Love affairs

di InweElensar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

 

 

DISCLAIMER: Tutto ciò che state per leggere è inventato. Niente corrisponde alla realtà. Il Sig. Bloom, il suo carattere e le sue reazioni, NON sono descritte qui in maniera reale né ho la presunzione che neppure si avvicinino lontanamente alla realtà a lui vicina.

Scrivo per divertimento, senza secondi fini  e soprattutto senza scopo di lucro.

Ho deciso di scrivere su Bloom perché mi piace da morire, ho avuto l'immensa fortuna di vederlo live e di scambiarci due battute  così mi sono fatta vari film su di lui e alla fine spronata anche da una mia cara amica ho pensato di metterli su world e  condividerli.

Siate clementi, non ho velleità alcuna da scrittrice, quindi se mai leggerete ciò che ho scritto tenete conto che scrivo per divertimento  e passione e non per lavoro.

Qualsiasi commento sarà bene accetto, anche la critica costruttiva, perché già so che potrei avere delle gran pecche.

Ora rompiamo gli indugi e andiamo a cominciare!

 

 

 

1

Prologo

 

“Come sarebbe a dire che non sai se te la senti?” domando a mia sorella sgranando gli occhi come se fossi un cartone animato giapponese, mentre lei si guarda pensosa nello specchio.

“Non so se è la cosa giusta Amy” mi risponde davvero costernata con una faccia che proprio non si addice ad una sposina.

“Okay!” le faccio mettendo le mani avanti e prendendo la situazione in pugno “Panico prematrimoniale, è normale, niente che non sia controllabile. Respira! Fai dei bei respironi, apri il diaframma e rilassati vedrai che passa tutto” aggiungo sfoderando la mia faccia più convincente ed il tono di voce più rassicurante che posso. Lei mi guarda scettica, ma prende fiato e comincia respirare, una, due, tre volte.

“Non funziona” mi fa scuotendo la testa “Il fatto è che ci conosciamo troppo poco, anzi forse non ci conosciamo affatto” aggiunge con una smorfia delle sue.

“Come sarebbe a dire?” le chiedo perplessa .

“Sarebbe a dire che a causa dei vari impegni ci siamo frequentati troppo poco, praticamente solo nei week end, se andava bene” mi risponde lei acidula.

Pignola!

“Vabbé ma poi le cose sono cambiate no? Qualcosa vorrà pur dire, si sarà reso conto che sei la donna della sua vita e poi ti ha chiesto di sposarlo, mi spieghi perché tutte queste paranoie proprio ora?”.

Mia sorella mi guarda, aggrotta le sopracciglia e china appena la testa sul lato sinistro, tipico suo atteggiamento quando è molto, ma MOLTO contrariata.

“Amy sembri trascurare un dettaglio da niente: sono incinta!” mi risponde piccata “Per questo mi ha chiesto di sposarlo” aggiunge allargando le braccia come in senso di resa.

“Non era obbligato” mi affretto a controbattere “Il fatto che tu sia rimasta incinta, non è un motivo di costrizione, avrebbe potuto proporti l’aborto, o magari avrebbe potuto anche solo riconoscere suo figlio una volta nato senza necessariamente prenderti in moglie. Santo cielo Meg, ma proprio la mattina delle nozze dovevi farti venire tutti questi dubbi amletici? Che so, non era meglio un mesetto fa?” le domando acidula.

Lei si gira e si guarda nuovamente allo specchio, si liscia il vestito da sposa color crema, leggermente svasato per nascondere quel accenno di pancia che il suo stato di gravidanza evidenzia.

Si gira nuovamente ed il suo sguardo è davvero intenso e carico di preoccupazione “Amy il fatto è che ci siamo frequentati per brevi periodi, saltando su un aereo per poter stare insieme anche solo dodici ore è ovvio che in questo modo abbiamo dato solo il meglio di noi, ma se poi scoprissimo che siamo incompatibili? Se vivendo con lui scoprissi, che so, che odia lavarsi i denti, o che non si fa il bidet dopo essere stato al bagno...”.

“Oddio è inglese, dubito che si faccia il bidet in effetti, ma potresti sempre farglielo tu no?” commento massaggiandomi il mento con aria furbetta con l'intento di sdrammatizzare.

“Sii seria per favore!” mi rimbrotta lei “I grandi amori possono finire proprio per cose come queste sai?” aggiunge con tono velatamente saccente.

“Beh il mio matrimonio è finito perché lui si scopava un'altra, ma Charles il bidet se lo faceva” puntualizzo un po’ infastidita, certe volte mia sorella sembra tirare fuori le cose più assurde pur di giustificare certe sue azioni. “Ora io voglio davvero sperare che TU non voglia mandare all'aria un matrimonio perché temi che il tuo futuro marito non sia dedito all'arte dello sciacquettio dopo essere stato in bagno, perché incinta o no, io ti picchio, sappilo!”.

A questo punto lei si lascia cadere sulla sedia stancamente.

“La verità è che ho paura... paura che lui non mi ami” dice infine in un soffio.

Eccola lì, finalmente ha sputato il rospo.

“Perché non dovrebbe amarti?” mi viene spontaneo dirle.

“Perché non mi conosce!” sbotta lei come se  fosse una cosa così evidente.

“In tutto il tempo che vi siete frequentati, seppur a puntate, a spizzichi e bocconi, qualcosina l'avrà pur capita di te no? O vogliamo dire che è un perfetto beota?” mi sta facendo innervosire, è dannatamente tardi ci stanno aspettando già da mezzora.

“Siamo stati precipitosi, potevamo far nascere il bambino e poi sposarci, invece lui ha insistito per il matrimonio e io ero così felice lì per lì che non ho riflettuto, ma stiamo facendo una gran cazzata Amy, saremo separati prima di festeggiare il nostro primo anniversario e nostro figlio soffrirà, crescerà male, ci darà la colpa della nostra incoscienza quando sarà un adolescente problematico e magari obeso. O....” e si porta le mani alla bocca inorridita “... o peggio drogato! E saremo stati noi a rovinargli la vita!”.

“A te la maternità fa proprio male! Ma che stai dicendo? Ma ti stai ascoltando? Meg per l'amor del cielo finiscila. Il tuo pessimismo cosmico è decisamente fuori luogo. Ma porca miseria stai per sposare uno degli uomini, più belli, sexy e ricchi del pianeta e ti stai ammorbando di stupide, inutili seghe mentali, forza alzati e andiamo, andrà come deve andare ormai siete in ballo”.

A questo punto accade l'imprevisto: ovvero mia sorella scoppia a piangere a dirotto.

E adesso che faccio? Lo so qual’è il suo problema. La sua dannata insicurezza, la sua grande paura di non essere amata, ma come posso fare io a farle capire che un problema che sta dentro di lei? Che non è la realtà delle cose che lui probabilmente è davvero innamorato pazzo di lei, se mia sorella per prima non vuole crederci?

Mi avvicino e l'abbraccio “Meg dai sfogati, vedrai che dopo starai meglio. Andrà tutto bene, per me sarai felice siete una coppia perfetta, ma se dovesse andare male che ti frega? Farai uno di quei divorzi da favola che starai bene per tutta la vita” le dico scherzando giusto per farla ridere, ma lei continua singhiozzare.

“Sei disgustosamente cinica” mi fa lei serissima mentre si stropiccia gli occhi distruggendo così il duro lavoro fatto dalla visagista con il trucco non trucco di nozze.

“No, sono pratica!” le rispondo strizzandole un occhio “Sembri un panda, ti stai rovinando Meg, è tardissimo, ti prego puoi far finire questa crisi prematrimoniale? Chiamo la visagista, ti fai riaggiustare la faccia e andiamo eh?” le chiedo sperando che sia la volta buona.

 Lei mi guarda dritta negli occhi e serissima mi risponde.

“No, Amy io oggi non mi sposo. Vai tu e trova una scusa”.

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Capitolo 2
*** 2 ***


 

 

 

Desidero ringraziare i fantastici 43 lettori che hanno avuto la voglia e la pazienza di fermarsi a a leggere ciò che ho scritto. E' emozionante per me sapere che così tante persone mi hanno degnato della loro attenzione. Grazie un milione! naturalmente ringrazio ancora più calorosamente le tre ragazze che hanno avuto la bontà anche di lasciare un commento. Alla ragazza che voleva sapere dove l'ho conosciuto (suppongo che Fiho, di cui ignoro il significato, si rivolga ad Orlando giusto?), intanto vorrei precisare che purtroppo non l'ho conosciuto, magari! L'ho solo visto e ci ho scambiato due parole, come tante altre ragazze sono stata a Londra a vedere In Celebration.

Desidero informarvi che nell'aggiornare sarò lenta perchè non ho molto fre time comunque ogni settimana, 15 giorni al massimo dovrei farvi avere di volta in volta il capitolo successivo. Ciao e grazie ancora a tutti!

 

 

 

2

 

E adesso? Chi glielo dice a Jonathan?  Io, secondo mia sorella Meg, sarei dovuta andare là davanti a tutta quella gente e dire: Ehy! Scusate, ma oggi non ci sarà alcun matrimonio, la sposina, improvvisamente assalita dai dubbi ha deciso di fare marcia indietro! Una bazzecola! No, non ci penso proprio per niente, questa cosa non la posso proprio fare, anche perché sono abbastanza sicura che Meg si pentirà e io NON voglio essere la causa di un immane tragedia, no signori io non sarò la fautrice consapevole dell’infelicità di mia sorella… ma che mi posso inventare? Dovrei prendere tempo, trovare un modo per ritardare la cerimonia e dare modo a quella sciagurata  di riprendersi, ma al momento la mia testa mi dice ZERO.

Nel frattempo sento un gran trambusto, ecco come minimo è in arrivo l’armata Branca Leone!

E non mi sbaglio.

Irrompono nella stanza uno dei due miei fratelli e la piccolina di casa: la mia sorellina.

“Allora?” mi fa Robert dondolando impaziente sulle gambe, lui è uno dei miei due pessimi fratelli. “E’ una vita che stiamo aspettando, che fa Meg? Io sono curioso di vederla vestita da sposa. Esce o no?”.

“No” gli rispondo io semplicemente. Lui mi guarda strizza gli occhi e appena preoccupato aggiunge “No, in che senso?”.

“Rob, no, in un senso solo, non esce, non vuole sposarsi più” spiego senza tanti preamboli.

“COSA? Ma è matta?” mi chiede subito Alissa, mia sorella minore “Ti prego dimmi che stai scherzando, non può fare una cosa così!” aggiunge costernata.

“Non è uno scherzo è entrata in paranoia lo sapete com’è fatta, si è messa in testa che

Jonathan la sposi solo perché è incinta e ora lei dice che non vuole fare le cose affrettate” cerco di spiegare.

Proprio in quel momento irrompe nella stanza anche l’altro mio fratello Fred, non lo vediamo da una vita, abita in Giappone, si è trasferito là per lavoro da un paio di anni e da allora questa è la seconda volta che ci rincontriamo.

“Jonathan?????” è la prima parola che dice  senza neppure perdere tempo a salutarci.

“Sì, poi te lo spiego” fa appena infastidito Rob, lui è uno ‘tutto e subito’ e aveva già programmato che appena finita la cerimonia del matrimonio sarebbe andato a vedersi la partita di football, così si sta innervosendo perché gli stanno saltando i piani.

“Scusate ma io sapevo… credevo…” prova ad abbozzare Fred ancora intontito dal jet lang.

“Ciao eh?” gli faccio io da brava polemica quale sono “Tu arrivi sempre all’ultimo momento e la prima cosa che fai, non è neppure salutare, ma fare domande inopportune quando qui, scusa l’eufemismo, ma siamo nella merda. Meg non si vuole più sposare”.

“Non è cambiato niente a quanto vedo” risponde lui grattandosi la testa rassegnato.

“E che volevi che cambiasse?” gli chiede Alissa alzando le spalle.

“Ma Meg dov’è adesso?” mi chiede Fred.

“Si è chiusa in camera sua” rispondo lapidaria indicando la porta oltre la quale Meg si è rintanata.

“Insomma qualcuno mi vuole spiegare che cavolo sta accadendo? Arrivo qui pensando che mia sorella sposi una persona e mi rendo conto che in realtà NON ne vuole sposare un’altra!”.

Nessuno fa in tempo a rispondere perché è arrivato il cugino dello sposo, io quello non lo conosco neppure l’ho visto la prima volta tre giorni fa e fra tutti proprio lui doveva venire a chiedere spiegazioni?

“Senti è in corso una riunione di famiglia come puoi vedere, siamo sì, un po’ in ritardo, ma solo perché Meg ha avuto un piccolo malore, niente di grave” mi affretto a dirgli scoprendo che la mia capacità di raccontare balle è sorprendente, fluida e dannatamente convincente. “Ora non c’è bisogno di allarmare nessuno tanto meno lo sposo, quindi visto che tu sei una persona di mondo” per non dire che è una gran faccia da furbacchione “Vai e cerca di intrattenere gli ospiti e noi qui cercheremo di far riprendere la sposina e di affrettarci a farla venire per la cerimonia e mi raccomando: NIENTE PANICO, soprattutto tranquillizza lo sposo” aggiungo con una sicurezza e una determinazione che meravigliano me per prima mentre lo spingo a forza fuori dalla stanza ignorando i suoi balbettii, tra l’altro fastidiosissimi, di protesta e in qualche modo lo butto letteralmente fuori tirando un sospiro di sollievo.. almeno per ora.

Intanto i miei fratelli mi guardano come se si aspettassero da me chissà quale magia per rimettere a posto le cose.

“Non so che cazzo fare!” dico quasi disperata di fronte a quegli sguardi perplessi “Un po’ possiamo durare con questa scusa del malore ma poi?”. Ma perchè non mi aiutano mai e si aspettano sempre da me che tiri fuori il classico coniglio dal cilindro?

“Insomma QUALCUNO mi vuole spiegare chi diavolo è questo Jonathan???” chiede frustratissimo Fred “Sto quasi diventando matto”.

“Te lo dico io se vuoi…” dice a sorpresa Meg che appare sulla porta con il naso rosso e gli occhi ancora più impastati di rimmel e lacrime.

 

 

***

  

Tutto cominciò appunto un giorno, quando il nostro capo ci avvisò che ci sarebbe stato un premio per il miglior venditore. Lavoro in una agenzia immobiliare di Boston e nonostante il mio lavoro non è che mi faccia impazzire cerco sempre di dare il meglio. Quel lunedì il signor Harris ci riunì tutti nel suo ufficio.

“Sono lieto di annunciarvi che il vincitore di questa prima gara aziendale è Harry Waston!” disse in tono trionfale. E chi ne dubitava? Harry è uno stacanovista e un gran leccaculo.

Tutti applaudimmo, chi rassegnato, come me, chi livido d’invidia come la mia collega più anziana Ariel, lei si sente sempre la meno apprezzata. Ma accadde qualcosa.

Il primo premio era un viaggio tutto spesato alle Hawaii di quindici giorni tutto spesato. Era come se il grande capo avesse voluto regalare una vacanza, ma ad una sola persona che se avesse voluto portarsi qualcuno avrebbe dovuto provvedere  a fargli pagare la sua parte per conto proprio.

Il caso volle che Harry benché fosse oltremodo lusingato da questo traguardo non potesse proprio fare quel viaggio. Si era sposato da appena un anno e sua moglie era in dolce attesa, quindi dovette rinunciare. Il signor Waston, per non creare confusioni o inutili invidie, in maniera molto salomonica prese la decisione di tirare a sorte per stabilire chi potesse beneficiare al posto di Harry di quella vacanza. Così il lunedì dopo ci fu un’altra convocazione e un altro verdetto.

“Bene!” fece il nostro capo estraendo un bigliettino dall’urna improvvisata ricavata da uno dei porta penne delle sua scrivania “Il fortunato sostituto è… Margaret Mannello” annunciò leggendo il foglietto spiegazzato.

Trasalii appena nel sentire il mio nome, non me lo sarei mai aspetta e questa volta gli applausi, per lo più d’invidia, furono tutti per me.

Cominciò così per la sottoscritta un mese d’inferno. La famosa vacanza infatti sarebbe stata fatta esattamente trenta giorni dopo l’annuncio della vincita.

Ero contenta e terrorizzata. Non avevo mai fatto un viaggio da sola e la cosa mi spaventava, temevo che mi sarei annoiata, o peggio che sarei stata rinchiusa per tutto il tempo in camera. Così cominciò una lunga serie di paranoie, prima se sul rinunciare, poi su cosa portar via ed infine sul cosa avrei fatto una volta lì. Tentai inutilmente di trovare un compagno o una compagna per quel viaggio, ma nessuno poteva.

Alla fine determinante fu l’appoggio di mia sorella maggiore, minacciò di prendermi a calci nel didietro se solo avessi osato rinunciare, trascinandomi subito dopo in varie sedute di shopping sfrenato  con la scusa che tanto il viaggio era gratis e che quindi potevo spendere.

Il tempo sembrò volare e una bella mattina mi ritrovai con una valigia ricolma di roba in partenza per Maui più precisamente Molokai naturalmente alle Hawaii e una gran batticuore dato da una grande ansia.

Alla fine però ero contenta, infondo sarebbe stata una splendida esperienza e poi quando mai avrei visto un posto simile?

In realtà quel viaggio fu molto importante, ma a quel tempo non potevo saperlo.

Arrivai al villaggio nel tardo pomeriggio. Era una struttura di lusso, immersa nel verde che andava poi a tuffarsi nelle onde di un mare incredibilmente blu e selvaggio. Era organizzato in discreti bungalow, immersi nella ricca vegetazione hawaiana che creavano un’atmosfera intima e molto suggestiva.

Rimasi piacevolmente colpita e l’ansia che mi aveva accompagnata durante tutto il viaggio si affievolì un poco. Puntualmente però si riaffacciò il mattino seguente. La sera ero rimasta prudentemente nel bungalow consumando lì la cena che mi ero fatta portare in camera. Dovevo ambientarmi non mi andava di affrontare così su due piedi tutta la clientela del villaggio. Essendo andata a dormire presto la mattina seguente fui sveglia alle sei. Cominciai a rigirami nel letto fin quando esausta, mi alzai. Decisi che sarei andata subito in spiaggia. Mi preparai velocemente mettendo un costume due pezzi moderatamente castigato per non dare tanto nell’occhio, poi in un borsone infilai solari, un asciugamano e un libro, quindi uscii dalla mia camera con un prendisole color avorio e mi diressi verso la reception per andare poi a fare  colazione.

La sala adibita al consumo dei pasti era grande ben apparecchiata e circondata da vetrate      che creavano una gran bella illuminazione naturale all’interno. Mi accomodai ad un tavolino e sola soletta mi apprestai a fare la mia colazione.

Di lì a poco arrivarono tre ragazzi. Uno sulla quarantina, segaligno pieno di tatuaggi con un paio di occhiali da sole a specchio, un altro più giovane, con i capelli medio lunghi lisci e il sorriso stampato perennemente sul viso, mentre terzo, con i capelli legati in un codino basso, Rayban di tartaruga portava una tavola da surf bianca appoggiata con elegante naturalezza sopra la testa camminando in modo armonico e dinoccolato.

Rimasi un attimo a guardarli, un po’ soprappensiero senza far troppo caso a loro, ma il ragazzo con la tavola da surf attirò la mia attenzione. Si era seduto con gli altri appoggiando la tavola al muro, ma non si era tolto gli occhiali. Cominciai ad avere la vaga sensazione di averlo già visto da qualche parte, sì ma dove?

Alla fine rinunciai a ricordare e mi misi a consumare la mia colazione dimenticandomi quasi di quei tre. Quando mi alzai per andarmene non c’erano più, ma fu allora che la mia mente s’illuminò all’improvviso: Orlando Bloom! Ecco chi era quel ragazzo che mi sembrava aver visto da qualche parte. O era lui, o era uno che gli somigliava moltissimo. Non essendo una gran esperta di cinema non avevo la certezza matematica, ma se non era lui la somiglianza era davvero impressionante, potevano sembrare due gemelli.

Sull’onda di questi pensieri  mi avviai all’uscita per raggiungere la spiaggia chiedendomi come avrei passato lì tutta la giornata, sola, soletta. Stavo appunto attraversando la reception per uscire quando incontrai nuovamente i tre ragazzi e questa volta seppur per puro caso, scambiai uno sguardo proprio con quello che avevo identificato come l’attore inglese Orlando Bloom. Aveva gli occhiali in mano, mi guardava e nel suo sguardo c’era una sorta di rassegnata aspettativa, come se da un momento all’atro si aspettasse qualcosa da parte mia, mi sembrò davvero una strana sensazione, ma alla fine imputai il tutto alla mia fervida immaginazione, elusi il suo sguardo, affrettai il passo e mi diressi velocemente alla spiaggia. Ovviamente, data l’ora era semi deserta, mi scelsi un ombrellone, mi sdraiai sul lettino e mi mio misi a leggere.

“Ciao!” mi sentii dire dopo una mezz’ora che ero lì a leggere. Alzai gli occhi e vidi un ragazzo moro, con gli occhi verdi e fisico da paura che mi sorrideva.

Mi prese quasi un colpo!

 “Ciao” risposi un po’ intimidita, ma anche sorpresa e chi se l’aspettava un figo così.

 “Sono Jonathan uno degli animatori e per la precisione il maestro di surf. Ti va di fare qualche lezione?” mi chiese a raffica sedendosi sul lettino e obbligandomi per educazione a tirarmi su

 “No, no, grazie non credo che faccia per me” mi affrettai a rispondere un po’ sulla difensiva, quella vicinanza mi imbarazzava non poco.

Lui invece pareva essere perfettamente a suo agio e non fare affatto caso alla mia agitazione.

“Meglio no?” commentò serafico “Così almeno impari una cosa nuova. Dai non tirarti indietro vedrai che ti faccio divertire” mi disse facendomi l’occhiolino. Certo che accattivante lo era e non poco, ma anche un gran bel ragazzo, cominciavo a tentennare “Ma io sono imbranata” provai ad obiettare.

 “Ah!” esclamò lui “Non esistono persone imbranate, esistono solo persone che non sanno come fare una cosa, per questo esistono i maestri, avanti ti aspetto tra un’ora per la tua prima lezione di surf e non voglio sentire obiezioni…” fece come per sottolineare che non ero ancora presentata. “Margaret, per gli amici Meg” gli dissi tendendogli la mano.

 “Allora affare fatto Meg ci vediamo dopo” mi disse dandomi una vigorosa stretta di mano regalandomi un sorriso luminoso.

Era fatta, ormai non potevo tirarmi indietro avrei provato a surfare.

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Capitolo 3
*** 3 ***


Ce l'ho fatta! Questa settimana aggiorno!

Grazie davvero per le bellissime recensioni, sono davvero senza parole per i vostri commenti e sono anche stupita, in maniera positiva dal riscontro che sto avendo, non avrei mai sperato tanto.

I lettori non sono diminuiti, quindi significa che forse ciò che sto raccontando interessa. Che bello!

Ringrazio le ragazze per la spiegazione del 'fiho' avrei dovuto capirlo che è toscano, ma sono una svampita LOL

Per la ragazza che sogna di vedere Orlando le faccio un grande  in bocca al lupo e le dico di avere fiducia, prima o poi accadrà, per fortuna vedere lui, visto come si concede alle folle, non sarà impossibile.

Alla ragazza che mi ha fatto notare gli errori dico grazie. Hai ragione e starò più attenta

Ciao a tutti e al prossimo aggiornamento, che  ricordo sarà prossima settimana o 15 giorni.

 

 

 

2

 

Una cosa mi fu chiara fin da subito: io e il surf avevamo poco feeling!

Jonathan mi aveva dato una tavola strana, una tavoletta a dire il vero, sembrava quasi un attrezzo per bambini e come me la porse lo guardai arricciando il naso, bella inguainata nella mia attillatissima tutina della Maui, che a dire il vero mi faceva sentire anche un po’ in imbarazzo visto che sembrava una seconda pelle.

“Non si può nascere e volare” mi spiegò lui serafico intuendo il mio disappunto “Per prima cosa imparerai come si prendono le onde e lo imparerai non in piedi, ma di distesa sulla pancia” aggiunse facendomi l’occhiolino, senza dubbio sapeva molto bene come ingraziarsi le persone.

Mi fissò la tavola al piede destro con una cordicella che pendeva e ci dirigemmo verso l’acqua.

All’inizio prendemmo confidenza con l’acqua ed il flusso delle onde e chiacchierammo un bel po’. Scoprii così che era figlio di un noto magnate inglese, un rampollo assai famoso perseguitato dalla fama dal padre e dai tabloids britannici, che però voleva farsi la sua strada nel campo del turismo ed era lì per lavorare sì come istruttore, ma anche per capire come si gestivano queste grandi infrastrutture alberghiere. Mi raccontò che voleva investire le sue quote in questo genere di progetti e che voleva capire che cosa davvero potesse essere di richiamo per chi decideva di passarvi una vacanza. Lo ascoltavo affascinata e anche un po’ ammirata, era così giovane, ma già così determinato e sicuro di sé che non si poteva fare a meno di rimanere incantati nel sentirlo parlare con così tanto entusiasmo.

Alla fine però arrivò anche il momento di provare ad usare quella tavoletta e se a dirlo sembrava facile, farlo fu tutta un’altra cosa. Ogni benedetta volta che cercavo di cavalcare un’onda mi capovolgevo e a nulla servivano le pazienti istruzioni di Jonathan, regolarmente, mio malgrado, finivo sott’acqua. Intanto, come se non bastasse mi faceva da contralto un gruppo di persone, molto distanti da noi, ma che surfavano divertendosi alla grande e gridando come dei pazzi, affrontavano le onde come se fosse una cosa da niente mentre io arrancavo come una rana in uno stagno.

Una domanda mi sorse spontanea: ma chi me l’aveva fatto fare? Era tutto un bere acqua salata e inoltre dovevo essere diventata una specie di giullare della spiaggia perché notai che diverse persone s’erano fermate a guardare le mie imprese. In più mi scocciava da matti fare una figura così meschina con il mio affascinassimo istruttore.

“Te l’avevo detto che sono imbranata come una foca monaca!” protestai verso Jonathan.

Ma lui non mi dette molta retta, solo allora mi resi conto che s’era improvvisamente distratto perché sulla spiaggia era arrivata una ragazza, uno schianto di ragazza a dire il vero, e sembrava che lui volesse, anzi smaniasse di raggiungerla. Ovviamente stava facendo lezione a me e non poteva, ma era chiaro, dal suo sguardo fisso su di lei, che se avesse potuto si sarebbe precipitato a raggiungerla. La cosa m’indispettì forse più di quanto non fossi pronta ad ammettere anche con me stessa e decisi che se con me si stava rompendo poteva benissimo andarsene, mica l’avevo cercato io!

Il mio orgoglio ebbe la meglio e come spesso mi accade invece di combattere deposi le armi.

“Vai pure, io posso benissimo continuare a bere e capovolgermi da sola” gli dissi cercando di essere naturale e anche spiritosa. Lui farfugliò qualcosa, ma io insistei talmente tanto e in maniera così convincente che alla fine non gli parve il vero di schiodarsi e andare da quella lì.

Ovviamente avrei pagato per quella maledetta lezione di surf ben cinquanta dollari e avevo fatto solo mezz’ora, così anche per principio avrei continuato a combattere con quel diavolo di tavoletta fino alla fine. Ad un certo punto però un’onda più alta delle altre mi tirò giù e io mi rigirai un paio di volte su me stessa e la tavola che era fissata sul mio piede, mi si abbatté direttamente tra la testa e fronte. Bevvi più del solito e decisi che era ora di fare festa. Piuttosto contrariata e a passo di marcia trascinandomi quella cosa infernale dietro mi diressi verso la spiaggia, quando qualcuno mi si avvicinò.

“Hai un bernoccolo in fronte” mi disse una voce divertita dal marcato accento inglese. “Dovresti essere meno rigida, devi armonizzare il corpo con la tavola fino a diventare tutt’uno con lei sennò non ce la farai mai ad avere il controllo su di lei”.

Mi girai e lo vidi. Aveva l’aria rilassata e gioviale, il naso e le guance arrossate dal sole e mi guardava con aperta curiosità con gli occhi ridenti. Ecco ora ci mancava anche il divo di Hollywood. Rimasi comunque sorpresa che una celebrità quale lui indiscutibilmente era si fosse messo ad attaccare bottone proprio con me. Per un attimo pensai che volesse solo sfottermi, ma la limpidezza del suo sguardo mi fece ricredere quasi immediatamente. Di proposito volli fingere di non averlo riconosciuto, era una piccola vendetta per non dargli soddisfazione, mi pareva,  agendo così, di preservare almeno un briciolo di dignità visto  e considerato che tutti si erano resi conto della tal schiappa che ero.

“Sei per caso un istruttore di surf anche tu?” gli chiesi cercando di essere naturale.

Lui fece una buffa smorfia “No, ma lo faccio da qualche anno” mi spiegò guardandomi in un modo un po’ strano sembrava mi stesse studiando i suoi occhi tradivano un’intelligenza analitica molto sviluppata.

“Grazie per il consiglio, ma credo che la mia storia d’amore con il surf sia appena conclusa” risposi sincera cercando a tastoni con la mano il bernoccolo di cui mi aveva accennato sentendomi anche un po’ stupida per come stavo gestendo la situazione.

Il viso gli si illuminò e fece una risata spontanea ed argentina “Sei così rinunciataria?” mi chiese come se non si fosse potuto trattenere dal dirlo. Non era cattiveria la sua, anzi, sembrava quasi che volesse pungolarmi incoraggiandomi a non mollare.

Che te ne frega a te! Avrei voluto rispondergli, forse perché non sapendolo aveva toccato un tasto dolente, sì io sono una rinunciataria, o meglio ho sempre avuto scarsa fiducia nelle mie potenzialità, pur sapendo di averne eccome.

“No, ma prima di ammazzarmi è meglio che desista non credi?” risposi non potendo non notare quanto fosse stranamente diverso da come appariva sui giornali o sul grande schermo, sebbene forse dal vivo avesse addirittura qualcosa in più, come una sorta di magnetismo naturalmente innato, non aveva niente che potesse ricordare un divo, e tanto meno si comportava come una celebrità. Se non avessi saputo chi era avrebbe potuto davvero essere un ragazzo qualunque. Ad ogni modo a parte ciò anche lui una gran bel pezzo di figliuolo, e continuava a parlare con me, con una naturalezza a dir poco sconcertante. Sinceramente non avrei mai pensato che potesse essere così alla mano. Ero piacevolmente stupita.

Stava per rispondermi ma i due ragazzi che erano con lui a colazione lo raggiunsero e lui mi fece un cenno di scuse salutandomi, non prima di avermi dato un in bocca al lupo per la prossima lezione, per poi sparire insieme a quelli.

Rimasta nuovamente sola raggiunsi la spiaggia, mollai la malefica tavoletta e sgusciai fuori dalla muta, quindi tornai al mio ombrellone. Jonathan era sparito. Piuttosto delusa ripresi il mio libro e mi immersi nuovamente nella lettura.

Poco prima dell’ora di pranzo ricomparve Jonathan che venne subito da me.

“Per farmi perdonare di averti mollata da sola in acqua questa sera ti invito a cena  ti va?” mi chiese sorridente.

Trasalii appena, questa proprio non me l’aspettavo, ero convinta che ormai fosse già avvinghiato con la sua bella…

“Perché no?” gli feci alzando lo sguardo dalle pagine che stavo leggendo.

Lui sorrise soddisfatto. “Ti piace il pesce? E il sushi?” mi chiese.

Sushi! La gran moda del momento, tutti mangiavano sushi, ormai anche i carpentieri erano estimatori del sushi, e io, come mio solito, per fare il bastian contrario non lo avevo mai voluto assaggiare. “Non lo so se mi piace non l’ho mai mangiato” gli risposi.

“Allora sarà una buona occasione per provarlo no? Ci troviamo alla Hall, mmmmh… diciamo verso le sette?” mi chiese dando una sbirciata all’orologio “Io ho da fare qui fino alle cinque, poi devo fare i turni di lavoro per domani e subito dopo sarò a tua completa disposizione”.

Annui, lo guardai e pensai se non fossi diventata matta. Mi aveva mollata a metà lezione per correre dietro ad una tipa stratosferica, per poi tornare da me e fare come se niente fosse e io come una scema gli avevo detto subito di sì, dandogli così l’impressione di essere alla sua mercè.

“Che c’è?” mi chiese, evidentemente dal mio viso doveva essere trapelato qualcosa.

“Niente perché?” mi affrettai a rispondere.

“Mi sembravi dubbiosa” aggiunse lui.

“Ero un attimo persa dietro i miei pensieri” mentii. Lui si rasserenò e stette ancora qualche minuto a chiacchierare del più e del meno, poi, siccome aveva una lezione, mi salutò e mi rinnovò l’appuntamento per la sera.

A quel punto era ormai ora di pranzo quindi mi alzai raccolsi la mia roba e mi diressi verso la reception per raggiungere il mio alloggio. Come arrivai alla hall fui chiamata al banco, qualcuno mi aveva cercata.

“Una certa Amy ha lasciato un messaggio per lei signorina Mannello” mi disse il consierge e mi porse un bigliettino. Mia sorella mi rimproverava di aver ancora chiamato, sorrisi piegai il biglietto e mi girai, fu così che mi trovai nuovamente di fronte ad Orlando, mancò poco che ci sbattessi contro.

Rise. Evidentemente dovevo essere parecchio comica ad i suoi occhi, non faceva che ridere tutte le volte che mi vedeva. Credo di averlo guardato male perché si scusò subito.

“Non è colpa mia avevi un’espressione buffa” si giustificò facendo una faccia innocente e incantatrice.

“Sì, vabbè…” abbozzai mangiando la foglia e intanto come prima alla spiaggia mi stava nuovamente studiando. Cominciai a credere che il suo orgoglio lo stesse tradendo, pensai che siccome avevo finto di non averlo riconosciuto si mettesse di proposito in mostra perché alla fine mi ricordassi chi fosse e lo adulassi.

“Bé?” gli feci guardandolo dritto negli occhi, quando voglio so essere davvero tremenda e dispettosa  e forte delle mie tesi decisi che giammai gli avrei dato soddisfazione.

“Prego” fece lui allargando le braccia mettendosi poi da parte per farmi passare.

Arricciai il naso e feci per andarmene quando a sorpresa mi disse “Non ci siamo nemmeno presentati”.

Eccolo là! Il narcisista impenitente, non aveva resistito. Così mi girai e gli tesi la mano “Mi chiamo Margaret, Meg per gli amici” gli feci con aria sardonica aspettando che LUI si presentasse, cosa che fece subito rispondendo alla mia stretta di mano “Ciao io sono Jonathan”.

JONATHAN???!!?

Non fu facile dissimulare lo stupore. Stava chiaramente prendendomi per i fondelli ma me ne sfuggiva il motivo, ad ogni modo stetti al suo gioco.

“A quanto pare, questo deve essere il villaggio dei Jonathan, ho conosciuto due uomini e tutti e due avete lo stesso nome” dissi appena una punta sarcastica.

Lui mi guardava di sottecchi, divertito, ma anche molto guardingo.

“A dire il vero io mi chiamo Jonathan Blanchard, ma è un po’ troppo lungo come nome, quindi lo abbrevio solo al primo” mi disse con aria convincente, mente i suoi occhi mi comunicavano molto chiaramente che mi stava mettendo alla berlina. In quel momento ebbi come la netta sensazione che sapesse benissimo che io sapevo, ma che deliberatamente facevo finta di non sapere e che la cosa lo divertiva alquanto, ma non potevo averne la certezza.

“Bene Jonathan Blanchard, piacere di averti conosciuto” feci un po’ imbarazzata, non sapevo più bene che dire e fare, in più quel suo sguardo così intenso, così espressivo tanto che sembrava leggerti dentro, mi stava davvero mettendo in crisi.

“Piacere mio Meg” rispose lui tranquillo “Ci vediamo in giro” aggiunse lasciando la mia mano e facendomi l’occhiolino in segno di saluto per poi andarsene tranquillo e sereno come se niente fosse.

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Capitolo 4
*** 4 ***


Per prima cosa voglio ringraziare le ragazze che mi commentano, michi88, cecy -summer89, miolety e BlackPearl. Siete fantastiche e vi ringrazio per il vostro supporto.

Purtroppo le letture sono calate :( non tantissimo, ma sono oggettivamente meno. Questa cosa un po' mi dispiace, spero di recuperare, sennò pazienza, spero almeno di non perdere le mie fedelissime e soprattutto di non deluderle.

Per oggi è tutto, al prossimo aggiornamento tra 7 o 15 giorni!

 

 

 

3

 

Quella sera prepararmi per la cena con Jonathan, il maestro di surf, fu una vera impresa.

Per prima cosa ero ancora abbastanza incredula riguardo alla faccenda di Orlando. Continuavo a chiedermi come mai non si fosse palesato per chi in realtà fosse, e mi venivano in  mente tante, troppe, risposte. Alla fine conclusi che probabilmente era proprio quello il suo intento: confondermi, perché pur non avendo prove, ne ero sempre più certa: lui aveva capito che io sapevo. Decisi, no anzi, m’imposi di non pensarci più e mi concentrai su me stessa.

Cercai anche deliberatamente di non pensare più all’episodio riguardante Jonathan e la bellona della spiaggia, anche se ad essere onesta avrei dovuto farci mente locale eccome, ma ero in ferie, volevo godermela e non farmi troppi problemi, in fondo era solo una cena.

Come avrei dovuto vestirmi? Abitino minimal, ma non per questo poco sexy? Hummm… rischiavo di dare un messaggio troppo esplicito, del tipo: sei un gran gnoccone mio caro e io sto facendo di tutto per piacerti. Minigonna con maglietta? Poteva essere una buona scelta, però la mini è tentatrice, non avrei voluto che credesse che sono una che va subito al sodo.

Jeans e cannottierina? Era l’ideale, ma il jeans inibisce, sa molto di : Hey bello guarda che stasera non si fa nulla eh?. Insomma ad ogni possibile abbinamento corrispondeva un ragionamento che aveva solo lo scopo di smontarmi ad indossarlo. Alla fine optai per una gonna, non troppo corta, e un top accollato davanti, ma con la schiena parzialmente scoperta, mi truccai con cura, ma senza esagerare, lasciai i capelli sciolti al naturale e tutto sommato il risultato non mi dispiacque affatto. Non che io fossi una di quelle ragazze che si piacciono da matti, anzi, diciamo che il più delle volte è sempre stato l’esatto contrario, ma quella sera fu una delle poche volte in cui alla fine l’immagine che mi rimandava lo specchio non era poi malaccio.

Arrivai nella Hall con qualche minuto di anticipo e per fortuna Jonathan fu puntualissimo era un vero schianto. Aveva i capelli ingelatinati, la barba fatta di fresco e indossava un paio jeans con sopra una camicia fantasia sui toni salmone che metteva in risalto la sua splendida abbronzatura, i suoi occhi verde acqua brillavano e mi regalò un sorriso a dir poco da infarto.

“Come siamo carine!” mi disse galantemente e mi prese sottobraccio.

“Anche tu non sei niente male” lo contraccambiai io seguendolo.

Mi portò nel parcheggio e salimmo su una lexus nera. “Il ristorante non è molto lontano” mi disse mentre si apprestava ad uscire dal comprensorio “E’ un bel posto e ho prenotato un tavolo” aggiunse “Parlami un po’ di te Meg, chi sei? Che fai nella vita? E sopratutto come mai sei in vacanza da sola?” mi chiese. Così mentre percorrevamo la strada che ci separava dal ristorante risposi a ciò che mi aveva chiesto. Parlando scoprii che suo padre era stato compagno di corso all’università del mio principale e che proprio il suo genitore aveva regalato ad Harris quel soggiorno di cui io stavo usufruendo. In pratica il mio boss aveva fatto il generoso con una sorta di regalo riciclato. Evidentemente non  aveva avuto voglia o occasione di poter fare questa vacanza e aveva pensato di farla passare come un premio produzione. Poco male, a me era andata bene e nonostante le mie perplessità iniziali, ora ero contenta di potermela godere.

Una volta arrivati al Narita, il ristorante giapponese mi resi subito conto che era un posto molto lussuoso e la cosa mi agitò non poco. Non ho mai amato posti troppo ‘in’ o eccessivamente esclusivi, non mi ci sento a mio agio e mi irrigidii subito.

Jonathan al contrario invece era tranquillissimo, mi fece strada e quando entrammo un cameriere gli venne subito incontro. Era chiaro che lui frequentasse spesso quel posto. Ad ogni modo aveva prenotato un tavolo nella terrazza con una meravigliosa vista sul mare, la cosa mi piacque e mi rilassai un po’. Visto che ero alla mia prima esperienza con il sushi lasciai ordinare lui e devo ammettere che il servizio era impeccabile perché l’antipasto ci fu servito in  un battibaleno. Guardai la mia pietanza un po’ perplessa quella specie di involtini di pesce crudo m’impensierivano oltre ogni dire, certo le salsine che li accompagnavano sembravano invitanti, ma era pesce morto e non cotto! Presi un bicchiere di vino e cominciai a sorseggiarlo.

“Guarda che non c’è bisogno che ti ubriachi per mangiarli” ridacchiò Jonathan “Sono buoni, davvero, fidati, almeno prova ad assaggiarli” aggiunse usando tutto il suo charme per convincermi ad assaggiarli.

Storsi la bocca due o tre volte e alla fine mi decisi, non erano davvero niente male! Rinfrancata da questa piacevole scoperta cominciai a magiare di gusto. Eravamo gia ai secondi piatti, stavamo chiacchierando amabilmente quando un brusio generale attirò la mia attenzione. Era arrivato qualcuno, qualcuno che stava indiscutibilmente attirando l’attenzione degli altri commensali presenti nel ristorante, capii chi fosse quando entrò in terrazza per prendere posto al suo tavolo.

Orlando fece il suo ingresso in compagnia della bellissima ragazza che quella stessa mattina aveva distratto Joanthan. Lei indossava un mini abito nero modello sottoveste e tacchi vertiginosamente alti, tanto che svettava anche il suo accompagnatore, che indossava una camicia bianca un po’ aperta sul petto e un paio di pantaloni neri, aveva i capelli legati e pareva molto rilassato, anche se tradiva una punta d’insofferenza dovuta al fatto di essere un po’ troppo al centro dell’attenzione. Non erano soli, poco dopo li raggiunsero anche gli altri due ragazzi, il tatuato e lo smilzo con i capelli a spaghetti che sembravano non mollarlo un minuto, anche loro in dolce compagnia. Si sedettero e ordinarono.

Jonathan sorrise e con aria complice si protese sul tavolo per intavolare una conversazione più intima che solo io avrei potuto udire .“Vedi quella è esattamente la clientela a cui ambirei io se riuscissi a mettermi in proprio” mi confessò prima di infilarsi un bel boccone di pesce in bocca.

Poggiai il mento su una mano e lo osservai “Sei davvero ambizioso tu” commentai scrutandolo. Era bello ma qualcosa in lui stonava.

“Sì, se entri in un certo giro ti manderanno di sicuro i loro amichetti famosi e tu, in men che non si dica ti fai un nome, diventi detentore di un posto esclusivo e fai soldi a palate!” mi rispose candido.

Ma perché, non ne aveva già a abbastanza di soldi? Mi venne spontaneo chiedermi, ma non solo, mi chiesi anche che diavolo ci facesse con Orlando la tipa con cui era quasi fuggito Jonathan quella mattina e soprattutto come mai lui sembrasse del tutto indifferente al fatto che lei fosse lì e per giunta con un altro, ma non profferii parola su queste mie congetture.

Intanto Orlando o non  ci vide, o fece finta di non vederci, optai, non so perché, per la seconda ipotesi, secondo me stava deliberatamente ignorando che fossimo lì.

“La gente come quella è viziata, ha un sacco di soldi da spendere e noi siamo qui solo per farli divertire, più si troveranno bene più spenderanno” aggiunse Jonathan.

“Ah sì?” domandai io un po’ poco convinta “E se fossero invece tirchi?” lo pungolai “Bé sta a noi farli scucire che credi?” mi rispose subito lui sornione “Vedi per esempio la ragazza che è con quello?” mi disse accennando a quella sorta di Miss Mondo con un impercettibile gesto della forchetta che teneva in mano “Lavora nell’albergo è una PR. Praticamente serve a far compagnia a certi clienti più importanti, diciamo” mi  spiegò con aria sorniona.

Alzai un sopracciglio e lo guardai un po’ storto “In che senso scusa?” mi venne spontaneo chiedergli. Lui ridacchiò divertito e mi guardò come se fossi una bambina curiosa “Non propriamente in quel senso, lei è una specie di guida per locali, ristoranti, e quant’altro. Ha la funzione di  accompagnare il cliente, se lo desidera, insomma, una specie di hostess per farla breve” mi spiegò dettagliatamente.

“Perché, certi clienti sono così sprovveduti da non poter andare per locali da soli?” gli domandai un po’ scettica.

“No, ma diciamo che avere a disposizione una PR è più cool, fa tendenza, dà al cliente un servizio in più” ribadì lui.

Lanciai un’occhiata in direzione Hollywood place e mi parve chiaro che i due stessero sottilmente flirtando, sarà stato anche come diceva lui, ma a me parve tutta un’altra cosa… ad ogni modo decisi di non andare oltre, in fondo a me che importava?

Già…

Ma allora perché mi dava così fastidio?

 

La serata proseguì anche dopo la cena. Quando uscimmo dal ristorante Orlando & company non c’erano più, non mi ero neppure accorta che se ne fossero andati.

Io e Jonathan andammo in un locale e poi lui insistette per portami sulla spiaggia. Ero un po’ brilla ma non tanto da non capire che cosa significasse andare in riva al mare con lui.

Di fatto non accade poi gran che, ci baciammo a lungo ma nulla di più. Fu paicevole, Jonathan ci sapeva fare, solo che non sapevo fino a che punto avessi avuto voglia di spingermi. Era chiaro che quella era solo una storia da vacanza e niente più e francamente non è che avessi voglia di lasciarmi andare. Lui non  sembrava avere fretta e la cosa mi piacque, per lo meno ebbe il buon gusto di non insistere più di tanto. Quando mi riaccompagnò in albergo mi baciò ancora e ci demmo appuntamento per la mattina dopo in spiaggia.

 

Nei due giorni seguenti continuai a prendere lezioni di surf e devo dire che ci fu anche qualche piccolo miglioramento. Jonathan con me era sempre molto carino ed il feeling tra noi continuava anche se era ancora in una fase molto superficiale.

Orlando non lo avevo più incontrato e benché ogni tanto mi guardassi in giro perché ero anche curiosa di sapere cosa facesse e se fosse nei paraggi, alla fine pensai che se ne fosse andato via, perché non lo si vedeva più da nessuna parte e non ci pensai più, ma mi sbagliavo.

Una mattina dopo la mia lezione di surf mi ero messa a prendere il sole e all’improvviso un’ombra oscurò la mia visuale facendomi credere che il sole fosse scomparso dietro una nuvola, d’istinto aprii gli occhi e mi ritrovai davanti ad Orlando.

“Ciao, posso sedermi?” mi chiese regalandomi uno dei suoi sorrisi aperti e gioviali. Trasalii appena. Aveva i capelli bagnati sciolti sulle spalle e gli occhiali da sole era veramente una visione paradisiaca, stava veramente bene. In realtà Orlando non aveva un fisico scolpito come Jonathan era proporzionato, muscoloso ma niente affatto palestrato, e porca pupattola, faceva davvero la sua gran bella figura, tanto da farmi leggermente inibire, anche per il fatto che era una celebrità e io lo sapevo benissimo, ed avere una star del cinema che ti chiede di potersi sedere sul tuo lettino, bè non è certo una cosa da tutti giorni.

“Eh… certo” balbettai un po’ confusa tirandomi su, con lo sciocco desiderio di coprirmi con il mio variopinto pareo, come se mostrarmi a lui in costume mi imbarazzasse da morire, neanche fossi nuda.

Lui si sedette accanto a me e questo contatto ravvicinato mi scombussolò ancora di più. Ma che voleva questo adesso? Era come sparito e ora mi stava accanto tanto da potermi addirittura sfiorarmi il braccio con il suo, il tutto aveva un che di surreale.

“Ho visto che cominci a cavartela con il surf, deve essere merito del tuo maestro” disse appena ironico interrompendo il corso dei miei pensieri. Lo guardai e non potei intuire niente dal suo sguardo dato che portava gli occhiali, ma ebbi come l’impressione che mi stesse provocando.

“Il maestro è bravo, pian pianino mi sta facendo capire come devo affrontare le onde. Credo che tu sappia benissimo di che cosa sto parlando” gli dissi cercando di essere più naturale possibile e non dargli nessuna soddisfazione sull’allusione velata che aveva fatto. Avevo ragione a ristorante ci aveva visti eccome!

Continuavo però a chiedermi come mai parlasse con me e come mai si sbilanciasse così tanto, probabilmente si stava solo divertendo alle mie spalle e doveva essere parecchio annoiato per farlo, non trovavo altra spiegazione.

“Tu qui sei sola vero?” mi chiese ignorando la mia risposta e cambiando argomento, come se avesse in mente una meta precisa.

“Sì perché?” gli chiesi fissandolo non capendo dove volesse andare a parare.

“Così tanto per parlare” fece lui vago, troppo vago in verità.

“Ti pare strano che una ragazza sia sola in vacanza in un villaggio?” gli chiesi un po’ polemica.

“No per carità tante lo fanno” e il suo sguardo fu un po’ troppo allusivo.

“Scusa ma stai insinuando qualcosa?” gli chiesi un po’ risentita.

“Chi io? No,no” si affrettò a dire e nei suoi occhi passò un lampo mentre scorreva lo sguardo tra me e Jonathan che era sulla battigia. Mi stava prendendo in giro.

“State insieme?” mi chiese di colpo facendo un cenno con la testa verso di lui.

Sgranai gli occhi e lo guardai allibita, ma roba da matti! Che era questo terzo grado! “Scusa ma credo proprio che la cosa non ti riguardi” risposi appena un po’ acida. Più questa conversazione andava avanti e più ero basita. Come era possibile che lui, Orlando Bloom stesse lì a farmi tutte queste domande per lo più assurde! Ma era fuori o cosa?

“Hai ragione probabilmente sono stato un po’ invadente. A volte sono fin troppo curioso è un difetto che riconosco di avere” mi disse fissandomi dritta negli occhi.

Probabilmente si stava sottilmente vendicando del fatto che mi ostinavo a fingere di non conoscerlo come se fosse diventato un punto di principio.

“Che strano, di solito le curiose per antonomasia dovremmo essere noi donne” lo rimbeccati lanciandogli questa frecciatina giusto per punzecchiarlo e non  dargliela vinta.

Lui non mi rispose, si alzò, accennò un sorriso e portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mi disse in maniera che a me  parve un po’ sibillina “Ti consiglio di stare in campana con quello”.

“Non ti preoccupare sono grande  vaccinata” gli risposi un po’ risoluta. Ma in campana perché? Ma gli diceva la testa? Stava un po’ esagerando. Averi voluto fargli anche io un paio di domande ma desistei, ero troppo confusa dal suo comportamento, non ci capivo più niente e la cosa mi turbava oltre ogni dire tanto da indurmi al silenzio.

Lui schioccò la lingua e sorrise di nuovo. Alla fine convenni che stava quasi diventando irritante con tutti quei sorrisi così generosamente elargiti a me, che parliamoci chiaro, per lui ero un’emerita sconosciuta. Ma ancora una volta interruppe il corso dei miei pensieri.

“Non lo metto in dubbio, il mio era solo un consiglio disinteressato” aggiunse mentre si apprestava ad andarsene.

“Grazie per le tue perle di saggezza Jonathan!” gli risposi con marcato sarcasmo soprattutto calcando il tono sul suo nome fittizio, così tanto per rendergli pan per focaccia.

Lui che era già di spalle mi fece un segno di saluto con la mano come per dire : di niente.

Ero abbastanza stizzita, ma come si permetteva? E soprattutto che cosa diavolo gli voleva da me?  Davvero il fatto che io fingessi di non riconoscerlo lo indispettiva a tal punto, o c’era dell’atro? Sì, ma cosa? E soprattutto l’avrei mai scoperto?

Sì. Lo avrei scoperto, ma non quel giorno ovviamente.

 

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Capitolo 5
*** 5 ***


E se qualcuno sperava di essersi liberato di me, si sbagliava!!! Scherzo ovviamente :D Eccomi qua con un nuovo capitolo che definirei interessante, ma lascio giudicare a voi miei cari lettori! Siete tornati ad essere quelli dell'inizio della storia ed io ne sono molto felice. Ringrazio moltissimo le deliziose fanciulle miolety e michi88 e a loro dedico questo ultimo capitolo in segno di riconoscenza!

Arrivederci fra 7 giorni o forse 15 come sempre!

 

 

 

5

 

Qualche sera dopo, l’albergo aveva organizzato una mega festa Hawaiana. Del resto essendo alle Hawaii c’era anche da aspettarselo, ma la cosa non mi entusiasmava molto. La mia permanenza in quell’isola stava per finire ed ero un po’ triste, ma non solo per quello. Il  mio flirt con Jonathan non aveva fatto né passi avanti, né indietro. Ci vedevamo regolarmente, lui era carino, ma a volte era strano, spariva per poi riapparire come se niente fosse. Non eravamo mai andati oltre qualche bacio ed io ero molto perplessa, in realtà mi chiedevo che senso avesse, insomma se all’inizio trovavo il tutto intrigante ora la cosa stava cominciando a stufarmi, non ero certo andata lì per farmi una storia con l’animatore di turno, semplicemente era capitato. Il fatto è che in fondo forse mi rendevo conto che era una cosa piuttosto fine a se stessa.

Ad ogni modo alla fine cedetti e decisi di partecipare al party. Mi infilai un top allacciato al collo che lasciava parte della schiena nuda, un paio di shorts di jeans e degli infradito Ovviamente la festa si teneva sulla spiaggia dove era stato allestito un buffet con diversi fuochi e quando arrivai c’era già una bolgia infernale. Jonathan non poteva essere con me perché facendo parte dell’organizzazione si doveva occupare di varie cose, ma l’avrei comunque incontrato lì anche se non avrebbe potuto spendere molto tempo in mia compagnia.

Appena arrivata lo vidi quasi subito, stava dietro il banco dove servivano gli aperitivi e subito mi servì un cocktail molto buono, ma anche molto forte. Sembrava abbastanza su di giri e quasi subito mi piantò da sola con quel beverone micidiale. Per non farmi venire un buco nello stomaco decisi di mangiare qualcosa e dal buffet mi feci servire una generosa porzione di frittura mista di pesce. C’era davvero una confusione tremenda, tanto che per avere del cibo dovetti farmi venti minuti di coda. Abbastanza stressata da questa situazione, con il mio piatto in mano cominciai a camminare allontanandomi un bel po’ da tutta quella gente. Mi accomodai sulla battigia, sistemandomi la frittura accanto e mi misi ad osservare l’orizzonte, mentre in lontananza sentivo gli schiamazzi dei festaioli. Spiluzzicai pigramente un gamberetto e continuai a guardare il riflesso della luna sullo specchio dell’acqua, mi stavo piacevolmente rilassando. L’alcool stava iniziando un po’ a farmi girare la testa ma ero estremamente tranquilla, quando sentii una specie di fruscio alle mie spalle, mi voltai e molto sorpresa vidi Orlando. Aveva un’espressione sorniona dipinta sul volto, con le labbra piegate in un mezzo sorrisetto, i capelli erano sciolti sulle spalle, in perfetto stile piratesco e indossava una camicia hawaiana variopinta, ma aperta su un paio di bermuda a righe, un accostamento decisamente azzardato, ma che stranamente a lui donava lo stesso. Al collo aveva una quantità di chincaglieria che dondolava sul suo petto ad ogni suo movimento, in quel momento mi parve dannatamente sexy, forse era anche colpa dell’alcool chissà… in mano aveva una bottiglia di vino e sembrava leggermente alticcio.

“Ma guarda chi c’è qui” mi fece lasciandosi cadere seduto accanto a me “Io ho il vino e tu il cibo, potremmo fare un equo scambio non ti pare? Comunque non ti dispiace vero se mi siedo qui?”.

Lo guardai e alzai un sopracciglio “Lo hai già fatto mi pare, comunque no, non mi dai noia  Jonathan” lo punzecchiai volutamente, ma in realtà mi faceva piacere che fosse accanto a me.

Lui ridacchiò sommessamente e si portò la bottiglia di vino alla bocca ingurgitandone una generosa sorsata, poi me la porse e io a mia volta gli porsi il piatto con la frittura.

“Come mai ti sei imboscata qui tutta sola soletta?” mi domandò sgranocchiando un totano.

“C’era troppo casino, io detesto la confusione, in realtà penso di essere appena un po’ asociale” gli risposi “E tu? Perché hai fatto lo stesso?”.

“Ti ho seguita. Ti ho vista arrivare, ho notato che il tuo bello non ti ha considerata molto, quindi ho pensato che magari avessi bisogno di compagnia” mi rispose continuando a sgranocchiare la frittura.

Mi cascò di mano il mio gamberetto e lo guardai allibita “Come scusa?” gli chiesi abbastanza scioccata.

Lui schioccò la lingua e si ripulì le dita succhiandosele una per una “Bé che c’è di così sconvolgente?” mi chiese guardandomi di sottecchi.

Mi stava fregando, perché io sapevo chi fosse, ma in realtà facevo finta di non saperlo, però l’acool aveva allentato la mia capacità di ragionamento e stavo cascando nei suoi tranelli.

“Non c’è niente di sconvolgente è solo che dai troppe cose per scontate” mi ripresi in corner “Johantan non è il mio bello, è solo il mio istruttore di surf” puntualizzai.

“Ah!” fece lui con aria saccente “E come mai esci a cena con lui?”.

“Questo non ti riguarda” gli dissi appena seccata.

“Con me ci usciresti a cena?” mi domandò a sorpresa.

“L’ho già fatto” risposi a mia volta tranquilla. Voleva giocare? Bene che si accomodasse, io non mi sarei tirata indietro.

Lui mi guardò incuriosito “Ma se non me sono neppure accorto!”.

“Secondo te, adesso che siamo facendo? Se non cenando? E siamo fuori, mi pare”.

Lui rise scuotendo la testa “Che tipa che sei!” commentò divertito “Una cena un po’ parca non trovi?” mi chiese puntando i suoi occhi dentro i miei come era solito fare.

Feci spallucce “Questo passa il Convento e a dirla tutta non sono una ragazza dalle grandi pretese” risposi tranquilla prendendo un altro gambero. Lui si appoggiò sugli avambracci e si mise a guardarmi “Ma tu sei una di quelle ragazze che vanno in vacanza da sole per noia, per mancanza di amici, o per voglia di avventura?” mi domandò.

Mi girai e lo guardai a mia volta “Non ne hai azzeccata una, sono in vacanza da sola perché l’ho vinta, una sorta di premio aziendale diciamo e tu? Tu fai tante domande ma chi sei? Che lavoro fai? E come mai sei in vacanza qui?” gli chiesi a raffica, ora ero proprio curiosa di vedere che mi avrebbe risposto.

I suoi occhi furono attraversati da un lampo, si mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio e mi rispose subito “Per vivere faccio l’artista, sono, o meglio credo di essere un ragazzo normale e sono in vacanza qui perché avevo una voglia matta di fare surf”. La sfida gli piaceva e si vedeva chiaramente.

Arricciai il naso era un gran paraculo, altro che, ma non volli insistere, se lo avessi smascherato sarebbe finito tutto il divertimento e avvertivo come se anche lui stesso volesse tirarla avanti ancora per un po’. Bevvi del vino, all’improvviso sentii una gran caldo, cominciai ad agitarmi un poco.

“Che c’è?” mi chiese lui, che maledizione non la smetteva di fissarmi, facendo aumentare le mie già ingenti caldane da consumo smodato di alcool. I suoi occhi erano così dannatamente penetranti, limpidi, ma intensi, avevano il potere come di leggere dentro l’anima, mi sentivo come senza difese con lui e la cosa mi scombussolava.

“Ho caldo” gli risposi sincera.

“Potrei proporti una bagno, ma la trovo un’idea un po’ banale!” mi disse a sua volta sincero “Posso fare di meglio..” aggiunse con un tono indecifrabile. Quindi si tirò su e a sorpresa poggiò le sua labbra sulle mie. Ricordo che rimasi all’inizio impietrita, ma quello che non potrò mai dimenticare è quanto fossero morbide. Non fu un bacio appassionato, fu piuttosto un ripetuto sfiorasi, cercarsi, assaggiarsi. Poi poggiò la punta del naso sul mio mi guardò e sorrise in maniera incredibile, lo fissai e rabbrividii “E ti sembra questo il modo di farmi passare il caldo” gli dissi con un filo di voce.

“Hai appena rabbrividito, quindi sì, lo trovo un ottimo modo” mi rispose sicuro, quindi mi poggiò una mano sulla schiena e questa volta mi baciò davvero. Le sue labbra, il suo sapore, il suo bacio furono incredibili, tanto che mi lasciai andare completamente, rispondendo con slancio a quel bacio. Con troppo slancio, tanto è vero che le mie mani, come dotate di volontà propria cominciarono ad accarezzare la liscia pelle del suo torace, cosa che con mia somma soddisfazione fece rabbrividire anche lui. Le mie dita, districandosi tra le sue collanine, potevano chiaramente percepire la sua pelle d’oca, era un miscuglio di sensazioni così piacevoli, come il formicolio che cominciò ad uggiolare nella mia pancia.

La sua mano intanto si era poggiata sulla mia schiena, il palmo aperto premeva delicatamente sulla mia pelle nuda e ne percepivo il calore, poi lui fece una leggera pressione, per indurmi ad avvicinarmi quel tanto che bastò a rendere veramente intenso il bacio che ci stavamo scambiando.

Non ricordo quando durò, né come finì, ricordo solo che alla fine una volta che le nostre labbra si staccarono, restammo tre secondi tutti e due zitti, sicuramente storditi ognuno per i suoi motivi.

Io, per parte mia, non facevo che chiedermi come cacchio facesse a baciare così bene… che avesse fatto troppa pratica?

“Non... non è stata una mossa furba” disse invece lui, appena incerto, passandosi una mano tra i capelli. Contemporaneamente si passò anche la lingua sulle labbra, come  quando si è gustato qualcosa di estremamente buono e se ne ricerca ancora il sapore sulla propria bocca.

M’indispettì e non poco questa sua uscita. “Chissà come mai voi maschi vi pentire, sempre .. DOPO!” gli dissi appena stizzita.

“Non sono affatto pentito” rispose  lui tranquillo “Ma ciò non toglie che comunque sarebbe stato meglio non farlo. Vedi il problema è che ora vorrei tanto portati in camera mia, sfilarti via quel top e quei pantaloncini e poi vorrei fare l’amore con te tutta la notte e credo che ci piacerebbe ad entrambi anche parecchio, ma poi domani dovrei pregarti di far finta di niente. Sono in una fase assai misogina e non voglio femmine tra i piedi”.

Stava facendo deliberatamente lo stronzo, oppure stava rilanciando al massimo le sue solite provocazioni. Ma non ci cascai lo rimisi a posto cavandomela piuttosto bene.

“Hai tralasciato un piccolo particolare…” gli feci fissandolo e strizzando gli occhi “Che te lo dice che io verrei nella tua stanza, ma soprattutto che te lo dice con tutta questa certezza che ci starei?” gli dissi diretta e volutamente con fare molto provocatorio “Il fatto che mi sia lasciata andare ad un bacio non significa necessariamente che io sia disposta a fare sesso con te. Spero che tu stessi solo provocando perché altrimenti dimostri solo di essere retrogrado” gli dissi e di proposito usai la parola sesso.

Lui non si scompose, era tosto il ragazzo, tosto e dannatamente intrigante, anche se mi faceva uno strano effetto, da una parte avrei voluto strappargli i vestiti di dosso, dall’altra l’avrei preso a schiaffi e avrei smesso solo l’indomani!

“E va bene hai ragione ho peccato di presunzione” ammise, ma era chiaro che era tutto parte di questo nostro assurdo gioco “E se ti chiedessi di dormire con me? Solo dormire, condividere il letto senza fare altro?” mi chiese fulminandomi letteralmente con uno sguardo penetrante quanto una lama d’acciaio.

Sentii un vuoto alla bocca dello stomaco, l’idea di dormire con lui, mi aveva letteralmente scombussolata. Ma era pazzo o cosa? No, no, era ubriaco! Ecco il punto, non c’era altra spiegazione ad un comportamento così del tutto insensato.

“Non posso condividere una cosa così intima con un perfetto sconosciuto, Perdonami Jonathan, (stavo per dire Orlando, ma miracolosamente mi ripresi senza farmi accorgere) per quanto ne so io potresti anche essere un serial killer” buttai lì un po’ melodrammatica,  non sapevo davvero che dire ero troppo fuori fase, ma una cosa era certa, dovevo assolutamente uscire da quel pericolosissimo dedalo che quel giochino assurdo stava creando.

Abbozzò un mezzo sorriso, sembrava stranamente soddisfatto, ma al contempo anche appena deluso, o forse ero io che leggevo nei suoi gesti più di quanto in realtà non ci fosse davvero.

“Okay hai ragione, scusa, sono decisamente alticcio e sragiono. Seriamente, almeno a fare surf con me domani ci vieni?” mi chiese e sembrava del tutto sincero.

Ecco era riuscito a spiazzarmi per l’ennesima volta. “Io… beh, ecco.. sì, suppongo di sì” ciancicai a disagio, ma come? Non ero stata a disagio quando mi baciava e lo ero adesso?

Forse mi stavo rendendo conto solo adesso di ciò che stava accadendo, per qualche ragione a me del tutto ignota Orlando Bloom e non un Vinicio Cozzari qualsiasi, attenzione! Stava facendomi il filo, non solo, ci aveva anche provato e neanche tanto sottilmente. Mi tremavano le ginocchia, fortuna che ero seduta.

Fummo però interrotti dall’arrivo dei due tipi che gli stavano sempre appresso.

“Stai qua? E’ tutta sera che ti cerchiamo!” esordì quello più magro, che addirittura aveva gli occhiali da sole, ma come diavolo faceva a non inciampare di notte con gli occhiali scuri?

Orlando alzò lo sguardo stancamente “Già, sono qua” fece leggermente ironico, ma mal celando anche una  punta di sarcasmo.

“Andiamo và che è tardi” aggiunse il tipo.

“Bas, non ti sembra che io sia abbastanza cresciuto da sapere da solo quando è l’ora di andare?” rispose l’inglese fulminando l’altro.

Quello non si scompose “Dai sai benissimo che dobbiamo alzarci presto domani mattina”. Il tipo sembrava assolutamente immune alle proteste del suo interlocutore.

“Okay, lasciami salutare la mia amica e poi vengo” concluse Orlando rassegnato.

“Ti aspetto al buffet” tirò corto quel Bas e senza degnarmi di uno sguardo trascinò via l’altro lasciandosi nuovamente soli.

“Simpatico come una attacco di colite eh?” mi scappò detto.

 Orlando scoppiò a ridere di gusto gettando la testa all’indietro.

“E’ mio cugino!” mi disse ancora ridendo “Non ci fare caso è iper protettivo, pensa ancora che io abbia dodici anni, come la prima volta che venni a trovarlo in America dall’Inghilterra” gli scappò detto.

Lo guardai e alzai un sopracciglio “Tanto l’avevo capito che eri inglese” ma perché gli stavo  facilitando le cose?

Lui sorrise sornione e si alzò “Mi spiace che sia stato maleducato, ma è un po’ in pensiero per me, magari un giorno se mai capiterà l’occasione ti spiegherò il perché”.

“O magari non lo farai perché tanto di me non ti fidi” scappò detto questa volta a me.

Lui inclinò la testa su di un lato e si mise l’indice sulle labbra picchiettandosele “Humm…” fece pensieroso “Io non mi fido mai a priori, quindi non prenderla sul personale” disse tranquillo, poi prese la mia mano e con molta naturalezza mi attirò a se, mi sfiorò la guancia con un bacino “Buonanotte Sirenetta” mi disse “Vai a nanna anche tu che Bas aveva ragione domani mattina alle sette vengo a prelevarti per andare fare surf”.

Annuii come un ebete e lo salutai mente lo vedevo andarsene dai sui due scagnozzi.

Quel saluto ingenuo aveva nuovamente risvegliato quello stramaledettissimo formicolio nella mia pancia, proprio sotto l’ombelico.

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Capitolo 6
*** 6 ***


Eccomi a pubblicare il capitolo 6. Sono un pò titubante se continuare o no nella pubblicazione, non credo di essere all'altezza di questa sezione o meglio credo che il mio modo di scrivere non incontri il favore dei lettori, magari sono troppo banale. Quindi sto meditando seriamente il da farsi. Desidero comunque ringraziare tantissimo chi ha recensito questa storia ossia: michi88, miolety, lust_lucy, bebe e Makula.

 

 

 

 

6

 

Quella sera le sorprese non erano finite. Anche io abbandonai la spiaggia e m’incamminai verso il fulcro della festa, chissà perché poi non ero andata con Orlando, verso il buffet intendo, fatto sta che una volta rientrata dove si trovava la maggior parte della gente, beccai Jonathan, il maestro di surf, che stava pomiciando con la fatalona che avevo visto al ristorante con Orlando.

Ci rimasi male. La cosa mi dette noia, non tanto perché in realtà me ne fregasse qualcosa, ma insomma l’orgoglio è pur sempre l’orgoglio e vedersi scaricate non fa piacere a nessuna. Sì, okay, anche io non è che fossi stata sull’albero a cantare, ma come sempre con noi stessi siamo assai indulgenti rispetto a come lo possiamo essere con gli altri.

Alla fine fu anche meglio così, almeno mi sarei potuta ritenere libera di fare ciò che mi pareva… sì, ma di fare cosa? D’un tratto fu come se i fumi dell’alcool si fossero di colpo esauriti e all’improvviso mi rendessi conto di TUTTO ciò che era capitato.

Momento di autentico panico!

Cominciò a mancarmi il respiro, ODDIO! Orlando Bloom aveva baciato ME!!!

Sembrava il brutto titolo di una sit-com demenziale! L’impiegata che vince il viaggio alle Hawaii e che incappa nello pseudo stereotipo di principe azzurro, sogno di ognuna, e lo conquista PURE! Orrore, assomigliava alla versione moderna e decisamente naiffe di Cenerentola 2008.

Che pensieri penosi che si stavano affacciando nella mia confusa testolina! Io così pratica, così volutamente razionale mi ero lasciata andare ad un pericolosissimo volo pindarico, ah ma avrei rimediato e subito, fin dall’indomani stesso. Bisognava dare un taglio a tutte queste situazioni assurde quanto ingarbugliate, ordine! Ecco che cosa ci voleva. Sarei andata a surfare con Orlando SOLO per chiudere definitivamente la parentesi Jonathan(s). Uno era archiviato, ora toccava all’altro, a quello che in realtà si chiamava in tutt’altro modo.

 

Ma tra il dire ed fare c’è di mezzo il mare… per l’appunto quello che fu teatro un bel capovolgimento di situazione. Ma andiamo per ordine e partiamo dall’inizio di quella giornata.

 

Non so come accadde, forse fu colpa di una sorta di meccanismo inconscio, ma la mattina seguente non sentii la sveglia e mi svegliai giusto mezz’ora prima dell’appuntamento. Come mi resi conto della cosa schizzai fuori dal letto come se avessi cento diavoli alle calcagna e m’infilai sotto la doccia lavandomi alla velocità della luce. Una volta fuori cercai disperatamente un costume intero, l’unico che avessi portato ma non riuscii a trovarlo. Con notevole ansia m’infilai un due pezzi a strisce di gradazione color arancio e afferrai qull’aggeggio infernale che porta il nome di tuta della Maui. In un impeto di masochismo me l’ero pure comprata… come se poi a casa mi fosse servita! A volte facevo delle cose davvero stupide, tergiversazioni a parte cominciai a lottare con l’indumento malefico per infilarlo. Essendo così dannatamente stretto, facevo una fatica bestiale ad indossarlo anche perché io sono magra, ma non un alice, ho una magrezza ‘normale’ con un po’ di ciccia ben messa qua e là e proprio il mio sedere è il punto più ostico dove s’incagliava la maledetta tuta. Facendo una fatica bestiale alla fine riuscii nell’intento quando qualcuno bussò alla mia porta. Non poteva che essere lui. Mio Dio! Ero così in ritardo, ancora non mi ero pettinata, né mi ero messa il mascara waterproof (sì lo so lo dovevo liquidare, e allora? Lo volevo fare con classe e non modello ciospa appena alzata!). Di certo non mi sognavo di presentarmi come in effetti mi presentai. Aprii la porta con la tuta ancora mezza a ciondoloni visto che dovevo ancora infilarmi la parte superiore, i cappelli arruffati, una ciabatta sì ed una nò.

Lui appena mi vide alzò un sopracciglio “Sirenetta hai dormito male?” mi chiese incrociando le mani al petto divertito.

“Ehmm… no capitan Findus, il fatto è che sono in ritardo… non ho sentito la sveglia” gli confessai sinceramente, facendolo entrare. Cioè stavo facendo entrare Orlando Bloom in camera mia! Sono sicura che mai nessuna delle mie amiche mi avrebbe creduta (Aridagli! Lo SO’ ! Dovevo mandarlo a quel paese, ma mica potevo farlo subito, lo avrei fatto con calma a fine giornata).

“Capitan Findus?”  mi chiese lui questa volta inarcando tutte e due le sopracciglia, quel  ragazzo era una macchietta, faceva delle facce irresistibili, ed il bello era che più a cretino le faceva e più dannatamente carino era, ma  dico io si può?

“Non ho capito scusa, tu mi puoi tranquillamente chiamare Sirenetta, e io non posso chiamarti Capitan Findus?” risposi mentre alla velocità della luce stavo pettinando i capelli per fermarli poi in una coda alta.

Lo sentii schiarirsi la voce “Ecco…” cominciò prendendola molto alla lontana “A parte il fatto che Sirenetta è molto più carino di Capitan Findus come nomignolo, ma devo confessarti una cosa, io… mi spiace ma…  non mi ricordo il tuo nome” concluse infine facendo una faccetta contrita.

Era una sciocchezza, ma ci rimasi malissimo. “Mi chiamo Margaret” gli risposi asciutta.

“Ecco!” fece lui picchiandosi il palmo della mano sulla fronte “Scusa ma proprio non mi veniva a mente”.

“Non importa” biascicai con finta noncuranza facendo spallucce, mentre cercavo di darmi un tono cercando gli occhiali da sole.

Che stupida! Stupida due volte. Prima per essermela presa, che mi importava se non ricordava il mio nome? Perché me la stavo prendendo così tanto? E secondo stupida perché mi stavo quasi dimenticando CHI lui fosse. Era normale che non ricordasse il nome di una  Meg qualsiasi che molto probabilmente si stava divertendo a sfottere solo perché in vacanza e magari a corto di svaghi.

“Sono pronta!” esclamai esibendo il mio più falso, ma ben riuscito sorriso.

“Bene. Seguimi allora” mi rispose mister Hollywood con aria scanzonata e mi fece strada verso la Hall dell’albergo per poi oltrepassare la soglia e dirigersi fuori, all’aperto.

Mentre camminavamo in silenzio l’uno a fianco dell’altra, continuavo chiedermi perché una persona così razionale come me dovesse essersi messa in quella situazione assurda, poi decisi di fare una cosa: basta con tutte queste paranoie. Se mi prendeva in giro, oppure no, erano fatti suoi a me non riguardava infondo io ero in vacanza, perché rovinarmela?

Da quel momento decisi che avrei smesso di pensare a lui come Orlando Bloom, lui sarebbe stato solo Johnatan e almeno per quel giorno mi sarei goduta in santa pace la giornata al mare, poi l’avrei liquidato come deciso e sarebbe rimasto solo un divertente e piacevole ricordo da conservare e raccontare ai nipotni.

Ci dirigemmo verso il parcheggio del villaggio e davanti alla mia faccia perplessa lui sorrise spiegandomi il perché fossimo lì “Andiamo in una spiaggia un po’ defilata, si raggiunge con la macchina, Clive e Bastian ci aspettano sulla jeep che abbiamo affittato e mi sono permesso di prendere una tavola anche per te visto e considerato che non credo che tu ne abbia una personale”. Annuii e ringraziai però il fatto che ci fossero anche quei due mi mise parecchio in difficoltà. Non  so perché ma la cosa mi agitava, in poche parole i miei buoni propositi di prima stavano andando al diavolo, ero di nuovo sulla difensiva. Come se mi avesse letto nel pensiero Orlando aggiunse “C’è anche una… una mia amica” disse con una lieve incertezza nella voce, come se non sapesse bene come classificare la tipa di cui stava parlando.

“Siamo quindi una bella banda” dissi mostrando un entusiasmo assolutamente falso. Il fatto che ci fosse ANCHE una sua amica mi fece quasi incazzare, forse solo il mio orgoglio m’impedì di sentirmi ferita da una cosa totalmente assurda e fuori luogo.

Lui annuì “Sì siamo un bel gruppetto, ma vedrai che ti troverai bene” disse serenamente. Arrivammo al parcheggio e con mia sorpresa, ma non vi nascondo anche con sollievo, vidi che la sua amica, era una donna grande di età non certo una ragazzina insomma e comunque a parte ciò era davvero poco avvenente, la cosa mi tranquillizzò anche se Sebastian, suo cugino, mi guardava davvero di traverso. Certo non era stato carino da parte mia essere felice che l’amica di Orlando fosse una tardoncella racchiotta, ma il sollievo che provai fu davvero enorme visto che ero pronta all’incontro/scontro con una valchiria alta due metri e magra come un’ alicetta, magari anche con viso da bambola di porcellana.

Facemmo subito le presentazioni e Cheril, la donna in questione, fu molto carina, ma anche molto sulle sue, Bastian invece fu freddissimo e Clive, l’altro ragazzo, quello con i capelli lunghi a spaghetto rise in maniera buffa. Mi sarei resa conto dopo che quello era proprio così, rideva ad ogni battito d’ali di farfalla, una roba  da non credere. Cheril invece stava sempre zitta, come Bas che sembrava infastidito dalla mia presenza, Orlando invece sembrava sereno e tranquillo molto padrone della situazione. Io per conto mio decisi la via della diplomazia e più che parlare ascoltai loro, che più che altro però dissertavano di surf, vento e onde.

Dopo una mezz’ora di guida approdammo ad una scogliera ripida che conduceva ad una spiaggetta molto riparata da occhi indiscreti. Scendemmo dall’auto e ognuno prese la sua tavola, quindi a piedi c’incamminammo per il tortuoso sentiero davanti a noi. Orlando faceva battute e scherzava, Clive gli dava corda, i rimanenti, cioè io; Bastian e Cheril stavamo zitti. Io più che altro stavo ben attenta a dove mettevo i piedi. In cuor mio mi dissi che se forse non avessi accettato questa uscita alla fine sarebbe stato molto meglio! Non so, ma tirava un’aria strana e Sebastian mi metteva davvero a disagio, mi faceva volutamente sentire fuori posto e la sua disapprovazione nei miei riguardi era così tangibile che riuscivo a sentirla nell’aria.

 

Ancora una volta però mi sbagliavo, non su Bas ovviamente, ma sul fatto che sarei dovuta rimanere a casa. Passato un primo momento di difficoltà, Orlando ebbe la grande capacità di mettermi a mio agio e ci divertimmo parecchio.

Io e lui ci defilammo subito per i fatti nostri. Prendemmo le tavole e ce andammo in acqua. Non eravamo lontani dagli altri, ma stavamo per conto nostro. Lui tentò di insegnarmi a surfare. Era un ragazzo paziente anche se di natura è come se avesse l’argento vivo addosso. Si mise con tutta calma a spiegarmi la postura, il modo di issarmi sulla tavola, come mantenere l’equilibrio e come affrontare le onde. Non ci fu niente da fare, ogni tentativo da parte mia di surfare finiva in maniera a dir poco indecorosa. Alla fine anche Orlando fu costretto ad arrendersi alla mia imbranataggine e si scatenò da solo, rinunciando ad una mia possibile compagnia in quel tipo di sport. Io rimasi mollemente a cavalcioni della mia tavola a guardarlo. Aveva un eccellente equilibrio e vederlo cavalcare le onde con spavalda sicurezza urlando come un pazzo era davvero uno spettacolo. Si muoveva sinuoso, ma sicuro, assecondando il movimento della tavola, con le braccia perfettamente in asse che gli consentivano un equilibrio quasi perfetto. Certo a volte cadeva, beveva anche, ma rideva e rimontava subito sulla tavola, dimostrando di possedere un’energia invidiabile. Sembrava davvero immune alla stanchezza fisica oltre che davvero bravo in quello sport difficile e particolare. Io lo incitavo con fischi ed urla, mi ero addirittura galvanizzata nel vedere come affrontava le onde e le piegava al suo volere cavalcandole! Facevo proprio il tifo e sinceramente mi dispiaceva non riuscire a surfare neanche un pochino, sicuramente doveva essere esaltante e appagante come sensazione. Ad un certo punto un moto d’orgoglio mi scosse e mossa non so bene da quale forza tentai l’intentabile: issarmi sulla tavola. Non so bene né come, né perché, ma ci riuscii e non sto a dirvi la gioia, incerta come un bambino che muove i primi passi tentennai arrancando per mantenere l’equilibrio, fu a quel punto, proprio quando stavo riuscendo nell’impresa e stavo per richiamare la sua attenzione, che Orlando mi piombò addosso a tutta velocità con la sua tavola. Evidentemente mi aveva vista solo all’ultimo momento dato che lo sentii urlare il mio nome, giusto un attimo prima che mi travolgesse. Volammo entrambi a gambe all’aria in acqua insieme alle nostre rispettive tavole e io andai sotto, bevendo parecchio. Non stavo quasi capendo più niente quando mi sentii afferrare saldamente e tirare verso l’alto. Mi aveva presa e tirata su, nel farlo involontariamente aveva toccato il mio seno. Immediatamente aveva ritirato subito via la mano ed era palesemente e notevolmente imbarazzato. Siete padroni di non crederci, perché è incredibile, ma era pure arrossito come uno scolaretto.

 “Scusa io non volevo, è stato casuale” s’affrettò a scusarsi.

A me francamente in quel momento importava poco visto che stavo sputacchiando e tossendo cercando di espellere l’acqua che avendo bevuto, mi era andata di traverso. Gli feci  cenno con la mano che era tutto a posto mentre goffamente stavo aggrappata alla mia tavola.

“Non ti avevo proprio vista mi dispiace. Ti ho completamente travolta.” si scusò ancora mortificato “Stai bene? Ti sei fatta male?” mi chiese ancora con premura.

“Sto… bene… non ti preoccupare” gli dissi tra una tossita e l’altra. “Ho solo bevuto, ora passa tutto”.

“Però Meggy che figata! Stavi sulla tavola, ci sei riuscita, e da sola hai visto?” mi disse con sincero e spontaneo entusiasmo. “Io me lo sentivo che se volevi ce la potevi fare” concluse con un luminoso sorriso.

Quel ragazzo aveva una capacità meravigliosa: era capace di trasferirti non solo la sua voglia di fare, ma anche il suo entusiasmo, era un conduttore naturale di energia positiva. Lo guardai  sorrisi mia volta e mi sentii come capace di chissà quali prodezze.

“E adesso ci riprovo pure!” affermai decisa. Cosa che mai e poi mai mi sarei aspettata da una rinunciataria come me.

“Ben detto Meggy,e ti prometto che questa volta ti starò alla larga, tavola e mani comprese!” ridacchiò divertito quella sorpresa continua di Orlando Bloom, nome in codice solo per me: Jonathan!

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Capitolo 7
*** 7 ***


E finalmente arriva il capitolo 7. Sono spiacente per questo ritardo, ma sono rimasta a secco di ispirazione, o meglio ho tutto in testa ma fatico a scriverlo.

Voglio davvero ringraziare tutti per il meraviglioso supporto. Non è che cercassi complimenti ad ogni costo credetemi, cercavo solo un pò d'incoraggiamento e mi fa tanto piacere averlo ricevuto, quindi grazie alle ragazze che mi hanno supportata: bebe, michi88, miolety, eminae, summer89 e amarantab e ad africa che non ha commentato ma ha aggiunto la storia tra le sue preferite :D

 

 

 

 

7

 

Fu un pomeriggio speciale.

Per qualche ora vi giuro dimenticai completamente con chi avessi in realtà a che fare e scoprii un ragazzo pieno di entusiasmo ed energia che mi trasmise tutta la sua adrenalina facendomi divertire come una pazza. Riuscì ad insegnarmi anche a surfare, oddio, a dire il vero diciamo che imparai a stare dai dieci ai trenta secondi alla volta issata sulla tavola. Ma che importava? La cosa stupefacente fu che Orlando mi fece passare una giornata davvero splendida. Non era solo un bel ragazzo e credetemi lo era davvero, fino quasi a farti del male, piuttosto era il suo modo di fare che finiva con il conquistarti ed il lasciarti completamente incantata. Se poi ci vogliamo aggiungere un sorriso capace di resuscitare un morto, capite bene che invaghirsi di lui era quasi una conseguenza naturale, come il tramonto che sussegue all’alba.

Io non ero solo invaghita, nel senso che certamente ero rapita dalla sua avvenenza e conquistata dal suo modo di fare, ma ero anche qualcosa di più: ero sulla sua stessa lunghezza d’onda. Fu una sensazione stranissima, ma quel pomeriggio mi parve davvero di conoscerlo da una vita quando in realtà non lo conoscevo affatto. Insomma fu un susseguirsi ed un rincorrersi di strane e piacevoli sensazioni.

Ma non furono tutte rose e fiori.

Quando esausti ci ritirammo sulla spiaggia, gli altri erano ancora in acqua molto lontani da noi. Eravamo entrambi stanchi, posammo le nostre tavole da una parte, al sole, e ci levammo le tute. Orlando lo fece con grazia felina, con una naturalezza innata, io invece feci la mia solita faticaccia, mentre lui mi guardava e sghignazzava impunemente.

“Non è affatto carino che tu rida delle disgrazie altrui” protestai facendo il broncio.

“Ma guarda ti assicuro che sei carina, mi ricordi una contorsionista. Una sirenetta acrobata!” mi rispose lui facendomi l’occhiolino, mentre si scioglieva i capelli lasciandoli liberi di ricadergli quasi sulle spalle umidi e lucenti. Cosa che mi procurò quasi un principio di sincope, ma che era matto a fare quelle cose mentre lottavo con il mostro, alias la tuta della Maui?

Avevo come il sentore che lui fosse pienamente consapevole del suo fascino e lo usasse impunemente per ammaliare, ma non tanto perché fosse vanesio, o narciso, ma semplicemente perché tutto ciò lo divertiva. Era un seduttore nato, era la sua natura, ma era anche scanzonato, non si prendeva poi troppo sul serio nel ruolo di novello Casanova.

“Sei un gran paraculo!” gli dissi facendogli una bella linguaccia corredata da pernacchia.

Lui rise di gusto e si stese al sole su telo da bagno. Alla fine, libera dalla tuta feci lo stesso.

“Carino il tuo costume” mi disse dandomi apertamente un’occhiata, praticamente passò in veloce rassegna la mia silhouette, ma pur non lasciando trapelare niente, la cosa mi mise enorme imbarazzo ed istintivamente mi misi in tutta fretta a pancia sotto come per proteggermi da lui, come se rappresentasse un pericolo. In un certo senso lo era davvero, davanti a lui ero troppo indifesa.

“Il tuo invece è assai curioso” gli dissi osservando i suoi pantaloncini stile militare che portava esageratamente a vita bassa, tanto che per tutto il tempo che era stato in piedi, avevo avuto la netta sensazione che gli potessero scivolare giù, fino alle caviglie da un momento all’altro. Era sfrontato, terribilmente affascinate e pericolosamente vicino, reale, in parole povere una vera tentazione. Chi al posto mio non avrebbe cullato l’idea di lasciarsi andare totalmente a lui, ad un suo solo cenno? Tutte credo. Almeno tutte quelle a cui lui piace, ma sono certa che alla fine lo avrebbero trovato affascinante anche chi sullo schermo lo snobba.

Nel frattempo lui si era assopito. Esattamente come accade ai bimbi, prima aveva fatto il diavolo a quattro sulla tavola ed ora era crollato sotto i caldi raggi del sole. Il suo stomaco si alzava ed abbassava ritmicamente segno che il suo respiro era regolare, forse stava addirittura sognando, dato che aveva un’espressione davvero beata dipinta sul volto. La sua pelle era leggermente arrossata dal sole, ma così serica tanto da indurmi a  desiderare di sfiorarla con le mie dita. Non avevo mia visto una pelle così compatta e così bella a vista, era incredibile. Orlando non era perfetto, tutt’altro, era piuttosto una perfetta accozzaglia di meravigliosi difetti che lo rendevano unico e splendido. Ero ancora a pancia sotto, con il viso appoggiato sul palmo di una mano che me lo guardavo in pace, beandomi della visione di quel corpo baciato dal sole e di quel viso sereno, quando mi balenò in testa un’idea sciocca ma innocente, volli fermare l’attimo, desideravo avere un ricordo tangibile di quel momento. Impulsivamente senza premeditazione alcuna afferrai il cellulare e lo fotografai, poi mi stesi anche io al sole rilassandomi. Ero stanca e pian pianino mi assopii fino ad addormentarmi della grossa anche io.

Non so quanto tempo passò non ho idea. Fui però svegliata da delle voci concitate, era come se qualcuno discutesse o peggio stesse litigando.

“A volte sei proprio un idiota! Mi domando come cazzo ragioni!”.

Chi stava parlando era Sebastian ed era rivolto ad Orlando, si fronteggiavano, ma l’attore sembrava piuttosto tranquillo a differenza del cugino.

“Stai esagerando” gli rispose cercando di gettare acqua sul fuoco.

“Esagerando? Ti ha fotografato cazzo! Che altro deve fare chiamare tutti paparazzi delle Hawaii e farli venire qui?”.

In quel momento mi svegliai definitivamente e capii che Copeland stava parlando di me e che aveva il mio cellulare in mano.

Mi alzai di scatto, e glielo levai di mano, fu un gesto spontaneo e del tutto impulsivo.

“Scusa ma questo è mio” feci piuttosto risentita al cugino di Orlando, del resto come si permetteva di averlo preso in mano?

“Ah! La bella addormentata si è svegliata…” fece piuttosto sarcastico arricciando un labbro mentre mi squadrava da capo a piedi “Poi mi spiegherai se ne valeva la pena” commentò caustico rivolto al cugino.

Avvampai e ci rimasi male, avrei voluto rendergli pan per focaccia, ma mi trattenei “Invece di a fare commenti fuori luogo, mi spieghi che ci facevi con il mio cellulare in mano?” chiesi ancora più irritata di prima ma mantenendo un certo contegno.

“Non è niente Meggy” intervene a quel punto Orlando “Si è irritato perché mi hai fotografato, sai lui è fotografo professionista ha questa fissa delle foto e pensa di essere l’unico al mondo ad avere il diritto di fotografarmi…” mi disse in modo assai poco convincente come per aggiustare il tutto, ma io ero stanca di quella pantomima e soprattutto non mi piacque il tono accusatorio di Sebastian.

“Sentitela facciamola finita. Okay il giochino è stato divertente adesso basta! So benissimo chi sei, e tu sai benissimo che io l’ho sempre saputo” dissi ad Orlando scoprendo le carte in tavola “Questo però non fa di me a priori una cacciatrice di scoop, né tanto meno una disonesta approfittatrice” continuai poi rivolta al cugino fotografo “Sia ben chiaro, ho voluto fotografarlo solo per ricordo e non ti permetto di prendere la mia roba e di accusarmi!” aggiunsi livida.

“Tanto la foto l’ho già cancellata” mi rispose Copeland con un sorrisino trionfante dipinto sulle labbra “Così siamo certi che se anche dovessi cadere in tentazione, senza materia prima non  farai danni”.

Mi salì il sangue alla testa “Io mi domando chi vi crediate di essere! Questo gioco è stato giocato da TUTTI allo stesso modo! Potevate NON invitarmi se temevate così tanto che io potessi essere un pericolo. E non tollero di essere accusata da gente che ha violato ma mia privacy prendendo il MIO telefono,  rovistando e cancellando materiale!” gli risposi abbastanza istericamente. Ero davvero offesa, mi facevano sentire in colpa e non sapevo neppure io il perché.

Orlando ebbe un moto di stizza. “Ha ragione Bas, cazzo, a volte sei davvero paranoico, tanto lo sappiamo che i paparazzi sanno che siamo qui e sicuramente, se non è oggi, già mi avranno beccato, o comunque mi beccheranno, che centra lei? Lei era una cosa diversa.

“Una cosa?” gli feci io scattando sulla difensiva torva, e puntando le braccia ai fianchi “Belli capelli io SONO una persona e non una cosa chiaro?” gli sibilai, ero così arrabbiata che prendevo tutto per verso sbagliato, ma ormai ero decisamente sulla difensiva.

“Calmati, è un modo dire. E’ ovvio che non sei una cosa in senso lato” mi rispose lui cercando di stemperare i toni.

Suo cugino sbuffava, ma intervenne Cheril “Probabilmente giocare, in questo caso non è stata una cosa molto furba” commentò, ma guardava Orlando non me.

All’improvviso mi sentii proprio a disagio, mi pareva d’essere come una sorte di animaletto domestico portata fuori al guinzaglio, forse Cher aveva ragione era stata una gran cazzata questa cosa del fingere di non sapere, ma da parte di entrambi, non solo di Orlando. All’improvviso tutto ciò mi fece sentire molto idiota, molto fuori posto e mi parve che tagliare la corda fosse l’unica soluzione, una liberazione.

Presi il mio cellulare e chiamai un taxi. Orlando mi guardò male “Scusa ti accompagniamo noi no?” mi disse un po’ contrariato, ma anche leggermente smarrito, come se la cosa gli fosse sfuggita di mano  non sapesse più come gestirla.

Lo guardai, e gli risposi che non era il caso, mi scusai con tutti e svelta mi avviai a passo veloce sul per il sentiero fino a raggiungere la strada. Di lì a poco arrivò il taxi e me ne andai senza voltarmi indietro. Avevo sentito dietro di me le proteste di Orlando, ma le avevo ignorate.

Una volta rientrata nella mia camera mi spogliai e infilai sotto la doccia. Tra qualche giorno sarei rientrata a casa a Boston e avrei archiviato questa strana, no, anzi questa straordinaria quanto incredibile vacanza. Nonostante tutto era una cosa più unica che rara, un ricordo prezioso di cui fare tesoro. Al sicuro nella mia camera, stavo valutando le cose con più calma e meno livore.

L’acqua calda mi scorreva sul corpo, mentre il profumo di vaniglia del mio bagnoschiuma mi deliziava le narici, dandomi quella sensazione di casa che in questo momento mi cullava rilassandomi. Una volta fuori dalla doccia, mi cosparsi il corpo di crema emolliente e mi infilai in un pigiamino in cotone, canotta e shorts molto comodo. Mi asciugai i capelli e fu allora e solo allora, che con un tempismo perfetto, mi bussarono alla porta.

Già prima di aprire sapevo che era lui, così quando me lo ritrovai davanti non fui molto sorpresa.

Si appoggiò allo stipite della porta inclinando la testa di lato. “Ti dirò una cosa” esordì “Avevo bisogno di un po’ di sana normalità. Non l’ho fatto di proposito è capitato, una fortuita coincidenza, sai quelle cose fatte sulle ali dell’impulso?” mi disse con quegli occhi che sapevo guardare oltre, entrarti dentro e scrutarti a fondo.

Annuii abbozzando un mezzo sorriso “Capisco perfettamente” del resto io avevo agito d’impulso tale e quale a lui e poi non ero più arrabbiata a dire il vero faticavo a d esserlo con lui.

Fece spallucce e sorrise a sua volta “Sono stato bene, intendo dire che è stato uno scambio reale, non mi sono divertito alle tue spalle. Sai a volte per gente come noi, nonostante tutto, poter essere solo noi stessi è quasi impossibile, quando ci si riesce è molto bello e anche gratificante. Mi dispiace che poi sia andato tutto a puttane per una foto, sono convinto che il tuo intento fosse onesto, che non ci fossero secondi fini”.

“Grazie” gli dissi sincera “Sai è molto surreale che io te ce ne stimo qui a parlare come due persone che si conoscono da tempo, quando in realtà non è così, però mi piace il tipo di persona che sembri essere, sinceramente non avrei mai immaginato che uno del tuo calibro potesse essere così semplice”.

“Oh ma non sono un Santo sia chiaro”.

“Ma certo che no! Anche perché saresti noioso suppongo” lo rimbeccai divertita.

Calò qualche secondo di imbarazzante silenzio. Lui fermo sullo stipite della porta che occhieggiava la mia stanza, io che dondolavo nervosamente sulle mie gambe cullandomi sull’amletico dubbio: lo faccio entrare o no?

Fu lui alla fine a rompere il silenzio “Posso entrare?” mi chiese senza tanti preamboli.

“Sì certo” risposi prontamente e lo feci accomodare.

Era nuovamente un po’ imbarazzato, sorrideva e si grattava la testa “Ci tenevo a dirti che non  mi comporto sempre così e che comunque tutto ciò che è accaduto è stato molto spontaneo, anche terapeutico se vuoi. Quando ti ho detto che sono in un periodo un po’ anti femminile è vero. Non perché io detesti le donne, tutt’altro, ma è finita da poco una storia molto importante ed è finita un po’ maluccio quindi è naturale che abbia scelto per un po’ di stare in stand by”.

“Davvero non c’è bisogno che ti giustifichi oltre, sono adulta e se non fossi stata consenziente, o se tua avessi fatto qualcosa che non mi stava bene te l’avrei detto senza problemi” lo rassicurai.

Era sempre più incredibile quello che stava accadendo.

Lui mi guardava e non so perché, ma io mi sentivo sempre più piccola e sempre più inadeguata. Per Diana! Era pur sempre un attore, un personaggio pubblico, un uomo famoso e io ero un’ordinaria Miss nessuno.

“Sei a disagio?” mi chiese improvvisamente “Eri più spavalda sulla spiaggia quella sera che abbiamo mangiato i gamberi” commentò sorridendo.

 Arricciai il naso “Bé allora potevo far finta che tu fossi un Jonathan qualunque, ora invece mi ritrovo Orlando Bloom in camera, se sono quanto meno un po’ spaesata è normale no?”.

Lui fece una smorfia e osservò il soffitto “Orlando Jonathan Blanchard Bloom è una persona come tutte. Pensa, ti svelerò un segreto, vado d’intestino come tutti i comuni mortali!” mi disse con aria grave e solenne.

 Mi fece fare una delle più grasse risate che mi sia mai capitato di fare.

“Sei veramente matto! Non sei mai veramente serio tu?” gli chiesi tra le risa.

“Certo che lo sono, ma questo mio umorismo è tipicamente britannico, se non mi prendo in giro, finisco che mi prendo troppo sul serio, come fa Bast che fa una tragedia per tutto!” mi confessò facendomi poi l’occhiolino.

Era molto strano in un secondo mi resi conto che era vicinissimo, molto gioviale, ma al contempo lontano anni luce, non recitava era spontaneo, ma comunque sia mi stava in un certo qual modo tenendo fuori dal suo vero mondo. Probabilmente era solo un modo per auto proteggersi.
All’improvviso sentii le sue mani insinuarsi sotto la mia canottiera e rabbrividii. Lui sorrise compiaciuto, gli piaceva esercitare quel genere di potere, gli piaceva sapere che mi stava comunicando certe sensazioni. Era esperto più di me e io ero decisamente sulle spine.
“Perché lo fai?”  ebbi il coraggio di chiedergli, a bassa voce non guardandolo neppure negli occhi
“Perché mi va” fu la sua risposta accompagnata da un sorriso accattivante che   avrebbe  steso un elefante.
Misi le mie mani sulle sue “Non credo sia una cosa fatta bene” dissi malgrado con la bocca dicessi una cosa e con il resto volessi l’esatto contrario.
Sorrise di nuovo. “Probabilmente hai ragione” fu la sua risposta e mi baciò.
Come la prima volta non fu subito una bacio vero, ma uno sfiorarsi di labbra e di lingue in maniera delicata quasi accennata. Chiusi gli occhi e deposi le armi. Infondo un bacio non era una cosa poi così compromettente. Infilò nuovamente la mano sotto la mia canottierina ma solo per carezzarmi la schiena con la punta delle dita. Mi baciava e mi sfiorava la pelle e io pensai che forse sarei anche potuta morire, perché ciò che mi trasmetteva era sconvolgente e non perché sapessi chi fosse, ma perché mi piaceva proprio lui, mi sarebbe piaciuto anche se fosse stato un inserviente, anzi forse in quel caso mi sarei concessa a lui senza remore, invece avevo paura di ciò che lui rappresentava: un mondo lontano una galassia dal mio.
Rimasi inerme, mi lasciai sedurre dai suoi baci languidi, appassionati, dalle sue carezze lievi e dannatamente sensuali, anche se caste.
“Potrei passare tutta la notte a baciarti  e toccarti, hai un sapore incredibilmente buono e una pelle straordinariamente liscia” mi disse a voce bassa leggermente incrinata dal desiderio, era su di giri ed era piuttosto evidente anche ad occhio nudo. Questa volta sorrisi io e ancora con le labbra sulle sue mormorai “Non è che la cosa mi dispiacerebbe, ma credo che potrei anche struggermi, per citare Giulietta : baci come un Dio!”.
Lui sfiorò la mia lingua con la punta della sua e ridacchiò “Bé diciamo che la più alta forma di perversione è desiderare una cosa e negarsela non trovi?” mi chiese  divertito.
Alla fine non facemmo niente se non baciarci e tocchicchiarci come due sbarbatelli del college. Era notte inoltrata quando usci dalla mia stanza divertito e incordato come un liceale alle prime armi. Certo per lui non doveva essere una cosa tanto normale, ma mi sorprese quanto tutto ciò non lo indispettisse, ma piuttosto lo avesse intrigato.
Sulla porta della mia stanza prima di andarsene mi baciò per l’ultima volta e mi ringraziò “Non ci crederai ma è una delle più belle serate che abbia passato da parecchio tempo in qua” mi disse prima di sparire nel vialetto oltre le siepi.
Restai a guardarlo andare via con la paura che fosse irreale, una sorta di mia proiezione fantastica. Poi incordata anche io come non si sa cosa m’infilai a letto sospirando. Avrei dovuto fare una doccia fredda, ma se mi fossi lavata sarebbe andato via il suo odore che sentivo ancora su di me e che mi dava l’illusione che stesse ancora tra le mie braccia.
Mi addormentai solo all’alba e sognai lui.

 

 

 

 

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