Suicide Weekend

di Ryley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Paint it black - Rolling Stones ***
Capitolo 2: *** Message in a bottle - The Police ***



Capitolo 1
*** Paint it black - Rolling Stones ***


CAPITOLO 1:
Paint it black - Rolling Stones




«Spazzata via ogni traccia di cibo» ripeteva Harriet davanti al frigorifero semivuoto.
Era sempre così, i suoi fratelli non le lasciavano nulla. A soli dodici anni, due gemelli potevano svuotare un intero frigorifero e mezza dispensa.
Prese dal fondo del primo ripiano un barattolo di maionese rovesciato e privo di coperchio, filando in salotto per rimproverare i fratelli, inciampò in un pallone da calcio.
«Dove avete messo il coperchio piccoli mostri?» domandò con aria arrabbiata e allo stesso tempo scherzosa.
I due ragazzini non prestavano attenzione alla ragazza, bensì alla consolle dei videogame accesa da più di tre ore.
«Se l'è mangiato Mst. Rittle forse...»
Mst. Rittle era il gatto della famiglia, vecchio, brutto e senza un occhio. Lo fissava disgustata mentre buttava il barattolo nella spazzatura.
Era ormai ora di cena, la serratura della porta d'ingresso scattò, entrò un'uomo con un'agenda in mano.
«Sono a casa!» 
Esclamò il padre dei tre figli biondi come il sole. 
I due bambini spensero di colpo il videogioco correndo verso il padre. Poco dopo anche Harriet raggiunse l'uomo sul ciglio della porta, scocciata come al solito.
«Ciao principessa» disse il padre stampandole un bacio sulla guancia.
«Papà, questi due ingordi hanno svuotato il frigorifero, non c'è niente da mangiare»
Ci fu un attimo di pausa, l'uomo appoggiò il libro sul mobile in salotto.
«Ci arrangeremo, con il tonno in scatola magari»
«No. Sono stufa di mangiare tonno in scatola!»
Prese con cura il cappotto appeso all'attaccapanni, afferrò il berretto e mise il portafogli nella tasca del cappotto.
Il padre e i gemelli erano abituati a queste reazioni impulsive, appena dopo la morte della madre ad Harriet era stata diagnosticata una schizofrenia periodica, assumeva medicinali pesanti fino a pochi mesi prima, ammalandosi per anoressia. Il padre, biologo all'università, dedicava le sue giornate al lavoro, spesso dormiva fuori, conosceva donne; colleghe, sconosciute, molto più giovani di lui. I figli erano una benedizione trascurata, come macchie di caffè su una tovaglia già sporca.
«Dove stai andando?»
«Mangio fuori stasera»
Fu l'ultima cosa disse prima di dileguarsi per la via immensa. 
Bugiarda; Harriet non mangiava molto, e le solite scatolette la irritavano. Spesso lasciava i tre uomini per dedicarsi completamente a se stessa. Aveva l'aspetto di una ragazzina diciassettenne ma dentro giaceva una donna di quarantacinque anni. 
Era buio. Come l'inchiostro blu su una tela nera, si vedeva a stento il marciapiedi.
Non sapeva dove andare, probabilmente avrebbe passato la serata in un fast food, con i mano una bibita senza zuccheri, in fondo con le poche sterline che aveva in tasca poteva permettersi solo quello. E così fece.
Entrò nel locale deserto quel sabato sera, non dava importanza alle altre poche persone sedute ai tavoli, come le altre sei miliardi nel mondo, si mise in fila ed attendeva con ansia il suo turno.
«Buonasera» esclamò il cassiere al bancone con aria annoiata e stanca.
«Salve, una Cola per favore» 
«Bene. Una sterlina  »
Tirò fuori una piccola bustina in stoffa, contava le monete rimaste. Il ragazzo al banco ritirò gli spicci nel registratore con la stessa velocità con cui un serpente aggredisce la sua preda.
«Ecco la sua bibita»
Fece un cenno con  la testa per ringraziare e con la lattina in mano si guardava attorno.
C'era un ronzio silenzioso nell'aria, coppie parlavano affettuosamente... Harriet era sola.
«Avanti Nick, è il colpo grosso non possiamo perdercelo!» 
«Non so Jay, non sono sicuro»
Si sentiva bisbigliare dietro ad Harriet, due ragazzi di circa la sua età parlavano seduti ad un tavolo uno di fronte all'altro.
Harriet finì con origliare le loro discussioni.
«Avanti non farmi incazzare. La vedi quella donna tutta griffata alla mia destra? Inizieremo con lei»
«Ah! Ma come...»
«Tu lascia fare a me, l'hai portata la cosa?»
«Sì.»
La ragazza non capiva a fondo il loro discorso a causa del continuo e persistete ronzio. Però al volo captava le loro non  buone intenzioni.
Ci pensò per qualche secondo, voleva voltarsi per vedere in faccia i due individui.
Girandosi di colpo, si trovò davanti un ragazzo dalla carnagione chiara e i capelli scuri che sorseggiava una bibita, l'altro di fronte a lui girato di schiena era più pallido del compare, portava un berretto bordeaux.
Per pochi millesimi di secondo, il ragazzo moro la guardava insospettito. Fino a quando anche l'altro più pallido girandosi la vide.
 
Harriet imbarazzata riprese il cappotto e la lattina ancora piena e uscì svelta dal ristorante.
L'umiliazione pubblica era la sua rovina, spesso camminava insicura per non essere notata, anche se indossava abiti impegnativi,come quella sera. Un cappotto bianco e nero sopra ad una camicia in raso lunga fino alle cosce con un fiocco alla destra del colletto, con dei collant nero-trasparenti ed delle Francesine chiuse davanti di un color beige scuro, contornate da un berretto nero con davanti scritto "Bad Hair Day". Eccentrica, ma formale. Harriet Skawbojik.
La notte si era fatta ancora più scura e misteriosa, nessuno si sarebbe ricordato di lei.
Il padre addormentato in quei bicchieri di vino di troppo, i gemellini nei loro letti dopo la buona notte del genitore.
Era indipendente, sola nella notte più buia di ottobre.
Fuori ragazzi si scambiavano effusioni, bevendo birra e cantando ubriachi nel mondo.
Tutti volevano essere amati e accettati, tranne ad Harriet. A lei non importava.
Beveva in piccoli sorsi la sua Cola ghiacciata, camminava per una via sconosciuta di Bristol.
Freddo nell'aria, il berretto da skater sui folti capelli biondi lunghi fino a metà schiena. Era una come le altre su tutti gli aspetti; era alta e bionda, con gli occhi azzurro cielo, il naso alla francese contornato da piccole e numerose lentiggini.
Niente di più e niente di meno, una normale ragazza anglorussa. 
Sua madre lo era, riprese il suo cognome dopo la sua morte, aveva i suoi tratti identici, tranne il naso e le lentiggini. Quelle erano del signor Watson, suo padre.
Bristol era decorata da piccoli fari a led colorati che la dipingevano di ogni colore possibile, teneva il passo ferreo, voleva ritornare a casa. Troppi ubriachi per un mercoledì sera, non aveva paura.
Bussava continuamente alla porta di casa ma nessuna risposta, finestre, porte, garage completamente bloccati.
«Dai aprite!» urlava alla porta.
Era mezzanotte meno un quarto, così segnalava l'orologio da polso di Harriet illuminato da un lampione all'angolo della strada, fece un'altro giro.
Appena uscita dalla via principale imboccò una piccola scorciatoia, dai lungi palazzi pericolanti.
Si udivano sirene della polizia e schiamazzi di sottofondo.
«Avanti Jay buttala via! Andiamocene» 
Uno dei due ragazzi gettò via una borsetta tra i cespugli, correvano ininterrottamente.
«Ci stanno addosso...»
Urlava uno dei due.
Harriet camminava di spalle ignara della situazione, sorseggiava ancora la sua bibita ormai sgasata, qualcuno la spinse dal dietro.
«Eh ma che... ?!»
Una scia scura partiva dalla lattina frantumata sulla strada.
«Spostati! Avanti vattene...»
«Non mi muovo da qui, andatevene voi!»
La polizia era sempre più vicina. 
Il ragazzo col cappello afferrò Harriet per un braccio spingendola in un fermo tra due palazzi, nascosta, sul retro. Uno le teneva la mano sulla bocca per non farla urlare, attendendo l'arresa delle forze dell'ordine. 
Il cuore batteva all'impazzata, per la prima volta, Harriet aveva seriamente paura
La tenevano bloccata al muro, sudava freddo, mordeva la mano dello sconosciuto fino a farla sanguinare.
«Ah!»
Lasciò la presa con la mano insanguinata.
«Lasciatemi andare!»
«Zitta cazzo!»
Passarono a fianco dell'edificio, tutto andava bene per loro, la sirena lasciò la città. O così credevano
Aveva spinto il ragazzo sul cemento ghiacciato dalla brina di ottobre.
«Siete impazziti?» 
I due ragazzi si guardavano sorpresi, avevano avuto paura, certo che sì. Lo intuivano, Harriet era una tosta.
«Calma, mantieni la calma»  
Uno dei due teneva una mano sulla sua spalla, come per rassicurarla.
«Sono calma e comunque perché la polizia vi sta cercando?» 
Disse con un tono di preoccupazione, nonostante fossero sconosciuti per lei.
«Ehm...»
«Voi eravate al ristorante sulla tredicesima, seduti dietro di me!»
C'era voluto un po' riconoscerli, a causa del buio. 
Il ragazzo col cappellino la guardava sbigottito, fece cenno al altro. 
«Il tuo nome?»
«Prima ditemi i vostri»
Harriet aveva un tono acido e maligno ed ai due individui piaceva. Lei i nomi li conosceva, ma voleva sorprendersi delle false identità.
«Beh, come vuoi tu. Jay Turner. Nick Elgar.»
Tesero la mano all'unisono, i nomi combaciavano ed era sorpresa.
«Harriet Skawbojik» 
«Non avete risposto alla mia domanda. Perchè la polizia vi sta cercando?» 
Si accese una sigaretta, balzando davanti ad uno dei due, erano entrambi più alti di lei.
«Sai piccola, ci sono persone buone, e persone invece meno buone. Noi siamo la seconda categoria» 
Disse orgoglioso Jay, quello con i capelli più scuri.
«Mh, e invece siete dei figli di papà che per far eccitare le ragazzine incendiate le auto parcheggiate e rubate le borse alle signore solo per credervi i James Deen della situazione» 
«Tu non sai niente di noi» 
La faccia da inglese orgoglioso si dissolse in una piccola smorfietta dell'altro ragazzo. La ragazza appannava gli occhi dei due con il fumo della sua Chesterfield.
«A me basta questo» 
Disse dileguandosi. 
«Dove stai andando?» 
Girandosi rispose di dovere a Nick.
«Mi accompagnate?»
«Dove...» 
«Oh, un po' qui, un po' lì. Godiamoci la notte.» 
«Ci stiamo!» 
Le tranquille vie di Bristol erano urtate dalle risate dei tre ragazzi diciasettenni, la una, le due, le tre....
«Ok,ok ragazzi ora riportatemi a casa, su» 
Ripresero in silenzio la via Kennedy, fino all'entrata del cancelletto.
«Jay... Nick...» 
«Sì?» 
Ripetevano in coro.
«Non cercatemi più, siamo intesi?» 
Lasciò i due sul ciglio della strada, in casa nessuno la aspettava.

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Capitolo 2
*** Message in a bottle - The Police ***


CAPITOLO 2:
Message in a bottle - The Police


Il pullman aveva già lasciato il piazzale provocando un fastidioso odore di carburante bruciato, Harriet si era trattenuta troppo in aula a finire il suo saggio di trecento parole. Era la migliore del corso, anche se non lo ammetteva. 
«Signorina Skawbojik deve consegnare il compito» 
Insisteva il professore. Lei si limitava a sorridere e porgere il foglio ancora profumato di inchiostro fresco.
Riprese la sua borsa ed il suo cappotto, sgattaiolando via per i corridoi del suo liceo che in un certo senso adorava.
«Oh merda!» 
Il mezzo sul quale sarebbe tornata a casa era già andato via. Ormai tutti se ne erano andati, anche i pivelli del primo anno. Prese la via del parco, nessuno la aspettava a casa. Passo dopo passo sul l'asfalto bagnato camminava senza pensieri in testa.
All'entrata del parco attendevano parecchi agenti della polizia, bisbigliavano preoccupati e orgogliosi allo stesso tempo.
«A quando risale?»
«Sembra un proiettile dei primi del novecento»
Harriet era incuriosita ma fece un salto di nuovo nei suoi candidi pensieri. Scuola, casa, fratelli, un padre assente. 
Si sedette su una panchina davanti ad un laghetto, contava gli aironi su una piattaforma geologica nel mezzo delle acque. Tiravano le folate di vento gelido, le foglie cadevano come gracili corpi nelle ceneri di una fine misteriosa. Chiudeva gli occhi, visitava mondi mistici, dove anche il colore del grano diventava nero. Era sul punto di addormentarsi profondamente.
Una figura mascolina, coperta con una giacca blu notte con il cappuccio adagiato sui capelli scuri, si avvicinava alla sua panchina. Era indirizzato verso di lei. Ma niente sembrava distrarre Harriet da quella forma scompatta di acque azzurrine.
«Ti avevo detto di non cercarmi più» 
La figura misteriosa era già al suo fianco, riconoscente. Harriet lo provocò.
«Colpevole!» Disse Jay nascosto da un cappuccio umido
«Allora, cosa vuoi»  
Dalle corde ironiche, delle sottili risate disegnavano la scena resa piatta dalle acque vicine. Riusciva ad aprire gli occhi, a fissare il color nocciola di quelli del ragazzo, vedeva i mari di una vecchia fotografia. Chi era? 
Lei non lo sapeva.
«Proporti una cosa...»
«Vai avanti» 
Incuriosendosi, sotto ad uno strano sottofondo. Jay non era sobrio.
«Sembri una in gamba Har. Io, tu, Nick e la strada, zero problemi. Che ne dici baby?»
Un attimo di pausa. Per Harriet erano tutte fantasie, anche se sfidare quell'ignoto le piaceva, più di giocare con il Diavolo.
«Allettante. Avanti Jay di cosa sei fatto?»
«Sono serio. Sul serio vuoi rimanere qui per tutta la tua vita? E' già un miracolo che non dormi sotto i ponti. Di cosa hai paura»
«Tu non mi conosci. Io non ti conosco. E non conosco le tue, o meglio, le vostre intenzioni»
Jay rise. Come se per lui quelle fossero solo piccolezze.
«Allora conosciamoci, su. Che vuoi sapere?»
«Credi che sia così facile? Racconti due stronzate ad una persona e aspetti che quella vada chissà dove con te e con il tuo braccio destro?»
«Non è cosi?»
«No»
Era un comportamento ragionevole, per lei. Gli "occhi nocciola" non sembravano seccati per la sua difficile insistenza. Voleva scoprire tutto di quella ragazza misteriosa.
Jay si fece avanti.
«Una sera ti basta?»
«Per cosa?»
«Per conoscerci meglio...»
«Che hai in mente?»
«Una bottiglia e un po' di roba. Letteralmente»
«Dobbiamo ubriacarci per conoscerci. Ci sto...»
«Davvero?»
«Sì»
Aggiunse un tono ammiccante con quell'ultima affermazione Harriet, seguita da una risata dei due. Poteva farlo davvero, dimenticare tutto e partire per le giungle asfaltate.
 Era rientrata a casa, quasi obbligata dal rimorso.
«Dove sei stata?» 
Il padre era pronto a rimproverarla, spaventato e preoccupato. La figura del genitore non era la sua preferita secondo Harriet.
«Ero in giro papà» 
«In giro... Esci tutte le sere, non so neanche se torni a casa. Non mangi più a casa con la tua famiglia. Non ti vedo più scorrazzare per casa con i calzini di lana»
«Per forza non mi vedi mai. Non sei mai a casa con noi!»
Il litigio si fece acceso, il padre provava compassione per quella ragazzina bionda come il sole.
«Sediamoci avanti...»
La invitava in salotto, sedendosi sul divano chiaccherando come facevano anni prima.
«Mi dispiace papà» 
Sorrise, scusandosi.
«E' tutto okay» 
Abbracciò sua figlia, come quando la teneva in braccio, da neonata. Le fotografie si facevano sempre più vive sulle mensole, i libri ammassati per ogni angolo della casa. Il sapere della famiglia pesava in quelle mura.
«Lo so, non sono un padre molto presente... »
«No, papà è colpa mia non avrei mai dovuto dire una cosa del genere»
«E' da tanto che non facciamo quattro chiacchere»
«Già!»
«Se stai frequentando qualcuno e preferisci passare le serate in compagnia, lo capisco tranquilla»
«No, no. Hai frainteso tutto»
«Scusa, ma è difficile accettare la realtà. Sei grande ormai»
«Che ne dici. Stasera cibo cinese sul divano per ricordare i vecchi tempi?»
«Perfetto!»
Televisore acceso, pasta bianca dentro a contenitori unti. Coperte in lana ed un padre pigro.
«Dai scegli Stephan!»
«Harriet, se parli al televisore, non aspettarti una sua risposta»
«Sei simpatico oggi, come mai?»
Disse il più grande dei due tirandole uno spaghetto sul naso con le bacchette.
«Ma i ragazzi dove sono?»
«Pigiama party da veri duri. Oh, sì. Così mi ha detto»
«Oh!»
Risero all'unisono.
«Devi uscire anche questa sera?»
«Sì. Scusa papà, mi vedo con degli amici»
«Tieni»
«50 sterline, perché?»
«Ormai sei grande, fanne quello che vuoi»
Si abbracciarono stretti in uno, manovrava le lancette dell'orologio, era già in ritardo.
«Harriet, bambola sei qui» Jay accolse Harriet nel garage di una grande villa.
«E lei che ci fa qui?» Aggiunse Nick
«Felice di rivederti, aspetta, come ti chiami?»
«Nick»
«Ah...»
Un tono acido quasi maligno rimbombava tra i poster appesi sulle pareti congelate.
«Bellezza, ti presento Lyonel» 
Jay era già completamente fuori di se. Vagava in corpi surreali, innaturali, malvagi o semplicemente deceduti.
«Piacere» 
Davanti a lei apparse un ragazzo molto alto, capelli rossi come le piume di qualche maestoso volatile, occhi piccoli ed un sorriso inesistente. 
«E' la generazione delle reginette di bellezza, no?» Riprese Nick il discorso cominciato minuti prima, al fumo della prima sigaretta di Harriet.
«Io non credo proprio...» 
Lyonel continuò.
«Stiamo parlando della tua ragazza Ly, non ti scomodare»
«Tua ragazza? Ma chi?» Domandò Harriet.
«Christy Annox»
«Non la trovo familiare»
«Già... Reginetta della castità Annox. Una figa»
Jay concluse per bene, seguito da una sbuffa del ragazzo rosso. 
«Hey, Harriet sei qui da più di un'ora e non ci hai ancora fatto vedere cosa c'è sotto il cappotto» 
«Oooh»
Dissero in coro i tre ragazzi dopo l'affermazione ardita di Nick, il ragazzo che stava più a cuore ad Harriet. Ed invece no.
Rispose a dovere.
«Ah si? E immagino che tutte le ragazzette quindicenni che incontrate si spogliano davanti a voi come se dovessero fare un controllo medico?»
Si alzò in piedi, il ticchettio dei suoi tacchi sui vecchi giornali per terra era nulla in confronto alla pioggia cadente fuori le mura. Passò davanti ad una poltroncina vuota a fianco al provocatore, saltò sul divanetto di uno dei due.
«Avanti che volete fare?» Aggiunse la bionda
«Busta» 
«Ti prego, lo facevo quando avevo undici anni con i vicini di casa di mia nonna»
«Allora modifichiamolo un po'. Qualcosa da grandi. Una confessione assurda ogni giro»
Come vecchi bambini ci eravamo spostati in un angolo della stanza fredda, in cerchio.
«Vai Jay»
Si appoggiò al suolo, tenendosi la testa pensando.
«Ho fatto perdere la verginità a tutte le tipe del primo anno»
«Ah»
«Prego Nick»
«Kevin Rompipalle mi ha baciato in terza media»
Un boato di disapprovazione si fece largo tra le bocche aperte dei presenti. Lui non ci fece caso.
«Passo la palla a te Rosso»
«No, aspetta, aspetta... Quindi tu sei, insomma, sei...»
«No Biondina! No! E' stato lui a ...»
«Mi spiace concludere questa piacevolissima serata, ma.. Ragazzi a domani, io vi lascio»
Ed era così che Lyonel lasciò i due svergognati e la ragazzina da soli coperti dalla pioggia. Mentre si sistemava il cappuccio della felpa blu fissava incuriosito la leggera scollatura di Harriet.
«Ora passiamo ai fatti» disse Jay.
«Che fatti?»
«Il viaggio, lo sballo.. ne avevamo parlato»
«E quindi Harriet? Che ne pensi?»
Ci pensò un attimo, fissando il pavimento.
«Va bene»

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