GHIACCIO SECCO di musicaddict (/viewuser.php?uid=17033)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo uno ***
Capitolo 2: *** capitolo due ***
Capitolo 3: *** capitolo tre ***
Capitolo 4: *** capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** capitolo sei ***
Capitolo 7: *** capitolo sette ***
Capitolo 8: *** capitolo otto ***
Capitolo 9: *** capitolo nove ***
Capitolo 10: *** capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** capitolo undici ***
Capitolo 12: *** capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** capitolo quattordici ***
Capitolo 15: *** capitolo quindici ***
Capitolo 16: *** capitolo sedici ***
Capitolo 17: *** capitolo diciassette ***
Capitolo 18: *** capitolo diciotto ***
Capitolo 19: *** capitolo diciannove ***
Capitolo 20: *** capitolo venti ***
Capitolo 21: *** capitolo ventuno ***
Capitolo 22: *** epilogo ***
Capitolo 1 *** capitolo uno ***
Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo'
GHIACCIO
SECCO
CAPITOLO
UNO
Un
suono stridulo lo avvisò che qualcuno aveva suonato al citofono del suo
appartamento. Quando alzò la cornetta per sapere chi fosse si sentì rispondere
da una voce femminile e sconosciuta.
-Sì?-
-Signor
Valo?-
-Sì,
sono io… chi è?- domandò il cantante degli HIM aggrottando le
sopracciglia.
-Mi
chiamo Sonja Tahvonainen, sono un’assistente sociale, avrei bisogno di parlarle,
posso salire?-
Ville
rimase un attimo in silenzio prima di aprire alla donna. Mentre aspettava che
salisse fino al suo piano si chiese cosa mai potesse volere da lui un’assistente
sociale… L’avrebbe saputo presto. Il cantante andò ad aprire a una donna sulla
cinquantina, abbastanza in carne, capelli biondo chiaro, che gli sorrideva
cortese.
-Buongiorno!-
salutò la donna porgendo la mano al cantante.
-Buongiorno…
vuole entrare?- rispose Ville lanciando uno sguardo al casino che aveva
disseminato per casa.
Anche
l’assistente parve notarlo. –Non è necessario. Devo consegnarle questa lettera e
questi documenti.- disse la donna consegnando al darkman una grossa busta
marrone e una busta più piccola bianca. –E un’altra cosa, ma prima apra la
busta.- aggiunse infine, assumendo un’espressione un po’
imbarazzata.
Ville
strappò la carta della busta e cominciò a leggere la lettera. Ci vollero solo
pochi istanti prima che sbiancasse guardando la carta piegata con un’espressione
sconvolta. Rilesse più e più volte le prime righe per cercare di renderle più
reali o per cercare di farle sparire. Non era possibile…
-Ci
dev’essere un errore!- esclamò il cantante guardando interrogativo l’assistente
sociale.
-So
che è una cosa sconvolgente, anche perché è una cosa inaspettata, ma… posso
assicurarle che non c’è un errore, lo vedrà lei stesso.- rispose la donna
–Eljas, vieni qui.- disse poi.
Un
bambino sui 10anni entrò nel campo visivo di Ville. Decisamente non poteva
esserci un errore, quel bambino gli somigliava in maniera impressionante, a
partire dagli occhi verde acceso, per continuare sui capelli castano scuro
leggermente mossi e sul nasino leggermente all’insù, tipicamente finlandese.
Eljas guardò l’uomo che gli stava di fronte con uno sguardo vuoto, forse appena
consapevole di quello che gli stava accadendo.
-E’
un po’ timido, non si sorprenda se non le rivolgerà molto la parola all’inizio.-
disse Sonja Tahvonainen appoggiando una mano sulla spalla del bambino, già
abbastanza alto per la sua età. –Capisco che la cosa sia abbastanza improvvisa,
ma nelle ultime volontà della madre c’era scritto che il bambino fosse portato
da lei. Eljas ha con sé lo stretto indispensabile, il resto delle sue cose le
verrà recapitato nel giro di una settimana, due al
massimo.-
Ville
e il bambino si guardarono intensamente per parecchi secondi, poi finalmente il
cantante riuscì a parlare –Io… non so se posso… voglio dire, non sono preparato
a questo, non vorrei che… insomma, mi capisce, no?-
-Posso
capirla, ma purtroppo non possiamo fare altrimenti. Nel testamento della madre
si richiedeva espressamente che Eljas stesse da lei, ma se vuole dare il bambino
in affidamento devo avvertirla che le procedure sono molto lunghe, ci potrebbero
volere parecchi mesi.- rispose l’assistente sociale.
Ville
tornò a guardare Eljas che stavolta ricambiò lo sguardo penetrante. Non era
pronto per questo! Sarebbe stato un male per entrambi, lo faceva per il suo
bene… -Faccia un tentativo per l’affidamento e mi faccia sapere il prima
possibile.- disse infine –Io credo sia meglio così… Io non mi sento pronto per
una cosa del genere, farei solo danni.-
Sonja
Tahvonainen lo guardò comprensiva, non era la prima volta che le capitava di
sentire quelle parole, purtroppo. –Non si preoccupi, me ne occuperò
personalmente.- rispose, poi tirò fuori dalla borsa un blocchetto e una penna e
scrisse il suo recapito telefonico –Mi chiami a questo numero, ci metteremo
d’accordo.- disse poi porgendo il foglietto a Valo. –Ora devo andare. Eljas,
cerca di comportarti bene finché rimarrai qui. Arrivederci, signor
Valo.-
Finché
resterai qui…
Quelle parole riecheggiarono nelle orecchie di Ville come raffiche di mitra.
Adesso si sentiva in colpa. Lanciò un’ulteriore occhiata al bambino dopo che la
donna li ebbe lasciati soli. E adesso?
–Avanti, entra.- gli disse facendogli segno di accomodarsi in cucina. Si
sedettero l’uno di fronte all’altro, uno a capo della tavola, l’altro a quello
opposto, e rimasero in silenzio finché Ville non riuscì a parlare di nuovo. –E
così tu saresti mio figlio.-
-Così
sembrerebbe.- rispose Eljas con voce atona.
-Già…-
sospirò Ville cercando di rivolgere lo sguardo altrove: quegli occhi identici ai
suoi gli facevano impressione –Bé, visto com’è dimmi qualcosa di te, cosicché io
possa conoscerti. Non mi va di leggere chi sei da delle
carte.-
-A
che ti serve conoscermi se tanto hai già deciso di sbarazzarti di me?- replicò
velenoso il bambino.
Ville
lo guardò allibito –Non è che io abbia deciso di sbarazzarmi di te, Eljas, è solo che
penso sia meglio che tu viva da qualche altra parte. Io non sono pronto per fare
il padre, farei solo danni.-
-Nemmeno
io ero pronto a perdere mia madre, eppure ora sono qui e affronto la cosa!-
obiettò Eljas. Ville si sorprese della maturità che dimostrava, per quanto le
sue parole non gli facessero affatto piacere.
-Non
è la stessa cosa.- disse il cantante –Io devo crescerti ed educarti in quanto
genitore, ma se non mi sento maturo io, come faccio ad educare te? Non saprei
nemmeno da dove cominciare, farei soltanto delle grandissime caz…
volate!-
-Non
ti preoccupare, non ho più 1 anno, non devi cambiarmi i pannolini.- disse acido
Eljas.
-Quanti
anni hai?- sospirò sconfitto Ville.
-Undici.-
Undici.
I conti tornavano: erano 11 anni che non vedeva la madre del bambino. Un giorno
era semplicemente sparita senza lasciare traccia, né un numero telefonico né un
biglietto… semplicemente era andata via. Ora Ville poteva intuire perché, anche
se non riusciva a capire come mai non gliel’avesse detto.
-Allora
hai ancora l’età per andare a scuola, e io dovrei essere responsabile per te,
andare a parlare con gli insegnanti… Non sono pronto per tutto questo! Un padre
e una famiglia affidataria riuscirebbero a garantirti una vita tranquilla e
serena e poi avresti anche una nuova mamma!-
-Io
non la voglio un’altra madre! Andava benissimo la mia! Ma un camionista del
cazzo ha pensato bene di guidare ubriaco e di centrare in pieno la sua macchina
un mese fa!!- sbottò il bambino. L’appartamento cadde nel silenzio completo.
Ville ignorò il turpiloquio del bambino, era l’ultimo a poterlo
rimproverare.
-Senti…
per parecchi mesi dovrai restare qui, quindi che ne dici di un armistizio?-
domandò Ville, poi aggiunse –Sai cosa vuol dire?-
-Sono
un bambino, ma non sono un ignorante.- replicò Eljas. Ville poté constatare che
ignorante non lo era, ma arrogante sì. Se non altro la genetica
funzionava.
-Perché
non apri la busta?- domandò il ragazzino alludendo alla grande busta marrone
appoggiata sul tavolo.
-Vuoi
che la apra?-
-Per
curiosità.- disse Eljas facendo spallucce.
Ville
lo accontentò e strappò anche quella busta estraendo vari fogli di carta
stampata o scritta a mano. Prese in mano un fascicolo e cominciò a dargli
un’occhiata: erano tutti i documenti riguardanti il bambino fino ad
allora.
-Eljas
Nikolai Rakohammas, nato il 17 luglio 2000.- lesse Ville –Ti ha dato il mio nome
vero!- esclamò stupito.
-Sì,
infatti nessuno ha mai sospettato che fossi tuo figlio, nemmeno io.- rispose
Eljas.
Ville
lo guardò perplesso –Non ti ha mai detto che eri mio
figlio?-
Eljas
scosse la testa –No. Quando le chiedevo chi fossi e dove fossi finito mi diceva
che non poteva ancora dirmelo, ma che un giorno avrei saputo tutto.- disse –L’ho
scoperto dopo che è morta.-
-Io…
non sapevo che lei fosse rimasta incinta. E’ sparita e non si è più fatta viva.
Pensavo avesse deciso di troncare lì la storia senza troppi addii… ma a quanto
pare c’era qualcosa più sotto.- sospirò Ville.
Dopo
parecchi minuti di silenzio il darkman si alzò e prese il borsone di Eljas.
–Vieni, ti mostro la tua stanza. Per il momento sopporta il casino, quando avrò
tempo, oggi… o domani… metterò in ordine.-
Eljas
seguì mite il padre fino alla stanza in questione: era abbastanza grande, ma
come tutto l’appartamento era ingombrata da cose più o meno riconducibili al
campo semantico della spazzatura. –Mi adatterò.- disse sedendosi su un letto a
piazza singola. Ville lo osservò titubante, poi si congedò e andò in camera
sua.
“Un
figlio, cazzo… Sono padre da 11 anni e nemmeno lo sapevo!” pensò picchiando un
pugno sul materasso. Il movimento fece uscire dalla busta poggiata sul letto
un’altra lettera che riportava sulla busta la scritta Per Ville. Il cantante l’afferrò e la
l’aprì, terrorizzato dal suo contenuto.
Caro Ville,
anzi
no. “Caro” è una parola molto formale e questa lettera vuole essere tutt’altra
cosa.
Ciao,
Ville. Se stai leggendo questa lettera significa che mi è capitato qualcosa e
che io non ci sono più. Mi dispiace di non averti più potuto rivedere, ma la
vita va così. Se stai leggendo questa lettera vuol dire anche che sei venuto a
conoscenza di Eljas. Molto probabilmente ora sarai stupito, scioccato e quasi
sicuramente anche molto arrabbiato con me per averti nascosto la mia gravidanza.
Hai tutti i diritti del mondo, ma io ho avuto le mie
ragioni.
Anche
se ti potrà sembrare stupido (secondo me non lo è affatto) ho preferito sparire
perché non volevo che mio figlio diventasse un fenomeno mass-mediatico, perché
sapevo che sarebbe stato così. Quando ho scoperto di essere incinta ho subito
capito che avrei tenuto il bambino, anche se era un errore; non so perché, ma in
certo senso dev’essere stato il pensiero di aver fatto quell’errore con te. Sei
autorizzato a ridere della mia romanticheria, ma solo questa volta. Tuttavia
tenere il bambino e dirtelo avrebbe voluto dire che tutto il mondo avrebbe
saputo di quel piccolo e che lui non avrebbe mai potuto vivere una vita normale.
Ho solo voluto proteggerlo dai riflettori, ma per farlo ho dovuto nasconderla
anche a te. Perdonami, ma non ho avuto scelta, avresti sicuramente insistito
affinché io restassi con te e Eljas sarebbe diventato “il figlio di Ville Valo”
prima che essere se stesso.
Ora
però è rimasto solo, e quindi trovo giusto che venga a sapere di te, almeno per
conoscerti e sapere chi sei. So che avrai da obiettarmi molte cose, anzi mi
sembra di sentirti: “Ma se sono un bambino io, come posso fare il padre?” e mi
viene da sorridere. Tu in realtà sei un uomo maturo, Ville, hai 35 anni e posso
benissimo vedere che sei maturato tantissimo in questi ultimi 11 anni, da quello
che dici e da come ti poni. So che la tua immaturità è tutta una scena, quindi
non prendere in giro te stesso. Sono sicura che troverai il modo per accettare
questa nuova situazione.
Abbraccia
forte Eljas per me e digli che gli ho sempre voluto
bene.
Un
bacio
Alexandra
Alexandra…
Non sentiva quel nome da 11 anni. L’aveva amata, per quanto poi l’avesse
maledetta per il suo abbandono. In fondo ora capiva, non la giustificava, ma la
capiva. Rimaneva solo da accettare la situazione e vedere cosa sarebbe successo.
Prima di tutto però aveva un dovere da compiere.
Si
diresse in camera di Eljas, che stava riordinando le poche cose che aveva, e lo
abbracciò forte. Dopo un attimo di smarrimento il bambino si lasciò andare,
lasciando che i suoi occhi si bagnassero di lacrime silenziose, mentre le
braccia protettive di Ville gli circondavano le spalle.
eccomi di nuovo, dopo la
fine di Legame di Sangue (1 e 2)! questo è il motivo per cui tardavo con
l'aggiornamento dell'altra... spero che vi piaccia, è tutto un altro genere
tuttavia. come sempre non è una fanfiction per ingiuriare, ma per omaggiare e io non conosco veramente i personaggi... lo dico perché sennò efp mi trucida. XD commentatemi in tanti e ditemi, come sempre, apertamente se vi
disgusta! enjoy me!
Julia (aka musicaddict)
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Capitolo 2 *** capitolo due ***
CAPITOLO
DUE
Ville
osservava Eljas giocare con la figlia di Burton nel parco in cui lui e il
tastierista si erano incontrati. Sembrava allegro mentre stava attento alla
bambina di quattro anni che si divertiva a farsi spingere sull’altalena, ma
Ville sapeva che non lo era.
-E
così quello sarebbe tuo figlio?- gli domandò Burton osservando a sua volta il
bambino –Effettivamente ti assomiglia parecchio.-
-L’unica
cosa che ha preso dalla madre è il carattere, a quanto pare.- commentò il
cantante sbuffando fuori una nuvoletta di fumo grigio che si mischiò a quella
del fiato caldo di Burton che gli sedeva a fianco –Almeno Alexandra riusciva a
trattenersi di solito.-
-Non
essere così ingiusto, in fondo ha perso l’unico membro della sua famiglia di cui
era a conoscenza! Devi dargli tempo.- lo rimproverò il tastierista –Piuttosto,
perché non sapevi di essere padre?-
Ville
assunse un’espressione seccata, ma al ricordo della lettera di Alexandra si
sciolse un po’ –Lei era sparita da un giorno all’altro, quando ha scoperto di
essere incinta ha avuto paura di quello che avrebbe potuto rappresentare il
bambino per i media e ha voluto allontanarlo da quel mondo. Per farlo riteneva
indispensabile nasconderlo anche a me, anche se non lo trovo corretto. Scoprire
di essere padre dopo 11 anni mi sembra abbastanza
sconvolgente.-
-Almeno
ti sei risparmiato la fase pannolini e alzatacce notturne!- esclamò Burton, ma
lo sguardo che ricevette gli fece rapidamente cambiare tono –Secondo me non devi
pensarci. Adesso dovrai vivere con Eljas, farlo crescere… insomma, fare il padre! Se ti fossilizzi sul passato,
sul fatto che hai perso 11 anni di conoscenza con tuo figlio, non riuscirai mai
a fare il genitore.-
Ville
tornò a guardare Eljas, sempre alle prese con la bambina che sembrava averlo
preso piuttosto in simpatia. –Ho chiesto all’assistente sociale di avviare le
procedure per l’affidamento.- disse poi, distogliendo lo sguardo e
concentrandosi su un albero del parco. Burton sgranò gli
occhi.
-Stai
scherzando?!- esclamò –Cazzo, Ville, è tuo figlio! Come fai a darlo in
affidamento dopo 11 anni in cui nemmeno sapevi che esistesse? Io cercherei di
recuperare gli anni persi!-
-Proprio
perché non lo conosco da 11 anni non mi sento pronto a fare il padre!- obiettò
il darkman –E’ più maturo di me! E poi, cazzo, hai visto in che casino abito?!
Come credi che faccia a crescere quel bambino?-
Burton
concentrò i suoi occhi nocciola in quelli verdi e sconvolti di Ville prima di
richiuderli e di scuotere la testa –Sbagli, Ville. Capisco che la situazione sia
decisamente complicata, anche perché sei da solo e col nostro lavoro è difficile
stare dietro a un bambino, ma è tuo figlio, non puoi affidarlo a qualcun altro.
Nemmeno loro lo conoscerebbero e in più non avrebbero neanche dei geni comuni
col bambino, come fai a mandarlo via? Gli è morta la madre, viene catapultato in
casa di suo padre che non ha mai conosciuto, in una città che non conosce e tu
che fai? Lo mandi da gente di cui non sai niente e che lui nemmeno
conosce?!-
Ville
non rispose. Sapeva perfettamente che Burton aveva ragione, ma non vedeva altre
possibilità. Non poteva tenere Eljas con sé, non sarebbe venuto fuori niente di
buono. –Mi odia.- disse il cantante spegnendo definitivamente sia la sigaretta
che il discorso, ma Burton non aveva alcuna intenzione di appoggiare
Ville.
-Non
sono la tua coscienza, Ville, ma pensaci bene prima.- disse il tastierista –E
poi non ti odia! Non ti vorrà un bene dell’anima, ma non può odiarti. Se non
altro non ti consce abbastanza per farlo.-
-Giudica
te!- replicò Ville con un sorriso sarcastico –Già sono in sostituzione di sua
madre, se poi aggiungi che non voglio tenerlo con me…-
-Forse
non sei partito esattamente col piede giusto, ma non credo ti
odi.-
-Non
mi rivolge quasi la parola, e sono suo padre… che non ha mai conosciuto in 11
anni. Avremmo una vita da raccontarci e non ci diciamo che il minimo
indispensabile! Mi detesta, Burton.- insistette Ville.
Il
tastierista lanciò un’altra occhiata al bambino: effettivamente per Ville ed
Eljas la situazione era particolare, non era naturale come per lui e la sua bambina.
Eljas doveva essere un ragazzino sveglio, comunque, decisamente più maturo dei
suoi coetanei. Lo si capiva da come si comportava, da come parlava e anche per
il fatto che aveva reagito in maniera più che diplomatica alla morte della
madre. –Sono del parere che se non fai nulla per migliorare la situazione,
allora significa che non te ne frega niente.- disse –E questa è una cosa a cui
non voglio nemmeno pensare: cazzone sì, ma non mi sembra che tu sia anche
insensibile.-
Ville
si accese un’altra sigaretta –Non vorrei dare Eljas in affidamento, Burton, ma è
l’unico modo per dargli la possibilità di vivere serenamente. Col lavoro che
facciamo dovrei lasciarlo da solo per mesi interi, se non per più di un anno!
Che padre potrei essere, me lo spieghi? Tu hai tua moglie, io non ho
nessuno.-
Burton
accusò il colpo, da quel punto di vista Ville aveva ragione, ma non era
abbastanza per giustificare la sua scelta –Ha anche dei nonni e uno zio, o
sbaglio? Ai tuoi l’hai detto?-
Ville
scosse il capo –Solo a Jesse: mia madre farebbe un colpo e mio padre
comincerebbe a tempestarmi di domande a cui non saprei né vorrei
rispondere.-
-E
Jesse che dice?-
-Lui
vorrebbe conoscere Eljas, ma non so… Sarebbe come farlo entrare nella famiglia
per poi allontanarlo.-
-Io
credo che tu debba pensarci ancora un po’ su, Ville. Cerca di trovare
un’alternativa in questi mesi in cui comunque dovrai convivere con tuo figlio.- cercò ancora di dissuaderlo
Burton.
-Ci
penserò, promesso.- disse il darkman mettendo a tacere la conversazione visto
che i due bambini li stavano raggiungendo, la piccola con in mano una manciata
di foglie secche.
-Guadda,
papà! Ho fatto una scultua tutta pe’ te!- gioì porgendo verso il padre la
manciata di foglie secche e fango che rappresentava la sua piccola opera d’arte
–Mi ha aiutata Eljas!-
Eljas
sorrise mostrando una dentatura ancora in parte da latte, un sorriso che ricordò
terribilmente a Ville quello solare di Alexandra. Guardare quel bambino gli
faceva male, riportandogli alla mente dei ricordi dolorosi, anche per questo non
era un bene che rimanesse con lui.
Egoista…
-E’
bellissima, tesoro, grazie! Ma… cos’è?- disse Burton afferrando la scultura e
osservandola interessato.
-E’
un cevvo!- trillò orgogliosa la bambina.
-Ah,
giusto… adesso capisco! Queste sono le corna, giusto?- continuò ad assecondarla
il tastierista. Ville lo ammirò, a lui non sarebbe mai riuscito di tirare il
gioco troppo a lungo: quello per lui non era altro che un ammasso di foglie e
fango, per quanta fantasia utilizzasse non vedeva corna da nessuna
parte.
-E
quella è la coda.- disse Eljas appoggiando la bambina che rideva
felice.
-Papà,
pecché Eljas sembra un piccolo zio Ville?- domandò la piccola strattonando il
padre per una manica. Burton si trovò un po’ spiazzato a guardare
Ville.
Ville
da parte sua stava scambiando una partita di sguardi con Eljas, due occhi dello
stesso verde intenso che si chiedevano il perché dell’esistenza l’uno
dell’altro. Quanto gli somigliava… Aveva ragione la figlia di Burton: era lui in
miniatura, era identico a come era lui alla sua età. La cosa lo impressionava
talmente tanto da impedirgli di reggere troppo a lungo la sua immagine. Non era
ribrezzo, anzi era fiero del fatto che suo figlio gli somigliasse così tanto, ma
non riusciva ancora a farsene una ragione. Era padre.
-Papà!
Pecché?- insistette la piccola.
-Per
lo stesso motivo per cui tu sembri la versione più piccola della mamma.- le
rispose finalmente Burton posando la scultura e prendendola in braccio –Eljas è
il figlio di zio Ville.-
-E
pecché non l’ho mai vitto?-
Ville
spostò una ciocca di capelli castani dal nasino della bimba e le fece un sorriso
–Perché è arrivato da poco nella vita dello zio.- le rispose facendole inclinare
leggermente la testolina.
-Non
capisco.- pigolò.
-E’
difficile da spiegare, ma prima o poi capirai anche tu.- disse. Devo ancora capire io stesso cosa sta
succedendo.
Eljas
non aveva ancora staccato gli occhi dal padre. Aveva un padre per la prima volta
e non sapeva ancora cosa ne pensava. Aveva cercato di immaginarselo più di una
volta, immaginandosi come potesse essere, dove potesse essere e cos’avrebbe
pensato di lui. La cosa che si era sempre chiesto era soprattutto cos’avrebbe
fatto se l’avesse mai incontrato… non avrebbe mai pensato che l’avrebbe mandato
a cercarsi un’altra famiglia. Lo odiava… Eljas ne era sicuro: odiava Ville con
tutto il suo cuore. O almeno non era per nulla felice del fatto che fosse lui
suo padre. In più il fatto di assomigliargli così tanto non gli piaceva affatto:
aveva sempre pensato di essere uguale a sua madre in molte cose, era una cosa di
cui andava fiero, e adesso si sentiva come se sua madre fosse stata spodestata.
Non sentiva più la frase Alexandra,
sembra la tua versione al maschile! Adesso la frase di routine, dopo qualche
giorno, era diventata Ville, cazzo, siete
identici! Aveva già conosciuto i vicini di casa di suo padre, oltre a
Burton, e tutti erano rimasti ad occhi spalancati nel vedere la somiglianza
incredibile tra i due. Ma Eljas non voleva assomigliare a Ville Valo, non voleva
essere suo figlio. Lo odiava.
-Zio,
ma mia farai ancoa giocare con Eljas?- domandò la bambina tirando Ville per una
manica e guardando verso il ragazzino che le sorrise mite.
-Se
Eljas vorrà certo, tutte le volte che vorrai.- rispose il darkman passando una
mano sui capelli castani e lisci della piccola.
Certo,
così puoi mandarmi fuori casa per un po’! Non preoccuparti, non chiedo di
meglio.
Pensò Eljas infilandosi le mani in tasca e tracciando piccoli semicerchi con la
punta della sua scarpa da ginnastica.
Ville
gli lanciò un’altra occhiata prima di accorgersi dell’ora –Devo andare.- disse
prima di correggersi –Dobbiamo
andare. E’ ora di cena e sarà il caso che mi metta a riordinare quello schifo di
casa.-
Burton
alzò un sopracciglio –Un momento! Ville Valo che cucina e riassetta casa? Questa
mi giunge nuova!- sghignazzò issandosi sua figlia dietro il collo e alzandosi a
sua volta.
Ville
sbuffò alzando gli occhi al cielo –Per stasera pizza, ma credo che dovrai
insegnarmi a cucinare, Burton. Chi meglio di un cuoco per recuperare uno negato
ai fornelli come me?- disse.
Il
tastierista sembrò pensarci un attimo su, poi si rivolse ad Eljas –Porta
pazienza, Eljas, per il momento. Insegnerò a tuo padre a cucinarti qualcosa di
diverso dalla pizza e soprattutto dal Thai food.-
Il
ragazzino sorrise. Se non altro gli amici di suo padre gli
piacevano.
-Ehi,
il Thai food è buonissimo!- protestò il cantante sorridendo, ma il suo sorriso
si congelò quando incontrò i suoi stessi occhi verdi lanciargli un’occhiata
scettica –Ok, devo comunque imparare a cucinare qualcosa…-
-Bè,
adesso io devo andare a casa, ma appena vuoi cominciare le lezioni dimmelo che arrivo. Sperando di
non inciampare in nessuno corpo non identificato sparso per casa tua, il che
sarebbe la prima volta.- disse Burton mentre sua figlia giocava coi suoi capelli
lunghi.
Ville
annuì avvicinandosi per salutare la piccola. Come invidiava il rapporto che
Burton aveva con lei.
-E,
Ville, pensa a quello che ti ho detto.-
Il
cantante guardò l’amico negli occhi e rimase un attimo interdetto prima di
annuire. Ci avrebbe pensato, ma già sapeva che non sarebbero arrivate nuove
soluzioni. Eljas non poteva rimanere con lui, basta. Non poteva essere
altrimenti. E allora perché ogni volta che lo guardava si sentiva terribilmente
in colpa?
Non
pensarci, Ville, è il meglio per lui.
E’
il meglio per lui…
ecchime! sono molto felice
che la mia nuova fanfiction stia interessando almeno a qualcuno! ^^ però devo
farvi presente che non posso prendermi il merito per l'originalità: Ginny002 e
Kuji13 hanno reso Ville padre molto prima di me, e in "No Time To Cry" la
situazione iniziale non è poi così diversa, anche se quella fanfiction e
"Ghiaccio Secco" sono nate insieme. era una precisazione che mi sentivo di fare.
ringrazio veramente per le recensioni che mi avete lasciato! ^^ ora torno ad
ascoltarmi "Just for Tonight" di Manna (moglie di Linde) che canta con Valo.
intanto voi, keep on enjoying me!
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Capitolo 3 *** capitolo tre ***
r
CAPITOLO
TRE
-Domani
cominci la scuola.-
Quelle
parole arrivarono a Eljas come una cannonata. Era la definizione di quella che
per lui era stata soltanto una situazione transitoria, un momento che prima o
poi sarebbe finito. Andare a scuola non era qualcosa che aveva contemplato
durante la sua permanenza da Ville. Poco male, sarebbe stata una scusa per stare
lontano da lui il più possibile.
-Ti
ho iscritto alla scuola pubblica qui vicino, ci va anche Olivia, la figlia di
Linde. Sono elementari e medie insieme. Così quando non posso portati io ti
porta Linde.- continuò Ville fumando la sua sigaretta mentre chiudeva uno
scatolone in cui aveva infilato un po’ di cianfrusaglie –Spero ti
piacerà.-
-Una
scuola vale l’altra. Tanto non credo stringerò molte amicizie: l’altra famiglia
potrebbe abitare fuori da qui, non ne vale la pena.- commentò Eljas raccogliendo
due bottiglie vuote di birra e gettandole nel sacco di plastica nero. Suo padre
gli lanciò un’occhiata di sottecchi, lui se ne accorse, ma non voleva fargli
vedere che l’aveva detto apposta.
-Io
spero che la Tahvonainen trovi una famiglia di Helsinki, mi dispiacerebbe non
poterti vedere.- confessò il cantante alzandosi per impilare lo scatolone sugli
altri in fondo alla stanza.
Eljas
lo guardò scettico –Cosa ti cambierebbe vedermi o no? In fondo non lo fai per
questo, per non avermi tra i piedi?- domandò continuando la sua opera di
pulizia.
-Davvero
credi che sia questo?- chiese Ville. La sua voce tradiva una profonda delusione,
una delusione nei confronti di se stesso. Non voleva trasmettere a Eljas questo,
non era vero che non lo voleva tra i piedi. Si abbandonò sul divano concentrando
il suo sguardo sulla figura slanciata del ragazzino, come se lo vedesse
veramente per la prima volta. –Davvero credi che io non ti voglia tra i
piedi?-
Eljas
smise di raccogliere la spazzatura e lasciò che il sacco nero si afflosciasse a
terra –Senti, Ville, è inutile che tiri fuori ora la scusa del “o quanto mi
dispiace!” Non credo che porterebbe a qualcosa di diverso.- disse guardando il
padre con due occhi truci.
Ville
abbassò sconfitto la testa giocherellando con un filo del divano. Coglione si disse Sei un vero coglione! Sei riuscito anche a
farti odiare da tuo figlio. Ma che bravo! Alexandra aveva riposto in te la sua
fiducia e tu che hai fatto? Hai mandato tutto a puttane, come tuo solito! E
quello che è peggio è che vedere Linde e Burton fa sembrare tutto così
semplice!
-Mi
dispiace, Eljas, mi dispiace per tutto quanto… veramente. Vorrei farti capire
perché lo sto facendo, ma probabilmente è impossibile. Io non sono pronto a fare
il padre, anzi, non ne sono proprio capace e il fatto di non averti conosciuto
per 11 anni non facilita le cose.-
Non
hai nemmeno provato a recuperare un minimo di questi 11 anni!
ringhiò silenziosamente Eljas nella sua testa ricominciando a raccattare
l’immondizia. –Lascia stare, Ville, finiamo di fare qui che così posso andarmene
a letto.- disse a denti stretti.
Il
darkman si rialzò per andare a riempire un altro sacco dell’immondizia –Se vuoi
puoi andare, finisco io.- disse evitando come sempre di incrociare gli occhi del
bambino.
Eljas
non se lo face ripetere due volte, ansioso di rimanere da solo al buio della sua
stanza. Se ne andò senza nemmeno augurare a Ville la buonanotte, lasciando il
suo sacco nero afflosciato sul pavimento. Ville rimase a guardare l’ingresso del
corridoio che portava alle stanze con un’espressione
vacua.
-Ciao,
mi chiamo Ville!-
Alexandra
sollevò lo sguardo dal libro che stava esaminando, incontrando gli occhi verdi
del cantante che la osservavano allegri. Nonostante lo conoscesse benissimo, non
reagì in nessun modo particolare, si limitò ad agitare il libro riportante il
titolo Synnin
Viemaa –Ho
presente.-
Ville
le sorrise un po’ preso contropiede –E’ da un po’ di tempo che ti trovo qui in
giro, in biblioteca. A giudicare dal tipo di libri che prendi ho pensato che mi
sarebbe veramente piaciuto conoscerti.- disse appoggiandosi allo
scaffale.
-Bene,
significa che ho dei gusti interessanti in fatto di libri, e che tu mi hai
spiata fino a questo momento.- rispose Alexandra riponendo il
libro.
-Sei
sempre così laconica?- domandò Ville senza abbandonare il
sorriso.
-No,
di solito solo con quelli che ci provano con scuse così banali.- rispose la
ragazza prendendo in mano un libro sulla biografia dei Led Zeppelin. Ville la
guardò basito, la bocca aperta in un’espressione da pesce lesso. –Hai visto
questo? Ora hai un altro libro da aggiungere alla tua lista di osservazione.-
disse Alexandra mettendogli il libro di fronte agli
occhi.
-Ok,
credo di aver sbagliato metodo.- commentò Ville –Seconda possibilità? Almeno
dimmi il tuo nome!-
Alexandra
lo guardò un po’ titubante. Non che la lasciasse indifferente il fatto che Ville
Valo ci stesse provando con lei, solo non voleva fare la figura di quella che
non aspetta altro nella vita, e poi il suo approccio era stato davvero banale.
Tuttavia decise di dare al cantante un’altra possibilità –Mi chiamo
Alexandra.-
Valo
recuperò il suo sorriso, incoraggiato –Ho fatto una figura tanto pessima,
Alexandra?- domandò guardandola negli occhi azzurri.
-Abbastanza…-
rispose la ragazza –Ma puoi ancora recuperare!-
Alexandra…
si ricordava benissimo di lei. Si ricordava i suoi capelli castani lunghi fino
alle spalle, lisci e con un taglio moderno, gli occhi azzurri che potevano
trucidare o abbracciare con uno sguardo, la sua freddezza iniziale che poteva
trasformarsi presto in caldo affetto se si riuscivano a trovare le parole
giuste. Ville sorrise nostalgico: l’aveva amata veramente, ed erano durati anche
un bel po’. Stranamente era riuscito a tenerla lontana dai riflettori che odiava
tanto. Se Eljas aveva ripreso interamente il suo fisico, non c’erano dubbi che
avesse ripreso completamente il carattere materno.
Bè,
e te ne stupisci? Non ha vissuto che con lei per 11 anni! Te non ti conosceva
nemmeno! Si
rimproverò Ville continuando a raccattare l’immondizia.
Ormai
la casa era quasi completamente in ordine, bisognava vedere se sarebbe riuscito
a mantenerlo. Certo Eljas non sembrava essere molto disponibile, ma Ville sapeva
che non avrebbe mai cambiato atteggiamento se lui stesso non avesse cercato di
farsi accettare dal bambino.
Abbandonò
il sacco e si accese una sigaretta in terrazzo, mentre osservava le luci di
Helsinki. Lui era nato e cresciuto lì, viveva ancora lì e non sarebbe mai
riuscito a vivere altrove; solo in quel momento capì cosa doveva aver provato Eljas a essere
sradicato da tutto il mondo che conosceva per venire lanciato in uno nuovo e
sconosciuto. E da solo.
Finita
la sigaretta rientrò in casa e andò in camera del bambino. Non dormiva affatto,
Ville poteva capirlo dal respiro ancora veloce e dal letto ancora troppo in
ordine. Si avvicinò al letto e si accucciò accanto alla testiera, sedendosi a
terra a gambe incrociate.
-Eljas,
tanto lo so che non stai dormendo.- sussurrò. Eljas aprì gli occhi che aveva
fino ad allora tenuti chiusi per fingere di dormire. –Guarda che puoi dirmi
tranquillamente che non vuoi stare qui, non ti obbligo.-
-L’avevo
capito, visto che hai detto alla Tahvonainen che mi trovi un'altra famiglia.-
sbottò acido il ragazzino voltandosi su un fianco e dando le spalle al cantante.
Ville capì di aver sbagliato approccio esattamente come era capitato con sua
madre.
-Cerca
di farmi capire che è meglio se rimani con me, allora!- obiettò il cantante –Se
hai dei problemi puoi parlarne con me: conoscevo tua madre e l’ho amata molto,
so come devi sentirti… almeno in parte.-
Eljas
rimase sdraiato sul fianco, ma non replicò nulla di cattivo. Capiva che Ville
voleva solo aiutarlo, ma era ancora troppo arrabbiato col mondo per potersi
aprire con qualcuno, con un estraneo. Sì, perché se Ville era suo padre
biologicamente parlando, non lo era mai stato praticamente fino ad allora. Era
un estraneo a tutti gli effetti, solo che condivideva metà del suo
DNA.
Ville
attese ancora qualche minuto che Eljas gli rispondesse, ma quando vide che era
una causa persa si rialzò e gli diede la buonanotte. Nemmeno a quel saluto
rispose, forse si era addormentato veramente, o forse lo faceva solo per evitare
di piangere ancora. Ville si sentì un idiota: con una frase istintiva aveva
mandato all’aria il rapporto con suo figlio, forse in maniera irreparabile. Se
non altro sarebbe stato molto difficile far capire a Eljas che non pensava
veramente molte cose che aveva detto. Non voleva sbarazzarsi di lui, non voleva
nemmeno affidarlo a qualcun altro, ma era necessario. Non poteva non andare
così, era diritto del bambino crescere in una famiglia che lo allevasse
serenamente. Lui non sarebbe riuscito a stargli molto dietro tra tour in giro
per il mondo o feste varie a cui veniva invitato…
-Dovresti prendere in considerazione l’idea
di ridurre le serate, le birre e gli impegni…- gli suggerì Linde quando lo
chiamò a casa. Non era ancora troppo tardi per lui.
-E
come faccio, Linde? Sono il frontman della band, è un po’ difficile cambiare
tutto così all’improvviso! Ci sta di mezzo il nostro lavoro.- Protestò il
cantante continuando a fumare fuori dalla finestra.
-Ville, io ho Manna che può stare dietro a
Olivia, ma tu sei da solo. Se vuoi essere un padre per Eljas devi cominciare a
capire che la band non è tutto.- obiettò Linde.
Era
l’ennesima volta che Linde e Burton gli ripetevano la stessa cosa: loro avevano
le loro mogli, lui era da solo. Da
solo. –Non intendevo questo, Linde… per me Eljas è decisamente più
importante della band, ma capisci anche che è il nostro lavoro e che comporta
degli obblighi… per quanto particolari.- disse spegnendo la cicca sotto la suola
della scarpa –E comunque non credo che lui voglia essere mio
figlio.-
-Di sicuro non ti adora, Ville, dopo la tua
brillante uscita con l’assistente sociale!- lo riprese Linde –Io ti ho già detto come la penso: chiamala e
disdici tutto. Lavoro risparmiato a lei e vantaggio per Eljas. E anche per te,
se devo dirla tutta. Avere un figlio ti cambia la
vita.-
Ville
sbuffò –Me n’ero accorto, Linde.- disse –Ma, come vi ho già detto, ho dei motivi
che mi impediscono di agire diversamente.-
-Allora non lamentarti se poi tuo figlio ti
detesta.-
Quella
risposta così fredda, così secca, così inaspettata giunse alle orecchie del
darkman come un fucilata. Non poteva credere che Linde, uno dei suoi migliori
amici, gli stesse parlando così. –Come hai detto?-
boccheggiò.
-Hai capito benissimo, Ville: se credi che
l’unica soluzione sia quella, allora non lamentarti se tuo figlio ti detesta! E’
il minimo, non ti pare? Mettiti un attimo nei suoi panni! Burton ha ragione:
stai pensando più a te che ad Eljas, come sempre…- ripeté
Linde.
-Stai
dicendo sul serio, Linde? Credi veramente che sarei così egoista da mettere me
davanti a mio figlio e a quello che è meglio per lui?!- sbottò Ville –Perché se
è così che la pensi, bè, allora ti sbagli di grosso!-
-Allora dimostrami che ho torto, Ville.-
replicò il chitarrista –Io devo andare
ora. Manna mi chiama.- e detto questo riagganciò.
Ville
rimase a osservare a bocca aperta e contrariato la cornetta del cordless. Linde
aveva davvero detto tutte quelle cose? O era lui che se le era immaginate? In
entrambi i casi ciò significava che qualcuno, forse lui stesso, aveva quelle
idee e bisognava fare qualcosa per confutarle. Tuttavia non poteva dire
all’assistente sociale di mandare all’aria tutto… non poteva. Lanciò un ultimo
sguardo alla stanza buia di Eljas prima di proseguire verso la sua e lasciarsi
cadere a pancia in su sul suo letto.
Non
c’erano dubbi: doveva fare qualcosa.
allora, veniamo a noi... so che all'inizio odierete i miei due
personaggi, l'ho fatto anche io e l'hanno fatti coloro che hanno avuto
l'anteprima (e che non dovranno rivelare NIENTE in caso vogliano commentare).
qui mi devo giustificare, perché ho scritto mettendomi ogni volta dal punto di
vista di Eljas o di Ville e, francamente, credo che io avrei reagito così se
fossi stata uno di loro. so che l'affare dell'affidamento starà antipatico, ma
purtroppo, come ha giustamente detto Anonymous, potrebbe risultare naturale nel
caso Ville-Eljas. non dico altro, però, altrimenti anticipo troppo! ^^" keep on
enjoying me!
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Capitolo 4 *** capitolo quattro ***
CAPITOLO
QUATTRO
Eljas
entrò nella sua nuova classe cercando di essere il più invisibile possibile. Se
non altro una cosa positiva era che i capelli mossi derivatigli dal padre lo
aiutavano a nascondersi meglio creando una barriera col mondo. Quella mattina
Ville l’aveva accompagnato a scuola personalmente, cercando di intrattenere un
discorso più o meno valido durante il tragitto, anche se lui non ne aveva
seguito gran che, limitandosi a rispondere ogni tanto mentre osservava le strade
di Helsinki sfrecciargli sotto gli occhi. Alla fine aveva anche cercato di
accompagnarlo dentro, ma Eljas si era rifiutato categoricamente: ci mancava
soltanto che scoprissero chi era suo padre già dal primo giorno di
scuola.
L’aula
era abbastanza grande, conteneva circa una ventina di banchi separati l’uno
dall’altro e una grande cattedra vicina alla parete bucherellata da alte
finestre. Due cartelloni, sull’Inghilterra e sulla Finlandia, facevano bella
mostra su una parete vicino a delle cartine geografiche abbastanza recenti.
Senza pensarci due volte si impossessò del banco più in fondo e attaccato al
muro: meno gente aveva attorno a sé, meglio era. Dietro di lui erano entrati una manciata
di ragazzini chiassosi intenti a raccontarsi il weekend appena trascorso. Lui si
mise tranquillamente a disegnare mentre aspettava l’inizio della
lezione.
Gli
era sempre piaciuto tanto disegnare, lo aiutava a rilassarsi, a distrarsi, a
svuotare la mente impegnando tutta la sua concentrazione sulla mina che si
sbriciolava sul foglio bianco. Col tempo era diventato molto bravo, e molto
spesso i suoi disegni erano oggetto di ammirazioni e complimenti da parte di
tutti. La sua mente era talmente presa dalla sua attività, che quando la
professoressa richiamò la sua attenzione lui non si rese nemmeno conto di quello
che gli era stato detto. Sollevò lo sguardo dal foglio e lo fissò sull’insegnate
che gli sorrideva incoraggiante, tutti i 38 occhi dei suoi compagni di classe
puntati su di lui.
-Eljas,
che ne diresti di venirti a presentare alla tua classe?- domandò la
donna.
Eljas
non aveva la minima intenzione di parlare di se stesso davanti a tutta la
classe, non gli piaceva per niente fare l’elenco di quello che gli piaceva, di
quello che odiava, dire com’era… Se qualcuno voleva conoscerlo non doveva certo
essere lui a farsi avanti per primo.
-Avanti,
non essere timido!- lo incitò l’insegnante facendogli segno di raggiungerla alla
cattedra.
Lui
non era affatto timido, semplicemente non voleva, ma sapeva che avrebbe dovuto
piegarsi alla volontà della professoressa. Abbandonò la matita sul foglio e si
alzò dal suo banco percorrendo lo stretto corridoio il più lentamente possibile.
Quando arrivò trasse un profondo respiro e cominciò a raccontare, tralasciando
accuratamente gli aspetti tragici della sua vita, che era sicuro si sarebbero
conosciuti a breve.
Cinque
ore dopo saliva in macchina con Linde e Olivia.
-Ciao,
ragazzi, com’è andata oggi?- domandò Linde stampando un bacio tra i capelli
biondi della sua bambina di 8 anni.
-Bene!
La maestra ha detto che il mio tema era il migliore di tutti!- gioì la
bambina.
-E a
te, Eljas? Oggi era il primo giorno di scuola per te, com’è
andata?-
Il
ragazzino si accomodò meglio sul sedile posteriore –Uno schifo: la professoressa
di Finlandese mi ha chiamato fuori per presentarmi alla classe. Mi guardavano
tutti come se fossi verde e avessi le antenne! Mi sentivo un animale allo zoo.-
disse passandosi una mano tra i capelli.
Linde
sorrise a quel gesto, Ville lo faceva sempre quando era nervoso –Immagino… Non
dev’essere facile questo nuovo inizio, soprattutto se non sei abituato a vivere
in una grande città, ma se hai bisogno di sfogarti non farti problemi a parlare
con qualcuno di noi.- disse mentre Olivia seguiva interessata il discorso
–Capisco che Ville non sia la persona più adatta con cui parlare, a
volte.-
Eljas
spostò gli occhi verdi sullo specchietto retrovisore per incrociare lo sguardo
di Linde. Un lieve sorriso gli incurvò appena le labbra –Grazie.- mormorò
tornando a guardare fuori. Gli piaceva Linde, come gli piacevano tutti gli amici
di Ville che aveva conosciuto, soprattutto Migé, ma stava cercando di legarsi il
meno possibile al mondo del cantante: era stato troppo difficile separarsi dal
mondo che aveva conosciuto fino a quel momento, era meglio prepararsi già alla
separazione da quello che stava vivendo ora.
-In
che classe sei?- domandò Olivia girandosi a guardare Eljas coi suoi curiosi
occhi nocciola.
-In
1^F2- rispose il ragazzino.
-Allora
non siamo tanto distanti. Se vuoi puoi fare ricreazione con me e i miei amici!-
disse lei.
-Olivia,
tu ed Eljas avete tre anni di differenza, sarebbe meglio che stesse con quelli
della sua età.- la riprese il padre. Eljas gliene fu grato. Non aveva cuore di
dire alla bambina che voleva starsene da solo non appena poteva. –Domani devi
rimanere a scuola, Eljas, hai lezione il pomeriggio. Ville mi ha detto di
dirtelo, comunque viene a prenderti lui domani, io vi porto
su.-
-Oh,
Ville si spreca…- commentò acido il ragazzino afflosciandosi ancora di più nel
suo sedile.
Linde
alzò il viso per poter guardare Eljas dallo specchietto retrovisore –Sei un po’
duro con tuo padre. Capisco che non sia il migliore al mondo, ma ti vuole bene…
anche se lo dimostra a modo suo.- disse poi tornando a guardare la
strada.
-Perché
lo dimostra, secondo te?- sbuffò Eljas.
-Devi
dargli tempo. Non è facile per nessuno dei due. Non sto giustificando il suo
atteggiamento, tantomeno le sue decisioni, ma lo conosco da moltissimi anni e so
che quello che fa non è sempre espressione di quello che prova, anzi…- replicò
Linde.
Olivia
aveva continuato a seguire attentamente la conversazione tra i due, ma
evidentemente le mancavano delle conoscenze di base, visto che non comprendeva
molti passaggi. Non capiva soprattutto come Eljas potesse essere così cattivo
nei confronti di Ville: con lei lui era così affettuoso! E lo era sempre stato.
Non ebbe il tempo di iniziare a parlare col ragazzino che suo padre aveva
parcheggiato davanti al condominio di Ville.
-Domani
passo per le 7h30. Non avere questo atteggiamento troppo scontroso, Eljas, devi
dare a Ville la possibilità di creare un rapporto con te.- disse
Linde.
Eljas
annuì e salutò il chitarrista che si allontanò. La verità era che lui non aveva
la benché minima intenzione di legarsi a Ville. Non voleva legami di alcun
genere, non voleva star male un’altra volta, non proprio allora che cominciava a
riprendersi dalla perdita di sua madre. E poi Ville non sembrava voler stringere
un particolare rapporto con lui.
Il
darkman era uscito per un’intervista, quando tornò, Eljas era già immerso nel
suo mondo perfetto fatto di disegni. Aveva l’i-pod sparato a palla nelle
orecchie, così forte che Ville standogli vicino poteva tranquillamente seguire
anche il basso. Il bambino non si accorse di lui, ma continuò imperterrito a
sfumare le ombre del cavallo che stava disegnando. Ville lo guardò interessato:
anche a lui piaceva moltissimo disegnare, non per niente aveva fatto
l’artistico, e aveva sempre qualche tela o foglio disseminati da qualche parte
pronti all’uso. Fu molto orgoglioso nel notare che Eljas aveva ripreso almeno un
po’ del suo talento.
-Sei
molto bravo.- gli disse a un certo punto. Eljas fece un mezzo sobbalzo sulla
sedia a causa della sorpresa. Lanciò a Ville uno sguardo un po’ incerto mettendo
l’i-pod in pausa e togliendosi un auricolare.
-Grazie.-
mormorò continuando il disegno distrattamente.
-Com’è
andata oggi?- domandò il cantante appoggiando la schiena al tavolo della cucina
per poter guardare meglio in viso il ragazzino.
Eljas
alzò le spalle –Male. Non mi piace quando mi fanno presentare agli altri.-
rispose.
Ville
sbuffò –Già, sarebbe stato troppo bello se l’avessero evitato. A quanto pare ci
tengono a sapere chi sei.-
-Se
si limitassero a fare lezione lo preferirei. Ho dovuto ripetere le stesse cose
con quattro professori diversi, e domani ne ho altri due
nuovi.-
-Resisti,
alla fine della settimana nessuno ti chiederà più nulla.- gli sorrise
incoraggiante Ville.
-Alla
fine mi hanno chiesto che lavoro faceva mio padre.- disse Eljas. Ville lo guardò
un po’ allarmato. Si era presentato col nome Hermanni Rakohammas al telefono per
non destare troppi sospetti, a Eljas mancavano solo gli assalti dei paparazzi.
–Ho detto che hai un negozio in centro. In fondo tu mi hai detto che tuo padre
ne ha uno.-
Ville
si mise a ridacchiare tossicchiando un po’. Decisamente quella era una risposta
che non si sarebbe aspettata. –Ehm, non credo che sia opportuno che i tuoi
insegnanti sappiano che tipo di negozio è… cioè… Io non ci vedo niente di male
ad avere un porno-shop, ma non tutte le persone lo vedono di buon occhio.-
disse.
La
testa di Eljas scattò immediatamente verso Ville, i boccoli scuri che
ondeggiavano vicino agli occhi sottolineandone l’espressione sorpresa –Il tuo
negozio sarebbe un porno-shop?!-
Ville
non riuscì a trattenere una risata all’espressione scioccata del figlio –Già.
Mio padre lo ha aperto quando avevo 14 anni. Diciamo che più avanti ti tornerà
utile…- rispose.
Eljas
continuò a guardarlo sconvolto –Allora credo che questo non dovrà mai venirlo a
sapere nessuno, altrimenti non me li stacco più di dosso.- commentò prima di
tornare a disegnare.
-Credo
che quando dovrò andare a parlare coi tuoi insegnanti mi salterà la copertura,
ma penso non si possa fare altrimenti.- sospirò Ville alzandosi per mettere su
del caffè.
Eljas
riaccese l’i-pod e stava per rimettersi l’auricolare quando Ville lo interrupe
nuovamente.
-Cosa
ascolti?-
-Il
CD preferito di mamma.- rispose tristemente il ragazzo –Lo metteva sempre su
quando tornava a casa dal lavoro. E’ l’unico CD con cui riesco a rilassarmi
quando disegno.-
Ville
sorrise comprensivo afferrando l’auricolare libero e portandoselo all’orecchio.
Riconobbe la canzone in play dalla prima nota: Comfortably numb dei Pink Floyd, il
gruppo preferito di Alexandra. Una stretta intensa allo stomaco gli fece quasi
salire le lacrime agli occhi. Si liberò dell’auricolare e cercò di riprendersi
prima che Eljas potesse accorgersi di quel momento di
debolezza.
-Se
vuoi puoi usare lo stereo. Mi fa piacere sentire un po’ di musica e i Pink Floyd
mi piacciono.- disse.
-Davvero
non ti dispiace?- domandò grato Eljas. Ville scosse il capo e il ragazzino andò
a collegare l’i-pod allo stereo. Immediatamente le note del basso colpirono le
orecchie di Ville.
-Se
mai dovessi portarmi a un concerto, voglio i Pink Floyd!- sorrise Alexandra
strofinando la guancia alla spalla di Ville alla quale era
arpionata.
Ville
rise –Lo dici come se non volessi vedere altri concerti con
me!-
-Non
è questo… E’ che vorrei che la nostra canzone fosse una dei Pink Floyd. Non
sopporterei di ritrovarmi una canzone dei Take That solo perché quella volta
abbiamo sbagliato concerto.- protestò lei.
Ville
rise nuovamente e le posò un bacio sulla fronte –Non correremo il rischio dei
Take That, al massimo ci ritroveremo come canzone The
Number Of The Beast degli Iron Maiden,
che non è il massimo del romanticismo, ma non scende al livello dei Take
That!-
Alexandra
gli lanciò uno sguardo divertito –Non è vero che non è romantica! Pensa al
video: la donna mostro e il ballerino non sono
romantici?-
Ville
la baciò teneramente, felice di aver trovato una donna con un senso
dell’umorismo così spiccato e un po’ macabro. –Che canzone
vorresti?-
-Comfortably
Numb. Così ogni volta che sentirò il
basso mi verrai in mente tu.-
Non
era sicuro di riuscire a sopportare quella situazione. Per la prima volta si
rendeva conto che lei non sarebbe mai più tornata. Mai più. E questo andava ben
oltre la sua rassegnazione vecchia ormai di 11 anni. Per la prima volta provò
qualcosa di vicino ai sentimenti di Eljas. Quanto vorrei non dover agire così, Eljas,
ma non so come fare. Se solo tu mi aiutassi a capire…
vi dico subito che non
posterò per un po' perché parto in vacanza! ^^ non ditemi che qui villino è
stato stronzo, in fondo a me fa tanta tenerezza! keep on enjoying
me!
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Capitolo 5 *** capitolo cinque ***
CAPITOLO
CINQUE
Ville
guardava fuori dal finestrino in attesa che Eljas montasse in macchina, una
folla enorme di bambini usciva a getto dalla porta della scuola urlando e
chiacchierando con voci acute e più o meno allegre. Eljas non si fece attendere
molto, fece capolino sulla porta con tranquillità, sbirciando da sotto la
frangia ricciuta le macchine parcheggiate in attesa e riconoscendo quella di
Ville. Sempre con calma lo raggiunse e salì dentro cacciando il suo zaino tra i
piedi con poca cura.
-Sopravvissuto?-
domandò Ville cercando di non dare a vedere che era preoccupato: aveva visto il
ragazzino uscire da solo da scuola e questo lo rendeva triste. Non voleva che
Eljas rinunciasse ad avere degli amici a causa sua.
Il
bambino fece spallucce –Almeno non mi fanno più domande.-
rispose.
-Te
l’avevo detto che sarebbe durato poco.- disse il darkman. –Oggi ho una sorpresa
per te…- aggiunse poi, mettendo in moto la vettura e guardando
Eljas.
-Una
sorpresa?- domandò questi incuriosito ricambiando lo sguardo con gli stessi
occhi penetranti di un verde acceso.
Ville
annuì con un sorriso sghembo sulle labbra –Almeno spero che sia qualcosa che ti
farà piacere.- disse –Io oggi ho un impegno di lavoro e non riesco a essere a
casa per cena, così ho pensato che, invece di lasciarti da solo tutto il
pomeriggio, potevo portarti dai miei.-
Gli
occhi di Eljas si spalancarono sotto i ciuffi scuri, per la prima volta non
sapeva che rispondere. Ville lo stava portando dai suoi genitori… dai suoi nonni… lo stava presentando al resto
della famiglia. Questo non era stato previsto dalla sua giovane mente, tutto si
sarebbe dovuto ridurre a: cercare di convivere con Ville qualche mese,
sopportarlo il minimo indispensabile, non conoscere nessuno della sua famiglia e
legare il meno possibile con chiunque. Cos’era andato
storto?
-Non
ti piace molto l’idea, vedo…- azzardò Ville notando l’espressione sconcertata
del ragazzino –Beh, se non ti va puoi sempre rimanere a
cas…-
-NO!-
lo interruppe Eljas con tanta foga da spaventarlo quasi, poi si calmò –Ti prego…
Mi piacerebbe molto conoscere i tuoi genitori e poi non mi va di rimanere da
solo.-
Il
volto di Ville si illuminò. Davvero voleva conoscere i suoi genitori? Per
alcuni poteva essere una notizia irrilevante, ma per Ville vedere che Eljas
voleva entrare in contatto con una parte della sua vita era importante,
soprattutto perché si trattava di una parte della sua famiglia, la parte che era legata a
un padre che l’aveva trattato malissimo.
-Dici
sul serio?- gli domandò per avere conferma di quella notizia così
sorprendente.
Eljas
annuì –Mi farebbe veramente molto piacere, anche perché… sarebbero i miei nonni
e io non ho mai avuto dei nonni.- disse poi voltando il viso verso il
finestrino.
Ville
fu ancora più stupito: Eljas aveva riconosciuto i suoi genitori come nonni, questo implicava che da qualche
parte dentro di sé doveva riconoscere in lui un padre. Per quanto lui stesso non
fosse in grado di pensare a se stesso in quei termini, Ville si sentì
felice.
-Conoscerai
anche mio fratello, oggi starà con voi. Non vede l’ora di conoscerti, al
telefono era agitatissimo! Non credevo potesse emozionarsi tanto…- disse il
cantante.
-Hai
anche un fratello?- domandò incuriosito Eljas.
-Sì,
più piccolo, si chiama Jesse.- rispose Ville, poi, più a sé che non al bambino,
commentò –Ed è tuo zio…-
Eljas
annuì soprappensiero fissandosi la punta delle converse che indossava –Loro lo
sanno che tanto sarà inutile giocare alla “bella famigliola felice”, che prima o
poi tutto questo finirà?-
Questa
volta Ville fu preso in contropiede e il livello di felicità a cui era giunto si
capovolse come una clessidra al pari livello di sconforto. Gli stava facendo
conoscere il resto della famiglia, ma ancora non aveva deciso in merito alla
questione dell’affidamento. Tuttavia ne aveva parlato con Jesse e sperava di
arrivare presto a una conclusione, anche grazie a
quell’incontro.
-Sanno
tutto, Eljas, ma ti prego di non pensarci ora, ok?- disse –E’ una questione che
sto ancora valutando e questa giornata potrebbe aiutarmi a capire, ma è ancora
presto per pensarci, non rovinarti questo incontro. Lo so che dovrei tacere e
farmi un esame di coscienza, ma ti giuro che io ci terrei a tenerti con me, per
quanto non sia stato in grado di dimostrartelo finora.-
Eljas
lo guardò senza parlare, mente lo vedeva parcheggiare accanto a un negozio dalle
vetrine variopinte e pubblicizzanti degli aggeggi a lui (ancora)
sconosciuti.
-E’
questo il negozio di tuo padre?- domandò un po’
costernato.
Ville
sorrise in ricordo dell’espressione assunta dal bambino un paio di settimane
prima –A dire la verità è mio ora, ma continua a lavorarci papà. Questo è un
sexy-shop e tu sei l’unico minorenne di tutta la città che può entrarci!- disse
smontando dalla macchina e facendo l’occhiolino a Eljas.
Una
volta dentro il negozio, il bambino si guardò attorno, ma non ebbe il tempo di
focalizzarsi su niente che una voce allegra lo distrasse.
-Ehi,
Ville! Ti aspettavo più tardi!- esclamò un ragazzo di 27 anni raggiungendoli con
un gran sorriso stampato in faccia.
-Ho
pensato di venire qui prima.- disse Ville –Eljas, questo è Jesse. Jesse,
Eljas.-
Eljas
guardò titubante il volto magro del ragazzo che aveva di fronte: non
assomigliava molto a Ville, i capelli erano più chiari e gli occhi tendevano più
all’azzurro che al verde, tuttavia c’era qualcosa che faceva capire che erano
fratelli.
-E
così tu saresti mio nipote, eh?- commentò Jesse ricambiando lo sguardo
interessato –Non c’è che dire, si vede che sei un Rakohammas!- concluse poi con
una risata. Eljas sorrise a sua volta guardando Ville, gli piaceva suo
fratello.
-Ti
darò l’opportunità di conoscerlo tutta la giornata, io fra poco devo andare.-
disse il cantante –Non distrarlo troppo con questi arnesi, però, non vorrei mai
si riducesse a essere come me…- concluse poi indicando il negozio con un gesto
della mano e facendo arrossire il ragazzino.
-Ah,
non preoccuparti! A quello ci pensa papà!- rispose Jesse.
In
quel momento un uomo abbastanza alto, dal fisico che rifletteva ancora lo sport
praticato in gioventù, i capelli ormai bianchi, ma che resistevano ancora sulla
testa dalla fronte ampia, fece capolino da una stanza separata dal resto del
negozio da una tendina di perline gialle. Non appena vide il figlio maggiore con
la sua fotocopia in miniatura spalancò gli occhi e la bocca in un grande
sorriso.
-Finalmente!-
esclamò andando incontro ai figli e al nipote.
-Ciao,
papà.- salutò Ville alzando gli occhi al cielo –Non ti emozionare troppo,
ok?-
Eljas
rideva del comportamento di quello che doveva essere suo nonno, letteralmente in
brodo di giuggiole per la presenza del piccolo Rakohammas. Guardandolo vedeva
che Ville aveva la sua stessa forma del viso, del naso e anche lui aveva
un’ampia fronte che metteva in risalto gli occhi, ma quelli erano diversi, erano
più simili a quelli di Jesse che a quelli del darkman.
-Eljas,
questo è mio padre, si chiama Kari. Papà, questo è Eljas.- presentò ancora una
volta il cantante.
-Bene,
Eljas, sono molto lieto di fare la tua conoscenza!- si inchinò Kari con
teatralità.
-Anche
a me fa piacere conoscerla.- rispose il ragazzino con un sorriso allegro sulle
labbra.
Kari
lo guardò indignato –Ma come, mi dai del lei? Non lo fanno nemmeno quelli che
vengono in negozio! No, no, dammi pure del tu, in fondo siamo parenti!- disse
rimproverandolo scherzosamente.
Ville
sorrise alla scena, ma poi divenne serio e prese Jesse di lato per poterci
scambiare qualche parola in privato.
-Ti
somiglia davvero molto, quasi direi che si è sdoppiato da te senza l’intervento
di una donna!- commentò sempre allegro Jesse.
-Vedrai
che di Alexandra ha ben altro che l’aspetto fisico.- rispose Ville, poi si
assicurò che Eljas fosse abbastanza occupato col padre da non sentirli
discorrere –Senti, è importante che oggi vada tutto nel modo più naturale
possibile. Se oggi vedo che può trovarsi bene con voi, che comincia a girare in
maniera diversa, potrei cominciare a prendere in considerazione l’idea di
disdire l’affidamento con l’assistente sociale, altrimenti non ho più
appigli.-
Jesse
annuì e assunse un’espressione grave –Questo ragionamento avresti dovuto farlo
prima, non credi?- gli disse in tono di rimprovero.
-Lo
so, sono il primo a dirlo e Linde e tutti gli altri miei amici non fanno altro
che farmelo tenere a mente! Come se già non bastasse il modo in cui mi guarda
Eljas ogni volta che cerco di fare qualcosa con lui…- replicò Ville lanciando un
altro sguardo al bambino –Se avete dei problemi chiamami, tengo il cellulare
acceso tutt’oggi, in caso contrario torno a prenderlo per le 9h00,
ok?-
-Spero
che tu sappia quello che fai, Ville.- commentò Jesse tornando a parlare col
ragazzino –Eljas, ti piace andare sullo skate?-
Eljas
alzò lo sguardo da un aggeggio che suo nonno gli stava mostrando (e che Ville si
affrettò a far sparire) per considerare l’idea –Non sono mai andato sullo
skateboard, però mi piace andare a vedere le gare ogni tanto.-
rispose.
-Bene,
così abbiamo qualcosa da fare dopo pranzo!- commentò Jesse con un sorriso
–Sempre che Ville mi dia il permesso di portarti al parco di
skate…-
-Ville
oggi è al lavoro, non può impedirmi di andare, e anche se lo facesse andrei lo
stesso.- rispose Eljas.
Sia
Kari che Jesse furono un po’ sorpresi da quella risposta e guardarono il
cantante con un’espressione indagatoria. Ville d’altro canto sapeva che Eljas
non sottostava ai suoi ordini né alle sua raccomandazioni, quindi non aveva
niente da obiettare ai programmi di Jesse per il
pomeriggio.
-Ok…
allora ci vediamo stasera…- disse Kari salutando il figlio maggiore che uscì dal
negozio ancora un po’ abbattuto, ma in fondo felice di vedere che Eljas tutto
sommato gradiva la presenza sia di suo padre che di suo fratello. Se non altro
avrebbe potuto contare su di loro in caso…
No,
non metterti a fare congetture ora, non sai cosa succederà questo pomeriggio,
quindi aspetta a dire! Si
rimproverò Ville montando in macchina e accendendosi una sigaretta. Era inutile
raccontarsi bugie, l’ultima frase di Eljas l’aveva centrato in pieno stomaco
come poche altre volte gli era successo prima dell’arrivo del bambino nella sua
vita. Non era un padre per lui, probabilmente non lo sarebbe mai stato, perché
tentare? Perché è giusto così.
Continuava a ripetersi da giorni il cantante, ma non ne era poi così convinto.
Se non altro devi provarci perché sua
madre te l’ha chiesto, perché questa era una delle sue ultime volontà e tu sei
tenuto a rispettarla. Decise infine prima di mettere in moto la macchina:
era già in ritardo.
salve a tutti! fra due
giorni riaprto, quindi non posterò di sicuro fino ad agosto. mi dispiace per
coloro che sono curiosi di vedere il seguito di questo capitolo, purtroppo,
però, non posso evitarlo. ^^ keep on enjoying me!
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Capitolo 6 *** capitolo sei ***
CAPITOLO
SEI
Erano
da poco passate le 8h00 quando Ville uscì dagli studi della Warner con il
cappello calato sui capelli lunghi e la sigaretta ancora spenta tra le labbra,
gli altri HIM lo circondavano e parlavano con lui delle decisioni prese quel
pomeriggio in merito all’album che stavano preparando.
Migé
in particolare stava discutendo con Ville del ruolo del basso nella canzone che
avevano cominciato a provare quel giorno. –Non credi che sia troppo tirata come
cosa? Devi pensare che dovremmo rifarla anche live e verrebbe un po’ difficile…
Ti ricordo che dopo Venus Doom
abbiamo fatto un po’ fatica a tenere testa alle parti di basso e doppia chitarra
durante i live.-
Ville
si accese la sigaretta cercando di contrastare il vento contrario –Senti, mi
pare che la parte ti venga benissimo, non vedo dove siano i problemi! Anche con
Venus Doom te l’eri cavata
magistralmente e sarà ancora così, non preoccuparti, giusto, Linde?- replicò
richiamando l’attenzione del chitarrista che scherzava allegramente con Burton e
Gas.
-Ah,
ma ancora non lo conosci Migé? Non sarà mai sicuro di niente finché non avremo
finito tutte le date del nuovo tour! Finché non abbiamo finito di incidere di
sicuro non ti mollerà!- disse Linde ridendo e facendo ondeggiare così i lunghi
rasta biondi.
-Vaffanculo,
Linde!- obiettò il bassista guardandolo indignato e infilandosi le mani in tasca
–Anche tu prima eri preoccupato per la parte del live!-
-Ma
Linde poi è giunto alla sana conclusione che preoccuparsi ora non serve a niente
e che è meglio bersi su qualcosa.- replicò Gas sbuffando il fumo della sua
sigaretta nell’aria fredda di Helsinki.
Migé
gettò gli occhi al cielo e cominciò a cercare le chiavi della sua auto nelle
profonde tasche dei jeans larghi che portava, imprecando poiché non le trovava e
finendo col prendersi a sua volta una sigaretta dal pacchetto che si trovava più
a portata di mano.
-Andiamo
a bere qualcosa?- domandò Burton con uno sbadiglio e una lunga
stiracchiata.
Ville
scrollò la testa –Devo tornare a prendere Eljas, l’ho lasciato dai miei e ho
paura del responso…-
-Con
la frase “l’ho lasciato dai miei” vuoi dire che l’hai portato al negozio?-
domandò Migé con due occhi spalancati che si rallegrarono visibilmente quando il
darkman gli confermò la notizia.
Linde
scoppiò a ridere in faccia a Burton che dovette fare uno sforzo estremo per
riuscire a sostenerlo, visto che stava quasi crollando a terra dal
ridere.
-Linde,
ti senti bene?- domandò Gas scuotendogli i rasta con una mano
–Riprenditi!-
Il
biondo riuscì a fatica a ritrovare la tranquillità prima di guardare Ville negli
occhi che gli lanciavano sguardi irritati –Scusami, Ville, ma già mi vedo tuo
padre sottoporlo a tutti i giochetti
che ha in negozio! Credo che si sia divertito parecchio questo
pomeriggio…-
-Tuo
figlio non si avvicinerà mai più a mia figlia, finché lei non sarà maggiorenne!-
sghignazzò Burton.
-Ah,
nemmeno a Olivia!- lo appoggiò Linde rimettendosi a ridere. Ville li guardò come
se fossero due deficienti.
-Ma
guardatevi! Avete quasi 40 anni e vi comportate come dei ragazzini…- commentò
gettando la sigaretta a terra e spegnendola con la punta della scarpa –Voi
ridete tanto, ma io sono veramente preoccupato di come può essere andato questo
pomeriggio.-
Improvvisamente
tutto il gruppo tornò a essere serio. Migé batté una mano sulla spalla
dell’amico –Avanti, Ville, se ci fossero stati problemi Jesse ti avrebbe
chiamato, e invece il tuo cellulare è stato muto tutto il pomeriggio! Devi rilassarti!
Probabilmente Eljas adesso se ne starà tranquillo in casa dei tuoi a guardare la
TV con lo stomaco strapieno dei dolci di tua madre.-
Linde
annuì appoggiato dagli altri –Sarà andato tutto bene, in fondo tuo padre non
potrà certo stargli antipatico! Potrà vantare di avere un nonno tutto
particolare se non altro!-
Ville
sorrise appena tenendo fra le labbra la nuova Marlboro Light –Effettivamente mi
pareva andasse abbastanza d’accordo con Jesse e papà quando ce l’ho portato,
oggi pomeriggio. Se non altro li riconosce come nonno e zio, e per me questo è
già molto.- disse cercando di non incrociare lo sguardo degli
altri.
Burton
lo guardò sbieco –Fammi indovinare: se oggi pomeriggio è andata abbastanza bene
mandi l’assistente sociale a fare in culo?- domandò il tastierista con un tono
più severo del solito.
-Burton,
sei un tripudio di volgarità!- lo riprese Migé –E sì che hai anche una bambina
piccola!-
Burton
si mise a ridacchiare –Credi di essere tanto meglio, tu? Aspetta ancora tre mesi
e poi vediamo quanto sarai fine tu, Mikko Paanaanen!- lo
rimbeccò.
Il
bassista agitò una mano in aria –Mio figlio sarà decisamente più a modo di me,
se non altro di te di sicuro!-
I
due membri degli HIM cominciarono a battibeccare sulla loro capacità educativa
di genitori, ma cominciava a essere tardi e Ville, guardando l’orologio, vide
che doveva partire se non voleva arrivare in ritardo all’appuntamento con Eljas.
Sentiva come se un suo ritardo avesse potuto rovinare un perfetto pomeriggio…
non poteva permettersi di fare troppi errori ora che stava lentamente
recuperando il rapporto col bambino.
-Sentite,
ragazzi, io devo andare a prendere Eljas. E piantatela di parlare di figli in
mia presenza, mi fate venire il nervoso!- disse il darkman prendendo la chiave
dalla tasca della giacca e raggiungendo la macchina.
-Eh,
no! Mi devo vendicare del fatto che mi hai dato del “quasi 40enne”! I 40 sono
ancora lontani, mio caro, ti ricordo che hai lamia età!- ghignò
Linde.
-Beh,
io potrei incazzarmi di brutto, visto che io i 40 li ho appena raggiunti!- si
intromise Gas fulminando il chitarrista con i piccoli occhi indispettiti. Linde
assunse un’aria angelica.
-Siete
tutti dei vecchi coglioni, mettetevela via! Addio, ci si vede all’ospizio, io ho
da fare!- li salutò Ville montando in macchina e allontanandosi dagli studi
Warner.
Durante
il viaggio fino a casa sua continuava a pensare a possibili versioni del
pomeriggio di Eljas. Già sentiva la voce di Jesse raccontargli quello che
avevano fatto, cosa si erano detti… Stranamente nella mente di Ville partiva
tutto bene per finire in qualche modo tragicamente, con Eljas che si incazzava,
che si faceva male, che inveiva contro di lui, che faceva qualsiasi altra cosa
che avrebbe rovinato tutto il pomeriggio. Con questo stato d’animo suonò a casa
dei suoi genitori, aspettando che gli venisse aperto con il freddo che gli
faceva battere i denti, talmente nervoso da non accorgersene
nemmeno.
Quando
Anita, sua madre, gli aprì la porta dell’appartamento aveva un sorriso gioviale
stampato in faccia –Ciao, tesoro!- lo salutò con tutto l’affetto materno di cui
poteva disporre –Vieni, Eljas sta giocando alla Play Station con
Jesse.-
Ville
si tolse la giacca andando a raggiungere il fratello e il figlio in salotto,
dove si urlavano dietro al ritmo del ticchettio del joystick, seduti a gambe
incrociate sul tappeto di fronte al televisore.
-Hai
imbrogliato! Non mi avevi detto che potevo usare quella mossa!- protestava Eljas
contro un Jesse che sghignazzava divertito.
-Non
c’è gusto se ti dico tutto!-
-Ma
così non combattiamo ad armi pari!- replicò il ragazzino riprendendo il joystick
tra le mani –Questa volta mi prendo io il Ninja!-
Ville
sorrise a quella scena ricordandosi tutte le volte che aveva fatto la stessa
cosa con Jesse quando erano più giovani. Si avvicinò ai due strofinandosi le
mani per scaldarsi un po’ –Jesse, puoi evitare di far venire a Eljas istinti
omicidi? A casa mia non ho nessuno a proteggermi se decide di sfogare il suo
odio con qualche colpo di arte marziale.-
-Oh,
ciao, Ville!- lo salutò il fratello ridendo –Non credo che rischierai la vita,
Eljas è un po’ scarsetto…-
-Non
è vero! Ho vinto tre sfide su cinque!- obiettò il
ragazzino.
-Solo
perché ti ho lasciato vincere.- lo liquidò teatralmente
Jesse.
Il
volto di Eljas si indurì e i suoi occhi si assottigliarono andando a lanciare
allo zio uno sguardo di sfida –Allora vediamo chi vince ora! Questa decide
tutto!- disse –Ville, tu facci da arbitro!-
Il
darkman rise di gusto a quella scena, stravaccandosi per bene sul divano dietro
ai due e dando il via alla gara. Mentre Jesse e Eljas continuavano a giocare,
sua madre venne da lui per portargli un caffè caldo e gli si sedette accanto
subito seguita dal marito.
-Jesse
non si è mai staccato da lui! Avresti dovuto vederli oggi allo skatepark!
Sembrava che si conoscessero da sempre. Jesse gli ha insegnato qualcosa con la
tavola, sembrava di vedere te e Bam quando viene a trovarti qui.- disse Anita a
mezza voce, per non farsi sentire troppo dai due interessati, anche se questi
erano decisamente presi dal gioco.
Ville
assunse uno sguardo dolce che stupì parecchio i suoi genitori: non gli avevano
mai visto quello sguardo, nemmeno quando era stato veramente innamorato nella sua vita.
Quello sguardo andava al di là dell’amore che si può avere per una donna. –E al
negozio? Ti ha dato problemi, papà?- chiese.
Kari
Rakohammas scosse deciso il capo –Assolutamente no! E’ stato così tranquillo che
a momenti pensavo di essere io quello troppo esuberante!-
rispose.
Ville
ridacchiò perché, con tutte le probabilità del mondo, l’impressione di suo padre
corrispondeva alla pura e semplice realtà.
-Ville,
non distrarti! Devi guardare se Jesse bara o no!- protestò Eljas mandando al
tappeto il personaggio di Jesse che però si rialzò
velocemente.
Anita
e kari risero insieme a Ville –Stai tranquillo, lo tengo d’occhio io! Gli ho
insegnato io a barare, so tutti i suoi trucchi.- disse il cantante mollando un
leggero calcio addosso al fratello.
-Non
provare a raccontargli i miei segreti di giocatore, Ville, o ti rincorro fino a
Sentaintori!- lo minacciò Jesse abbattendo a sua volta il Ninja di
Eljas.
-Avanti,
Jesse, sembri più bambino di Eljas!- lo rimproverò la madre con un sorriso
sempre splendente e il suo delicato accento ungherese.
-Ma
io sono più bambino di Eljas: mio
nipote è già un genio, si vede che ha preso dalla madre!- commentò Jesse facendo
scomparire il sorriso dalla faccia di Ville. Non era la frecciatina satirica che
gli aveva fatto passare il buonumore, ma il fatto che avesse messo nuovamente di
fronte ai suoi occhi quella verità estrema: Eljas di lui non aveva niente a
parte l’aspetto fisico e la bravura nel disegno…
Fortunatamente
il ragazzino era troppo preso dal gioco per badare alle battute dello zio e non
si accorse nemmeno dell’espressione di Ville, centrò in pieno un colpo e mandò
KO l’avversario esultando come solo un bambino può fare. –Sì, ho vinto io!
L’avevo detto che era solo perché baravi!- disse abbandonando il joystick e
spintonando Jesse sul pavimento.
Sia
Kari che Anita osservarono che Ville non aveva recuperato il sorriso e prima di
farlo andare via lo allontanarono un attimo da i due litiganti. Kari fece sedere
il figlio maggiore su una sedia della cucina e gli si sedette di fronte, lo
sguardo più serio che mai.
-Ville,
che succede?- domandò. Anita strinse tra le mani le spalle ricurve del
figlio.
Il
cantante sospirò chiudendo gli occhi e passandoci una mano sopra –Niente, sono
solo stanco…- mentì cercando di convincere anche se
stesso.
-Ho
visto che non è solo quello. Hai radicalmente cambiato espressione quando Jesse
ha fatto quella battuta su Alexandra, se hai dei problemi dovresti parlarne con
noi, potremmo aiutarti!- protestò Kari.
Ville
scosse la testa –Non preoccuparti, papà, è una cosa che probabilmente non si
risolverà mai. Ho perso troppo tempo con Eljas per poter rimediare a certe
cose…-
-Non
ti chiama ancora papà.- notò Anita cominciando a massaggiare dolcemente le
spalle del darkman.
Un’altra
fitta allo stomaco colpì Ville. Tutte quelle mazzate a freddo avrebbero finito
con l’ucciderlo prima o poi, nessun organismo era in grado di reggerne troppe.
–Non credo arriverà mai a farlo. Non riusciremo mai a essere come un padre e un
figlio, mi disprezza troppo per farlo, però forse…-
-Vuoi
annullare le procedure per l’affidamento?- domandò Anita.
Ville
fissò il padre negli occhi prima di voltare lo sguardo verso lo spiraglio di
salotto che si poteva intravedere dalla sua posizione nella cucina, dove si
potevano scorgere Jesse ed Eljas lottare ancora amichevolmente sul tappeto.
Sospirò. –Non ne sono sicuro, devo prima discutere di una cosa con qualcuno…-
disse infine alzandosi per riprendersi la giacca.
Kari
e Anita guardarono entrambi il figlio con disapprovazione, ma non parlarono
sapendo le condizioni in cui l’uomo si trovava psicologicamente al momento.
Anita andò a chiamare Eljas e lo aiutò a vestirsi, intanto Ville ne approfittò
per parlare ancora una volta con Jesse.
Il
fratello minore lo raggiunse continuando a scherzare in lontananza col nipote
–Tuo figlio è una meraviglia, Ville! Lo adoro di già!- disse con un sorriso che
gli illuminava gli occhi. Ma Ville era serio, non riusciva a ridere e doveva
parlare di una questione seria. Jesse se ne accorse e si calmò un
po’.
-Jesse,
io… devo chiederti una cosa.- disse il cantante andando ad aspettare Eljas sul
pianerottolo insieme al fratello.
-Non
mi piace il tono con cui me lo stai per dire, però spara.- fece Jesse
incrociando le braccia.
Ville
non sapeva da dove cominciare, così la prese larga –Tu e Krista state insieme
stabilmente da molto, giusto? Avevate in mente di sposarvi se non
sbaglio…-
-Ville,
ti prego, non tenermi sulle spine!- lo ammonì il fratello.
Con
gli occhi bassi, Ville cercò allora di andare diretto –Io mi chiedevo se… visto
che tu piaci a Eljas e lui piace a te… se…- Jesse aveva capito dove Ville voleva
arrivare, ma sperava ancora di essersi sbagliato. Il darkman trasse un profondo
respiro e si decise –Saresti disposto a prendere l’affidamento di
Eljas?-
Jesse
lo guardò con gli occhi azzurri spalancati, increduli. –Ville, tu stai
scherzando!-
-No,
Jesse.- obiettò Ville –Non sono mai stato tanto serio quanto
stasera.-
visto che coloro che l'hanno
letto in anteprima mi hanno uccisa, chiedo subito la grazia! ^^" non mi
esprimerò ulteriormente a riguardo, prometto che vi farò avere lo scioglimento
prima di partire per dublino. keep on enjoying me (and please don't knill
me!)!
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Capitolo 7 *** capitolo sette ***
CAPITOLO
SETTE
Eljas
stava parlando tranquillamente con Olivia, seduto sul divano di casa Lindström,
mentre Linde, Manna [ho finalmente scoperto che è MannA
e non Manne!! Perché è il diminutivo di Mariam!] e Ville discutevano
seduti poco più in là, nel cucinino. Il volto della donna era abbastanza
preoccupato e squadrava il darkman dal profondo dei suoi occhi
nocciola.
-Ville,
ma ti rendi conto di quello che hai fatto?- domandò.
-Che
altro potrei fare, Manna? In fondo con mio fratello vivrebbe bene, sarebbe
felice e rimarrebbe in famiglia! In più io avrei la possibilità di vederlo oltre
il giorno prestabilito dal giudice.- replicò Ville tormentandosi i fili ribelli
dei guanti. Sia Manna che Linde gli rivolsero uno sguardo di rimprovero che lui
si guardò bene dal ricevere.
-Allora
non te ne frega niente, Ville, la verità è questa. Bene, almeno ora ce ne siamo
resi conto e non cercheremo più di farti trovare delle soluzioni.- disse il
chitarrista alzandosi dalla sedia e cominciando a camminare nervosamente per la
cucina. Si fermò dopo qualche secondo appoggiando le mani al piano da lavoro e
fulminò l’amico con gli occhi azzurri –Ma lo sai per cosa finiscono in
affidamento i bambini, di solito?-
Ville
rivolse all’amico un’occhiata piena di sconforto –Beh, non è messo tanto meglio:
un padre alcolizzato ce l’ha quasi…- borbottò.
-Oh,
Ville, non dire scemenze! Non sei ancora a quei livelli, per fortuna.- lo
riprese Manna –Ti rendi conto che in pratica stai dando Eljas in affidamento
solo perché non ti va di occupartene?-
-Questo
non è vero.- obiettò Vile. Questa volta non era disposto a sentire quelle
accuse, sia perché gli facevano male, sia perché lui era veramente convinto che
quello fosse il meglio per suo
figlio. In fondo si trattava di affidamento, non di un’adozione: intanto si
sarebbe impegnato a mettere la testa a posto e poi avrebbe ripreso con sé suo
figlio.
Sì,
così quando lo ritroverai avrà 20 anni e non avrà più né il tempo né la voglia
per stare con te! Probabilmente nel frattempo cercherà di cancellarti dalla sua
vita, convincendosi di avere più in comune con Jesse che non con
te.
Diceva la sua coscienza in risposta a quei pensieri, ma il cantante la faceva
tacere chiudendola in un antro a parte nella sua testa,
isolandola.
-Sì
che è vero, Ville!- sbottò Linde rischiando quasi di farsi sentire dai due
bambini –E poi non credi che Jesse sia troppo giovane per tenere Eljas? Sta per
sposarsi, lasciagli vivere la sua vita! Solo per questo tuo egoismo del cazzo
non puoi permetterti di decidere sia la vita di tuo figlio che quella di tuo
fratello! Per quanto ti possa sembrare assurdo tu sei padre da 11 anni! E’ ora
che cominci a diventare adulto anche tu e a prenderti le tue responsabilità:
quel bambino non è nato da solo e non si è nemmeno sdoppiato da
Alexandra!-
Manna
guardò suo marito e Ville scambiarsi sguardi di fuoco come mai prima di allora.
Rimasero a incenerirsi a quel modo, in silenzio, per parecchi secondi, poi il
cantante afferrò la sua giacca e andò a prendere Eljas in
salotto.
-Eljas,
vestiti che andiamo.- disse in tono piatto, ma con tanta risolutezza che il
ragazzino ubbidì senza fiatare. Olivia guardava Ville con occhi curiosi,
lanciando occhiate anche a suo padre che era appena entrato nella stanza al
seguito del darkman, infuriato come non mai.
-Non
hai il coraggio di affrontare i discorsi pungenti, Ville?- ringhiò il
chitarrista.
Ville
gli scoccò uno sguardo truce –Per te è tutto così semplice, vero, Mikko? Come se
non mi incolpassi ogni singolo secondo! Come se dentro di me qualcosa non si
ribellasse a questa decisione ogni volta che mi ritrovo a guardarlo! Tu non
c’eri ieri sera, tu non hai visto quello che ho visto io! Se davvero può essere
così felice, allora io voglio che lo sia, e se stare con me glielo impedisce
allora a maggior ragione la mia decisione è quella
corretta!-
Manna
aveva fatto andare Olivia in camera sua, ma non poteva preservare Eljas da
quella discussione che lui seguiva allibito a ogni parola, in disparte senza
parlare.
Linde
rispose allo sguardo di Ville –Nessuno è nato genitore, bisogna imparare e si
impara da soli. Tu non fai eccezione, Ville.- disse –E poi predichi tanto che lo
fai per il suo bene, ma hai chiesto a lui che ne pensa? Hai mai provato a
chiedere cosa ne pensa lui? Perché ho
la netta sensazione che tu te ne sia dimenticato…-
-E’
mio figlio, Mikko, non il tuo.-
replicò il darkman.
-Ah,
quando ti fa comodo allora diventa tuo figlio!-
Ville
non era disposto ad accettare anche quella provocazione –Vaffanculo, Mikko.-
disse afferrando Eljas e uscendo in fretta dalla casa dopo aver mormorato
qualche saluto sbrigativo a Manna. Era talmente arrabbiato che dovette avviare
la macchina due volte prima di riuscire a farla partire correttamente. Dal canto
suo, Eljas se ne stava zitto e immobile sul suo sedile gettando occhiate furtive
e indagatorie al padre. Alla fine la cappa di rabbia e silenzio diventò troppo
pesante da sostenere.
-C’è
qualcosa che devi dirmi?- chiese.
Ville
fece una smorfia –Ci sarebbero tanto cose, Eljas, tantissime cose! Io e te non
ci siamo mai visti né parlati per anni, nemmeno sapevo che esistessi fino a un
mese fa, quindi di cose da dire ne avremmo a bizzeffe! Eppure ci comportiamo
come due estranei che si scambiano qualche parola ogni tanto! Tu con me parli
solo raramente, la prima volta che ti ho visto veramente felice è stato ieri
sera a casa dei miei genitori, guarda caso la prima senza di me… Forse non senti
il bisogno di dirmi niente, lo capisco, ma allora perché Linde si lamenta se non
mi comporto da padre corretto?-
Eljas
lo guardava senza capire –Cosa vuoi dire?-
-Ti
piace mio fratello, giusto?- disse Ville calmando un poco il suo tono di voce.
Eljas annuì. –Come ti sei trovato ieri sera?-
-Bene,
benissimo… Mi sono divertito e i tuoi genitori sono stati gentilissimi con me.-
rispose il ragazzo cominciando a sentire uno strano nodo all’altezza dello
stomaco –Perché me lo chiedi?-
-Ti
piacerebbe vivere con Jesse?- continuò imperterrito Ville stringendo talmente i
pugni sul volante che le nocche divennero bianche.
Eljas
lo guardò titubante –Io… non lo so… credo di sì, ma… Ville io non capisco!
Perché mi chiedi queste cose?-
Il
darkman parcheggiò improvvisamente la macchina e spense il motore. Chiuse gli
occhi appoggiando la nuca alla testiera del sedile e trasse un profondo respiro,
dopo un po’ li riaprì per guardare suo figlio. Eljas lo scrutava preoccupato, un
po’ anche spaventato dal suo comportamento: era la prima volta che vedeva Ville
arrabbiato e non pensava potesse assumere quello sguardo truce che, anche se non
era per lui, lo metteva a disagio.
-Ieri
sera ho chiesto a Jesse se sarebbe disposto a prenderti in affidamento.- disse
Ville riprendendo a parlare con calma.
Eljas
spalancò gli occhi per la sorpresa –Cosa? E perché?- domandò cominciando ad
arrabbiarsi a sua volta. –Tu non chiedi mai il mio parere su niente! Richiedi
che mi diano in affidamento, mi mandi in una scuola a caso senza un minimo di
preavviso, chiedi a tuo fratello di prendermi in affidamento… Credi che io sia
un giocattolo a cui cambiare posto per divertimento?-
Il
darkman lasciò che quello sfogo gli piombasse addosso come una doccia gelida.
Era la prima volta che il ragazzino gli diceva qualcosa che avesse un’importanza
rilevante per il loro rapporto.
-Quando
ti chiedo qualcosa, Eljas, tu non mi rispondi se non a monosillabi. Non parliamo
mai se non di scuola, e la cosa non elettrizza nessuno dei due! Non ti chiedo di
parlare di Alexandra, so che per te è ancora troppo presto, ma avremmo tante
cose da dirci per iniziare a conoscerci! Ieri sera ti ho visto bene con mio
fratello, ti sei aperto più con lui in un pomeriggio che non con me in quasi un
mese. Se con me stai male non vedo perché dovrei obbligarti a farlo, quando
potresti stare con persone che apprezzi di più.- disse. I suoi occhi non
emanavano più ira, ma una devastante agonia.
Eljas
lo guardò interdetto –Io non sto poi così male con te, Ville…- disse abbassando
gli occhi sulla linguetta della cerniera del giubbotto.
-E
allora perché?- chiese Ville con disperazione –Io non riesco a capire, Eljas!
All’inizio mi sembrava che mi odiassi!-
Il
bambino non sapeva cosa dire: gli faceva male confidarsi, soprattutto con Ville,
tuttavia non poteva non rispondergli. –All’inizio ti odiavo, è vero. Io non
avevo mai conosciuto mio padre, non sapevo veramente niente di lui, quando la
Tahvonainen mi ha detto che sarei andato a stare con te ero molto felice.
Finalmente avrei conosciuto il mio papà, avrei visto com’era, avrei saputo
soprattutto chi era. Pensavo ti
saresti sorpreso, ma che poi anche tu saresti stato felice di conoscermi, e
invece non appena hai realizzato la situazione hai chiesto che venissi dato in
affidamento! Come potevi pretendere che io riuscissi a volerti bene?- disse,
prendendo coraggio a ogni parola. Sperava che Ville non lo interrompesse,
altrimenti non ce l’avrebbe fatta a raccontare, ma il cantante rimase in
silenzio ad ascoltarlo, così lui continuò. –Poi, però, ha iniziato ad andare un
po’ meglio… Nelle ultime due settimane non abbiamo litigato poi così tanto,
anche se non ci siamo parlati molto, ma vedevo che tu cercavi di trovare un
punto comune, in più Linde mi aveva detto di darti tempo e io stavo seguendo il
suo consiglio. Quando ieri mi hai portato a conoscere i tuoi mi hai sorpreso
veramente, era una cosa che non avevo calcolato, ma sono stato davvero bene.
All’inizio non volevo conoscere troppa gente, perché non volevo legarmi troppo a
persone che poi forse non avrei più rivisto, ma tu ieri hai detto che se andava
tutto bene riconsideravi l’idea dell’affidamento e quindi mi sono lasciato
andare. Credevo che alla fine avresti finito con l’accettare l’idea di essere
mio padre, che allora le cose sarebbero andate meglio, ma ora mi dici che mi
daresti in affidamento anche se ieri è andata benissimo! Io mi trovo bene con
Jesse, ma lui è mio zio, sei tu mio padre e io preferirei stare con te, non con
lui.-
Ville
guardò Eljas come se cercasse di verificare la sua effettiva esistenza. –E’ la
prima volta che pensi a me come tuo padre…- sussurrò abbassando lo sguardo sulla
pelle nera del volante. Sentiva un sentimento strano impossessarsi delle sue
viscere, un incrocio tra il peso di una consapevolezza amara e la leggerezza di
una felicità estrema, che saliva lento e umido agli occhi. –Io… so che può
sembrarti falso quello che sto per dirti, ma ti prego di lasciarmi dire tutto
altrimenti non riuscirò più a farlo.- disse sforzandosi di guardare Eljas senza
lasciarsi sopraffare dalle lacrime che gli pizzicavano sadicamente gli occhi. Il
bambino annuì silenzioso. –Quando l’assistente sociale ti ha messo davanti ai
miei occhi ero sconvolto. La lettera che mi aveva consegnato mi rivelava di
essere tuo padre e in più mi diceva che Alexandra, tua madre, una donna che per
me è stata importantissima e che ho impiegato anni a dimenticare, era morta. Mi
sono sentito come se il mondo avesse bruscamente invertito il suo senso di
rotazione, come se mi trovassi in un universo parallelo… e ho avuto paura. Mi si
presentava davanti un impegno che non avevo né voluto né previsto e avevo paura
di ciò che avrebbe comportato, per questo ho fatto quella richiesta infelice
alla Tahvonainen. Il nostro approccio è stato altamente negativo, me ne rendo
perfettamente conto, ma voglio che tu sappia che questo non significa affatto
che io non ti voglio bene o che di te non me ne frega niente, come invece crede
Linde. L’affidamento non è un’idea brillante, lo so, come so che avrei dovuto
parlarne con te prima di chiedere a Jesse di prenderti con sé, ma io voglio che
tu sia sereno, Eljas e ho come l’impressione che con me sarà una lotta continua
e che se mi odiavi già da prima la cosa non potrà che
peggiorare.-
Eljas
non lo guardava più, teneva gli occhi bassi senza focalizzarsi su niente di ciò
che gli stava attorno, ma non si era perso nemmeno una sillaba di quello che
Ville aveva detto. –Io non posso dire di volerti bene, Ville, mi hai fatto
troppo male per volertene, ma posso tentare di far finta che non sia successo
niente. Non posso prometterti che succederà qualcosa, ma sono disposto a
provarci.- disse, poi rialzò finalmente gli occhi –Non voglio andare in
affidamento, non voglio dover cambiare famiglia un’altra volta. Anche se è
Jesse, non voglio… Voglio cercare di stare con te, anche perché se quello che mi
dici è vero, tu sei il solo che conosco che voleva bene a mamma più o meno
quanto me.-
Una
singola lacrima colò giù per gli zigomi alti del ragazzino che si affrettò ad
asciugarla prima che potesse testimoniare la sua debolezza in quel momento.
Ville gli sorrise di un sorriso che proveniva dal cuore, ma fondamentalmente
triste.
Allungò
una mano per accarezzargli dolcemente i capelli –Jesse ha detto che accetterebbe
l’affidamento solo se fosse l’ultima possibilità che ci resta, ma che prima devo
cercare in tutti i modi possibili di creare un legame con te e di rompere il
ghiaccio. Nel frattempo dirò alla Tahvonainen di tenere in sospeso le carte per
l’affidamento e se vedo che riusciamo a raggiungere un rapporto stabilmente
positivo farò disdire tutto quanto.- gli disse.
I
suoi stessi occhi, ma velati di lacrime lo guardarono increduli –Lo farai
davvero?-
Ville
annuì –E’ un impegno che mi prendo personalmente da adesso in poi.- promise
ricambiando l’abbraccio che Eljas gli stava dando. Il suo primo
abbraccio.
ecco l'ultimo post fino a
settembre. mi attende dublino e poi non potrò scrivere molto... quindi,
commentate in tanti se potete e sennò leggete e non odiatemi per l'attesa in cui
vi lascio. la mia promessa l'ho mantenuta. bacioni! keep on enjoying
me!
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Capitolo 8 *** capitolo otto ***
CAPITOLO
OTTO
Migé
stringeva in mano una lattina di birra fresca, mentre osservava incerto Eljas
seduto a penzoloni sull’amplificatore della chitarra di Linde. Ville l’aveva portato ad assistere alle
prove del gruppo, la cosa che stupiva il bassista era che non era mai successo
prima. Forse qualcosa stava cambiando tra loro, di certo qualcosa si era
incrinato tra il cantante e il chitarrista, perché i due non si parlavano se non
a monosillabi.
-Siamo
sicuri che non si metteranno a litigare durante le prove, vero?- gli domandò
sottovoce Gas rubandogli la lattina di mano.
Migé
lo guardò incerto –Non mi sembra che Eljas sia in aria di
guerra…-
-Intendevo
dire Valo e Linde.- lo interruppe il batterista accennando all’aura cupa che
aleggiava nella zona in cui i due erano costretti a condividere pochi metri
quadrati.
-Allora
non posso assicurarti niente.- rispose Migé –Tu sai cos’è
successo?-
-Ville
e Linde hanno avuto una dura discussione a proposito di Eljas circa una
settimana fa. Linde non vede di buon occhio la decisione di Ville di dare Eljas
in affidamento a suo fratello.- spiegò Burton sedendosi all’altro lato di Migé.
I due spalancarono gli occhi per lo stupore.
-Jesse
dovrebbe prendere l’affidamento di Eljas?!- esclamò Gas sporgendosi in avanti
per essere sicuro di aver sentito bene.
Burton
annuì mestamente –Ville glielo ha chiesto, ma Jesse ha detto che lo farebbe solo
in caso di ultimatum tra lui e suo figlio. Linde deve aver dato a Ville
dell’immaturo e del menefreghista, o una cosa del genere, per quello non si
parlano più.-
-Linde
e Ville sono amici da moltissimo tempo, è normale che Linde si sia sentito in
dovere di rimproverarlo… solo che a Ville non piace sentirsi dire cosa dovrebbe
fare né sentir mettere a nudo i suoi difetti.- commentò Migé finendo la
lattina.
Gas
e Burton annuirono. Burton era amico di Ville più o meno da quando lui aveva
conosciuto anche Migé e Linde, ma anche Gas, che lo conosceva da meno tempo,
sapeva bene cosa si poteva far presente o meno al leader del loro
gruppo.
Eljas
era sceso dall’amplificatore e girava curioso tra i vari cavi, soffermandosi
ogni tanto ad ammirare gli strumenti sparsi per la sala prove. Linde gli
lanciava occhiate di sottecchi, facendo ogni tanto slittare lo sguardo fino a
Ville che sedeva poco distante da lui con un block notes tra le mani e il
microfono a penzoloni sulla spalla. Possibile che non gliene fregasse niente di
quel ragazzino che, volente o nolente, era identico a lui in così tante cose?
Come poteva pensare che una famiglia diversa potesse essere la soluzione
migliore a quel casino? Eljas era un bambino intelligente, pieno di ottime
qualità, un po’ arrogante, questo era innegabile, ma alla fine anche Ville lo
era quindi non poteva rimproverarlo più di tanto. Chiunque avrebbe pagato per
avere un figlio come Eljas, e Ville ci rinunciava senza nemmeno provare? Il suo
amico era veramente una testa di cazzo a volte, e in quei casi non se la sentiva
proprio di dargli corda, soprattutto se di mezzo ci andavano dei
terzi.
-Hai
mai provato a suonare la chitarra?- domandò ad un tratto il cantante alzando lo
sguardo sul figlio che osservava attentamente la Gibson acustica di un delicato
color beige, la famosa Silvester di
Ville, l’intoccabile acustica.
Eljas
lo fissò incerto –Mamma mi aveva insegnato qualche accordo, ma non mi sono mai
impegnato a ricordarmeli.- rispose malinconico tornando ad osservare la
chitarra.
Ville
sorrise dolcemente alzandosi dal suo posto e afferrando Silvester. Poteva
immaginarsi Alexandra con la sua vecchia acustica sulle ginocchia, a
strimpellare qualche accordo mentre cantava a squarciagola. Si sentiva cattivo a
pensare a lei in quei termini, in fondo non era malaccio come chitarrista, anche
se le mancava decisamente una buona preparazione.
-Posso
insegnarti io, se ti va.- disse sedendosi a terra di fronte al bambino. Linde lo
guardò sorpreso, ma Ville non gli badò, continuando a sorridere al figlio –In
fondo qui hai solo l’imbarazzo della scelta se vuoi imparare a suonare qualche
strumento.-
Eljas
inclinò leggermente la testa, come per riflettere, e un ricciolo ribelle gli
calò sugli occhi: quell’espressione e quella posa le aveva prese dalla madre,
erano i momenti in cui ricordava a Ville un micio curioso. Sorrise. –Sono
incerto tra la chitarra e la batteria…- disse il ragazzino facendo scorrere lo
sguardo da Silvester alla batteria nera di Gas, con un grande hamburger
disegnato sulla grancassa.
-Gli
strumenti da rimorchio!- commentò Burton –Tuo figlio parte già male, Ville, si
ridurrà a essere un poco di buono come Gas o come Linde. Dovrebbe scegliere uno
strumento più tranquillo, come le tastiere…-
-Non
mi sembra che Gas rimorchi molto…- accennò Ville ricevendo una bacchetta sulla
spalla. Eljas e gli altri membri della band ridacchiarono. –Se non altro è lui
che deve scegliere, no?-
Linde
fu positivamente colpito da quella considerazione. Si era accorto che qualcosa
era cambiato tra Ville e Eljas fin da quando il bambino era entrato nella
saletta, con uno sguardo felice e curioso insieme, tutt’altra cosa dalla vecchia
espressione corrucciata e scontrosa. Non era più sulla difensiva, non mirava più
ad attaccare suo padre, era semplicemente aperto al mondo che lo circondava,
pronto a conoscerne le varie sfumature.
-Allora
voglio imparare a suonare la chitarra.- disse Eljas con decisione –Così posso
portarmela in giro, almeno.-
Gas
alzò gli occhi al cielo –Ecco, discriminano la batteria perché è ingombrante!-
protestò fregando a Migé l’ennesimo sorso di birra dall’ennesima
lattina.
-E
le tastiere perché non aiutano a rimorchiare.- aggiunse
Burton.
-Scusate,
e Ville e io che dovremmo dire? Eljas non ha nemmeno nominato il basso! Che
figlio ingrato…- piagnucolò teatralmente Migé riappropriandosi della sua
birra.
I
membri della band risero alle proteste di Migé, tutti meno Linde, che continuava
a osservare quello che succedeva tra il bambino e suo padre, facendo finta di
essere concentrato nell’accordatura della sua chitarra a dodici
corde.
-Quindi
la chitarra? Ok, mi sembra più da te, in effetti.- approvò Ville dando Silvester
in mano al ragazzino e avviandosi verso la “zona Linde” per prendersene
un’altra. Era momento di pausa, era un buon momento per iniziare a insegnargli
qualcosa. Linde gli lanciò un’occhiata che fu subito ricambiata, non era astio e
nemmeno rimprovero, sembrava piuttosto che Ville stesse facendo ammenda e stesse
dimostrando allo stesso tempo che il chitarrista si era sbagliato. Linde, dal
canto suo, non aveva più voglia di rimproverare Ville: vedeva che la litigata
aveva dato dei buoni frutti, continuare ad avercela con lui non sarebbe servito
a niente. Un sorriso tirato si fece largo sulle sue labbra
sottili.
-Vedo
che hai capito.- disse, cercando di non farsi sentire dagli altri che stavano
chiacchierando con Eljas.
Ville
abbassò lo sguardo –Allora hai visto che non è vero che non me ne frega un cazzo
di mio figlio.- disse, nonostante il tono aggressivo, i suoi occhi dimostravano
che la rabbia stava lentamente scivolando via.
-L’importante
è che tu stia facendo pensare che te ne importa, che sia vero o no, questo viene
in secondo piano. Eljas è più allegro dall’ultima volta che l’ho visto, si vede
che avete parlato, finalmente.-
-Diciamo
piuttosto che ci siamo sfogati a vicenda.- rispose Ville prendendo in mano
l’acustica di Linde –Forse dovevamo solo trovare le parole più adatte, tutto
qua. E comunque siamo in periodo di prova.-
Il
chitarrista annuì lentamente –Spero che funzioni bene, allora. In caso contrario
so già come andrà a finire, ma almeno ci avrai provato.-
Ville
gli rivolse uno sguardo ambiguo, poi tornò a guardare per un breve istante Eljas
che parlava con Burton. –Ricordami che devo un favore sia a te che a Burton: se
non foste così spacca coglioni a volte, forse a quest’ora starei ancora
litigando con Eljas.- disse poi, ricambiando il sorriso di pace di
Linde.
Il
rasta rise sommessamente –Dovere… Senti, se vuoi gli insegno io a suonare, se
devi fare dell’altro.-
-No,
Linde, è una cosa che voglio… che devo fare io.- obiettò il cantante –Fa
parte di quelle cose che solitamente si fanno tra padre e figlio, no?- Linde
annuì compiaciuto, finalmente Ville aveva capito come prendere Eljas e come
gestire il loro rapporto. Era sicuro che prima o poi ci sarebbe riuscito, in
fondo era sempre stato un tipo che riusciva a capire come prendere le persone
che aveva di fronte.
-Quando
cominciamo?- domandò il ragazzino con un lampo di impazienza negli
occhi.
Ville
rise –Anche subito, se vuoi! Che cosa ti piacerebbe
imparare?-
Eljas
riprese l’espressione da gatto curioso –Non so, forse… Wish
you were here
dei
Pink Floyd. Non
mi sembra troppo difficile.-
-No,
non è difficile, ottima scelta!- rispose Ville sedendosi nuovamente davanti a
lui e cominciando ad indicargli il modo corretto di fare gli
accordi.
Eljas
non perdeva una parola che gli veniva detta, seguiva attentamente tutta la
spiegazione del darkman facendo esattamente quello che gli veniva detto.
All’improvviso realizzò che stava imparando a fare qualcosa e che l’insegnante
era suo padre… Era la prima volta che
attribuiva quella parola a Ville in modo naturale, non forzato o spregiativo, ed
era la prima volta che sentiva di avere qualcuno accanto dopo che era morta sua
madre. Si rese conto che non aveva mai chiamato Ville papà, che l’aveva sempre chiamato per
nome. Il cantante si stava impegnando adesso, avevano passato delle giornate
serene dopo quella sera in macchina, sentiva che qualcosa stava cambiando,
tuttavia non riusciva ancora ad attribuirgli quel nome. Ci voleva ancora tempo,
momenti come quelli, però, prima o poi, ne era sicuro, sarebbe riuscito a
chiamarlo papà. Solo non
adesso.
eccomi back! ^^ dublino è
stata fantastica, non volevo tornare... adesso sono indietro con i capitoli, ma
mi dovrò dare da fare. keep on enjoying me, comunque, e grazie mille per le
bellissime recensioni! non merito tanto!
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Capitolo 9 *** capitolo nove ***
CAPITOLO NOVE
Eljas
entrò nel negozio di Kari abbandonando lo zaino dietro il banco. Il sexy-shop
sembrava essere deserto a quell’ora, probabilmente il vecchio stava sistemando
delle cose nel magazzino dietro la tenda di perline gialle che lo divideva dal
resto del locale. Con cautela fece capolino nella stanza, Ville gli aveva detto
di non muoversi con troppa disinvoltura: non si poteva ancora sapere in cosa
sarebbe incappato in quel negozio.
-Nonno,
sei qui?- domandò.
Kari
si sollevò dallo scatolone che stava esaminando e lo salutò con un sorriso.
–Eljas! Sei già arrivato? Credevo che ci volesse di più da scuola tua fino a
qui.-
Il
ragazzino fece spallucce –Ho preso il tram, Ville mi ha dato il biglietto. Era
inutile scomodare Linde se tanto c’è una fermata che arriva a cinque minuti da
qui.- rispose sedendosi su uno scatolone grosso e ancora
sigillato.
Da
circa tre settimane, ogni volta che usciva da scuola e né Linde né Ville
potevano portarlo a casa, andava a pranzo dai suoi nonni. Solitamente era Jesse
che passava a prenderlo in macchina, dopodiché passava tutto il pomeriggio a
casa loro finché non veniva a prenderlo Ville. Questo succedeva in media due
volte a settimana, di conseguenza Eljas conosceva abbastanza bene Kari, Anita e
Jesse, ormai. Un giorno, parlando con Kari, era scappata fuori la parola nonno e da allora l’appellativo gli
usciva spontaneo dalla bocca, come zio quando si rivolgeva a Jesse. L’unica
che ancora non era riuscito a pronunciare era papà: continuava ancora a chiamare Ville
per nome.
-Hai
molti compiti da fare oggi?- domandò Kari facendo segno al nipote di seguirlo
fuori dal magazzino.
Eljas
scosse i riccioli scuri –Dovrei cavarmela con un’ora, non di più.
Perché?-
-Tua
nonna pensava di portarti a fare un giro allo skate park, ha trovato un ragazzo
che potrebbe insegnarti ad andare sulla tavola. Sempre che tu sia ancora del
parere di volere imparare!- rispose Kari mentre cercava le chiavi del negozio in
un cassetto dietro il banco.
-Certo
che voglio imparare!- replicò entusiasta il ragazzino afferrando il suo zaino e
guardando il nonno con due occhi che luccicavano –Ora che ci penso, non ho
compiti da fare per domani!-
Il
nonno scoppiò a ridere mentre lo conduceva fuori dal negozio chiudendo a chiave
la porta –Non cominciare a fare come tuo padre: la scuola prima di tutto.- disse
mantenendo il sorriso sulle labbra –Prima farai i compiti e poi Anita ti porterà
allo skate park. Così poi potrai starci quanto vorrai.-
Eljas
storse deluso la bocca montando in macchina –Non riuscirò a concentrarmi su
matematica se avrò in mente lo skate park…- commentò cercando di indurre il
nonno a pietà.
-Niente
da fare, Eljas: prima i compiti. In fondo hai detto che non ti porteranno via
più di un’ora, è sopportabile.-
Il
ragazzino cominciò a guardare come al solito le strade della città sfrecciare
sotto i suoi occhi, mentre il nonno faceva andare una vecchia cassetta di Elvis
nell’autoradio. Siccome la strada fino a casa era lunga, Eljas si perse
lentamente nei suoi pensieri seguendo la melodia della chitarra della più lenta
delle canzoni.
Gli
venne in mente qualche giorno prima, stranamente uno dei pochi in cui Ville non
aveva molto da fare. Avevano passato tutto il pomeriggio insieme nella stanza
che il cantante riservava alla musica, suonando la chitarra e parlando per ore.
Per la prima volta, forse, avevano sostenuto un discorso doloroso per entrambi…
se non altro per Eljas era stato così.
-Come
vi siete conosciuti tu e mamma?-
Ville
aveva alzato lo sguardo dal basso. I suoi occhi erano rimasti puntati in quelli
determinati del bambino, finché la coscienza che quella domanda fosse stata
effettivamente posta non lo persuase a rispondere
qualcosa.
-Non
è stato esattamente un incontro felice…- aveva risposto continuando a suonare
l’accompagnamento che stava effettuando poco prima, ma Eljas aveva continuato a
guardarlo con insistenza. Prendendo fiato aveva abbandonato l’intenzione di
tornare a suonare e riposto lo strumento sul pavimento. –A entrambi piaceva
molto leggere. A me piace rifugiarmi in biblioteca ogni tanto, leggere qualche
libro mentre mi bevo un caffè… Un giorno ho notato una ragazza che girovagava
per la sezione che preferisco, quella delle biografie, e ho cominciato a
osservare i libri che prendeva. Era carina, vedevo che i nostri gusti erano più
o meno gli stessi, così mi sono risolto a farmi avanti e conoscerla. Quando mi
sono presentato non è stata una scena felice, poco ci è mancato che mi tirasse
un libro in faccia! Credo abbia pensato che ero la classica rock star che
sperava di rimorchiare una bella ragazza per passare la serata in maniera
alternativa.-
Eljas
aveva ascoltato attentamente il breve racconto. Fino ad allora gli era sembrato
di essere privo di una parte della sua vita. Improvvisamente sentiva i pezzi
persi del puzzle cominciare a montarsi insieme: aveva un padre, una famiglia, e
adesso sentiva anche di avere avuto effettivamente due genitori. La cosa poteva
sembrare stupida, infantile, scontata, ma per lui non lo era. Non aveva mai
saputo cosa volesse dire avere due genitori, per lui era una scoperta, come
quando un bambino scopre un diverso sapore o una nuova parola… Lui scopriva una
nuova sensazione.
-Come
hai fatto a uscire con lei la prima volta, allora?- aveva
chiesto.
Ville
aveva sorriso dolcemente, guardando un punto fisso sul pavimento, poco lontano
dal suo ginocchio. –Alla seconda possibilità sono riuscito a farmi dare nome e
numero di telefono. E’ una cosa un po’ classica, ne sono consapevole, però tua
madre amava le cose classiche… Era una romantica vecchio stampo e si divertiva
quando la prendevo in giro per questo.- aveva
risposto.
-L’hai
portata fuori?- aveva chiesto ancora il ragazzino, sempre più
interessato.
Ville
era scoppiato a ridere –Certo che sei curioso, ragazzino!- aveva esclamato, ma
vedendo lo sguardo supplicante di Eljas aveva acconsentito a continuare –Sì,
siamo usciti assieme qualche giorno dopo e ci siamo conosciuti meglio. La cosa
che mi divertiva era che si sforzava in tutti i modi di nascondersi quando
vedeva passare qualcuno che mi riconosceva… Non amava i riflettori. E’ anche per
questo che io non ti ho mai conosciuto prima
dell’incidente.-
Improvvisamente
lo sguardo di Ville era passato da allegro a depresso. Eljas non era stato da
meno, ma vedere la medesima espressione nei suoi stessi occhi lo aveva abbattuto
il doppio.
-Perché
non hai mai cercato di ritrovarla?- aveva chiesto il bambino facendo scorrere
tristemente i polpastrelli sulle corde basse della chitarra –Avremmo potuto
essere una famiglia. Forse lei avrebbe voluto tornare a stare con
te…-
Ville
era tornato a rivolgere il suo sguardo su di lui, questa volta sorpreso e
colpito allo stesso momento. Non sapeva nemmeno lui perché non era mai andato a
cercare Alexandra… Perché? Probabilmente aveva avuto paura di quello che avrebbe
detto. Aveva avuto paura di una conferma della fine di tutto. Probabilmente
aveva semplicemente preferito crogiolarsi nel suo dolore senza fare niente per
cercare di capire cosa era successo. Come suo solito. La convivenza con Eljas
gli stava facendo capire molte cose di se stesso. Linde aveva ragione: essere
padre ti cambia la vita.
-E’
una cosa che mi sono chiesto molto tempo fa. In fondo non sarebbe stato così
difficile trovarla, la Finlandia è piccola dopo tutto e qualche posto dove
cercare tua madre l’avevo. Sono stato semplicemente troppo egocentrico per
pensare ad altro che al dolore che provavo.- aveva risposto Ville alzandosi dal
pavimento e andando ad affacciarsi alla finestra.
Eljas
aveva mollato a sua volta la chitarra e si era rifugiato sotto il suo braccio,
schiacciando la guancia contro le sue costole. Riusciva ad abbracciare Ville
senza sentirsi in imbarazzo, ma ogni volta che si staccava si chiedeva cosa mai
lo portasse a compiere un gesto simile. Probabilmente la consapevolezza che lui
e il cantante in certi momenti provavano gli stessi sentimenti, forse la
sensazione di aver condiviso per anni una stessa cosa amata alla
follia.
-Alla
fine anche io mi sono comportato così.- aveva detto il ragazzino, poi, alzando
gli occhi lucidi, aveva guardato Ville con determinazione –Scusami, anche per te
non deve essere stato facile.-
Quelle
parole gli erano uscite dalla bocca con enorme difficoltà. Era come se avesse
dovuto abbattere da solo un muro della massa della muraglia cinese. Un pezzo del
suo orgoglio era scivolato via, era come se si fosse portato con sé parte della
sua tristezza.
La
macchina di Kari aveva appena parcheggiato fuori dal condominio. Il motore
tornato silenzioso e la voce di Elvis improvvisamente svanita riportarono Eljas
alla realtà.
-Ehi,
piccolo, torna sulla Terra! Tua nonna ha preparato qualcosa di particolare,
credo, a giudicare dall’odore!- lo richiamò Kari aprendogli la
portiera.
Eljas
smontò lentamente dall’auto annusando curioso l’aria: uno strano odore riempiva
le scale facendo brontolare la sua pancia. Improvvisamente sorrise. Stava
cominciando ad andare tutto come avrebbe sempre dovuto
andare.
grazie mille per i commenti!
sono felice che seguiate questa storia con tanto interesse, soprattutto perché
non pensavo nemmeno di pubblicarla all'inizio. ^^ ancora mille grazie! keep on
enjoying me!
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Capitolo 10 *** capitolo dieci ***
CAPITOLO
DIECI
Ville
era seduto come sempre a gambe incrociate sulla sedia della cucina, di fronte a
lui un documento che gli era arrivato per posta. L’assistente sociale faceva
sapere al cantante che alcune famiglie si erano fatte avanti per l’affidamento
di Eljas e che lui era pregato di andare a dei colloqui per parlare con
questi.
Aveva
finito di leggere quelle poche righe stampate da molto tempo ormai, tutto quello
che stava facendo ora era pensare.
Cosa
devo fare? si
chiedeva sbuffando ogni tanto un po’ di fumo e immergendosi nella nuvola da esso
creata. Aveva fatto una promessa ad Eljas, doveva mantenerla… Voleva mantenerla.
Finalmente, dopo tanto tempo, loro due avevano cominciato ad andare d’accordo, a
parlarsi più spesso – anche di Alexandra – ed Eljas aveva cominciato a sentirsi
parte di una famiglia. I momenti che preferiva Ville, però, erano quelli in cui
si chiudevano le ore nella “stanza della musica” a suonare e a parlare. Erano i
più intimi che avevano, quelli in cui nessuno li poteva disturbare e in cui si
sentiva a tutti gli effetti il padre di quel ragazzino cresciuto troppo in
fretta.
Sorrise.
Non
aveva intenzione di parlare con quelle famiglie che richiedevano l’affidamento
di Eljas: se le cose non fossero andate avanti come di dovere, Jesse aveva già
dato il suo benestare per tenere il bambino con sé (o meglio, Ville l’aveva
supplicato di accettare). Tuttavia non poteva far finta di non aver ricevuto la
lettera, doveva informare la Tahvonainen dei progressi fatti e della decisione
che lui aveva preso. Eljas sarebbe rimasto con lui a tempo indeterminato e se il
loro rapporto fosse tornato ai livelli dei primi tempi, allora Jesse ne avrebbe
chiesto l’affidamento.
Era
deciso.
L’unica
cosa da fare, ora, era chiamare l’assistente sociale per metterla al corrente di
tutto e per chiederle di bloccare definitivamente le pratiche per l’affidamento.
Le avrebbe rimesse in atto solo in caso suo fratello fosse stato chiamato in
causa per emergenza. Fino a quel momento Eljas rimaneva con
lui.
Ville
si stava alzando per effettuare la telefonata quando la porta dell’appartamento
si aprì. Eljas la richiuse pesantemente poggiando la schiena contro il legno
massiccio e scivolando a terra a occhi chiusi. Il darkman gli corse
incontro.
-Eljas,
che hai?!- gli chiese con apprensione accucciandoglisi accanto –Non ti senti
bene?!-
Il
ragazzino scosse lentamente la testa e si voltò a guardare il padre –Due novità
dal fronte: per prima cosa, stamattina una mia compagna di classe non ha fatto
altro che scrutarmi per tutta la giornata. Quando stavamo uscendo per tornare a
casa mi ha letteralmente bloccato per dirmi che assomiglio in maniera
impressionante a un cantante che sua sorella ha appeso in camera. Ti lascio
indovinare di chi si trattava!- disse alzando gli occhi al cielo –Mi ha
tormentato finché non è arrivata Olivia dicendomi che Linde era arrivato, voleva
sapere se eravamo parenti io e questo
tale.-
Ville
ridacchiò divertito, sentendosi in parte anche rincuorato dal fatto che non
fosse successo nulla di grave. –E tu che le hai risposto?-
-Che
non avevo idea di cosa stesse parlando, ovvio!- replicò Eljas –Non mi va che
scoprano che mio padre è il cantante di un gruppo famoso a livello mondiale,
altrimenti dopo non me li scollo più di dosso. Non ho mai visto gente così
curiosa in vita mia… Al mio paese erano tutte persone
tranquille!-
-Sei
in una capitale, ti ricordo che è la normalità questa. Metti dei finlandesi in
una grande città e questo sarà il risultato! Comunque finché non scoprono niente
non devi preoccuparti, anche io preferisco rimanere nell’anonimato… per varie
cose.- Alexandra odiava i media. Non ho
conosciuto Eljas per questo motivo, se solo scoprono che ho un figlio undicenne
mando a puttane tutto quanto! pensò il darkman.
Eljas
inclinò leggermente la testa verso il basso giocherellando con un laccio delle
sue scarpe –Non ho ancora finito.- disse. Ville gli lanciò un’occhiata
preoccupata, cos’altro c’era? –Il motivo per cui sono così è questo: la
settimana prossima c’è il ricevimento generale dei genitori, e siccome io sono
nuovo della scuola e della città, i miei insegnanti mi hanno chiesto (meglio
dire obbligato) di pregarti di
andarci.-
Questo
era esattamente il momento più temuto da Ville dal momento in cui aveva iscritto
Eljas a scuola. Come avrebbe fatto ora ad evitare di farsi riconoscere? Se si
pensava in positivo, solo pochi insegnanti non erano a conoscenza del suo volto
o della sua professione. Ormai era così famoso che anche coloro che non erano
appassionati di metal sapevano perfettamente chi era.
Eljas
lo guardò incerto –Cos’hai intenzione di fare?-
-Non
lo so. Prima o poi sarebbe successo, ma speravo succedesse più avanti. Linde e
Manna ci sono passati tempo fa, ma di solito va Manna a parlare con gli
insegnanti: è la meno appariscente dei due e in più la conoscono in pochi. Io
non ho la più pallida idea di come farò a non farmi riconoscere…- rispose
Ville.
-Ti
prego, trova un modo! Non sopravvivrei a quella là se scoprisse che sono
effettivamente figlio del tizio che sua sorella ha appeso in camera!- lo implorò
Eljas.
Ville
sorrise di nuovo –Sei solo fortunato a non avere in classe la sorella di questa:
non sai quanto possono diventare assillanti le fan, a volte. In certi casi
vorrei essere Migé, lui non ne ha di questi problemi! A lui e Gas si avvicinano
sempre fan sinceri e con un’ammirazione sviscerale nei confronti della loro
bravura come musicisti, a me si avvicinano pazze scatenate con delle forbici in
mano.-
Eljas
rise –Già, Burton mi ha raccontato…-
-Non
è una delle esperienze più belle della mia vita.- confermò Ville –Ma non è
questo il punto. Devo trovare un modo per mantenere l’anonimato… Io non ti ho
conosciuto per evitare che tu diventassi un fenomeno mass-mediatico, non ho
intenzione di far sì che ciò succeda ora!-
Eljas
assunse improvvisamente uno sguardo cupo. Quando aveva scoperto il motivo per
cui sua madre gli aveva tenuta nascosta l’identità del padre aveva sentito un
moto di rabbia nei suoi confronti. Nonostante tutto il bene che le aveva voluto
e che ancora le voleva, non sarebbe mai riuscito a perdonarle una cosa del
genere. Era suo diritto conoscere suo padre, anche se ciò implicava dover
sottostare alle leggi dei mass-media. –Mamma ha sbagliato, era una mia scelta,
quella. Non mi piacciono i riflettori, però la possibilità di conoscerti… la
scelta di poterlo fare se non altro… quella doveva essere mia, non di mia
madre.-
Ville
lo guardò impressionato. Quel ragazzino lo sconvolgeva sempre di più, aveva una
maturità che non avrebbe mai attribuito a un ragazzino di 11 anni. Alexandra
aveva fatto un buon lavoro, su questo non c’era dubbio. –Sono io a non volerti
esporre troppo, adesso. Una volta che comincia uno cominciano tutti, e posso
assicurarti che non è una cosa piacevole nemmeno quando sei stato tu a volerlo.-
disse alzandosi in piedi e aiutando ad alzarsi anche Eljas –Dovrò trovare un
modo per mantenere le cose in anonimato.-
-E
chiedere a Jesse di andare a parlare al posto tuo, fingendosi te?- azzardò il
ragazzino.
Il
darkman lo guardò in un modo che gli fece capire che la cosa era fuori
discussione –No. Sono io tuo padre, i tuoi insegnanti vogliono parlare con me
non con mio fratello. Troverò la maniera per andare all’incontro senza sollevare
un polverone, altrimenti ci andrò lo stesso e vedremo cosa succederà, ma non
chiederò a Jesse di fingersi me, anche perché non potrebbe risultare credibile.
Tu hai 11 anni e lui 27, dovrebbe averti avuto a 16 anni e non è possibile:
sanno che tua madre aveva poco più di 30 anni quando è morta e quindi non
suonerebbe credibile come storia.-
Eljas
annuì mestamente –Era sempre un’idea… In fondo certe cose possono sempre
accadere.-
-E’
troppo tirata come storia, Eljas.- replicò Ville –E poi non voglio assolutamente
che sia Jesse a figurare come tuo padre. Anche perché sarebbe una frode
facilmente scopribile, visto che lui è un campione nazionale di
boxe.-
Eljas
guardò Ville accigliato –Davvero?- domandò –Non lo
sapevo.-
-Ecco,
ora capisci perché tuo nonno adora la carriera del figlio minore e non venera i
miei successi nel mondo dello spettacolo.- sorrise il
darkman.
Il
ragazzino rise a sua volta. In effetti Kari parlava spesso di boxe, essendo
stato anche lui, a suo tempo, un pugile. In qualche modo sembrava voler iniziare
a quello sport anche il nipote, ma lui non sentiva un’attrazione particolare per
i ring e i guantoni. Al contrario, gli piaceva moltissimo andare sullo
skateboard e non faceva altro che migliorare. Sampo, il ragazzo che lo allenava,
era orgoglioso dei suoi risultati.
-Senti,
io ora non ho idee in mente. Che ne dici di farcene venire qualcuna mentre
suoniamo un po’?- domandò Ville ripiegando la lettera della Tahvonainen. Ci
avrebbe pensato più tardi, quando Eljas sarebbe stato a fare i compiti, magari.
–Ho una nuova canzone da insegnarti, se vuoi.-
Eljas
spalancò gli occhi per l’emozione, anche per lui quei momenti passati a suonare
con Ville erano i più belli e li aspettava sempre con ansia. –Subito! Metto giù
lo zaino e arrivo!- esclamò correndo in camera. Si fermò improvvisamente in
mezzo al corridoio e cominciò a rovistare nello zaino. Afferrò un pacchetto e
tornò poi dal darkman che lo guardava incerto. –Linde mi ha detto che oggi era
il tuo compleanno, così mi sono fermato a comprarti qualcosa. Non è niente di
che, ma mi sembrava brutto non portarti nulla… solo che non lo sapevo, non me
l’avevi detto.- disse porgendogli il regalo.
Ville
lo afferrò sorpreso. Non se lo aspettava affatto, tanto più che aveva evitato di
dire al bambino che stava per compiere gli anni. –Grazie… Non era necessario.
Dovresti tenere i tuoi soldi per te.- gli disse, rimproverandolo per evitare di
sentire l’imbarazzo della situazione.
Eljas
fece spallucce –Mi sembrava giusto farti un regalo.- si giustificò, poi, vedendo
che Ville tardava ad aprirlo, chiese –Non lo vuoi?-
-Certo
che lo voglio! E’ solo che mi hai colto di sorpresa, ecco…- rispose Ville
affrettandosi ad aprire il pacchetto. Una maglietta dei Pink Floyd. Non una
maglietta a caso, ma quella di The
Wall con Comfortably Numb scritta
sul retro, bianca. Ville si bloccò a rimirarla per qualche minuto: in quel pezzo
di stoffa c’era molto più che un semplice regalo per il suo 35esimo compleanno,
c’era un pezzo della sua vita.
Vedendo
che il darkman non accennava a parlare, Eljas cominciò a sentirsi a disagio –Non
ti piace? Perché ho chiesto aiuto a Linde, ma più di tanto non potevo spendere e
così…-
-E’
il regalo più bello che mi abbiano mai fatto.- disse Ville. Sincero.
–Grazie.-
Il
sorriso che si scambiarono i due li portava a un ulteriore passo avanti. Adesso
avevano superato la muraglia, si trattava di ambientarsi nel nuovo
mondo.
ok, scusate il ritardo
stratosferico, ma ora ho ripreso scuole ed essendo in 5 superiore capite che mi
mettono sotto da subito. ^^" spero che questo capitolo vi piaccia come il
precedente, perché i commenti che mi sono stati fatti sul sito e personalmente
mi hanno fatto molto piacere. keep on enjoying me!
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Capitolo 11 *** capitolo undici ***
CAPITOLO
UNDICI
Migé
continuava a fare avanti e indietro per il corridoio dell’ospedale cercando
invano di placare il suo nervosismo. Ogni tanto cercava di instaurare un qualche
dialogo con Ville, che se ne stava seduto su una sedia in silenzio, ma dopo un
po’ cominciava a blaterare cose senza senso e desisteva dal suo
intento.
-Migé,
se continui così manderai tutti i tuoi influssi negativi in giro per
l’ospedale.- gli comunicò il cantante girandosi una sigaretta spenta tra le mani
–Calmati.-
-Come
faccio a calmarmi?! Vedrana sta partorendo e io sono costretto a starmene qui
fuori, in una sala d’attesa! Sto diventando padre, non puoi chiedermi di stare
tranquillo!- obiettò il bassista lanciando a Ville uno sguardo di
rimprovero.
Il
darkman continuò imperterrito a rigirarsi la sigaretta tra le dita guardando
apparentemente interessato la punta un tempo bianca delle sue Converse All Star
–Andrà tutto bene, Migé. Vedrana non ha mai avuto problemi finora e i tempi sono
giusti, facendo così non fai altro che rovinarti il fegato e mettere ansia alle
altre persone che sono qui.-
Migé
si fermò di colpo andandosi a sedere vicino all’amico e prendendosi la testa tra
le mani –Comincio a capire cosa devono aver provato Linde e Burton quando sono
nate le loro bambine. Non credevo che si potesse diventare così nervosi e
iperattivi in momenti come questi!-
Ville
arrestò la sua attività per un attimo spostando lo sguardo su Migé il quale
continuava a guardare fisso davanti a sé. Un altro di loro diventava padre, un
altro di loro avrebbe passato i prossimi mesi a parlare di quanto bello è poter
vedere crescere una creatura che tu stesso hai creato. Per quanto potesse essere
contento per quello che stava per succedere al suo amico, Ville non riusciva a
sorridere. –Ti invidio.- disse.
Migé
voltò lo sguardo verso di lui –Mi invidi? E perché mai? Guarda, ti assicuro che
non è per niente piacevole sentire il bisogno di fare qualcosa e non poter fare
niente…-
-Non
importa quanto sia brutto, tu hai la possibilità di vivere una cosa che io non
ho vissuto.- replicò Ville.
-Ah,
ho capito.- Migé annuì lentamente tra sé e sé –Però se ci pensi attentamente,
non è tanto importante il momento in cui lo diventi biologicamente parlando.
Quando tu hai scoperto dell’esistenza di Eljas è stato più o meno come se per te
lui fosse nato in quel momento… o mi sbaglio? In un certo senso anche tu ci sei
passato per questa situazione.-
Gli
occhi verdi del darkman scivolarono verso la porta della sala operatoria in cui
si trovava la moglie di Migé. In un certo senso aveva ragione: quando aveva
scoperto di avere un figlio era stato come se per lui Eljas fosse nato in quel
momento, poco importava se aveva già 11 anni, per lui era stato comunque quello
il punto di partenza.
-Da
un certo punto di vista hai ragione, ma non è esattamente la stessa cosa.- disse
tornando a giocare con la sigaretta –Sono situazioni diverse con diverse
reazioni e diverse circostanze.-
-Tuttavia
mi sembra che stiate cominciando ad andare d’accordo, o almeno ci provate. Eljas
è sempre sorridente quando lo incontro ultimamente e anche tu mi sembri
migliorato sotto tanti punti di vista.- constatò il bassista –Vi state facendo
bene a vicenda. Se non altro tu stai ricavando da questa storia molte qualità:
sei più maturo, meno egoista, meno egocentrico e hai recuperato la voglia di
sperimentare in ambito professionale… direi che Eljas ti sta cambiando veramente
in meglio.-
Ville
sorrise appena e annuì –E come se mi fosse capitato in casa un alieno che avesse
cambiato in me qualche parte di DNA. Credo che Eljas mi abbia dato moltissimo
finora, ma non è la stessa cosa che sarà per te con tuo figlio o che è stato per
Burton e Linde con le loro figlie. Mi manca un pezzo di vita di entrambi, non so
se capisci quello che intendo dire.-
Migé
sospirò -Che non aver conosciuto Eljas per 11 anni ti porta ad aver perso una
parte anche della tua vita, presumo.- Ville annuì –State recuperando, però, mi
sembra. Non hai detto che devi chiamare l’assistente sociale per dirle che non
vuoi più dare Eljas in affidamento?- Migé era felice di avere vicino a sé
qualcuno che riuscisse a fargli dimenticare i suoi problemi in quel momento,
parlare con Ville di Eljas spostava la sua concentrazione su qualcos’altro e per
questo era grato al cantante di essere venuto con lui in ospedale. Gli altri HIM
sarebbero arrivati più tardi: Migé non aveva voluto avere troppe persone attorno
mentre aspettava, per questo aveva optato solo per Ville.
Il
cantante era rimasto in silenzio per qualche secondo, poi aveva alzato lo
sguardo dalla sigaretta per concentrarlo ancora sul bassista del suo gruppo
–Devo ancora chiamarla, non voglio farlo mentre Eljas è sveglio o a casa,
potrebbe sentire delle cose spiacevoli, vorrei evitalo.-
rispose.
-Capisco…
E di Frida gli hai parlato?- indagò ancora Migé cercando di buttare lì il
discorso con casualità.
Ville
lo guardò spaventato per un attimo, poi si riprese –No, non gli ho ancora detto
niente.- rispose –A dir la verità credo sappia che esco con una donna, ma non mi
ha mai detto niente in proposito. Di sicuro non sa quanto seria è la
cosa.-
-E’
seria, almeno?-
-Non
lo so.- rispose Ville –Non ci frequentiamo da tanto per cui non posso ancora
esserne sicuro, ma non è nemmeno un’uscita ogni tanto. Frida è una bella donna,
con un buon carattere, ma non mi sto innamorando, se è questo che mi stai
chiedendo.-
Migé
si passò ripetutamente l’indice e il pollice della mano destra sui contorni
della barba, quasi come se stesse riflettendo –Dovresti parlargliene. Se lo
venisse a scoprire da solo non credi sarebbe un brutto
colpo?-
-E’
proprio per questo che non gli ho ancora detto niente. E se vedesse Frida come
una sostituzione di Alexandra? In questi ultimi mesi ci è capitato di parlare
spesso di lei, lui sa che ho veramente amato sua madre, però non ha ancora il
concetto effettivo di amore secondo me, in fondo ha solo 11 anni. Sua madre era
un tipo molto romantico, te la ricordi, e non so con che concetto di amore sia
cresciuto Eljas… Ho il terrore che se gli dicessi di Frida mi considererebbe un
traditore o peggio un bugiardo.- rispose Ville.
Migé
concentrò i suoi occhi sul profilo dell’amico che evitava di incrociare il suo
sguardo. Ville si sentiva in torto, lo sapeva, soprattutto temeva il giudizio di
suo figlio. Eljas era un ragazzino molto sveglio, se ne erano accorti tutti
quanti, da quando era arrivato aveva sconvolto l’esistenza di tutti quanti, non
solo quella di Ville. Tuttavia Migé si meravigliava di come il darkman si
sentisse sempre così in soggezione di fronte a un possibile giudizio da parte di
suo figlio: se volevano conoscersi dovevano cercare di osare ogni tanto e così
facendo Ville creava una specie di barriera. Sottile, ma pur sempre una
barriera.
-Eljas
è passato in mezzo a ben peggio che vedersi presentare la nuova ragazza di suo
padre.- gli fece notare –Dovresti parlargliene tu prima che accada qualcosa che
rovini tutto quello che avete costruito negli ultimi due mesi. Non aver paura di
tuo figlio!-
Ville
accettò l’accusa senza fiatare. Era inutile negarlo: lui temeva il giudizio di
suo figlio in maniera quasi paranoica. Da quando aveva cercato di fargli capire
che gli voleva bene e il ragazzino gli aveva risposto con odio, da allora per
lui era importantissimo calcolare ogni sua mossa in relazione a quello che Eljas
avrebbe potuto pensare.
-Devo
aspettare il momento adatto per dirglielo.-
Migé
stava per replicare, ma l’arrivo degli altri membri del gruppo gli impedì di
proferire parola.
Burton,
Linde e Gas arrivarono quasi correndo dove si trovavano Migé e Ville, sembravano
essere quasi più in ansia di lui.
-Ancora
niente?- domandò Burton sedendosi. Migé lanciò un mugolio
strozzato.
-Burton,
ti prego, non cominciare! Si era appena calmato.- lo rimproverò Ville
lanciandogli uno sguardo truce.
-Scusami,
è solo che ho aspettato tutta la mattina che mi telefonasse qualcuno per
avvertirmi di eventuali novità e invece niente!- protestò il tastierista
fingendosi offeso.
Linde
e Gas ridacchiarono –Ha persino chiamato a casa mia per sapere se Vedrana aveva
già partorito.- disse il chitarrista sistemandosi i rasta che si erano scomposti
nell’arrivo fino all’ospedale.
Lo
stato d’animo di Migé era tornato a essere quello di prima: nervoso, iperattivo
e in più l’entusiasmo dei suoi amici non faceva altro che potenziare il
tutto.
Improvvisamente
un’infermiera uscì dalla sala operatoria con un fagottino bianco tra le braccia
e andò incontro ai membri degli HIM. Il bassista scattò in piedi all’istante,
facendo un enorme sforzo per non correre incontro all’infermiera e strapparle il
fagottino dalle braccia.
La
donna si fermò a pochi passi da loro e con un sorriso gli porse il bambino
–Congratulazioni! E’ un bellissimo maschietto!-
Gli
occhi di Migé si illuminarono mentre guardava quella piccola creatura che teneva
tra le braccia, due occhioni azzurro chiaro che lo scrutavano curiosi e un po’
impauriti. Un sorriso euforico gli si dipinse sul volto –Ciao, piccolo! Io sono
il tuo papà.-
Ville
fu l’ultimo ad alzarsi per andare a dare un saluto al nuovo arrivato, dentro di
sé qualcosa faceva appassire anche quel momento che non avrebbe dovuto portare
altro che gioia.
ecco il capitolo dodici! ^^
sono felice, ci ho messo tanto per poterlo postare. ora avrò il computer solo
per 1h30 al giorno, per tutto, per cui non riuscirò ad aggiornare molto in
fretta. spero che comunque mi seguiate, mi fa molto piacere che la storia vi
piaccia davvero. non ringrazio uno a uno tutti quanti solo perché sono troppo
pigra per farlo, ma sappiate che vi ringrazio tutti dal primo all'ultimo! ^^
keep on enjoying me!
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Capitolo 12 *** capitolo dodici ***
CAPITOLO
DODICI
Ville
guardava incerto il telefono che aveva davanti a sé. Eljas era a letto che
dormiva: era tornato da scuola che non si sentiva bene, così l’aveva mandato a
riposarsi. Adesso aveva la libertà di chiamare la Tahvonainen senza preoccuparsi
per quello che avrebbe potuto dire, tuttavia era da mezzora che se ne stava
appollaiato sul divano guardando diffidente la cornetta del cordless poggiata
sul tavolo davanti a lui.
Era
sicuro della decisione che aveva preso, ci aveva riflettuto a lungo e alla fine
aveva deciso che avrebbe tenuto Eljas con sé. E allora perché non chiami? Si chiese il
darkman assumendo un’espressione sofferente Perché hai ancora paura? L’immagine
della donna bionda e in carne che gli aveva fatto piombare il ragazzino in casa
si delineò sorridente nella sua testa. Non poteva certo incutergli timore una
persona del genere! Eppure se pensava a un dialogo con lei, una parte del suo
stomaco si contorceva dolorosamente…
In
realtà tu hai paura di rendere tutto definitivo, ammettilo,
Ville. La
sua coscienza lo rimproverava con la sua sottile ironia, come sempre, ma aveva
ragione: aveva paura di rendere tutto definitivo, il che per lui era una novità.
Non era mai riuscito a definire realmente niente, anche quando si era fidanzato
ala fine non aveva concluso niente. Questa volta, però, doveva decidersi a fare
un passo avanti: si trattava di suo figlio, non di una persona a
caso.
Prima
di rischiare di mettersi a riflettere troppo un’altra volta, si sporse in
avanti, afferrò la cornetta e compose il numero che la Tahvonainen gli aveva
lasciato. Il segnale sembrava riecheggiargli nelle orecchie come un tuono
particolarmente potente.
-Pronto?-
domandò Ville quando la segretaria dell’assistente sociale ebbe risposto al
telefono –Sono Ville Valo, vorrei parlare con la signora Tahvonainen.- Fu messo
in attesa.
-Buongiorno, signor Valo. Aspettavo la sua
chiamata. Ha ricevuto la mia lettera?- domandò la Tahvonainen afferrando la
cornetta e liberando il cantante dall’atrocità
dell’attesa.
-Buongiorno,
le volevo parlare appunto di questo.- rispose Ville –Io ci ho ripensato, non
voglio più dare in affidamento Eljas.-
Per
un attimo ci fu silenzio dall’altra parte del cavo, poi l’assistente sociale
parlò –Sono felice di questa sua
decisione. Non sa quanto sia meglio per tutti che alla fine lei abbia preso
questa strada! Alla fine ha recuperato i rapporti con Eljas,
dunque.-
-Per
il momento stiamo andando d’accordo, ma non scommetterei su niente adesso.-
replicò il cantante cominciando a rilassarsi –Fattostà che per il momento non
voglio dare in affidamento Eljas.-
Eljas
si era svegliato con il bisogno di andare in bagno. Barcollando per quasi tutta
la lunghezza del corridoio riuscì infine ad afferrare la maniglia della porta e
ad aprirla. Stava quasi per entrare quando sentì la voce di Ville pronunciare
queste parole: “… voglio dare in
affidamento Eljas”. Improvvisamente si era risvegliato, quelle parole erano
state peggio di una doccia ghiacciata. Attirato dal dialogare del padre al
telefono e ansioso di chiarire quelle parole, si diresse lentamente verso il
salotto. Ville stava parlando al telefono e guardava verso il terrazzo, per cui
non poteva vederlo. Evidentemente era al telefono con la
Tahvonainen.
-Sarebbe
mio fratello a prendersi cura di lui.- disse Ville.
Ghiaccio.
Perché? si
chiese Eljas sentendo il terreno crollargli sotto i piedi Cos’è successo? Ho sbagliato qualcosa? Ho
fatto qualcosa che non dovevo? Per quanto cercasse di indagare non gli
sembrava di aver fatto nulla di male nell’ultimo periodo. A scuola andava bene,
non litigavano da mesi, non andava male nemmeno con le lezioni di chitarra e a
scuola aveva anche cominciato a farsi degli amici… Perché?
-E’
stato tutto già deciso.- continuò Ville senza accorgersi dei due occhi bagnati
che aveva puntati sulla schiena –Ottimo, la ringrazio.-
Eljas
non voleva sentire altro. Senza fiatare corse in camera sua e si richiuse la
porta alle spalle. Ville aveva appena riattaccato quando il rumore attirò la sua
attenzione e un orrendo presentimento si fece strada nei suoi pensieri. Eljas
era sveglio? Aveva sentito qualcosa? Non aveva detto niente, ma non poteva
sapere come avrebbe comunque reagito il bambino a senti parlare di
affidamento.
Per
tranquillizzarsi andò a controllare che tutto fosse in ordine. Entrando in
camera di Eljas tutto gli sembrò normale: le persiane erano abbassate in modo da
tenere la stanza nella semioscurità, il ragazzino era sotto le coperte, la
schiena verso la porta. Non un rumore. Nonostante tutto sembrasse essere a
posto, sentiva che qualcosa non andava…
-Eljas,
va tutto bene?- domandò affacciandosi appena nella stanza, ma non ricevette
nessuna risposta. Ne dedusse che il bambino stava ancora riposando e decise di
lasciarlo continuare, nonostante percepisse che qualcosa era fuori
posto.
Non
si era accorto che il respiro del bambino era irregolare, non come quello di uno
che dorme. Una lacrima lasciò una chiazza scura sulla federa chiara, ma questa
volta Eljas non fece nulla per impedire al suo dolore di scorrere. Si sentiva
tradito, preso in giro, abbandonato!
Aveva
cominciato a fidarsi di Ville, se non altro aveva cominciato a vedere in lui un
amico, a provare per lui un vero moto di affetto! E lui invece l’aveva
ingannato! Aveva promesso che non lo avrebbe dato in affidamento e invece eccolo
che chiamava la Tahvonainen per dirle di continuare, per dirle che alla fine
sarebbe stato Jesse a prendersi cura di lui… E lui nemmeno voleva andare a stare
con Jesse! Aveva un ottimo rapporto con lo zio e anche coi nonni, ma se doveva
abbandonare quella famiglia la voleva abbandonare del tutto. Rimanere “nei
paraggi” non avrebbe fatto altro che aumentare il suo dolore, perché in quel
momento non si vergognava ad ammetterlo: stava male, malissimo, si sentiva
rifiutato da suo padre e non si era mai sentito così male, nemmeno quando era
morta sua madre.
Sua
madre gli aveva sempre fatto capire che gli voleva bene, anche quando lo
sgridava per qualche guaio che combinava, non gli era mai venuto nemmeno un solo
dubbio sull’affetto che lei provava per lui. Ville, invece? No, con lui era
partito già tutto col piede sbagliato! Nemmeno era entrato in casa che già si
era sentito dire “trovategli un’altra
famiglia”… Perché avrebbe dovuto essere diverso ora? Cosa si era aspettato,
che Ville cambiasse radicalmente così dal niente? Era stato uno
stupido…
E
Ville era stato uno stronzo.
L’aveva
preso in giro, facendogli credere che tutto stava andando benissimo,
comportandosi da padre, insegnandogli addirittura a suonare la chitarra… E
invece se non gli fosse capitato di origliare la telefonata, non avrebbe nemmeno
mai saputo quello che stava succedendo. Probabilmente un giorno sarebbe tornato
a casa e Ville gli avrebbe detto La
Tahvonainen ti ha trovato una famiglia meravigliosa! o peggio ancora Jesse passa a prenderti fra poco, d’ora in
poi sarà lui il tuo papà. Allora lui avrebbe dovuto adeguarsi alla
decisione, probabilmente non avrebbe retto a una delusione del genere, nessun
cuore è in grado di ricevere troppi colpi in un lasso così breve di
tempo.
Eppure
aveva detto tante cose che gli avevano fatto credere che… Per un attimo aveva
pensato che effettivamente stesse per sentirsi a tutti gli effetti suo padre: la
scuola, le prove, la chitarra… No, alla fine non era stato lo stesso Ville a
dirgli che per andare avanti nel mondo dello spettacolo devi saper mentire? Era
abituato a raccontare frottole per non far capire cosa pensava e provava
veramente, perché mai con lui avrebbe dovuto andare diversamente? Era stato lui
lo stupido che ci era cascato in pieno, quello che aveva abbassato la guardia
seguendo il consiglio che gli aveva dato Linde.
E
Linde lo sapeva? Come avrebbe reagito? Probabilmente non gliene fregava
veramente qualcosa, altrimenti si sarebbe impegnato di
più.
No,
Linde non gli sembrava il tipo da far finta di nulla. Quando Ville gli aveva
detto dell’affidamento e di Jesse, il chitarrista era esploso e gli aveva detto
delle cose molto cattive, di sicuro se avesse saputo glielo avrebbe detto.
Avrebbe litigato ancora col cantante.
E
Migé, Burton, Gas? Forse loro lo sapevano, ma dopo la nascita del piccolo Daavid
si erano tutti concentrati su di lui, probabilmente la questione era passata in
secondo piano. D’altro canto non poteva pretendere che tutti pensassero a lui e
al rapporto marcio che aveva con Ville Valo, suo padre, l’uomo che 11 anni prima
aveva amato sua madre e che a quanto pareva non sembrava voler amare anche
lui.
Un’altra
goccia lasciò il segno sulla federa che cominciava a inzupparsi vicino alla
guancia di Eljas, ma come sempre il ragazzino non ci badò. Era stufo di stare
male, quella sarebbe stata l’ultima volta che si sarebbe concesso di provare dei
sentimenti, tanto valeva lasciarli uscire del tutto.
-…
Per il momento non voglio dare in affidamento Eljas.-
-Sono
contenta.-
rispose la Tahvonainen –E se dovessero riaffiorare problemi come
quelli iniziali? Cos’ha intenzione di fare in quel caso? Se blocco le procedure
per l’affidamento, poi dovremmo ricominciare tutto daccapo.-
-Sarebbe
mio fratello a prendersi cura di lui.- aveva detto Ville storcendo la bocca in
una smorfia di stizza.
-Se
avete deciso tra di voi io non me ne devo preoccupare, allora, giusto?-
domandò
l’assistente sociale. Sembrava veramente felice di non doversi più occupare di
quel caso.
-E’
stato tutto già deciso.- le comunicò Ville.
-Allora
io mi limito ad annullare le procedure per l’affidamento, d’accordo? Non si
preoccupi per i dettagli, penso a tutto io, poi le farò avere i documenti di cui
necessita.-
-Ottimo,
la ringrazio.- disse Ville sorridendo. Finalmente ce l’aveva fatta. In
qualche modo sentiva di essere diventato papà come era capitato a Migé. Ora
aveva ufficialmente un figlio.
NON UCCIDETEMI! non ho
altro da dire, ma per favore non uccidetemi... gli autori himmici sono famosi
per essere dei sadici schifosi, non potete rimproverarmi. ^^ ma non bloccatevi
qui, gli sviluppi potrebbero portare delle novità, non posso anticipare nulla.
keep on enjoying me, e grazie per i commenti così belli che mi lasciate! sono
commossa...
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Capitolo 13 *** capitolo tredici ***
CAPITOLO
TREDICI
Eljas sentì un forte dolore al
ginocchio quando questo cozzò violentemente contro il pavimento. Senza scomporsi
troppo si rialzò e si passò una mano sui pantaloni nel punto in cui avevano
toccato terra. Sampo si avvicinò a lui con un’espressione di rimprovero che i
suoi occhi chiari non riuscivano a filtrare.
-Si può sapere cos’hai oggi? Devi
rimanere concentrato quando fai certe cose, altrimenti rischi di farti male e a
me non va che tuo padre mi venga a fare la predica dopo!- disse il ragazzo
fermandosi davanti al bambino.
-Non credo che Ville verrà mai a
farti la predica a causa mia, Sampo, non credo che gliene freghi molto.- rispose
Eljas risistemandosi meglio la ginocchiera che era scivolata dopo la
caduta.
Sampo lo guardò accigliato –Non
puoi comunque affrontarmi una pista nuova senza essere concentrato al cento
percento su quello che stai facendo! E’ facile rompersi qualcosa e non credo sia
il caso che ciò avvenga. Se hai litigato con tuo padre lascia la questione fuori
da qui, rischia solo di farti finire in ospedale!-
Eljas annuì silenziosamente, senza
badare veramente alle parole del suo istruttore. In realtà non aveva
propriamente litigato con Ville,
semplicemente aveva smesso di rivolgergli la parola per più del necessario,
esattamente come faceva qualche mese prima. Alle domande del cantante non
rispondeva, chiudeva le orecchie al suono di qualche canzone e si metteva a
disegnare in cucina o sul suo letto finché lui non desisteva e lo lasciava in
pace.
Non piangeva
più.
Non provava più
dolore.
Non provava più
niente.
-Eljas, mi stai ascoltando?- gli
chiese Sampo con un tono di voce abbastanza scocciato. Il ragazzino alzò lo
sguardo, evidentemente perso altrove coi suoi pensieri. –Non ti faccio risalire
su quella tavola di legno finché non sono sicuro che tu non stai pensando ad
altro che allo skateboard che hai sotto i piedi.-
-Sampo, ti prego! Sono venuto qui
anche per sfogarmi, oggi, non puoi chiudere un occhio per una volta?- protestò
Eljas.
-No. Se non sarà tuo padre a
rimproverarmi sarà tua nonna, e Anita può diventare veramente tremenda quando si
arrabbia, vorrei evitarlo. Adesso ti lascio un po’ di tempo per conto tuo:
rifletti quanto vuoi su quello che vuoi, ma quando torno voglio vederti
concentrato su quello che stai facendo, altrimenti per oggi le lezioni finiscono
qui. Mi sono spiegato?-
Eljas annuì controvoglia,
arrendendosi di fronte alla determinazione del ragazzo, il quale sancì l’accordo
con un cenno del capo prima di andare a dedicarsi a qualcun altro. Il ragazzino
si sedette controvoglia sulla sommità della pista che stava affrontando prima di
cadere e cominciò ad analizzare distrattamente gli strap dei suoi
parapolsi.
Non voleva pensare alla situazione
che avrebbe trovato quando sarebbe tornato a casa, era l’ultima cosa che voleva
avere in testa. Eppure qualunque cosa facesse si sentiva rimbombare
continuamente nelle orecchie le parole affidamento e Jesse come se un piccolo demone maligno
gliele stesse sussurrando. Ville non gli aveva ancora detto niente, si era
comportato impeccabilmente come al solito, era addirittura andato a parlare coi
suoi insegnanti rischiando di essere riconosciuto. Alla fine era riuscito a
mantenere l’anonimato con l’appoggio del preside della scuola, era tornato a
casa orgoglioso dei commenti che erano stati fatti su suo figlio e per una volta
si era sentito realizzato completamente, ma aveva trovato un’accoglienza fredda
da parte dell’oggetto della sua felicità.
Che attore che
era!
Un attore
nato…
Avrebbero dovuto scritturarlo per
un film prima o poi, così avrebbe potuto dar sfogo alle sue capacità. Era
riuscito a fregare pure lui, per un momento aveva anche pensato di aver sognato
la conversazione che aveva origliato al telefono… ma il ricordo era troppo
vivido e troppo doloroso per poter essere limitato alla sfera dei
sogni.
Nel frattempo era giunto a una
conclusione, forse aveva trovato la ragione per cui l’affidamento era tornato ad
essere un argomento di moda in casa Rakohammas: c’era una donna. Ville usciva
con una donna, l’aveva capito da tempo, ma ne aveva avuta la conferma qualche
giorno prima rispondendo al telefono quando il cantante non era in casa. Una
voce femminile gli aveva lasciato detto di ricordare all’interessato di passarla
a prendere quella sera, e Ville quella sera era uscito e non era rientrato se
non quasi all’alba.
Frida…
Che nome
odioso!
Il nome di sua madre era molto più
musicale, Alexandra era un nome
nobile, classico, elegante, Frida
sembrava il nome di una ballerina di un locale di poco conto! [chiedo venia per coloro che leggono a cui piace il nome, ma
i gusti non possono essere tutti uguali, sennò sarebbe un mondo piatto! ^^
ndJ] E in più era la ragione per cui Ville lo aveva rinnegato, ne era
sicuro. Come faceva ad avere una relazione con una donna quando si ritrovava tra
i piedi un figlio di 11 anni piombatogli in casa dal nulla? Era troppo
complicato… Bene, con l’affidamento si risolve il problema! Così si prendono due
piccioni con una fava: una donna in più e un figlio indesiderato in
meno!
Quanto lo odiava… E odiava anche
lei. Se non fosse stato per quella Frida, forse, Ville non lo avrebbe
mollato lì come aveva fatto! Forse sarebbe diventato veramente un padre per lui!
Ma che senso aveva pensarci ora che era tutto finito?
Nessuno.
Nessun senso.
-Ti sei calmato, adesso? Hai
riflettuto abbastanza?- Sampo lo richiamò dal fondo della discesa della
pista.
Eljas scosse la testa –Oggi non è
giornata. Torno a casa.- disse strappandosi via di dosso le ginocchiere e
dirigendosi verso il suo zainetto abbandonato di fianco alla pista. Sampo lo
osservò incerto.
-Ma è successo qualcosa di grave,
Eljas? Ne vuoi parlare?- domandò cambiando radicalmente tono di voce –Se hai
bisogno sai che sono disponibile.-
-No, grazie. Sei gentile, ma non mi
va di parlare di quello che succede tra me e Ville. E’ troppo complicato… Torno
domani, oggi non ce la faccio proprio.- rispose il ragazzino prendendo le sue
cose e allontanandosi dallo skatepark col suo skateboard.
Ville intanto aspettava il ritorno
del figlio abbandonato nella sala della musica con Silvester tra le mani. Non
realizzava ancora totalmente quello che aveva fatto. Era padre,
definitivamente.
E pensare che fino a pochi mesi fa
non sapevo nemmeno che esistesse. pensò mentre le sue dita
scivolavano distrattamente sulle corde più basse della chitarra E adesso non riuscirei a immaginare come
sarebbe stare senza di lui un’altra volta…
Quando aveva riagganciato dopo la
conversazione con la Tahvonainen, aveva capito che ormai non avrebbe voluto
vedere suo figlio affidato a qualcun altro che non fosse lui. Nemmeno Jesse
aveva il diritto di crescere quella creatura, era una parte dei suoi geni, una
parte di sé, della sua vita, nessun altro poteva capire quella vicinanza più di
lui.
Finalmente sentiva quello che per
moltissimi anni era rimasto per lui un semplice accostamento di parole: spirito
paterno. Provava l’istinto di proteggere Eljas da qualsiasi cosa e un moto di
amore sincero si impadroniva di lui ogni volta che lo guardava, non c’era più lo
shock dell’inizio, non si terrorizzava più a vedere i suoi stessi occhi
rivolgergli un sorriso o uno sguardo curioso.
Eppure qualcosa negli ultimi giorni
non lo convinceva: Eljas si comportava in maniera strana. Non parlava più molto
volentieri, nemmeno quando era tornato dal ricevimento dei genitori portando
ottime notizie, e non si interessava neppure più tanto alle lezioni di chitarra.
Lo sentiva un po’ distaccato ed era una sensazione che si portava dietro da
quando aveva chiamato l’assistente sociale.
Probabilmente è solo una strana
conseguenza per il cambiamento. Sarà il mio cervello ad essere bacato, dopo anni
di alcol certe cose non dovrebbero meravigliarmi… rifletté continuando a
suonare.
Improvvisamente sentì la porta
dell’ingresso chiudersi pesantemente. Strano, Eljas doveva avere lezione di
skate fino alle sei ed erano appena le cinque e un quarto… Si alzò dal pavimento
e raggiunse la cucina dove prontamente trovò il bambino intento a preparare un
disegno.
-Già a casa?- domandò sedendoglisi
davanti –Come mai?-
Eljas non rispose subito, continuò
prima a sistemare le sue cose. Ville lo guardò incerto, cominciava a
preoccuparlo quell’atteggiamento, Eljas era così da una
settimana.
-Non era giornata oggi. Sampo mi ha
detto che se non mi concentravo non mi faceva fare altro, così sono andato via.-
rispose a un certo punto il ragazzino issandosi sullo sgabello della cucina e
mettendosi finalmente a disegnare. Come sempre Ville osservò la mina della
matita sbriciolarsi con grazia sulle pagine bianche del blocco di fogli,
estasiato dalla naturalezza con cui quel bambino sapeva tracciare segni che
portavano alla fine a un bel disegno.
-Come mai, cos’è successo?- chiese
ancora cercando di risultare il più tenero possibile. Non voleva dare
l’impressione di essere un impiccione.
-Affari miei.- rispose piatto
Eljas. Ville reagì negativamente: perché gli rispondeva così? Era da molto tempo
che non sentiva quel tono, doveva essere successo
qualcosa…
-Sei arrabbiato con me, per caso?
Se è così puoi dirlo, non mi pare che finora ci siamo tenute segrete certe
cose.- disse cercando di interagire diplomaticamente con Eljas, ma si poteva
capire benissimo che c’era rimasto male per la risposta
ricevuta.
Eljas continuò imperterrito il suo
disegno, senza degnare il cantante di una risposta, finché questi non si alzò
per andare a prendere qualcosa da bere dal frigorifero. Quando Ville stava per
uscire dalla stanza, allora si decise a rispondergli –Ci sono cose che dovresti
capire da solo, non dovrei essere io a dirtele.-
Ville si fermò sulla soglia
lanciando degli sguardi indagatori verso il figlio. Cosa intendeva
dire?
Che sta succedendo,
Eljas?
perdonate l'immane ritardo, ma
ho avuto problemi col capitolo di word [che non vuole che scriva ghiaccio secco,
a quanto pare...]. questo capitolo può sembrare di transizione, MA non lo è:
entra specificatamente in Eljas, da qui capirete i prossimi due e gli sviluppi.
^^ keep on enjoying me!
suukko!
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Capitolo 14 *** capitolo quattordici ***
sdv
CAPITOLO QUATTORDICI
Ville stava fumando appoggiato al
balcone del salotto di Kapio mentre l’amico gli stava parlando
accanto.
-Secondo me è in una di quelle fasi
adolescenziali in cui il tuo umore cambia radicalmente da un giorno all’altro.-
diceva l’uomo sbuffando nuvole di fumo verso l’alto –Aggiungendoci alcuni tratti
della sua storia personale credo sia normale che si comporti in questo
modo.-
Ville scosse la testa lasciando che
la cenere cadesse di sotto –Credimi: Eljas non è il ragazzino da problemi
adolescenziali. Prima non mi voleva parlare perché mi odiava, poi ha iniziato a
interagire con me perché siamo scesi a compromessi, in seguito avrei quasi detto
che era arrivato a volermi bene, ma ora… Non mi rivolge la parola se non per
casi necessari, esattamente come qualche mese fa, dopo che l’assistente sociale
me l’ha piazzato davanti agli occhi.-
Kapio storse appena la bocca, colto
in fallo. Il suo ragionamento doveva avere evidentemente qualche falla. –Allora
non so che dirti, Ville. Sei sicuro di avere la coscienza
pulita?-
-E’ cambiato da un giorno
all’altro, ti ho detto! Prima andava tutto a meraviglia, poi ho chiamato la
Tahvonainen e tutto è tornato al punto di partenza. Non capisco cosa sia
successo nel frattempo.- rispose il darkman passandosi una mano tra i capelli,
come faceva sempre quando era nervoso.
L’amico abbassò lo sguardo sulla
punta delle sue scarpe cercando di riflettere, poi lo rialzò per concentrarlo su
di lui –E di Frida gli hai parlato?-
Il mugugno che uscì dalla gola di
Ville non suonò assolutamente come una conferma.
-Ville, credo che quello sia un
argomento importante da trattare, non credi? Ha perso sua madre da poco e tu ti
vedi con un’altra donna. E’ un’altra figura femminile che si inserisce al suo
posto, è di vitale importanza che tu gliene parli!- lo rimproverò
Kapio.
Il darkman evitò di guardare il suo
interlocutore, si limitò a osservare la città che si stendeva davanti ai suoi
occhi. Poi sospirò –E’ proprio per questo che non gli ho ancora detto niente.
Anche Migé mi ha detto di affrettarmi a farlo, ma non mi sembra il momento
adatto per dirgli che mi vedo con una donna, adesso. Anche perché Frida non
potrebbe neanche lontanamente essere una sostituzione di Alexandra, né per Eljas
né per me.-
-Non sta andando bene, ne
deduco.-
-Non è questo, è che non mi sto
innamorando, Kapio. Pensavo che all’inizio fosse tutta una questione di blocco
psicologico, visto che le mie ultime storie sono state abbastanza catastrofiche,
ma mi rendo perfettamente conto che se non ci fosse il sesso io e Frida saremmo
due semplicissimi amici. Almeno per quello che mi riguarda.- replicò Ville –Non
me la sento di presentarla ad Eljas in queste condizioni.-
Kapio annuì –Perché non la lasci,
allora?-
Ville non rispose subito, era una
cosa che si era domandato anche lui, ma non era ancora riuscito a darsi una
risposta. Tirò l’ultima boccata di fumo, poi si volse finalmente a guardare
Kapio che lo osservava scettico. –Non lo so. Credo che sia perché dopotutto a
lei ci tengo più che a una semplice amica, o forse semplicemente perché non
riesco a dirglielo, come con Eljas.-
-Lei sa di tuo
figlio?-
-Sì, le ho raccontato tutto. Io e
lei ci vedevamo da prima che arrivasse Eljas, per cui è stata una delle prime
persone che l’ha saputo. Vorrebbe conoscerlo.- rispose il
cantante.
Kapio annuì –Allora falli
conoscere! Dammi retta, più aspetti peggio sarà quando dirai a Eljas che ti vedi
con una donna… Altrimenti molla Frida e concentrati su di lui, il che non mi
sembrerebbe poi così sbagliato.-
-Per te è facile parlare, non sei
nella mia situazione! Tu hai una famiglia meravigliosa, dei bambini che ti
adorano, una moglie che ami e che ti ama… Con Eljas è molto più complicato di
quanto sembri: siamo così simili, eppure entrambi rifiutiamo in qualche modo
questa somiglianza. Io sono felice della sua esistenza, molto felice, ma non
posso negare di essere rimasto più che scioccato all’inizio, quando mi è
capitato in casa.- obiettò il darkman.
-Ne parli come se fosse una
calamità più che una benedizione!- lo rimproverò l’amico invitandolo a rientrare
in casa.
Ville scosse la testa seguendolo
–Non sto dicendo questo, dico solo che non basta dire quello che dovrei fare
senza provare a convivere con Eljas e senza conoscerlo almeno un
po’.-
-Da questo punto di vista hai
ragione, ma ammetterai che le critiche che ti abbiamo fatto io e Migé non sono
poi così sbagliate, non trovi?- obiettò Kapio.
-No, avete perfettamente ragione
anche voi, ma devo capire esattamente cosa voglio fare con Frida, prima di
presentarla a Eljas come la mia ragazza ufficiale. Illuderei lei e probabilmente
spaventerei lui.- disse il cantante sedendosi sulla poltrona del
soggiorno.
Kapio cominciò a sfogliare
distrattamente un giornale che si trovava sul tavolo mentre pensava a quali
fossero le parole più adatte da dire all’amico. Improvvisamente sembrò aver
avuto un’illuminazione –Hai detto che lui non sa niente, ma ne sei sicuro?
Potrebbe aver capito qualcosa e magari tutto il comportamento di questo periodo
potrebbe essere un segnale di gelosia.-
Ville ridacchiò –Non credo che
Eljas potrebbe mai farmi scenate di gelosia! Andiamo, ce lo vedi? Mi ha sputato
contro veleno per più di un mese, non credo che negli ultimi due sia arrivato ad
amarmi così tanto da essere geloso di una donna di cui non sa
niente!-
-Tu lo sottovaluti troppo, Ville.
Ricordati che è un bambino che ha perso sua madre, non è detto che la sua
psicologia sia così forte come tu credi, in questo periodo. Potrebbe aver
raccolto qualche telefonata di Frida, aver orecchiato te che parlavi al
telefono, anche aver semplicemente letto un giornale di gossip a scuola… Non mi
sorprenderei se sapesse qualcosa di lei.- insistette Kapio richiudendo il
giornale.
Ville lo guardò spaventato:
effettivamente non aveva mai considerato quell’ipotesi, ma gli sembrava così
improbabile che Eljas sapesse… E perché se sapeva qualcosa non gli aveva chiesto
nulla? Era sicuro che il ragazzino non era il tipo da tenersi domande pungenti
dentro, a meno che queste non implicassero un notevole sforzo sentimentale, come
quando gli chiedeva di quando lui e Alexandra stavano
insieme.
-Se fosse come dici credo che mi
avrebbe detto qualcosa, però è anche vero che non mi spiego in altro modo questi
suoi silenzi e poi… Lui disegna sempre, ma ultimamente lo fa ancora più spesso.
Io suono e disegno tanto solo quando sto male dentro, credo che per lui sia lo
stesso.-
Kapio annuì –Devi parlargli, farci
una bella chiacchierata come quando avete cominciato a riallacciare i rapporti.
Magari litigherete, forse ti insulterà, quasi sicuramente metterete in campo dei
sentimenti scomodi, ma alla fine vi chiarirete. L’importante è che tra voi non
ci siano segreti, Ville.-
Il darkman sospirò –Non gli ho
ancora detto che ho disdetto i procedimenti per l’adozione. Volevo fargli una
sorpresa, ma è da quel giorno stesso che si comporta così. Ero così preoccupato
all’inizio che mi sono dimenticato di dirglielo e adesso non so se è il momento
adatto per farlo.- disse –Ovviamente questo Linde non lo sa, almeno non è a
conoscenza né della questione Frida né della questione
affidamento.-
L’amico rise –Immagino, altrimenti
Eljas saprebbe già tutto! Linde ha la strana capacità di farti fare le cose
giuste, Ville.-
-Una volta eravamo noi che dovevamo
tenerlo calmo quando si sbronzava, che dovevamo dirgli di tenere la testa a
posto, ora invece, da quando ci sono Manna e Olivia, è tutto il contrario.-
sorrise il darkman.
-E’ per questo che credo che
dovresti parlare anche con lui.- asserì Kapio –Secondo me ti aiuterebbe a capire
cos’è il meglio da fare in questi casi. Scommetto che non si discosterebbe
troppo da me e da Migé.-
-Sarebbe anche più radicale!-
sbuffò Ville –Andrebbe a prendere personalmente Frida e la condurrebbe davanti
ad Eljas in mia presenza, poi mi obbligherebbe a chiarire i loro ruoli di fronte
a loro. Se ascoltassi sempre Linde farei la mia rovina come
uomo.-
Kapio rise, poi tornò serio –Invece
credo che potrebbe insegnarti molto Linde, in fondo è teoricamente padre da più tempo di te,
sa come si gestiscono certe cose. Ed è uno che ha capito quando era arrivato il
momento di smetterla di fare cazzate. Ti ricordo che in parte devi a lui il
fatto di essere ancora qui.-
Lo sguardo di Ville si rabbuiò. Si
ricordava perfettamente bene di quando Linde lo aveva tirato giù da quel
cornicione dell’albergo su cui stava giocando a fare l’equilibrista, ubriaco
fradicio. Effettivamente era quello che aveva più senso della responsabilità dei
suoi amici, la nascita di Olivia l’aveva radicalmente
trasformato.
-Mi ricorderò di farglielo
presente.- acconsentì alla fine passandosi di nuovo una mano tra i capelli. Quel
ricordo aveva ridestato in lui sensazioni ormai da tempo dimenticate. Era anche
per quel ricordo che aveva smesso di bere a livelli da malato. –Se Eljas
accetterà di rivolgermi ancora la parola sarò felice di discutere con lui di
tutto il necessario, ma avrò bisogno di tempo.-
Kapio fece una smorfia –No, Ville,
non aspettare troppo. Eljas vivrà questo periodo una volta sola nella vita, è
necessario che sappia che tu ci sei, che tu sei pronto ad aiutarlo in caso lui
te lo chieda.-
Il cantante osservò impressionato
l’amico. Era la prima volta che gli veniva detta una cosa del genere riguardo ad
Eljas, o almeno era la prima volta che si rendeva conto del significato di
quelle parole.
-Hai ragione, appena ne avremo
l’occasione dirò tutto ad Eljas.-
Kapio lo guardò con decisione
–Tutto?- Ville
annuì -Tutto.-
questa volta pubblico in
fretta, ma non aspettatevi aggiornamenti prima della settimana prossima [forse
anche dopo... dipende tutto dal mio prof di storia e filosofia]. intanto vi
informo del fatto che Kapio è un personaggio completamente inventato, quindi non
cercate di capire chi è nella congrega himmica, semplicemente credo che ville
abbia anche altri amici e in una situazione come questa credo anche che
verrebbero contattati. LaTuM ha perfettamente capito quello che intendevo fare
con il capitolo 13, spero che avvenga lo stesso [per tutti] con quest'ultimo.
dal prossimo ci saranno degli sviluppi veri e propri. keep on enjoying me!
suukko! ^^
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Capitolo 15 *** capitolo quindici ***
CAPITOLO QUINDICI
Eljas chiuse la porta
dell’appartamento con un’espressione truce negli occhi. Ville avrebbe dovuto
essere andato a prenderlo a scuola prima quel giorno e se ne era dimenticato.
L’aveva aspettato per un quarto d’ora, poi aveva tirato fuori il biglietto del
tram e si era avviato verso casa, consapevole del fatto che Ville non sarebbe
più venuto. Quello che sentì all’interno dell’appartamento gli chiarì il motivo
dell’assenza del cantante fuori da scuola.
Lanciò lo zainetto ai piedi di uno
sgabello della cucina e come sempre si sedette a disegnare col lettore CD che
mandava una canzone dei Pink Floyd. Tracciava linee veloci e pesanti, senza
sapere ancora cos’avrebbe realizzato la sua mente, cercando semplicemente di
isolarsi da quello che avveniva attorno a lui.
Hello, is
there anybody in there?
Just nod
if you can hear me…
Is there
anyone at home?
Rivoleva sua madre, gli mancavano
le sue carezze appena tornato da scuola, la sua voce allegra che canticchiava
alcune canzoni accompagnandosi con la chitarra, anche il suo terribile stonare
gli mancava. Si vedeva davanti gli occhi azzurri di lei che gli sorridevano da
dietro la frangetta bruna prima di addormentarsi, e quegli occhi gli mancavano
terribilmente. Ancora si ricordava il profumo che aveva, glielo aveva regalato
una sua amica al suo compleanno e non conosceva nessun’altra che avesse lo
stesso odore: sapeva di fresco, di libertà, e nello stesso tempo pungeva le
narici solleticandole appena… e quel profumo rimaneva dietro di lei come la
polvere di fata. Da piccolo diceva sempre che sua madre era una fata, una fatina
dei boschi come quelle che avevano incantato Peter Pan, solo ora si rendeva
conto di quanto fosse stupido, ma era comunque un ricordo di lei e lei gli
mancava enormemente.
All’improvviso sentì un rumore che
gli fece drizzare appena la testa: Ville era appena entrato in cucina. Era
completamente nudo. Non appena si rese conto della presenza di Eljas si bloccò,
gli occhi e la bocca spalancati in un’espressione di
sorpresa.
-Cosa ci fai qui?- domandò al
ragazzino –Non dovresti essere a scuola?-
-Dovevi passarmi a prendere più di
un’ora fa, ma a quanto vedo te ne sei dimenticato.- rispose Eljas ritornando a
concentrarsi sul disegno che aveva cominciato a prendere una
forma.
Ville sembrò ricordarsi solo in
quel momento dell’impegno, come se si rendesse conto solo in quel momento
dell’orario. –Da quanto tempo sei qui?-
-Da un numero considerevole di uh e di aah, ma non preoccuparti, avevo gli
auricolari. Dopo un po’ non ci ho fatto più caso.- disse Eljas. Ville stava per
rispondere quando venne raggiunto in cucina da una donna di circa trent’anni,
vestita solo di una grande T-shirt che il ragazzino riconobbe come una delle
magliette del cantante.
-Amore, dove…? Ah, non siamo soli,
vedo.- disse appoggiandosi alla spalla del darkman.
Ville continuò a guardare fisso il
figlio, il quale osservava a sua volta la donna con un’espressione decisamente
funerea. –Frida, lui è Eljas, mio figlio. Eljas, lei è Frida, la mia…
ragazza.-
-E così tu saresti Eljas. Sono
molto felice di conoscerti, Ville mi ha parlato molto di te.- sorrise
Frida.
-Ville di te, invece, non mi ha mai
detto niente.- rispose il ragazzino senza mutare
espressione.
Frida rimase un po’ scossa dalla
risposta ricevuta e scambiò qualche sguardo con Ville, il quale continuava a
fissare Eljas come se cercasse di mutare quella situazione in un incubo
passeggero. –E’ meglio se vado a vestirmi. Devo andare…- disse la donna rivolta
al suo ragazzo, prima di abbandonare la cucina.
Ville rimase ancora un attimo a
guardare Eljas prima di seguirla in camera per infilarsi qualcosa
addosso.
Eljas continuò a disegnare mentre
aspettava che i due si ricomponessero. Dopo una decina di minuti vide Ville
accompagnare Frida alla porta: si era messo un paio di jeans e una maglia, la
donna aveva invece un vestito da ufficio.
-Frida, scusami
per…-
-Non preoccuparti, Ville, tanto
dovevo andare comunque.- disse Frida infilandosi la giacca e aprendo la
porta.
Ville la guardò imbarazzato
–Grazie. Ti chiamo più tardi.- la salutò.
Frida gli posò un bacio sulle
labbra –D’accordo.- poi si girò verso il ragazzino che la guardava con gli occhi
che mandavano fiamme –Ciao, Eljas!- lo salutò, ma questi non
rispose.
Ville passò lo sguardo da lui a
Frida –Lascia che gli parli io.- le disse. Lei annuì, gli diede un altro bacio e
se ne andò.
Il cantante aspettò qualche secondo
dopo che Frida se ne fu andata, fermo, guardando la porta chiusa, poi sospirò
pesantemente e si diresse verso il figlio, il quale aveva ricominciato il suo
disegno con la musica nelle orecchie. Appoggiò le mani sul lato del tavolo che
lo fronteggiava e si sporse verso di lui chiamandolo.
–Eljas…-
Ma il ragazzino non rispose. Ville
riprovò ad attirare la sua attenzione, ma anche questa volta non ricevette
alcuna reazione in risposta. Alla fine perse la pazienza e spense il lettore CD
del ragazzino, che alzò lo sguardo come per protestare. Ville fu più
veloce.
-Possiamo parlare civilmente?-
chiese con stizza.
-Non mi sembra ci sia molto da
dire. Avevi tutto il tempo per parlarmi di lei prima.- replicò Eljas cercando di
riattivare il lettore CD, ma il padre glielo impedì.
-Non comportarti da ragazzino
proprio quando è il momento di essere maturo, Eljas.- lo rimproverò –Dobbiamo
chiarire questa situazione.-
Eljas guardò il darkman con
un’espressione di puro disprezzo –Arrivi tardi, Ville.-
-Non volevo che lo scoprissi in
questo modo, ma non sapevo come dirtelo. Contavo di farlo a breve, però…- cercò
di giustificarsi il darkman, ma non sortì l’effetto
sperato.
Eljas cominciò a radunare le sue
cose nello zainetto –Questo è tipico tuo: essere sempre in orario! Fare la cosa
giusta al momento giusto! Esattamente come quando ti sono capitato fra i piedi.-
sputò fuori con veleno –Non mi interessa quello che hai da dirmi adesso, dovevi
svegliarti prima, Ville Hermanni Valo.-
Il modo in cui Eljas calcò il nome
d’arte di Ville fece capire al cantante come tutto fosse tornato al punto di
partenza: Eljas non si considerava più suo figlio, aveva perso il senso di
legame che erano riusciti a formare.
-Eljas, aspetta, ti prego.- cercò
di rimediare in qualche modo Ville, ma era consapevole del fatto che qualcosa
era andato perduto e non sarebbe riuscito a ritrovarlo più tanto facilmente.
–Hai perfettamente ragione, ma non credi che se non ti ho parlato di Frida prima
ho avuto le mie ragioni per farlo?-
Il ragazzino si issò lo zainetto in
spalla avviandosi verso la sua stanza. Ville cercò di chiamarlo
indietro.
-Eljas…!-
Niente da fare, si era chiuso a
chiave dentro la sua camera e tutto faceva capire che non avrebbe né aperto né
risposto ai richiami del cantante. Ville si bloccò davanti a quella porta chiusa
appoggiando una mano sulla superficie fredda e liscia di legno che lo divideva
da suo figlio.
Fredda.
Come il ghiaccio, il ghiaccio che
era tornato a formarsi tra loro due.
Perché? si domandò il darkman senza
staccare la mano dalla porta, come se mantenerla lì lo avesse potuto aiutare a
ripristinare i contatti. Perché è
capitato tutto questo? E’ solo per Frida? Non è possibile… Non puoi reagire così
solo perché non ti ho detto nulla di lei. Cos’altro c’è? E’ perché mi sono
dimenticato di venirti a prendere? No, non si spiegherebbe tutto quello che è
successo prima, sei così da troppi giorni ormai…
Non trovava una spiegazione
razionale a quello che era successo, non poteva capire perché, improvvisamente,
il rapporto stabile e sereno che si era creato tra loro fosse crollato come un
castello di carte. E tutto da un giorno all’altro…
-Eljas, ti prego, dimmi cos’ho
fatto di preciso. Capisco che tu sia arrabbiato per la storia di Frida e per il
fatto che mi sia dimenticato di venirti a prendere, ma c’è dell’altro sotto, non
è vero? Ti prego, dimmi cos’è altrimenti impazzisco!- supplicò Ville poggiando
la fronte contro la porta della camera di Eljas.
Era inutile supplicare, sapeva che
Eljas non avrebbe risposto mai.
Alexandra, lo vedi? Io l’ho sempre
detto di non essere in grado di fare il padre, perché anche quando credevo di
esserci riuscito è successo qualcosa di talmente grave da riportare tutto al
punto di partenza. E io non so nemmeno capire cos’è questo qualcosa che è
successo…
Passandosi una mano sulla faccia,
Ville aspettò ancora, ma alla fine si vide costretto ad allontanarsi da quella
porta che sarebbe rimasta muta ancora a lungo. Rimase per qualche minuto
indeciso sul da farsi, ma alla fine decise di uscire. Aveva bisogno di
allontanarsi da quel luogo se non voleva esplodere, se voleva cercare di capire
doveva prendere un po’ d’aria. Afferrò il cappotto e, senza nemmeno esserselo
infilato, uscì dall’appartamento con una sigaretta già pronta in
bocca.
Eljas sentì una porta chiudersi, ma
quel che era peggio, sentì l’eco di un’altra porta chiudersi molto più in
profondità dentro di sé.
musicaddict chiede perdono
per il ritardo, ma chi la conosce sa che non ha trovato nemmeno il tempo per
andare su MSN o rispondere a delle misere mail [e per questo si sente una
cacchetta...]. purtroppo ho avuto due settimane più che intense a scuola, sembra
che i miei professori si siano messi d'accordo come non mai di farci fare almeno
1 milione di compiti in classe e 1000 interrogazioni prima di giugno. speriamo
che raggiunata la quota scatti il bonus di una vodka lemon o qualcosa d'altro,
altrimenti arrivo sfinita agli esami! dopo questo flusso di coscienza, vi lascio
a questo capitolo che, spero, sarà stato almeno un po' atteso da voi lettori.
keep on enjoying me! [e qui si spiegano i capitoli
precedenti...]
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Capitolo 16 *** capitolo sedici ***
CAPITOLO SEDICI
Eljas se ne stava seduto nella stanza della musica, come la chiamava
Ville, con in mano Silvester. Suonava qualche accordo a caso mentre osservava
distrattamente il poster dei Led Zeppelin [uguale al
mio! *.* ndm] che gli stava di fronte, i pensieri confusi rivolti
altrove.
Quel pomeriggio si trovava a casa
da solo, il cantante aveva un impegno di lavoro agli studi di registrazione e
non sarebbe tornato prima di cena. Il tono con cui l’aveva salutato aveva fatto
capire a Eljas che voleva parlargli, ma lui si era rifiutato di rivolgergli la
parola da quando avevano discusso di Frida. Non gli aveva più detto nulla; la
mattina si alzava, faceva colazione, usciva di casa senza salutare, tornava a
casa da scuola senza dire una parola, pranzava e si chiudeva in camera sua. Due
pomeriggi a settimana andava a lezione di skate e il sabato era tutto il giorno
dai suoi nonni, il che gli permetteva di evitare Ville per un buon numero di
ore. Anche con Jesse il rapporto era peggiorato, non c’era più la complicità
dell’inizio, Eljas si manteneva distaccato. Quando rimaneva a casa da solo si
richiudeva nella stanza della musica
e si metteva a suonare qualcosa. Suonare lo faceva star bene, soprattutto
l’acustica, perché riproduceva la sua malinconia mista a rabbia, ma non voleva
più farlo con Ville. Non voleva più un contatto con lui. Se solo avesse saputo
il giorno esatto del distacco definitivo, avrebbe segnato i giorni mancanti sul
calendario.
Ogni tanto sentiva il bisogno di
urlare contro il padre tutto quello che provava, di dirgli che aveva scoperto
tutto, di dirgli che lui ci aveva creduto. E invece era tutta una grande
illusione, ma dopotutto aveva per padre un artista, certe cose avrebbe dovuto
aspettarsele. Non buttava più fuori niente, crogiolarsi nella propria rabbia a
volte era fortemente potenziante, lo faceva sentire forte abbastanza da reggere
quello che stava vivendo, in più aveva sempre odiato i vittimismi, certe cose
vanno tenute per sé. Il fatto che Ville cercasse un dialogo avrebbe dovuto
ammorbidirlo, invece non faceva altro che irritarlo! Avrebbe dovuto pensarci
prima, quando il danno è fatto è troppo semplice chiedere scusa, il male fatto
rimane sempre, e più profondo è, più è difficile
perdonare.
Si alzò da terra riponendo la
chitarra nel suo angolo e si mise ad osservare fuori dalla finestra che si
apriva nella stanza. Si ricordò il primo giorno che era arrivato ad Helsinki e
la Tahvonainen l’aveva portato a fare un giro per i luoghi più importanti della
città, tanto per dargli dei punti di riferimento. Gli era rimasta impressa la
cattedrale protestante, la stessa che stava osservando in quel momento da quella
finestra di uno dei tanti condomini della capitale finlandese, probabilmente
perché non era mai stato in una chiesa e quella gli era parsa talmente maestosa
da colpire immediatamente la sua mente infantile. Si era fatto portare dentro,
sorprendendosi a notare quanta pace si potesse trovare in un luogo pubblico,
anche se quella sensazione di benessere era molto distante da un sentimento di
pace religiosa o qualcosa di simile. Era ancora piccolo per poter ricercare una
qualche ragione della sua esistenza, ma era sicuro che non l’avrebbe trovata lì
dentro, forse non l’avrebbe trovata mai… Si diede dello stupido per essersi
messo a fare certi pensieri che non portavano da nessuna parte, pensò che se sua
madre avesse potuto ascoltare quello che aveva in testa l’avrebbe preso in giro
per settimane.
Sua madre, però, non era lì e non
sarebbe tornata più.
La consapevolezza di aver scambiato
una donna come lei con Ville gli piombò addosso come un macigno sullo stomaco.
Se solo avesse avuto sottomano qualcosa di lei in quel momento… ma dopo
l’incidente era successo tutto molto in fretta e non era riuscito a portarsi
dietro nient’altro che un libro che sua madre gli aveva regalato per un suo
compleanno. Improvvisamente si ricordò che quando era arrivato a casa del
cantante, l’assistente sociale gli aveva dato una busta contenente delle
informazioni su di lui e su Alexandra, forse lì dentro avrebbe trovato
qualcosa.
Uscì dalla stanza e si intrufolò
nella camera da letto di Ville, chiedendosi dove potesse essere stata riposta
quella busta. La sua attenzione fu attratta da un cassetto aperto di un mobile.
Eljas era sicuro che se quel cassetto era aperto doveva esserci un motivo, Ville
non usava le cassettiere per riporre i suoi vestiti, che si ritrovavano
puntualmente sparpagliati per la sua camera. Aprendolo del tutto notò che
conteneva diverse carte, probabilmente aveva avuto l’intuizione giusta, di
sicuro quello era il cassetto in cui il darkman raccoglieva i documenti
importanti e le altre cose che era indispensabile non perdere. La sua pazienza
fu premiata, sotto una pila di bollette trovò la busta marrone che la
Tahvonainen aveva consegnato a Ville al suo arrivo, l’afferrò e ne svuotò il
contenuto sul letto.
Le carte che gli capitarono
sottomano erano più del previsto, c’erano certificazioni di nascita, copie del
testamento di Alexandra, una lettera che lei aveva indirizzato a Ville e che lui
non volle aprire, vari documenti riguardanti il suo affidamento al cantante,
ecc. ecc. Improvvisamente si accorse di una lettera stampata che fuoriusciva
scomposta dalla sua busta, la data del francobollo risaliva a dopo il suo arrivo
in casa Valo, decise di leggerla.
Quello che lesse non gli piacque
affatto, non fece altro che convincerlo ancora di più di quello che aveva deciso
Ville. Non voleva rimanere in quella casa un minuto di più, almeno non finché
sentiva dentro di sé ribollire il sangue per quello che aveva appena letto. Si
fiondò a prendere il suo skateboard, il suo lettore CD e infilato il giubbotto
si precipitò fuori dal condominio.
Nessun
biglietto.
Quando Ville tornò a casa erano
ormai le nove e mezza di sera. Seppo l’aveva trattenuto con Tim per discutere
degli ultimi preparativi per il nuovo album e a nulla erano valse le lamentele
del cantante riguardo l’orario. Lanciando le chiavi sul tavolo della cucina si
sedette un attimo prima di prepararsi ad affrontare un dialogo con Eljas. Il
ragazzino aveva indurito il suo atteggiamento ancora di più nell’ultima
settimana ed era diventato praticamente impossibile sentirgli pronunciare
qualche parola, ma quella sera avrebbero dovuto cambiare qualcosa. Ville aveva
intenzione di dirgli che aveva lasciato Frida e che l’aveva definitivamente
riconosciuto come suo figlio, voleva dirgli che anche se aveva sbagliato tutto
fin dall’inizio era disposto a cancellare tutto e ricominciare da zero una volta
per tutte.
Sperando di non venire ignorato,
bussò gentilmente alla porta della camera del ragazzino.
-Eljas, sei ancora sveglio? Ti
prego, aprimi, dobbiamo parlare… Sono disposto anche a farmi insultare e
picchiare se necessario.- disse, col tono più rassegnato
possibile.
Nessuna risposta, ma Ville non si
allarmò, in fondo gli ultimi sette giorni non avevano dato frutti più
soddisfacenti. Senza perdersi d’animo riprovò.
-Eljas, ti prego, non possiamo
continuare così in eterno. Ci sono delle cose importanti che devo dirti da
diverso tempo e non mi va di farlo attraverso una porta.-
Ancora niente. Abbassò la maniglia
della porta per cercare di entrare e si stupì di trovarla aperta, la stanza era
completamente vuota.
Ville cominciò a
preoccuparsi.
-Eljas?- chiamò ad alta voce, ma
ancora si sentì rispondere da un silenzio inquietante.
Decise di tentare in camera sua, ma
anche in quel caso trovò la stanza deserta. Stava per spegnere di nuovo la luce
quando si accorse del casino che aveva sparso sul letto.
-Cosa diavolo…- esclamò
avvicinandosi per vedere di cosa si trattava –I documenti di
Alexandra?-
Non riusciva a capire cosa
significasse tutto quel casino finché non gli capitò sottocchio la lettera
dell’assistente sociale che aveva ricevuto poco tempo prima, quella in cui la
Tahvonainen lo informava di alcune famiglie che avrebbero voluto conoscere
Eljas. La trovò mezza accartocciata ai piedi del letto, decisamente lontana dal
resto dei documenti.
Improvvisamente capì cosa doveva
essere successo, qualcosa gli fece capire che Eljas doveva aver frainteso
moltissime cose nell’ultimo mese, tutto gli apparve improvvisamente più chiaro.
Tuttavia il problema ora era un altro, ben più grave…
Senza pensarci su nemmeno un
momento si precipitò sulle chiavi della sua macchina e uscì di casa, mentre con
una mano componeva il numero di Linde.
-Pronto?-
-Linde, Eljas è scappato di
casa…-
Il chitarrista ci mise un momento a
realizzare cosa gli era stato detto –Dici
sul serio?-
-Certo che dico sul serio!- sbottò
Ville –Ho bisogno che mi aiutiate a cercarlo, Helsinki è molto grande e lui non
la conosce ancora abbastanza. Sono preoccupato.-
-Avviso gli altri, intanto tu parti. Ti
chiamiamo se lo troviamo.-
Il cantante richiuse la
comunicazione senza nemmeno salutare, aveva fretta di mettere in moto
l’auto.
Dove cazzo sei finito, Eljas?
Perché ti sei sempre rifiutato di parlare con me? pensò Spero solo che non ti sia successo
niente…
ritardo ipermegagalattico!
lo so, scusatemi ma sono stata via e domenica parto in gita di una settimana per
la grecia. quindi non aspettatevi aggiornamenti! ^^ keep on enjoying
me!
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Capitolo 17 *** capitolo diciassette ***
DGH
CAPITOLO DICIASSETTE
Linde si infilò il giubbotto e uscì
di casa in fretta, Burton lo aspettava in macchina.
-Hai deciso?- gli chiese. Il rasta
annuì.
-Allora, Migé mi ha detto che lui
controlla nella zona dello skatepark che è più vicina a casa sua, Gas setaccerà
tutto il quartiere del porto e dintorni, invece. Io pensavo di girare per casa
di Anita e Kari, magari Eljas è andato là conoscendo la zona… Tu fai il resto?-
disse cercando le chiavi della sua macchina.
Burton sembrò riflettere su quello
che gli era appena stato detto, poi fece un cenno col capo –Posso provare a
cercare tra il porto e casa di Ville. Helsiniki è grande però, ho paura che
dovremo prenderci delle zone più grandi…-
-Eljas non la conosce ancora
abbastanza bene, non credo sia andato in un posto a caso. E’ arrabbiato, di
sicuro, ma non è un incosciente.- obiettò Linde. Il tastierista si trovò
d’accordo. –Parti, intanto, meglio non perdere tempo. Se qualcuno lo trova prima
chiama Ville e poi avvisa gli altri, d’accordo?-
-Ville non ti ha detto per caso
dove potrebbe essere andato con più probabilità?- domandò ancora
Burton.
Linde scosse sconsolato il capo. I
rasta, ondeggiando, crearono delle ombre sul suo viso che rendevano la risposta
ancora più angosciante. –Quel ragazzino è troppo imprevedibile e Ville non lo
conosce ancora abbastanza bene. Potrebbe essere ovunque! Speriamo solo che non
abbia preso il treno per tornarsene a casa sua, altrimenti siamo davvero messi
male.-
-Allora vado. Se entro mezzanotte
non troviamo nessuno, però, credo che dovremo riorganizzarci.- disse il
tastierista mettendo in moto la vettura –Ci sentiamo presto,
spero.-
Linde salutò l’amico e montò a sua
volta in macchina. Sentiva l’angoscia crescere sempre di più, pensava a come si
sarebbe sentito se fosse stata Olivia a sparire improvvisamente di casa e la
sola idea gli stringeva un nodo in gola che quasi lo soffocava. Sapeva che Ville
doveva stare più o meno nelle stesse condizioni, forse addirittura peggiori
visto e considerato il fatto che lui si sentiva in colpa per qualsiasi cosa
accadesse al ragazzino. In parte aveva ragione, se Ville avesse pensato più
attentamente prima di agire forse Eljas ora non lo odierebbe, probabilmente
Frida non era l’unico fattore che aveva nuovamente incrinato il rapporto tra i
due. No, doveva esserci dell’altro, ma Linde era sicuro che in una certa misura
dipendesse anche da Ville e per questo si sentiva in colpa a sua volta. In fondo
loro erano amici da moltissimi anni, non era un comportamento da amico quello di
accusarlo di certe cose, di certi avvenimenti e nemmeno dei colpi di matto di
Eljas… Soprattutto in quel momento. Il darkman aveva bisogno di aiuto e lui
stava già aspettando troppo, bisognava andare a cercare
Eljas.
Con l’angoscia sempre presente,
Linde avviò la macchina.
Ville stava guidando senza meta da
più di un’ora, in giro per una Helsinki che sembrava improvvisamente più caotica
del solito. Gli sembrava che ci fossero troppe macchine, troppe persone… troppa
luce che lo accecava, impedendogli di osservare bene le strade alla ricerca di
suo figlio, e troppo buio nei vicoli più distanti dal centro che non gli
permetteva di distinguere le sagome. A ogni movimento veniva distratto, ogni
ragazzino di media altezza gli sembrava Eljas, inchiodava improvvisamente in
mezzo alla strada convinto di aver visto il bambino girare l’angolo della via
più vicina.
-Merda…- sussurrò tra le labbra
quando si accorse per l’ennesima volta di aver completamente sbagliato persona.
Sentiva gli occhi gonfi, l’aria gli mancava nel petto e sentiva un attacco
d’asma in procinto di esplodere da un momento all’altro. Tirò fuori il
respiratore dal cruscotto e lo lanciò senza troppa cura sul sedile passeggero,
quello sarebbe stato l’ultimo dei suoi problemi.
Il semaforo doveva essere rotto,
era rosso da troppo tempo… Il piede sull’acceleratore scattava nervosamente a
ogni scoccare di secondo, non poteva permettersi di perdere nemmeno un
nanosecondo: era tardi e un bambino da solo, in giro per una capitale, non è mai
al sicuro, poteva essergli successo di tutto, potevano… No, non voleva nemmeno
pensarci. Quella era l’ultima cosa che doveva passargli per la mente se voleva
mantenere un minimo di lucidità! Eljas stava bene, era semplicemente nascosto da
qualche parte, immerso nei suoi pensieri da così tanto da aver perso la
cognizione del tempo. Probabilmente non si era nemmeno accorto dell’ora che si
era fatta… o forse lo faceva apposta.
Dove sei? Mi stai uccidendo in
questo modo, Eljas, non te ne rendi conto?! Se il tuo obiettivo era quello di
farmi preoccupare a morte, beh, allora ci sei riuscito! Sei contento?! Era
questo che volevi?! Ok, hai vinto tu, ma adesso basta… Non è sicuro giocare in
questo modo, non è così che si affrontano i problemi. Pensò mentre guidava per una
strada particolarmente trafficata della città.
Ormai erano quasi le undici di sera
e di Eljas ancora nessuna traccia, nemmeno Linde o gli altri l’avevano chiamato
e il ragazzino era in giro per la capitale da più di due ore ormai. Il pensiero
che gli fosse accaduto qualcosa di grave continuava a solleticargli la mente
come un sadico divertimento, facendolo confondere ancora di più. Sentiva che
l’ossigeno non riusciva più ad entrare correttamente in circolo, nella sua testa
riecheggiavano voci arrabbiate, tristi, risate, ricordi, immagini… elementi che
non facevano altro che annebbiargli ancora di più la
vista.
Avrebbe voluto piangere per
sfogarsi, ma non ci riusciva. Era in quella fase in cui ancora non ci si rende
conto di quello che sta succedendo, in cui ancora il cervello crea quei pensieri
ottimisti che non hanno fondamento nemmeno per gli uomini di fede, quando
l’incoscienza è tale che le lacrime non capiscono se devono scorrere o se devono
restare al loro posto e si sente quel senso di umidità in gola… come un’afa
soffocante. Gli sembrava di vivere un incubo aspettando che arrivasse qualcuno a
risvegliarlo, a rassicurarlo e magari anche a prenderlo in giro perché aveva
urlato nel sonno come ogni tanto faceva. Invece il suo cervello sadico
continuava a giocare sadicamente con lui, abbattendo pian piano tutte le
speranze che ancora si sforzavano di stare in piedi.
E tutto quel
traffico…
Perché c’era tutta quella luce? E
quel suono…
Merda!
Eljas ciondolava il piede giù dalla
pista sulla quale era seduto, una delle più alte, una di quelle che avrebbe
impiegata più di un anno a riuscire ad affrontare. Sentiva nelle orecchie la
musica più rabbiosa che era riuscito a trovare, l’unica che avrebbe potuto in
qualche modo sfogare il senso di ribellione estrema che provava dentro in quel
momento.
Quella
lettera…
Era recentissima, eppure Ville non
gliene aveva nemmeno fatto cenno! Come se fosse qualcosa che non lo riguardasse!
La conferma che aveva cercato nell’ultimo periodo era arrivata, anche se dentro
di lui sentiva che avrebbe dato qualunque cosa per la smentita, avrebbe potuto
anche aggrapparsi a un fantasma purché in grado di destare anche solo un minimo
dubbio…
Si odiava. Si odiava perché sentiva
che la cosa peggiore non era il fatto di aver capito quello che stava
succedendo, ma l’essersi accorto che lui provava per Ville qualcosa che a quanto
pareva non era ricambiato. Lui voleva bene a Ville, nonostante quello che gli
aveva fatto, nonostante gli sforzi che aveva fatto lui per non legarsi troppo al
cantante, e questa era per lui la sconfitta più amara. Se non avesse dato retta
a Linde probabilmente non avrebbe sofferto un’altra volta così tanto… Si sentiva
orfano due volte: sua madre l’aveva persa in un incedente che non gli aveva
nemmeno dato il tempo di dirle addio, di dirle che lui le voleva bene, suo padre
l’aveva ritrovato solamente per perderlo un’altra volta, rifiutato da lui
stesso.
L’amore misto all’odio non è mai
qualcosa di positivo. I sentimenti violenti lacerano senza cicatrizzare e quando
convivono fanno impazzire anche l’animo più forte. Questo gliel’aveva insegnato
sua madre quando si era preso per la prima volta una cotta per una bambina alle
elementari: lei non ne voleva sapere e lui era convinto di odiarla, ma anche di
amarla. Sorrise. All’epoca gli sembrava così vero il sentimento che provava che
non credeva si potesse raggiungere un livello più alto, ma a quanto pare il
rapporto con Ville gli aveva insegnato anche questo. Se non altro non è stato completamente
inutile… pensò rigirandosi tra le dita il cavo delle cuffie mentre sentiva
la voce di Ian Gillan urlare nel ritornello vocale di Child in Time. Quella era una canzone
che in quel momento poteva aiutarlo a buttare tutto fuori.
Si sentì chiamare, ma pensò che
fosse stata solo un’impressione dovuta all’urlo che aveva nelle orecchie. Sentì
di nuovo il suo nome e aprì gli occhi.
-Migé!- esclamò sorpreso
togliendosi gli auricolari.
-Finalmente ti ho trovato! Ho
setacciato tutti gli skatepark della città!- disse il bassista abbracciando il
ragazzino.
-Non era necessario, tanto a casa
non ci torno!- sbottò Eljas respingendo l’abbraccio.
Migé lo guardò con un’espressione
strana, un’espressione che purtroppo Eljas aveva già incontrato: lo sguardo di
chi deve comunicare qualcosa di molto importante e che non sa come farlo, che ha
paura di farlo.
-Cosa c’è?-
Il bassista si passò una mano tra i
capelli e poi sulla faccia –Devo portarti in ospedale, Eljas.- Il ragazzino lo
guardò senza capire –Linde mi ha chiamato pochi minuti fa dicendomi che… Ville
ha avuto un incidente circa un’ora fa, mentre ti stava
cercando.-
Eljas sbarrò gli occhi, il verde
brillante delle sue iridi ridotto a un fulmine sconvolto –Cos’hai
detto?-
-Ti spiegherò meglio in macchina,
non perdiamo tempo.- disse Migé afferrando il ragazzino per un braccio e
conducendolo con sé verso la macchina.
Eljas non voleva crederci… non
un’altra volta, non nello stesso modo…
SCUSATE L'IMMANE RITARDO ma
non ho (e non avrò per molto tempo) accesso al comuter per tempo sufficiente a
scrivere per vari motivi che non sto qui a elencare. intanto vi aggiorno almeno
questa storia! ^^ scusatemi ancora per il ritardo e... come sempre keep on
enjoying me! [e non vogliatemene male se vi lascio con un capitolo
così]
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Capitolo 18 *** capitolo diciotto ***
CAPITOLO DICIOTTO
Sua
madre era in ritardo, era quasi un’ora che lui aspettava seduto sulle scale
fuori dalla piscina del paese. Cominciava a preoccuparsi: lei non era mai in
ritardo se non per cause di forza maggiore, ma a quell’ora le strade erano
pressoché deserte e loro non abitavano molto distante dalla piscina
pubblica.
Mentre continuava ad aspettare giocherellando con la cerniera della
sua tuta, vide una volante della polizia parcheggiare davanti a lui. Ne scesero
due poliziotti in divisa che si guardarono attorno visibilmente a disagio, cosa
che stupì non poco il bambino. Uno di loro gli si avvicinò lentamente e gli
chiese informazioni su un ragazzino più o meno della sua stessa età che si
chiamava Eljas Rakohammas.
-Sono io…- rispose lui corrucciando le sopracciglia –Sicuri che
cercate me? che ho fatto?-
L’altro poliziotto sorrise appena, ma la sua allegria rimase
confinata alle labbra –Sei da solo, qui?- gli domandò.
Eljas scosse la testa –Sto aspettando mia madre, ma dentro c’è ancora
il mio allenatore.-
-Vieni con me, Eljas, intanto il mio collega va a parlare con
l’allenatore.- disse il poliziotto facendolo sedere nei sedili posteriori della
volante, i piedi che penzolavano fuori dalla portiera aperta. Si guardò
attorno.
-Chi mi dice che siate dei veri poliziotti?- domandò scherzoso –Se
mamma mi vede parlare con voi le prende un colpo! Perché mi siete venuti a
cercare? Non me l’avete ancora detto…-
L’uomo si accucciò davanti al bambino, fissando i suoi occhi blu in
quelli verdi di lui e cercò di trovare le parole adatte a dare quella tremenda
notizia. Eljas cominciava a preoccuparsi vedendo tutto quel disagio negli occhi
dell’uomo e quando sentì le sue parole il mondo sembrò fermarsi –Tua madre ha
avuto un incidente, Eljas, e… purtroppo non si è potuto fare
niente.-
Il
suo cuore doveva essere andato in frantumi, perché aveva cessato di battere,
come i suoi polmoni avevano cessato di inalare aria. Guardò il poliziotto con
gli occhi che si rifiutavano di riconoscere le immagini come realtà piuttosto
che incubo. –Mia madre è morta?- domandò con un filo di voce.
Il
poliziotto annuì –Mi dispiace, piccolo.-
Eljas
guardò Migé mentre guidava: non l’aveva mai visto così; sembrava che gli
avessero tolto l’anima di corpo. Gli occhi, solitamente sempre sorridenti, erano
spenti, nemmeno tristi o disperati, ma completamente svuotati di qualsiasi
emozione. Capiva cosa provava, lo sapeva benissimo.
-E’
colpa mia.- disse, tornando a guardare fuori dal finestrino. Riabbassò lo
sguardo: vedere le auto che gli sfrecciavano accanto lo faceva stare peggio che
mai.
-Non
pensarlo nemmeno, Eljas!- lo rimproverò Migé –Non è colpa tua. Ville era
distrutto e ha bruciato uno stop.-
-Ma
l’ha fatto perché stava cercando me, perché era preoccupato per me. Ho fatto una
cazzata e forse ora Ville rischia di morire a causa mia.- insistette il
ragazzino.
-Ville
starà bene, Eljas!- urlò il bassista. Eljas percepì una nota stridente nella sua
voce, qualcosa che tradiva il suo nervosismo e la sua angoscia; si capiva che
stava facendo uno sforzo immane per non crollare emotivamente davanti al
bambino. –Ville starà bene…-
Eljas lo guardò compassionevole –Lo
spero anch’io.- disse. Seguirono lunghi momenti di silenzio in cui entrambi non
desiderarono altro che bloccare quel momento e premere il tasto di
riavvolgimento rapido. Immagini di sette mesi prima salirono alla mente del
ragazzino: i poliziotti, l’ospedale, il viso tumefatto di sua madre, le sue
amiche che piangevano, le infermiere che cercavano invano di tenerlo lontano e
di confortarlo, il cimitero con la musica dei suoi amati Pink Floyd in
sottofondo… e poi l’orfanotrofio, la Tahvonainen, Ville.
Ville.
Suo
padre.
Un
altro incidente.
E
la colpa era la sua. Sua madre lo stava venendo a prendere a nuoto quando si era
scontrata con il camion e Ville stava cercando lui quando non si era accorto del
semaforo rosso. E’ solo colpa mia, tutta colpa mia! Non avrei dovuto
andarmene… Ma non pensavo che sarebbe finita così. Io volevo solo farti
preoccupare un po’, Ville, volevo solo che tentassi di capire cosa stavo
provando! E’ colpa mia, solo mia.
-Siamo
arrivati.- gli comunicò Migé –Vieni con me.- detto questo lo afferrò per una
spalla lo condusse oltre la porta dell’ospedale di Helsinki.
Eljas
chiuse gli occhi: quella scena la conosceva fin troppo bene. Il corridoio, le
sale operatorie, la gente preoccupata che cammina in circolo o si tormenta le
mani seduta sugli sgabelli…
-Migé,
finalmente!- Anita corse loro incontro, abbracciando prima il bassista, poi il
ragazzino –Eljas, Dio ti ringrazio, stai bene!-
Eljas
rimase immobile mentre la nonna lo abbracciava. Kari riavvicinò a scambiare due
parole con Migé, ma lui non riuscì ad afferrare l’argomento del discorso; vide
solo che l’uomo più anziano non riusciva ad articolare bene le
parole.
-Mi
dispiace…- si scusò il ragazzino.
Anita
lo guardò –Non è colpa tua, Eljas, e non voglio che tu creda di avere colpe.
Purtroppo sono cose che succedono.-
-Ma non
doveva succedere a Ville! Se me ne fossi rimasto buono e tranquillo a casa,
tutto ciò non sarebbe successo!-
Aveva
urlato. Anita e gli altri lo guardarono stupiti da tanta energia, un’energia che
derivava da tanto dolore represso per mesi.
-Calmati, Eljas, mio fratello non vorrebbe sentirti dire questo.-
intervenne Jesse. Il suo tono non era stato né gentile né tranquillizzante: era
tra l’arrabbiato e il disperato. –Ville è là dentro per un suo errore e la
decisione di venirti a cercare l’ha presa lui, quindi, ti prego, non darti colpe
che non hai. Rischieresti di far sì che io ti dia ragione, e non
voglio.-
Eljas
tacque scambiando uno sguardo con lo zio; gli occhi azzurro chiaro di questi
sembravano implorare un pianto liberatorio che non arrivava. –Scusami.- disse il
ragazzino abbassando il volto.
-Come
sta Ville?- domandò Migé avvicinandosi a Burton e a Gas.
-Mi
sembra che sia in quella sala da ore infinite!- sbottò Gas passandosi una mano
sulla pelata.
-Hanno
detto che è in condizioni abbastanza gravi, l’altra auto l’ha centrato in pieno
sullo sportello.- lo informò Linde –L’altro conducente sta abbastanza bene,
invece, se l’è cavata con un collare e una gamba rotta.-
-Se
penso che Ville poteva restarci… e forse lo rischia ancora.- sussurrò Burton.
Anche lui, come Migé, sembrava essere stato svuotato della sua anima.
-Taci,
Burton, ti prego!- lo supplicò Linde. Il tastierista annuì silenziosamente e si
mise a interessarsi alla punta delle sue scarpe.
-Quindi
non sapete ancora niente.- constatò Migé appoggiandosi al muro alla ricerca di
un sostegno.
Linde
scosse la testa e lanciò un’occhiata a Eljas: il ragazzino continuava a
stringere convulsamente i pugni e guardava un punto imprecisato del pavimento.
Qualunque cosa avessero potuto dirgli, nulla sarebbe riuscito a convincerlo che
la colpa non era sua. –Poveretto, la seconda volta in pochi mesi. Confido
solamente nel fatto che si è dimostrato un ragazzino forte, fino ad
ora.-
Migé si
voltò a guardare il bambino –Ville non può che esserne orgoglioso, solo che l’ha
capito troppo tardi. Spero solo che gli venga concesso il tempo necessario per
un secondo tentativo.- disse -Kari mi diceva che molto probabilmente dovremo
rimanere qui tutta la notte, i medici sembravano veramente molto
preoccupati.-
Linde
annuì -Probabilmente Ville rischia di entrare in coma. Se devo essere sincero,
lo spero, almeno vorrebbe dire che è ancora vivo... avremmo una
speranza.-
-Ma
come ha fatto?!-
-Non
possiamo sapere tutto nei dettagli finché non si riprende lui, ma l'altro
autista ci ha raccontato qualcosa. In pratica, Ville è sbucato fuori dallo stop
senza nemmeno rallentare e l'altro non è riuscito a frenare in tempo. L'impatto
è stato talmente violento che ci hanno messo tantissimo tempo per tirarlo fuori
da quello che era rimasto della macchina... Se la vedi rimani sconvolto, mi
chiedo come abbia fatto a uscirne vivo.-
Migé
spostò gli occhi spenti su Anita, Jesse e Kari -Mi chiedo come facciano a
mantenere la calma in questo modo. Se dipendesse da me spaccherei tutto in
questo momento!-
-Anita
ha la capacità di tranquillizzare tutti con poche parole, lo sai. E' una fortuna
che sia qui, altrimenti credo che impazziremmo tutti. Jesse è distrutto, sembra
che gli abbiano portato via metà anima.- disse Linde rivolgendo lo sguardo nella
stessa direzione.
-Lui e
Ville sono molto legati, posso capirlo.-
Kari
Rakohammas si avvicinò ai due amici, la faccia stravolta di chi sta vivendo un
dramma -Ragazzi, se volete andare a casa, fate pure. Noi rimaniamo qui, ma non
ci sembra il caso di tenervi svegli tutti quanti per...-
-No,
Kari, non vi preoccupate. Noi vogliamo stare qui, andando a casa non riusciremmo
a fare niente, anzi! Ci sentiremmo fuori posto e inutili.- obiettò
Migé.
-Migé
ha ragione.- concordò Linde -Rimaniamo qui.-
L'uomo
si illuminò per quanto gli era possibile -Grazie. Ville ha dei veri
amici.-
eccomi di nuovo! pensavo
davvero che non avrei più postato, ma la punizione è finita e siccome sono in
vacanza ho pure tempo di scrivere. questo capitolo scioglie un po' il
precedente, ma vi terrò sulle spine ancora un po'
[sadica...........................]. intanto fatemi gli auguri che sono
maggiorenne da poco più di una settimana e sono felice di questo! ^^ auguri in
ritardo anche a migé amour, il mio fratellone, che però di anni ne ha fatti
33... eh, caro mio, si invecchia! XD keep on enjoing me!
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Capitolo 19 *** capitolo diciannove ***
CAPITOLO DICIANNOVE
-Sono passata per sapere come
stava.-
-Vorrei poterlo sapere anche io.-
rispose la voce fonda di Linde.
Eljas schiuse gli occhi quel tanto
che gli bastava per distinguere i lineamenti morbidi di Manna che parlava col
marito. Sembrava che fosse arrivata lì in fretta e furia, come se non avesse
nemmeno avuto il tempo di vestirsi.
-Olivia?- domandò il
chitarrista.
-L’ho lasciata da tua madre, avevo
bisogno di sapere qualcosa e nessuno di voi mi ha chiamata.- rispose lei con un
tono di voce un po’ risentito. Poi, vedendo la reazione spiazzata di Linde,
cambiò tono –Scusami, immagino il casino che doveva esserci solo un’ora
fa.-
Linde scosse lentamente la testa
–Non preoccuparti, avrei dovuto darti notizie, ma avevo la testa da tutt’altra
parte. Scusami.-
Manna trasse un profondo respiro
per rilassarsi, dopodiché lanciò uno sguardo ad Eljas che dormiva su un
seggiolino, la testa leggermente reclinata sulla spalla di Anita. –Poveretto…-
sussurrò –Mi meraviglio che sia riuscito ad
addormentarsi.-
-S’è addormentato circa un’ora fa,
stava crollando. D’altro canto è stato in giro per la città tutto il giorno,
prima o poi avrebbe ceduto.- rispose il chitarrista rivolgendo a sua volta
un’occhiata al bambino.
-Dove l’avete
trovato?-
-Migé l’ha trovato allo skate park
mentre ascoltava un CD, era ancora abbastanza arrabbiato.- le spiegò il marito
passandosi una mano tra i rasta per cercare di rilassarsi, ma con scarso
successo.
Manna scosse leggermente la testa,
come in risposta a una silenziosa domanda –Ma cos’è successo esattamente? Perché
è scappato di casa a quel modo? Ville deve averla combinata grossa per aver dato
via a una cosa del genere!-
Linde fece una smorfia ed Eljas
chiuse gli occhi di nuovo, i sensi di colpa non erano ancora spariti –Eljas ha
trovato una lettera dell’assistente sociale in camera di Ville, cercando non si
sa bene cosa. Ville non gliene aveva parlato, perché ormai aveva preso una
decisione e… a quanto pare Eljas ha travisato.-
Il ragazzino poté chiaramente
distinguere un sospiro dispiaciuto da parte di Manna –Perché quei due non sono
in grado di parlarsi come le persone normali? Gli ci voleva così tanto a Ville
per chiarire definitivamente le cose con suo figlio?-
-Credo che la lezione l’abbia
imparata.- rispose Linde.
-Ma potrebbe non metterla in
pratica, Mikko!- replicò la donna.
Eljas dischiuse nuovamente le
palpebre, sbattendole un paio di volte per mettere a fuoco il posto in cui si
trovava. Sentiva la testa pesante come se fosse stata fatta di
cemento.
-Tesoro, che succede?- gli domandò
sua nonna cercando di seguire i suoi movimenti lenti.
Eljas scosse la testa allontanando
le braccia protettive di Anita e si mise in piedi, dirigendosi verso la coppia.
Manna lo guardava perplessa, mordendosi un labbro come se avesse voluto
rimangiarsi le ultime parole pronunciate.
-Eljas, ti abbiamo svegliato?-
domandò.
-No…- rispose lui facendo
ondeggiare i riccioli lunghi sugli occhi –Non riuscivo più a dormire, ero
sveglio già da un po’.- Linde e Manna si guardarono: allora aveva ascoltato
tutto. –E’ ancora dentro, vero?-
Il chitarrista annuì –Cominciamo a
essere tutti parecchio preoccupati, ma almeno io, non ce la faccio a pensare al
peggio. Continuo a sperare che tutto questo tempo significhi che stanno facendo
di tutto per tenerlo tra i nostri.-
Eljas abbassò lo sguardo per
cercare di combattere contro la disperazione che sentiva crescere dentro. Se si
fosse lasciato andare avrebbe creato problemi a tutti quanti in quel momento, e
questa era l’ultima cosa di cui c’era bisogno là dentro, mentre in una sala
operatoria Ville lottava tra la vita e la morte.
A causa mia…
Quel pensiero non se ne sarebbe mai
uscito dalla sua testa. Mai. E quello che aveva detto Manna lo faceva sentire
ancora peggio, perché era vero: lui e Ville non si erano mai parlati veramente,
e quelle poche volte che avevano discorso seriamente non avevano toccato i punti
cruciali. Avevano passato il tempo a parlare di Alexandra, di musica, di scuola
e mai di loro… Come se non ci fosse
stato nulla da dire… Eljas non aveva mai fatto presente a Ville che il suo
impegno aveva dato buoni frutti, non gli aveva mai detto che era arrivato un
momento in cui era felice di stare con lui, in cui era anche orgoglioso di
essere suo figlio. No, non gliel’aveva mai detto, e forse non l’avrebbe fatto
più.
Con sua madre almeno non erano
rimasti rimpianti: a lei aveva sempre detto tutto, le aveva sempre fatto capire
che le voleva bene. Questo non cambiava il fatto che la sua morte lo avesse
stravolto completamente, facendolo cambiare, facendolo diventare quasi un altro,
ma almeno non avevano lasciato nulla in sospeso. Con Ville il discorso cambiava
radicalmente: non solo avevano 11 anni di arretrati da chiarire, raccontare e
assimilare, ma i problemi tra di loro erano molto più complessi. La questione
dell’affidamento aveva creato troppe barriere e zone franche, che dovevano
assolutamente essere eliminate prima che fosse troppo
tardi.
Ma forse era già troppo
tardi.
Il medico non diceva niente e tutti
aspettavano con ansia, forse stava semplicemente cercando il modo più adatto per
informarli dell’accaduto o forse stava ancora cercando di salvare il cantante di
un gruppo finlandese.
Eljas lanciò un’occhiata ad Anita
che si tormentava silenziosamente le mani, mentre guardava distrattamente Jesse.
Non dava nell’occhio la sua disperazione, eppure si poteva percepire che era
quella che stava peggio di tutti, insieme a Kari. Per loro due, Ville era ancora
un semplice ragazzo di Helsinki con una particolare passione per la musica e il
disegno. Ai loro occhi un contratto discografico era stato solo una possibilità
in più per quel ragazzo, non aveva cambiato nulla di lui: era ancora il loro
bambino. Mentre per Jesse era solo il suo fratellone che si divertiva a batterlo
alla Play Station. In quella sala d’attesa c’erano solo persone che volevano
veramente bene a Ville, per quello che era sempre stato e non per quello che
appariva di fronte agli obiettivi dei media, c’erano i suoi parenti e i suoi
amici più stretti. E lui che ci faceva, lì?
Si sentiva di troppo, lui l’aveva
odiato, Ville, aveva desiderato con tutto il suo cuore la sua sofferenza. Che
diritto aveva di stare lì a piangere con tutti quelli che a lui ci tenevano
veramente? Lui si era fermato alla prima impressione, senza sforzarsi di cercare
se sotto la buccia di difesa ci fosse qualcosa di buono. Se ne era accorto solo
quando era quasi finito tutto.
-Chi li ha chiamati, quelli?-
domandò d’un tratto Migé rivolgendosi alle sue spalle. Eljas dapprima non capì,
poi si accorse che il bassista veniva da fuori e aveva l’aria più torva di un
avvoltoio mentre si liberava del cappotto.
Gli altri H.I.M lo guardarono
spaesati –A chi ti riferisci?- domandò Gas corrugando la
fronte.
-Ai giornalisti che sono appostati
fuori dall’ospedale e che non mi volevano fare entrare!- rispose sempre più
arrabbiato Migé lanciando il cappotto su uno sgabello –Ce ne saranno almeno una
cinquantina!-
Burton assunse un’espressione
talmente cattiva da farlo sembrare un mostro –Non ne ho idea, ma spero che se ne
stiano là fuori e che non si azzardino ad entrare!-
-Ci mancavano solo i giornalisti…-
sospirò Manna passandosi una mano sul viso –Già ne abbiamo poche, di
complicazioni.-
Kari Rakohammas si infilò il
giaccone e fece cenno a Jesse di seguirlo.
-Dove state andando?- domandò Anita
preoccupata. Non voleva che se ne andassero proprio le due persone che le
fornivano maggiore sostegno in quel momento.
-A mandare a casa quei
giornalisti.- replicò in tono piatto ma deciso Kari –Non ho intenzione di
vederli rallegrarsi di fronte all’incidente di mio figlio. Se gli succede
qualcosa per loro sarà come la manna dal cielo!- e detto questo si avviò verso
l’uscita.
-E’ incredibile, come se non
avessero altro di cui parlare!- sbottò Migé cominciando a scaldarsi
ulteriormente –Sono stati solo fortunati che avevo fretta di rientrare,
altrimenti mi dovevano arrestare per rissa.-
Eljas era rimasto in piedi in mezzo
alla sala, le braccia lungo i fianchi e lo sguardo perso nel vuoto. Sentiva le
parole succedersi nelle sue orecchie come suoni sconnessi e privi di senso.
Senza dir niente a nessuno corse verso la porta della sala operatoria, aspettare
là sarebbe stato meno difficile, senza tutte quelle persone che lo facevano
sentire ancora peggio in quel momento.
Perché lui era l’unico a non capire
cosa era Ville Valo per lui.
lo so, lo so che ho
aspettato un sacco, ma vi giuro che la mia ultima settimana è stata un
inferno... in tutti i sensi! siccome il 17 è stato il compleanno di judeau, gli
dedico sto capitolo sperando che un giorno se ne accorgerà, perché è stato il
primo grande commentatore di questa FF (ma la mia Schwester ha ben contribuito
sostituendolo un po' ^^). keep on enjoying me!
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Capitolo 20 *** capitolo venti ***
CAPITOLO VENTI
Quando la porta si aprì, Eljas
scattò immediatamente in piedi. Il chirurgo si bloccò incrociando gli occhi
grandi e di un’espressività disarmante del ragazzino, due occhi che in quel
momento chiedevano aiuto.
Si sollevò lentamente la mascherina
dalla bocca e cercò di trovare delle parole adatte a tranquillizzare quel
bambino che, solo, restava lì in attesa di notizie come se da esse fosse dipesa
la sua stessa vita. E il dottore non lo sapeva, ma era effettivamente così: la
vita o la morte di Ville avrebbero cambiato definitivamente la vita di Eljas,
sia in bene che in male.
-Immagino che sia tuo padre.-
sussurrò rivolgendosi al ragazzino.
Eljas annuì a stento, quasi non
fosse sicuro della risposta che stava dando. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma
non si ricordava come si mettesse insieme una parola, tantomeno una frase. Gli
venne in aiuto Anita, la quale, appena accortasi della presenza del medico, gli
corse incontro respirando affannosamente.
-Dottore, la prego, mi dica che sta
bene! La supplico, mi dia delle buone notizie!- esclamò con un tono che lasciava
trapelare tutto il dolore che può contenere una donna alla sola idea di perdere un
figlio.
Il chirurgo cercò di calmarla prima
di darle delle ulteriori informazioni, nel frattempo la raggiunsero anche Kari e
Jesse, i quali si disposero a semicerchio attorno ad Eljas. Il bambino si
sentiva estremamente a disagio, ancora non era riuscito a spiegarsi la sua
presenza all’ospedale, ancora non aveva stabilito qual era il suo ruolo tra
tutte quelle persone che si erano riunite attorno a Ville.
-Signora, si tranquillizzi, la
prego. Siamo riusciti a bloccare l’emorragia, suo figlio è fuori pericolo per il
momento. L’abbiamo indotto in coma per stabilizzare le sue condizioni, finché
ciò non avverrà non possiamo essere certi di nulla, ma salvo complicazioni suo
figlio se la caverà.- disse il medico stringendo una mano ad Anita per aiutarla
a calmarsi.
I genitori e il fratello di Ville
si lasciarono andare ad esclamazioni di gioia e a ringraziamenti alla santa arte
della medicina, resero partecipi anche gli altri dei risultati e si rallegrarono
a vicenda. L’unico che continuava a rimanere fuori era Eljas, che se ne stava
ancora in piedi e muto vicino alla porta della sala operatoria, col dottore al
suo fianco che osservava la scena soddisfatto.
Alzò lo sguardo per un momento, poi
lo riabbassò –Posso vederlo?- domandò esitante.
Il dottore lo osservò attentamente
–Dovrai aspettare che lo portiamo in una stanza privata, non posso farti entrare
in sala operatoria.- rispose –Ma ti prometto che appena sarà possibile ti farò
chiamare.- concluse con un sorriso affettuoso.
Eljas annuì, sempre mantenendo il
silenzio.
-Lo sai, ho un figlio che avrà più
o meno la tua stessa età.- continuò il chirurgo, il quale vedeva che il
ragazzino ancora non aveva recuperato appieno le sue facoltà –Tuo padre deve
essere orgoglioso di te, sostenere con tanta fermezza una situazione del
genere…-
-Continuate a ripetermelo tutti,
quanto Ville dovrebbe essere orgoglioso di me! Perché io sono l’unico a credere
che se non fossi mai esistito le cose sarebbero andate molto meglio?- replicò
Eljas. Il tono che utilizzò fu abbastanza triste e arrabbiato da colpire anche
un uomo che aveva passato le ultime ore a cercare di salvare la vita a un essere
umano aggrappato alla vita solo grazie a un filo sottile.
-Perché dici questo?- gli
chiese.
-Perché senza di me Ville non
avrebbe avuto l’incidente, mia madre non sarebbe morta e forse loro due
sarebbero insieme e felici adesso!- disse il ragazzino stringendo i pugni con
rabbia –E’ solo a causa mia che queste cose non sono
successe…-
Sentire un ragazzino di 11 anni
incolparsi della morte dei suoi genitori è uno spettacolo agghiacciante per
chiunque, anche se si è perfettamente consci del fatto che la causa della morte
è ben altra. Il sentimento violento che trapelava da Eljas quando si accusava di
essere la causa delle catastrofi della sua famiglia era del tipo che metteva
paura a chi lo ascoltava. I suoi occhi diventavano degli specchi micidiali,
degli specchi che riflettevano all’esterno l’autolesionismo interiore in atto,
uccidendo lentamente anche chi vi entrava in contatto.
-Le cause dell’incidente di tuo
padre non c’entrano niente con te.- cercò di convincerlo anche il medico –Queste
cose non possono essere né previste né evitate, purtroppo quando arrivano si può
solo sperare che finiscano bene.-
-Potevo evitarlo se me ne restavo a
casa o se mi facevo trovare prima.- insistette Eljas. Possibile che nessuno si
accorgesse che la causa di tutto era lui?! Che la fonte di tutti i problemi
non era altri che lui?! Alexandra
aveva lasciato Ville perché aveva scoperto di essere incinta di lui, lei era morta perché stava andando
a prendere lui in piscina, Ville
aveva quasi fatto la stessa fine perché lui aveva voluto fargli un dispetto…
Tutto riconduceva sempre e solo a lui! Eppure era come se fosse l’unico a
vedere l’evidenza che tutti continuavano tenacemente a
negare.
-Sarebbe successo in un’altra
occasione, forse. Se è accaduto questo vuol dire che ci sono state delle
ragioni, ma se tu te ne sei andato è perché qualcuno ti ha fatto andare via. Non
è colpa tua, e se lo è, allora lo è di tutti.- gli rispose il dottore prima di
essere chiamato da un’infermiera. –Scusami, il dovere mi chiama, ma più tardi
verrò a chiamarti per poter vedere tuo padre.- e detto questo si
congedò.
Quando Eljas ebbe la forza di
alzare nuovamente lo sguardo trovò ad accoglierlo quello di suo nonno Kari, il
quale gli sorrideva affettuosamente, accucciato di fronte a
lui.
-Ancora non ne sei convinto, vero?-
disse.
-Ho combinato troppi guai.-
sussurrò piano il ragazzino.
Kari allargò le braccia per
accogliere la figura debole di Eljas, che conficcò il viso nell’incavo della
spalla del nonno, cercando quel buio e quel conforto che ancora non era riuscito
a trovare, che ancora cercava da mesi, e riuscendo finalmente a
trovarlo.
-Tutto quello che ti ha detto il
dottore è vero: Ville deve solo essere orgoglioso di te, sono sicuro che lo è,
che lo è sempre stato e che sempre lo sarà. Sei troppo simile a lui, sotto certi
punti di vista, perché possa arrabbiarsi con te. E non penserà mai di darti la
colpa per quello che gli è successo, altrimenti ti avrebbe già incolpato per
l’abbandono di Alexandra.- lo consolò Kari –Lui amava davvero moltissimo tua
madre, credo che solo l’idea di avere creato qualcosa di così bello insieme a
lei sia sufficiente a renderlo orgoglioso della tua esistenza. Non potrà mai
incolparti di niente.-
Eljas tornò a guardare gli occhi
chiari del padre di Ville –Tu credi veramente che Ville pensi questo di me?-
domandò sgomento –Credi veramente che lui sia orgoglioso di
me?-
-E’ quello che continuiamo a
ripeterti tutti da sempre, Eljas!- lo rimproverò affettuosamente Kari –Avresti
dovuto vedere lo sguardo di tuo padre quando si sentiva un fallimento per come
tu reagivi a quello che lui faceva o diceva. Sei molto importante per lui, anche
se non lo dimostra abbastanza, lui ti vuole bene.-
Eljas fece una strana smorfia,
quasi provasse schifo verso se stesso –Io invece l’ho davvero odiato, ho
desiderato il male per lui… Mi faccio schifo!- sbottò.
Kari gli fece una calda carezza per
cercare di calmarlo –No, non avercela così con te stesso. E’ normale che tu non
abbia preso bene Ville, almeno all’inizio: non si è comportato molto bene nei
tuoi confronti. Purtroppo lui è molto istintivo nelle cose che fa e tende a
sottovalutarsi quando non dovrebbe, è come se avesse un’autostima al contrario!-
disse, riuscendo a strappare un piccolissimo sorriso al nipote -Molte persone
detestano Ville, quando lo conoscono, ma poi sia lui che gli altri capiscono
come prendersi a vicenda e tutto si risolve. E’ normale che con te ci sia voluto
più tempo, perché è stato uno shock per entrambi sotto diversi punti di vista,
ma adesso si è risolto tutto. Non odiarti per qualcosa di cui non hai
colpa.-
-Quando mamma è morta stava venendo
a prendere me a nuoto…- sussurrò il bambino.
Lo sguardo di Kari si fece triste
–Questo non significa che sia stata colpa tua. Poteva capitare in un qualsiasi
altro momento, purtroppo.-
-Ma succede sempre quando si viene
a cercare me che succedono queste cose.- rispose Eljas –E’ come se portassi
sfiga!-
L’uomo si spaventò per il tono
autodistruttivo con cui il ragazzino si era pronunciato. Afferrò strettamente le
sue braccia e lo portò molto vicino ai suoi occhi –Non pensare a niente di così
stupido, Eljas! Tu sei la fortuna più grande che sia mai capitata a mio figlio
da che è venuto al mondo! Sei l’unica cosa che poteva fargli capire cos’è
veramente importante al mondo.-
Eljas fissò le sue iridi verdi in
quelle azzurrine del nonno, cercando di capire a chi doveva dar retta, se a
quello che la sua coscienza gli diceva o a ciò che Kari continuava a ripetergli,
come tutti gli altri, da quando era arrivato a casa Valo.
-Non voglio più sentirti dire che
tu sei stato una sventura per la tua famiglia.- gli intimò Kari allentando la
presa e abbracciandolo nuovamente –Mai più…-
Migé si avvicinò ai due con uno
sguardo un po’ imbarazzato, tossicchiando qualche volta –Ehm… Kari? Posso
disturbarti un attimo?- domandò con tutta la cordialità di cui
disponeva.
-Certo, Migé, dimmi pure!- rispose
l’uomo lasciando andare il nipote, dopo avergli indirizzato un sorriso d’intesa
e d’affetto.
-Abbiamo un problema…- iniziò il
bassista. Kari lo guardò senza capire. –I giornalisti là fuori sono venuti a
conoscenza di Eljas. Stanno continuando a fare pressione per vedere il
ragazzino… Credo sia il caso di prendere provvedimenti.-
Eljas guardò verso uno dei migliori
amici di suo padre, soffermandosi sul suo sguardo preoccupato. Forse era vero
che loro ci tenevano veramente a lui, che non lo incolpavano di
niente…
-Io chiamo la polizia!- sbottò
irritato Kari Rakohammas cominciando a cercare un telefono con lo
sguardo.
-Non servirà a niente, il massimo
che faranno sarà tenerli a bada fuori dall’ospedale, ma quando Eljas dovrà
uscire sarà un casino.- obiettò Migé storcendo la bocca.
-Perché dovrei uscire?- domandò il
bambino intromettendosi nel discorso.
Kari e Migé si scambiarono
un’occhiata –Beh, ci vorrà ancora molto prima che si possa andare a far visita a
Ville, sarebbe il caso che tu andassi a casa a dormire decentemente per almeno
qualche ora. Sei in piedi da quasi 24 ore…- disse il
bassista.
-Non voglio andare a casa!-
protestò Eljas, infastidito dall’idea –Ho dormito prima, mentre aspettavamo il
dottore, non serve che vada a casa ora.-
Anita si avvicinò al terzetto per
far sentire le sue ragioni –Tesoro, ascoltami. I tempi dell’ospedale sono
lunghissimi, sarebbe davvero il caso che tu andassi a riposarti decentemente.
Basterebbe qualche oretta, non ti terremmo lontano per molto
tempo…-
-Io non voglio andare via, voglio
stare qui! Il dottore ha detto che fra poco saranno possibili le visite dei
parenti stretti, e io voglio essere qui quando mi permetterà di andare a vedere
mio padre!-
Silenzio.
Eljas sentiva che anche dentro di
sé risuonava l’eco delle parole che aveva pronunciato.
Mio padre…
Era come se non avesse mai pensato
a Ville in quei termini prima di allora. In un certo senso era così, ogni volta
che aveva detto mio padre era stato
in maniera distaccata, più per sottolineare che c’era un legame naturale e
legale che un senso di famigliarità. Invece in quel momento sentiva che sarebbe
riuscito per la prima volta, dopo tanto tempo, a chiamare il cantante papà. Senza difficoltà. Basta muri
indistruttibili, basta musi lunghi e scontrosi, basta tutto ciò che poteva
compromettere un rapporto sincero. Una seconda possibilità del genere era solo
un miracolo, non ce ne sarebbe stata un’altra.
Anita e Kari si scambiarono uno
sguardo, Migé fissò il ragazzino come se lo vedesse la prima
volta.
-Se non vuoi andare resta pure,
allora.- disse sua nonna –Se hai voglia di riposarti un po’ posso chiedere a un
infermiere se può farti usare un lettino del pronto
soccorso.-
Eljas scosse la testa –Non ce ne
sarà bisogno, non ho sonno.-
Migé si accucciò per guardarlo
meglio negli occhi. Rimasero per qualche istante in quella posizione, senza che
nessuno dicesse niente, sotto gli occhi incuriositi di tutti. –Finalmente l’hai
capito.-
Non disse altro, ma sia lui che
Eljas capirono benissimo di cosa si trattava, ed Eljas fu felice di essere
finalmente uscito dal buio.
eccovi sbrogliato l'intrigo
di "cosa ne sarà di Ville?". ^^ mi duole informarvi che il prossimo capitolo
sarà l'ultimo, seguito a ruota da un epilogo... ah, mi duole se mpre così tanto
terminare le mie storie! intanto keep on enjoying me!
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Capitolo 21 *** capitolo ventuno ***
CAPITOLO VENTUNO
Eljas sentì una mano accarezzargli
dolcemente i capelli per svegliarlo. Aprì gli occhi lentamente, distinguendo
prima un sorriso affettuoso, poi degli occhi di un azzurro chiaro che lo
guardavano da vicino. Guardò Jesse cercando di capire quanto tempo avesse
dormito e, soprattutto, quando si era addormentato.
-Eljas, svegliati. Il dottore ha
detto che possiamo andare a vedere Ville.- gli disse lo
zio.
Il ragazzino si tirò su a sedere,
qualcuno doveva averlo portato in braccio fino a un lettino dell’ospedale,
perché non si ricordava come ci era arrivato. Scrollò qualche volta la testa per
cercare di rimettere in circolo l’ossigeno: voleva essere sveglissimo per vedere
suo padre, anche se sapeva che non avrebbe potuto
parlargli.
-Arrivo.- disse, scendendo dal
lettino e tentando di orientarsi. Jesse gli mise una mano dietro le spalle per
guidarlo dagli altri. Migé e Burton stavano infilandosi i giacconi,
probabilmente in procinto di andarsene ora che non c’era più bisogno di loro,
Gas doveva essersene già andato, visto che non sembrava essere nei paraggi.
Linde stava rientrando in quel momento dall’esterno, con il cellulare in mano.
Eljas notò che Manna non c’era più, probabilmente era andato ad avvisarla che le
condizioni di Ville erano rimaste stazionarie.
-Lì fuori c’è ancora un casino
tremendo. Non si sbloccano da là nemmeno se li paghiamo per farlo… Credo che
sarà un’impresa per voi uscire da qui incolumi.- disse il chitarrista rivolto ai
suoi due amici.
Burton agitò una mano –Se ci
chiedono qualcosa noi non diremo nulla, se ci bloccano chiamiamo la polizia, mi
sembra evidente, ma Migé deve tornare a casa. Vedrana l’ha chiamato per un
problema col piccolo.-
Linde guardò l’amico allarmato,
Migé sorrise –Nulla di preoccupante, ma devo andare, e anche Burton. Resti tu
qui con Kari e Anita?-
Il rasta annuì –Se ho bisogno di un
cambio vi avverto, ma preferisco rimanere qui finché è possibile. Anita è
abituata a fare la donna forte, ma è evidente che questa faccenda l’ha colpita
duramente, ha bisogno di qualcuno che le stia vicino. Più siamo meglio è.-
rispose, poi notò che Eljas era tornato tra loro –L’hai svegliato, allora?-
chiese rivolto a Jesse.
-Se l’avessi lasciato dormire non
mi avrebbe più rivolto la parola.- disse lui con un
sorriso.
Eljas non sembrava badare molto
alle conversazioni in atto, cercava invece dove fossero finiti i suoi nonni,
dove fosse il dottore, qualcosa che gli permettesse, insomma, di individuare la
camera in cui si trovava suo padre.
-Dov’è che bisogna
andare?-
-Hai ragione: non abbiamo molto
tempo, meglio non perderlo.- asserì Jesse salutando gli altri e accompagnando
Eljas lungo un corridoio che sembrava non avere mai fine. Girava a ogni porta
che incontrava, convinto di essere arrivato, ma suo zio lo rimetteva
puntualmente sulla strada giusta. Gli tornavano in mente ricordi di mesi prima…
quell’odore pungente di cloroformio, Dania, la migliore amica di sua madre, che
piangeva incessantemente mentre lo conduceva da lei, tutti quei suoni nella sua
testa che non smettevano mai… Perché non stavano tutti zitti? Perché dovevano
parlare? Non capivano che lui non voleva sentire più niente? E adesso tutto
tornava, con l’unica consapevolezza che Ville era ancora vivo e che, forse, ce
l’avrebbe fatta.
Forse.
E se non fosse andata così? Se
quella stabilità non fosse durata che pochi giorni, la quiete che anticipa la
tempesta? No, non così, non poteva perdere entrambi i suoi genitori in questo
modo.
-Eccoci, siamo arrivati.- gli comunicò Jesse. I due minuti più
lunghi della sua vita.
Eljas entrò in una stanza che
conteneva un paio di letti, ma solo uno era occupato. Anita e Kari erano seduti
alla destra del cantante, sorridevano al nipote, ma si poteva chiaramente vedere
che avevano pianto fino a poco prima. La stanza era di un bianco candido che
inquietava, ricordava al ragazzino il gelo della neve, i macchinari che
controllavano il battito cardiaco e le funzioni vitali di suo padre che
mandavano suoni intermittenti in continuazione, aumentando l’ansia. Guardava le
mattonelle del pavimento verde acqua, incapace di lanciare uno sguardo a chi stava sul
letto.
Jesse si avvicinò ai suoi genitori,
lasciando al nipote la libertà di comportarsi come meglio credeva. Anita cercò
di chiamarlo, ma Kari le consigliò di lasciar stare: Eljas doveva decidere da
solo come agire.
Lentamente sollevò gli occhi da
terra, passando dai piedi, alle gambe, al busto di Ville. Una gamba e un braccio
erano ingessati e sollevati, il loro candore che contrastava con la pelle
arrossata che sbucava da sotto il camice e le lenzuola, ma quando riuscì a
trovare la forza di guardare il volto di suo padre, il mondo si fermò. Il volto
tumefatto, le bende, che giravano attorno alla sua testa e sopra un occhio, che
cominciavano a sporcarsi nuovamente di sangue, l’unico occhio visibile chiuso,
sulla bocca una smorfia di dolore congelata.
Solo in quel momento si rese conto
di quello che aveva rischiato: avrebbe potuto non avere più la possibilità di
chiarirsi con lui, non avrebbe più potuto conoscere suo padre come aveva sempre
desiderato, avrebbe convissuto per sempre con questo senso di
colpa.
Era una cosa che aveva già provato
una volta, era felice di non doverla provare un’altra
volta.
Piano piano si avvicinò al letto,
inserendosi tra i suoi nonni e continuando a guardare il volto del cantate. Solo
in quel momento riusciva a notare la somiglianza: fin da quando era piccolo
avevano sempre sottolineato la sua somiglianza con Alexandra, le stesse
espressioni, lo stesso modo di parlare, addirittura gli stessi lineamenti
generali. Quando all’inizio gli avevano detto di essere identico a Ville, Eljas
si era sentito offeso, come se gli avessero portato via l’unico appiglio che gli
era rimasto di sua madre, ma ora riusciva a vedere che effettivamente lui e suo
padre erano identici.
Anita parlava dolcemente,
raccontando al figlio che loro erano lì che vegliavano su di lui, come se stesse
rivolgendosi nuovamente a un bambino di dieci anni. Ancora come se Ville non
fosse altro che suo figlio, il suo piccolo Ville. Eljas ascoltava la nonna
parlare, lasciandosi cullare dalle sua parole che mischiavano il finlandese
all’ungherese, sua lingua natia, stringendo convulsamente un lembo del suo
maglione.
Fu così per giorni. Andavano in
ospedale la mattina presto e uscivano la sera tardi, quando non potevano far
visita a Ville rimanevano nei pressi per essere pronti ad avere nuove notizie,
ma le giornate passavano così, piatte e tutte uguali. Come sempre i suoi nonni
cercavano di mandare Eljas in un posto più tranquillo, ma come sempre lui si
rifiutava di allontanarsi troppo dal luogo.
Un giorno Kari decise di lasciare
Eljas fare visita da solo a Ville, convinto del fatto che il ragazzino avesse
bisogno di passare del tempo per conto suo insieme al padre. –Deve maturare
delle idee.- aveva detto ad Anita. Così Eljas si era ritrovato da solo, a tu per
tu con la sua più grande paura, a tu per tu con la sua stessa
esistenza.
-Mi dispiace…- balbettò sottovoce,
stringendo un lembo del lenzuolo bianco –Avrei dovuto cercare di chiarire le
cose prima di andarmene così… ma che te lo sto dicendo a fare? Nemmeno puoi
rispondermi, non so nemmeno se stai ascoltando.- disse poi, lasciando andare i
lenzuolo e tornando a guardare il volto del padre. –Se non ti parlo adesso,
però, non lo farò più. C’era una cosa che mamma mi raccontava spesso di te, era
l’unica cosa che mi diceva: diceva che eri uno che quando non si sente a suo
agio tende a fare cose stupide… me lo diceva perché anche io faccio così, l’hai
visto anche tu. La prima cosa che ho pensato quando ti ho visto, prima che tu
parlassi, era che la foto che mi avevano fatto vedere, presa dai giornali, mi
aveva dato un’impressione completamente diversa di come eri. Mi eri sembrato uno
spaccone, a primo impatto, ma quando ti ho visto sulla porta ho avuto
l’impressione che tu fossi fondamentalmente vulnerabile. Forse non ti sentivi a
tuo agio, ecco perché hai detto che volevi darmi via… Hai fatto la cosa stupida
di cui parlava mamma. Il resto della storia la conosci, sai che non mi sei
piaciuto molto all’inizio, anzi… ti ho proprio odiato, ma dopo il discorso in
macchina mi sono sforzato di vederti sotto un altro punto di vista. Ti avevo
sentito litigare pesantemente con uno dei tuoi migliori amici per me, la cosa mi
aveva colpito, e poi avevi detto che volevi provarci anche tu. Mi è piaciuto
quel periodo, ero quasi riuscito a sentirmi in armonia con te, ma poi è arrivata
Frida e ho avuto paura che mi abbandonassi un’altra volta, mi è sembrato che
cercassi di sostituire mamma. Non so perché, avevo come l’impressione che tu non
potessi più avere avuto un’altra oltre a lei, così come mamma non aveva più
avuto nessuno da quando ero nato io… diceva che non ce n’era bisogno, che l’uomo
della sua vita l’aveva già trovato, che ero io.- Eljas si interruppe, sorridendo
come si può sorridere a un ricordo che si giudica sia dolce sia sciocco. Sentiva
le lacrime salirgli agli occhi, ma guardò in alto per ricacciarle
indietro.
–Sono stato stupido, mi dispiace,
la situazione con te era molto diversa. Lo so che ho solo 11 anni e che non
posso capire certe cose, ma so capire gli errori che ho fatto e voglio dirti che
a me non importa se ne hai fatti anche tu. Mi sono accorto che voglio avere te come padre, che sono
disposto a stare con te anche se ogni tanto fai delle cazzate enormi, ma
soprattutto voglio che ti svegli. Ti prego, svegliati! Fammi capire che sono
ancora in tempo per farmi perdonare, ti supplico, svegliati!- le lacrime non
potevano più essere trattenute, Eljas non fece più nemmeno lo sforzo per farlo,
tanto non c’era nessuno a testimoniare la sua debolezza. In fondo era un bambino
che aveva rischiato di perdere il suo unico genitore, dopo aver visto morire
l’altro, aveva tutto il diritto di sentirsi debole. Aveva il viso nascosto tra
le braccia appoggiate sul bordo del letto, le sue parole suonarono confuse –Ti
voglio bene, papà. Svegliati!-
-Sono sveglio…- gli rispose una
voce roca proveniente dalla sua sinistra. Eljas alzò il volto di scatto, il
braccio buono del cantante si era sollevato quel che bastava per accarezzare
lievemente i capelli del bambino.
-Da quanto tempo eri
sveglio?-
-Da tanto. Da quando stavi parlando
di Alexandra.- disse Ville, l’unico occhio che rivolgeva al figlio uno sguardo
pieno d’affetto.
-Perché non me l’hai detto?- lo
rimproverò il ragazzino stringendo nuovamente il lenzuolo tra i
pugni.
-Perché non volevo interromperti.
Non sono mai stato tanto felice di sentire la tua voce, è stato il risveglio più
bello della mia vita.- rispose il cantante –E anche io ti voglio bene, Eljas,
sono orgoglioso di avere un figlio come te.-
Le lacrime continuavano a scorrere
silenziose sulle sue guance piene di bambino, ma la gioia che provava in quel
momento si manifestava interamente attraverso i suoi occhi. Eljas si lanciò ad
abbracciare suo padre, per quanto gli fosse concesso dai macchinari a cui lui
era legato.
-Sei rimasto…- sussurrò mentre
Ville gli passava una mano sulla schiena –Sei rimasto.-
-E non ho intenzione di
andarmene.-
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Capitolo 22 *** epilogo ***
EPILOGO
-Ehi, calmati! Non così veloce!-
esclamò Ville, protestando contro il fratello che guidava con troppa foga la
sedia a rotelle sulla quale era seduto –Finirai per ammazzarmi…- commentò
infine, quando Jesse rallentò e si fermò davanti alla panchina dove stavano
tutti gli altri, ridendo come un pazzo.
-Ah, non mi divertivo così da
quando ti eri rotto la gamba, Ville!- sghignazzò appoggiandosi con le braccia
alle maniglie della carrozzina –Dovresti farti male più
spesso.-
-Ecco, e poi dicono che tra
fratelli ci si deve volere bene…- disse il darkman. Migé e gli altri H.I.M si
misero a ridere davanti a quei battibecchi famigliari, ma tutti si rendevano
conto di quanto fossero fortunati a poter ancora ridere di certe cose con Ville.
Le ferite si erano cicatrizzate quasi completamente, anche se i capelli del
cantante erano ancora abbastanza corti e lasciavano intravedere i segni che
aveva in testa.
Poco più in là, Eljas e Olivia
facevano da baby sitter alla figlia di Burton, nello stesso posto dove, solo
pochi mesi prima, Ville aveva presentato il bambino all’amico. Tuttavia la
situazione, ora, era completamente diversa: Eljas e Ville avevano stretto un
ottimo rapporto e ormai si comportavano esattamente come un padre e un figlio
qualunque. Era passato quasi un anno da quando il cantante si era trovato fuori
dalla porta un ragazzino che gli rivelava di essere padre da ben undici anni,
ormai la cosa si era assodata.
Ville lanciò uno sguardo ai bambini
che giocavano allegri mentre si accendeva una sigaretta (a certe abitudini non
aveva ancora rinunciato, nonostante la convalescenza di parecchi
mesi).
-Seppo ha deciso che ormai è tempo
di riprendere il lavoro, ti sei riposato abbastanza.- gli comunicò Migé,
fregandogli una sigaretta dal pacchetto e accendendola a sua volta. Lo guardò
accigliato.
-Ricordatemi di cambiare manager
quando torniamo al lavoro.- disse, scatenando l’ilarità generale: capitava
spesso che Ville e Seppo avessero da ridire sulla quantità industriale di lavoro
che veniva loro richiesta, ma in fondo entrambi sapevano che la loro era
un’accoppiata vincente e che senza Seppo gli H.I.M non avrebbero raggiunto tanti
successi in tutti quegli anni. –No, gli devo molto per quello che ha fatto in
questi mesi, non posso rifiutarmi.-
-Eppure alla fine hai ceduto.-
obiettò Gas lanciandogli il giornale di quel giorno –E’ da giorni che non si
parla d’altro che di Eljas sui giornali! Non fanno tutto questo casino da quando
Tarja è stata buttata fuori dai Nightwish!-
Ville lanciò uno sguardo al
fratello che gli sorrise mite battendogli una mano sulla spalla –Ne ho parlato a
lungo con Eljas, prima di lasciar trapelare qualcosa.- rispose –Io non avrei
voluto, per rispettare le volontà di Alexandra, più che altro, ma Eljas ha
insistito perché io lo rendessi pubblico. Almeno adesso lo tormenteranno per un
po’ e poi lo lasceranno in pace. E’ stato un piacere per me rendere pubblico che
sono padre, volevo che tutti lo sapessero.-
-Ecco, un motivo in più per
attirare l’attenzione su di te! Non cambierai mai!- lo canzonò Burton suscitando
l’assenso generale della truppa himmica.
-Perché non glielo dici?- lo
sospinse Jesse.
Gli altri si guardarono l’un
l’altro senza capire –Dirci cosa?- domandò Linde.
Ville sbuffò fuori una nuvola di
fumo prima di rispondere, guardando ancora in direzione di Eljas che si
divertiva con le due bambine –Ho legalizzato il mio nome: adesso Valo è il mio
cognome ufficiale e da ieri anche Eljas si chiama così. D’ora in poi sarà Eljas
Valo e non più Eljas Rakohammas, o meglio, abbiamo entrambi il doppio cognome.-
comunicò con una punta di orgoglio che gli luccicava negli occhi, tornati di un
verde brillante e allegro.
Linde e Burton lo guardarono come
se fosse sceso da Marte. Il chitarrista scrollò appena i rasta per risvegliarsi
dal colpo –Wow… Non credevo che l’avresti fatto così presto, dopo tutti i tira e
molla che ci sono stati nei mesi scorsi. Ti davo meno fiducia, scusami.-
disse.
-Concordo.- asserì il
tastierista.
Jesse e Ville si scambiarono
un’altra partita di sguardi –Non torneremo più a quel periodo, ne sono sicuro.
Eljas è cambiato radicalmente nei miei confronti e io sono cambiato molto,
abbastanza per prendermi cura di lui come un padre serio, non credo mi
rinnegherà un’altra volta. E poi ci tenevo ad averlo riconosciuto
pienamente.-
-E quindi ora, Ville Hermanni Valo, sei ufficialmente papà. Come ci si
sente dopo anni di cazzate rimaste impunite?- gli domandò con solennità Migé,
facendo scoppiare tutti a ridere.
Il darkman alzò gli occhi brillanti
da terra e si accese un’altra sigaretta –Ti dirò… è come se mi avessero messo
nel corpo di un’altra persona. Credo tu sappia cosa intendo.- Migé annuì
arrossendo un po’ al ricordo del giorno in cui lui stesso aveva provato quella
sensazione –Ma non vorrei tornare indietro per nulla al
mondo.-
Eljas sollevò lo sguardo dalla più
piccola delle bambine, puntandolo contro la compagnia di adulti che parlava
allegramente. Incrociò quello di suo padre. Fu uno sguardo complice, di quelli
che solo un padre e un figlio possono scambiarsi, di quelli che sottintendono
moltissime cose senza dirne nessuna, che fanno sentire una carezza sulla pelle
senza bisogno di contatto fisico.
Era come se tra loro non ci fosse
mai stato quel muro di ghiaccio che aveva caratterizzato per mesi la loro
convivenza, adesso tra loro c’era solo trasparenza. Ma era realmente ghiaccio
quello che era scomparso? O era piuttosto del ghiaccio secco? Quella specie di
nebbia bianca e fumosa causata dall’anidride carbonica allo stato solido che
sublima a contatto con l’aria, la stessa che Ville e gli altri H.I.M avevano
spesso usato per i loro concerti. Già… una nebbia, piuttosto che ghiaccio,
qualcosa che li divideva, ma non perché loro fossero diversi e inconciliabili,
semplicemente perché la nebbia impediva loro di trovarsi. Entrambi erano andati
avanti a tentativi, come si fa in mezzo a un banco di nebbia che offusca la
vista, sbagliando spesso, qualche volta cadendo e qualche altra volta imboccando
la strada giusta. Alla fine la nebbia si era dissolta e loro si erano trovati
l’uno davanti all’altro, due immagini chiare come non mai.
E Ville riconosceva se stesso in
quello che vedeva, come Eljas si sentiva parte di colui che
guardava.
LA
FINE
allora... beh, mi sembra che sia giunto il momento di
salutare e ringraziare chi di dovere! ^^ innanzi tutto ringrazio Kuji13 perché è stata la primissima a leggere
GHIACCIO SECCO [in questi mesi ribattezzata col nome affettuoso di ghiaccio o gs
*sniff*] e a darmi i suggerimenti quando mi bloccavo a metà della composizione
senza sapere come andare avanti [quindi, se gs è arrivata fino alla fine,
dovreste ringraziare soprattutto lei!]; in seguito ringrazio Judeau che, anche se ormai
non è più dei nostri, è stato il primo a fare dei lunghissimi commenti che ho
apprezzato moltissimo, commenti sostituiti prontamente dalla mia sisko LaTuM XD che ringrazio ancora pienamente, soprattutto
per la bellissima recensione che mi ha fatto sul suo blog privato! altro
ringraziamento va a Bell_Luna, la quale è
stato il primo commento fatto alla storia [che spero avrà seguito fino
allafine...], a Scarlet Angel, ad Anonymous e a sirius4ever, che hanno commentato sltuariamente, ma
sempre in maniera piacevole. non mi sono dimenticata di linkin park che
mi ha già commentata altre volte e che apprezzo molto per la fedeltà XD, mentre
spero di non aver deluso disenchanted_vale, che mi ha scoperta in ritardo, ma mi
sembrava comunque entusiasta! ^^ siccome mi sto commuovendo e non vorrei
bagnare il computer, è meglio se me ne vado e vi lascio
così.
spero si non avervi deluso e vi assicuro che ho apprezzato
tutte le critiche fatte [anche a voce - grazie mariasole! -] così come ho apprezzato moltissimo -
ovviamente - i complimenti. con questa fanfiction mi assenterò dalla sezione
himmica per un periodo, sarà il mio saluto. keep on enjoying me
[anyway...]
kiitos!
JULIA aka
musicaddict
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