Tell me why

di Giuls_x
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Perché ?! ***
Capitolo 2: *** La storia ricomincia ***
Capitolo 3: *** La notizia ***
Capitolo 4: *** Il peso della verità ***
Capitolo 5: *** Dov'è Spencer ? ***
Capitolo 6: *** Dov'è Toby ? ***



Capitolo 1
*** Perché ?! ***


La ragazza si accomodò nervosamente sulla fredda sedia per gli ospiti della prigione statale. “Cavolo, già i visitatori si sentono a disagio, figuriamoci su queste sedie ghiacciate. Un cuscino gli fa schifo al direttore ?” Cercò di scrollarsi di dosso quei pensieri assurdi e concentrarsi. “Spencer, diamine, non sei qui per i cuscini ! Ma mi ricorderò di comunicarlo a qualche pezzo grosso". Il nodo allo stomaco che aveva ormai da giorni non si era ancora sciolto. Ed era certa si sarebbe stretto ancor di più, dopo quell’incontro. Cominciò a tamburellare con le dita ossute sul tavolino, e il suo sguardo corse sul suo braccio. Era visibilmente dimagrita. Era certa che, se avesse continuato così, di lei sarebbe rimasto solo un mucchietto di ossicini sottili. Ogni tanto lo sperava, in realtà. Dopo qualche minuto di ingiustificato ritardo –la ragazza si promise di comunicare anche questo fatto al direttore- eccolo arrivare. Spencer sobbalzò, alla sua vista: la barba incolta gli segnava la mascella ancor più spigolosa –anche lui, evidentemente, aveva perso peso-, le occhiaie sotto quei magnifici –o tremendi, dipende dai punti di vista- occhi azzurri erano molto marcate, e gli davano un che di misero. Gli addetti alla sicurezza lo fecero accomodare con cautela, ma comunque il ragazzo non oppose resistenza.
-E’ sicura di quello che fa, Signorina Hastings ?
-Sicurissima.
Rispose lei con un fil di voce. Poi si pizzicò una gamba, per punizione. Toby non sentiva la sua voce da mesi, e lei non voleva assolutamente apparire come un cucciolotto spaventato. Non lo era mai stata. I primi venti secondi trascorsero lenti, in un imbarazzante silenzio. Lei ricordava quanto prima fosse piacevole rimanere in silenzio con Toby. Quale Toby, alla fine dei fatti ? La voglia di rompere il vetro, saltargli addosso e baciarlo dappertutto si contrapponeva al disgusto mischiato al terrore, alla consapevolezza di ciò che quel ragazzo poteva fare. Che le aveva fatto. Ma lei, nonostante tutto, sentiva ancora quei brividi primitivi. Nonostante si trovassero in una prigione, lui in veste di criminale e lei di visitatore, Spencer si sentiva meglio che in qualunque posto avesse visitato durante gli ultimi mesi, quando ancora le proibivano di vedere il ragazzo. “E’ troppo pericoloso” Le ripetevano, “Non dimenticare quello che ti ha fatto passare per mesi”. Nonostante il resto, lì, davanti a lui, suo malgrado, ricordava solo quello che le aveva fatto passare durante un pomeriggio, in camera sua. Il giorno più bello della sua vita. Tutto distrutto.
-Sei dimagrita.
La ragazza sobbalzò, di nuovo. Era stato Toby a rompere il silenzio. “Diamine, la sua voce !” Pensò lei, mentre nel suo stomaco continuava ad ardere quel sentimento di un tempo. “O quello, o i succhi gastrici che mi tartassano cercando qualcosa da sgretolare, a causa della mia chewin-gum". Pensò. La sensazione non era tanto diversa, dopotutto. Ben presto, quel bruciore si mutò in rabbia.
-Beh, non serve che tu mi chieda il perché.
La sua voce tremava più di prima, e ribolliva anche di rabbia. Come osava fare un’osservazione del genere ? Era lui che l’aveva ridotta in quello stato. Lo sguardo del ragazzo era vago, tra l’assente e l’amareggiato. Non era quello sguardo che aveva visto così tante volte. Le faceva quasi paura.
-Ma io… Beh, io mi sento in diritto di chiedertelo. Perché, Toby ? Perché ? Perché hai finto tutto questo tempo ? No, aspetta… Come ! Ecco, dimmi come hai fatto a fingere per tutto questo tempo !
Nonostante la ragazza avesse cominciato con tono basso e sprezzante, la sua voce era involontariamente salita di un’ottava.
-Mi sarei sentita meglio, se ti avessero rinchiuso in un manicomio. Mi sarei sentita meglio vedendoti ogni giorno prendere delle dannate medicine, sdraiato in un dannato letto con le sbarre, in una dannata stanza protetta con uno stradannato sistema d’allarme ! Diavolo, Toby !
Un addetto alla sicurezza le fece cenno di calmarsi. La ragazza si ricompose, non era da lei esplodere in quel modo. Ma non aveva ancora finito. Avvicinò leggermente il viso al vetro.
-Mi fidavo di te, e tu lo sapevi. Eri l’unica persona che mi era rimasta. Non so perché ti dico tutto questo. Molto probabilmente sono arrivata al punto a cui volevi che arrivassi. Passo più tempo nello studio della mia terapista che a casa mia, mi ricattano per farmi mangiare. Ma spero che sia rimasto un briciolo di umanità in te, sempre se c’è mai stata. Ma che dico… E’ tutto inutile.
Sospirò infine, adagiando il dorso allo schienale della sedia. Si guardò un po’ intorno, principalmente perché non riusciva a sostenere quello sguardo scrutatore, e privo di ogni emozione. Sentì le lacrime che ormai premevano per uscire, bloccate solo dal super-autocontrollo tipico degli Hastings che, dopo la sfuriata iniziale, aveva deciso di tornare in suo aiuto. Aveva pianto decisamente troppo, per i suoi gusti. Lei era una vincente. Quando sentì di poter nuovamente mettere insieme una frase senza scoppiare in singhiozzi, prese fiato:
-Un’ultima cosa, Toby.
Si riavvicinò un’altra volta al vetro.
-Perché mi hai portata a letto ? Immagino ti sia divertito, comunque. Ti è piaciuto, vero ? Non potevi, che ne so, farti una corsa ? O una partita ai videogames ? Toby, hai abusato di me.
Scandì le parole lentamente, soffermandosi di più sull’ultima frase. Voleva trasmettere al ragazzo tutta la sua rabbia, tutto il suo ribrezzo. Per tutta risposta, lui ruotò leggermente la testa, stringendo gli occhi. La stava ancora osservando, da un’altra angolazione.
-Signorina Hastings, il tempo è quasi scaduto.
-Si, tanto me ne sarei andata.
Raccolse la borsa, e si girò un’ultima volta verso quel ragazzo che aveva amato così tanto.
-Mi fai schifo.
Batté le mani sul tavolino, e si avviò a grandi passi verso la porta.
-Cerca di mangiare di più.
La voce sgomenta del ragazzo catturò l’attenzione di Spencer, ormai vicina alla porta. La ragazza si girò, e Toby era già in piedi, con un addetto alla sicurezza che gli teneva le braccia. Ma, come qualche minuto prima, lui era tranquillo. Si guardarono per un attimo interminabile, dopodiché Spencer si congedò, con un sentito ‘và al diavolo’. Prima Alison, poi sua sorella, i suoi genitori… Ed infine Toby. L’unica persona di cui davvero si era fidata, fino infondo. Chi altro le mentiva ? Chi altro era destinata a perdere ? Finalmente lontana dai cancelli del grande edificio, si lasciò cadere a terra, e sfogò tutto quel risentimento e quella disperazione, protagoniste delle sue battaglie interiori.

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Capitolo 2
*** La storia ricomincia ***


-Com’era ?
-Freddo. Ho dovuto tenere la giacca.
-Non il posto, Spencer. Lui.
-Lui chi ? Ah… Non saprei. Una testa attaccata ad un corpo. Da qualche parte c’erano anche un paio di occhi, un naso e una bocca. Ah, un paio di orecchie e…
-Spencer, dacci un taglio.
-Okay, scusa. Ma non è colpa mia se non sai esprimerti.
Hanna guardò l’amica con esasperazione, abbandonandosi poi di peso sul divano.
-Sei impossibile. Su, non tirarla per le lunghe, cosa ti ha detto ?
-Di mangiare di più.
-Spencer !
La bionda non resistette e lanciò a Spencer un altro sguardo esasperato.
-Hanna, basta. Ce ne parlerà lei, quando e se ne avrà voglia.
-Emily, non ti ci mettere anche tu.
Stavolta fu Aria, visibilmente impaziente, a bloccare per l’ennesima volta Emily, che tentava di appoggiare Spencer. La dolce Emily, che cercava di combattere contro il disagio dell’amica, che ormai vedeva stare male da troppo tempo. Ma loro dovevano sapere.
-Niente. Non mi ha detto niente.
La voce di Spencer cominciò a tremare, e il suo viso prese quell’espressione corrucciata tipica della ragazza, quando ormai non riusciva più a trattenere le lacrime. Emily sospirò, fulminando le due amiche, ma fu Hanna la prima ad avvicinarsi alla ragazza ormai in lacrime.
-Scusa, va bene ? Hai ragione.
Cinse le spalle all’amica e la tirò un po’ a sé. Anche Aria, fino a quel momento in disparte, si avvicino alle tre amiche e, in men che non si dica, si ritrovarono tutte strizzate sul divano a due posti del salotto dei Marin, occupato per la maggior parte da Spencer, praticamente adagiata sulle gambe delle quattro.
-Non sono riuscita a chiedergli niente. Niente di niente.
Cominciò finalmente la ragazza dopo una breve pausa, sottolineando le ultime tre parole.
-Gli ho solo sputato in faccia il mio rancore. Mi sento peggio di prima.
Con un gesto nervoso si asciugò le lacrime dagli occhi.
-Tanto comunque, con me non avrebbe parlato.
Il suo sguardo cadde su Emily la quale, non appena si rese conto del messaggio subliminale mandatole dall’amica a cui stava accarezzando un braccio, strabuzzò gli occhi.
-C-chi, io ? Credi davvero che una come me riuscirebbe a farlo parlare ? Suvvia, non sei sicuramente l’unica di cui non si fida, fra noi.
Si interruppe un attimo.
-Cioè, mi sono espressa male. Volevo dire che…
-Odia tutte quante noi allo stesso modo, nessuna esclusa.
Gli sguardi in cagnesco di Aria ed Emily fecero capire ad Hanna di essere stata inopportuna, ancora una volta.
-Vado a… Prenderti un bicchiere d’acqua.
La bionda si alzò e si allontanò dalla cucina, seguita dallo sguardo di Emily che scuoteva la testa.
-Comunque Spencer ha ragione, Em. Penso che tu abbia sempre avuto una buona influenza su di lui. Magari non riuscirai a scoprire niente durante i primi incontri, ma chi lo sa, col tempo…
-Whoo rallenta ! I primi incontri ? Perché, quante volte pensi che dovrei incontrarlo ? Aria, sono stanca di mentire. Non posso più farlo. Non ricordi ? Io sono…
-Hey, non tirare fuori la storia dell’anello debole del gruppo. Ne hai passate più di tutte noi qui dentro. Hai ucciso Nate, o come si chiamava. Non penso che la storia dell’agnellino indifeso regga più ormai.
Le due parole di Spencer furono bloccate da Hanna, che rientrò appena in tempo dalla cucina, puntualmente senza bicchiere d’acqua.
-Ok ragazze, si è fatto tardi, mia madre ci ha dato il coprifuoco. Spencer, allora rimani da noi ?
La ragazza annuì mesta, senza riprendere il discorso che ormai era stato troncato.
-Tu intanto sali, io ti raggiungo.
Spencer si alzò meccanicamente, ed eseguì l’ordine dell’amica, senza nemmeno salutare le altre, sbuffando solo leggermente. Ormai era abituata a sentirsi tagliata fuori anche dalle sue amiche. Loro lo facevano per proteggerla, ma non si può tagliare fuori una Hastings. Se solo avesse ritrovato quella forza di reagire…
Quando si fu assicurata che Spencer se ne fosse andata, Hanna riprese la parola.
-Em, pensaci. Per Spencer. Per noi.
La mora annuì, abbassando lo sguardo, come faceva di consueto. Poco dopo si alzò, e Aria la seguì. Quando le ragazze uscirono dalla porta, la bionda si precipitò al piano di sopra, correndo sulle scale. Raggiunse camera sua, e trovò Spencer rannicchiata sul suo letto, con la testa fra le mani. Si sdraiò accanto a lei, cingendole la vita con un braccio.
-Supereremo anche questa Spence. Ce la faremo anche questa volta.
-Non penso di avere più un motivo per cui lottare, adesso.
Le parole dell’amica spiazzarono Hanna, che si limito a dividerle i capelli in piccole ciocche, sperando di tranquillizzarla almeno un minimo. Nella testa di Spencer esplodeva l’inferno. Che comunque non era niente, in confronto all’inferno in cui viveva tutti i giorni.



Angolo dell'autrice:

Ok, ecco anche qua il mio angolino :) Comunque, sotto consiglio di alcune persone che mi seguono, ho trasformato la stora da one-shot in fanfiction ! Non so ancora di preciso come sviluppare la storia, ma comunque sto cercando di creare l'effetto suspance. Ditemi che ne pensate e se avete voglia che continui, terrò conto di tutti i pareri :)
Giuls_x

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Capitolo 3
*** La notizia ***


Mentre era per strada, Emily temporeggiava. Si fermava a fissare le vetrine di negozi a caso, prendeva le strade più lunghe, ogni tanto si fermava a bere a qualche fontanella, accarezzava i cani al guinzaglio che le persone portavano a spasso…  Ma sapeva quello che doveva fare. Anche questa volta era toccato a lei, alla ragazza apparentemente indifesa ed insicura, con lo sguardo basso e l’aria un po’ malinconica. La stessa ragazza che aveva perso tutto nel giro di poco tempo. “Per Spencer. Per noi.” Ripeteva ogni tanto a bassa voce, più per incoraggiamento che per auto convincimento. Qualche volta accelerava un po’ il passo, sentendosi in colpa: non poteva permettersi di arrivare tardi. Cosa avrebbe raccontato alle amiche ? “Mi sono innamorata di un cucciolo di jack russel mentre camminavo verso la prigione” non sarebbe stata plausibile come scusa. Un passo dopo l’altro, arrivò alla meta tanto temuta, e si fermo un attimo davanti all’edificio imponente. Neanche quello le sembrava un posto sicuro per un criminale che aveva più volte minacciato la sua vita, e quella delle sue amiche. Nessun posto sarebbe stato mai sicuro abbastanza.
Varcò il portone ed andò ad accomodarsi sulle fredde sedie della zona per le visite. “Strano che Spencer non si sia lamentata, riguardo a queste” pensò. Si guardava intorno nervosamente, strofinandosi le mani appoggiate sul tavolinetto di fronte a lei. La stanza era pressoché deserta, forse per il tardo orario, fatto che aumentava l’ansia nella ragazza e l’inquietudine della situazione. L’interessato si fece attendere qualche minuto ed arrivò, come era ovvio, scortato da un poliziotto ma con le mani ammanettate dietro la schiena. Lo sguardo era… Vuoto, privo di ogni sentimento, accentuato dalle occhiaie marcate, che prima erano un segno caratteristico del viso di Toby , mentre in quella situazione contribuivano a renderlo ancora più spaventoso. Erano stati così amici una volta… Ad Emily faceva venire i brividi attribuire l’aggettivo “spaventoso” ad una persona a cui aveva voluto molto bene. Alla vista della ragazza, Toby alzò un sopracciglio e, sedendosi, si portò subito la cornetta del telefono all’orecchio, evidentemente incuriosito dalla sua visita. Strano, Spencer le aveva detto che, con lei, non aveva accennato la minima emozione. Approfittando della situazione, si fece forza e prese a sua volta il telefono.
-Ciao, Toby.
Disse con voce tremante. Lui rispose stringendo gli occhi mentre la guardava. Emily fu attraversata da un brivido.
-Ci hai dimostrato più volte di essere più che astuto. Spaventosamente astuto, a dire il vero. Quindi ti dico subito che questa non è una visita di cortesia, anche se penso che tu l’avessi già capito. Toby io…
Fu interrotta bruscamente da una mano che le toccava la spalla. Sobbalzò, ma si tranquillizzò alla vista di quell’agente che era sempre gentile con lei e le sue amiche, data la loro delicata situazione. Avevano imparato a non fidarsi mai di nessuno, soprattutto se l’interessato si dimostrava affabile e disponibile, ma quell’uomo aveva un qualcosa di… Tranquillo, come lo definiva Aria. Quindi, avevano deciso che una spalla nella polizia non gli avrebbe poi fatto male. E poi, cosa avevano da perdere ?
-Signorina Fields, scusi, non volevo spaventarla. Prima di lasciarla parlare con il signor Cavanaugh, però, avrei bisogno di dirle alcune cose.
Emily decise di obbedire perché, l’espressione e la voce grave dell’uomo, lasciavano intendere che la cosa fosse alquanto urgente. Guardò Toby un’ultima volta sospirando, e seguì l’agente. Arrivarono in una stanza abbastanza isolata, la ragazza cominciò a sentire i brividi risalirle la schiena. Finalmente l’uomo cominciò a parlare.
-Ascolti, sono arrivati i risultati dei test psichiatrici del signor Cavanaugh. Io non…
Si guardo intorno circospetto e si avvicinò ancora un po’ alla ragazza tremante, un po’ per la notizia che stava per ricevere, un po’ per il fatto di trovarsi sola con un uomo in una stanza buia. Quei due anni infernali trascorsi a sentirsi osservata e indifesa in ogni luogo e con ogni persona, compresi famigliari e conoscenti, avevano lasciato una grande impronta dentro di lei.
-Non dovrei parlargliene, almeno per il momento, ma… Volevo incontrarvi tutte insieme ma avrei dato più nell’occhio. Ve l’avremmo comunicato lo stesso tra qualche tempo, ma penso che abbiate aspettato fin troppo. Vede, il signor Cavanaugh è…
 
Tornato nella sua cella, Toby sbuffò e si lasciò cadere sul letto duro come una lastra di pietra. Sapeva perfettamente quello che l’agente Reed stesse dicendo ad Emily. Sapeva anche quale sarebbe stata la reazione delle ragazze. Sapeva a cosa stesse andando incontro, ma non gliene importava. L’importante era che l’avrebbero mandato lontano da loro, lontano da lei. Non poteva più sopportare quella situazione e, probabilmente, l’avrebbe gestita meglio lontano da occhi indiscreti piuttosto che a Rosewood. Aveva paura. Frugò nel calzino del piede destro, e vi tirò fuori una piccola fotografia stropicciata di Spencer. La guardò intensamente: avrebbe affrontato tutte le sue più grandi paure pur di proteggerla.

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Capitolo 4
*** Il peso della verità ***


-Sociopatico ?!-
La voce di Aria salì di un'ottava. Emily annuì sommessamente e si girò verso Hanna, che aveva un'espressione confusa.
-Cos'è che... Significa, esattamente ?-
Emily fece mente locale e cercò di riordinare le parole dell'agente. In che modo avrebbe potuto spiegarlo ? E poi... C'era un vero modo ? Mentre riorganizzava il tutto, le salì un nodo in gola pensando a Spencer e a quando gliel'avrebbero detto. Lei non avrebbe di certo avuto bisogno di spiegazioni. Fece un respiro profondo, e si decise a cominciare:
-Okay. Si tratta di...-
“Un disturbo antisociale della personalità”. Spencer, accucciata dietro la porta d'ingresso semiaperta di casa Fields, ripeteva nella sua mente le parole che Emily diceva a voce alta. Si era diretta a casa dell'amica per restituirle un cardigan, che le aveva prestato qualche giorno prima. La signora Fields, avendola vista da lontano mentre stava uscendo, le aveva lasciato la porta aperta. Avvicinandosi alla casa, però, Spencer aveva sentito tre voci distinte, che conosceva fin troppo bene. Scuotendo le spalle, ormai abituata all'atteggiamento che le ragazze tenevano con lei già da qualche mese, si era raggomitolata sull'uscio, misurando addirittura i respiri. In quel momento, però, si lasciò sfuggire un sospiro pesante. Non che la notizia la sconvolgesse più di tanto: lei già lo sapeva. La sociopatia era l'unica spiegazione logica e plausibile per il comportamento di Toby. Per il suo tradimento. Più che altro, era sconcertata che ci avessero messo così tanto a capirlo. Sentirlo dire ad alta voce, però, fece si che cominciasse a tremare impercettibilmente.
-Le persone con questo disturbo non riescono a conformarsi né alla legge, per cui compiono atti illegali, né alle norme sociali. L'elemento distintivo del disturbo è lo scarso rimorso mostrato per le conseguenze delle proprie azioni, per cui queste persone, dopo aver danneggiato qualcuno, possono restare emotivamente indifferenti o fornire spiegazioni superficiali dell’accaduto. Sono anche impulsive ed aggressive.-
Spencer annuiva silenziosamente, mentre la sua faccia si contorceva in smorfie di dolore. Col passare del tempo, si era abituata a controllare le sue emozioni, a non far trasparire il suo stato d’animo, ad incatenare quel demone nascosto nel suo petto, che premeva per uscire, e le faceva ardere la gola. Si era abituata a rimanere in silenzio quando le lacrime le salivano agli occhi, e c’era il rischio che la voce cominciasse a tremare; a ridere a comando, a sorridere, a fare carezze di incoraggiamento, fin quasi a riuscire a nascondere la circospezione dei suoi occhi, la pesantezza del suo respiro e la costante sofferenza di ogni suo gesto giornaliero. Ma, quando era sola, anche una Hastings orgogliosa e testarda come lei veniva travolta da quel vortice di emozioni che veniva represso per la maggior parte della giornata. In quel momento, non sapeva se definirsi sola, a causa della presenza di Hanna, Aria ed Emily appena a qualche metro da lei. Di conseguenza, anche il modo di vivere le sue emozioni era ridotto ad una via di mezzo: le smorfie erano accettabili, ma niente lacrime. Si morse violentemente il labbro, e cercò di rimanere in ascolto.            
–Come.. Come faremo a dirlo a Spencer ?- La voce di Aria era un sussurro.                                          
–Non so se sia il caso di dirglielo… Soffre già abbastanza-
Spencer sbuffò sonoramente alla proposta di Emily, ma subito trattenne il respiro.
-Inoltre, lo trasferiranno in un istituto specializzato, in Nevada.-
-Quando ?- La voce di Hanna tradì un leggero tremolìo.
-Domani.-
La solennità della voce dell’amica, rese Spencer inquieta. “Domani ?” Pensò, alzandosi di scatto, ma badando a non avvicinarsi alle finestre, nonostante le tende fossero chiuse. “No, non domani. Non può essere. Cosa aspettano ad informarmi ?!” Senza avvedersene, cominciò a soffiare col il naso ed a stringere i pugni fino a conficcarsi le unghie nella carne. Era riuscita, in qualche assurdo modo, a venire a patti col fatto che Toby l’avesse ingannata per tutto quel tempo. Non che l’avesse accettato, ovvio. Anzi, si può dire che non avesse del tutto assimilato la notizia. Era come se guardasse l’anno passato insieme da lontano, i loro baci, le sue carezze, i suoi occhi… Il fatto che l’avrebbero trasferito l’indomani, però, rendeva tutto più… Vero. Era come se la verità le fosse piombata addosso tutta d’un colpo, troppo pesante per le sue esili spalle. Il demone prese il sopravvento. L’autocontrollo mostrava ancora delle lacune. Tirò un calcio al muro e cominciò a correre.
 
Hanna, Emily ed Aria saltarono in piedi all’unisono, agitate dal boato proveniente dall’esterno della casa. Dopo un’occhiata fugace, si precipitarono alla porta d’ingresso.
-E’ aperta.- La voce di Emily era ridotta ad un soffio.
-Magari l’ha lasciata aperta tua madre…-
-Ed ha sbattuto a causa del vento.- Fu Hanna a completare la frase. –E’ così ragazze, fidatevi di me.-
-Se così fosse, Hanna, ora sarebbe chiusa.-
-Em, non essere paranoica ! E’ finita ragazze, basta ! Il team A non si è più fatto sentire. Godiamoci questa…-
-Calma passeggera ?-
-Aria, non cominciare anche tu. Io ora devo andare, Caleb mi aspetta. Ci vediamo domani a scuola.-
La bionda prese borsa e cappotto, e si allontanò a grandi passi da casa Fields. Aria ed Emily, insieme, diventavano insopportabilmente paranoiche. Talmente paranoiche, che spesso riuscivano a contagiare anche la stessa Hanna. Infatti, la ragazza, corse letteralmente fino a casa del suo fidanzato, e altrettanto fece durante il tragitto fino a casa sua. Corse anche fino a casa Montgomery, quando si accorse che Spencer non era rientrata.

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Capitolo 5
*** Dov'è Spencer ? ***


-Hai controllato a casa sua ?-
-Mi prendi per pazza ? E' il primo posto che ho controllato. Poi la signora Hastings ha cominciato a fare domande, tu mi hai telefonato e le ho detto che era Spencer, e che probabilmente non aveva risposto fino a quel momento perché non c'era campo.-
Aria ed Emily si guardarono un po' sorprese, ed Hanna lo notò.
-Perché quelle facce ? Anche io ho i miei lampi di genio ! E Aria, smettila di fare avanti e indietro, mi fai venire il voltastomaco !-
-Scusa Hanna se sono preoccupata per la nostra amica che è momentaneamente scomparsa !-
-Si, ma così farai solo un solco in terra e finirai in braccio a tuo padre.-
Aria sbuffò e si sedette sul suo letto, abbracciando un cuscino. Anche Hanna si lasciò cadere accanto all'amica.
-E' colpa mia...-
-E' colpa di tutte e tre, Hanna.-
-No, Aria. Durante queste due settimane in cui è stata a casa mia, l'ho lasciata sola la maggior parte del tempo. Spesso tornavo a casa e lei dormiva già...-
-Tutte l'abbiamo lasciata sola. Dovevamo renderla partecipe.-
Emily finalmente prese la parola.
-Era lei oggi, fuori da casa mia. Ha sentito tutto.-
-Come...-
-E' logico, Hanna, trovi un'altra spiegazione ? Ci ha seguite, ha sentito ed è scappata. Come biasimarla...-
-Ok ragazze, basta piangerci addosso ! La nostra amica è scomparsa da diverse ore e... Non serve che vi ricordi cos'è successo quando a scomparire fu Alison !-
Aria saltò in piedi e si avviò a grandi passi verso la porta.
-Dobbiamo andare a cercarla, subito. Hanna, chiama Caleb, ci darà sicuramente una mano...-
-E' dovuto andare un attimo alla chiesa a prendere degli attrezzi di suo padre, ha detto che mi avrebbe chiamato appena...-
-Benissimo, quindi non serve neanche andare alla chiesa. Emily tu...
-Io vado verso la prigione.-
-Bene... Sarà il caso di dirigersi verso il bosco ?-
Aria si irrigidì involontariamente.
-Vengo io con te nel bosco, non sia mai che ti scambino per un folletto.-
-Allora è deciso. Cellulari alla mano, ci rincontriamo qui tra due ore. Se non la troviamo, allora decideremo cosa fare.-
Le tre amiche si guardarono incerte, per un momento che sembrò interminabile. Senza la supervisione di Spencer si sentivano perse. Eppure, dopo tutti quegli anni, avrebbero dovuto imparare a cavarsela da sole. Di fatto, Aria non sapeva se il suo piano fosse adatto, ed Emily e Hanna non si sentivano di controbattere, anche perché non avevano niente di meglio in mente. Al tutto, si aggiungeva lo stupore dovuto alla presa di posizione della piccola Montgomery. Ma non c'era tempo di discutere: dovevano trovare la loro amica. Si lanciarono l'ultimo sguardo carico di paura e affetto, incertezza e determinazione, e subito si precipitarono al piano di sotto. Dopodiché si divisero, sparendo pian piano nella notte buia.


La chiesa era finalmente deserta. Aveva aspettato tanto, nascosta dietro ad un grande cespuglio, che si svuotasse quasi del tutto. Poi, furtivamente, era sgattaiolata nelle stanze del pastore, che aveva il brutto vizio di lasciare la porta sul retro sempre accostata. Da lì era stato facile: era bastato prestare un po' di attenzione e cercare di non farsi sentire. La strada, purtroppo, la ricordava bene: qualche rampa di scalini scricchiolante, ed ecco che si arriva al campanile. Non era più tornata in quel luogo dall'incidente con Ian. Sinceramente, non ci aveva neanche mai pensato. Ma, quel giorno, era stata trascinata lì, da qualche forza superiore che, secondo lei, stava cercando di comunicarle qualcosa. “Devo morire ? E' questo che stai cercando di dirmi ?” Pensava tra sé e sé, sperando di ottenere una risposta. Non voleva arrivare al punto di rispondersi da sola. Intanto guardava giù dalla ringhiera. Diversi metri la separavano da terra. Poi spostava lo sguardo sulla corda della campana, troppo spessa per poter essere annodata saldamente. Il demone, lo stesso che giaceva ogni giorno nel suo petto, e che poche ore prima si era completamente impossessato di lei facendola dare di matto e annebbiandole i sensi, la controllava ancora in parte. Nella sua mente, era in atto una guerra tra esso e la parte razionale di lei. Spencer guardava da fuori, e si chiedeva chi avrebbe avuto la meglio. Ciò che sarebbe stato del suo corpo e della sua persona, faceva il ruolo di corda tra due contendenti. Improvvisamente, sentì dei passi provenire dalle gradinate, riconosceva lo scricchiolìo. Fù nebbia: i ricordi salirono e le offuscarono la mente. Ian che la inseguiva, lei in bilico tra la vita e la morte, dei passi, una figura incappucciata che... Ma certo ! Come aveva fatto a non pensarci prima ! Quella figura era... Toby ! Toby l'aveva salvata ! Toby non voleva che lei morisse ! Lui sapeva che lei fosse lì, in quel momento, in quella circostanza: lui sapeva tutto ! La decisione, a quel punto, non fu più tanto difficile: si sporse sulla ringhiera, sorrise, e si lasciò cadere.  

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Capitolo 6
*** Dov'è Toby ? ***


Caleb si trovava lì per caso. “Stasera potresti passare dalla chiesa ? Ho lasciato lì il mio martello… E i sigari.” E lui cosa aveva fatto ? Non avendo di meglio da fare c’era andato, e perfino fischiettando. Si, fischiettando, con le cuffiette nelle orecchie. Aveva aperto con le chiavi dategli da suo padre, era entrato badando a non fare troppo chiasso ma lasciando, ahimè, la porta socchiusa. Non aveva sentito entrare nessuno, ma dei passi al piano superiore l’avevano insospettito. Aveva deciso di salire a dare un’occhiata, tutto qui. Non sospettava di certo di trovare una delle sue più care amiche in bilico sulla ringhiera del soppalco. Che si sarebbe buttata, forse, se l’era immaginato. Aveva fatto appena in tempo a fare uno scatto, dalla fine delle scale alla posizione di Spencer, e l’aveva afferrata per un pelo per il bacino, il tutto in un millesimo di secondo.  La strinse forte e si gettò violentemente all’indietro, per non cadere anche lui. La ragazza non mostrava la minima resistenza. Anzi, pareva sorridesse compiaciuta. Il suo respiro era addirittura regolare. –Spencer, ma che diavolo…- Non riuscì a completare la frase che la ragazza si voltò di scatto dapprima sorpresa, poi incominciò ad urlare:
-No, questo è sbagliato… Tu non sei Toby. Dov’è Toby ?-
Sfiorava il viso del ragazzo come per convincersi di ciò che diceva.
-DOV’E’ TOBY ?!-
-Spencer, calmati, non sono Toby, sono Caleb ! Caleb ! Diamine non mi riconosci ?-
La ragazza cadde in una specie di trance e si accasciò tra le braccia di Caleb. Lui la strinse a sé, temporaneamente pietrificato, con lo sguardo perso nel vuoto. Gli ci volle qualche istante per ricollegare il tutto ed ipotizzare che forse le ragazze stessero cercando la loro amica. Tirò fuori il cellulare e telefonò ad Hanna. Lui non si sarebbe mosso, né tantomeno avrebbe smesso di stringere la ragazza, per paura che questa avrebbe raggiunto di nuovo la ringhiera. Restarono lì per diversi minuti, forse quindici o poco più, tra le frasi sconnesse e sussurrate di lei e i tentativi di capirle di lui. Ogni tanto la cullava e le sussurrava qualche parola per rassicurarla. Smise di sussurrare quando cominciò a capire che la maggior parte delle frasi di Spencer erano rivolte a Toby. Caleb sospirò e la guardò negli occhi per la prima volta quella sera: -Non hai mai smesso di amarlo, vero ?- Non servì una risposta.
 
-Cavanaugh Toby !
Da una delle ultime file, il ragazzo si alzò in piedi. Le sue braccia erano tenute dietro la schiena da due agenti robusti, ma lui non dava il minimo cenno di volersi ribellare. Aveva studiato tutto nei minimi dettagli per mesi, ora doveva solo pazientare. Con il membro più imponente e forzuto dell’A-team così lontano da Rosewood, chi avrebbe svolto tutto il lavoro sporco ? Si era fatto scoprire, si era lasciato arrestare e, molto abilmente, aveva fatto in modo che i test psichiatrici avessero come risultante il disturbo antisociale della personalità. In questo modo sarebbe stato rinchiuso in un centro specializzato molto lontano dalla sua infernale cittadina e avrebbe avuto anche una specie di… Scusante ? Si, scusante, con Spencer. Ah, Spencer, il centro dei suoi pensieri. Era come se il ragazzo si trovasse in un vortice infernale, dove ogni cosa gli rammentava la sua voce, i suoi capelli, i suoi occhi. L’unica cosa che lo faceva andare avanti era il pensiero che tutto ciò che stava facendo era per la ragazza. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Pensava di essersi meritato una punizione del genere, dopo tutto il dolore causato alle persone che amava. Nel giro di qualche anno, avrebbe migliorato gradualmente la sua condotta, e sarebbe stato uno dei rari sociopatici che rispondono bene alla terapia. Doveva solo fare il cattivo ragazzo per ancora qualche mese, ma quella parte gli riusciva piuttosto bene.

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