Amalia Viola

di LalezionedellaWoolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Le fissò la spalla. Sì, la sua era una bella spalla. Tragicamente coperta dalla stoffa blu della divisa. Tragicamente si ripeté più volte nella testa. Forse avrebbe potuto toccarla, forse.

Adesso che lei fissava il muro davanti a sé, poteva provarci. Chissà che cosa aveva di così interessante quel muro. Bianco, spoglio. Eppure lei lo fissava, dandogli le spalle.

Lo odiava. Odiava lui, e lui odiava lei che continuava a guardare la parete, quando invece avrebbe dovuto voltarsi, digli qualcosa. Che scemenza. Perché avrebbe dovuto farlo?

Era così naturale odiarsi, così facile. Così normale che ora gli sembrava impossibile che lei lo ignorasse, che preferisse stare lì, impalata a fissare una stupidissima parete, invece di dare aria alla bocca, come era solita fare, e snocciolare improperi a voce bassa, nel tentativo di trovarne uno efficace, abbastanza offensivo, originale forse, che potesse renderla orgogliosa e fiera nel pronunciarlo. La conosceva.

Il loro odio era più intimo di quanto potesse tollerare. Ma non gli andava di pensarci, ogni volta che lo faceva una sensazione fastidiosa si faceva spazio dentro di lui, nel suo stomaco.

Che fosse affamato? Sì, magari era solo fame, si era detto più volte. Magari lei gli stimolava l'appetito, forse perché la vedeva sempre mangiare.

La sua mano scattò verso l'alto, decisa ad ottenere l'attenzione di lei.

La vide voltarsi prima ancora che potesse toccare la sua spalla, la sua bella spalla.

Lei lo guardò per un istante, uno solo. Lo sguardo pieno di... rabbia? Sì, rabbia. Non indifferenza, rabbia. Non poteva ignorarlo, no. Con sorpresa si scoprì felice, no, allegro.

Gli occhi di lei corsero alla sua mano sospesa, interrotta. Aggrottò le sopracciglia scure, accigliate e subito più dolci nel notare il viso di lui, così diverso.

Il solito ghigno scomparso. Sorpresa, Amalia tornò al suo cipiglio severo, seguendolo con gli occhi mentre si rinfilava le mani in tasca.

Era arrabbiata con lui. Ma lei era sempre arrabbiata con lui. Cosa poteva esserci di diverso stavolta? Il pensiero lo distolse dai suoi doveri di Signorino: insultarla, ferirla. No, non ferirla, prenderla in giro, ecco. Sì, deriderla sarebbe stato sufficiente a mantenere alto il prestigio della sua posizione sociale.

Be', che cosa vuoi?” fece lei stringendosi sul grembo un paio di libri malridotti.

Calma, Proletaria. Hai dimenticato le buone maniere? – si lisciò le maniche della giacca – sempre che qualcuno te le abbia mai insegnate, non credo si conosca il galateo tra i vostri simili.

Oh, giusto.” mormorò lei. Roteò gli occhi e poggiò i gomiti sulla cattedra.

Se i miei simili non mi avessero insegnato le buone maniere a quest'ora avrei già sputato sulla tua faccia da schiaffi.” Lui inorridì.

Certo! – sbottò – tu ed i tuoi sudici complotti per uccidermi!”

I miei sudici complotti.” Annuì lei.

Dì la verità – continuò puntandole il dito addosso – quante volte ci hai pensato eh? Quante volte hai tentato di sputare nel mio piatto, di nascosto! Quante volte hai danneggiato la mia salute delicata!” Spalancò le braccia, gli occhi ridotti a fessure.

Ecco! – proseguì – Io lo so perché lo fai. Tu sei gelosa, tutti mi adorano, mi amano. Magari vorresti anche che mi venissero i brufoli.”

Sarebbe fantastico” Sorrise. Amalia si sistemò a sedere sulla cattedra e lo guardò. La rabbia sembrava svanita. Com'era possibile? Che si stesse abituando alle sue sciocche esibizioni?

Oh. Probabilmente sì. Infondo era solo uno stupido borioso, e lei non aveva voglia di prendersela per questo.

Ma se c'era una cosa a cui non riusciva ad abituarsi era il fatto che lui si divertisse così tanto. I suoi occhi chiari brillavano ogni volta che gli si presentava l'opportunità di punzecchiare qualcuno, opportunità che non si lasciava mai scappare.

Andrea Lindon era l'unico rampollo della ricchissima famiglia Lindon.

Il padre, originario dell'Inghilterra, era il proprietario di molte delle più importanti distillerie in tutto in mondo. Nemmeno lui aveva mai capito bene quali. Non che gli importasse.

La madre, Angelica Sergenti, proveniva anch'ella da una famiglia facoltosa, e desiderava per il figlio una compagnia più che rispettabile.

L'élite alla quale appartenevano era così esclusiva da considerare chiunque non ne facesse parte dei semplici impiegati al loro servizio. A volte da non considerarli affatto.

Inutile dire che Amalia non ne faceva parte.

I nonni paterni di lei vivevano in una casetta di mattoni rossi poco lontano dalla residenza estiva della famiglia Lindon. Quella casa era stata donata loro dal Signor Lindon in persona, il quale aveva assunto il Signore e la Signora Viola affinché gestissero la servitù e si occupassero della Villa e della tenuta, vista la loro assenza durante l'inverno.

Il Signor Viola, nonno di Amalia, risolveva tutte le questioni economiche del Signor Lindon riguardanti quella proprietà nelle campagne fiorentine. Ma nonostante il suo fosse un ruolo importante, il figlioletto Andrea si ostinava a chiamarlo in pubblico il suo giardiniere.

Adorava tirare fuori l'argomento in presenza di Amalia. Lei, che lo conosceva da quando era nata e lo odiava da altrettanto tempo.

Sua madre, Marta Sperelli, proveniente da una famiglia agiata ed amica di Angelica Sergenti, la mandava tutti gli anni a passare l'estate con i nonni. Era la compagna di giochi del viziatissimo pargolo dei Lindon. O meglio, Amalia era il giocattolo favorito da Andrea il quale era solito tirarle i capelli ogni volta che lei lo abbandonava per andare a divertirsi con qualche bambino più gentile.

Le visite alla Villa terminarono verso i tredici anni. Angelica Sergenti e Marta Sperelli, amiche d'infanzia, smisero di frequentarsi in circostanze misteriose. Misteriose perché nessuna delle due volle spiegare ai familiari il motivo di tale rottura.

Senz'altro c'era stato un litigio, forse più di uno. Amalia e la sorella maggiore, Agata, erano convinte che i loro rapporti si fossero incrinati a seguito del matrimonio dei loro genitori, prima ancora che loro due nascessero. Nessuno dell'alta società, infatti, aveva mai perdonato alla loro madre di aver sposato il figlio del giardiniere dell'amica Angelica, Giorgio Viola.

Nemmeno i nonni Ines e Guglielmo Sperelli avevano potuto sopportarlo, tanto che alla nascita delle nipoti insistettero perché mantenessero anche il loro cognome, il cognome importante.

Sapevo che eri malvagia” affermò Andrea.

E pensare che certa gente ti crede gentile, carina dicono. Addirittura.” Continuò avanzando di qualche passo.

Lei inarcò un sopracciglio.

Lindon – cominciò – adesso che hai scoperto le mie reali, crudeli intenzioni, puoi anche andartene. Insomma – scese dalla cattedra – fossi in te mi sbrigherei, non si sa mai quali strane malattie potresti prenderti stando qui con me.”

Il volto di lui si illuminò di consapevolezza.

Giusto! - fece preoccupato – mi stai infettando da almeno cinque minuti, devo andarmene.”

Si sforzò di non ridere mentre si avviava verso il salone. Non credeva veramente a tutto quello che diceva, anzi non ci credeva quasi mai. Solo gli piaceva la teatralità, esibirsi e mettersi in mostra. Il bello era che la maggior parte delle persone pensava facesse sul serio;

si arrabbiava per gli insulti che lui tirava fuori dal capello in modo così creativo. Ne andava fiero, e non gli importava se chi l'ascoltava si offendeva. Amava dire la verità nella maniera più stupida ed antipatica possibile. Adorava rinfacciare ai compagni i loro momenti più imbarazzanti, ridere delle loro sventure, godersi le circostanze più catastrofiche. Se non altro era sincero. Non che non avesse amici, li aveva.

Uno, in particolare, era in grado di sopportare ed addirittura divertirsi dei comportamenti eccentrici di Andrea. Teodoro Arrighi gli era amico da non sapeva più quanto tempo.

Quando alzava il gomito, Andrea si trasformava in un tenero ragazzo un po' troppo vivace, un po' troppo espansivo, e allora confidava all'amico, abbracciandolo varie volte con forza eccessiva, che gli voleva un bene dell'anima.

Provo un amore profondo per te!” Gridava euforico.

Sul serio! - insisteva – sei il fratello che non ho mai avuto!”

Poi si incupiva, riflettendo sulle sue stesse affermazioni, la testa del povero Teo ancora incastrata tra le sue braccia.

E che non avrò mai, spero!”

Va bene, va bene! Siediti, dormi magari, basta che mi lasci, maledizione!”

Accidenti, ti immagini se i miei mi sfornassero un fratello? Sarebbe una tragedia!”

Andava avanti così finché non decideva di bere un altro po'.

Solo un pochino, si diceva, un altro goccetto!

Seguitava infastidendo qualche sventurata di passaggio, meglio se bionda.

Preferiva le bionde perché nel suo interminabile egocentrismo voleva che le ragazze che frequentava, anche per una sera, anche per poche ore, gli somigliassero.

Comunque il più delle volte si accontentava. Insomma, dopotutto era semplice per lui trovare qualcuna disposta a tenergli compagnia quasi ogni sera. Che senso avrebbe avuto dire di no, rifiutare del divertimento facile, per qualche capello sulla testa?

No, nessun senso. Bastava fossero carine, ricche, di buona educazione. Se proprio quei capelli non gli andavano giù avrebbe provveduto con un paio di forbici o un rasoio elettrico.

C'era solo una ragazza con la quale, si era promesso, non avrebbe mai avuto niente a che fare.

Amalia Sperelli era completamente sbagliata per i suoi canoni. Non che fosse brutta, non lo era affatto, ma aveva quella voce, o forse era il suo modo di parlare, di impostare le frasi, che rovinava ogni pensiero gradevole che sorgeva nella mente di Andrea quando la vedeva.

Impostare le frasi, pensò, era proprio una di quelle cose che avrebbe detto lei.

Lei, che era tutta impostata.

Litigavano continuamente, ed i litigi con lei erano esasperanti. Tutto era esasperante se si trattava di lei.

 

Saccente, orgogliosa. Gli rispondeva a tono e lo faceva sentire un perfetto idiota. Aveva sempre qualcosa da correggergli, da puntualizzare, da aggiungere.

E poi non era nemmeno bionda, no. Aveva quei ricci scuri che si muovevano con lei, ondeggiando, quando camminava svelta per i corridoi e si dimenticava l'elastico per legarli.

Non così scuri, castani.

Comunque non biondi.

Sempre quei libri stretti tra le mani. Aveva una borsa di studio, lei, non poteva permettersi la retta. Doveva studiare.

Come si faceva a studiare? Non si poteva! Forse era così insopportabile perché faceva cose insopportabili.

Forse anche lui sarebbe ridotto in quel modo se gli fosse toccata una sorte tanto atroce.

La stava giustificando? No, certo che no. Ovviamente, si diceva, tutto dipende dal temperamento. Lui non avrebbe mai potuto diventare così... così. Anche nelle condizioni di vita più miserabili. No, la sua nobile indole non glielo avrebbe mai permesso.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Eva Argento fissava l'amica Amalia con evidente preoccupazione. Quest'ultima se ne stava seduta in un angolino, lontano da tutti, il volto sepolto in un volume dalle dimensioni allarmanti. Ma non era questo a preoccupare Eva. L'asocialità era una delle caratteristiche fondamentali da considerare quando si doveva descrivere Amalia, ed anche il grande amore per la cultura.

Tuttavia quello a cui aveva assistito nell'ultima settimana non poteva di certo definirsi amore. Eva era certa che Amalia, in quel preciso momento - dopo giorni passati a studiare, studiare e... ah già! Studiare! - detestasse tutto ciò che aveva a che fare con la cultura. Filosofia, Letteratura, tutto.

No, non così certa. Quella ragazza era piena di sorprese. Una volta l'aveva persino vista mentre leggeva Schopenhauer nel cuore della notte, sorrideva in modo spaventoso.

La povera Amalia doveva sostenere un esame generale che verificasse la sua buona condotta all'interno del collegio. Superando l'esame avrebbe avuto diritto al rinnovamento della borsa di studio per il prossimo semestre.

L'avrebbe superato di certo, ma nessuna rassicurazione era valsa a convincerla a dormire un po' di più. A dormire un po', anzi.

E ora se ne stava là, lo sguardo che si muoveva frenetico da quell'enorme libro ai suoi appunti, dimenticandosi completamente del piatto vuoto di fronte a lei.

Eva si avvicinò e le afferrò il piatto, mormorando un “Vado a riempirtelo, così mangi qualcosa”, senza ottenere risposta.

Tornò poco dopo e si sedette rumorosamente di fronte a lei, porgendole un petto di pollo profumato.

Amalia accennò un sorriso e poggiò il vassoio accanto al quaderno pieno di scarabocchi.

I suoi occhi furono di nuovo catturati dalla minuscola scrittura del libro che stava consultando.

Non mangi?” Fece Eva irritata.

Amalia alzò di nuovo lo sguardo.

Sì, certo – sistemò un pacco di fogli su una sedia – quando avrò finito il paragrafo”

Lo hai detto anche ieri sera, ma quando hai finito quel maledetto paragrafo eri così stanca che ti sei addormentata sul tavolo.” La osservò stizzita.

Hai un aspetto orribile – continuò – non volevo arrivare a questo punto, ma a quanto pare non mi dai altra scelta.”

Amalia sbuffò. “E quale sarebbe questo punto?” Le fece il verso e per meglio manifestare il suo malumore, sbatté con forza il suo prezioso libro sul tavolo, e strinse gli occhi come a dire che non era il caso di contraddirla.

Molti dei presenti si voltarono a guardarle, soprattutto quando Eva si alzò in piedi, sovrastandola, le mani sui fianchi, lo sguardo minaccioso.

Quello in cui mi prendo i tuoi dannati libri!” Sbottò. Li afferrò con forza strappandoli dalle mani di Amalia che boccheggiava incredula.

Dammi immediatamente la mia roba, Eva.” Sibilò lei alzandosi in piedi a sua volta.

L'altra sorrise angelica. “Domattina, dopo che avrai cenato, dormito e fatto colazione, allora riavrai la tua robaccia.”

E adesso mangia!” Esclamò voltandole le spalle.

Amalia le lanciò un'occhiata torva. Oh, d'accordo, non se la meritava. Eva si preoccupava solamente, e forse faceva bene perché in effetti non aveva proprio un bell'aspetto ultimamente. Profonde occhiaie blu facevano da contorno ai suoi occhi verde acqua.

Be', pensò, perlomeno c'era qualcosa di variopinto sul suo volto pallido. Ancora più pallido del solito, cadaverico. La sua figura spettrale si aggirava per i corridoi, dedicandosi alla creazione di nuovi, bizzarri insulti da rivolgere a tutti coloro che le impedivano lo studio matto e disperatissimo che riteneva necessario a dimostrare la sua competenza durante quel dannato esame.

Allora le uscivano in un sussurro espressioni come “Faccia di merlo” oppure “Lurida salsiccia andata a male”, o ancora “Pomodoro spiaccicato contro un pessimo comico, uno di quelli volgari che non fanno ridere.”

Se l'interlocutore non riusciva a sentire le sue strampalate offese, Amalia passava un paio di minuti ad impegnarsi mentalmente e spiritualmente, affinché, con la forza della concentrazione, il suo stravagante lavoro venisse recapitato al destinatario tramite la telecinesi.

No, Amalia non era esattamente adorabile.

Con la coda dell'occhio vide l'amica Eva avvicinarsi al tavolo di Michele Merri, il fratello tonto di Giammaria Merri. La vide abbandonare i suoi libri proprio tra le mani di quel babbeo. Ed il suddetto babbeo se li infilò in borsa, dedicando ad Eva uno sguardo pieno di adorazione. Come aveva potuto farlo?

Amalia era sbigottita, un altro dei suoi piani meticolosamente studiati che andava a farsi benedire. Già. Si era subito consolata del tempo che avrebbe perso, mangiando, al pensiero che dopo cena avrebbe potuto tornare nella sua stanza, fingere di dormire e, al rientro di Eva, frugare fra le sue cose e riprendersi i suoi amati libri.

Ma no. Adesso sarebbero finiti accatastati sul pavimento ricoperto dalle mutande sporche di Michele Merri.

Ingoiò un altro boccone di pollo, senza sentirne il buon sapore. Doveva fare qualcosa.

Individuò la figura esile di Eva sparire dietro il portone di legno. Era il momento.

Si alzò in piedi di scatto e si avvicinò con decisione al tavolo dei fratelli Merri, i quali, non appena la videro, incollarono il volto al purè di patate che avevano nel piatto.

Lei si schiarì la gola, le braccia incrociate al petto.

Michele Merri la guardò spaventato, e si voltò verso il fratello che gli lanciò un'occhiata eloquente.

Che cosa c'è, Sperelli?” Chiese Giammaria innocente.

Amalia alzò un sopracciglio.

Lo sai benissimo – replicò – ho visto Eva lasciare qui le mie cose.” Si sedette di fronte a loro, la guancia abbandonata al palmo della mano destra.

Ti sarai sbagliata – Giammaria infilzò un broccolo dall'aspetto poco invitante – sei molto stanca, avrai preso un abbaglio.” Concluse.

Merri – cominciò lei – risparmia le frottole per quell'idiota di tuo fratello.” Michele Merri aprì la bocca, visibilmente offeso.

Ehi! - esclamò, sputacchiando verdure masticate sui presenti – non mi avevi mai detto che avevamo un fratello stupido!” Si voltò verso Giammaria, aspettandosi delle spiegazioni.

Purtroppo per lui, la risposta che ottenne fu: “Michele sta un po' zitto.”

Amalia sorrise, felice di averli messi in difficoltà. Non avrebbe mai voluto, però, che Michele Merri ritenesse di essere escluso, e quindi non informato a proposito di una presunta crisi familiare, dovuta ad un figlio illegittimo del padre, magari.

Ma di che si preoccupava? Probabilmente lo sventurato si sarebbe dimenticato di tutto quanto alla vista della prossima portata.

Senti Giammaria - posso chiamarti Giammaria? Certo che posso – sai benissimo che dovrò sostenere un esame, ho veramente bisogno di quei libri, quindi dovresti...”

Vorrei aiutarti, davvero” la interruppe lui.

Ma?” si sporse in avanti, ansiosa della risposta, le gambe posteriori della sedia che si staccavano dal pavimento.

Ed ecco che il presentimento di Amalia diveniva reale: si era immaginata, poco prima, Michele Merri che si fiondava sul carrello dei dolci, nel disperato tentativo di rubarne un paio prima che questi venissero esposti al buffet, disponibili a tutti.

Se l'era immaginato con le mani sporche di marmellata che affondavano nella torta di mele.

In realtà la torta di mele quella sera non era stata preparata, di conseguenza, anziché vederlo lottare con il coltello, incastrato al centro della torta, Amalia lo stava osservando mentre acchiappava, a manciate, la crema di un tortino squisitamente decorato che fino a poco prima doveva essere delizioso.

Con l'espressione disgustata, tornò a guardare il fratello sano che si copriva gli occhi con palese vergogna.

Dove sono le mie cose?” Incalzò lei attirando la sua attenzione.

Be'... - posò lo sguardo sul tavolo – non ti arrabbiare, va bene?”

Gli occhi di Amalia si spalancarono. Ovviamente doveva essere successo qualcosa di orribile ai suoi libri. Era naturale. No, accidenti! Non lo era affatto. Erano passati solo pochi minuti da quando Eva li aveva lasciati su quel tavolo, quel maledetto tavolo. Come poteva non essersi accorta di niente? Si ricordava chiaramente di aver osservato Eva senza averla mai persa di vista. Oh, maledizione. Era stata una stupida a lasciare quello sciocco privo di sorveglianza. Stupida quasi quanto Michele Merri.

Quanti minuti erano passati? Cinque o sei. Già si figurava il fratello scemo di Giammaria che decideva di inzuppare i suoi appunti nel purè di patate, nel tentativo di nasconderli, camuffarli, sì, mimetizzarli. Chi lo sa che cosa passa per la testa di un idiota.

Perché dovrei arrabbiarmi?” Le gambe della sedia urtarono rumorosamente il pavimento, mentre lei, piccata, raddrizzava pericolosamente la schiena.

Giammaria fece vagare lo sguardo per la stanza.

Vedi – cominciò – mio fratello...”

Sì?”

Lui ha... ecco, - mangiato i tuoi appunti insieme ai cavoletti di Bruxelles – ehm... - li ha messi in lavatrice insieme alle sue mutande – li ha dati a Lindon.”

Terribile. Era ancora peggio di qualunque strana storiella che la sua mente, già abbastanza provata, e la sua pittoresca fantasia avrebbero potuto partorire.

Lindon avrebbe sicuramente infilato le sue cose in lavatrice insieme alle mutande sporche.

E perché l'ha fatto?” berciò. Giammaria Merri alzò le spalle.

Che vuoi che ti dica, lui ha detto che gli servivano.”

Amalia sospirò invocando pazienza. Si guardò intorno alla ricerca di quel criminale.

Sparito, evaporato, scomparso. Puff.

Oh, divertente. Che simpaticone.

 

 

 

***

 

 

E cosa ci vorresti fare?” Chiese Teo, le mani che afferravano la borsa dell'amico per verificare la veridicità di quelle parole.

Andrea Lindon, infatti, era entrato nella stanza con la borsa stranamente gonfia.

Stranamente perché lui non portava mai niente in quella borsa. Oh, be', salvo una fiaschetta d'argento ed un quadernino per le emergenze, al quale era stata appiccicata una penna con del nastro adesivo.

Si trattava di un'emergenza se qualche professore poco incline alla corruzione avesse deciso così, di punto in bianco, di osservarlo da vicino durante la lezione.

Sarebbe stato imbarazzante per uno studente modello come Andrea far notare al professore in questione che no, non aveva i libri e no, non aveva intenzione di seguire la lezione in alcun modo.

E qui entrava in gioco il quadernino. Con quel quadernino si poteva fingere di prendere appunti, o prenderli sul serio per un paio di minuti, giusto il tempo di dimostrare all'insegnante che sì, Andrea era proprio uno studente modello.

Comunque, quel giorno il rampollo dei Lindon aveva fatto ritorno alla sua stanza al terzo piano con un sorriso soddisfatto stampato in volto.

Ehi – aveva urlato all'ingresso, spalancando la porta – ho gli appunti della famigerata Proletaria!”

Teodoro Arrighi si era subito allarmato. Insomma, sapeva quanto quegli appunti dovevano essere importanti per lei. Lo sarebbero stati anche per lui, soprattutto con un esame in vista.

Ma senz'altro, si era detto Teo, era proprio per questo che Andrea li avevi rubati.

Lui, che adorava tanto fare i dispetti – farli a lei più di ogni altra cosa – di certo non se li era portati via con l'intento di farle una gentilezza, e nemmeno un piccolo scherzo bonario.

No, non si sarebbe lasciato scappare questa opportunità.

Immagina cosa potremmo farci Teo!” esclamò eccitato.

Illuminami” Teodoro si rigirò quel vecchio libro tra le mani. Provò pena per Amalia.

Infondo era sempre stata gentile con lui. Infondo si meritava un po' di tranquillità, lei che doveva sempre sudarsi tutto in quella scuola di ricconi, dove un voto comprato valeva più di quelli per cui lei si impegnava tanto.

Faceva sempre tutto per bene, lei, e raramente si lamentava.

Potremmo ricattarla! Farle fare qualsiasi cosa, ti rendi conto?”

Andrea assalì il letto più vicino, cominciando a saltarci sopra.

Oh, sì – Teo si mise a sedere – carino.”

Carino?” Smise di saltare, le sopracciglia alzate.

Be'... non potremmo semplicemente ridarle i suoi libri?”

Le sopracciglia di Andrea si alzarono ancora di più, l'espressione incredula.

Maledizione! - sbottò – Certo che no!”

Si sedette accanto a Teo ed imboccò la fiaschetta argentata.

Vuoi?” Fece all'amico, ma lo vide scuotere la testa.

Che gli fosse successo qualcosa? Perché se l'era presa tanto? A lui sembrava così divertente.

Era così divertente vedere Amalia Sperelli correre su e giù per i corridoi, lo sguardo preoccupato. Sentirla commiserarsi perché avrebbe dovuto soddisfare le sue condizioni per riavere indietro i suoi libri. Vederla pestare i piedi per la rabbia.

D'un tratto si sentì importante, e gli piacque. Si sentì onnipotente, e lo adorò.

Le sue condizioni dovevano essere esigenti, pesanti, faticose.

Ho io qualcosa che potresti chiederle in cambio” Fece Teo all'improvviso.

 

 

 

 

"studio matto e disperatissimo" si riferisce alla definizione che Leopardi stesso da dei sette anni di studio a Recanati, nella biblioteca del padre.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 “Ho io qualcosa che potresti chiederle in cambio” Fece Teo all'improvviso.

Evidentemente aveva detto la cosa giusta, perché Andrea si era subito voltato a guardare l'amico, l'aria interessata.

Andrea non era esattamente fiducioso nei confronti dei suggerimenti di Teo, almeno non in questi casi, quando c'era da divertirsi a spese altrui. No, Teo era troppo... troppo Teo.

E troppo poco lui.

Ci voleva scaltrezza, e nessuna pietà.

Sfortunatamente, sebbene le sue intenzioni fossero delle meno nobili, Andrea non aveva la più pallida idea di come avrebbe potuto utilizzare i preziosissimi libri di Amalia.

L'unica cosa di cui era certo era che il Signore, suo Pastore, gli aveva fornito l'opportunità per dare prova, ancora una volta, della sua personalità dotata, brillante, astuta. Sì, doveva essere così. E tutto ciò che poteva fare lui per assecondarlo, da umile servitore quale era, era tentare, spremersi, sforzarsi di trarre certi benefici, un certo profitto, se così poteva essere definito, da quella situazione già in partenza vantaggiosa.

Guardò l'amico, e , pensò, chi può saperlo, si disse. Magari Teo avrebbe dimostrato una considerevole propensione per la tortura. Probabilmente era per questo che si erano trovati così, subito. Era da questo, forse, che dipendeva la loro forte intesa.

Su, su! - sbraitò – Di che si tratta?” La sua espressione esaltata sembrò turbare Teodoro, il quale, infatti, lo guardò in modo indefinibile. Si grattò le nocche ed aprì la bocca una volta.

La richiuse. La riaprì una seconda volta.

Sai che ho qualche problemino con francese” Cominciò lui.

Ne hai parecchi di problemi da quel che so.” Andrea assottigliò gli occhi, sospettoso.

Ritrattò. No, si disse, Teo non per niente adatto a missioni di quel calibro. Era sempre troppo complicato per rivelarsi geniale. La semplicità è geniale, pensò. Solo quella.

Che fosse il caso di rimangiarsi tutti i sentimentalismi di poco prima? Prese a meditare, ed ovviamente, si disse, Teo non sarebbe stato in grado di torturare nemmeno un'innocua lucertola. Si complimentò con se stesso per l'ottima riflessione. La lucertola, non avrebbe potuto scegliere animale migliore. Perché, continuò, se fosse un gattino, un cuore tenero come il suo gli impedirebbe di compiere qualsiasi malefatta, di nuocere al suddetto gatto.

Ecco perché lui, Andrea, era geniale: ci voleva qualcosa di abbastanza sgradevole ma per niente pericoloso. Una lucertola. Un geco. No, i gechi sono quasi carini.

Guardò di nuovo Teodoro, una smorfia sul viso ed un certo pallore gli suggerirono che doveva essere... sconvolto? Che idiozia, e per cosa poi. Allora si era ammalato. Si era ammalato nel giro di dieci minuti. Che fosse raffreddato? Forse aveva la nausea.

Be', non è colpa mia! - si giustificò lui – quello scorfano sovrappeso mi odia!”

Si tirò indietro i capelli e sospirò profondamente.

Sai cosa mi ha detto? - Teo si alzò dal letto – mi ha detto che se non recupero mi farà bocciare!”

Andrea ghignò. “Ma non ti può bocciare” disse tranquillo.

Teodoro era chiaramente scosso. Prese a camminare in cerchio, ridendo convulsamente.

Senti, io non ci tengo a metterla alla prova.”

D'accordo, d'accordo. Datti una calmata.”

Si strofinò la fronte con il dorso della mano. Com'è che erano arrivati a parlare di scuola? Ah, già! Il presunto piano di Teo. Il sicuramente disastroso, forse ridicolo, piano di Teo.

Perché non arrivi al punto?” Sbottò. Teo trasalì, preso dai suoi pensieri.

Eh?” fu la risposta.

Andrea sbuffò, afferrò malamente i libri di Amalia.

Che cosa c'entrano i tuoi problemini con questi?” Li sventolò per aria, indicandoli con un dito.

Ah, giusto! - sorrise l'altro, come una signora anziana che ha trovato la dentiera – ho chiesto ad Amalia di aiutarmi con il recupero, ripetizioni sai...”

Cosa?!” I libri caddero con un tonfo.

Ma lei ha rifiutato.” Continuò imperterrito.

No, no aspetta! - le braccia per aria, Andrea prese a gesticolare sputacchiando saliva sul pavimento – Chiederle ripetizioni! A lei! Ad una come lei!

Teo aveva tradito la loro amicizia. No, aveva tradito il loro orgoglio. Non solo non era in grado di torturare una lucertola, ma si era addirittura abbassato a chiedere aiuto ad Amalia Sperelli.

No, maledizione! Andrea rifletté sulle parole di Teo.

Ho chiesto ad Amalia di aiutarmi con il recupero. Amalia. Amalia. Amalia.

Erano già a questo? Si chiamavano per nome ora?

Non ricordava di averli mai visti chiacchierare. Forse lo facevano di nascosto.

Perché avrebbero dovuto farlo di nascosto?

Perché non me l'hai detto?” Chiese più calmo, terrorizzato dalla possibile risposta.

Sapevo che avresti reagito così.” Teo alzò le spalle, e si guardò i piedi fasciati da un paio di calzini gialli con dei castelli disegnati su.

Erano davvero brutti quei calzini, pensò.

Ma sai – proseguì – lei non è così male, insomma sembrava davvero dispiaciuta quando mi ha detto che non poteva aiutarmi.”

Non è così male?” Oh, be'. Dev'essere così che si sentono i genitori quando i loro figli decidono di fare gli artisti, scappano con il circo o confessano la loro omosessualità.

Andrea si lasciò cadere sul letto, di nuovo. Stavolta senza l'allegria con la quale aveva rovinato quelle belle lenzuola saltandoci sopra, qualche minuto prima.

Perché proprio lei?” Domandò osservando il soffitto.

Teo si avvicinò cauto.

Lei è brava in queste cose – si grattò il mento – e sta sempre a studiare.”

Andrea alzò di poco il capo e lo fissò dubbioso.

Hai capito” fece Teo, la voce sicura, lo sguardo perentorio.

Adesso parlava proprio come lei. Si comportava come lei.

Questa sì che era una tragedia.

Purtroppo sapeva cosa intendeva dire Teo. Amalia Sperelli, per quanto fosse un'insopportabile, presuntuosa saputella, era la migliore in casi come questo. Certo, dovevi essere disposto a perdere un po' di dignità. Andrea non lo sarebbe mai stato, e fino a pochi minuti prima era convinto che nemmeno Teo - il suo migliore, forse unico amico – si sarebbe ridotto a chiederle aiuto, che si sarebbe piegato a darle retta.

Era convinto fosse un suo alleato contro tutti coloro che volevano farli passare per due idioti, e lei era senza dubbio la prima della lista.

Pensavo – riprese l'altro – che con quei libri potresti chiederle di darmi ripetizioni.”

Andrea sbuffò sonoramente.

Mi hai rovinato la giornata.” Sibilò.

Finiscila”

Mi hai rovinato il buonumore.” Continuò Andrea.

Non ti supplicherò.”

Andrea sbuffò di nuovo.

E va bene! - gridò esasperato – Ma io non le chiederò un bel niente. Io la costringerò.”

Adorava dire “costringerò” o “ti costringo”, o ancora “costringendo” e tutte le variazioni possibili del verbo.

L'idea di Teo – ma sarebbe più appropriato dire il vitale bisogno di ripetizioni di Teo – era, di per sé, qualcosa di ignobile e disonorevole.

La meschinità del suo piano derivava proprio dal fatto che di meschino non aveva niente.

No, non era scellerato, o crudele. Non era cattivo. Ma, si era detto Andrea, se era di questo che il suo amico aveva bisogno, lui gli avrebbe procurato quelle maledette ripetizioni, ed avrebbe anche trovato il modo di farlo nel modo più infame possibile.

Avrebbe reso l'ignobile piano di Teo orribilmente geniale.

 

 

 

 

Amalia si rigirò nel letto più volte. Non era ancora riuscita a chiudere occhio, non da quando aveva trovato quel bigliettino sotto la porta della sua stanza.

Domani, dopo pranzo, nella vecchia aula di musica, diceva. Non era firmato in alcun modo, ma Amalia era quasi del tutto certa che il mittente aveva a che fare con la sparizione indesiderata dei suoi libri. Non poteva essere che Lindon. E lei non poteva non pensare a quanto lo odiava. Chi si credeva di essere?

Non era altro che un idiota. Un povero scemo che si divertiva ad imitare Diabolik.

Razziava e saccheggiava, impadronendosi dei tesori altrui, rovinando i progetti altrui, devastando le vite altrui, e poi, da vigliacco quale era, lasciava bigliettini anonimi.

Non era affatto divertente, avrebbe voluto dirglielo. Non dirglielo, gridarglielo.

Invece, fargli passare la voglia di fare stupidi scherzi, di sorridere come se avesse sempre qualche asso nella manica - quella maledetta manica cucita su misura - quello sì che sarebbe stato divertente. Sarebbe stato magnifico. Spassoso, piacevolissimo e dilettevole.

Sì, era bello avere sempre un vasto repertorio di sinonimi a disposizione. Doveva ringraziare lui, in realtà, per questo: non poteva rischiare, infatti, di farsi scappare qualche parolaccia nei momenti meno opportuni, e lui, proprio in quei momenti, la infastidiva più che volentieri. Non poteva offenderlo liberamente, soprattutto non in contesti scolastici. Ad esempio, non quando lui si teneva occupato punzecchiandola con un paio di battute decisamente fuori luogo, durante la lezione di filosofia. Allora gli insulti di lei diventavano sottili ed eleganti. Forbiti, ecco. Ma in rare circostanze si lasciava andare, quando era certa che nessun orecchio autorevole avrebbe ascoltato. Poteva permetterselo, ogni tanto.

Il suo stomaco ruggì in cerca di attenzione. Stava morendo di fame, sicuramente non avrebbe dormito affatto, quella notte.

Alzò di poco la testa, Eva dormiva su un fianco.

Non fosse successo quel che era successo, Amalia l'avrebbe svegliata, ed insieme avrebbero organizzato una spedizione nelle cucine. Eva scaldava i cornetti divinamente. Aveva conosciuto poche persone che sapevano usare il forno così bene. Sua nonna, senza dubbio.

Sua nonna, rifletté, non avrebbe mai farcito un cornetto con la nutella. Non si sarebbe mai rimpinzata di dolci alle tre del mattino.

Oh, ma c'era da giustificarla, poverina. Sua nonna aveva il diabete.

Ripensò ai cornetti caldi e ripieni di cioccolato di Eva. No, ce l'aveva con lei, non avrebbe ceduto.

Tuttavia, dopo una settimana passata a mangiare pezzettini di pane ed a bere litri di caffè, Amalia aveva davvero bisogno di schifezze.

Si alzò dal letto e si infilò il maglione della divisa. Il suo sguardo cadde sullo specchio appeso alla parete di fronte. I pantaloncini del pigiama, decorati con galline verdi e gialle, non erano proprio un bello spettacolo. Erano orribili. La visione diveniva agghiacciante se poi, in basso, si guardavano i calzini bianchi, ricoperti, dal ginocchio al mignolo, di file e file di cuoricini rossi. Dove diavolo li aveva presi quei calzini? Forse erano di Eva.

Si infilò le pantofole, almeno quelle erano anonime, e si chiuse un paio di bottoni del maglione grigio.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Era freddo, maledizione. Possibile che dopo le otto spegnessero i riscaldamenti? Possibile che un istituto tanto ricco e facoltoso si preoccupasse della bolletta del metano? I figli di papà che popolavano il collegio Faust non si erano mai lamentatati con i loro rispettabilissimi genitori di quelle temperature glaciali?

Vero era che gran parte degli studenti era tedesca, magari loro ci erano abituati.

Magari uscivano tutti insieme all'alba a cacciare caprioli, e già che c'erano squartavano orsi bruni per appropriarsi delle loro pellicce, per sopravvivere alle notti gelide delle colline fuori Locarno.

Oh, ma gli studenti italiani valevano tanto quanto i tedeschi. Avrebbero dovuto pensare a tutti, no?

Amalia si strinse nel maglione e , decise, l'indomani si sarebbe svegliata all'alba, si sarebbe affacciata alla finestra ed avrebbe scoperto se tra le sue eccentriche congetture ce n'era almeno una che si avvicinava alla realtà.

Magari avrebbe visto un esercito di teste bionde partire alla carica e disperdersi tra gli alberi del bosco. Sarebbe stato soddisfacente scoprire di aver ragione.

Aprì la porta della cucina e, oh, una di quelle teste bionde doveva essersi persa durante la caccia ai caprioli. O forse, dato che era in anticipo di un paio d'ore, aveva deciso di preparare dei panini per la squadra, perché fossero tutti in forze.

Ma quella testa bionda non sembrava voler preparare panini, no. Barcollava sulle punte dei piedi nel tentativo di afferrare quella bella bottiglia di whisky sullo scaffale più alto.

Ci riuscì e prese a guardarla da vicino, troppo da vicino, strizzando gli occhi e le mani intorno al collo della bottiglietta di vetro.

Sta ferma!” berciò.

Andrea Lindon decise che sarebbe stato più saggio poggiarla da qualche parte, su quel tavolo magari, almeno finché la stanza non avesse smesso di ruotargli intorno. Misurò con precisione la distanza tra lui ed il tavolino in legno, lanciando occhiate prima lì, poi più in là, poi di nuovo lì perché nel frattempo, guardando più in là, si era dimenticato di quel che aveva scoperto guardando lì.

Gli costò grande fatica. Fatto ciò, soddisfatto delle proprie abilità motorie, si voltò sorridendo in direzione di Amalia e, sorpreso e spaventato dalla sua presenza, sobbalzò inciampando nella sedia che aveva di fianco. La caduta fu tremenda, la schiena di lui sbatté con forza contro il pavimento. Rimase immobile.

Ad Amalia venne da ridere. Rise, infatti: quello, per lei, era stato il momento più felice della giornata, il momento in cui aveva visto l'eccessivo amor proprio del ladro dei suoi amati libri spiaccicarsi contro il lastricato in marmo. Si piegò in due dalle risate, aspettando di sentire uno o due insulti provenienti dal pavimento, dove giaceva Andrea ferito nell'orgoglio. Ma dalla sua bocca non uscì niente, nemmeno un grugnito.

Amalia tese l'orecchio, nessun rumore. Si raddrizzò, preoccupata. Un profondo senso di colpa si fece spazio dentro lei, mentre, avanzando, osservava gli occhi chiusi di lui, la sua testa poggiata di lato, il braccio abbandonato contro il fianco.

Si era davvero fatto tanto male da perdere i sensi? Sperò di no. Non che fosse preoccupata per la sua salute, ma se non si fosse ripreso avrebbe dovuto trascinarlo di peso in infermeria, chiamare aiuto, svegliare la Signora Kolen. La Signora Kolen non era per niente affabile, ed il quintale e mezzo di grasso che la ricopriva intimidiva e scoraggiava chiunque avesse voluto rivolgersi a lei. A quest'ora della notte poi, qualche professore avrebbe polemizzato sull'incidente. Che ci faceva nelle cucine a quest'ora Signorina Sperelli? Le avrebbero chiesto. Forse le avrebbero persino dato la colpa per quello che era successo a quel deficiente. L'avrebbero accusata di averlo spinto, chi lo sa. Andrea, di certo, non avrebbe fatto niente per smentire quelle assurde accuse.

Si chinò su di lui e prese a scuoterlo aggrappandosi ai lembi della camicia.

Lindon! - esclamò – Svegliati, accidenti a te!”

Lo vide corrugare la fronte, aprì un occhio, lo richiuse, poi li aprì entrambi.

Stai bene? - si avvicinò di più, studiando le pupille dilatate di lui.

Stai bene?” ripeté.

Un forte odore di alcool le arrivò alle narici, storse il naso. La bocca di Andrea si piegò in una risata silenziosa. Oh, certo. Avrebbe dovuto immaginarlo.

Amalia si allontanò di colpo, scandalizzata, mentre le risate prendevano voce e diventavano più forti.

Sei ubriaco.” sentenziò stizzita. Si alzò di nuovo in piedi e lo scavalcò con decisione.

AHAHAH!” gridava lui, il braccio che gli copriva lo stomaco.

Lei si avvicinò alla dispensa, nel tentativo di trovare un paio di dolci capaci di zittire il suo stomaco in subbuglio. Trovò una fetta di torta dal colore strano. Andrà bene, si disse spezzandone un pezzetto con le dita ed infilandoselo in bocca.

Andrea, d'altro canto, complici i bicchierini di brandy di mezz'ora prima, si sentiva particolarmente allegro, e desiderava esternare tutto il suo buonumore, perciò continuò a ridere sul pavimento, in modo assolutamente sconveniente, avrebbe detto sua madre.

Non lo sapeva nemmeno lui, in realtà, perché rideva. Be', i calzini di Amalia, quei cosi che aveva addosso al posto di un ordinario paio di pantaloni del pigiama, potevano essere una buona ragione, tanto per cominciare.

Chiudi quella maledetta bocca Lindon, sveglierai tutta la scuola!”

Non le diede retta. Anzi, si sentiva coraggioso e spavaldo, e decise che si sarebbe alzato in piedi, e le avrebbe ricordato che era lui a portare i pantaloni! - dei pantaloni decenti, senza galline verdi e gialle - Era lui l'uomo.

Alzò lentamente il torace e si aggrappò ad uno spigolo del tavolo vicino a lui, e per qualche beffardo destino, la tanto agognata bottiglia di whisky - oro in quei tempi duri, quando suo padre aveva preso a nascondere gli alcolici in luoghi a lui sconosciuti – cadde dritta dritta verso il pavimento. Andrea osservò il vetro scuro infrangersi contro il marmo, sbigottito.

No!” gridò disperato mentre tentava, invano, di ricomporre i cocci.

Aveva fatto tutto lui? Aveva davvero provocato quel disastro? Sentì Amalia bofonchiare dall'altra parte della cucina. Forse si era arrabbiata. Lei si era arrabbiata? E lui come avrebbe dovuto sentirsi? Si trattava di una disgrazia nel vero senso della parola. Sì, perché dopo Teo, in quella che lui considerava la sua personale famiglia, c'era l'alcool. Sì, si era segretamente organizzato un'intima comunità – basata su di un sistema gerarchico, ovviamente - e di solito i membri non ne erano al corrente. Questo perché Andrea decideva, così, da un giorno all'altro, da un'ora all'altra, che, ad esempio, Lady Diana faceva parte del suo nucleo familiare e che per questo doveva vestirsi di nero, per almeno dieci giorni, per compensare tutti quegli anni in cui lui, troppo immaturo per rendersi conto della parentela, non l'aveva riconosciuta come sorella, né l'aveva onorata con almeno un giorno di lutto, alla sua morte.

L'alcool gli era amico, lo consolava, come faceva Teo. A volte era addirittura capace di illuminarlo. Si svegliava, dopo una nottata difficile, rasserenata dallo champagne, sempre con nuove, innovative, originali e brillanti teorie riguardanti la condizione esistenziale dell'uomo, il futuro delle nazioni europee, o più semplicemente metodi di copiatura freschi freschi.

Un rumore di passi affrettati proveniente dal corridoio lo distolse dai suoi pensieri. Amalia lo raggiunse in un attimo e gli tappò la bocca con quella manaccia piena di briciole.

Sta' zitto” sussurrò.

Lo afferrò malamente per il braccio, e lui si fece afferrare, infondo non aveva progetti interessanti per quella notte, non aveva niente di meglio da fare. No, be', in realtà non se la sentiva di disobbedirle, non in quella situazione, quando lei sembrava sapere meglio di lui com'è che si doveva agire. E poi la testa gli girava troppo per mettersi a discutere.

La seguì, o meglio, si fece trascinare fuori da una porta qualsiasi, diversa da quella da cui era entrato. Forse erano seguiti, non lo sapeva, non ci stava capendo niente. Sicuramente doveva aver svegliato qualcuno. Sperò che si trattasse della Signora Kolen. La Signora Kolen lo adorava, gli regalava sempre qualche dolcetto e, quando lo trovava nei guai, incolpava i suoi compagni, o, in caso lo trovasse da solo, il Fato crudele che lo aveva messo in una situazione tanto scomoda.

Le sue gambe cominciarono a correre senza il suo permesso, le sue orecchie udirono il rumore di porte spalancate, subito chiuse, e le pantofole di Amalia che venivano gettate da qualche parte, nel corridoio.

Lei si fermò all'improvviso, e lui la investì arrivandole addosso, senza freni, di nuovo, senza il suo permesso.

Un colpo sordo lo informò della presenza di un muro. La sentì gemere di dolore. Le mani di lei, decise, tiepide, che si fissavano sul suo petto, gli piacquero. Ma quelle lo spinsero via, con forza, facendolo aderire alla parete, ad un'altra parete. Dove diavolo erano? Qualcosa di sgradevole si insinuò sotto la sua pelle. Sgradevole ed inopportuno, mentre la sua testa, lenta, comprendeva il rifiuto di lei. Quale rifiuto? Lei non poteva averlo rifiutato perché lui nemmeno si era proposto.

Aveva decisamente bisogno di dormire.

Ti odio” sussurrò Amalia nel buio.

Anche lui la odiava, profondamente, ma la risposta perfetta da proferire arrivò tarda, quando lui, stupido, debole e stanco, si era già lasciato sfuggire un insicuro “anch'io.”

Somigliava più ad un altro tipo di dichiarazione, ma lui non volle pensarci. Tutto in quel momento, quella stanza ristretta, il buio, il respiro affannato di lei, lo infastidiva smisuratamente.

Avrebbe voluto uscire, vederci chiaro. Avrebbe voluto vedere cosa stava facendo Amalia, in quella stanza buia. Così alzò una mano verso l'alto, determinato a scoprire dove si trovava, quanto era lontana.

La sua mano si congelò per aria nel momento in cui lei, forse comprendendo le intenzioni di lui, con un passo veloce gli fu di fronte, e, di nuovo, gli coprì la bocca con la mano, l'altra mano, stavolta.

Andrea, basito ed inizialmente allegro per quell'improvvisa, stranissima vicinanza, si sentì... deluso? No, che scemenza. Si sentì diverso, solo diverso quando udì di nuovo quel rumore di passi raggiungerli pericolosamente.

Forse per un momento – solo un momento – aveva sperato che lei volesse davvero stargli più vicino. Forse.

La sentì trattenere il respiro, e lui la imitò mentre la presa sulla sua bocca e sull'avambraccio destro diveniva sempre più salda. Voleva dimostrarle che era capace di stare zitto, quando doveva. Ma se ne dimenticò presto. Con la luce fioca filtrata attraverso il buco della chiave, Andrea si concentrò per osservare lo sguardo di lei, e lo trovò preoccupato.

Vide i suoi occhi chiari che fissavano con insistenza la porta, aspettando che quei maledetti piedi se ne andassero, che prendessero un'altra direzione, così avrebbe potuto uscire di lì, allontanarsi da lui, da quella situazione così strana. Era convinto che lei lo pensasse. Magari non se ne rendeva conto, magari lo stava pensando inconsciamente.

Lui, di sicuro, non poteva essere consapevole di quel che succedeva nella sua testa, in quel momento. No, non l'avrebbe sopportato. Semplicemente, aveva alzato un po' il gomito, ecco tutto. Era per questo che adesso lei gli sembrava così... così... carina? Oh, maledizione. Non poteva davvero aver pensato carina. Era da stupidi. Era da femminucce.

Lui era un uomo. Infondo si faceva la barba già da qualche anno, l'avrebbe pure lasciata crescere se qualcuno avesse osato mettere in dubbio la sua virilità.

Il rumore di passi cessò, ed Amalia allentò la presa sul viso di lui. Si allontanò di un passo, silenziosa, in attesa, nel buio.

Chiunque fosse, fuori da quella porta, ormai se n'era andato.

Stai bene?” mormorò.

Non lo so” rispose lui.

La sua voce le parve più vicina di quanto si sarebbe aspettata, di quanto avrebbe voluto.

Ce la fai a tornare da solo?”

Non lo so” fece di nuovo. Forse non aveva nemmeno capito la domanda. No, non l'aveva capita. Era... confuso. Non sapeva nemmeno lui perché. Be', altrimenti non lo sarebbe stato.

D'accordo. Vieni con me, ti accompagno io.” La sentì cercarlo nel buio, afferrargli la mano con gentilezza e guidarlo fuori da lì, da quello stanzino.

Sperò che la sua mano, quella fortunata - sfortunata, ma che stava pensando! - non si mettesse a sudare. Non che avesse problemi di sudorazione, lui, ma ecco, non si sapeva mai. Stava succedendo di tutto, e per quello che ne sapeva potevano anche finire rapiti dagli alieni. Si diede dello stupido. Non doveva importagli niente, assolutamente niente. Anzi, meglio se cominciava a sudare, così lei ci avrebbe pensato due volte, in futuro, prima di prenderlo per mano e fare la gentile. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Amalia lo trascinò di fronte alla porta della sua stanza con un paio di sospiri.

Aveva davvero superato ogni record la pazienza di lei, considerando che Andrea, durante il viaggio, aveva veramente fatto di tutto per rendersi detestabile, più detestabile di quanto già non fosse. Giunti al primo piano, infatti, si era messo a cantare l'Inno di Mameli, e, ricevuta in premio per la sua performance una gomitata dritta nelle costole, si era buttato per terra, rischiando di far cadere anche Amalia, e si era messo a rotolare giù per scale, minacciando di non smettere finché lei non si fosse scusata per aver attentato alla sua vita.

Disperata, lo aveva accontentato, ma lui, insoddisfatto di quel misero “Va bene, va bene, scusami” aveva deciso di punirla sedendosi su ogni scalino delle quattro rampe che li separavano dalla destinazione. Un paio di volte aveva tentato di tirarlo su, ma poi, ricordatasi delle incredibili sventure che la legavano a lui, quel criminale - fin dalla tenera età - e di quanto Andrea sembrasse tutt'ora alimentare con appagamento le ostilità tra di loro, decise che l'avrebbe lasciato lì, su quei gradini, al freddo.

Ma l'incubo non era ancora finito, infatti con un “No, no, scherzavo! Sul serio, non lasciarmi qui!” Andrea l'aveva seguita di corsa, andando a sbattere contro una colonna di pietra. Oh, be', quello era stato divertente. Un episodio del genere valeva un po' di fatica.

Hai la chiave?” Chiese lei, afferrandolo prontamente per un braccio, quando lui, palesemente ubriaco, aveva cominciato a barcollare in avanti, le ginocchia che minacciavano di abbandonarlo sul pavimento. Forse sarebbe stato altrettanto divertente lasciarlo cadere. No, era meglio tenerlo in piedi, Amalia non sarebbe mai riuscita a sollevarlo da terra, non di nuovo.

Certo che ho la chiave” sbottò lui in risposta, il tono arrogante ritrovato, durante il tragitto.

Non sopportava di mostrarsi così... debole, di fronte a lei.

Non poteva tollerare di aver bisogno che lei lo sorreggesse. Avrebbe dovuto farcela da solo, dannazione. Avrebbe dovuto vedere quella maledetta colonna.

Frugò lentamente nelle tasche della giacca. No, quelli erano i pantaloni. Avanti, si disse, riprenditi, togli quelle mani dai pantaloni e trova quella maledetta tasca.

Trovò la chiave. Accennò un sorriso compiaciuto, doveva sembrare davvero stupido con quel sorriso. Si sentiva tonto, in effetti, tonto ed impacciato. Non doveva succedere.

Tutta colpa dell'alcool.

Qualcosa, dentro di lui - forse il diavoletto che giaceva sulla sua spalla destra - gli suggerì che non era solo colpa dell'alcool, c'era qualcos'altro. Qualcosa che, in realtà, sentiva tutti i giorni, quando vedeva lei.

Era come se avesse continuamente fame, ma poi lo stomaco si chiudeva. Un disturbo alimentare, si diceva, niente di cui preoccuparsi.

Avvicinò la chiave al viso, nel tentativo di ricordare che ci faceva con quella cosa in mano, al buio, in un corridoio al terzo piano, con Amalia Sperelli che adesso lo guardava impaziente, ed un bernoccolo in testa che pulsava.

Faccio io.” dichiarò lei esasperata.

Gli tolse malamente la chiave dalla mano e la infilò nella porta, aprendola completamente.

Un paio di oggetti a caso – tra cui una maglietta azzurra con su scritto Dormi bene ed un dinosauro viola di peluche - arrivarono ai suoi piedi con un tonfo. Qualcosa con cui ricattarlo, semmai un giorno ne avesse avuto bisogno. Sfilò la chiave dalla serratura, afferrò la mano sinistra di lui e ce la posò con forza, chiudendogli le dita a pugno, in modo che non cadesse per terra. Non si sapeva mai.

Ricordati di richiudere la porta.” mormorò severa spingendolo dentro.

Buonanotte” aggiunse poco dopo.

Aspetta, aspetta!”

Amalia si voltò di nuovo verso di lui. Non doveva farlo, si disse, non doveva dargli retta.

Lui era un pazzo, un pazzo furioso. Per colpa sua non era riuscita a mangiare come avrebbe voluto, e adesso, di nuovo per colpa sua, perdeva preziosissime ore di sonno.

Che c'è?” Sbuffò.

Non vedo niente” ammise Andrea, accennando all'interno buio della stanza.

Accendi la luce! Avrebbe voluto gridargli. Ma sapeva che sarebbe stato inutile.

Forse lui lo faceva apposta. Forse sapeva di dover accendere la luce, solo gli piaceva vederla saltellare di qua e di là, per soddisfare i suoi sciocchi capricci. O magari la batosta di poco prima aveva davvero avuto delle conseguenze. Be', idiota più, idiota meno. Forse sarebbe diventato come il fratello scemo di Giammaria Merri. Sarebbe stato un bene, in effetti: Michele Merri era troppo stupido per commettere crimini contro l'umanità.

Dev'essere così, si disse, vedendolo inciampare nel tappeto, mentre cercava un interruttore, forse.

Amalia sbuffò di nuovo, roteando gli occhi.

Entrò nella stanza ed accese quella lampada storta, mezza rotta, che pareva lanciata sul comò, poiché aveva assunto, proprio dal lato in cui toccava la superficie in legno, una forma stranamente piatta. Bene, basta, aveva acceso la luce. Solo questo gli avrebbe concesso.

La visione di Andrea, seduto per terra a massaggiarsi un ginocchio, la fece sorridere. Di nuovo, tutti i validissimi motivi per cui era necessario tenersi alla larga dal quel mentecatto, svanirono. Puff. Ecco un nuovo validissimo motivo per il quale era di vitale importanza stargli lontano: averlo vicino per troppo tempo aveva, su di lei, lo stesso effetto che avrebbe avuto una mazzata sulla testa.

Le faceva dimenticare di tutto, dei suoi buoni propositi, soprattutto, tra i quali, il primo della lista era Non farsi rovinare la vita da Andrea Lindon. Evitalo, se necessario. Uccidilo, se qualcosa ti impedisce di evitarlo.

Si chiuse la porta alle spalle, il suo sguardo cadde sulla stanza vuota.

Dov'è Teo?” chiese sovrappensiero.

Andrea alzò lo sguardo, disgustato, su di lei.

Non lo so dov'è il tuo Teo.” sibilò con una smorfia.

Amalia alzò un sopracciglio. Un altro dei suoi buoni propositi era ignorare tutte le stupidaggini che uscivano dalla bocca di Andrea Lindon. Quella era senza dubbio una stupidaggine.

Si chinò su di lui e lo aiutò ad alzarsi in piedi, per poi farlo sedere sul letto più vicino.

Lui continuò a guardarla di sottecchi.

Perché lo stava aiutando? Lo osservò infilarsi le dita nel nodo della cravatta, con evidente difficoltà.

Non lo sapeva. Non doveva solo accendere la luce?

Ma, ecco, ad esempio sapeva che aveva deciso di sfilargli le scarpe perché lui, il volto confuso, l'aria rincitrullita, non sarebbe riuscito a farlo da solo.

Come, adesso, , adesso che stava tentando senza successo di togliersi la cravatta.

Andrea prese a ringhiare contro quel povero indumento che veniva strattonato da tutte le parti.

Era davvero troppo stanco. E poi sapeva di essere ridicolo, e questo contribuiva a rendere il suo umore pessimo. Sapeva che se lei non gli avesse dato una mano, non sarebbe mai riuscito a sciogliere quel dannato nodo. Maledetta cravatta. Di solito ci pensava Teo a queste cose, faceva in modo che lui non facesse figuracce in pubblico, gli chiudeva la bocca quando sapeva che avrebbe detto qualcosa di imbarazzante, qualcosa di offensivo, gli toglieva le scarpe, gli infilava il pigiama. Pensava a tutto lui.

Sentì le dita di Amalia posarsi sulle sue ginocchia, le sue mani smisero di tirare, interrotte.

Vide il volto di lei sporgersi in avanti, verso il suo. Che stava succedendo?

Oh, niente stava succedendo. Lei voleva solo aiutarlo a togliersi quella dannata cravatta, solo quello. Così sarebbe potuta andare a dormire, una volta per tutte. Sapeva che era questo che lei voleva. Lo vedeva nel suo sguardo ostile, spazientito.

Forse glielo aveva suggerito il diavoletto sulla sua spalla. Lo stesso diavoletto che gli aveva fatto notare il modo in cui Amalia aveva cercato Teo, il modo in cui Teo la chiamava per nome. Di nuovo quella sensazione sgradevole.

Lei lo invitò, con delicatezza, con le dita, a lasciare la stoffa blu in mani più affidabili.

La assecondò, la testa da un'altra parte.

La osservò mentre, con perizia, faceva scivolare via dal suo collo quel tessuto liscio, per poi poggiarlo sul comodino, accanto al suo letto.

Rimase così per un po', seduta sulle ginocchia, l'espressione pensierosa.

Lindon – alzò gli occhi – credi che potresti lasciar perdere tutta questa storia dei miei libri?”

Era quello sguardo che lui voleva, quegli occhi imploranti, che lo supplivano, che gli chiedevano, con dolcezza, di dire di sì.

D'un tratto di sentì confortato, riscaldato.

Avrebbe detto di no, deludendola? Certo che lo avrebbe fatto. Doveva farlo.

Ma con lei così vicina, le dita abbandonate, pigre, sul colletto della sua camicia, non riusciva proprio a ragionare. Rimase in silenzio, nella speranza che quel no uscisse da solo dalle sue labbra. Non successe. E allora lei rinunciò, si arrese, lasciando quel colletto candido, abbassando gli occhi, di nuovo, allontanandosi da lui, di nuovo, impercettibilmente, delicata. Andrea sentì quel nuovo, piacevole calore, che se ne andava, e “ – si lasciò sfuggire – certo.”

Sgranò gli occhi nell'udire quelle parole - così poco sue - sgusciare fuori gentili e disinvolte, come non lo erano mai state. Come lui non era mai stato.

Ma lei tornò a guardarlo, gli si fece più vicina, impercettibilmente, delicata. Solo lui si sarebbe accorto della differenza. E questo bastò a consolarlo della battaglia persa.

La vide sorpresa, sospettosa.

” ripeté di nuovo, temendo che non avesse capito.

Sorrise, sbalordita, allegra. Lui l'aveva sorpresa. Le labbra di lei, comprese, si distendevano verso l'alto, si increspavano verso il basso, a seconda di quello che lui le diceva. Quel piacevole calore tornò a fargli visita, sulle guance, dentro al petto. Per un attimo si dimenticò del loro odio, un odio dovuto. Un odio che doveva rimanere tale.

È uno scherzo?” fece guardinga, gli occhi che rimbalzavano sul volto di lui, alla ricerca di qualche indizio valido a ritirare il sorriso che era sorto sulle sue labbra. Non lo trovò, e allora il suo sorriso si allargò, senza inibizioni. Imbarazzato, imbarazzatissimo, Andrea lasciò cadere la testa, dolente, sul cuscino.

No – disse esasperato – sono nella mia borsa.” Che accidenti aveva combinato? Non era questo che doveva fare. Loro erano nemici, ed i nemici non si aiutano. Mai. Non vanno assecondati in alcun modo. Troppe storie sui pirati. Senza dubbio.

La sentì frugare nella sua borsa, riappropriarsi delle sue cose, felice, entusiasta.

Forse adesso lei avrebbe pensato che erano amici, che era tutta una strategia perché lei lo perdonasse, per conquistare la redenzione. No, no, l'indomani avrebbe risolto. L'avrebbe insultata, prima di tutto, . Sentì il rumore della porta che si apriva.

Accidenti, quasi dimenticava.

Ehi! - le gridò rimettendosi a sedere – Sei in debito con me”

No che non lo sono, tu sei un ladro, il fatto che poi tu mi abbia restituito i libri non significa niente. Era tuo dovere.”

Ehi, ehi, ehi. Che fine aveva fatto il tono gentile, quel sorriso pieno di gratitudine? E quelle carezze sulle ginocchia se le era immaginate? E le moine che aveva riservato al suo collo, togliendogli la cravatta? Dannazione, l'aveva rigirato come un calzino. Lui si era fatto rigirare come un calzino. Lui, che portava i pantaloni e si faceva la barba già da qualche anno. E adesso lei era in piedi che lo guardava con il naso all'insù, l'espressione algida, come sempre. E lui che in quella situazione era in netto svantaggio, con lei che faceva la gentile. Non era affatto giusto.

Ma sarebbe sempre stato così.

Non mi importa un...”

Lindon!”

Fico secco, Proletaria, fico secco, d'accordo?”

Si spostò, feroce, una ciocca di capelli dalla fronte, caduta disgraziatamente sul suo occhio destro.

Tu darai ripetizioni a Teo – continuò – e non fare quella faccia. Lo farai, lo farai, e siccome sono un gentiluomo, mi impegnerò a trattarti civilmente, in cambio.”

Gli sembrava equo, giusto. Perché avrebbe dovuto rifiutare?

Amalia aprì la bocca per controbattere, ma venne interrotta.

E sia chiaro, non lo faccio volentieri, è un grande sforzo per me che non ha niente a che vedere con... - quello che provo per te – con... - i sentimenti assolutamente negativi che nutro nei tuoi confronti – insomma lo farò solo perché me lo ha chiesto Teo.”

Amalia lo guardò allibita.

Tu sei pazzo” dichiarò.

Ti ho fatto una proposta con le migliori intenzioni! Sono un tipo onesto, io”

Onesto?”

Vorresti mettere in dubbio la mia...”

Va bene, va bene, d'accordo! Ne parlerò con Teo.”

Teo, di nuovo Teo. Lei ne avrebbe parlato con Teo, e si sarebbero comportati come se lui non le avesse mai rubato quei dannatissimi libri, come se non avesse mai avuto voce in capitolo. Si sarebbero dati appuntamento, lei e Teo, avrebbero riso delle battute intelligenti che lui, Andrea, non aveva mai capito. Lei gli avrebbe spiegato com'è che si forma il condizionale, in francese. Gli avrebbe parlato con quella pronuncia piena di erre mosce, e lui, Teo, avrebbe goduto di quel tono gentile. L'avrebbe guardata mentre si tirava su le maniche della camicia, fino al gomito, l'avrebbe vista sistemarsi i capelli – quelli scuri, non biondi – e chissà, magari si sarebbero piaciuti. Magari si piacevano già.

La vide sparire dietro quella porta, mentre qualcosa di orribile gli riempiva la testa di pensieri.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Mi scuso per il ritardo, è davvero un periodo... pieno, sì. Comunque sono tornata, non posso promettervi, purtroppo, che ricomincerò ad aggiornare con la stessa frequenza di prima, ma sappiate che finirò questa storia, in un modo o nell'altro.

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 6

 

È un conservatore”

Un conservatore?”

Sì, certo, è quello che ci vuole di questi tempi.”

A quanto pare le nostre opinioni, Signorina De Witt, divergono.”

Solo per questa volta, Signorina Saika – Nicoletta De Witt alzò il mento – spero che questo non sia d'ostacolo per la nostra profonda amicizia.”

Amicizia?”

Oh, che sciocca è lei, Signorina Saika! Abbiamo avuto le nostre ehm, discussioni, sì, ma sono anni che insegniamo l'una accanto all'altra. È di vitale importanza che rimaniamo uniti, noi insegnanti.”

Uniti?”

Ma sì, certo! - Nicoletta De Witt stirò le labbra in un sorriso – dobbiamo dare ai nostri studenti un modello valido e coerente da imitare.”

Signorina De Witt – cominciò Cecilia Saika – non se ne abbia a male – si tolse i guanti bianchi - so che le sue opinioni politiche e didattiche sono largamente condivise qui, al Faust, ma sappia che io non farò alcun tipo di propaganda nella mia classe, e se anche mi venisse in mente di farla, sicuramente non parlerò in favore di quell'uomo che lei chiama conservatore. È volgare, prepotente, e se posso, oserei dire incompetente ed ignorante in modo vergognoso.”

Signorina Saika!”

E mi lasci dire che trovo immensamente imbarazzante che un corpo insegnanti voglia inculcare nella testa di giovani studenti tali mostruose idee. Sinceramente, sfiorano la tirannia.”

Molto bene.” Nicoletta De Witt, docente all'istituto Faust di Storia e Filosofia, si sistemò il cappellino verde acido sulla testa, girò sui tacchi e se ne andò.

Ce n'erano state parecchie di discussioni simili tra lei e la Professoressa di Scienze Matematiche, Cecilia Saika. Ma di quei tempi, in cui vigeva una forte instabilità politica, sociale, economica, gli inizialmente piccoli diverbi tra le due, si trasformavano in veri e propri litigi. La Signorina De Witt, infatti, gli occhialetti rettangolari incollati al naso adunco, era una fiera sostenitrice della Destra più radicale, ed appoggiava senza riserve il candidato a primo ministro più in vista tra gli esponenti del Partito. Il Signor Agapito Corvo era stimato tra imprenditori, capitalisti ed esponenti della vecchia aristocrazia, in altre parole, tra coloro che, si sapeva, vivevano bene.

Tra i provvedimenti che Agapito Corvo aveva intenzione di prendere, c'era l'assoluta rimozione dei favoritismi, come li chiamava lui, che spettavano ai meno abbienti in ambito lavorativo e scolastico. Nessuna borsa di studio, riduzione delle tasse annue, o concessione di alloggi gratuiti. Semplicemente, diceva lui, c'è chi può e chi non può, e chi non può non fa.

Era questo, più di ogni altra cosa, che la Signorina Saika non poteva tollerare. Comunque a gran parte dell'istituto, quella tedesca, non importava un bel niente di quello che succedeva in Italia. Era, invece, interessante per gli studenti italiani, ed era addirittura piacevole da apprendere per coloro che vivevano bene. Coloro che guardavano con ostilità alle personalità brillanti ma per niente ricche che popolavano i loro nobili ambienti, alle quali veniva accordato il favore di una borsa di studio.

Sì, erano una minaccia, si dicevano: quelle personalità brillanti si portavano appresso quel principio che metteva in pericolo i loro privilegi - concessi in virtù delle loro ricchezze e di nient'altro – la loro superiorità, ed era la meritocrazia. Erano spaventati. Forse perché consapevoli che, in realtà, non meritavano niente, loro. Non che fosse qualcosa da disdegnare il possedere, anziché il meritare, non a loro avviso, ma ora il merito rischiava di valere più del possesso, più del denaro, e cos'altro potevano vantare quei rispettabilissimi signori? Niente, appunto.

Tale verità bruciava dentro ognuno dei quei gentiluomini, la cui vergogna – sorta dalle ceneri di una dignità morta - calpestava quel poco buonsenso che risiedeva in quelle piccole, nobili e pettinate testoline.

Così essi apprezzavano chiunque difendesse la loro posizione. Un idiota, sì, un incapace, ma pur sempre un conservatore.

 

Amalia non amava niente che avesse a che fare con la matematica, ma stimava infinitamente la Signorina Saika, soprattutto adesso che aveva udito il tono di lei severo e perentorio, nel rispondere alla Professoressa De Witt, e visto come quest'ultima, rimasta senza parole, se n'era andata. L'ammirava perché era sincera e diretta in ogni situazione, qualunque fossero le conseguenze e questo, Amalia, non poteva che ritenerlo un pregio.

Aveva un metodo di insegnamento davvero poco ortodosso, dicevano i colleghi. Be'. E allora quale sarebbe stato il metodo giusto? Che s'intendeva con ortodosso? Lei era solita appallottolare i compiti carenti - per non dire orripilanti - e gettarli da una parte all'altra dell'aula, sulla testa dello studente al quale era toccata l'insufficienza. Ovviamente questo non poteva definirsi ortodosso. Tuttavia aveva le sue buone ragioni, spiegava lei, ogni suo comportamento sorgeva da riflessioni approfondite a proposito delle problematiche questioni che si dovevano affrontare. Sì, la Signorina Saika, infatti, sosteneva che umiliando l'alunno stupido – e triste per il punteggio ottenuto – non solo il povero scolaro avrebbe avuto qualcos'altro di cui rammaricarsi – dimenticando per un momento la delusione accademica - ma, così, con una proporzionalità inversa – roba da matematici – quanto più lo studente si addolorava, tanto meno l'insufficienza in questione appariva grave. No, diveniva grave. Questo perché la misericordiosa insegnante, di consueto, aggiustava un paio di volte il punteggio in modo che fosse più semplice da recuperare. Purtroppo, però, i suoi ritocchini non erano ancora riusciti a salvare Michele Merri dalla bocciatura. Oh, ma nessuno se n'era mai preoccupato, nemmeno lui, il cui criceto affaticato che aveva al posto del cervello gli suggeriva che no, non c'era niente di cui preoccuparsi, stava migliorando, anzi.

Nonostante al Faust fossero inflessibili a proposito della media minima da mantenere e blablabla, lui non l'avrebbero mai cacciato. No, troppo denaro in ballo. Cesare Merri, padre dei fratelli Merri, ogni semestre versava un finanziamento speciale alla scuola, con l'augurio che essa si mantenesse esattamente com'era: splendida, storica, utile alle giovani menti. Così diceva lui. Con l'augurio che vi teniate mio figlio, pensava Amalia.

Si sistemò il cravattino blu e oh, qualcuno doveva aver fatto un brutto scherzo alla povera Greet Kolen, la quale, infatti, camminava spedita, gli occhi fissi sul pavimento, la braccia strette intorno al petto, con solo un asciugamano addosso.

Greet Kolen era l'unica figlia della detestabile Signora Kolen, responsabile dell'infermeria dell'istituto, ed ad un primo sguardo... sì, si somigliavano parecchio. Era piuttosto in carne, non quanto sua madre, ma ecco, come diceva Georgina Dreesen, era soltanto un porcellino in attesa di sbocciare e diventare finalmente scrofa. Aveva veramente citato Georgina Dreesen? Sì, accidenti, l'aveva fatto, e per quanto orribilmente in colpa si sentisse, Amalia non riuscì a non pensare che infondo era un'immagine che calzava bene, quella. La osservò bussare insistentemente alla porta della sua stanza. Oh. Conosceva quel particolare scherzo: le rubavano i vestiti dopo la lezione di ginnastica, compresa la chiave della sua camera, e così era costretta a correre seminuda per i tre piani che la separavano dai dormitori e sperare che qualcuno le aprisse la porta e la facesse entrare. Nascondere, magari. Come adesso.

Greet era sempre molto gentile con tutti, forse era proprio questo il problema. Be', sì perché tutti non facevano che prenderla in giro. Amalia sbuffò sonoramente, sfilandosi di dosso la giacca blu. Non voleva avere niente a che fare con Georgina Dreesen e Neve Hummel, e nemmeno con le meno temibili, poiché di minime facoltà intellettive, ma comunque fastidiose, Celeste Villa ed Olivia Ebner. Erano loro, infatti, che facevano uso di certi approcci. Erano loro che terrorizzavano la popolazione femminile del Faust. Tuttavia Amalia sopravviveva.

Non che la ignorassero, lei, l'avevano presa in giro un paio di volte, come faceva chiunque, del resto. Come faceva Lindon, del resto. Era proprio necessario tirare fuori Lindon, ora? No, ovviamente.

Mai niente di grave, comunque. Proletaria le dicevano. Se proprio doveva dirla tutta, una volta le avevano appiccicato un chewing-gum sui capelli, ed un'altra volta le avevano versato una zuppa di pomodoro sulla divisa. Ma forse Amalia non era divertente come lo era Greet. Cicciottella, bionda, rosea. Aveva, in effetti, un che di porcellino.

Le si avvicinò velocemente e la coprì con la giacca. O meglio, tentò di coprirla con la giacca: quel pezzettino di stoffa le nascondeva a malapena la schiena.

Che stai facendo?” berciò lei allontanandosi di colpo.

Vieni, dai” ribatté Amalia tirandola per un braccio.

Non fu affatto facile, ma le sue esili, straordinariamente forti braccia trascinarono Greet dall'altra parte del corridoio.

Eva!” esclamò bussando forte. Fu in quel momento che Teodoro Arrighi, seguito da un'ammaliata Marietta Lilo, si fermò di fronte a lei, no, a Greet che in quel momento impediva a chiunque di vedere Amalia.

Ehi! - Teodoro si sporse di lato, nel tentativo di individuare l'interlocutore desiderato, oh, be', si accontentò dei suoi capelli – Ti cercavo, sai, ti dovrei parlare di una...”

Dio, Kolen, che hai fatto? - Marietta Lilo assunse un'aria disgustata – Non dovresti andare in giro mezza nuda, è qualcosa di indecente da vedere.”

Le guance di lei, della cosa indecente, si imporporarono immediatamente, e Greet si voltò a guardare Amalia, afferrandole con forza le spalle, strattonandola per utilizzarla come un indumento, forse. Le si nascose dietro, e, i polsi di lei tra le mani, le tirò le braccia, incollandosela addosso, come per far aderire meglio un abito ancora nella gruccia, davanti ad uno specchio.

Dovrebbero proibire alla gente come te di spogliarsi in qualsiasi circostanza. Anche per i muri dev'essere straziante assistere ad uno spettacolo del genere. Non dovresti farlo nemmeno per un bagno, che poi, comunque, non sarebbe nemmeno la puzza il tuo problema peggiore.” Continuò l'altra.

Tu che ne pensi, Viola?” lo sguardo di Marietta cadde su Amalia. No, non le era sfuggito il disprezzo con il quale aveva pronunciato il suo cognome, quello vero. D'altronde a nessuno era sfuggito, nel corridoio. Sì, giusto, anche così la chiamavano, Viola. Come fosse un nomignolo più che un cognome. Frutto, naturalmente, delle storielle di Andrea Lindon, per le quali l'albero genealogico di Amalia si componeva perlopiù di coltivatori di piantagioni e cameriere sdentate. Naturalmente.

Penso che dovresti andartene” rispose lei.

La porta dietro di loro si aprì.

Non c'era bisogno di fare tanto casino” fu l'inopportuno commento di Eva.

Un ragazzo spettinato, la cravatta in mano, uscì velocemente dalla stanza.

Amalia aprì la bocca, un rimprovero che minacciava di abbandonarle la gola.

Quello...” cominciò, gli occhi spalancati.

Un colpo alla spalla gliela richiuse: Greet si era infilata dentro, di corsa.

Quello...” ripeté Teo, indicando il ragazzo in questione che camminava tranquillo per il corridoio.

Sì, è un ragazzo – le mani sui fianchi, Eva tirò un sospiro – e no, non abbiamo combinato niente. Be', avremmo potuto, ma poi sei arrivata tu.”

Amalia inarcò un sopracciglio.

Comunque, se può servire, quel poco che abbiamo combinato, lo abbiamo combinato sul mio, di letti.”

 

 

La vide abbassare lo sguardo e poi riprendere a guardarlo, Teo. Qualcuno che non era lui, lui che se ne stava in mezzo a quel corridoio affollato, di lunedì mattina. Lui che era stato notato già da qualche minuto da quel gruppo di ragazzine là in fondo, alcune di loro non erano affatto male. Ma Andrea non poteva di certo dire di averle proprio guardate, le aveva viste, ecco. Di solito era sufficiente. Di solito ricordava quale ragazza, esattamente, lo aggradava maggiormente; ricordava di quanto distava, se un balzo ben piazzato sarebbe bastato a raggiungerla, in quel caso avrebbe fatto un'ottima impressione, l'impressione che si ha di un bel ragazzo atletico. Non che ne avesse bisogno. Quel lunedì mattina, tuttavia, Andrea non sembrava affatto interessato alla ragazza bionda, laggiù, poggiata contro lo stipite del portone, che continuava, imperterrita, a sventolarsi il volto scostando il colletto della camicetta bianca, mentre lo fissava. Le aveva dato un'occhiata, , era carina, aveva ammesso, ma aveva da fare, lui. Doveva, in particolare, osservare attentamente il suo amico Teo, il suo migliore amico Teo, il quale si era fermato a chiacchierare con Amalia Sperelli. Ovviamente, non che gli importasse sapere di cosa parlavano... Ma cosa poteva esserci di così interessante da voler dire e da voler ascoltare alle sette e cinquantasei minuti del lunedì mattina? Non li capiva proprio, certi ragazzi. Non aveva mai avuto bisogno di parlare molto con le ragazze, lui. Aveva sperimentato, infatti, quanti benefici portasse fingere di ignorarle: loro gli si appiccicavano come mosche.

Ma naturalmente Teo non ci stava provando, no? Certo che no.

La vide ridere. Non ricordava di averla mai vista ridere così da vicino. Lui non l'aveva mai fatta ridere. Be', sì, aveva riso, lei, quando al settimo compleanno di Andrea il suo attuale fidanzatino aveva spiaccicato la torta sulla sua bella testa bionda perché... Perché? Non se lo ricordava. Ricordava di aver avuto qualche problemino con quel tizio, quel... quel... Matteo? No, Simone. Che poi che razza di nome è Simone. Ad ogni modo lei se ne andava sempre a giocare con lui, con Simone. Non ne aveva mai capito il motivo, infondo Andrea era un bel bambino, lo era sempre stato, era anche molto educato con tutti. Forse non con tutti, ma lei l'aveva trattata bene, ne era certo.

Ma non avevamo mai riso insieme, in quel modo, come facevano loro, adesso.

Si guardò intorno. Si sentì stupido, davvero si era messo a fissarli lì in mezzo? Per tutto quel tempo, poi.

Be', era stato più forte di lui. Non aveva potuto fare a meno di notare Teo. Voleva solo salutarlo, andare da lui, fare due chiacchiere. Ma ecco che quella là si metteva in mezzo. L'aveva visto correrle dietro e fermarla toccandole la spalla. La sua bella spalla. Opportunamente coperta dalla stoffa blu della divisa: Teo non avrebbe dovuto nemmeno immaginare la sua spalla scoperta, come stava facendo lui. Come non stava facendo nessuno, anzi. Perché lui, Andrea, non avrebbe mai potuto neanche sognarsela una cosa tanto orribile. No, no di certo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


 “Be'?”

Cosa?”

Come cosa? Come sarebbe a dire cosa? Stavi fraternizzando con il nemico”

Ma che diavolo dici?”

Stavi lì a chiacchierare con quell'inutile ammasso di capelli e...”

E allora?”

E chi lo sa cosa ci nasconde lì dentro, dentro quella giungla che le cresce sulla testa!”

Senti...”

No, no, ascoltami! Sta lì a fare la carina con te, e tu le dai corda, quando è ovvio che il suo è solo un ignobile tentativo di avvicinarsi a me conquistando la tua fiducia, per poi ammazzarmi con il pugnale che tiene tra le sue ciocche crespe!”

Dovresti smetterla di portarti sempre dietro quella fiaschetta, dì la verità, quanto whisky ti sei già scolato?”

Q-questo non c'entra niente! Guardati, dubiti di me, della mia buona condotta!”

Mmh”

E tutto per una Proletaria, ti ha fatto il lavaggio del cervello, ci scommetto!”

Si chiama Amalia”

Oh, Amalia

Sì, è così che si chiama.”

Lo so che si chiama Amalia – Andrea Lindon si arrestò di fronte all'aula di Scienze Matematiche – la conosco da molto più tempo di te, non so se te lo ricordi.”

Teodoro Arrighi, l'indice dell'amico puntato contro, inarcò le sopracciglia.

Ma si può sapere che ti prende? - sventolò per aria la mano destra – Stavamo solo parlando, maledizione!”

Andrea si sentiva indispettito, molto indispettito, e quella strana, stranissima specie di rabbia che adesso gli arrossava le guance, non sembrava dipendere da alcun evento particolare – non ce ne erano stati – da nessun fatto, o vicenda, non sembrava avere ragioni valide a giustificarla, a scusare quella reazione che Teo riteneva eccessiva.

Prese ad annuire freneticamente e “Ah! - sbottò, le mani sui fianchi – e di cosa? Sentiamo!”

Teo fece una smorfia.

Non posso credere che mi stai chiedendo una cosa del genere! – affermò stizzito – Fatti gli affaracci tuoi.”

Andrea, basito, distese le braccia e sì, si disse, forse aveva esagerato un pochino.

Non avrebbe dovuto rivolgersi a Teo in quel modo. Attaccarlo così, no. Il suo migliore amico. Come se avesse fatto qualcosa di sbagliato. Il suo migliore amico.

Non sapeva perché continuava a ripeterselo, forse per rendersi desolato agli occhi di Teodoro, il quale si era naturalmente... infastidito. Naturalmente. Il suo migliore amico, si ripeté ancora. Tuttavia, così come veniva fuori nella sua testa, sembrava quasi un insulto, quello di Andrea, più che un promemoria. Un'imprecazione muta che altrimenti non avrebbe trovato sfogo. Migliore amico, si disse di nuovo a denti stretti. Oltretutto, adesso che ci pensava, certo che aveva fatto qualcosa di sbagliato! Ed ovviamente Andrea aveva tutte le ragioni per rimproverarlo. Be', sì, certo... ma perché se l'era presa così tanto? Infondo aveva beccato il suddetto amico a chiacchierare con personaggi femminili ancora meno raccomandabili di Amalia Sperelli, Amalia Sperelli Viola, se proprio voleva essere fiscale. Alcuni dei personaggi femminili che lo aveva visto frequentare erano addirittura sgradevoli alla vista, adiposi, ad esempio, come quella Greet Kolen. Be', viste certe spiacevoli esperienze, poteva capire, lui, perché a Teo piacesse tanto la Proletaria, ammesso che fosse vero che gli piaceva. Lei non era poi così sgradevole, doveva ammetterlo, non alla vista, almeno. Ma quella dannatissima voce! , era per questo, si disse, per la voce, che se l'era presa tanto con Teodoro: lui, Andrea, un po' di grasso lo poteva anche sopportare, se non doveva toccarlo, ma sul modo di parlare di una ragazza non si discuteva.

Oh, doveva smetterla con queste ridicole congetture. Non lo sapeva perché si era arrabbiato. No, lo sapeva, ecco l'illuminazione: si trattava solamente di quell'istinto protettivo che nutriva nei confronti di Teo, Il suo migliore amico. Difatti chiunque avesse un po' di sale in zucca sapeva che la Proletaria era un tipetto per niente affidabile. Ecco, non c'era altro, tutto qui.

Sconsolato, dispiaciuto, lo sguardo colmo di consapevolezza, sbuffò sonoramente.

Hai ragione, hai ragione – cominciò – scusami, scusa Teo, non lo so che mi è successo”

Teodoro lo osservò dubbioso. Scrollò le spalle e “Va bene - borbottò raccogliendo la borsa – Non ci pensare”

Non ci pensare” ripeté osservando Andrea, il quale, avvicinatosi di un passo, continuava a guardarsi i piedi lanciando qua e là occhiate afflitte.

Senti – mormorò, abbandonando di nuovo le sue cose sul pavimento di marmo – saltiamo algebra, ti va? Andiamocene a bere una birra.”

Fu allora che Andrea decise di lanciarsi in quell'abbraccio pericoloso. Pericoloso perché Teodoro, che non se l'aspettava affatto, si ritrovò schiacciato in una pessima posa, pessima. Una posa imbarazzante, e scomoda, perdinci.

Ehi – farfugliò nel disperato tentativo di liberarsi – ti ho già detto che non ce l'ho con te!”

Mi dispiace – riprese l'altro stringendo più forte – è che... è che...”

Bene, , ti stai aprendo con me, ne sono davvero felice, dopo ne parliamo ma...”

Grazie Teo!”

Ma adesso ci stanno guardando tutti”

Andrea lo mollò immediatamente, conscio dell'azione tanto sconsiderata che aveva appena commesso. Subito si voltò a cercare il gruppetto di ragazzine, là, in fondo al corridoio, con l'intento di verificare i danni arrecati alla propria immagine. Nessun danno: quella ragazza bionda, quella carina, lo stava ancora fissando con malizia, mentre si sventolava.

Sorrise.

Teodoro prese a sistemarsi la divisa stropicciata, lisciandosela con le mani e “Comunque – riprese – abbiamo parlato di quelle ripetizioni più che altro, sai”

Cosa?”

Le ripetizioni”

Ah, giusto” imboccò la fiaschetta. Le ripetizioni. Quella situazione stava diventando ridicola. Possibile che dovunque andasse, qualunque cosa facesse, c'era sempre qualcuno a ricordargli la sua più grande vigliaccheria? L'aveva lasciata riprendersi i suoi dannatissimi libri, le aveva addirittura dato il permesso, le aveva persino detto dove li avrebbe trovati. Ricordò le mani di lei che si accingevano a sfilargli la cravatta. Ricordò quanto si era sentito stupido quando l'aveva vista avvicinarsi a lui, sfiorarlo appena, ed aveva pensato... che aveva pensato? Niente aveva pensato. Solo, ecco, in quel particolare ricordo, in quel particolare momento sarebbe potuto sembrare che lei volesse... no, la sua mente non si sarebbe mai nemmeno avvicinata alla parola baciare.

Lo aveva fatto in realtà, la sua testolina bionda: aveva gustato, assaporato e sperimentato il suono che aveva quel verbo, la sua consistenza, la sua intensità, assaggiandolo più e più volte. Lo aveva immaginato così spesso che adesso, terrorizzato all'idea di lasciarsela scappare, quella parola, di baciarla davvero, magari, così, senza accorgersene, si mordeva con insistenza le labbra sottili, torturandole, nel tentativo di uccidere lo stimolo. Che idiozie. I suoi stessi pensieri lo disgustavano.

Sentiva prurito alla bocca, tutto qui. Di certo, non poteva averla mai immaginata una cosa simile, era un incubo concepito da chissà quale demonio solo per infastidirlo.

E quel demonio faceva sì che quel terribile incubo lo spaventasse arrivando improvvisamente, insinuandosi nei suoi sogni ordinari, popolati da belle ragazze bionde. Lo sconvolgeva e lo atterriva, e lui, Andrea, costretto da sconosciute forze maligne, continuava a richiamare quei sogni, a rivederli e riviverli nella sua testa, alla ricerca di un particolare dettaglio sfuggito alla precedente revisione. Sobbalzava quando la vedeva, lei, nei corridoi, e per un po' la osservava, istigato dal diavoletto che aveva sulla spalla destra.

Quella mattina non aveva il cravattino, ed il colletto della camicia le scendeva pigro, rilassato e disteso sulle spalle, grazie al bottone slacciato di troppo. Andrea fu grato a quel bottone per non aver adempiuto ai suoi doveri, scoprendo quel piccolo neo proprio lì, in mezzo alle sue... basta.

Abbiamo deciso di vederci due volte alla settimana – si grattò la nuca – e ah! Forse ho rimediato un appuntamento”

Quasi non si strozzò, sputò quel buon whisky sul pavimento, e “Cosa?” berciò.

Non ricominciare” fece l'altro con un'occhiataccia.

Con lei? Un appuntamento?”

Che c'è?”

Come fai a chiedermelo! Prima di tutto sei imbarazzante Teo: nessun uomo che si rispetti dice più appuntamento, e sappi che io non ti permetterò...”

Senti, a me lei piace davvero”

Davvero?” Andrea si attaccò di nuovo alla fiaschetta.

Sì, Eva è...”

Eva?”

Sì, volevo chiederle di uscire ma...”

Ti piace Eva Argento?”

Mi fai parlare?”

Tu... Sul serio? Ti piace Eva Argento?”

Senti...”

Certo, scusa, continua”

Insomma volevo chiederle di uscire, ne ho parlato con Amalia, forse riesco ad organizzare qualcosa, sai, tutti insieme...”

Qualcosa?”

Sì, io e lei nemmeno ci parliamo, potrebbe essere imbarazzante – ne dai un po' anche a me? - insomma, ho pensato sarebbe stato meglio uscire noi quattro, la prima volta”

Noi quattro?”

Mi era sembrata una buona idea, ma lei si rifiuta di uscire con te”

Vorresti dire Tu e la Argento ed io e la Proletaria? In coppia?”

Non ti preoccupare, non verrai – sospirò – allora mi dai da bere o no?”

Chi ha detto che non verrò?”

Lei, l'ha detto” fece l'altro esasperato. Afferrò la bottiglietta di metallo dalle mani di Andrea, il quale, evidentemente, troppo sconvolto da quelle inaspettate novità, non aveva prestato alcuna attenzione alle sue richieste.

Amalia” aggiunse poco dopo, stappando la fiaschetta.

E perché non dovrei venire?”

Te l'ho detto, si rifiuta di uscire con te – un sorso – non fareste altro che litigare, non mi saresti di aiut-”

E tu che diamine ne sai!” Teo fece spallucce.

Ehi, non guardare me, l'ha detto lei!”

Ah.”

Un altro sorso.

Dovrò trovarmi qualcun altro per uscire con Eva.”

Ci andrai senza di me?”

Certo, che vuoi che faccia?”

Tu non ci sai fare con le donne senza di me! – si riprese la fiaschetta – Le diciamo che non vengo, e poi, invece... che sarà mai! Tecnicamente non sarebbe il nostro appuntamento”

Non lo so, forse ha ragione lei”

Come puoi dire una cosa simile?”

Stavo pensando di chiederlo a Damian Eckhart”

Damian Eckhart?”

Sì, che c'è? A lui piace Amalia, dice sempre che è...”

Sì, sì, lo sanno tutti cosa dice Damian Eckhart!” Andrea prese a sistemarsi freneticamente la manica sinistra, ed in uno dei suoi gesti avventati, la bottiglietta aperta andò a schizzare il volto imbronciato di Marietta Lilo, la quale, però, troppo presa a rincorrere quello che si augurava diventasse il nuovo ragazzo – povero ragazzo – si limitò a lanciare ad entrambi un'occhiata in cagnesco.

E allora dove sta il problema?”

T-Tu non puoi... - dare a quell'idiota l'occasione per metterle le mani addosso – tu dovresti... - impedire qualunque scambio anche solo verbale tra loro due – concentrarti sul tuo obbiettivo, che è, uhm, Eva Argento, non devi accoppiare anche quella sfigata!”

Ma se pure loro si piacessero sarebbe fantastico, voglio dire, se ne andrebbero per i fatti loro, così io...”

È assurdo!”

Sì, tutta quella situazione era assurda. Come poteva Amalia Sperelli rifiutare un appuntamento con lui, l'ambito Andrea Lindon? Ricco, bello. Naturalmente, dove era cresciuta lei, tra la sua gente, si prestava attenzione a ben altre qualità, ad esempio se si è capaci o no di tagliare la legna, di mungere una vacca.

Ovviamente, per lui era meglio così. Già sarebbe stato straziante guardare Teo in quello stato: vederlo fissare con gli occhi ripieni di miele Eva Argento, mentre tentava di conquistarla con qualche battuta scadente, magari. Maledizione, lui detestava le romanticherie. Damian Eckhard avrebbe avuto il piacere. , si disse, meglio così, davvero.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***






Eva Argento amava farsi notare, ma non troppo. Era principalmente per questo che adesso se ne stava in piedi, lì, di fronte all'armadio, con una lista dei pro e dei contro – utilissimo metodo di selezione quando si parlava di ragazzi e di vestiti – che l'aiutasse a decidere quale abito avrebbe dovuto indossare.

Di solito non faceva così tante storie, lei, ma be', ecco... non lo sapeva nemmeno lei il motivo di tanta agitazione. Sentiva che sarebbe stato diverso, quella sera. . Che doveva presentarsi al meglio.

Infondo aveva un appuntamento, lei. Poteva sembrare strano, ma non ne aveva mai avuto uno, uno vero, s'intende.

Teodoro Arrighi era un bravo ragazzo. Ogni suo sguardo, tra algebra e filosofia, faceva sì che Eva assorbisse, ogni giorno, quella piccolissima porzione di romanticismo che le era sempre mancata. Per questo, sì, proprio per questo, a colazione aveva preso a raddoppiare la dose di zucchero nel caffè: le pareva di assecondare quel disperato desiderio misto ad invidia che sentiva bruciarle nel petto, osservandolo mentre spostava la sedia per far accomodare la fidanzata della settimana. Voleva assecondarlo: era una minuscola sofferenza alla quale si era affezionata, dopo tutto quel tempo; la fiction che viveva e cresceva con innumerevoli risvolti dentro di lei, con lui come protagonista, che l'amava silenziosamente.

Oh, certo, si era immaginata tutto quanto, poteva farlo perché lui era l'unico ragazzo che non l'avrebbe mai conosciuta. O almeno questo era quello che aveva sempre pensato fino a quel momento. Era troppo cortese, lui, si era detta più volte, per conoscere qualcuno. Quando si è cortesi, infatti, si finisce sempre per parlare con troppe persone, e mai di se stessi.

Ma Eva non si era inventata proprio tutto, rifletté, ravvivandosi il caschetto bruno: ricordò quanto si era sentita lusingata, imbarazzata, forse, dalla sua timidezza, dal suo modo di guardarla durante la lezione di francese, dal modo in cui arrossiva quando lei gli sorrideva, dal “Ciao” impacciato che le rivolgeva ogni santa mattina. Lui, era diverso. Era un dato di fatto che l'avrebbe costretta a fantasticare fino alla fine del liceo. Ed era così, fantasticando ed ingurgitando massicce dosi di zucchero, che Eva riusciva ad affrontare, tutti i giorni, quelle relazioni senza sentimento con le quali aveva sempre avuto a che fare.

Le portavano patatine fritte, i ragazzi, e quando le portavano un gelato, una misera coppetta riempita con del pessimo cioccolato, poteva dirsi fortunata, perché voleva dire che aveva incontrato un galantuomo: uno disposto a concederle giusto il tempo di mangiarsi quel gelato, scambiare due chiacchiere, e poi fare quello che facevano tutti. Un galantuomo... sì perché quelli delle patatine, invece... bastava dire che le patatine gliele offrivano solo dopo quello che facevano tutti. Ma quella sera sarebbe uscita con lui, con Teodoro. Avevano un appuntamento, loro. Sorrise sistemandosi la frangetta.

Be', che c'era di male nel voler essere corteggiata? Certo, lei sapeva accontentarsi, anche perché, si diceva, era davvero difficile trovare un ragazzo disposto a farti la corte. Un ragazzo carino, ovviamente. Non come Michele Merri, che si ostinava a strappare tulipani dai giardini ben curati del Faust per poi donarli a lei, con le radici penzolanti piene di terriccio. Oh, povero ragazzo, davvero non voleva capire che non aveva speranze. Anzi, davvero non voleva capire. O meglio, davvero non capiva. Niente.

Che poi, si disse, uno sguardo allo specchio, come si poteva riconoscere il ragazzo giusto, il galantuomo, quello gentile, quello senza secondi fini, quello che non punta solo a sollevarti la gonna, senza un po' di esperienza?

Non si poteva. Rivolse uno sguardo preoccupato ad Amalia, i capelli ancora bagnati tirati su. La sua smania di proteggerla l'aveva portata ad autorizzare la sua quasi totale mancanza di rapporti con l'altro sesso. Ma si rendeva conto che era sbagliato. Non che temesse chissà cosa, Amalia, non era neppure timida, in realtà, solo, le diceva, che senso avrebbe avuto mettersi a baciare un mucchio di rospi sapendo che sono tali? Già.

Lei, Eva, di rospi ne aveva baciati parecchi. Teodoro Arrighi non aveva l'aria da rospo, e se da un lato straripava di felicità all'idea di conoscere un potenziale principe, dall'altro era a dir poco terrorizzata. Sbuffò di fronte allo specchio mentre consultava, frenetica, la lista compilata poco prima. Oh, quel vestito non le stava affatto bene. E allora qual'era il migliore? Quello che le valorizzava il petto o quello che le scopriva le gambe?

Si voltò a guardare l'amica e “Sei ancora in pigiama – cominciò, le mani sui fianchi – e poi che aspetti ad asciugarti i capelli?”

Amalia le rivolse uno sguardo sconsolato.

Ah! - fece – quindi... speravo mi lasciassi venire così”

Decisamente no”

Che peccato”

Muoviti!”

Sarebbe stato divertente”

Prova questo”

Avreste qualcosa di cui parlare, tipo...”

Amalia si vide porgere un abitino nero.

Tipo... ehi, guarda che si è messa Amalia!” continuò.

Avanti provalo”

Sbuffò. Un appuntamento, ma che diavolo le era venuto in mente? Avrebbe dovuto spedire Eva a cena con Teodoro, loro due da soli. Infondo lei non era di certo una timidona. Maledizione. Perché si era dovuta impicciare nelle relazioni altrui? Che poi, loro due, non l'avevano neanche, una relazione. E adesso avrebbero preteso un comportamento consono da parte sua, lei, che era solita comportarsi da orco antisociale, assolutamente poco incline alle chiacchiere inutili, ed era questo che avrebbe dovuto fare con Damian Eckhart: parlare del tempo, sentirlo che descriveva le partite di pallone, mostrarsi interessata ai suoi interessi, ai suoi passatempi, e lei avrebbe replicato con un “Be', io... studio”.

 

 

Be', io... studio” affermò Amalia sorseggiando quell'acqua naturale di cui andava tanto fiera. Non aveva fatto altro per tutta la serata, sorseggiare, appunto, con estrema lentezza. Tagliare la carne che aveva nel piatto con perizia, in pezzetti piccolissimi, tanto per tenersi occupata. Che poi, quella carne, non l'avrebbe nemmeno mangiata: Eva le aveva propinato quell'abitino nero che , non poteva essere definito in alcun modo se non abitino.

Le stava dannatamente stretto. Stretto. Stretto, accidenti. A malapena respirava, ma qualunque obiezione era risultata vana, perché le stava così bene, le aveva detto Eva.

Amalia si infilò una mano tra i capelli con evidente fastidio. Le aveva pure permesso di sistemarle quella matassa che aveva in testa, e adesso, per l'appunto, si ritrovava con almeno un milione di forcine piantate con forza nella nuca. Ebbe l'ardire di sfilarne una, e un'altra.

Che pensi di fare?” le sussurrò minacciosa l'altra pizzicandole un braccio.

Sospirò, gliel'aveva promesso. Le aveva promesso che avrebbe fatto di tutto purché quell'appuntamento andasse a buon fine.

Anche chiacchierare con Damian Eckhart. Anche tollerare gli sguardi che lui lanciava insistentemente verso la sua scollatura. Anche morire di fame per evitare che quel vestito le esplodesse addosso. Anche sopportare il dolore lancinante che le provocavano quelle maledette scarpe eleganti. Decisamente, aveva bisogno di pantofole e pigiama. E un bel cornetto farcito. E una bella cioccolata calda.

Avrebbero stipulato un contratto, lei ed Eva, al ritorno. Le avrebbe fatto promettere che mai più l'avrebbe costretta ad imbellettarsi, presenziare ad un evento del genere, lasciare che un idiota qualunque la fissasse, che sbavasse sul tovagliolo di un ristorante di lusso, mai più l'avrebbe obbligata a sorridere come una scema, come se non vedesse proprio l'ora di ascoltare gli entusiasmanti discorsi sgrammaticati dell'idiota in questione - senza una degna ricompensa.

Come sai mio padre è senatore – riprese Damian Eckhart riempiendole il bicchiere con del vino rosso – c'è sempre qualcuno che ci fa un regalo o due.”

Ripose la bottiglia.

L'ultimissimo regalo che ci hanno regalato è uno yacht nuovo nuovo, ovviamente ce n'avevamo già uno – non bevi?”

Ma certo.” Lentamente accostò le labbra al bicchiere, assaggiando appena la bevanda.

Mio padre dice che un giorno di questi ci impara a guidarlo – sorrise – aspetta che divento bravo e vedrai! Ti porto nel Mar Rosso, che tanto è proprio qui dietro.”

Proprio qui dietro, sì.”

E lo sai proprio perché il Mar Rosso?”

No, non lo so davvero.”

Perché il rosso è il colore dell'amore”

Già, come la banana che è...”

Una forte gomitata le arrivò alle costole impedendole di continuare. Si voltò, Eva la fissava con disapprovazione, Teo reprimeva a stento una risata.

Damian Eckhart dal canto suo continuava a guardarla ammaliato, come se non riuscisse a cogliere tutta quell'ostilità che Amalia tentava disperatamente di trasmettergli.

Bene – cominciò Teodoro – chi vuole il dolce?”

Lei lo voleva, e lo ordinò. Ordinò una bella fetta di torta al cioccolato mandando a quel paese le scarpe scomode ed il vestito stretto.

Oh, no, non lo voglio con la cioccolata che dopo non mi riesce prender sonno – Damian ignorò il cameriere, girando di nuovo la testa verso di lei – lo sapevi che il cioccolato fondente c'ha dentro la caffeina?”

Amalia si decise a mordersi la lingua per l'ennesima volta.

No, non lo sapevo proprio.”

Ma sì che lo sapevi, scemina! L'hai ordinata apposta! Vorresti rimanere sveglia stanotte, eh?”

Ed ecco che il lieve rumore di bicchieri, cucchiaini, forchettine sbattute contro i piatti, cessò: gli astanti presero a fissarla aspettando una reazione, i volti preoccupati ad osservare l'espressione cupa di lei, lei che si affettava la lingua con i denti per timore che tutti gli insulti che le frullavano in testa si riversassero senza pietà su quel babbeo assolutamente privo di pudore. E di buonsenso. E di ogni possibile forma di intelligenza.

Veramente no.” fece secca, misurando la voce.

Parve deluso, ma non volle arrestarsi, facendo sfoggio della sua immensa cultura.

E lo sai chi l'ha inventata la cioccolata?”

Fammi indovinare, Willy Wonka?”

Gli occhi di lui si illuminarono di stupore.

Brava!” esclamò accennando un applauso.

Eva cominciò a bofonchiare parole incomprensibili, sputacchiando briciole di torta qua e là per il tavolo.

Guardò Amalia che adesso abbandonava la guancia sinistra al palmo della mano, un gomito poggiato di fianco al piatto, osservando a sua volta il suo accompagnatore, l'aria incredula mentre lo vedeva finire anche gli avanzi di Teo.

Scusami” le sussurrò all'orecchio.

Mi devi un favore enorme – si sfilò un'altra forcina – enorme.”

 

 

 



Che aspettava in ansia il loro ritorno già un paio d'ore, Andrea Lindon se lo sarebbe sicuramente portato nella tomba. Durante la prima mezz'ora aveva girovagato nell'atrio con la scusa di prendere un po' d'aria. Dopodiché, dopo un'intima conversazione con se stesso, Lady Diana ed una bottiglia di Whisky, aveva ammesso che non gliene fregava niente dell'aria, o del freddo, o del futuro delle Nazioni europee. No, voleva solo sapere che fine aveva fatto Teo, com'era andata, se era andata bene, come si era comportato Eckhart... Ecco, su questo punto era molto esigente, pretendeva una spiegazione più che completa.

Sì, perché Eckhart, nei giorni precedenti, non aveva fatto altro che vantarsi con i compagni del fatto che sarebbe uscito con Amalia Sperelli, e che, chissà, magari sarebbe successo qualcosa. Sì, qualcosa sarebbe sicuramente successo, si disse Andrea a denti stretti. Chissà, magari la tua testa avrebbe accidentalmente sbattuto contro una colonna. Chissà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bene, eccoci all'ottavo capitolo. Ci ho messo un po' per finirlo, ne approfitto per scusarmi per il ritardo! Ho avuto tantissimo da fare, purtroppo. Spero abbiate apprezzato! Consigli e correzioni sono sempre benvenuti!

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 

Andrea prese ad ispezionare il terzo ed il quarto piano, maledicendo l'entità maligna che lo aveva costretto a rimanere sveglio, quella notte. Quel demonio spietato che gli appioppava certi fastidiosi, orribili, romantici, svenevoli pensieri. La sua mente – che in condizioni normali non avrebbe mai osato immaginare, o anche solamente sfiorare, quegli improbabili avvenimenti, quei dialoghi senza senso ideati dalla sua ragione malata solo per veder le labbra di lei che si muovevano – continuava ad escogitare certi piani, ad inventare stupide, eroiche storielle per sentimentalisti, delle quali non voleva assolutamente essere il protagonista. La sua dignità si sarebbe suicidata di lì a poco. La sua virilità rimaneva appesa alla barba chiara di due giorni. E quella barba, si disse, per evitare un'altra morte, quella del debole vigore maschile che gli era rimasto, non se la sarebbe rasata per altri due giorni.

Macché! Se te l'hanno regalato per Natale viene dritto dritto dal Polo Nord!”

Eccolo là, il babbeo. Andrea lo osservò, quel babbeo, che adesso scortava Amalia Sperelli su per le scale, una mano tesa sulla sua schiena scoperta.

L'espressione corrucciata di lei diceva tutto quello che c'era da sapere a proposito della serata. E che si aspettava? Ovviamente, sarebbe stato completamente diverso, si disse, se lei, quella stupida, avesse accettato di uscire con lui, Andrea, quello attraente, quello... perché no? Quello intelligente.

Fece un passo avanti - lui, quello attraente e intelligente - e si grattò il mento, complimentandosi per la lunghezza della barba: di certo, nessuno avrebbe messo in dubbio la sua virilità.

Quell'aspetto trascurato, pensò, che rischiava di costargli il diseredo, l'avrebbe reso ancora più affascinante. Gli avrebbe facilitato, senz'altro, la cattura di nuove, ben educate pulzelle provenienti da ottime famiglie. Sempre se ce n'erano, di nuove.

Be', se proprio doveva dirla tutta, era un po' che vedeva sempre le stesse facce. Facce carine, per carità, ma Andrea non poteva certo azzardarsi a frequentare sempre le stesse ragazze.

Chi le avrebbe sopportate? Loro, e le loro stupidissime fisime per le storie d'amore e blablabla.

Già si figurava arpionato da chissà quale megera, costretto a partecipare ai pranzi di famiglia, prendersi per mano in pubblico, fare regali a Natale, ricordarsi dei compleanni. E poi c'era San Valentino. E perché non mi chiami mai? e te ne stai sempre con quell'idiota del tuo amico, e perché non ci guardiamo Titanic? No, niente Titanic. Niente San Valentino. Mai.

Il suo sguardo non poté non indugiare sull'abito di lei – una semplice svista - ed anche quello di Eckhart, il babbeo - notò con disappunto. Stizzito, avanzò di un passo. Le sue guance divennero appena più rosa mentre osservava lui che a sua volta guardava lei, già da qualche minuto. Da troppo tempo, comunque.

Lo vide che la braccava, aggressivo, mentre Amalia, le scarpe nella mano destra, un cappotto scuro nella sinistra, procedeva più veloce, nel tentativo disperato di sfuggire alle mani di lui che l'afferravano continuamente per la schiena, strisciando lentamente sulle scapole.

Lindon!” esclamò lei, agitando in aria le scarpe.

Lindon” ripeté accennando una corsa per raggiungerlo.

Cosa?”

La vide spostare il peso da un piede all'altro. La vide voltarsi e trattenere un sospiro annoiato di fronte al suo accompagnatore, il quale l'aveva prontamente seguita, come avrebbe fatto il più nobile dei cavalieri, del resto.

Eckhart – cominciò, un riccio caduto sull'occhio destro – adesso puoi andare, sai, noi dobbiamo parlare di una cosa molto importante e...”

Davvero?”

Sì, Lindon, non ricordi? - un pizzicotto – ti ho cercato tutto il giorno ieri, ma proprio non ti trovavo!”

Oh, sì! - si massaggiò il braccio – è davvero tanto, tanto importante Eckhart, infatti tu ora...”

Sì, dovresti...”

Vattene”

Lindon!”

Spallucce. Damian Eckhart, fin'ora rimasto in silenzio, boccheggiò un paio di volte e “Ma io – si lamentò – io, ti dovevo accompagnare, noi...”

Mi accompagnerà lui!” incalzò Amalia. Andrea gonfiò il petto: “L'accompagnerò io!” esclamò a sua volta, lisciandosi la cravatta.

Allora, allora...”

Sì, sì, sì, buonanotte!” sbottò Andrea agitando le mani.

Già, buonanotte” concordò l'altra accennando un sorriso di cortesia. E quel sorriso mutò subito dopo, trasformandosi in una smorfia di disgusto quando lui, il babbeo, afferratole il braccio, si sporse a darle un bacetto appiccicoso sulla guancia.

Buonanotte!” ripeté Andrea agguantando il gomito di lei, il petto sempre più gonfio.

Buonanotte” affermò infine il babbeo.

Uno sguardo deluso ed un minaccioso “Ci vediamo domani” conclusero quella circostanza tanto strana.

Amalia tirò un sospiro di sollievo e prese a camminare, i piedi che congelavano contro il pavimento di marmo.

Non devi accompagnarmi sul serio” mormorò.

Non ti sto accompagnando – Andrea rallentò il passo – devo andare di là e basta.”

Camminarono in silenzio per un po', lei in vantaggio di un paio di metri. Così aveva deciso lui, fermandosi in mezzo al corridoio per qualche minuto, aspettando che lei fosse sufficientemente lontana, così che nessuno avrebbe potuto immaginare che lui, Andrea, la stava accompagnando da qualche parte.

Amalia sbuffò sfilandosi dai capelli una forcina. Si fermò, voltandosi a guardarlo.

Sorrise, divertita.

Be', – cominciò – ti muovi?”

Io non ti sto accompagnando.” Ripeté lui, un'occhiataccia torva.

Lei incrociò le braccia al petto. Un largo sorriso stampato sul volto.

Accompagnami, allora.”

Oh, ecco un'altra stupida, eroica storiella per sentimentalisti: lui che la scortava fino alla stanza di lei. E magari le avrebbe pure prestato la sua giacca. Ma che prestato! I gentiluomini la regalano, la giacca. Ma poi perché avrebbe dovuto farlo? Aveva un cappotto, lei, tra le mani. Poteva indossarlo, se sentiva freddo. E che accidenti aveva da sorridere tanto, quella là. Dannazione. Ma che si arrangi, pensò, arrestandosi di colpo proprio lì, in mezzo al corridoio, a contemplare la parete bianca, spoglia, certo che quella visione non avrebbe danneggiato la sua salute mentale in alcun modo. Non come lei, con quella cosa nera addosso.

Un rumore di passi affrettati lo informò che si stava avvicinando, lei, con quella cosa nera addosso. Non si poteva vedere, quell'affare, era troppo... troppo... era troppo. Ecco, c'era troppo da vedere.

Strinse gli occhi costringendosi a non girare la testa nemmeno una volta, nemmeno per accertarsi che fosse davvero lei, quella che si avvicinava.

Quanto sei stupido.”

Oh, certo che era lei. Quella era la sua voce, la sua dannatissima voce. Ed era sua la mano quella che gli afferrava l'avambraccio, trascinandoselo dietro. Ed era sua la schiena bianca, spoglia, quella che adesso si trovava davanti. Una visione che avrebbe irrimediabilmente compromesso la sua salute mentale. E perché no? Anche quella fisica, ora che le sue mani cominciavano a sudare, e tremare, e sudare di nuovo. Come se non vedessero l'ora di toccarla quella schiena bianca, spoglia. Sarebbe stata liscia, non come la parete.

Come se volessero cancellare le tracce delle mani di Eckhart, riappropriandosi di ciò che apparteneva loro. Non a lui, a Eckhart. E nemmeno ad Andrea. Solo alle sue mani.

Figurarsi. Lui, Andrea, non poteva vantare il possesso di niente che la riguardasse.

Non sapeva farla ridere, ed erano anni, ormai, che non riusciva più ad estorcerle una lacrima.

E non gli raccontava mai niente, lei.

Ancora quella sensazione sgradevole.

Eppure se lo trascinava dietro, Amalia. Come se si fosse affezionata alle piccole sofferenze che lui le provocava.

Gli sorrideva, a volte.

La vide che apriva la porta scura della sua stanza. Lo spinse dentro malamente. Gettò il cappotto su una sedia, alle scarpe toccò il pavimento.

Che stai facendo?” borbottò lui contrariato.

Ti devo parlare davvero di una cosa importante.” La vide tirar giù, di poco, di pochissimo, giusto qualche centimetro, la cerniera di quel maledetto vestito, nascosta su un fianco, sotto la stoffa nera.

Le sue mani si allarmarono, sudando, tremando ancora di più.

Andrea le infilò nella giacca, temendo che fuggissero, magari, che andassero davvero da lei a... a... a palpeggiarla! Si schiaffeggiò la fronte, rimproverandosi per quello sciocco pensiero e “Che stai facendo?” ripeté trepidante.

Oh, non riuscivo a respirare.”

No, no, smettila! - afferrò il cappotto – avanti, avanti, copriti!”

Amalia lo guardò accigliata mentre lui le afferrava le braccia per infilargliele nelle maniche.

Tu sei pazzo” decretò lei. Lasciò che lui le allacciasse i bottoni fino al collo e “È così che dovevi uscire, stasera.” fu il commento di Andrea, una volta terminata l'impresa.

Sto scoppiando di caldo.”

Oh, be', sempre meglio del freddo.”

Amalia roteò gli occhi. Le guance arrossate, i capelli scomposti.

Comunque, – riprese, un bottone slacciato – so che non ti piace Eva – un altro di meno – ma, ecco... - un altro ancora – a lei Teo piace davvero, quindi – sfilò il braccio destro dalla manica – per favore, - anche il sinistro – non rovinare tutto.”

Ma tu lo sai quanto ho faticato per metterti quel maledetto coso?”

Maledizione Lindon, hai capito quello che ti detto?”

Ma sì, sì, sì! - sbuffò – certo!”

Prese a girare in tondo.

No che non rovinerò tutto.” Si strofinò il mento, pensieroso.

Ma mica lo faccio per te, sia chiaro!” aggiunse subito dopo.

Oh, non mi farò illusioni.”

Bene.”

Bene.”

Un'altra cosa...”

Che c'è?”

Mi aiuteresti con questi?” La vide indicarsi i capelli, tirati su da chissà quale diavoleria.

No! - sbottò inorridito – io non... non mi metterò a farti l'acconciatura, Santo Dio!”

Ma lo fece. Bastò qualche supplica e cominciò a toglierle quelle maledettissime forcine dalla testa. Assurdo. Ridicolo. Si diede dello stupido.

Cretino. Imbecille. Imbecille come pochi. Imbecille come Michele Merri.

Eva Argento non gli era mai piaciuta, adesso, però, la detestava con tutto se stesso.

E la barba, la sua povera barba! Poteva sentirla che tornava indietro, rinfilandosi nella pelle, vergognandosi di crescere sul viso di una femminuccia.

Lui, costretto a fare quelle cose da donne.

Le sistemò una ciocca sulle spalle, agiva delicatamente nel timore che il mostro che le viveva in testa, sotto a tutti quei capelli, nella giungla intricata che erano, si svegliasse e lo aggredisse. Era sicuro che ci fosse una piovra lì dentro, o qualcosa del genere.






 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


 

 

 

Agata, scrisse Amalia sullo schermo polveroso di un vecchio computer del laboratorio 2b, quinto piano.

Agata, - riprese, un piccione che la disturbava, picchiettando il becco contro il vetro di una finestra - davvero non riesco a capire che senso possa avere mandarmi una cartolina da Firenze. Io ci abitavo, là, non so se te lo ricordi. Dormivamo pure nella stessa stanza. Se proprio ti mancavo, potevi scrivermi per posta. Ecco, dovresti fare pace con la tecnologia, basta con questa condotta di vita da Amish. Lo so, non lo sai che cos'è un Amish, quindi lascia perdere, evita di mandarmi un'altra cartolina – da Firenze – con il Ponte Vecchio, magari, solo per chiedermi che cos'è un Amish. Non ti risponderei.

Non avrei risposto nemmeno a quella con gli Uffizi, per la verità, ma dovevo dirti che quei tuoi sproloqui sulla Signora Lindon erano incomprensibili. Dimmi un po', cos'è questa storia del tuo compleanno?

Fatti sentire, per telefono magari.

Amalia.

 

Invia. Con le stesse quattro note lo schermo polveroso divenne nero. Adesso sì che si vedeva bene, tutta quella polvere.

Amalia la guardò, fissandone un piccolo mucchietto sullo spigolo destro. Con un cenno lo salutò, raddrizzandosi sulla sedia: erano suoi amici, quegli acari. Solo quelli, però, che stavano in comunità nel piccolo mucchietto di polvere, sullo spigolo destro dello schermo.

Loro non l'avevano mai abbandonata, sfuggendo alle pulizie del mercoledì, stringendosi tutti in quell'angolino, per timore di venir spazzati via, e non vederla più, lei. Quella ragazza sempre troppo seria con quegli occhi sempre troppo stanchi.

Andava sempre a trovarli, lei, i suoi piccoli amici. Da un paio d'anni si sedeva sempre alla stessa sedia, di fronte allo stesso schermo nero. Lo faceva diventare blu, quello schermo, premendo un paio di tasti a caso. Le piaceva. Adorava fingere che quegli acari la ascoltassero, mentre lei, stanca, borbottava parole senza senso e qualche imprecazione, quasi sempre indirizzate alla sorella maggiore, Agata.

, si disse, massaggiandosi le tempie. Era davvero una ragazza strana, Agata.

Be', probabilmente lei avrebbe detto lo stesso di Amalia, sua sorella, la sorellina, quella che veniva costretta a frequentare i campi estivi, alla quale venivano portati via, non senza difficoltà, le biografie di Lucrezia Borgia, di Enrico VIII, di Ivan il Terribile, Gandhi, Lenin, Elizabetta I d'Inghilterra... per il suo bene, per permetterle di giocare con gli altri bambini, - come se non sapesse quel che si perdeva - di fare amicizie. Ah, come gridava, la piccola Amalia, mentre si vedeva togliere quei tomi polverosi che amava tanto, stretti tra le mani di quegli antipatici animatori, ai quali piaceva pensare che tutti i bambini fossero stupidi perché... perché... perché erano bambini.

Ma a cinque anni si è una persona completa*, si ripeté nella testa, un credo religioso ereditato dalla letteratura francese. Uno dei tanti.

Non che a cinque anni fosse in grado di leggere biografie, Amalia. Le sue disavventure ai campi estivi, infatti, erano cominciate a partire dai sette anni.

Prima, si era divertita a sentirsi adulta, già dai tre anni e mezzo, riempiendo fogli bianchi di linee curve, ininterrotte, con segni tutti uguali, che aveva deciso di copiare ai pediatri che l'avevano visitata.

Amava fingere che in quei fogli pieni di “eeeee” e “llllll” - perché le sembrava che gli adulti non fossero in grado di scrivere altro – ci fossero importantissime informazioni storiche, e allora, infilandosi il cappello beige del nonno, si nascondeva dietro qualche vecchio mobile, intimando a tutti i presenti di rimanere in silenzio poiché c'era in corso una spedizione archeologica di fondamentale importanza.

Ma tali divertimenti, che Amalia prendeva così sul serio, non erano stati sempre possibili, infatti la tirannica presenza della sorella maggiore le aveva impedito spesso di svolgere adeguatamente le proprie mansioni come archeologa, scrittrice, editrice, dottoressa e veterinaria.

Sì, Agata non la perdeva mai di vista, tirandole ogni tanto i capelli e spingendola via dall'altalena. Nondimeno, era incredibilmente protettiva: Amalia non dovette mai preoccuparsi di servire altri dittatori. Alla paffutella Rebecca Senna, che soleva rubare le merendine ai compagni, Agata Viola aveva tirato uno schiaffo così forte da farla cadere nel vicino fosso fangoso. Rebecca Senna non osò mai più avvicinarsi ad Amalia.

Un paio di volte, Agata era anche riuscita a difenderla dalle angherie del capriccioso Andrea Lindon, il quale, però, corso dalla mamma, aveva fatto sì che la più grande delle sorelle Viola divenisse ospite indesiderata alla Villa: un tacito accordo stretto tra le labbra ricurve e serrate di Angelica Sergenti e l'espressione incredula dell'amica Marta Sperelli.

Era principalmente per questo che Amalia aveva storto il naso, quella mattina, leggendo il contenuto di quella cartolina, nella quale pareva ci fosse scritto, in una pessima calligrafia, che la Signora Lindon aveva chiamato Agata con lo scopo di farle i suoi più sinceri auguri – in anticipo – per il suo compleanno, chiedendole con insistenza di darle la possibilità di organizzare una festicciola con i nonni Viola, a casa Lindon.

Davvero una strana novità, stranissima, soprattutto perché Amalia e la sorella non avevano più avuto notizie dai Lindon – tanto meno avevano ricevuto degli auguri – da almeno tre o quattro anni.

Che Angelica Sergenti volesse rientrare nelle grazie dei facoltosi Signori Sperelli? Possibile. Possibilissimo dopo lo sperato divorzio tra i coniugi Marta e Giorgio Viola, divorzio che aveva fatto sì, come diceva la nonna Ines, che la reputazione della famiglia resuscitasse.

 

 

 

 

 

 

 

 

Amalia si riempì il bicchiere e sbatté con forza la brocca contro il tavolo. Violetta Baccelli sobbalzò, interrompendosi proprio sul vivo del suo appassionato racconto: la sua notte con Andrea Lindon. Le amiche protestarono mugolando e le mani di lei, di Violetta, ripresero a sventolare in aria un eccentrico foulard, descrivendo nel dettaglio l'ardente incontro della sera prima.

Se ne stava lì, tutto solo!”

Ooh” rispondeva all'instante il coro che la circondava.

Beatrice Ciniglia sospirò con aria sognante, Carola Chiodo guardava in cagnesco la compagna, conscia del fatto che sarebbe stato difficile deliziare le amiche con una storiella migliore di quella di Violetta Baccelli. Fino ad allora era stata lei, sì, lei e le sue avventure in corridoio con Damian Eckhart, le toccatine che lui le lanciava sotto la gonna, l'argomento più discusso al loro tavolo.

Violetta Baccelli, pensava Carola Chiodo, gli occhi stretti a fessure, non era nemmeno granché. Osservò la chioma scura, riccia, scomposta di lei. Chiunque conoscesse un poco la vita sentimentale di Andrea Lindon sapeva che Violetta Baccelli non era certo il suo tipo.

Non che fosse semplice conoscere la vita sentimentale di Andrea Lindon, rifletté Carola. Non lo era, soprattutto perché Andrea Lindon non aveva una vera e propria vita sentimentale, lui aveva... aveva... aveva una sentimentale e basta. Spesso, infatti, era così ubriaco che nemmeno si rendeva conto di flirtare con qualcuna – o qualcosa - questa non era certo una vita. Che poi non era nemmeno sentimentale. Sarebbe stato infinitamente più giusto parlare di vita sessuale, ma poiché non era una vita, doveva chiamarsi una sessuale e basta.

Era là, solo!” ripeté Violetta, sorridendo estasiata.

Poverino!” esclamarono in coro le compagne.

Già, povero cristo, si ritrovò a pensare Amalia, un biscotto addentato aggressivamente.

Quando mi ha vista, mi ha sorriso, sapete!”

Ooh!”

Mi ha abbracciata con una tale dolcezza!”

Con una tale dolcezza! Un altro morso.

Allora io gli ho detto che mi chiamo Violetta – Violetta Baccelli gonfiò il petto d'orgoglio – figuriamoci se mi faccio stantuffare da uno che non sa come mi chiamo.”

Ovviamente. Amalia agguantò un altro biscotto, lo stomaco che le ordinava di mangiare.

Solo che io volevo proprio che mi stantuffasse per bene – continuò l'altra – per questo gli ho detto subito che mi chiamo Violetta.”

Se lo sarà scordato dopo due secondi.” fu il crudele commento di Carola Chiodo. Alcune ridacchiarono, Violetta Baccelli, l'aria indignata, alzò il mento, precipitandosi a spiegare che no, non era affatto vero, e che, anzi, se proprio voleva saperlo “mi ha chiamata Viola tutta la notte!”

Ooh!”

Ooh!” ripeté Amalia, l'espressione infastidita ad imitare le compagne. Il suo sorriso canzonatorio si spense quasi subito, quando, tra i loro “Ti sta bene!” il grande biscotto inzuppato che teneva sospeso, si spezzò, andando a spiaccicarsi sulla sua camicetta.

Che fossero vere tutte le sciocchezze che raccontava Violetta Baccelli? Davvero la sera prima - dopo tutto, tutto quello, quello, sì, insomma! Dopo averla accompagnata nella sua stanza, dopo averla aiutata coi capelli, dopo quella che le era parsa una scenata di gelosia – davvero si era ubriacato per poi stantuffare Violetta Baccelli?

Si sentì stupida: non avevano condiviso chissà quale avventura romantica, lei e Lindon. Eppure il suo stomaco le suggeriva che sì, qualcosa c'era stato. Magari niente di romantico. Magari niente di percepibile concretamente. A occhio nudo. Magari le serviva solo un microscopio, o forse doveva semplicemente continuare a mangiare.

Ma davvero lo aveva fatto?

Oh, non era in sé quel giorno. La sera prima si era presa un raffreddore, per questo non ragionava. Be', c'entrava anche il suo stomaco.

Amalia abbassò lo sguardo, scacciando quei terribili pensieri che il suo sconsiderato, avaro, crudele stomaco le stava propinando, senza pudore, per costringerla ad ingoiare altri biscotti. Per farla impazzire, per rimbambirla, così non avrebbe più posto limiti ai pasti.

Un nuovo gridolino eccitato la spinse a guardare il tavolo vicino.

Oh, quant'erano belli i romanzi rosa! Imboccò la tazza, la lingua carica di sarcasmo che minacciava di lasciar andare qualche insulto.

A proposito di insulti: riconobbe l'esile figura di Eva che si avvicinava, lanciandole un'occhiataccia.

Non hai niente da dire?” chiese Eva a bruciapelo, afferrando una sedia dal tavolo vicino.

Per tutta risposta Amalia grugnì.

Suppongo sia un no.”

Ingoiò un sorso di caffè.

Mi dispiace se ti è morto il gatto.”

Io non ce l'ho un gatto”

Il cane?”

Le labbra di Eva si curvarono impercettibilmente verso l'alto. Incrociò le braccia al petto.

So cosa hai fatto!”

Un altro sorso di caffé.

Era così gentile con me, sapete! - raccontava Violetta – e ci baciavamo, e ci baciavamo e ci baciavamo!”

Amalia non riuscì a trattenere un sospiro d'impazienza.

So cosa hai fatto!” Ripeté Eva puntandole il dito contro.

Che vuol dire? Io non ho fatto niente – si riempì la tazza – cioè, ho fatto molte cose, ho mangiato, dormito, letto un po'. Adesso, vedi, sto mangiando di nuovo, ma...”

Non fare la finta tonta”

Ma niente di male, comunque.”

Niente da dichiarare, allora”

Esatto”

Bene.”

Bene.”

Bene, speravo mi raccontassi tutto di tua volontà, ma in questo caso...”

Amalia si raddrizzò sulla sedia, lo sguardo che rimbalzava sull'amica nel tentativo di percepire un qualche indizio, qualcosina che l'aiutasse a capire che accidenti stava succedendo.

Non ne trovò, ma non dovette attendere molto: la vide sfilare dalla borsa un ammasso di stoffa, che si rivelò somigliare incredibilmente ad una giacca maschile.

Ecco dove l'avevo lasciata!” Ad Amalia mancò un battito.

Andrea Lindon, i capelli in disordine, afferrò la giacca blu, togliendola dalle mani di Eva, la quale, gli occhi sgranati, la bocca spalancata, spostava lo sguardo dall'uno all'altra.

Mi ha addirittura detto che mi ama!” Esclamò in quel momento Violetta Baccelli.

Il coro femminile impazzì.

Sei una bugiarda Violetta!” Gridò Carola Chiodo in preda alla disperazione.

Oh, guardati, sei verde d'invidia!”

E poi che è successo?” incalzò Beatrice Ciniglia sporgendosi dalla sedia.

Amalia si coprì la fronte con il palmo della mano.

Oh, be', lui... si è addormentato.”






 




*“Ma a cinque anni si è una persona completa”: fa riferimento all'opera autobiografica di Simone de Beauvoir, Memorie d'una ragazza perbene, nella quale l'autrice scrive: “mi ripromisi che quando sarei stata grande non avrei dimenticato che a cinque anni si è una persona completa.”

 


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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Prima di tutto mi scuso, è tantissimo che non aggiorno e mi sono davvero sentita in colpa.

Probabilmente di qui al capitolo 12 passerà parecchio tempo (anche per questo mi scuso in anticipo). Questo capitolo è un pochino più corto degli altri, spero apprezziate comunque.

Se trovate qualche errore fatemelo presente!

 

 

 

 

 

 

Capitolo 11

 

 

Qualcuno avrebbe potuto chiedersi il motivo di tanto trambusto. No, non trambusto, perché Amalia Sperelli, in fin dei conti, non aveva gridato, né si era messa a piangere, e nemmeno aveva osato rivolgere ai presenti parole che potessero risultare offensive – per quanto lo avesse desiderato. No, quasi in punta di piedi, sfruttando il rumoroso litigio tra le affiatate amichette di Violetta Baccelli, aveva lasciato la stanza, chiudendosi il portone alle spalle.

Ti ho detto che ama me!” La voce stridula di Violetta risuonò fin dentro l'atrio spaventando un gatto randagio – del quale si prendeva cura la Professoressa De Witt, tentando di mettere a posto la coscienza, magari - che, preso com'era dalla toletta mattutina, sussultò cadendo dal comodo gradino sul quale stava adagiato.

Un paio di studenti fuggirono dalla suddetta stanza tenendosi le orecchie tappate, gli occhi stretti in un'espressione disperata.

E come dar loro torto? Pensò Amalia, slacciandosi con foga la giacca, il palmo della mano che si spalmava sulla fronte alla nuova, sudata dichiarazione di Violetta, la quale, poverina, si stava sgolando da almeno un quarto d'ora, e senza alcun successo, pergiunta, considerando che Carola Chiodo continuava a darle della “Bugiarda!”.

Indispettita, la fronte aggrondata, Amalia prese a salire le scale.

E così.” Sospirò una voce vicina.

Lei sobbalzò, voltandosi lentamente: Eva, la schiena poggiata contro il portone, la fissava.

E così. - ripeté, il tono sospeso, lo sguardo divertito. La strana espressione che aveva sul volto le parve un sorriso, animato dal colore delle guance, più rosa del solito, e da un'indecifrabile luce negli occhi. - Lindon, eh?”

Hai davvero capito male”

Certo” Mormorò con sarcasmo.

Amalia roteò gli occhi.

Oh! - incrociò le braccia al petto – Non crederai davvero che noi..”

Be', ci è voluto un po' per convincermi, insomma – distolse lo sguardo, sovrappensiero – voi due, di solito..”

Appunto, noi due, di solit-”

Ma poi ho capito, e in effetti torna tutto alla perfezione.”

Cosa?

Ma sì! I tuoi pomeriggi in biblioteca, ovviamente è lì che vi incontrate e...”

Cosa?” ripeté Amalia, con più convinzione.

E poi non ti ho mai visto frequentare nessuno, ed eri così riluttante all'idea di uscire con Eckhart”

Non dire sciocchezze.”

Lindon deve essere uno geloso...”

Smettila”

Mi stupisce che non lo sia tu, con tutte quelle che gli ronzano intorno”

Ho detto di smetterla.”

Anche se fossi in te non mi preoccuperei molto, - fece una pausa, forse intimorita dallo sguardo severo di Amalia – insomma, ti segue ovunque come un cagnolino.”

Eva!”

Cosa?” sbottò Eva oltraggiata.

Qualcuno, dietro di lei, prese a schiarirsi la gola, costringendola a voltarsi.

Oh. - borbottò imbarazzata – Lindon.”

Andrea Lindon le lanciò uno sguardo glaciale, rivolgendosi quasi subito ad Amalia.

Posso parlarti?” farfugliò, torcendosi le mani.

Al di sopra della spalla di lui, Amalia intercettò le occhiate insinuanti dell'amica.

Le sue sopracciglia si aggrottarono mentre una rabbia cieca le tingeva le guance di un rosso vivo.

No” disse secca evitando il suo sguardo.

Un'espressione spaesata si dipinse sul volto di Andrea. Si voltò di nuovo, deciso a prendersela con Eva. Se quella stupida non si fosse messa a snocciolare tutte quelle cretinate , una dopo l'altra. Se non l'avesse presa in giro, si disse, lei, Amalia, sarebbe stata più che bendisposta nei suoi confronti.

Ti segue ovunque come un cagnolino.

Di nuovo, gli parve di sentirla, osservando il suo volto sprezzante, il sorrisetto storto che aveva stampato in faccia.

Vatti a fare un giro Argento.” Sibilò, una vena pulsante sul collo.

Eva Argento alzò il mento come a dire che non era proprio il caso di mettersi contro di lei, e, soddisfatta della risposta – o meglio, dell'insulto – che teneva pronta sulla punta della lingua, e pregustando la faccia che avrebbe fatto lui nell'udirla – un'espressione offesa, ne era certa, che raramente compare sul suo viso pieno di orgoglio – aprì la bocca, gonfiando il petto:

Sai che c'è Lin-”

Lascia stare Eva.” La interruppe Amalia, rovinando quel momento di gloria.

Non ti starei a sentire in ogni caso, Lindon.” Aggiunse subito dopo. Andrea boccheggiò un paio di volte.

B-bene.” Riuscì a dire alla fine, e rivoltole un'occhiata delusa, girò sui tacchi e se ne andò.

 

 

 

Che modi.”

Un'occhiata distratta alle unghie laccate di smalto.

Non capisco come fai a stare con uno così.” Continuò Eva Argento spostandosi una ciocca bruna dietro l'orecchio.

Infatti non stiamo insieme”

Io comunque lo sapevo – riprese, ignorando palesemente le proteste dell'amica – insomma, me lo immaginavo.”

Non stiamo insieme” ripeté Amalia, la porta sbattuta dietro di lei.

Hai capito?” Amalia si voltò a guardarla, Eva, che sembrava non avere alcuna voglia di ascoltare le sue spiegazioni, le sue giustificazioni, il motivo per cui quella dannatissima giacca era nella loro stanza, fino a poche ore fa. Ma niente. Niente le avrebbe impedito di romanzare, gonfiare ed ingigantire quella che Amalia definiva una sciocchezza. No, lo sguardo sognante ad osservarsi lo smalto – spalmato così bene, per una volta – già si immaginava i loro romantici incontri, in qualche angolino della biblioteca.

E lui le disse. E lei rispose, sorridendo timidamente. I capelli di lei che ondeggiavano delicatamente, mossi dagli spifferi gelidi dell'altrettanto gelida biblioteca – qualcuno dovrebbe decidersi a sistemare quelle maledette finestre.

Quest'ultimo pensiero rovinò l'atmosfera romantica. Eva si promise che avrebbe cambiato l'ambientazione della storia. Avrebbe potuto farli incontrare in qualche sgabuzzino. Sì, perché no? Molto più intimo.

Hai capito? Noi non stiamo insiem-”

Quante volte hai intenzione di ripeterlo?”

Amalia raddrizzò le spalle, colta alla sprovvista.

Allora ci senti.”

Solo perché ignoro le tue cavolate inutili non vuol dire che non ci sento.”

Le mie cavolate non sono inutili.”

Si fermò un attimo, lo sguardo confuso: “E non sono nemmeno cavolate.” Precisò.

Certo che lo sono. - Eva alzò lo sguardo su di lei – Non prendermi in giro dicendo che non ti piace per niente, o che davvero non sapevi di piacergli.”

Non fare la stupida.”

Tu, non fare la stupida.”

Solo perché adesso ti va di divertirti ad inventare una sciocca storia d'amore di quelle che ti piacciono tanto...”

Sì, be', e allora?”

E allora non scocciarmi”

Non è che debba inventare molto, comunque.”

Tieni per te le tue cretinate, per favore.”

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***






 

Mi scuso per l'enorme ritardo con cui aggiorno, spero che mi perdoniate (problemi di connessione) e che continuiate a seguire la mia storia. Ah, suggerimenti e critiche sempre ben accetti! 

 
 
 
 
 
 
 
 

 

E non lo vuoi sapere?”

No, non mi va proprio.”

Verrò anch'io, comunque”

E perché?”

Perché sono invitato, ecco perché.”

Anche la tua famiglia?”

Certo”

Amalia richiuse la cerniera dell'astuccio con studiata lentezza. Incerta, aveva lasciato fuori la penna blu, accanto agli esercizi di francese di Teo, tanto per avere una scusa per riaprire l'astuccio. Sì, poteva guadagnarci altri dieci minuti.

Credi che noterebbero la mia assenza?” mormorò, salvando la penna che, con un movimento brusco di Teodoro, aveva preso a rotolare minacciosamente verso il bordo del tavolo.

Direi di sì” Teo alzò un sopracciglio.

Lei piegò il capo. “E credi che si accorgerebbero della mia presenza?”

Magari no”

Lo spero proprio.”

Oh, Andrea di sicuro se ne accorgerebbe”

La vide arrossire di colpo, e, analizzando mentalmente ogni parola uscitagli di bocca, allarmato, si affrettò a riparare al danno, borbottando che “ci tiene proprio, sai, che tu ci vada”.

Non gli piacciono i drammi familiari – continuò svelto – e tua sorella si metterebbe a piangere e strillare di sicuro, se non ci andassi”

Amalia aggrottò le sopracciglia.

Ah, e questo lo dice lui, non io!” Teodoro si guardò intorno spaesato, prese a fissare il quadro alle spalle di lei, come a sperare che il vecchio barbuto che vi era ritratto, almeno lui, avesse creduto a quella scusa penosa.

Ovviamente, Teo non era affatto tagliato per missioni di quel calibro.

Dire bugie. Ma chi glielo faceva fare? Un inutile spreco di tempo ed immaginazione. Un inutile spreco di energie, un continuo farsi venire le palpitazioni, per risultare credibile, per inventare una stupidissima, verosimile storiella. Già, verosimile. Come se davvero ad Andrea non piacessero i drammi familiari, pensò. Come se davvero Amalia non sapesse che Andrea dedicava la propria vita ad assistere, recitare, generare, se gli riusciva, sventure e catastrofi di ogni portata: dall'appendere le mutande imbarazzanti di suo padre nel cortile, allo svelare al matrimonio del cugino Simone - nei suoi peggiori momenti chiamato semplicemente il ciccione - la triste abitudine del sopracitato di fare il guardone, e registrare con una telecamera il frutto dei suoi sforzi per arrampicarsi sulla piccola quercia di fronte casa, dalla quale poteva spiare la Signora Larisa.

L'unica cosa che gli farebbe piacere è vedermi in difficoltà in mezzo a quella stupida gente.” Avrebbe voluto dire umiliata; vederla umiliata in mezzo a quella stupida, elegantissima gente. Questo avrebbe voluto dire. Ma perché avrebbe dovuto farlo? Teo l'aveva già guardata con compassione quella volta in cui Georgina Dreesen aveva avuto la bella idea di farle lo sgambetto nel cortile, con la pioggia e le pozzanghere, e lei era caduta rovinando nel fango tra le risate generali. Giusto il giorno prima.

Io non ci voglio andare” disse infine, sospirando.

Andrea non farebbe mai nient-”

Oh, ma fammi il piacere”

 

 

 

Andrea, invece, avrebbe fatto volentieri qualcosa, si disse Teo, osservando con apprensione l'amico. Seguì il suo sguardo verso le prime file, lo sguardo particolarmente intelligente dei ragazzi in fase di appagamento. E con la stessa espressione vacua e tonta, Andrea accennò un mezzo sorriso, appoggiando il mento sul palmo della mano. Appoggiando troppo il mento sul palmo della mano. Il gomito scivolò dal banco richiamando l'attenzione di alcuni compagni.

Lindon sei disgustoso” borbottò Pino Barzetti, indicando i pantaloni di Andrea. Quest'ultimo sentì il volto scaldarsi, e “Detto da uno che si chiama Pino” ribatté brusco.

Non avendo a portata di mano la possibilità per nascondere o risolvere quella situazione imbarazzante, Andrea avvicinò maggiormente la sedia al banco, nella convinzione che, nella mezz'ora che rimaneva di Storia dell'Arte, tutto ciò che doveva appiattirsi, si sarebbe appiattito naturalmente.

Poggiò di nuovo il mento sul palmo della mano. No, toglilo, e lo tolse. Si appoggiò allo schienale della sedia, senza la minima intenzione di ascoltare i discorsi del vecchio Professor Palumbo. Lo osservò: grassoccio, basso, sudaticcio. Una risatina da femmina e un fazzoletto sudicio e giallo con il quale si asciugava la fronte bagnata di sudore. Ogni 8 secondi esatti. Come un tic. Andrea era pronto a giurare che quello fosse lo stesso fazzoletto di quattro anni prima, quando si erano visti per la prima volta. Avrebbero dovuto fare una colletta e regalargli tanti fazzoletti nuovi. Povero Professor Palumbo. Gli stessi pantaloni color senape macchiati di gesso. E la bottega aperta, notò con orrore. Questo avrebbe appiattito la situazione. Ma distolse lo sguardo, e tornò ad osservare le prime file.

, avrebbe anche potuto farlo. Magari dopo un paio di bicchierini. Lo avrebbe fatto. Magari dopo una dozzina di bicchierini. Magari sarebbe solo tornato indietro. No, non farci caso. Non sarebbe stato difficile come sembrava. Sorrise, lei no. Lei era confusa. Le sue mani le stringevano la vita, poi le spalle, poi di nuovo la vita. Avanzò di qualche passo solo per imprigionarla contro il muro, solo per toccare quelle gambe con le sue. Così. E così. Si stupì di trovarla che sorrideva, e si avvicinava di più solo per sussurragli che era un cretino. Per soffocare una risata contro il suo collo, mentre lui le pizzicava le cosce. Si sarebbero baciati. Forse era già successo, non se lo ricordava. Ma stava succedendo, in quel momento, e in quello dopo, ora, e ora, e ora. Così. E così. Il suo naso gli fece il solletico. Adorava quel naso. Avrebbe voluto staccarglielo per metterselo in tasca, e portarselo in giro tutto il giorno. Infondo non le serviva un naso. E nemmeno una bocca. I loro denti cozzarono. Trovò le sue spalle scoperte, e le braccia, e il collo, e tutto quanto. I loro denti cozzarono mentre lei lo liberava della camicia, mormorando languidamente parole impronunciabili a voce alta, e lui dovette mordersi la lingua per non risponderle la stessa sciocchezza. Sentì le sue gambe intorno alla vita, e si chiese se fosse il caso di toglierle quel poco che le rimaneva addosso. Dibatté e discusse il fascino di quella spallina che le ricadeva sulla spalle. Cavolate. Cavolate che rischiavano di fargli perdere l'immagine. Uno schiocco di dita.

Dovresti uscire di qui prima che diventi evidente a tutta la classe” Il campo visivo di Andrea fu invaso dal volto preoccupato di Teodoro. Si voltò, lo stesso stupido Pino e qualche altro idiota lo stavano indicando senza pudore.

Fatevi gli affaracci vostri” sbottò, coprendosi i pantaloni con la giacca.

Come fosse finito in quelle condizioni, Andrea non lo sapeva. Ma stava davvero diventando un problema, soprattutto perché da quella scenata a colazione, Amalia lo evitava come la peste. Pareva anche dimenticare magistralmente di allacciare la camicetta fino all'ultimo bottone, e pareva decidere di chinarsi a raccogliere gli oggetti altrui proprio quando lui era nei paraggi. Cioè sempre. Sì, perché non poteva fare a meno di seguirla.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


So che è molto, e stranamente, presto, ma mi è venuta l'ispirazione! Recensite :)
 
 
 
 
 
 

 

Eccola lì, in quell'angolino, sempre un libro tra le mani. Eva raggiunse l'amica attraversando il prato ancora umido. Si sedette al tavolinetto di legno, facendo scivolare la gambe oltre la panca, e dedicò la sua completa attenzione al volto cupo di Amalia, silenziosa, gli occhi sulla superficie cartacea, immobili, tanto per avere una scusa per ignorarla.

Sai che è ora di pranzo, vero?” mormorò dolcemente, concedendole un ampio sorriso. Amalia richiuse il libro, appoggiando i gomiti sulla superficie scheggiata.

Sì, ho un orologio” mugugnò, mostrandole il polso, risultando più brusca di quanto si aspettasse.

Ti ho cercata per mezz'ora – cominciò Eva, il tono un po' più secco di prima – pensavo che avremmo mangiato insieme.” La vide accarezzare la copertina, con aria indecisa, ed Eva Argento, nota all'intera popolazione del Faust per i modi spicci e la scarsa pazienza che la caratterizzavano, cominciò ad innervosirsi, pensando che non le importava un fico secco di quel che le passava per quella testa bacata. No, accidenti a lei. Erano due giorni, ormai, che Amalia non si faceva vedere, che andava a cena sempre troppo presto e a pranzo sempre troppo tardi. E lei, Eva, era stata fin troppo indulgente. Aveva pensato che infondo era comprensibile che fosse un pochino arrabbiata. Ma a pensarci bene, non capiva proprio che diavolo aveva da prendersela tanto.

Perché credi che sia qui?” ribatté Amalia, guardandola finalmente in faccia.

Non dirmi che hai in mente un picnic romantico – sbottò l'altra inarcando le sopracciglia – in quel caso me ne vado subito”

Amalia sospirò, lanciandole uno sguardo impaziente.

Dove si è nascosto? Dietro un cespuglio?” continuò, guardandosi intorno.

Vedi è per questo che non voglio pranzare con te, o con chiunque altro.”

Oh, quanto la fai lunga”

Eva, non è divertente! – una vena che pulsava minacciosamente sulla fronte – Quella deficiente di Violetta Baccelli ha messo su un esercito di papere, mi seguono ovunqu-”

Sì, ne ho sentito parlare”

Tutti credono che io me la faccia con quello squilibrato – quel povero libro venne sbatacchiato senza pietà sul tavolo – ed è colpa tua.”

Eva la fissò severa.

Va bene – riprese – magari non è proprio colpa tua. Ma di certo non aiuti.”

Io volevo darti una mano, ma tu sei sparita in un'altra dimensione.”

La dimensione della gente cacciata con la forca”

Eva rise, chinandosi a raccogliere la borsa.

Comunque ho fame. - sentenziò – E non puoi nasconderti per sempre – proseguì – e se ti rifiuti di venire con me, mi costringerai a rimanere qui a fare la buona amica. - una pausa – Questo vuol dire che approfitterò di un tuo momento di distrazione per mangiarti.”

Amalia abbandonò definitivamente il libro sulla panca, stendendo le labbra, improvvisamente allegra.

Sono contenta che mi sopporti”

Anche io sono contenta, perché ci sono le patate al forno”

 

 

 

 

 

Amalia Sperelli non si era mai sentita a suo agio nei contesti affollati. Da piccola, la processione alla quale era costretta a partecipare, ogni anno, era motivo di grande disperazione. Ricordava perfettamente il terrore provato nell'osservare i piedoni degli adulti, il timore che l'avrebbero pestata, e il suo spiaccicarsi addosso a sua sorella Agata, che spesso, per farla sentire meglio, la prendeva sulle spalle raccontandole delle barzellette sporche, che a sua volta aveva sentito dal cugino Martino. Nonostante non fosse in grado di capire nessuna di quelle barzellette – tutt'ora non ne era capace – lo sforzo di comprenderne la comicità era tale che Amalia dimenticava le persone intorno a sé. E poi, ovviamente, dire parolacce era un ottimo modo per disobbedire a sua madre, per la quale, era triste ammetterlo, aveva sempre provato una certa avversione.

Ma con il passare del tempo, raggiunta un'altezza congrua alla sua età, Amalia aveva smesso di sgomentarsi di fronte ai giganti arti inferiori degli adulti, sebbene non riuscisse ancora ad apprezzare il fascino della folla. Proprio per questo motivo, nell'entrare nella sala mensa piena di gente, Amalia si avvicinò ad Eva, afferrandole un lembo della giacca. Quando poi le fu evidente che gran parte dei compagni si erano voltati ad osservarla, che la maggioranza delle ragazze la indicava sussurrando nelle orecchie delle vicine, e che i ragazzi semplicemente la guardavano con espressioni differenti dal solito, le sue guance si imporporarono, e strattonando la giacca di Eva la pregò di sistemarsi in un angolino appartato.

Avete visto chi è arrivato? Quell'accattona!” Molti risero, mentre Georgina Dreesen, circondata da Violetta Baccelli – che prese a singhiozzare “Traditrice!” - e dai membri del club Noinonsiamocomelei, si pavoneggiava ondeggiando i bei capelli biondi.

Dreesen, perché tu e le tue amiche non andate a farvi un clistere? Sembra che ne abbiate bisogno” detto questo, fra varie risate trattenute, Eva afferrò un vassoio e ci piazzò dentro una quantità esagerata di patate al forno, per poi porgerlo ad Amalia, la quale si ritrovò a sorridere di tenerezza, osservando il vassoio con immenso affetto. Ah, le sue patate!

Il club Noinonsiamocomelei, era stato fondato esattamente un paio di giorni fa, di mercoledì, da una sconvolta Violetta Baccelli, che aveva promesso a se stessa di dedicare la vita alla persecuzione delle streghe meretrici e opportuniste, le quali, con suo grande sconcerto, erano tutte incarnate nella figura apparentemente innocente di Amalia Sperelli. Ma resasi conto quel mercoledì pomeriggio stesso dell'impossibilità fisica di eliminare la nemica di tutte le donne, aveva deciso che le ragazze virtuose e oneste che si sarebbero iscritte, avrebbero, come lei, dedicato l'esistenza non alla lotta violenta, ma alla superiorità di spirito, per distinguersi per sempre dalla natura corrotta delle seduttrici e fraudolente, e per svelarne il volto reale. Il club nasceva quindi da uno slancio di orgoglio femminile. Be', certo, in ogni caso, qualora ne avessero avuto l'occasione, avrebbero volentieri fatto presente alla suddetta arpia la sua indesiderabilità.

Violetta, di giovedì, aveva da subito dovuto affrontare un problema capitale nella storia del club: ogni membro avrebbe dovuto indossare una spilla perché fosse distinto facilmente dalla popolazione femminile inferiore. Per il colore non c'erano assolutamente dubbi, essendo il bianco forte emblema di purezza. Aveva, quindi, deciso, di ordinare, tanto per iniziare, un centinaio di spille a sfondo bianco su cui fosse ben leggibile, in un rosa vivace, Noinonsiamocomelei. Le dimensioni della spilla, purtroppo, avevano richiesto un taglio, una scorciatura, e Violetta aveva sofferto di mal di testa per tutto il giorno, prima di arrivare all'illuminazione: sulle spille era ora possibile leggere Noinon, espressione che secondo il gruppo intero aveva un che di misterioso e di intellettuale. Non essendosi mai sentita così intelligente in vita sua, e decidendo che era ora di mostrarsi al mondo in tutto il suo ingegno – fino a quel momento celato per modestia - Violetta si era anche fatta recapitare un paio di occhiali firmati Gucci, lenti non graduate, e li portava a testa alta, con fierezza, abbassandoli con sguardo seducente quando incontrava per i corridoi il misero Andrea Lindon.

L'insinuazione assolutamente fuori luogo di Eva Argento aveva ferito nel profondo il suo orgoglio di donna. Fuori luogo perché era sbagliata. Era sbagliata perché, siccome si trattava di una mente brillante, e oltretutto di un'umile ragazza fedele ai principi reali e veritieri, Violetta faceva sempre i suoi bisogni con geniale regolarità. Ed era sicura che le sue compagne non fossero da meno. Così, con studiata compostezza, addentò una prugna, per poi riferire a voce alta che “A nome del Club Noinonsiamocomelei – e qui scoccò un'occhiata minacciosa ad Amalia – meglio conosciuto secondo l'originale, uh, - uno squittio – nomignolo, se così si può dire, Noinon – un sospiro – proclamo solennemente che noi non ci abbasseremo al vostro livello, essendo il vostro comportamento infimo e vergognoso.” Violetta congiunse le mani, per poi, con espressione pia, sedersi di nuovo al suo posto, sorseggiando un succo d'arancia.

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Scritto di getto, non l'ho ricontrollato, quindi se c'è qualche errore fatemelo presente! Spero vi piaccia :)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Lo sguardo allibito di Eva incontrò quello serio e consapevole di Amalia.

Io non ho capito.”

Oh, non preoccuparti, ci vuole un grande sforzo mentale per capirla.” Amalia scostò la sedia, e assunta l'aria di una che la sapeva lunga, si sedette, avvicinandosi al tavolo rumorosamente. Un paio di ragazze del Noinon fecero una smorfia, come a dire che nello stato di delicatezza sublime nel quale si trovavano costantemente avvolte, non erano in grado di concepire un modo di fare così grossolano.

Be', anche voi a me date fastidio. Fatevene una ragione” sbottò Amalia, ad ulteriore testimonianza di “quanto è maleducata”, sospirarono loro.

Eva, nel frattempo, il mento poggiato tra pollice e medio, l'indice premuto contro le labbra, aveva osservato, assorta, il volto dell'amica farsi cupo, le sopracciglia incresparsi, nel riprendere Celeste Villa e Lisa Falco, e i lineamenti distendersi di nuovo, nell'inforcare una patata. Evidentemente, si disse Amalia, alzando gli occhi dal piatto e incontrando il suo sguardo, Eva stava ragionando. Ed Amalia sapeva a quale proposito. Sapeva che avrebbe tirato fuori un'improbabile teoria complottista delle sue – anche se, magari, in quel particolare caso, complotti e cospirazioni non sarebbero stati fuori luogo.

Sul serio, non pensi sia stran-” Lo sapeva.

Eva, no – la redarguì, lo sguardo minaccioso - non ricominciare”

Solo un'osservazione a voce alta – alzò gli occhi al soffitto, tamburellando con l'indice sul mento – poi mi faccio gli affari miei. Te lo giuro.”

Amalia rimase in silenzio, la stessa occhiata ostile.

Eva scrollò le spalle, spazientita. “Perché non hai fiducia nelle mie osservazioni a voce alta? - assunse un'aria afflitta – lo sai anche tu, in cuor tuo, quanto sono illuminanti.”

No, non lo sono – vagò con gli occhi sul tavolo come se cercasse qualcosa – ma sono una persona molto sola in questi giorni, e la tua presenza mi è di conforto – Eva sollevò le sopracciglia – quindi suppongo che dovrò sopportarti se non voglio fare la fine di Leopardi, e tuffarmi in una siepe a cercare l'infinito.”

Non mi risulta che tu abbia altri amici oltre me”

Sono selettiva.” Amalia sorseggiò con grazia studiata dal suo bicchiere d'acqua.

Motivo per cui, dovresti sentirti onorata del mio coinvolgerti nelle mie vicissitudini”

Infatti è così. E le tue vicissitudini sono molto più interessanti di quel che credi – Eva prese un boccone – A volte penso che vorrei chiuderti in una gabbia ed osservarti tutto il giorno, saresti un ottimo animale domestico.”

Amalia chinò il capo, ridendo. “Cosa facevi ai tuoi criceti?”

Vide gli occhi di Eva brillare di un luccichio preoccupante, magari ricordando le sue giornate da bambina viziata, passate a tagliare la testa ai peluche e a torturare cuccioli indifesi, e proprio quando stava per rivelarle quelle atroci verità, Amalia fu distratta da un borbottio concitato, alle sue spalle. Si voltò, e fu con orrore che notò la presenza di Andrea Lindon, il quale, una volta individuato il loro tavolo, fece loro un cenno poco rassicurante e prese a camminare nella loro direzione.

Magari non viene da noi” fu il commento incoraggiante di Eva.

O magari sì” ritrattò, osservandolo fermarsi di fronte a loro, guardarsi intorno indeciso, prendere in ostaggio una sedia dal tavolo vicino, e infine sedercisi con grande soddisfazione.

Amalia gli rivolse una sguardo attonito. Boccheggiò, lasciando infine la bocca aperta per l'indignazione, mentre lui, noncurante, si apprestava ad infilzare col coltello le sue patate. Quelle patate che non gli appartenevano.

Qualcosa non va?” farfugliò Andrea, la bocca piena, alzando lo sguardo.

N-sì! - Amalia scosse la testa con forza – Certo!”

Andrea aveva sognato un piatto di vivande – cibo qualunque – dalle undici di quel mattino, e preso com'era a seguire il percorso di quelle patate nel suo stomaco – con indicibile godimento - non riusciva proprio a rendersi conto degli sguardi dei compagni che gli perforavano la schiena, delle risatine concitate delle ragazze, della folla che aveva preso ad additarli senza pudore.

Vattene!” esclamò Amalia, prendendo a spingerlo per il braccio.

Sto morendo di fame” fece lui, la braccia aperte e un'aria offesa.

Devi proprio mangiare con noi?”

Un'espressione di consapevolezza si fece largo sul volto confuso di Andrea.

Aah, adesso capisco qual'è il problema – cominciò, facendo girare l'indice in aria, un'occhiata piena di sospetto – come ho fatto a dimenticarmelo! Sei una mangiona! Bene, non toccherò più il tuo piatto.” E così dicendo, allontanò da sé il vassoio, scostò la sedia e, borbottando qualcosa come “Schifosa egoista”, si diresse verso il buffet.

Non capisco perché tu debba essere così crudele con lui” mormorò Eva, l'indice ancora sul mento, gli occhi sulla testa bionda di Andrea.

Insomma, è talmente chiaro quant'è-”

Stupido?”

In cerca di attenzioni. - concluse Eva, lo sguardo improvvisamente pieno di malizia – Ma potrei anche dire.. mmm..”

Non dire nient'altro”

Cotto – la testa bionda di Andrea ricomparve improvvisamente nel suo campo visivo – Cotto lesso, patate cotte lesse” si corresse, concedendogli un ampio sorriso, seguendolo con gli occhi mentre le si sedeva di fronte.

Ti piacciono, Lidon?” aggiunse infine.

Andrea aprì la bocca per rispondere che sì, certo, perché non dovrebbero piacergli? Ma la prepotentissima Amalia Sperelli, le guance oramai a fuoco, prese a minacciarlo con la forchetta, sbottando “Perché sei tornato?”

Scusami, Tartara, ero nel pieno di un'interessante conversazione sulle patate lesse.”

Oh, per favore!”

E va bene – Andrea si riempì il bicchiere d'acqua, trattenendo la cravatta con due dita – mi sono seduto con voi, perché, non so se l'hai notato, ma mi è impossibile sedermi in qualsiasi altro posto senza che venga assalito da tutta quella stupida gente.”

Amalia richiuse la bocca.

Ma se preferisci – riprese l'altro, masticando elegantemente un fetta di arrosto – posso sedermi là in mezzo e rispondere alle domande di Pino Barzetti e Michele Merri e rivelare le nostre abitudini intime.” Sorrise con malignità, mentre gli occhi di Amalia si riducevano a fessure e prendeva a sussurrare aggressivamente un “Non oseresti”.

Dov'è Teo?” Chiese Eva sporgendosi sul tavolo.

Sì, dov'è Teo?” le fece eco Amalia, il tono ostile.

Ripetizioni.”

Amalia alzò il petto e spalancò la bocca, in un chiaro indizio di risentimento.

Mi ha rimpiazzata!” esclamò, appoggiandosi allo schienale della sedia.

Ripetizioni di matematica” specificò Andrea, gli occhi fissi sul suo piatto.

Oh.”

Già, ti senti un po' stupida, vero?” Alzò lo sguardo solo per osservare il volto di lei.

Certo che no”

Hai fatto una faccia.”

Amalia chinò il capo e si rivolse a Eva, l'espressione improvvisamente divertita: “ Ti ho mai raccontato di quella volta in cui Lindon ha avuto un attacco di diarrea?”

E mentre le labbra di Eva si distendevano in un sorriso, mentre si sporgeva per chiederle i dettagli, Andrea si lanciò oltre il tavolo per tapparle la bocca, buttandole addosso un paio di patate.

Sentì le labbra di Amalia fargli il solletico contro il palmo della mano. Stava ridendo.

Argento, - cominciò, mettendole l'altra mano sugli occhi, tanto per darle fastidio – e lei ti ha mai raccontato di quella volta in cui ha dormito per due ore con un mio calzino usato in bocca?”

Eva scoppiò a ridere senza controllo, mentre Amalia farfugliava, impossibilitata a parlare, armandosi della patata che si era ritrovata sulla gonna, e prendendo a spalmarla sulla guancia destra di Andrea, nel disperato tentativo di liberarsi.

Avevamo 12 anni, – continuò lui con noncuranza – e stavamo andando in Germania, in auto – scosse la testa, e sfregò la guancia sporca contro la spalla di Amalia, che emise un muggito minaccioso – lei si è addormentata, allora ho pensato che sarebbe stato divertente infilarle un calzino in bocca per vedere com-”

Con una forte spinta Amalia riuscì a liberarsi dalla sua presa, ed allontanandosi all'instante, per evitare di divenire ancora schiava delle angherie di Andrea, alzò l'indice, la mano sinistra sul fianco, e cominciò a spiegare che “è stato un scherzo stupido, Lindon. Sarei potuta soffocare. Oltretutto sei anche un bugiardo, il calzino me lo avevi appoggiato sul naso!”

Andrea si lasciò andare alle risate, sotto lo sguardo sdegnato di Amalia che mormorò “Che idiota che sei”.

Eva si sistemò sulla sedia, l'aria allegra e “Chi mi racconta la storia della diarrea?”

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Ci saranno sicuramente 20mila errori/orrori, perché non ho proprio il tempo di mettermi a ricontrollarlo! Quindi fatemi sapere se trovate qualcosa, non mi offendo! 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Capitolo 15

 

Eva Argento si era esageratamente appassionata alla storia d'amore che stava scrivendo, e giunta alla settantesima pagina, aveva deciso che era giunto il momento di inserire un qualche tipo di rivelazione, una svolta! Aveva pensato, sollevando in aria la penna. Ma poiché le vicende narrate non erano proprio originali, e si ispiravano, in un certo qual senso, ad avvenimenti reali che lei stessa aveva avuto l'opportunità di osservare dall'esterno, Eva si era risoluta del fatto che la svolta era prima necessaria proprio in quegli eventi di cui si trovava testimone. Non poteva certo tradire la realtà dei fatti, si era detta. Non poteva certo inventare un finale, così, tanto per fare la romantica. No, perché affinché potesse dirsi soddisfatta, la sua opera grandiosa avrebbe dovuto avere il vero per soggetto, l'utile per scopo, l'interessante per mezzo. Ma lei non aveva certo intenzione di mettersi a fare ricerche sui lanzichenecchi e l'Italia del 600, come quel povero pazzo di Manzoni. E perché avrebbe dovuto farlo, quando l'interessante le dormiva accanto, in posizione fetale, avvolto nelle coperte fin sopra la testa? , si era detta Eva, sfogliando con orgoglio le pagine già scritte, la loro era una storia perfetta. Be', sulla carta, almeno.

Ma per quella svolta tanto necessaria alla riuscita della sua storia, ci voleva davvero un aiuto dall'alto. O un aiuto. Un aiuto e basta. E avendo testato l'irremovibilità dell'amica quando le aveva ripetuto per la ventiduesima volta che “no, Eva, finiscila, non mi siederò accanto a Lindon!” durante la lezione di filosofia, o quando aveva chiarito che davvero, non le interessava un fico secco delle ragazze con cui faceva il cretino in corridoio, Eva aveva deciso di rivolgersi al sesso debole – ad Andrea Lindon – che per quello che aveva capito lei - per quello che aveva visto osservandogli i pantaloni e l'espressione disperata in volto – dei due, era quello che si sarebbe aperto più facilmente, e che più facilmente avrebbe accettato i suoi consigli. Perché ne aveva disperatamente bisogno. Perché se solo fosse stato più gentile con lei, se solo si fosse deciso a dirle qualcosa di carino, ne era sicura, Amalia si sarebbe sciolta come il cioccolato sul fornello, e il suo mondo, in cui Andrea Lindon era una persona pessima e pericolosa, un mentecatto da evitare, le sarebbe crollato miseramente addosso. Determinata ad inserire la similitudine del cioccolato sul fornello nel suo racconto, Eva se l'appuntò su un taccuino scuro, e, afferrata la borsa, decise che sarebbe uscita per vedere Teo un po' prima del solito, e che sarebbe passata dalla sua stanza, e che lo avrebbe incontrato lì, e che nel frattempo avrebbe scambiato due parole con Andrea Lindon.

 

 

 

 

 

 

 

Andrea Lindon si stava deliziando con la lettura, alle sei di quel venerdì pomeriggio. Non che amasse trascorrere le sue giornate in quel modo – un modo da secchioni, avrebbe detto. No, in genere si dedicava a tutt'altro tipo di passatempo, ma negli ultimi mesi una serie di sfortunati eventi e di situazioni assurde, lo avevano convinto del fatto che sarebbe stato meglio, per la sua salute mentale, evitare il genere umano quanto più possibile. La prima tra i membri dell'umanità da cancellare dalla sua vita in rovina, era senz'altro Amalia Sperelli, la quale, per qualche ridicola ragione, gli stava sempre tra i piedi, impedendogli di concentrarsi, di distrarsi in alcun modo, di bunbureggiare*, di dedicarsi allo stantuffamento di qualche ragazza dalla capigliatura decente – non come la sua, quei ricci arruffati che ondeggiavano sulle sue spalle dritte. Quelle belle spalle.

Andrea Lindon si stropicciò gli occhi con aria seccata. Che poi, pensò, sfogliando la pagina 146, il fatto che il suo migliore amico dovesse stare in compagnia della migliore amica della sua peggior nemica sei giorni su sette, e che dovessero pranzare insieme, e che dovessero sbaciucchiarsi in sua presenza, e che dovessero coinvolgerlo nelle loro presumibilmente divertentissime uscite, e che dovessero invitare anche quel goblin, la proletaria, lasciandoli da soli a chiacchierare di cose inutili come il tempo, no, non aiutava di certo. Perché sarebbe stato sicuramente molto più semplice se fossero rimasti solo in due, lui e Teo, come ai vecchi tempi. Facilissimo sarebbe stato dimenticare l'effetto che lei gli faceva solo camminandogli accanto, o davanti, o dietro, o nelle vicinanze. Se non avessero avuto più amici o conoscenti in comune. Se non avessero avuto più niente da spartire – che per quanto lo riguardava, non ce l'avevano mai avuto.

La tragicomica soluzione a tutti i suoi problemi la lesse alla pagina 147, in grassetto: omicidio. L'illuminazione lo colpì come un fulmine: sarebbe stato possibile eliminare qualsiasi filo, o traccia, che li collegasse in qualsiasi modo. Uccidere tutti coloro che conoscevano entrambi, che li avevano visti insieme, che...che... Andrea Lindon si sentì una nullità nel momento in cui comprese, come folgorato da una profonda delusione, che anche volendo, non poteva certo mettersi ad ammazzare tutta la scuola, e le loro famiglie. Non tanto per un sentimento di compassione nei confronti di quelle che sarebbero state vittime innocenti, ma davvero, si era detto, così sarebbero rimasti solo in due, loro due, e che sarebbe successo? La sua vita non sarebbe forse peggiorata? Non si sarebbero moltiplicate le possibilità di vederla, stare con lei? Sorrise. Poi fece una smorfia. Poi sorrise di nuovo. I suoi stessi pensieri lo disgustavano. E tuttavia continuò a sorridere, distratto solo da un improvviso ed ininterrotto bussare alla porta di legno scuro.

Eva Argento comparve sulla soglia, regalandogli un sorriso a trentadue denti.

Che vuoi? - Andrea assottigliò gli occhi con fare sospettoso – non ti racconterò la storia della diarrea”

Oh, - una breve risata – questo è davvero un peccato.”

Eva posò il piede sulla soglia, costringendolo a farsi da parte.

Non sono qui per questo, comunque” fece tranquilla, poggiando la borsa sul pavimento.

Io e Teo ci dovevamo vedere, farà un po' tardi – girovagò per la stanza, e prese infine in ostaggio il libro di Andrea, rimasto abbandonato sulla superficie del letto – ma quando l'ho saputo ero già uscita, e non avendo niente da fare... Delitto e castigo, eh?”

Sì.”

Ti piace?”

Sì, certo”

Sai che è il libro preferito di Amalia – un'occhiata insinuante – lei dice sempre che non ne ha uno preferito, ma dovresti vedere come le si illuminano gli occhi quando lo sfoglia.”

Interessante” Andrea stese la mano destra verso di lei, come a dire che sì, grazie, potrei riaverlo ora?

Eva lo accontentò, lasciandoglielo scivolare sul palmo della mano, sedendoglisi sul letto.

E lo sfoglia, sai, quando pensa che nessuno la veda, - continuò, osservandosi le unghie – ogni volta che passa davanti allo scaffale, lo guarda e pensa ecco il mio libro preferito!, lo prende, lo apre con la faccia di una che vorrebbe mangiarlo, e poi lo rimette a posto.”

E udendo il sussurro di Andrea, quell'indistinto “Sì, lo so”, Eva si sentì presa da un'insolita vivacità, e, incoraggiata a proseguire, lo fissò bene in volto, in modo da essere certa di non perdersi nemmeno una delle sue reazioni, e disse, con voce alta e chiara: “Vuoi dire che è per questo che ti sei messo a leggerlo?”

Andrea perse un battito, divenne improvvisamente pallido, e la guardò con orrore, borbottando un “Che accidenti vuoi, Argento?”

Tentò di calmare il suo panico ingiustificato, perché, era chiaro, lei voleva solo provocarlo, vedere che le avrebbe risposto, prenderlo in giro!

Stavo semplicemente pensando – Eva trattenne a stento un sorriso furbo – Non pensi che sia strano che... Insomma, con tutte le ragazze che hai avuto, che sei abituato ad avere e-”

Arriva al punto”

Non ti pare strano che Violetta Baccelli e le sue amiche stupide se la prendano proprio con Amalia, forse l'unica ragazza con cui non hai mai avuto – e certo non avrainiente a che fare?” Quella domanda ebbe di sicuro l'effetto desiderato, lo stesso effetto che Eva aveva immaginato dieci, dodici volte, salendo le scale per andare ad infastidire Andrea Lindon.

E Andrea, si sentiva, infatti, oltremodo infastidito, e dal pallore di pochi secondi prima, il suo volto era ora divenuto paonazzo, perché, accidenti, che diavolo voleva dire che lui, Andrea, un ragazzo così pieno di qualità e di virtù... Che diamine significava che non avrebbe mai avuto niente a che fare con lei? Che lui non era abbastanza, che non era alla sua altezza? Che lei non sarebbe mai stata attratta da lui, in nessuna situazione, in nessun modo? Le parole di Eva, pronunciate come se si trattasse di qualcosa di così ovvio, di così normale, che solo uno stupido come lui avrebbe potuto pensare il contrario, lo fecero sprofondare in un profondo senso di tristezza, e rabbia, sì, rabbia. Rabbia. Rabbia.

Eva lo osservava piena di aspettative, come se pensasse che sarebbe esploso, e avrebbe confessato tutti i suoi stupidi sentimenti, i suoi stupidi pensieri pieni di affetto e romanticismo celato, perché aveva un cuore d'oro lui, sotto tutti quegli atteggiamenti da bullo. Probabilmente pensava che avrebbe cantato il cielo e il mare, e si sarebbe messo ad elogiare quei maledetti capelli arruffati, che, ne era sicuro, nascondevano uno o due immigrati e le loro case di legno. Andrea si portò una mano alla bocca, chiuse gli occhi, li aprì, la guardò, sospirò. Ma prima che potesse risponderle in alcun modo, la porta della stanza si aprì rumorosamente, e un Teo coi capelli bagnati, la divisa fradicia e l'aria di uno che non voleva storie, comparve di fronte a loro.

Oh accidenti Teo! - scattò Eva alzandosi in piedi – Vattene, ero quasi riuscita a farlo confessare!”

Andrea sentì il rossore delle guance salirgli alle orecchie e alla fronte, e le lanciò un'occhiata piena di odio, pensando che, avesse trovato il modo di uccidere tutta la scuola e le loro famiglie per liberarsi di quella situazione così assurda, Eva Argento sarebbe stata sicuramente il primo cadavere ad essere sepolto.

Che accidenti dici!” sbottò, afferrando un cuscino, col grottesco intento, forse, di soffocarla.

Lindon, per favore, - cominciò Eva, le mani sui fianchi e l'espressione incredibilmente seria – è talmente ovvio! Insomma se n'è accorta anche Violetta Baccelli!”

Teo si sfilò le scarpe zuppe e la giacca fradicia - prove del profondo affetto che provava per Eva, la quale gli aveva espressamente chiesto, anzi ordinato, di starsene fuori almeno fino alle 6 e mezzo, e lui le aveva obbedito, cercando un riparo dall'acquazzone che stava infuriando, e fallendo miseramente.

Be' – si lasciò sfuggire, coprendosi con dei vestiti asciutti – non ci vuole granché per accorgersene”

Privato di ogni arma, Andrea Lindon si infilò con disperazione le mani tra i capelli, e prese a tirare, come se sperasse di riuscire a sollevarsi da terra.

Tutto questo non ha senso! - più forte – nessun senso! Una stramaledetta bugia!”

Be' mi dispiace – cominciò Teo, uno sguardo pieno di pena nei confronti dell'amico – ma basta davvero starti accanto cinque minuti per-”

Lindon, avanti, datti una calmata, diventerai pelato”

Alla tranquilla constatazione di Eva, Andrea, terrorizzato all'idea di perdere i suoi bei capelli biondo cenere, lasciò immediatamente la presa, e lasciandosi cadere sul materasso, si coprì il volto con le mani, borbottando qualcosa come “voi non sapete cosa sto passando” e “vi ammazzerò tutti”. Ma Teo non si lasciò spaventare dalle sue minacce prive – certamente - di fondamenta, e sedendoglisi accanto gli poggiò una mano sulla spalla, lanciando uno sguardo di rimprovero ad Eva e berciando un “Guarda che gli hai fatto!”

Be', scusa, non pensavo che fossimo già a questi livelli”

Andrea riemerse, scoprendo il viso di nuovo pallido, solo per guardarla in cagnesco un'ultima volta – un'ultima volta prima della sua morte violenta, s'intende. E incontrando lo sguardo divertito di lei, la rabbia dentro di lui incrementò a dismisura, e dovette tenersi le mani sulle guance per non cominciare a digrignare i denti.

Peggiorerai.” Fece lei, il tono tenero e lo sguardo incoraggiante.

Ma noi ti aiuteremo – continuò, carezzandogli dolcemente la spalla – prima, però, devi ammetterlo, Lindon, tu sei proprio cotto.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*bunbureggiare, da The importance of being Earnest, Oscar Wilde.

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