Una triplice scelta

di EgoM
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tre cappelli ***
Capitolo 2: *** Il cilindro - cap. 1 ***



Capitolo 1
*** Tre cappelli ***


tre

Il cielo buio, punteggiato da piccoli fori luminosi.

Tre cappelli.

Tre cappelli sulla spiaggia.

Tre cappelli di diversa forma e dimensione, di diverso carattere e significato.

Una triplice trappola. Mortale, se usata impropriamente, ma altrettanto paradisiaca se sfruttata nel giusto modo.

Tre cappelli, un ragazzo sulla spiaggia.

Lentamente le orme si susseguono sulla sabbia fine, mentre un’ombra avvolge i tre cappelli.

Una mano li sfiora, tutti e tre, soffermandosi qualche secondo su ognuno di essi. 

Devi scegliere. Devi sceglierne uno solo.

La mano esita, poi si stringe attorno all'oggetto prescelto. E da quella scelta la vita del ragazzo cambia totalmente.

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Capitolo 2
*** Il cilindro - cap. 1 ***


Il cilindro 1

IL CILINDRO

Cap. 1 – Basildon

 

- Frocio! Femminuccia!

- Finocchio! Ti piace vestirti da donna eh?

- Succhiamelo, gay di merda!

Insulti pesanti impregnano l’aria di cattiveria e bullismo; alle urla si accompagnano gemiti di dolore e suoni sordi di mani che colpiscono le morbide guance di un adolescente.

Non voglio avere nulla a che fare con quello che sta accadendo; qui a Basildon, Essex, c’è una regola che è fondamentale imparare, se si vuole sopravvivere: se una cosa non ti riguarda, stanne fuori. O saranno guai.

Le grida cominciano a farsi più forti, la rissa è inevitabilmente vicina. Il rumore di una sedia schiantata a terra, ed ecco, inizia l’apocalisse.

- Stronzo!

- Ehi puttanella, ti piace farti picchiare?

Amo definirmi un duro, cuore di pietra, uno impassibile che non ha paura di nulla. Ma questa è solo una maschera, una piccola parte della mia personalità; sentendo quel trambusto la parte più sensibile e recondita del mio animo scalpita per capire che cosa sia la fonte di tutto quel casino.

Giro appena la testa, quel tanto che mi basta per sbirciare senza dare nell’occhio. Cinque o sei ragazzi, grandi in tutti i sensi, sono ammassati sul pavimento, e colpiscono alla cieca un bersaglio non meglio identificato. Dopo qualche minuto di botte ed urla belliche la sudicia tenda rossa dietro il bancone si scosta, rivelando l’imponente figura di Ouer.

Ouer è il padrone del pub; un omone ‘alto due metri e venti e largo come un armadio a due ante’, tatuato dalla testa ai piedi. Incrocia le braccia muscolose, dalla circonferenza pari a quella del fusto di un albero, e fissa minaccioso la massa umana riversa sul pavimento di piastrelle del Moon’s.

- Allora, che stiamo facendo qua? Vi voglio tutti fuori nel giro di tre secondi. Uno – comincia a contare sulle dita. – Due…

Inutile dire che all’ “uno” i teppisti erano già schizzati fuori dal locale. Ouer si china su quello che dovrebbe essere un ragazzo, spalmato a terra, totalmente inerte; lo solleva per un braccio e lo fa sedere al tavolo vicino al mio.

- Ehi, forza, ti offro una birra e vedrai che ti riprendi. – Il barista squadra il malcapitato e aggiunge: – Ma per l’amor di dio, se proprio devi vestirti da donna, vedi almeno di non frequentare posti del genere!

L’attenzione generale, dopo quest’affermazione, cala notevolmente, ed ognuno riprende a farsi i fatti propri. Anche io, seguendo la massa, faccio per tornare alla mia pinta di birra, quando sento la voce di Ouer urlare il mio nome.

- Ehi, Dave, dai una mano al nostro amico che non si regge in piedi. Evidentemente non è un tipo da risse, come qualcun altro- mi lancia un sorriso sbilenco. – Quando finisce di bere fatti dire dove abita e accompagnalo a casa.

- Io cosa ci guadagno?

- Se torni senza di lui, una birra gratis – risponde ridendo.

Finalmente ho il coraggio di guardare il ragazzo dritto in faccia: i capelli sono biondi, ricci, e gli contornano il viso dandogli un’aria da putto del Giudizio Universale. Ha un bel viso; i tratti delicati, gentili, dolci, sono stati però devastati dalle botte: croste di sangue ed ematomi viola lo sfigurano totalmente. Alza lo sguardo verso di me, un grande paio di occhi grigio-azzurri, entrambi definiti da un pesante strato di eyeliner nero, ed entrambi neri e gonfi.

- Che…è successo? – domanda con un filo di voce, socchiudendo appena le labbra tinte di un acceso rosso ciliegia.

“Fantastico”, penso. – Hai preso un paio di cazzotti, amico. Forse è meglio che ti accompagni a casa.

- No… Posso farcela… da solo.

Stringe la spalliera della sedia così tanto da farsi venire le nocche bianche come il latte; si alza, e per un paio di secondi resta dritto in piedi, trionfante per essere riuscito ad alzarsi senza bisogno di aiuto. Poi, di colpo, crolla al suolo. Faccio appena in tempo ad afferrarlo per la gonna e ad attirarlo a me.

- Certo, amico, ce la fai di sicuro. Avanti, dove abiti? Ho una macchina, in cinque minuti sei a casa, se siamo fortunati.

- Abito… vicino al Roundacre…

- Perfetto. Ok, dai, appoggiati a me. La macchina è proprio qua davanti.

Si abbandona del tutto a me; sorreggendolo, lo trascino lentamente fino alla Simca 1000 azzurra rimediata da un amico meccanico. Gli apro la portiera e lo appoggio sul sedile.

Viaggiamo in silenzio; intono tra me e me un motivetto dei Cure.

Walk across the garden In the footsteps of my shadow See the lights out No-one’s home”.

Dopo qualche minuto arriviamo al Roundacre. Fermo la macchina.

- Qui va bene?

- Sì… Perfetto. Allora… Grazie, Dave.

Si sporge verso di me e mi butta le braccia al collo. Io ricambio con qualche amichevole pacca sulle spalle: non amo gli abbracci, figuriamoci da parte di un tizio truccato e vestito da donna!

- Tranquillo… com’è che ti chiami?

- Martin.

Lo guardo per un po’; ma dove l’ho già visto questo qua?

- Senti, ma tu per caso sei un musicista, o cose del genere?

- Sì… Suono la chitarra… Esibizioni al Round…

- Ecco dove ti ho già visto! – esclamo trionfante. – Allora magari ci becchiamo lì qualche volta; sai, io canto.

- Si sente… Bella voce…

Martin comincia a tossire, e sputa un po’ di sangue.

- Vai a casa, dai, che sei messo maluccio. Prima rissa, eh?

Annuisce timidamente. Gli do un buffetto sulla spalla.

- Allora ciao, Mart. A presto.

Scende dalla macchina, e barcollando entra in una porta rosa tutta scrostata. Sulla soglia si gira e mi fa un cenno di saluto. Rispondo, e riparto con una sgommata, dritto verso la mia birra gratis al Moon’s.

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