E insomma, buon Natale

di Medea00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non me lo ricordavo così il Santa Secret ***
Capitolo 2: *** Non me lo ricordavo così Babbo Natale ***
Capitolo 3: *** Non me lo ricordavo così il cenone natalizio ***
Capitolo 4: *** Non me lo ricordavo così il bacio sotto al vischio ***
Capitolo 5: *** Non me la ricordavo così una dichiarazione d'amore ***



Capitolo 1
*** Non me lo ricordavo così il Santa Secret ***








Capitolo uno:  Non me lo ricordavo così il Santa Secret.


 





Si dice che a Natale torniamo tutti un po’ bambini.

Sarà perché è il periodo più dolce dell’anno, quello che ti lascia sempre sereno e benevolo con tutti quanti. E in un certo senso è anche quello più caldo e confortevole, considerando le coperte di lana, i maglioni fatti a mano da mamme e nonne ma che sei costretto ad indossare, le cioccolate calde e l’accogliente focolare domestico. Sarà che ci sono alcune cose che, con il passare degli anni, non cambiano affatto, che tu sia piccolo oppure no: la gioia di svegliarsi la mattina con un delizioso profumo di zabaione nell’aria; l’entusiasmo che provi non appena vedi il tuo regalo, lì, impacchettato e perfetto sotto l’albero, con il suo nastro rosso e ghirigori argentati. Ci provi con tutte le tue forze ad indovinare cosa sia, lo scruti, lo scuoti, a volte lo annusi anche –chissà, qualche zabaione confezionato? Non sarebbe male -; eppure, qualsiasi sforzo tu decida di fare, rimani sorpreso lo stesso nel scoprire il mittente, nel leggere il messaggio scritto a mano, nell’osservare la manifattura elegante e delicata della carta regalo.
E ti spunta un sorriso, quando capisci che ti dona sempre una bella sensazione ricevere il proprio regalo di Natale. Non importa l’età che si ha, alcune cose sono salde e immortali.

O quasi.

Perché quella mattina Blaine non si era svegliato con un profumo di zabaione, ma di alcool. E non fu affatto entusiasta nel vedere ciò che, a tutti gli effetti, doveva essere il suo regalo di Natale: adesso lo stava scrutando, sì, ma con occhi increduli e sgranati e, a giudicare dall’aspetto selvaggio e trasandato, gli sembrò anche che fosse stato scosso abbastanza. Più che abbastanza. Rimanendo in metafora, era del tutto privo di carta regalo e non aveva assolutamente nulla di delicato, ma, piuttosto, di travolgente, erotico e passionale.
Era un ragazzo.
E allora, quei segni violacei e rossastri presenti su tutto il suo corpo erano forse una sorta di bigliettino di auguri?
“Oh Dio.”
Si alzò a sedere con uno scatto fulmineo, ricevendo in risposta una forte emicranea che gli fece girare la testa. Si accorse solo un momento troppo tardi che, nel movimento, aveva scostato le lenzuola di cotone completamente stropicciate: non aveva il coraggio di guardarsi.
Ma poi lo fece, un occhio alla volta, e gli venne quasi da piangere perchè si trovava nelle stesse medesime condizioni dell’altro ragazzo. Se non peggiori, visto il mal di testa, la sensazione di nausea e i muscoli completamente irrigiditi.
No. A Blaine Anderson non spuntò affatto un sorriso quando, la mattina del venticinque Dicembre, svegliandosi nel suo piccolo letto della Dalton, trovò Sebastian Smythe ad un centimetro da lui, nudo, pieno di succhiotti e perfettamente rilassato in un sonno pesante.
A pensarci bene, non gli erano mai piaciute le sorprese.

“No.”
Non voleva crederci; non poteva crederci, se ci teneva a rimanere integro e vivo. La luce artificiale del corridoio penetrava dalle fessure della porta e regalava una modesta visibilità della stanza, composta da due scrivanie, una finestra completamente sbarrata, un piccolo bagno e, tra un armadio e l’altro, due lettini. Il primo era perfettamente intatto nelle sue lenzuola tipicamente rosse e blu, sopra il quale erano abbandonati in malo modo i vestiti di Sebastian; il secondo, invece, era quello su cui stavano loro due.
Si chiese dove fossero spariti i suoi, di vestiti, ma poi li trovò, sparsi tutti intorno al letto, accanto a delle cravatte arricciate ed un cestino contenente qualche carta ed un pacchettino usato di durex.
“Oh no, assolutamente no, non è possibile.”
Con la coda dell’occhio, posò di nuovo lo sguardo sul su Sebastian, beatamente sdraiato che abbracciava quello che, un tempo, era un cuscino morbido e innocente. Qualche ciuffo di capelli –completamente scompigliati, come se qualcuno li avesse tirati e stretti durante la notte– cadeva languidamente sulle ciglia morbide, che sfioravano appena una parte del suo braccio; era talmente vicino che sarebbe riuscito a contare tutti i nei sul suo collo. O almeno quelli non coperti da succhiotti.
E no, non era quella la vicinanza consentita ad un amico. Non con quell’odore di alcool nell’aria e nessun vestito addosso. Blaine era il suo migliore amico, in realtà, da tipo un anno, e che diavolo era successo, anzi, come diavolo era potuto succedere?
“No Blaine” mormorò a se stesso, prendendo respiri profondi e socchiudendo gli occhi: “Rilassati, calmati, va tutto bene. Sei ancora sbronzo. E’ tutto un sogno, quindi, datti una mossa e svegliati.”
Chiuse gli occhi, restando in quella posizione per diverso tempo: la schiena calda appoggiata al freddo muro della camera e le lenzuola che lo coprivano dal ventre in giù, lasciando libera soltanto una gamba maldestramente intrecciata a quella di Sebastian.
Ecco, il calore che provava all’altezza del polpaccio era abbastanza distintivo, così, controvoglia, riaprì gli occhi. Senza nemmeno bisogno di specificarlo Sebastian era ancora lì, con la sua schiena tonica sommersa da una tempesta di succhiotti.
Dio, erano tanti. Tantissimi. Quanti cavolo erano? Troppi. Si confondevano con il tatuaggio che aveva sul fianco sinistro: una frase di una canzone, probabilmente. Improvvisamente trovò a chiedersi se l’avesse notata, la scorsa notte, e se l’avesse baciata prima di lasciare qualche marchio con la lingua e-
“No. Oh no. No no no no.”
“Blaine, ti prego, io sto dormendo.”
Si immobilizzò all’istante. Perchè la voce appena udita non poteva essere quella di Sebastian. Perchè lui non si stava sfregando i suoi occhi chiari, imprecando qualcosa di indefinito prima di aprirli lentamente. Perchè lui non lo stava guardando come se tutto ad un tratto fosse stato catapultato in una quarta dimensione, e quello intorno non fosse affatto un mondo parallelo ed immaginario.
E beh, almeno fu di consolazione vedere una reazione non molto diversa dalla sua.
“... B-Blaine? Che cazzo è successo?” Lo vide annaspare per qualche secondo, in cerca di aria, e con un filo di voce disse: “Voglio dire, tu, noi-“
“Sì.” Aveva la gola secca. “Cioè, no. Credo di no. Insomma, non può essere.”
“Giusto”, affermò lui, altrettanto incerto, “Perchè... perchè sarebbe impossibile.”
“Assolutamente.” Blaine cercò di avvicinarsi il lenzuolo, ma non appena lo fece notò che anche la più piccola azione avrebbe scoperto il fianco di Sebastian: rimase immobile con i muscoli tesi e gli occhi che saettavano alla ricerca di qualsiasi cosa che non lo facesse mortificare.
Sebastian, dal canto suo, si voltò, passandosi una mano sul viso, e poi la intrecciò ai suoi capelli scompigliati, tirando la testa all’indietro ed emettendo un lungo, sonoro sospiro.
Mossa sbagliatissima.
Blaine sentì immediatamente qualcosa, anzi, una cosa specifica chiamarlo sull’attenti, ma lui scosse la testa e cercò in tutti i modi di concentrarsi solo ed unicamente sul punto della situazione, perchè ci doveva essere un motivo.
“Dunque, cerchiamo di ragionare. Noi siamo stati a quel party di Natale, ieri sera...”
Oh giusto, il party: improvvisamente dei flash di vodka, musica e Martini piombarono davanti ai loro occhi. Si ricordarono degli shottini, dei balli di gruppo e delle tante risate scambiate con il resto del gruppo.
Si ricordarono anche di quel video in cui ballavano Harlem Shake con il mascara e i rossetti, ma sinceramente sperarono che qualcuno lo avesse bruciato.
Almeno, adesso, avevano spiegato il mal di testa ma francamente in quel momento sembrava il quesito meno importante di tutti.
“Ci siamo ubriacati.” Constatò Blaine: lo fissò come se cercasse nell’altro una conferma. O una risposta. O, piuttosto, un modo per giustificare le cose. “Avevamo caldo, e... abbiamo dormito insieme senza vestiti. Tutto qui.”
“Certo. Dormito.”
“Sebastian stai sogghignando?”
“No, affatto.”
“Non ti azzardare a ridere.”
“Non sto ridendo.”
“Ti giuro che se ridi mi alzo e me ne vado.”
“Ti alzi nudo oppure ti passo un paio di pantaloni?”
Avvampò fino alla punta dei capelli e bisbigliò un “idiota” con voce spezzata e meccanica, dandogli anche un piccolo pugno sulla spalla. Sebastian si finse tranquillo, perfino divertito, ma non appena Blaine affondò il viso contro il cuscino, come disperato, l’espressione sul suo viso mutò radicalmente, trasformandosi in una smorfia seria.
Perchè, per quanto provassero ad autoconvincersi che quella notte non avessero fatto proprio niente, le prove del misfatto erano lì, davanti a loro, situate in una trentina di succhiotti e contornate da una camera messa completamente a soqquadro.
Non appena si guardarono lo capirono entrambi.
“E’ un disastro.”
Sebastian annuì, e stavolta sul volto non c’era l’ombra di un sorriso.
Nessuno dei due avrebbe mai considerato una cosa del genere, nè voluta. Sarebbe potuto andare peggio soltanto se-

“Hei Seblaine! Avete finito le vostre docce mattutine? Guardate che io e Nick non ci teniamo a-“
La porta si aprì di scatto, mostrando Jeff, da un lato, con la sua divisa inamidata ed il suo sorriso smagliante, mentre dall’altro soltanto loro, sul letto, sotto a delle lenzuola disfatte e con i respiri mozzati a metà.
Non fecero nemmeno in tempo a dire una parola che Jeff aveva già cominciato a urlare con tutto il fiato che aveva in corpo, indicandoli come se fossero un fenomeno da baraccone.
“Non ci posso credere!”
“Jeff”, tentò di dire Sebastian, “Non, non è come credi, noi non...”
“Ragazzi, venite qua! Questa è da non perdere!”
Sebastian stava già per alzarsi verso di lui e sbattergli la porta in faccia, magari dandogli anche un pugno o due, quando Blaine con uno slancio lo bloccò per un polso; gli bastò un’occhiata spaventata per suggerirgli di restare coperto, perchè ah, giusto, lui era nudo, e pieno di succhiotti, e così lo era anche Blaine.
E intanto mezzo cast dei Warblers si era già avventato sulla porta. C’era chi rideva, chi invece li fissava allibito. Chi stava facendo delle maledettissime foto e Wes, in cima a tutti, con il martelletto in mano che rischiava di scivolargli dalle dita.
Blaine e Sebastian si dissero tutto con uno sguardo: negare. Negare l’evidenza, sempre e comunque.
David incrociò le braccia al petto, guardandoli soddisfatto.
“E finalmente i due sex symbol della scuola l’hanno fatto insieme.”
“NO!”
Lo urlarono in coro, così, per peggiorare ulteriormente la situazione. Inutile dire che nessuno dei presenti credette ad una singola parola. Inutile dire che loro due si sentirono sprofondare, mentre il resto del mondo si lanciava in applausi e commenti coloriti.

Blaine voleva sotterrarsi. Voleva ficcare la testa in una fossa e riemergere a Natale dell’anno successivo. Voleva dare fuoco a qualsiasi alcolico presente sulla faccia della terra, uccidere tutti i suoi amici sotto atroci sofferenze e in cima alla lista delle esecuzioni ovviamente c’era-
“E insomma”, disse Sebastian, “Buon Natale.”









***


Angolo di Fra

Una gentilissima anon di spotted LJ&EFP stamattina mi ha ricordato che oggi è la Seblaine Sunday. E che io non posto Seblaine da troppo tempo.
Quindi eccovi qui una bella Seblaine per voi, e indovinate? E' una mini-long. E penso di aggiornare ogni domenica. Giusto per far contente tutte le "visionarie" Seblainer.
Spero che vi piaccia quanto è piaciuto a me scriverla perchè mi sono divertita tantissimo!

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Capitolo 2
*** Non me lo ricordavo così Babbo Natale ***


 
 






Capitolo due: Non me lo ricordavo così Babbo Natale.





I ragazzi vogliono fare sesso.
E’ un fatto universalmente riconosciuto al giorno d’oggi, mettendo da parte ipocrisie, bigottismo e quant’altro. I giovani, specialmente i liceali, si trovano a scoprire loro stessi, una parte di quel mondo che fino ad allora non avevano mai considerato più di tanto: perchè improvvisamente la mattina si svegliano e qualcosa non va. O perchè i computer si riempiono gradualmente di cartelle nascoste contenenti video scaricati da Emule, Youporn, oppure copie masterizzate di dvd prestati ad amici. E se resistere a quest’impulso era già difficile, per un ragazzo qualsiasi, per un ragazzo gay frequentare la Dalton era sinonimo di vivere in costante tentazione fisica e psicologica.
Chi prima, chi poi, arrivano a un punto di non ritorno in cui l’unica cosa che vogliono è il sesso.
C’è chi lo fa di nascosto, dopo le prove di qualche Club, o al sicuro tra le pareti del proprio dormitorio; c’è chi è più ostinato, chi non è sceso a patti con la sua sessualità, e preferisce negare i propri desideri in cambio di rabbia repressa e frustrazione.
Ad ogni modo che ci fosse o non ci fosse materialmente, rimaneva un pensiero fisso e costante nella mente di tutti.
 
Blaine e Sebastian rappresentavano le due facce della stessa medaglia. La stessa cosa, deliziosa e eccitante, ma vista da due prospettive molto differenti.
 
Sebastian Smythe era passione. Era lenzuola disfatte e gemiti che si sentivano oltre la porta; era l’eccitazione che passava attraverso il sangue caldo, la pelle d’oca, il respiro affannato. Sebastian era quel bacio fugace che ti lasciava insoddisfatto, ma bisognoso. Era la soddisfazione di vedere esaudite le tue preghiere più recondite, facendoti arrivare dritto in Paradiso. Sebastian ti apriva a un mondo del tutto nuovo, ti faceva provare cose mai conosciute prima.
Ma se lui rappresentava il sesso, quello vero, quello carnale, Blaine Anderson era il desiderio.
Era l’innocenza rinchiusa in un corpo caldo e invitante. Era quel sogno che ti faceva visita tutte le notti, uno di quelli sporchi, di quelli che non hai il coraggio di dire nemmeno ai tuoi amici, che rende le lenzuola bagnate di sudore, costringendoti a sfogarti sotto il getto freddo di una doccia. Era il diavolo e l’acqua santa, perchè lui non seduceva mai volontariamente, ma lo faceva attraverso sguardi, sorrisi, una particolare vibrazione nella voce bassa e particolare. Il sesso che si poteva fare con lui era quello che ti restava impresso per giorni, che si incollava alla mente senza avere la forsa di staccarsi.
Blaine e Sebastian avevano fatto un accordo, il giorno in cui si erano trovati in mano la chiave che portava alla stessa stanza del dormitorio. Era successo sei mesi prima, quando i loro ex compagni di stanza avevano chiesto un trasferimento più o meno nello stesso periodo: quello di Blaine si era stancato di sentire vocalizzi alle sette di mattina; quello di Sebastian, invece, non ce la faceva più a sopportare le notti di sesso sfrenato, che fossero con lui o con qualcun altro.
E così si erano ritrovati a dormire insieme i due ragazzi più ambiti della scuola. E chiaramente già si conoscevano: facevano parte del Glee Club, avevano delle classi in comune, e spesso venivano citati insieme, sotto la voce “con chi vorresti fare sesso”.
Proprio per quel motivo furono molto chiari sin dall’inizio. Blaine aveva guardato Sebastian, il suo ghigno compiaciuto, i suoi occhi verdi e gli aveva detto: “Noi due non faremo mai sesso insieme”, e Sebastian non si lamentò. Non voleva un altro coinquilino che lo piantasse in asso nel bel mezzo dell’anno scolastico, costringendolo a cambiare stanza: detestava i traslochi.
Dopotutto, Blaine Anderson era un ragazzo come tutti gli altri. Forse giusto un po’ più sexy.
Gli aveva stretto la mano, con il suo sorrisetto impeccabile, e l’altro ricambiò, gli sorrise di rimando. E in quel momento presero la stessa identica decisione: dal momento che non potevano andare a letto insieme, sarebbero diventati amici.



Blaine quel giorno si era alzato col piede sbagliato.
Non sapeva dire se la sua giornata fosse cominciata male nel momento in cui camera sua era stata invasa da mezzo gruppo di Warblers, o se era successo quando, andando in bagno, aveva scoperto di aver terminato il gel e, chiaramente, i negozi erano chiusi. Venticinque Dicembre, giusto? Grande festa, con tante sorprese...
Ne aveva avute già troppe di sorprese, per i suoi gusti. A pensarci bene, forse quella giornata era cominciata male sin dagli arbori.
... No. Non doveva pensare a Sebastian.
Controllò il cellulare cercando di distrarsi: Cooper gli aveva mandato il solito messaggio di auguri, in cui gli diceva che il suo regalo di Natale erano i centesimi che aveva speso per inviare lo sms.
Son soddisfazioni.
Sua madre e suo padre erano rimasti bloccati in montagna per una tempesta di neve, dicendogli che non sarebbero riusciti a tornare a casa se non prima del ventisei sera. Putacaso ogni volta che andavano a sciare succedeva sempre qualcosa che li tratteneva, così da poter rimanere loro due da soli per qualche altro giorno: non poteva biasimarli del tutto. Anche lui avrebbe voluto tanto isolarsi in qualche eremo sperduto con cioccolata calda e coperta di lana. Così non avrebbe dovuto sopportare cartoline d’auguri a cui non sapeva come rispondere, zabaioni con uova andate a male – ricordava ancora perfettamente l’anno in cui si era preso la salmonella, grazie tante Dalton Academy - e ragazzi che casualmente finivano sotto al vischio insieme a lui. Quell’ultima parte, in particolare, era sempre piuttosto snervante, per colpa degli Warbler.
Avevano questo strano istinto a volerlo accoppiare con qualsiasi cosa respirasse. Ma in quel Natale, a quanto pareva, avevano focalizzato le loro attenzioni su una persona soltanto.
 
Nel momento in cui aprì le porte della grande sala comune Thad Harwood si avvicinò con un cappellino da Babbo Natale comprato ai mercatini e un bastoncino di zucchero rosicchiato. Oltre lui c’erano soltanto altri cinque o sei ragazzi.
"Buon Natale Blaine!"
Certo. Buon Natale. Forse l'anno scorso, o quello che doveva ancora venire; decisamente, quel Natale gli sembrava tutto tranne che buono. Perchè buono implicava altri termini quali pacifico, innocente, rilassante, con Babbo Natale che ti chiedeva "Sei stato un bambino buono quest'anno?"
E lui avrebbe rispoto: 'Oh, non so. Ho fatto sesso con diverse persone, tra cui il mio migliore amico. Ah, tra parentesi, erano tutti uomini. Posso vedere Tudor la renna?'
“... Sì. Anche a te. Non viene nessun altro?” Domandò un po’ amareggiato, perchè ogni anno era sempre così, durante le vacanze natalizie il club si svuotava e restavano sempre in quattro gatti. Chiaramente, per un coro come il loro, in quelle condizioni diventava impossibile lavorare.
“Non lo so.” Mormorò Thad. “Volevo chiederti, per l’appunto, se sapevi dove fosse Sebastian.”
E in quel momento tutto l’autocontrollo di Blaine crollò. Le sue labbra si serrarono in una smorfia; le sue mani si strinsero a pugno. Perchè quella giornata era iniziata sin troppo male, aveva la pazienza di uno spillo e non aveva proprio voglia di sorbirsi il resto del Glee Club che lo prendeva in giro per ore.
“Ma cosa vuoi che ne sappia?!” Esclamò: “È vero, siamo stati a letto insieme, e allora?! Eravamo ubriachi e questo non conta assolutamente niente!”
Thad lo guardò allibito e per poco non gli scivolò la caramella dalla bocca.
“Sei stato a letto con Sebastian?”
Perfetto. Aveva appena spifferato tutto all’unica persona sulla faccia della terra che ancora non lo sapeva.
“Blaine guarda che te lo chiedevo soltanto perchè siete compagni di stanza.” Continuò Thad. “Ma ora che me l’hai detto... non ci posso credere! Quando è successo?”
“È successo proprio la scorsa notte, mio caro Thad.” Nick comparve letteralmente dal nulla, cingendo le spalle di Blaine con un braccio e sorridendo come se avesse appena vinto alla lotteria. Jeff e Wes erano a qualche passo da lui, con le braccia incrociate un’espressione molto simile.
“Li abbiamo colti proprio sul fatto.”
“Voi non avete colto un bel niente!”
Wes inclinò leggermente la testa da un lato, sogghignando appena.
“Blaine, si intravede un succhiotto sotto al colletto della camicia.”
Si coprì automaticamente con una mano, arrossendo fino alla punta dei capelli e facendo scoppiare a ridere gli altri ragazzi. Non c’era niente di divertente, i suoi amici erano dei grandi stronzi, e stava già meditando di fargliela pagare magari bruciandogli le cravatte quando, all’improvviso, Thad guardò qualcosa alle sue spalle.
“Ecco finalmente l’uomo di questo Natale!”
Blaine strizzò gli occhi come un bambino di fronte alla sua prima candelina. Fa che non sia Sebastian. Fa che non sia Sebastian.
Ma avrebbe saputo riconoscere quella voce tra mille.
“Ma siamo solo noi? E come caspita facciamo le prove?”
... In effetti non si erano mai avverati i desideri che esprimeva alle candeline.
Sebastian era esattamente come sempre: la sua giacca un po’ sgualcita, i suoi capelli pettinati svogliatamente, le mani in tasca e un’espressione indecifrabile in viso. Blaine si ritrovò a trattenere il respiro, mentre evitava con tutte le sue forze il suo sguardo e fissava intensamente i lacci delle scarpe.
“Sebastian!” Jeff si voltò verso di lui, con un tono di voce quasi melenso e uno sguardo inquisitore, mentre gli puntava un indice sul petto: “Dì un po’, che cosa hai fatto al povero Anderson qui? Come lo hai ridotto?”
Sebastian esitò solo per un momento, prima di rispondergli con un tono estremamente calmo: “Ma di che parli?”
Jeff non se lo fece ripetere due volte: in un battito di ciglia aveva sguainato il cellulare e la foto di lui e Blaine sul letto, coperti da un lenzuolo stropicciato e stravolti apparve chiara e lampante.
“Cancellala subito.”
“Cavolo Jeff, mandamela su Whatsapp!”
“Thad. Ti taglio le mani.”
Lo disse con talmente tanta freddezza da farlo arretrare di un passo, leggermente intimorito.
“Oh andiamo”, intervenne Jeff, “È inutile che fai così, tanto lo sappiamo tutti che sicuramente è stata colpa tua!”
“Ma perchè dovrebbe essere colpa mia?!” Sbottò allora, aggrottando leggermente le sopracciglia: “È assurdo. Io non ho fatto assolutamente niente.”
Jeff posizionò Blaine esattamente di fronte a lui, e gli indicò il volto imbarazzato e gli occhi ancora puntati verso terra: “Vuoi farci credere che quello che è successo ieri sera è stato per colpa di questo cucciolo qui?”
E Blaine ci provò davvero a non guardare Sebastian; i suoi occhi erano ben piantati, senza nessuna voglia di muoversi da lì, quella mattonella stava cominciando ad essere davvero interessante.
Ma poi calò il silenzio, e sapeva bene che tutti gli sguardi dei presenti erano rivolti verso di lui; sapeva bene che, prima o poi, avrebbe dovuto affrontare quel terribile momento in cui si sarebbe sentito confuso, imbarazzato, mortificato perfino, ma contava sul fatto che Sebastian avrebbe agito come sempre: avrebbe fatto una battuta, forse due, e tutto si sarebbe concluso lì.
Non era cambiato nulla. Assolutamente nulla.
Alzò la testa, socchiudendo le labbra in un minuscolo sorriso: “... Ciao.”
“Ciao.” Fece allora lui, con un cenno.
C’era un silenzio glaciale.
Dì qualcosa Blaine, continuava a ripetere dentro di sè. Qualunque cosa.
“Credo proprio che non verrà più nessuno”, mormorò indicando la porta e gli altri Warbler, che adesso li stavano osservando: “Siamo troppo pochi per provare... cosa facciamo?”
Sebastian esitò giusto un secondo, come se stesse riflettendo sulla risposta da dare. Non era da lui esitare, o riflettere sulle parole, o in generale apparire così... così poco Sebastian.
“Sì... hai ragione.”
Cosa?
Un momento.
Sebastian che dava ragione a qualcuno? A qualcun altro che non fosse il suo ego?
“Potremmo sistemare un po’ la stanza e... non lo so. Wes?”
“Per ora direi di iniziare da qui”, suggerì il rappresentante del consiglio. “Abbiamo tutte le vacanze per darci da fare.”
Era una frase talmente ambigua che nessuno ebbe la sconsiderata idea di trovarla divertente; nemmeno Sebastian, che di solito era il re dei doppi sensi. Blaine lo guardò per un ultimo secondo e, oh, allora era ufficiale: erano ufficialmente a disagio.
“Guardateli, i due piccioncini!”
“Piantatela adesso.” Sebastian si allontanò da Blaine, rimettendosi le mani in tasca e dirigendosi verso lo stanzino delle scope. “Non è successo niente. Adesso pensiamo a lavorare.”
Non è successo niente. Per Sebastian non contava niente.
Blaine doveva essere sollevato nel sentire quelle parole. E lo era, davvero. Forse, però, era giusto un po’ deluso. Ma non troppo. Un minimo.
Niente di allarmante.
 
 
 
“Mi spieghi esattamente cosa ti è saltato in mente?”
Wes e Blaine erano seduti sul divanetto della sala comune, mentre gli altri ragazzi appendevano i tipici festoni natalizi accompagnati da un cd di Barry White. Nell’aria si respirava un profumo di canditi e il caminetto era acceso e scoppiettante; chiunque avrebbe trovato quell’atmosfera confortevole, adatta agli sfoghi.
Così Blaine, semplicemente, appoggiò la tazza di caffè sul tavolino di fronte a loro, bisbigliando: “Io non ne ho idea, Wes. Ti giuro che non ci capisco più niente.”
“Beh se non lo capisci tu, figurati io. Quando sono andato via ieri pomeriggio mi hai detto che dovevi vederti con quel Thomas.”
Oh, giusto, Thomas. Blaine ci impiegò qualche secondo per focalizzare il ragazzo nella sua mente: alto, occhi scuri, del secondo anno. Un fisico niente male. Gli faceva la corte da quasi due mesi e alla fine aveva deciso di cedere dopo che gli aveva regalato la discografia completa di Freddie Mercury. Niente di serio, chiaramente, si trattava di una botta e via: è solo che gli piaceva far penare un po’ i suoi pretendenti.
“Thomas è... carino. Siamo stati il pomeriggio insieme. Mi ha regalato un cd e-“
“Blaine, voglio sapere i dettagli sull’ennesima scopata con un ragazzo insignificante, ma quell’altra. Quella importante. Quella con il tuo migliore amico, hai presente? Quella di cui parla mezza scuola?”
Sentendo quelle parole strabuzzò gli occhi, per poi sospirare affranto: “Oh beh... se ne parla solo mezza scuola posso ritenermi fortunato.”
“In realtà l’altra metà è partita per le vacanze, ma sono sicuro che a loro provvederà la foto di Jeff e Twitter.”
Blaine si morse un labbro, combattendo contro l’istinto di affondare il viso sul cuscino accanto. Aveva bisogno di tempo, doveva rielaborare bene le cose, non aveva nessuna voglia di parlarne con Wes ma, forse, raccontarlo a qualcuno avrebbe quanto meno schiarito le idee.
“Allora?” Incalzò lui, dandogli perfino una leggera spinta: “Com’è successo?”
“Avevo bevuto... tanto.” Troppo, aggiunse mentalmente: si portava ancora dietro quel classico doposbronza da superalcolici che rendeva la bocca amara e impastata, per non parlare del mal di testa.
“Lo immaginavo. Ma qualcosa dovrai pur ricordare, no?”
Non rispose. Non sapeva esattamente cosa dire. Si ricordava ben poco, in realtà, e quel poco era a dir poco confuso e annebbiato; provò a spremere le meningi, a tornare con la mente a quella serata, a ripensare agli shottini, alla tequila, a lui e Sebastian che entravano in camera con le cravatte completamente andate e il passo ciondolante...
 
 

 
“Oh baby...”
“Dio, quanto amo quando mi chiami così.”
“Aspetta, oh Dio...”
Venne preso per la vita e sbattuto senza troppo ritegno contro la porta di camera, mentre Sebasitan cominciava a leccare e succhiare un punto preciso del suo collo. Si aggrappò a lui con entrambe le braccia, la camera era silenziosa e buia, riempita soltanto dal suono dei loro gemiti e sospiri.
“Sì, proprio lì, continua, ti prego.”
“Shhhhh”, bisbigliò Sebastian contro il suo orecchio, prima di mordere affettuosamente il lobo e scendere giù, verso la bocca. “Fai piano. Ci sentiranno.”
Decise di fare come ordinatogli, ottenendo quel silenzio facendo combaciare le loro labbra in un bacio languido, affamato, che si trasformò velocemente in qualcosa di più, gli fece venire voglia di abbassarsi facendo scorrere la lingua lungo il petto nudo di Sebastian e-

 

 
“Blaine?”
Quando si ridestò dai propri pensieri Wes lo stava ancora fissando.
“Terra chiama Blaine? Devo portarti in infermeria?”
“No... sto bene.”, balbettò lui. Anche perchè non credeva che sarebbero riusciti a fare granchè, viste le condizioni.
“Ti sei ricordato qualcosa?”
A malincuore, e dopo aver deglutito a vuoto un paio di volte, ammise di sì. Ma era un ricordo molto strano. Era stato come vivere un dejà-vu; qualcosa che era già successo, ma di cui non si avvertiva il minimo contatto.
Non ricordava nessuna sensazione fisica, o sensoriale, di quanto appena ricordato. C’era solo un’immagine, quella di loro due, ma lui era uno spettatore esterno, era un po’ come vedere la scena di un film.
E poi c’era quel dialogo.
Dio. Non riusciva a credere di aver chiamato Sebastian “Baby”. Non aveva mai chiamato nessuno baby, mai, nella sua vita, non era proprio da lui. Voleva prendersi a schiaffi.
“Senti, andrà tutto bene.” Wes cercò di consolarlo mettendogli una mano sulla spalla, cercando di riacquistare la sua attenzione: “Anche se è successo quello che è successo... tu e Sebastian siete amici, no? Non è cambiato proprio niente.”
No, infatti.
Per dar conto ai consigli di Wes, decise di alzarsi in piedi e dare una mano a Sebastian nel preparare l’aula per la festa di Santo Stefano: avrebbe dimostrato a se stesso che, superato l’imbarazzo momentaneo e facendolo superare a Sebastian, sarebbero andati come se niente fosse accaduto.
Dopotutto non poteva essere tanto difficile, no?
“Hai bisogno di una mano?” Gli chiese gentilmente, guardandolo da sotto la scala a pioli e avvertendo le occhiate guardinghe di tutti gli altri ragazzi.
Sebastian all’inizio sembrò un po’ sorpreso, ma poi si limitò a passargli l’annaffiatoio che stava usando per innaffiare le piantine di vischio che stavano sui balconi delle finestre più alte.
“Uhm, sì... mi andresti a riempire questo?”
“Sicuro! Nessun problema.”
“Grazie, B.”
Gli rivolse un piccolo sorriso. Un solo, innocente, rapido sorriso.
E poi Blaine immaginò Sebastian scendere da quella scala. Sarebbe arrivato da lui lentamente. Si sarebbe allentato un po’ la cravatta e, sempre con quel maledetto sorriso stampato su quel viso dai lineamenti perfetti, gli avrebbe sfilato l’annaffiatoio di mano. Sfiorandogli le dita, nel frattempo.
Poi se lo sarebbe versato addosso. Si sarebbe bagnato tutta la camicia che avrebbe aderito perfettamente ai suoi addominali e pettorali.
Lo avrebbe guardato. Quello sguardo intenso, da far alzare immediatamente la temperatura di venti gradi.
Si sarebbe avvicinato a lui e-
 
 
“B, ma che hai? Ho qualcosa sul viso?”
E lui si era incantato per tutto quel tempo. Con Sebastian davanti a lui che lo aveva fissato perplesso. Con Wes, Thad, Nick Jeff e tutti gli altri che soffocavano malamente delle risate.
Aveva appena fatto una fantasia ad occhi aperti su Sebastian. Una vera.
Ecco, quello era un problema.









***

Angolo di Fra


Visto che sono le 01.27 è ufficialmente domenica quindi aggiorno. Buona Seblaine Sunday! Questo capitolo mi piace da matti. Questa ff, in generale, mi piace da matti. E mi sta facendo tornare lo spirito natalizio.

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Capitolo 3
*** Non me lo ricordavo così il cenone natalizio ***


 
 





Capitolo tre: non me lo ricordavo così il cenone natalizio.
 
 
 



I regali di Natale alla Dalton Academy erano un argomento tabù da diverse generazioni.
La maledizione risaliva ai primi anni venti, quando l’allora preside della scuola aveva bandito la celebrazione gioiosa del Natale per via della morte del padre fondatore, il signor William Dalton. Ma i ragazzi, si sa, agiscono un po’ per conto loro, e così si erano arrangiati con feste a sorpresa, pacchetti fatti di fogli di giornale, post-it come  biglietti di auguri e molte altre cose. Quando lo aveva scoperto il preside, però, si era arrabbiato talmente tanto che aveva abbassato il voto in condotta a tutti i trasgressori natalizi; potrebbe sembrare una cosa da niente, ma per dei giovani dei quali il curriculum pregiatissimo avrebbe deciso il futuro fu piuttosto grave.
E se questo poteva essere considerato come un caso isolato, un evento piuttosto sfortunato ma che non poteva decidere le sorti di una scuola, da quell’anno in avanti ogni volta che si organizzarono grandi serate per lo scambio dei regali successe sempre qualcosa che mandava tutto a rotoli. Negli anni quaranta si incendiò metà ala ovest; negli anni sessanta una bufera bloccò tutta la scuola per dieci giorni. L’apice fu raggiunto negli anni ottanta, quando una pattuglia della polizia fece un’incursione e trovò così tanta erba da poterci riempire una farmacia. Il preside Layard, nonchè padre dell’attuale preside, da quel momento bandì ogni tipo di festa natalizia, con o senza regali annessi.
Venne chiamato “Il proibizionismo liceale.”
Questo, chiaramente, non aveva mai fermato i Warblers, organizzatori di serate indimenticabili dal millenovecentoventidue.
Essendo l’unica festa rimasta nel raggio di cento miglia, la serata di Santo Stefano era considerata l’evento della stagione. Le ragazze della Crawford rispolveravano i vestitini aderenti e gli ombretti in polvere, mentre i ragazzi abbandonavano le loro amate divise in favore di giacche, cravatte, farfallini e qualsiasi elemento li rendesse più affascinanti. Di solito i ragazzi del Glee Club si esibivano a turno in canzoni da discoteca per animare la serata; quando erano tutti troppo stanchi, o sbronzi, o impegnati per cantare, allora partiva il computer in riproduzione casuale, e il resto veniva da sè.
Sebastian finì di sistemare l’ultimo festone e incrociò le braccia al petto con un sorriso: sì, sarebbe stata proprio una bella serata.
 
 
 
Quando si svegliò, quella mattina del ventisei, non si stupì affatto di trovare il letto di Blaine già rifatto e soprattutto, vuoto. Si stiracchiò la schiena, afferrò la divisa appoggiata sulla sedia e andò a farsi una doccia, muovendosi più per riflessi involontari che per vere intenzioni.
Prima di chiudersi in bagno, però, gettò un’occhiata alla stanza: il suo lato era, come sempre, ordinato fino al minimo dettaglio. Non poteva dire lo stesso di quello di Blaine, dal momento che non riusciva nemmeno a capire dove finisse la scrivania e iniziasse il letto. Ormai ci aveva rinunciato, le prime volte in preda a raptus di follia si cimentava a buttare i panni sporchi nel cestone del bagno, impilare i libri in ordine di grandezza e rimettere nei cassetti tutte le cianfrusaglie. Adesso invece, dopo sei mesi di convivenza, si limitava soltanto a scalciare via camicie dal corridoio quando gli erano d’intralcio.
Sei mesi. Non riusciva nemmeno a crederci; erano sei mesi che conviveva con Blaine Anderson, e sinceramente era stata la convivenza migliore della sua vita. Certo, fino a quella notte di Natale; l’unica, sola eccezione alla regola d’oro. Che diavolo, la loro vita sessuale era perfetta e felice, perchè diavolo avevano deciso di rovinarla in quel modo? Sebastian, agli albori della loro amicizia, era perfino riuscito a fare un tabellone per decidere i turni per avere la camera disponibile, sia per lui che per Blaine, anche se dopo una settimana era stato lui stesso a trasgredirli: un ragazzino del primo anno fremeva per un pompino seduta stante e lui non ne riceveva uno da tre giorni. Decisamente troppo tempo. Era entrato nella stanza con i pantaloni quasi del tutto slacciati e il ragazzino alle calcagna, ma tutta la sua euforia era sparita nell’istante in cui aveva visto Blaine chino sulla scrivania, con un pacchetto di patatine giganti, un pigiama decisamente antistupro e dei dizionari che pesavano il doppio di lui.
“Devo studiare per il test di domani, lo sai”, Gli aveva detto con l’innocenza più incredibile, senza nemmeno badare al fatto che fosse mezzo nudo, in compagnia e con un certo problemino da risolvere.
Inutile dire che l’unico lavoretto di bocca che vide quella sera fu quello di Blaine mentre ingurgitava i rimasugli di patatine sul fondo del pacchetto. E se si fosse trattato di chiunque altro probabilmente si sarebbe arrabbiato, gliel’avrebbe fatta pagare vendicandosi nel modo più crudele che riuscisse a elaborare... ma era Blaine. Non poteva essere stronzo con Blaine. Ci aveva provato, un paio di volte, ma non gli era mai riuscito molto bene.
 
In realtà non riusciva nemmeno a pensare a lui come a uno dei tanti ragazzi-oggetto che avrebbe voluto farsi. Erano diventati troppo uniti, troppo importanti l’uno per l’altro da poter rovinare tutto con un rapporto che nessuno dei due voleva, nè sarebbe stato in grado di gestire.
Sebastian non aveva mai pensato di poter essere amico di un altro ragazzo senza provare ogni secondo l’istinto irrefrenabile di tappargli la bocca con la propria e, nel caso di Blaine, era una cosa a dir poco notevole, visto quanto straparlasse. All’inizio odiava parlare con lui: era troppo gentile, troppo sorridente e, che diavolo, troppo ingenuo. Non c’era nemmeno gusto nel prenderlo in giro, visto che ogni volta metteva il broncio come un cucciolo.
Così, a malincuore, visto che un bel giorno si era stancato di stare sempre e solo ad ascoltare i suoi monologhi, aveva iniziato a raccontare anche lui, finendo così per parlare di tante cose. Troppe cose. Dalle più serie alle più stupide, dai film da vedere il mercoledì sera ai test di algebra svolti in collaborazione; alcune volte Sebastian gli aveva raccontato le sue performance sessuali con qualcuno, e Blaine aveva ascoltato senza sbilanciarsi troppo, nè condividendo le sue esperienze personali, nè commentando quelle dell’altro.
Quella cosa lo faceva sempre impazzire, anche se non riusciva bene a capire come.
Il punto era che, ormai, Blaine era una storia chiusa. Sì, certo, ci aveva pensato qualche volta, quando la sera era troppo stanco e sentiva il suo respiro pesante mentre sognava chissà cosa: si era immaginato la sensazione di alzarsi dal letto, attraversare i pochi metri che lo separavano da lui e svegliarlo a suon di gemiti, facendolo venire più e più volte. Perchè, insomma, Blaine non era per niente male. Proprio per niente male.
Ma no, era un capitolo della sua vita che meritava di restare così: perfetto, immacolato, senza nessuna implicazione più intima della pacca sulla spalla. Per quelle vacanze di Natale avevano progettato una piccola gita a Westerville, una partita al nuovo Call of Duty usando la xbox di Jeff e di organizzare, per i propri regali, uno di riserva nel caso in cui il primo non andasse bene. Sì, un regalo sbagliato era il problema più grave che erano riusciti ad immaginare per quel Natale.
Niente a che fare con lenzuola disfatte, capelli arruffati, tempeste di succhiotti e dozzine di occhi puntati su di loro.
 
Aveva ancora l’asciugamano addosso quando ricevette un sms isterico di Thad, che lo obbligava a farsi vivo alla riunione dei Warbler, pena l’espulsione a vita. Erano davvero troppo tesi quelli del consiglio, avevano proprio bisogno di una sana scopata, tutti quanti.
Si vestì velocemente mettendosi una goccia di profumo, quello che faceva impazzire qualsiasi uomo, donna o canarino nel raggio di cento metri. Che senso aveva fare una riunione, visto che i Warbler presenti a scuola erano meno della metà? Non potevano nemmeno votare per qualche eventuale decisione, insomma, era solo tempo perso che avrebbe preferito spendere facendo altro. O meglio, facendosi qualcun altro.
Era il primo anno che rimaneva alla Dalton per le vacanze di Natale, e constatò con una certa amarezza che fosse incredibilmente vuota e... intima, tanto intima da metterlo in soggezione. Il grande lampadario che illuminava le scale a chiocciola era spento, i pochi rimasti non meritavano nemmeno una illuminazione decente, pensò; per i corriodi si sentiva profumo di biscotti allo zenzero e gli affreschi delle pareti erano coperti da abeti in plastica, cascate di Biancospino, calze riempite con cioccolate finte e perfino carbone. Beh, in effetti, il carbone se lo meritava.
L’interfono che di solito recitava gli annunci mortuari – o meglio, i comunicati del preside – adesso trasmetteva una radio piena di canti natalizi vecchi e nuovi, un po’ come quelle musiche di sottofondo che si sentono negli ascensori.
Ci mancava soltanto un Babbo Natale finto che suonava l’Ukulele e Sebastian avrebbe ufficialmente dato fuoco alla scuola.
Proprio mentre sul suo volto compariva una smorfia piuttosto omicida, un ragazzino del secondo anno lo salutò timidamente con lo sguardo, a cui ricambiò con un ghigno e un cenno della testa. Oh, se lo ricordava quello lì; le urla che gli aveva fatto fare erano state leggenda per giorni.
Ormai si era abituato alle occhiate che riceveva quando camminava lungo i corridoi, con il suo aspetto trasandato, la cravatta sgualcita e i capelli spettinati. Si era abituato anche ad ammiccare a quei ragazzi che, lo capiva con un solo sguardo, avevano fatto una o più fantasie erotiche su di lui.
Era decisamente appagante.
Non c’era ragazzo, alla Dalton Academy, che non avesse sentito il suo nome, per fama oppure per esperienza diretta. Il fatto che fosse un membro del gruppo più popolare della scuola giocava a suo vantaggio: faceva parte dei Warblers da tre anni ormai, e avevano imparato ad accettarlo così come lui aveva imparato a non prendersi gioco di loro. Non gli piaceva portarsi a letto i compagni, specie perchè col tempo erano diventati suoi amici; anche se ci era voluto un po’ ad ambientarsi in mezzo a quella follia fatta di salti su mobili, cori e scherzi di pessimo gusto.
A metà del corridoio svoltò verso destra, spalancò con spavalderia la porta della sala comune e penso che, però, certe volte era una seccatura non poter andare a letto con qualcuno di loro.
Si passò una mano tra i capelli, fingendosi un po’ seccato per il ritardo collettivo; in realtà voleva soltanto cogliere l’occasione di fare un’espressione seria mentre assumeva una posa molto sexy, e potè sentire nitidamente il pomo d’Adamo di Thad mentre deglutiva aria fredda.
“Mi spiegate cosa caspita facciamo per tutte le vacanze di Natale?”
Jeff era appollaiato contro il fianco di Nick, intento a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli biondi. Wes, David e Thad, nel frattempo, sistemavano e firmavano scartoffie nella loro grande scrivania in mogano, simbolo palese che non avessero nient’altro di meglio da fare. Sebastian, dalla sua comoda poltrona, passò in rassegna i loro sguardi annoiati: era da più di mezz’ora che si trovavano lì, e a parte dire le stesse identiche cose che avevano portato agli stessi identici dibattiti, con le stesse identiche conclusioni, era il disagio più totale.
“Potremmo parlare di qualche nuovo mash-up?”
“Lo abbiamo già fatto ieri”, commentò Thad.
“E anche il giorno prima”, aggiunse Wes.
“Parliamo della festa di domani?”
“Ne abbiamo parlato fino allo sfinimento, Jeff, abbiamo sistemato gli addobbi, preso gli alcolici ed è tutto pronto. Non c’è altro da dire.”
"Una cosa c'è: che scusa avete usato con il preside per occupare la sala comune per l'intera serata?"
Wes sfoggiò un ghigno da vero capo del consiglio dei Warbler e dichiarò: "Cenone natalizio con Warbler e amici più intimi. Canteremo canzoni della tradizione cattolica e ci avvantaggeremo con i compiti per le vacanze."
Sebastian si passò una mano sulla fronte, non aveva nemmeno la forza di commentare.
“Va beh, a questo punto non so, potremmo pettinare le bambole, o suonare i Kazoo.”
“David, il tuo sarcasmo non è proprio necessario.”
“Ma non stiamo facendo assolutamente niente! E poi, perchè siamo soltanto noi sei? Che fine hanno fatto gli altri?”
Jeff sollevò leggermente la testa, reggendosi su un gomito e cominciando a contare gli assenti sulle dita di una mano.
“Dunque... Nate ha detto che era con uno... Johnny doveva studiare... Paul e Bryan saranno infrascati da qualche parte... chi altro manca?”
“Manca Blaine.”
Sebastian si mise composto sulla sedia, accavallando lentamente una gamba.
“Sebastian, che fine ha fatto Blaine?”
Avrebbe preferito di gran lunga restare in silenzio, fingere nulla e continuare a organizzarsi mentalmente su come vestirsi per la festa; tuttavia, gli sguardi seccati e inquisitori dei suoi compagni non lasciavano molto spazio al silenzio, così si limitò a rispondere: “Non ne ho idea.”
“Lo dici così non ti possiamo rompere o perchè non lo sai veramente?”
“Non può saltare così le riunioni!” Sbottò allora Thad: “A che cosa cavolo servono se poi ognuno le salta come e quando gli pare?!”
“Entrambe.” La sua smorfia diventò più sottile, mentre con una mano si spostò svogliatamente un ciuffo dagli occhi. Non sapeva se essere più irritato dalla loro ficcanasaggine, o dal fatto di non sapere veramente dove si fosse cacciato; quella mattina si era alzato prima di lui e non lo aveva visto per tutto il giorno.
I tre del consiglio si lanciarono un’occhiata intuitiva, e in un attimo la decisione fu presa: “Quando tornerà in camera gli parlerai da parte nostra.”
Perfetto. Parlare con Blaine: esattamente l’ultima cosa che avrebbe voluto fare.
 
 
Blaine rientrò alle sette di sera.
Sebastian era sdraiato sul letto per orizzontale, con la testa che spuntava dal letto e il libro appoggiato a terra, le mani intrecciate sotto al mento mentre leggeva le ultime righe. Blaine lo guardò per un momento alzando gli occhi al cielo, prima di lanciare la tracolla verso una direzione non ben definita ed emettere un breve sospiro: “Ti verrà il sangue al cervello a furia di leggere così.”
Fu allora che Sebastian si accorse della sua presenza: alzò la testa di scatto e gli occhiali da vista caddero con un tonfo sordo sul libro,  diventato improvvisamente poco importante; la felpa della Dalton e dei semplici jeans scuri gli donavano un’aria trasandata ma, allo stesso tempo, piuttosto entusiasmante: non capitava spesso di vedere Blaine senza divisa. Sebastian ogni tanto si dimenticava dell’effetto che gli faceva. Senza troppi fronzoli l’aveva abbandonata vicino alla sua scrivania, tanto lo sapeva che sarebbe toccato a lui metterla a posto. Sorrise al suo coinquilino, prima di ricordarsi che non dovesse farlo; lo salutò, un semplice “Ciao” anonimo e incolore, e Blaine rispose con un tono piuttosto simile, mentre si buttava sul letto e cercava di rilassarsi dopo una lunga giornata.
“Gli altri sono arrabbiati con te.” Esordì Sebastian; era già la terza volta che rileggeva la stessa frase, ma si ostinava a puntare gli occhi sul libro.
“Come?” Lo sentì mormorare: “E perchè?”
“C’era la riunione, oggi.”
“Oh. Giusto. Me n’ero dimenticato.”
Ma Blaine non si dimenticava mai di niente, anzi: di solito era proprio lui a trascinarlo in quelle cose, rimproverandolo e straparlando per ore su come quelle riunioni fossero importanti e non trascurabili. Blaine, semplicemente, era sempre stato quello diligente nella coppia.
No, no, un momento: non erano una coppia.
Sul viso di Sebastian comparve un piccolo ghigno: “Complimenti, genio. Che hai combinato tutto il giorno?”
“Sono stato a fare spese.”
Fu così che cominciarono a parlare; la conversazione si trasformò sempre più in un botta e risposta, tanto da immergerli in un’atmosfera intima, facile, una di quelle cose che non si possono spiegare a parole, ma che avvengono senza nemmeno pensarci. Blaine si sedette a gambe incrociate mentre Sebastian rimaneva dall’altra parte della stanza, entrambi sui loro letti a una piazza e mezzo, con i capelli scompigliati, le facce stanche, dei piccoli sorrisi che comparivano quando Sebastian ne diceva una delle sue, o quando Blaine arrossiva timidamente, scostando gli occhi verso terra.
Per un attimo si erano dimenticati di essere in imbarazzo; di quello che era successo la notte prima. Del fatto che, probabilmente, forse si sentivano così a disagio per un motivo più nascosto, che nessuno dei due aveva il coraggio o la voglia di affrontare.
Ma poi Blaine, che doveva farsi una doccia per togliere la stanchezza accumulata durante il giorno, si sfilò la felpa, e nel farlo la t-shirt sotto di essa si sollevò leggermente facendo intravedere la v dei suoi fianchi, e Sebastian cominciò a sentire molta, molta sete.
“... E quindi non sapevo bene che regalo fare a Coop, così ho fatto la conta tra un porta cd e una cover del cellulare a forma di macchina fotografica. Poi mi sono sembrati tutti e due dei regali stupidi, così alla fine non ho preso niente. Ma chi se ne importa, no? Tanto lo vedrò come minimo a Marzo.
Sebastian.
Seb, mi stai ascoltando?” Chiese alla fine inarcando un sopracciglio, quando ormai era già in piedi e si stava sbottonando i jeans. E non c’era niente di male, insomma, erano coinquilini e si erano visti mezzi nudi migliaia di volte, ma adesso Sebastian non riusciva proprio a distogliere lo sguardo da quella curva perfetta dei fianchi, dall’elastico degli slip che si intravedeva sotto ai pantaloni slacciati, da quel sedere sodo che aveva tanta voglia di-
“Sebastian?”
A quel richiamo si sentì come caduto dalle nuvole; scrollò la testa, come scosso da un brivido freddo che gli accarezzò tutta la schiena, si schiarì la voce e, come se non fosse successo niente, riprese a leggere il fantomatico libro, rispondendo con freddezza: “No, non ti stavo ascoltando.”
Blaine non sembrò tanto dispiaciuto, quanto confuso e annoiato. Incrociò le braccia al petto e guardò Sebastian senza preoccuparsi di modulare il tono della voce, canzonatorio e incalzante: “È carino quel libro?”
“Eh?” Fece dopo un paio di secondi. “Oh, sì, molto.”
“Non sembra.”
“E perchè non sembra?” Chiese afferrando il volume con entrambe le mani, le dita che tracciavano le righe d’inchiostro sulla carta fredda e ruvida.
“Perchè stai leggendo la stessa pagina da venti minuti.”
Ci fu di nuovo una pausa, ma questa volta Sebastian non aveva nessuna intenzione di interromperla; si era accorto troppo tardi di aver aderito a un gioco di frasi e occhiate a cui non voleva assolutamente partecipare, ma che Blaine aveva già iniziato senza la sua volontà.
“Sebastian”, lo sentì pronunciare con quella voce bassa e espressiva, impastando quella t finale che addolciva il suono e gli faceva perdere un battito ogni singola volta. “Lo sai che prima o poi dovremmo parlarne.”
“Invece no.” Sentenziò lui.
“Dovremmo, oppure vuoi continuare a fingere che non ci sia nessuna tensione tra di noi?”
“Quale tensione?” Disse allora, e Blaine si innervosì talmente tanto per quella risposta che serrò la mascella e non parlò per mezzo minuto.
“Va bene”, mormorò alla fine. “Va bene, come ti pare. Facciamo finta di nulla. Facciamo finta che quella notte non sia mai esistita, dopo tutto per te non conta assolutamente niente.”
No. Cosa? Che voleva dire?
Sebastian si ritrovò a osservare il volto cupo di Blaine senza leggerci alcuna risposta.
“Blaine, che cazzo significa? No aspetta, ora vieni qui e me lo dici.”
Lo afferrò per un polso giusto un attimo prima che si chiudesse in bagno; si voltò, nonostante non sembrasse molto contento di ritrovarsi a pochi centimetri da Sebastian, come non sembrava molto contento di come i suoi occhi verdi lo stessero scrutando carichi di aspettativa, o di come le sue dita affusolate scivolassero lentamente verso il suo palmo, sfiorandolo con delicatezza.
Blaine scosse la testa, tutto ciò che riuscì a sussurrare fu: “Lasciami stare Sebastian, non volevi parlarmi hai detto, no? Quindi adesso-“
“No adesso un corno Blaine, non puoi buttare quelle frasettine senza mezza spiegazione. Quindi sputa il rospo.”
“... Ho solo ripetuto quello che hai detto tu”, Mormorò allora, dopo un silenzio che aumentò la tensione presente nei loro sguardi, nei loro corpi ravvicinati, nei loro respiri soffusi, perchè perfino un rumore poco più forte di una goccia di pioggia avrebbe infranto quel piccolo momento, e loro non potevano permetterselo. “Non è successo niente, ricordi? Lo hai detto proprio ieri.”
Sebastian provò una malsana e assurda voglia di ridere, perchè davvero, Blaine certe volte era così adorabile.
“Cos’altro potevo dire davanti a quegli stolti? Non volevo fare brutta figura”, ammise con una punta di incertezza, tanto che Blaine fu costretto ad avvicinarsi giusto un po’ di più, a guardarlo dritto negli occhi, a cercare di decifrare quelle labbra e quelle iridi verdi.
Ed era così bello guardare quel Sebastian, che avrebbe potuto farlo per ore intere, e quel Natale sarebbe trascorso in un battito di ciglia.
“Sebastian... io non capisco...”
Lo vide sviare gli occhi verso il basso.
“Eri imbarazzato?”
In silenzio, fece una piccola smorfia, e Blaine fu completamente sorpreso nel dire: “Eri colpevole? Ma perchè ti senti in colpa Sebastian?”
“Perchè io non ricordo.”
Pian piano, la stretta sul suo polso svanì come se non fosse mai esistita.
“Mi dispiace Blaine. Vorrei tanto... ma la verità è che io non ricordo assolutamente nulla dell’altra sera. Ho questo flash di noi due che ci ubriachiamo alla festa e poi... il vuoto. Fino al giorno dopo. Non ho la più pallida idea di cosa sia successo quella notte, e se non fosse stato per il risveglio non avrei mai capito che lo abbiamo fatto.”
“... Oh.”
Fu come se un piccolo muro dentro la sua mente crollasse come un castello di carte; le fondamenta di tutto ciò che aveva pensato si erano dissolte nel giro di poche frasi.
“Quindi per te... non è successo nulla. Non ricordi nulla.”
Non ricordava nemmeno i baci rubati sullo stipite della porta. O le mani che si cercavano fameliche nel buio della camera. Non ricordava i sorrisi, i respiri spezzati dai gemiti, i sussurri di parole celate da sguardi e piccoli gesti quotidiani.
“Mi dispiace.” Sebastian adesso lo stava fissando, gli occhi vacillavano leggermente nel cercare i suoi. “Io... Dio, mi sento così idiota a non ricordarmelo.”
“No... voglio dire, non fa nulla”, tentò di dire Blaine; ma non era mai stato bravo a camuffare le sue emozioni, e Sebastian potè leggere tutta la delusione di quelle semplici parole.
“È meglio così, no? È... più semplice. Basterà fingere che non sia mai successo.”
“Ma per te è successo Blaine, tu ricordi-“
“No.” Lo interruppe, un po’ troppo bruscamente, un po’ troppo innerovisto: “No, va tutto bene. Devo andare ora.”
“Blaine-“
“Ci vediamo alla festa.”
Un attimo dopo, la porta del bagno si chiuse davanti a lui, e Sebastian si trovò ad accarezzare un legno freddo quanto il suono di quelle ultime frasi.








***


Angolo di Fra


CHI NON MUORE SI RIVEDE?
Ebbene sì.
SONO VIVA.
E SONO TORNATA!
No non ci allarghiamo. Non so nemmeno come abbia fatto a scrivere questo capitolo, tra esami e Seblaine Week ci mancava soltanto che mi mettessi a fare altre cose, ma tanto se non mi complico la vita non sono contenta. Ahhh Farina, che Dio ti benedica. Devo anche importunare bete alle nove di sera (grazie Rachele, sei sempre un'amica) perchè chiaramente NON POSSO scrivere e aggiornare in orari decenti, ma figuriamoci.
Volevo soltanto chiedervi umilmente scusa per il... non posso nemmeno chiamarlo ritardo. Cioè è UNA VITA che non aggiorno, per non parlare della Klaine... no basta mi stanno salendo i sensi di colpa.
Comunque se vi fa piacere a questa mini-long mancano due capitoli quindi sì, dai, ce la possiamo fare. Dai Fra, l'importante è essere convinti.
No davvero, sto straparlando perchè non so in che lingua chiedervi scusa per aver aggiornato così tardi. E con un capitolo simile, per di più. Non mi lasciate recensioni perchè non le merito. Quelle critiche sì, per dirmi "SEI UNA BALDRACCA E CHE RAZZA DI FANWRITER SEI CHE CI FAI ASPETTARE PER ERE?"
Ma infatti chi l'ha mai detto che sono fanwriter? 
Comunque basta, vado a scrivere l'altro capitolo mossa dai sensi di colpa. 


Fra

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Capitolo 4
*** Non me lo ricordavo così il bacio sotto al vischio ***


Capitolo 4: Non me lo ricordavo così il bacio sotto al vischio.

 
 








Blaine conosceva Sebastian da pochi giorni, quando lo vide baciare per la prima volta qualcuno.
Doveva ancora abituarsi a tutta la storia dell’essere coinquilini, di trovarselo la mattina mentre si metteva litri del suo pungente dopobarba che lo costringeva ad aprire la finestra alle sette di mattina, anche se fuori c’erano dieci gradi; oppure, di lui che rincasava a notte fonda non preoccupandosi nemmeno di fare poco rumore. Puntualmente, infatti, lo svegliava, gli mormorava un “Continua a russare”, Blaine gli rispondeva con lo stesso tono dicendo “Guarda che io non russo” e lui ridacchiava tra sè e sè, spogliandosi senza mezzi termini e infilandosi dentro al letto con soltanto l’intimo.
Ecco, più che altro, Blaine doveva ancora abituarsi a quell’ultima cosa, a tutto l’insieme di un Sebastian che rispondeva sempre con doppisensi o frasi maliziose, che non aveva nessun problema a fare apprezzamenti fisici verso di lui o verso se stesso e, allo stesso tempo, con la consapevolezza che non ci stesse provando veramente. Non con lui. Avevano fatto un patto, no?
Camminava per i corridoi della Dalton, ripensando all’ennesimo battibecco che avevano avuto quella mattina, quando sentì un suono piuttosto strano proveniente da qualche parte alla sua sinistra. E Blaine era sempre stato ingenuo, non coglieva mai i segnali al volo e, soprattutto, aveva una certa predisposizione a fare figuracce piuttosto invidiabile; anche se, a dire il vero, per quei momenti di puro imbarazzo poteva maledire solo se stesso e la sua curiosità, o spirito di avventura, o ficcanasaggine, insomma, in qualsiasi modo si potesse chiamare.
Rabbrividiva ancora al ricordo di lui che faceva una serenata alquanto sconcia a un commesso con cui aveva preso un caffè. E nemmeno glielo aveva offerto. Avrebbe dovuto imparare dai suoi errori, e se lo diceva sempre: la prossima volta impari Blaine Anderson, ti sta proprio bene a ficcarti sempre nei guai.
Ma tutte le volte commetteva sempre il solito, impulsivo, errore, e quel giorno non fu da meno: si diresse verso l’origine di quel rumore, sembrava come un lamento, qualcuno forse si era fatto male? Magari, cadendo dalle scale? Quella scalinata a chiocciola era tanto bella quanto insidiosa. Ma quando finalmente raggiunse l’aula proprio a un passo dalle scale, che si affacciava proprio verso il lato più camminato della Dalton, capì subito che quello sentito prima non fosse stato un lamento; piuttosto, un gemito.
E Sebastian adesso stava divorando la bocca di Charles Harris mentre, lentamente, gli bloccava i polsi sopra la testa e inclinava un po’ di più il viso per approfondire il contatto. Le cinture erano allentate così come le cravatte delle loro divise, Blaine intravide il collo di Sebastian marchiato da un paio di succhiotti e la sua erezione contro quella del ragazzo, mentre si lasciavano andare a sospiri e piacevoli frizioni.
Era ancora in tempo per andarsene: alzò i tacchi e in un secondo si trovò già a metà del corridoio. Ma il suono dei mocassini contro il marmo fu sin troppo palese da ignorare. I due ragazzi dentro l’aula sobbalzarono, quando capirono che qualcuno li aveva visti, e Sebastian si precipitò nel corridoio mentre l’altro con tono impaurito bisbigliava: “Oh cazzo, era un professore? Ci ha visti?”
“È solo Blaine Anderson”, Disse allora, un sorrisetto gli illuminò il volto mentre lo guardava correre come se non avesse più anima in corpo. Si perse a osservare le sue spalle fasciate dalla giacca della divisa, i riccioli alla base del collo che sfuggivano alla morsa del gel, il corpo minuto e compatto e quel sedere che-
“Blaine Anderson? Ma chi è? Che diavolo voleva? Non è il tuo fidanzato, vero? Non me la faccio con quelli impegnati.”
Roteò gli occhi al cielo, tornando a occuparsi di quell’estraneo soltanto quando perse di vista Blaine all’angolo del corridoio. Forse fu per il suo lato petulante che, decisamente, non aveva intenzione di conoscere, o per quel commento acido senza scopo nè regola, fatto sta che gli era quasi passato l’appetito.
Sottolineando: quasi.
“È il mio coinquilino. Devi continuare ancora con le scenate da donna mestruata o possiamo scopare?”
Ma la risposta non arrivò mai, dal momento che chiuse la porta dell’aula a chiave e si avventò su di lui.
 


 
La prima volta che Sebastian vide Blaine baciare qualcuno fu molti mesi dopo, nel giorno del suo compleanno.
Blaine gli aveva promesso una serata con i fiocchi, solo loro due e nessuna seccatura: sarebbero usciti per le sei, avrebbero comprato il guardiano per risolvere il problema del coprifuoco e sarebbero andati in centro, per abbuffarsi di cibo cinese fino a scoppiare, e poi al cinema, per la rappresentazione del Rocky Horror dal vivo. Era l’unico musical che Sebastian riusciva ad apprezzare, e con apprezzare, significava che non sbuffasse ogni secondo maledicendo le canzonette romantiche e borbottando: “Ma Blaine, è completamente irreale! Nessuno comincerebbe a cantare in mezzo a tutti a caso! Beh, certo, tranne te.”
Di solito i suoi lamenti finivano con un’occhiata omicida da parte dell’amico e una minaccia non scritta di farlo dormire in corridoio.
Nel giorno del suo diciassettesimo compleanno, se Sebastian fosse stato uno che saltellava come un bambino per esprimere quanto fosse felice, beh, lo avrebbe fatto: era andato tutto a meraviglia. Gli Warbler lo avevano riempito di attenzioni, con tanto di “Tanti auguri a te” a cappella e una torta gigante con crema al limone, la sua preferita; aveva preso il massimo al test di algebra e Blaine gli aveva fatto il regalo migliore del mondo, ma questo non lo avrebbe ammesso ad anima viva. Si era già esposto troppo quando, vedendo quel biglietto per il concerto di Bon Jovi, aveva fatto un vero e proprio salto rischiando anche di battere una testata contro il soffitto della loro camera. Si era calmato solo per un momento, il tempo di mormorare: “Però andare ad un concerto da soli è triste...” e vedere il sorriso di Blaine che diventava sempre più bello.
In realtà, aveva fatto quel piccolo pensiero ad alta voce solo per avere la conferma ufficiale che, a quel concerto, ci sarebbe venuto anche lui; ma anche questo non lo avrebbe mai ammesso.
Era semplicemente felice, come non lo era da tanto tempo ormai, e mentre estraeva dalla tasca le chiavi della loro stanza pensò che niente e nessuno potevano mettersi in mezzo tra lui e la sua serata perfetta con Blaine.
Tranne Blaine stesso.
“Andiamo Blaine, non lo facciamo da giorni, eddai...”
“Luke, non pos- ah, ho un appuntamento con Sebast-”
“Non me ne frega niente del tuo coinquilino, io ti voglio subito.”
Sebastian si passò una mano sulla fronte quasi esasperato, perchè era davvero la centesima volta, anzi no, la milionesima volta che assisteva a quella scena, che stava accadendo davanti la finestra, sul lato opposto della stanza. Luke era il suo... amico? Scopamico? Insomma, un tizio con cui Blaine si frequentava da un po’, e forse era quasi più seccante di un fidanzato vero e proprio. E Blaine aveva questo serio problema: ogni ragazzo che frequentava da più di due settimane diventava automaticamente l’amore della sua vita. Forse era per questo che, spesso, si concentrava su storielle di una notte. Ma a volte ci ripensava, a volte ammetteva di voler cercare qualcosa di più, e ogni volta finiva sempre allo stesso modo: male.
Sebastian pensò subito che quel tipo di ragazzi, quelli che si accollano peggio di un koala, fossero di gran lunga la categoria peggiore. Lui non aveva mai avuto problemi di quel tipo, visto che con i ragazzi con cui andava a letto non parlava nemmeno della loro ordinazione a mensa, mentre Blaine, invece, era una vera e propria calamita.
Grazie a Dio non ci andava a letto insieme.
“Blaine, lasciati andare...”, Lo sentì sussurrare, mentre veniva palesemente ignorato dai due che continuavano la loro scenetta da commedia romantica come se non fosse entrato nessuno. Non lo avevano proprio visto, presi com’erano dai loro baci e effusioni più o meno romantiche. Sebastian assottigliò lo sguardo incrociando le braccia al petto, era davvero incredibile: quel ragazzo aveva il tatto di un elefante, sembrava completamente negato a baciare Blaine. Non lo sapeva prendere, accarezzare, non riusciva a mordergli il labbro facendolo gemere così forte da provocare dei brividi caldi lungo tutta la schiena.
Adesso lo stava avvicinando a sè prendendolo per la vita e, davvero, con tutto quel ben di Dio che aveva di fronte, sembrava che non sapesse dove mettere le mani.
Che spreco. Non riuscì a trattenere una risatina, ma l’occhiata allarmata di Blaine lo ammutolì all’istante.
“Sebastian? Da-da quanto tempo sei qui?”
“Da un po’, ma prego, continuate, è uno spasso vedervi, aspettate che prendo anche i pop-corn.”
A quel punto Luke, quel ragazzo alto e grosso, quarterback della squadra di football della scuola, si presentò a una spanna da lui e cercò di intimorirlo con tutta la sua stazza: “Qualche problema, Smilzo?”
“Luke-“
“Ci stai infastidendo”, Ringhiò trai denti, come un leone in procinto di attaccare. Sebastian assomigliava più a un leopardo, con il suo portamento elegante e l’atteggiamento composto, un leggero ghigno dipinto sulle labbra e gli occhi verdi, intensi, che lo squadravano come se davanti a sè ci fosse soltanto l’ennesimo animale che si trovava al di sotto della sua catena alimentare.
Era lui il felino più feroce della savana.
“In realtà è il contrario. Se non ti dispiace, io e Blaine avremmo un po’ da fare.”
“Che cosa?! Ma come ti permetti razza di-“
“Luke! Ti prego.” Blaine intervenne giusto in tempo, raggiungendolo in fretta e posando una mano sulla sua spalla: “Forse... forse è meglio che tu vada.”
Luke lo guardò con un’espressione attonita e, allo stesso tempo, furiosa.
“Che cazzo significa? Preferisci il tuo coinquilino a me?”
“Significa”, Cinguettò Sebastian, cingendo le spalle di Blaine con un braccio, “Che devi sloggiare. E ti conviene farlo in fretta, prima che decida di usarti come chiodo per testare il mio nuovo martello elettrico.”
Ci fu un secondo di pausa. Blaine sperò che Luke avesse capito, che se ne andasse, senza fare troppe storie; in realtà, aveva frainteso tutto.
“Certo, che stupido. Dovevo aspettarmelo.”
“Ma di che parli?” Dissero entrambi, dopo un momento di confusione. Luke strinse i pugni e disse: “Voi due scopate insieme da chissà quanto tempo e io sto qui a guardarvi come un fesso. Me ne vado.”
Sarebbe stato davvero complicato spiegargli la verità. Ossia, che la prenotazione in quel ristorante cinese scadeva tra venti minuti, che fosse il compleanno di Sebastian e che loro due non stavano insieme, non lo sarebbero mai stati. Blaine dubitava che Luke credesse alle sue parole, e lo capì nel momento in cui sentì la porta sbattuta con forza, tanto da far tremare le sottili pareti in cartongesso.
Abbassò gli occhi verso la moquette verde bottiglia, conscio di aver appena spezzato il cuore ad un’altra persona, l’ennesima.
“Andiamo, Killer.” Sebastian gli rivolse una spallata affettuosa: “Che ti frega di lui? È un idiota.”
“Mi piaceva”, Ammise, con voce timida. “Pensavo che... fosse quello giusto.”
“Non lo era.”
A quel punto, Blaine alzò la testa, e i suoi occhi erano così lucidi, così dolci.
“Come fai a saperlo?”
Sebastian provò qualcosa, proprio all’altezza del petto, ma era un uomo troppo materialista per attaccarsi a quella sensazione.
 “Perchè nessuno riuscirebbe a sopportarti. Russi troppo.”
“Sebastian.”
“Non Sebastian-armi, è la verità e stanotte ti registro così ti arrendi. Adesso, signorino Anderson, possiamo cominciare a festeggiarmi?” Gli porse il braccio come i gentiluomini dell’epoca passata, e Blaine si trovò a ridere per quel gesto, annuendo e aggrappandosi a lui come una coppietta di fidanzatini.
Sebastian si trovò a pensare che quel pensiero non suonasse poi così male, nella sua mente; non suonava male nemmeno il modo con cui Blaine pronunciava il suo nome.
 
 


“Abbiamo tutto per stasera?”
Nick e Jeff sbuffarono all’ennesimo richiamo di Wes; sul serio, stava diventando insopportabile. Va bene che quella festa era la più sognata di tutto l’anno scolastico, ma insomma, doveva lasciar fare il loro lavoro.
“Wes, rilassati”, Dissero all’amico, mettendogli una mano sulla spalla con un movimento perfettamente sincronizzato. “È tutto pronto e sarà una festa indimenticabile, come sempre.”
“In realtà sarà tutto il contrario”, Commentò Thad, che stava finendo di addobbare un albero al centro della stanza: “Ci dimenticheremo tutto da quanto saremo sbronzi.”
I Warbler annuirono più o meno entusiasti, lo sapevano benissimo che in quella serata succedeva di tutto: le foto dell’anno scorso, quelle di David che ballava in tutù, erano ancora appese alla bacheca studenti e ogni volta che le vedevano ridevano come se fosse la prima.
Le prime ragazze della Crawford cominciarono a sgattaiolare dentro al liceo attraverso finestre di dormitori e uscite secondarie; erano per lo più fidanzate di studenti, amiche di amici, tutte persone che avevano voglia di bere e sballarsi, proprio come loro.
Quando videro la macchina del preside Layard allontanarsi dall’istituto per la sua immancabile cena con gli altri presidi, cominciò la vera festa.
 
 


“Oh mio Dio, sono sbronzissimoooohhhh!”
“Nick, Nick non sei sbronzo, sei diversamente sano!” Esclamò il suo amico, cingendogli le spalle con un braccio e trascinandolo verso la pista da ballo. La Dalton, letteralmente, pullulava di persone: si erano imbucati anche ragazzi di altre scuole, attirati dalla fama di quell’evento, e le riserve di alcool che avrebbero potuto dissetare il terzo mondo erano agli sgoccioli. La luna splendeva alta nel cielo, ma se solo qualcuno avesse osato alzare la testa per vederla, attraverso una delle grandi finestre, avrebbe come minimo rovesciato a terra gli ultimi suoi drink.
Era tutto perfetto. La musica era perfetta, l’atmosfera era perfetta –sebbene surriscaldata dalla troppa gente e dai troppi ormoni-, le stanze dei dormitori cominciavano a chiudersi a chiave per faccende private e metà dei Warbler erano già spariti nel nulla: qualcuno era chiuso in camera con ragazze o ragazzi, qualcun altro, invece, era sotto al tavolo degli alcolici completamente addormentato. Thad si stava rotolando in giardino.
Wes sfuggì alle prese di una ragazzina ubriaca e si allontanò dalla faolla allentando ancora di più il nodo sgualcito della sua cravatta. Finalmente riuscì a scorgere Blaine accanto a un albero di Natale. O meglio, ciò che restava di lui.

“Che ci fai qui?”
“Conto le lucciole”, Mugugnò con voce sognante. Chiaramente, anche lui aveva superato il quinto drink. “Guarda Wes, sono tantissime.”
“Quelle sono luci al Led, Blaine”. Aveva bevuto anche lui, ma non così tanto. Dopo qualche minuto di pausa si ricordò del motivo per cui lo stesse cercando: “Tu e Sebastian avete litigato?”
Nominare quel nome, in quel momento, fu come ricevere una secchiata d’acqua gelida. Blaine si destò completamente, parlando come se non avesse bevuto una goccia: “Va tutto bene.” Disse, sforzandosi di non distogliere lo sguardo dall’amico per puntarlo verso il ragazzo che, in quel momento, stava ballando con uno. Wes arricciò il naso e con lo sguardo lo sfidò: “Blaine ma a chi la dai a bere? Non vi siete rivolti parola per tutta la serata.”
“Beh lui ha da fare con quello lì, non vedi?” Rispose con un tono un po’ troppo stizzito, per essere stato pronunciato da un semplice amico. Wes era stufo di quella situazione, era stufo che Blaine continuasse a negare i suoi sentimenti, era stufo dell’idiozia di Sebastian e, in quel momento, decise di prendere in mano le redini della faccenda.
“Sono finiti gli alcolici. Vai tu?” Disse con un tono che non ammetteva repliche. Blaine in quel momento faticava anche a capire chi fosse, ma non importava. Anzi, era meglio.
Nel momento in cui lo vide sparire per dirigersi  verso la dispensa, attraversò di nuovo tutta la sala da ballo, strattonando Sebastian per un braccio. Mossa che non piacque per niente al diretto interessato, dal momento che si voltò verso di lui con una strana scintilla omicida negli occhi. Wes però fu più veloce di lui, aiutato dall’aver bevuto di meno, e gli ripetè le stesse parole dette a Blaine. Lo vide inarcare un sopracciglio, ignorando quel ragazzino che fino a un secondo prima stava sbavando per lui.
“E a me che mi frega se è finito l’alcool?”
“Devi andare a prenderlo.”
“Perchè non ci vai tu?”
“Perchè ci sono andato prima”, Mentì, “E se non lo fai domani pubblico su Facebook il video di tu che balli l’Harlem Shake in mutande”.
Maledetto Santo Stefano dell’anno scorso.
“Va bene”, Grugnì controvoglia, infilandosi le mani in tasca. “Wesley Montgomery, questa me la segno.”
“E io l’aggiungo”, Rispose lui con un ghigno compiaciuto, seguendo i suoi passi senza farsi troppo notare, fingendo di ballare ogni tanto, di salutare qualcuno. Quando finalmente anche Sebastian raggiunse lo sgabuzzino in cui avevano messo tutte le cose per la festa, non fece nemmeno in tempo a esclamare “Blaine” che Wes li chiuse dentro tutti e due, sigillando la porta dall’esterno e infilandosi la chiave in tasca.
Sarebbe andato a riprenderli dopo. Adesso, era giunto il momento di fare quella gara di bevute con Nick.
 
 


“Che ci fai tu qui?!”
“No che ci fai TU qui”, Ribattè Sebastian con le mani strette a pugno, cercando immediatamente di aprire la porta ma invano. “Quello stronzo di Wes, quando lo rivedo io-“
“Sebastian, smettila, non vedi che è chiusa a chiave? È inutile.”
“Piuttosto la sfondo”, Sbottò del tutto stizzito, dandole anche quattro o cinque spallate con forza, ma ottenendo soltanto un braccio dolorante e il mal di testa da alcool che aumentava.
“Non ci posso credere.” Si accasciò contro l’uscio chiudendo gli occhi, come esasperato. Blaine incrociò le braccia al petto e, per un momento, fece vagare lo sguardo sulle sue spalle toniche, sulla camicia sbottonata che faceva intravedere i pettorali, sulle labbra serrate, sui capelli arruffati e così sexy che-
“No oh no questo non va assolutamente bene, devi smetterla Blaine, devi smetterla proprio.”
Il problema di chi beve troppo è che non si rende conto delle enormi figuracce che combina, o del fatto che tendono ad esternare qualsiasi cosa gli passi per la mente. Per questo Sebastian, che decisamente era molto meno sbronzo di lui, osservò il compagno di stanza mentre si dimenava passandosi le mani intorno ai riccioli e continuava a inveire contro se stesso, contro la sua fervida immginazione, contro quel ricordo di quella notte a cui, assolutamente, non doveva pensare.
E sul volto dell’altro ragazzo comparve lentamente un ghigno.
“Cosa dici Blaine? Non capisco.” Si fece un po’ più vicino a lui, agli scaffali di metallo che sorreggevano buste di farina, lievito e altri materiali della cucina; c’era un’intensa aria di canditi, probabilmente da qualche parte erano nascoste le scorte dei panettoni della mensa.
Blaine alzò i suoi grandi occhi ambrati su di lui, e quasi perse un battito.
“Sta-stavo dicendo che... che noi non dovremmo...” Balbettò incerto, non sapendo bene cosa dire, perché adesso Sebastian aveva posato entrambe le mani sugli scaffali alla sua destra e alla sua sinistra, impedendogli ogni via di fuga.
“Sì?” Lo incitò a continuare, mantenendo una certa distanza.
“Sebastian io credo di aver bevuto un po’ e-“
“Non ti preoccupare. Dì solo quello che pensi.”
Deglutì un paio di volte, non riuscendo a distogliere lo sguardo dal suo. Erano entrambi pieni, lucidi, famelici, carichi di emozione.
“Non faccio altro che pensare a quella notte”, Ammise sottovoce. Sebastian si avvicinò giusto un poco, chinando leggermente la testa: “Continua.”
“Penso a te, alla tua voce, ai tuoi gemiti e... Dio, non riesco a smettere.”
Ci fu un secondo di pausa, prima che si mordesse il labbro inferiore e pronunciasse un: “Mi dispiace tanto.”
“E di cosa?”
“Non dovrei fare questi pensieri. Non dovrei, perchè tu non ricordi nulla e-e non significa nulla e... abbiamo fatto un patto.”
“Ma quel patto risale a troppo tempo fa”, Disse lui. Quel patto non aveva tenuto conto della successione di eventi che li aveva portati a diventare amici, poi migliori amici; non aveva tenuto conto di quanto Blaine fosse incredibilmente eccitante qualsiasi cosa facesse e di come Sebastian avesse quegli occhi in grado di disarmare chiunque.
Non aveva considerato l’attrazione sessuale che c’era tra di loro, così forte e netta da poter essere tagliata con un coltello; riempiva l’aria intorno a loro.
“Mettiamo che io voglia infrangere quel patto”, Suggerì Sebastian. Blaine spalancò gli occhi come incredulo, ma non si oppose.
“Mettiamo... che io ti voglia da impazzire. Che ti voglia così tanto da immaginarti nudo sotto la doccia, da fantasticare sulla curva dei tuoi fianchi, da leccarmi le labbra ogni volta che ti volti e mi mostri quel culo meraviglioso.”
Con le guance un po’ più rosse, annuì appena, come per dire che avesse capito, come per invogliarlo a concludere quell’ipotesi che si faceva sempre più allettante. Le bottiglie di alcool erano a pochi centimetri dal suo viso, ma Sebastian non le aveva minimamente notate.
“Mettiamo che ci sia un vischio, qui, proprio sopra di noi.”
“Ma non c-“
“Oh ma c’è Blaine, non lo vedi che c’è?”, Lo interruppe con fermezza. Ormai i loro corpi erano separati soltanto da quelle camicie sgualcite, potevano sentire l’uno il respiro caldo dell’altro lambirgli la pelle.
Blaine non alzò gli occhi verso l’alto, ma verso il basso. Puntò direttamente le labbra carnose di Sebastian, trattenendo a stento un sospiro.
“Sì. Sì, ora lo vedo.”
Sebastian gli alzò il mento con due dita, mentre con l’altra mano lo strinse per un fianco.
“E allora baciami.”
Le loro bocche si incontrarono a metà strada, attraverso un groviglio di gemiti, lingue e mugolii trattenuti a stento attraverso i loro sospiri. Blaine si avvinghiò a lui con tutto se stesso, Sebastian lo afferrò per le natiche sollevandolo da terra e facendolo sbattere contro i ripiani degli scaffali, facendolo gemere, le loro eccitazioni che si scontrarono frettolosamente mentre iniziavano a disfarsi delle scarpe, delle cravatte, poi dei vestiti.
Sebastian morse e leccò ogni centimetro del petto di Blaine, mentre lo scopriva pian piano, sfilandogli la camicia. Blaine accarezzò con avidità le spalle, poi la schiena, fino ad abbassarsi completamente una volta che toccò di nuovo terra. Senza aspettare un secondo di più slacciò i suoi pantaloni e cominciò a baciargli la coscia, poi l’inguine, stuzzicandolo ancora di più e beandosi dei suoi “Ancora” e dei suoi “Cazzo Blaine, di più”.
Quando si sentì stringere per i capelli, capì che aveva aspettato sin troppo e sfilò l’intimo di Sebastian portandolo fino alle caviglie, per poi afferrare il suo sesso con malizia e leccarne solamente la punta, in via sperimentale. Sebastian inarcò la schiena a quel contatto così piacevole quanto devastante, e si aggrappò con le mani agli scaffali più alti per evitare un cedimento. Tenne la testa bassa tutto il tempo: non voleva perdersi la visione di Blaine sotto di lui, mentre leccava e succhiava come se fosse la cosa più deliziosa di questo mondo. Era più di quanto avesse mai osato sperare.
Prima di raggiungere il culmine lo fermò, scostandolo da lui, beandosi per un momento il gemito di disappunto che uscì dalle labbra sensuali di Blaine. Lo tirò di nuovo su e lo bacio come se volesse mangiarselo completamente, fece scorrere languidamente la lingua sulle sue labbra leggermente gonfie. Blaine teneva gli occhi chiusi per il piacere, le ciglia scure che sfioravano le guance arrossate. Ma Sebastian voleva di più. Sebastian voleva sentirlo urlare, gemere, venire, e in quel momento maledì se stesso per non avere con sè lubrificante e preservativi. Gli accarezzò languidamente il torace per poi scendere fino all’elastico degli slip, abbassandoli in un colpo solo e cominciando ad occuparsi della sua erezione. E se essere in balia di Blaine era appagante, soddisfacente e quasi divino, essere la causa dei suoi spasmi lo era ancora di più. Blaine semplicemente si lasciò andare con tutto se stesso, mentre Sebastian riusciva a baciare punti particolari del suo collo, delle spalle, del petto. E la sua mano si muoveva abile e esperta; tuttavia, c’erano dei momenti in cui rallentava il ritmo per baciarlo con un pizzico di passione, per calmare anche lui la frenesia che li avvolgeva in quel momento. Per essere certo di avere un ricordo di quella serata che, sicuramente, non sarebbe stata da dimenticare.
Quando Blaine cominciò a chiamare il suo nome rischiò seriamente di venire senza nemmeno essere toccato. Per rimediare, fece per darsi piacere da solo, ma la sua mano su presto sostituita e, oh, Dio, la voce di Blaine, la mano di Blaine, il corpo di Blaine e semplicemente Blaine.
Furono travolti dall’orgasmo quasi nello stesso momento, accasciandosi a terra completamente esausti, baciandosi un ultimo centinaio di volte prima di addormentarsi in un abbraccio, con le schiene premute contro gli scaffali della dispensa.
 
 
 
 
 
Wes andò ad aprire la porta soltanto la mattina dopo. Fondamentalmente, perché a un certo punto della serata si era dimenticato dell’esistenza di quei due.
Certo, vederli accasciati a terra in uno stato di sonno profondo e in condizioni assolutamente esplicite fu più di quanto potesse desiderare.
“Oh mio Dio, finalmente!” Esclamò Nick, alle sue spalle. Jeff aveva già afferrato il telefono con la fotocamera accesa, ma Wes abbaiò a entrambi intimandogli di uscire. Ci impiegò diverso tempo per svegliarli, facendo ben attenzione a usare toni moderati e dolci, giusto per non ricevere uno strillo di prima mattina che gli avrebbe perforato le orecchie.
Sebastian e Blaine non furono molto sorpresi di vederlo. Fino a quando non capirono di avere addosso soltanto l’intimo e i pantaloni sbottonati.
“Non dire niente”, Lo minacciò subito Sebastian, che fece per prendere la camicia da terra, completamente impolverata. Blaine era troppo imbarazzato per parlare. Così, restarono in silenzio per tutto il tempo, fino a quando Wes non annunciò ai due che sarebbe andato a farsi una doccia, e Blaine rispose subito che lo avrebbe accompagnato fino alla  stanza, e che poi sarebbe tornato alla sua per rinfrescarsi e riposare un altro po’.
Salutò Sebastian con un timido “Allora a dopo”, che fu ricambiato con un altrettanto “Sì, ecco, certo”. Alla luce dell’alba non erano più così spavaldi e sicuri di loro stessi. Avevano un forte mal di testa ma, tutto sommato, erano felici. Il cuore batteva pieno nei loro petti e si scambiarono un sorriso fugace, che diede a entrambi la sicurezza di cui avevano bisogno: era successo, entrambi ricordavano e, soprattutto, entrambi erano d’accordo.
“Lo sapevo che prima o poi ce l’avresti fatta!” Nick fece per battere il cinque a Sebastian, ma quest’ultimo lo spinse via con poco garbo, mormorando che era ancora troppo assonnato per sopportare i loro strilli.
“Sì, bravo, trattaci male”, Protestò Jeff con il broncio, “Intanto è merito nostro se finalmente ti sei messo con Blaine!”
“Non stiamo insieme. Cioè, forse. Non ne abbiamo ancora parlato.” Anche se, in cuor suo, sapeva che ormai Blaine era suo, e quella consapevolezza lo scaldava più del camino acceso a un angolo della sala comune. La stanza era completamente messa a soqquadro dopo la festa, ma c’erano già dei ragazzi intenti a pulire.
“Comunque non sono affari vostri.”
“Invece sì!” Nick e Jeff si posizionarono di fronte a lui con una posa trionfale. “Devi ringraziarci, Sebastian. Se non fosse stato per quello scherzo di Natale non vi sareste mai messi insieme!”
“Siamo stati geniali”, Aggiunse Nick. “Non credevo che avrebbe funzionato così bene!”
Jeff sfoggiò un sorriso che arrivò fino agli zigomi: “Te l’ho detto che volevano saltarsi addosso. Dovevamo dargli... la giusta spinta.”
“Ma Sebastian”, Fece Nick, ormai completamente divertito, “Qual è stata la vostra reazione? Insomma, dopo stanotte lo avrete capito!”
“... Ma di cosa stai parlando?”
Non gli piaceva per niente la piega di quella conversazione.
“Sì dai! Quando avete capito che la notte di Natale non avete davvero fatto sesso, e che era tutta una messa in scena!”
Un momento.
“CHE COSA?”











Angolo di Fra



EHEHEHEHEHEHEHEHEHEH

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Capitolo 5
*** Non me la ricordavo così una dichiarazione d'amore ***


 
 

Capitolo 5: Non me la ricordavo così una dichiarazione d'amore.

 




 
Ci sono diversi tipi di scherzi.
Ci sono i dispetti stile bambino delle elementari: le pacche sul collo, i vassoi rovesciati a mensa, i cellulari nascosti per poi comparire misteriosamente nelle proprie tasche quando ormai è troppo tardi. Ci sono gli scherzi un po’ più crudeli, come il dentifricio sul viso a forma di smile mentre si sta dormendo, il secchio d’acqua gelida in pieno inverno, il pupazzo di neve in miniatura che compare magicamente nel freezer al posto delle scorte. Poi ci sono gli scherzi ancora più cattivi: c’è il profilo fake che David ha creato per Wes, fingendosi una ragazza della Crawford bellissima e eccitante, provandoci con il povero malcapitato per due giorni e dandogli appuntamento a mezzanotte, di fronte al cortile. Inutile dire che quando Wes, trovandosi all’ora e al punto giusto, vide comparire tutti i Warbler con gonna e rossetti che facevano il verso di baciarlo, beh, si era arrabbiato giusto un pochino.
C’era stata anche quella volta in cui avevano riempito la camera di Trent di sveglie: era una domenica pigra e inutile, il ragazzo aveva prefissato quel giorno libero da almeno un mese; dormire e nient’altro. E invece era stato costretto ad alzarsi dal letto ogni mezz’ora, svegliato dal rumore assordante di sveglie più o meno assordanti nascoste per tutta la camera. Ne suonò una anche alle sette di sera, ma solo perchè Nick aveva sbagliato a impostarla.
Insomma, gli scherzi degli Warblers erano piuttosto famosi in tutta la scuola. Ma mai, mai e poi mai si erano permessi di farli a Sebastian Smythe. Uno come Sebastian non dimentica; uno come Sebastian non perdona facilmente uno sgarro simile. Una volta avevano provato a fargli lo scherzo delle sveglie: come prima cosa, Sebastian le aveva trovate tutte nel giro di cinque minuti. Come seconda cosa, il giorno dopo i ragazzi si erano trovati con i materassi forati e, al posto della classica e morbida gomma piuma, ingranaggi e rotelline di suddette sveglie, affilati e fastidiosi come spilli. Non avevano chiuso occhio per tutta la notte.
Quindi, tutti sapevano che era difficile farla franca con Sebastian Smythe. E, d’altro canto, nessuno aveva mai pensato di fare uno scherzo a Blaine, perchè Blaine è dolce e disponibile, nessuno aveva mai voglia di rifarsela su di lui.
Insomma, uno scherzo su di loro avrebbe dovuto essere epico.
 

 
Quello che è veramente successo.

 
 
“Ho tantissimi propositi per questo anno nuovo.”
Nick agitava la bottiglia di Vodka ormai completamente vuota, con Jeff rannicchiato sulle sue ginocchia che assomigliava molto a un gattino che faceva le fusa.
“Voglio fidanzarmi... superare il debito in algebra... e prendermi una laurea.”
“Ma facciamo il liceo!” Ribattè Jeff, intento a leccare il fondo del suo vodka lemon. Sembrava stesse amoreggiando con quel pezzo di vetro.
“Non importa, voglio una laurea. Sono tutti più fighi con una laurea.”
“Giiuuussstissimo.” Con un rutto, si allungò sul tappeto persiano della sala comune e non disse altro.
Era questa la situazione, in generale. Avevano bevuto tutti. Il fratello di Nick aveva davvero esagerato con le casse di alcolici, quella volta, e avevano raggiunto quel punto di non-ritorno alcolico, dopo il quale resta soltanto il water, il proprio corpo e un chilo e mezzo di vomito che finiva giù dritto nello scarico. Ma loro non volevano arrivare a tanto, così avevano deciso di fermarsi prima, con le teste pulsanti e il cuore che martellava nel petto, la pelle che ribolliva dal caldo delle luci e della vodka e gli addobbi di Natale tutti intorno, a ricordare esattamente dove si trovassero.
Erano rimasti in pochi, ormai. Metà dei ragazzi si erano infrascati nelle loro camere da letto, mentre l’altra metà era andata a dormire dopo il sesto drink, visto che il giorno dopo li aspettavano pranzi, regali, cenoni e perfino la riunione con i Warblers. Erano rimasti soltanto Jeff, Nick e pochi altri, tra cui Blaine e Sebastian.
Questi due, in particolar modo, stavano dormendo in posizioni a dir poco scomode: Sebastian era appollaiato sul divano, con un braccio e una gamba penzolante da un lato, mentre Blaine era sopra di lui, come una coperta umana, che respirava a sincrono dei suoi movimenti. Accanto a loro, la tv con lo schermo blu elettrico, sulla quale prima avevano messo un dvd noleggiato dal cugino di Thad.
Il titolo: Hit me baby one more time.
E non si trattava del concerto di Britney Spears. Il viso di Blaine aveva assunto una carnagione tendente al porpora per tutta la durata del video.
“Ricordami perchè non stanno ancora insieme?” Mugolò Jeff indicando svogliatamente Blaine e Sebastian, ancora accoccolati l’uno sopra l’altro. Erano talmente adorabili da sembrare perfino un po’ idioti.
“Perché lo sai come sono fatti, anche se si piacessero non lo ammetterebbero nemmeno sotto tortura.”
“Pensiamoci noi, allora.”
Si guardarono per un momento con la coda dell’occhio: quando i loro cervelli annebbiati dai fumi dell’alcool cominciavano a macchinare qualcosa, era la fine. E loro avevano già ingranato la terza.
“Stai pensando a quello che penso io?” Suggerì Nick, con un ghigno a dir poco malefico.
“Io sto pensando a biscotti al cocco e crema di vaniglia.”
No. Okay. Magari alla prima non andavano proprio sulla stessa lunghezza d’onda, ma bastava giusto qualche spintarella ai cricetini che giravano la ruota dentro alle loro teste.
“OH!” Esclamò, un attimo dopo, “Adesso ci sono, ho capito!”
“Capito cosa?” David si destò dal suo stato REM sollevandosi sui gomiti e scansando orde di bicchieri di plastica sparsi sul pavimento.
Fu così che il grande piano ebbe inizio. Presero Blaine e Sebastian di peso, li portarono in camera loro, li privarono dei vestiti e li sparpagliarono per tutta la camera, accompagnando anche cartacce rovistate nel portacarte, preservativi aperti e buttati nel cestino, succhiotti sui loro corpi fatti appositamente da Jeff. Nick lo trovò un gesto un po’ troppo perfezionista. E, davvero, ne aveva fatti così tanti che sembravano dei Dalmata.
Ignari di tutto, Sebastian e Blaine continuavano a navigare nel mondo dei sogni, completamente nudi e intrecciati tra di loro.
Jeff e Nick chiusero la porta della loro camera trattenendo a stento una risata, facendo il gesto del silenzio con il dito alle labbra e sussurrando, “Buon Natale ragazzi”.
 
 
 




 
Quando Nick e Jeff finirono il racconto, Sebastian era incredulo.
Non sapeva decidersi se ucciderli immediatamente, bruciando i loro cadaveri dentro all’inceneritore vicino la discarica, oppure rinchiuderli in una cella e cominciare un giochino sadico in pieno stile Saw, per poterli fare a pezzi.
Ma i loro sorrisi incerti erano più che chiari: era tutto vero. Avevano organizzato tutto quanto. Lui e Blaine non erano mai stati a letto insieme.
Quella notte non era successo proprio nulla.
“Non sei troppo arrabbiato, no? Dopotutto è grazie a noi che ora state insieme!” Jeff si strinse nelle spalle, ma allo stesso tempo stava indietreggiando lentamente da lui. Sebastian, però, era troppo incredulo per badare a lui: doveva ancora realizzare il fatto che, allora, non era andato a letto con Blaine, non si era dimenticato tutto e, soprattutto-
“Devo dirlo a Blaine. Subito.”
“Sì, bravo”, sorrise Nick, “Vai da lui così risolvete tra di voi e noi siamo... salvi. Diciamo.”
Sebastian rivolse ai due una lunga occhiata, prima di dar loro le spalle.
“Nient’affatto. Cominciate a scegliervi il loculo per la vostra bara.”
Attraversò il corridoio quasi correndo, non riuscendo a pensare ad altro che non fosse il volto di Blaine pallido dallo stupore, la delusione nei suoi occhi non appena avrebbe saputo la verità, l’amarezza nelle sue parole, quando gli avrebbe detto che allora era stata tutta una finzione...
Blaine gli aprì la porta con un sorriso radioso e in meno di un secondo era già tra le sue braccia. Aveva soltanto il pantalone del pigiama e una canottiera molto, molto aderente.
“Mi sei mancato”, lo sentì miagolare contro al suo orecchio, prima di ricevere un bacio alla base del collo.
Sebastian lo avvolse completamente nell’abbraccio e chiuse la porta dietro di sè, cominciando a baciarlo fino a togliergli il respiro.
Oh beh, gli avrebbe parlato dopo. In fondo, lo sanno tutti che le persone sono più accondiscendenti dopo un sano orgasmo.
Ma dopo il primo ci fu un secondo, e poi un terzo, e verso le sette di sera Blaine decise che era davvero troppo affamato per continuare, optando per una pausa. Gli chiese se fosse un problema scendere per cena e raggiungere gli altri. Sebastian era già a un piede dentro il Paradiso, con Blaine tra le sue braccia che lasciava piccole scie di baci lungo tutto il suo corpo, e insomma, lo sanno tutti che quando un uomo è in quelle situazioni non dice mai di no.
Quindi, dopo una doccia veloce – fatta insieme -, con le mani intrecciate e dei sorrisi compiaciuti sulle labbra, si sedettero di fronte a Wes, Thad, Jeff e Nick, intenti a finire il loro pollo.
“Questo pennuto avrà almeno tre giorni.”
“Non lamentarti Nick.” Sebastian aggiustò la sedia di fronte a lui e gli rivolse un ghigno: “Ho visto uccelli peggiori."
Blaine gli diede un calcio da sotto al tavolo, ma i suoi occhi erano completamente luminosi e intenti a fissarlo.
“Insomma... tutto bene, voi due?” Chiese Wes scartando con disprezzo le olive dal suo piatto, mentre Blaine le prendeva e le mangiava senza troppe cerimonie. I due ragazzi si scambiarono un’occhiata d’intesa, e quasi all’unisono dissero: “Sì. Tutto bene.”
“Alla grande.”
“Ecco”, Ghignò Wes, “Perchè vi siete chiusi in camera per tutto il giorno. Pensavo che steste litigando per quello che ho fatto ieri... sapete... il rinchiudervi dentro la dispensa...”
Evitarono con ogni fibra del loro corpo di ripensare alla sera prima. Non era proprio il caso di farsi venire un’erezione davanti a tutti.
“No, no tranquillo.” Ribattè Blaine. La sua voce era leggermente tremante. “Abbiamo parlato... molto. Vero Sebastian?”
Sebastian stava quasi per soffocarsi con la coca-cola, ma l’occhiata torva di Blaine lo fece subito raddrizzare.
“Eh? Sì. Tantissimo. Ci siamo raccontati tutta l’Enciclopedia, e poi visto che avanzava tempo l’abbiamo detta al contrario. Con tanto di didascalie e indice dei capitoli. Senza contare lo scappellamento da destra, ovviamente.”
Blaine avrebbe tanto voluto affondare il piatto nel suo pudding, ma si limitò ad arrossire vistosamente e scuotere la testa, borbottando trai denti “Quanto sei idiota”. Ma Sebastian sogghignò, cominciando a raccogliere tutte le olive dal suo piatto per metterle in quello di Blaine.
Vederli così scherzosi e affiatati non era affatto una novità. Solo, stavolta c’era una chimica che non si poteva spiegare, un’intesa che andava oltre le parole, i gesti, gli sguardi che si lanciavano quando pensavano di non essere visti. Per tutta la cena, si comportarono come se non fosse cambiato niente, anche se era cambiato tutto.
Fu soltanto al dolce che Nick inclinò la testa verso Blaine, abbozzando una smorfia.
“Comunque ci dispiace tanto per quello scherzo...”
“Abbiamo un po’ esagerato”, Aggiunse Jeff, con tono abbattuto. “Ci avete perdonato, vero?”
Sebastian si ghiacciò come se fosse diventato una statua.
“Di cosa state parlando?” Blaine continuò a guardarli confuso, non aveva la più pallida idea di quello che stavano dicendo, non sapeva nemmeno perchè, adesso, sembrassero così mortificati.
“Oh. Cazzo. Sebastian non te l’ha detto?”
“Detto cosa?”
“Dello scherzo di Natale. Del fatto che non siete andati veramente a letto insieme. Non ti ha detto niente?”
L’incredulità nel suo sguardo era pari alla rabbia omicida in quello di Sebastian.
“Si può sapere perchè diavolo non volete stare zitti?!”
“Allora è vero?”
Blaine era voltato completamente verso di lui. Le labbra leggermente dischiuse, gli occhi spalancati, lucidi dal sentimento. Rabbia, delusione, amarezza. Proprio le cose che Sebastian si era aspettato di vedere.
“E tu... tu lo sapevi?”
“No, Blaine, ti prego, lasciami spiegare, volevo dirtelo, l’ho scoperto sta-”
“Tu lo sapevi. Ecco perché dicevi che non ricordavi niente.” Stava già stringendo il tovagliolo sulle sue gambe, quando si voltò di scatto verso Jeff e Nick: “Un momento, ma io ricordo le scene, i versi, le frasi...”
“Forse ti confondi con il porno che abbiamo visto quella sera”, disse Thad, senza nessun tipo di tatto.
E fu allora che, nella sua testa, tutto tornò. Ecco perchè non ricordava nessuna sensazione fisica; ecco perchè ricordava quei “baby”, e quelle altre cose che, nè lui, nè Sebastian, avrebbero mai detto. Si era confuso per colpa dell’alcool. Era stata tutta una gigantesca messa in scena.
Per un attimo, nella sala comune regnò un silenzio tombale.
Fino a quando Blaine non si sciolse in un sorriso, e si lasciò andare a una piccola risata confortante.
“Me l’avete proprio fatta. Mi piacciono questi scherzi! Tranquilli.”
“Ci dispiace veramente tanto...”
“Scusaci, davvero!”
“Ragazzi, basta”, intervenne lui, sventolando le mani davanti ai volti rattristati di Jeff, Nick e Thad. “Va tutto bene. Siete stati bravi! Ma piuttosto, ditemi che cavolo avete combinato ieri sera: perché hanno trovato un camaleonte nel bagno dei bidelli?”
Per il resto della cena non parlarono più di quell’argomento.
Fino a quando Sebastian non raggiunse Blaine fino all’uscita della Dalton, con la neve che scendeva a fiocchi, il cielo dipinto di un blu notte che risaltava le poche stelle visibili da laggiù. Era una notte senza luna.
Sebastian provò ad allungare la mano per sfiorare il corpo di Blaine, ma quest’ultimo si scostò non appena avvertì la sua presenza, come se sapesse già che sarebbe venuto da lui. Come se sapesse quello che voleva dirgli.
“Blai-“
“No.”
Lo interruppe così, senza nemmeno dargli il tempo per finire di pronunciare il suo nome. Continuava a dargli le spalle, la neve scendeva candida sul suo giubbotto imbottito, come se non volesse dare fastidio.
“Non devi darmi giustificazioni.”
“Sì invece”, Provò un’altra volta, “Avrei dovuto dirtelo prima, lo so. Ma l’ho saputo solo stamani e oggi...”
“Oggi hai evitato di dirmelo perchè sennò sarebbe finito tutto, non è vero? Sarebbe crollato il tuo castello di carte. Mi sta bene. Sono io lo stupido che credeva ci fosse qualcosa di più.”
“Blaine, no.”
Aveva già deciso tutto lui. Aveva deciso perfino la sua giustificazione, e Sebastian sentiva la frustrazione salirgli fin da dentro le viscere, in attesa di irrompere come un vulcano.
“Sebastian, puoi finirla adesso.” Si voltò appena, rivolgendogli un’occhiata fredda. “La scenata è finita. Non devi far finta che ti interessi di me. Non sono uno dei tuoi spasimanti da scaricare dopo una notte di sesso.”
“Che cos-“ No. No. No questo no. Non aveva il diritto di giudicare i suoi sentimenti. Non aveva il diritto di sapere tutto quanto.
“Dio, quanto sei idiota.”
Blaine incassò quelle parole come se fossero veleno.
“Come hai detto scusa?” Lo guardò torvo, gli occhi carichi di rabbia, il respiro che diventava sempre più difficile da controllare, mentre Sebastian faceva un passo in avanti, oltre il cornicione dell’ingresso. Adesso la neve cadeva anche su di lui, sul suo cappotto di alta moda e i suoi capelli scompigliati. Faceva incredibilmente freddo, ma era un dettaglio che passava in secondo piano.
“Ho detto, signor so-tutto-io”, Sibilò, “Che puoi essere arrabbiato quanto ti pare, ma se tu mi lasciassi il tempo di spiegare-“
“Spiegare cosa, Sebastian?! Mi hai mentito. Mi hai usato! Io non-non riesco nemmeno a guardarti in faccia adesso. Io credevo che...”
E in quel secondo di esitazione, in quel piccolo secondo di pausa, Sebastian sperò in una dichiarazione da parte di Blaine, in una vera e propria, come succede nei film e in quelle commedie romantiche che tanto odiava. Sperava che Blaine aprisse finalmente il suo cuore a lui, perchè Sebastian non aveva il coraggio di farlo, non per primo. Aveva bisogno di lanciarsi sapendo di cadere in un posto sicuro.
Ma poi Blaine scosse la testa, e fece per incamminarsi lungo il viale innevato.
“Sei uno stronzo.”
E no. Lui poteva essere tante cose, ma non uno stronzo. Okay, era anche uno stronzo, ma non in quel frangente.
“Stammi bene a sentire.” Lo inseguì e in un paio di falcate lo afferrò per il polso, costringendolo a voltarsi e rivolgergli la parola. “Se tu non fossi così cocciuto e permaloso-"
"Io cosa?!"
"Shhh, i grandi stanno parlando, Blaine."
"Sono più grande di te di un mese." Ribattè cinico. Sebastian lo squadrò dall'alto verso il basso prima di commentare: "Anagraficamente, forse."
Blaine fece una smorfia talmente offesa che Sebastian, all'inizio, provò quasi tenerezza. O compassione. Una delle due, insomma, era difficile distinguerle, quando si trattava di Sebastian Smythe.

"Volevo dire, piccolo Blaine, e sì, non guardarmi così, non eri tu a cui piacevano i nomignoli tutti pucci-pucci? Dicevo, mon petit Blaine-"
"Risparmiami il francese: conosco soltanto patè e qualche canzone di Celine Dion."
"Dovevi capire che non te l’ho detto perché non volevo ferirti", sbottò Sebastian, stanco di quelle interruzioni. "Perché non sapevo bene come dirti che quella che reputavo essere la notte più bella della nostra vita non esisteva, perché sono innamorato di te da così tanto tempo che non mi ricordo l’ultimo sogno che ho fatto senza di te. E quando oggi pomeriggio eravamo solo noi due, io mi sono sentito un vero
cretino, perché tu sei dolce e sexy e assolutamente perfetto, e io sono uno stronzo che non ti merito. E sì Blaine, sono uno stronzo. E ti amo. E smettila di fare queste scenate da bambini, anche tu mi ami.”
“Io-cosa?” Balbettò lui, che si era perso a metà del discorso, con il viso che diventava sempre più rosso e la bocca spalancata. Ma Sebastian stava prendendo fiato, il suo cuore rischiava seriamente di schizzargli via dal petto, Blaine in quel momento era così bello, sotto la neve, che la stretta sul suo polso si trasformò sempre di più in una carezza, fino a intrecciare le loro dita.
"Sebastian, ti sembra una dichiarazione decente questa?! Abbiamo parlato di patè, per l'amor del cielo. Non posso raccontare questo momento dicendo: ci siamo dichiarati tra uno stronzo e l'altro, parlando di anatre."
"Sempre di uccelli si parla."
"Sebastian!"
Non sapevano più se ridere, offendersi, insultarsi o baciarsi.
"Ci amiamo.” Disse Sebastian, con il cuore in gola, il battito decisamente accelerato.
“Ci amiamo”, Ribattè Blaine, e lo disse come se avesse appena pronunciato il nome di uno di quei tesori da tempo nascosti, ma finalmente emersi dalle profondità del mare. Era così ovvio. Così semplice.
“Quindi, mi perdoni perchè quei due idioti di Jeff e Nick ti hanno raccontato la verità prima di me?”
“Sì”, sorrise, e aveva una voce così bella. “Sì, ti perdono.”
“E possiamo finire questa scena da telefilm messicano di quarta serata?”
“Sì, possiamo”, aggiunse con una risasta.
“Bene. E adesso baciami.”
Non ci fu più bisogno delle parole.





















***


Angolo di Fra


Ce l'ho fattaaaaaaaaaaa! Spero che il finale vi piaccia perchè a me piacciono tanto queste dichiarazioni strambe. Forse perchè si addicono di più ai Seblaine. Ma cosa dico? Si addicono di più a ME. Comunque, insomma, questa minilong è finita, spero vi sia piaciuta, spero di avervi fatto divertire e spero di scrivere qualcos'altro in futuro, ma ho ispirazione zero in questo periodo...
grazie a tutti quelli che l'hanno seguita e recensita, un abbraccio Seblaine a tutte!

PS _ scrivere di neve e freddo il 30 di Luglio. Solo io.

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