Bikini

di Book boy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


“Dalle memorie del Dott. Brown”
 
Molti pensano che i test nucleari nell’atollo di Bikini furono fatti solo per scopi di “esperimento”. Ma in realtà non fu così. Inizialmente su quelle isole dovevano essere compiuti altri esperimenti, che non centravano niente con “l’atomica” anche perché ai tempi in cui furono compiuti, le armi nucleari nemmeno esistevano. In realtà gli esperimenti furono fatti per coprire un errore, insabbiarlo. Senza farlo sapere a nessuno. Bè io ve lo sto per raccontare.
Ma andiamo con ordine:
 
 Tutto iniziò quando, il 2 febbraio 1945, arrivò una telefonata alla reception dell’hotel Carlton, a New york, dove mi trovavo per una riunione con alcuni delegati britannici per parlare di certi argomenti scientifici, il primo dei quali era proprio lo sviluppo di nuove armi da impiegare sul campo.
Quando presi la cornetta del telefono, dall’altra parte dell’apparecchio rispose lo scienziato John Diuk, mio collega statunitense «Buona sera dott. Brown»
«Oh, carissimo dott. Diuk, ha bisogno di qualcosa?»
«In realtà sì, volevo parlarle di un esperimento che stiamo portando avanti qui, a Los Angeles, però ne dovremmo parlare a quattr’occhi, si tratta di un esperimento molto importante…» Capii immediatamente che si trattava di qualcosa di molto rilevante per la vittoria della guerra «Bè, in tal caso credo che dovrei venire fino a Los Angeles, è esatto?»
«Sì, signore, un aereo privato è già pronto a portarla qui, Domattina partirà»
«D’accordo, allora ci sarò» Poi riattaccai la cornetta e riflettei tentando di capire di cosa volesse parlarmi di così importante da doverlo fare di persona.
Quando arrivai a Los Angeles mi incontrai subito all’aeroporto con Diuk «Brown! Ben arrivato ad L.A.!»
«Salve Diuk, la vedo in gran forma»
«Sì, diciamo che mi tengo in forma»
Salimmo su un’auto militare che partì in direzione del laboratorio scientifico di Trhee sword, un laboratorio segreto all’interno della città. Solo pochi tra scienziati e militari vi avevano messo piede di persona. Io ero uno di loro. Era nascosto all’interno di un vecchio palazzo che veniva usato per le telecomunicazioni. Nel seminterrato vi era una porta blindata da cui si accedeva ad una tromba di scale che conduceva nel bunker sotterraneo dove era situato il laboratorio. Appena entrato vidi subito vari scienziati che lavoravano su progetti ed esperimenti di vitale importanza militare. Diuk mi condusse in una stanza laterale, cui si accedeva da una piccola porta nascosta dietro una libreria di ferro. Era il laboratorio per lo studio delle armi innovative. Se i progetti, i campioni o i prototipi di tutto ciò che era all’interno di quella stanza fossero finite in mano al nemico allora la guerra si poteva dire persa. Fortunatamente gli alleati stavano trionfando.
Però il problema più grande era il Giappone. Bisognava fermare le truppe dell’imperatore.
Diuk mi fece accomodare su una sedia girevole ad un tavolo a cui erano seduti altri quattro scienziati e due colonnelli dell’esercito che io salutai con rispetto. Diuk iniziò a spiegare «Siamo in guerra da ormai poco più di tre anni e decine di migliaia di nostri soldati continuano a morire ogni giorno su ogni fronte in cui operiamo. Ci vuole una svolta nell’andamento del conflitto. Qualcosa che faccia arrestare la barbarie giapponese e nazista. Ci vuole un arma innovativa.» Si voltò e tolse un piccolo lenzuolo che  andava a coprire una lavagna dietro di lui. Su quest’ultima vi erano segnati alcuni nomi degli elementi più importanti della tavola periodica «All’interno di questi laboratori stiamo sviluppando un’arma chimica, un gas che potremmo utilizzare contro ai nostri nemici» Uno dei due colonnelli presenti però protestò «Non è possibile utilizzare dei gas! Sono armi chimiche, vanno contro alla “convenzione dell’AIA”!»
«Certo, i nazisti allora? Loro non hanno infranto la convenzione? Dobbiamo capire che combattiamo contro un nemico spietato, che sta distruggendo la nostra civiltà! Bisogna fermare questa guerra! A qualunque costo!»
Tutti nella sala diedero ragione a Diuk. Ma io volevo saperne di più prima di proferire parola o di accettare l’esperimento. Perciò chiesi «Ma quale sarebbero con precisione le conseguenze di un attacco con questa arma chimica, la prego Diuk, ce le esponga» Lui annuì ed iniziò «Allora, il gas, non è un gas mortale, almeno non subito dopo l’esposizione, ma soltanto un gas “infettivo” ciò significa che infetta il nemico, facendo uscire pus e vari liquidi dal suo corpo, inoltre intasa i polmoni di muco, facendo tossire il malato. Non è curabile perciò in molti casi, a meno che non si riesca a rigettare il pus, sopraggiunge la morte. Lo abbiamo già testato su alcuni esemplari di Scimpanzè.» Uno degli scienziati disse «Ma cosa state dicendo?! Testarlo su dei prigionieri? Ma che siamo dei mostri?! Siamo esseri umani! Non delle bestie! Critichiamo i campi di concentramento nazisti e poi testiamo le nostre armi chimiche su dei prigionieri?!» Tuonò Un terzo scienziato di origine spagnola «Non possiamo testare un gas sugli uomini, è da mostri!»
Diuk sbuffò e rispose «Maledizione la volete vincere questa guerra oppure no?!» Tutti si zittirono all’istante «Non lo capite che se non tentiamo delle alternative non vinceremo mai!» Allora si decise che il modo migliore per decidere sarebbe stato votare. Delle otto persone presenti in tutto sei, compreso me votarono a favore, mentre il colonnello che aveva protestato dato che il gas sarebbe andato contro la convenzione dell’AIA e lo scienziato spagnolo furono gli unici a votare contro. L’esperimento sarebbe iniziato. L’ultimo ostacolo era trovare la zona più adatta dove provare il gas. Il territorio doveva assomigliare a quello in cui i nostri uomini combattevano giornalmente, ovvero le giungle delle isole del pacifico.
Non fu difficile trovare il luogo più adatto.
All’unanimità si optò per una piccola isoletta, molto isolata e con pochi abitanti. Quest’ultima si trovava nell’atollo di Bikini.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Tre giorni dopo ci trovavamo sulla spiaggia dell’isola. Un bel gruppetto devo dire: io, il dott. Diuk, il dott. Martinez e il dott. Triph, tutti scienziati, in oltre vi era il colonnello Palh e un piccolo drappello di marine, circa una ventina che avrebbero dovuto fare da guardia agli esperimenti. In oltre vi erano una decina di tecnici e assistenti che avevano portato il gas, rinchiuso in appositi contenitori e bombole. Il giorno dopo l’avremmo testato.
Maledizione. Se ci ripenso mi viene da piangere.
Stavo permettendo a degli esseri umani di uccidere altri esseri umani, senza il minimo preavviso. Mi immaginavo già quando alcuni degli abitanti avrebbero iniziato a sentirsi male, avrebbero avuto mal di testa e probabilmente una forte nausea che sarebbe terminata con un violento vomito, in seguito avrebbero avuto difficoltà a respirare e nel giro di massimo qualche ora sarebbero morti per insufficienza respiratoria. In oltre il pus gli sarebbe uscito da ogni poro.
Mi veniva la pelle d’oca a pensarci.
L’esperimento sarebbe stato messo in atto il pomeriggio, tutto in segreto. L’obbiettivo era un piccolo villaggio, con una trentina di abitanti, alcuni dei quali donne e bambini. Fu quando mi dissero ciò, che riflettei e mi chiesi se eravamo molto diversi dai nazisti che noi stessi combattevamo.
A mezzogiorno tutto il gruppo scientifico pranzò ma a me lo stomaco si era chiuso e non mangiai niente. Ero agitato e nervoso, avremmo avuto delle maschere anti-gas ma a parte questo, se il gas le avesse perforate? Se fosse riuscito ad entrare in contatto con le nostre vie respiratorie e ad infiltrarsi all’interno dei nostri polmoni? Non avremmo avuto il tempo di volare fino in America e farci ricoverare in un ospedale, anche perché il progetto era TOP SECRET solo i presenti e pochi altri lo conoscevano.
Anche i militari presenti erano stati tutti selezionati tra i più fedeli veterani di guerra, che avevano servito il paese fino a quel giorno. Qualcuno aveva addirittura combattuto la Grande Guerra. Uno di questi si chiamava John, John Stean. Lo conobbi meglio e diventammo amici, aveva servito gli Stati Uniti durante la guerra in Europa nel ’17 ed era presente durante l’assalto suicida degli Zero giapponesi a Pearl Harbour. Era stato arruolato tra il “drappelo X” come sergente, grazie alle sue doti di fedele soldato che non avrebbe mai messo in discussione i suoi superiori. Mai. Se gli fosse stato ordinato avrebbe anche attaccato un avamposto pieno di giapponesi e l’avrebbe conquistato, anche se i nemici fossero stati venti o magari anche trenta. Era una vera macchina da guerra.
Quando arrivò il pomeriggio ci spostammo verso la zona obbiettivo a bordo di camion militari. Avremmo fatto fuoriuscire il gas dalla cima di una collinetta sopra il villaggio e con il vento a nostro favore saremmo riusciti ad infettare i coloni in pochi minuti. La zona era sabbiosa, e il villaggio era addirittura più piccolo di ciò che mi aspettassi, con sei o forse sette capanne fatte con le canne di bambù e rinforzate con la corteccia di palma. Erano dei barbari. Ma non per questo si meritavano ciò che gli avremmo fatto di lì a poco. Non ne vado fiero, al contrario ne sono letteralmente schifato. Però arrivati a quel punto non si poteva più tornare indietro dovevo prendermi le responsabilità delle mie scelte e delle mie azioni. Era arrivato il momento.
 Indossammo tutti delle maschere anti-gas modello M5 dopodiché alcuni tecnici spostarono le bombole a una decina di metri da noi, mentre i militare pattugliavano il perimetro lì intorno. Un tecnico tolse un blocco di sicurezza e iniziò con calma a svitare un bombola che avevano posizionato facendo in modo che la brezza del vento indirizzasse e trasportasse il gas verso l’obbiettivo. Un fischio fortissimo nell’aria mi fece capire che il gas stava uscendo dai contenitori. Una nube verde, di quello che sembrava vapore, si mosse in volo molto velocemente verso i piedi della collina dove sorgeva il piccolo centro abitato e in pochi secondi lo raggiunse. Dopo un attimo iniziammo a sentire delle urla e il pianto dei bambini. Una donna uscì da una casa in lacrime mentre era attaccata da un eccesso di tosse. Diuk fece cenno al tecnico di chiudere la valvola e perciò di fermare l’esperimento. La donna tossì ancora qualche volta, poi iniziò a uscirgli pus dalle orecchie e dopo un istante vomitò della bile. Infine si accasciò a terra tenendosi con le mani il ventre come se volesse tenere all’interno la bile che fuoriusciva. Ebbi anche io un conato di vomito che contenni e controllai deglutendo diverse volte. Le lenti della maschera d’un tratto mi si appannarono e vidi che il vapore verde, ora, era proprio davanti a noi. Non nego e tantomeno nascondo che ero terrorizzato dalla situazione. Avevo paura, paura che il gas oltrepassasse la maschera, paura che questo potesse infettare anche solo passando per i pori della pelle, paura…
ah, se ci ripenso sono ancora più terrorizzato. In quel momento non mi accorgevo di ciò che succedeva intorno a me, un po’ proprio perché non ci vedevo ma un po’ anche perché mi sentivo tagliato fuori dal mondo, non sapevo dove fossero i miei compagni e colleghi e non riuscivo a trovarli. Sentivo dei rumori ovattati tutt’intorno a me, ma ne sentii uno che riconobbi all’istante: una raffica di mitra. Era una raffica di Thompson, il mitra d’ordinanza dei marine. Sentii anche dei colpi di fucile, probabilmente M1 Garand. Mi chiesi perché stavano sparando, ma sopratutto a chi? Pensai immediatamente che forse era arrivata una qualche bestia, magari un leopardo o una pantera che essendo infettata dal gas potesse aver attaccato i marine. Ma in realtà quello che scoprii appena dopo mi fece rimpiangere che non si trattasse di un felino. Cercai con la mano di togliere la schifezza che avevo sulla maschera, per vederci un po’ meglio ma quella roba non si toglieva perciò iniziai a muovermi lentamente facendo un passo dopo l’altro e cercando a tentoni i miei colleghi. Ad un tratto toccai qualcuno e gridai per farmi sentire «Ehi! Sono Brown, dove sono gli altri, che sta succedendo e perché i militari stanno sparando?» Ero allarmato ma non so perché relativamente calmo. Quella persona probabilmente si voltò verso di me e vedendomi mi saltò addosso. Caddi all’indietro per lo spavento mentre quello cercava di graffiarmi e… mordermi. Diamine, non sapevo cosa pensare ma avendo paura che mi togliesse la maschera gli mollai un pugno dritto in faccia e lui cadde di lato. Mi rialzai fulmineo e in quel momento sentii altri spari. Cercai di capire chi mi aveva attaccato e scoprii con orrore che si trattava di un abitante del villaggio, solo che non aveva più niente di umano: Sbavava e perdeva sangue dagli occhi, dal naso e dalle orecchie. Il gas lo aveva trasformato in un mostro. Altri spari poi vidi un marine avvicinarsi a me, capii che si trattava di un soldato perché imbracciava un mitragliatore. Mi appoggiò una mano su una spalla e mi guidò fra la nube di gas. Mi condusse a uno dei camion militari e mi fece segno di salire. Poi tornò nella nebbia verde. Io salii a bordo e mi sedetti a fianco di Triph, che capii essere lui grazie al Tight grigio che indossava quel giorno. Davanti a me invece sedeva un marine che si teneva il braccio da cui colava sangue: era ferito.
Sentii delle urla ovattate, e capii che i coloni ci avevano attaccato. Solo che non riuscii a capire se questo fatto era direttamente collegato ad un sintomo per l’esposizione al gas. Il militare che mi aveva condotto al camion tornò tendendo il mitra con una mano mentre con l’altra aiutava con fatica un soldato ferito ad un polpaccio a camminare. Io e Tiph d’istinto ci alzammo, scendemmo e lo aiutammo a salire. Il soldato che lo aveva portato lì, dopo aver sentito delle grida dietro di sé, si voltò e con una raffica di colpi abbatté un nativo. Io rimasi pietrificato dalla scena, fino a che due mani possenti non mi presero le spalle e mi caricarono quasi a peso sul camion che dopo un segnale partì rombando allontanandosi dalla zona della nube gassosa. Io pensai solo in quel momento al fazzoletto di seta che avevo nella tasca del panciotto, lo estrasse e ripulii le lenti della maschera. Vidi che i presenti sul camion eravamo io, due soldati semplici, il sergente Stean, Triph e mi accorsi solo in quel momento che sul pianale del camion erano distesi i copri senza vita di un altro soldato e dell’dott. Martinez che indossavano ancora le loro maschere anti-gas. Una volta lontani dalla nube il sergente si tolse la maschera e fu imitato da tutti gli altri. Io urlai «Ma che cazzo è successo laggiù?! E dove sono tutti gli altri?»
«Dovrebbe sapermelo dire lei dottore, io sono solo un marine che fa il suo dovere e che oggi ha perso quasi tutti i suoi uomini per un esperimento del cazzo che è andato a puttane!»
Non avrei mai pensato che il suo comportamento avrebbe potuto arrivare a questo punto ovvero quasi all’insubordinazione
«Quindi tutti gli altri sono morti?» Chiesi spaventato e quasi sicuro della risposta «…Sì»
Il sangue mi si raggelò nelle vene.
Più di trenta uomini erano morti nel giro di pochi minuti, il tutto era successo talmente in fretta che quasi nemmeno mene ero accorto. Qualcosa era andato davvero storto. L’unico che poteva spiegarci qualcosa di preciso e dettagliato era Diuk, lui era l’unico che aveva portato avanti il progetto fin dall’inizio.
Sfortunatamente però non si trovava a bordo del camion insieme noi.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Quando ormai ci trovavamo ad una distanza di sicurezza il camion si fermò. Alla guida vi era uno degli assistenti di laboratorio che era riuscito a sopravvivere con noi. Da lontano si poteva però intravedere la nube verde che si stava… spostando. Mio dio, avrebbe infettato anche gli altri abitanti dei vari villaggi sparsi per l’isola? Avrebbe forse infettato anche le altre isolette dell’atollo?! Merda non sapevo cosa aspettarmi, Cristo Santo ero spaventato a morte dalla situazione. Il sergente era l’unico tra noi che riusciva a rimanere calmo e lucido, infatti prese in mano la situazione «Allora, dobbiamo spostarci sulla costa e farci venire a prendere da un aereo o da una nave, perciò dobbiamo recuperare una radio»
«E dove la troviamo?» Chiese Triph, che era addirittura più spaventato di me. Stone lo guardò in malo modo e rispose «Ho avuto un ordine ben preciso dal colonnello Palh, ed è quello di proteggere gli scienziati a costo della mia stessa vita, e così farò!» Poi estrasse dalla fondina la sua pistola d’ordinanza Colt A1 che passò al soldato ferito alla gamba. Questo la prese in mano e la caricò, portando il colpo in canna pronto a fare fuoco «Ora,» Riprese il sergente –Dobbiamo muoverci, quindi risaliamo sul camion e vediamo fin dove ci porta e quanto resiste la benzina per…»
«Cazzo guardate là!» Urlò il soldato che era stato ferito al braccio. Ci voltammo tutti verso di lui e poi verso la direzione che stava indicando con la mano: La nube si stava avvicinando a noi. Ed era veloce, molto, molto veloce «Tutti a bordo del camion, risaliamo sul camion!» Gridò il sergente. Io salii per primo e mi sedetti in fondo, vicino ai cadaveri di Martinez e del soldato «Avanti, avanti!» Incitava John. Una volta che fummo tutti saliti l’ufficiale andò alla guida mentre l’assistente si sedette di fianco a lui nel posto del passeggero. La nube ormai distava poco più di trecento metri. Si muoveva talmente in fretta che rimasi interdetto quando vidi che percorreva una decina metri in una manciata di secondi. Il sergente mise in moto il mezzo e partì rombando. Per sicurezza rindossammo nuovamente le maschere.  Il mio filtro dell’aria stava terminando perciò iniziai le manovre per cambiarlo. Presi un altro filtro che sarebbe durato qualche altra ora da una cassetta sotto i sedili del camion da trasporto. Lo avvitai con calma ma le mani mi tremavano per la paura, perciò mi scivolò e cadde rotolando ai piedi di Triph che era seduto qualche posto più in là. Il gas ormai era quasi arrivato al camion.
Merda! Dovevo fare presto altrimenti lo avrei inalato, perciò mi getti sul pianale carponi per prenderlo. Vedendolo, Triph lo prese in mano e me lo passo, un secondo prima che il gas arrivasse. Quei secondi penso che furono i più lunghi di tutta la mia vita.
 Ero sul pianale del camion il cuore mi martellava all’impazzata nel petto e il rimbombo che arrivava fino alle tempie mi faceva scoppiare la testa. Le mani, sudate e tremanti che stringevano il filtro, mentre io lo avvitavo al tubo della maschera anti-gas. Chiusi gli occhi vedendo il gas entrare nel camion, avendo paura di essere infettato da un momento all’altro e sperando al tempo stesso di riuscire ad infilare quel diavolo di filtro nel modo corretto, così che funzionasse. Lo avvitai al massimo ma già sapevo che il gas ormai doveva essere penetrato nelle mie vie aeree. Feci un respiro a pieni polmoni e… sentii aria pulita. Ce l’avevo fatta, avevo inserito correttamente il filtro appena prima di inalare il gas.
Ero euforico.
 Stavo sdraiato sul pianale al settimo cielo, felice per essere riuscito a non respirare quella merda. Mi rialzai e mi sedetti al fianco del soldato con la pistola. Erano passati ormai quasi venti minuti da quando era stato ferito e gli chiesi di mostrarmi il braccio per vedere in che condizioni era la ferita. Lui spostò il braccio e lo appoggiò sulle mie mani che avevo aperto appoggiandole sopra alle cosce. Quando guardai il braccio restai quasi scandalizzato: era praticamente in cancrena, un alone nero contornava tutta la ferita mentre all’interno sembrava che la carne fosse marcita e il sangue era di un colore rosso molto scuro, quasi nero. Doveva fare un male cane ma fui costretto a fasciarglielo con il kit di pronto soccorso a bordo del camion. Lo disinfettai con una pomata antisettica, poi ripulii per bene la ferita utilizzando un batuffolo di cotone imbevuto di alcool. Quando lo feci il marine urlò per il dolore. Infine lo fasciai con delle bende e delle garze. Volevo controllare anche quello con la ferita alla gamba, perciò mi voltai verso di lui ma un tuffo al cuore mi pietrificò: aveva gli occhi chiusi, non si muoveva e apparentemente non respirava, probabilmente era morto per il dissanguamento. Mi avvicinai al corpo e controllai il battito del polso. Era debole, ma c’era. Iniziai a fargli il massaggio cardiaco per tentare di pompare meglio il cuore e velocizzare di più il battito, quando Triph urlò. Mi voltai subito e vidi che il marine che avevo appena medicato lo stava attaccando. Sbavava, perdeva sangue e pus dalle orecchie e gli occhi erano vitrei. Mi alzai e lo scostai con uno spintone. Mi guardò e digrignò i denti, poi attaccò me. Io scartai di lato e lui andò a sbattere contro la parete che divideva il cassone dalla cabina, io fulmineo gli presi la pistola dalle mani e gliela puntai contro. Lui si voltò verso di me e mi guardò con gli occhi bianchi. Mi sembrò di notare dell’altro. Come un rimprovero, come se mi dicesse “ecco, tu vuoi uccidere ciò che hai contribuito a creare, vuoi uccidere un tuo esperimento ed ora ti senti in colpa per ciò che hai fatto. Eppure potevi benissimo scegliere di non acconsentire a partecipare ed ora non ti troveresti in questo inferno” era spaventoso. Alzò le braccia e mi venne incontro. Io premetti il grilletto e un colpo gli trapassò la fronte uscendo dalla nuca, rimbalzando contro la parete e cadendo di fianco ai piedi di Martinez. Il soldato che era appena stato trasformato in un mostro cadde in avanti, con un tonfo. Il camion si fermò con una frenata. Sentii la portiera del autista spalancarsi e dopo un secondo il sergente si affacciò guardando dentro al cassone. Vedendo il soldato a terra e me con la pistola in mano rimase turbato e mi chiese «Cosa cazzo è successo qui dietro!?»
«Si è trasformato in uno di quei cosi!» Urlò in risposta Triph «…E Brown gli ha sparato alla testa! Mi ha salvato la vita!» Stone non sapeva cosa dire, abbassò il fucile e reclinò il capo.
Merda, quale diamine di inferno era quello?
 John poi ci diede una notizia che mi restituì un po’ si speranza «Siamo arrivati alla spiaggia, possiamo andarcene con un peschereccio e raggiungere un isola vicina per poi andarcene con un aereo militare.»
 Triph scese dal camion e io lo seguii ma in quel momento una mano mi bloccò, mi voltai e vidi il soldato con la ferita alla gamba che si era trasformato anche lui in uno di quei cosi. Gli puntai la pisola alla testa e sparai, colpendolo nel collo. Martinez e l’altro soldato erano morti e non si sarebbero risvegliati. Tutti e quattro: io, Triph, il sergente Stone e il collaboratore di laboratorio che si chiamava James salimmo a bordo della piccola imbarcazione e, dopo aver slegato le funi che la tenevano ancorata al piccolo molo di legno iniziammo a prendere il largo. Quando ormai fummo lontani dalla costa mi guardai indietro, fissando attonito e in silenzio l’isola, su cui volteggiava una gigantesca nube verde che continuava ad espandersi e a muoversi nell’aria. Ci togliemmo le maschere anti-gas e io mi avvicinai al sergente per chiedere cosa avremmo fatto ora, lui mi guardò dritto negli occhi e mi rispose «Mi sembra logico, dobbiamo informare il resto dell’esercito.»

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Ricordo molto bene la faccia del colonnello Steak (nome alquanto strano) quando lo informammo sulla situazione ma soprattutto quando gli comunicammo che con ogni probabilità il colonnello Palh e tutti i militari inviati sull’isola per l’esperimento erano morti. Dopo averci osservato con occhi sgranati esplose in un accesso di rabbia –Ma che cazzo è successo?! Erano dei marine addestrati, io ve ne ho dati trenta voi ritornate senza portarne a casa nemmeno uno! Ma che diamine è successo su quella merda di isola?!-
-Colonnello- Rispose Stean –Il gas ha avuto uno strano effetto, l’esperimento non è andato come previsto…-
-Non è andato come previsto!? Sono morti dei soldati, dei ragazzi hanno perso la vita per un cazzo di esperimento scientifico che non servirà a niente in campo bellico!- Su questo non potevo dargli torto, l’esercito non avrebbe mai usato un gas, quindi un’arma chimica in battaglia, l’America non voleva farsi considerare da tutti al pari dei nazisti che lei stessa combatteva. Io allora mi sentii in dovere di intervenire –Signor colonnello, io lo scienziato dott. Brown, laureato in fisica quantistica e scienze della…-
-Non mene frega un cazzo delle lauree di voi cervelloni!- Io rimasi scioccato dalla reazione, ma continuai ugualmente –Su quell’isola è successo qualcosa, qualcosa di veramente molto brutto, che ha infettato tutti, anche i suoi soldati, ora dobbiamo capire cosa e perchè, c’è solo una persona che saprebbe darci tutte le risposte che cerchiamo, e quell’uomo si trova su quell’isola.-
-E sarebbe?-
-Il dott. Diuk, colui che ha messo in piedi il tutto, che ha creato le formule per il gas e disegnato le prime bozze per l’inizio dell’esperimento, è lui che ha causato tutto questo, perciò va ritrovato ed interrogato-
-Ma com’è possibile ritrovarlo? Ormai è morto!- Affermò il sergente –Non è detto, nessuno l’ha visto morire, io non credo che sia deceduto, per me è riuscito a scappare!-
-Questo sono solo supposizioni! Maledizione non manderò altri dei miei uomini là a morire! E lei sergente è degradato. Il colonnello Palh le aveva dato un ordine preciso, quello di proteggere il corpo di spedizione scientifica ma anche di riportare a casa i marine, lei non ha adempiuto al suo dovere, perciò la degrado a caporale, fino a nuovo avviso! Può andare- Forse non fu così, ma con la coda dell’occhio notai che gli occhi di John erano lucidi. Passarono svariati giorni e iniziarono ad arrivare i primi bollettini delle conseguenze, i primi fra i quali erano gli avvistamenti della nube da parte di alcuni pescatori locali, ma le voci furono fatte tacere grazie alla censura. Il colonnello ci richiamò una settimana dopo. Ci annunciò che aveva appena preso una decisione, ovvero quella di intervenire al più presto per fermare l’infezione e quindi l’espandersi del gas. Ci disse che avremmo seguito un gruppo di spedizione di marine composto da 75 uomini che avrebbero dovuto trovare i sopravvissuti sull’isola, primo fra i quali il dott. Diuk per capire cosa fosse successo e perché ci spiegasse meglio la situazione. Triph si rifiutò, aveva troppa paura ed era giovane, non superava i trent’anni, perciò il colonnello acconsentì il suo rifiuto. Io invece insieme al ormai caporale Stean partecipammo alla spedizione. Partimmo il mattino seguente a bordo di mezzi da sbarco della marina che ci aveva appena fornito. Tutta l’operazione, come l’esperimento d’altronde, era Top Secret. Quel giorno vidi cose che spero nessuno debba mai vedere. Mentre navigavamo in direzione della spiaggia Il capitano Charles ci diede istruzioni categoriche –Allora starete sempre dietro a tutti noi, sbarcheremo per primi e voi scenderete per ultimi, la missione è contro unità nemiche di entità nemiche anti-convenzionali-
- Entità nemiche anti-convenzionali?-
-Siamo i primi a usare questo termine, è stato coniato per quest’operazione, tornando a noi Avanzeremo all’interno dell’isola in cerca di sopravvissuti e moneteremo a bordo dei camion che stanno trasportando con quei battelli- Ed indicò delle chiatte a fianco delle nostre imbarcazioni che trasportavano dei camion da guerra, poi riprese –Dovremo raggiungere la zona dove hanno massacrato tutto il corpo di spedizione.- Poi si interruppe e disse –Maschere!- La nube era vicina. Indossammo tutti della maschere anti-gas dello stesso tipo che indossavamo durante l’esperimento, solo che queste avevano dei filtri molto più lunghi che potevano durare ore, ore e ore. Arrivammo in prossimità della spiaggia quando il portellone di metallo del mezzo piombò a terra con un tonfo che innalzò degli alti spruzzi d’acqua. Scesero molti militari e quando arrivò il mio turno mi gettai nel acqua bassa. Indossavo una divisa verde mimetico, di tipo militare con degli anfibi impermeabili perciò non mi preoccupai di bagnarmi. Arrivai sulla spiaggia e vidi che i soldati avevano fatto un perimetro che controllavano a vista in attesa dello sbarco dei camion. Quando arrivarono montammo a bordo e partimmo. Io stavo seduto a fianco del caporale Stean, che anche per quella missione era armato con il suo mitragliatore Thompson Il viaggio fu relativamente lungo, più di quanto mi ricordassi, ma come l’altra volta non riuscii a vedere granché perché la nube oscurava tutto. Mi chiesi solo in quel momento come facessero gli autisti a muoversi senza andare a sbattere contro qualche palma a oppure contro qualche roccia, però ricordai che la morfologia del terreno, così come la vegetazione era praticamente piatta. D’un tratto però il camion frenò e si fermò nel bel mezzo del nulla, imitato da tutti quelli dietro di lui. Stean, che era comunque il più alto in grado fra i presenti chiese –Cos’è stato? Perché ci fermiamo?- Un soldato che era seduto nell’ultimo posto verso l’esterno mise fuori la testa e disse –Signore, credo che forse ne abbiamo incontrato uno- Si voltò verso di noi –Uno dei nostri.- L’autista era sceso insieme al capitano Charles che stava al posto del passeggero. Io mi aspettai di sentire uno sparo ma questo non ci fu. Mi insospettii e non so con precisione perché lo feci però mi alzai, oltrepassai i posti dove erano seduti i marine e saltai giù dal camion, subito seguito da Stean che mi urlò dietro –Dove cazzo vai?!- Si era preso quasi un dovere morale verso di me: proteggermi. Io mi avvicinai al capitano e al altro soldato che guidava il pachiderma con le ruote –Che diavolo qui lei?!- Mi chiese Charles –Faccia quello che deve fare, io voglio solo vederlo con i miei occhi.- Gli risposi questo. Non so il perché, io non me lo spiego, però mi sorse spontanea questa risposta. L’infetto nel frattempo si era avvicinato un po’ ed ora si trovava ad una decina di metri da noi. Charles alzò il suo fucile e disse –Riposa in pace soldato, hai servito fedelmente il suo paese. Riposo.- Una raffica di colpi squarciò il cielo oscuro. Ripartimmo con il cuore in gola e lo stomaco in subbuglio immaginando che di lì a poco avremmo dovuto uccidere dei nostri compagni, dei nostri fratelli. Mi fu data una pistola che mi dissero avrei dovuto usare sono in casi di estrema necessità. Mi insegnarono a caricarla, ma non era la prima volta che ne usavo una. Viaggiammo ancora un bel po’ e quando arrivammo ci trovammo di fronte l’inferno: ovunque vi erano quei “cosi” che si aggiravano dondolando a destra e a sinistra, sgocciolando sangue e bava. Molti si erano strappati di dosso dei brandelli di vestiti e si aggiravano senza vedere niente, come se sui loro occhi vi fosse una patina giallastra che gli impediva la visione del mondo esterno. Ricordo che mi venne in mente “Mio dio che schifo!” ma quasi mi pentii di aver pensato una cosa del genere, d’altronde loro non centravano niente, eravamo stati noi a causare la loro malattia. Molti dei marine che vennero con me furono costretti a girarsi e non guardare per il rischio di vomitare e per una frazione di secondo anche io temetti di dover vomitare. Se l’avessi fatto sarei stato soffocato dal mio stesso vomito oppure mi sarei dovuto togliere la maschera con conseguenze disastrose. Per fortuna però deglutii alcune volte rimandando indietro i conati. Il capitano guardava attonito e probabilmente a bocca aperta i suoi uomini e gli abitanti dell’isola trasformati in questo modo, ormai irriconoscibili. Il caporale gli chiese –Signore, quali sono gli ordini?- Lui continuò a tenere gli occhi puntati sugli infetti –Signore…-
-Andiamo, dobbiamo trovare lo scienziato, però non voglio che i miei ragazzi siano.. così, perciò uccideteli. Uccideteli tutti.- Stean deglutì, si voltò e comunicò gli ordini ai suoi uomini, che come lui rimasero scioccati nell’apprenderli. Di lì a poco avrebbero dovuto uccidere dei loro commilitoni con la sola sfortuna che avevano preso parte alla missione sbagliata. Doveva essere una tortura per la loro mente ed anima. Però dovevano lo stesso eseguire gli ordini, perciò imbracciarono i fucili e iniziarono a premere i grilletti. A decine caddero e caddero ancora. Io non ebbi il coraggio di usare la pistola. Non avevo paura ma… non avevo il coraggio di uccidere persone a cui avevo fatto un torto, li avevo condannati a morte. Erano dei morti viventi. Camminai restando sempre dietro ai soldati che avanzavano inesorabili uccidendo tutto ciò che si muoveva. Era uno spettacolo orribile, che sperò di non vedere mai più in tutta la mia vita. Poi mi pietrificai, solo allora ricordai che le bombole del gas trasportate sull’isola erano state tre, e la nube era stata formata utilizzando solo metà del gas di una di queste, perciò tutto l’agente chimico rimasto poteva ancora fuoriuscire ed espandersi nell’aria. Ero terrorizzato da ciò che poteva ancora accadere. Mi misi a correre schivando i soldati che stavano in posizione per sparare, andai di fianco al capitano e gli piegai la situazione e ciò che mi ero ricordato. Lui rimase senza parole ma poi dopo aver preso un bel respiro dal filtro d’aria della sua maschera anti-gas disse –Bè, dobbiamo trovare il dott. Diuk, lui saprà di certo come smaltire quel gas. Dobbiamo trovarlo!-
-Ma come facciamo a sapere che è ancora vivo?!- Sbottò il caporale John. Charles lo guardò e quasi sussurrando rispose –Lo spero.- 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Proseguimmo a piedi verso la cima della collinetta dove era iniziato l’esperimento e io scorsi in lontananza le taniche che si trovavano ancora là. Corsi in direzione di quest’ultime. Sentii il capitano urlare dietro di me di fermarmi e tornare indietro ma non potevo, dovevo controllare che le taniche fossero chiuse ermeticamente, così che non uscisse più altro gas. Mi trovavo ormai a un metro dalla tanica più vicina, le urla del capitano non si sentivano più, attutite da strati e strati di materiale isolante di cui erano fatte le maschere, quando qualcuno mi attaccò alle spalle. Immediatamente pensai si trattasse del caporale Stean che mi strattonava per riportarmi dietro ai marine, ma quando questo mi gettò a terra e lo vidi in faccia capii di chi si trattava: Diuk. Mi puntò contro la canna di una pistola ma vedendo che non lo attaccavo ed indossavo ancora la maschera capì che ero ancora “umano” Mi aiutò a rialzarmi e, appoggiandomi una mano sulla spalla mi condusse verso i piedi della collina. Io cercai di fermarmi, di dirgli che c’erano dei militari con me, ma lui continuò a strattonarmi, fino a quando non caddi a terra perdendo l’equilibrio. Alzai la testa e vidi che ci trovavamo davanti ad una capanna del villaggio in cui era stato emanato il gas. Mi portò quasi a peso dentro ad essa e chiuse la porta di canne alle sue spalle. Alzò il portello di una botola e dopo che entrai anche io lo chiuse, lasciando fuori il gas verdastro, scese alcuni scalini che lo condussero davanti ad una porta di metallo, la aprì con una spinta e dopo che anche io la oltrepassai la richiuse con una chiave ed una sbarra di ferro. Poi prese un piccolo oggetto, grande più o meno come un telefono. Controllò alcuni dati su un piccolo schermo con all’interno delle lancette e dopo aver controllato questi ultimi si tolse la maschera. Io rimasi interdetto. La tolsi anche io e sbottai con un misto di rabbia e di nervosismo –Ma che cazzo hai fatto?! C’erano dei militari lì fuori! Io…- Poi mi guardai intorno, dato che con la coda dell’occhio avevo visto qualcosa che mi fece capire tutto all’istante. Attaccata alla parete dietro di me vi era una grande bandiera di colore rosso con al centro, all’interno di un cerchio bianco vi era una grossa svastica nera, ai lati della quale vi erano della croci celtiche, entrambi simboli nazisti. Mi si gelò il sangue nelle vene –Hai capito finalmente- mi disse –Io sono dei vostri.- Lo guardai negli occhi senza capire -in che senso? –
-Come in che senso? Entrambi siamo adepti del Reich nazista!- Io lo guardai con un misto di odio e paura –Ma che cazzo dici?! Sei un nazista sei un fottuto nazista!- In quel momento estrassi la mia pistola dalla tasca dei pantaloni e gli puntai contro la canna –Ora dimmi che cazzo è questo posto e come diavolo si ferma quel gas!-
-Ok, stai tranquillo…- Mi rispose sogghignando –Ora ti racconto tutto- Si spostò di lato e prese in mano un piccolo fascicolo rilegato –Nel 1943, Hilter in persona incaricò me, dott. Diuk di creare un arma che superasse quelle convenzionali, subito mi venne in mente un gas asfissiante, come quelli usati durante la grande guerra dalla madre Prussia, ma no, Hitler voleva qualcosa di completamente innovativo. Quindi iniziai i miei studi, ma alla fine di quell’anno non avevo ancora trovato la formula esatta. Provai e riprovai le mie armi chimiche testandole sugli ebrei- Quando sentii quelle parole restai a bocca aperta, ma lo lasciai continuare –Così continuai a cercare. A febbraio 1944 riuscii a trovare la formula segreta! Ero euforico, la presentai al Capo del Reich e lui acconsentì a testarla. Il test fu preparato per l’8 giugno 1944. Come tu ben sai due giorni primi vi fo lo sbarco in Normandia, perciò l’esperimento fu rinviato! Maledizione! Fu rinviato di qualche mese, e poi di un altro e un altro ancora fin che non si arrivò al 1945, la Germania ormai era a pezzi e l’Armata Rossa era alle porte, perciò Hitler rifiutò di testare l’arma, ma in segreto mi diede un ordine, un ordine ben preciso. Quello di infiltrarmi fra voi fottuti americani e, dopo aver avuto la vostra fiducia ho chiamato lei, dott. Brown, sapendo che aveva origini tedesche credevo che fosse un nostro alleato… ma mi sbagliavo!- Poi si voltò di scatto, prese in mano uno stiletto e si gettò contro di me a capofitto. Io rimasi interdetto per pochi secondi, ma giusto il tempo in cui lui mi buttò a terra e mi fece cadere la pistola. Subito gli bloccai il braccio che teneva il coltello con cui voleva togliermi di mezzo. Poi gli mollai un sinistro che quando colpì produsse un sonoro “crack” perciò immaginai di avergli rotto un dente o qualcosa del genere, infatti lui si gettò di lato tenendosi con le mani il lato della bocca che gli avevo colpito. Presi l’iniziativa, mi misi in ginocchio e mi gettai verso la mia pistola, la presi in mano e gliela puntai contro. Lui mi osservò dolorante e mi istigò –Spara! Forza, dannatissimo traditore, spara! Premi quel cazzo di grilletto e finiscimi, tanto il nazismo ha perso no?! È inutile che io viva ancora! Fammi fuori se ne hai le palle, Cristo!- Io non seppi cosa fare, sparargli sarebbe stato fare il suo gioco, ucciderlo così che non dovesse scontare la sua pena. Ma invece doveva pagare per tutti i crimini che aveva commesso. E tanto. Mi alzai in piedi –Tu, Diuk, sei in arresto per aver commesso crimini verso l’umanità, da ora in avanti sei prigioniero di guerra degli alleati.- Lui mi guardò con occhi sgranati e con il terrore per ciò che gli sarebbe accaduto: sarebbe stato giudicato da un tribunale al termine della guerra –L’unico modo in cui puoi redimerti e pagare la tua pena è quello di rivelare come fermar il contagio da quel gas!- Ed indicai con il dito la porta di metallo. Lui Sogghignò nuovamente e rispose –Mai, non lo saprete mai, finché io vivrò non tradirò il Reich nazista!!!-.

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