Short Film

di FairySweet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una seconda Occasione ***
Capitolo 2: *** Me ne Vado ***
Capitolo 3: *** Sola con te Stessa ***
Capitolo 4: *** Un Respiro di Rugiada ***
Capitolo 5: *** Ancora Stelle ***
Capitolo 6: *** Al Sicuro nel mio Cuore ***
Capitolo 7: *** Creata per Ferire ***
Capitolo 8: *** Errore ***
Capitolo 9: *** Custoditi dal Mare ***
Capitolo 10: *** La foto di un Attimo ***
Capitolo 11: *** Occhi di ghiaccio e canzoni di Stelle ***
Capitolo 12: *** Solo una semplice Parola ***



Capitolo 1
*** Una seconda Occasione ***


Short Film 1                                                                             Una seconda Occasione






Non aveva mai pensato nemmeno per un momento di avere una famiglia, non aveva mai nemmeno immaginato di fare sesso e diventare padre eppure era successo. Quella notte del cazzo, invasa dai fumi dell’alcol l’aveva improvvisamente catapultato in un inferno.

Passeggiava su e giù per quel corridoio come se all’improvviso il suo razionale cervello potesse trovare una soluzione a tutto quel casino e invece, solo il fastidioso ticchettio dell’orologio a far compagnia a tutti i suoi pensieri.
Non sapeva nemmeno lui perché fosse lì, in fondo quella ragazza l’aveva conosciuta una notte lontana ormai nove mesi, lei non voleva il bambino e se quel piccolo non avesse avuto i genitori sarebbe andato in adozione.
Forse sarebbe stata la cosa più logica da fare, non era pronto ad essere padre, era incasinato e confuso ma c’era qualcosa dentro di lui che gli impediva di allontanarsi da lì, forse, il merito era di quel legame naturale che un genitore prova per una piccola parte di sé ormai diventata vita o forse, era pura e semplice verità.
Il rumore ritmico del bastone al suo fianco era in qualche modo tranquillizzante, l’unica cosa sicura e stabile della sua vita “Quanto diavolo ci vuole a far uscire un bambino da un utero” sibilò spazientito ma quasi in risposta alle sue lamentele l’infermiera uscì raggiante dalla sala parto “Complimenti paparino, è una bella femminuccia” ma la faccia scura e tetra dell’uomo la costrinse immediatamente a fare retromarcia “Lei è qui per il parto della signorina Mellis vero?” annuì appena senza fiatare “Meno male, credevo di aver sbagliato persona” sorrise di nuovo ma non ottenne nessuna risposta “Vuole vederla?” bella domanda, non sapeva nemmeno cosa dirle ma le sue gambe si mossero da sole, la curiosità per quel piccolo essere nato da pochi minuti era più forte di qualsiasi ragionamento.
A medicina si era divertito come un matto ad immaginare donne sdraiate su quei lettini ad urlare come delle matte,  continuava a ripetere che essere uomo era infinitamente più bello, ma lì, su quel lettino non c’era una donna qualsiasi.
Là sopra, con il viso arrossato e la fronte mandida di sudore c’era la ragazza che aveva dato alla luce una piccola parte di sé.
Si avvicinò appena, giusto quel tanto che bastava per spiare la neonata tra le sue braccia “È piccola” sbottò ironico “Tu eri molto più grande quando sei nato?” “Giusta osservazione”  si lasciò cadere sulla sedia accanto “Cosa farai?” domandò perplesso “Non ne ho idea, io non posso tenerla con me non sono pronta, tu mi sei rimasto accanto durante tutto questo tempo se vuoi ..”scosse appena la testa spiando la piccina “Allora andrà in adozione” “Cosa le accadrà?”  la ragazza alzò appena le spalle ridendo “Passerà di famiglia in famiglia fino a quando i servizi sociali non le troveranno una coppia stabile” “Bella prospettiva” sussurrò posando la testa contro il muro, c’era troppa confusione tra i suoi pensieri, dentro di lui qualcosa urlava “Scappa più lontano che puoi” e poi c’era quella vocina “Quella non è una bambina qualsiasi … quella è la tua seconda occasione” scosse appena la testa chiudendo gli occhi “D’accordo” la ragazza si voltò sorridente verso di lui “La terrai con te?” in fondo che male poteva fare? Forse sarebbe stato un uomo migliore con una bambina accanto, forse sarebbero cresciuti assieme e lei lo avrebbe addolcito, forse quel dolore lancinante che provava da mesi se ne sarebbe andato. Era solo una piccola umana, un errore di una notte che portava metà del suo corredo genetico e non voleva vedere i suoi preziosi geni sprecati.
L’avrebbe tenuta con sé, c’era un buon cinquanta per cento di possibilità che potesse rovinare anche la vita di quella bambina ma l’altro cinquanta per cento cos’era? Magari era un futuro, qualcosa di lontano e sfocato che gli avrebbe fatto dimenticare il passato così nitido e pungente “Sei sicuro?” la voce della ragazza lo riportò alla realtà di colpo “Impacchettala, la porto con me” sorrise appena alzandosi mollemente dalla sedia “Come la chiamerai?” “Non lo so, tu hai qualche idea?” ci pensò qualche secondo fissando la bambina “Rylie”  “Che nome è?” rispose ironica “Ehi, la porto con me quindi avrà il nome che scelgo io” la ragazza sorrise avvolgendo per bene la piccola tra le coperte “Forse sarai un bravo paparino” sbuffò prendendo tra le braccia quel piccolo fagotto rosa.
Era terrorizzato, aveva paura di stringerla troppo forte, aveva paura di farle male ed era impacciato e goffo “Smettila di ridere ragazzina insolente” mormorò afferrando il bastone “I bambini sono inutili … almeno i cuccioli delle scimmie si aggrappano alla madre per non cadere” esclamò sollevando appena la piccola “Se piange troppo posso restituirla?” “Firmi qui” mormorò esitante l’infermiera.
Quello scarabocchio sul foglio era un catena, la linea continua che univa la sua stupida e misera vita  a quella di una bambina innocente, che aveva avuto la sfortuna di finire nel cuore sbagliato.

Quello scarabocchio sul foglio era un catena, la linea continua che univa la sua stupida e misera vita  a quella di una bambina innocente, che aveva avuto la sfortuna di finire nel cuore sbagliato.

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Capitolo 2
*** Me ne Vado ***


House 2                                                      Me ne Vado





Avrebbe iniziato di nuovo da capo, doveva ricominciare perché altrimenti gli ultimi  nove mesi passati a convincersi che ogni cosa andava bene sarebbero stati solo sprecati.

Il suo appartamento non era adatto per  accogliere una bambina, anzi, a dire il vero non era adatto ad accogliere proprio nessuno.
 I vestiti sparsi sul pavimento davano il benvenuto a quel giorno nuovo e folle.
Sul tavolino di fronte al televisore due bottiglie di Scotch vuote e la cucina completamente sottosopra.
Lasciò cadere il bastone  e lo zaino, reggendo la piccola con un braccio solo si incamminò lentamente verso la camera da letto, la luce della segreteria telefonica lampeggiava, schiacciò distrattamente il tasto posando la piccola sul letto “Almeno non ti svegli mai” sussurrò afferrando la valigia dall’armadio “House sono io, ti conviene tornare in ospedale prima che la Cuddy venga  a prenderti di persona capito? Guarda che non scherzo, lo so che avete litigato e che … beh .. non importa, non puoi lasciare l’ospedale senza un primario, i tuoi pazienti non possono pagare per le vostre idiozie e non ..”  la voce di Wilson scomparve all’improvviso “Jimmy boy, hai questo bruttissimo difetto, parli troppo” sbottò lanciando per terra la spina del telefono “Dov’ero rimasto?” si voltò verso il letto, la bambina continuava  a dormire tranquilla, incurante di quello che le accadeva attorno.
Buttò nella borsa qualche vestito, quel pacco di latte per la piccola e qualche vestitino comprato nel primo negozietto incrociato “D’accordo” mormorò sollevandola delicatamente dal materasso “Ora ce ne andiamo via da qui” disturbata da quella voce la bambina aprì gli occhi fissando quel volto impassibile dai lineamenti sfocati e duri.
Rimase immobile, quasi senza respirare per evitare di spaventarla, aveva il terrore che da un momento all’altro si mettesse a piangere ma lei rimase ferma, con le manine posate sulle labbra e gli occhi fissi su di lui.
Tutto sommato non era male, aveva un bel nasino e la pelle rosa e profumata di buono, era presto ancora per capire di che colore avesse gli occhi ma in compenso, il colore dei capelli era più che chiaro, tra il castano chiarissimo e il biondo ma potevano sempre cambiare con l’età, in qualche modo gli ricordava l’estate “Rylie House” mormorò afferrando il borsone “Non suona male”  non suonava male per niente, spense la luce e con un gesto secco e autoritario si chiuse alle spalle la porta del suo passato.

“Cavolo House! Finalmente”  “Devi smetterla di preoccuparti troppo per me, le persone che fanno così vivono meno delle altre” “Non sei divertente sai? Dove cavolo ti sei cacciato? Il capo è sul piede di guerra e non credo che … aspetta un momento … Sei in aeroporto?”  “Ma che idiozie vai dicendo si può sapere?” la voce dagli altoparlanti annunciò la partenza del volo 727 per l’India “Vai in vacanza?” la voce confusa di Wilson lo fece sorridere “Me ne vado” rispose osservando qualche secondo il viso della bambina “Te ne vai? Sicuro di stare bene? “ “Non sono mai stato meglio Jimmy … Salutami tutti lì dentro compreso … Compreso il capo d’accordo?” per colpa di quello stupido nome non riusciva nemmeno ad usare l’ironia “Non muoverti da lì chiaro? Sto arrivando e non intendo tornare indietro senza di te. Non puoi andartene da qualche parte in villeggiatura lasciando me a sedare Lisa, è un ciclone e tu lo sai”  “Beh, d’ora in avanti è un problema tua piccolo Jimmy, io mi licenzio e me ne vado” “Gliel' hai detto almeno?” sospirò appena sperando che quell’incertezza non venisse colta dall’amico ma lui era bravo a decifrare i suoi pensieri “Cavolo House! Non puoi farle questo, non puoi ferirla di nuovo perché lei non sta più ..”  ma il pianto di Rylie interruppe provvidenzialmente quella discussione “È un bambino?”  “No Jimmy, è una piccola scimmia” rispose sarcastico cercando di tranquillizzarla ma aveva fame e ogni tentativo di pace falliva miseramente  “Perché hai un bambino? Si può sapere che stai ..”  “Addio Jimmy boy” esclamò allegro chiudendo la conversazione “Possibile che mangi così spesso?” sbottò dirigendosi verso il bar, il telefonino iniziò a squillare freneticamente ma non rispose, si limitò a ridere buttandolo nel primo cestino.
“Cosa posso servirle?” il sorriso allegro e tenero della ragazza dietro al bancone gli ridonò un po’ di pace “Un caffè molto forte e ..:” tirò fuori il biberon “Dell’acqua calda” “È bellissima” esclamò la ragazza osservando la bambina “Come si chiama?” “Rylie” buttò lì indifferente giocherellando con il bastone “Però … complimenti piccola, hai davvero un bellissimo nome” rispose la giovane sfiorando una manina della piccola “Grazie” afferrò il biberon e sollevò meglio la bambina “Dove siete diretti?” “A Londra .. Ann” esclamò allegro leggendo il nome sulla targhetta di metallo “E ci andate da soli?” “Vuoi venire con noi?” ma lei scosse delicatamente la testa ridendo “Dov’è la sua mamma?” “Ti pagano per fare domande ai clienti?” ribatté sarcastico “Direi di si” gli posò davanti il caffè e appoggiando le braccia sul bancone si inclinò leggermente verso di lui “Allora?” alzò gli occhi al cielo sbuffando “Sua madre non la voleva e siccome io sono il padre beh … non credi sia giusto portarla con me?” lei annuì appena concentrandosi sulla piccola “Quanto ti devo?” esclamò posando il  biberon nella borsa “Oh niente, il padre dell’anno non paga” magnifico, ora era preso per il culo anche dalle bariste di un aeroporto.
Era la scelta giusta, doveva essere per forza la scelta giusta. Di certo non avrebbe avuto nessuna difficoltà a trovare un altro lavoro e Rylie sarebbe cresciuta al sicuro e lontano da tutto quello che lo aveva fatto soffrire “Complimenti Greg, hai scelto proprio bene” esclamò soddisfatto incamminandosi verso il gate con la piccola sempre stretta tra le braccia “Le auguro buon viaggio signore” prese il biglietto dalle mani dell’hostess e si incamminò spensierato verso il suo nuovo e complicato futuro.

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Capitolo 3
*** Sola con te Stessa ***


Short film 3                                                                                                                            Sola con te Stessa







“E va bene” Wilson sobbalzò dalla sedia spaventato da quell’entrata violenta e pericolosa “Sono stata paziente con quell’idiota del tuo amico, gli ho dato tempo per riprendersi ma ora basta!” “Lisa non credi di esagerare?” ma lo sguardo della donna era tagliente, posò le mani sulla scrivania inspirando a fondo “Dov’è?” domandò cercando di ritrovare la calma “Non ne ho idea” rispose esitante cercando di non incrociare il suo sguardo “Non raccontarmi stupidate James! Odio le bugie e generalmente non tollero le prese per il culo. Giuro che lo vado a prendere di persona e lo riporto in ospedale  a calci  quindi dimmi dov’è”  fece un bel respiro, doveva trovare le parole giuste per dirle che quell’uomo contro cui si accaniva se ne era andato “Aspetta un secondo” iniziò prendendosi la testa tra le mani “Che c’è? Non ti senti bene?” si chinò appena verso di lui cercando di capire che cavolo stesse combinando “Lisa .. devo dirti una cosa ma non so come …” “Oddio” lo interruppe la portandosi una mano sugli occhi “Cos’ha fatto? Ti prego dimmi che non ha curato un tizio con qualcosa di estremamente pericoloso o che non ha costretto un uomo a scegliere tra due cure totalmente inutili. Ti prego dimmi che non abbiamo una causa da milioni di dollari addosso” l’uomo sorrise divertito da quello slancio puro “No, niente di tutto questo” “E allora cos’ha ..” “Si è licenziato” la vide tremare leggermente afferrando la sedia per non cadere “Cosa?” “Ha lasciato questa nella cassetta della posta” tirò fuori una busta candida dalla tasca del camice “È la sua lettera di licenziamento” la prese tra le mani cercando di ritrovare un punto fermo nella stanza ma tutto girava vorticosamente “Dov’è?” ora era più una supplica che una minaccia, il tono della sua voce era diverso e una lieve nota di preoccupazione stava velocemente prendendo il posto della rabbia “L’ho chiamato venti minuti fa, era in aeroporto ma non mi ha detto dove andava e credo che si sia liberato del telefono” la vide annuire appena passandosi una mano tra i lunghi capelli scuri “Non ho più un primario di diagnostica” “La vuoi smettere” sbottò alzandosi di scatto dalla sedia “Cosa devo fare James? Devo correre dietro all’aereo e impedirne il decollo?” “Devi smettere di far finta che lui non ti interessi” “Sono fidanzata” “No” la corresse sarcastico “Hai lasciato Lucas per lui e gli hai detto che lo ami” “E lui se ne è andato” sbottò secca “Non ho nessuna intenzione di corrergli dietro Wilson perché lui non è ..:” “Ti è corso dietro per sette anni” urlò avvicinandosi a lei “Sei lunghissimi anni, è finito rinchiuso nel reparto psichiatrico per te e ora vieni a dirmi che non ti ha mai inseguito” “Stavo per dire che lui non è il primo che mi abbandona” sorrise posando sulla scrivania del medico un foglio “D’ora in avanti il suo reparto non esiste più. Se hai bisogno di un’assistente scegli pure tra i suoi. Gli altri saranno riassegnati” sorrise ancora prima di abbandonare velocemente lo studio.

Camminava spedita per i corridoi con lo sguardo basso per evitare le occhiate curiose, non doveva sembrare molto in sé ma questo lo sapeva bene.
La porta del suo ufficio segnava quel limite invalicabile oltre il quale, le chiacchiere non avevano il permesso di giocare a ferirla.
Immobile con le spalle contro la porta fissava un punto a caso del muro, incapace di muoversi, incapace perfino di articolare due parole lasciava che le lacrime scivolassero silenziose sul suo viso.
Non riusciva  a smettere di piangere e forse nemmeno lo voleva, si lasciò scivolare fino al pavimento abbracciando le gambe con le mani e la fronte nascosta sulle ginocchia.
Quella non era la donna forte di sempre, l’amministratrice di uno degli ospedali migliori dello stato era sparita lasciando al suo posto una bambina spaventata e ferita che si lasciava andare allo sconforto. Aveva lasciato Lucas per lui, era corsa da lui con la speranza di riuscire a guarirlo e quella notte passata assieme sembrava la conferma che il suo cuore aspettava ma lui se ne era andato.
Era scappato lontano, evitava di parlare con lei, non la guardava nemmeno e quegli ultimi mesi passati a litigare … era stanca, troppo stanca per corrergli dietro anche se questo, era quello che urlava il suo cervello ma lei non reagiva , restava immobile a lasciare che le lacrime tagliassero il suo cuore scendendo fino all’anima.
Lei non piangeva mai, era forte, terribilmente forte eppure ora, si sentiva sola e abbandonata da un uomo che probabilmente non la meritava e che si divertiva a giocare con lei prendendola in giro.
Ora quegli occhi che tante volte lui aveva paragonato al mare erano l’essenza stessa di quell’enorme specchio d’acqua. Quello sguardo caldo e sensuale era pieno di rabbia e di tristezza e proprio come il mare, lasciava che quell’acqua salata percorresse avanti e indietro il suo cuore.

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Capitolo 4
*** Un Respiro di Rugiada ***


Short Film 4
                                                                 Un Respiro di Rugiada






La camera d’albergo era a dir poco fantastica, ampia, luminosa e piena di allegria. Buttò il borsone sul letto e il bastone fece la stessa fine, era stanco e il jet lag non aiutava per niente.
Accanto al letto, nell’angolo più riparato della camera una culla bianca aspettava la sua bambina “A quanto pare qualcuno si farà un bel sonno” mormorò posandovi la piccola e chiudendo gli occhi si lanciò sgraziatamente sul letto.
Era un suono lontano e distorto, qualcosa che assomigliava ad una sirena ma non lo era, socchiuse appena un occhio cercando la sveglia ma non era quel marchingegno a suonare “Cazzo” sussurrò schiacciandosi il cuscino sulla faccia “Regola gli orari bambina perché altrimenti litighiamo” scostò il lenzuolo lasciando scivolare le gambe di lato, Rylie piangeva come una disperata agitando le manine e le gambe “E va bene ho capito” esclamò sollevandola dalla culla “La smetti di perforarmi i timpani?” era così piccola da stare comodamente sdraiata sul suo avambraccio senza fatica “Ehi ehi guardami” smise di piangere e attratta dalla sua voce voltò il viso verso di lui.
“Dobbiamo trovare un accordo Rylie altrimenti finirò per diventare matto nel giro di pochi giorni e non so quanto ti convenga” sorrise divertito dall’espressione della figlia.       
Continuava ad osservarlo confusa con le lacrime che scendevano silenziose dagli occhi e una manina davanti alla bocca “Non ti piace il tuo letto?” continuò sollevandolo sguardo “Beh forse hai ragione, sembra  una prigione” prese due cuscini e li sistemò sul bordo del  letto“Per stasera ti concedo questo onore ma non ti ci abituare chiaro?” posò la bambina accanto a sé lasciando cadere un braccio accanto a lei “Ora dormi, paparino deve cercare un lavoro domani e non ho intenzione di restare tutta la vita in una suite chiaro?” sbuffò chiudendo gli occhi ma li riaprì di colpo quando la manina di Rylie si posò sulla sua. Era un gesto così naturale che nemmeno ci aveva fatto caso. Per una volta la sua razionalità aveva abbassato la guardia permettendo a quella bambina il primo vero contatto con sé stesso e con il suo vero essere.
Quel contatto di cui aveva bisogno e che tanto temeva ora era lì, lampante davanti ai suoi occhi. Rimase immobile studiando quella manina minuscola e tenera che si abbandonava sulla sua, leggera, profumata, quasi come fosse una soffice nuvola colorata di rosa. Chiuse gli occhi e si abbandonò al dolce tepore del sonno lasciando che quel contatto perforasse la barriera dei sogni accompagnandolo lontano dalla stanchezza.  Avrebbe passato ore e ore sdraiate in quel morbido letto e invece, doveva alzarsi, doveva farlo altrimenti non avrebbe mai avuto un lavoro.
Cercò di fare meno rumore possibile, Rylie era tranquilla o almeno sembrava, l’acqua della doccia era fresca e rilassante anche se ad ogni minimo rumore tirava la testa fuori per ascoltare se, in quel silenzio chiassoso, la bambina si era messa a piangere. Doccia e vestiti puliti, andava decisamente meglio, si voltò sbadigliando verso la piccola, aveva messo quattro cuscini impilati uno sull’altro per evitare di ritrovarla a terra ma lei  non si era mossa “Sei ancora viva?” mormorò chinandosi appena sul letto “Andiamo” la sollevò delicatamente reggendola quasi come se avesse tra le mani un vaso di cristallo.
Non aveva mai avuto una bambina e non sapeva la minima cosa di bagnetti e vestitini, così, rimase seduto davanti alla vasca da bagno per venti minuti buoni prima di farsi coraggio e aprire l’acqua calda “Allora, prometto che sarà veloce e indolore ma tu prometti di non piangere” esclamò sollevandola davanti al viso “Lo prendo per un si d’accordo?” cercava di toccarla il meno possibile, usava due dita per slacciare i bottoncini del body e lo stesso per il pannolino “Va bene” continuò chiudendo l’acqua “Proviamo” la prese di nuovo tra le braccia e la immerse in acqua reggendola con la mano destra mentre con la sinistra, era intento a cercare il sapone da qualche parte affianco a sé, Rylie piegò le labbra in un lieve sorriso e giocava con l’acqua muovendo dolcemente le manine “Ehi ehi” esclamò divertito “Io ho già fatto il bagno ora tocca a te” le insaponò dolcemente la testa ridendo mentre cercava di evitare gli schizzi.
In fondo non era andata poi così male, Rylie non aveva pianto nemmeno una volta ed era riuscito a trovare il coraggio di stringerla con più forza, la trattava come una bambola di porcellana pronta a cadere da un momento all’altro ma non poteva continuare a sfiorarla e basta. Doveva prendersi cura di lei e per farlo doveva spingersi
leggermente oltre lo sfiorare e lo spiare.
Certo era strano, lui, burbero e scorbutico medico, così odiato da tutti eppure così ricercato da tutti ora era alle prese con una bambina di pochi giorni.  
Impacciato e confuso, si sentiva decisamente fuori luogo,forse Rylie stava meglio in una casa famiglia, lì almeno si sarebbero presi cura di lei e non l’avrebbero trattata come un pupazzo di pezza. Lui se l’era trascinata dietro semplicemente per riuscire a dimenticare, era stato egoista e bastardo costringendo una bambina a vivere nel dolore assieme a lui ma in fondo, Rylie era questo, una seconda occasione, un seconda e divertentissima occasione per ricominciare a vivere. La vestì in fretta litigando di tanto in tanto con i laccetti e i bottoni ma alla fine, il risultato fu più che soddisfacente. Aveva comprato di fretta solo quel completino da neonata e non si era reso conto di quanto effettivamente Rylie fosse piccola, le sue mani, i piedi, il corpo, tutto di lei era in miniatura. Il cappellino rosa e bianco risaltava i lineamenti aggraziati del suo visino … non avrebbe mai pensato di arrivare a sorridere per un bambino e invece ora, era lì come un idiota a ridere  per cose banali e stupide.
Scosse leggermente la testa e avvolgendola nella coperta la prese in braccio, certo camminare con Rylie e il bastone era decisamente complicato ma bilanciando bene il peso poteva riuscirci.
 La cosa veramente positiva in tutta questa fottutissima storia era la stagione, almeno Rylie aveva scelto la primavera per venire al mondo risparmiandogli così il gelo delle mattinate invernali e i problemi con i vestiti. Camminava tranquillo per le strade londinesi fermandosi di tanto in tanto ad ammirare la vetrina di qualche negozio e le insegne colorate dei pub.
Era entrato in quasi tutti i negozi per l’infanzia che trovava sulla via, almeno avrebbe comprato tutto quello di cui la piccola aveva bisogno. Da “Sweet Baby” aveva comprato i vestitini, una montagna di vestitini ma la commessa aveva vent’anni ed era bella e questo bastava a fargli perdere il contatto con la realtà. Da “Baby of the World” invece aveva preso la carrozzina e il corredino per il bagno compreso di paperelle e giochi, Rylie di certo non se ne sarebbe fatta niente ma lui adorava le paperelle di gomma e un centinaio di altre cose di cui ignorava il funzionamento e che ora, erano comodamente sparpagliate in albergo.
Nel pomeriggio avrebbe incontrato il direttore sanitario del più importante ospedale di Londra e poi, se tutto fosse andato per il verso giusto sarebbe corso a comprare casa. Non erano i soldi a mancargli e di certo, non avrebbe rinunciato a vivere nel lusso per un po’, in fondo se lo meritava no? Aveva preso con sé una bambina e aveva azzerato qualsiasi contatto con il passato ritornando nella terra di sua madre.
Le due e mezza, afferrò il bastone e mettendo Rylie nel marsupio chiamò un taxi.
Certo se quello era l’ospedale più grande di Londra c’era un motivo. Princeton sembrava una scatoletta di cartone a confronto. Lì dentro si respirava pace e soprattutto possibilità di evitare le ore di ambulatorio senza dover continuamente preoccuparsi del capo “Che dici, andrà bene?” mormorò nervoso abbassando appena lo sguardo ma Rylie non era in vena di risposte anzi, comodamente appoggiata al suo petto dormiva incurante di tutto quello che le accadeva attorno “Perfetto” esclamò sarcastico, fece un bel respiro e si diresse verso l’ufficio del direttore “Posso esserle utile?” si bloccò incuriosito davanti a quell’omino sui trent’anni alto la metà di lui, un visetto sorridente e due occhietti vispi a completare il tutto “Dovrei incontrare il dottor Symur” l’altro sorrise appena consultando l’agenda “Ha un appuntamento?” “No gli faccio un improvvisata” sbottò ironico picchiettando con il bastone per terra “P- prego” balbettò aprendogli leggermente la porta.
Bell’ufficio  … decisamente luminoso e decisamente moderno, neanche lontanamente paragonabile all’ufficio di quella donna, lì tutto era più freddo e distaccato. Poltrone di pelle nera e una scrivania di vetro, grandi librerie in pieno stile moderno e moquette scura per completare il tutto “Lei è il dottor Symur?” domandò confuso stringendo la mano ad un uomo anziano distinto e raffinato “E lei è?” “Gregory House” “Non posso crederci” esclamò divertito rafforzando la presa “Nemmeno io” sibilò tagliente cercando di sfilare la mano “Così lei è davvero quel famosissimo dottore che cura i pazienti nel giro di qualche giorno?” “Già” annuì deciso sedendosi di fronte a lui “E viene da me per?” rimase a fissarlo per qualche secondo prima di scoppiare a ridere “Non posso crederci … Viene da me per un lavoro?” ma che cavolo di posto si era trovato “Lei è un medico di fama mondiale, non ha bisogno di chiedere” iniziò il primario aprendo una cartella di fronte a sé “Sono disposto ad aprire un nuovo reparto di diagnostica e le darò la migliore squadra di medici che esista. Lei è una leggenda e averla nel nostro ospedale non può che farci bene” rimaneva a bocca aperta ad ogni parola di quel medico pazzerello e distinto che andava in brodo di giuggiole di fronte  a lui “Ovviamente sono disposto a darle quello che vuole ma, se non le dispiace, vorrei sapere il motivo per cui se ne è andato da Princeton. A quanto ne so, è uno dei migliori ospedali che esistano e il primario di medicina è … beh per metterla con un termine diciamo così americano, una vera bomba!” sorrise annuendo allegro “Vero, è una super bomba sexy tremendamente brava nel suo lavoro ma, vede, io mi sono terribilmente innamorato di lei e non voglio farla soffrire” in fondo era stato sincero, forse per la prima volta nella sua vita, l’altro rise appena firmando un foglio “È sua figlia?” domandò incuriosito sbirciando la bambina da sopra gli occhiali “Già” “Come si chiama?” “Rylie” “Ha un nome strano” borbottò passandogli il foglio “Ma è comunque molto bella” provò a sorridere ma era certo che la smorfia che stava prendendo posto sul suo viso era tutt’altro che allegra “Ovviamente se lei firma un contratto con noi le chiedo di restare qui almeno per due anni. Vorremo averla unicamente per noi. Lei è un genio e ha bisogno di un ospedale che le dia nuovi stimoli” “Vero” rispose firmando “Sono un genio convinto di essere onnipotente e la maggior parte delle volte mi comporto da bambino ma  sono comunque un genio e mi creda, non ho nessuna intenzione di tornare indietro” Symur sorrise stringendogli di nuovo la mano “Benvenuto a bordo dottor House”.

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Capitolo 5
*** Ancora Stelle ***


Short Film                                               Ancora Stelle




“È stato facile” mormorò incredulo uscendo dall’ospedale “È stato terribilmente facile” ma iniziò a ridere da solo, probabilmente le persone l’avrebbero scambiato per pazzo  ma che gli importava? Aveva fatto un colloquio di appena venti minuti ed aveva ottenuto un reparto intero, decisamente meglio di Princeton.
Arrivò a Chelsea in meno di mezz’ora e comprò casa in meno tempo ancora. Se ne era innamorato non appena la vide: tre piani di un’antica casa inglese, arredata in puro stile anglicano, pavimenti in legno e un’enorme salone per i ricevimenti e i pranzi, certo non ne avrebbe mai fatti ma quella, era la casa che più si avvicinava a quella della sua infanzia.  I tre piani erano collegate da scale in marmo scuro perfettamente in armonia con il resto dell’arredamento e non si era nemmeno posto il problema della sua stupida gamba, se l’ospedale gli forniva tutto quello che chiedeva, allora forse avrebbe soddisfatto anche quella sua bizzarra richiesta per il metadone.
Era una droga e su questo non ci pioveva ma con dosi regolari e test frequenti poteva sopportare bene quella terapia e inoltre, non zoppicava più. 
Non si era nemmeno scomodato a tornare in albergo, si era limitato a pagare la casa e a farsi portare tutto lì dentro.
Sganciò gli attacchi del marsupio liberando Rylie da quella trappola di tele e cinghie “Ok, questa sarà la nostra nuova casa, lo so che magari non è molto nelle tue corde ma giusto perché tu lo sappia, io sono il genitore e io decido quindi non mi importa” camminava avanti e indietro per le stanze mostrando alla bambina quel nuovo mondo “La tua camera sarà al secondo piano accanto alla mia, così non dovrò fare chilometri per toglierti quei pannolini assassini” la cullava teneramente senza nemmeno accorgersene “Ora” continuò abbandonandosi sul divano “Credo che tutti e due abbiamo bisogno di riposo” la piccola tossicchiò leggermente costringendolo a raddrizzarsi di colpo “Cazzo” esclamò secco “Mi hai vomitato addosso” ma era troppo piccola per cogliere quella nota di sarcasmo ben costruita.

Ancora le stelle, ancora una notte lontano dal passato, ancora una notte lontano da lei e dal suo calore, chiuse gli occhi massaggiando leggermente la schiena della bambina, la testolina sul suo petto e le manine dolcemente posate accanto al viso erano una piacevole costante di quelle serate passate in casa con Rylie. Per quanto la sua mente razionale si opponesse alla possibilità di avere una vita, quella bambina stava lentamente capovolgendo ogni sua regola. Si svegliava nel cuore della notte, piangeva alla mattina presto costringendolo ad alzarsi, era una piccola sanguisuga che richiedeva costante attenzione e forse, solo ora riusciva a capire come si sentiva lei quando la prendeva in giro accusandola di non essere una buona madre. Lui riusciva a malapena ad essere un padre figuriamoci gestire un lavoro e una bambina assieme.
Però era riuscito ad organizzarsi decentemente tra il lavoro e Rylie, in fondo non era molto difficile, gli bastava solo andare in ospedale per tre ore, controllare che i suoi nuovi schiavetti non ammazzassero nessuno e poi poteva tornare a casa. Rylie era affidata alle cure di una tata, la vita non poteva andare meglio. Finalmente iniziava ad avere un po’ di quella tranquillità che aveva sempre e solo spiato.

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Capitolo 6
*** Al Sicuro nel mio Cuore ***


Short Film                                                                Al Sicuro nel mio Cuore                              









La luce cristallina del sole illuminava ogni angolo dell’appartamento rendendolo ancora più luminoso, almeno più di quanto ricordasse. Si alzò svogliatamente dal letto, ormai seguiva quella routine tutte le mattine: lui apriva gli occhi e la bambina iniziava a piangere all’impazzata.
Ma quella mattina non c’erano strilli ad accoglierlo, né urletti o gorgoglii “Strano” esclamò tra gli sbadigli, si stiracchiò ancora qualche minuto prima di decidersi ad alzarsi. Dal baby monitor non arrivava nessun segnale sospetto e non si sentiva un rumore in tutta la casa.
Camminava in punta di piedi per evitare di svegliare quella piccola peste, scostò la porta della cameretta e si avvicinò alla culla aspettandosi di vedere i soliti occhioni spalancati ma rimase senza fiato, Rylie dormiva         tranquilla, il respiro regolare e quel ciucciotto che si muoveva dolcemente seguendo i suoi sogni “Avere un bambino è bellissimo” sussurrò indietreggiando leggermente “Fino a quando ha gli occhi chiusi, non si muove e non piange” si chiuse lentamente la porta alle spalle esultando senza urlare.
Afferrò il baby monitor e scese di sotto,lì dentro non c’era mai stata tanta pace.
Di solito domenica mattina era un inferno tra giochi sparsi e sonagli colorati sembrava di stare al lunapark ma quella mattina no, quella mattina c’era pace e silenzio. Fece colazione e preparò il latte per Rylie, per quanto il suo io interiore si rifiutasse di svegliarla doveva farlo altrimenti non avrebbe dormito la notte e lui, aveva assoluto bisogno delle sue otto ore di sonno consecutivo.
In fondo, questa sua solita routine non gli dispiaceva per niente, Rylie era una bambina tranquilla e cresceva in fretta, molto in fretta. A volte rimaneva senza fiato dalla velocità di quei cambiamenti, i lineamenti iniziavano a mostrare quella somiglianza tanto ricercata. Vedere nel volto di sua figlia piccole parti d sé lo rassicurava e in qualche modo, lo rendeva fiero e orgoglioso di poter mostrare agli altri il pezzo più bello del suo cuore. Rylie aveva i suoi occhi, la profondità di quello sguardo era incredibile e spesso, faticava perfino lui  a capire cosa le passasse per la testa. Quei sorrisi enormi che riservava solo per lui erano la cosa più bella che in quel momento possedeva. Ogni risata, ogni smorfia, ogni tentativo di parlare, raccoglieva queste cose mettendole al sicuro dentro di sé.
La luce che emanava quella bambina gli scaldava il cuore e lo faceva sentire vivo. Aveva già provato una cosa del genere ma non era una bambina ad avergli regalato attimi indimenticabili, la bellezza e il sorriso di Lisa erano chiusi a chiave dentro di sé, giù, in fondo all’anima dove li nascondeva al cuore per evitare di soffrire.
Ora però aveva Rylie, aveva qualcuno e non si sentiva così solo … a volte si sarebbe preso a pugni perché, un padre non usa sua figlia per tentare di guarire mentre lui, povero arido uomo, stava usando quella bambina e la luce di quei ricordi segreti per scaldarsi, poco importava cosa provassero quelle anime innocenti, era lui a dover guarire e non loro. Spalancò dolcemente la porta della cameretta e sentì distinto il suono di risate provenire dalla culla.
Sorrise incrociando lo sguardo di Rylie, seduta nel lettino con le manine appese alla sbarra di legno “Vuoi alzarti?” eccolo lì, quel sorriso speciale che tutte le mattine lo accoglieva “Vieni” allungò le braccia verso di lei aiutandola ad alzarsi “Oggi ce ne andiamo in giro Rylie” le diede il latte e sorrise all’idea di gironzolare per la città attaccando bottone con ogni bella ragazza grazie a quella bambina.

Una giornata meravigliosa passata a giocare tra le vetrine dei negozi e il parco, ovunque si fermassero scatenavano nelle persone una dolcezza infinita, lui, povero padre single che si prendeva cura di quella bambina.
In realtà non si era mai divertito tanto, Rylie era una trappola fantastica per le ragazze, era dolce, rosa e paffuta e se ci si aggiungevano gli occhi beh … un mix vincente.
Avevano girato tutto il giorno, il cielo iniziava a colorarsi d’arancio e di giallo e un delicato profumo di salsedine si alzava dolcemente dal mare.
Amava il mare e di certo l’avrebbe amato anche Rylie, stretta tra le sue braccia guardava incuriosita le onde, quella danza lenta ripetuta da millenni la incantava“È bello non è vero?” sussurrò posando le labbra sulla sua testa “È molto bello” il tramonto, il profumo dell’acqua accarezzata dal sole … il profumo di quella pelle che aveva lasciato a miglia di distanza … per quanto si  sforzasse, per quanto provasse a dimenticare, il viso di Lisa, il suo corpo e quelle labbra tornavano vivide nella sua mente, quelle immagini riuscivano a sfuggire alla prigionia scorrazzando allegre davanti ai suoi occhi “Che devo fare Rylie?” per tutta risposta la piccola sorrise allungando le mani verso l’acqua cristallina, la voltò verso di sé e ridendo la sollevò in aria, stagliato nel cielo albicocca e limone il suo sorriso rendeva il sole ancora più bello costringendolo involontariamente ad essere felice.
Come’era possibile che una bambina di appena tre mesi di vita riuscisse ad avere quell’effetto su di lui? Non aveva mai provato niente del genere. A piedi nudi sulla sabbia rideva e scherzava sollevando verso il cielo quel corpicino minuscolo, gli occhioni di Rylie persi sul suo viso e le manine che giocavano con l’aria …  eppure era sempre e solo quel dannato ricordo a sconvolgere ogni  cosa.
Il sorriso del sole ad illuminare due occhi perfetti, e la gioia che scorreva dentro di lei … Lisa era il sole, esatto opposto suo, cupo e triste che al massimo poteva reincarnare la notte. Poco importava quanta distanza mettesse tra lui e quel angelo maledetto, riusciva sempre a trovarlo, ovunque andasse riusciva a scavare nella sua volontà fino ad arrivare di nuovo alla luce del sole, dove al sicuro si sarebbe scaldato e l’avrebbe torturato ogni minuto di ogni ora.
L’aveva rincorsa, l’aveva avuta e poi vi aveva rinunciato, ma l’aveva fatto per lei, doveva pensare di averlo fatto solo ed unicamente per lei, per evitarle di vivere accanto ad un uomo che non meritava un simile dono. Doveva essere per forza così altrimenti perché era scappato? Non le aveva detto niente, nemmeno un patetico ciao, anzi, a dir la verità non le aveva nemmeno detto di Rylie, però in fondo non era suo dovere, si erano lasciati e lui era più che libero di decidere con chi ubriacarsi e con chi fare sesso … già … e allora come mai  quello stupido senso di colpa non lo abbandonava mai? Non riusciva a staccarsi dal suo passato, forse, la spiegazione era quella, forse avrebbe dovuto chiederle scusa e poi tutto sarebbe passato “Che ne dici Rylie? Tuo padre ce la fa a diventare normale?” la piccola scoppiò a ridere divertita “Hai ragione” esclamò divertito facendola saltare un’ultima volta “Sarai fortunata se riuscirai ad avere un padre più o meno umano” mise a sedere la piccola sulla sabbia infilandosi le scarpe “Andiamo piccola …” Rylie alzò le braccia verso il padre ridendo “ … è ora di tornare a casa” sollevò da terra la giacca e dopo aver salutato il mare un’ultima volta, si incamminò per la spiaggia con la sua bambina in braccio.

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Capitolo 7
*** Creata per Ferire ***


Short Film                                                                 Creata per Ferire






Non avere voglia di lavorare era normale per lui anzi, a dir la verità era una vera goduria in quella città. Al direttore sanitario interessava solo il prestigio dell’ospedale e nient’altro, veniva pagato profumatamente per non fare niente.
Era una situazione meravigliosa e di certo, ci si stava abituando in fretta. Erano passati cinque mesi dalla partenza e ora, stava velocemente correndo verso il futuro.
Non credeva in Dio, non l’aveva mai fatto ma voleva che la sua bambina, potesse crescere con la convinzione che lassù esistesse davvero qualcuno. Questa dolce illusione le avrebbe dato la forza necessaria a crescere, forza che non comprendeva ma che, a quanto pareva, era più forte di lui.
L’avrebbe battezzata, le avrebbe dato una vita uguale a quella di tutti gli altri con l’unica differenza che Rylie sarebbe cresciuta con una visione diversa delle cose.
Alzarsi alle otto era una tortura, ma farlo con il suono del campanello nelle orecchie era una vera e propria persecuzione.
Infilò la prima maglietta che riuscì a sentire sotto le dita e scese svogliatamente le scale fino alla porta d’ingresso, si stiracchiò qualche minuto lasciando che il campanello continuasse a suonare e divertito aprì la porta.
Il sorriso si bloccò sul volto quasi come se vi fosse stato scolpito, aveva davanti il suo ricordo in carne ed ossa e non riusciva nemmeno a dire due stupide parole “Ciao” mormorò Lisa scostandosi dagli occhi una ciocca di capelli corvini “Che ci fai qui?” “Beh .. avevo bisogno di parlare con te ma tu ..” bloccò quel fiume di parole con un semplice gesto della mano e aprì la porta per farla entrare “E così ..” continuò al ragazza sorridendo “ … questa è la tua nuova casa?” annuì distrattamente dirigendosi in cucina ma lo sguardo di Lisa non si scollava da lui “Dov’è il tuo bastone” sussurrò sedendosi accanto al tavolo “Non ne ho idea” rispose guardandosi attorno “Ma la gamba non ..” “No” le posò davanti una tazza di caffè e si lasciò cadere sgraziatamente sulla sedia di fronte a lei “Perché sei qui?” “E tu perché te ne sei andato?” sorrise sorseggiando il caffè “Avevo bisogno di staccare da tutto” “E spiegarmi qualcosa era pericoloso perché …” lasciò cadere la frase nel silenzio aspettandosi una sua reazione ma lui continuò a bere “Senti, ho passato gli ultimi cinque mesi a tentare di capire se per caso fosse stata colpa mia. Non riesco a trovare una spiegazione per …”  un suono leggero, un sospiro si sparse per la stanza, Lisa lo guardò confuso e lui fece la stessa cosa prima di ricordarsi del baby monitor nella sua tasca “Ma cosa ..:” “Aspettami qui” rispose posando sul tavolo la tazza.
Quello era davvero un bel casino, Lisa era corsa fino lì e lui non riusciva nemmeno a rispondere alle sue domande. Vestì la bambina e tornò di sotto cercando di comportarsi nel modo più naturale possibile ma più si avvicinava alla cucina, più sentiva le forze venire meno “Scusa” esclamò spingendo la carrozzina fino al tavolo “Ieri sera abbiamo avuto qualche problemino di febbre”  “House non …” la ragazza si alzò  confusa, era convinta di essere presa in giro ma quando si avvicinò al passeggino un’espressione strana le si dipinse in viso, un misto di meraviglia e paura che la rendeva terribilmente dolce “Lei è .. lei … è una bambina” “Già, e tu sei un medico! Non balbettare” ribatté divertito scaldando il latte di Rylie “House è una bambina” “Ho capito”  tornò a sedersi al suo posto fissandola divertito mentre osservava Rylie  “È mia figlia” mormorò sorridendo appena “Mi prendi in giro?” scosse la testa “Non sono mai stato più serio”  Lisa annuì appena tornando a sedere “Beh .. è bellissima” ma la sua voce lasciava trasparire qualcosa di diverso “È per lei che sei scappato?” “Se ti dicessi di si cosa cambierebbe?” “Almeno sarebbe una spiegazione”  gli occhi della ragazza percorrevano ogni centimetro del suo viso cercando risposte che  nemmeno lui poteva dare “Si chiama Rylie. L’ho avuta da una ragazza quando .. beh quando ci siamo lasciati. L’avevo conosciuta ad una festa, ci siamo ubriacati, abbiamo fatto sesso e nove mesi dopo lei è nata” bravo, buttare fuori tutto d’un fiato era decisamente l’idea migliore “Rylie è mia figlia. Tempi e test del dna lo confermano” “Non solo quelli” sussurrò Lisa sfiorando appena la bambina con lo sguardo “Lei ha .. ha i tuoi occhi e le tue espressioni” era a disagio, delusa e probabilmente se non l’avesse avuto davanti si sarebbe messa a piangere, cercava di nascondere quelle lacrime silenziose dietro a sorrisi falsi e costruiti ma la conosceva troppo bene “Vuoi venire con noi?” domandò all’improvviso dando il biberon alla bambina “Oggi è il grande giorno per lei, oggi il prete le darà il tanto ricercato contatto con il signore dei cieli” gli occhi di Lisa si piantarono nei suoi “Ehi, solo perché Dio si è scordato di me non vuol dire che mia figlia debba avere la stessa sorte non ti pare?” un altro sorriso finto a colorarle il volto  “Allora? Vieni con noi?” “No, non credo sia la cosa migliore da fare” afferrò la giacca ma la mano di Greg si chiuse attorno al suo polso costringendola a voltarsi verso di lui “Resta, mangiamo qualcosa assieme e sarai libera di torturarmi con tutte le tue domande”  sorrise liberandosi da quel contatto gelido e doloroso “D’accordo” sussurrò tornando accanto al tavolo “Puoi guardarla qualche minuto? Devo vestirmi” ma prima che potesse rispondere Greg era sparito lasciandola da sola con la piccola.
Sola con quegli occhi rubati dal viso del padre che la guardavano curiosi.
Aveva attraversato mezzo mondo per vederlo, per parlare con lui e ora, era da sola in una cucina con quella bambina che la massacrava nell’intimo.
Rylie era la sorpresa più grande che potesse travolgerla, non si aspettava di trovarlo così, cambiato, diverso, a dire la verità era convinta di trovarlo in qualche hotel con una lista di ragazze e un frigobar bello pieno e invece, aveva una casa meravigliosa e una figlia.
Era cambiato, ci era riuscito e l’aveva fatto decidendo di tagliarla fuori dalla sua vita, la amava e lei lo sapeva perché provava la stessa cosa ma in quel momento, l’avrebbe preso a calci.
Quei nove mesi passati a litigare non erano serviti a niente, le aveva nascosto Rylie e ora, non sapeva nemmeno lei come comportarsi o cosa fare. Sorrise giocando con una manina della piccola ma quegli occhi di ghiaccio si piantarono violenti sul suo viso, e quasi come se sentisse la sua tristezza e la sua rabbia ritrasse la manina restando immobile ad osservarla “Ehi” esordì Greg entrando di corsa in cucina “Come va?” “Potevi anche evitare di correre” rispose divertita, aveva la camicia mezza allacciata e la giacca appesa per una manica al braccio destro “Andiamo?” “E non ti allacci la camicia?” Greg sorrise appena finendo di prepararsi “Aspetta” sussurrò la ragazza aiutandolo a fare il nodo della cravatta.
Davvero perfetto, ora erano a pochi centimetri uno dall’altra e lui riusciva perfino a sentire il suo profumo “Dev’essere uno sforzo enorme per te,  entrare in chiesa è come chiederti di fare tre ore di ambulatorio tutti i giorni” scoppiò a ridere prendendo in braccio Rylie "Dev'essere uno sforzo enorme anche per te, venire con me al battesimo di mia figlia, la figlia che ti ho nascosto e che ora respira e ride" una sferzata gelida di cattiveria creata apposta per ferire “Cavolo, le chiavi dell’auto” esclamò allegro abbandonando la bambina tra le braccia di Lisa, ancora una volta gesti e azioni creati per studiarla, per capire fino dove poteva spingersi “Ehi” mormorò sistemando il vestitino di Rylie  “Lo sai che sei proprio bella?” un sorriso enorme si dipinse sul volto della piccola “Andiamo” seguì Greg fuori dalla cucina ridendo mentre Rylie tentava di scappare via dalle sue braccia.
Era strano e perfino folle ma quel pensiero continuava a torturarla, in quel momento sembravano una famiglia, o almeno, qualcosa di simile ad una famiglia, qualcosa che aveva sempre desiderato ma che non aveva mai nemmeno sperato di avere.
Lisa e una bambina, una famiglia, una casa e la voglia matta di scoprire che la vita poteva dargli di più.

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Capitolo 8
*** Errore ***


Short film                                                          Errore





“Complimenti” “Per cosa?” “Per aver scelto la via più difficile” sorrise posando il calice di vino sul tavolo “Almeno Rylie crescerà convinta che qualcuno lassù ci sia davvero” “Perché l’hai chiamata così?” “Era il mio personaggio preferito nei fumetti” ma gli occhi di Lisa erano tremendamente bravi ad estorcere la verità “Mi piace tutto qui, era uno dei nomi che avrei scelto se ..” ma si bloccò di colpo nascondendo il viso dietro al bicchiere  “Se?” “Se avessimo avuto dei figli” la vide tremare leggermente posando la forchetta “Avremo potuto averli ma tu sei scappato” annuì distrattamente tornando a concentrarsi sul piatto davanti a sé “Ti va di venire in vacanza con noi?” “Sei impazzito?” “Più o meno” rispose divertito dall’espressione di Lisa “Da domani fino alla fine del mese sono in ferie” “House … domani inizia il mese” guardò distrattamente il cellulare “Hai  ragione ma sono in ferie lo stesso. Io e Rylie andiamo alle Hawaii per un po’” “E io cosa c’entro?” “Vieni con noi, gli amici fanno le vacanze assieme no?” annuì esitante abbassando lo sguardo “Puoi portare anche Rachel e poi … “ “No, Rachel è con mia madre, la porta in Europa” Greg sorrise sorseggiando il vino “Motivo in più per venire con noi” Rylie gorgogliò felice dalla carrozzina “House, ho il lavoro e poi devo organizzare l’agenda e ..” “La smetti di organizzare ogni cosa? Da quando ti conosco non ti ho mai visto andare in vacanza per più di cinque giorni. Smettila di comportarti da robot e vieni in vacanza con noi. Che ci fai tutta sola a Priceton?” "Questo è un ricatto" "Giusto, esatto però mi serve che tu accetti se no come faccio a metterlo in atto?"  rimase senza parole, non riusciva nemmeno a rispondere così si limitò a sorridere senza più spiccicare una parola.

Era un errore, un enorme e madornale errore. Perfino ora, davanti a quella spiaggia finissima e candida come la neve continuava ripetersi che era uno sbaglio.
L’aveva invitata a passare un mese con loro due lontano da tutti e da tutto, forse era davvero questo che voleva, passare del tempo con lei per capire se la lontananza aveva in qualche modo affievolito quella dannata attrazione.
Amava le Hawaii anzi, a dire il vero amava tutti i posti circondati dal mare. La brezza fresca e profumata correva sulla sua pelle lasciandogli addosso un piacevole tepore, Lisa se ne stava immobile accanto a lui, gli occhi persi sull’orizzonte e su quell’immenso specchio d’acqua.
La luce tenue del tramonto colorava il cielo di un dolcissimo arancione “Rylie sarà stanca” sussurrò scostandosi i capelli dagli occhi ma lui rise divertito voltandosi appena verso la bambina “Lei è quella che ha meno bisogno di riposo” seguì il suo sguardo fino alla piccola, sorrise divertita quando la vide afferrare un fiore arancio come il sole e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, se lo portò alle labbra cercando di inspirarne il profumo  “Visto?” buttò lì divertito inginocchiandosi accanto a lei “Profuma di buono piccola?” la bambina si voltò verso di lui colorando quel volto allegro e dolce con un sorriso meraviglioso “Deve profumare davvero tanto se ti fa ridere così” la sollevò da terra divertito raggiungendo Lisa “Tieni” le porse il fiore scostandole quelle ciocche ribelli dagli occhi, così, come se quel gesto fosse il più naturale del mondo.
Era rimasta immobile, il fiore stretto tra le mani e l’immagine di un uomo diverso che prendeva lentamente forma davanti ai suoi occhi. Quello non era Greg o almeno, non era lo stesso Greg che conosceva lei, era cambiato e forse il merito era proprio di quella bambina eppure, nonostante tutto, sentiva la sua mancanza.
Aveva bisogno di ritrovare quell’uomo scorbutico e ironico che si divertiva a prenderla in giro, aveva bisogno di quell’uomo complicato e diverso che ogni giorno, le dimostrava quanto l’amava ma  quell’uomo non c’era più. Al suo posto un padre dolce e allegro che rendeva le giornate della sua bambina qualcosa di unico. Forse, se non fosse scappato a quell’ora Rylie poteva essere la loro cosa speciale, un dono che crescevano assieme e invece, lui aveva scelto da solo.
Se ne era andato lasciandola lì a chiedersi cosa avesse sbagliato. Ci aveva messo tanto, forse troppo a capire cosa veramente provasse per lui e ora, Rylie era l’unica persona a poter ridere accanto a lui, quella piccola senza colpe era l’unica a poterlo stringere e baciare perché suo padre, spaventato dalla felicità aveva deciso di tagliare fuori dal suo mondo perfino l’amore.
Sapeva che non avrebbe potuto riaverlo e sapeva che provarci l’avrebbe distrutta ma allora perché diavolo continuava a stagli accanto? Sospirò seguendolo lungo il viale fiorito.
Mattina e i primi raggi di sole si alzavano assieme al sorriso di Rylie “Dormi” esclamò Greg affondando la testa nel cuscino ma la piccola gorgogliava allegra nel lettino “E va bene” allungò una mano verso di lei abbassando la protezione della culla “Puoi dormire con me” la prese in braccio posandola dolcemente sul letto accanto a sé “Però ti avverto che papino è davvero irritabile” Rylie sorrise posando una manina sulle sue labbra “Certo e così mi prendi per il culo ma non credere di averla vinta” le diede un bacio e la coprì con il lenzuolo seguendo il suo respiro lento e regolare. Nella stanza accanto c’era Lisa, il suo sorriso e il suo corpo  avvolto in quel lenzuolo di seta
terribilmente sexy. Chiuse gli occhi cercando di cacciare dalla mente quell’immagine ma evidentemente era troppo idiota per riuscirci. Sollevò appena la testa controllando Rylie, si era riaddormentata ma sapeva bene che sarebbe durato poco. 

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Capitolo 9
*** Custoditi dal Mare ***


Short film 9                                                                                                         Custoditi dal Mare






Per colpa di quel maledetto fuso orario non riusciva a regolare l’organismo al contrario invece, Lisa non sembrava risentire di quel cambio repentino. In fondo lei era rimasta a Londra solo tre giorni.
Il sole era caldo e la spiaggia quasi deserta, sorrise cercando di infilare a Rylie il costume ma la piccola continuava ad agitarsi infastidita da quella costrizione “Avanti piccola … non puoi andare in spiaggia nuda”  ma Rylie continuava a fare i capricci incurante della poca pazienza del padre “E va bene” fece un bel respiro cercando di mantenere la calma “Ti concedo ancora due ore per scatenarti poi andremo in spiaggia” la prese in braccio spalancando la porta “Ehi” Lisa era immobile con la mano a mezz’aria “Stavo per bussare ma poi ..” “Inizio ad odiarla” sbottò chiudendosi la porta alle spalle “Cosa ..:” le posò un dito sulle labbra trascinandola verso la hall “Andiamo a fare colazione”.
 Di certo averla seduta di fronte non aiutava per niente, cercava di evitare i suoi occhi ma erano una calamita e non poteva far altro che rimanerne affascinato. Finì di corsa la colazione e assieme a lei si incamminò verso la spiaggia, la sabbia bollente scivolava fine sulla loro pelle  e il profumo del mare era così intenso da stordirli “Così … questo è il nuovo dottore?” la guardò incuriosito “Questo è il nuovo te?” “Non ti piace?” sorrise tornando a concentrarsi sul mare “No, solo, è strano” “Perché?” “Perché non sono abituata a vederti così tutto qui” le sorrise di nuovo raddrizzando il cappellino sulla testa di Rylie “Nemmeno io sono abituato a vedermi così” “È bello” mormorò  passandosi una mano tra i capelli “Almeno so che l’egoista bastardo che conoscevo si è volatilizzato” “Oh io non direi, preferisco pensare che si sia ammorbidito” ribatté allegro sfiorandole una spalla “Non posso prendere per il culo una bambina no?” “No, direi di no” “Almeno su questo siamo d’accordo” gli occhi di Lisa si piantarono nei suoi “Che c’è?” domandò incuriosito ma la risata di Rylie interruppe il loro discorso, si voltarono verso di lei e scoppiarono a ridere assieme “Non mangiare la sabbia peste!”  Lisa sorrise passandogli un fazzolettino “La sabbia non è come il latte Rylie, se la mangi  papino è costretto a farti una lavanda gastrica” ma la bambina sorrise posando le manine sporche sulla sua faccia “Divertente” sussurrò baciandola “Andiamo a giocare?” allungò una mano verso Lisa e la tirò dolcemente verso l’acqua.
Forse non era poi così male pensare di averla nella sua vita, in fondo lei era l’unica donna che avrebbe mai potuto resistere al suo carattere marcio e contorto.
Di certo non era lei a tenerlo lontano anche perché non ci sarebbe riuscita in nessun modo. La sua pelle accarezzata dal sole era meravigliosa e il suo corpo … il suo corpo perfetto stretto a lui mentre l’acqua gelida le faceva il solletico. Quelle gocce di perla sfioravano appena le linee delicate del suo corpo quasi come se avessero paura di rovinare un capolavoro ma lui sapeva bene quanto calore era custodito in lei.
Conosceva la sua passione e la sua voglia di vita ed era questo a frenarlo, aveva paura di cambiarla, di spegnere quella luce accecante che riempiva il suo cuore fino a lasciare un immagine opaca e confusa di lei. Non voleva farle del male, non un’altra volta.
Ci provava, ci provava con tutte le forze  a lasciarla fuori dalla sua vita, provava ad andare avanti lasciandola libera di decidere ma lei continuava a tornare indietro. Tornava dall’unica persona sbagliata che per contro aveva un bisogno quasi viscerale di averla accanto.
Sole e mare, lontano da tutto e da tutti, solo con lei e la sua bambina in un mondo che sembrava distante anni luce dal suo passato “Smettila di guardarmi” “Ehi, non sto facendo niente” sbottò allegro “Già, così come non facevi niente ogni volta che aspettavi l’ascensore dietro di me” alzò arrendevole le mani al cielo “D’accordo, questa l’hai vinta tu” sorrise reggendo con una mano la bambina “Hai intenzione di usarmi come baby sitter?” Rylie si attaccò alle sue gambe “Saresti una sexy baby sitter e poi guarda” indicò appena la piccola “Prova ad alzarsi” Lisa sorrise inginocchiandosi accanto a lei “Non sei piccolina ancora?” ma la risata cristallina di Rylie era meravigliosa, la prese in braccio passando a Greg la borsa “Andiamo a fare merenda piccola” “Ehi, hai intenzione di usarmi come facchino?” ribatté ironico seguendola ma lei non rispose, si limitò a ridacchiare giocando con le manine di Rylie.

Sei giorni passati a ridere e scherzare e ora, ora che tutto sembrava perfetto, di nuovo il mondo, quello vero a riportarli indietro.
Rylie aveva passato una settimana a giocare abbracciata a quella ragazza meravigliosa che dormiva nella camera accanto. Per quel breve lasso di tempo aveva provato le brezza di passare del tempo con una specie di famiglia. In fondo loro erano questo no? Per quanto si allontanassero uno dall’altro finivano irrimediabilmente per ritornare al punto di partenza ma questa volta, ci sarebbero state miglia e miglia marine a separarli “Ehi” esclamò allegro spalancando la porta “Hai già finito di fare le valige?”  annuì appena sedendosi sul letto accanto a lui  “Cos’è questa faccia?” “Devo aspettare altri sei mesi prima di rivederti?” bella domanda, che diavolo poteva risponderle ora? Forse sorridere come un’ebete era la cosa più logica da fare visto che non poteva usare nemmeno Rylie come scusa “Senti” iniziò sfilando il cellulare dalla tasca “Questo è il mio nuovo numero. Se lo dai a Wilson ti faccio del male chiaro?” sorrise appena abbracciandolo, ci mise qualche secondo a realizzare ma per quanto provasse a convincere le braccia ad allontanarla da lui, il cervello ripeteva sempre e solo la stessa frase “Non lasciarla andare” la strinse più forte nascondendo il viso nell’incavo del suo collo.
Immobili nel silenzio ad ascoltare l’uno il cuore dell’altro, fece un bel respiro e la stacco leggermente da sé, giusto quel tanto  che bastava per guardarla negli occhi “Lisa non …” ma la sua mano si posò dolcemente sulle labbra “Come mi hai chiamato?” era così vicina da poter sentire il suo profumo “Lisa” sussurrò baciandola.
Ecco fatto, ora era tutto completamente fuori posto, lei stretta tra le sue braccia  e lui, innamorato pazzo di quella ragazza non aveva la minima intenzione di lasciarla scappare via “Aspetta” mormorò staccandosi appena da lei, solo pochi millimetri per riuscire a riprendere fiato “Me  ne sono andato per evitare di farti male di nuovo e se ora resti qui ..” scosse leggermente la testa passandole una mano tra i capelli “ … se resti qui io ti farò del male”  quello sguardo caldo e sensuale si perse in lui, i suoi occhi cristallini come l’acqua e la profondità di quello sguardo lo faceva inevitabilmente cadere verso quella passione che ben conosceva “Vuoi che vada via?” sussurrò sfiorandogli il viso “Vuoi che smetta di amarti?” non riusciva  a mettere in fila nemmeno una stupida frase, chiuse gli occhi e tornò a baciare quella pelle di sole profumata di vita.
Lei, la ragazza che comandava con rigore ogni suo dottorino ora era una dolcissima donna stretta a lui, i capelli sciolti sul cuscino e le cosce strette attorno ai suoi fianchi, i sospiri e quei baci rubati al silenzio che nessun’altra era in grado di creare.
Movimenti lenti ed estenuanti e  pelle di seta che scorreva veloce sotto le dita a lasciarlo stordito e indifeso, l’amava, l’amava da morire  e sapeva che l’avrebbe distrutta ma in quel momento, niente e nessuno l’avrebbe convinto ad andarsene da quella camera, non l’avrebbe lasciata, perché farlo significava scappare un’altra volta e rinunciare a quella dolcezza, rinunciare a lei e alle sue labbra.
Tutto quel tempo passato a cercare di annullare il suo ricordo era stato improvvisamente cancellato da quei baci, quelle carezze silenziose che sapevano di lacrime e rabbia. Ora come avrebbe fatto? Non poteva lasciare Londra
ma non poteva nemmeno lasciare lei e doveva pensare a Rylie.
Perché non poteva essere semplice? Perché ogni volta che doveva scegliere era tutto così complicato? Nove mesi passati ad ignorarla per non complicare ulteriormente le cose, le urla e i litigi, quegli sguardi rubati quando lei non  guardava e poi la nascita di Rylie, la consapevolezza che niente sarebbe stato più come prima, partire, lontano, dall’altra parte del mondo per evitare di pensare a lei e poi quella visita, di nuovo i suoi occhi e quel sorriso che lo faceva impazzire, quel viaggio deciso all’improvviso solo per poterla avere accanto qualche secondo, egoista e bastardo come sempre aveva pensato a se stesso ma Lisa … lei l’aveva seguito senza protestare e ora, tra quelle lenzuola di seta quei sospiri sarebbero stati custoditi dal mare.

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Capitolo 10
*** La foto di un Attimo ***


                                                                                                 La foto di un Attimo 









Era un bambino? Aprì leggermente un occhio cercando di comprendere da dove arrivasse quel pianto ma ci mise qualche minuto buono prima di capire che era Rylie e non un immaginazione. Chiuse di nuovo gli occhi stringendo più forte Lisa “Se la ignori non smette sai?” “Divertente … è un finto pianto, tornerà tranquilla entro cinque minuti” ma lei sorrise voltandosi appena verso di lui “Che facciamo?” aprì gli occhi di colpo “Non lo so” rispose disegnando sulla sua pelle dolcissimi cerchi “Io vivo a Londra e tu a Princeton, non posso lasciare il mio lavoro e tu non puoi nemmeno correre in Inghilterra ogni settimana” “Potresti ..” ma le posò un bacio sulle labbra bloccando sul nascere quell’idea malsana “Smettila di chiederlo, non torno indietro” “E io non posso andare via da Princeton” abbassò lo sguardo posando la fronte contro la sua “Resta con me a Londra” sussurrò sfiorandole il volto “No,  io non …” “Resta con me solo qualche settimana” “Come lo spiego al consiglio? Non posso lasciare tutto così” si sollevò dal letto cercando i suoi vestiti ma Greg la bloccò per un polso costringendola a tornare nella stessa posizione “Non ti lascio andare Lisa” quel viso d’angelo troppo vicino per restare semplicemente un immagine era l’unica cosa che voleva vedere al mattino “Solo due settimane” Greg sorrise annuendo appena ma Rylie non voleva smettere di piangere “ Cavolo” sbuffò alzandosi malamente dal letto “Hai deciso di farmi impazzire signorina?” erano le otto e mezza e Rylie doveva mangiare, la posò dolcemente sul letto accanto a Lisa “Vado a prenderle il latte. Giuro che non scappo e che non ti abbandono con una piccola frignona” ma Lisa sorrise sollevando Rylie “Paparino te ne vai o no? Così la fai arrabbiare e basta”  “D’accordo” sbuffò infilandosi la maglietta “Vuoi qualcosa?” “No grazie” rispose la ragazza stiracchiandosi tra le lenzuola “Torno subito” prese le chiavi della camera e cercando di fare meno rumore possibile si tirò la porta alle spalle.
Un’ora ad aspettare un ragazzetto idiota che non era nemmeno in grado di scaldare del latte. Aveva un assoluto bisogno di riposo perché di certo Rylie l’avrebbe distrutto. Aprì lentamente la porta e senza emettere il minimo rumore posò le chiavi sulla mensola “Ecco il …” ma la frase si bloccò in fondo alla gola, immobile con il biberon a mezz’aria osservava la scena più bella del mondo.
Rylie stava dormendo, la testa posata sulla schiena nuda di Lisa e le manine appoggiate poco distante dal viso. Il respiro di Lisa cullava Rylie tranquillizzandola. Prese una sedia e sorridendo appena sfilò il cellulare, quell’immagine meritava di rimanere impressa per sempre almeno in una foto. Sarebbe rimasto ore e ore a guardarle dormire, la dolcezza che riversavano attorno era tantissima e probabilmente, se fosse stato ancora quello stronzo di sempre gli sarebbe venuto il diabete anche solo a vederle una volta sola e invece ora, ci avrebbe passato la vita così.
Era straordinaria la velocità che avevano avuto nel creare un legame. Lui ci aveva messo mesi prima di riuscire a capire Rylie e Lisa in una settimana l’aveva presa per mano accompagnandola dentro al suo cuore, quel posto luminoso e accecante che la faceva brillare più di una stella.
Quello scatto sarebbe rimasto in eterno nella sua memoria perché quelle due erano le sole cose belle nella sua vita sconclusionata.
 

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Capitolo 11
*** Occhi di ghiaccio e canzoni di Stelle ***


                                                                           Occhi di ghiaccio e canzoni di Stelle



  


“Sei in ritardo” sorrise appena spalancando la porta per farla entrare “Non sono io a guidare l’aereo sai?” ma le sue labbra erano troppo invitanti per restargli indifferente, la prese per le spalle inchiodandola al muro “Mi sei mancata” quel sorriso malizioso e pericoloso si fuse con lui confondendo qualunque cosa nel raggio di pochi metri.
Il suo sapore, la sua pelle, tutto di lei gli era mancato da morire e ora, non riusciva a staccarsi da quella bocca dolce come il miele, allontanò  appena le labbra dalle sue , giusto quel tanto che bastava per riuscire a respirare ma i pochi secondi di distacco erano più dolorosi di quel mese passato ad aspettarla. I suoi occhi erano così belli da togliere il fiato e quel viso d’angelo arrossato non sembrava appartenere ad una vita terrena.
I vestiti cadevano a terra alla velocità della luce ed ogni carezza diventava più bollente.
La sollevò da terra sfiorandole la schiena con le mani, il ventre piatto della ragazza appiccicato al suo e quelle  labbra di fuoco a sconvolgergli i sensi  “Se Rylie si sveglia non ..” sorrise posando la fronte contro alla sua “Se Rylie si sveglia piangerà un po’ da sola”  non ci capiva niente nemmeno lui perché avrebbe dovuto preoccuparsi anche della bambina? Ora quello che voleva era solo Lisa.
Aprì lentamente gli occhi cercando di ricordare cosa fosse accaduto in quelle ultime ore ma perfino mettere a fuoco era una cosa complicata, solo il corpo bollente accanto a lui sembrava reale.
Sorrise posando un bacio su quella pelle di seta “Com’è andato il viaggio?” si voltò appena verso di lui “Tranquillo e sereno” “E il lavoro?” “La smetti di psicanalizzare?” rispose ironica ridacchiando “È come se ti chiedessi: Greg com’è andato il sesso?” ma lui scoppiò a ridere “Perché mi vengono sempre in mente cose del genere?” continuò sbuffando ma le  labbra di Greg si posarono dolcemente sul suo collo “Il sesso è fantastico, tu sei fantastica e il sesso che faremo più tardi sarà fantastico” “E il tuo di lavoro come va?” buttò lì incuriosita girandosi verso di lui “O il mio va benissimo, posso comandare e non ho nessuno a controllare … Sono in paradiso” “E la gamba?” “Sta bene” ma i suoi occhi non la smettevano di studiare il suo volto “Davvero … sta bene, non fa male e sopravvivo” “Ma non zoppichi” “Già,  il metadone non mi fa zoppicare ma credo che tu lo sappia no?” “Mi spaventa da morire” sussurrò distogliendo di colpo lo sguardo “Ehi .. sto bene davvero” continuò rialzandole leggermente il viso “E per dimostrarti che tutto è a posto ora mi alzo, controllo Rylie e preparo la colazione” sorrise scostando appena le coperte “Poi andiamo tutti a fare un giro altrimenti quella piccola peste mi distrugge casa” si chiuse dolcemente la porta alle spalle lasciandola sola nella penombra della stanza.
 
 
Forse non era del tutto sbagliato dare una seconda occasione al loro rapporto anzi, la prima nemmeno l’avevano avuto però qualcosa dentro di lei continuava a urlare “Lui è quello giusto, lo ami quindi lascialo andare … se è cambiato così non è per merito tuo” chiuse gli occhi cercando di ricacciare quel maledetto sospiro in fondo all’anima.
Era una bella giornata, il sole splendeva nel cielo rischiarando ogni cosa e in quella casa tutto sembrava diverso, luminoso e pieno di vita e forse il merito era di Rylie. Scendeva quegli scalini quasi come se stesse camminando sui carboni ardenti.
Accanto alla finestra quella culla bianco perla custodiva i sogni  di quella bambina, si avvicinò in punta di piedi, con il terrore di poterla svegliare da un momento all’altro ma alla piccola non interessava niente delle sue paure, delle sue indecisioni e della sua ansia, stretta ad un pupazzetto riposava serena “Sei così piccola” sussurrò sfiorandole la testa con una leggerissima carezza “Sogna solo cose belle tesoro” tirò appena le tende per evitare che la luce la disturbasse “Ehi” le braccia di Greg si chiusero attorno ai suoi fianchi “Visto? La bambina che si sarebbe dovuta svegliare e piangere” sbuffò divertito posando le labbra sul suo collo “Le vuoi molto bene vero?” “Credo di si, insomma, è mia figlia no?” si sciolse dolcemente dall’abbraccio voltandosi verso di lui “Che c’è?” “Niente, volevo solo guardare negli occhi l’uomo che una volta credevo invincibile. A quanto pare hai un cuore anche tu” sorrise inclinando leggermente la testa di lato “Ho imparato ad avere un cuore ..” si fermò qualche secondo sfiorando con gli occhi il corpicino di sua figlia “ … non potevo permetterle di crescere con uno stronzo” Lisa scosse leggermente la testa ridendo “Potevi farlo anche a casa, che bisogno avevi di scappare qui?” “Avevo bisogno di scappare da te” “Ti ho fatto del male in qualche modo?” la voce della ragazza stava pericolosamente prendendo una sfumatura strana “Potevo fartene io e posso fartene ancora Lisa e tu … tu non lo meriti ecco perché sono scappato” “Perché diavolo decidi tutto da solo?” provava a non urlare e faceva una fatica assurda a trattenere le emozioni “Oh guarda” esclamò allegro “Rylie” si voltò verso la culla cercando di sorridere “Ciao tesoro” la piccola tese le braccia verso di lei ridendo “Andiamo” la sollevò delicatamente dal lettino e venne travolta da quel profumo tenero e infantile che amava da morire “Il caffè è quasi pronto” continuò Greg tornando verso la cucina “Andiamo a fare il bagnetto?” Rylie sbadigliò appena posando la testa sulla sua spalla.
 Era sempre così, ogni volta che provava a parlare con lui, ogni volta che cercava di aprirsi un varco tra i suoi pensieri finiva sempre nello stesso modo, se la svignava usando come scusa sua figlis “Dovrei prendermela con te lo sai?” la manina di Rylie si rituffò allegra nell’acqua spargendo schiuma ovunque “Già” sospirò ridendo “Tu non hai nessuna colpa” esclamò divertita cercando di evitare altri schizzi d’acqua ma il bagno era quasi completamente allagato “Tuo padre ci uccide se vede questo disastro piccola” afferrò un asciugamano reggendo Rylie con la mano libera “Ora dovresti asciugarti se no ci prendiamo un  bel raffreddore, tuo padre diventa isterico e io non posso sopportarlo ridotto in quello stato perché rischio seriamente di finire ricoverata in psichiatria” avvolse la bambina nell’asciugamano e cercando di evitare le pozze d’acqua uscì dal bagno ridendo “Cosa combinate?” chiuse di colpo la porta sorreggendo la bambina con una mano mentre l’altra era nascosta dietro alla schiena, ancora posata sulla maniglia “Abbiamo finito di fare il bagno” “Tu o lei?” domandò divertito scostandole dagli occhi una ciocca di capelli bagnati “Beh .. diciamo tutte e due” rispose allegra “Non funziona sai? Ti conosco donna” le sfiorò un fianco con la mano facendo scivolare il braccio alle sue spalle, la porta del bagno si aprì lentamente ma Lisa era già scappata via ridendo “Fantastico” mormorò allibito “Sono state qua dentro mezz’ora … quelle due assieme non vanno affatto bene” afferrò un altro asciugamano pulito e iniziò ad asciugare il pavimento cercando di non pestare le paperelle di gomma e i vari giochini sparsi per la stanza.

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Capitolo 12
*** Solo una semplice Parola ***


                                                    Solo una semplice Parola




Ci aveva messo quaranta minuti buoni per riuscire a restituire al bagno un aspetto quasi normale e poi la voce di Lisa “Cosa?” esclamò preoccupato correndo di nuovo in sala, la ragazza se ne stava immobile in mezzo alla stanza e Rylie aggrappata alle sue gambe che rideva “Cosa ..” “Si è alzata da sola” scoppiò a ridere inginocchiandosi davanti alla bambina “A quanto pare piccola peste siamo molto più sveglie del resto dei bambini” la prese in braccio allontanandosi
di qualche passo da Lisa “D’accordo”sussurrò ridacchiando “ Avanti tesoro,fai vedere al tuo papà quanto sei brava”
Lisa rimase immobile qualche secondo, non era abituata a sentirlo parlare in quel modo però, dopotutto non era un male no? Si mordicchiò leggermente il labbro prima di convincere il cervello a mascherare quel disagio “D’accordo Rylie” continuò Greg posandola per terra “Vai, hai licenza di camminare”la piccola sorrise fissando gli occhioni sul volto di Lisa.
Ci mise qualche secondo a convincersi che quella donna di fronte a lei non l’avrebbe lasciata cadere, un passo, poi un altro e poi le braccia di Lisa a sorreggerla e il viso sorridente del suo papà “Non posso crederci”  annuì divertita giocherellando con le mani di Rylie “La mia bambina è diventata grande” esclamò  prendendo in braccio la figlia “Brava piccola. Tuo padre è orgoglioso di te” le diede un bacio ma Lisa rimase immobile esattamente nella stessa posizione “Stai bene?” domandò preoccupato vedendola tremare leggermente “Scusa, solo un brivido” “Sicura?” annuì decisa “Senti non credi che forse dovresti ..” ma lei bloccò quel fiume di parole con un semplice sorriso “Cosa facciamo oggi?” Greg sorrise appena cercando di evitare che Rylie scivolasse via dalle sue braccia “Teoricamente il mio finto padre vorrebbe conoscerti” la vide indietreggiare appena ridendo “Stai scherzando?” “Ho l’aria di uno che scherza?” sbottò secco “Sei fortunata che mia madre non abbia deciso di stabilirsi qui per tutto il tempo delle tua permanenza” “Mi spieghi cosa stai ..” “Ehi” iniziò ironico puntandole un dito contro “Tua madre mi hachiamato otto volte negli ultimi due giorni” “Davvero?” “Già” continuò tagliente posando Rylie per terra “Voleva essere sicura che non ammazzassi sua figlia mentre era qui con me … credo che in realtà volesse sapere dove sei ma non preoccuparti, nessuno verrà a saperlo ma il problema reale, quello che veramente non mi da pace è un altro” lo guardò confusa per qualche secondo “Quello che comunemente chiamo padre abita a Londra e così anche mia madre. A loro non posso nascondere la tua presenza quindi scegli, o lui oppure una festa in casa” gli occhi della ragazza erano piantati nei suoi “Tutte e due” quella dannata risposta lo fece letteralmente barcollare “Sei impazzita?” ma lei scosse divertita la testa raccogliendo un pupazzo “Se mi presenti a tuo padre vuol dire che in fondo, per te, ho un qualche valore e non credo che una festa possa disintegrare questa cosa” le sorrise appena prendendole una mano “Mi stai condannando a morte” sussurrò divertito ma lei alzò appena le spalle “Mi piacciono le feste” Rylie si aggrappò alle gambe di Greg costringendolo a distogliere lo sguardo da Lisa “Che c’è piccola?” “Papà” l’aveva detto davvero? Non riusciva a crederci, non poteva crederci, si inginocchiò accanto a lei “Chi sono io Rylie?” la bambina spostò lo sguardo dal volto del padre a quello di Lisa “P- papà” esclamò allegra posando una manina sulle sue labbra “Cazzo” sussurrò prendendola in braccio “Ho le allucinazioni oppure ha detto papà?” Lisa sorrise sfiorandogli il viso “Complimenti dottor House, sei un papà” “Ed è una cosa brutta?” “Al contrario, direi che sei diventato grande” le sfiorò il viso con le labbra ridendo “Ironica e tagliente, eccola qui il direttore sanitario più sexy che io conosca” le labbra della ragazza si piegarono in un sorriso dolcissimo “Senti” iniziò staccandosi leggermente da lui “Rachel ..” “Portala con te” “Cosa?” “Tenerla lontana da noi, da me e Rylie non è la cosa migliore che possiamo fare, in fondo … è parte di noi no?” “Devo spiegarle ogni cosa” mormorò sedendosi accanto al tavolo “Devo spiegarle come mai una settimana al mese la sua mamma va via e come mai deve passare così tanto tempo con la sua nonna” Greg scoppiò a ridere sedendosi di fronte a lei “Che cosa ti ha fatto di male?” “Chi?” “Tua figlia” sbottò sarcastico “La lasci con tua madre e il motivo dev’essere per forza una punizione” “La smetti?” annuì appena socchiudendo gli occhi “Non le hai detto niente?” scosse appena la testa mordicchiandosi il labbro “Se tu venissi a Princeton qualche giorno sarebbe tutto più semplice” sospirò abbandonandosi contro lo schienale “Potrei parlarle assieme a te e forse non si sentirebbe presa in giro” “Cambierebbe davvero qualcosa?” sollevò leggermente lo sguardo incontrando gli occhi di ghiaccio dell’uomo “Se io venissi qualche giorno da te, cambierebbe qualcosa?” le sorrise appena prendendo in braccio Rylie “Lo faresti?” “Per te?” rispose sarcastico “Non lo so, dovrei pensarci” ma un pupazzetto lo colpì dritto in faccia “Ehi bambola. Io non ho usato la violenza” “Smettila di prendermi in giro” sussurrò la ragazza giocherellando con i capelli “Allora … cambierebbe davvero?” continuò fissando gli occhi nei suoi, era serio, probabilmente più di quanto non fosse mai stato “Ti avrei accanto quindi si, cambierebbe” rimasero in silenzio qualche secondo “D’accordo. Domani partiamo per Princeton” “Cosa?” “Partiamo e torniamo con Rachel. Inoltre Jimmy boy rivedrà paparino” si alzò dalla sedai reggendo Rylie con un braccio ma la mano di Lisa si chiuse attorno alla sua “Grazie” sorrise stringendo più forte la presa “Lo faccio solo per te angelo” “Lo so” rispose avvicinandosi a lui “Grazie” ancora un sorriso e poi quel bacio tenero e dolce che stava segretamente cambiando il suo essere.

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