It's always darkest before the dawn

di Egi_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo ***
Capitolo 4: *** Quarto capitolo ***
Capitolo 5: *** Quinto capitolo ***
Capitolo 6: *** Sesto capitolo ***
Capitolo 7: *** Settimo capitolo ***
Capitolo 8: *** Ottavo capitolo ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo ***


Ciao a tutti! Allora questa è la mia prima fan fiction ed è una cosa completamente nuova per me, non mi ero mai misurata prima con un'avventura del genere.
I primi cinque capitoli sono già pronti (al mare ho avuto parecchio tempo libero) quindi aggiornerò diciamo ogni tre giorni per ora.
L'idea per la storia mi è venuta dopo aver letto "La signora delle camelie" di Dumas e nei prossimi capitoli sarà evidente.
Ringrazio già in anticipo chi leggerà (se qualcuno la leggerà ovviamente) e se vi và lasciate una recensione, avrete la mia eterna gratitudine!




CAPITOLO UNO
 
 
A distanza di anni il primo ricordo del suo arrivo a Londra sarebbe stato l’odore del vapore.
Era un odore particolare che Kurt Hummel, giovane membro della nobiltà di campagna inglese, non aveva mai sentito prima.
Sembrava che il vapore fosse ovunque, galleggiava a pochi centimetri da terra e a Kurt ricordò quella nebbiolina che di mattina presto, nelle giornate d’autunno, sostava sui campi coltivati e sugli ampi prati che poteva ammirare dalla grande finestra di casa. 
Il vapore però aveva un odore decisamente sgradevole e richiamava a Kurt l’idea dello sporco, dei miasmi che sapeva fuoriuscivano dalle moderne industrie londinesi.
La seconda cosa che Kurt notò, appena messo il piede fuori dalla stazione, fu la gente.
La gente era dappertutto. 
Le persone attorno a lui gridavano, si sbracciavano, si calpestavano i piedi a vicenda e si spingevano senza accorgersene.
C’erano tanti tipi di persone attorno a lui, appartenenti alle più disparate classi sociali.
Vide un vecchio con il naso aquilino vestito elegantemente, un giovane dalla pelle ambrata che vendeva cibo di dubbia provenienza, due giovani donne con lunghi abiti e cappelli con veletta, una madre con un bambino in braccio e uno per mano vestiti di stracci e senza le scarpe.
Il bambino più grande continuava a tirare su con il naso e quando gli si avvicinò con la piccola mano sporca tesa verso di lui, Kurt non poté trattenersi dallo scostarsi facendo una faccia schifata di cui subito si vergognò.
 
“Non si preoccupi, signorino. La povertà non è contagiosa.” 
La voce della donna era bassa e rauca e non aveva quasi più denti in bocca.
La donna si avvicinò, gli occhi fissi sulla borsa che Kurt si portava appresso.
In quel momento, in mezzo a tutta quella gente ebbe paura della donna e della sua bocca sdentata, dei suoi piedi sudici, del suo odore sgradevolissimo.
Ecco un’altra cosa che si sarebbe ricordato a distanza di anni: la paura di quei suoi primi minuti nella capitale che era così diversa da ciò che aveva sperato e così simile a ciò che aveva temuto.
 
“Vattene via donnaccia! Prendi questi spiccioli e sparisci!”
Kurt si voltò in direzione della voce e il suo giovane viso si distese in un sorriso allegro: “Finn!”
Suo cugino Finn Hudson, figlio del fratello di sua madre, era davanti a lui e per Kurt in quell’istante rappresentò la salvezza.
Suo cugino era cresciuto dall’ultima volta che Kurt l’aveva visto. Il suo viso aveva perso le ultime rotondità della giovinezza e poteva giurare che fosse cresciuto ancora di cinque o sei centimetri. Era talmente alto che Kurt al suo fianco si sentiva un bambino.
Finn lo abbracciò cameratescamente, incurante della donna che si era gettata a terra per raccogliere i pochi spiccioli che l’uomo le aveva lanciato come si lanciano le ossa ai cani.
 
“sono così contento che tu sia qui Kurt. Mi sei mancato così tanto cugino!”
Finn e Kurt sono nella carrozza del primo, un'elegante vettura nera e blu scuro dai comodi sedili di pelle chiara. 
Per il nuovo arrivato è un sollievo essere al sicuro nella carrozza e non dover sentire il puzzo delle strade londinesi.
Kurt sorrise al cugino. 
Anche lui era contento di rivederlo.
Erano cresciuti lontani ma avevano sempre avuto un buon rapporto.
Quando Kurt aveva manifestato il suo desiderio di passare un periodo nella capitale, Finn si era immediatamente offerto di ospitarlo nella sua casa asserendo che gli avrebbe procurato un immenso piacere fare da chaperon al cugino e fargli conoscere la Londra borghese e illuminata di cui faceva parte.
Dal canto suo Kurt non aveva assolutamente potuto rifiutare un’offerta così generosa.
“sono contento di essere qui, anche se per quello che ho visto Londra non è esattamente quello che mi ero immaginato.” La voce di Kurt è allegra e squillante ma dentro si sente soffocare. 
La prima impressione che ha avuto di Londra non è stata all’altezza delle aspettative.
Non riesce a non rimpiangere la tranquillità della sua amata campagna che tante volte aveva provato a celebrare in sonetti e ballate.
Non era mai riuscito a comporre qualcosa di davvero soddisfacente nella sua breve vita e aveva attribuito la colpa dei suoi fallimenti alla vita protetta che conduceva, all’esistenza sicura cui la sua condizione di figlio di possidenti l’aveva condannato.
C’era un solo luogo dove avrebbe potuto cominciare davvero a vivere intensamente: Londra.
Arrivato a questa conclusione non aveva potuto fare a meno di trasferirsi nella capitale per cominciare finalmente a vivere l’esistenza che il suo animo da artista reclamava.
“quando mai le nostre aspettative corrispondono alla realtà?” disse Finn con un lieve sorriso sulle belle labbra “imparerai presto ad amare la nostra Londra credimi. È una città di luci e di ombre come sono tutte le capitali dei grandi imperi. Pensa alla Roma di Augusto, per esempio.
Abbiamo la fortuna di vivere in un secolo di progresso e Londra è il più straordinario esempio di questo progresso illuminante amico mio.”
Kurt annuì e rivolse il suo sguardo all’esterno, sulle strade polverose.
Alcuni bambini cenciosi correvano accanto alla vettura, tutti rigorosamente a piedi scalzi.
Kurt si chiese se il progresso avrebbe prima o poi illuminato anche loro o se sarebbero vissuti e morti nella desolante oscurità della povertà, nell’ombra della grande Londra del progresso.
 
 
Kurt si svegliò nel tardo pomeriggio e ci mise qualche secondo a rendersi conto di dove si trovava. 
Era a Londra, nella capitale e lontano chilometri e chilometri da casa e dalla sua famiglia.
Dal piano sottostante giungeva il suono di alcune voci fra cui riconobbe solo quella di Finn.
Decise di scendere dopo essersi riassettato, sicuramente Finn aveva parlato ai suoi amici di Kurt e non era sua intenzione offenderli facendosi attendere ulteriormente.
Una decina di minuti dopo Kurt fece la sua entrata in salotto. 
In quel momento non poteva saperlo ma stavano per entrare nella sua vita le persone che l’avrebbero cambiata nel bene e nel male, le persone che avrebbero cambiato lui facendolo diventare quell’uomo che non avrebbe mai pensato di diventare e l’artista che aveva sempre sognato di essere.
La musica invadeva la stanza. 
Kurt non aveva ancora oltrepassato la soglia che già era stato catturato da quella musica e dalla voce celestiale che accompagnava.
La donna cui apparteneva la voce monopolizzò l’attenzione di Kurt. 
Era di bassa statura e aveva capelli castano scuro lucidissimi e acconciati in uno chignon morbido.
Cantava tenendo gli occhi chiusi e la testa leggermente buttata all’indietro.
Kurt ne fu incantato.
Rimase immobile, gli occhi fissi su di lei.
L’ultima nota lo colse impreparato, era stato completamente assorbito dalla melodia.
Finn si accorse di lui e si affrettò a introdurlo ai suoi ospiti con un ampio sorriso.
“amici miei questo è Kurt Hummel, il figlio di mia zia Odette. Viene dallo Yorkshire ed è la sua prima volta a Londra, fatelo sentire a suo agio.” La voce forte di Finn aveva attirato su Kurt l’attenzione di tutti nella stanza.
Un uomo alto, dai capelli ricci e rossicci strinse a Kurt la mano con forza.
“sono William Shuester, molto piacere.” si presentò “e questo è mio nipote Arthur Abrams.”
Kurt sorrise a un ragazzo con gli occhi azzurri e lo sguardo mansueto seduto in poltrona che si affrettò a sorridere a sua volta.
“puoi chiamarmi Artie. Mi scuserai se non mi alzo ma sono, diciamo, impossibilitato.”
Kurt non fece in tempo a chiedere quale fosse il problema che una voce squillante lo fece voltare verso l’unica donna presente nella stanza, la meravigliosa creatura dalla voce magnifica.
“io sono Rachel Barbra Berry, cantante e attrice di professione.” La voce di Rachel era acuta e non sembrava quella stessa voce che aveva emozionato Kurt qualche minuto prima. 
Rachel era molto più giovane di quello che il ragazzo aveva pensato in un primo momento.
“Rachel Berry! Ho sentito parlare di voi persino nella mia lontana provincia agricola!” disse Kurt.
“Ha interpretato una straordinaria Giulietta l’anno passato a quanto ho udito.”
Rachel s’illuminò e i suoi occhi scuri presero a brillare come stelle.
Kurt pensò che la ragazza aveva un volto particolare, non bello secondo i canoni classici e rinascimentali (il naso era importante e poco femminile, molto ebraico) ma sicuramente affascinante. Quando sorrideva poi non si poteva fare a meno di guardarla.
“non sa quanto piacere mi suscitino queste parole. È appena arrivato signor Hummel e mi ha già resa la donna più felice di Londra e dintorni” squittì Rachel “la invito già ufficialmente alla prima del mio nuovo spettacolo perché è evidente che lei è un intenditore, Kurt. Posso chiamarla Kurt non è vero? Voi nobili siete suscettibili e lo dico per esperienza…”
“Rachel non essere petulante! Il povero signor Hummel è confuso dai tuoi sproloqui autocelebrativi.”
Una voce profonda e calda che suscitò in Kurt un’affezione immediata. 
L’uomo che aveva parlato era il pianista.
Aveva suonato per l’esibizione di Rachel ma Kurt era così preso da lei che non l’aveva notato.
Si chiese come fosse possibile che non si fosse accorto di lui subito.
Era di una bellezza magnetica. 
I capelli nerissimi erano pettinati elegantemente, con la scriminatura da un lato ed era vestito splendidamente.
Unica pecca nella sua persona era la bassa statura. Kurt lo sorpassava di tutta la testa.
I loro occhi s’incontrarono e Kurt rimase subito affascinato da quegli occhi nocciola nei quali si ritrovò a specchiarsi.
Stava per presentarsi quando la porta del salottino si spalancò di colpo facendolo sobbalzare.
Finn si alzò di scatto in tutta la sua imponente corporatura: “quante volte ti ho spiegato che devi bussare Becky? Sono stufo di pazientare perchè tu impari le buone maniere.”
Becky, una donnina bionda e affetta da un evidente ma non invalidante ritardo mentale, sembrava in preda al panico.
“è la signora, milord. È stata ferita, milord. 
È a casa dell’ambasciatore, milord.”disse Becky, la voce incrinata dal pianto.
Kurt girò il suo sguardo su Finn che d’un tratto si era fatto pallidissimo. 
Per un attimo temette uno svenimento.
Nella stanza scese un silenzio tombale.
Kurt faceva scorrere il suo sguardo da un ospite all’altro, in cerca di un indizio su quanto stava accadendo.
Non gli sfuggì che anche Rachel era impallidita e aveva il respiro corto.
 
Finn si riscosse dal torpore e quando parlò la sua voce era ferma e intrisa di rabbia.
“fa preparare la carrozza. Voglio essere in strada fra non più di due minuti.
Kurt gradirei la tua compagnia.”
Un modo carino per dirgli che gli ordinava di accompagnarlo.
 
Kurt non poté fare a meno di annuire e seguire suo cugino fuori dalla stanza, per niente pronto a rituffarsi fra i vapori di Londra.

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo ***


Ciao a tutti! Ecco il secondo capitolo. Dunque non è molto lungo e non succede un granchè ma vengono introdotti due personaggi mooolto importanti!
Vista la lunghezza del capitolo pubblicherò in un paio di giorni il prossimo, promesso!
Grazie a chi segue, ricorda e preferisce (!) e soprattutto a chi recensisce!
Buona lettura!


CAPITOLO DUE

 

Kurt entrò in quella grande casa quasi correndo per tenere il passo con le falcate di suo cugino Finn.

Ormai su Londra era sceso il buio e Kurt era grato alla notte che gli aveva impedito di dover sopportare ancora una volta la vista delle strade e dei poveri della capitale.

Si vergognava ad ammetterlo persino a se stesso ma era schifato da quelli spettacoli urbani.

Era abituato ai poveri della campagna che vivevano in una miseria rispettabile, tremenda certo ma non urticante allo sguardo altrui.

La povertà del sottoproletariato urbano invece era un mostro di tutt’altro genere.

Era nauseante, fastidiosa, sporca e in un certo qual modo ti si attaccava addosso, anche se non ne avevi direttamente a che fare.

La incontravi, la fissavi ed era come guardare negli occhi una bestia mostruosa, un’idra oscena.

L’ingresso dove si trovava in quel momento però era grandioso, lontano anni luce dalla povertà cui aveva assistito in quel suo primo giorno nella capitale e rispecchiava perfettamente quello che Kurt aveva sognato riguardo alle case londinesi.

Non ebbe tempo però di fermarsi ad ammirare la mobilia e la splendida tappezzeria perché Finn, che non si era nemmeno levato il cappello, stava già correndo su per le scale di marmo bianco mangiando tre scalini alla volta con quelle sue gambe lunghissime.

Kurt lo seguì salutando rosso in volto la servitù che incrociavano ogni pochi passi e che li guardava con scarso interesse come se fossero abituati a spettacoli di tal genere.

Finn si precipitò in quella che doveva essere la camera padronale, spalancando la porta senza nemmeno bussare.

cugino!” esclamò Kurt, nel tentativo di arginare la furia dell’uomo che era ormai già dentro la stanza.

Kurt si fermò sulla soglia.

Finn era gettato in ginocchio accanto al grande letto a baldacchino e stringeva convulsamente la mano bianca di una donna che Kurt riconobbe come la neo moglie di suo cugino.

Kurt non era potuto andare al matrimonio perché in quel periodo Burt, suo padre, non si sentiva bene ma poche settimane dopo il lieto evento gli era stata recapitata una foto dei novelli sposi dietro cui era stato scarabocchiata la data (8 maggio 1881) e il nome dei due sposini, Finn Hudson e Quinn Fabray.

Ora finalmente vedeva di persona Quinn Fabray, marchesa di Bruges.

La ragazza nonostante il pallore e un enorme livido sulla parte destra della mandibola rimaneva di una bellezza abbacinante.

I suoi occhi verdi si posarono su Kurt.

tu devi essere il nostro ospite” la sua voce era vellutata e debolissima, “non assomigli per niente a Finn.”

Kurt non seppe se prenderlo come un complimento o meno.

sono Kurt Hummel, il cugino di Finn e vostro onorato ospite lady Hudson. Siete incantevole mia cara.”

Quinn Fabray scoppiò a ridere: “O sei un politico o sei un bugiardo di natura lord Hummel.”

La battuta fece sorridere Kurt ma non Finn che non aveva smesso per un attimo di guardare la moglie.

per dio Quinn, che è successo stavolta?” tuonò Finn, rosso in volto.

Quinn si rabbuiò: “non bestemmiare lord Hudson. Sto bene, e ora non ho la forza di spiegarti per filo e per segno le mie disgrazie.”

Finn si alzò in piedi di scatto e incrociò le braccia al petto.

so io chi è la tua disgrazia!” disse l’uomo, “dov’è quella sciagurata?”

Kurt non fece in tempo a chiedere di chi stessero parlando che una voce roca lo fece voltare.

 

sono qui Hudson, non c’è bisogno che svegli anche la regina con il tuo nobile vocione.”

 

Prima che Kurt potesse mettere a fuoco la donna che aveva parlato Finn ostruì il suo campo visivo gettandosi sulla nuova arrivata.

sei una sciagurata, un’incosciente!” tuonò Finn e Kurt non l’aveva mai visto tanto irato con qualcuno, “giuro su di Dio e sulla Regina che è l’ultima volta che ti permetterò di portare mia moglie con te nelle tue follie! Non m’interessa se tuo padre è l’ambasciatore spagnolo o quello di Timbuctù, ti farò arrestare maledetta donna!”

smettila Finn! Non è colpa sua se mi trovo in questo letto anzi, se non fosse stato per lei in questo momento probabilmente sarei morta e tu saresti vedovo e di nuovo sulla piazza.” Nonostante la debolezza, la voce di Quinn era squillante. Kurt vide i suoi occhi ardere e non poté fare a meno di provare un’immediata simpatia per la moglie di suo cugino.

Pensò che fosse una persona coraggiosa e all’epoca non aveva idea di quanto lo era davvero.

non ti avrebbe dovuto salvare la vita se non ti avesse portato in quel covo di delinquenti.”

non sono delinquenti” disse la donna sconosciuta, “sono povera gente che a volte è anche peggio. La fame e le privazioni creano mostri pericolosi, trasformano in bestia anche l’uomo migliore.

Ammetto che andare nell’East End da sole è stato un errore ma i bambini di quell’orfanatrofio moriranno di stenti e di tisi se non facciamo qualcosa.”

Finn sbuffò: “Avreste dovuto portare un uomo con voi.”

oh sì, voi ad esempio Lord Hudson? Gli avreste portato progresso e companatico?”

Kurt pensò che Finn sarebbe saltato al collo di quella donna e francamente se lo sarebbe anche meritato.

Era tremendamente scortese rivolgersi in un modo così sfacciato a un gentiluomo.

voglio sapere cos’è successo e lo voglio sapere ora,” disse Finn dopo una lunga pausa, “poi riporterò a casa mia moglie. Se quello che dirai mi convincerà forse non ti denuncerò alle autorità.”

La donna si avvicinò a Finn, lo sguardo fisso in quello dell’uomo.

A Kurt sembrò incredibile che Finn non scoppiasse in lacrime, gli occhi neri di quella donna erano braci roventi. Scottavano.

d’accordo lord Hudson” disse la donna “ti racconterò quello che è successo senza fronzoli.

Siamo state in quest’istituto a Spietalsfields che ospita bambini orfani o figli di quelle che oggi chiamiamo donne perdute. Abbiamo portato loro medicine e cibo.

All’uscita dall’istituto due uomini ci hanno avvicinate e hanno provato a rapinarci del poco che avevamo addosso.

Noi donne facciamo sempre gola ai delinquenti, ben più di voi uomini.

Quinn è stata colpita ed io ho reagito.”

All’occhiata perplessa di Finn la donna sorrise.

Me la cavo con le lame.”

E Kurt non stentò a crederci.

 

Quinn si alzò dal letto faticosamente.

Era evidente che le doleva tutto il corpo.

Kurt guardò Finn mentre accompagnava la moglie fuori dalla stanza tenendola sottobraccio, senza degnare la padrona di casa di uno sguardo.

Kurt sentì invece Quinn bisbigliare alla donna che si sarebbero viste il giorno dopo a teatro per la prima dell’Otello. Il ragazzo immaginò che si trattasse della prima del nuovo spettacolo di Rachel.

La voce roca della donna alle sue spalle lo fece sobbalzare.

tu chi saresti? Somigli a un folletto irlandese.”

Kurt sentì il rossore invadergli le guance.

Gli occhi di quella donna erano implacabili, si sentiva nudo sotto il suo sguardo affilato.

sono Kurt Hummel. Il cugino di lord Hudson.

Chi ho il piacere di conoscere?”

Il bel volto della donna si aprì in un sorriso malizioso.

 

se la nostra conoscenza sarà un piacere è tutto da vedere lord Hummel.

Il mio nome è Santana Lopez.”

 

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Capitolo 3
*** Terzo capitolo ***


Ciao a tutti! Anche questo capitolo non è lunghissimo ma vi prometto che già dal prossimo aggiornamente diventeranno più lunghi.
Ancora un capitolo di passaggio dove però ci sono parecchi indizi sulle personalità dei personaggi.
Per la prima volta c'è il punto di vista di Santana, spero di essere riuscita a rendere bene il suo personaggio che amo alla follia!
Se volete date un'occhiata al primo capitolo della storia originale che ho pubblicato, ci sono dei prestavolto interessanti per i protagonisti (sopratutto per LA protagonista ahah).
Ancora grazie grazie e grazie a chi trova il tempo di leggere e recensire i miei disagi!
Buona lettura ;)


CAPITOLO TRE
 
Quinn Fabray Hudson cominciava a pensare che fosse tutto inutile: quell’orribile livido violaceo sulla mascella non voleva saperne di scomparire sotto il cerone che da ormai un quarto d’ora si stava spalmando sul viso altrimenti perfetto.
Sbuffando decise di lasciar perdere e di passare ai capelli.
Decise di non chiamare Becky.
Quinn era affezionata alla ragazza ma preferiva prendersi cura da sola di se stessa.
A casa, in Francia, le cameriere di sua madre si erano sempre occupate di tutto e Quinn per anni era stata vittima privilegiata della loro presenza ossequiosa.
Ora che si trovava in Inghilterra, che era moglie e padrona di casa tendeva a cercare di arrangiarsi, soprattutto da quando aveva conosciuto Santana.
Certo, non sempre era facile ma era sicuramente soddisfacente.
Sospirò guardandosi allo specchio.
Quei mesi in Inghilterra l’aveva cambiata profondamente.
Quando aveva incontrato per la prima volta Finn Hudson, giovane ufficiale dell’esercito inglese, era solo una ragazzina viziata che non sapeva nulla della vita e dell’amore.
Finn l’aveva corteggiata discretamente e Quinn ne era rimasta affascinata.
Conosciute le origini nobiliari del giovane anche i suoi genitori si erano convinti che fosse un ottimo partito e che per uno così sarebbe valsa la pena di mandare la loro bambina a Londra, nella lontana e poco amata Inghilterra.
Quando Finn le aveva chiesto di sposarlo, Quinn non aveva esitato neanche per un attimo.
Era partita per Londra fiduciosa e allegra, felice di lasciarsi alle spalle quel mondo della Francia rurale che già da un po’ le andava stretto.
A sorprenderla non fu la grande città, con quelle ciminiere appuntite come spilli, non furono gli inglesi con la loro rigidità innata e con quella cortesia spesso solo di facciata, non fu la povertà o la regina Vittoria, non fu Buckingham Palace o Westmister.
Fu l’amore.
E non è forse sempre l’amore la variante imprevista e incalcolata?
Quinn Fabray in Hudson l’aveva imparato a sue spese quando era ormai troppo tardi.
 
Il teatro dell’Opera era pieno di gente.
Santana era uscita alla fine del primo atto per prendere una boccata d’aria ma si sentiva soffocare molto più lì nell’atrio che nel suo palchetto.
Santana Lopez odiava il suo ceto, odiava le ipocrisie della borghesia arricchita e la petulanza dei nobili conservatori.
Difetti che nella modernissima Inghilterra erano ancora più evidenti che in Spagna.
Due signori di sua conoscenza le passarono affianco salutandola con l’apparente cortesia così tipicamente inglese ma a Santana non sfuggirono gli sguardi velati di rimprovero che le rivolsero.
Una donna sola, anche se di buona famiglia, suscitava sempre sguardi di quel genere.
Santana pensò che la società fosse dominata da un’ipocrisia a suo dire nauseante.
Tutti quegli sproloqui sulla modernità, sul progresso e ancora guardavano con disprezzo una donna che sostava da sola nell’atrio di un teatro o che camminava in solitudine per la strada o che prendeva per conto suo a noleggio una carrozza!
Cercando di evitare altre facce conosciute e venendo meno a tutte le regole di buona educazione, Santana si affrettò a tornare alla tranquillità paradisiaca del suo palchetto.
Seduta sulla stessa poltroncina su cui l’aveva lasciata, Quinn era impegnata a guardare in basso con il suo piccolo cannocchiale.
“visto qualcosa d’interessante?”
Quinn si voltò verso di lei con un gran sorriso scuotendo la testa bionda perfettamente acconciata.
“non direi. Tu nell’atrio hai incontrato qualcuno di piacevole?”
“i soliti noti,” sospirò Santana sedendo accanto alla sua amica, “e non è un complimento.”
Quinn ridacchiò senza smettere di guardare nel cannocchiale.
Gli occhi di Santana caddero ancora una volta sul livido che segnava il volto altrimenti perfetto di Quinn.
Non riuscì a non sentirsi un po’ in colpa.
Quelle loro scorribande a Bloomsbury o nell’East End avrebbero potuto finire male in più di un’occasione.
Santana dimenticava spesso che lì, in mezzo alla miseria, non potevano farsi scudo del loro cognome o del loro sangue.
“tuo marito pensa ancora di farmi arrestare?”
“no” sorrise Quinn “ma non vuole che rimanga mai più sola con te. Pensa che tu sia una specie di fuorilegge, un Robin Hood in gonnella!”
Santana scoppiò a ridere: “Forse lo sono davvero!
Per una volta il panzone ne ha detta una giusta.”
“non essere scortese Santana,” la voce di Quinn era severa “è un brav’uomo, un marito devoto ed io lo amo ovviamente.”
Santana alzò un sopracciglio mentre l’amica tornava a puntare il cannocchiale verso il palcoscenico.
Non si era mai innamorata nella sua vita e non sapeva cosa volesse dire amare un’altra persona.
Amava suo padre, certo ma era sicura che l’amore di due sposi o di due innamorati fosse piuttosto diverso.
Dell’amore sapeva quello che aveva letto sui libri e nei sonetti dei poeti del dolce stilnovo ma non l’aveva mai provato sulla sua pelle, non aveva mai avuto il cuore infiammato di quella passione che si agitava nelle pagine di Abelardo ed Eloisa e nelle poesie di Elizabeth Barret-Browning e di Saffo ma poteva affermare con assoluta certezza che quello che Quinn provava per Finn Hudson, suo marito, non era amore e nemmeno un’opaca ombra di esso.
L’amore non poteva essere quello che c’era fra Quinn e Finn, non poteva esaurirsi tutto lì.
Werther non si sarebbe mai ammazzato per così poco!
 
 
Kurt distese le gambe davanti a sé.
Lo spettacolo gli piaceva, Rachel era bravissima e la messa in scena entusiasmante ma non riusciva comunque a rimanere concentrato.
Pensò che probabilmente non si era ancora ripreso dal viaggio fino a Londra.
Sbadigliò con discrezione e lanciò un’occhiata ai suoi compagni nel palchetto.
Shuester e suo nipote Arthur, storpio e costretto sulla sedia mobile, sembravano molto presi dallo spettacolo mentre Sam Evans, un giovane e biondissimo americano era impegnato a puntare il cannocchiale verso gli altri palchetti, probabilmente sulle scollature delle signore.
Quando Kurt si alzò nessuno di loro lo degnò di uno sguardo e lui tirò un sospiro di sollievo.
Scese nell’enorme e arioso atrio non aspettandosi di trovare nessuno.
Quando l’uomo parlò Kurt sobbalzò vistosamente.
“signor Hummel!” disse la voce profonda “diserta lo spettacolo?”
Kurt lo riconobbe all’istante.
Era il pianista che il giorno precedente aveva accompagnato così magistralmente l’esibizione di Rachel.
“non è assolutamente mia intenzione” sorrise Kurt, “sono uscito a prendere una boccata d’aria.”
Il giovane sorrise e agitò il sigaro che teneva in mano: “Io per sfuggire ai miei noiosi compagni e per fumare quest’aggeggio. Ne vuole uno? O preferisce forse tirare una boccata dal mio?”
Senza nemmeno sapere perché Kurt arrossì.
Non potè controllare il sangue che all’improvviso gli invase il viso come il fiume invade i campi oltre gli argini nelle primavere troppo piovose.
Perché all’improvviso era così imbarazzato?
Che cosa aveva mai detto di così scandaloso quel gentiluomo?
Perché sicuramente doveva trattarsi di un gentiluomo no?
“la ringrazio ma devo declinare la sua generosa offerta.” Disse Kurt con voce tremante, “anzi credo che tornerò allo spettacolo della nostra cara Rachel.”
Il giovane si limitò a sorridere.
“l’accompagno al suo palco signor Hummel.”
Kurt non seppe dire di no.
Mentre camminavano fianco a fianco lo sguardo di Kurt cadde sulle mani del suo accompagnatore.
“lei dipinge.” Era un’affermazione.
“è forse un medium, signor Hummel?” disse l’altro, “come può affermare con una tale sicurezza che io dipingo?”
“le sue mani signore. Sono sporche di colore.”
Si fermarono davanti alla tenda del palco.
“sono sporche qui e anche qui vede?”
Kurt aveva preso le mani del giovane nelle sue senza nemmeno accorgersene, l’aveva fatto candidamente com’era nella sua natura.
Agganciò i suoi occhi azzurri in quelli nocciola dell’uomo e gli chiese: “Che razza di gentiluomo si presenta all’opera con le mani sporche di colore?”
Il giovane scoppiò a ridere senza distogliere i suoi occhi da quelli di Kurt.
“che razza di gentiluomo afferra le mani di uno sconosciuto senza chiedere il permesso?”
Fu Kurt allora a spezzare il contatto visivo e a lasciar andare immediatamente le mani del moro.
Il suo viso era in fiamme.
Senza dire un’altra parola si voltò e scappò oltre le spesse tende rosse, al sicuro, lontano da quello sconosciuto dagli occhi nocciola e le mani calde.
Mentre si risedeva al suo posto pensò che quell’uomo aveva ragione: non conosceva nemmeno il suo nome.
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Quarto capitolo ***


Ciao a tutti! Eccomi di nuovo qui con un nuovo capitolo che doveva essere moolto lungo anzi troppo!
Quindi l'ho tagliato in due (non mi odiate) perchè volevo tenervi sulle spine e perchè sono una persona molto cattiva! 
No scherzo, l'ho fatto perchè se no veniva davvero lunghissimo e temevo di annoiarvi.
Comunque due nuovi personaggi (uno dei quali lo amo alla follia) e un incontro che personalmente ho amato scrivere e immaginare. 
Aggiornerò prestissimo dato che ho ancora due o tre capitoli pronti poi temo che i tempi si allungheranno un po' fra l'università e gli impegni.
Cercherò sempre di non farvi aspettare troppo però, promesso! 
Grazie a chi recensisce, a chi segue, ricorda, preferisce e anche a chi legge soltanto!




CAPITOLO QUATTRO
 
 
A metà del terzo atto Santana era stufa.
Non amava pazzamente il teatro e quella sera era nervosa, inquieta.
Non riusciva a concentrarsi sullo spettacolo.
Già da un po’ si ritrovava a spiare gli altri palchi con il cannocchiale, alla ricerca di qualcosa d’interessante da osservare.
L’unica cosa che aveva risvegliato la sua attenzione per qualche minuto era stato l’abbandono e il rocambolesco ritorno sul palco del cugino di Finn, Kurt Hummel.
Il ragazzo sembrava parecchio agitato, Santana aveva passato qualche minuto a fissarlo ed era arrivata alla conclusione che il giovane era decisamente effeminato e che la sua pelle sembrava fatta di porcellana. Sembrava una bambola e per un uomo non era certo un complimento.
Era arrivata a chiedersi se Hummel avesse bisogno di radersi. Ne dubitava fortemente.
Svogliatamente puntò il cannocchiale verso un palchetto più basso.
C’èrano due donne.
Una delle due agitò la mano guantata nella sua direzione in un cenno di saluto.
Santana ci mise qualche secondo ad accorgersi che non stava salutando lei bensì Quinn.
Ripuntò il cannocchiale sulla donna che nel frattempo si era chinata a parlare con la sua vicina.
Senza il cannocchiale davanti agli occhi a coprirle il volto Santana la riconobbe immediatamente.
 
Quando la vide per la prima volta era a Kensington Avenue. Faceva un caldo improbabile per quella stagione. C’era ferma una carrozza scoperta da cui scese una donna vestita di bianco.
Entrò in una sartoria di lusso gestita da una certa miss Smithson. Un mormorio di ammirazione accolse il suo ingresso nel negozio.
Santana rimase lì, inchiodata, da quando la donna entrò a quando uscì.
Dalla vetrina la guardava scegliere quello che era andata a comprare. Sarebbe potuta entrare ma non osava. Non voleva insospettire ulteriormente Quinn e le altre signore che la accompagnavano.
Non poteva però fare a meno di guardare quella donna sconosciuta.
Era molto elegante: il vestito di mussolina a volants, uno scialle indiano quadrato con gli angoli ricamati d’oro e di fiori di seta, un cappellino coordinato e un unico braccialetto dorato.
Doveva essere benestante ma Santana non l’aveva mai vista alle feste e ai balli eleganti che era costretta a frequentare.
La donna risalì in carrozza e ripartì, lasciando Santana in uno stato confusionale che la accompagnò per il resto della giornata e per molti giorni a venire.
 
Santana da quel giorno di fine settembre non aveva più visto la donna misteriosa e nemmeno l’aveva cercata.
Non riusciva ancora a raccapezzarsi sui sentimenti che le aveva suscitato la semplice vista di quella donna.
Era stata (Santana non trovava altre parole per descriverla) una visione.
“conosci quella donna?”
L’indifferenza nella voce di Santana risuonò falsa addirittura alle sue stesse orecchie.
“sì, l’ho conosciuta a casa della Sylvester,” spiegò Quinn “nel periodo in cui tu eri tornata in Spagna.
In ogni caso mi sembra strano che tu non la conosca almeno di fama.”
Santana scosse la testa: “Non la conosco né di fama né di nome.”
“posso presentartela se lo desideri!”
Santana non rispose, si limitò a guardare l’amica con un sopracciglio alzato.
“allora?” insistette Quinn “se dici di sì tengo da parte dei dolci per lei.”
“forse dovremmo chiedere il permesso. Non è cortese presentarsi così, senza farsi annunciare.”
Quinn scoppiò a ridere: “ con lei non c’è bisogno di fare complimenti, credimi.
Poi da quando in qua ti fai degli scrupoli Santana? Pensavo fossi una di quelle persone che provano un piacere perverso nel sovvertire l’ordine costituito.”
Santana a questo non trovò nulla da obbiettare.
Lanciando un’occhiata a Finn che, concentratissimo sullo spettacolo, le degnò a malapena di uno sguardo distratto, uscirono a braccetto e scomparirono al di là delle tende.
 
Prima di seguire Quinn, Santana si soffermò un momento a lisciarsi le pieghe del suo abito rosso scuro.
Tutto d’un tratto era agitata, aveva le mani sudate e il respiro corto.
Fece un respiro profondo.
Non era da lei agitarsi in quel modo.
Santana era fredda, sempre concentrata e dotata di un incredibile autocontrollo, persino nelle situazioni più pericolose.
Si riteneva una donna moderna e indipendente, con il pieno controllo sui suoi sentimenti e sulle sue emozioni.
Perché allora in quel momento, alla prospettiva di conoscere quella donna si sentiva così debole?
Le pareva quasi di avere la febbre.
Si chiese se non fosse davvero malata.
Entrò.
La donna stava ridendo rumorosamente.
Santana si sentì subito a disagio, chissà perché avrebbe preferito che fosse triste o perlomeno seria. Tutta quell’ilarità la fece sentire fuori posto.
“signore vi presento una delle donne più straordinarie che io conosca: Santana Lopez.” la voce di Quinn era squillante.
A Santana diede fastidio anche questo, avrebbe preferito presentarsi da sola.
La donna non si alzò nemmeno.
Rimase seduta sulla poltroncina e guardò Santana scrutandola da capo a piedi, quasi con irriverenza.
Era un angelo. Aveva lineamenti perfetti e due occhi straordinariamente azzurri dal taglio insolito che avevano il colore del cielo nelle più limpide giornate d’inverno.
Un ciuffo biondo le accarezzava la guancia sinistra come la mano di un amante.
Santana sentì il sangue affluirle alle guance mentre la donna frugava tutta la sua figura.
Non accennava a presentarsi.
Per la prima volta nella sua vita Santana abbassò gli occhi e arrossì in modo evidente.
La ragazza scoppiò a ridere sonoramente.
Rideva di lei.
Il cuore di Santana perse un battito.
Era ferita.
Anche lei era solita ridere apertamente di Finn: non si era mai resa conto di quanto potesse fare male essere causa d’ilarità e in quel momento volle a Finn bene come non gliene aveva mai voluto.
“Quinnie, mi hai portato dei dolci!” la voce della sua aguzzina era squillante, quasi fanciullesca.
Quinn le porse i dolci con un gran sorriso.
A quanto pare la ragazza le piaceva.
“uva candita, cosa c’è di meglio?”
Una voce sconosciuta la salvò da quella situazione di doloroso imbarazzo.
 
“scusatela miss Lopez, la mia amica è un’imperdonabile maleducata.Quando vede dei dolci poi…
Mi permetta di presentarmi, sono Holly Hollyday.”
Santana riuscì finalmente ad alzare lo sguardo.
Holly Hollyday era una donna di una trentina d’anni, bionda e alta. Era una bella donna dai lineamenti glaciali.
Aveva però un sorriso gentile e la sua espressione fu un balsamo per le ferite d’orgoglio di Santana.
“la mia maleducata compagna” disse Holly, “è Brittany Susan Pierce. Data la sua fama mi sorprende che non conosciate già il suo nome miss Lopez.”
Santana scosse la testa: “Non l’avevo mai sentito prima.”
La ragazza distolse per un attimo lo sguardo dalla sua uva candita e lo puntò su di lei.
Sembrava stupita che non conoscesse il suo nome e Santana gioì per quella piccola vittoria.
Improvvisamente sentì il desiderio di ferire quella ragazzina bionda che aveva così profondamente ferito lei, senza nemmeno accorgersene.
Gli occhi azzurri di Brittany si posarono su Quinn: “Quinnie, hai portato qui questa vostra amica per non farvi vedere da sola in nostra compagnia? Non avevi voglia di vedermi da sola?”
“assolutamente no, miss Pierce.” disse Quinn sfoggiando uno dei suoi splendidi sorrisi, “Santana voleva fare la vostra conoscenza, me l’ha chiesto espressamente.”
Brittany scoppiò a ridere.
Ancora una volta Santana ebbe l’impressione di trovarsi di fronte una bambina.
Quello che aveva davanti non corrispondeva all’immagine di quella donna che si era involontariamente formata nella sua mente.
“allora perché se ne sta lì muta a fissarmi? Forse non parla la nostra lingua?”
Santana non aveva intenzione di rimanere lì a farsi insultare da quella sconosciuta un minuto di più.
“probabilmente non parlo con voi perché siete la persona più maleducata, meschina e infantile che mi sia mai capitato d’incontrare.” la voce di Santana aveva un tono decisamente acuto, “per vostra informazione, parlo un inglese più fluente del vostro e sicuramente più corretto grammaticalmente. Sono la figlia dell’ambasciatore spagnolo a Londra, non tutte le persone con la pelle più scura e i capelli neri fanno parte di quella schiera di povera gente che voi inglesi vi dilettate a schiacciare con le vostre pretese di civilizzazione!”
“per tutti i diavoli, miss Lopez” Holly era allibita.
Quinn pose una mano sul braccio di Santana: “Santana, calmati ti prego.”
L’unica a non fare una piega fu Brittany S. Pierce che anzi continuò a sorridere placida.
Santana sentì il bisogno di schiaffeggiarle quel viso bellissimo.
Distolse i suoi occhi neri da quelli azzurrissimi di Brittany e li rivolse a Holly: “Buona continuazione miss Hollyday, è stato un piacere.”
Mentre usciva Santana udì un terzo scoppio di risa.
Come diavolo si era messa in una situazione del genere?
Ben le stava d’altronde. Era la sua punizione per tutte le sensazioni che aveva provato prima di entrare in quel palchetto.
Si chiese come fosse possibile che la natura avesse fatto dono a una donna tanto sgradevole di un volto così incredibilmente bello e angelico.
 
“si può sapere che ti prende?” Quinn era preoccupata, “non è da te agitarti in questo modo per una battuta!”
Santana rispose con rabbia: “Se avessi voluto sentire battute di spirito sarei andata al porto o in un pub fumoso. Quella battuta era molto sgradevole, non gliele hanno insegnate le buone maniere al collegio femminile?”
Quinn scoppiò a ridere.
Una risata di cuore, piena che infastidì Santana ancora di più.
“che ti prende adesso?”
Quinn dovette appoggiarsi alla parete con la schiena per il gran ridere.
“oh Santana dubito che miss Pierce abbia mai frequentato un collegio!” fece una pausa e guardò Santana con i suoi grandi occhi verdi umidi per le lacrime, “in Francia quelle come lei le chiamiamo cocotte.
Santana era confusa: “Cocotte?”
Quinn aveva ritrovato la sua serietà e ora nei suoi occhi c’era un alone di tristezza.
“una mantenuta. Brittany S. Pierce è una mantenuta, una prostituta d’alto bordo.”



 

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Capitolo 5
*** Quinto capitolo ***


Ciao a tutti! Allora quinto capitolo un po' di passaggio ma spero che vi piacerà comunque.
Non sono convintissima del capitolo e non l'ho ricontrollato a dovere quindi se trovate errori fatemelo sapere e perdonatemi!
Domani mattina (ho il treno all'alba) vado al mare con i miei amici e quindi avrò cinque giorni di divertimento.
Al mio ritorno aggiornerò subito (appena mi sarò ripresa dai), promesso.ù
Diciamo che per il 23 avrete il prossimo capitolo! 
Grazie a tutti quelli che recensiscono, preferiscono, ricordano e seguono (vi adoro!).
Buona lettura e a presto :)



CAPITOLO CINQUE

 

Rachel era davanti allo specchio quando Quinn entrò nella stanza.

Gli attori si cambiavano in uno stanzone enorme, tutti insieme. L’unico escamotage per proteggere la privacy, come la chiamavano gli inglesi, erano dei divisori di legno leggero dove avvenivano i cambi d’abito.

Ora la grande sala era vuota, l’unica rimasta nel teatro era Rachel Berry.

Quinn sapeva che l’avrebbe trovata lì.

Rachel, dopo ogni spettacolo, si fermava dietro le quinte per riflettere sulla sua performance e per uscire dal personaggio che altrimenti, diceva, le sarebbe rimasto attaccato addosso.

Era sempre l’ultima a lasciare il teatro e spesso la sua vettura doveva aspettarla per un paio d’ore. Più di una volta nell’ultimo anno erano stati Quinn e Finn a riaccompagnarla a casa a tarda notte.

Quinn rimase a guardarla per qualche istante, in silenzio.

Rachel si stava lentamente togliendo il cerone dal viso. Si guardava nello specchio sporco passandosi minuziosamente una piccola spugna imbevuta d’acqua sul viso.

Aveva ancora indosso i pesanti vestiti di scena ma si era sciolta i lunghi capelli castani.

Quinn pensò che era bellissima.

L’intensità con cui la guardò era tale che la giovane cantante la percepì e si voltò di scatto.

Quinn! Mi hai spaventata!”

Quinn sorrise mentre si avvicinava alla diva: “Mi perdoni miss Berry.”

da quando in qua mi chiama miss Berry, signora Hudson? Potrei offendermi.”

La risata di Quinn riempì la stanza rimbalzando sulle pareti.

mi offenderò io se mi chiami ancora signora Hudson!”

Quinn si mise dietro Rachel e le appoggiò le mani sulle spalle, abbassandosi alla sua altezza in modo da guardarla dritta negli occhi scuri.

sei stata straordinaria stasera,” disse con quella sua voce leggermente roca “anche se purtroppo mi sono persa una parte del terzo atto.”

Rachel fece il broncio: “Come mai? Ti abbiamo annoiato?”

assolutamente no! Santana ha insistito per conoscere miss Pierce.”

I grandi occhi scuri di Rachel si spalancarono per la sorpresa.

la mantenuta?” disse Rachel “quella Brittany Pierce croce e delizia dell’alta borghesia londinese?

Che cosa potrebbe mai volere Santana Lopez da lei? Pensavo volesse salvare solo le prostitute da bordello.”

Quinn sorrise davanti all’espressione interessata di Rachel.

La sua amica adorava i pettegolezzi ed era un’assidua frequentatrice di molti salotti.

Lei e Quinn si erano incontrate spesso a Hyde Park per spettegolare comodamente dentro la vettura dell’una o dell’altra.

non ne ho idea.” rispose Quinn “comunque hanno finito per bisticciare, cioè Santana ha avuto uno dei suoi scatti di nervi e si è messa a urlare come al suo solito.”

oh conosco molto bene gli scatti nervosi di Santana Lopez. Razza di maleducata… se non si da una regolata rimarrà zitella. Non troverà mai un marito che riesca a sopportare i suoi difetti.”

Quinn sospirò: “Magari non lo vuole.”

Impossibile.” obbiettò Rachel “Nessuno, nemmeno Santana Lopez, desidera la solitudine. Tutti hanno bisogno di qualcuno.”

magari non necessariamente questo qualcuno di cui hanno bisogno è il loro marito.”

La voce di Quinn era un soffio.

Rachel rabbrividì nel sentire il respiro dell’altra donna sul collo.

Quinn le faceva sempre quell’effetto, non riusciva a esserle indifferente.

Si scostò dal tocco dell’amica e balzò in piedi, il cerone ancora per metà sul volto nascondeva almeno parzialmente il suo imbarazzo.

Quinn no. Te l’ho già detto, quello che è successo tra noi è imperdonabile. Non accadrà di nuovo. È sbagliato. Siamo due donne e tu sei sposata…”

Quinn la interruppe facendo un passo verso di lei: “Rachel ne abbiamo già parlato, io non…”

E presto sarò sposata anch’io.”

Quinn si pietrificò, una mano tesa verso Rachel congelata in un gesto biblico.

Credette di non aver capito bene (l’inglese a volte la metteva ancora in difficoltà): “Come scusa?”

sarò una donna sposata anch’io.” Rachel sospirò, “Jesse St. James mi ha chiesto di sposarlo e di seguirlo a New York. Dice che il futuro è in America ormai. Il teatro europeo è morto.”

Il cuore di Quinn si spezzò. Letteralmente.

Non aveva mai provato un dolore simile, prima.

Le mancò il fiato, il suo campo visivo si restrinse, pensò che sarebbe svenuta.

Sudori freddi, formicolii, tremore alle mani e lo stomaco stretto in una morsa dolorosa.

Da ragazzina aveva visto una lepre in una tagliola. L'animale urlava per il dolore e si dibatteva nel tentativo di sfuggire a quella presa letale ma non poteva avere successo, non aveva scampo.

La piccola Quinn era rimasta a fissare il povero animale fino a che non era arrivato suo padre.

Il marchese di Bruges si era avvicinato alla lepre, l’aveva tirata fuori dalla tagliola e senza dire una parola le aveva spezzato il piccolo collo peloso.

Quinn aveva pianto disperata.

Suo padre si accovacciò davanti a lei e le disse che a volte una morte rapida è l’unica misericordia possibile, a volte il dolore da sopportare è troppo e la morte è una liberazione.

Disse che l’aveva imparato durante la guerra in Crimea.

Ora Quinn finalmente capiva le parole di suo padre. Avrebbe voluto che qualcuno lo tirasse a lei il collo, quel dolore era più di quello che era in grado di sopportare.

Ne sarebbe morta.

Deglutì, non avrebbe pianto davanti a Rachel.

Bene.” la sua voce tremava, “felicitazioni allora.”

non gli ho ancora detto di sì.”

non vedo perché non dovresti Rachel. Jesse St. James è un ottimo partito ed è ambizioso quasi quanto te. Ci sono matrimoni che vengono celebrati per molto meno.”

Non riusciva a guardarla, come avrebbe potuto?

La amava talmente tanto da soffocare.

Respirò profondamente e puntò lo sguardo verso la porta.

comunque ero venuta a dirti che venerdì sera diamo una festa in maschera da noi. Io e Finn.

Sei invitata ovviamente.”

Senza aggiungere altro e senza incrociare lo sguardo castano di Rachel fece per uscire dalla stanza.

Quinn, aspetta ti prego.”

Quinn esitò. La amava con tutta se stessa, come non aveva amato mai e come, ne era certa, non avrebbe amato mai più.

Certi tipi di amore si provano una volta sola nella vita e anzi c’è chi non ha nemmeno tanta fortuna, c’è chi quel tipo d’amore non lo prova mai.

Quell’amore che è devozione, che è l’affetto di una madre per i suoi figli e l’amore passionale dell’amante insieme.

 

buonasera miss Berry.”

No, Quinn Hudson Fabray non avrebbe aspettato più.

 

 

 

Brittany S. Pierce era nel suo cabinet de toilette.

Si ammirava nello specchio.

Una cascata di capelli biondi, due occhi azzurri come zaffiri incastonati in un viso dai lineamenti perfetti, le labbra sottili e rosse come la passione.

Brittany si disse che l’unica cosa che aveva, l’unico suo vero possesso era la sua bellezza.

Paradossalmente era anche il bene più effimero che si potesse possedere.

La sua bellezza, la freschezza dei suoi vent’anni sarebbe scivolata come sabbia in una clessidra.

Passò le mani sul tavolino di marmo su cui teneva tutti i sui profumi, le sue creme, i suoi gingilli.

Niente in quella casa era davvero suo.

Era tutto degli uomini che la mantenevano.

A volte si ritrovava a pensare che nemmeno lei era veramente sua. Non le apparteneva nemmeno se stessa. D’altronde non era forse solo ciò che gli uomini che la pagavano volevano che lei fosse?

Anche quegli uomini però vivevano in un paradosso costante e questo le metteva sempre una strana allegria addosso.

Non si dice forse mal comune, mezzo gaudio?

Le uniche cose che volevano veramente erano affetto, amore, devozione ed erano anche le uniche che da lei non avrebbero mai avuto.

Lei non amava, non sapeva nemmeno come si faceva.

Una recita, la vita non era nient’altro che una recita molto ricercata.

Il mondo solo un palcoscenico e lei per qualche anno quel palcoscenico l’avrebbe dominato, cavalcando le luci della ribalta.

Brittany è consapevole che prima o poi quelle luci si sarebbero spente, che il sipario sarebbe inesorabilmente calato e lei sarebbe stata dimenticata.

Qualcun altro salirà sul palco, qualcuno più bello e giovane di lei che calpesterà il suo cadavere e lo getterà in qualche fossa comune in mezzo ad altri attori senza nome che avevano fatto il loro tempo, che avevano esaurito il loro spazio.

Si raccolse i capelli biondi in uno chignon alto e si sorrise mettendo in mostra i denti bianchi.

Era stata una serata particolare, non si era annoiata. Difficilmente andava a teatro per seguire lo spettacolo ma doveva ammettere che Rachel Berry era davvero una protagonista straordinaria.

Si alzò, addosso solo la sottoveste.

Aprì l’enorme armadio in mogano e passo le lunghe dita sulle vestaglie da casa.

Si soffermò su una rosso scuro, in stile orientaleggiante.

Sorridendo la tirò fuori e la indossò. Le stava benissimo. Il colore esaltava l’incarnato pallido della sua pelle, donando colore alle sue guance d’alabastro.

La vestaglia era dello stesso colore dell’abito che portava Santana Lopez.

Brittany era rimasta affascinata dalla donna e dal suo caratteraccio.

Era evidente che Santana non aveva idea di chi lei fosse e di come si mantenesse.

Brittany si domandò ancora una volta perché mai aveva voluto incontrarla.

Scoppiò a ridere al ricordo delle urla della latina. Probabilmente qualunque interesse Brittany avesse acceso in lei, si era spento velocemente e definitivamente.

Anche questo la faceva ridere.

Si chiese se suo padre non avesse avuto ragione quando le diceva che era una stupida ragazzina e poi le frustava le natiche e i polpacci fino a farla sanguinare.

La sua risata si trasformò in un eccesso di tosse.

Brittany cercò un appiglio per sorreggersi, la tosse non accennava a fermarsi.

Si portò un fazzoletto bianco alle labbra.

Quando lo allontanò era macchiato di sangue.

Questo non la faceva sorridere, per niente.

Forse avrebbe dovuto ascoltare il suo medico e smetterla con gli accessi, con il vino, con le notti in bianco.

Smetterla con quella vita.

Qualcuno bussò alla porta.

Sì?” la voce di Brittany era debole.

La porta si schiuse e la sua cameriera comparve, affettata.

è arrivato il signor Abrams, miss Pierce.”

Brittany sospirò: “Fallo accomodare e digli che sarò da lui in un attimo.”

Si guardò un’ultima volta allo specchio.

Era pallida come un lenzuolo, i suoi occhi torbidi per il dolore.

Sorrise di nuovo al suo riflesso.

Ricomincia la recita.”

 

 

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Capitolo 6
*** Sesto capitolo ***


Salve a tutti! Sono appena tornata tristemente dal mare e avrei già voglia di ripartire! 
Tra poco avrò gli esami all'università e il tempo per scrivere si farà sempre più raro temo. Quindi già da ora vi dico che il tempo per gli aggiornamenti si allungherà ma non troppo, promesso!
Allora sesto capitolo un po' di passaggio e che non mi convince granchè ma non sono riuscita a fare di meglio. 
Come sempre grazie a chi recensisce, preferisce, ricorda, segue e legge soltanto. 
Buona lettura!

P.S. Posto anche il primo capitolo di una nuova long che però vi dico già, non so se avrà futuro! In ogni caso It's always darkest before the dawn avrà la precedenza ovviamente. 
Dateci un'occhiata se vi và!



CAPITOLO SEI

 

 

Kurt era davanti allo specchio.

Raddrizzò le spalle mentre si sistemava i gemelli ai polsi.

Dal piano di sotto sentiva i rumori dei preparativi per la festa che sarebbe cominciata di lì a un’ora.

Era la sua prima festa da quando era arrivato a Londra e voleva essere perfetto, impeccabile.

Kurt aveva ereditato il suo gusto per la moda da sua madre. La donna era morta quando lui era solo un bambino ma ricordava con chiarezza i suoi splendidi vestiti e i capelli sempre perfettamente acconciati, l'odore della sua cipria.

Era bella, sua madre.

A casa di suo padre, in un corridoio luminoso sul lato est della villa, c’era un enorme ritratto della donna. Kurt passava ore a guardarlo, ad ammirarlo. Ci si sedeva davanti e semplicemente lo fissava in silenzio cercando di imprimersi nella mente i tratti di quel viso sconosciuto e ormai quasi dimenticato.

Il suo più grande terrore era non riuscire più a richiamare alla mente il viso della sua mamma.

Moriamo davvero solo quando veniamo dimenticati.

La vera tragedia della vita non è che qualcuno sia morto ma che sia come morto per te e Kurt a questo ci credeva fortemente.

Con il pettine si spinse i capelli castani all’indietro liberando la sua fronte bianca.

Con un mezzo sorriso si stese una generosa dose di cerone sul volto. Era stata Rachel a prestarglielo.

Lui e la ragazza erano diventati qualcosa meno di amici. Nonostante l’egocentrismo da diva, Kurt aveva scoperto in Rachel un’anima a lui affina.

La sera precedente aveva anche cercato di scrivere qualche verso su di lei ma non era particolarmente ispirato. Questa sua stasi creativa lo stava infastidendo sempre di più.

Era a Londra, la città più moderna del mondo, la capitale di un enorme impero brulicante di uomini e donne, una babele di lingue e di culture ma nonostante tutto lui non riusciva a esserne ispirato.

Si rendeva conto che le sue poesie erano vuote, sterili, forzate.

Che cosa mancava? Che cosa?

Ripose il cerone e si guardò attentamente.

I suoi occhi azzurri spiccavano sul suo volto reso ancora più pallido dal cerone e le labbra sembravano ancora più rosse.

Per il suo costume si era ispirato a Lord Ruthven, il protagonista del racconto “Il vampiro” di Polidori.

Gli sembrava di aver fatto un ottimo lavoro.

Mancava solo la maschera. Era in seta nera, molto semplice. A Kurt era piaciuta subito mentre Rachel aveva obiettato che era davvero troppo semplice.

Voleva convincerlo a provarne una argentata e vistosa. Kurt aveva declinato e aveva comprato quella maschera nera e sobria.

Voleva essere perfetto quella sera.

I suoi pensieri andarono alla deriva e s’incagliarono nella figura di un ragazzo moro con le mani calde e sporche di tempera.

Kurt non sapeva nemmeno come si chiamava ma più di una volta lo aveva pensato in quei giorni.

Voleva sapere il suo nome ma non l’aveva chiesto a Rachel o a Finn o a Quinn.

Sentiva che doveva dirglielo lui, voleva che fossero le sue labbra a pronunciarlo per prime.

Non voleva indugiare troppo su cosa significavano i suoi pensieri, sul perché tante volte la sua mente andava a riportare a galla i particolari di quel viso.

Sapeva solo che provava un’innata simpatia per quel ragazzo, sentiva di averlo già conosciuto in un’altra vita, in un altro tempo.

Il campanello suonò facendolo sobbalzare.

Indossò la maschera.

Per quella sera sarebbe stato un nuovo Kurt, più intelligente, più dandy, più intrigante.

Quella sera, decise, si sarebbe lasciato alle spalle il ragazzino di campagna che era stato e sarebbe diventato un vampiro che morde la vita.

 

 

Santana era arrivata in anticipo, molto in anticipo.

Era nervosa e voleva creare disagi e tensioni anche nelle persone che le si muovevano attorno.

Il ricordo di quella sera al teatro la tormentava.

Il ricordo di Brittany S. Pierce la tormentava.

Non riusciva a smettere di pensarci.

A come l’aveva derisa, come l’aveva guardata, come l’aveva messa in ridicolo.

Aveva pensato che doveva essere insito nella sua natura comportarsi così. Era talmente abituata a sfruttare e deridere i ricchi signori cui si vendeva che si atteggiava in quel modo con tutti.

Poi però aveva realizzato che non era una scusa, assolutamente.

Sempre più spesso si era trovata a chiedersi a chi scaldasse il letto in quel momento.

Chi foraggiava i suoi vizi? Chi pagava il costoso appartamento in cui viveva con tutti i mobili e i lussi?

Santana era morbosamente curiosa e un po’ si vergognava di questi suoi sentimenti.

Brittany si era rivelata una donna sgradevole, poco importava ora la prima impressione che aveva avuto di lei.

Quei primi momenti in cui aveva pensato che fosse un angelo sceso sulla terra, con i suoi capelli biondi e quegli occhi…

 

buonasera miss Lopez.”

Santana sollevò gli occhi. Davanti a lei c’era Kurt, elegantissimo, la maschera già a celargli il volto.

buonasera lord Hummel. Che eleganza, ha forse intenzione di far svenire tutte le signore in sala con la sua avvenenza?”

La voce di Santana aveva una punta di malizia che non sfuggì a Kurt, mettendolo in imbarazzo.

Ringraziò il cerone che si era messo sul volto perché celava il suo rossore.

Con Santana Lopez tendeva sempre a mettersi sulla difensiva. Percepiva nella donna una malizia e una sottile crudeltà e quando i suoi occhi neri e profondi si posavano su di lui aveva la strana impressione che potessero leggergli l’anima.

Si chiese come fosse possibile per Quinn essere così legata a Santana.

Lopez è già abbastanza maleducato che tu sia arrivata con un’ora di anticipo, lascia stare mio cugino almeno.”

Kurt non si era accorto di Finn che se ne stava seduto in poltrona con un sigaro fra le dita lunghe.

Santana lo fulminò con lo sguardo: “Ai suoi ordini mio lord.” fece anche una specie di riverenza.

Kurt sorrise e Finn strinse le labbra senza cadere nella provocazione.

Santana decise che i due uomini non meritavano la sua attenzione e s’immerse nuovamente nei suoi pensieri.

miss Lopez non fa parte del tuo club delle arti, Finn? Non l’ho mai vista ai vostri incontri.”

Non verrei in questo covo di benpensanti borghesi neanche se mi invitasse la regina in persona.” disse Santana con una nota di scherno nella voce.

Finn la guardò in tralice: “non vieni ai nostri incontri perché non hai niente da condividere con il mondo che non sia la tua cattiveria, miss Lopez.”

Santana scoppiò a ridere: “per il mondo faccio molto più di te lord Hudson! Tua moglie lo sa molto bene questo!”

non osare parlare di mia moglie. Proprio tu che...”

A proposito di Quinn,” lo interruppe con poco garbo Santana “dov’è?”

di sopra. Si sta finendo di preparare. Sai le signore si fanno attendere.”

A Santana non piacque per niente il modo in cui Finn sottolineò la parola signore ma decise di lasciar correre.

Continuare a punzecchiarlo non l’avrebbe fatta sentire meglio e poi Finn non era un degno avversario, decisamente.

Aveva bisogno di sgranchirsi un po’.

Aveva una strana sensazione addosso, un’inquietudine sottile e strisciante che già da qualche giorno le si era appiccicata addosso, le si era insinuata dentro.

Si alzò in piedi.

Kurt guardò Santana, splendida nel lungo abito rosso.

da che cosa è travestita, miss Lopez?”

non è evidente?” disse Santana sfoggiando uno dei suoi sorrisi maliziosi, “sono una diavolessa, uscita dalla bocca più ardente di tutto l’inferno.”

ovviamente.” commentò Finn a bassa voce, il sigaro ormai spento fra le labbra.

 

Santana venne fermata da Finn mentre stava tornando dalla toilette, dove era andata a risistemarsi i capelli aiutata dalla piccola Becky Jackson.

Quando l’uomo le si parò davanti, per un attimo ne ebbe paura. Aveva forse esagerato a comportarsi così arrogantemente con lui nella sua stessa casa?

Poi però vide gli occhi scuri dell’uomo, pieni di preoccupazione.

Che succede Finn?”

Per una volta si rivolse a lui chiamandolo per nome, cosa che faceva raramente nonostante si conoscessero da anni.

devo parlarti di Quinn.”

Le gambe di Santana tremarono.

 

 

Quinn non riusciva a trovare la forza di alzarsi dal letto. Non ne era in grado, le gambe non le rispondevano, la testa pesava come un macigno.

Erano giorni che non faceva altro che piangere.

Perfino Finn si era accorto che qualcosa non andava in lei, che qualcosa si era rotto.

Perché era esattamente così che si sentiva: rotta, rotta in mille pezzi che proprio non riusciva a rimettere insieme.

Come avrebbe affrontato la festa? Non lo sapeva.

Era ancora in vestaglia, incapace di fare qualsiasi cosa. Aveva lasciato alle sue domestiche i preparativi per la festa di quella sera e non si era mai fatta vedere al piano di sotto. Non le importava quello che avrebbero pensato in casa, non le importavano le voci, i pettegolezzi, i commenti sussurrati, le chiacchiere a mezza voce.

Era caduta e non sapeva come rialzarsi.

Paradossalmente l’unica mano che avrebbe potuto aiutarla a rimettersi in piedi era quella che non avrebbe mai visto tesa verso di lei.

Avrebbe dato l’anima per vedere entrare Rachel da quella porta come quel giorno di poco più di un anno prima.

 

Il pavimento di marmo bianco era freddo sotto di lei. Le sue mani lo artigliavano mentre il suo corpo magro era scosso da un pianto convulso.

I singhiozzi le si incastravano in gola e le facevano male.

Quinn era disperata.

Era sola, in un paese straniero di cui non capiva gli usi e la cultura.

Là, nell’altra stanza, in quello splendido salone, in mezzo a così tante persone che erano venute per vedere lei, avrebbe dovuto sentirsi parte di qualcosa e invece si sentiva maledettamente esclusa.

Le voci attorno a lei si erano mescolate, si erano fuse in un rumore minaccioso che la confondeva.

Quando era fuggita via, le lacrime che già le rigavano le guance nessuno si era accorto della sua folle corsa fuori dalla stanza.

Nemmeno Finn, alto e bello nel suo abito scuro all’ultima moda.

Quinn non gliene faceva una colpa.

Era ancora una bambina e sposare quell’uomo, andare via da casa sua era stato un errore madornale.

La porta della sua camera si spalancò all’improvviso.

Quinn temette che fosse Finn.

Invece dalla porta fece capolino il viso di una donna.

Lady Hudson?” il tono era accorato “va tutto bene? Scusi se sono entrata in questo modo così maleducato ma l’ho vista correre via dal salone e…”

A Quinn bastarono queste parole per scoppiare in un pianto ancora più disperato.

Sentì il vestito della donna frusciare mentre si accucciava accanto a lei.

Una piccola mano calda si poggiò sulla sua spalla.

La piccola donna accanto a lei cominciò a cantare una lenta ninnananna.

La sua voce era dolcissima, limpida ma allo stesso tempo di una disarmante profondità.

A Quinn sembrò la più bella voce del mondo.

I singhiozzi cessarono, si placarono senza che quasi se ne rendesse conto.

Era rapita da quella splendida melodia.

Quando la ragazza smise di cantare a Quinn sembrò che il mondo perdesse i suoi colori, sembrò all’improvviso mancasse qualcosa.

Quinn alzò il viso ancora bagnato di lacrime.

La ragazza stava sorridendo: “Va un po’ meglio cara?”

io… sì.” la voce di Quinn tremava leggermente, “vi ringrazio miss..”

miss Berry. Può chiamarmi Rachel, lady Hudson. Che cosa è successo? Ha bisogno che chiami qualcuno? La servitù o magari suo marito.”

Quinn si scostò dalla donna scuotendo la testa.

no, no la prego Rachel. Sto bene.”

Il viso di Rachel si aprì in un sorriso che a Quinn piacque subito: “Non mi sembra che stiate bene.”

Quinn rimase un momento in silenzio a fissare la ragazza mora di fronte a lei.

Aveva bisogno di parlare con qualcuno e quella ragazza le piaceva in modo istintivo.

io… ho paura. Ho paura di questo paese, di questa città, delle persone. È tutto così diverso e estraneo e io non mi sono mai sentita così sola e straniera.” abbassò la voce, “poi faccio fatica a capire la vostra lingua! È così strana e le parole sono così difficili da pronunciare nel modo giusto!”

Rachel scoppiò a ridere e Quinn arrossì fino alla punta dei capelli biondi.

non c’è nulla di cui dovete avere paura! Noi inglesi non mordiamo mica. Siamo per lo più innocui anche se devo dire che la signora Sylvester può essere pericolosa.”

Quinn abbassò lo sguardo, era in imbarazzo.

Sentiva gli occhi scuri della Berry su di sé.

Sobbalzò quando la mano calda della donna si posò di nuovo sulla sua.

Sa cosa faremo Mrs Hudson? Le darò una mano io.

Sarò la sua mappa personale. So cosa vuol dire sentirsi soli, è la patologia delle persone speciali ed io sono molto speciale, mi creda.

La aiuterò anche con la lingua.

Mio padre diceva sempre che non c’è modo migliore di imparare che attraverso l’arte.

Useremo le canzoni per imparare l’inglese, le và?

Sarà divertente e riempirà le sue giornate.

Finn sarà d’accordo, ci parlerò io stessa.”

Quinn sorrise.

Quella donna parlava decisamente molto e molto in fretta. Le strinse forte la mano.

farebbe questo per me, miss Berry?”

ci può scommettere, lady Hudson.”

Per la prima volta da quando aveva messo piede in Inghilterra, Quinn Fabray smise di sentirsi invisibile.

 

 

Quinn scoppiò di nuovo a piangere.

Come avrebbe affrontato il futuro? I giorni e gli anni a venire?

Non ce l’avrebbe mai fatta, non senza Rachel.

Non poteva lasciarla sola, non poteva!

Con rabbia sbatté i pugni sul letto, la vista offuscata dalle lacrime.

Voleva urlare, voleva urlare il suo nome tanto forte da farsi sanguinare la gola, talmente forte da riempire il vuoto che aveva dentro.

 

La scena cui Santana si trovò ad assistere era a dir poco spaventosa.

Quinn era in ginocchio accanto al letto e batteva i pugni su di esso.

I lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle e il viso congestionato dal pianto, gli occhi rossi e le labbra tremanti.

 

Corse in camera chiudendosi la porta alle spalle.

Afferrò la sua amica per le spalle ma questa si divincolava, scalciava digrignando i denti bianchi.

lasciami andare! Lasciami Santana! LASCIAMI!”

Ma Santana non mollò la presa, anzi strinse più forte.

Strinse fino a che Quinn non si stancò di lottare e si lasciò cadere tra le sue braccia, scossa da singhiozzi dolorosi.

E quando smise di piangere la strinse ancora.

La strinse.

La strinse forte, senza dire niente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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Capitolo 7
*** Settimo capitolo ***


Ciao a tutti! Eccomi con l'aggiornamento anche se un pochino in ritardo rispetto al solito. 
Per farmi perdonare vi dico che il capitolo è sostanzioso anche se di passaggio.
Non mi convince molto ma non volevo farvi aspettare ancora, il prossimo sarà migliore giuro! 
Grazie a chi recensisce, preferisce, ricorda, segue e legge soltanto! mi rendete felice e appagata ahah :)
Un bacio a tutti!

P.S. Vi lascio il mio account facebook e Tumbrl (ho anche twitter ma non lo uso mai quindi lasciamo perdere!)
https://www.facebook.com/erica.girellimandes      http://www.tumblr.com/blog/goegisnixthings

P.P.S. Se qualcuno avesse voglia di dilettarsi nel creare grafiche per la storia sarebbe il mio mito! 
Io ci ho provato ma tra il fatto che sono un po' impedita e che ho poco tempo, ho divuto (almeno per ora) gettare miseramente la spugna.
So, here we are.
Se vi va da darmi una mano vi amerò per sempre :)


CAPITOLO SETTE
 
 
La grande sala degli Hudson era piena di gente.
Tutti erano vestiti elegantemente, le donne splendide nei loro abiti di sartoria all’ultima moda arrivata da Parigi e gli uomini in abito nero e cravatta morbida.
Tutti con una maschera sul viso.
C’era chi aveva optato per travestimenti più eclatanti e chi si era mantenuto sul classico.
Santana indossava un abito nero lavorato sul petto. Al collo nudo brillavano gioielli che donavano una splendida luce alla sua pelle ambrata.
Ogni uomo nel locale l’aveva guardata almeno un paio di volte, perfino Kurt le aveva fatto i complimenti per il suo splendido gusto.
Si risistemò sul volto la maschera mentre i suoi occhi scuri osservavano gli altri ospiti.
Il suo sguardo cadde proprio su lord Hummel.
Kurt era mascherato da vampiro e Santana dovette ammettere che il travestimento gli donava.
Con lui c’era Quinn.
Era bellissima come di consueto ma sul suo volto rimanevano le tracce del pianto disperato di poco prima.
Santana non aveva fatto domande perché sapeva che Quinn non le avrebbe dato risposte.
Era inutile sprecare fiato.
Il loro rapporto era molto particolare.
Erano amiche, di questo Santana era certa ma non si scambiavano quasi mai confidenze personali.
Quinn non si sbilanciava sui propri sentimenti e lo stesso faceva Santana.
Non aveva idea di cosa lacerasse in quel modo l’animo dell’amica ma non poteva fare a meno di essere molto preoccupata per lei.
Se anche Finn che non si poteva certo definire acuto, si era accorto del turbamento di sua moglie doveva trattarsi di qualcosa di molto grave.
Non riusciva a togliersi dalla mente i gemiti di Quinn, i suoi singhiozzi disperati.
Sembrava che le stessero strappando il cuore dal petto.
La guardò ridere a una battuta di Hummel ma quella risata era completamente priva di allegria, non si estendeva agli occhi che rimasero gelidi.
Era vuota, sterile.
Santana provò una gran pena.
 
“buonasera miss Lopez.”
 
Santana si trovò faccia a faccia con Rachel Barbra Berry. La piccola cantante era avvolta in un abito blu marino che doveva esserle costato un occhio della testa.
Santana pensò che vendendo tutti gli abiti presenti a quella festa avrebbero potuto sfamare tutti i poveri di Londra.
Questo la fece rabbrividire.
Rachel non portava la maschera.
 
“Berry. Cos’è, la maschera non s’incastra su quel tuo nasone?”
Rachel sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
Odiava quando Santana la trattava in quel modo, la metteva costantemente in ridicolo.
“sei una gran maleducata Santana.” disse Rachel con voce acuta, “io ero passata per salutarti e per chiederti come avevi trovato il mio ultimo spettacolo.”
Santana fece una smorfia: “se non ricevi dei complimenti non sei appagata vero Rachel?”
“per vivere ho bisogno degli applausi, lo sanno tutti questo. Quindi ti sono piaciuta?”
“in realtà sì, gnoma. Mi piaci sempre quando ti trovi a più di dieci metri da me.”
Rachel era sempre più infastidita: “comincio a pensare che tu sia la figlia di uno scaricatore di porto. Se non avessi conosciuto quello splendido gentiluomo che è tuo padre…”
“perché non vai a disturbare Quinn? Scommetto che lei sì che non vede l’ora di ascoltare le tue vanagloriose sciocchezze.”
Rachel arrossì fino alla punta delle orecchie.
Non poteva andare da Quinn, non dopo quello che era successo a teatro.
Da allora non si erano più viste.
Rachel era venuta due volte dagli Hudson per gli incontri del loro club artistico ma Quinn non si era mai unita a loro.
Le mancava ma non sapeva come frantumare quella barriera di gelo che si era creata fra loro.
Rachel si rese conto che Santana la stava fissando intensamente.
“io… ci andrò più tardi. Sta parlando con Kurt e il signor Evans, non voglio disturbarla con la mia presenza.”
“disturbarla? Tu?”
La voce di Santana era pregna di sospetto.
“sì, certo. Ascolta volevo anche chiederti, credi che avessi troppo cerone addosso alla prima? Insomma mi era parso che mi sbattesse un po’ e…”
Santana aveva smesso di ascoltare Rachel nel momento in cui aveva aperto bocca.
La sua attenzione era tutta concentrata su Artie Abrams, lo storpio e sulla sua accompagnatrice.
Artie Abrams e la sua sedia a ruote.
Quell’aggeggio aveva sempre affascinato Santana.
Era tanto grande da far sembrare Artie solo un ragazzino quando in realtà era ormai un uomo fatto. Completamente costruita in legno scuro, era molto elaborata e le piaceva guardarla.
Lo schienale era barocco e aveva due protuberanze munite di cuscinetti su cui Artie poteva poggiare le sue braccia magre.
Un cuscino era anche posto sotto il sedere di Abrams per far sì che non avesse problemi a starvi seduto per ore.
Santana riteneva Artie fortunato nonostante tutto.
Era nato ricco e aveva potuto permettersi di farsi creare una sedia di quel genere per potersi muovere e vedere il mondo.
Santana aveva conosciuto un bambino quando era ancora in Spagna, a Madrid.
Quel bambino era caduto dal tetto di un palazzo un paio d’anni prima mentre cercava di catturare dei piccioni da rivendere al mercato e da allora non aveva più mosso le gambe.
Santana ricordava benissimo il piccolo, sdraiato da due anni in un letto e costretto a essere trasportato a braccia dal padre e dai fratelli maggiori.
Sua madre aveva detto che avrebbe preferito che fosse morto. Ridotto così era solo un peso per la sua famiglia, un peso che si faceva ogni giorno più opprimente.
Artie invece aveva una vita, forse non quella che avrebbe voluto ma era già qualcosa.
Per questo Santana lo riteneva fortunato e molto anche.
In quel momento però non stava guardando la sedia di Artie ma la donna che gli camminava accanto.
Non la riconobbe.
Era vestita da danzatrice orientale.
Indossava un abito verde molto lungo, di un tessuto quasi trasparente con un profondo spacco sulla gamba. Uno spacco decisamente troppo profondo.
Non ci fu testa che non si girò al suo passaggio.
Non ci furono occhi che non si puntarono su di lei.
Santana fece un sorrisetto.
Provò un’innata simpatia per quella donna alta e sinuosa. Non era da tutti sfidare così i benpensanti londinesi.
Non riusciva però a vedere il suo viso che era celato da un velo sottile.
Provò una sensazione di fastidio che si accentuò quando sentì la voce della Berry.
“per tutte le guardie di sua maestà, come si è vestita?”
Santana scoppiò a ridere: “come tu non potresti mai permetterti di vestirti gnoma.”
“non oserei mai presentarmi a un ricevimento vestita così! Voglio dire è praticamente” abbassò la voce in un sussurro “nuda!”
Santana stavolta non potè far altro che concordare con Rachel.
Non riusciva a staccare gli occhi di dosso alla donna velata.
“d’altronde solo quelle come lei possono permettersi di farsi vedere così in pubblico.
Qui l’hanno conosciuta tutti molto bene.
D’altronde fa già scandalo il fatto che sia qui.
Se non fosse che a Quinn piace tanto…”
 
 
Il cuore di Santana perse un battito.
Quelle come lei?
“conosci quella donna?”
La voce le tremò leggermente e sperò che Rachel non se ne fosse accorta.
“chi non la conosce a Londra?” disse con una smorfia sul bel viso, “Brittany S. Pierce è la mantenuta di Artie Abrams da quasi sei mesi ormai.”
 
 
Kurt stava ballando con Quinn.
La ragazza aveva la vita tanto stretta che Kurt riusciva quasi a coprirgliela completamente con le mani.
Vicino a lui Rachel stava danzando con Jesse St. James e doveva ammettere che erano davvero una coppia deliziosa. Sentiva odore di matrimonio nell’aria.
Anche Santana Lopez stava ballando poco lontana.
Era stretta a un uomo grande e grosso, un lord che doveva chiamarsi Dave Karofsky e che a Kurt non piaceva molto.
Dalla faccia di Santana pensò che non doveva piacere molto nemmeno a lei.
Volteggiò stringendo Quinn a sé e la ragazza gli rivolse un sorriso di apprezzamento, Kurt era un ottimo ballerino.
Kurt ricambiò il sorriso e poi alzò la testa per guardare oltre quella della moglie di suo cugino.
Un uomo con il volto completamente celato da una maschera bianca fissava lui e Quinn.
Anzi fissava solo lui.
Probabilmente quell’uomo doveva invidiare Kurt per la sua leggiadria nella danza.
Invidia o no, quello sguardo non abbandonava Kurt neanche per un attimo.
Il ragazzo arrossì, era a disagio.
Ebbe l’impressione che l’uomo sorridesse sotto la maschera.
Cercò di non farci caso ma alla fine del ballo l’uomo era ancora lì.
Fece un inchino a Quinn e le sorrise.
L’uomo non aveva perso un suo movimento.
Decise di andare a chiedere quale fosse il problema. Non era educato per un gentiluomo fissarne un altro in quel modo, poteva bastare questo a volte a scatenare un duello o una faida.
Kurt però era un uomo di penna, non di spada.
Camminò deciso verso il suo osservatore spingendo in fuori il poco petto che aveva.
Sapeva che con il suo aspetto da eterno ragazzino non faceva paura a nessuno (Finn gliel’aveva detto più di una volta) ma poteva comunque provarci.
Riuscì ad arrivare tanto vicino da scorgere gli occhi nocciola dell’uomo.
In un attimo capì chi si celava dietro quella maschera e il suo cuore prese a battere all’impazzata.
L’uomo si allontanò da lui a grandi falcate.
Si diresse fuori dalla grande porta a vetri del salone, quella che dava sul giardino interno.
Kurt seguì il suo istinto.
Senza perdere tempo e senza distogliere gli occhi dalla schiena dell’altro, lo seguì all’esterno.
 
 
Brittany sapeva di avere tutti gli occhi del bel mondo londinese puntati addosso.
Destare scandali era la parte più interessante della sua vita (a parte i gioielli e l’enorme quantità di dolci che poteva permettersi di mangiare).
Le piacevano le chiacchiere che suscitava in quella società famosa per essere la più perbenista d’Europa. In realtà sotto quell’apparenza d’inattaccabile purezza si nascondevano perversioni di ogni genere. L’importante era che rimanessero celate.
Com’è che si diceva? Occhio non vede cuore non duole.
Finchè era accanto a Artie Abrams però nessuno osava muoverle direttamente un commento o una critica.
Si riteneva fortunata a essere finita sotto la sua ala protettiva dopotutto.
Lo osservava discutere con i suoi amici e riusciva addirittura a provare un po' d'affetto per lui.
Si disse che probabilmente derivava dalla parte che era costretta a interpretare per mantenere il suo tenore di vita.
Di una cosa era certa: non avrebbe mai rinunciato a tutto questo.
Alla ricchezza, al lusso, allo sfavillio.
In un modo o nell'altro Brittany Susan Pierce era arrivata in cima.
 
“sto ancora aspettando le sue scuse miss Pierce.”
Brittany ci mise qualche secondo a riconoscere la donna che aveva parlato e che la stava fissando con un sopracciglio alzato.
“lei è la donna del teatro. La spagnola.”
“Santana Lopez. Non mi dirà che si è già dimenticata il mio nome, ero convinta che quelle come lei dovessero essere provviste di una buona memoria per ricordare i nomi di tutti i loro amanti.”
“infatti ricordo con precisione tutti i miei amanti. Lei non rientra in questa categoria miss Lopez o mi sbaglio?”
Brittany sorrise vedendo l'espressione sul viso della donna.
Colpita e affondata.
“la sua maleducazione in compenso proprio non si può dimenticare miss Pierce. Gliel'ha mai detto nessuno che è provvista di un senso dell'umorismo quantomeno perverso?”
Brittany scoppiò a ridere: “sono una donna ignorante miss Lopez. Ma mi dica, se sono così maleducata perchè mi sta rivolgendo la parola? Perchè non fa come chiunque altro in questa sala e mi tratta come un bel soprammobile esotico importato dalle colonie?”
Santana Lopez non rispose immediatamente.
Il sorriso di Brittany si allargò.
Mentre attendeva una risposta che immaginava non sarebbe arrivata mai si scostò il velo dal viso.
 
Santana non sapeva cosa dire.
A scuola di buone maniere nessuno t’istruisce nell'arte di discutere con una mantenuta.
Quando Brittany liberò il suo viso dall'impaccio di quel velo la mente di Santana si liberò completamente.
Finalmente potè guardarla in quegli occhi azzurri.
Come poteva una donna del genere, sporca di ogni peccato, avere degli occhi così limpidi e puri?
“vorrei sapere il perchè.”
Fu la volta di Brittany di essere confusa: “quale perchè miss Lopez?”
“perchè si costringe a questa vita miss Pierce? Potrebbe essere sposata, avere dei figli, essere... normale. Felice.”
“che cosa le fa pensare che io non sia felice?”
Santana sorride distogliendo lo sguardo dalla Pierce: “come può esserlo?
Dice di essere ignorante ma da come si esprime sembra che lei abbia studiato, quantomeno il necessario. Va a teatro, legge il libretto delle opere, immagino sappia scrivere. Lei non viene dalla povertà più degradante miss Pierce. Eppure non ha saputo fare di meglio che diventare una cocotte, un'arrampicatrice sociale.”
“lei non sa niente di me, miss Lopez. Anche se sono quello che sono non può permettersi di insultarmi in questo modo increscioso.”
La voce di Brittany si era abbassata di un paio di toni ed era intrisa di rabbia.
“vuole forse dirmi che non fa questo per la ricchezza? Per le comodità? Cos'è, le piace destare scandalo o semplicemente le piacciono gli uomini?”
Brittany sentì il desiderio di afferrare quella donna per i capelli.
Che cosa pensava di sapere su di lei? Pensava di poterla giudicare?
Poi però vide qualcosa negli occhi della latina, qualcosa che non aveva notato subito.
Capì immediatamente con che tipo di donna aveva a che fare.
Quando parlò lo fece tanto piano che Santana dovette avvicinare il suo viso a quello della bionda.
“lei vorrebbe salvarmi non è vero miss Lopez?
Dev'essere una di quelle donne moderne che si divertono a riportare sulla retta via le donne perdute. Vorrebbe aggiustarmi, farmi sposare un brav'uomo, farmi avere dei figli e un domani io dovrei tornare qui a ringraziarvi magari per elemosinare anche un piatto di minestra e un tozzo di pane.
Be' miss Lopez torni ad aiutare gli orfanelli e le povere vedove.
Io sto bene, sono felice, vivo una vita di agi e di lussi.
Bevo, mangio, passo le notti in bianco e le giornate in carrozza.
Ho tutto quello di cui una donna ha bisogno e non importa quanto durerà, me la godrò il più a lungo possibile e...”
Il suo monologo venne interrotto da un improvviso attacco di tosse.
Brittany si piegò in avanti andando quasi a sbattere contro Santana.
Il dolore al petto fu atroce.
Si portò immediatamente il fazzoletto alle labbra ma quando lo allontanò era immacolato.
Per un istante la paura le attanagliò lo stomaco.
Stava peggiorando, di nuovo.
Alzò lo sguardo e incontrò quello scuro dell'altra donna.
Era pieno di pena e per un attimo Brittany sentì di odiarla.
“va tutto bene miss Pierce?”
Nessuno glielo chiedeva mai. Nemmeno Artie che spergiurava di amarla ma che quando la vedeva tossire si girava dall'altra parte e ostentava un'indifferenza agghiacciante.
Gli uomini e le donne vicini a loro non avevano mosso un muscolo, Brittany sarebbe potuta morire e loro avrebbero continuato a parlare di corse di cavalli e degli ultimi scandali a corte.
Santana Lopez invece non solo la stava fissando con quei suoi occhi neri come la pece ma la stava addirittura tenendo per le spalle.
Quelle mani su di lei le trasmisero un calore che neanche il sole del sud della Francia era riuscito a farle provare.
Le concesse il beneficio di un sorriso prima di scostarsi da quel tocco.
“solo un po' di tosse miss Lopez.
Ora se non le dispiace devo tornare dal mio nobile amico lord Abrams.
Buona serata.”
Santana rimase per qualche secondo a fissare quella schiena e quelle spalle magre. Dentro aveva il gelo.
Smise di guardarla solo quando sentì sul suo braccio la mano di Sam Evans che la pregava di concederle un ballo.
Acconsentì e si allontanò senza accorgersi di quei due occhi azzurri che la fissavano pieni di rimpianti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 



 

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Capitolo 8
*** Ottavo capitolo ***


Ciao a tutti! Scusate l'imperdonabile ritardo ma ho avuto un po' di problemi di ogni genere, non ultimo un incidente in motorino che mi ha impedito di scrivere per qualche giorno (tutt'ora devo ancora riprendermi completamente!).
Per farmi perdonare il capitolo è più lungo del solito e spero davvero che vi piaccia :)
Grazie ancora a tutti quelli che recensiscono, preferiscono, ricordano, seguono e leggono solamente!


CAPITOLO OTTO
 
 
Quinn Fabray cercava di fare quello che era suo dovere.
Sorrideva quando doveva sorridere.
Rideva alle battute spiritose dei suoi ospiti.
Ballava con Finn, con Shuester, con Kurt e Sammy Evans.
Annuiva seria ai racconti delle altre signore e baciava castamente suo marito quando ci si aspettava che lei lo facesse.
Faceva tutto quello che avrebbe dovuto fare.
La verità era che non si era mai sentita così vuota in vita sua.
Con il pianto disperato di poco prima aveva buttato fuori gran parte della sua disperazione più superficiale e quella che rimaneva si era avvinghiata al cuore ed era strisciata al suo interno, a sedimentare.
Al suo posto era arrivata la rabbia.
Una rabbia che era esplosa nel momento in cui l’aveva vista entrare, con quell’abito blu scuro e i suoi capelli ramati, a braccetto con Jesse St. James.
Le era venuta voglia di andare da Rachel, prenderla per quei suoi bellissimi capelli e urlarle in faccia tutto il suo dolore.
Rachel Berry le aveva rovinato la vita.
Perché l’aveva trattata con tanta gentilezza?
Perché aveva cantato per lei?
Perché la guardava in quel modo?
Anche adesso la sta guardando così, con quei suoi occhi scuri e pieni di tutto quello che c’è di bello al mondo, pieni di tante promesse infrante.
Perché la guardava sempre nel modo in cui l’aveva guardata quella volta nella sua carrozza e poi nel salotto, su quel divano rosso come la passione?
Quinn distolse lo sguardo ma la rabbia non scompariva.
Rimaneva lì e si agitava sotto la sua pelle come fanno i vermi nella terra.
 
“Quinnie?”
Quinn si voltò. Finn la stava fissando, le grandi mani dietro la schiena.
Non potè fare a meno di sorridergli.
Gli voleva bene come si può voler bene al tuo più caro amico e più di una volta la colpa per quello che provava l’aveva portata a piangere in preda al dispiacere per quei pensieri che invece di andare a suo marito andavano a quella ragazza piccola e bruna.
“sì, caro. Sto benissimo.”
Finn non sembrava convinto.
“mi farebbe piacere passare del tempo con te domani sera. Da qualche giorno ti vedo… preoccupata e magari è colpa mia. Magari è per qualcosa che non faccio e se tu mi dicessi cos’è… ecco comincerei a farlo. O magari sei solo nel tuo periodo di… di donna e…”
Quinn prese la mano grande di Finn fra le sue e la strinse. Lo guardò in quegli occhi marroni e pieni di un amore che non si meritava.
Doveva spezzare quelle catene. Quelle del suo amore impossibile e totalmente sbagliato e insano per Rachel e cominciare ad amare suo marito come un uomo come lui si meritava di essere amato.
Mai come in quel momento quello che provava per la Berry le sembrò una maledizione.
Il suo peccato originale.
“sarò felice di cenare con te domani. Ovunque tu vorrai.”
Finn sorrise come un bambino il giorno di Natale e fece sorridere anche Quinn.
Per la prima volta da giorni un sorriso sincero comparve sul suo volto.
 
“Buonasera!”
Rachel sapeva che si stava comportando da vera maleducata. Interrompere in quel modo un discorso serio tra due coniugi, peraltro i padroni di casa, era tremendamente maleducato.
Non aveva potuto farne a meno però.
Vedere Quinn sorridere in quel modo a Finn (dio Rachel, è suo marito!) le aveva fatto male.
Dalla loro discussione Rachel era confusa.
Quinn era la sua migliore amica e non era mai stata nulla di più.
È vero, era successo quello che era successo ma Quinn non era stata la prima donna che Rachel aveva baciato. Da ragazzina si era scambiata qualche bacio con un’amica di sua cugina per prepararsi a baciare i ragazzi.
Non era mai stato niente più che piacevole.
Quinn però era la sua migliore amica e Rachel pensava che il problema risiedesse proprio lì.
Le mancava, le mancava terribilmente e il pensiero che potesse avercela con lei o odiarla la stava logorando.
Avrebbe dato la sua parte da protagonista all’Operà per chiarire con la sua amica (e questa, si disse Rachel Barbra Berry, era la prova definitiva di quanto tenesse all’amicizia di Quinn).
I due coniugi si voltarono verso di lei.
Finn le rivolse un sorriso caloroso che Rachel non vide neppure.
Gli occhi di Quinn assorbivano tutte le sue attenzioni.
Erano freddi come non gli aveva mai visti.
In quel momento sembravano ancora più verdi di quanto già lo fossero solitamente, pieni di un furore di cui Rachel era l'unico bersaglio. 
Per la prima volta in vita sua Rachel Berry non aveva parole, non sapeva cosa dire.
Non si accorse che stava trattenendo il respiro fino a quando Finn non si rivolse a lei facendo sì che riprendesse in qualche modo il controllo del suo corpo e della sua mente.
“Allora che ne pensi Rachel? Abbiamo fatto un buon lavoro stanotte?”
“Certamente Finn! Non ho mai visto una casa addobbata tanto perfettamente in vita mia! Fate invidia a Buckingham Palace amici miei!”
Finn scoppiò a ridere: “esagerata! A Buckingham non sarebbe mai entrata una donna come la Pierce.”
Rachel annuì: “Artie ha perso la testa per lei a quanto pare e non è l'unico. Da quando è entrata...”
“Miss Berry si sposa caro, hai saputo?”
Rachel agghiacciò.
Guardò Quinn ma lei stava rivolgendo le sue attenzioni a suo marito, un sorriso dolce sul volto.
Dolce ma malvagio. Un ossimoro che ghiacciò il sangue nelle vene a Rachel. Decise di non fargliela passare liscia.
Voleva la guerra? Ebbene Rachel Berry non si sarebbe tirata indietro.
“era un'informazione confidenziale Quinn.”
“confidenziale? Ci conosciamo da quando eravamo ragazzini Rachel!”
Finn era offeso. Voleva molto bene a Rachel, era la sua più cara amica.
Non poteva credere che non gli avesse dato di persona una notizia del genere.
Senza contare che riteneva il matrimonio l'ultimo dei pensieri della diva.
“Io... non c'è ancora nulla di certo...”
“ma come? Da come me l'hai detto sembrava ormai tutto deciso!
Jesse non è un uomo che ama le indecise Rachel!”
Rachel sentì il desiderio di strozzarla.
Che diavolo stava facendo?
“Jesse St. James? Non è la mia persona preferita al mondo ma diavolo Rach, è un buon partito! Dobbiamo brindare!”
Prima che Rachel potesse opporsi, potesse dire qualsiasi cosa Finn stava richiamando l'attenzione della sala per un brindisi a lei e Jesse.
Quando Rachel incontrò lo sguardo dell'uomo vi lesse tutto quello che provava e si sentì tremendamente in colpa.
Come poteva tirarsi indietro ora?
Jesse le voleva bene ed era bello.
Aveva acconsentito ad un fidanzamento non ufficiale per non prendere impegni definitivi ma ora le cose si erano fatte serie, maledettamente serie.
 
Mentre tutti alzavano i calici il suo sguardo incontrò quello di Quinn.
 
Quinn stava morendo dentro.
Si era lasciata andare alla rabbia e aveva fatto una pazzia.
Mentre guardava Rachel e Jesse vicini dovette ammettere a se stessa che erano una splendida coppia.
Questo la fece stare ancora peggio.
Spingere l'amore della sua vita (perchè Rachel era assolutamente l'amore della sua vita) tra le braccia di un uomo che non solo l'avrebbe avuta per il resto della vita ma che l'avrebbe anche portata con sé dall'altra parte del globo le spezzò il cuore.
Ma era stata la cosa migliore, la migliore per tutti.
Per Finn, per Rachel, per lei stessa. Ne era certa.
Quando però i suoi occhi si incastrarono quelli di Rachel la sua sicurezza si sgretolò, si sciolse come neve al sole.
Era la cosa giusta per Finn e Rachel, sì.
Era la cosa migliore per loro, non per lei.
D'altronde chi se ne importava?
Quinn Fabray era morta, era morta dentro.
 
Santana aveva sul volto una smorfia schifata.
Per quale motivo si festeggiava un fidanzamento?
Era praticamente la perdita della libertà, era la fine delle speranze.
Santana non si sarebbe mai sposata, lei non ne aveva bisogno.
Sapeva stare sola.
Diavolo, amava stare sola!
Le facce sorridenti degli astanti le fecero venire la nausea.
Patetici. A nessuno di loro importava della Berry o di quell'idiota impomatato di Jesse St. James.
Erano solo contenti che qualcun altro fosse caduto nella viscida rete delle convenzioni sociali.
Incontrare gli occhi di Brittany S. Pierce fu sorprendentemente facile.
Probabilmente li aveva cercati fin da subito.
Li aveva bramati.
La Pierce sorrise e alzò il bicchiere nella sua direzione.
Il suo sguardo sembrava dire: è a questo che vorresti condannarmi?
Santana non rispose al saluto.
Mentre i suoi occhi abbandonavano quelli di Brittany (oddio, la chiamava già per nome?) una rivelazione, un'epifania le attraversò la mente.
Il vero boia della libertà non era il matrimonio o il fidanzamento.
Era l'amore.
 
 
Kurt lo scorse seduto su una panchina in pietra.
Si era tolto la maschera e la teneva in grembo, stretta fra le mani.
Guardava il cielo notturno come se non l'avesse mai visto prima di allora.
Kurt invece fissava il suo profilo.
Ne era incantato.
Decise di farsi avanti.
“è un amante dei cieli notturni?”
Il ragazzo si volto verso di lui, un gran sorriso sulle labbra metteva in mostra i denti bianchi: “chi non ama i cieli notturni? Chi non ama la notte?”
Kurt fece una smorfia: “ a me non piace granchè. Posso?”
Indicò la panchina.
Il sorriso del ragazzo si allargò: “ovviamente. Posso sapere perchè non ama la notte? Ha forse paura del buio?”
“oh no. Credo semplicemente che il buio talvolta faccia luce a troppi pensieri.”
“una splendida immagine amico mio. Devo dedurne che ciò di cui ha paura è se stesso?”
“c'è qualcuno che non ha paura di se stesso?”
Scoppiò a ridere e Kurt con lui.
“molto abile signor Hummel. Molto astuto. Elude le mie domande con abilità sofistica.”
Kurt sorrise genuinamente divertito: “ora ho io una domanda per lei.”
Il ragazzo sorrise: “prego signor Hummel. Sono tutto orecchie.”
“perchè mi stava fissando con così vivo interesse mentre ballavo? Alcuni potrebbero ritenerlo maleducato e offensivo.”
“meno male che lei non è fra quelli signor Hummel.
Vuole davvero sapere perchè la osservavo?”
Kurt annuì: “sono tutto orecchie.”
“la osservavo perchè non ho mai visto nessuno più degno di essere ritratto di lei.”
Kurt sentì il sangue affluirgli alle guance: “oh.”
“l'ho lasciata senza parole non è vero? L'ho stupita amico mio?”
Kurt non sapeva cosa rispondere.
Era in imbarazzo.
A Londra i gentiluomini parlavano fra loro così schiettamente?
Era confuso.
“vorrebbe farmi il ritratto?”
“sono un buon pittore o così dicono. Non avrà paura che io la faccia apparire brutto lord Hummel!”
Kurt colse la palla al balzo: “non ho mai visto un suo lavoro quindi mi conceda il beneficio del dubbio.”
Il ragazzo sorrise ancora e si chinò verso di lui.
A Kurt arrivò un’ondata della sua acqua di colonia.
O forse era il semplice odore della sua pelle.
Un ciuffo di capelli neri gli ricadde sulla fronte, mosso dalla brezza leggera.
Kurt pensò che probabilmente di lì a poco avrebbe piovuto.
Il tempo ci metteva poco a volgersi al peggio.
Un po' come la vita.
“venga nel mio atelier a dare un'occhiata allora. È a Bloomsbury, arrivarci è piuttosto comodo amico mio.
Se i miei lavori vi piaceranno e non ho dubbi su questo, vorrei che vi lasciaste ritrarre da me. Dipingere i suoi occhi è un'impresa che solletica la mia ambizione.”
Kurt non rispose subito.
Si alzò e si spazzolò i calzoni.
Si calò di nuovo la maschera sul volto.
Era a Londra per fare nuove esperienze, per aprire i suoi orizzonti artistici, per evolversi, per crescere.
Per essere un nuovo Kurt.
“d'accordo. Verrò a dare un'occhiata alle sue opere ma prima mi deve qualcosa amico mio.”
Il ragazzo si alzò a sua volta e lo guardò con aria interrogativa.
“il suo nome.”
“l'importanza del nome è a mio parere notevolmente sopravvalutata lord Hummel. Ciononostante accontenterò la sua richiesta e mi presenterò formalmente. Si tenga forte amico mio.”
Il ragazzo gli tese la mano: “Blaine Anderson.”
Kurt gliela strinse sorridendo: “Blaine. Molto piacere.”
 
Era uscito per prendere una boccata d'aria ed era stato attirato dalle voci.
Non era una persona che spiava, assolutamente.
Era per il quieto vivere.
La scena a cui aveva assistito però gli aveva stretto lo stomaco.
Non avrebbe permesso a Blaine di trascinare a fondo un altro ragazzo, soprattutto non Kurt Hummel.
 
 
 
Rachel stava in piedi accanto al pianoforte.
Aspettava che Jesse cominciasse a suonare.
Di solito il suo pianista designato era Blaine ma il moro sembrava scomparso.
Buona parte degli ospiti si erano riuniti in quella che pomposamente Finn chiamava la sala della musica.
Lì si riuniva due volte a settimana il loro piccolo gruppo e per Rachel quella stanza aveva sapore di casa.
I volti dei suoi amici spiccavano fra quelli dei suoi conoscenti e degli sconosciuti.
Quando Finn le aveva proposto di intrattenere gli ospiti, Rachel non aveva potuto tirarsi indietro.
Amava cantare, esibirsi, essere applaudita.
Per lei era tutto.
Molti l'avevano derisa per la sua ambizione.
Suo nonno un giorno, quando era solo una ragazzina, le aveva detto che sarebbe morta zitella perché la musica non era roba da donne oneste. Le aveva detto che al massimo avrebbe potuto esibirsi in qualche locanda al porto ma niente di più.
Lei gli aveva risposto cantando.
L'aveva fatto piangere.
Quando aprì bocca e uscirono le prime note, decise che sarebbero state per Quinn.
Non trovava un modo più onesto di comunicare con lei.
 
Quinn guardava Rachel, incantata.
Sentirla cantare era catartico.
Le liberava la mente, le potenziava i sensi.
Si era innamorata di lei grazie al canto e ogni volta era come la prima.
I loro occhi s'incontrarono.
Quinn smise di respirare.
Stava cantando per lei. Ogni nota, ogni acuto, ogni pausa era per lei.
Rachel le voleva bene.
Quinn lo sapeva come sapeva che non le sarebbe mai bastato.
Sentì le lacrime premere per l'ennesima volta contro i suoi occhi.
Non poteva stare lì un minuto di più.
Senza dire niente voltò le spalle alla cantante e si allontanò quasi di corsa.
 
Finn percepì l'assenza di sua moglie e si voltò in tempo per vederla uscire dalla stanza.
La seguì senza pensarci due volte.
 
 
A Santana non sfuggì la fuga di Quinn.
Raramente sfuggiva qualcosa a Santana Lopez.
La preoccupazione crebbe dentro di lei a dismisura.
Si chiese che cosa causasse il comportamento di Quinn.
Da qualche giorno a quella parte non era più in lei, nascondeva un segreto. Un segreto che la stava evidentemente logorando dentro.
Mille ipotesi si accalcarono nella sua mente, facendo a pugni tra loro.
Forse era malata.
No, il suo non era dolore fisico.
Forse era...
Oh mio dio, pensò Santana, forse era incinta!
Incinta sì ma non di Finn ovviamente (aveva sempre avuto i suoi dubbi sulle capacità amatorie di Hudson).
Incinta di Sammy Evans? Se fosse stato figlio di Sam alla nascita se ne sarebbero accorti tutti, Santana non aveva dubbi sul fatto che la bocca da trota fosse ereditaria.
Bocca da trota... carino. Avrebbe potuto comporre qualcosa a riguardo, tipo una di quelle canzoncine che fanno addormentare i bambini. No, decisamente un uomo con la bocca da trota gli avrebbe fatto venire gli incubi.
Il suo sguardo vagò ancora tra gli astanti (evitando accuratamente di incrociare gli occhi della Pierce).
Jesse St. James. Sì.
Aveva scorto Quinn guardarlo più volte nel corso della serata.
Lo fissava soprattutto quando era con Rachel, lo guardava in un modo che Santana non era riuscita a decifrare fino a quel momento.
A Santana non era mai piaciuto. Troppo tronfio e pieno di sé, una primadonna.
Probabilmente il matrimonio con la Berry era una copertura, un modo per togliersi dai pasticci (d'altronde chi si sarebbe potuto innamorare della Berry? Nessuno sano di mente si rispose la latina).
 
Quando la voce di Rachel si spense, Santana Lopez era arrivata a un'inquietante conclusione: Quinn Hudson Fabray era incinta di Jesse St. James ed era davvero un gran pasticcio.
 
 
 
Il giorno seguente Quinn Fabray si svegliò all'alba.
Accanto a lei il respiro rumoroso di Finn.
Aveva ancora il suo odore addosso, quell'odore di uomo, di carne sudata.
Non le era piaciuto stare con lui.
Per quanto gli volesse bene non era stato facile, affatto.
Sentirlo dentro di sé l'aveva fatta piangere.
Finn non se ne era nemmeno accorto (o aveva fatto finta di non accorgersene) e a Quinn andava bene così.
Si voltò a guardarlo.
Era bello, dolce e la amava.
Quinn sapeva che lui la amava.
 

 
Finn sta guardando la sua neo moglie.
Per lui era stata la miglior notte di nozze della storia.
Nessuno era più felice di lui in quel momento.
Continuava a chiedersi come fosse stato possibile che una donna come Quinn Fabray si fosse concessa a lui.
Era l'uomo più felice del mondo.
Quando lei aprì gli occhi verdi il cuore di Finn si fermò.
“sono brutta.”
Lo disse con quel suo accento particolare, in quel suo inglese insicuro e adorabile.
Finn scoppiò a ridere: “sei bellissima. La più bella moglie del mondo.”
Quinn rise e Finn con lei.
Le poggiò una mano sulla guancia: “sei il mio primo amore signora Hudson. Per me sarai sempre bellissima. Più che bellissima.”
Lei sorrise, timida.
“non ti farei mai del male come so che tu non lo faresti mai a me.”
Quinn si fece seria “e se... se io sbagliassi? Se smetto di...”
Finn la fermò stampandogli un bacio casto sulle labbra.
“se tu sbagliassi io ti perdonerei. Si perdona tutto al primo amore.”
 
 
Il ricordo di quella loro prima notte insieme strappò a Quinn un singhiozzo. Non se lo meritava un uomo come Finn.
L'uomo mormorò qualcosa nel sonno.
Quinn non riuscì a fare a meno di stringersi a lui, gli occhi chiusi e il cuore amaro.
 
 
Brittany S. Pierce era seduta in sala da pranzo intenta a fare una lauta colazione.
Amava la colazione. Era il suo pasto preferito.
Avrebbe voluto che ogni pasto fosse una colazione.
Tanto le uova si potevano mangiare sempre no?
Questo ancora un po' la confondeva.
Preferì non pensarci o le sarebbe venuto il mal di testa.
La aspettava una lunga giornata e non poteva permettersi di avere male alla testa, assolutamente.
Un miagolio la distrasse dalla fetta di torta appena sfornata su cui stava per concentrarsi.
Abbassò lo sguardo e accarezzò il suo grasso gatto.
Artie gliel'aveva regalato e Brittany gli era davvero grata.
Adorava Lord Tubbington.
Era suo, unicamente suo. Artie gliel'aveva giurato.
Il gatto fece le fusa e si rovesciò sulla schiena mettendo in mostra l'enorme pancia.
“oh mio dio Lord T. non sarai stato tu a mangiarti i miei cappelli con veletta vero? Guarda che farò controllare da Lauren le tue...”
Qualcuno bussò alla porta distogliendo Brittany dai suoi rimproveri.
Lord T. scappò sotto al tavolo, incredibilmente veloce per la sua mole.
“signorina Pierce?”
Brittany sorrise a Lauren, una delle sue cameriere: “sì cara?”
“sono arrivati questi per lei.”
Con cautela poggiò sul tavolo un enorme mazzo di camelie.
“sono splendide. Chi le manda?”
Brittany era piacevolmente sorpresa.
“c'è un biglietto miss Pierce. Vuole che glielo legga?”
Brittany scosse la testa e tese la mano dalle lunghe dita curate: “No, ti ringrazio Lauren. Ora lasciami sola.”
 
Mentre leggeva la lettera Brittany non poté trattenersi dal sorridere e quel sorriso continuò ad aleggiarle sul viso per tutto il resto della giornata.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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