra l’ironia e l’amarezza.
Il detective rise. «Dai, seriamente...»
«Non sono affari che ti riguardano» fece poi, innervosita. Non poteva di certo dirgli che era venuto lì per perdonarlo, e l’aveva trovato a letto con un’altra.
«Stai mentendo, Ran...»
«Da che pulpito viene la predica» sbuffò lei, quasi ironica. «Tu lo fai sempre, per una volta che lo faccio io?»
«L’ho fatto perché dovevo, lo sai...» disse lui, guardando la sua ombra sotto l’insenatura della porta.
«Ma non c’era bisogno di inventarsi altre cose, brutto idiota che non sei altro...»
Shinichi si stranì. «Ma quali altre cose?»
La sentì sbuffare di nuovo, ancora più pesantemente. Romeo e Giulietta non gli diceva nulla, vero? Le prove e ciò che le aveva detto era solo frutto della sua immaginazione, certo. Cercò di ridere lei, ma non fece altro che scoppiare a piangere di nuovo. Ricominciò a singhiozzare e lui se ne accorse.
«Perché piangi di nuovo?» sospirò, socchiudendo le palpebre e appoggiando la testa al muro.
«P-perché t-ti o-odio!»
«Ma almeno esci e parlami negli occhi.»
«N-no... n-non v-vorrei farti v-vergognare. L-la ex di S-Shinichi Kudo che p-piange per le stupidaggini... c-che figura ci farai?» disse ancora, cercando di portar via le lacrime col dorso della mano.
Il detective sorrise. «Ci sono solo io qui, ho chiuso la porta.»
«P-perché t-ti vergogni di me... l-lo so...»
«No, perché agli altri non interessano le tue lamentele...»
Ran deglutì e poi tirò su col naso. «E a-allora v-vattene... io non t-ti sto obbligando a f-far nulla...»
«A me interessano.»
Ran si bloccò qualche secondo, incredula. L’aveva detto per davvero? Il cuore cominciò a batterle forte, quasi impazzito nel suo sterno.
«E p-perché?» chiese, con un filo di voce.
«Sono pur sempre il tuo amico d’infanzia, no?» fece, velando la sua voce di dolcezza.
«I-io e te n-non siamo pr-proprio n-nulla...»
«Invece sì.» Disse, e Ran tremò. «Ricorda che si è ex migliori amici e ex fidanzati, ma non si è mai ex amici d’infanzia. È qualcosa che non puoi cancellare, nemmeno se lo vuoi.»
La karateka non fiatò, si limitò a poggiare la testa fra le sue gambe rannicchiate. Era odioso dargli ragione, ma doveva farlo. Qualsiasi cosa sarebbe successa, lui sarebbe per sempre rimasto il suo dispettoso amico d’infanzia. Quello con cui aveva giocato a nascondino, quello che era l’unico a saperla scovare a nascondino; quello con cui affrontava ladri nella biblioteca della scuola, quello che era l’unico a saperli affrontare. Quello che si atteggiava a Sherlock Holmes da quand’era nato, quello che arrossiva al tramonto, quello con cui guardava gli spettacoli di magia, quello a cui preparava il pranzo e la cena da una vita, perché sennò sarebbe rimasto a digiuno. Ogni momento, ogni istante, ogni ricordo che conservava era segnato dalla sua presenza. Lui c’era sempre stato, e questo la faceva star bene. Sospirò, e portando le dita sulla serratura, la fece scattare all’indietro. La porta si aprì e scivolò vicino ai piedi del detective, sdraiato a terra di fronte a lei.
«Sai, sarebbe bello poter tornare a quei tempi» mormorò, col tono talmente basso che Shinichi faticò ad ascoltarla. «Odio essere cresciuta.»
«Prendi l’apotoxina e torna anche tu bambina» rise lui, ironico.
«Potrei farlo» sorrise dolcemente lei, immaginandosi di nuovo piccola. E così era quello in nome di quella maledetta sostanza. Apotoxina.
«Stavo scherzando. Non ci pensare nemmeno.» La rimbeccò, sperando di non averle messo in testa nessun’idea strana. Ran era pericolosa a volte.
«Perché? Fa male?» chiese lei, fissandogli gli occhi azzurri e accesi.
«Abbastanza», la imitò lui. « Come ti ho detto avrebbe dovuto farmi morire, poiché si basa sull’apoptosi, ovvero la morte programmata delle cellule. Essendo un farmaco sperimentale invece mi ha trasformato in un bambino. Tutto di me si è ridotto allo stato infantile, tutto tranne il sistema nervoso. Pensa un po’.»
«Ma perché te l’hanno somministrato?» chiese lei, sentendosi infinitamente stupida per non avergli fatto prima queste domande.
«Quando ci salutammo al Tropical Land, quella sera, seguii due uomini sospetti...»
«Sì, li ricordo, vagamente...» lo interruppe per un attimo lei, tornando a guardarlo.
«Assistetti ad uno scambio illecito di denaro, ma ero così tanto assorto a guardare che non mi accorsi che Gin mi piombò dietro e mi aggredì, facendomi cadere a terra svenuto. Non so per quanto tempo sono stato lì... so solo che al risveglio ero bambino» le raccontò, la voce segnata dall’amarezza. «Tornai a casa terrorizzato, e lì incontrai il dottor Agasa. Pensa che stentò a riconoscermi anche lui. Mi disse che non avrei dovuto dire a nessuno di quello che mi era successo, perché se si fosse saputo che ero ancora vivo, loro mi avrebbero cercato e tentato di uccidere. Poi sei arrivata tu, e nel chiedermi il nome... il primo che mi venne in mente fu Conan Edogawa.»
Ran non fiatò per alcuni secondi. Era stato davvero male allora. Tutto ciò che le aveva detto Heiji settimane prima corrispondeva alla realtà...
«E come hai fatto a tornare te stesso, allora?»
Shinichi alzò gli occhi al soffitto. «La prima volta ci tornai a causa del Paikal che portò Hattori, quando lo conoscemmo. La seconda per via di un antidoto, creato appositamente per dissipare i tuoi sospetti nei miei confronti. Sapevo che sospettavi di me, e così...»
Ran spalancò gli occhi, bloccandolo. «Era alla recita del Cavaliere Nero? Ecco, spiegami com’è che in quel frangente c’eravate sia te che Conan!»
Shinichi sorrise. «Conan non ero io, ma quella ragazza che era seduta a fianco a me di là. Anche lei ha preso l’apotoxina.»
«Anche lei?! Era Ai Haibara, giusto?»
«Sì. Lei era una scienziata dell’organizzazione. È riuscita a scappare per un pelo alla morte, proprio rimpicciolendosi.»
«Ok» disse Ran, che seppur l’aveva ipotizzato poco prima, rimase comunque incredula. «Devo solo fare l’abitudine a tutte queste notizie shock.»
«E poi la terza volta, quando siamo andati al villaggio Higashi-Okuho, lì ho preso l’antidoto per sbaglio. Ma a causa di alcuni processi andati male, sono rimasto me stesso per più giorni» le rivelò ancora. «Adesso sono così per via di una macchina infernale progettata dal professore e da Haibara che mi somministra certe dosi di azoto ogni giorno, permettendomi di essere adulto senza ricorrere all’uso continuo di antidoti, che potrebbero minare il mio corpo e perdere di efficacia.»
Ran si portò una mano alla bocca, terrorizzata. «Ciò vuol dire che sei costretto ad assumere sempre qualcosa, sennò tornerai piccolo?»
Shinichi annuì semplicemente.
La karateka strabuzzò le palpebre e ricominciò a sentirle gonfie, pensanti, fastidiose. Erano nuove lacrime pronte ad uscire da quei canali, che ormai parevano rotti. Lo guardò ancora, sentendosi incredibilmente stupida per essersi arrabbiata così tanto. È vero, le aveva mentito, ma ciò che aveva dovuto sopportare era davvero troppo, anche da immaginare. Non avrebbe mai potuto pensare a tanta tortura, a tanto dolore e sofferenza per lui. Dimenticò anche di averlo visto nelle braccia di Hana la sera prima, perché nulla era così importante quanto la voglia di abbracciarlo. Due ore prima l’avrebbe voluto vicino a rassicurarla, ma adesso credeva quasi che dovesse essere lei a proteggerlo. Cominciò a singhiozzare, e non volendo farsi notare da lui, portò le mani sul viso, nascondendolo. Ma fu inutile.
«E adesso perché piangi?» chiese lui, quasi esasperato.
Ran non rispose. Semplicemente si alzò e si diresse verso di lui, s’abbassò e lo abbracciò, nascondendo il volto umido nella sua spalla. Shinichi non si mosse, sorpreso da quell’improvviso movimento, ma l’amica d’infanzia lo strinse a sé, facendo aderire per bene i loro corpi. Non aveva più importanza ciò che erano e ciò che erano stati, voleva soltanto stringerlo a sé.
«Scusa... scusa... scusa...» ripeté più volte, come un disco rotto. «Scusa per non averti fatto parlare, per non aver ascoltato nessuna delle tue spiegazioni. Sono stata pessima, scusa...»
Il detective era sul punto di rispondere, quando una voce seccata e forte arrivò alle loro orecchie, insieme ad un paio di pugni alla porta che li divideva dagli altri.
«Ehi, voi due!! Siamo arrivati, quanto altro tempo avete intenzione di rimanere qui dentro?! Uscite fuori che dobbiamo atterrare!! Forza Ran, e anche tu moccioso!! Se scopro che stai facendo qualcosa di sbagliato ti uccido io prima di quei criminali, garantito!!»
I due amici d’infanzia dovettero tornare alla cruda realtà, staccandosi dal loro abbraccio. Lei s’alzò e s’asciugò le palpebre, inspirando profondamente. Shinichi si rimise in piedi ed aprì la porta, proprio nel momento esatto in cui il comandante annunciava:  «Benvenuti a Washington DC.»

 
 






Rieccomiiii!! Mamma e come ho fatto presto :D
Per la serie del "cosa combina Infostrada?", vi dico che sono senza un internet proprio, ma son riuscita ad agganciarmi a qualcuno....
shhhhhhhhhhhh!! XD non lo dite a nessuno che mi arrestano hahahahah XD
Torniamo seri ^^
Allora, chi vuole partire con i nostri amici verso Washington? Io c'ero sull'aereo... non mi sono descritta ma c'ero... ero una di quelle che parlottava con Akai fingendomi un'agente dell'FBI :D Ovviamente non ho pagato il biglietto... e ci mancasse ;P
Poi ad un certo punto ho notato i due piccioncini alienarsi dal resto del gruppo, e allora ho dovuto trasformarmi nel lavandino per sapere che stessero combinando -.-
Avevo detto "torniamo seri" XD
Allora... dato che Ran non fa altro che piangere, e finalmente viene a conoscenza di parte della verià di quel giorno a Tropical Land, i due riescono ad avvicinarsi ^^
Vi è piaciuto il discorso sugli amici d'infanzia? Io credo sia vero ^^
Quanto vorrei un amico d'infanzia come Shin T_____________T
Va be', dato che oggi non riesco ad essere seria (sarà il brivido di infrangere la legge XD) me ne vo' ^^
Un bacione a tutti, e un saluto più caloroso a quelli che commentano ogni santo chap! :D
Grazie Hoshi, grazie Angel, grazie MangAnime, grazie Assu :P, grazie managaka, grazie cristal, grazie arya, grazie bessie e grazie anche a te teschietta ^^


Vi amo!!!! <3


A presto! 
Tonia

 
 

 
 

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Capitolo 35
*** Una difficile convivenza ***


Ran aprì dolcemente gli occhi, ritrovandosi sprofondata in un cuscino dalle piume bianche. Faticò leggermente ad adattare le palpebre alla luce, ma dopo qualche secondo riuscì a distinguere la camera senza alcun problema. Con la luce del Sole le era finalmente possibile distinguerne i particolari, il rivestimento e gli infissi il legno di noce. S’alzò dal letto con lentezza, ancora un po’ intontita dal sonno. Alla sua destra, su un altro materasso, giaceva la ragazza che un tempo era stata Ai Haibara. Aveva gli occhi di ghiaccio aperti su di lei, e un respiro talmente regolare da dar fastidio.
Ran le sorrise appena, volendosi mostrare gentile.
«Ciao, ti sei svegliata anche tu?»
La ramata la snobbò, assottigliando gli occhi e mettendosi a sedere sul materasso. Il terzo della stanza era vuoto, ed era quello che apparteneva ad Hana.
«Ok, le tre ragazze di sopra» annunciò Jodie, osservando la piantina della villa che era stata loro assegnata. «Mentre invece i tre maschietti nell’altra camera.»
Erano appena arrivati nella loro nuova dimora a Washington, erano le quattro del mattino, e tutti brancolavano dal sonno. Ran, Shiho e Hana si osservarono. Non tanto per la giovane amica  coinquilina di Agasa, ma la karateka tutto avrebbe voluto tranne che dormire con la partner di Shinichi. Anche se, a dirla tutta, così facendo poteva tenerla sotto controllo...
«Peccato che dividano i maschi dalle donne, ci saremmo...» provò a commentare, ma uno starnuto le bloccò il respiro. Sorrise, e scusandosi continuò: «con i maschietti ci saremmo divertiti di più» . Ran avrebbe voluto ammazzarla, ma si incantò a guardare svanire la schiena di Shinichi dietro quella porta in fondo al corridoio, a fianco a Saigo e Heiji.
«Ma che ore sono?» chiese Shiho, riportandola alla realtà. Ran s’affrettò a guardare l’orologio sul cellulare, illuminando il display.
«Oh, cavolo!» sbottò. «Sono le dieci, è tardissimo!»
S’affrettò a scendere dal letto e a cambiarsi, indossando qualcosa di diverso del pigiama che aveva portato. Andò in bagno e si lavò, dopodiché aspettò Shiho prima d’andare via. Le pareva gentile farlo, anche perché avrebbe voluto tanto parlare con lei... sia di Saigo, e della faccenda della sorella, ma soprattutto di Shinichi. Lei che gli era stata così vicina in quel periodo così brutto, lei che aveva vissuto il suo stesso dramma era senza ombra di dubbio a piena conoscenza di ciò che aveva combinato il suo ex fidanzato in quel periodo.
La scienziata uscì dal bagno un quarto d’ora dopo, con indosso un pantalone di cotone ed una camicia larga rossastra.
Si squadrarono intensamente, fin quando Ran non prese a parlare:
«Ho pensato di aspettarti. Scendiamo insieme, ti va?»
Shiho fece spallucce. «Come vuoi.»
La karateka la osservò per tutto il tragitto, e l’altra non mancò di notarlo. Nell’accorgersi di star esagerando, Ran arrossì leggermente, distogliendo lo sguardo.
«Tu sei Ai Haibara, vero?»
«Te l’ha detto Kudo?» rispose con freddezza.
«Ehm... sì.» Ammise. «Sei stata tu a creare gli antidoti, vero? Volevo ringraziarti...»
Ma lei la bloccò. «Non c’è bisogno che mi ringrazi. L’ho fatto perché Kudo ha sempre insistito per averli, non perché mi divertissi.»
«Oh...», Ran era leggermente spiazzata. Non s’aspettava quel tono. «Certo...»
Giunsero in cucina, dove rincontrarono Heiji, Saigo, Agasa e Kogoro. Alla vista della figlia il detective si illuminò, invitandola a sedersi e a fare colazione.
«Devi mangiare, sennò non avrai le forze! Prendi un po’ di pane, ed anche un po’ di cioccolato! Lì c’è il latte se ti va!» le avvisò, facendola arrossire. Ran avrebbe tanto voluto che non il padre non fosse lì a trattarla come una bambina. La ragione era sempre la stessa: se doveva aiutare Shinichi e gli altri a sconfiggere quest’organizzazione, non poteva di certo sembrava indifesa e delicata. Lei era una karateka, e doveva approfittarne...
«Dormito bene?» le chiese Saigo, mentre Heiji addentava un po’ di pane. Shiho si sedette accanto ad Agasa e si spalmò un po’ di marmellata sul toast.
«Sì, sì» rispose, portando alla bocca il bicchiere col latte. «Voi?»
«Abbastanza», avvertì al risposta dell’amico ma non lo guardò. Piuttosto ricercò Shinichi. Dov’era? E soprattutto, dov’era Hana?!
«Due agenti dell’FBI sono di guardia lì fuori in borghese» entrò all’improvviso Yusaku, lasciandosi andare ad un lungo sbadiglio. «La sede centrale è stata informata. Dobbiamo solo andare lì.»
«Ovviamente verrò anche io» fece Vermouth, seduta su un divanetto del salone-cucina a sorseggiare del thè. «Devo avere la certezza che non farete scherzi.»
«Come vuoi» replicò brusca Jodie, mandandole un’occhiata truce. «Vorrebbe venire anche tuo figlio, Kudo, ed anche l’altra ragazza» disse, facendo riferimento ad Hana.
Yusaku scrollò le spalle. «Non posso impedirglielo...»
Ran aspettò ancora qualche secondo, il tempo che Heiji finisse di bere il suo latte. Poi gli si avvicinò leggermente.
«Scusami, Hattori...» cominciò, imbarazzata. «Sai dov’è, ehm...Shinichi?»
«È di là a farsi la trasfusione di azoto. Ma credo che abbia quasi finito...» la informò lui, prendendo possesso di un altro bicchiere di latte e cereali. A quanto pareva quel tipo di colazione gli piaceva.
Ran sussultò, sentendosi una stupida per non averlo ricordato. Shinichi aveva bisogno di un certo tipo di trattamento per rimanere adulto, gliel’aveva detto lui poche ore prima. Finì il suo toast e si incamminò nella villa, alla ricerca dell’amico d’infanzia. Si pentì due secondi dopo di non aver chiesto al detective con precisione la stanza, ma riuscì a trovarla al terzo tentativo. Era sul punto d’entrare, quando avvertì la voce di Hana da dentro. Aprì leggermente la porta e cominciò ad origliare, nascondendosi dietro le venature dell’infisso.
«È stato bellissimo, credimi. Non ricordo di aver sentito un’emozione simile prima...» disse lei, osservandolo compiaciuta. Ran sentì il cuore fermarsi: ma di cosa stavano parlando? Si sporse ancora un po’ di più e vide Shinichi seduto su una strana sedia, collegato a una decina di fili argentei. Hana gli era di fronte, accovacciata alla sua altezza al pavimento.
Il detective era ansimante, affaticato e decisamente dolorante. Eppure stava sorridendo. Perché sorrideva ad Hana e a quello che gli aveva detto? Era forse che...
«È qualcosa che ci appartiene e per sempre.»
Appartenere...cosa?
Ran indietreggiò, ma fece comunque in tempo a sentir parlare lui.
«Io non sapevo nemmeno cosa fosse...»
Poi Hana fece uno starnuto, e coprì per un po’ la voce dell’amico.
«...ma questo resta tra noi» lo sentì udire e confermare le sue ipotesi. «...come l’altra cosa.»
Si portò una mano alla bocca, incredula.
Erano stati insieme? Non voleva crederci...
Magari il viaggio era stato troppo lungo per loro due e stare così tempo lontani aveva fatto nascere in loro la voglia di stare insieme...
Che idiota che sono...
Fece qualche passo indietro, stando attenta a non farsi sentire da quei due. Le veniva da piangere, eppure s’era ripromessa che non l’avrebbe fatto, almeno non in presenza di agenti federali americani pronti a scontrarsi con un’organizzazione criminale. Tornò in cucina, dove tutti ormai avevano finito di fare colazione. Yusaku parlottava con Yukiko e Sharon, e tra uno starnuto ed un altro si permetteva anche una tazza di thè, mentre Shiho, Agasa ed Heiji erano in un angolino a leggere un giornale. Ran s’avvicinò a Saigo, l’unico isolato quanto lei, impegnato a guardare in alto.
«Ma te ne eri accorta? Hanno messo le telecamere...»
Ran le guardò distrattamente, e notò che un obiettivo la stava riprendendo. Perfetto – pensò – adesso quei due potevano anche registrare il loro amore. Neanche fossero al Grande Fratello!
«Già... siamo osservati a quanto pare...» abbassò il capo, con espressione triste.
«Che succede?» le chiese, incrociando le braccia al petto e dondolandosi sulla sedia.
«Nulla...» Ran fece spallucce. «Sono una sciocca...»
«Perché?» si preoccupò lui, osservando i suoi occhi divenire lucidi.
«Sono andata da lui... volevo riparlargli... ma era insieme ad Hana e li ho sentiti dire certe cose... mi... mi sa che hanno passato la notte insieme...», si impose l’autocontrollo. Non doveva piangere. Non doveva.
«Ah...» emise un sospiro l’altro. «Be’, effettivamente Kudo non ha dormito con noi stanotte...»
«C-cosa?», Ran deglutì aria. «E dove...?»
«Non lo so, so per certo che ha soltanto posato la borsa sul suo letto, ma poi è scomparso.»
La karateka avrebbe voluto sotterrarsi, anche perché si sentiva troppo inutile e debole per fare qualsiasi cosa. Trattenne a stento le lacrime, tirando tutti i muscoli della sua faccia verso l’interno.
Cosa m’aspettavo? Solo perché ieri gli ho chiesto scusa non significa che lui adesso torni insieme a me... sono una stupida... stupida anche nel volerlo... devo pensare a lui solo come amico d’infanzia, proprio come ci ha definiti lui... amici d’infanzia e nient’altro... non possiamo essere nient’altro in fondo... siamo troppo diversi...pensò, stringendo i pugni. Non andremo mai d’accordo... ok, ok... ce la faccio, tanto mica sono innamorata di lui... no, ci siamo lasciati più di un mese fa e non lo amo più ormai, come lui non ama più me...
«Eccomi qui», la sua voce infranse tutte le sue barriere. Cominciò a sentire le gambe tremare e l’intero corpo cedere alla sua vista con Hana.
«Un po’ stanco, ma sempre bello e geniale come sempre» commentò la ramata, facendogli la linguaccia al suo rossore. «Possiamo andare.»
Heiji sorrise insieme ad Agasa e Yusaku, che si lasciò andare ad un altro starnuto, mentre Shiho assottigliò gli occhi. Ran sentì lo stomaco contorcersi.
Shinichi li ignorò, e girando lo sguardo a destra si imbatté nell’amica d’infanzia. Le fece l’occhiolino e le sorrise, come se nulla fosse.
«Tutto bene?»
Ran avvertì il cuore fermarsi. Era ancora ferma al suo sorriso, quando si diede un po’ di contegno e cercò di assumere un’espressione fredda. «Certo.»
«Oh, allora...» sentì la voce di Hana richiamarlo, ma questa fu spezzata da un altro starnuto. «Dannazione... allora andiamo?»
«Vengo», Shinichi annuì, affiancato da Hattori e se ne andò.
Insieme a lei, lontano da lei. Sempre più lontano...
 
 
 
Ran vide la scienziata seduta in divano, e rimuginò sul parlarle ancora o meno. Voleva chiederle di Shinichi e di Saigo, voleva avere risposte che nemmeno il detective pareva contrario a darle. Ma prima che potesse avvicinarci, l’attenzione di entrambe venne attirata dall’aprirsi della porta. In quei giorni era sempre meglio stare allerta, ma si rasserenarono nel vedere entrare Shinichi, con gli occhi luminosi come fari di notte. Lo seguiva Heiji, altrettanto entusiasta, e Hana, con fare ironico. Dietro Vermouth e Yusaku, infine Shuichi Akai. Ran seguì con lo sguardo il detective, vedendolo attraversare il corridoio per poi avvicinarsi a loro. Come al solito Hana gli era appiccicata come colla, ma non si poteva dire diversamente di Hattori. Tutti e tre giunsero in salotto, ma solo la ramata si sedette. Ran provò a non lanciarle occhiate omicida, e allo stesso tempo tentò di non imbambolarsi a fissare Shinichi.
«Era meraviglioso, uno spettacolo» fece quello di Osaka, sospirando con soddisfazione. «Nulla a che vedere con la centrale di Osaka.»
«Di cosa parli?» chiese con curiosità Ran, notando che il suo ex fidanzato pareva d’accordo con quel giudizio.
Nello stesso istante si unì al gruppo Saigo, che fino a quel momento era rimasto in camera sua.
«La sede centrale dell’FBI. Non hai idea... un vero paradiso!»
La karateka sospirò, essendo ben a conoscenza delle passioni particolari dei due ragazzi. Ricordava ancora, quando mesi prima, Hattori avrebbe voluto portarli a visitare la centrale di Osaka come tappa di un giro turistico. E di come Conan pareva essere d’accordo...*
«Allora? Cosa dice la polizia federale?» chiese Shiho, spezzando il silenzio che s’era venuto a creare. Hana si guardò le unghie delle mani e anticipò gli altri due, che ancora avevano la mente all’edificio.
«Nulla di che. Praticamente sono stati messi in chiaro i dettagli del caso, della nostra presenza qui e di quella di persone civili...» disse, volgendo un’occhiata truce a Ran e al karateka. «Hanno saputo che io, te e Vermouth abbiamo avuto rapporti con l’organizzazione e non hanno fatto altro che chiederci quante persone abbiamo ucciso o meno. Le solite cose.»
La karateka strabuzzò gli occhi, ma cercò di trattenersi dalla voglia di urlare. Aveva capito che l’oca aveva qualche collegamento con quei criminali, ma non le era particolarmente chiara la vicenda... e dunque Shinichi s’era fidanzato con una persona del genere?
«Inoltre Vermouth e la qui presente Hana Yami», Shinichi le rivolse un sorriso strano, che fece stizzire Ran. «hanno finalmente riferito ciò che è successo per davvero.»
Shiho inarcò un sopracciglio. «Cioè?»
Il detective fece spallucce, indietreggiò e si diresse verso la cucina, ma non prima d’averle fatto uno strano cenno.
«Te lo dico dopo» lo sentì mormorare, per poi sparire nell’altra stanza, insieme ad Hattori.
Ran era furibonda. Perché non voleva dirlo? Adesso anche lei era implicata in quella faccenda, e aveva tutto il diritto di sapere! Oppure era qualcosa di troppo intimo e segreto per la sua ragazza criminale che aveva vergogna di riferirlo al mondo intero? Eppure a Shiho voleva dirlo, e a lei no...
Sbuffando, tornò anche lei in cucina. D’altronde, per il momento, poteva rendersi utile solo in quel campo, ed era abbastanza sicura che tutta l’allegra banda fosse affamata dopo una giornata passata alla sede centrale.
Trovò Shinichi con la testa nel frigo, alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Adirata passò avanti, sforzandosi di non dargli corda, fingendosi impegnata a finire di cuocere ciò che aveva preparato.
«Ehi allora? È pronto o no?» domandò il detective, ma a Ran parve un po’ troppo scorbutico. Lo guardò esterrefatta e seccata, come se avesse voluto tirargli la pentola dietro.
«Se aspetti due secondi sì» rispose, cercando di mantenersi calma.
«Tutto ‘sto tempo? E che hai fatto da stamattina?» continuò lui, e nel voltarsi a guardarlo, la karateka notò che stava sorridendo. Ma quel sorriso la fece stizzire, tanto quanto quel tono.
«Ti ho detto che è pronto» ripeté, irata.
«Ma a che ora ti sei svegliata?», Ran lo vide appoggiarsi al lavello della cucina con la schiena, con gli occhi fissi su di lei.
«E a te cosa importa?» ribatté brusca.
«Alle otto eri ancora nel mondo dei sogni» fece lui, ridacchiando. «Devi svegliarti presto se vuoi servire a qualcosa...»
Ran si zittì, mortificata. Certo, per lui era meglio avere una fidanzata come Hana...
«Meglio non servire a nulla piuttosto che essere un’assassina» sbottò poi. Shinichi rimase interdetto, e passò una decina di secondi a sbattere le palpebre.
«Che vuoi dire?»
«Hai capito benissimo!» tuonò ancora, portando la pentola a tavola.
Il detective ruotò gli occhi con fare furtivo. «Veramente no.»
«Lascia stare. Tanto questi non sono fatti miei, vero?» e sbuffò, sedendosi a tavola accanto a Saigo.
 
 
 
Questa casa è un porcile...
Ran era sull’orlo di una crisi di nervi. Le ragioni sfumavano dalla relazione tra Hana e Shinichi, che pareva sempre più passionale, a quella villa, ricoperta di ogni genere di sporcizia. Erano passati due giorni da quand’era lì, e ancora era all’oscuro di molte cose. Per distrarsi dal pensiero dell’amico d’infanzia, decise di dedicarsi alle pulizie: che fosse una casa abbandonata al suo destino da parecchi anni l’aveva capito dal primo istante. Non le era sfuggito il tonfo di chiuso e di polvere quando aveva varcato per la prima volta la porta d’entrata. Diede una veloce spolverata a tutto l’edificio, ma non fece altro che far volare la polvere ovunque.  
«Ehi, ehi, smettila» sentì una voce richiamarla, e i nervi si intrecciarono ancora di più. Si voltò e lo ritrovò nella sua stessa stanza, con una smorfia disgustata sul volto. «Stai alzando la polvere ovunque... Ran!»
Ran gli mandò un’occhiata truce, alzandosi e lasciando cadere lo strofinaccio su una mensola.
«Sto cercando di rendere un tantino più vivibile questo posto» replicò brusca. «Scusami tanto!»
«Ma non c’è bisogno di far volare tanta polvere» si lamentò, appoggiandosi con la schiena alla porta. «C’è gente che è allergica agli acari, non lo sai?»
Ran si insospettì. «Ah, sì? E chi?»
Shinichi incrociò le braccia al petto. «Mio padre ed Hana... non vedi che non fanno altro che starnutire tutta la giornata?»
La karateka non rispose subito, ma concentrò la mente a tutte le volte che li aveva sentiti lamentarsi per qualcosa che era nell’aria. Certo, erano allergici alla polvere! Però, Shinichi si stava preoccupando così tanto per la sua partner? Ma allora... era una cosa seria...
Sentì il cuore accelerarle e gli occhi inumidirsi. No, non poteva piangere... non di nuovo...
«Dunque, se la smettessi sarebbe meglio. Non mi va di averli nelle orecchie per tutto il giorno.»
«Non lo sapevo, ok? E poi mi dispiace che tu sia così tanto in pensiero... la prossima volta vengo a chiedere a te cosa posso fare o meno, almeno mi dai il permesso!» fece, irritandosi e colorandosi di rosso. Non poteva credere che lui preferiva un’assassina a lei...
Si sciacquò le mani sotto il lavabo del bagno, tornò in camera e afferrò nuovamente lo straccione.
Shinichi la guardò interdetto per un po’, poi rise. «Posso sapere perché mi rispondi sempre in questo modo?»
«Quale modo?» chiese fingendosi ignara, e riponendo i prodotti in un mobile della casa.
«Non fai altro che aggredirmi ogni volta che ti parlo.»
Ran arrossì leggermente, poi si voltò a guardarlo. «È una tua impressione.»
«No che non lo è» disse lui, divertito e stranito. «Ti ho fatto qualcosa?»
Ran sospirò. ‘Mi hai dimenticata’ avrebbe voluto rispondere, ma non ne ebbe il coraggio.
«No, nulla.»
«E allora perché ti comporti così?» insistette lui, ma Ran non aveva voglia di rispondergli. Provò a superarlo e a lasciarlo nella stanza da solo, ma lui le bloccò il polso con le dita.
«Lasciami stare, ok?» fece lei, dimenandosi con forza da quel tocco. Ma Shinichi l’avvicinò a sé, attraendola per il braccio.
«Lo vedi? Perché sei così scorbutica?»
La giovane arrossì, incapace a rispondergli. Avrebbe voluto allontanarsi per evitarlo, ma le era impossibile.
«Non sono scorbutica» disse, abbassando il volto. «E puoi lasciarmi il polso, per favore?»
«No, almeno non finché non mi spieghi cos’hai. Credevo che ci fossimo chiariti sull’aereo... sei ancora arrabbiata con me per la faccenda di Conan?» le chiese esasperato, avvicinando i loro visi.
Ran avrebbe voluto tirargli un pugno in faccia. Possibile che non capisse cosa le dava fastidio? Possibile che non vedesse il suo odio per Hana, che superava anche tutto quello che provava per la polvere di tutto il mondo? Sospirò, affranta. Ma in fondo avrebbe voluto che ci arrivasse? Era stata lei stessa a soffrire per quanto Conan fosse a conoscenza di troppe cose intime, di dettagli troppo imbarazzanti.
«No, non sono più arrabbiata con te, figurati» finse un tono freddo e distaccato. «Ma non abbiamo nulla di cui parlare, perché io e te siamo davvero diversi su molte idee. Ovviamente questo è il pensiero di un’amica d’infanzia, e da tale non credo di avere, e non voglio avere, diritti su di te. L’hai detto tu, no? Siamo amici d’infanzia, dopotutto... però hai dimenticato che non siamo più bambini... siamo cambiati, siamo cresciuti e ognuno di noi ha principi da seguire... che per me e te sono diversi, capito?»
Shinichi deglutì, rilasciando un sospiro. «Ran... io sono lo stesso di un mese fa, quando mi hai lasciato... lo stesso di un anno fa al Tropical Land... non ti seguo.»
La karateka rabbrividì a quei ricordi. Come osava parlare di certe cose quando andava a letto con una criminale? Si impose il raziocinio, perché non voleva sbattergli in faccia la verità...
«Lascia stare, Kudo...»
«E perché cavolo mi chiami col cognome ancora?» sbottò lui, infastidito.
«Siamo troppo grandi, ricordi? Non possiamo restare bambini per sempre...» lo scimmiottò, provando a recitare il copione di colei che scherzava a quei ricordi. «D’ora in poi ti chiamerò Mouri... e tu chiamami Kudo! Ok, Mouri?»
Shinichi scoppiò a ridere. «Vuoi chiamarmi Kudo per questo? Ma dai!!»
Ran cominciò ad imbarazzarsi, ma continuò a portare avanti la farsa. «No, idiota... ma avevi ragione in fondo... siamo adulti adesso e non mi pare il caso di utilizzare queste smancerie» si inventò, cominciando ad arrampicarsi sugli specchi. Voleva concludere quella conversazione al più presto, non sapeva più che dire per sviarlo. Ma purtroppo...
«Te l’hanno mai detto che non sai recitare?» la sfotté lui, ridendo.
Ran lo guardò truce, arrossendo leggermente. «Non sto fingendo.»
Shinichi non le rispose, ma non finì nemmeno di ridere.
Lei sospirò. «Senti, pensa quello che vuoi, ok?! Adesso mi lasci andare per favore?», tentò di staccare il polso dalla sua mano, ma il detective la strinse ancora di più a sé.
«Allora lo sai che faccio, adesso? Vado a chiedere in giro come mi hai chiamato in questi giorni... e se hai usato il cognome, vorrà dire che hai ragione tu...»
Ran strabuzzò gli occhi, rendendosi improvvisamente conto che aveva, accidentalmente e sempre, usato il nome. Lo vide lasciare la presa e dirigersi verso le altre stanze, ma lei lo bloccò, sbattendolo al muro.
«Eeeh?!», gli fermò le braccia alla porta, divenendo paonazza. «Senti, non ricominciare a farmi i dispetti! Avrò anche usato il nome ma non significa nulla! Mi sarà sfuggito!!»
«Ok», Shinichi tornò a ridere, abbassando il capo. «Quindi lo fai solo per riprenderti una rivincita su di me, giusto?»
«No!» urlò, ma mentre lo faceva si accorse che le sue labbra erano davvero vicine...Ran ridusse i suoi occhi in puntini e lo ignorò. «Sinceramente non voglio darti più confidenza, ecco!»
«Già, e quindi mi sbatti al muro bloccandomi col tuo corpo proprio perché non vuoi darmi confidenza?»
La karateka rimase qualche secondo impassibile, poi volse lo sguardo al basso. Tutto di loro era in contatto. Avrebbero potuto avvertire anche il battito l’uno dell’altro se avessero voluto. Ran arrossì ancora di più, staccandosi con violenza.
«Non ti credere nulla, eh! L’ho fatto solo per non farti andare in giro a dire idiozie!!»
Deglutendo, si rese conto che non aveva proprio fatto caso a quanto si fosse avvicinata nella furia di bloccarlo. Ecco perché le sue labbra erano così vicine..
«Perché? Cosa dovrei credere?» chiese, con fare malizioso.
Ran si morse la lingua. Mannaggia a lei...
Tossicchiò, imponendosi una certa dignità. «Nulla, appunto!»
«Shin?», lo richiamò una voce, e Ran si voltò a guardarne la proprietaria. E così aveva incominciato ad utilizzare anche i nomignoli. Ci mancava poco e l’avrebbe chiamato ‘amore’ dinanzi a tutti?
Il detective sospirò, vedendo avanzare Hana.
«Sono venuta a chiamarti. Giù ci sono alcuni agenti della CIA, tra cui Kir! A proposito, non sapevo fosse una spia... che colpo!» sorrise, e poi, accortasi della presenza di Ran, cominciò a guardarla.
«Ah... sì, certo. Dammi un...»
«Vieni su» gli disse, bloccandolo ed emulando una smorfia alla vista della giovane. «Non perdere tempo.»
«Non stava perdendo tempo, stava parlando con me» specificò la karateka, mentre la rabbia scoppiava da tutti i pori della sua pelle. Non le importava che adesso quella fosse la sua ragazza. Non voleva più usare le buone maniere con tutti... aveva capito che non serviva più. Almeno non con quelli che non sanno apprezzarle.
«Appunto» soffiò la ramata, pungente.
Shinichi spostò la testa da destra a sinistra, come se le due fossero una pallina di tennis alla finale di Wimbledon.
Ran strabuzzò gli occhi, stringendo le mani in pugni. «Ma come ti permetti?!»
Hana assottigliò le palpebre. «Non mi pare che quando sia con te faccia qualcosa di anche lontanamente utile alla nostra presenza qui. Non fai altro che cucinare e spolverare. A proposito, perché non la smetti? Sono allergica. Vai un po’ dal tuo amichetto, no? Come si chiama... Saigo? Visto che siete entrambi superflui almeno date meno fastidio!»
La karateka fece qualche passo verso di lei, ringhiando quasi.
«Non permetto che tu parla di noi in questo modo. Non da una che sa fare solo una cosa nella sua vita!»
«Oh, davvero? E cosa?» soffiò l’altra, istigandola.
«Spogliarti» scandì per bene la mora, con gli occhi in fiamme. Il detective arrossì leggermente, conscio che avesse fatto riferimento a quanto era successo giorni prima...
«Ragazze...»
La ramata rise. «Sei gelosa, per caso?»
«Di cosa? Di te?», avanzò con pericolosità Ran. «Una spogliarellista sarebbe meno volgare!»
«Ragazze?»
Hana rise, malevola. «A te manca solo l’aureola in testa, invece...»
Ran le mise le mani sulle spalle e la strattonò all’indietro, ma venne fermata e bloccata per il braccio. Shinichi si interpose tra le due, allontanandole e distanziandole con le sue spalle.
«Oh, smettetela! Vi pare il momento di mettervi a litigare?!»
Hana rispose con un ghigno, che surclassò lo sguardo truce della karateka.
«Shinichi, mi sa che la ragazzina qui presente è ancora invaghita di te...»
«Eh!?» tuonò l’interessata, colorandosi di rosso e di rabbia. «Ma che idiozie ti inventi?! Ma stai zitta!!»
Il detective si voltò a guardarla, e per un attimo provò il brivido di sperare in quella frase, sparata così, forse senza senso. Ma lui sapeva che Ran era fidanzata con quell’altro, li aveva visti baciarsi, dopotutto...
«Guarda come è arrossita! Ma come, il tuo fidanzato non ti basta?» la provocò ancora, nascondendosi dietro il giovane. Non era consigliabile far arrabbiare Ran, e lei ci stava riuscendo in pieno.
«Il mio che?!» sbottò nuovamente. «Ancora la storia di Saigo?! Io e lui non stiamo insieme, basta!»
«E smettila di fare la santarellina, che non lo sei!»
«Adesso mi hai rotto! Io ti amm...»
Ma prima che intervenisse ancora una volta il detective, Yusaku interruppe lo scontro, presentandosi a pochi metri da loro, con le braccia incrociate al petto.
«Ma che state combinando?! Shinichi, dannazione, ti ho mandato a chiamare dieci minuti fa! Vuoi scendere sì o no? Ci sono questioni più importanti se non te ne sei accorto!»
La voce dell’uomo echeggiò nel corridoio imbattendosi nelle loro orecchie, sorde e cocciute.
Ran indietreggiò, imponendosi la calma. Hana sorrise fiera, e fuggì verso Yusaku. Il detective sbuffò, inaridito. Per una volta che non aveva fatto nulla di male...
 
 
 
 
Ran non assistette alla riunione con gli agenti della CIA, ancora troppo arrabbiata per mostrarsi in un pubblico in maniera civile. Si rinchiuse in camera sua e si abbandonò sul letto, lasciando che almeno una lacrima le cadesse dal viso. Possibile che Shinichi avesse scelto quella a lei? Era così frivola, stupida e superficiale che era difficile anche solo immaginarle un pregio. Le giornate successive non furono migliori: a Shinichi, Heiji e Hana era stato offerto un corso accelerato di pentagono, ma invece che migliorare la mira, la ramata passava il tempo a strusciarsi a fianco all’amico. Lei e Saigo invece erano stati raggiunti da un agente dell’FBI, esperto di combattimenti. Le fece piacere cominciare a sentirsi davvero utile, soprattutto per non sentirsi inferiore a quella stupida, ma non amava altrettanto staccarsi così tanto dal gruppo. E soprattutto odiava lasciare quei due da soli. Non riuscì nemmeno a parlare con Shiho, perché da un po’ di tempo s’era segregata in un stanzino della villa, adibito appositamente con computer e aggeggi vari. Da quanto aveva capito, stava lavorando ancora all’antidoto per lei e Shinichi.
Per quel detective che, dopo la conversazione avuta con la sua ragazza, aveva incominciato a farle anche i dispetti. Una mattina Ran fece di tutto per cercare di trovare il suo gi da karateka ed allenarsi con Saigo, ma fu tempo perso.
«Senti, razza di verme idiota», sbatté con violenza la porta della stanza dov’era stato montato il seggiolino. Shinichi vi era sopra, col solito sguardo perso e affaticato. Vide l’amica d’infanzia con in mano la sua divisa da atleta da combattimento, e cominciò a sogghignare.
«...adesso mi spieghi perché il mio gi era nella tua stanza!»
Il detective sorrise, sebbene dovette fare fatica per trattenere un gemito di dolore. «La prossima volta non lasciarlo in bagno. Mi va bene da accappatoio, sai...»
Ran arrossì, avvicinandosi a lui e poggiando le mani sui braccioli. «Ti sei messo il mio gi per asciugarti?! Sei impazzito o cosa?!»
«Dovevo uscire nudo?» assottigliò gli occhi.
«C’è chi apprezzerebbe!» commentò lei, stizzita.
«Chi, tu?» si colorò di malizia, facendola arrossire. Ma Ran era troppo arrabbiata per ascoltarlo.
«No, quell’oca che ti si fruscia sempre addosso!» disse, e poi aggiunse: «ma non mi può interessare di meno! Dimmi perché proprio il mio gi!»
«Non c’era nessun accappatoio» rivelò poi, apparentemente tranquillo. «E poi mi va bene... a te è sempre andato largo.»
«Ma cosa dici!!»
«Che poi, al petto, non faceva nemmeno difetto...» la canzonò, sorridente. «Ah già..., con la tua quarta abbondante, l’hai allargato abbastanza...»
Ran si fermò qualche secondo a metabolizzare per bene quello che aveva detto. Poi sbatté le palpebre, e rossa, sentì il corpo tremarle dalla rabbia. Con un piede cominciò a dargli calci sulle gambe, così da farlo male. Ancora più male di quanto ne già sentisse con la trasfusione.
«Brutto... idiota... che... non... sei... altro...!»
«Mi fai male, stupida!» si dimenò lui, ma era pressoché impossibilitato a muoversi. I fili lo trattenevano, e l’azoto che scorreva nelle sue vene lo indeboliva. «Ferma!!»
«Se volessi farti del bene ti darei qualcos’altro!» sbottò, ma si pentì subito dopo averlo detto.
Shinichi rideva, e lei aveva gli occhi ridotti a puntini.
«Non quello che credi tu, pervertito!»
«Tu parli a doppi sensi e dici che io sono pervertito?!»
Ran sbuffò, ricomponendosi e riallontanandosi da lui. Poggiò le mani sui fianchi e inspirò con forza, imponendosi l’autocontrollo. Amico d’infanzia o no, non lo sopportava per niente da quando s’era fidanzato con Hana.
«Senti, la prossima volta che ti becco a nascondermi la roba ti do quattro cinque calci sul tuo bel nasino, quindi stai molto attento!» fece per andarsene, ma si bloccò e si girò nuovamente, osservandolo. Vide il detective cominciare a staccarsi le flebo, ed alzarsi con fatica dalla sedia. La seduta giornaliera era conclusa, e non poteva che esserne felice.
«Inoltre, scusami tanto se ho una quarta abbondante... mi pare che qualche tempo ne eri particolarmente soddisfatto!»
Il detective inarcò un sopracciglio, con aria furbetta.
«Anche un carrettiere può possedere i sedili di una Ferrari, ma resta sempre un carrettiere.»
Ran avanzò verso di lui, con fare minaccioso e denti stretti. Solo perché adesso preferiva Miss Spogliarello a lei, non c’era bisogno di fare offese senza senso.
«Io sarei un carrettiere?!» sbottò, rossa in viso.
«Che c’è? Ti offendi?» la derise, ma non fece altro che farla innervosire di più. «Suvvia, sei un po’...»
«Shinichi?!» apparse dal nulla Hana, spalancando con forza la porta. Alla vista dei due insieme si stupì per qualche istante, ma come una vera attrice ignorò la giovane e si voltò ad osservare solo lui. Appoggiò le mani allo stipite della porta, e con fare entusiasta, disse: «giù c’è una sorpresa per te.»
«Una s-sorpresa?»
Lei annuì, mentre Ran strinse i pugni sui suoi fianchi. Era odiosa!
«Abbiamo aspettato prima di mostrartela, era importante sapere che non aveste voglia di prenderci in giro.»
Il detective sembrò capire. «E cos’è?»
La ramata fece cenno di seguirla per le scale, dalle quali si udivano le voci sorprese di alcuni dei coinquilini della casa. Shinichi obbedì, ma lo stesso fece Ran, irata come mai. Nel salone vi erano raggruppati una decina di persone, tutte interessate ad un pacchetto che Sharon aveva tra le mani. Shiho le era di fronte, con sguardo terrificato, mentre Heiji e Agasa avevano gli occhi rapiti da quella visione. Shinichi si fece strada tra i vari agenti, incuriositi, superò Jodie e Akai, affiancando la scienziata. Ran fece altrettanto, e dando uno sguardo alla scatola, notò dentro di essa delle capsule bicolori, rosse e bianche.
«Sai cos’è, vero? Silver Bullet
Il giovane annuì, leggermente impaurito da quella visione. L’ultima volta che l’aveva viste era stato un anno prima al Tropical Land...
Deglutì, poi tornò a guardarla negli occhi: «Apotoxina4869.»
«L’abbiamo sottratta all’organizzazione. C’erano ancora dei campioni, sai... anche se non sono stati più utilizzati» avvisò Hana, sorridente.
«Queste sono le capsule che ti hanno trasformato in un moccioso?» strabuzzò gli occhi Heiji, quasi affascinato.
«L’avevo immaginata diversamente» ammise Jodie, contrariata. Ran si ritrovò ad annuire, concorde.
Vermouth sembrò non badare a nessuno di loro. I suoi occhi erano dritti sul detective liceale, come se ci fosse solo lui in quella stanza. «E sai cosa puoi farci con questa, vero?»
Nessuno fiatò, probabilmente per ignoranza. Shinichi si zittì, incredulo, quasi scaramantico.
Shiho invece tirò un sospiro; era ciò che lui aspettava da tempo, e lo sapeva.
«L’antidoto definitivo.»*
 
 
 
 
 
 
 
* Ep. ita: Doppio mistero ad Osaka
* Vorrei specificare che, nel caso in cui appare, Haibara dice che le è impossibile realizzare un antidoto definitivo senza l’apotoxina vera e propria, da cui dovrebbe estrarre una porzione per iniettarla nell’organismo. Ovviamente, se è in possesso dell’apotoxina, le sarà molto più facile creare quello definitivo... :) O almeno così credo io! XD
 
 
 
Salve salvino! (?)
Allora... ehm! Cosa abbiamo qui? Chi è che aveva fatto i salti di gioia perché, nel chap precedente, tonno 1 e 2 s’erano abbracciati? Credevate che finisse lì la cosa? E allora non avete capito proprio nulla! XDD Mhuahauhauh! Però c’è chi ha detto che lo scontro si sta avvicinando... effettivamente... ^____^
Però non vi dico quanti capitoli mancano ancora... dovrete aspettare un po’! :P
Torniamo a tonno 1 e 2... ma secondo voi... Hana e Shinichi... di cosa parlavano? Ran pensa che stessero commentando la loro prima notte insieme, ed effettivamente il detective pare non averla passata nel suo letto, ma sarà così? :D Ah, e Shinichi che fa i dispetti a Ran? E che la prende in giro? XD Per chi lo volesse sapere,  ho utilizzato la parola “carrettiere” perché lo ha fatto proprio Shinichi nella saga del Cavaliere Nero, volume 26, nel voler prendere in giro Ran ^^
Riferendosi al vestito di scena di lei, disse una cosa tipo:
“è proprio vero che un bell’abito trasforma anche un carrettiere!”
... e Ran “ti sembra un complimento?!”
XDD
Bene, credo di aver detto tutto! ^^
Ah, no!:Grazie a chi ha commentato!!!!
Adesso sì XD
 
Sperando che come sempre il chap vi sia piaciuto...
Vi mando un bacione ed un saluto,
al prossimo! :D
 
 
 
Tonia

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Capitolo 36
*** I Masuyama ***


Your Lies
35.
I Masuyama

 
 
 
 
Shiho appoggiò la scatola sulla scrivania, contemplandone il contenuto. Quelle pillole erano la ragione per cui sua sorella era stata uccisa, il motivo per cui lei era scappata. L’apotoxina era l’epilogo della sua vita, ed un po’ anche sua figlia. Aveva messo davvero tanto a progettarla, e alla fine era rimasto un farmaco sperimentale. Ma era meglio così: non uccideva, ma rimpiccioliva. Ed aveva rimpicciolito Shinichi Kudo, un altro motivo per esserne felici. Scosse il capo, sedendosi di fronte al computer.
Era il momento di mettersi a lavoro; lì com’era iniziata doveva finire. Ma cosa ne sarebbe stato di lei poi? Cosa avrebbe fatto senza di lui? Cominciò a lavorare, e i minuti diventarono ore. Senza rendersene conto si fece sera, e senza rendersene conto era riuscita a stilare tutti gli ingredienti dell’apotoxina.
«Ehi, ciao.»
La voce di Ran in quel momento era tutt’altro che desiderata. In realtà non lo era mai, un po’ come quella di tutti. Era fastidiosa, ma non avrebbe mai voluto ammetterlo.
Tornò a digitare alcuni tasti, cercando di non darle troppo peso.
«Ehm... ti ho portato un panino. Mi hanno detto che non mangi da stamattina.»
Shiho alzò leggermente gli occhi. «Grazie.»
Ran si sedette accanto a lei, osservando il desktop del computer. Vi erano mille e più formule, altrettanti numeri di cui ignorava il significato.
«Sembra difficile. Dove hai imparato queste cose?»
«Nell’organizzazione.»
Ovviamente...si disse la karateka in mente. «Tu non sei mai stata una di loro, vero?»
«Veramente sì.»
Ran sorrise. «Intendevo un’assassina. Tu non uccidi le persone.»
Shiho rilasciò un leggero sospiro.
«Ho creato l’apotoxina, è stata progettata per uccidere. Che poi non funzioni è un’altra cosa.»
«Sei stata costretta...» ribatté l’altra, con dolcezza.
Shiho non disse nulla, anche perché non sapeva cosa risponderle. Rimase in silenzio, e la karateka restò lì, ancora per qualche minuto, a guardarla destreggiarsi con cifre e formule varie.
«Posso farti una domanda?»
«Se devi.»
«Riguarda la tua famiglia.»
«Cosa vuoi sapere?» Shiho girò il capo verso di lei, fissandola. «Sono morti tutti.»
«Oh.» Ran spalancò leggermente gli occhi, colpita. Aveva decisamente iniziato la conversazione col piede sbagliato. «Scusa. Mi... mi dispiace. Io... non immaginavo.»
La scienziata tornò a guardare il desktop, ignorandola. Non disse nulla, ma dopo altri minuti, fu Ran nuovamente a parlare:
«In realtà, in realtà è che volevo chiederti se conoscevi...», rilasciò un sospiro, sentendosi a disagio. Aveva proprio ragione Saigo, giorni prima, sull’aereo. Quella ragazza metteva soggezione, ed effettivamente l’aveva vista dare corda solo a Shinichi. Ma lui, in fondo, non aveva problemi con le donne...
Deglutì, riprendendo il coraggio necessario. «Volevo sapere se conoscevi i Masuyama.»
Shiho strabuzzò leggermente le palpebre, incredula. «E tu come fai a saperlo?»
«Oh be’...», Ran non aveva parole. Allora Saigo aveva ragione.
«Te l’ha detto Kudo?» la anticipò la scienziata, spiazzandola. Shinichi conosceva i Masuyama, e non gliel’aveva detto?
«No,... perché? Lui... li conosce?»
«Ne ha conosciuto uno» l’avvisò la ramata. «Ma allora a te chi l’ha detto?»
Ma Ran non era pronta a rispondere. «Uno...? Per uno intendi... Saigo?»
«Chi?»
La mora prese un altro sospiro. Cominciava a non capirci a più nulla.
«Saigo! Saigo... il mio amico. A lui ti riferisci?»
Shiho era spaesata. «Il tuo amico è un Masuyama?»
«Sì!» sbottò Ran, entusiasta. «Vedi, lui si chiama...»
«Higo Masuyama» completò per lei la voce di Saigo, che apparve dalla porta con le braccia incrociate al petto e la schiena appoggiata allo stipite dell’infisso. «Piacere di rivederti.»
Shiho strabuzzò le palpebre, e dopo aver passato una decina di secondi a guardarlo per bene, parve ricordarlo.
«Sei il nipote di Kenzo Masuyama?»
Saigo annuì, avanzando di qualche passo. «Già.»
La scienziata sbatté più volte le palpebre. «E perché Kudo non me l’ha detto?»
Ran e l’amico si guardarono, straniti. Non sapevano cosa stesse accadendo, e allo stesso tempo non riuscivano a trovare il nesso con il detective. Fu proprio in quell’istante che, neanche a dirglielo, entrò proprio il diretto interessato. Lo seguiva a distanza Hana, che stava chiacchierando con Heiji, poco più lontano.
«Che succede?» chiese, notando tutti gli sguardi perplessi che correvano su di lui.
«Perché non mi hai detto che lui è il nipote di Pisco!?»*
Shinichi sbatté più volte le palpebre, sentendosi aggredito. La scienziata si era addirittura alzata per avvicinarsi a lui. Portò lo sguardo a Saigo, e un attimo dopo osservò Hana, che li aveva ormai raggiunti.
«Kudo?!» lo richiamò Shiho, ma anche Ran cominciava a scocciarsi di quei continui sguardi fra lui e quell’oca. Si alzò e raggiunse Saigo, affiancandolo.
«Pisco?» domandò lo stesso Higo, stranito. «Ma che...»
Shinichi sbuffò, buttando lo sguardo al pavimento. «Io non lo sapevo, l’ho scoperto solo poi... con lei» disse, ed indicò Hana alla sua destra. La giovane pareva tutt’altro che a suo agio: agitata e per nulla tranquilla, come mai l’avevano vista prima d’ora. La karateka s’infiammò: pensò che si erano scambiati i loro segreti durante le loro passionali notti d’amore e che avevano deciso bene di non rivelare a nessuno.
«Possiamo sapere anche noi chi è Pisco?» chiese Ran, leggermente infastidita. La tensione aumentò ancora di più quando Shinichi guardò nuovamente Hana, e lei guardò lui. Era come se si stessero mettendo d’accordo sul cosa dire e cosa no.
«Era un membro dell’organizzazione, ucciso da Gin» li anticipò Shiho, con tono freddo. «Ma vorrei sapere che c’entra con tutta questa storia.»
Hana fece qualche passo avanti. «Kenzo Masuyama era un noto presidente di industria automobilistica del Giappone, ma nell’organizzazione si faceva chiamare Pisco. Quando era ancora in vita, sua moglie non era a conoscenza del fatto che fosse un criminale. Con lei si sposò ed ebbe un figlio, Kiroshi...» si fermò per guardare Saigo.
«Mio padre...» disse il giovane in un soffio.
«Kiroshi era un bambino abbastanza debole, e per cercare di salvarlo da una malattia al cuore, Pisco usufruì dei migliori mezzi dell’organizzazione: medici e cure inaccessibili per un normale cittadino. Ovviamente, l’organizzazione volle qualcosa in cambio da lui, come soldi o servizi. Dapprima divenne un agente, poi cominciò man mano a scalare la gerarchia, guadagnandosi la stima di alcuni suoi complici, come i Miyano, tuoi nonni...» stavolta guardò Shiho, che fremette. «L’organizzazione cominciò a pretendere che anche Kiroshi entrasse a far parte del loro gruppo, ma Pisco non era particolarmente d’accordo. Quando sua moglie scoprì la sua doppia vita da criminale, per salvare il figlio, pensò bene di sottrarglielo ed andare dalla polizia a rivelare tutto. Non ci arrivò nemmeno, che la uccisero.»
Ran sussultò, portandosi una mano davanti alla bocca, terrificata.
«Kiroshi crebbe ed entrò anche lui nell’organizzazione, nome in codice: Chandon. Si sposò ed ebbe due figli, Yukiko e Higo. Nonostante le cure ricevute da piccolo, il suo cuore era ancora debole. Un giorno, mentre era in auto con la moglie, un infarto lo colse e lo portò a sbandare, finendo fuori strada. Persero entrambi la vita. I bambini vennero affidati al nonno, ma Pisco, conoscendo l’organizzazione, era convinto che avessero voluto anche loro e non volendo ripetere lo stesso errore di anni prima, li fece morire... per finta.»
«Ecco perché risultavo morto all’anagrafe...» sussurrò Saigo con le palpebre divaricate e stupite.
«Higo, tu» si rivolse direttamente al karateka, «eri troppo piccolo anche solo per ricordarti certe cose. Venisti affidato ad una famiglia adottiva, a cui Pisco spiegò gran parte della vicenda. Non disse loro di essere un criminale, ma che tu avevi una sorella a cui mai saresti dovuto arrivare, nemmeno tramite le ricerche. Era essenziale dividervi per non sortire dubbi.»
«Non ci credo», il giovane si portò le mani al viso, esterrefatto.
«Tua sorella, Yukiko, era già più grande ed una sera, volendo sapere dov’eri scomparso, ascoltò una conversazione tra Pisco, Vermouth e Gin. Quest’ultimo se ne accorse e chiese spiegazioni al collega, e lo minacciò di ucciderla se non fosse entrata anche lei a far parte dell’organizzazione. Pisco accettò malvolentieri, e la ragazzina cominciò ad essere addestrata secondo i loro principi. Comunque, essendo la nipote di uno dei pezzi grossi, riuscì a condurre una vita abbastanza normale, e riuscì anche a trovare suo fratello e la nuova famiglia adottiva.»
«Mi venne a trovare?» chiese il giovane, incredulo. «Non lo ricordo...»
«No, seppe solo che avevi un altro nome: Saigo Yami.»
«E perché nessuno mi ha detto la verità?»
Hana abbassò gli occhi, sbuffando. «Gin, come l’organizzazione, era convinto che tu fossi morto. Se tua sorella si fosse avvicinata a te, essendo comunque controllata, t’avrebbe messo in pericolo.»
«Ok, ma...», Saigo era senza parole. «Ora dov’è mia sorella? È una criminale? È contro di noi?»
Hana osservò Shinichi, che rispose al suo sguardo muto con un occhiolino. Ran, nonostante il momento, si infastidì lo stesso di tutta quell’intesa.
«Be’...» abbassò lo sguardo la Yami, e con le dita cominciò a sfregarsi la parte bassa del collo. «Sono io.»
Nel giro di qualche secondo sfilò via la maschera dal suo viso, e ne riemerse quello della fan di Shinichi, che i due incontrarono al supermercato, mesi prima. Yukiko era bionda e dai capelli ondulati, occhi chiari e cristallini.
Saigo avvertì il cuore fare una capriola all’indietro, e le parole bloccarsi all’altezza della gola.
«No... non... non ci credo...»
«Mesi fa, l’organizzazione mi diede il primo compito. Shinichi Kudo, da morto e sepolto, era risultato vivo e vegeto, e tutto a causa di un articolo di giornale. Gin pensò che avesse dei collegamenti con Sherry...»
«Chi è Sherry?» sbottò Ran.
«Sono io» rispose Shiho.
«Mandarono me a controllare la situazione, ma soprattutto a capire dove si nascondesse la traditrice...»
La ramata abbozzò un sorrisetto. «Prevedibili...»
«Ti riconobbi all’istante, Miyano, ma non avevo alcuna intenzione di ucciderti. Volevo vendicare mio nonno, ucciso brutalmente da Gin senza un motivo preciso. Doveva pagare, e per una volta, era giusto che venisse preso in giro. A contatto con Vermouth scoprii che anche lei era una doppiogiochista, e che anche lei credeva particolarmente in Shinichi Kudo. Mi feci travestire da lei per non farmi riconoscere ed assunsi un’identità falsa.» Alzò gli occhi su suo fratello e gli sorrise.
«Ho preso il tuo stesso cognome solo per sentirci, ancora una volta, fratelli...»
La karateka si portò le mani alla bocca, mentre gli occhi cominciarono a pizzicarle. Saigo era sconvolto ed aveva le pupille lucide e luccicanti.
«Yukiko...», mormorò a denti stretti, tentando di trattenere un’emozione che aveva represso per troppo tempo. La sorella gli dedicò uno sguardo dolce e rassicurante: per la prima volta, Ran riuscì a comprenderne i sentimenti e ad apprezzarla sinceramente. Indietreggiò per permettere all’amico di avanzare verso di lei. Si sciolsero in un abbraccio, l’unica cosa a cui Yukiko Masuyama aveva seriamente aspirato in tutti quegli anni.
 
 
 
«Ehi, carrettiere!»
Saigo e Hana cominciarono a passare molto più tempo insieme, ma una serie di questioni erano ancora irrisolte. Il dubbio atroce che Shinichi e la donna avessero avuto una relazione non la abbandonava nemmeno dopo le sue rivelazioni.
«Carrettiere!?»
Ran promise a se stessa che prima o poi gli avrebbe tirato qualcosa in faccia. Erano due giorni che la chiamava così, e non c’era proprio nulla di divertente. Girò il volto verso l’armadio, riponendo con cura il suo gi all’interno, in modo che nessuno avesse voglia di rubarglielo ancora.
Shinichi la raggiunse con un ghigno sul viso, disfandole la piega già fatta.
«Senti, tu, smettila di prenderti tutta questa confidenza. Capito?» sbuffò, riprendendo in mano la divisa e sistemandola nuovamente.
«Perché? Sennò che mi fai?»
Ran finse di tirargli una scarpa contro, in realtà la fermò a mezz’aria. «Ti faccio male. Semplice.»
«Uh uh» la sfotté lui, ironico, dopo essersi spostato per evitare la scarpa. «Tremo dalla paura.»
Lei gli lanciò un’occhiata truce. «E fai bene.»
«Senti, dopo vai in camera mia e sistemi anche i miei vestiti? Visto che non hai nulla da fare...» la provocò ancora, mascherando un sorriso dietro le labbra.
«Ma anche no!» sbottò l’amica, rossa di rabbia. «Fatteli sistemare da Hana, o Yukiko, o come si chiama!»
Ran era stata felice che i due Masuyama si fossero ritrovati, ma l’atteggiamento della maggiore le dava comunque particolare fastidio. Anche se da quando Hana aveva rivelato tutto, i momenti tra lei e Shinichi s’erano ridotti, la karateka pensò che fosse solo a causa della gioia di poter parlare di nuovo con suo fratello e non certo per la fine della relazione tra i due.
Lui ridacchiò. «Ma perché fai sempre riferimento a lei?»
Ran sbuffò, avvicinandosi a lui con uno scatolo di scarpe in mano. Glielo sbatté contro, facendolo precipitare a terra.
«È la tua ragazza, no? Che vuoi da me se stai con lei?»
Shinichi sbatté le palpebre più volte, divaricando gli occhi con divertimento. «Hana non è la mia ragazza.»
«La tua amante... o quello che è!»
Lui scoppiò a ridere. «Non è nulla di questo.»
La stessa Ran se ne stupì. Per i primi secondi provò una sensazione di felicità, ma non ci volle nulla a farla innervosire: e allora tutto quello che aveva origliato in quella stanza, quando lui era sulla sedia? Stava cercando di prenderla di nuovo in giro?
«Non è vero! Stai mentendo, ed io non voglio ascoltare le tue bugie!» sbottò.
«Non sto mentendo...» ribatté lui, divertito. «Perché continui a girarti questi film?»
«Vi ho sentito! Ok?» fece, e poi incrociò le braccia, indispettita. Avrebbe dovuto ammettere che li aveva spiati, ma in quel momento non gli importava granché.
«Ci hai... sentiti?» chiese lui, stranito.
«Sì, va bene? So cosa hai fatto la prima notte che siamo venuti qui!»
Il detective arrossì fino alla punta delle orecchie, e ciò non fece che incrementare i sospetti di lei.
«Lo... sai?»
«Sì», Ran aveva gli occhi lucidi. «Questo resta tra noi... come le altre cose...» lo imitò, simulando una smorfia di dolore. «Sei disgustoso!»
«Perché disgustoso? Pensavo potesse farti piacere...» replicò, con leggera malinconia, che però sfuggì all’amica.
«Piacere?! Come puoi pensarlo?!» sbottò. Era un fascio di nervi, attorcigliati l’uno all’altro con della colla. Come poteva essere così insensibile con i suoi sentimenti?
«Non so...», lui aveva ormai assunto tutte le tonalità di rosso. Poi si portò una mano al volto, e si scompigliò i capelli.
«Ma hai ragione... ho fatto una stronzata. Non so cosa mi sia preso...» il suo viso si contrasse in un sorriso amaro, che poco riusciva a dar luce ai suoi veri sentimenti. Ran cominciò a lacrimare: lui le aveva appena confermato il suo dubbio più atroce. L’aveva davvero sostituita con Yukiko, e dunque la loro relazione non era finta. Avvertì le lacrime scendere velocemente sulle sue guance per poi cadere al pavimento, bagnandolo.
«E adesso perché piangi?»
Ran cercò di portar via le lacrime col polso.
«Perché?! P-perché secondo te?! Perché sono una stupida! Perché continuo a pensarci, mentre invece tu no!»
«Io...?» Shinichi sbatté più volte le palpebre, stranito. «Ma di che stai parlando?»
La karateka alzò gli occhi rossi a lui e si fermò per qualche secondo. Era scemo o cosa?
«Di te e di Hana, idiota!»
Il tempo che quelle parole viaggiassero nella sua mente e arrivassero dritte nelle sue memorie, che un sorriso gli si era già aperto sul viso. Era tutto un malinteso...
Ma quasi come se i loro cervelli fossero connessi, anche Ran capì che c’era qualcosa che non andava. In fondo lui le aveva detto che non aveva nessun tipo di legame con Hana, quindi perché contraddirsi nel giro di sessanta secondi...?
«Aspetta. Tu di che stai parlando?» chiese così lei, improvvisamente.
«Ripeti quello che hai detto...», improvvisamente il tono del detective si fece calmo, dolce e profondo. La karateka se ne trovò inebriata, ma non sapeva cosa volesse. Obbedì, ignorandone la ragione.
«Ho detto... di che stai parlando?»
«Prima...»
Ran ci pensò un attimo su, imbarazzata. «Di te e di ...Hana...»
«Ancora prima...» sorrise malizioso lui.
«Prima?», Ran inarcò un sopracciglio. Ripercorse velocemente gli ultimi minuti con la sua mente, rielaborò le parole e le ripose al posto giusto nella sua memoria.
Sbuffò. «Tu mi hai chiesto perché piangevo ed io...» ma si bloccò, anche perché non aveva voglia di commettere per ben due volte lo stesso errore. Come una stupida gli aveva detto esplicitamente cosa provava. E questa volta era tutta colpa sua.   
«Perché continuo a pensarci, mentre invece tu no!»
Sentì il cuore batterle più forte e accelerare alla vista del sorriso di lui, così malizioso e subdolo, così come quello di un tempo.
«Non ho detto un bel nulla!» sbottò e, paonazza, indietreggiò, cercando di fuggire verso la porta. Ma non fece nemmeno in tempo a varcarla, che la mano di Shinichi le bloccò il braccio.
«A cosa continui a pensare?» la avvicinò a sé, e il corpo di lei andò a sbattere contro il petto di lui. Il detective le circondò la pancia con un braccio. Ran cercò di liberarsi dalla presa, ma le era impossibile. Il liceale le aveva bloccato anche le cosce con le sue gambe, mentre l’altra mano fece forza su una spalla.
«A nulla!» gridò imbarazzata, ma non servì a molto. Era di spalle, e dunque non poteva vederlo, ma riusciva a percepire il suo fiato fin troppo vicino. Il suo amico non aveva alcuna intenzione di lasciarla andare; anzi, le avvicinò le labbra all’orecchio destro, e con un sussurro la fece tremare.
«Continui a pensare a noi
Ran arrossì, il cuore nel suo sterno era nel pieno di una corsa frenetica. Si impose la calma, ma quel profumo gliela distruggeva. Non si rilassava a contatto con la sua pelle, non c’era pace al suono della sua voce.
«No, lasciami!» continuò a dimenarsi, ma il detective aveva altre intenzioni: la staccò da lui, le afferrò le spalle e la voltò verso di lui, facendo incontrare i loro sguardi. La sbatté al muro e la bloccò nuovamente tra le sue braccia, impedendole di muoversi.
Adesso erano occhi negli occhi, e quelli di Shinichi erano troppo belli ed azzurri da poterli ignorare.
«Lasciami, pervertito.»
«No.»
«Lasciami o mi metto ad urlare» lo minacciò, ma sortì l’effetto contrario.
Shinichi rise. «Fallo.»
Avrebbe anche potuto, se non fosse che la voce le si mozzava in gola insieme al respiro. Ran era sicura che le stesse per venire un infarto, e altrettanto certa che se non fosse morta in quel momento non le sarebbe capitato per il resto della vita.
«Che c’è? Non ci riesci?» la sfotté, avvicinandosi lentamente verso di lei.
Abbassò gli occhi, imbarazzata. «Non mi piace.»
«Cosa?» le mormorò lui all’orecchio, sorridendo.
«Che la mia felicità dipenda da te» disse, e il suo accelerò sempre di più.
Lo stesso Shinichi non ebbe più fiato di scherzare. La guardò con stupore, incredulo per quello che aveva appena sentito.
«Ti ho visto baciare Saigo» ammise lui, affondando lo sguardo in quello di lei. «Quando ci hai trovati sul salotto, ero arrabbiato... volevo vendicarmi.»
Ran sbatté più volte le palpebre, poi sorrise. «Non hai visto che l’ho rifiutato?»
«Davvero?» arrossì il detective, sentendosi improvvisamente molto stupido.
«Sì...» abbassò gli occhi di nuovo. «Baciare lui non è come baciare te.»
Shinichi divaricò ancora un po’ le palpebre, poi le alzò il volto con le mani. Ran non sentì più nulla, se non le loro labbra incontrarsi. Di nuovo, dopo tutto quel tempo, dopo tutti quei litigi e quelle incomprensioni. Non passò un attimo a decidere cosa volesse fare: rispose al bacio con naturalezza, con rapidità e spontaneità. Gli circondò le braccia intorno al collo e si strinse più forte a quel corpo. Sbatté con il seno sul suo petto, avvicinò la sua testa alla propria. Avvertì le loro lingue unirsi e giocare, sfiorarsi e assaporarsi come mai prima di allora. Ran ebbe l’impressione che quello fosse il giorno più bello della sua vita, quello che non avrebbe mai dimenticato, perché in quell’attimo tutte le incomprensioni e il dolore svanirono per sempre al contatto delle loro lingue.
E poi uno scoppio si propagò nell’aria, e cambiò tutto.
«Che succede?!» sbottò la karateka, staccandosi dall’amico. Shinichi la osservò per qualche istante terrorizzato, come se il cervello gli avesse già suggerito la risposta.
Il detective afferrò la mano di Ran e cominciò a correre, attraversando il corridoio ed imbattendosi in Heiji, che fuggiva verso di loro insieme a Saigo e Shiho.
«Ma che è successo?!»
«Non lo so, ma non promette bene» disse il moro, stringendo i denti. Scrutò per qualche istante la fine del rettilineo, in corrispondenza di una porta: era aperta. In un attimo avvertì il suo cuore accelerare e le palpebre spalancarsi: di fronte a loro c’era Chianti.
«VIA, VIA!» urlò, sbattendo gli amici all’interno delle stanze: era perfettamente consapevole delle abilità della donna come cecchino. Saigo chiuse la porta dietro di sé, e trascinando Shiho, ruppe la finestra e l’aiutò a saltare giù. Heiji, Ran e Shinichi imitarono gli amici, saltando oltre il vetro di un’altra stanza. I capelli della karateka vennero forati da un proiettile: Chianti l’aveva presa di mira. Shinichi le prese di nuovo la mano e la trascinò via: riuscirono a seminarla, ma dovettero nascondersi dietro un muro a causa della presenza di Vodka di fronte a loro. Per fortuna l’uomo non li vide: era impegnato a puntare l’arma contro la testa di Agasa. Il detective lo notò e, afferrando un rametto posto lì nel cortile, glielo lanciò contro. Vodka fu colpito al capo e sbagliò mira: il proiettile finì nella coscia del complice cecchino. Approfittando del momento, Shinichi alzò per qualche istante gli occhi al giardino: sembrava una vera e propria guerra. Vide Jodie sparare ad un altro uomo per tentare di salvare Akai, mentre quest’ultimo stava intrattenendo un duello d’armi proprio con Gin. Vodka era sul punto di riprendersi e sparare di nuovo, stavolta a Shinichi; ma i suoi riflessi si dimostrarono troppo lenti: Ran si decise a raggiungerlo, e scagliandogli un calcio sul viso, riuscì a tramortirlo. Chianti lo notò: sebbene ferita, provò a riprendere possesso del suo fucile. Strusciò a terra per un metro, ma nell’esatto momento in cui si aggrappò all’arma, giunse Hana: aveva anche lei una pistola, e le sparò nell’altra coscia. La donna emise un urlo di dolore, ma nessuno poté sentirla: Saigo concluse il lavoro della sorella, ed imitando Ran, la stordì, facendola ricadere sul prato. Cominciava ad esserci sangue dappertutto, e mentre Chianti veniva portata via dai due Masuyama, Shiho si unì a Shinichi, Ran ed Heiji. I tre erano ancora nascosti dietro quel muro, in attesa di capire cosa fare.
«Come hanno fatto a trovarci!?» sbottò Heiji, stringendo i pugni.
«Era un piano... Vermouth avrebbe dovuto mandare loro un segnale per attrarli da noi, ma non eravamo ancora pronti per affrontarli! Ci mancavamo altri due giorni, non capisco!» sbottò il liceale di Tokyo, adirato.
«Vermouth ci ha forse traditi!?» propose la karateka, anticipando i pensieri di tutti.  
«Conoscendola,» continuò Shiho. «Molto probabile.»
Intanto la guerra di proiettili continuava: Shinichi si preoccupò nel non vedere la madre, ma si rilassò quando la vide correre verso di loro dall’interno della villa.
«SHIN-CHAN!» sbottò, raggiungendolo insieme a due agenti dell’FBI. «Ragazzi! State tutti bene?!»
I giovani annuirono, e i due uomini si fecero avanti, nel tentativo di proteggerli.
«Adesso venite con me!» urlò Yukiko, ma Shinichi non si mosse. Piuttosto, aveva lo sguardo fisso su un punto indefinito al di là del muro: notò che Akai e Gin erano riusciti a ferirsi a vicenda, anche se in punti diversi. L’agente dell’Fbi perdeva sangue dal fianco, mentre l’uomo dalla gamba. Un attimo dopo si puntarono di nuovo i fucili contro: entrambi caddero a terra.
Sul fondo Jodie era riuscita ad averla meglio su un altro, ma l’attenzione di Shinichi venne attratta da due persone: Yusaku, e Korn.
Non ci pensò un attimo in più.
«SHINICHI!» sbraitò Ran, cercando di rincorrerlo, ma il detective era già parecchio distante.
«PAPA’!» urlò e portò le mani avanti, attraendo l’attenzione di Yusaku. Fu un attimo: il fucile di Korn, dapprima puntato sullo scrittore, virò fino al corpo del figlio: l’abilità da cecchino che lo caratterizzava non mancò di trionfare nemmeno in quel caso. Premette il grilletto, e due proiettili perforarono la pelle del liceale, bloccandogli il fiato. Sembrò che la guerra si fermasse: in un istante gli sguardi di tutti i presenti corsero sul corpo dell’investigatore che crollò a terra alzando su di sé un’infinità di granelli di polvere.
Jodie sparò al ventre di Korn, disarmandolo, mentre Yusaku correva verso il figlio. Yukiko e Heiji lo imitarono, Ran era la più vicina di tutti.
«Shinichi!»
«Shin-chan!»
«Kudo!»
Il silenzio si impadronì della villa, era possibile udire solo il suono del suo nome. Saigo, Hana e Shiho si unirono agli altri, Ran si accovacciò sul corpo dell’amico, singhiozzando.
«SHIN...» avrebbe voluto chiamarlo la karateka, ma il fiato le si mozzò in gola. Le solcarono la guancia lacrime calde ed argentee, che caddero infrangendosi sul tappeto scarlatto che dipingeva di macabro il verde del prato. Il sangue rosso scorreva veloce ed impavido  dal corpo inerme del suo amico d’infanzia. Tutto era immobile, tutto... anche lui. 

 
 


 
* Volume 24, Files di Incontro Indesiderato. Il vero nome di Pisco è Kenzo Masuyama.






ALT!!! SHINICHI È FERITO!!! SHIN-CHAN È FERITO!!!
QUALCUNO CHIAMI UN'AMBULANZA... QUALCUNO LO AIUTIIII!!!
Perché nei momenti peggiori se ne stanno tutti impalati a non fare nulla!?
E dico io... santissimo Yusaku, non ti accorgi di Korn?! E quel cecchino farà una brutta morte... oh sì che la farà! >.<
SHIIIIIIN!!!! ç_______ç 
Va be', passiamo a cose più belle.... >.< I nostri piccioncini si sono baciati di nuovo *___* Certo, lui sta per lasciarci le penne, ma finalmente si sono riappacificati!
Lo so, lo so, che ci sono ancora delle questioni irrisolte... però finalmente avete scoperto cosa si nasconde dietro Saigo ed Hana :)
Allora, chi se l'aspettava diversamente? Chi l'aveva capito? Ma soprattutto... chi si ricordava il vero nome di Pisco? 
Come mai i mib erano già lì e cosa ne sarà di Shin-chan?
T____T 
Nonostante questo sia un chap abbastanza importante devo ammettere che non mi piace per nulla. Spero che a voi sortisca l'effetto contrario!XD
Fatemi sapere, ci tengo :)



xxx,
Tonia

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Capitolo 37
*** Appeso ad un filo ***


Your Lies
36. Appeso ad un filo

 
 
 
 
Un fiume in piena di un intenso rosso scarlatto s’espanse sul tappeto verde del giardino di quella vecchia villa, ma nessuno degli abitanti sembrava avere voglia di scappare via. La foce dell’affluente era immobile, ferma e calma. Non mostrava sintomo di vita, e tutt’intorno pareva esser morto con lui. Ran, Heiji, Yukiko, Yusaku, Jodie, Shiho, Saigo, Hana, Kogoro e Agasa erano impalati intorno a lui, come stupide marionette che hanno perso il proprio padrone. Alcuni pensarono che fosse un incubo, altri che stesse scherzando: ci impiegarono un po’ a capire che la situazione non era delle migliori. Shinichi mosse un pugno e lo strinse, brandendo i denti. Non sentiva alcun tipo di forza in lui, ma l’attaccamento alla vita che lo contraddistingueva da chiunque altro, gli permise il necessario per rilasciare un gemito di terrore.
«È vivo!» sbottò Hattori, rianimandosi da quello stato di incoscienza.
«Shinichi?!» urlò Ran, scuotendolo per le spalle. «Shinichi!? Rispondi, ti prego!»
Heiji non aspettò che l’amico lo facesse: si girò intorno e notò che la guerra s’era fermata. Akai era accasciato a terra con Gin, Korn e Chianti erano storditi a qualche metro distante, mentre altri loro complici erano stati disarmati e legati.
«Presto, dobbiamo chiamare un’ambulanza!» sbraitò Kogoro, balbettante ed incosciente.
«No!», si oppose Yusaku, con gli occhi rossi e lucidi. Forse di rabbia per se stesso, per Korn, o per suo figlio... così imprudente, sempre così spericolato. O forse di paura, di terrore, di stupidità per quello che sarebbe potuto accadere... «L’ospedale è ad un chilometro da qui! Mouri, per favore, le chiavi dell’auto! Yukiko va’ a prendere delle coperte! Agasa dei cuscini! Presto!!!»
Tutti scattarono, ma Heiji era stato più svelto di tutti: ancora prima che Yusaku desse gli ordini, il giovane di Osaka stava tornando in giardino con coperte e cuscini per il primo soccorso. Jodie lanciò le chiavi allo scrittore, e mentre Kogoro e Yusaku presero in braccio uno Shinichi cinereo ed incosciente, probabilmente svenuto per il troppo sangue perso, e velocemente lo trasportarono nei sedili posteriori dell’auto, Heiji gli alzò le gambe con due cuscini e gli coprì le due ferite d’arma da fuoco con delle coperte. Ran era tremante accanto a loro, e con le lacrime agli occhi li seguì in un’altra auto insieme a Yukiko e Agasa. Arrivarono in ospedale esattamente cinque minuti dopo: la karateka contò anche i secondi che la dividevano da lui. Al pronto soccorso Shinichi venne affidato a due infermieri che videro la macchina schizzare a tutta velocità verso di loro: messo sulla barella, Ran e Yukiko si ritrovarono a corrergli appresso, ma lui sembrava non vederle.
«Shin-chan!? Shin-chan!? Non preoccuparti, andrà tutto bene! Tutto bene!»
Ran gli teneva la spalla, correndo insieme all’attrice e alla giovane dal camice bianco.
«Shin...ichi?! Ti prego! Shinichi!!», il suo nome riecheggiò con terrore nel silenzio dell’ambiente circostante. La giovane karateka lo sbraitava, sperando che così lui potesse riaprire gli occhi. Dietro di lei arrivarono Heiji e Yusaku: entrambi avevano assunto un colorito pallido e marchiato dal dolore e dalla speranza. Corsero insieme a lei, ma ben presto sbatterono il corpo contro quello dell’infermiera, che si pose dinanzi a loro con le mani divaricate.
«I'm sorry, but I can’t let you go over! We must take him to the operating theatre, it’s very urgent!»* urlò la ragazza velocemente e con apparente calma, per poi affiancarsi a due medici dai camici azzurri e varcare la porta opaca oltre la sala attesa. Ran e Yukiko si guardarono per qualche secondo, atterrite, con la presunzione di doverlo e volerlo aiutare, ma con la rabbia di non poterlo fare. Andarono così a sedersi insieme a Yusaku, Kogoro e Heiji sulle scomode sedie di quel largo e freddo corridoio d’ospedale. Cominciarono a passare i secondi, i minuti e le ore. Più il quadrante dell’orologio scoccava e ticchettava fastidiosamente, e più pareva che il tempo avesse cominciato a scorrere più lentamente. Ogni istante che passava era l’eternità. Heiji aveva il suono del quadrante nelle orecchie, ma non riusciva ad ascoltare le voci altrui. Yusaku era immobile, imperterrito, pareva non respirare nemmeno. Aveva unito le mani in un debole pugno poggiato sulle sue cosce, ma non era capace a staccare gli occhi da quel maledetto orologio. Yukiko cominciò a sentirsi male; la testa le girava, lo stomaco si rivoltava e le gambe perdevano di equilibrio.
«Ma quanto tempo è passato?» domandò agli altri, irrequieta, ma nessuno le rispose. Yusaku non mosse gli occhi dall’orologio, Heiji non alzò il capo nemmeno di un millimetro. Kogoro prese così parola, ma sembrava avere poco ossigeno: «poco più di un’ora.»
Ed era stata l’ora più brutta della vita di Ran. Non si era mai sentita così strana, così diversa, così scissa. Non solo le lacrime le scendevano ogni secondo che passava, ed erano lacrime mute e amare, ma aveva l’impressione di essere stata tagliata a metà da una sega elettrica. C’era una parte di lei, chissà quale, che era lì dentro con lui. Ad avvertire i suoi stessi dolori e a perdere il suo stesso sangue.
«Ma i proiettili l’hanno sfiorato solo, no?» chiese conferma Kogoro, alzandosi e cominciando a camminare senza meta e senza verso. «Non c’è da preoccuparsi, su...»
«Solo... sfiorato?» sbottò Hattori, iracondo, alzando il capo e rivelando agli altri i suoi occhi lucidi. «L’ha colpito in pieno, dannazione! Che cazzo dici!»
Kogoro si sentì aggredito, senza alcun motivo, ma non replicò. Sapeva che Korn, da buon cecchino qual è, aveva compiuto appieno il suo dovere. Stava tentando di smorzare il nervosismo, ma a parte l’ira del giovane di Osaka, nessun altro aveva dato peso alle sue parole. Guardò per qualche secondo davanti a lui: Yusaku era l’incarnazione della disperazione, e l’ex judoka poteva immaginare anche il perché. Lo scrittore non riusciva a sopportare il peso della sua coscienza, della consapevolezza di aver – involontariamente – causato le ferite al figlio. Nella sua mente ripeteva come un disco rotto sempre lo stesso motivo: È colpa mia... è colpa mia... è colpa mia...
«L’ha colpito all’addome sicuro...» continuò con un tono decisamente più basso e struggente il kendoka. «Se ha avuto fortuna, e ce l’ha, sì che ce l’ha...» sorrise amaro, ma non riuscì a continuare. Alla sua voce alzò il capo solo Kogoro.
«E adesso quanto è passato?» domandò ancora l’ex attrice, con una mano sulla fronte.
«Anche l’altro proiettile ha trapassato l’addome?» chiese Kogoro, rivolgendosi al detective di Osaka.
«N-no, non rispondere...» riprese a parlare la karateka, smorzando la voce con alcuni singhiozzi. «Io non lo voglio sapere...»  
Hattori l’ascoltò, scuotendo il capo, senza fiatare. Passarono altri minuti: Heiji si alzò e cominciò a camminare; adesso non riusciva più a stare fermo. Yukiko cominciò a respirare con l’affanno, Yusaku non dava segno nemmeno di respirare. Kogoro tentò di avvicinarsi alla figlia, ma questa lo ignorò. Non aveva voglia di parlare.
Dopo due ore di agonia, Yusaku parve spostarsi di qualche millimetro sulla sedia, ma lo sguardo era sempre incollato all’orologio e alle sue lancette. Erano ormai passate due ore e mezza, e di Shinichi nemmeno l’ombra. Tre ore e tutti i colori cominciarono a sbiadire.
Poi, dopo quattro ore e quattordici minuti esatti, la porta opaca della sala si aprì. Tutti scattarono all’in piedi: le mani appena liberate dai guanti del chirurgo mantennero l’infisso, e con estrema lentezza si fecero avanti i piedi. Si ritrovò Yukiko, Ran e Heiji addosso, e fu costretto ad indietreggiare di qualche passo per non cadere a terra.
«Tell me about my son, now!» tuonò nelle orecchie l’attrice, scuotendolo per le spalle. Il medico si ritrovò a traballare, ma non ebbe un attimo di tempo che sopraggiunse Ran.
«Where is he!? How is he!? Please!!»
L’uomo cercò di mettere le mani Avanti. «Calm down, kindly...»
«Calm?!» fu il turno di Heiji a sbatterlo contro il muro. «My best friend was shot by a sniper! How do we remain calm?!»
«Adesso basta!» urlò Yusaku, inferocito. Poi si rivolse al medico e si avvicinò: «You has vaguely oriental features. Do you speak Japanese?»*
L’uomo riuscì, finalmente, a tirare un sospiro di sollievo. «Sì, mia madre era giapponese.»
«Come sta mio figlio?» chiese Yusaku, con un tono molto più dolce del precedente.
Il medico rilasciò un nuovo sospiro, ma stavolta non pareva felice. «Uno dei proiettili aveva perforato lo stomaco, l’altro ha sfiorato di striscio un polmone. Siamo riusciti ad estrarli entrambi con successo, e l’operazione è andata bene...» cominciò a parlare l’uomo. «Il ragazzo però non è più riuscito a respirare autonomamente, e siamo stati costretti ad utilizzare una ventilazione invasiva...»
«...Cosa?», Ran strabuzzò gli occhi.
«Un respiratore artificiale che da ossigeno a suoi polmoni.» Spiegò il chirurgo.
«Quindi sta bene, no?!» si intromisero Heiji e Yukiko, entusiasti. «Appena tornerà a respirare da solo...»
Il dottore abbassò il capo, stringendosi le mani. «Be’ in realtà...»
Tutti tesero le orecchie e bloccarono il respiro.
«Ha perso tantissimo sangue. Lo stomaco è stato quasi lacerato, e il polmone è collassato...»
«No... che...», Heiji non riuscì a completare la frase.
«Come sta mio figlio, dannazione!?» urlò Yukiko, con le lacrime agli occhi.
«Come vi ho detto... a causa del tantissimo sangue perduto e della seppur temporanea mancanza di respirazione, il cervello è rimasto troppo tempo senza ossigeno, ed in seguito all’ipossia...»
«In s-seguito...?», Kogoro lo esortò, ma nessun altro lo incoraggiò a continuare. Avevano già capito, ma non volevano accertarsene.
Il chirurgo sbuffò, socchiudendo gli occhi. «È... entrato in coma. Abbiamo fatto il possibile.»
Il silenzio, poi un tonfo. Sordo, potente. Ran svenne a terra, sbattendo la testa al pavimento. Con lui, in coma, c’era anche una parte di lei.
 
 
La karateka aprì le palpebre lentamente e senza forze, svegliandosi di soprassalto. Un incubo, un incubo orrendo. Shinichi era stato operato ed era entrato in coma, sotto la furia omicida di due proiettili e del loro cecchino. Ma adesso si sarebbe svegliata e si sarebbe trovata in villa... insieme a lui che la prendeva in giro. Già riusciva a sentire il suono perfido del suo ghigno e l’eco della sua voce...“carrettiere” era la parola più bella del mondo, adesso.
Ma tutto ciò era nella sua mente. Annusò soltanto un forte odore di disinfettante, e s’accecò con la luce fredda dei neon impiantati nel soffitto. Non era in villa, non c’era lui.
Girò il capo a destra e corse con lo sguardo lungo il corridoio illuminato dai raggi solari al tramonto.
«Finalmente, Ran!» urlò una voce di sua conoscenza, pareva proprio quella di Saigo. Si voltò e lo vide seduto alla sua sinistra, con una gamba sull’altra.
«Saigo...», lo squadrò spaesata, mormorando appena il suo nome. «C-cosa ci fai qui?»
«Be’, non sono utile qui come non lo sono alla villa, però ho pensato di farti compagnia...» le disse dolcemente, cercando di regalarle un sorriso.
«Q-qui? Ma... SHINICHI DOV’È?! STA BENE VERO!?» s’alzò all’improvviso, ma sentì il capo girarle e le forze abbandonarla. S’appoggiò alla sedia, passandosi una mano sulla fronte.
«Ehm... Ran...»
«No... no...», la mano scivolò sui capelli, mentre le palpebre strabuzzarono inquiete. «L’incubo... l’incubo è realtà...»
«Mi dispiace Ran...» abbassò gli occhi Saigo, sospirando.
«Dov’è? Lo voglio vedere... Dimmi dov’è...»
«È nella ventiseiesima stanza.» Gliela indicò col dito, girandolo all’indietro. «Qui.»
Era di fronte a lei. Solo in quel momento riuscì a notare Agasa seduto sulle panchine più lontane, Hana all’in piedi nel corridoio, Kogoro alla fine dell’altro. S’avvicinò alla porta e l’aprì: nella stanza vi erano Yusaku, con le mani sulla faccia e i gomiti appoggiati alle ginocchia, seduto su una sedia dall’apparenza scomoda; Yukiko, che beveva e provava a calmarsi attraverso la respirazione; Heiji, seduto a fianco a letto con lo sguardo basso e malinconico. Sul materasso, sdraiato e collegato ad un’infinità di fili e flebo, accanto ad un macchinario nero dalle varie luci verdi e rosse accese, vi era lui.
«Shin...ichi...» cominciò a lacrimare, ma la debolezza che avvertiva alle cosce non le impedì di avvicinarsi: il volto del detective era pallido e tirato, le palpebre chiuse e il respiro calmo davano un senso di sonno leggero e riposante.
«Shin...ichi...?» gli prese la mano e la strinse nella sua, ma non avvertì il caratteristico calore della sua pelle. Era freddo, gelido e rigido. Una lacrima calda le scese lungo le guance e si infranse su quella di Shinichi, in assoluto silenzio. Ran si affrettò a levargliela via, ma quando le dita sfiorarono la sua pelle non riuscì a staccarle: con la mano gli accarezzò la guancia, nella vana e stupida speranza che quel tocco gli potesse donare il calore che gli mancava. Alzò leggermente lo sguardo nella stanza e si imbatté in quello di Heiji, che la stava guardando in silenzio e con un leggero e tirato sorriso sulle labbra. Ran provò a fare altrettanto.
«Se fosse sveglio mi caccerebbe via», si staccò così da lui e prese una sedia dalla scrivania. La poggiò all’altro lato del letto, di fronte l’amico, ma pur sempre accanto a Shinichi.
«Si lamenterebbe che ci preoccupiamo per nulla» le fece eco il giovane di Osaka, osservando il rivale inerme sdraiato sul letto. Era strano vederlo così: lui era sempre apparso così forte, sicuro... quasi indistruttibile. Sembrava che potesse affrontare tutto, che non ci fossero ostacoli insormontabili per lui. Era la perfezione fatta persona, eppure...
«Già...», Ran abbassò il capo. «Avevamo appena fatto pace...»
«Finalmente, eh»  le sorrise lui, tamburellando debolmente le dita sul dorso della mano dell’amico. «Ce ne avete messo di tempo.»
La karateka tornò ad osservarlo. «È solo colpa mia... sono la persona più stupida di questo mondo.»
«Su, su», lui sorrise. «L’importante è che tu abbia capito.»
«Sì...», la giovane avvertì un’altra lacrima attraversarle le palpebre. «Ma non posso dirglielo, e... e ho paura che non potrò più farlo...»
«Eh?», il sussulto di Heiji la bloccò. «Non permetterti di pensarle nemmeno certe cose!»
«È... è in coma...» balbettò, strofinando un dito sotto le palpebre umide.
«E allora? Non sarà di certo questo a fermarlo!»
«I-io v-voglio che si risvegli, che mi parli subito... H-ho paura...»
«Lo farà, non preoccuparti... lo farà» cercò di rassicurarla, di rassicurare se stesso. Ma Ran non sembrava affatto sollevata. Ripensava a quanto tempo aveva sprecato per dar ascolto al suo stupido orgoglio, a quanti momenti andati persi a causa di sciocche coincidenze e continui fraintendimenti. Avrebbe potuto passare l’ultimo mese accanto a lui, ad incoraggiarlo laddove avesse avuto bisogno, o magari ad aiutarlo laddove non ce l’avesse fatta. E invece no, aveva soltanto giocato alla preziosa.
Si girò verso di lui e s’imbambolò a guardarlo: è bello anche così -pensò, sotto le lenzuola di cotone azzurro, appeso a quel filo che rappresentava la sua vita. Così fragile e così vicino da far paura. Amava il rischio lui, e quella totale inconsapevolezza del pericolo gli coronava l’animo di cristalli di diamante. Quel suo carattere, così limpido e penetrante, attraeva chiunque avesse bisogno di un po’ di sicurezza. Anche in momenti come quelli, così tragici e freddi, pareva sempre che chi dovesse soffrire fossero gli altri, e non lui. L’ospedale statunitense si era improvvisamente sfumato di mille tonalità di grigio, perdendo tutti i colori. Ran pensò che sarebbe potuta impazzire: non voleva rimanere ancora col dubbio, non riusciva a credere che nessuno sapesse cosa si potesse fare. Aspettò, insieme a tutti gli altri, con impazienza, il primario che lo aveva operato. Sperò che potesse dar loro anche solo una certezza, ma era una speranza vana e sciocca. Come sospettavano, l’uomo disse loro che queste sono situazioni delicate, che variano da soggetto a soggetto.
Poi subentrò Shiho, seguita da Agasa.
«Non credete sia il momento di spiegargli un po’ la situazione?» disse, rivolta soprattutto ai suoi genitori.
«Che intende dire?» chiese il primario, stranito.
«Il ragazzo qui presente è... speciale.»
Shinichi era ancora sotto effetto della trasfusione, ma se gli fosse stata somministrata un’altra dose di azoto nel giro di quattro ore, il detective sarebbe tornato bambino mentre era in coma. Ciò significava morte sicura. I presenti si guardarono tra di loro, ma fu Yusaku a prender parola. L’uomo venne informato degli agenti federali, della missione, e della particolare situazione del ragazzo. Era necessario somministrargli l’azoto ogni mattina, ma era altrettanto importante che nessuno lo venisse a sapere. Il medico si passò una mano sulla fronte, cominciò a sudare dal nervosismo e dall’incredulità. Gli pareva fantascienza – apotoxina? non ne aveva mai sentito parlare -, eppure quei tipi erano troppo seri per star scherzando.
«È una responsabilità grandissima» mormorò, posandosi le dita sulla bocca. «Dovrei mentire a tutto il mio staff?»
«È per questo che esiste il segreto professionale» ribatté la scienziata. Lui annuì leggermente, facendo un gesto vago con le dita.
«Che Dio ce la mandi buona.»
Shiho collegò altri fili a quel braccio immobile e freddo, privo di vita. Shinichi ebbe così la sua prima trasfusione in coma.
 
 
 
La sera seguente fece visita all’ospedale Vermouth. Quando attraversò il corridoio, e con sicurezza si riversò nella stanza, gli sguardi dei presenti si concentrarono tutti su di lei. Doveva ancora spiegar loro cosa era successo e perché. Si scontrò con gli occhi stanchi dei genitori del detective, con quelli arrossati di Ran, e quelli lucidi di Heiji. Sospirò, abbassando lo sguardo a terra.
«Non avevo nessuna intenzione di tradirvi. Il segnale è partito prima, ma non è stata colpa mia».
«Sharon...» la chiamò l’amica attrice, con voce bassa e rotta dall’impossibilità di trovare la forza per alzarla. Yusaku riuscì ad alzare lo sguardo e ad indirizzarlo alla donna bionda: era un misto tra rabbia, odio e rancore. Ma più che per lei, per se stesso. Era pienamente cosciente di aver involontariamente causato le ferite a suo figlio, ed era l’unica cosa che non avrebbe mai potuto accettare. Se lui fosse morto, se lui non ce l’avesse fatta, se lui non avesse mai più aperto le palpebre, cosa sarebbe stata della sua vita? Che senso aveva fingersi genitore di colui che non c’era più?
«Lui era convinto che io fossi dalla sua parte ed ha aspettato il mio segnale per intervenire. Sapeva che ti ero amica perché gliel’avevo confessato io. Il temporale della scorsa notte ha mandato in tilt i congegni elettronici. Gin è partito alla nostra ricerca, e come temevo non ha perso tempo.» Spiegò la donna, avvicinandosi al letto del giovane detective liceale. Lo guardò, immergendosi nella sua figura inerme ed indifesa: non l’aveva mai visto così.
«Silver bullet...» mormorò. «Mi dispiace.»
 
 
 
 
Tre giorni dopo la situazione era rimasta immutata. Shinichi giaceva inerme sempre sullo stesso letto e sulle stesse lenzuola, sempre nella stessa posizione. Tutte quelle ore di agonia e di puro tormento erano state vissute da Heiji e Ran senza un minimo lamento. Non l’avevano lasciato nemmeno per un secondo, sperando che la loro presenza potesse in qualche modo suscitarlo a svegliarsi. Ma Shinichi non dava segni di vita, né con loro né con nessun altro. L’ottimismo che il giovane di Osaka ostentava a diffondere non servì a stemperare la tensione: Yusaku era sempre più pallido e silenzioso, Yukiko mostrava occhiaie scure e tetre come la notte. Saigo affiancò gli amici durante le giornate, mentre la sera tornava alla villa per dare una mano a sua sorella. Nello scontro a fuoco erano morti tre agenti dell’FBI e quattro dell’organizzazione. Gin ed Akai si erano uccisi a vicenda. Korn e Chianti erano all’ospedale federale sorvegliati da una decina di poliziotti. La battaglia era appena iniziata. Nessuno conosceva l’identità del boss, e tutti sospettavano che ci fossero almeno un’altra dozzina di uomini ai suoi servigi. Nei giorni che passarono, Jodie aspettò con impazienza che i due cecchini riprendessero coscienza per estrapolar loro delle informazioni. Non aveva intenzione di ammettere che Shuichi era morto senza motivo. Ed anche quel ragazzo... Shinichi Kudo, anche lui era in pericolo di vita.
Doveva agire, cercare di reagire.
I secondi divennero minuti, i minuti ore, le ore giorni, e i giorni si tramutarono in settimane. Passò la prima così velocemente che quasi nessuno se ne accorse. La seconda era in corso, e la terza pareva arrivare precisa come un treno svizzero. Solo Ran ebbe l’impressione che non sentisse la voce di Shinichi da circa un secolo. Gli stette accanto tutte le mattine, e gli accarezzò il viso ogni sera prima di addormentarsi al suo capezzale. Aveva provato a parlargli, a chiedergli come stesse, se la sentisse, se ricordasse. Ma lui non aveva risposto... nemmeno una volta.
«Ieri ho chiamato la mamma» lasciò scorrere l’indice sul dorso della sua mano, fissandola ma senza realmente guardarla. Gli occhi della karateka erano vuoti e smarriti, le sue pupille sembravano aver perso profondità, e le iridi erano sbiadite. «Lei e Sonoko stanno bene. L’appartamento è esposto a est su un bellissimo fiume di Kyoto. Le ho raccontato di te.»
Direzionò il volto sul suo, ed ignorò lo sguardo di Heiji. Anche lui non l’aveva lasciato per un secondo. «Ha detto che devi farcela, e anche Sonoko... lei ha specificato che non te lo perdonerà mai se non potrà più prenderti in giro.»
Prese una piccola pausa, poi deglutì. «La mamma ha detto che solo tu puoi far combinare qualcosa a mio padre, che devi aiutarlo a portare avanti l’agenzia.» Rilasciò un debole sorriso. «Le ho risposto che tu avresti voluto un’agenzia tutta tua, conoscendoti. Che mio padre dovrà arrangiarsi da solo...»
Non ci badò, ma era certa che Hattori stesse annuendo con la testa bassa e con un dolce sorriso sulle labbra.
«E allora lei...», deglutì di nuovo, abbassando le palpebre leggermente bagnate. «Lei ha ammesso che ti vorrebbe comunque come g-genero.»
Lasciò andare una lacrima, mentre l’altro detective sospirava debolmente.
«Sonoko ha detto che non riesce ad immaginarsi me senza te», si strofinò le palpebre con il polso, stringendo con forza i denti.
«B-buffo, no? Neanche io...»
«Ran...» la chiamò il liceale, seduto sull’altra sedia a fianco a letto. In quei giorni avevano abolito ogni genere di freddezza nei confronti dell’altro. Si sentivano come due fratelli abbandonati dal loro padre. Lei alzò il capo con debolezza, contraria quasi ad essere interrotta.
«Forse mi sente.» Disse lei, deglutendo la saliva in eccesso.
«Io spero che non lo faccia» riuscì a sorridere lui, strappando un lieve riso anche a lei.
«Non oso pensare che stia ascoltando i miei lamenti» disse poi, guardandosi le mani. «Non voglio che sappia come mi sento.»
«Io invece lo vorrei.» Lo smentì la karateka. «Ho capito che è l’unica persona con cui posso condividere tutto quello che provo, l’unica con cui posso essere davvero me stessa. Dopo il nostro litigio ho capito che voglio dirgli tutto... e sempre. Voglio riempirlo di ti amo fino a fargli venire la nausea.» Abbassò le palpebre alle sue gambe, graffiandosele con le unghie. «Voglio solo che mi ascolti, voglio che sappia quanto impazzisco per lui.»
Heiji continuava ad ascoltarla.
«È fin troppo tempo che non lo sa» tornò a guardarlo, rilasciando una nuova lacrima.
«Cos’era prima? Mancanza di fiducia? Orgoglio? Timidezza?» le domandò il detective, e lei per qualche istante rimase scossa, come presa alla sprovvista.
«Nah» simulò un sorriso. «Solo idiozia.»
«Oh be’, allora anche io sono un bell’idiota.»
Ran sorrise di nuovo. «Lo conosco da sempre Heiji. E sono anche riuscita a credere di non conoscerlo per davvero in questo periodo. Avevo la verità davanti agli occhi ma non l’ho voluta guardare. Forse perché era troppo anche da immaginare.»
«Non gli ho mai detto che gli devo tanto...» commentò poi il detective, dopo qualche minuto di silenzio. «Per orgoglio e vanità ho sempre tentato di affrontarlo e paragonarmi a lui. Ma lui mi ha insegnato qual era lo vero spirito del detective, quale sarebbe dovuto essere il suo unico sprone.»
«Diglielo adesso» disse lei.
Heiji deglutì, mandando un’occhiata all’amico. A cosa valeva? Era ad un passo dalla morte, tenuto attaccato alla vita per un filo. L’avrebbe mai più sentito parlare? Avrebbe mai più sentito la sua snob e saccente voce? Avrebbe mai più ascoltato le sue deduzioni?
«Vuoi che ti lasci un attimo da solo con lui?» propose allora Ran, in procinto di alzarsi.
«Ehm...» Heiji si colorò di rosso, imbarazzato. Ma prima che potesse risponderle, entrò in camera il medico curante di Shinichi. L’uomo, dai lineamenti orientali, era sempre accompagnato da un’infermiera del reparto abbastanza giovane. I due liceali s’alzarono e fecero spazio al dottore, che s’avvicinò al giovane detective, e gli controllò i valori e il battito con un solo gesto.
«È stabile» disse, rivolgendosi a Yusaku e Yukiko, rilasciando un sospiro. «Ma non so se questo possa essere considerato un vantaggio.»
«Cosa intende dire?», l’attrice abbracciò se stessa, cercando di darsi un po’ di calore alle braccia con lo sfregolio delle sue mani.
«Ho paura che possa continuare per molto» continuò l’uomo. Ran si ritrovò a dannarlo: perché era sempre così vago? Eppure Heiji e Yusaku sembravano già aver capito cosa intendesse.
Lo scrittore si passò una mano sul viso, inquieto. Hattori deglutì con difficoltà.
«Io non so le vostre posizioni al riguardo...» disse ancora il medico, ma la karateka lo interruppe:
«Si spieghi meglio, la prego.»
«Sono passate quasi tre settimane... dopo la quarta non si parla più di coma, lo sapete?»
Stavolta fu Yukiko ad annuire, ma fu il marito a rispondere:
«Stato...vegetativo.»
Il chirurgo annuì, Ran sembrò colpita da un pugnale in pieno petto.
«Ecco... pensateci bene» disse ancora l’uomo, dirigendosi verso l’uscita.
«Siete favorevoli all’eutanasia?»

 
 
 
 -
 
* Traduzione: “Mi dispiace, ma non posso farvi andare oltre! Dobbiamo portarlo in sala operatoria, è davvero urgente!”
* Traduzione: “Parlami di mio figlio, ora!”
* Traduzione: “Dov’è? Come sta? Per favore!”
* Traduzione: “Calmatevi, gentilmente...”
* Traduzione: “Calma? Il mio migliore amico è stato sparato da un cecchino! Come possiamo rimanere calmi?!”
* Traduzione: “Hai i lineamenti vagamente orientali. Parli giapponese?”

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Ehm.......... ciao. °///////°
Ignorate il fatto che sia scomparsa per più di due settimane, ed ignorate anche che me ne esca con un capitolo del genere...
Il mio Shin-chan è in coma. Gente, qui è lutto nazionale. Sì, ancor prima che muoia lo è. 
Da dove mi vengono certe idee? Non lo so nemmeno io. È il mio personaggio preferito, eppure gliene faccio passare di tutti i colori. 
Non sto bene, vero? Quando pensaii a questa storia avevo un'idea pazza in testa, ma non avevo il coraggio di scriverla. Adesso l'ho trovato e spero che non susciti particolari scompigli, perché è una cosa davvero forte. 
Korn ha fatto centro e Shin-chan è in coma (l'ho già detto lo so, ma la cosa è grave!)... e sono più di due settimane che lo è. In Italia dopo quattro settimane il coma si tramuta in "stato vegetativo", in America non so, ma lasciatemelo passare XD
Ehm....parlavamo di temi forti? Eccone un altro. Eutanasia, signori. Qui viene la pelle d'oca solo a scrivere la parola.
Sono sicura che i pareri saranno contrastanti e diversi, dopotutto ognuno di noi ha la sua idea al riguardo. Io ho la mia e seguirò quella. :)
Be', a voi la parola. È tutto talmente triste che non so cosa dire... :(
Un bacione a tutti.
Anzi, un abbraccio togli fiato ai 18 recensori dello scorso capitolo! Qui un piccolo infarto mi è venuto sul serio XD
Siete mitici! <3


Tonia

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Capitolo 38
*** L'ultima decisione ***


Your Lies
37. L’ultima decisione


 
Anche la terza settimana passò. La mattina del primo giorno della quarta, quella fatidica, quella che non sarebbe mai dovuta passare, pioveva a dirotto. Ran e Heiji rimasero ad osservare le gocce che si infrangevano a terra, sui tetti e nelle pozzanghere; ascoltarono il fischio del vento che si infiltrava negli infissi delle finestre, mormorando un lamento silenzioso e fastidioso. Anche il cielo di Washington sembrava in pena. Shinichi non se ne accorse, non avrebbe potuto mai. La sua pelle aveva ormai perso ogni tipo di colorito, era spenta e grigia come cenere. Non c’era più calore nel suo corpo, e se vi era rimasta un po’ di vita in lui era senza dubbio intrappolata in una gabbia recintata da mille catene di ferro. Shinichi non c’era più, o almeno era l’impressione che avevano i suoi due più cari amici. Ma nessuno dei due lo disse o anche solo provò ad accennarlo: erano i giorni della scelta quelli, quelli dell’ultima decisione. Ed ogni parola poteva pesare oro. Ammettere di essere favorevoli all’eutanasia significava interrompere anche quell’ultimo contatto con lui; quello visivo, quello corporeo, quello tattile. Dunque, era agire per lui, o per loro?
Yukiko non avrebbe mai potuto staccarsi dal suo bambino, è nel DNA di una madre far di tutto affinché non succeda. Eppure anche lei, pure lei sapeva che lui non avrebbe voluto. Heiji aveva trovato ciò che in vita aveva sempre cercato: l’amico che riuscisse a capirlo, a leggergli nella mente ancor prima di parlare. Ma Shinichi era anche più di questo: lui gli aveva inculcato il principio base della verità, lo scopo principale di un detective.
“La verità è sempre una sola” gli aveva troppe volte sentito dire. Ma in quel caso, in quell’istante, qual era la verità? Chi poteva decidere cosa fosse giusto o sbagliato, cosa valesse universalmente? In quel caso, lui cosa avrebbe fatto?
Preferiva non domandarselo: già conosceva la risposta.
Kogoro era affranto: quel ragazzino saputello aveva dato lui un nome, una fama, uno spazio nel mondo. Era ciò che lui aveva sempre evitato di essere: un professionista coi fiocchi, e a quella tenera età poi! Era innamorato di Ran ed aveva fatto di tutto per non metterla in pericolo. Troppo tardi aveva capito quanto valesse, troppo tardi aveva smesso di odiarlo.
Avrebbe mai potuto dirgli che sarebbe stato il genero migliore del mondo?
Yusaku erano quattro settimane che non parlava, la sua testa era troppo affollata di pensieri per darne ascolto ad altri. Perché suo figlio s’era esposto così tanto? Perché non era rimasto nascosto? Cocciuto spericolato fin da bambino!
Perché quelle pallottole non hanno colpito me?Perché?
“Ecco qui un po’ di caffè” la voce di Saigo echeggiò nella stanza silenziosa. Porse il bicchiere all’amica, tentando di scuotere in lei quel poco di speranza a cui si stava disperatamente aggrappando. La karateka lo accettò, recitando un “grazie” fin troppo stentato. Lo portò alla bocca e per un attimo pregò che non ne sentisse né il sapore né l’odore: sarebbe potuto essere un sogno, un maledetto incubo. Eppure quel caffè era fin troppo buono, e quel profumo così forte le diede il voltastomaco. Le veniva da piangere, come tutti i giorni e tutte le ore che guardava verso il suo letto. Se fosse morto lui, come avrebbe potuto vivere lei? E non era una metafora fatta male: Ran non poteva esistere senza Shinichi, nemmeno per un secondo. La consapevolezza di averlo perso per sempre era troppo da accettare: fin quando sapeva di averci litigato, fin quando fingeva di odiarlo, fin quando tentava di stargli lontano, era tutto lecito. Ma quando non avrebbe nemmeno più potuto indignarsi per una sua battuta, ridere per la sua totale incapacità a cantare, tormentarsi per la sua finta freddezza... per cosa avrebbe vissuto? Il suo silenzio in quelle settimane era devastante: sembrava essere quella che l’aveva presa meglio, forse perché nemmeno voleva rendersi conto davvero della situazione, forse perché non riusciva nemmeno a farlo. Ma quando il chirurgo dai lineamenti orientali aveva pronunciato la parola “eutanasia” era diventato tutto improvvisamente più nitido, più reale, più brutto. La chiamavano la “morte dolce”, ma era tutt’altro che zuccherata e lieta. Era sicura che Shinichi avrebbe preferito altro, e conoscendolo, era altrettanto convinta che non avrebbe concordato: ma lei, e sperava che valesse per tutti, non l’avrebbe ucciso.
 
 
 
 
“Come stava oggi?”
“Stabile, come sempre” rispose Agasa alla scienziata, posando una borsa di vestiti su una sedia di una delle stanze della villa. “Né miglioramenti né peggioramenti.”
Shiho rilasciò un sospiro: aveva gli occhi fissi sul monitor di fronte a lei, e con la mano reggeva una provetta contenente un liquido trasparente.
“Stai lavorando per l’antidoto definitivo?” domandò l’uomo, avvicinandosi a lei e sbirciando oltre la sua spalla. Notò alcuni codici e diverse parole.
“Chissà se potrà mai servire.” Commentò poi con amarezza, abbassando le palpebre e inspirando profondamente.
“Non posso mollare proprio adesso”, Shiho non s’era girata nemmeno a guardarlo. “Era più che evidente quanto ci tenesse a tornare se stesso. Sono sicura che sta provando a farlo anche adesso.”
Agasa annuì e si sedette accanto a lei, la testa fra le mani.
“L’ho visto crescere” commentò dopo un paio di minuti di silenzio, con voce bassa e rotta. “Ricordo ancora quando Yukiko me lo diede in braccio la prima volta. Aveva poco più di quattro mesi... un vero fagottino. Mi piaceva, e nel guardarlo pensai quanto fosse bello essere un padre. Mi pentii di non averci nemmeno mai provato. Rideva da pazzi in braccio a me, mi tirava la barba e i capelli.”
Shiho deglutì, ma non ricambiò il sorriso amaro dell’amico anziano. Ricordò anche lei il primo incontro col detective: allora era già Conan, era già sotto la rete di morte che l’aveva intrappolato. Le faceva male pensare che ce l’avesse buttato lei, con quella maledetta apotoxina. La causa scatenante di tutto era proprio quel maledetto farmaco. Era come se, involontariamente, l’avesse portato lei al coma. Scosse debolmente il capo, tentando di allontanare quei brutti pensieri: era davvero lei l’assassina?
“Dottore...” lo chiamò, appoggiando per qualche istante le dita sulla tastiera senza muoverle. “Lei cosa farebbe?”
Lui capì all’istante, socchiudendo gli occhi. “Decideranno Yukiko e Yusaku.”
“Se potesse decidere lei?” insistette.
Lo scienziato sbuffò. “Sono favorevole.”
Fece una pausa, poi continuò. “Non riuscirei a guardarlo su quel letto per tutta la vita, nella vana speranza che tra qualche anno si scopra qualche cura speciale per rimetterlo in sesto. Andrebbe contro lui, contro la sua natura, contro quella voglia e quell’amore per la vita che aveva.”
Shiho deglutì: aveva ascoltato quello che temeva.
“E tu?”, dovette ammettere di non aspettarsi quella domanda.
Ci pensò un attimo su, poi tornò a digitare sulla tastiera.
“Vorrei solo somministrargli questo antidoto, e mettere fine a tutto.”
 
 
 
 
Il giorno dopo, le salme di Akai e Gin vennero trasferite in Giappone. Ebbero il loro funerale, e vennero seppelliti nel cimitero, abbastanza lontani da non poter più vedersi. Jodie partì con loro, diede l’ultimo saluto al suo vecchio amore e tornò in America. Fece visita all’ospedale: Korn e Chianti s’erano ripresi ma non avevano alcuna voglia di parlare. Gli agenti federali li scortarono fino alle loro celle, intenzionalmente divise. Jodie fece visita anche a Shinichi. Dopo una breve occhiata a lui, e un abbraccio a Yukiko, volse verso Yusaku. Gli diede una pacca sulla spalla e gli sussurrò dolcemente: “non è colpa tua”.
Lui non alzò nemmeno lo sguardo, né le fece un cenno d’assenso. Vide il corpo dell’agente dell’FBI uscire dalla stanza e chiudere dietro di sé la porta. In corridoio la Starling incontrò Hana. Era appoggiata ad una delle grandi finestre che illuminavano l’ambiente. Le rivolse un’occhiata e la salutò.
“Sai Vermouth dov’è?”
“Alla villa” rispose lei velocemente, continuando a guardare fuori. “Insieme ai due scienziati, a James Black e Kogoro Mouri.”
Jodie annuì. “Li raggiungo. Vuoi venire?”
La giovane la guardò per qualche istante, sorpresa per tanta cordialità. La seguì, ricordandosi improvvisamente che aveva un compito da svolgere.
 
 
 
 
“Sono passate quasi quattro settimane”. Heiji aveva abbassato ogni sorta di barriere: era dal momento in cui il dottore aveva pronunciato quella parola che la lingua gli si era sciolta ancora più del normale. Si sedeva a fianco a lui e lo guardava, gli raccontava quello che stava succedendo, cercando di non tralasciare nessun particolare.
“E insomma, tu sei ancora qui, a riposarti su questo letto. Sai, se non l’avessi capito non è un lettino da spiaggia e non devi prendere la tintarella. Puoi alzarti, c’è il mare a qualche passo da te.”
Heiji si passò una mano sulla fronte, scompigliandosi i capelli.
“Ti rendi conto in che stato sto? Che mi metto a dire... il mare! Il mare a Washington, certo. Lo so, sono più pazzo del solito ultimamente. Qua sono tutti un po’ pazzi ultimamente. Certo, tu non puoi saperlo e non puoi vederlo. Ti invidio... ci vorrei stare io su quel letto. Chissà se staresti male come me a vedermi immobile come non mi hai mai visto. Chissà come reagiresti alla parola «eutanasia». A me sono venuti i brividi... cosa faresti tu, Shinichi? Saresti d’accordo, vero? Ma tu hai quel coraggio che io non ho... lo so...” Sorrise, sbuffando. “...sono leggermente sdolcinato. No, non leggermente. Assai, lo so. Ma è colpa tua, la prossima volta ci penserai due volte a farti beccare da due pallottole. Non una, due addirittura. E’ tuo solito fare le cose in grande.”
Si portò le mani alla bocca e per un po’ riprese fiato. Passarono alcuni minuti, poi ricominciò: “Shinichi, se non vuoi svegliarti per me, fallo per Ran. Fallo per tuo padre, amico. Shinichi... stanno morendo insieme a te, e la loro non sarà di certo una morte dolce. Tuo padre è distrutto dai sensi di colpa, non parla mai, non so nemmeno se abbia ancora la lingua. Ran lo sai... Ran vive di te. Ho paura faccia qualche cazzata, la vedo davvero male.”
Fece scivolare le mani sugli occhi, cominciava a sentire gli occhi gonfi: quand’era l’ultima volta che aveva pianto? Non sapeva nemmeno se l’avesse mai fatto in vita sua.
Non sapeva nemmeno se avesse dovuto vergognarsene.
“Shinichi... amico...”
S’alzò dalla sedia e fuggì via dalla stanza, allontanandosi da Ran che s’era appisolata una mezz’oretta prima.
 
 
 
 
Scoccò la fine della quarta, e Shinichi era ancora lì, nella stessa posizione di cinque settimane prima. Non più coma, adesso era «stato vegetativo». Adesso nessuno più aveva nemmeno la forza di sperare.
Una mattina, nel solito controllo giornaliero, il medico curante del liceale si intrattenne un po’ di più nella stanza: s’avvicinò a Yusaku e Yukiko e chiese loro di uscire per poter parlare. I due genitori lo seguirono e scomparirono per qualche minuto. Tutti sospettavano, e conoscevano, quale fosse l’argomento della conversazione. Al loro ritorno non dovettero nemmeno chiederlo. Furono loro a prender parola:
“Shinichi è in stato vegetativo” disse Yusaku, rivolgendosi ai presenti. Era la prima volta che parlava dopo settimane. “Sapete cosa significa...”
Tutti si ritrovarono ad abbassare il capo senza rispondere.
Yukiko si teneva le braccia con le mani. “Il medico ci ha di nuovo accennato l’eutanasia” interruppe il marito, tremando con la voce a quella parola.
“Noi...” continuò Yusaku, ma venne nuovamente bloccato, stavolta da Ran.
“N-non possiamo farlo m-morire, così! Senza aspettare! Pot-trebbe svegliarsi da un momento all’altro!”
Tutti zittirono.
“Chi siamo noi per decidere della sua vita?” continuò la karateka, le lacrime che le scendevano pesanti sulle guance.
“Nessuno” rispose Yusaku. “Io, specialmente, non sono nessuno. Sono il principale responsabile di tutto ciò.”
“No, Kudo”, Kogoro utilizzò un tono molto dolce. “Non è colpa tua. Non puoi continuare a pensarlo.”
Lo scrittore fece un debole sorriso amaro. “Ah, sì? Tu come ti sentiresti al mio posto, sentiamo? Dovrei starci io su quel letto, non lui.”
“Y-Yusaku...” mormorò la moglie, lasciando andare una lacrima. L’investigatore privato tacque, mentre Hattori riprendeva parola.
“A-avete deciso cosa fare?” la voce gli tremava di paura. “Intendo...”
I genitori scossero il capo, abbassando lo sguardo al pavimento.
“Non so se riuscirei davvero a farla staccare quella maledetta spina” si lamentò l’attrice, inspirando profondamente. “Ero favorevole all’eutanasia, s-sapete... ma è tutto diverso quando la cosa ti tocca direttamente...”
“Io sono contraria” specificò di nuovo la karateka. “A-aspetteremo! Aspetteremo che si risvegli, anche se sarà tra dieci anni. Non possiamo abbandonarlo così.”
“Lo fai per te o per lui?” s’intromise con voce glaciale Shiho. Ran si scontrò col suo sguardo e ricambiò l’occhiata profonda.
“Io...”
La scienziata la ignorò. “Ti piacerebbe vederlo vivere dieci anni così? Su un letto? Pensi che lui possa essere d’accordo?”
“Tu vuoi farlo m-morire, dunque?”, la karateka ricominciò a lacrimare.
“No” rispose l’altra. “No... per niente. Ma non possiamo essere egoisti e pensare solo a noi o al nostro dolore.”
“Lui potrebbe svegliarsi” ripeté la bruna, cercando di mantenere un tono sicuro.
“R-Ran...” cercò di avvicinarla e di abbracciarla il padre, ma la giovane si sottrasse.
“Siete tutti f-favorevoli?!” urlò poi, mangiando le sue stesse lacrime. Si girò verso l’amico detective e lo chiamò: “anche tu, Heiji?!”
Hattori non parlò subito. Cosa avrebbe dovuto dire?
“Non voglio che muoia”, così esternò quello che gli stava attraversando la testa. “Ma non voglio che debba vivere in questo modo.”
“Quello che vorremmo tutti” convenne Agasa, malinconico.
“Voi... no...” Ran li guardò e le mancò il fiato necessario per completare la frase. Li superò e corse via dalla stanza; voleva allontanarsi, almeno per qualche istante, da quel vero e proprio incubo.
 
 
“Siete sicuri, dunque?”
Nessuno riuscì ad annuire, ma i loro volti riuscirono a suggerire la risposta.
“Domani all’alba staccheremo la spina” decretò il dottore, con un tono sicuro ma amareggiato.
“Mi dispiace molto.”
Yusaku strinse i denti e rilasciò andare una lacrima, a cui ne seguì un’altra e poi ancora un’altra. Yukiko s’accasciò a terra, senza respiro. Agasa abbassò il capo e lasciò che le lacrime gli ricadessero sulle ginocchia. Shiho diede un pugno alla porta, ansimò e andò via. Saigo abbassò il capo ed avvertì una fitta al cuore. Jodie portò una mano alla bocca e sussurrò uno stentato “cool guy...”.
Heiji avvertì il mondo intorno a lui annullarsi, era finito tutto.
 
 
 
La giovane Mouri fuggì via verso la villa. Ogni metro che percorreva era un passo al di fuori di quella situazione. L’ospedale era la tomba delle speranze e delle illusioni, la fine di una vita d’emozioni. Per cosa avrebbe vissuto lei adesso? Per il ricordo di una persona svanita nel nulla, e senza alcuna ragione? Come potevano anche lontanamente accettare la sua morte? Lei non ci sarebbe mai riuscita. Ogni cosa che le era appartenuta era collegata a lui, ogni ricordo vedeva la sua faccia. Fin da piccola, alle elementari – con i suoi dispetti infantili –, alle medie – con le loro litigate da ragazzini –, sino alle superiori – dove avevano incominciato a capire di non poter fare a meno l’uno dell’altro.
Entrò in casa e sbatté con forza la porta dietro di sé, accasciandosi a terra. Era convinta non ci fosse nessuno, che fossero tutti a decidere della sua vita in quel dannato ospedale. Versò fiumi di lacrime sul pavimento, sferrò i pugni contro quel parquet. Sperò che facendosi male sentisse meno dolore. Sfogò tutta la rabbia che aveva in corpo, scagliò lontano da lei ogni oggetto che le era vicino.
“Perché... perché...” urlò alla villa muta e silenziosa, inclinando la testa all’indietro. “Perché...”
Il suo pianto divenne incontrollabile: il respiro cominciò a mancarle e a mal funzionare. Ansimava e non aveva alcuna voglia di calmarsi. Si scompigliò i capelli con le mani, li strattonò, quasi avrebbe voluto strapparli via. Gli occhi le si annebbiarono, e tutto intorno si sfocò e perse consistenza.
“Shinichi...” lo chiamò e quasi sperò che lui potesse risponderle. “Shinichi... p-perché...”
Le mani scivolarono sulla faccia, le unghie la graffiarono con forza. Quando le sue palpebre riuscirono ad aprirsi di nuovo, Ran notò il suo borsone poggiato all’ingresso insieme agli altri. Lo raggiunse gattonando e rovistò tra la sua roba con forza e violenza. Ne estrasse fuori una collana a forma di ruota, il portafortuna che le aveva regalato Kazuha.
“È una ruota che aiuta a far girare la sorte all’occorrenza. Se tutto va bene, non si deve toccarla; se le cose vanno male, farla girare aiuta il cambiamento! Bello no?”
Strabuzzò gli occhi e con tutta la forza che aveva in corpo diede una spinta alla ruota: questa girò instancabilmente, senza fermarsi, per circa un minuto. Poi il moto cominciò a scemare, fin quando non si fermò del tutto.
“Ti prego...” implorò, stringendola forte tra le mani. “Ti prego...”
Alzò il capo nell’udire dei passi avvicinarsi. Si ritrovò di fronte Hana, che la stava osservando e aveva un’espressione tutt’altro che felice.
“Hanno...deciso?” chiese con titubanza, notando la sua disperazione.
Ran mosse impercettibilmente il capo. “S-Sono f-fav-vorevoli...”
Hana deglutì, socchiudendo gli occhi. Lasciò che la giovane lasciasse andare un altro paio di gemiti prima di parlarle.
“Devo... devo darti una cosa” mormorò con voce fioca.
Ran smise di respirare per qualche secondo.
“Shinichi...” continuò la ramata. “Mi ha detto di consegnartela casomai fosse...”
“Cos’è?!” la interruppe la mora, issandosi immediatamente all’in piedi.
Hana non rispose, le fece solo cenno di seguirla. Camminarono velocemente verso la stanza delle ragazze: la ramata afferrò la sua borsa e la poggiò sul letto. Dalla tasca laterale ne estrasse una busta rettangolare bianca, sigillata con la suasaliva.
Ran l’afferrò con le mani tremanti e gli occhi sporgenti.
“Non l’ho aperta” la rassicurò, notando la sua indecisione. “L’ha consegnata a me perché lo scoprii scrivertela... la prima notte che arrivammo qui.”
Prese una pausa poi continuò, immergendosi nei suoi ricordi.
“Cos’è?” Hana balzò alle spalle del detective come un felino. Shinichi sussultò, e issandosi improvvisamente, s’allontanò di qualche passo. Era arrossito violentemente, e nel scontrarsi con la giovane ramata assunse una seria e vivace tonalità rossastra.
“Eh? N-no... n-nulla...” balbettò, deglutendo e maledicendo la notte e il buio per non averla nemmeno avvertita arrivare.
“È una lettera?” continuò lei, ravvivandosi.
“Eh?! No!” rispose lui con violenza. “Appuntavo i... i particolari del caso.”
Hana lo guardò con espressione furba. Fece scivolare le gambe sul muretto e si sedette con eleganza.
“Dai, a me puoi dirlo.” Insistette. Shinichi sbuffò.
“Facciamo così” disse lei, ridacchiando. “Io ti dico un segreto, e tu farai altrettanto.”
“S-segreto?”
Hana annuì, poi spostò lo sguardo verso gli alberi della villa.
“Sai perché ci ho provato con te?”
Il detective arrossì ancora di più.
“Volevo che Ran, in questo modo, si allontanasse da te. E sai perché?” continuò, e notò d’aver attirato la sua attenzione.
“Perché credo che sia una ragazza meravigliosa, che possa ridare a mio fratello la felicità. E infatti, per un po’, sembrava che ci fossi riuscita.”
“L’hai fatto per lui?”
Lei annuì. “Solo per lui. Ho notato fin da subito che fosse attratto da Ran, mi piacevano insieme. Sarebbero potuti essere felici. Perché loro non avevano niente a che fare con questa storia.”
Shinichi abbassò il capo, strofinando il foglio di carta tra le sue mani.
“Ma lei è innamorata di te” disse poi, facendogli issare di nuovo lo sguardo. “Ed io e Higo non possiamo farci proprio nulla.”
“Io non ne sarei così sicuro” commentò lui, amareggiato.
“Lo è, forse non ha ancora capito come stanno effettivamente le cose, ma lo è ancora.”
Il detective non rispose, e Hana si fermò ad osservarlo per qualche minuto.
“È una lettera per lei?”
Lui annuì impercettibilmente.
“Vorresti dargliela?”
Lui ci pensò un attimo su. “Solo se non ce la facessi.”
“Come siamo ottimisti.”
“È la verità.”
Hana annuì leggermente. Lo vide avanzare verso di lei, e con pazienza aspettò che continuasse.
“Se dovessi morire...” Shinichi le fece un sorriso. “Mi prometti che gliela consegnerai?”
La ramata sorrise. “Certo.”
Il detective prese una busta rettangolare bianca, facendo scivolare dentro il foglio e un altro oggetto, che lei non riuscì ad identificare. La chiuse con la sua saliva e gliela porse.
“E non mi guardare così” le disse, con le guance in fiamme. “Non sono mica uno sdolcinato.”

Ran aveva il cuore che le batteva all’impazzata. “Shinichi...” mormorò, lasciando che le sue lacrime si infrangessero sulla busta bianca.
“Era imbarazzatissimo, credimi” continuò Hana, abbozzando un sorriso amaro. “Anche il giorno dopo...”
“Quindi sei la sorella di Yami, eh?”, il detective tentò di cambiare argomento, con un leggero rossore al viso.
“Già” rispose lei, sognante. “Il mio fratellino... l’unico che possa considerare un vero amico.”
“Credo che tu sia stata felice di rivederlo, nonostante la situazione...” Shinichi abbozzò un sorriso, e per un attimo si scontrò coi suoi occhi.
“È stato bellissimo, credimi. Non ricordo di aver sentito un’emozione simile prima...” disse lei, osservandolo compiaciuta. Shinichi riuscì di nuovo a sorridere, sebbene la trasfusione di mozzava il respiro. Hana gli era di fronte, accovacciata alla sua altezza al pavimento.
Il detective era ansimante, affaticato e decisamente dolorante. Maledetta sedia...
“È qualcosa che ci appartiene e per sempre” continuò la ramata.
“Io non sapevo nemmeno cosa fosse...”, avvertì Hana starnutire. “...l’amicizia vera.”
“Hattori?” rise lei, poi si lasciò andare ad un altro starnuto.
Lui annuì appena.
“Ma questo resta tra noi”, doveva smetterla di essere così dolce! “...come l’altra cosa.”

“No...” la giovane si portò una mano alla bocca, mentre le sue lacrime bagnavano le sue guance e il collo con rapidità. “Shinichi...”
Hana le sorrise, le diede una pacca sulla spalla e lasciò la stanza. Ran rimase qualche minuto lì, da sola, senza aprire la busta e senza nemmeno la facoltà di leggerla. Aveva sempre dubitato di lui quando non avrebbe dovuto avere nemmeno una ragione per farlo. Continuò a singhiozzare, e con mani tremanti aprì la busta, scartandola. Cercò d’essere delicata ma la voglia di leggere cosa le avesse scritto era incombente e violenta.
Notò che nella busta c’erano due particolari: il primo, il foglio con la sua scrittura e le sue parole, il secondo era un portafortuna. Il suo, quello che gli aveva regalato mesi prima e che citava ‘l’intelligenza’, quello con cui avrebbero dovuto affrontare gioie e dolori insieme. Quello che lui aveva finto di buttare...
Lo portò fuori e lo strinse a sé, sul suo petto, sul suo cuore tamburellante.
“S-Shinichi...”
Dispiegò il foglio di carta, era un normale A4 di stampante.
 
 

Ho voluto morire prima di regalarti davvero me stesso. So che mi avresti voluto diverso, magari più dolce e sincero, magari meno sbruffone. So che forse non avresti accettato mai la mia mania a mentirti e la mia tendenza a metterti dopo i miei casi, so anche che non avresti mai voluto che finisse tutto con le mie bugie. Mi dispiace non averti regalato quello che avrei potuto o non averti dedicato le mie parole più belle. Ma purtroppo sei il caso più difficile e complicato che mi sia mai capitato. Talmente diversi sono i sentimenti che provi contemporaneamente che per me è impossibile capirti. In fondo, il cuore della donna che amo, come potrebbe essere oggetto di deduzione?
Avrei voluto essere la luce che illumina il tuo viso, essere la spada che difende il tuo sorriso, essere lo specchio in cui ti vedi, il posto su cui siedi, essere la calza che ti scalda i piedi, essere la lingua che ti assaggia, la tua mente che liberamente viaggia, essere il suono che ti scalda sulla spiaggia, la tua mano protettrice che ti rilassa, essere le lenzuola su cui poggi le tue grazie preziose, essere il baule in cui racchiudi le tue cose, il diario a cui affidi i tuoi segreti, essere la visione di ciò che non vedi, la risposta che volevi,essere come il tuo santo protettore quando preghi, essere il fuoco che ti scalda dal camino, essere... il tuo uomo e il tuo bambino.
Vivi più che puoi, perché con te vivrò anche io.
Shinichi

 
 
Ran piangeva. Piangeva senza riuscire o volere fermarsi.
Il suo cuore piangeva, il suo cervello piangeva, la sua bocca piangeva.
“N-non puoi chiedermi di vivere senza di te...”
La sua voce piangeva, i suoi muscoli e le sue dita.
“Non posso vivere senza di te, Shinichi...”
Si accasciò al pavimento, perse i sensi lasciandosi andare alla morbidezza della moquette. Impresse sul suo viso vi erano ancora quelle parole: “Non voglio amore mio”.
 
 
 
“È colpa mia... è colpa mia... è colpa mia...” sussurrò, ma nessuno riuscì ad udirlo.
Il buio che circondava la stanza non avrebbe potuto mai coprire i suoi sensi di colpa.
Portò una siringa al braccio, e con violenza fece scivolare il liquido all’interno. Un grido di dolore, poi nulla più.







....Ciao :(
Sono depressa anche io, lo sono perché questo capitolo è davvero davvero triste. 
Credo che sia il più triste che abbia mai scritto in vita mia, e un po' spero di essere riuscita a trasmettere questa tristezza anche a voi. 
Mi dispiace non aver risposto alla recesioni, ma ho dato completa attenzione al capitolo, è il penultimo ed è importantissimo, quindi doveva venire bene. 
Sì, avete capito bene... il prossimo è l'epilogo della storia, l'ultimo capitolo. 
Shin-chan è morto, ma le brutte sorprese non finiscono qui. Ancora non so bene come strutturare il prossimo, ma mi verrà qualche idea in mente XD
Diciamo che... generalmente, io sono favorevole all'eutanasia. Non so però se mi trovassi ad affrontarla direttamente se cambiassi idea, probabilmente sì. Però, nell'incertezza, ho voluto seguire la mia idea originale, pensando che Shinichi non avrebbe mai voluto vivere su un letto d'ospedale per tutta la vita. Spero che almeno su questo siamo d'accordo!
Finalmente avete scoperto cosa combinò Shin-chan la notte che non dormì nel suo letto, e cosa significavano quelle parole....:)
Ehm... la lettera, poi. Devo ammettere che ero indecisa all'inizio... non sapevo se inserirla o no. Avrebbe potuto rendere Shinichi OOC, ma alla fine ho creduto che, se fosse morto, sarebbe stato capace di abbassare le sue barriere. Ci tengo a dire che le parole centrali ovviamente non sono mie, ma appartengono alla dichiarazione di Londra by Gosho. Mentre quelle che vengono subito dopo nemmeno sono mie, ma appartengono ad una canzone, questa: http://www.youtube.com/watch?v=6Z9qquZUTOE  , che fin da quando ho ascoltato per la prima volta ho creduto che cadessero a pennello su Shinichi e Ran. 
Be', siamo quasi alla fine, il prossimo è l'ultimo chap, ed io spero che anche questo vi sia piaciuto, nonostante tutto :)
Grazie a chi ha commentato, a chi lo fa sempre e a chi mi manda messaggi personali. Solo grazie a voi a fan fiction è arrivata fin qui.
Un bacione, a presto.
Tonia

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Capitolo 39
*** Epilogo ***


 
«Veleno! È stato questo la tua fine?
Cattivo! L’hai bevuto fino in fondo,
senza lasciarmene una goccia amica
che m’avrebbe aiutato!
Bacerò le tue labbra: c’è rimasto
forse un po’ di veleno a darmi morte
come per un balsamico ristoro.»
 
 “Romeo e Giulietta” di W. Shakespeare
V atto, III scena

 

Epilogo

 
 
 
Ospedale di Washington, ore 06:00
 
 
“Siete sicuri di voler restare?”
La voce del chirurgo giapponese, dolce e rassegnata, arrivava lontana alle loro orecchie. In camera di Shinichi vi erano rimasti Yukiko ed Heiji, gli unici che avessero voluto assistere agli ultimi istanti della vita del detective. La madre era disperata, gli occhi lacrimavano senza sosta e il respiro non riusciva a tranquillizzarsi. Singhiozzava e si teneva sulla spalla dell’altro liceale, di quello che assomigliava tanto a suo figlio tra le tante diversità. Heiji non guardava, non annuiva, voleva soltanto stargli vicino. Una volta tolta quella spina non sarebbe soltanto morto lui, ma anche una parte della sua vita. Il migliore amico che avrebbe voluto fin da piccolo e che invece aveva trovato soltanto a diciassette anni, soltanto un anno prima.
Il medico titubò: sapeva quanto fosse straziante tutto ciò, eppure non riusciva ad andare avanti ascoltando i singhiozzi ininterrotti di Yukiko Fujimine.
“Siete ancora sicuri di voler...?” chiese allora, imbarazzato. Era una domanda un po’ stupida, e lui se ne rese conto subito dopo: come poteva essere sicura una madre della morte di un figlio? Eppure a volte la vita ti pone davanti ad un muro senza porte, senza alcuna via d’uscita.
“Signori” li chiamò l’uomo, i due alzarono impercettibilmente il capo. “Perché non lasciate la stanza per qualche minuto? Potreste restare con lui ancora un po’ se vorreste.”
Heiji guardò la madre dell’amico e con un braccio l’aiutò ad alzarsi. Fece qualche passo ed il medico si scontrò con i suoi occhi: erano rossi, erano gonfi e tirati, erano umidi sotto le palpebre.
“U-usciamo un attimo, ok?” balbettò il ragazzo.
L’uomo annuì, li seguì e uscì dalla stanza.
 
 
I primi raggi del Sole, tiepidi e fievoli, illuminarono la facciata orientale della villa. Era l’alba di un nuovo giorno, quello della fine di una vita. Yusaku era seduto a terra con lo sguardo fisso nel vuoto, gli occhi lucidi e il viso paonazzo. Accanto a lui, vuota e rotolante sul pavimento, una bottiglia di Korn. In mano, gocciolante sul parquet della villa, una seconda bottiglia dello stesso alcol micidiale, dello stesso liquore che aveva ucciso suo figlio. Perché non aveva fatto indigestione a lui? Perché non poteva farsi male?
Gli agenti dell’FBI avevano fatto scomparire ogni pistola, quasi come se l’avessero capito. Anche il sediolino su cui Shinichi faceva le trasfusioni era stato smantellato da Agasa, lui l’aveva capito.
Cosa doveva fare per uccidersi?
Morire prima ancora che lo facesse il piccolo dai suoi stessi capelli corvini e ribelli appariva adesso come la cosa più giusta da fare. Eppure non poteva, non dopo che il figlio aveva rischiato la vita per salvare la sua. Non poteva rendere vani i suoi sforzi e il suo ultimo grido.
“PAPA’!” urlò e portò le mani avanti, attraendo l’attenzione di Yusaku. Fu un attimo: il fucile di Korn, dapprima puntato sullo scrittore, virò fino al corpo del figlio: l’abilità da cecchino che lo caratterizzava non mancò di trionfare nemmeno in quel caso.
Papà era stata la sua ultima parola.
Guardò l’orologio: il quadrante era sfocato ai suoi occhi, nemmeno riusciva a distinguere le lancette. Ma non aveva bisogno del minuto esatto per capire che ore fossero. Era l’alba, era l’alba ormai...
 
 
Il camice da infermiera le andava largo, ma era l’unico che aveva trovato disponibile. Se lo strinse in petto ed avanzò verso una donna, che aveva l’aria di essere una sua probabile collega.
“S-scusa” la chiamò e quella si girò. “Mi indichi il laboratorio chimico dell’ospedale?”
La donna, decisamente robusta e forzuta, le scoccò un’occhiata truce.
“What?” domandò.
Aveva dimenticato d’essere in America...
“Oh, sorry. Can you show me hospital’s chemical laboratory?”
L’infermiera continuò ad osservarla con fare sospetto. “Are you taken recently?”
La giovane da lunghi capelli bruni fece un leggero sorriso. “Yeah.”
Finalmente la donna sembrò fidarsi.
“Is on the third floor, there is a long corridor... Walk it all, it's the last door on the right.”
Ran sperò di aver capito bene. “Thank you.”
Terzo piano, lungo corridoio, ultima porta a destra. Perfetto: il cianuro di potassio era senza dubbio lì dentro.
 
 
“Check the corridors, verify there are no patients or families around them.”
La seconda guardia, l’agente più giovane annuì. Era il suo primo giorno lì e non aveva alcuna voglia di sbagliare.
“Yes, captain.”
Il ragazzo si fissò davanti ai monitor. Tutte le telecamere dell’ospedale erano sotto i suoi occhi, e vigilare che non ci fosse nessuno dappertutto era più difficile di quanto pensasse. Osservò il primo piano ed era libero. Osservò il secondo: libero. Osservò il terzo: vi erano due infermiere che entravano in due diverse porte, mentre vicino ad una finestra erano accostati una donna e un ragazzo.
“There are two people on the third floor.”
Il capitano della sicurezza s’avvicinò ai monitor, li scrutò per un po’, e poi notò anche il dottor Washituru. Ci aveva parlato dieci minuti prima.
“Don’t worry. They can stay.”
 
 
 
Ospedale di Washington, ore 06:30
 
 
Il dottor Washituru tornò in camera e notò vi fossero anche la mamma e l’amico di quel giovane ragazzo costretto alla morte. Yukiko non singhiozzava più, ma il suo pianto era ancora vivace e inarrestabile. Cercava di mormorare qualcosa di indefinito, mentre Heiji le accarezzava la spalla.
Il detective di Osaka guardò l’amico e gli strinse la mano.
“Ti voglio bene” gli disse, mentre una lacrima cadde sul dorso della mano di Shinichi. Quasi ebbe l’impressione che fosse calda. “Quando avrò un’agenzia tutta mia la chiamerò Kudo. Te lo prometto.”
“T-ti amo Shin-chan” dopo un paio di minuti gli si rivolse la madre. Si staccò dal detective e portò la sua mano sul suo petto. Anche lei notò che fosse più calda del normale. “T-ti ho amato fin dal primo giorno che ho saputo della tua esistenza. Sei stato la cosa più bella che mi sia mai capitata.”
Heiji rilasciò andare un’altra lacrima, mentre il dottore abbassò il capo stringendo le mani.
Yukiko si allontanò leggermente, e l’uomo chiese conferma ai due se potesse procedere.
Faticarono ad annuire.
Passarono altri cinque secondi, il medico si accovacciò e staccò la spina. D’improvviso tutti i valori che testimoniarono il coma del ragazzo si spensero, e il suo battito, quello che fino alla fine era rimasto, divenne una linea dritta e muta.
 
 
Yusaku si alzò, barcollante, lasciando infrangere a terra anche la seconda bottiglia di Korn. Si diresse verso la porta d’entrata, la chiuse dietro di sé. Volse lo sguardo al Sole e se ne ritrovò abbagliato, fu costretto a chiudere gli occhi. Odiava l’alba con tutto se stesso.
Shinichi...girò il capo coi capelli scombinati verso oriente ed occidente. Shinichi...
Camminò, lo ricercò, e senza volerlo, si diresse di nuovo verso l’ospedale.
 
 
“Eccolo...”
Ran afferrò tra le sue mani il vasetto con la scritta KCN. Il cianuro di potassio era tra le sue mani, e tra un po’ le avrebbe permesso anche di raggiungere la persona che più amava al mondo. Voleva soltanto salutarlo un’ultima volta, un’ultima volta prima che anche lei non riuscisse a vedere più nessuna alba. Lasciò il laboratorio chimico e si diresse verso la sua stanza: in lontananza notò Heiji e Yukiko andare via, sotto braccio. Era ormai troppo tardi...
 
 
La guardia notò che i due pazienti a cui il suo capitano aveva lasciato libero arbitrio stavano andando via. Proprio in quel momento avevano percorso il corridoio, avevano sceso le scale e s’erano imbattuti in un’infermiera. Era bionda. Dalle telecamere sembrava anche molto carina. Quando la videro i due sobbalzarono: le stavano chiedendo qualcosa, sembravano dapprima distrutti, poi agitati.
Volse lo sguardo ad un’altra telecamera: c’era un uomo in giardino, bruno e dall’aspetto familiare, che barcollava tra il primo e secondo edificio in evidente stato di ebbrezza.
Sbuffò, e guardò il suo capo: “There is a man outside the building.”
Il capitano si volse ad osservarlo: “Who?”
“I don’t know” disse lui. “Wait, he is entering. He is drunk, what should we do?”
“Let's take a look.”
 
 
Ospedale di Washington, ore 06:45
 
“S-Shinichi...”
Yusaku camminò per il corridoio del secondo piano del primo edificio dell’ospedale. Continuava a barcollare, e la vista era sempre più annebbiata e sbiadita. Non riusciva a vedere oltre il metro, e non riusciva nemmeno a decidere dove andare. Aveva il fiatone e lo stomaco gli faceva malissimo, come se qualcuno l’avesse perforato con mille chiodi. Alla fine del corridoio vi era una porta, era quella di sicurezza. Oltre l’infisso intravide le scale antincendio che percorrevano tutta l’altezza dell’edificio. Uscì fuori e guardò verso l’alto: erano più di quattro piani. Singhiozzò e barcollò all’indietro: se si fosse buttato da lì sarebbe riuscito a morire? Per un attimo ci pensò. Poi ricordò: Shinichi era morto per lui.
“È morto... morto per me”
Dannati raggi di Sole che già illuminavano tutto! La fronte sudata e i capelli appiccicati gli cadevano avanti, infastidendolo, e tutto il corpo rilasciava acqua in eccesso. Cominciò a salire le scale con un’inesorabile lentezza e stravaganza: la sbronza non gli permetteva di mantenere l’equilibrio per più di dieci secondi. Raggiunse il terzo piano, lo guardò: gli era familiare. Si appoggiò al vetro e lo scrutò per un po’ da fuori. Certo, era il piano dov’era ricoverato suo figlio. Chissà se era ancora in camera sua, chissà se l’avevano già portato all’obitorio. Non ci pensò un attimo in più e virò verso la porta: voleva rivederlo.
 
 
 
Ran avanzò verso di lui. Guardò i macchinari staccati, il suo corpo inerme sul letto. Era bello, bellissimo. Nessuno avrebbe mai potuto raggiungere tanta bellezza e attrazione, nessuno. Nemmeno la morte gliel’aveva tolta.
 

«O mia Giulietta,
perché sei tanto bella ancora, cara?
Debbo creder che palpita d’amore
l’immateriale spettro della Morte?
E che quell’aborrito, scarno mostro
ti mantenga per sé qui, nella tenebra,
perché vuol far di te la propria amante?
Per tema, io resto qui con te, in eterno;
e più non lascerò questa dimora
della notte, qui, qui, voglio restare
insieme ai vermi, tue fedeli ancelle,
qui fisserò l’eterno mio riposo,
qui scrollerò dalla mia carne stanca
il triste giogo delle avverse stelle.
Occhi, miratela un’ultima volta!
Braccia, carpitele l’estremo amplesso!
E voi, mie labbra, porte del respiro,
suggellate con un pudico bacio
un contratto d’acquisto senza termine
con l’eterna grossista ch’è la Morte!»

 
Già, la loro recita. Romeo e Giulietta, Shinichi e Ran. Non c’era alcuna differenza, era soltanto il gioco sadico  e spaventoso del destino. Il veleno era tra le sue mani, pronto per essere inghiottito e fatto scivolare giù per il suo corpo. Lo accarezzò sul dorso della mano, sembrava addirittura caldo.
“Sei meraviglioso”, rilasciò una lacrima che cadde sul suo viso. “Non potrei amare nessuno come ho amato te, nemmeno volendo, perché nessuno al mondo potrebbe mai eguagliarti.”
Si sporse verso il suo viso, riuscì addirittura ad odorarne quel profumo. Baciò le sue labbra: non erano fredde e secche come se l’aspettava, ma erano calde e morbide. Sorrise leggermente, ricordando che le erano sempre piaciute, fin dalla prima volta che poté assaggiarle.
“Scusami se non ti ho dato la possibilità di spiegare, scusa se non mi sono fidata di te.”
Gli diede un altro bacio.
“Ma non rimproverarti di non essere mai riuscito a capirmi. In realtà è l’esatto contrario: hai sempre saputo tutto prima ancora che mi accadesse.”
Le sue parole coprirono il rumore di un leggero fruscio: l’indice destro di Shinichi s’alzò.
“Scusami anche se non ti ho ascoltato. Scusami amore. Ma non riuscirei mai a vivere senza di te, senza i tuoi occhi e il tuo profumo. Non potrei mai volere accarezzare un’altra pelle né baciare altre labbra. Eri e sei il senso della mia vita, Shinichi. Ti amo.”
Le mani le tremavano, ma non ci pensò un secondo in più: fece scivolare tra le sue dita un po’ di cianuro di potassio. I nervi erano tesi come corde di violino. Portò la mano vicino alla sua bocca.
Lo sapeva, lui gliel’aveva ripetuto più volte: il cianuro di potassio agisce all’istante, quindi non avrebbe nemmeno avuto il tempo di soffrire. Un secondo e l’attimo dopo l’avrebbe raggiunto. Chiuse gli occhi, riuscendo già ad avvertire quella puzza di mandorla acida infiammarle la lingua e la bocca. Era finito tutto, per lei, per lui e per il mondo. Era finito tutto, ma lei non poté saperlo: qualcosa scosse le lenzuola, smuovendole. Era la mano di lui.
 
 
“M-Miyano?”
Heiji sobbalzò nel vederla arrivare, ma lei non sembrava particolarmente scossa. Era vestita da infermiera ed aveva il taschino del camice rigonfio.
“Ma... che... che stai facendo?”
“Era l’unico modo per non destare sospetti alle sei del mattino” spiegò, guardandosi e tirando su un po’ di stoffa della divisa.
“Destare...sospetti?”
“Sì. Non so se sai che di notte non si può girovagare per gli ospedali come se nulla fosse.”
“Certo, ma... perché?” inarcò un sopracciglio quello di Osaka.
La scienziata abbassò lo sguardo ed intrufolò la mano nel suo taschino; ne estrasse una siringa.
“L’ho completato stanotte e l’ho provato su di me. È l’antidoto definitivodell’apotoxina.”
“Oh!”, “Cosa?!” per un attimo sia il detective che l’attrice si colorarono. L’antidoto definitivo: quello che Shinichi avrebbe voluto più di ogni altra cosa al mondo, era davanti a loro. Poi ricordarono: la spina era già stata staccata. Era stato tutto inutile...
“È... è troppo tardi anche per somministrarglielo...”
Shiho mostrò loro meglio la siringa. “Non vedete? È vuota.”
I due non riuscirono a capire.  “Che vuoi...?”
“Gliel’ho già somministrato. Quando voi siete usciti, quando era ancora vivo.”
Heiji avvertì l’aria arrivargli alla gola ma senza riuscire ad uscire.
“C-cosa?”
“Glielo dovevo” disse.
“Sì, ma...” balbettò Heiji. “Cioè... cosa gli è successo?”
Lei scosse il capo. “Non ne ho idea. Potrei elencarti le conseguenze su un soggetto normale – o meglio, su un soggetto a cui era stata somministrata l’apotoxina ed era in salute. Ma con un soggetto in coma, o meglio in stato vegetativo, io... non lo so” abbassò il capo, sembrava amareggiata e stravolta. “Purtroppo non sono potuta rimanere. Stava arrivando il chirurgo.”
“Ma non c’è nessuna possibilità che l’antidoto abbia potuto... in qualche modo... s-svegliarlo!?” chiese con veemenza il giovane, avvicinandosi all’amica.
“Ma... il dottor Washituru... ha... ha staccato la spina” si lamentò Yukiko, era come se improvvisamente volesse tornare indietro ed impedirglielo. Perché non aveva aspettato ancora?
“Be’, in realtà, se l’antidoto avesse davvero compiuto miracoli... che la spina sia stata staccata non importerebbe. Se, e sottolineo il se, fosse successo... a quel punto, Kudo sarebbe uscito dal coma e non avrebbe più avuto bisogno di un’altra alimentazione.”
Heiji ascoltò tutto con le orecchie tese: c’era una piccola possibilità che l’amico fosse ancora vivo o stava impazzendo lui? Forse la seconda, decisamente stava sognando. Avrebbe voluto raggiungerlo, ma Yukiko stava per svenire: si sentiva male, e per sorreggersi, s’appoggiò al giovane.
“Non...non mi sento bene...” mormorò, scivolando fra le sue braccia. Cominciò a vedere i volti sfocati, ma in realtà ne distingueva solo uno, quello di suo figlio.
“Yukiko!?”, avvertì la voce di Heiji e gli parve quella della piccola peste che aveva dato un senso alla sua vita.
Lo guardò: il volto era proprio quello del liceale di Tokyo.
“Shi...Shin-chan...”
 
 
“Stop! Hands up!”
Yusaku si voltò all’indietro: vide due agenti della sicurezza mirargli una pistola contro e intimargli di alzare le mani al cielo. Neanche fosse un ladro! Avvertì il suo corpo tremare e ne ignorava la ragione: quelle pistole avrebbero potuto ucciderlo, volendo, se solo li avesse aggrediti... se avesse finto di reagire male! Bastava una pallottola dritta in cuore e i conti si sarebbero eguagliati. Eppure qualcosa lo frenava, e non era paura.
“Shinichi è morto per me, dannazione, per me...” mormorò in giapponese, incuriosendo quei due.
Inoltre non poteva di certo lasciare Yukiko sola, a crogiolarsi nel dolore. No, non l’avrebbe fatto.
“I'm just a father who wants to say thanksto his son. Just a father who wants to say sorryto his son.”
“Are you the boy’s father? The famous writer?” domandò il capitano, colpito.
Yusaku annuì a fatica.
“I’m really sad for your son.”
Lo scrittore sentì gli occhi bruciare. Si girò e continuò, dritto verso la stanza del giovane detective. Sperò con tutte le sue forze che fosse ancora lì, anche solo per dirgli davvero un’ultima volta “scusa”. Aprì la porta lentamente, alzò gli occhi al letto e s’imbatté nella figura della ragazza. Fu un attimo. Protese le mani in avanti, cercando di raggiungerla, mentre un grido gli partì spontaneo dalla gola: “RAN!”.
 
 
 

Un anno dopo

 
 
Jodie fu la prima ad arrivare al cimitero, in un elegante abito azzurro dalla spallina contornata di cristalli. Si prospettava una bella giornata quella: il Sole splendeva alto nel cielo e con i suoi raggi spazzava via le nuvole bianche. Vi era un leggero venticello che donava sollievo al collo e alle braccia, accaldati per le prime calure estive. Avanzò verso il rettilineo e poi girò a destra, ritrovandosi di fronte alla tomba di quel ragazzo dagli occhi azzurri e dai capelli corvini che aveva dato filo da torcere a quella dannata organizzazione. Solo qualche giorno prima vi era stato l’ultimo arresto, quello del loro boss. Lui aveva fatto sì che ci si arrivasse. Un ricordo lontano, ma pur sempre vivo. Si concentrò sulla foto: era davvero bello, ma la morte l’aveva strappato alla vita spericolata che aveva condotto fin troppo presto. E poi quella lapide accanto, quella della ragazza bruna dai lunghi capelli. Uniti anche lì, proprio come sarebbe dovuto essere. Chissà se poi son riusciti a rincontrarsi, quel giorno...
Dopo qualche minuto, giunse alle sue spalle Yusaku Kudo, accompagnato da sua moglie Yukiko. Entrambi erano davvero belli quel giorno: la donna indossava un abito rosso lungo che le andava a coprire le gambe ma le lasciava scoperte da un lato, mentre il marito aveva optato per un semplice smoking. La bionda abbracciò l’attrice e sorrise allo scrittore, dandogli la mano.
“Come va? È da tempo che non ci vediamo.”
L’uomo annuì, abbozzando un sorriso. “Già. Siamo stati impegnati col trasloco ultimamente, siamo tornati in Giappone.”
“Oh, ma è meraviglioso!” si congratulò l’agente dell’FBI, poi scrutò alcune persone alle sue spalle. Erano Kogoro, accanto ad Agasa e alla giovane e bella Shiho.
Il detective privato probabilmente si stava lamentando di qualcosa, perché aveva un’espressione seccata dipinta sul viso, come quella che assumeva quando Ran lo sgridava di combinare qualcosa a lavoro.
Agasa cercava di sorridere agli altri, mentre la scienziata rimase impassibile. Salutò col cenno del capo il gruppo e poi si concentrò subito sulla tomba: vi era una scritta nera incisa sopra.
Diceva: «Fai buon viaggio, Silver Bullet». Sorrise: ricordava che Vermouth aveva insistito per farla inserire. Abbassò lo sguardo e lo concentrò su qualcos’altro: dietro di lei giungevano Saigo e sua sorella Yukiko. Hana aveva ormai tolto il travestimento: non era più ramata, ma bionda.
Il giovane le si avvicinò e le sorrise.
“Ciao Shiho”, le accarezzò per un attimo la spalla scoperta dal delizioso vestito in seta nera che indossava, ma ritrasse il tocco all’immediato.
“Ciao Higo” replicò lei. “Che hai? Dormito stanotte?”
Lui la guardò con fare ironico. “Più o meno.”
Entrambi guardarono la tomba: era molto statuaria, di un bellissimo marmo di Carrara.
“È già passato un anno” soffiò il giovane Masuyama, rattristito. “Sembra ieri.”
“Ieri proprio no” replicò una voce in lontananza, che proveniva da qualche metro distante. Tutti si voltarono verso il nuovo arrivato: capelli scuri e carnagione olivastra, occhi verdi. Heiji aveva il suo solito sorriso sulle labbra, ma il volto decisamente stanco e tirato lo tradiva. Indossava uno smoking nero col farfallino rosso. All’occhiello un fiore.
“Ma nessuno dorme la notte?” chiese Kogoro, osservandolo.
Heiji lo guardò truce. “C’è gente che lavora, mica come te.”
Mouri ricambiò l’occhiata. Il giovane s’avvicinò al gruppetto: quando fu vicino abbastanza alla lapide ci passò debolmente la mano sopra, poi si alzò.
“Come va l’agenzia Hattori?” chiese Jodie, ammirata.
“L’SHva sempre alla grande.”
“Ovvio, avendomi rubato tutti i clienti...” sbuffò Kogoro ancora, decisamente irritato quella mattina.
“Perché... avevi clienti?” lo punzecchiò quello di Osaka, ridente.
“L’SH?” chiese Jodie, incuriosita.
Lui annuì. “Sta per Sherlock Holmes, o meglio... per ShinichiHeiji.”
“Cool!” approvò l’agente dell’FBI, chiudendo la mano in un pugno ed issando il pollice. “Proprio come Cool Guy, ricordo bene che anche tu eri molto acuto.”
Lui ghignò. “Ricorda bene, miss FBI.”
“La tua fidanzata?” chiese poi Kogoro, facendolo arrossire a dismisura. Odiava chiamare Kazuha la sua fidanzata. Insomma... per gli altri doveva essere la sua assistentee basta. Però quando i ragazzi ci provavano no: lì era la sua ragazza da una vita, e questo doveva essere chiaro a tutti.
“E-ehm... è rimasta a casa, ovvio... non è voluta venire.”
“Eh beh! Immagino, si starà facendo bella per il matrimonio!” replicò con dolcezza Jodie, mentre Heiji distolse a stento lo sguardo, imbarazzato.
“A proposito...”, Yukiko guardò l’orologio e sobbalzò. “È tardi! Dobbiamo andare!”
Diedero un ultimo sguardo alle tombe dei due innamorati, poi fuggirono via.
 
 
La giovane dai capelli lunghi e scuri si scrutò allo specchio, girando un po’ su se stessa. Quel vestito era meraviglioso: bianco, con alcuni brillanti dalle luci dai mille colori a cingerle il petto. La parte superiore le fasciava il seno con grazia, mentre quella inferiore era un trionfo di tulle e seta, coprendole le snelle e belle gambe.
“Oh, sei meravigliosa!”, le dissero le preparatrici con un gran sorriso sulle labbra: per lei quel giorno erano arrivate estetiste, parrucchiere e sarte. La madre l’ammirò per un po’, affascinata da tanta bellezza, poi si fece avanti e le aggiustò il velo in testa, con l’aiuto della sarta.
“Sei la più bella”, e poi le rubò un abbraccio, socchiudendo gli occhi.
Si staccarono e camminarono fino alla macchina. Suo padre era lì ad aspettarla, appoggiato alla carrozzeria dalla vernice bianca della vettura d’epoca. Quando i loro sguardi si incrociarono, per un attimo ebbe l’impressione di star tornando indietro nel tempo: era identica alla madre, circa vent’anni prima. Gli occhi gli si abbagliarono, ma si sforzò di non emozionarsi: era un uomo lui, ed anche un uomo di legge.
“Sei...” cominciò, poi lei rise e lui trovò il coraggio di continuare. “Troppo bella per lui.”
“Dai, papà!” lo rimbeccò, dandogli un colpetto alla spalla. La fece salire in auto, aprendole la portiera, e poi misero in moto l’auto. Percorsero circa tre chilometri: la chiesa era vicina e per fortuna quella mattina vi era un cielo splendido. Aveva temuto tanto che piovesse!
Scese dall’auto, mentre l’agitazione le salì vertiginosamente: erano all’epilogo della loro vita, ma in realtà sapeva che oltre quella storia ce ne sarebbe stata subito un’altra da raccontare. Ma quel giorno tanto bello e tanto caldo pareva la fine di un ciclo e l’inizio di un altro, che sperava ancora migliore del precedente. Fece un passo ed avvertì le gambe tremare sulle scarpe a tacchi alti che aveva comprato. Sarebbe riuscita ad arrivare fino all’altare?
“Sei ancora sicura, vero?” le chiese il padre, prendendola sotto braccio e avvicinandola a lui. “Perché se non lo sei, sappi che a casa ci sono sempre io che ti aspetto.”
Lei rise, arrossendo leggermente. “Sono sicura, papà.”
Lui annuì, ma non sembrava troppo convinto. Continuarono a camminare, e dalla chiesa riuscirono ad avvertire l’eco dell’inno nuziale diffondersi nell’ambiente. Poche note che le entrarono nel cervello e mandarono in tilt il suo cuore: il suo amico d’infanzia era lì, ad aspettarla sull’altare. Col suo smoking nero e col farfallino rosso, col suo fiore all’occhiello che risplendeva nell’immensità dei suoi occhi.
Cominciò a palpitare, e il tremore non le passò nemmeno quando i due si diedero la mano. Nemmeno quando lui le tirò indietro il velo e le baciò la fronte. Si scambiarono un’altra occhiata, sorridendo, e si incamminarono verso l’altare.
Il prete cominciò a parlare, ma loro due lo ignorarono. Era come se il mondo intorno avesse cominciato a girare, e loro fossero l’unico punto fermo dell’universo.
“Ehi?” sussurrò lui, in modo che lo sentisse solo lei. “Ti devo dire una cosa.”
Quell’aria seria la spaventò, ma allo stesso tempo moriva dalla voglia di ascoltare. Cosa aveva da dirle di così importante il giorno del loro matrimonio?
“Cosa?”
Ci fu una pausa di qualche minuto. Il sacerdote stava distribuendo le ostie ai fedeli, nell’atto della comunione.
In quel momento di distrazione, lei lo punzecchiò: “Allora? Il segreto?”
Lui non rispose subito: fece finta di voltare lo sguardo altrove. Intravide gli occhi di sua madre, osservarlo con tenerezza e commozione; si scontrò con quelli di Kogoro, che cercava di trattenere a fatica la sua gelosia; vide quelli del suo testimone, Heiji, che quel giorno pareva il suo gemello e suo fratello. Si imbatté in quelli di Sonoko, che anche in quell’istante non facevano altro che punzecchiarlo, ed infine incontrò quelli di suo padre. Fu un attimo, e ancora una volta gli disse che era tutto apposto, che non era stata colpa sua, che lui gli aveva salvato la vita, un anno prima.
Ci furono i soliti scambi di battuta. Ma quando il prete pronunciò il “vi dichiaro marito e moglie”, nella chiesa scoppiò un applauso generale. Lo sposo abbracciò la sua sposa, stampandole un bacio sulle sue labbra. Morbide e calde, proprio come quel giorno .
“Cosa dovevi dirmi?” le sussurrò lei, nascondendo il viso arrossito nel suo petto, mentre la chiesa rimbombava di applausi.
 “Giurami che non proverai mai più ad ucciderti per me. Qualsiasi cosa succeda, promettimi che farai di tutto per andare avanti e vivere.”
Ran si ritrovò per un attimo spiazzata, non se l’aspettava.
Poi alzò gli occhi a lui e gli sorrise.
“Non riesco nemmeno ad immaginare di vivere senza te, ma se dovessi farlo sarà solo per tenere vivo il tuo ricordo a chiunque incontrerò.”
Lui scosse il capo, socchiudendo gli occhi.
“Però lo farò ad una condizione” disse lei, aggrappandosi alle sue spalle.
Shinichi sbatté per un po’ le palpebre, incuriosito.
“Scrivimi lettere d’amore più spesso.”
Lui sorrise, illuminandosi in volto e scuotendo il capo. “Credimi, sarà più facile per te resistere alla mia morte.”
Lei ghignò. “Ma a te piacciono le cose difficili, vero?”
Poi lo baciò, e in quelle labbra ritrovò finalmente quella luce che, più di un anno prima, aveva visto fuggire via dalle sue iridi. Era la luce della fiducia, quella che per troppo tempo aveva perso in lui, quella che le sue bugie avevano oscurato.
Il rombo degli applausi era lontano, quasi inudibile. Ma erano certi che, in un modo o nell’altro, anche Akemi e Shuichi, in qualche parte sconosciuta dell’universo, stessero brindando alla loro unione.

 
 
 
 
 
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Traduzioni:
 “Oh, sorry. Can you show me hospital’s chemical laboratory?” = “Oh, scusami. Puoi indicarmi il laboratorio chimico dell’ospedale?”
 “Are you taken recently?” = “Sei stata assunta da poco?”
 “Is on the third floor, there is a long corridor... Walk it all, it's the last door on the right.” = “È al terzo piano, c’è un lungo corriodio... percorrilo tutto, si trova nell’ultima porta sulla destra.”
 “Thank you.” = “Grazie.”
 “Check the corridors, verify there are no patients or families around them.” = “Controlla i corriodoi, verifica che non ci siano pazienti o famiglie in giro.”
 “Yes, captain.” = “Sì, capitano.”
 “There are two people on the third floor.” = “Ci sono due persone al terzo piano.”
 “Don’t worry. They can stay.” = “Non preoccuparti, loro possono restare.”
 “There is a man outside the building.” = “C’è un uomo fuori l’edificio.”
“Who?” = “Chi?”
“I don’t know. Wait, he is entering. He is drunk, what should we do?” = “Non lo so. Aspetta, sta entrando.  È ubriaco, cosa facciamo?”
“Let's take a look.” = “Andiamo a dare un’occhiata.”
“Stop! Hands up!” = “Fermo! Mani in alto!”
 “I'm just a father who wants to say thanksto his son. Just a father who wants to say sorryto his son.” = “Sono solo un padre che vuol dire grazie a suo figlio. Solo un padre che gli vuole chiedere scusa.”
“Are you the boy’s father? The famous writer?” = “Sei il padre del ragazzo? Il famoso scrittore?”
 “I’m really sad for your son.” = “Mi dispiace tanto per tuo figlio.”



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HAHAHAHAH. Lo sapete perché rido? Perché mi immagino la vostra faccia. Immagino i vostri pensieri e le vostre maledizioni, ma allo stesso tempo immagino i vostri sguardi un po' smarriti e scioccati come a dire "questa pazza sadica c'ha fregato di nuovo". XD Ok, allora, qualcuno aveva immaginato che le cose andassero diversamente, altri erano riusciti ad aggrapparsi alla speranza che non potessi far morire il mio personaggio preferito, ma la maggior parte di voi, dite la verità, era convinta che il finale fosse tragico! Ed io sono doppiamente soddisfatta, perché, mesi fa, parlando con qualcuno, dovetti sentirmi dire che "nessuno avrebbe creduto che facessi morire Shinichi". Ebbene, ce l'ho fatta XD
È stato molto divertente leggere le vostre recensioni, ma allo stesso tempo ho cominciato a stare in pena per voi... perché, insomma, c'ero riuscita troppo bene XD e mi dispiaceva vedervi così... depressi XD Però poi ho pensato che avreste dovuto aspettare solo fino ad adesso, e quindi.. ho taciuto anche nelle risposte, dove, se avrete notato, non mi sono proprio sbilanciata XD
Allora, allora, allora... il finale è lieto e richiama in un certo senso Romeo e Giulietta. L'intento era quello, solo che non sarebbe dovuto finire tragicamente. A me i finali tristi non piacciono proprio, mi sanno troppo di conclusione sbagliata, però allo stesso tempo vorrei avere il coraggio di scriverli e di accetterli. Perché, insomma, un finale triste ha quello charme che uno lieto non ha.
Bah, forse un giorno, lo farò XD Però, non è questo il giorno XD
Shinichi e Ran si sono sposati, com'è giusto che sia, ed è ovvio che le tombe al cimitero erano quelle di Akemi e Shuichi, con cui ho voluto giocare per farvi credere fossero loro in realtà. Ci terrei a precisare, per chi non lo sa, che anche Akai è soprannominato "Silver Bullet" da Vermouth. Poi... be', credo si sia capito come sia finita un anno prima. Ran era sul punto di morire, Yusaku l'ha fermata e Shinichi si è risvegliato per via dell'antidoto definitivo dell'aptx. 
Devo dire che, neanche questo finale (come tutti quelli delle mie fan fiction) mi piace. È come se non desse quello che speravo, e tutto ciò mi fa incazzare XD però, nonostante c'abbia provato, non riesco a farlo venire meglio! Chissà a voi che impressione vi farà :)
Be', siamo alla fine... davvero alla fine, e devo assolutamente spendere un po' di parole per i recensori di questa fortunata storia. Una ventina di recensioni a capitolo è un lusso di cui, ammetto, vado enormemente fiera, e che mi ha permesso di credere ogni giorno di più nelle mie capacità. Siete stati magnifici nell'accompagnarmi nelle mie pazze idee e nell'infinita lunghezza di questa storia...quando pubblicai il prologo non avrei mai pensato d'essere seguita da così tante persone, ma allo stesso tempo mi imposi un obiettivo: avrei voluto superare Vivere d'emozioni, e credo di avercela fatta. :D Be', ovviamente, è tutto grazie a voi. Quindi grazie, grazie, e grazie.
Forse ci rivedremo, anzi, ci rivedremo (con una storia molto....... rossa), ma non presto! :P
Un bacione a tutti!
Grazie ancora, e buone vacanze!


La vostra Tonia.

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