L'amore ai tempi di Spotted

di Una Certa Ragazza
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una nausea sottile ***
Capitolo 2: *** Rossana ***
Capitolo 3: *** Cirano ***
Capitolo 4: *** Gli strumenti del potere ***
Capitolo 5: *** Configurazione tattica ***
Capitolo 6: *** Persone e computer ***
Capitolo 7: *** Il crimine ***



Capitolo 1
*** Una nausea sottile ***


Ebbene sì, eccomi. Era già un po' di tempo che volevo pubblicare un romanzo su EFP, chi l'avrebbe mai detto che sarebbe stato in questa sezione!
Sono convinta che un romanzo destinato alla carta sia diverso da un romanzo online, dunque ho deciso di scrivere una storia fatta appositamente per EFP. Questo significa che i capitoli sono un po' meno lunghi di quelli che scrivo di solito e che ad ogni capitolo inserirò note/spiegazioni per le scelte che ho fatto dal punto di vista dello stile, dei contenuti o dei personaggi. Cercherò di non annoiarvi oltre, limitandomi a dirvi che qualunque consiglio e critica è assolutamente ben accetto. Se volete insultarmi fatelo pure, se volete essere cattivi anche: in genere non mi ritiro sotto un fungo a piangere delle mie disgrazie, se c'è qualcosa che non va nel modo in cui si scrive, l'unica cosa da fare è ascoltare i consigli e rimboccarsi le maniche.

DUE PAROLE SU SPOTTED: Visto che Spotted è spesso al centro di questa vicenda mi sento in dovere di spiegare cosa sia a chi non lo sa (condizione più che legittima). Gli spotted sono pagine - molto spesso su Facebook - dove chiunque può postare le proprie dichiarazioni d'amore o gridare al mondo quanto si odia una persona. Tanto rimane tutto anonimo. Quello che si vuole scrivere viene mandato come messaggio privato al gestore della pagina, che provvede a pubblicarlo sulla bacheca a nome di Spotted. Dunque, a meno che uno non scriva il proprio nome in fondo al post, è impossibile rintracciare chi l'abbia mandato. E' un sistema molto popolare all'estero e di recente sta prendendo piede qui in Italia, specialmente tra gli universitari. Se volete chiedere spiegazioni più dettagliate al riguardo, chiedete pure! XD

Bene, ora vi lascio alla storia.



 

A tutti quelli che, almeno una volta nella vita,

hanno pensato a quanto sarebbe bello poter cambiare il mondo.

 

 

 

 

 

CAPITOLO 1

Una nausea sottile

 

"Ora me ne accorgo, mi ricordo meglio ciò che ho provato

l'altro giorno, quando tenevo in mano quel ciottolo.

Era una specie di nausea dolciastra. Com'era spiacevole!

E proveniva dal ciottolo, ne son sicuro, passava dal ciottolo nelle mie mani.

Sì, proprio così, una specie di nausea nelle mie mani."

 

"La Nausea", Sartre

 

 

2 chilogrammi di pasta,

1 etto di prosciutto,

500 grammi di macinato,

1 vasetto di sugo,

e...

10 pacchi di pop-corn.

 

Rossana alzò gli occhi al cielo, benchè nessuno stesse assistendo alla sua esasperazione.

Dieci pacchi di pop-corn? Forse era l'ora di parlare ad Emma del suo rapporto con la realtà e con i cibi spazzatura.

Mise via la lista della spesa con tutta calma, piegando gli angoli in modo che combaciassero, poi tornò al suo libro, cercando di non pensare al fatto che la voce del professore la stava lentamente , ma inesorabilmente, uccidendo.

Sarebbe stato interessante scoprire quanto ci metteva un essere umano a tirare le cuoia se esposto a tale tortura per un tempo sufficiente.

Non che sociologia non le piacesse, per carità. Era solo che non riusciva a concentrarsi su niente; era un periodo in cui andava per questo verso.

A riprova di questo fatto, dopo un paio di minuti si rese conto di aver riletto la stessa riga del suo saggio per cinque o sei volte, senza riuscire a collegare il suo significato a niente che non fosse il vuoto assoluto.

Chiuse le pagine con un sospiro frustrato e appoggiò la testa contro il banco dietro di lei.

La facoltà di Scienze Politiche non era un posto allegro, ma non era neppure del tutto triste.

Si trovava in un palazzone da boom economico, che poteva essere stato costruito negli anni settanta, e secondo Rossana contava, tra le fila dei suoi studenti, una serie di sfaticati senza precedenti.

A sentire Emma, che faceva Giurisprudenza, i nullafacenti erano ovunque, come pure quelli che si impegnavano, e parte di Rossana conveniva che aveva ragione.

Tuttavia, il suo giudizio era in quel momento inasprito dagli insopportabili cazzari della fila dietro che continuavano imperterriti a farsi gli affari loro, e lo stavano facendo a voce alta.

Rossana chiuse gli occhi ed inspirò profondamente. Non aveva infinite compagnie di amici e non ne cercava di più di quelle che già aveva, ma non era neppure il caso di saltare al collo dei cretini dietro di lei e farsi dei nemici.

Del resto nemmeno lei stava seguendo. Solo che non stava urlando come una scimmia.

Lanciò uno sguardo nostalgico a "Sociologia relazionale. Come cambiare la società." Quel libro le stava piacendo davvero, ma non c'era niente da fare, quel giorno era così: non riusciva a decidersi se i suoi pensieri fossero troppo veloci perché lei li potesse afferrare, o se invece fossero talmente lenti da non essere neppure percepibili.

Il problema era che le succedeva sempre più spesso.

Stiracchiandosi un po' – non ne poteva più di star seduta su quella sedia – Rossana si dedicò all'ultimo di una serie di passatempi che lei stessa giudicava poco costruttivi e che si erano succeduti nel corso degli anni.

Il passatempo in questione era leggere i post di Spotted, dal primo all'ultimo, servendosi del suo cellulare provvisto di internet e touch screen.

Non c'era niente di particolarmente eccitante, secondo Rossana, nel leggere i proclami d'amore, odio e quant'altro dedicati a persone che per la maggior parte non conosceva e scritti da gente che voleva rimanere anonima.

Anzi, dopo un po' che leggeva sentiva che una nausea sottile si impadroniva di lei, e chissà se era dovuta alla banalità di quello che leggeva o al fatto che fissare troppo a lungo uno schermo cinque pollici nuoce alla salute...

Anche dal punto di vista mentale, stare su spotted le faceva quasi male; era un po' come ammettere a sè stessa che non aveva niente di meglio da fare.

In effetti, se ci pensava, le sembrava che tutte le lievi, persistenti manie tipiche delle persone nascessero in realtà dalla noia. Pareva una spiegazione accettabile per la tricotillomania, la dipendenza da sigarette, la tendenza a mangiarsi le unghie e il rifiuto di calpestare le linee di congiunzione delle piastrelle.

Rossana ne aveva tre su quattro.

In sintesi, come spesso accade quando si ha la possibilità di farsi gli affari degli altri – e di farlo tramite un aggeggio elettronico – Rossana non riusciva a smettere di leggere Spotted. O meglio, smettere di leggere Spotted avrebbe costituito un dispendio di energie mentali che in quel momento Rossana non era incline a sprecare.

Dopo una manciata di minuti Rossana sollevò il viso dal cellulare e cercò con gli occhi i suoi amici, molte, troppe file più avanti.

Ancora una volta lei era arrivata in anticipo e loro in ritardo, il che in facoltà significava, paradossalmente, che lei si era conquistata il diritto di sedere in fondo e loro si dovevano accontentare della prima fila.

"La prossima volta mi faccio furba." pensò Rossana.

Il suo sguardo pensoso si fermò sulla testa bruna di Andrea. Stava attraversando un periodaccio, il ragazzo: faticava a star dietro agli esami, il che secondo Rossana era praticamente impossibile, ma forse questo era dovuto al fatto che sua mamma era scappata di casa con un ingeniere trentenne, qualche mese prima. O al fatto che Andrea non si stesse integrando particolarmente bene nella nuova città, per dirne una.

Andrea era il suo unico compagno di corso che Rossana conoscesse dai tempi del liceo, e lo riteneva un suo caro amico. Tuttavia, anche se Rossana si trovava perfettamente a suo agio nell'avere a che fare con persone che non conosceva – altrimenti non avrebbe fatto Scienze Politiche – aveva delle difficoltà a rapportarsi proprio con i problemi di chi le era più vicino.

Fatto sta che non sapeva da che parte cominciare per alleviare la depressione di Andrea.

Scrollò le spalle, cercando di scacciare la vaga ansia che sentiva: non aveva senso preoccuparsi per cose che al momento non era in grado di risolvere, la cosa migliore che poteva fare era chiedere consiglio a zia Olivia, che faceva la psicologa. Sarebbe stata senza dubbio la scelta migliore.

All'improvviso, quasi di scatto, si alzò per andare in bagno. Non sapeva se aveva deciso di uscire e si era alzata, o se si era alzata e poi aveva deciso di uscire, ma in fondo non aveva importanza.

 

Arrivata al lavello, Rossana ficcò la faccia sotto l'acqua e poi si guardò nello specchio sbreccato.

Secca, vestiti larghi, una fiammata tinta di capelli rosso tiziano in testa, labbra sottili, mento a punta e occhi nocciola. Questa era Rossana, più o meno.

Ah, poi c'era l'onnipresente fascia per capelli, che possedeva in vari colori e che la faceva sembrare uscita da un concerto di musica etnico-alternativa, cosa neppure del tutto falsa.

Era carina, e non mentiva a sè stessa dicendosi di non esserlo.

Si asciugò alla bell'e meglio con della carta asciugamani che sembrava progettata appositamente per non assorbire acqua e per qualche momento rimase così, a fissarsi.

La porta si spalancò con il botto tipico di quando stanno entrando almeno due persone che nel frattempo stanno anche chiaccherando o ridendo. Facendo casino, insomma.

Erano due ragazze, e Rossana riconobbe la più alta delle due come una delle più attive urlatrici della fila dietro. A modesta opinione di Rossana, gridava "sono una troia" da ogni centimetro di pelle scoperta, che era parecchia.

«Hai visto come ti guardava quello della seconda fila? Si è voltato verso di te per tutta l'ora.» le stava dicendo l'amica, leggermente meno slanciata e provvista di borsetta.

«Ma chi, quello con gli occhi da pesce?» disse l'altra, avvicinandosi così tanto allo specchio che quasi lo toccava con il naso e ravviandosi i capelli mossi.

«Exactly, mia cara.» mentre parlava e si metteva il mascara, la ragazza con la borsa mandò una specie di sorriso in direzione di Rossana, come a riconoscimento della sua presenza. Per il resto le due la ignorarono completamente.

«Ma è il peggio roito della facoltà!» fece la passeggiatrice in erba, con una risata alta e quasi scandalizzata.

«Concordo. Andrea, mi pare che si chiami...» lo sguardo di Rossana saettò verso di loro, ma le due ragazze si stavano già avviando verso l'uscita.

«Senti, andiamo fuori? Voglio una sigaretta.»

«Ma sì. Tanto non ne posso più...»

Rossana rimase sola al centro del bagno, a fissare lo specchio senza cercare la propria immagine.

Si accorse di aver stretto un po' i pugni solo quando le unghie premute contro la carne iniziarono a darle fastidio.

Ah, ecco. Allora le cose stavano così. Si disse che non avrebbe dovuto sentirsi così male, così nauseata, come se non avesse saputo già da prima con cosa aveva a che fare.

Un mondo dove chi era più solo, o più brutto, o più timido veniva emarginato e costretto a non sentirsi mai veramente parte di niente. Ed era quasi ridicolo pensarlo, perchè sembrava una di quelle idiozie, una di quelle distinzioni sociali da telefilm americano, eppure era così: la vita era un clichè, il mondo non era che uno stereotipo di sé stesso, ed era pieno di persone pronte ad agire in coro, perché era comodo.

Non c'era una rendenzione finale, non c'era nessuna giustizia divina; c'erano soltanto persone che rovinavano la vita ad altre persone, senza neppure accorgersene, per il semplice motivo che era in loro potere farlo.

Era vero, Andrea non era bello. Rossana non era sufficientemente ipocrita e buonista per dire il contrario, ma quelle due lo conoscevano? Sapevano del modo splendido in cui suonava il violino, sapevano della sua risata o del suo modo di inclinare la testa per dire che non era convinto? Sapevano del bene che voleva al fratello?

No, loro non sapevano niente di tutto questo, e nonostante ciò, nonostante a loro non cambiasse niente trattarlo male o trattarlo bene, parlarne male o non parlarne affatto, continuavano. Continuavano, come chissà quanta altra gente nei confronti di altra gente, a rendere la vita di Andrea un posto in cui lui non si sentiva mai a casa.

La cosa peggiore era quell'impotenza che sentiva, perché il mondo non sarebbe cambiato ad un suo comando, il solo pensare di convincere sette miliardi di persone a comportarsi in maniera diversa generava in lei una massiccia dose di frustrazione. Era semplicemente impossibile. Lo era anche limitandosi al suo corso di studi, o alla sua città.

I suoi occhi, alla fine, cercarono i suoi occhi nello specchio, e per la prima volta da tanto, tanto tempo, dopo un inverno che sembrava durato mille anni, nella mente di Rossana tutto si sistemò in modo da formare un pensiero unico e pieno. Era bello e lucido come una spada, e ancora non era del tutto esplorato, non ancora completamente definito.

Fece il tragitto dal bagno all'aula come se fosse in uno stato di ipnosi. Non c'era un'utilità nel pavimento o nei muri o nelle porte, l'unica cosa che Rossana vedeva era l'Idea, che si stagliava dritta e precisa nella sua mente, nera su sfondo bianco.

Si sedette al suo posto e tirò fuori il piccolo computer portatile che aveva nella tracolla, accendendolo. Mentre aspettava che il sistema operativo si avviasse, fece scivolare lo sguardo su "Sociologia relazionale. Come cambiare la società.", poi gettò un'occhiata agli occupanti della fila dietro, poi i suoi occhi si spostarono sul capo chino di Andrea, in lontananza.

Si collegò alla rete wireless, entrò sulla pagina di Spotted.

E cominciò a scrivere.




 





NOTE di FINE CAPITOLO: Ecco qui. Spero di non aver scritto troppo male, perchè la stesura è stata veloce e un po' anarchica. Spero anche di aver fatto emergere almeno un po' il carattere di Rossana. Volevo precisare che il racconto è in terza persona abbastanza stretta: questo significa che tutto è visto dal punto di vista di Rossana, di cui non necessariamente condivido le idee e le opinioni. Ve lo dico perché nessuno si stupisca di certe cose che succederanno più avanti, e per chiarire che lo sguardo che getta sulla realtà non è il mio.
Non so quando aggiorneò, anche se spero di farlo in tempi brevi. Alla prossima, mi auguro! :)

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Capitolo 2
*** Rossana ***


Ciao a tutti!
Sono reduce da una caccia spericolata ad un ragno incinto di nome Jerry, che si è risolta con un bicchiere di plastica verde giù dal balcone, io e la mia migliore amica chiuse fuori sotto la pioggia e i ragazzi piegati in due dal ridere. Non chiedete.
Dunque, visto che sono stata stranamente puntuale, oggi diluvia... anzi no, quella è la regola. Ad ogni modo, cercherò sul serio di aggiornare ogni settimana, in maniera regolare, ma mi conosco e vi avverto già che difficilmente manterrò fede al mio impegno, dunque scusatemi in anticipo.

Volevo dare alcune spiegazioni sul capitolo precedente (ho deciso che commentare nelle note del capitolo successivo potrebbe essere una buona idea, ditemi voi se siete d'accordo):
1- Il capitolo precedente è un po' squilibrato, con la parte dedicata ad Andrea molto corta e quella dell'amarezza di Rossana molto lunga; questo perchè dirò di più su Andrea nel capitolo 3, che un tempo era il 2 ma che ha richiesto un taglio al centro e che per una lunga serie di motivi mi sembrava la sede migliore in cui aggiungere dettagli su di lui.
2- Come forse avrete notato, la "voce interna" di Rossana non è fatta delle prime parole disponibili (non è neppure ricercata, ma è comunque appartenente ad una persona di media cultura), eppure lei ogni tanto ci tira qualche parolaccia. Il motivo è che volevo cercare di restituire la voce di una ragazza che in ogni caso ha diciannove anni e che non va tanto per il sottile, colta o no che sia.
3- Ci dev'essere sempre un "punto tre", ma in realtà non ho idea di cosa dire...
Ah, già: volevo avvertirvi di considerare il punto di vista come una terza persona non esageratamente stretta, il che significa che il narratore non vede tutto esclusivamente dagli occhi di Rossana. Per questo posso prendermi la libertà di descrivere/dire cose che Rossana riterrebbe scontate. Esempio nel capitolo scorso: Rossana sa perfettamente che Andrea è un suo amico (e grazie ai rapanelli! Sarebbe strano il contrario...), ma il lettore non lo sa. Vista la mia scelta nel p.d.v, io posso dirglielo.

Ora la smetto, ringrazio tutti quelli che hanno letto/commentato/messo la storia tra le seguite e vi lascio al capitolo!




CAPITOLO 2

Rossana

 

"Cara Rossana, no che non sono arrabiato

solo mi chiedo dove abbiamo sbagliato."

"Rossana", Mercanti di Liquori

 

«Eccomi.» salutò Rossana entrando in casa «E la prossima volta scordati che io ti compri tutte queste schifezze.»

La testa di Emma, sua coinquilina e sua sorellastra, nonché sua migliore amica, fece capolino dalla porta del soggiorno «Ohh, Sana, li hai comprati!» dal tono sembrava che Rossana le avesse appena salvato la vita, ma d'altronde Emma metteva un'enfasi del genere in tutte le cose che diceva, come se fosse sempre questione di vita, di morte o di sentimenti sconfinati.

Era il tipo di persona che gridava di spavento se cadeva un cucchiaio, saltellava per la stanza se le preparavano un dolce e lanciava esclamazioni di sorpresa se trovava una coccinella sul davanzale.

Era, in una parola, Emma, con i suoi capelli castani sempre raccolti in una coda di boccoli che le sfiorava le spalle e con le labbra sottili – le stesse di Rossana – che si stiracchiavano di continuo in un sorriso.

«Certo che te li ho comprati.» sbuffò Rossana «Ho perfettamente idea della faccia che avresti fatto altrimenti. Ma, come ti ho detto, non lo farò mai più.»

«E su, è solo qualche pacco di pop corn.» ribatté Emma, svolazzando nella piccola cucina – che più che altro era un angolo cottura a penisola che dava sul soggiorno – seguita con più calma da Rossana «Ho fatto ben di peggio.»

Rossana ridacchiò «Come se non lo sapessi, il fatto però è che continui a mangiare robaccia e non fai uno straccio di attività fisica.» buttò la tracolla con i libri sul divano, affossando il cuscino «Ma del resto non sono tua madre, perciò fa' un po' come vuoi.»

Emma le fece una linguaccia, ma Rossana non aveva nemmeno bisogno di chiedersi se se la fosse presa o meno: si conoscevano e bisticciavano con affetto da così tanto tempo che quella era ordinaria amministrazione.

Mentre Emma le raccontava un paio di fatti divertenti successi quel giorno, Rossana si sedette alla scrivania, che avevano dovuto mettere nel salotto per mancanza di spazio, accese il computer e iniziò a vagare su internet come un'anima in pena. Ogni pagina diventava inutile non appena la apriva, e in questo Rossana non poteva non trovare un ironico rimando al resto della sua vita.

Ma ehi, bisognava essere felici e sorridere, eh?

Più di una volta fu tentata di andare a controllare su Spotted per vedere se il suo post era stato pubblicato; anzi, a dirla tutta fu la prima cosa che pensò di fare una volta preso in mano il computer, ma facendo violenza su sé stessa si costrinse a non andare su quella pagina.

Perché una volta che lo avessero pubblicato e lei lo avesse letto che cosa sarebbe successo? Niente, assolutamente niente, al che l'essersi agitata tanto per veder pubblicate delle parole che non dovevano far effetto su di lei – che le aveva scritte – ma su qualcun altro avrebbe voluto dire essere cadute proprio in basso, su questo non c'erano dubbi.

Si chiedeva, non senza una certa pigrizia, che razza di persona sarebbe diventata se non avesse più saputo controllare neppure le proprie smanie inutili.

Ad un certo punto Emma, che stava raccontando di come un professore aveva cliccato sulla diapositiva sbagliata così da regalare all'intera facoltà la visione di una foto delle sue vacanze in quel di Riccione, mentre veniva baciato dalla sua baffuta moglie, si interruppe di botto, come se fosse stata colpita – e forte – da un pensiero improvviso.

Rossana, che pure stava ascoltando con un orecchio solo, si rese conto del silenzio.

«Emma?» domandò secca e preoccupata, voltandosi di scatto per assicurarsi che la sorella non avesse sbattuto la testa contro uno spigolo o addirittura non fosse caduta dalla finestra, cosa che conoscendola poteva sempre capitare.

La vide in cucina, con le mani strette sul bordo del passavivande con una certa forza. Quando si accorse che Rossana la stava fissando distolse lo sguardo.

Solo in quel momento Rossana notò che sul piano della cucina c'era il suo telefono.

«Scusa, Sana» sussurrò Emma «L'ho sentito vibrare e... e allora l'ho preso-»

«Cos'è successo?» chiese Rossana con le sopracciglia aggrottate, già indovinando.

«Ti ha chiamato lui» la sua voce si spezzò in un singhiozzo, e Rossana scattò in piedi allarmata.

«Ha chiamato te, cercava te» Emma di ripiegò su sé stessa come un sacco vuoto, sparendo dietro alla penisola della cucina «Di nuovo.» le ultime parole raggiunsero Rossana in un sussurro soffocato.

Il Bastardo. Sarebbe stato tanto bello se fosse stato un fidanzato traditore o un amore non corrisposto, ma sfortunatamente era il padre di Rossana. Il padre di Emma.

Rossana andò a ripescare Emma, che sedeva piangendo sul pavimento della cucina, con le braccia conserte appoggiate alle ginocchia.

«Scusami, Rossana, sono solo un po'... davvero, è tutto ok.» balbettò lei, rendendosi conto che la sorella, capendo che la cosa doveva essere più seria di quella che sembrava, si era sistemata accanto a lei.

«Ehi, ehi» fece Rossana, abbracciandola goffamente «Va tutto bene, eh? Non c'è niente di cui piangere. Ti vuole bene anche lui, è solo che non te lo dimostra perché è un idiota. Lo sappiamo.»

«Parli così perché a te considera.» mugugnò Emma «Sei sempre stata la sua preferita.»

I muscoli del viso di Rossana si tesero, mentre il gelo di un senso di colpa che provava da anni si impadroniva di lei.

Era vero, non era possibile negarlo: quel loro padre degenere che lei si ostinava a chiamare con gli insulti più disparati, benché, ed era dura dirlo, le facesse anche un po' male, aveva sempre mostrato di preferire lei ad Emma. Ma Rossana, che pure detestava essere indulgente, ormai pensava che fosse soprattutto perché non era mai stato un vero genitore e forse era del tutto incapace di esserlo, e non perché davvero volesse meno bene ad Emma.

Dal punto di vista biologico erano le sue figlie, ma era come se si fossero dovute conquistare il suo affetto nello stesso modo in cui se lo conquista un amico, che prima di diventarlo è un conoscente: Emma, che aveva meno interessi in comune con lui di quanti non ne avesse Rossana, ne era uscita sconfitta.

Tuttavia Rossana non era mai riuscita a... capire. No, era davvero troppo, e poi lui era un uomo tutto sbagliato ed Emma ne soffriva, anche se lei per tanto tempo non se n'era accorta.

E da questo non si assolveva.

«Scusa, io...»

Emma sollevò lo sguardo e spalancò gli occhi «No, no, Sana! Non volevo dire questo.» disse, alzandosi di botto e asciugandosi gli occhi «Non potrebbe mai essere colpa tua, nemmeno per un secondo! È solo che...» gli occhi di Emma si riempirono di nuovo di lacrime, tutto da capo, e addirittura la sua bocca si contrasse, arricciandosi un po' agli angoli, segno che quasi non riusciva a parlare per l'amarezza che sentiva «A-a volte mi chiedo» le sfuggì un singhiozzo «cos'ho fatto d-di male.»

Anche Rossana si alzò, mise con fermezzazza una mano sulla spalla di Emma e, riprendendo un po' del piglio che Emma stessa quand'erano piccole definiva "da dura", affermò: «Niente, Emma, d'accordo? L'abbiamo già fatto, questo discorso, un sacco di volte. Il Bastardo è appunto un bastardo, e tu te ne devi fregare

Emma annuì con lentezza, ma Rossana sapeva benissimo che non avrebbe seguito il suo consiglio. Non a lungo termine, di sicuro.

«Ma sì.» disse Emma, aprendo il rubinetto del lavandino e prendendo una manciata d'acqua con cui sciacquarsi la faccia «Ho tanta gente che mi vuole bene. Ho te, la mia mamma, la tua mamma, gli amici, e poi ho Giacomo.»

Ah, Giacomo. Il ragazzo di Emma, affascinante persino agli occhi di Rossana. Ma stava bene dove stava, con sua sorella, che se lo meritava nella maniera più assoluta, anzi: semmai era lui che doveva dimostrare a lei di meritare Emma.

Rossana sorrise: «Ecco, hai visto? Non è proprio il caso di piangere, su.»

Emma la abbracciò. Un abbraccio breve breve, di slancio, e poi era già lì a girellare per la sala mettendo a posto, gli occhi ancora rossi di pianto ma con un tenue sorriso sul volto.

«Scusa» disse, mentre lavava i vetri della porta finestra «Sono proprio una stupida, è solo che è una settimana di stress e allora divento matta per cose sciocche.»

Rossana sospirò di sollievo. Era passata, e anche se sapeva che Emma prima o poi ci avrebbe ripensato e sarebbe stata male e si sarebbe messa a piangere di nuovo, per un po' potevano stare tranquille.

Rinfrancata, si sedette di nuovo alla scrivania e tornò al computer.

Ad un certo punto, dietro di lei Emma iniziò a passare l'aspirapolvere.

«Ma perché la passi a quest'ora?» si lamentò Rossana. Quell'aggeggio infernale faceva chiasso, troppo chiasso inutile e irritante.

«Perché è una settimana che non puliamo, hai presente? Potresti darmi una mano anche tu, sono sicura che non ti farebbe male!» fece Emma ridacchiando. Parlava con allegria, quasi con qualche balzo di gioia nella voce; Rossana sapeva che dopo un momento di crisi doveva parlare così per un po', per ristabilire una sua qualche armonia con cui sembrava vedere il mondo.

«Ti ho fatto tutti i compiti di tutte le materie scientifiche per cinque lunghi anni, sono sicura che puoi faticare ancora per un po'.» replicò con leggerezza Rossana, mentre un repentino sorriso le solcava le labbra e subito spariva.

La sua attenzione tornò al portatile, mentre caricava "il Barometro", un forum di attualità politica e non su cui bazzicava ormai da più di due anni. All'inizio era stata un utente estremamente attivo: commentava, scriveva, proponeva. Adesso ci passava di sfuggita di tanto in tanto, senza neppure più scrivere nella tag board, parabola riconducibile a quella che era stata la sua passione per gli argomenti trattati.

Aveva voluto fare Scienze Politiche per via di una sua fantasia romantica in cui lei, incorruttibile e intelligente, dimostrava che la gente, gli stati e la politica possono cambiare, ma già da prima di finire le superiori i suoi entusiasmi si erano gradualmente raffreddati: le persone sembravano straordinariamente refrattarie a qualsiasi cosa coinvolgesse un mutamento nelle loro opinioni.

Oh beh.

Si era comunque iscritta alla facoltà perché sapeva che non le sarebbe piaciuto studiare nient'altro allo stesso modo; e poi perché nessuno poteva dirle cosa fare, e il Bastardo voleva che facesse Medicina come lui, al che lei aveva risposto "col cavolo".

Questo non significava che si facesse illusioni in merito.

Alla fine, dopo aver dato un'occhiata d'insieme e aver deciso che non c'erano nuove discussioni imperdibili, spense tutto e radunò i fogli sparpagliati in giro, giudicando che per una volta poteva anche dare retta ad Emma e fare un po' d'ordine. Il foglio che finì in cima era quello su cui quella mattina aveva scritto una poesia che la mandava in bestia al solo guardarla.

Per puro spirito di abbandono, forse per autolesionismo, la rilesse, come se in realtà stesse vivendo di nuovo quello che l'aveva portata a scriverla.

 

Vorrei andare

sulla cima del mondo e

gridare.

Non servirebbe a niente

non lenirebbe il mio male

ma lo stesso vorrei andare

per la stessa ragione del grido

gridare.

 

«È una nuova poesia?» se Rossana fosse stata appena un po' più impressionabile e un po' più assorta, si sarebbe spaventata nel vedersi arrivare Emma alle spalle in quel modo «La metterai su qualche sito?»

Rossana si stiracchiò, facendo spallucce: «Dubito che molti potranno riconoscere il riferimento a De Andrè.»

«Dovresti guardare le altre persone come se fossero sul tuo stesso piano, Sana, te lo dico sempre.»

Rossana fece un gesto di indifferenza con la testa. Secondo lei era più che lecito guardare dall'alto in basso persone che a loro volta l'avrebbero guardata dall'alto in basso per i motivi più vari, dal fatto che non aveva una Louis Vuitton al fatto che non si era mai particolarmente interessata alla lettura dei classici.

Guardare con sufficienza persone che non ritengono importante quello che tu ritieni importante è uno degli istinti basilari dell'essere umano, tanto valeva accettarlo subito senza essere ipocriti.

Lanciò la penna sui fogli pasticciati, lasciando che rotolasse. Già le era passata la voglia di mettere a posto. A che pro farlo? Il giorno dopo sarebbe di nuovo stato tutto all'aria.

«Non è una delle migliori che hai scritto.» disse allegramente Emma, a commento della poesia.

«Taci, sorellastra cattiva.» la rimbeccò Rossana, senza tuttavia riuscire a sembrare del tutto irritata «E comunque non è già più vera.» aggiunse, quasi sottovoce, parlando tra sé e sé come se volesse convincersene. Il pensiero che stesse cercando di abbindolare persino sé stessa le diede il voltastomaco.

Odiava il fatto che il mattino dopo si sarebbe alzata nello stesso modo in cui si alzava tutti i giorni, ancora una volta senza un posto verso il quale andare, semplicemente muovendosi, mentre tutto attorno a lei si svuotava di senso e diventava abitudine, ogni giorno un po' di più.

Eppure c'era stata quella meravigliosa sensazione, quella mattina...

Emma notò il viso pensoso e quasi dolorante di Rossana, e il suo sorriso si appannò un po' «Rossana...» iniziò, poi sembrò lottare con le sue stesse parole e tacque, con i segni dell'imbarazzo sul volto, il volto ancora un leggermente segnato dal pianto di poco prima.

A quell'espressione Rossana ebbe una fitta di malinconia. C'era stato un tempo – non molto tempo prima, in effetti, a non voler essere tragiche era passato solo qualche mese – in cui tra loro non esistevano barriere, come in quelle spiagge che c'erano a casa loro e che sembravano poter continuare all'infinito.

Quelle spiagge non esistevano, nella stupida pianura dove studiavano, e Rossana adesso si guardava bene dal raccontare ad Emma certe cose che le passavano per la testa, anzi se poteva cercava di non fargliene percepire nemmeno l'estistenza. Come spiegare ad Emma la sua disillusione, il suo piccolo vuoto interno che a volte diventava male di vivere? Ad Emma, con quella sua allegria e quella sua semplicità disarmante?

Se avesse provato a spiegarle tutto questo non si sarebbero capite, e in fondo era meglio così: Rossana desiderava che non si capissero, altrimenti Emma l'avrebbe raggiunta nella sua uggiosa apatia, proprio quando lei considerava la solarità di Emma qualcosa di inestimabile.

«Dimmi, Emma.» si affrettò a dire, rendendosi conto di essere stata zitta per troppo tempo.

«Sono preoccupata.» iniziò, spingendo avanti e indietro col pollice un fermacarte a molla «Per te.» aggiunse. Poi, e Rossana l'aveva visto accadere già altre volte, dopo l'iniziale esitazione arrivò un fiume di parole: «Sei..giù, Sana, tu non lo dici ma io me ne accorgo, e una volta non eri così. Voglio dire, non è che tu sia mai stata una di quelle persone che sorridono sempre o parlano, parlano, parlano, però non è neanche da te trascinarti di qua e di là come se la vita non ti ispirasse granché! Io... ah! Non volevo farti un rimprovero, ti prego, non prenderla come una critica, è solo che una volta sembrava per lo meno che il mondo non ti irritasse così tanto, che fosse un posto dove potevi vivere in tranquillità, e invece adesso non ti dai pace: quando torniamo a casa non vedi l'ora di tornare qui, e manco ti accorgi di quello che c'è là. Quando sei qui sembra sempre che tu voglia tornare indietro, e continui ad aggirarti tra i tuoi pensieri come se non avessi un proposito. Ho paura... che tu sia depressa, Sana.»

Rossana cacciò fuori una specie di risata senza vivacità. Non l'aveva ingannata nemmeno per un secondo, davvero, e se lo sarebbe dovuta aspettare. Spinse il mento un po' in avanti, gesto che faceva spesso come se volesse che la mandibola fuggisse dal resto del volto, poi disse: «Mia cara Emma, sai perché certe persone si dicono lunatiche? Perché vengono dritte dritte dalla luna, e la luna è un posto triste, dove speravi di trovare cose che invece non sono mai lì. Ogni tanto ci finisco anch'io, ma tu non ti devi preoccupare: torno sempre.»







Qui ci sono un paio di schizzi di Rossana ed Emma. So che sono orribili, ne avevo fatto una sfilza tutti per benino ma me li sono dimenticati nella mia città natale, così ho dovuto ripiegare su questi, fatti in cinque minuti di tempo perso. Scusatemi, spero che quelli della prossima volta possano piacervi di più!

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Capitolo 3
*** Cirano ***


Ed eccoci al terzo capitolo! Sono di nuovo puntuale, si prevedono intense nevicate su tutta la costa ligure.

Nello scorso capitolo mi sono lasciata dietro un sacco di errori, che poi sono stati sistemati grazie ad un'azione congiunta con la mia migliore amica. Per dovere di cronaca, i più gravi sono questi:
- Ho perso per strada un intero paragrafo, prima della poesia di Rossana. Non ho idea di dove fosse andato a finire, ad ogni modo ora l'ho riscritto.
- Ho scritto che Rossana sporge in avanti la mascella. La mascella, Santo Domingo! Se mi sentisse il mio prof. di Anatomia mi taglierebbe in striscioline sottili e mi invierebbe al laboratorio come materiale per la ricerca scientifica. Insomma, benché sia un luogo comune dire "mi è caduta la mascella dallo stupore"  (o almeno, io lo sento dire spesso), in realtà l'unico osso davvero mobile nel cranio unano è la mandibola, dunque mi scuso per la mia scemenza.
- Ho ripetuto due volte una frase. L'ho copiaincollata in due punti diversi perché non sapevo dove metterla, col risultato che alla fine mi sono dimenticata di eliminare quella nel posto peggiore.
Adesso dovrebbe essere tutto a posto, ma se incontrate degli errori - in questo capitolo o altrove - vi prego di segnalarmeli

Qui di seguito inserisco un disegnino di Rossana e uno di Emma (finalmente a colori!). Sono in stile vagamente manga, per qualche schizzo un po' più realistico dovrò aspettare di conoscere i personaggi più a fondo XD Chiedo perdono per il colore dei capelli di Rossana, che dovrebbe essere leggermente più cupo: non avevo il pennarello giusto e mi sono dovuta arrangiare. La prossima volta posterò disegni un po' più elaborati e fatti meglio, spero... la mia abitità nel disegnare un personaggio è proporzionale al numero di righe che ho scritto su di lui.








Anyway, nello scorso capitolo non è successo assolutamente niente che potrebbe essere inserito in una "lista degli eventi rilevanti"; credo che solo i bravi scrittori possano permettersi di non far accadere nulla (anche se in realtà, quando uno sa scrivere, qualcosa in un modo o nell'altro accade sempre, sia pure il modo in cui viene sollevato un soprammobile) senza annoiare il lettore, tuttavia ho sentito il bisogno di scrivere un capitolo del genere per introdurre meglio il personaggio di Emma e soprattutto quello di Rossana.
Un ultima cosa, prima lasciarvi al capitolo: volevo ringraziare tutti coloro che seguono e recensiscono questa storia, in particolare Jesse O. (che mi ha anche prestato la chiavetta internet come misura momentanea, visto che ho lasciato la mia in quel di Savona), Odioiladridinickname, Brooke1993 e DreamNini. Vorrei anche ringraziare A. e P., che pur non essendo iscritte seguono questa storia.
Avete tutti la mia gratitudine!




 

CAPITOLO 3

Cirano1

 

"Io sono solo un povero cadetto di Guascogna

però non la sopporto la gente che non sogna.

[...]

Dev'esserci, lo sento, in terra in cielo un posto

dove non soffriremo e tutto sarà giusto.

Non ridere, ti prego, di queste mie parole

io sono solo un'ombra e tu, Rossana, il sole.

Ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora

ed io non mi nascondo sotto la tua dimora

perché oramai lo sento, non ho sofferto invano

se mi ami come sono. Per sempre tuo,

per sempre tuo, per sempre tuo... Cirano."

 

"Cirano", Francesco Guccini

 

Emma, chiaramente, non fu troppo convinta dalle parole di Rossana; tuttavia le accettò senza proseguire oltre il discorso, e avendo finito di pulire si sistemò al tavolo da pranzo con il suo tablet.

Non passò molto tempo prima che Rossana – che stava strimpellando con una chitarra che non era mai stata troppo brava ad usare – fosse interrotta da un grido di stupore.

«Guarda, guarda qui!» Emma si era alzata di botto, quasi facendo cadere la sedia e sé stessa, e puntava un dito accusatore contro lo schermo.

Rossana, perplessa, si rassegnò ad andare a controllare; Emma sembrava più soddisfatta che altro, per cui non doveva essere niente di così tremendo.

«Che c'è?» domandò, alzandosi con lentezza e passandosi una mano tra i capelli.

«Hanno spottato Andrea! Sono sicura che è per lui!» esclamò Emma, mentre pistacciava sul touch screen.

«Ma dai...!» disse Rossana, sbirciando oltre la spalla della sorella e riuscendo a mettere insieme quella che, per i suoi standard, era una convincente meraviglia.

Avevano fatto presto.

Beh, probabilmente il gestore di Spotted era un asociale senza uno scopo precisato nella vita, come d'altronde lo era lei.

Lesse ancora una volta le parole che lei stessa aveva usato e che aveva calcolato con attenzione.

 

FACOLTÀ di SCIENZE POLITICHE – I ANNO

Ad A.S., che oggi a lezione era seduto in seconda fila e portava una camicia bianca.

So che ci sono persone che parlano alle tue spalle, e so che lo sai anche tu.

Non guardarli, non curarti di loro. Siamo fatti di perfezioni momentanee, e se è bello avere un bel corpo, se pure – nonostante si invecchi – possa essere un orgoglio l'averlo avuto, non è la cosa più importante, perché non ha niente a che fare con noi. Il nostro corpo è il nostro tramite nel mondo, non il contrario.

Io ti ho notato per il modo che hai di guardarti intorno, per la leggerezza con cui le tue sopracciglia volano verso l'alto quando vedi qualcosa che ti sorprende, e perché ogni tanto ti vedo passeggiare con la custodia di un violino sotto braccio.

È per questo che, tra tutti, ho visto te.

Non mi firmo, perché tu dovrai trovarmi – se lo vorrai – così come ho fatto io: per caso, in mezzo alla gente. Non voglio che tu mi cerchi solo perché io ho cercato te, sarai tu a dovermi riconoscere.

 

Au revoir, X

 

«Ohhh!» fece Emma «Piacerà così tanto ad Andrea! Che dici, Sana? L'avrà già visto? Aspetta che gli mando un messaggio...»

Rossana sorrise di un sorriso piccolo, ma sentiva una strana euforia dentro di sé. Si rese conto che forse non era poi così inutile rileggersi sopra una bacheca di Facebook «Sì, diglielo. Altrimenti potrebbe non vederlo mai, conoscendolo...»

«Sarebbe un gran peccato» convenne Emma «perché questa ragazza parla come se lo conoscesse da una vita, e, non so, mi sembra che dica proprio cose per cui Andrea andrebbe matto.»

Il sorriso di Rossana si allargò. Aveva scritto secondo lo stile che Andrea prediligeva, perché nelle persone il modo di vivere e di fare riflette anche il loro modo di stare al mondo, di pensare.

Quel romanticismo un po' datato – al punto che secondo lei diventava quasi sciocco – quell'espressione di sentimenti sostenuti e solenni, a tratti esagerati, quel modo di esprimersi sembrava quello che Andrea stava cercando, e così lei li aveva messi su carta. Su pixel, a rigor di logica.

Rilesse rapidamente il post, ancora una volta. Sì, aveva un'aria da film francese non recentissimo, niente da dire, e se forse qualche frase era da limare, per il resto poteva ritenersi soddisfatta: non aveva voluto scrivere un post, aveva mirato a scrivere il Post, quello che Andrea avrebbe voluto trovare scritto per lui, da qualche parte.

Adesso bisognava solo aspettare.

Tenendosi stretta quella sensazione d'attesa, Rossana apparecchiò la tavola e mise su un po' di pasta. Emma era una cuoca molto migliore di lei, ma almeno nella fase di accensione del fuoco e spostamento di cose fragili come i piatti era meglio che non si avvicinasse.

Poteva rivedere con gli occhi della mente, oltre che con inquietante precisione, il giorno in cui era tornata a casa più tardi del solito e aveva visto una presina avvolta dalle fiamme.

Emma snobbò completamente il sugo pomodori e basilico che aveva comprato Rossana, benché fosse stata lei stessa a chiederlo, e si lanciò in una più elaborata creazione che coinvolse tutti gli avanzi nel frigorifero.

Rossana le gettò un occhiata distratta, ma non si preoccupò di capire che cosa avesse usato. Riprese a far fare ginnastica alle sue dita con la chitarra, perché quello era l'unico beneficio che poteva trarne.

«Ecco qua.» fece Emma, depositando un piatto di spaghetti davanti a lei.

«Grazie e buon appetito.» le rispose Rossana, cacciando lo strumento sulla sedia accanto e concentrandosi sul cibo. Seguì qualche secondo di silenzio che assomigliava molto ad una pausa di raccoglimento.

«Certo che sono davvero terribili. Con Andrea, dico.» disse ad un tratto Emma. Aveva gli spaghetti già arrotolati sulla forchetta, ma non sembrava decidersi a sollevare il boccone, anzi lo guardava con le sopracciglia aggrottate.

«Ah. Allora lo sai anche tu...» mormorò Rossana. A questo punto era incredibile che lei non se ne fosse accorta prima, tenendo conto del fatto che erano compagni di Università.

«Beh, sì... in realtà me ne sono resa conto per caso perché, voglio dire, non siamo più bambini dell'asilo, e magari le prese in giro non sono così evidenti, però... Quando siamo tornati a casa l'ultima volta e tu sei finita sull'altro vagone con Ippolito e Rosa, ti ricordi? Ecco, io ero seduta con Andrea, e avrei potuto giurare che quelli seduti accanto a noi stessero ridendo del suo modo di fare. Da allora ci ho fatto più caso, e mi sono accorta che anche quando usciamo con lui... non so, è come se per un sacco di gente lui fosse l'ultimo con cui vorrebbero fare amicizia. E credo che questo sia abbastanza per rendere triste una persona.»

Rossana praticamente spinse il braccio di Emma in modo che portasse la benedetta forchetta alla bocca, mentre diceva con voce bassa: «Considerando anche che non è l'unica cosa a cui deve pensare.»

Si vedeva che Emma moriva dalla voglia di parlare, ma Rossana le lanciò un'occhiata ammonitrice per evitare che smettesse di masticare. Già mangiava come un uccellino, ci mancava solo che sostituisse la pasta con le parole.

Quando Emma ebbe ridotto di metà il contenuto del piatto sembrò decidere di aver atteso abbastanza. Inghiottì l'ultimo boccone e poi iniziò a spiegare: «Ti ricordi, no, che ieri è arrivata sua madre...»

Rossana non se lo ricordava, semplicemente perché non l'aveva mai saputo. Un imprecisato senso di colpa si fece sentire da qualche parte dentro di lei: quella mattina, giudicando la sua permanenza in ambiente scolastico una perdita di tempo, era uscità dall'Università almeno mezz'ora prima, e quindi non aveva dato ad Andrea il tempo di parlarle.

«Non lo sapevo.» disse ad Emma, senza chiarirne il motivo «Va' avanti.»

«Beh, sì, sua mamma è venuta a trovarlo di nuovo. E lui le ha chiuso la porta in faccia.»

«Comprensibile.» commentò Rossana, alzandosi. Andò a mettere in forno un secondo piatto surgelato, o meglio il pretesto di un secondo piatto, una controfigura di cibo vagamente commestibile che sua madre non le avrebbe mai permesso di mangiare.

«Io lo capisco, eccome se lo capisco...» mormorò Emma, incupendosi «Ma è pur sempre sua mamma, e anche se se n'è andata di casa tiene a lui.»

«Come nostro padre tiene a te.» ragionò Rossana «Questo li autorizza a tenere comportamenti del genere? No, eppure continuano sulla loro strada. Dovranno pure pagarne il conto in qualche modo, prima o poi.» concluse, appoggiandosi a braccia incrociate contro il frigo.

«Ma così non la fa pagare a sua madre, la fa pagare a sé stesso!» obiettò Emma con decisione insolita «E credo che questo peggiori la situazione anche per Bastiano...»

Rossana ci rifletté su. Bastiano, il fratellino di Andrea, aveva solo dieci anni, e lei, che lo conosceva da quando era nato, era certa che in quel momento si sentisse tremendamente in conflitto con sé stesso: era molto affezionato alla madre, e di sicuro voleva andare a trovarla nel suo nuovo appartamento, ma Rossana aveva il sospetto che non lo facesse perché si sarebbe sentito come se stesse tradendo il padre e il fratello.

«Andrea ci sta rimuginando troppo su.» decretò infine Rossana «Dovrebbe innanzitutto considerare sua madre semplicemente come un'essere umano, non come una super-entità con il potere di condizionare la sua vita.»

«Cosa intendi?» domandò Emma.

«Che i genitori prima di essere tali sono persone, e per questo sanno come essere patetici, sanno sbagliare e ci sanno deludere. Ha un'età in cui dovrebbe accettarlo.» fece una pausa, lasciando scivolare lo sguardo oltre il vetro della porta finestra «Anche se non ti dico che sia facile. Questo no.»

«Mhm.» fece Emma, giocherellando con la forchetta e spingendo in giro per il piatto un pezzetto di pomodoro «È che sono preoccupata per lui. Mi sembra sempre più triste, sempre più solo... non vorrei che finisse come Hanna.»

«Chi?» chiese Rossana, alzando un sopracciglio.

«Una ragazza inglese che fa Giurisprudenza. Non parla con nessuno, si veste sempre di nero e ci sono tre o quattro persone che sostengono addirittura che porti sfiga...» Emma scosse la testa, come per scacciare un pensiero, e solo in quel momento Rossana si rese conto che la sorella non aveva finito la pasta.

«Emma, mangia quegli accidenti di spaghetti.»

Naturalmente erano gelati, e bisognò scaldarli nel microonde.

E mentre lei finiva il secondo e fissava il piatto di Emma girare su sé stesso nel fornetto, pensò a casa, e al fatto che là non avevano un microonde e non avevano neppure una vista panoramica su una strada trafficata e non mangiavano cibi surgelati; poi si guardò intorno e non si riconobbe in ciò che vedeva.

Era un bell'appartamento, il loro. Certo, non era molto grande – una camera piuttosto ampia, un soggiorno con cucinetta, un bagno – ma era perfetto per loro due. Solo che a Rossana le cose perfette non erano mai piaciute particolarmente, perché lei era di quelle che amavano ogni crepa, ogni mattonella venuta un po' diversa rispetto ad un'altra, era una di quelle a cui il disordine piaceva, finché era il proprio. Le piaceva dire "casa!".

Ma come erano diversi i muri bianchi e lisci di quella casa di città dalle pareti gialle colorate a mano – nello specifico dalla loro mano – che racchiudevano tutto quello che per lei rappresentava la sua accogliente quotidianità, come un guscio di conchiglia...

Le mancava l'insignificante, adorabile cittadina dov'era cresciuta, anche se si sentiva sciocca solo a pensarlo, perché quando se n'era andata la quotidianità si era trasformata all'improvviso in routine, e tutto aveva perso un po' del suo significato.

La quotidianità sapeva di pane, la routine di smog; se la prima era semplicità, la seconda era noia, alienante ripetizione di gesti privi di senso.

E tutti attorno a lei camminavano, anzi andavano avanti quasi come se corressero, ignari, privati di quel ritmo diverso e straordinario che tutti avevano appreso, fin dalla culla, e che ora avevano dimenticato. E lei intanto raccoglieva i piatti della cena, sparecchiava, guardava fuori e vedeva sempre la stessa vecchia gente, con quello sguardo spento che a volte le sembrava addirittura maligno; si sentiva soffocare, Rossana, dalla rabbia per quel mondo sempre uguale a sé stesso e dalla foga con cui tutti si calpestavano a vicenda, e non le veniva in mente un solo periodo della storia in cui per l'uomo le cose fossero state diverse, perché era la natura umana e non c'era niente da fare...

Come cambiare la società.

Rossana lasciò cadere i piatti nel lavello con una tale foga che credette di averli rotti tutti. Era come se una freccia le avesse appena attraversato il capo, ma senza farle male: le aveva solo lasciato un piccolo spiraglio tra i pensieri, ed entrava aria nuova, dentro la sua testa! C'era vento! C'era una tempesta!

Era la stessa sensazione che aveva provato quella mattina, solo un po' più chiara, appena quello che bastava perché quel pensiero o quel sentimento che la faceva sentire febbricitante, che guizzava di qua e di là senza darle tregua, si definisse con più precisione.

E se per una volta Rossana avesse scritto a Cirano?

Ma non ad un Cirano solo, a tutti i Cirano possibili: tutti coloro che erano fuori, che erano contro o che più semplicemente erano stati lasciati da parte. Gli eterni sconfitti, gli eternamente soli.

Come cambiare la società.

Rossana voleva solo questo, l'opportunità di far sentire in maniera diversa, per una volta, quelli che si erano sempre sentiti nello stesso modo, per anni e decenni e secoli. Una misura temporanea? Sì, certamente. Rossana lo sapeva benissimo. Ma il punto non era "per quanto", non era neppure "quante persone": il punto era che si trattava di una questione privata tra lei e il resto del mondo, perché le cose potevano andare meglio e lei le avrebbe fatte andare meglio, fosse anche questione di un sorriso in più sul volto di un paio di persone, ogni tanto.

Cambiare il mondo? Ha! Era un desiderio da folli. Oppure da gente annoiata, e lei aveva tutto il tempo per iniziare dal niente, anche solo per vedere cosa sarebbe successo. Perché davvero, con un interesse che non dimostrava più da parecchi mesi, Rossana voleva sul serio stare a vedere cosa ne sarebbe stato della sua idea, se era fattibile o meno, come reagivano le persone, e se lei era davvero in grado di raggiungerle e di capirle, così come pensava. Era una cosa sciocca, era una cosa meravigliosa.

«Quella ragazza di cui mi parlavi prima» iniziò rivolta ad Emma, con una voce che suonava estranea persino alle sue orecchie «quella che è sempre da sola... Come si chiama?»

 

1"Cyrano de Bergerac", celebre piece teatrale di Rostand, parla del cadetto Cirano, un giovane ribelle e sognatore innamorato di sua cugina Rossana. Essendo brutto, soprattutto a causa del suo enorme naso, Cirano presta le sue lettere d'amore al bellissimo Cristiano, innamorato a sua volta di Rossana, per far sì che almeno le sue parole conquistino la ragazza. Come avrete capito nella storia che sto scrivendo ci sono parecchi rimandi a quest'opera... Vi consiglierei di leggerla perché trovo che sia una delle cose più belle che siano mai state scritte, in ogni caso se volete saperne di più sono disponibile a tutti i chiarimenti che volete, inoltre su internet si trovano molti dettagli in merito.







NOTE di FINE CAPITOLO: Commenterò con più calma la prossima volta, volevo solo dire che ho scritto "Cirano" in forma italianizzata perché la canzone di Guccini si chiama così, e fino ad ora ho sempre fatto capitoli che avevano nel titolo un rimando alla citazione. Altra cosa importante: il post di Rossana a me non piace, ma ad Andrea piacerebbe, e Rossana è convinta di averlo scritto bene. Volevo solo sottolineare questo fatto per far capire che - come ho detto nel primo capitolo - io e i miei personaggi non condividiamo necessariamente la stessa visione del mondo. Credo che il nostro modo di guardare la vita sia intrinsecamente legato col nostro modo di intendere la Poesia.
Vi saluto, sperando di non aver combinato troppi guai e che il capitolo vi piaccia!

 

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Capitolo 4
*** Gli strumenti del potere ***


Ciao a tutti! Signori, il fatto che io continui ad essere puntuale è quasi commovente, al punto che per commemorare questo record ho fatto iniziare la storia di Rossana di martedì, come apparerà evidente in questo capitolo.
Ma basta con le solite ciance sul giorno in cui aggiorno, prometto che la pianto qui.
Grazie a tutti per essere qui, sono molto contenta che leggiate questa storia! Beh, viva la banalità: se uno non sognasse di essere letto non pubblicherebbe su EFP...

Ad ogni modo, commento al capitolo precedente: mi sono divertita molto a scriverlo, perché ho scoperto che Rossana è un personaggio che mi piace molto sviluppare. Non ho mai scritto una storia di questo tipo prima d'ora, come forse ho già detto. Di solito scrivo romanzi brevi, e anche l'unica cosa davvero lunga che ho buttato giù (e mai finito, almeno per il momento) è condita di una quantità oltraggiosa di avvenimenti che si accavallano l'uno sull'altro, creando poco spazio per le riflessioni dei personaggi. Invece, in questi capitoli, gran parte della narrazione è costutuita dai pensieri di Rossana, e devo dire che questo nuovo rapporto tra gli elementi che costituiscono la storia rappresenta per me una sorta di "sfida".
Insomma, volevo che mi diceste cosa ne pensate. Ho trasformato i pensieri di Rossana in un brodo noioso e senza senso oppure c'è del buono in tutto questo?
Passando alle vere e proprie notizie tecniche riguardo al terzo capitolo, ho cercato di montare un plausibile excursus psicologico per far arrivare Rossana alla sua decisione. E' uno dei motivi per cui ho speso parecchie pagine nell'introdurre i personaggi, ma non è il solo: innanzitutto volevo creare una protagonista solida, con una certa personalità e un pattern di pensiero che fosse suo. In poche parole, un personaggio con una sua "voce". Vi prego di credere che quasi nulla negli ultimi tre capitoli è stato inserito a caso (almeno, nelle mie intenzioni è così): i fucili di Cechov sono puntati su di voi XD.
Ho scritto il finale più che di getto, con un certo gusto per il suicidio perché di solito penso molto alle frasi che voglio scrivere, e se non lo faccio mi scompenso. Da quello che mi ha detto chi ha letto il racconto è stata invece la parte più apprezzata, ne sono felice!
Ho intenzione, in questo romanzo, di creare una fitta rete di rimandi. Libri, film, fumetti e chi più ne ha più né metta. C'è un motivo per cui lo faccio che al momento non vi svelerò: se riuscirò nel mio intento sarà bello scoprire i perché da soli, se non ci riesco... Beh, nessuno si sarà fatto male ;)

Inserirò i disegni di questo capitolo il prima possibile, è solo che in questo momento sto avendo qualche problema con internet e per riuscirci dovrò fare qualche maneggio con un paio di computer. Abbiate fede!


AGGIORNAMENTO: Ecco qui! La casa di Emma e Rossana e qualche oggetto sparso in giro da quest'ultima... ve l'avevo detto che avrei cambiato soggetto XD
Casa di Emma e RossanaOggetti sparsi da Rossana
E adesso, al capitolo! Grazie a tutti e a presto!





CAPITOLO 4

Gli strumenti del potere

 

"Ho vissuto annoiato in un mondo che non cambiava mai,

ma nemmeno la disperazione poteva distogliermi dalle mie bugie.

Però ho ottenuto... Il potere! E ora..."

 

"Code Geass R1", episodio 1

 

La parte difficile era raccogliere informazioni.

Rossana se n'era accorta la sera prima, quando aveva iniziato a navigare su internet alla ricerca di intelligence su questa tale Hanna Sunders e su quei pochi altri fuori casta che conosceva: era praticamente impossibile scoprire qualcosa su di loro a meno di non avere il loro contatto su qualche social network. O a meno che non avessero fatto qualcosa di sufficientemente spettacolare da meritare qualche menzione sul web.

Fortunatamente, benché ben lontana dall'essere un hacker, Rossana era in grado di svolgere ricerche in maniera efficente, e ora aveva abbastanza materiale su cui lavorare, almeno per quanto riguardava un paio di persone.

Rimise in borsa il portatile – aveva approfittato della colazione per cercare ancora un paio di dettagli – e si diresse senza fretta verso la fermata dell'autobus.

Fuori la aspettava una primavera improrogabile.

Forse era arrivata con un leggero ritardo, visto che era già la prima settimana di aprile, ma l'aveva fatto con tutta la decisione di un'idea trattenuta troppo a lungo.

Sul viale davanti a casa sua c'erano alcuni ciliegi rachitici e con il tronco annerito, ma i loro fiori, di quel rosa così fuori posto, avevano lo stesso trovato il modo di spuntare. Rossana quasi provò l'impulso di salutarli, segno che in fondo condivideva davvero parte dei suoi geni con Emma.

L'autobus era, come sempre, vergognosamente pieno.

Mentre sgusciava verso qualche centimetro di spazio libero, una voce la colse alle spalle: «Sana!»

Rossana, per quello che poteva, torse il collo per vedere chi avesse parlato. Anche se lo sapeva già.

«Oh.» fece, mentre il mezzo aveva uno scossone improvviso e lei si aggrappava ad una maniglia «Ciao, Giacomo.»

Già... Facendo Ingenieria Giacomo faceva quasi la sua stessa strada, e di tanto in tanto prendeva il suo stesso autobus. Avrebbe anche potuto ricordarselo.

«Allora, come va?» domandò lui con un sorriso acceso, avanzando finché non riuscì ad arrivare davanti a lei. Aveva il portamento di chi riesce ad essere sicuro di sé stesso senza pretendere troppo dal resto del mondo, e questo Rossana un po' glielo invidiava.

«Va.» replicò lei, sorridendo a sua volta e allo stesso tempo cercando di non fissare con troppa intensità o con troppa fantasia niente che appartenesse a Giacomo. Da quando era diventato così difficile? «Meglio del solito, devo dire.»

Altro scossone. Giacomo si puntellò contro le pareti dell'autobus per non cadere, e il suo braccio arrivò a pochi centimentri dal viso di Rossana, la sua mano bloccava qualche ciocca dei suoi capelli.

Rossana si accorse che stava trattenendo il respiro, ma non era più una ragazzina di terza media: con nonchalance si scostò leggermente, per quello che la massa di gente permetteva.

C'era qualcosa di orribilmente intimo nel modo in cui due persone possono sfiorarsi su un mezzo pubblico, specialmente se una di quelle persone sei tu e l'altro è il ragazzo di tua sorella, che disgraziatamente non ti è del tutto indifferente.

Come se un tocco potesse attraversare la pelle e arrivare fino alle ossa, bruciando un po'.

Giacomo parve non essersi accorto di niente – del resto di cosa avrebbe dovuto accorgersi? – e chiese: «Hai sentito che i Transamerica fanno un concerto al Pueblo?»

Rossana incrociò le braccia. Adesso la situazione era decisamente sotto controllo, non ci voleva poi così tanto «Sì, me l'ha detto Simona. Penso che ci andrò.»

«Beh, già che ci siamo andiamoci assieme.» suggerì Giacomo, alzando la spalla del braccio libero.

«Ad Emma non piace quella musica.» rispose Rossana, laconica. Si rese conto che c'era una nota di ammonimento nella sua stessa voce.

«Lo so, ma di sicuro non si arrabbierà se noi ci andiamo.» ribatté il ragazzo, quasi con allegria «Anzi, conoscendola potrebbe fin prendersela perché non siamo andati.»

«Già.» Rossana, monotona, monocorde, si sistemò un po' la fascia «Domani chiederò ad Ippolito, di certo vorrà venire anche lui.»

Inspiegabilmente, Giacomo la inchiodò con uno sguardo che Rossana classificò immediatamente come ironico. Dopo, successe tutto talmente in fretta che lei non poté essere sicura di averci visto giusto: vide Giacomo girare la testa di profilo e avvicinarsi ancora di più a lei, così tanto che se Rossana avesse sporto appena un po' la testa in avanti sarebbe arrivata a toccare la sua spalla.

Trasalì, per poi accorgersi che Giacomo aveva riempito la distanza tra di loro solo per permettere ad una grassa signora con un vestito a pois di sistemarsi dietro di lui.

L'autobus era pieno, cosa bisognava farci...

Rossana quasi sospirò di sollievo, ma quel ragazzo continuava ad essere vicino. Era troppo, troppo vicino.

Staccò a forza i suoi occhi da quelli di Giacomo, di quell'azzurro così perfetto, così irritante, e si concentrò sulle persone che li circondavano e sulla città che scorreva fuori.

Accanto al finestrino c'era un ragazzino con una cartella blu, che aveva un game boy tra le mani e un'espressione talmente concentrata sul volto che si sarebbe detto che stesse salvando la razza umana; ogni tanto, però, alle sue labbra affiorava un sorriso, come se fosse il custode di una specie di segreto che solo lui conosceva.

L'anziano piantato in mezzo al corridoio sembrava un vecchio soldato messo a guardia dell'obliteratrice, perché guardava con un guizzo di sospetto chiunque si avvicinasse, cosa che in realtà non sembrava avere molto senso. La donna obesa dietro Giacomo aveva con sé almeno quattro sacchetti della spesa pieni di insalate e pomodorini e frutta.

Signora, non poteva mettersi a dieta prima di salire su questo autobus?

Se avesse ignorato Giacomo ancora a lungo sarebbe parso un atto di scortesia premeditata, e benché generalmente non si facesse il problema di cosa gli altri avrebbero pensato di lei, spostò ancora una volta la sua attenzione sul ragazzo.

«Dunque» cominciò a parlare, come se avesse sempre avuto intenzione di riprendere un discorso lasciato in sospeso «per il concerto potremmo metterci d'accordo stasera.»

«Oh, già, che c'è il mercoledì universitario...»

Un muscolo si contrasse all'angolo di un sopracciglio di Rossana, cosa che succedeva sempre quando un'affermazione evocava un pensiero blandamente irritante. Non le piaceva l'espressione "mercoledì universitario", forse per via dell'esistenza di tutti i martedì, i giovedì e i venerdì universitari di questo mondo: era una dicitura che cancellava qualsiasi eccezionalità, qualsiasi aspettativa che si potesse avere riguardo a quelle serate.

Ad ogni modo, era un pensiero molto ozioso.

«È irritante, vero?» fece Giacomo dopo qualche secondo di silenzio.

«Che cosa?»

«Il fatto di parlare di mercoledì universitario.» Giacomo parlava e Rossana intanto guardava la linea definita che separava la sua maglietta, le sue spalle, il suo tutto dal resto del pullman «Sono due anni che sto qui e non ho ancora capito che cazzo significhi.»

Il fatto era che lei e Giacomo andavando d'accordo su troppe piccole cose.

Per fortuna il paesaggio fuori dal finestrino era diventato un lungo caseggiato rosso mattone, il che significava che la sua fermata si stava avvicinando.

«A stasera.» a Rossana parve di sfrecciare verso la porta, anche se in termini di tempo reale sapeva – razionalmente – di essere andata alla velocità di un bradipo.

Era in momenti come questi che ad un tratto si incantava ad immaginare un'ascia, ben stretta nel suo pugno, con cui liberarsi di tutti quelli che si mettevano sul suo cammino.

«Ciao.» la salutò Giacomo, che adesso si era appoggiato con le spalle al finestrino, più o meno dov'era lei poco prima.

Mentre scendeva, le sembrò di vedere di nuovo sul suo volto quel sorriso ironico e affilato di prima. Beh, saranno stati problemi suoi, supponeva.

Lei invece era piuttosto allarmata dalle sue reazioni, che diventavano sempre più fuori luogo ogni volta che vedeva Giacomo.

Fece il breve tragitto che la separava dall'Università tormentandosi una ciocca di capelli e considerando nell'insieme quello che era ormai un fatto: le piaceva il ragazzo di Emma, e aveva avuto modo di accorgersene nel giro dell'ultimo mese. Era, più che altro, una specie di attrazione che volente o nolente – in realtà, per quello che la riguardava, decisamente controvoglia – la portava ad agire in conseguenza della sua esistenza.

Il motivo stesso per cui ad un certo punto aveva smesso di considerare il ragazzo, sull'autobus, era che lo stava considerando, quindi in sintesi ogni sua azione durante il viaggio era stata dettata dalla presenza di Giacomo.

Tuttavia ci mise pochi minuti a decidere che il problema non si poneva neanche: la felicità di Emma aveva per lei una precedenza talmente assoluta che non aveva neppure bisogno di essere evocata. Non era un pretesto, era un fattore già inserito nel calcolo, imprescindibile, immutabile. Quanto a lei... beh, la sua era proprio una cotta sciocca.

Era stata innamorata, una volta, e questo non era niente in confronto.

 

Questa volta Rossana si diresse dritta verso le prime file. Non perché le convenisse, anzi avrebbe fatto molto meglio a sedersi dietro a tutti, in modo da poter pistacciare indisturbata sul computer per l'intera lezione, ma per poter vedere come stava Andrea, se aveva letto il post e cosa ne pensava.

Sapeva di non avere il distacco o l'umiltà necessari a non aver bisogno di osservare i frutti della propria penna, ma non se ne preoccupava più di tanto.

"L'assassino ritorna sempre sul luogo del delitto" le venne in mente per qualche ragione sconosciuta, mentre si sedeva al contrario sulla ribalta del banco e sistemava i piedi sulla sedia, così da poter guardare l'ingresso.

Il grande interrogativo della mattina, quello che l'aveva fatta alzare dal letto con un entusiasmo senza precedenti, trovò risposta non appena Andrea entrò nell'aula con un sorriso che sembrava disegnato da un bambino, tanto era grande.

Simona, l'altra fedelissima di Rossana lì all'Università, faticava a tenere il passo dell'amico, mentre lui si fiondava giù per le scale.

«Ciao Sana!» esclamò Andrea non appena la raggiunse, togliendosi la vecchia kefiah che portava anche a luglio. Poi esitò, e Rossana lo conosceva abbastanza per sapere che voleva pazzamente raccontarle cos'era successo ma allo stesso tempo non voleva apparire presuntuoso.

In ogni caso Simona, grande urlatrice, gossipara di classe A nonché chiaccherona ufficiale del gruppo, lo tolse dall'impaccio seduta stante: «Lo sai cos'è successo? Andrea è stato SPOTTATO!»

Aveva detto l'ultima parola a voce talmente alta che parecchie persone, anche distanti quattro o cinque file, si voltarono verso di loro.

«Ma non mi dire.» Rossana accompagnò le sue parole con una specie di ghigno affettuoso rivolto ad Andrea.

«Oh, lo sapevi già.» si rese conto Simona, un po' delusa.

«Certo. Con Emma in casa, ieri non ne ho visto la fine!» disse Rossana, sporgendo leggermente il mento in avanti. Assestò un pugno leggero sul braccio di Andrea «Che dire, carismatico violinista... Non farne cadere troppe ai tuoi piedi, o non ti resterà più tempo per noi.»

«Sana, devo proprio chiederti aiuto.» iniziò Andrea, sorridente. In quel momento il professore entrò e fece cenno di sedersi, così il ragazzo prese posto accanto a lei e abbassò il volume della voce «Devi aiutarmi a trovare questa ragazza, ti prego.»

Rossana alzò un sopracciglio, vagamente stupita. Questa, poi, oltre ad essere ironica era pure inattesa...

«Io?»

«Sì!» la incalzò Andrea, con tutta la foga che si poteva trasmettere in un bisbiglio «Tu sai come sono fatte le persone, inutile negarlo.» piegò un angolo del suo quaderno degli appunti e poi cercò in tutti i modi di farlo tornare com'era prima, senza successo «Insomma, se non chiedo a te non so chi mi può aiutare a rintracciarla.»

«Dunque vuoi che, basandomi su quello che ha scritto, io riesca a trovarla in mezzo ad altre centocinquanta persone, sempre ammesso che frequenti il nostro stesso corso?»

«Lo so, lo so» fece Andrea, alzando un po' le mani come per dire che si arrendeva «ma tu hai la vista lunga...»

Rossana sbuffò una risata bassa, mentre le parole del professore scivolavano sul fondo «Le lusinghe non ti porteranno da nessuna parte, lo sai. E poi, questa ragazza non ha detto che vorrebbe fossi tu a capire chi è?»

«Sì, ma...»

«Ma è difficile.»

Andrea annuì, pur tenendo lo sguardo fisso sulle diapositive proiettate, per fingere di essere interessato alla lezione. Rossana era sicura che il professore non si stesse ponendo il problema, ma Andrea aveva sempre fatto così, anche al liceo e prima ancora alle medie, perciò era una sorta di abitudine.

«Rossana» iniziò, a voce ancora più bassa «tu lo sai che... Insomma, è più facile che Simona si trovi una ragazza piuttosto che me la trovi io.» Simona era esageratamente eterosessuale, nel senso che saltava addosso a qualsiasi cosa respirasse purché fosse un ragazzo dai diciotto ai venticinque anni, il che rendeva il paragone di Andrea un tantino catastrofista, ma Rossana capiva il problema «E lei – questa ragazza che mi ha scritto – anche se non la conosco è... Potrebbe essere...»

«Lei, ho capito.» fece Rossana, capendo che aveva avuto ragione e che le sue parole avevano centrato il punto. Si sorprese, quasi con soddisfazione, a non essere per nulla turbata nel sentire Andrea parlare di lei in terza persona, e a quel punto capì: non era lei ad aver scritto, era stato un personaggio da lei inventato a mandare un messaggio ad Andrea, una chimera ideata dalla sua mente a cui lei aveva donato una personalità. Non esisteva, ma forse...

Un sorriso si formò nella sua testa, ed era il sorriso dello Stregatto uscito da un libro di Carrol; in fondo, poteva essere tutto molto più interessante, ma con molta calma e senza calpestare la già provata autostima di Andrea.

«Ma sì, perchè no.» disse pensosa, sia ad Andrea sia a sé stessa «Ti aiuterò a trovarla, questa ragazza, ma non ti prometto niente.»

«Grazie.» disse Andrea con una gratitudine fonda e sincera. Rossana osservò il suo profilo allampanato stagliarsi contro l'aula semibuia. Si distinguevano bene il pomo d'Adamo un po' troppo pronunciato e il naso aquilino, ed affermare a sé stessa che in realtà non esistevano sarebbe stata una forma di perbenismo poco meno spregevole delle altre, ma gli occhi... gli occhi di Andrea brillavano, e anche se Rossana – che non credeva agli sguardi carichi di luce interiore e di significati, appannaggio dei romanzi di bassa lega – ne attribuiva la causa al riflesso dato dal proiettore, era certa che fino al giorno prima ci fossero state altre cose sul viso di Andrea. Disillusione, stiramento di sé stessi come se ci si allungasse, senza più forze, sulla propria esistenza.

Ieri era adagiato su sé stesso, Andrea, e allo stesso tempo Rossana quando l'aveva visto suonare negli ultimi tempi gliel'aveva visto fare con la foga di una tempesta. Si chiese se oggi avrebbe suonato di nuovo come se volesse rodere le corde con l'archetto fino a farle saltare. Probabilmente no.

Sorrise ancora.

Finalmente, il potere; perché Andrea era felice, e lo era grazie a strumenti poveri e immateriali: le parole nella sua testa e una pagina su un social network. E allora era vero, adesso, che lei aveva il potere, quello di fare qualcosa di diverso rispetto a sperare che le cose vadano per il meglio, che i torti si sistemino da soli e, quando non possono, che le vittime dimentichino. Il potere di andare contro quella che veniva chiamata, con rassegnazione, la natura umana. Perché chinare il capo?

Tirò fuori il taccuino su cui aveva preso qualche appunto e lo studiò a fondo, pensierosa.

Hanna Sunders era un piccolo genio della matematica, Raffaele Gianchi – quel ragazzo che era nella sezione C del suo liceo e adesso faceva beni culturali lì – era un bravo fumettista, e almeno era stato facile trovarlo su deviantart1. Quanto agli altri... aveva passato la sera precedente a creare profili su facebook da usare come alter ego, e aveva in programma di chiedere l'amicizia dei suoi prossimi obiettivi non appena avesse sistemato un paio di dettagli.

Dopotutto chiunque era stato alle elementari, dove c'erano tanti bambini di diverse sezioni e di diverse età, facili da scordare. E fare la parte di uno di quei visi che colano dalle crepe della memoria e se ne vanno, e che quasi ti senti in colpa ad aver dimenticato, poteva rivelarsi fin troppo semplice.

 

 

1Popolare sito per la pubblicazione di disegni, schizzi, dipiniti, progetti grafici e addirittura – in misura minore – storie.




Così è, se vi pare. Dovevo assolutamente citare Code Geass, così come dovevo citare Cirano nel capitolo scorso, per motivi che chi ha seguito questo anime potrà facilmente capire. Non sarà l'ultima citazione su questa falsa riga, questa è una promessa! Nota sul cognome di Hanna: è stato il primo cognome del mio primo personaggio serio. Con la seconda stesura della storia di cui era protagonista lo cambiai, ma gli sono in qualche modo rimasta affezionata, e così ho deciso di fargli un piccolo omaggio qui!

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Capitolo 5
*** Configurazione tattica ***


Ehilà! Come potete vedere non sono morta, ho semplicemente saltato l'aggiornamento della settimana scorsa perché è un periodo di concorsi, e mi sono concentrata su quelli. Il fatto poi che io abbia scritto come una dannata per poi scoprire che le scadenze dei concorsi erano più lontane di quello che credevo è del tutto irrilevante: il mio cervello sembra funzionare in modo tale che io sia puntuale soltanto quando non ce n'è alcun bisogno.
Oggi è stata una giornata allucinante, e per allucinante intendo dire che ho... Rovesciato? Tirato? Fatto volare come un gavettone a Ferragosto?... un cappuccino su due banchi dell'università, sul pavimento e soprattutto su tutti i fogli, miei o non miei che fossero (scusa Je, ma come sai almeno per quanto riguarda le tue dispense ho risolto), motivo per cui questo capitolo non avrà disegni: giacciono tutti nel cestino dell'aula magna, chiazzati di una sostanza dolciastra e marrone.
Non so se sia un bene o un male il fatto che io prenda con ironia queste cose, ma del resto questa per me è ordinaria amministrazione, e mi è impossibile sfuggire a me stessa. Tanto vale riderci su (dopo l'iniziale incazzatura nei confronti della sottoscritta, naturalmente). Beh, diventano tutti aneddoti divertenti, una volta messi abbastanza anni fra sé stessi e il fattaccio.

Ad ogni modo, riguardo al capitolo precedente non ho niente di particolare da dire. Mia sorella mi ha "fatto notare" che Rossana è davvero molto, molto pessimista, ma è un aspetto del suo carattere che ho voluto inserire calcandolo molto: un po' è così di carattere, un po' sta attraversando una fase di scoramento che la butta giù. Sono sicura che capiti quasi a tutti di sentirsi così, ogni tanto. Pensate alla sua come ad una situazione di questo tipo prolungata nel tempo.
Nonostante alcuni dettagli dicano il contrario a chi mi conosce di persona, né Rossana né Emma sono self inserction, e tuttavia in entrambe ci ho messo del mio: a Rossana ho dato il mio "aspetto oscuro", quello frustrato, insofferente e ribelle, che in me emerge ogni tanto in singole situazioni e che ho fatto diventare la regola per lei. Emma mi somiglia già di più: imbranata ed esageratamente emotiva. Credo però che siano entrambe piuttosto diverse da me, persino per modo di pensare.
A quanto pare Rossana condivide parecchi aspetti comportamentali con la mia migliore amica. Questo non era assolutamente previsto, ma tant'è: se prevedessimo tutto sarebbe una barba.
Altra notizia: prometto che dal prossimo capitolo inizierà ad accadere qualcosa. Non sarà basato tutto sulle peregrinazioni mentali di Rossana, ve lo posso assicurare.


Ringrazio tutti quelli che hanno letto, seguito e recensito, e dedico questo capitolo alla mia migliore amica, Jesse O., e al nostro vicino chiassoso.




 

 

CAPITOLO 5

Configurazione tattica

 

"La configurazione tattica eccellente, dal punto di vista strategico,

consiste nell'essere privi di configurazione tattica, ossia nella condizione

'senza forma'. Quando si è senza forma, neanche gli agenti segreti più profondi

sono in grado di spiarci, né gli uomini più intelligenti di tramare progetti."

 

Sun Tzu, "L'arte della guerra"

 

La sveglia tirò Rossana giù dal letto molto presto.

Si stiracchiò e la spense con molta calma: dopotutto Emma non si sarebbe mai svegliata per così poco, perché l'unica cosa davvero in grado di destarla dal suo stato semi-comatoso era Badinerie di Bach. Mistero.

Rossana non era mai molto attiva, la mattina; preferiva fare le cose con calma. Era un momento fantastico, la mattina: a quell'ora non riusciva mai a farsi venire in mente pensieri che la sconfortassero.

Trascinando i piedi si cacciò nella doccia e si insaponò con il suo bagnoschiuma senza schiuma che non conteneva sodium laureth sulfate, e quindi era salutare.

Le spiaceva un po' che, usando il suo sapone, non si formassero quei fiumi di spuma che in fondo avevano una loro estetica, ma tra questo insignificante piacere e l'essere dei consumatori consapevoli sceglieva la seconda.

Emma non lo usava perché sosteneva che se non avesse visto la schiuma avrebbe continuato a sentirsi sporca anche dopo essersi fatta il bagno, e Rossana aveva un bello spiegarle che era tutta una fregatura psicologica.

Persa in queste riflessioni, Rossana si asciugò nel suo accappatoio di spugna con gesti automatici.

"Bene" si disse vestendosi "La mattina è finita, adesso si lavora."

Dopotutto era per questo che si era svegliata a quell'ora allucinante.

Il computer la fissava dal tavolo, nero e lucido, e le ricordava vagamente uno di quegli insetti che sembravano auto cromate. Come si chiamavano? Già, scarabei, che sciocca.

Quando erano piccole Sara – la madre di Emma – raccontava loro che i coleotteri erano i mezzi di trasporto degli insetti più piccoli, come le formiche o i ragnetti. Poi era uscito "A bug's life" della Pixar, e quando erano andati a vederlo al cinema Rossana aveva urlato: "Zia Sara, ti hanno copiato l'idea!"

Veniva da pensarlo, era stata una persona così spensierata, un tempo... Non sapeva quando aveva svoltato a gomito verso una visione più cupa della vita, ma era sicura che non fosse successo così tanti anni prima.

Leopardi avrebbe chiamato il suo "pessimismo umano", e lo stadio seguente di questa pericolosa malattia era il pessimismo cosmico. Rossana non c'era ancora arrivata: ci pensava, ogni tanto, con il distacco con cui si pensano le idee prese in prestito da altri, ma non l'aveva ancora assimilato e non aveva intenzione di farlo. Aveva trovato una strada che portava fuori, lo sapeva.

Accese il computer quasi con trasporto, andando subito a recuperare le cartelle su cui aveva intenzione di mettere tutto quello che le sarebbe servito. Per evitare che qualcuno ci andasse a ficcare il naso le aveva rese accessibili solo con una password, e aveva deciso di portarsele sempre dietro su una memoria esterna, anziché lasciarle esposte sul PC, nell'improbabile caso in cui qualche tentativo di hacking facesse breccia nel debole antivirus del suo computer.

Si sentiva paranoica e anche un po' sciocca, ma stranamente questo le dava una certa allegria: le piaceva pensare di aver calcolato tutto, di essere in grado di mantenere il segreto nei secoli dei secoli.

Le piaceva avere la situazione sotto controllo.

Non c'era niente di potenzialmente esplosivo in quello che stava facendo, per il momento, ma Rossana si ripeteva che era meglio non correre il rischio di far sapere ad Andrea da dove arrivava la sua dedica, e comunque non era del tutto una buona cosa inventarsi account di facebook fasulli e cercare di ottenere in questo modo informazioni su persone che neppure conosceva.

Faceva quasi svitata.

Eppure Rossana era convinta che il mondo contemporaneo si basasse più o meno premesse del genere: disonestà e invasione della privacy. Aveva però notato, suo malgrado, come ci fosse una netta differenza tra le azioni compiute da persone "serie e affermate" come suo padre e persone che venivano giudicati degli sbandati dalla comunità.

Oh, beh. Ci aveva pensato così tante volte che probabilmente in quel momento riflettere su queste cose una volta di più non avrebbe fatto alcuna differenza.

Ma se quello che stava facendo avesse avuto un qualche effetto, allora...

In un giorno e qualche ora aveva creato diciassette account falsi. Era un bel numero, il diciassette: era dispari, asimmetrico, e tutti lo snobbavano perché pensavano che portasse sfortuna, un po' come Hanna.

La parte più lunga e noiosa era stata creare tutti gli indirizzi e-mail a cui associarli, ma alla fine si era sentita soddisfatta.

Ora bisognava solo renderli credibili.

Selezionò qualche sua vecchia foto di quando ancora non si tingeva i capelli e aprì un semplice programma di ritocco.

Un colpetto sulle guance con lo strumento "matita magica" e un suo sorridente primo piano divenne una ragazza pienotta e dall'aria simpatica. Probabilmente neppure sua madre l'avrebbe riconosciuta.

Alla seconda foto il computer decise arbitrariamente di assegnare una parrucca verde acido, quando Rossana si sarebbe accontentata di qualche meches bionda tra i capelli, ma alla fine decise di tenerla così com'era venuta: poteva benissimo essere stata ad una festa o qualcosa di simile, c'era gente che si vestiva in modi ben più strani. Per maggior sicurezza cambiò, con un po' di fatica, il colore degli occhi.

Arrivata alla terza foto Rossana era ormai lanciatissima, e si chiese perché non si fosse data prima alla digital art. Avvertì all'improvviso – non senza una fitta all'altezza dello sterno che, riconobbe, era paura – che il suo abituale distacco se n'era andato, e si sentì nuda: voleva sì avvertire di nuovo quell'ebbrezza nell'essere al mondo, ma allo stesso tempo il suo stoicismo le piaceva. Era parte di lei.

Rossana era ieratica, noncurante, un po' cinica, lo sapevano tutti. Lei era semplicemente fatta così, e avrebbe voluto costringersi ad essere coerente con sé stessa.

Aggrottò le sopracciglia, mentre procedeva a mangiarsi quel poco di unghie disponibili che le restavano, e si disse che avrebbe fatto meglio a finire la foto, anche se alla fine delle sue riflessioni un disagio sottile e non caratteristico rimase impigliato dentro di lei.

La terza foto sarebbe venuta fuori, nel parere di Rossana, un autentico capolavoro: non voleva limitarsi a cambiare colore degli occhi o dei capelli, per cui aveva ridisegnato un po' la forma del viso lavorando coi pixel. Adesso, con un po' di fortuna, sarebbe riuscita a fare certe finezze come allargare le pupille, cambiare appena l'ombreggiatura del volto, spostare qualche ciocca...

Finita quella fotografia Rossana si fermò, giurando a sé stessa che si sarebbe comprata una tavoletta grafica: usare il tappetino del mouse era davvero troppo scomodo, comunque doveva ringraziare di aver frequentato un corso per photoshop al liceo – che per altro aveva giudicato inutile fino al giorno prima – o non sarebbe mai riuscita a fare una cosa del genere.

Bene, quei tre erano i suoi profili-copertina, quelli con cui avrebbe chiesto le amicizie, che avrebbe aggiornato e con i quali, eventualmente, avrebbe mandato messaggi. Per non farli sembrare del tutto vuoti aveva chiesto l'amicizia a quelle tre o quattro persone che sapeva non l'avrebbero rifiutata comunque, anche senza conoscerla.

Che modo di dire stupido, "chiedere l'amicizia"... Come se fosse qualcosa da chiedere in prestito, accordabile o revocabile a seconda del tempo, come un privilegio feudale. Le risultava davvero odioso, ma non era il momento di perdersi in problemi di semantica.

Gli altri quattordici profili erano quelli con cui avrebbe scritto su spotted.

Dubitava che il gestore della pagina di Spotted si sarebbe preoccupato di andare a controllare i profili di tutte le persone che gli scrivevano, per cui non si era disturbata a renderli realistici e aveva usato come immagini copertine di CD o di libri, oppure locandine di film.

Dopotutto, anche se se ne fosse accorto, avrebbe sempre potuto credere che a creare un profilo falso fosse una persona paranoica con troppa attenzione per la privacy.

Ma perché immaginava il gestore di Spotted come un lui? Poteva anche essere una lei, come Gossip Girl, e in effetti aveva sentito dire che quest' idea era nata proprio dal telefilm...

Rossana si era immaginata una quantità di scenari possibili riguardo alle persone per cui avrebbe dovuto inventarsi un amore, e quindi aveva messo in conto di dover scrivere con una moltitudine di stili diversi, che le andassero a genio o meno.

Scrivere non era mai stato tra i suoi obiettivi – e in effetti, fatta salva qualche poesia che pubblicava pigramente su facebook – non aveva mai scritto niente che non fosse per la scuola, ma era convinta di saperlo fare piuttosto bene.

Doveva semplicemente diventare tante persone diverse.

Circa un secolo prima, quando lei ed Emma compravano ancora le W.i.t.c.h1, aveva letto un episodio del fumetto in cui le protagoniste lottavano contro un mostro senza forma, che acquisiva una sembianza definita solo se entrava in contatto con una persona. Ecco, lei sarebbe stata quel mostro, anche se in effetti non era un pensiero molto lusinghiero verso sé stessa.

Insomma, per riuscire nel suo intento pensava che la tattica migliore fosse quella dell'adattabilità, e doveva ammettere che la sfida – il suo personalissimo gusto per la sfida, che si era ridestato proprio in quei giorni – già la allettava.

Non si era mai definita una persona adattabile, prima di allora.

Sentì una porta cigolare e seppe che era quella della sua camera. Emma doveva essersi svegliata.

Ringraziando qualche entità sconosciuta per il fatto di essersene accorta, nonostante fosse così presa dai suoi pensieri, si diede una mossa per chiudere tutto.

Quando Emma entrò in salotto, l'unica finestra rimasta aperta era quella di Facebook, su cui era andata per controllare se c'erano nuovi post su Spotted, ed era una pagina innocente. Beh, più o meno.

«Già sveglia, Sana?» domandò dietro di lei la voce della sorella, un po' sorpresa «A quest'ora di solito sei ancora a letto che dormi!»

«Oh, mi ha svegliato il vicino.» spiegò Rossana annoiata, girandosi verso Emma «Stava facendo casino.» non sapeva davvero perché non volesse che Emma capisse cosa stava facendo, ma poteva almeno darsi qualche risposta convincente: innanzitutto perché Emma non avrebbe mai approvato che lei progettasse di ingannare così tante persone, in secondo luogo perché a raccontarlo suonava ridicolo e poi perché – e quest'ultima ragione si avvicinava già di più a quella sensazione calda, come di una cena soddisfacente nello stomaco – era una cosa sua, che voleva fare lei e solo lei conoscerne l'esistenza. Questo non significava che non la disgustasse questa sua reticenza a parlarne con la sorella.

Le sopracciglia di Emma volarono verso l'alto, come se Rossana avesse detto una cosa talmente incredibile da non poter credere alle proprie orecchie «Davvero? Pensa che io non l'ho proprio sentito!»

«E per forza.» replicò Rossana con un sorriso «Tu non ti sveglieresti manco se avessi un rave party sotto al letto!»

«Ah! Sei su Spotted!» fece Emma «E dimmi, è Simona che ti ha contagiato o stai aspettando un messaggio da un ammiratore?» ridacchiò, cliccando sul computer in modo da aggiornare la pagina.

La schermata si riempì di nuove dediche che risalivano circa ad un'ora prima.

La bocca di Rossana si piegò in un sorriso appena percettibile, al pensiero che anche la mente dietro Spotted doveva essere stata piuttosto mattiniera, quel giorno, se aveva pubblicato quei post così presto.

«Ehi, guarda qui...» Emma smise di far scorrere la pagina e le indicò una delle scritte. A Rossana bastò guardarla, anziché leggerla, perché la conosceva a memoria.

 

FACULTY OF LAW – FRIST YEAR

To H.S.: The mathematician is like the artist: the former tries to find some unreachable number that he's never able to actually define, which always slips through his fingers; the latter struggles with human emotions, because they are difficult to clarify and impossible to describe. So, the mathematician invented the limit, while the artist created poetry, or – better yet – music. Music and limits fill the spaces, they are the supreme manifestation of the challenge between men and infinite, and even if our daring hearts are already defeated, from the start, we try nontheless.

Yet I can't bring myself to talk to you, and like the mathematician, the poet and the musician I fight with something I can't really name: why you? I barely know you, I could have seen you only a couple of time, but here I found myself thinking about you...2

 

«Dev'essere per Hanna, sai, la ragazza di cui ti ho parlato... Ahhh, non ci capisco niente.» fece Emma arricciando le labbra, come se tenesse il broncio nei confronti dell'inglese.

«Colpa tua che non stavi mai attenta in classe.» la rimproverò pigramente Rossana, con i pensieri da tutt'altra parte. Anche lei, che pure al contrario di Emma sapeva mettere insieme una frase in almeno tre lingue, senza contare l'italiano, non era completamente sicura di aver scritto tutto in modo corretto.

Ma scacciò presto quella perplessità: aveva fiducia in quello che sapeva fare, e se anche ci fosse stato qualche errore era certa che Hanna avrebbe apprezzato il fatto che qualcuno avesse deciso di scriverle nella sua lingua madre.

Ovviamente, era stato molto più difficile che con Andrea, perché l'unica cosa che conosceva di Hanna era la sua passione per la matematica, e si era dovuta accontentare della sua immaginazione.

«Beh, Sana, io mi vado a vestire... Dopo però me la traduci, ok?» era piuttosto singolare il fatto che Rossana avesse appunto una discreta immaginazione senza che essa fosse supportata dalla curiosità. Che, al contrario, in Emma era un elemento dominante.

Prima di scollegare la chiavetta USB su cui teneva i files, Rossana sfogliò ancora una volta le foto che aveva raccolto, distrattamente.

Sapeva per esperienza che spesso non si notano consciamente dettagli che nonostante tutto il cervello registra, così quando passò oltre la foto – era una foto di Hanna Sunders a quella che sembrava una conferenza – senza prestarle attenzione, ci mise pochissimo a capire che quella specie di brivido che le aveva attraversato la mente significava che aveva dimenticato qualcosa.

Tornò indietro, zoomò. Il fermaglio per capelli di Hannah era un medaglione su cui era disegnato uno spartito, con sotto la scritta "W.A. Mozart – Romance".

Rossana non credeva alle deduzioni in stile Sherlock Holmes, ma c'era comunque un'ottima probabilità che Hanna Sunders amasse la musica classica, il che era una coincidenza non da poco.

1 Popolare fumetto targato Disney che narra le avventure di cinque ragazze che si ritrovano improvvisamente ad avere poteri magici. Sono sicura che molti(e) di voi lo conoscono e lo ricordano con affetto!

2 Facoltà di legge – primo anno.

Ad H.S.: Il matematico è come l'artista: il primo cerca di trovare un qualche numero irraggiungibile che non è mai in grado di definire davvero, che sfugge sempre tra le sue dita; il secondo lotta con le emozioni umane, perché sono difficili da chiarire e impossibili da descrivere. Così, il matematico ha inventato i limiti, mentre l'artista ha creato la poesia o – ancora meglio – la musica. Musica e limiti riempiono gli spazi, sono la suprema manifestazione della sfida tra l'uomo e l'infinito, e anche se i nostri cuori, che osano così tanto, sono già sconfitti dall'inizio, nondimeno proviamo. Eppure io non riesco a rivolgerti la parola, e come il matematico, il poeta e il musicista lotto con qualcosa a cui non riesco a dare un nome: perché te? Ti conosco a malapena, potrei averti visto giusto un paio di volte, ma mi ritrovo qui, a pensare a te...





 




NOTE di FINE CAPITOLO: Come Rossana spero di non aver fatto errori nella parte in inglese, al contrario di Rossana sono poco convinta delle mie capacità. Vi prego di segnalare gli orrori grammaticali che devo aver fatto. Ad ogni modo, la dedica ad Hanna è in parte ispirata a Shakespeare (ma così poco che forse si fa fatica a capirlo, comunque non rivelerò di quale frase si tratta perché intendo citarla in uno dei prossimi capitoli). Ho la cattiva abitudine di lasciarmi coinvolgere troppo dai libri che leggo, e siccome la settimana scorsa ho letto un libro che si chiama "Devo comprare un mastino", che mi ha fatto morire dal ridere, ho seriamente rischiato di far diventare questo romanzo una storia comica. Poi per fortuna ho iniziato "Il profumo" e "L'arte della guerra".
Per delucidazioni su come Spotted sia nato da Gossip Girl... Alla prossima puntata! :)

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Capitolo 6
*** Persone e computer ***


Finalmente sono tornata! Scusate l'immenso ritardo, mi dispiace davvero di aver tardato così tanto. Purtroppo sono sotto esami, e sono sommersa dalla mole di studio (come immagino tutti, non ho l'arroganza di presumere che tutti voi ve ne stiate in panciolle mentre io sgobbo, motivo per cui mi scuso il doppio per il mio ritardo). Nell'ultima settimana ci si è messa anche la chiavetta internet che ha deciso di prendersi una vacanza. Ha ricominciato a funzionare ieri, infatti avrei dovuto aggiornare ieri sera ma ho finito per vedere "Hesher è stato qui". Un piccolo capolavoro, in effetti.
Prima che mi dimentichi, riaggiornerò il capitolo 5 perché è pieno di errori di battitura. Purtroppo appena scrivo un capitolo, pur rileggendolo, non riesco a rendermi conto di queste cose. Questo è il difetto di pubblicare strada facendo: non si riesce mai a correggere un capitolo con il dovuto distacco, perché lo si è sempre scritto da troppo poco tempo.

Vi lascio il più in fretta possibile alla storia, ma prima, come promesso, spiegerò come Spotted abbia preso ispirazione da Gossip Girl:
Come probabilmente le pagine Spotted che potete trovare sulla rete spiegano meglio di me, questo sistema è nato dai romanzi di Cecily von Ziegesar, dove la misteriosa Gossip Girl, di cui nessuno conosce l'identità, pubblica sul suo blog foto e gossip sui ragazzi dell'alta società newyorkese. Va da sé che, anche se nato da un romanzo, un'idea del genere è facilmente adattabile alla vita reale, anche senza aver a disposizione i pargoli dell'élite americana. Spotted funziona circa così, solo senza le foto e limitando, per quello che si può, l'invasione della privacy. Come ha scritto Darllenwr in una delle recensioni, il gestore di Spotted di questa pagina sarà una Gossip Girl de' noialtri? Beh, non posso promettere che lo scoprirete a brevissimo ma... Beh, in questo capitolo trovate già qualcosina.

Il disegno di oggi sono le mamme di Rossana ed Emma mentre le aspettavano :)




Ringrazio tutti per le bellissime recensioni, risponderò a chi non ha ancora ricevuto una mia replica il prima possibile, scusate ancora per il ritardo!
Dedico questo capitolo ad E., il mio migliore amico che l'altro giorno è stato spottato. Al contrario dell'Andrea di Rossana, non ha avuto bisogno di me per essere "avvistato", comunque ho trovato molto divertente questa coincidenza. Beh, prima o poi doveva succedere che qualche mio amico finisse su Spotted!





CAPITOLO 6

Persone e computer

 

"Due cose dovete sapere su di me; la prima è che sono

profondamente sospettosa delle persone in generale.

È nella mia natura aspettarmi il peggio da loro. E la seconda

è che sono inaspettatamente brava con i computer."

 

"Divergent", Veronica Roth

 

 

In una settimana, Rossana fece e disfece molte cose: trovò nuove persone a cui dedicare i suoi post, andò a vedere il concerto dei Transamerica, seguì tutte (o quasi) le lezioni di sociologia, si impelagò in discussioni di natura etica e politica con un gran numero di personaggi più o meno equivoci e alla fine di quei sette giorni si ritrovò in biblioteca.

Non ci aveva mai passato molto tempo, ma adesso si rendeva conto che quel luogo le piaceva davvero.

Nello specifico, le piaceva la sala più grande, dal pavimento di granito, inspiegabilmente irta di tavoli di tutte le forme, come se fosse stata arredata a rate, e soprattutto piena di gente disposta a rimanere in un silenzio che aveva del miracoloso.

Si mise ad osservare – con un sentimento assente che si avvicinava abbastanza all'invidia – un ragazzino seduto su una poltrona blu all'angolo che leggeva un romanzo come se volesse annegarci dentro.

Rossana leggeva, ma non era una lettrice eccezionale. Ah, la differenza incolmabile tra le cose che appassionano e quelle che si limitano a piacere! Certo, aveva fatto la conoscenza di un numero di libri superiore alla media italiana, ma ci voleva così poco...

Ammirava, invece, quella specie di fervore che albergava sul viso di chi amava leggere, la voracità con cui i loro occhi mangiavano le pagine e le loro menti mangiavano esistenze mai vissute, e rimpiangeva di non essere come loro.

Riscuotendosi dai suoi pensieri, tornò al libro di Diritto. Ma sì, irretroattività della legge là, interpretazione del dettato normativo qua... Non c'era nient'altro da fare che memorizzare, perché i concetti in sé non erano poi così complicati come cercavano di venderglieli.

Dopo un'ora di questo leggere e mandare a mente, che era noioso come colorare una figura di cui conosceva già i contorni, Rossana cominciò a divagare.

Prima frugò nell'astuccio alla ricerca di un evidenziatore che non le serviva, poi si distrasse a guardare le arcate bianche delle finestre che davano sul viale d'accesso, poi ancora iniziò a cambiare posizione in continuazione e a spostare i piedi di qua e di là, perchè finivano sempre per attraversare le linee nere che dividevano le piastrelle l'una dall'altra, e questo le dava fastidio. Alla fine accettò il fatto che la sua concentrazione se n'era andata.

Non perse tempo a sentirsi in colpa. A dire il vero, era un po' che non si sentiva in colpa per qualcosa.

Si limitò ad accendere il computer e a far percorrere ai suoi occhi il profilo dei tetti grigi e rossi che si vedevano oltre la vetrata che aveva davanti, pensando che era pomeriggio inoltrato e che era quasi ora che tornasse.

Quando il computer fu pronto, si connesse alla rete wireless della biblioteca e cominciò a navigare.

Sul forum de "il Barometro" c'erano un paio di discussioni che le interessavano, come quella sull'opportunità di concedere o meno la cittadinanza ai bambini nati in Italia da extracomunitari, e in che termini farlo.

Prima di mettersi a scrivere cosa ne pensava lei, scorse velocemente la pagina principale del sito. Le sembrava di guardare con occhi nuovi lo sfondo blu opaco del forum, l'atmosfera da Nautilus che vi regnava; avvertiva di nuovo la sensazione, se non di fare parte di una missione, almeno di trovarsi dove era per lei più giusto essere. Era tornata, su questo non c'erano dubbi.

Paga di questo sentimento e con quella sazietà che non deve niente a nessuno, come quando si bevono un paio di bicchieri di vino rosso decente durante una cena robusta, iniziò a buttare giù la sua replica all'ultimo commento.

Aveva appena iniziato a digitare che dalla porta alla sua destra entrarono cicalando quattro ragazze che dovevano avere qualche anno in meno rispetto a lei.

Rossana le classificò immediatamente come "persone che hanno scambiato i leggins per pantaloni veri". E che leggins improbabili, tra l'altro... Il più normale era a pois arancioni, e anche se Rossana non era un'icona di stile credeva di saper distinguere dove finiva l'eccentricità e iniziava il cattivo gusto.

Avrebbe scrollato le spalle e sarebbe tornata a scrivere, non fosse stato che quelle quattro non davano segno di voler tacere.

«E così?» stava chiedendo una di loro a quella che, grazie alle sue pantacollant in peculiari tonalità di fucsia, sembrava un leopardo geneticamente modificato.

«Così gli ho detto sì, che ci uscivo... Ma lo sapete, non è che ne avessi voglia.» seguì una risata esagerata, che a Rossana diede una specie di brivido, come se fosse una danza rituale compiuta da un cannibale.

«Ma poi cos'è successo?» domandò un'altra.

«E poi mi ha detto...» la ragazza che stava raccontando, contro ogni convinzione di Rossana che aveva sospettato che non fosse in grado di parlare a bassa voce, mormorò qualcosa evidentemente destinato solo alle orecchie delle sue amiche, che scoppiarono a ridere senza ritegno.

Che baccano.

Le vennero in mente le due ragazze del bagno della facoltà, quelle che parlavano di Andrea. Ah, non di nuovo, era davvero fastidioso...

C'erano situazioni in cui una semplice richiesta bastava a far cambiare atteggiamento; Rossana aveva la netta sensazione che questo non fosse il caso, e comunque tendeva a non avere particolare fiducia nelle persone, tuttavia decise di fare un tentativo.

«Ehi voi» apostrofò secca il gruppetto, ma senza astio «questo non è il posto per fare casino. Se volete, qui fuori c'è il parco, ed è pure una bella giornata.»

Come volevasi dimostrare, le quattro ragazze la ignorarono completamente, riservandole poco più di un'occhiata bieca e tornando subito dopo a cianciare, mentre accendevano un computer e lo sistemavano sul tavolo da loro scelto.

Irritata, Rossana si guardò intorno; non poteva davvero essere l'unica in tutta la sala a sentirsi infastidita da quelle quattro.

In effetti, però, attorno a lei era rimasta poca gente: alla sua destra c'erano due ragazze che, per quanto avessero un'aria seccata, non sembravano propense a dire qualcosa alle nuove arrivate; più o meno davanti a lei c'era un ragazzo intento a lavorare al computer, e anche se Rossana non riusciva a vederlo bene in faccia era certa che avesse le cuffiette, per cui neppure doveva essersi reso conto del chiasso; a sinistra, poi, c'era una ragazzina combinata malissimo, che sembrava essersi fatta come obiettivo nella vita quello di assomigliare ad Ugly Betty con tutte le sue forze e che teneva gli occhi bassi sul suo libro. Quella, di sicuro, non avrebbe mai detto una parola alle ragazze coi leggins. Non se poteva evitarlo.

Fu distratta ancora una volta da un inopportuno scoppio di risa e si voltò. Oh, sì, dopotutto era un classico: le quattro avevano avvistato la ragazzina conciata da sfigata, e adesso si stavano scambiando allegre gomitate e parole a mezza voce, senza naturalmente realizzare, neppure per un breve, autocosciente momento di lucidità, che loro stesse erano vestite circa come un gruppo di uova di Pasqua senza inventiva.

A Rossana non importava che la ragazzina col libro portasse quella montatura da occhiali assurda che le nascondeva metà del viso o che sembrasse aver bisogno di un buon parrucchiere, e francamente credeva che non sarebbe dovuto importare a nessuno; trovava anzi un po' squallido che si dovesse basare una conversazione – addirittura divertedosi! – su questo.

Ora, come comportarsi? Facendo finta di niente, certo. Si trattava di glissare sul proprio fastidio ancora per qualche minuto, o ancora meglio lasciare immediatamente la biblioteca, e lasciar perdere quella contingenza senza importanza. Ma Rossana, a quanto pareva, era nata mezza guascone1, e già affiorava in lei l'urgenza di fare qualcosa di plateale e giusto e crudo; finché non si fosse alzata e non avesse cercato lo scontro non sarebbe riuscita a ricacciare indietro quella smania.

Ma sì, del resto era da un po' che non lo faceva...

Un polso torto dalla sua stessa mano, la pelle sotto le sue dita che sembrava farsi così fragile, il braccio che si divincolava «Se tocchi Emma ancora una volta ti faccio male, hai capito?»

Il piagnucolio.

E la sua voce decisa, ancora una volta: «Hai capito?»

Scacciò via i ricordi, riguardo ai quali aveva sentimenti contrastanti, e si alzò.

Si diresse verso il tavolo dove sedevano le quattro ragazze, che quando la videro avvicinarsi smisero di parlare e fecero correre i loro occhi su di lei, aspettando che dicesse chiaro e tondo quello che voleva.

Rossana non se ne curò, le raggiunse con tutta calma e appoggiò con decisione le mani sul piano del tavolo, sorridendo serena.

«Mi pareva di avervi detto che state disturbando tutti» disse dolce «Ma forse siete dure di comprendonio.»

La più vicina a lei, ovvero quella che aveva scuoiato senza pietà il leopardo fucsia, piantò su di lei un'occhiata condita di sopracciglio alzato.

«Si può sapere che vuoi?» chiese.

«Ah, tutti noi vogliamo un sacco di cose, no? Ad esempio, in questa sala vogliono tutti che ve ne andiate.» sapeva di avere già gli occhi di tutti puntati su di lei, ma mentre diceva quella frase si prese qualche secondo per fare una rapida panoramica della sala.

Le due ragazze a destra sorridevano facendo segni di incoraggiamento nella sua direzione, mentre la ragazzina con gli occhiali guardava la scena con malcelato interesse.

Il ragazzo alla sua sinistra, cuffie o no, aveva sollevato lo sguardo dal computer e la osservava con divertita curiosità. "Molto bene, e adesso vediamo come te la sai cavare", sembrava dirle.

«Ma qual'è il tuo problema?» la voce della ragazza con cui stava parlando la raggiunse nella sua ricognizione «Intendo dire, sei tocca nel cervello?»

«Non più di tanti altri.» rispose Rossana, tornando a guardarla e alzando con modestia le spalle «Di sicuro non più di chi scambia una biblioteca per un bar del centro... Quelli sono proprio stupidi.»

«Che razza di troia...» sussurrò una delle tre che ancora non aveva parlato.

Rossana scoppiò a ridere «Davvero non sai fare di meglio? Considerato quello che ti metti» lanciò un'occhiata significativa ai leggins gialli e viola a motivo militare della sua interlocutrice «ti credevo più originale.»

«Ma corri a casa a nasconderti, patetica!»

«Che peccato» iniziò Rossana pensosa, come se stesse riflettendo «io non sopporto le persone noiose... Beh, immagino che sembrare quattro clown non voglia dire necessariamente esserlo.»

Le altre ragazze dissero qualcosa di indistinguibile e arrabbiato, mentre la ragazza a cui si stava rivolgendo scattava in avanti e si artigliava alla maglia di Rossana «Ti consiglio di fare meno la stronza.» disse in un sibilo.

Rossana fece un leggero passo indietro per compensare la forza di quella che era praticamente una spinta, ma il suo sorriso si mantenne ben saldo sulle labbra.

Afferrò il braccio di Leggins Fantasiosi e lo strinse con forza, al punto che per la sorpresa la ragazza lasciò andare la presa e lei poté scrollarsela di dosso «E io ti consiglio di non minacciare la gente.» disse, mentre il suo sorriso si faceva quasi una lama da quanto le sue labbra erano tirate agli angoli. Sapeva bene come diventava il suo sorriso quando faceva così, ogni tanto a casa lo faceva apposta perché Emma diceva che le metteva paura, e questo un po' la divertiva.

«Ma vuoi davvero botte?» quella a pois arancioni, che fino a quel momento era stata relativamente zitta e che sedeva al computer, non sembrava minacciosa, più che altro incredula.

Rossana spostò tutta la sua attenzione su di lei, la osservò per un lungo momento e si disse che le sarebbe stato difficile incontrare ancora un tale concentrato di ovvietà: capelli di un castano medio con meches bionde, resi stopposi da un uso eccessivo della piastra; matita nera e spessa sugli occhi, particolarmente calcata agli angoli; maglia ampia, scollatura generosa ma morbida; orecchini a teschio, arancioni anch'essi. Quanta gente si vestiva così, esattamente?

Il sorriso di Rossana si fece ampio «Assolutamente, anzi non vedo l'ora! Ma si può fare qui fuori? Stiamo dando fastidio a tutti.»

La ragazza con i leggins viola e gialli sorrise a sua volta e disse: «Quattro contro una, eh? Se proprio vuoi, cretina...»

In quel momento la ragazza con le meches bionde lanciò un'esclamazione soffocata: «Merda!»

«Che c'è, Lara?»

«Il computer!» fu la risposta, quasi un singhiozzo. La ragazza in arancione sembrava ormai prossima alle lacrime. Fece girare su sé stesso il portatile, così da mostrare lo schermo alle sue amiche, e Rossana potè vedere che sul monitor lampeggiavano ad intermittenza vari simboli con un ché di psichedelico: musi di gatto bianchi e neri, stilizzati, simboli della pace di tutti i colori, punte di lancia, pipistrelli e – ogni tanto – un uccello che pareva una gru. Perché proprio una gru, Rossana questo non sapeva dirlo.

«Ma che roba è?» fece la ragazza con i leggins militari, quasi che fosse suo malgrado affascinata da quello strano minestrone che, per quello che la riguardava, Rossana trovava intimamente disturbante, come se rievocasse qualche paura antica provata in un sogno fatto da bambina.

«È...» iniziò la ragazza arancio «Credo sia un virus. Mi è entrato un virus nel computer!» si portò una mano alla fronte, catturando un paio di ciocche nella sua stretta disperata «Come- come faccio a dirlo ai miei?»

Era rossa in viso, come se si vergognasse del suo stesso panico; Rossana, tuttavia, sapeva che quel chiazzarsi del volto di un colore così simile al mattone preludeva più che altro ad una crisi di pianto ineluttabile.

Non era persona da provare pietà, Rossana, e in quel momento avrebbe voluto sentirne almeno un po', senza alcun dubbio, anche se lo riteneva un sentimento proprio di chi vuole a tutti i costi essere buono e si è allenato così tanto ad esserlo da usare la propria gentilezza senza discernimento.

Ma guardando la ragazza tremolante, che non sapeva cosa dire o cosa fare, non riusciva ad avvertire altro che un distaccato dispiacere quasi più dovuto all'essere lì, ad assistere ad una scena che non aveva nulla a che fare con lei, che non allo sconforto della ragazza. Era una sensazione che somigliava confusamente all'imbarazzo.

Così rimase lì, dimenticata anche dalle altre; ecco, adesso sì che non sapeva cosa fare. La tentazione di mettersi a dondolare sul posto era forte, visto che non poteva tornare al suo tavolo ma neppure poteva stare lì completamente immobile, senza più niente da fare.

"Come un'armatura senza corpo, come un simbolo di cui non si ricorda il nesso" le venne in mente all'improvviso, ed era quasi sicura che quella citazione – quell'epifania passeggera – avesse in qualche modo a che fare con l' "Orlando furioso".

Il suo sguardò volò verso il ragazzo con le cuffie, che però era di nuovo scomparso dietro al suo computer e aveva ripreso a digitare.

Nel frattempo le altre ragazze si erano fatte attorno alla loro amica, cercando di confortarla con gesti che Rossana, persa nei suoi pensieri, vedeva senza riuscire a decifrare.

«Dai, Lara, qui vicino c'è un negozio di computer» disse una di loro, premurosa «ci ho portato ad aggiustare il mio tablet un mesetto fa, sono bravi. Ci andiamo subito, vedrai che te lo sistemano, ok?»

«Avanti, non è stata colpa tua!» la consolò quella che fino a poco prima era impegnata a prendersela con Rossana, quella con i leggins gialli e viola «Neppure quella stronza di tua madre ti dirà niente, vedrai.»

«Certo che è proprio sfiga...»

«E chissà com'è entrato, poi!»

Automaticamente, tutte e quattro lanciarono almeno un'occhiata a testa in direzione di Rossana, e a lei per poco non scappò da ridere. Insomma, vada per il pessimo gusto in fatto di vestiti, per il chiasso in biblioteca e per le dinamiche sociali da film di serie Z, ma incolparla di aver infettato un computer con la forza del pensiero era un po' troppo anche per loro."No, le dico che il sito pirata da cui scarico la musica non c'entra niente, è stata una strega dai capelli di fuoco a farmi il malocchio al computer!".

Sì, forse nel medioevo, se avessero avuto qualcosa di appena un po' più tecnologico di un aratro.

La ragazza in fucsia mise sottobraccio il computer della sua amica e attese le altre, e mentre le sue compagne conducevano la sfortunata verso la porta si voltò verso Rossana e disse con una smorfia: «Spero tanto di rivederti, così parliamo con più calma...»

«Già.» rincarò la ragazza viola e gialla, girandosi sulla soglia della sala per guardarla da sopra la spalla dell'amica «Ci vediamo presto, sfigata.»

«Il piacere è stato mio. Ciao ciao!»

Così Rossana rimase lì, a guardare le quattro ragazze uscire dalla porta, consapevole di non avere una visione completa di quello che era successo, tagliata fuori. Al solo scopo di darsi un contegno, come se lo facesse nei riguardi di una sé stessa di fronte ad uno specchio più che nei confronti degli astanti, fece spallucce.

Tornò al suo posto senza fretta, così come da lì si era alzata.

Si era quasi dimenticata del suo, di computer, al punto che sembrava persino un po' sconsolato, lì ad occupare il tavolo tutto da solo.

Oh, cielo, stava diventando animista come Emma...

Esitò un attimo prima di mettere nuovamente le mani sulla tastiera, senza capire da dove le venisse quella riluttanza improvvisa, e fu proprio in quel momento – quando si decise a ripartire da dove era rimasta – che si rese conto che qualcuno le aveva mandato un messaggio su Facebook. La notifica era lì, lampeggiava sulla barra delle applicazioni, eppure era entrata sul social network come Maddalena Robin, uno dei suoi nomi falsi. Chi mai poteva aver scritto a quell'account?

Aprì il messaggio con un filo di ansia; ansia per cosa, poi, non lo sapeva.

 

Ciao.

 

Il messaggio diceva solo questo, "ciao". E il mittente era perfino una persona che non aveva niente a che fare con lei, un certo "Ercole Savignano" – in quel momento collegato a Facebook, come testimoniava il punto verde accanto al nome – di cui lei non aveva il contatto. La sua pagina personale era talmente vuota che poteva trattarsi solo di un asociale o di un'identità fasulla come la sua. Anzi! Ora che ci pensava era anche possibile che questo fantomatico Ercole l'avesse contattata proprio perché aveva riconosciuto in lei un suo simile, ma come gli era anche solo venuto in mente di venire a cercare proprio il suo profilo? L'unica cosa che aveva fatto con quell'account era stato mandare un messaggio su Spotted, ma del resto Ercole avrebbe anche potuto imbattersi in Maddalena completamente per caso.

A meno che...

Senza pensarci un secondo di più, con un presentimento che le premeva sul petto, privo di senso, Rossana fece il giro del resto dei suoi account. Arrivata al terzo, "Sergio Villa", trovò effettivamente la notifica di un messaggio proveniente da una tale Lucia Sansiro, tale e quale al primo che aveva ricevuto se si eccettuava che la supposta ragazza in quel momento non risultava in linea.

 

Ciao.

 

Sorrise tra sé e sé, suo malgrado, cogliendo il riferimento alla canzone di Vecchioni.

In ogni caso, adesso era una certezza: l'unico collegamento che si poteva trovare tra i suoi account era Spotted, e l'unico che poteva saperlo era proprio il gestore della pagina; ergo, la persona dietro Spotted – maschio o femmina poco importava – era anche il proprietario di quei due profili falsi che l'avevano contattata, e inoltre era in qualche modo riuscita a fiutare l'inganno.

Ma perché preoccuparsi del fatto che un paio di identità di fantasia scrivessero su Spotted?

Lamentandosi fra sé e sé della pignoleria del gestore di Spotted, Rossana aprì la schermata delle sessioni del computer.

Era il momento di usare qualche trucchetto.

Era noto ai più il fatto che fosse impossibile accedere da uno stesso computer a due account Facebook contemporaneamente, quello che molti ignoravano era che questo impedimento svaniva se si utilizzavano due sistemi operativi diversi.

Il computer non esattamente regolare di Rossana le permetteva di fare questo e altro.

Aprì una sessione con Ubuntu senza chiudere quella di Windows, così che sia Maddalena Robin sia Sergio Villa risultassero disponibili a chattare.

Adesso era il momento di rispondere. Fosse mai che Rossana non rispondesse, e comunque doveva pur accertarsi che Ercole/Lucia si rendesse conto della presenza contemporanea dei suoi due account in linea. Scrisse un paio di frasi assolutamente casuali sulla pagina di entrambi gli account, per testimoniare il loro accesso in rete in maniera evidente, e poi si diede a rispondere ad Ercole.

 

Maddalena Robin: Ciao anche a te. Scusa, ci conosciamo?

 

Mentre aspettava la risposta – che in effetti ci stava mettendo un po' ad arrivare, tutto considerato – mandò per buona misura un messaggio a Lucia da parte di Sergio, in un tono che la sofisticata e gentile Maddalena non avrebbe mai usato.

 

Sergio Villa: Ma che vuoi?

 

Tornò sull'altro account giusto in tempo per vedersi arrivare un messaggio di replica.

 

Ercole Savignano: No, per questo ti ho mandato un messaggio prima di chiederti il contatto. Mi sei sembrata una persona interessante, ma non mi va di cliccare a caso sul bottone "invia richiesta d'amicizia."

Oh, impressionante. Sapeva mettere due parole in fila, e addirittura parole con cui Rossana concordava.

 

Maddalena Robin: Non posso darti torto. E scusa, posso chiederti che cosa ti abbia interessato di me, visto che il mio profilo è praticamente vuoto? Mi sono appena iscritta...

 

Ercole Savignano: Più di un dettaglio, se lo vuoi sapere. Possiamo rimandare questa conversazione ad un altro momento?

 

Rossana attese che aggiungesse qualcosa: una spiegazione, una scusa, qualsiasi cosa, e invece non disse nient'altro. Che persona bizzarra.

 

Maddalena Robin: Come vuoi tu. Del resto, sei tu che mi hai scritto.

 

Il suo interlocutore si limitò ad uscire dalla chat.

Rossana rimase per qualche attimo a squadrare lo schermo del computer con un sopracciglio alzato, il mento in avanti e un'espressione contemplativa sul volto.

Chi diavolo era, quello che le aveva scritto? Non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che fosse appena accaduto qualcosa di epocale, anche se – come tutte le intuizioni che le attraversavano i sensi quel periodo – sembrava avere il brutto vizio di essere incompiuta e impossibile da chiarire a sé stessa.

Innanzitutto, che persona era quella con cui aveva chattato? Cosa faceva nella vita, e quanti anni aveva? Quali erano le sue idee, e cosa voleva da lei? Era difficile esserne sicuri, per forza, ma qualcosa le diceva che aveva appena avuto a che fare con una ragazza.

Soprattutto, però, la domanda che più ritornava in lei, come un'onda, e che le dava una leggera inquietudine, era per quale motivo Rossana avrebbe dovuto interessarsi della sconosciuta, e perché la sconosciuta avrebbe dovuto interessarsi a lei.

Spense tutto, si alzò.

Fuori il mondo diventava scuro, rimaneva solo un sottile filo dorato rimasto intrappolato tra cielo e tetti, all'orizzonte. Il sole se n'era già andato.

Il suo cuore ebbe una capriola di panico lontano, come le succedeva qualche anno prima, quando ancora da qualche parte in lei c'era un po' di senso del dovere verso l'autorità costituita, se si rendeva conto di non aver fatto qualcosa di importante – i compiti, ad esempio – e tuttavia si trovava a non preoccuparsene più di tanto. Era stranamente piacevole.

Nella sala erano rimasti solo lei e il ragazzo con le cuffie.

Mentre Rossana si avviava verso la porta, lui si rese conto della sua presenza, o forse della sua imminente assenza, e le fece un cenno di saluto con il capo che Rossana ricambiò, con la lentezza di riflessi di una persona che ha appena ricevuto un forte colpo.

Fu solo dopo, quando Rossana si ritrovò, non del tutto conscia di esserci, nell'altrio della biblioteca, che si rese conto di aver tirato il fiato per un bel po' di tempo. Era per via del ragazzo, di come l'aveva guardata il ragazzo? Ed ecco, la cosa strana era che non riusciva a ricordare niente di lui, ogni tratto di lui le sfuggiva, e se n'era resa conto così, all'improvviso.

Lo aveva visto, e che diamine! Ci aveva anche tirato un paio di occhiate mentre parlava con il mirabolante quartetto, ma evocare le linee del suo viso, o il colore dei capelli, o come era vestito non le riusciva; non ricordava neanche i suoi occhi, quanto piuttosto lo spostamento di attenzione che veicolavano, quella specie di dichiarazione di intenti verso di lei.

Era come se anziché una persona avesse incrociato uno sguardo.

 

1Altro riferimento al "Cirano" nonché a "I tre moschettieri". I Guasconi sono, con poco dubbio al riguardo, gli abitanti della Guascogna. Nello specifico, però, io mi riferisco ai soldati e ai cavalieri guasconi, nel cui novero si può contare l'illustre D'Artagnan. I cadetti di Guascogna, soldati sbruffoni, irridenti e definibili con più esattezza imprudenti piuttosto che coraggiosi, erano una compagnia dell'esercito di Francia di cui Cirano faceva parte (ne era anzi l'esponente per eccellenza) e avevano la tendenza a cacciarsi in risse e guai.










NOTE di FINE CAPITOLO: Ecco fatto! Come promesso, questa volta è successo qualcosa. E dunque, chi sarà la nostra misteriosa Gossip girl? E chi è il ragazzo col computer? Il diverbio con le quattro ragazze avrà qualche conseguenza fisica o psicologica? Ma soprattutto, com'è possibile che Lord Giacobbo sia ancora vice-direttore di rai due?
Scusate, dovevo dirlo. E' la mia mentalità da Ligure bastarda e amante di Crozza che ogni tanto si fa sentire. Ad maiora, e grazie a tutti!

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Capitolo 7
*** Il crimine ***


Ciao a tutti!^^ Finalmente sono riuscita a tornare... Trovare il tempo per scrivere ultimamente è stato un parto, fra gli esami e le vacanze, ma adesso ci sono (almeno per un po')!
Visto che è l'una e mezza, e io domani mattina devo studiare - perché studio d'estate, sì - sarò breve e mi limiterò a mollarvi il capitolo, che purtroppo devo ammettere non essere un granché, sollevando solo un paio di questioni:

1- A tutti coloro a cui piace il fantasy, sto pubblicando su EFP un altro romanzo che potete trovare qui: "Il mondo attraverso lo specchio". Essendo già terminato non interferirà con la scrittura di "L'amore ai tempi di Spotted".
2- Per quello che avete visto finora, secondo voi "L'amore ai tempi di Spotted" andrebbe spostato nella sezione Generali? Non riesco a liberarmi di questa sensazione, ma neppure a decidermi, ditemi voi cosa ne pensate...

Beh, grazie a tutti e scusate per il vergognoso ritardo. Domani correggerò gli errori di battitura di questo capitolo perché adesso sono troppo stanca XD A presto!






 

 

CAPITOLO 7

Il crimine

 

"Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante."

 

"Inferno – canto V", Dante Alighieri

 

Essendo arrivata tardi dalla biblioteca, Rossana si ritrovò a trangugiare alla svelta un po' di insalata di riso e uno yogurt e a gettarsi addosso una maglietta e dei pantaloni qualsiasi, perché entro mezz'ora doveva incontrarsi con i suoi amici.

Emma non era in casa perché era andata a mangiare una pizza con le amiche della facoltà, e a dirla tutta a Rossana era già passata la voglia di uscire. Innanzitutto perché il senso di inutilità che aveva provato quando le quattro dell'Apocalisse se n'erano andate le aveva lasciato dentro dei rimasugli di pensieri spiacevoli, e poi perché non le andava di uscire senza Emma quando c'era Giacomo.

Rossana era a suo modo una persona saggia, e riteneva che una situiazione del genere fosse completamente innecessaria, ma non poteva dare buca a tutti, non di nuovo: in quei pochi giorni in cui i pezzi avevano iniziato a tornare al loro posto si era resa conto di quanto spesso lo avesse fatto negli ultimi tempi, come un'azienda che fa il bilancio annuale e si rende conto di essere in rosso.

Era grata ai suoi amici per non averle fatto pressioni, ma adesso che aveva preso coscienza del suo comportamento non si poteva più rimandare: doveva uscire.

E dunque, uscì. Si infilò con malagrazia una giacca di pelle, non si portò neppure la borsa: aveva afferrato le chiavi di casa e una manciata di spiccioli, e tanto bastava.

La città era nascosta nel buio come se volesse farle uno scherzo, ma Rossana non era preoccupata dalle mancanze dell'amministrazione pubblica circa l'illuminazione: la sua era una zona. Piena di smog, di persone insopportabili e di schifezze varie, come l'enorme e fuori luogo sexy shop all'angolo, ma pericolosa quanto un isolato di Voghera all'ora di pranzo: a quell'ora i bambini giocavano ancora nella piazza in cui sbucava la sua via, e Rossana era pronta a scommettere che la proporzione mamme-malintenzionati fosse di 10000 a 1.

Mentre si incamminava verso il luogo dell'appuntamento, Rossana pensava ancora alle ragazze della biblioteca.

Non riusciva a smettere di rimuginarci su, eppure rivangare il siparietto che si era venuto a creare con loro la metteva fastidiosamente a disagio. La discussione, perché si mescolava con scene vissute tanti anni prima che – sì, l'aveva deciso quel pomeriggio – non aveva voglia di ricordare; il momento in cui se n'erano andate, invece, perché l'aveva fatta rimanere lì in piedi, in mezzo alla sala, un po' sgomenta, come un gesto abbandonato a mezz'aria.

Anche lì, anche lì... C'era una caratteristica di quel momento che le ricordava un lembo d'infanzia, un qualche piccolo ed insignificante avvenimento che doveva aver scordato, ad un certo punto.

C'era anche il ragazzo con le cuffie, poi.

Ma non aveva niente da pensare su di lui, lo percepiva solo come un'unica, anonima sensazione di vertigine. Dopo un po' svanì, e Rossana cominciò a fregarsene.

"Sta a vedere che anche lui..." fu l'ultimo pensiero che si concesse al riguardo "Magari l'ho incontrato tanti anni fa..."

C'era qualcosa di nauseante, nel moto dei ricordi.

Scacciò quelle considerazioni con uno scatto involontario e brusco della testa, e per il resto del tragitto si dilettò a ragionare sul problema della cittadinanza in Italia, argomento decisamente più importante nonché più produttivo.

 

Il luogo dove durante l'intero anno si era data appuntamento con i suoi amici era uno slargo nel bel mezzo della zona pedonale della città.

Appena giunta, Rossana si lasciò cadere su una panchina e si guardò intorno. Quella sera era arrivata prima di tutti, non che questo fosse una novità.

Tirò su i piedi perché lo spiazzo era lastricato di sampietrini e Rossana sentiva nelle prossime ore avrebbe calpestato abbastanza linee anche così.

«Ehi, Sana!» una voce la chiamò da lontano e lei si girò di scatto.

Giacomo. E te pareva.

Rossana prese tempo, e non lo salutò che quando lui diede segno di volersi sedere accanto a lei «Oh, ciao Giacomo. Come va?»

«Bene» disse lui, sistemandosi troppo, troppo vicino a lei «a parte che oggi il mio vicino ha deciso che in casa sua c'erano troppe poche cose appese alle pareti.»

Tutte le volte in cui Giacomo era nei paraggi Rossana non poteva fare a meno di sentirsi in presenza di uno spirito affine, e non è che non l'avesse notato altre volte. Sarà stato il modo in cui la guardava.

Siamo noi due, Rossana. Tu e io.

«È andato avanti a trapanare per tutto il pomeriggio?» chiese, sentendo la sua voce vibrare. Risuonava di risata trattenuta, anche se non c'era niente di cui ridere; ad ogni parola che lei avrebbe detto a Giacomo, per tutta la sera, sarebbe stato così.

Lui, con beata incoscienza, annuì «Senza tregua.»

«Se ti può consolare, oggi in biblioteca ho incontrato l'evoluzione fastidiosa delle bimbeminkia.» perché continuava a parlare? Diamine, perché?

«Era solo una? Non girava in branco?» chiese scherzosamente Giacomo.

«Ci mancherebbe, erano quattro.» Rossana ci pensò un po' su, e tra la scena di quel pomeriggio e Giacomo e poi la scena di quel pomeriggio e poi ancora Giacomo le venne fuori un mormorato: «Ma avrebbero potuto benissimo essere una sola, per la differenza che fa.»

«Erano vestite tutte come dei camaleonti in un negozio di smarties, vero?»

Rossana rise suo malgrado «Sì, mi sembra una definizione piuttosto azzeccata.»

«Stasera sei loquace, Rossana. Sono contento.» disse a sorpresa Giacomo, mentre lei si alzava in piedi e sgranchiva un po' le gambe «Non è che sei sempre così ed io per tutto l'anno ti ho preso in un brutto momento?»

Rossana lo guardò di sottecchi. Era lei che aveva preso un abbaglio oppure nella sua voce c'era una punta di malizia? Ricordò il sorriso ironico che Giacomo aveva fatto quando si erano incontrati sull'autobus la settimana prima, e questo la mise stranamente all'erta.

Le venne in mente che se fosse stata un gatto a quel punto di sicuro avrebbe rizzato il pelo e sarebbe scappata via, ma era una persona, e non poteva certo mettersi a correre per la strada piantando Giacomo lì senza un'apparente ragione.

«No davvero.» rispose allora «È solo stato un periodo particolare.» guardò con un accenno di disperazione l'imbocco della strada, sperando di veder comparire Andrea o Simona o Ippolito o chiunque altro, ma invano «E comunque non ho mai parlato molto.»

«Capisco. Allora ne approfitterò adesso che sei di buon umore.» replicò Giacomo, alzandosi dalla panchina e raggiungendola.

Rossana lo guardò e senza averlo premeditato osservò che aveva dei gomiti sexy.

"Gomiti sexy, che razza di cosa da pensare" si disse, sempre più arrabbiata con sé stessa e con sempre più voglia di andarsene da lì.

Fortunatamente sentì dei passi eccheggiare per la via, e sì voltò con uno scatto prima che Andrea potesse dire: «Ciao Sana! Come va, Giacomo?»

Poco ci mancò che Rossana non si facesse sfuggire un sospiro di sollievo «Andrea!»

Confuso dall'insolito slancio con cui l'amica l'aveva salutato, Andrea inclinò un po' la testa di lato come per osservarla da un'altra angolazione.

«Ehi, ehi! Ci siamo visti solo oggi, sai?» le rispose ridendo.

«Allora, come andiamo?» Giacomò salutò Andrea con un incrocio tra una stretta di mano e una pacca «Mi hanno detto che ti sei trovato la ragazza...»

«Beh, adesso...» fece Andrea con modestia «Direi che qui siamo ancora in alto mare. A proposito... Sana?»

Rossana sapeva benissimo a cosa si riferiva con quell'interrogativo. Non avevano più parlato della ragazza di Spotted, ma questo non significava che Rossana fosse rimasta con le mani in mano.

«Forse ho delle novità.» disse con un lieve sorriso. Dopotutto finalmente si cambiava argomento, e Giacomo poteva anche andare a farsi benedire, se gli aggradava.

«Davvero?!» esclamò Andrea. Rossana lo guardò con affetto. Andrea davvero non riusciva a tenersi nulla dentro, ogni sua emozione veniva gridata al vento, e in questo era molto simile ad Emma, con la differenza che sua sorella sembrava uscita da "Come d'incanto", Andrea da un quadro di Turner.

«Ho detto forse.» lo redarguì bonariamente lei.

«Avanti, dimmi!» la incalzò lui con decisione. Ah, sì, ogni tanto era anche un po' prepotente... Quante volte poteva averglielo già detto.

«Potrei, e sottolineo potrei, essere riuscita a trovare la tua misteriosa spasimante.» fece un'impercettibile pausa. «Si chiama Hannah e fa Giurisprudenza. Forse.»

 

La serata aveva fatto il suo corso in maniera tutto sommato normale, se si eccettuava il fatto che Andrea – felice come una Pasqua per le notizie di Rossana – si era ritenuto in dovere di ubriacarsi. Non l'aveva mai fatto prima, ma Rossana era dell'opinione che una sbornia, almeno una volta nella vita, fosse salutare. Per cui lasciò correre, e fu solo quando Ippolito e Rosa si offrirono di portarlo a casa a braccia che realizzò che se lo avessero fatto lei sarebbe rimasta sola con Giacomo.

Beh, merda.

«Possiamo andare tutti assieme da Andrea.» fece notare.

Lo sguardo ironico di Giacomo, sull'autobus...

«Niente affatto, porca Eva.» inveì Rosa, che comunque si stava limitando perché di solito bestemmiava come un portuale, con tante scuse per i portuali «Domani abbiamo l'università, cazzo! Lo dico per te, eh? Torna a casa con Giacomo e vai a letto.»

Ippolito biascicò qualcosa che somigliava ad un assenso e insieme a Rosa agguantò un braccio di Andrea e se lo fece passare attorno alle spalle.

«Ciao, eh?»

«Ci vediamo!»

«E porco cane, Ippolito, tiralo più su!»

Ecco fatto. Soli.

Per fortuna con tutto quel girovagare erano arrivati nelle vicinanze di casa sua, il che significava che non avrebbe dovuto passare troppo tempo con il ragazzo di sua sorella. Era ormai certa di non esserselo inventata, lui...

«Ehi, Sana» disse lui placido, quasi dolce «Hai mai letto "Le Braci"?»

«Il libro in cui un'amicizia secolare si rompe a causa di una donna?» molto alla spicciolata ma questa era la trama, no? E comunque non voleva dire una parola di più al riguardo, perché il sottointeso, che fosse frutto della sua fantasia o meno, non le piaceva per niente.

«Se la vuoi vedere così. Io trovo che sia un libro che parla della passione e dei rapporti umani.»

«O del loro squallore.»

Erano praticamente arrivati, avevano già imboccato la sua strada. Era quasi in salvo...

E così, senza preavviso, Giacomo le posò una mano sul braccio. Non fece nulla per trattenerla, ma bastò che lui avvicinasse il suo viso a quello di Rossana perché lei si ritraesse e rimanesse con le spalle al muro.

Il muro in questione era quello di un caseggiato che precedeva il suo, e anche se Rossana se ne accorse in quel momento quel dettaglio estemporaneo aveva davvero poca importanza.

Lui si chinò ancora verso di lei, sussurrandole in un orecchio: «"Si può, e soprattutto si deve restare fedeli alla passione che ci possiede, anche se questo significa distruggere la propria felicità e quella degli altri?"»

Perché me lo chiedi? Sai che è così.

Questa – o qualcosa di molto simile – era la risposta che dava il libro. Ma Rossana si guardò bene dall'imitarlo.

«Te la sei imparata apposta, vero?» disse invece con freddezza, sporgendo il mento in avanti.

«Ci sono cose peggiori.» sussurrò lui, guardandola negli occhi. Poi, con lentezza, il suo volto iniziò a farsi sempre più vicino.

Per un attimo quella cosa che le adolescenti banalpoetiche chiamavano cuore – ma che stando alla scienza cuore non poteva essere – fece una cosa che con Rossana non aveva mai fatto: anticipò di un passo la sua ragione.

Rossana reclinò leggermente la testa di lato, e lei davvero non si era resa conto di averlo fatto, il suo sguardo era intrappolato sulle ciglia di Giacomo, chiare, quasi bionde; lei si era sporta un po' in avanti. Meno di lui, che proseguiva nel suo viaggio verso il suo viso e aveva chiuso gli occhi.

E la notte, la notte languiva, fremeva, e sapeva di tutti i profumi del mondo...

All'improvviso il volto di Giacomo la disgustò, anzi le diede la nausea. In Rossana saettò il pensiero di Emma, e delle cose chiare, e dei bucati delle stelle del mare... Di sé stessa di fronte a sé stessa, di fronte ad uno specchio. Tutta l'attrazione che provava per Giacomo svanì in un secondo.

«No.» disse lei quieta e decisa, come se non fosse successo assolutamente nulla per cui scomporsi, anche se il cuore le andava a mille e il sangue le andava alla testa. Si rese conto che era più per l'indignazione e la paura che per l'emozione di sentire Giacomo così vicino, e questo se possibile rafforzò ancora di più la sua decisione.

«Davvero, Rossana?» disse lui aprendo gli occhi, con la voce un po' annabbiata, all'abbandono. Rieccolo, il sorriso ironico.

«Oh, sì. Davvero.»

«Le braci... Sono proprio come te. Proprio come i tuoi capelli.» mormorò lui, senza accennare ad allontanarsi.

Rossana fece un sorrisetto «Sono tinti, Giacomo, pensavo te ne fossi accorto.» sgusciò lungo il muro, verso il suo appartamento che era anche l'appartamento di Emma, lontano da Giacomo.

«Rossana...» fece lui, ma non sembrava avere un'idea precisa su cosa aggiungere.

«Buonanotte, poeta.» fece lei con ironia, prima di infilarsi nel portone.

Una volta dentro non si fermò finché non raggiunse l'ascensore, e a quel punto provò un irrefrenabile desiderio di sedersi in terra.

C'era mancato davvero poco... L'aspetto positivo era che non si sarebbe mai più trovata di nuovo in una situazione del genere, poco ma sicuro. Il ragazzo di sua sorella, roba da matti.

Ah, e il ragazzo in questione era anche un maledetto bastardo, detto per inciso. Dirlo ad Emma o tacere?

Esitò. Probabilmente la cosa meno traumatica per Emma sarebbe stato cercare di aprirle gli occhi giorno per giorno, senza scioccanti rivelazioni o momenti di dramma collettivo. Sentì una stretta allo stomaco al pensiero di quanto Emma sarebbe rimasta ferita da questa storia se ne fosse venuta a conoscenza. Ma non sarebbe successo.

Il trucco era avere tutto sotto controllo, e lei ormai conosceva i suoi polli.

Si rese conto che il pensiero di Emma non le aveva soltanto impedito di compiere un gesto orribile nei suoi confronti, ma l'aveva anche salvata dal diventare una scoria umana.

"Sei proprio una santa, Emma" pensò, nella luce sfarfallante dell'elevatore "Una di quelle icone che le persone prendono ad esempio o a monito."

Rossana era atea, ma qui non c'entrava nessun dio. Ammirava le persone buone come Emma, perché si comportavano così pur essendo soltanto umane.

Soltanto umane, e lei era umana e sporca. Era anche senza significato, in quel momento, e non c'era da chi andare, o a chi chiedere. Non consiglio o aiuto, soltanto chiedere sapendo che si poteva avere...

E Rossana, seduta sul pavimento di un ascensore ormai arrivato al piano, si ritrovò a chiamare sua madre.

«Pronto?» fece una voce assonnata dall'altra parte della linea. Rossana si rese conto in quel momento che era davvero tardi, ma oramai era fatta.

«Ciao mamma.»

«Sana? Stai bene?»

Rossana fu un po' presa alla sprovvista da quella frase concitata, perché non aveva pensato che sua madre si sarebbe potuta spaventare nel sentirsi chiamare a quell'ora «Ma... Sì, insomma, che domanda è?»

«Mhm, non so» il sarcasmo di Laura De Poggi era leggenda, e Rossana sapeva che in quello non sarebbe mai riuscita ad eguagliare le altezze della madre «è già tanto se mi chiami una volta al giorno. Forse. Ogni tanto. E adesso è... Ah, l'una di notte. È lecito preoccuparsi?»

«Ho avuto un'improvvisa botta di nostalgia di casa» disse Rossana, con tutta la sincerità che può avere una persona che non sa davvero perché abbia deciso di chiamare casa nel cuore della notte «e senza pensarci ho fatto il tuo numero. Scusami se ti ho svegliata.»

Ci fu una breve pausa dall'altra parte. Forse di sorpresa, visto che quella non era esattamente una frase da Rossana «Puoi tornare quando vuoi» fu infine la replica «anche questo weekend.»

Il tono di sua madre era quasi una carezza, le sembrava di vedere la sua mano asciutta e fresca raggiungerla da lontano e posarsi sulla sua fronte sollevandole i capelli, come per sentirle la febbre.

«Allora... Torno.»

Sua madre fece un mormorio di assenso «E sei sicura che non c'è nient'altro di cui mi vuoi parlare?»

Straordinaria, sua madre: non le chiedeva mai perché, se o cosa c'era che non andava, le chiedeva solo se per caso non avesse voglia di parlarne.

Ma in quel momento non c'era niente da dire, nulla che voleva che lei sapesse. Non era del tutto conscia di quale fosse il problema neppure lei, a parte la faccenda di Giacomo ed Emma. E di certo non era cosa che avrebbe detto ad alta voce.

«No, è tutto a posto.» rispose dunque.

«Buonanotte, allora.» sua madre le mandò un bacio «Sarai sempre la mia piccola stellina, anche se non torni mai da me.» disse scherzosa.

Rossana sbruffò una risata «Buonanotte, mamma.»

Entrò in casa barcollando, non si mise neppure il pigiama.

Crollò sul letto e guardò la sagoma della sorella addormentata.

"Ti voglio bene, Emma" pensò, e quasi lo disse "ti chiederei scusa, ma non ho neppure niente di cui chiederti perdono perché comunque vada faccio sempre le cose a metà. Non sono neppure capace di compiere un crimine come si deve."

L'ultima, distratta immagine che visitò la mente di Rossana prima che si addormentasse furono un paio di leggins gialli e viola. Ma la fantasia militare non era fatta per confondersi con l'ambiente? Avrebbero dovuto essere di un colore più... più...

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