GHIACCIO SECCO

di musicaddict
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo uno ***
Capitolo 2: *** capitolo due ***
Capitolo 3: *** capitolo tre ***
Capitolo 4: *** capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** capitolo sei ***
Capitolo 7: *** capitolo sette ***
Capitolo 8: *** capitolo otto ***
Capitolo 9: *** capitolo nove ***
Capitolo 10: *** capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** capitolo undici ***
Capitolo 12: *** capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** capitolo quattordici ***
Capitolo 15: *** capitolo quindici ***
Capitolo 16: *** capitolo sedici ***
Capitolo 17: *** capitolo diciassette ***
Capitolo 18: *** capitolo diciotto ***
Capitolo 19: *** capitolo diciannove ***
Capitolo 20: *** capitolo venti ***
Capitolo 21: *** capitolo ventuno ***
Capitolo 22: *** epilogo ***



Capitolo 1
*** capitolo uno ***


Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo'

GHIACCIO SECCO

CAPITOLO UNO

Un suono stridulo lo avvisò che qualcuno aveva suonato al citofono del suo appartamento. Quando alzò la cornetta per sapere chi fosse si sentì rispondere da una voce femminile e sconosciuta.

-Sì?-

-Signor Valo?-

-Sì, sono io… chi è?- domandò il cantante degli HIM aggrottando le sopracciglia.

-Mi chiamo Sonja Tahvonainen, sono un’assistente sociale, avrei bisogno di parlarle, posso salire?-

Ville rimase un attimo in silenzio prima di aprire alla donna. Mentre aspettava che salisse fino al suo piano si chiese cosa mai potesse volere da lui un’assistente sociale… L’avrebbe saputo presto. Il cantante andò ad aprire a una donna sulla cinquantina, abbastanza in carne, capelli biondo chiaro, che gli sorrideva cortese.

-Buongiorno!- salutò la donna porgendo la mano al cantante.

-Buongiorno… vuole entrare?- rispose Ville lanciando uno sguardo al casino che aveva disseminato per casa.

Anche l’assistente parve notarlo. –Non è necessario. Devo consegnarle questa lettera e questi documenti.- disse la donna consegnando al darkman una grossa busta marrone e una busta più piccola bianca. –E un’altra cosa, ma prima apra la busta.- aggiunse infine, assumendo un’espressione un po’ imbarazzata.

Ville strappò la carta della busta e cominciò a leggere la lettera. Ci vollero solo pochi istanti prima che sbiancasse guardando la carta piegata con un’espressione sconvolta. Rilesse più e più volte le prime righe per cercare di renderle più reali o per cercare di farle sparire. Non era possibile…

-Ci dev’essere un errore!- esclamò il cantante guardando interrogativo l’assistente sociale.

-So che è una cosa sconvolgente, anche perché è una cosa inaspettata, ma… posso assicurarle che non c’è un errore, lo vedrà lei stesso.- rispose la donna –Eljas, vieni qui.- disse poi.

Un bambino sui 10anni entrò nel campo visivo di Ville. Decisamente non poteva esserci un errore, quel bambino gli somigliava in maniera impressionante, a partire dagli occhi verde acceso, per continuare sui capelli castano scuro leggermente mossi e sul nasino leggermente all’insù, tipicamente finlandese. Eljas guardò l’uomo che gli stava di fronte con uno sguardo vuoto, forse appena consapevole di quello che gli stava accadendo.

-E’ un po’ timido, non si sorprenda se non le rivolgerà molto la parola all’inizio.- disse Sonja Tahvonainen appoggiando una mano sulla spalla del bambino, già abbastanza alto per la sua età. –Capisco che la cosa sia abbastanza improvvisa, ma nelle ultime volontà della madre c’era scritto che il bambino fosse portato da lei. Eljas ha con sé lo stretto indispensabile, il resto delle sue cose le verrà recapitato nel giro di una settimana, due al massimo.-

Ville e il bambino si guardarono intensamente per parecchi secondi, poi finalmente il cantante riuscì a parlare –Io… non so se posso… voglio dire, non sono preparato a questo, non vorrei che… insomma, mi capisce, no?-

-Posso capirla, ma purtroppo non possiamo fare altrimenti. Nel testamento della madre si richiedeva espressamente che Eljas stesse da lei, ma se vuole dare il bambino in affidamento devo avvertirla che le procedure sono molto lunghe, ci potrebbero volere parecchi mesi.- rispose l’assistente sociale.

Ville tornò a guardare Eljas che stavolta ricambiò lo sguardo penetrante. Non era pronto per questo! Sarebbe stato un male per entrambi, lo faceva per il suo bene… -Faccia un tentativo per l’affidamento e mi faccia sapere il prima possibile.- disse infine –Io credo sia meglio così… Io non mi sento pronto per una cosa del genere, farei solo danni.-

Sonja Tahvonainen lo guardò comprensiva, non era la prima volta che le capitava di sentire quelle parole, purtroppo. –Non si preoccupi, me ne occuperò personalmente.- rispose, poi tirò fuori dalla borsa un blocchetto e una penna e scrisse il suo recapito telefonico –Mi chiami a questo numero, ci metteremo d’accordo.- disse poi porgendo il foglietto a Valo. –Ora devo andare. Eljas, cerca di comportarti bene finché rimarrai qui. Arrivederci, signor Valo.-

Finché resterai qui… Quelle parole riecheggiarono nelle orecchie di Ville come raffiche di mitra. Adesso si sentiva in colpa. Lanciò un’ulteriore occhiata al bambino dopo che la donna li ebbe lasciati soli. E adesso? –Avanti, entra.- gli disse facendogli segno di accomodarsi in cucina. Si sedettero l’uno di fronte all’altro, uno a capo della tavola, l’altro a quello opposto, e rimasero in silenzio finché Ville non riuscì a parlare di nuovo. –E così tu saresti mio figlio.-

-Così sembrerebbe.- rispose Eljas con voce atona.

-Già…- sospirò Ville cercando di rivolgere lo sguardo altrove: quegli occhi identici ai suoi gli facevano impressione –Bé, visto com’è dimmi qualcosa di te, cosicché io possa conoscerti. Non mi va di leggere chi sei da delle carte.-

-A che ti serve conoscermi se tanto hai già deciso di sbarazzarti di me?- replicò velenoso il bambino.

Ville lo guardò allibito –Non è che io abbia deciso di sbarazzarmi di te, Eljas, è solo che penso sia meglio che tu viva da qualche altra parte. Io non sono pronto per fare il padre, farei solo danni.-

-Nemmeno io ero pronto a perdere mia madre, eppure ora sono qui e affronto la cosa!- obiettò Eljas. Ville si sorprese della maturità che dimostrava, per quanto le sue parole non gli facessero affatto piacere.

-Non è la stessa cosa.- disse il cantante –Io devo crescerti ed educarti in quanto genitore, ma se non mi sento maturo io, come faccio ad educare te? Non saprei nemmeno da dove cominciare, farei soltanto delle grandissime caz… volate!-

-Non ti preoccupare, non ho più 1 anno, non devi cambiarmi i pannolini.- disse acido Eljas.

-Quanti anni hai?- sospirò sconfitto Ville.

-Undici.-

Undici. I conti tornavano: erano 11 anni che non vedeva la madre del bambino. Un giorno era semplicemente sparita senza lasciare traccia, né un numero telefonico né un biglietto… semplicemente era andata via. Ora Ville poteva intuire perché, anche se non riusciva a capire come mai non gliel’avesse detto.

-Allora hai ancora l’età per andare a scuola, e io dovrei essere responsabile per te, andare a parlare con gli insegnanti… Non sono pronto per tutto questo! Un padre e una famiglia affidataria riuscirebbero a garantirti una vita tranquilla e serena e poi avresti anche una nuova mamma!-

-Io non la voglio un’altra madre! Andava benissimo la mia! Ma un camionista del cazzo ha pensato bene di guidare ubriaco e di centrare in pieno la sua macchina un mese fa!!- sbottò il bambino. L’appartamento cadde nel silenzio completo. Ville ignorò il turpiloquio del bambino, era l’ultimo a poterlo rimproverare.

-Senti… per parecchi mesi dovrai restare qui, quindi che ne dici di un armistizio?- domandò Ville, poi aggiunse –Sai cosa vuol dire?-

-Sono un bambino, ma non sono un ignorante.- replicò Eljas. Ville poté constatare che ignorante non lo era, ma arrogante sì. Se non altro la genetica funzionava.

-Perché non apri la busta?- domandò il ragazzino alludendo alla grande busta marrone appoggiata sul tavolo.

-Vuoi che la apra?-

-Per curiosità.- disse Eljas facendo spallucce.

Ville lo accontentò e strappò anche quella busta estraendo vari fogli di carta stampata o scritta a mano. Prese in mano un fascicolo e cominciò a dargli un’occhiata: erano tutti i documenti riguardanti il bambino fino ad allora.

-Eljas Nikolai Rakohammas, nato il 17 luglio 2000.- lesse Ville –Ti ha dato il mio nome vero!- esclamò stupito.

-Sì, infatti nessuno ha mai sospettato che fossi tuo figlio, nemmeno io.- rispose Eljas.

Ville lo guardò perplesso –Non ti ha mai detto che eri mio figlio?-

Eljas scosse la testa –No. Quando le chiedevo chi fossi e dove fossi finito mi diceva che non poteva ancora dirmelo, ma che un giorno avrei saputo tutto.- disse –L’ho scoperto dopo che è morta.-

-Io… non sapevo che lei fosse rimasta incinta. E’ sparita e non si è più fatta viva. Pensavo avesse deciso di troncare lì la storia senza troppi addii… ma a quanto pare c’era qualcosa più sotto.- sospirò Ville.

Dopo parecchi minuti di silenzio il darkman si alzò e prese il borsone di Eljas. –Vieni, ti mostro la tua stanza. Per il momento sopporta il casino, quando avrò tempo, oggi… o domani… metterò in ordine.-

Eljas seguì mite il padre fino alla stanza in questione: era abbastanza grande, ma come tutto l’appartamento era ingombrata da cose più o meno riconducibili al campo semantico della spazzatura. –Mi adatterò.- disse sedendosi su un letto a piazza singola. Ville lo osservò titubante, poi si congedò e andò in camera sua.

“Un figlio, cazzo… Sono padre da 11 anni e nemmeno lo sapevo!” pensò picchiando un pugno sul materasso. Il movimento fece uscire dalla busta poggiata sul letto un’altra lettera che riportava sulla busta la scritta Per Ville. Il cantante l’afferrò e la l’aprì, terrorizzato dal suo contenuto.

Caro Ville,

anzi no. “Caro” è una parola molto formale e questa lettera vuole essere tutt’altra cosa.

Ciao, Ville. Se stai leggendo questa lettera significa che mi è capitato qualcosa e che io non ci sono più. Mi dispiace di non averti più potuto rivedere, ma la vita va così. Se stai leggendo questa lettera vuol dire anche che sei venuto a conoscenza di Eljas. Molto probabilmente ora sarai stupito, scioccato e quasi sicuramente anche molto arrabbiato con me per averti nascosto la mia gravidanza. Hai tutti i diritti del mondo, ma io ho avuto le mie ragioni.

Anche se ti potrà sembrare stupido (secondo me non lo è affatto) ho preferito sparire perché non volevo che mio figlio diventasse un fenomeno mass-mediatico, perché sapevo che sarebbe stato così. Quando ho scoperto di essere incinta ho subito capito che avrei tenuto il bambino, anche se era un errore; non so perché, ma in certo senso dev’essere stato il pensiero di aver fatto quell’errore con te. Sei autorizzato a ridere della mia romanticheria, ma solo questa volta. Tuttavia tenere il bambino e dirtelo avrebbe voluto dire che tutto il mondo avrebbe saputo di quel piccolo e che lui non avrebbe mai potuto vivere una vita normale. Ho solo voluto proteggerlo dai riflettori, ma per farlo ho dovuto nasconderla anche a te. Perdonami, ma non ho avuto scelta, avresti sicuramente insistito affinché io restassi con te e Eljas sarebbe diventato “il figlio di Ville Valo” prima che essere se stesso.

Ora però è rimasto solo, e quindi trovo giusto che venga a sapere di te, almeno per conoscerti e sapere chi sei. So che avrai da obiettarmi molte cose, anzi mi sembra di sentirti: “Ma se sono un bambino io, come posso fare il padre?” e mi viene da sorridere. Tu in realtà sei un uomo maturo, Ville, hai 35 anni e posso benissimo vedere che sei maturato tantissimo in questi ultimi 11 anni, da quello che dici e da come ti poni. So che la tua immaturità è tutta una scena, quindi non prendere in giro te stesso. Sono sicura che troverai il modo per accettare questa nuova situazione.

Abbraccia forte Eljas per me e digli che gli ho sempre voluto bene.

Un bacio

Alexandra

Alexandra… Non sentiva quel nome da 11 anni. L’aveva amata, per quanto poi l’avesse maledetta per il suo abbandono. In fondo ora capiva, non la giustificava, ma la capiva. Rimaneva solo da accettare la situazione e vedere cosa sarebbe successo. Prima di tutto però aveva un dovere da compiere.

Si diresse in camera di Eljas, che stava riordinando le poche cose che aveva, e lo abbracciò forte. Dopo un attimo di smarrimento il bambino si lasciò andare, lasciando che i suoi occhi si bagnassero di lacrime silenziose, mentre le braccia protettive di Ville gli circondavano le spalle.

eccomi di nuovo, dopo la fine di Legame di Sangue (1 e 2)! questo è il motivo per cui tardavo con l'aggiornamento dell'altra... spero che vi piaccia, è tutto un altro genere tuttavia. come sempre non è una fanfiction per ingiuriare, ma per omaggiare e io non conosco veramente i personaggi... lo dico perché sennò efp mi trucida. XD commentatemi in tanti e ditemi, come sempre, apertamente se vi disgusta! enjoy me!

Julia (aka musicaddict)

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Capitolo 2
*** capitolo due ***


CAPITOLO DUE

 

Ville osservava Eljas giocare con la figlia di Burton nel parco in cui lui e il tastierista si erano incontrati. Sembrava allegro mentre stava attento alla bambina di quattro anni che si divertiva a farsi spingere sull’altalena, ma Ville sapeva che non lo era.

-E così quello sarebbe tuo figlio?- gli domandò Burton osservando a sua volta il bambino –Effettivamente ti assomiglia parecchio.-

-L’unica cosa che ha preso dalla madre è il carattere, a quanto pare.- commentò il cantante sbuffando fuori una nuvoletta di fumo grigio che si mischiò a quella del fiato caldo di Burton che gli sedeva a fianco –Almeno Alexandra riusciva a trattenersi di solito.-

-Non essere così ingiusto, in fondo ha perso l’unico membro della sua famiglia di cui era a conoscenza! Devi dargli tempo.- lo rimproverò il tastierista –Piuttosto, perché non sapevi di essere padre?-

Ville assunse un’espressione seccata, ma al ricordo della lettera di Alexandra si sciolse un po’ –Lei era sparita da un giorno all’altro, quando ha scoperto di essere incinta ha avuto paura di quello che avrebbe potuto rappresentare il bambino per i media e ha voluto allontanarlo da quel mondo. Per farlo riteneva indispensabile nasconderlo anche a me, anche se non lo trovo corretto. Scoprire di essere padre dopo 11 anni mi sembra abbastanza sconvolgente.-

-Almeno ti sei risparmiato la fase pannolini e alzatacce notturne!- esclamò Burton, ma lo sguardo che ricevette gli fece rapidamente cambiare tono –Secondo me non devi pensarci. Adesso dovrai vivere con Eljas, farlo crescere… insomma, fare il padre! Se ti fossilizzi sul passato, sul fatto che hai perso 11 anni di conoscenza con tuo figlio, non riuscirai mai a fare il genitore.-

Ville tornò a guardare Eljas, sempre alle prese con la bambina che sembrava averlo preso piuttosto in simpatia. –Ho chiesto all’assistente sociale di avviare le procedure per l’affidamento.- disse poi, distogliendo lo sguardo e concentrandosi su un albero del parco. Burton sgranò gli occhi.

-Stai scherzando?!- esclamò –Cazzo, Ville, è tuo figlio! Come fai a darlo in affidamento dopo 11 anni in cui nemmeno sapevi che esistesse? Io cercherei di recuperare gli anni persi!-

-Proprio perché non lo conosco da 11 anni non mi sento pronto a fare il padre!- obiettò il darkman –E’ più maturo di me! E poi, cazzo, hai visto in che casino abito?! Come credi che faccia a crescere quel bambino?-

Burton concentrò i suoi occhi nocciola in quelli verdi e sconvolti di Ville prima di richiuderli e di scuotere la testa –Sbagli, Ville. Capisco che la situazione sia decisamente complicata, anche perché sei da solo e col nostro lavoro è difficile stare dietro a un bambino, ma è tuo figlio, non puoi affidarlo a qualcun altro. Nemmeno loro lo conoscerebbero e in più non avrebbero neanche dei geni comuni col bambino, come fai a mandarlo via? Gli è morta la madre, viene catapultato in casa di suo padre che non ha mai conosciuto, in una città che non conosce e tu che fai? Lo mandi da gente di cui non sai niente e che lui nemmeno conosce?!-

Ville non rispose. Sapeva perfettamente che Burton aveva ragione, ma non vedeva altre possibilità. Non poteva tenere Eljas con sé, non sarebbe venuto fuori niente di buono. –Mi odia.- disse il cantante spegnendo definitivamente sia la sigaretta che il discorso, ma Burton non aveva alcuna intenzione di appoggiare Ville.

-Non sono la tua coscienza, Ville, ma pensaci bene prima.- disse il tastierista –E poi non ti odia! Non ti vorrà un bene dell’anima, ma non può odiarti. Se non altro non ti consce abbastanza per farlo.-

-Giudica te!- replicò Ville con un sorriso sarcastico –Già sono in sostituzione di sua madre, se poi aggiungi che non voglio tenerlo con me…-

-Forse non sei partito esattamente col piede giusto, ma non credo ti odi.-

-Non mi rivolge quasi la parola, e sono suo padre… che non ha mai conosciuto in 11 anni. Avremmo una vita da raccontarci e non ci diciamo che il minimo indispensabile! Mi detesta, Burton.- insistette Ville.

Il tastierista lanciò un’altra occhiata al bambino: effettivamente per Ville ed Eljas la situazione era particolare, non era naturale come per lui e la sua bambina. Eljas doveva essere un ragazzino sveglio, comunque, decisamente più maturo dei suoi coetanei. Lo si capiva da come si comportava, da come parlava e anche per il fatto che aveva reagito in maniera più che diplomatica alla morte della madre. –Sono del parere che se non fai nulla per migliorare la situazione, allora significa che non te ne frega niente.- disse –E questa è una cosa a cui non voglio nemmeno pensare: cazzone sì, ma non mi sembra che tu sia anche insensibile.-

Ville si accese un’altra sigaretta –Non vorrei dare Eljas in affidamento, Burton, ma è l’unico modo per dargli la possibilità di vivere serenamente. Col lavoro che facciamo dovrei lasciarlo da solo per mesi interi, se non per più di un anno! Che padre potrei essere, me lo spieghi? Tu hai tua moglie, io non ho nessuno.-

Burton accusò il colpo, da quel punto di vista Ville aveva ragione, ma non era abbastanza per giustificare la sua scelta –Ha anche dei nonni e uno zio, o sbaglio? Ai tuoi l’hai detto?-

Ville scosse il capo –Solo a Jesse: mia madre farebbe un colpo e mio padre comincerebbe a tempestarmi di domande a cui non saprei né vorrei rispondere.-

-E Jesse che dice?-

-Lui vorrebbe conoscere Eljas, ma non so… Sarebbe come farlo entrare nella famiglia per poi allontanarlo.-

-Io credo che tu debba pensarci ancora un po’ su, Ville. Cerca di trovare un’alternativa in questi mesi in cui comunque dovrai convivere con tuo figlio.- cercò ancora di dissuaderlo Burton.

-Ci penserò, promesso.- disse il darkman mettendo a tacere la conversazione visto che i due bambini li stavano raggiungendo, la piccola con in mano una manciata di foglie secche.

-Guadda, papà! Ho fatto una scultua tutta pe’ te!- gioì porgendo verso il padre la manciata di foglie secche e fango che rappresentava la sua piccola opera d’arte –Mi ha aiutata Eljas!-

Eljas sorrise mostrando una dentatura ancora in parte da latte, un sorriso che ricordò terribilmente a Ville quello solare di Alexandra. Guardare quel bambino gli faceva male, riportandogli alla mente dei ricordi dolorosi, anche per questo non era un bene che rimanesse con lui.

Egoista

-E’ bellissima, tesoro, grazie! Ma… cos’è?- disse Burton afferrando la scultura e osservandola interessato.

-E’ un cevvo!- trillò orgogliosa la bambina.

-Ah, giusto… adesso capisco! Queste sono le corna, giusto?- continuò ad assecondarla il tastierista. Ville lo ammirò, a lui non sarebbe mai riuscito di tirare il gioco troppo a lungo: quello per lui non era altro che un ammasso di foglie e fango, per quanta fantasia utilizzasse non vedeva corna da nessuna parte.

-E quella è la coda.- disse Eljas appoggiando la bambina che rideva felice.

-Papà, pecché Eljas sembra un piccolo zio Ville?- domandò la piccola strattonando il padre per una manica. Burton si trovò un po’ spiazzato a guardare Ville.

Ville da parte sua stava scambiando una partita di sguardi con Eljas, due occhi dello stesso verde intenso che si chiedevano il perché dell’esistenza l’uno dell’altro. Quanto gli somigliava… Aveva ragione la figlia di Burton: era lui in miniatura, era identico a come era lui alla sua età. La cosa lo impressionava talmente tanto da impedirgli di reggere troppo a lungo la sua immagine. Non era ribrezzo, anzi era fiero del fatto che suo figlio gli somigliasse così tanto, ma non riusciva ancora a farsene una ragione. Era padre.

-Papà! Pecché?- insistette la piccola.

-Per lo stesso motivo per cui tu sembri la versione più piccola della mamma.- le rispose finalmente Burton posando la scultura e prendendola in braccio –Eljas è il figlio di zio Ville.-

-E pecché non l’ho mai vitto?-

Ville spostò una ciocca di capelli castani dal nasino della bimba e le fece un sorriso –Perché è arrivato da poco nella vita dello zio.- le rispose facendole inclinare leggermente la testolina.

-Non capisco.- pigolò.

-E’ difficile da spiegare, ma prima o poi capirai anche tu.- disse. Devo ancora capire io stesso cosa sta succedendo.

Eljas non aveva ancora staccato gli occhi dal padre. Aveva un padre per la prima volta e non sapeva ancora cosa ne pensava. Aveva cercato di immaginarselo più di una volta, immaginandosi come potesse essere, dove potesse essere e cos’avrebbe pensato di lui. La cosa che si era sempre chiesto era soprattutto cos’avrebbe fatto se l’avesse mai incontrato… non avrebbe mai pensato che l’avrebbe mandato a cercarsi un’altra famiglia. Lo odiava… Eljas ne era sicuro: odiava Ville con tutto il suo cuore. O almeno non era per nulla felice del fatto che fosse lui suo padre. In più il fatto di assomigliargli così tanto non gli piaceva affatto: aveva sempre pensato di essere uguale a sua madre in molte cose, era una cosa di cui andava fiero, e adesso si sentiva come se sua madre fosse stata spodestata. Non sentiva più la frase Alexandra, sembra la tua versione al maschile! Adesso la frase di routine, dopo qualche giorno, era diventata Ville, cazzo, siete identici! Aveva già conosciuto i vicini di casa di suo padre, oltre a Burton, e tutti erano rimasti ad occhi spalancati nel vedere la somiglianza incredibile tra i due. Ma Eljas non voleva assomigliare a Ville Valo, non voleva essere suo figlio. Lo odiava.

-Zio, ma mia farai ancoa giocare con Eljas?- domandò la bambina tirando Ville per una manica e guardando verso il ragazzino che le sorrise mite.

-Se Eljas vorrà certo, tutte le volte che vorrai.- rispose il darkman passando una mano sui capelli castani e lisci della piccola.

Certo, così puoi mandarmi fuori casa per un po’! Non preoccuparti, non chiedo di meglio. Pensò Eljas infilandosi le mani in tasca e tracciando piccoli semicerchi con la punta della sua scarpa da ginnastica.

Ville gli lanciò un’altra occhiata prima di accorgersi dell’ora –Devo andare.- disse prima di correggersi –Dobbiamo andare. E’ ora di cena e sarà il caso che mi metta a riordinare quello schifo di casa.-

Burton alzò un sopracciglio –Un momento! Ville Valo che cucina e riassetta casa? Questa mi giunge nuova!- sghignazzò issandosi sua figlia dietro il collo e alzandosi a sua volta.

Ville sbuffò alzando gli occhi al cielo –Per stasera pizza, ma credo che dovrai insegnarmi a cucinare, Burton. Chi meglio di un cuoco per recuperare uno negato ai fornelli come me?- disse.

Il tastierista sembrò pensarci un attimo su, poi si rivolse ad Eljas –Porta pazienza, Eljas, per il momento. Insegnerò a tuo padre a cucinarti qualcosa di diverso dalla pizza e soprattutto dal Thai food.-

Il ragazzino sorrise. Se non altro gli amici di suo padre gli piacevano.

-Ehi, il Thai food è buonissimo!- protestò il cantante sorridendo, ma il suo sorriso si congelò quando incontrò i suoi stessi occhi verdi lanciargli un’occhiata scettica –Ok, devo comunque imparare a cucinare qualcosa…-

-Bè, adesso io devo andare a casa, ma appena vuoi cominciare le lezioni dimmelo che arrivo. Sperando di non inciampare in nessuno corpo non identificato sparso per casa tua, il che sarebbe la prima volta.- disse Burton mentre sua figlia giocava coi suoi capelli lunghi.

Ville annuì avvicinandosi per salutare la piccola. Come invidiava il rapporto che Burton aveva con lei.

-E, Ville, pensa a quello che ti ho detto.-

Il cantante guardò l’amico negli occhi e rimase un attimo interdetto prima di annuire. Ci avrebbe pensato, ma già sapeva che non sarebbero arrivate nuove soluzioni. Eljas non poteva rimanere con lui, basta. Non poteva essere altrimenti. E allora perché ogni volta che lo guardava si sentiva terribilmente in colpa?

Non pensarci, Ville, è il meglio per lui.

E’ il meglio per lui…

ecchime! sono molto felice che la mia nuova fanfiction stia interessando almeno a qualcuno! ^^ però devo farvi presente che non posso prendermi il merito per l'originalità: Ginny002 e Kuji13 hanno reso Ville padre molto prima di me, e in "No Time To Cry" la situazione iniziale non è poi così diversa, anche se quella fanfiction e "Ghiaccio Secco" sono nate insieme. era una precisazione che mi sentivo di fare. ringrazio veramente per le recensioni che mi avete lasciato! ^^ ora torno ad ascoltarmi "Just for Tonight" di Manna (moglie di Linde) che canta con Valo. intanto voi, keep on enjoying me!

 

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Capitolo 3
*** capitolo tre ***


r

CAPITOLO TRE

 

-Domani cominci la scuola.-

Quelle parole arrivarono a Eljas come una cannonata. Era la definizione di quella che per lui era stata soltanto una situazione transitoria, un momento che prima o poi sarebbe finito. Andare a scuola non era qualcosa che aveva contemplato durante la sua permanenza da Ville. Poco male, sarebbe stata una scusa per stare lontano da lui il più possibile.

-Ti ho iscritto alla scuola pubblica qui vicino, ci va anche Olivia, la figlia di Linde. Sono elementari e medie insieme. Così quando non posso portati io ti porta Linde.- continuò Ville fumando la sua sigaretta mentre chiudeva uno scatolone in cui aveva infilato un po’ di cianfrusaglie –Spero ti piacerà.-

-Una scuola vale l’altra. Tanto non credo stringerò molte amicizie: l’altra famiglia potrebbe abitare fuori da qui, non ne vale la pena.- commentò Eljas raccogliendo due bottiglie vuote di birra e gettandole nel sacco di plastica nero. Suo padre gli lanciò un’occhiata di sottecchi, lui se ne accorse, ma non voleva fargli vedere che l’aveva detto apposta.

-Io spero che la Tahvonainen trovi una famiglia di Helsinki, mi dispiacerebbe non poterti vedere.- confessò il cantante alzandosi per impilare lo scatolone sugli altri in fondo alla stanza.

Eljas lo guardò scettico –Cosa ti cambierebbe vedermi o no? In fondo non lo fai per questo, per non avermi tra i piedi?- domandò continuando la sua opera di pulizia.

-Davvero credi che sia questo?- chiese Ville. La sua voce tradiva una profonda delusione, una delusione nei confronti di se stesso. Non voleva trasmettere a Eljas questo, non era vero che non lo voleva tra i piedi. Si abbandonò sul divano concentrando il suo sguardo sulla figura slanciata del ragazzino, come se lo vedesse veramente per la prima volta. –Davvero credi che io non ti voglia tra i piedi?-

Eljas smise di raccogliere la spazzatura e lasciò che il sacco nero si afflosciasse a terra –Senti, Ville, è inutile che tiri fuori ora la scusa del “o quanto mi dispiace!” Non credo che porterebbe a qualcosa di diverso.- disse guardando il padre con due occhi truci.

Ville abbassò sconfitto la testa giocherellando con un filo del divano. Coglione si disse Sei un vero coglione! Sei riuscito anche a farti odiare da tuo figlio. Ma che bravo! Alexandra aveva riposto in te la sua fiducia e tu che hai fatto? Hai mandato tutto a puttane, come tuo solito! E quello che è peggio è che vedere Linde e Burton fa sembrare tutto così semplice!

-Mi dispiace, Eljas, mi dispiace per tutto quanto… veramente. Vorrei farti capire perché lo sto facendo, ma probabilmente è impossibile. Io non sono pronto a fare il padre, anzi, non ne sono proprio capace e il fatto di non averti conosciuto per 11 anni non facilita le cose.-

Non hai nemmeno provato a recuperare un minimo di questi 11 anni! ringhiò silenziosamente Eljas nella sua testa ricominciando a raccattare l’immondizia. –Lascia stare, Ville, finiamo di fare qui che così posso andarmene a letto.- disse a denti stretti.

Il darkman si rialzò per andare a riempire un altro sacco dell’immondizia –Se vuoi puoi andare, finisco io.- disse evitando come sempre di incrociare gli occhi del bambino.

Eljas non se lo face ripetere due volte, ansioso di rimanere da solo al buio della sua stanza. Se ne andò senza nemmeno augurare a Ville la buonanotte, lasciando il suo sacco nero afflosciato sul pavimento. Ville rimase a guardare l’ingresso del corridoio che portava alle stanze con un’espressione vacua.

 

-Ciao, mi chiamo Ville!-

Alexandra sollevò lo sguardo dal libro che stava esaminando, incontrando gli occhi verdi del cantante che la osservavano allegri. Nonostante lo conoscesse benissimo, non reagì in nessun modo particolare, si limitò ad agitare il libro riportante il titolo Synnin Viemaa –Ho presente.-

Ville le sorrise un po’ preso contropiede –E’ da un po’ di tempo che ti trovo qui in giro, in biblioteca. A giudicare dal tipo di libri che prendi ho pensato che mi sarebbe veramente piaciuto conoscerti.- disse appoggiandosi allo scaffale.

-Bene, significa che ho dei gusti interessanti in fatto di libri, e che tu mi hai spiata fino a questo momento.- rispose Alexandra riponendo il libro.

-Sei sempre così laconica?- domandò Ville senza abbandonare il sorriso.

-No, di solito solo con quelli che ci provano con scuse così banali.- rispose la ragazza prendendo in mano un libro sulla biografia dei Led Zeppelin. Ville la guardò basito, la bocca aperta in un’espressione da pesce lesso. –Hai visto questo? Ora hai un altro libro da aggiungere alla tua lista di osservazione.- disse Alexandra mettendogli il libro di fronte agli occhi.

-Ok, credo di aver sbagliato metodo.- commentò Ville –Seconda possibilità? Almeno dimmi il tuo nome!-

Alexandra lo guardò un po’ titubante. Non che la lasciasse indifferente il fatto che Ville Valo ci stesse provando con lei, solo non voleva fare la figura di quella che non aspetta altro nella vita, e poi il suo approccio era stato davvero banale. Tuttavia decise di dare al cantante un’altra possibilità –Mi chiamo Alexandra.-

Valo recuperò il suo sorriso, incoraggiato –Ho fatto una figura tanto pessima, Alexandra?- domandò guardandola negli occhi azzurri.

-Abbastanza…- rispose la ragazza –Ma puoi ancora recuperare!-

 

Alexandra… si ricordava benissimo di lei. Si ricordava i suoi capelli castani lunghi fino alle spalle, lisci e con un taglio moderno, gli occhi azzurri che potevano trucidare o abbracciare con uno sguardo, la sua freddezza iniziale che poteva trasformarsi presto in caldo affetto se si riuscivano a trovare le parole giuste. Ville sorrise nostalgico: l’aveva amata veramente, ed erano durati anche un bel po’. Stranamente era riuscito a tenerla lontana dai riflettori che odiava tanto. Se Eljas aveva ripreso interamente il suo fisico, non c’erano dubbi che avesse ripreso completamente il carattere materno.

Bè, e te ne stupisci? Non ha vissuto che con lei per 11 anni! Te non ti conosceva nemmeno! Si rimproverò Ville continuando a raccattare l’immondizia.

Ormai la casa era quasi completamente in ordine, bisognava vedere se sarebbe riuscito a mantenerlo. Certo Eljas non sembrava essere molto disponibile, ma Ville sapeva che non avrebbe mai cambiato atteggiamento se lui stesso non avesse cercato di farsi accettare dal bambino.

Abbandonò il sacco e si accese una sigaretta in terrazzo, mentre osservava le luci di Helsinki. Lui era nato e cresciuto lì, viveva ancora lì e non sarebbe mai riuscito a vivere altrove; solo in quel momento capì cosa  doveva aver provato Eljas a essere sradicato da tutto il mondo che conosceva per venire lanciato in uno nuovo e sconosciuto. E da solo.

Finita la sigaretta rientrò in casa e andò in camera del bambino. Non dormiva affatto, Ville poteva capirlo dal respiro ancora veloce e dal letto ancora troppo in ordine. Si avvicinò al letto e si accucciò accanto alla testiera, sedendosi a terra a gambe incrociate.

-Eljas, tanto lo so che non stai dormendo.- sussurrò. Eljas aprì gli occhi che aveva fino ad allora tenuti chiusi per fingere di dormire. –Guarda che puoi dirmi tranquillamente che non vuoi stare qui, non ti obbligo.-

-L’avevo capito, visto che hai detto alla Tahvonainen che mi trovi un'altra famiglia.- sbottò acido il ragazzino voltandosi su un fianco e dando le spalle al cantante. Ville capì di aver sbagliato approccio esattamente come era capitato con sua madre.

-Cerca di farmi capire che è meglio se rimani con me, allora!- obiettò il cantante –Se hai dei problemi puoi parlarne con me: conoscevo tua madre e l’ho amata molto, so come devi sentirti… almeno in parte.-

Eljas rimase sdraiato sul fianco, ma non replicò nulla di cattivo. Capiva che Ville voleva solo aiutarlo, ma era ancora troppo arrabbiato col mondo per potersi aprire con qualcuno, con un estraneo. Sì, perché se Ville era suo padre biologicamente parlando, non lo era mai stato praticamente fino ad allora. Era un estraneo a tutti gli effetti, solo che condivideva metà del suo DNA.

Ville attese ancora qualche minuto che Eljas gli rispondesse, ma quando vide che era una causa persa si rialzò e gli diede la buonanotte. Nemmeno a quel saluto rispose, forse si era addormentato veramente, o forse lo faceva solo per evitare di piangere ancora. Ville si sentì un idiota: con una frase istintiva aveva mandato all’aria il rapporto con suo figlio, forse in maniera irreparabile. Se non altro sarebbe stato molto difficile far capire a Eljas che non pensava veramente molte cose che aveva detto. Non voleva sbarazzarsi di lui, non voleva nemmeno affidarlo a qualcun altro, ma era necessario. Non poteva non andare così, era diritto del bambino crescere in una famiglia che lo allevasse serenamente. Lui non sarebbe riuscito a stargli molto dietro tra tour in giro per il mondo o feste varie a cui veniva invitato…

-Dovresti prendere in considerazione l’idea di ridurre le serate, le birre e gli impegni…- gli suggerì Linde quando lo chiamò a casa. Non era ancora troppo tardi per lui.

-E come faccio, Linde? Sono il frontman della band, è un po’ difficile cambiare tutto così all’improvviso! Ci sta di mezzo il nostro lavoro.- Protestò il cantante continuando a fumare fuori dalla finestra.

-Ville, io ho Manna che può stare dietro a Olivia, ma tu sei da solo. Se vuoi essere un padre per Eljas devi cominciare a capire che la band non è tutto.- obiettò Linde.

Era l’ennesima volta che Linde e Burton gli ripetevano la stessa cosa: loro avevano le loro mogli, lui era da solo. Da solo. –Non intendevo questo, Linde… per me Eljas è decisamente più importante della band, ma capisci anche che è il nostro lavoro e che comporta degli obblighi… per quanto particolari.- disse spegnendo la cicca sotto la suola della scarpa –E comunque non credo che lui voglia essere mio figlio.-

-Di sicuro non ti adora, Ville, dopo la tua brillante uscita con l’assistente sociale!- lo riprese Linde –Io ti ho già detto come la penso: chiamala e disdici tutto. Lavoro risparmiato a lei e vantaggio per Eljas. E anche per te, se devo dirla tutta. Avere un figlio ti cambia la vita.-

Ville sbuffò –Me n’ero accorto, Linde.- disse –Ma, come vi ho già detto, ho dei motivi che mi impediscono di agire diversamente.-

-Allora non lamentarti se poi tuo figlio ti detesta.-

Quella risposta così fredda, così secca, così inaspettata giunse alle orecchie del darkman come un fucilata. Non poteva credere che Linde, uno dei suoi migliori amici, gli stesse parlando così. –Come hai detto?- boccheggiò.

-Hai capito benissimo, Ville: se credi che l’unica soluzione sia quella, allora non lamentarti se tuo figlio ti detesta! E’ il minimo, non ti pare? Mettiti un attimo nei suoi panni! Burton ha ragione: stai pensando più a te che ad Eljas, come sempre…- ripeté Linde.

-Stai dicendo sul serio, Linde? Credi veramente che sarei così egoista da mettere me davanti a mio figlio e a quello che è meglio per lui?!- sbottò Ville –Perché se è così che la pensi, bè, allora ti sbagli di grosso!-

-Allora dimostrami che ho torto, Ville.- replicò il chitarrista –Io devo andare ora. Manna mi chiama.- e detto questo riagganciò.

Ville rimase a osservare a bocca aperta e contrariato la cornetta del cordless. Linde aveva davvero detto tutte quelle cose? O era lui che se le era immaginate? In entrambi i casi ciò significava che qualcuno, forse lui stesso, aveva quelle idee e bisognava fare qualcosa per confutarle. Tuttavia non poteva dire all’assistente sociale di mandare all’aria tutto… non poteva. Lanciò un ultimo sguardo alla stanza buia di Eljas prima di proseguire verso la sua e lasciarsi cadere a pancia in su sul suo letto.

Non c’erano dubbi: doveva fare qualcosa.

 

allora, veniamo a noi... so che all'inizio odierete i miei due personaggi, l'ho fatto anche io e l'hanno fatti coloro che hanno avuto l'anteprima (e che non dovranno rivelare NIENTE in caso vogliano commentare). qui mi devo giustificare, perché ho scritto mettendomi ogni volta dal punto di vista di Eljas o di Ville e, francamente, credo che io avrei reagito così se fossi stata uno di loro. so che l'affare dell'affidamento starà antipatico, ma purtroppo, come ha giustamente detto Anonymous, potrebbe risultare naturale nel caso Ville-Eljas. non dico altro, però, altrimenti anticipo troppo! ^^" keep on enjoying me!

 

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Capitolo 4
*** capitolo quattro ***


CAPITOLO QUATTRO

 

 

Eljas entrò nella sua nuova classe cercando di essere il più invisibile possibile. Se non altro una cosa positiva era che i capelli mossi derivatigli dal padre lo aiutavano a nascondersi meglio creando una barriera col mondo. Quella mattina Ville l’aveva accompagnato a scuola personalmente, cercando di intrattenere un discorso più o meno valido durante il tragitto, anche se lui non ne aveva seguito gran che, limitandosi a rispondere ogni tanto mentre osservava le strade di Helsinki sfrecciargli sotto gli occhi. Alla fine aveva anche cercato di accompagnarlo dentro, ma Eljas si era rifiutato categoricamente: ci mancava soltanto che scoprissero chi era suo padre già dal primo giorno di scuola.

L’aula era abbastanza grande, conteneva circa una ventina di banchi separati l’uno dall’altro e una grande cattedra vicina alla parete bucherellata da alte finestre. Due cartelloni, sull’Inghilterra e sulla Finlandia, facevano bella mostra su una parete vicino a delle cartine geografiche abbastanza recenti. Senza pensarci due volte si impossessò del banco più in fondo e attaccato al muro: meno gente aveva attorno a sé, meglio era.  Dietro di lui erano entrati una manciata di ragazzini chiassosi intenti a raccontarsi il weekend appena trascorso. Lui si mise tranquillamente a disegnare mentre aspettava l’inizio della lezione.

Gli era sempre piaciuto tanto disegnare, lo aiutava a rilassarsi, a distrarsi, a svuotare la mente impegnando tutta la sua concentrazione sulla mina che si sbriciolava sul foglio bianco. Col tempo era diventato molto bravo, e molto spesso i suoi disegni erano oggetto di ammirazioni e complimenti da parte di tutti. La sua mente era talmente presa dalla sua attività, che quando la professoressa richiamò la sua attenzione lui non si rese nemmeno conto di quello che gli era stato detto. Sollevò lo sguardo dal foglio e lo fissò sull’insegnate che gli sorrideva incoraggiante, tutti i 38 occhi dei suoi compagni di classe puntati su di lui.

-Eljas, che ne diresti di venirti a presentare alla tua classe?- domandò la donna.

Eljas non aveva la minima intenzione di parlare di se stesso davanti a tutta la classe, non gli piaceva per niente fare l’elenco di quello che gli piaceva, di quello che odiava, dire com’era… Se qualcuno voleva conoscerlo non doveva certo essere lui a farsi avanti per primo.

-Avanti, non essere timido!- lo incitò l’insegnante facendogli segno di raggiungerla alla cattedra.

Lui non era affatto timido, semplicemente non voleva, ma sapeva che avrebbe dovuto piegarsi alla volontà della professoressa. Abbandonò la matita sul foglio e si alzò dal suo banco percorrendo lo stretto corridoio il più lentamente possibile. Quando arrivò trasse un profondo respiro e cominciò a raccontare, tralasciando accuratamente gli aspetti tragici della sua vita, che era sicuro si sarebbero conosciuti a breve.

Cinque ore dopo saliva in macchina con Linde e Olivia.

-Ciao, ragazzi, com’è andata oggi?- domandò Linde stampando un bacio tra i capelli biondi della sua bambina di 8 anni.

-Bene! La maestra ha detto che il mio tema era il migliore di tutti!- gioì la bambina.

-E a te, Eljas? Oggi era il primo giorno di scuola per te, com’è andata?-

Il ragazzino si accomodò meglio sul sedile posteriore –Uno schifo: la professoressa di Finlandese mi ha chiamato fuori per presentarmi alla classe. Mi guardavano tutti come se fossi verde e avessi le antenne! Mi sentivo un animale allo zoo.- disse passandosi una mano tra i capelli.

Linde sorrise a quel gesto, Ville lo faceva sempre quando era nervoso –Immagino… Non dev’essere facile questo nuovo inizio, soprattutto se non sei abituato a vivere in una grande città, ma se hai bisogno di sfogarti non farti problemi a parlare con qualcuno di noi.- disse mentre Olivia seguiva interessata il discorso –Capisco che Ville non sia la persona più adatta con cui parlare, a volte.-

Eljas spostò gli occhi verdi sullo specchietto retrovisore per incrociare lo sguardo di Linde. Un lieve sorriso gli incurvò appena le labbra –Grazie.- mormorò tornando a guardare fuori. Gli piaceva Linde, come gli piacevano tutti gli amici di Ville che aveva conosciuto, soprattutto Migé, ma stava cercando di legarsi il meno possibile al mondo del cantante: era stato troppo difficile separarsi dal mondo che aveva conosciuto fino a quel momento, era meglio prepararsi già alla separazione da quello che stava vivendo ora.

-In che classe sei?- domandò Olivia girandosi a guardare Eljas coi suoi curiosi occhi nocciola.

-In 1^F2- rispose il ragazzino.

-Allora non siamo tanto distanti. Se vuoi puoi fare ricreazione con me e i miei amici!- disse lei.

-Olivia, tu ed Eljas avete tre anni di differenza, sarebbe meglio che stesse con quelli della sua età.- la riprese il padre. Eljas gliene fu grato. Non aveva cuore di dire alla bambina che voleva starsene da solo non appena poteva. –Domani devi rimanere a scuola, Eljas, hai lezione il pomeriggio. Ville mi ha detto di dirtelo, comunque viene a prenderti lui domani, io vi porto su.-

-Oh, Ville si spreca…- commentò acido il ragazzino afflosciandosi ancora di più nel suo sedile.

Linde alzò il viso per poter guardare Eljas dallo specchietto retrovisore –Sei un po’ duro con tuo padre. Capisco che non sia il migliore al mondo, ma ti vuole bene… anche se lo dimostra a modo suo.- disse poi tornando a guardare la strada.

-Perché lo dimostra, secondo te?- sbuffò Eljas.

-Devi dargli tempo. Non è facile per nessuno dei due. Non sto giustificando il suo atteggiamento, tantomeno le sue decisioni, ma lo conosco da moltissimi anni e so che quello che fa non è sempre espressione di quello che prova, anzi…- replicò Linde.

Olivia aveva continuato a seguire attentamente la conversazione tra i due, ma evidentemente le mancavano delle conoscenze di base, visto che non comprendeva molti passaggi. Non capiva soprattutto come Eljas potesse essere così cattivo nei confronti di Ville: con lei lui era così affettuoso! E lo era sempre stato. Non ebbe il tempo di iniziare a parlare col ragazzino che suo padre aveva parcheggiato davanti al condominio di Ville.

-Domani passo per le 7h30. Non avere questo atteggiamento troppo scontroso, Eljas, devi dare a Ville la possibilità di creare un rapporto con te.- disse Linde.

Eljas annuì e salutò il chitarrista che si allontanò. La verità era che lui non aveva la benché minima intenzione di legarsi a Ville. Non voleva legami di alcun genere, non voleva star male un’altra volta, non proprio allora che cominciava a riprendersi dalla perdita di sua madre. E poi Ville non sembrava voler stringere un particolare rapporto con lui.

Il darkman era uscito per un’intervista, quando tornò, Eljas era già immerso nel suo mondo perfetto fatto di disegni. Aveva l’i-pod sparato a palla nelle orecchie, così forte che Ville standogli vicino poteva tranquillamente seguire anche il basso. Il bambino non si accorse di lui, ma continuò imperterrito a sfumare le ombre del cavallo che stava disegnando. Ville lo guardò interessato: anche a lui piaceva moltissimo disegnare, non per niente aveva fatto l’artistico, e aveva sempre qualche tela o foglio disseminati da qualche parte pronti all’uso. Fu molto orgoglioso nel notare che Eljas aveva ripreso almeno un po’ del suo talento.

-Sei molto bravo.- gli disse a un certo punto. Eljas fece un mezzo sobbalzo sulla sedia a causa della sorpresa. Lanciò a Ville uno sguardo un po’ incerto mettendo l’i-pod in pausa e togliendosi un auricolare.

-Grazie.- mormorò continuando il disegno distrattamente.

-Com’è andata oggi?- domandò il cantante appoggiando la schiena al tavolo della cucina per poter guardare meglio in viso il ragazzino.

Eljas alzò le spalle –Male. Non mi piace quando mi fanno presentare agli altri.- rispose.

Ville sbuffò –Già, sarebbe stato troppo bello se l’avessero evitato. A quanto pare ci tengono a sapere chi sei.-

-Se si limitassero a fare lezione lo preferirei. Ho dovuto ripetere le stesse cose con quattro professori diversi, e domani ne ho altri due nuovi.-

-Resisti, alla fine della settimana nessuno ti chiederà più nulla.- gli sorrise incoraggiante Ville.

-Alla fine mi hanno chiesto che lavoro faceva mio padre.- disse Eljas. Ville lo guardò un po’ allarmato. Si era presentato col nome Hermanni Rakohammas al telefono per non destare troppi sospetti, a Eljas mancavano solo gli assalti dei paparazzi. –Ho detto che hai un negozio in centro. In fondo tu mi hai detto che tuo padre ne ha uno.-

Ville si mise a ridacchiare tossicchiando un po’. Decisamente quella era una risposta che non si sarebbe aspettata. –Ehm, non credo che sia opportuno che i tuoi insegnanti sappiano che tipo di negozio è… cioè… Io non ci vedo niente di male ad avere un porno-shop, ma non tutte le persone lo vedono di buon occhio.- disse.

La testa di Eljas scattò immediatamente verso Ville, i boccoli scuri che ondeggiavano vicino agli occhi sottolineandone l’espressione sorpresa –Il tuo negozio sarebbe un porno-shop?!-

Ville non riuscì a trattenere una risata all’espressione scioccata del figlio –Già. Mio padre lo ha aperto quando avevo 14 anni. Diciamo che più avanti ti tornerà utile…- rispose.

Eljas continuò a guardarlo sconvolto –Allora credo che questo non dovrà mai venirlo a sapere nessuno, altrimenti non me li stacco più di dosso.- commentò prima di tornare a disegnare.

-Credo che quando dovrò andare a parlare coi tuoi insegnanti mi salterà la copertura, ma penso non si possa fare altrimenti.- sospirò Ville alzandosi per mettere su del caffè.

Eljas riaccese l’i-pod e stava per rimettersi l’auricolare quando Ville lo interrupe nuovamente.

-Cosa ascolti?-

-Il CD preferito di mamma.- rispose tristemente il ragazzo –Lo metteva sempre su quando tornava a casa dal lavoro. E’ l’unico CD con cui riesco a rilassarmi quando disegno.-

Ville sorrise comprensivo afferrando l’auricolare libero e portandoselo all’orecchio. Riconobbe la canzone in play dalla prima nota: Comfortably numb dei Pink Floyd, il gruppo preferito di Alexandra. Una stretta intensa allo stomaco gli fece quasi salire le lacrime agli occhi. Si liberò dell’auricolare e cercò di riprendersi prima che Eljas potesse accorgersi di quel momento di debolezza.

-Se vuoi puoi usare lo stereo. Mi fa piacere sentire un po’ di musica e i Pink Floyd mi piacciono.- disse.

-Davvero non ti dispiace?- domandò grato Eljas. Ville scosse il capo e il ragazzino andò a collegare l’i-pod allo stereo. Immediatamente le note del basso colpirono le orecchie di Ville.

 

-Se mai dovessi portarmi a un concerto, voglio i Pink Floyd!- sorrise Alexandra strofinando la guancia alla spalla di Ville alla quale era arpionata.

Ville rise –Lo dici come se non volessi vedere altri concerti con me!-

-Non è questo… E’ che vorrei che la nostra canzone fosse una dei Pink Floyd. Non sopporterei di ritrovarmi una canzone dei Take That solo perché quella volta abbiamo sbagliato concerto.- protestò lei.

Ville rise nuovamente e le posò un bacio sulla fronte –Non correremo il rischio dei Take That, al massimo ci ritroveremo come canzone The Number Of The Beast degli Iron Maiden, che non è il massimo del romanticismo, ma non scende al livello dei Take That!-

Alexandra gli lanciò uno sguardo divertito –Non è vero che non è romantica! Pensa al video: la donna mostro e il ballerino non sono romantici?-

Ville la baciò teneramente, felice di aver trovato una donna con un senso dell’umorismo così spiccato e un po’ macabro. –Che canzone vorresti?-

-Comfortably Numb. Così ogni volta che sentirò il basso mi verrai in mente tu.-

 

Non era sicuro di riuscire a sopportare quella situazione. Per la prima volta si rendeva conto che lei non sarebbe mai più tornata. Mai più. E questo andava ben oltre la sua rassegnazione vecchia ormai di 11 anni. Per la prima volta provò qualcosa di vicino ai sentimenti di Eljas. Quanto vorrei non dover agire così, Eljas, ma non so come fare. Se solo tu mi aiutassi a capire…

vi dico subito che non posterò per un po' perché parto in vacanza! ^^ non ditemi che qui villino è stato stronzo, in fondo a me fa tanta tenerezza! keep on enjoying me!

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Capitolo 5
*** capitolo cinque ***


CAPITOLO CINQUE

 

Ville guardava fuori dal finestrino in attesa che Eljas montasse in macchina, una folla enorme di bambini usciva a getto dalla porta della scuola urlando e chiacchierando con voci acute e più o meno allegre. Eljas non si fece attendere molto, fece capolino sulla porta con tranquillità, sbirciando da sotto la frangia ricciuta le macchine parcheggiate in attesa e riconoscendo quella di Ville. Sempre con calma lo raggiunse e salì dentro cacciando il suo zaino tra i piedi con poca cura.

-Sopravvissuto?- domandò Ville cercando di non dare a vedere che era preoccupato: aveva visto il ragazzino uscire da solo da scuola e questo lo rendeva triste. Non voleva che Eljas rinunciasse ad avere degli amici a causa sua.

Il bambino fece spallucce –Almeno non mi fanno più domande.- rispose.

-Te l’avevo detto che sarebbe durato poco.- disse il darkman. –Oggi ho una sorpresa per te…- aggiunse poi, mettendo in moto la vettura e guardando Eljas.

-Una sorpresa?- domandò questi incuriosito ricambiando lo sguardo con gli stessi occhi penetranti di un verde acceso.

Ville annuì con un sorriso sghembo sulle labbra –Almeno spero che sia qualcosa che ti farà piacere.- disse –Io oggi ho un impegno di lavoro e non riesco a essere a casa per cena, così ho pensato che, invece di lasciarti da solo tutto il pomeriggio, potevo portarti dai miei.-

Gli occhi di Eljas si spalancarono sotto i ciuffi scuri, per la prima volta non sapeva che rispondere. Ville lo stava portando dai suoi genitori… dai suoi nonni… lo stava presentando al resto della famiglia. Questo non era stato previsto dalla sua giovane mente, tutto si sarebbe dovuto ridurre a: cercare di convivere con Ville qualche mese, sopportarlo il minimo indispensabile, non conoscere nessuno della sua famiglia e legare il meno possibile con chiunque. Cos’era andato storto?

-Non ti piace molto l’idea, vedo…- azzardò Ville notando l’espressione sconcertata del ragazzino –Beh, se non ti va puoi sempre rimanere a cas…-

-NO!- lo interruppe Eljas con tanta foga da spaventarlo quasi, poi si calmò –Ti prego… Mi piacerebbe molto conoscere i tuoi genitori e poi non mi va di rimanere da solo.-

Il volto di Ville si illuminò. Davvero voleva conoscere i suoi genitori? Per alcuni poteva essere una notizia irrilevante, ma per Ville vedere che Eljas voleva entrare in contatto con una parte della sua vita era importante, soprattutto perché si trattava di una parte della sua famiglia, la parte che era legata a un padre che l’aveva trattato malissimo.

-Dici sul serio?- gli domandò per avere conferma di quella notizia così sorprendente.

Eljas annuì –Mi farebbe veramente molto piacere, anche perché… sarebbero i miei nonni e io non ho mai avuto dei nonni.- disse poi voltando il viso verso il finestrino.

Ville fu ancora più stupito: Eljas aveva riconosciuto i suoi genitori come nonni, questo implicava che da qualche parte dentro di sé doveva riconoscere in lui un padre. Per quanto lui stesso non fosse in grado di pensare a se stesso in quei termini, Ville si sentì felice.

-Conoscerai anche mio fratello, oggi starà con voi. Non vede l’ora di conoscerti, al telefono era agitatissimo! Non credevo potesse emozionarsi tanto…- disse il cantante.

-Hai anche un fratello?- domandò incuriosito Eljas.

-Sì, più piccolo, si chiama Jesse.- rispose Ville, poi, più a sé che non al bambino, commentò –Ed è tuo zio…-

Eljas annuì soprappensiero fissandosi la punta delle converse che indossava –Loro lo sanno che tanto sarà inutile giocare alla “bella famigliola felice”, che prima o poi tutto questo finirà?-

Questa volta Ville fu preso in contropiede e il livello di felicità a cui era giunto si capovolse come una clessidra al pari livello di sconforto. Gli stava facendo conoscere il resto della famiglia, ma ancora non aveva deciso in merito alla questione dell’affidamento. Tuttavia ne aveva parlato con Jesse e sperava di arrivare presto a una conclusione, anche grazie a quell’incontro.

-Sanno tutto, Eljas, ma ti prego di non pensarci ora, ok?- disse –E’ una questione che sto ancora valutando e questa giornata potrebbe aiutarmi a capire, ma è ancora presto per pensarci, non rovinarti questo incontro. Lo so che dovrei tacere e farmi un esame di coscienza, ma ti giuro che io ci terrei a tenerti con me, per quanto non sia stato in grado di dimostrartelo finora.-

Eljas lo guardò senza parlare, mente lo vedeva parcheggiare accanto a un negozio dalle vetrine variopinte e pubblicizzanti degli aggeggi a lui (ancora) sconosciuti.

-E’ questo il negozio di tuo padre?- domandò un po’ costernato.

Ville sorrise in ricordo dell’espressione assunta dal bambino un paio di settimane prima –A dire la verità è mio ora, ma continua a lavorarci papà. Questo è un sexy-shop e tu sei l’unico minorenne di tutta la città che può entrarci!- disse smontando dalla macchina e facendo l’occhiolino a Eljas.

Una volta dentro il negozio, il bambino si guardò attorno, ma non ebbe il tempo di focalizzarsi su niente che una voce allegra lo distrasse.

-Ehi, Ville! Ti aspettavo più tardi!- esclamò un ragazzo di 27 anni raggiungendoli con un gran sorriso stampato in faccia.

-Ho pensato di venire qui prima.- disse Ville –Eljas, questo è Jesse. Jesse, Eljas.-

Eljas guardò titubante il volto magro del ragazzo che aveva di fronte: non assomigliava molto a Ville, i capelli erano più chiari e gli occhi tendevano più all’azzurro che al verde, tuttavia c’era qualcosa che faceva capire che erano fratelli.

-E così tu saresti mio nipote, eh?- commentò Jesse ricambiando lo sguardo interessato –Non c’è che dire, si vede che sei un Rakohammas!- concluse poi con una risata. Eljas sorrise a sua volta guardando Ville, gli piaceva suo fratello.

-Ti darò l’opportunità di conoscerlo tutta la giornata, io fra poco devo andare.- disse il cantante –Non distrarlo troppo con questi arnesi, però, non vorrei mai si riducesse a essere come me…- concluse poi indicando il negozio con un gesto della mano e facendo arrossire il ragazzino.

-Ah, non preoccuparti! A quello ci pensa papà!- rispose Jesse.

In quel momento un uomo abbastanza alto, dal fisico che rifletteva ancora lo sport praticato in gioventù, i capelli ormai bianchi, ma che resistevano ancora sulla testa dalla fronte ampia, fece capolino da una stanza separata dal resto del negozio da una tendina di perline gialle. Non appena vide il figlio maggiore con la sua fotocopia in miniatura spalancò gli occhi e la bocca in un grande sorriso.

-Finalmente!- esclamò andando incontro ai figli e al nipote.

-Ciao, papà.- salutò Ville alzando gli occhi al cielo –Non ti emozionare troppo, ok?-

Eljas rideva del comportamento di quello che doveva essere suo nonno, letteralmente in brodo di giuggiole per la presenza del piccolo Rakohammas. Guardandolo vedeva che Ville aveva la sua stessa forma del viso, del naso e anche lui aveva un’ampia fronte che metteva in risalto gli occhi, ma quelli erano diversi, erano più simili a quelli di Jesse che a quelli del darkman.

-Eljas, questo è mio padre, si chiama Kari. Papà, questo è Eljas.- presentò ancora una volta il cantante.

-Bene, Eljas, sono molto lieto di fare la tua conoscenza!- si inchinò Kari con teatralità.

-Anche a me fa piacere conoscerla.- rispose il ragazzino con un sorriso allegro sulle labbra.

Kari lo guardò indignato –Ma come, mi dai del lei? Non lo fanno nemmeno quelli che vengono in negozio! No, no, dammi pure del tu, in fondo siamo parenti!- disse rimproverandolo scherzosamente.

Ville sorrise alla scena, ma poi divenne serio e prese Jesse di lato per poterci scambiare qualche parola in privato.

-Ti somiglia davvero molto, quasi direi che si è sdoppiato da te senza l’intervento di una donna!- commentò sempre allegro Jesse.

-Vedrai che di Alexandra ha ben altro che l’aspetto fisico.- rispose Ville, poi si assicurò che Eljas fosse abbastanza occupato col padre da non sentirli discorrere –Senti, è importante che oggi vada tutto nel modo più naturale possibile. Se oggi vedo che può trovarsi bene con voi, che comincia a girare in maniera diversa, potrei cominciare a prendere in considerazione l’idea di disdire l’affidamento con l’assistente sociale, altrimenti non ho più appigli.-

Jesse annuì e assunse un’espressione grave –Questo ragionamento avresti dovuto farlo prima, non credi?- gli disse in tono di rimprovero.

-Lo so, sono il primo a dirlo e Linde e tutti gli altri miei amici non fanno altro che farmelo tenere a mente! Come se già non bastasse il modo in cui mi guarda Eljas ogni volta che cerco di fare qualcosa con lui…- replicò Ville lanciando un altro sguardo al bambino –Se avete dei problemi chiamami, tengo il cellulare acceso tutt’oggi, in caso contrario torno a prenderlo per le 9h00, ok?-

-Spero che tu sappia quello che fai, Ville.- commentò Jesse tornando a parlare col ragazzino –Eljas, ti piace andare sullo skate?-

Eljas alzò lo sguardo da un aggeggio che suo nonno gli stava mostrando (e che Ville si affrettò a far sparire) per considerare l’idea –Non sono mai andato sullo skateboard, però mi piace andare a vedere le gare ogni tanto.- rispose.

-Bene, così abbiamo qualcosa da fare dopo pranzo!- commentò Jesse con un sorriso –Sempre che Ville mi dia il permesso di portarti al parco di skate…-

-Ville oggi è al lavoro, non può impedirmi di andare, e anche se lo facesse andrei lo stesso.- rispose Eljas.

Sia Kari che Jesse furono un po’ sorpresi da quella risposta e guardarono il cantante con un’espressione indagatoria. Ville d’altro canto sapeva che Eljas non sottostava ai suoi ordini né alle sua raccomandazioni, quindi non aveva niente da obiettare ai programmi di Jesse per il pomeriggio.

-Ok… allora ci vediamo stasera…- disse Kari salutando il figlio maggiore che uscì dal negozio ancora un po’ abbattuto, ma in fondo felice di vedere che Eljas tutto sommato gradiva la presenza sia di suo padre che di suo fratello. Se non altro avrebbe potuto contare su di loro in caso…

No, non metterti a fare congetture ora, non sai cosa succederà questo pomeriggio, quindi aspetta a dire! Si rimproverò Ville montando in macchina e accendendosi una sigaretta. Era inutile raccontarsi bugie, l’ultima frase di Eljas l’aveva centrato in pieno stomaco come poche altre volte gli era successo prima dell’arrivo del bambino nella sua vita. Non era un padre per lui, probabilmente non lo sarebbe mai stato, perché tentare? Perché è giusto così. Continuava a ripetersi da giorni il cantante, ma non ne era poi così convinto. Se non altro devi provarci perché sua madre te l’ha chiesto, perché questa era una delle sue ultime volontà e tu sei tenuto a rispettarla. Decise infine prima di mettere in moto la macchina: era già in ritardo.

 

salve a tutti! fra due giorni riaprto, quindi non posterò di sicuro fino ad agosto. mi dispiace per coloro che sono curiosi di vedere il seguito di questo capitolo, purtroppo, però, non posso evitarlo. ^^ keep on enjoying me!

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Capitolo 6
*** capitolo sei ***


CAPITOLO SEI

 

Erano da poco passate le 8h00 quando Ville uscì dagli studi della Warner con il cappello calato sui capelli lunghi e la sigaretta ancora spenta tra le labbra, gli altri HIM lo circondavano e parlavano con lui delle decisioni prese quel pomeriggio in merito all’album che stavano preparando.

Migé in particolare stava discutendo con Ville del ruolo del basso nella canzone che avevano cominciato a provare quel giorno. –Non credi che sia troppo tirata come cosa? Devi pensare che dovremmo rifarla anche live e verrebbe un po’ difficile… Ti ricordo che dopo Venus Doom abbiamo fatto un po’ fatica a tenere testa alle parti di basso e doppia chitarra durante i live.-

Ville si accese la sigaretta cercando di contrastare il vento contrario –Senti, mi pare che la parte ti venga benissimo, non vedo dove siano i problemi! Anche con Venus Doom te l’eri cavata magistralmente e sarà ancora così, non preoccuparti, giusto, Linde?- replicò richiamando l’attenzione del chitarrista che scherzava allegramente con Burton e Gas.

-Ah, ma ancora non lo conosci Migé? Non sarà mai sicuro di niente finché non avremo finito tutte le date del nuovo tour! Finché non abbiamo finito di incidere di sicuro non ti mollerà!- disse Linde ridendo e facendo ondeggiare così i lunghi rasta biondi.

-Vaffanculo, Linde!- obiettò il bassista guardandolo indignato e infilandosi le mani in tasca –Anche tu prima eri preoccupato per la parte del live!-

-Ma Linde poi è giunto alla sana conclusione che preoccuparsi ora non serve a niente e che è meglio bersi su qualcosa.- replicò Gas sbuffando il fumo della sua sigaretta nell’aria fredda di Helsinki.

Migé gettò gli occhi al cielo e cominciò a cercare le chiavi della sua auto nelle profonde tasche dei jeans larghi che portava, imprecando poiché non le trovava e finendo col prendersi a sua volta una sigaretta dal pacchetto che si trovava più a portata di mano.

-Andiamo a bere qualcosa?- domandò Burton con uno sbadiglio e una lunga stiracchiata.

Ville scrollò la testa –Devo tornare a prendere Eljas, l’ho lasciato dai miei e ho paura del responso…-

-Con la frase “l’ho lasciato dai miei” vuoi dire che l’hai portato al negozio?- domandò Migé con due occhi spalancati che si rallegrarono visibilmente quando il darkman gli confermò la notizia.

Linde scoppiò a ridere in faccia a Burton che dovette fare uno sforzo estremo per riuscire a sostenerlo, visto che stava quasi crollando a terra dal ridere.

-Linde, ti senti bene?- domandò Gas scuotendogli i rasta con una mano –Riprenditi!-

Il biondo riuscì a fatica a ritrovare la tranquillità prima di guardare Ville negli occhi che gli lanciavano sguardi irritati –Scusami, Ville, ma già mi vedo tuo padre sottoporlo a tutti i giochetti che ha in negozio! Credo che si sia divertito parecchio questo pomeriggio…-

-Tuo figlio non si avvicinerà mai più a mia figlia, finché lei non sarà maggiorenne!- sghignazzò Burton.

-Ah, nemmeno a Olivia!- lo appoggiò Linde rimettendosi a ridere. Ville li guardò come se fossero due deficienti.

-Ma guardatevi! Avete quasi 40 anni e vi comportate come dei ragazzini…- commentò gettando la sigaretta a terra e spegnendola con la punta della scarpa –Voi ridete tanto, ma io sono veramente preoccupato di come può essere andato questo pomeriggio.-

Improvvisamente tutto il gruppo tornò a essere serio. Migé batté una mano sulla spalla dell’amico –Avanti, Ville, se ci fossero stati problemi Jesse ti avrebbe chiamato, e invece il tuo cellulare è stato muto tutto il  pomeriggio! Devi rilassarti! Probabilmente Eljas adesso se ne starà tranquillo in casa dei tuoi a guardare la TV con lo stomaco strapieno dei dolci di tua madre.-

Linde annuì appoggiato dagli altri –Sarà andato tutto bene, in fondo tuo padre non potrà certo stargli antipatico! Potrà vantare di avere un nonno tutto particolare se non altro!-

Ville sorrise appena tenendo fra le labbra la nuova Marlboro Light –Effettivamente mi pareva andasse abbastanza d’accordo con Jesse e papà quando ce l’ho portato, oggi pomeriggio. Se non altro li riconosce come nonno e zio, e per me questo è già molto.- disse cercando di non incrociare lo sguardo degli altri.

Burton lo guardò sbieco –Fammi indovinare: se oggi pomeriggio è andata abbastanza bene mandi l’assistente sociale a fare in culo?- domandò il tastierista con un tono più severo del solito.

-Burton, sei un tripudio di volgarità!- lo riprese Migé –E sì che hai anche una bambina piccola!-

Burton si mise a ridacchiare –Credi di essere tanto meglio, tu? Aspetta ancora tre mesi e poi vediamo quanto sarai fine tu, Mikko Paanaanen!- lo rimbeccò.

Il bassista agitò una mano in aria –Mio figlio sarà decisamente più a modo di me, se non altro di te di sicuro!-

I due membri degli HIM cominciarono a battibeccare sulla loro capacità educativa di genitori, ma cominciava a essere tardi e Ville, guardando l’orologio, vide che doveva partire se non voleva arrivare in ritardo all’appuntamento con Eljas. Sentiva come se un suo ritardo avesse potuto rovinare un perfetto pomeriggio… non poteva permettersi di fare troppi errori ora che stava lentamente recuperando il rapporto col bambino.

-Sentite, ragazzi, io devo andare a prendere Eljas. E piantatela di parlare di figli in mia presenza, mi fate venire il nervoso!- disse il darkman prendendo la chiave dalla tasca della giacca e raggiungendo la macchina.

-Eh, no! Mi devo vendicare del fatto che mi hai dato del “quasi 40enne”! I 40 sono ancora lontani, mio caro, ti ricordo che hai lamia età!- ghignò Linde.

-Beh, io potrei incazzarmi di brutto, visto che io i 40 li ho appena raggiunti!- si intromise Gas fulminando il chitarrista con i piccoli occhi indispettiti. Linde assunse un’aria angelica.

-Siete tutti dei vecchi coglioni, mettetevela via! Addio, ci si vede all’ospizio, io ho da fare!- li salutò Ville montando in macchina e allontanandosi dagli studi Warner.

Durante il viaggio fino a casa sua continuava a pensare a possibili versioni del pomeriggio di Eljas. Già sentiva la voce di Jesse raccontargli quello che avevano fatto, cosa si erano detti… Stranamente nella mente di Ville partiva tutto bene per finire in qualche modo tragicamente, con Eljas che si incazzava, che si faceva male, che inveiva contro di lui, che faceva qualsiasi altra cosa che avrebbe rovinato tutto il pomeriggio. Con questo stato d’animo suonò a casa dei suoi genitori, aspettando che gli venisse aperto con il freddo che gli faceva battere i denti, talmente nervoso da non accorgersene nemmeno.

Quando Anita, sua madre, gli aprì la porta dell’appartamento aveva un sorriso gioviale stampato in faccia –Ciao, tesoro!- lo salutò con tutto l’affetto materno di cui poteva disporre –Vieni, Eljas sta giocando alla Play Station con Jesse.-

Ville si tolse la giacca andando a raggiungere il fratello e il figlio in salotto, dove si urlavano dietro al ritmo del ticchettio del joystick, seduti a gambe incrociate sul tappeto di fronte al televisore.

-Hai imbrogliato! Non mi avevi detto che potevo usare quella mossa!- protestava Eljas contro un Jesse che sghignazzava divertito.

-Non c’è gusto se ti dico tutto!-

-Ma così non combattiamo ad armi pari!- replicò il ragazzino riprendendo il joystick tra le mani –Questa volta mi prendo io il Ninja!-

Ville sorrise a quella scena ricordandosi tutte le volte che aveva fatto la stessa cosa con Jesse quando erano più giovani. Si avvicinò ai due strofinandosi le mani per scaldarsi un po’ –Jesse, puoi evitare di far venire a Eljas istinti omicidi? A casa mia non ho nessuno a proteggermi se decide di sfogare il suo odio con qualche colpo di arte marziale.-

-Oh, ciao, Ville!- lo salutò il fratello ridendo –Non credo che rischierai la vita, Eljas è un po’ scarsetto…-

-Non è vero! Ho vinto tre sfide su cinque!- obiettò il ragazzino.

-Solo perché ti ho lasciato vincere.- lo liquidò teatralmente Jesse.

Il volto di Eljas si indurì e i suoi occhi si assottigliarono andando a lanciare allo zio uno sguardo di sfida –Allora vediamo chi vince ora! Questa decide tutto!- disse –Ville, tu facci da arbitro!-

Il darkman rise di gusto a quella scena, stravaccandosi per bene sul divano dietro ai due e dando il via alla gara. Mentre Jesse e Eljas continuavano a giocare, sua madre venne da lui per portargli un caffè caldo e gli si sedette accanto subito seguita dal marito.

-Jesse non si è mai staccato da lui! Avresti dovuto vederli oggi allo skatepark! Sembrava che si conoscessero da sempre. Jesse gli ha insegnato qualcosa con la tavola, sembrava di vedere te e Bam quando viene a trovarti qui.- disse Anita a mezza voce, per non farsi sentire troppo dai due interessati, anche se questi erano decisamente presi dal gioco.

Ville assunse uno sguardo dolce che stupì parecchio i suoi genitori: non gli avevano mai visto quello sguardo, nemmeno quando era stato veramente innamorato nella sua vita. Quello sguardo andava al di là dell’amore che si può avere per una donna. –E al negozio? Ti ha dato problemi, papà?- chiese.

Kari Rakohammas scosse deciso il capo –Assolutamente no! E’ stato così tranquillo che a momenti pensavo di essere io quello troppo esuberante!- rispose.

Ville ridacchiò perché, con tutte le probabilità del mondo, l’impressione di suo padre corrispondeva alla pura e semplice realtà.

-Ville, non distrarti! Devi guardare se Jesse bara o no!- protestò Eljas mandando al tappeto il personaggio di Jesse che però si rialzò velocemente.

Anita e kari risero insieme a Ville –Stai tranquillo, lo tengo d’occhio io! Gli ho insegnato io a barare, so tutti i suoi trucchi.- disse il cantante mollando un leggero calcio addosso al fratello.

-Non provare a raccontargli i miei segreti di giocatore, Ville, o ti rincorro fino a Sentaintori!- lo minacciò Jesse abbattendo a sua volta il Ninja di Eljas.

-Avanti, Jesse, sembri più bambino di Eljas!- lo rimproverò la madre con un sorriso sempre splendente e il suo delicato accento ungherese.

-Ma io sono più bambino di Eljas: mio nipote è già un genio, si vede che ha preso dalla madre!- commentò Jesse facendo scomparire il sorriso dalla faccia di Ville. Non era la frecciatina satirica che gli aveva fatto passare il buonumore, ma il fatto che avesse messo nuovamente di fronte ai suoi occhi quella verità estrema: Eljas di lui non aveva niente a parte l’aspetto fisico e la bravura nel disegno…

Fortunatamente il ragazzino era troppo preso dal gioco per badare alle battute dello zio e non si accorse nemmeno dell’espressione di Ville, centrò in pieno un colpo e mandò KO l’avversario esultando come solo un bambino può fare. –Sì, ho vinto io! L’avevo detto che era solo perché baravi!- disse abbandonando il joystick e spintonando Jesse sul pavimento.

Sia Kari che Anita osservarono che Ville non aveva recuperato il sorriso e prima di farlo andare via lo allontanarono un attimo da i due litiganti. Kari fece sedere il figlio maggiore su una sedia della cucina e gli si sedette di fronte, lo sguardo più serio che mai.

-Ville, che succede?- domandò. Anita strinse tra le mani le spalle ricurve del figlio.

Il cantante sospirò chiudendo gli occhi e passandoci una mano sopra –Niente, sono solo stanco…- mentì cercando di convincere anche se stesso.

-Ho visto che non è solo quello. Hai radicalmente cambiato espressione quando Jesse ha fatto quella battuta su Alexandra, se hai dei problemi dovresti parlarne con noi, potremmo aiutarti!- protestò Kari.

Ville scosse la testa –Non preoccuparti, papà, è una cosa che probabilmente non si risolverà mai. Ho perso troppo tempo con Eljas per poter rimediare a certe cose…-

-Non ti chiama ancora papà.- notò Anita cominciando a massaggiare dolcemente le spalle del darkman.

Un’altra fitta allo stomaco colpì Ville. Tutte quelle mazzate a freddo avrebbero finito con l’ucciderlo prima o poi, nessun organismo era in grado di reggerne troppe. –Non credo arriverà mai a farlo. Non riusciremo mai a essere come un padre e un figlio, mi disprezza troppo per farlo, però forse…-

-Vuoi annullare le procedure per l’affidamento?- domandò Anita.

Ville fissò il padre negli occhi prima di voltare lo sguardo verso lo spiraglio di salotto che si poteva intravedere dalla sua posizione nella cucina, dove si potevano scorgere Jesse ed Eljas lottare ancora amichevolmente sul tappeto. Sospirò. –Non ne sono sicuro, devo prima discutere di una cosa con qualcuno…- disse infine alzandosi per riprendersi la giacca.

Kari e Anita guardarono entrambi il figlio con disapprovazione, ma non parlarono sapendo le condizioni in cui l’uomo si trovava psicologicamente al momento. Anita andò a chiamare Eljas e lo aiutò a vestirsi, intanto Ville ne approfittò per parlare ancora una volta con Jesse.

Il fratello minore lo raggiunse continuando a scherzare in lontananza col nipote –Tuo figlio è una meraviglia, Ville! Lo adoro di già!- disse con un sorriso che gli illuminava gli occhi. Ma Ville era serio, non riusciva a ridere e doveva parlare di una questione seria. Jesse se ne accorse e si calmò un po’.

-Jesse, io… devo chiederti una cosa.- disse il cantante andando ad aspettare Eljas sul pianerottolo insieme al fratello.

-Non mi piace il tono con cui me lo stai per dire, però spara.- fece Jesse incrociando le braccia.

Ville non sapeva da dove cominciare, così la prese larga –Tu e Krista state insieme stabilmente da molto, giusto? Avevate in mente di sposarvi se non sbaglio…-

-Ville, ti prego, non tenermi sulle spine!- lo ammonì il fratello.

Con gli occhi bassi, Ville cercò allora di andare diretto –Io mi chiedevo se… visto che tu piaci a Eljas e lui piace a te… se…- Jesse aveva capito dove Ville voleva arrivare, ma sperava ancora di essersi sbagliato. Il darkman trasse un profondo respiro e si decise –Saresti disposto a prendere l’affidamento di Eljas?-

Jesse lo guardò con gli occhi azzurri spalancati, increduli. –Ville, tu stai scherzando!-

-No, Jesse.- obiettò Ville –Non sono mai stato tanto serio quanto stasera.-

visto che coloro che l'hanno letto in anteprima mi hanno uccisa, chiedo subito la grazia! ^^" non mi esprimerò ulteriormente a riguardo, prometto che vi farò avere lo scioglimento prima di partire per dublino. keep on enjoying me (and please don't knill me!)!

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Capitolo 7
*** capitolo sette ***


CAPITOLO SETTE

 

Eljas stava parlando tranquillamente con Olivia, seduto sul divano di casa Lindström, mentre Linde, Manna [ho finalmente scoperto che è MannA e non Manne!! Perché è il diminutivo di Mariam!] e Ville discutevano seduti poco più in là, nel cucinino. Il volto della donna era abbastanza preoccupato e squadrava il darkman dal profondo dei suoi occhi nocciola.

-Ville, ma ti rendi conto di quello che hai fatto?- domandò.

-Che altro potrei fare, Manna? In fondo con mio fratello vivrebbe bene, sarebbe felice e rimarrebbe in famiglia! In più io avrei la possibilità di vederlo oltre il giorno prestabilito dal giudice.- replicò Ville tormentandosi i fili ribelli dei guanti. Sia Manna che Linde gli rivolsero uno sguardo di rimprovero che lui si guardò bene dal ricevere.

-Allora non te ne frega niente, Ville, la verità è questa. Bene, almeno ora ce ne siamo resi conto e non cercheremo più di farti trovare delle soluzioni.- disse il chitarrista alzandosi dalla sedia e cominciando a camminare nervosamente per la cucina. Si fermò dopo qualche secondo appoggiando le mani al piano da lavoro e fulminò l’amico con gli occhi azzurri –Ma lo sai per cosa finiscono in affidamento i bambini, di solito?-

Ville rivolse all’amico un’occhiata piena di sconforto –Beh, non è messo tanto meglio: un padre alcolizzato ce l’ha quasi…- borbottò.

-Oh, Ville, non dire scemenze! Non sei ancora a quei livelli, per fortuna.- lo riprese Manna –Ti rendi conto che in pratica stai dando Eljas in affidamento solo perché non ti va di occupartene?-

-Questo non è vero.- obiettò Vile. Questa volta non era disposto a sentire quelle accuse, sia perché gli facevano male, sia perché lui era veramente convinto che quello fosse il meglio per suo figlio. In fondo si trattava di affidamento, non di un’adozione: intanto si sarebbe impegnato a mettere la testa a posto e poi avrebbe ripreso con sé suo figlio.

Sì, così quando lo ritroverai avrà 20 anni e non avrà più né il tempo né la voglia per stare con te! Probabilmente nel frattempo cercherà di cancellarti dalla sua vita, convincendosi di avere più in comune con Jesse che non con te. Diceva la sua coscienza in risposta a quei pensieri, ma il cantante la faceva tacere chiudendola in un antro a parte nella sua testa, isolandola.

-Sì che è vero, Ville!- sbottò Linde rischiando quasi di farsi sentire dai due bambini –E poi non credi che Jesse sia troppo giovane per tenere Eljas? Sta per sposarsi, lasciagli vivere la sua vita! Solo per questo tuo egoismo del cazzo non puoi permetterti di decidere sia la vita di tuo figlio che quella di tuo fratello! Per quanto ti possa sembrare assurdo tu sei padre da 11 anni! E’ ora che cominci a diventare adulto anche tu e a prenderti le tue responsabilità: quel bambino non è nato da solo e non si è nemmeno sdoppiato da Alexandra!-

Manna guardò suo marito e Ville scambiarsi sguardi di fuoco come mai prima di allora. Rimasero a incenerirsi a quel modo, in silenzio, per parecchi secondi, poi il cantante afferrò la sua giacca e andò a prendere Eljas in salotto.

-Eljas, vestiti che andiamo.- disse in tono piatto, ma con tanta risolutezza che il ragazzino ubbidì senza fiatare. Olivia guardava Ville con occhi curiosi, lanciando occhiate anche a suo padre che era appena entrato nella stanza al seguito del darkman, infuriato come non mai.

-Non hai il coraggio di affrontare i discorsi pungenti, Ville?- ringhiò il chitarrista.

Ville gli scoccò uno sguardo truce –Per te è tutto così semplice, vero, Mikko? Come se non mi incolpassi ogni singolo secondo! Come se dentro di me qualcosa non si ribellasse a questa decisione ogni volta che mi ritrovo a guardarlo! Tu non c’eri ieri sera, tu non hai visto quello che ho visto io! Se davvero può essere così felice, allora io voglio che lo sia, e se stare con me glielo impedisce allora a maggior ragione la mia decisione è quella corretta!-

Manna aveva fatto andare Olivia in camera sua, ma non poteva preservare Eljas da quella discussione che lui seguiva allibito a ogni parola, in disparte senza parlare.

Linde rispose allo sguardo di Ville –Nessuno è nato genitore, bisogna imparare e si impara da soli. Tu non fai eccezione, Ville.- disse –E poi predichi tanto che lo fai per il suo bene, ma hai chiesto a lui che ne pensa? Hai mai provato a chiedere cosa ne pensa lui? Perché ho la netta sensazione che tu te ne sia dimenticato…-

-E’ mio figlio, Mikko, non il tuo.- replicò il darkman.

-Ah, quando ti fa comodo allora diventa tuo figlio!-

Ville non era disposto ad accettare anche quella provocazione –Vaffanculo, Mikko.- disse afferrando Eljas e uscendo in fretta dalla casa dopo aver mormorato qualche saluto sbrigativo a Manna. Era talmente arrabbiato che dovette avviare la macchina due volte prima di riuscire a farla partire correttamente. Dal canto suo, Eljas se ne stava zitto e immobile sul suo sedile gettando occhiate furtive e indagatorie al padre. Alla fine la cappa di rabbia e silenzio diventò troppo pesante da sostenere.

-C’è qualcosa che devi dirmi?- chiese.

Ville fece una smorfia –Ci sarebbero tanto cose, Eljas, tantissime cose! Io e te non ci siamo mai visti né parlati per anni, nemmeno sapevo che esistessi fino a un mese fa, quindi di cose da dire ne avremmo a bizzeffe! Eppure ci comportiamo come due estranei che si scambiano qualche parola ogni tanto! Tu con me parli solo raramente, la prima volta che ti ho visto veramente felice è stato ieri sera a casa dei miei genitori, guarda caso la prima senza di me… Forse non senti il bisogno di dirmi niente, lo capisco, ma allora perché Linde si lamenta se non mi comporto da padre corretto?-

Eljas lo guardava senza capire –Cosa vuoi dire?-

-Ti piace mio fratello, giusto?- disse Ville calmando un poco il suo tono di voce. Eljas annuì. –Come ti sei trovato ieri sera?-

-Bene, benissimo… Mi sono divertito e i tuoi genitori sono stati gentilissimi con me.- rispose il ragazzo cominciando a sentire uno strano nodo all’altezza dello stomaco –Perché me lo chiedi?-

-Ti piacerebbe vivere con Jesse?- continuò imperterrito Ville stringendo talmente i pugni sul volante che le nocche divennero bianche.

Eljas lo guardò titubante –Io… non lo so… credo di sì, ma… Ville io non capisco! Perché mi chiedi queste cose?-

Il darkman parcheggiò improvvisamente la macchina e spense il motore. Chiuse gli occhi appoggiando la nuca alla testiera del sedile e trasse un profondo respiro, dopo un po’ li riaprì per guardare suo figlio. Eljas lo scrutava preoccupato, un po’ anche spaventato dal suo comportamento: era la prima volta che vedeva Ville arrabbiato e non pensava potesse assumere quello sguardo truce che, anche se non era per lui, lo metteva a disagio.

-Ieri sera ho chiesto a Jesse se sarebbe disposto a prenderti in affidamento.- disse Ville riprendendo a parlare con calma.

Eljas spalancò gli occhi per la sorpresa –Cosa? E perché?- domandò cominciando ad arrabbiarsi a sua volta. –Tu non chiedi mai il mio parere su niente! Richiedi che mi diano in affidamento, mi mandi in una scuola a caso senza un minimo di preavviso, chiedi a tuo fratello di prendermi in affidamento… Credi che io sia un giocattolo a cui cambiare posto per divertimento?-

Il darkman lasciò che quello sfogo gli piombasse addosso come una doccia gelida. Era la prima volta che il ragazzino gli diceva qualcosa che avesse un’importanza rilevante per il loro rapporto.

-Quando ti chiedo qualcosa, Eljas, tu non mi rispondi se non a monosillabi. Non parliamo mai se non di scuola, e la cosa non elettrizza nessuno dei due! Non ti chiedo di parlare di Alexandra, so che per te è ancora troppo presto, ma avremmo tante cose da dirci per iniziare a conoscerci! Ieri sera ti ho visto bene con mio fratello, ti sei aperto più con lui in un pomeriggio che non con me in quasi un mese. Se con me stai male non vedo perché dovrei obbligarti a farlo, quando potresti stare con persone che apprezzi di più.- disse. I suoi occhi non emanavano più ira, ma una devastante agonia.

Eljas lo guardò interdetto –Io non sto poi così male con te, Ville…- disse abbassando gli occhi sulla linguetta della cerniera del giubbotto.

-E allora perché?- chiese Ville con disperazione –Io non riesco a capire, Eljas! All’inizio mi sembrava che mi odiassi!-

Il bambino non sapeva cosa dire: gli faceva male confidarsi, soprattutto con Ville, tuttavia non poteva non rispondergli. –All’inizio ti odiavo, è vero. Io non avevo mai conosciuto mio padre, non sapevo veramente niente di lui, quando la Tahvonainen mi ha detto che sarei andato a stare con te ero molto felice. Finalmente avrei conosciuto il mio papà, avrei visto com’era, avrei saputo soprattutto chi era. Pensavo ti saresti sorpreso, ma che poi anche tu saresti stato felice di conoscermi, e invece non appena hai realizzato la situazione hai chiesto che venissi dato in affidamento! Come potevi pretendere che io riuscissi a volerti bene?- disse, prendendo coraggio a ogni parola. Sperava che Ville non lo interrompesse, altrimenti non ce l’avrebbe fatta a raccontare, ma il cantante rimase in silenzio ad ascoltarlo, così lui continuò. –Poi, però, ha iniziato ad andare un po’ meglio… Nelle ultime due settimane non abbiamo litigato poi così tanto, anche se non ci siamo parlati molto, ma vedevo che tu cercavi di trovare un punto comune, in più Linde mi aveva detto di darti tempo e io stavo seguendo il suo consiglio. Quando ieri mi hai portato a conoscere i tuoi mi hai sorpreso veramente, era una cosa che non avevo calcolato, ma sono stato davvero bene. All’inizio non volevo conoscere troppa gente, perché non volevo legarmi troppo a persone che poi forse non avrei più rivisto, ma tu ieri hai detto che se andava tutto bene riconsideravi l’idea dell’affidamento e quindi mi sono lasciato andare. Credevo che alla fine avresti finito con l’accettare l’idea di essere mio padre, che allora le cose sarebbero andate meglio, ma ora mi dici che mi daresti in affidamento anche se ieri è andata benissimo! Io mi trovo bene con Jesse, ma lui è mio zio, sei tu mio padre e io preferirei stare con te, non con lui.-

Ville guardò Eljas come se cercasse di verificare la sua effettiva esistenza. –E’ la prima volta che pensi a me come tuo padre…- sussurrò abbassando lo sguardo sulla pelle nera del volante. Sentiva un sentimento strano impossessarsi delle sue viscere, un incrocio tra il peso di una consapevolezza amara e la leggerezza di una felicità estrema, che saliva lento e umido agli occhi. –Io… so che può sembrarti falso quello che sto per dirti, ma ti prego di lasciarmi dire tutto altrimenti non riuscirò più a farlo.- disse sforzandosi di guardare Eljas senza lasciarsi sopraffare dalle lacrime che gli pizzicavano sadicamente gli occhi. Il bambino annuì silenzioso. –Quando l’assistente sociale ti ha messo davanti ai miei occhi ero sconvolto. La lettera che mi aveva consegnato mi rivelava di essere tuo padre e in più mi diceva che Alexandra, tua madre, una donna che per me è stata importantissima e che ho impiegato anni a dimenticare, era morta. Mi sono sentito come se il mondo avesse bruscamente invertito il suo senso di rotazione, come se mi trovassi in un universo parallelo… e ho avuto paura. Mi si presentava davanti un impegno che non avevo né voluto né previsto e avevo paura di ciò che avrebbe comportato, per questo ho fatto quella richiesta infelice alla Tahvonainen. Il nostro approccio è stato altamente negativo, me ne rendo perfettamente conto, ma voglio che tu sappia che questo non significa affatto che io non ti voglio bene o che di te non me ne frega niente, come invece crede Linde. L’affidamento non è un’idea brillante, lo so, come so che avrei dovuto parlarne con te prima di chiedere a Jesse di prenderti con sé, ma io voglio che tu sia sereno, Eljas e ho come l’impressione che con me sarà una lotta continua e che se mi odiavi già da prima la cosa non potrà che peggiorare.-

Eljas non lo guardava più, teneva gli occhi bassi senza focalizzarsi su niente di ciò che gli stava attorno, ma non si era perso nemmeno una sillaba di quello che Ville aveva detto. –Io non posso dire di volerti bene, Ville, mi hai fatto troppo male per volertene, ma posso tentare di far finta che non sia successo niente. Non posso prometterti che succederà qualcosa, ma sono disposto a provarci.- disse, poi rialzò finalmente gli occhi –Non voglio andare in affidamento, non voglio dover cambiare famiglia un’altra volta. Anche se è Jesse, non voglio… Voglio cercare di stare con te, anche perché se quello che mi dici è vero, tu sei il solo che conosco che voleva bene a mamma più o meno quanto me.-

Una singola lacrima colò giù per gli zigomi alti del ragazzino che si affrettò ad asciugarla prima che potesse testimoniare la sua debolezza in quel momento. Ville gli sorrise di un sorriso che proveniva dal cuore, ma fondamentalmente triste.

Allungò una mano per accarezzargli dolcemente i capelli –Jesse ha detto che accetterebbe l’affidamento solo se fosse l’ultima possibilità che ci resta, ma che prima devo cercare in tutti i modi possibili di creare un legame con te e di rompere il ghiaccio. Nel frattempo dirò alla Tahvonainen di tenere in sospeso le carte per l’affidamento e se vedo che riusciamo a raggiungere un rapporto stabilmente positivo farò disdire tutto quanto.- gli disse.

I suoi stessi occhi, ma velati di lacrime lo guardarono increduli –Lo farai davvero?-

Ville annuì –E’ un impegno che mi prendo personalmente da adesso in poi.- promise ricambiando l’abbraccio che Eljas gli stava dando. Il suo primo abbraccio.

ecco l'ultimo post fino a settembre. mi attende dublino e poi non potrò scrivere molto... quindi, commentate in tanti se potete e sennò leggete e non odiatemi per l'attesa in cui vi lascio. la mia promessa l'ho mantenuta. bacioni! keep on enjoying me!

 

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Capitolo 8
*** capitolo otto ***


CAPITOLO OTTO

 

Migé stringeva in mano una lattina di birra fresca, mentre osservava incerto Eljas seduto a penzoloni sull’amplificatore della chitarra di Linde.  Ville l’aveva portato ad assistere alle prove del gruppo, la cosa che stupiva il bassista era che non era mai successo prima. Forse qualcosa stava cambiando tra loro, di certo qualcosa si era incrinato tra il cantante e il chitarrista, perché i due non si parlavano se non a monosillabi.

-Siamo sicuri che non si metteranno a litigare durante le prove, vero?- gli domandò sottovoce Gas rubandogli la lattina di mano.

Migé lo guardò incerto –Non mi sembra che Eljas sia in aria di guerra…-

-Intendevo dire Valo e Linde.- lo interruppe il batterista accennando all’aura cupa che aleggiava nella zona in cui i due erano costretti a condividere pochi metri quadrati.

-Allora non posso assicurarti niente.- rispose Migé –Tu sai cos’è successo?-

-Ville e Linde hanno avuto una dura discussione a proposito di Eljas circa una settimana fa. Linde non vede di buon occhio la decisione di Ville di dare Eljas in affidamento a suo fratello.- spiegò Burton sedendosi all’altro lato di Migé. I due spalancarono gli occhi per lo stupore.

-Jesse dovrebbe prendere l’affidamento di Eljas?!- esclamò Gas sporgendosi in avanti per essere sicuro di aver sentito bene.

Burton annuì mestamente –Ville glielo ha chiesto, ma Jesse ha detto che lo farebbe solo in caso di ultimatum tra lui e suo figlio. Linde deve aver dato a Ville dell’immaturo e del menefreghista, o una cosa del genere, per quello non si parlano più.-

-Linde e Ville sono amici da moltissimo tempo, è normale che Linde si sia sentito in dovere di rimproverarlo… solo che a Ville non piace sentirsi dire cosa dovrebbe fare né sentir mettere a nudo i suoi difetti.- commentò Migé finendo la lattina.

Gas e Burton annuirono. Burton era amico di Ville più o meno da quando lui aveva conosciuto anche Migé e Linde, ma anche Gas, che lo conosceva da meno tempo, sapeva bene cosa si poteva far presente o meno al leader del loro gruppo.

Eljas era sceso dall’amplificatore e girava curioso tra i vari cavi, soffermandosi ogni tanto ad ammirare gli strumenti sparsi per la sala prove. Linde gli lanciava occhiate di sottecchi, facendo ogni tanto slittare lo sguardo fino a Ville che sedeva poco distante da lui con un block notes tra le mani e il microfono a penzoloni sulla spalla. Possibile che non gliene fregasse niente di quel ragazzino che, volente o nolente, era identico a lui in così tante cose? Come poteva pensare che una famiglia diversa potesse essere la soluzione migliore a quel casino? Eljas era un bambino intelligente, pieno di ottime qualità, un po’ arrogante, questo era innegabile, ma alla fine anche Ville lo era quindi non poteva rimproverarlo più di tanto. Chiunque avrebbe pagato per avere un figlio come Eljas, e Ville ci rinunciava senza nemmeno provare? Il suo amico era veramente una testa di cazzo a volte, e in quei casi non se la sentiva proprio di dargli corda, soprattutto se di mezzo ci andavano dei terzi.

-Hai mai provato a suonare la chitarra?- domandò ad un tratto il cantante alzando lo sguardo sul figlio che osservava attentamente la Gibson acustica di un delicato color beige, la famosa Silvester di Ville, l’intoccabile acustica.

Eljas lo fissò incerto –Mamma mi aveva insegnato qualche accordo, ma non mi sono mai impegnato a ricordarmeli.- rispose malinconico tornando ad osservare la chitarra.

Ville sorrise dolcemente alzandosi dal suo posto e afferrando Silvester. Poteva immaginarsi Alexandra con la sua vecchia acustica sulle ginocchia, a strimpellare qualche accordo mentre cantava a squarciagola. Si sentiva cattivo a pensare a lei in quei termini, in fondo non era malaccio come chitarrista, anche se le mancava decisamente una buona preparazione.

-Posso insegnarti io, se ti va.- disse sedendosi a terra di fronte al bambino. Linde lo guardò sorpreso, ma Ville non gli badò, continuando a sorridere al figlio –In fondo qui hai solo l’imbarazzo della scelta se vuoi imparare a suonare qualche strumento.-

Eljas inclinò leggermente la testa, come per riflettere, e un ricciolo ribelle gli calò sugli occhi: quell’espressione e quella posa le aveva prese dalla madre, erano i momenti in cui ricordava a Ville un micio curioso. Sorrise. –Sono incerto tra la chitarra e la batteria…- disse il ragazzino facendo scorrere lo sguardo da Silvester alla batteria nera di Gas, con un grande hamburger disegnato sulla grancassa.

-Gli strumenti da rimorchio!- commentò Burton –Tuo figlio parte già male, Ville, si ridurrà a essere un poco di buono come Gas o come Linde. Dovrebbe scegliere uno strumento più tranquillo, come le tastiere…-

-Non mi sembra che Gas rimorchi molto…- accennò Ville ricevendo una bacchetta sulla spalla. Eljas e gli altri membri della band ridacchiarono. –Se non altro è lui che deve scegliere, no?-

Linde fu positivamente colpito da quella considerazione. Si era accorto che qualcosa era cambiato tra Ville e Eljas fin da quando il bambino era entrato nella saletta, con uno sguardo felice e curioso insieme, tutt’altra cosa dalla vecchia espressione corrucciata e scontrosa. Non era più sulla difensiva, non mirava più ad attaccare suo padre, era semplicemente aperto al mondo che lo circondava, pronto a conoscerne le varie sfumature.

-Allora voglio imparare a suonare la chitarra.- disse Eljas con decisione –Così posso portarmela in giro, almeno.-

Gas alzò gli occhi al cielo –Ecco, discriminano la batteria perché è ingombrante!- protestò fregando a Migé l’ennesimo sorso di birra dall’ennesima lattina.

-E le tastiere perché non aiutano a rimorchiare.- aggiunse Burton.

-Scusate, e Ville e io che dovremmo dire? Eljas non ha nemmeno nominato il basso! Che figlio ingrato…- piagnucolò teatralmente Migé riappropriandosi della sua birra.

I membri della band risero alle proteste di Migé, tutti meno Linde, che continuava a osservare quello che succedeva tra il bambino e suo padre, facendo finta di essere concentrato nell’accordatura della sua chitarra a dodici corde.

-Quindi la chitarra? Ok, mi sembra più da te, in effetti.- approvò Ville dando Silvester in mano al ragazzino e avviandosi verso la “zona Linde” per prendersene un’altra. Era momento di pausa, era un buon momento per iniziare a insegnargli qualcosa. Linde gli lanciò un’occhiata che fu subito ricambiata, non era astio e nemmeno rimprovero, sembrava piuttosto che Ville stesse facendo ammenda e stesse dimostrando allo stesso tempo che il chitarrista si era sbagliato. Linde, dal canto suo, non aveva più voglia di rimproverare Ville: vedeva che la litigata aveva dato dei buoni frutti, continuare ad avercela con lui non sarebbe servito a niente. Un sorriso tirato si fece largo sulle sue labbra sottili.

-Vedo che hai capito.- disse, cercando di non farsi sentire dagli altri che stavano chiacchierando con Eljas.

Ville abbassò lo sguardo –Allora hai visto che non è vero che non me ne frega un cazzo di mio figlio.- disse, nonostante il tono aggressivo, i suoi occhi dimostravano che la rabbia stava lentamente scivolando via.

-L’importante è che tu stia facendo pensare che te ne importa, che sia vero o no, questo viene in secondo piano. Eljas è più allegro dall’ultima volta che l’ho visto, si vede che avete parlato, finalmente.-

-Diciamo piuttosto che ci siamo sfogati a vicenda.- rispose Ville prendendo in mano l’acustica di Linde –Forse dovevamo solo trovare le parole più adatte, tutto qua. E comunque siamo in periodo di prova.-

Il chitarrista annuì lentamente –Spero che funzioni bene, allora. In caso contrario so già come andrà a finire, ma almeno ci avrai provato.-

Ville gli rivolse uno sguardo ambiguo, poi tornò a guardare per un breve istante Eljas che parlava con Burton. –Ricordami che devo un favore sia a te che a Burton: se non foste così spacca coglioni a volte, forse a quest’ora starei ancora litigando con Eljas.- disse poi, ricambiando il sorriso di pace di Linde.

Il rasta rise sommessamente –Dovere… Senti, se vuoi gli insegno io a suonare, se devi fare dell’altro.-

-No, Linde, è una cosa che voglio… che devo fare io.- obiettò il cantante –Fa parte di quelle cose che solitamente si fanno tra padre e figlio, no?- Linde annuì compiaciuto, finalmente Ville aveva capito come prendere Eljas e come gestire il loro rapporto. Era sicuro che prima o poi ci sarebbe riuscito, in fondo era sempre stato un tipo che riusciva a capire come prendere le persone che aveva di fronte.

-Quando cominciamo?- domandò il ragazzino con un lampo di impazienza negli occhi.

Ville rise –Anche subito, se vuoi! Che cosa ti piacerebbe imparare?-

Eljas riprese l’espressione da gatto curioso –Non so, forse… Wish you were here dei Pink Floyd. Non mi sembra troppo difficile.-

-No, non è difficile, ottima scelta!- rispose Ville sedendosi nuovamente davanti a lui e cominciando ad indicargli il modo corretto di fare gli accordi.

Eljas non perdeva una parola che gli veniva detta, seguiva attentamente tutta la spiegazione del darkman facendo esattamente quello che gli veniva detto. All’improvviso realizzò che stava imparando a fare qualcosa e che l’insegnante era suo padre… Era la prima volta che attribuiva quella parola a Ville in modo naturale, non forzato o spregiativo, ed era la prima volta che sentiva di avere qualcuno accanto dopo che era morta sua madre. Si rese conto che non aveva mai chiamato Ville papà, che l’aveva sempre chiamato per nome. Il cantante si stava impegnando adesso, avevano passato delle giornate serene dopo quella sera in macchina, sentiva che qualcosa stava cambiando, tuttavia non riusciva ancora ad attribuirgli quel nome. Ci voleva ancora tempo, momenti come quelli, però, prima o poi, ne era sicuro, sarebbe riuscito a chiamarlo papà. Solo non adesso.

 

eccomi back! ^^ dublino è stata fantastica, non volevo tornare... adesso sono indietro con i capitoli, ma mi dovrò dare da fare. keep on enjoying me, comunque, e grazie mille per le bellissime recensioni! non merito tanto!

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Capitolo 9
*** capitolo nove ***


CAPITOLO NOVE

Eljas entrò nel negozio di Kari abbandonando lo zaino dietro il banco. Il sexy-shop sembrava essere deserto a quell’ora, probabilmente il vecchio stava sistemando delle cose nel magazzino dietro la tenda di perline gialle che lo divideva dal resto del locale. Con cautela fece capolino nella stanza, Ville gli aveva detto di non muoversi con troppa disinvoltura: non si poteva ancora sapere in cosa sarebbe incappato in quel negozio.

-Nonno, sei qui?- domandò.

Kari si sollevò dallo scatolone che stava esaminando e lo salutò con un sorriso. –Eljas! Sei già arrivato? Credevo che ci volesse di più da scuola tua fino a qui.-

Il ragazzino fece spallucce –Ho preso il tram, Ville mi ha dato il biglietto. Era inutile scomodare Linde se tanto c’è una fermata che arriva a cinque minuti da qui.- rispose sedendosi su uno scatolone grosso e ancora sigillato.

Da circa tre settimane, ogni volta che usciva da scuola e né Linde né Ville potevano portarlo a casa, andava a pranzo dai suoi nonni. Solitamente era Jesse che passava a prenderlo in macchina, dopodiché passava tutto il pomeriggio a casa loro finché non veniva a prenderlo Ville. Questo succedeva in media due volte a settimana, di conseguenza Eljas conosceva abbastanza bene Kari, Anita e Jesse, ormai. Un giorno, parlando con Kari, era scappata fuori la parola nonno e da allora l’appellativo gli usciva spontaneo dalla bocca, come zio quando si rivolgeva a Jesse. L’unica che ancora non era riuscito a pronunciare era papà: continuava ancora a chiamare Ville per nome.

-Hai molti compiti da fare oggi?- domandò Kari facendo segno al nipote di seguirlo fuori dal magazzino.

Eljas scosse i riccioli scuri –Dovrei cavarmela con un’ora, non di più. Perché?-

-Tua nonna pensava di portarti a fare un giro allo skate park, ha trovato un ragazzo che potrebbe insegnarti ad andare sulla tavola. Sempre che tu sia ancora del parere di volere imparare!- rispose Kari mentre cercava le chiavi del negozio in un cassetto dietro il banco.

-Certo che voglio imparare!- replicò entusiasta il ragazzino afferrando il suo zaino e guardando il nonno con due occhi che luccicavano –Ora che ci penso, non ho compiti da fare per domani!-

Il nonno scoppiò a ridere mentre lo conduceva fuori dal negozio chiudendo a chiave la porta –Non cominciare a fare come tuo padre: la scuola prima di tutto.- disse mantenendo il sorriso sulle labbra –Prima farai i compiti e poi Anita ti porterà allo skate park. Così poi potrai starci quanto vorrai.-

Eljas storse deluso la bocca montando in macchina –Non riuscirò a concentrarmi su matematica se avrò in mente lo skate park…- commentò cercando di indurre il nonno a pietà.

-Niente da fare, Eljas: prima i compiti. In fondo hai detto che non ti porteranno via più di un’ora, è sopportabile.-

Il ragazzino cominciò a guardare come al solito le strade della città sfrecciare sotto i suoi occhi, mentre il nonno faceva andare una vecchia cassetta di Elvis nell’autoradio. Siccome la strada fino a casa era lunga, Eljas si perse lentamente nei suoi pensieri seguendo la melodia della chitarra della più lenta delle canzoni.

Gli venne in mente qualche giorno prima, stranamente uno dei pochi in cui Ville non aveva molto da fare. Avevano passato tutto il pomeriggio insieme nella stanza che il cantante riservava alla musica, suonando la chitarra e parlando per ore. Per la prima volta, forse, avevano sostenuto un discorso doloroso per entrambi… se non altro per Eljas era stato così.

-Come vi siete conosciuti tu e mamma?-

Ville aveva alzato lo sguardo dal basso. I suoi occhi erano rimasti puntati in quelli determinati del bambino, finché la coscienza che quella domanda fosse stata effettivamente posta non lo persuase a rispondere qualcosa.

-Non è stato esattamente un incontro felice…- aveva risposto continuando a suonare l’accompagnamento che stava effettuando poco prima, ma Eljas aveva continuato a guardarlo con insistenza. Prendendo fiato aveva abbandonato l’intenzione di tornare a suonare e riposto lo strumento sul pavimento. –A entrambi piaceva molto leggere. A me piace rifugiarmi in biblioteca ogni tanto, leggere qualche libro mentre mi bevo un caffè… Un giorno ho notato una ragazza che girovagava per la sezione che preferisco, quella delle biografie, e ho cominciato a osservare i libri che prendeva. Era carina, vedevo che i nostri gusti erano più o meno gli stessi, così mi sono risolto a farmi avanti e conoscerla. Quando mi sono presentato non è stata una scena felice, poco ci è mancato che mi tirasse un libro in faccia! Credo abbia pensato che ero la classica rock star che sperava di rimorchiare una bella ragazza per passare la serata in maniera alternativa.-

Eljas aveva ascoltato attentamente il breve racconto. Fino ad allora gli era sembrato di essere privo di una parte della sua vita. Improvvisamente sentiva i pezzi persi del puzzle cominciare a montarsi insieme: aveva un padre, una famiglia, e adesso sentiva anche di avere avuto effettivamente due genitori. La cosa poteva sembrare stupida, infantile, scontata, ma per lui non lo era. Non aveva mai saputo cosa volesse dire avere due genitori, per lui era una scoperta, come quando un bambino scopre un diverso sapore o una nuova parola… Lui scopriva una nuova sensazione.

-Come hai fatto a uscire con lei la prima volta, allora?- aveva chiesto.

Ville aveva sorriso dolcemente, guardando un punto fisso sul pavimento, poco lontano dal suo ginocchio. –Alla seconda possibilità sono riuscito a farmi dare nome e numero di telefono. E’ una cosa un po’ classica, ne sono consapevole, però tua madre amava le cose classiche… Era una romantica vecchio stampo e si divertiva quando la prendevo in giro per questo.- aveva risposto.

-L’hai portata fuori?- aveva chiesto ancora il ragazzino, sempre più interessato.

Ville era scoppiato a ridere –Certo che sei curioso, ragazzino!- aveva esclamato, ma vedendo lo sguardo supplicante di Eljas aveva acconsentito a continuare –Sì, siamo usciti assieme qualche giorno dopo e ci siamo conosciuti meglio. La cosa che mi divertiva era che si sforzava in tutti i modi di nascondersi quando vedeva passare qualcuno che mi riconosceva… Non amava i riflettori. E’ anche per questo che io non ti ho mai conosciuto prima dell’incidente.-

Improvvisamente lo sguardo di Ville era passato da allegro a depresso. Eljas non era stato da meno, ma vedere la medesima espressione nei suoi stessi occhi lo aveva abbattuto il doppio.

-Perché non hai mai cercato di ritrovarla?- aveva chiesto il bambino facendo scorrere tristemente i polpastrelli sulle corde basse della chitarra –Avremmo potuto essere una famiglia. Forse lei avrebbe voluto tornare a stare con te…-

Ville era tornato a rivolgere il suo sguardo su di lui, questa volta sorpreso e colpito allo stesso momento. Non sapeva nemmeno lui perché non era mai andato a cercare Alexandra… Perché? Probabilmente aveva avuto paura di quello che avrebbe detto. Aveva avuto paura di una conferma della fine di tutto. Probabilmente aveva semplicemente preferito crogiolarsi nel suo dolore senza fare niente per cercare di capire cosa era successo. Come suo solito. La convivenza con Eljas gli stava facendo capire molte cose di se stesso. Linde aveva ragione: essere padre ti cambia la vita.

-E’ una cosa che mi sono chiesto molto tempo fa. In fondo non sarebbe stato così difficile trovarla, la Finlandia è piccola dopo tutto e qualche posto dove cercare tua madre l’avevo. Sono stato semplicemente troppo egocentrico per pensare ad altro che al dolore che provavo.- aveva risposto Ville alzandosi dal pavimento e andando ad affacciarsi alla finestra.

Eljas aveva mollato a sua volta la chitarra e si era rifugiato sotto il suo braccio, schiacciando la guancia contro le sue costole. Riusciva ad abbracciare Ville senza sentirsi in imbarazzo, ma ogni volta che si staccava si chiedeva cosa mai lo portasse a compiere un gesto simile. Probabilmente la consapevolezza che lui e il cantante in certi momenti provavano gli stessi sentimenti, forse la sensazione di aver condiviso per anni una stessa cosa amata alla follia.

-Alla fine anche io mi sono comportato così.- aveva detto il ragazzino, poi, alzando gli occhi lucidi, aveva guardato Ville con determinazione –Scusami, anche per te non deve essere stato facile.-

Quelle parole gli erano uscite dalla bocca con enorme difficoltà. Era come se avesse dovuto abbattere da solo un muro della massa della muraglia cinese. Un pezzo del suo orgoglio era scivolato via, era come se si fosse portato con sé parte della sua tristezza.

La macchina di Kari aveva appena parcheggiato fuori dal condominio. Il motore tornato silenzioso e la voce di Elvis improvvisamente svanita riportarono Eljas alla realtà.

-Ehi, piccolo, torna sulla Terra! Tua nonna ha preparato qualcosa di particolare, credo, a giudicare dall’odore!- lo richiamò Kari aprendogli la portiera.

Eljas smontò lentamente dall’auto annusando curioso l’aria: uno strano odore riempiva le scale facendo brontolare la sua pancia. Improvvisamente sorrise. Stava cominciando ad andare tutto come avrebbe sempre dovuto andare.

grazie mille per i commenti! sono felice che seguiate questa storia con tanto interesse, soprattutto perché non pensavo nemmeno di pubblicarla all'inizio. ^^ ancora mille grazie! keep on enjoying me!

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Capitolo 10
*** capitolo dieci ***


CAPITOLO DIECI

 

Ville era seduto come sempre a gambe incrociate sulla sedia della cucina, di fronte a lui un documento che gli era arrivato per posta. L’assistente sociale faceva sapere al cantante che alcune famiglie si erano fatte avanti per l’affidamento di Eljas e che lui era pregato di andare a dei colloqui per parlare con questi.

Aveva finito di leggere quelle poche righe stampate da molto tempo ormai, tutto quello che stava facendo ora era pensare.

Cosa devo fare? si chiedeva sbuffando ogni tanto un po’ di fumo e immergendosi nella nuvola da esso creata. Aveva fatto una promessa ad Eljas, doveva mantenerla… Voleva mantenerla. Finalmente, dopo tanto tempo, loro due avevano cominciato ad andare d’accordo, a parlarsi più spesso – anche di Alexandra – ed Eljas aveva cominciato a sentirsi parte di una famiglia. I momenti che preferiva Ville, però, erano quelli in cui si chiudevano le ore nella “stanza della musica” a suonare e a parlare. Erano i più intimi che avevano, quelli in cui nessuno li poteva disturbare e in cui si sentiva a tutti gli effetti il padre di quel ragazzino cresciuto troppo in fretta.

Sorrise.

Non aveva intenzione di parlare con quelle famiglie che richiedevano l’affidamento di Eljas: se le cose non fossero andate avanti come di dovere, Jesse aveva già dato il suo benestare per tenere il bambino con sé (o meglio, Ville l’aveva supplicato di accettare). Tuttavia non poteva far finta di non aver ricevuto la lettera, doveva informare la Tahvonainen dei progressi fatti e della decisione che lui aveva preso. Eljas sarebbe rimasto con lui a tempo indeterminato e se il loro rapporto fosse tornato ai livelli dei primi tempi, allora Jesse ne avrebbe chiesto l’affidamento.

Era deciso.

L’unica cosa da fare, ora, era chiamare l’assistente sociale per metterla al corrente di tutto e per chiederle di bloccare definitivamente le pratiche per l’affidamento. Le avrebbe rimesse in atto solo in caso suo fratello fosse stato chiamato in causa per emergenza. Fino a quel momento Eljas rimaneva con lui.

Ville si stava alzando per effettuare la telefonata quando la porta dell’appartamento si aprì. Eljas la richiuse pesantemente poggiando la schiena contro il legno massiccio e scivolando a terra a occhi chiusi. Il darkman gli corse incontro.

-Eljas, che hai?!- gli chiese con apprensione accucciandoglisi accanto –Non ti senti bene?!-

Il ragazzino scosse lentamente la testa e si voltò a guardare il padre –Due novità dal fronte: per prima cosa, stamattina una mia compagna di classe non ha fatto altro che scrutarmi per tutta la giornata. Quando stavamo uscendo per tornare a casa mi ha letteralmente bloccato per dirmi che assomiglio in maniera impressionante a un cantante che sua sorella ha appeso in camera. Ti lascio indovinare di chi si trattava!- disse alzando gli occhi al cielo –Mi ha tormentato finché non è arrivata Olivia dicendomi che Linde era arrivato, voleva sapere se eravamo parenti io e questo tale.-

Ville ridacchiò divertito, sentendosi in parte anche rincuorato dal fatto che non fosse successo nulla di grave. –E tu che le hai risposto?-

-Che non avevo idea di cosa stesse parlando, ovvio!- replicò Eljas –Non mi va che scoprano che mio padre è il cantante di un gruppo famoso a livello mondiale, altrimenti dopo non me li scollo più di dosso. Non ho mai visto gente così curiosa in vita mia… Al mio paese erano tutte persone tranquille!-

-Sei in una capitale, ti ricordo che è la normalità questa. Metti dei finlandesi in una grande città e questo sarà il risultato! Comunque finché non scoprono niente non devi preoccuparti, anche io preferisco rimanere nell’anonimato… per varie cose.- Alexandra odiava i media. Non ho conosciuto Eljas per questo motivo, se solo scoprono che ho un figlio undicenne mando a puttane tutto quanto! pensò il darkman.

Eljas inclinò leggermente la testa verso il basso giocherellando con un laccio delle sue scarpe –Non ho ancora finito.- disse. Ville gli lanciò un’occhiata preoccupata, cos’altro c’era? –Il motivo per cui sono così è questo: la settimana prossima c’è il ricevimento generale dei genitori, e siccome io sono nuovo della scuola e della città, i miei insegnanti mi hanno chiesto (meglio dire obbligato) di pregarti di andarci.-

Questo era esattamente il momento più temuto da Ville dal momento in cui aveva iscritto Eljas a scuola. Come avrebbe fatto ora ad evitare di farsi riconoscere? Se si pensava in positivo, solo pochi insegnanti non erano a conoscenza del suo volto o della sua professione. Ormai era così famoso che anche coloro che non erano appassionati di metal sapevano perfettamente chi era.

Eljas lo guardò incerto –Cos’hai intenzione di fare?-

-Non lo so. Prima o poi sarebbe successo, ma speravo succedesse più avanti. Linde e Manna ci sono passati tempo fa, ma di solito va Manna a parlare con gli insegnanti: è la meno appariscente dei due e in più la conoscono in pochi. Io non ho la più pallida idea di come farò a non farmi riconoscere…- rispose Ville.

-Ti prego, trova un modo! Non sopravvivrei a quella là se scoprisse che sono effettivamente figlio del tizio che sua sorella ha appeso in camera!- lo implorò Eljas.

Ville sorrise di nuovo –Sei solo fortunato a non avere in classe la sorella di questa: non sai quanto possono diventare assillanti le fan, a volte. In certi casi vorrei essere Migé, lui non ne ha di questi problemi! A lui e Gas si avvicinano sempre fan sinceri e con un’ammirazione sviscerale nei confronti della loro bravura come musicisti, a me si avvicinano pazze scatenate con delle forbici in mano.-

Eljas rise –Già, Burton mi ha raccontato…-

-Non è una delle esperienze più belle della mia vita.- confermò Ville –Ma non è questo il punto. Devo trovare un modo per mantenere l’anonimato… Io non ti ho conosciuto per evitare che tu diventassi un fenomeno mass-mediatico, non ho intenzione di far sì che ciò succeda ora!-

Eljas assunse improvvisamente uno sguardo cupo. Quando aveva scoperto il motivo per cui sua madre gli aveva tenuta nascosta l’identità del padre aveva sentito un moto di rabbia nei suoi confronti. Nonostante tutto il bene che le aveva voluto e che ancora le voleva, non sarebbe mai riuscito a perdonarle una cosa del genere. Era suo diritto conoscere suo padre, anche se ciò implicava dover sottostare alle leggi dei mass-media. –Mamma ha sbagliato, era una mia scelta, quella. Non mi piacciono i riflettori, però la possibilità di conoscerti… la scelta di poterlo fare se non altro… quella doveva essere mia, non di mia madre.-

Ville lo guardò impressionato. Quel ragazzino lo sconvolgeva sempre di più, aveva una maturità che non avrebbe mai attribuito a un ragazzino di 11 anni. Alexandra aveva fatto un buon lavoro, su questo non c’era dubbio. –Sono io a non volerti esporre troppo, adesso. Una volta che comincia uno cominciano tutti, e posso assicurarti che non è una cosa piacevole nemmeno quando sei stato tu a volerlo.- disse alzandosi in piedi e aiutando ad alzarsi anche Eljas –Dovrò trovare un modo per mantenere le cose in anonimato.-

-E chiedere a Jesse di andare a parlare al posto tuo, fingendosi te?- azzardò il ragazzino.

Il darkman lo guardò in un modo che gli fece capire che la cosa era fuori discussione –No. Sono io tuo padre, i tuoi insegnanti vogliono parlare con me non con mio fratello. Troverò la maniera per andare all’incontro senza sollevare un polverone, altrimenti ci andrò lo stesso e vedremo cosa succederà, ma non chiederò a Jesse di fingersi me, anche perché non potrebbe risultare credibile. Tu hai 11 anni e lui 27, dovrebbe averti avuto a 16 anni e non è possibile: sanno che tua madre aveva poco più di 30 anni quando è morta e quindi non suonerebbe credibile come storia.-

Eljas annuì mestamente –Era sempre un’idea… In fondo certe cose possono sempre accadere.-

-E’ troppo tirata come storia, Eljas.- replicò Ville –E poi non voglio assolutamente che sia Jesse a figurare come tuo padre. Anche perché sarebbe una frode facilmente scopribile, visto che lui è un campione nazionale di boxe.-

Eljas guardò Ville accigliato –Davvero?- domandò –Non lo sapevo.-

-Ecco, ora capisci perché tuo nonno adora la carriera del figlio minore e non venera i miei successi nel mondo dello spettacolo.- sorrise il darkman.

Il ragazzino rise a sua volta. In effetti Kari parlava spesso di boxe, essendo stato anche lui, a suo tempo, un pugile. In qualche modo sembrava voler iniziare a quello sport anche il nipote, ma lui non sentiva un’attrazione particolare per i ring e i guantoni. Al contrario, gli piaceva moltissimo andare sullo skateboard e non faceva altro che migliorare. Sampo, il ragazzo che lo allenava, era orgoglioso dei suoi risultati.

-Senti, io ora non ho idee in mente. Che ne dici di farcene venire qualcuna mentre suoniamo un po’?- domandò Ville ripiegando la lettera della Tahvonainen. Ci avrebbe pensato più tardi, quando Eljas sarebbe stato a fare i compiti, magari. –Ho una nuova canzone da insegnarti, se vuoi.-

Eljas spalancò gli occhi per l’emozione, anche per lui quei momenti passati a suonare con Ville erano i più belli e li aspettava sempre con ansia. –Subito! Metto giù lo zaino e arrivo!- esclamò correndo in camera. Si fermò improvvisamente in mezzo al corridoio e cominciò a rovistare nello zaino. Afferrò un pacchetto e tornò poi dal darkman che lo guardava incerto. –Linde mi ha detto che oggi era il tuo compleanno, così mi sono fermato a comprarti qualcosa. Non è niente di che, ma mi sembrava brutto non portarti nulla… solo che non lo sapevo, non me l’avevi detto.- disse porgendogli il regalo.

Ville lo afferrò sorpreso. Non se lo aspettava affatto, tanto più che aveva evitato di dire al bambino che stava per compiere gli anni. –Grazie… Non era necessario. Dovresti tenere i tuoi soldi per te.- gli disse, rimproverandolo per evitare di sentire l’imbarazzo della situazione.

Eljas fece spallucce –Mi sembrava giusto farti un regalo.- si giustificò, poi, vedendo che Ville tardava ad aprirlo, chiese –Non lo vuoi?-

-Certo che lo voglio! E’ solo che mi hai colto di sorpresa, ecco…- rispose Ville affrettandosi ad aprire il pacchetto. Una maglietta dei Pink Floyd. Non una maglietta a caso, ma quella di The Wall con Comfortably Numb scritta sul retro, bianca. Ville si bloccò a rimirarla per qualche minuto: in quel pezzo di stoffa c’era molto più che un semplice regalo per il suo 35esimo compleanno, c’era un pezzo della sua vita.

Vedendo che il darkman non accennava a parlare, Eljas cominciò a sentirsi a disagio –Non ti piace? Perché ho chiesto aiuto a Linde, ma più di tanto non potevo spendere e così…-

-E’ il regalo più bello che mi abbiano mai fatto.- disse Ville. Sincero. –Grazie.-

Il sorriso che si scambiarono i due li portava a un ulteriore passo avanti. Adesso avevano superato la muraglia, si trattava di ambientarsi nel nuovo mondo.

ok, scusate il ritardo stratosferico, ma ora ho ripreso scuole ed essendo in 5 superiore capite che mi mettono sotto da subito. ^^" spero che questo capitolo vi piaccia come il precedente, perché i commenti che mi sono stati fatti sul sito e personalmente mi hanno fatto molto piacere. keep on enjoying me!

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Capitolo 11
*** capitolo undici ***


 

CAPITOLO UNDICI

 

Migé continuava a fare avanti e indietro per il corridoio dell’ospedale cercando invano di placare il suo nervosismo. Ogni tanto cercava di instaurare un qualche dialogo con Ville, che se ne stava seduto su una sedia in silenzio, ma dopo un po’ cominciava a blaterare cose senza senso e desisteva dal suo intento.

-Migé, se continui così manderai tutti i tuoi influssi negativi in giro per l’ospedale.- gli comunicò il cantante girandosi una sigaretta spenta tra le mani –Calmati.-

-Come faccio a calmarmi?! Vedrana sta partorendo e io sono costretto a starmene qui fuori, in una sala d’attesa! Sto diventando padre, non puoi chiedermi di stare tranquillo!- obiettò il bassista lanciando a Ville uno sguardo di rimprovero.

Il darkman continuò imperterrito a rigirarsi la sigaretta tra le dita guardando apparentemente interessato la punta un tempo bianca delle sue Converse All Star –Andrà tutto bene, Migé. Vedrana non ha mai avuto problemi finora e i tempi sono giusti, facendo così non fai altro che rovinarti il fegato e mettere ansia alle altre persone che sono qui.-

Migé si fermò di colpo andandosi a sedere vicino all’amico e prendendosi la testa tra le mani –Comincio a capire cosa devono aver provato Linde e Burton quando sono nate le loro bambine. Non credevo che si potesse diventare così nervosi e iperattivi in momenti come questi!-

Ville arrestò la sua attività per un attimo spostando lo sguardo su Migé il quale continuava a guardare fisso davanti a sé. Un altro di loro diventava padre, un altro di loro avrebbe passato i prossimi mesi a parlare di quanto bello è poter vedere crescere una creatura che tu stesso hai creato. Per quanto potesse essere contento per quello che stava per succedere al suo amico, Ville non riusciva a sorridere. –Ti invidio.- disse.

Migé voltò lo sguardo verso di lui –Mi invidi? E perché mai? Guarda, ti assicuro che non è per niente piacevole sentire il bisogno di fare qualcosa e non poter fare niente…-

-Non importa quanto sia brutto, tu hai la possibilità di vivere una cosa che io non ho vissuto.- replicò Ville.

-Ah, ho capito.- Migé annuì lentamente tra sé e sé –Però se ci pensi attentamente, non è tanto importante il momento in cui lo diventi biologicamente parlando. Quando tu hai scoperto dell’esistenza di Eljas è stato più o meno come se per te lui fosse nato in quel momento… o mi sbaglio? In un certo senso anche tu ci sei passato per questa situazione.-

Gli occhi verdi del darkman scivolarono verso la porta della sala operatoria in cui si trovava la moglie di Migé. In un certo senso aveva ragione: quando aveva scoperto di avere un figlio era stato come se per lui Eljas fosse nato in quel momento, poco importava se aveva già 11 anni, per lui era stato comunque quello il punto di partenza.

-Da un certo punto di vista hai ragione, ma non è esattamente la stessa cosa.- disse tornando a giocare con la sigaretta –Sono situazioni diverse con diverse reazioni e diverse circostanze.-

-Tuttavia mi sembra che stiate cominciando ad andare d’accordo, o almeno ci provate. Eljas è sempre sorridente quando lo incontro ultimamente e anche tu mi sembri migliorato sotto tanti punti di vista.- constatò il bassista –Vi state facendo bene a vicenda. Se non altro tu stai ricavando da questa storia molte qualità: sei più maturo, meno egoista, meno egocentrico e hai recuperato la voglia di sperimentare in ambito professionale… direi che Eljas ti sta cambiando veramente in meglio.-

Ville sorrise appena e annuì –E come se mi fosse capitato in casa un alieno che avesse cambiato in me qualche parte di DNA. Credo che Eljas mi abbia dato moltissimo finora, ma non è la stessa cosa che sarà per te con tuo figlio o che è stato per Burton e Linde con le loro figlie. Mi manca un pezzo di vita di entrambi, non so se capisci quello che intendo dire.-

Migé sospirò -Che non aver conosciuto Eljas per 11 anni ti porta ad aver perso una parte anche della tua vita, presumo.- Ville annuì –State recuperando, però, mi sembra. Non hai detto che devi chiamare l’assistente sociale per dirle che non vuoi più dare Eljas in affidamento?- Migé era felice di avere vicino a sé qualcuno che riuscisse a fargli dimenticare i suoi problemi in quel momento, parlare con Ville di Eljas spostava la sua concentrazione su qualcos’altro e per questo era grato al cantante di essere venuto con lui in ospedale. Gli altri HIM sarebbero arrivati più tardi: Migé non aveva voluto avere troppe persone attorno mentre aspettava, per questo aveva optato solo per Ville.

Il cantante era rimasto in silenzio per qualche secondo, poi aveva alzato lo sguardo dalla sigaretta per concentrarlo ancora sul bassista del suo gruppo –Devo ancora chiamarla, non voglio farlo mentre Eljas è sveglio o a casa, potrebbe sentire delle cose spiacevoli, vorrei evitalo.- rispose.

-Capisco… E di Frida gli hai parlato?- indagò ancora Migé cercando di buttare lì il discorso con casualità.

Ville lo guardò spaventato per un attimo, poi si riprese –No, non gli ho ancora detto niente.- rispose –A dir la verità credo sappia che esco con una donna, ma non mi ha mai detto niente in proposito. Di sicuro non sa quanto seria è la cosa.-

-E’ seria, almeno?-

-Non lo so.- rispose Ville –Non ci frequentiamo da tanto per cui non posso ancora esserne sicuro, ma non è nemmeno un’uscita ogni tanto. Frida è una bella donna, con un buon carattere, ma non mi sto innamorando, se è questo che mi stai chiedendo.-

Migé si passò ripetutamente l’indice e il pollice della mano destra sui contorni della barba, quasi come se stesse riflettendo –Dovresti parlargliene. Se lo venisse a scoprire da solo non credi sarebbe un brutto colpo?-

-E’ proprio per questo che non gli ho ancora detto niente. E se vedesse Frida come una sostituzione di Alexandra? In questi ultimi mesi ci è capitato di parlare spesso di lei, lui sa che ho veramente amato sua madre, però non ha ancora il concetto effettivo di amore secondo me, in fondo ha solo 11 anni. Sua madre era un tipo molto romantico, te la ricordi, e non so con che concetto di amore sia cresciuto Eljas… Ho il terrore che se gli dicessi di Frida mi considererebbe un traditore o peggio un bugiardo.- rispose Ville.

Migé concentrò i suoi occhi sul profilo dell’amico che evitava di incrociare il suo sguardo. Ville si sentiva in torto, lo sapeva, soprattutto temeva il giudizio di suo figlio. Eljas era un ragazzino molto sveglio, se ne erano accorti tutti quanti, da quando era arrivato aveva sconvolto l’esistenza di tutti quanti, non solo quella di Ville. Tuttavia Migé si meravigliava di come il darkman si sentisse sempre così in soggezione di fronte a un possibile giudizio da parte di suo figlio: se volevano conoscersi dovevano cercare di osare ogni tanto e così facendo Ville creava una specie di barriera. Sottile, ma pur sempre una barriera.

-Eljas è passato in mezzo a ben peggio che vedersi presentare la nuova ragazza di suo padre.- gli fece notare –Dovresti parlargliene tu prima che accada qualcosa che rovini tutto quello che avete costruito negli ultimi due mesi. Non aver paura di tuo figlio!-

Ville accettò l’accusa senza fiatare. Era inutile negarlo: lui temeva il giudizio di suo figlio in maniera quasi paranoica. Da quando aveva cercato di fargli capire che gli voleva bene e il ragazzino gli aveva risposto con odio, da allora per lui era importantissimo calcolare ogni sua mossa in relazione a quello che Eljas avrebbe potuto pensare.

-Devo aspettare il momento adatto per dirglielo.-

Migé stava per replicare, ma l’arrivo degli altri membri del gruppo gli impedì di proferire parola.

Burton, Linde e Gas arrivarono quasi correndo dove si trovavano Migé e Ville, sembravano essere quasi più in ansia di lui.

-Ancora niente?- domandò Burton sedendosi. Migé lanciò un mugolio strozzato.

-Burton, ti prego, non cominciare! Si era appena calmato.- lo rimproverò Ville lanciandogli uno sguardo truce.

-Scusami, è solo che ho aspettato tutta la mattina che mi telefonasse qualcuno per avvertirmi di eventuali novità e invece niente!- protestò il tastierista fingendosi offeso.

Linde e Gas ridacchiarono –Ha persino chiamato a casa mia per sapere se Vedrana aveva già partorito.- disse il chitarrista sistemandosi i rasta che si erano scomposti nell’arrivo fino all’ospedale.

Lo stato d’animo di Migé era tornato a essere quello di prima: nervoso, iperattivo e in più l’entusiasmo dei suoi amici non faceva altro che potenziare il tutto.

Improvvisamente un’infermiera uscì dalla sala operatoria con un fagottino bianco tra le braccia e andò incontro ai membri degli HIM. Il bassista scattò in piedi all’istante, facendo un enorme sforzo per non correre incontro all’infermiera e strapparle il fagottino dalle braccia.

La donna si fermò a pochi passi da loro e con un sorriso gli porse il bambino –Congratulazioni! E’ un bellissimo maschietto!-

Gli occhi di Migé si illuminarono mentre guardava quella piccola creatura che teneva tra le braccia, due occhioni azzurro chiaro che lo scrutavano curiosi e un po’ impauriti. Un sorriso euforico gli si dipinse sul volto –Ciao, piccolo! Io sono il tuo papà.-

Ville fu l’ultimo ad alzarsi per andare a dare un saluto al nuovo arrivato, dentro di sé qualcosa faceva appassire anche quel momento che non avrebbe dovuto portare altro che gioia.

ecco il capitolo dodici! ^^ sono felice, ci ho messo tanto per poterlo postare. ora avrò il computer solo per 1h30 al giorno, per tutto, per cui non riuscirò ad aggiornare molto in fretta. spero che comunque mi seguiate, mi fa molto piacere che la storia vi piaccia davvero. non ringrazio uno a uno tutti quanti solo perché sono troppo pigra per farlo, ma sappiate che vi ringrazio tutti dal primo all'ultimo! ^^ keep on enjoying me!

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Capitolo 12
*** capitolo dodici ***


CAPITOLO DODICI

 

Ville guardava incerto il telefono che aveva davanti a sé. Eljas era a letto che dormiva: era tornato da scuola che non si sentiva bene, così l’aveva mandato a riposarsi. Adesso aveva la libertà di chiamare la Tahvonainen senza preoccuparsi per quello che avrebbe potuto dire, tuttavia era da mezzora che se ne stava appollaiato sul divano guardando diffidente la cornetta del cordless poggiata sul tavolo davanti a lui.

Era sicuro della decisione che aveva preso, ci aveva riflettuto a lungo e alla fine aveva deciso che avrebbe tenuto Eljas con sé. E allora perché non chiami? Si chiese il darkman assumendo un’espressione sofferente Perché hai ancora paura? L’immagine della donna bionda e in carne che gli aveva fatto piombare il ragazzino in casa si delineò sorridente nella sua testa. Non poteva certo incutergli timore una persona del genere! Eppure se pensava a un dialogo con lei, una parte del suo stomaco si contorceva dolorosamente…

In realtà tu hai paura di rendere tutto definitivo, ammettilo, Ville. La sua coscienza lo rimproverava con la sua sottile ironia, come sempre, ma aveva ragione: aveva paura di rendere tutto definitivo, il che per lui era una novità. Non era mai riuscito a definire realmente niente, anche quando si era fidanzato ala fine non aveva concluso niente. Questa volta, però, doveva decidersi a fare un passo avanti: si trattava di suo figlio, non di una persona a caso.

Prima di rischiare di mettersi a riflettere troppo un’altra volta, si sporse in avanti, afferrò la cornetta e compose il numero che la Tahvonainen gli aveva lasciato. Il segnale sembrava riecheggiargli nelle orecchie come un tuono particolarmente potente.

-Pronto?- domandò Ville quando la segretaria dell’assistente sociale ebbe risposto al telefono –Sono Ville Valo, vorrei parlare con la signora Tahvonainen.- Fu messo in attesa.

-Buongiorno, signor Valo. Aspettavo la sua chiamata. Ha ricevuto la mia lettera?- domandò la Tahvonainen afferrando la cornetta e liberando il cantante dall’atrocità dell’attesa.

-Buongiorno, le volevo parlare appunto di questo.- rispose Ville –Io ci ho ripensato, non voglio più dare in affidamento Eljas.-

Per un attimo ci fu silenzio dall’altra parte del cavo, poi l’assistente sociale parlò –Sono felice di questa sua decisione. Non sa quanto sia meglio per tutti che alla fine lei abbia preso questa strada! Alla fine ha recuperato i rapporti con Eljas, dunque.-

-Per il momento stiamo andando d’accordo, ma non scommetterei su niente adesso.- replicò il cantante cominciando a rilassarsi –Fattostà che per il momento non voglio dare in affidamento Eljas.-

Eljas si era svegliato con il bisogno di andare in bagno. Barcollando per quasi tutta la lunghezza del corridoio riuscì infine ad afferrare la maniglia della porta e ad aprirla. Stava quasi per entrare quando sentì la voce di Ville pronunciare queste parole: “… voglio dare in affidamento Eljas”. Improvvisamente si era risvegliato, quelle parole erano state peggio di una doccia ghiacciata. Attirato dal dialogare del padre al telefono e ansioso di chiarire quelle parole, si diresse lentamente verso il salotto. Ville stava parlando al telefono e guardava verso il terrazzo, per cui non poteva vederlo. Evidentemente era al telefono con la Tahvonainen.

-Sarebbe mio fratello a prendersi cura di lui.- disse Ville.

Ghiaccio.

Perché? si chiese Eljas sentendo il terreno crollargli sotto i piedi Cos’è successo? Ho sbagliato qualcosa? Ho fatto qualcosa che non dovevo? Per quanto cercasse di indagare non gli sembrava di aver fatto nulla di male nell’ultimo periodo. A scuola andava bene, non litigavano da mesi, non andava male nemmeno con le lezioni di chitarra e a scuola aveva anche cominciato a farsi degli amici… Perché?

-E’ stato tutto già deciso.- continuò Ville senza accorgersi dei due occhi bagnati che aveva puntati sulla schiena –Ottimo, la ringrazio.-

Eljas non voleva sentire altro. Senza fiatare corse in camera sua e si richiuse la porta alle spalle. Ville aveva appena riattaccato quando il rumore attirò la sua attenzione e un orrendo presentimento si fece strada nei suoi pensieri. Eljas era sveglio? Aveva sentito qualcosa? Non aveva detto niente, ma non poteva sapere come avrebbe comunque reagito il bambino a senti parlare di affidamento.

Per tranquillizzarsi andò a controllare che tutto fosse in ordine. Entrando in camera di Eljas tutto gli sembrò normale: le persiane erano abbassate in modo da tenere la stanza nella semioscurità, il ragazzino era sotto le coperte, la schiena verso la porta. Non un rumore. Nonostante tutto sembrasse essere a posto, sentiva che qualcosa non andava…

-Eljas, va tutto bene?- domandò affacciandosi appena nella stanza, ma non ricevette nessuna risposta. Ne dedusse che il bambino stava ancora riposando e decise di lasciarlo continuare, nonostante percepisse che qualcosa era fuori posto.

Non si era accorto che il respiro del bambino era irregolare, non come quello di uno che dorme. Una lacrima lasciò una chiazza scura sulla federa chiara, ma questa volta Eljas non fece nulla per impedire al suo dolore di scorrere. Si sentiva tradito, preso in giro, abbandonato!

Aveva cominciato a fidarsi di Ville, se non altro aveva cominciato a vedere in lui un amico, a provare per lui un vero moto di affetto! E lui invece l’aveva ingannato! Aveva promesso che non lo avrebbe dato in affidamento e invece eccolo che chiamava la Tahvonainen per dirle di continuare, per dirle che alla fine sarebbe stato Jesse a prendersi cura di lui… E lui nemmeno voleva andare a stare con Jesse! Aveva un ottimo rapporto con lo zio e anche coi nonni, ma se doveva abbandonare quella famiglia la voleva abbandonare del tutto. Rimanere “nei paraggi” non avrebbe fatto altro che aumentare il suo dolore, perché in quel momento non si vergognava ad ammetterlo: stava male, malissimo, si sentiva rifiutato da suo padre e non si era mai sentito così male, nemmeno quando era morta sua madre.

Sua madre gli aveva sempre fatto capire che gli voleva bene, anche quando lo sgridava per qualche guaio che combinava, non gli era mai venuto nemmeno un solo dubbio sull’affetto che lei provava per lui. Ville, invece? No, con lui era partito già tutto col piede sbagliato! Nemmeno era entrato in casa che già si era sentito dire “trovategli un’altra famiglia”… Perché avrebbe dovuto essere diverso ora? Cosa si era aspettato, che Ville cambiasse radicalmente così dal niente? Era stato uno stupido…

E Ville era stato uno stronzo.

L’aveva preso in giro, facendogli credere che tutto stava andando benissimo, comportandosi da padre, insegnandogli addirittura a suonare la chitarra… E invece se non gli fosse capitato di origliare la telefonata, non avrebbe nemmeno mai saputo quello che stava succedendo. Probabilmente un giorno sarebbe tornato a casa e Ville gli avrebbe detto La Tahvonainen ti ha trovato una famiglia meravigliosa! o peggio ancora Jesse passa a prenderti fra poco, d’ora in poi sarà lui il tuo papà. Allora lui avrebbe dovuto adeguarsi alla decisione, probabilmente non avrebbe retto a una delusione del genere, nessun cuore è in grado di ricevere troppi colpi in un lasso così breve di tempo.

Eppure aveva detto tante cose che gli avevano fatto credere che… Per un attimo aveva pensato che effettivamente stesse per sentirsi a tutti gli effetti suo padre: la scuola, le prove, la chitarra… No, alla fine non era stato lo stesso Ville a dirgli che per andare avanti nel mondo dello spettacolo devi saper mentire? Era abituato a raccontare frottole per non far capire cosa pensava e provava veramente, perché mai con lui avrebbe dovuto andare diversamente? Era stato lui lo stupido che ci era cascato in pieno, quello che aveva abbassato la guardia seguendo il consiglio che gli aveva dato Linde.

E Linde lo sapeva? Come avrebbe reagito? Probabilmente non gliene fregava veramente qualcosa, altrimenti si sarebbe impegnato di più.

No, Linde non gli sembrava il tipo da far finta di nulla. Quando Ville gli aveva detto dell’affidamento e di Jesse, il chitarrista era esploso e gli aveva detto delle cose molto cattive, di sicuro se avesse saputo glielo avrebbe detto. Avrebbe litigato ancora col cantante.

E Migé, Burton, Gas? Forse loro lo sapevano, ma dopo la nascita del piccolo Daavid si erano tutti concentrati su di lui, probabilmente la questione era passata in secondo piano. D’altro canto non poteva pretendere che tutti pensassero a lui e al rapporto marcio che aveva con Ville Valo, suo padre, l’uomo che 11 anni prima aveva amato sua madre e che a quanto pareva non sembrava voler amare anche lui.

Un’altra goccia lasciò il segno sulla federa che cominciava a inzupparsi vicino alla guancia di Eljas, ma come sempre il ragazzino non ci badò. Era stufo di stare male, quella sarebbe stata l’ultima volta che si sarebbe concesso di provare dei sentimenti, tanto valeva lasciarli uscire del tutto.

 

 

-… Per il momento non voglio dare in affidamento Eljas.-

-Sono contenta.- rispose la Tahvonainen –E se dovessero riaffiorare problemi come quelli iniziali? Cos’ha intenzione di fare in quel caso? Se blocco le procedure per l’affidamento, poi dovremmo ricominciare tutto daccapo.-

-Sarebbe mio fratello a prendersi cura di lui.- aveva detto Ville storcendo la bocca in una smorfia di stizza.

-Se avete deciso tra di voi io non me ne devo preoccupare, allora, giusto?- domandò l’assistente sociale. Sembrava veramente felice di non doversi più occupare di quel caso.

-E’ stato tutto già deciso.- le comunicò Ville.

-Allora io mi limito ad annullare le procedure per l’affidamento, d’accordo? Non si preoccupi per i dettagli, penso a tutto io, poi le farò avere i documenti di cui necessita.-

-Ottimo, la ringrazio.- disse Ville sorridendo. Finalmente ce l’aveva fatta.
In qualche modo sentiva di essere diventato papà come era capitato a Migé. Ora aveva ufficialmente un figlio.

 

NON UCCIDETEMI!
non ho altro da dire, ma per favore non uccidetemi... gli autori himmici sono famosi per essere dei sadici schifosi, non potete rimproverarmi. ^^ ma non bloccatevi qui, gli sviluppi potrebbero portare delle novità, non posso anticipare nulla. keep on enjoying me, e grazie per i commenti così belli che mi lasciate! sono commossa...

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Capitolo 13
*** capitolo tredici ***


CAPITOLO TREDICI

 

Eljas sentì un forte dolore al ginocchio quando questo cozzò violentemente contro il pavimento. Senza scomporsi troppo si rialzò e si passò una mano sui pantaloni nel punto in cui avevano toccato terra. Sampo si avvicinò a lui con un’espressione di rimprovero che i suoi occhi chiari non riuscivano a filtrare.

-Si può sapere cos’hai oggi? Devi rimanere concentrato quando fai certe cose, altrimenti rischi di farti male e a me non va che tuo padre mi venga a fare la predica dopo!- disse il ragazzo fermandosi davanti al bambino.

-Non credo che Ville verrà mai a farti la predica a causa mia, Sampo, non credo che gliene freghi molto.- rispose Eljas risistemandosi meglio la ginocchiera che era scivolata dopo la caduta.

Sampo lo guardò accigliato –Non puoi comunque affrontarmi una pista nuova senza essere concentrato al cento percento su quello che stai facendo! E’ facile rompersi qualcosa e non credo sia il caso che ciò avvenga. Se hai litigato con tuo padre lascia la questione fuori da qui, rischia solo di farti finire in ospedale!-

Eljas annuì silenziosamente, senza badare veramente alle parole del suo istruttore. In realtà non aveva propriamente litigato con Ville, semplicemente aveva smesso di rivolgergli la parola per più del necessario, esattamente come faceva qualche mese prima. Alle domande del cantante non rispondeva, chiudeva le orecchie al suono di qualche canzone e si metteva a disegnare in cucina o sul suo letto finché lui non desisteva e lo lasciava in pace.

Non piangeva più.

Non provava più dolore.

Non provava più niente.

-Eljas, mi stai ascoltando?- gli chiese Sampo con un tono di voce abbastanza scocciato. Il ragazzino alzò lo sguardo, evidentemente perso altrove coi suoi pensieri. –Non ti faccio risalire su quella tavola di legno finché non sono sicuro che tu non stai pensando ad altro che allo skateboard che hai sotto i piedi.-

-Sampo, ti prego! Sono venuto qui anche per sfogarmi, oggi, non puoi chiudere un occhio per una volta?- protestò Eljas.

-No. Se non sarà tuo padre a rimproverarmi sarà tua nonna, e Anita può diventare veramente tremenda quando si arrabbia, vorrei evitarlo. Adesso ti lascio un po’ di tempo per conto tuo: rifletti quanto vuoi su quello che vuoi, ma quando torno voglio vederti concentrato su quello che stai facendo, altrimenti per oggi le lezioni finiscono qui. Mi sono spiegato?-

Eljas annuì controvoglia, arrendendosi di fronte alla determinazione del ragazzo, il quale sancì l’accordo con un cenno del capo prima di andare a dedicarsi a qualcun altro. Il ragazzino si sedette controvoglia sulla sommità della pista che stava affrontando prima di cadere e cominciò ad analizzare distrattamente gli strap dei suoi parapolsi.

Non voleva pensare alla situazione che avrebbe trovato quando sarebbe tornato a casa, era l’ultima cosa che voleva avere in testa. Eppure qualunque cosa facesse si sentiva rimbombare continuamente nelle orecchie le parole affidamento e Jesse come se un piccolo demone maligno gliele stesse sussurrando. Ville non gli aveva ancora detto niente, si era comportato impeccabilmente come al solito, era addirittura andato a parlare coi suoi insegnanti rischiando di essere riconosciuto. Alla fine era riuscito a mantenere l’anonimato con l’appoggio del preside della scuola, era tornato a casa orgoglioso dei commenti che erano stati fatti su suo figlio e per una volta si era sentito realizzato completamente, ma aveva trovato un’accoglienza fredda da parte dell’oggetto della sua felicità.

Che attore che era!

Un attore nato…

Avrebbero dovuto scritturarlo per un film prima o poi, così avrebbe potuto dar sfogo alle sue capacità. Era riuscito a fregare pure lui, per un momento aveva anche pensato di aver sognato la conversazione che aveva origliato al telefono… ma il ricordo era troppo vivido e troppo doloroso per poter essere limitato alla sfera dei sogni.

Nel frattempo era giunto a una conclusione, forse aveva trovato la ragione per cui l’affidamento era tornato ad essere un argomento di moda in casa Rakohammas: c’era una donna. Ville usciva con una donna, l’aveva capito da tempo, ma ne aveva avuta la conferma qualche giorno prima rispondendo al telefono quando il cantante non era in casa. Una voce femminile gli aveva lasciato detto di ricordare all’interessato di passarla a prendere quella sera, e Ville quella sera era uscito e non era rientrato se non quasi all’alba.

Frida

Che nome odioso!

Il nome di sua madre era molto più musicale, Alexandra era un nome nobile, classico, elegante, Frida sembrava il nome di una ballerina di un locale di poco conto! [chiedo venia per coloro che leggono a cui piace il nome, ma i gusti non possono essere tutti uguali, sennò sarebbe un mondo piatto! ^^ ndJ] E in più era la ragione per cui Ville lo aveva rinnegato, ne era sicuro. Come faceva ad avere una relazione con una donna quando si ritrovava tra i piedi un figlio di 11 anni piombatogli in casa dal nulla? Era troppo complicato… Bene, con l’affidamento si risolve il problema! Così si prendono due piccioni con una fava: una donna in più e un figlio indesiderato in meno!

Quanto lo odiava… E odiava anche lei. Se non fosse stato per quella Frida, forse, Ville non lo avrebbe mollato lì come aveva fatto! Forse sarebbe diventato veramente un padre per lui! Ma che senso aveva pensarci ora che era tutto finito?

Nessuno.

Nessun senso.

-Ti sei calmato, adesso? Hai riflettuto abbastanza?- Sampo lo richiamò dal fondo della discesa della pista.

Eljas scosse la testa –Oggi non è giornata. Torno a casa.- disse strappandosi via di dosso le ginocchiere e dirigendosi verso il suo zainetto abbandonato di fianco alla pista. Sampo lo osservò incerto.

-Ma è successo qualcosa di grave, Eljas? Ne vuoi parlare?- domandò cambiando radicalmente tono di voce –Se hai bisogno sai che sono disponibile.-

-No, grazie. Sei gentile, ma non mi va di parlare di quello che succede tra me e Ville. E’ troppo complicato… Torno domani, oggi non ce la faccio proprio.- rispose il ragazzino prendendo le sue cose e allontanandosi dallo skatepark col suo skateboard.

Ville intanto aspettava il ritorno del figlio abbandonato nella sala della musica con Silvester tra le mani. Non realizzava ancora totalmente quello che aveva fatto. Era padre, definitivamente.

E pensare che fino a pochi mesi fa non sapevo nemmeno che esistesse. pensò mentre le sue dita scivolavano distrattamente sulle corde più basse della chitarra E adesso non riuscirei a immaginare come sarebbe stare senza di lui un’altra volta…

Quando aveva riagganciato dopo la conversazione con la Tahvonainen, aveva capito che ormai non avrebbe voluto vedere suo figlio affidato a qualcun altro che non fosse lui. Nemmeno Jesse aveva il diritto di crescere quella creatura, era una parte dei suoi geni, una parte di sé, della sua vita, nessun altro poteva capire quella vicinanza più di lui.

Finalmente sentiva quello che per moltissimi anni era rimasto per lui un semplice accostamento di parole: spirito paterno. Provava l’istinto di proteggere Eljas da qualsiasi cosa e un moto di amore sincero si impadroniva di lui ogni volta che lo guardava, non c’era più lo shock dell’inizio, non si terrorizzava più a vedere i suoi stessi occhi rivolgergli un sorriso o uno sguardo curioso.

Eppure qualcosa negli ultimi giorni non lo convinceva: Eljas si comportava in maniera strana. Non parlava più molto volentieri, nemmeno quando era tornato dal ricevimento dei genitori portando ottime notizie, e non si interessava neppure più tanto alle lezioni di chitarra. Lo sentiva un po’ distaccato ed era una sensazione che si portava dietro da quando aveva chiamato l’assistente sociale.

Probabilmente è solo una strana conseguenza per il cambiamento. Sarà il mio cervello ad essere bacato, dopo anni di alcol certe cose non dovrebbero meravigliarmi… rifletté continuando a suonare.

Improvvisamente sentì la porta dell’ingresso chiudersi pesantemente. Strano, Eljas doveva avere lezione di skate fino alle sei ed erano appena le cinque e un quarto… Si alzò dal pavimento e raggiunse la cucina dove prontamente trovò il bambino intento a preparare un disegno.

-Già a casa?- domandò sedendoglisi davanti –Come mai?-

Eljas non rispose subito, continuò prima a sistemare le sue cose. Ville lo guardò incerto, cominciava a preoccuparlo quell’atteggiamento, Eljas era così da una settimana.

-Non era giornata oggi. Sampo mi ha detto che se non mi concentravo non mi faceva fare altro, così sono andato via.- rispose a un certo punto il ragazzino issandosi sullo sgabello della cucina e mettendosi finalmente a disegnare. Come sempre Ville osservò la mina della matita sbriciolarsi con grazia sulle pagine bianche del blocco di fogli, estasiato dalla naturalezza con cui quel bambino sapeva tracciare segni che portavano alla fine a un bel disegno.

-Come mai, cos’è successo?- chiese ancora cercando di risultare il più tenero possibile. Non voleva dare l’impressione di essere un impiccione.

-Affari miei.- rispose piatto Eljas. Ville reagì negativamente: perché gli rispondeva così? Era da molto tempo che non sentiva quel tono, doveva essere successo qualcosa…

-Sei arrabbiato con me, per caso? Se è così puoi dirlo, non mi pare che finora ci siamo tenute segrete certe cose.- disse cercando di interagire diplomaticamente con Eljas, ma si poteva capire benissimo che c’era rimasto male per la risposta ricevuta.

Eljas continuò imperterrito il suo disegno, senza degnare il cantante di una risposta, finché questi non si alzò per andare a prendere qualcosa da bere dal frigorifero. Quando Ville stava per uscire dalla stanza, allora si decise a rispondergli –Ci sono cose che dovresti capire da solo, non dovrei essere io a dirtele.-

Ville si fermò sulla soglia lanciando degli sguardi indagatori verso il figlio. Cosa intendeva dire?

Che sta succedendo, Eljas?

perdonate l'immane ritardo, ma ho avuto problemi col capitolo di word [che non vuole che scriva ghiaccio secco, a quanto pare...]. questo capitolo può sembrare di transizione, MA non lo è: entra specificatamente in Eljas, da qui capirete i prossimi due e gli sviluppi. ^^ keep on enjoying me!

suukko!

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Capitolo 14
*** capitolo quattordici ***


sdv

CAPITOLO QUATTORDICI

 

Ville stava fumando appoggiato al balcone del salotto di Kapio mentre l’amico gli stava parlando accanto.

-Secondo me è in una di quelle fasi adolescenziali in cui il tuo umore cambia radicalmente da un giorno all’altro.- diceva l’uomo sbuffando nuvole di fumo verso l’alto –Aggiungendoci alcuni tratti della sua storia personale credo sia normale che si comporti in questo modo.-

Ville scosse la testa lasciando che la cenere cadesse di sotto –Credimi: Eljas non è il ragazzino da problemi adolescenziali. Prima non mi voleva parlare perché mi odiava, poi ha iniziato a interagire con me perché siamo scesi a compromessi, in seguito avrei quasi detto che era arrivato a volermi bene, ma ora… Non mi rivolge la parola se non per casi necessari, esattamente come qualche mese fa, dopo che l’assistente sociale me l’ha piazzato davanti agli occhi.-

Kapio storse appena la bocca, colto in fallo. Il suo ragionamento doveva avere evidentemente qualche falla. –Allora non so che dirti, Ville. Sei sicuro di avere la coscienza pulita?-

-E’ cambiato da un giorno all’altro, ti ho detto! Prima andava tutto a meraviglia, poi ho chiamato la Tahvonainen e tutto è tornato al punto di partenza. Non capisco cosa sia successo nel frattempo.- rispose il darkman passandosi una mano tra i capelli, come faceva sempre quando era nervoso.

L’amico abbassò lo sguardo sulla punta delle sue scarpe cercando di riflettere, poi lo rialzò per concentrarlo su di lui –E di Frida gli hai parlato?-

Il mugugno che uscì dalla gola di Ville non suonò assolutamente come una conferma.

-Ville, credo che quello sia un argomento importante da trattare, non credi? Ha perso sua madre da poco e tu ti vedi con un’altra donna. E’ un’altra figura femminile che si inserisce al suo posto, è di vitale importanza che tu gliene parli!- lo rimproverò Kapio.

Il darkman evitò di guardare il suo interlocutore, si limitò a osservare la città che si stendeva davanti ai suoi occhi. Poi sospirò –E’ proprio per questo che non gli ho ancora detto niente. Anche Migé mi ha detto di affrettarmi a farlo, ma non mi sembra il momento adatto per dirgli che mi vedo con una donna, adesso. Anche perché Frida non potrebbe neanche lontanamente essere una sostituzione di Alexandra, né per Eljas né per me.-

-Non sta andando bene, ne deduco.-

-Non è questo, è che non mi sto innamorando, Kapio. Pensavo che all’inizio fosse tutta una questione di blocco psicologico, visto che le mie ultime storie sono state abbastanza catastrofiche, ma mi rendo perfettamente conto che se non ci fosse il sesso io e Frida saremmo due semplicissimi amici. Almeno per quello che mi riguarda.- replicò Ville –Non me la sento di presentarla ad Eljas in queste condizioni.-

Kapio annuì –Perché non la lasci, allora?-

Ville non rispose subito, era una cosa che si era domandato anche lui, ma non era ancora riuscito a darsi una risposta. Tirò l’ultima boccata di fumo, poi si volse finalmente a guardare Kapio che lo osservava scettico. –Non lo so. Credo che sia perché dopotutto a lei ci tengo più che a una semplice amica, o forse semplicemente perché non riesco a dirglielo, come con Eljas.-

-Lei sa di tuo figlio?-

-Sì, le ho raccontato tutto. Io e lei ci vedevamo da prima che arrivasse Eljas, per cui è stata una delle prime persone che l’ha saputo. Vorrebbe conoscerlo.- rispose il cantante.

Kapio annuì –Allora falli conoscere! Dammi retta, più aspetti peggio sarà quando dirai a Eljas che ti vedi con una donna… Altrimenti molla Frida e concentrati su di lui, il che non mi sembrerebbe poi così sbagliato.-

-Per te è facile parlare, non sei nella mia situazione! Tu hai una famiglia meravigliosa, dei bambini che ti adorano, una moglie che ami e che ti ama… Con Eljas è molto più complicato di quanto sembri: siamo così simili, eppure entrambi rifiutiamo in qualche modo questa somiglianza. Io sono felice della sua esistenza, molto felice, ma non posso negare di essere rimasto più che scioccato all’inizio, quando mi è capitato in casa.- obiettò il darkman.

-Ne parli come se fosse una calamità più che una benedizione!- lo rimproverò l’amico invitandolo a rientrare in casa.

Ville scosse la testa seguendolo –Non sto dicendo questo, dico solo che non basta dire quello che dovrei fare senza provare a convivere con Eljas e senza conoscerlo almeno un po’.-

-Da questo punto di vista hai ragione, ma ammetterai che le critiche che ti abbiamo fatto io e Migé non sono poi così sbagliate, non trovi?- obiettò Kapio.

-No, avete perfettamente ragione anche voi, ma devo capire esattamente cosa voglio fare con Frida, prima di presentarla a Eljas come la mia ragazza ufficiale. Illuderei lei e probabilmente spaventerei lui.- disse il cantante sedendosi sulla poltrona del soggiorno.

Kapio cominciò a sfogliare distrattamente un giornale che si trovava sul tavolo mentre pensava a quali fossero le parole più adatte da dire all’amico. Improvvisamente sembrò aver avuto un’illuminazione –Hai detto che lui non sa niente, ma ne sei sicuro? Potrebbe aver capito qualcosa e magari tutto il comportamento di questo periodo potrebbe essere un segnale di gelosia.-

Ville ridacchiò –Non credo che Eljas potrebbe mai farmi scenate di gelosia! Andiamo, ce lo vedi? Mi ha sputato contro veleno per più di un mese, non credo che negli ultimi due sia arrivato ad amarmi così tanto da essere geloso di una donna di cui non sa niente!-

-Tu lo sottovaluti troppo, Ville. Ricordati che è un bambino che ha perso sua madre, non è detto che la sua psicologia sia così forte come tu credi, in questo periodo. Potrebbe aver raccolto qualche telefonata di Frida, aver orecchiato te che parlavi al telefono, anche aver semplicemente letto un giornale di gossip a scuola… Non mi sorprenderei se sapesse qualcosa di lei.- insistette Kapio richiudendo il giornale.

Ville lo guardò spaventato: effettivamente non aveva mai considerato quell’ipotesi, ma gli sembrava così improbabile che Eljas sapesse… E perché se sapeva qualcosa non gli aveva chiesto nulla? Era sicuro che il ragazzino non era il tipo da tenersi domande pungenti dentro, a meno che queste non implicassero un notevole sforzo sentimentale, come quando gli chiedeva di quando lui e Alexandra stavano insieme.

-Se fosse come dici credo che mi avrebbe detto qualcosa, però è anche vero che non mi spiego in altro modo questi suoi silenzi e poi… Lui disegna sempre, ma ultimamente lo fa ancora più spesso. Io suono e disegno tanto solo quando sto male dentro, credo che per lui sia lo stesso.-

Kapio annuì –Devi parlargli, farci una bella chiacchierata come quando avete cominciato a riallacciare i rapporti. Magari litigherete, forse ti insulterà, quasi sicuramente metterete in campo dei sentimenti scomodi, ma alla fine vi chiarirete. L’importante è che tra voi non ci siano segreti, Ville.-

Il darkman sospirò –Non gli ho ancora detto che ho disdetto i procedimenti per l’adozione. Volevo fargli una sorpresa, ma è da quel giorno stesso che si comporta così. Ero così preoccupato all’inizio che mi sono dimenticato di dirglielo e adesso non so se è il momento adatto per farlo.- disse –Ovviamente questo Linde non lo sa, almeno non è a conoscenza né della questione Frida né della questione affidamento.-

L’amico rise –Immagino, altrimenti Eljas saprebbe già tutto! Linde ha la strana capacità di farti fare le cose giuste, Ville.-

-Una volta eravamo noi che dovevamo tenerlo calmo quando si sbronzava, che dovevamo dirgli di tenere la testa a posto, ora invece, da quando ci sono Manna e Olivia, è tutto il contrario.- sorrise il darkman.

-E’ per questo che credo che dovresti parlare anche con lui.- asserì Kapio –Secondo me ti aiuterebbe a capire cos’è il meglio da fare in questi casi. Scommetto che non si discosterebbe troppo da me e da Migé.-

-Sarebbe anche più radicale!- sbuffò Ville –Andrebbe a prendere personalmente Frida e la condurrebbe davanti ad Eljas in mia presenza, poi mi obbligherebbe a chiarire i loro ruoli di fronte a loro. Se ascoltassi sempre Linde farei la mia rovina come uomo.-

Kapio rise, poi tornò serio –Invece credo che potrebbe insegnarti molto Linde, in fondo è teoricamente padre da più tempo di te, sa come si gestiscono certe cose. Ed è uno che ha capito quando era arrivato il momento di smetterla di fare cazzate. Ti ricordo che in parte devi a lui il fatto di essere ancora qui.-

Lo sguardo di Ville si rabbuiò. Si ricordava perfettamente bene di quando Linde lo aveva tirato giù da quel cornicione dell’albergo su cui stava giocando a fare l’equilibrista, ubriaco fradicio. Effettivamente era quello che aveva più senso della responsabilità dei suoi amici, la nascita di Olivia l’aveva radicalmente trasformato.

-Mi ricorderò di farglielo presente.- acconsentì alla fine passandosi di nuovo una mano tra i capelli. Quel ricordo aveva ridestato in lui sensazioni ormai da tempo dimenticate. Era anche per quel ricordo che aveva smesso di bere a livelli da malato. –Se Eljas accetterà di rivolgermi ancora la parola sarò felice di discutere con lui di tutto il necessario, ma avrò bisogno di tempo.-

Kapio fece una smorfia –No, Ville, non aspettare troppo. Eljas vivrà questo periodo una volta sola nella vita, è necessario che sappia che tu ci sei, che tu sei pronto ad aiutarlo in caso lui te lo chieda.-

Il cantante osservò impressionato l’amico. Era la prima volta che gli veniva detta una cosa del genere riguardo ad Eljas, o almeno era la prima volta che si rendeva conto del significato di quelle parole.

-Hai ragione, appena ne avremo l’occasione dirò tutto ad Eljas.-

Kapio lo guardò con decisione –Tutto?-
Ville annuì -Tutto.-

questa volta pubblico in fretta, ma non aspettatevi aggiornamenti prima della settimana prossima [forse anche dopo... dipende tutto dal mio prof di storia e filosofia]. intanto vi informo del fatto che Kapio è un personaggio completamente inventato, quindi non cercate di capire chi è nella congrega himmica, semplicemente credo che ville abbia anche altri amici e in una situazione come questa credo anche che verrebbero contattati. LaTuM ha perfettamente capito quello che intendevo fare con il capitolo 13, spero che avvenga lo stesso [per tutti] con quest'ultimo. dal prossimo ci saranno degli sviluppi veri e propri. keep on enjoying me! suukko! ^^

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Capitolo 15
*** capitolo quindici ***


CAPITOLO QUINDICI

 

Eljas chiuse la porta dell’appartamento con un’espressione truce negli occhi. Ville avrebbe dovuto essere andato a prenderlo a scuola prima quel giorno e se ne era dimenticato. L’aveva aspettato per un quarto d’ora, poi aveva tirato fuori il biglietto del tram e si era avviato verso casa, consapevole del fatto che Ville non sarebbe più venuto. Quello che sentì all’interno dell’appartamento gli chiarì il motivo dell’assenza del cantante fuori da scuola.

Lanciò lo zainetto ai piedi di uno sgabello della cucina e come sempre si sedette a disegnare col lettore CD che mandava una canzone dei Pink Floyd. Tracciava linee veloci e pesanti, senza sapere ancora cos’avrebbe realizzato la sua mente, cercando semplicemente di isolarsi da quello che avveniva attorno a lui.

Hello, is there anybody in there?

Just nod if you can hear me…

Is there anyone at home?

Rivoleva sua madre, gli mancavano le sue carezze appena tornato da scuola, la sua voce allegra che canticchiava alcune canzoni accompagnandosi con la chitarra, anche il suo terribile stonare gli mancava. Si vedeva davanti gli occhi azzurri di lei che gli sorridevano da dietro la frangetta bruna prima di addormentarsi, e quegli occhi gli mancavano terribilmente. Ancora si ricordava il profumo che aveva, glielo aveva regalato una sua amica al suo compleanno e non conosceva nessun’altra che avesse lo stesso odore: sapeva di fresco, di libertà, e nello stesso tempo pungeva le narici solleticandole appena… e quel profumo rimaneva dietro di lei come la polvere di fata. Da piccolo diceva sempre che sua madre era una fata, una fatina dei boschi come quelle che avevano incantato Peter Pan, solo ora si rendeva conto di quanto fosse stupido, ma era comunque un ricordo di lei e lei gli mancava enormemente.

All’improvviso sentì un rumore che gli fece drizzare appena la testa: Ville era appena entrato in cucina. Era completamente nudo. Non appena si rese conto della presenza di Eljas si bloccò, gli occhi e la bocca spalancati in un’espressione di sorpresa.

-Cosa ci fai qui?- domandò al ragazzino –Non dovresti essere a scuola?-

-Dovevi passarmi a prendere più di un’ora fa, ma a quanto vedo te ne sei dimenticato.- rispose Eljas ritornando a concentrarsi sul disegno che aveva cominciato a prendere una forma.

Ville sembrò ricordarsi solo in quel momento dell’impegno, come se si rendesse conto solo in quel momento dell’orario. –Da quanto tempo sei qui?-

-Da un numero considerevole di uh e di aah, ma non preoccuparti, avevo gli auricolari. Dopo un po’ non ci ho fatto più caso.- disse Eljas. Ville stava per rispondere quando venne raggiunto in cucina da una donna di circa trent’anni, vestita solo di una grande T-shirt che il ragazzino riconobbe come una delle magliette del cantante.

-Amore, dove…? Ah, non siamo soli, vedo.- disse appoggiandosi alla spalla del darkman.

Ville continuò a guardare fisso il figlio, il quale osservava a sua volta la donna con un’espressione decisamente funerea. –Frida, lui è Eljas, mio figlio. Eljas, lei è Frida, la mia… ragazza.-

-E così tu saresti Eljas. Sono molto felice di conoscerti, Ville mi ha parlato molto di te.- sorrise Frida.

-Ville di te, invece, non mi ha mai detto niente.- rispose il ragazzino senza mutare espressione.

Frida rimase un po’ scossa dalla risposta ricevuta e scambiò qualche sguardo con Ville, il quale continuava a fissare Eljas come se cercasse di mutare quella situazione in un incubo passeggero. –E’ meglio se vado a vestirmi. Devo andare…- disse la donna rivolta al suo ragazzo, prima di abbandonare la cucina.

Ville rimase ancora un attimo a guardare Eljas prima di seguirla in camera per infilarsi qualcosa addosso.

Eljas continuò a disegnare mentre aspettava che i due si ricomponessero. Dopo una decina di minuti vide Ville accompagnare Frida alla porta: si era messo un paio di jeans e una maglia, la donna aveva invece un vestito da ufficio.

-Frida, scusami per…-

-Non preoccuparti, Ville, tanto dovevo andare comunque.- disse Frida infilandosi la giacca e aprendo la porta.

Ville la guardò imbarazzato –Grazie. Ti chiamo più tardi.- la salutò.

Frida gli posò un bacio sulle labbra –D’accordo.- poi si girò verso il ragazzino che la guardava con gli occhi che mandavano fiamme –Ciao, Eljas!- lo salutò, ma questi non rispose.

Ville passò lo sguardo da lui a Frida –Lascia che gli parli io.- le disse. Lei annuì, gli diede un altro bacio e se ne andò.

Il cantante aspettò qualche secondo dopo che Frida se ne fu andata, fermo, guardando la porta chiusa, poi sospirò pesantemente e si diresse verso il figlio, il quale aveva ricominciato il suo disegno con la musica nelle orecchie. Appoggiò le mani sul lato del tavolo che lo fronteggiava e si sporse verso di lui chiamandolo. –Eljas…-

Ma il ragazzino non rispose. Ville riprovò ad attirare la sua attenzione, ma anche questa volta non ricevette alcuna reazione in risposta. Alla fine perse la pazienza e spense il lettore CD del ragazzino, che alzò lo sguardo come per protestare. Ville fu più veloce.

-Possiamo parlare civilmente?- chiese con stizza.

-Non mi sembra ci sia molto da dire. Avevi tutto il tempo per parlarmi di lei prima.- replicò Eljas cercando di riattivare il lettore CD, ma il padre glielo impedì.

-Non comportarti da ragazzino proprio quando è il momento di essere maturo, Eljas.- lo rimproverò –Dobbiamo chiarire questa situazione.-

Eljas guardò il darkman con un’espressione di puro disprezzo –Arrivi tardi, Ville.-

-Non volevo che lo scoprissi in questo modo, ma non sapevo come dirtelo. Contavo di farlo a breve, però…- cercò di giustificarsi il darkman, ma non sortì l’effetto sperato.

Eljas cominciò a radunare le sue cose nello zainetto –Questo è tipico tuo: essere sempre in orario! Fare la cosa giusta al momento giusto! Esattamente come quando ti sono capitato fra i piedi.- sputò fuori con veleno –Non mi interessa quello che hai da dirmi adesso, dovevi svegliarti prima, Ville Hermanni Valo.-

Il modo in cui Eljas calcò il nome d’arte di Ville fece capire al cantante come tutto fosse tornato al punto di partenza: Eljas non si considerava più suo figlio, aveva perso il senso di legame che erano riusciti a formare.

-Eljas, aspetta, ti prego.- cercò di rimediare in qualche modo Ville, ma era consapevole del fatto che qualcosa era andato perduto e non sarebbe riuscito a ritrovarlo più tanto facilmente. –Hai perfettamente ragione, ma non credi che se non ti ho parlato di Frida prima ho avuto le mie ragioni per farlo?-

Il ragazzino si issò lo zainetto in spalla avviandosi verso la sua stanza. Ville cercò di chiamarlo indietro.

-Eljas…!-

Niente da fare, si era chiuso a chiave dentro la sua camera e tutto faceva capire che non avrebbe né aperto né risposto ai richiami del cantante. Ville si bloccò davanti a quella porta chiusa appoggiando una mano sulla superficie fredda e liscia di legno che lo divideva da suo figlio.

Fredda.

Come il ghiaccio, il ghiaccio che era tornato a formarsi tra loro due.

Perché? si domandò il darkman senza staccare la mano dalla porta, come se mantenerla lì lo avesse potuto aiutare a ripristinare i contatti. Perché è capitato tutto questo? E’ solo per Frida? Non è possibile… Non puoi reagire così solo perché non ti ho detto nulla di lei. Cos’altro c’è? E’ perché mi sono dimenticato di venirti a prendere? No, non si spiegherebbe tutto quello che è successo prima, sei così da troppi giorni ormai…

Non trovava una spiegazione razionale a quello che era successo, non poteva capire perché, improvvisamente, il rapporto stabile e sereno che si era creato tra loro fosse crollato come un castello di carte. E tutto da un giorno all’altro…

-Eljas, ti prego, dimmi cos’ho fatto di preciso. Capisco che tu sia arrabbiato per la storia di Frida e per il fatto che mi sia dimenticato di venirti a prendere, ma c’è dell’altro sotto, non è vero? Ti prego, dimmi cos’è altrimenti impazzisco!- supplicò Ville poggiando la fronte contro la porta della camera di Eljas.

Era inutile supplicare, sapeva che Eljas non avrebbe risposto mai.

Alexandra, lo vedi? Io l’ho sempre detto di non essere in grado di fare il padre, perché anche quando credevo di esserci riuscito è successo qualcosa di talmente grave da riportare tutto al punto di partenza. E io non so nemmeno capire cos’è questo qualcosa che è successo…

Passandosi una mano sulla faccia, Ville aspettò ancora, ma alla fine si vide costretto ad allontanarsi da quella porta che sarebbe rimasta muta ancora a lungo. Rimase per qualche minuto indeciso sul da farsi, ma alla fine decise di uscire. Aveva bisogno di allontanarsi da quel luogo se non voleva esplodere, se voleva cercare di capire doveva prendere un po’ d’aria. Afferrò il cappotto e, senza nemmeno esserselo infilato, uscì dall’appartamento con una sigaretta già pronta in bocca.

Eljas sentì una porta chiudersi, ma quel che era peggio, sentì l’eco di un’altra porta chiudersi molto più in profondità dentro di sé.

musicaddict chiede perdono per il ritardo, ma chi la conosce sa che non ha trovato nemmeno il tempo per andare su MSN o rispondere a delle misere mail [e per questo si sente una cacchetta...]. purtroppo ho avuto due settimane più che intense a scuola, sembra che i miei professori si siano messi d'accordo come non mai di farci fare almeno 1 milione di compiti in classe e 1000 interrogazioni prima di giugno. speriamo che raggiunata la quota scatti il bonus di una vodka lemon o qualcosa d'altro, altrimenti arrivo sfinita agli esami! dopo questo flusso di coscienza, vi lascio a questo capitolo che, spero, sarà stato almeno un po' atteso da voi lettori. keep on enjoying me! [e qui si spiegano i capitoli precedenti...]

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Capitolo 16
*** capitolo sedici ***


CAPITOLO SEDICI

 

Eljas se ne stava seduto nella stanza della musica, come la chiamava Ville, con in mano Silvester. Suonava qualche accordo a caso mentre osservava distrattamente il poster dei Led Zeppelin [uguale al mio! *.* ndm] che gli stava di fronte, i pensieri confusi rivolti altrove.

Quel pomeriggio si trovava a casa da solo, il cantante aveva un impegno di lavoro agli studi di registrazione e non sarebbe tornato prima di cena. Il tono con cui l’aveva salutato aveva fatto capire a Eljas che voleva parlargli, ma lui si era rifiutato di rivolgergli la parola da quando avevano discusso di Frida. Non gli aveva più detto nulla; la mattina si alzava, faceva colazione, usciva di casa senza salutare, tornava a casa da scuola senza dire una parola, pranzava e si chiudeva in camera sua. Due pomeriggi a settimana andava a lezione di skate e il sabato era tutto il giorno dai suoi nonni, il che gli permetteva di evitare Ville per un buon numero di ore. Anche con Jesse il rapporto era peggiorato, non c’era più la complicità dell’inizio, Eljas si manteneva distaccato. Quando rimaneva a casa da solo si richiudeva nella stanza della musica e si metteva a suonare qualcosa. Suonare lo faceva star bene, soprattutto l’acustica, perché riproduceva la sua malinconia mista a rabbia, ma non voleva più farlo con Ville. Non voleva più un contatto con lui. Se solo avesse saputo il giorno esatto del distacco definitivo, avrebbe segnato i giorni mancanti sul calendario.

Ogni tanto sentiva il bisogno di urlare contro il padre tutto quello che provava, di dirgli che aveva scoperto tutto, di dirgli che lui ci aveva creduto. E invece era tutta una grande illusione, ma dopotutto aveva per padre un artista, certe cose avrebbe dovuto aspettarsele. Non buttava più fuori niente, crogiolarsi nella propria rabbia a volte era fortemente potenziante, lo faceva sentire forte abbastanza da reggere quello che stava vivendo, in più aveva sempre odiato i vittimismi, certe cose vanno tenute per sé. Il fatto che Ville cercasse un dialogo avrebbe dovuto ammorbidirlo, invece non faceva altro che irritarlo! Avrebbe dovuto pensarci prima, quando il danno è fatto è troppo semplice chiedere scusa, il male fatto rimane sempre, e più profondo è, più è difficile perdonare.

Si alzò da terra riponendo la chitarra nel suo angolo e si mise ad osservare fuori dalla finestra che si apriva nella stanza. Si ricordò il primo giorno che era arrivato ad Helsinki e la Tahvonainen l’aveva portato a fare un giro per i luoghi più importanti della città, tanto per dargli dei punti di riferimento. Gli era rimasta impressa la cattedrale protestante, la stessa che stava osservando in quel momento da quella finestra di uno dei tanti condomini della capitale finlandese, probabilmente perché non era mai stato in una chiesa e quella gli era parsa talmente maestosa da colpire immediatamente la sua mente infantile. Si era fatto portare dentro, sorprendendosi a notare quanta pace si potesse trovare in un luogo pubblico, anche se quella sensazione di benessere era molto distante da un sentimento di pace religiosa o qualcosa di simile. Era ancora piccolo per poter ricercare una qualche ragione della sua esistenza, ma era sicuro che non l’avrebbe trovata lì dentro, forse non l’avrebbe trovata mai… Si diede dello stupido per essersi messo a fare certi pensieri che non portavano da nessuna parte, pensò che se sua madre avesse potuto ascoltare quello che aveva in testa l’avrebbe preso in giro per settimane.

Sua madre, però, non era lì e non sarebbe tornata più.

La consapevolezza di aver scambiato una donna come lei con Ville gli piombò addosso come un macigno sullo stomaco. Se solo avesse avuto sottomano qualcosa di lei in quel momento… ma dopo l’incidente era successo tutto molto in fretta e non era riuscito a portarsi dietro nient’altro che un libro che sua madre gli aveva regalato per un suo compleanno. Improvvisamente si ricordò che quando era arrivato a casa del cantante, l’assistente sociale gli aveva dato una busta contenente delle informazioni su di lui e su Alexandra, forse lì dentro avrebbe trovato qualcosa.

Uscì dalla stanza e si intrufolò nella camera da letto di Ville, chiedendosi dove potesse essere stata riposta quella busta. La sua attenzione fu attratta da un cassetto aperto di un mobile. Eljas era sicuro che se quel cassetto era aperto doveva esserci un motivo, Ville non usava le cassettiere per riporre i suoi vestiti, che si ritrovavano puntualmente sparpagliati per la sua camera. Aprendolo del tutto notò che conteneva diverse carte, probabilmente aveva avuto l’intuizione giusta, di sicuro quello era il cassetto in cui il darkman raccoglieva i documenti importanti e le altre cose che era indispensabile non perdere. La sua pazienza fu premiata, sotto una pila di bollette trovò la busta marrone che la Tahvonainen aveva consegnato a Ville al suo arrivo, l’afferrò e ne svuotò il contenuto sul letto.

Le carte che gli capitarono sottomano erano più del previsto, c’erano certificazioni di nascita, copie del testamento di Alexandra, una lettera che lei aveva indirizzato a Ville e che lui non volle aprire, vari documenti riguardanti il suo affidamento al cantante, ecc. ecc. Improvvisamente si accorse di una lettera stampata che fuoriusciva scomposta dalla sua busta, la data del francobollo risaliva a dopo il suo arrivo in casa Valo, decise di leggerla.

Quello che lesse non gli piacque affatto, non fece altro che convincerlo ancora di più di quello che aveva deciso Ville. Non voleva rimanere in quella casa un minuto di più, almeno non finché sentiva dentro di sé ribollire il sangue per quello che aveva appena letto. Si fiondò a prendere il suo skateboard, il suo lettore CD e infilato il giubbotto si precipitò fuori dal condominio.

Nessun biglietto.

 

Quando Ville tornò a casa erano ormai le nove e mezza di sera. Seppo l’aveva trattenuto con Tim per discutere degli ultimi preparativi per il nuovo album e a nulla erano valse le lamentele del cantante riguardo l’orario. Lanciando le chiavi sul tavolo della cucina si sedette un attimo prima di prepararsi ad affrontare un dialogo con Eljas. Il ragazzino aveva indurito il suo atteggiamento ancora di più nell’ultima settimana ed era diventato praticamente impossibile sentirgli pronunciare qualche parola, ma quella sera avrebbero dovuto cambiare qualcosa. Ville aveva intenzione di dirgli che aveva lasciato Frida e che l’aveva definitivamente riconosciuto come suo figlio, voleva dirgli che anche se aveva sbagliato tutto fin dall’inizio era disposto a cancellare tutto e ricominciare da zero una volta per tutte.

Sperando di non venire ignorato, bussò gentilmente alla porta della camera del ragazzino.

-Eljas, sei ancora sveglio? Ti prego, aprimi, dobbiamo parlare… Sono disposto anche a farmi insultare e picchiare se necessario.- disse, col tono più rassegnato possibile.

Nessuna risposta, ma Ville non si allarmò, in fondo gli ultimi sette giorni non avevano dato frutti più soddisfacenti. Senza perdersi d’animo riprovò.

-Eljas, ti prego, non possiamo continuare così in eterno. Ci sono delle cose importanti che devo dirti da diverso tempo e non mi va di farlo attraverso una porta.-

Ancora niente. Abbassò la maniglia della porta per cercare di entrare e si stupì di trovarla aperta, la stanza era completamente vuota.

Ville cominciò a preoccuparsi.

-Eljas?- chiamò ad alta voce, ma ancora si sentì rispondere da un silenzio inquietante.

Decise di tentare in camera sua, ma anche in quel caso trovò la stanza deserta. Stava per spegnere di nuovo la luce quando si accorse del casino che aveva sparso sul letto.

-Cosa diavolo…- esclamò avvicinandosi per vedere di cosa si trattava –I documenti di Alexandra?-

Non riusciva a capire cosa significasse tutto quel casino finché non gli capitò sottocchio la lettera dell’assistente sociale che aveva ricevuto poco tempo prima, quella in cui la Tahvonainen lo informava di alcune famiglie che avrebbero voluto conoscere Eljas. La trovò mezza accartocciata ai piedi del letto, decisamente lontana dal resto dei documenti.

Improvvisamente capì cosa doveva essere successo, qualcosa gli fece capire che Eljas doveva aver frainteso moltissime cose nell’ultimo mese, tutto gli apparve improvvisamente più chiaro. Tuttavia il problema ora era un altro, ben più grave…

Senza pensarci su nemmeno un momento si precipitò sulle chiavi della sua macchina e uscì di casa, mentre con una mano componeva il numero di Linde.

-Pronto?-

-Linde, Eljas è scappato di casa…-

Il chitarrista ci mise un momento a realizzare cosa gli era stato detto –Dici sul serio?-

-Certo che dico sul serio!- sbottò Ville –Ho bisogno che mi aiutiate a cercarlo, Helsinki è molto grande e lui non la conosce ancora abbastanza. Sono preoccupato.-

-Avviso gli altri, intanto tu parti. Ti chiamiamo se lo troviamo.-

Il cantante richiuse la comunicazione senza nemmeno salutare, aveva fretta di mettere in moto l’auto.

Dove cazzo sei finito, Eljas? Perché ti sei sempre rifiutato di parlare con me? pensò Spero solo che non ti sia successo niente…

ritardo ipermegagalattico! lo so, scusatemi ma sono stata via e domenica parto in gita di una settimana per la grecia. quindi non aspettatevi aggiornamenti! ^^ keep on enjoying me!

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Capitolo 17
*** capitolo diciassette ***


DGH

CAPITOLO DICIASSETTE

 

Linde si infilò il giubbotto e uscì di casa in fretta, Burton lo aspettava in macchina.

-Hai deciso?- gli chiese. Il rasta annuì.

-Allora, Migé mi ha detto che lui controlla nella zona dello skatepark che è più vicina a casa sua, Gas setaccerà tutto il quartiere del porto e dintorni, invece. Io pensavo di girare per casa di Anita e Kari, magari Eljas è andato là conoscendo la zona… Tu fai il resto?- disse cercando le chiavi della sua macchina.

Burton sembrò riflettere su quello che gli era appena stato detto, poi fece un cenno col capo –Posso provare a cercare tra il porto e casa di Ville. Helsiniki è grande però, ho paura che dovremo prenderci delle zone più grandi…-

-Eljas non la conosce ancora abbastanza bene, non credo sia andato in un posto a caso. E’ arrabbiato, di sicuro, ma non è un incosciente.- obiettò Linde. Il tastierista si trovò d’accordo. –Parti, intanto, meglio non perdere tempo. Se qualcuno lo trova prima chiama Ville e poi avvisa gli altri, d’accordo?-

-Ville non ti ha detto per caso dove potrebbe essere andato con più probabilità?- domandò ancora Burton.

Linde scosse sconsolato il capo. I rasta, ondeggiando, crearono delle ombre sul suo viso che rendevano la risposta ancora più angosciante. –Quel ragazzino è troppo imprevedibile e Ville non lo conosce ancora abbastanza bene. Potrebbe essere ovunque! Speriamo solo che non abbia preso il treno per tornarsene a casa sua, altrimenti siamo davvero messi male.-

-Allora vado. Se entro mezzanotte non troviamo nessuno, però, credo che dovremo riorganizzarci.- disse il tastierista mettendo in moto la vettura –Ci sentiamo presto, spero.-

Linde salutò l’amico e montò a sua volta in macchina. Sentiva l’angoscia crescere sempre di più, pensava a come si sarebbe sentito se fosse stata Olivia a sparire improvvisamente di casa e la sola idea gli stringeva un nodo in gola che quasi lo soffocava. Sapeva che Ville doveva stare più o meno nelle stesse condizioni, forse addirittura peggiori visto e considerato il fatto che lui si sentiva in colpa per qualsiasi cosa accadesse al ragazzino. In parte aveva ragione, se Ville avesse pensato più attentamente prima di agire forse Eljas ora non lo odierebbe, probabilmente Frida non era l’unico fattore che aveva nuovamente incrinato il rapporto tra i due. No, doveva esserci dell’altro, ma Linde era sicuro che in una certa misura dipendesse anche da Ville e per questo si sentiva in colpa a sua volta. In fondo loro erano amici da moltissimi anni, non era un comportamento da amico quello di accusarlo di certe cose, di certi avvenimenti e nemmeno dei colpi di matto di Eljas… Soprattutto in quel momento. Il darkman aveva bisogno di aiuto e lui stava già aspettando troppo, bisognava andare a cercare Eljas.

Con l’angoscia sempre presente, Linde avviò la macchina.

 

Ville stava guidando senza meta da più di un’ora, in giro per una Helsinki che sembrava improvvisamente più caotica del solito. Gli sembrava che ci fossero troppe macchine, troppe persone… troppa luce che lo accecava, impedendogli di osservare bene le strade alla ricerca di suo figlio, e troppo buio nei vicoli più distanti dal centro che non gli permetteva di distinguere le sagome. A ogni movimento veniva distratto, ogni ragazzino di media altezza gli sembrava Eljas, inchiodava improvvisamente in mezzo alla strada convinto di aver visto il bambino girare l’angolo della via più vicina.

-Merda…- sussurrò tra le labbra quando si accorse per l’ennesima volta di aver completamente sbagliato persona. Sentiva gli occhi gonfi, l’aria gli mancava nel petto e sentiva un attacco d’asma in procinto di esplodere da un momento all’altro. Tirò fuori il respiratore dal cruscotto e lo lanciò senza troppa cura sul sedile passeggero, quello sarebbe stato l’ultimo dei suoi problemi.

Il semaforo doveva essere rotto, era rosso da troppo tempo… Il piede sull’acceleratore scattava nervosamente a ogni scoccare di secondo, non poteva permettersi di perdere nemmeno un nanosecondo: era tardi e un bambino da solo, in giro per una capitale, non è mai al sicuro, poteva essergli successo di tutto, potevano… No, non voleva nemmeno pensarci. Quella era l’ultima cosa che doveva passargli per la mente se voleva mantenere un minimo di lucidità! Eljas stava bene, era semplicemente nascosto da qualche parte, immerso nei suoi pensieri da così tanto da aver perso la cognizione del tempo. Probabilmente non si era nemmeno accorto dell’ora che si era fatta… o forse lo faceva apposta.

Dove sei? Mi stai uccidendo in questo modo, Eljas, non te ne rendi conto?! Se il tuo obiettivo era quello di farmi preoccupare a morte, beh, allora ci sei riuscito! Sei contento?! Era questo che volevi?! Ok, hai vinto tu, ma adesso basta… Non è sicuro giocare in questo modo, non è così che si affrontano i problemi. Pensò mentre guidava per una strada particolarmente trafficata della città.

Ormai erano quasi le undici di sera e di Eljas ancora nessuna traccia, nemmeno Linde o gli altri l’avevano chiamato e il ragazzino era in giro per la capitale da più di due ore ormai. Il pensiero che gli fosse accaduto qualcosa di grave continuava a solleticargli la mente come un sadico divertimento, facendolo confondere ancora di più. Sentiva che l’ossigeno non riusciva più ad entrare correttamente in circolo, nella sua testa riecheggiavano voci arrabbiate, tristi, risate, ricordi, immagini… elementi che non facevano altro che annebbiargli ancora di più la vista.

Avrebbe voluto piangere per sfogarsi, ma non ci riusciva. Era in quella fase in cui ancora non ci si rende conto di quello che sta succedendo, in cui ancora il cervello crea quei pensieri ottimisti che non hanno fondamento nemmeno per gli uomini di fede, quando l’incoscienza è tale che le lacrime non capiscono se devono scorrere o se devono restare al loro posto e si sente quel senso di umidità in gola… come un’afa soffocante. Gli sembrava di vivere un incubo aspettando che arrivasse qualcuno a risvegliarlo, a rassicurarlo e magari anche a prenderlo in giro perché aveva urlato nel sonno come ogni tanto faceva. Invece il suo cervello sadico continuava a giocare sadicamente con lui, abbattendo pian piano tutte le speranze che ancora si sforzavano di stare in piedi.

E tutto quel traffico…

Perché c’era tutta quella luce? E quel suono…

Merda!

 

Eljas ciondolava il piede giù dalla pista sulla quale era seduto, una delle più alte, una di quelle che avrebbe impiegata più di un anno a riuscire ad affrontare. Sentiva nelle orecchie la musica più rabbiosa che era riuscito a trovare, l’unica che avrebbe potuto in qualche modo sfogare il senso di ribellione estrema che provava dentro in quel momento.

Quella lettera…

Era recentissima, eppure Ville non gliene aveva nemmeno fatto cenno! Come se fosse qualcosa che non lo riguardasse! La conferma che aveva cercato nell’ultimo periodo era arrivata, anche se dentro di lui sentiva che avrebbe dato qualunque cosa per la smentita, avrebbe potuto anche aggrapparsi a un fantasma purché in grado di destare anche solo un minimo dubbio…

Si odiava. Si odiava perché sentiva che la cosa peggiore non era il fatto di aver capito quello che stava succedendo, ma l’essersi accorto che lui provava per Ville qualcosa che a quanto pareva non era ricambiato. Lui voleva bene a Ville, nonostante quello che gli aveva fatto, nonostante gli sforzi che aveva fatto lui per non legarsi troppo al cantante, e questa era per lui la sconfitta più amara. Se non avesse dato retta a Linde probabilmente non avrebbe sofferto un’altra volta così tanto… Si sentiva orfano due volte: sua madre l’aveva persa in un incedente che non gli aveva nemmeno dato il tempo di dirle addio, di dirle che lui le voleva bene, suo padre l’aveva ritrovato solamente per perderlo un’altra volta, rifiutato da lui stesso.

L’amore misto all’odio non è mai qualcosa di positivo. I sentimenti violenti lacerano senza cicatrizzare e quando convivono fanno impazzire anche l’animo più forte. Questo gliel’aveva insegnato sua madre quando si era preso per la prima volta una cotta per una bambina alle elementari: lei non ne voleva sapere e lui era convinto di odiarla, ma anche di amarla. Sorrise. All’epoca gli sembrava così vero il sentimento che provava che non credeva si potesse raggiungere un livello più alto, ma a quanto pare il rapporto con Ville gli aveva insegnato anche questo. Se non altro non è stato completamente inutile… pensò rigirandosi tra le dita il cavo delle cuffie mentre sentiva la voce di Ian Gillan urlare nel ritornello vocale di Child in Time. Quella era una canzone che in quel momento poteva aiutarlo a buttare tutto fuori.

Si sentì chiamare, ma pensò che fosse stata solo un’impressione dovuta all’urlo che aveva nelle orecchie. Sentì di nuovo il suo nome e aprì gli occhi.

-Migé!- esclamò sorpreso togliendosi gli auricolari.

-Finalmente ti ho trovato! Ho setacciato tutti gli skatepark della città!- disse il bassista abbracciando il ragazzino.

-Non era necessario, tanto a casa non ci torno!- sbottò Eljas respingendo l’abbraccio.

Migé lo guardò con un’espressione strana, un’espressione che purtroppo Eljas aveva già incontrato: lo sguardo di chi deve comunicare qualcosa di molto importante e che non sa come farlo, che ha paura di farlo.

-Cosa c’è?-

Il bassista si passò una mano tra i capelli e poi sulla faccia –Devo portarti in ospedale, Eljas.- Il ragazzino lo guardò senza capire –Linde mi ha chiamato pochi minuti fa dicendomi che… Ville ha avuto un incidente circa un’ora fa, mentre ti stava cercando.-

Eljas sbarrò gli occhi, il verde brillante delle sue iridi ridotto a un fulmine sconvolto –Cos’hai detto?-

-Ti spiegherò meglio in macchina, non perdiamo tempo.- disse Migé afferrando il ragazzino per un braccio e conducendolo con sé verso la macchina.

Eljas non voleva crederci… non un’altra volta, non nello stesso modo…

SCUSATE L'IMMANE RITARDO ma non ho (e non avrò per molto tempo) accesso al comuter per tempo sufficiente a scrivere per vari motivi che non sto qui a elencare. intanto vi aggiorno almeno questa storia! ^^ scusatemi ancora per il ritardo e... come sempre keep on enjoying me! [e non vogliatemene male se vi lascio con un capitolo così]

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Capitolo 18
*** capitolo diciotto ***


CAPITOLO DICIOTTO

 

Sua madre era in ritardo, era quasi un’ora che lui aspettava seduto sulle scale fuori dalla piscina del paese. Cominciava a preoccuparsi: lei non era mai in ritardo se non per cause di forza maggiore, ma a quell’ora le strade erano pressoché deserte e loro non abitavano molto distante dalla piscina pubblica.

Mentre continuava ad aspettare giocherellando con la cerniera della sua tuta, vide una volante della polizia parcheggiare davanti a lui. Ne scesero due poliziotti in divisa che si guardarono attorno visibilmente a disagio, cosa che stupì non poco il bambino. Uno di loro gli si avvicinò lentamente e gli chiese informazioni su un ragazzino più o meno della sua stessa età che si chiamava Eljas Rakohammas.

-Sono io…- rispose lui corrucciando le sopracciglia –Sicuri che cercate me? che ho fatto?-

L’altro poliziotto sorrise appena, ma la sua allegria rimase confinata alle labbra –Sei da solo, qui?- gli domandò.

Eljas scosse la testa –Sto aspettando mia madre, ma dentro c’è ancora il mio allenatore.-

-Vieni con me, Eljas, intanto il mio collega va a parlare con l’allenatore.- disse il poliziotto facendolo sedere nei sedili posteriori della volante, i piedi che penzolavano fuori dalla portiera aperta. Si guardò attorno.

-Chi mi dice che siate dei veri poliziotti?- domandò scherzoso –Se mamma mi vede parlare con voi le prende un colpo! Perché mi siete venuti a cercare? Non me l’avete ancora detto…-

L’uomo si accucciò davanti al bambino, fissando i suoi occhi blu in quelli verdi di lui e cercò di trovare le parole adatte a dare quella tremenda notizia. Eljas cominciava a preoccuparsi vedendo tutto quel disagio negli occhi dell’uomo e quando sentì le sue parole il mondo sembrò fermarsi –Tua madre ha avuto un incidente, Eljas, e… purtroppo non si è potuto fare niente.-

Il suo cuore doveva essere andato in frantumi, perché aveva cessato di battere, come i suoi polmoni avevano cessato di inalare aria. Guardò il poliziotto con gli occhi che si rifiutavano di riconoscere le immagini come realtà piuttosto che incubo. –Mia madre è morta?- domandò con un filo di voce.

Il poliziotto annuì –Mi dispiace, piccolo.-

 

Eljas guardò Migé mentre guidava: non l’aveva mai visto così; sembrava che gli avessero tolto l’anima di corpo. Gli occhi, solitamente sempre sorridenti, erano spenti, nemmeno tristi o disperati, ma completamente svuotati di qualsiasi emozione. Capiva cosa provava, lo sapeva benissimo.

-E’ colpa mia.- disse, tornando a guardare fuori dal finestrino. Riabbassò lo sguardo: vedere le auto che gli sfrecciavano accanto lo faceva stare peggio che mai.

-Non pensarlo nemmeno, Eljas!- lo rimproverò Migé –Non è colpa tua. Ville era distrutto e ha bruciato uno stop.-

-Ma l’ha fatto perché stava cercando me, perché era preoccupato per me. Ho fatto una cazzata e forse ora Ville rischia di morire a causa mia.- insistette il ragazzino.

-Ville starà bene, Eljas!- urlò il bassista. Eljas percepì una nota stridente nella sua voce, qualcosa che tradiva il suo nervosismo e la sua angoscia; si capiva che stava facendo uno sforzo immane per non crollare emotivamente davanti al bambino. –Ville starà bene…-

Eljas lo guardò compassionevole –Lo spero anch’io.- disse. Seguirono lunghi momenti di silenzio in cui entrambi non desiderarono altro che bloccare quel momento e premere il tasto di riavvolgimento rapido. Immagini di sette mesi prima salirono alla mente del ragazzino: i poliziotti, l’ospedale, il viso tumefatto di sua madre, le sue amiche che piangevano, le infermiere che cercavano invano di tenerlo lontano e di confortarlo, il cimitero con la musica dei suoi amati Pink Floyd in sottofondo… e poi l’orfanotrofio, la Tahvonainen, Ville.

Ville.

Suo padre.

Un altro incidente.

E la colpa era la sua. Sua madre lo stava venendo a prendere a nuoto quando si era scontrata con il camion e Ville stava cercando lui quando non si era accorto del semaforo rosso. E’ solo colpa mia, tutta colpa mia! Non avrei dovuto andarmene… Ma non pensavo che sarebbe finita così. Io volevo solo farti preoccupare un po’, Ville, volevo solo che tentassi di capire cosa stavo provando! E’ colpa mia, solo mia.

-Siamo arrivati.- gli comunicò Migé –Vieni con me.- detto questo lo afferrò per una spalla lo condusse oltre la porta dell’ospedale di Helsinki.

Eljas chiuse gli occhi: quella scena la conosceva fin troppo bene. Il corridoio, le sale operatorie, la gente preoccupata che cammina in circolo o si tormenta le mani seduta sugli sgabelli…

-Migé, finalmente!- Anita corse loro incontro, abbracciando prima il bassista, poi il ragazzino –Eljas, Dio ti ringrazio, stai bene!-

Eljas rimase immobile mentre la nonna lo abbracciava. Kari riavvicinò a scambiare due parole con Migé, ma lui non riuscì ad afferrare l’argomento del discorso; vide solo che l’uomo più anziano non riusciva ad articolare bene le parole.

-Mi dispiace…- si scusò il ragazzino.

Anita lo guardò –Non è colpa tua, Eljas, e non voglio che tu creda di avere colpe. Purtroppo sono cose che succedono.-

-Ma non doveva succedere a Ville! Se me ne fossi rimasto buono e tranquillo a casa, tutto ciò non sarebbe successo!-

Aveva urlato. Anita e gli altri lo guardarono stupiti da tanta energia, un’energia che derivava da tanto dolore represso per mesi.

-Calmati, Eljas, mio fratello non vorrebbe sentirti dire questo.- intervenne Jesse. Il suo tono non era stato né gentile né tranquillizzante: era tra l’arrabbiato e il disperato. –Ville è là dentro per un suo errore e la decisione di venirti a cercare l’ha presa lui, quindi, ti prego, non darti colpe che non hai. Rischieresti di far sì che io ti dia ragione, e non voglio.-

Eljas tacque scambiando uno sguardo con lo zio; gli occhi azzurro chiaro di questi sembravano implorare un pianto liberatorio che non arrivava. –Scusami.- disse il ragazzino abbassando il volto.

-Come sta Ville?- domandò Migé avvicinandosi a Burton e a Gas.

-Mi sembra che sia in quella sala da ore infinite!- sbottò Gas passandosi una mano sulla pelata.

-Hanno detto che è in condizioni abbastanza gravi, l’altra auto l’ha centrato in pieno sullo sportello.- lo informò Linde –L’altro conducente sta abbastanza bene, invece, se l’è cavata con un collare e una gamba rotta.-

-Se penso che Ville poteva restarci… e forse lo rischia ancora.- sussurrò Burton. Anche lui, come Migé, sembrava essere stato svuotato della sua anima.

-Taci, Burton, ti prego!- lo supplicò Linde. Il tastierista annuì silenziosamente e si mise a interessarsi alla punta delle sue scarpe.

-Quindi non sapete ancora niente.- constatò Migé appoggiandosi al muro alla ricerca di un sostegno.

Linde scosse la testa e lanciò un’occhiata a Eljas: il ragazzino continuava a stringere convulsamente i pugni e guardava un punto imprecisato del pavimento. Qualunque cosa avessero potuto dirgli, nulla sarebbe riuscito a convincerlo che la colpa non era sua. –Poveretto, la seconda volta in pochi mesi. Confido solamente nel fatto che si è dimostrato un ragazzino forte, fino ad ora.-

Migé si voltò a guardare il bambino –Ville non può che esserne orgoglioso, solo che l’ha capito troppo tardi. Spero solo che gli venga concesso il tempo necessario per un secondo tentativo.- disse -Kari mi diceva che molto probabilmente dovremo rimanere qui tutta la notte, i medici sembravano veramente molto preoccupati.-

Linde annuì -Probabilmente Ville rischia di entrare in coma. Se devo essere sincero, lo spero, almeno vorrebbe dire che è ancora vivo... avremmo una speranza.-

-Ma come ha fatto?!-

-Non possiamo sapere tutto nei dettagli finché non si riprende lui, ma l'altro autista ci ha raccontato qualcosa. In pratica, Ville è sbucato fuori dallo stop senza nemmeno rallentare e l'altro non è riuscito a frenare in tempo. L'impatto è stato talmente violento che ci hanno messo tantissimo tempo per tirarlo fuori da quello che era rimasto della macchina... Se la vedi rimani sconvolto, mi chiedo come abbia fatto a uscirne vivo.-

Migé spostò gli occhi spenti su Anita, Jesse e Kari -Mi chiedo come facciano a mantenere la calma in questo modo. Se dipendesse da me spaccherei tutto in questo momento!-

-Anita ha la capacità di tranquillizzare tutti con poche parole, lo sai. E' una fortuna che sia qui, altrimenti credo che impazziremmo tutti. Jesse è distrutto, sembra che gli abbiano portato via metà anima.- disse Linde rivolgendo lo sguardo nella stessa direzione.

-Lui e Ville sono molto legati, posso capirlo.-

Kari Rakohammas si avvicinò ai due amici, la faccia stravolta di chi sta vivendo un dramma -Ragazzi, se volete andare a casa, fate pure. Noi rimaniamo qui, ma non ci sembra il caso di tenervi svegli tutti quanti per...-

-No, Kari, non vi preoccupate. Noi vogliamo stare qui, andando a casa non riusciremmo a fare niente, anzi! Ci sentiremmo fuori posto e inutili.- obiettò Migé.

-Migé ha ragione.- concordò Linde -Rimaniamo qui.-

L'uomo si illuminò per quanto gli era possibile -Grazie. Ville ha dei veri amici.-

eccomi di nuovo! pensavo davvero che non avrei più postato, ma la punizione è finita e siccome sono in vacanza ho pure tempo di scrivere. questo capitolo scioglie un po' il precedente, ma vi terrò sulle spine ancora un po' [sadica...........................]. intanto fatemi gli auguri che sono maggiorenne da poco più di una settimana e sono felice di questo! ^^ auguri in ritardo anche a migé amour, il mio fratellone, che però di anni ne ha fatti 33... eh, caro mio, si invecchia! XD keep on enjoing me!

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Capitolo 19
*** capitolo diciannove ***


CAPITOLO DICIANNOVE

 

-Sono passata per sapere come stava.-

-Vorrei poterlo sapere anche io.- rispose la voce fonda di Linde.

Eljas schiuse gli occhi quel tanto che gli bastava per distinguere i lineamenti morbidi di Manna che parlava col marito. Sembrava che fosse arrivata lì in fretta e furia, come se non avesse nemmeno avuto il tempo di vestirsi.

-Olivia?- domandò il chitarrista.

-L’ho lasciata da tua madre, avevo bisogno di sapere qualcosa e nessuno di voi mi ha chiamata.- rispose lei con un tono di voce un po’ risentito. Poi, vedendo la reazione spiazzata di Linde, cambiò tono –Scusami, immagino il casino che doveva esserci solo un’ora fa.-

Linde scosse lentamente la testa –Non preoccuparti, avrei dovuto darti notizie, ma avevo la testa da tutt’altra parte. Scusami.-

Manna trasse un profondo respiro per rilassarsi, dopodiché lanciò uno sguardo ad Eljas che dormiva su un seggiolino, la testa leggermente reclinata sulla spalla di Anita. –Poveretto…- sussurrò –Mi meraviglio che sia riuscito ad addormentarsi.-

-S’è addormentato circa un’ora fa, stava crollando. D’altro canto è stato in giro per la città tutto il giorno, prima o poi avrebbe ceduto.- rispose il chitarrista rivolgendo a sua volta un’occhiata al bambino.

-Dove l’avete trovato?-

-Migé l’ha trovato allo skate park mentre ascoltava un CD, era ancora abbastanza arrabbiato.- le spiegò il marito passandosi una mano tra i rasta per cercare di rilassarsi, ma con scarso successo.

Manna scosse leggermente la testa, come in risposta a una silenziosa domanda –Ma cos’è successo esattamente? Perché è scappato di casa a quel modo? Ville deve averla combinata grossa per aver dato via a una cosa del genere!-

Linde fece una smorfia ed Eljas chiuse gli occhi di nuovo, i sensi di colpa non erano ancora spariti –Eljas ha trovato una lettera dell’assistente sociale in camera di Ville, cercando non si sa bene cosa. Ville non gliene aveva parlato, perché ormai aveva preso una decisione e… a quanto pare Eljas ha travisato.-

Il ragazzino poté chiaramente distinguere un sospiro dispiaciuto da parte di Manna –Perché quei due non sono in grado di parlarsi come le persone normali? Gli ci voleva così tanto a Ville per chiarire definitivamente le cose con suo figlio?-

-Credo che la lezione l’abbia imparata.- rispose Linde.

-Ma potrebbe non metterla in pratica, Mikko!- replicò la donna.

Eljas dischiuse nuovamente le palpebre, sbattendole un paio di volte per mettere a fuoco il posto in cui si trovava. Sentiva la testa pesante come se fosse stata fatta di cemento.

-Tesoro, che succede?- gli domandò sua nonna cercando di seguire i suoi movimenti lenti.

Eljas scosse la testa allontanando le braccia protettive di Anita e si mise in piedi, dirigendosi verso la coppia. Manna lo guardava perplessa, mordendosi un labbro come se avesse voluto rimangiarsi le ultime parole pronunciate.

-Eljas, ti abbiamo svegliato?- domandò.

-No…- rispose lui facendo ondeggiare i riccioli lunghi sugli occhi –Non riuscivo più a dormire, ero sveglio già da un po’.- Linde e Manna si guardarono: allora aveva ascoltato tutto. –E’ ancora dentro, vero?-

Il chitarrista annuì –Cominciamo a essere tutti parecchio preoccupati, ma almeno io, non ce la faccio a pensare al peggio. Continuo a sperare che tutto questo tempo significhi che stanno facendo di tutto per tenerlo tra i nostri.-

Eljas abbassò lo sguardo per cercare di combattere contro la disperazione che sentiva crescere dentro. Se si fosse lasciato andare avrebbe creato problemi a tutti quanti in quel momento, e questa era l’ultima cosa di cui c’era bisogno là dentro, mentre in una sala operatoria Ville lottava tra la vita e la morte.

A causa mia

Quel pensiero non se ne sarebbe mai uscito dalla sua testa. Mai. E quello che aveva detto Manna lo faceva sentire ancora peggio, perché era vero: lui e Ville non si erano mai parlati veramente, e quelle poche volte che avevano discorso seriamente non avevano toccato i punti cruciali. Avevano passato il tempo a parlare di Alexandra, di musica, di scuola e mai di loro… Come se non ci fosse stato nulla da dire… Eljas non aveva mai fatto presente a Ville che il suo impegno aveva dato buoni frutti, non gli aveva mai detto che era arrivato un momento in cui era felice di stare con lui, in cui era anche orgoglioso di essere suo figlio. No, non gliel’aveva mai detto, e forse non l’avrebbe fatto più.

Con sua madre almeno non erano rimasti rimpianti: a lei aveva sempre detto tutto, le aveva sempre fatto capire che le voleva bene. Questo non cambiava il fatto che la sua morte lo avesse stravolto completamente, facendolo cambiare, facendolo diventare quasi un altro, ma almeno non avevano lasciato nulla in sospeso. Con Ville il discorso cambiava radicalmente: non solo avevano 11 anni di arretrati da chiarire, raccontare e assimilare, ma i problemi tra di loro erano molto più complessi. La questione dell’affidamento aveva creato troppe barriere e zone franche, che dovevano assolutamente essere eliminate prima che fosse troppo tardi.

Ma forse era già troppo tardi.

Il medico non diceva niente e tutti aspettavano con ansia, forse stava semplicemente cercando il modo più adatto per informarli dell’accaduto o forse stava ancora cercando di salvare il cantante di un gruppo finlandese.

Eljas lanciò un’occhiata ad Anita che si tormentava silenziosamente le mani, mentre guardava distrattamente Jesse. Non dava nell’occhio la sua disperazione, eppure si poteva percepire che era quella che stava peggio di tutti, insieme a Kari. Per loro due, Ville era ancora un semplice ragazzo di Helsinki con una particolare passione per la musica e il disegno. Ai loro occhi un contratto discografico era stato solo una possibilità in più per quel ragazzo, non aveva cambiato nulla di lui: era ancora il loro bambino. Mentre per Jesse era solo il suo fratellone che si divertiva a batterlo alla Play Station. In quella sala d’attesa c’erano solo persone che volevano veramente bene a Ville, per quello che era sempre stato e non per quello che appariva di fronte agli obiettivi dei media, c’erano i suoi parenti e i suoi amici più stretti. E lui che ci faceva, lì?

Si sentiva di troppo, lui l’aveva odiato, Ville, aveva desiderato con tutto il suo cuore la sua sofferenza. Che diritto aveva di stare lì a piangere con tutti quelli che a lui ci tenevano veramente? Lui si era fermato alla prima impressione, senza sforzarsi di cercare se sotto la buccia di difesa ci fosse qualcosa di buono. Se ne era accorto solo quando era quasi finito tutto.

-Chi li ha chiamati, quelli?- domandò d’un tratto Migé rivolgendosi alle sue spalle. Eljas dapprima non capì, poi si accorse che il bassista veniva da fuori e aveva l’aria più torva di un avvoltoio mentre si liberava del cappotto.

Gli altri H.I.M lo guardarono spaesati –A chi ti riferisci?- domandò Gas corrugando la fronte.

-Ai giornalisti che sono appostati fuori dall’ospedale e che non mi volevano fare entrare!- rispose sempre più arrabbiato Migé lanciando il cappotto su uno sgabello –Ce ne saranno almeno una cinquantina!-

Burton assunse un’espressione talmente cattiva da farlo sembrare un mostro –Non ne ho idea, ma spero che se ne stiano là fuori e che non si azzardino ad entrare!-

-Ci mancavano solo i giornalisti…- sospirò Manna passandosi una mano sul viso –Già ne abbiamo poche, di complicazioni.-

Kari Rakohammas si infilò il giaccone e fece cenno a Jesse di seguirlo.

-Dove state andando?- domandò Anita preoccupata. Non voleva che se ne andassero proprio le due persone che le fornivano maggiore sostegno in quel momento.

-A mandare a casa quei giornalisti.- replicò in tono piatto ma deciso Kari –Non ho intenzione di vederli rallegrarsi di fronte all’incidente di mio figlio. Se gli succede qualcosa per loro sarà come la manna dal cielo!- e detto questo si avviò verso l’uscita.

-E’ incredibile, come se non avessero altro di cui parlare!- sbottò Migé cominciando a scaldarsi ulteriormente –Sono stati solo fortunati che avevo fretta di rientrare, altrimenti mi dovevano arrestare per rissa.-

Eljas era rimasto in piedi in mezzo alla sala, le braccia lungo i fianchi e lo sguardo perso nel vuoto. Sentiva le parole succedersi nelle sue orecchie come suoni sconnessi e privi di senso. Senza dir niente a nessuno corse verso la porta della sala operatoria, aspettare là sarebbe stato meno difficile, senza tutte quelle persone che lo facevano sentire ancora peggio in quel momento.

Perché lui era l’unico a non capire cosa era Ville Valo per lui.

lo so, lo so che ho aspettato un sacco, ma vi giuro che la mia ultima settimana è stata un inferno... in tutti i sensi! siccome il 17 è stato il compleanno di judeau, gli dedico sto capitolo sperando che un giorno se ne accorgerà, perché è stato il primo grande commentatore di questa FF (ma la mia Schwester ha ben contribuito sostituendolo un po' ^^). keep on enjoying me!

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Capitolo 20
*** capitolo venti ***


CAPITOLO VENTI

 

Quando la porta si aprì, Eljas scattò immediatamente in piedi. Il chirurgo si bloccò incrociando gli occhi grandi e di un’espressività disarmante del ragazzino, due occhi che in quel momento chiedevano aiuto.

Si sollevò lentamente la mascherina dalla bocca e cercò di trovare delle parole adatte a tranquillizzare quel bambino che, solo, restava lì in attesa di notizie come se da esse fosse dipesa la sua stessa vita. E il dottore non lo sapeva, ma era effettivamente così: la vita o la morte di Ville avrebbero cambiato definitivamente la vita di Eljas, sia in bene che in male.

-Immagino che sia tuo padre.- sussurrò rivolgendosi al ragazzino.

Eljas annuì a stento, quasi non fosse sicuro della risposta che stava dando. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma non si ricordava come si mettesse insieme una parola, tantomeno una frase. Gli venne in aiuto Anita, la quale, appena accortasi della presenza del medico, gli corse incontro respirando affannosamente.

-Dottore, la prego, mi dica che sta bene! La supplico, mi dia delle buone notizie!- esclamò con un tono che lasciava trapelare tutto il dolore che può contenere una donna alla sola idea di perdere un figlio.

Il chirurgo cercò di calmarla prima di darle delle ulteriori informazioni, nel frattempo la raggiunsero anche Kari e Jesse, i quali si disposero a semicerchio attorno ad Eljas. Il bambino si sentiva estremamente a disagio, ancora non era riuscito a spiegarsi la sua presenza all’ospedale, ancora non aveva stabilito qual era il suo ruolo tra tutte quelle persone che si erano riunite attorno a Ville.

-Signora, si tranquillizzi, la prego. Siamo riusciti a bloccare l’emorragia, suo figlio è fuori pericolo per il momento. L’abbiamo indotto in coma per stabilizzare le sue condizioni, finché ciò non avverrà non possiamo essere certi di nulla, ma salvo complicazioni suo figlio se la caverà.- disse il medico stringendo una mano ad Anita per aiutarla a calmarsi.

I genitori e il fratello di Ville si lasciarono andare ad esclamazioni di gioia e a ringraziamenti alla santa arte della medicina, resero partecipi anche gli altri dei risultati e si rallegrarono a vicenda. L’unico che continuava a rimanere fuori era Eljas, che se ne stava ancora in piedi e muto vicino alla porta della sala operatoria, col dottore al suo fianco che osservava la scena soddisfatto.

Alzò lo sguardo per un momento, poi lo riabbassò –Posso vederlo?- domandò esitante.

Il dottore lo osservò attentamente –Dovrai aspettare che lo portiamo in una stanza privata, non posso farti entrare in sala operatoria.- rispose –Ma ti prometto che appena sarà possibile ti farò chiamare.- concluse con un sorriso affettuoso.

Eljas annuì, sempre mantenendo il silenzio.

-Lo sai, ho un figlio che avrà più o meno la tua stessa età.- continuò il chirurgo, il quale vedeva che il ragazzino ancora non aveva recuperato appieno le sue facoltà –Tuo padre deve essere orgoglioso di te, sostenere con tanta fermezza una situazione del genere…-

-Continuate a ripetermelo tutti, quanto Ville dovrebbe essere orgoglioso di me! Perché io sono l’unico a credere che se non fossi mai esistito le cose sarebbero andate molto meglio?- replicò Eljas. Il tono che utilizzò fu abbastanza triste e arrabbiato da colpire anche un uomo che aveva passato le ultime ore a cercare di salvare la vita a un essere umano aggrappato alla vita solo grazie a un filo sottile.

-Perché dici questo?- gli chiese.

-Perché senza di me Ville non avrebbe avuto l’incidente, mia madre non sarebbe morta e forse loro due sarebbero insieme e felici adesso!- disse il ragazzino stringendo i pugni con rabbia –E’ solo a causa mia che queste cose non sono successe…-

Sentire un ragazzino di 11 anni incolparsi della morte dei suoi genitori è uno spettacolo agghiacciante per chiunque, anche se si è perfettamente consci del fatto che la causa della morte è ben altra. Il sentimento violento che trapelava da Eljas quando si accusava di essere la causa delle catastrofi della sua famiglia era del tipo che metteva paura a chi lo ascoltava. I suoi occhi diventavano degli specchi micidiali, degli specchi che riflettevano all’esterno l’autolesionismo interiore in atto, uccidendo lentamente anche chi vi entrava in contatto.

-Le cause dell’incidente di tuo padre non c’entrano niente con te.- cercò di convincerlo anche il medico –Queste cose non possono essere né previste né evitate, purtroppo quando arrivano si può solo sperare che finiscano bene.-

-Potevo evitarlo se me ne restavo a casa o se mi facevo trovare prima.- insistette Eljas. Possibile che nessuno si accorgesse che la causa di tutto era lui?! Che la fonte di tutti i problemi non era altri che lui?! Alexandra aveva lasciato Ville perché aveva scoperto di essere incinta di lui, lei era morta perché stava andando a prendere lui in piscina, Ville aveva quasi fatto la stessa fine perché lui aveva voluto fargli un dispetto… Tutto riconduceva sempre e solo a lui! Eppure era come se fosse l’unico a vedere l’evidenza che tutti continuavano tenacemente a negare.

-Sarebbe successo in un’altra occasione, forse. Se è accaduto questo vuol dire che ci sono state delle ragioni, ma se tu te ne sei andato è perché qualcuno ti ha fatto andare via. Non è colpa tua, e se lo è, allora lo è di tutti.- gli rispose il dottore prima di essere chiamato da un’infermiera. –Scusami, il dovere mi chiama, ma più tardi verrò a chiamarti per poter vedere tuo padre.- e detto questo si congedò.

Quando Eljas ebbe la forza di alzare nuovamente lo sguardo trovò ad accoglierlo quello di suo nonno Kari, il quale gli sorrideva affettuosamente, accucciato di fronte a lui.

-Ancora non ne sei convinto, vero?- disse.

-Ho combinato troppi guai.- sussurrò piano il ragazzino.

Kari allargò le braccia per accogliere la figura debole di Eljas, che conficcò il viso nell’incavo della spalla del nonno, cercando quel buio e quel conforto che ancora non era riuscito a trovare, che ancora cercava da mesi, e riuscendo finalmente a trovarlo.

-Tutto quello che ti ha detto il dottore è vero: Ville deve solo essere orgoglioso di te, sono sicuro che lo è, che lo è sempre stato e che sempre lo sarà. Sei troppo simile a lui, sotto certi punti di vista, perché possa arrabbiarsi con te. E non penserà mai di darti la colpa per quello che gli è successo, altrimenti ti avrebbe già incolpato per l’abbandono di Alexandra.- lo consolò Kari –Lui amava davvero moltissimo tua madre, credo che solo l’idea di avere creato qualcosa di così bello insieme a lei sia sufficiente a renderlo orgoglioso della tua esistenza. Non potrà mai incolparti di niente.-

Eljas tornò a guardare gli occhi chiari del padre di Ville –Tu credi veramente che Ville pensi questo di me?- domandò sgomento –Credi veramente che lui sia orgoglioso di me?-

-E’ quello che continuiamo a ripeterti tutti da sempre, Eljas!- lo rimproverò affettuosamente Kari –Avresti dovuto vedere lo sguardo di tuo padre quando si sentiva un fallimento per come tu reagivi a quello che lui faceva o diceva. Sei molto importante per lui, anche se non lo dimostra abbastanza, lui ti vuole bene.-

Eljas fece una strana smorfia, quasi provasse schifo verso se stesso –Io invece l’ho davvero odiato, ho desiderato il male per lui… Mi faccio schifo!- sbottò.

Kari gli fece una calda carezza per cercare di calmarlo –No, non avercela così con te stesso. E’ normale che tu non abbia preso bene Ville, almeno all’inizio: non si è comportato molto bene nei tuoi confronti. Purtroppo lui è molto istintivo nelle cose che fa e tende a sottovalutarsi quando non dovrebbe, è come se avesse un’autostima al contrario!- disse, riuscendo a strappare un piccolissimo sorriso al nipote -Molte persone detestano Ville, quando lo conoscono, ma poi sia lui che gli altri capiscono come prendersi a vicenda e tutto si risolve. E’ normale che con te ci sia voluto più tempo, perché è stato uno shock per entrambi sotto diversi punti di vista, ma adesso si è risolto tutto. Non odiarti per qualcosa di cui non hai colpa.-

-Quando mamma è morta stava venendo a prendere me a nuoto…- sussurrò il bambino.

Lo sguardo di Kari si fece triste –Questo non significa che sia stata colpa tua. Poteva capitare in un qualsiasi altro momento, purtroppo.-

-Ma succede sempre quando si viene a cercare me che succedono queste cose.- rispose Eljas –E’ come se portassi sfiga!-

L’uomo si spaventò per il tono autodistruttivo con cui il ragazzino si era pronunciato. Afferrò strettamente le sue braccia e lo portò molto vicino ai suoi occhi –Non pensare a niente di così stupido, Eljas! Tu sei la fortuna più grande che sia mai capitata a mio figlio da che è venuto al mondo! Sei l’unica cosa che poteva fargli capire cos’è veramente importante al mondo.-

Eljas fissò le sue iridi verdi in quelle azzurrine del nonno, cercando di capire a chi doveva dar retta, se a quello che la sua coscienza gli diceva o a ciò che Kari continuava a ripetergli, come tutti gli altri, da quando era arrivato a casa Valo.

-Non voglio più sentirti dire che tu sei stato una sventura per la tua famiglia.- gli intimò Kari allentando la presa e abbracciandolo nuovamente –Mai più…-

Migé si avvicinò ai due con uno sguardo un po’ imbarazzato, tossicchiando qualche volta –Ehm… Kari? Posso disturbarti un attimo?- domandò con tutta la cordialità di cui disponeva.

-Certo, Migé, dimmi pure!- rispose l’uomo lasciando andare il nipote, dopo avergli indirizzato un sorriso d’intesa e d’affetto.

-Abbiamo un problema…- iniziò il bassista. Kari lo guardò senza capire. –I giornalisti là fuori sono venuti a conoscenza di Eljas. Stanno continuando a fare pressione per vedere il ragazzino… Credo sia il caso di prendere provvedimenti.-

Eljas guardò verso uno dei migliori amici di suo padre, soffermandosi sul suo sguardo preoccupato. Forse era vero che loro ci tenevano veramente a lui, che non lo incolpavano di niente…

-Io chiamo la polizia!- sbottò irritato Kari Rakohammas cominciando a cercare un telefono con lo sguardo.

-Non servirà a niente, il massimo che faranno sarà tenerli a bada fuori dall’ospedale, ma quando Eljas dovrà uscire sarà un casino.- obiettò Migé storcendo la bocca.

-Perché dovrei uscire?- domandò il bambino intromettendosi nel discorso.

Kari e Migé si scambiarono un’occhiata –Beh, ci vorrà ancora molto prima che si possa andare a far visita a Ville, sarebbe il caso che tu andassi a casa a dormire decentemente per almeno qualche ora. Sei in piedi da quasi 24 ore…- disse il bassista.

-Non voglio andare a casa!- protestò Eljas, infastidito dall’idea –Ho dormito prima, mentre aspettavamo il dottore, non serve che vada a casa ora.-

Anita si avvicinò al terzetto per far sentire le sue ragioni –Tesoro, ascoltami. I tempi dell’ospedale sono lunghissimi, sarebbe davvero il caso che tu andassi a riposarti decentemente. Basterebbe qualche oretta, non ti terremmo lontano per molto tempo…-

-Io non voglio andare via, voglio stare qui! Il dottore ha detto che fra poco saranno possibili le visite dei parenti stretti, e io voglio essere qui quando mi permetterà di andare a vedere mio padre!-

Silenzio.

Eljas sentiva che anche dentro di sé risuonava l’eco delle parole che aveva pronunciato.

Mio padre

Era come se non avesse mai pensato a Ville in quei termini prima di allora. In un certo senso era così, ogni volta che aveva detto mio padre era stato in maniera distaccata, più per sottolineare che c’era un legame naturale e legale che un senso di famigliarità. Invece in quel momento sentiva che sarebbe riuscito per la prima volta, dopo tanto tempo, a chiamare il cantante papà. Senza difficoltà. Basta muri indistruttibili, basta musi lunghi e scontrosi, basta tutto ciò che poteva compromettere un rapporto sincero. Una seconda possibilità del genere era solo un miracolo, non ce ne sarebbe stata un’altra.

Anita e Kari si scambiarono uno sguardo, Migé fissò il ragazzino come se lo vedesse la prima volta.

-Se non vuoi andare resta pure, allora.- disse sua nonna –Se hai voglia di riposarti un po’ posso chiedere a un infermiere se può farti usare un lettino del pronto soccorso.-

Eljas scosse la testa –Non ce ne sarà bisogno, non ho sonno.-

Migé si accucciò per guardarlo meglio negli occhi. Rimasero per qualche istante in quella posizione, senza che nessuno dicesse niente, sotto gli occhi incuriositi di tutti. –Finalmente l’hai capito.-

Non disse altro, ma sia lui che Eljas capirono benissimo di cosa si trattava, ed Eljas fu felice di essere finalmente uscito dal buio.

eccovi sbrogliato l'intrigo di "cosa ne sarà di Ville?". ^^ mi duole informarvi che il prossimo capitolo sarà l'ultimo, seguito a ruota da un epilogo... ah, mi duole se mpre così tanto terminare le mie storie! intanto keep on enjoying me!

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Capitolo 21
*** capitolo ventuno ***


CAPITOLO VENTUNO

 

Eljas sentì una mano accarezzargli dolcemente i capelli per svegliarlo. Aprì gli occhi lentamente, distinguendo prima un sorriso affettuoso, poi degli occhi di un azzurro chiaro che lo guardavano da vicino. Guardò Jesse cercando di capire quanto tempo avesse dormito e, soprattutto, quando si era addormentato.

-Eljas, svegliati. Il dottore ha detto che possiamo andare a vedere Ville.- gli disse lo zio.

Il ragazzino si tirò su a sedere, qualcuno doveva averlo portato in braccio fino a un lettino dell’ospedale, perché non si ricordava come ci era arrivato. Scrollò qualche volta la testa per cercare di rimettere in circolo l’ossigeno: voleva essere sveglissimo per vedere suo padre, anche se sapeva che non avrebbe potuto parlargli.

-Arrivo.- disse, scendendo dal lettino e tentando di orientarsi. Jesse gli mise una mano dietro le spalle per guidarlo dagli altri. Migé e Burton stavano infilandosi i giacconi, probabilmente in procinto di andarsene ora che non c’era più bisogno di loro, Gas doveva essersene già andato, visto che non sembrava essere nei paraggi. Linde stava rientrando in quel momento dall’esterno, con il cellulare in mano. Eljas notò che Manna non c’era più, probabilmente era andato ad avvisarla che le condizioni di Ville erano rimaste stazionarie.

-Lì fuori c’è ancora un casino tremendo. Non si sbloccano da là nemmeno se li paghiamo per farlo… Credo che sarà un’impresa per voi uscire da qui incolumi.- disse il chitarrista rivolto ai suoi due amici.

Burton agitò una mano –Se ci chiedono qualcosa noi non diremo nulla, se ci bloccano chiamiamo la polizia, mi sembra evidente, ma Migé deve tornare a casa. Vedrana l’ha chiamato per un problema col piccolo.-

Linde guardò l’amico allarmato, Migé sorrise –Nulla di preoccupante, ma devo andare, e anche Burton. Resti tu qui con Kari e Anita?-

Il rasta annuì –Se ho bisogno di un cambio vi avverto, ma preferisco rimanere qui finché è possibile. Anita è abituata a fare la donna forte, ma è evidente che questa faccenda l’ha colpita duramente, ha bisogno di qualcuno che le stia vicino. Più siamo meglio è.- rispose, poi notò che Eljas era tornato tra loro –L’hai svegliato, allora?- chiese rivolto a Jesse.

-Se l’avessi lasciato dormire non mi avrebbe più rivolto la parola.- disse lui con un sorriso.

Eljas non sembrava badare molto alle conversazioni in atto, cercava invece dove fossero finiti i suoi nonni, dove fosse il dottore, qualcosa che gli permettesse, insomma, di individuare la camera in cui si trovava suo padre.

-Dov’è che bisogna andare?-

-Hai ragione: non abbiamo molto tempo, meglio non perderlo.- asserì Jesse salutando gli altri e accompagnando Eljas lungo un corridoio che sembrava non avere mai fine. Girava a ogni porta che incontrava, convinto di essere arrivato, ma suo zio lo rimetteva puntualmente sulla strada giusta. Gli tornavano in mente ricordi di mesi prima… quell’odore pungente di cloroformio, Dania, la migliore amica di sua madre, che piangeva incessantemente mentre lo conduceva da lei, tutti quei suoni nella sua testa che non smettevano mai… Perché non stavano tutti zitti? Perché dovevano parlare? Non capivano che lui non voleva sentire più niente? E adesso tutto tornava, con l’unica consapevolezza che Ville era ancora vivo e che, forse, ce l’avrebbe fatta.

Forse.

E se non fosse andata così? Se quella stabilità non fosse durata che pochi giorni, la quiete che anticipa la tempesta? No, non così, non poteva perdere entrambi i suoi genitori in questo modo.

-Eccoci, siamo arrivati.-  gli comunicò Jesse. I due minuti più lunghi della sua vita.

Eljas entrò in una stanza che conteneva un paio di letti, ma solo uno era occupato. Anita e Kari erano seduti alla destra del cantante, sorridevano al nipote, ma si poteva chiaramente vedere che avevano pianto fino a poco prima. La stanza era di un bianco candido che inquietava, ricordava al ragazzino il gelo della neve, i macchinari che controllavano il battito cardiaco e le funzioni vitali di suo padre che mandavano suoni intermittenti in continuazione, aumentando l’ansia. Guardava le mattonelle del pavimento verde acqua, incapace di lanciare uno sguardo a chi stava sul letto.

Jesse si avvicinò ai suoi genitori, lasciando al nipote la libertà di comportarsi come meglio credeva. Anita cercò di chiamarlo, ma Kari le consigliò di lasciar stare: Eljas doveva decidere da solo come agire.

Lentamente sollevò gli occhi da terra, passando dai piedi, alle gambe, al busto di Ville. Una gamba e un braccio erano ingessati e sollevati, il loro candore che contrastava con la pelle arrossata che sbucava da sotto il camice e le lenzuola, ma quando riuscì a trovare la forza di guardare il volto di suo padre, il mondo si fermò. Il volto tumefatto, le bende, che giravano attorno alla sua testa e sopra un occhio, che cominciavano a sporcarsi nuovamente di sangue, l’unico occhio visibile chiuso, sulla bocca una smorfia di dolore congelata.

Solo in quel momento si rese conto di quello che aveva rischiato: avrebbe potuto non avere più la possibilità di chiarirsi con lui, non avrebbe più potuto conoscere suo padre come aveva sempre desiderato, avrebbe convissuto per sempre con questo senso di colpa.

Era una cosa che aveva già provato una volta, era felice di non doverla provare un’altra volta.

Piano piano si avvicinò al letto, inserendosi tra i suoi nonni e continuando a guardare il volto del cantate. Solo in quel momento riusciva a notare la somiglianza: fin da quando era piccolo avevano sempre sottolineato la sua somiglianza con Alexandra, le stesse espressioni, lo stesso modo di parlare, addirittura gli stessi lineamenti generali. Quando all’inizio gli avevano detto di essere identico a Ville, Eljas si era sentito offeso, come se gli avessero portato via l’unico appiglio che gli era rimasto di sua madre, ma ora riusciva a vedere che effettivamente lui e suo padre erano identici.

Anita parlava dolcemente, raccontando al figlio che loro erano lì che vegliavano su di lui, come se stesse rivolgendosi nuovamente a un bambino di dieci anni. Ancora come se Ville non fosse altro che suo figlio, il suo piccolo Ville. Eljas ascoltava la nonna parlare, lasciandosi cullare dalle sua parole che mischiavano il finlandese all’ungherese, sua lingua natia, stringendo convulsamente un lembo del suo maglione.

Fu così per giorni. Andavano in ospedale la mattina presto e uscivano la sera tardi, quando non potevano far visita a Ville rimanevano nei pressi per essere pronti ad avere nuove notizie, ma le giornate passavano così, piatte e tutte uguali. Come sempre i suoi nonni cercavano di mandare Eljas in un posto più tranquillo, ma come sempre lui si rifiutava di allontanarsi troppo dal luogo.

Un giorno Kari decise di lasciare Eljas fare visita da solo a Ville, convinto del fatto che il ragazzino avesse bisogno di passare del tempo per conto suo insieme al padre. –Deve maturare delle idee.- aveva detto ad Anita. Così Eljas si era ritrovato da solo, a tu per tu con la sua più grande paura, a tu per tu con la sua stessa esistenza.

-Mi dispiace…- balbettò sottovoce, stringendo un lembo del lenzuolo bianco –Avrei dovuto cercare di chiarire le cose prima di andarmene così… ma che te lo sto dicendo a fare? Nemmeno puoi rispondermi, non so nemmeno se stai ascoltando.- disse poi, lasciando andare i lenzuolo e tornando a guardare il volto del padre. –Se non ti parlo adesso, però, non lo farò più. C’era una cosa che mamma mi raccontava spesso di te, era l’unica cosa che mi diceva: diceva che eri uno che quando non si sente a suo agio tende a fare cose stupide… me lo diceva perché anche io faccio così, l’hai visto anche tu. La prima cosa che ho pensato quando ti ho visto, prima che tu parlassi, era che la foto che mi avevano fatto vedere, presa dai giornali, mi aveva dato un’impressione completamente diversa di come eri. Mi eri sembrato uno spaccone, a primo impatto, ma quando ti ho visto sulla porta ho avuto l’impressione che tu fossi fondamentalmente vulnerabile. Forse non ti sentivi a tuo agio, ecco perché hai detto che volevi darmi via… Hai fatto la cosa stupida di cui parlava mamma. Il resto della storia la conosci, sai che non mi sei piaciuto molto all’inizio, anzi… ti ho proprio odiato, ma dopo il discorso in macchina mi sono sforzato di vederti sotto un altro punto di vista. Ti avevo sentito litigare pesantemente con uno dei tuoi migliori amici per me, la cosa mi aveva colpito, e poi avevi detto che volevi provarci anche tu. Mi è piaciuto quel periodo, ero quasi riuscito a sentirmi in armonia con te, ma poi è arrivata Frida e ho avuto paura che mi abbandonassi un’altra volta, mi è sembrato che cercassi di sostituire mamma. Non so perché, avevo come l’impressione che tu non potessi più avere avuto un’altra oltre a lei, così come mamma non aveva più avuto nessuno da quando ero nato io… diceva che non ce n’era bisogno, che l’uomo della sua vita l’aveva già trovato, che ero io.- Eljas si interruppe, sorridendo come si può sorridere a un ricordo che si giudica sia dolce sia sciocco. Sentiva le lacrime salirgli agli occhi, ma guardò in alto per ricacciarle indietro.

–Sono stato stupido, mi dispiace, la situazione con te era molto diversa. Lo so che ho solo 11 anni e che non posso capire certe cose, ma so capire gli errori che ho fatto e voglio dirti che a me non importa se ne hai fatti anche tu. Mi sono accorto che voglio avere te come padre, che sono disposto a stare con te anche se ogni tanto fai delle cazzate enormi, ma soprattutto voglio che ti svegli. Ti prego, svegliati! Fammi capire che sono ancora in tempo per farmi perdonare, ti supplico, svegliati!- le lacrime non potevano più essere trattenute, Eljas non fece più nemmeno lo sforzo per farlo, tanto non c’era nessuno a testimoniare la sua debolezza. In fondo era un bambino che aveva rischiato di perdere il suo unico genitore, dopo aver visto morire l’altro, aveva tutto il diritto di sentirsi debole. Aveva il viso nascosto tra le braccia appoggiate sul bordo del letto, le sue parole suonarono confuse –Ti voglio bene, papà. Svegliati!-

-Sono sveglio…- gli rispose una voce roca proveniente dalla sua sinistra. Eljas alzò il volto di scatto, il braccio buono del cantante si era sollevato quel che bastava per accarezzare lievemente i capelli del bambino.

-Da quanto tempo eri sveglio?-

-Da tanto. Da quando stavi parlando di Alexandra.- disse Ville, l’unico occhio che rivolgeva al figlio uno sguardo pieno d’affetto.

-Perché non me l’hai detto?- lo rimproverò il ragazzino stringendo nuovamente il lenzuolo tra i pugni.

-Perché non volevo interromperti. Non sono mai stato tanto felice di sentire la tua voce, è stato il risveglio più bello della mia vita.- rispose il cantante –E anche io ti voglio bene, Eljas, sono orgoglioso di avere un figlio come te.-

Le lacrime continuavano a scorrere silenziose sulle sue guance piene di bambino, ma la gioia che provava in quel momento si manifestava interamente attraverso i suoi occhi. Eljas si lanciò ad abbracciare suo padre, per quanto gli fosse concesso dai macchinari a cui lui era legato.

-Sei rimasto…- sussurrò mentre Ville gli passava una mano sulla schiena –Sei rimasto.-

-E non ho intenzione di andarmene.-

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Capitolo 22
*** epilogo ***


EPILOGO

 

 

-Ehi, calmati! Non così veloce!- esclamò Ville, protestando contro il fratello che guidava con troppa foga la sedia a rotelle sulla quale era seduto –Finirai per ammazzarmi…- commentò infine, quando Jesse rallentò e si fermò davanti alla panchina dove stavano tutti gli altri, ridendo come un pazzo.

-Ah, non mi divertivo così da quando ti eri rotto la gamba, Ville!- sghignazzò appoggiandosi con le braccia alle maniglie della carrozzina –Dovresti farti male più spesso.-

-Ecco, e poi dicono che tra fratelli ci si deve volere bene…- disse il darkman. Migé e gli altri H.I.M si misero a ridere davanti a quei battibecchi famigliari, ma tutti si rendevano conto di quanto fossero fortunati a poter ancora ridere di certe cose con Ville. Le ferite si erano cicatrizzate quasi completamente, anche se i capelli del cantante erano ancora abbastanza corti e lasciavano intravedere i segni che aveva in testa.

Poco più in là, Eljas e Olivia facevano da baby sitter alla figlia di Burton, nello stesso posto dove, solo pochi mesi prima, Ville aveva presentato il bambino all’amico. Tuttavia la situazione, ora, era completamente diversa: Eljas e Ville avevano stretto un ottimo rapporto e ormai si comportavano esattamente come un padre e un figlio qualunque. Era passato quasi un anno da quando il cantante si era trovato fuori dalla porta un ragazzino che gli rivelava di essere padre da ben undici anni, ormai la cosa si era assodata.

Ville lanciò uno sguardo ai bambini che giocavano allegri mentre si accendeva una sigaretta (a certe abitudini non aveva ancora rinunciato, nonostante la convalescenza di parecchi mesi).

-Seppo ha deciso che ormai è tempo di riprendere il lavoro, ti sei riposato abbastanza.- gli comunicò Migé, fregandogli una sigaretta dal pacchetto e accendendola a sua volta. Lo guardò accigliato.

-Ricordatemi di cambiare manager quando torniamo al lavoro.- disse, scatenando l’ilarità generale: capitava spesso che Ville e Seppo avessero da ridire sulla quantità industriale di lavoro che veniva loro richiesta, ma in fondo entrambi sapevano che la loro era un’accoppiata vincente e che senza Seppo gli H.I.M non avrebbero raggiunto tanti successi in tutti quegli anni. –No, gli devo molto per quello che ha fatto in questi mesi, non posso rifiutarmi.-

-Eppure alla fine hai ceduto.- obiettò Gas lanciandogli il giornale di quel giorno –E’ da giorni che non si parla d’altro che di Eljas sui giornali! Non fanno tutto questo casino da quando Tarja è stata buttata fuori dai Nightwish!-

Ville lanciò uno sguardo al fratello che gli sorrise mite battendogli una mano sulla spalla –Ne ho parlato a lungo con Eljas, prima di lasciar trapelare qualcosa.- rispose –Io non avrei voluto, per rispettare le volontà di Alexandra, più che altro, ma Eljas ha insistito perché io lo rendessi pubblico. Almeno adesso lo tormenteranno per un po’ e poi lo lasceranno in pace. E’ stato un piacere per me rendere pubblico che sono padre, volevo che tutti lo sapessero.-

-Ecco, un motivo in più per attirare l’attenzione su di te! Non cambierai mai!- lo canzonò Burton suscitando l’assenso generale della truppa himmica.

-Perché non glielo dici?- lo sospinse Jesse.

Gli altri si guardarono l’un l’altro senza capire –Dirci cosa?- domandò Linde.

Ville sbuffò fuori una nuvola di fumo prima di rispondere, guardando ancora in direzione di Eljas che si divertiva con le due bambine –Ho legalizzato il mio nome: adesso Valo è il mio cognome ufficiale e da ieri anche Eljas si chiama così. D’ora in poi sarà Eljas Valo e non più Eljas Rakohammas, o meglio, abbiamo entrambi il doppio cognome.- comunicò con una punta di orgoglio che gli luccicava negli occhi, tornati di un verde brillante e allegro.

Linde e Burton lo guardarono come se fosse sceso da Marte. Il chitarrista scrollò appena i rasta per risvegliarsi dal colpo –Wow… Non credevo che l’avresti fatto così presto, dopo tutti i tira e molla che ci sono stati nei mesi scorsi. Ti davo meno fiducia, scusami.- disse.

-Concordo.- asserì il tastierista.

Jesse e Ville si scambiarono un’altra partita di sguardi –Non torneremo più a quel periodo, ne sono sicuro. Eljas è cambiato radicalmente nei miei confronti e io sono cambiato molto, abbastanza per prendermi cura di lui come un padre serio, non credo mi rinnegherà un’altra volta. E poi ci tenevo ad averlo riconosciuto pienamente.-

-E quindi ora, Ville Hermanni Valo, sei ufficialmente papà. Come ci si sente dopo anni di cazzate rimaste impunite?- gli domandò con solennità Migé, facendo scoppiare tutti a ridere.

Il darkman alzò gli occhi brillanti da terra e si accese un’altra sigaretta –Ti dirò… è come se mi avessero messo nel corpo di un’altra persona. Credo tu sappia cosa intendo.- Migé annuì arrossendo un po’ al ricordo del giorno in cui lui stesso aveva provato quella sensazione –Ma non vorrei tornare indietro per nulla al mondo.-

Eljas sollevò lo sguardo dalla più piccola delle bambine, puntandolo contro la compagnia di adulti che parlava allegramente. Incrociò quello di suo padre. Fu uno sguardo complice, di quelli che solo un padre e un figlio possono scambiarsi, di quelli che sottintendono moltissime cose senza dirne nessuna, che fanno sentire una carezza sulla pelle senza bisogno di contatto fisico.

Era come se tra loro non ci fosse mai stato quel muro di ghiaccio che aveva caratterizzato per mesi la loro convivenza, adesso tra loro c’era solo trasparenza. Ma era realmente ghiaccio quello che era scomparso? O era piuttosto del ghiaccio secco? Quella specie di nebbia bianca e fumosa causata dall’anidride carbonica allo stato solido che sublima a contatto con l’aria, la stessa che Ville e gli altri H.I.M avevano spesso usato per i loro concerti. Già… una nebbia, piuttosto che ghiaccio, qualcosa che li divideva, ma non perché loro fossero diversi e inconciliabili, semplicemente perché la nebbia impediva loro di trovarsi. Entrambi erano andati avanti a tentativi, come si fa in mezzo a un banco di nebbia che offusca la vista, sbagliando spesso, qualche volta cadendo e qualche altra volta imboccando la strada giusta. Alla fine la nebbia si era dissolta e loro si erano trovati l’uno davanti all’altro, due immagini chiare come non mai.

E Ville riconosceva se stesso in quello che vedeva, come Eljas si sentiva parte di colui che guardava.

 

LA FINE

 

allora... beh, mi sembra che sia giunto il momento di salutare e ringraziare chi di dovere! ^^ innanzi tutto ringrazio Kuji13 perché è stata la primissima a leggere GHIACCIO SECCO [in questi mesi ribattezzata col nome affettuoso di ghiaccio o gs *sniff*] e a darmi i suggerimenti quando mi bloccavo a metà della composizione senza sapere come andare avanti [quindi, se gs è arrivata fino alla fine, dovreste ringraziare soprattutto lei!]; in seguito ringrazio Judeau che, anche se ormai non è più dei nostri, è stato il primo a fare dei lunghissimi commenti che ho apprezzato moltissimo, commenti sostituiti prontamente dalla mia sisko LaTuM XD che ringrazio ancora pienamente, soprattutto per la bellissima recensione che mi ha fatto sul suo blog privato! altro ringraziamento va a Bell_Luna, la quale è stato il primo commento fatto alla storia [che spero avrà seguito fino allafine...], a Scarlet Angel, ad Anonymous e a sirius4ever, che hanno commentato sltuariamente, ma sempre in maniera piacevole. non mi sono dimenticata di linkin park che mi ha già commentata altre volte e che apprezzo molto per la fedeltà XD, mentre spero di non aver deluso disenchanted_vale, che mi ha scoperta in ritardo, ma mi sembrava comunque entusiasta! ^^ siccome mi sto commuovendo e non vorrei bagnare il computer, è meglio se me ne vado e vi lascio così.

spero si non avervi deluso e vi assicuro che ho apprezzato tutte le critiche fatte [anche a voce - grazie mariasole! -] così come ho apprezzato moltissimo - ovviamente - i complimenti. con questa fanfiction mi assenterò dalla sezione himmica per un periodo, sarà il mio saluto. keep on enjoying me [anyway...]

kiitos!

JULIA aka musicaddict

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