Something New

di YourSisterX
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01 ***
Capitolo 2: *** ° capitolo ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** 01 ***


Something New

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Capitolo1.
 
Nulla di nuovo. Morta da 50 anni e nessuno che si svegliasse dicendo “facciamo qualcosa di nuovo”.
Se vi chiedono cosa ci sia dopo la morte voi rispondete “la noia”.
Non c’è nient’altro.
Superati i primi tempi in cui ti senti depresso perché sei morto e i successivi due anni dopo che ti sei ripreso dal trauma durante i quali non farai altro che passare attraverso i muri pensando che sia la cosa più figa del mondo o spiando le persone quando sono da sole per vedere quello che fanno... ecco superato questo periodo comincia la noia.
Te ne stai confinato nelle quattro mura della casa in cui sei confinato, nulla da fare, da vedere, da dire, nessuno che ti veda, che ti senta, magari ogni tanto capita che un cane ti abbai contro, ma dura poco, poi il padrone gli dice di stare tranquillo e torna il silenzio.
Quella mattina non succedeva nulla di speciale, come al solito nell’appartamento che una volta era stato mio, prima che morissi, alla veneranda età di 15 anni, per un fulmine, non c’era nessuno.
Vi starete chiedendo come mai sono ancora viva, o meglio… fantasma… beh non lo so neanche io.
Perché dovrei saperlo scusate? Sono morta, nulla più m’importa, ma tutto sommato neanche da viva la morte mi spaventava tanto, seguivo la filosofia del “finché sei vivo la morte non è affar tuo e quando sei morto ormai il peggio è passato” quindi potete capire la mia noia.
No, non mi dispero, né mi sono disperata troppo quando sono morta.
Non avevo parenti se ve lo stesse chiedendo, mia nonna era morta l’anno prima, i miei genitori una decina d’anni prima, in un incidente, non pensate che io sia triste o cose così, la tristezza l’ho sempre avuta, ma adesso, sapendo che comunque i miei genitori non sono neanche diventati fantasmi e stanno nella più totale tranquillità, come anche mia nonna, non c’è nulla di cui preoccuparsi.
Morire è stata una cosa abbastanza inusuale. Per un attimo ho sentito una scarica elettrica in tutto il corpo, mi sono sentita capace di ogni cosa, era solo un fulmine. Poi tutta l’energia che avevo se n’è andata. Per non tornare più. E così non so quanto tempo dopo, mi sono trovata in piedi, davanti al mio cadavere, vedevo una me stessa sdraiata in terra, immobile, i miei capelli castani sparsi per terra a formare un’aureola intorno alla mia testa, i miei occhi perlomeno erano chiusi. Ce li avevo verdi, adesso è un po’ che non mi guardo ad uno specchio, sapete com’è… i fantasmi non riflettono la luce, quindi… niente luce niente riflesso, niente riflesso niente immagine e fine a tutte le paranoie da specchio. Comodo no? Tornando alla mia morte, per un attimo sono stata assalita dal panico. Poi ho visto la mia casa invasa dai condomini. Inizialmente pensavo fosse tutta una mia impressione, poi un uomo mi passò attraverso.
E realizzai di essere morta.
Crollai a terra.
Piangendo credo.
Non mi ricordo molto di quel momento.
Li seguii fino a quando potevo, avevamo un cimitero vicino al condominio in quel periodo.
Mi seppellirono a fianco a mia nonna, io mi fermai davanti alla sua tomba un momento, sperando che magari come me, anche lei fosse un fantasma, urlai di fronte alla sua tomba, ma nessuno mi rispose, appoggiai una mano sopra alla lapide ma sprofondai. Con il dolore ai limiti di sopportazione andai verso il luogo dove mi stavano seppellendo.
Vidi buttare la prima palata di terra. Me ne andai. Dopotutto il mio corpo ormai era andato.
Se vi state chiedendo dove vivevo, beh era Seoul. Mia nonna amava viaggiare e dopo che i miei genitori erano morti mi aveva portato con sé, ci eravamo stabilite là, una città dove di solito la gente occidentale non andava… almeno negli anni ’50… ma mia nonna era abbastanza emancipata da potersi permettere di fare quello che voleva. E poi era vedova. Che le fregava ormai?
Fatto sta che trovammo un bell’appartamento, non troppo grande, ma abbastanza per due persone (una vecchia e una bimba di cinque anni).
Insomma. Come ho già detto prima morì lei, poi io. Fine.
Una mattina, mentre stavo pensando a cosa potevo fare, la porta si aprì improvvisamente.
Spaventata persi un attimo l’equilibrio, per poi riprendermi subito e mettermi a fluttuare sul soffitto.
Erano cinque sei persone. Presero le misure delle pareti, guardarono i mobili, valutarono cosa portare via e buttare e cosa lasciare così, tolsero al grande specchiera della nonna che occupava tanto spazio. Un po’ mi dispiacque ma nulla di che, dopotutto era inutilizzata da 50 anni.
Se ne andarono lasciando un paio di teloni a coprire il divano.
Due giorni dopo,il 13 dicembre 2011, arrivarono altre persone, erano palesemente dei muratori o traslocatori, fatto sta che passarono la giornata a togliere e spostare mobili. 
Il giorno dopo ancora vennero altre persone, misero dei mobili, pulirono, stettero là tutto il giorno.
Non c’era mai stata così tanta attività in quella casa, neanche quando sia io che mia nonna eravamo vive.
Qualcuno sarebbe venuto a vivere qua? La cosa mi ispirava abbastanza e sperai che fosse una bella famigliola, di quelle con un papà, una mamma e due figli, una bambina piccola e un fratellone. Sarebbe stato bello. Continuai a fantasticare su quella che sarebbe potuta essere la mia nuova vita.
Passò una settimana, era quasi Natale.
Perché ancora non venivano?
Finalmente arrivò il giorno.
Entrarono prima delle donne con delle scatole. Ma se ne andarono subito. Poi vidi entrare i ragazzi.
 Sei ragazzoni tutti ventenni. Se mi fossi potuta vedere allo specchio avrei potuto certamente vedere il ghigno compiaciuto che mi era nato sul viso.
Era andata meglio di quello che speravo.
Belli, decisamente belli.
Beh ero decisamente una noona. Avrei dovuto compiere 65 anni il maggio di quell’anno. E comunque non avrebbero mai potuto vedermi.
Sospirai triste.
Dopotutto anche i fantasmi dovrebbero avere il diritto ad una vita sentimentale. Maledissi tutti gli dei che conoscevo.
Poi mi avvicinai per vedere meglio i bambini, circondati com’erano da un branco compatto di persone non riuscivo a vedere che sei zazzere bionde. Ora che ci penso non sapevo neanche chi realmente sarebbe venuto là a vivere. Magari sarebbe venuta solo una vecchia ajumma di quelle e loro erano gli amici di suo figlio venuti ad aiutarla.
Mi ero illusa. Tutti i buoni propositi che mi ero già creata vedendoli erano crollati in meno di dieci secondi. Passarono diverse ore, durante le quali la gente sistemò bagagli, vestiti e vettovaglie varie.
Non vidi nessun indumento femminile. Tanti prodotti per il trucco, ma nessun vestito, nessuna gonna o altro che potesse ricondurre alla presenza di una donna. Ripensai all’epoca in cui mi trovavo in quel momento e pensai che dopotutto poteva essere una di quelle donne che non amano vestirsi in maniera femminile. Ancora una volta la lieve speranza che si era accesa dentro di me svanì.
Poi una gran parte delle persone lasciò la casa. Saranno state le dieci e mezzo quando realizzai che la migliore delle ipotesi si stava realizzando.
I sei ragazzi erano ancora qua.
Esultai fluttuando qua e là. Mi avvicinai a tutti loro sfiorandoli come in una danza di gioia. Risi come mai era successo.
Finalmente ero in compagnia.
Finalmente non ero più sola in una casa vuota e familiare. Quasi piangevo dalla felicità.
A quel punto mi permisi di studiare definitivamente i ragazzi che nel frattempo stavano preparando la tavola. Quello che sembrava il più grande aveva un sorriso dolce nonostante l’apparenza un po’ minacciosa, nei venti minuti in cui l’avevo osservato aveva dato una mano a tutti. Sembrava gentile e premuroso. Allo stesso tempo anche affidabile, l’emblema del bravo ragazzo. Da come gli altri lo chiamavano capii che si chiamava Yongguk.
Compiaciuta del primo “acquisto” passai avanti.
Un ragazzo decisamente bello, sguardo profondo, lineamenti ai limiti della perfezione umana, mi stupii della voglia che avevo di toccargli le guancie. Lui era stato un po’ più in disparte, ma non aveva evitato gli altri, aveva messo a posto il cibo negli scaffali e preparato i letti. Aveva sistemato meglio i suoi vestiti nell’armadio e aveva passato quello che serviva agli altri. Poi si era allontanato nella camera con una valigetta, incuriosita lo avevo seguito, giunse vicino ad un comò nuovo, di quelli che gli operai avevano sistemato poco tempo prima, aprì un cassetto, aprì la valigetta e con meticolosa precisione si mise a riempire di cosmetici il cassetto. Rimasi alquanto stupita, dopotutto era un ragazzo, ma evidentemente tutti facevano così. Me ne feci una ragione e dopo aver memorizzato che quel ragazzo si chiamava Himchan passai oltre.
Mi concentrai su un ragazzo dall’aspetto familiare, ma che ero sicura di non aver mai visto, che era occupato a portare le ultime valigie che erano sul pianerottolo dentro. Non sembrava particolarmente forte, né particolarmente motivato, per fare quel lavoro, ma fece tutto con un sorriso, canticchiando e riposandosi spesso. Durante le almeno diciotto pause che fece per arrivare dal pianerottolo alla camera aveva preso un aggeggio, un telefono di nuova generazione che io non avevo mai visto essendo uno spirito confinato nella mia casa,  con il quale si era messo più volte a giocare, messaggiare e fare foto.
Sentì che dalla cucina lo chiamavano YoungJae. Quello sorrise evidentemente contento di dover sospendere il lavoro e andare a mangiare e io lo seguì.
Al tavolo soffermai il mio sguardo su un ragazzo dai tratti tipicamente orientali, gli occhi piccoli che scomparivano quasi del tutto mentre sorrideva, cosa che succedeva decisamente spesso, i capelli biondi facevano una specie di banda davanti alla fronte, ma stava comunque bene, aveva un naso un po’ inarcato, ma il tutto lo rendeva particolarmente attraente. Preso da un momento di caldo si tolse la felpa rimanendo in canottiera e io rimasi invece senza fiato, delle braccia notevoli in un corpicino così giovane, avrà avuto sedici, diciassette anni, ma era notevole. Mi appuntai mentalmente di seguirlo mentre faceva la doccia (una noona si deve sempre preoccupare, se scivolasse come faremmo?), memorizzai a mala pena il nome, JongUp, delusa di non poterlo chiamare mr.Braccia e provai a concentrarmi su qualcos’altro per quanto potessi.
Per fortuna JongUp si rimise la felpa, capendo che il 21 dicembre non è proprio d’estate. Ringraziai mentalmente il ragazzo che glielo aveva consigliato, neanche mi leggesse nel pensiero.
Mi soffermai su quest’ultimo.
Una bellezza incredibile, non riuscivo a pensare a nulla, labbra carnose e perfette, occhi grandi e sorridenti, sorriso affascinante. Un sex appeal che faceva invidia a chiunque credo. Mi decisi a proteggere anche le sue scivolate in doccia e rimasi per credo una mezz’oretta incantata su quelle labbra intente a masticare un po’ di tutto. Sentii che lo chiamavano Daehyun e che gli intimavano di non mangiare tutto.
Dato che cominciavano a finire il cibo pensai che fosse meglio finirla di vederli mangiare, era ai limiti dell’inquietante e poi mi ricordavo che quando ancora mangiavo, decisi di andarmene.
Non mi ricordavo più che ce ne fosse un altro, le labbra di Daehyun mi avevano intontita tantissimo, dopotutto dobbiamo ricordarci che quando sono morta avevo quindici anni ed ero nel pieno della crisi ormonale dell’adolescenza.
Per puro caso mi soffermai sul sesto ragazzo.
Sentii come una presa allo stomaco, nonostante non avessi uno stomaco e il respiro mi mancò, le vertigini mi presero all’improvviso.
Quel ragazzo. Tutta colpa di quel ragazzo, mi dissi mentalmente. Sospirai guardandolo, doveva avere più o meno l’età di quando ero morta.
Non era nulla di così speciale, non aveva l’inconfrontabile splendore della bellezza di Daehyun, non aveva il sorriso di Yongguk, la sensazione familiare di YoungJae, i lineamenti perfetti di Himchan o le braccia di JongUp, era qualcosa di speciale, non sapevo cosa, questo sua viso giovane, gli occhi innocentemente felici, il sorriso sbieco di un combina guai, i capelli ricci e biondi gli davano un’aria angelica e allo stesso tempo ancora più irrequieta.
Non avevo mai provato una sensazione del genere prima. Lo fissai per quello che sembrò un tempo infinito.
Percorsi con lo sguardo il suo profilo, le labbra sottili, il mento allungato, i ricci, gli occhi. Sorrisi beatamente.
Poi i nostri occhi si incontrarono. Evidentemente dietro di me doveva esserci qualcuno o qualcosa che lo aveva incuriosito.
Aveva uno sguardo concentrato, inquieto, ma allo stesso tempo affascinato. Mi girai. Dietro di me c’era una porta.
«Che cazz- » dissi accorgendomi che dietro di me non c’era nulla. Evidentemente era scemo. Bene. Bello e stupido. Un mix perfetto.
«Hyung vedi qualcosa là te?» disse il ragazzo rivolgendosi a JongUp, quello guardò nella mi direzione e socchiuse gli occhi per vedere meglio fino a farli quasi scomparire «Nulla Jun… a parte la porta»
“Jun” pensai un bel nome. Jun guardò di nuovo nella mia direzione, socchiudendo gli occhi, si alzò.
«Jello dove vai?» disse Yongguk vedendo che si alzava, nonostante tutti avessero finito e Himchan e YoungJae stessero già sparecchiando.
«Guardo una cosa.. c’è…un… insetto» rispose quello mentendo così male che nessuno riuscirebbe a fare di peggio
«Cos’è ti fanno paura?» disse Daehyun ridendo
«No, ma se vuoi lascerò che i ragni ti divorino durante la notte, hyung»
Daehyun si zittì ridacchiando e Jun continuò ad avvicinarsi alla porta. Si fermò ad un passo da me.
 

Poi disse

«Cosa sei?»

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Capitolo 2
*** ° capitolo ***


Capitolo 2.
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«Cosa sei?»
Non riuscivo a credere che stesse parlando con me. Era assurdo, cos’era… un ghost buster? Uno psichico? Un bambino prodigio? Un cane?
inaspettatamente mi misi a ridere. No, non me lo aspettavo. mi girai un paio di volte mentre quello continuava a guardarmi confuso forse più di prima.
Poi mi indicai il petto con aria confusa, lui annuì.
Non parlavo nel vero senso del verbo da 50 anni e ora ero senza parole. Cosa avrei potuto dire?
“Un fantasma”? troppo normale andiamo… e non potevo neanche terrorizzarlo perché avrebbero chiamato un esorcista o che so io… quindi tutte le maledizioni e le frasi ermetiche le cancellai cercando di trovare un nome, qualcosa.
Non avevo un nome. Non me lo ricordavo. Non c’era stato nulla a ricordarmelo. Evidentemente dopo 50 anni che nessuno ti chiama più evidentemente non mi chiamavo neanche io.
In effetti sarebbe idiota chiamarsi da soli tipo “Hei Giampiero, passami l’acqua… oh subito Giampiero” e mettersi dell’acqua nel bicchiere.
Certo era idiota anche morire per un fulmine.
Ed era idiota anche quel ragazzo che mi faceva queste domande.
Optai per la prima opzione, per quanto fosse scontata e banale e avessi sperato in qualcosa di più, quindi mi girai e risposi «Un fantasma»
Lui rimase sconcertato. Si girò verso i suoi hyungs e notò che nessuno aveva sentito niente. Mi fece cenno di seguirlo.
«Vado in bagno» disse agli altri.
Non pensai subito all’imbarazzo che potevo provare nell’andare con un ragazzo in bagno e lo seguii.
Entrammo e lui chiuse la porta con tre mandate, chiuse il gabinetto, io rimasi con le mani in mano.
Mi fisso e disse «Un fantasma?» più a se stesso che a me in realtà, diciamo che non mi stava neanche fissando, fissava il vuoto. Si che tecnicamente ero vuoto anche io… torniamo al punto e evitiamo questi discorsi, sono un po’ complicati da spiegare e non troppo chiari anche alla sottoscritta
«Come ti chiami?»
E vaff… «Non me lo ricordo»
“Come puoi non ricordartelo?” avessi potuto scommettere qualcosa avrei giocato ogni cosa su questa domanda, era ovvio, da film, sottointeso, scontato.
«Come vuoi che ti chiamo?»
Bum! Che? Bene, apprezzo di non avere nulla da commettere…
«Cioè?» faccio io abbastanza sorpresa e notevolmente felice per la piega che prendevano le cose, nulla era come mi aspettavo, no potevo chiedere di meglio. Esultai internamente.
«Sarebbe divertente se… comunicassimo… quindi…»
«Stai flirtando?» chiesi, beep beep! Non dovevi dirlo!
«Non mi sembra… sto flirtando? Quanti anni hai»
Una scimmia… non è un ragazzo… è una scimmia…. Una scimmia o un delfino curioso…
«Se non lo sai te non so come potrei saperlo io. Non compio gli anni da un po’…»
«Da quanto vivi? Cioè… da quanto sei mor… quanti anni avevi quando sei morta?»
«e avevo 15, ma sono morta da 50 anni…»
«tecnicamente quindi avresti la mia età…»
«Io direi più che tecnicamente potrei essere tua nonna…»
«…Si… anche… come sei morta?»
«Ma la privacy no?»
Il ragazzino tacque. Non è molto delicato chiedere ad una ragazza che TECNICAMENTE ha quindici anni com’è morta… capitemi…
«scusa» mormorò colpevole, ma mi guardò comunque come a chiedermi di dirglielo
«Posso chiamarti noona?»
«hmm… se ci tieni…»
«Non ti piace?»
«Non mi sono mai abituata a questi appellativi… posso chimarti Jun comunque?
«Si, se vuoi si, sennò anche Zelo, mi chiamano anche così»
«Zelo? Come il cavaliere dello zodiaco?»
Fece una faccia tra il sorpreso e il “che diavolo sta dicendo”, mi sentii molto stupida ad averlo detto… neanche avrei dovuto sapere che quella serie esisteva, ma la bambina che viveva di sopra quando era piccola guardava quel cartone e beh… storia lunga…
«Veramente era come il dio… dell’ardore… quello greco…»
«Si, è… il primo Zelo che mi è venuto in mente…» sorrisi, quanto ero felice di poter parlare qualcuno, di poter interagire col mondo, solo in quel momento mi resi conto della solitudine degli anni passati. Il mio sorriso diventò una smorfia e delle lacrime cominciarono a scorrere sulle mie guancie.
«Noona… stai piangendo…» disse Jun preoccupato
«Sono solo felice…» dissi io tra i singhiozzi. Sorrisi, tra le lacrime, qualcuno mi vedeva, quacluno mi parlava, qualcuno mi sentiva, qualcuno sapeva che esistevo. Le lacrime cominciarono a scendere ancora più copiosamente.
Mi calmai solo diversi minuti dopo.
«Noona…» mi chiamò Jun «C’è un balcone? Un posto isolato dove possiamo andare? Possiamo uscire? Gli hyung si potrebbero incuriosire, loro non ti vedono…»
Sospirai per calmarmi e annuii, gli dissi di seguirmi, passai attraverso la porta, senza ricordarmi che lui non poteva, mi girai un momento e mi accorsi che stava ancora aprendo la porta. Aveva tirato o sciacquone.
«Maknae pensavamo fossi morto!» disse Himchan
«O che ti avesse risucchiato lo scarico» disse JongUp
«O che il fantasma del gabinetto ti avesse ucciso e stesse divorando la tua anima» aggiunse Daehyun ridacchiando
Jun ridacchiò, mormorò qualcosa come “Scusate” e mi seguì.
«Maknae ora dove vai?» disse Yongguk
«Esploro la casa…mi sembrava ci fosse un balcone da queste parti, forse esco, vi avviso comunque…»
«Non farti male…» disse Yongguk
«Ma dovevi aiutarmi coi piatti» piagnucolò YoungJae
Himchan fece cenno di no a Jae che si mise brontolando a strofinare stoviglie e bacchette mentre Zelo mi seguiva trotterellando felice di essersi tolto quell’incombenza.
Arrivammo nella terrazza di mia nonna, c’erano diversi cespugli abbastanza folti da non far vedere che un ragazzo parlava all’aria, l’unico inconveniente era la grandezza, non era proprio una terrazza, era un buco del tetto… come lo definivo io… bastava.
«Eccoci qua!» dissi soddisfatta con la voce ancora un po’ provata dal pianto, ma sempre felice.
Il ragazzino mi sorrise. Poi si rabbuiò un attimo «Non sei un dio della morte o uno spirito maligno vero?»
«Ti sembro cattiva?» lui fece di no con la testa ancora incerto «Come faccio a fidarmi?»
«Stai parlando con un fantasma che vedi solo te su una terrazza di un condominio e ti fai pure queste domande?»
«Okay okay… è solo che non mi sembra possibile… parlare con un fantasma…vedere un fantasma…»
«Neanche a me…»
«Cosa?»
«Neanche io riesco a credere che sto parlando con qualcuno, ho passato gli ultimi» sospirai «50 anni… nella solitudine più totale…»
«Nessuno è mai riuscito a vederti?»
Feci cenno di no con la testa. Lui mi guardò ancora.
«Come sono?» gli chiesi all’improvviso, non sapevo neanche io perché, forse volevo sapere come ero fatta, forse volevo una prova tangibile che quello che vedeva ero io, forse semplicemente volevo che parlasse con me, volevo che mi prendesse in considerazione, volevo rendermi seriamente conto che qualcuno sapeva che esistevo ancora.
«Giovane… piccola… hai gli occhi grandi, sembri occidentale… di dove sei?»
«Italia» dissi io aspettando che dicesse altro
«Bella l’Italia… forse un giorno ci andrò…»
«E’ lontanissimo, come pensi di arrivarci? Quando sono venuta con mia nonna qua ci abbiamo messo giorni…»
«Con l’aereo ci vorrà non più di un giorno…»
Oh… dimenticavo che esiste la tecnologia…
«Poi?» dissi in apprensione
«Hai dei lunghi capelli… sei molto magra e abbastanza alta…»
«Non sono cambiata…» dissi in un sospiro…
«Quand’è… se posso chidertelo…l’ultima volta che ti sei vista?»
«Quando sono morta…»
L’atmosfera si fece pesante. Cosa che proprio non volevo. Mi misi a fare l’equilibrista sul balcone.
«Attenta!» disse lui preoccupato, in effetti doveva essere pericoloso per i vivi fare quel genere di cose…
«Tranquillo… non muoio mica una seconda volta…»
Lo vidi prendere fiato per parlare ma mettersi subito a tacere da solo, un po’ pentito.
«Un fulmine» dissi io. Lui capì come io avevo capito così voleva chiedermi.
Rimanemmo in silenzio per un bel po’.
«Sono felice che sei venuto a vivere qua.» dissi all’improvviso, un po’ per rompere il silenzio un po’ perché lo pensavo veramente.
Sorrise, dolce come mai lo avevo visto sorridere fino a quel momento, anzi, ora che ci penso non lo avevo visto sorridere neanche una volta fino a quel momento.
Sorrisi anche io.
«Hai un bel sorriso.» mi disse.
Se avessi avuto del sangue per arrossire in quel momento sarei stata peperone.
Ridacchiai imbarazzata.
Ci mettemmo a parlare del più e del meno. Di come fosse la vita dopo la morte, di come fosse stare fuori dalla casa, lui scoprì che non potevo uscire da quell’appartamento oltre la prima rampa di scale, io capii che quei sei ragazzi presto avrebbero debuttato come cantanti, mi fece sentire un pezzo di quello cantava e rimasi attonita davanti alla bravura di quel ragazzo.
Ridemmo molto, passarono ore credo.
«Jun sei qua?» una voce dall’interno
«si, sono qua» fece lui. Arrivò Yongguk.
«Non hai freddo?» disse stringendosi «Vieni dentro, tra poco andiamo a dormire, domani abbiamo molto lavoro da fare, lo sai… presto debutteremo… dobbiamo esercitarci.»
«Arrivo subito hyung, lasciami prendere ancora un po’ d’aria» disse il piccolo cercando di togliersi il più grande dai piedi, con delicatezza… certo… ma… se lo stava levando dalle palle…
Il più grande fece un mormorio sconnesso, si guardò intorno come a cercare qualcuno, passo lo sguardo anche dove mi trovavo io, per un attimo mi illusi che riuscisse a vedermi, passò avanti senza neanche accorgersi di me. Sospirai, Jun se ne accorse.
«Hyung…e tu… conoscessi un fantasma…» disse il più piccolo
«Sarebbe divertente… magari un sopravvissuto alla prima guerra mondiale… un soldato… un antico militare…»
Zelo fece una faccia alla “me lo immaginavo, non ci si può aspettare troppo da uno hyung come te”
«Dicevo unA fantasma…»
«una donna fantasma?»
«Ssi-»
«Magari una geisha che ha segretamente preso il potere dello shogun che serviva accreditandosi il potere del Giappone… o una regina… o…»
«Una donna normale, una ragazza giovane, morta per caso.»
«Quindi? Chiunque è un soldato, siamo tutti soldati! La vita è una guerra soldato!» disse ridendo il più grande, poi con un sorriso paterno tornò dentro intimando al più piccolo non più di cinque minuti.
«Comunque il tuo hyung è simpatico…»
«Si… è un po’… »
«Fissato con le cose militari?»
«Non si notava vero?»
«Nulla proprio…»
Ridemmo e parlammo ancora per un po’… poi dovette andare, era arrivato il secondo avviso, stavolta da parte di Himchan, che Zelo chiamò “Omma” per prenderlo in giro.
Lo seguii dentro casa, lo lasciai lavare. Pensai solo dopo che visto che mi vedeva non potevo andare a vedere JongUp fare la doccia. Sospirai contrariata.
Aspettai che tutti fossero a nanna, mi accoccolai vicino al muro, come seduta sulla finestra, a vegliare sui ragazzi. Jun era ancora sveglio. Gli feci ciao con la mano. Lui mi salutò di rimando. Mi avvicinai al suo letto.
«Posso farti una domanda?» chiesi io
«Certo» disse a bassa voce e mezzo addormentato.
«Ti va di avere come amica un fantasma?»
Lui sorrise, poi mi porse il mignolo.
Strinsi il mignolo, come se realmente potessimo toccarci, ignorando il fatto che io ero aria stringemmo le dita come in un patto. Sorridemmo, poi vegliai su di lui finché non si addormentò.
Sarebbe stato il periodo più bello di tutta la mia vita... o morte... quello che volete...
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Se sei riuscito a leggere fino alla fien vuol dire che non ti ho ucciso. ^^ *sospiro di sollievo*
 
spero vi sia piaciuto, recensite please TT TT 
 
YourSisterX  

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3.
 
I giorni passavano ed io ero sempre più felice. Certo, quando i ragazzi se ne andavano, chi a scuola, chi ad allenarsi, la casa era molto vuota, ma quando tornavano tutto tornava colorato.
Era come una continua festa, ogni giorno passavo ore a parlare con Jun, ormai conoscevamo tutto l’uno dell’altra.
Lui ancora però non sapeva come chiamarmi. Non si rivolgeva quasi mai a me chiamandomi Noona o fantasma, mi chiamava “Tu”, “Te” o faceva domande indirette, comunicare era ai limiti dell’impossibile e quindi si finiva che o io gli raccontavo episodi della mia vita o della mia morte oppure lui mi raccontava la sua giornata fingendo di parlare con i suoi genitori al cellulare.
Un giorno Jun stava uscendo, potevo arrivare fino al pianerottolo, non un passo oltre il primo scalino, di solito li seguivo fin là, poi li salutavo e tornavo dentro, quella mattina come al solito li seguii, il palazzo aveva una pianta antica, quasi in stile liberty, nonostante fosse molto difficile trovarne a Seoul, piena oggi di edifici ultramoderni o case tradizionali e modeste, questa pianta caratteristica prevedeva un cortile interno, che facesse entrare la luce di giorno, negli anni la gente aveva cominciato a porre dei vasi con fiori o piante di ogni tipo sul davanzale delle scale, in cima piano, così da accudirle meglio grazie alla luce solare e all’aria migliore rispetto all’aria pregna di smog fuori dalle finestre. Viveva una famiglia abbastanza numerosa all’ultimo piano, avevano quattro figli, due dei quali, Song JiHoo e Song Jiyoung, molto irrequieti, stavano giocando sul pianerottolo quel giorno, erano le sette e mezzo e presto sarebbero usciti per andare a scuola.
JiHoo urtò contro il davanzale dopo essere stato spinto da Jiyoung.
Fu un attimo. Un vaso cadde. Me ne accorsi subito e mi protrassi in avanti, la forza che mi aveva sempre impedito di oltrepassare la soglia mi trattenne anche stavolta. Gridai per avvisare almeno Jun, il ragazzo mi vide, ma non capì.
Il tempo sembrò dilatarsi. Continuai a spingere verso l’esterno, senza riuscire a penetrare la barriera.
Poi qualcosa si ruppe, ci fu come il rumore di vetro che si infrangeva.
Scivolai in avanti, rotolai per le scale e senza prendere coscienza del traguardo a cui ero arrivata mi precipitai a spingere via Yongguk, la cui testa era in direzione del vaso che cadeva.
Non so cosa mi passasse per la testa in quel momento, nessuno, a parte un attonito Junhong si era accorto di quello che stava succedendo, in ogni caso io, dimentica del fatto che fossi un fantasma, tentai di poggiare i palmi delle mie mani sul petto di Yongguk per spingerlo in avanti.
Qualcosa funzionò. Non capii molto, ma un attimo dopo Yongguk era a terra, dall’altra parte del pianerottolo, finito addosso ad Himchan all’improvviso.
Il vaso era caduto, proprio nel punto in cui si trovava il ragazzo prima, proprio il punto dove mi trovavo io in quel momento, ma non mi aveva sfiorato, tecnicamente mi aveva attraversata.
Jun si era protratto verso di me, ma spaventato dal vaso si era istintivamente protetto la faccia per evitare di essere colpito.
 
«Devi stare attenta là fuori» mi disse mia nonna mentre infornava i biscotti «C’è pieno di gente che non vuole altro che il tuo male»
«Ma perché? Non ho fatto del male a nessuno io, perché la gente vorrebbe farmi del male?»
«Se non cominci tu cominciano loro, qualcuno deve cominciare la catena dell’odio»
«Ma nonna noi stiamo facendo dei biscotti adesso… cosa centra con l’odio?»
«I biscotti sono la cura.»
La guardai interrogativa, convinta che fosse l’ennesimo segno della sua innata pazzia, mia nonna era una pensatrice, una donna di mondo, piena di idee rivoluzionarie e decisamente prive di barriere, solo che spesso si esprimeva così, in termini molto casalinghi, una volta se l’era uscita con “La gente è come il formaggio sulla pasta al sugo, ad alcuni non piace, ad altri sembra indispensabile, ma in fondo è quella a condire la vita più del sugo” e nella mia innocenza le avevo detto “Nonna a me il formaggio fa schifo”, dopotutto avevo sette anni.
«Perché proprio i biscotti nonna?» le chiesi allora
«Un biscotto equivale alla spinta che dai per aiutare qualcuno»
«E come fanno a far guarire dalla cattiveria?»
«Oh sono cotti»
 
Yongguk era immobile, guardava esterrefatto il punto in cui era caduto il vaso, probabilmente si stava chiedendo come mai lui un attimo prima fosse là e adesso si trovasse da tutt’altra parte.
Himchan si era avvicinato, guardando nel punto dove mi trovavo io.
Non poteva vedermi. Non ancora almeno. Questo era quello di cui ero convinta e dopotutto ero ancora abbastanza intontita.
Poi c’era YoungJae che più che del vaso si preoccupava dello hyung attonito e a terra e che gli era subito andato vicino dopo esserselo visto passare a due centimetri dal naso, chiedendogli se si fosse fatto male.
Daehyun si era subito rivolto verso l’alto e dopo aver adocchiato i bambini aveva intimato loro di scendere e chiedere scusa.
E poi c’era JongUp, che guardava il vaso come incantato, come se non si potesse spiegare come mai quello s trovasse là in quel momento.
Infine JunHong mi guardava, esterrefatto, le mani ancora gli circondavano il viso, ma gli occhi erano sbarrati, come se mi vedesse per la prima volta. Abbassò le braccia e mi si avvicinò.
Nel frattempo io avevo a malapena capito cosa fosse successo.
Per prima cosa avevo oltrepassato la soglia. Era stato un tabù per tutti quegli anni e adesso, in un attimo lo avevo oltrepassato, mi girai a guardare la porta, vidi come una lastra infranta e trasparente, quasi impercettibile, circondarla, come una bolla di sapone con una crepa, aveva anche la stessa iridescenza.
Cercai di ricordarmi cosa fosse successo.
Avevo visto il vaso. Avevo deciso di aiutare Yongguk. Avevo spinto Yongguk. Avevo salvato la vita ad una persona. Avevo toccato una persona dopo 50 anni che non toccavo nessuno, fino a pochi minuti prima non riuscivo neanche a toccare la mano di Jun e adesso avevo spinto un uomo a diversi metri di distanza. Mi inginocchiai.
Poi mi accorsi dello sguardo di Yongguk. Mi fissava. Ne ero più che sicura. Ne ero certa, sapevo che mi vedeva, che sapeva della mia presenza. Mi girai verso Jun, interrogativa, lui aveva la bocca aperta dalla sorpresa, ma si stava avvicinando a me.
Si alzò anche Yongguk.
«Hyung tutto bene?» gli chiese YoungJae.
«Si, si… sto bene…raccogliamo i cocci dai…» disse, si avvicinò a dov’ero e mi tese la mano. Come per aiutarmi. Appoggiai la mia mano sopra la mano i Bang, pensando di passarci attraverso, ma non successe. Riuscivo a toccarlo, riuscivo a sentire il calore della sua carne, il sangue pulsare nelle sue vene. Lo vidi rabbrividire, ma ignorò il freddo che dovevo trasmettergli e mi spinse in alto, facendomi alzare. Mi misi in piedi. Notai solo ora che le mie gambe esistevano di nuovo. Per molto tempo non avevano fatto altro che essere delle pallide linee nell’aria, ma ora vedevo i miei piedi, non li vedevo da anni.
Guardai allibita Yongguk, quello mi sorrise impercettibilmente, poi si mise a raccogliere i cocci. Gli sorrisi anche io. Stupita. Mi feci indietro e una persona mi passò attraverso, per un attimo mi sembrò di essere di nuovo un attimo dopo la mia morte. Mi si mozzò il respiro e sembrò che mi stessero succhiando l’anima, ma appena mi superò la sensazione passò. Era Daehyun, insieme ai due bambini. Li aveva rimproverati per bene, in dialetto, come aveva fatto un paio di volte anche con gli altri. Yongguk rimase stupito dal vedere che gli altri non mi avevano notato, ma io non mi accorsi che mi guardava, fissavo JunHong, tentando di darmi una spiegazione a quello che era successo, ci guardavamo interrogativi.
Mi avvicinai a lui, tese la mano per sfiorarmi, ma nulla gli si oppose. Aveva un’aria afflitta, non riusciva a toccarmi e neanche io mi spiegavo il motivo nonostante volessi con tutta la mia anima poterlo abbracciare, poterlo toccare, anche solo sfiorargli la mano. Lo guardai triste e confusa.
Mi rivolse uno sguardo triste, ma dopo un attimo mi sorrise, cercando di tirarmi su il morale, gli sorrisi di rimando, nonostante entrambi i sorrisi fossero incrinati dalla tristezza ci rasserenammo un poco. Yongguk aveva finito di raccogliere i cocci e li aveva dati ai bambini, raccomandando loro di non farsi del male e intimando loro di non giocare più in maniera così sconsiderata. Intanto un uomo abbastanza in carne aveva chiamato gli altri e sul pianerottolo eravamo rimasti solo io, Junhong e Yongguk. I due ragazzi si guardarono, avevano sempre avuto un rapporto simile a quello che c’era tra fratelli, a volte quasi più somigliante a quello tra un padre e il proprio figlio, ma in quel momento sembravano estranei. Guardai Junhong, lui si voltò a fissarmi.
«Cos’è successo?» mi chiese, come se io potessi saperlo.
«Non ne ho idea Jun»
«Yongguk hyung, tu la vedi?»
«Si, lei chi è?»
«Sono un fantasma»
Yongguk impallidì. Poi mi si avvicinò e porgendomi la mano e inchinandosi leggermente disse «Grazie»
Imbarazzata mi inchinai in risposta. Non tesi la mano, sapendo di non poterlo toccare, ma vedendo che non accennava toglierla tesi le mie dita e sfiorai la sua mano. Riuscii a toccarla.
La strinsi e lui si alzò dall’inchino che aveva mantenuto fino a quel momento.
Mi sorrise gentile, facendo sporgere le gengive dalle labbra carnose.
Gli sorrisi a mia volta, poi mi girai verso Junhong.
«Era lei il fantasma di cui ti ho parlato la prima notte che abbiamo dormito qua…» disse il ragazzo rivolgendosi al più grande, quello parve non capire, forse neanche si ricordava del discorso che avevano fatto lui e il più piccolo, poi gli si illuminò lo sguardo e se ne ricordò.
«Oh… pensavo scherzassi, scusami. Scusatemi entrambi.» Sorrise ancora.
«Posso chiederti come ti chiami?» mi chiese, io sorrisi triste «Non me lo ricordo…»
«Non hai una tomba da qualche parte? Potremmo vedere come ti chiami sulla lapide» mi disse il ragazzo. Mi illuminai e sorrisi, guardai Jun, anche lui sorrise. «Visto che adesso riesco ad uscire vi porto io, seguitemi, sempre che non facciate tardi…» dissi felice
«Avviso io il manager, dopotutto noi abbiamo già fatto un paio di showcase prima, non siamo così bisognosi di allenamento…»
«Si, Junhong me ne aveva parlato» dissi sorridendo complice al più piccolo.
Dopo che ebbe chiamato il manager ci dirigemmo verso il cimitero, non era molto lontano e mi ritrovai felicissima di poter passare per le strade, vedere la neve sotto di me, guardare la gente passarmi affianco, le insegne luminose, era da poco passato natale e c’erano ancora degli addobbi.
 
Arrivammo finalmente al cimitero. Non ricordavo precisamente dove si trovasse la mia tomba, ma sapendo che era affianco a quella di mai nonna mi diressi verso di quella. Yongguk e Jun decisero di comprare dei fiori da mettere sulla mia tomba, per dare un senso alla loro visita almeno a vedersi.
Ecco, dovrebbe essere qua… dissi io indicando la tomba affianco a quella di mia nonna.
«E’ molto piccola… quanti anni avevi quando sei morta se posso chiederlo?»
«Quindici…»
Junhong spolverò un po’ la neve che si trovava là sopra, vide la fotografia che avevano messo per ricordarmi, era ingiallita e un po’ sfrangiata, ma la cornice e il vetro lasciavano ancora vedere la mia immagine. Mi guardarono, cercando di capire se la ragazza nella fotografia fossi veramente io.
Sorrisero tristi.
Era la mia tomba.
«Giannini Zoe» Lesse Junhong. Sorrise triste. «Ha un che di comico…» disse
«Perché?» Chiesi io
«Zoe significa “Vita”» disse guardandomi al limite delle lacrime, non che io fossi molto più allegra, sentivo gli occhi pizzicarmi. E stavo per mettermi a piangere nonostante tentassi di sorridere.
«29 Maggio 1946 – 30 Dicembre 1961…» Lesse poi Yongguk «30 Dicembre…E’ oggi» disse poi in un sospiro.
Pose i fiori sopra la tomba. Erano dei garofani, i miei preferiti. Non si vedevano in giro spesso d’inverno. Ma eravamo stati talmente fortunati da trovarne un mazzolino di quelli rossi, quelli che io preferivo in assoluto, a pochi won.
«Allora» disse Yongguk alzandosi e prendendomi la mano «Vediamo di festeggiare per bene il 50° anniversario della morte della nostra bella Zoe…». Mi baciò la mano con galanteria.
Imbarazzata guardai quel ragazzo così gentile porgermi il braccio e incamminarsi per i vialetto trascinandomi con sé.
Mi girai per vedere se Junhong ci stesse seguendo, ma l’unica cosa che vidi con la coda dell’occhio fu che Junhong era impallidito.
 
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  finalmente testo modificato, YAY

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