Come una supernova.

di laragazzadirenoir
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio e la fine. ***
Capitolo 2: *** Pensieri. ***
Capitolo 3: *** Serate. ***
Capitolo 4: *** Mancanze. ***
Capitolo 5: *** Il giorno prima. ***
Capitolo 6: *** Eccoti. ***
Capitolo 7: *** Supernova. ***
Capitolo 8: *** Tutto. ***
Capitolo 9: *** Felicità semplice. ***



Capitolo 1
*** L'inizio e la fine. ***


Come una supernova


''Perché mi guardi così?'' si rivolse a lei.
Incredula cercò di guardare altrove, diventò rossa, finse di non aver sentito nulla - come da una vita intera, mentre un mondo le esplodeva dentro. Poi si voltò.
''Scusa, non volevo'' balbettò. Odiava la sua insicurezza. Eppure la nascondeva così bene, sembrava così forte, così dura. Come se nulla potesse scuoterla, ma tutto la uccidesse. Le parole e gli occhi, quegli occhi così intensi, la tagliavano come lame.
''Non devi scusarti'' Rispose lui. Aveva i capelli neri e ricci, le spalle larghe, le mani grandi. Lei non riusciva a guardarlo senza poi, di colpo, abbassare lo sguardo. Ma in realtà si chiedeva come facessero le altre, come facessero a non accorgersi di tanta bellezza, oppure a divinizzarla. 
Non rispose, volse la testa altrove, appoggiandosi al bordo della piscina. Come al solito, credeva che non fosse ‘destino’. ”Non è destino questo, non quello” - si diceva. Poi tornava a maledirsi. Si diresse verso la scaletta per uscire dall’acqua, abbassando lo sguardo, si avviò verso il suo lettino e prese l’asciugamano, lo tenne fermo sul viso e per un attimo sperò di sparire. Aveva così bisogno di essere vista, ascoltata, capita. Ma in fondo era abituata ad essere sola, a capirsi da sola, a vedersi ed odiarsi, da sola.
 
Matteo fissava la piscina dietro ad occhiali specchiati. Signore sposate cercavano di mettersi in mostra, ragazzine lo circondavano, adulandolo. Odiava sentirsi osservato, odiava il fatto che tutti lo guardassero, odiava la poca educazione delle persone, la sfacciataggine, persino il fatto che quella giovane donna fosse andata via senza aggiungere più nulla. Forse non c’era nulla da aggiungere, forse aveva sbagliato a rivolgersi a lei in quel modo, forse non era il caso di porsi così tante domande. Ma era uno così, uno che fisicamente faceva scena, mentre con la testa chissà in quanti e quali posti era perso.
Simone lo chiamò ridendo. Lui era uno che amava essere al centro dell'attenzione, amava gli occhi che lo seguivano in giro per tutto il posto e amava mettersi in mostra. Matteo non lo sopportava, non tollerava il suo atteggiamento.
''Che c'è?'' gli urlò serio.
Simone rispose avvicinandosi ''Tieni, una lattina di the alla pesca'' mentre beveva dalla sua, al limone. 
''Ti stai divertendo?'' aggiunse.
''Da impazzire, guardami!'' Matteo accennò un sorriso sarcastico. Aveva le labbra sottili, di un rosa salmone, la pelle scura, un tattoo maori alla caviglia.
''Mamma mia, fatti una risata, la vita è bella, non vedi?''
Simone allargò le braccia, era a dorso nudo, e aveva un fisico invidiabile. Probabilmente in quel preciso momento mezza piscina era lì a fissarlo. E se ne compiaceva.
''Lasciami in pace'' gli ripeté. Si alzò e, prima che Simone potesse replicare, si avviò al bar e ordinò un drink. I pensieri lo torturavano, la sua storia con Marta finita nel peggiore dei modi, la voglia di partire che era voglia di scappare; doveva affogarli, o almeno doveva provarci.
''Giò fammi un mojito forte'' disse, mentre passò dietro al bancone. Si accomodò su un divanetto bianco, fece zapping al televisore a plasma di fronte, quello del bar, spense.
Giovanni gli portò il drink, senza dir nulla glielo appoggiò sul tavolino e andò via,  aveva da fare. Lo conosceva bene suo cugino, quando chiedeva qualcosa di pesante era perché si sentiva così, pesante.
 
Rosalba aveva la gola secca. Il sole la irritava, la sua pelle tendenzialmente chiara non era abituata ad esposizioni eccessive e non riusciva a smettere di pensare all'ennesima pessima figura che aveva fatto. Eppure quell'uomo le piaceva. Le piaceva davvero. Era un'attrazione fisica, ma lei studiava le persone, sapeva che c'era dell'altro in quella persona che - come lei - non parlava mai e sorrideva appena, senza mostrare i denti. Come se qualcuno gli avesse portato via qualcosa. 
Disse ai ragazzi che erano con lei che aveva sete, gli chiese se avessero voglia di qualcosa, ma risposero di no.
Prese il borsellino e si diresse al bar, attraversò la pedana, abbassò lo sguardo ed entrò nel bar. Si diresse al chioschetto delle bibite e chiese un the alla pesca, era il suo preferito. E al diavolo le calorie. Al diavolo tutto. Si sedette al fresco, sotto una sorta di palma, appoggiò i piedi su un divanetto e fissò il nulla.
 
Matteo si alzò di scatto, la riconobbe. Era lei, la ragazza che non si era più fatta vedere per tutto il giorno e che l'aveva ignorato, andando via, senza dire assolutamente nulla.
Doveva parlarle, era ancora lucido. In fondo, per quanto fosse pesante, un solo drink non era in grado di stenderlo, perché per metterlo al tappeto c'era bisogno di ben altro. Senza pensare ancora alle conseguenze, si diresse verso di lei. Le guardò le spalle, non troppo larghe, non troppo strette. I capelli erano neri e ricci, come i suoi, ugualmente ribelli. Lei li portava in una coda molto stretta. 
Ora o mai più, doveva sapere perché quella situazione, così irrilevante agli occhi di un'altra persona, lo aveva colpito profondamente. Per tutto il giorno.
''Ciao'' le disse in tono pacato.
Rosalba si girò di scatto, si chiedeva come avesse fatto a non vederlo, si chiedeva cosa volesse, cosa dovesse o non dovesse dire, cosa stesse succedendo. Il cervello le si ingarbugliò in un attimo e mentre le domande le affollavano la mente, la sua bocca taceva. Inerme.
Lui tolse gli occhiali a specchio, aveva gli occhi castani, con qualche piccola e quasi impercettibile linea verde. Si sedette accanto a lei, i suoi occhi avevano una base castano chiaro, ma erano pieni di verde, un verde forte, sembravano quasi gialli. 
Deglutì, non si aspettava quegli occhi, restò muto. Fu un attimo che sembrò durare un'eternità e Rosalba sapeva già che sarebbe stato così, che avrebbe pensato a quello sguardo almeno per un mese. Lui parlò ancora.
''Hai perso la lingua?'' sorrise sarcastico, aggrottando la fronte.
''No, cioè, io stavo solo bevendo del the, ma ora devo andare'' annuì da sola, come per convincersi di quanto aveva detto. Fece per alzarsi.
''Ma tu scappi sempre?'' le chiese Matteo, sorridendo, questa volta era uno di quei sorrisi dolci, rilassati. Eppure l'aveva colpita dentro, perché scappare era un po' il suo mestiere, da sempre. 
Rosalba si pietrificò, mentre in testa le risuonavano le parole di una canzone degli Arctic Monkeys: '' You're such a fugitive, love, but you don't know what are you running from''. Ed era incredibile il fatto che, talvolta, la testa si staccasse dal resto del corpo; dalla bocca, per esempio.
''Come scusa?'' replicò, voltandosi, spalancando gli occhi.
''Sì, voglio dire, prima non mi hai risposto e sei andata via e non ti ho più vista, ora te ne vai'' fece una breve pausa, ''Perché?'' le chiese in modo spontaneo, sollevando le sopracciglia.
''Non sto scappando'' fu tutto ciò che riuscì a dire. Risposta secca.
''Ma non è la risposta alla domanda che ti ho posto''.
''Ci vediamo eh'' fece di nuovo per andarsene. Non lo vide, lui si alzò e mettendosi le mani in tasca e sollevando le spalle, le ripeté ''L'hai fatto di nuovo''.
Non si voltò più, ma lui aveva ragione. Continuava a scappare. Sarebbe scappata persino da se stessa, se solo ci fosse riuscita. Matteo portò le braccia dietro alla testa, la guardò andare via, poi tornò al divanetto, senza sedersi. 
 
Rosalba tornò dai suoi amici, erano quasi tutti pronti per andare via, erano più o meno le cinque del pomeriggio e nonostante il sole stesse per calare, continuava a sentire molto caldo. Una morsa le stringeva lo stomaco. Preparò la sua borsa in silenzio, indossò i ray-ban neri, il vestitino da mare e, in silenzio, staccandosi totalmente da i discorsi degli altri - che ormai erano solo voci in lontananza - li seguì fino all'uscita.
Durante il tragitto verso casa non faceva che guardare fuori dal finestrino, senza dir nulla. E non le chiesero nulla. In fondo avevano imparato a conoscerla, seppure avesse avuto un problema, la sua bocca non l'avrebbe mai ammesso. Decise di raccontarlo a sua sorella, sapendo che non le avrebbe dato alcun consiglio utile, nulla di nuovo, nulla che non sapesse già da sola. Ma aveva bisogno di sfogarsi, o sarebbe implosa. Anche se, a dirla tutta, non sarebbe stata la prima volta. 
 
Matteo cercò di non pensarci, almeno per un po'. Decise di mettere quei pensieri in stand-by, anche perché sapeva benissimo che poi sarebbe tornato da loro, li avrebbe ripresi e stretti a sé.


  

 
Continua
  


 
P.O.V. Autrice:
Ho sempre paura di essere estremamente banale, ma delle volte il bisogno di scrivere si fa persino più forte della paura. Quindi questo è un piccolo assaggio, sto già continuando. In fondo qualcuno ha detto che si scrive anche (o soprattutto?) per essere letti. Mi auguro che vi piaccia e vi tenga compagnia per un po'.  Nb: i personaggi sono verosimili e le persone che mi hanno ispirata esistono davvero, anche se non le conosco in maniera diretta.
 
Ps: mi scuso con chi, probabilmente, aveva già iniziato a leggere la storia. Ho dovuto cancellarla due volte di seguito e inserirla nuovamente, visto che alcune parti erano illegibili e avevo problemi con l'html.
Buona lettura, a presto!
 

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Capitolo 2
*** Pensieri. ***


L'accompagnarono fino a casa sua, Rosalba ringraziò per il passaggio, scese dalla macchina e fece le scale in fretta. Sembrava essere scomparsa anche la stanchezza, aveva solo voglia di buttarsi sotto la doccia fredda. Aveva voglia di riflettere. Come faceva sempre. Era solo un attimo di relax, l'illusione di saper trovare una soluzione ad ogni problema. Soluzione, però, poco duratura.
Sua madre le aprì la porta.
''Rosalba! Wow! Sei abbronzata'', le disse con stupore, ovviamente conosceva sua figlia, non aveva mai avuto un colorito di pelle molto scuro.
''Eh sì Mà'', rispose sciatta.
Si diresse subito in camera sua e salutò sua sorella minore, decise che forse era anche meglio non parlarle, non avrebbe capito. Posò la borsa e il resto delle cose, prese il suo cellulare e andò in bagno. Si spogliò di corsa e il getto freddo dell'acqua la colpì dritto in viso. 
Ripensò ancora a quanto successo, si ripeté che era stata una pessima figura. Ma il pensiero di lui, delle sue mani, del suo modo di fare, non si allontanò neppure per un attimo; così decise di arrendersi. 
 
''Simò vieni un po' qua!'', Matteo urlò e poco dopo Simone lo raggiunse ''Dai, dammi una mano che così chiudiamo subito, ho un mal di testa...''.
Simone sorrise, il suo sorriso da sbruffone. Poi aggiunse ''Ci credo, ti sei scolato quel drink assurdo e poi pensi troppo amico, pensi troppo, non ti capisco''.
Matteo avrebbe voluto rispondergli, avrebbe voluto dire che nemmeno lui si capiva, ma decise di zittire. Spostarono i lettini, allineandoli, mentre gli altri si occupavano delle pulizie e degli ombrelloni. Suo padre stava svuotando la piscina, l'avrebbero riempita il giorno dopo ma lui rimase colpito. Era così che si sentiva, svuotato. Non vuoto, svuotato.  Qualcuno l'aveva privato del suo contenuto, gli aveva portato via i sogni, l'amore, la voglia di vivere, di divertirsi, la voglia di credere. Non credeva in niente, forse in se stesso. Forse era anche meglio eliminare il 'forse'. In se stesso ci credeva davvero, perché era la sua unica risorsa, era la sua stessa àncora di salvezza, dopotutto era stato lui a restare sempre con sé, anche nei momenti peggiori, soprattutto nei momenti peggiori.
Simone lo guardò turbato, anche suo padre, così lo chiamò per essere raggiunto.
''Matteo...'', gli disse, dolcemente preoccupato.
''Pà!'', rispose, portando entrambe le mani lungo i fianchi.
''Che c'è? Cos'è successo? Stai male?'', colpì a fondo. Ma non sapeva nulla della giornata appena trascorsa, quindi non troppo.
''No, no'', ripeté. ''Non è niente, stà tranquillo'', si prese una piccola pausa, mentre aiutava il padre con il cloro per la piscina. ''Fa troppo caldo, mi sono sentito un po' spossato, tutto qua'', sorrise. E il padre credette nelle sue parole. Matteo pensò che forse nemmeno lui lo conosceva davvero. E' così, magari credi che i tuoi genitori sappiano tutto di te e in realtà non sanno un cazzo. 
Matteo si irritò. Forse la sua ex, Marta, avrebbe capito che quello non era un sorriso sincero. Ma se n'era andata, voleva i suoi spazi, ''siamo cresciuti,  tante belle cose''. Al diavolo!
Si girò e senza dir nulla si avviò verso l'uscita, diede un bacio a sua madre, una donna molto magra e raffinata, sulla cinquantina.
''Fai attenzione Matt, ci vediamo a casa OK?''
''Va bene Mà, a dopo'',  anche se sapeva già che sarebbe uscito e avrebbe fatto tardi. 
Prese le chiavi dell'auto dalla tasca del suo pantaloncino da mare e si avviò verso la sua lancia y. Mise in moto e accese subito lo stereo, salutò Simone con una mano e si avviò verso l'uscita. 
In radio passarono diverse canzoni, diverse canzoni che per diversi motivi gli ricordavano tutti Marta. Le loro promesse, quello che erano stati. Decide di spegnere e ci pensò sopra. Non gli faceva più così male. Ormai era abituato alla sua assenza, a non sentirla, a stare da solo. Non la odiava, gli risultava quasi indifferente. Era passato più o meno un anno e, anche se spesso si risentivano e rivedevano, dando vita ad un rapporto ambiguo e tossico, ora non era più così importante. Stava bene. Ma c'era qualcosa che gli metteva un'inspiegabile ansia. E subito capì che era quella ragazza, erano i suoi occhi verdi, troppo profondi.
Tornò a casa e incrociò suo fratello, un tipo dolce e sensibile, amante del Giappone e dei libri, un tipo che avrebbe saputo spiegare cosa provasse Matteo in ogni momento del giorno, senza che lui dicesse nulla.
Marco stava per uscire, ma guardandolo in viso, si fermò sull'arco della porta e, prima di aprirla, decise di chiedergli cosa gli fosse andato storto.
''Mattè che hai? Racconta, fà presto però che devo uscì!''
''No niente Mà, vai'', fece per andarsene.
''Dai dici, non mi far perdere tempo, muoviti'', Marco insisteva.
''Niente, mi è successa una cosa strana con una ragazza in piscina'', si portò una mano agli occhi e li strofinò leggermente, poi la portò dietro alla testa, alzò le spalle.
''E quindi? Ma che sono un chirurgo? Te le devo tirare le cose dalla bocca? Parla!'', Marco era irritato, suo fratello era eccessivamente introverso. 
''Mi guardava e gli ho chiesto perché'', ma prima che potesse finire Marco lo interruppe.
''Ma tu sei scemo, è normale, gli occhi sono fatti per guardare'', questa volta era Matteo ad essere irritato.
''Vabbuò, comunque non mi ha risposto e non l'ho più rivista fino ad oggi pomeriggio. Era da sola e mi sono avvicinato e ha detto che doveva andare...'', gesticolava.
''E dove sta il problema Matté?'', chiedeva stupito suo fratello.
''Sta nel fatto che i suoi occhi mi hanno sconvolto. Non lo so, troppo belli, grandi, verdi, profondi. Vorrei rivederli'', strinse le braccia sul petto, ora erano conserte.
''E' la prima volta che la vedi?''
''Sì'', secco Matteo, annuì anche con la testa.
''Secondo me si farà viva, cioè magari che ne sai, anche lei sta pensando a te o l'hai colpita, insomma, se hai detto che ti guardava'', poi si voltò verso la portà. Mentre Matteo restò impalato.
''...Mattè io vado, fammi sapere se ti passa 'sta cosa. Però secondo me tranquillo, ti ho detto come la penso, sai che non mi sbaglio mai'', ed era davvero così, Marco aveva un sesto senso da far invidia ad una sensitiva. Chiuse la porta ed uscì, mentre Matteo camminò in direzione opposta, verso il bagno.
 
Rosalba uscì dalla doccia e si asciugò la pelle che le bruciava leggermente, aveva un bel colorito, era dorata. Prese il suo profumo preferito e il deodorante, si vestì con un jeans semplice e magliettina basic, ascoltò qualche canzone e andò da sua nonna.  Durante il tragitto a piedi pensò nuovamente a quanto accaduto e si convinse del fatto che, per quanto non facesse del tutto schifo, non sarebbe mai stata all'altezza di un tipo così. O forse sì, anzi no. Si contraddiceva in meno di un secondo e arrivata da sua nonna, le raccontò com'era andata, saltando la parte riguardante il bagnino. 

 
Continua

 
P.O.V. Autrice:
Ho visto che ci sono state molte visite e ne sono contenta. Spero che vi abbia colpito, mi farebbe piacere leggere qualche recensione, anche se questo è solo l'inizio.  (:

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Capitolo 3
*** Serate. ***


Le ore passarono velocemente per Rosalba, era così quando era con sua nonna. Avevano riscoperto il loro rapporto da poco e, per non lasciarla sola, ogni sera Rosalba andava lei; chiacchieravano del più e del meno e dormivano insieme. Il giorno dopo, svegliandosi a qualunque ora volesse, la ragazza tornava dai suoi. Era anche piacevole. Era come staccarsi, ogni sera, da tutto il resto. Non le interessavano un granché le uscite. Non aveva molte amiche, a dir la verità; forse, ne aveva una. Andavano molto d'accordo, ma alcuni giorni Rosalba si sentiva sbagliata persino con lei, inadatta, come se non potesse capire al meglio o aiutare a fondo la sua Catia. Il discorso 'amici' era un po' più complicato, per diversi motivi. Il suo ex migliore amico era anche il suo ex e, in entrambi casi, l'aveva ferita profondamente. Non che prima fosse del tutto illesa, non che fosse un'ingenua, una che ti lascia fare i tuoi porci comodi per poi sparire. No, Rosalba non era così, ma arrivò alla conclusione che a certe persone ti leghi e basta. Non ricordi nemmeno come o perché, poi ti ritrovi fottuto. Non le andava nemmeno di ripensarci troppo, preferiva lasciare lì le ferite. Comunque non si lamentava, aveva una vita più o meno carina, non le mancavano i soldi in tasca, usciva spesso, conosceva gente, aveva ragazzi che le chiedevano di uscire. Anche se non accettava mai, aveva deciso di stare lontana, almeno per un po', da ogni tipo di relazione che potesse coinvolgerla emotivamente. Ed era per questo motivo che le parole del bagnino l'avevano colpita. Come uno schiaffo su di una guancia, come una scossa. 'Tu stai scappando', semplice, diretto, vero.
 
 
Matteo si lavò in fretta, una doccia veloce e fu pronto per la serata. Serate che riteneva tutte uguali, fatte di drink, musica senza alcun senso in ripetizione, baci dati con leggerezza a ragazze troppo truccate, scopate veloci nei cessi disegnati da desiner vanitosi, foto, fare tardi. Delle volte la sua stessa vita gli scappava di mano e doveva correre più forte di lei, per tornare a riprendersela. Anche se non stava correndo nella giusta direzione, consapevole dei troppi errori.
Giuseppe, suo amico fidato, o più che altro compagno di sbronze e stronzate, si avvicinò urlando. 
''Mattè! Bello eh? Ho una tipa tra le mani, una bella situazione, secondo me stasera concludo qualcosa. Poi vedi'', fece una pausa e bevve del martini alla pesca dal bicchiere che teneva rigorosamente tra le mani, era un tipo esibizionista; poi continuò ''Tu? Che mi dici? Stasera non ti vedo in forma, bomber!'', rise sguaiatamente.
Matteo pensò a quanto fosse grottesco e imbarazzante quell'ambiente, come una gara a chi mostra più cinture costose, chi ha in mano il drink più forte, chi rimorchia di più.
Poi rispose all'amico che guardava la pista da ballo e la sua preda. 
''Sto benissimo, che dici! Vado eh... datti da fare'', Giuseppe non rispose e lui si avviò al bancone delle bibite alcoliche. Si accomodò su di uno sgabello bianco ed alto, poi aspettò che il tipo, che ormai conosceva da un pezzo, si avvicinasse e gli chiedesse cosa volesse. Intanto si avvicinò una ragazza, una senza tette ma con un gran fisico, vestita succintamente.
''Ciao...'', disse con fare ammiccante.
''Ciao'', disse scocciato Matteo, senza guardarla bene in viso.
''Tu sei?'', si avvicinò ancora di più.
Lui non rispose, si alzò annoiato e senza dir nulla andò via. Si allontanò. Poi verso l'uscita, ringraziò il parcheggiatore, pagò quanto dovuto e si chiuse in macchina. Restò con le mani sul manubrio per un po', fissava il quadro della benzina. Non doveva neppure fare il pieno. Continuò a fissare, mise in moto. Prese dal portacose laterale i cd che aveva e velocemente, leggendo ad una ad una le scritte a pennarello che lui stesso, o suo fratello, avevano fatto, trovò un cd r&b. Decise che era tempo di riascoltare qualcosa che avesse senso, non un semplice suono, non uno stupido suono. Parole. Parole che avessero parlato per lui, ora che lui ne era a corto. 
Prima canzone, la macchina ora correva veloce verso il mare, poco distante dal locale dove era stato. Il cellulare squillava di continuo, decise di spegnerlo. Al diavolo i messaggi, facebook, whatsup. Quella canzone gli piaceva, eppure non la ricordava nemmeno. E' così, delle volte dimentichi chi sei, cosa vuoi, perché lo vuoi.  Il sottofondo era forte, le parole del cantante aderivano bene alla base.  Drake risuonava nella sua lancia: ''I got my eyes on you, you're everything that I see... I know exactly who you could be''. Le parole sembravano perfette per la ragazza che non riusciva a togliersi dalla testa da quello che era, ormai, il giorno prima.
Arrivò in riva al mare, spense la macchina e si accese una sigaretta. Si avvicinò al bar in legno, vicino alla spiaggia libera, poi prese una Peroni. Non gli piaceva, ma era stata la prima cosa che gli era venuta in mente. Uscì, arrivò sulla spiaggia e si sedette su una sorta di vecchia panchina. Fissava il mare, era nero, come i suoi pensieri, come quella sera. Amava il mare, amava il suo modo di cambiare di continuo. Calmo, sereno, mosso, agitato, nero, azzurro, verde acqua, freddo, caldo.
Era un po' come lui, lui che cambiava stati d'animo così velocemente, rimanendo sempre lo stesso. Erano solo le sue emozioni a prendersi gioco di lui. E non era un problema da poco. Rimase lì fino all'alba, immobile, poi tornò alla macchina. Riascoltò quella canzone: "You act so different around me". Decise che sarebbe stata la sua canzone. La canzone di quella sconosciuta che non avrebbe più rivisto. O forse aveva ragione suo fratello? Magari sarebbe tornata. Tornò a casa prima del previsto, non c'era traffico. 
 
Continua


 
P.O.V. Autrice:
Domani proseguirò con i capitoli, spero che vi stia interessando. Buona lettura! (:

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Capitolo 4
*** Mancanze. ***


Quella notte Rosalba ebbe degli incubi. Sognò degli squali, poi dell'oro; odiava entrambe le cose. Forse era stata l'ansia, o forse il troppo freddo per via del condizionatore. Si svegliò controvoglia, bevve il caffè che le aveva preparato sua nonna, si vestì in fretta e, senza guardarsi allo specchio, mise i suoi occhiali da sole scuri. Poi uscì. Non pensò molto al bagnino, aveva fretta di tornare a casa e il sole caldo, anche di primo mattino, le stava sul collo. Comprò le marlboro, ne accese una e proseguì verso casa. Un tipo che non conosceva le urlò ''Non fumare, fa male!''. Probabilmente quello doveva essere solo un altro dei miseri tentativi di abbordaggio dei suoi compaesani. A lei sarebbe bastato qualcuno che l'avesse guardata negli occhi. E poi, come se non sapesse che il fumo fa male; come se le importasse. In realtà non usava definirla neppure dipendenza, la sua. Fumava ogni tanto, quando le andava. Non stava male senza, non stava troppo bene con. Era così, uno stupido vizio che accomunava tanta gente. Si fermò in salumeria e comprò un panino al tonno, visto che sarebbe stata da sola e la cucina non era il suo forte. Ringraziò, pagò e uscì. Arrivata a casa si spogliò subito e controllò Facebook. Mise un po' di musica e restò impalata. Le venne in mente di controllare la pagina della piscina, di guardare le foto, cercava qualcosa. Qualcuno. E, contro ogni aspettativa, trovò delle foto del bagnino 'coraggioso'.
''E' lui'', esclamava a voce bassa. Lo ripeté più volte: ''E' lui''.
Ma non c'era alcun tag, nessun commento, niente di niente. Solo due foto, solo lui. Decise che era meglio lasciar perdere. Sistemò la sua camera e le venne in mente di chiamare Catia. In fondo con i suoi amici c'era anche lei, quel giorno; aveva visto come si erano guardati. Voleva chiederle di tornare lì, in quel posto, per prendere un po' di sole, rilassarsi. Senza svelare il suo vero intento, anche se, probabilmente, Catia avrebbe capito comunque. 
Prese il telefono di casa e compose il numero.
''Pronto! C'è Catia?'', disse incerta.
''Sono io Rò, ciao!'', rispose l'amica, sorridendo dall'altra parte.
''Oh Cà, ma allora? Che stai facendo? Che mi dici?''
''No niente, stavo un po' sul letto, fa un caldo...''
''Eh sì, è vero...'', Rosalba arrivò subito al punto: ''Ma domenica hai da fare?''; si sentiva egoista, eppure aveva bisogno di vederlo ancora una volta.
''Mhh, domenica, non lo so. Devo capire se papà è disposto ad accompagnarci, se c'è, ci andiamo!''
''Hai già capito?'', sorrise anche Rosalba.
''Sì, andiamo in piscina''.
''Speriamo Cà, speriamo bene dai, così ci rilassiamo''.
''Guardando persone a caso'', ora sorrideva Catia.
''Eh, mi hai capita. Vorrei vederlo, era così... bello'', Rosalba si sentiva terribilmente scontata. Forse neppure lei era diversa da tutte le ragazze che gli ronzavano intorno. Ma no, dopo un attimo di sbandamento si convinse che lei non era così, non voleva e non poteva esserlo. 
''Sì, è un bel ragazzo, davvero''.
''Vabbè Cà io sistemo casa, ci sentiamo dopo''.
''Okay, a dopo, ciao''. 
Attaccò. Guardò di nuovo le foto e studiò, anche attraverso lo schermo, tutti i particolari del suo corpo. Ma non poteva scorgere la parte più importante, quella che l'aveva colpita dentro: gli occhiali da sole a specchio le impedivano di guardargli gli occhi. Ne fu delusa. 
La giornata passò lentamente, decise di studiare, aveva altri esami da preparare e, anche se mancava un bel po' di tempo, avrebbe fatto meglio ad anticiparsi il lavoro. Decise che non era il giorno giusto, il caldo la opprimeva. Si stese sul letto, nel pomeriggio, e creò, in mente, tante scene diverse. Scene di cui i protagonisti erano lei e lui. Assurdo, si ripeteva. Come una persona può colpirti in tal modo. Cadde nel sonno più profondo dopo poco, era stanca e se ne accorse solo al nuovo risveglio.
 
 
Matteo si alzò alle tre del pomeriggio. Quella del giorno prima non era stata un'ottima serata e aveva dimenticato che aveva da fare in piscina. Aveva giurato al padre che l'avrebbe aiutato con gli affari e con l'attività di bagnino. Trovò dieci chiamate perse di Giuseppe, due chiamate di suo fratello, poi alcune chiamate di suo padre. Si fece una doccia veloce, indossò la canotta dello staff, le ciabatte e il pantaloncino del costume. Prese l'elastico arancione che teneva sempre al bicipite, poi passò un po' di gel nei capelli. Andò di fretta in cucina, aprì il frigo a due ante e bevve del latte direttamente dalla bottiglia. Corse alla porta di casa, prese le sue chiavi dall'appendino e corse giù. Accese l'auto e si avviò verso la piscina, arrivò presto, in fondo erano quasi tutti partiti e a quell'ora, le poche persone rimaste in città, non si sarebbero mai sognate di uscire di casa. Parcheggiò svogliatamente e lasciò le chiavi a Simone.
''Ohh ma che fine hai fatto?'', gli gridò.
''Eh, brutta nottata, ho fatto tardi''. Sospirò.
''Veramente questo l'avevo capito'', Simone sorrise mostrando i denti, ''Ma non dire brutta, so come di diverti la sera eh!'', sorrise ancora.
Matteo sapeva che il sorriso di Simone si riferiva alle storie che giravano sul suo conto. Un tipo che ha tante donne, tanti soldi, tanto da fare. Ma non era così, l'amore era ben lontano da lui, i soldi, nonostante la soggettiva convinzione di chi non li avesse, non lo rendevano di certo felice e non aveva nulla da fare; se non in piscina. La sua vita era vuota. Non si sentiva affatto utile. E si chiedeva come, queste sue riflessioni interne, potessero incidere con il suo rapporto con gli altri. Si distaccava da tutto, ascoltava le sue paranoie, poi tornava in sé quando era troppo tardi.
Simone lo guardò fisso, quasi sconvolto.
''Mattè stai pieno di sonno, non ci sei con la testa. Dammi le chiavi và, ti parcheggio 'sta macchina''.
Matteo annuì, questa volta gli era andata bene, la scusa del sonno lo aveva salvato. Prese i suoi occhiali da sole specchiati dal cruscotto e lasciò fare il resto a Simone.
Si diresse verso l'entrata della piscina, salutò sua madre, impegnata a parlare al telefono e entrò nel complesso. Sembravano tutti così felici e spensierati. D'un tratto una strana sensazione lo colpì. Mentre andava a sedersi sotto all'ombrellone, dove controllava dallo sgabello che tutto filasse liscio, diede uno sguardo ben mirato tutto intorno. La stava cercando e fu una cosa che partì da dentro. Non si accorse neppure di cosa stava facendo, fin quando non realizzò che lei non doveva essere lì. 
''Che idiota'', sussurrò tra sé e sé.
Davanti gli sfilavano diverse donne, dalla piscina tutte gli avevano rivolto almeno uno sguardo, il dj urlava qualcosa in lontananza, forse stava organizzando dei balli di gruppo. Abbandonò lo sgabello e prese una sedia a sdraio. Restò lì, senza parlare, almeno per venti minuti. Poi arrivò suo cugino. Lo vide arrivare e si risollevò, sedendosi in modo più composto.
''Oh Giò!'', gli sorrise, poi si abbracciarono appena.
''Mattè, che dici?'', anche suo cugino portava gli occhiali a specchio. Ma era il suo opposto: biondo, non troppo alto, adolescente.
''Niente Giovà, qui fa un caldo assurdo...'', sospirò.
''Già, ma che è? Ti ho visto un po' strano ultimamente''.
''No niente, sto scocciato'', sbuffò, ''Solita gente, soliti posti. Mi sono scocciato...''. Non si aspettava alcuna comprensione da Giovanni, in fondo lui, da grande, avrebbe voluto avere la sua vita. Donne, locali, felicità apparente.
''Forse non è tutto oro quello che luccica, no cugino?''
Matteo si stupì: ''Non lo è, ma alla gente piace''.
''A te no però, provvedi''.
Prima che Matteo potesse replicare ancora, sua madre lo chiamò dal bordo piscina e, guardando Giovanni senza aggiungere altro, si avviò verso di lei.
''Mà...'', le disse andandole incontro.
''Matteo ma a quest'ora? Ti sembra il caso? Non so dimmi te a questo punto come devo comportarmi''.
''Lo so, scusa. Ieri sera ho avuto dei problemi e ho dimenticato completamente la sveglia... vedo che ve la siete cavata bene però!'' 
''Sì, non ci lamentiamo'', sua madre l'aveva già perdonato, ''Dai torno all'entrata'', gli disse sorridendo.
Matteo restò fermo, si guardò ancora intorno, ma poi, sconcertato, si girò verso la piscina. Ammonì con il fischietto dei ragazzi che si tuffavano in acqua con violenza e tornò a sedere. Era tutto spento, lei non c'era.
 

Continua



 
P.O.V. Autrice:
Contro ogni aspettativa, questa storia ha preso anche me. Delle volte le cose che abbiamo o che creiamo, finiscono per possederci (Questa è un po' la filosofia del Fight Club). E difatti penso di continuo a come continuare, scrivo di continuo. Mi sento bene! E mi fa piacere guardare le visite e leggere pareri positivi. Mi auguro che possa prendervi sempre di più, ma non dimenticate una piccola recensione. Per noi che scriviamo è importante capire se le nostre parole strappano qualche sorriso. Dopo posterò altro!  Ciao :)

 

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Capitolo 5
*** Il giorno prima. ***


 
Rosalba restò a casa quel giorno. Uscì solo per andare da sua nonna, così come tutte le sere, quella settimana. Non era felice. Non era triste. Viveva in uno stato di apatia e la cosa che più la infastidiva, era che sapeva come risolvere i suoi problemi. Ma non sapeva abbastanza, di quel ragazzo, o forse sarebbe stato meglio dire uomo.  Non sapeva se fosse fidanzato e il solo pensiero la sconvolgeva. Non sapeva neppure il suo nome. Non sapeva perché tutte le sue speranze, ancora una volta, erano legate a qualcuno che non fosse lei; nonostante tutte le promesse che si era fatta, aveva ceduto. Ma soprattutto, non sapeva perché era ormai legata ad uno sconosciuto, di cui conosceva solo gli occhi. 
 
La domenica si avvicinava, ormai era sabato. I suoi erano usciti e sua sorella era a lavoro, decise di provare i diversi costumi che aveva; voleva indossare quello che le stesse più bene, nel caso il giorno dopo fosse andata in piscina con Catia. Ne provò molti: uno rosa, uno azzurro e marroncino, uno rosso. Era particolarmente affezionata a quello rosso, la scorsa estate le aveva portato fortuna e aveva conosciuto ragazzi molto carini, che l'avevano aiutata, in qualche modo, a non pensare troppo al suo ex ragazzo, Gaetano. Camminò davanti agli specchi della camera da letto di sua madre e, nonostante i mille difetti che riusciva a trovarsi ogni volta, decise che non era poi così male. Aveva un seno grande, belle gambe, non era affatto male. Eppure avrebbe preferito essere molto più magra, quasi invisibile. Ogni tanto si trovava a fare i conti con i suoi disturbi alimentari, ma questa volta decise che non ci avrebbe pensato troppo. Avrebbe indossato il rosso, la sua pelle si era scurita abbastanza, non le stava male. Si chiedeva se tutte quelle prove sarebbero servite a qualcosa, se lui l'avesse visto e l'avesse vista, alla delusione di un risvolto negativo. Si ripeteva ''Andrà tutto bene, andrà tutto bene'', poi tolse il costume e sistemò tutti quelli provati.
Un messaggio di Catia le regalò un sussulto, aveva paura di leggerne il contenuto, temeva che i suoi programmi fossero distrutti dall'impossibilità del padre della sua amica di portarle lì, il giorno dopo.
Il messaggio era chiaro: ''Domani ci sono! Preparati, perché se lo vediamo devi fare qualcosa... io spero che ci sia Simone, si chiama così no?! A domani amore!''
Tirò un respiro di sollievo, forse l'avrebbe rivisto. 
 
 
La settimana di Matteo era trascorsa lentamente, si era parecchio annoiato e non provava più alcun stimolo per i locali, neppure per l'alcol, a cui tanto era affezionato.
Era sdraiato sul divano, la tv trasmetteva un film, era fissa su sky; il suo sguardo, invece, era fisso nel vuoto. Era sabato pomeriggio e lui era in uno stato pietoso, non gli era capitato nemmeno dopo la rottura con Marta e suo fratello iniziava a preoccuparsi. Marco gli rubò il telecomando, spense la tv e si sedette di fronte a lui, sul puff marroncino abbinato al divano.
''Matteo parla, che hai? Che cazzo hai?'', fece una piccola pausa ''Ho parlato anche con Giuseppe, addirittura non vai a ballare, non esci, lavori e basta... ma si può sapere che hai?'', urlò.
Suo fratello lo conosceva bene e non poteva mentirgli. Decise di dire tutta la verità, una volta tanto. 
''Mi manca quella ragazza, quella sconosciuta''. Affermò sincero e deciso.
Marco rise. ''Come fa a mancarti una persona che non conosci?''
''Può mancarti quello che potreste essere, quello che hai visto nei suoi occhi, l'emozione che ti ha fatto provare dopo un anno!'', ora Matteo era serio.
Marco lo guardava con gli occhi spalancati, non credeva che il fratello, un tipo così deciso, potesse crollare e deprimersi per lo sguardo di una sconosciuta.
''Secondo me stai male, male davvero!'', gli disse.
''Non eri tu quello sentimentale, eh? Non eri tu quello che si invaghiva delle ragazze, in metropolitana o sull'autobus? Eri tu. Quindi non dire cazzate. A tutti capita una sbandata per uno sconosciuto, anche se non lo rivedrai mai più.''
Marco restò zitto per un po' di tempo; suo fratello aveva ragione. E lui era convinto che non era un problema di famiglia, ma che tutti, almeno una volta, si erano temporaneamente innamorati di uno sconosciuto. In giro, in treno, alla stazione. Poi fissò il tappeto davanti ai suoi occhi, si portò un dito alla bocca ed espose l'idea che gli era passata in mente.
''Hai ragione Mattè. La ragazza l'hai vista domenica?'', era serio.
''Sì, era domenica'', annuì incazzato Matteo, guardandosi le mani che teneva incrociate.
''Allora è possibile che domani tu la riveda. Magari frequenta la piscina solo la domenica. Facci caso, i clienti affezionati di ogni giorno, li ritroviamo sempre il giorno dopo; i clienti della domenica, li rivediamo ogni domenica!'', sorrise soddisfatto del suo ragionamento, assolutamente plausibile.
Matteo era più o meno convito, 'provare per credere', dopotutto.
''Speriamo, perché sto impazzendo, devo vederla''.
''La vedrai fratello mio'', poi aggiunse ''Ma non fatti trovare in questo stato, per carità! Và a tagliare i capelli e dormi questa notte, hai delle occhiaie da far paura ad uno zombie!'', sghignazzò Marco.
Anche Matteo sorrise, poi ironicamente aggiunse ''Le dirò che ho passato ogni notte a pensare a lei, lei e me, a noi. Mi perdonerà!''.
Matteo rise, si avviò verso il frigo e gli rispose voltandosi ''Sei pessimo''.
Forse lo era, ma non gli importava di essere pessimo. E non voleva essere poi così ironico. Credeva nel destino, e se quella ragazza lo aveva colpito così a fondo, era perché qualcosa doveva succedere.
Si fece una doccia veloce, andò dal barbiere, rasò leggermente i lati e mantenne i suoi ricci gelatinati. Ormai non mancava molto alla domenica, una leggera ansia lo prese allo stomaco.
 

Continua

 
P.O.V. Autrice:
Vi confesso che sono parecchio emozionata! :) Sono arrivata ad un bel punto, non credevo di riuscire a scrivere così tanto e ricevere così tante visualizzazioni in poco tempo, in fondo ho iniziato solo ieri. E non scrivevo da un pezzo. Credo che vi riserverò grandi sorprese entro stasera, continuate a commentare e fatemi sapere la vostra opinione. Saluti!

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Capitolo 6
*** Eccoti. ***


Rosalba non uscì e non dormì quella notte, nonostante fosse sabato. Persino sua nonna se ne accorse, la sentì girovagare per la cucina. Bevve del latte, tornò a letto, aspettò che fu mattina. Aveva fretta quel giorno. Si vestì e aspettò che sua madre passasse a prenderla, come ogni domenica mattina, poi, arrivata a casa, si fece una doccia veloce e indossò il costume che aveva scelto. Messaggiò con Catia fino a che non fu sotto casa sua e le chiese di scendere. Diede un ultimo sguardo allo specchio: poteva andare. Aveva legato i capelli, messo lo stesso vestitino nero, da mare, della volta scorsa; le ray-ban; la borsa a pois con il telo e tutto il necessario e le ciabatte. Raggiunse la porta di casa, disse ai suoi che sarebbe tornata dopo le cinque e scese di corsa. Ad aspettarla trovò il padre di Catia e la sua migliore amica. Salì in fretta in auto, salutò entrambi e il cuore iniziò a pulsare più forte. Catia sorrise. Chissà cosa sarebbe successo, pensò Rosalba tra sé e sé.
 
Matteo si svegliò di colpo, erano le nove e mezza. Come al solito si lavò di corsa e sì vestì, poi scese in fretta, con le chiavi dell'auto in bocca e il gel ancora tra le mani. Scendeva e malediva sua madre e suo padre che non lo svegliavano mai, ma dopotutto aveva ventiquattro anni, non poteva pretendere che aspettassero il bambinone che si alzasse dal suo letto. Finì per maledire se stesso. Arrivò al garage, aprì, salì, chiuse forte la portiera, mise in moto, andava. Accese la radio, sperò in una canzone che potesse svegliarlo senza irritarlo, visto che non aveva avuto il tempo di bere del latte o del caffè. Fu fortunato quel giorno, su radio KissKiss passavano i Bastille con ''Laura Palmer'', la beccò sin dall'inizio e gli sembrò perfetta per quello che, probabilmente, lo attendeva: ''This is your heart, can you feel it? Can you feel it?''. Sì che lo sentiva, sentiva il suo cuore. Se lo ripeteva e stentava a crederci, si sentiva vivo, andava incontro a qualcosa, ci sperava. Sperare, pensò. Sperare ti illude un sacco, cazzo. Mise i suoi occhiali a specchio, si guardò nello specchietto retrovisore: non male, aveva meno occhiaie del solito. Alzò il volume alla radio. Ma sperare - continuò - non è male, la speranza ti urla che sei vivo, se non speri in un cazzo, allora sei morto. Il suo ragionamento lo convinse a tal punto che sorrise. Canticchiava: ''Pumps through your veins! Can you feel it? Can you feel it?'', poi aggiunse da sé ''I feel it, baby''. Il suo inglese non era affatto male, cercò di essere sexy, ma apparse piuttosto buffo. Sorrise ancora. Spense la radio, decise che il risveglio era perfetto così, non voleva rovinarlo con una canzone storta. Dopo poco arrivò al complesso, lasciò l'auto a Simone che la parcheggiò perfettamente, sorrise alla sua famiglia e si accomodò a bordo piscina.
 
 
Rosalba scambiava battute con il padre di Catia, era un tipo simpatico, estroverso, un tipo okay. Somigliava molto alla figlia, sia fisicamente che nei modi di fare. 
''Giunti a destinazione!'', disse il padre della sua fidata amica.
Catia sorrise, ascoltò le raccomandazioni del padre e scese dall'auto. Rosalba fece lo stesso, prese la sua borsa e scese, avvicinandosi a lei.
''Ci siamo Rò, speriamo che ci sia''.
''Eh, scommetti che non c'è? Che fregatura!''
''Mò vediamo...''.
Le ragazze si avviarono verso l'entrata, salutarono quella che era la madre di Matteo, senza saperlo, e entrarono nel complesso. Ad accoglierle c'era un ragazzo alto e dolce, le accompagnò ai loro lettini, nella zona 'ragazzi' e mentre facevano il giro della piscina, Catia strattonò la sua amica.
Lui era lì, era lì poco distante da lei e il dj aveva appena messo sù il pezzo dei Bastille che le piaceva tanto. Sentiva il suo cuore, dopo tanto, forse troppo, tempo. Dio solo sapeva quanto avesse pregato per riprovare quell'emozione, lei che si sentiva spenta, lei che si sentiva persa. Lui era più o meno di spalle, sulla pedana in alto, lei era convinta che non l'avesse vista, che non potesse vederla e, per qualche secondo, quel pensiero la confortò. Aveva paura. Ma era troppo tardi, tardi anche per la paura, Matteo si voltò verso la sua direzione.
 
Matteo la vide. La vide passare, in un attimo tutto cambiò. La vedeva camminare e la scena gli sembrava andare in rallenty. La seguì con gli occhi dietro ai suoi occhiali specchiati. Restò fermo, impalato. Si appoggiò alla ringhiera di quel balcone bianco, temeva non fosse vero. Per una settimana non aveva fatto altro che sperare di rivederla ed ora era lì, davanti ai suoi occhi. Lei abbassò lo sguardo, disse qualcosa all'amica che la seguì e proseguirono. Sapeva dov'era diretta. Non sapeva cosa fare, ma avrebbe trovato un modo. Era lì, lei era lì. E in un attimo, tutto riprese senso. 

 
Continua
 
P.O.V. Autrice:
Questo è quanto sono riuscita a scrivere oggi, ho avuto da fare e ho bisogno di tempo per loro. Sono speciali. Per me tutto questo è speciale. Ringrazio i commenti e le visite! A domani :)

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Capitolo 7
*** Supernova. ***


''Era lui...'', Rosalba era visibilmente sconvolta.
''No, maddai!'', Catia la guardò incazzata e sarcastica, ''Certo che era lui! Guardava verso di te e non l'hai degnato nemmeno di un sorriso, ma che diamine...Rò!''. La ammonì.
Rosalba tolse in fretta il vestitino da mare, rimase in costume, guardò Catia negli occhi in modo incerto, poi si diresse al bar. Andò a passò svelto, attraversando la pedana, sperando che lui ci fosse. Non lo vide, non aveva con lei i suoi occhiali da sole graduati. Andò a sedersi allo stesso posto della scorsa settimana, sperava in un segno. Sperava in lui.
 
 
La vide. Lei era di spalle, correva quasi, verso il bar. Andò a sedersi alla palma, sul divanetto dove lui le aveva chiesto di non scappare. Lei lo aveva fatto, ma questo non aveva importanza. Era tornata. Capita di scappare, si ripeteva tra sé e sé Matteo. Si scappa per paura, insicurezza, problemi. Ma se torni, se torni, allora vuol dire che tutte le ragioni per cui scappavi, non erano così forti da tenerti lontano a lungo. Lei era lì. 
Matteo lasciò il fischietto a Simone, senza dir nulla. Simone lo guardò sconvolto, con gli occhi socchiusi per il sole e il viso incerto. Matteo fece per andarsene, poi tornò indietro, decise che i suoi occhiali da sole questa volta non gli sarebbero serviti, aveva bisogno di guardarla dritta negli occhi, aveva bisogno di quei colori, di riprovare quell'emozione. Li diede a Simone, senza dir nulla e quest'ultimo li prese tra le mani, ancora sconvolto. Matteo scese presto i tre gradini della pedana, arrivò in fretta alla palma. Lei non l'aveva ancora visto, era di spalle. Aveva un costume rosso e i capelli legati in una coda, erano ricci  - li ricordava bene, pensò - e le cadevano lungo la schiena, lei si passò delicatamente una mano dietro all'orecchio, forse cercava di aggiustarli. Quel che era certo era che lo stesse aspettando. Decise di non esitare, si avvicinò e tornò a sedersi accanto a lei. 
Rosalbà sussultò, lui era nuovamente vicino a lei. Si voltò alla sua destra e lo vide, lo vide come aveva fatto per tutta la settimana, nei suoi film mentali. Era bellissimo, la guardava negli occhi come nessuno aveva fatto mai, come se qualcosa potesse dividerli da un momento all'altro, senza che però accadesse.
''Sei qui...'', Matteo fu il primo a rompere il ghiaccio. Sapeva che per lei doveva essere già difficile essere lì, restare anziché andare via. Restare, questa parola gli apparve bellissima.
''Già...'', Rosalba sorrise timidamente. Lui le guardò gli occhi, poi le labbra. Si studiarono a vicenda per qualche secondo. Poi fu ancora Rosalba a continuare ''Scusa, per... l'altra volta'', si fermò ancora, cercava continua approvazione nei suoi occhi e, senza troppa fatica, la trovava costantemente; poi proseguì ''L'altra volta sono stata una maleducata'' - sentiva il braccio di Matteo contro il suo braccio, sentiva la sua pelle morbida, il cuore le stava per esplodere, come una supernova, era come una supernova, un'esplosione di luce, colori, vita, inizio e fine.  ''Ma non volevo, non volevo scappare''. Decise che aveva detto abbastanza, aveva parlato, urlato, anche con gli occhi e Matteo le aveva sorriso timidamente. Non credeva che lui fosse lì, accanto a lei. Non credeva che, per una volta, le sue fantasie fossero diventate reali.
''Non devi scusarti'', quasi gli sussurrò Matteo. Mentre le aggiustava i capelli dietro all'orecchio.
Lei si imbarazzò, ma poi, come la paura, anche l'imbarazzo sparì di colpo. 
Matteo continuò, deciso a prendersi ciò che, aveva deciso, gli sarebbe dovuto appartenere. 
''Ti ho pensata...'', accennò, fermandosi per un attimo, poi ancora ''Ti ho pensata davvero tanto''.
Rosalba era lì che lo fissava incredula, con gli occhi spalancati. Non riusciva a parlare, qualcosa la bloccava. Ma non era paura, quello era un eccesso di felicità e lei ne era consapevole. Non c'è niente di meglio della consapevolezza della felicità, pensò.
Matteo non le diede alcuna fretta di rispondere, era come se si capissero in modo naturale, anche in silenzio; come se si conoscessero a memoria. Ognuno rispettava i silenzi, le pause e gli occhi dell'altro. Matteo vedeva nei suoi occhi un'esplosione di colori. Verde, giallo, marroncino, bianco. Era una supernova, era la sua stella; Dio - pensò commosso- , quanto ci aveva sperato. Gli venne voglia di stringerla tra le sue braccia, di farci l'amore, di regalargli la sua vita. L'avrebbe fatto, ne era certo. Niente gliel'avrebbe portata via stavolta.
Rosalba si decise a rispondere.
''Anch'io... ti ho pensato'', si prese un'altra breve pausa, poi gli guardò le mani grandi e continuò, annuendo ''Ti ho pensato davvero molto''. Concluse sorridendo, poi aggiunse ''Com'è possibile tutto questo?''.
''Non lo so, vieni quì'', la tirò fortemente a sé, in modo anche dolce, portò la sua testa tra le sue braccia e lei glielo lasciò fare. Rosalba chiuse gli occhi. Se quello era un sogno, non avrebbe voluto svegliarsi. Mai. 
Matteo poggiò le sue labbra nei suoi capelli. Erano morbidi e profumavano molto. Un profumo che aspettava da una vita, pensò. Teneva una mano sul suo volto, lei gliel'accarezzava e quell'attimo gli sembrò infinito, gli sembrò eterno. Lo era.
Rosalba non poté far a meno di parlare, anche se temeva, in cuor suo, di rovinare quel momento perfetto.
''Sembra che tu mi conosca...'', le disse incerta, poi aggiunse titubante ''Ma non conosco neppure il tuo nome...''.
''Ha importanza?'', gli chiese retoricamente Matteo, guardandola deciso negli occhi. La sua voce ora era dolce.
''No... hai ragione...'', Rosalba sorrise incerta.
''Mi chiamo Matteo, signorina. Lei è?'', Matteo cercò di tranquillizzare la ragazza che teneva tra le sue braccia con dei modi di fare spiritosi - avrebbe voluto tenerla così per sempre, pensò.
''Io sono Rosalba!'', poi sorrise forte.
''Che bel nome...'', Matteo era sincero. Le piaceva persino il suo nome. Le sollevò il viso mettendole, delicatamente, le dita sotto al mento. La guardò bene negli occhi, lei fece lo stesso. Si perdevano e ritrovavano nei loro sguardi. 
Matteo proseguì: ''Oggi ci divertiremo, vedrai'', dolcemente.
Rosalba non rispose, si strinse tra le sue braccia, sentì il suo profumo, gli strinse forte anche la mano e lui la incrociò con la sua; così, per un attimo, tutto il resto sparì completamente. 
 
 
Continua
 
P.O.V. Autrice:
Ci siamo! Ho aspettato molto questo momento anch'io e sono davvero soddisfatta di come sia riuscita a tirarlo fuori dai miei pensieri di ... posso dirlo? Massì, dai, mi perdoneranno i migliori ma: pensieri da scrittrice. Sono felice per loro, spero che renda felice anche voi! Buon sabato a tutti/e, fatemi sapere cosa ne pensate. Ci tengo molto. A presto! :)

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Capitolo 8
*** Tutto. ***


Furono venti minuti eterni, fatti di braccia e sorrisi, di silenzio sicuro e felice. Furono venti minuti di quasi amore, o forse amore lo era già. Poi si staccarono e Rosalba fu la prima a porre fine alla magia dell'abbraccio che li teneva stretti, senza tener conto del caldo, delle paure, del resto
''Credo che tu abbia da fare adesso...'', gli sussurrò quasi.
Lui le guardò le labbra. Aveva le labbra carnose e di un rosato indefinibile che gli sembrava apposta fatto per lei, per aderire al suo viso e combaciare con il verde e il castano degli occhi.
''Hai ragione, ma vorrei restare qui accanto a te tutto il giorno''.
''Ti prenderai la tua dovuta pausa dopo pranzo, ora mi limiterò a guardarti da bordo piscina... bagnino!'', lei sorrise e subito lo fece anche lui.
''Va bene'', annuì, ''Mi hai convinto''. Si staccò piano da Rosalba e si alzò, tirando un po' sù il pantaloncino da mare e arrotolò le maniche della maglia 'staff' che portava addosso. Il solito elastico al bicipite, l'insolito viso felice. Rosalba lo guardò con attenzione e gli sembrò perfetto come un dipinto, come un'opera d'arte e pensò che, forse, qualche genio folle e amante della precisione aveva deciso di creare quella creatura apposta per lei; una creatura così bella da sola ma, da sola, incapace di amarsi. Sorrise. Matteo non le chiese perché. Si stiracchiò e continuò a guardarla negli occhi, i suoi occhi; ora appartenevano solo a lui. Ne era certo.
''Devi andare...'', ripeté Rosalba, alzandosi e abbracciandolo. Doveva sollevarsi sulle punte, vista l'altezza di Matteo, ma non le dispiaceva affatto. In modo assolutamente naturale, ancora, gli strinse le braccia al collo e appoggiò, per un attimo, il suo viso sulla sua clavicola. Poi si staccò veloce.
''Devo andare...'', ripeté dolcemente Matteo.
''A dopo'', gli sorrise appena.
Rosalba non si mosse, Matteo si voltò sorridendo a sua volta e si avviò verso la pedana. Poi anche lei fece lo stesso, prendendo una scorciatoia che potesse riportarla da Catia, forse preoccupata per la sua assenza. Ma ne era valsa la pena, decisamente, pensò Rosalba.
Matteo esitò e dopo aver avanzato per qualche secondo, iniziò, voltandosi, una corsetta all'indietro, verso di lei. Era di spalle e non poteva vederlo. La raggiunse e, da dietro, le prese una mano. Rosalba non ebbe alcun dubbio, non potevano che essere le sue mani che solo da pochi istanti conosceva, ma a memoria.
Si voltò e lo guardò un po' stranita negli occhi, perdendosi e ritrovandosi. Lui la guardò con sicurezza, poi si avvicinò lentamente e le sussurrò qualcosa all'orecchio.
''Ho dimenticato di fare una cosa...'', sfiorandola le provocò un brivido di piacere.
Ma prima che potesse chiedergli cosa avesse dimenticato, Matteo allungò entrambe le mani sul suo viso, con delicatezza, l'avvicinò a sé e la baciò. Dolcemente, appena. Poi continuò con passione, stringendola forte senza farle del male, assaporando il sapore delle sue labbra, provando quello che sperava in cuor suo di provare. Rosalba era stupita e felice, come un bambino a cui viene regalato esattamente ciò che aveva scelto nella sera di natale. Lui si staccò dalle sue labbra ma non da lei. Continuò a tenere le mani sul suo viso e Rosalba gliele accarezzò con passione; chiusero gli occhi per un attimo e probabilmente, anche ad occhi chiusi, riuscivano a vedersi l'uno di fronte all'altro. Due giovani innamorati che in quell'istante, avrebbero vissuto in eterno.
 

Continua



 

P.O.V. Autrice:
Mi scuso per non aver scritto ieri, ma ho avuto da fare. Spero che questo nuovo capitolo possa piacervi. A più tardi! :)

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Capitolo 9
*** Felicità semplice. ***


Matteo raggiunse Simone. 
Per quanto gli dispiacesse, Simone lo conosceva molto bene. Si sentiva senza scudo di fronte a lui, come se lo potesse capire guardandolo con i suoi occhi azzurri da sbruffone. E lo fece.
''Mattè ma che hai fatto? Non mi dire 'niente', perché non ci credo''. Simone incrociò le braccia sul petto e, immobile, sorridendo, aspettò una risposta plausibile.
''L'ho baciata'', Matteo sorrise a sua volta, lo guardò con la testa fra le nuvole e si passò una mano dietro ai capelli. Sospirando.
''Baciata? Ma chi?'', Simone si esaltò e spalancò gli occhi.
''Rosalba!'', rispose in modo naturale Matteo.
''E chi è Rosalba?'', poi continuò, ''Mattè non mi tieni più aggiornato, non va bene!'', e aspettò ansioso una risposta dall'altra parte, mordendosi le labbra per l'incertezza.
''L'ho conosciuta qui, diciamo'', era sereno e felice mentre ne parlava, come se niente potesse turbarlo, ''E ho aspettato oggi per vederla e noi... ci siamo baciati''.
''Non insisto, non voglio sapere altro''. E Matteo pensò che quell'affermazione non era decisamente da Simone, ''Però sono contento per te, hai un viso diverso ora''. Matteo gli sorrise e Simone si allontanò, poi, togliendosi la canotta che aveva, mostrò il suo fisico perfetto a tutti i presenti in piscina.
Matteo invece si chiese cosa stesse facendo Rosalba e, anche se si erano separati solo da poco, gli sembrava essere passata un'eternità. Aveva sempre cercato una ragazza così: semplice, bella ma non volgare. Ma non ne aveva mai conosciuta una come lei, con così tanta paura, una paura che doveva affrontare, come quella di non scappare. E non era più scappata, almeno per un po', lei era rimasta. Con lui. Il resto non aveva molto importanza.
 
Catia vide Rosalba arrivare, lei era già stesa sul lettino ad abbronzarsi, le piaceva il sole, la teneva al caldo anche dentro e lei, spesso, temeva di rimanere al freddo, di non riuscire a provare qualcosa di molto forte per qualcuno che - al contrario di Rosalba- quando lei sarebbe rimasta, non sarebbe scappato.
Rosalba era felice, le si leggeva in viso che qualcosa di positivo le era successo e Catia non dovette neppure chiederglielo. Andò verso lei e sdraiandosi piano sul lettino, le disse precisa: ''Ci siamo baciati!''.
La bionda spalancò gli occhi e le rispose subito.
''Cosa? Ora devi stare qua e raccontarmi tutto. Sono felice per te! Abbracciami prima!''.
Le due amiche si abbracciarono forte, sentendo ognuna la pelle calda, da sole, dell'altra. Rosalba le raccontò quello che era successo con dovizia di particolari.
''E' stato bellissimo'' - aggiunse alla fine, ripentendolo diverse volte ''E' stato bellissimo...''.

 
Continua
 
P.O.V. Autrice:
Mi scuso per non aver scritto molto, forse vi aspettavate qualcosa di diverso, qualcosa in più. Ma sono stati giorni strani e belli per me, e, al fine della storia, credo di dovervi dire che ho rintracciato Matteo. Il Matteo che mi ha ispirata, il mio, o forse farei meglio a dire nostro Matteo (dai, spero che questa notizia possa colmare il vuoto delle poche parole di oggi; ed è ferragosto, sono giustificata). Inoltre sto leggendo molto, ho divorato tre libri e l'ultimo, ''La signora delle camelie'', finito solo poco fa, mi ha stremata e appassionata tanto da farmi soffrire quanto i personaggi e sperare di avere un amore simile al loro. Quindi non sono riuscita a scrivere di più, ho bisogno di fare mente locale e riprendermi da così tante emozioni.  Vi auguro una piacevole giornata e niente, a presto! (: 

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