Are you my brother?

di Rachel_Winchester
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: The past come forward ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: So near ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: A bad road ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: Cruel fate ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: Innocent ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: You're not a stronger ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: The great escape ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: Castle of glass ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: The truth ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10: Tell me ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11: Nightmares ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12: The beginning ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13: Runnin ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14: The first sin ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15: Some help ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16: A new world ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17: Evil replaces the pain ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18: Never try to forget ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19: Need to know ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20: Too much to hide ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21: This is real ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


 

Prologo
 
Si aprì una grossa porta in noce, con pregiate maniglie d’oro. Un anziano signore entrò nella stanza.
“Su, alzati! Stai facendo il giro dell’orologio!” gli disse con voce austera.  Aveva tutta l’aria di uno di nobile famiglia: i capelli bianchi erano tirati all’indietro, la corta barba era delineata accuratamente quasi a segnare i contorni del viso. Indossava un’elegantissima camicia bianca e dei pantaloni di lino neri, vestiario con il quale era solito stare in casa, e portava al polso un brillantissimo orologio d’oro.
Dean aprì leggermente i suoi grandi occhi verdi. Il suo viso era proprio di uno che aveva appena sorbito una sbronza. Li richiuse.
 “Papà, ancora cinque minuti!” e si coprì il capo con le bianchissime lenzuola di seta.
“No Dean! La prossima volta impari a ritornare a casa ad un orario decente!” gli rispose irremovibile il padre, che spalancò le tende delle grosse finestre. Una forte luce arrivò sul viso di Dean, che si coprì con la mano gli occhi.
“Non vedo l’ora di andare a vivere da solo …” borbottò a bassa voce.
“Ti ho sentito ragazzo! Esigo un po’ più di rispetto nei miei confronti!” gli disse il padre lanciandogli un’occhiata.
Dean si alzò svogliatamente, indossava solo dei boxer neri.
“Su, va’ a coprirti!” lo sgridò il padre.
Dean abbassò le spalle e mise il broncio, proprio come un bambino di cinque anni, e si diresse verso il lussuoso bagno della sua camera da letto.
Riempì con acqua tiepida la grande vasca di marmo, si immerse dentro, accese l’ipod e si mise le cuffie alle orecchie.
 

***

 
Un pugno sferrato con tutta la forza sul suo povero volto tumefatto gli fece perdere i sensi.
“Povero idiota! Credeva di tenerci testa!” si vantò il suo aggressore, che gli si avvicinò e gli prese quei 10 dollari stropicciati che teneva in tasca.
Il giovane ragazzo era a terra, sull’umido e freddo asfalto di quello scorcio, perdeva sangue dal naso e dalla bocca, mentre la banda di vandali che lo aveva aggredito gli sputava addosso.
Riaprì gli occhi dolorante e si alzò a stento, ma ricadde con la testa sul marciapiede. “Ridammi i miei soldi stronzo!” urlò.
“Sai?! Sei ridicolo! Vuoi fare tanto il duro ma hai uno sguardo da cucciolo stroppicciato!” lo schernì. 
Sam si rialzò e gli si avvicinò, lo prese dalla maglietta, lo scaraventò contro un muro e cercò di fare lo sguardo più aggressivo che poteva “Ridammi i miei soldi o giuro che ti spacco il culo!” .
Gli altri della banda, che dal vestiario si potevano considerare con molti più soldi di Sam, lo presero da dietro e lo ributtarono a terra.
“Ehi Rocky! Ci siamo anche noi!”
Si asciugò il sangue dal viso e gli andò contro. Li stese a terra con un colpo solo e si avvicinò a quello che gli aveva rubato i soldi, sicuramente il capo banda.
“Adesso sei solo! Non fai più tanto il duro! Dammi i miei soldi. ORA!”. Il ragazzo, cercando di nascondere la paura che provava in quel momento, tirò fuori dalla tasca quello che  apparteneva a Sam e glielo lanciò sul petto.
“Tieni i tuoi stupidi soldi pezzente!”gli urlò, ma dal tono di voce si capiva chiaramente che era spaventato.
Sam li prese, si voltò e se ne andò.
Pochi isolati più distante raggiunse un palazzo che sembrava quasi sul punto di crollare e ci entrò.
Si trascinò su alcuni scalini, tirò dalla tasca della felpa un mazzo di chiavi, e aprì la porta di un appartamento, che sembrava essere proprio la sua casa:  una stanza occupava quasi tutta l’ampiezza dell’alloggio, nella quale c’era un piccolo letto sfondato, troppo ristretto per le dimensioni di Sam, e un cucinino mezzo arruginito. Si diresse verso il piccolo bagno, chiuse sonoramente la porta, si sciacquò il viso livido con acqua gelida, e si buttò sul letto stravolto.
Tirò fuori dalla tasca i suoi sudati 10 dollari e si mise a sorridere: almeno per quel giorno aveva i soldi per mangiare.




SPAZIO AUTRICE
Questa è la mia seconda ff su Supernatural.
e' solo un'idea che ho avuto una sera mentre stavo riguardando alcuni episodi di Supernatural, e ho deciso di scriverla per vedere che ne pensavano i lettori. Ovviamente non l'aggiornerò presto perchè mi sto già occupando dell'altra mia ff, The God's diary che ho iniziato in precedenza, ma quando troverò il tempo - e se vedo che ha un discreto successo- la continuerò. Spero vi piaccia, e per favore, recensite e ditemi cosa ne pensate :)
Grazie, Rachel Saia 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: The past come forward ***


 

 

Capitolo 1: The past come forward


Dean lasciò chiudere alle sue spalle le porte del Night club, mentre, con tutta la sua combriccola di amici, si dirigeva verso il palco per osservare più da vicino quegli angioletti coperti solo da uno striminzito bichini, che si muovevano sensualmente scatenando le loro fantasie perverse.
Dean, con uno sguardo che avrebbe fatto cadere alle sue labbra anche la più seria delle ragazze, fece cenno a una di loro di avvicinarsi, così che le loro labbra si ritrovarono a pochi centimetri le une dalle altre.
“Quando finisci il turno che ne dici di stare un po’ insieme?” le sussurrò  maliziosamente.
Lei, come approvazione, si strusciò sul suo possente e provocante collo come una gatta in calore.
I suoi amici lo guardarono perplessi: si conoscevano sin dalle elementari, ma ancora non avevano capito come riuscisse a fare sempre colpo sulle donne!
“Amico tu hai un dono naturale!” esclamò Derk, il suo migliore amico. Dean lo guardò con un sorrisino a metà tra la malizia e l’ironia: “Magari funziona anche con te!” e cercò di avvicinarsi a lui come se gli avesse voluto infilare la lingua in bocca. Tutti scoppiarono in una grossa risata e s’incamminarono verso il bancone per prendere una birra.
“Pago io!” esclamò vanitoso Dean. Lui sì che poteva permetterselo, non che i suoi amici vivessero nella miseria, ma non erano di così alto rango come lui.
 
I quattro ragazzi  stettero fino alle due di mattina nel locale, a bere e a ridere, poi Dean, quando il turno della ballerina che aveva preso di mira finì, si congedò assieme a lei diretto verso casa sua, deciso a far finire quella nottata con fuoco e fiamme.
Entrò silenziosamente, con l’intento di non farsi scoprire dal padre, che stava dormendo nel sonno profondo regalatogli dai sonniferi, e invitò la ragazza ad entrare in camera sua.
 
Erano quasi le 5.00 di mattina quando la “ballerina” si congedò.
Uscì dal lussuoso portone, e si diresse verso casa sua, dall’altra parte della città.
 
Ad un tratto un ragazzo  alto e giovane le andò addosso, facendola cadere a terra.
“Oh mi dispiace!” -si scusò desolato lui, aiutandola a rialzarsi- “Si è fatta male?”
La ragazza scosse la testa e senza neanche voltarsi riprese a camminare.
 
Sam arrivò correndo al lavoro. Era in ritardo: avrebbe dovuto iniziare il turno alle 4.30 e lui si era presentato alle 5.30.!
Si occupava di tutto: puliva, serviva i clienti … Ma la paga era oltre i limiti dell’impossibile: in un turno di ben dodici ore prendeva solo 20 dollari.
Lavorava lì da quando fuggì dall’orfanotrofio a 14 anni, da quel posto lugubre dove lo prendevano a bacchettate dal mattino alla sera.  Non avendo proseguito gli studi dopo la terza media, quello era davvero l’unico lavoro che poteva permettersi  e cercava di mantenerselo ben stretto.
Era già spuntato il sole quando finì di pulire tutto il locale, e mentre lo stava aprendo lo raggiunsero due ragazzi, più o meno della sua stessa età.
Jonson, il gigante, era di colore e portava solo dei blu jeans e una canottiera nera, che metteva in mostra i suoi possenti pettorali; l’altro, Stephen, che si poteva considerare un po’ più ristretto del primo, aveva capelli biondi cortissimi, occhi blu mare, carnagione chiara e rosea e muscoli talmente scolpiti da fare invidia persino a uno che a un culturista.
Sam gli si avvicinò con un sorriso da orecchio a orecchio, sul suo viso ancora i segni ben visibili delle botte che aveva preso il giorno prima. Si abbracciarono forte dandosi una sonora pacca sulla schiena, e Sam l’invitò ad entrare nel negozio di alimentari dove stava lavorando.
“Ehi amico, con chi hai fatto a pugni?” gli chiese Jonson un po’ preoccupato.
Sam sorrise: “Ah no, niente, è stata una piccola cosa con quelli della 18a strada”
“Piccola cosa? Cavolo direi che ti hanno conciato per le feste! Quelli lì sono cani rognosi! Mi chiedo come hai fatto a uscirne vivo!” intervenne Stephen, che fino a quel momento era stato a dare una sbirciatina alle riviste di PlayBoy.
“Diciamo che me la so cavare. Alla fine due erano a terra e ho potuto prendermela comoda con Jeck! Avreste dovuto vederlo! Sembrava una ragazzina!” si pavoneggiò sogghignando il bruno.
Gli altri due scoppiarono in una sonora risata e dopo essersi bevuti una birra e aver acquistato qualche pacco di sigarette, andarono a lavoro.
 
Dean si svegliò alle 2 di pomeriggio, per sua fortuna suo padre era dovuto andare a un’importante conferenza stampa alle 9.00 e quindi non l’aveva svegliato … E meno male che la sua camera da letto era chiusa a chiave! Chissà come avrebbe reagito se avesse visto il preservativo usato sul comodino e bottiglie di birra sparse per tutta la stanza!
Si alzò dal letto e stropicciandosi gli occhi, diede uno sguardo attorno a lui: solo in quel momento si ricordò di quella notte di fuoco.
Si lavò e si vestì con dei blu jeans, una camicia nera firmata Armani, e una vecchia giacca in pelle marrone consumata dal tempo, che stonava veramente tanto con il resto del costoso abbigliamento.
Uscì di casa, e dopo aver salutato il portiere si diresse verso un bellissimo esemplare di Excalibur.
Una volta sopra accese il potente motore, e con un rombo maestoso si diresse verso la periferia della città alla ricerca di un negozio dove comprare sigarette: in pieno centro tutti i proprietari di negozi conoscevano lui e la sua famiglia, e Dean, nonostante fosse ormai adulto e completamente libero di gestire la sua vita a proprio piacimento, non voleva che suo padre venisse a sapere che fumava.
Adocchiò ben presto un negozio mezzo sgangherato e scese dalla moto.
Tutti lo fissarono come se avessero visto un alieno -quel pezzo di città non veniva frequentato mai da gente ricca come lui- ma indifferente si diresse verso la sua destinazione.
 
Il suono del campanello fece sobbalzare  in una posizione un po’ più consona Sam, che fino a quel momento aveva tenuto i piedi sul bancone mentre si leggeva un quotidiano. Corrugò la fronte sorpreso: si notava lontano un miglio che il ragazzo che era appena entrato non era di quelle parti, il suo vestiario era indubbiamente troppo costoso.
“Salve, posso aiutarla?” gli chiese cortesemente Sam.
“Avete per caso delle sigarette?” gli chiese il biondo senza neanche alzare lo sguardo dalle riviste di PlayBoy che stava osservando.
“Sì, sono qui” gli rispose Sam.
Dean prese un giornalino e due pacchi di sigarette e le posò sul bancone.
“Fanno 10 dollari e 50”. Dean alzò lo sguardo per pagare e solo allora guardò Sam.
Lo guardò nel volto pieno di lividi e graffi, lo guardò negli occhi verdi come i suoi, nei capelli castani leggermente lunghi …

Guardò infine il cartellino che portava al petto: Sam Winchester.

Quel nome ... Lo stesso di ...
Il suo volto sbiancò e un brivido gli percorse tutta la spina dorsale.

Era mai possibile che quello che aveva davanti fosse suo fratello andato perduto più di 22 anni prima? Era possibile che per tutto quel tempo fosse stato così vicino a lui senza mai rendersene conto?
 
Dean ebbe un mancamento e si accasciò a terra. Subito Sam corse in suo aiuto.
“Ehi, ti senti bene? Vuoi che chiami un’ambulanza?”
“No no, va tutto bene …” cercò di tranquillizzarlo Dean, mentre nella sua  mente si facevano avanti una miriade di domande e di ricordi …
… DI QUEI RICORDI:  di quella notte, di lui che portava in salvo suo fratello dalle fiamme, delle urla di suo padre che stava venendo consumato dal fuoco nell’intento di salvare sua moglie, la madre dei suoi figli, senza alcuna speranza ormai … Gli riaffiorarono i ricordi dell’ultimo sguardo malinconico dato a suo fratello prima della divisione in due istituti diversi, dell’affidamento alla famiglia Cleverly.

Quello era davvero suo fratello?  O era solo un ragazzo che assomigliava incredibilmente a John e che portava lo stesso nome e cognome di suo fratello?

Dean aveva lo sguardo immerso nel vuoto, e i suoi occhi erano letteralmente imbevuti dal panico e dal dolore del passato, di tutto quello che aveva ormai sepellito nell'angolo più remoto del suo cervello.
Sam lo guardava ancora confuso e preoccupato mentre lo aiutava ad alzarsi:
“Sicuro che vada tutto bene?” gli chiese ancora.
Ma Dean, senza dire niente uscì di corsa dal negozio in preda alla confusione.
Prese la sua moto e si diresse verso casa.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: So near ***


 

 

Capitolo 2: So near

“Ehi amico, calmati, cos’hai?” gli chiese preoccupato Derk dall’altro capo del telefono
“Senti, è meglio se ci incontriamo al McCrowley Pub …”  
 
Dean attaccò e si mise le mani fra i capelli.
Il suo cuore batteva all’impazzata, e il suo volto era rigato dalle lacrime.
Dalla tensione uscì in terrazza e si accese una sigaretta, si distese sullo sdraio, chiuse gli occhi e si mise ad ascoltare Hei Jude, come faceva ogni volta che voleva rilassarsi …
 
… Rivide sua madre che gliela cantava seduta nel letto accanto a lui, con quel sorriso che illuminava la notte, con quei capelli così morbidi che sembravano filamenti d’oro. Rivide suo fratello, che ancora troppo piccolo per capire lo guardava con quel visino pieno d’innocenza …  Rivide suo padre che giocava a palla insieme a lui e che lo portava a fare passeggiate a bordo dell’Impala …
 
… Quella volta non fece l’effetto desiderato … I suoi occhi si riempirono ancora più di lacrime, e fu costretto a cambiare canzone per non sprofondare ancora di più nel dolore.
 
Quando la sigaretta finì si alzò e si diresse verso il pub.
 
 
“Bene, dimmi cosa è successo” gli disse Derk mentre sorseggiava una birra.
Dean esitò un attimo, poi gli raccontò tutto …
 
… “Credi che sia davvero mio fratello?” gli chiese quando ebbe finito di bere un bicchiere stracolmo di whisky.
“Tutto è possibile, in più il Nebraska non è tanto lontano dal Kansas …”
Dean si morse il labbro inferiore e sorrise fra le lacrime:
“Assomiglia tantissimo a mio padre! Lo sento che è lui!” –prese un profondo respiro –“Avresti dovuto vedere in che condizioni era … Sembrava che il suo volto fosse stato usato come un sacco da box!”
 
Derk stette in silenzio per qualche minuto.
 
“Allora se ne sei così sicuro perché non glielo dici …”
“Guarda che forse non sa neanche di essere stato adottato! Forse vive in una famiglia che crede essere la sua …” replicò Dean affranto.
 
Era così vicino a suo fratello, ma nello stesso tempo anche così lontano. Non sapeva come destreggiarsi e per un momento pensò persino di lasciare stare tutto e fare come se non fosse mai successo niente. Ma il desiderio di riabbracciarlo, di ricostruire la famiglia andata perduta era più forte, e avrebbe fatto qualsiasi cosa perché così fosse.
 
“Derk, sai cosa farò? Delle ricerche … Ma mi devi aiutare … Sei tu il secchione!”
Il suo amico sorrise: “Tutto per te amico mio!”
 
Derk era uno su cui si poteva contare, un bravo ragazzo.  Laureato con lode in medicina a Stanford, era sempre stato un appassionato dello studio, ma anche delle belle donne.
Aveva capelli riccioli e occhi color nocciola, uno sguardo magnetico e una voce profonda. Era figlio di un importantissimo giudice e navigava nell’oro praticamente da sempre.
Conosceva Dean dalla prima elementare e da allora era nato uno stretto rapporto d’amicizia fra di loro.
“Bene, allora iniziamo domani! Tu intanto cerca in casa tua i moduli per l’affidamento alla famiglia Cleverly, lì dovrebbero esserci alcune informazioni utili” disse a Dean.
Lui gli sorrise felice: “Grazie, davvero!”
 
 
I suoi occhi si illuminarono di felicità quando si ritrovò fra le mani il dannato pezzo di carta che stava cercando.
Era vecchio e ingiallito, ma tutte le scritte erano ancora ben leggibili.
Fece un piccolo cenno di esultanza e prese il telefono.
 
“Derk, ce l’ho, l’ho trovato!” esclamò con euforia quando il suo amico dall’altro capo del telefono rispose.
“Bene, calma Dean! Adesso vengo a casa tua e facciamo tutte le cose con tranquillità …”
“Ok, non vedo l’ora!” urlò Dean quasi come una ragazzina al suo primo ballo scolastico.
 
Il ragazzo  era alla finestra quando vide arrivare la Maserati Granturismo del suo amico.
Lo fece entrare e in poco tempo si ritrovarono entrambi seduti alla grande scrivania in noce nello studio del Sign. Cleverly a bere whisky e ad osservare quel foglio così tanto importante per il futuro di Dean.
 
“Bene, qui c’è il numero dell’istituto che ha effettuato l’affidamento … Ora basta solo chiamare e chiedere su tuo fratello …” disse Derk mentre scrutava con attenzione ogni minima lettera sul foglio.
“Ma io e Sam siamo stati affidati a due istituti diversi, me lo ricordo …”
“Non importa … Sai, in questo caso  l’istituto che ha effettuato l’affidamento deve detenere tutte le informazioni su tuo fratello …” ribadì con tono non privo di orgoglio.
“Ma come diavolo fai a sapere tutte ste cose? Me lo spieghi?” gli chiese Dean, che ancora dopo tutti gli anni che lo conosceva si stupiva ad ogni volta che apriva bocca.
“Tutto merito del lavoro che fa mio padre … Durante i pomeriggi, quando non avevo niente da fare mi andavo a leggere qualche libro di legge …”
“L’ho sempre detto che sei un secchione!”
 
Telefonarono, e senza tanti giri di parole si fecero dare il numero di telefono dell’istituto dove fu portato Sam. Alla fine, scoprirono che all’età di 6 anni fu trasferito in un orfanotrofio lì in Nebraska, non lontano da Omaha, e che all’età di 14 anni vi era fuggito senza lasciare più traccia.
 
Le possibilità di rincontrare suo fratello dopo tutti questi anni aumentavano, si facevano sempre più concrete, e questa volta non erano solo delle sue stupide convinzioni, ne aveva le prove, ora doveva solo andare in quel negozio e dirgli tutta la verità.
Non avrebbe avuto importanza a come avrebbe reagito Sam, l’importante per Dean era riabbracciarlo, e occuparsene come non ebbe più avuto occasione di fare.
 
 

***

 
 
“Ciao Sam!” gli disse dall’altro capo del telefono Jonson.
“Ciao, come va?”
“Bene bene. Senti, ti devo dire una cosa in privato, ma non al telefono. Ti va se ci incontriamo al bar all’incrocio fra la Hamilton e la ottantasettesima?”
“Ok, un quarto d’ora e sono là”
 

Sam attaccò e, a piedi, si diresse fino al punto dell’incontro. Era già buio e il vento freddo tagliava il suo volto come lame affilate.
“Ehi, ciao Jonson, di che cosa mi dovevi parlare?” gli chiese.
“Vieni qua, non deve sentirci nessuno” –gli bisbigliò il suo amico mentre lo portava in uno scorcio desolato- “Allora. Ho parlato con un mio amico e stiamo mettendo su un vero affare ... Potrebbe fruttarci un casino di dollari, da sistemarci a vita!" -l'espressione di Sam s'incupì-"...Ti volevo chiedere ... Se per caso vuoi partecipare anche tu … Divideremo la somma in parti uguali, sta tranquillo!”
“E di che cosa si tratta?”
Jonson sorrise: “Sam, io te ne parlo ma tu mi devi promettere che non lo dirai a nessuno … Potrebbe capitarti qualcosa di brutto …”
“Jonson, fammi capire … Questa è una minaccia?”
“No, è solo un avvertimento, ma tu devi fare quello che ti dicono loro”
“Chi loro? Jonson di che diavolo stai parlando?” gli chiese sempre più confuso.
“Di quelli che hanno organizzato quest’operazione! Tranquillo sono persone fidate!”
Sam lo guardò negli occhi allarmato, sapeva che questa faccenda non prometteva nulla di buono:
“Dimmi di che cosa si tratta!”
Il suo amico esitò per un momento: “Rapire una persona ... Per l'esattezza il figlio di un ricco imprenditore ...”
Sam sgranò gli occhi perplesso:
“Ma sei pazzo? Che cazzo ti è saltato in mente? E se vi arrestano?! Oddio Jonson cosa ti sta succedendo?!”
“Se ci arrestano almeno avremo un posto dove starcene con il culo al caldo e dove ci daranno il cibo gratis! Sempre meglio di questa situazione!”
Sam si mise le mani fra i capelli agitatissimo:
“Te lo scordi Jonson, tutto tranne questo! Preferisco starmene nella miseria più che rapire un uomo innocente!”
“Sam ascoltami! E’ l’affare di una vita!I miei amici sono professionisti, lo hanno già fatto ed è andato sempre tutto liscio! E poi dai, ammettilo anche tu che questi ricconi di merda di stanno sul culo! In più, non gli faremo del male, hai la mia parola!”
 
Sam abbassò lo sguardo e stette in silenzio, era profondamente deluso da Jonson, ma volle prendere tempo per riflettere, non era del tutto sicuro di rifiutare …
Se ne andò senza neanche salutarlo, e mentre continuava a fare sempre più freddo e alcuni fiocchi di neve cominciavano a cadere sulle strade, si diresse verso un piccolo pub.
Si sedette al bancone e stette lì a pensare …
Una parte di lui era riluttante, gli diceva di non farlo, ma poi il desiderio di poter migliorare per sempre la sua vita si faceva avanti e prendeva il sopravvento …

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Capitolo 4
*** Capitolo 3: A bad road ***


 


Capitolo 3: A bad road

Sam era sdraiato sul suo letto arrugginito, l’unico giaciglio su cui rilassarsi, a fissare con i suoi profondi occhi verdi il soffitto …
Era sfinito, non tanto per la lunga ed intensa giornata –che ormai era routine per lui – ma per quella fottutissima  conversazione avuta quella sera con Jonson.
 
Cos’era meglio fare?
La risposta era ovvia: lasciare perdere tutto e convincere anche il suo amico a ritirarsi.
Ma c’è sempre quella vocina nel profondo, che ti fa cadere in tentazione, facendoti prendere decisioni irrazionali, talvolta pericolose.
Proprio quella vocina stava invadendo la mente di Sam:
Potrei finalmente avere una vita felice, porre fine a tutto questo schifo …
 
Sam chiuse gli occhi cercando di scacciare via quel pensiero così assurdo ed egoista, ma nonostante ciò ritornava, mandando tutti i suoi buoni propositi a puttane.
Porca miseria! Possibile che per quanto uno ci provi, viene sempre trascinato verso la direzione sbagliata?!
 
 
E così era capitato per lui …
… Aveva preso il telefono e stava già componendo il numero di Jonson, pronto a dire di sì …
 
… Dire di sì a quello che lo avrebbe portato sulla brutta strada, a quello che gli avrebbe fatto compiere il primo di una grande serie di errori … Quando si comincia è quasi impossibile fermarsi ...
A meno che uno non venga colpito da un evento simile da stravolgere la propria vita … Ma Sam manco s’immaginava una cosa del genere:
la sua vita era insulsa, senza valore, avrebbe potuto andare in carcere anche in quel preciso istante. Credeva che non gli rimanesse più niente, anzi, non aveva mai avuto niente … Solo un casino di delusioni e sofferenze … Solo questo aveva riempito la sua vita …
 
… Non avrebbe deluso nessuno, poiché non aveva nessuno, avrebbe deluso solo sé stesso, in un modo irreparabile.
 
Dall’altro capo del telefono rispose la voce quasi maligna di Jonson … Forse solo un’impressione di Sam.
 
Ma davvero lo stava facendo, davvero stava per dire di sì? Davvero stava andando contro tutti gli ideali che si era posto fino alla notte precedente?
 
Il suo cuore urlava a squarciagola di non farlo, ma la sua testa lo martellava ad accettare.
Sam entrò in uno stato confusionario … Tanto da fargli venire –come da qualche tempo a quella parte capitava spesso – una forte emicrania.
 
“Ehi, Sam … Allora?”  Lo risvegliò da quello stato d’incoscienza la voce dall’altro capo del telefono.
“Eh sì, ci sono, ci sono” rispose agitato.
“Allora, cos’hai deciso?”
 
Nella mente di Sam arrivò un’ondata di preoccupazioni, mischiate a euforia e a mille domande … Aggiunta al grido acuto del suo cuore e al tartassamento insistente del suo cervello.
 
Ad un certo punto ingoiò il no che gli stava per uscire dalle labbra, e con voce flebile pronunciò quella parola: “
 
Una semplice parola aveva distrutto tutto ciò a cui credeva
Tutto quello che era convinto di essere, che per lo meno aveva cercato disperatamente, era volato via in un millesimo di secondo, in un movimento quasi impercettibile delle sue labbra.
Quel poco che rimaneva del suo orgoglio si frantumò in miliardi e miliardi di pezzettini invisibili … Ormai credeva di non poter più ricostruire niente.
 
Neanche lui sapeva del tutto perché lo avesse fatto …
 
 … Si alluse al fatto di essere diventato tutto ciò che aveva odiato fino a quel momento, e disperato attaccò il telefono.
 
Ora non poteva più tornare indietro, ora per lui niente era rimediabile.
 
 
L’unica cosa che gli rimaneva ora era l’alcol, un alleato che lo aveva sempre accompagnato nei momenti più difficili, che però, molto spesso, non aveva fatto altro che peggiorare le cose …
Ma Sam era testardo, come tutti i Winchester dopotutto.
Prese tutte le bottiglie di birra che erano riposte nel piccolo frigorifero e le tracannò con voracità, desideroso solo di cancellare, di dimenticare tutto almeno per qualche istante …
 
Si addormentò in un sonno tormentato dall’inquietudine, dalla paura, dall’angoscia … In un sonno regalatogli con forza dall’alcol e dalla dose eccessiva di sonniferi, che avrebbe anche potuto ucciderlo.
Ma poco gli importava … In quel caso qualsiasi cosa sarebbe stata meglio che fare i conti con sé stesso … Con quello che credeva di essere diventato.
 
Era così giovane, ma nello stesso tempo si sentiva così vecchio. Una vita rovinata dalla depressione e dall’alcol, rovinata dalle brutte amicizie e da desideri proibiti
… Una vita segnata sin dalla radice, sin dai tempi che neanche poteva ricordare.
 
 
Eppure quella vita non gli apparteneva … Le cose sarebbero dovute andare diversamente, sì, pur sempre tragiche, ma diverse …
Almeno avrebbe avuto quel che rimane di una famiglia su cui contare …
Almeno avrebbe potuto sentire la dolcezza di un abbraccio, solo quella che una famiglia ti può dare.
Avrebbe avuto un fratello che lo rassicurasse, che lo aiutasse nei momenti più difficili.
 
Ma le cose andarono diversamente.
La stupida ed impulsiva decisione di John di cercare di salvare quello che ormai rimaneva un corpo carbonizzato di Mary, lo aveva condotto alla morte e alla disperazione dei suoi figli …
Divisi dalla prematura età.
 
Un evento tragico per Dean.
Un lontano e sperduto ricordo nel subconscio di Sam, che ancora troppo piccolo per capire, era stato salvato dalle braccia di suo fratello.
 
Aveva fatto più volte quell’incubo …
Aveva visto un uomo con gli occhi gialli, una donna dai capelli d’oro essere trascinata fino al soffitto, per poi essere bruciata viva fra le fiamme di quell’inferno …
… Aveva sognato le urla di suo padre, e il viso spaventato di un bambino che lo portava al sicuro.
 
Quell’incubo lo tormentava da sempre, e credeva di sapere il perché … Ma gli dava poca importanza.
In fondo non ci si può basare su piccoli strappi di sogni annebbiati dall’alcol …
 
 
Si svegliò sfinito, come se quelle ventiquattro ore di sonno continuato non fossero servite a niente.
Si rese conto solo quando guardò sul display del suo telefonino che erano le undici di sera del giorno dopo (!)
Si alzò quasi senza forze, mancava poco che perdesse i sensi, e si diresse verso il bagno a farsi una doccia fredda, il rimedio migliore per il post-sbornia.
 
Sotto l’acqua scrosciante ritrovò la lucidità e anche i sensi di colpa che lo avevano tormentato la sera precedente.
Rimpianse il fatto di non essere senza vita sul suo letto o di non essere caduto in un coma profondo dopo la stronzata del mix sonniferi-alcol, ora per lui sarebbe stato impossibile vivere senza odiarsi.
 
Si asciugò, si vestì in fretta e uscì fuori, senza meta, desideroso soltanto di prendere una bella boccata di aria fresca, l’odore insopportabile di muffa mischiata a polvere e tristezza che contaminava l’aria del suo appartamento lo stava facendo soffocare.
 
Il suo stomaco brontolava dalla fame: erano ben due giorni che non metteva qualcosa sotto i denti.
Si diresse verso il primo venditore ambulante di hot dog scadenti che incrociò per strada, e ne addentò uno con voracità …
… Nonostante il suo gusto insapore, lo trovò favoloso e per la gioia del venditore ne comprò un’altro … La fame gioca proprio brutti scherzi (!)
 
Con lo stomaco pieno si diresse verso casa del suo amico Stephen. Gli serviva una distrazione.
 
 
Appena Stephen aprì alla porta non si ritrovò davanti il classico Sam, ma più un cadavere ambulante, che stava per scoppiare a piangere da un momento all’altro …
I suoi occhi erano lucidi, pieni di rabbia e di disprezzo verso sé stesso.
Il suo volto implorava pietà, e i suoi capelli, che normalmente erano sempre curati e pettinati, in quel momento erano tutti arruffati e bagnati dal sudore.
 
“Ehi amico, che ti succede, ti senti bene?” - gli chiese preoccupato Stephen, che lo aiutò ad entrare – “Sembri uscito da uno di quei film horror … Poi perché non sei andato a lavoro oggi? Io e Jonson eravamo preoccupati!”
 
Sam rimase in silenzio. Si vergognava troppo a raccontare la verità a quello che era il suo migliore amico …
Come risposta invece, versò una grossa lacrima che cadde sul parquet.
 
“Non mi dire che stai così perché hai detto di sì a Jonson! Andiamo Sam, non è niente di grave!”
 
Aspetta un secondo ... Stephen sapeva di quella cosa? E nonostante ciò gli andava bene così?
Quello che era sempre stato un ragazzo educato e gentile si era trasformato in un criminale?
Il denaro rende tutti così irrazionali?
 
Sam, preso dalla disperazione uscì dall’appartamento di corsa, non volendo neanche sentire un’altra parola.
 
Ora sapeva che non poteva contare più su nessuno … Non gli rimaneva altro che abbandonarsi al suo destino …

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Capitolo 5
*** Capitolo 4: Cruel fate ***


 

 

Capitolo 4: Cruel fate

Si risvegliò stordito …
Aprì gli occhi a malapena e come poté ben notare non si trovava in camera sua o in uno di quegli hotel a 5 stelle dove di tanto in tanto passava le notti con delle “ballerine” .
No, la stanza in cui era in quel momento riversava nella penombra ed era offuscata dal fumo di sigaretta … L’odore insopportabile di muffa, polvere e sudore che aleggiavano nell’aria gli rendeva quasi faticoso il respiro e nella sua bocca poteva ben sentire il gusto del suo sangue che gli colava dal labbro superiore …
 
Dove si trovava? E soprattutto come c’era arrivato?
 
Cercò di stropicciarsi gli occhi, com’era solito fare al risveglio, ma le sue mani erano bloccate dietro la schiena, legate.
Solo in quel momento capì di essere incatenato mani e piedi su una sedia, imbavagliato.
Entrò in panico e si dimenò con più forza, ma l’unico risultato fu un dolore lancinante ai polsi e alle caviglie … Urlò a squarciagola, ma nessuna risposta …
 
… Non ci volle una scienza per capire che era stato rapito …
 
Dopo alcuni minuti di inutili richieste d’aiuto, poté sentire la porta aprirsi, e la luce si accese, provocando ai suoi occhi -abituati ormai all’oscurità-  un forte fastidio, così che fu costretto a richiuderli.
 
Gli si avvicinò un uomo, con il viso coperto da un passamontagna bianco e con una pistola incastrata nella cintura dei pantaloni.
L’uomo sferrò un duro colpo sullo zigomo di Dean, facendogli girare il capo dalla parte opposta, poi lo prese dai capelli e lo portò vicino a sé …
“Ora fai quello che ti diciamo noi, hai capito bene?” gli sussurrò a pochi centimetri dal viso.
“Oh amico, dovresti proprio lavarti i denti, sai?” gli disse Dean quando fu liberato dal bavaglio.
L’uomo, al quanto infastidito dal commento di “quello schifoso riccone”, gli sferrò un altro colpo, sta volta nello stomaco, che lo fece piegare in due dal dolore …
Dean non era abituato a subire botte, ma come prima volta le incassava piuttosto bene: ad ogni colpo si rialzava e guardava con occhi di sfida il suo aggressore, e questo lo colpiva ancora, e ancora, fino a quando però non gli fece perdere i sensi.
 
Per il gonfiore dei pugni incassati fece fatica a riaprire gli occhi, e la sua vista era offuscata …
Nonostante ciò riuscì a vedere che gli uomini nella stanza erano aumentati …
Abbassò lo sguardo e richiuse gli occhi rassegnato …  Il suo volto era livido e sporco di sangue, e delle gocce di sudore gli scivolavano lungo i lati del viso …
Riuscì a sentire le loro voci discutere intensamente:
“Ti avevo detto di dargli uno, due pugni al massimo! Non di ucciderlo! Porca miseria, guarda come lo hai ridotto!”
“Cazzo , se fossi stato al posto mio avresti fatto lo stesso! Chi cazzo si crede di essere sto figlio di puttana!” rispose quello che probabilmente doveva essere l’aggressore di prima.
L’altro sbuffò e gli diede un pugno in pieno volto:
“E che questo ti serva per le volte future! E che serva anche a tutti voi!” si rivolse agli altri uomini presenti nella stanza.
 
 
7 ORE PRIMA
 
Dean uscì di casa e prese la sua moto, per dirigersi verso South Omaha, dove tutti i suoi sogni sarebbero finalmente divenuti realtà.
Era sicuro al 100% che quello sarebbe stato il giorno in cui avrebbe riabbracciato suo fratello, finalmente, dopo tutti quegli anni.
Gli scesero alcune lacrime di gioia, che però furono subito consumate dal vento freddo di quella giornata di febbraio.
 
Riconobbe il negozietto e parcheggiò la moto dalla parte opposta della strada … Prese un lungo respiro e dall’euforia trattenne il fiato per un momento … Un sorriso di commozione curvò le sue carnose e rossastre labbra, e i suoi occhi si illuminarono …
Non ci poteva credere!
 
Ma ad un certo punto un forte dolore alla testa lo fece cadere a terra … Poi il buio …
 
Sam guardò immobile tutta la scena dalla finestra del negozio, come un bambino che osserva il proprio padre andare via per un lungo viaggio …
Si poteva leggere chiaramente il dolore sul suo volto … Ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro … Ormai era troppo tardi per perdonarsi!
 
Dean venne caricato di peso su un furgone scuro mezzo sgangherato … Poi, sette uomini, compreso Sam, salirono a bordo.
Dovevano avere tutti tra i venti e i trent’anni, e tutti vivevano in condizioni disagiate, ai limiti della sopravvivenza, speranzosi soltanto di sbrigare quell’affare e ricevere la propria somma.
Sam no. Sam era combattuto, tormentato, e sul suo volto erano ben visibili delle profonde e scavate occhiaie, che gli facevano dimostrare almeno una decina di anni in più di quanti ne avesse …
Non incrociava mai lo sguardo con quelli che erano sul furgone con lui … Osservava invece Dean, il mezzo del riscatto, che per Sam, invece, era qualcosa di più …
 
… Quel ragazzo sin dalla prima volta che l’aveva visto aveva scatenato in lui una sensazione mai provata prima, che neanche si seppe spiegare … Ai suoi occhi era uno sconosciuto, ma gli dava l’impressione di conoscerlo da una vita … In poche parole aveva un volto familiare
Sam si sentì ancora più in colpa per quello che aveva fatto, e per quello che avrebbe ancora dovuto fare … Si sentiva da schifo, avrebbe voluto mollare tutto in quel preciso istante … Ma cosa sarebbe successo poi?
Scappare come un vigliacco non avrebbe certo migliorato le cose, anzi, se si fosse ritirato sarebbe diventato un testimone scomodo, soprattutto dopo aver visto le facce di tutti i complici del rapimento, e sarebbe sicuramente stato tolto di mezzo …
Quindi cosa poteva fare per stare in pace con sé stesso? …
 
 
 
PRESENTE
 
Di fronte a Dean venne posizionata una telecamera:
“Non importa … Gli faremo girare il video anche conciato così … Magari suo padre si preoccupa e si affretta a dare sto maledetto riscatto!”
“Quindi è questo che volete! Un riscatto! Bè, allora mettetevi l’anima in pace, perché mio padre non vi darà un bel niente … Entro breve la polizia vi sarà già alle calcagna!”  gli disse con tono minaccioso Dean.
“Cerca di tacere e di fare quello che ti diciamo noi, se no tuo padre si troverà costretto a seppellire il tuo cadavere!” - gli disse il capo banda prendendolo dalla maglietta – “Allora, cominciamo a fare ste maledette riprese!”
Un uomo si diresse verso la telecamera e l’accese, poi, un altro, tirò fuori dei fogli scritti in stampatello:
“Devi leggere questi, non modificare niente! Leggi solo quello che c’è scritto qui! Mi hai capito?!”
Dean non rispose e abbassò lo sguardo … Quella situazione stava diventando pesante e sapeva che quelli non scherzavano, bastava aver visto come lo avevano ridotto.
Ad un certo punto la registrazione partì e Dean cominciò a leggere:
 
“Mi chiamo Dean Cleverly, figlio dell’imprenditore Thom Cleverly.
 Se mio padre non versa su un conto svizzero, numero 34369
Una cifra pari a 10.000.000 di dollari entro  48 ore, io vengo ucciso.
Niente polizia, altrimenti lo scambio è saltato.”
 
La registrazione venne interrotta, e la Memory Card della telecamera venne estratta e data ad uno degli uomini presenti.
Imbavagliarono di nuovo Dean, spensero la luce, e uscirono in fila dalla stanza.
 
 

***

 
Thom Cleverly ritornò a casa come sempre alle 8.00 di sera, dopo un lungo ed estenuante colloquio di lavoro con la Burley Corporation.
Come al solito a quell’ora Dean non era in casa, e Thom, si sedette sul lussuoso divano, si accese un sigaro e si mise a guardare la televisione.
Ad un certo punto squillò il citofono collegato alla portineria:
“Mr. Cleverly, è arrivato un pacco urgente per lei” - gli disse la voce dall’altro capo del citofono quando rispose -  “Glielo faccio portare su”
Thom attese qualche minuto e ritirò il pacco. Lo scartò e infilò la videocassetta al suo interno nel lettore.
 
… Quando finì, sconvolto,  si mise le mani fra i pochi capelli bianchi che gli rimanevano in testa e mancava poco che gli venisse un attacco di cuore …

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Capitolo 6
*** Capitolo 5: Innocent ***


 

 

Capitolo 5: Innocent

Sam era seduto ricurvo su sé stesso sull’improvvisato giaciglio che si era creato in una delle stanze di quell’albergo abbandonato, dove stava con gli altri componenti della banda.
Con le mani si massaggiava intensamente le tempie, e gocce di sudore cadevano sul pavimento …
Il mal di testa non gli lasciava tregua, anzi, aumentava ogni minuto di più in una morsa che non permetteva vie di scampo, e neanche cinque dosi di OKI seppero attenuarlo (!)
Ad un tratto crollò a terra, senza sensi … Tremava … Il buio …
Sui suoi occhi iniziarono a comparire figure sfuggevoli, sfocate, che pian piano si schiarivano, diventavano più nitide … Sembrava a tutti gli effetti un incubo, ma si fece pian piano sempre più vivido …
 
… Quattro uomini in passamontagna bianco furono scaraventati da una forza invisibile su una parete, e in
poco tempo le loro gole furono squarciate, e il sangue cominciò a macchiare i loro vestiti …
 
Sam si risvegliò agitatissimo, respirando affannosamente, come se avesse appena finito di percorrere una maratona senza fine.
Il mal di testa continuava insistente, al punto che Sam dovette sciacquarsi il viso con la poca acqua che gli rimaneva nella borraccia … Il rimedio, stranamente, sembrò essere migliore di tutte le medicine che aveva preso fino ad allora, e dopo pochi minuti il dolore andò pian piano scomparendo, appena in tempo che uno della banda, Jonathan, lo chiamò per andare nella stanza dove si trovava il loro prigioniero.
 
Dean, ancora una volta, fu il mezzo sul quale qualcuno scaricò tutto il suo stress:  il volto ormai era irriconoscibile, e il verde smeraldo dei suoi occhi era appassito …
Sam entrò nella stanza con il passamontagna addosso e un sacchetto in mano, dal quale proveniva l’odore di uno degli hamburger che si comprano per strada: insapore e talvolta con dei peli o delle pietruzze al loro interno.
Si avvicinò a Dean nell’intentò di liberarlo da quelle catene che gli stringevano i polsi, per permettergli di mangiare.
Si accostò a lui tremando come una foglia in autunno percossa dal vento, quasi sul punto di cadere, e non riuscì a trattenersi ...
Con voce stroncata da un nodo di pianto, gli sussurrò all’orecchio:
 
“… Mi ... Mi dispiace …”
 
Dean non riuscì a credere alle sue orecchie, pensò persino di aver udito male o di stare impazzendo ... Ma le parole erano chiare: Mi dispiace.
Il suo volto si trasformò di colpo, e per quanto il gonfiore delle botte subite non gli permettesse di manifestare le sue espressioni, si capiva chiaramente che era sconvolto da ciò che sentiva.
Per un attimo il suo cuore fu avvolto da una sensazione di conforto, ma c’era il rovescio della medaglia … Magari quel “mi dispiace” non si riferiva a cosa provava il suo aggressore, ma a cosa avrebbe subito Dean in seguito … Magari sarebbe stato ... Ucciso(?)
 
Lo guardò confuso, desideroso di sapere il motivo di quelle parole, ma l’ “incappucciato” abbassò lo sguardo e gli porse tremante il sacchetto con il pasto:
“E’ tuo …” gli disse
Dean lo prese con insicurezza, ma subito dopo si precipitò a rovistare al suo interno, in cerca di quel disperato pasto che desiderava da tanto.
Mangiò con voracità l’hamburger e finì con un solo sorso l’acqua della bottiglietta.
Sam lo guardò disperato, il suo passamontagna si bagnò di lacrime, e dovette sbrigarsi a rilegare il prigioniero e a uscire dalla stanza prima di scoppiare a piangere …
Ancora una volta i sensi di colpa lo travolsero, e apparentemente non riusciva a fare nulla per sentirsi meglio.  Aver visto quel povero disgraziato in quelle condizioni lo aveva colpito profondamente …
Il disprezzo verso sé stesso aumentava sempre di più … A tal punto da fargli prendere una decisione disperata …
 
 

***

 
Thom era in confusione, faceva avanti e indietro per la grande casa, senza sapere niente sul da farsi ...
Non era sicuro di non chiamare la polizia, ma se lo avrebbe fatto i ricattatori lo avrebbero potuto scoprire, e avrebbero ucciso il suo amato figlio …
Solo in quel momento si accorse di essere stato troppo duro con Dean … Solo in quel momento si rese conto di quanto significasse per lui … Se gli fosse capitato qualcosa non avrebbe resistito al dolore …
I suoi piccoli e rugosi occhi si riempirono di lacrime, che da tanto non versava, e l’ombra della vecchiaia li oscurò del tutto.
Si sentiva impotente:
se si fosse astenuto al piano, senza chiamare la polizia, suo figlio sarebbe potuto essere ucciso comunque … Se avesse fatto il contrario sarebbe potuto capitargli lo stesso tragico destino …
 
Thom prese una decisione, una sola, una sola decisione disperata, un piccolo gesto, che comportava la vita o la morte di Dean … C’è chi l’avrebbe potuta chiamare azzardata, ma era la migliore …
 
… Quella di chiedere aiuto … La polizia avrebbe saputo meglio di lui cosa fare …
 
 

***

 
Iniziava a fare buio, e Dean, era solo in quella lugubre stanza, pieno di graffi, di sangue, sporco dal sudore … Non era mai stato ridotto così in vita sua, e iniziava ad alludersi al fatto di non riuscire ad uscire vivo da quella brutta faccenda.
 Aveva tutto il corpo dolorante, e sentiva il sapore del suo sangue mischiato al sudore e ai residui di quel schifoso hamburger.
 
Dal finestrino della stanza penetrava la pallida luce della luna piena, e l’insistente silenzio cullò Dean in un sonno forzato.
 
 
Il cigolio della porta lo fece sobbalzare … Stava entrando un “incappucciato”, sicuramente per dargli un’altra bella dose di botte … Magari era lì per porre fine alle sue sofferenze …
Dean si agitò e si dimenò con forza, cercando di liberarsi da quella situazione, ma niente.
Temeva il peggio … Strinse gli occhi e chiuse le mani in stretti pugni, aspettando solo di ricevere un altro cazzotto o una pallottola in testa, ma l’uomo gli  si avvicinò con cautela, nei movimenti si poteva quasi percepire un tono di gentilezza, ma anche di forte paura.
 
 
Si avvicinò a Dean, tremava … Gli sfiorò con insicurezza le mani, gliele liberò dalle catene, e fece altrettanto con i piedi …
 




 


Innocent è una canzone della Band americana "Our Lady Peace"

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Capitolo 7
*** Capitolo 6: You're not a stronger ***


 

 

Capitolo 6: You're not a stronger


Sam gli si avvicinò e lo liberò dalle catene … Tremava, ma in cuor suo sapeva che quella era la cosa giusta.
Non gli importava cosa sarebbe successo dopo, le conseguenze delle sue azioni, a lui bastava sentirsi in pace con sé stesso …
 
Lo aiutò ad alzarsi in piedi e gli porse una bottiglietta d’acqua. Negli occhi di Dean si riaccese un lume di speranza: aveva capito che qualcuno era dalla sua parte, finalmente. Gli sorrise e si sciacquò il viso con l’acqua.
 
Sam uscì nel corridoio e sì guardò attorno con attenzione … Era tutto libero, così fece segno a Dean di seguirlo.
Come ombre, percorsero silenziosamente un lungo corridoio, e Dean seppe per la prima volta in che luogo era stato rinchiuso fino a quel momento: un vecchio hotel abbandonato verso la metà del secondo millennio, verso la periferia di Omaha.
Il degrado era totale: dalle pareti pendevano lunghe ragnatele, e sui gradini s’incontravano sovente i calcinacci dei muri. Molti vetri delle finestre erano rotti e quasi tutte le pareti imbrattate con i graffiti dei vandali.
 
Ad un tratto, quando ebbero raggiunto il secondo piano dell’edificio, Sam sentì dei leggeri passi cauti dirigersi verso di loro.
Si levò il passamontagna e lo porse a Dean:
“Indossalo! Da qui in poi dovrai proseguire da solo! Io lo trattengo.”
 
Dean per la prima volta alzò lo sguardo verso quello ormai scoperto del suo salvatore.
Quel volto …
Si sentì mancare il respiro, come se ad un tratto tutto l’ossigeno presente nell’aria si fosse dissolto e sentì il battito del suo cuore farsi più forte, a tal punto che ebbe paura che gli schizzasse fuori dal petto* .
Si appoggiò alla parete, senza forze.
Per la prima volta pensò alle conseguenze delle azioni del suo salvatore: gli altri della banda lo avrebbero scoperto e sicuramente lo avrebbero tolto di mezzo, non poteva permettere che accadesse, NON A SUO FRATELLO.
 
Sam lo scosse preoccupato:
“Su! Devi muoverti!”
Gli occhi di Dean diventarono lucidi:
“No Sam! Se no tu morirai!” gli urlò a bassa voce, sul suo volto l’espressione viva della paura.
“Ehi, aspetta come fai a sapere il mio nome?” –perplesso si passò la mano fra i capelli sudati-“Adesso non ha importanza! Devi andare, su sbrigati! Non c’è più tempo! Io me la caverò!”
I passi si facevano sempre più pesanti e più vicini. Sam spinse Dean giù dalle scale, e salì di corsa verso il componente della banda che li stava raggiungendo.
Dean guardò impotente tutta la scena … Suo FRATELLO si stava sacrificando per lui … Stava per perderlo un’altra volta, ma questa per sempre!
Avrebbe fatto qualcosa, avrebbe risolto tutto.
 
“Tranquillo Sammy, andrà tutto bene! Ti tirerò fuori da questa merda!”
 
Dean uscì di corsa dall’hotel, le deboli luci dei lampioni illuminavano le strade, e si mise alla ricerca delle cabina telefonica più vicina. Compose veloce il 911 e attese …
 
 
“Che ci fai alzato?” gli chiese Allan, il capo banda.
“Eh? Uh, no niente, volevo farmi un giro per scaricare la tensione … C’è il mal di testa che non mi lascia stare un attimo!” rispose Sam sovrappensiero.
L’altro lo guardò storto:
“Ok …” - e si diresse con Sam verso il piano superiore – “Do’ solo un’occhiata al nostro prigioniero …”
“Eh? No, l’ho già controllato io, è tutto a posto …” cercò di convincerlo un Sam sempre più angosciato: la paura della fine si stava facendo padrona di lui.
Il ragazzo non l’ascoltò, e proseguì verso la stanza.
 
Aprì la porta … Accese la luce …
 
… Allan uscì nel corridoio di corsa: di Sam, come del loro prigioniero non c’era più traccia.
Percorse velocemente le scale, con la rabbia che gli bruciava all’interno. Poteva sentire ancora i passi veloci di Sam percorrere veloce le scale, rampa dopo rampa.
Sentiva i passi di Allan farsi sempre più vicini, sentiva il suo respiro sempre più affannoso a pochi metri di distanza da lui …
Sam accelerò disperato … Era quasi salvo, quando un calcinaccio più grande lo fece cadere e sbattere violentemente la testa contro uno scalino.
 
 
 
Riaprì i suoi verdi occhi, attorno a sé sei uomini, tutti con il passamontagna addosso. Ognuno di loro teneva un’arma in mano …
Capì subito di non essere riuscito a scappare.
Uno gli si avvicinò e gli diede un pugno in pieno volto, poi lo prese dalla maglietta:
“Dimmi cos’è successo!” gli urlò con tono minaccioso.
Sam sfiorò un sorriso rassegnato, dal quale trapelava in tutta la sua bellezza, la soddisfazione di avere fatto la cosa giusta.
Jeck gli diede un altro pugno, e un altro ancora. Nei suoi occhi ardeva la fiamma che alimentava quella rabbia.  Occhi così tanto infuocati, ma nello stesso tempo freddi come il ghiaccio, vuoti.
 
Indietreggiò e tirò fuori la sua Glock 9 mm, per poi puntarla verso Sam. Fu imitato dagli altri. Chi teneva una semplice pistola semiautomatica, chi invece un mitragliatore.
 
Sam sospirò in segno di resa. Chiuse gli occhi e attese la sua imminente fine …
 

 
 
 
* Riferimento all’ottava puntata dell’ottava stagione di Supernatural, Hunteri Heroici.
 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7: The great escape ***


 

 

Capitolo 7: The great escape

Sam chiuse gli occhi rassegnato … Tutto sarebbe finito fra qualche istante, fra qualche interminabile secondo …
 
Jeck tolse la sicura e appoggiò il dito sul grilletto, pronto a sparare quel dannato colpo …
 
… Ad un tratto, una forza invisibile lo scaraventò sul muro e lo stesso fu per gli altri uomini presenti nella stanza, tranne uno.
Alzò il braccio verso di loro e strinse la mano in un pugno.
 
In poco tempo le loro gole furono squarciate, e il sangue cominciò a macchiare i loro vestiti …
 
Si tolse il passamontagna bianco e si passò una mano fra i capelli.
Sam giurò di aver avuto un déjà-vu, ma  si rese conto solo in quel momento di quanto era accaduto realmente, di non essere in paradiso o all’inferno, ma ancora in quella stanza, ancora vivo.
Poteva ancora sentire il dolore dei colpi subiti e percepire il sapore amaro della paura.
 
Quattro uomini a terra, morti.
Jonson li guardava indifferente, anzi, compiaciuto, sorridente.
Sam fece ancora fatica a comprendere ciò che aveva visto … Si guardò attorno spaesato, poi, guardò il suo salvatore,  i suoi occhi.
 
Si alzò in piedi cauto, intimorito da ciò che vedeva, e perplesso si avvicinò al “suo amico”.
Non riusciva a crederci, i suoi occhi si confondevano con il colore della pelle: erano neri come il catrame, completamente.
 
“Chi diavolo sei tu! E non dire solo Jonson!” gli chiese tremendamente impaurito Sam mentre indietreggiava.
“Sammy! Non aspettavo momento migliore per stare un po’ insieme!” gli disse allargando le braccia in un segno di “benvenuto”.
“Sammy su! Non avere paura! Ti ho salvato la vita!”
Il Winchester sgranò gli occhi:
“Che diavolo sei!” gli urlò.
“Calma furia!
Sammy, io ti sto solo proteggendo, non c’è motivo per surriscaldarsi! Non c’è stato attimo nel quale non ci siamo presi cura di te! Tu sei il nostro eroe, quello che molto probabilmente ci libererà tutti!” gli sussurrò sorridendo malignamente.
“Di che diavolo stai parlando Jonson! Chi libererò io?” gli chiese sempre più confuso il ragazzo.
“Mmmh, mi dispiace Sam, è ancora troppo presto per dirti tutto … Ti stiamo addosso praticamente da sempre! Ci assicuriamo che tutto vada per il verso giusto! Ma è ancora troppo presto, non è ancora il tuo turno cow-boy”
“Sei tu che mi hai trascinato in questa faccenda! Hai ucciso tutti questi poveri bastardi con un solo gesto della mano! Tu non sei umano, cosa sei?! Dimmi tutto o giuro che ti ammazzo brutto figlio di puttana!” gli disse prendendolo dalla maglietta e avvicinandolo a pochi millimetri dalla punta del suo naso.
Jonson sorrise beffardamente mostrando i suoi bianchissimi trentadue denti:
“Non sarà così facile, Sam. Oh, già, tu non puoi saperlo!
Se la tua mammina avesse vissuto abbastanza per insegnarti queste cose, o se solo tuo padre non fosse morto in quell’incendio, a quest’ora tu e quell’altro stupido di tuo fratello avreste saputo cosa fare … Ma eccoti qua, indifeso, con quattro cadaveri fra le mani, senza nessuna idea di cosa stia accadendo! Il prodigio, mi dicevano … Io ho di fronte solo un coglione!”
Sam lo lasciò andare, terrorizzato:
“Di che diavolo stai parlando! Ho un fratello?”
“Sì … E indovina un po’ ? E’ proprio quel riccone che tu hai salvato da morte certa!” gli rispose, il sorriso che mostrava sembrava non appartenere più quello del suo amico.
 
Sam sgranò gli occhi, atterrito.
Sulla sua mente si calcarono tante domande, che non avrebbe mai immaginato di porsi …
 
… Cosa stava accadendo?
Ma soprattutto, quello che aveva rapito era suo fratello?
Jonson diceva la verità o era solo uno stupido giochetto per incasinare ancora di più la sua testa?
 
“Sei un bugiardo!” gli urlò disperato, senza neanche credere alle sue parole.
“Sei meno intelligente di quanto mi aspettassi, Sam.
Io ti ho coinvolto in questa faccenda proprio per condurti a tuo fratello … Per aiutarti, ma ero anche curioso di vedere cosa diceva il tuo istinto. E infatti non mi sbagliavo sul tuo conto: il sangue non è servito a granché, figuriamoci cosa saresti se non fossimo intervenuti!” -continuò implacabile Jonson, quasi più una riflessione che una risposta a quello che era il suo protetto – “Non so cosa mio padre trovi di tanto speciale in te!”
Sam gli si scaraventò addosso, infuriato:
“Di che diavolo stai parlando Jonson! Rispondimi!”
“Mi dispiace amico, ma Jonson non è in casa …”
 
Ad un certo punto il lontano suono delle sirene della polizia ruppe il silenzio di quella fredda notte di luna piena.
 
“Non vorrai di certo farti beccare con quattro cadaveri fra le mani … Anzi, cinque … Dì addio al tuo amichetto, Sam!”
Detto questo prese il coltellino che aveva in tasca e se lo infilzò nello stomaco.
Quel gesto inaspettato fu subito seguito da una colonna di fumo nero che fuoriuscì dalla sua bocca verso la piccola finestra aperta della stanza.
 
Sam restò impietrito. Quello doveva essere un incubo, era l’unica spiegazione logica, uno strano, terribile e tremendamente vivido incubo.
Ma l’odore del sangue era reale … Il suo amico era lì, a terra, agonizzante ... Il sangue che ricopriva in breve tempo tutto il pavimento, i gemiti di dolore che stroncavano quell’insopportabile silenzio … Tutto era fottutamente reale!
 
Con il poco fiato che gli rimaneva in gola disse a Sam di avvicinarsi:
“Sam … Mi dispiace …” – fu interrotto da qualche colpo di tosse, seguito dal sangue  –“Non volevo che accadesse tutto questo …”
Gli occhi di Sam si riempirono di lacrime e si precipitò a terra per aiutare il suo amico, ormai in fin di vita:
“Jonson! Resisti! Andrà tutto bene! Andrà tutto bene!” gli sussurrò con voce spezzata, prendendogli il viso fra le mani.
“Sam, ti voglio bene …”
Queste furono le sue ultime parole, seguite da un profondo sospiro che odorava di morte.
Sam crollò in lacrime, disperato.
Con tutta l’aria che aveva nei polmoni lanciò al cielo un urlo di disperazione … Fu subito preda dell’inquietudine.
Il suo amico era morto! Ed era capitato tutto così in fretta … Tutto quanto sembrava così senza senso!
 
Non sapeva esattamente cosa fosse successo … Se quelle di prima fossero state proprio le parole del suo amico …
Ma ora quei pensieri erano ricoperti da una folta coltre di mestizia, come la neve che ricopriva le strade.
 
Nel frattempo le sirene della polizia si facevano sempre più vicine, sempre più assordanti.
Il suo pianto fu interrotto dalla consapevolezza di ciò che stava accadendo fuori da quelle mura …
Dannazione!
La polizia lo avrebbe subito arrestato e come minimo condannato a morte!
Si asciugò con la manica della felpa le lacrime e si precipitò fuori dalla stanza, in cerca di una via di fuga.
Corse per il corridoio e scese le scale d’emergenza.
 
Scappò per le strade,e per sua fortuna nessun’auto vedetta della polizia fece caso a lui.
 
Procedeva velocemente, senza mai voltarsi indietro, quando una voce familiare lo fece fermare di colpo, un urlo disperato, ma allo stesso tempo pieno di gioia:
“Sam! Fermati Sam!”
 
Il Winchester si girò,  di fronte a lui stava un ragazzo … Quel ragazzo ... Suo fratello.
 
“Sam! Sei vivo!” sospirò rincuorato, mentre gli si avvicinava.
Sam decise di fare finta di niente, comportarsi come se le parole di Jonson non avessero mai avuto significato:
“Ehi! Non ti sarai portato la polizia dietro, vero?” disse cercando di nascondere il dolore che lo divorava dentro.
Il biondo sorrise:
“No! Tranquillo … Ti ho visto scappare e allora ti ho seguito! Ho temuto davvero il peggio …”  
 
Dean non riuscì a trattenersi e, con un movimento improvviso si lanciò fra le sue braccia:
“Grazie” gli sussurrò poi fra le lacrime.
 
Il minore rimase sorpreso da quel gesto, ma ricambiò.
Fra quelle braccia si sentiva al sicuro, protetto. Un’emozione mai provata prima lo avvolse …
… Sembrava quasi che quelle braccia gli appartenessero … Gli sembrava quasi di essere …
A casa …
Non quel sudicio appartamento nel quale viveva lì ad Omaha, ma una vera casa … Con una famiglia, una casa piena di affetto e di amore …
Sentì come se avesse ritrovato dopo tanto, tantissimo tempo la sua metà.
Si rilassò e si fece cullare da quelle braccia, le stesse che anni addietro lo avevano fatto addormentare e lo avevano protetto, le stesse che lo avevano nutrito e che lo avevano salvato,  che avrebbero dovuto continuare ad abbracciarlo ma che gli erano state proibite.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8: Castle of glass ***


 

 

Capitolo 8: Castle of glass

I due fratelli si erano riuniti dopo così tanto tempo, finalmente …  Entrambi si sciolsero da quel caldo abbraccio che stonava in quella gelida notte.
 
“Sammy …” riuscì solo a sussurrare  Dean Winchester, mentre lo guardava intensamente con uno splendido sorriso.
Nei suoi occhi brillava una luce nuova, piena di amore e di felicità, e quel momento gli sembrò troppo bello per essere reale.
 
Allo stesso tempo il cuore di Sam batteva talmente forte che persino Dean lo poté sentire. Era paralizzato da quel gesto, così intenso, così sentito, e quello era davvero l’unico muscolo del suo corpo in grado di muoversi. La sua bocca era leggermente aperta in un’adorabile espressione di stupore, e i suoi occhi guardavano il vuoto, confusi ma appagati.
 
Dean abbassò lo sguardo … Quegli occhi, quegli occhi così dannatamente profondi lo facevano sciogliere, lo facevano perdere dentro, come se all’improvviso non si sentisse più padrone del suo corpo. Gli sembrò per un attimo di rivederlo bambino …
 
… Stava per cedere, per rivelargli tutto, ma il rumore di passi che gli si avvicinavano da dietro glielo impedì.
 
Sam si scrollò, quasi a togliersi di dosso una corazza che gli impediva di muoversi, e si andò a nascondere dietro un cassonetto.
Dean rimase lì, immobile, dando le spalle a quella figura che pian piano gli si avvicinava.
 
“Dean, su, dobbiamo andare al pronto soccorso!” gli disse Thom mentre gli appoggiava una mano sulla spalla.
Dean diede un’ultima, intensa occhiata a Sam che lo guardava nascosto, uno sguardo che assomigliava molto, troppo, a quello datogli per l’ultima volta ventidue anni prima. 
Si voltò e a malincuore seguì il “padre”.
 
Sam chiuse gli occhi e lanciò un lungo e profondo respiro, quasi volesse consumare tutta l’aria attorno a lui.
Nuove domande presero forma nella sua testa, ma questa volta era quasi certo di avere trovato tutte le risposte.
Aveva capito che le parole di Jonson avevano un fondamento di verità: quell’abbraccio gli era stato rivelatore, Dean sapeva!
Improvvisamente tutto  gli sembrò avere più senso: il comportamento di Dean la prima volta che lo aveva incontrato al negozio, la preoccupazione per la sua vita solo quando si scoprì il volto dal passamontagna …
Gli incubi che aveva la notte, la sensazione che provava ogni volta che lo incontrava …
Tutti questi avvenimenti iniziavano a prendere forma, sembravano pezzi di un puzzle che a poco a poco si mettevano in ordine …
… Tutto aveva significato, o meglio … Quasi tutto …
 
 

***

 
Dean era appena uscito dal pronto soccorso con tutte le escoriazioni medicate e fasciate.
Gli prudevano … Avrebbe avuto voglia di iniziare a grattarsi  a più non posso fino a farsi sanguinare.
 
Salì in macchina insieme al padre e si diressero a casa.
Dieci interminabili minuti di soffocante silenzio.
 
Thom avrebbe voluto abbracciarlo, dirgli che gli voleva bene, che la cosa più bella del mondo era riaverlo vicino, ma così non fece. Si mise a guardare con sguardo malinconico fuori dal finestrino la neve che cominciava a cadere timida, insicura, proprio come lui …
 
Dean avrebbe voluto aprire la portiera e saltare giù da quella fottutissima macchina, correre per le strade e infine rivelare tutto a suo fratello …
Si chiese come aveva potuto stare senza sapere nulla di lui per tutti quegli anni (!)
Se lo ricordava come un piccolo batuffolo indifeso, con lo sguardo spaesato e gli occhioni innocenti.
Ora invece era cresciuto, nei suoi occhi il volto di chi ha sofferto, di chi è caduto ma si è rialzato. Ora suo fratello era un adulto, lo aveva anche superato in altezza, ma aveva ancora più bisogno di lui di quanto non ne avesse avuto bisogno da piccolo.
 
Il cuore di Dean venne stretto da una morsa di malinconia, che non gli impediva quasi di respirare. Le lacrime iniziarono a inondargli gli occhi, ma con tutte le forze che aveva le ritirò indietro, e ingoiò quell’urlo disperato che gli stava per uscire dalle labbra.
 
Raggiunsero casa e scesero dalla lussuosa macchina, per dirigersi verso casa.
Dean si strinse le spalle cercando di trattenere tutto il calore che aveva in corpo, mentre i fiocchi di neve si facevano sempre più grandi e le nuvolette di vapore che uscivano dalla sua bocca ad ogni suo respiro si facevano sempre più pesanti.
 
Salirono in ascensore, ma ancora Thom non si decideva a proferire parola …
 
… Solo quando raggiunsero la porta di casa cedette.
“Dean …” lo chiamò a testa bassa, cercando di nascondersi dalle lacrime che gli stavano scivolando veloci sulle guance.
Dean si voltò di scatto … Non se lo aspettava:
“Papà … Che c’è? …”
“Mi dispiace … Mi dispiace per tutto. Avrei voluto essere lì … Avrei voluto impedire tutto ciò” gli disse fra i singhiozzi …
“Papà … Non è stata colpa tua …” cercò di rassicurarlo Dean, che per la prima volta nella sua vita lo vide piangere.
“No Dean! La verità è che avrei voluto essere un padre migliore! … Essere più presente …”
 
A Dean mancò il fiato per quelle parole. Per tutta la sua infanzia aveva pensato che “suo padre” se ne fregasse di lui, che non gli volesse realmente bene, ma si sbagliava.
Lo capì solo in quel momento che avrebbe dato la vita per lui … Che se gli fosse capitato qualcosa non avrebbe retto …
 
Lo guardò stupefatto e lo abbracciò come non aveva mai fatto prima d’allora a tal punto da sentire il suo vecchio e esile corpo scomparire fra le sue braccia.
Suo padre tremava per il pianto e singhiozzava. Era tremendamente sconfitto dal rimpianto di non essere stato quello che avrebbe voluto, troppo occupato dal lavoro per tenere conto a “suo figlio”, per stargli vicino, soprattutto dopo tutto quello che aveva passato … Quel castello di vetro che era stato per tutti quegli anni, in quel preciso istante si infranse in mille pezzi, ferendogli il cuore.
 
Dean emise un sospiro e, in un attimo, tutte le lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento uscirono fuori come se si fosse rotta in lui un’immensa diga.
 
I due stavano abbracciati. Così diversi, ma nello stesso tempo così uguali.
Entrambi sconfitti dalle emozioni, entrambi erano state vittime del destino. Entrambi non credevano cosa li avrebbe attesi.


 



*Castle of glass è il titolo di una canzone della band americana Linkin Park, tratta dall'album Living Things.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9: The truth ***


 

 

Capitolo 9: The truth

“Ehi”
“Ehi, che ci fai qui?” chiese sorpreso Sam mentre beveva l’ennesimo bicchiere di whisky.
“Ti ho visto uscire da lavoro e venire qui … Quindi ti ho seguito”
Il bruno abbozzò un sorriso: “Vuoi dire che sei uno stalker?” gli chiese cercando di sembrare il più ironico possibile.
Le labbra di Dean si incurvarono in un dolce sorriso fraterno:
“No … E’ solo che volevo parlarti …”
 
Sam annuì e ordinò un altro bicchiere:
“Ehi, non vorrai iniziare a cantare!” gli disse contrariato il biondo prendendoglielo dalle mani.
“Ehi! Ridammelo!” …
 
… Inutili i tentativi di Sam di riconquistarsi ciò che gli apparteneva: Dean in pochi secondi lo aveva già bevuto tutto d’un fiato.
 “Ma ti piace sta roba?” gli chiese poi con una smorfia di disgusto.
“Ehi, mica tutti possono permettersi il whisky che sei abituato a bere tu!” borbottò il minore.
 
Dean rimase per alcuni minuti in silenzio, poi prese un lungo respiro:
“Perché lo hai fatto?” gli chiese infine.
“Cosa?”
“Voglio dire, perché mi hai liberato?”
Sam indugiò un momento, cercando di trovare la vera risposta fra le tante che si proponeva:
“Perché … Perché era la cosa giusta!”
Il volto di Dean tramutò in un’espressione serissima:
“Anche mettere a repentaglio la tua vita era una cosa giusta?”
“ … Ero stato io ad accettare di partecipare, era il minimo che potessi fare per rimediare”
“Non dovevi! Avresti potuto … Aspetta un secondo! Come hai fatto a uscirne vivo?!” gli chiese sbalordito.
 
Sam si sentì impreparato a quella domanda. Mica poteva raccontargli che Jonson aveva scaraventato gli altri ricattatori contro il muro e gli aveva squarciato le gole, tutto con un solo gesto della mano (!)
Si passò la mano fra i capelli e sospirò:
“Senti … Andiamo in un altro posto. Non credo che sia opportuno dirtelo qui …” gli disse infine.
“Vieni a casa mia! Ti potrei fare provare il VERO whisky, eh Sammy?!”
Sam fu in un primo momento titubante, ma poi, dopo le continue e incessanti insistenze di Dean, cedette.
 
 
Scesero dalla BMW nera per dirigersi verso il lussuoso portone del palazzo in Central Omaha.
Salirono larghi scalini in marmo e raggiunsero l’ascensore: uno di ultimo modello.
Nonostante tutto fosse curato nel più minimo dettaglio, l’odore pesante della tristezza rendeva l’ambiente molto più sciapo e molto più simile di quanto si possa immaginare al palazzo dove abitava Sam.
 
Il silenzio tombale contribuiva ad aumentare il disagio e l’imbarazzo che provava il minore dei Winchester in quel momento.
Ritrovarsi così vicino a quell’uomo che fino al giorno prima aveva sfruttato come opportunità di guadagno, ma che molto probabilmente era anche suo fratello, lo faceva sentire una merda. Sì, lo aveva liberato, ma sentiva ancora come un macigno sulle sue spalle; vedere quei lividi e quelle ferite sul suo volto poi lo faceva sentire ancora più in colpa.
 
I due fratelli non incrociarono lo sguardo per tutto il tempo e continuarono ad aspettare solo che le porte si aprissero: ognuno si sentiva troppo imbarazzato per parlare … Entrambi temevano la reazione dell’altro al suono delle loro prossime stupide parole. Entrambi, nonostante avessero lo stesso sangue, si conoscevano a malapena …
 
 
Dean girò la chiave e in un attimo una vampata di odore di pulito inebriò i sensi di Sam, che fino a quel momento aveva solo assaporato l’odore di muffa, polvere o fumo di sigaretta.
Fece alcuni passi all’interno guardandosi attorno con un’area spaesata e incuriosita, come un bambino alla sua prima visita all’acquario. Ogni singolo oggetto in quella casa era capace di catturare la sua più profonda attenzione:
pregiati soprammobili provenienti da tutte le parti del mondo sovrastavano gli antichi mobili in noce pregiato. Ce n’erano alcuni dall’inconfondibile carattere italiano, altri che molto probabilmente provenivano dall’oriente, altri ancora dall’Africa; ma ciò che catturò maggiormente il suo interesse  furono i numerosi trofei di calcio di Dean posizionati in una teca.
Alcuni erano piccoli, probabilmente di quando era bambino, altri invece sembravano quasi i trofei di calciatori professionisti.
 
Sam aveva sempre desiderato entrare a far parte di una squadra di calcio, ma l’orfanotrofio in cui stava aveva a malapena i soldi per pagargli la scuola, figuriamoci per un’attività sportiva.
 
Guardava quei trofei quasi come se fossero state reliquie: con gli occhi lucidi e il cuore che batteva forte.
 
Sfrecciava libero fra l’erba di un campo con la palla al piede. Libero per una attimo  da tutta quella merda che era la caccia, con la spensieratezza che hanno i bambini ma che lui, Sam Winchester, non aveva  mai posseduto …
 
Ad un tratto sentì una voce chiamarlo da lontano, una voce che non apparteneva a quel tempo, ma che sicuramente aveva già sentito:

 
“Sam! Sam! Per la miseria! Cos’hai! Sam!” lo chiamò preoccupato il fratello, intento a risvegliarlo da una realtà assente.
Sam era immobile, lo sguardo che fissava il vuoto, quando all’improvviso riprese quasi a respirare.
L’odore che poteva percepire adesso non era più quello di erba appena tagliata, di sudore e di vittoria, solo quello quasi impercettibile di vecchiaia e di pulito.
Si guardò attorno confuso, tra gli sguardi perplessi di Dean e Thom.
Ci impiegò un po’ per riportare la mente alla realtà, per capire veramente ciò che era successo, i ricordi di una vita che non era la sua.
 
 
 Dean lo fece sedere al tavolo e lo presentò a quello che era il “padre”.
Non pronunciò quella parola che Sam desiderava tanto sentire, non disse a Thom che quello che si era portato a casa era in verità suo fratello. Avrebbe aspettato: non era neanche tanto sicuro di dirglielo a Sam in quel momento.
 
Quando Thom li lasciò soli, Dean, come aveva promesso a suo fratello, prese una bottiglia del miglior whisky che teneva in casa e glielo versò nel bicchiere:
“Grazie …” gli disse il bruno con una voce non priva di impaccio.
“Di niente Sammy!”
 
Dopo aver alzato il bicchiere al cielo, lo bevve bramosamente; le sue papille gustative assaporarono per la prima volta il forte sapore del vero whisky, non di quello composto per più di metà dall’acqua, e impazzirono nel sentire il gusto forte e inebriante dell’alcol.
 
“Bene, ora che siamo seduti qui comodi, con un bicchiere di buon whisky in mano … Dimmi … Di che cosa mi volevi parlare?” gli chiese poi il biondo.
Sam ingoiò un grande sorso:                                      
"No! Eri tu quello che era venuto a cercarmi per parlare … Quindi, prima tu …”
 
Il cuore di Dean perse un battito … Era arrivato quel momento … Quel momento tanto atteso ma nello stesso tempo tanto temuto. Quel momento che gli avrebbe cambiato la vita –in meglio, si spera-, il momento, dopo tutti quegli anni.
Dean prese a bere più velocemente, avvolto dall’agitazione e dall’euforia.
Avrebbe urlato come una femminuccia se non ci fosse stato Sam a guardarlo.

“Senti Sam …” –cominciò poi- “ … Ho aspettato tanto questo momento! Ma con i discorsi non sono particolarmente bravo … Quindi la farò breve …" -appoggiò sonoramente il bicchiere sul tavolo e prese un profondo respiro- "Sei mio fratello!
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10: Tell me ***


 

 

Capitolo 10: Tell me

“Sei mio fratello”
Quelle parole rimbombarono nella testa di Sam, caricandolo di euforia, commozione, preoccupazione … Rimbalzavano nei suoi pensieri come una pesante e altrettanto grande palla da basket impazzita.
Le aveva sentite fuoriuscire dalla bocca di Dean, pronunciarle dalle sue labbra, non solo più da quelle di Jonson.
 
I suoi occhi si riempirono velocemente di lacrime e le sue labbra s’incurvarono in un dolce sorriso smarrito:
“Scusa, come hai detto?” gli chiese con voce rotta dalla commozione.
“Hai sentito bene Sammy … So che non sai niente del tuo passato, so che sei scappato dall’orfanotrofio qui in Nebraska all’età di quattordici anni …  So tutto su di te!”
 
Sam si mise le mani fra i capelli. Tutti i suoi dubbi, le sue domande, tutto era più chiaro ormai …
Ma Jonson, come faceva a sapere tutto ciò?! Tralasciando la parte bizzarra degli avvenimenti, come faceva a conoscere ogni cosa sulla famiglia Winchester?
 
Dean, vedendolo profondamente turbato, gli versò altro whisky nel bicchiere, che Sam si precipitò subito a bere.
“Quindi tu … Tu sei mio fratello? Io sono figlio di tuo padre?” gli chiese poi asciugandosi con la manica della felpa il viso dalle lacrime.
“No  … Io sono stato adottato, Sam … I nostri genitori sono morti in un incendio, quando tu avevi solo sei mesi.”
 
Il cuore di Sam batté ancora più forte. Tutto combaciava! Aveva fatto una miriade di volte quel maledetto incubo! Ma ora sapeva che quelli non erano solo sogni … Erano ricordi!
Questa volta il nodo che gli stava stringendo sempre più forte la gola non era causato dal pianto o dalla commozione, bensì dal panico.
Sì, il panico di fare i conti con il suo passato dopo tutti quegli anni, il panico del suono delle parole di Jonson, il panico di ciò che era successo in quello schifoso hotel abbandonato, il panico di quel momento …
 
Dean lo guardò con un sorriso luminoso, le guance bagnate da lacrime di gioia.
Fu lui a fare il primo passo, e in un istante si ritrovarono uno fra le braccia dell’altro, entrambi commossi, entrambi tremanti.
Si strinsero forte, più della volta precedente. Ora potevano assaporare ogni istante,senza interruzioni, in  un silenzio così coinvolgente che sembrava musica …
 
Sam fu il primo a lasciare la presa, soffocato dal caldo dovuto alle tante emozioni che si scatenavano nel suo cuore.
L’emozione di quel momento si fece sempre più forte, sempre più pesante, a tal punto che le sue gambe non riuscirono più a reggere, e perse i sensi, accecato dal tremendo mal di testa che si portava dietro sin dalla mattina.
 
Dean si aspettava tutto, tutto! Tranne quello!
Certo che il suo fratellino era emotivo eh!
 
Entrò in panico. Temeva il peggio! Non sapeva che quelle cose capitavano abbastanza frequentemente a Sam, soprattutto quando era sotto pressione.
 
 
… Il fumo intenso di sigaretta offuscava l’aria viziata che si respirava in quel sudicio appartamento, formando come una folta nebbia.
La flebile luce di una piccola lampada da tavolo illuminava a malapena la stanza, mostrando un’ombra di un possente uomo aggirarsi silenziosamente per la casa.
A Sam sembrava di essere davvero lì, in quel preciso istante, e si guardò attorno con fare confuso.
Ad un certo punto un urlo sordo lo fece sobbalzare e dirigersi verso il letto, dove giaceva un giovane uomo, che soffocava nel sangue che gli fuoriusciva dal punto dove un coltello, sprofondava per tutta la lunghezza della lama  nella sua gola.
Fu una cosa raccapricciante per il Winchester: “Ma tanto è solo un incubo!” pensò cercando di calmarsi...


Dean si aggirava preoccupato per il soggiorno passandosi la mano sinistra fra i corti capelli, con l’altra intenta a digitare freneticamente il numero dell’ambulanza sul telefonino.
 
Sam aprì gli a malapena gli occhi, frastornato, ancora con il mal di testa che non si decideva a diminuire.
Nonostante si sentisse sul punto di riperdere i sensi, riuscì a notare che non si trovava più sul duro pavimento della casa di Dean, bensì sul morbido e caldo divano che sostava di fronte al televisore.
 
Con la poca aria che aveva nei polmoni mormorò quasi impercettibilmente il nome di suo fratello, che subito si precipitò verso di lui:
“Sam! Mio Dio si può sapere cosa ti è preso! Sapevo che la cosa ti avrebbe sconvolto, ma non fino a questo punto! Maledizione! … Per un attimo è creduto che fossi morto!” gli disse Dean con voce rotta dal panico.
“No, no Dean! Tranquillo, è tutto ok. Sto bene … Ho solo un forte mal di testa … Ultimamente mi capita spesso ” cercò di rassicurarlo il minore, strofinandosi intensamente le tempie e coprendosi gli occhi con la mano libera.
“Sam non stai bene! Su! Vieni qua! Ti porto in ospedale!” insistette il fratello cercando di farlo alzare.
“Dean! Sto bene! Dico davvero! … E’ stata solo l’emozione del momento …”
 
Dean cercò di credergli e si lasciò andare sul divano, sfinito:
“Certo che sei proprio una femminuccia, Sammy!” gli disse sorridendogli sarcastico.
Il bruno finse una risata e continuò a strofinarsi le tempie con tutta la forza che aveva nelle sue grandi e possenti mani.
 
“Hai per caso un bagno?” gli chiese poi.
“Certo Sammy! Dove credi che pisciamo? In balcone?”
Certo che a Dean il senso dell’umorismo non mancava mai!

Dean si avvicinò a lui e lo aiutò ad alzarsi, passando un braccio dietro la sua schiena e infine sotto il suo braccio.
“Dean, non c’è bisogno!” gli disse Sam imbarazzato.
“Sta zitto e fammi fare! Non ho voglia di rivederti cadere a terra come un sacco di patate, e trascinarti di nuovo a forza sul divano!” controbatté irremovibile Dean, anche se a Sam sembrò di aver sentito una nota di divertimento nelle sue parole.
 
Sam si sciacquò il viso con acqua gelida, come sempre faceva in quelle occasioni, con gli occhi chiusi dal dolore e tutto il corpo tremante.
Dean lo guardava dalla soglia della porta preoccupato ... Cosa stava succedendo al suo fratellino?
 
“Se vuoi ho delle pastiglie per il mal di testa …” provò a chiedergli.
“No Dean, non mi fanno mai effetto …”
“Perché, credi che un po’ di acqua gelida sia meglio?”
“E’ inutile prendere le pastiglie se non aggiustano niente!”
“Fai come vuoi Sammy!” gli disse Dean mentre, sentendo degli strani gorgoglii di fame provenire dal suo stomaco, si dirigeva in cucina per prendersi qualcosa da mangiare.
“Hai fame?” chiese poi a Sam.
“Un po’”
 
Dean, dopo aver preso un'abbondante fetta di torta per lui, e aver fatto un tramezzino per Sam, si andò a sedere sul divano, dove lo stava già attendendo il fratello.
 “Allora, l’acqua ha fatto qualcosa?” gli chiese con tono beffardo.
Sam lo guardò sorridendo soddisfatto: “Sta già andando via!”
“Ok!” gli rispose poco convinto Dean, mentre stava già addentando la sua crostata di fragole.
 
 
“Dean … Com’erano i nostri genitori?” gli chiese poi Sam rompendo il silenzio.
Dean si alzò e gli fece segno di attendere un momento, andò in camera sua, prese la cornice che teneva sul comodino e ritornò da Sam:
“Questi siamo noi …” gli disse mostrandogli la foto.
 
Il “piccolo” Winchester la prese fra le mani.
C’erano raffigurati un uomo con i capelli scuri e gli occhi castani, che abbracciava una donna dai biondissimi capelli mossi. Sembravano felici.
Abbracciato all’uomo stava un bambino sui quattro anni con i capelli biondi come la madre, e, in braccio alla donna dormiva un bambino di pochi mesi.
Una sua grossa lacrima cadde sulla foto: era la prima volta che vedeva i suoi genitori, anche se non di persona, e una morsa di dolore strinse il suo cuore.
 
“C-come si chiamavano?” chiese poi con un filo di voce.
Dean sorrise fra le lacrime, ricordando i bei tempi della sua infanzia:
“John … John e Mary …”
Sam chinò la testa, per nascondersi dalle lacrime che gli scivolavano copiose sulle guance.
“Cosa … Cosa è successo …?”

Dean si morse il labbro inferiore, per non scoppiare a piangere come Sam, a tal punto di farselo sanguinare.
“Mi … Mi ricordo che c’era del fuoco in camera tua … Che piangevi … Mi ricordo papà che urlava il nome di nostra madre … Poi è arrivato e mi ha portato te …” – continuò guardando in alto – “ E mi ha detto di portarti al sicuro e di correre! ... In poco tempo erano arrivati i pompieri ma per i nostri genitori non c’era più nulla da fare …” Dean chiuse gli occhi e esplose in lacrime … Non aveva mai detto a nessuno cos’era successo quella notte, neppure a Thom, e gli risultava ancora più difficile raccontarlo a suo fratello.
 
Sam ascoltò in silenzio, con la testa fra le mani e gli occhi rivolti verso Dean.
Si pentì amaramente di avergli fatto quella domanda, di avergli fatto ricordare ancora una volta quella tragica notte … Porca miseria! Non bastava quanto aveva già sofferto?
“Mi dispiace, io non volevo …”
“Sta tranquillo Sammy, prima o poi l’avresti dovuto sapere!” lo rassicurò Dean mentre si strofinava il viso con le mani.
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11: Nightmares ***


 

 

Capitolo 11: Nightmares


Un raggio di sole che batteva insistente sulle sue palpebre lo svegliò da quel sonno beato che da tanto, troppo tempo non si concedeva.
Ad un tratto si alzò di scatto preoccupato … Il sole era già sorto! Ciò significava che il lavoro, anche per quella mattina, era andato a farsi fottere!
Scese dal comodo letto, che non sembrava affatto familiare, e i suoi piedi scalzi incontrarono il soffice tessuto dello scendiletto: solo ad allora si accorse di non trovarsi nel suo sudicio appartamento come tutte le mattine –o quasi-.
 
“Cazzo il lavoro!” imprecò infilando i jeans che si era tolto – com’era solito fare- per dormire, mentre, saltellando nell’intento di indossarli, si dirigeva agitato al di fuori della lussuosa stanza, che molto probabilmente doveva essere degli ospiti.
 
“Ehi! Dove vai così di fretta?” gli chiese Dean, stranamente già sveglio.
“Come dove vado! A lavoro! Dovevo essere già fuori ore fa!”
“Ma al diavolo il lavoro! Ora non ti serve più! Vieni qui Sammy! Ora tu abiti qui!”
L’espressione di Sam cambiò completamente:
“Io abito qui?! Che stai dicendo Dean!”
“Ma certo fratellino! Cosa credevi?! Che ti avrei abbandonato di nuovo?!” gli rispose il maggiore addentando una striscia di bacon.
Sam lo guardò stranito: “No … E’ solo che non pensavo …”
Dean lo azzittì:
“Tieni e mangia … Oggi ti voglio fare divertire Sammy!” gli disse porgendogli la colazione.
 
 
Quando Sam e Dean uscirono di casa era già pomeriggio inoltrato.
 
“Una donna impiegherebbe meno tempo di te a prepararsi!” lo canzonò Sam.
“Ehi! Da quando tutta questa confidenza, eh?”
Sam lo guardò imbarazzato, mentre il suo volto iniziava a prendere un colorito fin troppo rossastro.
“Sto scherzando Sammy! Non hai proprio il senso dell’umorismo!”
“Fesso!”
“Puttana!” rispose quasi automaticamente il maggiore, mentre metteva in moto la macchina.
“Hei! Perché ora mi chiami puttana?!” 
“Così …”  reagì sfoggiando il suo solito sorriso beffardo.
 
“Bene! Per prima cosa ti voglio fare conoscere il mio migliore amico, Derk, che mi ha aiutato nelle emh … Mi aiutato a capire se fossi davvero mio fratello …” si rivolse a Sam mentre parcheggiava la macchina di fronte ad una maestosa villa nella zona più residenziale della città.
Il minore annuì e scese, facendosi assalire subito dall’agitazione.
Non si sentiva ancora del tutto pronto a conoscere gli amici di Dean … Solo la sera prima aveva saputo di avere un fratello e già si ritrovava a dover fare conoscenza con gli amici di quest’ultimo!
Ma evidentemente Dean voleva solo recuperare tutti gli anni andati perduti … Era da capire.
 
 
“Sam sei proprio stupido, sai? Neanche un bambino si sentirebbe in questo modo!” rimproverò sé stesso mentre si dirigeva insieme al fratello verso la porta di casa Butterson, cercando di bloccare la mano che ogni volta, in quelle occasioni, picchiettava istintivamente sulla sua gamba.
 
 
Derk aprì la porta con un sorriso a trentadue denti:
“Ehi Dean!Come stai?” lo salutò con un abbraccio.
“Mai stato meglio! Tu come stai invece?”
“Bene!”  - gli rispose invitando entrambi ad entrare- “E lui chi è?” chiese poi passando l’attenzione su Sam, che fino a quel momento era stato nascosto –per quanto possibile- dietro a Dean.
“Oh … Mi chiamo Sam …” intervenne il minore dei Winchester porgendo la mano, ma senza essere ricambiato, facendolo sentire ancora più a disagio di quanto non lo fosse già stato.
 
Derk a quel nome corrugò la fronte:
“Quel Sam?” bisbigliò avvicinandosi all’orecchio di Dean e coprendosi la bocca con una mano.
Il biondo abbassò lo sguardo sorridendo:
“Sì, proprio lui! Lui è il mio fratellino Sammy” gli rispose dandogli un'affettuosa pacca sulla spalla del fratello, che in quel momento avrebbe voluto essere invisibile.
“Aaah! Quanto sono contento! Alla fine lo hai ritrovato!” esclamò entusiasta il ricciolo battendo le mani.
 
“Volete qualcosa da mangiare?” chiese poi dirigendosi verso la cucina.
“Emh … Ce l’hai una fetta di crostata?”
“Certo Dean! Le compriamo solo per te! … Tu Sam?”
“No grazie, non ho fame …” rispose visibilmente impacciato.
 
“Hei  Sam! Cos’hai!” gli bisbigliò Dean quando Derk non li poté sentire.
“No, niente … E’ solo l’ambiente che mi fa questo effetto …”
Dean mugugnò un “sì”, quando Derk li raggiunse con una birra in mano per lui, e una fetta di torta per Dean.
“Ehi, e la mia birra?” chiese preoccupato il più grande dei Winchester.
“Non me l’hai chiesta …”
“Credevo fosse scontato” controbatté Dean in un finto broncio.
“Okkey…”
 
Derk li raggiunse sul divano e accese la televisione:
“Fra un po’ dovrebbe iniziare la partita, per il momento c’è il telegiornale”
 
“E adesso passiamo alle notizie dell’ultima ora.
 Il famoso avvocato Vincent Calligan, conosciuto anche per avere perso tutta la sua fortuna nel gioco d’azzardo, è stato accoltellato e ucciso questa notte nel suo appartamento a Chicago, dove da qualche anno a questa parte viveva nella più totale miseria.” disse la voce dell’attraente  giornalista del Breaking News, mentre sullo schermo compariva la foto del povero malcapitato.
 
… Quel viso …
Sam l’aveva già visto.
 
Ad un tratto il ricordo della sera precedente gli sfiorò la mente, il ricordo di quell’ “incubo” … Ma era davvero solo un incubo?
Un brivido freddo percorse la sua schiena.
 
Sam aveva sognato la morte di quel povero disgraziato e non aveva mosso un dito. Aveva solo creduto che fosse stato un altro sadico e incredibilmente vivido incubo, anche dopo l’ultimo che aveva avuto sulla morte di Jonson.
Si sentì mancare l’area nei polmoni e per non destare la preoccupazione degli altri due dovette assentarsi un momento con la scusa di dover andare in bagno.
 
Si sciacquò freneticamente il viso e si appoggiò alla grande e massiccia porta del bagno.
 
Non riusciva a crederci. Si sentì incredibilmente in colpa, ancora una volta.
 
Ma tanto Sam Winchester non fa mai la cosa giusta, perché non c’è niente di giusto in lui.
 
Lui era il vessillo del male, il prescelto, il ragazzo con il sangue di demone … Chissà se avesse saputo ogni cosa, come avrebbe reagito, se avesse saputo che in qualsiasi mondo si trovasse, immancabilmente avrebbe rovinato tutto e deluso chiunque, compreso suo fratello.
 
Si riavvicinò al lavandino e si passò la mano bagnata fra i capelli.
Da quel momento in poi avrebbe dato più importanza a quelli che per tutti potevano sembrare semplici incubi, ma che per lui evidentemente erano qualcos’altro.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12: The beginning ***




Capitolo 12: The beginning

“Sam calmati! Si può sapere cos’hai?”
“Dean fidati di me! Per favore!” gli rispose agitato mentre  gettava i suoi pochi vestiti nella sacca da viaggio verde militare.
“Ma ti rendi conto di che cosa mi stai chiedendo? E poi su quali basi? Stai delirando Sam!”
“Ti prego Dean! Mi vuoi ascoltare?”
“Allora prima dimmi cosa ti preoccupa così tanto!”
“Ok … Ma mi dovrai credere, capito?”
 
 
***
 
 
West Ridge, Chicago, Illinois
 

“Non riesco ancora a crederci … Chi poteva avercela così tanto con Vincent per fare un gesto del genere! ”
“Cara, ti assicuro che prenderemo quel bastardo!” le rispose la voce femminile dall’altro capo del telefono.
“Grazie Mary, sei un’amica!”
Posò il telefono sul tavolo e si asciugò con il dorso della mano dalle lacrime.
Accese lo stereo e andò ad aprire l’acqua della doccia, si levò i vestiti di dosso ed entrò.
L’acqua calda le scivolò per tutto il suo formoso corpo, inebriandole i  sensi e lavandola, seppure per un attimo, da tutto il dolore e le preoccupazioni che portava addosso,  ma il suono del campanello la riportò alla realtà.
“Un attimo!” urlò di fretta mentre usciva dalla doccia. Prese un asciugamano, se lo avvolse attorno al corpo ed uscì dal bagno.
Aprì leggermente la porta e guardò fuori. Un vecchio uomo in giacca e cravatta gli mostrava il distintivo dell’FBI:
“Salve, agente  Smith, dell’FBI, sono qui per farle alcune domande sul Sig. Calligan, lei era la sua compagna, giusto?”
“Sì, sono io, si accomodi pure” – gli disse mentre lo invitava ad entrare – “ … Emh … Io vado solo a mettermi qualcosa addosso … Gradisce del tè o qualcos’altro?”
“No, grazie, sto bene così” gli rispose cordialmente l’agente mentre si accomodava sul piccolo divano.
 
 
La giovane donna uscì dal bagno.
Era attraente: i biondi capelli bagnati erano raccolti all'indietro da una coda alta, e gli occhi azzurri, ancora con qualche rimasuglio di trucco, erano grandi e luminosi, nonostante il dolore subito. Prese una tazza fumante di caffè e si sedette sulla poltrona di fronte al divano dove stava l’agente.
“Scusi per l’attesa …” disse imbarazzata.
“Non si preoccupi. Dovrei solo farle alcune domande, le ruberò poco tempo”

“Allora, lo so che per lei è difficile, ma mi può dire com’era il suo rapporto con Vincent?” chiese cauto.
“Noi eravamo fidanzati da qualche anno, era tutto normale, se così si può definire … Aveva lasciato la moglie per stare con me, poi era diventato un giocatore d’azzardo patologico e come sa è andato in rovina.
Ma se è quello che vuole sapere io l’amavo, non avrei avuto nessun motivo per …” – Katy non riuscì più a trattenersi e scoppiò a piangere- “Non avrei mai avuto motivo di fargli del male …” continuò tra i singhiozzi.
L’agente Smith gli porse un fazzoletto:
“Mi dispiace molto … Ancora qualche domanda … Sa se qualcuno provasse del rancore per lui?”
Katy guardò in alto cercando di cacciar dentro le lacrime, poi prese un lungo respiro:
“Bè, di certo Vincent non era conosciuto per la sua buona fama. Quando ha avuto l’ossessione del gioco, dopo aver perso tutti i suoi soldi si è fatto fare in giro anche numerosi prestiti, che non ha mai restituito … Prima del gioco era anche un avvocato e ha fatto rinchiudere molte persone pericolose … Ma non ne conosco nessuna in particolare …”
"Quando è stata l'ultima volta che è stata nell'appartamento del suo compagno?"
"Non lo so, pochi giorni prima dell'assassinio, perchè?" chiese confusa la donna.
"Quando era lì ha mai notato qualcosa di strano? Tipo punti freddi, brividi, anche solo una brutta sensazione?" contunuò l'agente senza rispondere alle sue domande.
"No, non credo? Ma perchè queste domande?"
Smith esitò un momento: "Niente, è solo che sondo ogni cosa, qualsiasi particolare, anche il più assurdo, potrebbe rivelarsi utile" rispose con un sorriso sforzato.
 
 
Rimase piuttosto deluso. Le informazioni che aveva ricevuto non portavano da nessuna parte, e la certezza che quello potesse essere una delle cose delle quali si occupava lui andava pian piano scomparendo.
Oltre a nessun segno di effrazione nell’appartamento della vittima non c’era nient’altro che potesse dimostrare il contrario: sulla scena del crimine non aveva riscontrato alcuna traccia di zolfo, e l’arma del delitto era d’argento, quindi non poteva essere stata utilizzata da un mutaforma.
Si diede dello stupido per essere andato fino lì e salutò la donna.
Appena fu fuori dall’appartamento si appoggiò con tutto il suo peso al muro e lanciò un sospiro:
“Che palle!”
 
 
***
 

“Quindi tu mi stai chiedendo di farti da taxista per tre stati solo per uno stupido incubo?”
La dura voce di Dean Winchester risuonò per tutta la casa.
“Ti prego Dean! E’ già successo e non ho fatto niente, perché non ci ho creduto! Ho sognato la morte di Jonson e di tutti gli altri della banda! Ho sognato la morte di quell’avvocato del quale hanno parlato al notiziario! Ora sogno la morte di una povera donna e credi che non debba fare niente per impedirlo?”
La voce di Sam era alta e piena di disperazione.
Dean si passò esasperato la mano fra i corti capelli, le parole di suo fratello gli sembravano così assurde!
“Non posso permettere che accada di nuovo! Per favore Dean!”
“Ma ti rendi conto? Saranno sei ore di viaggio! Cosa dirò a mio padre?”
“Che ne so! Inventati una scusa, ma per favore, fidati di me!”
Dean lanciò un sospiro di sconfitta ed abbassò le spalle.
“Grazie Dean!” gli sussurrò felice Sam.
“Non ti ho ancora detto di sì!” controbatté il maggiore con un sorriso beffardo.
“Sta zitto scemo!”
 
 
I due fratelli salirono in auto, pronti per affrontare un lungo viaggio, durante il quale avrebbero avuto modo di discutere molto e di parlare degli anni trascorsi lontani …
 
“Allora Sam, ti va di raccontarmi come sei uscito vivo da quell'hotel?” gli chiese cauto Dean quando imboccarono la statale.
Sam chiuse gli occhi e si abbandonò al comodo sedile in pelle:
“Tanto mi prenderai per pazzo!”
“E chi lo dice?!”
“Dean! Faccio persino fatica a crederci io, e mi dovrei aspettare che mi prenderesti alla parola? Andiamo!”
“Magari io sono così tanto pazzo da crederti … Dai, avanti! Non avrai di certo ucciso quegli uomini?” gli chiese preoccupato.
Sam lo guardò perplesso:
“Cosa? No! Ma che domande fai? Credi che potrei mai fare una cosa del genere?!”
“Calma! E’ solo che mi sembri così ... Come posso dire ... Strano?! E' sin da prima che ti dicessi di essere mio fratello che cerchi di non parlarne”
Sam distolse lo sguardo da Dean per guardare il paesaggio fuori dal finestrino:
“Non è che non te lo voglio raccontare … E’ solo che ho paura che tu non mi creda!”
“Ti prometto che ti crederò” gli sorrise il maggiore con uno sguardo fraterno.
 
 
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13: Runnin ***




Capitolo 13: Runnin

“Ecco vedi, lo sapevo!” borbottò seccato Sam.
“Cosa sapevi eh? Sapevi che non me la sarei bevuta? Bene, avevi previsto bene!” urlò infuriato il fratello.
La sua espressione avrebbe terrorizzato anche il re dell’inferno: il volto era  infuocato dalla rabbia che gli bruciava dentro, gli occhi erano ridotti a due sottili fessure, e le labbra serrate, quasi volessero bloccare le brutte parole che gli stavano per uscire spontanee.
 
Non riusciva a sopportare che suo fratello si prendesse così gioco di lui. Si sentiva mancare di rispetto: si erano ricongiunti solo da qualche giorno e già si sentiva considerato un coglione!
O magari era il cervello di Sam che stava andando in fumo?
 
Il minore rimase in silenzio. Cosa avrebbe potuto dire? Dean aveva ragione, solo uno scemo o un pazzo avrebbe creduto alla sua storia.
Chiuse gli occhi per concentrarsi nello scegliere le prossime parole, ma quando le trovò, una sterzata gli fece sbattere forte la testa contro il finestrino:
“Ma sei impazzito?” gli urlò sbigottito.
“Ah! Divertente! E ora sarei io quello pazzo! Si ritorna indietro Sam! Non so neanche perché mi ero lasciato convincere a portarti fino a Chicago!”
“Dean, ti prego ascoltami! Se non vuoi credermi non mi credere, ma portami lì! Per favore …”
 
Dean, senza dargli ascolto proseguì la strada che riportava ad Omaha, senza rivolgere neanche il minimo sguardo al fratello che si dimenava in segno di protesta.
 
“Ferma la macchina.”
“Perché dovrei farlo!”
“Ferma la macchina! Vado fino a Chicago da solo!” replicò Sam con voce dura.
“Te lo scordi!”
“Ferma la macchina o lo faccio io!”
“Sam non fare stronzate!”
 
Quando capì che suo fratello non stava bleffando e che entro breve avrebbe compiuto una pazzia, accostò a bordo della strada.
Rimase in silenzio, con le mani che stringevano il volante, cercando di disinnescare la rabbia che da lì a poco lo avrebbe fatto esplodere.
Suo fratello stava lì, fermo a guardare la strada, quasi come se fosse stato Dean quello ad avere sbagliato.
La tensione saliva, si poteva respirare, e tutto ciò non faceva altro che diminuire il tempo prima del grande scoppio.
 
Sam non riusciva più a stare lì dentro, non poteva permettersi di sprecare altro tempo nello spiegare a suo fratello cosa stava succedendo, non in quel momento.
 
“Sam!” - gli urlò Dean quando lo vide scendere dalla macchina con la sacca in spalla – “Sam giuro che …”
 
… Era sempre più infuriato per il comportamento di suo fratello, pronto a dividere le loro strade per un suo semplice capriccio, a tal punto che perse il lume della ragione.
Scese dalla macchina e raggiunse carico d’ira la sagoma di Sam che pian piano si faceva più lontana.
Il minore lo guardò confuso, ma prima che avesse il tempo di formulare qualcosa, Dean gli scaraventò un pugno in pieno volto, che nonostante la sua stazza lo fece cadere violentemente a terra.
Lo guardò perplesso … Non sapeva spiegarsi il perché di quel gesto così esagerato:
“D-Dean?!”
Ma la risposta fu solo uno occhiata piena di disprezzo, prima che gli voltasse le spalle e andasse verso la macchina.
 
Sam era ancora a terra, a fissare malinconico e con la vista annebbiata dal sangue l’auto di suo fratello farsi sempre più piccola e più lontana, lasciandolo lì, solo come un cane, chiedendosi il perché di quella reazione così sconsiderata.
 
 
Attese che una macchina passasse, ma niente.
Il freddo gli stava bruciando la pelle, le sue labbra si stavano facendo sempre più aride e la morsa della fame iniziava a farsi sentire.
 
Decise di iniziare a camminare, sperando di incontrare al più presto una stazione degli autobus, dove rifocillarsi un po’ e aspettare un pullman che lo portasse fino a Chicago.
 
Stava già per calare il sole e Sam aveva percorso solo qualche chilometro senza neanche sapere dove andare,  quando una piccolo furgoncino gli si accostò accanto.
Alla guida una bella donna: capelli neri che le arrivavano alle spalle e grandi occhi castani, stupendi.
 
“Ehi, è quasi buio, vuoi un passaggio?”
Sam guardò il cielo e sorrise  sollevato:
“Grazie! Mi faresti davvero un grande favore!”
“Su, cosa aspetti, fa un freddo cane!”
 
Sam salì sul mezzo. In breve tempo il calore gli abbracciò tutto il corpo, rilassandogli ogni muscolo, che fino a poco prima era stato reso rigido dal gelo.
Si abbandonò al sedile, chiuse gli occhi e lanciò un profondo sospiro di sollievo.
 
“Dove vuoi che ti porti?” . La voce della donna lo risvegliò da quello stato di dormi-veglia che gli aveva impedito di ricordare quella lite con suo fratello che li aveva portati a dividersi, ancora.
“Ah, uh, sai se c’è una stazione degli autobus da queste parti?”
“Sì, sono anche di strada, ma dove vuoi che ti porti? Dov’è la tua destinazione?” insistette la donna.
“Devo andare a Chicago ma lasciami alla stazione, devo risolvere una faccenda da solo …”
“Okkey …”
 
 
Dopo quasi un’ora di viaggio, raggiunsero finalmente la meta.
Il giovane salutò la donna e si diresse all’interno, chiedendosi dove sarebbe adesso se quell’ “angelo” dai capelli scuri non lo avesse salvato dall’oscurità e dal freddo della notte.
 
Sam si trascinò all’interno e si sedette ad un tavolo, prese un caffè caldo alle macchinette e tirò fuori il telefono dalla tasca della felpa.
 
4 messaggi nella segreteria.
 
Ascoltò il primo:
“Sam, mi dispiace per quello che è capitato, ho esagerato a trattarti così … Per favore rispondi al telefono, ti sto cercando …”
 
Il secondo:
“Sam! Rispondi al telefono! Dove diavolo sei!Ti sto cercando da almeno mezz’ora ma non ti trovo! Stai bene? Sta iniziando a fare buio! Cosa cavolo hai intenzione di fare?!”
 
Poi il terzo:
“Sam! Per favore! Rispondi a sto dannato telefono! Non fare così! Lo so, mi sono comportato da stronzo ma ti saresti aspettato che avrei creduto a quella balla? Sam per favore, risolviamo tutto, ma dannazione, rispondimi!”
 
E infine il quarto:
“Sam … Spero che ti sia fatto dare un passaggio da qualcuno perché … Maledizione!! Non ti trovo!! … Ti prego, rispondi a sto maledetto telefono …
… Sul navigatore è registrata una stazione degli autobus a pochi chilometri da qui … Sei lì per caso? Io la sto raggiungendo, ma se sei da qualche altra parte e stai bene, rispondimi per favore!”
 
Sam chiuse gli occhi avvolto da una dolce sensazione di protezione che, dopo tutto il freddo di quella notte, gli riscaldò il cuore.
Suo fratello non lo aveva lasciato solo.

 
***
 
Newton, Iowa, IA 50208
 
A bordo strada giaceva il corpo senza vita di un vecchio contadino. La sua gola era stata squarciata nettamente, e il sangue che fuoriusciva a fiotti scuri colorava il terreno di rosso.
Vicino al corpo un furgoncino grigio, appoggiato al quale stava una ragazza dai capelli neri con un calice in ferro decorato da altorilievi tra le mani …
Passò il dito fra il sangue che stava al suo interno, dal quale in breve tempo si formarono delle bolle:
“Padre, ho una cosa importante: Sam Winchester è diretto a Chicago, senza suo fratello!” 



 

*Runnin è una canzone del cantautore e attore statunitense Adam Lambert, appartenente al suo seondo album "Trespassing"



 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14: The first sin ***




Capitolo 14: The first sin

Il cacciatore pressò con forza sul pulsante del riscaldamento, quando si accorse che nuvolette di condensa fuoriuscivano pesanti dalla bocca ad ogni suo respiro.
Era davanti alla casa di Ms. Katy  Chapman, e scrutava con il binocolo la finestra della cucina dalla quale si vedeva la donna lavare le stoviglie.
Sto perdendo solo tempo! Pensò fra sé e sé quando si accorse che tutto era perfettamente nella norma.
 
Con un lento, ma per uno della sua età, improvviso movimento, prese il telefono cellulare che aveva “buttato” poco prima sul cruscotto della Chevelle del ’71 mezza sgangherata recuperata dal suo deposito auto, e scocciato, premette con demenza –quasi volesse sgretolare il telefonino fra le mani- sui grandi tasti.
“William! Perché diavolo mi hai fatto venire qui! Non è roba per noi!” urlò con voce burbera appena il suo interlocutore rispose dall’altro capo del telefono.
“Controlla ancora! Sei lì solo da due giorni! Non prendere questa storia troppo sotto gamba! Devi avere pazienza!”
“E’ già la terza volta che me lo ripeti! Dovrei andare dove c’è realmente bisogno di me!”
“Si può sapere cos’hai Bobby? Sei sempre stato un vecchio rompi scatole ma non fino a questo punto!”
“Sì, senti chi parla!”
L’amico si lasciò scappare una risatina:
“Dai, ancora qualche giorno Bobby e verrai da me strisciando e scusandoti di non avermi creduto!”
“Sì sì, come no …”
 
Bobby attaccò il telefono e si abbandonò al sedile della sua auto, quando una lucidissima e costosa BMW nera che si accostava dall’altro lato della strada attirò la sua attenzione.
 
***
 
“Vediamo se le tue doti da veggente si dimostrano reali!” - esclamò in tono beffardo Dean mentre, dopo essere sceso dalla macchina, lo seguiva all’interno della piccola palazzina – “Ma come fai a sapere che abita qui?” aggiunse poi cercando di nascondere la sua perplessità.
“Il sogno … Ho visto la sua carta di credito con nome, cognome e codice fiscale … E ho fatto qualche ricerca … E guarda caso ogni dato corrispondeva!”
Dean rimase stupefatto: una parte delle visioni di Sam si era dimostrata esatta, li aveva portati nel posto giusto. L’angoscia lo pervase.

“Ora che si fa?” chiese poi fingendosi poco convinto quando furono di fronte alla porta di Ms. Chapman
“Le si suona! Cosa vorresti fare!”
“Ah, e cosa le diciamo che hai le visioni e che l’hai vista morire?”
“Che ne so! Ci inventiamo una scusa! Impediamo che accada …”
Sam si passò la mano fra i folti capelli:
“Adesso inizi a credermi?” chiese poi a Dean con un sospiro.
“Ora cerchiamo di capire cosa fare Sam! … Ricordi qualcosa? Ad esempio com’è stata uccisa?”
Sam abbozzò un amaro sorriso:
“E’ assurdo!”
“Cosa è assurdo?”
“ … Il modo in cui l’ho vista morire … Ma in questi ultimi tempi questa parola ha perso significato per me …”
“Cosa vuoi dire?”
“Tutto! Queste visioni, la maniera nella quale sono morti Jonson e gli altri della banda, la maniera nella quale è morto quell’avvocato, e ora questa donna! Ma lo impedirò!”
Il “piccolo” Winchester, con un movimento fulmineo premette il campanello dell’appartamento, ma non ebbe nessuna risposta.
Alla fine perse il controllo: per quanto ne sapesse la donna poteva essere già morta!
Fece alcuni passi indietro e si lanciò addosso alla porta, che sotto la forza del suo dolce peso, si spalancò al primo colpo …
 
… Katy sobbalzò dal divano sul quale si era addormentata poco prima:
“Ehi! Ma che succede! Chi siete!” si rivolse ai due intrusi con sguardo terrorizzato.
Dean stava fuori dall’appartamento, più perplesso di lei, mentre Sam era all’interno con una spalla lussata e lo sguardo imbarazzato:
“Ah …  Emh … Io pensavo …” si scusò mentre faceva qualche passo indietro.
Esitò un momento, ma poi confessò tutto d’un fiato:
“Ascolti! Lei è in pericolo! Per favore mi creda!”
“Cosa? Prima ti introduci nel mio appartamento e ora mi dici che la mia vita è in pericolo? Ma sei impazzito? Io chiamo la polizia …” sbottò la donna.
“No! La prego! Mi ascolti! Non voglio farle del male! L’ho vista morire! Lo so che può sembrare pazzesco ma mi deve credere! La prego!” insistette Sam bloccandogli la mano che si era già posata sul telefono cellulare.
“Ma stai delirando!”
“La prego! Mi deve - ”
 
… Sam non riuscì a finire la frase che una forza invisibile gli scaraventò un mobile addosso, bloccandolo contro il muro.
Dean si lanciò immediatamente verso di lui per aiutarlo, ma appena mise piede dentro l’appartamento fu scagliato di nuovo all’esterno, verso le scale, prima che la porta si chiudesse in un grande tonfo.
 
Katy si guardò attorno terrorizzata e prima che potesse dire qualcosa, sbucò dalla porta della sua camera da letto un giovane ragazzo, sulla ventina, con occhi scuri e capelli a spazzola.
 
“Garry!?” esclamò perplessa.
Sam si riprese appena in tempo per capire ciò che stava accadendo.
“Aspetta! Lo conosci?” chiese perplesso.
“Certo! E’ il figlio del mio compagno Vincent!”
“Quindi tu saresti la compagna di Vincent Calligan? L’avvocato che è stato ucciso?”
Il ragazzo, con voce segnata dallo spirito di vendetta, intervenne nella discussione, che gli stava impedendo di concludere ciò per cui era andato lì.
“Esattamente! Questa puttana si è portata via mio padre, mandando me, mia madre, e lui nella più totale miseria! Sai? E’ questa stronza la responsabile di tutte le sfortune della nostra famiglia! Mio padre ha perso tutto, per colpa sua! Se fosse rimasto con noi non avrebbe mai fatto quella fine! Io non sono potuto andare al college e mia madre, che era malata di cancro, è morta da sola in un letto d’ospedale!”
Sam sgranò gli occhi:
“Quindi sei stato tu ad uccidere tuo padre!” esclamò atterrito il Winchester.
“E chi se no! La mia vita è andata a farsi fottere, e adesso anche lei deve pagare!”
“Ti prego no …” - lo pregò Katy in lacrime – “ … Io non volevo …”
Garry non le diede ascolto. Con un movimento della testa fece sollevare dal bancone sul quale stava appoggiato, un grosso coltello da cucina, e lo puntò addosso alla donna, che stava indietreggiando con le mani al petto, in un disperato gesto di protezione.
 
“Aspetta! Non farlo! Tu non lo vuoi veramente! Ascoltami! Si può sistemare tutto! Ma non è questa la soluzione!” intervenne Sam, che era ancora schiacciato contro il muro dal peso del mobile.
Gli occhi del giovane, da che erano velati dall’ira, in breve tempo si riempirono di lacrime:
“Non si può sistemare niente! Tu non capisci! Non ho più nessuno ormai!”
“Sì invece, c’è sempre una via d’uscita, ma questa non lo è!”
Sam credette per un attimo di avere toccato la sensibilità del ragazzo, ma la rabbia prese di nuovo sopravvento, facendogli dimenticare tutti i suoi buoni propositi – per quanti ne avesse avuti- .
 
Ma ad un tratto, proprio quando tutto stava per andare a finire in tragedia, la porta si spalancò. Sulla soglia un uomo anziano, con un berretto in testa e la barba incolta.
Si sentì del tutto impreparato a quello che vide, ma prontamente, reagì nella maniera che riteneva più logica, iniziando a recitare delle parole in un latino perfetto:
Exorcizamus te, omnis immundus spiritus
omnis satanica potestas, omnis incursio
infernalis adversarii, omnis legio,
omnis congregatio et secta diabolica...


Bobby si fermò di colpo … A quel punto un demone qualsiasi avrebbe già iniziato a essere estirpato dal proprio contenitore, ma in quel caso non successe niente. Nonostante ciò, Bobby decise di continuare: poteva essere un demone più potente di quelli che aveva esorcizzato fino a quel momento.

... Ergo draco maledicte
et omnis legio diabolica adjuramus te.
Cessa decipere humanas creaturas,
eisque aeternae Perditionis venenum propinare.
Vade, Satana, inventor et magister
omnis fallaciae, hostis humanae salutis.
Humiliare sub potenti manu dei,
contremisce et effuge, invocato a
nobis sancto et terribili nomine,
quem inferi tremunt.
Ab insidiis diaboli, libera nos, Domine.
Exorcizamus te, omnis immundus spiritus
omnis satanica potestas, omnis incursio
infernalis adversarii,omnis legio,
omnis congregatio et secta diabolica.
Ergo draco maledicte
et omnis legio diabolica
adjuramus te.
Cessa decipere humanas creaturas,
eisque aeternae Perditionis venenum propinare.
Ut Ecclesiam tuam secura tibi facias libertate servire
te rogamus, audi nos.

 
Tutti i presenti nella stanza, compreso Dean, che si era risvegliato in tempo per vedere il cacciatore intervenire, gli lanciarono occhiate perplesse.
D’altro canto, Bobby si guardò confuso, senza spiegarsi il perché del fallimento dell’esorcismo … C’era magari qualcosa che non andava? Forse non aveva pronunciato bene la formula?
Infatti il ragazzo era ancora lì, che lo guardava incolume, e il coltello era ancora sospeso nell’aria, pronto a colpire da un momento all’altro.
 
“Cosa sei tu!” esclamò poi attonito.
“Cosa vuoi dire!”
“Tu sei un demone! Perché la formula non ha funzionato?!”
“Di che cosa stai parlando, vecchio rimbambito!” 
 
Il cacciatore, in risposta, si gettò addosso a lui con un pugnale in mano, che a giudicare dalla lucentezza doveva essere in argento.
Il ragazzo lo bloccò con la forza dello sguardo, come se lo avesse trasformato in pietra.
 
“Bene, dov’ero arrivato?” continuò poi puntando lo sguardo verso quella che sarebbe stata la sua prossima vittima.
 
La donna indietreggiò ancora, fino ad accostarsi alla parete … Non aveva più scampo: presto un coltello infilzato nello stomaco avrebbe messo fine alle sue sofferenze.
 
Ma prima che Garry potesse fare la mossa finale, un espressione di dolore si dipinse sul suo volto.
 
Il sangue scuro fluì dalla sua bocca e andò a riversarsi sul pavimento in parquet, prima che le forze lo abbandonarono.
 
Dean era dietro di lui, con ancora il coltello a serramanico sporco di sangue in mano, incapace neanche di comprendere cosa avesse appena fatto … Aveva ucciso un uomo …
 
Si accasciò a terra incredulo sotto lo sguardo perplesso di tutti …
La sua anima era ormai macchiata di sangue.
 

 





NOTA AUTRICE:
Hey guys! Eccomi con il nuovo capitolo :D
Per prima cosa mi scuso per il terribile ritardo con il quale ho aggiornato, ma come avevo detto già a qualcuno di voi lettori è iniziata la scuola e sono stata davvero tanto occupata fra test d'ingresso e robe varie, quindi capitemi :3

Per farmi perdonare ho fatto il capitolo un po' più lungo del solito, anche se mi sembra sempre corto :(, ma avverto che d'ora in poi saranno sempre di questa lunghezza, se non più lunghi, perchè ho notato che erano troppo "ristretti"!
Ho inserito un po' d'azione che si vedrà molto spesso da questo momento in poi ... Che dire, quasta è una svolta! I due bros hanno incontrato Bobby, hanno avuto il loro primo vero rapporto con il soprannaturale e infine Dean ha ucciso per la prima volta un essere umano ...
Spero che sia uscito qualcosa di accettabile e alla prossima :)
Ringrazio tutti quelli che conitnuano a seguirmi, a recensire o anche solo a passare ... Bye bye :D





 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15: Some help ***




Capitolo 15: Some help

La sua anima si macchiò di rosso … Un segno indelebile, che lo avrebbe marchiato per sempre.
 
Il tonfo del coltello che cadeva sul pavimento gli parve assordante, tanto da risvegliare in un solo attimo tutti i suoi più profondi e cupi pensieri.
 
 
-
 
Se ne rendeva conto anche lui: non era mai stato il classico ragazzo tranquillo, composto, che cercava di evitare le discussioni o gli scontri, anzi, ci andava giù pesante. Aveva sempre avuto un caratteraccio, si alterava per un nulla, e la maggior parte delle volte passava alle mani; ma mai, MAI, aveva immaginato di uccidere un uomo un giorno. Scherzando aveva ipotizzato di poter arrivare a mandare delle persone all’ospedale, ma macchiarsi le mani di sangue … Questo era fuori discussione!
 
Ma ora tutto era cambiato … Tutto aveva assunto un colore completamente diverso … Ogni cosa era affogata nelle tenebre.
 
-
 
Ad ogni suo faticato respiro, la gola prendeva fuoco, quasi come se il suo corpo fosse diventato troppo dannato per ospitare l’ossigeno.
 
Chiuse e riaprì gli occhi ripetutamente, cercando di scacciare il buio che si stava dipingendosi sui suoi occhi … Cercò di restare lucido, vivo, cercò di farsi vedere forte, nonostante dentro avesse voluto cessare d’esistere in quel preciso istante.
 
Si portò una mano alla testa e indietreggiò da quello che ormai era il corpo senza vita di Garry …
Ma il suo sguardo si bloccò proprio su colui che aveva appena massacrato e per la prima volta lo guardò meglio …
Era giovane: sul suo viso ormai spento persistevano ancora i leggeri segni dell’infanzia. Sugli occhi castani ancora il segno delle lacrime piene d’ira che aveva versato poco prima, sulle sue labbra il rossore della gioventù stava lasciando spazio al viola pallido della morte.
 
Maledizione! Quel ragazzo poteva avere l’età di suo fratello!
 
Dean cadde in ginocchio: realizzò solo in quel momento che al posto di Garry poteva benissimo esserci Sammy, magari con un colpo di pistola in testa, come avrebbe già potuto capitare in precedenza.
Flash di Sam ridotto in quello stato non fecero altro che peggiorare la situazione, mentre tutto attorno a lui gli parve assumere sembianze informi.
 
Le voci dei presenti parevano lontane e la paura del presente lo fece rifugiare nell’unico luogo che per molte volte aveva ritenuto sicuro: la sua mente. Tuttavia, quella che stupidamente aveva ritenuto amica, ora pareva il suo peggior incubo, come se non l’avesse già constato tempo addietro.
 
Ma ad un tratto, una mano forte e decisa che lo prendeva per il braccio e lo aiutava a rialzarsi lo svegliò da quello stato di semi-incoscienza nel quale era stato trascinato.
 
***
 
Ora Sam era davanti a lui, vivo e i suoi occhi, anche se pieni di preoccupazione, tranquillizzarono il fratello, poiché c’era la luce della vita in essi.
Riguardò Garry ancora disteso sul pavimento, ma la cosa, anche se estremamente dolorosa per lui, da un lato gli diede sollievo …
 
“Dean, ti senti bene?” la calda voce del suo fratellino gli diede conforto, anche se la domanda era estremamente stupida.
Cavolo! Come poteva Dean stare bene! Aveva ucciso una persona, sì, un assassino con i super poteri, ma pur sempre un ragazzo!
 Avrebbe voluto urlarlo, gridare al mondo come si sentisse in quel momento, dare sfogo a tutto il suo dolore, per poi sentirsi minimamente più leggero, ma invece non lo fece:
“Sì … Non ti preoccupare … Sto bene” gli rispose con voce atona.
 
Spostò lo sguardo da quello di suo fratello e si guardò meglio attorno: solo ora poté notare che la donna che lui aveva salvato era in lacrime …
 
Katy si precipitò verso colui che era il suo salvatore, il suo eroe, anche se a Dean pareva di essere tutto l’opposto.
 
Lo guardò negli occhi verde cristallino e senza dire nulla lo strinse in una morsa piena di gratitudine.
Certo, era addolorata per la fine che aveva fatto il suo figliastro, ma sapere che era stato proprio lui ad uccidere l’amore della sua vita e ad aver cercato di porre fine anche alla sua, le faceva provare un profondo risentimento.
Dean rimase immobile, incapace di ricambiare quell’abbraccio poiché semplicemente non poteva.
 
“G- Grazie” sussurrò all’orecchio del Winchester con la voce stroncata dal pianto.
 
Dean sospirò, cercando di buttare fuori tutti i sensi di colpa che lo tormentavano, e di aggrapparsi disperatamente al pensiero di aver fatto la cosa giusta, ma la visione di quel ragazzo che giaceva senza vita lo fece ricredere.
 
La donna, un po’ risentita, si staccò da lui, per poi dirigersi verso l’anziano dal burbero aspetto che stava esaminando con attenzione il coltello con il quale Dean aveva pugnalato Garry.
 
“Non è argento …” borbottò quasi impercettibilmente il cacciatore, prima di rendersi conto che gli occhi dell’attraente donna avevano spostato l’attenzione su di lui.
“Sbaglio o lei non è un vero agente dell’FBI?” chiese poi Katy con lo sguardo di chi sa già la risposta.
“Diciamo di no …”
 
Katy annuì deglutendo.
“Cos’è successo …” chiese cauta.
“Mi sembra strano dirlo … Ma non lo so!” sentenziò Bobby. “Cosa dirà alla polizia?” chiese poi in tono apparentemente calmo.
“La verità?! Tralasciando i particolari ovviamente …”
“No no no no!… Se vuole dire la verità mi escluda da questa storia! La polizia non deve sapere di me capito?” L’autocontrollo scivolò via come l’olio.
La donna sussultò:
“Chi sei per caso? Un ricercato? Un fuggitivo?”
“Eh? No! E’ solo che non voglio immischiarmi in faccende giudiziarie …” cercò di tranquillizzarla.
 
Chiuse gli occhi e si appoggiò alla parete. Le troppe domande senza risposta che si accatastavano nella sua testa e il trauma di quella sera le stavano facendo perdere le forze:
“Cos’erano quelle parole in latino che avevi recitato prima? E poi … Se non sbaglio hai detto che Garry era un demone?! Scusa ma tutta sta faccenda mi sembra così inconcepibile! Sto iniziando a chiedermi se sono io che sto delirando o è tutto il resto che va in fumo!”
 
Bobby sospirò: era sempre difficile spiegare alle persone normali ciò che accadeva nel suo mondo, cose che per lui erano quotidianità ma che per gli altri erano solo leggenda.
“Credevo fosse posseduto, da un demone.” Tagliò corto senza esitare. Non era il tipo da lunghi discorsi.
La donna lo guardò basita. Allora è tutto il resto che non va! Pensò fra sé con un sorriso isterico che le vestiva il volto.
Bobby, abituato a quel genere di reazioni, si affrettò ad intervenire:
“Se no come spiegherebbe tutto ciò? Lo so che è difficile, ma mi dispiace, a volte le cose più assurde sono le più reali!”
 
Ma prima che Ms. Chapman poté controbattere, Sam l’interruppe schiarendosi la voce:
“Credo che sia meglio chiamare la polizia … Vi ricordo che … Ehm … Qui abbiamo un cadavere …” disse cauto, cercando di non turbare i sentimenti della donna.
Lei annuì, e andò subito a prendere il telefono.
 
Bobby si diresse verso l'uscio:
“Sarà meglio che vada!” disse a mo’ di saluto, ma prima che potesse aprire la porta, Sam lo fermò per un braccio:
“Ho bisogno del suo aiuto!”

 





NOTA AUTRICE:
Eccomi qui, finalmente dopo tanto tempo! 
Sono aperta agli insulti ... Perchè me ne rendo conto anche io che questa volta sono stata davvero in ritardo con la pubblicacione di questo capitolo, e non sono ammesse le mie giustificazioni, tipo: "mancano pochissimi giorni alla premiere della season 9 e sto andando in sclero (anche se è vero)" o se no "La scuola mi sta rubando troppo tempo", perchè credo di avere delle responsabilità in quanto autrice, e i madornali ritardi non sono accettati, da me in primis, soprattutto se i miei capitoli non sono il massimo della lunghezza e della grandiosità.
Cosa dire?! Continuo a ringraziare in ginocchio tutti coloro che seguono la mia storia, che la leggono, passano e che esprimono il loro prezioso parere recensendo (anche quelle negative sono ben accettate), e grazie ai quali cerco di migliorarmi :)


Spero che ne sia uscito qualcosa di decente, quindi fatemi sapere ... Baci, Rachel :*






 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16: A new world ***




Capitolo 16: A new world

West Ridge, Chicago, Illinois
 
Il rumore dei tacchi a spillo dei costosi stivali nero carbone veniva amplificato dall’incredibile silenzio di quel tratto semideserto di città.
I suoi sensuali capelli neri ondeggiavano ad ogni suo passo, dandole un aspetto ancora più aggressivo. Avanzava decisa, come se avesse dovuto recarsi ad un appuntamento importante.
Gli occhi, che di natura erano grandi e luminosi, ridotti a due piccole fessure: era ben chiaro che qualcosa le era andato storto, qualcosa di molto importante.
 
Si fermò di fronte ad una bassa palazzina, per poi concentrare la sua attenzione su una finestra in particolare: la luce ancora accesa, nonostante fossero state quasi le tre di mattina.
 
La figura slanciata della donna dai capelli neri e dallo sguardo gelido si diresse verso il portone dell’edificio:
aveva un lavoro da eseguire.
 
***
 
Rand Manor Motel
 
Sopra le loro teste, pendeva una lampadina impolverata, che con la sua flebile luce illuminava il minimo indispensabile per non lasciare l’ambiente nella penombra.
Il vecchio cacciatore picchiettava a tempo sul tavolo in formica, alternando occhiate dal primo al secondo dei due ragazzi seduti di fronte a lui.
“Allora, perché avete chiesto il mio aiuto?” domandò loro mettendosi a braccia conserte.
“Prima ha detto di essere un cacciatore del … Soprannaturale? Giusto?” spiegò il più alto dei due con una forte nota di imbarazzo nella voce.
Bobby annuì.
“Bene, quindi aiuta le persone a …”
“Sì, ma prima dimmi per cosa avete bisogno d’aiuto …” lo interruppe l’anziano con tono d’incoraggiamento.
 
Sam lanciò un sospiro cercando di buttare fuori tutta la tensione che si era accumulata in lui, ma suo fratello che continuava a fissarlo con sguardo inquieto di certo non aiutava.
Prese poi un profondo respiro e cercò di rilassare ogni singolo muscolo del suo corpo:
“Ho dei sogni … Visioni di morte, e a volte … A volte si avverano …”
“Visioni?”
“Sì. Ho anche visto morire quella donna ... Per questo ero venuto qui, per evitare che accadesse. ”
“Quindi premunizioni!?”
“Credo di sì … Ma c’è anche dell’altro …”
“Cosa?!” intervenne in tono duro Dean, che per tutto il tempo era rimasto in silenzio ad ascoltare.
“ … Quello che tu ti sei rifiutato di credere …”
 
 
***
 
La stanza del piccolo appartamento era immersa nella quasi totale oscurità, solo la luce della luna piena rischiarava le tenebre.
Legata a una sedia lei, quella che era sfuggita alla morte, ma che presto avrebbe rincontrato il suo destino.
Il suo viso era ricoperto da escoriazioni e lividi, le sue braccia presentavano tagli profondi, dai quali fuoriusciva un’immensa quantità di sangue.
 
La donna dai capelli neri teneva un coltello insanguinato tra le mani:
“Ora dimmi dove sono Sam e Dean Winchester!” - le ordinò a denti stretti sfiorandole le braccia con la lama del coltello – “O vuoi un’altra bella dose di coccole?!”
“Ti prego! Non lo so! Te lo giuro!” - supplicò Katy fra le lacrime -“Mi hanno salvata, poi hanno risposto alle domande della polizia e se ne sono andati! Ma non so dove siano! Ti prego! Lasciami andare!”
“Ne sei proprio sicura?” le sussurrò all’orecchio la sua aguzzina.
“Aspetta … Hanno chiesto aiuto a un vecchio … che però non ha detto il suo nome … Se n’era andato prima dell’arrivo della polizia!”
“Bene.  Descrivimelo!”
 
 
***
 
 
“Quindi i suoi occhi erano completamente neri … E dopo ha sputato fumo nero …” rifletté ad alta voce il cacciatore.
“Sì …”
“Allora era un demone!”
“Ovvio, era un demone, Sam! Cosa ti aspettavi?!” s’intromise in tono beffeggiatore Dean, stanco di tutta quell’assurda storia.
“DEAN!”
“No Sam! Ne ho abbastanza! A parer mio state tutti impazzendo!” gli urlò contro alzandosi in piedi.
“Dean! L’hai visto anche tu cosa poteva fare quel ragazzo! L’hai visto anche tu cosa è successo in quell’appartamento!” controbatté il minore dei Winchester allargando le braccia.
Dean esplose, in un solo attimo tirò fuori tutto quello che si teneva dentro, e la maschera che portava in viso finalmente si sgretolò in mille pezzi.
“Sì! Ma si da il caso che per sta storia ho anche ucciso un uomo!”
Sam abbassò lo sguardo:
“Dean! Era un assassino …” gli rispose.
“E perché! Adesso io cosa sono!?”
“Ragazzo! Se tu non avessi fatto quello, a quest’ora quella povera donna sarebbe morta! Cos’avresti     preferito, eh?!
La devi smettere di darti la colpa, perché non c’era altro modo!” sbottò l’anziano cacciatore sbattendo i pugni sul tavolo.
“Ma allora perché mi sento uno schifo?!” chiese il biondo con voce affranta.
“Vedrai che passerà … Se bastasse solo questo a distruggere un uomo …”
Gli occhi di Bobby incontrarono il vuoto, lo sguardo malinconico, a rammentare ciò che aveva sempre desiderato, che aveva posseduto, ma che gli era stato sottratto, e da una parte anche per colpa sua .
 
Il seguito fu solo silenzio.
Non servirono parole, sguardi … Sam e Dean capirono cosa stava provando l’uomo di fronte a loro, quindi si limitarono a non dire niente.
 
“Allora … Dov’eravamo rimasti?” chiese poi il cacciatore cercando di non fare notare ai ragazzi che i suoi occhi erano diventati lucidi.
“Ah … Ecco … Alla cosa del … Emh ... Di cosa era accaduto al mio amico.”
“Ah, sì!”
 
“Quindi quello … Quello non era Jonson?” sussurrò Sam con un barlume di speranza nei suoi occhi.
“No, il tuo amico era stato posseduto. Da un demone …”
 
La perplessità dei due Winchester, che si scambiavano occhiate sbigottite, fece ripiombare il monolocale nel silenzio.
Solo l’intervento, dopo qualche minuto, di Sam, sbloccò la situazione.
 
“Cosa intendeva quel … Quel demone. Insomma … Ha farfugliato cose come che io li libererò tutti … E che mi proteggeva sin dalla nascita?! Hai idea di che cosa volesse intendere?”
A Bobby gli si gelò il sangue. Non sapeva cosa quelle parole potessero significare, ma non avevano di certo un aspetto incoraggiante.
“No …” – si limitò a dire per non spaventare quei due ragazzi più di quanto non lo fossero già stati – “ Sentite … Io vi aiuterò in questa faccenda. Ma qui non ho abbastanza materiale per scoprire qualcosa. A casa mia, in South Dakota, potrei esservi più utile.”
“E noi? Cosa facciamo?” chiese curioso Dean.
“Voi? Venite con me!”
 
Bobby aveva preso una decisione, quella che avrebbe stravolto la sua vita. La decisione che lo avrebbe unito ai Winchester più di quanto potesse immaginare.
Era deciso ad aiutarli, aveva capito che ciò che stava accadendo a quei due poveri ragazzi non era cosa da poco, e non poteva permettere che capitasse loro qualcosa di male … In fondo il suo lavoro era quello:
salvare chi è in pericolo e combattere il male; era una cosa che accomunava tutti i cacciatori, in qualsiasi parte del mondo.
C’era chi lo faceva per vendetta, chi perché era la tradizione di famiglia, o semplicemente perché si era imbattuto in quella strada, ma tutti condividevano gli stessi ideali, compreso Bobby.
 
 
I due fratelli uscirono dal motel e s’incamminarono verso l’auto di Dean, ma, prima che salissero a bordo, il maggiore fermò Sam:
“Senti … Mi dispiace di non averti creduto, scusami …” gli disse un po’ imbarazzato.
Dean, a differenza di suo fratello, non era il tipo che esponeva i suoi sentimenti, era proprio negato, e quando si trovava in quelle circostanze si sentiva proprio a disagio. Ma questo Sam ancora non lo sapeva.
“Dean, non ti devi scusare … Molto probabilmente anche io avrei reagito in quel modo …”
“Okay …” rispose Dean aprendo la portiera e sedendosi in auto: voleva che quella conversazione finisse al più presto.
“Senti Dean” – lo fermò Sam, ancora appoggiato al tettuccio della macchina– “ … Non ti devi sentire in colpa per quello che hai fatto … Senza di te saremmo morti tutti … Ricorda che –“ …
“Ehi ehi ehi! Fermati Sam! Non sarai il tipo da discorsi a cuore aperto eh?” lo interruppe Dean.
“Ehm … Io …” si scusò Sam, il volto che iniziava a prendergli fuoco, non ancora del tutto abituato al comportamento di Dean anche nelle questioni più delicate come quella.
“Io non sono il tipo … quindi niente più cose da femminuccia, okay?”
A quella reazione, Sam salì in macchina e si lasciò scappare un: “Idiota …” al quale Dean rispose con un secco "Puttana!"
I due si misero in strada a seguito dell’auto del vecchio cacciatore, con le sfumature dell’aurora che cominciavano a dipingere il cielo notturno.
Ora avevano una meta, ora avevano uno scopo, ora la caccia stava per cominciare.








 


Hello boys (tanto per citare Crowley)
Rieccomi qui, con il nuovo capitolo! 
Che dire, Sam e Dean partono in sella con Bobby, il che vuol dire che si avvicineranno ancora di più al mondo della caccia xD
Ma intanto c'è qualcuno che sta cercando il nostro moose (chissà chi :P )
Ringrazio ancora di cuore tutti coloro che mi seguono, recensiscono, inseriscono la storia tra le preferite, seguite, ricordate, ecc xD 
PS: Sono aperta ad ogni genere di recensioni, e accetto ben volentieri quelle negative e neutre, grazie alle quali posso migliorare (e credetemi se dico che ne ho tanto bisogno)

Bè, adesso mi dileguo *sclera per la 9x02 ... Amazing*





See you later guys!! <3

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Capitolo 18
*** Capitolo 17: Evil replaces the pain ***


 

Capitolo 17: Evil replaces the pain

Sioux Falls, South Dakota
 
Due lattine di birra vuote sormontavano un tronco d’albero falciato a 5 metri da lui, perdendosi fra lo spento metallo delle vecchie carcasse di macchine nel deposito auto di Bobby .  
Un solo obbiettivo: colpirle.
Sam tolse la sicura alla pistola, inserì il caricatore, prese la mira e premette il grilletto, quasi con una sicurezza  da professionista …
… Due colpi. Il primo, susseguito subito dal secondo, che, rispettivamente, fecero schizzare via dalla loro postazione i due obbiettivi.
Bobby lo raggiunse con in viso una smorfia di stupore:
“Accidenti ragazzo! Dove hai imparato così bene?”
“Emh … Ho avuto modo di fare un po’ di pratica …” rispose il giovane con aria sfuggevole.
Bobby non volle andare più a fondo, d’altronde quelli non erano affari suoi .
“Tocca a te!” disse poi porgendo la pistola a Dean.
“Scusami … Ma perché stiamo facendo sto addestramento stile militare?” gli chiese il ragazzo con il suo solito fare ostile.
“Mi stai prendendo in giro? Da cosa mi ha raccontato tuo fratello siete coinvolti in un gran casino! Dovete almeno imparare a difendervi! Non vorrai mica rimetterci la pelle!”
Dean, a quelle parole, lo guardò con aria saccente:
“E chi ti dice che non sappia difendermi!”
Bobby si lasciò scappare una risatina:
“Qui non basta sapere dare qualche cazzotto a vuoto! Ma che ne so … Magari sei come tuo fratello … Potrebbe essere una dote di famiglia!”
Dean sorrise maliziosamente:
“Dammi quella pistola!”
Poi porse l’attenzione su altre due lattine, questa volta posizionate su un muretto in mattoni .
Impugnò l’arma, tolse la sicura, inserì il caricatore,  cercò di prendere la mira sul suo obbiettivo e dopo qualche esitazione, si decise a premere il grilletto.

Inutile dire che il proiettile mancò del tutto il bersaglio, andando anzi a perforare la carrozzeria di una delle auto depositate lì.
Dean strinse i denti preoccupato:
“Emh … Mi dispiace … Io non volevo …”
“Mi sa che avremo un bel po’ di lavoro da fare” ironizzò invece il cacciatore dandogli una pacca sulla spalla.
  
 
***
 
 
Lincoln, 10 km più a sud di Sioux Falls, South Dakota
 
Un vecchio furgoncino grigio si fermò ad un area di servizio sperduta in mezzo ai campi innevati del South Dakota.
La donna dai capelli neri come la pece scese dal mezzo.
Questa volta, il suo abbigliamento era da considerarsi più normale di quello precedente, che  era stata costretta a buttare per via del sangue che si era impregnato nel tessuto.
Indossava stivaletti corti in pelle marrone, guarniti di borchie all’altezza del tallone; le lunghe gambe slanciate venivano coperte da leggings a strisce bianche e nere, il tutto accompagnato da una lunga maglia nera di lana che fungeva da mini abito.
Si sistemò un po’ i capelli guardandosi  dallo specchietto retrovisore e si diresse a passo deciso verso il minimarket.
Quando fu dentro, con fare suadente, sfoggiò un grande sorriso verso il negoziante.
“Salve! Conosce un certo Robert Singer?”
L’uomo, visibilmente non abituato a parlare con una donna così avvenente, si perse nel movimento delle sue labbra rosse come delicati petali di rosa imbevuti nel sangue.
 
“Scusa … Mi stai ascoltando?!” la donna, con voce seccata ma pur sempre adulatoria, lo riportò sul pianeta Terra.
“Uh … Emh … Scusi … Emh … Sì, qualche volta è di passaggio da qui …”
“Mmh …” la donna annuì. “Lui è mio zio, e oggi dovevo andare a pranzo da lui … Ma sai … Io non sono di queste parti … E in più il mio furgoncino là fuori è morto. Mi potresti dare una mano?” chiese poi sistemandosi la generosa scollatura della maglietta.
Il giovane, paonazzo in volto, iniziò a sorridere in modo isterico, mordendo sempre più freneticamente la penna che teneva in mano, e sistemandosi di tanto in tanto gli occhiali da vista che portava sul naso.
“Certamente! … Ma non so se potrò esserle di grande aiuto … Emh io -” le rispose poi impacciato.
“Lei lo zittì mettendogli un dito di fronte alla bocca:
“Ssht … non ti agitare cucciolo!” – poi gli porse una banconota da cinque dollari – “Nel frattempo, ce l’hai un pacco di sigarette?” gli sorrise.
 
 
***
 
“Bé dai, stai migliorando! Ancora un po’ di pratica e superi tuo fratello” Bobby si rivolse a Dean mentre -insieme a Sam- si dirigevano dentro casa sua per prendere una birra.
“Sai?! Sei proprio una schiappa Dean!” lo beffeggiò tra una risata e l’altra il minore, dandogli una pacca sulla schiena.
“Tranquillo che fra un po’ ti faccio mangiale la polvere, saputello!” gli rispose di rimando il maggiore.
“Sì sì, come no!”
 
Un minuto dopo furono davanti  alla porta di casa Singer.
Appena il proprietario l’aprì, un’ondata di odore di polvere e cultura, misto insieme a quello acre dell’alcol, investì i due fratelli.
Dean, che fra i due era sicuramente quello con le narici più raffinate, quasi dovette reggersi a Sam per non cadere a terra svenuto.  Sì certo, alla puzza di fumo e alcol d’altronde era abituato, visto tutti i pub che frequentava, ma quegli odori tutti messi insieme gli facevano venire la nausea, per non parlare della puzza di muffa e legno marcio che arrivò dopo!
D’altro canto a Sam quell’odore, sfortunatamente, parve familiare. Sulla sua mente riaffiorarono i ricordi della sua infanzia, di notti passate al freddo in una minuscola camera del suo orfanotrofio, passate a piangere dal dolore per la solitudine e per i continui maltrattamenti subiti, così che il suo stato d’animo ripiombò di nuovo nella penombra. Ma ora aveva suo fratello giusto? Ora aveva una famiglia, tutto il resto era solo passato, ed era questa la cosa più importante per lui!
Ma anche se chiudendo gli occhi e respirando avrebbe scommesso di essere ritornato bambino, c’era qualcosa di diverso nell’aria. Qualcosa di inafferrabile ma pur sempre tangibile:
nonostante il disordine e la polvere che come uno strato di neve ricopriva ogni cosa, si avrebbe potuto ancora immaginare una donna in grembiule da cucina a fiori sfornare una crostata fumante, sorridente come solo le donne spensierate possono essere.
Sam fece qualche passo in più all’interno della casa …
… Il legno del pavimento scricchiolava sotto il suo peso. Si guardò meglio intorno e per un attimo gli parve di trovarsi in una vecchia libreria: in ogni posto su dove posava lo sguardo c’erano vecchi libri slabbrati, antichi manoscritti, tomi impolverati …
“Ti piace leggere?” chiese poi ironico al cacciatore.
“Diciamo che anche questo fa parte del lavoro. Comunque qui c’è tutto ciò che ci serve per capire che vi sta succedendo, pezzi unici. Spero solo che amiate passare tanto tempo sui libri!”
“Ci mancava solo questa …” sospirò contrariato Dean.
“Ragazzo, più siamo e prima risolveremo questa faccenda. Poi ve ne ritornerete alle vostre normali e comode vite e penserete a questo solo come un brutto e lontano ricordo!” rispose prendendo le birre fredde dal frigorifero.
“ Comunque adesso continuiamo a far fare un altro po’ di pratica a tuo fratello, Sam” disse poi rivolgendosi al minore dei Winchester.
 
 
***
 
Jody era in macchina, diretta come ogni mattina alla stazione di polizia di Sioux Falls, dove avrebbe cercato di concentrarsi solo sul lavoro: niente distrazioni, niente pensieri … Ma non era mai facile lasciare al buio tutto quel dolore, soprattutto se era così prematuro, anzi, ogni cosa che sfiorava, della quale parlava, sentiva, o semplicemente vedeva, gli ricordava lui. Non c’era momento nel quale non ci pensasse, anche quando chiudeva gli occhi vedeva la sua immagine.
Sola, con un bambino di pochi mesi da allevare; lasciata sola dal mondo, lo stesso che gli aveva portato via suo marito e strappato con forza brutale la felicità.
Aveva salvato tante persone, eppure era stata incapace di proteggere la persona a lei più cara …
L’immagine fissa di suo marito disteso a terra con la testa mozzata gli tormentava i pensieri, e il rimorso per non essere riuscita a impedirlo la divorava dentro.
Erano riusciti a prendere quel bastardo, quello che gli aveva tolto tutto –un vagabondo con un arsenale di armi e formule sataniche nel portabagagli della macchina, con dei precedenti sparsi per tutti gli USA e persino  indagato per profanazione di tombe, probabilmente un folle- , ma niente poteva portare indietro il suo Owen.
 
Il sole si ergeva già alto nel cielo, ma il paesaggio che attraversava sembrava glaciale. L’osservò e sorrise amareggiata: quanto le sarebbe piaciuto assomigliargli. Fredda, insensibile, incapace di provare dolore … Ma non era così.
Era sempre stata una dal cuore d’oro, forse anche troppo buona, e questo non poteva cambiare.
 
Finalmente arrivò al distretto, già popolato dai primi agenti, che al suo arrivo la salutarono con un cenno del capo.  Le pareva strano sentirsi chiamare sceriffo- erano tanti anni che lavorava lì, ma solo ultimamente, con la morte di Mr Ferdon, suo predecessore, era stata nominata sceriffo-, quindi aveva pregato tutti di trattarla come una loro pari.
Si sedette alla scrivania del suo ufficio, passò delicatamente una mano su una foto che ritraeva lei, suo marito e suo figlio, e si strinse le braccia al petto in un gesto pieno di malinconia, mentre i suoi occhi si riempivano di dolore.
All’improvviso qualcuno che bussò alla porta la fece distogliere dai suoi pensieri.
La donna dai capelli neri entrò con aria sicura, sfoggiando lo splendido sorriso che quel corpo le donava.
“Salve, posso esserti d’aiuto?” le chiese lo sceriffo Mills andandole incontro, sorpresa dal comportamento sfrontato della ragazza.
“Mi servono solo alcune informazioni …” disse lei. Il suo splendido sorriso assunse un’ombra di malvagità, rendendo quel viso così angelico talmente inquietante da sembrare l’incarnazione del male sulla Terra.
All’improvviso dalla sua bocca fuoriuscì una colonna di fumo nero che fece cadere nel buio l’intera stanza.
Jody cadde a terra, terrorizzata e incredula …
Istintivamente afferrò la pistola che teneva nel cinturone della divisa, ma tutto le fu inutile quando i suoi occhi caddero nelle tenebre.






 

Hola mishamigos!
Ecco ritornata con un nuovo capitolo!!! ... (dopo ben un mese di completa inattività, sorry guys x.x)
Spero che continuate a seguire la mia ff, nonostante i miei aggiornamenti un po' altanelanti, la trama non tanto interessante e gli orrori errori che sicuramente troverete ...
Continuo a ringraziare chi recensisce, legge, segue o semplicemente passa anche soltanto per dare un'occhiata ... Ringrazio anche chi vorrebbe strozzarmi per i miei continui ritardi ma si trattiene, e chi mi paga l'iscrizione alla palestra (?) 
Anyway ... Il capitolo è leggermente un po' più lunghetto dei miei soliti striminziti (anche se mi sembrano tutti così dannatamente corti!!) e se lo troverete un po' noioso è perchè l'ho scritto a scuola durante interminabili momenti di noia ...
Mi chiedo sempre come facciate a continuare a seguirmi, siete le persone più pazienti del mondo, so I give you lots of kisses!!! Al prossimo capitoli belli! <3
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18: Never try to forget ***






Capitolo 18: Never try to forget

“Back in black
I hit the sack
I’ve been too long I’m glad to be back
Yes, I’m let loose
From the noose
That’s kept me hangining about
I’v been looking at the sky
‘cause it’s gettin’ me high-“
 
“Aaaahh! Adoro questa canzone! Proprio quello che ci vuole dopo una vittoria! Eh, Sammy, cosa ti avevo detto?” chiese Dean appoggiando la birra sul bancone del locale con aria soddisfatta.
“Solo fortuna … E poi ti ci sono voluti tre giorni per imparare!” gli rispose il fratello sbuffando.
“E’ amaro il sapore della sconfitta, vero? Dieci lattine prese di fila, contro le tue nove!”
Sam si passò la mano fra i capelli: “Sta zitto!” sogghignò.
“Mi meriterei un applauso!” continuò a tormentarlo Dean facendo cenno a Freddy di portargli altre due birre.
“Sì, come no … Ad ogni modo, guarda qui” Sam andò per mostrargli un articolo di giornale: riguardava la situazione meteorologica del South Dakota.
“Temporali  ad aprile … Niente di strano Sammy …”
“Sì, ma leggi l’articolo” ribadì lui indicando una riga in particolare. “Fino al giorno prima che arrivassimo noi si prospettavano temperature di molto al di sopra della media stagionale,  mentre dopo il nostro arrivo, il clima si è stravolto. Li hai sentiti anche tu i temporali! Non erano cose da tutti i giorni.” –Sam tirò fuori dalla sua agenda in pelle un giornale piegato in quattro parti, che aprì e stese sul bancone-“E lo stesso è accaduto anche a Chicago, ma dopo essercene andati.”
“Ecco, questo rientra nello strano …” affermò Dean con sguardo preoccupato. Poi abbassò gli occhi sull’agenda in pelle piena di appunti presi dal fratello, frutto di ore di studio sui libri dell’estesa collezione di Bobby. “Vedo che ti sei organizzato piuttosto bene! Notevole per uno che ha studiato solo fino ai 14 anni!”.
Sam roteò gli occhi un po’ irritato:
“Guarda che dopo essere scappato dall’orfanotrofio ho continuato a studiare per conto mio! Ho sempre adorato studiare …” – poi abbassò lo sguardo fino a guardare le scarpe Puma color marrone che portava ai piedi- “Ho sempre sognato di andare al college, e diventare avvocato …” – Ora i suoi occhi puntavano il vuoto.
Per non permettere alle lacrime di uscire Sam si dovette attaccare alla bottiglia di birra.
Dean ora lo guardava immobile. Poteva percepire il dolore di suo fratello a fior di pelle. Quasi volle staccarlo dalla bottiglia, ma si trattenne. Si limitò a guardarlo, quasi con le lacrime agli occhi. Si sentiva così in colpa nel vedere il suo Sammy  così abbattuto.
 
Quando i due fratelli Winchester ritornarono a casa, Bobby dormiva sul divano, e le lancette dell’orologio della cucina segnavano le due del mattino.
Dean prese l’iniziativa di far dormire suo fratello in camera di Bobby, al piano di sopra, restio a svegliare il vecchio dal suo sonno profondo solo per dirgli di sloggiare dal divano … E poi Sam sarebbe stato anche più comodo su un letto.
Con quel minimo di lucidità che serviva per salire le scale di casa Singer, Sam arrivò finalmente nella camera del cacciatore. Si sedette a bordo letto.
“Dean …” – si rivolse a suo fratello con voce alterata dall’alcol, che lo rendevano ancora più buffo di quanto non lo fosse già stato a causa dei capelli spettinati- “Ti voglio bene”.
Nonostante Sam fosse ubriaco e con la stazza di un giocatore da football, Dean, al suono di quelle parole, vide ancora un bambino, forse cresciuto troppo in fretta.
Non poteva cambiare il passato. Ciò che era stato era fatto. Ora doveva concentrarsi sul presente. Dare a Sam tutto ciò che negli anni precedenti era mancato. Dargli l’amore di un fratello, il calore di una famiglia, la  sicurezza di una casa …
 
… Sam si stava quasi per addormentare da seduto, ancora con le scarpe ai piedi e il giubbotto.
Come un padre si prende cura del proprio figlio, Dean si avvicinò a lui. Non ebbe neanche il tempo di rendersi conto di ciò che stava facendo: automaticamente Dean tolse le scarpe al bruno, gli sfilò il giubbotto e gli rimboccò le coperte.
Ora Sam era sdraiato su un lato, rivolto verso suo fratello. I suoi occhi erano chiusi e la sua bocca era incurvata in un sorriso abbozzato. Il suo viso era ancora quello di un ragazzino, e quell’aria spensierata donatagli dal sonno lo rendeva ancora più indifeso di quanto a Dean non sembrasse già.
Il biondo ammiccò un sorriso. A distanza di anni, ciò che vedeva in suo fratello era ancora quel bambino di qualche mese nella culla della sua cameretta, a Lawrence.
 
Uscì dalla stanza senza smettere di guardarlo, spense la luce, e prima di chiudere la porta sussurrò:
“Buonanotte Sammy …”
Una volta fuori si appoggiò ad essa con gli occhi rivolti al cielo. Voleva riagganciare il rapporto con suo fratello al più presto, ma la verità  era che non sapeva neanche da dove cominciare. Non conosceva i suoi gusti, neanche il suo colore preferito. Perché non c’era niente lasciato a metà. Bisognava partire da zero.
Ciò di cui si ricordava di Sam era solo un bebè spara puzzette con la pappa alla bocca. Ma ora Sam era adulto, era cresciuto, e durante quel processo Dean non c’era stato, era stato del tutto assente. Intento a crescere come un nobile nel suo lussuoso appartamento ad Omaha, mentre suo fratello, a poca distanza da lui si faceva il culo per tirare avanti.
 
Lanciò un sospiro e scese le scale.
 Il peso del sonno si faceva sempre più pesante, ma Dean non poteva perdere più altro tempo.
Sicuramente alle loro spalle stava succedendo qualcosa di grosso. Qualcosa con il quale non si erano mai fronteggiati prima d’allora, e che non avrebbero mai immaginato.
Di certo Dean non si sarebbe mai aspettato di passare così il tempo con suo fratello, ma almeno l’aveva trovato. Erano stati catapultati tutto ad un tratto in una realtà a loro sconosciuta, senza neanche avere il tempo di metabolizzare la situazione.
Ad ogni modo Dean voleva chiudere quella maledetta faccenda. Anche se sarebbero serviti mesi, o persino anni, un giorno si sarebbero lasciati tutto alle spalle, e si sarebbero concentrati solo sull’essere fratelli.
Ma le parole di Bobby non sembravano molto rassicuranti:
“Quando inizi questa vita non riesci più a tirarti indietro. Ci saranno sempre cose che ti ributteranno dentro. E’ come un circolo vizioso, uscirne è impossibile.” Alle facce angustiate dei fratelli, Bobby li rassicurò. “Ma voi siete venuti da me solo per USCIRE FUORI da questa faccenda. E m’impegnerò affinché sia così. Voi siete giovani, e sicuramente avete tante opportunità per fare carriera e crearvi una famiglia, non è colpa vostra se siete stati tirati dentro a questa brutta storia”
Ma l’espressione di Bobby non era sfuggita al maggiore dei Winchester. Il cacciatore sapeva che c’era in atto qualcosa di troppo grosso per permettere ai due fratelli di chiudere quel capitolo per sempre.
Dean si stropicciò il viso con le mani e si mise al computer.
 
 
Dean era già sveglio. Sam scese le scale barcollando, cercando di ricordare come mai si era ritrovato nel letto di Bobby.
Al suono dei suoi passi, il fratello e Bobby chiesero in contemporanea in tono ironico:
“Dormito bene principessa?”
Sam si strofinò gli occhi e sbuffò al suo solito modo, chiedendo poi come mai ci fosse così tanto movimento da parte loro. Brocche di acqua santa erano disposte sul tavolo, cartucce caricate a sale, fucili, pistole con proiettili in argento e una serie di foglietti con esorcismi e simboli esoterici per ogni evenienza.
“Si va a caccia!” rispose Bobby intento a caricare i fucili.
“Stai scherzando?!”
“Quando avresti creduto di iniziare? Il prossimo anno?! Sam, quei dannati demoni, se centrano solo loro, vi stanno alle calcagna, e la prima cosa che vogliono è trovarvi impreparati. Sicuramente ci staranno già spiando da giorni, non possiamo fare finta di niente!”
“Bobby ha ragione!” –intervenne il fratello riempiendo di sale altre cartucce- “Dobbiamo essere pronti per ogni attacco!”
“Ho adocchiato un caso in Kansas, precisamente a Lawrence … Poltergeist probabilmente”
Dean spalancò gli occhi. Sam rimase immobile.
Sam lanciò a Dean uno sguardo interrogativo. Era un doppio gioco per fargli conoscere i luoghi della sua breve infanzia, o era solo una semplice coincidenza, una cosa che neanche Dean si aspettava?
Dallo sguardo raccapricciato di Dean, Sam capì che sicuramente era il secondo caso; per lui infatti non sarebbe stato tanto semplice ritornare in quel luogo per il semplice fatto di far conoscere la zona a suo fratello. Probabilmente Dean aveva cancellato quel luogo dalla carta geografica già anni addietro.
Bobby notò la strana reazione dei ragazzi, ma non volle intromettersi; prese i borsoni con le armi e le caricò su una delle sue poche auto ancora funzionanti del suo deposito.
Dean si avvicinò cautamente a Bobby, che sedeva già al posto del guidatore con il finestrino abbassato.
“Non posso venire con voi …” dichiarò solennemente.
Bobby arruffò il naso: “Che diavolo stai dicendo, ragazzo, c’è qualcosa che non va?”
“Non lo so … Non ci sono altri casi simili da altre parti?”
“Questo è l’unico che sono riuscito a trovare adatto alla vostra preparazione”.
“Senti Bobby, io lì non posso tornarci!”
“Qual è il tuo problema?”
“Io non posso tornare nella città dove i miei genitori sono morti. Capisci?! Ventidue anni fa mi ero ripromesso che non ci sarei mai più tornato, per nessuna ragione!”
“Capisco … Ma nasconderti dal passato non riuscirà a migliorare le cose. Prima o poi dovrai farci i conti, non puoi evitarlo per sempre. Te ne parlo per esperienza personale: il primo passo per guarire dal dolore è ricordare.”
Il biondo sospirò profondamente e chiuse gli occhi. Bobby sapeva, forse anche di più dei Winchesters. Non per altro aveva adocchiato un caso a Lawrence.
 
Quando Sam li raggiunse Dean era ad aspettarlo sul sedile posteriore dell’auto, pronto ad intraprendere il suo viaggio verso una zona della quale credeva ormai di ricordare solo il nome. 




 
*Back in black, citata all'inizio, è la canzone più famosa degli AC/DC, composta nel 1980 e con più di 50 milioni di copie vendute nel mondo.
La canzone inoltre compare nel pilot di Supernatural durante la prima caccia dei fratelli dopo che Sam si separò dalla famiglia per andare all college.

 


Rieccomiiiii!!!!! *riemerge dalla tomba*
Che vergogna... 4 mesi di inattività, e con cosa me ne esco fuori?! Con un capitolo blando come questo? Ma non demordete! La voglia di scrivere mi è ritornata e posso promettere di tornare a pubblicare più frequentemente:3
In questi ultimi mesi ho aperto il computer proprio saltuariamente, testimone Sabri xD
Spero di non avervi rotto davvero i maroni con questi miei ritardi. 
Lo so, sono stupidaaaa, ma perdonatemi pleaseeee <3
Vi adoro, ringrazio chi recensirà, leggerà, passerà o semplicemente la ignorerà loool.
PS: Sono ben volute anche le recensioni negative o neutre, così da migliorare il mio modo di scrivere che se lo devo ammettere mi sembra sempre troppo noioso.
Grazie mille ancora!! Via amo, bacini bacetti :*

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Capitolo 20
*** Capitolo 19: Need to know ***


 
 

Capitolo 19: Need to know

 Summit, Nebraska
La macchina del cacciatore, seppur vecchia, scorreva veloce sulla strada.
“Il poltergeist che infesta la casa dove stiamo andando si è già manifestato concretamente:  quel bastardo ha quasi ucciso un idraulico che stava controllando le tubature del lavandino della cucina!”
“Come!?” esclamò turbato il bruno.
“Sì, gli ha sfracellato tutto l’arto destro fino all’avambraccio”
A Sam si accapponò la pelle.
“E tuo fratello? Come sta?” Bobby diede un’occhiata allo specchietto retrovisore, dove stava riflesso Dean addormentato a bocca aperta con la testa riversata all’indietro sul sedile posteriore accanto a Sam.
“Sta mattina l’ho trovato addormentato sul tuo laptop con la pagina aperta su un sito di acchiappa fantasmi, sai, quegli imbecilli che rovinano la reputazione a noi cacciatori andando in giro con tute spaziali e aggeggi superelettronici stile Ghostbusters …”
Sam sorrise. Aveva visto quel film la prima volta che era andato a casa di Stephen, a quindici anni. Si erano divertiti come matti quella volta. Il primo di tanti momenti indimenticabili.
Seppur un ambiente troppo ristretto persino per due persone, la casa di Stephen, ai tempi appena maggiorenne, lo aveva ospitato per all’incirca due anni, fino a quando a diciassette anni riuscì ad affittare un appartamento a un isolato di distanza.
“La prossima volta digli di non fidarsi di quei buffoni. Vanno a caccia, se così si può dire, solo per comparire davanti a una telecamera! Gran parte di loro non sa neanche che il sale allontana il maligno o che per annientare un fantasma bisogna bruciare le sue ossa!”
Sam annuì sovrappensiero, mentre guardava il paesaggio scorrere dal finestrino.
“E tu Sam, tu come stai?!” il vecchio cacciatore gli diede un’occhiata preoccupata.
Sam fece spallucce: “Tutto sommato bene”
“Vedrai che tutto si sistemerà Sam … Tutto si sistemerà”
Il giovane piegò la bocca in un sorriso amaro.
“Non mi sembri tanto convinto …”
Bobby fece finta di non sentire. Fissò lo sguardo sulla strada e continuò a guidare.
 
Il silenzio nell’auto si fece soffocante. Passò quasi mezz’ora, durante la quale né Sam, né Bobby proferirono parola.
Sam pregò soltanto che Dean si svegliasse.
L’anziano ad un certo punto accese la radio.
La voce elettrizzata del telecronista ora rompeva il silenzio. Il derby tra gli Omaha Beef e gli Omaha Nightawks era quasi giunto a termine, quando ad un certo punto l’esulto di migliaia di tifosi –compreso il telecronista- segnò il touchdown degli Omaha Beef e quindi la loro vittoria. Anche Sam, dentro di sé, lanciò un urlo di trionfo!
 
 
***
 
Lawrence, Kansas
 
Janny sparecchiò il tavolo. Ciò che era successo il giorno prima l’aveva scioccata, possibile che ora i legali la ritenessero persino responsabile per la mano di quel poveretto?!
Richie continuava a saltellare attaccato alla recinzione della sua zona gioco a chiedere insistentemente il succo. Ciò non faceva altro che aumentare la sua agitazione.
“Ma non mi posso permettere un avvocato!” -controbatté al telefono, quasi una supplica più che un’esclamazione – “Va bene, senta, purtroppo la devo richiamare …” disse sentendo dei rumori provenire dalla stanza accanto. Ma cos’ha che non va questa casa?!
Raccomandò a Richie di fare il bravo e si diresse verso dove proveniva il rumore. Topi nei muri?!
Appoggiò l’orecchio sulla parete, ma tutto ad un tratto lo scalpitio cessò. Restò lì per qualche minuto, ma non sentendo più alcun rumore, si riallontanò dalla parete e ritornò in cucina.
“Aaaaah tesoro, o ci sono i topi o la mamma sta impazzendo” Janny si voltò esausta verso suo figlio.
Ma la recinzione della zona gioco era smontata.
Suo figlio non c’era.
 
“Richie?!” la voce strozzata. Com’era possibile che un bambino di a mala pena tre anni si fosse aperto da solo la recinzione?!
Tutte le sue paure si fecero concrete.
La giovane vedova corse nelle altre stanze in preda al panico. Urlava il nome di suo figlio, ma era solo il silenzio a rispondere al suo richiamo.
Ritornò in cucina, sperando di aver avuto solo una strana allucinazione.
Non poteva essere vero!
Girò intorno al tavolo più e più volte con il cuore in gola, fino a quando il suo sguardo cadde sul frigo: da esso gocciolava del latte sul pavimento.
Istintivamente Janny si precipitò ad aprire il laccio di sicurezza che impediva a Richie di aprire l’elettrodomestico, e lo spalancò con forza tale da spostare un’automobile.
I grandi occhi terrorizzati di suo figlio la guardavano tra le lacrime. Ancora in mano il succo che lo aveva attirato nella trappola.
Finalmente le braccia di sua mamma lo strinsero forte, finalmente gli trasmise il calore che in quegli ultimi cinque minuti aveva tanto bramato. Tra i singhiozzi la abbracciò più forte di quanto avesse mai fatto prima, stringendole la maglia tra i suoi piccoli pugni nonostante tutto sudacchiati, come i bambini sempre hanno.
 
 
***
 
Walnut, Kansas
 
La macchina di Bobby aveva da poco passato il confine tra il Nebraska e lo stato in cui tutto era iniziato: il Kansas. Mancava ancora un’ora al Days Inn Hotel.
Durante le tre ore precedenti solo il brusio della radio come sottofondo aveva coperto il rumore degli pneumatici che scorrevano sull’asfalto.  Dean era ancora addormentato e questa volta aveva la testa appoggiata al finestrino, con la guancia spiaccicata sull’umido vetro.
Sam invece era allungato sul sedile, anche se in qualunque posizione cercasse di mettersi si sentisse inevitabilmente scomodo …
Ad un certo punto però si mise composto. Chiuse gli occhi lentamente, sospirò, e finalmente trovò il coraggio di parlare …
“Bobby, non mi nascondere la verità. Ci metteresti ancora più in pericolo. Tu devi  dirci senza mezzi termini come stanno realmente le cose, se conosci la reale portata di questa situazione!”
“Ci sto lavorando …” Rispose impugnando ancora più forte il volante per non far trasparire la preoccupazione dalla sua voce.
“Quindi è un no?”
“Ho delle ipotesi, ma ho seri dubbi che siano del tutto valide.”
“Quindi? Quali sono?” –Bobby sbuffò scuotendo la testa- “Bobby ho bisogno di sapere!” insistette il ragazzo.
Con un tempismo perfetto, a salvare il cacciatore dal terzo grado, fu lo squillo del suo telefono.
 “Hey Will, come procede?”
“Sei con il Winchester?” . Bobby alzò leggermente il volume della radio.
“Sì, sono in macchina”
“Okay … E quanto manca a Lawrence?”
“Quarantacinque minuti circa”
“Quando arrivi cercami al 404 di Lawrence Avenue, a casa di un’amica che potrebbe aiutarci a individuare cosa uccise Mary Winchester. Anche se non credo sia stato il poltergeist che invade la casa.”
 “Neanche io” tagliò corto il più anziano.
“Quindi a dopo Bobby”.
Bobby attaccò e diede un ennesimo sguardo alla lista di nomi che William gli aveva spedito per SMS subito dopo il caso a Chicago.
 
-Max Miller, Saghinow, Michigan
-Garry Calligan, Chicago, Illinois.
-Andrew Gallagher, Guthrie, Oklahoma.
-Scott Carey, Lafayette, Indiana.
-Sam Winchester, Lawrence, Kansas.
 
A vedere l’ultimo nome della lista, come la prima volta, Bobby rabbrividì.
Lanciò un’occhiata crucciata al minore dei Winchester che tamburellava con le dita sul suo ginocchio e sentì come se un pugno lo colpisse in pieno stomaco. 
 
 
***
 
Omaha, Nebraska
 
“Per colpa tua tutto, TUTTO è andato a puttane!”
Un uomo dai capelli rossi, probabilmente di origine irlandese, abbassò gli occhi.
Jodie si avvicinò a lui con un diavolo per capello. Il suo volto era cambiato: il segno del male aveva preso il sopravvento. Prese Larry dal colletto della maglietta e lo avvicinò a sé.
“Cosa vi avevo detto, eh?! Il caso Winchester è una cosa di massima ristrettezza! Solo io, posso occuparmene in prima persona!” – il demone sbatté il ragazzo al muro- “Tutto stava andando per il meglio! I Winchester non dovevano sapere nulla! Né di demoni, né di fantasmi, di niente! E tu?! Tu vai a mostrare i tuoi luridi occhi neri al prescelto?! Ma cosa ti è saltato per la testa! Dovevi solo seguire i suoi spostamenti, attirarlo verso la strada del male!”
“E cosa?! Permettere che i due fratelli si riunissero?!”- Larry si liberò dalla stretta del demone- “ Questo era il tuo piano? Dean Winchester aveva scoperto di suo fratello! Stava andando da lui per dirgli tutto! Ho fatto la scelta più azzardata! Credevo avesse funzionato! Speravo che il lato maligno del prescelto venisse tirato fuori, che avrebbe partecipato al rapimento e preso la sua somma senza fare domande, poi mi sarei liberato di suo fratello!”
Gli occhi di Jodie si velarono di nero e la sua bocca si contorse in una smorfia piena di rabbia e disprezzo. Si riavvicinò al suo simile e disse a bassa voce:
“Ti eri già scordato le regole?! Non vedi cosa è successo?! Dovevi dirmi tutto al posto di fare le cose per tua iniziativa! E poi questo non spiega come mai ti sei mostrato al ragazzo!”
“Quegli stupidi umani lo stavano per ammazzare! Cosa avrei dovuto fare! La priorità era proteggerlo!”
Jodie perse l’ultimo rimasuglio di pazienza, con una mossa della mano lo scaraventò con una forza inaudita sulla parete in cemento della fabbrica abbandonata in cui si trovavano, tanto che alcuni vetri dei finestrini sul soffitto dieci metri più in alto si frantumarono in mille pezzi cadendo addosso ai due demoni.
“Non so come ho fatto a sceglierti per quell’incarico!” –si mise a ridere dall’esasperazione- “Come fai ad essere così rincoglionito!?”
Larry cercò di rimettersi in piedi. Sicuramente la spina dorsale del suo contenitore si era spezzata in due.
Guardò la donna che stava di fronte a lui con sguardo supplichevole.
Jodie sfilò dallo stivaletto destro un coltello con strani simboli sulla lama.
Se lo girò più volte fra le mani guardando colui che gli stava davanti …
“Cosa- cos’è quello?!” la domanda del ragazzo si perse in un balbettio strozzato.
Lei, senza rispondere, gli si avvicinò lentamente, compiaciuta dalla paura che si leggeva nei suoi occhi neri...
Curvò le sottili labbra in un sorriso malizioso e pugnalò il demone al cuore.
Appena la lama varcò il corpo del demone, il suo petto si illuminò, lasciando intravedere le costole del corpo. La bocca si spalancò come in un urlo, che però non produsse alcun suono, e gli occhi, che fino a quel momento erano stati di un nero catrame, ripresero il loro colore naturale: azzurro cielo.
Jodie sfilò il coltello e lasciò cadere il corpo sul pavimento bagnato dalle incessanti piogge degli ultimi giorni. Pulì la lama dal sangue con il lembo della sua maglietta e uscì a passo deciso dalla fabbrica.
 
 
***
 
Lawrence, Kansas, 404  Lawrence Avenue
 
Una donna di colore, dalle voluminose forme, si sedette sul divano in pelle di fronte a William.
Lo guardò con una punta di euforia:
“William Antony Harvelle! Da quanto tempo!” – i suoi grandi occhi arguti lo scrutarono dentro-“Allora Jo è voluta andare al college!”
L’uomo sulla cinquantina sorrise pieno d’orgoglio: quale gioia più grande di vedere sua figlia costruirsi un futuro? Era contento che sua figlia non avesse seguito le sue orme: la voleva al sicuro, e con quel lavoro la sua vita non sarebbe durata molto.
- Jo si era completamente allontanata da quella strada: subito dopo aver compiuto diciott’anni si era trasferita in California, lontano da tutto ciò che apparteneva al passato, lontano da tutto ciò che le ricordava sua madre, e la cosa che l’aveva uccisa.-
“Sì … Sono molto fiero di lei … Anche se mi manca davvero tanto.”
“E la Roadhouse?”
“Bè … Adesso la gestisce un mio caro amico, un giovane cacciatore, Trevor Ortiz, per caso lo conosci?”
“Alto, capelli semi-lunghi,  biondo, un po’ in carne, occhi grigi … No, non credo”
“Smettila di leggermi nel pensiero Missouri!” le disse ridendo.
“Non è colpa mia Will” disse sogghignando lei mentre immergeva un biscotto al caco nel tè che stava bevendo.
Ma dopo un attimo William riassunse la sua solita espressione seria:
 “Allora … Adesso parliamo del Winchester”
“Adesso parliamo del Winchester …” ripeté sospirando Missouri.
“Il fuoco è partito dalla stanza di Sam, ciò vuol dire che a creatura si trovava lì” –esordì il cacciatore- “Ma c’è un particolare in più. Ho controllato negli archivi del distretto di Lawrence, è indovina cosa ho trovato?”
-Will dispose una cartella con vari documenti riservati sul tavolo- “Particolari mai resi noti, come nella maggior parte dei casi di cui ci occupiamo ... Quando hanno recuperato il corpo di Mary Winchester, l’hanno trovata riversata sul …” – Will deglutì visibilmente provato da quella visione- “… Sul Soffitto. Non c’era niente che la tenesse attaccata lì sopra, era semplicemente sdraiata, come se quello fosse stato il pavimento. E sono sicuro che è capitato così anche per le altre madri.”
“Niente di fisicamente possibile quindi.” Missouri scartabellò tra i molteplici fogli che il cacciatore aveva disposto alla rinfusa sul tavolino. Ne prese uno mezzo stropicciato sul quale stavano scritti dei nomi:
 
-Max Miller, Saghinow, Michigan
-Garry Calligan, Chicago, Illinois.
-Andrew Gallagher, Guthrie, Oklahoma.
-Scott Carey, Lafayette, Indiana.
-Sam Winchester, Lawrence, Kansas.
 
“Quindi Garry è morto senza neanche sapere che la sua vera madre era scomparsa quando lui era piccolo … Povero ragazzo …” Missouri sospirò rattristita. Poi si alzò e raggiunse la finestra guardando fuori sovrappensiero. “Sai Will? Non sono molto sicura di cosa stai facendo … Portare i Winchesters, e soprattutto Dean nella casa dove ha perso tutto. Non credo sia una buona idea … Non sappiamo come potrebbe reagire …”
“Devono sapere Missouri. E per farlo devono partire dal luogo dove tutto ha avuto inizio.” asserì l’uomo con voce determinata.
“Sì, ma perché un così grande interesse verso i Winchester! E’ da anni che lavori a questo caso, e su tutte le tue ricerche ho riconosciuto il loro cognome. Perché proprio loro, eh Will?”
“Sono un uomo di parola Missouri. Questo lo sai anche tu.
Io le ho fatto una promessa, che manterrò fino in fondo, anche a costo della mia stessa vita.”

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Capitolo 21
*** Capitolo 20: Too much to hide ***



Capitolo 20: Too much to hide

Le parole che stavano per uscire dalla bocca di Missouri furono deviate dal rumore in lontananza di un’auto, che riconobbe subito come quella di Robert Singer.
Quando il mezzo parcheggiò nel vialetto di fronte alla casa, Will scostò le tende e riconobbe subito la sagoma del suo vecchio amico cacciatore, ancora sull’auto.
Sui sedili posteriori nessun segno dei Winchester. Bobby doveva aver preferito lasciarli in albergo più che portarli direttamente lì e sbattergli la verità in faccia.
Il cigolio della portiera che si apriva si sentì sin dentro casa, e quando la richiuse sbattendola, il colpo fece quasi cadere a terra tutta la carrozzeria.
Bel meccanico che sei Bobby! 
Nonostante le varie ammaccature e i pezzi sostituiti non proprio originali, riconobbe un esemplare di Chrysler Desoto del ’61. Sorrise nel vederla: ne aveva avuta una uguale da ragazzo, anche se se la ricordava in condizioni decisamente migliori di quella che in quel momento gli stava davanti.
Il cacciatore si allontanò dalla finestra ed uscì di casa allargando le braccia verso l’amico. Quando furono prigionieri uno della stretta dell’altro li raggiunse Missouri intenta a finire un biscotto inzuppato nel tè.
“Se non conoscessi Will e la sua passione per le belle donne penserei proprio che siate qualcosa di più che amici!” li canzonò presentandosi al cacciatore più vecchio.
“Ah Bobby!” – Will lo liberò dall’abbraccio –“Lei è l’amica di cui ti parlavo, e, Missouri, non c’è bisogno che ti presenti Bobby”. La donna lo squadrò da cima a fondo: l’anziano uomo che gli stava davanti non era fatto per le maschere: come si presentava fuori lo era anche dentro, e come testimoniava il suo aspetto non era di certo una persona curata o serena. Anzi, dentro la testa di quell'uomo c'era più oscurità e più ricordi che in una cantina!
Una volta entrati in casa ed essersi seduti di fronte a tutti i documenti sul caso, Bobby sfogliò i fogli con sempre più maggiore attenzione, soffermandosi più e più volte sullo stesso nome.
“Quindi … Parliamo di Samuel Winchester …”
 
 
***
 
Un tonfo sul pavimento della tavola calda.
Il brusio di tutti i presenti che si raccoglievano attorno ad uno stesso punto.
Dean Winchester, appena uscito dal bagno per rinfrescarsi il viso, accelerò il passo verso il punto su cui si era posata l’attenzione di tutti. Si fece largo tra la gente fino a quando il suo sguardo non cadde su Sam, riversato per terra.
Sam, completamente incosciente.
Era già la seconda volta che succedeva senza alcun motivo apparente! Il battito cardiaco aumentò vistosamente. Tutto il vocio e l’agitazione attorno a lui si fecero lontano un miglio.
Fu solo il debole dolore di una gomitata accidentale sul suo fianco sinistro che lo riportò alla realtà.
Si catapultò su suo fratello, e afferrandolo dalla felpa marrone lo avvicinò a sé.
“Sam! Sam! Su Sammy rispondimi!”
Ora gli occhi di tutti erano puntati sull’autentica disperazione dipinta sul volto del maggiore dei fratelli.
“Qualcuno chiami un’ambulanza!” urlò quasi in tono di supplica.
Alcune persone tirarono fuori il telefono cellulare o chiesero se ci fosse qualche dottore. Dean reggeva la testa di Sam, con il fiato sospeso, il cuore capace di schizzare fuori dal petto da un momento all’altro ... Quando un uomo sulla sessantina con sguardo crucciato si chinò vicino a lui, il suo corpo scattò sull’attenti quasi pronto ad attaccare come una bestia selvaggia per allontanarlo da suo fratello.
Ma quando vide l’anziano, che con mano insicura, appoggiava delicatamente due dita sul collo del bruno, capì che non era lì per fargli del male.
Diversamente, quel gesto creò un brivido freddo che percorse tutta la sua spina dorsale. L’aria nei polmoni andò a mancare, e tutto gli sembrò ghiacciare.
Con l’ultimo spillo di ossigeno che i suoi polmoni erano riusciti a conservare, Dean tentò di pronunciare la fatidica domanda: “E’- è vi-”
Il respiro strozzato accompagnato dal risveglio del ragazzone tra le sue braccia lo batté sul tempo.
La prima cosa che Sam vide fu il viso angosciato di suo fratello, susseguito dalla gioia e dal sospiro di sollievo di un gran numero di persone, e con sguardo confuso si guardò attorno non nascondendo l’imbarazzo nell’accorgersi di essere al centro dell’attenzione.
Prima di riuscire a capire, si ritrovò tra le braccia di Dean.
“Brutto bastardo! Per un attimo ho temuto il peggio!” confessò il fratello riprendendo a respirare.
“Su, andiamo!” lo spronò poi aiutandolo a rialzarsi e sorreggendolo alla bene e meglio nell’intento di portarlo fuori dal locale.
“Qualcuno sa dirmi dove posso trovare un ospedale? Non siamo di queste parti ...” Si rivolse prima di varcare la soglia del locale ai presenti che stavano riprendendosi dall’accaduto.
“No Dean! Dobbiamo andare!”  controbatté inaspettatamente Sam sottovoce. Lo guardò per un attimo perplesso e poi si girò di nuovo verso alle persone di fronte a loro in cerca di risposta.
“Ascoltami!” Sam gli girò il viso verso di sé per ottenere la sua attenzione.
“Lo so Sam … Ma sta tranquillo, sto appunto chiedendo dov’è il pronto soccorso più vicino!” ribatté lui.
“No Dean! Non intendo questo!” – in men che non si dica Sam lo trascinò fuori dal locale imprigionandolo tra il muro e il suo possente corpo – “Ho bisogno che tu mi ascolta attentamente! Ci sono delle persone in pericolo. Ho visto una donna … E poi … Poi una sagoma in fiamme! Dean! Dobbiamo subito parlare con Bobby!”
“Cosa-cosa?! Cosa stai blaterando Sam?!” chiese Dean leggermente stranito da quel gesto e dalla situazione in generale.
Il bruno sospirò cercando di ritrovare la calma: “Hai presente i miei incubi? Quando sono svenuto nel locale ne ho avuto uno e-…”
“Sam! Tu non sei solo svenuto!” – lo interruppe Dean-“ Lì dentro mi è quasi sembrato … Non lo so! Sicuramente non è normale! Mica sei la bella addormentata! Adesso pensiamo a portarti al pronto soccorso e capire di che cosa si tratta, abbiamo tutto il tempo per chiamare Bobby!”
“Tu non capisci! Sono tutti in pericolo!”
Ma prima che il minore potesse controbattere ancora, il biondo aveva già recuperato le informazioni per l’ospedale e lo aveva trascinato sul primo taxi.
Sam sbuffò fortemente contrariato: “Dammi il telefono, fammi parlare almeno con Bobby!”
 
Il cacciatore fece segno agli altri due di fare silenzio, mostrando loro il display del telefono con la chiamata da parte di Dean.
“Ciao Bobby” la voce di Sam suonava piuttosto agitata.
“Ciao Sam, cosa succede?” il nome pronunciato dalle labbra di Bobby destò maggiormente l’attenzione degli altri due, che gli si avvicinarono intenti a non perdersi nemmeno un dettaglio della conversazione.
Dall’atro capo del telefono il giovane attese un po’ prima di rispondere.
“Ho avuto una … Premunizione, come la chiami tu” tagliò corto in tono incerto.
“Hai avuto una visione?! E cos’hai visto?”
“Non so … Questa volta non era tutto chiaro … Non era come le altre volte, dove mi sembrava di essere presente ... capisci?! Ho visto una donna che chiedeva aiuto da una finestra … E poi una figura in fiamme. E poi c’eri tu …” –il giovane prese un lungo respiro- “Venivi accoltellato da una donna dai capelli neri …” le parole del ragazzo furono susseguite da un sospiro tremante.
“Come non era uguale alle altre volte??” . La parola accoltellato non sembrò sfiorare nemmeno minimamente le preoccupazioni del cacciatore. I presenti a fianco a lui si irrigidirono.
“Sì ... Era strano... Adesso Dean è preoccupato e mi sta portando al pronto soccorso, ma questo cosa centra?! Bobby,  c’è la certezza che tra alcune ore potresti venire ucciso … Questo non ti turba nemmeno leggermente??!”
“Digli a Dean che al pronto soccorso non potrebbero risolvere nulla. I tuoi incubi e i tuoi mal di testa non sono cose che i medici potrebbero curare! Tu sei in qualche modo … Connesso a un demone o … Ad attività demoniache che ti includono” Bobby confessò tutto d’un fiato.
A quella risposta Will gli fece comprendere che aveva fatto un passo falso. Era troppo presto per rivelare tutto a Sam. 
Si sentirono dei rumori, e poi la voce del maggiore dei Winchester, che sembrava piuttosto angosciata.
“Cosa vuoi dire con connesso a un demone?!”
“Intendo dire che Sam ha delle capacità psichiche, come quel ragazzo di Chicago, che sono strettamente connesse al demone o ai demoni che vi stanno dando la caccia. Ma ora venite da me … Vi aspetto al 404 di Lawrence Avenue.  ”
Il cacciatore tirò un sospiro e riagganciò. Sia gli occhi di Missouri che quelli di Will lo fissavano cupi.
“Cosa diamine hai fatto! Eh Bobby?!” lo rimproverò furioso il più giovane.
“Will, ascolta, quei due ragazzi hanno diritto di sapere!”. Bobby tirò fuori una foto semistroppicciata dalla  tasca della sua giacca e l’accarezzò delicatamente.
“Se c’è una cosa che ho imparato della vita è sicuramente che i segreti non portano mai a niente di buono …” sussurrò con voce intrisa di malinconia e occhi rivolti al passato.



 



Hey bees! Eccomi di nuovo!
Questo capitolo è molto più corto di come avevo progettato inizialmente, ma alla fine mi è uscita fuori sta robetta striminzita. 
Lo so lo so che questi ultimi capitoli sono stati un po' mosci  e senza... Come dire... Azione! Ma fra non molto tirerò fuori un bel fardello di colpi di scena e novità, che non seguono esattamente in parallelo la storyline della serie TV. quindi see you soon men!
Ringrazio ancora chiunque segua la mia storia <3 Siete così fedeliiii *___*
Mi raccomando, se volete non abbiate paura a recensire e farmi conoscere il vostro parere <3

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Capitolo 22
*** Capitolo 21: This is real ***



Capitolo 21: This is real


Kabul, Afghanistan
 
Ciò che accadde quella notte lasciò una macchia indelebile nella sua mente. Sicuramente di lì a poco la sua vita non sarebbe stata più come prima.
Aveva assistito a tutto. Anzi, era stato lui a ritrovare un marine appartenente alla sua stessa squadra e una civile nella vecchia base di Sheikhabad.
I flashback cominciarono a ritornare.
 
Erano tenuti in posizione eretta solo da due corde che si intrecciavano attorno ai loro polsi; tutto il peso del loro corpo gravava sulle loro braccia e di conseguenza sulla cassa toracica, in una posizione che se mantenuta troppo a lungo avrebbe potuto anche causare il soffocamento. Si chiese da quanto fossero lì.
Avevano segnalato un avvistamento di un gruppo sospetto alla base militare, probabilmente talebani, e a Jackie era stato assegnato il compito di perlustrare l’ala ovest dell’edificio, già abbandonato da decenni. La corrente era assente, quindi il giovane brandiva l’oscurità solo con la torcia incorporata nel fucile, e per lo più era senza accompagnatore, poiché quella sera al campo gli uomini erano particolarmente pochi.
 
Scosse la testa cercando di mandare via il pensiero di quella tremenda nottata ed entrò nella tenda dove era stato allestito l’ospedale da campo.  Si avvicinò al letto del suo collega Vincent e di Charis –così gli avevano detto che si chiamava la civile-, pallidi come le lenzuola che li coprivano. Arrivati al campo con il venticinque per cento di sangue in meno non sarebbero riusciti a superare la notte se alcuni volontari compatibili con il loro gruppo sanguigno non glielo avessero donato. Tra di essi c’era Jackie.
Finì di bere l’acqua e zucchero che gli avevano dato per riprendersi subito dopo il prelievo ed uscì fuori dal tendone. Le nuvolette di condensa che si sprigionavano dalla sua bocca ad ogni suo respiro spiccavano nel buio di quella notte particolarmente fredda*.  Alzò gli occhi al cielo e poté godere di un panorama mozzafiato, di quelli che non era mai riuscito ad ammirare dalle pianure del Kentucky.
Si domandò ancora una volta cosa spingesse l’uomo a dilaniare un paese così ricco e bello, a sprecare così tante vite umane, solo per degli ideali sbagliati.
Cosa c’era che non andava in quelle menti?! Si domandò se stesse facendo la cosa giusta: fare la guerra per fermare la guerra. Era un controsenso.
Sfregò le mani per riscaldarsele e infine le infilò nelle tasche del largo giaccone che teneva addosso.
 Era opera dei talebani cosa aveva visto quella sera? O peggio ancora … Degli Stati Uniti?
Aveva sentito parlare di una prigione segreta nel centro di Kabul, una prigione fatta costruire dalla CIA dove torturavano quasi a morte i sospettati per strappargli informazioni segrete. Ma era possibile che facessero anche esperimenti?
No, era impossibile! A cosa servirebbero? Non bastavano i miliardi di dollari che impiegavano per combattere? Perché condurre esperimenti scientifici , e per lo più sull’uomo, sui propri uomini!
Sicuramente quello di cui era testimone andava ben oltre le sue conoscenze, ben oltre il reale.
E che fosse stato solo tutto un grande malinteso? Magari un incubo? …
No, non lo era. Vincent e Charis ne erano le prove.
 
Afferrò la ricetrasmittente e tentò di chiamare aiuto, ma il segnale era pari a zero.
Guardandosi le spalle fece qualche passo in più verso i due poveri malcapitati.
Una volta che si fece ancora più vicino riuscì a scorgere un ago infilato nelle loro gole, collegato a un tubicino che portava ad una sacca piena di un liquido rossastro. Sangue?
Scrutò la situazione attorno a lui con aria sfuggevole, con il costante presentimento di essere seguito nonostante fosse tutto in assoluto silenzio, ed estrasse con mani tremanti -ma il più delicatamente possibile- l’ago dalle loro gole. Controllò il battito cardiaco: era debole ma pur sempre presente. Cercò di risvegliarli.
“Ehi! Ehi, aprite gli occhi! Dai!”
L’assoluta assenza di reazione, gli fece capire che li avrebbe dovuti trasportare in spalla fino all’uscita, se non al campo base.
Li slegò cautamente dalle loro posizioni, tutt’altro che consone per le loro condizioni.  I loro occhi erano semi aperti, le iridi completamente dilatate, i volti scavati.
Doveva muoversi.  
Una volta messi in spalla entrambi, si accorse di quanto fossero leggeri e esili, e nonostante la sua corporatura non fosse  esattamente imponente, riuscì a spostarli senza troppe difficoltà.
Diede un’ultima occhiata attorno a lui e si diresse verso l’uscita il più velocemente possibile: qualsiasi cosa ci fosse lì dentro, e che sicuramente aveva ridotto quei due poveretti in quelle condizioni, non voleva che aggredisse anche lui!
Issò  con maggiore fermezza i corpi che gli facevano da zavorra e con l’ultimo rimasuglio di forze che sentiva in corpo, spinse la porta dell’uscita di sicurezza.
Improvvisamente il pavimento sotto i suoi piedi andò a mancare e qualche millesimo di secondo dopo una botta all’altezza del mento gli lanciò una fitta di dolore tale da offuscargli la vista per un istante.  
Sfilò le mani insanguinate da sotto i corpi dei due feriti, caduti di conseguenza insieme a lui, e le appoggiò a terra per tirarsi su, quando qualcosa lo prese da dietro e lo fece cadere nuovamente.
Prontamente, il marine afferrò la beretta nel suo cinturone e la impugnò saldamente puntandola di fronte a sé, ma si accorse che davanti a lui non c’era assolutamente altro che il buio. Ancora a terra per il dolore della botta alla schiena, tentò di girarsi all’indietro per individuare il suo aggressore, ma improvvisamente sentì  un peso sopra di lui immobilizzarlo. La sua pistola venne scaraventata via e le sue mani schiacciate a terra dietro la sua testa per diminuire ulteriormente la sua forza d’azione.
Il giovane si ritrovò del tutto indifeso.
Fissò il punto dove stava l’uomo a cavalcioni sopra di lui, e nel buio riuscì a identificare la sua sagoma. Corporatura normale … Sicuramente Jackie lo superava in imponenza! Quindi cercò di ribaltare la situazione, ma senza successo. La forza di quell’uomo gli sembrò quasi sovraumana.  
L’aggressore avvicinò la mano  alla testa del giovane marine e contemporaneamente una luce di un blu intenso illuminò l’intero ambiente attorno a loro.
Jackie, impietrito e sconcertato da ciò che gli stava accadendo, si limitò ad osservarlo.
Carnagione caffèlatte ricoperta in tutti i punti visibili -persino sulla testa rasata- da un’infinità di tatuaggi neri a forma di fiamme, corpo snello e slanciato, e occhi …
… Jackie strizzò i suoi incredulo.
Quegli occhi brillavano di luce propria! Ma non metaforicamente!
La luce blu che ad un tratto aveva invaso l’atrio dell’ala ovest proveniva proprio da essi.
Dal braccio della mano che gli stava premendo la fronte, i tatuaggi presero vita, avvinghiandosi e avanzando come un vero e proprio fuoco verso la mano.
Il giovane sotto la creatura si alluse al fatto  di stare sognando e che dopo qualche momento si sarebbe svegliato nella sua branda, ma subito dopo aver serrato gli occhi trattenendo il fiato, sentì il corpo sopra di lui afflosciarsi e farsi il triplo più pesante.
Ebbe la sensazione che un fluido denso e caldo gli schizzasse sul viso e gli imbrattasse tutti i vestiti, e quando riaprì gli occhi, si accorse di essere ricoperto di sangue. Di quello che fluiva dal collo mozzato del suo assalitore, la cui testa era andata a finire due metri più lontano dal corpo.
 
Rimase paralizzato dall’orrore.
Era come dire … “abituato” ad assistere a scene cruente, ma quella superava ogni limite!
Shockato, senza neanche spostare il corpo sopra di lui che continuava incessantemente a sgorgare sangue, fissò un punto impreciso sperduto nel vuoto, e solo allora si accorse di una ragazza sulla ventina in piedi di fronte a lui.
Il viso scarno e pallido, profonde occhiaie violacee che sottostavano a occhi rossi e socchiusi in due fessure stravolte, capelli biondi spettinati e unti, jeans a tubo di almeno tre taglie in più sul suo corpo scheletrico … Il tutto poteva dimostrare che fosse uno zombie.
In mano teneva una spranga di ferro, apparentemente troppo pesante in mano ad una ragazza così debole perché le leggi della fisica potessero spiegarlo. Infatti, dopo qualche vacillamento, cadde a terra sconfitta dalla fatica.
A quel punto Jackie, superò il momento di shock e si tirò velocemente in piedi per soccorrerla, e solo allora si rese conto che la sua salvatrice era la stessa ragazza completamente incosciente che stava portando fuori dalla struttura insieme al marine.
 
Con lo sguardo perso nei ricordi della notte precedente, Jackie fece qualche sorso dal bicchiere di acqua e zucchero, trasalì e quasi se lo versò addosso dal sobbalzo quando il dott. Sallivan silenziosamente arrivò da dietro e gli appoggiò una mano sulla spalla.
 
 
***
 
Philippi, West Virginia
 
Una giovane ragazza dai folti capelli castani, robusta e dal viso abbastanza mascolino, fece irruzione nella hall del motel quasi correndo, digitando freneticamente un numero al telefono e trascinando a terra una grossa sacca nera.
Portò l’apparecchio all’orecchio e deglutì più e più volte, aspettando che la persona dall’altro capo del telefono rispondesse. Entrò nella sua stanza e chiudendosi la porta alle spalle appoggiò su di essa tutto il suo peso.
“Mamma!” esclamò piena di gioia quando le rispose. “Ho notizie certe su Cheris! E’ viva mamma è viva!” gioì iniziando a camminare avanti e indietro per il monolocale.
“A Kabul hanno trovato una ragazza americana che corrisponde esattamente a lei! Adesso è ricoverata in un ospedale a Kabul … Mamma è lei!” Alex non riuscì più a contenere la sua immensa gioia e in pochi secondi  lasciò che il suo viso si bagnasse di lacrime.
A quelle parole sentì anche sua madre emettere qualche singhiozzo di pianto.
“E’ viva mamma! Io me lo sentivo sin dall’inizio! E’ viva!” esultò esplodendo in una risata liberatoria.
Sua madre non disse nulla. Troppo commossa per riuscire a parlare.
Passarono qualche minuto nel più totale silenzio, poi Alex, asciugò le lacrime e assunse un’espressione turbata.
“Cosa dici …” azzardò insicura “Avvisiamo … suo padre?!”
“Oddio Alex! Hai appena scoperto finalmente che tua sorella è viva e … Questo è il tuo primo pensiero?!”
“Ma …” provò a controbattere sapendo già che avrebbe fallito.
“Senza ma! Ma cosa ti salta in mente!? Non ci provare, mi hai capito?!” ordinò quasi con freddezza prima di riagganciare.
Alex sorrise amaramente e con un sospiro intriso di sconforto allontanò il telefono dall’orecchio lanciandolo sul divanetto della stanza del motel.
Mise la testa tra le mani assalita da un’infinità di incertezze e si alzò fiaccamente per andare a sciacquarsi il viso stanco nel piccolo bagno.
Aveva preso una decisione: al diavolo gli ordini di sua madre, sua sorella aveva il diritto di sapere di chi era figlia!
 
 
***
 
Kabul, Afghanistan
 
“Ehi …” bofonchiò l’uomo cercando di tranquillizzarlo.
Il dottore era un uomo dal distinto viso autoritario, con un corpo possente e larghe spalle muscolose. Se non fosse stato per il colore bianco della sua barba e dei suoi lunghi capelli raccolti in una coda bassa, avrebbe dimostrato molti meno anni di quelli che invece portava.
Jackie si rilassò e bevve l’ultimo rimasuglio di acqua zuccherina nel bicchiere.
“La ragazza si è svegliata . Se vuoi andarla a vedere …”
Quelle parole catturarono improvvisamente la sua attenzione. Sgranò leggermente gli occhi, buttò il bicchiere e rientrando nel tendone si tolse la giacca.
Quando fu di fronte al letto, la sventurata teneva gli occhi semiaperti, e in quel momento il marine si accorse che erano verdi. I suoi capelli ora erano sistemati dietro le sue spalle, e il suo sguardo perso e confuso, quasi come lo era dentro la base di Sheikhabad.
“D-dove sono?!” sussurrò ad un tratto con un filo di voce.
“Sei al sicuro …” le sorrise lui stringendole la mano gelida e facendosi ancora più vicino.
Inaspettatamente quella risposta non scaturì in lei una reazione positiva.
Nel suo viso si dipinse un’espressione di follia e puro terrore. Con mani tremanti si strappò bruscamente l’ago della flebo dal braccio in cui era collegato e lanciando un urlo di dolore si buttò giù dal letto.
Era completamente in preda al panico.
“Fammi uscire bastardo! Fammi uscire!”
Con uno scatto fulmineo sfilò la beretta dal cinturone di Jackie, tolse la sicura e se la puntò alla testa sotto lo sguardo atterrito di tutti.
“Ho capito come fotterti stronzo!” -gridò girando su sé stessa- “E’ semplicemente come nei normali sogni! … Se muori ti svegli!” sorrise istericamente.
“NO! Se muori, muori! Punto e basta!” la interruppe la voce sconcertata di Jackie che alzò poi le braccia mostrando le mani libere come a farle capire che non aveva intenzione di farle del male.
“Ascoltami …” -le disse avvicinandosi cautamente a lei – “Non so cosa tua abbia vissuto in quella base, ma ora ne sei fuori! Non ti ricordi? Tu mi hai salvato … Ora è finita! Questo è reale! E’ reale!” abbassò il tono di voce allontanandole lentamente la pistola dalla tempia e sfilandogliela dall’ossuta mano tremante.
“E’ tutto finito …” le sussurrò infine stringendole entrambe le mani.
La ragazza si rilassò lanciando un lungo respiro, e in un battito di ciglia scoppiò in lacrime.
Sollevò lo sguardo verso il ragazzo che le aveva salvato per la seconda volta la vita, e ricordando cos’era successo nella base si lanciò ad abbracciarlo, bisognosa solo di avere un contatto umano, uno REALE.
“Grazie …” sussurrò tremando “Grazie …” continuò a ripetergli sempre piangendo ma nascondendo il viso tra le sue braccia.
Se dapprima irrigidito da quell’abbraccio inaspettato, il marine si rilassò e accarezzò delicatamente i capelli della ragazzina spaventata, che in quel momento le sembrò una bambina di quindici anni, proprio come la sua cugina che lo aspettava a Bardstown.
Quando non la sentì più tremare la liberò dall’abbraccio e la fece sedere sul letto.
“Adesso ti medichiamo la ferita, tranquilla” le sorrise protettivo indicandole la lacerazione che si era procurata strappandosi la flebo.
Assieme ai medici, si avvicinò al lettino il sergente Cruston: “Sei tu Cheris, Cheris Hawkins, vero?”
Lei annuì convinta.
“C’è una persona che ti sta cercando … E’ tua sorella …”
 
 
***
 
 
Lawrence, Kansas
 
“Quindi ci avete … Fottuti?!” chiese quasi ironicamente. La sua espressione era dura, la sua voce roca e bassa.
Se quella era la calma prima della tempesta, il seguito sarebbe stato disastroso.
Ma contro ogni previsione, il ragazzo, seppur assalito da una collera inimmaginabile, riuscì a controllarsi.
Infatti si limitò ad annuire impercettibilmente  e a lanciare occhiate taglienti al trio sgangherato che li aveva trascinati fino a lì. Non Bastava il fatto che ritornare fino a Lawrence era stata una cosa dolorosissima per lui, ma venire persino a sapere che quegli stronzi lo volevano rigettare a capofitto nel passato, quello con il quale aveva combattuto per anni, per giunta con l’inganno, lo faceva andare su tutte le furie.
Non riuscendo più a sostenere quella situazione, si alzò rumorosamente e si catapultò fuori dalla casa lasciando suo fratello solo con quei bigotti.
Cominciò a correre senza direzione, desideroso di aumentare il più possibile la distanza da quel luogo. Aumentare lo spazio da quell’Harvelle, da Missouri, da Singer e per la prima volta anche da suo fratello. Si ritrovò a detestare per un momento tutto ciò che lo collegava o gli ricordava il passato, persino Sam …
Corse fino a non riuscire più a respirare, rischiò per un paio di volte di farsi mettere sotto da una macchina, ma non si fermò.
Quando finalmente decise di diminuire la velocità si accorse di essere arrivato al Memorial Stadium, e così come lo vide, i suoi occhi si inondarono di lacrime. In un attimo il suo viso era completamente bagnato dal pianto. Portò le mani alla testa e girò su sé stesso, completamente perso.
Ad un tratto, tutto intorno a lui gli sembrò uguale a ventidue anni prima. Il cielo annuvolato che stava sovrastando la sua testa si trasformò in un azzurro cielo d’estate, il mondo cominciò ad ingrandirsi sempre di più, il luogo si popolò di centinaia di persone in festa e Dean si ritrovò a stringere la ruvida e protettiva mano di suo padre. 
“27 agosto dell’83”  sussurrò istintivamente con voce strozzata.
Era la prima volta che suo padre lo portava allo stadio, anche se quella che stavano andando ad assistere era solo un’amichevole tra le squadre di due college, tra le quali giocava il nipote di Mary, Niv.
Mary era restata a casa a occuparsi di Sammy, che allora aveva tre mesi, e perciò lui e suo padre potevano restare tutto il pomeriggio assieme a divertirsi ascoltando musica rock a tutto volume e mangiando una marea di caramelle, hamburger e patatine.
Sorrise stringendo i denti il più forte che poteva.
Ecco che era ricaduto nel passato.
Non si chiese il perché di ciò che stava accadendo, quel momento era troppo bello, e se lo sarebbe goduto fino in fondo. Ma troppo bello per essere vero, come arrivò scivolò via.
Ora sopra di lui c’erano di nuovo quelle nuvole nere che minacciavano tempesta, il sole si era dissolto, e tutte le voci di quella soleggiata giornata di estate sfumate.
Dean rimase in piedi, fermo davanti all’entrata chiusa dello stadio, come in trans.
 
Sam si alzò dal tavolo. Venti minuti erano più che sufficienti per Dean per rilassare i nervi tesi. Non disse nulla e si avviò verso l’uscita. Ma quando si ritrovò in giardino e guardandosi attorno notò che suo fratello non c’era, entrò in panico.
Non sapeva come poteva reagire, in quelle condizioni avrebbe potuto benissimo farsi male.
L’aveva visto nei suoi occhi: era al limite della disperazione.
Si diede dello stupido per non averlo accompagnato e prese il cellulare dalla tasca.
La prima, la seconda, e poi la sesta chiamata. Il telefono di Dean dava sempre occupato.
“Missouri, tu puoi sapere dov’è andato?!” pensò poi alla fine.
“Mi dispiace ragazzo … io posso soltanto percepire le energie in una stanza e leggere nella mente delle persone, ma non posso tirare il coniglio fuori dal cappello” gli disse con espressione dispiaciuta.
“Ma vedrai che tuo fratello starà bene. E’ un ragazzo forte, non hai di che preoccuparti … Magari adesso sarà in un pub ad affogarsi nel whisky, ma una volta passata la sbronza supererà questa faccenda!”
Sam strinse i denti. Avrebbe voluto vomitare su di loro tanti di quegli insulti! Non avevano minimamente idea di quello che Dean aveva passato?
“Giuro che se … gli succede qualcosa!” Sam si trattenne sigillando le labbra, prima che gli insulti e le minacce arrivassero.
“Sam, non c’è bisogno che ti tappi la bocca, lo so cosa credi che siamo …” –gli ricordò con voce comprensiva Missouri, avvicinandosi – “Ma la cosa che vi sta accadendo è collegata a ciò che è successo ventidue anni fa, che seppur doloroso deve venire affrontato …”
“Voi non capite cos’ha passato!” gli urlò contro.
“Ragazzo, lo capiamo eccome!” lo zittì con una smorfia dura Will. “Non siete gli unici che avete sofferto!”
Sam abbassò lo sguardo.
“Ad ogni modo …” –tentennò- “Devo sapere come sta mio fratello …” disse con la voce che si perdeva in un bisbiglio.
“Vado io!” asserì autoritario Harvelle. “Nella tua visione Bobby veniva ucciso, ha bisogno di qualcuno che gli copra le spalle e in questo caso non può andare a cercare Dean da solo. Missouri vi aiuterà ad individuare la creatura che infesta la casa e tu Sam” –lo indicò- “Sei tu che hai avuto la visione, quindi sai cosa succederà! Sei in pieno vantaggio su tutto questo!”
Gli altri due non potettero fare altro che essere d’accordo, ma Sam sbuffò restio a quell’idea. Non si fidava molto di quel Will, era praticamente uno sconosciuto, e tutto ciò che aveva fatto a lui e a suo fratello fino a quel momento era solo stato ingannarli. Ma ad ogni modo aveva ragione, e comunque sapeva che non era Dean quello in pericolo: lo avrebbe sicuramente visto nella sua visione.
“Su forza!” -Missouri interruppe i suoi pensieri- “Andiamo a fare il culo a quel poltergeist!” lo richiamò scoccando più volte le dita verso di lui.
Sam e Missouri salirono sui sedili posteriori della vecchia auto di Bobby e misero in moto.
“Conoscevo tua madre Sam …” gli sorrise malinconica dandogli una leggerissima pacca sulla spalla.
“…” il bruno si voltò con occhi attenti e addolorati verso di lei.
“La vedevo con te … Ti portava a fare passeggiate tutti i pomeriggi. Era una madre amorevole”
Sam sorrise sensibilmente.
“Non credo che la creatura che infesta la casa sia lei … Anche se dopo morti tragiche anche la persona più buona del mondo potrebbe trasformarsi nel male.”
“Come … Mia madre potrebbe essere il poltergeist?” le chiese preoccupato.
“O se no anche tuo padre. Ma comunque non credo … Voglio dire, se fosse così gli incidenti non ci sarebbero solo ora. In tutti questi anni la casa è stata relativamente tranquilla …”
Sam sospirando, fissò di nuovo lo sguardo sulla strada.
“Volevo dirti che mi dispiace …” la voce di Missouri era piena di compassione e dolore.
“P-Per cosa?!” riuscì a chiedere lui
“Per quel tuo amico, Jonson … Per tutto ciò che hai passato da piccolo e che stai passando ora. Sam, voglio essere sincera con te … Una volta che prendi questa strada è quasi impossibile uscirne.”
Ecco la risposta. Bam! Quello che temeva sin da quando era iniziata questa fottuta fuga da quei maledetti demoni. Ricevette come un cazzotto allo stomaco, dovette stringere i pugni fino a farseli diventare violacei per incassare il colpo senza piegarsi in due.
Missouri lo osservò rammaricata. Il dolore fatto persona.
“Mi dispiace …” bisbigliò sentendosi un po' in colpa.
 
 
 
 
 
 


 

*L’escursione termica sulla catena dell’Hindu Kush –ai piedi della quale è situata Kabul- è enorme, e quando ad aprile ci sono quindici gradi, di notte la temperatura scende anche sotto lo zero, quindi no, non mi sono bevuta il cervello facendo confusione con i mesi (nel capitolo 18 Dean accennava che erano ad Aprile) xD


 

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