Persecuzione

di daemonlord89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ###1### ***
Capitolo 2: *** ###2### ***
Capitolo 3: *** ###3### ***
Capitolo 4: *** ###4### ***
Capitolo 5: *** ###5### ***
Capitolo 6: *** ###6### ***
Capitolo 7: *** ###7### ***
Capitolo 8: *** ###8### ***
Capitolo 9: *** ###9### ***
Capitolo 10: *** ###10### ***
Capitolo 11: *** ###OMEGA### ***



Capitolo 1
*** ###1### ***


###1###

 

Vrr... Vrr... Vrr...
Perfetto
, già cominciano a rompere i coglioni.

Mi sono svegliato da poco, sono ancora a letto a fissare il soffitto. Il ventilatore agita le braccia e cerca di darmi refrigerio, disperato tentativo in un'Estate così calda. Il primo sole del mattino si fa strada attraverso le fessure della persiana, come un predatore che vuole ghermirmi. Anche oggi sarà una giornata torrida.
La luce del cellulare, poggiato sul comodino alla mia sinistra, illumina l'altra parte della stanza di una luce innaturale, verde. Dopo qualche secondo, si spegne.
Era un messaggio, fortunatamente, e non una chiamata. Non mi sento in grado di sostenere un discorso. Mi asciugo la fronte dal sudore e mi metto seduto. Giro la testa verso il cellulare e sbuffo sonoramente. La vita di un agente di borsa è una corsa continua. Tutti ti cercano sempre, non frega niente a nessuno se hai sonno o se stai male. Per gli altri non sei che una macchina. Una macchina che sforna soldi.
Senza curarmi di controllare il messaggio, mi alzo e mi reco in bagno. Dopo aver liberato la vescica mi lavo velocemente la faccia e mi guardo allo specchio. Ho un filo di barba, ma non ho molta voglia di rasarmi. Non si vede quasi, nessuno mi dirà nulla. Stirandomi per bene, torno in camera e prendo il cellulare, per poi andare in cucina. Comincio a premere sul touch-screen mentre verso il latte fresco in un bicchiere alto e stretto. Ne rovescio qualche goccia ed impreco contro la mia ostinazione a voler fare più cose contemporaneamente.
Stacco un pezzo di carta dal rotolo di asciugamani e pulisco.
Torno a fissare lo schermo.


Ah, è una mail.
Apro la casella di posta ed attendo qualche secondo per il download dei messaggi ricevuti.
Un nuovo messaggio.
Lo apro senza controllare l'oggetto o il mittente. Sono uno che vuole andare dritto al punto. Mi accorgo che qualcosa non quadra solo quando il messaggio si apre a schermo intero.


Sfoglia
>Nuove mail
>Mittente: 12345@gmail.com
>Oggetto: uIpsoIjajX

 

>Preparati, stronzo.

Ma che..?

Non capisco. Mi gratto la testa, dimenticando il mio latte. L'oggetto non ha alcun senso e, chiaramente, la mail è falsa.
Uno scherzo, forse? Non avrebbe molto senso.
Non sono pochi i clienti che hanno perso qualcosa a causa di miei errori, ma le cifre non sono mai state elevate e, in qualche modo, ho sempre rimediato. Non credo che qualcuno possa volermi male per questo.

Accendo la TV, guardo le notizie di borsa.
No, come pensavo non è successo niente di strano. Nessuna delle azioni da me consigliate è crollata, come era ovvio.
Scarto quindi l'ipotesi dell'odio per un affare sballato.
E allora chi può avermi scritto? E poi,
preparati. Prepararmi per cosa?
Tamburello sul tavolo, il suono ritmico delle dita mi aiuta a pensare. In questo momento non so bene che cosa pensare, le mie emozioni sono un misto di stupore e scetticismo, non riesco ad essere spaventato, nonostante l'evidente minaccia.


Scrivi
>Nuova mail
>A: 12345@gmail.com
>Oggetto: Re: uIpsoIjajX

 

 

>Non so chi tu sia, ma credo che abbia sbagliato indirizzo.
>Ti prego di ricontrollare.
>Saluti.
>Michele

 

Vedrò cosa mi risponde. Un suo errore mi sembra la soluzione più ovvia.
Nel frattempo mi vesto. Giacca e cravatta. Le più eleganti che ho.
Oggi ho un appuntamento con un personaggio piuttosto importante, dobbiamo discutere riguardo all'acquisto di una serie di azioni di una multinazionale. Se riesco a mandare in porto questo affare guadagnerò l'ira di Dio, non posso farmi scappare un cliente del genere.
Per tutto il tempo, comunque, tengo il cellulare vicino. Sono agitato. Comunque, non arrivano mail di risposta; molto probabilmente avevo ragione.

Una spruzzata di profumo e sono pronto. Mi guardo, mi sorrido come sorriderei ad un cliente.
Caro Michele, sei in ottima forma.
Raccolgo le mie cose; occhiali da sole, valigetta, chiavi dell'automobile. Ignorando il caldo esco e salgo a bordo.
Comincio a guidare verso l'autostrada. Non ci metto molto, da Magenta.
Prendo la direzione per Milano e accendo la radio. Blues; mi piace.
Guido per una decina di minuti, quando nuovamente il cellulare mi avvisa della ricezione di una mail. Al mio cuore manca un battito. Non posso aspettare.
Accosto ad una piazzola di sosta e, senza nemmeno spegnere il motore, apro la posta.

Sfoglia
>Nuove mail
>Mittente: 12345@gmail.com
>Oggetto: Re: Re: uIpsoIjajX

 

>Non ho sbagliato.
>Dopo tutti questi anni, non avrei mai potuto sbagliare.
>Preparati.


Lascio cadere il cellulare sul sedile del passeggero e deglutisco. La bocca mi si secca. Non era la risposta che mi aspettavo. Decisamente no.
Ora sono davvero spaventato.

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Capitolo 2
*** ###2### ***


###2###

 

Appoggio il cucchiaino con il quale ho girato il caffè. Il barman mi guarda male, non ne capisco il motivo. Porto la tazzina alle labbra e accenno il primo sorso.
Sputo tutto all'istante; troppo zucchero.
Quanto cavolo ne ho messo?
Guardo davanti a me.
Cinque maledette bustine.
Scuoto la testa, chiedo al barista di portarmene un altro.
Non riesco a ragionare bene, non sono attento a nulla di ciò che faccio. Non riesco a pensare ad altro che alle due mail ricevute.
Non ho più risposto, non voglio continuare il discorso. Voglio sperare che, in questo modo, tutto finisca presto.

Con il cliente è andata bene, se non altro posso stare tranquillo riguardo a questo. Non so come io abbia fatto, probabilmente il mio cervello aveva memorizzato talmente bene il discorso più volte provato a casa che non era necessario rimanere concentrato. Ho la sua firma, e presto avrò tanti di quei soldi da far schifo. Eppure non riesco a sorridere.

Il cellulare squilla.

No.
Lo raccolgo dalla tasca interna della giacca e guardo il display.


>Chiamata in arrivo
>Laura
>Rispondi / Rifiuta


Tiro un sospiro di sollievo e premo il tasto di risposta.

-Ehi!- dico.
-Ciao, tesoro.- risponde la voce della mia fidanzata, all'altro capo.
-Come stai?-
-Tutto bene, e tu?-
Non rispondo. Non so cosa rispondere.
-Ehi, Michele?-
-Io... Sì, tutto a posto.-
-Mmm. Quanta convinzione. C'è qualche problema?-
-No, no. Davvero.- suono convincente, mi stupisco di me stesso.
-D'accordo. Ascolta, per stasera come ci organizziamo?-
-Beh, il ristorante è prenotato per le venti e trenta, passo da te per le venti?-
-Perfetto. Non vedo l'ora di vederti.-
-Nemmeno io, amore. Nemmeno io.-
La saluto e chiudo la chiamata. Sentire la sua voce, così calma e solare come sempre, mi ha donato un po' di buonumore. Questa sera è il nostro terzo anniversario, abbiamo deciso di festeggiare in un locale a Varese. Il locale dove ci siamo conosciuti.
Pago i due caffè e, dopo aver accuratamente zuccherato il secondo, lo bevo. Saluto ed esco alla luce del sole, che picchia sul mio volto senza pietà.

 

 

19,30
E' tempo di prepararmi. Per tutta la giornata non ho ricevuto strani messaggi e, in fondo, comincio a convincermi che davvero si fosse trattato di uno scherzo.
Mi vesto elegantemente, forse un po' troppo in fretta. Manca ancora qualche minuto prima ch'io debba partire. Laura abita a pochi chilometri da me. Comincio a camminare avanti e indietro per il salotto, continuando a controllare l'orologio. Mi appoggio un attimo alla finestra, guardo il vuoto fuori. I pochi lampioni illuminano la strada di campagna al termine della quale sorge la mia abitazione. E' un bel posto, isolato e tranquillo, come piace a me. Non ho mai amato il caos cittadino.
Guardo ancora l'ora. Ottimo, partendo arriverò in perfetto orario, senza un minuto di anticipo né uno di ritardo. Deformazione professionale.

Suono al citofono e attendo. Passa poca gente nella via, non si tratta di una strada trafficata. Giusto qualche ragazzino in bicicletta o qualcuno che rincasa dal lavoro.
Dopo cinque minuti sono ancora in attesa. Il silenzio della città è rotto solamente dai grilli che cantano nei cespugli.
Strano, non mi ha mai fatto attendere. O almeno, ha sempre risposto subito al citofono. Il seme del dubbio si impianta nella mia mente.
Suono una seconda volta e accosto l'orecchio all'altoparlante. Nessun rumore.
Le mani cominciano a tremare e sudare, non solo per il caldo. Compongo il numero di Laura e la chiamo.
Spento.
Boccheggio.

Citofono a Francesco, un amico comune che abita in un appartamento vicino.
-Sì?-
-Francesco, sono Michele.-
-Ehi, ciao! Ti apro?-
-Sì, aspettami sulla soglia però. Ti devo parlare.-
-Ok.-
La porta si apre, mi introduco nell'atrio. Senza perdere tempo ad osservare le statue nelle nicchie sulle pareti, che sempre mi hanno affascinato, comincio a salire le scale. Al primo piano mi fermo, notando Francesco. E' un uomo di cinquant'anni, vive da solo dopo che la moglie lo ha piantato.

-Ehilà! Vuoi entrare?- mi indica l'uscio di casa sua.
-No. Ascolta, hai visto Laura?- non voglio essere scortese, ma non riesco a pensare lucidamente.
-Laura? Oggi no.-
-Dann...-
-Però aspetta, l'ho sentita.-
-Come?-
-Sì, è stato nel primo pomeriggio. Ho sentito la sua porta che si apriva e lei ha sceso le scale.-
-Sicuro che fosse lei?-
-Beh, sì. Ho sentito la sua voce.-
-Era...- devo chiederlo -Era da sola?-
-Mmm, fammi pensare. No, no.-
Sbianco.
-No?-
-No, i passi erano di due persone. Perché, hai un attacco di gelosia?-
-No.- dico.
E' ben peggio, tengo per me.
-Sicuro?- Francesco sorride.
-Sì, dannazione.-
-Ehi, calmati!-
-Io... Scusa, Francesco. Non volevo sembrare scortese.-
-Senti, dimmi cosa sta succedendo. Posso aiutarti, se vuoi.-
-D'accordo.- volgo lo sguardo all'interno dell'appartamento. Vedo il telefono appoggiato su un mobile all'ingresso, glielo indico.
-Chiama la polizia, intanto, per favore. Ti racconterò tutto.-

 

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Capitolo 3
*** ###3### ***


###3###

 

-Cazzo, è un bel casino.- dice Francesco. Stiamo aspettando la polizia, chiusi nel suo appartamento. Non ce la siamo sentita di forzare la porta della casa di Laura. Non vogliamo passare dei guai. Ho chiesto di servirmi qualcosa di forte e poi ho cominciato a raccontare.
-Lo è davvero.-
-Non hai pensato a cercare da dove sia stata inviata quella mail?-
-E come faccio?- alzo lo sguardo, animato da un moto di speranza.
-Beh, non è difficile. Vieni.-

Lo seguo, mi porta in camera ed accendiamo il suo computer. Dopo qualche minuto è pronto per lavorare. Francesco mi chiede di accedere alla mia casella di posta ed io eseguo. Quando premo il tasto
accedi mi tremano le mani. Ho paura di trovare qualche nuova minaccia.
Non è così. L'ultima mail ricevuta è quella della mattina.
-Prego.-
-D'accordo. Dunque, è possibile, partendo dalla mail stessa, risalire all'indirizzo IP dell'utente che l'ha inviata. E' un codice che identifica un dispositivo informatico all'interno della rete.-
Preme alcuni comandi con naturalezza, sembra che l'abbia fatto mille altre volte. Si apre una schermata piena di numeri, nei quali io, sicuramente, mi perderei.
-Ok, l'indirizzo IP è nascosto in questi parametri. Dunque, vediamo...-
I suoi occhi scorrono veloci da sinistra a destra, sembra un predatore in caccia.
-Come sai tutte queste cose?- gli chiedo. Lui si gira a guardarmi.
-Beh, in passato mi sono servite.-
-Per far cosa?-
Non risponde subito. Torna ad osservare i numeri, gli occhi verdi socchiusi.
-Motivi personali.- dice poi. E' chiaro che non mi dirà nient'altro.
-Capisco.-

Dopo un paio di secondi, salta sulla sedia.
-Ecco qui!-
-Trovato?- chiedo con un sorriso.
-Certo! Ora non resta che...- comincia a lavorare, torna sul motore di ricerca e apre un altro sito, un certo Visual Trace Route. Inserisce l'indirizzo IP trovato e un segnale video ci informa che stanno rintracciando il punto di origine della mail.
Attendo con trepidazione. Passa un minuto, ancora niente. Due minuti, niente.
Improvvisamente viene visualizzato un mappamondo, coperto da una fitta rete di linee, che ricordano il disegno di un bambino. Francesco sgrana gli occhi per lo stupore.
-Cosa significa?- chiedo.
-Significa che hai a che fare con un fottuto hacker.-
Lo guardo, senza capire.
-Non riesce a rintracciare l'origine.- dice lui -Il bastardo è riuscito a mascherarla e VTR non riesce a visualizzarla.-
-Quindi non c'è modo di scoprire niente di più?-
-Niente.-

Rimaniamo in silenzio per qualche secondo. Non so cosa dire e lui non sa come tranquillizzarmi. Si alza quando suonano alla porta.
Dai rumori che sento capisco che è arrivata la polizia.

 

 

Siamo entrati nell'appartamento di Laura. Ci hanno fatto un sacco di domande, roba burocratica. Ho dimostrato di essere il fidanzato e Francesco di essere un amico di vecchia data. Alla fine, siamo riusciti a convincerli che in noi non c'è assolutamente niente di sospetto.
Cammino in stanze familiari, viste centinaia di volte. Alzo una foto incorniciata che ritrae Laura e me in montagna. Non c'è nessun rumore, salvo i nostri passi. Se ancora avevo qualche dubbio, ora era scomparso del tutto: Laura era stata rapita.

Cerchiamo indizi, qualsiasi cosa. Francesco spiega alla polizia che ha sentito la ragazza allontanarsi con qualcuno e loro decidono di chiamare un uomo della scientifica. Aspettiamo venti minuti e quello arriva, trascinandosi dietro una serie di congegni. Utilizzando una strana polvere individua tutta una serie di impronte digitali. Le archiviano tutte e mi assicurano che faranno il possibile per risalire ai proprietari al più presto. Mi chiameranno, dicono.
Annuisco e lascio loro il mio numero di cellulare e di fisso.
Se ne vanno, lasciando me e Francesco nel silenzio della casa vuota.

-Vuoi restare da me, stanotte?- mi chiede lui, risvegliandomi dal torpore.
-No.- rispondo subito. Non voglio essere invadente.
-Sicuro?-
-Sicuro. Vado a casa. Grazie di tutto, Francesco.-
-Figurati.-
Faccio per uscire, quando lui mi chiama.
-Ehi.-
Mi giro.
-Se hai bisogno sono qui.-
-Sì, lo so. Grazie.-
Cammino ancora e lui grida per farsi sentire.
-Lo troverai quel maledetto!-
-Sì.-
In cuor mio penso che non me ne frega niente. Io voglio trovare Laura.

 

 

Non riesco a dormire. Non è per il caldo, ma per la paura. Per la marea di pensieri che attanagliano la mia mente. Mi giro e rigiro nel letto, fino a che non riesco più a starci.
Furioso, mi alzo e tiro un pugno ad un armadio. Prendo il cellulare e mi siedo al tavolo della cucina, dopo essermi versato un po' di rum. Trangugio il contenuto del bicchiere in un sorso e controllo il registro delle chiamate. L'ultima è la sua.
Leggo il nome
Laura più volte, penso al suo viso. Quasi inconsciamente premo il pulsante richiama. Mi accorgo che è una stupidaggine, che non servirà a niente. Abbandono il cellulare e mi appoggio al tavolo. Piango.
Non mi rendo conto che non ho annullato la chiamata.

L'aria si riempie delle note del
Rondò alla turca di Mozart. La sua suoneria.
Mi metto a sedere, riprendo il cellulare.

Collegamento stabilito. In attesa della risposta.
Non capisco cosa succede.
Ascolto attentamente e mi accorgo di non essermi sbagliato. La musica proviene da qualche parte nella casa.
Mi alzo, porto con me il telefono.
Cerco di individuare la fonte della suoneria e mi accorgo che viene dal piano inferiore.
Senza nemmeno accendere la luce ed affidandomi solo a quella della luna, inizio a scendere le scale.
Devo capire.

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Capitolo 4
*** ###4### ***


###4###

 

Un passo dopo l'altro raggiungo il piano terra. Procedo lentamente, spinto dalla speranza ma frenato dalla paura. Laura non risponde, quindi decisamente c'è qualcosa che non quadra. Il piano inferiore ospita una cucina ed una piccola sala da pranzo, oltre ad un bagno. Tutto in disuso. Appartenevano al precedente inquilino. Quando mi sono trasferito qui ho deciso di trasferire tutto al piano superiore, inizialmente pensato solo per le camere. L'odore di abbandono è forte, penetrante. Controllo bene in tutte le stanze. Niente, la suoneria non viene da nessuna di esse. Eppure continuo a sentirla.
La chiamata si interrompe.


Nessuna risposta, chiusura effettuata.

Compongo nuovamente il numero, mentre continuo a camminare. Il Rondò riparte, una melodia allegra che, nella notte buia, incute terrore. Forse ho capito da dove arriva.
Passo vicino ad una porta, una porta che non vorrei aprire in questa situazione, e appoggio l'orecchio per ascoltare. Il volume aumenta.
Torno un attimo in cucina e rovisto tra gli attrezzi. Trovo un lungo coltello, di quelli con cui si eviscera il pesce, e lo prendo. Non voglio scendere nel sotterraneo disarmato.
Mi serve ancora qualcosa; le luci della cantina sono fuori uso da tempo, sto ancora aspettando l'elettricista. Da due mesi.
Recupero la torcia da una cassetta per gli attrezzi appesa al muro e controllo se funziona. Il fascio di luce illumina un angolo del salotto. Annuisco.
Aprendo la porta del sotterraneo sono costretto ad annullare la chiamata: la suoneria è troppo forte, sembra che sia stata settata al volume massimo.

Certo, penso, altrimenti non l'avrei mai sentita da sopra.
Ormai è chiaro che qualcuno ha voluto attirarmi qui. E' chiaro anche che non troverò la mia Laura.

Punto la torcia verso ogni anfratto sulle scale e prima di girare gli angoli controllo attentamente per essere sicuro di non incappare in un agguato. Più scendo, più comincio a credere di essere completamente solo.
Arrivo nel corridoio del piano interrato. La luce illumina la polvere sollevata dai miei movimenti e le ragnatele sulle quali minuscoli ragni scappano, disturbati dalla mia intrusione.
Procedo lentamente, quasi in maniera esasperante. Solo i miei passi rompono il silenzio.
Passo di fianco ad una porta, sulla destra. Una porta in ferro che nasconde la mia riserva di vini.
E' socchiusa e scricchiola, muovendosi avanti ed indietro.
Dovrebbe essere sigillata.
Con il cuore in gola mi avvicino. Ascolto attentamente, ma non sento nessun rumore. Sposto la torcia nella mano destra e con il dorso spingo piano la porta, illuminando l'interno.
Niente.
Stringo nervosamente le dita attorno al manico del coltello e spalanco l'uscio, aspettandomi di essere assalito. La porta di metallo sbatte contro il muro e il frastuono mi stordisce. Faccio un salto indietro, per sicurezza.
Niente ancora.

Sono davvero solo? Ma allora, chi ha aperto la porta?

Decido di varcare la soglia, tremante. Guardo nell'angolo a sinistra. A parte un po' di scatoloni ammucchiati, contenenti cianfrusaglie, non vedo nulla. Mi giro a destra.
Torcia e coltello mi cadono dalle mani, che corrono a chiudermi la bocca. Conati di vomito scuotono il mio corpo e, in qualche secondo, cedo.
Rivedo il pranzo, sparpagliato sul pavimento.
Bagnato dalle mie lacrime.

Alzo il viso e torno a guardare la scena.
Laura, la mia Laura, è seduta su una sedia, in fondo alla stanza. Un tavolino è stato messo davanti a lei, su di esso una bottiglia di rosso e due bicchieri riempiti a metà. Lei è morta. Sgozzata.
Il sangue le cola dalla gola sul vestito da sera, quello che avrebbe messo per il nostro appuntamento. Le mani sono inchiodate ai braccioli e la testa è tenuta su da un laccio, fissato ad alcune tubature. Gli occhi vitrei sembrano fissarmi, mentre la bocca è forzata in un sorriso da due pezzi di nastro adesivo.
Sul muro dietro di lei troneggia una scritta fatta con una bomboletta spray nera:
buon anniversario.

Solo dopo una decina di minuti riesco a calmarmi del tutto e a smettere di piangere. Ancora scosso da tremiti cerco di riorganizzare le idee.
La mia fidanzata è stata uccisa. Uccisa da qualcuno che mi conosce. Da qualcuno che conosceva anche lei, perché nel suo appartamento non c'erano segni di lotta. E' stata rapita, sgozzata. E' stata portata in casa mia. Probabilmente l'assassino è entrato usando il doppione delle chiavi che aveva la stessa Laura.
Il bastardo ha fatto in modo di attirarmi, accendendo il suo cellulare e mettendo la suoneria al massimo volume.

Il cellulare.
Ricordandomi improvvisamente di quel particolare, comincio a cercarlo. Lo trovo nella mano destra di Laura. Con orrore, lo stacco dalle dita ormai rigide e controllo il display.
E' già aperto su una pagina, la schermata di creazione messaggi.
Leggo con attenzione le parole che sono state scritte.

>
Nuovo messaggio
>A: Michele
>Eccoci qui, stronzo. Immagino che tu stia piangendo, o che abbia appena finito di farlo. Cosa provi? Dolore? Terrore? Odio? Disperazione?
Se la risposta è sì, allora bene. E' esattamente ciò che devi provare.
Se la risposta è no, allora sei una merda. Ma non ti preoccupare, perché avrò molte altre occasioni per colpirti nel profondo.


Sotto al messaggio, un'immagine. Raffigura un luogo che conosco, un locale dove tempo fa passavo diverse serate; il Cranberry.

Leggo nuovamente da cima a fondo il messaggio lasciatomi dall'assassino. Stringo i denti. Altre occasioni per colpirmi... Temo che Laura non sia che la prima vittima. Quel mostro va fermato. Devo capire perché ce l'ha con me, perché ha deciso di rovinarmi la vita. Sicuramente il
Cranberry è un indizio importante.
Domani ci andrò.

E ora, dico tra me e me, lasciatemi piangere tutto il mio dolore.
 

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Capitolo 5
*** ###5### ***


###5###

 

Dai, dai...
Si alza la cornetta. Tiro un sospiro di sollievo.
-Pronto?- dice una voce impastata. La voce di mio padre.
-Papà.-
-Cos... Michele? Che... che succede?-
-Ascolta, papà: tu e la mamma state... state bene?- non so come esordire, inciampo sulle parole.
-Ma certo. Lei è di là che dorme tranquilla.-
-Meno male.-
-Perché? Cos'è successo?-
-Senti, domani farò in modo di mandarvi un agente, una guardia del corpo, a casa.-
-Un
cosa?-
-Un agente di polizia. Per proteggervi.-
-Proteggerci da che cosa? Michele, cosa sta succedendo?-
-E' molto complicato. Non ho tempo per spiegartelo ora. Ho chiamato la polizia e sento le sirene, sono quasi arrivati.-
-Hai chiamato...-
-Ascolta, papà. Domani ci sentiamo, lo prometto. Durante la mattinata devo andare in un posto, poi vi chiamo.-
-Io... Ok, come vuoi.-
Me lo immagino, mentre alza le spalle sbuffando. Non ha mai amato non capire ciò che sta succedendo. Ma non ho tempo per spiegargli niente.
Chiudo la chiamata e vado ad aprire alla polizia.

Sono arrivati con due volanti, scendono sei uomini. Uno di loro, in borghese, mi si avvicina e mi tende la mano.
-Commissario Romano.-
-Michele Maggi.-
-Mi mostri il corpo.-
Li scorto in cantina. Indico loro la porta da aprire, ma non li seguo. Non ho nessuna intenzione di tornare là dentro; e poi, non mi serve. Ho ancora l'immagine ben nitida stampata in testa.
Li avviso che li aspetto di sopra e loro chiedono ad un agente di accompagnarmi.
Mi siedo al tavolo e tamburello nervosamente sul legno con le dita. Loro non sanno che, in tasca, ho il cellulare di Laura. So di aver occultato una prova importante, ma devo tenerlo io.

 

Non posso permettere che vadano anche loro al Cranberry, penso. Non devono sapere niente.

Dopo una mezz'ora, Romano mi raggiunge.
Comincia a farmi un sacco di domande ed io gli racconto tutto, mostrandogli anche le mail ricevute. -E come spiega il fatto che l'assassino conoscesse casa sua al punto da sapere dov'è la cantina?-
E' una bella domanda. Ci ho pensato, mentre aspettavo.
-Potrebbe essere già stato qui. Magari qualcuno che io stesso ho accolto, senza pensare alle conseguenze.-
-E gli avrebbe detto dove tiene i vini?-
-No, ma potrebbe aver intuito che quella porta andava nei sotterranei. Oppure, ha obbligato Laura a fargli strada. Dopotutto, hanno usato le sue chiavi per entrare.-
-Laura, già... La povera vittima.- pensa un attimo -In che rapporti eravate?-
-Perfetti. Avremmo voluto sposarci. Non penserà che sia stato io?-
-In questi casi, è la prassi. Deve convenire, Maggi, che le circostanze sono insolite.-
-Sì, ma... Oh, dannazione. Farò di tutto per provare la mia innocenza.-
-Le auguro di riuscirci.-
-A proposito di questo, sapete se l'unità scientifica ha rilevato qualche impronta interessante?-
-Sto appunto attendendo la chiamata.-
Mentre parlavamo, ha spedito un messaggio. Probabilmente ha chiesto i risultati.
Mi gratto il mento mentre lui si gira.
-Ascolti.-
-Sì?- si volta nuovamente verso di me.
-Io... Temo per la mia famiglia. Mio padre e mia madre vivono da soli, in un paese non lontano. E' possibile richiedere un custode?-
-Beh...-
Gli suona il telefono, si interrompe.
Parla, gesticola e cammina.
Alla fine annuisce e mette giù. Mi guarda.
-Alla scientifica hanno fatto tutte le rilevazioni del caso.-
-E?-
-Niente. Nessuna impronta ignota. Questo non va certo a suo favore.-
-Beh, ma potrebbe aver indossato dei guanti! O no?-
-Sì, certo. Ma vede, a noi non piacciono i condizionali. Non escludiamo nessuna ipotesi ma non prendiamo posizione a meno di non avere certezze. Per quanto mi riguarda, lei rimane indagato.-
-Dannazione!- sbottò, pentendomene subito. Romano mi guarda storto.
-Torni a dormire. Ne ha bisogno.-
-E la guardia per i miei genitori?-
Ci pensa su.
-No.-
-No?- non credo alle mie orecchie.
-Non abbiamo gli estremi per ritenere che siano in pericolo. Ha forse qualche prova al riguardo?-
Istintivamente, la mia mano corre al cellulare di Laura. Mi fermo.
Non posso mostrarglielo. Loro non devono sapere niente. Ne va della mia carriera.
Sono in una situazione spinosa, tra martello ed incudine; decido di lasciar perdere.
-Niente.- dico.
-Bene. E' tutto. Arrivederci, signor Maggi.- il Commissario ordina agli uomini di uscire e io li seguo, per chiudere la porta. Prima che se ne vada, Romano si volta a guardarmi.
-Non è ancora ufficialmente indagato, ma faccia in modo di essere reperibile. Potremmo aver bisogno di parlarle.-
-Va bene. Arrivederci.-
-Buonanotte, Maggi.-


Stupidi bastardi!
Colpisco la porta con un pugno, quando non sento più il rombo dei motori.
La colpisco ancora, e ancora.

E stupido bastardo anche tu, penso, rivolgendomi all'assassino.
Sa davvero troppo su di me. Anzi, pare che sappia
tutto. Sa dove abito, sa chi sono le persone a me care e, soprattutto, conosce anche il mio passato.
Sono tra l'incudine ed il martello.
Devo sperare di essere abbastanza forte per sfuggire da uno dei due.


 

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Capitolo 6
*** ###6### ***


###6###

 

Nessuna scorta.
Ancora non ci credo. Forse è vero quello che dicono della polizia italiana. E come se non bastasse, sono anch'io nella rosa dei sospetti. Le cose si complicano non poco.
Fermo la macchina e svolto a sinistra, entrando nel grande parcheggio sterrato del
Cranberry.
Non c'è nessuno, ovviamente; il locale è ancora chiuso e, in teoria, questo parcheggio è riservato al personale. Ma mi apriranno, lo so.
Mentre scendo non riesco a staccare gli occhi dalla porta d'ingresso sul retro, caratterizzata da una copia più piccola dell'insegna luminosa, ora spenta.
Mentre mi avvicino, percorrendo il viale tra le aiuole, mi tornano alla mente tanti ricordi.

Troppi ricordi.
Non avrei mai voluto tornare qui.

Busso due volte. Attendo qualche secondo e un uomo, un nuovo arrivato, mi scruta attraverso il vetro dell'uscio. Non capisce chi sono e apre solo uno spiraglio.
-Guardi che è chiuso il locale.-
-Lo so, non sono qui per bere.-
-Allora è il nuovo barista?-
Per un attimo mi fermo. Potrei approfittare dell'occasione servitami su un piatto d'argento. Potrei spacciarmi per qualcuno dello staff, un nuovo arrivato, per entrare ed esplorare il locale come desidero.
Decido di non farlo.
-No. Sono un vecchio cliente. Ascolta, lavora ancora qui Diana?-
-Diana? Sì, signore.-
-Me la puoi andare a chiamare?-
-D'accordo.- la voce è sospettosa e non si volta subito.
-Dille che ti manda Michele.- concludo. Lui annuisce e scompare.

Mi sto innervosendo. Cammino avanti e indietro da dieci minuti, quando finalmente sento un rumore di tacchi che percorrono il corridoio che porta all'esterno.
Controllo subito. E' lei. Non so cosa dire, non so come comportarmi. Per quanto ne so, potrebbe essere anche lei l'assassina. Non posso fidarmi di nessuno.
Si ferma di fronte a me, il volto impassibile, ma non duro. Anche lei non sa cosa fare, non si aspettava che tornassi.
-Diana.-
-Mike. Cosa ci fai da queste parti? Pensavo...-
-Lo so cosa pensavi.- la interrompo -Ascolta, devo farti alcune domande.-
-Mmm. D'accordo, andiamo al bancone.-
Mentre ci incamminiamo, ne approfitto per dare uno sguardo al bar. Non è cambiato quasi nulla, nonostante siano sei anni che non ci entro. Quando entriamo nella sala principale, non posso fare a meno di volgere lo sguardo ai bagni. Diana se ne accorge, mi guarda con un'espressione sconsolata.

-Dunque hai chiesto un aiuto?- domando, una volta arrivati al banco. Diana è sempre stata l'unica barista.
-Sì, la clientela è aumentata, non ce la faccio a servire tutti da sola.-
-Interessante.-
Silenzio.
-Forza, Mike, non sei qui per questo.-
-No.-
-Allora, dimmi tutto.-
-Diana... Negli ultimi giorni hai ricevuto visite particolari?-
-
Particolari? Cosa intendi? E dove? Qui?-
-Sì, al
Cranberry. Qualcuno che ha chiesto di me.-
-No.- risponde subito. Forse troppo immediatamente.
-Non è vero.-
-Sì che lo è.-
-Sei stata troppo fulminea.-
-Ehi, ma che cosa ti succede?- dice irritata. Vera irritazione, forse ho sbagliato a giudicare.
-Nessuno nessuno?-
-Nessuno nessuno.-

Allora perché la foto del locale sul cellulare di Laura?
Non ha senso. Mi guardo intorno e il mio occhio cade nuovamente sulla porta della toilette. Indugio a lungo. Diana capisce.
-Vuoi entrarci?-
-Non lo so.-
-Potrebbe farti bene.-
-Ho chiuso tempo fa con questa storia. Ora sto bene.-
-Non mi pare proprio.- dice ed ha ragione. E' come se tutti i problemi di anni prima fossero tornati per tormentarmi di nuovo. E la colpa è di quel bastardo che ha ucciso Laura.
-Sono aperti?- chiedo. Diana annuisce.
Non posso aspettare. Entro nel bagno degli uomini, nel secondo stanzino sulla destra. Non appena vi metto piede, vengo colto da una serie di ricordi, vividi come visioni.

Mi vedo seduto sulla tazza, a piangere. Piangere senza potermi fermare e senza poter rinunciare alla mia medicina. Eroina, cocaina, ecstasy. Di tutto, in quel bagno. Era l'unica cosa che mi mandava avanti. Mi ricordo di com'ero conciato, buttato fuori da casa e costretto a vivere in tuguri assieme ad altri tossici come me. Rubavo e spendevo tutto per la droga.
Ero sull'orlo dell'abisso.
Non so se il
Cranberry abbia davvero qualcosa a che vedere con questa storia, ma sicuramente è stato un duro colpo. Forse l'assassino si è documentato in qualche modo su di me, forse ha trovato informazioni che credevo ormai sepolte e le ha usate per distruggermi ulteriormente la vita.
Non voglio più ricordare, chiudo gli occhi. Come se fossi su una giostra impazzita, mi viene da vomitare.
Tiro l'acqua e la colazione se ne va nelle fogne.
Mentre sono ancora in stato confusionario, sento un rumore insistente.
Capisco che è il cellulare. Corro a prenderlo e guardo il display.

>
Chiamata in arrivo.
>Mamma
>Rispondere?


Premo Si.
-Michele!-
-Mamma, ciao.-
Scambiamo quattro chiacchiere. Non voglio accennarle niente al telefono, ho bisogno di parlare con lei e mio padre dal vivo.
-Dai, allora ci vediamo tra poco, mamma.-
-Sì! Ti preparo qualcosa di buono da mangiare.-
Grazie a quel dialogo l'ansia scompare. Mi ricordo che ora è tutto finito, che non tocco più roba da anni e che i miei genitori mi amano ancora.
Poi...
-A proposito, è proprio simpatico!-
-Chi?- dico, terrorizzato.
-L'agente di polizia!-
-L'agente?-
-Quello che hai mandato qui. L'hai detto tu, no?-
Chiudo la chiamata. Corro fuori dal bagno e non guardo di striscio Diana. Urto qualcuno, ma la mia mente non registra chi.
Salgo in auto e sgommo, mentre Diana cerca di richiamarmi.
Qualcuno è a casa dei miei genitori.
Qualcuno che
io non ho mandato.

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Capitolo 7
*** ###7### ***


###7###

 

-Polizia, ho immediato bisogno del vostro intervento!-
-Dove? E qual è la natura dell'emergenza?-
Riferisco l'indirizzo, mentre guido come un pazzo verso la casa dei miei genitori. Spero con tutto il cuore che l'intruso non abbia sentito mia madre parlare al telefono, altrimenti sarebbe la fine.
-Ritengo ci sia un intruso in casa.-
-
Ritiene?-
Cazzo, ho sbagliato parola.
-No, ne sono sicuro.-
-
Ritiene o ne è sicuro?-
Dannazione, penso, ma è possibile che siano tutti deficienti?
-Ne sono sicuro!-
-Mi dia le sue generalità.-
Mi trattengo dall'insultare il centralinista e dal fargli notare che, aspettando loro, uno potrebbe benissimo fare in tempo a morire. Dico nome, cognome e anche che la notte precedente ho parlato con Romano.
-Un attimo.-

Ci mettono un attimo davvero.
-Manderemo subito una volante.-
-Grazie.-
Metto giù, senza perdere altro tempo. Mi accorgo di aver superato la via nella quale dovevo svoltare e faccio un'inversione azzardata, sfruttando il freno a mano. Le gomme stridono sull'asfalto e l'auto sobbalza violentemente. Per un attimo temo di perdere il controllo, ma riesco a rimettermi in pista. Per fortuna non arrivava nessuno.
Entro nella via dei miei ad alta velocità e inchiodo davanti a casa.
Esco dall'automobile di corsa e suono tutti i campanelli forsennatamente. Ho una paura maledetta.
Attendo.
La sensazione di
deja vù è forte e terribile, quando non ricevo risposta.
Mio padre è al lavoro, gestisce un laghetto di pesca sportiva non lontano, ma mia madre dovrebbe esserci.
Uso il doppione delle chiavi per aprire il cancello e percorro di corsa il viale della villetta.
La porta è aperta; brutto, bruttissimo segno.

-Mamma!-
Nessuna risposta. Faccio il giro della casa, sperando di trovarla in giardino, sperando che, semplicemente, non mi abbia sentito.
-Mamma, ci sei?-
Niente.
Il respiro accelera, il cuore batte violentemente. Mi appoggio ad un muro per riprendere fiato e, pian piano, la vista si snebbia.
In lontananza sento le sirene della polizia.

Bene, almeno sono stati rapidi.
Corro verso l'uscita, aspettandomi di vedere Romano, ma lui non c'è. Solo dei semplici agenti.
-E' lei che ha chiamato?- mi chiede uno di loro.
-Sì. Presto, mia madre è scomparsa!-
Subito si attivano per cercare ed io tiro un sospiro di sollievo. Perlustrano ogni angolo della casa, senza trovare nessuno.
Dopo più di mezz'ora, mi annunciano ufficialmente che la casa è vuota.

Non so cosa dire, non so cosa pensare. Lo stronzo me l'ha fatta ancora una volta. Si è introdotto in casa dei miei e ha rapito mia madre. Forse l'ha già uccisa.
Mi tremano le mani, mentre chiamo mio padre. Quando lui risponde, mi blocco.
-Pronto?- non so che dire.
-Chi è?-
Pausa.
-Ma c'è qualcuno? Mi sente?-
Guardo lo schermo e interrompo la comunicazione. Non me la sento di dare la notizia. Non ora.
Nel frattempo noto che una piccola folla di vicini si è riunita nei dintorni della casa. I poliziotti li mandano via, spiegando che non c'è nulla da vedere.
-Vuole sporgere denuncia contro ignoti?- mi chiedono subito dopo. Ci penso su.
-Sì.- dico poi.
Sbrighiamo tutte le formalità del caso, seduti al tavolo in salotto. Dopo un po' ringrazio gli agenti, li saluto e rimango solo, ascoltando il silenzio.


Vrr... Vrr... Vrr...
Mi chiama qualcuno.
Rispondo senza pensarci.
-Sì?-
-Ciao, bello.-
Una voce sconosciuta, contraffatta. Guardo il display, anche il numero è criptato. Al mio cuore manca un battito; è lui.
-Dove sei, bastardo? Dov'è mia madre?-
-E' qui con me. E prima che tu me lo chieda, no, non ti farò ascoltare la sua voce. Non siamo in un film.-
-Perché fai tutto questo?-
-Lo sai.-
-No, che non lo so!-
-Lo sai più che bene. Conservi tutto nel tuo inconscio.-
-Nel mio inconscio?-
-Certo. Non vuoi ricordare apertamente, ma non puoi negare a te stesso, alla tua parte più profonda, ciò che è successo.-
-Io non...-


Un flash. Un vicolo. Cammino.
Il volto di un uomo, mi dice qualcosa
.

-Argh!-
-Cominci a ricordare, vero?- dice la voce distorta -E' sempre così. Servono dei piccoli input, per farlo. Presto ricorderai tutto.-
-Cosa vuoi?-
-Che tu ricordi.-
-Cosa? A quale scopo?-
-La sofferenza. La
tua sofferenza. Facciamo così: io tengo in vita tua madre, ma tu devi recarti in un luogo, da solo. Di notte.-
-Se credi che cadrò nella tua imboscata...-
-Taci ed ascoltami.- diventa ancora più crudo -Se avessi voluto ucciderti l'avrei già fatto. Io so chi sei, so
dove sei e so che cosa stai facendo. Tu non hai segreti per me. Posso arrivarti alle spalle e pugnalarti. Sarebbe la fine dei giochi. Ma non l'ho fatto e non lo farò.-
Fa una pausa, probabilmente per lasciarmi il tempo di pensare.

Come fa? Mi sta tracciando in qualche modo... Una cimice? Ma dove, e come l'ha messa? Lo conosco, dunque? Siamo stati vicini?
-Sei disposto a seguire le mie istruzioni?-
Penso a mia madre. Non voglio che le accada nulla di male.
-Va bene.-
-Ottimo. Allora, ecco cosa dovrai fare...-


 

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Capitolo 8
*** ###8### ***


###8###

 

L'uomo cammina. Una camminata nervosa. Continua a ripetere lo stesso percorso, avanti e indietro. Ogni volta che termina il giro si ferma per un attimo, poi riprende.
La madre di Michele, legata ad una sedia, lo osserva. Ha paura, una paura del diavolo. I polsi le fanno male, le corde sono troppo strette e lasciano passare pochissimo sangue. Lo stesso discorso vale per le caviglie. La bocca è imbavagliata, non riesce a parlare. Solo gli occhi sono liberi, in modo che li possa muovere liberamente.
Lo può vedere in faccia. All'uomo non importa niente, dopotutto si è presentato a volto scoperto anche spacciandosi per poliziotto. Non sa chi sia. Non l'ha mai visto eppure lui l'ha rapita. Le ha fatto perdere conoscenza con un colpo secco alla nuca, mentre lei era in cucina. Quando si era risvegliata, si trovava lì.
L'umidità è devastante. Tutt'intorno a lei giacciono delle grandi casse di metallo. Sembrano dei piccoli container. E' stata portata in una specie di magazzino abbandonato. Non ha idea di quale magazzino sia, men che meno di dove si trovi, topograficamente parlando.

L'uomo si ferma di nuovo. Sta aspettando che Michele segua le sue istruzioni.
Lei decide di parlare.
-Mmm.-
Lui si volta a guardarla, uno sguardo di fuoco.
-Mmm!-
-Che cazzo vuoi, puttana?- l'uomo sputa odio.
-Mmm, mmm.- lei cerca di indicare il bavaglio. Vuole che lui lo tolga.
-Sentimi bene.- dice lui, mentre impugna la pistola. L'acciaio nero e minaccioso risplende nella semioscurità -Se urli sei morta. Morta, capito?-
Lei annuisce.
L'uomo si avvicina, si china su di lei e le abbassa il fazzoletto. Prima di parlare, lei si concede una generosa boccata d'aria.
-Allora, cosa vuoi?- la incalza lui.
-Perché... Perché fai questo?-
-Che cosa scontata. Pensavo volessi dirmi qualcosa di sensato.-
-No, ti prego. Devo sapere. Cosa ti ha fatto mio figlio? Perché lo odi fino a questo punto?-
-Ah! Ah! Ah!- ride, una risata nervosa e folle.
-Perché, mi chiedi?- dice poi, cambiando espressione per tornare serio -Non te ne frega un cazzo. E' una cosa tra me e lui. Me e lui.-
Si ferma un attimo, sta pensando a qualcosa. Lei cerca di capire a cosa, ma non ci riesce. Non si può indagare la mente di un pazzo.
-Se fa come dici- continua lei -ci lascerai in pace?-
-Pace.- lui sputa su quella parola -Come se vi meritaste la pace. Comunque vedremo. Sicuramente questo non è che l'inizio. Solo la prima istruzione.-
Sta per continuare a parlare, ma viene interrotto dalla suoneria del suo cellulare. Rapido, guarda il display. Sorride, un ghigno demoniaco. Risponde.

-Ciao, Michele.-
________________________________________________________________________________

Che istruzioni del cazzo.
Ecco cosa dovrai fare, ha detto. Mi aspettavo che mi chiedesse un riscatto, o qualcosa del genere. Niente. Mi ha solo intimato di recarmi in un cazzo di vicolo, a Milano. Mi metto alla guida, senza pensare. Se penso, è finita; la mia mente mi dice che è una trappola, mi ordina di non fidarmi, ma non la voglio ascoltare. Ho perso Laura, non voglio perdere anche mia madre.
Come starà? Dove l'avrà portata il bastardo?
Guido fino ad una strada non distante dalla mia destinazione e parcheggio. Prendo il cellulare. L'assassino mi ha chiesto di chiamarlo, non appena fossi arrivato. Considero per un attimo l'ipotesi di avvisare anche la polizia, ma poi rinuncio. Mi ha detto espressamente di non farlo e non voglio mettere a repentaglio la vita di mia mamma.
Compongo il numero che mi ha fornito. Risponde quasi subito.

-Ciao, Michele.- dice.
-Ci sono.- rispondo, mentre comincio a camminare.
-Non mi saluti nemmeno?-
-No.-
-Sei un maleducato.- ride. Si sta prendendo gioco di me. In sottofondo mi sembra di sentire la voce di mia madre, ma è una sensazione che dura un attimo.
-Mia madre è lì?-
-Sì.-
-Sta bene?-
-Certo. Per ora.-
-Per ora? Lurido stronzo, io...-
-Calmati. Non ho intenzione di ucciderla e tu non sei in condizioni di insultarmi.-
-D'accordo.- mi rassegno. In lontananza vedo l'imboccatura del vicolo. Mi tengo a distanza e controllo con attenzione. Riesco a vedere anche l'altra uscita, a controllare tutto da lontano. Non sembra esserci nessuno. Nessun agguato.
-Sei arrivato al vicolo?-
-Sì.-
-Entraci, allora. E ascolta bene.-
C'è un attimo di pausa. Sta armeggiando con qualcosa, non capisco cosa. Sento solo il suo respiro affannoso.
Dopo qualche secondo appoggia il cellulare su un tavolino o qualcosa del genere. Sento il suono secco del metallo. Un secondo suono, più basso e veloce. Poi parte una musica.
Il ritmo martellante della hardcore mi fracassa i timpani.
-Ah!- grido -Abbassa!-
Non mi sente. Allontano il cellulare dall'orecchio ed entro nel vicolo. Nonostante la distanza, sento lo stesso la musica. E pian piano riconosco la canzone.
L'ascoltavo anch'io, un tempo.
Cammino, ipnotizzato. Una strana sensazione di paura attanaglia le mie viscere, mi si torce lo stomaco. Mi viene da vomitare.
Sui muri leggo delle scritte. Qualcuno le ha aggiunte di recente, la vernice spray è fresca.

Chi va piano va sano e va lontano.
Ripetuto mille volte. Ovunque, intorno a me.
Cado in ginocchio.
Un uomo che mi guarda. Non riconosco il viso. Mi parla.
Mi prendo la testa tra le mani, mentre il cellulare continua a mandare musica.
Chi va piano va sano e va lontano. L'uomo alza le mani, si avvicina velocemente.
Non vedo più nulla, vomito.
Sangue. Dolore.

-...senti?-
La sua voce, dal cellulare. La musica si è interrotta e nel vicolo è tornato il silenzio.
-Mi senti?-
Prendo l'apparecchio.
-Sì.-
-Ora ricordi?-
-Sì.-

E so come trovarti, figlio di puttana, dico tra me e me.

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Capitolo 9
*** ###9### ***


###9###

 

-Fatemi parlare con il Commissario Romano.-
-Non è possibile, serve un appuntamento. Posso aiutarla io.-
-No, non può!-
L'impiegata che mi ha accolto al distretto di polizia mi sta dando i nervi. Mia madre è in pericolo, la sua vita sul filo del rasoio e lei si permette di fare tanto la preziosa. Sento riaffiorare in me una rabbia antica, un odio atavico. Una parte di anima che speravo fossi riuscito a seppellire. Mi trattengo a stento.
-Senta, non può comportarsi così con un pubblico ufficiale.- dice lei.
-Ok, ok, mi scusi. Il punto è che devo parlare con Romano. Gli dica...- penso un attimo alle parole da usare -Gli dica che ho un'idea su chi potrebbe avere ucciso Laura Fogli.-
-Mmm.-
Quel “mmm” te lo ricaccio in gola, cazzo.
-Attenda un attimo laggiù.- mi indica delle sedie, disposte in fila e unite tra loro. Annuisco e vado a sedermi. Sono piuttosto comode. Incredibile come la mente, in certi momenti, si focalizzi su dettagli del tutto inutili, giusto per evitare il sovraccarico di tensione.
La donna alza la cornetta e compone un numero. Qualcuno risponde, parlano per alcuni minuti, mentre io tamburello nervosamente con le dita e con il piede destro. Mi guarda, mi fa segno di avvicinarmi. Mentre cammino, con una penna stilo indica un corridoio alle sue spalle.
-Terza porta a sinistra. Il Commissario le concede qualche minuto.-
-Grazie.- dico. Manco fosse un re, vorrei dire.
Cammino con incedere furioso e arrivo davanti alla porta, un uscio a vetri con esposta una targhetta che identifica l'ufficio di Romano.
Busso tre volte, colpi rapidi.
-Avanti!-

Il Commissario mi stringe la mano e io ricambio, sperando che non se la prenda perché è sudata. Mi siedo su una poltrona, mentre lui sembra schernirmi, prendendo un fazzoletto di carta e asciugandosi l'estremità.
Vorrei vedere te, al mio posto.
-Allora, mi dica.-
-Ho bisogno che faccia una ricerca negli archivi.-
-Una ricerca riguardante cosa?-
-Un incidente d'auto.-
-E per questo chiede di vedere direttamente me?-
-Sì. Potrebbe essere una svolta nell'indagine sulla morte di Laura. E ho bisogno che lei veda tutto, così forse mi crederà.-
-Non ho mai detto di non crederle.-
Figlio di zoccola.
-Così forse mi toglierà dalla lista dei sospetti, quando avrà il nome dell'assassino.-
-E come può essere così sicuro di trovarlo?-
Eccola. La domanda che non avrei voluto mi facesse. L'unica domanda alla quale non voglio rispondere. Non ancora.
-Prima cerchiamo, va bene?-
-No, non va bene. Non autorizzo ricerche a caso.-
-Mal...- mi calmo subito. Respiro. Penso.
-Dalle sue mail ho capito qualcosa. Mi ha parlato di una perdita subita qualche anno fa.- mento -E mi ha scritto tu hai guardato, senza fare niente. Ho collegato ad un incidente a cui ho assistito una volta, a Milano. Un'auto ha tirato sotto un bambino, con il padre a fianco.-
Incrocio le dita, spero che mi creda. La verità non la posso dire.
Dopo un silenzio che sembra durare secoli, annuisce.
-Quindi lei pensa che si tratti di una vendetta contro il suo mancato intervento?-
-Sì. Il bambino stava attraversando la strada, avrei potuto tirarlo dalla mia parte, se mi fossi mosso più in fretta. Non l'ho fatto perché ero stato colto alla sprovvista.-
Mento ancora. Menzogne su menzogne. Ma non importa. Devo vedere in faccia l'assassino.
-D'accordo. Mi segua.-
Sì.

Mi conduce in una stanza sotterranea, dove un impiegato quattr'occhi mi sorride cortesemente. Davanti a lui, il computer con i file dell'archivio.
-Buongiorno. E buongiorno, Commissario.-
-Buongiorno, Ivan. Il signor Maggi deve chiederle di compiere una ricerca.-
-Oh, ma certo.- il suo tono gentile, quasi esasperato, mi irrita. Sembra un prete. -Mi dica pure.-
-Sì, dunque...- ragiono per un attimo -Cerchi informazioni relative ad un incidente d'auto in cui ha perso la vita un bambino, avvenuto a Milano cinque anni fa.-
-Subito.-
Attendo con impazienza, mentre le dita dell'impiegato scorrono sulla tastiera. I suoi occhi analizzano centinaia di articoli di giornale e di immagini. Ne salva alcune, ne elimina altre. Tra quelle salvate fa una seconda scelta e così via, per interminabili minuti.
-Ecco qui!- dice poi. Tirando un sospiro, attendo informazioni.
-Sì, ci siamo. Milano, cinque anni fa, un bambino rimasto ucciso. L'assassino, o meglio il pirata della strada, non è mai stato trovato.-
-Non mi importa di questo. Voglio sapere il nome del padre del bambino. Immagino che avrà denunciato lui il fatto.-
-In effetti sì. Si chiamava Emilio de Carli.-
Il nome. Finalmente. Non riesco a crederci, posso chiamare lo stronzo per nome. C'è solo un problema.
-Il nome mi dice poco, purtroppo.-
Il Commissario mi guarda.
-Posso vedere una sua foto?-
L'impiegato guarda il Commissario. Questi ci pensa su, grattandosi il mento. Poi annuisce, senza dire una parola.
Il display del computer viene girato verso di me, con una foto formato tessera in bella mostra sul foglio della denuncia.
Al mio cuore manca un battito.
Quegli zigomi alti, gli occhi ravvicinati. I capelli leggermente più scuri e il viso sbarbato non mi ingannano. Non posso sbagliarmi.

L'uomo nella foto è Francesco.
 

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Capitolo 10
*** ###10### ***


##10###

Non ci credo, non è possibile.
Francesco.
Il mio amico.
Eppure tutto torna, ora. La mancanza di impronte sconosciute sulla porta dell'appartamento di Laura, la mancanza di segni di lotta. Il fatto che l'assassino sapesse esattamente come muoversi in casa mia.
Quello stronzo ha cambiato nome ed è diventato mio amico, ha fatto in modo che io e la mia ragazza ci fidassimo di lui, lo considerassimo quasi parte della famiglia. Solo per mettercela nel culo alla fine, rivelandosi per ciò che è: un fottuto assassino.
Fremo al pensiero della presa in giro subita quando sono andato a casa sua. Ha cercato di rintracciare il mittente della mail, ha fatto tutta quella scena e poi il mittente della mail era lui.
Motivi personali, ecco cos'ha detto. Per motivi personali aveva già usato quel sistema in passato. Il suo cazzo di motivo personale ero io. Voleva rintracciarmi e ce l'aveva fatta.
Non riesco più a connettere, ho il sangue al cervello e il cuore in gola. Di Romano e dell'archivista vedo solo l'ombra sfocata. Mi dicono qualcosa, ma la loro voce è incomprensibile. Mi sento furioso, violato, ingannato. Mi gira la testa e tutto diventa nero.

-Maggi, mi sente?-
Apro gli occhi. Sono stato adagiato su una fila di sedie nella sala d'attesa del distretto. Davanti a me c'è Romano, ha una faccia quasi preoccupata.
Dunque qualche emozione ce l'hai.
-Mi sente?- ripete. Faccio per parlare ma mi rendo conto di non riuscire a connettere del tutto. Mi limito ad annuire.
-Sta bene?- annuisco ancora.
-Ottimo. E' svenuto, negli archivi. Ce la fa a tirarsi a sedere?-
Ci provo. La testa gira ancora e un formicolio mi percorre tutto il corpo, ma ci riesco. Soffoco un conato di vomito e guardo il Commissario negli occhi.
-Se la sente di parlare?- mi dice.
-Sì.-
-Chi ha riconosciuto in quella foto?-
-Un amico. O meglio, uno che credevo tale.-
-Può raccontarmi tutto?-
Annuisco. Mi porta nel suo ufficio e mi fa sedere sulla stessa poltrona di prima, offrendomi un bicchiere d'acqua fresca che bevo con avidità.
Faccio un respiro profondo e poi comincio a parlare. Spiego ogni cosa, pur tenendo fede alla menzogna detta un'oretta prima, circa l'incidente d'auto, ed evitando ogni riferimento al mio passato.
Mentre parlo, penso. Penso a come sono andate veramente le cose. Fatico a tenere sotto controllo le mie emozioni. Sono combattuto tra vergogna e odio, tra rimorso ed ira. Più volte incespico sulle mie stesse parole, perché non sono concentrato, ma riesco comunque a concludere il discorso.
Romano mi guarda e mugugna, riflettendo.
-Forse possiamo individuare il suo nascondiglio.-
-Davvero?-
-Sì. Quando lui le ha chiesto di chiamarlo, le ha dato un numero diverso da quello che lei abitualmente usa?-
-Intende da quello che uso per parlare con Francesco?-
-Esatto.-
-Sì, certo. Un numero nuovo.-
-Ok. Ora, se questo Francesco, o Emilio che sia, è davvero un hacker, abile al punto da mascherare il suo indirizzo e-mail, avrà sicuramente schermato anche quel cellulare, rendendosi invisibile ai nostri strumenti. Però...-
-Però?- incalzo.
-E' possibile che l'altro telefonino, quello che usa normalmente, non abbia subito lo stesso trattamento. Lei ha un vantaggio sull'assassino, Maggi. Lui non sa che ha scoperto la sua vera identità.-
Capisco dove vuole arrivare.
-Mi sta dicendo che potrei chiamarlo sul suo cellulare ufficiale, mentre voi lo rintracciate.-
-E' svelto, Maggi. Questo mi piace.-
-Facciamolo.-

Il telefono suona libero. Il mio cuore comincia a battere rapido. Riuscirò a fingere indifferenza quando Francesco risponderà?
Altri due squilli.
Forse non risponde.
-Pronto, Michele?-
Un tuffo al cuore.
-Francesco.-
-Ciao! Dimmi tutto.-
-Ascolta, io...-
Comincio a dire un po' di cazzate. Non è importante l'argomento, ma devo tenerlo al telefono per un tempo sufficiente. Vicino a me, Romano e un altro agente controllano lo schermo di un computer al quale hanno collegato il mio cellulare.
Parlo per un paio di minuti e poi l'agente alza un pollice, ad indicare che l'hanno trovato.
Sollevato, chiudo in fretta la chiamata, saluto il bastardo.
Guardo Romano, che mi indica il display del computer. Su di esso è aperta una mappa della zona intorno a Milano. Un singolo punto, simile a quello di un radar, si illumina ad intermittenza. Indica un magazzino abbandonato nella periferia della città.
-E' lì che si nasconde?- domando.
-Sì. Il segnale arriva da lì. Niente deviazioni, niente disturbi.-
Resto in silenzio. La mia mente vaglia le infinite torture a cui voglio sottoporre Francesco. La resa dei conti sta per arrivare.

________________________________________________________________________________

La madre guarda l'uomo sorridere. Ha appena parlato con suo figlio, lo ha sentito. Ora si gira verso di lei, con quel ghigno che non ha nulla di umano. Si sfrega le mani, le toglie nuovamente il bavaglio.
-Bene, bene, bene.- dice.
-Cosa...-
-Il tuo figliolo è stato più svelto del previsto. Ha capito, finalmente, chi sono.-
La madre non capisce.
-Non dici niente?- le chiede lui.
-Io... Cosa succederà ora?- è l'unica cosa che le viene in mente.
-Con quella chiamata ho fatto in modo che mi rintracciasse. Ora Michele starà venendo qui.-
L'uomo si allontana, prende qualcosa da uno dei tavoli in metallo. L'orrore e la paura si sciolgono in lacrime che cadono copiose dagli occhi della donna.
-E' tempo di preparare la sorpresa di benvenuto.-

 

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Capitolo 11
*** ###OMEGA### ***


###OMEGA###

 

Guido come un pazzo, non me ne frega niente. Non mi importa di commettere infrazioni, non mi importa del rischio che corro di danneggiare persone ed oggetti. Non mi importa di nulla, ormai. Solo di mia madre e di Francesco. Dietro di me, a debita distanza, mi segue Romano con un'auto della polizia. Ci teniamo in contatto tramite una trasmittente nascosta nel mio orecchio, dotata di un'entrata e un'uscita audio. Permette a me di sentire cosa mi dice lui e a lui di udire ciò che accade a me. Considerando che Francesco ha in ostaggio mia madre, abbiamo deciso che è meglio non fare irruzione, per evitare gesti inconsulti. Sarò io ad entrare per primo, mentre il Commissario mi seguirà virtualmente, nascosto con i suoi uomini non troppo lontano.
Mi ha dato una pistola, che ora luccica minacciosa sotto il mio maglione. Ha detto di non usarla se non in caso di estrema necessità.
Non posso assicurarglielo.
Mi rimetto in corsia, notando che stavo per sconfinare nell'altra.
-Attento!- mi urla Romano.
-Sì, sì. Scusa.-
Ormai siamo quasi arrivati. In lontananza vedo la zona industriale, i magazzini. Edifici squadrati e squallidi, molti abbandonati da tempo. Comincio a tremare. Percorro lentamente le vie che collegano i magazzini, seguendo le indicazioni del Commissario. All'ennesima svolta, sento le parole che attendevo e temevo.
-Ci sei quasi.- mi dice -Cento metri ancora, il magazzino è il numero 12. Noi cambiamo strada, parcheggeremo in una delle vie sul retro. Mi raccomando.-
-D'accordo.- rispondo, dopo aver deglutito rumorosamente.

Scendo dalla macchina quasi subito, non mi arrischio a parcheggiare di fronte al magazzino, non voglio che Francesco senta il motore. Comincio a camminare e mi sistemo il maglione, in modo da nascondere la pistola. Il freddo acciaio batte contro la mia coscia destra, è una sensazione alla quale non sono abituato. Più volte, istintivamente, porto la mano all'arma, rendendomi conto in seguito che è l'errore più grande che io possa fare. Mi sforzo a tenere il braccio disteso lungo il fianco, mentre arrivo davanti alla gigantesca entrata del magazzino. Il portone nasconde, sulla destra, un uscio decisamente più piccolo, utilizzato probabilmente dagli operai. Un lucchetto giace a terra, vicino alla porta. Probabilmente Francesco l'ha forzato quando ha scelto il magazzino come base.
Non mi fido ad entrare da lì. L'ingresso principale non è mai un'ottima idea. Cammino lungo il perimetro dell'edificio, sperando in un'entrata secondaria, ma vengo deluso. Non ci sono altre porte. Sospiro, informo Romano e torno verso il lato principale. Alzo gli occhi e guardo le finestre con i vetri rotti. Mi sento costantemente osservato, ma non riesco a vedere nessuno. Eppure, Francesco non può sapere che l'ho scovato. O forse sì?

Ci siamo. E' il momento, non posso più rimandare. Stringo la maniglia, respiro profondamente.
Apro.

Vengo accolto dall'umidità e dalla muffa. Il gelo, non so se reale o immaginario, mi distrugge le ossa. Faccio un passo cautamente, muovendo di scatto la testa in ogni direzione per controllare l'interno. Il magazzino si compone di una grande sala al pian terreno, dove sono accatastati dei piccoli container, e di una passerella a cui si accede tramite una scala, sulla quale sono costruiti quelli che sembrano degli uffici.
-Vedi niente?- mi chiede il Commissario.
-Niente di interessante.-
-Ok. Procedi.-
Un altro passo, un altro sguardo. E vedo qualcosa.
Attraverso la finestra di uno degli uffici noto un'ombra. Un profilo inconfondibile: quello di mia madre. Comincio a correre, divoro un gradino dopo l'altro. Percorro l'intera passerella fino ad arrivare alla porta dell'ufficio.
Chiusa, aperta, sigillata, con allarme. Non me ne importa un cazzo. Mi lancio contro di essa con la spalla destra e quella si distrugge all'istante, con un forte rumore di metallo e legno. La forza del mio stesso colpo mi toglie l'equilibrio e cado in avanti, appoggiando all'ultimo le mani a terra. Non curandomi del dolore e del sangue che comincia a sgorgare dalle ferite provocate dalle schegge, alzo il viso e urlo -Mamma!-

Lei è lì, a fissarmi.
A fissarmi con occhi vuoti. Gli occhi della morte.
Tremo, piango.
Mia madre è stata uccisa, decapitata.
La testa si trova tra le sue braccia, adagiata come se lei stesse cullando un neonato. E sorride, come Laura. Non ci sono segni, né sul corpo né attorno ad esso. Francesco ha fatto un lavoro pulito, da perfezionista.
Lo odio.
Lo odio.
Lo odio!
Ormai non ci vedo più, la rabbia offusca del tutto i miei sensi. Non mi accorgo dell'armadio alla mia sinistra. Non mi accorgo delle sue ante che si spalancano. Non mi accorgo dell'uomo nascosto al suo interno che viene verso di me.

Un violento calcio al mio fianco mi ribalta. Mi trovo in un attimo a pancia in su, mentre una sagoma di cui riconosco solo i contorni si avventa su di me. Disperatamente, cerco di alzare le braccia per proteggermi, ma sono troppo lento. Le sue mani si stringono intorno al mio collo. L'aria che era fuggita dai polmoni con il primo colpo non riesce a rientrare e la mia vista si riempie di chiazze bianche. L'uomo parla, ma non riesco a sentirlo.
Spinto dall'ira e dalla paura, agito le gambe. Miracolosamente un colpo va a segno, diretto all'inguine. L'uomo è costretto a ritrarsi. Mi alzo in piedi e attendo di riuscire a tornare a vedere. Eccolo. Francesco.
Si tiene il basso ventre e il suo volto è una smorfia di dolore.
-Figlio di troia!- gli urlo. Lui si volta e sorride, un sorriso disumano.
-Ti direi la stessa cosa.- mi sbeffeggia -Ma non sta bene parlare male dei morti.-
-Aaaargh!-
Mi lancio su di lui, agitando i pugni nell'aria. Qualcuno va a segno, qualcuno viene parato. Alla fine, ci troviamo in una situazione di stallo, con lui che mi afferra e io che cerco di vincere la sua forza. Lo guardo dritto negli occhi.
-Perché?- gli chiedo.
-Lo sai. Te l'ho fatto ricordare io.-
Il vicolo, le scritte. La verità. Lo so davvero.

Cinque anni prima.
Uscivo dal Cranberry, come al solito. E come al solito ero fatto ed ubriaco. Mi ero messo alla guida dell'auto, incurante delle mie condizioni. Non capivo niente, non riuscivo a vedere con chiarezza. Avevo deciso di imboccare un vicolo interdetto alle macchine, senza una ragione precisa. Mi odiavo, odiavo la mia vita ed odiavo tutti gli altri.
Odiavo quell'allegra famigliola che passeggiava nel vicolo. Padre, madre e figlio. Tutti sorridenti, tutti felici. Dovevano morire.
L'uomo mi guardava, mi faceva segno di fermarmi, ma io aumentavo la velocità. Il bambino urlava, la madre anche. Io gioivo. Pregustavo l'urto, il momento in cui avrei posto fine alla vita di quegli idioti così felici.
BAM.
Il giorno dopo, non ricordavo nulla. Mi ero risvegliato molto lontano dal vicolo, mi ero schiantato contro un albero ed ero svenuto. Era stato in quel momento che avevo deciso di riabilitarmi, di dare una svolta alla mia vita.


Ma il passato torna sempre e Francesco me l'ha dimostrato. Mi guarda, ride forte.
-Sono cambiato.- dico.
-Oh, anch'io. Mi hai fatto cambiare tu. Non hai idea- un pugno mi fa cadere a terra -di quanto tempo ho speso cercandoti. Ho abbandonato del tutto la mia vita sociale per trovarti. Dovevo trovarti. Non avevo visto la targa, quella notte. Per questo ci ho messo così tanto. Ho dovuto fare ricerche su ricerche. Setacciare locali su locali. Cinque fottuti anni del cazzo! Ma alla fine ti ho trovato.-
Mi rialzo ancora, schivo l'ennesimo suo colpo.
-E sai perché?- mi domanda -Sai perché l'ho fatto?-
-Per vendetta?-
-Anche, ma non solo. Ormai avrai capito che ti aspettavo, no? Perché, secondo te? Perché ho fatto di tutto perché tu, alla fine, comprendessi e mi trovassi?-
Non so cosa rispondere. Risponde lui per me.
-Perché tu completassi il lavoro!- un pugno in faccia.
-Perché tu, spinto dallo stesso odio di cinque anni fa, uccidessi- pugno, schivato -anche- calcio, subito -me!-
-Sei pazzo!- gli urlo.
-Sì! Come potrei non esserlo? Hai sconvolto la mia vita, hai ucciso i miei cari. Ti meriti il peggio! Mi sono già vendicato, ma ora voglio che tu subisca l'insulto finale. Che tu viva una vita di rimorsi, comprendendo a fondo quale vergogna sei per quella puttana di tua madre e quello stronzo di tuo padre!-
Porto un pugno al suo naso, lo colpisco. Cade del sangue per terra. Lui non si arrende, non si ferma. Comincia a coprire di insulti mia madre, allude ad oscenità compiute con la sua testa staccata. L'odio monta, la mano corre alla pistola. Non riesco più a trattenermi.
Estraggo l'arma, la punto.
Uno sparo. Un'esplosione di sangue.
La vendetta.
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Qualche giorno dopo.


Romano mi guarda, dall'altra parte del tavolo.
Non è riuscito ad arrivare in tempo e a fermare il mio dito. Francesco è morto, ucciso da una decina di colpi che io non ricordo nemmeno di aver sparato.
Il Commissario annuisce, mentre io confesso tutto. Non ha più senso nascondere la verità. Ho ucciso un uomo, dopo che avevo ucciso la sua famiglia.
E' una sensazione strana quella che provo. Come se mi fossi liberato di un peso e dovessi portarne uno ancora più grande.
Romano appoggia i palmi al tavolo, fa un cenno ad una delle guardie dietro di me. Questa mi fa alzare, mi rimette le manette.
-Mi spiace, Maggi. Credo di capire come ti senti.- dice il Commissario -Ma è la legge. Sei colpevole di tre omicidi. Le attenuanti potrebbero ridurre la tua pena, ma dovrai passare comunque un po' di anni in carcere. Lo capisci, vero?-
-Sì.- rispondo. Lui annuisce ancora e la guardia mi trascina fuori.
Percorro un lungo corridoio, fino al blocco al quale sono stato assegnato. Intorno a me vedo ladri ed assassini. La mia nuova famiglia.

Quando rimango da solo, nella mia cella, i pensieri mi assalgono. Ripercorro gli ultimi giorni e poi gli ultimi anni della mia vita. Una vita che io stesso ho deciso di rovinare.
Mi siedo sul letto e comincio a piangere. I pensieri non mi abbandoneranno mai.

Non c'è neanche il minimo dubbio; ho vendicato la mia ragazza e mia madre, ma non sono io ad aver vinto.
Neanche per sogno.

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