Love and darkness

di ki_ra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***
Capitolo 14: *** XIV ***
Capitolo 15: *** XV ***
Capitolo 16: *** XVI ***
Capitolo 17: *** XVII ***
Capitolo 18: *** XVIII ***



Capitolo 1
*** I ***


Image and video hosting by TinyPic *l'immagine è un mio disegno liberamente ispirato ad un'altra immagine tratta dalla rete

I

Il crinale di nord-ovest era libero, nessuna scia sospetta, come accadeva ormai da anni.

Dopo l’ armistizio con i Volturi, la penisola olimpica era libera e sicura, nessuno dei suoi abitanti, umani o licantropi, aveva avuto alcunché da temere. Ma il branco aveva continuato a perlustrare boschi e confini della propria terra. Erano nati per quello: proteggere la vita umana e avrebbero continuato a farlo, finché avessero avuto fiato in corpo.

Così la pensava l’alfa e, nonostante i più giovani lo trovassero quantomeno paranoico, il suo era un ordine e quello il loro destino.

- Qui è tutto a posto! – pensò il lupo, rivolgendosi alla sua beta. – Tornatene pure a casa, Leah. Io continuo per un altro po’ … - le ordinò col pensiero.

- Sei patetico! – lo lapidò la lupa.

- Sta’ zitta! – intimò Jacob, seccato.

- Come vuoi, sei tu il capo … - si prese gioco di lui e, con un guizzo elegante, sparì nel fitto della boscaglia.

L’alfa, con la stessa velocità, prese a correre, ma nella direzione opposta, verso la rupe dalla quale i ragazzi si tuffavano. Mutò e, ancora nudo, si mise a sedere sull’erba umida della notte, le gambe incrociate e lo sguardo rivolto al mare nero, nero e arrabbiato esattamente come lui.

Era diventato, quel momento della notte, il suo momento; il suo rifugio, il luogo ed il tempo in cui poteva pensare liberamente e senza incursioni. Pensare a tutto ciò che voleva o più semplicemente ad una cosa sola: Renesmee.

Farlo di giorno lo indeboliva, scalfiva la sua mente, allenata ormai da anni alla sua assenza. Pensare di notte era, invece, deleterio: diveniva sofferenza comune e, ciò che per Jacob era peggio, sembrava compatimento.

Aveva imparato ad usare la comunicazione mentale col resto del branco a suo piacimento, come un walky-talky, solo per le necessità della ronda. Il resto dei pensieri gli appartenevano, essi erano una sua esclusiva proprietà, soltanto la sua amina sospesa, poteva condividerli con la sua mente affaticata.

Alzò lo sguardo dalle onde in guerra con le rocce emerse e si trovò davanti la luna più grande che avesse mai visto: una perla incastonata in una immensa valva nera, preziosa e vicina da poter essere toccata.

Il suo candore accentante gli portò alla mente la pelle di lei, diafana e delicata, come una guaina trasparente, che tratteneva carne e sangue e anima perfettamente dosate tra loro. Ricordò le sue labbra di corallo prezioso e rosso, le sue guance rosate da bambola ed, infine, i suoi occhi di cioccolato fondente.

Non aveva mai amato, particolarmente il cioccolato, mai fino a quando non l’ aveva visto fondersi nei suoi occhi puri e profondi, sinceri come la sua anima.

Ogni volta che ne addentava un pezzo, gli pareva di baciarla. Non che l’ avesse mai baciata prima, ma si figurava così il sapore dei suoi baci: intenso e forte.

Così tratteneva il pezzo di cioccolato in bocca, lasciava che il calore del palato e della lingua lo sciogliesse lentamente, permetteva all’aroma di diffondersi, scendendo, attraverso la gola, fino in fondo allo stomaco, esattamente al centro del corpo, e manteneva quel retrogusto intenso e impercettibilmente amaro, per alcuni minuti, fino a che si dissolveva, costringendolo ad addentarne un altro.

Sì, così dovevano essere i baci di Renesmee: intensi, durevoli, ma sempre troppo pochi.

I Cullen avevano lasciato Forks ormai da quattro anni esatti.

L’ immortalità cominciava ad essere scomoda in una cittadina in cui tutti conoscono tutti. Avevano scelto Denali, l’ Alaska era il luogo perfetto per loro: freddo, isolato e lontano. Ma il vero motivo dell’ allontanamento era un altro. Era più doloroso e distruttivo di qualunque altro, era, per Jacob, la sua dannazione: era l’imprinting.

Nessuno poteva accettare che Jacob e Renesmee fossero legati così indissolubilmente. Erano nemici, nemici naturali, nati per uccidersi, per combattersi, non per amarsi o proteggersi.

I Volturi, se avessero saputo di quel legame, l’ avrebbero usato come pretesto di una presunta violazione di una qualche assurda legge vampirica e sarebbero tornati per spezzarlo, per prendersi Alice e Bella, ma soprattutto Renesmee. Ella, per quanto era dato sapere, era forse l’ unica esponente femminile della specie: mezza umana e mezza vampira. Aro non avrebbe lasciato che un esemplare così raro, inquinasse la sua purezza unica, mischiandosi con un animale. Per i Cullen, Renesmee era il punto perfetto di incontro tra mondi opposti, l’ equilibrio tra vita e morte, tra luce e oscurità.

Per Jacob, invece, era solo la propria vita messa nel corpo di un altro essere.

Ma il suo istinto, la devozione e l’amore lo spingevano a proteggerla, a qualunque costo, anche da sé stesso, anche se questo gli valesse la morte o peggio la vita, senza di lei.

Gli venne in mente che erano passati più di sei mesi, da quando si erano visti, a Natale, quando lui e Charlie erano stati a trovarla. Ormai era una donna, bellissima come una statua greca: possedeva una grazia innata, la leggerezza dei movimenti, tipiche della specie, ma soprattutto quella timidezza che le colorava le guance e le faceva abbassare lo sguardo, rendendola, indiscutibilmente, irresistibile e viva.

Il cielo cominciava a schiarirsi, l’ arancio ed il rosa dell’ alba dissolvevano le tenebre velate della notte e la luna, che fino a poco prima, aveva dominato la volta celeste, si fondeva nel chiarore diffuso fino a sparire.

Jacob si alzò, la pelle nuda tirava per l’ umidità della notte. Rivolse un ultimo sguardo all’ astro ormai sbiadito e, mutando, tornò verso casa.

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Capitolo 2
*** II ***


II

 

Giunse al limite della boscaglia che divideva il fitto della foresta dal piccolo villaggio della sua tribù, quando ormai era già giorno fatto.

Il sole era insolitamente caldo per quelle ore del mattino, ma l’ estate era ormai esplosa e neanche un cielo perennemente coperto da nuvole e pioggia, come quello di La Push, poteva opporsi al susseguirsi delle stagioni.

Indossati i suoi pantaloncini sbrindellati da battaglia, come lui stesso li definiva, si diresse verso la sua casetta rossa, deciso solo a levarsi di dosso il salmastro del mare con una doccia e a lasciarsi cadere sul letto, sperando di dormire profondamente, fino all’ ora della ronda successiva.

- Jake! – lo richiamò Rachel, appena ebbe messo piede in casa. Il ragazzo, già esasperato dalla sola voce della sorella, continuò dritto verso la porta del bagno.

- Jake … - ripeté la ragazza, questa volta con un tono amorevole, che servì solo ad irritare di più il mezzo lupo.

- Ti prego … - le rispose quasi in una supplica.

- Non puoi continuare così. – continuò, ritornando alla carica. – Esci per la ronda, stai fuori tutta la notte da solo e chissà dove, rientri e ti rinchiudi in camera a dormire fino all’ ora di cena, per poi uscire ancora. Non parli più, non sorridi, sei scostante ed insofferente. Devi avere pazienza, Jacob! – terminò, posandogli una mano sulla schiena nuda e ampia. – Tornerà! – cercò di rassicurarlo.

- Ti prego … - ripeté il ragazzo, scansando, bruscamente, il contatto con la sorella. – Ho smesso di credere alle favole già d un po’. E, se vuoi un consiglio, sarebbe ora che lo facessi anche tu! – la liquidò quasi con cattiveria.

Detestava quell’atteggiamento da “mammina premurosa”, che Rachel prendeva, come una donna consumata, sulle cui spalle ruotano peso e responsabilità           della famiglia.

Senza darle il tempo di replicare, entrò in bagno e chiuse la porta dietro di sé, sperando di farla desistere.

Ma Rachel era esattamente come lui: testarda fino all’inverosimile e non si sarebbe arresa davanti alla distanza che suo fratello aveva messo tra sé ed il resto del mondo. Era una Black e neanche il rumoroso scroscio dell’acqua, sotto la quale Jake aveva tentato di rifugiarsi, le impedì di continuare.

- Il destino non sceglie a caso … - sentenziò, come uno degli anziani della tribù. – E’ il tuo imprinting e tornerà. – E a voce ancora più alta, perché potesse sentire, continuò : - Siete nati l’ una per l’ altro! –

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Capitolo 3
*** III ***


III

 

Aveva dormito, dormito corpo e mente, per ore, aveva spento l’ interruttore, fatto sciogliere i nervi contratti, la frustrazione ed il nervosismo incalzante che lo accompagnavano nelle ore di veglia.

Per la prima volta, dopo anni, si sentiva finalmente pronto, sereno, indiscutibilmente vivo.

Se l’avesse confessato a Rachel, quella strega, avrebbe sicuramente gongolato, considerandolo frutto della sua predica e Jacob, non poté fare a meno di pensare che fosse proprio così. Ma non gliela avrebbe data vinta, mai!

Con un mezzo sorriso, indossò i primi indumenti puliti che trovò accanto al letto. La cucina era in ordine, ma un profumo delicato e denso si diffondeva ovunque: una crostata di mele faceva bella mostra di sé sul tavolo e Jake ne afferrò uno spicchio enorme, mandandolo giù come fosse stato un confetto. Uscì sul piccolo portico e si mise a sedere sui gradini, le braccia appoggiate sulle ginocchia e la fronte appoggiata sulle braccia, gli occhi fissi sulle scarpe e le narici pronte a respirare tutta l’aria che i suoi polmoni avessero contenuto.

Era ormai l’ imbrunire, il sole cominciava la sua lenta discesa, incastonandosi come un rosso rubino tra i picchi aguzzi dei monti Olimpici. Il tramonto esaltava le foglie argentee e riflettenti delle piante notturne, i fiori bianchi sembravano brillare alla luce ancora tenue della luna piena, che già si mostrava. Le piante aromatiche e la fragranza dei boccioli odorosi riempivano l’aria dolcemente. Il buio via via si consolidava, ottundendo gli altri sensi e rendendo l’ olfatto protagonista assoluto di quel momento. I “fiori di luna” e le “ primule serali” profumavano di talco ed altre essenze di miele e vaniglia, si diffondevano inducendo alla contemplazione della notte.

Ma un altro profumo, denso, galleggiava nell’ aria, un profumo nuovo, sconosciuto o semplicemente conservato, messo a dimora in un angolo della mente.

Era il profumo di lei!

Troppe volte il desiderio era divenuto bisogno fisico, necessità vitale e Jacob si chiese se anche in quel preciso istante, quel profumo fosse solo una estensione di quello stesso bisogno.

Come risvegliato da un sonno atavico, tirò su gli occhi neri ed intensi e se la ritrovò davanti a pochi centimetri, quanto bastava a sentire il suo battito ed il respiro regolari. Bellissima, longilinea, i capelli di rame scendevano arrotolati su sé stessi, incorniciandole viso e spalle, la sua pelle era bianca, come panna fresca e le labbra come fragole. Si muoveva lenta, con la sicurezza di una donna di inequivocabile bellezza, pur mantenendo quel velo sottile di timidezza che le colorava le guance.

Gli sorrise, portandosi le mani nelle tasche posteriori dei Jeans, per nasconderne il continuo movimento.

- Ness … - disse, quasi il suono della voce servisse a rendere tutto reale.

Renesmee sorrise ancora più dolce e quando fu ai piedi della piccola scala che portava al portico, si fermò. Jacob allungò la mano sinistra verso il corpo di lei, a cercare finalmente il contatto.

La ragazza gli porse la sua e le dita si intrecciarono le une alle altre, senza più distinguersi, se non per il colore contrastante delle carnagioni.

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Capitolo 4
*** IV ***


IV

 

- Quando … - farfugliò il ragazzo. – Come sei arrivata? - chiese poi, ancora un po’ stravolto.

- Ho chiesto a Seth di venire a prendermi alla stazione di Forcks e di mantenere il segreto. – rispose ammiccando.

- Bastardo! – esclamò Jacob, - per questo ha saltato la ronda ieri, perché non lo leggessi nei suoi pensieri … Bastardo, questa me la paga. Farà le prossime ronde con Leah, così impara a … -

- E dai, Jake! – lo interruppe. – Glielo ho chiesto io … - disse per giustificare l’ amico.

- Sarà, ma le ronde con Leah, non gliele toglie nessuno! – continuò quasi cattivo l’alfa.

- Perfido. – lo apostrofò, lasciando che lui le stringesse ancora la mano.

- Perfido e vendicativo … - continuò lui, mentre si alzava e scendeva i gradini per avvicinarsi di più. – E tu … bellissima! – sussurrò avvicinando a pochi centimetri la bocca all’ orecchio. - … bellissima! – ripeté, stringendola e affondando il viso nell’ incavo del collo.

- Renesmee … - gridò Rachel, spuntando alle loro spalle e lasciando buste e sacchetti della spesa cadere sonoramente sulla ghiaia.

Strega”, pensò Jacob, “Strega e inopportuna”, continuò, mentre la sorella lo scansava per abbracciare l’ amica.

- Tesoro, sei tornata. – disse, sorridendo, prima a lei e poi al fratello. – L’avevo detto io, vero Jake? – ammiccò.

Strega, inopportuna e presuntuosa”, l’apostrofò nella mente, ma la valanga, che era Rachel, non si arrestò, neanche con lo sguardo incattivito del ragazzo.

- Vieni, Ness, sediamoci qui. – le disse, prendendola per mano e conducendola sul portico, a sedere su di una vecchia panca di legno, consumata dal tempo e dall’umidità. – E tu, che fai lì impalato? Offrile qualcosa, no? – gli ordinò, mettendosi a sedere accanto a Renesmee.

Jacob alzò gli occhi al cielo, spazientito: erano mesi che non la toccava, avrebbe fatto durare quell’ abbraccio infinitamente, godendo del profumo di lei, del suo respiro increspato dall’ emozione ed invece, si ritrovava con le braccia vuote, agli ordini di una kapo e, per giunta senza posto a sedere.

- Strega! – mimò con le labbra in direzione della sorella, che per tutta risposta, gli ricordò, con un gesto del capo, l’ ordine di prima.

Uscì poco dopo, con quello che rimaneva della crostata tra le mani, senza spostare lo sguardo dagli occhi di Renesmee, che sorrideva divertita.

Le era mancato così tanto quel luogo, il profumo di casa, il senso di appartenenza che solo la famiglia può dare, le erano mancati quei ragazzi, generosi, sinceri, sempre disponibili, le era mancato lui.

- Jake! – lo riprese Rachel, come fosse un bimbetto. - Sei una bestia, è questo il modo? - tuonò, riferendosi a come aveva porto la fetta di crostata a Renesmee. – Le buone maniere non sai neanche dove stanno di casa … - continuò, esasperata, come una mamma delusa.

Si alzò, dirigendosi in cucina per rimediare alla maleducazione del fratello e, quest’ultimo veloce, prese il suo posto accanto a Renesmee.

- Non credevo che ti avrebbero lasciato venire. – disse, mentre spezzava in due la fetta di dolce.

- Sono piuttosto convincente, quando voglio una cosa! – gli fece l’ occhiolino.

- Dì, piuttosto, che sei una piattola … - la corresse, ricordando la precisione con cui lo sfiancava per ottenere ciò che voleva, quando era piccola.

- Sì, ma quando ho raggiunto il mio scopo, sono molto generosa nell’ elargire ricompense … - puntualizzò, sorridendo.

- Gli abbracci funzionano con me ed Edward forse, ma tua madre … -

Risero insieme come non facevano da tempo, mentre l’ aria scura e profumata della  sera, sbiadiva i contorni e rendeva il viso di lei etereo e ancora più delicato, come una visione.

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Capitolo 5
*** V ***


Salve a tutti!

Eccoci giunti al  V capitolo. Prima di lasciarvi alla lettura, volevo ringraziare coloro che hanno inserito questa storia tra le seguite, ricordate, preferite e coloro che l’hanno semplicemente letta.

Un grazie speciale a coloro che l’ hanno anche recensita, le vostre parole sono la spinta a continuare. Grazie infinite e a presto!

 

 

V

 

La spiaggia di La Push era esattamente come la ricordava: grande, profonda e si apriva e chiudeva attraverso scogli enormi che la frammentavano, creando anfratti e insenature, dove l’ acqua giocava col dare ed il togliere dell’ onda e della risacca.

La sabbia era nera e fine, come terra erosa e annegata e rendeva nero anche il mare  agitato da correnti in continua guerra tra loro. Il vento costante animava la superficie dell’ acqua increspandola, rendendola viva, come la pelle di un animale in movimento. Tutto era sospeso tra realtà e soprannaturale e chiunque, anche un umano del tutto estraneo ai mondi sommersi e sconosciuti che animavano quel luogo, avrebbe percepito quell’ esplosione degli elementi naturali in perfetta sintonia con miti e leggende.

Quella sera i ragazzi della riserva avrebbero festeggiato l’ arrivo dell’ estate con un falò. I tronchi erano accatastati nell’ enorme pira, che bruciava di un fuoco caldo e guizzante, con le lingue rosse che salivano nel cielo scuro.

Faceva ancora piuttosto freddo, ma nessuno sembrava farci caso: la temperatura corporea dei ragazzi era così alta da scaldare sé stessi e coloro che avevano vicino.

Jacob sedeva con la schiena appoggiata ad un grosso tronco consumato dalla salsedine e scolpito dal mare. Tra le sue gambe divaricate, Renesmee si lasciava riscaldare dal calore del mezzo lupo, le braccia distese su quelle di lui, le gambe incrociate e la schiena completamente abbandonata sul torace ampio.

Il ragazzo le cingeva la vita, in una stretta che sembrava voler annullare qualunque distanza, le mani intrappolavano quelle piccole di Renesmee ed il mento era appoggiato sulla sua spalla , rivolgendo il viso verso la linea del collo, perché potesse respirare appieno l’ odore della pelle, che in quel punto, sembrava più intenso e coinvolgente.

L’ attenzione di tutti era rivolta a Billy ed agli altri anziani della riserva, che a turno, raccontavano storie e leggende secolari dei Quileutes.

L’ attenzione di Jacob, la sua mente, ogni centimetro del corpo e ogni estensione dell’ anima, invece, erano completamente in ostaggio di Renesmee, del suo respiro, dei capelli capricciosi, degli occhi vivi e guizzanti come le fiamme del falò.

- Quanto pensi di poter restare? – le chiese, spostando le labbra e sfiorandole delicatamente la pelle.

- E tu, quanto pensi di potermi sopportare? – rispose, reclinando leggermente il capo,come per offrirgli il collo da un’ altra angolazione.

- Dipende … - ribatté, con la voce profonda, fermando ad un millimetro le labbra dal lobo.

- Da cosa? – insistette, chiudendo gli occhi e perdendosi completamente.

- Da quanto sei cresciuta! – sorrise senza cambiare posizione.

- Sono cresciuta, parecchio! Non lo vedi che sono cresciuta? – chiese maliziosa.

- Lo vedo, sarà almeno un anno che lo vedo! – le rispose, stringendo di più la presa.

- Ma io intendevo quanto sei cresciuta qui … - disse, spostando la bocca sulla tempia e lasciandovi un piccolo bacio. – Il fatto che tu sia qui implica molti cambiamenti, cambiamenti radicali, piccola! – le rivelò.

- Ti riferisci all’imprinting? Al fatto che, ora che sono adulta, anche il nostro modo di stare insieme deve … crescere? – chiese a metà tra il malizioso e l’intimorito.

- Anche questo dipende, da te … - cercò di spiegarle, poggiando la guancia sulla sua. – Io sono qui, sono sempre stato qui, dal momento in cui mi hai guardato la prima volta. Ho cercato di essere ciò di cui avevi bisogno: ti ho protetta e difesa come un padre; ti ho accompagnata come un fratello; ti ho ascoltata come un amico continuerò a farlo, sempre, anche ora che sei cresciuta. Sarò quello che sono stato e, se tu vorrai, sarò anche di più … - disse deciso, anche se il cuore perdeva un colpo ad ogni frase che pronunciava.

- Di più? – sottolineò, tremando con la voce.

- Di più … - ripeté Jacob, sentendosi finalmente liberato da un segreto durato troppo.

Renesmee rivolse lo sguardo verso gli altri del branco: ciascuno stringeva a sé la sua compagna con slancio e delicatezza. Dai gesti, dalle carezze e dagli sguardi, un amore forte, consolidato si mostrava senza remore o limiti, senza costrizioni puro ed infinito.

- Come Sam ed Emily? – chiese.

- Di più ! – ripeté ancora, baciandola all’angolo della bocca.

- Come mia madre e mio padre? – insistette, come quando era bambina e voleva sentirsi importante.

- Di più, mille volte di più! – le spiegò, lasciando la presa intorno alla vita perché lei si voltasse a guardarlo.

- Allora … - disse, abbassando lo sguardo sul petto di Jacob, nel punto esatto in cui aveva posato la mano. - … per rispondere alla tua domanda di prima, potrei rimanere … per sempre … - concluse timidamente.

- E’ esattamente la risposta che volevo … - la voce di Jacob era bassa e calda ed i suoi occhi, puntati sui lineamenti contratti di Renesmee, erano neri, profondi, come una notte senza luna ed, al tempo stesso, lasciavano intravedere una luce intensa e rassicurante.

La mano, che fino a quel momento l’ aveva tenuta stretta per la vita sottile, sfiorò quella di Renesmee, dalle dita affusolate fino al dorso. Poi l’ afferrò, facendole esporre il palmo, ne seguì le linee ruvide e spezzate che lo incidevano, fino a farlo combaciare col suo. Le dita grandi e scure aderirono a quelle di lei per qualche secondo, fino a che non si intrecciarono le une alle altre, in un incastro perfetto e già sperimentato.

Intorno, una folla di persone si muoveva e continuava a perdersi nei racconti degli anziani, nelle fiamme, che come frecce tese, il falò scoccava verso l’ oscurità, nel rumore fragoroso del mare in movimento. Eppure, in quell’ angolo in cui erano seduti, nessuno dei due percepiva altro che i propri respiri confusi, i battiti accelerati dei cuori in perfetto sincrono, ed i profumi della pelle, fusi come le loro dita intrecciate.

Jacob sorrise lievemente, si morse il labbro inferiore puntando gli occhi in quelli della ragazza e le rivelò : - Adesso però devo proprio baciarti … -

Si avvicinò alla bocca di Renesmee, la baciò nell’angolo in cui le labbra cominciavano a schiudersi e sfiorandole con le sue, ne segnò il contorno.

Poi con estrema lentezza, lasciò che si fermassero nel luogo che il destino aveva riservato loro. Lasciò che scivolassero, lievi su quelle di lei che, docili, le accolsero come acqua cristallina, dissetante e pura.

- Mhm, buono … - mugolò Jake, passandosi la lingua sulle labbra, come per assaporare a fondo il gusto di quel bacio. – Più buono di quanto abbia mai immaginato … - continuò posandole sul viso tanti piccoli baci delicati.

- Hai immaginato come sarebbe stato baciarmi? – chiese un po’ stupita ed emozionata.

- Almeno un milione di volte! – sorrise. - Ho pensato a come mi sarei sentito nell’abbracciarti in modo diverso, all’effetto del tuo profumo sui miei sensi, alla possibilità di toccarti le labbra … così … - spiegò, mentre tornava a baciarla con l’impeto di prima.

- Non dirmi che anche tu ci hai pensato? – le chiese, staccandosi da lei con la fronte corrugata e lo sguardo interrogativo e compiaciuto.

- Un paio di volte! – gli rivelò vaga.

- Solo un paio? – insistette con la sicurezza di chi conosce già la risposta.

- Solo le volte che la mia mente era al sicuro da quella di mio padre …  -

- Ah, capisco … Menomale che adesso Edward è a fare compagnia agli orsi polari, perché se sentisse a cosa sto pensando, mi staccherebbe la testa di netto! – sorrise sulle labbra di Renesmee.

- E … a cosa stai pensando? -  chiese maliziosa.

- Ad un luogo in cui, per almeno due miglia quadrate, non ci siano esseri viventi e “non viventi”, a me  ed a te senza tutta questa roba addosso … - ammiccò, passando un dito sotto la spallina del reggiseno, che spuntava dallo scollo generoso della blusa, - … Ad un letto, preferibilmente senza lenzuola, a tutti i baci di prima ed a molti altri ancora … - concluse, stringendole forte le braccia intorno ai fianchi.

- E hai pensato anche a quando potrebbe succedere? –

- Quando vuoi tu, solo quando vuoi tu, piccola! – sussurrò al suo orecchio.

- Allora … tieniti pronto … - rispose, affondando il viso nell’ incavo del collo, imbarazzata e con le guance in fiamme per quello che aveva appena detto.

- Io sono già pronto, sono sempre stato pronto … -

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Capitolo 6
*** VI ***


VI

 

- Hey, lupo! – chiamò Seth, lanciando sulla schiena di Jacob, una manciata di sassolini neri, raccolti sulla battigia.

Jacob dopo aver fatto da scudo al corpo di Renesmee, si voltò verso il giovane con gli occhi di brace.

- La smetti o no? E’ da quando siete arrivati che le stai appiccicato … - continuò il ragazzo, prendendolo in giro.

- Seth, piantala! – gli intimò, con voce bassa ed autoritaria.

- E tu lasciala respirare … - sghignazzò, avvicinandosi.

- Seth! – ripeté l’alfa incattivito, serrando la mascella.

Il giovane lupo alzò le mani in segno di resa.

- Ti vuole Billy … - si giustificò.

Jacob si alzò, seccato per l’ interruzione e, lasciando un bacio leggero sulle mani di Renesmee, fece per allontanarsi.

- Tranquilla, ti faccio compagnia io. – disse Seth, rivolgendole uno sguardo attento.

Seth era forse il più dolce dei lupi, delicato nei lineamenti e anche nei modi, aveva sempre un atteggiamento rispettoso ed educato nei confronti della piccola Cullen, fin da quando era bambina. Era stato un buon amico ed un fidato compagno di giochi, anche di quelli che Jacob riteneva inadeguati alla sua piccola.

- Seth! – lo richiamò perentorio, - Non tirare troppo la corda … - suggerì di spalle, mentre raggiungeva il suo vecchio.

Quando furono vicini, i due presero a parlare: il vecchio Quileute gli porse poi il suo cellulare e Jacob, chiaramente fuori di sé, si allontanò per poter parlare in pace. Tornò sui suoi passi dopo qualche minuto, lasciò cadere il telefono sulle ginocchia di Billy e si diresse verso Leah, che sedeva poco distante. Le rivolse solo poche parole e poi proseguì, con un’ andatura minacciosa e pesante verso Renesmee e Seth.

A pochi passi da loro, con uno sguardo infuocato ed un cenno del capo, intimò alla ragazza di seguirlo. Quando furono abbastanza lontani dagli schiamazzi del branco, Jacob si voltò di scatto verso di lei e, serrando i pugni, per contenere la rabbia che gli bruciava le membra, gridò : - Dannazione, Renesmee, come hai potuto? –

- Jake … - sussurrò lei, sorpresa ed intimorita da quello scatto d’ ira che mai gli aveva visto dipinto in volto.

- Mi hai mentito! – urlò ormai fuori controllo. – Hai detto di avere il loro consenso! –

continuò con un tono rabbioso che ad ogni sillaba si colorava di delusione.

- Dannazione! – imprecò ancora. – Se tua madre fosse stata viva, le avresti fatto saltare le coronarie …  - concluse, cercando malamente di imprimere un ritmo regolare al respiro concitato.

- Io … - cercò di dire con le lacrime che ormai non davano più tregua agli occhi. - Io … volevo solo stare con te … - terminò mentre, colpevole, abbassava il volto sulle proprie mani, che continuava a tormentare.

- Ti hanno cercato per ore, fino a che non hanno immaginato che fossi qui. – continuò, come se neanche avesse sentito il tentativo di Renesmee di giustificarsi.

- Dici di essere cresciuta … ma sei solo una ragazzina, una ragazzina egoista e viziata che crede di poter avere tutto ciò che vuole … - disse, con un filo di voce, deluso, amareggiato e con una voglia incontrollabile di fuggire.

- Jacob … - la voce di Leah, a pochi passi alle sue spalle, fece sobbalzare Renesmee, che con gli occhi pieni di lacrime pungenti, tentava di ripristinare un contatto con quelli chiusi e disperati del ragazzo.

- Starai con Leah ed Embry, a casa di Billy, fino a che non arriveranno i tuoi … - le disse dandole le spalle, ancora scosso dalla rabbia, che aveva miracolosamente tenuto a freno, soltanto per l’ esperienza di anni di convivenza col lupo che era in lui.

- Jake … - lo chiamò ancora, mentre la lupa si avvicinava per eseguire l’ordine.

- Ho bisogno di stare da solo adesso. – la freddò, allontanandosi e sparendo dopo pochi secondi nel buio della boscaglia.

Renesmee se ne stava seduta sul piccolo letto di Jacob, il suo profumo era forte, ma non  aveva nulla di rassicurante e caldo, come lo aveva sempre percepito sin dal primo istante di vita.

Ogni volta che respirava ed esso si faceva strada nei suoi polmoni, attraverso le narici, era come un ferro incandescente, che la bruciava dall’ interno. Le parole che le aveva riservate, erano state crude lame che continuavano a ferirla ogni volta che, nella mente, si riappropriavano dei suoi pensieri. Gli occhi erano umidi per le lacrime, che continuavano a scendere costanti e silenziose, come gocce d’ acqua piovana che le erodeva l’ anima.

- Cosa c’è, principessa … - l’ apostrofò Leah, - … La servitù ti si è rivoltata contro? – continuò, affondando, acida nella ferita.

Renesmee non rispose: la sua mente era completamente prostrata al dolore che sentiva.

- Perché non mi dici cosa hai combinato? – provò addolcendo il tono.

Ma l’ altra continuò, silenziosa a puntare lo sguardo nel vuoto.

- Ok, scusa … - le sussurrò la lupa senza guardarla. - … Sono davvero … acida. Hanno ragione i miei fratelli, ma che vuoi farci: ognuno ha il suo dono, no? – cercò di giustificarsi.

- Sono scappata di casa … - le rispose. - Mi mancava, mi mancava troppo … -continuò, passando l’ indice di una mano sulle lenzuola stropicciate.

- Uh, l’hai fatta grossa stavolta! – disse abbozzando un sorriso.  – Ma a Jacob passerà. – cercò di rassicurarla.

- Non mi aveva mai parlato così … - sospirò Renesmee, cercando conforto negli occhi neri di Leah.

- Ok, forse dovreste chiarirvi. Andiamo. – disse, porgendole la mano. – So dov’è! – le rivelò.

- Ma l’ordine che ti ha dato? – si preoccupò l’ altra.

- Non era un ordine alfa. – le spiegò, scrollando le spalle, come se non fosse veramente importante. – E poi … - continuò con un guizzo di indipendenza negli occhi. - … Io sono la sua beta, ho diritto ad un minimo di autonomia, no? – le sorrise e, aprendo la finestra, la invitò a seguirla silenziosamente, mentre Embry, stravaccato sul divano di Billy, seguiva la telecronaca di una partita di baseball.

 

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Capitolo 7
*** VII ***


VII

 

Jacob si era rintanato nella sua isola silenziosa, sulla rupe. Non era mutato, sebbene la rabbia incontenibile l’ avesse portato più volte sul filo del passaggio tra una natura e l’ altra.

L’ idea che i suoi fratelli potessero entrare nei suoi pensieri, in quel momento di rabbia e dolore glielo aveva impedito in parte, e la necessità della sofferenza che, stranamente, non lo annebbiava, ma lo rendeva lucido, aveva fatto il resto.

Solo poche ore prima, si era sentito completo: quella tempesta continua che lo teneva in bilico su di un abisso invitante, si era trasformata alla vista di lei, si era dileguata attraverso i baci e le carezze che si erano scambiati, come un temporale che sfuma nella calura estiva. Jacob, dopo estenuanti attese, mute rassegnazioni e anni di tormenti, si era sentito sereno, pronto ad amarla come il destino aveva deciso ed invece, era di nuovo lì, come la notte precedente, quella prima e quella prima ancora. Era ancora lì, nella sua prigione fatta di silenzio, di assenza e dolore.

- Jake … - si sentì chiamare dalla voce della sua carceriera.

- Che diavolo ci fai qui? – urlò, sorpreso balzando in piedi. – Avevo detto a Leah … - cercò di proseguire, ma il cuore, disperatamente, si divincolò dalla morsa in cui si era trovato stretto per ore, inchiodandolo al viso di lei.

- Ho sbagliato, Jake. So di aver sbagliato, ma … volevo solo … io volevo solo stare con te. – gli rivelò, sommessamente con gli occhi fissi su di lui, cercando la dolcezza che solo Jacob sapeva darle.

- Non è una ragione sufficiente, non basta … - disse cercando di rimanere ancora distaccato.

- Credevo di sì … - gli rispose la ragazza delusa. - … Credevo che fosse l’ unica cosa che conta. – terminò, sentendo il respiro, sofferente e lacerato, schiacciarsi al desiderio di averlo.

- Non se in gioco ci sono delle vite, le vite di tutti quelli che ci amano. – ammise, ammorbidendo impercettibilmente il tono di voce.

- Che significa? – lo interrogò, compiendo un piccolo passo per arrivargli più vicino.

- Siamo nemici, Ness, nemici naturali … I volturi ti vogliono, non aspettano altro che un pretesto per scatenare un’ altra guerra. E se io e te … se stessimo insieme … la tua famiglia sarebbe spacciata ed il branco pure. – continuò senza fermarsi. – Senza contare che una nostra unione … quello che ne verrebbe, potrebbe uccidere anche te! – concluse guardandola, con occhi terrorizzati al solo pensiero di causarle male.

- Sei un idiota, Jacob Black, un vero idiota … - lo accusò, tormentandosi le labbra rosse. – Credi davvero che stare separati fermerà i Volturi? Credi che mostri infernali assetati di sangue e di potere si fermerebbero davanti alla possibilità di accrescere la propria superiorità. Se è me che vogliono, un giorno verranno a prendermi, comunque … - gli urlò contro, stringendo i pugni ed avvicinandosi di un altro passo al ragazzo, che ad ogni lacrima , ad ogni parola, resisteva al desiderio di stringerla.

- E credi che per morire sia necessario unirmi a te, quando per questi anni mi è bastato starti lontana, per provare un’agonia peggiore della morte? Sei un idiota … un vero idiota … - ripeté con voce flebile, quasi in un sussurro disperato.

- Ness … - la chiamò, facendole alzare gli occhi per poterci guardare dentro.

- Cosa è cambiato? Perché solo poche ore fa mi promettevi … - lo incalzò.

- Credevo che i tuoi avessero trovato una soluzione. – la interruppe ad un palmo dal suo corpo. – Speravo che avessero trovato una soluzione … - continuò.

- Io ti amo. – sussurrò allora Renesmee, poggiando le dita sul petto ansante di lui.

- Solo questa è la soluzione … - terminò, spostando il palmo della mano sul viso di Jacob.

Il ragazzo rilassò i muscoli contratti dell’ intero corpo, come se quel tocco fosse capace di sciogliere qualunque tensione, ogni dubbio o paura, come se le mani di Renesmee fossero un magico balsamo guaritore.

- No … - tentò di opporsi, chiudendo gli occhi e lasciando aderire la guancia al palmo aperto della mano di lei.

- Solo questa è la soluzione … - gli ripeté. Poggiò le labbra leggermente schiuse su quelle del ragazzo, sfiorò la nuca con le dita dolci, e lo avvicinò a sé più che poteva, eliminando distanze e paure che li dividevano.

Fu allora che Jacob cedette. Cedette il corpo, che l’avvolse in un abbraccio potente; cedette la mente che si  scrollò di dosso ogni remora, come un animale che non vuole essere domato; cedette il cuore, che si lasciò travolgere da quella strana magia Quileute che gli altri chiamano amore.

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Capitolo 8
*** VIII ***


Ben trovati!

Di solito aggiorno il venerdì, ma, pur essendo pronto il capitolo, la scorsa settimana non ho potuto, così lo faccio addesso.

Questo è un capitolo piuttosto breve , ma comunque intenso ed importante.

Spero che vi conquisti …

Come sempre devo ringraziare tutti coloro che si fermano a leggere la mia storia.

Grazie a chi l’ ha inserita nelle seguite, ed un grazie speciale a chi recensisce!

Buona lettura e alla prossima …

 

 

 

VIII

 

- Dillo ancora! – soffiò sulle labbra di lei con quella voce ferma e roca, impastata di desiderio ed impazienza.

- Adesso … dillo ancora! – le intimò quasi prepotente il mezzo lupo.

Renesmee era sdraiata sull’erba umida di brina, i capelli di rame disegnavano, intorno al volto, lingue di fuoco, come un sole al tramonto. Le braccia candide, si aprivano in due rive, che si ricongiungevano sul capo. Gli occhi erano fissi in quelli profondi ed indomabili di Jacob.

I loro corpi, l’uno sull’altro, aderivano perfettamente, come in un incastro preciso e le mani di lui, come esploratori solitari, si perdevano sul corpo guizzante di Renesmee.

- Ti amo … - gli ripeté, arrendendosi felice alla sua richiesta.

Jacob, fermò l’impeto che lo aveva travolto dall’istante in cui lei lo aveva sfiorato, lasciando pieno potere alla delicatezza che si riserva ad un oggetto prezioso.

Fece risalire le punte delle dita dalla coscia ai fianchi, solleticando dolcemente la vita sottile, fino a sfiorarle la base del seno impreparato. Proseguì ancora lungo un sentiero destinato, raggiungendo deciso la linea di confine tra il collo ed il lobo dell’orecchio, dove indugiò attento qualche interminabile secondo, mentre gli occhi seguivano ogni centimetro di pelle conquistata.

Poi arrivò alla bocca, dolce, carnosa e leggermente schiusa, premendovi il pollice, mentre il resto della mano catturava l’intero viso candido.

Quel tocco delicato ed invadente insieme, la torturò lento, aprendo le porte ad un desiderio travolgente, mai conosciuto eppure affidabile.

- Era quello che volevo … - la coinvolse con la voce. – Tutto quello che aspettavo da una vita … - continuò, con le labbra forti su quelle di Renesmee.

- Ed ora, voglio te … - ansimò, sedotto da quella rivelazione e dal corpo di lei che, morbidamente si allacciava al suo. – Ora che l’hai detto, che hai detto che mi ami … la tua anima non mi basta più. – continuò, senza smettere baciarla.

- La tua pelle sotto le dita, il tuo sapore dentro la bocca e la tua carne che brucia la mia … ora è questo quello che voglio, questo e tutto il resto … - terminò denso, stringendola con gli occhi e con le mani.

- Jake … - lo chiamò, mentre la brina che copriva l’erba della notte, dissetava anche il suo corpo arso.

- Brucia, brucia con me … - sussurrò dolcissimo, quasi in una preghiera.

- Jake … - ripeté come un invito, cingendogli le gambe intorno al bacino.

Senza alcuna paura, senza remore, senza cognizione alcuna del tempo e dello spazio che muovono l’universo, infrangendo ogni regola ed ogni impedimento che li aveva divisi, lasciarono che ogni parte dei propri corpi affamati trovasse rifugio nell’altro, accogliendosi e saziandosi, come animali a caccia.

 

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Capitolo 9
*** IX ***


~~Bentrovati!
Vi chiedo scusa per l’enorme ritardo con cui aggiorno questa storia. Purtroppo ho avuto dei problemi con il pc, che mi hanno impedito di farlo prima.
Spero che la lunga attesa non vi abbia fatto perdere la voglia di continuare a leggere …
Questo capitolo è un po’ particolare: io adoro i flashback, ma non mi piace descriverli come un ricordo dei protagonisti, come un racconto sul passato. Preferisco che siano una specie di missing moments, completamente slegati dal presente della storia.
Il nuovo capitolo è appunto questo: il momento in cui Jacob e Renesmee si sono scoperti uomo e donna, innamorati l’uno dell’altro.
Come sempre ringrazio coloro che seguono e coloro che commentano, nonché quelli che passano di qui per dare solo una sbirciatina! La vostra presenza, in qualunque modo si manifesti, è un piacere per me,
Un ringraziamento speciale lo devo a Princess_Alice per aver considerato la mia storia tra le migliori che abbia letto e per la sua recensione con la quale - Udite, udite!- l’ha segnalata per le scelte!
Spero, davvero, Alice, di non deluderti.
Vi lascio alla lettura e, spero di ricevere presto le vostre recensioni.


IX
 

Di come Renesmee Charlie Cullen e Jacob Black scoprirono l’amore.
 

Denali, Alaska.
La vigilia di Natale, sei mesi prima.

 

- Mi dici come fai? – biascicò Charlie, stringendosi le braccia intorno al corpo, cercando di riscaldarsi.
- Cosa? – chiese distrattamente Jacob, mentre fissava la facciata dell’enorme villa dei Cullen, le cui immense vetrate si aprivano tra pareti di pietra viva che, a loro volta, si facevano largo tra i ghiacci polari.
- Come fai a non avere freddo? – precisò, mentre si portava le mani chiuse a pugno davanti alla bocca per scaldarle col suo respiro gelato.
- Non credo che tu voglia saperlo davvero … - rise il ragazzo, guardandolo battere i denti.
- Neanche io … - confermò. - Però adesso entriamo, prima che mi si gelino anche i pensieri! – ironizzò, avvicinandosi alla villa.
Appena furono entrati, una zaffata inconfondibile ferì le narici del lupo. Era passato molto tempo da quando l’aveva sentita l’ultima volta, aveva perso l’abitudine a quell’odore di foglie marcescenti e melma dei suoi nemici, tanto che un conato di vomito gli risalì acido per la gola.
- Che diavolo ci fai qui? – lo accolse la voce alterata della vampira bionda.
- Sono felice anch’io di vederti, Rose! – controbatté, per nulla turbato,  il giovane.
- Non aspettavamo che Charlie … - commentò Edward, mentre Bella stritolava in un abbraccio caloroso il padre.
- Sorpresa! – sorrise ironico Jacob, allargando le braccia in un gesto teatrale.
- Mia nipote? – si informò Charlie entusiasta. – Dov’è la mia piccola Renesmee? – continuò, come un bambino alla ricerca del regalo che gli è stato promesso.
- Di sopra … - gli sorrise la figlia, tenendogli ancora le mani.
- Vado io … - precedette tutti Jacob, dirigendosi a grandi passi verso la scalinata. Il corrimano in legno intarsiato era completamente decorato da una ghirlanda di piccoli, profumati rami di pino e da mille palline di dimensioni diverse, disposte in grappoli dalle sfumature blu elettrico e bianco iridescente, esattamente come il resto del grande salone.
- Jacob … - lo chiamò Bella.
- Tranquilla, Bells, la trovo da solo. - la rassicurò, confidando nel proprio fiuto.
- Cane … - mormorò tra i denti affilatissimi Rose, inviperita.
Il lungo corridoio si apriva sullo spettacolare scenario dei ghiacciai, in ampie vetrate, intervallate da scarne pareti intonacate ed arricchite da tele dai colori sgargianti, che armonizzavano col bianco candore del panorama esterno.
In fondo, una porta di legno scuro, intagliata ad arte, era l’unica che rimaneva chiusa.
Dalla stanza, che essa chiudeva come uno scrigno prezioso, galleggiava una musica, accompagnata da una voce cristallina e suadente di donna.
Era dolce e temperata, in perfetto sincrono con la base musicale. Era la voce di Renesmee, Jacob ne fu sicuro alla prima nota, nonostante non la sentisse da tempo.
Alzò il pugno chiuso, inspirò una dose massiccia di aria, come quando si caricano i polmoni per andare in apnea, e bussò.
Quando la voce gli diede il consenso di entrare, un raggio violetto penetrava attraverso la vetrata, colpendo sinuosamente gli arabeschi in rilievo del piumone verde; la luce vibrava, depositandosi sugli oggetti, definendoli morbidamente ed un profumo si addensava negli angoli della stanza.
- Jake! – sospirò la voce che l’aveva già incantato, prima di entrare in quell’antro delle sirene.
Renesmee gli saltò al collo felina, stringendolo come quando era bambina.
Come le mura poderose di un castello, costruito su solida roccia, protesa sul mare, respingono l’onda feroce della tempesta, così mente, cuore, anima, corpo e ciascuno dei suoi sensi si acuirono e si prepararono a ricevere l’impatto conquistatore e devastante del suo odore.
Esso investì Jacob con la sua delicata prepotenza, travolgendolo, senza scampo alcuno. Sapeva di pulito e dolce, quel profumo, come quello della sua bambina dai capelli attorcigliati. Ma una nota diversa gli stringeva lo stomaco di desiderio sconosciuto e carnale per la donna che gli si allacciava al collo.
Era il profumo dell’aria dolce che rinfresca all’imbrunire, della primavera  svelata, il profumo magico del fiore nuovo nell’esatto istante in cui sboccia.
- Mi sei mancato … quanto mi sei mancato! – sussurrò spontaneamente al suo orecchio, mentre si lasciava avvolgere dalle braccia di lui.
Jacob sorrise, mancando di parole, mentre la parte animale che lo abitava, riconosceva d’istinto la sua eterna fiamma.
Si staccò, a malincuore da quella stretta, per dare anche agli occhi, unica parte del corpo non ancora appagata, il loro dono e la guardò.
Il viso rotondo che si gonfiava in buffe smorfie e le labbra rosee della piccola Renesmee se ne erano andate per lasciare il posto ai tratti della donna che era diventata. Solo gli occhi di cioccolato erano rimasti identici, perfetti e dulcamari quanto basta per solleticargli il palato nel desiderio di assaggiarli.
Se, come le leggende volevano, il cioccolato era la bevanda preferita delle civiltà che avevano originato la sua, Jacob l’avrebbe bevuta tutta quella pozione morbida, profumata, inebriante; l’avrebbe bevuta tutta dagli occhi di Renesmee.
- Quanto resti con noi? – chiese, poggiandogli le mani sul petto.
“Con te … per sempre, piccola”, rispose velocissimo il cuore di Jacob, ma la bocca non tradusse il desiderio in parole.
- Sono qui per il Natale … con Charlie. – si limitò a spiegarle, affaticato come dopo una corsa.
- Allora, questo sarà il miglior Natale della mia vita … - sorrise, sfoderando un’espressione dolce ed entusiasta che contagiava.
- Anche della mia … - la rassicurò, mentre lei lo prendeva per mano avviandosi al piano di sotto.
 

Non erano passati che pochi giorni, solo un centinaio di ore. Le aveva contate, quelle ore Jacob, nelle notti insonni dopo i giorni trascorsi con lei.
Pochi giorni, una manciata di ore e già era innamorato.
In realtà innamorato era sempre stato, nel modo e nella misura che l’età di Renesmee consentivano; innamorato dei capricci infantili, delle sue manine e dei piedini cicciottelli, i più bei piedini che avesse mai visto; innamorato delle preghiere alla sera, perché lui restasse a tenerle compagnia prima di addormentarsi; degli sbuffi immaturi di una ragazzina che, nonostante avesse a disposizione l’eternità, aveva fretta di crescere.
Ed ora, incoscientemente, quell’amore profondo, devoto, aveva cambiato pelle, come nella muta obbligata di un serpente; come nella metamorfosi dei colori delle foglie d’autunno. Cambiata lei, cresciuta, maturata e pronta, cambiato l’epicentro del sentimento che non risiedeva più soltanto nel cuore, ma si dipanava in ogni organo, ogni muscolo, ogni singola fibra di lui.
- Vieni, ti mostro una cosa. – gli disse, tendendogli la mano aperta, per guidarlo fuori dal salone, dove un albero maestoso, in puro stile Cullen, occupava gran parte dello spazio.
- Guarda … - riprese, quando furono nello spiazzo antistante la grande casa, indicando il cielo artico.
Scintille di luce incendiavano l’atmosfera terrestre, onde colorate e sinuose drappeggiavano il buio del cielo, danzando come animate dal vento.
- L’aurora boreale … il più grande, straordinario, soprannaturale spettacolo della terra! – spiegò appassionata.
Jacob sorrise. La natura, per quanto spettacolare e prorompente, non valeva, ai suoi occhi, quanto la tenera bellezza di Renesmee: essa era palpabile e viva e avrebbe potuto goderne in qualunque momento o luogo del pianeta.
- Vieni qui … - la invitò, con un cenno della mano, mentre indietreggiava verso un muretto di pietra viva, lievemente imbiancato di neve, e la guardava con un sorriso intenerito. Con una mano ne spolverò la superficie e vi si sedette, a gambe incrociate, invitando Renesmee a fare lo stesso di fronte a lui.
- Mi mancherai … Domani, dopo che sarai partito, mi mancherai. – gli confessò.
- Mhm … - mugolò il ragazzo. – E, sentiamo, cosa ti mancherà di me? – chiese con un mezzo sorriso.
- Il tuo profumo per cominciare … - iniziò.
- Ti lascio una mia maglia … - suggerì, con ovvietà.
- I tuoi abbracci … le tue mani … - continuò, passando l’indice sulle dita lunghe e forti di Jacob.
- Neanche questo è un problema … a patto che io ritorni a casa con qualche pezzo mancante! – sorrise, piegando il capo di lato, per guardarle gli occhi, che lei gli teneva puntati ancora sulle mani.
“Tanto il cuore rimane qui con te, comunque …”, aggiunse nella mente.
- Potrei convincere i miei a farmi venire a Forks, quest’estate! – propose, trionfante.
- Buona fortuna … - le augurò, pungente.
- Hey, dove è finito il mio Jake? Quello ottimista, propositivo e sempre fiducioso? –
- E’ rimasto a La Push … - le rispose canzonandola.
- Voglio tornarci anch’io. E lo voglio, voglio lui … - finse una buffa espressione capricciosa.
“Ed io voglio te, piccola”, rispose di nuovo il cuore, sempre silenziosamente.
- Forks non è per te … non adesso! – spiegò. – Qui puoi costruire il tuo futuro al sicuro, protetta dalla tua famiglia. Puoi scegliere liberamente quale strada prendere, poiché per te sono tutte aperte: gli studi, un lavoro, gli amici … l’amore … - continuò con un laccio a stringergli il respiro. – Tu … tu sei speciale e meriti il meglio che la vita possa offrire. – terminò, sospirando.
- Speciale? Se ti riferisci alla mia natura “ibrida”, non sono certo più speciale di te! – osservò orgogliosa di aver trovato nel mezzo lupo il suo omologo.
- No, può sembrare assurdo, ma non è quello che ti rende speciale … - provò a spiegare. – Sei intelligente, più degli altri, sei curiosa e assetata di conoscere il mondo, le persone, per come sono fatte dentro; sei capace di entrare nell’anima di ti chi ti sta vicino e non certo solo grazie al tuo dono … -
Renesmee storse le labbra, poco convinta: ciò di cui parlava le sembrava troppo poco per dover restare lontana dai luoghi che l’avevano vista nascere; dalla sua seconda famiglia; da chi ella riteneva parte vitale di sé; troppo poco per tenerla lontana da Jacob.
- Sei … - continuò nel tentativo di mettere a tacere la muta domanda che le leggeva negli occhi. – Sei come  … un mattino di sole, che addolcisce il risveglio di chi si alza presto; come la pioggia che, una goccia alla volta, preme sul dorso delle foglie assetate … Sei piccola, calda e tenera come quegli animali del bosco che saltano da un ramo all’altro … Sei … - si fermò guardandola, mentre un suo respiro caldo si addensava nell’aria gelida della notte polare. – Sei passione contagiosa: la vita passa da te agli altri attraverso la punta delle dita, come una scarica elettrica … - sorrise, infine, scrollando le spalle per aver celebrato l’ovvio.
Renesmee lo guardò incantevolmente abbacinata, sorpresa e sognante per quella meraviglia di parole soffici e appuntite, e lo amò.
Esattamente come si sentiva amata, lo amò di una reminescenza di amore, figlia forse di quella stessa magia che lo legava a lei.
Protese le dita sottili verso il viso di Jacob, a cercare la sua carne calda che non temeva freddo e dolore.
“Avvicinale”, pensò tutta la sua anima a ferro e fuoco. “Toccami”, continuò, chiudendo gli occhi in attesa che l’anima di lei sentisse. “Per una volta, per una volta soltanto, toccami … come una donna tocca un uomo”, la pregò.
- Jake … - lo chiamò ad un soffio dalla sua pelle, indecisa per il suo silenzio.
- Toccami! – le intimò dolce, stavolta con le parole, sollevando le palpebre e guardandole le dita.
Renesmee non gli permise di ripeterlo, poiché anche lei lo voleva, con la stessa veemenza di lui, col suo stesso delirio.
Come una donna tocca un uomo, così le sue dita incontrarono il viso di Jacob.
Come una donna, poiché le sue parole erano state come il caldo fuoco di un camino nelle notti invernali, tanto calde che la propria anima le aveva sentite. Poiché esse l’avevano cresciuta, scoperta, affrancata dalla bambina che mille volte l’aveva accarezzato e, altrettante aveva strappato il pelo del lupo, difensore e giocattolo e adesso, all’improvviso, solo uomo.
Quando i polpastrelli di lei inciamparono sul viso ruvido di Jacob, quella scarica elettrica si espanse, si riversò nell’altro, come acqua corrente nella pozza ferma del lago.
Così ogni intimo sentimento, ogni movimento interiore del cuore di lei diventò proprietà di lui, comune ed indivisa.
Fu Jacob, in quell’istante, che lo chiamò amore adulto e di carne: suo per lei e di Renesmee per lui, senza recinti e costrizioni, senza soluzione di continuità.
- Giuro, se lo vorrai, giuro che un giorno, ti riporterò a La Push. Ti riporterò a casa.
Quando sarà il momento, tu tornerai a casa … con me! – le promise solenne, serio ed intenso, lasciando scorrere la pelle del viso sotto i polpastrelli di Renesmee.
- E … - fece per chiedergli stordita, affidandosi completamente alla promessa.
- E … i vivi ed i morti se ne faranno una ragione … prima o poi! – le sorrise, mentre un mugolio basso e roco gli animava la gola come le fusa di un gatto.
– Adesso, però sarà meglio rientrare … - continuò, - Non vorrei che la tua metà umana si congelasse! – terminò con lo stesso gesto di lei, carezzandole il viso gelato e attardandosi agli angoli della bocca.
Un giorno Renesmee sarebbe tornata a casa, si sarebbe riscaldata con le fiamme calde dell’appartenenza, col calore pulsante dell’abbraccio, col sapore dolce del suo posto nel mondo.
Jacob l’aveva giurato!

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Capitolo 10
*** X ***


~~
Eccoci giunti al decimo capitolo, con il quale ritorniamo al presente della storia.
Come sempre ringrazio tutti quelli che passano da qui, Spero che, anche questa volta, abbiate voglia di farmi sapere cosa pensate della storia.
Colgo l’occasione per augurare a  tutti un Buon Natale!
Alla prossima!


X

L’aria era fresca e dolce e si riscaldava impercettibilmente col passare dei minuti. Il cielo era già terso e schiarito dal giorno prominente. Il sole, non ancora sorto, inviava la sua luce d’arancio, delineando i picchi frastagliati dei monti olimpici. I rumori del bosco, con i suoi animali in movimento, le fronde mosse dal vento leggero ed il canto degli uccelli, scandivano la fine improrogabile di quella notte d’incanto.
Erano distesi l’uno sull’altra: Renesmee riversa bocconi sull’erba bagnata e impregnata del suo profumo, e Jacob su di lei, il viso rilassato che le si poggiava delicatamente sulla schiena nuda, il corpo forte che la custodiva dolcemente, riscaldandola, in un abbraccio deciso e protettivo. Il braccio destro le cingeva la vita sottile e la coscia, dalla pelle d’ambra, le copriva i glutei e parte delle gambe affusolate.
Le ore trascorse l’uno dentro l’altra erano state come acqua sorgiva nella sabbia del deserto: necessarie ai corpi, che, da quando si erano toccati, in quella illuminata notte artica, avevano sperato di estinguere la distanza che li struggeva. Necessarie, ancor più alle anime, che avevano cercato, invano, in sé stesse il riflesso dell’altra.
Toccarsi, essere vicini, riempirsi fino a sentirsi sazi erano stati, per entrambi, segni rivelatori di una verità già intuita, ma paventata e nascosta: essi si appartenevano, senza possedersi; le anime si completavano pur rimanendo distinte; i corpi si incastravano alla perfezione, come tessere colorate e sfrangiate di un antico mosaico.
La ragazza aprì piano gli occhi, sollevando le palpebre di lavanda e, lasciandosi ferire dolcemente dalla luce del mattino, inspirò profondamente i profumi mescolati della loro pelle, smuovendo quella calma molle dei loro corpi legati.
Anche Jacob si svegliò, stringendo forte la presa della mano sul fianco niveo.
- Buongiorno … - gli sussurrò, modulando la voce, ancora impastata di sonno, con gli occhi che tornavano a chiudersi.
- Sì, direi che è proprio un buon giorno … - rispose, baciandole la schiena e percorrendo, con la bocca, la distanza tra le scapole.
- Hai dormito? – mugolò poi, lasciandosi accarezzare la pelle dalle labbra di lui.
- No … – le rispose vago, mentre continuava, meticoloso, l’opera che aveva iniziato.
- Bugiardo! – lo apostrofò. – Hai dormito, eccome! – sorrise, voltandosi, per poterlo guardare negli occhi di pece.
La pelle delicata dei seni, ancora bagnati di brina, sfregò sul petto glabro e lucente del ragazzo, lasciandole correre, sul resto del corpo, un brivido sottilissimo e deciso, che la costrinse a chiudere, per un attimo gli occhi, nel tentativo di domarlo.
- L’ho fatto per te … - si giustificò sorridendo. – … per farti riprendere fiato! – continuò.
- Oh, certo! Perché tu non eri stanco, vero? – lo punzecchiò, mentre seguiva, precisa, con le dita, le sopracciglia nere e folte sugli occhi di pece.
- Io? – si finse offeso. – Ce ne vorrebbero almeno una decina di fila di notti così, per farmi stancare … - si pavoneggiò.
- Sarebbero troppe per chiunque, sbruffone! – lo canzonò. - Anche per te … -
- Per me, con te … mai! – sussurrò deciso, baciandola, ed inseguendo il desiderio di ricominciare.
L’aveva immaginato, quel corpo di sirena, muoversi sotto di lui. Solo, nelle notti sulla rupe, l’aveva sognato, quel turgore delicato e sensuale delle sue forme seducenti di femmina. Mille volte aveva chiuso gli occhi, lì, su quella stessa terra erbosa, che aveva fatto da letto senza lenzuola, ed aveva puntato pensieri e sensi sull’immagine di lei distesa, inerme nelle sue mani e dentro la sua bocca. Eppure, nonostante quei sogni fossero diventati via via sempre più vividi, ornati di suoni indecenti e profumi impuri, nessuno era mai stato ricco, penetrante, affilato e arroventato come le ore da poco trascorse.
Le mani, con un ritmo cadenzato, le scivolarono lungo tutta la schiena, irriverenti e, ormai, pellegrini esperti di quei sentieri, che, pur avendo esplorato solo una volta, erano già terra conosciuta e domata. Quelle carezze delicate eppure insistenti catturarono Renesmee, riaccendendo, nel centro esatto del corpo, il desiderio che aveva conosciuto quella notte,  del quale già non poteva più fare a meno.
- Jake? – lo chiamò, soffiandogli sulle labbra tra un bacio e l’altro.
- Mhm? – mugolò, continuando a far scorrere la punta della lingua lungo il contorno della bocca di lei.
- Sarà … sarà sempre così? – chiese, nonostante sentisse mente e corpo completamente disorientati, alla mercé di quelle vive attenzioni.
- Sì … - rispose la sua voce calda e dolce come miele vischioso. -  Con qualche variazione sul tema … - precisò, pregustando, sfacciato, ogni possibilità.
- Sì? – chiese al suo orecchio, con una nota, quasi impercettibile, d’imbarazzo nella voce cristallina.
- Sì! – confermò più che deciso, lasciando scorrere la punta delle dita lungo l’inguine, come acqua corrente nel letto di un fiume, seguendone il percorso, alla ricerca della foce. – Perciò … rassegnati, piccola, e lascia fare  a me … -  concluse, intrappolandole il labbro inferiore tra i denti, in un morso delicato e seducente insieme.

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Capitolo 11
*** XI ***


XI

Il sentiero dalla rupe alla riserva non era mai stato più lungo e più quieto.
L’avevano percorso lentamente tenendosi per mano, le dita intrecciate e gli occhi puntati gli uni sul viso dell’altro, a scorgere quei piccoli particolari conosciuti da sempre, eppure nuovi, come nuovo era il loro legame.
Non avevano scambiato che poche parole: i loro occhi, da sempre,  erano stati capaci di sostituirle, di colmare i silenzi, che, per quelli all’oscuro dell’intensità del  loro rapporto, sarebbero sembrati imbarazzanti e vuoti.
Si erano sorrisi spesso, anzi non avevano fatto altro ogni volta che gli sguardi si erano incrociati, come se, pur non essendo necessarie le parole, avessero sentito comunque il bisogno di fare uscire dai propri corpi l’appagamento che li faceva vibrare, come se tutta quella furia di sentimenti, a lungo nascosti e repressi, avesse finalmente trovato il suo sfogo, la sua foce naturale.
- Renesmee, tesoro! – urlò Edward, nel vederli arrivare.
Li avevano aspettati per ore, in preda all’angoscia di non sapere dove fossero e chiedendosi cosa avesse impedito a Jacob di restituire alle proprie braccia la figlia, così come aveva assicurato loro.
La giovane si tuffò tra le braccia del padre, con l’impeto di una bambina che cerca conforto e perdono dopo aver disobbedito.
- Papà … - lo chiamò, con un sussurro, affondando il viso sul petto senza vita di lui.
- Piccola mia … - intervenne Bella, mentre si univa all’abbraccio. – Jake … - lo chiamò, con tono di rimprovero. – Avevi detto che vi avremmo trovati qui al nostro arrivo! – continuò, carezzando, amorevole, i capelli ribelli della figlia.
- Scusa, Bells … - si giustificò, - … ma io e Nessie dovevamo … chiarirci. – terminò, ostentando un sorriso malizioso e soddisfatto e rincorrendo gli occhi intimiditi di Renesmee.
- Cane! – urlò il vampiro, cogliendo nei pensieri di Jacob i particolari della loro notte. – Cane bastardo! Come hai potuto? – infierì, stringendo ancora di più le braccia intorno alle spalle della figlia, quasi dovesse proteggerla.
- Edward? – lo richiamò Bella, interdetta, frenando la rabbia del marito, di cui non riusciva a comprendere le ragioni.
- Come hai potuto metterle le mani addosso? – ringhiò, come un animale pronto ad attaccare.
- Papà … - intervenne Renesmee, stringendolo più forte.
- La tua capacità di leggere nella mente comincia a perdere colpi, Cullen! – l’apostrofò il mezzo lupo, con lo stesso tono offensivo, che il vampiro aveva usato con lui. – Io non le ho messo le mani addosso … - lo corresse, sfrontato, - Io ho fatto l’amore con lei! – precisò, sfidandolo e ridendo della rabbia che lampeggiava negli occhi del suo rivale.
- Maledetto, stavolta ti uccido … - lo minacciò, spingendo via dalle sue braccia Renesmee, che aveva tentato invano di trattenerlo.
- E fallo …  - lo provocò con sufficienza Jacob, mantenendo fermo lo sguardo di sfida sul nemico, con il puro, sadico intento di moltiplicare il delirio di Edward. – Non fai altro che ripeterlo, senza provarci mai, Cullen … Comincio a credere che anche tu sappia di non esserne capace. – finì, stavolta compiendo qualche passo verso di lui, con i pugni serrati e le nocche delle dita sbiancate dalla pressione.
- Jake, ti prego … - lo richiamò la mezza vampira, interponendosi tra i due.
- Perché, Jacob? – intervenne Bella, furente. – Avevamo deciso che doveste stare lontani, per il bene di … tutti. – concluse, abbassando il tono di voce, cercando così di calmare anche Edward.
- No, voi avete deciso … per me e per lei. - la interruppe il giovane, - La mia colpa è stata di averlo accettato. Io volevo solo … Io credevo di proteggerla … - si giustificò, con più calma nella voce, comunque ancora vibrante di rabbia, stringendo la mano di Renesmee.
- E cosa è cambiato, Jacob? – chiese, nel tentativo fallito in partenza, di convincerlo, come se avesse dimenticato la sua testarda risolutezza, la profondità con cui amava sua  figlia e la necessità, anche fisica, di far parte della sua vita.
- Dopo stanotte … dopo aver sentito che prova ciò che sento io, lo stesso desiderio … la stessa voglia di toccarmi, di avermi accanto … di essere mia … Dopo questo … tutto è cambiato. – confessò, aprendo il cuore a lei, la sua amica, l’unica che sperava potesse capirlo. Bella non poteva aver dimenticato il dolore e il senso di vuoto infinito che l’avevano consumata nei mesi in cui Edward l’aveva lasciata.
- Stai commettendo un errore, Jacob … La metti in pericolo, le neghi la possibilità del futuro sereno e sicuro che merita … - lo avvertì sconfitta, ma non ancora rassegnata.
- Se ti riferisci ai Volturi … andremo via! Così metteremo al sicuro le nostre famiglie ed il branco. – intervenne Renesmee, rivolgendo lo sguardo verso Jacob, per trovare il suo assenso.
- Vi troverebbero, anche in capo al mondo, Renesmee … e, comunque, la vostra fuga non risparmierebbe la loro sete di vendetta … - constatò, con amarezza il padre, mentre continuava a fissare un punto indefinito della boscaglia, pur di non incontrare gli occhi della figlia, che ormai non era più la sua bambina.
- Allora combatteremo! – irruppe la voce tonante del vecchio capobranco.
- Sam … - si voltò Jacob, che infervorato dalla faida, non si era accorto, come gli altri, della sua presenza.
Il vecchio alfa se ne stava qualche metro più indietro, circondato da tutti gli altri componenti del branco, con l’autorità e la forza che tutti ammiravano.
- Non posso chiedervi ancora di rischiare la vita per me, per noi … - continuò Jacob, stringendosi a Renesmee.
- Questa è la tua terra, Jake. – non esitò a rispondergli. – E questa la tua famiglia. – disse indicando Embry e Quil, Paul e Jared e tutti gli altri lupi più giovani.
- Combatteremo ogni tua battaglia, fratello … - si intromise Seth, deciso, e accompagnato dall’espressione d’assenso di Leah.
- Non posso impedirvelo, ma non posso neanche accettarlo … - commentò Edward, riportando lo sguardo d’ambra sulla figlia. - … E tu … - continuò, addolcendo il tono,  - Sai dove trovarci … - terminò, con l’ultimo barlume di speranza di poterla convincere.
- Non posso, papà … sai anche tu che non si può stare lontani da chi si ama! – gli rispose con un sussurro deciso, nonostante il resto del corpo tremasse nel vedere i suoi genitori allontanarsi.
Rivolse poi i suoi occhi di cioccolato, ancora bagnati di lacrime, verso i ragazzi del branco, ringraziandoli silenziosamente con un sorriso malinconico e grato insieme.
- Ormai fai parte del branco, principessa! – le rispose, dissacrante, Leah, non nascondendo, però, un sorriso. – Se sta bene a te … Ma sta’ attenta alle pulci! – le raccomandò, fintamente acida e scostante.
Jacob rise e con lui tutti gli altri, mentre ciascuno si incamminava verso la propria casa.
- Sta’ tranquilla, piccola. Si sistemerà tutto. – le sussurrò dolcissimo, quando furono soli. – Dagli solo il tempo di abituarsi all’idea. – la rassicurò, stringendole il viso stanco e teso tra le mani calde. – Tra un paio di giorni, andrai a parlargli, tu da sola - suggerì. – Credo che la mia presenza lo faccia … imbestialire! – rise provocatore.
- Sei stato … - cercò di bacchettarlo Renesmee, trattenendo a stento un sorriso.
- Attenzione, miss Cullen: una signorina per bene non dovrebbe neanche pensarle certe parole … - la interruppe, come fosse stato il suo istitutore.
- Stupido! – lo ammonì, mettendo un adorabile finto broncio. – Non fai che provocarlo … - continuò.
- E’ colpa sua! – si giustificò Jacob, alzando le mani, in un gesto teatrale, per scrollarsi da ogni responsabilità. – Eppure nessuno più di lui dovrebbe sapere quanto ti amo. – terminò, strofinando la guancia ruvida  sulla pelle d’alabastro della giovane, proprio come un cucciolo di lupo che dimostra il suo affetto.
- Forse è proprio questo il punto: non deve fargli bene sapere “quanto mi hai amato” stanotte. – spiegò, portando le mani di lui a cingerle la vita sottile, maliziosa, ma con le guancie in fiamme come una ragazzina al primo bacio.
- Peggio per lui … - incalzò Jacob. – Tanto al desiderio di te non c’è rimedio … - confessò, percorrendo con le labbra e con la voce, la distanza tra il lobo dell’orecchio e la bocca di lei, pronta ad accogliere la sua.
- Sembra quasi una malattia. – lo riprese tra un bacio e l’altro, con le proprie mani che gli scorrevano lungo la cintura dei pantaloncini.
- Lo è! – precisò, compiendo con la punta delle dita lo stesso gesto sensuale, facendola avvicinare ancora di più. – E’ una febbre … ti svuota la mente, ti consuma e ti brucia ogni fibra del corpo finché non l’appaghi … - continuò lieve e preciso, insinuando tra le sue labbra la punta dell’indice.
- Muhm … - mugolò la ragazza. – Ed è contagiosa? – chiese chiudendo gli occhi.
- Dimmelo tu … - le rispose con un sussurro.
- Io … - provò a rispondere. -  … Mi gira la testa e le labbra mi bruciano e credo che … potrei smettere di respirare, se adesso uscissi dalle tue braccia … - spiegò confusamente, mentre corpo e mente si perdevano nel profumo di lui.
- Allora siamo spacciati! – sorrise sulle sue labbra, e lasciò scivolare la mano nelle tasche posteriori dei jeans di lei.
- Ci serve un dottore? – farfugliò, con la voce contraffatta dal desiderio.
- No, piccola … ci serve un letto …. – precisò, prendendola tra le braccia ed incamminandosi vero casa.

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Capitolo 12
*** XII ***


XII

 

Il fuoco del grande camino in pietra ondeggiava, come una marionetta mossa da fili invisibili. Riscaldava l’intera stanza vuota, illuminata dalla sola luce della fiamma. Le pareti bianche sembravano il telone di un cinema all’aperto sul quale un film proiettava vecchie immagini senza sonoro.
Edward e Bella sedevano l’uno accanto all’altra sul divano, in silenzio, persi ciascuno nei propri pensieri.
Fu il vampiro a rompere quell’assordante silenzio fatto di domande affollate e stanche di non trovare alcuna risposta.
- Non riesco … non riesco a capire! – disse, nervosamente, strofinando i palmi aperti delle mani sulle cosce tese. – Renesmee non sembrava … non era più lei! –
- E’ sempre lei, Edward, solo è cresciuta: è diventata una donna, ormai. – cercò di spiegargli.
- In una notte? – chiese ironico. – Si diventa donna in una sola notte? – insistette.
- Credo che sia successo da un bel po’, solo che noi non abbiamo voluto vederlo … - constatò.
- Già, ma guarda caso, ce ne siamo accorti proprio adesso, dopo che quel … quel lupo … - si fermò con una smorfia a sporcargli il viso. – Come è possibile che sia così, così … travolta da Jacob? – mormorò tra i denti.
- Vuoi proprio che sia io a spiegartelo? – chiese la vampira, scuotendo la testa incredula per la richiesta del marito.
- Sì, illuminami, ti prego. Mi sono sempre chiesto cosa ci fosse di così attraente in lui: un mezzo animale, impulsivo e senza regole, maleducato e sfacciato, provocatore e talvolta ottuso … - le rispose Edward, con una smorfia di sconforto, mentre l’immagine delle braccia di Jacob intorno ai fianchi di Renesmee, dei loro baci e del resto di quella notte, che fugacemente, gli era passata attraverso la mente, gli bruciavano il cervello. Il suo dono, la capacità di leggere la mente degli altri, era stato molto spesso più che un vantaggio, una punizione: un’altra delle condanne inflittegli dalla sua immortalità. Più di una volta si era sentito un ladro, poiché la sua capacità lo costringeva a violare i sentimenti e l’anima di chi gli stava intorno. La mente, pensava Edward, è uno scrigno di cui solo la persona a cui appartiene può possedere la chiave: entrarvi significa appropriarsi di un terreno inviolato, usurpare un letto dalle lenzuola pulite, bere da un tazza stracolma di nettare che non ci può nutrire, poiché non è calibrato per il nostro corpo.
Eppure, non aveva scampo: quel veleno che lo costringeva alla vita eterna, lo rendeva artefice del suo martirio, senza scampo  e  senza redenzione. Tranne nel caso in cui la mente fosse quella di Bella. Forse per questo aveva rischiato, avvicinandosi a quella piccola umana fragile; per questo le aveva ceduto, sbriciolando il suo granitico muro di difesa. La mente di Bella era inviolabile e per questo sempre più attraente, come le foreste vergini e le terre ancora inesplorate: conoscere i suoi pensieri lo conquistava ogni volta, proprio perché era ella stessa a fargliene dono.
- Oh, Edward … - sorrise, dolcissima, come la mamma a cui il bambino chiede il perché del giorno e della notte. - … La tua è pura gelosia! – gli rivelò, come se fosse ovvio per chiunque, tranne che per lui stesso. – Quello che tu definisci “un mezzo animale”, è soltanto un uomo, almeno quanto lo sei tu. La sua impulsività è puro istinto, che egli, miracolosamente, regola con il cuore; la sfacciataggine è la capacità invidiabile di dire ciò che pensa, sempre; le provocazioni sono il suo modo di difendersi; l’ottusità solo la determinazione e la forza di conquistare ciò che vuole, ad ogni costo. – spiegò, puntuale.
- Hai dimenticato la maleducazione! – precisò Edward, irritato.
- Non l’ho dimenticata … - sospirò, Bella, - Per quella neanche io  riesco a trovare giustificazioni … - terminò, scuotendo il capo,  rassegnata. – Ma forse, tu hai scordato qualcosa … - gli fece notare, rivolgendo a lui i suoi begli occhi d’ambra.
- Cosa? – chiese il marito, corrucciando la fronte.
- La capacità di amare! – rispose lei, allargando le labbra in un sorriso incantatore. – E non parlo solo di Renesmee: Jacob sa amare con tutta l’anima che possiede, con sacrificio, dolore, devozione e tanta, tanta dolcezza. – precisò, addolcendosi ella stessa. Bella amava Jacob, non quanto suo marito, ma l’amava. Come si ama un amico sincero, un fratello, pronto a qualunque cosa per sostenerti, deciso a proteggerti, a costo della vita; l’amava senza corpo, soltanto con un cuore riconoscente, sereno, sincero, esattamente come sapeva di essere amata da lui.
- Accidenti, Bella, neanche tua figlia, follemente innamorata di lui, avrebbe trovato motivazioni altrettanto convincenti per la sua arringa! – sorrise. Sapeva quanto fossero forti e puliti i sentimenti della sua vampira per quel mezzo lupo, ma la sua testa era ancora in subbuglio per ciò che aveva scovato in quella di Jacob: ascoltarla sciorinare pregi e meraviglie su di lui era troppo anche per un vampiro serafico.
- Ah, credimi, Renesmee avrebbe aggiunto la passione, il fuoco travolgente che le mette sotto pelle, l’impeto con cui la bacia, le braccia calde … - elencò, con un’attenzione ai particolari, che fece inacidire la risposta del vampiro.
- Basta, ti prego, hai reso perfettamente l’idea! – la fermò, anche con un gesto della mano. – Questo, purtroppo, non cambia lo stato delle cose: Jacob e Renesmee non possono stare insieme! – chiarì, con amara determinazione.
- I Volturi non sono il vero problema, giusto Edward? – indagò, intuendo la dolorosa risposta.
- Lo considererebbero un delitto, un abominio. Stanno aspettando un nostro passo falso come sciacalli in attesa della carcassa di un animale … - precisò, passandosi nervosamente le mani tra i capelli perfetti. – Ma no, non sono loro il vero male. Jacob e Renesmee non possono stare insieme. – ripeté, meccanicamente. –
 - E’ per Renesmee, vero? – chiese, sfiorandogli la nuca ed indugiando sulla sua pelle di marmo.
Edward, sospirò forzatamente, come se l’aria gli si fosse incastrata nella gola, proprio a lui che non aveva bisogno di respirare.
- E’ troppo giovane, troppo inesperta e a digiuno del resto del mondo. E’ cresciuta in fretta, come uno di quegli insetti che nasce, cresce e muore in un solo giorno. Non ha vissuto, non ancora: è sempre stata protetta, in un bozzolo dorato, dalla sua famiglia, dal branco, non conosce altri mondi che questi! Come può essere sicura dei propri sentimenti, addirittura dell’amore, se non le permettiamo di guardare oltre? – le spiegò accorato.
- Edward … l’amore è il più puro dei sentimenti, l’anima lo riconosce istintivamente. Non è necessario essere centenari per amare con certezza assoluta: io avevo la sua età quando ti ho scelto! – gli ricordò, con un sorrisetto soddisfatto.
- Lo so … ma io ho fatto fuoco e fiamme per allontanarti da me … - precisò.
- Col risultato che mi sono rotta una gamba, gettata da una rupe, lanciata a folle velocità su di una vecchia moto arrugginita e sfidato i Volturi! – sorrise, continuando ad accarezzarlo.
- Avevi la testa dura … - la rimproverò, sorridendo di rimando.
- Ti amavo, incondizionatamente, esattamente come tua figlia ama Jacob! – gli fece notare.
- So anche questo! – rispose, emettendo l’ennesimo sospiro stanco. – E’ il motivo per cui spetta a noi farla riflettere, aiutarla, costringerla, se necessario, a prendersi il tempo per scegliere, senza la frenesia, il groviglio di emozioni nuove ed incontrollabili che quel lupo le mette nelle vene. –
- Ha già scelto, tua figlia ha già scelto … e Jacob è nato per lei. – insistette, pur sapendo che non esistevano argomenti validi per fargli cambiare idea.
- Sai che nonostante le incomprensioni, la rabbia, la gelosia stimo quel ragazzo e lo amo al pari di Jasper ed Emmett. Non riuscirò mai a ringraziarlo abbastanza per aver salvato, prima la tua vita, poi quella di nostra figlia, mettendo a repentaglio la sua. Ma … nessuno, nessuno conta, per me, quanto lei, neanche il resto della mia famiglia. – concluse, guardandola.
- Non cederà. Nessuno dei due cederà … - mormorò, decisa. Conosceva troppo bene il suo amico per non sapere che avrebbe difeso con le unghie e con i denti, quel suo amore. Strenuamente, avrebbe lottato, come proprio gli animali per difendersi, poiché dentro egli era un lupo, istintivo, puro, che sceglie la propria compagna per la vita e la protegge per sempre. Allo stesso modo, conosceva sua figlia: Renesmee era dolce e fragile, come i bambini soli in mezzo al mondo; ma anche determinata e forte come un soldato nello scontro finale. Erano l’incastro perfetto, esattamente come lei ed Edward.
- Lui, sì. – interruppe i suoi pensieri Edward. – L’ama troppo per non capire che questa scelta, adesso, le negherebbe la vita che merita. –
- Lo sai che separarli li condannerebbe, lui ad una sofferenza logorante, lei ad un dolore che la spegnerebbe un giorno alla volta? – continuò nel suo tentativo fallito in partenza di convincerlo.
- E’ della felicità e del futuro di Renesmee che stiamo parlando: sono le cose a cui, anche Jacob, tiene di più al mondo … - terminò, col tono di chi non ammette repliche. – Un giorno, forse, quando Renesmee sarà cresciuta davvero … ma non oggi, non ora! – sancì, comunque sofferto.
Bella ispirò profondamente, triste, con una voglia di piangere che non avrebbe potuto esaudire, e, con una voce tremula, concluse: – Gli parlerò io, però … - mormorò, chiedendo, silenziosamente, a sé stessa dove avrebbe trovato le parole per fargli così male.

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Capitolo 13
*** XIII ***


XIII

Avevano passato l’intero pomeriggio a First Beach, lui a giocare a calcio con i suoi fratelli, come bambini  con i piedi nudi nella sabbia e la testa leggera tra le nuvole; lei a guardarlo, perdendosi nei suoi occhi, ogni qual volta si voltava a cercarla.
Non c’era alcun dubbio: per Renesmee Carlie Cullen, come per chiunque si fosse fermato a guardarlo, Jacob Black era bello, incredibilmente bello.
Il corpo era agile e veloce, come quello di un atleta: le gambe erano scattanti e tornite; le spalle ampie terminavano in braccia forti e mani tenaci nella stretta, quanto dolci nelle carezze; il viso, dai lineamenti decisi e scuri, si animava negli occhi di pura pece, brillanti e teneri e nel sorriso sincero e trascinante. Era alto, enorme rispetto alla figura minuta di Renesmee, ma ella si sentiva perfettamente contenuta in quel corpo caldo, come il tesoro nello scrigno, nata apposta per le sue braccia.
Ciò che più l’ammaliava, però, era la pelle.
Essa riluceva come la superficie del mare sotto il riverbero della luna. Riluceva, ma non come quella dei suoi familiari, che avevano bisogno del sole per brillare come migliaia di diamanti purissimi. Essa splendeva sempre, poiché quella luce veniva da dentro, era il riflesso della sua anima calda e sicura, come fosse essa stessa il sole.
Ma la bellezza  di Jacob scavalcava quella fisica e per questo era ancora più travolgente.
Egli era sincero e puro al pari di un bambino che ancora non conosce la menzogna; leale e pronto al sacrificio per coloro che amava, come un eroe ed infine completamente sopraffatto dalla capacità di amare.
E poi era simpaticamente sfrontato, inarrestabile e dolce, divertente ed incline al sorriso in qualunque momento, anche in quelli più difficili.
Eppure guardarlo, ora dopo ora, le provocava una morsa che le attanagliava lo stomaco, feroce come quella di un animale affamato. Sapere che quell’amore per lei era frutto dell’imprinting le scuoteva i pensieri facendola tremare.
Fin da bambina le era stato spiegato ogni particolare di quella magia Quileute.
Le era sembrata, in principio, la favola della principessa e del cavaliere, destinati l’una all’altro dalla magia di una fata bizzarra e dispettosa, che aveva deciso il loro futuro rimestando una pozione puzzolente in un calderone di rame.
Crescendo, aveva cominciato a percepire il legame che li univa, mentre le entrava sotto pelle, sempre più intenso ed indissolubile: le toglieva il fiato la sua assenza o la mancanza del suo profumo di notte da ragazzina, negli anni lontano da Forks; poi, dopo la sua visita a Denali, era diventato lentamente desiderio fisico, così forte da farle attorcigliare le viscere al solo pensiero del suo corpo a stringere il proprio. Sapeva  che quel laccio di seta che li teneva uniti, anche a chilometri di distanza, era biunivoco; che Jacob si sentiva alla stessa sua maniera, travolto ed inerme, e,  sebbene non avesse mai voluto spezzarlo, temeva che per il mezzo lupo, fosse la catena che un destino padrone aveva messo al collo di un animale altrimenti indomito, rendendolo schiavo in eterno.
- Hei, piccola? – la chiamò, con un sorriso ammaliatore. – A cosa stavi pensando? – chiese, accovacciandosi.
- Ad un mezzo lupo … - gli rispose, tornando indietro sul sentiero dei propri pensieri.
- Uno qualunque? – le chiese ancora, alzando il sopracciglio.
- Il più forte, il più bello … - cominciò l’elenco.
- Se è anche il più innamorato … so a chi stai pensando! – sorrise, schioccandole un bacio sulla punta del naso.
- Il più innamorato? Vorrei che lo fosse … - sospirò, con il viso puntato sulle mani tremanti. - Il più innamorato ed il più libero di amare … - terminò con un velo triste a sporcarle la voce.
Jacob si mise a sedere, davanti a lei, incrociò le gambe e le prese le mani.
- Che fai? – domandò interdetta.
- Mi metto comodo: sembra che ci sia un discorso serio da fare … - le sorrise rassicurante. – Quel lupo è innamorato dell’unico essere in grado di completarlo. E’ un privilegiato poiché la donna a cui è destinato, l’ama alla sua stessa maniera … Ed è libero! – le spiegò sincero e risoluto, senza alcuna incertezza nella voce e negli occhi.
- Peccato che sia stata una magia tribale a concedergli questo privilegio … una magia così potente da renderlo schiavo e felice del suo stesso sentimento! – incalzò, affranta.
- Una magia, sì, e allora? Cosa credi che sia l’amore, Renesmee? – insistette, pronunciando il suo nome per intero, come faceva solo quando qualcosa non andava. – Cosa, se non la più grande ed incontrollabile magia? – disse, come se la conclusione fosse ovvia e limpida come il sole.
- Ma se avesse potuto scegliere, quel mezzo lupo … non avrebbe preferito una mezza vampira, sua nemica naturale, tanto odiata, da desiderare di ucciderla con le sue stesse mani … - sussurrò, guardandogliele, mentre accarezzavano il dorso delle sue.
- E’ vero volevo … volevo ucciderti, e mi vergogno di averlo desiderato … Ma quando ti ho guardata, i tuoi occhi mi hanno … mi hanno ucciso, trapassato la carne, come lame affilatissime, tanto da arrivare fino al cuore, e nello stesso istante mi hanno restituito a nuova vita risanato, mi hanno ricomposto le ferite, anche quelle vecchie che credevo sarebbero sopravvissute a me stesso. Mi hai guardato  ed io ti ho vista … e con te tutto ciò che volevo … - le spiegò con una voce così risoluta, da non lasciare traccia di dubbio. – E cosa vuoi che mi importi, se tutto è avvenuto per quella che qualcuno chiama magia? Il nome che diamo alle cose non cambia la loro essenza: la pioggia, la neve o il ghiaccio sono sempre e comunque acqua … -
Renesmee lo guardò cercando ancora risposte, parole, battiti di cuore e respiri che la costringessero a credere, poiché non voleva altro, altro che credergli.
- Ed il libero arbitrio allora? - insistette.
- Ah no, Cullen, non cercare di confondermi con parole difficili! - cercò di scherzare, smorzando col suo sorriso la tensione palpabile. - Si sceglie con la testa non con il cuore ... - sospirò, più serio. - Renesmee …  - continuò sempre con forza, poiché la sentiva tremante ed in bilico tra dubbio e voglia di cadere. – Nessuno sceglie in amore. Dimmi chi sceglie chi amare … - si infervorò. – Credi che, se tua madre avesse potuto scegliere, avrebbe amato un vampiro? – proseguì. – Forse avrebbe deciso di non stare con lui, ma non certo di non amarlo …  - concluse stringendole ancora più forte le mani che continuavano a tremare. – Nessuno è libero in amore! – sorrise, come se quella prigione fosse la cosa più meravigliosa a cui la vita lo avesse costretto.
- Siamo in trappola, allora … -  domandò, con un groppo che le graffiava la gola.
- Sì … meravigliosamente in trappola … - affermò, con un sussurro talmente lieve al suo orecchio, che Renesmee, lo percepì come la stessa voce dell’anima, tanto leggera e suadente da farle perdere l’ultimo appiglio di insicurezza.
Si avvicinò al suo viso, le carezzò le guancie, poggiò la fronte su quella di lei guardandola negli occhi, sfiorò con le labbra la sua piccola bocca e la riscaldò con le parole. – Non è questa la prigione più accogliente in cui si può essere rinchiusi? Non sono le tue labbra e le mani, e tutta la tua pelle dolce, la catena più morbida da cui ci si possa far legare? – continuò baciandole prima le labbra, poi le mani ed il collo fino alle clavicole.
- E’ così? – chiese, aggrappandosi saldamente alla poca lucidità rimastale.
- E’ così … E non è forse tutta questa tua carne l’antro in cui mi farei rinchiudere senza luce né cibo, per mangiare solo di te e per berti … - continuò a sussurrare, afferrandole i fianchi e trascinandosela addosso sulla sabbia tiepida e fine e nera, come il suo desiderio.
- Sì, è così … - replicò, Renesmee convinta dalle sue parole ed avvinta dai baci e dalle carezze.
- Sì, perché ti amo da sempre … ed é questo quello che voglio … tu sei quello che voglio … per sempre … -

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Capitolo 14
*** XIV ***


XIV


Erano passati solo un giorno ed una notte da quando aveva accompagnato Renesmee al piccolo cottage dei suoi genitori.
Eppure a Jacob, sembravano una esistenza intera trascorsa a dominare una solitudine ed una mancanza che lo ferivano con punte piccolissime e aguzze di un vetro rotto.
Quando, quattro anni prima, Renesmee aveva lasciato Forks, Jacob aveva sentito un male sottile come la pelle che si lacera per mezzo di una ferita. Ma quel nuovo distacco, seppure breve, era, inconcepibilmente più doloroso e Jacob sapeva perché.
L’aveva toccata, fatto scorrere le mani sul suo corpo, l’aveva assaggiata con tutti i suoi sensi; ne aveva fatto la sua fonte di acqua sorgiva. Renesmee, così era diventata il suo nutrimento, l’aria, il sonno; il desiderio e l’appagamento insieme, la quiete e l’affanno, l’una a rincorrere l’altro in un cerchio che non poteva avere fine.
Per questo non poteva accettare più la sua assenza: non si può fare ameno di ciò che ci nutre, non si vive senza aria ad alimentare i polmoni.
Avevano deciso che sarebbe stata la mezza vampira a parlare con Edward e Bella: Renesmee avrebbe spiegato loro dell’amore incontenibile che nutrivano l’uno per l’altra, del desiderio e della necessità di stare insieme, respirare della stessa aria, di sfamarsi dei loro sentimenti per la vita.
Jacob non ci sapeva fare con le parole.
Sapeva dire con gli occhi scuri, con i sorrisi intensi, le mani dolci, non con le parole. E ancora meno avrebbe saputo usare quelle giuste con il vampiro che di parole sembrava essere assoluto padrone e dispensatore esperto.
Eppure nell’istante in cui l’aveva baciata per salutarla, un brivido si era preso, ad uno ad uno, gli anelli della colonna vertebrale, lasciandolo stranito e freddo, quasi impaurito.
Si era consolato, con la speranza che fosse solo il distacco forzato, il taglio di quel filo doppio, robusto delle loro anime intrecciate, ma passati i due giorni necessari a chiarire le loro decisioni, Jacob non aveva potuto fare altro che andare a riprendersi la propria vita, perfettamente custodita nel corpo della sua donna.
- Vengo in pace! – scherzò, con la sua solita faccia da schiaffi, alzando le mani per enfatizzare le sue scuse, quando, arrivato in prossimità del cottage, vi trovò con sorpresa la sua amica vampira.
Bella lo guardò, soffermandosi sul sorriso furbo e felice, di chi si sente vicino a ciò che desidera. Intrecciò le mani dietro la schiena, cercò il coraggio di parlargli schiettamente, imponendosi di essere ferma, risoluta, autoritaria più come una madre che come una amica.
- Lo so, Bells, sono stato … Beh, non credo esista la parola esatta nel vocabolario pulito dei Cullen, giusto? – ammiccò, scusandosi nel suo strano modo. – Non volevo provocare Edward, è pur sempre il padre della mia ragazza … - continuò, rimarcando il nuovo legame con Renesmee. – Aspettavo appunto lei! Non che mi dispiaccia vederti … ma non riesco a starle lontano! -  sorrise, sperando di contagiare col suo buonumore anche la sua amica.
- Non verrà … - fu la risposta lapidaria della vampira.
Jacob la guardò stranito, assottigliando lo sguardo, portò le mani nelle tasche dei pantaloncini, lasciando inaridire il sorriso che lo aveva fino a quel momento animato.
- Io ed Edward crediamo … Abbiamo deciso che non verrà! -  terminò con gli occhi bassi. – E’ per il suo bene e per quello di tutti noi. –
- Oh andiamo, Bella! Non mi starai dicendo che per non fare arrabbiare quei damerini italiani, impedirete a me e Nessie di stare insieme? – chiese, mentre i muscoli si irrigidivano ed il respiro cominciava a spezzarsi di fremiti irregolari. 
– Bella? – insistette avvicinandosi. – Rispondi! – le intimò, ad un palmo dal viso di lei.
- Non possiamo sottovalutare la loro ferocia e la sete di vendetta e, comunque … Renesmee avrà più opportunità di una vita serena e sicura lontano da te! – lo condannò.
Sentì di affondare crudelmente una lama nella schiena di un uomo indifeso. Capì che gli stava toccando il cuore con le mani nude e si dolse per aver peccato, peccato contro l’amore e la vita, contro la promessa di felicità che aveva avvertito sulla sua stessa pelle, guardandoli mano nella mano.
- Ah … adesso capisco! Non sono i Volturi che vi preoccupano, vero, Bella? – chiese, scuotendo la testa. – Il problema è Jacob Black! Il problema sono io, giusto? – la sfidò. – Non sono all’altezza di una Cullen …
Come ho fatto a non pensarci: tutte quelle storie sull’età di Renesmee, sui pericoli che una nostra unione avrebbe potuto portare … la sua incolumità, quella di tutti noi… Bugie, tutte bugie … fumo negli occhi …
Il problema sono io …
Io sono solo un maleducato, rozzo, mezzo animale con le mani sporche di olio … - sorrise amaro, strofinando sul palmo della mano le dita scure, corrose dal grasso dei motori, - Una bestia ignorante che conosce solo la geografia della sua terra e la storia della sua gente bistrattata e rinchiusa … - constatò arrabbiato e deluso.
- Jake, sai che non è quello che pensiamo. Ti prego … -
- No, io ti prego, Cullen … - la interruppe tremando, con una voglia dentro di piangere, così pungente da causargli male agli occhi. – Sai cosa penso? – continuò, stringendo i pugni per concentrare il dolore più lontano possibile dal petto. – Penso che il veleno dei succhiasangue … - spiegò, usando quella parola che aveva dimenticato alla nascita della sua bambina, - … ti abbia portato via non solo la vita ed il colore degli occhi. Penso che ti abbia tolto il calore di un cuore che conosceva le cose importanti, quelle vere: l’amore, l’amicizia, il rispetto per gli altri!
Per quelle cose che hai buttato irrimediabilmente, ti ho amato, Bella … e ti ho difesa. Ho messo in pericolo la vita mia e dei miei fratelli, prima per te poi per quell’essere speciale che miracolosamente ti è cresciuto dentro.
Non me ne pento, non mi pento di ciò che ho messo in gioco allora: sono nato per proteggere gli esseri umani … sono nato per proteggere Renesmee …
La mia vita, però, la nostra amicizia, valevano solo perché le immolassi per un fine più alto: la vostra sopravvivenza …
Ti detesto, con tutto me stesso; ti odio per avermi fatto credere di contare qualcosa per voi, per te … e di più, mille volte di più, ti odio perché fai leva sul mio amore per lei; perché ti servi del mio bisogno di renderla felice, di proteggerla come la mia stessa carne … - le urlò.
- Jake … - sussurrò, come fosse una richiesta di perdono.
- Sei morta, Bella … adesso, per me sei morta davvero! – la lapidò, guardandola dritta negli occhi d’ambra, come fosse l’ultima volta.
Gli  occhi di Jacob si rabbuiarono, come un cielo senza luce, denso di nubi.
Essi le mostrarono la carne morire, l’anima in delirio ed il sangue rapprendersi dal dolore.
Un istante dopo, fatto di un’eternità dolorosa, quegli stessi occhi si nascosero dentro quelli dell’animale, così come la pelle bruna si ricoprì della pelliccia rossiccia, come i capelli di sua figlia.
Jacob sparì  ed il lupo, ringhiando, fuggì nella boscaglia scura e Bella in quell’istante sentì di essere morta davvero!

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Capitolo 15
*** XV ***


Ben trovati!
Eccoci giunti al quindicesimo capitolo!
Ormai siamo in dirittura d’arrivo.
Come sempre ringrazio tutti coloro che leggono questa storia, quelli che lasciano le loro recensioni ed infine coloro che l’hanno inserita tra le seguite e tra le preferite.
Davvero grazie infinite.
Buona lettura ed alla prossima!


XV

 

- Hei … sei qui! – gli disse, sorprendendolo alle spalle. – Ho fatto il giro della riserva due volte … - continuò, piegandosi in due per lo sforzo e poggiando le mani sulle cosce stanche. – Non sarà che avevi paura di Edward Cullen, lupo? – lo provocò, con una smorfia, ancora stranamente ansante.
Jacob rimase immobile sempre di spalle, la schiena rigida e le braccia tese lungo i fianchi.
- Tornatene da lui e da tua madre, Renesmee … - disse deciso, con la voce ferma, ruvida, incolore.
- Jake? – lo chiamò confusa: si aspettava, alla propria battuta, una risata calda, una risposta spavalda delle sue, in cui si sarebbe vantato del suo coraggio e della sua forza contro chiunque.
- Tornatene con loro … a Denali … - precisò, con la stessa voce di prima, irriconoscibile, come se non fosse egli stesso a parlare.
- Non … non capisco … - insistette Renesmee turbata, mentre uno strano freddo le saliva su per le gambe, ed il rossore delle guancie, accaldate per la corsa, si dissolveva, addensandosi solo sulle labbra tremanti.
Le foglie erano ferme, nessun alito di vento percuoteva le fronde, se non quelle sui rami più alti. Il fragore delle onde saliva insieme alla spuma dell’acqua che si infrangeva sulle rocce sotto la scogliera: nessun altro suono, come se tutto intorno fosse in attesa delle loro parole.
Jacob gonfiò il petto, riempì di aria i polmoni e poi, con un lungo sospiro, la espulse, imponendo un ritmo regolare al respiro convulso, come un atleta che si prepara alla gara.
- Mi dispiace … - sospirò ancora, mentre l’aria avvelenata fuoriusciva dalla bocca, bruciandogli la trachea. – E’ stato un errore, Renesmee, un maledetto errore … - mentì, continuando a nasconderle gli occhi.
- Un errore? – ripeté la giovane, continuando a non comprendere. – Esattamente cosa è stato un errore, Jake? – urlò, con il respiro che le feriva la gola come un rovo di spine.
- Tu ed io … noi! – le rispose lapidario.
- Ma … Tu mi ami … Hai detto che mi ami … dannazione! - imprecò, mordendosi le labbra. - E voltati quando ti parlo! – gli ordinò.
Jacob le obbedì, ruotò tutto il corpo nella sua direzione, ma mantenne gli occhi sulla terra che gli sporcava i piedi nudi.
- E non mentivo: io ti amo, ti amerò sempre, Renesmee, finché avrò vita.
Ti giuro … che in qualunque momento, ovunque, io ti proteggerò … a costo della vita! – promise, come se a Renesmee bastasse, come se fosse quella la promessa eterna a cui anelasse. – Ti amerò sempre … ma non come un uomo ama una donna, non come ti ho amato in questi giorni … - spiegò, senza un ombra nella voce sicura, determinata e tagliente come un’arma affilatissima.
- Che dici? Che diavolo dici? – gli urlò contro, avvicinandosi e colpendogli il petto nudo con i pugni chiusi, con una forza disperata, per scuoterlo, farlo rinsavire.
- La mia vita è tua, Renesmee, ma … non siamo fatti per stare insieme. E’ questo che sto dicendo. – le rispose, prendendosi tutta quella rabbia addosso, lo smarrimento della ragazza ed il suo dolore, eco perfetta del proprio. – Siamo diversi, apparteniamo a mondi diversi … mondi che non potranno mai incontrarsi! – continuò, sperando di morire in quel preciso istante, così da porre fine alla sua agonia ed alla propria.
Renesmee continuava a guardarlo, il viso vicinissimo a quello di Jacob, le labbra bagnate di sale ad un soffio da quelle di lui, a tentarlo.
Il giovane le guardò, ricalcandone solo con gli occhi il contorno, come una matita che copia il disegno originale, imprimendone i tratti a fuoco nella mente; costrinse nelle proprie mani quelle di lei, ancora inchiodate sul petto e soffocò un lamento disperato. 
- Non è vero, non è vero … - ripeteva in una cantilena dolorosa, scuotendo la testa e lasciando scorrere le lacrime, nel tentativo di liberarsi, da quella morsa rovente di disperazione.
- E’ vero, è vero e anche tu lo sai! – la interruppe con durezza. – Tu sei immortale ed io … per quanto la mia natura mi permetta di rallentare lo scorrere del tempo, io … io non lo sarò mai. Tu non potrai mai far parte del mio mondo … ed io non farò mai parte del tuo. – concluse tristemente, dominandosi, per non cedere alle lacrime di lei.
- Non conta la nostra natura: umani, vampiri, mutaforma … Non conta.
Contiamo io e te: quello di cui siamo fatti dentro, le nostre anime, i sentimenti, i desideri che ci legano l’uno all’altra … Jake e Nessie, io e te … nient’altro! – cercò di convincerlo con una determinazione che la devastava e la rianimava insieme.
- Io e te? Davvero? Credi davvero che io e te bastiamo contro tutto quello che ci divide? Sei una ragazzina ingenua! – l’apostrofò, cercando di offenderla. – Cosa farai quando io comincerò ad invecchiare, perché accadrà prima o poi, lo sai, vero? Ed io? Cosa farò quando vedrò morire uno dopo l’altro tutti quelli che amo per rimanerti accanto più a lungo possibile? – chiese, adducendo una motivazione che non l’aveva mai neanche sfiorato fino ad allora.
Aveva sempre saputo che l’una e l’altra cosa sarebbero state motivo di devastante sofferenza per entrambi. Ma l’amore per lei, la necessità di amarla ogni giorno e per sempre, erano state motivazioni così forti da far sparire tutto il resto.
Ma doveva cercare un appiglio che l’allontanasse, doveva respingerla, costringerla a rassegnarsi al loro distacco, come aveva dovuto fare lui. Raccontarle le parole di Bella, o meglio ciò che lui vi aveva letto, non sarebbe stato sufficiente a domarla. Anzi le avrebbe scatenato la voglia di disobbedire, come i ragazzini spavaldi che disattendono le raccomandazioni dei grandi.
Il tentativo di lui di ferirla andò a segno, preciso, diretto, come la freccia scoccata dall’arco del cacciatore esperto.
Renesmee, infatti, al contrario di lui, al loro futuro, in quei termini, non aveva mai pensato. Non perché fosse un’ingenua ragazzina che crede al lieto fine delle favole, ma solo perché ogni cosa perdeva consistenza al confronto di ciò che provava per lui.
Le parole del mezzo lupo la illuminarono all’istante, le rivelarono crudeli una sofferenza che li avrebbe lacerati, in un punto qualunque del loro domani, e la consapevolezza amara di provocare dolore a colui che amava di più al mondo, incrinò tutte le sicurezze.
Eppure, l’amore per Jacob era più forte di tutto: era egoista poiché non voleva privarsi di lui ed era presuntuoso poiché sicuro di essere capace di superare ogni ostacolo.
L’amore era indipendente dalla volontà: con essa condivideva solo il corpo di Renesmee, la mente, il cuore, organi e sensi mescolati ed in subbuglio.
Così provò ancora a dissuaderlo, si aggrappò all’ultimo spigolo di speranza che intravide nella presa salda delle mani di lui intorno alle proprie e lo supplicò: - Jake, ti prego … -
- Torna a casa, Renesmee, torna a casa tua! – fu la risposta alla sua preghiera.
La paura della sua mancanza, il dolore per la ruvidezza delle parole, gli occhi decisi e duri, che non ammettevano repliche, la spinsero nel vuoto.
Le mani di Jacob scivolarono lungo il dorso delle sue, lentamente, rimandando l’inevitabile distacco. Gli occhi di entrambi ne seguirono il percorso doloroso; i respiri, all’unisono, si incresparono nella certezza della fine imminente, finché i corpi si lacerarono, da uno divennero due, distinti. Renesmee si accasciò al suolo stanca della lotta infruttuosa, affondò le unghie nella terra, strappandone rabbiosa ciuffi d’erba, ne inspirò il profumo, cercando una tregua al dolore, e, passatasi le mani sulle ciglia imperlate, rivolse a lui viso ed occhi liquidi.
- Io spero che tu muoia, Jacob Black! Spero che muoia per non aver dato fiducia a questo sentimento … per non aver creduto in noi … - lo maledì.
Voglio che tu muoia e non perché ti manchi il respiro, ma vivendo un giorno alla volta. Voglio che pianga ricordando la mia carne, come essa ti ha avvolto, ed il sangue puro che ti ho donato e che sarà sempre, comunque solo tuo …
Voglio che tu muoia … di me! – pianse e tremò, mentre la morte dell’anima si prendeva davvero la sua di vita, la testa ed il fiato.
- E sia! – le rispose, senza guardarla, recitando un distacco che non gli apparteneva.
“E sia!” ripeté in silenzio, ”Da oggi, senza il cuore che ti porti via, io muoio …  e continuerò così senza vita, fino alla fine dei miei respiri …“,  terminò, maledicendosi a sua volta.
La giovane si tirò su a fatica, tenendosi il ventre stretto tra le sue stesse braccia; senza guardalo più, si voltò verso la boscaglia oltre la quale l’aspettava la sua sterile vita e si incamminò.
Mentre le spalle di Renesmee, dritte e perfette, come ogni parte di lei, lo guardavano insicure e fragili, il buio si prendeva tutti e due; avvolgeva i loro corpi sempre più distanti, così come le anime, e l’amore, sacrificio e punizione per entrambi, li separava per sempre.

 

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Capitolo 16
*** XVI ***


Ben trovati!
Ecco il penultimo capitolo della storia!
Come sempre ringrazio tutti voi che leggete  e commentate!
Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento e aspetto le vostre recensioni.
Buona lettura e a presto!




XVI
                                            

La finestra della camera di Renesmee era spalancata, come ogni notte da che era nata, aperta per far entrare il lupo.
La luce della notte era così fioca che un essere umano provvisto solo dei suoi sensi, non avrebbe visto che contorni sfocati.
Giaceva nel suo letto enorme, sperduta tra le lenzuola ciclamino, che le si attorcigliavano alle gambe nude, come sterili rami di rampicanti nodosi.
Il viso, riverso sul cuscino, portava i segni sottili delle lacrime, eppure, testardo, conservava la sua ormai schiusa bellezza. Le ciglia imperlate si serravano sulle palpebre arrossate dalla fatica, imprigionando crudeli, il calore dei suoi occhi di cioccolato.
Jacob rimase in piedi, in silenzio, sulla soglia, mentre uno zefiro profumato di gelsomino smuoveva lento la tenda sottile, che gli sfiorava la pelle del torso accaldato.
Non erano passate che poche ore da quando, annullando completamente la sua volontà, l’aveva lasciata, scacciata dalla sua vita, ma non dal suo petto.
Il desiderio di vederla ancora una volta, l’ultima, l’aveva avvampato, e così dopo aver lasciato libero il lupo di correre follemente lungo tutto il perimetro della riserva, aveva permesso all’uomo di tornare in quella stanza che, mille volte l’aveva ospitato, accolto nelle lunghe notti in cui la sua piccola, si era lasciata accudire; nelle albe rosa, dopo le lunghe ronde, e nei tramonti d’oro che le illuminavano il viso di latte. Aveva scalato il muro, con la destrezza silenziosa di un animale, domando il respiro affannato, non per lo sforzo, ma per il dolore del distacco.
Fermo sulla soglia respirava ancora malamente, come se l’acqua gli avesse annegato i polmoni, e, ad ogni passaggio brusco dell’aria attraverso narici e gola, un rogo lo consumava, infiacchendolo.
Seguire, con gli occhi, le scie inaridite del suo dolore e la purezza della pelle morbida e saporita; respirare la stessa aria dolce che le riempiva i polmoni e le faceva danzare i seni sotto le lenzuola attorcigliate, erano la tortura dell’anima più dolorosa che l’avesse mai toccato.
Eppure, tutto il suo corpo, i piedi nudi e sporchi di terra umida rimanevano fermi, cristallizzati, in quel punto esatto dell’universo a prendersi la loro parte di dolore, inermi, come se lo meritassero.
Sentì la lacrime silenziose e perfide scorrergli lungo il viso teso, torturargli gli occhi; solcargli la mascella contratta e gli zigomi; raggiungere il mento, per poi lanciarsi nel vuoto, fino ad incontrare la pelle calda del petto, sul quale aveva reclinato il capo.
Pianse Jacob, pianse come non accadeva da quella sera tragica e miracolosa in cui credette di aver perso il cuore dentro la morte di Bella ed invece esso era rinato, tornato proprio dall’inferno, nella nuova vita della sua bambina.
Pianse per un istante eterno, fino a quando sentì i singhiozzi che non riusciva più a soffocare. Passò entrambe le mani ruvide di bosco sugli occhi, liberandoli dalle lacrime che gli impedivano la vista e si concesse  di guardarla ancora, assetato della sua carne e della sua anima, impregnate della sua stessa sofferenza.
Una forza invisibile lo spinse in avanti, come se qualcosa di forte e poderoso l’avesse sorpreso alle spalle, protendendo membra e cuore verso lei.
Compì un passo soltanto e la stessa forza, uguale e contraria, annullò la prima.
“Tu l’ami, Jacob?”, chiese, facendosi voce.
Un ringhio sommesso e cupo risalì dal petto alla gola, gli rimbombò nelle orecchie attente, occupò cuore e cervello, divincolandosi per riuscire a dire di sì.
“Vattene, allora”, ringhiò la voce del lupo, mentre il corpo di Jacob tremava, dilaniato.
“Vattene”, ordinò.
Renesme si mosse morbida, come se la parte più piccola della sua anima increspata avesse udito quelle parole; sollevò le palpebre, appesantite dal sonno e dal pianto, e si guardò intorno, alla ricerca di quella voce.
- Jake? – chiamò, con un sussurro verso un’ombra scura i cui contorni erano delineati dalla luce della luna. Stropicciò gli occhi con le mani timorose e sottili cercando di mettere a fuoco nel buio.
- Jacob? – ripeté, ma ombra e luce si erano dissolte, come evaporate, confuse nelle molecole d’aria.
Al loro posto, una finestra spalancata, come sempre accadeva da che era nata, un tenda leggera mossa dal vento e dappertutto il suo odore.

 

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Capitolo 17
*** XVII ***


Eccoci giunti all’ultimo capitolo di questa storia.
Come le altre volte, più delle altre volte, devo ringraziare coloro che hanno seguito, preferito o soltanto letto ogni capitolo di Love and Darkness.
Questa storia è nata per una scommessa con me stessa e se soltanto uno di voi si è fermato un istante ad ascoltarla, se leggerla vi ha lasciato con la curiosità del seguito o ha suscitato una piccola emozione, direi che ho vinto!
Lascio un bacio grande a coloro che hanno recensito, dandomi lo sprone per continuare: a Sweetluna, a Stella Cadente, a Taylor_HG_Swift, ed a Emmema che è arrivata in volata sul finale, e a tutti quelli che ho perso per strada.
Infine a Princess_Alice, la mia prima sostenitrice: questa storia è dedicata a te!
Vi lascio alla lettura e spero di incontrarvi ancora.
Ki_ra

p.s. a questo capitolo seguirà un epilogo, che spero di pubblicare la prossima settimana.

Image and video hosting by TinyPic *l'immagine è un mio disegno, liberamente ispirato ad un'altra immagine presa dalla rete.

 

XVII


 

In un dio Jacob Black non aveva mai creduto: non poteva esistere un essere superiore capace di strappare la madre ad un bambino o di togliere le gambe ad un padre che cerca di rimettere insieme i cocci di una famiglia devastata.
E se, di contro, fosse esistito, pensava Jacob, doveva avercela a morte con lui.
In una cosa, però, aveva sempre creduto: nella forza e nell’orgoglio della sua gente; nelle tradizioni ataviche e nelle leggende di coraggio e determinazione che i vecchi raccontavano e che per lui non erano mai state solo storie per incantare i bambini.
Per questo all’imprinting aveva creduto sempre, anche prima di esserne folgorato.
Nell’imprinting aveva creduto cecamente, come il cristiano che accetta il dono della fede: vi credeva perché esso è forza e vita; impulso e spinta ed infine traguardo e appagamento. Non era stato difficile per questo accogliere, senza dubbi, l’oggetto a lui destinato: la mezza vampira, figlia della donna che aveva amato e del suo nemico di sempre.
Renesmee era per Jacob, il vento tiepido che mette in moto la macina del mulino; il susseguirsi necessario delle stagioni; il flusso inesauribile e vitale del sangue che ingrossa le vene.
Per questo l’aveva amata, difesa e protetta; desiderata ed attesa e solo per questo l’aveva lasciata.
Nonostante bruciassero come lava, le parole di Bella erano vere: egli non era ciò a cui Renesmee poteva aspirare; era al contrario, tutto quello che non poteva offrirle.
Così il lupo, soggiogato dall’imprinting, si era arrogato il diritto di proteggerla dall’uomo, ricadendolo nel male più profondo.
Jacob bruciava, la sua carne bruciava, come un’ustione insanabile; l’anima si torceva, tormentata, e la mente consumava ogni energia, tentando, inutilmente di logorare anche il corpo che la ospitava, alla ricerca della propria fine. Ma più la cercava, quella fine, più le correva incontro, più essa si nascondeva o peggio gli si palesava innanzi distorta, come nel gioco ingannatore degli specchi deformanti al luna park.
Non c’è al mondo alcunché di più doloroso della verità infamante che Bella gli aveva fatto scoprire: nulla fa più male, che sapere di essere la persona più sbagliata per chi si ama.
Nascosto nel suo rifugio silenzioso sopra la rupe, la sua mente masticava pensieri e tormenti, la sua anima ormai non avrebbe più avuto requie.
- Che vuoi? – chiese rudemente, ancora di schiena, a Seth, sentendolo arrivare. – Lo sai, lo sapete tutti che quando non sono di ronda non voglio nessuno a girarmi intorno! – continuò, facendo scorrere il palmo della mano su di una pietra appuntita che gli lacerava la pelle e si imbrattava di sottili rivoli di sangue vivo.
- Embry e Leah hanno avvertito due scie, oltre il fiume … Non sono nomadi, sono … loro. – lo avvisò, rimanendo fermo a qualche passo dalla sua schiena nuda. – Ma … lei non c’è: Leah ne è sicura. – finì intimorito dal respiro di Jacob che si faceva sempre più pesante.
- Tornatene a casa e di’ agli altri che me ne occupo io … - terminò, strofinando il palmo della mano ferita sui calzoncini, già macchiati di terra e fango.
- Jake? – lo chiamò il giovane lupo preoccupato. – Finché rimangono dentro i loro confini, possiamo starcene tranquilli anche noi. Forse non dovresti  … -
- Sono grande e grosso, Seth. – lo interruppe con una smorfia. – So badare a me stesso! E poi posso staccargli la testa senza che neanche mi sentano arrivare … Tornatene a casa e cerca di non rompere le palle! – furono le ultime parole che disse senza voltarsi.
Seth lo guardò rassegnato per qualche altro secondo, con nel cuore lo stesso tormento del suo alfa, poi si voltò e correndo eseguì l’ordine.
Jacob inspirò forte, reclinando il capo all’indietro, come per riprendere la calma e la concentrazione che la sua mente aveva abbandonato da tempo; si guardò la mano che, ormai senza più alcuna cicatrice, rimaneva solo macchiata  del proprio sangue rappreso e, lentamente, un passo alla volta, si incamminò verso il cottage dei Cullen.
L’ estate moriva presto sulla penisola olimpica; moriva una goccia alla volta di quella pioggia che non la lasciava mai, ma si nascondeva dietro le nuvole gonfie, pronta a cadere, sferzando anime e cose.
La sua meta non era molto distante dal rifugio sulla rupe, ma Jacob non avrebbe saputo dire quanto tempo avesse impiegato a colmare quella distanza, occupato come era a scacciare contorti pensieri che, come mosche fastidiose, gli riempivano il cervello.
Che diavolo ci facevano di nuovo a Forks? Che volevano ancora quei maledetti succhiassangue? Di lui si erano già presi tutto: vita, respiro, occhi, sangue; cosa altro volevano?
Jacob si sorprese a pensare che forse, fosse arrivata per lui l’ora di prendersi qualcosa, magari una delle loro preziose vite immortali! Avrebbe potuto staccare la testa ad uno di loro, uno qualunque. O meglio ancora, a quello più maledetto, al padre premuroso, ladro dei suoi pensieri e della sua anima sfasciata!
Si vide mentre lottava: le zanne affilate e scoperte, i muscoli guizzanti e potenti e la rabbia omicida che si mangiava la sua carne da dentro.
Sorrise amaramente di quel suo piano rabbioso: non avrebbe mai potuto uccidere il padre della sua Renesmee, non sarebbe mai stato capace di farle alcun male, mai.
Piuttosto si sarebbe fatto staccare la testa!
Eccolo il suo piano perfetto: una morte lenta, dolorosa e definitiva, pure di quel suo corpo quasi indistruttibile.
Tanto per essere equi almeno una volta, sarebbero stati loro ad offrigli qualcosa.
Sì, la morte Jacob Black, se la sarebbe presa volentieri a palmi aperti e col sorriso sulla bocca scura.
Camminava, senza neanche guardare il percorso, fissando i propri piedi nudi che impastavano la terra molle, le foglie spinose delle felci profumate che si attorcigliavano ai polpacci ed alle caviglie.
Camminava furioso e stanco in un giorno che aveva consumato quasi tutta la sua luce.
L’odore della pioggia, che lavava la terra, gli impregnò i polmoni fino all’istante in cui essi ne avvertirono un altro profondo e sconosciuto: non era dei succhiasangue, era più vivido ed allettante, come di talco e nettare fruttato.
Sollevò occhi e viso e si trovò davanti, a qualche metro, una figura esile e scarna con occhi luminosi che sgusciavano da palpebre viola. Era avvolta in una strana palandrana, simile ad un abito monacale, scuro come una pacata notte siderale. La ricopriva completamente e nascondeva anche le mani, che serrava al petto conserte. Un passo docile dopo l’altro e Jacob riconobbe in quella svelata armonia di movimenti, la parte perduta di sé: Renesmee.
Cuore e respiro esitarono per un istante, che scorse lento come fosse eterno.
“Sono morto”, pensò il giovane, “Devo proprio essere morto, se neanche il lupo ha riconosciuto il suo odore!”.
Ispirò una, due, tre volte di seguito; fece scorta di quel vento flebile che la pelle di lei emanava, come se servisse a catalogarlo, ad impossessarsene per tutto il resto della vita di nuovo lontano da lei. Poi cedette alla razionalità ed al dovere del distacco e le parlò.
- Che ci fate di nuovo qui? – chiese, fingendo distacco. – Perché sei tornata? – incalzò, tremando.
- Per te … sono tornata per te. – rispose, accorciando la distanza.
- Cos’è non sono stato abbastanza chiaro l’ultima volta, miss Cullen? – la freddò, inchiodando i suoi passi con un gesto della mano.
- Non ricordo parole più precise delle tue, Jacob! – fu la risposta, che nonostante il tono deciso, non rivelava alcun risentimento.
- Allora? – insistette e strinse i pugni, stordito da quell’odore nuovo.
- Allora … c’è qualcosa, qualcosa che devi vedere. – gli spiegò.
Jacob continuava a guardarla, rinfrancato dal viso che mille volte aveva desiderato di dimenticare. Una voglia bruciante di farsi vicino gli infiammava i muscoli; un desiderio di toccarle la pelle lo stordiva, ma il lupo protettore faceva bene la sua parte, trattenendolo.
Renesmee compì un ultimo passo verso Jacob, poi, con un gesto lento ed incantatore, slacciò lo strano abito che l’avvolgeva, scoprendo completamente il corpo dalla pelle di latte.
Ogni curva era dolce e tonda come non la ricordava, i seni morbidi e pieni ed il ventre nudo era teso ed arrotondato.
- E’ tuo … - gli rivelò, portando entrambe le mani ad accarezzarne la pelle lucida.
Jacob deglutì, paralizzato come se una forza oscura lo trattenesse incollato al suolo.
- Quando l’ho scoperto … mia madre mi ha raccontato tutto: la vostra discussione … il tuo sacrificio ingiusto … - continuò, colmando, lenta, la distanza che li separava.
- L’hanno fatto per te … per il tuo bene. – li giustificò il giovane, a voce bassa e tremante.
- Talvolta i genitori, in nome del bene dei propri figli, si arrogano il diritto di scegliere il loro futuro. Non si rendono conto che proprio per il loro bene, dovrebbero concedere loro la possibilità di sbagliare! – constatò, amara, ma senza risentimento nei confronti di coloro che amava più della sua stessa vita. – E tu, invece, cosa volevi fare, lupo? – domandò seria.
- Proteggerti … - le rispose, mantenendo, sulla culla della nuova vita lo sguardo rapito.
- Da te? – sorrise.
- Dalla vita misera e senza prospettive che ti avrei offerto … - spiegò addolorato per la sua inadeguatezza.
Renesmee sorrise, scuotendo la testa, come una madre  davanti all’innocenza del proprio bambino. – Misera è la vita di chi non conosce l’abbondanza dell’amore e la ricchezza del sapersi donare; nulle sono le prospettive di chi non ha sproni per cui lottare. Tu, Jacob Black, sei l’uomo più ricco e motivato al mondo … E sei anche una specie di … - esitò, sorridendo ancora in cerca delle parole giuste, - … una cura per la mia “malattia immortale”. – terminò, mordendosi il labbro inferiore, rosso come le ciliegie mature.
- Che … cosa? – chiese Jacob riscuotendosi.
- Non ti sei chiesto perché neanche l’olfatto del lupo sia riuscito a riconoscere il mio profumo? – incalzò, trattenendo un sorriso.
- Io … non riesco neanche a credere ai miei occhi … a te che mi stai davanti … Che differenza avrebbe fatto riconoscere il tuo odore? Sapessi quante volte ho creduto di sentirlo ed era solo il desiderio di averti  di nuovo … - le rivelò, con la voce rotta dall’emozione.
Resesmee si addolcì a quelle parole sentendo nel petto la stessa mancanza, la stessa necessità che l’avevano tormentata in quei mesi di distacco.
- E’ per te, Jake. – spiegò lasciandosi andare al sorriso, - E’ per la parte di te che mi cresce dentro … Il tuo sangue, la tua carne dentro il mio ventre … mi cambiano, mi trasformano un giorno alla volta.
Il nonno dice che la gravidanza mi renderà, alla fine, umana … - rivelò, con una voce serena e pacata, senza alcuna indecisione.
- Umana? – ripeté il Quileute meccanicamente, confuso, incantato da quelle labbra che ancora si tormentavano, divenendo sempre più desiderabili ed infiammanti per le proprie.
- Umana sì, il doppio di te! – lo rassicurò, fremente in attesa della sua reazione.
Tutt’intorno un silenzio innaturale si spandeva placido, sorretto solo dal suono flebile e ritmico delle gocce di pioggia sulle foglie del bosco ormai in penombra.
Continuava lenta a spandere le sue figlie sulle superfici: sull’erba e sulle rocce; sulle cortecce muschiate dei rami annodati; sui loro volti intensi, rivolti l’uno verso l’altra.
Scivolava come una dolce carezza, sugli abiti ormai impregnati; sulla pelle del ventre pieno di lei e sulle sue mani esili che lo accudivano e ancora sulla schiena fiera ed il petto ansante di lui.
Intorno le gocce cadevano al suolo, trapassando la pelle; lavavano le anime sporcate dal dolore e le rendevano vergini, pronte alla nuova vita che li attendeva, insieme.
- E tu … lo vuoi? Lo vuoi davvero? – sussurrò ad un palmo da lei, mentre il dorso della mano asciugava il volto da stille dolci e salate insieme.
Renesmee inspirò il respiro acceso di lui e disse sì con un solo gesto del capo; disse sì con gli occhi brillanti, colmi di nuovo anelito mortale, serrando le palpebre umide in un docile assenso.
- Sei sicura? Significherebbe rinunciare ad ogni cosa: la tua famiglia, la tua casa … l’immortalità. – insistette, tracciando con la punta dell’indice, sul ventre scoperto, la sottile linea alba, appena leggibile.
- La mia famiglia sei tu, Jake, tu e questo bambino. – rispose sicura, inseguendo col suo, il dito di lui, - La mia casa è nella tua terra o in qualunque altro luogo abiti il tuo cuore. In quanto all’immortalità … - terminò raggiuntolo, - … Non vale quanto la mia vita con te … -
Jacob inspirò forte, gonfiando i polmoni.
Una fiamma lenta di pace, a lungo inseguita, si mescolò al profumo della vita; il ticchettio della pioggia armonizzò con il loro fiato sospeso, come note cadenzate di una vecchia ninna nanna, ed il volto si distese appagato.
Sorrise rivolgendo il viso al cielo bizzarro, che si apriva e si chiudeva su di loro con le sue nuvole.
Sorrise ancora, sempre ad occhi chiusi, conservando, dietro le palpebre l’immagine della sua donna, tesoro perfetto e moltiplicato.
E poi rise, con la voce pura e calda come il vento d’estate; come gli abbracci ed i sorrisi di chi ama; come i battiti irregolari di un cuore innamorato; forte ed avvolgente come i desideri realizzati.
Si rivolse a lei, guardandola tutta, reclinando il capo, per trovare meglio i suoi occhi.
Colmò la distanza che ancora li divideva, continuando a “respirarla”.
Le prese le mani, sfiorandone la pelle, in una placida venerazione, e se le portò sul petto, dal quale un lento mugolio gorgogliò come acqua di fonte.
Renesmee si lasciò catturare dalla tenera presa, poggiò la fronte sul suo sterno, lasciando andare il piccolo peso del suo corpo su quello deciso di lui. I suoi capelli bagnati, arrotolati su se stessi, come rami di edera odorosa, ricaddero ai lati del volto, scoprendo la nuca bianchissima.
Mai parte del corpo fu più avvincente, conquistatrice, carnale e pura.
Jacob ne fu infiammato, totalmente, teneramente annientato; sfregò la punta del naso lungo la linea di pelle dalla prima vertebra all’attaccatura dei capelli e la baciò assaporandone la dolcezza, come frutta di stagione.
Renesmee sorrise, solleticata da quel gesto provocante, e Jacob con tono, fintamente sconsolato, ironizzò: - Sono in trappola, allora? –
- Nessuno è libero in amore! – lo citò.
- Affare fatto, Ness, ma … ad una condizione! – precisò, stringendosela addosso.
- Quale? – chiese lei baciandogli il petto.
- Il nome lo scelgo io! -
 

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Capitolo 18
*** XVIII ***


Image and video hosting by TinyPic *l'immagine è un mio disegno, liberamente ispirato ad un altra immagine presa dalla rete

XVIII 

 

EPILOGO

 


Il bambino dagli occhi di cioccolato fuso correva veloce e scalzo.
I piedi affondavano ritmicamente nell’erba alta, i capelli nerissimi rilucevano al riverbero caldo del giorno consumato. Correva e rideva, agitando le mani, come in una danza tribale vecchia di millenni.
- Non mi prendi, non mi prendi! – cantilenava, col fiato corto.
Il lupo, enorme e col pelo mosso dallo zefiro profumato di menta, lo inseguiva, le zanne sfoderate in un ghigno divertito, si teneva qualche falcata indietro, fingendosi lento ed affaticato.
Il bambino, arrivato alla rupe, si voltò per controllare la distanza che lo separava dal suo inseguitore e questo, con un balzo fulmineo atterrò su di lui, facendolo rotolare sulla terra nera. Sporse il muso verso il ventre scoperto dalla maglietta, macchiata di erba ed imbrattata di terra, ed il piccolo rise di gusto solleticato dal naso umido dell’animale. Poi, afferratone il pelo della collottola, con un guizzo, gli saltò in groppa, come un grillo su di un filo d’erba.
- Corri! – ordinò, - Fammi vedere quanto sei veloce, lupo … - continuò, stringendosi al suo collo con tutta la sua piccola forza.
Il lupo guaì, accondiscendendo, e si lanciò in una corsa folle, in una rocambolesca giostra verso la radura.
Ella se ne stava sdraiata sull’erba, tra fiori di lavanda ed erba profumata; il viso di latte rivolto al cielo blu chiaro, striato di rosa tramonto, e gli occhi chiusi, ascoltando il ritmo flebile e cadenzato del vento.
- Mamma … - la chiamò il piccolo Quileute, ancora a qualche metro da lei. Il lupo puntò le zampe anteriori nella terra, facendone saltare alcune zolle nere e, disarcionato il suo cavaliere, lo fece rotolare sul suolo, schiacciando erba ed fiori.
Divertito corse verso di lei, le si sdraiò accanto bocconi, il viso rotondo tra le manine ed i piedi  in aria.
- L’ho cavalcato, mamma, gli ho stretto il pelo forte e l’ho cavalcato! – si pavoneggiò, con una buffa smorfia.
- J.J. , quante volte devo dirti che non devi? E’ pericoloso … - lo ammonì severa, tirandosi su e puntellandosi sui gomiti per poterlo guardare negli occhi.
- Tu lo facevi sempre, quando avevi la mia età …  – disse dispettoso. – Me lo ha detto papà … - continuò, fiero di essere abbastanza grande da conoscere il suo segreto.
- Jacob! – lo richiamò, quasi fosse lui il bambino da rimproverare.
Il giovane le sorrise, ammaliatore, mentre si avvicinava, allacciando i calzoncini che aveva indossato dopo essere mutato; aprì i palmi delle mani, come a scusarsi, e scrollò le spalle. Si piegò in avanti, catturò, con mani sicure, il bambino e se lo portò, a testa in giù con una capriola, sulla schiena, come fosse fatto d’aria.
Continuò a sorridere dispettoso alla sua donna, ancora sdraiata su quel letto d’erba, fino a che una voglia prepotente di baciarla, risalì dal centro dello stomaco fino alle labbra scure.
Quando Jacob l’aveva incontrata, per la prima volta, pochi minuti dopo essere nata, aveva sentito che il mondo, da allora in poi, sarebbe nato nei suoi occhi, esattamente come il sole si leva ad oriente. Quando poi, anni dopo, l’aveva guardata, quella notte di Natale a Denali, donna perfetta e frutto maturato, aveva capito che il mondo sarebbe nato sempre nei suoi occhi, ma che sarebbe annegato nel suo corpo, proprio come il sole che fonde, nella linea dell’orizzonte, il cielo ed il mare.
Eppure, nonostante l’amore ed il desiderio forti, come vento e tempesta, ed inesauribili come cielo e stelle, mai Renesmee gli era sembrata più desiderabile, fondamentale, vitale, come dall’istante in cui aveva scelto la vita.
L’aveva venerata mentre il suo corpo di statua cambiava: il ventre che si riempiva, i seni che divenivano floridi ed i fianchi che si addolcivano; l’aveva sorretta, mentre con gli occhi serrati ed i pugni chiusi urlava per il dolore lancinante che le lacerava la carne al passaggio della nuova vita, e poi aveva pianto con lei, felice, stringendo il loro bambino. Il cuore gli si era riempito all’immagine della sua donna che lo nutriva al seno o lo riscaldava teneramente tre le braccia dolci.
Ed ancora, l’aveva guardata stupito e commosso stringersi nelle sue enormi felpe, le gambe incrociate sul tappeto davanti al camino acceso o cercare frescura con i piedi nudi nell’acqua gelida del torrente per la calura estiva.
L’aveva amata, ogni giorno di più, perché aveva scelto di essere carne feconda e fragile, sangue caldo e fluente ed infine anima incarnata e benedetta. E l’aveva fatto per lui, soltanto per lui.
La vita, aveva sempre pensato Jacob, non è una retta, punto d’origine e corsa verso l’infinito, piuttosto è, rimuginava sui suoi rudimenti di geometria, un segmento, principio e fine, il germogliare e l’accartocciarsi della foglia, l’aprirsi ed il chiudersi del fiore.
Posò il piccolo a terra, gli scompigliò i capelli lisci e lunghi fin sulle spalle, e, con una pacca sul sederino, lo spinse a giocare con i soffioni ed il vento.
Le si sdraiò accanto, poggiandosi su di un gomito, e, con la mano libera, le sfiorò il viso ancora imbronciato.
- Sai che non voglio che lo facciate … - ripeté lei.
- Sei invidiosa, di’ la verità … - la provocò, chino su di lei, le labbra a pochi millimetri, il respiro a lambirle la pelle che si accendeva al suo passaggio. – Vorresti farlo ancora: salire sulla groppa del lupo, afferragli il pelo e spronarlo a correre … veloce e sicuro, come il vento … - sussurrò al suo orecchio languidamente, mentre le dita della mano, ad una ad una, le tormentavano le labbra perché le schiudesse per accoglierle.
- No! – esalò, poco convincente, alla continua, sommessa e sensuale invasione di Jacob.
- Peccato! – terminò, staccandosi dispettoso e ricadendo di lato sull’erba.
- Sarebbe pericoloso … adesso –  mormorò, cercando di camuffare il languore caldo che la voce sussurrata, la pelle liscia e le dita di lui le avevano insinuato nello stomaco.
Jacob si riscosse, aprì gli occhi e si voltò di scatto verso Renesmee, come se uno spillo acuminato lo avesse punto all’improvviso. Le puntò addosso uno sguardo inquisitore, mentre lei continuava a fingersi distratta.
- Che significa … “adesso”? – la interrogò, inspirando più forte, mentre un vago presentimento si prendeva cervello, anima e muscoli.
Renesme scrollò le spalle, velando un sorriso e continuando a tenere gli occhi chiusi ed il viso rivolto verso il celo.
- Renesmee? – insistette, riportandosi su di lei con tutto il suo corpo.
La giovane non rispose, scoprì il ventre dalla blusa carminio che indossava e sospirò: - Sarà femmina … Alice ne è sicura! – rivelò compassata.
- Ness … - sospirò, con un soffio a svuotargli i polmoni.
- Rassegnati, Jacob Black … questa volta il nome lo scelgo io! –

 

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