Io scommetto ancora su di te.

di Lenni
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #O1 ***
Capitolo 2: *** #O2 ***
Capitolo 3: *** #O3 ***



Capitolo 1
*** #O1 ***


Io scommetto ancora su di te.







«Will!»

«Papà?»

Mi volto e gli occhi azzurri di papà sorridono, prima di lasciarmi andare.

«Stai attenta, mi raccomando.»

«Sto solo andando a scuola!» gli ricordo scuotendo la testa «Mica in guerra.»

«Non scherzare, Willow» 

Mamma compare in fondo alla stanza, insieme allo sguardo serio e freddo che ogni tanto le macchia gli occhi.
«Non puoi mai sapere cosa - »

«Mamma, rilassati!» la interrompo prima di poter concludere la frase, anche se la cosa la fa infuriare ogni volta, e prima di uscire le sorrido, cercando di attenuare l’ira materna che mi si abbatterà addosso «Sto solo andando a scuola e andrà tutto bene, perché starò attenta. Adesso però devo scappare, altrimenti mi daranno per dispersa!»

Afferro una mela e esco gridando un “vi voglio bene!”, lasciando papà alle prese con l’isteria inevitabile di sua moglie.
Io non la capisco quella donna: ha un marito che la ama, due figli in salute e tre pasti caldi ogni giorno, eppure sembra sempre che le manchi qualcosa. È spesso scontrosa, infelice, durante la notte grida e piange forte impedendoci di dormire: poco conta che papà sia vittima dell’insonnia da anni, ormai la sua presenza non le basta più da un pezzo.
A volte vorrei fare qualcosa per lei, ma per un motivo o per un altro mi freno sempre: lei non mi ha mai voluta.
Sia io che Rye, per lei, siamo stati un regalo inaspettato e indesiderato: credo sia persino andata in depressione, durante i miei primi anni di vita. Papà dice che è meschino biasimarla per questo, che col tempo capirò il perché dei suoi atteggiamenti e delle sue grida nel cuore della notte, ma non sono così certa di volerlo. Dovrebbe essere lui a soffrire, a lamentarsi, con quella gamba d’acciaio sotto i pantaloni, e invece ha sempre una parola buona e una focaccina al formaggio per tutti. Lei crede veramente che basta qualche cicatrice del suo passato da cacciatrice a giustificarla?
Be’, io non credo proprio.
 

«Buon giorno della Ghiandaia, Will!» trilla Rosemary, vedendomi arrivare.
Senza fermarmi, continuo a trangugiare la mia mela. «Grazie.» bofonchio.
Odio Rosemary Fitch, lei e i suoi stupidi riccioli biondi, lei e i suoi stupidi auguri per questo stupido giorno.
Il giorno della Ghiandaia è il giorno in cui commemoriamo la caduta di Capitol City, metropoli che tiranneggiava i tredici distretti circa trent’anni fa. I miei genitori, zio Haymitch e tutti gli altri vincitori degli Hunger Games furono il fulcro della rivolta che provocò migliaia di morti e che ci diede la libertà. Pare che mia madre, Katniss Everdeen, fosse la Ghiandaia Imitatrice che con una scintilla fece bruciare il fuoco dell’insurrezione: ribellandosi durante i settantaquattresimi giochi, salvò lei e mio padre, Peeta Mellark, dando così coraggio ai cittadini dei distretti, che scatenarono una vera e propria guerra. Fu terribile, sanguinosa e cruenta, almeno stando ai libri di storia – i miei evitano l’argomento ogni volta, papà comincia a sorridere nervosamente e mamma cade vittima degli attacchi isterici.
L’unica informazione che negli anni sono riuscita a strappare è stata quella in merito alla morte di mia zia Primrose, morta per colpa di un attacco aereo mentre recava aiuti medici ai feriti.
Non l’ho mai conosciuta, ma papà dice che era una ragazzina meravigliosa e che sarebbe stata un ottimo medico. Mamma non dice niente, lei piange e basta.

Ho parentele importanti, insomma, e questo crea problemi: chiunque vuole essermi amico per il semplice fatto che sono la figlia della Ghiandaia Imitatrice e del Ragazzo del Pane, gli Innamorati Sventurati del Distretto 12.

Non so che darei per essere solo Willow, Willow Mellark, sedicenne del Distretto 12 e basta. Tolto papà, credo che manderei al diavolo tutti gli altri, comprese zie e nonne mai conosciute, lasciando che le Rosemary Fitch di tutto il mondo annoiassero altri anziché me. Peccato che non sia così facile.

Una voce, in fondo al cortile, mi riporta alla realtà.
«Se noi bruciamo … »
Sputo il torsolo della mela per terra, prima di rispondere con un ghigno:
« … voi bruciate con noi!»

Heat, il mio migliore amico di tutti i tempi, ricambia la mia smorfia con un inchino.

«Lieto giorno della Ghiandaia, signorina Mellark»
«A lei, signor Mindfight»

Ridiamo e ci avviciniamo all’entrata delle nostre classi, chiacchierando del più e del meno.

«Perché non dai una possibilità a Rosemary?» mi chiede, nel chiaro tentativo di farmi arrabbiare «È una ragazza tanto alla mano che - »
«Heat, stai forse cercando di dirmi qualcosa?»
«Non capisco, cosa intendi?»
«Sai, mandi messaggi subliminali … »
«Andiamo, Will, sai che per quei messaggi sei l’unica a cui miro, non ti tradirei mai, mon amour!»

Si spinge in avanti cercando di appiccicarmi un bacio sulla guancia, però riesco a spingerlo via.

«Fanculo, Mindfight, sei sempre il solito Casanova.»
«Sai che sarai mia, Mellark.»

Ridiamo ancora e prendiamo posto nell'auditorium, in attesa che la signorina Trinket cominci il suo solito discorso: anche i miei genitori sono invitati alla celebrazione, ma forse non saranno presenti. Difficilmente gli ex vincitori si presentano sempre tutti, vittime dei ricordi, faticano ad andare avanti: quest'anno, in ogni caso, noto un numero più fitto di personaggi mai visti prima.
Tra loro, un uomo bello e alto, guarda il pubblico assorto. Ha un qualcosa di conosciuto, come di già visto, ma non riesco a focalizzare. Ha gli occhi grigi e acquosi, tipici del Distretto 12, e i muscoli gonfi e tesi sotto alla camicia. L'ho visto alcune volte in TV, attimi prima che mio padre cambiasse stizzito canale, e questo fatto mi induce incosciamente a pensare male di lui: se non piace a papà, deve per forza essere cattivo. O idiota, almeno.
L'uomo però mi è familiare, non solo per la TV, e forse non è poi così idiota o cattivo: difficilmente sbaglio con le prime impressioni, continuo a guardarlo e sento dentro di me qualcosa che non quadra, qualcosa di irrisolto, come un ricordo sbiadito.
Davanti al palco, la mamma ha preso posto, intanto: così pallida e esile, sembra fragile e indifesa. Vorrei abbracciarla, ma per un motivo o per un altro non lo faccio. La guardo di lontano, lasciando che Heat mi stordisca con le sue parole.

Il silenzio cale e la signorina Trinket, in perfetto equilibrio sui suoi tacchi sedici, comincia a parlare.

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Capitolo 2
*** #O2 ***


«Buongiorno a tutti, è un onore presenziare qui, al Distretto 12, in ricordo del giorno in cui … »

«Certo che la fa lunga!» commenta Heat, dandomi di gomito «Tutti gli anni è qui, possibile che sia sempre questo grande onore presenziare qui

Sta cercando di farmi ridere, ma non ci riesce.

«Heat, chi è quell’uomo? Lo conosci per caso?» chiedo, senza farmi sentire da altri.

Heat segue la traiettoria indicata dal mio indice, mentre Effy Trinket continua ad elencare i nomi dei caduti durante la Rivoluzione.
Finnick Odair, gli agenti speciali Leeg e il comandante Boggs, gli stilisti Cinna e Portia, di Capitol City …

«Quale, Will?» mi chiede, bisbigliando e confondendosi nei brusii generali.

«Quello là, sulla cinquantina, con gli occhi grigi … »

«Chi, quello che si sta grattando la barba?»

«No, quello alla sua destra, quello che adesso si sta grattando la barba.»

Heat osserva obbediente, facendo lavorare le meningi.

«È quel tizio del Distretto 2, quello che si vede spesso in TV» borbotta «Solo che non riesco a ricordare il nome»

Il discorso di Effy si conclude, un applauso la accompagna a sedere e mia madre, Katniss Everdeen, sale sul palco.
È la prima volta che sale da sola, di sua spontanea volontà, senza papà a sostenerla.

«Io sono Katniss» sussurra al microfono, con gli occhi relativamente bassi «e non sono stata la Ghiandaia Imitatrice. O meglio, non l’unica.»

Un brivido si diffonde come un virus per la sala.

«Sono stata una delle tante ragazze in fiamme, una delle tante che ha partecipato ad un attacco aereo o ad un mina antiuomo restando ustionata.»
Si tira su una manica del vestito e mostra ai presenti una bruciatura orribile, nonostante i trent’anni che sono passati, la pelle innaturalmente rosa luccica sotto ai riflettori.
Non l’avevo mai vista prima e questo, per qualche ragione, mi fa arrabbiare e impaurire.

«Però sono Katniss, Katniss Everdeen, l’unico tributo del Distretto 12 che ha sfidato Capitol City provocando una rivolta che ci ha fatto soffrire per anni. Ho portato dolore, tanto dolore, e tutto per una manciata di bacche … » mamma si ammutolisce per un attimo, sorridendo per trattenere le lacrime. Guarda in alto e ricomincia «Avevo la vostra età, avevo sedici anni il giorno della Mietitura. Estrassero mia sorella e io mi offrii volontaria, volevo farla restare, volevo farla vivere … e lei è morta comunque. Lei … lei era una guaritrice, come mia madre, ed è morta durante l’ultimo attacco aereo su Capitol City. Io l’ho vista morire e anche lei era una ragazza in fiamme, come me, solo che io ero la Ghiandaia e soccorrere me era più importante … mentre lei … o, al diavolo!, cos’era più o meno importante, alla fine?»

D’istinto guardo l’uomo, quello che sa di ricordi, e vedo che piange. È sempre strano vedere un adulto che non sia mia madre piangere, eppure oggi nessuno si contiene: l’uomo dei ricordi, papà, Effy Trinket, mamma, io. Piangiamo tutti, per ragioni diverse, e non riesco a capire perché parli proprio adesso e non quando glielo chiedevo io.

«Will, stai bene?»

Heat è preoccupato nella penombra della sala.

«Mamma … » biascico, impiastricciando rabbia e lacrime in quell’unica parola.

Faccio per alzarmi, ma qualcuno mi fa restare seduta.

«Eravamo tutti Ghiandaie: io, Peeta, Rue, Haymitich, Gale, Effy, Boggs, Prim, Finn, Annie, Johanna … tutti Ghiandaie, dal primo all’ultimo, e tutti abbiamo perso. Chi un arto, chi un marito, chi tutto, ma abbiamo perso tutti. L’unica cosa che mi consola è che anche Snow ha perso, e con lui Capitol City e la Coin, e che anche se mia sorella è morta bruciata viva, se migliaia di persone sono morte per uno stendardo con il mio viso sopra, se mia madre non mi parla da anni e io, be’, stia impazzendo … noi ci siamo e siamo liberi.»

Un applauso fragoroso scroscia come un temporale estivo, inzuppando le pareti e i presenti. C’è anche chi si alza in piedi e improvvisa una standing ovation. È un successo, un gran finale, ma io sono stanca e mi sento svenire.
Due braccia, probabilmente quelle di Heat mi tengono su.

Il resto è buio.
 


Il primo viso che vedo, quando rinvengo, è quello di mia madre.

«Will, ci sei? Guardami, svegliati, forza!» ripete, scuotendomi e dandomi dei piccoli colpetti in faccia.

«Mamma?» chiedo, ancora intontita, cercando di tirarmi su a sedere.

Qualcuno mi sta aiutando, mi volto per ringraziare Heat, ma al posto del suo viso completamente sbarbato mi trovo quello del tipo del Distretto 2, l’Uomo dei Ricordi, tutto impegnato a sostenermi per le ascelle.
Lo squadro e incrocio i suoi occhi grigi, grigi come quelli degli abitanti del Distretto 12, e mi convinco che non può essermi noto solo per i servizi sul 2.

«Will, tesoro, stai bene? Hai avuto un calo di zuccheri?»

Papà, premuroso come sempre, mi offre una mano e mi fa alzare. Mi stringe forte e mi appoggia le mani sul viso, per poter tirare giù la mia palpebra inferiore e controllare i livelli di ferro.

«Papà, sto bene» lo rassicuro, ribellandomi alla sua presa «Ho solo mangiato poco, evidentemente, e - »

Non riesco a finire la frase che mia madre mi si butta al collo, abbracciandomi e stringendomi forte contro il petto. Le sue lacrime bagnano la polvere che mi è finita sui capelli, ci intreccia le dita come per ancorarsi al mio corpo e non lasciarmi andare via.

«Lasciami!» grido senza rendermene conto, spintonandola e indietreggiando «Non mi toccare!»

«Willow, cosa - »

«Perché non me ne hai mai parlato, eh? Sono troppo stupida per capire?» la aggredisco senza neanche riprendere fiato «Dovevi salire su un palco davanti a centinaia di persone per farmi sapere come è morta mia zia? E quella cicatrice, quella bruciatura, perché non potevo vederla? Credevi, che so!, che ci potessi buttare sopra del sale? Pensi che sia un’idiota, mamma, lo pensi davvero?»

Papà si mette fra noi e pianta i suoi occhi ghiacciati nei miei, nel chiaro tentativo di farmi sentire in colpa.

«Willow Mellark, piantala immediatamente di - »

«Di fare cosa papà, di chiedere ai miei genitori di parlarmi? Di chiedergli di essere il mio papà e la mia mamma, prima degli Sventurati Innamorati del Distretto 12? Cosa devo smettere di fare, eh? Dimmelo, forza, che cosa?»

Sono furiosa, sembro un vulcano in eruzione e ho parole cattive per tutti, le sputo fuori al momento opportuno e, come dardi avvelenati, colpiscono la vittima con una crudele precisione.
Anche papà è zitto, adesso, rimane qualche momento a bocca aperta per colpa di alcune parole lasciate in sospeso, ma poi la richiude e si limita a fissarmi deluso. Mamma invece è disorientata, probabilmente ha la mia stessa espressione: gli occhi vitrei e spenti, il volto pallido chiazzato di rosso e le mani fragili tremanti e fredde. So di aver colpito senza pietà un punto vulnerabile e delicato, ma non riesco a sentirmi completamente in colpa. Una parte di me è troppo ferita per sentirsi veramente in colpa.

«Volevo proteggerti.» biascica, dopo un tempo indefinito, cercando i miei occhi.

«Da cosa?» le chiedo, con una nuova stanchezza addosso.

«Da me, suppongo.»

Solo adesso mi accorgo di aver pianto, per tutto questo tempo. Ho le guance e i capelli completamente bagnati di sale, mi bruciano gli occhi e ci vedo a malapena, dietro questa barriera d’acqua che mi avvolge le iridi.

Mi volto e li lascio lì, sono troppo stanca per continuare a parlare o ad essere arrabbiata. È come se ci fosse una ferita, dentro di me, più profonda delle altre, che sta sanguinando come un fiume in piena: vorrei bloccarla, ma non ci riesco, o non voglio, non so. So che voglio andarmene, adesso.

«Willow!»

«Lasciala andare.»

È stato l’Uomo dei Ricordi a parlare.

Si è avvicinato a mio padre e l’ha invitato a tacere semplicemente ponendogli una mano sulla spalla. Poi, rivolto a mia madre, dice abbastanza forte da farmi sentire: 
«È pur sempre tua figlia, non poteva non essere una Ragazza in Fiamme.»
 


Cammino a lungo, senza guardarmi indietro, cammino finché non raggiungo il Lago.

Probabilmente non sono l’unica a sapere di questo specchio d’acqua, ma mi piace credere che sia così. Lascio a terra i vestiti e quasi nuda entro in acqua, lasciando che la mia pelle si increspi dolce per il freddo: mi immergo completamente, sprofondando ad occhi aperti,  guardando il fondale e le pareti del lago. Grido e l’acqua assorbe il mio dolore, la mia rabbia, lasciandomi senza fiato. Riemergo e inspiro rumorosamente, per poi ritornare a galleggiare in superficie. Il mio corpo va alla deriva e io continuo a piangere, senza capire perché.

Papà dice che anche lui, alla mia età, piangeva molto. Peccato che lui abbia partecipato agli Hunger Games, alla mia età, mentre io ho solo questa rabbia cieca contro mia madre e i suoi silenzi. Chiudo gli occhi, provo a controllare i singhiozzi e in un modo o in un altro mi calmo.

Non possiamo andare avanti così.

Mi serve un piano.

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Capitolo 3
*** #O3 ***


Al mio ritorno hanno già cenato tutti, eppure sul tavolo il mio piatto c’è ancora. Mi avvicino e mi sforzo di non ricominciare a piangere, anche se quella focaccia profuma di seconde possibilità e amore incondizionato.
È una focaccia fatta da papà, ma la mamma?

“Basta Will, smetti di frignare e metti in moto il cervello!” ordina severamente la mia coscienza e io, docilmente, obbedisco.

In silenzio mi tolgo scarpe e calzini, abbandonandoli di fronte alla porta di camera mia. Voltandomi, attraverso la porta semichiusa della stanza di fronte, vedo il viso addormentato di mio fratello Rye: ha tredici anni e sta cominciando a fare esperienze, l’ho visto un paio di volte con una ragazzina dai lunghi capelli rossi e credo ci sia qualcosa tra loro, anche se lui dice che sono solo amici. Sì, certo, come no, due amici che si baciano dietro le macerie del Forno.
Rye è insopportabile, ma anche molto bello: è biondo come papà e ha gli occhi grigi di mamma, ma più accesi e luminosi, sembrano due fiammelle pronte a scatenare un incendio. Probabilmente anche lei aveva questo tipo di sguardo, anni fa.

Salgo le scale, mi soffermo davanti camera dei miei: fisso il legno  della porta, combattendo una battaglia interiore, però decido lo stesso di entrare. I miei genitori dormono, lei piegata di fianco, lui le abbraccia la schiena.

Mi avvicino e sussurro: «Scusa.»

Non è molto, però per stasera direi che è sufficiente, perciò faccio per andarmene. Ma un sussurro, nella penombra, squarcia il silenzio.

«Will?»

Papà è sveglio: accomoda mamma sul materasso e le sistema il cuscino, poi torna a guardarmi, senza distogliere lo sguardo neanche un momento.

«Credevo dormissi … » comincio, colta in flagrante, ma lui mi interrompe.

«Non dormo da anni.» dice, alzandosi e pugnalandomi con il suo sguardo, minacciosamente azzurro nel buio della stanza.

«Papà, io … »

«Zitta, andiamo in cucina a parlare.»

La sua freddezza è la peggiore delle punizioni che sarebbero potute toccarmi: lo seguo mentre scende le scale, gradino dopo gradino mi sento sempre più lontana da lui e, be’, il fatto che la colpa sia mia non aiuta.

«Willow … »

«Mi dispiace papà, te lo giuro, io non … non volevo, è che - »

«Will, è a me che dispiace. E a tua madre.»

Di colpo divento una statua di sale, immobile e scioccata. Papà, con i gomiti ben piantati sul tavolo, scava con le unghie nel palmo aperto dell’altra mano, riflettendo su come proseguire quest’assurda conversazione.
La focaccia, intatta, è ancora sul piatto: non riesco a pensare, allora l’afferro e ci affondo i denti, probabilmente è anche la migliore azione che faccio oggi. Tenere la bocca chiusa, intendo.

«Avremmo voluto parlartene prima ma …»

Fuori tira un po’ di vento, agita i rami secchi e intaglia la superficie del lago, ma qua dentro è tutto immobile.

« … lo sai, no? Non si è mai pronti fino in fondo.»

Annuisco come un automa, mentre papà si alza la stoffa dei pantaloni fin sopra al ginocchio.

«La vedi questa?» mi chiede, chiaramente retorico «È il mio personale souvenir dei 74° Hunger Games, mi amputarono l’originale dopo la vittoria. Avevo perso molto sangue: Cato, del Distretto 2, mi aveva lasciato una brutta ferita e prima dell’arrivo di Katniss l’unica cosa che fui in grado di fare fu quella di mimetizzarmi con delle rocce aspettando di morire … »

Mangiare la focaccia non è stata una grande idea: mi sta tornando su.

«Tua madre mi ha salvato la vita. Si è fatta quasi ammazzare per portarmi una medicina e è riuscita a bloccare l’emorragia che mi avrebbe sicuramente ucciso. È ed era una donna estremamente coraggiosa.»

«Lei non è mai stata una cacciatrice … voglio dire, quelle cicatrici - »

«È un po’ più complicato di così, tesoro.» papà sorride e mi afferra una mano «Forse però è meglio se ne parliamo domani, non trovi? È il caso che tu vada a dormire adesso, domani hai scuola.»

Annuisco e prima di andarmene gli lascio un bacio sulla guancia.

«Papà?»

«Dimmi.»
«È arrabbiata con me?»
«Solo con se stessa.»
 



Mi sveglio nel cuore della notte, vittima di un sonno leggero e irrequieto: rimorsi mascherati da incubi mi torturano per ore, mi fanno sudare freddo, finché in preda al terrore non spalanco gli occhi.
Nei miei sogni le bombe cadono dal cielo come coriandoli, sono circondata da persone che bruciano vive e piangono disperate, corro ma inciampo moltissime volte e tizzoni ardenti mi colpiscono, dando fuoco ai miei vestiti e alla mia pelle.  L’uomo del 2, mamma e papà, zio Haymitich e anche Effy Trinket muoiono sommersi dalle fiamme, ma con un grido soffocato in gola riesco a tirarmi fuori da questa dimensione onirica e terrificante.
Una rapida occhiata alla sveglia mi ricorda che tre ore e mezzo di sonno sono comunque poche e che perciò dovrei tornare a dormire. E io ci provo, lo giuro, ma solo socchiudere le palpebre me le fa bruciare. Decido quindi di alzarmi e di scendere in cucina, che almeno posso recuperare parte della cena, se il sonno non mi è favorevole.
 
Sul pianerottolo, nel momento in cui intravedo il tavolo della cucina, noto una bottiglia di whisky smezzata: zio Haymitch deve essere stato qui.
Mi avvicino circospetta, vedendo, vicino alla bottiglia, quattro piccoli bicchierini, due puliti e due sporchi.

“Strano” penso “Nessuno beve qua dentro”

La fame mi passa completamente quando, pulendo le briciole di focaccia sul pavimento, vedo delle piccole semi-sfere sul legno che lo riveste. Le studio per un po’, fino a capire che sono tracce di scarpe col tacco e qui nel 12, nella nostra casa, nessuno porta tacchi, di conseguenza, questi buchi nel legno devono per forza averle lasciate le scarpe di Effy Trinket.
Cosa ci facevano Effy Trinket e zio Haymitch in casa nostra, davanti ad una bottiglia di whisky assieme ai miei genitori?
Cammino un po’ per la stanza, cercando un segno qualunque, ma niente mi capita all’occhio. Giro intorno al tavolo diverse volte,vittima di questa improvvisa curiosità investigativa, ma alla fine mi costringo a lasciare perdere. Afferro i piatti e i bicchieri sporchi e li sistemo dentro all’acquaio, chiudo la bottiglia e do una pulita sommaria finché non lo vedo, quel foglietto stropicciato vicino alla porta: deve essere caduto mentre stavano bevendo.
Lo afferro e senza pensare lo leggo, infischiandomene di destinatari e mittenti.
Sopra ci sono scritte solo poche parole e un nome che non ho mai sentito.

Katniss e Peeta,
è stato bellissimo ricevere le vostre lettere e le foto. Avete dei figli molto belli.
Spero di vedervi e vederli presto. Scusate la mia assenza, al prossimo anno.

Beetee

Richiudo il foglietto e me lo metto in tasca, facendo lavorare le meningi: chi è Beetee? Come fa conoscere i miei? Perché ha ricevuto delle mie foto e delle foto di Rye? Chi ha portato questa lettera qui, se lui non è stato presente alla cerimonia?
È ufficiale, stanotte non dormirò.
 
«Ehi Will, ma dov’eri sparita? Ti ho chiamato almeno mille volte!»

Heat mi ha aspettata all’ingresso, come sempre, ma oggi ha un’espressione strana: un insieme di preoccupazione, incazzatura e sollievo.
Credo sia contento di vedere che ci sono e che sto bene.

«Devo andare.» lo liquido senza troppe cerimonie e passo avanti, lasciandolo indietro. Lo sento chiamarmi una, due, tre volte, finché non comincio a correre e riesco ad evitarlo. Troppi pensieri mi stanno avvelenando la mente e con loro nuovi nomi e nuove facce si stanno immischiando in questo puzzle: l’uomo del 2, Effy Trinket, Beetee, Heat ... no, oggi non ce la faccio a pensare anche a lui.

Ma a questo Beetee voglio pensare, perciò, in classe, mi posiziono avanti ad un computer e fingo di proseguire la mia ricerca sui prodotti agricoli primari del 10. Sul motore di ricerca, intanto digito un paio di nomi.
Beete, tanto per cominciare, poi Katniss Everdeen, Peeta Mellark e una certa Wiress compare tra i suggerimenti: tento la sorte e premo invio, aspettando il verdetto.

Il link che scelgo parla della storia dei 75° Hunger Games, gli ultimi che vennero indetti: Beetee è uno dei vincitori, quindi.
Faccio appena in tempo a stampare che la campanella suona e la lezione finisce.

Poco male, non è un problema: stanotte scoprirò qualcosa di più su questa Edizione della Memoria.

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