Penfriends

di Ruth Spencer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***
Capitolo 14: *** XIV ***
Capitolo 15: *** XV ***
Capitolo 16: *** XVI ***
Capitolo 17: *** XVII ***
Capitolo 18: *** XVIII ***
Capitolo 19: *** XIX ***
Capitolo 20: *** XX ***



Capitolo 1
*** I ***


Disclaimer: Con questa mia storia, scritta senza alcuno scopo di lucro, non intendo offendere nessuno dei personaggi da me citati, dal momento che la rappresentazione di questi ultimi non è pertinente alla realtà o in alcun modo veritiera. 
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 Capitolo  1

                                                           
                                                          
                                                           

                                                                                                                                  Carol;
 

 

-Sally, dammi il mio articolo. Non ho tempo per i giochetti!- la minacciai, guardandola torva.
Lei, dal canto suo, mi fissò perplessa, piegando la testa di lato. Probabilmente pensava che fossi scema.
Sbuffai. –Sally, non ti ci mettere anche tu!-. Un altro nanosecondo e sarei andata in esaurimento.
Ero in ritardo. Ma, d’altronde il mio era un caso cronico. Qualunque cosa facessi, anche se in perfetto orario, era ritardato da qualcosa di imprevisto: non era colpa mia. Attiravo i guai come una calamita e i guai erano ben contenti di inseguirmi.
Quel lunedì mattina, per esempio, la sveglia aveva dimenticato di suonare, il tosta-pane si era deciso a fare i capricci e avevo cercato le Vans nere per tutta casa prima di riuscire a trovarle. Come se non bastasse, il mio cocker spaniel si ribellava contro di me e minacciava di divorarsi il lavoro di una nottata.
Già immaginavo i titoli dei giornali, l’indomani: “Il cane si pappa l’articolo e lei viene presa a calci da una direttrice infuriata”.
Sally mi restituì un’occhiata indifferente e per tutta risposta, si girò dall’altra parte.
Contai fino a dieci mentalmente, per impedirmi di ucciderla.
Basta. Era giunta l’ora di mettere in atto il piano B.
Raggiunsi a grandi passi la credenza, aprii lo sportello con movimenti lenti, per essere certa che mi stesse osservando e afferrai la confezione di croccantini per cani.
Versai il contenuto nella ciotola azzurra che le spettava e la posai con noncuranza sul pavimento, proprio vicino a lei.
Se esisteva qualcosa che Sally amava più dei miei articoli da ridurre in coriandoli di carta, quel qualcosa erano i suoi croccantini.
Mollò la presa sulle mie scartoffie e come se nulla fosse, si dedicò alla nuova preda. Sorrisi vittoriosa e mi impossessai, di nuovo, del mio articolo.
In quel momento, Alyson fece la sua comparsa in cucina. Indossava ancora il pigiama orrendo che tanto le piaceva, i capelli lunghissimi in disordine e una faccia stravolta dai postumi di una sbornia.
Io ed Alyson eravamo amiche dai tempi del College e vivevamo assieme già da qualche anno. Non che mi fossi mai abituata a lei.
Io ero l’apprendista scrittrice, competitiva al cento per cento, sempre a caccia di scoop per fare carriera e conquistare la stima di Annie Reed, la strega che faceva da direttrice al Daily Mirror.
Lei era quella strana, l’artista incompresa, la pittrice di strada, per molti sinonimo di “fallita”; piena di manie e fissazioni che gli analisti avrebbero tranquillamente definito: “sindromi ossessivo - compulsive”. Io preferivo dire: “Paranoie di Alyson Smith”. Avrei potuto scriverci un saggio al riguardo.
Eppure, nonostante fossimo totalmente diverse, andavamo sempre d’accordo.
-Come è andata ieri?- le domandai prima ancora di darle il buongiorno. Mi appoggiai all’isola della cucina e sorseggiai il latte direttamente dal cartone.
-Il tizio era una noia,- rispose lei, con voce impastata-Gli ho detto che andavo in bagno e l’ho
abbandonato lì-.
Quasi mi strozzai, mentre bevevo. Tossicchiai, tentando inutilmente di non ridere. Nulla da fare.
Lei finse di non notarmi e prese ad ispezionarsi le unghie laccate di verde, con aria sognante.
-Hai dimenticato il computer acceso- osservò di punto in bianco.
Non lo avevo dimenticato. E anche lei, in fondo, lo sapeva.
Lasciai la cucina per controllare se mi fosse arrivata una e-mail e prima di guardare lo schermo avvertii un leggero vuoto allo stomaco.
Trattenni il respiro: lui mi aveva risposto.
Si, dico lui semplicemente perché da qualche mese, io e un perfetto sconosciuto ci scambiamo messaggi di posta elettronica attraverso un social network.
Non sapevo nulla di lui, solo che amava i gialli di Agatha Christie, che sapeva tutte le battute de “Il Padrino” a memoria; che aveva rischiato di incendiare il suo appartamento nel disperato tentativo di cucinare una pizza commestibile e poche altre cose di dubbia importanza. Avevamo anche deciso gli argomenti tabù: non parlavamo mai dei nostri veri nomi, del nostro lavoro, delle nostre vite. Non ci eravamo mai chiesti nemmeno se avessimo una relazione con qualcuno, se fossimo single o sposati. Trascorrevamo le serate a chiacchierare delle notti nebbiose di Londra, del caffè che ci piaceva prendere al bar, della bellezza della pioggia, della giornata trascorsa, dei datori di lavoro insopportabili (senza scendere in particolari), cose così sciocche, ma così splendide che ogni volta mi lasciavano con il fiato sospeso.
Sorrisi nel leggere il messaggio e digitai rapidamente una risposta sulla tastiera.
-Sei in ritardo- mi ricordò in tono incolore Alyson.
-Lo so!-. Chiusi di scatto il computer. Afferrai la borsa, abbandonata in un angolo del salotto e feci per aprire la porta.
-L’articolo-. La voce di Alyson mi giunse dalla cucina. Di nuovo.
Mi morsi il labbro, dandomi della stupida e corsi a recuperare il mio scritto.
 
 
 
 
                                                                                                                                                                      Harry;
 
 
 
Erano dieci minuti che la guardavo parlare. Vedevo le labbra rosso fuoco muoversi ad una velocità impressionante e mi chiedevo chi o che cosa stesse criticando con così tanto impegno.
-…e stasera dovrò sorbirmi il suo monologo auto celebrativo. Impazzirò, ne sono sicura…tesoro, mi stai ascoltando?- mi interpellò alla fine.
-Certo.- mentii io.
-Amore ora scappo. Oggi discuteremo del progetto e non devo tardare per nessuna ragione-.
Mi stampò un bacio frettoloso sulle labbra e scomparve oltre la soglia della cucina. Qualche istante dopo sentii chiudersi la porta.
Sospirai. Rachel era la mia fidanzata da cinque anni e convivevamo da tre e mezzo. Era lunatica, iperattiva e terribilmente logorroica, ma tutto sommato mi piaceva.
Mi alzai dalla sedia e controllai alla finestra. Stava camminando sul marciapiede, con la coda di cavallo castana che le dondolava a destra e a manca e gli occhiali da sole in pieno autunno.
Quando svoltò l’angolo, lasciai andare le tendine bianche: via libera.
Mi avvicinai con passo felpato al computer, come se temessi di essere scoperto e cercai tra le e-mail. Avevo ricevuto un messaggio. Da lei. Sorrisi impercettibilmente.
Mi faceva sempre uno strano effetto scoprire che mi aveva scritto.
Lessi rapidamente e inviai la risposta.
Era nata una strana amicizia tra me e lei. Scriveva bene, era vivace e ironica al punto giusto. Una manciata di virgole e punti le sarebbe bastata a catturare l'attenzione del suo interlocutore. Adorava le margherite bianche, il profumo di libri nuovi e l’odore di vernice ancora fresca sulle panchine del parco dietro casa; Londra in autunno le faceva venire voglia di comprare matite e quaderni; il colore delle pesche le ricordava l'estate trascorsa in Italia con la sua famiglia e ogni anno, a Natale, rileggeva per tradizione "Cime tempestose" di Emily Bronte. Stranamente non conoscevo neanche il suo nome, non avevo idea di che lavoro facesse e non mi aveva mai inviato una sua foto. Per quanto ne sapevo, poteva avere il naso schiacciato, il muso cavallino, essere grassa e piena di peli. Eppure, mi ritrovavo a pensare che non avesse importanza. Eravamo per così dire, “amici di penna”. Attraversai la strada sulle strisce e proseguii dritto. Da qualche mese, la dispotica Annie Reed mi aveva assunto al Daily Mirror come giornalista in prova e io di certo non avevo alcuna intenzione di deluderla.
Avevo lavorato sodo negli ultimi anni, correndo da un giornale all’altro per articoli occasionali e pochi soldi in cambio e ora mi si presentava davanti l’occasione di una vita. Non l’avrei sprecata.
Avvistai la scritta a caratteri rossi che contrastava con il grigio dei mattoni: “Redazione del Daily Mirror”.
Consultai l’orologio e realizzai di essere in netto ritardo.
Mi affrettai a raggiungere l’edificio ed entrai dalla porta principale. All’ingresso salutai qualcuno distrattamente e corsi verso l’ascensore che si stava chiudendo proprio in quel momento.
Lo bloccai con un piede ed entrai, ancora affannato. Accanto a me, sentii qualcuno sbuffare.
Mi voltai per ritrovarmi Carol Hatton ad un passo di distanza. Teneva le braccia conserte e il naso per aria a fingere di fissare chissà cosa, solo per non dovermi salutare.
Mi esibii in un sorrisetto impertinente, sicuro che mi stesse supervisionando con la coda dell’occhio. Lei non accennò a guardarmi.
-Buongiorno, Hatton.- la salutai, allora.
–Salve, Styles.- rispose dopo qualche istante di confusione.
Mi veniva quasi da ridere a vederla con quell’espressione oltraggiata dipinta sul viso. E pensare che la prima volta che l’avevo incontrata, avvolta nella giacca a vento blu e i jeans sportivi, mi ero persino detto che fosse bella.
Avevo ammirato i suoi capelli, che le ricadevano ondulati sulle spalle esili e sul seno acerbo, dello stesso colore del grano maturo nei campi; le mani lunghe e affusolate, pallide come ali di farfalla e gli occhi di un nocciola caldo e avvolgente.
Un’ora dopo, mi ero già pentito di averlo anche solo pensato: Carol Hatton era la ragazza più intrattabile e odiosa di questo mondo.







Spazio autrice: Questa storia è nata da un'idea piuttosto confusa...e anche un po' strana se devo dirla tutta. Come al solito, le idee mi si sono schiarite scrivendo.
Nel caso non fosse chiaro (ditemi che lo è, perchè mi sentirei  una fallita!!!) Harry e Carol lavorano nello stesso giornale e non si vogliono molto bene. Senza saperlo però, sono anche corrispondenti anonimi di posta elettronica e fanno amicizia attraverso il pc per i loro interessi in comune...
Ho preso ispirazione da un commedia americana di qualche anno fa, "You've go mail"  con Tom Hanks e Meg Ryan, attori che io adoro (^^). Posso assicurarvi però che ambientazione, personaggi, eventi saranno completamente diversi.
La trama è incentrata sulla sottile, ma essenziale differenza tra reale e virtuale, tra vita e sogno.
Il volto di Carol è quello di Gwineth Paltrow . Ho pensato a lei, perchè è molto spontanea e l'apprezzo anche come attrice.
Inoltre, questo capitolo è d'introduzione. Gli altri saranno un po' più lunghi e dal prossimo in poi la storia entrerà nel vivo, non temete :).
Se siete arrivate a leggere questo schifo di "spazio autrice", spero proprio che il primo capitolo vi sia piaciuto e mi farebbe davvero piacere leggere le vostre recensioni in proposito.


Spero mi si filerà qualcuno. Altrimenti, sarò costretta a recensirmi da sola come una perfetta idiota u.u

Al prossimo capitolo...se vorrete xX

 

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Vi lascio una foto di Carol ed Harry...spero vi piacciano  <3 

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Capitolo 2
*** II ***


      

Capitolo 2
 
 
                                                                                                                                      Carol;
 
 
Il ragazzo nuovo mi stava creando parecchi problemi. Si chiamava Harry Styles ed era un caso perso.
Faceva gli occhi dolci alla direttrice da quando era arrivato, solo per opportunismo e a me non andava giù.
Gli arrivisti mi nauseavano e lui non era da meno.
Purtroppo per me, aveva tutte le carte in regola per soffiarmi il posto:
Punto 1-Era figo.
Punto 2-Aveva il fondoschiena più sodo che avessi mai visto.
Punto 3-Ci sapeva fare con le donne.
Okay, aveva anche stoffa da vendere, ma io meritavo quel lavoro molto più di lui.
A cinque anni trascorrevo i pomeriggi seduta sulla panchina di vernice verde sull’altro lato della strada, proprio di fronte alla redazione del Daily Mirror, sognando il giorno in cui sarei stata nominata direttrice.
Riuscivo già ad immaginarmi nel ruolo, con gli occhiali dalla montatura spessa sul naso, circondata da scartoffie e matite temperate, dietro una scrivania di legno lucido.
A quindici anni avevo pubblicato il mio primo articolo sul giornalino del liceo, che mi era valso il bacio della vita al ragazzo dei miei sogni al ballo della scuola.
Una settimana dopo, mi aveva scaricata per un’altra.
A venticinque anni, Annie Reed “La Cannibale” mi aveva assunta nel suo giornale a seguito del periodo di prova. Proprio allora avevo pensato che il peggio fosse passato. Mi sbagliavo di grosso.
Durante l’anno trascorso, avevo collezionato notti insonni, telefonate a tutte le ore dalla redazione, articoli-lampo e i rimproveri di una direttrice incallita; mi ero spaccata la schiena e rovinato la vista a forza di leggere e scrivere pezzi per il giornale e finalmente avevo ottenuto la sua fiducia.
Mi aveva assegnato una rubrica. Un giorno come un altro, mi aveva chiamata nel suo ufficio e mentre io tremavo al pensiero del ben servito, lei mi aveva annunciato con quel suo tono di sufficienza che era l’ora che entrassi in azione. Dapprima, la mia rubrica era stata un minuscolo ritaglio in alto, poi sempre più centrale ed importante.
Mi ero fatta valere, avevo dimostrato volontà, ambizione e talento ed ero stata ricompensata.
Ora, sul più bello, spuntava un rivale inaspettato.
Avevo capito sin da subito del pericolo che costituiva e sin da subito, l’avevo odiato con tutta me stessa.
I riccioli castani da dipinto del Michelangelo non mi incantavano, né ci riuscivano gli occhi verdi ed ipnotici o quell’espressione da bravo ragazzo che sfoderava ad ogni occasione.
Gli altri non lo capivano, ma io si. Su cosa si basassero le mie brillante intuizioni era un mistero anche per me.
Sapevo solo che era un poco di buono, che dovevo starne alla larga e contrastarlo il più possibile nella sua ascesa all’interno del giornale. Ne valeva la mia di carriera e come dicevano i latini: “Mors tua, vita mea”.
Feci una smorfia. La stampante proprio non ne voleva sapere.
Mi sporsi dalla mia scrivania. –James, la tua Milly funziona?-.
Millyera la sua “adorata” stampante. Si, avete capito bene: aveva dato un nome a quella macchina infernale.
-Si, oggi è in forma- mi disse tutto allegro. Gli sorrisi.
James era pazzo da legare e gay fino al midollo. In ufficio eravamo inseparabili; durante la pausa, chiacchieravamo davanti la macchinetta del caffè e la sera, a fine lavoro, mi accompagnava a casa cantando qualche vecchia canzone bluse.
Da quando era arrivato Styles però, avevamo già discusso un paio di volte. Coincidenze? No, io li chiamavo segni divini.
Anche per questo non davo confidenza al nuovo: per colpa sua, litigavo con gli amici.
Milly sputò l’ultimo foglio, borbottando irritata come una vecchia caffettiera.
Io afferrai le carte e volai da Emily.
-Buongiorno, ecco l’articolo-. Le consegnai i fogli. Emily era una delle redattrici del giornale e il suo compito era quello di occuparsi della correzione dei testi. L’ultima revisione prima della stesura finale invece spettava solo alla Reed.
-Grazie, Carol-. Abbassò la voce.-Oggi è veramente nervosa. Dobbiamo mandare in stampa il giornale e siamo in un disastroso ritardo…-.
-Scommetto che alla riunione, spiegherà di nuovo “di quanto la competizione con il mondo di Internet sia d’obbligo oggi e di come il Daily Mirror debba restare al passo coi tempi”- recitai, mimando le virgolette.
-Già- convenne Emily in tono lugubre. Inserì il mio pezzo in una cartella e gettò una penna difettosa nel cestino lì accanto.
-Emy, ho l’articolo del giorno-. Non ero stata io a parlare.
Scossi la testa rassegnata.
Harry mi affiancò davanti la scrivania della redattrice e sventolò i fogli spillati con aria soddisfatta.
-Non sai cosa mi sono dovuto inventare per terminare l’articolo in tempo-. Le sorrise ammiccante.
Possibile che ci provasse anche con le quarantenni? Mio. Dio.
Alzai gli occhi al cielo. –Risparmiaci la favola di “Pollicino”-.
-Stavo parlando con Emy- mi rimbeccò lui, senza degnarmi di uno sguardo. EmyEmy?!
Iola conoscevo da più di un anno e non l’avevo mai chiamata in quel modo. Come si permetteva lui di prendersi una simile confidenza?
Mi voltai verso Emily, in cerca della sua approvazione. Rimasi sconvolta.
Non pareva affatto dispiaciuta del nomignolo. Non pareva affatto dispiaciuta di Harry.
Boccheggiai, senza parole.
Merda. Anche Emily era caduta vittima di quel…di quel, quel coso!
Non potevo crederci.
Ascoltai inerme la risatina civettuola della povera Emily. –Immagino quanto sia stato difficile. Grazie mille, mi hai salvata dalla Reed-.
Sollevai un sopracciglio.
Aveva le guance arrossate, sudava e balbettava frasi incoerenti.
No. Semplicemente, mi rifiutavo di credere che la dolce e razionale Emily fosse rimasta intrappolata nella rete del ragno-Harry.
Non come James. Non di nuovo.
Feci dietro front e marciai dritta alla mia scrivania. Avevo visto abbastanza.
 
 
 
 
 
 
 
                                                                                                                                                                   
Harry;
                                                                 

 
 La riunione di redazione era cominciata da cinque minuti e già desideravo che si concludesse.
Annie Reed era incazzata nera. E quando lo era, avevo imparato che era meglio filarsela.
Mi grattai la fronte con il pollice e tornai a fissare i miei appunti per il nuovo articolo.
Nulla di importante, era solo una bozza.
La rilessi rapidamente, scarabocchiando alcune correzione ai bordi del foglio, tanto per impiegare il tempo.
Quando non seppi più come distrarmi, mi limitai ad ascoltare i rimbrotti della direttrice.
-…che non si ripeta più un errore così e…- stava sbraitando, puntando l’indice contro James.
Il ragazzo sembrava a dir poco terrorizzato.
Accanto a lui invece, Carol era lo specchio della tranquillità. Giocherellava con la penna tra le mani, fissando Annie Reed senza batter ciglio.
E non era certo uno scherzo reggere il suo sguardo.
La direttrice era sulla trentina, i capelli bruni e gli occhi penetranti.
Indossava solo e soltanto tailleur e stiletti da dodici centimetri. Avrei scommesso che sarebbe morta per colpa di quelle scarpe, con un colpo alla testa e un trauma celebrale per la caduta.
Nonostante tutto però, sapeva il fatto suo. Era spregiudicata, pragmatica e realista abbastanza per capire cosa pubblicare e cosa no.
Finita la sfuriata, discutemmo della nuova uscita.
James ebbe il coraggio di proporre un articolo su “Il rischio di estinzione dei coleotteri crisomelidi”.
Avrei voluto ridere.
Ovviamente l’idea fu liquidata con un “Fanno tutti gli animalisti, ma la verità è che un articolo del genere non lo leggerebbe nessuno”.
Dopo l’intervento di James, furono assegnate tutte le testate e i pezzi del giorno e la riunione si concluse in dieci minuti.
-L’ammonizione se la poteva risparmiare l’arbitro- osservai deluso davanti alla macchinetta del caffè.
La sera prima, la partita di calcio Manchester United contro Chelsea si era conclusa con due goal di svantaggio per la prima e una sconfitta per tutta la mia famiglia che tifava Manchester.
Dave mischiò per bene lo zucchero. Mi sorrise divertito. –Sarà, ma quello era un fallo bello e buono-.
-Ehi Dave, l’hai vista la partita ieri?- ci interruppe una voce femminile.
Carol passò davanti alla macchinetta, tenendo in equilibrio una pila di giornali e una tazza di caffè bollente. Si fermò ad un passo da noi.
-Sicuro- rispose l’altro sorridendole.
-Li abbiamo stracciati!- esultò la ragazza. Poi mi lanciò un’occhiata sprezzante. –Non sembri molto felice-.
-Oh, lui tifa Manchester- si intromise Dave, indicandomi con il pollice.
Carol rise forte. –Non avevo dubbi-.
Ci superò spedita e arrivata all’angolo,quasi si scontrò con James. 
Guardai il ragazzo che l’aiutava con i giornali e prima che potessi fermarla mi salì alle labbra una curiosità.
-Stanno insieme?- chiesi senza un’apparente motivazione. Che domande erano mai queste? Una volta tanto avrei dovuto farmi gli affari miei.
-Chi?- fece Dave distrattamente.
Indicai con un cenno i due che in quel momento ridevano ad una battuta.
-No!- esclamò di getto.
-Perché?-.
Dave fece spallucce. –James è gay-.
Scoppiai a ridere, versandomi buona parte del caffè sul maglione bordeaux.
Ci vollero quasi tutti i fazzoletti del pacchetto iniziato di Dave per rendermi di nuovo presentabile.
Un’ora dopo, venni a sapere da un’Emily molto preoccupata che la Reed mi aspettava nel suo ufficio.
-Stai attento, Harry- fu l’avvertimento funereo di Dave.
Feci una scrollata di spalle e m’incamminai verso la porta che recava la scritta: “Ufficio della direzione”.
Tirai un respiro profondo e bussai forte. Troppo forte.
-Styles, se volevo farmi buttare giù la porta, chiamavo un fabbro, non ti chiedevo certo di venire nel mio ufficio!- mi giunse la battuta sardonica di Annie Reed, il suono attutito dal muro. –Entra!-.
Stavolta, aprii la porta titubante e la richiusi dietro di me.
Quando mi voltai a guardare la stanza, tutto mi sarei aspettato, tranne che di vedere Carol Hatton in piedi, di fronte alla direttrice.
Che volesse licenziarci entrambi?
O forse, darà la liquidazione alla Hatton e assumerà te senza scadenze, mi suggerì una vocetta nella mia testa. Non era per niente male come soluzione.
-Harry, proprio adesso stavo annunciando a Carol la mia decisione-. Ghignai tra me e me.
-Quale decisione?-.
-Di farvi scrivere nella stessa rubrica-. Di farci scrivere nella stessa rubrica….alt! Come prego?
Impossibile effettuare comando selezionato.
Sgranai gli occhi, allibito.
-Cosa?- mi precedette Carol. La vidi irrigidirsi.
-Sei in difficoltà con la rubrica. Hai troppi articoli a cui dedicarti e questa settimana dobbiamo chiudere il bollettino del cinema. Harry invece ha meno esperienza e tu potrai insegnargli i trucchi del mestiere. Siete i più giovani, ma tra i migliori e voglio che vi aiutiate a vicenda-.
Io e Carol non osammo guardarci.
-Allora? Siete ancora qui? Forza, a lavoro! Qui c’è poco da fare- ci riscosse il tono burbero della Reed.
Con la presenza di spirito di un automa, ruotai di centottanta gradi e spalancai la porta.
Feci per uscire, ma la voce della direttrice mi bloccò sull’uscio.
-Stasera c’è la Serata di Beneficenza per il progetto Onlus. Il Daily Mirror si è sempre distinto per la partecipazione attiva a questo tipo di iniziative. Già ne ho parlato con gli altri e conto sulla presenza di ciascuno di voi-.
Con molta difficoltà riuscii ad annuire. La notizia di scrivere insieme a Carol, mi aveva fatto perdere l’uso delle articolazioni del collo.
Una volta fuori dall’ufficio della direzione, Hatton mi scansò con una spallata e raggiunse le scale a passo di carica.
Sbuffai. Non doveva importarmi che le piacesse o no l’idea di lavorare insieme.
D’altronde non faceva impazzire neanche me.
I colleghi mi lanciarono sguardi apprensivi. –Ci dedicheremo alla stessa rubrica- rassicurai Dave.
-Parlale- mi consigliò lui, senza spostare gli occhi dallo schermo del computer.
-Mm- borbottai poco convinto. –Che stai facendo?- aggiunsi dopo qualche istante.
-Gioco online-.
Mi sporsi per vedere meglio. Ridacchiai. –Lo sai che se ti scopre la Reed, sei fottuto?-.
-Oh certo-.
-Tutto a posto allora-.
Mi feci forza e scesi al piano inferiore, per assicurarmi che Carol non avesse deciso di farla finita.
La trovai davanti alla macchinetta del caffè, fumante di rabbia.
Tirò un cazzotto al distributore. –Contento? Mi hai fregato pure i soldi per il caffè!- se la prese.
Nel vederla così, provai quasi tenerezza. Quasi.
Mi feci avanti, inserendo alcuni penny. -Più che di un caffè, avresti bisogno di un tranquillante-.
Lei mi fulminò con lo sguardo, ma non disse niente.
Abbozzai un sorriso e le porsi il caffè.
-I miei soldi?-.
-Te lo offro- tagliai corto.
Carol esitò un attimo. Poi prese il bicchiere di carta, sfiorando le mie dita.
-In fondo me lo devi-. La guardai con aria interrogativa.
Quando notò la mia espressione, le sfuggì una risata. –Dovrò dividere la mia rubrica con te- spiegò come se fosse un’ovvietà.
-Se non te ne fossi accorta, neanche io muoio dalla voglia di lavorare con te- sbottai in tono acido.
-Certo, ora saresti tu lo sventurato da consolare!- ironizzò lei.
Mi pentii subito della piega che aveva preso il discorso. Guardai altrove. -Non dico questo, ma sembra che sia solo tuo il disturbo…- cercai di rimediare. Troppo tardi.
-Lo è infatti!- mi interruppe. –Tu hai ottenuto la tua rubrica importante, io invece? Un novellino rompipalle da istruire-.
Inavvertitamente si rovesciò un po’ del caffè sui vestiti.
-Non è possibile!- gemette, guardandosi la camicetta macchiata.
La coincidenza mi fece sorridere.
Poi mi ricordai di avere ancora in tasca gli ultimi fazzoletti di Dave. Li tirai fuori e glieli offrii.
Li afferrò di malavoglia e iniziò a tamponarli sull’alone scuro.
-Sembra proprio che il tuo nervosismo dipenda da me- la provocai.
Lei mi inchiodò con lo sguardo. –Ti dai troppo importanza, Styles-.
Quando si girò per tornare in ufficio, le feci il verso sottovoce.
 
 
 
 
 
 
 
 
  
MY SPACE: Ecco qui il  secondo capitolo!!!!!
Finalmente abbiamo fatto chiarezza su molti aspetti della vita dei due protagonisti.
Il prossimo sarà incentrato per lo più sul ricevimento di cui si è parlato già...e chissà u.u
Dunque, pare proprio che Harry e Carol siano costretti a lavorare insieme. La rubrica di Carol (nella storia per ora l'ho solo accennato), riguarda il cinema e le recensioni sui film. Si capirà bene in seguito.
Per chi si chiedesse che fine abbia fatto il resto della band, non temete perchè entreranno in scena molto presto ;)...ed ora vi lascio, perchè ho sonno e questo pc mi sta facendo impazzire!!!
Ringrazio

DirectionerIsMyName

che è stata la prima a recensire questa FF e speriamo non l'unica.
Sappiate che mi fa sempre tanto tanto piacere leggere le vostre opinioni. Perciò, se volete, lasciate una piccola recensione.

Bacissimiiiiii <3

  

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Capitolo 3
*** III ***


               

            



Capitolo 3                    
                     
 
             
 
 
                                                                                                     Carol;
 
 
Contemplai la mia immagine riflessa nello specchio e fischiai a me stessa.
Avevo frugato in tutti i ripostigli e messo sottosopra il mio armadio e quello di Alyson, e finalmente avevo trovato un vestito più che decente per quel dannato ricevimento. A dir la verità si trattava di un’asta: l’introito sarebbe stato devoluto al gruppo Onlus per la ricerca scientifica. Roba da miliardari e imprenditori di alto livello. Il Daily Mirror però doveva esserci ed io avevo compiuto il possibile per rendermi presentabile.
I capelli erano trattenuti all’indietro in un nodo alla nuca che ricadeva scomposto sulle spalle nude; al collo portavo un nastro di stoffa chiara e il vestito blu cielo, che avevo scelto, mi fasciava il busto, scivolando morbido lungo il corpo in un fruscio di veli, appena sopra il ginocchio; la scollatura a cuore mi disegnava la curva del seno e le scarpe basse color panna mi facevano sentire una scolaretta al ballo di fine anno.
-Dovresti calzare i tacchi.- ribadì Alyson, aspirando un’altra boccata dalla sigaretta.
-Vai a fumare in balcone se devi!- mi spazientii. Io e i tacchi non andavamo d’accordo punto e basta.
Sally abbaiò la sua approvazione. -Due a uno.- sentenziai.
-Fa come ti pare.- si arrese l’altra, sbuffando nuvolette di fumo come una locomotiva.
Incrociò i piedi sul tavolo e stette in silenzio.
Risi sotto i baffi del suo malumore. Entrai in camera mia e mi gettai sul letto con il computer portatile in grembo.
Avevo ricevuto una suo messaggio nella mia pagina del social network.
 
Landscape scrive: Ho appena scoperto di dover lavorare con la persona più odiosa di tutto il pianeta!!!
 

Rilessi di nuovo, per essere certa di non aver visto male. Poi digitai la risposta e premetti invio.
 
Makemehappy scrive: Che strano, è accaduto qualcosa di simile anche a me…
 

 
Fissai lo schermo del computer, chiedendomi  se fosse destino o meno che io e Landscape dovessimo incontrarci. Eravamo così simili dopotutto.
 
 
 
 
 
 
 
                                                                                                                            Harry;
 

 

Annodai la cravatta e strinsi il nodo attorno al colletto della camicia bianca.
Guardai la stoffa spiegazzata e sospirai: Rachel e il ferro da stiro erano due esseri incompatibili tra loro. Per il ricevimento, mi sarei dovuto arrangiare.
Rachel aveva deciso di accompagnarmi.
-…così gli ho fatto intendere che non mi interessava il suo contratto triennale né le altre pratiche di cui dovevamo discutere. Non credo che esista uomo più egocentrico e insopportabile. Non solo, ma mi ha anche rinfacciato di non aver dato abbastanza spazio al suo progetto, come se io fossi lì per…- stava raccontando la mia ragazza dal bagno. La intravedevo davanti al grande specchio di fronte al lavandino, intenta a passarsi il solito filo di eye-liner  e  rossetto, continuando a blaterare di quel suo collega.
Mi domandavo come riuscisse ad aprire bocca in qualunque momento della sua vita: persino quando facevamo l’amore, era capace di stordirmi con le sue chiacchiere.
-…a quel punto, non mi sono più trattenuta e gli ho spiegato chiaramente che la sua idea era solo un’altra banalità e non sai come l’ha presa!- continuò imperterrita.
-Come l’ha presa?- chiesi monotono.
-Ha cominciato a urlarmi contro, davanti alla segretaria Sarah. Volevo morire. Allora, ho cercato di farlo ragionare e…-. Mi passò accanto, per prendere le scarpe col tacco che le avevo regalato per il compleanno.
Si sedette sulla panca di legno e sollevò la gamba per aria. –Puoi infilarmele?-.
-Sei la pigrizia fatta persone, Rachel-. Mio malgrado, l’accontentai.
-Dove ero arrivata? Ah, si…ho tentato di calmare gli animi, ma ormai non ne voleva più sapere. Gli altri dirigenti non riuscivano a spiccicare una parola. Dovevi vedere le loro facce-. Rise, ma io non la imitai. Possibile che non si accorgesse che non l’ascoltavo?
Mi allontanai per sfilare la giacca dalla stampella e la indossai. Rachel mi cinse da dietro, intrecciando le mani sul mio addome. Sorrise maliziosa. Ricambiai.
-Quanto sei sexy…-. Mi mordicchiò l’orecchio.
Provai un brivido. –Tu invece sei una tentatrice.- l’accusai, girandomi per guardarla negli occhi.
Lei ridacchiò. Mi chinai sulle sue labbra e la baciai con trasporto.
Quando ci staccammo, lei ansimava: sorrisi soddisfatto.
-Vado a controllare una cosa.- le soffiai sul viso, prima di uscire dalla stanza. In salotto, mi impossessai del computer e cercai tra le e-mail.
Mi aveva risposto. Cliccai con il mouse e dopo il caricamento, si aprì la finestra del messaggio.
 

Makemehappy scrive: Che strano, è accaduto qualcosa di simile anche a me…
 
Mi grattai una guancia, pensieroso. Avevamo molte cose in comune io e Makemehappy.
Avrei sempre potuto chiederle di uscire. No, meglio di no.
Chiusi la pagina internet e spensi il computer.
Io stavo con Rachel. Lei era la mia fidanzata.
Eppure, quando ci scrivevamo e-mail, io e la sconosciuta, provavo delle sensazioni totalmente diverse.
Con Rachel era tutto più semplice: lei e la sua parlantina, lei e il sesso, soprattutto il sesso, lei e le boutique che frequentava, lei e la sua azienda e via dicendo.
Invece con l’altra…Scacciai quel pensiero come si fa con una zanzara fastidiosa e tornai da Rachel.
 
 
 
 
 
 
                                                                                                                    Carol;
 
 

-Trovata!- esclamai felice. Mi misi a carponi e infilai un braccio sotto il letto.
Riemersi vittoriosa con la mia borsa tra le mani. –Lo sapevo che era da queste parti-.
-Perfetto. Ora sei pronta- mi disse Alyson con aria distratta, saltellando via come una falena.
Fu allora che mi si accese una lampadina.
-Perché non mi accompagni? La direttrice ha detto che possiamo portare un ospite- .
La ragazza fece capolino dalla porta. –Neanche per sogno-.
-Ti prego…- la supplicai in ginocchio.
-Scordatelo-.
Venti minuti dopo, eravamo a bordo della sua Volvo ammaccata.
Avevamo tirato a lucido quella vecchia carretta, abbandonata da mesi nel garage e fatto il pieno della benzina una volta tanto.
-Ricordami quale strategia hai usato per convincermi a venire?- mi chiese Alyson con quel suo tono sognante.
Con una mano si lisciò il vestito rosso a balze che aveva abbinato alle immancabili Converse blu dalla suola consumata.
Le sue scelte in fatto d’abbigliamento mi lasciavano sempre perplessa.
Appoggiai un gomito sul finestrino abbassato, tamburellando la mano sul volante.
-Ti ho detto che ci sarà Dave- ammisi con naturalezza.
Lei aggrottò la fronte. –Giusto…-.
Lei e Dave si piacevano da quando si erano incontrati la prima volta, l’anno passato, in occasione della mia festa di compleanno.
D’allora, non avevano fatto altro che chiedermi l’uno dell’altra.
Mezz’ora dopo, parcheggiai la macchina nei dintorni del locale dove era organizzato il ricevimento.
All’entrata, sotto  l’insegna illuminata di “Hunter’s Moon”, sostavano un gruppo di persone eleganti. Sembravano usciti da una rivista di moda, mi ritrovai a pensare.
Chiacchieravano tranquilli, tra un tiro e l’altro.
“Hunter’sMoon” era uno dei locali più prestigiosi di Londra. Non ci ero mai stata.
Quei posti non erano adatti ai tipi come me.
Ignorai le loro occhiate sprezzanti ed entrai, seguita da Alyson.
Attraversammo un lungo corridoio illuminato da alcuni candelabri, il rumore delle scarpe attutito da un tappeto rosso.
-Come nel Red Carpet!- cinguettò Alyson in estasi.
In fondo al corridoio, trovammo gli addetti alla sicurezza.
-Buonasera- ci salutò uno degli inservienti, stretto in un completo nuovo di zecca.
Ci squadrò da capo a piedi e assunse un’espressione inorridita alla vista delle Converse della mia compagna.
-Questo posto è uno sballo!- commentò ad alta voce Alyson.
Notai l’occhiata sconcertata dell’ inserviente e mi morsi un labbro, per non ridere.
-Sono Carol Hatton del Daily Mirror-.
L’uomo si riscosse e scrutò la lista.
-Accomodatevi- disse dopo qualche attimo, scostandosi per lasciarci passare.
Il corridoio dava su un cortile interno, completamente verde, dove erano stati allestiti una serie di gazebi per il rinfresco.
Consegnammo i cappotti ad un altro inserviente e ci guardammo intorno, in cerca di un volto amico.
-Carol!- mi sentii chiamare.
-Ciao, Dave- risposi, notandolo a qualche metro di distanza in compagnia di un paio di signori.
Il ragazzo si congedò dal gruppo per unirsi a noi.
-Salve, Alyson. Come va?-.
-Non male, grazie- fece lei distratta, fissando un punto sopra la spalla di lui.
La guardai male. Perché faceva tante storie per incontrarlo e poi a malapena gli rivolgeva la parola?
-Vi porto…vi porto un drink- farfugliò Dave, leggermente a disagio.
Tornò poco dopo con due bicchieri in mano, assieme a James.
-Tenete-.
Lo ringraziai con un sorriso e ripresi a vagare con lo sguardo.
Fu allora che mi accorsi di Styles, qualche gazebo più in là.
Stava sorridendo forse per una battuta, mostrando i denti bianchi e perfetti come i tasti di un pianoforte.
Una ragazza dai capelli castani e lisci gli si avvicinò. Gli sussurrò qualcosa all’orecchio, facendolo ridere.
Per tutta risposta Harry le circondò la vita con un braccio e l’attirò a sé, continuando a parlare con la persona che aveva davanti.
Distolsi lo sguardo, infastidita e sorseggiai il mio drink.
Un cameriere mi passò accanto con un vassoio.
Lo fermai e presi una tartina.
                                                       
 
                                                      
                                                                                                         Harry;
 

 
 

La notai poco lontano, nel suo vestito blu cielo. Stava chiacchierando con Dave e James; vicino a loro c’era una ragazza eccentrica, con i capelli lunghissimi e l’aria sognante: non l’avevo mai vista prima.
Con la scusa di salutare il mio amico, lasciai Rachel e mi avvicinai.
-Ciao, Dave-.
Ci stringemmo la mano. Poi salutai James.
Sorrisi sfacciato. –Carol-.
-Harry.- accennò rigida lei.
-Hai visto la Reed?- mi chiese Dave per smorzare la tensione.
-Si, lì dietro.- puntai l’indice.
Carol colse al volo l’occasione. -Io vado a salutarla. Dovesse rifilarmi un altro novellino a cui badare-.
Posò il bicchiere semipieno su un vassoio e si allontanò.
-Non…non l’ha preso molto bene questo fatto…il fatto che scriverete assieme.- osservò con un certo imbarazzo Dave.
-Perspicace.- commentai sarcastico. Non era un problema mio, se la signorina era cresciuta viziata.
Infilai le mani in tasca e mi dondolai sui talloni, nervoso. La ragazza eccentrica mi rivolse la parola. –Ah, tu devi essere Harry“l’antipatico”, quello che vuole soffiare il lavoro alla mia amica-. Assunse un’espressione stralunata. –Io sono Alyson Smith, la coinquilina di Carol.- mi porse una mano e io fui costretto a stringerla.
-Piacere.- biascicai stordito.
-Eccoti qui-. Rachel mi raggiunse, sorridente. –Tesoro, puoi prendermi qualcosa al rinfresco?-.
Annuii meccanicamente e scivolai via, strusciando i piedi sull’erba.
Raggiunsi il primo gazebo e presi un piatto pulito da una pila. Mi servii un po’ del caviale farcito, disposto attorno all’insalata russa, ma fui interrotto. -Quel caviale è per guarnizione.- mi informò Carol in tono pungente, spuntando dal nulla. Le sorrisi sfacciato e affondai di nuovo il cucchiaino nel caviale.
Lei assottigliò lo sguardo. –Sei un villano-. Si allungò per raggiungere gli affumicati.
Finsi una risata. –E tu saresti l’aristocratica, vero?-.
-No, ma almeno conosco le norme della buona educazione.- ribatté.
-Non farmi le paternali… e a proposito,- sibilai acido- Harry “l’antipatico” non ha affatto intenzione di soffiarti il posto, perché non vede in te alcun rischio-.
Mi parve che volesse rispondermi a dovere, ma non lo fece. Qualcosa la trattenne.
Poi comparve Rachel. Le dedicai un sorriso forzato.
-Amore, hai trovato qualcosa?-.
Guardai Carol. –Rachel, questa è Carol Hatton, una mia… stimata collega-.
-Ciao, sono la fidanzata di Harry.- si presentò lei.
-E’ un piacere-.
Con il pretesto che Annie Reed la chiamava, si dileguò.
Quando Carol non fu più a portata d’orecchio, mi rivolsi alla mia fidanzata:-Quel caviale era per
guarnizione?-.
 
 
                                                                               
 
 
 
                                                                                                                                Carol;
 

 
 
Appena mi fu possibile, schizzai via, alla ricerca della toilette. Arrivata nel bagno, sbattei la borsa sul lavandino e mi guardai allo specchio.
Per la miseria, che faccia! La ragazza nello specchio fece un’espressione imbronciata e mi voltò le spalle.
Non avevo intenzione di trascorrere la serata circondata da vecchi ricconi. Dovevo trovarmi qualcosa da fare.
Guardai il rotolo di carta igienica appena cambiato dalla donna delle pulizie: avrei potuto contare gli strappi e appurare se erano davvero cinquecento come sosteneva la pubblicità.
Mi sedetti sul pavimento, poco convinta, e strinsi le gambe al petto.
Possibile che non ci fosse nulla di divertente in un bagno? Insomma, al liceo i momenti migliori si vivevano al cesso, scherzando con le amiche e fumando di nascosto dalla bidella.
Capperi che sonno…appoggiai la testa sul palmo della mano, annoiata.
Dovettero passare diversi minuti, prima che la porta si spalancasse.
Mi alzai di scatto, scontrandomi con la persona che stava entrando in quel momento.
-Scusa, non ti…-esordì una voce maschile e profonda che mi risuonò stranamente familiare.
Quando lo riconobbi, sentii montare la rabbia.
-Ah, sei tu!- esclamammo all’uni solo.
-Che ci fai qui?- lo interrogai diffidente.
Incurvò le labbra in un sorrisetto canzonatorio. L’avrei volentieri preso a schiaffi. -Ehi Saputella, se non te ne fossi resa conto, questo è il bagno degli uomini-.
Sbarrai gli occhi e tirai la porta verso di me, per controllare di persona. In alto era stampato l’omino blu.
Borbottai qualcosa sul fatto che le indicazioni non fossero mai abbastanza chiare e mi defilai.
Trascorsi il resto della serata a domandarmi quanto potesse risultare insopportabile Harry Styles e a crogiolarmi nel mio stesso brodo.
Avevo cercato qualcosa da dire prima, al rinfresco, ma il suo sguardo beffardo in attesa di una mia frase, aveva mandato il mio cervello a farsi benedire.
Gli dovevo essere sembrata una perfetta idiota.
Tornata a casa, lanciai le scarpe in fondo alla stanza e mi abbandonai sul letto, esausta.
 




  

Spazio autrice: Prima di tutto, voglio fare alcuni ringraziamenti.
-A chi ha recensito finora la storia. Spero davvero che continui a farlo.
-Alle quattro persone che hanno inserito “Penfriends” tra le seguite e alle due che l’hanno inserita tra le preferite (siete fantastiche. Sappiate che vi adoro!!).
All’inizio non ci volevo credere e mo sono detta:”Si saranno sbagliate”, (se è così non venitemelo a dire perché ci rimarrei malissimo).
-E infine, ma non meno importante, un grazie di cuore a tutti i lettori per così dire “silenziosi”.
Grazie per il tempo che dedicate a questa storia :D
 
Il momento strappalacrime è ufficialmente finito, passiamo agli annunci.
Ho una notizia bomba: nel prossimo capitolo, il quarto, comparirà la band al completo, perciò tenetevi pronte!
L’altra notizia invece, un po’ meno bomba, è che parto. Finalmente vado a farmi dieci di giorni di mare. (Vi prego, non abbandonatemiiii!!)
Vi prometto che farò il possibile per postare anche in quei giorni, ma non vi assicuro niente. Purtroppo, mi ritrovo a corto di mezzi.
In ogni caso, continuerò a scrivere e appena tornata, aggiornerò in fretta per farmi perdonare.
Non solo, ma ho anche un altro paio di FF in mente.
Devo trovare il tempo per buttare giù una prima bozza.
Ho deciso che posterò la prima di queste, una volta che “Penfriends” sarà ben avviata, per evitare di trascurare le altre.
 
Vi ricordo che mi farebbe tanto tanto tanto piacere sapere cosa ne pensate di questo capitolo in particolare e potervi rispondere. Lo so, non è nulla di che, ma ho avuto poco tempo e altrettanta poca ispirazione. Sorry :(
Per qualsiasi dubbio, inerente o meno alla storia, non esitate a chiedere.
 
 
 

 
Per chi avesse tempo o voglia, ecco una One-Shot che ho scritto qualche giorno fa....La ragazza di Stratfordwww.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1195502&i=1  

 
    
Un bacio enorme,
Ruth <3
    

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Capitolo 4
*** IV ***


 

Capitolo 4


 
                                                                                                                                          Carol;
 
 
M
i rigirai nervosamente nel letto. Era l’ennesima volta che lo facevo nell’arco della nottata e ancora non riuscivo a prendere sonno.
Tastai alla cieca sul comodino lì accanto, atterrando la maggior parte delle cianfrusaglie che lo occupavano e finalmente trovai la radiosveglia. Misi a fuoco le cifre in rosso segnate sul display nero e ricaddi stancamente sulle lenzuola: 2.51
Non ce l’avrei mai fatta. Avevo tentato tutti i metodi possibili: ero partita con il classico “conto delle pecore”, avevo acceso la T.V. e cercato il canale delle televendite, mi ero persino sdraiata in bagno, con una tazza di tisana fumante, sperando che il freddo delle mattonelle mi inducesse a tornarmene a letto e a dormire.
Eppure, nonostante tutti i miei sforzi, ero ancora preda dell’insonnia. La verità era che un pensiero fastidioso mi frullava in testa da diverse ore e non accennava ad abbandonarmi.
Con un moto di stizza, mi liberai delle coperte. Non trovai le pantofole e così raggiunsi la cucina a piedi scalzi.
Possibile che una persona potesse risultare insopportabile fino a tal punto? Al ricevimento avrei dovuto metterlo in riga invece di balbettare frasi incoerenti.
Stupida, stupida, stupida…., mi rimbrottai senza pietà.
Accesi la luce a neon, presi un bicchiere di vetro dalla credenza e lasciai scorrere il getto d’acqua del rubinetto, prima di bere.
Lanciai un’occhiata dubbiosa al computer sul tavolo di legno: no, non era una buona idea.
Posai il bicchiere sul lavandino e sbirciai di nuovo il portatile.
Avrei sempre potuto scrivergli una e-mail. Una soltanto e poi sarei tornata a letto.
Mi morsi l’interno della guancia, indecisa.
Avrei fatto in fretta. Mi appollaiai sullo sgabello e mentre avviavo il sistema, iniziai a formulare il messaggio mentalmente.
 
 
Makemehappy scrive: Per quanto possa sembrarti strano ricevere una e-mail del genere a quest’ora della notte, la mia unica attenuante è che non riuscivo a dormire.
Stasera ho discusso con una persona e dopo tutte le cose orribili che era riuscita a dirmi, io non ho saputo fare altro che rimanere in silenzio.
Ogni volta è come perdere l’uso della parola: la mente si svuota e la risposta tagliente che avrei dovuto fornire si perde nell’amarezza e nell’umiliazione di un orgoglio ferito.
Vorrei riuscire a dire ciò che penso senza tentennamenti. Allora, forse, non avrei più rimorsi continui.
Quest’e-mail non ha senso, ne tanto meno, ha le pretese di averlo.
Sentivo solo un forte bisogno di scriverti.
 
                                                                                         Buonanotte, la tua amica di penna

 
 
Picchiettai le dita sul tavolo. Certamente mi avrebbe presa per matta.
Quale persona sana di mente invierebbe messaggi alle tre di notte ad un perfetto sconosciuto?
Notai Alyson che si trascinava assonnata per il corridoio. La osservai dalla porta a vetri della cucina, mentre lanciava i cuscini del divano per terra, alla ricerca del telecomando. -E’ sulla mensola.- la informai.
La ragazza annuì, spostandosi la treccia lunghissima di lato e accendendo finalmente il televisore.
Dopo un po’ che se ne stava stravaccata sul divano e sommersa dai cuscini, mi azzardai a
chiederle:-Dormi?-.
-No.- sillabò.
-Come mai?-.
-Penso-.
-A cosa?-. Mi giunse alle orecchie un sospiro sommesso, poi il fruscio di cuscini spostati.
Spiai la sua reazione da dietro lo schermo del computer. -Secondo te, David che opinione ha sul mio conto?-.
Mi attorcigliai una ciocca di capelli attorno all’indice, riflettendo. -Suppongo, ti consideri un tipo…alternativo-.
-Alternativo?- fece lei pensierosa.
-Già-.
-…ed è una cosa positiva?-.
-Senza dubbio.- Intercettai la sua occhiata perplessa e mi affrettai a spiegare:- Vedi, la gente tende a seguire la scia, ad omogeneizzarsi  con la massa, a rispecchiarsi nelle vicende altrui. Tu invece sei diversa. Vai contro corrente-.
-Quindi per te gli piaccio?-.
-Mh-mh-. Le rivolsi un mezzo sorriso.
-Buonanotte, allora.- mi disse. Si girò su un fianco e chiuse gli occhi, senza preoccuparsi di spegnere la televisione. La fissai divertita per poi tornare a contemplare lo schermo del portatile.
Ero sul punto di chiudere la pagina del network, quando l’icona di una lettera imbustata mi avvisò di
una e-mail in arrivo.
Istintivamente mi raddrizzai sullo sgabello e mi feci attenta. Presa dalla curiosità, cliccai sul messaggio.
 
Landscape scrive: Neanche io riuscivo a dormire…e per il problema contrario.
Tutte le volte è sempre la solita filastrocca.
Quando qualcuno che non sopporto mi provoca, riesco sempre a mostrare il peggio di me stesso, rivelandomi per una persona che non sono in realtà.
Penso sempre di liberarmi di un peso inutile dicendo quello che penso, invece alla fine non faccio che convivere con i rimorsi.
Mi chiedo se oggi non avessi dovuto tacere. Forse, avrei evitato di ferire una persona, per quanto questa sia insopportabile…
 

 
Mi torturai le labbra screpolate.
Cazzo. Sembrava così assurdo che due corrispondenti anonimi avessero così tante cose in comune.
Inizia a scrivere un messaggio di risposta.
 
 
 
 
 
                                                                                                                                              Harry;
 

Quando era apparso l’avviso di una nuova e-mail ricevuta, avevo sbattuto gli occhi incredulo.
Chi avrebbe mai potuto scrivermi a quell’ora?
Ancor prima di leggere il mittente però, sapevo per certo che era stata lei.
Era strano il legame che ci univa, strano e allo stesso modo inspiegabilmente meraviglioso.
Mi aveva inviato un nuovo messaggio.
 
Makemehappy scrive: Non so quale dei due mali sia il peggiore. Almeno tu riesci ad esprimere ciò che provi, io sono bloccata dal mio stesso orgoglio.
In più devo combattere con i miei colleghi opportunisti.
 

 
Landscape scrive: Problemi con il lavoro?
 
Makemehappy scrive: Non proprio.
 
Landscape scrive: Avanti, con me puoi confidarti. Sono un ottimo uomo d’affari: posso aiutarti!!

 
Attesi ansioso una risposta che arrivò un po’ più tardi delle precedenti.
 
Makemehappy scrive: Niente da fare. Ne avevamo già parlato: zero domande indiscrete sul lavoro o chicchessia.
 
Landscape scrive: D’accordo, senza particolari è difficile aiutare. Ti posso solo dire… “vai ai materassi”!
 
 

 
 
 
                                                               
                                                                                 Carol;
 
 

 
Vai ai materassi….?!Ma che razza di consiglio era mai quello?
 
Makemehappy scrive: Credo di non aver afferrato il concetto.
 

Trascorsero pochi secondi.
 
Landscape scrive: E’ una citazione de “Il padrino”. Significa che devi scendere in guerra.
 

Sollevai un sopracciglio, sbalordita. Quel tipo era tutto matto.
 
Makemehappy scrive: Oh andiamo, è una fissazione questa storia de “Il padrino”.
 
Landscape scrive: “Il padrino” è I Ching. “Il padrino” è la somma di ogni saggezza. “Il padrino” è la risposta ad ogni domanda.
Cosa portare in valigia per le vacanze? “Il padrino” dice: “Lascia la pistola e porta i cannoli”.
Quindi la risposta alla tua domanda è “Vai ai materassi!!”. Semplice.
Sei in guerra. Nulla di personale: solo lavoro. Quando ti perdi d’animo, ripetitelo. Vedrai che funziona.
 

 
Lessil’e-mail e sorrisi. Aveva ragione.
Non dovevo preoccuparmi di essere spregiudicata una volta tanto.
Era lavoro, solo e soltanto lavoro. Nulla che mi dovesse coinvolgere emotivamente.
Chiusi il portatile e mi tuffai sul divano, sopra Alyson.
La ragazza si svegliò di soprassalto e cacciò un urlo.
-Che vuoi, Carol?- mi disse con un tono molto poco amichevole.
-Tu sai che significa “Vai ai materassi”?-.
-Certo, è tratto da Il padrino-.
Crollai sulla spalliera. Dio, era una fissazione!
 
 
 
 
 
 
                                                                                                                                                                     Harry;
 
 

Fissai ancora per un po’ il post-it giallo che Rachel aveva appiccicato sul frigorifero:
Fai la spesa! Siamo a corto di viveri!!! R.
Poi spostai lo sguardo sul frigorifero aperto e completamente vuoto.
Cavolo, poteva avvertirmi prima ed evitare di prendere gli ultimi biscotti tutti per sé.
Sbadigliai e richiusi il portello del frigorifero. Staccai il post-it, lo appallottolai e lo gettai nel cestino della spazzatura.
Sarei andato a bere un caffè al bar sotto casa.
Mi ravvivai i ricci davanti allo specchio dell'ingresso e uscii, portandomi dietro la tracolla nera.
Giunsi in redazione un quarto d’ora dopo. Consegnai il mio articolo ad Emily e sedetti dietro la mia scrivania.
Non avevo nulla da fare. Perciò decisi di salvare sul desktop un’immagine presa da Internet di Pamela Anderson in bikini.
Entrai su Photoshop e iniziai a modificarla.
Mi divertii a rimpicciolirle e ad ingrandirle ancora di più il seno, a farla sembrare in cinta, le cambiai il colore dei capelli e altre stupidaggini del genere.
Io e David avevamo le lacrime agli occhi dalle risate, quando all’improvviso, mi arrivò una giornalaia in testa.
Sollevai il viso di scatto, pregando con tutto il cuore che la direttrice non ci avesse scoperto e incrociai lo sguardo altezzoso di Carol Hatton.
-Non voglio nemmeno sapere il motivo per cui hai una foto di Pamela Anderson mezza nuda sul tuo computer.-mi disse in tono di sufficienza. - Voglio solo ricordarti che oggi pomeriggio dobbiamo incontrarci per lavorare alla mia rubrica-.
Mi raddrizzai sulla sedia e assunsi un’espressione seria. –Si, giusto…-.
Si sporse sulla mia scrivania e mi sfilò il block notes da sotto le braccia. Afferrò una biro a caso dal mio portapenne e scarabocchiò un indirizzo.
-Abbiamo delle entrate speciali per il giornale. Perciò mi passi a prendere alle tre del pomeriggio sotto casa e andiamo al cinema Atlantic-.
Sfoderai un sorriso sghembo e mi misi scherzosamente sull’attenti. –Comandi-.
Mi rivolse uno sguardo truce. -Farai bene a non tardare-. Ci voltò le spalle e tornò alla sua scrivania.
Io ovviamente le fissai il fondoschiena.
Abbassai gli occhi solo dopo qualche secondo, per controllare l’indirizzo che mi aveva lasciato: Rathpone Street 45.
 
 
 
Avevamo rimediato all’ultimo momento mais e tonno in scatola.
-Oggi esco. Devo scrivere una recensione di un film- esordii, posando l’insalatiera sul tavolo.
-Fantastico.- commentò Rachel. Dal tono non sembrava molto entusiasta. –E chi la fa la spesa?-.
-Io no. Devo lavorare-.
-Certo, tu devi lavorare. Io invece? Pettino le bambole secondo te?-. Si alzò, lasciò il piatto sporco nel lavandino e si voltò verso di me.
-Se sei nervosa, non devi prendertela con me.- osservai in tono sgarbato. Scostai la sedia dal tavolo e la imitai. Ci trovammo faccia a faccia.
-Non ero affatto nervosa prima del pranzo. Sei tu che mi fai andare di traverso il cibo con le tue risposte a monosillabi-.
-Come faccio a parlare, se apri bocca in continuazione!-. La frecciatina andò a segno.
-Non incolparmi. Se volessi parlarmi, te lo lascerei fare senza interromperti-.
-O forse, incentreresti il discorso su di te-.
-Mi dai dell’egocentrica?-.
-Può darsi.- le dissi lentamente.
Rachel aggirò il tavolo e tornò a fissarmi. Mi puntò l’indice contro. –Il problema è che tu non sai più cosa dirmi. Non riusciamo neanche a discutere come si deve-.
-Sembra proprio che tu voglia litigare.- le rinfacciai crudele.
-Tu invece vuoi lasciare tutto com’é. Secondo te è meglio così?-.
Sbuffai. Ero stanco: di tutto e di niente.
Io e Rachel eravamo ad un passo l’uno dall’altra, ma in quel momento la distanza tra noi sembrava molto più grande. Quasi incolmabile.
-Devo andare.- tagliai corto.
Senza guardarla, sparii oltre la soglia della cucina. Presi le chiavi della macchina e sbattei la porta alle mie spalle. Scesi le scale a balzi, cercando di sbollire la collera.
Da tempo ormai, il rapporto tra me e Rachel non era più lo stesso. Perché continuassi a stare con lei nonostante tutto, era un mistero anche per me: forse per abitudine o per paura di perdere una solida certezza che non mi mancava da anni.
Montai sul sedile della Range Rover e girai la chiave. Il motore rombò forte; ingranai la retromarcia e uscii dal parcheggio a pettine.
Mentre guidavo, riflettei su molte cose. Le ruote dell’auto correvano veloci sull’asfalto bagnato e io pensavo a Rachel, ai cinque anni trascorsi con lei, al nostro appartamento e a tutto quel che avevamo condiviso assieme.
Arrivai a Rathpone Street 45 con mezz’ora d’anticipo e la testa parecchio confusa. Stranamente la prospettiva di vedere Carol Hatton non mi dispiaceva neanche un po’.





 
 
 
 
My space: 
Finalmente sono tornata!! Non vedevo l’ora!!
Mi scuso enormemente per il ritardo, ma i miei hanno deciso all’ultimo di prolungare la vacanza di qualche giorno.
Purtroppo, l’entrata in scena  dei 4/5 della band era un falso allarme. Mi dispiace anche di questo, ma ormai avrete capito che non progetto mai nulla nelle mie storie, scrivo e basta. Perciò mi sono resa conto solo alla fine che il capitolo rischiava di diventare troppo lungo.
Così ho optato per dividere le vicende in due capitoli differenti.
Lo so…è un capitolo di passaggio, ma mi serviva per analizzare più profondamente il rapporto virtuale tra Carol ed Harry e la relazione con Rachel.
Vi prometto però che senz’ombra di dubbio nel prossimo compariranno anche gli altri e ci sarà una GRANDE cambiamento.
Parlando di questo capitolo invece, pare proprio che il rapporto tra Harry e Rachel si stia logorando, ma non è tutto così semplice…
 
Lanciati i miei messaggi subliminali e non…passiamo ai ringraziamenti.
Sappiate che ho rischiato l’infarto quando mi sono accorta di avere 4 recensioni in più, perciò vorrei ringraziare davvero di cuore i tre splendori che hanno recensito i precedenti capitoli, le 5 bellissime che hanno inserito “Penfriends” tra le preferite e le 9 che continuano a seguirla. Un bacione grande a tutte voi!!
E grazie mille alle persone che trovano del tempo semplicemente per leggere questa FF. Spero continui a piacervi :D
 
 
Come sempre, adoro leggere e rispondere alle vostre recensioni o semplicemente ai vostri dubbi. Se volete, fatemi sapere la vostra opinione riguardo al capitolo J
Bene, credo di avervi annoiato abbastanza…vi lascio con la promessa di un aggiornamento a breve xx
 
Con affetto, Caty


Ecco qui una foto di Claire Foy nei panni di Rachel: http://tinypic.com/r/29vz1ci/6   
Ps_ DOMANDA: come posso allegare una gif al testo? Tinypic riesco a usarlo solo per le foto normali o.O
 
 
Okay, l’ultima cosa e poi prometto che vi lascio stare, anche perché questio spazio autrice rischia di diventare più lungo del capitolo. Per chi volesse curiosare ecco il link della mia One Shot. Se vi va, leggetela!! u.u
 
 

Ormai è diventata una strana abitudine, una routine, un appuntamento giornaliero col destino. Alle otto in punto, lei sale sul treno. Venti minuti dopo ne esce. Per tutto il tempo legge quel libro, ed io la sbircio da dietro i miei appunti di chimica che uso per ripassare la mattina. O per fingere di ripassare.
Mi sono domandato tante volte se non fosse il caso di rivolgerle la parola con una scusa qualsiasi, ma alla fine non ne ho mai avuto il coraggio. 


  

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Capitolo 5
*** V ***


       

Capitolo 5

 
 

                                                                                                                                               Carol;
 

-Sei in orario.- ammisi a malincuore, dopo aver consultato il mio orologio da polso.
Harry mi sorrise, affabile. –Ti sorprende?-.
Affilai lo sguardo. –Abbastanza-. Ci trovavamo l’uno di fronte all’altra, lui appoggiato con noncuranza alla splendente Range Rover nera, io sul ciglio del marciapiede.
Mi spostai di lato per osservare meglio la costosa automobile. Fischiai. -Che bel gioiellino: è tuo?-.
-No, l’ho rubato.- disse lui al massimo della serietà.
Scoppiai a ridere. Lui invece si limitò a sorridermi. Quando lo faceva, ai lati della bocca comparivano delle fossette. Eppure, sembrava più abbattuto del solito, pensai in un attimo. Si, decisamente.
-Andiamo, altrimenti ci perderemo tutti i film in programma.- sentenziai sbrigativa.
Aprii lo sportello della macchina ed entrai nell’abitacolo; Harry mi imitò.
Lo tenni d’occhio mentre inseriva la frizione. Percorremmo interamente Rathpone Street e proseguimmo dritti fino al semaforo rosso.
Nell’attesa, tamburellò le dita sul volante con fare distratto. Aveva delle belle mani, grandi e affusolate: non l’avevo mai notato.
Mi lanciò una breve occhiata come per accertarsi che lo stessi guardando ed io distolsi lo sguardo infastidita, tornando a fissare il lato sinistro della strada, oltre il finestrino della macchina.
Quando scattò il verde, premette l’acceleratore superando due motorini. Svoltò a sinistra e prese piuttosto bene la curva seguente.
-Come guido?- mi chiese con un sorrisetto impertinente dipinto sulle labbra.
–Non aspettarti complimenti da parte mia.- rimarcai.
Il sorriso si accentuò. -In fondo, non sono poi tanto male-.
Risi sarcastica. –Ho i miei dubbi-.
-Ti farò cambiare idea.- disse solo e quando lo guardai scettica, ignorò la mia reazione.
Stemmo alcuni minuti in silenzio.
Abbassai completamente il finestrino, lasciando penzolare una mano fuori.
L’aria fresca mi scompigliò i capelli. Respirai lentamente.
Stava arrivando l’inverno a Londra.
Accesi la radio e sintonizzai sulla mia stazione preferita. In quel momento passavano “Wonderwall” degli Oasis. Sparai il volume al massimo.
Harry sorrise.-Ci sono alcuni Cd nel cruscotto-. Faticai ad udirlo. Mi fece segno di abbassare il volume.
Seguii le sue indicazioni e presi i dischi tra le mani.
-The Beatles, Elvis Presley, Queen…oh, udite e udite: Bruce Springsteen. – elencai meravigliata.
Dovetti ammettere che in fatto di musica non era uno sprovveduto.
-Che ne pensi?- domandò spavaldo. Storsi il naso.
Distolse lo sguardo dalla guida e mi sbirciò divertito. -E va bene. Ascolti buona musica. Sei contento?- mi arresi.
Scrollò le spalle, ridendo di gusto.
Mi schiaffeggiai mentalmente. Dovevo stare attenta a non abbassare la guardia. Era uno di cui non ci si poteva fidare.
Inserii uno dei Cd a caso e le note di “I want to break free”  dei Queen riempirono il nostro silenzio.
Dopo un po’ presi a canticchiare la canzone. Con la coda dell’occhio mi resi conto che sorrideva.
Arrivammo a destinazione in qualche minuto.
Mi tirai il cappuccio della felpa sui capelli e attraversai la strada sotto la pioggia.
Con due falcate, mi raggiunse. Ci fermammo sotto il portico dell’Atlantic.
-Un giorno perfetto per il cinema- osservò Harry stringendosi nel maglioncino di cotone azzurro.
-Ricordati che siamo qui per lavorare- lo ammonii severa.
Sbuffò.
Aprì la porta a vetri del cinema e mi lasciò passare.
Di fronte a noi, in alto i teleschermi indicavano i film in riproduzione e gli orari.
Lessi rapidamente i titoli e sospirai.
-Direi che per oggi potremmo cominciare dai primi due-.
-Li vediamo entrambi?-.
-No, tu ne vedi uno. Io l’altro. Poi ognuno scrive la recensione sul film che ha visto-.
-Perciò lavori separati-.
-Già-.
-Bene-.
-Bene- ripetei convinta. Volevo avere il meno a che fare con lui.
Lasciai la scelta ad Harry che tra i due film, optò per “Black Abyss”.  Di conseguenza io avrei visto “True Lies”.
Mostrammo la tessera del giornale all’inserviente che stava allo sportello e ci separammo.
Venti minuti dopo mi ero già pentita di aver lasciato scegliere prima Harry.
Quel film era una schifezza iperglicemica di prima categoria. Volevo vomitare.
Scribacchiai qualche appunto senza prestare particolare interesse ai due protagonisti, che correvano lungo la spiaggia tenendosi per mano.
Chi poteva credere ad una storia simile? Giusto delle liceali in piena crisi ormonale!
Come se non bastasse, mentre mi sorbivo un’interminabile serie di frasi ad alto tasso di zuccheri, potevo capire benissimo dai rumori che provenivano dai sedili accantoche qualcuno si stava sbaciucchiando. Diamine, pure al cinema! Che squallore!
Proprio mentre lo pensavo, sentii un:-Permesso, scusate. Permesso. Dovrei passare-.
Una sagoma scura mi coprì la visuale per un istante e si sedette di fianco a me.Non ci feci molto caso.
-Vuoi?-. Una confezione enorme di popcorn spuntò dal nulla, a due palmi dal mio naso.
Sobbalzai. Ma che cavolo…?
-Harry! Dovresti stare nella Sala C, a guardare “Black Abyss”!- esclamai sconvolta.
-Senti, quel film è qualcosa di raccapricciante. Io non lo guardo. Se ci tieni tanto, fallo tu-.
Strinsi le labbra. –L’hai scelto da solo. “Chi è causa del suo mal,  pianga se stesso”- citai il proverbio. -Avanti, tornatene da dove sei venuto!-.
Per tutta risposta sprofondò ancora di più nella poltroncina rossa.
Sospirai, tentando inutilmente di mantenere la calma. –E sentiamo genio, chi dovrebbe recensire “Black Abyss”?-.
Qualcuno nelle file dietro chiese silenzio. Tacqui e tornai a fissare lo schermo.
Ma, trascorsero a malapena cinque secondi. –Smettila di fare questo rumore!- lo rimbeccai.
Lui continuò a sgranocchiare i popcorn tutto tranquillo. –Quale rumore?- chiese in tono innocente.
-Questo rumore!-.
-Ho fame-.
-Mangi da un’altra parte-.
-Ma piantala!-.
Lo fulminai con lo sguardo. Era una persona inaffidabile. Ancora mi chiedevo perché Annie Reed lo avesse assunto a tempo determinato.
Dopo un po’, ripresi a seguire il film, rassegnata.
-Quanto dura?- mi bisbigliò Harry all’orecchio dopo un po'. Si beccò una gomitata.
-Ahi!- si lamentò, colto di sorpresa.
Lo seguii con lo sguardo, mentre armeggiava con la tasca dei jeans.Estrasse l’Iphone  e prese a giocare a Fruit Ninja, imprecando sottovoce quando perdeva.
-Non puoi!- protestai. –Togli di mezzo quel cellulare!-.
Tentai di sfilarglielo dalle mani. Lui però fu più veloce.
-Sei un’idiota!-.
-E tu una rompipalle-.
Abbassai il braccio, inchiodandolo con lo sguardo.-Te lo concedo.- dissi infine.
-Dai, usciamo-. Credetti di non aver sentito bene.
-Cosa? Non è neanche il secondo tempo-.
-Un altro minuto qui dentro è diventerò diabetico-. Si alzò di scatto senza preoccuparsi minimamente di far rumore e si girò verso la coppia seduta lì accanto.
Lo imitai. –Scusate…-. I due non diedero segni di avermi udito.
Dietro di me, Harry si schiarì la voce. –Permesso!-.
Quelli, finalmente, smisero di baciarsi e ci dedicarono uno sguardo seccato.
Dio, volevo morire. Ma, prima avrei fatto fuori quei due. E magari anche Styles. Era sempre lui a cacciarci nelle situazioni più imbarazzanti.
-Dovremmo passare.- fece lui senza perdersi d’animo.
Si misero seduti più composti e ci permisero di uscire. Percorremmo il corridoio a ritroso, in silenzio, distanti l’uno dall’altra prima di giungere nell'atrio.
-E ora, come facciamo per l’articolo…?- lo investii spalancando la porta a vetri. Harry era davanti a me, di spalle.
-Potremmo smetterla per un attimo di comportaci come due bambini?- mi interruppe, voltandosi.
Sostenni il suo sguardo a braccia conserte.
-Sentiamo, cosa proponi? A parer tuo, l’antagonismo che c’é tra noi dovrebbe svanire con uno schiocco. Non è così che funziona. Qui c’è in ballo il mio lavoro. Non posso fingere di trovarti simpatico, quando minacci di soffiarmi il posto.- sputai con rabbia.
-Dunque, non sei tanto sicura delle tue capacità-.
-No, conosco troppo bene i tipi come te.- gli rinfacciai piccata. - Ti lavori la direttrice, magari te la porti pure a letto. Poi ottieni ciò che vuoi-.
Un sorriso amaro gli increspò le labbra. Annuì lentamente. –Perciò è questo che pensi di me-.
-Non dovrei?- dissi, al massimo della freddezza. Lo stavo ferendo, lo sentivo. Ma ormai la mia lingua era a piede libero. E lui era stato così sciocco da provocarmi.
Indietreggiò di un passo. Il viso stanco e gli occhi spenti.
Si scostò un ricciolo castano dalla fronte e tornò a perforarmi con lo sguardo.
-Non hai capito niente allora.- mormorò piano. Si infilò le mani in tasca e mi lasciò sola, sotto il portico del cinema.
Non so per quanto rimasi lì, immobile, a domandarmi se non mi fossi completamente sbagliata sul suo conto.
A lungo sentii il suono della pioggia che batteva sui tetti di Londra.
 
 
 
                                                                                                                                                  Harry;
 

Guidai senza meta.
E quando infine, dopo molto tempo, spensi il motore, non sapevo bene neanche io dove mi trovassi.
Poggiai la testa sul volante, frustrato. Vai a capirle, le donne!
Non doveva importarmene nulla di ciò che pensava di me. Eppure il fatto che mi giudicasse solo dall’apparenza mi dava ai nervi. Lei mi dava ai nervi.
Squillò il telefono. Sbuffai. Possibile che la gente dovesse infastidire gli altri sempre nei momenti meno opportuni?
Osservai il numero che lampeggiava sul display. Louis. Almeno una notizia positiva c’era.
-Pronto?-.
-Harry? Ciao, la linea è disturbata. Ti sento male- mi raggiunse la voce squillante di Louis.
Sorrisi mio malgrado. –Io no. Strano. Come va?-.
-Harry, oggi è martedì. Dovresti essere a Neal Street 22. Siamo tutti qui ad aspettarti-.
Controllai rapidamente l’orario. 7.30. Merda.
Mi diedi un sonoro ceffone sulla fronte. –Che idiota!- mormorai a denti stretti.
-Scusa? Harry, te l’ho detto: non si sente quasi nulla. Allora, ti aspettiamo, oppure non vieni?-.
-Certo che vengo-.
-Okay, allora a presto-. Staccò il telefono.
Stetti alcuni secondi buoni con l’Iphone premuto sull’orecchio, pensando a chissà cosa.
Poi mi riscossi e partii.
Come avevo fatto a dimenticarmene? Niall mi avrebbe ucciso!
Arrivare tardi al suo “addio al Celibato” non era certo il comportamento più retto da parte del testimone di nozze.
Parcheggiai mezz’ora dopo nei pressi di Covent Garden e raggiunsi il pub di Neal Street 22 a piedi.
Il matrimonio si sarebbe celebrato la settimana seguente.
Ma, noi avevamo anticipato la festa per i miei impegni lavorativi. E nonostante tutto, sarei arrivato in super ritardo.
All’entrata del pub “Shanti” trovai Louis che mi aspettava con le mani in tasca. Mosse lieve la testa, spostando la ciocca di capelli castani che gli copriva gli occhi chiari. Sembrava ansioso.
-Harry, finalmente!- mi salutò, venendomi incontro.
Sorrisi. –Mi dispiace per aver tardato-.
-Lavoro?-.
-Anche-. La mia risposta lo incuriosì.
-Va tutto bene? Cosa ti è successo?- mi domandò preoccupato.
-Dopo ti racconto- tagliai breve.
Louis non insistette. Invece mi fece strada.
L’entrata del locale era piuttosto piccola, con un insegna a caratteri cubitali. All’interno dava direttamente su una scala a chiocciola dipinta a mano e circondata da un ambiente a luci soffuse e musica indiana di sottofondo.
L’avevano scelto Zayn, l’altro testimone di nozze e Louis. Ovviamente.
Solo loro potevano avere idee così bizzarre per un tranquillo “addio al Celibato”. Così l’avevano definito. Ed io avevo immediatamente capito che stavano architettando qualcosa.
Avevo ragione. Come sempre.
Scesi i gradini dietro Louis e mi ritrovai tra i tavolini di legno bassi con puffi e divanetti dai colori tenui su cui sedersi.
Le pareti erano sui toni del blu e del verde e le candele di cera ardevano lentamente, rischiarando la sala divisa in due aree da un arco in mattoni.
-Harry! Spero non farai così anche il giorno del matrimonio!- mi salutò Niall mostrandomi un sorriso a trentadue denti. I capelli biondo chiari, volutamente spettinati e la polo blu carico che risaltava gli occhi azzurri e gentili.
-Scusate. Ho avuto un contrattempo.- mi rammaricai.
Zayn mi strinse la mano. –Tranquillo.- fece con quel suo tono pacato: gli occhi scuri e sornioni, i capelli corvini e lucidi scolpiti in un ciuffo alto.
Incrociai lo sguardo nocciola di Liam. Mi sorrise rassicurante.
Sedetti vicino a loro, su uno dei puffi  imbottiti.
Dopo qualche minuto si avvicinò al nostro tavolo uno dei proprietari. I tratti del viso erano orientali e portava dei lunghi capelli neri legati in una coda.
Ordinammo i nostri cocktail indiani e chiedemmo di poter provare il narghilè.
Venne posato sul tavolo lo strumento a spirale, con il contenitore d’acqua profumata e le foglie di tabacco per il fumo.
L’onore della primo tiro toccò a Niall.
Non avevo mai provato il narghilè e quando finalmente fu il mio turno, il fumo fresco salì dal tubo flessibile fino ad arrivarmi in bocca. Sentii sulla lingua il fresco della menta mista al sapore di pesca.
Lasciai che il fumo depurato mi invadesse i polmoni e poi lo soffiai fuori.
-Sei teso per il grande evento?- chiedemmo tutti al futuro sposo.
-Spero di ricordarmi il cerimoniale…-biascicò in tono confuso, agitando il bicchiere vuoto che teneva in mano. Dopo il cocktail che si era scolato era difficile pensare che non fosse sbronzo.
Louis gli diede una pacca sulla spalla, facendo tremare pericolosamente la mano con il bicchiere di vetro. –Non preoccuparti, Niall. Te lo suggeriamo noi al momento opportuno-.
Il biondino però non sembrava molto convinto.
Io mi limitai a giocherellare con l’ombrellino di carta del mio cocktail senza dare troppo peso alle loro battute.
-Sembri…strano.- osservò Zayn a bassa voce mentre gli altri erano distratti.
-Non ho niente-.
-Davvero?-.
Era sempre con lui che parlavo di ragazze. Louis non faceva che prendermi in giro in questi casi.
Forse con Zayn avrei potuto confidarmi.
-Sono riuscito a litigare con due donne in un giorno solo.- capitolai alla fine.
-Rachel e…?-.
-Una collega-.
-Carina?-.
-Questo cosa c'entra?- protestai aggrottando la fronte.
-Harry ti si legge in faccia quando stiamo parlando di una bella donna-.
Soppesai le sue parole. In fondo non aveva tutti i torti.
-Allora?- tornò alla carica.
Sospirai.
-Ho capito. E Rachel?-.
-Mi stai chiedendo se la trovi carina?- chiesi stralunato.
-No, ti sto chiedendo perché avete discusso-.
-Non credo che la festa per “l’addio al Celibato” di Niall sia l’occasione più adatta per parlarne-.
-Giusto- commentò il moro. –Allora quando vuoi confidarti, io ci sono-.
Gli sorrisi riconoscente.
Per quella sera non ne parlammo più.
Continuammo a scherzare con Niall riguardo al matrimonio, rassicurandolo sugli aspetti positivi del “Grande Passo” quando nessuno di noi l’aveva mai compiuto.
Niall era sempre stato il più tranquillo; quello con una fidanzata ogni tanto, distratto da mille altre cose, impacciato e timido. Ironia della sorte, sarebbe stato il primo di noi a sposarsi.
Io invece combattevo nella tana delle leonesse e non sapevo se ne sarei uscito vivo.
Quando entrai silenziosamente nell’appartamento per non svegliare Rachel, feci capolino dal corridoio e notai la luce della cucina accesa.
Ci mancava che Rachel cominciasse a sperperare i soldi. Così le bollette sarebbero arrivate alle stelle.
Mi passai una mano tra i ricci, pensieroso.
Spensi la luce. La riaccesi quasi subito.
Vicino al tavolo, c’era Rachel ancora alzata. Indossava il maglione verde bottiglia con il collo di pelliccia che tanto le donava.
-Credevo dormissi.- dissi solo. Feci per andarmene in camera, ma la sua voce mi bloccò sull’uscio.
-Aspetta-.
Sotto il peso del suo sguardo, mi voltai e attesi.
-Mi dispiace per oggi. Sono stata una scioccia e ti ho detto cose che non pensavo affatto-.
Si fece vicina e mi fissò negli occhi. Accarezzò con il pollice il contorno delle mie labbra. Sorrise invitante.
Si accostò ancora. Stavolta sfiorò la mia bocca con la sua. Appena.
Rimasi inerme, con la testa in subbuglio e le gambe improvvisamente molli.
Se c’era una cosa in cui Rachel era brava, quella cosa era il sesso.
Socchiusi le labbra e con la punta della lingua toccai quella di lei.
Quel bacio partì dolce e lento per poi diventare affamato e passionale.
Nella foga, ci spostammo inavvertitamente. Rachel finì con le spalle al muro, mentre le mie mani scivolavano in basso alla ricerca della cerniera dei suoi jeans.
Ci staccammo solo per riprendere fiato. In un attimo mi sfilò il maglioncino da sopra la testa.
Lo gettò a terra con poca attenzione.
Faceva sesso per chiedermi scusa, o mi chiedeva scusa per fare sesso? Dovevo ancora capirlo.
Affondò le dita nei miei capelli, attirandomi a sé. Riprese a baciarmi.
Non so bene come arrivammo in camera da letto. Sentii solo la morbidezza del piumone contro la pelle. Rotolai sul suo corpo nudo e mi persi nella dolcezza del suo abbraccio.
 
 
 
 
Come promesso, ecco qui il quinto capitolo!!
Devo ammettere che ho trovato piuttosto difficile scriverlo. Soprattutto non mi convinceva mai abbastanza il Pov di Harry.
Vi è piaciuta l’entrata in scena dei ragazzi?
Ho deciso che per una volta, invece di cadere nel solito, vecchio luogo comune, avrei presentato un Niall più avanti degli altri.
Ve lo aspettavate così l’Addio al Celibato?
Sono piuttosto curiosa di scoprire cosa ne pensate.
Tranquille: per chi non avesse mai sentito il “Narghilè”, sappiate che non è nulla di strano; è semplicemente un fumo orientale al profumo di frutta, molto più leggero del catrame delle nostre sigarette.
Ovviamente non potevamo aspettarci che Harry e Carol andassero d’amore e d’accordo tutto d’un botto. Dovrà accadere qualcosa…
Rachel è una personalità piuttosto complessa: manipolatrice, nevrotica, opportunista, accentratrice...sicuramente una donna intelligente, ma non giusta per Harry.
Di questo siamo sicure.
Se ne dovrà convincere Harry però, legato alla sicurezza della vita di convivenza.
Ringrazio le 5 persone che recensiscono la storia, le 7 che l’hanno inserita tra le preferite, le due che  l’hanno inserita tra le ricordate, e le 11 che continuano a seguirla. Sappiate che siete voi ad incoraggiarmi a continuare questa FF.
Detto ciò, fatemi sapere cosa pensate del capitolo. Tengo moltissimo al vostro parere :)
 
Questo è il collegamento per una One Shot a cui tengo molto, anche se, a dir la verità, prendo a cuore ogni mia storia xx…..
 
 

 
Cammino e piango. Non posso fare altro.
E le lacrime salate si mescolando alla pioggia gelida che mi bagna i vestiti, che mi scivola nell’anima e si dissolve nell’aria densa e umida. Pesante come il cuore che ho nel petto.
E’ inverno e tutto è fermo. Ci sono solo io a camminare sotto la pioggia, con le mani avvolte nei mezzi guanti, la coda sfatta e quell’aria da maschiaccio che tanto lo aveva colpito quando mi aveva conosciuta.
Il marciapiede è illuminato solo dalla luce giallastra dei lampioni che tutto avvolge silenziosa e insondabile.
Mi stringo nel cappotto, provata. Sembra tutto come quel giorno lontano, di tre anni fa.
Un altro San Valentino come gli altri. Un altro San Valentino da sola.
______________________________________________________
Andare via dalla sua vita, non l’ha fatto andare via dalla mia.
Ma, a volte la soluzione non è così semplice. A volte l’unico modo è dirsi addio. 


 

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Capitolo 6
*** VI ***


      

Capitolo 6            
   
 
 
                                                                                                                                                               Harry;
 
Avevamo appena finito di esibirci per il concerto del liceo.
Sorridevamo scanzonati, con le camicie sgualcite e i capelli spettinati, pieni di speranza per il futuro.
Sorridevamo di fronte all’obbiettivo.
Tutti e cinque, stretti in un abbraccio.
Riuscivo ancora a sentire gli applausi degli studenti e degli insegnanti.
Posai la fotografia sulla servante del salotto.
Al liceo avevamo vissuto i nostri momenti di gloria, pieni di brillantina per capelli e boria, circondati dallo sfarfallare delle ragazze e dagli sguardi ammirati dei nostri coetanei.
Trascorrevamo i pomeriggi a ritmo di musica pop nelle orecchie e sogni bizzarri per cui sentirci vivi.
Ci sembrava tutto possibile allora. Poi era finita la festa ed era arrivata la vita vera.
La chitarra era rimasta lì, abbandonata vicino alla parete, nella sua custodia nera, tra il poster del Manchester United e quello dei The Beatles.
Nonostante tutto, quando ero andato a vivere da solo, l’avevo conservata nel sottoscala della nuova casa. Un giorno avrei ripreso a suonare, mi dicevo.
In fondo però, non ci credevo neanche io.
Avevamo brillato come fulgide stelle, giovani e idealisti, ma ben presto la nostra luce si era estinta.
Dopotutto, ogni cosa prima o poi finisce. In particolar modo se si tratta di qualcosa a cui teniamo veramente. E infine non ci resta che rialzarci e andare avanti.
Così Louis si era ritrovato, quasi per caso, a doppiare i personaggi dei cartoni animati che davano in TV sul canale per i bambini, Zayn era diventato un fumettista di professione, Liam aveva iniziato a lavorare nello studio dentistico di suo padre e Niall si era dato da fare come postino.
Io invece avevo passato gli ultimi sei anni a scrivere.
Forse perché non sapevo fare altro che mi fruttasse qualcosa.
Forse perché ne avevo bisogno.
Ma ero felice?
Scrivere era davvero ciò per cui ero nato?
Non avrei saputo rispondere.
Amavo suonare. Amavo cantare. Amavo stare con gli amici. Ma amavo scrivere? Non lo sapevo. O forse evitavo di rispondere.
Tornai al documento word sul computer. Mi ero svegliato verso le quattro della mattina e avevo iniziato a scrivere l’articolo su “Black Abyss”, sparando stronzate varie su un film di cui non avevo visto neanche il primo tempo.
Mi sentii abbracciare da dietro. Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo.
-Buongiorno, amore-. La voce sensuale di Rachel mi accarezzò il collo. Poggiò il mento sulla mia spalla. –Ti sei alzato presto-.
Sorrisi malizioso. –Sono instancabile-.
Lei sciolse l’abbraccio e andò in cucina. La vidi aprire il frigorifero. Indossava solo la mia camicia bianca che le lasciava scoperte le gambe lunghe e snelle. –Allora vedrò di essere più esigente-.
Ridacchiai.
Non credevo che il sesso potesse risolvere i nostri problemi, ma dopo aver fatto l’amore, sembrava tutto perfetto. Sembrava.
In realtà era solo un modo per chiederci scusa a vicenda, per sentirci più vicini quando capivamo di non esserlo abbastanza.
Fingevamo che fosse tutto come prima. Poi ricominciavamo daccapo.
Prese una tazza dalla credenza e ci versò del latte freddo con le maniche arrotolate fino all’avambraccio.
Scrissi la conclusione dell’articolo e stampai.
-Ieri ho fatto io la spesa. A proposito, la recensione su quel film?- mi chiese, seduta sull’isola della cucina.
Seguii come ipnotizzato il dondolio delle sue gambe penzoloni.-Ho appena finito di scriverla-.
-Come è andata al cinema?-.
Feci una smorfia. Quella era l’ultima domanda a cui volessi rispondere.
Per fortuna dalla cucina non poteva notare la mia espressione. -Bene- bofonchiai alla fine.
Balzò giù dall’isola della cucina e mi raggiunse a piedi nudi.
-Ti ricordi di quel mio collega odioso di cui ti avevo parlato?-.
Come potevo, quando non faceva altro che parlarmi di colleghi insopportabili?
Non mi lasciò neanche rispondere. –Il capo lo ha licenziato. Finalmente. Ancora mi chiedo perché non se ne liberasse. Mi sono detta: in fondo gli leccava il culo dalla mattina alla sera. Forse è questo il motivo e…-.
Poi ricominciavamo daccapo. Ecco cosa intendevo.
Mi poneva un massimo di tre domande, perlopiù retoriche, a cui rispondevo puntualmente in monosillabi e tornava a rimbambirmi con i fatti suoi.
-…ho ragione o no?- gesticolò imperterrita.
Annuii con vigore. Non avevo la più pallida idea di quello che stesse dicendo.
 
 
                                                                                                                                                  Carol;
 
 
-Sono stata una stupida!- mi lagnai, dondolandomi sulla sedia.
-A tutto c’è un rimedio.- recitò laconica Alyson continuando a mangiare i suoi cereali. La guardai imbronciata.
Forse ero in quello stato per il rimorso. O forse perché Landscape non mi aveva ancora scritto.
-Non ce la farò mai. Sono troppo orgogliosa per ammettere di aver sbagliato-.
-“Il troppo stroppia”- fece la mia coinquilina.
-Grazie. Così mi sei d’aiuto-.
Lei posò la rivista di moda che stava sfogliando sul tavolo e mi restituì l’occhiata. -Che pretendi? Non posso certo scusarmi io al posto tuo-.
Mi alzai di scatto e presi a misurare la cucina a grandi passi.-Non ho altra scelta. Devo lavorarci insieme. Perciò farò meglio a mettere le cose a posto il prima possibile-.
-Esattamente-.
-Sono stata una stupida, vero?-.
-No, sei stata una vera stronza-.
Mi abbandonai sul divano con un sospiro. Ero ancora in pigiama. Dovevo farmi la doccia, vestirmi e truccarmi. E non sapevo di preciso come ci sarei riuscita.
Mi beccai una cuscinata in faccia. Sollevai la testa, sorpresa.
-Avanti, altrimenti dovrai chiedere scusa anche ad Annie Reed. E francamente, dopo averla conosciuta, preferirei molto di più inginocchiarmi di fronte ad Harry “l’antipatico”-.
-Si vede che non lo conosci.- borbottai.
-Neanche tu sai davvero com'è.- obbiettò.
-Sarà anche vero, ma ho capito di che genere di ragazzo si tratta. E tanto basta-.
-Forse dovresti smetterla di sparare cavolate. Prova a mettere da parte i tuoi preconcetti per una volta-.
Mi si accese una lampadina. Sorrisi malefica. -Io tento di istaurare un rapporto civile con Styles. Tu chiedi a Dave di uscire. Cosa ne pensi?-.
Piegò l’angolo della bocca in un mezzo sorriso. -Sai, ci sai fare con le proposte-.
 
 
Il giorno prima ero tornata a casa in taxi, gocciolante e pentita.
Vedere Harry così vulnerabile mi aveva fatto uno strano effetto. Tenerezza? Nah, forse pena.
In ogni caso, avrei dovuto parlarci e chiarire. Ma come?
Trascorsi la mezz’ora seguente sotto il getto caldo della doccia, pensando a lui.
Lo scorrere dell’acqua solitamente mi schiariva le idee. Ora invece sembrava confondermele ancora di più.
Fermai i capelli umidi con un mollettone e infilai i primi vestiti trovati in camera.
Alyson si affacciò sulla porta della mia stanza.
-Non fare quella faccia! Potrebbe sempre decidere di perdonarti-.
Per tutta risposta le tolsi di mano i cereali e le feci la linguaccia.
-Sono buonissimi- dissi provandoli.
-Evita di ingrassare-.
-Sul retro della confezione c’è scritto che sono dimagranti-.
-Ormai lo dicono anche delle torte al cioccolato ipercaloriche-.
-Sai, sto pensando seriamente di parlare con Sally. Lei è l’unica che mi capisce sul serio in questa casa-.
-Solo perché è un cane e i cani amano il loro padrone incondizionatamente-.
-A cuccia Alyson- la rimbeccai.
Rise.
Riposi la scatola dei cereali nella dispensa in cucina e afferrai il cappotto appeso all’ingresso.
Alyson mi sfilò il mollettone dai capelli. –Questo meglio di no-.
Uscii di casa con l’articolo sottobraccio e una brioche in bocca.
-Sfally sfta lonctana falla bmia colafsione – farfugliai, spingendo dentro la cagnolina.
Chiusi di scatto la porta e saltellai giù per le scale.
Sull’uscio infilai il capotto, tenendo in precario equilibrio la tracolla e una montagna di scartoffia inutile. Mi caddero un paio di fogli. Qualcuno li raccolse al posto mio.
-Grazie, Jam- lo salutai, riordinando il pezzo.
James mi sorrise allegro, prendendomi sotto braccio.
-Come è andata ieri con…?-.
Roteai gli occhi. –Male-.
-Male?- fece il mio amico sorpreso. Si scostò per studiarmi meglio.
-Credo che l’aggettivo “male” sia riduttivo. E’ stato anche peggio-.
-Ma…perché?-.
-Abbiamo discusso all’uscita del cinema e ognuno se ne andato per conto suo-.
-Cacchio-.
-Già-.
-Però Annie vuole che lavoriate in collaborazione. Come farai?-.
-Cercherò di chiarire- risposi con un’alzata di spalle.
James annuì pensieroso. Io affrettai il passo. Saremmo arrivati in ritardo altrimenti.
-E invece il tuo Landscape che dice?-.
Lo guardai sconsolata. –Non mi ha più scritto dall’ultima volta-.
-Forse sarà stato impegnato-.
-Può darsi-.
Qualche tempo prima gli avevo raccontato del mio amico di penna e lui ne era rimasto entusiasta.
-Penso che dovreste conoscervi-.
Mi fermai in mezzo al marciapiede. –Sei impazzito?-.
-No, affatto-.
Scossi la testa. –Non mi pare il caso-.
Riprendemmo a camminare.
-Non sei curiosa di vedere com’è? Magari è quello giusto-.
-Ho rinunciato da tempo alla mia dolce metà- gli feci presente.
Mi sorrise benevolo. –A me sembra un tipo a posto. Potrebbe essere anche un gran pezzo di…-.
-…bugiardo.- lo interruppi io.
-Almeno ti metteresti l’anima in pace-.
Valutai la sua proposta. -Ci devo pensare-.
-Lui ti ha mai chiesto di…-.
-No-.
-Strano-.
-Perché?-.
-Pensavo che gli piacessi-.
 
 
 
Pensavo che gli piacessi.
Quelle parole mi rimbombavano ancora nella mente.
Forse aveva ragione James. Probabilmente non gli interessavo.
Poteva essere addirittura vecchio e sdentato o peggio ancora…sposato. Meglio non pensarci.
Digitai le ultime lettere e andai a capo nella pagina Word.
Una parte di me voleva smettere di sentirlo, ma l’altra desiderava disperatamente una sua e-mail. Che fare?
La mia vita mi ricordava terribilmente qualcosa letto in un libro. Ma, non doveva essere il contrario?
Senza volerlo, sbirciai in direzione di Harry.
Non mi aveva degnata di uno sguardo da quando era arrivato e in fondo me lo meritavo.
Avrei spiegato alla direttrice la situazione. Magari avrebbe capito.
Marciai decisa fino al suo ufficio. In un impeto di coraggio bussai ed aprii la porta.
Annie Reed “la vampira” sollevò lo sguardo dal giornale che stava leggendo e lo puntò su di me.
-Si, Carol?-.
Indugiai all’entrata, stringendo la biro nel pugno. Temetti di spezzarla.
-Volevi dirmi qualcosa?-.
-Mi scusi…-. Tossicchiai a disagio e mi guardai intorno in cerca di qualsiasi altra cosa da dire tranne quella per cui ero entrata lì dentro. –Volevo…-.
Mi sedetti di fronte a lei. Dovevo andare dritta al punto.
–Non posso lavorare con Styles- dissi tutto d’un fiato. Visto? Semplice e diretta.
Ora mi sentivo più leggera. Dovevo solo sperare che “la vampira” non mi buttasse fuori a calci.
Lei si fece attenta. Si raddrizzò e mise da parte il giornale. -Perché?-.
-Non credo porterebbe a nulla di buono il nostro lavoro insieme. Noi non…andiamo d’accordo, ecco-.
-Ho letto le recensioni di ieri. Mi sembrano buone-.
Per fortuna. Questo però rendeva tutto più difficile.
-Vede, io e Styles…abbiamo discusso. Mi creda: è solo tempo perso. Mi faccia lavorare con un altro, uno qualsiasi. Mi adatterò!- la scongiurai.
Rise. Mi domandai se non si fosse ammattita.
-Carol, voi due siete molto più simili di quanto non pensiate e ciò che più importa è che vi aiutiate in ambito lavorativo. Non devi uscirci insieme. Non devi andarci a letto-. Sobbalzai leggermente a quella parola. –Devi solo dargli qualche dritta sul lavoro. Lui invece scriverà la metà degli articoli in programma. Suppongo sia uno scambio equo-.
-Ma, abbiamo litigato e anche pesantemente. Non credo che voglia più parlarmi- ribadii.
Lei mi inchiodò con lo sguardo. –Hatton porta via il culo dalla sedia e risolvi la faccenda. Non hai altra scelta-.
Sospirai e malvolentieri lasciai libero il posto.
Annie Reed aveva ragione: non avevo alternative. Purtroppo.
 
 
 
                                                                                                                                                                     Harry;
 
 
Io e Dave stavamo tornando dalla pausa pranzo, quando la vidi.
Stava appoggiata all’entrata. Da sola.
Il capotto avvitato e scuro le donava.
Vederla, però, era l’ultima cosa che volessi in quel momento.
Dave mi diede di gomito.
-L’ho vista- sillabai in risposta.
Ciò nonostante, fui costretto ad avvicinarmi.
Dave entrò in redazione e io feci per seguirlo.
-Harry-. Era stato un sussurro. Forse me l’ero immaginato.
Mi voltai a guardarla e incrociai i suoi occhi incerti.
In quel momento, solo per un attimo, mi sembrò di conoscerla da tempo, di esserle amico.
Solo perun attimo.
-Harry…- disse più lentamente. Il mio nome era scivolato via soffice dalle sue labbra.
La fissai in attesa. Non l’avrei certo aiutata a spiegarsi.
-Sono stata una stronza ieri. Non ti conosco e mi sono permessa di emettere giudizi sul tuo conto. Mi sono comportata male-.
Tacque e solo allora osò guardarmi negli occhi per leggervi una risposta.
Io rimasi in silenzio.
-Lo so, probabilmente non vorrai più parlarmi e l’unico motivo per farlo è Annie Reed. La deluderemmo entrambi se gettassimo la spugna proprio ora...- esitò.- Forse hai ragione: dovremmo smetterla di fare i bambini. Sarà solo lavoro. Ci aiuteremo a vicenda-.
La guardai a lungo. -Ti passo a prendere alla stessa ora?- dissi infine, abbozzando un sorriso.
Feci un passo verso la redazione.
Parve sollevata.–No, stavolta il disturbo è mio. Ci vediamo qui alle tre-.
 
 
                                                             
Controllai l’ora sul display dell’Iphone.
E se non si fosse presentata?
Potevo aver sentito male. O magari era solo uno scherzo.
Mi torturai i riccioli, pensieroso.
Proprio in quel momento una vespa rossa d’epoca si fermò di fronte alla redazione.
La ragazza che guidava si tolse il casco e solo allora notai i capelli color miele.
Con un gesto della mano se lì spostò dietro.
Carol.
-Non ti avevo riconosciuta- dissi vagamente sorpreso.
Scese dalla vespa per salutarmi.
-E’…è tua?- balbettai incerto.
-No, l’ho rubata- rispose lei a tono.
Soffocai una risata nervosa. Dovevo esserle sembrato un cretino con quella battuta.
-Scusa, è che… non ti facevo tipo da vespe d’epoca-.
-Oh, sono la mia passione- fece lei.- I miei non potevano comprarmela però. Me la sono regalata a forza di lavori part-time la domenica pomeriggio-.
Aveva un’espressione che non le avevo mai visto prima.
Sorrisi mio malgrado.
-Allora, vuoi salire o no?-.
Infilai il casco che mi porgeva e mi sedetti dietro.
Diede gas e mentre il motore si riscaldava, mi strinsi a lei per non cadere.
La sua vicinanza e il suo profumo che sapeva di lavanda mi facevano unostrano effetto.
Se il giorno prima avevamo impiegato una decina di minuti per arrivare all’Atlantic, stavolta impiegammo ancora meno.
-Dovrebbero ritirarti la patente- commentai una volta sceso dalla vespa. Mi girava la testa.
Quell’aggeggio era un pezzo d’epoca e lei riusciva a farlo andare come una Ducati.
-Rilassati. Non ho mai avuto un incidente fino ad ora-.
-C’è sempre una prima volta.- constatai con un sorriso sghembo.
Alzò il medio per tutta risposta ed entrò dalla porta a vetri del cinema.
La seguii ridendo.
-Oggi che film vediamo?-.
Mi lanciò un’occhiata eloquente.
-Stavolta facciamo a modo mio-.
 
 
 
 
 
 
I’m back!!! Finalmente, dopo essermi fatta attendere per  9, 10…ben 11 giorni, torno di “gran carriera” (più o meno) con il sesto capitolo.
Che ve ne pare?  Sembra che stia iniziando il disgelo.
Ho concesso un po’ di pace ai miei due protagonisti…ancora per poco però, vi avverto.
Questo capitolo stava diventando decisamente troppo lungo. Così ho deciso di rimandare la parte migliore al prossimo. Non uccidetemi!!!!!
Okay, mi ero preparata un bel discorsetto da fare, ma me lo sono dimenticato…dannata vecchiaia!
 
 
Ho cercato di immaginare in che contesto lavorativo avrei visto bene ognuno dei ragazzi e spero che convincano anche voi. A me piacciono molto!!
Ah…e una cosa che mi sono dimenticata di dirvi nelle volte precedenti: le strade e i luoghi di Londra che cito, esistono davvero. Anche la loro collocazione all’interno della città.
Diciamo che ho cercato di rendere l’ambientazione il più veritiera possibile.
Ovviamente sono di pura invenzione Hunter’s Moon il locale del ricevimento e il cinema Atlantic. Per il resto, tutto Made in England.
 
 
Ringrazio di cuore chi legge e basta, chi recensisce la storia, le 11 che la seguono, le 3 che la ricordano e le 9 che la preferiscono. SIETE.FANTASTICHE.
Mi farebbe davvero piacere leggere e rispondere alle vostre recensioni, fossero pure cinque parole messe in croce.
Non mi aspetto complimenti. Voglio solo che siate sincere. Anche le critiche fanno bene :) Tanto, tanto amore
                                Ruth <3
  

 

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Capitolo 7
*** VII ***


        

Capitolo 7

                                                                                Perchè alla fine, gira che ti rigira,
                                                                                                                 il posto a cui miriamo, è soltanto
                                                                                                                un vecchio scaffale polveroso.                                            
 

 
 
                                                  
 
                                                                                                                                  Harry;
 
 
Eravamo di fronte al numero 45 di Rathpone Street, a due passi dall’incrocio.
-Questa è casa mia- esordì Carol con un gesto teatrale della mano.
Osservai il palazzo che avevo davanti.
Era simile a molti altri, tipicamente inglese e ordinario. Le foglie ingiallite degli alberi contrastavano con il rosso dei mattoni e l’intonaco bianco della parte inferiore.
Alcuni gradini conducevano al portone principale in legno.
Carol li salì a due a due e cacciò la mano nella borsa alla ricerca delle chiavi.
Dopo qualche istante, ricomparve vittoriosa.
Lei e la sua coinquilina avevano affittato uno degli appartamenti al primo piano.
Quando entrammo, rimasi meravigliato sulla soglia.
La casa era arredata in stile liberty; le pareti chiare rivestite di scaffali, libri e giornali stipati in ogni angolo, schizzi e pennelli abbandonati sullo scrittoio del salotto.
Mi sorse spontanea una domanda. -Dipingi?-. Mi avvicinai al cavalletto.
Rise, sinceramente divertita. –No, affatto. Si capisce che non mi hai mai vista disegnare-.
La guardai interrogativo.
-Sono di Alyson. E’ lei la pittrice-. Indicò i lavori sparsi qua e là per la stanza.
-Ha talento- notai.
-Vieni, te la presento-.
-Oh…io, ecco…l’ho già conosciuta- improvvisai.
Mi guardò perplessa.
-Al ricevimento- spiegai.
Annuì lentamente e scomparve oltre la porta del salotto.
Per una volta le avevo dato retta. Avevamo fatto a modo suo. Lei aveva guardato un film ed io un altro.
Era stata gentile o per lo meno ci aveva provato. Ed io, in fondo, non ero così dispiaciuto di essere lì.
L’abbaiare di un cane interruppe i miei pensieri.
-Sally, sta’ buona!-.
Mi affacciai sul corridoio per ritrovarmi davanti una scena comica: Carol Hatton soffocata dalle coccole di uno scodinzolante cocker spaniel.
-Giù, Sally! Giù!- ordinò la padrona.
La cagnolina a malincuore ubbidì.
-E tu? Che hai da ridere?- si rivolse a me Carol. Teneva le mani sui fianchi, l’aria vagamente infastidita.
Cancellai quel sorriso idiota dalla faccia e le trotterellai dietro fino in cucina.
-Ti piacciono i cani?-.
La domanda mi prese in contropiede. –Si, ma preferisco i gatti-.
Si voltò appena per lanciarmi un’occhiata di disapprovazione. –Sei proprio un danno- mi riprese.
La seguii con lo sguardo mentre si avvicinava al piano cottura della cucina.
Abbassò il fuoco dei fornelli e prese una tazza bianca dalla credenza.
-Vuoi del tè?-.
-Si, grazie- annuii.
Quando aprì il frigorifero, le sfuggì un’imprecazione. La fissai tra l’incuriosito e il divertito.
-Ally, hai dimenticato un’altra volta il cordless nel frigo!- urlò per farsi sentire.
Prese il telefono tra le mani.
-E’ gelato…-borbottò.
Alyson la coinquilina si materializzò al mio fianco. Mi spostai sorpreso per lasciarla passare.
Lei saltellò come un grillo fino ai fornelli per poi servirsi un po’ di tè.
-Ally, ti ricordi di Styles?- la distrasse Carol.
Spostai lo sguardo su di lei. Poi di nuovo su Alyson.
Lei ricambiò, strizzando gli occhi per osservarmi meglio.
-Harry il collega odioso con cui hai litigato ieri?- chiese.
Spostai il peso del corpo da un piede all’altro. Stranamente non mi sentivo a disagio.
Carol rise. –Si Ally, è proprio lui-.
-Non sembra poi così male- commentò la  coinquilina legando i capelli lunghissimi in una treccia.
-Vedremo come se la cava con la penna. Sono un’insegnante piuttosto esigente, sappilo-. Nel dirlo Carol cercò il mio sguardo.
-Riesco a immaginare- replicai con una punta di sarcasmo nella voce.
Controllò il bollitore e spense i fornelli. -Il tè è pronto- annunciò, posando la teiera bollente sull’incerata a girasoli. Si sedette di fronte a me
-Io scappo, Carol-. Vidi Alyson schizzare fuori dalla cucina.
-Dove vai?-.
-Al circolo degli artisti: c’è una mostra fotografica-.
-Va bene. Ciao-.
-A dopo- urlò l’amica dall’ingresso.
Sentimmo il tonfo di una borsa che cadeva, poi le chiavi, una parolaccia. Infine la porta si chiuse.
Rimanemmo soli.
Forse solo allora avvertii un leggero imbarazzo. In fondo io e Carol ci eravamo detestati sin dall’inizio e trovarmi nella sua cucina senza velleità bellicose, mi faceva uno strano effetto.
Mi versò del tè nella tazza e poi fece per sé.
-Da dove iniziamo?- domandai tanto per fare conversazione.
Lei sorseggiò la bevanda in silenzio. –Prima di tutto devi impostare l’articolo-. Si alzò per prendere un foglio bianco e una penna.
-Non credo di aver capito- affermai.
Sbuffò leggermente. –Devi selezionare le notizie che inserirai nel cappello per incuriosire il lettore, il corpo centrale del testo in cui parlerai della trama ed esprimerai una critica e infine la conclusione: se valga la pena di vedere o meno il film in questione-.
-Si, ma io non faccio nessuno schema di solito. Scrivo di getto e basta-.
-E fai male. Non è un tema per casa alle elementari: è un articolo. La cosa è ben diversa. Perciò dovrai essere il più professionale possibile…-.
-Okay, okay, come vuoi tu-. Alzai le mani in segno resa.
Presi la biro e iniziai a scrivere.
Lei fece altrettanto.
Dieci minuti dopo avevamo terminato entrambi.
-Fa vedere-.
Le porsi il foglio che lei esaminò con attenzione.
-Perfetto- disse dopo un minuto abbondante. –Ora puoi iniziare a scrivere-.
Mi diede un altro foglio.
Io però avevo bisogno dei miei tempi e soprattutto dei miei spazi per far uscire qualcosa di buono da quella zucca che mi ritrovavo.
Non volevo qualcuno attorno che mettesse fretta. Tantomeno Carol.
Glielo dissi.
-Si, hai ragione. Io vado in camera mia. Quando hai finito, portami l’articolo-.
Per la mezz’ora seguente spremetti le meningi.
Scarabocchiai qualche frase e la cancellai subito dopo.
Quello schema non mi aiutava affatto. Riusciva solo a limitare la fantasia, decisi.
Lo stracciai e ricominciai daccapo.
Mi ritenni soddisfatto del risultato quando l’orologio a pendolo nel corridoio segnò le sei passate.
Avevo lavorato per due ore senza sosta.
Mi alzai dalla sedia col sedere indolenzito e l’articolo in mano.
Feci per bussare alla camera di Carol, ma la porta di spalancò e …
-Ahia!-.
Per un attimo vidi tutto nero.
Mollai i fogli, portandomi la mano sul naso dolorante.
Ci eravamo scontrati sull’uscio e mi aveva preso in pieno volto con il braccio.
-Cristo, che male!- esclamai ancora stordito dal colpo.
Carol si morse un labbro. Mi sembrò che si stesse trattenendo dal ridere. –Scusami, mi dispiace…non l’ho fatto a posta-.
-E vorrei vedere!- replicai scontroso.
Si avvicinò e con accortezza mi spostò la mano di lato per esaminare la parte lesa. -Si sta gonfiando- concluse, sfiorando delicatamente la punta del mio naso.
E stranamente quel lieve contatto mi tolse il respiro.
-Aspetta, dobbiamo applicare del giaccio-.
La seguii in cucina.
-Siediti- ordinò. Prese un po’ di ghiaccio dal frizzar e lo premette sul mio viso. Il freddo mi alleviò il dolore.
-Stai così ora-. Recuperò il mio articolo e tornò da me.
Le osservai il viso, mentre faceva scorrere gli occhi lungo le righe di inchiostro.
-Riscrivilo- disse alla fine.
Poco ci mancò che facessi cadere il sacchetto di ghiaccio.
-Perché?- domandai sconvolto.
Abbassò i fogli, lanciandomi un’occhiata impassibile.
-Mi sta bene che tu abbia iniziativa. Mi sta bene anche che non rispetti lo schema iniziale. Ma, devi assimilare le regole basilari che un giornalista si impone-.
Chiuse il rubinetto del lavabo e asciugò le tazze da tè.
Si voltò. -Uno: fare notizia-.
-E due?- chiesi notando che non proseguiva.
-Non c’è un due, non c’è nessun’altra regola che devi seguire. Il primo obbiettivo e farsi leggere-.
La guardai poco convinto.
-Non importa che tu dica la verità. Importa che tu la dica bene-.
Ero sempre più confuso. –Non credo sia molto giusto-.
-E cosa lo è al giorno d’oggi?- replicò.
-Non è un buon motivo per barare-.
-Questo non è barare-.
-Si, che lo è invece-.
Carol tolse il ghiaccio e mi controllò il naso. –Ascolta- sospirò, restituendomi il sacchetto freddo.
-Non siamo nel mondo di Kan e Barbie. Ora ti senti così: “il fiore solitario in mezzo a terra bruciata”-. Mimò le virgolette.- Poi però vedi i tuoi colleghi che fanno strada, che guadagnano sterline, che ottengono le promozioni anche se non se le meritano e allora ti dici che vale la pena tentare per una volta. Solo per una. Poi cominci a farci l’abitudine e non ti meravigli neanche più se le cazzate che scrivi vengono apprezzate, perché è così che gira il mondo-.
Boccheggiai, cercando qualcosa da dire.
Lei mi sorrise comprensiva. –“Non avere un pensiero e saperlo esprimere, è questo che fa di uno, un giornalista”. Karl Kraus, Pro domo et mundo, 1912- citò appoggiandosi allo schienale della sedia.
-“Ci sono due specie di giornalisti: quelli che si interessano a ciò che interessa il pubblico, e quelli che interessano il pubblico a ciò che interessa loro. E questi sono grandi” Glibert Cesbron, Diario senza date, 1963.- le risposi per le rime.
Scoppiò a ridere. –Non è così semplice-.
-Non è così semplice se siamo noi a volerlo-.
-Okay, avvocato delle cause perse. Lascia il tuo articolo com’è. In fondo, può andare bene. Correggi solo questo punto.- mi indicò una frase ed io l’accontentai.
 
 
 
                                                                                                                                                  Carol;
 

 
 
Cattivi scrittori. Questo erano i giornalisti.
Scrivevamo perché non avevamo nulla da dire e avevamo qualcosa da dire perché scrivevamo.
Ma, Harry doveva ancora afferrarlo.
E si sarebbe trovato male se non lo avesse fatto in fretta.
Io, dal canto mio, l’avevo avvertito.
Stava a lui ora evitare di farsi a pezzi da solo.
D’altra parte, mi piaceva (dal punto di vista professionale ovviamente) per quel suo inarrestabile spirito d’iniziativa, per quelle regole che lui non rispettava mai, perché era diverso da tutti i miei colleghi.
Non era un opportunista. O almeno avevo pensato così quel pomeriggio, dopo che se ne era andato.
Era giovane e aveva delle sue idee. Che fossero folli o assolutamente impossibili, erano le sue e nessuno lo avrebbe mai potuto corrompere. Ancora.
Un anno di tempo al massimo e sarebbe diventato come tutti gli altri: un giornalista della peggior specie.
Almeno eravamo riusciti a non litigare per cinque ore di fila. Un record.
Mi rigirai la scatola tra le mani. Una comune scatola di scarpe.
L’avevo trovata tra le cianfrusaglie da buttar via.
Dentro avevo custodito per anni i miei racconti, bozze e frammenti di idee iniziati e mai portati a termine.
Ritrovarli ingialliti e impolverati mi aveva fatto sentire a casa.
-Scrivi davvero bene- mi aveva detto lui, una volta letto il mio articolo.
Fu proprio quel giorno, che decisi di riaprire un vecchio capitolo della mia vita.
Fu proprio quel giorno che scrissi tanto per scrivere. Dopo tanto tempo, scrissi una storia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Premettendo che l’episodio del cordless nel frigo sia effettivamente autobiografico e sottoscrivo: autobiografico, (Si, avete capito bene: IO ho dimenticato il telefono nel frigorifero una volta!!!! :S), passiamo ai fatti.
Il capitolo è leggermente più corto dei precedenti. Tranquille perché sarà un’eccezione.
Harry e Carol sono riusciti a non litigare per una buona volta.
La strada però non sarà tutta in discesa…anzi!!!! Presto, molto presto, le cose si complicheranno….
Per quanto riguarda il discorso sulla giornalistica, sono dalla parte di Harry, ma capisco che il denaro e fama possano corrompere anche il più cristiano dei cristiani (?).
Il prossimo capitolo sarà soprattutto POV Carol…o almeno credo. Vedrò insomma.
Ma, suppongo di si. Sono piuttosto confusa. Trovate?
Che altro dovevo dirvi?
Dunque, visto le richieste per delle nuove e-mails tra i nostri due cupidi, vi annuncio che nel prossimo capitolo, cioè l’ottavo, ci saranno sicuramente.
Grazie mille alle 10 persone che preferiscono la storia, alle 12 che la seguono e alle 4 che la ricordano. Grazie a chi legge e a chi recensisce. Vi adoro!! :D
Ora, vi lascio e corro a studiare e mi raccomando: se volete, fatemi sapere la vostra opinione con una recensione. Tengo moltissimo al vostro parere :)
Caty <3
 

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Capitolo 8
*** VIII ***


      

Capitolo 8

 
 
                                                                                                                                               Carol;
 
Ore 19.34 e un sonno che uccideva.
Mi accasciai sulla scrivania, esausta. Era giovedì pomeriggio e avevamo appena finito di ricontrollare l’articolo per il giornale.
-Che dici?- mi chiese con quella sua voce bassa e profonda.
-Dico che vorrei tanto dormire.- sbadigliai assonnata. Lo sentii ridere.
Feci uno sforzo sovrumano sollevando di poco la testa per incrociare i suoi occhi verdi. -Ti facevo più resistente.- mi punzecchiò senza pietà.
Sbuffai leggermente. –L’apparenza inganna-.
Quel giorno avevamo lavorato in camera mia, perché Alyson stava con alcuni suoi amici in cucina davanti ad una tazza di tè fumante, per discutere di un progetto artistico a me sconosciuto.
Senza pensare, rimasi ad osservare il suo profilo qualche istante di troppo, soffermandomi sui riccioli incredibilmente morbidi. Me ne resi conto, solo quando lui smise di contemplare la mia camera, per guardarmi. Avvampai, e distolsi gli occhi in fretta, concentrandomi su una venatura del legno della mia scrivania, divenuta improvvisamente un soggetto di studio interessante.
Harry non sembrò accorgersi del mio imbarazzo. O forse ero io ad illudermi che non lo avesse fatto.
-Hai letto “Cime tempestose”?-. Indicò il libro sul comodino accanto al letto.
-Si, è uno dei miei libri preferiti-.
-Una mia amica lo adora.- rispose assorto in chissà quali pensieri. Aveva una strana espressione sul viso. Quasi…dolce.
-Lo legge ogni volta a Natale.- continuò.
Mi raddrizzai sulla sedia colpita. –Anch’io ho quest’abitudine!-.
Sorrise e le fossette fecero capolino agli angoli della bocca. –Sarà una malattia che gira allora-.
Risi, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
-E’ l’atmosfera natalizia che fa questo effetto.- mi ritrovai a dire senza un motivo ben preciso.
Trascorse qualche secondo. –E tu l’hai letto?-.
-Vorrei provarci, ma temo si tratti di una storia disgustosamente romantica-.
-Oh, mi dispiace dirtelo: lo è-.
-Dovrò farmene una ragione-. Nel vedere la smorfia piuttosto buffa dipinta sul suo volto, mi sfuggì una risata.
Non avevamo mai parlato di qualcosa al di fuori del lavoro e ritrovarmi incollata ad una sedia così vicino a lui a parlare di libri mi faceva sentire strana.
Lo squillo impaziente del cellulare interruppe il filo dei miei pensieri. Barcollai come un’ubriaca fino alla borsa lasciata con noncuranza sul letto e vi frugai dentro, maledicendomi mentalmente per il mio disordine.
-Pronto?- risposi infine, all’ottavo squillo, distratta dalla chiusura lampo della mia felpa.
-Carol? Ciao, sono Dave.- fece la voce al telefono. Aveva un tono vagamente preoccupato.
-Dave?! Che succede?- chiesi allarmata.
Con la coda dell’occhio vidi Styles farsi attento.
-C’è Harry lì con te?- continuò Dave, ignorando la mia domanda.
Lanciai uno sguardo dubbioso in direzione del riccio e replicai:-Si, stavamo lavorando alla
rubrica-. Calcai sul verbo “lavorando” per eliminare eventuali dubbi. –Perché lo chiedi?-.
“Che dice?” mimò con le labbra Harry dall’altra parte della stanza. Gli feci bruscamente segno di tacere.
-Dave? Si può sapere che diavolo succede? Così mi fai preoccupare.- lo incalzai impaziente.
Ci fu una pausa di silenzio rotta solo dal vociare della gente attorno.
-James è nei guai-.
 
 
-Non dirmi che vuoi andare con la tua Vespa-.
Lo guardai come si fa con un bambino capriccioso.
-Faremo molto prima-.
-Lo credo. Non segui il codice della strada-.
-Styles, sei un vero fifone.- lo provocai.
-Non voglio morire giovane. E’ diverso-.
Gli lanciai il casco che lui prese al volo e salii in moto. -Che fai? Vai a piedi?- lo presi in giro.
Sbuffò, scompigliandosi i ricci con una mano. Si sedette dietro, circondandomi la vita con le braccia per tenersi in equilibrio.
Per tutto il tragitto rimasi rigida sotto il tocco lieve delle sue mani. Mi sfioravano appena, eppure le sentivo calde e sicure. Non saprei dire se mi piacessero. Sicuramente però mi turbavano.
Forse per questo, trovai difficile concentrarmi sul tragitto, ne tantomeno riuscii a pensare al povero James.
Probabilmente avrei reagito così con qualsiasi altro ragazzo carino che si fosse trovato appiccicato a me su un mezzo locomotorio a dir poco minuscolo. Ed Harry era carino. Sarei stata orbo a non accorgermene. Mi sentivo ugualmente una stupida però ad ammetterlo.
Sfrecciammo in mezzo al traffico e scovammo, non si sa bene come, un parcheggio proprio davanti alla Stazione di Polizia.
Salii i gradini che conducevano all’entrata e mi avvicinai alla guardiola. In sottofondo si distinguevano squilli di telefono e voci, e di tanto in tanto qualche segretario passava di lì con delle carte in mano.
-Avete bisogno di qualcosa?- ci chiese l’appuntato.
-Un nostro amico, James Finch è stato fermato dalla polizia…- spiegò Harry.
-I documenti, per favore-.
Harry trasse il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans e mostrò il suo. Io feci altrettanto.
-Potete andare.- disse l’appuntato una volta controllata la carta d’identità prima di consultare le pratiche.
 –Secondo piano, prima porta a sinistra-.
-Grazie mille-.
-Di nulla-.
Seguimmo le indicazioni, arrivando a destinazione. In mezzo al corridoio c’era Dave.
-Cosa ha combinato?-. Furono le prime parole che gli rivolsi.
-Ha bevuto parecchio con dei suoi amici e pare abbia…pisciato sui piedi di un pubblico ufficiale-.
-Scherzi?- sbottò Harry al mio fianco, sgranando gli occhi. Sembrava indeciso se ridere o mostrarsi contrariato.
Io personalmente optai per la seconda. –Come gli salta in testa un’idea del genere?!- esclamai fuori di me.
-Era ubriaco, Carol- mi ricordò Harry in tono comprensivo.
Perché gli uomini dovevano essere sempre così solidali tra loro?
-Questo non fa che peggiorare la situazione. Lui non regge l’alcool. Dovrebbe comportarsi di conseguenza-.
-Tu non sbagli mai?- mi apostrofò lui con un sorrisetto ironico.
Feci per ribattere, ma si rispose da solo. –Oh certo, dimenticavo: tu sei Miss Perfezione-.
Di nuovo aprii la bocca, pronta a dirgliene quattro. Questa volta fu Dave ad interrompermi.
-Finitela. Ora dobbiamo pensare solo a James-.
Io e Styles ci guardammo in cagnesco senza dire più una parola.
Sembrava che si divertisse a stuzzicarmi di continuo.
Picchiettai nervosamente con il piede, contando i secondi e alla fine, dopo cinque minuti buoni ci permisero di entrare; il poliziotto ci guidò tra i vari uffici. A quanto pareva, il suo superiore stava facendo una ramanzina memorabile ad un James non del tutto presente a sé stesso.
-Per questa volta faremo finta di nulla. Si ricordi però che per una condotta del genere, si rischia una denuncia per oltraggio a pubblico ufficiale. Potrebbe farsi anche qualche giorno in gatta buia-.
James annuì lentamente, piuttosto disorientato e il poliziotto si alzò dalla scrivania per stringerci la mano.
Mostrammo i documenti e firmammo il verbale.
-State più attenti d’ora in avanti- ci avvertì l’uomo.
-Senz’altro. Ci scusi ancora per il disturbo-.
Uscimmo in fretta dalla Stazione di Polizia.
-Jam, sei stato un vero incosciente.- lo rimproverai forse accalorandomi più del dovuto. Alla mia sinistra, Harry roteò vistosamente gli occhi. Il mio amico ubriaco invece mi fissava con un sorriso ebete stampato in faccia. -Non ho bevuto poi così tanto…- biascicò piuttosto alticcio.
-Io non mi riferisco al bere. Ti rendi conto di come ti sei comportato con quel poliziotto?-.
-Gli ho…gli ho pisciato sulle scarpe!- ridacchiò in tono soddisfatto.
Sospirai sconsolata, battendomi una mano sulla fronte.
James ciondolava leggermente accanto a Dave. Solo allora notai che aveva un colorito per nulla salutare. Inorridii. Tre, due, uno…fece appena in tempo a darci le spalle. Vomitò anche l’anima su quel marciapiede di merda. Io ed Harry gli tenevamo i capelli scuri all’indietro, mentre Dave si allontanava in preda alla nausea.
-Che schifo!-. Storsi il naso disgustata. Harry mi guardò di sfuggita prima di tornare a concentrarsi sulla testa di James.
 
 
 
Mezz’ora dopo io e Styles eravamo seduti sugli scalini lerci di un orrendo bagno pubblico in attesa che Dave a James si riprendessero.
-Quanto ci impiegheranno?-.
-Non lo so.- bofonchiò lui in risposta.
Lo guardai di sottecchi, con le mani giunte sulle ginocchia.
Se c’era qualcuno che odiavo erano le persone lunatiche e i loro comportamenti inspiegabili. Erano capaci di essere ,un momento prima, felici come una Pasqua e il momento dopo, torvi e taciturni; passavano dalla modalità “Peace and Love”, a quella “Cosa cazzo ti guardi?” ad un raggio di tempo così ristretto che faticavo a seguirli alle volte.
Presi il telefono dalla borsa e iniziai a smanettare con i tasti. Inviai un messaggio ad Alyson per dirle che tardavo. Non mi rispose.
-Che ore sono?-.
-Non hai il cellulare?-.
-Non mi va di tirarlo fuori-.
Consultò il display del suo telefono. –Le nove e mezza-.
Il pantacollant nero mi pizzicava, così presi a grattarmi una coscia distrattamente.
-Cazzo, devo avvisare Rachel-. Si alzò portandosi l’Iphone all’orecchio.
Io mi limitai a giocherellare con i braccialetti che avevo al polso. Senza volerlo, anzi no, volendolo eccome, in pieno possesso delle mie facoltà mentali più che sviluppate, origliai la conversazione.
-Amore, mi dispiace, è stato un imprevisto. Faremo un’altra volta…-.
Una vocetta isterica ed irritante dall’altra parte del telefono rispose qualcosa che non afferrai.
-Lo so, lo so…no, non aspettarmi. Tornerò appena risolto-.
Il tricheco sclerotico che stava parlando con Harry al cellulare disse qualcos’altro.
-Va bene. Ciao amore, ciao-.
Rachel. Non sapevo se classificarla tra le persone odiose o tra quelle terribilmente odiose. Ma no, io dovevo provare solo della banale indifferenza per lei. Eppure, non ci riuscivo: sembrava contro la mia stessa natura non trovarla insopportabile.
L’ombra di Harry si proiettò sull’asfalto, immersa nella luce chiara del lampione.
Si sedette accanto a me, mentre io mi fissavo le punte degli stivaletti cercando di non fissarlo troppo.
 


-Non mi ero accorto che avessi l’Helix.- disse dopo un po’, sfiorandomi il lobo destro con un dito.
Istintivamente presi a giocherellare con il mio piercing. A dire la verità spesso me ne dimenticavo anch’io tanto era un’abitudine.
-Me lo sono fatto fare a sedici anni senza il permesso dei miei. Quando se ne sono accorti non mi hanno fatta uscire per un mese intero. Però hanno deciso di farmelo tenere-.
-E’ figo-. Sorrisi leggermente.
-Io invece ho diversi tatuaggi- mi disse. Sollevò leggermente la mezza manica della t-shirt,  mostrandomi la stella a cinque punte tatuata dietro al braccio, poco sopra l’ascella sinistra. Aveva diverse scritte, una sul polso, una lettera sulla clavicola, il nome della sorella Gemma in ebraico e qualche altro ancora, ma non erano né grandi né vistosi. Mi spiegò i vari significati ed io rimasi ad ascoltarlo interessata. Quando terminò, tornai a fissarmi le punte dei piedi a disagio.
-Harry?-.
-Mh?-.
-Posso appoggiarmi alla tua spalla? Ho molto sonno-. Ostentai uno sbadiglio vero guadagnandomi un'occhiata da parte sua, un mix letale tra il divertito e il sorpreso.
-... okay.- accettò infine dopo avermi fatta penare.
Avevo davvero sonno. In condizioni normali avrei preferito sdraiarmi sul marciapiede come una senzatetto, piuttosto che chiedere un favore a Styles, ma ero stanca, spossata e avrei fatto uno strappo alla regola per una volta.
Così piegai la testa e la posai sulla sua spalla, avvertendo subito un profumo buono e virile.
Chiusi gli occhi scivolando nel dormiveglia.
 
 
 
 
-Carol, alzati. Dobbiamo andare-.
Una mano sulla mia spalla. Una voce roca e profonda. Un profumo maschile.
Mi raddrizzai di scatto, spalancando gli occhi. Ho sempre trovato orribile svegliarmi di soprassalto. Si prova prima sorpresa, disorientamento e infine uno sonno incredibile e la voglia di tornare a dormire.
Mi stropicciai gli occhi come una bambina assonnata.
-James?-. -David l'ha riaccompagnato a casa. Vieni dai-.
Una mano grande e affusolata si offrì di aiutarmi: l'afferrai con entrambe le mani e mi lasciai tirare su controvoglia. Poi, mi spolverai i pantaloni e recuperai la borsa.
Harry camminava di fronte a me; io un passo indietro, strusciando i piedi, troppo stanca per affiancarlo.
Aveva delle spalle ampie, le braccia e i muscoli della schiena ben formati e un didietro invidiabile.
Okay, dovevo ammetterlo: era carino. Non nel senso stretto della parola: non che fosse una bellezza. Semplicemente era particolare. Possedeva una perfetta combinazione di malizia ed innocenza: se gli sguardi che lanciava alle belle ragazze incrociate per strada potevano sembrare ammiccanti o invitanti, le fossette ai lati della bocca ricordavano quelle di un bambino, addolcendone i tratti del viso. I riccioli che gli incorniciavano gli occhi verdi e malandrini lo facevano assomigliare ad un chitarrista delle rock-band del liceo;le mani e la voce invece erano quelle di un uomo. Attirava l’attenzione con quel suo modo di vestire e di camminare. Attirava.
-Guido io.- disse Harry, riscuotendomi dallo stato comatoso in cui ero caduta.
-Perché?- sbottai incredula.
TUTTO ma NON  la MIA Vespa.
-Stai dormendo in piedi, Carol. Non mi pare il caso di metterti al volante. Potresti avere un colpo di sonno improvviso.- mi fece presente lui.
-Spiegami come fai a guidare una Vespa, se non sai neanche guidare una moto.- replicai a tono.
-Non sembra difficile-.
-Se lo dici tu.- capitolai, troppo stanca anche per protestare.
Montò sulla vespa e inserì la chiave nel cruscotto. Il motore partì e la vecchia marmitta borbottò più rumorosamente del solito.
-Hey, frena il cavallo Schumacher. Questo è un pezzo d’epoca. Non puoi usarlo come se fosse una Ferrari-.
-Dimmi che devo fare-.
Sospirai, pestando leggermente un piede a terra.
-Allora, questa è la frizione.- spiegai, indicando una levetta. –Questo è l’acceleratore. Questo è il freno- continuai, puntando l’indice prima su un punto e poi su un altro. –Il contatore indica la velocità, quello accanto la quantità di carburante rimanente. Quando parti, non spingere troppo perché rischiamo di bruciare il motore-.
-Perché? La nonnetta non regge sottosforzo?-.
Infilai il casco. -Porta rispetto. La nonnetta è ancora in gamba per la sua età-. Montai dietro di lui, intrecciando le mani sul suo addome.
Harry provò a partire, ma il suo tentativo ebbe scarsi risultati.Risi forte. –Non avere fretta. Devi prendere dimestichezza con la guida diversa-.
Harry seguì le mie istruzioni. -Se le fai anche solo un graffio, ti ritroverai con la voce più alta di un’ottava. Quindi stacci attento.- lo avvertii con un tono che voleva essere minaccioso, quando ci immettemmo in strada. Lo sentii ridacchiare.
Il vento gelido mi sferzava in viso , così cercai riparo dietro la sua schiena.
Non so quanto impiegammo. Forse mezz’ora. Forse più.
-Eccoci arrivati-.
Mi fece scendere e parcheggiò la Vespa proprio di fronte casa.
-Come sono andato al test di guida?-.
-Passabile.- dissi con aria di sufficienza, cancellandogli quel sorriso strafottente dalla faccia.
Sorrisi soddisfatta.
Ora si che la mia giornata aveva avuto un senso.
-Sempre gentile- ironizzò.
-Touché-.
Mi avviai su per i gradini che conducevano al portone del palazzo.
-Ora come torni a casa?- domandai preoccupata.
-Prenderò l’autobus- fece lui, stringendosi nelle spalle. Mi raggiunse sotto la tettoia, con le mani infilate nelle tasche profonde del cappotto.
-Non volevo crearti problemi-.
-Figurati-. Mi concentrai sulle punte dei miei stivaletti. Di nuovo.
Lui invece si guardò intorno come per non dar peso a quel silenzio imbarazzante.
-A domani allora-.
Feci mente locale. -Domani è il mio giorno libero- obbiettai.
-Ah-. Ah? Che significava “Ah”? Indifferenza, rispose una vocina tremendamente fastidiosa nella mia testa.
Feci un passo verso il portone.
-Allora ci si vede.- soffiò lui, dondolandosi sulla suola consumata delle sue Converse bianche.
-Buonanotte-. Osservai per un momento la nuvoletta bianca delle mie parole condensarsi nell’aria fredda della notte.
Poi girai le chiavi nella toppa ed entrai. Corsi su per le scale e tastai alla cieca per aprire la porta dell’appartamento mio e di Alyson; la chiusi alle mie spalle e mi ci appoggiai contro, scivolando a terra.
Il cuore mi batteva più veloce del solito. Forse era per la fretta di salire le scale, o forse no.
 
 
 
 
 

Ta-dan!!! *.*
Che ve ne pare? Uno schifo!!! U.u
Lasciamo perdere. Se ho aggiornato solo adesso non è esclusivamente per gli impegni scolastici, ma anche perchè mi ero un pochino demoralizzata. Lo scorso capitolo ha ricevuto meno recensioni elsolito e così sono partita in quarta con le pippe mentale del tipo "forse ho fatto un casino", "forse dovevo ricontrollarlo meglio", "forse dovrei cambiare la storia" "e se fosse noioso?" e via dicendo fino al completo esaurimento.

Poi però mi è venuta l'ispirazione e ho trovato un'idea decente (o almeno spero) per questo ottavo capitolo.
Quindi spero non sia venuto una completa schifezza.



Altra cosa: sono una catastrofe nelle anticipazioni. Dico una cosa e poi inevitabilmente non riesco a mantenerla.
“Le avventure di James” si sono dilungate troppo e non sono riuscita a far centrare le e-mail. Ci saranno nel prossimo, sorry . Ringrazio tutti coloro che seguono, preferiscono, ricordano o recensiscono la storia. Sono pochi ma buoni <3…e un grazie di cuore anche a chi legge e basta. Grazie per quei minuti che trascorrete nella mia pagina. Spero risultino piacevoli :) Se volete, fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo. Mi renderebbe davvero felice :D
Bene vi lascio con la promessa, stavolta sicura (seeeeee) di un decimo capitolo a BOMBA. Sono già esaltata all’idea di scriverlo u.u
Bene, un bacio enorme.
Ah, posto la foto del palazzo di Alyson e Carol. L’altra volta me ne sono dimenticata (novitààà). Io me la immagino un po’ così...
http://tinypic.com/r/1hyvd5/6 

 

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Capitolo 9
*** IX ***


        

Capitolo 9

 
 
 
 
                                                                             
                                                     Carol;
 


Le mattine in cui si potrebbe tranquillamente dormire fino a tardi, sono le mattine in cui ci si sveglia prima.
Morale della favola: ricordarsi di disattivare la sveglia. Cosa che io, ovviamente, avevo dimenticato di fare.
Perciò quando la suddetta sveglia prese a suonare ininterrottamente, io per vendetta le assestai un pugno secco. Scesi di corsa dal letto, incespicando tra le lenzuola.
-Il bagno è mio!- strombazzai, filando dritta al gabinetto.
Feci una doccia rapida e tornai in camera avvolgendomi i capelli bagnati in un asciugamano. Poi, indossai la biancheria intima e passando per la cucina, ancora mezza svestita, notai il calendario.
Venerdì 1 Dicembre. Venerdì…VenerdìVENERDI’ ??!!!! 
Ma, il Venerdì era il mio giorno libero!
Sciolsi il turbante e lanciai l’asciugamano contro la sveglia. –Infame!-sbraitai.
Lei, da parte sua, non sembrò particolarmente colpita dalla mia reazione.
Qualcuno invece era di tutt’altro avviso.
-Si può sapere che hai da urlare alle sette di mattina? Qui c’è gente che non fa niente per tutto il giorno e vorrebbe impiegare il tempo con qualcosa di utile come dormire -. Il viso gonfio di sonno di Alyson fece capolino dalla porta della sua camera.
Sbuffai. – Sarebbe ora che ti trovassi un lavoro, Al.- l’apostrofai scontrosa: la chiamavo sempre “Al”, quando qualcosa non andava per il verso giusto e lei se ne accorse. Strabuzzò gli occhi. -Dici sul serio?-.
-Si, finirai per ammuffire se continui così-.
Mi fissò spaventata. -Mi aiuteresti a trovare lavoro?-.
 
 
 
-Perché dobbiamo portarci dietro James?- borbottò contrariata Alyson.
-Voleva uscire un po’.- risposi, controllandomi il trucco dallo specchietto retrovisore di una decapottabile qualsiasi.
James mi aveva chiamata mentre facevo colazione con Ally. Dopo quello che era successo la sera prima, aveva avvisato la redazione e si era preso un giorno di malattia.
Era il primo Dicembre e il freddo iniziava a farsi sentire: sfregai le mani nei mezzi guanti per scaldarmi un po’, ma per fortuna James non si fece attendere troppo. -Da dove partiamo?-.
Lessi velocemente la lista degli annunci sul giornale del giorno: ne avevamo cerchiati alcuni con un pennarello rosso.
-Bar Marylin, Caledonia Road 18-.
-Mi ci vedi a fare la barista?- mi chiese Ally pensierosa.
-Ti ci vedo a sporcare di caffè i clienti-.
Ally annuì piano. -Si può fare-.
Tornai alla lista che ci eravamo appuntate su un foglio. -Gelateria Blue-sky vicino il ristorante cinese di Kevin-. Le lanciai un’occhiata dubbiosa.
-Che c’è? Non mi ci vedi neppure a riempire coni gelati?- mi riprese lei, punta sul vivo.
Ridacchiai. –No, in effetti la situazione avrebbe un che di comico-. Mi fece la linguaccia e accelerò il passo, distanziandomi di un metro e mezzo. -Dai, Ally!! Non te la prendere-. Le corsi dietro tra le risate.
James ci camminava al fianco silenzioso. Sembrava ancora un po’ rintronato dai postumi della sbornia.
-Non parlate forte, che la testa mi sta scoppiando.- si lagnò, massaggiandosi le tempie con l’indice e il medio.
Sbuffai rumorosamente.
-Allora?- incalzai impaziente.
-Allora cosa?-.
-Dove andiamo?-.
James spostò lo sguardo da me ad Ally. – Io avrei un’idea-.
 
 
 
 
                                                                                                                                                                  Harry;
 
 

Quel giorno non avrei visto Carol. Fu il primo pensiero coerente che i miei neuroni assonnati riuscirono a produrre dopo un’abbondante dose di caffeina. La cosa mi parve strana: in fondo, non avevo grandi rapporti con lei. Ci frequentavamo solo ed esclusivamente per lavoro e in ufficio a malapena ci rivolgevamo la parola.
Eppure, quel giorno, trovai molto più difficile alzare il fondoschiena dalla tazza del gabinetto per prepararmi; faticai molto di più per trovare una buona conclusione al mio articolo ed uscii di casa molto meno volentieri del solito. E solo l’idea che fosse a causa sua, mi urtava ai nervi.
Mi trascinai pigramente lungo il vialetto, con gli occhi gonfi di sonno e la tracolla che mi batteva insistentemente su un fianco. I miei ricci erano più ribelli rispetto al normale, ma non avevo voglia di sistemarmeli: troppa fatica allungare il braccio e appiattirli.
La sera prima avevamo parlato molto io e Carol e mi ero sorpreso di trovarla…gradevole. Si, in fondo, ma molto in fondo, non era poi così insopportabile. Diciamo che era stata promossa dalla categoria “super-rompipalle” a quella “sopportabile in casi estremi”. O forse, stavo mentendo a me stesso. Forse, la trovavo carina. Punto.
Strano come sia difficile essere sinceri perfino con sé stessi.
L’ascensore della redazione era fuori uso. Ergo, affrontai sette piani di scale a piedi con una tracolla stracolma e zero voglia di lavorare. Fu un sollievo quando, finalmente, parcheggiai il mio didietro sulla sedia girevole e straordinariamente comoda dell’ufficio.
Santo chi aveva inventato qualcosa di utile e confortevole come le sedie.
 
 
 
 
 
                                                                                                                                                                 Carol;
 

-Harry che ti ha detto?-.
Quel nome riattivò la mia materia grigia.
Avevo staccato la spina del cervello, evitando di sorbirmi il lungo monologo di James riguardo ai guai della sera passata e sentire pronunciare quel nome, il suo nome, mi provocò un’ inspiegabile ondata di piacere.
-Scusa?-.
-Non mi stavi ascoltando-.
-Si che ti stavo….no, non ti stavo ascoltando. E’ vero.- mi arresi notando la sua espressione.
Quando sollevava un sopracciglio, significava che la sua posizione era irremovibile.
Eravamo in una caffetteria in centro. James conosceva un negozio di dischi, Music Dream, che cercava un commesso in più. Così eravamo passati per avere informazioni. Sembravano brave persone i proprietari e avevano accordato insieme ad Ally una settimana di prova a partire dal lunedì seguente.
-Ieri ho rovinato per sempre la mia reputazione agli occhi di Harry- bofonchiò Jam di malumore. –Ti ha detto qualcosa lui?-.
-Su di te? No, nulla in particolare-.
James e la sua cotta pazzesca per Harry. Andiamo, come si fa ad avere una cotta per uno come Harry?
-Gli devo essere sembrato un idiota-borbottò quasi tra sé e sé.
-Puoi stare tranquillo. Quanto ad idiozia, lui supera tutti-.
James mi scrutò a lungo.
-Che c’è?- esclamai incuriosita dal suo sguardo insistente.
-Ti piace- disse di punto in bianco.
Senza volerlo, cambiai subito posizione.
-Scherzi, vero?-.
Sentii le guance andarmi in fiamme. Maledizione, perché arrossivo sempre in questi casi?!
-No, affatto. Ti piace sul serio-.
-Ti pare?- sbottai come se stesse dicendo che gli asini volano.
Nell’agitazione ridussi in brandelli il mio fazzoletto di carta.
-Secondo me, James ha ragione- intervenne Ally, addentando un altro cornetto.
-Ricordati che io ho il coltello dalla parte del manico. Posso ricattarti in qualsiasi momento- mi rivolsi alla mia amica in un tono tra l’allusivo e il minaccioso. Mi riferivo a Dave, ovviamente. E lei lo capì al volo.
Divenne rossa come un pomodoro e tornò a vedersela con la sua tazza di caffè.
-Io dico la mia. Ed io penso che lui ti piaccia, almeno un po’- insistette James.
-Come vuoi. I matti vanno assecondati- recitai con nonchalance. –Ora posso bere il mio caffè in santa pace?-.
 
 
 
 
 
 
                                                                                                                                                                Harry;
 
 
 
-Quel dribbling era fantastico e….-.
Bla bla bla.
-Il portiere non avrebbe potuto fare nulla per….-.
Bla bla bla.
-La papera del difensore al venticinquesimo ha….-.
Fatelo. Stare. Zitto., pensai truce, sull’orlo di una crisi isterica.
Evidentemente la forza del pensiero è una balla colossale inventata dai media, perché Dave era ancora lì, di fronte a me, a blaterare del derby, per nulla toccato dai miei disperati tentativi di eliminarlo.
Quella mattina il calcio era l’ultimo pensiero che potesse occupare la mia mente. Anche se, a dir la verità, nella mia testa c’era solo un grande blackout e nient’altro.
Stavo diventando una lagna. Dovevo riprendermi.
Mandai giù l’ultimo sorso di caffè e gli feci cenno di risalire. Presi di nuovo possesso della sedia girevole e iniziai a rileggere il capitolo del giorno; in pochi minuti lo stampai e lo consegnai ad Emily.
Non avevo altro da fare. Così, dopo un’occhiata furtiva ai miei colleghi, aprii la mia pagina del social network: erano giorni che non ricevevo un’ e-mail di Makemehappy e desideravo risentirla, di sapere cosa le passava per la testa. Si, mi mancava.
Lanciai un’occhiata a Dave che sonnecchiava dietro lo schermo del suo computer.
Mi assicurai che Annie Reed “la mangia-uomini” non fosse nelle vicinanze e mossi rapidamente le dita sulla tastiera.
 
Landscape scrive:
Cara  Makemehappy,
Mi piace iniziare i miei messaggi a te come se fossimo già in piena conversazione.
Faccio finta che siamo vecchi amici, in confidenza, cioè l’opposto di quello che siamo. Due che non si conoscono per nome e che si sono incontrati in uno Sturbucks, sostenendo entrambi di non esserci mai entrati prima.
A cosa servono poi gli Sturbucks? Molto probabilmente la ragione della loro esistenza  è che gente che non possiede la minima capacità di prendere decisioni, deve prenderne almeno sei per ordinare una sola tazza di caffè. Lungo, ristretto, con latte scremato, decaffeinato, con dolcificante, senza zucchero, con zucchero di cannella, eccetera.
Così gente che non sa mai che cavolo deve fare o perché è al mondo, riesce con qualche penny, non solo ad ottenere una tazza di caffè, ma una decisa consapevolezza di sé.
 
Mi chiedo cosa dirai oggi.
Scrivimi una storia, un aneddoto divertente che mi faccia sorridere.
Infondo potremmo esserci incrociati per strada, alla fermata dell’autobus o in un taxi qualunque…e non esserci riconosciuti. E forse è proprio questo il bello.

 
 
 
                                                                                                                                          Carol;
 

Lanciai la borsa da qualche parte in salotto e mi fiondai letteralmente sul divano.
Riposo. Finalmente riposo.
Feci una rapida scorsa dei canali. La signora in giallo, telegiornale, varietà, televendite, pubblicità, pubblicità e… Beautiful. Ed io che credevo che ormai avessero finito le idee per quella soap demenziale!
In fondo, Brooke se li era fatti tutti, riflettei contando mentalmente le varie avventure amorose della bionda.
A pensarci bene, trascorreva più tempo nei letti degli altri che nel suo. Già, non si faceva mancare proprio nulla.
-Carol, sgombera la mia postazione davanti alla tv-.
-Perché?-.
-Voglio vedere i cartoni animati-.
Fissai Alyson sconvolta. -Che c’è? La mia è stata un’infanzia più che felice-.
A malincuore le cedetti il posto e mi rifugiai in cucina, recuperando il portatile rimasto sul tavolo: lo accesi e attesi impaziente che si caricasse la pagina. Non che mi aspettassi una sua e-mail dopo giorni che non si faceva sentire, però ci speravo.
Quando finalmente entrai nel mio profilo, notai subito un messaggio nuovo. Era lui.
Quella consapevolezza mi procurò ancora una volta una strana sensazione; il cuore mi fece una capriola mentre leggevo l'email con un sorriso sognante sulle labbra.
 
Makemehappy scrive: Quando leggo le tue e-mail, mi ritrovo a pensare  quanto il nostro rapporto sia strano e speciale.
Non scrivi mai frasi scontate, lasci libero sfogo alla tua mente. Scrivi i tuoi pensieri. Scrivi come potresti fare con una amica.
Con gli amici non c’è bisogno di frasi formali o d’obbligo, non si deve per forza parlare di fatti sensati. Si dice ciò che viene spontaneo, senza revisioni o cambi di marcia.
 
Oggi ho aiutato un’amica fuori di testa a trovare lavoro.
Una volta ho letto una storia di una farfalla in metropolitana e stamattina ne ho vista una mentre ero con lei.
E’ salita a Fulham Road ed è scesa a Knibridges. Sarà andata da Harrods a comprarsi un cappello che poi si rivelerà uno sbaglio, come succede sempre con i cappelli.

 
 
 
 
                                                                                                                                                                Harry;
Una farfalla in metropolitana…!
Trattenni un sorriso. Pensai ad una possibile risposta ed iniziai a scrivere.
 
 
Landscape scrive: Senti questa.
Tutte le sere un camion arriva davanti al forno, vicino a casa mia, e scarica una tonnellata di farina in un serbatoio sotterraneo e l’area è piena di una polvere bianca che sembra non svanire mai. Ma perché?
 
 

 
Non dovetti attendere molto per una risposta.
 
Makemehappy: Oh, questi sì che sono i grandi interrogativi della vita!
 

Fu in quel momento, nel leggere la sua risposta scherzosa, che mi balenò in testa l’idea più assurda che potessi avere. Una parte di me però si sentiva in colpa: era tremendamente sbagliato, soprattutto nei confronti di Rachel.
Infondo però, perché no? Dovevo solo farmi coraggio e chiederglielo. Non era la prima volta che mi veniva in mente una cosa del genere.
Volevo conoscerla, sapere davvero chi fosse e tramutare la vostra amicizia virtuale in qualcosa di concreto.
Forse avrei scoperto la persona giusta per me. Forse, no. Ma, in entrambi i casi mi sarei messo l’anima in pace una volta per tutte.
 
 
Landscape: Lo so, non c’entra assolutamente nulla…ma sai, mi chiedevo…pensi che dovremmo conoscerci?
 
 

 
                                                                                                                                                       Carol;



Sbattei più volte le palpebre, sicura di aver visto male.
No, no. No. No. No. Assolutamente no.
Non se ne parlava.
Chiusi di scatto il portatile. Tornai a passo di carica in salotto e raccattai la borsa incastrata tra il divano e il pavimento, sotto lo sguardo inquisitorio di Alyson.
-Che ti prende?-.
-Ho bisogno di un po’ d’aria-. Afferrai il guinzaglio appeso all’attaccapanni e chiamai Sally con un fischio: la cagnolina mi venne incontro scodinzolando.
-Andiamo, Sally.- sospirai, chiudendomi dietro la porta. Avevo bisogno di riflettere e la cosa migliore in questi casi era andare al parco con Sally.
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Tutte quelle J e quelle L che compaiono magicamente nel mio “spazio autrice” non sono frutto delle mie fantastiche manine, ma di questo stupido pc che non capirò mai.
Quindi non prendetemi per scema se alla fine di una frase e vicino ad una faccetta spuntano come funghi queste fastidiose lettere perché io sto cominciando ad odiarle.
 
Detto ciò, apro il “My Space” con la vana speranza che sia meno incasinato del solito.
Sono in ritardassimo, lo so e vi chiedo scusa, ma non ho avuto un attimo libero in questi giorni.
Ma ora eccomi qua con un capitolo orrendo con cui mi pulirei volentieri il didietro!! Battete le mani!!!! (ma anche NOOOOOO!!!!!)
L’unica scusante è che sono iniziate le interrogazioni tutte insieme ed è stato uno shock per me o.O….in più i miei erano partiti per un convegno di lavoro ed io sono stata segregata ingiustamente a casa dei miei nonni senza pc!!!! Mi meriterei la ghigliottina, lo so,  lo so. Chiedo venia!!!!!!
Non siate crudeli :)
 

 
Bene, ecco le nuove e-mail che vi avevo promesso. Che ve ne pare?
Sappiate che non si scriveranno mai le tipiche frasi squallide delle chat.
Ad esempio:
LUI-Ciao
TU (mentre pensi “oh, che palle, di nuovo questo!!!) -Ciao. Come va?
LUI-Tutto okay. Tu?
TU, persona normodotata, non sei sempre felicissima come una Pasqua, magari stai sul normale, e rispondi tranquillamente:-Abbastanza bene-.
LUI-Perché abbastanza? C’è qualcosa che non va? Sfogati J
Tu a quel punto cerchi di fargli capire con un discorso molto profondo che il “benissimo” o il “sono strafelice, grazie” è riservato ad occasioni del calibro di matrimoni (possibilmente il tuo), di un voto decente in matematica (evento più unico che raro), o quant’altro. Ma, loro non ci arrivanooooo!!!!! Rassegnati!
Conclusione: sarai costretta per tagliare il discorso, a dire che nella vita tutto ti va super-benone e che sei più che soddisfatta così u.u
 
Questa è la mia conversazione-tipo con i soggettoni che ci provano su Fb e che poi neanche ti salutano se ti incontrano a scuola.
Ecco no, eviterò. Più che altro Harry e Carol parleranno di cose inutili e senza senso come “la ragione dell’esistenza di uno Sturbucks”(?). Insomma nulla di scontato o noioso.  Toglierebbe  del romanticismo alla storia a mio parere.
 
Questo capitolo è una merdina e in più è di passaggio!!!! Sorry :)
Mi rifarò con il prossimo ;)
In effetti, non ho molto altro da dire riguardo il  capitolo.
Rivolgo quindi un grazie speciale a chi recensisce la storia. Nello scorso capitolo siete state tutte carinissime *.*….davvero non me l’aspettavo, mi avete resa felicissima :D
Grazie di cuore ai 13 che la preferiscono, ai 18 che la seguono, ai 4 che la ricordano e in generale a chiunque si prendi la briga di leggere questa cacchetta che spaccio per una FF.
Grazie mille!!! <3
 
 
Se vi va, lasciate una recensioncina, anche minuscola. Mi sentirei realizzata!!!
 
Non ve l’ho mai detto prima, ma nel caso notaste degli errori, non fatevi problemi e ditemelo.
 

Annunci. Spero si veda bene che sto per fare degli “Annunci”.
Come avrete notato questa storia ora ha uno splendido banner e devo tutto ad Anns, un’autrice fantastica che ha deciso di aiutare una menomata mentale sull’orlo di una crisi isterica (la sottoscritta) e ha creato questa meraviglia, strappandomi al suicidio.
E mi ha pure dovuto spiegare come cavolo si inseriva il banner nel capitolo, perché io non ne avevo la più pallida idea!!! Non oso immaginare cosa pensi di me u.u
Quando avrò tempo inserirò il banner anche in tutti i capitoli precedenti, ora non ne ho voglia :/
 
Dunque, all’inizio vi avevo annunciato di avere un paio di idee per delle nuove long. Bene, queste idee si sono moltiplicate e ho scritto una bozza del primo capitolo di ognuna di queste.
Non aspettatevi cose normali, del  tipo “l’adolescente impacciata che conosce per botta di culo i suoi idoli”, perché sareste fuori strada :D
Adesso finalmente ho deciso a quale dedicarmi per prima tra tutte queste.
Così vi posto il collegamento, nella speranza che qualcuno se lo fili u.u

 
 
A proposito: non ho preferenze tra tutte le mie idee. Ho deciso di dedicarmi a “Tomboy” semplicemente perché era quella meno confusa, diciamo che oltre il prologo so anche come farla continuare…posterò tre, quattro capitoli per farvi vedere più o meno di che si tratta (dato che il prologo spiega poco la trama centrale, è solo d’introduzione). Se non vi piace, fatemelo sapere. Così magari inizierò un’altra storia :)
 
 
 
Domande.
1-Come si inserisce una gif nel capitolo???????? Ho intenzione di animare un po’ questa storia. Se lo sapete, ditemelo!!!
 
 
P.S. Del decimo capitolo non vi annuncio niente. Sarà una sorpresa :D
 

 

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Capitolo 10
*** X ***



   

                               
                   









                                                     
I remember the days of just keeping time
                                                                                         Of hanging around in sleepy town
                                                                                        Forever back roads empty for miles

                                                                                        Well, you can't have a dream and cut it to fit
                                                                                        But when I saw you I knew
                                                                                       We'd go together, like a wink and a smile

                                                                                      “A Wink and a Smile” by Connick Jr
 

 

Capitolo 10 
 
                                                                                                                              Carol;

 

Non sentivo niente. Non un rumore per le strade di Londra quella domenica mattina.
Era trascorsa più di una settimana dalla fantomatica proposta di Landscape ed io mi ritrovavo di nuovo al punto di partenza, sul marciapiede, con Sally al guinzaglio e molti pensieri per la testa.
Più ci riflettevo su, più mi convincevo di aver fatto bene ad allentare i rapporti.
Ci eravamo scritti altre e-mail senza entrare mai in argomento. Io avevo evitato di rispondere e lui, molto probabilmente, aveva capito. Meglio così.
Non me la sentivo. Finora era stato solo un gioco, bellissimo, coinvolgente, a volte perfino emozionante. Ma, solo un gioco. Qualcosa di vano, illusorio, intoccabile, evanescente. Nulla di concreto insomma. Solo un mucchio di posta elettronica, frasi toccanti e virgole messe al punto giusto.
Nient’altro. E rischiare di rovinare quella nostra speciale amicizia mi preoccupava molto di più che non  lascare le cose come stavano.
Affondai il naso nella sciarpa di lana rossa: quella Domenica sembrava preannunciarsi come particolarmente fredda.
Osservai un uomo infagottato come un eschimese che raschiava via il ghiaccio dal parabrezza della sua automobile e senza un apparente motivo, mi venne in mente Harry.
Ci eravamo visti poco durante quella settimana. Io indaffarata con la mia rubrica da portare avanti, lui con gli articoli di cronaca che la Reed gli aveva affibbiato.
Non lo invidiavo. La cronaca era seccante. Uno squillo di telefono alle tre di notte era in grado di rovinarti la giornata prima ancora dell’alba, di farti alzare dal letto senza averne voglia per prendere la macchina in garage e rincorrere la polizia, gli inquirenti e tutte le persone informate sui fatti.
Ero in piedi, sul marciapiede, di fronte alle strisce pedonali, aspettando che scattasse il verde.
Mi chiedevo spesso se lavorassi al Daily Mirror perché l’avevo scelto o perché non avevo avuto il fegato di rischiare.
Magari avrei potuto pubblicare una delle mie storie. Magari avrei potuto realizzare il mio sogno e diventare una scrittrice a tutti gli effetti. Magari. La vita era un’altra.
Eppure, quel giorno, dopo che Harry se ne era andato, avevo cercato la scatola dappertutto.
L’avevo ritrovata, avevo ritrovato tutti i racconti, le bozze e le idee che avevo abbandonato con noncuranza lì dentro.
Quel giorno, avevo scritto l’incipit di una nuova storia e un personaggio in particolare era iniziato a starmi a cuore: un ricciolino impertinente, dagli occhi verdi e il sorriso spontaneo.
Mi vergognavo da morire all’idea che proprio lui, fosse stata la mia fonte di ispirazione e non osavo immaginare quanto mi avrebbe preso in giro se lo avesse scoperto.
Qualcuno mi diede una leggera spallata e mi superò senza voltarsi.
Era scattato il verde e non me ne ero neanche accorta: tirai il guinzaglio, intimando a Sally di seguirmi e proseguii dritto.
Sentii una vibrazione nella tasca dei jeans. Infilai la mano e ripescai il cellulare.
-Jam?- feci stranita, portandomi il telefono all’orecchio.
-Allora, è tutto pronto. Ci vediamo stasera alle sette. Mi raccomando, tieni distratto Dave-.
Dave. Già. Per un attimo, mi era quasi passato di mente.
Era il suo compleanno e avevamo organizzato una festa a sorpresa a casa sua con catering, musica e tutto il resto. Sarebbe stata uno party memorabile, di quelli che si rievocano alle cene di famiglia.
Avevamo invitato mezzo giornale, compresa Annie Reed. E anche Harry, ma lui si era scusato, dicendo di essere già impegnato per un matrimonio. Non mi sarebbe dovuto importare nulla e invece avevo provato un po’ di delusione.
-Sta’ tranquillo. Ci penso io-. Riflettei un attimo. –Aspetta. Mi hai chiamata a quest’ora della mattina solo per ricordarmi questo?-.
-Hai indovinato-.
-Vatti a curare-.
Lo sentii ridacchiare. –Lo farò senz’altro-.
-Bravo. A dopo-.
-Ciao-.
Chiusi la telefonata e mi guardai intorno, rendendomi conto solo allora, di essere arrivata al portone del mio palazzo.
-Sally, ferma!- ordinai, vedendo che la cagnolina tentava invano un approccio con il lampione.
Imprecai sotto voce nell’accorgermi di aver dimenticato le chiavi dentro casa. Alyson dormiva fino a tardi la mattina e svegliarla presto di Domenica non era certo il modo migliore per ingraziarsela.
Di malavoglia, mi attaccai al citofono e come previsto, dovetti insistere parecchio prima di ricevere una risposta.
 
 
 
 
 
                                                                                                                           Harry;
 
 
-E se avesse cambiato idea?-. La voce di Niall era carica di tensione. Alzai gli occhi al cielo, consapevole che prima o poi l’attacco di panico l’avrebbe colpito.
-Se anche fosse, si convincerà a sposarti non appena ti vedrà vestito così.- sorrisi rassicurante, sistemandogli meglio il nodo della cravatta. Per tutta risposta, Niall si passò una mano tra i capelli a spazzola, leggermente accigliato.
-Smettila di agitarti senza motivo. Sarebbe una completa stupida a lasciarsi sfuggire un ragazzo come te.- insistette Louis, cercando di essere il più convincente possibile.
-Una volta,- mi intromisi io. - ho letto che dopo il matrimonio la vita sessuale della coppia subisce una brusca battuta d’arresto…-.
-Harry, quella statistica è una balla stratosferica. Come fai a credere a certe stronzate?- mi interruppe Louis con un’occhiata inceneritrice.
-Me ne ha parlato anche Zayn.- mi difesi.
-Appunto-.
Niall ci distolse dalla nostra discussione. -Ce l’avete un chenwing gum?-. Annuii, cacciando una mano in tasca ed estraendo un pacchetto di gomme da masticare. Quando era in ansia per qualcosa, una gomma da masticare sembrava l’unico rimedio per calmarlo.
Lo osservai mentre misurava ad ampi passi il perimetro della minuscola stanzetta della casa parrocchiale, senza sapere bene cosa dirgli per tranquillizzarlo: Niall era molto giovane, ma maturo quanto bastava per affrontare il matrimonio con Karen.
Lanciai un’occhiata d’intesa a Louis e mi sedetti sullo sgabello vicino allo specchio.
Proprio allora, qualcuno bussò alla porta e Zayn fece la sua entrata trionfale, seguito a ruota da Liam.
-Allora, il futuro sposo è pronto?- esordì il moro con un sorriso a trentadue denti.
-Quasi…-bofonchiò Niall. Lo acchiappai prima che riprendesse a camminare per tutta la stanza e gli spolverai la giacca con l’aiuto di Louis. Ero terribilmente emozionato e la tensione cominciava a farsi sentire.
Prima di uscire dalla casa parrocchiale, lo abbracciai forte.
-Non svenirmi sull’altare. Mi raccomando-.
Il biondo mi sorrise di rimando e fece per lasciare la saletta.
-Niall?!- lo richiamai subito.
-Che c’è?-.
-Sputa la gomma-.
 
 
 
 
                                                                                                                                                                  Carol;
 
 
-Ta-daaaan!- esclamai fiera di me stessa, sventolando il mazzo di chiavi ad un palmo dal naso di James: erano dell’appartamento di Dave. Gliele avevo sottratte di nascosto quella mattina quando mi aveva accompagnata dal ferramenta. Ottima scusa.
Ora avremmo potuto allestire con tutto comodo una festa decente.
-Dillo che sono un genio del male! Dillo!- incalzai James che mi fissava piuttosto perplesso.
Alyson ci interruppe, scendendo le scale a balzi. -Mancano gli alcolici. Queste birre sono scadute.- In mano aveva un paio di bottiglie. Annusai il contenuto e arricciai il naso.
-Meglio buttarle. Potremmo scatenare un’intossicazione alimentare-.
-E chi la sentirebbe poi la Reed?!- convenne James.
-Esatto-. Sfilai dalle mani di Ally le due bottiglie e le gettai nella busta della spazzatura.
Cinque minuti più tardi uscivamo dall’appartamento di James per dirigerci a casa di Dave.
Emily avrebbe tenuto impegnato il festeggiato per l’intero pomeriggio e noi avremmo avuto a disposizione duecento metri quadrati di casa per organizzare un ricevimento degno di questo nome; l’appartamento si trovava nella zona di Kensington, nella parte ovest di Londra. Come facesse Dave a permettersi una casa relativamente grande in uno dei quartieri più lussuosi di tutta la città, era ancora un mistero per me: sospettavo però, che c’entrasse il portafoglio pieno dei genitori e un assegno mensile da capogiro.
Nonostante la sua situazione agiata, non l’avevo mai sentito vantarsi dei suoi nuovi acquisti, né del denaro di cui disponeva; tutto sommato era una persona alla mano, gentile e simpatica: nulla a che vedere con i ricchi imprenditori di Londra. Lui era di un’altra pasta, pensavo io.
Forse anche per questo, mi piaceva l’dea che lui e Alyson si mettessero insieme. Lui ricco sfondato, lei artista disoccupata; lui ragazzo a modo ed educato, lei sboccata e sopra le righe; lui un tipo normale e dal carattere tranquillo, lei eccentrica ed esuberante come pochi. Sembravano fatti per stare insieme, per completarsi a vicenda come le due facce della stessa medaglia o lo yin e lo yang nella cultura cinese.
E si piacevano, su questo non sorgevano dubbi.
Tralasciando il fatto che lui fosse troppo timido per dichiararsi e che l’incoerenza di lei risultasse alle volte disarmante, contavo di far andare in porto il mio progetto, proprio quella sera, durante la festa di Dave.
Odiavo comportarmi da ruffiana impicciona, ma ogni tanto la goffaggine degli amici porta ad atti estremi.
 
 
 
 
 
                                                                                                                                                    Harry;
 

 
Se il detto “Sposa bagnata, sposa fortunata” aveva un qualche fondo di verità, più del settanta per cento delle mogli inglesi doveva esserlo sul serio, pensai guardando mestamente il cielo plumbeo di Londra.
Accanto a me, Louis aprì il suo ombrello e mi fece cenno di ripararmi assieme a lui.
-Rachel?- mi chiese. Feci vagare lo sguardo lì attorno, ma nella baraonda generale non riuscii ad individuarla. -Non lo so. Sarà andata a salutare Eleonor-.
Il mio tono di voce basso e indifferente lo spinse a studiarmi con maggiore attenzione.
-Stai bene?-.
-Si, si.- lo liquidai distrattamente.
-Sicuro?-.
In quel momento, Niall e Karen comparvero a braccetto in cima agli scalini della Chiesa.
Vederli così felici, mi fece pensare a Rachel. Io e lei non ci eravamo mai guardati come Niall e Karen, non avevamo mai cucinato assieme, né visto una partita di calcio sul divano; non ci eravamo mai baciati sotto la pioggia né riso per una barzelletta divertente; non avevamo mai festeggiato un Natale insieme. Non avevamo mai fatto nulla di tutto questo e in effetti potevo dire con una certa sicurezza che non ci eravamo mai amati davvero.
Louis mi porse il sacchetto con il riso: afferrai una manciata di riso e lo lanciai addosso ai novelli sposi.
 
 
 
 
                                                                                                                               Carol;
 
 
-Come ci riesci?- domandai meravigliata ad Alyson, contemplando l’unica grande striscia di buccia che giaceva sul piattino di porcellana.
-Tesoro, questa si chiama dote naturale-. Risi, riprendendo a pelare la patata che avevo in mano. La divisi in spicchi e li gettai nella ciotola di plastica lì accanto.
Quando il campanello dell’appartamento di Dave squillò impaziente, mi pulii le mani con un asciugamano e andai ad aprire.
-Ecco le pizze!- fece James, mollandomi un paio di buste sull’uscio. Per il pranzo ci saremmo arrangiati, evitando di perdere tempo: Ally accese la tv in salotto, mentre io tagliavo la pizza nel cartone e James adocchiava un appoggio di fortuna per mangiare.
-Hai ritirato il regalo per Dave, Ally?- chiesi, masticando un’oliva ascolana ma, lo sguardo implorante della mia amica, mi spinse a temere il peggio. -Non dirmi che te ne sei dimenticata...- dissi retorica.
L’espressione colpevole che aveva stampata in faccia mi convinse del contrario. -Vedi di ricordartene.- conclusi a mo’ di minaccia.
Mi alzai dal parquet e presi a frugare nella borsa. James osservò il foglietto stropicciato che tenevo in mano. -Cos’è?-.
-La lista delle cose che dobbiamo fare-.
Alyson sgranò gli occhi. -Tu sei malata-.
-Dipende dai punti di vista.- replicai a tono.
 

  1. Convincere Emy a fare da diversivo per distrarre Dave V
  2. Procurarsi le chiavi di casa di Dave V
  3. Sistemare l’appartamento di Dave V
  4. Ritirare il regalo per Dave
  5. Aiutare il DJ pazzo a montare le casse e l’impianto acustico per la musica
  6. Contattare il ristorante per il catering
  7. Provvedere a rendersi guardabili per una volta
 
 
Lessi ad alta voce i vari punti. Poi, guardai i miei complici.
-Dobbiamo dividerci i compiti. Altrimenti non ce la faremo mai. Allora, Ally cerca di far trovare il regalo di compleanno al festeggiato questa sera. Io mi occuperò del catering. Tu, James te la sbrigherai con il
Dj pazzo-.
-Scherzi? Quello è fuori di testa sul serio-.
-Per questo affido a te il compito di vedertela con lui-.
 
 
 
                                                                                                                                                                    Harry;
 
 
Il tintinnare della posata sul bicchiere di cristallo mi distolse dall’intensa conversazione con Liam riguardo al dente del giudizio di suo nonno. Perché poi fossimo andati a parare lì, non ne avevo la minima idea.
Eravamo riuniti nella sala da pranzo del ristornate White Hall. Si trovava nei pressi Trafalgar Square e a me piaceva molto quella parte della città. In effetti ero stato io stesso a consigliarlo agli sposi.
Osservai Niall e Karen che salivano sul palchetto allestito per l’occasione e sorrisi inconsciamente.
-Sono una bella coppia.- mi sussurrò all’orecchio Rachel.
Mi limitai ad annuire. –Già-.
Seguii il discorso degli sposi, il lancio del bouquet e poi, improvvisamente, mi sentii trascinare in pista da Rachel per ballare sulle note di “I wanna dance with somebody” di Whitney Houston. Le sue mani si intrecciarono dietro al mio collo, mentre io le cingevo lieve la vita. La sentii canticchiare la canzone, mentre ondeggiava a ritmo di musica.
 Makemehappy non aveva più risposto alla mia domanda. Probabilmente non provava la mia stessa curiosità di conoscerci. E il fatto che ci fossi rimasto male, mi faceva sentire un perfetto idiota.
Era una completa sconosciuta. Cosa mai doveva importarmene?
E invece, ero deluso. Deluso di non poterla incontrare.
-…ho fatto bene, no?-. Rachel che mi squadrava interrogativa. -Tesoro, mi stavi ascoltando?-.
-Scusa. Mi ero distratto-.
Lei mi sorrise comprensiva. –Non ti preoccupare. Stavo dicendo che…-.
Purtroppo la mia capacità di concentrazione non era mai stata delle migliori e così persi subito il filo del discorso.
Trascorse un’altra mezz’ora, prima che Karen mi venisse a cercare tra tutti gli invitati.
-Harry! Sto cercando di convincere Niall e i ragazzi a cantare. Tu ci stai?-.
Spalancai gli occhi sorpreso. -Ti prego!- mi implorò Karen.
Non me l’aspettavo una proposta del genere. Ma, in fondo mi era sempre stata simpatica Karen e compiacerla il giorno del suo matrimoniuo non avrebbe rappresentato un problema per me.
-Harry, tu sai cantare?- mi domandò Rachel leggermente confusa.
-Ho fatto parte di una band al liceo con Louis, Liam e gli altri. Ma niente di serio-.
-Niente di serio?- mi fece il verso Karen. –Facevate impazzire tutte le ragazzine!-.
La fissai sconcertato, evitando di commentare la reazione lusingata della mia ragazza. Seguirono un paio di applausi e qualche fischio di incoraggiamento, ma l’idea di esibirmi dopo così tanto tempo mi rendeva nervoso.
Cercai con gli occhi Zayn. Poi lanciai uno sguardo d’intesa con Niall.
-Che pezzo volete suonare?-.
 
 
 
 
 
                                                                                                                                                                Carol;
 
 
Spensi il motore della Volvo usata di Ally e raccattai la borsa abbandonata sul sedile del passeggero.
Il ristorante White Hall, dove avevamo prenotato il catering, mi aveva contattato d’urgenza per dei problemi con l’ordinazione. Così, ero subito corsa per parlarne direttamente con il proprietario del locale: l’ultima cosa che desideravo era mandare a monte la festa a sorpresa di Dave per uno stupido catering andato male.
Camminai sul selciato, uscendo dal parcheggio e raggiunsi l’entrata del ristorante. Avvertii subito il profumo di frutti di mare, poi il chiacchiericcio della clientela; infine, un sottofondo musicale e alcune voci giovanili.
Consultai il mio orologio: 5.30.
Troppo tardi per il pranzo e troppo presto per la cena: forse, si trattava di un matrimonio.
L’immensa sala da pranzo era completamente vuota, fatta eccezione per un gruppo di tavoli appartati. Tutti guardavano in direzione di un palchetto addossato alla parete dove alcuni ragazzi si stavano esibendo. Uno di questi, un biondino, era seduto su un alto sgabello con in braccio una chitarra classica e gli altri attorno cantavano a turno. Ma, uno dei ragazzi in particolare catturò la mia attenzione: un ricciolino dal profilo inconfondibile, alto e smilzo. Il cuore prese a martellarmi prepotente nel petto tanto che temetti che qualcuno tra gli invitati potesse udirlo dimenarsi.
Harry. Era lui, con la camicia sgualcita e il papillon allentato.
Che razza di donna ero, se bastavano un paio di occhi verdi e due fossette a fottermi il cervello?! Doveva essere per la sorpresa di incontrarlo al di fuori del contesto lavorativo: per la sorpresa e nient’altro.
Tutto ad un tratto, mi resi conto di indossare un orribile cardigan grigio fumo, di avere i capelli raccolti in una crocchia disordinata e una faccia decisamente inguardabile. Probabilmente un castoro in preda alle pulci sarebbe sembrato molto più affascinante di me in quel momento.
Avrei sempre potuto sgattaiolare furtivamente fino all’ufficio del ristoratore e tornarmene indietro senza essere notata. Così mi sarei risparmiata quel nano isterico di Rachel e il ricciolino tutto matto.
Non feci in tempo a pensarlo però che Harry incrociò il mio sguardo; rimasi paralizzata, incollata con le scarpe al pavimento. Sbatté un paio di volte le palpebre, meravigliato di trovarmi lì in mezzo (mai quanto me, ovviamente), poi, sulle labbra gli affiorò un sorriso.
Arrossii senza volerlo e distolsi lo sguardo, concentrandolo sul ragazzo che stava cantando in quel momento: sembrava un tipo particolare, con i capelli castani pettinati a schiaffo e il viso da folletto ribelle. Per non parlare, poi, di come fosse vestito: jeans skinny arrotolati sulle caviglie, bretelle, giacca varsity e t-shirt a righe. E una voce squillante e cristallina.
 
You can’t go to bed without a cup of tea
And maybe that’s the reason you talk in your sleep
And all those conversations are the secrets that I keep
Though it makes no sense to me


Poi fu il turno di Harry. La sua voce roca e profonda avvolse tutta la sala. Avvolse me.

I know you’ve never love the sound of your voice on tape
You never want to know how much you weight
You still have to squeeze into your jeans
But you’re perfect to me


Sarei dovuta andare di filato dal proprietario e invece indugiavo come un baccalà appeso.
Che diamine avevo per la testa? Dio, avrei tanto voluto prendermi a pugni.

I won’t let these little things slip out of my mouth
But if it’s true, it’s you, it’s you
They add up to, I’m in love with you
And all these little things


Harry mi sorrise di nuovo e riprese a cantare con gli altri. Li ascoltai ancora un po’, frastornata e debole e quando, dopo quelli che mi parvero secoli,  terminò l’esibizione, notai Harry che mi veniva incontro.
Così, da brava vigliacca finsi indifferenza, iniziando a frugare nella borsa alla ricerca di non sapevo bene cosa.
-Ciao-. Era stato come un soffio di vento. Vibrante. Caldo. Avvolgente.
Istintivamente, lo guardai. Le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni eleganti, i capelli arruffati, gli occhi tempestosi…e non potei fare a meno di pensare a quanto fossi orrenda quel pomeriggio.
-Ciao...- risposi incerta, dondolandomi sui talloni. Harry si guardò intorno, indeciso sulla domanda da pormi. Quando, però, mi piantò gli occhi addosso, parve di nuovo sicuro di sé.
-Come mai qui?- domandò curioso.
-Avevamo prenotato il catering per la festa a sorpresa di Dave, ma c’è stato un problema con l’ordinazione e sono passata a verificare. Non pensavo che il matrimonio fosse proprio qui- sottolineai. Scemo com’era avrebbe pensato che lo avessi scelto apposta per incontrarlo.
Annuì piano: per una buona volta anche lui sembrava a corto di parole.
Pensai freneticamente a qualcosa da dire per non fare la figura della stupida, ma mi resi conto ben presto di avere un blackout al cervello.
-Ti stai divertendo?- buttai lì, più per cortesia che per reale interesse; almeno, avevo articolato una frase di senso compiuto.
-Abbastanza-.
-Non sapevo cantassi.- osservai disinvolta.
-Sono un tipo pieno di sorprese.- celiò lui con un sorriso sornione.
Accennai ad una risata. -Siete…-. Tossicchiai, incredula di fronte a ciò che stavo per ammettere. –Siete bravi-.
-Grazie. Al liceo eravamo una band-.
-Davvero?! Figo!- esclamai colpita.
Proprio allora, però, una voce tremendamente squillante e stridula ci interruppe. –Amore, non vieni a ballare?-. Rachel si insinuò tra noi due indirizzandomi un’occhiata inceneritrice: teneva i capelli scuri sciolti sulle spalle, un tubino nero che la faceva apparire seducente e scarpe dal tacco vertiginoso. Non c’era confronto e la cosa mi faceva imbestialire.
Mi strinsi nel mio cardigan sformato, sentendomi insignificante; Rachel, da parte sua, si volse appena verso di me, squadrandomi da capo a piedi.
Pensai di strapparle di capelli, pensai di odiarla per averci interrotti.
-Oh,- fece come se mi avesse notata solo in quel momento. – Ciao…-. Assottigliò lo sguardo, cercando di ricordare.
-Carol.- le venni in soccorso.
-Carol, come va il giornale?-.
-Si tira avanti-.
-Harry mi ha detto che scrivete per la stessa rubrica-.
-Ogni tanto.- risposi evasiva. Volevo fuggire di lì il prima possibile, per evitare altre situazioni imbarazzanti e tornarmene a casa sana e salva. Per fortuna, Dio mi diede ascolto per una buona volta.
-Signorina, desidera qualcosa?- chiese in tono gentile un cameriere. Gli sorrisi riconoscente, distogliendo la mia attenzione dalla coppia. –Si, grazie. Avevo prenotato per il catering, ma mi hanno avvisato di un problema con l’ordinazione-.
-Prego, le faccio strada-.
Prima di andarmene, cercai Harry con gli occhi. -Allora, ciao-.
-Ciao…e fa gli auguri a Dave da parte mia-.
-Sicuro-. Caracollai dietro al cameriere, sollevata di essere fuggita dalla sala, avvertendo il peso del suo sguardo.
Una volta risolto con il proprietario del locale, percorsi a ritroso il corridoio e la sala, lui non c’era.
 
 
                                                                                                                                                                

                                                                                                                              Harry;

 



Slacciai la cintura di sicurezza e uscii dall’abitacolo dell'automobile. Rachel mi imitò. Era stata una giornata pesante e l’unica cosa di cui avevo davvero bisogno era un letto comodo e una tv satellitare funzionante.
-…Carol?-.
Mi stava rimbambendo riguardo al vestito della sposa. Cosa c’entrava Carol?
-Chi?-.
-Carol…quella tua collega…-.
-Ah-.
-Dico, hai visto come era vestita?-.
-Non ci ho fatto molto caso-.
-Indossava un cardigan orribile-.
-Non era mica ad un matrimonio, lei- tagliai corto. Non avevo voglia di parlare né di Carol né di niente.
Certo, incontrarla al White Hall mi aveva fatto piacere, ma non avevo intenzione di assecondare Rachel nei suoi trattati di moda.
Entrammo in ascensore.
Salutai Tom, il ragazzetto della porta accanto e Giselle, la casalinga fissata coi gatti.
-Eleonor mi sembrava sciupata…-attaccò Rachel, mentre le porte si chiudevano.
Mi grattai la fronte con il pollice, senza prestare ascolto alla mia ragazza.
-Rachel, secondo una statistica le donne più logorroiche riescono ad arrivare a 2omila parole al giorno. Sai, penso proprio che tu riesca a superare di molto questa cifra- affermai in tono incolore.
Lei mi guardò, socchiudendo appena le labbra. Poi sgranò gli occhi e scoppiò a ridere.
Una risata stridula e tremendamente fastidiosa. Feci una smorfia e sospirai notando l’occhiata indecifrabile di Tom. Giselle accarezzava il suo gatto.
In quel momento l’ascensore di arrestò.
Dovetti aggrapparmi alla sbarra per non perdere l’equilibrio e sostenni anche Rachel che barcollava pericolosamente sui suoi tacchi.
-Che succede?- domandò lei apprensiva.
-L’ascensore si è bloccato- fece Tom in tono tranquillo.
-Perfetto- bofonchiai. La mia serata per testare la comodità del divano e i colori dello schermo a plasma era andata a farsi benedire.
Afferrai il citofono interno per contattare il portiere.
-Mike?-.
-Si?-  mi rispose una voce maschile all’altro capo della cornetta.
-Sono Harry. Senti, l’ascensore si è bloccato all’ottavo piano…- non riuscii a finire. Rachel mi strappò di mano la cornetta e se la portò bruscamente all’orecchio.
-Mike, alza il culo e vieni a prenderci!- strepitò più isterica del solito.
La guardai sconcertato, poi mi riappropriai del citofono interno.
-Mike…Mike ci sei? Allora, chiama un addetto alla sicurezza e dì di venirci a prendere all’ottavo piano della scala C. Ricordati: ottavo piano della scala C- scandii bene per farmi capire.
Ad una risposta affermativa del portiere, riagganciai il telefono.
-Stanno arrivando-.
 
 
 
-Appena usciti di qui, cosa fareste?-. Era stata Giselle a chiederlo, mentre teneva fra le braccia il suo siamese.
Eravamo seduti per terra, con la schiena poggiata alla parete.
Tom ci pensò su. Poi rispose:- Credo che andrei da Jane e le darei un bacio. E’ una mia compagna di classe e mi piace tanto-.
Sorrisi divertito e aspettai che fosse Giselle a parlare.
-Io…cercherei mia madre per chiederle scusa. Non parliamo più da mesi dopo l’ultimo litigio-.
Presi a giocherellare con i braccialetti che avevo al polso.
-Io…-iniziai, non sapendo cosa dire.
-Se riesco a uscire di qui, mi faccio la plastica agli occhi- mi interruppe Rachel. Continuò a limarsi le unghie, fino a che il peso del mio sguardo non la costrinse ad alzare gli occhi.
-Che c’è?- abbaiò.
Ricambiai il suo sguardo e finalmente seppi cosa dire. O meglio, cosa fare.
 








Il myspace del capitolo precedente era decisamente troppo lungo. Così, almeno oggi cercherò di essere breve.
Il fatto è che adoro l’idea dello spazio autrice, perché è l’unico momento nelle mie storie in cui sono io a parlarvi e non i miei personaggi. Quindi…niente, mi piace dilungarmi più del dovuto.
Ma, oggi farò la brava. Promesso!!
 
Questo capitolo è stato un po’ un parto.
Nonostante i miei quattro giorni di ponte, ho avuto difficoltà a scrivere e l’ispirazione di tanto in tanto fa brutti scherzi.
By the way…Che ve ne pare? Sono molto curiosa di sapere le vostre opinioni.
E’ un capitolo importante, perché accadono tante  cose…e beh, c’è il matrimonio di Niall.
(Per inciso, ho inserito “Little Things” perché ho apprezzato molto il testo e gli accordi un po’ old style)…Harry? Cosa ha deciso di fare secondo voi?
Insomma, sono impaziente di leggere le vostre recensioni.
A proposito di questo, colgo l’occasione per ringraziare chiunque abbia recensito finora la storia, i 14 che la preferiscono, i 5 che la ricordano e i 24 che la seguono.
Non ho mai ringraziato le lettrici che mi hanno inserito tra gli autori preferiti. E’ stata una mia mancanza. Ma, ora lo faccio: grazie di cuore. Vi adoro :D
E infine, grazie mille ai lettori silenziosi. Spero che prima o poi vi facciate “sentire”.
Mi farebbe molto piacere xx

ah, vi prometto che tenterò di aggiornare con più frequenza. Giuro!!!!


Harry e Niall al matrimonio :D

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Capitolo 11
*** XI ***







Capitolo 11
 
                
                                                                                                                                                               Harry;

 


Esitai, prima di suonare il campanello del numero 15 in Magnolia Crescent.
Forse dormivano già. D’altronde era l’una passata, ragionai controllando il mio orologio. Non avrei voluto disturbarli, ma la prima persona che mi era venuta in mente era stata lui.
Sfregai le mani per scaldarmi e attesi finchè la porta non ai aprì: nel vano di luce si stagliò l’ombra di un ragazzo.
-Harry!- esclamò il mio amico, sgranando gli occhi. –Che ci fai qui?-.
Mi strinsi nelle spalle e improvvisamente mi sentii fuori luogo. Lui aveva la sua vita, una compagna con cui condividerla ed io non potevo intrufolarmi in casa sua per i miei problemi sentimentali, ma, ero arrivato fino lì e tornare indietro sarebbe stato sciocco e controproducente. Avevo preso la mia scelta e ne ero certo, stavolta era quella giusta.
-Posso entrare?-. Louis annuì, vagamente preoccupato e indietreggiò per lasciarmi passare.
-E’ successo qualcosa? Perché hai la valigia?- chiese senza prendere fiato, mentre entravamo nel salotto.
-Eleonor?- domandai io.
-Dorme di sopra.- fu la risposta. Posai il borsone sul tappeto rosso accanto al divano e lo guardai affranto.
-Ho lasciato Rachel.- sputai alla fine.
 
                                                                                                                                                                     
                                                                                                                                
                                                                                                                                  Carol;

 


Mi scolai l’ultimo drink della serata e mi alzai dal divano. O almeno ci provai. Con ogni probabilità assomigliavo più ad uno spaventapasseri che ad una ragazza presente a sé stessa.
Sistemai meglio il vestito che ormai andava dove gli pareva.
A pensarci bene, mi girava leggermente la testa, ma non ero ancora del tutto andata.
Salutai l’ultimo invitato della serata e chiusi il portone. Finalmente, silenzio.
Era stata una festa particolarmente divertente senza contare il fatto che la Reed si era scatenata sulla pista da ballo. Ridacchiai al ricordo.
Gettai alcuni bicchieri di plastica nel sacco nero dell’immondizia, mentre James toglieva le bandierine e lo striscione con scritto “Happy Birthday” dal soffitto.
Potevo udire benissimo la voce di Dave dalla cucina. Stava chiacchierando con Alyson.
Di tanto in tanto, la sentivo intervenire con qualche breve commento o una risatina sommessa.
Ero sicura al cento per cento che entro l’una e mezza Dave le avrebbe chiesto di uscire.
Dovevo concederle solo qualche altro minuto. Mi complimentai con me stessa. Avrei dovuto mettere su un’agenzia matrimoniale prima o poi.
-Carol, portatevi il resto della torta.- mi propose Dave dalla cucina.
-D’accordo- feci di rimando, incartando alcune fette.
Radunai il capotto e gli avanzi della cena.
-Si è fatto tardi. E’ ora di andare.- esordii rivolta ad Alyson.
-Grazie per la sorpresa: è stata una splendida festa- le parole di Dave mi giungevano attutite, lontane, insignificanti.
Risposi qualcosa di altrettanto insignificante e attesi che Alyson mi raggiungesse all’ingresso.
 
 

Appena entrata in casa, mi sfilai le scomodissime scarpe col tacco che Ally mi aveva costretto a calzare e mollai la porchette in soggiorno.
Camminai a tentoni, immersa nell’oscurità della stanza, tastando il muro alla ricerca dell’interruttore.
Dalle serrande abbassate per metà, penetravano spiragli di luce notturna, chiari e insondabili; di tanto in tanto si udiva il motore di un automobile che sfrecciava sull’asfalto bagnato.
Alyson si tuffò sul divano con un sospiro.
Le lanciai un sorrisetto divertito, quando finalmente raggiunsi la abat-jour sul tavolinetto accanto al televisore.
-Hai l’aria strana.- notai di un punto in bianco.
-In che senso?- soffiò lei.
Andai in cucina ed aprii il rubinetto.
-Sei più silenziosa del solito.- dissi lasciando scorrere il getto d’acqua fresca.
Ancora non potevo crederci di aver incontrato Harry al White Hall; senza contare le condizioni penose in cui si trovavano i miei capelli quando si era avvicinato per salutarmi.
-Allora è una cosa positiva-. La voce di Alyson mi fece tornare con i piedi per terra. Capii che stava sorridendo.
Non avevo idea che cantasse così bene.
Basta pensarci, Carol! Mi ripresi severa.
-Dipende dai punti di vista-.
Perché non mi ero lavata i denti prima di uscire quel pomeriggio?
Ben mi stava, avrei imparato a sistemarmi ogni volta che uscivo e non quando mi pareva.
Mi arrampicai sull’isola della cucina e lasciai penzolare le gambe fasciate nelle calze scure.
-Dave mi ha chiesto di uscire-.
Spalancai gli occhi e raddrizzai di scatto il busto.
-Me lo dici così?- sbottai incredula.
-E come dovrei dirtelo? Sentiamo-.
-Non lo so...ma, lo aspettavi da un sacco!-.
-Una notizia è bella indipendentemente da come la si annuncia- obbiettò lei.
Potevo scorgerle solo la cascata di capelli lunghi che scivolava da un bracciolo e i piedi appoggiati scompostamente sull’altro.
–Avanti! Sputa il rospo!- la incalzai impaziente.
Balzai giù dal tavolo e mi affacciai dallo schienale del divano.
Alyson fissava il soffitto con aria sognante.
-Sei cotta- decretai.
-Io non sono…- protestò lei arrossendo visibilmente.
-Oh, si che lo sei!- esclamai con enfasi. Le scappò una risatina nervosa.
Annuii con fare clinico. -Dave deve aver fatto proprio un bel lavoretto!- scherzai beccandomi un cuscino in faccia.
-Okay, questa forse me la meritavo.- concessi, stringendo il cuscino al petto e rannicchiandomi accanto a lei sul divano.
Quando smisi di sparare battute maliziose ed Ally riuscì a calmare l’eccesso di risa, rimanemmo in silenzio, ognuna immersa nei propri pensieri.
-E tu invece?- mi chiese dopo un po’ Alyson – Hai qualcuno?-.
Sollevai piano la testa e ricambiai il suo sguardo. Mi venne in mente Landscape.
Sorrisi impercettibilmente. –Ho il sogno di qualcuno-.
 
 
                                                                                                                                        Harry;
 


La debole luce che filtrava dalla finestra alla mia sinistra mi costrinse a socchiudere gli occhi.
Quello su cui ero sdraiato non era il mio divano; quello in cui mi trovavo non era il mio salotto, né tanto meno era mia la mobilia in legno che arredava la stanza; solo un borsone malridotto in un angolo e un giubbotto ancora umido di pioggia appoggiato alla spalliera di una sedia lo erano.
Soffocai uno sbadiglio e mi tenni su con i gomiti contro il bracciolo.
Avevo il collo indolenzito e la testa mi girava parecchio.
Sapevo dove mi trovavo; sapevo di aver fatto ciò che avevo fatto la notte prima e una parte di me urlava di tornare da Rachel.
Lasciando lei, avrei dovuto rinunciare anche ai suoi soldi e la cosa non mi andava a genio.
Non avevo mai navigato nell’oro, né lo stipendio da giornalista precario me lo permetteva, ma con Rachel era andato tutto alla grande: avevo il mio orologio, la macchina di lusso tanto desiderata e altri gingilli per montarmi la testa.
In quegli ultimi cinque anni ero stato un parassita; ero campato di una rendita non mia e mi disarmava il pensiero che fino ad allora non me ne fossi reso conto. Ci ero cascato in pieno e lei era stata brava a manipolarmi, a legarmi a sé con la storia dei soldi per impedirmi di vedere le cose chiaramente.
Bella merda, pensai pieno d’amarezza. Mi facevo schifo da solo. Tutti quei discorsi pieni di buoni propositi sul “l’essere onesti” e poi finivo a farmela con una che neanche mi piaceva davvero.
-Buongiorno-. Louis comparve sulla soglia del salotto con un vassoio in mano.
Mugugnai una risposta e mi riadagiai sul divano.
-Ti ho portato latte e cereali. Fai presto a finirli perché Eleonor  non sa che sei qui-.
-Non le hai detto nulla?- chiesi sorpreso.
-No e se scopre che stai mangiando sul suo divano, sono finito-.
Annuii frastornato e iniziai a trangugiare la colazione.
Louis si sedette di fronte. Aprì la bocca come se volesse dire qualcosa. Poi la richiuse di scatto e stette in silenzio.
-Amore...ci sono le fragole?- domandò all’improvviso una voce femminile dalle scale.
Louis scattò in piedi come una molla. -Vado a controllare!- urlò di rimando. “Sbrigati” mimò con le labbra rivolto a me.
Mi liberai del pile con cui mi ero scaldato durante la notte, mentre Louis sfrecciava via.
Udii il rumore di stoviglie, poi il frigorifero aprirsi. Misi da parte il vassoio.
-Si, tesoro. Ora te ne porto un po’-.
La testa di Louis fece capolino dalla porta scorrevole della cucina. -Cazzo, Harry! Devi andartene!-.
-Le scarpe!- esclamai io di rimando, tastando alla cieca sotto il divano.
Finalmente, trovai le mie Converse. Le infilai rapidamente e mi alzai.
Louis mi mise in mano la valigia e mi accompagnò all’uscio.
-Harry, mi dispiace…-.
-Non ti preoccupare-.
-Dico davvero…è solo che…-.
-Tranquillo. Non mi devi nessuna spiegazione-.
Abbozzai un sorriso che voleva essere rassicurante. Ricambiò.
-Okay. Ci sentiamo, Hazza-.
-Ciao-.
Mi voltai e attraversai il vialetto.
-Harry!-. La voce di Louis mi fece girare in automatico.
Incrociai il suo sguardo dispiaciuto e solidale.
-Hai fatto la scelta giusta. Non era per te quella-.
Mi sfuggì un sorriso sincero. –Grazie-.
-Figurati-.
La porta si chiuse ed io rimasi alcuni istanti immobile, cercando di tenere lontana la folla di pensieri che rischiava di investirmi da un momento all’altro.
Non feci nemmeno molto caso alla porta che si riapriva di nuovo.
Qualcosa mi colpì in piena faccia. Strinsi tra le mani il mio giubbotto.
-Ehi Cenerentola, hai dimenticato la scarpetta!-.
Il mio sorriso si allargò ancora di più. –Grazie- ripetei.
 
 
 
 
                                                                                                                                                                 Carol;
 

Appena misi piede fuori di casa, mi resi conto di aver dimenticato il cappello. Così tornai dentro a recuperarlo. Era un giornata ventosa: l’aria fredda mi sferzava il viso e mi intorpidiva le mani. Le sfregai per riscaldarmi e mi avviai verso la Volvo di Ally. Faceva troppo freddo per andare in Vespa.
Gettai la borsa sul sedile anteriore e mi posizionai al posto di guida; controllai lo specchietto retrovisore ed ingranai la retromarcia. La frizione era piuttosto dura.
Cercai una stazione radio decente e presi a canticchiare il ritornello della canzone che stavano dando in quel momento senza conoscerne neppure il titolo. Giunsi in redazione un quarto d’ora più tardi, di buonumore.
-‘Giorno Emily.- salutai raggiante la mia collega. Battei il cinque a James e sprofondai nella sedia girevole della mia scrivania. Mi sentivo allegra e senza un motivo ben preciso, come la pizza il sabato sera, o i film noleggiati assieme agli amici la domenica: non c’era una ragione, eppure al solo pensiero, nasceva un sorriso spontaneo.
-Che splendida giornata!- esclamai, incrociando le braccia dietro la nuca, prima che il rombo cupo di un tuono mi contraddicesse all’istante.
-Styles non sembra dello stesso avviso.- osservò James fissando un punto oltre le mie spalle. Ruotai leggermente il busto e vidi un Harry parecchio abbattuto che raggiungeva la sua scrivania.
-Pare che abbia visto un fantasma!- bisbigliò James. Gli feci segno di tacere e tornai al mio articolo sui fenicotteri.
 
 
 
                                                                                                                                                            Harry;
 

Era un giorno orribile. Anzi, orribile era dir poco.
Sarei tanto voluto rimanere al caldo, nel letto che non avevo.
Riflettendoci, quella mattina mi ero svegliato su un divano particolarmente scomodo, con il collo indolenzito e come se non bastasse, ero stato cacciato via a forza da Louis, prima che Eleonor si accorgesse di qualcosa. Si, era decisamente una giornata di merda.
-Harry, che hai? Hai una cera orribile.- osservò Dave. La sua scrivania era di fianco alla mia.
Spillai alcuni fogli e lo guardai. –Non è stata una bella serata ieri. Ho dormito pochissimo e male-.
-Rachel ti ha cacciato sul divano?- scherzò Dave, accennando un sorrisetto.
-Ci siamo lasciati-.
Dave cambiò espressione in un batter d’occhio. –Ah, scusa…me la potevo risparmiare-.
-Tranquillo.- lo rassicurai. –Non funzionava da tempo e così ho deciso di darci un taglio-.
-Ma, non abitavate assieme? Come farai ora?-.
Scrollai le spalle. Non lo sapevo e per il momento non volevo pensarci.
-A proposito, la festa è stata divertente?-.
-Molto. Davvero memorabile-.
 
 
 
Volevo scriverle. Volevo inviarle un’e-mail anche se questo andava contro le regole.
Di certo Annie Reed non sarebbe stata particolarmente contenta di sapere che uno dei suoi giornalisti trascorreva il tempo sul posto di lavoro, scambiandosi messaggi di posta elettronica con una completa sconosciuta, ma era sempre meglio tentare.
Presi coraggio e lasciai che le mani digitassero sulla tastiera i miei pensieri.
Premetti invio.
 
 
 
                                                                                                                                                                     Carol;
 
-Ti scrive ancora Landscape?-.
Distolsi lo sguardo dallo schermo del computer e lo puntai su James. I fenicotteri già mi mancavano.
-Si. Perché me lo chiedi?-.
-Devi piacergli molto se dopo un rifiuto continua a cercarti-.
A quelle parole un brivido mi percorse la schiena. -Può darsi.- dissi a stento.
-Dovresti uscirci-.
-Nemmeno per idea.- dissi perentoria.
-Carol, è solo un appuntamento!-.
Sbuffai teatralmente, scarabocchiando con la biro su un foglietto dove avevo appuntato un numero telefonico.
-Carol…-.
-Possiamo cambiare discorso, per piacere?- tagliai corto in tono seccato.
Aspettai che si fosse allontanato per salutare Emily ed entrai nel mio account; digitai la password e cliccai. Il caricamento durò alcuni secondi, poi si aprì la pagina del network. Avevo ricevuto un’e-mail.
Mio malgrado sorrisi nel constatare che il mittente era proprio lui.
 
Landscape scrive: Sono tornato a casa ieri sera e sono entrato in ascensore. Un’ora dopo sono uscito dall’ascensore con una valigia in mano e mi sono trasferito.
Ad un tratto tutto è diventato chiaro. E’ una lunga storia piena di quei dettagli personali che io e te evitiamo con tanta cura. Ti dico solo che c’era un ragazzino chiuso con me in ascensore che sapeva esattamente quello che voleva ed io mi sono trovato a desiderare altrettanto.
 
Rilessi l’e-mail più volte. Avvertivo uno strano vuoto allo stomaco.
Mi chiesi perché avessi rifiutato così categoricamente l’idea di conoscerlo. In fondo, eravamo così simili.
Mordicchiai il tappo della biro, distrattamente. Forse, il mio era stato un grosso errore.




HERE I AM. Probabilmente mi avrete dato per dispersa e sembrerà scontato, ripetitivo e forse anche falso, ma sono stata davvero indaffaratissima. Il trimestre è quasi finito e avremo le pagelle… e come potrete immaginare, ho trascorso interi pomeriggi sui libri.
A parte questo, spero che il capitolo non sia noioso. Purtroppo è di passaggio e non succede granché. Cercherò di rifarmi con il prossimo :)
Il fatto interessante è: Harry è di nuovo single. Non so voi, ma io non vedevo l’ora. (Missone-fare-fuori-Rachel compiuta).
Bene, vi avviso che i prossimi capitoli saranno incentrati sul rapporto tra Harry e Carol.
Finalmente, siamo arrivati al nodo cruciale della storia. Evviva!!!
Saranno capitoli piuttosto tranquilli, prima che si scateni la TEMPESTA.
Okay, credo di aver detto tutto.
Grazie a tutti coloro che recensiscono/preferiscono/seguono o ricordano la storia. Grazie a chi mi ha pubblicizzato (ancora non ci credo!!!!!) e a chi continua a leggere e basta.
Ovviamente, mi farebbe un grande piacere leggere i vostri pareri e i vostri consigli: perciò se avete un minutino di tempo e se vi va, lasciatemi una recensione. Ne sarei felicissima :)
Abbraccio forte,
Caty <3

 

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Capitolo 12
*** XII ***


      



Capitolo 12

 
 
                                                                                                                                                              Carol;
 
Quella fu la pausa pranzo più lunga di tutta la mia vita. Non che vi fossero mai state delle pause pranzo degne di nota nella mia carriera di giornalista, ma quella in particolare me la sarei ricordata per diversi anni.
Lanciai una rapida occhiata al tramezzino di fronte a me e alla fine cedetti alla tentazione: Emily ne approfittò per rubarmi un po’ di noccioline. La guardai storto per poi tornare a vedermela con il mio tramezzino.
Eravamo in un piccolo fast food di fronte alla redazione in compagnia di James, Harry e Dave.
Dave terminò di raccontare una barzelletta squallida ed io mi costrinsi a ridere.
-Ultimamente sei molto distratta.- osservò accanto a me Emily, mentre gli altri erano occupati a discutere di calcio.
-Non mi sembra-.
-Secondo me nascondi qualcosa…- soffiò Emily con un sorriso malizioso sulle labbra.
-Ovvero?- domandai temendo in cuor mio di sapere la risposta.
-Forse ti stai innamorando-.
-Emy, se io mi sto innamorando, allora James non è mai stato gay.- affermai convinta, incrociando le braccia al petto. Nello stesso istante, come a voler confermare le mie parole, Jam provò a palpare il didietro di Harry (con scarsi risultati, perché il ragazzo si alzò improvvisamente per rispondere al cellulare).
-Appunto.- rimarcai. Emily roteò gli occhi al cielo e decise di lasciar perdere.
Chi avrei per la testa, poi?,mi chiesi e senza volerlo la mia attenzione fu catturata dal ricciolino seduto di fronte a me: sembrava più silenzioso del solito, notai con disappunto. Forse, aveva litigato con la fidanzata. Forse si erano lasciati…Ma, cosa diavolo andavo a pensare?
Emily era quasi una sorella maggiore per me, ma stavolta era finita fuori strada.
Sbuffai e fu con rinnovato impegno, che tentai di inforcare (ancora una volta) un pisello perfettamente verde e tondo scivolato via dal tramezzino.
Un’ora più tardi ero di nuovo seduta alla mia scrivania, cercando l’ispirazione per l’inizio di un articolo.
Harry non mi aveva degnata di uno sguardo né prima né durante il pranzo. Poteva essere di malumore, forse aveva discusso con gli amici. Oppure gli era andata di traverso la colazione e aveva iniziato la giornata con il piede sbagliato. Allora perché continuavo a pormi domande inutili?
Con un moto di stizza chiusi il documento word. –Vado a prendermi un caffè!- annunciai a James seduto lì accanto. Afferrai il portamonete e scesi le scale persa nei miei pensieri. Arrivata al distributore però mi scontrai con qualcuno che tornava in ufficio.
Alzai lo sguardo pronta a ruggire contro chiunque mi avesse calpestato il piede, ma purtroppo mi ritrovai a fissare un paio di occhi verdi, terribilmente familiari.
-Potresti guardare avanti mentre cammini, per favore?- abbaiai nervosa.
-Sei nella mia stessa posizione.- mi fece notare il riccio con una punta di sarcasmo nella voce. Lo scostai bruscamente e presi a contare le monete che mi rimanevano. Evitare il contatto visivo, evitare il contatto visivo…
Ero consapevole che i miei sbalzi d’umore lo lasciassero perplesso, ma non potevo fare a meno di comportarmi così. In fondo era colpa sua se improvvisamente ero tornata spinosa e insopportabile. Era lui che mi aveva tranquillamente ignorata per l’intera mattina ed ora inciampava sul mio piede per caso e si decideva a salutarmi quasi con nonchalance.
Non poteva fare come gli pareva.
L’idea che il mio umore dipendesse dal modo in cui Harry mi dava il buongiorno, mi irritava terribilmente. Sarebbe stato meglio che non l’avessi incontrato ai distributori automatici.
-D’accordo. Oggi è un pessimo giorno- mi apostrofò in tono palesemente divertito.
-Lo è da quando mi sei piombato addosso- puntualizzai astiosa.
-Sei facilmente suscettibile allora-.
-Vuoi smetterla di provocarmi?- ringhiai, mentre mescolavo lo zucchero nel caffè caldo.
-Io non ho fatto nulla- obbiettò lui sconcertato.
-Bugiardo. Saresti convincente per una meno intelligente di me, caro mio. La verità è che tu non riesci a tenere la bocca chiusa-.
-La tua dote migliore è certamente la modestia, Hatton-.
-No, è la sincerità.- ribattei a tono. Eravamo pericolosamente vicini e mentre io dovevo fare i conti con il battito accelerato del mio cuore, lui non perdeva occasione per infastidirmi.
-Devi aver dimenticato di aggiungere un po’ di zucchero nel caffè. Altrimenti non saresti così intrattabile.- seguitò, indicando il bicchiere di carta bollente.
-Due cucchiaini-.
-Cosa?-.
-Nel mio caffè ci sono due cucchiaini di zucchero-.
-Allora non so come spiegarmi il tuo malumore-.
-Bene, ti lascio ai tuoi interrogativi. Fammi un fischio quando sei venuto a capo del problema-. Feci un passo laterale e lo superai. Avevo bisogno di un attimo di pace per riflettere. In poche parole: dovevo chiarirmi le idee. Indubbiamente provavo una certa attrazione nei confronti di Harry. La domanda era: di che natura? Semplicemente fisica, oppure qualcosa di più? E perché mi ostinavo a trattarlo con sufficienza nonostante non mi fosse affatto indifferente?
 
 
 
 
                                                                                                                                                                 Harry;
 
 

Le donne sono strane e più di tutte, Carol Hatton che non smetteva mai di stupirmi.
Il giorno prima al White Hall non aveva fatto altro che balbettare e arrossire e invece, contro ogni mia previsione, la mattina seguente tornava la solita iena assatanata: non vi era alcuna logica.
Mi era sembrato che i rapporti tra noi stessero migliorando e invece, ai distributori automatici era riuscita solo ad insultarmi.
La signorina doveva rivalutare le proprie priorità e magari evitare gli sbalzi d’umore in mia presenza, pensai infastidito mentre constatavo con rammarico che era finito l’inchiostro della mia penna.
Perciò, ribadisco: le donne sono strane. Per non parlare, poi, delle crisi isteriche di Rachel in ascensore e di Makemehappy che mi aveva rifiutato senza uno straccio di spiegazione.
-Harry, stavo pensando…-. La voce di Dave interruppe il filo dei miei pensieri. –Forse, potresti venire ad abitare nel mio appartamento. Almeno per qualche tempo…-.
-Grazie, Dave. Davvero, non ce ne è bisogno. Troverò una soluzione.- lo interruppi subito. Non volevo essere in debito con nessuno. Volevo cavarmela da solo.
-Dico sul serio, Harry. Il mio appartamento è abbastanza grande per entrambi. Quando avrai trovato un’altra sistemazione, te ne andrai-.
A onor del vero, stavo attraversando un momento difficile e di certo, non avrei rifiutato un aiuto. Soppesai le sue parole. –Sicuro che non ti dia fastidio?-.
-Scherzi?! Con un appartamento così grande potrei ospitare un’intera guarnigione-.
 

Infilai alcune scartoffie nella cartellina azzurra e la riposi nel primo cassetto a sinistra. Mi alzai, afferrai la borsa con tutti i miei vestiti e il giubbotto scuro.
L’ufficio era deserto. Dave era andato a casa: mi attendeva lì.
Camminai a passo lento, tra il mare di scrivanie vuote sotto la luce a neon artificiale e fredda; salutai la direttrice che si sarebbe trattenuta ancora un po' nel suo ufficio, e uscii dalla porta a vetri della redazione.
Gettai un sguardo verso il cielo serotino, nero come l’inchiostro e senza stelle per lo smog della città: sembrava riflettere il mio stato d’animo.
Mi strinsi nel cappotto, rabbrividendo. Non che non fossi riconoscente nei confronti di Dave che mi aveva offerto ospitalità, ma, dovevo ancora abituarmi al cambiamento.
Il suono di un clacson mi fece sobbalzare.
-Styles!-.
Voltai la testa di scatto e incrociai gli occhi lucenti di Carol che si sporgeva dal finestrino della sua Volvo malandata, all’entrata del parcheggio della Redazione. -Non torni in macchina?- mi domandò inaspettatamente.
La fissai disorientato: i suoi sbalzi d’umore iniziavano a darmi il tormento. –No…io…aspetto l’autobus-.
Aggrottò la fronte pensierosa, ma la contrario di quanto temessi, non indagò ulteriormente.
-Vuoi un passaggio?- si limitò a propormi.
Esitai solo per un istante. –D’accordo-. Aggirai il cofano dell’automobile e presi posto sul sedile del passeggero, accanto a Carol.
-Dove devo portarti?- si informò gentile. Deglutii a fatica con la gola secca e mi mossi a disagio sul sedile. –A casa di Dave-.
Avvertii il suo sguardo su di me e finsi indifferenza. -Come mai?-.
-Ehm, dormirò da lui per qualche giorno-.
-Ah-. Mi sarei aspettato qualche domanda indiscreta da parte sua, invece Carol rimase in completo silenzio. Forse, aveva intuito e dimostrava la delicatezza di non insistere.
-Che canzone era?- mi chiese d’improvviso, lasciandomi spiazzato. –Il brano che avete cantato al White Hall.- aggiunse notando il mio sguardo perplesso.
Se la sera prima io controllavo il gioco e lei era sembrata timida e impacciata, stavolta le parti parevano invertite. -Oh, era un nostro pezzo ai tempi del liceo. Un po’ melenso a dirla tutta…-.
Carol mi lanciò un’occhiata divertita, prima di tornare a fissare la strada. Svoltò a sinistra.
 –Si, solo un po’-.
Ridemmo, mentre l'atmosfera si faceva più rilassata, quasi serena.
-Facevamo impazzire tutte le ragazzine…-.
-Ti stai vantando per caso, Styles?- mi interruppe lei in tono giocoso. Scossi la testa con aria maliziosa e i riccioli ondeggiarono come molle e mi ricaddero disordinati sulla fronte. –Puoi metterla così se vuoi-.
-Sei un inguaribile sciupa femmine-.
-Non è vero. Non lo sono.- protestai offeso.
-Oh, si che lo sei. Ce l’hai nel sangue.- mi ammiccò. –Percepisci l’effetto che hai sulle donne e te
ne compiaci-.
-Non mi sembra una gran colpa-.
-Sei sfacciato, narcisista e troppo sicuro di te-.
-E’ vero.- ammisi con una scrollata di spalle. Lei inarcò un sopracciglio interdetta dalla naturalezza con cui lo avevo ammesso. Mi lasciai sfuggire un sorriso, mentre parcheggiava la Volvo di fronte al palazzo di Dave.
-Siamo arrivati.- annunciò sfilando la chiave e spegnendo il motore, e mprovvisamente provai il desiderio di prolungare la conversazione.
-Ho lasciato Rachel.- dissi secco. Volevo sputarlo fuori e in quel momento Carol mi sembrava la persona più adatta.
Lei, da parte sua, rimase impietrita.
-Non dici nulla?- la incalzai dopo un po’.
-Che vorresti che dicessi?- ribatté lei scostante.
-Non lo so-. Compresi che era una persona troppo discreta per pormi domande che mi avrebbero messo in difficoltà. Così, presi io l’iniziativa. –Non era la ragazza giusta…-. E mentre le parlavo della mia ex fidanzata, non facevo altro che pensare a Carol: non era semplicemente bella o sensuale. Non era una bellezza mozzafiato, di quelle che si possono ammirare sulle riviste patinate della moda; lei era…incantevole.
 
 
-Beh, ora vado.- conclusi dopo una quarto d’ora. Spalancai lo sportello dell’automobile e uscii dall’abitacolo.
Carol mi imitò. Stavo per avvicinarmi al portone d’ingresso del palazzo, quando lei mi trattenne per un braccio. -Aspetta-.
La fissai interrogativo, scoprendomi ansioso di sapere cosa avesse da dirmi. Forse mi avrebbe proposto di ospitarmi nell’appartamento che condivideva con la sua amica o forse voleva confessarmi di essere contenta che avessi lasciato Rachel…
-Guarda lì…- disse invece, puntando l’indice proprio verso il porticato di fronte.
Ubbidii, curioso di scoprire cosa avesse attirato la sua attenzione e sotto il vischio, illuminate dai lampioni, distinsi due figure; erano strette in un abbraccio amoroso e si baciavano lentamente.
-Dave?!- bisbigliai incredulo.
Carol mi zittì con un cenno della mano. –Quella non è la tua amica….Abigail, Anne…-.
-Alyson.- mi corresse.
-Perché si stanno baciando?- chiesi stupidamente.
-Che razza di domanda è? Si piacciono, sono usciti insieme e ora si baciano-.
Scossi il capo. –No, non ce lo vedo io Dave con una come…-.
-Vuoi chiudere il becco e seguirmi, per piacere?- sbottò lei. Con mia grande sorpresa, sentii il contatto della sua mano fresca e liscia. Strinse la presa e mi trascinò dietro la Volvo ammaccata; si rannicchiò e prese a spiarli di tanto in tanto.
-Posso sapere cosa stai facendo?-.
-Non possiamo interromperli. Dobbiamo aspettare che si salutino-. Sbarrai gli occhi esterrefatto, cominciando a domandarmi se fosse sana di mente o no.
-Certo.- dissi piano. Mi grattai la nuca pensieroso e feci per alzarmi. –Senti, non ho intenzione di aspettare che…-. Carol afferrò l’orlo della mia t-shirt e mi costrinse a tornare dietro lo pneumatico della ruota.
-Sai quanto ha dovuto penare Alyson per questo momento? E tu non puoi attendere qualche minuto in più?- mi riprese furiosa. La trovai irresistibile con le guance arrossate e le mani sui fianchi come la mamma che scopre il figlio a rubare marmellata dalla dispensa.
Quella che avevo davanti non sembrava affatto la Carol di qualche settimana prima.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
A gran richiesta dei lettori (non è vero, non mi caga nessuno), ecco il dodicesimo capitolo di Penfriends. Tralasciando il disastroso ritardo con cui posto in questo periodo (fate conto che sia prostrata a terra sui ceci per farmi perdonare), credo lo troviate piuttosto deludente, ma sono a corto sia di tempo che d’ispirazione. Non solo in ritardassimo, ma anche con un capitolo-cacchetta, direte voi. E avete perfettamente ragione.
Non ho neanche potuto rileggere il tutto, perciò mi scuso per gli eventuali errori!!!
Oggi è il mio schifo-day: dico più parolacce del solito e i capelli sono un disastro, ma non ho il tempo di lavarli perchè devo studiare le Catilinarie di latino e (udite, udite…) Canterbury Tales di inglese. C’è sciopero dei mezzi domani, quindi non verrà quasi nessuno. Ergo, verrò interrogata in entrambe le materie…e non ne ho la minima voglia :S
Riguardo alla storia (sicuramente più interessante delle mie ciance), diciamo che ho un’ideona che dovrebbe esserci tra qualche capitolo, ma intanto non so come riempire gli altri :S
Okay, Okay…smetto di rompere.
Ringrazio i cinquanta che seguono la storia, gli undici che la ricordano e i venticinque che la preferiscono. Un grazie speciale a chi continua a recensire, nonostante il mio caratteraccio stia peggiorando di giorno in giorno, e a chi mi ha inserito tra gli autori preferiti;  grazie anche ai lettori silenziosi xx …Davvero, devo molto ad ognuno di voi u.u  
Come sempre, mi farebbe tanto piacere leggere le vostre opinioni in proposito (si accettano anche insulti!!! Ahaha) e niente…fatevi sentire ;)
 
  

Ho pensato di rispondere alle recensioni una volta postato il capitolo seguente, così eviterò di dimenticarmi di avvertire le autrici che vorrebbero essere avvertite dell'aggiornamento. Basta. Mi dileguo.
 

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Capitolo 13
*** XIII ***


     

 Capitolo 13
 

                                           
          Carol
 
 
-Passami il puntale rosso- ordinai, finendo di sistemare le luci dell’albero di Natale.
-Quest’anno è meglio del solito- constatò Alyson. Frugò in uno degli scatoloni sparsi nel salotto e dopo qualche istante sventolò in aria il puntale. Me lo porse.
-Pensi che Dave mi faccia una sorpresa per Natale?-.
Mi agitai sulla scala rischiando di perdere l’equilibrio. –Sarebbe da lui- mi limitai a dire.
Alyson non sembrò soddisfatta della mia risposta. –Sai qualcosa?-.
La squadrai con espressione fintamente oltraggiata. –Credi davvero che non te lo riferirei?-.
-Già, che stupida- convenne lei mordicchiandosi il labbro inferiore.-Odio le sorprese-.
-La tomba di una relazione è il cadere nella monotonia- recitai incolore.
-Scommetto che l’hai trovata in una rivista per tredicenni sentimentali-.
-No, è qualcosa che sanno tutti. Come la statistica che dice che in pratica dopo il matrimonio l’attività sessuale della coppia diminuisce del quaranta per cento. Quaranta per cento?! Sai che significa?- tergiversai.
Scosse la testa perplessa.
-Significa che invece di farlo nella vasca da bagno o sul pavimento della cucina ogni volta che lo desiderate, il massimo dell’erotismo per voi sarà scegliere un giorno fisso alla settimana in cui lui aspetta che tu finisca di lavarti i denti a letto e con un orribile pigiama a righe-.
-Ed è sbagliato?-.
-Non è spontaneo- feci con ovvietà.
-Perciò la conclusione è non sposarsi?-.
-E’ evitare che un rapporto rimanga intrappolato nelle maglie della banalità-.
-Questa invece dove l’hai letta?- celiò Alyson.
Sbuffai, senza riuscire a reprimere un sorriso. Scesi dalle scale e osservai il risultato del nostro lavoro.
Dopo aver riposto gli scatoloni degli addobbi nello stanzino, uscimmo per comprare il regalo di Dave.
-Hai una vaga idea di dove potremmo iniziare?- indagai, mentre lei giocherellava con l’impianto di riscaldamento della vecchia Volvo. –No-.
-Fantastico-.
-Carol?-.
-Mh?-.
-Tu…sul pavimento della cucina…non…?-.
-Scherzi? Le mattonelle di ceramica messicana sono durissime-.
 
 
 
-Quando si è in difficoltà un buon libro è sempre la soluzione al problema- provai di nuovo ficcandole sotto il naso un manuale di cucina.
-Non sono sicura che sia il genere di lettura che Dave apprezzerebbe-.
-Un provetto cuoco per fidanzato non è mica male…-minimizzai.
-Preferirei passare oltre-.
Sbuffai esasperata e con un gesto secco della mano spinsi indietro i capelli che persistevano a coprirmi il viso. -Il profumo è troppo personale, i vestiti banali, niente cuscini a cuore o dediche sdolcinate e i suoi gusti musicali si riducono ai Pink Floyd e si da il caso che abbia già l’intera collezione. A questo punto penso che dovrebbero ideare una linea di regali solo per te e Dave-.
-Tu hai altre idee?-.
-Potresti regalargli un paio di mutande. Si, un paio di belle, larghe, buffe mutande a pois. Sarebbe l’antisesso fatto persona e tu eviteresti di passare il prossimo weekend nel suo cottage in campagna-.
-Pare quasi che ti dispiaccia.- mi stuzzicò lei arricciando il naso.
-Affatto. Io avrò il nostro appartamento a disposizione per una notte di fuoco e tu il legno ammuffito di una vecchia capanna. Trai tu le conclusioni.- argomentai con un velo di ironia nella voce.
-Sopravviverò-.
Ridacchiai. –Vacci piano, Ally-.
-Devo rassegnarmi ed accettare le tue battutacce squallide!- mi rimbeccò lei.
Scoppiammo a ridere insieme, mentre la gigantografia di Ken Follett ci osservava con cipiglio dalla vetrina della libreria.
Sorridevo ancora, quando il telefono di Alyson cominciò a squillare.
-Pronto?-. Qualcuno all’altro capo della cornetta le rispose. Mi parve una voce maschile.
“E’ Dave”mimò lei con le labbra.
-Ciao, Dave-.
Seguì una breve risata forse per una battuta di lui.
-Davvero?-.
Mi allontanai per concederle un po’ di privacy e finsi di osservare le pubblicità che trasmettevano nei maxischermi del centro commerciale.
Una manciata di secondi dopo, Alyson mi venne incontro con un sorriso sulle labbra.
-Allora?-.
-Niente…voleva sentirmi. Mi ha chiesto se ci va di fare un salto a casa sua. Ci sono anche Harry e qualche amico-.
Quel nome mi provocò una scarica elettrica lungo la colonna vertebrale. Il giorno prima avevamo aspettato dietro la monovolume di Ally che lei e Dave decidessero di separarsi. Avevamo atteso insieme, imbarazzati…felici. E infine ci eravamo salutati con un bacio sulle guance.
L’idea di incontrarlo al di fuori del lavoro non mi dispiaceva. Per niente.
-D’accordo-.
 
 
 
                                                      Harry
 
 
 
Quando avevo attraversato il soggiorno per andare ad aprire, mi ero chiesto perché i miei amici fossero così in anticipo.
-Hazza!- aveva esclamato Louis solare come sempre. Liam mi aveva lasciato tra le mani una scatola di cioccolatini dal fiocco sgargiante e Zayn aveva indicato il nuovo videogioco che voleva mostrarmi.
Niall invece mi aveva inviato una cartolina dalla suo viaggio di nozze in Cornovaglia e lasciato un messaggio nella segreteria telefonica.
-E’ un sacco che non organizziamo una delle nostre rimpatriate- osservò Louis, mettendo un piede nell’atrio.
Gli presentai Dave.
-Scusaci per l’intrusione-.
-Non vi preoccupate. Tanto è una serata particolare e verranno anche altre persone-.
-Chi?- mi intromisi io, rigirandomi la scatola di cioccolatini tra le mani.
-Ally e Carol-.
Carol. La sera prima mi ero inginocchiato accanto a lei, con le mani intrecciate alle sue, in una situazione quasi ridicola. E avrei voluto baciarla. Baciarla fino a non respirare. Ma, avevo desistito pensando che dietro lo pneumatico di una ruota non fosse il luogo più romantico del mondo per un bacio come si deve.
La realtà però era un’altra: temevo, anzi, ero terrorizzato all’idea che potesse respingermi.
Il mio orgoglio di maschio alpha ne avrebbe risentito parecchio e non volevo. Dopotutto avevo lasciato Rachel da pochi giorni.
-Harry?-.
-Eh?-.
-Scommetto che non hai ascoltato una parola di quello che stavamo dicendo-.
-Ehm…-.
-Il modo migliore per dimenticare una donna è giocare alla Play Station con gli amici!- mi mise al corrente Zayn, trascinandomi senza tanti complimenti nel salotto e prendendo posto sul divano.
Mezz’ora dopo eravamo tutti assorti in una memorabile partita ad Assassin’s Creed Revelation.
Tanto assorti da non accorgerci neanche del trillare impaziente del campanello.
-Devono essere Ally e Carol!- urlò Dave dalla cucina. –Puoi andare ad aprire tu, Harry?-.
Mi alzai pigramente dal divano, intimando a Louis di interrompere la missione del gioco.
Nei pochi secondi che trascorsero per raggiungere la porta, mi chiesi come si sarebbe comportata Carol. Con ansia crescente, posai la mano sulla maniglia.
-Ciao- sorrisi all’amica per poi soffermarmi un istante di troppo su Carol.
Lei ricambiò il mio sguardo, serena. –Ciao, Harry-.
-Entrate, prego. Come va?-.
-Niente di nuovo…-.
Liberai Alyson del cappotto e feci per indicarle il corridoio, ma lei mi superò spedita lasciandomi solo con Carol.
Mi dondolai sui talloni indeciso. –Vuoi…vuoi darmi il tuo cappotto?-.
Lei annuì lentamente. Se lo sfilò e me lo porse.
-Allora, come ti trovi con Dave?- mi domandò per spezzare la tensione.
-Bene. E’ molto disponibile. Sono contento di vivere con lui-. Perché stavo parlando a monosillabi?
-Mi fa piacere- commentò semplicemente.
Zayn doveva aver perso la partita sul più bello, perché le sue imprecazioni giunsero chiare fino a noi.
Carol corrugò la fronte, disorientata nel sentire una voce sconosciuta.
-Sono…sono alcuni miei amici.- mi affrettai a spiegare. - Vieni, te li presento-.
 
 
 
      
                                                  Carol
 
 
La sua mano sfiorava appena la mia schiena. Un gesto casuale, solo per guidarmi in salotto, ma che mi fece andare a fuoco.
Dalla prima porta a sinistra provenivano delle voci giovanili e scherzose.
Appena entrata, il mio sguardo si focalizzò sul ragazzo poggiato contro lo schienale del divano.
Il capo gettato all’indietro e gli occhi stretti in due fessure per le troppe risate; capelli scuri e arruffati, volto affilato. Era il ragazzo che avevo sentito cantare al White Hall assieme ad Harry. Accanto a lui, vi era un giovane a braccia conserte, leggermente imbronciato, dalla pelle ambrata e gli occhi neri come l’inchiostro. Riconobbi anche lui.
-Non ditemi che Louis lo ha di nuovo battuto?- esordì Harry affiancandomi.
-Hai indovinato- replicò un ragazzo dall’aria mite e lo sguardo nocciola seduto in disparte.
Harry rise. –Dai, Zayn. Non te la prendere!-. Poi si volse verso di me. –Ragazzi, questa è Carol.
Una collega-.
Provai risentimento. Mi aveva definito una “collega”. Avrebbe potuto chiamarmi in molti modi, anche…”amica”. Ma, forse per lui non lo ero ancora.
Improvvisamente mi colpì la consapevolezza che Harry avesse una sua vita oltre al giornale e che io non ne facessi parte in alcun modo.
-Piacere, Liam.- strinsi la mano al ragazzo che poco prima aveva risposto ad Harry e sorrisi agli altri due.
-Sono Louis-.
-Zayn-.
-Tanto piacere-.
-Cosa vi offro da bere?- ci interruppe Dave. –Ciao, Carol!- mi accolse gioviale.
Ricambiai. –Per me una birra va più che bene- aggiunsi.
-Anche per me, grazie-.
-D’accordo. Porterò solo birre-.
Scomparve di nuovo in cucina e tornò un minuto dopo con bicchieri e bottiglie.
Alyson volteggiò attorno a noi come una farfalla e infine si accasciò sul divano, di fianco a me.
-Fra poco è Natale. Avete progetti in mente?- domandò Dave versando un po’ birra nel mio bicchiere.
-Io torno per una settimana dai miei- fece Harry, colpendo Louis con un cuscino.
-Di dove sono?- mi sentii dire all’improvviso.
-Holmes Chapel- rispose e notando la mia occhiata perplessa, precisò:- Nel Cheshire, a sud di Manchester-.
-Scommetto che è una di quelle cittadine pittoresche e idilliache-.
-Lo è- confermò lui.
-Allora perché ti sei trasferito a Londra?-. Forse era stata una mossa azzardata la mia, ma la curiosità aveva preso il sopravvento sul buonsenso una volta tanto.
-Perché a vent’anni Holmes Chapel cominciava ad andarmi stretta. Rimanere lì significava non spiccare mai il volo. Ed io non desideravo altro che quello-.
Mi rigirai il bicchiere colmo di birra tra le mani. –Vi ho sentito cantare al White Hall. Per caso passavo di lì la settimana scorsa e ho incontrato Harry. Siete bravi. Eravate una band?-.
-Si, ai tempi del liceo- rispose Louis. –Era diventato un po’ il nostro sogno. Volevamo…sfondare nel mondo della musica. Sembra ridicolo adesso a pensarci-.
-Era un bel sogno invece.- dissi. Il peso del suo sguardo mi costrinse a voltarmi e quando lo feci i suoi occhi verdi mi tolsero il respiro.
 
 
 
 
Ehilà! :)
Eccomi qui con il tredicesimo capitolo.  Deluse? Contente? Indifferenti? Insomma, sono curiosa di sapere cosa ne pensate. Non accade nulla di ché è vero, ma ve lo avevo annunciato che ci sarebbero stati dei capitoli un po' di passaggio. Dal prossimo in poi si scatenerà uan serie di reazioni a catena incontrollabili e ci saranno i CASINI. Il povero Harry ne vedrà di tutti i colori!!!! hahahah
Bene, stranamente non ho nient'altro da dire. Mi resta solo che fare i ringraziamenti, a tutti coloro che hanno speso iil loro tempo per recensire, a chi ha inserito la storia  tra le preferite/seguite e ricordate. Grazie a chi legge e non si fa "sentire" e a chi invece mi ha inserito tra gli autori preferiti. Grazie davvero a tutti, non ce la farei senza di voi :)
Spero di non avervi deluso e di non deludervi in futuro.
Abbraccio forte,
Caty <3



  
 

 
 
 

ah, ecco. Come al solito mi dimentico sempre qualcosa ufff...dunque ho scrityo un Os originale che a dirla tutta è autobiografica!! Ci tengo tantissimo e...mi farebbe piacere sentire un vostro parere :)

Eccola qui:  Memorie di una squilibrata

 


 

 

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Capitolo 14
*** XIV ***


           

Capitolo 14
 

                                                   
                                                                  Carol
 
P
ioveva a dirotto.
L’unico rumore di cui ero realmente consapevole era quello dei tergicristalli sul parabrezza della vettura.
Il resto era lontano e soffuso.
Due occhi verdi e tempestosi mi balenavano in mente di continuo. Avvertivo ancora l’odore di birra e menta, il suono delle nostre risate che si infrangeva contro i muri chiari del salotto, che riempiva l’aria e si amalgamava con il resto; ripensavo a noi due soli nella cucina di Dave.
Gli amici di Harry se ne erano andati da qualche minuto ed Alyson e il suo nuovo fidanzato erano usciti in balcone per fumarsi una sigaretta.
Harry ed io allora ne avevamo approfittato per smezzare l’ultima birra della serata. Avevamo chiacchierato a lungo, del più e del meno, raccontando aneddoti divertenti e ricordi qualunque.
All’improvviso ero scoppiata a ridere per una sua battuta. Mi aveva imitato pieno d’ilarità e muta soddisfazione per avermi divertito ed una frazione di secondo più tardi, in un gesto rilassato e quasi intimo, aveva intrecciato le sue dita lunghe e affusolate alle mie candide e sottili.
Avevo cercato i suoi occhi, in cerca di risposte e lui aveva ricambiato tranquillamente il mio sguardo, sicuro che quella fosse la cosa giusta da fare in quel momento.
Avevamo finito la birra insieme, tenendoci per mano senza alcuna spiegazione logica.
Mi domandavo cosa avrebbero detto Ally e Dave se ci avessero visti così. I quadretti amorosi mi nauseavano e lo faceva ancora di più l’idea di ciò che la gente avrebbe potuto pensare. Ma, non vi era stata alcuna irruzione o domanda inopportuna. Nulla aveva interrotto il nostro momento.
Per tutto il tempo avevo trattenuto il respiro, come in apnea pregando per prolungare il più possibile quel contatto.
Lanciai un’occhiata di sottecchi ad Alyson che guidava un po’ assonnata per poi tornare a fissare la strada. I polpastrelli ancora mi bruciavano per la stretta grande e calda di Harry.
Una parte di me avrebbe voluto ricambiare in qualche modo il suo gesto, l’altra si ribellava sistematicamente.
Probabilmente finii per addormentarmi durante il tragitto, perché mi parve di arrivare a casa in un baleno.
Nel dormiveglia, sentii Alyson spegnere il motore. Le luci interne dell’automobile si accesero non appena lei spalancò lo sportello.
-Carol, ti conviene scendere dalla macchina se non vuoi dormire qui- mi avvertì sommessamente la mia amica.
Mugugnai un “arrivo” in risposta e la seguii sotto la pioggia battente.
-Non devi confidarmi nulla?- mi domandò Alyson mentre sfregavo la suola delle scarpe sullo zerbino.
Sollevai uno sguardo interrogativo. Scossi la testa.
-Sicura?- insistette.
-Ally, dove vuoi andare a parare?- le chiesi a mia volta.
-Beh, tu ed Harry siete rimasti soli per parecchio e nonostante questo, nessuno di voi due ha minacciato di dare forfait.- spiegò lentamente, entrando nel salotto e gettando senza cura il cappotto e la borsa sul divano. –Perciò ci dev’essere qualcosa sotto…-.
Sbuffai e mi diressi di filato in cucina per setacciare il frigorifero da cima a fondo, ignorando volutamente le sue insinuazioni.
Alyson colse al volo il messaggio. -Okay, ho capito. Io vado a letto-. Si lasciò sfuggire uno sbadiglio.
-Buonanotte-. Dovettero trascorrere solo pochi istanti, prima che tornasse ad appoggiarsi allo stipite della porta. –Carol, le storie fra colleghi procurano solo guai. Lo dico per esperienza personale-.
-Buonanotte.- ribadii atona senza smettere di contemplare con aria desolata la dispensa vuota.
Ascoltai l’eco dei suoi passi leggeri nel corridoio e quando fui certa che si stesse svestendo in bagno, accesi il computer portatile e una volta aperto il browser, digitai l’url nella barra di ricerca. Aspettai i dettagli del login e inserii il nickname e la password.
Ultimamente io e Landscape ci contattavamo negli orari più improbabili. Attendevo per tutto il giorno il momento delle nostre chiacchierate notturne.
Mentre controllavo le nuove e-mail ricevute, ripensai alle ultime parole di Alyson.
Non avevo mai approvato il metodo del “chiodo schiaccia chiodo”, ma forse per una volta, potevo permettermi un’eccezione.
Quando finalmente Landscape mi inviò un messaggio, mi apprestai a rispondere con nuovi propositi in mente.
 
 
 
 
                                                           Harry
 
-Sembra che tu e Carol andiate finalmente d’accordo.- asserì Dave, infilando in un sacco di plastica nero le bottiglie di birra vuote. -Non esagerare.- minimizzai con una smorfia.
Gettò un’occhiata oltre la mia spalla, verso lo schermo del computer. -Che stai facendo?-.
-Niente…-.
Per niente soddisfatto dalla mia risposta evasiva, assottigliò lo sguardo. –Stai…su un social network?-.
-Cosa c’è di male?- domandai sulla difensiva.
-Ti è arrivata un’e-mail.- mi distrasse lui.
Il mio sguardo saettò subito alla ricerca del nickname del mittente. Era lei.
-Non la leggi?-.
-Dave, non ti hanno insegnato che è reato leggere la corrispondenza altrui?-.
Alzò le mani in segno di resa. –Come vuoi. Scommetto però che si tratta di una ragazza-.
Mi limitai a sorridergli. –Lo sapevo!- lo sentii ridacchiare dalla cucina.
Finalmente abbassai lo sguardo per leggere il messaggio di Makemehappy.
 
 
Makemehappy scrive: Credi ancora che dovremmo conoscerci?
 
 
Landscape scrive: Sicuro! Dimmi quando e dove…ed io ci sarò!
 
 
 
                                                                 Carol
 
Decine di dita correvano leste su decine di tastiere di altrettanti computer.
Quel ticchettio imperterrito cominciava ad innervosirmi, mentre attendevo impaziente che Annie Reed mi rivelasse il motivo di quella convocazione nel suo ufficio ad un orario così insolito.
Erano appena le dieci di mattina e doveva ancora assegnare le testate.
Iniziavo a chiedermi che fine avesse fatto la direttrice, quando finalmente la porta si spalancò ed  Annie entrò seguita da…Harry.
-Siediti, Styles.- ordinò perentoria, indicando una sedia dall’aria scomoda proprio accanto alla mia.
Il ragazzo obbedì senza fiatare.
-Dunque- esordì la direttrice, una volta accomodata sulla sua poltrona girevole. –Avete fatto un ottimo lavoro assieme e per questo ho intenzione di affidarvi un articolo particolarmente importante per domani mattina-.
-Riguarda sempre la rubrica di Carol?- si interessò il ricciolino.
-Naturalmente. Si tratta dell’anteprima mondiale di Enjoy the silence, stasera alle otto e mezza al cinema Empire. L’attenzione mediatica schizzerà alle stelle e voi dovrete essere lì per intervistare gli attori-.
Un minuto dopo, Harry si chiudeva la porta alle spalle, con aria soddisfatta.
Si sfregò le mani. –Perfetto: per domani scriveremo un articolo bomba. Saremo in prima pagina!- esultò. Osservai il sorriso innocente che gli comparve sulle labbra sottili e istintivamente gli angoli della mia bocca si piegarono all’insù. Risi leggermente. Enjoy the silence era uno dei film più attesi del momento e la nostra era un’occasione irripetibile.
-Dai, ti offro una cioccolata calda per festeggiare-.
-Non c’è alcun bisogno…-protestai io sorpresa e al tempo stesso lusingata. Appena qualche settimana prima mi sarei dimostrata molto più diffidente nei suoi confronti, invece in quel momento non vedevo l’ora di accettare.
-Niente storie!- mi liquidò lapidario lui. 
Così alla pausa delle undici, infilai il cappotto e lo seguii nella caffetteria all’angolo della strada.
I campanelli e gli scacciapensieri appesi all’interno trillarono, sbatacchiati dalla porta aperta.
Nonostante il locale fosse sovraffollato, scovammo un posto libero proprio accanto alla vetrina.
-Meglio di nulla.- commentò Harry abbassandosi il cappuccio della felpa e ravvivandosi i riccioli in un gesto automatico.
Io appoggiai la sciarpa e il giubbotto sullo schienale della sedia. Poi mi sedetti, imitata da Harry.
-Come preferisci organizzarti per stasera?- mi chiese.
-Pensavo di…- iniziai, ma venni interrotta da una cameriera che aveva intercettato il segnale di Harry poco prima.
-Cosa ordinate?- domandò con un block notes in mano.
La voce roca di Harry precedette la mia. -Per me un pancake allo sciroppo d’acero e per la signorina una cioccolata calda alla menta-.
-Arrivano subito.- si congedò la cameriera. Si sistemò meglio il grembiule sgualcito e tornò dietro il bancone. Il ragazzo la seguì con lo sguardo, per poi puntare i suoi occhi verdi su di me.
-Che stavi dicendo prima che ti interrompessi?-.
-Che…potremmo incontrarci direttamente davanti all’Empire-. Forse era una mia impressione, ma notai, o almeno così mi parve, una punta di delusione nel sorriso che mi rivolse.
-D’accordo. Allora ci vediamo alle otto e mezza-.
Mentre io sorseggiavo la mia cioccolata calda e lui consumava il suo pancake, ci ritrovammo a chiacchierare dei nostri studi universitari.
-…ogni sabato salivamo sul treno per Londra ed Alyson mi costringeva a calzare i tacchi. Una volta finii per camminare scalza per il parco, con una vescica enorme sul tallone e le scarpe in mano!-. Scoppiai a ridere nel ricordare le occhiate di disapprovazione che mi lanciavano i passanti ed Harry mi seguì a ruota, divertito anche lui dall’aneddoto.
-Quindi siete amiche da molto tu e Smith?- mi chiese retorico.
-Si, dal college più o meno. Lei studiava Arte e Design di Interni, io Lettere e Scienze della Comunicazione. Siamo capitate in stanza assieme e abbiamo subito legato, ma Ally ha lasciato gli studi un anno prima di terminare il ciclo e così abbiamo interrotto i rapporti. Poi ci siamo rincontrate a Londra qualche anno dopo. Io ero a caccia di un affitto ragionevole e lei di una coinquilina simpatica: perciò mi ha proposto di andare ad abitare nel suo appartamento ed io ho accettato.- raccontai con un sorriso.
-Siete…uno strano assortimento.- commentò semplicemente Harry.
-E’ vero.- ammisi. Presi ad ispezionarmi le unghie per sfuggire al suo sguardo penetrante.
Harry invece consultò il suo orologio da polso. –Dobbiamo tornare in redazione.- annunciò con un velo di rammarico nella voce.
Pagò il conto e mi condusse fuori.
L’aria gelida mi schiaffeggiò le guance. La vicinanza di Harry però bastava a scaldarmi.
 
 
 
                                                             Harry
 
-E niente pomiciate al cinema!- si raccomandò Dave, mentre uscivo di casa.
Risposi con una profonda risata. –Contaci!-.
Per raggiungere l’Empire presi in prestito l’automobile di Dave, una BMW metallizzata. A Dicembre le strade si illuminavano di luci ed insegne lampeggianti, ma l’atmosfera natalizia 
sembrava contrastare con l’isterismo dei londinesi a caccia degli ultimi regali.
La trovai dove ci eravamo dati appuntamento, intenta a ripararsi dalla pioggia. I capelli color miele raccolti in una massa di riccioli, le scendevano a cascata sulle spalle e sulla schiena in capricciose spirali e il cappotto grigio lasciato sbottonato sul davanti lasciava intravedere un vestito rosso.
-Scusa. Sono in ritardo...lo so. Ma, ho trovato traffico.- ansimai, non appena le fui accanto.
-Non preoccuparti.- mi rassicurò. Da lei mi sarei aspettato una risposta scorbutica e tagliente, che avrebbe messo fine alla conversazione, invece il suo tono fu gentile.
All’entrata dell’Empire, erano già assiepati giornalisti e fotografi.
-Carol!- qualcuno tra lo stuolo di paparazzi la chiamò.
Lei fece vagare lo sguardo intorno a sé, poi sorrise rivolta ad un ragazzo alto e moro. –Ciao, Steve!-.
-Sono tue le prossime foto!- ammiccò in tono seducente lui. La confidenza che pareva riservarle mi infastidì.
-Grazie mille-. Carol si voltò verso di me. –Steve è uno sciupa femmine incallito, ma mi vende le foto a poco.- spiegò a bassa voce.
Il regista e gli attori fecero il loro ingresso una ventina di minuti più tardi. Poco dopo venne proiettata la pellicola.
-Questo film è peggio del previsto.- bofonchiai dopo un’ora e un quarto di noia.
-Non manca molto.-mi consolò Carol senza staccare gli occhi dallo schermo.
Con naturalezza, feci scivolare il mio braccio lungo lo schienale del suo sedile, sfiorandola appena. Non volevo rimorchiare, solo attirare la sua attenzione. La vidi irrigidirsi, consapevole della nostra improvvisa vicinanza e il suo disagio mi fece sorridere. Feci finta di nulla.
-Lo spero- mugugnai infine.
Verso le dieci iniziò la conferenza stampa e si protrasse sino alle undici e mezza.
Mentre all’uscita sul retro del cinema, confrontavamo il materiale raccolto per l’articolo, udimmo alcune voci concitate nell’oscurità. Carol alzò di scatto il capo e mise da parte gli appunti dell’intervista. Io mi alzai lentamente dal marciapiede, e mi appiatti sulla parete dell’edificio.
-Che stai facendo?- protestò debolmente.
Le intimai di tacere con un gesto silenzioso. Poi feci capolino dall’angolo della strada, sull’altra facciata della costruzione. L’ombra scura dei cornicioni tremolava nelle fioche pozze di luce dei lampioni. I due attori protagonisti che sino a qualche minuto prima avevano risposto smaglianti alle nostre domande, ora discutevano tra loro di qualcosa che sembrava una questione di gelosia. –Sono Beauchamp e Trahert.- dissi in un soffio. Carol si sporse oltre la mia spalla per avere una visione migliore.
-Scott, finiscila! Stai diventando paranoico- stava dicendo la Trahert trattenendo Beauchamp per un braccio.
-Mi stai nascondendo qualcosa. Mi eviti e non fai altro che correre dietro ad Adrian-.
  Adrian Goodlove. Il regista.
La giovane non sembrò affatto scoraggiata da quell’accusa. –Scott, Adrian non conta nulla per me! Stai delirando!-.
-Cazzate!- ringhiò l’uomo sdegnato.
-Ascolta.- lo pregò la donna. –Adrian è stato il mio mentore. Gli devo tutto, ma non è come pensi...-. Continuava a stringere Scott Beauchamp per l’impermeabile lungo.
Lui non parve colpito dalle sue parole. –Torna dal tuo caro Adrian, allora. Io ne ho abbastanza-.
Con uno strattone si liberò delle mani della Trahert e si allontanò a grandi passi. –Cosa credi che farà?- mormorò Carol.
-Ha l’aria di uno che vuole prendersi una sbornia.- sussurrai mesto.
Fu l’attrice però, rimasta sola, ad attirare la nostra attenzione.
Stava chiamando qualcuno al cellulare. –Pronto, sono io-.
Silenzio. –Ha intuito qualcosa-. Alla domanda del uso interlocutore rispose affermativamente. –D’accordo.
Arrivo-.
S’incamminò a passo svelto verso la sua limousine nera, aprì lo sportello anteriore e scomparve dentro l’abitacolo. Qualche istante più tardi la macchina partì.
-Andiamo!- la esortai. Strinsi la sua mano alla mia e cominciai a correre. Ma, lei puntò i piedi  terra, ed io rimbalzai indietro come una palla da basket.
-Harry, noi non ci occupiamo di cronaca rosa.- mi informò con l’aria di chi ha a che fare con una persona particolarmente stupida. –Noi scriviamo recensioni sui film-.
-Ma, questo potrebbe essere il nostro scoop. Sai cosa vorrebbe dire?- insistetti convinto. L’auto nera svoltò a destra e imboccò Great Portland Street. Potevamo ancora raggiungerla.
Carol sbuffò. –Te lo dico io cosa vuol dire. Un’attrice ambiziosa va a letto con il regista che l’ha lanciata nel mondo del cinema e il suo fidanzato segreto scopre la faccenda e non sembra molto contento della cosa. Sai quanto spesso succedono fatti simili?-.
-Prova a considerarla in un’altra prospettiva. Magari, lei sta andando a casa di Adrian per raccontargli l’accaduto e insieme decidono di far fuori Scott con un banale incidente nella vasca da bagno per evitare che spifferi tutto ai media. E noi siamo gli unici in grado di salvarlo. –terminai in tono grave.
-Tu guardi troppi film polizieschi!- mi rimbeccò scettica Carol.
-Allora?-.
Esitò un attimo prima di rispondere. –Va bene-.
Ci precipitammo insieme verso la BMW. Carol aveva preso l’autobus.
-E la Range Rover?-.
Feci una smorfia, mentre inserivo le chiavi nel cruscotto. –Era di Rachel-.
-E questa?-.
-Di Dave-.
-Allora sei uno squattrinato come me. – celiò Carol, inserendo la cintura di sicurezza.
-Uno squattrinato di classe, però.- puntualizzai io.
 
 
 
 
                                                            Carol
 
 
Per qualche strano, assurdo motivo, lo avevo assecondato su tutta la linea.
Ed ora, eravamo a bordo della BMW di Dave, all’inseguimento di un’attrice immischiata in un losco triangolo amoroso.
La notte stringeva la City in un’oscurità fredda e brumosa. Nuvole pesanti lasciavano filtrare sottili gocce di vapore destinate a mescolarsi con la fuliggine e lo smog di Londra prima di ricadere verso il basso, formando una sottile pellicola che copriva la superficie.
La limousine nera era poco più avanti, ferma ad un semaforo rosso.
-Sta andando fuori città.- osservò dopo una ventina di minuti Harry, alle prese con il volante.
-Probabilmente Adrian possiede una villa in campagna-.
La Trahert guidava oltre i livelli di velocità  consentiti e non impiegò molto a raggiungere una zona fuori mano della città. Svoltò in una strada sterrata e proseguì diritto, seguendo le curve tortuose e strette affiancate da campi d’erba.
Fu proprio allora che cominciai ad avvertire uno strano stridore, un graffiare continuo del motore.
-Harry?- lo chiamai atterrita.
-Mh?-.
-Di quanto carburante disponeva la macchina prima di stasera?-.
Il ragazzo strabuzzò leggermente gli occhi. –Non ho controllato…- disse lentamente.
Accese le luci interne e aguzzò lo sguardo per scorgere la quantità di benzina rimanente. La lancetta del contatore era prossima allo zero. Deglutì. -Merda-.
La Bmw arrancò faticosamente ancora per qualche metro, poi con un ultimo borbottio di dissenso si fermò.
Harry girò di la chiave per costringerla a ripartire, ma l’auto non ne volle sapere.
-Chi ti ha dato la patente? Si può sapere?- lo aggredii a quel punto io.
-Non credevo ci fosse così poco carburante.- si giustificò lui. Parlò con un tono talmente basso che faticai ad udirlo.
-Una persona di buonsenso avrebbe controllato!-obbiettai.
-Senti, non cominciare a farmi la predica-.
Emisi un mugolio isterico e scesi dalla macchina alla velocità di un fulmine.
Harry mi imitò. -Che vuoi fare?-.
-Cerco un’anima viva disposta ad aiutarci.- spiegai concisa, camminando ad ampi passi.
-All’una passata di notte, in pieno inverno, in una strada di campagna completamente deserta, tu cerchi qualcuno?- mi schernì Harry sarcastico. –Oh, fai pure. Io resterò qui a godermi la scena-.
-Non mi importa. Andrò da sola se devo-.
Aveva smesso di piovere, ma l’aria gelida riusciva comunque a penetrarmi nel vestito corto e a farmi rabbrividire.
-Invece di scimmiottare uno spaventapasseri in mezzo alla strada, perché non mi dai una mano?- domandò Harry alle mie spalle.
Feci dietro front con un sospiro e lo raggiunsi. Spingemmo la vettura sul ciglio della strada per non ingombrare il passaggio e poi scivolammo a terra, contro le ruote dell’automobile.
-Niente scoop-.
-Già, niente scoop.- gli feci eco sconsolata.
 
 
 
*Fa capolino di soppiatto, ma viene scoperta e presa a sprangate…*
Ehm…si. Mi presento con un ritardo imperdonabile (I know it), ma non per colpa mia stavolta (ebbene si). I miei mi hanno sequestrato il pc e quindi ho scritto i capitoli a mano (una faticaccia, lasciatemelo dire!) per poi copiarli su word. Ci tengo a puntualizzare alcuni aspetti: Landascape e Makemehappy si sono finalmente dati appuntamento, ma per ora ho voluto lasciare la cosa in sospeso. Scopriremo poi cosa succederà. Per quanto riguarda invece Trahert e Beauchamp ricompariranno nel prossimo capitolo dove si capirà l'intera faccenda.
Ma, innanzitutto volevo fare un ringraziamento speciale per le 101 recensioni che ha raggiunto questa storia! Sono senza parole, grazie mille! Ringrazio le autrici che hanno avuto la pazienza di recensire tutti i capitoli d’accapo (!!!!!) e in generale chiunque mi lascia un suo parere riguardo la storia, è sempre molto apprezzato, che sia positivo o negativo.
Ringrazio i vecchi recensori e quelli meno “datati” e pure chi si limita a leggere semplicemente. Un bacione enorme ai 60 che seguono, ai 30 che preferiscono e ai tredici che ricordano. E grazie a chi mi ha inserito tra gli autori preferiti. Significa tantissimo per me!! :D
Infine un semplice appunto: Enjoy the Silence è il titolo di una canzone figherrima dei Depeche Mode. Non mi veniva in mente niente di carino e così ho scelto un titolo a caso dal mio Ipod! LOL
Bene, vado a rispondere alle vostre splendide recensioni,
Caty <3
 

  

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Capitolo 15
*** XV ***


             

     
    
Capitolo 15
                       
                                
 
 
                                                               A Martina, perchè è un'impicciona
                                                                                                          e a me va bene così. 
 
 
                                                             

                                                                           Carol

 

Osservavo quasi ipnotizzata il dondolio delle mie gambe penzoloni, oltre lo sportello anteriore della BMW lucida. Tenevo le mani intrappolate sotto le cosce per scaldarle e davo le spalle  ad Harry, intento a cambiare stazione radio di continuo e comporre un numero al cellulare ogni cinque minuti.
Dave ed Alyson erano già arrivati a destinazione, nel loro romantico cottage in mezzo alla selvaggina e in quel vialetto dimenticato da Dio la tecnologia non valeva nulla.
-E’ il colmo! Miliardari che abitano in posti dove non prende il cellulare!- bofonchiò ad un tratto esasperato.
Lo ignorai. E lui se ne accorse.
-Sei arrabbiata con me, non è vero?- mi domandò senza mezzi termini.
Gli lanciai un’occhiata di sbieco per poi fissare il punto in cui pochi minuti prima la Limousine era stata inghiottita dall’oscurità della notte. Socchiusi la bocca per rispondere, ma non ne uscì alcun suono.
Sospirò sommessamente. –Lo so. Speravo di farti divertire almeno stasera e invece…ho combinato un guaio…-.
Solo allora, lo fissai quasi intenerita. –Non preoccuparti.- riuscii ad articolare a fatica.
-E’ la seconda volta che me lo dici nel giro di poche ore. Devo essere un vero disastro.- osservò lui di punto in bianco, con un sorriso di scuse.
Risi leggermente. –Non più di tanto-.
-…ascoltiamo ora l’indimenticabile voce di Barbra Streisand in “New York state of mind”…- stava dicendo il conduttore radiofonico e quando il pianoforte suonò i primi accordi, non potei fare a meno di sorridere. -Questa canzone è splendida.- mi ritrovai a bisbigliare.
Harry annuì silenziosamente. Poi scese dalla macchina. Lo guardai interrogativa, mentre aggirava la BMW e mi porgeva la mano attraverso lo sportello spalancato del passeggero.
-Vuoi un invito in carta bollata per caso?- si informò lui divertito dalla confusione che evidentemente traspariva dai miei lineamenti.
A quelle parole venate di derisione, cercai di nascondermi ancora di più nell’abitacolo della vettura, ma il mio tentativo di fuga non sfuggì ad Harry.
-Quanto siamo fiscali!- mi punzecchiò. –Avanti!-.
Scossi la testa con veemenza. –No. Non mi piace ballare e poi…se nessuno ci nota, rischiamo di essere investiti-.
-Sei noiosa.- mi apostrofò lui asciutto. Cercai conferma nel suo sguardo indecifrabile. Afferrai la sua mano d’impeto e lo seguii impettita al centro del sentiero, decisa a fargli rimangiare quel che aveva detto. Perché poi mi importava così tanto?
Gli allacciai le mani intorno al collo, mentre lui mi sfiorava i fianchi in un cauto abbraccio.
-It was so easy livin' day by day. Out of touch with the rhythm and blues. But now I need a little give and take…- cominciò a canticchiare distrattamente. Avvertivo il suo respiro caldo tra i miei capelli.
-Lo sapevi che il primo a cantarla fu Billy Joel?- gli domandai assecondando il suo lento ondeggiare da una parte all’altra.
Lui si scostò di poco per potermi guardare in viso. –No… non lo sapevo-.
Assaporai il suo profumo con il cuore che mi batteva all’impazzata nel petto. Temetti che potesse udirlo anche lui.
-Ti piace New York?- mi chiese dopo un po’.
-Non ci sono mai stata-.
-Devi andarci. E’ una città interessante-.
Mi fece fare una giravolta tra le risate. Incespicai sui suoi piedi e così finimmo per barcollare entrambi all’indietro. Avevo talmente freddo che mi costava fatica anche ridere; le mani e le gambe erano intirizzite dal gelo. Solo quando tornammo seri, si accorse che stavo rabbrividendo, proprio mentre la cantante si lanciava in un acuto.
Mi sfiorò la guancia. La sua mano era tiepida, ma a contatto con il mio volto, mi parve bollente.
 –Hai il viso gelato.- soffiò. Strinse un po’ più forte la presa sulla mia schiena, cercando di scaldarmi. Risalì piano lungo le spalle e mi accarezzò le guance. Il suo tocco era delicato, per nulla invadente. Il timbro caldo della tromba accompagnava ogni sua azione. Non lo fermai.
Non lo feci neanche quando mi baciò.
A dirla tutta, fu un vero e proprio colpo basso. Ero sfinita, non solo fisicamente, ma anche dal punto di vista psicologico per la situazione in cui ci eravamo cacciati e il suo gesto mi colse del tutto impreparata.
Sfiorò le mie labbra con le sue, solo un istante, prima di scostarsi e osservare la mia reazione.
Boccheggiai per riprendere fiato, mentre il mio sistema nervoso formulava pensieri sconnessi tra loro. Sbattei le palpebre restituendogli uno sguardo sbigottito. Forse si aspettava di essere preso a schiaffi.
Con il cervello in tilt invece, premetti le mie dita ancora intrecciate dietro la sua nuca, per riavvicinarlo. Rovesciai di poco la testa all’indietro, affondando le dita tra i suoi riccioli. Lui continuò ad accarezzarmi il viso, rispose al mio bacio con trasporto.
Mi sentivo come sul punto di svenire, come se mi trovassi sul ciglio di un burrone con le vertigini e lo stomaco in subbuglio.
Ci baciammo immersi nella luce dei fari che l’automobile proiettava sull’asfalto bagnato.
 
 
                
 
                                                                  Harry
 

 
 
Non so per quanto continuammo a baciarci, ubriachi di noi stessi e del nostro sapore.
“New York state of mind” era finita da un pezzo, ma rimanemmo ugualmente stretti in un silenzioso abbraccio.
-Hai ancora freddo?- chiesi dopo un po’.
-No-.
-Abbiamo brevettato un ottimo modo per scaldarci, allora!- esclamai tra l’entusiasta e il malizioso, suscitando le sue risate soffocate dal tessuto della mia camicia. Sollevò il volto; i cappelli arruffati e le guance leggermente arrossate. Sorrisi. –Vieni, dai-. La presi per mano, incamminandomi verso la macchina.
-Harry!- mi richiamò lei.
-Che c’è?-.
-Non pensi davvero che io sia noiosa…-. Si torturava un labbro con i denti, incerta.
Sorrisi ancora di più. –L’ho detto solo per farti arrabbiare-.
Scrivere un articolo di giornale a notte fonda, in una BMW a corto di benzina non è un’impresa facile. Impiegammo parecchio per buttare giù una prima bozza della recensione.
Poi ci sdraiammo sui sedili posteriori della vettura, con i cappotti arrotolati sotto la testa che facevano da cuscini di fortuna e chiacchierammo a lungo, come non avevamo mai fatto prima.
Mi sembrava quasi di conoscerla, mentre parlava della sua famiglia, di Sally, delle sue passioni. Mi ricordava terribilmente qualcuno; qualcuno con cui a breve avrei avuto un primo appuntamento.
Ma, in quel momento non aveva alcuna importanza. Volevo stare con Carol.
-Chissà cosa starà capitando in questo momento  a Johanna Trahert…- sussurrò, distesa accanto a me.
-Sarà sicuramente occupata a spassarsela con il nostro caro Adrian!- replicai io in tono allusivo. La sentii darmi dell’idiota, prima che cambiasse posizione.
-Puoi stringerti un po’ di più? Ho i tuoi piedi in faccia e posso assicurarti che non è un’esperienza piacevole.- si lagnò, tentando di allontanare le mie gambe dal suo cappotto.
Risi in modo sguaiato senza accennare minimamente a muovermi.
Sbuffò e mi lanciò contro la sua borsa. Sollevai di scatto il gomito destro per ripararmi dal colpo e continuai a ridere.
-Sei proprio un ragazzino!- mi apostrofò lei tra il divertito, e il seccato.
Misi la borsa fuori dalla sua portata per evitare che usasse di nuovo come arma contro di me e sistemai meglio il giubbotto dietro la mia schiena.
-Sogni d’oro- dissi con l’ombra di un sorriso sfacciato stampata sul volto.
-Buonanotte… ragazzino-.
 
 
 
 
 
                                               
 
Ditelo che non vi aspettavate un aggiornamento così breve! Ammettetelo su.
E' molto breve. Vero. Ma, non potevo scrivere un capitolone. Dovevo riprendermi dallo stress del bacio AHAHAH
Bene, è tardi : quindi sarò celere.

Intanto grandi, grossi e grassi auguri di Pasqua e Pasquetta. Come sono andate le vacanze?
Per quanto riguarda il capitolo, spero vi sia piaciuto leggerlo almeno quanto è piaciuto a me scriverlo.
E tra parentesi non vedo l’ora di scrivere il prossimo *.* Perciò, non abbandonatevi troppo sugli allori…ora che si sono baciati, cosa succederà con l’appuntamento?? Le cose cominciando ad ingarbugliarsi….vedremo, vedremo.
Ringrazio ovviamente chi recensisce/preferisce/ricorda o segue la storia. Chi la legge e basta, chi pubblicizza, chi mi ha inserito tra gli autori preferiti. GRAZIE INFINITE!
Come sempre, tengo molto in conto il vostro parere, fatevi sentire u.u....ah, domani mattina, a mente fresca risponderò alle splendide recensioni !!
Buonanotte o buongiorno a seconda che lo leggiate stasera o nei prossimi giorni :)
Caty <3
 

 

  

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Capitolo 16
*** XVI ***


       

Capitolo 16 

 
       
                                                                Carol
 
L
’indomani, mi destò lo squillo martellante dell’allarme antifurto.
-Che succede?!- sbraitai, sollevandomi a sedere di scatto. In una frazione di secondo lasciai cadere alla rinfusa i cappotti e il povero Harry li seguì in fretta. Prima di uscire dall’abitacolo feci in tempo soltanto a scorgerlo di sfuggita, perfettamente incastrato tra il sedile anteriore e quello posteriore, pronto a lanciare insulti. Spalancai la portiera della macchina con indifferenza, accompagnata dalle sue imprecazioni e aggirai la vettura.
Qualunque cosa fosse stata la fonte di tanto frastuono, avrebbe avuto vita breve.
Quando però raggiunsi la causa del mio risveglio improvviso, sobbalzai.
-Oh cazzo!-.
-No, Carol. Si chiama “pecora”. Hai presente?- mi schernì Harry. Il contrattempo dei cappotti non era servito a molto e mi aveva raggiunta con un paio di falcate.
-Fai pure lo spiritoso, Styles!- lo rimbeccai astiosa.
La pecorella smarrita ci fissava perplessa.
-Va via, su!-.
Per tutta risposta, la bestiola prese a belare.
-Sciò! Sciò! Avanti!- la incitai con ampi gesti delle braccia.
-Le tue capacità persuasive mi stupiscono sempre di più-. Stava in piedi, i capelli spettinati e le braccia conserte.
-Silenzio. Mi distrai la pecora.- lo liquidai stizzita. –Ci rinuncio.-capitolò lui dopo una lunga occhiata.
D’altra parte la capretta pareva avere tutta l’intenzione di restare lì a brucare l’erba.
-Pensi di voler fare pipì prima di partire, oppure la trattieni per tutto il tragitto?- mi chiese tranquillo, mentre trafficava nel porta bagagli.
-Intendi dire qui, all’aperto?-.
Fece spallucce. -Esatto-.
-Non potremmo fermarci al primo bar di strada?-. obbiettai scettica.
-Carol, sono le sette e mezza. Dobbiamo passare a casa di Dave, ultimare l’articolo, procurarci le foto di Steve e correre in redazione prima della rassegna stampa. Non possiamo fermarci a fare pipì!-.
-Sembra che tu abbia dimenticato un innocuo dettaglio: siamo bloccati in piena campagna, senza una goccia di carburante nel serbatoio-.
Harry assunse un’espressione  buffa e mi circondò le spalle con un braccio. La camicia a quadri mezza sgualcita profumava ancora. –Impara a considerare la metà piena del bicchiere: possiamo sempre chiedere l’autostop-.
 
 
 
                                                                            Harry
 
 
Si scostò di colpo e inarcò un sopracciglio. -Hai ragione. Prova a chiedere alla capretta. Magari lei ci darà uno strappo-.
Mi superò con uno sbuffo derisorio. Corse sui ciottoli, mentre il vestito rosso le svolazzava attorno ai fianchi e raggiunse la chiazza di verde al lato della strada.
-Attenta alle volpi: mordono!- le gridai dietro. Si voltò a guardarmi per un attimo indecisa se prendermi sul serio o meno. Io, da parte mia, le rivolsi un sorriso ammiccante. Mi mandò cortesemente a quel paese e si nascose dietro un arbusto. Tornò qualche minuto più tardi, a grandi passi.
-Niente volpi?- la sbeffeggiai.
-Un’intera famiglia. Ho dovuto parlamentare per potermi avvicinare all’albero…- disse seria.
Mi misi a ridere. Non avevo fatto nulla che potesse indurla a credere che il bacio della notte precedente significasse qualcosa. Sembrava averlo dimenticato, ma ormai la conoscevo abbastanza da intuire cosa stesse succedendo alla sua materia grigia. Ero riuscito a decifrare il codice; a capire il suo modo di comportarsi, di pensare, di reagire alle mie provocazioni. Sapevo distinguere i sorrisi sinceri, da quelli forzati, gli atteggiamenti remissivi da quelli schivi. Disponevo di un ampio vantaggio nei suoi confronti, e nonostante questo riusciva ancora a stupirmi.
-Ora che si fa?-.
-Aspettiamo-.
Il verbo “attendere” però non sembrava rientrare nel vocabolario di Carol. Dopo appena cinque minuti, già pestava i piedi a terra impaziente.
-Sta’ calma, va bene?- le dissi, scrutando leggermente accigliato il display del mio Iphone. Segnava quasi le otto e noi eravamo ancora allo sbando.
Alzò gli occhi al cielo con un lieve sbuffo e si sedette al mio fianco, portando le ginocchia al petto.
Per quanto strano possa sembrare, fummo fortunati. Venti minuti più tardi udimmo il rumore di ruote sui ciottoli dietro la curva, in fondo a destra.
-Arriva qualcuno…- biascicai. Le afferrai una mano e la feci tirare in piedi. Dovevamo cogliere l’occasione al volo. Mi gettai in mezzo alla strada, sbracciandomi il più possibile.
Poco dopo comparve in fondo al sentiero a tratti asfaltato, una Limousine nera.
La coincidenza mi parve strana, ma non più di tanto quando finalmente l’automobile accostò e i finestrini oscurati si abbassarono rivelando il viso attraente di Johanna Trahert. Non potevo crederci. Finalmente un po’ di fortuna.
-Avete qualche problema?- ci chiese sospettosa. Non la biasimai. Il tasso nazionale di criminalità era salito del venti per cento negli ultimi tre anni. Era facile incontrare male intenzionati.
-Si, la macchina ieri sera si è fermata e abbiamo dormito all’agghiaccio.- rispose Carol.
Ci squadrò lentamente indecisa se farci salire o meno. Poi d’un tratto, si abbassò gli occhiali da sole sul naso ed esclamò:- Voi eravate alla conferenza stampa di ieri sera!-.
-Beccati.- mormorai raddrizzando di poco la schiena.
-Non ditemi che mi stavate seguendo…- disse accennando un sorriso divertito.
-Beh, veramente…-. –Assolutamente no!-.
Carol mi fulminò con lo sguardo. La ignorai. –In realtà…si-.
-E perché?-.
-E’ una storia lunga-.
Il sue labbra dipinte di rosso si distesero ancora di più. –Allora salite. Vi darò un passaggio e magari ci scapperà anche un’intervista inedita-. Ridacchiai.
-E la nostra macchina?- intervenne Carol pragmatica.
-Per quale giornale lavorate?-.
-Il Daily Mirror-.
-Chiederò al mio manager di parcheggiarla davanti alla redazione-.
Non me lo feci ripetere due volte. La ringraziai e aprii lo sportello anteriore. Mi sedetti al posto del passeggero e dopo qualche istante, Carol si accomodò sui sedili dietro.
 
 
 
 
                                                                         Carol
 


-Dunque, per quale motivo mi avete seguita?-.
-Vuole davvero saperlo?- le disse Harry con fare dubbioso. L’attrice annuì piano.
-Beh, senza volerlo abbiamo…origliato la discussione con il suo fidanzato e così abbiamo pensato che…-. La risata cristallina e sincera della donna interruppe il suo racconto.
-Voi giornalisti! Sempre a caccia di scoop!- esclamò ilare. Nascosta dai ricci di Harry le lanciai un’occhiata bieca. –E’ il nostro lavoro.- osservai rigida.
-Si e non vi invidio. Beh, ve lo svelerò in anteprima. Oggi è il compleanno di Scott e io e Adrian abbiamo organizzato una fantastica festa a sorpresa. Abbiamo anche noleggiato una barca! Ma, Scott è terribilmente geloso a volte. Ero preoccupata così ho chiamato mia sorella che abita fuori città e sono rimasta da lei. Appena Scott scoprirà la verità, tornerà tutto normale-.
Per l’intero tragitto rimasi in silenzio, infastidita dal fatto che Harry non mi avesse degnata di attenzione da quanto avevamo incontrato Johanna. Ed io mi ero lasciata baciare. Povera illusa, mi rimproverai.
-Omicidio nella vasca da bagno, eh?- lo punzecchiai una volta arrivati a casa di Dave. Harry mi guardò male. –Non scherzare troppo. In fondo potrebbe anche essersi inventata tutto-.
-Sogna, Styles. Sogna.- continuai imperterrita, mentre si tastava le tasche dei pantaloni eleganti alla ricerca delle chiavi di casa.
Finalmente le infilò nella toppa. Un istante dopo, ci accolsero il tepore dell’ingresso e la luce del sole mattutino che filtrava dalle persiane semi abbassate.
Non feci nemmeno in tempo a posare la borsa su un mobiletto nel salotto, che Harry mi attirò a sé, rubandomi un bacio inaspettato. Di nuovo.
Strinsi tra le mani la sua camicia, persa nel profumo virile che pareva avvolgermi completamente. Approfondimmo il bacio, mentre le sue mani mi sfioravano la nuca.
Il tonfo secco della borsa che avevo lasciato cadere per la sorpresa però, mi riportò alla realtà. Mi ricordai improvvisamente di come mi aveva trattata dal nostro risveglio e sentii montare su la collera.
Premetti leggermente sul suo petto per allontanarlo. –Come mai tutta questa confidenza?- lo provocai, cercando (invano) di regolarizzare il respiro. Il mio tentativo di sembrare distaccata e fredda, naufragò miseramente. Il mio tono suonò ironico, incoraggiante, quasi malizioso. Dentro invece fumavo di rabbia.
Mi rivolse un sorrisetto impertinente, tentando di accostarsi di nuovo. Glielo impedii.
-L’articolo.- gli rammentai in un sussurro.
A malincuore mi liberò dal suo abbraccio e riprese la bozza scarabocchiata in macchina durante la notte. Al centro del soggiorno immerso nella penombra del mattino, campeggiava un tavolo sgombro da cianfrusaglie e fotografie. Sedemmo lì e per un po’ lavorammo alla stesura finale del pezzo.
Proponevamo, cancellavamo, scrivevamo. E nel trascorrere quel tempo insieme, discutendo se usare un vocabolo piuttosto che un altro, mi ritrovai a pensare a quanto mi piacesse la compagnia di Harry. Era intelligente, pigro, discontinuo, lunatico; irritante come pochi, imprevedibile, vivace…eccitante. Era una bomba ad orologeria, pronta a saltare in aria. Mi avrebbe stravolto la vita, me lo sentivo. E una parte di me non desiderava che quello: l’altra invece aveva paura.
Potevo permettermi una relazione simile?
Osservai lo zucchero che stagnava sul fondo della tazza dopo aver bevuto il caffè caldo che Harry mi aveva offerto. Sospirai.
Affianco a me, Harry gettò una rapida occhiata all’orologio a pendolo sulla parete opposta.
-Sono quasi le nove. Dobbiamo andare-.
-Non posso entrare in ufficio vestita così. E neppure tu.- obbiettai squadrando prima il mio vestito elegante e poi il suo completo da sera piuttosto sgualcito.
-Non riesci proprio a goderti la vita, vero?- ribatté lui sfacciato. Era talmente vicino, che riuscivo a scorgere le pagliuzze grigie che gli punteggiavano le iridi verdi e brillanti.
-Non se sono in compagnia di uno sprovveduto del tuo calibro-.
-“Lo sprovveduto” in questione ci ha salvati stamattina-.
-No, è stata la Trahert a tirarci fuori dai pasticci.- rettificai beffarda.
-Senza il mio fascino non saremmo andati lontani, però-.
Gli sferrai uno schiaffo sul braccio. –Il tuo ego comincia a sfiorare livelli preoccupanti-.
Harry si sciolse in una risata divertita. -Calma i bollenti spiriti, hooligan.- mi apostrofò mentre mi trascinava in camera sua.
Sollevai un sopracciglio, interdetta. -Così ora avrei un nuovo soprannome?-.
Si limitò a sorridere. Con un gesto della mano si arruffò i riccioli.
Aprì le ante dell’armadio e si mise a frugare finchè non mi porse un paio di pantaloni neri e un maglioncino color pesca. Mi parvero della mia stessa taglia.
Non accennai però a prenderli. Lo fissai interrogativa aspettandomi le dovute spiegazioni.
Lo capì. –Quando ho lasciato Rachel, nella fretta di andarmene ho infilato nella borsa anche qualche suo indumento-.
-Non mi dire!- esclamai tagliente come la lama di un rasoio. Prima l’attrice, ora l’ex fidanzata.
Mi voltai di scatto decisa a chiudere la discussione il più in fretta possibile, ma Harry mi posò una mano su una spalla, premendo gentilmente per farmi girare.
-Dai, non vorrai farmi credere che sei gelosa…- insinuò, con un velo di malizia nella voce.
-Non siamo in una soap opera, Harry.- risposi evasiva, sfuggendo volutamente al suo sguardo indagatore.
-Raccontala a qualcun altro!- mi schernì, incrociando le braccia al petto e fissandomi con aria sfrontata. Lo detestavo.
-Devo esserlo?- dissi allora. Esigevo una risposta sincera.
Mi scrutò attentamente. –No-.
Trascorsero alcuni attimi, prima che racimolassi il coraggio necessario per parlare ancora.
Non mi aveva mentito. L’avevo intuito dalla sua espressione terribilmente seria e dal nervosismo con cui continuava torturarsi il labbro inferiore, in attesa di una mia reazione.
-Non li rivorrà indietro?- mi decisi a cambiare argomento. Spostai lo sguardo sui vestiti di Rachel. Era il mio modo per fargli intendere che gli credevo.
Scrollò le spalle. -Ha talmente tanti vestiti che non credo se ne accorgerà mai-.
Mi lasciai sfuggire una breve risata.
-Va a cambiarti. Io intanto avverto la redazione che abbiamo avuto un contrattempo-.
Annuii docile e mi barricai in bagno.Me ne stavo impalata a fissare il mio riflesso attraverso il grande specchio sopra il lavandino. Mi sistemai il maglioncino una decina di volte, tirandolo prima in basso e poi in alto, stirandomelo sulla pancia che brontolava, per poi coprirmi le spalle con i capelli vaporosi e leggermente ondulati.
Alla fine, proprio quando rinunciavo all’idea di avere un aspetto decente, Harry bussò piano alla porta. -Posso?-.
-Sono inguardabile, Harry. Non ti conviene entrare.- lo avvertii sardonica.
Entrò ugualmente, accennando una risata. Si era cambiato. Aveva indossato una t-shirt bianca a mezze maniche, un pantalone scuro e blazer ai piedi. –Stai bene, invece.- disse dopo avermi osservata.
-Harry,  ho il trucco colato e il colorito che sfiora il giallastro. Temo di non essere un bello spettacolo.- gli spiegai con pazienza. -…e non cercare di fare il galante.- lo ammonii con l’indice puntato in alto quando tentò di rispondermi.
-Certo che sei difficile.- esclamò allora. Sbuffai, guardando altrove.
Fece un passo verso di me; mi spostò un ciuffo di capelli dal viso, dandomi poi un bacio sulla fronte. –Riesci ad essere incantevole anche a corto di trucco e vestiti consoni. Te lo assicuro-.
Gli restituii uno sguardo dubbioso. –Probabilmente sei in ipoglicemia e non ti senti molto bene. Appena arriviamo a lavoro, ti offro la colazione. Promesso-.
-Possibile che tu non riesca ad accettare un complimento una volta tanto?-.
 
 
 
 
 
Avevamo lasciato i nostri eroi (?) dentro la macchina in procinto di trascorrere un’intera notte insieme.
Ed ora eccoli qui, alle prese con ben altri problemi. Sono impazzita per scrivere la parte dell’autostop! Perciò ditemi se è venuta o meno un totale sfacelo!! Che dire? Spero che vi piaccia il tipo di rapporto che si sta istaurando tra i due…perché durerà poco, ahimè! Il prossimo capitolo è quello prima dell’appuntamento…o forse ce ne sarà un altro, non so devo ancora decidere. Ah, volevo puntualizzare che Carol è attratta da Harry, ma è molto legata anche a Landscape. Quindi è un po’ divisa tra l’uno e l’atro, tra la realtà e il sogno, ecco.
Bene, passiamo al pezzo forte della serata: un grazie di cuore alle girls che hanno lasciato una recensione al capitolo precedente, davvero le ho apprezzate tantissimo *.*
Grazie mille anche ai 54 che preferiscono, ai 13 che ricordano e ai 102 che seguono; a chi mi ha inserito tra gli autori preferiti, chi pubblicizza e chi invece legge e basta.
Credo di non essermi dimenticata nessuno u.u.
Come sempre, mi farebbe molto piacere conoscere le vostre opinioni, perciò se ci siete battete un colpo!!
Caty <3
 
 
Ah, Tomboy (l’altra mia FF) si è offesa perché non la pubblicizzo mai, povera! Quindi l’accontento :)
  

 

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Capitolo 17
*** XVII ***


                     



                                                                                                       Words are flying out like
                                                                                                              endless rain into a paper cup
                                                                                                              They slither while they pass
                                                                                                              They slip away across the universe
                                                                                                              Pools of sorrow waves of joy
                                                                                                              Are drifting thorough my open mind
                                                                                                              Possessing and caressing me
                                                                                                             
-Across the Universe, The Beatles


 
 
Capitolo 17
                                                     Carol
 

 
Mi ci volle un intero pomeriggio per riprendermi dalla nottata precedente.
Una volta arrivati in ufficio, Steve mi aveva portato le foto per l’articolo, la macchina di Dave era tornata senza ammaccature e Anne era rimasta soddisfatta del nostro lavoro. Per il resto della giornata, avevo tentato in tutti i modi di evitare Harry, troppo confusa per resistere ancora alla sua vicinanza. Non avevo mai creduto seriamente che lui ed io fossimo adatti l’uno all’altro e invece in poche ore la situazione era cambiata radicalmente. Ma, le cose erano destinate a prendere una piega inaspettata.
Quella per esempio, aveva tutta l’aria di essere una domenica ordinaria, finchè un visitatore indesiderato non suonò il campanello.Non avrei aperto a nessuno: era fuori discussione.
Aprii un occhio, poi un altro, mi girai nel letto e tornai a sonnecchiare.
Fu allora che il campanello trillò di nuovo impaziente. Scaraventai il piumone lontano da me e con un grugnito mi diressi sino alla porta.
-James?- dissi interrogativa squadrando con tanto d’occhi il giovane appoggiato allo stipite di casa Hatton-Smith alle otto di domenica mattina.
-In carne ed ossa.- annuì lui sorpassandomi.
Lo seguii come un automa in cucina, dove posò un vassoio colmo di dolci.
-Ieri mi hai detto che dovevi confidarmi una cosa. Così ho pensato che potevamo fare colazione assieme-.
Mi sedetti di fronte a lui, rassegnata all’idea di avere un amico con gravi disturbi mentali.
Assaggiai in silenzio un pasticcino alla crema. –Allora? Racconta, su-.
Sollevai lo sguardo, mi mordicchiai il labbro indecisa, picchiettai le dita magre sul tavolo.
Sospirai. -In sintesi…io ed Harry ci siamo baciati-.
James che stava per addentare una generosa porzione di cheesecake, si bloccò con la mano amezz’aria come se avessi premuto il tasto –stop- del telecomando.
-Puoi ripetere?-.
-Hai capito benissimo, Jam. Non renderla più difficile di quanto già non sia-.
-Lasciatelo dire, tesoro: quanto a romanticismo, siamo a zero-.
Roteai gli occhi, con una risata.
-Beh?-.
-Cosa?-.
-Insomma, come è stato?-.
Sospirai prima di rispondere: –Come se…fossimo fatti su misura. E’ stato strano-.
Dopo aver raccontato per filo e per segno la notte avventurosa che io ed Harry avevamo trascorso, palesai i miei dubbi riguardo alla nostra possibile relazione.
-In fondo, fra qualche giorno uscirò con Landscape. Credi sia corretto?- lo consultai.
-Lui è tutt’altro rispetto ad Harry. Desideri conoscerlo perché avete interessi in comune, discorrete bene insieme, vi inviate e-mail a tutte le ore del giorno solo per la voglia di sentirvi. Si tratta di un’affinità intellettiva-.
-E una persona si può innamorare di un corrispondente anonimo, secondo te?-.
James si strinse nelle spalle. -Forse. Pensa solo a Čajkovskij eMadame von Meck-.
-Ma,Čajkovskij era omosessuale e Madame von Meck non l’ha mai incontrato.-obbiettai perplessa.
-Per te sarà diverso, vedrai-.
 
 
Era quasi mezzogiorno. James se ne era andato da poco, quando sentii suonare di nuovo il campanello.
-Cos’hai dimenticato, Jam?- sorrisi andando ad aprire.
Ma, non era stato James a bussare.
Il sorriso che fino a quel momento avevo stampato in faccia lasciò spazio ad un’espressione meravigliata.
Avvampai sotto il suo sguardo divertito e solo allora mi resi conto di indossare il pigiama orribile di Alyson, l’unico che non avevo infilato in lavatrice la sera prima.
-Non sei Jam.- conclusi imbarazzata.
-Già, non lo sono-. La voce ruvida di Harry mi provocò i brividi. Qualche ricciolo color cioccolato  sfuggiva al berretto blu e gli incorniciava il viso chiaro.
-Vuoi che me ne vada?-.
Trasalii, ricordandomi improvvisamente delle buone maniere.
-No, no.- mi affrettai a rispondere. –Sono solo…stupita di vederti, ecco-.
Mi staccai dallo stipite per lasciarlo entrare. Io cercavo di evitarlo e lui cosa faceva? Si presentava dritto a casa mia.
-Come mai da queste parti?- chiesi mentre si richiudeva la porta alle spalle. Si sfilò il berretto e fece spallucce, con le mani cacciate in tasca.-Sono venuto a trovare un amico che abita in zona e così ho pensato di passare a salutarti-. Gli scoccai un rapido bacio su una guancia e lo vidi sorridere compiaciuto. -Sicura che non disturbo?-.
Annuii con veemenza, tentando di riacquistare un po’ del mio spirito di iniziativa. Lo precedetti nel corridoio principale dove si affacciavano tutte le stanze dell’appartamento.
-James ha portato dei dolci e abbiamo fatto colazione insieme.- spiegai dirigendomi in cucina. –Stavo per pranzare. Vuoi unirti a me?-.
Harry ci pensò su. –Cos’hai intenzione di preparare?-.
-Couscous, se per te va bene-.
Si appoggiò al muretto rustico che separava l’angolo cottura dal resto della cucina e sorrise affabile. –Quando abitavo con Louis, lo cucinavo sempre. Ne va pazzo-.
-Louis è il ragazzo che ho conosciuto l’altra sera?-.
-Proprio lui. Per un paio d’anni dopo aver lasciato Holmes Chapel abbiamo condiviso un piccolo appartamento…-.
-Prima che conoscessi Rachel.-puntualizzai con una vena derisoria nella voce, che però Harry parve non cogliere o che forse ignorò volutamente.
-Beh, si. Lui si è fidanzato con Eleonor. Insomma, non era più il caso di atteggiarci a scapoli d’oro-.
Risi leggermente, allungando il collo nel frigorifero per prendere gli ingredienti necessari.
Nonostante ci avessi allegramente limonato due giorni prima, compresi di non conoscerlo affatto.
-Così sai cucinare, eh?- feci rivolta ad una confezione di salsicce surgelate.
-Si, mi considero un bravo cuoco.- fu la sua risposta. –Anche se una volta per cucinare una pizza, ho bruciato il copri divano preferito di Rachel. Si arrabbiò tantissimo-.
-Lo credo.- replicai. Poi aggiunsi:-E’ successo qualcosa di simile anche ad un mio amico-.
Con la coda dell’occhio lo sbirciai mentre prendeva posto su una delle sedie attorno al tavolo, allungando pigramente le gambe in avanti.
-Bel pigiama, comunque.- mi schernì palesemente divertito dalla mia mise casalinga.
Arrossii furiosamente, facendolo ridere.
-Evita commenti di qualunque tipo.- lo ammonii brandendo minacciosamente il mestolo. –Vorrei tanto sapere cosa indossi tu in casa.- insinuai maligna e saccente.
Harry spalancò le braccia con un sorriso furbo. -Sei la benvenuta nel caso volessi appurare di persona…Scherzavo!- si affrettò ad aggiungere all’occhiataccia che gli scoccai. -Comunque prediligo stare in biancheria intima-.
Arricciai un labbro, maliziosa. –Boxer o…?-.
-Decisamente boxer. E Tu? Slip o tanga?-.
-Ti lascio il beneficio del dubbio.- feci in tono di sufficienza.
-Scommetto dei mutandoni orribili-.
Sgranai gli occhi, con aria fintamente scioccata. –Come fai a saperlo?-.
Le sue spalle ampie furono scosse dalle risate. Gli feci eco anch’io.
-Passiamo al pezzo forte. Sopra o sotto?-.
Ancora una volta, Harry mi parve piacevolmente colpito dalla mia intraprendenza. Si stiracchiò leggermente, prima di rispondere con studiata nonchalance:-Sopra-.
-Io sotto.- dissi per tutta risposta, appoggiata al piano cottura. –Inizio sempre da sotto per lavarmi i denti-.
Un velo d’imbarazzo gli attraversò il viso, quando percepì il tono derisorio della mia domanda, ma si ricompose in fretta e scoppiò a ridere. Mi complimentai mentalmente con me stessa per aver ripreso il controllo della situazione così egregiamente. -Speravo che ti riferissi a qualcos’altro.- ammiccò allusivo.
-Questo perché sei un depravato senza speranza-.
 
 
Sino a qualche mese prima non potevo tollerare nemmeno di averlo vicino in ascensore ed ora mangiavamo couscous e pollo in salsa di soia seduti l’uno accanto all’altra, nella mia cucina silenziosa. La vita è proprio strana alle volte.
Harry, da parte sua, sembrò intuire il filo dei miei pensieri. –E chi l’avrebbe mai detto? La domenica mattina, a pranzo da Carol Hatton-.
Non sapevo che dire, improvvisamente avevo la gola arida. Così rimasi in silenzio.
-Sono contento di essere qui.- disse con un tono più dolce. I suoi occhi grigioverdi mi scrutavano attenti, mobili, curiosi. –Soprattutto per il couscous e il pollo in salsa di soia, si intende.- soggiunse scherzoso pulendosi la bocca con un tovagliolo.
Risi piano, prima di tornare seria. -Fammi indovinare. Non c’è nessun amico che abiti in zona-.
-No…- ammise con aria colpevole. –Ci abiti tu però. Valeva la pena inventarsi una scusa-.
Ignorai i brividi e il vuoto allo stomaco. -Comincio a pensare che sia stata una pessima idea mostrarti dove abito-.
Finito di mangiare, sparecchiammo, per poi spostarci in salotto.
-Accomodati pure.- lo invitai. Intenta com’ero a sistemare il disordine, non mi accorsi che Harry aveva preso alcuni fogli rimasti sul tavolinetto di vetro davanti al divano.
Feci per sedermi, quando notai il solito sorrisetto malandrino dipinto sul volto.
-E così ti piacciono i miei occhi…-.
Mi voltai di scatto, spaesata. Poi notai i fogli che Harry stava consultando e in pochi istanti le mie guance presero letteralmente fuoco. Glieli strappai di mano.
-Non ti hanno mai insegnato a chiedere il permesso prima di frugare nelle cose altrui?!- insorsi, la mia voce prossima agli ultrasuoni.
-Hai scritto su di me.- disse solo, con uno strano sorriso stampato in faccia.
-Presuntuoso. Chi te lo dice?-.
Ripensai al giorno in cui avevamo lavorato assieme la prima volta: avevo abbozzato una nuova storia e nel descrivere uno dei personaggi principali mi ero sorpresa ad immaginare proprio lui.
-Questo qui ha le mie stesse caratteristiche fisiche e un gran fascino. Chi può essere?-.
–Sai, per quanto tu possa trovarlo incredibile, non sei l’unico sulla faccia della Terra ad avere i capelli ricci e gli occhi verdi-.
-In ogni caso, i miei occhi ti piacciono-.
-Non l’ho mai detto-.
-E allora? E’ scritto qui.- obbiettò lui con ovvietà, gli occhi sgranati come quelli di un bambino. Si, i suoi occhi mi piacevano, ma non gli avrei concesso per nulla al mondo la soddisfazione di saperlo.
-Non dovevi permetterti di leggerlo! Sono scritti personali e…- ribadii furente, ma prima che riuscissi ad aggiungere altro, si fiondò su di me e premette le sue labbra sulle mie così forte da lasciarmi impresso il loro sapore.
Per una manciata di secondi rimasi immobile, incapace di reagire, di respingerlo e al tempo stesso di assecondarlo. Mi lasciò andare, solo per rivolgermi uno sguardo vittorioso.
-Io…tu…oh, va al diavolo!-. Incrociai le braccia al petto e mi lasciai cadere sul divano con un sonoro sbuffo, sconfitta.
 
 
 
 
                                                                     Harry
 
 
Mi ero chiesto più volte durante il tragitto se stessi per fare o meno una tremenda sciocchezza.
Carol aveva un carattere particolare: non si lasciava mai andare e se le capitava, se ne pentiva immediatamente.
Ma, quella mattina mi ero alzato con la voglia di vederla: e allora perché non andare da lei, se ne sentivo il bisogno? Perché tutti, compresa Carol, cercavano di celare i propri sentimenti, o di fermare i gesti più spontanei e semplici?
Lo trovavo un inutile spreco di energie.
Carol era una donna attraente, brillante, piena di interessi e quando voleva, con uno spiccato senso dell’umorismo. Perché non avrei dovuto presentarmi a casa sua per farglielo capire, per farle sapere quello che pensavo di lei?
Probabilmente aveva pensato che l’avessi baciata solo per le  circostanze che si erano venute a creare, e ammettevo che il suo vestito rosso fuoco, il freddo della sera, la voce intrigante di Barbra Streisand avevano reso l’atmosfera più intima, ma l’attrazione che sin da subito avevo provato nei confronti di Carol rimaneva invariata. Anzi, conoscendola meglio, potevo dire di trovarla ancora più interessante.
Avevo scoperto, per esempio, che la sua vera aspirazione era quella di pubblicare un romanzo.
Scriveva divinamente, il suo modo fluente di periodare non faceva che catturare il lettore.
Amava il jazz e il bluse, conosceva i nomi di battesimo di tutti e quattro i figli di Jude Law e sospettavo che tenesse nascosto anche un suo poster da qualche parte.
Dopo pranzo si era cambiata. Ora sedeva a gambe incrociate sul divano, proprio accanto a me, con un maglione bianco a trecce e i capelli sfatti che le incorniciavano il viso e le spalle. Io tenevo le gambe incrociate sul tavolinetto basso.
-Come può non piacerti il Natale?- sbottai, afferrando il telecomando per cambiare canale. –La città si colora, i negozi brulicano di gente e di turisti, la neve ricopre le case come zucchero a velo. E’ stupendo!-.
-Non ho assolutamente detto che non mi piace.- ribatté vispa,con un’occhiata obliqua. –Sono solo un po’ malinconica-. Aveva uno sguardo indecifrabile, sembrava volesse comunicarmi qualcosa che non potevo capire. Fece un respiro profondo e si decise a proseguire:-Mi ricorda mia madre. Il Natale è così allegro e mamma lo era sempre. E’ come se ogni anno, a dicembre rivivessi la sua morte…-.
-E’ lei?- la interruppi. Carol seguì il mio sguardo e i suoi occhi si fermarono su una foto in bella mostra sulla servante del salotto.
-Si.- disse in un soffio.
-Posso guardarla meglio?-. Ad un suo cenno affermativo, mi allungai per prenderla.
La foto ritraeva una donna sorridente, sulla quarantina, seduta su un dondolo da giardino.
-Lei non era semplicemente bella, era…-.
-Incantevole-. Era stato il primo aggettivo che mi era venuto in mente pensando a Carol e osservando la foto di sua madre, potevo dire che la somiglianza tra le due era strabiliante.
Carol mi guardò lievemente sorpresa. –Si, proprio così-.
Temevo che il nostro discorso avesse riportato alla luce vecchie ferite e non volevo assolutamente toglierle il buonumore; così mi affrettai a cambiare argomento.
-Sai, a questo punto potresti chiedermi di rimanere a cena-.
Inarcò un sopracciglio, sardonica. –Non credo sia una buona idea.- rispose cauta. Eccola, lì. Sempre sospettosa, sempre guardinga di fronte a tutto e tutti. Avrei voluto dirle che prima o poi avrebbe pur dovuto fidarsi di qualcuno, invece le chiesi:-Perché mai?-.
Fece spallucce. –Non mi va di cucinare di nuovo per due stasera-.
Era la scusa più assurda e insignificante che mi avessero mai rifilato. -Potremmo ordinare cinese.- proposi semplicemente.
-Non ho mai mangiato cibo cinese in vita mia.- obbiettò.
La fissai con fare scandalizzato. –Dobbiamo porre subito rimedio. Allora, mi inviti?-.
Scoppiò a ridere, probabilmente divertita dalla mia sfacciataggine. –Vuoi trattenerti?-.
-Se proprio insisti…- accettai con aria di sufficienza, suscitando un altro sorriso. –Dov’è il telefono?-.
-Nella stanza accanto-.
-Cosa pensi di ordinare?-.
-Scegli tu per me. Ti lascio carta bianca-.
Le feci l’occhiolino prima di sparire in cucina.
 
 
Alle otto meno un quarto, il campanello trillò. Carol, affaccendata nella sua stanza, mi chiese di andare ad aprire. Presi le nostre ordinazioni, lasciai la mancia al ragazzo con il capello rosso calato sui dreadlocks e il nome e l’indirizzo del ristorante stampati sulla maglia; chiusi la porta.
-Abbiamo Shallow Grave,Midnight Lace, Closeroh, c’é anche Road to Perdition, credevo di averlo lasciato in fondo a qualche scatolone!-.
Feci capolino dalla porta della sua camera e la trovai in equilibrio su una sedia, che frugava tra gli scaffali dei dvd.
-Allora, quale ti piacerebbe vedere?-.
-Ehm…Road to Perdition andrà bene-.
-Ti piace Tom Hanks?-.
Mi strinsi nelle spalle. -Si, ma apprezzo tutto il genere-.
-Non dirmi che sei uno di quelli che conosce a memoria Il Padrino!- sbottò lei incredula.
Mi misi a ridere. –Da cosa l’hai capito?-.
-Conosco i sintomi.- spiegò lei sconsolata. –Un mio amico lo adora-.
Balzò giù dalla sedia e in salotto inserì il film nel lettore dvd, mentre io sistemavo il vassoio con gli involtini primavera di fronte al divano.
-Ti piace?- chiesi riferendomi al cibo cinese, proprio quando partivano le prime immagini di Road to Perdition.
-Meglio di quanto mi aspettassi.- rispose lei.
-Dovresti darmi ascolto più spesso-.
-Harry, detesto la gente che ciarla durante la visione di un film. Perciò, silenzio-.
Le lanciai un cuscino addosso in segno di protesta e poi incrociai le braccia al petto con disappunto.
-Ingrata-.
La sentii ridere. Aveva una risata cristallina, limpida, musicale.
 
 
 
-Non è possibile-.
-Che palle-.
Un blackout aveva interrotto una sparatoria tra Tom Hanks e i suoi inseguitori.
-Dev’essere un corto circuito-.
-Credo riguardi tutto il condominio-.
-Allora non possiamo che aspettare.- conclusi imbronciato.
Sedevamo divisi da una pila di cuscini e in bilico sui braccioli avevamo posato i piatti di plastica completamente vuoti.
-Sai, ogni tanto gioco a basket insieme a Louis e a Niall-.
-Questo cosa c’entra?-.
-Visto che siamo completamente al buio e non abbiamo nulla da fare,  tanto conviene chiacchierare un po’.- feci con ovvietà. Interpretai il suo silenzio come un incoraggiamento a proseguire. -Abbiamo formato una squadra e l’estate organizziamo dei tornei. E’ divertente e attiriamo molti curiosi-. E aggiunsi, colorando la voce di una nota maliziosa. -Per non parlare poi delle ragazze…-.
I suoi occhi si assottigliarono repentinamente nell’oscurità. –Perdonami, ma mi riesce difficile immaginarlo.- mi avvertì acida.
-Vorresti dire che non sono attraente?- ribattei arrogante.
-Sto dicendo che secondo me sei un totale disastro-.
-Forse dovresti assistere ad una partita prima di esprimere giudizi avventati.- le feci notare sarcastico. Anche se non in maniera diretta, l’avevo invitata ad un incontro di basket. Non mi era mai capitato, neanche con Rachel che odiava qualsiasi sport.
-Non ci contare. Invita qualcun’altra.- tagliò corto lei. Non potevo vederla bene, ma immaginavo la sua espressione insieme altezzosa e derisoria.
-Secondo me invece non vedi l’ora.- la stuzzicai.
-Pensa quello che vuoi-.
-Non berrai troppe spremute al limone?- la canzonai.
-Smettila!-. Pareva irritata.
-Scusa?- domandai disorientato, sfiorandole inavvertitamente la gamba.
-Non ti sopporto quando fai così-.
-Così come?-.
-Quando fai il Casanova: con me non attacca.-affermò sicura di sé.
Aveva ragione. –Lo so. Sei diversa.- mi ritrovai a sussurrare.
Senz’alcun preavviso, strinse tra le dita la catenina che portavo al collo e mi tirò a sé.
Le crollai sopra, sul divano, per scontrarmi con le sue labbra calde e morbide. Le dischiuse subito in un bacio che non aveva nulla a che fare con i precedenti che ci eravamo scambiati. Era esigente, quasi affamato. La sua mano mi teneva inchiodata la testa, mentre sentivo le nostre gambe sfiorarsi e intrecciarsi fra loro.
Inarcò leggermente la schiena, permettendomi di lasciarle una scia di baci bollenti lungo il collo sottile. Senza fretta, le accarezzai il ventre scoperto e poi la curva del seno attraverso la lana del maglione. Affondai il naso tra i suoi capelli profumati, sparsi sui cuscini del divano, mentre la sentivo sospirare sommessamente.
-Il divano non è molto comodo per questo tipo di iniziative…- osservai, facendola ridacchiare.
Improvvisamente il televisore riprese vita e gli spari delle mitragliatrici ci fecero sobbalzare.
Dopo un momento di sorpresa, mi lasciai andare ad una calda risata. –Che tempismo-.
Con una rapida mossa, Carol si ritirò nella sua porzione di divano, dove continuò a guardare Road to Perdition come se nulla fosse. Ma, io non avevo intenzione di farla scappare. Così le circondai le spalle con un braccio. Il suo profumo alla lavanda mi rimase impresso per tutta la sera.
Lentamente le palpebre calarono da sole sugli occhi stanchi quando ancora non era finito il film. Doveva essere almeno l’una di notte. Prima di cadere addormentato, mi sembrò di scorgere la figura snella di Carol che si orientava nell’alone del televisore.
 
 
 
 
 
Ruth è tornata. Come state? :)
So che negli ultimi tempi ho aggiornato sempre in modo discontinuo, ma ora che arriva l’estate mi trasformerò in una specie di ameba monopolizzata dal pc: mangio, dormo poco e scrivo tutto il tempo, anche in orari improponibili…perciò sarò tutta vostra! Ahahah.
E visto che sono una rompipalle di bassa levatura, ho scritto una One Shot. Indovinate un po’? E’ di nuovo personale ed è molto diversa da Memorie di una Squilibrata. Spero che vi possa piacere….The Lady is a Tramp
Che altro dire? Restiamo un po’ in questo clima d’attesa per l’appuntamento, ma ci vorrà ancora un po’ prima che si incontrino. Credo che lascerò i commenti a voi :) Ci tengo tantissimo, come sempre.
Ringrazio in primis le lettrici che hanno lasciato una recensione al precedente capit9olo; le ho lette e rilette un sacco di volte, siete meravigliose e appena potrò risponderò a tutte. Sono felice che la storia vi piaccia! *.*
E un grazie enorme anche a chi preferisce/segue e ricorda Penfriends; chi mi ha inserito tra gli autori preferiti e chi pubblicizza.
Bene, scappo per ripassare filosofia u.u
Caty <3
 
 
Ps. Questa foto di Gwyneth Paltrow è tutta per DirectionersIsAPromise che me l’aveva chiesta ed io, come da copione, me l’ero dimenticata.

                                                              
 
 
  

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Capitolo 18
*** XVIII ***


            

Capitolo 18

 
                                                                  Carol
 
 
Aprii lentamente gli occhi ai raggi del tiepido sole invernale che filtravano tra le persiane, disegnando una lunga scia luminosa sul parquet del mio appartamento. Minuscoli granelli di polvere scintillavano come oro, danzando a mezz’aria in quella lama di luce. Crogiolandomi pigramente tra i cuscini del divano, ricordai quando da bambina cercavo di catturare il pulviscolo tra le mani, mentre i miei genitori mi guardavano ridendo dal letto.
Improvvisamente mi svegliai del tutto; avvertii il calore di Harry, steso lì accanto con la testa reclinata sul mio grembo.
Pian piano mi misi a sedere lasciandomi sfuggire uno sbadiglio. 
Sorrisi interiormente: nel riposo, il suo volto aveva un fascino infantile che mi disarmava. Teneva la bocca socchiusa e il suo respiro regolare mi disse che era ancora profondamente addormentato. Era stato premuroso e sensibile il giorno prima: avevamo trascorso delle ore piacevoli assieme.
Istintivamente le mie mani gli accarezzarono i riccioli scarmigliati. Non mi sentivo così bene da tanto tempo. Lui si mosse nel dormiveglia sulle mie ginocchia, sbatté più volte le palpebre, accennò un sorriso. -Buongiorno-. La sua voce era più roca del solito al mattino. Mi faceva pensare ad una splendida canzone jazz di cui non ricordavo il titolo.
-Salve.- lo salutai in un sussurro. –Come hai dormito?-.
Si stiracchiò lentamente. –Bene. Hai il divano più confortevole del mondo-.
-Lo prendo per un complimento.- risposi ricambiando il suo sguardo di un’intensità che riusciva solo a spaventarmi.
-Temo che dovremmo prepararci.- mi informò tranquillo dopo una manciata di secondi, scrutandomi dal basso. Annuii, mentre lui con uno sforzo di volontà si sollevava a sedere: mi alzai anch’io con cautela, rabbrividendo alla gelida carezza di una corrente d’aria e strinsi forte i denti perché non mi battessero.
Corsi a vestirmi; indossai una calzamaglia pulita e uno scalda cuore di lana, fremendo lievemente al pizzicore della stoffa ruvida contro la pelle.
Mentre Harry era in bagno a lavarsi, udii il rumore inconfondibile di una chiave girata nella toppa. Proprio allora mi venne in mente che Alyson sarebbe dovuta tornare dal cottage in campagna proprio quel lunedì mattina per permettere a Dave di lavorare.
Il viso della ragazza spuntò dalla porta socchiusa; entrò di soppiatto badando a non far cigolare troppo i cardini, ma quando mi vide in piedi all’ingresso del salotto, trasalì e si portò una mano al petto, sorpresa. –Mi hai spaventata: credevo dormissi ancora-.
-Bentornata!- l’accolsi io con una scrollata di spalle. –Ti sei divertita?-.
-Si, Dave è uno spasso!-. Non l’avevo mai vista così entusiasta per qualcosa. –Siamo andati anche a pescare…-. Alyson non fece in tempo a terminare il racconto che Harry, ignaro dell’arrivo della mia amica, fece la sua comparsa dal bagno, gocciolante e con solo un asciugamano attorno alla vita. –Carol, hai per caso…?- si bloccò a metà frase e spostò gli occhi da me ad Alyson, visibilmente imbarazzato.
-Credo di essermi persa qualcosa.- disse dopo un po’ Alyson, inchiodandomi con lo sguardo.
La fissai con l’aria più angelica e disinvolta che conoscessi. –Non è assolutamente come sembra…-.
-Questa l’ho già sentita-.
-Abbiamo visto un film e ci siamo addormentati.- mi venne in soccorso Harry.
-E tu perché eri qui?- lo interrogò inquisitoria l’altra.
Il ricciolino aprì la bocca per rispondere, ma io lo precedetti:- Harry, puoi lasciarci sole un momento?-. Il ragazzo annuì e si voltò per andarsene.
-Carol, hai violato la regola numero uno di questo appartamento: niente festini sotto le lenzuola. Se ci vogliamo divertire, fuori. Ricordi? – mi aggredì Alyson, non appena Harry si fu richiuso la porta del bagno alle spalle. – Non voglio che casa mia divenga un crocevia di bellimbusti mezzi nudi-.
-Non è successo nulla, credimi. Abbiamo trascorso un giorno assieme: nulla di più-.
Alyson si fidava della mia parola. –D’accordo, ma che ci faceva qui?-.
-Questa è un’altra storia…- borbottai grattandomi la nuca. –Diciamo che…ora ci frequentiamo-.
Alyson corrugò appena la fronte, interdetta. –Frequentare nel senso…-.
-Si, usciamo insieme-.
-Vedo che i miei consigli sono presi in considerazione.- Sospirò. –Almeno è carino-. Scoppiammo a ridere.
Sally mi venne incontro pimpante. Caracollò al mio seguito, fino in cucina, dove le assegnai la sua dose giornaliera di croccantini, mentre Alyson si lanciava in un racconto particolareggiato degli scoiattoli striati. –Penso che realizzerò uno schizzo. Ho un mucchio di idee in proposito…-.
-C’è da mangiare anche per me?-. Harry fece capolino dalla porta. Si era vestito e aveva asciugato i capelli.
Versai un po’ di latte in un pentolino e regolai la fiamma del fornello. Un minuto più tardi, mangiavamo sulla solita incerata coi girasoli, tutti e tre insieme.
Consumata la colazione, infilai il cappotto e uscii, seguita da Harry. Lui fece scorrere le sue dita contro le mie fino a intrecciarle. Era la seconda volta che mi prendeva per mano e riuscivo a stento a controllare i brividi.
Come se ad un tratto avessimo le ali ai piedi, ci precipitammo giù per scale ridendo senza riuscire a smettere, come bambini.
-Penso sia stata una delle scene più imbarazzanti della mia vita.- commentò Harry, mentre aprivo il portone d’ingresso del palazzo.  
Ma, ci fermammo entrambi meravigliati, le mani ancora saldamente unite e gli occhi rivolti verso il bianco accecante della…
-Neve!- esclamai. A Londra capitava raramente. La candida coltre di neve scricchiolava sotto i nostri piedi. Era un giorno terso e cristallino: alcuni fiocchi di neve mulinavano al vento e danzavano leggeri attorno a noi.
Harry mi prese il volto tra le mani, disegnando coi pollici cerchi immaginari sulle mie guance. Mi baciò e le nostre bocche si rincorsero per alcuni interminabili istanti, affamate l’una dell’altra.
-Ti va se ti porto a cena fuori domani?- bisbigliò contro il mio orecchio. I nostri nasi si sfioravano.
Mi sistemai una ciocca dietro l’orecchio e mi scostai quanto bastava per poterlo guardare dritto negli occhi.
-Non credo di potere domani-.
-Allora, un altro giorno…-.
-In effetti, penso di essere molto impegnata in questo periodo.- declinai l’invito, seria.
Lentamente sciolse il nostro abbraccio, si passò una mano tra i riccioli scuri e sbuffò seccato.
-Carol, qual è il problema adesso?-.
Sospirai pesantemente. –Penso solo che stiamo affrettando un po’ le cose. Dopotutto tu ti sei appena lasciato con Rachel…-.
-Questo che c’entra?- saltò su nervoso.
-Niente…io, non l’avevo previsto…-.
-E’ questo il punto.- disse lui gelido, accostando il suo viso al mio. –Tu pretendi di calcolare e prevedere tutto. Beh, te lo faccio presente adesso: i rapporti umani non sono come le statistiche aziendali, né come la geometria di Euclide. Non ci sono scadenze; non ci sono foglietti illustrativi. Ci si incontra, magari a lavoro o in palestra, si scambia qualche chiacchiera di poco conto, si esce insieme per conoscersi meglio. E’ così che fa la gente normale: niente che preveda contratti matrimoniali. Lo capisci, vero?-.
-Non trattarmi come se fossi stupida. Lo so da me cosa significhi frequentare una persona.- insorsi.
-No, non sei stupida. Sei solo pavida: non vuoi affezionarti per non soffrire, non vuoi rischiare senza certezze. Ma così non vivrai mai sul serio. Questo è il tuo problema-.
-Non azzardarti a psicanalizzarmi, Styles!- gli urlai in faccia. Detestavo i ben pensanti come lui: non capivano nulla ed emettevano esclusivamente giudizi avventati…forse. Mi voltai di scatto e presi a camminare verso la fermata dell’autobus.
Mi afferrò per la manica del cappotto e mi costrinse a voltarmi. -Dio, quanto mi fai incazzare, Carol… non hai idea-.
-Ho afferrato il concetto invece. Lasciami in pace-.
-No, stammi a sentire.- Mi accarezzò il viso, respirando piano. -Abbiamo entrambi dei caratteri difficili e sarà dura: dovremmo lavorarci su, ci sbatteremo la porta in faccia mille volte e litigheremo sino ad avere la gola arida, ma ne varrà la pena secondo me-.
L’autobus era appena comparso all’angolo della strada.
 –Mi dispiace.- dissi, pentendomene immediatamente. Non credevo nel destino: se poche, casuali parole sfociano in un litigio, un rapporto non funziona e basta.
-Allora, nemici come prima?-. Il suo tono tagliente mi ferì. Sgusciai via dalle sue braccia e salii sull’autobus.
A kiss to build a dream on. La sua voce mi faceva pensare ad “A kiss to build a dream on”, una canzone di Louis Armstrong. Solo che nelle mie orecchie non c’erano bassi o sassofoni a dare il ritmo. Io sentivo solo l’eco della sua voce.
 
 
 
 
 
 
 
                                                                      Harry
 

Che stronza.
Calciai un sasso sul marciapiede, furibondo con me stesso e soprattutto con lei.
Ci baciavamo e litigavamo, facevamo la pace e discutevamo di nuovo.
Mi avviai a piedi nell’aria pungente del mattino, con le mani sprofondate nelle tasche dei jeans e la giacca slacciata.
Ma, giunto in redazione, mi resi subito conto di un fermento diverso dal solito. Non sembrava avere a che fare con un’uscita particolarmente vincente.
Emily quasi non mi guardò quando le consegnai il mio articolo. Saettava da una parte all’altra del suo ufficio, riponendo moduli e scartoffie varie nelle cartelle e rispondendo al telefono. Tolsi rapidamente il disturbo e sulla porta incrociai Dave con alcuni documenti in mano. –Come è andato il fine settimana?-.
-Benone. A te?-.
-Domanda di riserva?- bofonchiai in risposta. –Si può sapere che succede stamattina?-.
Dave si strinse nelle spalle. –Pare che ora McGregor sia dei nostri-.
Ewan McGregor era uno dei giornalisti più in vista del momento. Qualsiasi articolo scrivesse finiva sempre in prima pagina e aveva fruttato parecchie migliaia di sterline al Times, il suo giornale. Avevo sentito però che dopo una furiosa lite con il direttore, aveva deciso di licenziarsi e di cercare lavoro altrove. Di certo quella cacciatrice di teste della Reed non si era lasciata sfuggire l’occasione per recapitargli una proposta di lavoro.
Le mie supposizioni si rivelarono fondate quando, durante la riunione di redazione, la direttrice annunciò a tutti i suoi sottoposti che il nuovo vicedirettore capo sarebbe stato McGregor.
-Robert è da poco andato in pensione e così Ewan ha gentilmente accettato di prendere il suo posto e di collaborare con noi. Emily dopo aver controllato tutti gli articoli, li consegnerà ad Ewan che scarterà e selezionerà prima della mia revisione. Perciò in caso di dubbi, sarà lui la persona a cui dovrete rivolgervi-.
McGregor si alzò in piedi, distribuì il suo sorriso ammiccante a tutti i presenti e parlò.
Non ascoltai il suo discorso: sicuramente si trattava delle solite banalità su quanto fosse felice di lavorare ad un giornale come il Daily Mirror e tante altre parole di poca importanza.
Era intrappolato in un completo gessato scuro, con le scarpe tirate a lucido, e i capelli biondo cenere impeccabili. Gli occhi chiari e arguti, vagavano per la stanza alla ricerca di qualcosa che non riuscivo ad identificare: modi ammalianti, voce affascinante.
-Carol,- riprese la direttrice dopo il discorso di McGregor. - Tu ti occuperai dell’incontro tra il Primo Ministro e Woodwiss-. Gli sguardi di tutti caddero su di lei, calò il silenzio.
-Non ho mai scritto di politica.- obbiettò la giovane perplessa. Era un incarico importante, soprattutto per una giornalista così inesperta.
-Sarà ora di cominciare. Mi aspetto un ottimo lavoro…-. E aggiunse:-Da tutti voi-.
Al diavolo il mio articolo sul Messico: io volevo cimentarmi in qualcosa di più difficile.
Dopotutto, nonostante fossi molto giovane mi ero dimostrato sempre all’altezza e sentivo di meritarmi la fiducia del capo quanto e forse più di Carol.
Quando la sala rimase completamente vuota, ad eccezione di me e di Anne Reed, mi decisi a parlare:-Mi scusi…-.
-Che c’è, Styles?-.
La osservai in religioso silenzio mentre ordinava una pila di altre testate.
-Hatton scriverà un pezzo impegnativo per il giornale e mi chiedevo…-.
-Perché io non abbia scelto te?- completò lei al mio posto.
-Si.- confermai lentamente, come se mi costasse fatica ammetterlo.
-Siete entrambi giovani, ma lei ha senz’altro più esperienza e consapevolezza. Lavora con noi ormai da un anno e mezzo e penso sia giunto il momento di testare le sue capacità in qualcosa di più serio-.
-Io…credo di poter scrivere un articolo altrettanto promettente-.
Anne Reed smise di ordinare i suoi appunti. Le sopracciglia scurissime e arcuate si sollevarono appena contro la pelle diafana. -Le tue baruffe personali con Hatton, devi tenerle fuori da questo ufficio. Come direttrice richiedo innanzitutto ai miei colleghi massima professionalità-.
-Non si tratta di una questione tra me e Hatton. Sto parlando di ambizione-. Era la verità, ma solo in parte.
D’un tratto si raddrizzò con le mani sui fianchi. Il suo sguardo intenso parve valutarmi deliberatamente per alcuni, brevi attimi. –Allora, scrivi il pezzo su Woodwiss e stupiscimi-.
Radunò gli ultimi documenti, li infilò nella ventiquattrore nera e scivolò fuori dalla sala riunioni, lasciandosi dietro una scia di profumo fiorito. –Ma, domattina voglio anche l’articolo sul Messico-.
 
 
 
-Cosa vi siete detti tu e Anne?-.
-Solo che ho il permesso di scrivere sul Primo Ministro-.
-Non era un compito di Carol?-.
-Lo è ancora.- sillabai, costringendomi a fissare la scodella di riso di fronte a me.
-C’è qualcosa che non so?- fece Dave interrogativo dall’altro lato del tavolo. Stavamo pranzando nel suo appartamento.
-Assolutamente niente.- tagliai corto. Allontanai il piatto, ormai freddo. –Scusa, ma non ho più fame. Vado a farmi un giro-.
Perché l’avevo fatto? Non lo sapevo con esattezza. In parte per ambizione, come avevo spiegato anche ad Anne Reed, in parte per poter competere e rivaleggiare con Carol.
Invece di nevicare, ora piovigginava, ma avevo dimenticato l’ombrello e non volevo assolutamente tornare dentro a prenderlo con il rischio di essere messo sotto torchio da Dave. Così mi inoltrai nella nebbia, sotto il ticchettio lieve della pioggia.
 
 
 
Mi strofinai le mani sudate contro i jeans, poi tirai giù la chiusura lampo dell’impermeabile.
La seduta mensile dal dentista aveva un potere calmante su di me. Come le sedute dallo psicologo che avevo abolito da qualche anno per i complessi che creavano, solo meno noiosa e molto più distensiva. Cosa alquanto strana, data la poca familiarità che avevo con ablatori e trapani per le terapie canalari.
Eppure mi rivedevo perfettamente, seduto sulla poltrona del dentista, con le pinze in bocca e le chiacchiere di Liam che mi stordivano.
Mi rese conto di ridere da solo, come un ebete, quando intercettai l’occhiata di fuoco della segretaria. Ora che ci pensavo, la ragazza assomigliava terribilmente al barboncino rosa di Paris Hilton. Soffocai una risata e presi a canticchiare a mente il ritornello di una canzone.
Qualche minuto dopo ero nella stanza dell’orrore, ma non ne facevo un gran dramma. In fondo, mi piaceva.
-Chi si rivede? Come va, Harry?-.
Liam in camicie bianco, sollevò lo sguardo dalle ricette e sorrise sincero.
 –Non mi lamento-. Liam era un amico pragmatico ed intuitivo, dispensatore di consigli a tempo perso e ottimo psicologo nei momenti difficili: non potevo chiedere terapia migliore.
Tra una chiacchiera e l’altra mi ritrovai seduto sulla poltrona blu. La storica poltrona blu.
-Oggi facciamo solo un controllo.- ricordò lui. Annuii. -Niall tornerà dopodomani dalla Cornovaglia. – continuò.- Pensavamo di aiutarlo a sistemare la nuova casa e poi di cenare tutti insieme-.
-Come i vecchi tempi…-osservai.
Silenzio. –Non hai più sentito Rachel?- indagò, ficcandomi in bocca lo specchietto.
La risposta fu un grugnito confuso e indistinto.
-Cosa?-.
-No.- provai a ridire, mentre Liam mi faceva la lavanda gastrica.
-E quella giornalista che ci hai presentato…è carina-.
-Abbiamo litigato proprio oggi.- biascicai a fatica. –E domani sera uscirò con Makemehappy-. Di tanto in tanto avevo parlato anche a lui della nostra corrispondenza via e-mail.
-Oh, era ora.- fece a fior di labbra, come se si sentisse in dovere di dire qualcosa.
-Mi sento in colpa-.
Liam interruppe lo studio delle gengive per lanciarmi un’occhiata furtiva.
-Che intendi?- mi domandò cauto.
-Carol è solo una grande stronza ed io per ripicca le soffierò un articolo. In realtà, intendo farlo anche perché è una bomba da prima pagina…– spiegai.
Liam si lasciò sfuggire una fragorosa risata. Lo guardai male. Se non avessi avuto le sue mani in bocca, di sicuro gli avrei risposto a dovere.
-Sembra di essere tornati alla scuola primaria quando ci rubavamo a vicenda la merenda per l’intervallo. Beh, se questa Carol è stronza quanto tu dici, dimenticala e vai avanti-. Sembrava semplice detto così.
–Compiamo azioni così stupide a volte…- farfugliai, poco convinto.
-…Harry, non fare quella faccia e apri bene la bocca che rischio di strozzarti con questi arnesi in mano-. Riprese a controllare il molare che aveva lasciato in sospeso e borbottò qualcosa a proposito dei guanti in latex che gli irritavano la pelle.
-Stavamo così bene e poi all’improvviso ha mandato tutto all’aria. Ciò che mi ha ferito non è solo il fatto che mi abbia respinto, ma come lo ha fatto. Sembrava stesse risolvendo un fastidioso contrattempo di lavoro.- provai a scandire senza grossi risultati.
Liam agitò lo specillo in aria per indicarmi di alzarmi dalla sedia della tortura. Si tolse i guanti in latex e li gettò nel cestino di plastica. Sterilizzò gli strumenti su un lavandino lì accanto. Poi tornò alla scrivania.
-I denti sono a posto. Le gengive le ho trovate leggermente infiammate. Dovresti usare qualche prodotto per l’igiene orale. A volte non basta usare un buon dentifricio-.
Prima di uscire dallo Studio Dentistico Payne, Liam mi bloccò sull’uscio.
-Fammi sapere come va con la sconosciuta-. Sorrisi al pensiero e lui non poté fare a meno di ricambiare.
Mentre ero in ascensore, pensai di nuovo a Carol. Avevo un articolo da scrivere.
 
 
 
 
 
 
 
Salve :)
Finalmente è finita la scuola- non smetterò mai di ripeterlo.
Ho qualche problema al pc, quindi sarò rapidissima. Abbiamo introdotto il personaggio di Ewan(che nella realtà è un attore scozzese che adoro) e che scopriremo a poco a poco; le cose tra Harry e Carol non sono così semplici e ritorna Liam-dentista (!!!).
Sono stata indecisa sino all’ultimo su questo capitolo, ma alla fine eccomi qua. Spero vi piaccia.
Grazie infinite a chi lascia sempre una recensione, chi preferisce/segue e ricorda la storia;  grazie a chi mi ha inserito tra gli autori preferiti e chi invece legge e basta. Non ho parole, davvero…!! xD
In bocca a lupo per chi in questi giorni ha gli esami.
Corro a rispondere alle vostre recensioni che erano…ffognfogfngofngfongfo <3
Cate :)



questa è il nostro Ewan....


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Capitolo 19
*** XIX ***


   
            



                                                                                                 Non avrei potuto essere
                                                                                                più disperatamente cieca 

                                                                                                se fossi stata innamorata. 
                                                                                                Ma è stata la vanità, 
                                                                                                non l'amore, che mi ha perduta.
                                                                                              (Jane Austen, Orgoglio e Pregiudizio)
          
 

Capitolo 19
 
 

 
                                                                                                                                                                         Harry;
 
 
Scrutavo l’articolo sul Primo Ministro da almeno mezz’ora. Lo posavo sul tavolo della cucina, misuravo ad ampi passi il perimetro della stanza con le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni, lanciavo un’occhiata distratta dalla porta, poi lo afferravo di nuovo per rileggerlo. E questo da ben trenta minuti. Vi era qualcosa che stonava terribilmente in ciò che stavo per fare: avrei dovuto semplicemente ignorare Carol, invece di vendicarmi.
Dave intanto stava schiacciando i lime per preparare lo sciroppo di zucchero, con la precisione di un chimico nel suo laboratorio. Teneva la lingua intrappolata tra i denti e la fronte leggermente aggrottata per la concentrazione.
-Così hai intenzione di dichiarare guerra aperta a Carol? Non è vero?- se ne uscì ad un certo punto.
Smisi di fissare i fogli stampati che stringevo in mano. –Non stavi cucinando, tu?-.
-Harry, questo tuo comportamento non condurrà da nessuna parte.- mi fece presente lui. –Sei arrivato da poco e Anne Reed ti ha già nelle sue grazie: sai quante occasioni si ripresenteranno per te? Quanto a Carol, è più di un anno che aspettava questo momento e non puoi rovinarle la carriera per un futile capriccio-.
-Ora stai esagerando.- lo ripresi mettendo finalmente da parte l’articolo per inchiodarlo con lo sguardo. –E’ lei quella che si è comportata da stronza.- preferii puntualizzare alla sua occhiata di fuoco.
-Carol è fatta così: non sa mai ciò che vuole…-.
-Non è una giustificazione.- ribattei afferrando la giacca appoggiata sulla spalliera di una sedia e sorpassandolo. Dave si voltò verso di me con una mano sullo stipite della porta. Parve sul punto di dirmi qualcosa, ma poi tacque.
-Io vado. Ci vediamo in redazione-. Gli rivolsi un cenno di saluto con la mano, prima di sparire oltre la soglia. Camminare mi avrebbe aiutato a riflettere sul da farsi. Ma, il destino sembrava ordire un complotto contro di me: il tragitto dall’appartamento di Dave sino in redazione, mi parve straordinariamente breve rispetto al solito.
Lanciai un’imprecazione quando nei pressi del parcheggio ancora vuoto, ad eccezione di un paio di macchine, la tracolla nera mi scivolò dalla spalla per crollare con un tonfo sordo sull’asfalto. La sollevai sbuffando e aprii la porta a vetri del palazzo con una spallata. Appena entrato mi precipitai nell’ascensore per salire in ufficio, ma all’uscita quasi mi scontrai con McGregor.
-Devi essere Styles.- mi salutò smagliante come al solito. Annuii lentamente come se temessi che da un momento all’altro la testa sarebbe rotolata giù dal mio collo.
Strinsi la mano che mi porgeva, senza nascondere un’espressione perplessa.
-Anne mi ha detto che hai talento per essere così giovane-.
-Allora devo ricordarmi di ringraziarla.- sorrisi sornione in risposta.
Emily era già seduta dietro la scrivania, con gli occhialetti dalla montatura squadrata in perfetto equilibrio sul naso ossuto. –Buongiorno, Harry-.
Ricambiai. –La direttrice è già arrivata?-.
-Non dovresti domandarmelo. Lei è sempre in anticipo.- mi redarguì scherzosamente la mia collega. –Hai ragione!- feci con una scrollata di spalle.
A dirla tutta, anche il tragitto dall’ufficio di Emily a quello di Anne Reed mi parve troppo breve. A poche spanne dalla porta, mi bloccai come in pausa, pensando freneticamente alle due possibilità che avevo di fronte: tornarmene da dove ero venuto, limitandomi ad ignorare Carol Hatton per il resto dei miei giorni, oppure scegliere la via per l’inferno. Mi venne in mente il giorno in cui avevamo lavorato assieme per la prima volta: lei aveva scritto l’articolo in camera sua, io invece in cucina; avevamo espresso opinioni diverse, le nostre personalità e gli ideali in cui credevamo si erano scontrati senza doppi fini,  in un gioco puramente dialettico.
 Non importa che tu dica la verità. Importa che tu la dica bene…Poi cominci a farci l’abitudine e non ti meravigli neanche più se le cazzate che scrivi vengono apprezzate, perché è così che gira il mondo…
Le sue parole mi rimbombarono nella testa come l’eco lontano di una tempesta: le ricordavo perfettamente e nonostante sopra la scritta “Direzione” sembrasse alleggiare un cattivo presagio, optai per la vendetta.
Un passo e mi ritrovai con la mano chiusa a pugno sulla porta.
-Avanti-.
Presi un respiro profondo, prima di abbassare la maniglia e sbirciare dentro. Riuscivo a malapena ad intravedere Anne Reed, sommersa da una pila di giornali e riviste.
-Oh, Harry. Prego, entra-. Si sfilò gli occhiali da vista e con un gesto della mano mi indicò la sedia più vicina.
Seguii il suo invito, accomodandomi proprio di fronte a lei. Trascorsero alcuni istanti di silenzio, interrotti solo dal leggero ticchettio della penna stilografica che la direttrice lasciava rimbalzare distrattamente sul piano di legno.
-Ho scritto il mio articolo.- annunciai porgendole i fogli.
-Di già? Pensavo che avresti dedicato maggior tempo ad un pezzo del genere-.
-L’ispirazione non è tardata ad arrivare. –spiegai, e mentre lei chinava lo sguardo sullo scritto che molto probabilmente avrebbe segnato il mio avvenire, giocherellai con i bottoni della giacca indeciso se osservarla per decifrare la sua espressione o limitarmi a pregare in attesa del verdetto finale.
In preda a mille, improvvisi e altrettanto insensati dubbi, torturai con i denti il mio labbro inferiore fino a farlo sanguinare. Forse avrei potuto scrivere di meglio…
Dopo un tempo che mi parve infinito, Anne Reed mi restituì un’occhiata indecifrabile. Allontanò da sé i fogli e rilassò le spalle contro la poltrona di pelle nera. –Quanto hai impiegato per scriverlo?-.
-Tutta la notte.- risposi con franchezza.
-E’ un bell’articolo.- disse infine. Per un attimo smisi di respirare, sbattei più volte le palpebre sbigottito quasi a volermi accertare che non stessi ancora dormendo.  -Come, scusi?-.
-Hai fatto un buon lavoro, Styles-.
 
 
 
Camminavo sicuro per il corridoio che correva parallelo agli uffici dei dipendenti, con le mani immerse tra i miei riccioli e lo sguardo che saettava da una parte all’altra in cerca di Carol.
Giunto in cima alle scale, incrociai Dave. –Dove vai?-. Gli lanciai una breve occhiata prima di rispondere:-Sto cercando Carol-.
-L’ho incontrata ai distributori automatici.- mi riferì senza celare una traccia di sospetto nella voce. Lo ringraziai con un cenno del capo e, ignorando volutamente il suo sguardo indagatore, mi precipitai  al piano di sotto.
Dave aveva ragione: Carol era proprio lì, di fronte ad un caffè fumante. Ma, non era sola.
 
 
 
 
                                                                                                                                                                Carol;
 


La giornata, almeno per quanto mi riguardava, era iniziata in modo pessimo ed era destinata a concludersi anche peggio. Avevo lavorato ore intere sull’articolo da scrivere, senza sosta; era terminata l’ultima confezione di caffé in polvere senza poterla sostituire con una nuova e la lavatrice era guasta come al solito; il motorino era andato ed Alyson non poteva rinunciare alla sua Volvo per recarsi alla Galleria d’Arte di Marcus Bernstein in Cork Street. Così, mi ero armata di pazienza e avevo deciso di prendere l’autobus, ma per soli quattro minuti avevo perso quello delle sette e trenta. Dunque ero stata costretta ad aspettare un quarto d’ora, prima di avvistare il successivo. Tanto era il sonno però che mi ero addormentata su uno dei sedili duri e scomodi del mezzo pubblico, dimenticandomi di scendere alla fermata giusta.
Per fortuna, poco dopo i singhiozzi di un bambino alle prese con un capriccio mi avevano destata del tutto e così ero scelta due fermate dopo, per poi percorrere il resto del tragitto a piedi.
Nonostante fossi in ritardo, avevo deciso di sostare alcuni minuti davanti ai distributori automatici per bere un bicchiere di caffè, ma arrivata sul posto, avevo scoperto con orrore di non conservare più spiccioli nel portafoglio.
E proprio quando ero stata sul punto di imprecare ad alta voce, Ewan McGregor era comparso dal nulla.
-Ci sono problemi?- mi aveva domandato con un tono tanto garbato da indurmi a restare calma.
-Nulla. Non si preoccupi-.
-Scommetto che non hai i soldi per una sana tazza di caffè.- aveva azzardato invece senza desistere.
Così mi ero lasciata convincere a farmi offrire il caffè e in pochi minuti avevamo iniziato a fare conoscenza.
-Scozzese?- gli chiesi ad un certo punto.
-Da cosa l’hai capito?-. Il suo accento appena accennato poteva sfuggire a chiunque.
-Dal modo in cui pronuncia la R e se devo dirla tutta…dal cognome.- rivelai con un mezzo sorriso.
-Già, dimenticavo-.
-Spero si troverà bene qui, al Daily Mirror.- dissi sistemandomi la borsa nuova sulla spalla.
-Lo spero anch’io. – ammise. Poi, consultando l’orologio, soggiunse:-Ora, devo proprio scappare: Anne pretende il mio parere su un pezzo-.
-A dopo…e grazie per il caffè!- dissi in un soffio. Lo seguii con lo sguardo, sorseggiando la bevanda calda, mentre procedeva a passo spedito verso le scale. Il caffè scese lungo la gola, scaldandomi il petto e aumentando la frequenza cardiaca. In pochi minuti era entrato in circolo, stimolando le mie cellule nervose: mi sentivo già meglio.
-Allora avevano ragione quelli del Times: McGregor ha già fatto colpo.- mi sbeffeggiò una voce familiare alle mie spalle. Roca, ammaliante, accento strascicato del Cheshire. Harry.
-Ma, figurati!- replicai seccata, senza degnarlo di uno sguardo.
-Si, certo. Come no…-. E aggiunse fingendo un fare civettuolo:-A dopo…e grazie per il caffè!-.
-Non ho affatto usato quel tono.- ribattei irritata. Feci dietro front con il bicchiere di plastica ancora stretto tra le dita, sentendo i suoi passi dietro di me.–E ora che ci penso: da quanto eri nascosto lì dietro ad origliare?-.
-Io non origliavo!- obbiettò Harry sulla difensiva. -Si, certo. Come no…- lo imitai. Mi scoccò un’occhiata gelida, prima di osservare:-Hatton, ancora non mi hai chiesto che cosa pensano i giornalisti del Times sul tuo nuovo ammiratore-.
-Cosa pensano quelli del Times sul nostro nuovo collega?- domandai infastidita, ponendo l’accento sull’ultima parola.
Fece un passo verso di me, guardandosi intorno con aria teatralmente circospetta; poi si chinò sul mio viso per rivelarmi chissà quale atroce verità. I suoi respiri si mescolarono ai miei, procurandomi i brividi. -Voci di corridoio dicono che sia un instancabile sciupa femmine-.
Sollevai di scatto lo sguardo sul suo volto, restituendogli un’occhiata irriverente:-Un po’ come te-.
-Cosa?!- sbottò lui oltraggiato. Schioccai la lingua contro il palato. -Mi hai baciata subito dopo aver lasciato Rachel.- gli ricordai con asprezza.
-E tu stai flirtando con un uomo di dieci anni più vecchio di te, nonostante io ti abbia baciata qualche giorno fa-.
-Non stavo assolutamente flirtando. E poi tu stesso mi hai detto di aver avuto una storia con una donna molto più grande di te a soli diciassette anni-.
-Mi spieghi cosa c’entra questo con noi due?-.
-Non ti permetto di criticarmi. Ieri mi hai mandata al diavolo e oggi ti ingelosisci?-.
-Ho detto di essere geloso per caso?- replicò con una faccia da impunito, mentre continuavamo a camminare. –Non sono geloso. Tutto tranne che geloso. Si tratta di pura e semplice coerenza-.
-Non importa. Lasciamo perdere.- lo congedai allora, saltando gli ultimi tre gradini della rampa di scale.
Appena raggiunsi la mia scrivania, gettai il bicchiere vuoto nel cestino lì accanto. Avrei tanto voluto fare la stessa cosa con Styles.
 
 
 
Quando entrai nella sala delle riunioni, i miei colleghi si erano già accomodati ai loro posti, attorno al tavolo rettangolare. Mi sedetti tra Emily e James, avvertendo una strana sensazione all’altezza dello stomaco.
Anne Reed ci raggiunse poco dopo, chiudendosi la porta alle spalle. –Buongiorno a tutti-.
Posò alcune cartelle e porta documenti sul piano e ci dedicò uno sorriso spregiudicato. –Avete qualche proposta interessante per il prossimo numero?-.
Si alzarono alcune mani per avere la parola, qualcuno espresse il proprio parere, poi Anne ed Ewan cominciarono ad assegnare gli argomenti.
-Carol, hai già concluso l’articolo sul Primo Ministro?- si informò la direttrice, scoccando una rapida occhiata anche ad Harry, seduto al lato opposto al mio.
Me ne domandai il motivo, mentre senza scompormi annuivo e prendevo a frugare tra le mie carte.
Purtroppo non dovetti attendere molto per capirlo. Infatti ero arrivata all’ultimo foglio della mia cartella senza trovare traccia dell’articolo. Controllai di nuovo da cima a fondo per assicurarmi di non essermi sbagliata e con orrore realizzai di averlo dimenticato a casa nella fretta di uscire. Mi abbandonai sullo schienale della sedia ancora incredula.
-Temo di averlo dimenticato nel mio appartamento stamattina.- mormorai desolata.
Anne Reed mi fissò con una luce di rimprovero negli occhi, prima di spostare lo sguardo su Harry:-Allora, non c’è alcun dubbio. Pubblicheremo l’articolo di Styles-.
Mi girai verso di lui, confusa e sul suo viso compiaciuto, rivolto di fronte a sé, trovai conferma delle parole della direttrice.
-Aspetti, posso portarlo domani!- obbiettai alzando la voce per l’urgenza della mia richiesta, mentre le persone attorno a me si alzavano per lasciare rapidamente la sala.
-Mi dispiace, Carol. Ci tengo a pubblicarlo nella prossima uscita.- rifiutò il mio capo in tono perentorio. Attraversò la stanza e scomparve oltre la porta ed io rimasi sola a sprofondare nella mia stessa ira.
Strinsi le mani a pugno, affondando le unghie nei palmi, fino a far sbiancare le nocche. Mi alzai lentamente, radunai le mie cose e uscii. -Andrà meglio la prossima volta.- mi rassicurò con un occhiolino Ewan. Mi sforzai di sorridere ed annuii prima di tornare al mio lavoro.
Il resto della giornata scivolò via nell’apatia più totale. Mentre all’ora di pranzo, mi preparavo ad uscire, intravidi una chioma di ricci a metà del corridoio che dava sulla vetrata interna e allungai il passo per raggiungerlo.
Quando gli fui dietro, gli strattonai malamente il braccio per costringerlo a voltarsi.
-Come hai fatto ad ottenere il mio articolo?- lo aggredii senza preamboli. Mi restituì uno sguardo neutro e primo di qualsiasi emozione, ma non mi era affatto sfuggita l’iniziale sorpresa nell’avermi riconosciuta.
-Ho parlato con Reed, dopo la riunione di ieri e le ho chiesto di concedermi una pari opportunità.- spiegò pacato e assolutamente sicuro di sé. –Quell’articolo non era una tua proprietà esclusiva: sono stato semplicemente più bravo-.
-Più bravo a giocare sporco!- lo corressi astiosa. –Avevo ragione sin dall’inizio a considerarti uno sleale! Tutti quelli che hanno cercato di dissuadermi, avevano torto-.
Lui, per tutta risposta, trattenne a stento una risata sarcastica. –Almeno ti ho fornito una scusa valida per non voler uscire con me-.
Assottigliai gli occhi fulminandolo con lo sguardo. –Allora è questo il vero motivo: sei stato ferito nel tuo orgoglio maschile e hai pensato bene di vendicarti in modo meschino!-.
Le porte dell’ascensore si aprirono  scivolando silenziosamente sui cardini e noi entrammo, senza smettere di discutere. –Tu, invece? Non sei stata altrettanto sleale nei miei confronti? Avrei potuto accettarlo se non fossi stata così stronza-.
-Con le persone si dialoga!-.
-Il nostro non è un dialogo, è un duello. Ed io sono stanco.- ribatté Harry, alzando la voce per la prima volta.
-Sei il più grosso ipocrita che io abbia mai conosciuto. Prima mi fai la predica da giovane moralista e poi reagisci cosi?-. L’ascensore arrivò al piano terra e si aprì di nuovo. Uscii trafelata, seguita da Harry. Cominciò a ridere.
-Cosa diavolo c’è da ridere?-.
-Sei furiosa-.
-Potrei ucciderti!- urlai, appena superate le porte a vetri.
-Non ne dubito-.
-Bastardo!-. E cominciai a tempestarlo di pugni e schiaffi. Mi afferrò i polsi e me li tenne fermi, ma proprio allora misi il piede su una lastra di ghiaccio del marciapiede e barcollai. Prima che potessi rovinare a terra, mi strinse per la collottola. Riacquistato l’equilibrio necessario per stare in piedi da sola, mi divincolai dalla sua presa con un ringhio rabbioso. –Va al diavolo, Harry.- dissi piano e fu quasi un sussurro che vagò a mezz’aria tra di noi prima di dissolversi col vento. Mi fissò, leggermente stupito. Girai sui tacchi e mi incamminai verso la fermata dell’autobus più vicina, sentendomi il suo sguardo addosso per tutto il tempo.
 
 
 
 

 
Ho passato ieri notte a chiedermi come avrei potuto aprire questo My space. Sono desolata per non aver potuto aggiornare prima, ma fra vacanze organizzate all’ultimo secondo, l’ispirazione calata a picco, il caldo atroce e il pc che si impallava ogni due secondi…non so quale sia stata la distrazione maggiore! In più ci si mettono le altre tre storie che sto scrivendo contemporaneamente a Penfriends e Tomboy e la sceneggiatura di un cortometraggio per una mia amica.
Ma, ora eccomi qui. Ho già scritto una parte del prossimo capitolo (che è quello dell’appuntamento) e quindi non tarderò più nell’aggiornare. Mi siete mancate tantissimo, sappiatelo, e tra me e me spero di esservi mancata un pochino anch’io :D
Devo fare un enorme ringraziamento a chi recensisce/preferisce/segue e ricorda questa storia; chi mi tiene tra i suoi autori preferiti, chi ogni tanto pubblicizza e ovviamente tutti i lettori - passatemi il termine-"silenziosi". Grazie, grazie, grazie. Mi riempite il cuore di gioia!
Non vedo l’ora di sapere che ne pensate e soprattutto cosa vi aspettate riguardo all’appuntamento. Ah, e per qualsiasi cosa ora mi trovate su ask. Fatevi sentire, mi raccomando: http://ask.fm/RuthSpencer 
 

A presto, GIURO
Ruth <3
 
 
 
 
  

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Capitolo 20
*** XX ***


             

Capitolo 20

 
 
 
                                                                                                                             Carol;
 
 
Quando la mia stanza ormai aveva tutta l’aria di una sala prove in una sartoria di Londra, io non avevo ancora deciso cosa indossare per l’appuntamento con Landscape.
Diversi vestiti giacevano uno sopra l’altro sul copriletto, alcuni pantaloni e una gonna avana erano abbandonati sullo schienale della sedia; per non parlare delle borse e porchette lasciate a terra o sulla scrivania e delle scarpe seminate un po’ ovunque.
La mia coinquilina, Alyson Smith, contemplava la scena dallo stipite della porta a braccia conserte.
-Pensi di riuscire a scegliere tra tutti questi vestiti, oppure dovremo ipotecare la casa?- mi domandò ironica.
Sbuffai, prima di voltarmi bruscamente verso di lei con le braccia strette al petto. –Io…non so da dove cominciare.- mi difesi.
-Vestito o pantaloni?-.
-Non ne ho idea.- sospirai abbattuta, accasciandomi sul bordo del letto.
-Il problema è che non sai neppure tu ciò che vuoi. Da quando sei tornata dal lavoro non hai smesso cinque minuti di parlare del tuo collega…-.
-Chi? Harry? Certo, è uno stronzo-.
-Si, ma il punto è che ora uscirai con questo misterioso ragazzo dopo mesi che tentate di organizzare un appuntamento e tu, se mi permetti di dirlo, sembri più occupata a criticare Styles-.
-Beh,- biascicai alla ricerca di una scusa convincente. –Mi ha rubato l’articolo più importante che mi avessero affidato sino ad ora. Avrò il diritto di essere arrabbiata?-. Mi alzai e la raggiunsi. –Non fraintendermi: sono emozionata e nervosa all’idea che finalmente lo conoscerò… di vederlo per la prima volta di fronte a me e…Dio, non posso crederci, ma oggi è stata davvero una giornata difficile e questo non mi aiuta ad affrontare serenamente la faccenda-.
-D’accordo. Concentrati su Landscape, adesso-.
Annuii in risposta.
-Dove vi incontrerete?-.
 
 
                                                                                                                                                    Harry;
 



-A Coffe Voga.- risposi in automatico. Abbassai il capo per scuotere i ricci e poi con un gesto della mano spostai un ciuffo di lato. Zayn si accostò allo specchio appeso di fronte all’armadio della mia camera, con le mani nelle tasche dei jeans scoloriti.
-E come la riconoscerai?-.
-Terrà…un fiore in un libro-.
Il mio amico distolse per un attimo l’attenzione dalla sua immagine riflessa nello specchio per scoccarmi un’occhiata scettica. –Sei serio?-.
-Perché non dovrei?- obbiettai facendo spallucce.
-Un fiore? In un libro?- scandì lentamente per avere una conferma.
-Si-.
-Tu sei fuori-.
-Zayn, non conosci per caso la parola “romanticismo”?-.
-Questo non è romanticismo, qui si cade nel melenso.- mi contraddisse lui.
-Non la conosco nemmeno, figurarsi!-.
-Appunto-.
-Zayn, non ti facevo così prosaico.- lo schernii poggiandogli una mano sulla spalla.
-Harry,- mi fece il verso lui. –Non ti facevo così sdolcinato-.
Mentre ridevamo, Dave irruppe nella stanza. –Avete programmi per stasera?-.
-Si, usciamo. Tu?-.
-Faccio un salto da Alyson: si è infilata metà dei miei vestiti in valigia, la scorsa settimana-.
-E’ innamorata.- dissi con l’aria di chi la sa lunga.
-No, è svampita.- replicò Dave, prima di salutarci con un -Fate onore al vecchio Dave!- e chiudersi la porta alle spalle.
Prima di uscire, osservai un’ ultima volta gli scaffali stipati di libri della mia camera e il mio sguardo si soffermò su una copertina in particolare: “Cime tempestose”. Avevo iniziato a leggerlo per accontentare Makemehappy e ne ero rimasto favorevolmente colpito.
-Potrebbe anche essere una racchia.- constatò Zayn, non appena fummo chiusi nell’abitacolo della sua Golf di seconda mano. Mise in moto l’auto.
-Ci starò solo dieci minuti. La saluto, ordino una tazza di caffè, la bevo e me ne vado.- dissi assecondando la mia parlantina. –Spero solo che non abbia una vocina in falsetto come i topi di Cenerentola. Ma, perché faccio questo? Perché mi sento obbligato a conoscerla?- mi dimenai contro la cintura di sicurezza. Le uniche sensazioni che riuscivo a provare erano l’ansia e la preoccupazione di non incontrarla, o di trovarla diversa dalla persona che mi era parso di conoscere nelle e-mail.
-Rilassati, Harry. – tentò di calmarmi Zayn, guardandomi per un attimo prima di ingranare la marcia. –Devi solo salire di livello. Io faccio sempre così: porto una relazione su un livello e se la cosa funziona, su un altro livello ancora finché non diventa indispensabile per me…sparire.- spiegò con il fare cinico e pragmatico di un avvocato.
-Non voglio trattenermi a lungo comunque. – ribadii in un tono che sembrava voler convincere più me stesso che il mio amico. -L’avevo già detto?-.
-Si, lo hai fatto.- disse girando il volante a sinistra. Il traffico scorreva rapidamente quella sera, mentre il vento sferzava gelido per le strade. I semafori scattavano da rosso a verde in pochi, brevi secondi e il tragitto per raggiungere il locale mi parve molto più rapido del previsto, ma forse si trattava solo di un’illusione.
Mentre mi lasciavo trasportare dall’immaginazione, la macchina rallentò accostandosi al marciapiede. –Coffe Voga: ci siamo-.
-Fai un respiro profondo…-.
-Zayn, puoi controllare per me?-.
-Intendi… vedere se è carina?-.
-Si…-.
-D’accordo. – sospirò con un sorriso sghembo. –Ma, sappi che sei patetico-.
Annuii per scusarmi, mentre spalancava lo sportello della macchina e balzava giù. Zayn si stava dimostrando un vero amico. Dovevo ricordarmi di offrirgli da bere la prossima volta.
Lo seguii con lo sguardo mentre si incamminava lungo il marciapiede, saliva rapidamente i gradini e raggiungeva la porta a vetri del locale.
-Allora? La vedi?- chiesi senza riuscire ad impedire che l’agitazione trasparisse dalla mia voce flebile.
-No…si, aspetta. Oh, si. Si, si.- annuì il mio amico compiaciuto.
-Che cosa?- lo incalzai fremente, sporgendomi dal finestrino abbassato.
-E’ molto, molto bella-.
-Davvero?- chiesi speranzoso.
-Si. –mi sorrise Zayn, famelico. –Ma…niente libro!- concluse con i palmi rivolti verso l’alto e un’espressione angelica.
Gli lanciai uno sguardo raggelante senza riuscire tuttavia a innervosirmi con lui in qualche modo.
-Okay, scusa.- capitolò lui, rendendosi conto del mio stato d’animo. Mi diede nuovamente le spalle e accostò il viso alla porta a vetri del caffè per scorgere meglio dentro.
Trascorsero alcuni istanti di silenzio, mentre continuavo a torturare la cerniera del mio capotto.
-Ecco, ora vedo un libro con una rosa in mezzo-.
-Dici sul serio?-. Fece cenno di ‘si’ con il capo. –E com’è?-.
-Non riesco a vederla: c’è un cameriere davanti al suo tavolo-.
Sbuffai leggermente, reclinando la testa sul sedile. Quanto avrei dovuto aspettare ancora?
-Il cameriere si sta allontanando. Adesso la vedo-.
-Allora?!- esclamai, trattenendo mio malgrado il fiato.
Vidi Zayn sgranare gli occhi, portarsi una mano nei capelli per ravvivare il ciuffo pettinato verso l’alto; poi, deglutire leggermente e spostare uno sguardo confuso su di me.
-E’ tanto brutta?-.
-No…è che…assomiglia terribilmente...- farfugliò insicuro. –Ha gli stessi colori della tua collega, Carol…-.
-Hatton?-.
-Si, proprio lei. In fondo, avevi detto di trovarla attraente.- sdrammatizzò il mio amico.
-Si, ma chi la vuole Carol Hatton!- obbiettai con vivacità.
-Allora penso proprio che Makemehappy non ti piacerà…- disse lugubre.
-Perché?-. Continuavo a non capire.
-Perché è Carol Hatton-.
Suppongo che il mio volto fosse lo specchio dell’incredulità più totale, perché Zayn tentò di parlare ancora, come per consolarmi. Uscii dall’abitacolo angusto e tremendamente caldo, sbattendo forte la portiera per poi puntare dritto verso l’entrata del Caffè Voga.
Sbirciai di fronte a me, attraverso la porta a vetri e quasi subito scorsi in fondo alla sala una giovane dai capelli di quel colore biondo miele che tante ragazze piegate a testa in giù sulla vasca da bagno, cercano invano di ottenere con due confezioni di tintura.
Indossava un maglioncino lilla su una t-shirt più lunga, nera che si intravedeva appena; sedeva con le gambe accavallate e una mano sotto il mento, pensierosa.
Ma, non era ciò che mi aspettavo. Possibile che su milioni di abitanti, proprio lei?
Ero deluso e amareggiato. Giorni, mesi a conoscere una corrispondente anonima per poi scoprire di averla avuta vicino per così tanto tempo, completamente ignaro? Di averci discusso, di averla baciata?
Se solo Carol avesse saputo la vera identità di Landscape non si sarebbe nemmeno presentata all’appuntamento e invece ora era lì, ansiosa di conoscere la sua anima gemella.
Indietreggiai ferito al pensiero che si fosse innamorata di una parte di me, del poeta, di quello che le inviava e-mail sul senso degli Sturbucks, del caffè la mattina e delle cabine telefoniche, senza tuttavia riconoscermi.
-Non fa niente, Zayn. Buonanotte e grazie di tutto.- dissi in un soffio, prendendo a scendere i gradini.
-Dove vai?-.
-A casa-.
-E’ la lasci così, senza una parola? E se aspettasse tutta la sera il tuo arrivo?-.
-Non mi importa. Andrò a casa e berrò una bottiglia di birra sul divano di Dave.- dissi facendo spallucce.
Quando gli passai accanto gli diedi una pacca sulle spalle, poi lo superai.
-Non vieni in macchina?-.
-Preferisco camminare-.
Lasciai Zayn lì da solo, di fronte all’entrata del Caffè Voga, pestando i piedi sul marciapiede con stizza. Improvvisamente tutte le coincidenze e le parole seminate nei mesi prima assunsero un significato diverso e si collocarono a formare un composizione del tutto nuova.
Hai letto “Cime tempestose”?...Si, è uno dei miei libri preferiti…Una mia amica lo adora. Lo legge ogni volta a Natale… Anch’io ho quest’abitudine…Non dirmi che sei uno di quelli che conosce a memoria Il Padrino!...Da cosa l’hai capito?...Conosco i sintomi. Un mio amico lo adora...
Mi sembrò tutto così chiaro, così palese da sentirmi uno sciocco a non averlo intuito prima.
La sensazione di conoscerla da tempo, di avere molto in comune con lei: tutto portava ad un’unica spiegazione. Spiegazione che ora sedeva composta ad uno dei tanti tavoli di un caffè di Londra, aspettando qualcuno che non sarebbe mai arrivato.
Sapevo in cuor mio però che non era giusto il mio comportamento. Una parte di me temeva la sua reazione, l’altra invece era terribilmente curiosa. Zayn aveva ragione: non potevo lasciarla lì.
Giunto all’angolo della strada, tornai indietro.
 
 
                                                                                                                      Carol;                                                     
 
 
Era la terza volta in meno di dieci minuti che consultavo il mio orologio da polso. Cominciavo ad avvertire una strana sensazione e la mia fantasia aveva preso a viaggiare nelle insidiose paludi del dubbio. Avevo forse sbagliato ad accettare un appuntamento con lui? Se mi avesse vista dalla porta a vetri dell’entrata e mi avesse trovata così brutta da non presentarsi? Forse, non avevo letto bene la sua ultima e-mail dove mi proponeva il luogo e l’orario dell’incontro. Forse, forse…
Rischiavo di impazzire. Anzi, sarei sicuramente impazzita se solo i miei cattivi presentimenti non fossero stati confermati dall’entrata in scena di un terzo personaggio.
Sbattei più volte le palpebre, tentando di respirare regolarmente, ma la vista di Harry all’entrata del locale mi aveva gettata nel panico. Letteralmente.
Di tutti i caffè della città, proprio quello dove ci saremmo conosciuti io e Landscape!
Per impedire che mi notasse tra i clienti, tolsi la rosa rossa dalle pagine del romanzo e tuffai il naso dentro il libro, sperando, pregando che non mi vedesse.
Invece, come se fosse venuto al mondo solo per darmi il tormento, mi avvistò subito e con un sorriso furbo che non prometteva nulla di buono si avvicinò al mio tavolo.
-Oh, Hatton! Che coincidenza!- esclamò a voce così alta da far girare verso di noi parecchie teste.
Sconfitta, rimisi la rosa al suo posto e abbassai il libro. –Ah, Styles…- dissi dissonante col suo finto entusiasmo.
-“Cime tempestose”-. Indicò il libro posato sul tavolo. –Alla fine l’ho letto-.
-Buon per te-. Feci spallucce.
-Scommetto che adori il personaggio di Heathcliff e vorresti che lui e Catherine potessero vivere il loro amore serenamente-.
-“Cime tempestose” è uno dei capolavori della letteratura inglese, ma non mi aspetto che tu lo sappia.- feci aspra. Perché era sempre così insistente, sfacciato ed egocentrico? Perché?
-Posso sedermi?- chiese, lasciandomi di stucco.
-No, a dire la verità proprio no. Questo posto è occupato.- lo rimbeccai brusca. Per mia sfortuna però, un cameriere si fermò accanto a noi proprio allora. –Prende qualcosa?- fece rivolto ad Harry.
-Si, grazie...-.
-No, se ne sta andando veramente.- mi intromisi io con foga, ma nessuno dei due sembrò darmi ascolto.
-Un cappuccino scremato, senza zucchero.- ordinò il ricciolino come se non avessi voce in capitolo.
Lo guardai allibita mentre si sfilava il cappotto e si accomodava di fronte a me.
-Harry, io…-.
-Stai aspettando qualcuno?- mi interruppe con nonchalance.
-Non sono affari tuoi-.
-Ho capito: è un uomo-. Feci per parlare, ma mi precedette:- Resterò finché non verrà-.
Tacqui ancora, abbandonandomi contro lo schienale della sedia a braccia conserte, scrutandolo sospettosa.
-Chissà com’é…-lo sentii mormorare. Gli rifilai un’occhiataccia. –E’ in ritardo?-.
-Avrà avuto un contrattempo.- lo difesi furiosa del fatto che Harry osasse solo criticarlo.
-Forse non verrà…-.
-Non lo farebbe mai. Temo che tu non possa proprio capire che genere di persona lui sia-. E continuai ignorando volutamente la sua espressione scettica. –Lui è buffo, gentile, originale… e con un meraviglioso senso dell’umorismo.- replicai mentre sul mio volto sorgeva un sorriso spontaneo al pensiero di Landscape.
-Però, lui non è qui.- ribadì Harry pungente, scandendo piano le parole. Afferrò la rosa e la intrappolò tra i denti come i ballerini di tango. Pensai che fosse solo un bambino immaturo e dispettoso.
-Rendimela-. Ma, non pareva interessato alle mie richieste. Mi rabbuiai. –Lo trovi ridicolo, vero?-.
Finalmente smise di giocherellare con il fiore e mi guardò. –No, io…-.
-Tu prendi tutto per scherzo-.
-Senti…- iniziò, dispiaciuto dalle mie parole.
-Vai via. Ti prego…- . E stavolta la mia era una supplica pronunciata con voce malferma.
Per un attimo mi sembrò quasi intenerito. Lo ringraziai quando si alzò per lasciare il posto libero, ma il mio tono sollevato fu ben presto sostituito da un’esclamazione di protesta. –Ma, cosa stai facendo?- mi ribellai. Si era seduto al tavolo dietro di me, volgendomi le spalle. All’arrivo di Landscape avrebbe potuto origliare tranquillamente la nostra conversazione.
-Sai, Catherine è uno spirito libero, troppo capricciosa e infantile per i miei gusti. Ti assomiglia per certi versi-.
-Se è per questo, tu sei vendicativo quasi quanto Heathcliff. – controbattei.
-Aspetta un momento: Heathcliff distrugge la famiglia di Catherine per ripicca e non mi sembra affatto paragonabile la sua storia con il nostro caso-.
-Il principio è lo stesso-.
Tornò di nuovo al mio tavolo e si risedette per guardarmi dritto negli occhi.
-Non diresti così, se solo mi conoscessi davvero-.
-Se solo ti conoscessi davvero, scoprirei una strana combinazione di superficialità ed egocentrismo puro. Sei solo un bel completo vuoto. Niente che già non sappia-. Trascorsero alcuni istanti di silenzio. Lo fissai, sconvolta di aver parlato così, di aver detto ciò che pensavo. –Accidenti…-.
-Che cosa?- mi domandò Harry spaesato.
-Per la prima volta di fronte ad una persona meschina come te, sono riuscita a dire ciò che avrei voluto senza esitazione.- spiegai con una punta di orgoglio nella voce.
-Secondo me ci sei portata.- disse Harry in tono sommesso.-Sei un perfetto miscuglio di poesia e malvagità-.
-Stai cercando di insultarmi? Vuoi che ti spieghi cosa sia la malvagità? Vuol dire rubare l’articolo più importante che…- mi accalorai.
-Non mi fraintendere. Stavo cercando di farti un complimento.- si giustificò lui, mentre il cameriere posava il cappuccino sul tavolo.
Finii di bere il mio tè, con calma. –Tu ti illudi pensando di essere un buon giornalista: sei come tutti gli altri, spregiudicato e senza morale. Non porterai granché ai tuoi lettori. – dissi e percepii tutta la malignità delle mie parole.
Lo osservai bene mentre si raddrizzava, ferito dall’opinione che avevo di lui. Le labbra si piegarono da un lato in un mezzo sorriso pieno di tristezza. –Okay. Esco di scena-. Infilò la mano nella tasca del cappotto: estrasse dal portafogli una banconota da cinque e la posò accanto alla tazza di cappuccino, ancora intatta.
 -Quando verrà, sarai così crudele anche con lui?- mi domandò serio prima di andarsene.
 
 
 
Attesi. Forse un’ora, o forse di più. Lo scoccare dei minuti sembrava lento e inesorabile, mentre il tempo scorreva via e Landscape non si faceva vivo.
A fine serata uscii dal locale, con il libro tra le mani e una strana malinconia addosso.
Mi sentivo una sciocca per aver creduto che un perfetto sconosciuto si sarebbe presentato all’appuntamento.
Ero sempre stata una persona pragmatica, concreta. Perché avevo avuto un’idea così stupida? Sentivo i piedi pesanti come piombo e mi costava fatica anche solo sollevarli per camminare.
Giunta a casa, trovai Alyson ancora sveglia ad aspettarmi.
-Come è andata?-. Ma, la mia aria distrutta dovette essere esaustiva perché Alyson si alzò immediatamente dal divano e mi venne incontro. Mi circondò le spalle con un braccio.
–Non è venuto.- biascicai, mentre provavo una gran voglia di piangere. Mi pizzicavano gli occhi, ma ricacciai le lacrime indietro.
-Ti ha dato buca?- fece lei stupita.
-Avrà avuto un problema, sicuramente-.
-Certo. – convenne Alyson più per consolarmi che per reale convinzione. –Forse, il capo gli ha detto che doveva fare gli straordinari e non ha avuto il tempo di avvertirti, oppure era in taxi ed è stato investito. Ora sarà in ospedale con la gamba ingessata.- ipotizzò la mia amica melodrammatica.
-Dio solo sa come corrono i tassisti nel traffico. –assentii io.
 
 
 
-Ti ha dato buca?-.
Sbuffai, riprendendo a digitare sulla tastiera del computer. –Diciamo che non si è presentato-.
-Ti ha dato buca.- concluse James dondolandosi sulla sedia della sua scrivania.
Roteai gli occhi al cielo.
-Chi ti ha dato buca?- intervenne Emily che passava di lì.
-Nessuno-.
Sentivo di aver sbagliato ad aver trattato Harry così. Avevo dato voce alla mia collera senza badare ad altro ma, ciò che mi assillava di più era il fatto che Landscape non fosse venuto.
Era stato lui il primo ad ammettere di volermi conoscere e poi, spariva. Niente scuse, né spiegazione. Neanche uno straccio di messaggio nella mia posta elettronica.
Vuota, come me quella mattina.
 
 
                                                                                                                                             
 
                                                                                                                                                     Harry;
 

 
 
 
-Si è rivelata insultante e provocatoria.- terminai il racconto della sera prima, di fronte ad un Louis piuttosto disorientato.
Sedevo nel suo salotto da almeno tre quarti d’ora, sprofondato nella vecchia poltrona di tappezzeria bordeaux che Eleonor aveva ereditato dalla nonna paterna. Era il mio giorno libero e avevo deciso di spenderlo rimuginando sulla lingua tagliente e biforcuta di Carol Hatton.
Attesi una sua reazione, ma tutto mi aspettavo, tranne che scoppiasse a ridere.
Smisi di torturarmi i riccioli e gli rifilai un'occhiataccia. -Cosa c'é di tanto divertente?- lo apostrofai.
Ero nei guai fino al collo. E tutto per una stupida e-mail.
Avrei volentieri sbattuto la testa al muro per la disperazione. Purtroppo per me però, la testa mi serviva eccome in quel momento.
-Allora?- lo incalzai.
Finalmente Louis si decise a parlare. –Mi stai dicendo che ti sei innamorato di una corrispondente anonima per e-mail e che solo ora hai scoperto che si tratta della tua più acerrima rivale a lavoro?-.
Lo guardai confuso. –Più o meno.- borbottai.
Louis annuì piano e mi diede una pacca su una spalla con aria afflitta. –Condoglianze, amico-.
Trascorsero alcuni secondi, prima che mi decidessi a parlare di nuovo:-Louis, credo di essermi innamorato di entrambe-.
 
 
So che mi odiate più che mai per questo capitolo e avreste anche tutte le ragioni del mondo, ma sarebbe stato un po’ scontato se avessero chiarito subito. Ho altro in mente per Harry e Carol! :)
Mi scuso per aver tardato a postare, ma  il pc (che Buddha se lo porti via!) non fa che impallarsi e ho perso ciò che avevo scritto un paio di volte ed odio riscrivere qualcosa che ho già buttato giù.
Vi ringrazio tutte, una per una, chi recensisce/preferisce/segue o ricorda “Penfriends”; chi mi ha inserito tra gli autori preferiti (<3) e chi pubblicizza. Grazie, davvero. Siete meravigliose, non so come ringraziarvi. Mi lusingate tantissimo *.*
Spero che il capitolo vi piaccia, nonostante la delusione (!!). Fatemi sapere qui o su ask, mi farebbe comunque piacere : http://ask.fm/RuthSpencer  :)
Ruth <3 
 
 

  

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