Quando si è bambini.

di Saphira96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tomàs & Felicitas ***
Capitolo 2: *** Pablo ***
Capitolo 3: *** Mia ***
Capitolo 4: *** Guido ***
Capitolo 5: *** Marizza ***
Capitolo 6: *** Pilar ***
Capitolo 7: *** Laura & Lola ***



Capitolo 1
*** Tomàs & Felicitas ***


Tomàs & Felicitas

 
Quella mattina d’autunno il vento soffiava forte, strappando le foglie secche dagli alberi e facendole adagiare lentamente nel cortile della scuola elementare Santa Maria de los Angeles, in Argentina.
Il piccolo Tomàs guardava l’avventura delle povere foglie dalla finestra e pensava che forse quel giorno non avrebbe potuto giocare con i suoi compagni. Forse si sarebbero limitati a consumare la loro merenda seduti nei tavoli di legno del retro.
< Tomàs hai finito di guardare il cielo? > il bambino si voltò spaventato: non si aspettava di essere richiamato. Si voltò e staccò a malincuore gli occhi dalle foglie, prese la matita e prese il diario aprendo una pagina che aveva come  titolo ‘foglie cadute’; scrisse la data di quel giorno e accanto registrò il numero diciotto, sotto ad una lunga colonna.
< Tomàs insomma, devi ancora stare distratto? > il bambino chiuse subito il diario e sorrise furbamente alla maestra, la quale distolse lo sguardo severo e continuò a spiegare.

DRIN.

Finalmente la campanella suonò, e Tomàs si abbassò per prendere la sua merenda dallo zaino.
< Tomàs vieni a giocare? Paco ha nuove figurine da cambiare! > urlò un bambino recandosi alla porta.
Tomàs aveva sette anni, teneva i capelli a caschetto di colore nero e due occhi azzurri. Aveva una carnagione olivastra, come se passasse tutto il giorno al sole anche quando c’era vento.
< Tomàs Escurra, portami il diario > ordinò la maestra.
< Ma maestra non ho disturbato questa volta … > tentò di giustificarsi il bambino.
La maestra lo guardò torvo.
< Facendomi interrompere due volte la spiegazione, non ti sembra disturbare? > domandò la donna.
< Ma non le ho chiesto io di interrompere. Questa volta non stavo facendo nulla di male! > disse Tomàs con un tono che non ammetteva repliche.
La maestra parve sorridere, e se andò avvertendo il bambino che non si sarebbe dovuta presentare un’altra situazione di quel genere.
Anche Tomàs compiaciuto stava per raggiungere il compagno, quando un singhiozzo lo fece fermare davanti la porta. Cercò di fare silenzio e risentì nuovamente il singhiozzo, qualcuno stava piangendo. Si voltò e guardandosi in giro si accorse che qualcuno era nascosto dietro i giubbotti, si avvicinò e scostò i giubbotti. Una bambina piuttosto grassottella e dagli occhi azzurri piangeva.
Tomàs la guardò, certo che se i suoi compagni sarebbero rientrati e li avrebbero trovati da soli avrebbero iniziato a prenderli in giro fino alla fine dell’anno scolastico. Ma la bambina era lì, nascosta e in lacrime. Si accovacciò a terra e riattaccò il giubbotto nell’attaccapanni ad altezza di bambino, lei lo guardò meravigliata. Aveva le braccia conserte in un modo buffo, Tomàs sorrise.

< Felicitas, perché piangi? > domandò con aria innocente il bambino. Felicitas lo ignorò.
< Feli, il mio nome è Feli > rispose la bambina con fare esasperato, e riprese a piangere; questa volta più forte di prima.

Tomàs si allarmò, cosa aveva combinato? In quel modo rischiarava di richiamare l’attenzione dei compagni in classe.
Feli piangeva, tenendo la testa bassa. E fu allora che Tomàs si disse che non gli importava nulla dei compagni, il suo unico obbiettivo era far sorridere la sua compagna che non aveva molte amiche … anzi, non ne aveva nessuna.

< Ne vuoi un po’? > domandò, allungando il panino con la cioccolata verso la bambina.
< No, vuoi farmi ingrassare di più per poi prendermi in giro insieme agli altri? > domandò con tono pieno di rabbia. Tomàs si impaurì e pensò che nessuna bambina doveva essere arrabbiata in quel modo, quel tipo di rabbia doveva essere lasciata agli adulti.
< No, volevo soltanto essere gentile > rispose. Per il bambino era strano, finché si trattava di fronteggiare la maestra trovava il coraggio ma con una bambina della sua età non lo aveva.
< Allora, ne vuoi? > ripeté timoroso.
Feli alzò la testa e lo guardò negli occhi, spezzò metà del panino che le era stato offerto e lo addentò. Tomàs fece lo stesso con la sua metà.
< Perché sei qui? Se ci trovano insieme si inventeranno che siamo fidanzati > disse la bambina impaurita all’idea di essere presa in giro il doppio.
< Che ci trovino e che parlino, siamo troppo piccoli per essere fidanzati! > rispose il bambino, che dimostrava essere più grande della sua età.
Feli addentò un altro pezzo di panino.
< E chi ti ha detto queste cose? > domandò la bambina.
< Mia madre > rispose Tomàs facendo spallucce e mordendo il suo panino.
< Mia mamma, invece, mi ripete sempre che non devo mangiare tanto perché sono grassa e così da grande nessun ragazzo mi vorrà > erano chiacchiere innocenti, chiacchiere tra bambini.
Tomàs la guardò e si chiese come potesse esistere una madre così cattiva.
< Invece la mia dice che siamo troppo piccoli per stare attenti a cosa mangiamo > rispose Tomàs.
Feli lo guardò e per la prima volta Tomàs la vide sorridere, aveva compiuto la sua missione.
< Perché tua madre ti ripete sempre che sei bambino? > domandò Felicitas mettendo in bocca l’ultimo boccone di pane.
Tomàs la imitò e la invitò ad uscire dal nascondiglio, poi la prese per mano e la guidò in cortile. Fuori c’era vento, ma loro avrebbero giocato lo stesso, le fece il solletico e prese a rincorrerla e i compagni li imitarono, lasciando le loro merende sui tavoli.

Nessuno fece caso alla loro entrata insieme, e alle mani unite, perché loro erano bambini ed era del tutto normale.
 
< Sei ancora una bambina! > sussurrò la madre di Felicitas alla figlia oramai sedicenne.
< Se sono veramente una bambina, perché non mi lasci libera da tutti questi schemi e apparenze sociali? Sono cose da adulti, mamma, e io sono solo una bambina > urlò di rimando la ragazza, facendosi sentire da tutto il bar dell’Elite Way School. Tomàs sorrise stupito e si disse che si, Feli aveva capito quello che lui aveva cercato di dirgli da bambino. Ci aveva messo un po’, ma … meglio tardi che mai.

 
Angolo Saphira96 ~ Ho scelto questa storia come inizio della raccolta proprio perché è centrata sull’essere bambini. Inoltre ho deciso di unire due personaggi nella stessa perché in molti episodi Feli ricorda che lei e Tomàs hanno frequentato la scuola elementare insieme, quindi in un certo senso qualcosa li lega; un filo invisibile di fratellanza e rispetto. Inoltre, Tomàs non perde occasione di ripetere a Feli che a scuola piangeva sempre, perciò ho legato questo comportamento al fatto che la ragazza non si è mai sentita accettata – dalla madre per prima -. A tal proposito il dialogo finale tra Felicitas e sua madre è inventato da me.
Spero vi sia piaciuta la storia e soprattutto l’idea di questa raccolta. A presto.
 
Autrice ~ Saphira96

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Capitolo 2
*** Pablo ***


 

Pablo

 
Pablo passava la mano nelle corde della sua chitarra e sua madre batteva le mani a tempo felice. A Pablo piaceva quando sua madre era felice in quel modo.
< Bravissimo Pablito! > urlò sua madre più forte quando lui toccò la corda per concludere la canzone.
< Non c’è che dire Pablo, l’insegnate ha fatto un ottimo lavoro > tuonò suo padre. Pablo si staccò dalla madre che lo aveva abbracciato e guardò suo papà. Era in piedi a braccia conserte dietro la moglie, aveva la sua solita espressione severa i capelli già grigi pettinati a regola d’arte; e non come i suoi: Pablo aveva i capelli spettinati di un colore biondo.
< Adesso basta coccolarlo tanto Mora, altrimenti crescerà mammone! > rimproverò il signor Bustamante alla moglie.
Mora lo ignorò, e domandò a Pablo di suonare un’altra canzone.
Il bambino afferrò la chitarra e sedette sulla sedia di prima, di fronte i genitori.
Le sue piccole mani presero ad accarezzare dolcemente – come gli ripeteva il suo maestro privato – le corde dello strumento. Ma questa volta non suonò lo spartito datogli dal maestro, iniziò a suonare una canzone in voga in quel momento.
Sua madre lo guardava sorridente, riprese a battere le mani a tempo, gli faceva cenno di proseguire.
Gli occhi del bambino si accesero di gioia, stringeva la chitarra e suonava.
All’improvviso rientrò il fratello maggiore di Pablo, era felice e stringeva una medaglia tra le mani.
< Mamma. Papà ho vinto! > urlò saltellando.
Suo padre Prese a urlare al figlio maggiore complimenti per il suo concorso vinto a scuola sulla tesi del mantenimento e dei costi della città di Buenos Aires. Era un concorso per ragazzi, a cui lui aveva partecipato e vinto.
< Bravissimo figliolo. Sei un vero Bustamante! > disse orgoglioso, negli occhi aveva lo stesso orgoglio che Pablo notava negli occhi della madre.

Mora abbandonò Pablo per dedicarsi e complimentarsi con il figlio, Bustamante prese ad interrogare il figlio su ogni dettaglio accaduto durante l’esposizione del progetto e della premiazione.
Pablo – che nel frattempo aveva smesso di suonare – prese a guardare la scena, sua mamma adesso era concentrata ad ascoltare suo fratello e al bambino non infastidì.

< Non puoi capire papà, la felicità che ho provato quando i giudici hanno chiamato il mio nome! > disse il ragazzo.
< Sei andato a prendere il premio orgoglioso, come un vero Bustamante. Vero figliolo? > domandò il signor Bustamante.
Pablo guardò il padre, era piccolo e non poteva ricordarsi molto. Ma per quello che sapeva non aveva mai visto suo padre così felice per qualcosa che aveva fatto lui. Prima, però, quando aveva suonato aveva fatto i complimenti al maestro, probabilmente perché aveva suonato bene.
< Non c’è che dire, seguirai le mie orme al centro per cento > affermò.
Pablo non ci pensò due volte, strinse la chitarra e ricominciò a suonare la canzone che prima non era riuscito a terminare. Voleva vedere suo padre orgoglioso di lui, perciò insieme alla melodia prese a cantare le parole.
< Ehy, ma il piccoletto è veramente bravo! > urlò il fratello di Pablo.
Bustamante sorrise al figlio maggiore, ma quando i suoi occhi si fermarono su quelli del piccolo Pablo erano pieni di rabbia. Si alzò e strappò la chitarra al bambino, Pablo prese a piangere.
Mora lo raggiunse e lo abbracciò, lo alzò in braccio molto goffamente e lo riportò in casa.
< Con te facciamo i conti dopo > sussurrò in un modo quasi impercettibile al marito.
Quella sera quando Pablo aveva bevuto il latte che sua madre gli aveva portato in camera, gli aveva rimboccato le coperte e spento la luce.
< Amore riavrai la tua chitarra, perché tu devi cantare > disse Mora chiudendo la porta.
Prima di addormentarsi Pablo aveva sentito discutere i suoi genitori e pianse in silenzio quando suo padre disse con tono grave: < Pablo riceverà un’alta istruzione, tale da permettergli di prendere un giorno il mio posto in politica > .
Il piccolo bambino consumò tutte le lacrime a sua disposizione, era grande abbastanza per capire che il padre non gli avrebbe facilmente concesso di tornare a suonare.

Quando finalmente si addormentò sognò di svegliarsi dentro la sua chitarra, e scoprì che quella era la sua casa. Si rese conto che non doveva mangiare latte, verdure o carne ma lui si nutriva delle note che uscivano ogni volta che dava uno scossone a una delle corde della chitarra.

Al suo risveglio trovò il padre che lo guardava, gli chiese scusa e gli restituì il suo strumento, gli spiegò che la sera prima lo aveva fatto perché aveva mal di testa e gli fece promettere che mai avrebbe voltato le spalle a suo padre per seguire la musica.
 
< Allora figliolo. Tua madre ti ha abbandonato, ma io sono sempre qui per te. Lascerai la musica e quella stupida band? > domandò Bustamante al figlio.
< No papà. > rispose il ragazzo deciso, non poteva permettere a suo padre di farlo soffrire di nuovo come aveva fatto quella volta quando era bambino. Se lo avesse fatto sarebbe stato infelice. Perché lui viveva grazie alla musica.

 
Angolo Saphira96 ~ Ringrazio i lettori per aver letto e recensito lo scorso capitolo, spero che sarete molti anche per questo e per quelli prossimi che sono in fase di lavorazione. Questo capitolo è dedicato a Pablo, l’ho centrato sulla musica e il padre che glielo impedisce fin da bambino ma ho cercato anche di mettere in risalto la nascita delle insicurezze del ragazzo; cose che Marizza mette sempre in risalto.
Spero sia stata di vostro gradimento. Al prossimo capitolo!
 
Autrice ~ Saphira96

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Capitolo 3
*** Mia ***


Mia

 
 
Quel giorno come sempre Peter, il tutto fare di casa Colucci, attendeva la principessa di casa davanti il cancello della scuola materna che accoglieva Mia per l’ultimo anno. L’orologio scoccò le 15 e 30 in punto e le porte della scuola si aprirono, e i genitori iniziarono a entrare nell’istituto per prendere personalmente i figli.

Mia si trovava in classe intenta a disegnare la sua famiglia. La maestra, infatti, quel giorno aveva chiesto ai bambini di disegnare la propria famiglia insieme a loro stessi; mentre una signora che la bambina non aveva mai visto prima passava per i banchi e faceva domande.
Il primo genitore entrò in classe e Julia, una compagnetta di Mia, corse incontro alla mamma e la trascinò nel banco per mostrarle il disegno. Mia osservò la scena malinconica.

< Che bel disegno. Chi sono questi signori? > domandò la signora osservando con interesse il disegno di Mia.
< Peter > rispose Mia indicandolo con il ditino < papà > aggiunse indicando l’altra figura.
< E questa sei tu? > domandò ancora la donna.
La bambina annuì.
< Quanto siamo belle! > esclamò entusiasta la signora, nel frattempo una mamma e un papà entrarono nella stanza.
< Mi ricordi il tuo nome? > chiese la donna.
< Mia > rispose la bimba.
< Che bel nome! Senti Mia, ma la tua mamma devi ancora disegnarla? > domandò.
Gli occhi di Mia, che erano di un colore azzurro intenso, assunsero il colore chiaro del cielo perché si erano annacquati di lacrime. Si disturbò a quella domanda e voltò il viso verso il compagno che correva ad abbracciare la mamma. Perché lei non aveva una mamma? In verità non si era mai posta il problema.
< La disegniamo insieme? > insisté la donna, che era chiaramente una psicologa.
Mia scosse il capo.
< Io non ho una mamma > rispose facendo spallucce la piccola.
< Perché? > chiese la dottoressa.
Mia afferrò il pastello e continuò a colorare, ignorandola.
< Senti Mia, posso chiederti chi è Peter? > la psicologa non mollava.
Mia si tranquillizzò e, cessando di colorare tornò a parlare serenamente.
< E’ il nostro maggiordomo > rispose.
La donna sembrava parecchio turbata, ma la bambina no. Tanto che tornò a colorare.
Le seccava ricevere tante domande, si sentiva stanca. Voleva suo papà, voleva Peter.
E infatti eccolo entrare. L’uomo bussò solennemente nell’anta della porta aperta e entrò in classe; Mia si scordò della signora accanto a lei e corse verso Peter saltandogli in braccio.
< Principessa hai imparato cose nuove? > domandò rimettendola giù.
Mia annuì.
< Una signora vuole sapere dov’è la mia mamma … > annunciò. E dopo che Peter le chiese chi fosse, Mia lo vide dirigersi verso di lei e i due si misero a parlare fitto fitto. Prima di andare, la psicologa diede un biglietto al suo maggiordomo.

In macchina Mia non parlò solo quando imboccarono il vialetto di villa Colucci chiese: < Peter, ma io ho una mamma? > .
< Questo devi chiederlo a tuo padre piccola > posteggiò l’auto e l’accompagnò in casa.

Quel pomeriggio Mia chiese di andare a dormire, si sentiva improvvisamente stanca.

Il mattino seguente la bambina iniziò a fare capricci, non voleva andare a scuola perché temeva di incontrare di nuovo la signora che le faceva mille domande a tal punto da farla stancare.
< E va bene amore mio, non andrai all’asilo > annunciò Franco Colucci, il padre della bambina.
Mia ringraziò il padre felice e si rintanò nella sua camera, e quando si affacciò alla finestra per salutare il padre sentì indicare a Peter il luogo in cui l’avrebbe dovuto accompagnare: < a scuola di Mia > .
Che cosa buffa, pensò Mia, suo padre voleva andare a scuola al posto suo. Rise e si sedette nella sua toletta. Era rosa, come tutto del resto in quella stanza. C’erano cuoricini e specchi ovunque e Mia ne approfittava per guardarsi mentre provava diverse acconciature di capelli.

Quando si stancò prese a giocare al tè con le sue bambole e quando disse alla sua bambola preferita: < io sono la tua mamma > ripensò alla donna del giorno prima e alle sue domande. Dov’era la sua mamma? Lei l’aveva? Perché non le voleva bene, come faceva suo padre? All’improvviso si sentì nuovamente stanca e uscì in salotto per chiamare Carmen, la cameriera.
Mia aspettò il padre giocando con Carmen, era bravissima a fare il tè per le sue bambole.

A metà mattina tornò Franco e Mia lo accolse con un caloroso sorriso.

< Mia, devo parlarti > annunciò allungando la mano, e la bambina capì che doveva afferrarla.
Franco la portò nella sua camera, e la fece accomodare sul lettone.
< Amore, ho parlato con la signora che ieri ti ha fatto tante domande > disse, al ricordarla Mia riprese a sentirsi nuovamente stanca e si strofinò gli occhi.
< Tesoro, tu hai una mamma > le disse sedendosi accanto a lei e sollevandola per posarla sulle sue gambe.
Mia sembrava sempre più stanca.
< Dov’è? > domandò.
Franco le indicò il cielo fuori dalla finestra.
< E lassù, ci protegge e ti guarda > una lacrima gli rigò il volto.
Mia sorrise.
< Papà, secondo te mi vuole bene? > domandò.
< Certo tesoro … > rispose. Quella mattina Franco mostrò a Mia delle foto di sua mamma e le propose di esporne una in una cornice, la bambina accettò. Franco le spiegò anche che non le aveva mai parlato della sua mamma perché pensava che sarebbe stata sempre triste guardando il cielo.
< No, adesso se guardo il cielo rido perché so che mi sta guardando > .

Il mattino seguente Mia andò a scuola e quando incontrò la signora le spiegò dov’era la sua mamma, poi chiese alla maestra di riprendere il suo disegno e su una nuvola disegnò la donna che aveva visto nelle foto il giorno prima.
 
< Piccola Mia, cosa ti rende triste? > domandò Sonia Rei a una Mia piuttosto cresciuta.
Mia la guardò, le fece cenno di sedersi e abbandonò il capo sulla spalla di Sonia. Mia non sapeva come si comportava una mamma, ma sentiva che Sonia per lei era qualcosa di simile.

 
Angolo Saphira96 ~ Eccomi qua con un nuovo personaggio. Leggendo qualche mia storia vi siete resi conto che ho scritto diverse storie di vari fandom con i personaggi bambini. Sappiate che non è una fissazione. Credo solo che le esperienze dell’infanzia delineano il carattere che si avrà in futuro, da grandi. Durante la vita possono accadere senza dubbio episodi che fanno cambiare, ma dentro rimane sempre una parte di ciò che si era. Come avrete capito questa raccolta è basata perfettamente su questa mia convinzione. Qualcosa che è accaduto in passato, e la conseguenza durante la crescita. Ma adesso bando alle ciance!
Non credo sia necessario un commento personale (io le scrivo e io le commento AHAHAH) perché è basata sulla mancanza di una figura materna nella vita di Mia; figura che la ragazza – a mio parere – vede in un certo senso nei panni di Sonia. Spero vi sia piaciuta, vi ringrazio per le recensioni e le visualizzazioni del capitolo scorso. Sbizzarritevi anche con questo, a presto!
 
Autrice ~ Saphira96

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Capitolo 4
*** Guido ***


Guido

 
Quella mattina Guido passeggiava per le vie di Buenos Aires tenendo la mano a sua mamma. Guido adorava sua madre, come tutti i bambini della sua età.
Guido era cresciuto rispetto l’estate scorsa, e i suoi genitori erano riusciti a risparmiare i soldi necessari per comprargli dei vestiti nuovi.
< Mamma guarda quanto è bella questa maglietta! > urlò il bambino fermandosi di botto davanti una vetrina, e costringendo anche la donna a fermare il passo. Era una maglietta a mezze maniche con su raffigurato Goku, il protagonista dell’Anime Dragonball.
La donna sorrise, guardò l’insegna del negozio. Era un negozio costoso, lei lo sapeva; ma non voleva dare una delusione al piccolo.
< Entriamo? > propose la donna.
Lo sguardo di Guido si illuminò, guardò prima la maglietta e poi la madre, poi annuì e saltellando seguì la madre.
Una volta dentro il bambino lasciò la mano della madre e si allontanò a guardare le altre magliette. Una era verde con su raffigurato Pikachu, era uguale a quella che possedeva il suo amichetto di scuola. Il suo amichetto aveva una casa grande, con un bel giardino e in estate c’era un grande piscina con scivolo al centro. Guido passava molti pomeriggi dal suo amico, le loro madri erano ottime amiche.
< Guido, tesoro, andiamo! > chiamò sua madre.
< E la maglietta? > domandò.
< Non possiamo permettercela! > rispose la donna abbassando lo sguardo.
Il bambino prese a piangere e annunciò che non si sarebbe mosso di lì senza la sua maglietta.
< Magari la troviamo nell’altro negozio > sussurrò Ramona umiliata dal comportamento del figlio.
Il bambino non sembrava cedere.
< Allora io vado via e tu rimani qui, va bene? > disse Ramona con tono isterico, uscì dal negozio e si mise alla destra dell’uscita. In meno di cinque minuti Guido corse fuori disperato urlando < mamma! > .
Compiaciuta la donna lo prese per mano e lo guidò fino al negozio di vestiti usati, ma sempre in buone condizioni.
Durante la strada Ramona spiegò al figlio che non aveva comprato la maglietta perché non poteva, e non perché non voleva e quello sembrò tranquillizzarsi.
< Posso aiutarvi? > domandò il proprietario dl negozio.
< Avete una maglietta con Goku? > domandò il bambino speranzoso.
< Non so. Guarda qui > rispose l’uomo guidandoli in un corridoio di vestiti.
Guido cercò ma non la trovò.
< Hai visto? Mi hai detto una bugia! > urlò a sua madre.
La donna umiliata trattenne le lacrime, non era bello sentirsi dire dal figlio quelle cose.
Quella mattina il piccolo tornò a casa con due sacchetti piena di vestiti scelti da lui personalmente. Ma continuava a volere la maglietta con Goku.

Il mattino seguente Ramona doveva andare a lavoro perciò portò il figlio a casa dell’amichetto, i due andavano d’accordo e la padrona di casa era felice di vedere il figlio giocare con qualcuno.
Quel giorno la madre del suo amichetto era rientrata con un regalo per il figlio, ma inaspettatamente anche per Guido. I bambini si affrettarono ad aprire i loro pacchetti, erano due magliette identiche di Goku uguali a quella che Guido aveva chiesto alla madre il giorno prima.
< Grazie mille! > urlò il bambino abbracciando la signora, e quella rispose sorridendo felice.
A ora di pranzo passò a prenderlo il padre, e Guido gli mostrò la maglietta che aveva ricevuto in regalo. Una volta rientrati, il signor Lassen ordinò al figlio di togliere la maglietta, spiegò che gli indumenti nuovi devono essere sempre lavati prima di essere indossati; < non è igienico figliolo! > e il bambino ubbidì.

La sera Ramona rientrò dal lavoro.
< Guido, guarda cosa ti ho comprato! > disse entusiasta mostrando al figlio un pacchetto uguale a quello che aveva già aperto quella mattina. Guido lo aprì, trovò la stessa maglietta e ringraziò la madre nello stesso modo in cui aveva ringraziato la signora. Chiese alla madre se poteva indossarla, e quella rispose che dovevano prima lavarla.
Mentre preparavano la cena, e Guido guardava la televisione sentì la madre sussurrare al marito: < ho venduto l’anello > .
 
Guido ci aveva pensato tutta la notte, e appena sveglio chiese al padre di accompagnarlo al negozio dove la madre aveva comprato la maglia. Si fece restituire i soldi e poi andarono in gioielleria.
< Voglio l’anello della mia mamma > esclamò il bambino. Il signor Lassen spiegò il malinteso e riconobbe l’anello, lo pagò.
 
Quando quella sera Ramona tornò a casa, Guido le mostrò il suo pacchetto, sfoggiando la maglietta di Goku.
< Mamma, ho ricomprato il tuo anello con i miei risparmi… > ma Ramona sapeva che Guido possedeva solamente i soldi sufficienti per una caramella. Guardò il marito e scoppiò a piangere.
< Non mi importa se siamo poveri, mamma, tu però devi rimanere con me! > disse dolcemente.
 
< Mamma vuoi capire che io non voglio che si sappia in giro che voi due fate i macellai, e soprattutto che siamo poveri? > disse Guido a Ramona puntandole il dito. < Pablo, amico mio, cosa ci fai qui? > domandò sorridendo all’amico, come se poco prima non avesse detto nulla a sua madre. < Sai, siamo nel corridoio della scuola… non ci vuole un invito scritto per passare di qui > rispose con ovvietà il biondo.
< Ramona, buonasera, sa che la statuetta che mi ha regalato l’ho messa in camera, su una mensola? > aggiunse Pablo sorridendo e abbracciando la donna, questa sorrise e disse – guardando il figlio prima di allontanarsi - < che bravo ragazzo! > .
Guido guardò la madre allentarsi e pensò che sua madre non aveva mantenuto la promessa fattagli anni prima…ma forse non lo stava facendo neanche lui.


Angolo Saphira96 ~ Ecco qui la quarta storia, su Guido. L’ho incentrato sul suo ceto sociale di cui lui si è sempre vergognato. Ma, soprattutto sul suo rapporto con la madre.
Grazie per le tante recensioni che ho ricevuto nel capitolo scorso e in quelli precedenti. Spero che questo sia di vostro gradimento!
Ah, non chiedetemi chi è l’amichetto ricco di Guido perché non ne ho idea. In un primo momento volevo che fosse Tomas, perché la madre faceva la cameriera lì; ma poi ho pensato che se Ramona fosse stata tra i piedi la storia non avrebbe avuto questo finale.
A presto.
 
Autrice ~ Saphira96

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Capitolo 5
*** Marizza ***


Marizza
 
< Marizzita sorridi! > urlò Sonia Rei allegramente.
La donna era seduta sul divano della casa in cui viveva con  Marizza, la sua bambina di quattro anni.
Sonia era una stella del teatro e quella mattina stava mostrando ufficialmente sua figlia al pubblico tramite una rivista.
Marizza era una bambina vivace, dal viso tondo e da due occhi vispi e castani. Già a pochi mesi dal compiere il primo anno di vita camminava; e dopo qualche mese iniziò a destreggiarsi con le parole. Era una bimba di grande intelligenza, e di questo Sonia era molto orgogliosa. La madre, infatti, cercava di non farle mai mancare nulla, le dava affetto, attenzioni… forse troppe. Ma Marizza era l’unica cosa bella che Sonia aveva avuto nella vita. Oltretutto Marizza non aveva un padre, o meglio lo aveva ma la bambina non lo ricordava perché l’uomo viveva in Italia. A Natale e per il compleanno Fabrizio, così il nome dell’uomo, inviava dei regali enormi e costosi. Ma Marizza non aveva mai chiesto notizie del padre, perché lei aveva la sua mamma.
< Sonia fai giocare Marizza nella sua stanza e tu gioca con lei > ordinò il fotografo.
Marizza scappò dalla presa della madre e corse in camera, gettando le due enormi ceste di giochi per terra.
< Marizza cosa hai combinato > disse ridendo Sonia.
Poi, si gettò a terra come aveva sempre fatto, perché lei non stava fingendo.
La raggiunse il fotografo, il cameraman (per eseguire le riprese del dietro quinte) e la ragazza che destreggiava le luci.
< mamma quando andiamo al teatro? < domandò la bimba.
< Per oggi niente prove > rispose di rimando la madre.
Il fotografo continuava a fare foto, non si stancava mai e Marizza iniziò ad infastidirsi.
< Senti, ma tu non hai niente di meglio da fare? > domandò scocciata, presentandosi al cospetto dell’uomo e con le mani ai fianchi.
< Marizza! Ti ho spiegato che il signore sta facendo le foto per un intervista. Non essere scortese > ammonì Sonia in maniera tempestiva.
L’uomo sorrise.
< No Sonia non preoccuparti > disse < la piccola ha ragione, ho abbastanza foto per il servizio > aggiunse posando la fotocamera professionale nella valigetta.
Marizza rimase immobile a guardarlo, fino a che l’uomo non fu pronto, insieme la sua troupe, e iniziò i saluti di cortesia.
< Allora Sonia, ci vediamo la settimana prossima a Rio de Janero >Sonia rispose con entusiasmo, ma la bambina non fece attenzione a quello che disse. Andò triste in camera sua e iniziò a dare calci ai giocattoli che poco prima aveva sparso a terra. Marizza non sapeva dove fosse quel posto, ma sapeva che era lontano da casa. Per l’ennesima volta la sua mamma l’avrebbe lasciata sola.
Dopo un po’ di tempo, Sonia entrò nella camera urlando felice dove si fosse cacciata la sua bambina.
< Marizzita > esclamò la donna alla visione del disordine < cosa hai combinato qui? > continuò, portandosi le mani ai capelli.
< Vai via! > urlò la bambina in lacrime < vai in quel posto. Rio de Gualtiero. Io non ti voglio più >
La piccola piangeva in maniera convulsiva: singhiozzando, spingendo via sua madre e lanciando per aria tutto ciò che le capitava.
< Sfogati bambina mia > sussurrò Sonia dopo essersi arresa, e si lasciò cadere sul lettino; in silenzio, fissando il vuoto.
Dopo un’ora Marizza smise di piangere, o per lo meno continuò a singhiozzare in silenzio.
Nell’ora successiva Marizza, che era seduta sul pavimento, con la scusa di prendere un peluche vicino i piedi della madre si avvicinò lentamente, un piccolo passo alla volta. Sonia era ancora lì, paziente e ancora scossa dal comportamento della figlia.
< Mamma > sussurrò ad un certo punto la piccola < ho sete, ho fame, sono stanca, posso venire sul letto? >
Sonia si sforzò di apparire severa, ma non ci riuscì.
< Non è meglio chiedere scusa?! > sorrise la donna, si alzò e la prese in braccio. Iniziò a baciarla e ad abbracciarla.
< Amore mio, non farlo mai più. Mamma soffre! > disse continuando a soffocarla di abbracci.
< Quanto devi stare a Rio de Guarltiero? >
< Janero > la corresse
< In quel posto…? >
< Due settimane. Devo fare degli spettacoli, tu rimani qui con i tuoi amichetti >
Marizza si divincolò come un anguilla dalle braccia di Sonia.
< Io voglio venire con te. Sei cattiva > la accusò la piccola.
Sonia le spiegò il motivo, le ripeté per l’ennesima volta che lei lavorava per renderla felice. Per darle un futuro.
< Mamma ma io sono già felice. Ho troppo giochi, guarda > disse indicando la stanza < anzi, voglio regalarli a chi non ne ha > .
Sonia si commosse e l’abbracciò di nuovo, e di nuovo la piccola scappò via. La donna la rincorse, e la bambina si nascose sotto il tavolo della sala da pranzo, osservando sua madre che la cercava sorridendo con gli occhi ancora pieni di lacrime.
Marizza capì che sua madre non voleva partire, ma allora perché lo faceva se lei le aveva detto di essere già felice?
 
Marizza si nascose, non voleva vedere nessuno. Tutto ciò su aveva creduto era una bugia. Lei non era Marizza Pia Spirito, ma Andrade.
Fabrizio? Lui cosa era? Chi era l’uomo che l’aveva sempre ricoperta di regali e regole?
Tutta la sua vita era stata messa in discussione. Non aveva più certezze nella sua, ancora giovane, vita.
Sonia arrivò chiamando il suo nome e Marizza si rifugiò sempre di più nel suo nascondiglio. La donna, allora, si sedette e aspettò silenziosa una risposta che per un po’ non sarebbe arrivata.
Mentre Sonia aspettava e aspettava, Marizza si rese conto che una cosa certa nella sua vita, qualcosa che lei aveva dato per scontato, c’era sempre stata: sua madre.
Ma le aveva mentito. E Marizza la odiava… ma la amava.
Guardò sua madre, era così vulnerabile in quel momento, ebbe l’impulso di uscire ad abbracciarla. Perché lei aiutava sempre i più deboli, ma si fermò: doveva prima farle scontare l’errore.
Ma questa volta quanto avrebbe dovuto aspettare Sonia? Anni, mesi, settimane o giorni?

 
Angolo Saphira96 ~ Dopo tantissimo tempo eccomi tornata. Finalmente è arrivata Marizza, l’avete chiesta in tante. Spero di non avere deluso le vostre aspettative, Marizza è un personaggio difficile, complicato e non sapevo su quale parte del suo carattere soffermarmi. Poi, qualche settimana fa, ho guardato l’episodio in cui scopre di suo padre e quando ha tagliato i capelli ho immaginato una piccola Marizza e Sonia. La pubblico solo adesso perché scrivo sul quaderno e mi noiava ricopiarla, scusate.
Beh, vi lascio con un dilemma: chi sarà il prossimo protagonista?
Intanto che ci pensate, vi auguro un felice anno nuovo.
 
Autrice ~ Saphira96

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Capitolo 6
*** Pilar ***


Pilar
 
< Pilar la cocca della maestra! > urlava un gruppo di bambine, accompagnando le urla con linguacce e risate. Mentre Pilar, la bambina presa di mira, stava in piedi davanti a loro. Non diceva una parola, ma accumulava rancore, rabbia, infelicità, solitudine.
< Bambini al vostro posto > gridò l’insegnante d’inglese entrando nell’aula, per sovrastare le risate del gruppetto.
Pilar, occhi azzurri e lunghi capelli castani raccolti in una coda di cavallo, osservò le compagne ammutolirsi all’improvviso e correre ai loro posti; poi le imitò.
La bambina stava seduta accanto una compagna che faceva cattivo odore, nessuno la voleva accanto e Pilar – che sapeva cosa si provava ad essere esclusi e derisi – occupò il posto vicino Maria.
Però Maria non era amica di Pilar. Se a Pilar mancava la gomma e la chiedeva in prestito lei negava. Se Pilar al mattino arrivava in classe e la salutava, lei non ricambiava.
Una volta Pilar le aveva chiesto il motivo, e Maria le aveva semplicemente risposto: < meglio averne una come nemica, che tutta la classe > .
‘Nessuno è amico tu’ penso Pilar ‘tu puzzi!’ ma decise che era meglio non dirle nulla.
La meastra d’inglese iniziò la sua lezione, quel giorno aveva assegnato di creare a turno la propria presentazione. Pilar lo sapeva fare, lei era brava con l’inglese. La sua seconda parola era stata ‘mom’, proprio perché sua madre era insegnate d’inglese.
Quando arrivò il suo turno la bambina iniziò a parlare con una corretta pronuncia. Disse che il suo nome era Pilar Dunoff e aveva nove anni. Era bassa e aveva dei lunghi capelli e due occhi azzurri. Raccontò che le piaceva la musica e l’inglese. Infine – dopo una lunga pausa d’indecisione – parlò sei suoi genitori: suo padre era preside all’Elite Way School, e sua madre insegnante d’inglese.
La meastra le fece, come sempre, i complimenti ed esortò tutta la classe ad applaudire.
 
Pilar la detestò.
 
Finite le presentazioni personali la maestra illustrò la forma per descrivere una persone. Poi, spinse i bambini a descrivere i proprio o la propria migliore amica.
 
Pilar la detestò sempre di più.
 
Tutti, con l’aiuto dell’insegnante, descrissero qualcuno. Ma Pilar? Lei di chi avrebbe potuto parlare?
< Pilar è il tuo turno > annunciò la maestra.
La piccola iniziò a sudare freddo.
All’improvviso però le venne un’idea: Angela.
Era l’unica persona simile ad un’amica – o che comunque le parlava e giocava con lei – solo che Angela non era una bambina, ma una ragazza di quattordici anni. Lei la conosceva perché frequentava la scuola di cui suo padre era preside, e la bambina trascorreva quasi ogni pomeriggio lì ed Angela la adorava; come si può adorare una sorella.
Così la piccola prese a descriverla: Angela aveva capelli corti e rossi, piena di lentiggini e magra come un lampione. Aveva due occhi di colore nero, tutti completamente neri. E a Pilar piacevano tanto, lei li associava a due bottoni. Angela aveva tanti amici e quando lei la portava per la scuola con se ma parlava con le sue amiche, Pilar era gelosa. Ma non osava dile nulla come non lo raccontò alla maestra la quale si complimentò nuovamente e spinse di nuovo i bambini a rivolgerle degli applausi.
 
La piccola frenò le lacrime.
 
La campanella suonò e tutti i bambini si affrettarono a preparare la cartella, Pilar invece cercò di fare il più lentamente possibile. Le sue compagne uscirono dalla classe urlando in tono ironico: < Angelaaa! > .
 
Pilar le detestava.
 
Quel pomeriggio non andò nella scuola del padre, aveva la seduta dallo psicologo, per risolvere i suoi problemi d’ira che sfogava contro le attenzioni dei genitori. Lo psicologo le chiese di disegnare il suo futuro e lei si disegnò con l’uniforme dell’Elite Way. Immaginava che lì – una volta avuta l’età di Angela – sarebbe stata come lei. Bella, sicura di se e piena di amici.
 
Se le avessero chiesto di raccontare i suoi anni all’Elite Way avrebbe dovuto esprimere la sua rabbia. Quella che l’aveva sempre perseguitata. Era stata continuamente incolpata e derisa…
< Amore eccoti qui! > esclamò Tomas, il suo ragazzo.
… quel racconto andava bene per descrivere i primi tre anni, adesso le cose erano cambiate.
Tomas le diede un lungo bacio e poi la trascinò con se verso i loro amici.
L’Elite Way aveva cambiato la sua vita, come aveva sempre sperato.
Adesso poteva essere apprezzata per quello che era.
Adesso poteva essere se stessa.

 
Angolo Saphira96 ~ Beh che dire, Pilar è un personaggio che mi sta particolarmente a cuore. E’ uno dei miei personaggi preferiti, perciò l’ho rappresentata come la bambina fragile che è sempre stata. Forse per la posizione del padre o per l’invidia degli altri. Pilar secondo me è un bel personaggio. Poi beh, ho inserito Tomas alla fine perché io amo la coppia che forma con Pilar. Sono dolcissimi!
Poi può essere che mi faccio condizionare anche dalla bellissima e bravissima attrice che la interpreta: Mica Vazquez.
Bando alle ciance, mi piace il giochino dell’indovina chi. Quindi indovinate chi sarà il prossimo protagonista?
Grazie per le recensioni precedenti.
Ah, non so di preciso quando aggiornerò con il nuovo capitolo, ma so che non sarà tanto presto. Le prossime due settimane saranno piene di interrogazioni e compiti in classe. Quindi, spero a presto!
 
Autrice ~ Saphira96

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Capitolo 7
*** Laura & Lola ***


Laura & Lola
 
Quel giorno Laura aveva finito di leggere il suo quindicesimo libro di racconti, lo aveva letto tutto da sola. A Laura piaceva leggere, lo aveva deciso da quando aveva iniziato a farlo, circa due anni prima. Laura aveva otto anni e frequentava il terzo anno del primo grado nella capitale dell’Argentina: Buenos Aires. La madre della bambina la portava ogni mese, da qualche tempo, in libreria e le faceva scegliere un romanzo per bambini. Laura lo divorava nel giro di qualche giorno.
< Mamma > urlò la bambina chiudendo il libro e posandolo sul comodino < mamma > chiamò di nuovo non avendo ricevuto risposta.
Sua madre non le dava nessuna risposta, così decise di andare a cercarla per la casa.
Guardò nel salone, ma sua madre non era lì.
Guardò nella camera da letto dei suoi genitori, ma sua madre non era neanche lì.
< Mamma > provò a chiamare di nuovo e di nuovo non arrivò nessuna risposta.
Provò ad andare in sala da pranzo e sua madre non era neanche lì.
Decise così di ritornare nella sua stanza in attesa che la madre avrebbe trovato un po’ di tempo per lei. Laura si sentiva molto sola, non aveva nessuno con cui giocare… prima c’era la sua sorellina Lola con cui giocava, Laura le voleva molto bene, ma adesso sua sorella era stata mandata dai nonni. Laura aveva sentito, qualche mese prima, la discussione dei genitori sulla sua sorellina.
< Ma Lola è nostra figlia > diceva sua madre in lacrime, era raro che la signora Arregui chiamasse la figlia Lola e non Dolores.
< Ed io la voglio bene come se lo fosse, ma sai benissimo che quella bambina non si può tenere a bada > rispose suo padre. Laura sapeva a cosa si stava riferendo suo padre, al carattere della sua sorellina, era così ribelle.
La bambina tornò in camera sua a testa bassa e una volta seduta nella punta del letto rimase a guardare la foto che i suoi genitori avevano incorniciato e appeso alla parete, ritraeva due bambine molto diverse.
Laura sorrise.
La bambina di destra aveva i capelli biondo miele raccolti in due codine ordinate, e stava seduta composta sul prato del loro giardino. La bambina di sinistra, invece, aveva dei lunghi capelli scuri e disordinati nonostante si notavano le due codine che poco prima aveva avuto anche lei. A Laura piacevano molto i capelli della sorellina, sembrava così fuori luogo in quella famiglia che alla bambina sarebbe tanto piaciuto scambiare i ruoli con Lola.
Laura aveva otto anni, stava crescendo e odiava le attenzioni che la madre le rivolgeva di continuo, definendo sua sorella ‘un caso perso’. Lola poteva fare quello che voleva, perché sua mamma non la controllava, però quando lo faceva veniva rimproverata e messa in punizione; questo la bambina non riusciva a capirlo.
< Dolores vuoi concentrarti! > urlò sua madre, Laura si alzò e guardò fuori dalla finestra, sua madre era in giardino e le dava le spalle.
La bambina corse fuori.
< Dolores ho detto concentrati! > disse la signora Arregui.
Laura spalancò gli occhi.
< Lola > gridò correndo verso la sorellina, quella le sorrise.
< Laura adesso non disturbarla, Dolores deve fare i compiti.. > la richiamò la donna.
Laura obbedì, prese una sedia e la avvicinò a quella della sorellina poi si sedette felice.
< Tesoro, Lola torna a casa. Anche i nonni dicono che non possono tenerla a bada > annunciò la signora.
Lola abbassò la testa.
Laura annuì felice, facendo penzolare i piedini che non toccavano terra dalla sedia.
< Mamma, faccio fare io i compiti a Lola > si offrì la bambina, contenta che finalmente la sua compagna di giochi era tornata a casa.
La signora la guardò orgogliosa e la elogiò dicendo a Lola di dover prendere esempio dalla sorella.
< Dai Lola è semplice, io ormai sono grande e so farli > la incoraggiò la maggiore una volta che la madre le aveva lasciate sole.
Lola si alzò, prese lo zainetto ancora lì a terra e uscì qualcosa: un peluche.
< Allora lo hai trovato tu! Grazie mille credevo di averlo perso > disse felice Laura e fece per alzarsi e prenderlo dalle mani della bimba.
Lola si spostò.
< Non lo hai perso, adesso è mio > disse con cattiveria la nera < e non mi serve il tuo aiuto > poi tirò i quaderni dall’altro lato del tavolo e con il peluche sulle gambe continuò a fare i compiti.
 
Lola preparava le valigie, quante volte aveva lo aveva visto fare a sua madre per spedirla dai nonni. A lei piacevano i nonni, ma partivano sempre dal pregiudizio di sua madre: lei era un caso perso, senza contare che era solamente una bambina vivace. Lola ricordava che la prima volta, durante il suo primo anno di scuola primaria, era sicura di dover sentire la mancanza della sua sorella maggiore e perciò le rubò il suo pupazzo preferito. Lola non avrebbe mai ammesso che voleva bene a sua sorella, lei era sempre stata gelosa di lei, per via del comportamento dei suoi genitori. Adesso capiva il perché: lei non era loro figlia, ma Laura? Laura si, lei era sua sorella. C’era sempre stata in qualsiasi situazione e non c’era cosa più importante di una sorella. Chiuse la valigia e afferrò il peluche che tanti anni prima le aveva rubato, adesso sarebbe stata lei a mancare a sua sorella, perciò era arrivato l’ora di restituirlo alla sua legittima proprietaria. Aprì la porta ma la richiuse subito dopo, Laura aveva aspettato tanto per riaverlo, sarebbe sopravvissuta ad un’altra notte senza di lui… ma lei, Lola, sarebbe sopravvissuta a tutto quel tempo senza sua sorella?

 
Angolo Saphira96 ~ E’ passato un po’ troppo da quando ho pubblicato l’ultima volta e mi scuso, però adesso sono ritornata. Ammetto che questo capitolo non mi piace granchè, ma ho voluto sottolineare il rapporto tra le due. Anche se sono sorelle di sangue, sono sorelle nell’anima, da bambina Laura aveva bisogno della sorella e da grande Lola ha bisogno della sorella. Spero di non avervi delusi! A presto.
 
Autrice ~ Saphira96

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