Thank you, Lou.

di Lou_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** Chapter 3 ***
Capitolo 4: *** Chapter 4 ***
Capitolo 5: *** Chapter 5 ***
Capitolo 6: *** Chapter 6 ***
Capitolo 7: *** Chapter 7 ***
Capitolo 8: *** Chapter 8 ***
Capitolo 9: *** Chapter 9 ***
Capitolo 10: *** Chapter 10 ***
Capitolo 11: *** Chapter 11 ***
Capitolo 12: *** Chapter 12 ***
Capitolo 13: *** Chapter 13 ***
Capitolo 14: *** Chapter 14 ***
Capitolo 15: *** Chapter 15 ***
Capitolo 16: *** Chapter 16 ***
Capitolo 17: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 ***



 







"Chapter 1"






H
arry Styles aveva sempre amato il mare, sebbene non avesse mai avuto la possibilità di andarci.
Nelle cartoline che aveva sempre ammirato, però, il mare gli era sembrato fantastico.
Un posto in cui andare con amici, correre sulla sabbia a piedi nudi ad inseguire un pallone, sentendo il piacevole calore del terreno solleticarti la pelle, buttarsi in acqua senza esitazioni per recuperare la tua sorellina minore che rischiava di annegare, nuotare in zone con acqua cristallina, tanto da vedere i fondali.
Harry aveva fantasticato fin troppe volte su luoghi che non aveva potuto visitare, dato che ne aveva molti su cui farlo, anche casa sua.
Aveva sempre vissuto in quell’edificio triste e monotono, con le pareti bianche cadaveriche, il frusciare delle ruote del lettini sul pavimento tirato a lucido, il fischiettare delle suole delle scarpe delle infermiere.
Harry era nato per morire, o almeno, non come tutti, ma in modo spietato e precoce, terribilmente precoce.
Alla gente che lo veniva a trovare, tre volte a settimana dove Harry poteva dire di avere una famiglia, non parlava mai delle sue sensazioni riguardo il suo malessere.
Lo aveva accettato, a malincuore ma lo aveva fatto, confidando in Dio, come le aveva sempre suggerito la madre.
E va bene, Harry non avrebbe mai assaporato l’aria primaverile che attraversava i capelli dolcemente, come una carezza materna, non avrebbe mai potuto guardare dritto verso il sole, vantandosi con i suoi amici di aver resistito per qualche secondo, non avrebbe mai corso a pieni polmoni lungo la collina vicina di London Tip, non avrebbe mai avuto una ragazza.
Ma lui era felice di quello che aveva.
Del resto, passare il poco tempo che aveva a commiserarsi e a lamentarsi del fatto che effettivamente non stava vivendo, non lo avrebbe aiutato.
I medici che lo venivano a visitare alla mattina presto, tirandolo giù dalle coperte con un sorriso cui avrebbe volentieri fatto volare via i denti con un pugno, lo lodavano sempre, dicendo che era forte e che il male che lo stava dilaniando dall’interno sarebbe diminuito.
Ormai erano anni che lo dicevano, via via aumentavano le cure, ma a Harry quelle parole confortanti facevano bene; non aveva altro cui aggrapparsi.
Una volta di anni fa, anche se se lo ricorda come fosse ieri, aveva incontrato dei ragazzi come lui.
Apparentemente sarebbero sembrati normali, solo più allegri di altri.
Ma Harry nel suo cuore sapeva che quello che avevano in testa non era un semplice cappello o una cuffia per freddo.
Sapeva di essere fortunato ad avere ancora tutti i suoi ricci in testa, sbiaditi, ma pur sempre in testa.
Ed era per questo che non perdeva mai il sorriso in viso, che guardava il mondo con occhi curiosi, che rideva anche per le cose più stupide, che cercava di rallegrare sua sorella e sua madre quando lo venivano a trovare trattenendo le lacrime: lui era fortunato, e non avrebbe mai potuto sprecare una fortuna così grande.
Harry però non era perfetto, invincibile.
Aveva anche lui dei omenti di debolezza, tristezza, che gli permetteva di vedere le cose dal lato negativo.
Perché lui e non quel bastardo che aveva intravisto in televisione uccidere mogli e figli?
Perché lui, così giovane?
Le teneva per sé quelle domande scomode, che gli lasciavano sempre l’amaro in bocca e una fitta al petto.
Un giorno, durante una visita di Gemma, sua sorella, Harry si era soffermato a guardarla, ad analizzare ogni suo particolare.
Era veramente bella per lui, la più bella ragazza che avesse mai visto, coi capelli lunghi e scuri, uno sguardo sicuro e spavaldo, un accenno di lentiggini sulle guance e un sorriso capace di illuminare la stanza, anche nelle giornate di temporale quando saltava la luce nella sua stanza.
Lei aveva ricambiato lo sguardo, curiosa, sedendosi sul lettino troppo duro e troppo scomodo accanto a lui, e glielo aveva chiesto.
‘’Tutto bene fratellino?” la sua voce aveva un tono dolce, che aveva riscaldato Harry fino la punta dei piedi.
Lui aveva perso lo sguardo nel vuoto, rimanendo in silenzio per un attimo, incerto.
“Com’è vivere davvero, Gemma?” lo aveva sussurrato, ma sua sorella lo aveva sentito, e bene.
Aveva sgranato gli occhi, mordendosi il labbro fino a farsi male come del resto Harry aveva imparato che faceva per evitare di scoppiare a piangere, e si era sentito uno stupido, in colpa quasi, affrettandosi ad abbracciare il busto morbido di sua sorella, ad occhi chiusi, cullandola.
“Va tutto bene” aveva cominciato lei, passandosi una mano in viso e tirando su col naso.
“E’ uno schifo comunque, o almeno per me, senza te che scorrazzi per casa” aveva poi concluso, non riuscendo a trattenere le lacrime.
Da allora Harry si era sempre trattenuto a fare domande del genere, l’ultima cosa che voleva era vedere piangere le persone che aveva più care al mondo.
Si era quindi limitato a fantasticare la notte, sulla vita al di là di quelle mura, sul mare, non riuscendo mai a dormire per i continui, troppi rumori di quell’edificio ormai fin troppo familiare.
E lo aveva accetta, dentro di sé, ci aveva fatto l’abitudine.
 
 
 
 

 
 
Louis Tomlinson si conteneva a fatica nel suo maglione primaverile di qualche taglia in più, troppo agitato, troppo sudato, troppo frenetico.
Quella sera non aveva chiuso occhio, pensando ai modi migliori per fare colpo sul suo futuro capo, o per avere un aspetto impeccabile per tutta la giornata.
E a pensarci bene, ora l’aspetto impeccabile non lo avrebbe avuto neanche per i primi cinque minuti del suo primo turno di lavoro all’HC Hospital.
Scrollò il capo per l’ennesima volta, imprecando contro sé stesso, contro quei jeans che non salivano, contro l’orario fin troppo avanti.
- ‘’Lottie! Dì alla mamma se mi può accompagnare, ho ancora la macchina dal meccanico!” gridò con una voce troppo acuta dietro la porta di camera sua, non smettendo di lottare coi suoi jeans che si erano ristretti nel giro di una sera.
La porta che aveva di fronte si spalancò con poca delicatezza, sbattendo contro il suo viso e facendolo ruzzolare a terra.
Louis, a pancia in su, chiuse gli occhi per un secondo, contando fino a dieci con più calma possibile.
- “Lottie è andata a scuola Lou…. Ma non dovresti essere pronto per andare a lavoro? Steso a terra non puoi fare molto…” osservò Felicite, col musino sporto all’interno della camera di Louis.
Il ragazzo sbuffò, aveva l’imbarazzo della scelta: arrabbiarsi per i pantaloni appena comprati ora strappati, il ritardo che avrebbe sicuramente fatto, o accanirsi contro la sorella?
Non era mai stato bravo a scegliere e, con molta equità, fece tutte le cose.
Contemporaneamente.
 
 
 

 
 
- “Boo, tesoro, andrà tutto bene” lo salutò Johannah, la madre, prima di stampargli un lungo bacio sui capelli, con rimproveri e proteste da parte del figlio.
- “Mamma, devo andare a lavoro, e non chiamarmi Boo, non ho più sei anni” rispose inacidito Louis, scrollandosi di dosso le carezze della madre e spalancando la porta dell’automobile, sbattendosela alle spalle con poca grazia.
Da dentro il mezzo sua madre rideva divertita; il moro sbuffò.
Per quella donna tutto era un continuo divertimento e gioia.
Si sistemò con una spallata lo zaino sulle spalle, e, dando una veloce occhiata al suo orologio da polso, sbiancò, quindi, imprecando ad alta voce ripetutamente, attirando su di sé risate contenute dei presenti, corse a perdifiato verso l’ospedale.
 
 



- “ Salve sto cerc…”
- “ Scusi il disturbo lei conosce….”
- “Per favore mi può….”
Louis Tomlinson sbuffò per l’ennesima volta quella mattina, sempre più disperato.
Era entrato in ospedale, perdendosi tra i vari piani e corridoi dell’edificio e, facendosi strada tra carrelli, pazienti in tuta, e infermieri che lo scrutavano dalla testa ai piedi, aveva raggiunto il primo piano, dove avrebbe dovuto ricevere il suo dirigente per il chiarimento sulle procedure da seguire durante i turni.
Ora però, cercando inutilmente di attirare l’attenzione di infermiere che sfrecciavano accanto a lui, non sapeva più come fare per trovare il suo capo.
Quasi gli veniva da piangere.
Si grattò la testa e, sconsolato, pensò che probabilmente il suo dirigente non si sarebbe presentato in zona, scoraggiato dal suo imperdonabile ritardo, e che presto sarebbe stato licenziato.
Si avviò a passo lento per i corridoi, non smettendo di fissare il foglietto con su nome e ora di appuntamento che aveva con un certo signor James alle ore 10,02.
Lo accartocciò e se lo infilò in tasca bruscamente, quindi appoggiò la schiena contro il muro in cartongesso che aveva alle spalle, socchiudendo gli occhi.
Aveva sempre desiderato quel lavoro, aveva studiato medicina per tutta la sua vita, e quando per pura fortuna era riuscito ad avere un colloquio di lavoro, all’ospedale centrale di Holmes Chapel per giunta, si era lasciato sfuggire l’occasione, come uno stupido.
- “Fottuto signor James” sputò acido, incrociando le braccia al petto e tenendo lo sguardo basso.
- ‘’Credo tu intenda il caporeparto Jhon, dico bene?” una voce roca, leggera, piacevole, alle sue spalle, lo fece voltare di scatto.
Accanto a lui, all’ingresso di una stanza per il ricovero dei pazienti, un ragazzo giovane, dai capelli ricci sbarazzini e un sorriso sincero lo stava fissando con una sfumatura di divertimento.
Era poggiato allo stipite della porta con un braccio, indossava una tuta comoda.
Non aveva indumenti da medico o assistente, doveva per forza essere un paziente.
Louis corrugò la fronte e, ragionando un attimo sulle parole dell’altro, sbuffò, sentendosi un idiota per aver segnato male anche il nome del suo caporeparto.
- ‘’Si, credo. Sai dove posso trovarlo?” chiese con una punta di speranza Louis, approfittando dell’occasione.
Il ragazzo annuì semplicemente, indicando con il capo la stanza che aveva di fronte.
Aveva una porta in legno chiaro, sopra le scritte, a caratteri eleganti ‘ufficio del caporeparto’ e lì, Louis Tomlinson, sentì di voler sprofondare nel terreno per la sua stupidità.
Scosse quindi la testa e, accennando uno dei suoi sorrisi migliori, arrossendo lievemente, ringraziò il ragazzo riccio, che non aveva smesso di osservarlo con tono di scherno.
- “Grazie, mi hai salvato” riuscì a pronunciare Louis, alzando lo sguardo dalla porta che aveva iniziato ad ammirare per poi scoprire che il ragazzo era scomparso.
Si strinse nelle spalle sperando che, ottenendo il lavoro, lo avrebbe rivisto. 


 

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Capitolo 2
*** Chapter 2 ***



 










“Charter 2”
 
 



 
Pioveva, la mattina in cui Harry e Louis si incontrarono per la seconda volta in due giorni.
Louis, piuttosto eccitato all’idea del suo secondo giorno di lavoro, vagava per il reparto malattie terminali e congenite, inciampando più volte in quelle scarpe ortopediche così scomode ma che avevano costretto far indossare.
Indossava anche la divisa da infermiere, motivo per lui di profondo orgoglio.
Aveva studiato per diventare medico a tutti gli effetti, ma anzitutto doveva ambientarsi tra pazienti e sale operatorie, per cui, il signor Jhon, gli aveva affidato quel ruolo temporaneo, affiancandolo al turno di una certa Elisabeth, che non aveva la fama di essere molto simpatica e socievole.
Elisabeth in quel momento non si stava facendo trovare, e Louis, tra quelle scarpe, la pioggia che batteva incessantemente contro i vetri dei corridoi, il chiacchiericcio generale, stava perdendo la pazienza.
Girovagare per i corridoi senza meta non aveva senso per lui, così decise di tornare nella zona accanto l’ufficio del suo caporeparto, chissà che non vedesse ricci familiari spuntare da una porta accanto.
Dopo aver evitato lo scontro con un infermiere e un paziente anziano, in pigiama, che camminava a fatica usando come appoggio un carrellino, si ritrovò esattamente nello stesso punto del giorno precedente.
Stesso corridoio, stessa macchia marroncina nella parte sinistra del pavimento, stessa porta in legno chiaro.
L’unica differenza era una delle stanze per i pazienti; aveva la porta spalancata, che dava su una stanza bianco cadaverico e un lettino dalle coperte sfatte.
Louis odiava curiosare, ma questa volta il suo istinto ebbe la meglio, e vi si affacciò all’interno, timidamente, usando come scusa la ricerca dell’infermiera Elisabeth.
La voce gli si strozzò in gola quando notò il ragazzo del giorno prima, stessa tuta, stessi capelli arruffati.
Era in piedi, di fronte la finestra chiusa, le mani aperte poggiate sul vetro.
Si divertiva a lasciare sbuffi caldi sulla superficie trasparente, disegnando poi con un dito pasticci di vario genere.
Louis trattenne una risata e, guardandosi prima attorno, mise un piede nella stanza.
L’ambiente era troppo triste per l’ospite che conteneva: un lettino, un tavolo ricco di scartoffie e cartoline, un bagno microscopico.
- “Ciao nuovo infermiere” lo apostrofò il riccio, senza voltarsi, con un tono di scherno.
Louis trattenne il fiato, rimanendo impalato al centro della stanza.
- “C-ciao, stavo cercando l’infermiera Elisabeth, sai dove posso trovarla?” chiese timidamente il moro.
Qui Harry scoppiò a ridere, e si voltò verso l’altro.
Louis si trattenne dal portarsi una mano al petto, il suo cuore era indeciso se scoppiare per il suono cristallino della sua risata o se per quei pozzi verdi che gli erano comparsi davanti.
Si sentiva strano, non si era mai comportato così goffamente con qualcuno.
Lui era quello socievole, dalla battuta sempre pronta e la testa sulle spalle, non il ragazzo che fruga nelle stanze degli altri, usando scuse banali, per rivedere qualcuno, maschio per giunta.
Il riccio scosse la testa di fronte l’espressione perplessa e sgomenta dell’altro, quindi si avvicinò al suo lettino, buttandovisi sopra in malo modo.
- “Dimmi, hai scambiato la mia stanza per un ufficio smistamento? Non conosco Elisabeth, sarà stata assunta da poco.” Iniziò tranquillo, portandosi le mani dietro la testa e non distogliendo lo sguardo da Louis.
- “Se non rimani imbambolato ancora per molto possiamo intavolare una conversazione”
Di nuovo quel tono di scherno.
Louis si strinse nelle spalle, sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi e fissando intensamente il giovane.
- “Si hai ragione scusami, sono nuovo e non riesco ancora ad ambientarmi, sono Louis comunque, Tomlinson” provò l’altro, cercando di calmarsi.
Harry fece una smorfia divertita.
- “Bene Louis comunque Tomlinson, non hai del lavoro da sbrigare? Credo abbiano appena gridato il tuo nome dalla segreteria. “ continuò con tono serio ma espressione divertita Harry.
Louis si sentì per l’ennesima volta un idiota.
Chiuse gli occhi per un attimo, si morse il labbro, indugiò, poi, alzando goffamente una mano come cenno di saluto, uscì di corsa dalla stanza diretto alla segreteria.
In testa ancora la risata di quel ragazzo sconosciuto.
 
 
 

 
 
- “Allora Boo, come è andato il tuo secondo giorno di lavoro?” la domanda allegra di Johannah si disperse tra i pianti delle gemelle nell’altra stanza, l’urlo confuso di Felicite e Lottie che litigavano a tavola e le imprecazioni trattenute di Mark, il padre di Louis, mentre parlava al telefono in cucina di lavoro.
Louis strinse gli occhi e si sporse verso la madre, seduta di fronte a lui, per cercare di leggerne almeno il labiale.
Roteò gli occhi al cielo.
- “Ma’, non mi chiamare più Boo, ti prego” protestò lui con tono lamentoso, facendo sogghignare la madre, intenta a tagliarsi del cibo nel piatto.
Louis iniziò a giocherellare con la forchetta: si sentiva lo stomaco chiuso, forse per l’aver passato tutta la giornata tra malati.
- “Comunque bene dai. Scusa ma non ho più fame e sono stanco morto, vado a dormire” così dicendo, Louis trascinò la sedia, alzandosi in piedi e dando un veloce bacio sulla fronte alla madre, che aveva un’espressione intristita per il cambio d’umore del figlio.
- “Notte tesoro” biascicò lei, tornando a mangiare.
Louis si voltò un attimo verso il tavolo, dando un veloce cenno di saluto alle sue sorelle, che non lo guardarono minimamente, troppo prese a litigare su qualcosa di stupido.
Si stava già pregustando l’idea di stendersi sul suo letto, poggiare la guancia sul suo morbido cuscino, spogliarsi, quando la voce possente del padre gli giunse alle orecchie. Facendolo irrigidire sul posto.
Le due sorelle maggiori continuarono i loro battibecchi, come la madre continuò a mangiare, ma quando Mark corse dal figlio stringendo tra le mani il suo cercapersone, che vibrava insistentemente, la casa divenne incredibilmente silenziosa, anche le gemelle smisero di piangere, finalmente addormentate.
- “Louis ascoltami quando ti chiamo, è da ore che lo faccio, tieni rispondi”
Louis rimase a fissare il padre incerto, poi, riscosso dai suoi pensieri, tornò alla realtà recuperando il cercapersone e leggendone il messaggio.
Dire che sbiancò all’istante è dire poco.
Sentì le gambe cedere, il mondo girargli vorticosamente attorno, tanto che dovette portarsi una mano alla fronte.
- “Cosa dice Lou?” la voce squillante di Felicite.
- “ Già, cosa dice?” continuò la madre, con tono sorpreso.
Louis guardò entrambe, poi il padre, poi di nuovo l’aggeggio che stringeva tra le mani.
- “Un paziente ha bisogno di soccorso, dicono che ha chiesto esplicamene di me, a quanto pare devo correre” deglutì quindi a fatica, avviandosi in fretta all’attaccapanni in soggiorno e infilandosi la giacca, quindi prese telefono e chiavi di casa di scorta, salutò tutti con un grido e uscì di casa, sbattendosi la porta alle spalle.
Doveva essere per forza lui.
Lui era l’unico a sapere il suo nome.
Il respiro gli si smorzò in petto, mentre accelerò il passo verso l’ospedale. 





 

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Capitolo 3
*** Chapter 3 ***













“Charter 3”
 


 


Louis Tomlinson camminava lentamente per il piano terra dell’HC Hospital da diversi minuti ormai, sorseggiando a tratti del caffè da un bicchiere di carta della macchinetta lì accanto e riflettendo sugli ultimi avvenimenti passati.
L’edificio ora era semideserto, solo pochi infermieri e dottori camminavano a passo svelto tra quelle mura, la loro professionalità in contrasto con le vistose occhiaie che portavano sotto gli occhi.
Eppure loro passavano ogni giorno situazioni come quella che Louis aveva passato poco prima, forse anche più gravi e pericolose. Erano medici, erano lì per aiutare povera gente a ritrovare la speranza, non a farsi scombussolare dall’interno da sentimenti di pietà.
Ed era questo che tormentava Louis, i sentimenti che aveva provato poco prima, in quella stanza al primo piano.
Accorrere lì al più presto seguendo il richiamo del cercapersone, per ritrovarsi il ragazzo riccio della precedente mattinata in crisi respiratoria.
Se le ricorda le sue mani tremanti, mentre cercava di somministrare qualcosa al ragazzo che avrebbe potuto farlo star meglio, o il suo stesso grido disperato mentre chiamava Elisabeht, sempre nei paraggi, quando si era accorto che effettivamente non riusciva a proseguire il suo soccorso.
Era stato debole e soprattutto stupido.
Il giorno seguente il dottor Jhon lo avrebbe sicuramente mandato a chiamare, per licenziarlo o a mandarlo direttamente a pulire i bagni.
E chi poteva biasimarlo?
Louis si era fatto troppo insicuro e sentimentale in quella stanza, colto alla sprovvista da quello che aveva davanti: non riusciva a metabolizzare l’idea che il ragazzo così dolce di poco prima stesse così male.
Buttò il bicchiere ormai vuoto in un cestino lì accanto, massaggiandosi le tempie nervosamente e ad occhi chiusi.
Lanciò uno sguardo sull’orologio digitale a parete, che segnava silenziosamente le tre e mezzo di mattino.
A Louis venne istintivamente da sbadigliare.
Elisabeht glielo aveva detto con comprensione di ritornare a casa, dalla sua famiglia, che ci avrebbe pensato lei a Harry, così si chiamava il giovane, per le prossime ore, ma Louis non se l’era sentita.
Lo sguardo di pietà misto compassione dell’infermiera che condivideva con lui il suo turno lo aveva notevolmente scosso, facendolo sentire inadatto, quasi ferito nell’orgoglio.
Aveva quindi annuito in modo impercettibile, comunicandole che scendeva solo a farsi un caffè.
Prima di uscire dalla stanza, aveva guardato un ultima volta Harry, sollevato nel vederlo steso ad occhi chiusi a riposare, attaccato ad una flebo.
Non sei stato tu a farlo star meglio, da solo probabilmente lo avresti ucciso.
Questa era l’unica frase che aveva impressa nella mente.
Quella che lo faceva tremare di fronte alla sua incompetenza, il suo dolore.
Strinse i pugni nelle tasche della divisa da infermiere che indossava: da allora sarebbe stato preparato.
Sempre se Jhon gli avrebbe lasciato il lavoro.
Deglutì a fatica per poi salire le scale di fretta.
 
 
 
 

 
 
- “Louis? Sei tu?” chiese Harry con voce bassa e roca, sforzandosi di mettersi a sedere per vedere chi avesse davanti.
La figura dell’infermiere moro dagli occhi di ghiaccio lo sovrastava da sopra il lettino.
Aveva un’espressione dispiaciuta in volto, che fece stringere lo stomaco al riccio.
Aveva avuto una crisi respiratoria poche ore prima, e aveva mandato a chiamare proprio Louis Tomlinson, malgrado quell’odiosa infermiera Elisabeht gli avesse ribadito che era stato appena assunto e che probabilmente sarebbe stato troppo scosso dalla situazione per essere davvero d’aiuto.
E ora, mentre quel ragazzo stava lì, davanti a lui, divorato dai sensi di colpa, Harry si sentiva in colpa per averlo coinvolto in una cosa del genere.
Ma questo era il mondo in cui viveva, fatto di aghi, carrelli e tute extralarge.
E voleva che Louis, da infermiere o non, ne facesse parte.
- “Si, sono io. Perché” iniziò il moro, chiudendo per un attimo gli occhi e irrigidendosi – “perché mi hai mandato a chiamare?”
Harry scosse la testa, ritrovando il sorriso di fronte a quel ragazzo così impacciato.
- “Ti renderebbe felice saperlo?” chiese dopo poco il riccio, voltando lo sguardo verso la finestra aperta, che lasciava entrare leggeri fasci di luce.
Louis si morse il labbro.
- “Sai, io è da molto che voglio essere felice Louis, felice davvero. E credo che tu mi possa aiutare” concluse Harry, tornando a posare lo sguardo sull’altro.
Louis corrugò la fronte, poi, la stanchezza accumulata nelle ore in quell’edificio, lo stress del turno appena passato, gli fecero sentire un bruciore nel petto, il fiato che diventava pian piano irregolare e una voglia di piangere lì, in quella stanza, immensa.
Harry lo notò, ma fece finta di nulla.
Odiava vedere la gente piangere, odiava vedere gli occhi rossi, umidi, della gente che lo circondava.
Far piangere gli occhi di Louis, poi, sarebbe stato un crimine.
Così azzurri, così fottutamente vivi e allegri.
Harry non si poteva permettere una vista del genere, quindi pronunciò le prime parole di conforto che gli passarono per la testa.
- “Comunque grazie” le parole uscirono sicure e leggere, e avvolsero Louis in un abbraccio caldo, invisibile.
Il moro si irrigidì, arrossendo leggermente e muovendosi di poco sul posto.
- “Per cosa?” rispose con odio verso se stesso, realizzando che effettivamente non aveva fatto nulla.
E Harry Styles sorrise ancora, mostrando quelle fossette accessibili a pochi, illuminando lo sguardo e stringendo le dita contro il lenzuolo che lo copriva.
- “Per essere qui.”
 
 
 

 
 
 
Passò una settimana dalla tragica sera di quel tredici maggio.
Louis Tomlinson non aveva ricevuto come si aspettava richiami o sanzioni, solo più sguardi apprensivi da parte dei suoi colleghi e sorrisi che sentiva di non meritare davvero.
Da allora Louis aveva iniziato a frequentare per la prima volta una biblioteca, leggendo qualsiasi cosa che potesse aiutarlo a gestire i sentimenti nel piano lavorativo.
I turni estenuanti che svolgeva all’interno dell’HC Hospital si facevano via via più intensi, permettendo a Louis di dimostrare le sue qualità da infermiere e mettere in pratica tutti quegli anni passati dietro a tomi di medicina.
Tornava tardi la sera, la sua famiglia dormiva sempre e l’ambiente era buio e silenzioso, ma Johannah gli faceva sempre trovare qualcosa da scaldare sul tavolo in cucina, scatenando in Louis sempre il roteare gli occhi verso l’alto per le eccessive cure della madre e un leggero sorriso in volto.
Iniziava a prendere confidenza con l’ambiente che lo circondava, con il nuovo ritmo che aveva preso la sua vita, e stava iniziando finalmente ad essere sé stesso, coi suoi sorrisi, le sue battutine, la sua apparente tranquillità e passività verso ogni preoccupazione.
L’unica cosa che ormai minacciava la sua armonia lavorativa o il suo equilibrio interiore, era quella maledetta stanza al primo piano, o almeno, l’ospite che conteneva.
Di tanto in tanto vedeva passeggiare per le scale dell’ospedale due donne, dagli stessi pozzi verdi e la vitalità del riccio, e che quindi dovevano essere parenti di quest’ultimo.
Si sentiva a disagio nel vederle, fantasticando sul come e sul quando Harry dovesse essere stato ricoverato per la prima volta all’HC Hospital.
Perché tutto in lui era sbagliato, tutto nella sua storia non quadrava, quasi come un pezzo di puzzle incastrato a forza in un altro pezzo non compatibile.
Harry Styles era fottutamente giovane.
Aveva un allegria e un sorriso simbolo di quell’età che stava attraversando, non era giusto che passasse ore ed ore in quell’edificio, o almeno, non per Louis.
Non ne aveva mai letto la cartella clinica, anche se ne aveva la possibilità, ma gli sembrava quasi tradirlo ecco.
Doveva essere lo stesso Harry a dirgli che cosa lo affliggeva tanto da farlo stare ricoverato ventiquattro ore su ventiquattro.
E da quella notte, da quell parole così intime che aveva pronunciato nei suoi confronti il riccio, Louis era imbarazzato e agitato anche solo nel passare nel corridoio del reparto delle malattie terminali e congenite.
Mandava quasi sempre Elisabeht al posto suo in quella stanza, senza stare a spiegare il perché di quell’improvviso tremore alla mano o il suo sudare freddo al solo pronunciare il nome Harry Styles.
Ma Louis, lo aveva sempre saputo, aveva la sfortuna che camminava con lui a braccetto e che, quella mattina del venti maggio, alle ore quattordici in punto di pomeriggio, aveva fatto chiamare Elisabeth a lavoro avvisando che non avrebbe fatto il suo turno per un febbrone da cavallo improvviso.
E Louis aveva annuito mordendo il labbro a quella notizia, perché, diciamocelo, a chi viene un febbrone da cavallo a maggio inoltrato?
Così Jhon quel giorno gli aveva affidato la custodia del paziente Styles, sui diciotto anni, nella stanza ventuno al primo piano, conoscendo i problemi che aveva affondato Louis tempo prima con quel ragazzo.
- “Andrà tutto bene, sei migliorato” gli aveva detto l’uomo, poggiandogli una mano sulla spalla per poi uscire dal suo ufficio e dirigersi verso altre faccende, cosicché Louis non aveva potuto fare altro che annuire debolmente, inghiottendo la saliva a fatica e sentendo la terra mancargli sotto i piedi.
Così, esattamente alle diciassette e venti minuti, il moro si era presentato davanti la stanza ventuno, portando con sé cartella clinica e cercapersone.
La porta era chiusa, così Louis aveva dovuto spingere la fredda maniglia in ferro ed entrare lentamente.
L’ambiente era esattamente come se lo ricordava, forse erano solo aumentate le cartoline sulla scrivania del riccio, che in quello stesso istante doveva essere in bagno.
Louis arrossì leggermente, quindi si sedette sulla sedia accanto la finestra, molto scomoda e altrettanto fredda, aspettando l’entrata in scena del giovane.
Inspirò a fatica, chiedendosi se dovesse avvisarlo della sua presenza.
- “Chi è” una voce roca dalla porta chiusa del bagno fece trasalire Louis che, inumidendosi le labbra, provò a controllare il suo tono di voce.
- “L-Louis Tomlinson!” si diede quindi dell’idiota mentalmente per aver balbettato, per il suo continuo esporsi troppo a quel ragazzo dagli occhi verdi, per quel maledetto turno in quella maledetta stanza.
In meno di pochi secondi, la porta del bagno si aprì con un gesto secco, facendo uscire il riccio in pantaloni da tuta abnorme uno dei suoi sorrisi sinceri in volto.
- “Salve Louis, come sta?” chiese con tono di scherno Harry, che si avviò quindi verso il suo lettino non smettendo di asciugarsi i ricci con un asciugamano bianco in mano.
Louis pensò ai vari aggettivi per descrivere come esattamente stesse, ma, non trovandone di appropriati, si limitò ad annuire e a pronunciare un ‘’Bene” incerto.
Harry, trattenendosi dal ridere, spostò lo sguardo per la stanza, per poi posarlo sull’altro, ancora seduto, immobile, sulla sedia sotto la finestra e con in mano cartella clinica e cercapersone.
Tossendo per schiarirsi la voce e distrarsi dallo scoppiare a ridere, incrociò le gambe sul lettino.
- “Allora, uhm, a cosa devo la tua presenza Louis?” l ‘altro corrugò la fronte di fronte al continuo cambiamento di modo di porsi del riccio, quindi, metabolizzando il perché fosse lì, in quella stanza, rispose.
- “Elisabeth è a casa con la febbre, così hanno mandato me a controllarti per il resto della giornata”
Harry annuì felice.
- “Menomale, odio quella donna”
Louis rise leggermente, muovendosi sulla sedia.
- “Si, non è il massimo della simpatia, comunque veniamo a noi: di solito fai qualche controllo a quest’ora?”
Harry rimase colpito dall’improvviso tono professionale dell’altro, abbassando quindi lo sguardo e ragionando.
- “No uhm, di solito faccio un veloce esame del sangue prima che Elisabeht stacchi, quindi verso le nove”
Louis strabuzzò gli occhi.
Devo resistere fino alle nove.
- “Ah o-ok. Beh allora se vuoi riposare sto fuori dalla stanz…” iniziò speranzoso l’infermiere, facendo già per alzarsi dalla sedia.
- “Perché sei diventato medico Louis?” chiese interessato Harry, nascondendo un sorriso per aver evitato la fuga dell’altro.
Louis sospirò accomodandosi meglio sulla sedia e poggiando sulla scrivania cartella clinica e cercapersone.
- “Perché voglio aiutare la gente, credo” rispose con tono vago, lo sguardo perso davanti a sé nel ricordare, le mani congiunte in grembo.
Harry sorrise ancora a quella risposta, accasciandosi quindi contro il cuscino del suo lettino e piegando le gambe.
- “Lo sospettavo, sei un bravo ragazzo”
Louis allargò le sopracciglia, per poi annuire incerto.
- “Spero di esserlo, anche se a volte sono tutt’altro…” iniziò quasi con un sussurro, sorpreso delle sue stesse parole.
Stavolta fu Harry a sbuffare.
- “Se ti riferisci a quando ti ho chiamato nel cuore della notte e non mi hai saputo aiutare, stai tranquillo, rimani lo stesso un bravo ragazzo” il suo tono fu quasi duro.
Louis rimase interdetto ad osservarlo, quindi si passò una mano nervosamente tra i capelli.
- “Speravo che mi venissi a trovare di tua spontanea volontà un giorno di questi, ma a quanto pare sei anche molto orgoglioso, Louis Tomlinson
Il moro rimase spiazzato da quell’affermazione.
Voleva che lo andasse a trovare.
Non era imbarazzato come lui, forse cercava solo compagnia.
Sospirò, quindi rispose.
- “Harry… come mai sei ricoverato qui?”
Il riccio rimase in silenzio, pensieroso, poi, dal nulla, quasi come un pioggia estiva, iniziò a raccontare della sua malattia grave e mortale, del fatto che fosse lì da quando era piccolo, della sua vita vuota e monotona, e Louis ne rimase incantato, e la pioggia estiva continuava a scrosciare su di lui, inesorabile, lenta, infinita, quasi come la malattia e il dolore di Harry.
Finirono di parlare alle ore enti e zero otto in punto, lasciando come segno della loro chiacchierata una gola secca al riccio e un dolore al centro del petto al moro.
Ora si guardavano silenziosi, in attesa di qualcosa.
Harry si era aperto come mai prima, e ora, sentendosi svuotato di un peso, le lacrime gli solcavano il volto, rendendolo agli occhi di Louis ancora più bello.
Il moro sentiva il dolore che stava provando il riccio, aveva finalmente risposto alle domande e alle storie che si immaginava il moro su di lui, sulla sua figura, sulla sua possibile malattia, ma non ne era soddisfatto, solo terribilmente deluso.
Voleva aiutarlo, quel ragazzo non stava vivendo com’era giusto che facesse, voleva rivedere quel sorriso di quella notte, quando si erano parlati veramente.
Voleva rivedere le sue fossette, i suoi occhi vispi, il suo tono di scherno.
Nulla Louis aveva mai desiderato più di quella cosa, e ne rimase quasi spaventato, folgorato dall’intensità di quel sentimento.
Si alzò all’improvviso da quella scomoda sedia che aveva occupato per tutto il tempo e, con le mani strette a pugno, si avviò verso la porta, voltandosi verso Harry, seduto sul lettino che lo guardava preoccupato.
- “Tu meriti di vivere Harry, di vedere il mare, come quello nelle tue cartoline, e io ti aiuterò a farlo” disse deciso, accennando alle cartoline sulla scrivania del riccio e uscendo dalla stanza.
Harry rimase spiazzato da quella frase.
Corrugò la fronte, imprecò per essere scoppiato in lacrime davanti a Louis e, voltando lo sguardo verso le sue cartoline che aveva menzionato Louis, scoppiò a ridere.
Il ragazzo aveva dimenticato sia la sua cartella clinica che il cercapersone.
Si portò le mani al viso, non smettendo di sorridere.
Ho scelto la persona giusta a cui rivolgermi, quel ragazzo è bellissimo. 







Eccomi qua con un nuovo aggiornamento! Davvero, lodatemi perchè sto pubblicando a tempo record :)
Ho scritto questa sottospecie di pergamena, e quindi ho una domanda da porvi, donzelle:
Vi annoia se d'ora in avanti i capitoli sono lunghi così, o preferite che spezzi la cosa in due?
L'ultima cosa che voglio è farvi annoiare, davvero cwc
Btw, chiedo anche scusa per gli errori di grammatica, il correttore che uso non funge T.T
Eeeee quindi detto tutto ciò, che ne pensate?
A me stastoria ispira molto, e, credetemi se vi dico che vale la pena leggerla, più avanti succede una bella cosa dolce dolce.
E poi, volevo ringraziarvi infinitamente, c'è ma dico due recensioni a capitolo? In soli due/tre giorni? siete fantastiche.
Mi sono messa a ballare sulal sedia quando ho visto ahahaha
Beh, spero di non deludervi col prossimo, ovviamente mi aspetto pareri, anche 'che schifo mi aspettavo di meglio' lo accetto, con una lieve depressione ma lo accetto ahahah
Spero di aggiornare al più presto, scuola permettendo.
Un bacione,
Lou_ 

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Capitolo 4
*** Chapter 4 ***


 

 










“Charter 4”
 
 


 
‘Le persone non si aspettano, i treni si aspettano.
Alle persone si va incontro.’

 
 



 
Harry Styles sonnecchiava sul suo lettino, nella solita e triste camera del solito e triste ospedale di Holmes Chapel.
La finestra, lasciata aperta, lasciava penetrare nella stanza piccoli raggi luminosi di un sole piuttosto pallido, che illuminavano il volto di Harry, risaltandone i contorni morbidi.
La sua famiglia, sua madre Anne e Gemma, quel giorno non sarebbero venute per via di un imprevisto con l’avvocato.
Il padre naturale di Harry infatti, aveva smesso di mandare soldi per le sue cure, troppo costose e inutili, così le aveva definite.
E Anne era subito intervenuta per via legali, e Gemma si sfogava non smettendo di piangere, e Harry stava male.
Sua madre continuava a definirlo un ‘bastardo senza cuore’ ma Harry lo aveva capito, aveva capito la reale natura di quel gesto.
Da quanto si trovava in quell’ospedale? Quanti anni dietro a punture o cure ‘miracolose’? Quanti giorni si era svegliato lì dentro, senza assaporare l’odore di pancake appena preparati che faceva sempre Anne?
O quanti pomeriggi aveva passato tra un corridoio e l’altro, tra una sala operatoria e l’altra, senza magari andare a consolare Gemma con un abbraccio e andare a pestare a dovere quello stronzo che l’aveva fatta soffrire?
Da quanto non usciva con amici?
Troppi, troppi era la risposta ad ogni domanda.
E suo padre chissà quanto ci aveva riflettuto su questo, prima di decidere di non pagare più le sue cure.
Tutti lì stavano combattendo una battaglia già persa in precedenza e i più deboli o sopraffatti, stavano lentamente cadendo.
Uno a uno.
E prima o poi tra quelli ci sarebbe stato anche Harry.
Per questo adesso sonnecchiava nel suo letto, solo, soffocando i ricordi delle parole di sua madre, o l’immagine di suo padre.
Per questo adesso aveva un disperato bisogno di Louis.
Voleva sorridere un po’.
Non troppo, giusto un poco.
 
 
 


 
Louis Tomlinson non aveva smesso di pensare alle parole di Harry riguardo la sua malattia, o alle sue lacrime mentre parlava, o ai suoi occhi disperati.
Ci pensava giorno e notte, quando aveva un momento libero dal lavoro, quando era a casa dalla sua famiglia.
Glielo aveva promesso che lo avrebbe aiutato, preso dalla forza di non volerlo più vedere soffrire, solo che, appena uscito dalla stanza del riccio, era ritornato velocemente alla realtà, con un brusco salto nel vuoto, realizzando quanto in realtà le sue parole fossero state stupide e illusorie.
E si sentiva in colpa anche di questo.
Harry aveva bisogno di tutto, tranne che di illusioni.
Ma era anche vero che Louis non si era mai tirato indietro di fronte a nulla.
Troppo orgoglioso, troppo testardo.
Ed era questo che lo spinse, quella mattina sul tardi, verso le dieci, a dirigersi a lavoro con la sua macchina finalmente riparata, nel bagagliaio uno zaino, dei soldi, dei vestiti di ricambio.
Aveva salutato tutti i membri della sua famiglia con un bacio, quasi partisse e li lasciasse per andare in guerra, tanto che sua madre, abituata alla mancanza di affetto del figlio, ne era rimasta sconvolta.
Lui si era stretto nelle spalle di fronte i loro sguardi interrogativi, quindi era partito sgommando con la sua auto verso l’ospedale, con un unico pensiero in testa: Harry.
Ed ora si trovava di fronte la stessa stanza di qualche giorno prima.
I medici che in quel momento svolgevano il loro turno lo guardavano con curiosità, ma nulla di più, e Louis aveva risposto loro con uno dei suoi migliori sorrisi, stringendosi sempre nelle spalle, quasi non sapesse realmente cosa stesse facendo e perché.
E in effetti, le uniche domande che ora gli occuparono la mente, mentre apriva la porta di quella stanza erano: ma che cazzo sto facendo?
Il vedere Harry Styles sonnecchiare, con la luce del sole che risaltava ancora di più la sua pelle candida e i suoi ricci scomposti, furono sufficienti a far fremere Louis all’ingresso della camera e a farlo sorridere.
Sei qui per aiutarlo, questo basta.
 
 


 
 
- “Harry…” un sussurro lontano, una voce familiare.
- “Ehi, sveglia…” sto sognando, Louis oggi non ha il turno qui…
- “va bene Harry, se non ti svegli al mio tre dovrò costringerti a farlo.” Si, sto decisamente sognando.
- “Uno…. Due….tre!” Ma che cazz…
Il riccio aprì di colpo gli occhi, sentendo il suo corpo scosso da fremiti spontanei e una voglia irrefrenabile di ridere.
- “L-Louis, p-piantala!” davanti al suo lettino la figura di Louis, in jeans e maglietta, che muoveva velocemente le dita sulla sua pancia, facendogli il solletico.
Dio, odio il solletico.
- “Riccio ti avevo avvisato, almeno ora sei sveglio!” commentò allegro l’altro, non smettendo di sorridere.
Veder ridere Harry era per lui una gioia.
- “S-si, sono sv-sveglio! Bas-basta ti prego”
Harry stava per piangere, non smettendo di scalciare e dimenarsi sotto il tocco di Louis, che smise di colpo, facendolo sospirare.
Il riccio chiuse un secondo gli occhi, sfinito, riaprendoli curioso verso il nuovo arrivato.
- “ ‘giorno Louis, è una nuova procedura medica fare il solletico ai pazienti?” commentò con il solito tono ironico, mettendosi a sedere e non distogliendo lo sguardo dall’altro.
Il liscio scosse la testa, divertito, incrociando le braccia al petto per poi dirigersi ad un armadio consumato all’angolo della stanza ed iniziando a svuotarlo.
Il ghigno di scherno di Harry si spense, per lasciare posto a una fronte corrucciata.
- “Ehm, cosa stai facendo se posso saperlo?” il riccio quindi scese dal suo lettino, sentendosi indolenzito, e avvicinandosi all’altro, che non smetteva di prendere medicinali e vestiti e li metteva in un borsone.
- “Ti ricordi la mia promessa, Harry? Io mantengo sempre le promesse” rispose Louis con tono deciso.
Harry assottigliò un attimo lo sguardo, sforzandosi di ricordare le promesse dell’altro, quindi sgranò gli occhi, rimanendo impalato in mezzo la stanza.
...ti farò vedere il mare Harry.
Il mare.
Tu ed io.
Il riccio si scosse dai suoi ricordi, per poi rendersi conto che Louis aveva già preparato il suo borsone e ora lo guardava curioso, in piedi, davanti a lui.
Harry si schiarì la gola, spostando lo sguardo per la stanza.
- “Q-quindi noi ora… andiamo al mare?” chiese incerto, portandosi le mani tra i capelli.
Louis annuì con foga, sollevando il borsone da terra e tirandone fuori dei jeans e una maglietta che Harry non aveva mai visto.
- “L-Louis ma sei sicuro che si possa fare? Voglio dire….” Harry ora era confuso, perplesso, spiazzato dalla semplicità con cui l’arrivo di Louis nella sua vita lo aveva letteralmente stravolto.
Iniziò a camminare per la stanza avanti e indietro, ragionando a voce alta e passandosi le mani ripetutamente tra i capelli, quindi si fermò all’improvviso, puntando i suoi occhi su Louis, sempre fermo e sorridente con il borsone in mano.
Quanto cazzo sei bello Louis.
Mi porti al mare Louis?
Io con te ci vengo, ci vengo anche camminando sulle mani…
- “Allora? Dobbiamo stare qui a girarci i pollici per molto?” chiese innocentemente l’altro.
Harry rise, incredulo, prendendo poi i vestiti che Louis gli stava porgendo e andando in bagno per cambiarsi.
- “Louis, rispondimi però, come facciamo con… insomma coi medici, l’ospedale eccetera?”
Un grido roco da dietro la porta del bagno, Louis sospirò.
Se solo lo sapessi, piccolo.
Ma sei così felice no?
Meriti di esserlo.
Chissà quanto tempo ancora la gente potrà vederti sorridere.
- “Non ne ho la più pallida idea. Allora ti sei cambiato o ti devo vestire io?” la voce decisa e canzonatoria morì in gola a Louis, nel vedersi aprire la porta del bagno di fronte e trovandosi davanti un ragazzo riccio dallo sguardo allegro, un paio di fossette attorno le labbra, i suoi vestiti di qualche anno prima calzargli a pennello.
Louis arrossì leggermente, allargando così ancora di più il sorriso di Harry.
- “Si, mi sono cambiato, ora cosa pensi di fare?”
 
 
 
 

 
 
Mi licenziano, questa è la volta buona che mi licenziano, mia madre sarà divorata dal dolore, mio padre andrà in rovina, le mie sorelle si vestiranno di stracci, sarò cacciato di casa…
- “Ehm, Louis? Se ti muovi usciamo da qui”
La voce calda e tranquilla di Harry lo risvegliò dai suoi pensieri e quindi, scuotendo la testa, dando un’ occhiata attorno, prese Harry per mano e corse all’esterno dell’edificio.
Qualche passante li guardava sorpreso, chi annoiato, chi li ignorava.
A Louis però non importava della gente, non gliene era mai importato, quindi si voltò verso Harry che, prendendo fiato, gli sorrideva felice.
- “Lo abbiamo davvero fatto?” chiese il riccio incredulo, passandosi per l’ennesima volta una mano tra i ricci e tirando la mano di Louis con l’altra verso il parcheggio dell’ospedale.
- “Harry, ehi, fermati un secondo” commentò ridendo l’altro, accelerando il passo per stargli dietro.
- “Non posso Louis, mi sento così vivo” 







Giorno c:
Tutto bene?
Io aggiorno oggi perchè sono ancora in vacanzaaa asgdhfj
Adoro Maggio :D
Ehhh nulla, vogliate scusarmi se mi è uscito più piccino, è che è uscito così ahahaha
D'ora in avanti aggiungo per ogni capitolo una citazione che mi piace e che centri anche il capitolo ahahah ovviamente
Eh beh, che ne pensate?
ve lo aspettavate?
Io si. Lol
No ma da adesso iniziano le cose dolci e belle vedrete.
Vi ringrazio del sostegno che state mostrando comunque, siete un botto che seguite la storia vi adorro c:
Un bacione e a presto (si spera)
Lou_ 

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Capitolo 5
*** Chapter 5 ***


 




 









“Chapter 5”
 
 


 
'E poi mi guardava in un modo, in qel modo in cui ti guardano quando non sanno cosa fare,
cosa dire, ma vogliono stare con te.' 
-Susanna Casciani






 
Le situazioni che ci troviamo ad affrontare, giorno dopo giorno, anno dopo anno, che siano belle, brutte, perenni o noiose, prima o poi un cambiamento ce l’hanno.
Può essere progressivo, lasciarti il tempo di ragionare e di vivere minuto per minuto quell’inaspettata occasione, oppure brusco, che ti stravolge nel profondo, lasciandoti basito e sorpreso ad osservare la tua vita mutare e prendere forma, senza magari tu lo voglia.
Harry Styles la sua vita non l’aveva mai davvero potuta definire sua, perché semplicemente non lo era.
Era malato, schiavo del suo male, costretto in un ospedale fino alla fine dei suoi giorni.
La sua vita si stava lentamente sgretolando, a partire dalla sua famiglia.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma la situazione che stava vivendo gli stava sfuggendo letteralmente di mano, troppi bruschi cambiamenti, troppe cose a cui pensare.
Lo stesso giorno in cui si era reso conto di ciò, si era ritrovato ad affrontare un altro brusco cambiamento, solo che questa volta si era fatto trovare entusiasta e pronto.
Le conseguenze di tutto ciò non lo sfiorarono minimamente quella tarda mattina, quando Louis aveva fatto irruzione nella sua stanza trascinandolo con sé lontano, da tutto e da tutti.
Perché lui lo voleva davvero,perché sapeva in fondo di meritarselo, perché Louis aveva un sorriso che ti scaldava il cuore.
Fu soprattutto quel sorriso sincero a convincerlo e a infondergli una inaspettata forza, sorriso che tutt’ora Harry stava osservano dal sedile del passeggero della macchina di Louis, e che non si vergognava minimamente di ammirare e di ricambiare con un altrettanto sorriso sincero.
Era più forte di lui, la pelle delle sue guance non accennava a voler scendere dagli zigomi e rilassarsi, tanto che per un attimo temette una parziale paralisi del viso.
Louis guidava in silenzio, concentrato sulla strada, le mani strette attorno al volante, la schiena tesa contro il sedile.
Quanto sei bello Louis.
Viaggiamo il mondo io e te?
Su questa macchina se vuoi.
Portami ovunque, non mi lasciare più.
- “Sei davvero felice?” il tono curioso e serio di Louis ruppe i pensieri del riccio che, strabiliato dalla domanda, ma come, non si vede che sono più che felice?, scrollò il capo, sistemandosi meglio sul sedile e guardando per la prima volta la strada davanti a sé.
- “Tu non ne hai la minima idea, Louis” rispose quindi, cercando di non lasciar trapelare troppo entusiasmo nella sua voce.
Un minimo di contegno.
Anche se per te me ne fotterei altamente del contegno.
Andiamo al mare?
Guardami, sono felice cazzo, per la prima volta davvero.
Con la coda dell’occhio osservò l’altro, che non distoglieva lo sguardo dalla strada ma che sorrise nuovamente, facendo perdere un battito al cuore del riccio.
- “Bene, allora ti avviso che siamo arrivati alla spiaggia” continuò l’altro, con voce orgogliosa, iniziando a diminuire la velocità della vettura e a far girare il volante verso destra, per parcheggiare vicino il porto.
Harry strabuzzò gli occhi, sentendo per la prima volta pura agitazione scorrergli per tutto il corpo, per incentrarsi nel petto, all’altezza del cuore.
Si mosse nervosamente sul sedile, spostando velocemente lo sguardo da Louis, alla spiaggia comparsa ora davanti a sé.
Louis rise dolcemente, scuotendo la testa e spegnendo l’auto, quindi si voltò verso l’altro, passandosi una mano tra i capelli.
- “Cosa c’è?” chiese distrattamente Harry, guardandolo con la coda dell’occhio per poi tornare ad ammirare la spiaggia, ora mostrata in tutta la sua grandezza.
Quella è sabbia vera?
E il molo?
L’acqua è cristallina come nella cartolina di zia Carol.
Dio, voglio annegare in quell’acqua.
- “Niente è…che ti vedo euforico, Harry. Tu non hai idea di quanto mi renda felice questo” confessò Louis, con un tono leggermente malinconico.
Passò qualche attimo di silenzio, più che altro per lasciar riflettere sulla situazione il maggiore, che poi, sbuffando e imprecando, aprì le portiere dell’auto.
- “Al diavolo tutto Harry, siamo in spiaggia! Ci facciamo un bel bagno?” quasi gridò.
Harry spalancò la sua portiera, catapultandosi fuori e affiancando Louis nella sua corsa verso il molo.
- “Speravo lo chiedessi” rispose sincero il riccio, continuando a sentire tirata la pelle delle sue guance.
La spiaggia era poco affollata, forse perché era tardo pomeriggio, forse perché era un giorno lavorativo, ma ad Harry, e nemmeno a Louis, importava molto.
Il sole iniziava a tingere di tonalità arancioni il cielo e la distesa infinita di acqua che si sviluppava sotto di sé.
L’aria era calda, piacevole, non afosa, l’ideale per un pomeriggio in spiaggia.
Louis iniziò a togliersi le sue scarpe usurate, cosa che imitò anche Harry, sempre in silenzio per il troppo pensare al fatto di essere al mare.
Il liscio quindi prese le scarpe ad entrambi e, ridendo, fece un cenno del capo verso la distesa di sabbia che avevano di fronte.
- “Dai Harry, mi hai detto quanto ti piacerebbe camminare sulla sabbia, io scommetto che puoi anche correrci sopra”
Il riccio rise , scuotendo la testa e iniziando quindi a correre sul terreno tiepido marittimo.
I granelli di sabbia gli solleticavano le dita dei piedi, facendolo sorridere, e il leggero calore che emanavano gli donava solo piacere.
Si trattenne dal gridare come un pazzo, anche se la sua espressione parlava per lui.
Louis rimase ad osservarlo per qualche attimo, sentendosi appagato dall’aver aiutato quel ragazzo, quindi, ridendo, lanciò le scarpe su un enorme masso li accanto e corse a perdifiato anche lui, inseguendo Harry e tentando di raggiungerlo.
Il riccio si fermò poco più distante da lui, i piedi sommersi nella sabbia umida situata accanto il mare, le braccia tese verso i lati, mimando il gesti di prendere il volo, gli occhi chiusi.
Qui c’è davvero silenzio.
Lo scrosciare dell’acqua è delizioso.
Se solo avessi un costume.
Mi sento così bene, altro che farmaci o punture.
- “Ti fidi di me?” la voce di Louis a rompere l’attimo, leggermente affaticata dalla corsa appena fatta.
Harry si trattenne dal ridere, sentendo le mani dell’altro sui suoi fianchi.
- “Emulare scene di film storici potrebbe essere illegale, credo finirai in carcere tra non molto” rispose con tono scherzoso.
Louis sbuffò divertito, scuotendo la testa e sedendosi quindi sulla sabbia ai piedi del riccio che, curioso, si sedette accanto a lui.
Entrambi ora erano di fronte il mare.
Erano ora circondati dal silenzio, il sole quasi completamente nascosto dietro l’orizzonte, l’acqua a bagnare i piedi del riccio.
- “Scherzavo, non credo finirai in galera per questo” tentò di rimediare, sempre con tono scherzoso.
Louis sorrise leggermente, chiuse gli occhi e portò le braccia sulla sabbia dietro di sé.
- “Ci finirò per altro, questo è sicuro” rispose con tono tranquillo l’altro.
Harry si accigliò per un attimo, smettendo di ammirare l’ambiente marittimo attorno a lui, e voltandosi verso il liscio.
- “Louis, non stai facendo nulla di male, voglio dire, guardami, sono il ragazzo più felice del mondo in questo momento”
Louis rise, tornando a guardare il riccio accanto a sé.
- “Questo lo vedo” quindi lo punzecchiò.
- “Comunque credo che tutto questo non importi ai medici dell’ HC, o ai tuoi genitori, o a chiunque ci circondi. Tu… sai bene il perché del tuo ricovero, io ho semplicemente agito di impulso, come sempre. Sono un idiota, ma tu sei felice, ed è per questo che per la prima volta la mia vita ha un senso.”
Harry non sapeva bene come rispondere, era scioccato di fronte le parole dell’altro.
I suoi genitori, ossia sua madre, avrebbe capito.
Gemma avrebbe capito.
Questo era l’importante.
Volevano il meglio per lui, giusto?
La vita di Louis ha senso grazie a me? Dio.
E si ritrovò inconsciamente ad arrossire.
Si sentì il cuore battere forte, la testa girare.
E capì anche quello che davvero aveva bisogno.
Portò quindi una mano sulla spalla di Louis, stringendola dolcemente, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi color ghiaccio.
Il liscio sussultò leggermente a quel tocco.
- “Per favore, non mettere la mia felicità al primo posto, sappiamo entrambi che non porterà a nulla di buono. Semmai godiamoci il mare, al baia, questo silenzio fantastico”
E Louis si perse nella vivacità di quegli occhi verde smeraldo, così vivi, gioiosi.
Si perse nelle parole appena sentite, si beò per un attimo della mano del riccio sulla sua spalla, quindi agì come era solito fare.
- “Allora adesso ti insegno a giocare a pallone, poi ci ubriachiamo come se non ci fosse un domani e ci facciamo un bel bagno”
- “Ah sei tu il medico qui” rispose l’altro beffardo, sorpreso dal cambio d’umore inaspettato di Louis.
Ed entrambi risero, felici e senza pensieri.
Perché è a questo che porta a ridere, dimenticarsi per un attimo di tutto, isolarsi dalle preoccupazioni che ci circondano, e condividere quel momento di gioia con qualcun altro.
 
 
 
 
 

 
 
 
- “Dobbiamo già andare? Si stava così bene, e poi volevo ubriacarmi”
Il tono lamentoso di Harry fece solo sorridere Louis che, responsabilmente, aveva deciso che era tempo di riportare il riccio in ospedale, che si era divertito abbastanza e che forse non lo avrebbero licenziato in tronco per tutto questo.
Louis finì di infilarsi malamente l’ultima scarpa sul cemento che circondava la spiaggia, aspettando il riccio, troppo occupato a lamentarsi.
Chi sono io per porre dei limiti alla sua felicità?
E’ vero però che sono io stesso ad averla causata.
Ha un sorriso che fa invidia al sole, morirei al non vederlo domani.
- “Uffa, che ore saranno? Sono pieno di sale, pensavo che fosse uno scherzo che il mare fosse così salato!” concluse sbuffando Harry, passandosi le mani tra i ricci e scompigliandoli, spruzzando attorno a sé goccioline trasparenti.
Louis rise, portandosi una mano al petto.
- “Come credi che nascano i Fish and Chips? Il pesce già salato lo prendono dal mare!”
Harry rimase ad osservarlo con una espressione indecifrabile in volto, incerto se ridere o meno.
- “Evita certe battute in mia presenza, grazie” commentò quindi acido, sorridendo, infilandosi l’ultima scarpa con un gesto secco, quindi si pulì le mani sulla maglia e tornò a guardare Louis, che ora era serio.
Attorno a loro il cielo si era inscurito, illuminandosi solo grazie a stelle sparse qua e là, a formare disegni che solo pochi sono in grado di vedere.
La baia ora era completamente deserta, solo qualche negozio sul lungomare era fiocamente illuminato.
Louis iniziò ad avviarsi in silenzio verso la sua auto, controllando con la coda dell’occhio la presenza di Harry, perplesso di fronte al suo silenzio improvviso.
Nel salire in macchina però, il riccio si fermò, prendendolo per un braccio e avvicinandolo a sé, tremante.
Aveva paura, terrore, di quello che avrebbe potuto sentire.
Paura di ritornare in ospedale, di riprovare il dolore, la rabbia, l’apatia.
- “Che hai?” quindi pronunciò.
- “Harry, muoviamoci o arriviamo tardi in ospedale” commentò semplicemente il liscio, stringendo le labbra a due fessure, lo sguardo basso sulle sue Superga, le mani a giocherellare nervosamente con le chiavi dell’auto.
Il riccio quindi lasciò la presa, sgranando gli occhi.
Il muro che si era creato per tutto uno vita, che si era sgretolato dall’arrivo di Louis, ora si stava ricostruendo, lentamente, mattone dopo mattone.
Chiuse le mani a pugno, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi e tenendo lo sguardo basso.
- “No” sussurrò a sé stesso, un tono carico di rimorso, tremolante, incerto.
- “No!” alzò il tono, quasi gridando, facendo fermare Louis, ormai quasi completamente seduto in auto che, a sentire quella protesta, si alzò e richiuse la portiera dietro di sé, tornando di fronte al riccio, con calma apparente.
Entrambi ora si scrutavano negli occhi; verde e azzurro, dolore, sofferenza, solitudine.
- “Ho detto di muoverci, Harry” pronunciò categorico Louis, sillabando la frase parola per parola, sforzandosi di sembrare minaccioso, sforzandosi di non vedere la paura in quegli occhi verdi, così perfetti.
- “Non puoi pretendere che io torni dentro Louis, non puoi. Dopo una giornata del genere, non mi puoi chiedere questo. Tu non sai…cosa si prova, ad essere me, giorno per giorno, tra quelle quattro mura decadenti. Agli sguardi impietositi degli infermieri che leggono la mia cartella clinica, a mia madre che non mi corre più ad abbracciare ma mi tratta quasi come se fossi già morto. Tu sei l’unico che mi tratta da persona viva, o almeno finché lo sono, e ne sono felice. Per una volta, Louis, te lo sto chiedendo. Per una volta, rendimi felice, fammi morire felice.” Il riccio finì di parlare, con le lacrime di rabbia agli occhi, lo sguardo impuntato sempre in quello del liscio, ora paonazzo in volto e il busto scosso da tremiti.
Non dirlo piccolo, non pronunciare mai quell’orribile verbo davanti a me, per favore.
Non ricordarmi che tutto questo finirà un giorno.
Permettimi di rendere il nostro addio meno doloroso, non voglio soffrire.
E Louis, impulsivo com’era, chiuse gli occhi, mordendosi il labbro, e abbracciò con tutta la forza possibile il ragazzo che aveva davanti.
Perché non lo voleva lasciare andare.
La vita doveva rimanere in quel corpo.
Quel corpo che stava imparando ad apprezzare.
Quegli occhi che stava provando a dimenticare.
Harry chiuse gli occhi, ricambiando quel gesto con tutte le sue forze.
- “Ti porterò ovunque tu voglia, ma ti prego, non ricordarmi più che devi morire” un sussurro lieve, leggero di Louis, che rese pesante la fitta al petto di Harry.
Perché entrambi sapevano, ma non pronunciavano. 








Sera c:
Vi giuro che a scrivere ste cose mi commuovo pure io.
Non lo so, sono o non sono dolci?
E del personaggio di Lou? Dei suoi sbalzi d'umore, annessi e connessi?
Secondo voi si innamoreranno?
Ve lo chiedo più che altro per conoscere le vostre aspettative, sapte, questa storia io personalmente la adoro.
Non voglio aggiungere altro, se non ringraziamenti.
Siete fantastiche ok?
Mi fate venire solo più voglia di scrivere, ve lo giuro.
Questa storia è impegnativa, sapere che piace beh, mi fa sentire un po' orgogliosa(?) non arrivo a tirarmela, tranquille.
Btw,
Vi mando un grosso bacio e vi auguro buona serata :)
Lou_
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Capitolo 6
*** Chapter 6 ***








 









“Chapter 6”
 
 


 
‘Ti prendo e ti porto via con me.
Andiamocene dove nessuno lo sa.’ 






Normalmente i sensi di colpa si avvertono di fronte la coscienza che c’è qualcosa che non va, di aver fatto qualcosa di sbagliato. E’ una sensazione positiva, perché significa che una parte di noi stessi differenzia il bene dal male.
Harry Styles non aveva fatto mai nulla di male nella sua vita, eppure ora avvertiva un profondo senso di colpa, che lo opprimeva, lo spingeva sul petto verso il basso, facendolo sentire così stupido.
Ci aveva anche ragionato sul perché, aveva scavato nella sua mente, senza arrivare davvero a conclusioni.
Piantala di dire stronzate, lo sai perché ti senti in colpa.
Voglio dire, guardalo.
E Harry volse ancora lo sguardo sul ragazzo moro che aveva seduto accanto a sé, in un insignificante fast food di una insignificante autostrada verso chissà dove.
Perché è anche questo che mi fa stare male, se io lo sto solo costringendo?
Se in realtà volesse tornare dalla sua famiglia?
A casa sua?
Io lo farei se fossi in lui.
Sono una tale noia.
Non sono di compagnia.
Non so niente del mondo fuori dall’ospedale.
Mi stupisco di tutto, lui probabilmente è annoiato.
Louis, i gomiti poggiati sul tavolo di fronte a loro, stringeva tra le mani un panino dall’aria invitante, dal quale sporgeva un hamburger e strane salsine.
La bocca che masticava, la schiena dritta sulla poltrona in ecopelle, lo sguardo perso nel vuoto, a fluttuare tra chissà quali immagini e quali ricordi.
Hai degli occhi bellissimi, Lou.
Ma la vedo la tua preoccupazione in quegli occhi.
E’ per colpa mia, non è così?
Sono un egoista, hai ragione.
Un fottuto egoista.
Ma non voglio neanche tornare indietro.
Aiutami.
E fu un attimo: nel silenzio quasi totale del locale, dovuto all’orario improponibile di notte, Louis spostò lo sguardo sul riccio che aveva accanto e, nel vedere che lo stava osservando, provò un sorriso e arrossì leggermente.
Harry scosse piano la testa, facendo ondeggiare i ricci, quindi abbassò lo sguardo sul suo piatto e tornò a giocherellare con le patatine fritte che non aveva nemmeno toccato.
Il maggiore corrugò la fronte, irrigidendosi sulla sedia.
- “Devi mangiare, Harry. Se non ti piace prendo qualcos’altro”
E il riccio sentì il peso che aveva sul petto appesantirsi sempre di più.
Sono solo un bambino capriccioso per te, vero?
Sono così stupido a volte.
E’ che ho lo stomaco chiuso.
- “No, tranquillo, è che a dire il vero non ho molto appetito…” commentò fiocamente, non alzando lo sguardo dalla patatina che stringeva tra le dita, quindi, con una smorfia di disgusto, la lasciò cadere nel piatto.
Louis sbuffò leggermente, tornando al suo panino, senza voler veramente mangiarlo.
- “Harry, voglio essere chiaro con te, non ho molti soldi, non so per quanto potremo permetterci di mangiare in fast food a dire il vero, quindi per favore fai uno forzo e mangia”
Harry allargò gli occhi, sorpreso, irrigidendo i muscoli della schiena e scattando a sedere.
Non…non avevo pensato a questo.
Cazzo, sono un coglione.
- “Vuoi tornare dalla tua famiglia?” un sibilo, non voleva davvero pronunciare quelle parole: temeva la risposta.
Mantenne lo sguardo fisso sul volto dell’altro che, sospirando, lasciò cadere il suo cibo su un fazzoletto sul tavolo, quindi, pulendosi le mani sui jeans, si voltò verso di lui, lo sguardo serio, limpido.
Ma anche una espressione scura in volto.
Harry si morse il labbro nervosamente.
- “Man-gia” concluse serio Louis, alzandosi in modo calmo per poi dirigersi alla cassa per pagare.
E Harry si ritrovò a sospirare.
E a far spuntare un timido sorriso sulle labbra.
Abbassò quindi lo sguardo su ciò che aveva davanti, domandandosi se fosse commestibile, quindi, con riluttanza, iniziò a mangiare.
Pensavo peggio.
Se almeno morirò, sarà per intossicazione alimentare.
Odio i fast food.
Però…
Però c’è di peggio.
Che ha evitato di rispondermi.
 
 
 



 
 
Louis frugò svogliatamente nella tasca dei jeans, tirandone fuori un portafoglio usurato in pelle e consegnando alla donna che aveva di fronte, dietro una cassa vecchio stile, una banconota da venti sterline.
Lei lo guardò con sufficienza, strappandogli di mano quei risparmi faticosamente guadagnati.
Il moro si lasciò sfuggire una smorfia, quindi, scuotendo la testa, tornò verso Harry, seduto in modo scomposto sulla poltrona ad aspettarlo.
Sei bellissimo.
Ma adesso dove andiamo?
Dove ti porto?
Louis cercò di mascherare le sue preoccupazioni dietro un sorriso, sorriso che venne prontamente ripreso dal minore.
- “Dai vieni, cerchiamo un posto per la notte” provò con tono sereno, facendo cenno al riccio di alzarsi.
Quello si alzò con fatica e lentezza, mettendosi in piedi accanto il maggiore.
A Louis cadde l’occhio sul piatto dell’altro e soffocò una risata.
- “Meno male che avevi poca fame”
- “Mi è venuta di colpo” commentò solamente il riccio, mettendosi le mani dietro la testa e avviandosi verso l’uscita.
Il maggiore sospirò solamente, scuotendo la testa e seguendo il passo lento di Harry e uscendo dal fast food, per ritrovarsi all’aria aperta.
Era notte inoltrata ormai, la zona era deserta, le strade silenziose, e una voglia di rintanarsi sotto le coperte attraversò il corpo di Louis che, velocemente, raggiunse Harry, camminandogli affianco.
Il silenzio notturno venne interrotto da un rombo improvviso di motori alle loro spalle.
Istintivamente entrambi si voltarono di colpo, stupiti, osservando un gruppo di persone dall’aria su di giri avviarsi goffamente verso il fast food dalla quale erano appena usciti.
A Louis venne istintivamente di mettersi davanti a Harry, per coprirlo.
- “Forse è il caso di allontanarci…non credi… Louis?” commentò a bassa voce il riccio, piuttosto impaurito dalla situazione.
Louis gli prese la mano da dietro e gliela strinse, per calmare quel tremore che aveva visto nella voce.
Chiuse quindi gli occhi, controllando il suo respiro ora accelerato.
- “Ti fidi di me, Harry?”
E anche se alle sue spalle Louis potè immaginarsi Harry che roteava gli occhi di fronte quella frase.
Invece inaspettatamente il riccio appoggiò il mento alla spalla del maggiore, sussurrandogli all’orecchio
- “Che cosa hai in mente?”
Il maggiore avvertì calore a quel contatto intimo, e se ne allontanò leggermente.
Quindi si voltò a incrociare lo sguardo dell’altro e, sorridendogli in modo rassicurante, si strinse nelle spalle.
- “Sai che sono impulsivo piccolo, aspettami lì per favore”
E ti prego, non muoverti davvero.
 
 


 
 
 
 
Ma quanto cazzo gli ci vuole?
Dio sono così in ansia.
Ti prego, spunta all’improvviso da quella fottuta porta scorrevole.
Ti prego, non lasciarmi solo in questo parcheggio.
E ad Harry cadde involontariamente l’occhio sull’auto parcheggiata malamente da quel gruppo di ragazzi di poco prima.
Quindi deglutì a fatica, assottigliando lo sguardo per cogliere il minimo movimento nei paraggi.
L’aria iniziava a farsi fredda, non eccessivamente fastidiosa, ma abbastanza da far intorpidire Harry che, spazientito, si alzò in piedi dalla sua posizione accovacciata e si strinse le braccia attorno il busto.
Voglio un tuo abbraccio Louis.
Voglio un tuo fottuto abbraccio.
Quindi o ora esci di lì, oppure entro dentro e ti prendo a calci.
Poi ti abbraccio.
E il riccio sorrise a quella sequenza di pensieri, immaginandosi l’abbraccio di Louis come qualcosa di caldo e rassicurante, una coperta d’inverno, un raggio di sole a primavera, un sorriso dopo un periodo triste.
Al diavolo Mr. Impulsivo, io qua mi gelo il culo e voglio un abbraccio.
 
 
 



 
 
Il locale ora era stranamente silenzioso e deserto.
Illuminato fiocamente da una luce al neon dietro il bancone, Harry potè scorgere, sforzando di poco la vista, la cassa di poco prima, completamente aperta e vuota, senza un soldo.
Deglutì a fatica, annaspando nella stanza e sentendo l’agitazione crescere dentro di sè.
Lou, dove cazzo sei.
Portò le mani, tremanti, tra i capelli, nel tentativo di rilassarsi.
Più avanzava nel locale, verso il bancone, più l’ansia in lui cresceva e si espandeva nel suo petto.
Scorse vagamente una tunica rossiccia stesa a terra e gli si mozzò un urlo in gola.
Sgranò gli occhi, si portò le mani al petto avvertendo una nauseante voglia di rimettere tutto ciò che aveva ingerito.
Arretrò velocemente e, nel farlo, urtò un tavolo, facendolo scorrere sul pavimento rumorosamente.
Iniziò a far scattare lo sguardo da un angolo all’altro, per paura di qualsiasi movimento.
Porca puttana, porca puttana Lou, dove sei?
L’immagine di Louis steso a terra, esamine, gli fece stringere qualcosa all’altezza del petto.
Non dovevo uscire da quel dannato ospedale, lo sapevo cazzo.
Un fruscio leggero lo fece irrigidire, scattare, preparare I muscoli delle gambe a correre.
L’unico rumore che poteva sentire ora era il suo respiro accelerato.
Di nuovo un fruscio, davanti a sè, nella zona più buia del locale.
Ti prego Lou, esci fuori.
La mente di Harry era un fiume di pensieri, preoccupazioni, immagini, paure.
Non riusciva più a pensare e la testa faceva male, si stava appesantendo.
Sentì poi un rumore di passi, leggeri e veloci, sempre davanti a sè.
Chiuse gli occhi per un attimo, trattenendo il fiato.
Era terrorizzato, bloccato in mezzo la stanza, i muscoli tesi che facevano un male da impazzire.
Vide una figura longilinea correre verso di lui.
Veloce, leggera.
Non è uno di quei ragazzi, è già un inizio.
Pensiero fulmineo nella sua mente.
Deglutì ancora, la saliva ormai scarseggiava, strinse quindi gli occhi a due fessure, iniziando a respirare e a rilassarsi.
Louis, dio che bello vederti.
Non riusciva però a sorridere, al pensiero della donna stesa dietro il bancone, con quella lucetta sinistra che le illuminava parzialmente il viso cinereo.
Vide il volto di Louis irrigidirsi, il suo corpo rallentare, la sua espressione cambiare.
Vide le sue braccia cadere lungo il suo busto, una mano stringere uno zaino, leggermente rossastro.
Harry sbiancò a quella vista, sentendo le gambe cedere e il pavimento sotto di lui girare vorticosamente.
Una mano decisa lo prese per la spalla e iniziò a trascinarlo lontano.
Non riusciva più a pensare razionalmente, o a capire dove si trovasse, si sentiva solo trascinato, e le gambe muoversi faticosamente.
Chiuse gli occhi, e si ritrovò nuovamente nel parcheggio, immerso sempre nel buio della notte.
La mano di Louis lo strinse, mettendolo in piedi.
Harry si scrollò, ancora i brividi per le sensazioni appena provate.
Si guardò attorno stralunato, per poi posare di nuovo lo sguardo su Louis, davanti a lui che lo osservava con la fronte corrugata, l’espressione in viso tesa.
Il riccio prese più aria che potè, sentendo la forza tornargli ad invadere il corpo.
- “Harry, Harry ti prego rispondimi! Stai bene?” una voce lontana, attutita da qualcosa, quella di Louis.
Le gambe del riccio cedettero per lo sforzo, e Harry si ritrovò in ginocchio ai piedi di Louis che, agilmente, gli mantenne la schiena dritta e si abbassò alla sua altezza, lo sguardo fisso nei suoi.
Harry scosse ancora la testa, posando uno sguardo sulla mano di Louis che gli teneva la spalla, e quindi fece una smorfia, rabbrividendo.
- “Harry, Harry va tutto bene, non è il mio sangue questo, è successo un casino, io non mi aspettavo che quelli fossero armati. Hanno…” la voce di Louis, terribilmente bassa e roca, tremò per poi lasciare il posto a singhiozzi.
- “Hanno sparato alla cassiera Harry. Io volevo solo rubare loro qualche spicciolo visto che erano sbronzi… mi sono nascosto, ma sto bene. Ti prego, rispondimi” il tono disperato di Louis risvegliò il riccio dai suoi pensieri.
- “Non fare più cazzate del genere. Siamo insieme io e te, dimmi quello che ti passa per quella cazzo di testa, non hai idea di quello che ho provato…là….là dentro.”
Louis sospirò, e Harry ne sentì il tocco leggero sulle labbra, quindi rabbrividì, capendo solo ora a che distanza si trovavano i loro visi.
- “Harry, Harry io volevo solo degli spiccioli… per te, per le tue cure… io…” le parole si smorzarono nuovamente, seguite da singhiozzi.
Il riccio scosse la testa, ritrovando la forza di rialzarsi.
Louis lo imitò, stringendo sempre lo zaino tra le mani.
Il minore si passò una mano tra I capelli, iniziando a camminare nervosamente avanti e indietro.
- “Harry…” iniziò quindi il maggiore, sussurrando.
Il riccio lo ignorò, continuando a camminare in quel percorso ripetitivo.
- “Louis” iniziò quindi con tono deciso, fermandosi, alzando lo sguardo verso l’altro.
- “Dobbiamo chiamare la polizia, l’ambulanza, qualcuno cazzo!” sbraitò quindi, I nervi a fior di pelle, l’ansia palpabile nell’aria.
Louis scosse la testa piano, gli occhi sbarrati.
- “la donna è morta Harry, non aveva battito” commentò atono il moro, alzando lo zaino davanti a sè e con essa la mano sporca di sangue.
Il riccio iniziò a torturarsi il labbro, di nuovo preso dall’agitazione.
- “E quei ragazzi Louis? Quei ragazzi?” Harry si sforzava di non gridare ma non ci riusciva proprio.
Louis abbassò lo sguardo sulle sue scarpe.
- “Sono privi di sensi, per questo gli ho preso lo zaino. Andiamocene per favore” sibilò solamente, alzando di nuovo lo sguardo.
Il minore rabbrividì davanti quel viso scavato dalla stanchezza, dall’orrore e dalla preoccupazione di quella notte.
Quindi annuì deciso, impercettibilmente, allungando una mano verso l’altro, che non gli negò.
Iniziarono a correre nella notte, immersi nel silenzio e nell’oscurità, lasciandosi dietro parole non pronunciate, gridi non emessi, abbracci di conforto non goduti.
Erano terrorizzati, travolti dai fatti.
Ma almeno erano insieme. 








Buonasera!
Allora come ve la passate?
Io di merda ahaha c'è sono sommersa di compiti e sto tempo da foresta tropicale mi sta stufando, non so a voi c:
Comunque, scusate se ho aggiornato solo ora, come avrete capito sempre per la scuola.
Per chi seguisse la mia altra Ff 'Reflection' tranquille che non me la sono dimenticata ahaha arriverà anche lì il mio aggiornamento ;)
Non lo so, devo essere sincera? Non ho la più pallida idea di cosa abbia scritto.
Voglio dire, vi sembra troppo... non lo so ahaha c'è come vi sembra? Ho apura di aver combinato nà cagata a scriverlo :/
Però il momento fluff c'è sempre :')
Secondo voi ora 'ndo vanno?
Ehhh me lo chiedo anche io ahaha no vabbeh ho tutto pianificato.
Non dovrebbe venire molto lunga come storia ;)
Beh basta divulgarmi, vi auguro una buona serata :D
Un bacione,
Lou_ 

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Capitolo 7
*** Chapter 7 ***


 


 








“Chapter 7”
 
 



 
‘Quelli che sognano li riconosci, hanno negli occhi un velo di tristezza. Hanno la malinconia addormentata agli angoli della bocca, hanno l’aria di chi cerca ma non trova. Sognare è faticoso, sognare non è da tutti. E’ per le persone coraggiose, sognare.
Come il mare e l’amore. ’
 
 
 


 
A volte ti ritrovi a pensare, e ti domandi, perché prima o poi capita a tutti, come tu sia potuto arrivare a dove sei ora, in quel punto indefinito nello spazio che ti circonda, quello spazio che mai nessuno ha realmente definito. Provi a recuperare discorsi affrontati, liti superate, baci rubati e risate trattenute, e la tua mente diventa una sala cinematografica, il film della tua vita lo spettacolo da ammirare. Ed è in base alle scelte intraprese fino ad allora che permettono di caratterizzare il genere del film: comico, romantico, una commedia… anche un film dell’orrore. Tu puoi darti dello stupido per qualche scelta avventata fatta, ridere al ricordo di qualche stronzata compiuta con amici, pentirti di aver sprecato tempo per qualcuno che non lo meritava.
Ma il film è ancora lì, che scorre.
E’ il tuo passato, la tua memoria, è ciò che sei.
Per quanto tu possa impegnarticiti, incaponirti contro cosa sei, non riesci a cambiare.
Perché sei così, hai agito così.
Harry Styles era un pensatore, un sognatore, uno che amava usare la mente per viaggiare. Passava secondi, minuti, ore e anche intere giornate a riflettere su cosa fosse lui, sulla sua vita. Semplicemente amava riflettere, spremere le meningi fino a che non gli doleva così forte la testa da chiudere gli occhi, o trovarsi di fronte a domande così complicate da abbandonare il ragionamento.
Ed era esattamente quello che stava facendo ora, tra quelle quattro mura spoglie e incolori della settantaduesima camera di un hotel di periferia, su un’autostrada che non ricordava, vicino ad un campo anonimo.
Harry Styles stava pensando, o meglio, ragionando su tutto quello che aveva passato nella precedente giornata.
Aveva visto il mare, corso sulla sabbia, sentito i gabbiani volargli accanto e toccato il cielo con un dito da quanto fosse felice.
Aveva mangiato per la prima volta in un fast food, una esperienza evitabile.
Aveva visto la morte agire davanti i suoi occhi, dietro il bancone dello stesso fast food.
E se lo era chiesto, ci aveva ragionato, pensato come amava fare solo lui: la morte era lì, a pochi passi da lui ora, in quell’immagine incolore della sua memoria, con quella donna stesa a terra, esanime; perché non aveva preso anche lui?
Per quanto tempo avrebbero giocato a rincorrersi, a fare come un coniglio e una volpe, un animale e un cacciatore, un pallone e un bambino?
Per quanto tempo avrebbe giocato allo scappare, a mettersi in fuga?
Quanto tempo gli rimaneva per pensarci su?
E come le molte volte che i suoi pensieri scorrevano veloci, lo travolgevano come un fiume in piena, che ad un certo punto era costretto ad uscire, aggrapparsi ad un masso della realtà, uscire da quel fiume, così ora Harry, sentendo la voce calma di Louis accanto a lui, percependo il suo tocco leggero sulla spalla destra, aprì gli occhi, tornando a vedere per davvero.
Si voltò all’istante, gli occhi appesantiti dalla stanchezza, i ricci scompigliati dallo stress e una voglia matta di addormentarsi subito su quel letto su cui ora erano seduti.
- “Harry, non te lo ripeterò più, porgimi il braccio per favore, devo continuare il tuo trattamento che avevi iniziato in ospedale” la voce stanca del maggiore gli fece storcere il naso, chissà da quanto lo stava chiamando.
- “Si… ecco” commentò quindi a bassa voce, raggomitolando la manica troppo stretta di quella maglia e ruotando il braccio verso Louis che, con fare esperto, di chi compiva quel gesto milioni di volte al giorno, estraeva una siringa da un borsone lì accanto e, volgendo lo strumento alla luce pallida di una lampada, riempiva la siringa di un liquido verdastro.
Harry sospirò, aspettandosi di provare il solito prurito al braccio, rimanendo quindi ad osservare l’altro e il suo sguardo serio mentre iniettava il liquido nel suo braccio.
Il riccio corrugò la fronte, perplesso, per poi alzare lo sguardo dal suo braccio al viso di Louis, che ora lo fissava con u sorriso gentile in volto.
- “Non ho sentito neanche il prurito, come caspita fai?” chiese quindi con tono curioso il minore.
Louis si strinse nelle spalle, lo sguardo basso sulle mani che armeggiavano per riporre l’attrezzatura medica.
Harry si sistemò la manica della maglia sulla spalla, quindi si buttò sulla parte libera del materasso, le mani raccolte sotto il capo, il viso verso l’alto.
Il moro sbadigliò, stanco, quindi si alzò a posare il borsone in un angolo della stanza e, togliendosi la maglia, si stese accanto al riccio, che non battè ciglio.
- “Vuoi dormire?” chiese dolcemente Louis, voltandosi di poco verso l’amico.
Harry scosse piano la testa.
- “Mi parli un po’ di te Lou? La tua vita, la scuola, tutto insomma”
Louis rise leggermente, mettendosi supino come il riccio.
- “Beh, cosa vorresti sapere esattamente?”
- “Non lo so, parlami, adoro ascoltare la gente”
Louis sorrise nuovamente, quindi, prendendo fiato provò a scavare nella memoria.
- “Ho quattro sorelle, e una avuta da mia mamma con un altro”
- “Porca puttana” commentò solamente Harry, scoppiando a ridere con l’altro.
- “Si, ammetto che non è il massimo, ma amo la mia famiglia”
Ed Harry si morse il labbro, ricordando la domanda scomoda di poche ore prima.
Vorresti ritornare dalla tua famiglia Lou?
- “No, non voglio tornare dalla mia famiglia se è questo che ti stai chiedendo”
Harry strabuzzò gli occhi, sorpreso della risposta alla sua domanda inespressa.
- “Non… non ti manca nemmeno un pochino?”
Louis sospirò, muovendosi piano sul letto.
- “Che importanza avrebbe? Sono con te ora”
Harry sentì qualcosa esattamente all’altezza del petto infonderli calore e un tremore lungo le gambe.
- “però…” una voce flebile, tremolante per le emozioni provate.
Louis sbuffò spazientito.
- “Però cosa, riccio?” lo incoraggiò quindi.
- “Voglio dire, non saranno preoccupati per te al momento? Io lo sarei se fossi in loro. Mio figlio che scappa con un paziente malato di cancro dell’HC Hospital”
- “E allora tua mamma Haz? Tua sorella Gemma? Tutti saranno preoccupati per noi al momento, ma ci siamo spinti un po’ oltre non pensi? Posso portarti ora indietro se lo desideri, comunque.”
Harry rabbrividì al pensiero della sfuriata che avrebbe fatto passare la madre al direttore dell’ospedale, o all’espressione di Gemma terrorizzata all’idea di aver perso il suo fratellino.
- “Forse hai ragione” commentò quindi, cercando di rimanere impassibile.
Uno scricchiolare sinistro delle molle del materasso, uno spostamento di peso, quindi la stanza si immerse nel buio.
- “Lou cosa fai?” chiese contrariato il riccio, cercando di abituare gli occhi all’oscurità improvvisa.
Ennesimo movimento sul materasso.
- “Harry, per favore, sono le quattro e mezza di notte, abbiamo passato una giornata stancante entrambi non pensi? Ho sonno” uno sbadiglio da parte del maggiore che rassegnò Harry all’idea di dover rimanere solo e insonne ad osservare il soffitto, come ogni sera del resto in ospedale.
- “Va bene, allora buonanotte Lou”
Silenzio.
Harry si accigliò, quindi si voltò alla sua destra, poggiandosi su un fianco e cercando di scorgere la figura di Louis, immersa nel buio.
- “Lou”
- “Louis”
- “Louis Tomlinson con quattro sorelle e una acquisita”
- “Cosa c’è” sospirò quindi esasperato il maggiore, mugolando qualcosa in segno di protesta.
Harry sorrise soddisfatto.
- “Non mi hai detto buonanotte”
Louis rimase in silenzio e, grugnendo come un animale, allungò le braccia verso il busto del riccio e lo strinse in un abbraccio soffocante, che fece irrigidire Harry, sorpreso dal gesto.
Sentì la pelle calda di Louis solleticargli il petto, il suo corpo seminudo accoccolarsi meglio contro il suo.
- “Buonanotte, ora dormiamo” sussurrò quindi il moro.
 
 
 
 
 

 
La brezza leggera estiva gli solleticava il viso, carezzandolo dolcemente e facendolo rabbrividire. I ricci gli si muovevano scomposti ad un ritmo incalzante e sconosciuto, gli occhi chiusi a godere di quelle attenzioni.
Il sole, alto nel cielo, lanciava scie calde e luminose contro i fiori di campo che lo circondavano, creando particolari effetti colorati: un quadro che aspettava solo di essere dipinto.
Attorno a lui la calma, il silenzio, rotto solo da cinguettii lontani, alti nel cielo, di rondini.
‘Dio starei ore qui a non fare nulla’ pensò tra sé e sé Harry, stendendosi a pancia in su e sentendo le erbette di campagna grattargli timidamente il tessuto della maglia che indossava.
Fu allora che sentì, poco distante da lui, la voce squillante di Louis.
- “Harry! Harry hai visto che bello Harry?” l’entusiasmo trapelava da quella frase.
Il riccio sorrise, aprendo piano gli occhi, per poi ritrovarsi davanti il viso di Louis, capovolto.
Quello sorrise, mostrandogli una fila di denti bianchi e due occhi azzurri come il mare.
Harry ricambiò il sorriso, mettendosi a sedere, cercando di cancellare il rossore che gli aveva inondato le guance.
Louis ora, facendosi strada tra i fiori, gli si mise davanti, in piedi, osservandolo curioso, con una richiesta inespressa in volto.
Harry sarebbe rimasto a osservarlo per ore: i raggi del sole risaltavano i tratti del suo viso, ammorbidendolo e risaltando quella leggera peluria sul mento.
Il suo ciuffo, sparato in aria, si muoveva piano contro vento.
Louis allargò gli occhi azzurro cielo, facendo rabbrividire Harry, e li spostò verso un lato, intento ad osservare qualcosa di sconosciuto con estremo interesse.
Il riccio corrugò la fronte, perplesso e deluso dalla rottura di quel contatto visivo, quindi si tirò in piedi e si voltò a guardare anche lui in quella direzione.
Solo allora capì di trovarsi su un promontorio immensamente fiorito, privo di strade o recinti o alberi: solo fiori e filoni di grano.
Il promontorio si affacciava sul mare, una distesa blu infinita e inesplorata, calma e con poche onde causate dal vento.
Si girò quindi a cercare Louis, non trovandolo, quindi aguzzò la vista, sentendo l’ansia invaderlo, per poi scorgere l’amico ai piedi del promontorio, a un passo dal salto nel vuoto verso il mare.
Deglutì a fatica, avvicinandocisi piano.
- “Lou! Spostati da lì dai, lo guardiamo da qui il mare!”
I capelli gli svolazzarono sul viso, e lui si affrettò con un gesto secco della mano a scostarli, per poi notare Louis osservarlo sempre sorridente, a pochi passi dal volare giù.
- “Louis, dai non farmi preoccupare!”
E il moro si strinse nelle spalle, scoppiando a ridere, immensamente felice di qualcosa.
‘Cazzo sta ridendo, deve essere impazzito’ pensò quindi il minore, contraendo la mascella dalla preoccupazione e accelerando il passo vero l’altro.
- “Guarda Harry! Vedo il mare! Ci si vede dall’altra parte….”
- “Altra parte cosa? Louis piantala vieni…” la voce gli si strozzò in gola, il cuore gli saltò nel petto, l’ambiente paradisiaco attorno a lui si incupì, improvvisamente colorato di sfumature rossastre.
Louis non era più sul ciglio del promontorio, al suo posto ora solo qualche impronta confusa di scarpa.
Ed Harry allargò gli occhi e gridò, con quanto più fiato aveva in gola.
 
 



 
 
 
 
- “Harry! Haz per l’amor del cielo svegliati! E’ solo un incubo dai!” la voce strozzata dalla preoccupazione di Louis rinvenì Harry, in un lago di sudore e lenzuola aggrovigliate, il fiato corto e una sensazione di oppressione sul petto.
Il riccio prese fiato, chiudendo gli occhi lentamente, per riaprirli poco dopo: era nella stessa stanza di albergo di prima, lo stesso letto, Louis seduto accanto a lui che lo scuoteva, in viso un’espressione preoccupata.
Harry notò con stizza che indossasse una nuova maglietta, quindi, tossendo un poco, si tirò a sedere, grattandosi la schiena.
- “Era da tanto che non dormivo la notte, l’unica volta che lo faccio ho gli incubi” commentò quindi con voce impastata il minore, sbadigliando.
Louis si rilassò a quella vista e, sospirando, recuperò il telecomando che teneva accanto a sé e abbassò il volume della televisione satellitare che avevano in camera.
Il riccio corrugò la fronte, perplesso, guardandosi ancora intorno.
- “Che ore sono?”
Louis posò di nuovo lo sguardo su di lui.
- “Le dieci meno venti. Io sono sveglio da un po’, questo letto è scomodissimo” commentò aspramente, massaggiandosi la schiena come a dimostrare la sua tesi.
Harry annuì poco convinto, posando poi lo sguardo sulla televisione, ancora accesa in sottofondo.
- “Ho… -deglutì a fatica, arrossendo a tratti - …detto qualcosa nel sonno?” voce flebile, sguardo basso sulle sue dita ancora tremolanti.
Louis si strinse nelle spalle con noncuranza.
- “Qualcosa riguardo a un campo, e il fatto che io…non dovessi saltare, o una cosa del genere” rispose calmo il maggiore, tornando ad osservare la televisione.
Harry sospirò, rilassando i muscoli del viso, quindi alzò lo sguardo anche lui verso la tv accesa.
- “Qualche cartone divertente? Scooby-doo, Pokemon…?” iniziò ridendo sommessamente Harry, facendo sorridere leggermente Louis che, come pensieroso, scosse la testa.
- “A dire il vero Harry, credo tu debba vedere il telegiornale di oggi, credo troveresti una o due notizie interessanti” rispose con ironia il maggiore, storcendo il naso e spostandosi per lasciare libera la visuale all’altro che, ora, incuriosito, scrutava lo schermo del televisore.
- “Oh Dio, ma quelli… siamo noi?” il tono incredulo, il corpo teso, le mani strette tra loro in una morsa.
Un tizio in giacca e cravatta che elencava le notizie a raffica a memoria, lo sguardo annoiato, le mani a stringere un plico di fogli: dietro di lui, su uno schermo sproporzionato, un ragazzo riccio dagli occhi verdi, sorridente e steso su un lettino, affianco un’altra immagine, un ragazzo davanti un college, in tuta scolastica e una mano alzata in saluto, sorridente.
Louis deglutì, annuendo solo, quindi abbassò lo sguardo; un sorriso amaro in volto.
- “Devi sentire quante stronzate stanno sparando Haz: secondo i media tu saresti anche psicotico e io un truffatore”
A Harry mancò la saliva, sentendo la gola secca per parlare.
- “Non sono mai stato in tv” riuscì solo a sillabare, facendo ridere Louis che, stiracchiandosi, si alzò dal letto.
- “Neanche io a dire il vero, ma forse sarebbe meglio non finirci mai, ora siamo ricercati Harry” 









Zan zan zaaaan!
Sera!
Alors, come va la vita?
Io male, sono stanca, stressata e voglio le vacanze estive cwc
Comunque scrivo lo stesso, tranquille ahahah
Allora, come vi sembra il capitolo?
Devo dire che sono soddisfatta di come sia uscito, ed è rara come cosa c:
Che dire, che siete fantastiche lo posso dire?
E io lo dico lo stesso : siete fantastiche ok? ok.
Leggo le vostre recensioni una a una, ma purtroppo, come in tutte le mie storie, ho poco tempo da dedicar loro.
Giuro che appena trovo il tempo passo da tutte, anche le storie che mi chiedete di visitare per email che purtroppo non faccio in tempo a vedere. Sono orribile lo so.
Mi farò perdonare a tmepo debito, promesso,
Nel frattempo il massimo che posso far è aggiornare ahahah
Cosa che spero di fare al più presto
Vi auguro una buona serata e un buon weekend (vado al 1D store, dio sono come una bimba la notte di natale ahahah)
Un bacione a tutti!
Lou_
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Capitolo 8
*** Chapter 8 ***



 











“Chapter 8”
 
 
 
 
 
 
Love (luv), n., v., 1. a profoundly tender, passionate affection for another person.  2. a feeling of warm personal attachment or deep affection.   3. the feelings i have for you. ‘

 
 
 


 
Perché è facile giudicare, osservare le situazioni da lontano, senza esserne coinvolti, e esprimere opinioni, pareri, critiche. Parole al vento, che possono graffiarti la pelle da quanto sono affilate, o semplicemente buttarti giù, farti cadere in un baratro, dove tu riesci a risalire solo grazie al sostegno di qualcuno accanto a te, che ti dice che va tutto bene, ti abbraccia, ti fa sentire forte.
Quando magari forte non lo sei, e continui a rimuginare sulle critiche ricevute.
Perché in fondo vedere gli altri cadere non è così brutto; ti fa sentire più forte, ti fa pensare di essere migliore.
Di non essere quello che piange, si butta giù come un castello di carta al primo venticello.
La gente lo fa. Perché è bello, semplice.
Ma non capisce quanto la persona che in quel momento si sente stupida, ferita, non all’altezza, cerchi disperatamente un modo per superare, andare oltre l’idea che si fa la gente su di lei.
Perché si è fragili, perché in fondo noi siamo quello che appariamo, non conta davvero la nostra parte interiore.
Siamo etichettati, come semplici capi di abbigliamenti di qualche insulso negozio, o cibi scontati al supermercato.
Perché ormai le persone sono oggetti, e per essere forti non bisogna provare sentimenti.
Apparire, non essere.
Harry Styles era una di quelle persone ingenue, capaci di vedere il buono in tutti, o almeno di provarci. Pensava che tutti avessero un lato buono, almeno una coscienza, che li facesse riflettere su ogni cosa, come un po’ faceva lui; riflessivo, introverso.
E forse era per quello che ora era lì, steso sul letto di quello squallido e calmo hotel, a guardare il soffitto, perdersi in pensieri, come amava fare solo lui, in testa il suono lontano dell’ennesimo telegiornale che parlava di loro, della loro scapestrata fuga dall’ospedale, delle loro tracce perse.
Ed Harry se lo sarebbe anche aspettato, magari sua madre Anne, presa da una crisi di ansia da tipica mamma iperprotettiva aveva avvisato le autorità. Ma il resto? Le notizie che circolavano su di lui? Sugli insulti gratuiti che stava ricevendo, azioni attestate a lui mai compiute, problemi mai avuti?
Faceva male, solo quello.
Perché la gente alle parole dei telegiornali ci credeva, perché lui ci credeva.
- “Interrompiamo il notiziario di oggi con nuove riguardanti l’accaduto che è ormai sulla bocca di tutti: la fuga di un paziente dell’ospedale principale di Holmes Chapel, che a giudicare dagli indizi raccolti sarebbe accompagnato dal suo assistente di cure, Louis Tomlinson, di anni ventuno…”
- “Spegnila questa merda, Harry. Sai che questa rete vuole solo fingersi un telegiornale per poi sparare gossip a raffica.” La voce calda e rassegnata di Louis coprì la voce del telecronista in onda in quel momento, e Harry gliene fu grato.
- “Perché continuano a dire certe cose Lou, io non sono come dicono loro… vero?” un sussurro lieve, incerto.
Louis sbuffò, sedendosi accanto al riccio sul letto e osservandolo.
- “Beh, non mi sembri con manie depressive, violento o con disturbi mentali, quindi no.” Provò incoraggiante il moro, sfoggiando un sorriso luminoso, che fece sospirare Harry, sempre steso sul letto e lo sguardo perso.
- “Io non mentirei mai su certe cose”
- “Perché sei buono, Harry, solo questa forse è la tua colpa”
Lì il riccio storse il naso, alzando quindi lo sguardo e incrociando gli occhi di Louis, sempre accecanti, vivi, azzurri.
- “Come fai a fregartene? Me lo dici? Ne dicono di cose anche su di te e sulla tua famiglia…”
Louis parve rifletterci per un attimo.
- “Perché so come stanno le cose, so come sono, come lo sai tu. E ora  spegni questa dannata televisione che ce ne andiamo” continuò con tono allegro il maggiore, non perdendo il sorriso e alzandosi in piedi.
- “Dove?” chiese curioso Harry, dimenticandosi per un attimo le sue preoccupazioni e mettendosi in piedi.
- “Questo me lo devi dire tu riccio, dove ti piacerebbe andare?”
E Harry tornò a sorridere.
 
 
 
 
 
 
 
Louis Tomlinson aveva l’innata capacità di trovarsi in situazioni più grandi di lui, fin dai tempi delle medie, quando aveva erroneamente fatto scattare l’allarme antincendio dell’edificio e facendo evacuare tutti, presi dal panico e immersi in grida disperate generali.
Quello era stato il suo primo vero momento di angoscia, avendo sentito le gambe tremare, il fiato diminuire, e una voglia innata di gridare.
Ai tempi del liceo, durante un party di fine anno, aveva avuto l’idea di esagerare con gli alcolici, per poi finire sbronzo coi suoi amici sul tetto.
E la lista continuava di molto, e i ricordi e le immagini affrontate ogni tanto le rispolverava, giusto per il gusto di una risata o una imprecazione.
Ma quelle erano stronzate che si combinano da giovani, seguendo magari il proprio carattere irruente e impulsivo e il gusto, il brivido di stravolgere le regole.
Invece adesso?
Louis non se lo sapeva spiegare il come, il quando, o il perché dell’attuale scena della sua vita che stava vivendo.
Perché non era un qualcosa dovuto all’età, o un desiderio di trasgressione: era una situazione nata per un senso di altruismo, un voler far del bene verso qualcuno che lo meritava, e questo lo rendeva orgoglioso.
Era il travolgere degli eventi che lo lasciava perplesso, timoroso del futuro e insicuro, sensazioni mai provate davvero prima.
E poi guardava Harry, il suo sorriso ingenuo, felice, capace di riscaldarti l’anima, e tutto riprendeva senso, sembrava che finalmente tutto sarebbe andato per il meglio.
Non poteva, non doveva scaricare le sue preoccupazioni su di lui, non se le meritava; doveva solo essere felice.
Ed era per questo che probabilmente Louis non faceva retromarcia sull’autostrada per tornare in ospedale, seguendo quindi la voce di quella sua coscienza mai considerata davvero, sulla sua spalla destra, in quel momento sicuramente bordò dalla rabbia che si agitava e strillava.
Stava guidando verso un altro posto sempre sognato da Harry e dalla sua gioventù rovinata dalle punture e dalle trasfusioni: il lunapark.
Louis si ricordava l’ultima volta che vi si era recato con Eleonor, la sua ex ragazza prima che intraprendesse medicina e lei la strada della moda. Era un bel posto, ai margini dell’autostrada, sempre colmo di gente in cerca di divertimenti, bancarelle, zucchero filato e molte giostre.
Ripensare agli anni in cui correva spensierato per l’asfalto, pregando amici di cui ora aveva perso le tracce di aiutarlo a vincere quel pupazzo per poter conquistare Eleonor, o del suo primo vero urlo da ragazzina mentre attraversava il tunnel della paura, o le botte e i lividi accumulati dal percorso con gli specchi.
Ricordi, polverosi ricordi dal suo passato, che gli facevano rimpiangere gli anni in cui andava ancora a scuola.
E sorrideva silenziosamente al pensiero di Harry eccitato in quel luogo.
Si voltò per un attimo verso il riccio, rilassato, con lo sguardo perso ad osservare fuori dal finestrino, una mano a premere contro il vetro alzato.
Come possa la gente anche solo provare a dire che sia uno psicopatico, è fottutamente perfetto.
Innocente, giovane.
Ha bisogno di affetto, cure, non dell’odio gratuito delle persone.
Lui non si merita nulla del genere, forse io.
Io ho rubato a quel dannato fast food, io l’ho preso dall’ospedale, io stesso non lo sto riportando indietro.
Ma sei così bello riccio, la verità è solo questa: bello e puro, meriti di essere felice, di spiegare quelle tue ali nascoste da qualche parte.
Louis guidava da molto ormai lungo quella strada semideserta, assottigliando a volte la vista per scorgere qualche cartello o giostra in lontananza che segnalasse la presenza del lunapark.
Sentì un movimento brusco accanto a sé, un picchiettare contro il vetro e Harry che scoppiava a ridere dalla gioia: il moro rabbrividì al solo suono, quindi sorrise.
- “Lou, ecco! Vedo la ruota panoramica! Oddio è veramente gigantesca! E le luci, i colori! Facciamo un giro su tutto!” tono squillante che lasciava trapelare emozioni.
Il maggiore scosse la testa, sinceramente divertito.
Si sentiva una specie di padre in quel momento, che, rassegnato di fronte l’entusiasmo del figlio, scuoteva la testa, accondiscendente a qualsiasi sua richiesta.
- “Lou” un tono di voce più pacato, basso, roco, che fece voltare all’istante il volto a Louis nella direzione dell’altro.
Harry sorrideva da sotto quei ricci scompigliati, gli occhi supplichevoli e pieni di gratitudine, le mani lungo il sedile.
- “Sei fantastico” un sussurro, lieve, nella musichetta ormai assillante delle attrazioni del lunapark, ora di fronte a loro.
Le luci psichedeliche creavano particolari effetti di luce sul viso di entrambi che, con lo sguardo basso e un lieve rossore in viso dovuto alla precedente frase del riccio, uscivano ora dall’auto, appena parcheggiata.
 
 
 
 
 
 
 
- “Ma è fantastico questo posto Lou! Da dove vuoi iniziare?” Harry non stava più nella pelle, una mano abbandonata nella tasca dei jeans, l’altra a strattonare energicamente il braccio di Louis per tutto il parco.
Quest’ultimo semplicemente rideva, o scuoteva la testa, posando sempre lo sguardo su quel ragazzo troppo alto e pallido per i suoi gusti, ma alcoltempo così bello.
- “Dunque, io direi di iniziare dalla ruota panoramica, la vista è pazzesca, se no anche il tunnel della paura mi ispira… quello che vuoi tu, riccio, siamo qui per te!” la voce troppo alta per la musica assordante di una giostra per bambini accanto a loro, affollata da genitori e prole urlante.
Harry non smise per un attimo di sorridere, travolto dalle attrazioni attorno a lui e con lo sguardo che scattava da una parte all’altra.
- “Quello!” quindi concluse dopo una veloce esplorazione, puntando l’indice contro il labirinto degli specchi.
- “Mi ci porti Lou?” chiese poi tra risate leggere, con sguardo implorante verso il maggiore, che annuì deciso.
- “Ottimo! Piace anche a me sai? Mi sarò spaccato il naso non so quante volte… vieni prima che si formi una fila assurda!” e con entusiasmo trascinò il minore verso un uomo sulla quarantina, lo sguardo serio e le mani che ripetevano il gesto di prendere banconote e consegnare biglietti colorati.
- “Grazie! Buona serata!” rispose quindi allegro il riccio dopo che Louis ebbe pagato per due e, non riuscendo a trattenersi, corse con l’altro verso l’ingresso.
- “Harry piano o ti rovinerai quel bel faccino che ti ritrovi” provò saccente Louis, entrando e scontrandosi subito contro una parete di vetro.
Harry rimase a guardarlo per un attimo serio, poi scoppiò a ridere, trattenendosi a stento la pancia con le braccia.
Louis imprecò mentalmente contro quel labirinto e chiunque lo avesse costruito, quindi, massaggiandosi il naso, si avviò dietro a Harry, molto più bravo di lui a non scontrarsi contro la gente o gli specchi.
- “Come caspita fai?” chiese dopo aver compiuto metà percorso il maggiore, incolume seguendo il riccio, sorridente e sicuro di sé, che si strinse poi nelle spalle.
- “Istinto di sopravvivenza?” rispose l’altro, ridendo, per concludere il percorso e lasciandosi scappare un urlo di soddisfazione.
Louis rimase a guardarlo, rapito, quindi poi sorrise e lo seguì verso un bancone di tiro a segno, pieno di pupazzi di varie grandezze.
Il cielo ormai si era inscurito, il sole aveva lasciato il posto alla luna e alle stelle, poco visibili per le luci del parco dei divertimenti.
- “Salve volete provare a vincere? Vi assicuro che non sarà semplice” iniziò con voce atona, di chi ripeteva quelle cose almeno venti volte al giorno, una ragazza giovane, bionda, e un cappellino beige in testa all’interno della bancarella.
Harry le sorrise lascivo, quindi guardò Louis con una muta richiesta dipinta in volto.
Il moro si strinse nelle spalle, sorridendo alla ragazza e consegnandole una banconota da cinque sterline.
Ogni volta che la sua mano prendeva soldi dal portafoglio, tremava impercettibilmente, scossa dal ricordo di quella notte al locale sull’autostrada.
Harry, che era stato da sempre un buon osservatore di tutto ciò che gli stava attorno, si irrigidì, quindi, storcendo il naso e capendo la situazione, posò una mano sul braccio di Louis, che alzò lo sguardo verso il riccio, perplesso.
- “Scusa Lou, a volte dimentico che i soldi non si trovano sugli alberi” tentò di sdrammatizzare, scuotendo poi la testa e facendo per allontanarsi dalla bancarella.
Il maggiore trattenne il respiro, preoccupato per il suo innato cambio di umore e, scambiando uno sguardo di scuse con la donna del tiro a segno, bloccò Harry per una mano, facendolo voltare verso di sé.
Ora i due si osservavano in silenzio, la musica ripetitiva attorno a loro ora lontana, il brusio della gente che correva ovattato, gli sguardi curiosi inesistenti.
Solo loro due, e i loro occhi.
- “Harry…” provò quindi il più grande, gli occhi imprigionati in quel verde magnetico.
- “Lou” lo interruppe quindi deciso il riccio, stringendo le mani attorno le sue braccia.
- “Hai già fatto molto per me, non c’è bisogno che sprechi denaro così, davvero” Louis sospirò.
- “Siamo qui per te, Harry, la tua felicità, cosa mi interessa dei soldi. Ne abbiamo abbastanza per le tue cure da… quell’avvenimento, lo sai” la sua voce più bassa, il deglutire a fatica della sua bocca.
Il minore si morse il labbro, pensieroso, lo sguardo assente, pieno di paure, parole non dette, preoccupazioni.
- “Posso chiederti perché lo stai facendo? Io non posso darti nulla in cambio, tu, voglio dire, stai facendo molto più di quello che mi aspettavo facessi” il tono di chi si era posto quelle domande milioni di volte, di chi finalmente, sollevato, confessava qualcosa, un peso in meno da portare in spalla.
Louis sospirò ancora, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe, poi sulle giostre attorno a loro.
- “Se ti dicessi che non lo so nemmeno io, Harry? Come reagiresti? Come ti comporteresti? Sono travolto da tutto questo, non so più perché faccio qualcosa, non sento la mia famiglia da due giorni. E non so davvero cosa sto facendo e perché, l’unica cosa reale è il tuo sorriso, o il fatto che ormai ci siamo dentro fin troppo in questa cosa” parole uscite da una bocca come un fiume in piena, goccia dopo goccia, fino al suo straripare, e alle sue conseguenze.
Louis infatti chiuse gli occhi, l’ansia premergli sul petto insistentemente, i rumori attorno a lui insopportabili, il rossore evidente sulle guance di Harry, il suo irrigidirsi, troppo reale.
Cosa cavolo sto facendo.
Come cazzo mi sto sentendo.
Perché dico queste cose, non le posso pensare davvero.
Sono così confuso.
Aiutami a capire, Harry, due menti sono meglio di una.
Ti prego, guardami.
Aiutami, anche solo con lo sguardo.
Il riccio non aveva mai sentito pronunciare parole del genere nei suoi confronti, era lusingato da ciò, eccitato all’idea di avere accanto qualcuno di così dolce, perfetto, che gli volesse bene. Ma era preoccupato per Louis, lo vedeva così confuso, travolto dalle sue azioni.
Quello è lo sguardo di chi si pente di qualcosa.
Ti penti di avermi detto queste cose Lou?
Di farmi battere il cuore ogni volta?
Di entrarmi dentro, penetrarmi la carne, farmi sentire dolore e piacere molto più di punture o analisi?
Tu mi fai sentire libero.
Con te sono libero.
Anche se siamo qui a tenerci stretti tra una folla di persone, ammassate tra loro.
Mi sento leggero.
Libero.
Non mi guardare con quegli occhi Lou, ne morirei.
- “Ehi, ma quelli non sono quelli del tg delle otto?” una voce più alta sovrastò le altre, coprendole, rompendo la monotonia di quei suoni, quei gesti, quelle risa.
Alcuni si avvicinarono alla donna che aveva pronunciato quelle parole, aumentando il brusio generale, facendo ammassare sempre più gente, creando sempre più scompiglio generale, aumentando gli sguardi verso Harry e Louis, intontiti dalle loro parole, i loro pensieri, e solo all’ennesimo grido di qualche altra donna, si risvegliarono, guardandosi intorno circospetti, tenendosi per mano, stretti.
- “Si sono proprio loro! Quello pazzo e il truffatore! Qualcuno chiami la polizia, per Dio! Ci sono i bambini qui!”
Parole urlate al vento, gente che fruga in borse, sacchetti, avvicina i figli con apprensione, chi si allontana sbuffando, chi semplicemente osserva la scena.
Harry rabbrividì davanti a tutto ciò, irrigidendosi, mentre Louis, al suo fianco, si agitava, iniziando a correre verso il parcheggio delle auto.
Il battito del suo cuore era paragonabile a quello di un colibrì, la paura ora aveva un odore, era tangibile, era così reale e vicina.
Harry corse a perdifiato con il moro, raggiungendo l’auto trattenendo il fiato e accucciandovisi dentro, le gambe strette al petto, lo sguardo allargato verso la folla che si avvicinava minacciosa.
Un ambiente così allegro e vivace in contrasto con i loro volti smarriti.
Le mani di Louis tremarono e fecero scivolare diverse volte le chiavi prima di riuscire a far partire l’auto.
Le ruote della macchina sgommarono contro il cemento; il rumore del clacson a far allontanare la gente attorno a loro, l’ultimo rombo di motori prima dell’entrata nell’autostrada principale.
Ormai era buio, luci confuse a segnare la strada, macchine che li superavano senza problemi.
Passarono interminabili minuti di silenzio, rotti solo dai loro sospiri rumorosi, l’ansia presente come un terzo passeggero dell’auto.
E di nuovo i pensieri di Louis andarono sulla sua vita tranquilla e monotona fino ad allora, analizzarono i suoi ricordi, andarono poi sulla figura di Harry, l’intento di tranquillizzarlo, di farlo sentire al sicuro.
Sentimento di protezione e amore verso quel ragazzo che spaventava così tanto il moro.
E Harry invece non pensava, non ne aveva la forza al momento, ancora stretto alle sue gambe e gli occhi sgranati.
- “Ho paura” quindi sussurrò, incerto, agitandosi sul suo sedile e spostando lo sguardo verso gli occhi di Louis.
- “Lo so, anche io” sussurrò tra i denti quest’ultimo, parole sincere, sentite.

  








Sera :D
Allora come vi va la vita?
Io domani ho gli invalsi.
Ditemi l'utilità, perchè io non la comprendo.
Detto ciò ahaha
Passiamo al capitolo:
Allora, ci ho impiegato di più del solito a scriverlo, una specie di parto.
Non sapevo come crearlo e alla fine è sucito così, vogliate scusarmi se è orribile.
In ocmpenso vi amo tutte quante(?)
E ripeto che chiedo scusa se non vi calcolo molto le email o le recensioni sempre per problemi di tempo, e che appena avrò tempo vi dedicherò me stessa :3
Ehhh niente, dai ammiratemi il banner: sono riuscita a crearlo da sola e sembra decente,
voi che ne dite? Preferivate l'altro?
Ah e ultima question; mo' Harry e Lou che faranno?
Se non si è capito Louis è in crisi perchè sente di provare qualcosa di diverso dal solito verso Harry.
Buona serata, a tutti <3
Un bacione
Lou_ 

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Capitolo 9
*** Chapter 9 ***



 










“Chapter 9”
 

 


 
 
‘Ad un certo punto della vita impari la sottile differenza tra tenere una mano e incatenare un’anima. Impari che l’amore non è appoggiarsi a qualcuno e la compagnia non è sicurezza. Inizi ad imparare che i baci non sono contratti e i doni non sono promesse. Cominci ad accettare le tue sconfitte a testa alta e con gli occhi aperti, con la grazia di un adulto e non con il dolore di un bambino. Impari a costruire tutte le tue strade di oggi perché il terreno di domani è troppo incerto per fare piani. Perciò pianti il tuo giardino e decori la tua anima, invece di aspettare che qualcuno ti mandi fiori.’
-V.A. Shoffstall
 
 
 



 
E a volte nella vita ti ritrovi a chiederti come farai ad andare avanti, ora che hai perso qualcuno di importante, hai subito una sconfitta, hai perso la strada da seguire. Quel momento in cui ti fermi all’improvviso, che tu sia in strada, su una panchina, in casa, chiudi gli occhi e dici ‘come faccio adesso ’. Hai poi l’irrefrenabile voglia di chiamare qualcuno, sentire pareri, anche solo per un conforto, quando forse hai già la risposta ai tuoi dilemmi in testa, a caratteri indelebili e neri, in grassetto: vai semplicemente avanti.
Già, avanti, ma ne vale davvero la pena? Si risolverà tutto nuovamente?
Nessuno lo può sapere purtroppo.
Si nasce con la convinzione di vivere felici e sereni, seguendo un modello di vita imposto fin dall’inizio dalla società in cui viviamo, una specie di guida, che però non puoi consultare più di una volta e che se non ascolti ti si può ritorcere contro.
E cosa succede quando ti ritrovi in un punto morto? Una situazione poco comune, una definizione rara e introvabile in quella guida? Nessuno che ti circonda sta passando quello che passi te, nessuno che provi le tue stesse emozioni, i tuoi tremolii nella voce, la voglia di piangere o semplicemente di rinchiuderti in casa in attesa di un qualsiasi cambiamento.
E allora come agire, comportarsi, ragionare?
La vita allora, inaspettatamente e nei momenti anche più stravaganti come solo lei può fare, ti riserva delle sorprese, delle situazioni inaspettate, capaci di farti tornare a sorridere, di distogliere la nebbia dalla tua strada in selciato verso il futuro.
Persone che non ti capiscono magari, ma che ti stanno accanto, sorridono, danno conforto e abbracci gratuiti.
Amici, di quelli veri, quelli su cui non dubiteresti un istante, oppure persone belle da vivere, da ‘andare avanti ’, che ti fanno  battere il cuore un po’ di più, sudare freddo a qualche parole più inespressa, rabbrividire per qualche sguardo più profondo.
Penso che tutte le persone abbiano bisogno di qualcuno del genere, con cui andare avanti, e che se ancora non ne hanno qualcuno debbano solo aspettare, perché è la gioia più grande che puoi provare, la realizzazione del tuo sogno più nascosto e grande.
Come un regalo di natale, nascosto tra gli scatoloni più grandi sotto l’albero, del quale ne realizzi la presenza solo dopo l’effettiva gioia e euforia per i doni già scartati.
Un pacchettino minuscolo, con un fiocco argento al centro, un bigliettino illeggibile stampato sopra.
Piccolo, ma che ti fa tornare a sorridere perché pensavi di aver ricevuto tutti i doni, che scarti con lentezza, assaporandoti il momento.
Louis Tomlinson, nato la vigilia di natale, ne aveva scartati molti di pacchi regalo nella sua infanzia e non. Era sempre stato travolto da pacchi giganti, colorati, ingombranti, ma ancora cercava il suo pacchettino inaspettato.
Lo scatolone che ora aveva aperto, invisibile e gettato ai suoi piedi, era colmo di preoccupazioni e ansie, la paura di deludere i suoi genitori, l’angoscia di ritrovarsi un mezzo della polizia in quell’autostrada troppo deserta, la vergogna verso sé stesso per non aver saputo proteggere completamente Harry.
Se fosse stato più attento, meno spossato dalla situazione e con la mente più lucida, si sarebbe potuto accorgere dell’effettiva gioia che aveva portato l’arrivo di Harry nella sua vita; un nome da scrivere in corsivo, con un pennino color oro, su pagina bianca.
Ma, si sa, quando si è accerchiati da regali, scatoloni, situazioni di vario genere, si affrontano prima quelle di taglie maggiori, per togliersi un peso, perché sono più in risalto.
Louis nel suo subconscio lo sapeva questo, era a conoscenza della reale bellezza di quel ragazzo riccio, ma al momento i suoi occhi stanchi erano sgranati dalle precedenti paure e da una nuova, piccola insidia, che si stava pian piano facendo spazio nel suo petto, all’altezza del cuore.
Il paradosso era che questa insidia era originata dallo stesso Harry.
Ora, Mark Tomlinson era un uomo all’antica, si era sposato giovane, aveva messo su casa e in breve tempo aveva avuto figli, tra cui il primogenito, protagonista della storia.
Mark aveva sempre sperato, pregato per avere un figlio maschio, qualcuno che portasse il suo cognome e gli desse dei nipoti degni di tale. Lo aveva allevato con tutta la fierezza, l’orgoglio e l’amore che un padre può donare; gli aveva insegnato a pescare al lago in montagna, stare in equilibrio senza mani su una bicicletta e come aggiustare il motore di un auto. Erano poi arrivate, inaspettatamente ma con una nuova gioia e felicità, Felicite e Charlotte, due ragazze per la gioia di Johannah. Lì Mark si era trovato impreparato, erano due femmine comunque, e lui non era tipo da sedersi con loro a prendere il tea con le bambole, quindi si era limitato all’affetto che poteva provare un genitore verso la prole, togliendolo quindi a Louis, abbastanza grandicello per badare a sé stesso. La situazione famigliare dei Tomlinson aveva raggiunto un nuovo equilibrio interno, segnato solamente dalle spese straordinarie dei pranzi domenicali, dopo la messa.
Un bel giorno si aggiunsero alla famiglia Daisy e Phoebe, due gemelle dai capelli biondo cenere e gli occhi azzurro mare, che passavano le giornate a strillare e piangere, sempre alla ricerca di attenzioni e cure. Johannah ormai aveva esperienza con le figlie, quindi non si era lamentata e aveva accettato la sfida con un largo sorriso; Mark invece aveva semplicemente accettato l’evenienza, aggiungendo alle sue già sfiancanti giornate lavorative turni extra e commissioni impegnative, che lo resero assente verso i bisogni affettivi dei figli, tra cui Louis. Erano arrivati a un punto di non ritorno, dal quale potevano uscire solo con uno sforzo che entrambi non avevano né il tempo né la voglia di affrontare.
La situazione quindi era più o meno priva di comunicazione, contando solo i ‘buongiorno’ biascicati alla mattina e i ‘buonanotte’ urlati tra un turno di lavoro e l’altro, da parti diverse della casa. La situazione quindi aveva raggiunto un nuovo stabile livello, con tanto di pilastri in pietra e paletti in ferro, che davano proprio l’idea di qualcosa di immutabile.
Poi era arrivata Eleonor Calder, la tipica brava ragazza della porta accanto che, tra sorrisi, battute e sguardi si era appropriata del cuore di un Louis adolescente e in piena fase ormonale.
Johannah era felice per la loro relazione, invitando sempre la giovane a cena in casa loro, con forte disappunto delle sorelle medie di Louis, monelle e con l’egocentrismo tipico di chi ha sei, sette anni. Mark invece ne era entusiasta, come se fino ad allora il figlio fosse stato completamente invisibile ai suoi occhi, ora era riemerso dal fondale di un oceano di indifferenza, portandosi dietro il tesoro dei Sette Mari.
Ora, Louis era felice con Eleonor, era stato divertente conquistarla e vantarsi di ciò con gli amici, uscire con lei e passare le serate nei posti più bui dei cinema a pomiciare, ma non ne era davvero emotivamente coinvolto; lo era più suo padre, e Louis, da bravo figlio primogenito, non voleva deluderlo, voleva essere il giusto erede Tomlinson, e la situazione quindi con Eleonor si era trascinata, fino al fatto di fare con lei del sesso.
Esperienza ricca di insicurezza e paure, eccessiva fretta di compiacere l’altro e dolori causati dai nuovi movimenti eseguiti, il tutto portato a termine nella camera da letto di Louis, in quello spazio ristretto, con la speranza da parte del giovane che il padre capisse cosa stava succedendo e diventasse ancora più fiero di lui, come lo era un tempo, quando non era immerso nel lavoro.
Poi era arrivato il diploma all’ultima classe di medicina, in una delle scuole più prestigiose di Holmes Chapel. Inutile dire la reale emozione di Louis allo stringere quel sudato pezzo di carta e a lanciare in aria coi suoi compagni di corso quell’orribile e antiestetico cappellino quadrato, o le lacrime agli occhi di Johannah e i sorrisi degli amici, o le pacche vigorose sulla spalla del padre e i soldi sufficienti per acquistare un’automobile.
‘Così viaggeremo per il mondo!’ aveva accolto la notizia Eleonor, di qualche anno più grande e con una carriera da modella davanti a sé che faceva sempre storcere il naso a Louis.
E il ragazzo ‘Si!’ riprese con la stessa energia della fidanzata ‘ma El, io da adesso dovrò iniziare il tirocinio e tu dovrai viaggiare davvero per il mondo’ il tono in un continuo decrescendo.
‘Cosa stai cercando di dirmi?’ e Louis semplicemente  si stringeva nelle spalle, non sapeva cosa volesse davvero intendere, dopotutto aveva appena compiuto ventuno anni, aveva un auto e il sogno di diventare dottore, cosa che non andava di paripasso con la prospettiva di vita della mora.
E Eleonor era scoppiata in lacrime davanti a lui, i suoi amici e la scuola in cui si era appena diplomato, facendolo passare per un ragazzo sconsiderato e senza cuore; ma quello per lui era il minimo insopportabile.
Così, le vite dei due ragazzi si trasformarono da due rette incidenti a due parallele, decise e sottili, destinate a non incontrarsi mai più, anche se Mark Tomlinson lo aveva disperatamente voluto.
La vita di Louis era quindi tornata alla sua calma e incolore monotonia di tutti i giorni, con poi il suo colloquio di lavoro all’HC Hospital e il susseguirsi degli eventi che conoscete.
Il moro comunque si rese conto solo in quel momento, davanti quel pacco gigantesco ai suoi piedi capace di mettere in ombra quello contenente Harry, il vero motivo della sua insoddisfazione per la relazione con Eleonor.
Era mezzanotte passata da come indicava oggettivamente il suo orologio sul cruscotto dell’auto, mezzo che stava guidando sempre indisturbato per quell’autostrada senza fine, con Harry accanto immerso in sogni tormentati che lo facevano sussultare a tratti.
Era  la notte fonda di molti mesi dopo la rottura con la Calder che Louis fece la sua prima diserzione da quella guida che dotava tutti la società.
Fu in quel momento che Louis capì di non essere come i suoi amici di infanzia, la gente che passava per strada, o come voleva che fosse Mark Tomlinson.
L’immagine del padre che interrompeva il suo lavoro per scrutarlo con cipiglio e disappunto per la notizia, per poi cacciarlo di casa preso dalla delusione gli fece stringere lo stomaco e lo nauseò a tal punto dall’essere costretto a accostare l’auto in uno spiazzo di servizio, a lato della corsia.
L’interruzione improvvisa della loro corsa svegliò Harry che, sbadigliando, tornò con un salto alla realtà: la loro fuga dal lunapark, la gente che li riconosceva e chiamava la polizia, la paura di solo poche ore prima.
‘Lou,’ quindi sussurrò lieve il minore, sedendosi in modo più composto e stiracchiandosi le gambe, ‘dove siamo?’ si voltò quindi verso il moro, sordo alle sue parole e con lo sguardo puntato davanti a sé.
La mente del maggiore era troppo colma di pensieri orribili e dispregiativi verso di sé per poter permettersi di ascoltare le domande di Harry, o voltarsi anche solo verso di lui.
Louis cominciò quindi a scuotere con vigore la testa, le prime lacrime che tra spasimi si formavano copiose lungo le sue guance.
Il riccio si accigliò davanti la sua reazione, capendo che qualcosa non stava andando per il verso giusto, e, sentendo una fitta lancinante al petto per l’effettivo dolore che stava affrontando il suo compagno, alzò lentamente una mano, tremolante, verso la spalla di Louis, e la strinse con delicatezza.
Il moro, a quel freddo e diretto contatto con la realtà, si irrigidì, storse il naso e, imprecando sempre contro sé stesso scosse forte la spalla, facendo staccare la mano del minore, perplesso e intimorito.
‘Lasciami’ sputò con odio, un odio incondizionato verso sé stesso, quei sentimenti che non doveva provare, pensieri che non doveva pensare, azioni che non doveva fare.
Silenzio pungente nell’auto, rotto solo dai grilli lontani del verde alle loro spalle.
Harry si mosse nervoso sull’auto, non più sicuro su ciò che stava accadendo, non più sicuro su nulla perché dopotutto Louis gli aveva appena gridato contro.
L’altro sospirò rumorosamente, stringendo le mani sul volante fino a farle sbiancare, quindi riprese a singhiozzare più forte, il busto rigido, le gambe piegate e lo sguardo fisso sulla strada impercorsa davanti a loro.
Il riccio non aveva mai visto qualcuno accanto a lui soffrire, era sempre stato lui quello indifeso, quello sofferente da aiutare a tutti i costi, compatire.
Aveva provato però sulla sua pelle cosa significava morire dentro per qualcosa, bruciare d’odio per una parola in più del dovuto o piangere fino a disidratarsi, e fu proprio per quello che, sospirando piano per calmarsi, si voltò definitivamente verso l’altro e rimase a guardarlo insistentemente, senza chiedere nulla solo pronto ad ascoltare, per provare ad aiutare, comprendere e capire.
Cosa stai portando di così pesante con te che io non sappia già?
Cos’è successo Lou?
Parlami.
Parlami perché ti voglio aiutare.
Lascia che ti aiuti ad alleggerirti.
Sfogati, sono qui per te.
Non me ne vado via.
Io non ti abbandono Lou.
Non lo farò mai.
Un singhiozzo più forte degli altri, poi Louis, accasciandosi contro il suo sedile, si voltò verso Harry, uno sguardo sofferente in volto.
- “Sono uno schifo di persona Harry, un errore, devi tornare indietro Harry, devi tornare da chi ti può apprezzare, rendere felice, sono un errore” un tono lamentoso, ricco di disprezzo.
E Harry aspettò qualche attimo, per assicurarsi che le parole di Louis non avessero un seguito, per metabolizzare il significato di quelle frasi sconnesse, a lui insensate.
- “Lou” quindi iniziò monotono, raddrizzandosi sul sedile e non distogliendo lo sguardo,”perché pensi questo?”
- “Perché…” Louis si fermò un attimo per riprendere fiato, per lasciar scorrere ancora qualche lacrima, “perché sono una delusione, perché ho mollato Eleonor, perché ho baciato Stan una volta ad un convegno di medicina, perché non darò nipoti a mio padre”
Harry impiegò qualche minuto a capire realmente cosa stesse cercando di ammettere Louis, che aveva parlato troppo in fretta e senza respirare, quasi avesse paura di dimenticarsi tutto; poi, socchiuse gli occhi, gli venne solo da sorridere timidamente perché, andiamo, Harry pensava peggio e, lentamente, portò una mano alla guancia di Louis, catturando una lacrima.
Il moro si irrigidì a quel contatto, chinando la testa per facilitarlo.
- “Non ti faccio schifo Harry? Sei troppo buono con me”
E il minore lo guardò storto, chiedendosi come fosse possibile dire certe cose, quindi gli si avvicinò, trattenendo un sorriso.
Ora o mai più.
- “Io trovo che tu sia bellissimo” sussurrò quindi, arrossendo un poco.
- “Ma sono sbagliato” continuò il maggiore, ad occhi chiusi, le lacrime cessate.
- “Sbagliato rispetto a cosa? Alla gente attorno a te? E chi ti dice che non siano loro quelli sbagliati?” Harry alzò di poco la voce, irritato dalle convinzioni di Louis, per lui così stupide e insensate.
Louis allora accennò un sorriso, aprendo di poco gli occhi e facendo fremere il riccio, resosi conto solo in quel momento della poca distanza tra di loro.
- “odio ammetterlo ma devo darti ragione” cominciò scherzoso Louis.
- “Lo so, ho sempre ragione, dopo tutto io…”
- “Shhh” lo zittì allora il moro con un indice premute sulle labbra dell’altro, facendolo sussultare e allargare di poco gli occhi; il cuore ormai in perenne agitazione.
- “Intendo che hai ragione solo su una cosa, Harry: anche io ti trovo bellissimo” parole sussurrate contro le labbra dell’altro, poi un leggero sfioramento.
Harry sorrise contro le sue labbra, avvicinandosi e stringendo le sue mani attorno quelle di Louis, tiepide al contatto.
Il maggiore premette con crescente forza la bocca contro la sua, schiudendola per cercare un accesso nella bocca del minore, tremolante e inesperto a quelle attenzioni.
Louis si sporse oltre il suo sedile, assaporando la bocca di Harry, sentendone il profumo, respirando la sua aria.
Harry pensò semplicemente a quanto Louis fosse bellissimo.
 
  












Sera! <3
Vi lascio il capitolo così com'è, spero si capisca tutto e che vi sia piaciuto, io li adoro non so voi.
Purtroppo mia madre sta sclerando perchè vuole il pc, sono piuttosto di fretta e mi sta minacciando come solo una madre sa fare...
Vi dico solo che dopo sti giorni intensi coi one d a Milano non ci sto con la testa, voglio dire, hanno fatto entrare gente senza biglietto! Voi li avete visti ? Come è stato? Io ho solo visto Niall all'hotel, amo tropo quell'elfo :D
Aspetto recensioni e commenti, voglio sapere che pensate del mio capitolo ;)
Non smetterò mai di ringraziarvi
siete fantastiche
Un Bacione
Lou_ 

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Capitolo 10
*** Chapter 10 ***


 



 









“Chapter 10”
 
 


 
 
‘E se vuoi piangere, io sono qui. E se vuoi ridere io sono qui, e se vuoi litigare, sono ancora qui. Non c’è bisogno di parlare, abbiamo gli occhi per sentirci nostri. Abbiamo le mani per toccare pelle che già conosciamo a memoria. E se hai bisogno di amare, io sono qui.’
- Tumblr
 
 
 


 
 
L’ aria si era fatta tiepida e leggera, piacevole.
Ti solleticava la pelle come la carezza di una mano, e profumava di tranquillità e silenzio.
Il sole sarebbe sorto a breve, preannunciato da fiochi raggi luminosi al di là di nuvole sparse per il cielo, senza un apparente ordine, confusionarie.
Solitamente, a quell’ora del mattino, quando ancora la gente non si svegliava, non c’era il ritmo frenetico di persone, macchine, tram passare e l’unico rumore che gli solleticava l’orecchio era un bisbiglio confuso di qualche paziente di una stanza vicina, o lo scrosciare piacevole dell’acqua nei bagni, utilizzata per pulirsi le mani prima di iniziare un turno di lavoro come dottore, Harry amava osservare oziosamente al di là della sua finestra. Non aveva mai capito cosa osservava esattamente, dato che non c’era molto da ammirare se non i fiori curati dei giardinetti o le decorazioni del cancello principale, però lo faceva; la sicurezza di un’azione abitudinaria. Le sensazione erano sempre le stesse, così familiari: il bruciore del trattamento appena subito, la calma e la tranquillità di non avere nessuno che ti ronza attorno preoccupato riguardo la tua salute, la sensazione soffocante di essere sempre rinchiusi nello stesso posto e, stranamente, la pace.
Perché Harry era così, se aveva l’opportunità di prendere il respiro da quella vita ansiosa e affannata, poter osservare il mondo senza per un attimo farne davvero parte, la coglieva al volo e con entusiasmo.
Era da qualche giorno che la sua vita non aveva più attimi per tirare un sospiro di sollievo, magari voltarsi verso Louis e ammirarlo nei minimi particolari, quasi da scattare una foto mentalmente, quel sorriso così vero e luminoso pronto a scaldarti sempre il cuore nei ricordi.
In così pochi giorni, Harry Styles aveva passato le situazioni più movimentate e eccitanti, in fondo, che mai avesse provato in tutta la sua vita e si, ne era felice.
Ma quel sentimento tanto nuovo e sconosciuto, quella felicità passeggera, non era nulla in confronto a ciò che aveva provato poche ore prima.
Aveva baciato Louis.
Solo il verbo racchiuso in quella frase lo faceva fremere dall’eccitazione.
Lui, proprio lui, aveva baciato il ragazzo più meraviglioso che avesse mai conosciuto.
Con quelle labbra, quelle dannate e fottutissime labbra che fino allora avevano solo sfiorato le guance di sua sorella o sua madre.
Non sapeva esattamente come comportarsi a riguardo, era confuso e terribilmente felice, solo questo.
I sentimenti che si provano alla realizzazione del tuo desiderio più grande, che speri di concludere da una vita, l’ansia che ti cresce dentro quando capisci che ci sei vicino, la sensazione di leggerezza quando hai portato il tutto a termine. Ma poi, quasi un brusco risveglio, apri gli occhi e ti chiedi ‘e adesso?’
E puoi scegliere se ammirare le conseguenze della vittoria raggiunta, oppure porti un obbiettivo maggiore, ancora più grande e soddisfacente.
Harry non era mai stato una persona insaziabile, non faceva parte del suo carattere, avrebbe fatto a pugni con la sua situazione, fatta di stenti e piccole gioie.
Si accontentava sempre di ciò che aveva, sorrideva alla gente che lo guardava con pena o compassione, magari un sorriso non troppo tirato o che coinvolgeva anche gli occhi, ma gradevole.
Sua mamma gli aveva sempre insegnato così, e non voleva darle dispiaceri o fastidi.
Lui in quel momento, a bordo dell’automobile di Louis, seduto accanto a lui con gli occhi chiusi e un’espressione tirata in volto, non riusciva a godersi il suo piccolo momento interiore di calma e tranquillità, a guardare all’esterno del finestrino dell’auto e pensare a tutto o a niente.
Semplicemente perché era turbato e triste, soprattutto triste, per Louis.
Non riusciva a porsi obbiettivi più grandi in quel momento perché semplicemente non ne vedeva, ma aveva anche la vista oscurata dalle lacrime o l’infelicità del suo compagno.
Quel ragazzo che viveva per renderlo felice, anche se lo stesso Harry era imbarazzato a riconoscerlo, perché, dopotutto, chi mai si era preoccupato così verso di lui?
Quel ragazzo fantastico, il primo a cui volesse bene o qualcosa in più, che ora stava male per una ragione a lui sconosciuta, o quasi.
Il problema infatti, che leggeva nelle parole tremolanti di Louis o nei suoi occhi velati da lacrime, era lui, o meglio, quello che aveva fatto con lui; un errore, uno sbaglio.
La gente, secondo Louis, ci avrebbe visto dentro tutto l’odio della società, tutto sbagliato, da resettare e iniziare da capo, qualcosa andato storto nella crescita, nello sviluppo fisico e mentale, quasi una malattia.
Harry ci vedeva semplicemente un bacio.
Ma, la domanda che turbava profondamente Harry era, cosa ci vedeva in quel gesto Louis?
Era stato felice di poter sentire il suo profumo?
O il suo sapore sulle labbra?
O le sue mani, così morbide, intrecciate con le sue?
Era contato tanto quanto era contato in Harry?
Troppe domande, troppi dubbi e incertezze per una sola persona.
Un peso soffocante sul cuore di Harry, che non accennava a diminuire, neanche a uno scrollare del capo o ad un sorso d’acqua.
La preoccupazione in tutte le sue forme.
Una luce improvvisa e tiepida si rifletté contro lo specchietto dell’auto, accecando il riccio per qualche attimo che, assonnato e pensieroso, si stiracchiò lentamente contro il sedile, uno spazio così piccolo e ristretto diventato letto fino a poco prima.
Erano fermi ad una stazione di servizio, chiusa al momento, con le saracinesche abbassate e un odore di benzina forte e stucchevole per la zona.
Harry sbadigliò involontariamente, poi guardò Louis, di sottecchi, quasi avesse paura di svegliarlo, così sereno per una volta.
- “Giorno piccolo” mugugnò quindi l’altro, sempre ad occhi chiusi, allungandosi contro il volante nel vano tentativo di stirarsi.
Un piccolo tuffo al cuore per Harry.
- “Giorno” provò quindi, sorridendo a trentadue denti, anche se ancora timoroso dell’umore del maggiore.
Louis assottigliò gli occhi, infastidito dal sole, poi si voltò sul sedile verso il riccio, rimasto ad osservarlo curioso e perennemente felice.
- “Come va il braccio?” chiese con voce assonnata, accennando al trattamento della sera precedente, avvenuto al buio e quindi meno preciso del solito.
Harry si strinse nelle spalle, accucciandosi su sé stesso e voltandosi definitivamente verso il moro.
- “Hai degli occhi bellissimi di mattina, te lo hanno mai detto?” sussurrò quindi Louis, accennando un sorriso, non volendo quasi rompere la situazione.
E al minore mancò il respiro, un altro tuffo al cuore e il disorientamento per il cercare qualche parola o complimento da dire a Louis perché, come sempre, era bellissimo, con o senza i capelli spettinati, o quello sguardo sbarazzino, o l’accenno di un sorriso.
Louis notò l’agitarsi del riccio e quindi, ridacchiando, si chinò a sfiorargli le labbra, poi, sospirando, tornò composto al sedile del guidatore e iniziò a maneggiare coi controlli dell’auto per farla partire.
Harry arrossì un poco, insoddisfatto da quel momento così corto, quindi si scosse e si sistemò la cintura di sicurezza.
Inutile dire quanto fosse insicuro e vacillante riguardo l’umore e i pensieri di Louis; provò anche a convincersi di averci pensato troppo su, come sempre.
Guardava quindi incredulo il compagno, provando a trovare un accenno, un segno della guerra interiore che stava combattendo, come prova di non essersi immaginato tutto.
Il bacio appena ricevuto poi, bruciava sulle labbra portandolo alla realtà dei fatti, quindi arrossiva e sorrideva inebetito.
Lanciava infine l’ennesimo sguardo disinteressato, per rimanere poi destabilizzato e perplesso di fronte quel sorriso bello come sempre, gli occhi un po’ incavati ma profondi come sempre, quel colorito leggero intorno alle labbra, che ho appena baciato, dio, vivace come sempre.
Intanto uscirono veloci e scorrevoli dalla stazione di servizio, percorrendo una nuova autostrada,ma quante ce ne sono di autostrade al mondo?,verso chissà dove, immersi nel silenzio e nel verde ai lati del cemento.
- “Ti vedo silenzioso Harry, sicuro di stare bene?” chiese con meno sicurezza e una leggera inclinazione nella voce Louis, spostando per qualche attimo lo sguardo sul compagno, che sorrise, scuotendo la testa per rassicurarlo.
- “Ho difficoltà a riprendermi la mattina, soprattutto se vado a dormire tardi la sera” rispose quindi il minore, perdendosi nel ricordo della notte passata.
Il moro sorrise un poco, tornando poi serio e irrigidendosi al volante, accelerando l’andatura dell’automobile.
Il riccio si voltò verso di lui con sguardo corrucciato, e Louis si strinse nelle spalle, copiandogli il gesto.
- “Voglio arrivare presto ad un bar che conosco, ho una fame!”
- “E meno gente ci riconosce, meglio è” si lasciò scappare Harry, storcendo il naso all’immagine della folla del lunapark sull’autostrada.
- “Giusto, questo soprattutto” commentò duro l’altro.
E ritornò a incombere il silenzio nell’auto, il rombo di motori come unico diversivo.
Harry provava a concentrarsi sul paesaggio mutevole che gli passava davanti gli occhi, o a cercare di dare una forma a qualche nuvola bianca in cielo, ma non ci riusciva, quel peso sul petto continuava a saltellargli addosso come un bimbo che cerca attenzioni.
Sospirò, dunque, storcendosi le mani e cercando le parole esatte da dire, per poi mandare all’aria tutto e, con sforzo, voltarsi verso Louis per parlare.
- “Loulou…”
Il moro si voltò verso di lui un poco, per dirgli che ascoltava, e Harry vi scorse sulle guance un colore roseo, forse per il nuovo soprannome trovato.
- “Cosa pensi… riguardo… al nostro… a noi….all’altra sera e a stamattina… insomma hai capito no?” sbottò infine, preda dell’agitazione e con le mani sempre più frenetiche nel contorcersi, lo sguardo basso.
Louis sospirò semplicemente.
- “Non ne ho idea, piccolo. – calcò il tono su piccolo, perché, dopotutto, era lui quello capace di creare i migliori soprannomi e Harry sentì un moto di delusione farsi strada dentro di sé, forse sperava in qualcosa di più come ‘siamo fidanzati e ammetto di essere omosessuale’ ma il maggiore riprese – non voglio coinvolgerti nel mio mondo Harry, già ci sto stretto io e credimi, non lo augurerei nemmeno al mio peggior nemico”
Il riccio storse la bocca contrariato, ora voltatosi a guardarlo.
- “Dovevi pensarci prima” sbottò quindi senza pensare.
Louis strinse le labbra, poi sospirò ancora, lentamente e Harry provò a calmarsi, abbassando di nuovo lo sguardo, colpevole.
- “Scusa Loulou, alla mattina ripeto che faccio fatica a riprendermi, avrai già i tuoi problemi e io…”
- “No, hai perfettamente ragione invece” e Harry si rilassò un poco contro il sedile, in ascolto.
- “Io… vedi non è che abbia una famiglia dalla mentalità molto aperta, sono sempre stato cresciuto con delle convinzioni, che pian piano mi si sono ritorte contro. Perché tu mi piaci Harry.”
Silenzio.
Di qualcosa, qualsiasi cosa cazzo.
Ha appena detto che gli piaccio.
Dio aprirei il finestrino solo per gridarlo al mondo.
Lo ha detto.
Lo ha ammesso.
Ma soffre.
Tanto.
Anche io soffro Lou, soffriamo insieme, io sono qui per te e tu per me.
Il riccio sorrise, gli si illuminarono gli occhi, gli si delinearono due fossette leggere attorno le labbra, ma Louis era troppo imbarazzato dalla confessione appena fatta per notarlo, quindi tenne gli occhi sulla strada.
- “Anche… anche tu mi piaci Loulou… ma…ho paura” voce leggera, rotta dalla nuova preoccupazione, quel pensiero con una presenza fissa nella mente di Harry, quell’immagine fissa negli incubi di Louis.
- “Tu non devi avere paura quando ci sono io, non ti lascerò mai solo” sussurrò a denti stretti il moro, stringendo le dita attorno il volante.
Harry sentì gli occhi farsi lucidi, ma si trattenne e riprese, perché quel discorso lo dovevano affrontare, era necessario, le conseguenze della vittoria realizzata.
- “Ed è proprio per questo che ho paura Louis… sai a cosa mi riferisco. L’ultima cosa che voglio è vederti star male, per….me”
- “Siamo arrivati alla cittadina Harry, tieni lo sguardo basso prima che qualcuno ci riconosca”
E quelle parole, colpirono a pieno petto il corpo del riccio, che chiuse gli occhi per un attimo, perché ignorare la cosa non avrebbe aiutato.
Per niente.
 
 
 


 
 
 
 
Sono proprio bravo ad aiutare e fare la predica agli altri, ma quando si tratta di me.
Vorrei fregarmene davvero della gente, di quello che pensa, di quello che attraversa loro la testa, poter camminare mano nella mano con lui, invece che a debita distanza.
Dio ha delle labbra stupende, vorrei poterlo anche baciare.
Ma tutto questo è sbagliato.
Tutto questo è contro natura.
Sono diverso, sono nato diverso.
E’ ovvio che la gente reagisca male a quello che provo.
Se fossi qui con Eleonor la situazione sarebbe ben diversa.
Andrebbe bene a tutti.
Si, tutti tranne che me.
Louis abbassò lo sguardo sulla sua brioche, ne strappò un pezzetto e se lo lasciò scivolare in bocca, gustando il suo sapore dolciastro, quindi continuò a camminare accanto a Harry, diretti ad un piccolo spiazzo pedonale di Holmes Chapel, con qualche panchina, un albero in fiore che crea una vasta ombra, e la solita quiete.
- “Ci credo che sei voluto ritornare qui per quel dannato bar, le brioche sono troppo buone” commentò allegro Harry tra un boccone e l’altro, il naso con una punta di cioccolato, le labbra ormai marroni.
Louis scoppiò a ridere, osservandolo davvero solo ora, quindi gli si sedette accanto sulla panchina e gli si avvicinò, per poi passare un indice attorno le labbra e prendergli del cioccolato.
Harry fremette al contatto, quindi abbassò lo sguardo sulle sue scarpe, continuando a mangiare.
- “Non hai paura ci veda qualcuno che conosci?” sussurrò il riccio, masticando lentamente e assaporando il cioccolato, mai mangiato prima perché bandito dall’ospedale.
Louis smise di guardarlo, tornò serio e prese a dedicarsi alla sua brioche, pulendosi di tanto in tanto le mani con un fazzolettino di carta.
- “No – riprese dopo poco – la mia famiglia abita dall’altra parte della città, vicino l’ospedale. I miei amici sono tutti delle parti di Doncaster o in zona. Sembro stupido ma calcolo tutto”
Harry ridacchiò, finendo la sua colazione e piegando le gambe davanti a sé.
- “Ma sei un disastro riccio! Mentre mangiavi la brioche hai sentito il sapore del cioccolato? Ce l’hai tutto spalmato in faccia” iniziò il maggiore sorridendo, avendo finito anche lui di mangiare e iniziato a guardarlo.
Il riccio sorrise sornione, tenendo lo sguardo basso, poi, divertito, si voltò a guardare l’amico con aria di sfida.
- “Perché non mi pulisci?”
Louis scosse la testa ma, guardandosi bene intorno e irrigidendosi un poco, gli si avvicino lentamente, le labbra a sfiorargli piano tutta la parte delle guance, il naso a tratti a solleticare la pelle dell’altro, rosso in volto e con un piccolo sorriso.
Le labbra del maggiore percorsero piano la bocca di Harry, fino a raggiungere le labbra, morderle, - “Scusa pensavo fosse un vero pezzo di cioccolato”, e iniziando a baciarlo via via con più desiderio. Harry portò le braccia dietro la schiena dell’altro, avvicinandolo a sé con foga, chiedendo sempre di più, più contatto, più amore.
Dammi tutto quello che puoi adesso Louis, io so che non saremo infiniti.
Tutto questo avrà una fine.
Lo so.
Ma non è sbagliato.
Come puoi vergognartene.
Io sono felice Loulou.
Tu ne sei felice almeno un po’?
Io ti voglio vedere felice.
Non ho mai voluto qualcosa più intensamente.
Baciami, fammi sentire amato.
Perché io voglio farti sentire così Loulou.
Louis si staccò velocemente da quel contatto, il fiato corto, le labbra poco più rosse, per riprendere fiato.
Harry accanto a lui non la smetteva di sorridere, gli occhi sognanti e pieni di affetto.
Il moro lo guardò per qualche attimo, lasciandosi scappare un sorriso, quindi, allegro, è così bello vederti così, Loulou, si alzò, facendo un cenno all’altro di andare.
Harry rimase a guardarlo in silenzio, poi si alzò e, scusandosi senza perdere mai quel sorriso, - “Vado un secondo in bagno, Lou” e accelerò il passo verso il bar da cui erano da poco usciti.
Il maggiore lo osservò ansioso, poi si sedette nuovamente, sospirando e sentendo ancora il sapore di cioccolato tra i denti.
 
 
 
 



 
 
 
 
 
Il sole ormai era alto in cielo, le strade, prima deserte, iniziavano a essere popolate da anziani in giro per la spesa, bambini gioiosi pronti a rincorrersi e mamme bisbetiche a raccontarsi vita morte e miracoli.
Louis tra quella folla si sarebbe anche divertito a osservare ogni minimo dettaglio, sorridendo, perché anche lui era tra loro, era normale, magari poco felice ma senza particolari differenti, ma in quel momento proprio non ci riusciva.
Qualcosa, al di là della fame improvvisa, della stanchezza per il poco sonno, lo attanagliava, l’ansia, la preoccupazione.
Harry non era ancora tornato dal bar.
Non voleva invadere i suoi spazi, voleva farlo sentire libero, ma non ci riusciva, pensava solo il peggio delle situazioni.
Silenziosamente si domandava come avrebbe fatto senza Harry a passare il resto della sua vita, ma scacciò il pensiero come una mosca fastidiosa, quindi, raccogliendo le poche forze rimaste e i buoni propositi di essere meno ansioso verso il riccio, ripercorse la strada in selciato verso il bar, facendosi largo tra la gente sempre più numerosa.
E se gli è successo qualcosa?
E se è svenuto?
O lo hanno trovato?
Non ce la faccio.
Harry ti prego, fatti vedere.
Spaurito si guardava intorno, le persone attorno a lui sempre più fastidiose e oppressive, il rumore e il vociare a coprire i suoi pensieri, la sensazione di essere in una bolla a parte, isolata dal resto della città.
Giunse al bar in fretta, trattenendo il fiato ed entrando.
Spostò lo sguardo qua e là, riconobbe la barista, intenta ora a servire nuovi clienti, setacciò ogni tavolo col pensiero di rivedere Harry, quando finalmente scorse il cartello dei bagni e vi ci entrò, provando a darsi un contegno, a sorridere immaginandosi Harry che lo guarda accigliato e che poi lo prende in giro per l’eccessiva ansia da ‘mamma apprensiva’, che si lava le mani schizzandogli un po’ d’acqua e poi lo segue con quel suo sorriso per tornare in macchina.
La stanza asettica del bagno, silenziosa, un solo ronzio lontano forse della luce al neon, uno specchio opaco e due lavandini arrugginiti, il tutto deserto e senza traccia di un Harry sorridente.
Il cuore di Louis si fermò in quell’istante e, imprecando, scattò all’esterno del bagno, verso il bancone ora poco affollato da clienti.
- “Scusa”
Quasi gridò, rivolgendosi alla ragazza intenta a pulire bicchieri, che al suo richiamo si voltò sorridente e cordiale.
- “Non si fanno restituzioni, se non ti è piaciuta la brioche” ironizzò quella, strizzandogli l’occhio.
Louis non provò a sorridere nemmeno, non ci riusciva e
- “Ti prego, hai visto per caso passare il ragazzo riccio che era con me?”
La barista rimase ad osservarlo, preoccupata e soprappensiero, quindi annuì decisa e di nuovo sorridente.
Louis tornò a respirare.
- “Si, ha fatto come se entrasse nel locale, poi è andato verso la zona pedonale, sai no, il parco pubblico”
- “Grazie davvero” riuscì solo a dire Louis, di nuovo intento a correre all’esterno del bar, il cuore a mille e la voglia di prendere a schiaffi il minore. 











Seraaa :D
Allora come va?
Io lotto contro la scuola, ve lo giuro ahaha non ne posso più e mi stanno bombardando di verifiche -.-''
Cooomunque, come vi sembra il capitolo?
Mi è uscito un pochino più lunghetto, ma beh, spero vi piaccia ;)
Secondo voi perchè Harry è scappato?
E Louis che non accetta la sua omosessualità?  *Ogni riferimento alla realtà è puramente casuale* ahahaha
Beh, che dire, ci si vede al prossimo capitolo?
Spero di si, vi adoro dalla prima all'ultima ^.^
Inoltre chiedo umilmente scusa se non passo subito a rispondere o a leggere le vostre storie, entro solo nel sito a pubblicare aggiornamenti, non ho mai tempo per fare un cazzo ed è frustrante. Davvero.
Vi adoro comunque. (Già detto? lo ripeto ahaha)
Un bacione
Lou_
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Capitolo 11
*** Chapter 11 ***










"Chapter 11"

 
 
 
 
“Non ero irraggiungibile. Non ero difficile. Non ero inconquistabile. Ero ferita, ed ero una di quelle persone che sola ci stava bene. Che forse era anche peggio.”
- Deborah Simeone

 
 
 




L
ouis Tomlinson svoltò l’ennesimo angolo per trovarsi in una stretta stradina circondata da palazzoni e qualche panchina. Era completamente giorno ormai, il caldo si faceva via via più sentire e, con l’aiuto dell’ansia di perdere Harry, fece sudare freddo e affannare il moro, sempre più teso.
Manca poco, ancora pochi passi.
Questa strada è così lunga, cazzo.
Harry, perché scappi?
Non sei felice con me?
Io pensavo lo fossi… io…
Non so più cosa pensare.
E la mente di Louis, quasi a volergli giocare un brutto scherzo, si soffermò sull’immagine del riccio, sorridente e sporco di cioccolato, che gli chiedeva con un tono malizioso se ‘mi pulisci tu, Loulou?’ che anche solo dal tono fece rabbrividire Louis, stringersi nelle spalle e accelerare il passo.
Il vociare di gente, accompagnato dalle risatine di bambini lo fece sospirare; era arrivato al parco pubblico.
Superò il cancello principale in ferro battuto, evitando lo scontro con una bambina intenta a rincorrere una palla, spostando lo sguardo prima da una parte, poi dall’altra.
Voleva gridare, dentro di sé voleva chiedere aiuto a tutti, ma allo stesso tempo non voleva attirare troppo l’attenzione generale; dopotutto erano ‘ricercati’.
Sbuffò, si morse il labbro, imprecò mentalmente contro la sua sorte e iniziò a correre per il vasto prato che aveva davanti, non lasciandosi sfuggire il minimo angolo o la più piccola attrazione per bambini.
Il cuore gli martellava in petto ad un ritmo anomalo, le gambe che gli facevano fin troppo male, la voglia di sedersi a riflettere, prendere tempo, anche se di tempo effettivo non ce ne era.
-“Harry” si lasciò scappare istintivamente, un suono che per un poco aveva pensato di non dover più pronunciare.
Sgranò gli occhi, constatando che proprio quel riccio che parlava con un bambino era Harry, il suo Harry.
Si morse il labbro, prese un lungo respiro e iniziò a correre verso le due altalene, poste sotto un albero in una zona poco illuminata del parco.
Quasi scivolò su una zolla di terra, per poi fermarsi a pochi metri dal riccio, piegandosi sulle gambe per prendere fiato.
L’altalena scricchiolò leggermente per la ruggine, quindi un insieme di voci confuse, dove Louis distinse quella roca di Harry e quella più acuto del bambino.
-“Loulou…?” sussurrò tra i denti il riccio, scuotendo la testa e sorridendo amaramente.
Louis strinse le mani a pugno, tirandosi in piedi e squadrando da capo a piedi Harry, ancora seduto sull’altalena a dondolarsi leggermente.
- “Perché” sputò quindi rabbioso, passandosi una mano tra i capelli, mossi dalla corsa.
Harry sospirò, rimanendo in silenzio e abbassando lo sguardo sulle sue scarpe, che spingevano leggermente contro il terreno per far muovere l’altalena.
-“Louis?” la voce del bambino più flebile, una intonazione diversa a rompere il silenzio.
Il moro si irrigidì, voltandosi di scatto verso il piccolo, seduto anche lui sull’altalena, per poi constatare fosse una bambina.
Le gambe esili sospese dal terreno, un paio di scarpe consumato dalle continue corse rosa acceso, un lungo vestitino giallo limone, con qualche piccola stampa di animali; lunghi capelli biondi, lisci e sciolti, abbandonati al vento.
Due occhi azzurro cielo.
Louis sentì il terreno sotto di lui cedere, i giochi per bambini attorno a lui girare in modo anomalo, quindi dovette appoggiarsi al tronco dell’albero vicino, prendendo fiato.
-“Loulou, ti prego stai bene?” la voce roca e preoccupata del riccio, lontana, ovattata.
Il maggiore deglutì a fatica, accennando di si con la testa, per poi voltarsi verso Felicite, che lo scrutava curiosa.
-“Felicite, cosa… cosa ci fai qui?” cominciò Louis, provando a mantenere la calma.
Era da un paio di giorni che non si faceva sentire dai suoi, l’ultimo loro saluto una specie di addio nascosto, chiaro solo a Louis.
La bambina si strinse nelle spalle, sorrise allegra e si voltò verso Harry, con la fronte sempre più corrugata e gli occhi sgranati, di chi non sa più né dove si trova né il motivo.
-“Ho fatto amicizia con lui, si chiama Harry. E’ simpatico. L’ho battuto due volte a chi va più in alto in altalena.” E concluse il tutto con sguardo trionfante, il petto in fuori di chi ha compiuto qualcosa di grandioso, il tono di voce innocente e all’oscuro di tutto.
Louis scosse la testa, guardando poi Harry che sorrise imbarazzato, stringendosi nelle spalle e
“mi sono sempre piaciuti i bambini” come unica scusante.
Il maggiore sbuffò, passandosi le mani tra i capelli.
-“Si ma, Felicite, intendo sei qui con la mamma? O con…papà?” pronunciò le ultime parole con un leggero tremolio, che strinse il cuore al riccio.
La bambina sorrise e fece un cenno di assenso, guardandosi intorno per poi indicare una panchina poco distante con un dito grassoccio e
“si vedi? Mamma è laggiù che ci guarda!” gridò stridula, facendole un segno di saluto con la manina e correndole incontro; i capelli biondi svolazzanti col vestito.
Louis si irrigidì sul posto, incrociando lo sguardo allibito della madre.
-“Loulou…quindi, io avrei giocato con tua sorella?” sussurrò un poco Harry, imbarazzato e non volendo recare troppi danni.
Louis si voltò verso di lui, lo sguardo basso, quasi deluso e con lo stesso tono “vieni, a questo punto ti presento mia madre” che fece innervosire Harry.
Si aspettava la sua ira, si aspettava di tutto.
Non di conoscere improvvisamente la madre del suo ragazzo.
Poteva chiamarlo ragazzo? Non lo sapeva, come non sapeva cosa sarebbe successo di lì a poco.
Poche cose dava per certo, che non sarebbe più scappato, non si sarebbe più allontanato da Louis, non avrebbe più cercato la solitudine.
E che aveva appositamente fatto vincere Felicite all’altalena.
 
 
 
 
 






 
 
 
Il quartiere della casa di Louis era molto artistico e curato.
Ricco di fiori e piante di ogni genere, le case villette a schiera separate l’una dall’altra da un sottile cancelletto in legno.
A Harry piaceva quella casa, ma una sensazione di inquietudine lo invase, facendolo sentire irrimediabilmente solo e abbandonato.
Quella casa non era la sua, quell’atmosfera di amore e affetto non centrava nulla con lui.
Lui era l’ostacolo, il peso che gravava sulla vita di Louis, che non gli avrebbe portato altro che dolore e fregature.
Entrarono, un silenzio imbarazzante, dove Harry cercava lo sguardo di Louis, sempre basso, oppure  un cenno di consenso di Johannah, la madre del moro, senza anche qui ottenere molto.
L’ambiente era esteso e luminoso.
Profumava di cibo appena cucinato, tutte le spezie usate, e di caldo.
Qualcosa di caldo aleggiava nell’aria.
La frenesia e l’accoglienza di una famiglia numerosa.
Un caldo penetrante, che ti attraversa le viscere, raggiunge il petto e poi ti lascia svuotato.
Una sensazione mai provata da Harry, abituato solo al freddo dei muri bianchi di un ospedale, o le cure e l’affetto professionale dei medici.
Nulla di eguagliabile, e tutto ciò sapeva ad Harry di nuovo, un qualcosa da scoprire ma, piacevole.
Sorrise inconsciamente e fu l’attimo in cui Louis alzò lo sguardo dalle sue scarpe e lo fulminò con lo sguardo; non era il momento di sorridere, quella era la famosa calma prima di una tempesta imminente.
Felicite era l’unica che in tutto il viaggio dal parco aveva strillato e parlato continuamente, cercando attenzione che, né Louis, né la madre volevano donargli e che quindi si erano sfogate sul suo nuovo amico, Harry Styles, che le sorrideva timidamente e spostava lo sguardo su qualsiasi altra cosa pur di evitare di parlare.
La bimba entrò velocemente in casa, correndo poi su per le scale in legno davanti l’ingresso che davano al piano superiore; si voltò però sull’ultimo gradino, prendendo fiato e
“Harry ti faccio vedere le mie bambole, sali!” che fece arrossire il riccio.
Johannah scosse la testa, prendendo la sua borsa a tracolla e dirigendosi in cucina, con lei la muta richiesta di essere seguita.
Louis guardò prima le schiena magra della madre, poi fece un cenno ad Harry e si dirise in cucina, scomparendo dietro lo stipite della porta.
“Harry! Muoviti dai!” trillò la bambina dalla rampa di scale, il viso rosso per lo sforzo e le mani strette lungo i fianchi.
Il riccio sospirò sorridendo, facendole il gesto con la mano che l’avrebbe raggiunta dopo, facendola nuovamente sorridere e scomparire definitivamente in una stanza.
Harry sospirò, si passò una mano tra i capelli; i muscoli tesi di chi è quasi pronto a scappare, raggiungendo quindi l’entrata della cucina.
Vi era un enorme tavolo in mogano al centro, diverse sedie a circondarlo sulle quali due vi stavano apparentemente in modo comodo seduti Louis e Johannah.
Il riccio si morse il labbro, scegliendo una sedia accanto al moro e prendendo una posizione composta.
La donna, china sulla sua borsa a cercare chissà cosa, ne tirò fuori un cellulare di vecchio tipo, ammaccato ai lati, e lo abbandonò in malo modo sulla superficie del tavolo.
Louis non fece in tempo a sbuffare che
“Per Dio Louis! Hai vent’anni compiuti e non ti permetti nemmeno di usare un dannato cellulare! Sono stata in pensiero!” cominciò seccata a voce non troppo alta la donna, sbuffando e abbandonandosi contro la sedia, le braccia conserte e lo sguardo omicida in volto verso il figlio.
Harry fu felice di non essere Louis in quel momento, ma sentiva dentro di sé il dovere di giustificarlo, dopotutto non era solo colpa sua.
-“Scusi, è colpa mia. Sono un paziente in cura all’ospedale dove lavora Louis e…” iniziò quindi deciso, venendo interrotto dalla mano di Louis che, con fare protettivo, gli stringeva il braccio, quasi a volerlo fermare.
Harry deglutì a fatica, pensando che sarebbe potuto morire felice in quel momento, ma continuò, badando bene di essere ascoltato dalla donna accigliata che aveva di fronte.
-“Mamma li avrai visti i telegiornali in televisione” sussurrò quindi il maggiore a denti stretti, venendo in soccorso del riccio che, imprecando mentalmente, stava cercando le parole giuste da dire.
Johannah annuì con fare solenne, chiudendo gli occhi e passandosi le mani tra i capelli corti.
Silenzio, rotto solamente dai rumori al piano di sopra di Felicite che parlava.
Harry e Louis si guardarono a lungo, non sapevano come comportarsi, cosa dire, ma in quel momento erano vicini, non solo fisicamente, a condividere una situazione spiacevole, a darsi forza l’un l’altro.
Johannah alzò lo sguardo dal tavolo e rimase a guardarli, la consapevolezza di qualcosa di più grande in quello sguardo, la sensazione spiacevole di essere di troppo.
E allora capì cosa fare, si sentì di agire per amore e la felicità del figlio, come solo una madre potrebbe comprendere; sospirò rumorosamente.
-“Harry, da quel che ho capito sei molto malato e non hai un posto dove stare, giusto?”
Harry strabuzzò gli occhi, rompendo il contatto visivo col maggiore e annuendo goffamente, cercando la mano di Louis con la propria sotto il tavolo.
-“Abbiamo giusto una stanza degli ospiti, al piano di sopra, non sarà una reggia ma te la può far vedere poi Louis e…”
Il moro si irrigidì sulla sedia, la sorpresa e la felicità mischiato al risentimento per il dolore portato alla madre.
-“Sul serio, ma’ ?” chiese quindi incredulo.
La donna annuì semplicemente, alzandosi dalla sedia e tornando a rovistare nella sua borsa, quasi a far vedere che non aveva più nulla da dire.
Harry rimase spiazzato da tutto ciò, semplicemente non se lo aspettava, doveva ancora realizzare la situazione.
Io, lui… a casa, insieme?
Stanza degli ospiti?
Dio, non ci posso credere.
Non posso, non…
-“Signora io…”- iniziò quindi, incerto, alzando poi lo sguardo su Johannah, ancora interessata alla sua borsa.
-“Chiamami Jay caro, signora mi sa tanto di vecchio”
-“Non posso accettare, voglio dire…non voglio essere un peso. Tutta la mia vita lo è sempre stata e…”
La voce roca gli si incrinò e per l’imbarazzo tornò a giocherellare con le mani; Louis gli circondò le spalle con un braccio, osservando la madre, ora più attenta ad Harry.
-“Non ti avrei invitato se fossi un peso, credimi ho cinque figli un diverso dall’altro, ognuno coi suoi pensieri, le sue paturnie…malgrado tutto mai, e sottolineo mai sono stai un peso per me. Tu sei un bravo ragazzo, da cui forse Louis dovrebbe prendere esempio, non darai certo fastidio” Louis roteò gli occhi al cielo per quella frecciata velata della madre e, sospirando, prese per mano il riccio, iniziando a camminare verso il giardino sul retro della villa.
-“Allora, grazie!” riuscì a dire ad alta voce Harry, trascinato da Louis lontano dalla stanza e accompagnato dalla risatina di Johannah che, scuotendo ancora la testa, tornò alla sua borsa.
 
 









 
Il tepore di mezzogiorno solleticava la pelle ad Harry che, finalmente tranquillo si godeva un attimo di tregua seduto sul prato dei Tomlinson, a guardare le nuvole, con Louis accanto, molto meno rilassato e con un filo d’erba mangiucchiato tra le mani.
-“Tua madre è un angelo, voglio dire, la mia mi avrebbe subito cacciato di casa invece di accogliere anche te” esordì il riccio, pensieroso, dopo lunghi attimi di silenzio, imbarazzati e dolorosi.
Parole mute che bramavano di uscire ma, non trovando una breccia in quel muro invisibile, stavano nascoste, in attesa.
Louis Tomlinson, che di muri e barriere conosceva solo il nome, sospirò, chiudendo gli occhi e godendosi quell’ultimo attimo di silenzio.
-“Harry – iniziò quindi, con voce grave, la velata preoccupazione che Harry volesse fuggire da lui e che lo avrebbe fatto di nuovo, forse per sempre – perché sei scappato in quel modo, oggi.”
E il riccio storse il naso mangiucchiandosi l’unghia del pollice con sguardo assente.
-“Non me lo ricordo” provò allora, non volendo continuare il discorso di Louis.
Proprio che ora va tutto bene.
Proprio ora che siamo insieme.
Siamo felici.
Saremo mai davvero felici, tu ed io?
Sembra di no, sembra ti piaccia essere triste, avere sempre l’espressione preoccupata in volto.
Vivere di ansie.
Loulou, ti prego per una volta non facciamo gli adulti, comportiamoci da bambini e parliamo solo di quello che ci piace.
Facciamo a gara sull’altalena, giochiamo alle bambole con le tue sorelle minori.
Viviamo di illusioni, perché è quello che stiamo facendo anche adesso.
Loulou, noi siamo solo l’illusione di qualcosa di grande.
Louis rise amaramente, scuotendo la testa e osservando a lungo Harry, fino a che questo non si decise a ricambiare e sorridere timidamente, stringendosi nelle spalle.
-“Sei bellissimo” sussurrò allora il maggiore, arrossendo leggermente sugli zigomi e portando una mano sulla guancia del riccio, carezzandola con due dita.
Harry socchiuse gli occhi e, Louis ne fu certo, se fosse stato un gatto avrebbe fatto le fusa.
-“Sei bellissimo e così distante. A volte mi sembra di conoscerti, capire cosa ti passa per la testa, quando il giorno dopo mi scivoli dalle dita così, come se fossi sabbia. Io ti voglio conoscere, capire, perché solo così potrò…”
E il riccio sorrise, capendo anche le parole in sospeso, scosse la testa, sospirò ancora e rimase a osservare Louis giocherellare con dei fili d’erba, le parole bloccate in gola, il rossore come unica prova di imbarazzo sul suo viso sfacciato e bello da far venire i brividi.
-“Louis, guardami bene per favore” cominciò quindi il minore, avvicinandosi a lui e prendendogli le mani, stringendogliele forte.
L’altro alzò lo sguardo distrattamente.
-“Io non voglio che tu mi ami, non voglio lasciartelo fare. Non ti meriti di condividere con me il dolore che porto da quando sono nato. Ho visto i miei parenti soffrire tanto per me, tutta la gente che mi sta intorno essere triste. Io semplicemente vorrei scomparire prima di lasciare troppi segni del mio passaggio. E fa male, Louis, fa un male cane, credimi. Un male ben diverso da qualsiasi cosa, puntura, taglio, ceretta o chissà cosa, fa male e non posso guarire. Fa male baciarti sapendo di farti star male.” Lo sguardo basso, velato da lacrime, la voce rassegnata e con un leggero tremolio, prima del pianto.
Louis semplicemente strinse di più le mani, lo fece forte, con tutta la sua energia, quindi poggiò la propria fronte su quella del riccio, delicatamente.
-“Le senti le mie mani Harry? Le senti come tremano, quando stringono le tue? La mia forza, la tua disperazione? Tutto questo è reale, tutto questo esiste, ed è presente e tutto fottutamente bello. Anche io potrei morire un giorno, ma mi godo l’attimo. La vita è fatta di attimi. Vivi Harry, io ti ho portato via da quella prigione per farti vivere, fregatene delle conseguenze, sii felice senza limiti per una volta. Perché il tuo unico limite non è la tua malattia, sei tu stesso.”
Silenzio.
Qualche cinguettio lontano di uccelli, un frusciare del vento tra le foglie.
-“Ho paura Louis. Sono solo un ragazzo e io… ho paura” sussurrò quindi contro le labbra dell’altro, le fronti sempre a contatto, i nasi che si sfiorano timidamente.
-“E io te lo ripeterò sempre, fino a che non ti entrerà in testa: ci sono io accanto a te, non devi mai avere paura, non sarai mai davvero da solo.”
Harry singhiozzò silenziosamente, piccole lacrime veloci gli scorsero lungo le guance.
-“Me…me lo prometti, Loulou?” un altro sussurrò, una voce più flebile.
Louis sorrise.
-“Te lo prometto”
E Harry si avvicinò, sfiorandogli le labbra tremanti timidamente, una richiesta di aiuto muta, una prova per dire ‘io ci sono’.
E Louis sorrise ancora contro le labbra del riccio, e il sole continuò a splendere e a portare calore, ma stavolta, anche nel mondo di Harry.
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
Jay Tomlinson sapeva quello che aveva appena fatto con noncuranza, con un semplice gesto.
Aveva mutamente approvato i sentimenti del figlio verso quel ragazzo riccio e malato.
Lo sapeva, aveva visto i loro sguardi, di chi vive solo se l’altro ricambia.
Un tempo anche lei aveva provato emozioni del genere, verso Mark.
Erano giovani, incoscienti e con la voglia di vivere, di sposarsi, fare figli e mostrare il loro amore al mondo.
Tutto il lato positivo del vivere ai loro occhi, il lato negativo nascosto dai loro sorrisi, dagli sguardi affettuosi dei parenti, dalle carezze delle madri.
Poi era arrivata la casa, la convivenza, i lavori part-time e il pancione, sempre più pesante e vistoso, portatore di ansie, preoccupazioni e tanto affetto.
Erano quindi arrivati Louis, Felicite, Lottie, Daisy e Phoebe.
Ed erano anche arrivati primi litigi, le grida, i pianti e gli abbracci riappacificatori.
Era arrivata la crescita veloce e senza freno dei figli, la scuola, le confessioni.
L’amore tra Jay e Mark c’era, presente tra quelle quattro mura, ma meno visibile, oscurato dai nuovi impegni e i nuovi orari.
Le incomprensioni e il lavoro invadente di Mark avevano fatto il resto.
La routine di Johannah ora si era stabilizzata: portare le figlie a scuola, andare a fare la spesa, cucinare, pulire la casa e aspettare la sera.
Mark tra tutto ciò non ci stava, o non ci è mai voluto veramente stare, con la scusa del lavoro, e a Jay andava bene così, crescere le proprie figlie serenamente, purché Mark non scomparisse definitivamente dalla loro vita.
Da tanto non cenavano tutti assieme riuniti intorno ad un tavolo, o rimboccavano le coperte ai figli come un tempo.
Ma a Mark andava bene così, Jay se lo faceva bastare.
La donna aveva imparato a farsi bastare le cose, le situazioni, gli sforzi.
I saluti dei figli, i vari accenni di conversazione tra di loro.
Johannah poteva vantarsi di sapere chi fosse la migliore amica di Lottie, o il gusto di gelato preferito da Felicite, o di come volevano essere prese in braccio Daisy e Phoebe, o delle chiamate evasive e ricche di confessioni di Georgia.
Ma di Louis non sapeva molto, per non dire nulla.
Con le figlie poteva chiacchierare, scherzare, o giocare a bambole, per vedere i loro sorrisi.
Con Louis cosa poteva fare? Rovistare nei cassetti della biancheria quando faceva le pulizie, o provare a parlarci alla mattina presto, prima che andasse in ospedale.
Jay però aveva intuito la preoccupazione di Louis, il suo stare sempre solo o lontano da casa, il suo nascondersi agli occhi dei genitori.
Tutto ciò la faceva sorridere, perché una madre ama e amerà sempre i suoi bambini, anche se avranno quaranta anni e una famiglia già costruita che non permetterà loro di farle una telefonata.
Anche se avranno speso tutti i loro soldi per un automobile di ultimo modello, o sceglieranno carriere di lavoro insulse.
Anche se saranno diversi.
Quello che non capiva Johannah, era che Mark non la pensava così.
E Louis lo sapeva bene. 










Ciao belle/i!
Allora? Come procedono le vacanze?
Io sto cazzeggiando, non lo nego lol
Ed ho trovato il tempo per aggiornare, siete contente/i? :)
Allora, avete capito perchè Harry scappa sempre?
Ha paura di far soffrire Louis...
E Jay?
C'è amatela ahahaha
Poi se vi chiedete dove sia Mark, beh lo scoprirete presto, non sia mai che si fa i fatti suoi u.u
beh, che dire, a parte che le parti fluff dei Larry sono adorabili e che vi voglio bene?
Ah giusto, auguro a chiunque abbia esami un in bocca al lupo ;)
Poi vi godrete anche voi ste vacanze!
Spero di aggiornare presto, va bene?
Un bacione <3
Lou_

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Capitolo 12
*** Chapter 12 ***








"Chapter 12"





"Noi siamo il 'nonostante'. Nonostante le paure, nonostate le insicurezze, nonostante i litigi."
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-"Hai preso tutto tesoro? Ti ha visto qualcuno dei Jonson? Sai quanto siano pettegoli e..."
-"Mamma, stai calma. Non mi ha visto nessuno e sono riuscito a prendere tutta l'attrezzatura di medicina. La macchina l'ho parcheggiata a pochi isolati da qui, almeno lascio il garage libero a papà..."
-"Ecco, per l'appunto. Ti devo palare di Mark..."
-"Harry! Ti ho chiesto se vuoi prendere il tea con l'orso Teddy o con la tartaruga Malibu!" la voce squillante e scocciata di Felicite coprì il dialogo che stava cercando di sentire Harry, dalla stanza al secondo piano in cui si trovava, circondato da bambole e giochi di vario tipo.
Scrollò il capo, sospirando e tornando a guardare la bambina seduta davanti a lui, con in mano due pupazzi di pezza dalla faccia sorridente e terribilmente irreale.
-"Credo di andare più d'accordo con l'orso" commentò sorridente, passandosi una mano tra i ricci.
Mamma me lo diceva sempre.
Assomiglio ad un orso, sempre solo nella mia 'grotta'.
Chissà come sta ora, se è in pensiero, se mi cerca e le manco.
Magari ora è libera dal peso di venirmi sempre a trovare in ospedale.
Magari ora è felice.
E Gemma?
-"Uffa Harry!" ennesimo grido di Felicite, con le braccia conserte e un piccolo broncio in viso.
Harry sospirò, sorrise e, alzandosi dal pavimento, le carezzò dolcemente la testa, scompigliandole i lunghi capelli biondi.
-"Scusami principessa, di all'orso Teddy che passo dopo, devo vedere un attimo tuo fratello" concluse, avviandosi verso la porta.
Si voltò un'ultima volta verso la bimba e, nel vederla triste, sospirò ancora.
-"Ehi, Felicite..." iniziò con tono giocoso, facendo alzare di poco gli occhi azzurro cielo della bimba.
-"Prepara i biscotti, faccio una cosa veloce e arrivo" finì, facendole un occhiolino che la fece ridere sommessamente e tornare a giocare coi suoi pupazzi.
Scosse la testa e uscì dalla stanza.
Le voci di Louis e della madre erano scomparse, lasciando un silenzio irreale per la casa.
Scese le sclae davanti a sè lentamente, la sensazione di essere sempre di troppo costantemente presente.
Notò una luce soffusa provenire dal salotto, accompagnata da un bisbigliare pungente.
Raggiunse la stanza timidamente, a passo leggero; non voleva disturbare, ma doveva assolutamente chiamare un suo familiare, rassicurarlo, sentirlo vicino.
Appena mise piede nella stanza, sentì su di sè il peso di quattro occhi, che facevano a gara a chi fosse di un azzurro più limpido.
Arrossì leggermente, quindi, grattandosi la testa e con lo sguardo basso, provò un "scusate se vi interrompo ma..." piuttosto incerto, che fece sorridere leggermente Louis.
-"Harry tranquillo, cosa c'è?" domandò poi il moro, distogliendo lo sguardo dalla madre, anch'essa con una espressione rassicurante in viso, ma con leggero velo di preoccupazione negli occhi.
-"Ehm... vorrei, dovrei fare una telefonata..." e Louis annuì comprensivo, facendo un veloce cenno del capo verso la madre e alzandosi dal divano per raggiungere il riccio.
-"Seguimi Harry... cosa chiami, telefono di casa o cellulare?"cominciò quindi il maggiore che, camminando veloce, aveva raggiunto la cucina, senza voltarsi.
-"Loulou...tutto bene? Ti vedo... come dire, scosso?" parlò con tono incerto Harry, raggiungendo l'altro in cucina e appoggiandosi con la schiena ad uno scaffale in marmo.
Louis intanto trafficava con una borsa, cercando il cellulare.
-"Lou?" provò di nuovo, non ricevendo risposta.
Il moro rallentò i movimenti, esultando silenziosamente ed estraendo un minuscolo cellulare da una tasca, per poi voltarsi verso l'altro, con lo sguardo basso.
-"Ne...parliamo dopo, Harry. Ora è giusto che chiami i tuoi, che ne dici?"
Ed Harry sentì un moto di delusione invadergli il petto, quindi prese il cellulare che gli stava offrendo Louis con una mano e annuì con poca convinzione.
-"Chi chiami?" chiese cambiando argomento Louis, appoggiandosi alla parete con un fianco e guardandolo circospetto.
-"Gemma, mia sorella. Non ho la forza di sentire mia madre, magari sta meglio senza un peso del genere come me a carico."
Louis sbuffò irritato, roteando gli occhi al cielo.
-"Non capisci proprio nulla tu eh? Dai ti lascio alla tua telefonata...." riprese il maggiore, avviandosi nuovamente verso il salotto.
-"Ah, Loulou?" sussurrò distratto Harry, portandosi il telefono all'orecchio con la chiamata avviata.
-"Si?" sussurrò anche l'altro, curioso.
Harry accennò un sorriso, avvicinando Louis a sè con la mano libera e stampandogli un veloce bacio sulle labbra, che accese lo sguardo a Louis.
-"Ora puoi andare" sussurrò di nuovo il minore, tornando al telefono e facendo ridere il moro che, scuotendo la testa, tornò sui suoi passi.
 
 
 
 


 
 
La mano di Harry tremò leggermente quando, dopo l'ennesima chiamata a vuoto, sentì la voce squillante di sua sorella.
-"Pronto? Chi parla?" iniziò la stessa voce, che fece fare un piccolo tuffo al cuore di Harry, sempre appoggiato allo scaffale e con la mano a torturarsi la maglia che indossava.
-"Pronto? Insomma chi cazzo sei? Porca puttana la mia vita è già un inferno senza le tue telefonate a vuoto! Dio!"
Ad Harry scappò una risata di fronte il linguaggio colorito della sorella.
Silenzio.
-"Ha-Harry? Sei tu?" un sussurro lontano di Gemma, incredulo e tremante.
-"Ciao sorellina..." cominciò con tono divertito e straripante di emozioni il riccio.
-"Vaffanculo vaffanculo vaffanculo! Vaffanculo idiota! Sai quanto siamo state in pensiero io e mamma? Dove cazzo sei finito?" gridò la ragazza, costringendo Harry ad allontanare un poco il telefono dall'orecchio.
-"Gemma...io..." la voce gli si strozzò in gola al sentire un singhiozzare sommesso dall'altro capo del telefono.
-"No ti prego non piangere! Per favore!" si ritrovò a supplicare, sentendo le emozioni appena provate dalla telefonata raggiungere gli occhi e inumidirli.
-"Come puoi chiedermi questo! Scompari dal nulla! Dio! Dimmi che stai bene, dove sei e ti riportiamo in ospedale" interruppe il singhiozzare Gemma, con voce dura.
Harry storse il naso, chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie con la mano libera, cercando le parole giuste da dire, per spiegare come si sentiva, la situazione in cui si trovava, la vicinanza con Louis.
-"Gemma, ho chiamato proprio te e non mamma per questo: io non voglio tornare in ospedale e..." iniziò incerto a bassa voce, quasi stesse confidando un segreto.
-"Ma sei rinscemito o cosa? Cosa stai dicendo? Lì ti curano, stai bene, fai i tuoi controlli! Come puoi...come puoi andartene via da lì con la tua malattia" lo interruppe con un nuovo grido la ragazza, per poi far incrinare la voce e sussurrare le ultime parole.
-"Gemma...sono con Louis. Lui è un medico, pensa lui a me. Ti prego accettalo, io non voglio tornare in quel posto, stavo male, ero solo. Sono andato al lunapark e al mare, Gem, al mare! Avrei fatto anche il bagno se..."
-"Ti voglio così bene fratellino." lo interruppe nuovamente lei, con una voce tremante.
E Harry sospirò semplicemente, chiudendo gli occhi. 
Perchè quella era Gemma, lo aveva già capito, aveva approvato la sua scelta, e gli voleva bene.
-"Anche io Gemma"
-"Ci...ci sentiremo ancora, vero?"
-"Certo. Solo...solo non dire a mamma che ti ho chiamato. Non capirebbe, sai bene com'è. Dille che qualcuno di affidabile ti ha detto che sono dalle parti di Doncaster, se vuole venirmi a cercare, almeno non mi troverà."
-"Lo ami davvero?" chiese lei dopo qualche attimo di silenzio, facendo sorridere di cuore il riccio.
-"Mi rende immensamente felice, ti piacerebbe come persona sai? Fa battute peggiori delle tue" sussurrò con tono affettuoso, gli occhi luminosi, le fossette accennate attorno le labbra.
-"Chissà, magari ci incontreremo un giorno."
-"Lo spero, ci sentiamo presto"
-"Stai attento, Harry"
E l'ambiente attorno il riccio tornò terribilmente silenzioso e senza la voce di sua sorella.
Rimsa qualche attimo con quel dannato telefono in mano, ad osservare lo schermo; la schiena nuovamente poggiata attorno lo scaffale, le gambe tese, gli occhi umidi, finalmente pronti a piangere.
Sentire la sorella, un membro così importante della sua famiglia, forse l'unico punto di riferimento che gli rimaneva, era stato come una doccia fredda.
Un brusco risveglio dal sogno che stava vivendo.
Perchè non poteva per sempre fuggire dalla realtà, la sua realtà.
Gemma gli voleva bene, Anne gli voleva bene, le aveva fatte preoccupare per nulla, un capriccio, una richiesta infantile.
Forse doveva davvero tornare indietro, non fare più deviazioni dalla sua vita, che sembrava già scritta e pubblicata ufficialmente in partenza.
Un finale che conoscevano tutti.
Forse doveva mettersi anche il cuore in pace con Louis e...
-"Posso?" una voce familiare interruppe i suoi pensieri e, accennando un sorriso e asciugandosi le lacrime col dorso della mano, Harry annuì piano.
-"E' andata bene a quanto vedo..." il tono sarcastico di Louis venne interrotto dallo scatto dell'altro, corso incontro a lui per abbracciarlo stretto, la testa poggiata sulla sua spalla, gli occhi chiusi e umidi.
-"Piccolo..." gli sussurrò contro l'orecchio il maggiore, rimasto un attimo impreparato, per poi stringerlo a sè e carezzargli la schiena delicatamente.
Harry tirò su col naso, beandosi di quel contatto e smettendo per un attimo di piangere.
-"Manco ad entrambe Louis, e Gemma soffre. Io...io non voglio farla soffrire, le voglio troppo bene...io...voglio stare con te e..."
-"Shhhh, ora calmati, va tutto bene. Gemma ora sa che stai bene, è questo ciò che conta. Gli hai detto dove ti trovi?"
Il riccio si staccò di malavoglia da Louis, asciugandosi le ultime lacrime, lo sguardo arrossato puntato negli occhi azzurri dell'altro, la voglia di perdervisi dentro maggiore di quella del parlare.
-"No, ho detto un altro posto in modo che se mia madre inizi cercarmi, non mi trovi. Lei non capirebbe, agirebbe senza ascoltarmi, riportandomi in ospedale. Ma... parliamo di altro, ti va?"
Il moro annuì incerto, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe e grattandosi il capo.
-"Beh..." cominciò Louis, lo sguardo vago, sforzandosi di trovare qualche argomento che distraesse il riccio
Harry accennò un sorriso, avvicinandoglisi piano e schiarendosi la voce, roca dal pianto.
-"Ti ho visto scosso prima, parlando con tua mamma, è successo qualcosa di cui devo preoccuparmi?" il tono serio, lo sguardo preoccupato.
-"Ehm, si a dire il vero. Ho... una specie di buona notizia, credo" cominciò timidamente, facendo cambiare espressione ad Harry, ora con lo sguardo corrucciato e perplesso.
-"Una specie?" riprese quindi il minore, con tono divertito.
-"Si" continuò l'altro, accennando una risata e tornando a guardare Harry, ora in piedi davanti a lui, le braccia conserte e lo sguardo attento.
-"Mark...mio padre. Beh, se n'è andato via per un po', si vergogna di me per essere fuggito con te dall'ospedale e...non tornerà a casa per un po' da quanto ho capito..."
Il riccio si trattenne dal sorridere felice, incerto sui pensieri dell'altro e
"e tu come ti senti, Loulou?"
che lo fece arrossire.
"Non lo so... sono combattuto. Però posso fare quello che voglio senza preoccuparmi adesso" sussurrò con tono malizioso Louis, guardandolo fisso in viso.
-"Devo preoccuparmi io?" si lascià sfuggire Harry, trattenendo una risata.
-"Uhm, fammici pensare bene..." sibilò il maggiore, avvicinandosi lentamente al viso di Harry, il respiro trattenuto e un sorriso beffardo in volto.
-"Jay! Ti ho riportato Daisy e Phoebe!" una voce femminile urlà dal soggiorno, facendo bloccare Louis, che, sospirando, chiuse gli occhi scuotendo la testa.
-"Allora non puoi fare proprio tutto" lo punzecchiò il riccio, allontanandosi un poco dal moro.
-"Ohh, sta zitto" sputò acido il maggiore, fulminandolo con lo sguardo e prendendolo per mano.
 
 
 
 


 
 
 
-"Ti piace la pasta Harry? Se vuoi ti faccio qualcos'altro" commentò preoccupata Jay, vedendo il riccio giocherellare con un maccherone nel piatto.
Il ragazzo alzò lo sguardo davanti a sè, tentando di rassicurare la donna.
-"No figurati, anzi è buonissima, solo che ho un po' lo stomaco chiuso..." rispose Harry, abbandonando la forchetta nel piatto e versandosi da bere.
Louis osservò la scena circospetto, per poi tornare alla sua cena.
Erano tutti a tavola, come una famiglia normale, in cucina.
Jay aveva cucinato per l'occasione con entusiasmo un pasto completo, non smettendo di sorridere e riempire di attenzioni il nuovo ospite.
Daysi e Phoebe, avendo mangiato prima di tutti insieme alla babysitter quel pomeriggio, erano a letto, quindi a tavola rimanevano Felicite e Charlotte, la prima seduta accanto al riccio a tormentarlo, l'altra dall'altro capo del tavolo ad osservarlo con occhi curiosi.
-"Lottie ti sei incantata?" la punzecchiò Louis con tono beffardo, pulendosi la bocca col tovagliolo.
La bambina lo fulminò con lo sguardo, facendogli una linguaccia e prendendo una manciata di patatine.
-"Mamma Lottie mi ha fatto una linguaccia" si lamentò il moro verso la madre che, scuotendo la testa, sorrise.
-"Boo, che figure ci fai fare davanti ad Harry?" lo rimproverò scherzosamente.
-"Esatto, che figure ci fai fare?" le fece eco Lottie, concludendo la frase con un'altra linguaccia.
-"Teddy e Malibu si comporterebbero meglio, vero Harry?" squittì Felicite, tirando la manica della maglia al riccio, divertito dalla situazione.
-"Ma', ti prego non mi chiamare più in quel modo" sibilò Louis spazientito verso Jay, per poi alzarsi e riporre il suo piatto nel lavello della cucina.
-"Ma è così adorabile!" ribattè la donna, iniziando a sparecchiare la tavola, un sorriso rispolverato dalle ragnatele dipinto in volto.
-"Esatto Boo, è così adorabile!" infierì Charlotte, alzandosi da tavola seguita da Felicite.
-"Lottie credo che stasera dovrò proprio parlare con mamma di un certo Lucas..." cominciò il moro con sguardo soddisfatto, nel vedere la sorella bloccarsi di colpo e scuotere il capo ripetutamente.
-"Chi è questo Lucas?" recuperò le parole Jay, iniziando a lavare i piatti.
-"Nessuno" gridò quindi Lottie, in piedi sulle punte a tappare la bocca a Louis, che tentava di parlare con la madre.
Harry, di fronte questo trambusto, lasciò lì la sua porzione di pasta, sorridente di fronte i battibecchi e l'atmosfera allegra di quella famiglia.
-"Vuoi andare di là?" chiese poi Louis, liberatosi finalmente della sorella e ora ad osservarlo sorridente.
Il riccio annuì distratto, portando il suo piatto a Jay che lo osservò delusa.
-"Harry la prossima volta dimmi cosa ti piacerebbe mangiare, va bene?" inveì quindi la donna, tornando a strofinare una pentola.
-"Certo, che lo farà mamma, ora noi andiamo di là, ciao" tagliò corto Louis, trascinando quasi di peso il riccio su per le scale in camera sua.
-"Ehi, piano Boo, come sei impaziente" lo provocò il riccio, una volta raggiunta la camera da letto del maggiore, che lo fulminò con lo ssguardo e chiuse la porta con uno scatto alle loro spalle.
-"Non cominciare anche tu con quell'orribile soprannome, me lo devo sorbire da vent'anni. Piuttosto, devi dirmi qualcosa?" smise di scherzare Louis, per poi scrutarlo serio, seduto sul materasso del suo letto, le gambe incrociate.
Harry rimase perplesso di fronte il repentino cambio d'umore dell'altro, per poi deglutire a fatica e scuotere lentamente la testa.
-"Harry" provò nuovamente Louis, senza successo.
-"Come mai non riesci a mangiare nulla?" parole appesantite da preoccupazioni e pensieri inespressi.
Il riccio sospirò, sedendosi sul letto accanto a Louis e passandosi le mani tra i ricci, lo sguardo puntato sulle sue scarpe.
Un silenzio rotto solo dalle risatine lontane delle sorelle del moro, i brusio della televisione e le ammonizioni di Jay.
-"Hai una famiglia bellissima, lo sai?" si ritrovò a confessare il riccio, lo sguardo ora verso la finestra aperta della stanza, che lasciava penetrare piccoli raggi caldi e luminosi nella stanza altrimenti buia.
Louis sospirò, mettendosi supino sul materasso e le mani dietro la testa, gli occhi vitrei verso il soffitto.
-"Sono solo preoccupato per te, piccolo." un sussurro, dritto al cuore del riccio, ora steso accanto all'altro nella stessa posizione.
-"Semplicemente non riesco, Loulou. Non posso permettermi più di un pasto al giorno, non riesco a trattenerlo nello stomaco. Un po' è la malattia, un po' è lo schifo che provo per me stesso."
Louis chiuse gli occhi, le parole di Harry solo un altro taglio a quel filo spesso che lo lega al riccio.
Quel ragazzo aveva bisogno di ricevere amore, sentirsi amato, di esistere.
Non aveva mai incontrato persona più fragile e bisognosa di cure.
Ma forse era per questo che si erano incontrati; lui aveva così tanto da donare al mondo e così poco tempo e situazioni per dimostrarlo.
Sospirò lentamente, quindi si portò lentamente su di Harry, le gambe divaricate, le braccia piegate su cui portare tutto il peso e non fare il male a quel ragazzo di cristallo, così prezioso e fragile, trasparente.
-"Che fai" chiese il minore, accennando un sorriso imbarazzato.
Louis non rispose, iniziando a sfilare la maglietta troppo larga e coprente al riccio, l'espressione contratta in viso, lo sforzo di non fargli alcun male; gesti delicati e veloci.
-"No Louis." dichiarò duro stavolta Harry, le mani a stringere quelle più piccole di Louis, i loro sguardi incrociati.
-"Lasciati amare da me, Harry." pronunciò a bassa voce l'altro, lo sguardo implorante.
L'altro si morse il labbro, aumentando la presa sulle mani di Louis.
-"Mi hai sempre visto con questi vestiti addosso, lasciameli su, ti prego."
-"Perc..."
-"Sono orribile, Louis. Tu non ne hai idea di quanto lo sia. Sono troppo magro, troppo pallido, troppo tutto. I vestiti che mi hai prestato sono l'unica cosa con cui posso nascondermi, essere normale. Cerca di capirmi, non provare sempre a stravolgermi la vita, Loulou"
Il maggiore socchiuse gli occhi di fronte l'ennesimo ostacolo incontrato, quindi si allontanò da Harry e tornò a sedersi sul letto, lo sguardo verso lo squarcio di cielo visibile dalla finestra.
-"Sei arrabbiato con me, Loulou?" chiese con timore Harry dopo qualche attimo di silenzio, toccandogli la spalla.
-"Non con te, con me stesso. Non riesco a farti capire quanto tu sia perfetto, quanto tu...sia bello Harry Styles. Quanto tu ti stia facendo del male, odiandoti. Quanto la gente ti voglia bene. Quanto tu sia sincero e dolce e simpatico e..."
Harry tolse la mano dalla spalla del moro e vi ci poggiò la testa, lo sguardo puntato anche lui verso il cielo.
-"Non sono sicuro di nulla, Louis. Non riesco a capire davvero nulla su me stesso, semplicemente perchè non ne sono mai stato interessato. Nessuno ne è mai stato davvero interessato. Ero sempre e solo 'quello col cancro'. Ora invece sono 'quello che sta con Louis Tomlinson' "
-"E ne sei felice?" parole nate per caso, forse senza un senso, forse le più importanti.
-"Tu non sai quanto, Loulou"








Giorno a tutti!
Allora come va?
Io sono immersa nel relax più totale lol
Come vanno gli esami chiunque ce li abbia? Spero bene :D
Sapete, ormai con sto caldo non ho molta voglia di stare al pc e aggiorno di rado ma, beh, quando lo faccio spero vi faccia piacere :)
Adoro quando recensite, apprezzate la mia storia, mi dite cosa ne pensate ;) diciamo che è anche un modo per migliorarmi(?)
E niente ajdhfjshd
C'è stato un po' di casino in sti giorni per Larry, ma come al solito nada coming out.
Ma Little Things che dedica Harry a Lou durante il concerto? Dio *'* (andatevelo a vedere, consiglio)
Beh dai, passiamo al capitolo(?)
Come vedete li ho fatti dialogare un po' di più del solito, diciamo che è anche perchè sono più sereni a casa Tomlinson (soprattutto senza Mark nei paraggi che, ahimè, tornerà)
Harry non riesce ad accettare sè stessp e diciamo che Louis riuscirà a farlo :) solo non ora, ci vorrà un pochino (oppure se mi gira anche al prossimo ahaha no vabbeh)
E niente, io adoro anche Gemma come personaggio ahaha tipo che è sboccata come me(?)
Non so io nella realtà me la immagino un tipino così, voi?
Ah comunque anche Anne, non credete, comparirà poi.... #spoiler
Ehhh nada dai, vi amo tutte come sempre <3 lo sapete vero?
E lo ripeto ;)
Un bacione e a presto si spera <3
Lou_

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Capitolo 13
*** Chapter 13 ***








“Chapter 13”
 

 



 
“… poi mi hai sorriso.
Mi ci sono volute ore per addormentarmi quella sera.”
- Tumblr.
 

 
 




 
Voglio tornare a dormire poi ho caldo e ho ancora sonno sono tutto attorcigliato in questa coperta e poi ieri sera credo che Harry si sia addormentato qui da me chissà mia mamma cosa avrà pensato o le mie sorelle. Charlotte o Felicite come la prenderebbero? Non penso bene come del resto anche mio padre chissà dove cazzo è andato e poi voglio un  bacio del buongiorno chissà se Harry me lo darà e ho anche fame chissà che ore sono se Harry sta ancora dormendo e…
-“Loulou, sei sveglio?”
Una voce roca e vibrante, piacevole, che ruppe il corso dei pensieri nel dormiveglia di Louis, ora con gli occhi socchiusi e la bocca aperta in uno sbadiglio.
-“Più o meno. Vuoi alzarti?” biascicò piano l’altro, provando a muoversi su un fianco senza successo.
Sbuffò contro sé stesso e quelle coperte, per poi alzare lo sguardo e capire di essere praticamente incastrato con le gambe tra quelle di Harry e di avere la testa e le braccia chiuse contro il suo petto.
Le sue guance si colorirono di un rosso velato, quindi sgranò gli occhi e con uno scatto si allontanò da quella parte del letto, mettendosi a sedere e fingendo disinteresse.
Il riccio rimase ad osservarlo divertito, quindi trattenne a stento una risata e si mise a sedere anche lui, facendo ondeggiare il materasso sotto di loro.
-“Si, voglio alzarmi grazie” rispose poco dopo Harry, passandosi una mano tra i ricci confusi e aggrovigliati.
Il moro rimase ad osservarlo corrucciato, grattandosi il collo per poi annuire e sorridere leggermente.
-“Hai… dormito bene?” provò quindi a chiedere timidamente, con lo sguardo basso sulle sue mani.
Il minore sorrise ancora, tirando la pelle delle guance e mostrando le fossette, gli occhi luminosi e vispi.
-“Molto bene” Louis si voltò di scatto a guardarlo, il suo tono malizioso lo fece sorridere ancora di più e scoppiarono a ridere silenziosamente entrambi.
-“Le tue sorelline minori, Daisy e Phoebe se non sbaglio, hanno pianto per tipo un’ora stamattina, tu non hai proprio battuto ciglio” osservo quindi Harry, sbadigliando un poco e alzandosi dal letto, seguito da un Louis ancora intontito dal riposo.
-“Si…ci sono abituato. Se ha bisogno mamma viene a chiamarmi, quindi vuol dire che ce l’ha fatta anche da sola.”
Harry parve rifletterci un attimo.
-“A dire il vero è entrata nella stanza, mi ha sorriso e poi è andata da loro”
Louis, che stava per aprire la porta della stanza, si voltò a guardarlo con gli occhi sgranati.
-“Quindi…ha visto che…beh…” iniziò anche a gesticolare nervosamente con le mani.
Il riccio annuì sorridente, per nulla imbarazzato.
Il maggiore bloccò la mano a mezz’aria per passarsela con un gesto secco sul viso, emettendo una specie di grugnito e scuotendo la testa.
-“Dai Loulou! Sembrava felice della cosa! A proposito…” iniziò quindi l’altro, provando a distoglierlo dalle sue preoccupazioni e abbracciandolo forte, la differenza di altezza evidente – “buongiorno, Boo” gli soffiò quindi contro l’orecchio, scoccandogli un piccolo bacio sui capelli.
Louis sospirò contro il suo petto, arrendendosi all’evidenza e a quell’orribile soprannome, ricambiando pigramente l’abbraccio.
-“Odio la mattina” commentò solo, chiudendo un secondo gli occhi e volendo improvvisamente tornare a dormire.
Harry rise, un suono leggero e cristallino che fece sorridere istintivamente il maggiore, che si staccò e volse distrattamente lo sguardo lungo la stanza.
Il riccio corrugò la fronte, guardandosi anche lui intorno.
-“Credo che oggi dovremo pulire un po’ la casa” rispose Louis alla domanda inespressa dell’altro, che riprese il suo sorriso.
-“Sarà divertente, potrò farmi un po’ i cazzi tuoi in camera tua!” esclamò Harry ridacchiando.
Il maggiore rimase a guardarlo, l’espressione di chi si domanda ironicamente se la persona che ha davanti sa realmente quello che sta dicendo, le mani lungo il busto.
-“Credi che te lo lascerò fare così facilmente? Ora scendiamo dai, credo che le mie adorabili sorelline stiano già litigando”
E come conferma alle sue parole, Harry sentì dal piano da basso due vocette stridule scontrarsi tra loro.
 
 
 
 
 
 


 
Il tintinnio di posate e bicchieri faceva da sottofondo a quella colazione in famiglia, tra le quattro mura della villa Tomlinson.
Era una giornata particolarmente soleggiata, le finestre erano spalancate e permettevano quindi a luminosi raggi solari di scacciare qualsiasi tipo di angolo buio nella casa.
Il tavolo in cucina era coperto da piatti e tazze di vario tipo, Jay teneva in braccio una Daisy alquanto irrequieta e con la mano libera spingeva avanti e indietro il passeggino a una Phoebe nel mondo dei sogni, invidiata inconsciamente da un Louis ancora addormentato.
Harry gli era accanto, sorridente e con una maglia di Louis particolarmente larga, un bicchiere di succo di mela e del bacon ancora intoccato nel piatto.
Felicite e Charlotte, come aveva preannunciato Louis poco prima, continuavano a bisticciare su chi fosse la più brava a disegnare nonsisacosa, lanciandosi sguardi d’odio da una parte all’altra del tavolo.
-“Stai ancora dormendo Loulou?” lo apostrofò con un sussurro contro l’orecchio Harry, chinandosi verso il suo lato lentamente.
Louis sbadigliò, bevendo da una tazza di caffè e togliendo il gomito dal tavolo, per poi voltarsi verso il riccio.
-“Lo ammetto, vorrei tornare all’età di Phoebe e andare nel passeggino”
Il minore sorrise leggermente, carezzandogli la spalla delicatamente e tornando al suo succo di mela.
Alzato lo sguardo, si accorse di Felicite e Lottie che avevano smesso di bisticciare per osservarli curiose, con le mani a mezz’aria, e Jay da un lato del tavolo che sorrideva onnisciente tra sé e sé, cullando sempre le sue bimbe più piccole.
Harry arrossì violentemente, nascondendo se possibile il viso nel bicchiere per poi passare ad osservare con interesse il suo bacon.
Louis tossicchiò, deglutì a fatica un sorso di caffè e spostò lo sguardo nervosamente verso la finestra della cucina, il cielo azzurro che sovrastava nell’ambiente.
-“Ohh Boo, sei imbarazzato?” lo punzecchiò Lottie, la cascata di capelli biondi e sciolti sulle spalle, le mani sotto il mento e lo stesso sguardo sbarazzino del fratello.
Louis la fulminò con lo sguardo, senza però intimidirla.
-“Mamma, ma Harry e Lou sono fidanzati?” chiese allora innocentemente Felicite nel silenzio stranamente creatosi, facendo quindi scoppiare a ridere la sorella.
Jay la guardò a lungo, sospirò, guardò i due ragazzi accanto a sé e tornò a cullare Daisy, ora addormentata.
-“Chiedi a loro Fizzy, io non l’ho ancora capito davvero” commentò con un pizzico di divertimento la donna.
La bimba allora fece appena in tempo a spostare lo sguardo sui due protagonisti del dialogo, quando Louis si alzò velocemente dalla sedia, facendola sfregare contro il pavimento, prese le tazze sue e di Harry e le portò nel lavabo, quindi prese Harry per un braccio e lo trascinò letteralmente dalla sedia.
Jay sospirò scuotendo la testa, Daisy si svegliò nuovamente per il rumore e tornò a essere cullata, Charlotte scoppiò a ridere e semplicemente Felicite tornò alle sue uova.
-“Lou” l’apostrofò allora il riccio, opponendosi al trascinare di Louis, a metà della scalinata per il piano superiore.
Il moro bloccò i suoi movimenti, voltandosi leggermente, inespressivo.
-“Si può sapere che ti prende? Sono le tue sorelle, stavano anche scherzando, l’hai presa troppo sul serio”
L’altro si morse il labbro, incerto esattamente su cosa dire, come esprimersi, cosa pensare.
Sospirò semplicemente, stringendosi nelle spalle e mollando la presa sul braccio di Harry.
-“Scusa, hai ragione ho esagerato, se vuoi andare di là vai, io sto ancora un po’ in camera mia”
Harry rimase a fissarlo, il suo tono poco convincente e la voglia impellente di abbracciarlo ancora e ancora, in testa un’unica domanda.
Louis colse il silenzio di Harry come un si inespresso, quindi riprese a salire le scale ed entrò in camera sua, chiudendosi la porta alle spalle con forza.
Il riccio rimase a fissare quella porta che si ritrovava davanti senza particolari espressioni, solo un moto di delusione negli occhi, la voglia di entrare, spaccare quel muro che li separava e baciarlo, baciarlo forte, amarlo con tutto sé stesso.
Perché se Harry si odiava, non riusciva ad accettarsi esternamente, Louis non ci riusciva dall’interno.
Entrambi forse sarebbero stati l’uno la cura dell’altro.
Dovevano solo trovare il farmaco e la via giusta per ingerirlo.
Ed Harry lo voleva disperatamente, perché ormai viveva dei sorrisi del maggiore, delle sue risate, delle sue carezze.
Anche delle sue incertezze, si.
Le avrebbe accettate, purché non gli facessero da ostacolo tra lui e Louis, come quella dannata porta bianca che ora aveva di fronte.
Fu un attimo il suo pensiero, fulmineo, nella sua mente.
Ma reale e tangibile.
Sto prendendo troppo sul serio questa cosa con Lou, quando me ne andrò tutto ciò non gli recherà alcun male.
Si morse il labbro, abbassando lo sguardo e scuotendo la testa.
Ma forse è giusto che accada così, e poi tutto ciò più avanti potrebbe danneggiarlo lo stesso, con o senza la mia presenza.
Forse la verità è che mi sto innamorando.
Forse non ci capisco più un cazzo della mia vita.
Almeno tu, Lou, non scappare, parlami.
Ancora uno sguardo a quella porta.
Che cosa ti prende Loulou, me lo vuoi dire?
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
-“Allora Harry, io adesso disegno un ritratto, lo fa anche Lottie, poi ci devi dire qual è il più bello” esclamò Fizzy con uno squittio, frugando nel suo astuccio di Barbie con le penne colorate e iniziando a tracciare delle linee su un foglio.
Il riccio annuì sorridente, voltandosi poi verso Charlotte, che, controvoglia, stava disegnando anche lei su un altro foglio.
-“Dai Lottie, o Fizzy sarà più veloce di te a finire di disegnare” provò a invogliarla lui, carezzandole la schiena con dolcezza.
Lei alzò i suoi occhi azzurro cielo, di famiglia a quanto pare, verso Harry, per poi lasciar scivolare la sua penna lungo il tavolo e incrociare le sue braccia al petto minuto.
Il riccio corrugò la fronte, controllando per un attimo che Felicite fosse tranquilla, almeno lei, per poi occuparsi di Charlotte.
-“Dovresti andare a consolare il tuo ragazzo, non star qui a perdere tempo con noi” borbottò allora lei, facendo sospirare Harry.
-“Allora sai che stiamo assieme” affermò lui rassegnato, a bassa voce, quasi fosse un segreto.
-“Credimi, anche un cretino lo noterebbe.”- iniziò lei, roteando gli occhi al cielo – “lo stai facendo star male, è sempre più nervoso da quando ci sei tu nei paraggi, e il telegiornale dice anche che ha perso il lavoro per colpa tua. Perché non lo lasci stare? Perché non ci lasci stare? Rivoglio Eleonor, tu sei un ragazzo non una ragazza”
Harry, che fino ad allora non aveva prestato troppa attenzione alle parole di Charlotte, perché è una bambina, avrà si e no dodici anni, non sa quello che sta dicendo, sgranò gli occhi.
Quel nuovo punto di vista per la loro storia, la sua storia, lo lasciò perplesso, lo fece sentire in colpa e quelle parole, suonate così innocenti e pure dalla bocca di una bambina, divennero lame taglienti.
Deglutì a fatica, sentì gli occhi inumidirsi, una voglia di gridare contro alla bambina che tutto era iniziato per un desiderio di Louis, che era già gay da molto e che Eleonor non aveva speranze con lui, che tutta la sua vita ormai girava attorno a suo fratello.
Ma tenne tutto dentro, un altro piccolo gomitolo ricco di fili e fili di parole da accatastare in un cesto, gettato in qualche angolo remoto di sé stesso.
Perché stava rovinando la vita a Louis, perché gliela avrebbe rovinata anche più avanti.
Tossì, cercando di giustificare con esso i suoi occhi inspiegabilmente umidi, sussurrò un ‘Fizzy vado un attimo in bagno, tanto c’è Charlotte qui con te’ e corse semplicemente lontano da quella stanza, la mano a coprirsi il viso.
E se era davvero felice con quella ragazza?
Lui mi ha confessato di aver baciato il suo amico nello stesso periodo in cui la frequentava.
La sua omosessualità non può essere colpa mia.
E se non mi avesse mai incontrato?
Forse sarebbe tornato da Eleonor, sarebbero stai assieme, non avrebbe litigato col padre, non dovrebbe nascondersi alle sorelle.
Chissà la madre cosa pensa davvero a riguardo.
Forse mi odia, come Charlotte.
E come Fizzy, se capisse la situazione.
E anche la faccenda del lavoro.
Se solo non lo avessi aiutato i primi giorni, quando era disperso per l’ospedale.
E qui, con una lacrima rigargli il volto, sorrise al ricordo.
Se solo non lo avessi chiamato quando avevo bisogno di lui.
Se mi fossi mostrato forte.
Se non avessi accettato di scappare con lui.
Sono solo un ostacolo per lui.
Un’altra porta chiusa verso la normalità che tanto vorrebbe.
Raggiunse il bagno, altre lacrime a scorrere lungo le guance, il respiro irregolare, una mano ad asciugargli il viso.
Deglutì a fatica, per poi bussare alla porta socchiusa che si ritrovò davanti.
-“Un attimo, sto prendendo i panni da lavare” un grido dall’altra parte della porta, poi essa si aprì, lasciando uscire una Jay in tuta da casa, un cerchietto tra i capelli e un cesto di biancheria sporca tra le mani.
Il sorriso rassicurante e gioioso che aveva perennemente in viso le morì all’istante alla vista di Harry in quello stato.
Lasciò il cesto sulla lavatrice in bagno e, spegnendo la luce della stanza, lo prese per mano e
“vieni con me”.
 
 
 
 
 


 
 
 
 
Jay Tomlinson ed Harry Styles erano seduti in cucina, lontano dagli occhi indiscreti delle figlie in salotto, alle prese con i disegni, lontano dal riposare delle due figlie minori, lontano da Louis chiuso in camera sua da quella mattina.
La donna era comodamente seduta al tavolo, una tazza di Winnings Tea tra le mani, lo sguardo preoccupato e amorevole di una madre.
Il riccio invece era appoggiato al bancone in marmo della cucina, la stessa tazza di tea tra le mani, l’espressione colpevole in volto.
 -“Come va?” chiese allora lei, dopo infiniti attimi di silenzi.
Harry sorrise un poco a quelle cure, quasi fosse suo figlio, annuì e “molto meglio, mi spiace di averla fatta preoccupare, io…” ma si interruppe al gesto della donna, che riprese a parlare, poggiando la tazza sul tavolo e incrociando le man davanti a sé.
-“Ti dirò, le mie adorabili figlie, soprattutto Charlotte, sono dotate di una voce particolarmente squillante e acuta e che, anche se tu ti trovi al piano di sopra di una villa e loro al piano terra, le senti. Quindi tranquillo, parlerò io con Lottie se è necessario, ma anche mio figlio si deve dare una svegliata, se poso essere schietta.”
Qui Harry sorrise incerto, bevendo interessato la sua bevanda.
-“Io so da tempo di Louis e del suo rapporto con i ragazzi, lo so e… l’ho dovuto accettare, tempo prima. Ammetto che quando sei arrivato tu, dal nulla, quando ti avevo visto in precedenza in tv, sono rimasta spiazzata, mi sono chiesta cosa avrei dovuto fare. Poi ho visto quanto Louis realmente fosse felice con te, e ho seguito l’istinto. Avrai notato anche tu quanto è bello quanto sorride, no?”- e qui Harry arrossì, complice – “e so anche della tua malattia, lui stesso me ne ha parlato. So delle cure alle quali ti sottopone lui stesso e so che posso fidarmi. I tuoi familiari li hai sentiti caro? Cosa ne pensano a riguardo?” chiese quindi Jay, schiarendosi la voce.
L’altro poggiò la tazza al bancone dietro di sé e si passò una mano tra i capelli, riflettendo sulle parole da dire.
-“Ecco, ho sentito mia sorella, Gemma. Le ho detto che sto bene e che sono con Louis. Mia madre mi riporterebbe in ospedale all’istante, per cui non l’ho sentita. Mio padre, beh, semplicemente è scomparso dalla mia vita tempo fa. Jay, per favore, so che stai agendo per il bene di Louis ma ecco, voglio solo che capisca che non è un semplice capriccio il nostro. Quello di scappare da un ospedale e via dicendo. Ammetto che è tutto alquanto strano e improbabile ma…io ci tengo a lui. Tanto. Finché la mia malattia me lo permetterà vorrei restargli accanto…io…”
-“E’ tutto okay Harry, volevo solo parlare meglio per una volta anche con te. Giusto per vedere le versioni della storia da tutte le angolazioni. A me va bene che tu stia qua, mi preoccupava la tua famiglia, o la gente che potrebbe vedervi e chiamare anche non lo so la tv e riportarti all’ospedale.”
-“Mi spiace avervi stravolto la vita, credetemi.” Ammise Harry, le mani a giocherellare distrattamente tra loro, lo sguardo basso.
Jay sorrise un poco, scuotendo la testa.
-“Ammetto che si, l’hai stravolta. Però anche in bene, verso mio figlio.”
Il riccio alzò lo sguardo, accennando un sorriso timido, grattandosi il capo.
-“Scusate se interrompo qualcosa, ma Fizzy mi è venuta a chiamare per portare ad Harry, che secondo lei era triste, un disegno” la voce squillante e allegra di Louis ruppe il silenzio creatosi nella stanza.
Ad Harry gli si illuminarono gli occhi, ora riprendendo a sorridere, Jay semplicemente si congedò tornando alla lavatrice.
-“Ah ragazzi” iniziò quindi, prima di andarsene, attirando a sé la loro attenzioni –“questa casa non è comunque un albergo, mi aspetto che la puliate” così dicendo uscì diretta al bagno.
Louis guardò Harry di sottecchi, sussurrando un ‘che ti avevo detto?’ che lo fece sorridere.
Il maggiore sentì quindi lo sguardo dell’altro carezzargli la pelle, quindi lo guardò con un’espressione interrogativa, facendolo stringere nelle spalle e un ‘nulla, sono felice di vedere che stai meglio’ che gli fece scuotere la testa, un sorriso in volto. Consegnò poi il disegno di Fizzy al riccio, che rimase a fissarlo per po’, perplesso e corrucciato.
-“Da che angolazione lo devo interpretare questo Picasso?” iniziò il minore concentrato, avvicinando il foglio al viso.
Louis si appoggiò al bancone della cucina, finendo il tea di Harry e sorridendo sotto i baffi.
-“Non lo so, Fizzy ha detto però che siamo io e te che ci baciamo, perché sicuramente ti farebbe tornare allegro”
Ed Harry scoppiò a ridere.
 
  









'Giorno a tutti!
Allora? Come va?
Io vi scrivo da un ombrellone alle Bahamas mentre sorseggio una bella bibita ghiacciata.
Seeee ciao nei miei sogni proprio.
Sono a casa, nella mia cazzuta cittadina e come unico impiego di tempo faccio l'animatrice.
Dio è così imbarazzante lol
Però ho aggiornato!
E' questo che conta *sorride sperando di essere convincente*
Non sono convinta del capitolo.
Parto bene no? ahahaha
Comunque la situazione si capisce da sè, si vede un Louis ancora confuso, un Harry che poverino è vittima di Charlotte (lei è quella malvagia in ogni storia larry che leggo, nella mia ho scelto lei perchè è quella più grande e perchè ho letto su internet che dice che Louis non è gay)
Direi di fare una statua a Jay, che ne dite?
Comunque ho stimato che mancano un massimo di 4/5 capitoli.
Niente spero sta storia vi piaccia, che le frasi iniziali siano sufficientemente zuccherose e che continuiate a seguirmi.
Vi adoro dal primo all'ultimo.
Si, proprio tu che stai leggendo <3
Dai allora un bacione e a prestooo! :D
Lou_

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Capitolo 14
*** Chapter 14 ***










“Chapter 14”
 
 
 
 


 
“Oggi ho visto una coppia di ragazzi correre veloci per non perdere l’autobus. Certo, sarebbe stato più facile lasciarsi un istante la mano, ma loro non volevano farlo, preferivano perderlo insieme.”
 

 


 
 
 
 
Harry Styles alzò un attimo lo sguardo da terra per riprendere fiato. Era in ginocchio, una mano ad allontanargli i ricci dalla fronte, imperlata di sudore. Sospirò, osservandosi poi attorno. La stanza di Louis era l’unica parte della casa dei Tomlinson ad essere completamente a soqquadro. E i motivi erano semplici. La prima volta che Jay Tomlinson aveva provato a ripulirla dai vestiti abbandonati a sé stessi sul pavimento, le macchie di cioccolato sul palchet o la carta straccia da cestinare, Louis aveva otto anni, una parlantina facile e una voce squillante. Lui non voleva che lei mettesse le mani tra le sue cose, nel suo rifugio, e lei aveva dovuto combattere una vera e propria guerra per espugnare quel fortino, a partire dal rimuovere la serratura dalla sua porta, o passare l’aspirapolvere alle sette di mattina solo davanti la sua camera. Louis però, che era ben più che testardo, aveva imparato a mettere la sedia della scrivania in modo da bloccare la maniglia della porta, a indossare le cuffie della musica. E Jay, sospirando, si limitava a scuotere la testa e a gridargli contro. A dieci anni, quando Louis tornava a pomeriggio inoltrato dalle elementari, Jay approfittava di quei momenti per poter finalmente rendere vivibile quella dannata camera. Un pomeriggio però, la signora Clars, l’insegnante di italiano del piccolo Louis, aveva dovuto congedarsi prima dal suo turno e far tornare a casa i suoi alunni prima del previsto. Ovviamente nessuno si era lamentato e, Louis, con un sorriso stampato in viso, era corso subito a casa per giocare al computer e aveva colto sua madre con le mani nel sacco. Ancora adesso, se si prova ad accennare a quella giornata a Jay, istintivamente lei si tocca le orecchie con faccia sofferente, mentre Louis trattiene a stento un ghigno. Comunque, dopo questa specie di epopea del disordine, Louis l’aveva vinta. Agli amici che invitava a casa mostrava con orgoglio la sua camera, ma poi scappavano subito all’esterno a giocare. Jay scuoteva la testa, si stringeva nelle spalle, Felicite era piccola ma già strillava che odiava la stanza di Louis e il padre, Mark, si limitava a ridere e a tornare al suo giornale dello sport. Ovviamente Louis, crescendo, aveva capito che un minimo ordine doveva farlo e così, quando nessuno poteva vederlo, si chiudeva in stanza a pulire il pavimento o piegare alla meglio i suoi vestiti nel cassetto. Era arrivato poi anche il periodo più confuso della sua vita, quello riguardo la sua sessualità, Eleonor, Mark, Stan e tutto il resto, e l’unica parte in cui aveva pieno controllo di sé era la sua stanza, per cui era riuscito ad ottenere un equilibrio. Ma tutto questo Harry Styles non lo poteva sapere, e forse era meglio così. Tuttavia il riccio era abituato a vivere nell’ordine più assoluto, stanze disinfettate, pareti asettiche e, più rimaneva inginocchiato su quel pavimento a frugare tra i cassetti di Louis, più storceva il naso. Mentre lui piegava gli abiti nei cassetti, il moro strofinava i vetri delle finestre, spazzava negli angoli, puliva le macchie sul pavimento. Tra quelle quattro mura ora regnava un silenzio irreale, rotto solo dallo sfregare un panno umido del maggiore o i rumori di cassetti che si chiudono grazie all’altro. Il riccio iniziava ad avere caldo, ad essere stanco di piegare vestiti, così guardò di sottecchi il moro, che fischiettava una canzone dei The Fray per poi imprecare contro una macchia che proprio non scompariva. Harry sorrise, sospirò, poi con la coda dell’occhio notò sotto un paio di boxer blu un profilattico e scoppiò a ridere. Nella farmacia dell’ospedale aveva visto gente di ogni tipo comprarli, e quando aveva chiesto a Gemma a cosa servissero, aveva circa dodici anni, si era sorbito tutta una spiegazione intricata sui rapporti tra uomo e donna, che avrebbe capito solo più avanti. Sentì Louis smettere di fischiettare e il suo sguardo sulla schiena, quindi si voltò un poco e alzò in bella vista ciò che aveva trovato, facendo arrossire Louis che, stringendosi nelle spalle, spostò lo sguardo su un angolo indefinito della stanza.
-“Potrebbero sempre servire” sussurrò, trattenendosi dal sorridere.
Harry roteò gli occhi al cielo, lanciando l’oggetto in un angolo e tornando a frugare tra i cassetti.
-“Ma se andassi a pulire un altro cassetto?” lo pregò il maggiore.
-“Ma come, sto iniziando a divertirmi! Cos’hai ancora da nascondere, droga?”
Louis gli si avvicinò, sedendosi accanto e dandogli una spallata giocosa.
-“Ma finiscila!” e rise sommessamente, accompagnato da Harry, che ora lo osservava mentre finiva di riordinare il cassetto.
-“Beh chi lo sa, magari sei un pusher o roba simile” lo punzecchiò il minore.
-“Cazzo, mi hai scoperto. Sono uno spacciatore professionista che nasconde le sue scorte nei cassetti dei boxer di camera sua. Sono troppo pericoloso, ti conviene scappare” rispose ironico Louis, chiudendo infine il cassetto e sospirando rumorosamente.
Il riccio scosse la testa, passandosi nuovamente una mano tra i ricci.
-“Non ho voglia di scappare, sto bene qua, grazie” commentò con noncuranza, alzandosi dal pavimento e stiracchiandosi.
Louis sorrise, tirandosi in piedi e andando a chiudere la finestra, ora pulita.
-“Perché ci sono io, vero?” lo punzecchiò il maggiore, asciugandosi la fronte da una goccia di sudore.
Harry si trattenne dal sorridere.
-“A dir la verità, Fizzy. E’ così dolce e fa disegni bellissimi” Louis scoppiò a ridere, avvicinandosi al riccio e lanciando una veloce occhiata all’orologio a parete della camera.
-“Abbiamo fatto presto, per un po’ mia madre non avrà da lamentarsi” sussurrò l’altro con noncuranza, spostando lo sguardo lungo la stanza, ora più definita.
Harry si lasciò cadere sul letto e il maggiore, pensieroso, lo seguì a ruota, facendo ondeggiare il materasso.
Di nuovo silenzio, all’esterno della finestra un cinguettare lontano di uccelli, un rombo di motori lungo la strada, un parlare sommesso di due donne.
Il riccio chiuse gli occhi, lasciandosi cullare da quei rumori.
-“Hazza” un sussurro di Louis, vicino.
Harry sorrise istintivamente, aprendo un occhio.
-“Come mi hai chiamato?” riprese quindi.
Louis si strinse nelle spalle, le mani sotto la nuca, un sorriso leggero, gentile in volto.
-“Preferisci ‘amore mio’ ?”
A quelle parole qualcosa all’altezza del petto di Harry si mosse, mentre una strana sensazione premeva forte sullo stomaco.
Il riccio strinse gli occhi, scuotendo la testa con le guance arrossate.
Louis rise di quelle reazioni, riprendendo un tono serio.
-“Hazza” – continuò, calcando il tono su ‘Hazza’ e ottenendo una risatina di Harry –“prima stavi parlando con mia mamma…posso sapere cosa è successo?”
Harry parve rifletterci per un attimo, poi
-“Va bene, a patto che mi dici perché sei rimasto in camera tutto quel tempo” asserì.
Louis sospirò sconsolato, quindi annuì leggermente.
-“Beh” iniziò il riccio, cercando le parole giuste da utilizzare, la mente a riordinare il discorso fatto con Jay –“abbiamo parlato di un po’ di cose… me…l’ospedale…la mia malattia…” la voce gli moriva in gola, le parole pronunciate quasi un elenco della spesa, come se tutto quello accaduto fino ad ora fosse solo un lento susseguirsi di eventi stupidi.
Il riccio avrebbe anche voluto aggiungere ‘e anche di te e i tuoi problemi con la tua sessualità’ ma si morse il labbro per trattenersi. Non voleva ripescare un argomento così duro da digerire agli occhi di Louis così, dal nulla. Ne avrebbero parlato dopo, o domani, o un giorno remoto. Forse.
-“Oh” sussurrò l’altro a denti stretti, la mente partita per chissà quali viaggi.
-“E come mai?” riprese quindi con più interesse.
Harry storse il naso, aprendo ora entrambi gli occhi, il soffitto come unica visuale, anche se non stava guardando per davvero.
-“Perché…” un sussurro timido.
Ora cosa gli dico. Gli parlo della sorella? Delle sue parole? Il suo punto di vista? Non voglio ritornare sull’argomento, non voglio cazzo…
-“Ehi, sei libero di parlarne con me” provò ad incoraggiarlo il maggiore, ora voltato su un fianco con gli occhi puntati sul viso di Harry.
Il minore sospirò, mordendosi il labbro dal nervoso.
-“Ecco… Charlotte crede che io sia la causa di tutti i tuoi mali in poche parole. Del tuo nervosismo di questa mattina, del tuo licenziamento, della tua…rottura con Eleonor…” il suo tono si affievolì man mano che parlava, lo sguardo ora a scrutare Louis, la sua espressione corrucciata, i suoi occhi azzurro mare ora in tempesta.
-“Dio” imprecò l’altro, passandosi una mano velocemente tra i capelli, scompigliandoli, lo sguardo ora di nuovo sul viso del riccio.
-“Non dirmi che le hai creduto.” Concluse poi amaramente, con sguardo supplicante e alcoltempo preoccupato.
Harry rimase muto agli occhi di Louis, l’espressione colpevole in volto.
-“Harry… per favore quella deficiente di mia sorella non sa neanche cosa voglia dire passare quello che hai passato tu, o noi… io…”
Il minore a quelle parole si tirò a sedere di scatto, dal nervoso, quasi il materasso avesse iniziato a scottare quanto le parole che stava sentendo in quel momento.
-“No Lou…aveva ragione. Ha ragione su alcuni aspetti. E io le ho creduto. E tua madre mi ha parlato e… vuoi sapere una cosa?” si voltò con uno scatto verso l’altro, un tono duro, serio, la voglia di urlare dal nervoso di quei ricordi.
-“Abbiamo parlato anche dei tuoi problemi ad accettarti Louis! Ne abbiamo parlato, si. Perché non sono solo io quello che crolla alle parole di una bambina. Anche tu stamattina lo hai fatto, o non ti ricordi?” lo apostrofò quindi, per poi sospirare e passarsi una mano tra i ricci, lo sguardo basso.
Ecco, la bomba l’ho lanciata, ora proviamo a calcolare i danni.
Spostò quindi lo sguardo sul moro, seduto ora anch’esso, le gambe raccolte tra le braccia, il mento appoggiato sulle ginocchia, lo sguardo perso.
-“Immagino cosa abbia detto, che Mark ci ha mollati per il suo unico figlio complessato, che mi vergogno di tutto quando dovrei accettarmi e bla bla bla…”
Un silenzio ora carico di parole, voglia di abbracciarsi, mandare a fanculo certi discorsi, amarsi.
Un sospiro. Harry.
Un sospiro. Louis.
Il riccio quindi trovò il coraggio di scrutare l’altro, un rimorso nascosto tra le iridi verdi, le mani a contorcersi nervosamente tra loro.
E se potessi aiutarlo?
Se gli facessi vedere che sono forte?
Che… cazzo mi sto innamorando di lui?
E’ così bello.
E’ mio.
Nulla lo deve più turbare.
Dobbiamo accantonare questo stupido argomento.
Devo farmi forza, per lui.
Harry tornò a guardarlo, un tremolio leggero delle mani, un sospiro trattenuto nel petto.
Lentamente, cercando di essere il più delicato possibile nei movimenti, cercando quasi di carezzarlo in ogni cosa facesse, un conforto, fece stendere Louis sul materasso, per poi stendersi su di lui, il peso distribuito sulle braccia attorno al collo dell’altro e le gambe, piegate attorno il busto di Louis.
Mai il minore era stato così nervoso, spaventato o concentrato su qualcosa.
Mai aveva voluto fare qualcosa più di adesso.
Il moro semplicemente lo guardava, un sorriso velato dietro gli occhi, dietro la paura di conoscersi a fondo, accettarsi.
Dietro la paura di amare Harry.
Il riccio, mantenendo il contatto visivo, poggiò la sua fronte contro quella dell’altro, perdendosi nei suoi occhi, nel silenzio che li circondava.
-“Non devi farlo se non lo vuoi anche tu… non” iniziò incerto Louis con un sussurro, zittito da un veloce bacio di Harry; Louis accennò un sorriso.
Ripresero a baciarsi, labbra che si schiudevano, mani che scompigliavano i capelli.
Le braccia di Louis scesero lungo la schiena del riccio, causandogli dei brividi; i capelli di Harry solleticavano la pelle dell’altro che, delicatamente, capovolse la situazione, riprendendo a baciarlo.
Le sue mani scesero lungo la maglia larga di Harry, la sollevarono con lentezza, la allontanarono dal letto.
Gli occhi chiari di Louis rimasero qualche attimo ad osservare il busto del riccio, rosso in viso dall’imbarazzo.
Il maggiore riprese a baciare la pelle chiara e morbida di Harry.
Poi tutto ad un tratto la situazione si installò, i respiri si mozzarono, Harry spalancò gli occhi nel vedere Louis che si allontanava a frugare nel suo cassetto dei boxer, e rise di gusto nel vedere cosa stringeva in mano.
Anche Louis sorrise complice, tornando a cavalcioni sul minore.
-“Farà un male cane Harry, ti avviso”
Il minore rimase a guardare Louis, i suoi movimenti sicuri e veloci con quel dannato profilattico in mano.
-“E’ un male che posso sopportare, lo condivido con te” rispose poi con naturalezza.
 
 
 
 
 
 
 

 
 
Ho appena scopato Harry.
No, non scopato. Ci ho fatto l’amore.
Con lui è diverso, tutto è diverso.
Non mi sento sporco come quando avevo baciato Stan.
Tutto questo per una volta non mi sembra sbagliato, ecco.
Per una volta ho il cuore che non ce la fa più dopo una cosa del genere.
Con Eleonor era proprio tutto sbagliato.
Tutto nel verso sbagliato.
Come un orologio che va all’indietro. Se vedo il suo riflesso nello specchio, sembrerà andare nel verso giusto, ma l’orologio sarà sempre rotto.
Per una volta io non sono l’orologio rotto.
E neanche lo specchio.
Per una volta io e Harry siamo le due lancette, ci rincorriamo, fino ad incontrarci.
Mi sento così vivo.
Ed Harry era bellissimo.
E’ bellissimo.
Ho ancore troppe emozioni che mi attraversano il corpo.
Cos’è questo, se non è amore?
Louis Tomlinson schiuse gli occhi, respirando lentamente per non disturbare Harry, abbracciato al suo busto, pelle contro pelle, nessun ostacolo tra loro.
Portò distrattamente le mani tra i suoi ricci, muovendo un po’ le dita e sciogliendone i nodi.
Erano stesi lungo il materasso, il letto rimasto quasi completamente in ordine sotto di loro, i vestiti ai loro piedi.
Di nuovo un silenzio li circondava.
Un silenzio diverso, leggero.
Nessuno carico di parole inespresse, solo sorrisi e occhiatine complici.
Anche Harry era sveglio, lo sguardo a vagare per la stanza, brividi sotto le carezze di Louis.
La convinzione di aver fatto del bene verso… il suo ragazzo, si.
Ora poteva definirlo così.
Un sorriso.
Sapeva ora, che al moro non avrebbe più dato fastidio.
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
-“Ma’ devo uscire a comprare dei medicinali per Harry, non ci metterò più di tanto va bene?” iniziò a gridare Louis dalle scale, mano nella mano con un Harry sorridente e radioso.
-“Boo, hai pulito la tua stanza?” un grido di risposta autoritario da parte di Jay, che fece ridacchiare Harry e scuotere la testa Louis.
-“Si, puoi andare a controllare se vuoi! Allora vado!”
-“Va bene, ma stai attento caro a non dare troppo nell’occhio” la voce della donna ora più vicina, la stanza accanto.
Louis annuì deciso, consapevole del fatto che la madre non poteva vederlo, quindi si voltò verso Harry e, sfruttando i gradini sotto ai piedi, riuscì a baciarlo a fior di labbra senza fatica alcuna.
Il riccio sorrise sornione, facendoglielo notare e il maggiore, scuotendo la testa e stringendosi nelle spalle si avviò verso l’ingresso.
-“Farò presto” gli mimò con le labbra, gli occhi accesi di una nuova voglia di vivere.
L’altro annuì, ancora sorridente, finendo di scendere i gradini.
Osservò la schiena di Louis sparire dietro la porta, sentì il rombo di motori poco lontano e lo scricchiolare del selciato sotto i copertoni quindi si avviò verso il salotto, dove aveva deciso lo avrebbe aspettato.
La televisione era accesa su un canale per bambini, inondando la stanza di una pioggia di colori e musichette allegre.
Scorse sul tappeto Fizzy, intenta a mangiucchiare una matita, i capelli biondi scompigliati in una lunga coda, l’espressione concentrata e, a pancia in giù, le gambe a muoversi a ritmo di musica.
Harry accennò un sorriso, accomodandosi su un divano ad osservarla.
La bimba alzò di poco gli occhi, che le si illuminarono alla vista di Harry e
-“Harry! Ti è piaciuto il mio disegno?” chiese con voce squillante.
Lui annuì solennemente, battendo le mani e congratulandosi con lei che, imbarazzata, arrossì un poco sulle goti.
-“Fizzy! Quante volte ti ho detto di non lasciare le Barbie sul mio letto?” la voce di Charlotte a coprire i cartoni animati, il tono arrabbiato.
Fece poi capolino dallo stipite della porta il suo viso innocente e corrucciato, una mano a stritolare una bambola dai capelli blu.
Harry istintivamente si irrigidì sul posto, spostando lo sguardo sulla televisione.
-“Oh” inveì poi la nuova arrivata, spostando lo sguardo sul divano.
Il riccio la ignorò, non voleva arrabbiarsi con una bambina che aveva la metà dei suoi anni, né darle ascolto.
E se le dicessi che io e suo fratello abbiamo appena scopato?
Come la prenderebbe?
Ci rimarrebbe male?
La traumatizzerei?
Forse potrei correre il rischio.
Sospirò, assottigliando lo sguardo e tornando ad osservare Charlotte, imbarazzata, lo sguardo basso e non più così arrabbiata con Fizzy.
-“Lottie chiedi scusa ad Harry e fate pace, odio i litigi” inveì la bambina più piccola, lo sguardo sempre basso sul foglio di carta.
Il riccio sorrise tra sé e sé, Felicite vedeva tutto esternamente e con la sua ingenuità riusciva a rendere le cose fin troppo facili, ma lo divertiva.
Prese un lungo respiro, lo sto facendo solo e unicamente per Loulou, si sedette meglio sul divano e tossì leggermente per attirare l’attenzione.
-“Charlotte, non sono arrabbiato con te” provò, contando mentalmente fino a dieci per mantenere la calma.
La bambina si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e entrò nella stanza.
-“Neanche io, solo che la mia idea rimane quella” rispose convinta lei, andandosi a sedere accanto la sorella con tranquillità.
-“E’ una idea cattiva” l’apostrofò allora Fizzy, non più concentrata sulla sua arte.
-“Se ci fosse papà la penserebbe come me” si giustificò allora la maggiore, iniziando a frugare nell’astuccio di tela della sorella.
Harry storse il naso, scuotendo la testa e cercando con lo sguardo il telecomando.
-“Fizzy ti dispiace se guardo altri canali?” cambiò completamente discorso il riccio, non volendo stare troppo ad assecondare Charlotte e le sue idee, ereditate dal padre.
Non è colpa sua, giusto?
E’ il modo in cui è cresciuta.
Forse Felicite non ha avuto la fortuna di crescere col padre passando con lui le sue giornate.
Vorrei proprio conoscerlo questo stronzo.
Così, anche solo per vedere che faccia ha.
Se Louis ha preso da lui quegli occhi azzurri che mi fanno impazzire.
Oppure quel ciuffo che gli adoro scompigliare.
-“Si Harry tanto non sto guardando” rispose dopo poco atona Fizzy, tornando a disegnare con la sorella.
Magari è biondo come Charlotte.
Le dita del riccio premevano distratte i pulsanti del telecomando, cambiando continuamente canale, un immagine all’altra, un suono all’altro.
Si, decisamente vorrei vederlo in faccia.
Il rumore acuto del citofono si diffuse per la casa, rompendo il fantasticare del riccio e facendo sobbalzare le due sorelline sul tappeto.
-“Harry, sarà Louis che si sarà dimenticato qualcosa come al solito! Ti va di andare ad aprire? Sono un po’ impegnata…” ennesimo grido di Jay dall’altro capo della casa.
Harry sorrise, annuendo e avviandosi verso l’ingresso, sotto lo sguardo curioso di Lottie e Fizzy.
Chissà cosa si è dimenticato.
E’ un idiota.
E rise sommessamente, passandosi una mano tra i ricci e aprendo la porta.
Il sorriso gli morì sulle labbra, gli occhi si sgranarono alla vista di chi si era trovato di fronte.
Un uomo sulla cinquantina, alto, robusto.
Apparentemente comune.
Ma Harry quegli occhi azzurro cielo li conosceva bene.
Quel sorriso strafottente lo avrebbe riconosciuto tra mille.
Deglutì a fatica, perdendo subito la sua sicurezza e
-“E tu chi sei?” chiese l’uomo con durezza, lo sguardo corrucciato, una mano lungo il fianco a stringere un borsone.
Il riccio provò a respirare regolarmente, chiudendo un attimo gli occhi.
-“Sono Harry, e lei?”
Anche se so già chi sei, coglione.
-“Mark Tomlinson, questa è casa mia e non so chi sia tu, io mi aspettavo di vedere un mio familiare e…”
-“Si, anche io mi aspettavo qualcun altro francamente” rispose con ironia Harry, storcendo il naso e lasciando libero l’ingresso.
Charlotte e Felicite ora avevano la visuale libera e, notando sulla porta il loro papà, corsero felici ad abbracciarlo.
-“Papà! Allora non ci hai abbandonato!” un urletto allegro di Fizzy, attaccata alla gamba sinistra del padre.
-“Mi sei mancato tanto” commentò invece con un sorriso Lottie, attaccata all’altra gamba.
Harry a quella vista distolse lo sguardo, quasi schifato.
Quell’uomo era orribile, non meritava l’amore delle sue figlie, non meritava nulla.
Abbandonò l’ingresso con noncuranza, deciso a rifugiarsi nella stanza di Louis, ma prima si voltò ancora una volta verso la porta spalancata: quell’uomo sorrideva, un sorriso subdolo, falso, che lo nauseò e lo rese ancora più contrariato.
Verso le scale incontrò Jay, che teneva tra le braccia Phoebe, i suoi occhi vispi, i capelli arruffati.
-“Harry caro, chi era alla porta?” chiese dunque la donna, destreggiandosi con la figlia irrequieta tra le sue braccia.
Lui si fermò un attimo, la mano sul corrimano delle scale, lo sguardo corrucciato e basso.
-“Mark”
Né ‘papà di Louis’
Né ‘signor Tomlinson’.
Fanculo, ora che stava andando tutto bene.
E Lou era pure felice!
Al diavolo.
Non era vero, non lo volevo minimamente vedere, io volevo solo Louis. 










Seraaa!
Allora come va?
Io sono sempre al punto dell'altra volta ahahah spero voi ve la spassiate meglio ;)
Che dire, gli esami e tutto come sono andati?
Spero bene;)
Il capitolo non so se commentarlo francamente.
Voglio dire, finalmente i Larry agiscono(?) e non per un loro desiderio ma Harry lo fa per Lou, per farlo sentire accettato;)
Ora, potevo descrivere nel dettaglio, ma il rating della storia è arancio e poi non le so descrivere decentemente certe cose ahahah potrei scrivere benissimo 'E Harry e Lou scoparono' scusate il francesismo ahaha solo che poi non sarebbe carino anche perchè a me piace descrivere le emozioni etc... chissà, magari nella prossima a rating rosso mi ci smeno meglio!
Comunque, come potete vedere, Charlotte pensa certe cose per Mark, e Harry lo capisce.
E ora il grande uomo fa la sua entrata in scena in casa Tomlinso.
Che succederà?
Provate ad immaginare...
Comunque vi voglio un gran bene, il vostro seguire e partecipare alla storia mi prende sempre più e mi invoglia a scrivere:)
Spero vi sia piaciuto il capitolo e che leggiate e che ne so recensiate lol anche il prossimo!
Un bacione e buone vacanze,
Lou_

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Capitolo 15
*** Chapter 15 ***









“Chapter 15”
 

 
 



 
“ - ‘Che cosa ne pensi di una cosa a tre?’
- ‘Cosa?’
- ‘Tu, la felicità ed io.’ “

 
 





 
 
Lanciai per l’ennesima volta, senza alcuno sforzo, con disinteresse, la pallina da tennis che avevo trovato sulla scrivania di Louis, per poi vederla rimbalzare contro la superficie del muro davanti a me e tornare tra le mie mani. Era da un po’ che ero lì sul pavimento della sua stanza, una luce fioca che mi illuminava il volto dalla finestra alla mia sinistra, la porta chiusa alla mia destra.
Quanto cazzo ci mette Louis?
Se torna si ritrova pure il padre ad aspettarlo.
Come si comporterà?
Io che fine farò?
Mi cacceranno?
Fanculo.
E Harry Styles lanciò con tutta la sua forza la pallina che stringeva tra le mani, per farle fare un enorme volo contro il muro, un tonfo sordo, per poi cadere sul pavimento e rimanere ferma, immobile.
Si passò poi con uno scatto nervoso una mano tra i ricci scomposti, alzò lo sguardo al soffitto e decise di alzarsi in piedi.
Quell’uomo ha una faccia da schiaffi…
Si può odiare qualcuno senza conoscerlo?
Ecco, già lo odio.
Inspirò, quindi si avviò verso la finestra, poggiandosi sul bordo e perdendosi ad osservare le villette del quartiere di Louis, qualche albero in fiore, un chiosco dei gelati in lontananza.
Devo scaricare i nervi in qualche modo.
Odio questa situazione, è così snervante.
 
 
 
 
 


 
“…’Ehi riccio, tutto bene?’ Harry soppesò le sue parole, scuotendo poi la testa.
- ‘No, col cazzo che va tutto bene Zay. Mia madre sta per divorziare da mio padre, Gemma ha la febbre ed è a casa, ed io sono qui, solo come un cane in questo cazzo di posto. Non ce la faccio più…’ la voce gli si spezzò in gola, le mani a coprirgli il volto scarno e pallido da un recente trattamento intensivo di farmaci.
Qui Zayn Malik, un appena assunto addetto alle pulizie, abbandonò il suo carrello da lavoro davanti la camera di Harry, gli si avvicinò ed andò a guardare fuori dalla finestra della stanza, pensieroso.
- ‘Sai cosa faccio io quando non riesco più a fare nulla, mi crolla il mondo addosso?’
Harry si scoprì il volto e mantenne lo sguardo basso sul pavimento, accennando un sorrisetto.
- ‘Intendi a parte fumare come un turco?’
L’altro sorrise, scuotendo la testa e voltandosi verso Harry.
- ‘Si, a parte quello. Me ne sto in silenzio, per i fatti miei, guardo fuori dalla finestra e appena trovo qualcosa di interessante la disegno, cerco di renderla vivida nei miei fogli, ogni sfumatura a ricreare le dimensioni. Insomma faccio qualcosa che amo fare. Io non mi butto mai giù davvero davanti le difficoltà, finché ho una matita in mano e un’immagine in testa.’ ….”
 
 




 
 
Harry sorrise istintivamente al ricordo di Zayn, l’immagine del suo sorriso ora davanti gli occhi.
Lui si che era da ammirare.
Un po’ sopra le righe, sempre col sorriso sulle spalle e qualcosa di giusto da dirmi.
Mi manca, lui forse saprebbe cosa fare.
Lui sapeva sempre cosa fare.
 
 
 




 
 
 
 
“…’Riccio? Posso entrare?’
Harry a quella voce sorrise, alzandosi dal suo lettino accennando un ‘si’.
Zayn, senza il suo carrello al seguito o la tuta da lavoro, si passò una mano sul ciuffo pieno di gel e sorrise, avvicinandosi al lettino dell’altro.
- ‘Sai, sono venuto a salutarti’
Harry corrugò la fronte, spaesato.
- ‘Perché? Hai già finito il turno?’
L’altro sorrise amaramente.
- ‘Si, diciamo pure il mio ultimo turno’
Il minore sgranò gli occhi, subito preso dal panico.
- ‘Come… non puoi andartene! Non puoi abbandonarmi così!’
Zayn chiuse gli occhi, inspirando lentamente, per poi sedersi sullo stesso materassino dell’altro.
- ‘Devo riccio, qui non riesco a disegnare più nulla. Faccio sempre così, lo sai. Mi manca l’ ispirazione, devo cambiare per forza posto.’
Harry abbassò lo sguardo sulle sue mani.
- ‘Dove andrai?’
- ‘Oh, io e Liam pensavamo alla Francia. Sai, la Torre Eiffel e tutte quelle stronzate là. Così potrò inviarti anche una cartolina’ qui il moro strizzò un occhio, scatenando un sorriso di risposta da parte di Harry.
- ‘Allora… questo è un addio Zay?’
Il moro sospirò, scuotendo il capo e passando una mano tra i ricci incolti di Harry.
- ‘Ti sbagli piccolo… è solo un arrivederci’
 
 
 
 



 
 
Harry scosse piano la testa, dando un’ultima occhiata in giro per poi chiudersi la finestra alle spalle.
Già, un arrivederci.
Stronzo come al solito.
Però se lo rivedessi gli parlerei di Louis.
E’ grazie a lui se ho trovato qualcosa che amo fare.
 
 
 
 


Un rumore di copertoni e motori ruppe i suoi pensieri, facendolo agitare e correre alla finestra, per poi sgranare gli occhi.
Cazzo è lui.
Non sono pronto…. Non lo sono per niente.
Harry iniziò a torturarsi i ricci nervosamente, una sottospecie di ansia a fremergli in petto, la voglia di nascondersi nell’armadio per non uscire più.
Il rumore del campanello d’ingresso si diffuse per la casa, facendolo sobbalzare da terra.
Si avvicinò alla porta chiusa della camera di Louis e, trattenendo il respiro, uscì per poi iniziare a fare i gradini delle scale a due a due.
Si guardò intorno, per poi notare la porta della cucina aprirsi e lasciare uscire Jay Tomlinson, i capelli scompigliati in uno chignon, le guance di un colorito rossastro e l’apparenza di essere sfinita.
Lei ed Harry si scambiarono un’occhiata eloquente, quindi la donna soffiò un
‘Vai in salotto a controllare le mie figlie per favore, dopo dico a Louis di venire da te’ che fece irrigidire il minore.
-“Tutto bene Jay?” chiese con cautela.
La donna chiuse gli occhi, sospirando lentamente e avviandosi verso l’ingresso.
-“Tu vai in salotto Harry, poi…poi ne parliamo”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Se in quel pomeriggio afoso e assolato ti fosse capitato di passeggiare per Holmes Chapel, non avresti visto altro che una tranquilla cittadina di periferia, la zona pedonale, dotata di fontana e aree verdi, coi negozi aperti e gente in un continuo andare e venire, risa e chiacchiere al vento. Se poi avessi continuato a camminare verso i quartieri, dal lato ovest della piazza cittadina, avresti potuto ammirare una fila di villette a schiera, intervallate da recinzioni e giardinetti in fiore. Tra di esse, se avessi avuto modo di scambiare due parole coi cittadini in paese, ti sarebbe saltata all’occhio la villa Tomlinson, dove si diceva che la famiglia avesse appena perso di vista il figlio sregolato e ribelle, fuggito con un malato dall’ospedale comunale. All’apparenza però, quella villa ti sarebbe risultata una comune abitazione unifamiliare, e solo la pioggia di parole piovuta su di essa ti avrebbe fatto cambiare idea.
Entrarci, però, in quella casa, ti avrebbe stravolto ogni aspettativa.
Una parte della casa immersa nella più totale tranquillità e monotonia, la restante parte con un’atmosfera carica di nervosismo e agitazione.
Louis Tomlinson, che aveva appena compiuto tutto il percorso appena descritto, curando di non farsi troppo riconoscere dai suoi concittadini, era rientrato a casa tranquillamente, non aspettandosi nulla di diverso da quello che aveva lasciato.
Si era invece trovato la madre, Jay, alla porta con un’espressione distrutta in volto, il labbro tremante e gli occhi stanchi. Seguendola, senza scambiarsi nessuna parola o chiedendo alcuna spiegazione, si era ritrovato in cucina il padre omofobo e stronzo che gli aveva segnato l’infanzia e che aveva abbandonato lui e la sua famiglia tempo prima e infine, non volendo minimamente parlarci, era corso in salotto per ritrovarsi un Harry più teso di una corda di violino e le sue sorelline in lacrime.
Ed era un boccone amaro troppo grande da digerire, tutta la sua vita stravolta dall’arrivo di Mark in quella casa, l’equilibrio appena faticosamente raggiunto strappatogli dal grembo con le unghie, lasciando ferite troppo profonde perché si rimarginassero in poco tempo.
Louis lasciò quindi sul tavolo al centro della sala il sacchetto pieno di farmaci, si sedette sul divano accanto ad Harry e si nascose il viso tra le mani, sforzandosi di non piangere, sorridendo sforzatamente pur di non far scendere lacrime.
Perché doveva essere forte, forte per tutti quanti.
Charlotte e Felicite, stropicciandosi gli occhi umidi con le mani, si sedettero sul tappeto ai piedi del fratello maggiore e subito dopo comparve Mark sulla soglia, un’espressione indecifrabile in volto, lo sguardo puntato sulle mani di suo figlio e il ragazzo riccio, troppo vicine.
La voce di Jay, tremolante e fragile, invase il salotto.
-“Fizzy, Lottie, venite che vi preparo la merenda”
Subito le due sorelline corsero all’esterno, verso la cucina, non sopportando la vista del loro papà, che aveva fatto gridare così tanto la mamma poco prima.
Harry deglutì a fatica, irrigidendosi all’istante alla vista di Mark che si sedeva sulla poltrona di fronte a loro, un sorriso tirato, la mascella contratta.
Louis trattenne il fiato.
-“Dunque è così che accogli il tuo vecchio in famiglia” iniziò acido l’uomo, grattandosi il mento ispido di barba.
-“E’ che…non mi aspettavo il tuo arrivo, tutto qua” sussurrò Louis, mantenendo il contatto visivo col padre.
-“Non hai qualcosa da dirmi? O la voglia di abbracciarmi? Da quel che ho capito da tua madre, abbracciare un maschio non ti intimidisce molto”
Harry socchiuse gli occhi, incrociando le braccia al petto, un gesto di rifiuto.
Il moro sgranò gli occhi, abbassando poi lo sguardo sulle sue mani.
-“Mi hai molto deluso Louis” infierì quindi Mark, notando di essere ascoltato senza alcuna interruzione.
-“Già ero andato via per i casini che hai combinato in ospedale, ritorno, decidendo di perdonarti, e ti ritrovo con… con… quel moccioso che hai accanto, che non so neanche da dove sia uscito né cosa voglia da noi e…”
Ti prego Loulou, digli qualcosa.
Fagli capire che non ha ragione.
Fagli vedere quello che ho visto io in te.
O non sarò più sicuro di nulla.
-“Perché tu non chiedi, tu pretendi e basta…papà. Il moccioso che ho accanto si chiama Harry Styles e…. è lui che ho portato via dall’ospedale.” Rispose incerto il moro, alzando nuovamente lo sguardo, un luccichio negli occhi.
Mark corrugò la fronte davanti quell’interruzione inaspettata, quindi incrociò le mani davanti a sé, non componendosi troppo.
-“E come mai lo avresti fatto? Mania di protagonismo? Noia?”
Brutto stronzo, io e tuo figlio ci amiamo.
-“No aspetta, fammici pensare… magari vi amate?” continuò l’uomo fingendosi pensieroso.
Louis arrossì lievemente in viso, sentendo l’aria attorno a lui mancare; Harry fulminò con lo sguardo l’uomo, poggiando una mano sulla spalla dell’altro.
-“Ma per favore. Louis questo non è amore, è solo uno stupido errore… saranno gli ormoni, non lo so. Ma è contro natura amare un altro uomo, lo vuoi capire?” provò Mark con tono comprensivo.
Harry si morse il labbro dal nervoso.
-“Contro natura è essere ottusi come lei, Mark. Non so come abbia cresciuto Louis ma la mia famiglia, mia madre non ha mai avuto nulla da ridire sul mio orientamento sessuale” quindi sputò con rabbia, ottenendo un sorriso pieno di gratitudine da parte del moro.
Mark lo squadrò con sufficienza, poi sorrise.
-“Tanto da quello che ho capito non hai molto tempo a disposizione per seguire il tuo orientamento, giusto?” sibilò Mark in risposta, uno sguardo gelido in volto.
Silenzio.
Il riccio abbassò lo sguardo sulle sue mani, il labbro che non la smetteva proprio di tremare, gli occhi lucidi.
Louis si irrigidì sulla sedia, scattando in piedi.
-“Adesso basta, basta! Si può sapere cosa vuoi da noi? Cosa vuoi da me? Sono grande sufficientemente da poter scegliere con chi stare, non mi interessa più il tuo parere” alzò la voce, quindi prese Harry per mano e uscirono, diretti in cucina.
Mark Tomlinson rimase sulla sua poltrona, lo sguardo spento, una mano sul mento, l’altra che cercava tranquillamente un giornale da sfogliare sul tavolino.
 
 
 
 
 
 

 
 
 
-“Mamma, caccia di casa quel bastardo, ora” scandì con furore le parole Louis, le mani premute pesantemente sul tavolo in cucina.
Harry si morse il labbro, chiudendosi la porta della cucina alle spalle, tenendosi in un angolo della stanza, in disparte.
Alla vista del fratello fuori di sé, Fizzy e Lottie smisero di mangiare dei biscotti da una confezione semivuota, guardandolo allucinate, mentre Jay si alzò in piedi per riporre un piattino in ceramica su uno scaffale.
-“Louis, modera i toni, spaventi le tue sorelle” commentò atona la donna, volgendogli sempre le spalle.
-“Me ne frego cazzo, non mi calmo finché quell’uomo non esce da qui!” ringhiò ancora il moro.
-“Louis William Tomlinson, datti una calmata per favore, questo non è né il momento né il luogo giusto dove parlarne” la voce fredda di Jay fece rabbrividire Harry, ora accanto a Louis.
-“Mamma, noi andiamo in camera mia…” provò Charlotte, alzandosi dalla sedia e trascinandosi dietro la sorella, sempre più spaesata.
Jay sospirò rumorosamente mentre ancora una volta la porta della cucina veniva aperta e chiusa con un tonfo sordo.
-“Avete parlato?” chiese allora la donna, finendo di lucidare un bicchiere e riponendolo nel lavabo, per poi andarsi a sedere di fronte a Louis e Harry, ancora in piedi.
-“Parlato è una parola grossa ma’, lo odio, lui non mi accetta, e poi ha detto ad Harry…” Louis stava pian piano sbollendo la rabbia, e con essa la voce si stava affievolendo.
Il riccio accanto a lui scosse la testa e sussurrando un
‘Non importa…in fondo ha ragione” che fece sospirare il moro.
-“Harry non devi giustificarlo, ha detto una stronzata va bene? L’ha detta solo perché non riesce ad accettare quanto ti ami io” gli sussurrò in risposta, alzandosi sulle punte e sfiorandogli le labbra con un bacio.
Harry sorrise un poco contro le sue labbra, quindi arrossì notando che Jay li stava osservando.
-“Harry caro, ti spiace se ne parliamo un secondo meglio io e Louis?” propose la donna, nascondendo un sorriso sotto i baffi.
Il riccio si gratto il capo e annuì, guardando per un ultima volta Louis e uscendo dalla cucina.
 
 
 
 
 
 
 

 
-“…si, esattamente. Sono assai dispiaciuto di tutto l’accaduto ma mio figlio si riscatterà sicuramente. No credo non ce li abbia più con sé, li avrà spesi tutti. Oh, perfetto, non so come ringraziarla…allora a dopo”
Harry si arrestò davanti l’ingresso notando Mark Tomlinson parlare al cellulare con uno sguardo languido e un sorriso in volto.
Non ci voglio parlare, devo andarmene, devo…
Non fece in tempo a fare dietro front che l’uomo lo chiamo con tono serio.
-“Che vuole” sputò quindi acido il riccio, tornando a osservarlo in viso.
-“Oh, nulla di che…solo spero tu sia bravo negli addii” rispose ammiccando l’uomo.
Harry corrugò la fronte, irrigidendosi sul posto.
-“In che senso?”
Qui Mark rise sommessamente, avviandosi verso la sala a passo lento.
-“Lo vedrai, Harry Styles, lo vedrai.” 












Sera :D
Tutto bene? Si lo so, ho avuto un ritardo assurdo... in compenso 100 e passa recensioni??? Ma dico scherzate?!
Boh vi amo, non so che altro aggiungere. Sul serio.
Beh spero che tutto ciò vuol dire  che la storia è carina e apprezzate ;)
Allora, passiamo al capitolo?
Dunque ho inserito Zayn e Liam nei ricordi di Harry perchè era da un po' che lo volevo fare e mi sembrava una cosa carina!
Poi invece Mark?
Più stronzo di così non lo potevo fare lol
Comunque la frase enigmatica alla fine? Secondo voi cosa intendeva?
Vi mando un grosso bacio e buone vacanze :)
Spero di riuscire ad aggiornare presto e spero di vedervi attive nelle recensioni come fino ad ora, vi giuro mi fate solo venire più voglia di scrivere!! <3
P.s. ditemi se ci sono punti che non vi sono piaciuti, non sono ancora pienamente convinta lol c:
Lou_

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Capitolo 16
*** Chapter 16 ***









“Chapter 16”
 
 




 
 
“Che rumore fa una persona che crolla?
E se non fa rumore, chi viene a raccoglierla?”

 
 
 
 
 

 
 
La porta della camera di Louis Tomlinson si aprì lentamente, facendo entrare uno spiraglio di luce, che squarciò il buio completo che avvolgeva la stanza, e lo stesso ragazzo, scosso e con un nodo alla gola.
Harry Styles si era infatti rifugiato subito dopo il ‘dialogo con Mark Tomlinson’ nella stanza del moro, chiudendo finestre e spegnendo le luci, avvolgendosi nel buio più assoluto e rannicchiandosi con le gambe al petto sul letto di Louis.
Il maggiore si grattò la testa, stringendo lo sguardo davanti a sé per riuscire a identificare la posizione di Harry, quindi tossicchiò per schiarirsi la voce e
“Harry, sono io…posso…posso entrare?” sussurrato con timore, un timore aggrappato alle parole sono io, quasi fosse una giustificazione più che plausibile per andare da Harry e i suoi pensieri.
Ed in effetti,era proprio così.
Il riccio non avrebbe risposto a nessun altro al momento, forse perché aveva bisogno di un abbraccio, forse perché voleva assolutamente non pensare alle parole acide sputate da quell’uomo poco prima, o forse non lo sapeva nemmeno lui.
-“Si” sussurrò quindi anche lui, in risposta, passandosi una mano sull’occhio e sforzandosi di sembrare tranquillo.
-“Sei…diventato una specie di vampiro per caso? Non si vede nulla qui!” provò a sdrammatizzare il moro, un sorriso incoraggiante in volto, anche se per il buio Harry non l’avrebbe notato, le mani davanti il viso per evitare di sbattere contro qualcosa.
Il riccio però non rise, mugugnò solo qualcosa contro le sue gambe ancora strette al petto.
Perché forse sapeva perché voleva solo Louis lì con lui, perché era l’unico che poteva illuminare una stanza buia; arrossì istintivamente al pensiero.
-“Scusami, stavo solo…scherzando.” Osservò rassegnato Louis, riconoscendo finalmente la figura del suo letto davanti a sé e un Harry rannicchiato timidamente sopra, quindi vi si avvicinò a tentoni.
-“No” si affrettò subito l’altro a rispondere, la testa alzata di scatto dalle ginocchia “fa sempre bene scherzare un po’ sai? Mi piacciono gli scherzi.”
Louis sorrise timidamente, incrociando le gambe sul materasso e attendendo che Harry parlasse di tutto quello che gli girava in testa.
Perché i miei pensieri e preoccupazioni sono sicuramente peggio dei suoi.
Perché mio padre è uno stronzo, e lo ha ferito.
Mi fa male vederlo così.
Voglio un tuo sorriso, Harry Styles, e qui in tutto questo buio non lo posso vedere, posso solo sentire il peso che ti porti addosso, e aiutarti ad alleggerirlo.
-“Hai parlato con Jay?” chiese Harry dopo un poco, lo sguardo perso nel buio.
-“Si e non lo vuole lasciare Harry. La nostra famiglia ne risentirebbe troppo e poi…Mark lotterebbe per l’affidamento delle mie sorelle e si sa che chi ha più soldi vince.” Cominciò amaramente l’altro, iniziando a giocherellare con le mani in grembo, la fronte corrugata, uno strano peso sul petto e un tremolio nella voce a pronunciare parole simili.
Harry si limitò a sospirare, impotente rispetto certe cose, cercando quindi con la mano quella tremolante di rabbia di Louis e la strinse delicatamente; Louis scosse la testa, sorridendo all’istante.
-“Ci penso spesso Harry, sai? Se non ti avessi mai portato via da quell’ospedale, se non avessimo viaggiato con la mia auto scassata da una parte all’altra della città…avrei fatto un errore fin troppo grande”
L’altro storse il naso, il cuore che batteva nel petto ad un ritmo incalcolabile.
-“Non ti avrei causato tutti questi problemi invece.”
-“Quali? Dimmi quali problemi, avanti.” Chiese retoricamente il maggiore, alzando di poco il tono della voce, infervorato.
-“Ma tuo padre…” provo allora il riccio timidamente, cercando di vedere nel buio il viso di Louis.
L’altro a quelle parole sbuffò sonoramente, si voltò verso Harry in modo da essergli di fronte e gli prese il viso tra le mani delicatamente.
-“Tu non devi ascoltarlo, non lo devi fare. Non ha minimamente ragione su qualsiasi cosa dica riguardo te, o noi. Non ti conosce, e non ne avrà mai la fortuna.”
Passarono qualche attimi di silenzio, il riccio sorrise silenziosamente, forse finalmente tranquillo accanto l’altro ragazzo.
-“Sto arrossendo per tua informazione” sussurrò quindi dopo un poco, scatenando una piccola risata da parte di Louis, che avvicinò piano il suo viso fino a incontrare quello del riccio e sfiorargli il naso.
-“E ora?” sussurrò sulle sue labbra il maggiore, non smettendo di sorridere.
Harry scoppiò a ridere di gusto, liberandosi dalla presa dell’altro e spingendolo con le mani contro il materasso alle loro spalle, in modo che Louis fosse steso sulla schiena sotto di lui.
-“E ora?” riprese il tono scherzosamente il riccio, sussurrandogli le parole contro l’orecchio e sfiorandogli il collo con le labbra, le mani attorno il suo busto.
Louis allacciò le gambe alla schiena del minore, tirandolo verso di sé, per poi allacciare anche le braccia attorno il suo collo e ridere, ridere silenziosamente, perché era dove voleva stare con Harry: abbracciato a lui e felice.
-“Ora te lo dico io cosa facciamo, Harry Styles” iniziò Louis tra risate sommesse dell’altro “ti bacio, ripetutamente e tutte le volte che voglio, facciamo l’amore esattamente in questa posizione e poi ce ne andiamo da qui.”
Harry arrossì, annuendo felice e “e dove andiamo?” chiese poi curioso, iniziando a soffiare languidi baci lungo il collo morbido del maggiore.
-“Londra, New York, Parigi… ovunque tu voglia…basta che sono con te” soffiò quindi l’altro, soffocando del piccoli gemiti di piacere e solleticando la schiena del riccio con le dita.
Harry rise, scuotendo la testa e scompigliando i ricci, per poi solleticare il naso di Louis con il proprio e “e dove li troviamo i soldi, o mio grande viaggiatore?”
Louis sbuffò contrariato, tirando nuovamente a sé il minore e sussurrando un “li fottiamo a mio padre, piccolo” che fece ridere di gusto l’altro, che riprese a baciarlo con foga, la voglia di sentire il sapore del maggiore sulle sue labbra, distrarsi e, perché no, viaggiare semplicemente con la mente, immaginandosi mano nella mano con Louis ovunque e da nessuna parte.
 
 
 
 
 
 

 
 
 
L’autovettura della polizia di Holmes Chapel arrivò poche ore dopo la chiamata del signor Mark Tomlinson, con al seguito un camioncino del telegiornale regionale e una folla di curiosi tra le strade.
Due agenti, in uniforme e dall’espressione contratta in viso, andarono a bussare alla porta di villa Tomlinson, cercando di farsi notare il meno possibile dai cittadini della città, invano.
Jay Tomlinson andò ad aprire la porta indispettita, pensando tra sé e sé che quella era una delle più pesanti giornate mai passate, per poi sentire la gola secca e un moto di preoccupazione in corpo nel vedersi ritrovare sull’uscio due poliziotti armati, un’autovettura parcheggiata malamente a pochi passi, una giornalista e un cameraman che intervistavano la folla riunitasi attorno il loro giardino.
-“Salve signora” provò rassicurante l’agente più vicino alla porta, evidentemente tra i due quello più bravo nel parlare, passandosi una mano tra i folti capelli neri “abbiamo ricevuto una segnalazione da questa zona, è qui che si troverebbe Louis William Tomlinson? Sa, il ragazzino comparso un po’ di tempo fa sui giornali…”
La donna rimase seminascosta dietro la porta, osservando prima l’uomo che aveva parlato, un sorriso rassicurante e duro allo stesso tempo in viso, poi l’altro, che teneva una mano ferma sulla pistola nella sua cinta.
Deglutì a fatica, respirando lentamente per non andare in iperventilazione e chiedendosi anzitutto chi avesse fatto la segnalazione.
-“Beh, potrei sapere prima chi vi ha chiamato?” chiese dunque, incerta.
L’uomo parve spazientito.
-“Non possiamo divulgare troppe informazioni a riguardo, piuttosto lei risponda alla domanda, o potrà essere perseguita dalla legge come complice del ragazzo.” Sputò dunque duro.
Jay sentì le guance diventare rosso fuoco, una voglia di piangere e disperarsi ma lo sforzo di rimanere tranquilla, un flusso di frasi e domande continue nella sua testa, che non le lasciavano il tempo di pensare lucidamente.
 
 
 
 
 
 
 


 
Mark Tomlinson intanto, sentendo il brusio generale fuori casa sua, sorrise mestamente tra sé e sé, raggiungendo a passi pesanti la stanza del figlio maggiore e bussando piano alla porta.
Si bloccò però all’istante nel sentire le risatine del figlio e del ragazzo riccio, i loro gemiti e rumori che lo disgustarono ancora di più, quindi senza troppe cerimonie spalancò la porta che aveva davanti e fulminò con lo sguardo i due ragazzi, svestiti e sorridenti, sul letto di Louis.
Louis si pietrificò alla vista del padre, diventando poi di un vago colore bordò in viso e allungandosi per baciare Harry sulla fronte.
-“Evita certe stronzate Louis e scendi di sotto, degli uomini vorrebbero parlare con te” il tono uscì dalla bocca dell’uomo  lapidario, ma non riuscì ad intimidire il figlio che invece sorrise amaramente, scuotendo la testa.
-“Sei stato proprio tu ad insegnarmi a bussare alle porte chiuse, aspetta che finisco qua e se ho voglia scend…”
-“No Loulou” lo interruppe nel silenzio creatosi Harry, sedendosi faticosamente sul materasso e passandosi una mano sui ricci scomposti.
-“Io so chi sono quegli uomini…li ha chiamati tuo padre, l’ho sentito mentre lo faceva”
Il sorriso di Mark si allargò ancora di più nel sentire quelle parole, perché stava facendo del male a quel ragazzo riccio, perché stava riuscendo a rimettere in riga quel figlio sregolato e imbarazzante.
Louis si voltò di scatto verso il riccio, un’espressione preoccupata in viso, poi guardò dritto negli occhi Mark, uno sguardo glaciale, privo di ogni possibile traccia di un sentimento paterno.
-“Lo hai fatto davvero? Chi hai chiamato?” la voce di Louis divenne più squillante per la preoccupazione.
Mark si strinse nelle spalle, rimanendo sulla soglia della stanza.
-“Scendi e lo vedi, ma non rimanere un secondo di più in queste condizioni con quello sfigato” esclamò rabbioso, per poi sbattersi la porta alle spalle.
Harry storse il naso, cercando i suoi vestiti nei dintorni per indossarli, quindi guardò Louis preoccupato e incerto sul da farsi.
Non voleva separarsi da lui, non lo voleva proprio fare.
Il moro invece parve pensieroso, poi scattò fulmineo verso la sua finestra, spalancandola per lasciar illuminare completamente la stanza e si affacciò, sentendo un brivido lungo la schiena.
-“Porca puttana” sibilò tra i denti, un brusio generale sotto la sua finestra, gente che parlottava riguardo la sua vicenda, giornalisti che filmavano qualsiasi cosa e un’autovettura della polizia parcheggiata malamente sul marciapiede.
-“Cosa…cosa c’è?” chiese allora Harry preoccupato, raggiungendo il ragazzo alle spalle e affacciandosi leggermente, per poi sentire le gambe cedere sotto il suo peso, una nausea invadergli lo stomaco.
-“C’è…c’è anche l’auto di mia madre” sibilò ad occhi sgranati.
Louis chiuse gli occhi, sentendo la voglia impellente di scappare, volatilizzarsi con Harry, fuggire.
Si voltarono all’unisono l’uno verso l’altro, lentamente, in silenzio.
-“E’ dav-davvero finita, piccolo…” sussurrò Louis, sentendo gli occhi inumidirsi.
-“Possiamo scappare Loulou, hai qualche porta sul retro o….” provò agitato l’altro, spostando lo sguardo per tutta la stanza e gesticolando nervosamente.
-“No Harry, non siamo in un film purtroppo e poi…dove andremmo senza neanche la mia auto?” chiese sconsolato Louis, allungando una  mano a carezzare la guancia morbida di Harry, che si morse il labbro, sforzandosi di non piangere.
-“Andava tutto benissimo Loulou, andava tutto perfettamente. Io-io ti amo, non voglio lasciarti, non voglio andarmene senza di te io…” sussurrò agitato il minore, una lacrima che gli solcava la guancia, la mano destra a carezzare quella di Louis sulla sua guancia.
-“Shhh” sussurrò allora il moro, avvicinandosi al viso del riccio e poggiando la sua fronte su quella dell’altro, gli occhi chiusi.
-“Ti amo Harry, ricordatelo sempre, io ti amo”
-“Lo so, cristo se lo so Loulou…ti prego baciamoci” pregò dunque il minore, soffiando le parole sulle labbra morbide di Louis.
Il maggiore sorrise stancamente, avvicinandosi per baciare Harry, stringergli le mani contro i ricci, pensare che lui era reale, lì, davanti a lui, ma che poche ore dopo sarebbe scomparso, forse per sempre, dalla sua vita.
-“Non ti dimenticare mai di me, Haz, capito?” sussurrò dunque Louis, finendo di baciare Harry per poi sfiorargli la fronte ad occhi chiusi con le labbra.
Il riccio tremò nella stretta di Louis dopo quel gesto.
-“Ragazzi, io vi avevo detto che conveniva muovervi” esclamò ironicamente Mark, aprendo in quell’istante la porta, un sorriso in volto che si spense nella visione di suo figlio che baciava nuovamente quel ragazzo riccio.
Sgranò gli occhi, quando i due agenti dietro di lui irruppero nella stanza, prendendo suo figlio per le braccia e staccandolo da Harry, che allungò una mano disperato, quasi gli avessero strappato una parte di lui.
Deglutì a fatica e si irrigidì nel vedere suo figlio che veniva trascinato di peso lontano da lui, dalla sua stanza, da Harry.
Ma soprattutto, sentì qualcosa all’altezza del petto quando vide suo figlio divincolarsi tra le braccia muscolose dei due agenti, per voltarsi verso il ragazzo riccio e mimare con la bocca un ‘non ti dimenticare mai di me’.
Forse, stava iniziando davvero a capire il sentimento che era nato tra quei due.
Forse però, era troppo tardi.
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
-“Fatemi vedere mio figlio!” urlò Anne, facendosi largo a spallate tra la gente radunata fuori dalla villa Tomlinson ed entrando di corsa nella casa.
Guardò con sufficienza la donna che piangeva nella stanza che doveva essere il salotto, sul divano abbracciata a due bambine, diede una spallata all’uomo sulla soglia delle scale, senza ottenere alcuna reazione da parte sua, per poi trovarsi davanti un ragazzino moro, dell’età più o meno di suo figlio, gli occhi azzurro cielo e un’espressione sopraffatta in viso, che veniva trascinato senza sforzo da due agenti della polizia.
Qui Anne si fermò, passandosi una mano tra i capelli scompigliati, tossicchiò leggermente e guardò fisso in viso il ragazzo, che però teneva lo sguardo basso sulle sue scarpe.
-“Scusate agenti, è lui Louis?” chiese freddamente la donna, ricevendo un cenno di assenso da parte dei due agenti, che non potevano proseguire poiché Anne sbarrava loro la strada.
-“La prego signora, dovremmo portare il ragazzo in centrale e…” l’agente che sapeva parlare meglio si interruppe e sgranò gli occhi nel vedere la donna assestare uno schiaffo sulla guancia del ragazzo, quindi pulirsi la mano sui jeans e scostarsi dal loro percorso.
-“Ha rapito mio figlio, questo lurido bastardo, mio figlio.” Commentò duramente lei, ricevendo degli sguardi apprensivi e alcoltempo stupiti da parte dei due poliziotti, che ripresero a condurre Louis fuori dalla casa.
Anne, cercando di sbollire la rabbia, alzò il viso dal pavimento per poi allargare gli occhi e sorridere, sorridere col cuore nel vedere la figura magra di suo figlio sulla porta di una camera da letto.
-“Tesoro mio….” Iniziò dunque a gridare, piangendo quasi dalla gioia e avvicinandosi al figlio a braccia aperte.
Harry però si scansò, quasi disgustato, fulminandola con lo sguardo.
-“Non dovevi farlo mamma” sibilò tra i denti, le lacrime soppresse negli occhi.
Anne rimase qualche attimo interdetta, per poi sospirare e volgere un attimo lo sguardo verso la porta d’ingresso, dove il ragazzino moro di prima usciva, accolto da un brusio generale della folla.
-“Non dovevo fare cosa? Quel ragazzo ti ha portato via da me, dalle tue cure, da Gemma, dalla tua vita…se lo meritava.” Affermò con convinzione l’altra.
Harry strinse le mani a pugno lungo i fianchi, mordendosi il labbro per evitare di gridare contro sua madre tutto quello che sentiva, tutto che aveva passato con Louis.
Evitò semplicemente di spiegare tutto alla madre.
Forse per compassione verso di lei, cieca nel non vedere che tanto suo figlio l’avrebbe abbandonata presto o tardi comunque, stupida, nel non vedere quanto fosse infelice in quell’ospedale, mentre con Louis era semplicemente rinato.
Cieca, forse per scelta, nel non vedere quanto Harry fosse stato felice senza di lei.
Storse quindi il naso, sospirò, sentendo il petto tremare per la voglia di piangere e, senza rivolgere nemmeno uno sguardo a sua madre sibilò un
“fai quello che devi fare, mamma. Riportami pure all’ospedale”
Perché ciò che aveva vissuto con Louis forse, era stata solo una bella favola, un qualcosa creato da loro in contrasto con la dura realtà.
E faceva male, un male da morire. 












Okay, calma *sospira*
Lo ammetto, mi ha fatto male scrivere questo capitolo, sarà perchè amo i larry o perchè mi piaceva come si erano sviluppati i personaggi ma...beh, spero abbia suscitato in voi le stesse emozioni.
Mi aspetto insulti e insulti per Mark gente ;)
Comunque dopo di questo ci sarà l'epilogo e poi finisce la storia :/
Vi giuro, mi dispiace tanto ma purtroppo era così che mi ero riproposta di farla andare.
Comunque vi dico che dal prologo capirete il titolo della storia :)
Niente, spero di non avervi fatto troppo sclerare per il ritardo e spero di pubblicare presto l'epilogo così non vi faccio troppo soffrire lol
E' che fa anche un caldo boia e stare al pc non è il massimo lol
Comunque davvero, vi ringrazio immensamente per le continue recensioni, davvero :)
Faccio sempre un salto sulla sedia quando ne ricevo una!
Ahaha si sono messa male.
Comunque vi auguro un buon continuo vacanze e.... ci si vede al prologo.
Vi ame <3
Lou_

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Capitolo 17
*** Epilogo ***













 

“Epilogo”
 
 
 
 
 
 
 
Allora, questo è un capitolo un po’ diverso, è l’epilogo giusto? Quindi non vi metterò la solita frase, bensì le varie canzoni che mi hanno ispirato a scrivere questa storia, che inoltre consiglio vivamente di ascoltare:
- Uncover, di Zara Larsson
- Same Love, di Macklemore
- Angel, Big Ones
- Demons, Immagine Dragons
- It Is What It Is, Lifehouse
- The Other Side, di Jason Derulo
- Radioactive, Imagine Dragons
- Mirrors, di Justin Timberlake
- Wherever You Will Go, Camino Palmero (che è la principale canzone con cui ho scritto cwc)

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
L’ambiente che circondava Louis Tomlinson da diversi giorni ormai era freddo e inospitale. Grazie a tutti i film polizieschi o simili che aveva visto in televisione delle sere con le sue sorelline, ormai dell’aspetto di una cella aveva una idea ben chiara e definita ma, doveva ammetterlo, nulla era come stare realmente in un posto del genere. Quei telefilm non ti facevano vedere il totale isolamento degli individui arrestati, non ti dicevano quanto potessero essere strafottenti le guardie dell’edificio, o non ti avvertivano sul totale senso di smarrimento e voglia di un viso familiare accanto, una volta arrestato.
Erano dunque tutte sensazioni nuove per il moro, sensazioni che però mai nella vita avrebbe davvero voluto provare.
Non passava giorno che Louis non pensasse a tutto quello che aveva vissuto fin’ora, un flashback continuo di immagini, sorrisi, pensieri; tutto pur di isolarsi completamente da ciò che lo circondava, tutto pur di aggrapparsi a qualcosa di migliore, ospitale.
La verità è che si sentiva terribilmente solo, solo e spaventato.
Non sapeva quando o come sarebbe uscito da lì, le ultime parole che aveva sentito a riguardo erano state ‘anche se hai un padre ricco sfondato, non credere di poterla passare liscia, Tomlinson, al processo vedremo’ oppure ‘al momento il giudice Smith non ha tempo per il tuo caso, dovrai aspettare ancora molto nel tuo buco, e mi spiace che non sia delle aspettative degne del cognome che porti’ e via dicendo.
Parole sputate nell’aria contro la sua famiglia, suo padre che chiunque del posto sapeva fosse sufficientemente ricco da corrompere un intero distretto di polizia, ma che comunque non ferivano davvero il moro. Lui non voleva l’aiuto di suo padre, quello stronzo che lo aveva cacciato di sua mano in galera, che lo aveva allontanato da sua madre, le sue sorelle, Harry. Soprattutto Harry. Harry, già.
A volte Louis tornava a pensare a lui, ma lo aveva fatto soprattutto le prime ore passate al buio in quella stanza. Si chiedeva se sarebbe stato bene in ospedale, se lo avrebbe più rivisto, se avrebbe fatto in tempo a riabbracciarlo.
Delle volte comunque ci pensava, ma voleva smetterla.
Ogni volta faceva più male; un pugnale che andava sempre più in profondità nel suo petto, non lasciandogli il tempo di respirare, o chiudere gli occhi e scagliarlo lontano da sé.
E poi le lacrime silenziose, il dolore sommesso e trattenuto a stento tra le labbra, il respiro mozzato e gli occhi rossi e scavati.
Voleva smetterla di soffrire così.
Voleva disperatamente sapere se Harry avesse ripreso a mangiare.
O a sorridere.
Si, avrebbe decisamente pagato per riuscire a vederlo sorridere almeno una volta, un’ultima volta; lui stesso da tempo aveva smesso di farlo.
 









Era pomeriggio inoltrato quando una guardia, un uomo sulla trentina e uno sguardo freddo, gli era venuto ad aprire bruscamente la porta. Louis era steso sulla sua brandina dura, all’angolo, guardando fuori dalla finestra le gocce di pioggia che si appiccicavano al vetro, emettendo un picchiettio leggero, quasi ipnotico. L’ora d’aria era dunque saltata per il maltempo e il ragazzo, sorpreso, si tirò a sedere in fretta, sistemandosi al meglio la sua scomoda tuta, ruvida e monocolore, che gli faceva rimpiangere i suoi cari vestiti.
La guardia non lo degnò di uno sguardo, sapendo bene che l’individuo non era pericoloso o violento, quindi si guardò intorno con circospezione per poi affermare un ‘muoviti Tomlinson, hai visite’ lapidario.
Il moro sgranò per un attimo gli occhi, ripetendo tra sé e sé quelle parole, incredulo.
Io? Visite? La mia famiglia non può di certo essere venuta, sarebbe un trauma per Lottie o Fizzy… e anche mamma in effetti. No, poi Mark non lo permetterebbe. Chi cazzo mi vuole vedere?
“Senti, non ho tutto il tempo, muoviti a uscire di qui, così posso scortarti alla sala visite e levarmi dai coglioni” mormorò dunque esasperata la guardia, che ora lo osservava scocciata da dietro la porta, socchiusa.
Louis allora annuì incerto, alzandosi dal suo giaciglio e passandosi nervosamente una mano tra i capelli e venire dunque strattonato in malo modo dall’uomo per il corridoio principale dell’edificio.
“Ehi, mi fai male così” si lamentò allora il ragazzo, storcendo il naso e contorcendosi contro la presa ferrea della guardia sulle sue mani, ammanettate dietro la schiena.
Per tutta risposta la guardia lo strattonò nuovamente, facendolo gemere.
Raggiunsero a passo svelto una curva, per poi dirigersi verso una porta giallastra e priva di vetri, circondata da due uomini stretti nelle loro uniforme.
Louis evitò bene il contatto visivo con la gente che aveva attorno, limitandosi a mordersi il labbro nervosamente di tanto in tanto; l’ansia a premergli il petto insistentemente e in testa mille domande riguardo la visita che stava per ricevere.
La guardia che lo stata strattonando senza un motivo fece un veloce cenno del capo alle guardie attorno la porta, che si allontanarono lasciando il passaggio libero, quindi Louis si ritrovò in una stanza asettica e fin troppo illuminata.
Istintivamente socchiuse gli occhi, guardandosi poi attorno e cercare in giro dietro il vetro chi fosse venuto.
La guardia finalmente lo lasciò andare, liberandolo dalle manette.
“Ti tengo d’occhio ragazzo, io sono contro il muro dalle altre guardie, fai una mossa sbagliata e…” iniziò l’uomo.
Louis non lo degnò di uno sguardo, massaggiandosi i polsi doloranti e annuendo scocciato il capo, quasi avesse sentito quelle frasi fin troppe volte.
Ricevendo uno sguardo gelido dalla sua scorta, il moro storse il naso, sospirando pesantemente per poi accomodarsi su una sedia rossa, in plastica, dietro un vetro.
Il nervosismo, l’ansia lo avevano letteralmente investito, facendogli contorcere le mani sul ripiano davanti a lui.
Un inserviente dalla sua parte opposta, poco distante dal vetro, lo guardò fisso negli occhi, quindi andò ad aprire una porta e lasciar passare una ragazza mora, più o meno dell’età di Louis.
La ragazza si guardò quindi intorno, incerta e chiaramente a disagio, quindi nel vederlo si bloccò di scatto, accennando un debole sorriso e correndo a sedersi proprio di fronte a Louis.
Il moro era sempre più perplesso e incuriosito da chi aveva davanti, e non smetteva di osservarla, chiedendosi chi fosse.
Capelli lunghi, lisci e di un marrone scuro, lasciati sciolti sulle spalle, una pelle diafana e due occhi sul verde chiaro.
Fu lì che Louis si irrigidì di scatto, sentendo il sangue gelarsi nelle vene, la sensazione di soffocare.
Iniziò a torturarsi il labbro, osservandola mentre accennava un altro sorriso timido, estraeva la sua borsa dal fianco e, poggiandola sul ripiano, iniziava a frugarvi all’interno.
Rimasero in quella posizione per qualche secondo, un tempo infinitamente troppo lungo per Louis, che se aveva capito davvero chi fosse la ragazza, moriva dalla voglia di parlarle.
Finalmente quella tirò fuori dalla sua borsa in pelle una busta bianca e, quasi tremando, la fece passare nella fessura del vetro verso Louis, senza proferire parola.
Il moro si affrettò a prenderla, non curandosi degli sguardi più insistenti delle guardie attorno a lui e, prendendola tra le mani, scorse una calligrafia elegante, in corsivo, che recava il suo nome.
Se la rigirò tra le mani, la fronte corrucciata, quindi tornò a guardare la giovane che aveva già il telefono per poter parlare stretto tra le mani.
Louis allora goffamente prese anche lui l’altro capo del telefono e semplicemente si mise in ascolto; la voce morta in gola, sommersa da troppi dubbi per farsi largo e uscire dalle sue labbra.
-“Louis, ascoltami bene perché ho poco tempo, l’orario delle visite qui è quasi finito e ho staccato da lavoro solo per venire da te” aveva una voce delicata e squillante; il ragazzo annuì impercettibilmente col capo, incerto.
-“Sono…sono Gemma, Louis, la sorella di…Harry, Harry Styles.” Riprese la ragazza, abbassando per un attimo lo sguardo.
Louis allora al solo pronunciare quel nome si agitò visibilmente sulla sedia, aprendo la bocca per provare a parlare, chiederle qualsiasi cosa perché cazzo, lei era lì per davvero ed era la sorella dell’unica persona per cui sarebbe finito nuovamente in carcere.
-“Ascoltami, lui mi ha pregato di consegnartela, quando sarebbe venuto il momento e beh… è tutto scritto qui. Solo questo.” Soffiò allora lei contro la cornetta.
Il moro allora si schiarì la voce, guardandola disperato.
-“Gemma, Gemma ti prego… come sta Harry? Dimmelo io… sto solo di merda senza di lui, desidero che lui sia felice che…” mormorò quindi, balbettando.
Lei sospirò, scuotendo la testa e sorridendo sinceramente, alzando quindi lo sguardo su Louis e prendendo il telefono con le due mani.
-“Non hai smesso di amarlo dunque, nemmeno dopo tutti questi giorni, nemmeno dopo tutto quello che è accaduto…” osservò incredula.
-“Louis, guarda la busta, solo questo e….abbi cura di te, sempre” concluse dunque lei, carezzando dolcemente il vetro e chiudendo la telefonata, lasciando Louis dall’altra parte ancora bisognoso di contatto, che quindi prese a gesticolare per attirare la sua attenzione.
Gemma però prese la sua borsa e semplicemente si voltò verso l’uscita, salutando con un cenno la guardia che le aveva aperto e lanciando un ultimo sguardo vero Louis, che si bloccò all’istante.
Il cuore gli batteva forte nel petto, avrebbe voluto rompere quel dannato vetro e inseguirla, correrle incontro, perché non gli aveva ancora risposto alle domande riguardante Harry, il suo Harry.
La guardia di prima però, notando che l’incontro era finito e che l’orario delle visite era concluso, si avvicinò a Louis, ricordandogli dove si trovava e facendolo allungare verso il ripiano sotto il vetro, verso la busta di Gemma.
Ci fu quindi la camminata di prima, tra strattoni e occhiate gelide cui però Louis non dette peso, troppo impegnato a stringere quella lettera a sé, per poi quindi ritrovarsi nella cella, che faceva così fatica a definire ‘sua’.
Il ragazzo si guardò attorno lentamente, quindi si buttò sulla sua brandina sfatta e, letteralmente tremando e con il fiato sospeso, passò due dita sulla calligrafia di Harry sulla busta.
 





To: Louis William Tomlinson
From: Harry Edward Styles
 
 




 
Inconsciamente il moro sorrise, leggendo il secondo nome Harry, quindi con cura, per non strappare la busta, sfilò via il cartoncino che vi aveva trovato dentro.
Se la rigirò tra le mani più volte, perplesso, per poi scuotere la testa, quasi rassegnato di fronte un’evidente verità.
Tra le mani stringeva una cartolina, Harry gli aveva mandato una cartolina.
Non sapeva se sorriderne o piangere per la mancanza della presenza del ragazzo.
Riprendendo fiato e alzando un secondo lo sguardo attorno a sé, quasi stesse per fare qualcosa di segreto, intimo, tornò a guardare la cartolina.
Era bianca, recava il francobollo di Holmes Chapel, con tanto di timbro postale.
 
 






 
Loulou,
(so che iniziare una cartolina così ti farà arrossire, era il mio piano)
Voglio scriverti qualcosa, un pensiero, un qualcosa, per dimostrarti che io a te ci penso ogni giorno, che non riesco a dimenticarti. Come potrei?
Ho scelto una cartolina, perché con te ho viaggiato, ben oltre i confini che mi erano stati posti e beh, poi sai che amo le cartoline, giusto?
Ti penso sempre Loulou, qui l’ospedale è così noioso, la gente ora mi guarda sempre più sconsolata, non mi curano più, non faccio più terapie, mi lasciano solo a letto.
 
 





Louis strinse tra le mani il cartoncino, mordendosi il labbro e scacciando i pensieri che gli stavano invadendo la testa.
 
 






 
Mamma viene spesso e piange. Gemma viene spesso, sorride, poi si volta e la sento singhiozzare. Ti vorrei qui con me perché so che tu non piangeresti mai con me, rideresti e faresti tutto per farmi sorridere. Ogni tanto parlano ancora di noi in tv, sai? E ammetto che ho un colpo al cuore appena inquadrano una tua immagine. Spero davvero che tu esca presto di lì, ti meriti il sole sulla pelle, il cioccolato a merenda e il poter andare al luna park tutte le volte che vuoi.
A volte penso di scappare di qui e pianificare una fuga con te, ma non ho la forza di alzarmi dal letto, non ce l’ho più. Poi forse ti dispiacerebbe anche vedermi. Non ho più i ricci, sai? Ho i capelli corti, troppo. Gemma mi dice che sono bellissimo, ma era meglio quando lo dicevi tu. Tu eri tutto il mio mondo Louis, e lo sei ancora adesso, voglio solo che tu lo sappia. L’hai vista mia sorella, Gemma? I suoi occhi mi ricordano i tuoi, Loulou.
Probabilmente non ti farebbe piacere sapere cosa sono venti a dirmi i medici questa mattina, quindi non lo farò. Ti dico solo che appena me lo hanno detto ho pensato a te e a come avrei voluto stringerti a me in quel momento. Louis William Tomlinson (ebbene si, ho scoperto il tuo secondo nome), voglio solo dirti quanto ti amo, quanto ti amerò sempre, sempre… e un grazie, un grazie immenso per avermi fatto vivere finalmente, per avermi fatto amare, per avermi fatto battere il cuore talmente forte da farmi star male.
Ti amo tanto, Loulou.
 








 
Louis trattenne ancora il fiato, non riuscendo più a fermare le lacrime che solcavano le sue guance. Si sforzò di sorridere, alzando per poco lo sguardo dalla cartolina e immaginandosi Harry davanti a lui che, con un gesto, gli carezzava una guancia dolcemente. Sorrise, mordendosi il labbro, per poi girare la cartolina dall’altro lato, quello dell’immagine.
Era raffigurato il mare, un’onda cristallina che bagnava una spiaggia semideserta, il primo luogo dove Louis aveva portato Harry. Una piccola e leggera scritta a matita, nell’angolo in alto a sinistra dell’immagine.
 







 
Questo mare è del colore dei tuoi occhi.
E’ grazie a te se l’ho scoperto.
Grazie, Lou.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
E finisce la storia. Dio ancora non ci credo, sapete?
Allora, voglio lasciarvi completamente carta bianca per i commenti, voglio che siate sincere, che mi diciate se vi è piaciuta tutta la storia o meno, i momenti che avete preferito, quelli che avete odiato…insomma tutto J
Io in compenso vi ringrazio infinitamente a tutte quante, e tutti quanti, per aver recensito, anche solo letto o sfogliato la mia storia ;)
Mi è piaciuto molto scriverla e mi ci sono impegnata.
Mi è spiaciuto fare tardi a pubblicarla ma non ho avuto proprio il tempo :/
Ora, dato che ho risposto molto raramente alle recensioni per via della mia connessione di merda, pensavo di ringraziarvi così, mettendo i vostri nomi nell’epilogo, perché è un po’ anche merito vostro se scrivevo ;)
Si oggi sono dolce, che ci volete fare ahahaha
Quindi ringrazio moltissimo:

Elix_San :))

My friend MarkNuar, che mi scrivevi sempre poemi (li ho apprezzati molto)

Alwaysinmyheart ;)

Aww_so_cute_babe ;))

Reader9023573632 ;)

Love is equal  (che mi ha recensito ogni santissimo capitolo, ti faro una statua penso)

Those_Stairs :))

Imabookinair ;)

BellaMony956 :))

La mia fan number one Dory_97, che saluto ahahah ehii

SameGioeCa1D (adoro le vostre storieee)

Larry 97 (amo il tuo nick)

HLLNZ_life :))

Niallsblast ;))

TheSweetGirl ;))

Your eyes perfect ;))

I am unicorn (vorrei esserlo anche io un unicorno, uffa)

_Arte_

Keepfighting_ J)

Myfirstrealcrushwaslou  ;))
 
Vi ame vi ame vi ame!! (ringrazio anche chi ha messo tra preferite, ricordate, seguite ;)   un grosso bacio e ci si vede alla prossima storia!) 

 

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