Le Carnet Perdu

di Bubbles_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Romeo and Juliet ***
Capitolo 2: *** Flower in the Sun ***
Capitolo 3: *** I've just seen a Face ***
Capitolo 4: *** L'Amour est Laid ***
Capitolo 5: *** Brown Eyed Girl ***
Capitolo 6: *** Rebel Rebel ***
Capitolo 7: *** Mr. Brightside ***
Capitolo 8: *** Chopin Nocturne Op.9 N.2 ***
Capitolo 9: *** Nine In The Afternoon ***
Capitolo 10: *** Unintended ***



Capitolo 1
*** Romeo and Juliet ***


Le Carnet Perdu






 
Prima parte:
La nouvelle lune
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«Romeo and Juliet~

 

 
 
Lo aveva perso.
Aveva perso quel dannatissimo taccuino.
Di nuovo.
Si tastò le tasche in un ultimissimo, e disperatissimo, tentativo. Niente, tutte tristemente vuote.
Lysandre camminava lentamente, gli occhi puntati a terra. La gente lo guardava curiosa, ma a lui non importava. Vi era abituato, se non era il suo comportamento a riscuotere curiosità ci pensavano i suoi vestiti. O i suoi capelli. O i suoi occhi. Tutto in lui urlava la parola “strano”, “diverso”, ma a lui stava bene così.
Si era svegliato presto, prestissimo, con uno strano formicolio alle dita e la testa pesante di parole. Gli succedeva spesso e sempre nei momenti meno opportuni: durante le ore di matematica quando invece avrebbe dovuto ascoltare, dopo un concerto particolarmente intenso quando ogni fibra del suo corpo non desiderava altro che riposo e persino tenere la penna in mano era uno sforzo immane, o alle cinque del mattino.
Si rigirava nel letto decine di volte finché, alzata bandiera bianca ai suoi stessi pensieri, non era costretto ad alzarsi e dar sfogo a ciò che gli esplodeva dentro.
Così quella mattina si era vestito velocemente, aveva afferrato il suo amato taccuino ed era uscito attento a non svegliare suo fratello Leigh.
Non ricordava quale strada avesse percorso per raggiungere il parco, ricordava però benissimo il profumo del pane appena sfornato dal fornaio a fine via, la canzone che stava ascoltando un ragazzo in metro, le raccomandazioni che una madre premurosa e leggermente ossessiva aveva ripetuto più e più volte al figlio prima di lasciarlo salire sull’altalena al parco. Ricordava persino il tremolio delle foglie che aveva ammirato in una pozzanghera formatasi la notte appena passata.
Non era vero che lui si dimenticava le cose. Si dimenticava di alcune cose. Era un bravo osservatore, peccato non riuscisse a cogliere la realtà nella sua totalità e si concentrasse su piccoli e spesso, ma non sempre, inutili dettagli.
Aveva ormai perso le speranze. Ben gli stava, era quello che si meritava. Avrebbe dovuto imparare ad avere più cura delle sue cose, Castiel glielo diceva sempre! Se la prese con un sassolino, calcio dopo calcio quello rotolava qualche metro più avanti per poi riessere colpito. Raggiunse la fermata dell’autobus e si sedette su una delle panchine interrompendo la corsa del ciottolo.
Subito sentì addosso lo sguardo di una donna. Lysandre incolpò immediatamente la sua giacca … o forse erano gli stivali? Concluse che la colpa doveva essere loro, decisamente. Quando rialzò gli occhi notò con stupore come le attenzioni dell’anziana non fossero rivolte verso di lui, ma lo superassero. Guardava qualcos’alto, qualcun altro.
La prima cosa che vide di lei fu la voce. No, non vide la sua voce, la sentì.
Cantilenava un vecchio successo degli anni ottanta, non era propriamente intonata, ma non era spiacevole ascoltarla. Una canzone dei Dire Straits dedusse il ragazzo dopo qualche secondo. Non conosceva tutte le parole e lo mascherava con na-na-na e oh-oh-oh strategicamente inseriti. La sua voce era più alta di quello che ci si aspetterebbe in pubblico, ma non alta abbastanza perché lo si potesse pensare fatto di proposito. Stava cantando come tutti facciamo sotto la doccia, o mentre stendiamo il bucato, sovrappensiero, solo per il gusto di farlo.
Si voltò affascinato di quella noncuranza delle regole sociali e rimase colpito, come fulminato nel vederla. Come aveva potuto non notarla prima?
La ragazza gli era seduta accanto, a gambe incrociate muoveva la punta del piede a ritmo di chissà quali note immaginarie e leggeva. Assorta nella sua lettura non si era accorta minimamente dell’occhiate di rimprovero di quella donna.
Aveva i capelli biondi, biondissimi, raccolti in una treccia disordinata, tinta per quasi l’intera lunghezza d’azzurro, le punte blu intenso.
Le labbra piene erano truccate di un rosso acceso, si muovevano lente intonando la canzone e il loro movimento risultava quasi ipnotizzante, tanto che Lysandre ebbe difficoltà a distogliere lo sguardo. Indossava una salopette di jeans troppo larga per il suo fisico minuto, slacciata su un fianco lasciava intravedere la maglietta nera dove spuntava il logo dei Bon Jovi accompagnato da diverse macchie di vernice bianca.
Portava dei grandi occhiali da vista e, come per la salopette, Lysandre ebbe l’impressione fossero troppo grandi per il suo viso, continuavano a scivolarle sul naso. Lei prontamente li spingeva su, senza batter ciglio.
“Perché mi fissi?” chiese all’improvviso la ragazza spostando tutta la sua attenzione da ciò che stava leggendo verso di lui.
Lysandre rimase impietrito, non solo per l’improvvisa reazione della bionda, ma per quei suoi due occhi scuri che ora lo fissavano infastiditi. Aveva sempre pensato lo sguardo essere l’arma più potente di una persona, ma non avrebbe mai pensato di incontrarne uno così tagliente. Poteva sentire la pelle lacerarsi sotto quelle iridi castane.
Si sistemò lo jabot che portava al collo e si schiarì la gola. Non parlava spesso con gli estranei, ad essere sinceri non parlava molto neanche con i suoi più cari amici. Era di poche parole, ecco tutto.
Incapace di sopportare ulteriormente il cipiglio accusatorio della ragazza abbassò lo sguardo e mai scelta fu più determinante di quella.
“Ma quello è il mio taccuino” si sentì dire preso alla sprovvista da quell’apparizione.
La ragazza si guardò il grembo dove riposava l’incriminato quaderno.
“L’ho trovato nel parco” mormorò rigirandoselo fra le mani.
“Lo ha letto?” sapeva già la risposta, le guance gli si fecero calde e di un colore più acceso. C’erano scritti i suoi sogni, le sue paure, i suoi segreti più grandi … quella sconosciuta sapeva ormai tutto di lui. La cosa lo irritava e non poco, non amava aprirsi agli altri, non era un semplice capriccio, ma una vera e propria fobia.
“Sei Lysandre?” chiese la ragazza mordendosi appena il labbro inferiore scrutandolo con quei suoi pozzi scuri, ignara delle emozioni che erano esplose in lui.
“N-no” balbettò, la voce che non uscì sicura come avrebbe voluto “Mi chiamo Castiel” mentì e subito si maledisse. Non sapeva mentire, gli era sempre stato difficile. Preferiva il silenzio alle bugie, ma non poteva dirle la verità, non dopo quello che lei aveva letto.
“Allora questo non è il tuo taccuino” continuò la bionda alzando appena un sopracciglio e guardandolo divertita.
“È di un amico”
Lo sfogliò velocemente sotto il suo naso e lui non riuscì a trattenere una smorfia di dolore, ogni volta quelle pagine venivano aperte sentiva una fitta al cuore.
“Peccato. Per un attimo avevo sperato fossi più interessante di quello che sembri” sbuffò contrariata e alzò gli occhi al cielo. Quella ragazza non aveva peli sulla lingua, questo era sicuro.
Riacquistata la calma che lo contraddistingueva allungò la mano e le sorrise gentile.
“Potrei riaverlo, per favore, così da restituirlo al legittimo proprietario?”
La bionda sembrò riprendere vita, saltò in piedi e si tolse gli occhiali per guardarlo meglio. Lysandre si agitò sotto lo sguardo della ragazza. I suoi occhi erano troppo grandi per essere normali e il suo sguardo troppo affilato perché lui potesse aprire di nuovo bocca.
Sventolò il blocchetto in aria mostrando le unghie della mano tutte di un colore diverso. Il ragazzo fece per afferrarlo, ma lei fu più veloce.
“Non merito forse una ricompensa?” chiese nascondendo il protagonista di quella discussione dietro la schiena, le labbra rosse che si muovevano lente per formare ogni parola.
Lysandre era scioccato, ma riuscì a non lasciar trasparire la sua sorpresa. Aveva perso quel diario un milione di volte e altrettante aveva dovuto pregare perfetti sconosciuti di restituirglielo, ma mai nessuno aveva chiesto un riscatto.
Quella ragazza non gli piaceva per niente. La sua prima impressione risultava essere completamente sbagliata. Aveva pensato fosse innocente, delicata, fiabesca quasi come figura. Ora la vedeva come un’avida impicciona.
“Due euro e venti e sbrigati sta arrivando il pullman”
“È seria?” si affrettò a verificare all’udire quella cifra ridicola. Non sapeva se si sentiva più offeso per il fatto di dover pagare per riavere indietro il suo diario o per quello di dover pagare così poco. I suoi pensieri più profondi in svendita per soli due euro.
“Due euro e venti” precisò la ragazza come se gli avesse letto nel pensiero.
Lysandre sgranò gli occhi esasperato e sul volto della ragazza si dipinse un’espressione di totale stupore.
“I tuoi occhi” mormorò incantata spostando irruenta una sua ciocca argentea per vederli meglio e lasciando Lysandre completamente inebetito. Quel contatto inaspettato lo fece arrossire tanto da sentire improvvisamente caldo, quella ragazza non solo non si faceva gli affari suoi ma non aveva mai neanche sentito parlare di spazio personale. Una distanza che Lysandre aveva sempre preferito mantenere.
“Fichi. Mi piacciono” ritirò la mano e tornò a monitorare l’orizzonte, la ciocca che ricadeva priva di vita sul viso del ragazzo.
L’autobus accostò e la ragazza raggiunse veloce le porte obbligandolo a seguirla mentre sulla mano contava le monete che aveva trovato in tasca.
Senza dargli il tempo di finire la ragazza afferrò quei pochi spicci e saltò sul bus.
Mostrò l’abbonamento per poi consegnare i soldi all’autista.
“Un biglietto per il mio amico, per favore” accettò con un sorriso il biglietto già obliterato e si voltò per guardare il ragazzo con aria spazientita.
“Ti muovi?”
Lysandre non capì al volo cosa stesse succedendo, ma in un qualche modo si ritrovò sul pullman, le porte chiuse dietro di lui. Seguì quella che solo pochi secondi prima l’aveva definito “suo amico” storcendo contrariato il naso. Loro non erano amici, proprio per niente. Con qualche difficoltà, cercando di mantenere l’equilibrio nonostante le brusche frenate dell’autista, le sedette accanto.
“Non capisco” disse soltanto. Davanti a sé una coppia di vecchietti che si lamentava di chissà quale politico, la sua nuova “amica” che invece aveva ripreso a sfogliare il suo taccuino.
“Io davvero non capisco” ripeté posando ora lo sguardo sulla bionda.
“Se vuoi riavere il diario del tuo amico dovrai impegnarti un po’ più di così” mormorò la ragazza mordicchiandosi le unghie mentre con vivo interesse girava le pagine.
“Signorina, quanto vuole?” chiese a quel punto spazientito. Era difficile fargli perdere la pazienza, poche persone ci riuscivano e questa ragazza sembrava essere una di quelle. Se voleva dei soldi, lui glieli avrebbe dati. Voleva semplicemente riavere il suo dannatissimo diario e dimenticare quella giornataccia.
“Piacere Castiel, davvero molto piacere” porse la mano e Lysandre esitante, e più confuso che mai, la strinse. Aveva una stretta energica, quasi dolorosa.
“Non sono una signorina e puoi darmi tranquillamente del tu”
Sembrava non aver per nulla sentito la sua domanda e questo lo confuse. Era come se il suo comportamento non seguisse un filo logico, diceva la prima cosa che le saltava in mente ed era del tutto estranea alla realtà che la circondava.
“Non sei curioso?” gli domandò con serio interesse chiudendo la causa scatenante di quell’incontro e infilando il quaderno nella tasca della salopette “Non hai mai voluto che uno sconosciuto ti stravolgesse la vita? Non sei mai stato in cerca di novità? Io sono quello sconosciuto. Carpe diem!” gli fece l’occhiolino e accennò un sorriso.
“Non amo gli sconosciuti” si sentì dire mentre l’autobus riprendeva la sua corsa dopo chissà quale fermata.
“Fortuna noi non lo siamo più allora” e nuovamente chiuse un occhio con fare amichevole. Lysandre cominciò a pensare fosse un tic più che un gesto rassicurante.
La ragazza si alzò e Lysandre non poté fare altro che imitarla. La guardò prenotare la fermata e appostarsi davanti alle porte del mezzo.
La signora di poco prima la stava ancora guardando con disapprovazione.
“Non voglio i tuoi soldi. Voglio il tuo tempo, Castiel”
Le porte si aprirono, fece un largo sorriso e con un salto scese, sicura che lui l’avrebbe seguita.
Che altro avrebbe potuto fare? Non gli aveva davvero lasciato altra scelta e non per il taccuino, ma per quel sorriso. Il sorriso che gli aveva regalato prima di scendere.
Le labbra rossissime distese in quello che non era un semplice gesto, il semplice muovere di muscoli, ma un vero raggio di sole.
Quello solo gli aveva fatto dimenticare dove si trovasse e che cosa stesse facendo, l’unica cosa che sapeva con certezza era che voleva – doveva – rivederlo.
 
 




«Juliet the dice were loaded from the start
And I bet and you exploded in my heart
And I forget I forget the movie song
When you gonna realize it was just that the time was wrong Juliet?
~












Euphoria__'s corner:

'Sera, eccomi qui con una nuova fanfic, come protagonista Lysandre. Mi frullava in testa da un po' e ho dovuto scriverla. Lo so, ho un'altra storia da portare a termine e lo farò, ma avevo voglia di scrivere qualcosa di più... stimolante e questa storia è quello che mi serve. Avrei voluto scrivere qualche capitolo prima di pubblicarla, ma visto che di tempo non ne ho e che questo primo chap riposa nel pc (di mio papà, visto che il mio è morto ç.ç) da quasi un mese... perchè non fargli vedere un po' di luce?
Detto questo, avevo già iniziato una storia su Lysandre che è finita nel cestino, ma questa non farà la stessa fine.
E' diversa da ciò che ho scritto fin'ora e potrà non piacere, ma spero comunque di riuscire ad interessare chiunque leggerà, sono aperta a qualsiasi appunto, su forma, stile, lessico... voglio migliorare e voglio "sfidare" me stessa ;P
Piccole note sulla storia:
Il titolo significa "il taccuino perduto",
ogni capitolo avrà il nome di una canzone che potrà o meno c'entrare con quello scritto
(in questo caso la canzone è quella cantanta dalla ragazza, l'ADORO e ho fatto un mese e più a cantarla linko qui il video su youtube consiglio anche la cover dei Killers).
L'immagine iniziale è molto simile a come io immagino la ragazza :)
Un bacione! E grazie se sei riuscito a leggere fino a qui! So di essere logorroica!


 

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Capitolo 2
*** Flower in the Sun ***




 
 
 
 
 
« F lower in the Sun~
 
 


“Dove stiamo andando?”
“Al lavoro” rispose pragmatica la bionda senza rallentare il passo. Un bambino, mano nella mano con la madre, le passò accanto e lei gli sorrise gentile. Attraversò la strada saltellando sulle strisce pedonali, ben attenta a non uscire dalle righe bianche, senza guardare né a destra né a sinistra. Lysandre si accertò che la strada fosse libera prima di seguirla con un’espressione sempre più incredula.
Erano scesi ad una fermata a lui sconosciuta e alle sue domande, poche ad essere sinceri, lei aveva dato una risposta rapida, ma inutile. Lavoro voleva dire molte cose, troppe per i gusti del ragazzo.
Dovevano avere più o meno la stessa età e questo voleva dire che ancora studiava, questo implicava a sua volta un lavoro part-time e lui non aveva nessuna voglia di passare la mattina in un qualche bar a vederla servire drink o a fare la commessa in un qualche supermercato. O forse semplicemente non andava a scuola, forse l’aveva abbandonata come aveva fatto suo fratello. Chissà perché quella fu la spiegazione che gli risultò più plausibile.
La ragazza si fermò all’improvviso e per poco lui non le finì addosso distratto com’era dai suoi pensieri. La vide fare una mezza giravolta per fronteggiarlo e indicare soddisfatta un’insegna che raffigurava un sole sorridente.
“Maison du Soleil, il posto più allegro della costa!”.
Lysandre si voltò verso l’enorme palazzo dell’insegna e nonostante si fosse mentalmente preparato a qualsiasi evenienza ciò che vide non riuscì a lasciarlo indifferente. Quello era l’edificio più strano che avesse mai visto e non solo per la forma ondeggiante e le grandi finestre, che molto gli ricordavano una famosa casa di Barcellona. Le persiane erano tutte di un colore diverso, si andava dai neutri toni del verde a quelli accesi del rosso. Ogni parete era ricoperta da disegni, ma non graffiti frutto della mano esperta di artisti di strada, ma piuttosto di quella di bambini alle prime armi.
Lysandre pensò subito ad una scuola materna, quell’edificio non poteva essere null’altro.
La bionda gli fece l’occhiolino prima di aprire il cancelletto lasciato socchiuso ed entrare.
Lysandre considerò la possibilità di aspettarla lì, sulla strada. In fondo lui non aveva nessun diritto di entrare, come quella ragazza non avrebbe dovuto prendersi il diritto di sconvolgergli completamente la giornata. Considerare, considerò, ma la ragazza non fu dello stesso parere e senza chiedere, o aspettare, spiegazioni lo prese per la manica e lo trascinò dietro di sé.
Lysandre mise su la sua espressione infastidita migliore e restando composto scrollò di dosso quella indelicata presa e silenzioso continuò a seguirla. Era come se lo tenesse in ostaggio, dove andava lei, doveva andare lui o non avrebbe più visto il suo taccuino. In realtà era il quaderno ad essere in ostaggio, ma era più o meno la stessa cosa, pensò.
Raggiunsero la porta d’ingresso anche essa tutta colorata e piena di scritte, le più diverse tra loro, e senza incertezza la ragazza l’aprì.
La prima cosa che vide quando entrò fu il forte odore di gelsomino. No, non lo vide, lo sentì. Era così forte da essere quasi nauseante.
La seconda cosa che lo colpì fu la musica che subito riconobbe: Janis Joplin, scelta insolita per un posto del genere.
La terza furono le pareti: arancioni, dolorosamente arancioni. Piene di foto di uomini e donne con più rughe che capelli, tutti e tutte sorridenti, qui e là un dente o due mancante.
Fu lì che le sue certezze cominciarono a vacillare. Ci mise poco a collegare tutti i pezzi del puzzle tra loro: l’infermiera dietro il bancone, le sedie a rotelle che aspettavano meticolosamente ordinate di fianco all’entrata, un gruppo di anziani che gli era appena passato davanti …
Quello non era un asilo. Allora capì l’odore di gelsomino e perché fosse così forte, capì le sedie a rotelle e capì il perché dell’infermiera. Allora capì di essersi completamente sbagliato e non solo sulla natura di quell’edificio.
Aveva talmente tante domande da fare alla sua rapitrice che cercarla con lo sguardo fu naturale e quando la vide quelle scomparvero tutte. Nel mezzo della hall, ondeggiava, ballava, a ritmo di “Flower in the sun” e, ancora, non conosceva tutte le parole, ma cantava.
Lo sguardo di Lysandre cadde per quello che non fu altro che un millesimo di secondo sul suo fondoschiena che si muoveva incurante a destra e a sinistra, per poi ritrovarsi puntato al soffitto accompagnato da due guance rosse e un sorriso che, come per il rossore, non era riuscito a trattenere.
“Ci vediamo dopo, Monique. E alza un po’ quel volume! Oh baby, oh baby don't you hear me cry?!”
Lanciò a Monique la cartella di chissà quale paziente e scomparve dietro le porte automatiche che davano accesso ad un lungo corridoio.
Sembrava essersi completamente dimenticata di lui e Lysandre si sentì improvvisamente a disagio, finché aveva potuto giocare il ruolo d’osservatore silenzioso quella scenetta gli era sembrata alquanto pittoresca, ma ora si trovava solo, ancora una volta indeciso se seguirla o aspettarla lì. Gli bastò incrociare lo sguardo curioso e divertito, così gli sembrò, dell’infermiera per alzare i tacchi e affrettarsi a raggiungere la bionda.
Mentre camminava a qualche metro di distanza, cercando di mantenere un passo non troppo veloce nonostante i saltelli della ragazza – quella ragazza non camminava, saltellava – si ritrovò a pensare a quanto assurda fosse quella situazione. Se l’avesse raccontata, non gli avrebbero mai creduto. Castiel in particolare. Forse però ne sarebbe stato contento, lo spronava ad uscire con una ragazza da secoli, probabilmente visitare un centro anziani non era quello a cui si riferiva con la parola “uscire”, ma era comunque con una ragazza … no?
“Com’è il tuo amico Lysandre?” chiese la bionda all’improvviso, come al solito senza introdurre la conversazione.
Lysandre si schiarì la voce e come faceva sempre quando era nervoso si sistemò i polsini della giacca. Quella domanda lo agitò e ci mise qualche secondo a trovare le parole adatte.
“È silenzioso” disse infine optando per una risposta corta e priva di possibili doppi sensi.
“Un po’ come te” il colpo che ricevette sulla spalla lo fece inciampare, ma subito riacquistò equilibrio, il viso più rosso che mai. Non si era nemmeno accorto di aver eliminato la distanza che li divideva. Camminavano ora uno accanto all’altra. Quel corridoio sembrava non finire più.
La bionda scomparve con la testa in una stanza per poi uscirne subito dopo.
“Il signor Midrez non ha una bella faccia oggi” commentò fra sé per poi puntare nuovamente gli occhi su di lui.
“Mi piace ciò che scrive. Il modo in cui usa le parole, in cui le mischia e le rimischia per creare qualcosa di così … vero” si tastò con una mano la tasca dove all’interno riposava quel piccolo tesoro trovato nel parco e sorrise tra sé e Lysandre rimase ancora volta senza parole a quell’esplosione di luce. Ogni volta sorrideva sentiva il cuore stringersi in una stretta. I romantici irrecuperabili avrebbero subito pensato si stesse innamorando, ma la verità è che ognuno di noi possiede una bellezza nascosta e la bellezza di quella ragazza era il sorriso. Non era perfetto, gli incisivi erano leggermente sporgenti e forse un po’ troppo grandi, non era il tipico sorriso che pubblicizza dentifrici, ma era dolce ed era quella sua dolcezza a stringergli il cuore. E non doveva necessariamente amarla per apprezzare quel piccolo gesto, bastava avere occhi e mente aperti, essere un osservatore delle piccole cose e Lysandre sicuramente lo era.
Si fermarono entrambi, davanti a loro un’alta porta a due ante. Lysandre era rimasto muto davanti a quel complimento che non era stato indirizzato a lui, ma ero suo e suo soltanto e cercò di ricordare le parole esatte per imprimerlo e custodirlo dentro di sé.
Il suo silenzio fu come al solito ignorato e la bionda spalancò con una vigorosa spinta entrambe le porte.
Il sole lo accecò e subito si portò un braccio davanti agli occhi. Si abituò veloce alla luce e l’immagine di ciò che aveva davanti prese forma.
Una decina di vecchietti li guardavano entusiasti, davanti ad ognuno di loro un cavalletto e una tela bianca, in mano pennelli e tempere, la voce della Joplin, sentita poco prima nella hall, che risuonava grintosa per l’intero giardino grazie agli altoparlanti.
Per l’ennesima volta Lysandre ebbe la sensazione di non aver capito nulla.
“Lucy! Finalmente!”
Solo allora realizzò di aver ignorato il nome della ragazza per tutto quel tempo. Si diede mentalmente del maleducato, come si era potuto dimenticare di qualcosa di così importante?
Forse perché il nome in fondo non è poi così fondamentale per conoscere una persona. Strano, pensò. Allora perché era la prima cosa che ci si diceva? Che cosa sapevi di una persona una volta che ne conoscevi il nome? Nulla. Non avrebbe dovuto essere così. Ci si sarebbe dovuti stringere la mano e poi subito chiedere quale fosse il gruppo preferito, o se si preferiva la carne al sangue o ben cotta, o se se si fosse addirittura vegetariani. Insomma qualsiasi cosa sarebbe stata più utile di uno stupido nome.
“Chi è il tuo amico Lucy? Ma che bel giovanotto!”
Si sentì spinto in tutte le direzioni. Mani a lui sconosciute gli lisciarono la giacca, una signora gli pizzicò la guancia prima di mostrare le gengive sdentate in quello che avrebbe dovuto somigliare ad un sorriso.
“Ragazzi, vi presento Castiel! Oggi ci farà compagnia”.
Un uomo accennò un inchino e una signora ridacchiò civettuola.
“È il tuo ragazzo?” chiese quella avvicinandosi a lui. Gli arrivava a malapena al petto, nonostante i capelli argentei raccolti in una grossa crocchia la alzavano di parecchi centimetri.
“Forse” Lucy si voltò e gli fece l’ennesimo occhiolino … ma che razza di risposta era? Lysandre si ritrovò a deglutire a fatica quando gli occhi di tutti gli anziani gli si puntarono addosso. Alcuni lo guardavano inteneriti, altri cercarono di inviargli degli avvertimenti corrucciando la fronte e indurendo lo sguardo.
Lucy riprese le redini della situazione, roteò il pennello come una majorette e poi rise di gusto.
“Mano ai pennelli! E sfogo all’immaginazione!” gli anziani risero a loro volta e raggiunsero lenti le loro postazioni iniziando a pitturare.
La ragazza sistemò un cavalletto munito di tela accanto ad un altro e piazzò un pennello in mano a Lysandre. Lui la guardò confuso, ma lei semplicemente lo ignorò iniziando a pitturare la sua tela intonsa con pennellate sicure.
“Sai dipingere?” chiese, segretamente invidioso di quella sicurezza nel rompere il biancore della tela.
“Io non so dipingere, io dipingo”
“È la stessa cosa” disse con un velo di irritazione e subito sentì lo sguardo della ragazza su di lui. Guardò insistentemente il telo davanti a sé cercando di ignorare quei due occhi scuri che però sembravano non avere nessuna intenzione di lasciarlo in pace.
“Sono due cose completamente diverse”
Con la coda dell’occhio la vide abbandonare la sua postazione e avvicinarsi.
“Forza, fai una pennellata”
Lysandre rimase immobile, il pennello alto nell’aria e il braccio che si era fatto di marmo.
“Ho paura di sbagliare” disse sorprendendo anche se stesso.
Lucy sorrise gentile e chiuse la mano sopra la sua, stranamente non gli provocò nessun fastidio, anzi i suoi muscoli si rilassarono sotto il tocco delicato della ragazza.
“Vuoi sapere un segreto?” sussurrò con voce divertita e lui si ritrovò ad annuire curioso “Non si può sbagliare” e con un colpo secco spinse in avanti la mano e la punta del pennello incontrò la tela immacolata e un netto segno rosso fece la sua comparsa proprio al centro.
“Ecco fatto!” lasciò la presa e cominciò a girare in tondo per osservare il lavoro dei suoi “allievi” lanciando qualche sguardo nella sua direzione per poi sorridergli dolce. Lysandre rimase a fissare quella macchia scarlatta su quel letto candido per secondi che parvero un’eternità, ricambiò il sorriso che la bionda gli stava rivolgendo da lontano e con un colpo deciso tracciò una nuova linea accanto alla precedente. Lucy aveva ragione, quando non ci sono limiti, non si può sbagliare. E l’immaginazione di certo non ne ha.


 
Once in a green time a flower
Oh, fell in love with the sun.
The passion lasted for an hour
And then she wilted from her loved one.






 
 
Euphoria__'s corner:
Hola. Eccomi ad una settimana (circa) dall'ultimo aggiornamento. Ho poche cose da dire sul capitolo. Ultimamente ho riscoperto una mia vecchia fiamma, Janis Joplin.
Da una sua canzone il titolo del capitolo:
Poi. L'immagine iniziale è la foto di una porta molto particolare che ho fotografato a Parigi :) Mi piaceva l'idea di inserirla nella storia (qui è la porta del centro anziani.
Ed ecco a voi Lucy... non affezionatevi troppo a questo nome ;)
 
Detto tutto? No. Volevo ringraziare le due ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo: Ayukiko_Watarai, Lady_Light_Angel. (E anche Tsuki che l'ha commentata in altra sede ;P) Grazie di cuore! E grazie anche a chi ha inserito la fic nelle preferite <3
Un bacione!
 
ps. ecco una foto "integrale" della porta.

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Capitolo 3
*** I've just seen a Face ***


 

 
 
 
 
 
 
«I've just seen a Face~
 
 


Mentre qualcuno ancora dipingeva, Lucy, in disparte, dialogava con due signore.
Lysandre la osservava da lontano, non sapeva di cosa stessero parlando, ma guardare quel quadretto era divertente. Lucy ondeggiava contenta seguendo la canzone e trascinando con sé una delle due anziane tenendola per entrambe le mani. L’altra, seduta sulla sedia a rotelle, muoveva il busto a ritmo di musica e rideva contenta ogni qual volta la ragazza aprisse bocca.  Le due donne doveva essere sorelle, se non addirittura gemelle. Indossavano quelle che erano chiaramente, e senza dubbi a riguardo, due grandi parrucche, di uno scuro rosso cardinale, lo stesso colore del loro rossetto. Avevano entrambe un grosso naso ricurvo, che nonostante andasse contro ai normali canoni di bellezza e al mito del nasino alla francese, risultava quasi armonioso se guardato nel suo insieme.
Il ragazzo si chiese perché quelle due donne, una delle quali aveva anche evidenti problemi di movimento, perdessero tanto tempo ad acconciarsi a festa. In fondo quella era una semplice casa di cura. Non riusciva a spiegarsi i sontuosi gioielli che portavano al collo, alle dita e alle orecchie, i cui lobi si erano inevitabilmente allungati per gli anni di peso eccessivo.
Un pensiero orribile gli passò per la mente e subito se ne vergognò: in fondo loro erano lì ad aspettare la morte.
Fu però grazie a quel cinico pensiero che trovò risposta alle sue domande. Perché darsi sconfitti per qualcosa che è comunque inevitabile? Perché non vivere al meglio e secondo le proprie regole il tempo che ci resta approfittando di tutto ciò che il nostro corpo può e potrebbe fare? Come per lui era normale mantenere un aspetto pulito ed ordinato, doveva essere lo stesso per quelle donne. Loro non si sentivano morte, malate o sconfitte. Loro erano vive e facevano cose da vivi. Come truccarsi, o indossare dei gioielli per vanità.
Lucy intercettò il suo sguardo e gli sorrise in lontananza risvegliandolo dai suoi pensieri. Guardò la sua tela dove aveva abbozzato un qualcosa di semi-astratto e poi guardò la tela di Lucy: in mezzo a un cielo scuro vi era un piccolo spicchio bianco, una semplice mezza luna. Senza saper perché cominciò a girare intorno osservando i disegni degli altri. Gli fu difficile capire che cosa rappresentassero, alcuni erano totalmente astratti, altri, pur raffigurando qualcosa di concreto, erano talmente intrisi di ricordi e emozioni che era per lui impossibile capirne appieno il significato.
Si fermò ad ammirare una tela in particolare: ormai non più bianca, era invece totalmente del colore del bronzo. Solo al centro spuntavano due grandi occhi. Allungati e a mandorla, le lunghe folte ciglia ne delineavano i contorni, allungandosi sempre di più verso le estremità. I cuori pulsanti di quel disegno erano le iridi, nere, così potenti che misero il ragazzo in soggezione facendolo indietreggiare.
“Non preoccuparti, figliolo. Mi hanno fatto lo stesso effetto” l’uomo seduto sullo sgabello ripose il pennello in una latta tutta ammaccata e sorrise gentile. Era stempiato, i pochi capelli rimasti di un bianco quasi perfetto. Con le dite tamburellava il vecchio bastone che aveva in grembo. Aveva le sopracciglia folte e grigie e due occhi scuri a malapena visibili tra le rughe e le palpebre pesanti.
“Chi è?” chiese Lysandre con le parole che gli scivolarono di bocca senza che lui potesse trattenerle.
“Una donna del deserto”
La domanda successiva gli scappò dalle labbra ancora più velocemente della precedente.
“Chi sono le donne del deserto?”
“Sono quelle donne con pelle bronzea e lunghi capelli scuri che profumano di mistero, di straniero. Aspettano i marinai con il cuore pieno di amore e di passione e una il mio se l’è tenuto. Si chiamava Nahid”.
La prossima sua domanda fu anticipata da Lucy che era comparsa alle sue spalle senza che se ne fosse accorto.
“E com’era Nahid?”
L’uomo allungò lento una mano e con due dita tracciò i contorni del suo disegno.
“Aveva la pelle rovente e voce profonda. Non capivo ciò che mi diceva, ma ogni sua parola era per me linfa. I suoi occhi, come li vedete qui. Due pozzi scuri, vero petrolio, vero oro nero. Nessuno avrebbe potuto reggere il suo sguardo senza impazzire”
Il vecchio rimase in silenzio per quelli che sembrarono minuti, tutto intorno a loro era scomparso. Lysandre non sentiva più né la musica, né le macchine sfrecciare al di fuori di quelle mura. Tutto era muto, taceva, quegli occhi soli parlavano.
“E io da pazzo, la lasciai. Amare è una cosa bellissima e ringrazio il buon Dio per avermene dato la possibilità”.
All’improvviso la terra riprese a girare. La musica, le risate e il rumore della città riempirono l’aria. Quei suoni probabilmente non erano mai cessati, ma a Lysandre parevano del tutto nuovi.
“Anch’io voglio incontrare un uomo del deserto signor Mureau!”
Il vecchio rise di gusto e con qualche difficoltà si alzò. Reggendosi sul suo bastone si avviò verso un gruppetto di signore che non appena lo notarono cominciarono a ridacchiare.
“I tempi sono cambiati signorina!” disse senza voltarsi “E ora, se volete scusarmi, penso inviterò Laurette a ballare!”






 






“Signora De Marelle, lasci perdere Georges! Lei può trovare di meglio, qualcuno con la dentiera per esempio!”
Quella conversazione sarebbe risultata assurda ad orecchie estranee, ma Lucy aveva parlato con grande serietà. La donna aveva annuito, approvando silenziosamente, e l’aveva salutata con un abbraccio.
Lysandre era rimasto in silenzio e, quando quella conversazione terminò, seguì la ragazza sino all’uscita. Quasi gli dispiacque lasciare quel posto. Oltre ad aver scoperto di essere totalmente negato per il disegno aveva passato un’ora ad ascoltare le storie le più disparate – e più belle – della sua vita. Tra quelle persone c’era chi era stato in guerra, chi aveva abbandonato tutto per inseguire i propri sogni e chi invece viveva di rimpianti per non averlo fatto. C’era persino chi faceva la corta a Lucy. Un uomo sulla settantina gli si era avvicinato e gli aveva raccomandato di non alzare le mani sulla sua piccola. Sì, l’aveva chiamata proprio così.
Lucy… già. Ancora non si capacitava di come era finito in quella situazione. O meglio sapeva come ci era finito, semplicemente non riusciva a credere che tutto stesse succedendo realmente. Si sentiva perso in un sogno, come intrappolato in una bolla di sapone.
Quelle cose non accadevano nella vita reale, d’incontri del genere leggeva nei libri.
Stava seguendo, volontariamente precisò nella sua mente, quella ragazza senza sapere dove l’avrebbe portato e soprattutto il perché.
L’osservò saltellare in mezzo alla strada stranamente deserta e senza preavviso sedersi a terra sull’asfalto caldo.
Lysandre rimase in piedi spaesato, come sempre, e guardò più volte sia a destra che a sinistra nella speranza che non arrivasse nessuna macchina.
“Siediti!” la bionda allungò le gambe allineandole con la riga bianca che divideva le due corsie di marcia.
Si sedette riluttante, ma senza aspettare un secondo di più ad eseguire quegli ordini. Forse era stanco di contraddirla e si era finalmente arreso al destino, o forse era quello che voleva veramente fare.
Era la prima volta che si sedeva in mezzo ad una strada e la cosa lo elettrizzò.
“E se passa una macchina?” chiese sentendosi incredibilmente stupido.
“Moriamo” a quella risposta storse la bocca sorpreso, ma decise di non rispondere. Lucy aveva chiuso gli occhi e alzato il viso verso il cielo. Gli occhiali le scivolarono lenti sul naso. Una leggera brezza le scompigliava i ciuffi turchesi scappati dalla treccia e lei sembrava apprezzare quella sensazione. Si sistemò una ciocca e le decine di braccialetti che portava le scivolarono sull’avambraccio rivelando un piccolo tatuaggio. Un mezza luna sul lato sinistro del polso, proprio come quella che aveva dipinto poco prima. Ne aveva un altro, di tatuaggio, appena sotto l’orecchio, raffigurava una singola lettera, la prima dell’alfabeto.
Lysandre notò una piccola macchia di colore accanto alla “A” scritta in un elegante corsivo e automaticamente alzò la mano per pulirla, ma subito si bloccò, il braccio sospeso in aria.
“Sei sporca di tempera” disse riabbassando la mano grato che lei avesse avuto gli occhi chiusi.
Silenzio, la vide fare un profondo respiro prima di aprire di colpo gli occhi e guardarlo vivace.
“Mi piace essere sporca” Lysandre si ritrovò a sorridere a quella improbabile combinazione di parole, sicuro che sarebbe passato molto tempo prima di risentirla uscire dalla bocca di qualcuno.
“Essere sporca mi fa sentire viva. Le persone troppo pulite sono noiose e mi ricordano i morti”.
“I morti?” si ritrovò a farle l’eco non capendo appieno quel ragionamento.
“Quando zia Georgette è morta, la più grande arpia di Francia, lasciamelo dire, Marguerite ha insistito perché l’aiutassi. L’abbiamo vestita e truccata, sai per non farle fare una figuraccia davanti alle altre arpie ancora in vita! L’apparenza prima di tutto, anche da morti, che cavolata!” arricciò il naso in quella che doveva essere una smorfia di dissenso e poi continuò “Bisogna curarsi per se stessi, non per gli altri!” e ancora Lysandre pensò alle due signore di poco prima “Non era mai stata così bella, profumava di rosa. Era pulita, pulitissima … e morta. Mi piace essere sporca, imperfetta come lo è la vita!” si alzò all’improvviso e Lysandre si sentì obbligato a fare lo stesso.
Voleva farle un milione di domande, cercare di capire appieno quello che lei aveva voluto dirgli, farle capire cosa avevano scatenato in lui quelle parole, ma quando aprì bocca ciò che ne uscì lo lasciò profondamente deluso e insoddisfatto.
“Chi è Marguerite?” chiese sapendo perfettamente che quella non era una delle domande che voleva farle, ma incapace di formularne una diversa.
“Mia madre” la bionda si pulì i pantaloncini della salopette con delle vigorose pacche e saltellò fino al marciapiede.
“Stai intralciando il traffico, se fossi in te mi sposterei da lì” gli fece l’occhiolino prima di voltarsi e avviarsi nella direzione da cui erano venuti.
Solo allora Lysandre si rese conto della macchina davanti a lui e dello sguardo minaccioso del conducente. Una suonata di clacson lo fece sobbalzare e veloce si spostò dalla carreggiata, guardò quella macchina comparsa dal nulla allontanarsi veloce prima di voltarsi e seguire la ragazza, già parecchi metri più avanti.
“Lucy!” urlò per poi subito rimpiangerlo, in fondo lei non si era mai ufficialmente presentata. La vide fermarsi poco più avanti e a passi veloci la raggiunse. Lo guardava divertita, una strana luce negli occhi.
“Io non mi chiamo Lucy” disse ridendo e aumentando così il suo imbarazzo.
“Ma al centro anziani …” provò a giustificarsi e il sorriso della bionda non fece altro che aumentare.
“Il fatto che loro mi chiamino Lucy non vuol dire che quello sia il mio nome”
Con lei nulla era semplice, prima la differenza sul dipingere e il saper dipingere e ora questo. Quello che per lei era assolutamente normale, per Lysandre, e i sette miliardi di persone che abitavano il pianeta pensò lui, non lo era.
“E come posso chiamarti?” le chiese leggermente frustrato, aveva la continua sensazione di sbagliare tutto.
“Come ti pare” Lucy, nonostante quello non fosse il suo nome, alzò le spalle e gli lanciò uno sguardo gentile prima di riprendere la marcia verso la loro prossima metà.
“Dove stiamo andando?” per la seconda volta quel giorno stava percorrendo strade a lui del tutto sconosciute dietro la guida di qualcuno di cui non conosceva neanche il nome. Doveva proprio tenere a quel taccuino per farsi trascinare in giro così.
“A licenziarmi” Lysandre spalancò gli occhi con sorpresa e per poco non inciampò. Quel giorno sembrava aver dimenticato l’equilibrio a casa.
“Quanti lavori hai?” la domanda gli venne spontanea e si stupì della sua loquacità. Quello che però lo stupì ancora di più fu il fatto che fosse realmente interessato alla risposta. Si trovò a volere sapere sempre di più sul conto di quella ragazza.
“Quattro. Tre fra poco e tutto per colpa di Antoine” Lysandre non le chiese chi fosse Antoine, né quali altri lavori facesse. Al suo sguardo sorpreso però, Lucy non poté che dare ulteriori spiegazioni.
“Sono per lo più lavori part-time, come quello al centro, con la scuola non potrei permettermene uno vero”
Allora lei studiava, proprio come lui. Quella rivelazione lo colpì. Cominciò a chiedersi il perché di quei tanti lavori e a che cosa servissero. La risposta più plausibile era anche quella più semplice: problemi economici. La sua famiglia non doveva passarsela molto bene.
Sentì un improvviso senso di gratitudine che si mischiò subito a quello di colpa. I suoi non gli avevano mai fatto mancare nulla, avevano persino incoraggiato Leigh ad aprire il negozio, certo seppur dopo qualche titubanza. Lui non aveva mai neanche preso in considerazione l’idea di trovarsi un lavoro. Forse l’aveva giudicata troppo in fretta e pensare che era quello che più odiava in una persona: il giudizio facile.
Non sapeva nulla di lei e già l’aveva giudicata, criticata. Cercò di svuotare la mente, resettò tutto per iniziare daccapo. Cosa sapeva di quella ragazza? Forse più cose di quello che pensava. Sapeva che lavorava in un centro anziani, che amava dipingere, cantare e che chiamava la madre per nome. Mancava però qualcosa.
“Perché?” chiese con voce calma. Non sapeva una cosa importante, fondamentale quasi.
Forse avrebbe dovuto spiegarsi, aggiungere qualcosa a quel suo perché, ma aveva la sensazione lei avesse capito alla perfezione.
“Perché sei buffo” Lucy gli si avvicinò e gli abbottonò l’ultimo bottone del giacca divertita.
“Davvero buffo” appoggiò due dita sulla spalla e lo spinse appena. Fatta una giravolta, attraversò la strada, il semaforo finalmente verde.
Si infilò nel primo locale e sparì dalla sua vista. Lysandre la seguì lento, massaggiandosi dove lei lo aveva spinto. Sentiva ancora la pressione delle sue dite sulla pelle.
Lui era buffo? Quello era tutto ciò che aveva sempre cercato di evitare di essere. Sapeva di essere particolare, bizzarro quasi, ma non era buffo, proprio per niente. Era composto, educato, elegante e mai nulla di quello che diceva era lasciato al caso. Come poteva essere buffo? Raggiunse il punto in cui era scomparsa e alzò lo sguardo.
Un’insegna rosa al neon lampeggiava fioca nella luce diurna.
“L'Orgasme”
Non prometteva nulla di buono.
Se sul pensionato si era sbagliato, le probabilità di ricommettere lo stesso errore erano minime e vista l’insegna che vietava l’ingresso ai minori di diciotto anni quello non era sicuramente un asilo.
Si guardò intorno, prese coraggio ed entrò.


 
I've just seen a face
I can't forget the time or place where we just meet
She's just the girl for me and
 I want all the world to see we've met
Had it been another day
I might have looked the other way

And I'd have never been aware
But as it is I'll dream of her tonight
 
 
Euphoria__'s corner:
'SEEEERA. Ed ecco il terzo capitolo. In principio le donne del deserto non esistevano, o meglio non in questa storia, poi però mi dispiaceva pubblicare senza inserirci una mini storia. Quindi ho allungato il chap.Le donne del deserto mi sono state ispirate dal libro Oceano Mare (letto una miriade di anni fa ma che amo con tutta me stessa uhuh).
La battuta sulla strada e la morte viene dal film The Notebook (mai visto, quindi nè lo consiglio nè lo sconsiglio).
Canzone del capitolo: I've just seen a face, del mio gruppo preferito di sempre.
Che altro dire? Spero di postare il prossimo chap presto, ma doma inizio con l'uni e sarò un po' impegnata :( sigh.
Ultima cosa: ringrazio tantissimo chi ha recensito lo scorso chap:

Lady_Light_Angel
solly
Tsuki 96
Ayukiko_Watarai
charlina

E tutte quelle utenti che hanno inserito la fic nelle preferite e seguite :) Davvero grazie mille <3
Un bacione!




 
 

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Capitolo 4
*** L'Amour est Laid ***


 
 
 
 
 
 

 
 
« L'Amour Est Laid~
 
 
 
Dopo una breve anticamera scura, entrò in quello che doveva essere un club a luci rosse di lusso. Non che ne avesse visti molti, a dire il vero. Una volta era riuscito ad entrare con Castiel in un club di periferia, uno di quelli con le ragazze che ballavano avvinghiate a dei pali e le luci talmente soffuse da non vedere un metro dal naso. Tutto stava procedendo per il meglio, finché non si era accorto di aver perso il suo taccuino. Lui e il rosso avevano passato l’intera nottata con il viso a due centimetri da terra, tra tavoli e divanetti, perdendosi gran parte dello show. Per un attimo, entrando, si era aspettato musica alta, cameriere con divise poche coprenti e uomini un tantino troppo allegri, ma non vi trovò nulla di tutto ciò. Per sua fortuna quel club di giorno doveva essere chiuso e così non differiva poi molto da una normale discoteca.
Le ragazze c’erano, ma erano completamente vestite e provavano chissà quale balletto sul palcoscenico in fondo alla stanza. Al vederlo bisbigliarono divertite e subito Lysandre cercò con lo sguardo Lucy nel tentativo di ritrovare un po’ di sicurezza.
Avrebbe dovuto dirglielo a Lucy, o come diamine si chiamava. Doveva dirglielo.
Sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto.
Non poteva continuare così. Non poteva scomparire e abbandonarlo davanti ad uno strip-club e il tutto senza spiegazioni. Oh, glielo avrebbe detto! Sì, avrebbe messo le cose in chiaro.
Non fu difficile trovarla in quell’enorme stanza. Era seduta a gambe incrociate sul bancone del bar e guardava curiosa le prove delle ballerine.
Tutto ciò che aveva sulla punta della lingua sino ad un secondo prima sembrò fare marcia indietro in quell’istante. La raggiunse il più veloce possibile, senza però scomporsi troppo, e solo una volta accanto poté calmarsi.
“Gran posto. Aperto da mezzanotte alle otto del mattino. Serviamo anche la colazione. Dovresti consigliarlo ai tuoi amici” lo sguardo di Lucy era ancora puntato sulle ragazze. Una la salutò con la mano e lei ricambiò cordiale.
“Tu lavori qui?” Lysandre si guardò ancora una volta intorno.
Quello che sembrava un normale club doveva avere tutt’altro aspetto la notte.
Prima di tutto non era neanche sicuro lei fosse maggiorenne, per non parlare poi dell’assurdità della cosa. Di giorno assisteva gli anziani e la sera si faceva infilare i soldi nelle mutande? Arrossì di colpo e scacciò quell’immagine compromettente dalla mente. Ma cosa andava a pensare? Doveva esserci una spiegazione logica. Si ricordò allora con chi avesse a che fare e le sue speranze di capirci qualcosa morirono all’instante.
“Lavoravo qui” lo corresse la bionda senza prestargli davvero attenzione “E questa era la mia postazione!” diede un colpo al bancone con la mano aperta. Lysandre si sentì immediatamente sollevato e, nonostante non gli piacque ammetterlo, il motivo era soltanto quello.
“Facevi la barista?” chiese in cerca di conferma e al suo annuire distratto si sentì ancora meglio. Lucy gli indicò la parete dietro il banco e senza aggiungere nient’altro saltò a terra. Lysandre provò a seguirla con lo sguardo, ma quello tornò per conto suo verso il punto indicatogli spinto dalla curiosità. Lì dove di solito uno si aspetterebbe di vedere bottiglie di tutti i tipi vi erano invece milioni di foto, polaroid scattate giorno dopo giorno, notte dopo notte.
Lucy era facile da individuare con quei suoi capelli chiari, vi erano foto di lei ovunque: mentre serviva drink, abbracciata a due donne – o così sembravano – con sgargianti copricapi piumati, appisolata sul bancone, in spalla ad un uomo mentre rideva contenta... e poi ancora, foto di ragazzi e ragazze, di luci sfocate, del locale, di Lucy senza maglietta, delle ballerine sui pali… Cosa? Lo sguardo di Lysandre tornò veloce un paio di foto indietro, aveva visto bene? Sì, decisamente troppo bene: una bottiglia di vino tra le labbra e una mano che sollevava la maglietta mostrando ciò che madre natura le aveva donato senza vergogna o censure, sulla pancia un numero a quattro cifre: “2013”. Si doveva essere divertita parecchio il capodanno passato.
“Ti piace quella foto?” domandò l’interessata spuntando all’improvviso da dietro il bancone. Lysandre per poco non sobbalzò e si ritrovò a tossire imbarazzato. Lucy sorrise furba, staccò la foto dal muro, guardò prima a destra e poi a sinistra e si sporse in direzione del ragazzo.
“Vieni qui! Non ti mangio!” al suo esitare lo afferrò per lo jabot e lo tirò a sé, gesto che a Lysandre non piacque affatto. Estrasse il fazzoletto dal taschino della giacca e ci infilò la foto, concluse il tutto con un occhiolino, prima di spingere il ragazzo di lato con quella sua solita delicatezza inesistente.
Lysandre fece appena in tempo a spostarsi che un uomo gli si parò di fianco. Era poco più basso di lui, ma decisamente ben piazzato. I capelli neri e mossi gli arrivano alle spalle, portava la barba corta e ben curata, sul collo erano visibili diversi tatuaggi che dovevano partire dal petto. Nonostante fossero al chiuso indossava un paio di occhiali da sole dalle lenti rotonde e sfumate di azzurro, per non parlare poi della quantità assurda di collane e anelli che portava. Lo aveva già intravisto in diverse foto e quando lo vide lì, in carne e ossa, ebbe la sensazione fosse una figura a lui già familiare.
“Roxanne, piccola, che ci fai qui?”
Quel nome catturò violentemente l’attenzione di Lysandre, che non si sarebbe comunque perso una parola, si sentiva in un qualche modo a suo agio in quel ruolo di spettatore.
Il nuovo arrivato lo squadrò dalla testa ai piedi e sorrise beffardo.
“E questo damerino?”
Lysandre valutò l’opzione di rispondergli, ma qualsiasi cosa gli venne in mente gli parve talmente infantile che alla fine preferì evitare discussioni inutili. Lucy, o meglio Roxanne, sembrò apprezzare quel gesto, non lo disse apertamente, ma Lysandre notò il sorriso appena accennato che gli rivolse.
“La tua nuova fiamma?” inferì allora l’uomo non avendo ottenuto nessuna risposta. Perché tutti li pensavano una coppia? Lysandre poteva capire gli anziani alla casa di riposo, insomma non dovevano avere quella gran vita sociale, ma cosa aveva fatto credere a quell’uomo che loro due stessero insieme?
“Geloso?!” Lucy alzò un sopracciglio sarcastica e senza mai lasciare l’uomo con lo sguardo posizionò un bicchiere sul bancone. Lysandre non le aveva mai visto quella luce maliziosa negli occhi e non sapeva se trovasse la cosa innaturale o incredibilmente adatta a lei. L’osservò miscelare abilmente diverse bevande, aggiungere una fetta di lime e passare il tutto al moro.
“Antoine, tra di noi è finita”.
Per poco Antoine non si strozzò, lanciò il bicchiere con malagrazia tanto che un po’ del contenuto strabordò e bagnò il bancone. Quella reazione sembrò però non toccare la ragazza, che asciugò paziente il tavolo e fece un sorso a sua volta.
“Roxy, cosa stai dicendo? Piccola, ma sei impazzita?” la mano dell’uomo andò a posarsi su quella della bionda. Invece di respingerla, come Lysandre aveva immaginato, Roxanne la strinse intrecciando le sue dita a quelle di Antoine.
“Non sono impazzita, Lysandre mi ha semplicemente aperto gli occhi” al sentirsi tirare in causa Lysandre sbarrò gli occhi e si morsicò la lingua per evitare di parlare. Non poteva far saltare la sua copertura.
“E chi è questo Lysandre?” Antoine era ora di pessimo umore e lo si capiva dal modo in cui parlava.
“Qualcuno che mi capisce perfettamente, ma questo a te non deve importare. Ciò che è importante è che io non ti amo, non più”.
A quelle parole il moro scoppiò a ridere, portò la mano della ragazza alle labbra e la baciò diverse volte prima di sorriderle languidamente.
“Tesoro, non si è mai parlato di amore”
Roxanne sorrise a sua volta, un sorriso innocente, bambinesco quasi, così diverso da quello dell’uomo.
“Per me lo è stato. Un amore brutto, un amore sporco” Lysandre spalancò gli occhi a quelle parole e indietreggiò inavvertitamente di un passo per la sorpresa, il battito del suo cuore che aveva accellarato a dismisura.
“Rami pieni di spine per asciugare le lacrime! Ma tu continua a comportarti come gli altri: per ripulirti il cuore, prendila con charm”.
Lysandre si voltò verso l’uomo aspettandosi di vederlo con la più confusa delle espressioni sul viso eppure vi trovò tutt’altro: un sorriso divertito e la presunzione negli occhi. Doveva essere abituato a quelle uscite bislacche della ragazza.
“Io non credo ai tuoi soldati, non più. Me ne frego dei tuoi re, il mio cuore è ormai marcio. Non credo ai tuoi guaritori, me ne fotto delle tue regole che mi hanno già spinto in errore”.
Lysandre conosceva a memoria ogni singola parola pronunciata da Roxanne. Forse lei ne aveva cambiata qualcuna, ma lui non aveva dubbi. Era la sua canzone. L’aveva scritta lui.
Quando alzò lo sguardo trovò quello di lei che lo fissava complice. Le sorrise, non seppe perché lo fece, semplicemente allungò le labbra in quello che era il tentativo di farle capire che sapeva. Che sapeva da dove veniva quel pensiero, che approvava e che, questo forse lei non lo avrebbe colto, l’ammirava. Sì, perché nessuno era mai arrivato a cercare di comprenderlo, invece leim non solo aveva letto quei pensieri con attenzione, ma li aveva fatti propri. Ammirava il fatto che potesse davvero fare quelle che per lui, per colpa della sua vigliaccheria, erano sempre state solo parole. Non sapeva che cosa avessero voluto dire per lei quelle semplici strofe, buttate già un pomeriggio di qualche giorno prima in una delle sue riflessione, ma sapeva però avessero trasmesso un significato ben preciso e la cosa lo inorgoglì.
“Piccola mia, non capisco dove tu voglia arrivare” disse l’uomo interrompendo quell’innocente gioco di sguardi e riportando la conversazione ad un livello più concreto.
“È finita Antoine. Tra me, te, il locale. Mi licenzio. Semplicemente non funziona più, non mi va più bene. Tu, questo, noi... non credo sia quello che mi serva al momento” Roxanne ritirò veloce la mano, ancora stretta in quella dell’uomo, e uscì da dietro il bancone fronteggiandolo. Era più bassa di parecchi centimetri e vicino a lui sembrava una ragazzina.
Per la prima volta da quando era arrivato, Lysandre notò l’atteggiamento di Antoine cambiare e farsi incredibilmente serio.
“Mi stai chiedendo di lasciarti andare, piccola?”
“Non te lo sto chiedendo”
Roxanne sorrise dolce e Lysandre si ritrovò a pensare che quei sorrisi dovevano avere lo stesso effetto che avevano su di lui anche su Antoine. L'uomo si tolse gli occhiali, mostrando due piccoli occhi color ghiaccio e in un attimo perse la serietà nello sguardo.
“Quel Lysandre è un uomo fortunato”scherzò portandosi una mano al cuore.
“Neanche lo conosco” la voce di Roxanne tradì una fragilità che poco le si addiceva e Lysandre non poté fare a meno di notarlo.
Sentì lo stomaco contrarsi, odiava mentire e quella situazione diventava sempre più complicata. Avrebbe voluto dirle “Ehi, sono io Lysandre! Quella è la mia canzone!” ma il rimorso di non aver detto la verità sin dal principio e l’imbarazzo ebbero la meglio.
Antoine si avvicinò alla ragazza e la strinse forte, il tutto sotto lo sguardo imbarazzato di Lysandre che non era ben riuscito a cogliere il filo della conversazione e che comunque era troppo preso con quella sua lotta interiore per prestare davvero attenzione.
“Dettagli, non trovi?” l’uomo le fece furbo l’occhiolino prima di allontanarsi da lei e fare un sorso dal bicchiere ancora mezzo pieno.
Roxanne guardò in alto e né Antoine, né Lysandre seppero mai perché lo fece, riabbassò lo sguardo, si alzò in punta di piedi e stampò un fugace bacio sulle labbra del moro, poi, dato il suo addio, prese per mano Lysandre e per la prima volta lo guidò verso l’uscita.
Non lo lasciò solo, non lo abbandonò a se stesso dando per scontato che lui la seguisse. Lo prese per mano. Lo guidò.
Prima di scomparire nell’anticamera scusa però Roxanne si fermò e nello stesso istante Antoine parlò.
“Io sarò sempre qui, nel caso tu volessi tornare da me”
“Un orgasmo perenne non è affatto un orgasmo, Antoine”
Senza più voltarsi, Roxanne e Lysandre varcarono l’uscita dell’Orgasme.
 
 
 
Lo stava fissando e in un modo decisamente poco discreto e altrettanto fastidioso.
Aveva iniziato appena fuori il locale e non aveva più smesso. Era inciampata diverse volte, si era sorretta a lui per non cadere, ma non aveva smesso un minuto di fissarlo.
Lysandre sentiva le guance calde ed era sicuro aver assunto un colorito decisamente innaturale, sentiva caldo e il suo sguardo vagava senza una metà precisa nel tentativo di evitare quello di Roxanne, che comunque sembrava non curarsi minimamente del suo disagio.
“Sai quando sono entrata all’Orgasme per la prima volta, io volevo fare la lap-dancer” Lysandre sentì quel enorme peso scomparire non appena la bionda aprì bocca. Qualsiasi argomento di conversazione era meno imbarazzante di quegli occhi puntati su di lui.
“E ci ho anche provato, una notte soltanto, a dire la verità. Poi per la storia dell’età e di tutte quelle stupide regole, Antoine mi aveva messo dietro il bancone. Non che fossi questa gran ballerina, ma era divertente, eccitante e cosa più importante Marguerite non avrebbe mai approvato! Non che sarebbe mai venuta a saperlo, sia chiaro! Fare la barista alla fine si è rivelato essere altrettanto interessante”.
Lysandre non poté far altro che immaginarsela su una di quelle postazioni. Non capiva come quella ragazza potesse essere così contradditoria. Non appena pensava di averla inquadrata, lei faceva qualcosa di assolutamente incoerente per smentirlo.
“Quando questa mattina ho letto quella poesia-canzone-qualsiasi cosa fosse, sul taccuino del tuo amico, mi sono sentita rinascere e ho capito. Non era più posto per me!”
“Come puoi da delle semplici parole prendere decisioni così importanti?”
Quando lo aveva nominato, prima davanti ad Antoine, si era sentito in un qualche modo orgoglioso, era riuscito con le parole a comunicare un qualcosa, ma allo stesso tempo non riusciva a capacitarsi di come una decisione potesse essere presa così alla leggera, per delle semplici frasi lette sul quaderno di uno sconosciuto.
“Sono entrata all’Orgasme perché ero alla ricerca di qualcosa. Ho trovato Antoine, ho trovato il brivido del proibito. Ho messo in gioco me stessa e lo rifarei una, cento, mille volte ma si cresce, si cambia e non c’era più nulla per cui valeva la pena restare. Più nulla che mi interessasse. Quel posto cominciava a starmi stretto e se volevo chiudere con il locale, dovevo chiudere anche con Antoine. Volevo farlo già da tempo, le parole del tuo amico mi hanno semplicemente dato la spinta giusta”.
“Tu e Antoine…” non finì nemmeno la frase, che subito desiderò rimangiarsi quelle parole. Quelli erano tutto fuorché affari suoi e non importa quanto quel piccolo dubbio lo avesse fatto impazzire nella precedente mezz’ora, avrebbe dovuto tenerlo per sé.
“Non siamo mai stati una coppia” la risposta della ragazza lo confuse a tal punto che non riuscì a tenere la bocca chiusa.
“Hai detto di amarlo” sì, non erano affari suoi e sì, non aveva il diritto di parlare con lei di quel lato della sua vita, ma l’amore era un argomento che lo interessava. Lo affascinava ed era sempre stato per lui qualcosa di enorme, irraggiungibile. Non aveva mai detto “ti amo” ad una ragazza non perché non avesse mai provato un affetto profondo a tal punto, ma perché non si era mai concesso quella libertà. Amare era qualcosa di molto più grande del semplice voler bene e quelle parole erano per lui un macigno troppo grande da scagliare. Roxanne sembrò captare quei pensieri e cominciò a muovere le mani in aria nel tentativo di spiegare meglio la sua teoria.
“Ognuno ha la propria visione di amore” esordì cercando di calibrare ogni singola parola. Nonostante ne parlasse liberamente, quell’argomento doveva essere delicato anche per lei “Per me l’amore è semplice. Come nasce finisce e quando lo fa bisogna accettarlo. Per me si può amare per giorni, mesi, anni interi oppure per una notte soltanto. Puoi amare una persona, puoi amarne di più. Non capisco perché il sentimento più bello al mondo debba diventare complicato. Perché la gente ha paura di due semplici parole? Ti amo. Non sono difficili da dire. Ho amato Antoine nel passato, forse lo amerò nel futuro, ma non c’è posto per lui nel mio presente. Non c’è posto per quel tipo d’amore nel mio presente, ultimamente sento di volere qualcosa di diverso che quel tipo di relazione”.
Quella era una visione talmente discordante da quella che aveva lui dell’amore! Aveva sempre pensato ci fosse un solo grande amore nella vita di ciascuno, un pensiero scioccamente romantico, ma che amava conservare. Così come aveva sempre creduto l’amore non finisse, o almeno non del tutto. Erano pensieri ingenui, ma che riuscivano a fargli vedere il buono nel mondo e vedere qualcuno che prendeva, così alla leggera, un sentimento di cui aveva letto, scritto, ma che non si era mai concesso il lusso di provare lo turbò.
“La gente ha paura a dire ti amo, per quello che vi è dietro” disse guardando a terra osservando i suoi stessi passi. Avrebbe potuto cambiare il soggetto a quella frase, avrebbe potuto sostituire quel "la gente" con un semplice io, ma non lo fece.
“E che cosa vi è dietro?”
“Promesse. Grandi, difficili promesse”
“Hai detto difficili, non impossibili”
"Ed Aspettative che tutte insieme costruiscono un vero castello di carta, instabile e precario"
"Basta avere delle buona fondamenta".
 
 
Ici l'amour est laid
Ici l'amour est sale
Y a des branches de rosier pour t'essuyer les larmes
Alors fais comme les autres tu sais à Amsterdam
pour t'essuyer le coeur, prends la avec du charme

Mais moi je crois pas
Je crois pas en vos soldats
Je me fous de vos rois
qui me pourrissent le coeur
Et moi je crois pas
pas en vos soigneurs
Je me fous de vos lois
qui me poussent à l'erreur
 
 
 
 
 
Euphoria__'s corner:
'Sera! Eccomi qui con un nuovo capitolo! E' contorto, confuso e probabilmente noioso... ecco, io vi ho avvisati.
Ringrazio le tre persone che hanno commentato lo scorso capitolo :3


Tsuki 96
charlina
Lady_Light_Angel


Grazie mille davvero e mi scuso per il ritardo nel rispondervi. Non sapete quanto mi facciano piacere le vostre recensioni:3 Davvero, sono affezionata a questa storia e sapere che là fuori nel mondo (è un mondo piccolooo - cit* Zazu ;P) c'è qualcuno che l'apprezza mi rende davvero felice.
Una canzone che adoro <3 (consiglio anche Toi et Moi :) ) L'ho inserita nel capitolo in modo particolare: pretendendo che l'autore fosse Lysandre. Ho un po' adattato il testo, inserendo una traduzione a grandi linee, il significato poi è molto metaforico.
Presto posterò anche come io mi immagino la voce di Lysandre ;)
La storia è ambientata in Francia anche se non specificherò dove, penso comunque nel Sud, sulla costa o lì vicino perchè è la parte della Francia che meglio conosco. Ho cambiato il nome del locale che si chiama ora "L'orgasme" e la frase sull'orgasmo di Lucy viene da un testo sul fanatismo che avevo letto tempo fa!
Detto questo, un bacione e al prossimo capitolo!
 
 

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Capitolo 5
*** Brown Eyed Girl ***


 
 
 
 
 
 
 
«Brown Eyed Girl~
 
 
 
Place de larmes: un nome, un programma.
La leggenda narrava di una giovinetta con il cuore spezzato. Tradita dal suo amato, aveva pianto così tanto che le sue lacrime, una dopo l’altra, erano riuscite a riempire un pozzo da anni asciutto. Quelle gocce salate erano però prova di un amore così sincero da non riempire solamente quel vecchio pozzo, ma da risvegliare la fonte e donare nuova acqua fresca alla cittadina fino alla fine dei tempi.
Quello era poi diventato l’esatta fontana dove Lysandre e Roxanne erano seduti. La ragazza aveva raccontato quella leggenda con gran trasporto interrompendosi di tanto in tanto per mangiare uno o due chicchi d’uva e Lysandre dovette ammetterlo, anche se gli sembrava una storiella campata per aria, Roxanne era davvero una brava racconta-storie.
Le campane della chiesa alle loro spalle cominciarono a suonare nel momento esatto Roxanne terminò il suo racconto riempiendo l’aria con dodici colpi ritmatici.
L’estate stava giungendo al termine, ma faceva ancora dannatamente caldo e quella piccola piazza, sconosciuta ai più nonostante la grande storia che la riguardava, era completamente deserta a quell’ora del giorno. Il sole fastidioso di mezzogiorno batteva infatti sulle loro teste togliendo quasi il respiro.
Roxanne fece scoppiare l’ultimo chicco in bocca, si guardò intorno con aria annoiata finché non le si accese una particolare luce negli occhi, quella che sempre compare quando si prende una decisone. Cominciò a tirare fuori tutto ciò che aveva in tasca e ad appoggiarlo per terra: il taccuino, un vecchio portamonete, un mazzo di chiavi e un cellulare dall’aria malandata, i diversi pezzi tenuti insieme da del nastro adesivo.
Giocherellò con l’acqua per poi portarsi la mano bagnata sul collo rinfrescandosi appena.
“Fa davvero troppo caldo” e semplicemente, senza aggiungere altro, si lasciò cadere nella fontana.
Lysandre saltò in piedi a quel gesto improvviso, pensò la ragazza avesse perso l’equilibrio, ma quando la vide sorridere contenta, seduta sul fondo della vasca con il corpo per metà immerso, capì quello fosse stato un gesto completamente programmato.
“Tu non hai caldo?” gli chiese innocente sciogliendo la treccia ormai distrutta.
“Non penso un bagno in una fontana sia la soluzione più adatta” disse cercando di suonare il più risoluto possibile senza però voler criticarla.
“Si sta benissimo in acqua! Togliti almeno la giacca!”
Il ragazzo ci pensò su, in effetti sentiva caldo, valutò in silenzio e alla fine se la sfilò per appoggiarla lì accanto a sé.
“Hai qualcosa di valore nelle tasche dei pantaloni?”
“No, perché? Aspetta io…!” non riuscì a finire la frase che si sentì abbracciare stretto e in un attimo non capì più nulla. Sentiva il corpo di Roxanne stretto al suo, i suoi vestiti bagnati che si appiccicavano alla camicia, il viso della ragazza nascosto nell’incavo del suo collo e, sopra ogni cosa, sentiva un forte profumo di ciliegia.
Un attimo dopo era completamente bagnato, sdraiato in quei pochi centimetri d’acqua con la ragazza ancora stretta a lui. Non aveva nemmeno avuto il tempo di opporre resistenza.
Aprì bocca con tutte le intenzioni di urlare, di rimproverarla ma quando incrociò il suo sguardo tutt’altra idea gli si fece largo nella mente. Roxanne stava ridendo come mai l’aveva vista, il viso di lei a pochi centimetri dal suo e ancora rideva, rideva forte e il cuore di Lysandre non poté che riempirsi di gioia che al suono cristallino e pieno di vita.
In acqua si stava davvero meglio.
“Non è affatto divertente” disse cercando di mantenere un tono serio, ma tradendosi con un sorriso, mentre la ragazza si sollevava da lui e gli sedeva accanto.
Roxanne allungò un braccio e delicatamente gli spostò un ciuffo di capelli dal viso guardandolo dritto negli occhi. Lysandre la sorprendeva spesso fissarlo, non che lei non facesse nulla per nasconderlo! Anche allora lo stava guardando con un interesse che superava la semplice occhiata.
“Oh, sì lo è!” gli sorrise furba e Lysandre non riuscì a trattenersi, quel sorrisetto innescò in lui qualcosa di incomprensibile: le mani si mossero senza che lui avesse ordinato di farlo. La schizzò dritta in faccia, un getto d’acqua che le scompigliò tutti i capelli e la costrinse e serrare stretti gli occhi.
Roxanne smise immediatamente di ridere e lo guardò con aria di sfida.
“Vuoi la guerra?!”
Si sentì travolgere da un’onda d’acqua e poi un’altra ancora, reagì per istinto, portò le mani davanti a sé e iniziò a schizzarla a sua volta, una, due, altre cento volte. Cominciarono a correre entrambi, in quei sessanta centimetri d’acqua scarsi. La rincorse in tondo, aggrappandosi più volte alla statua al centro per non cadere. Sentiva gli stivali pieni d’acqua e i pantaloni pesanti. Aveva la camicia appiccicata al petto e i capelli completamente fradici, ma cosa più importante si sentiva libero, come se con la giacca si fosse tolto molto più che un semplice indumento.
Non era così spontaneo da secoli, era come se per la prima volta da anni stesse agendo senza riflettere e questo lo faceva sentire bene, dannatamente bene. Lo faceva sentire vivo.
Forse quella non era solo acqua, forse c’erano davvero delle lacrime magiche e un po’ dell’amore della giovane dal cuore spezzato si stava facendo largo dentro di loro.
Esausti e senza fiato si lasciarono cadere mollemente a terra, la schiena appoggiata al bordo e gli occhi rivolti verso l’enorme chiesa che primeggiava su tutta la piazza.
Rimasero in silenzio per parecchi minuti, come unico suono l’affanno dei loro respiri e il battito del cuore che rimbombava nelle orecchie. Poi, all’improvviso, Roxanne prese la mano di Lysandre e se la posò sul petto. Il ragazzo provò a scostarla imbarazzato, ma lei mantenne la presa.
“Lo senti? Il mio cuore sta per esplodere”
Lysandre allora fece qualcosa che ancora oggi non si riesce a spiegare. Prese la mano della ragazza e la portò a sua volta sul proprio petto.
“E tu senti il mio?”
Roxanne lo guardò come se lo avesse visto per la prima volta. Quello sguardo così smarrito e stupito lasciò Lysandre per un attimo incantato. Tutta l’innocenza che aveva sempre visto in lei sembrò raggiungere l’apice in quel preciso istante. Contornate da ciglia imperlate di gocce che brillavano al sole, quelle due iridi color cioccolato - un colore così sottovalutato - lo avevano completamente stregato.
Ancora una volta quei due grandi occhi scuri erano riusciti a fargli perdere la cognizione del tempo e dello spazio.
Era seduto sul fondo di una fontana, completamente bagnato e in compagnia di una delle persone più strane e più eccitanti che avesse mai conosciuto, ma in quel momento non riusciva a ricordare nulla di tutto ciò perché nulla di tutto ciò era importante.
L’unica cosa che sapeva era che quello sguardo era il tipo di sguardo che avrebbe voluto vedere ogni giorno. Erano occhi a cui avrebbe voluto raccontare la sua vita, erano occhi che sapeva l’avrebbero ascoltato.
Erano occhi che avrebbe potuto amare.
“Perché mi hai sorriso, prima al locale?” la voce di Roxanne era seria, tagliò silenzio come un coltello affilato. Lysandre sentì le unghie di lei graffiargli lentamente e impercettibilmente la camicia.
“Perché ero felice” rispose il più sincero possibile, senza però dirle la verità.
“Non farlo più, va bene?”
Quelle parole lo risvegliarono bruscamente dalla trance in cui era caduto. Lo ferirono quasi. Il coltello gli si era rivolto contro.
“Non farlo più, non in quel modo. Per favore” la voce della ragazza si era fatta più dolce, ma quelle parole restavano dolorose.
Sorrise, un sorriso che a differenza dei precedenti parve a Lysandre incredibilmente falso.
La guardò arrampicarsi sul bordo ed uscire. Non aspettò che anche lui fosse uscito, afferrò le sue cose e senza dire una parola si avviò verso una metà solo a lei nota.
“Dove vai?” fece in tempo a urlargli il ragazzo mentre si affrettava ad uscire e a recuperare la giacca.
“Da zia Adélaïde, tu non vieni?”



 
Imboccarono una via laterale incredibilmente stretta. Era piena di negozietti e piccoli bar.
Lasciavano una scia d’acqua ovunque andassero. Lysandre si sentiva impacciato nei movimenti, con gli stivali pieni d’acqua e i pantaloni che continuavano a scivolare giù per via del peso. Aveva perso ogni traccia di quella spensieratezza che prima si era impossessata di lui, si sentiva goffo e così tremendemanete fuori posto. Forse avrebbe dovuto imparare a vivere la vita con più leggerezza, non rimpiangeva quello che aveva fatto, solo non aveva il coraggio di ammetterlo a se stesso.
Roxanne si fermò davanti ad una saracinesca chiusa, verde muschio, la vernice scrostata in più punti. In alto vi era un’insegna, in lettere dorate primeggiava la scritta “Chez Adèle” adornata da fiori disegnati e foglie d’edera che erano cresciute sull’intero edificio.
Roxanne cercò nelle tasche l’enorme mazzo di chiavi e dopo averne provate diverse sollevò con un colpo secco la saracinesca rompendo il silenzio con il cigolio dell’acciaio.
Si trattava di un semplice negozio di vestiti. In vetrina vi primeggiava un vestito anni cinquanta di un rosso intenso, la vita stretta con una fascia nera e una gonna larga che terminava con dei ricami dello stesso colore.
Roxanne non diede spiegazioni, aprì la porta del negozio e vi entrò. Lysandre esitò un attimo, ma allo sguardo spazientito della ragazza si affrettò a seguirla.
Entrò in quella che era una vera baraonda di vestiti. Ve ne erano ovunque: maglioni che strabordavano dagli scaffali, sciarpe appese ai pali del ventole attaccate al soffitto... vi era della stoffa persino attorno al registratore di cassa, uno di quelli antichi che accompagnavano l’apertura del cassetto con il classico “din!”.
Tutto sembrava essere diviso per decade. Vi erano i famosi anni sessanta con le loro minigonne, i pantaloni a zampa degli anni settanta, le spalline imponenti degli ottanti e le camicie a quadri dall’aria tanto grunge dei novanta. Sì, vi era una sorta di ordine contorto in quella confusione.
Roxanne abbassò la saracinesca a metà e la stanza cadde in penombra. Senza dire una parola fece segno al ragazzo di seguirla. Recuperò dei capi da uno scaffale ed entrò nel retro.
Lysandre la seguì imbarazzato da quel suo cambio di umore. Che cosa le aveva fatto? Sì, le aveva sorriso, ma non pensava quel gesto potesse offenderla.
Il retro era – se possibile – ancora più confusionario del negozio. Cercò di farsi largo tra gli scatoloni e di seguire la ragazza senza far cadere nulla, una vera e propria sfida visto l’innumerevole quantità di oggetti in posizioni precarie. C’erano due scrivanie stracolme di fogli, una macchina da cucire, diversi manichini e attrezzi da sartoria.
“Lavori anche qui?” chiese cercando di spezzare il silenzio e trovandosi incredibilmente a disagio in quel ruolo per lui così nuovo.
“Sì” quella risposta smorzò sul nascere qualsiasi altro suo tentativo di fare conversazione. “Castiel prendi!” afferrò al volo quello che Roxanne gli aveva appena lanciato: un paio di jeans e una maglietta bianca.
“Sono brava con le taglie, ti andranno bene. Ora dammi le scarpe”.
Dovette guardarla con la più confusa delle espressioni, perché Roxanne si sciolse in un sorriso, uno di quelli veri e che Lysandre tanto amava, distendendo un po’ la situazione. Il ragazzo si sentì immediatamente meglio e sorrise a sua volta, sorriso che fu però interrotto bruscamente al ricordo di ciò che lei gli aveva detto. Quello che ne uscì in effetti fu più una smorfia.
“Gli stivali, Castiel, li porto fuori al sole. Asciugheranno meglio. Tu intanto cambiati”.
Lysandre annuì proprio come avrebbe fatto un bambino e se li sfilò con difficoltà, scatenando qualche risolino da parte della bionda. Avrebbe dovuto sentirsi in imbarazzo, invece era grato che Roxanne fosse tornata quella di sempre.
Aspettò che la ragazza fosse uscita per cambiarsi alla velocità della luce. Non voleva assolutamente correre il rischio di farsi sorprendere mezzo nudo. Si guardò in uno specchio lì vicino e sentì un colpo al cuore. Gli sembrava di tradire se stesso vestito in quel modo, mancava solo la giacca di pelle e la brillantina e avrebbe potuto far concorrenza a John Travolta. Non indossava un paio di Jeans da anni, da quando viveva in campagna, e la cosa non gli era mancata affatto. Si sentiva impacciato e incredibilmente scomodo, nonostante Roxanne avesse azzeccato la taglia.
Si girò più volte su stesso, finché qualcosa attirò la sua attenzione nel riflesso dello specchio: vi era un libretto nero sulla scrivania lì accanto. Si avvicinò e subito lo riconobbe: il suo taccuino.
Era lì, incustodito, di Roxanne non vi era traccia.
Lo prese in mano e se lo rigirò tra le dita.
Eccola lì: la chiave della sua libertà. 
 
 
Standing in the sunlight laughing,
Hiding behind a rainbow's wall,
Slipping and sliding
All along the water fall, with you
My brown eyed girl,
You're my brown eyed girl.
 
 
 
 
 Euphoria__'s corner:
'Sera! Eccomi qui con il nuovo capitolo. Ho voluto tagliarlo è più corto del precendente, ma nella media, dai!
Come al solito ringrazio di cuore le mie due lettrici:


Lady_Light_Angel
charlina

 
La canzone del capitolo -> Clicca qui ;P
E che dire? Sì, ho un po' tirato il personaggio di Lysandre in questo chap, ma volevo mostrare un lato di lui molto raro e l'acqua davvero fa miracoli con le persone.
Ora lui si trova ad un bivio, cosa farà? Volevo tagliare il capitolo così.
Voi che ne pensate? La storia è un work in progress quindi ogni possibilità è aperta.
Un bacione e al prossimo chap.
 
 

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Capitolo 6
*** Rebel Rebel ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 
«Rebel Rebel~
 
 
 
 
“Ti vanno alla grande!”
Roxanne entrò nella stanza a piedi nudi saltellando come suo solito.
Le unghie proprio come quelle delle mani, di dieci colori diversi.
I capelli bagnati erano stati raccolti in uno chignon disordinato striato di azzurro.
Si avvicinò alla scrivania e accarezzò con una mano il taccuino per poi sorridere tra sé, sorriso che non sfuggì però al ragazzo.
Sì, aveva deciso di lasciarlo di lì. Aveva deciso di restare e non c’era scelta di cui era mai stato più sicuro. Andarsene voleva dire porre la parola fine e lui non era ancora pronto per quello. Per un attimo ebbe la sensazione Roxanne lo avesse messo alla prova. Come se quel taccuino non fosse stato lasciato lì casualmente e che il suo trovarlo non era stato affatto dettato dal caso.
Lysandre cercò con la mano i polsini della camicia, in quel movimento così naturale per lui, per non trovarvi nulla. Si sentiva nudo senza quel “travestimento” che tanto amava portare. Solo allora realizzò come dei semplici indumenti potessero essere molto di più. I bottoni dei polsini che tanto amava allacciare, il foulard che spesso si ritrovava ad aggiustare, erano semplici gesti in grado di infondergli grande sicurezza. Una sorta di armatura contro il mondo.
“Come hai conosciuto Lysandre?” Roxanne aprì il diario e cominciò a sfogliarlo. Doveva conoscere quelle pagine a memoria ormai.
La salopette ancora bagnata gocciolava lenta sul pavimento di legno.
“Abbiamo una band” decise di essere sincero, non ce l’avrebbe fatta a mentire ancora. Le bugie erano un brutto affare. Più crescevano, più erano difficili da domare.
Roxanne sembrò pensarci su, si soffermò qualche tempo su una o due pagine e poi, senza preavviso slacciò la spallina della salopette ancora allacciata. L’indumento, fino ad allora tenuto su da quel semplice bottone, cadde senza fatica a terra appesantito dall’acqua, scivolando veloce sulle gambe della ragazza.
Lysandre si voltò immediatamente verso il lato opposto della stanza, pentendosi di non aver anticipato prima quel gesto.
“Castiel, mi passi il vestito sopra lo specchio?”
Si guardò intorno finché non trovò ciò che gli aveva indicato la bionda, si allungò per afferrarlo e glielo passò attento a non voltarsi. Roxanne lo afferrò toccando di proposito le dita del ragazzo e lui non poté far a meno che lasciarsi accarezzare. Ritirò la mano bruciante e la infilò subito in tasca.
Il suo sguardo vorticò per l’intera stanza alla ricerca di un punto qualsiasi su cui soffermarsi ben consapevole che il riflesso di Roxanne stava giocando con lui solo poco più in basso.
“Lysandre è un musicista?” a quelle parole la sua concentrazione vacillò, ogni qual volta sentiva il suo nome, il cuore perdeva un battito. Lo sguardo cadde involontariamente davanti a sé e da lì non riuscì più a scostarsi. Si vedeva riflesso in tutto il suo imbarazzo e dietro di lui, lei.
Lui sapeva lei sapeva.
Lui sapeva lei sapeva lui la stesse guardando.
Lei sapeva lui sapeva.
Lei sapeva lui sapeva lei lo avesse fatto di proposito.
Roxanne voleva lui giocasse al suo gioco e Lysandre c’era cascato alla grande.
La maglietta enormemente larga dei Bon Jovi le arrivava a metà coscia, la salopette di jeans riposava pesante a terra. Era seduta sulla scrivania, il taccuino aperto tra le mani, gli occhiali che riposavano sulla testa e i piedi che si muovevano avanti e indietro nell’aria. Il vestito bianco che riposava arruffato accanto a lei.
“Puoi voltarti, mi piace guardarti quando ti parlo” lo sguardo di lei si alzò dal quaderno e incontrò quello di Lysandre nello specchio. Il ragazzo lo distolse quasi subito, come scottatosi, prese un bel respiro e si voltò.
 “C-canta”
Gli occhi di Roxanne si spalancarono contenti. Appoggiò il diario sul tavolo e con un salto scese a terra. Le bastarono due passi veloci per raggiungere Lysandre, che immobile osservava ogni suo movimento.
“Quindi quelle sul quaderno sono canzoni? Che genere fate? E com’è la sua voce?”
Lysandre non sapeva più come risponderle, trovava tutta quell’attenzione nei suoi confronti, anche se in realtà non era direttamente rivolta a lui, fastidiosa. Non gli erano mai piaciute le domande, odiava dover dare spiegazioni su chi fosse, ma in quel momento quel fastidio non era dovuto a quello, ma ad altro. Era geloso. Geloso di se stesso, geloso di quel fantomatico Lysandre.
Roxanne non provava il minimo interesse per lui che le era lì davanti a lei. Sembrava essere completamente persa di quello scrittore sconosciuto. Forse se avesse saputo chi realmente lui era, sarebbe stato diverso. Forse lo avrebbe guardato con la stessa intensità con cui leggeva quelle pagine di diario.
“Castiel, è bello?” la voce di Roxanne era debole, appena un sussurro, ma Lysandre la udì perfettamente a quella distanza.
“C-hi?” chiese con una gran confusione in testa, non si ricordava nemmeno chi fosse quel Castiel.
“Non riesco a smettere di guardarli” Roxanne aveva improvvisamente cambiato discorso e Lysandre si ritrovò ad indietreggiare leggermente sotto la spinta invisibile della ragazza. Sentiva il suo corpo troppo vicino al proprio, le sue gambe nude sfiorargli la stoffa del jeans ed l’ormai familiare profumo di ciliegia impregnare l’aria.
“C-cosa?” domandò sentendosi ancora una volta incredibilmente stupido.
“I tuoi occhi” la mano della ragazza raggiunse coraggiosa il suo viso e tracciò lenta il contorno dell’occhio smeraldino, gli accarezzò le ciglia e continuò la sua corsa tra i capelli del ragazzo.
Lysandre godé appieno di quel piccolo gesto, quasi rabbrividì sotto a quel delicato tocco. Si sorprese di come Roxanne ne fosse capace, sino ad allora lo aveva spinto e trascinato ovunque senza la minima delicatezza, invece in quel momento quelle dita lasciavano una pressione quasi impercettibile sulla sua pelle.
“Posso vedere il tuo tatuaggio?” chiese all’improvviso allontanandosi di un passo e lasciandolo completamente inebetito.
“Non sei l’unico a sbirciare” si ricordò di come solo pochi minuti prima l’aveva osservata riflessa nello specchio e ogni sua obiezione morì sul nascere.
Era strano come quel gesto fatto da qualcun altro lo avrebbe mandato in bestia, ma fatto da lei era quasi divertente.
Roxanne gli sorrise furba e Lysandre sentì le sue mani indugiare delicate sulla vita.
Solo quando il suo sguardo incrociò quello di lei, Roxanne si sentì autorizzata a sollevargliela.
Lysandre sentì subito le dita fredde e sottili di lei sulla pelle, ovunque lo toccasse lasciava una scia rovente. Risvegliò ogni suoi senso, un lungo brivido gli percorse la spina dorsale. Aveva deciso di dirle di sì, di lasciarla fare e tutto perché non aveva bisogno di nessuna armatura con lei.
Roxanne non era una minaccia, non lo era mai stata e solo ora se ne rendeva conto.
Con lo sguardo chiese a Lysandre di voltarsi e lui ubbidì.
Era ormai totalmente in suo controllo e avrebbe fatto qualsiasi cosa. Da una parte lo spaventava l’effetto che quella ragazza aveva su di lui, ma dall’altra non poteva che esserne affascinato.
“Amo i tatuaggi, soprattutto quando raccontano una storia. Tu sei troppo silenzioso, il tuo tatuaggio deve averne una forte”.
Lysandre poteva sentire il suo respiro caldo sulla schiena e i suoi polpastrelli tracciare i contorni dell’inchiostro intriso nella pelle.
“Quello che non racconti a parole, lo racconti sulla pelle”
Come era finito in quella situazione?
Come aveva permesso ad una perfetta sconosciuta di entrare così nel suo mondo?
Come poteva condividere con lei qualcosa di così intimo e il tutto sentendosi incredibilmente bene? Come se si fosse fatto quel tatuaggio solo per quello, come se per tutta la vita non avesse fatto altro che aspettare quel momento.
“Tu, però, non me la racconterai”
Lysandre non fu sorpreso, forse avrebbe dovuto esserlo, ma non lo fu. Si sistemò la maglietta e si voltò per fronteggiarla. Era vero, non gliela avrebbe raccontata, almeno non allora. Era ancora troppo presto.
Gli fece l’occhiolino poi senza nessun preavviso si tolse la t-shirt e la buttò a terra accanto alla salopette. Lysandre rimase muto, la bocca spalancata a mezz’aria, le parole interrotte sul nascere. Quel corpo minuto aveva finalmente preso forma sotto i tuoi occhi, libero da quella maglia extra large.
Roxanne indossava della biancheria bianca con semplici ricami di pizzo e accanto a quel candido pallore vi primeggiava una scritta nera. Seguiva il contorno del seno, incurvandosi verso l’alto, a quella distanza, nella penombra della stanza, Lysandre non riuscì a indentificare che cosa vi fosse scritto.
Come se gli avesse letto nel pensiero Roxanne si avvicinò, mentre lui invece deglutiva a fatica.
Era sensuale e non perché lo facesse apposta. Lo era e basta. Non vi era finzione. Camminava lenta, le braccia abbandonate sui fianchi.
“Ecco, questo è il mio” la bionda lo guardò con aria di sfida e un sorrisetto beffardo. Non si sarebbe mai abituato a quella sua spavalderia.
Rispose al sorriso, questa volta senza nessuna paura.
Trovando un coraggio che molte volte gli era mancato, passò lento il pollice sulla scritta. Non gli bastava vederla, voleva toccarla.
In un’altra situazione non si sarebbe mai permesso tanto, ma in quel magazzino polveroso sogno e realtà si mischiavano alla perfezione e la distinzione tra i due non era poi più così importante. L’aria era pesante dei loro respiri, carica di parole non dette e di desideri nascosti.
Sentì la sua pelle morbida e la durezza delle costole.
“C’est ma vie” mormorò e subito cercò gli occhi di Roxanne. Lo guardavano maliziosi, gli incisivi un po’ troppo grossi che morsicavano quella labbra così rosse e che risplendevano a contrasto.
“Neanche tu mi racconterai la tua storia, non è vero?” quelle parole rimbombarono nella stanza.
Per un attimo Lysandre ebbe la sensazione che Roxanne si stesse avvicinando sempre di più. Sentiva la pelle della ragazza premere contro le sue dita e quel profumo di ciliegia, così forte, così dolce, invadergli le narici.
Quelle labbra scarlatte erano ora il suo unico pensiero: cosa avrebbe provato nell’unirle alle proprie?
E forse le avrebbe anche baciate, forse le avrebbe davvero assaggiate, forse si sarebbe anche spinto oltre se Roxanne non avesse abbassato lo sguardo.
“Parlo già abbastanza. Non vuoi sprecare il tuo tempo ad ascoltarla, credimi” si allontanò veloce e ancor più velocemente indossò il semplice vestito bianco che gli aveva passato poco prima il ragazzo.
Sentirono la saracinesca scattare e una porta sbattere, Roxanne lo guardò confusa prima di correre nel negozio.
Lysandre avrebbe voluto dirle di provarci, di metterlo alla prova. Di prendersi il suo tempo senza chiedere prima il permesso. In fondo era come aveva sempre fatto, in fondo era così che si erano incontrati.  
Se vi era stato qualcosa in quel magazzino era completamente scomparsa nel momento esatto Roxanne aveva abbassato lo sguardo.
 
 
 
 
“Salvia! Ho bisogno di salvia! Bennie tu ne hai vista?”
Lysandre fu travolto dalle urla di una donna che correva a destra e a manca per l’intero negozio. Parlava con una certa Bennie, ma non gli fu difficile capire quello essere uno dei tanti nomi di Roxanne.
Rimase fermo sul posto ad osservare quella che aveva capito essere la famosa zia Adélaïde.
Era alta, molto alta. Probabilmente lo superava in altezza e questo capitava raramente. Doveva essere quasi un metro e novanta. Indossava una lunga gonna color malva che seguiva ogni suo movimento. Le arrivava alle caviglie lasciando intravedere i calzettoni neri e i sandali di cuoio. Uno stile particolare per la proprietaria di un negozio di vestiti. Quello che però più colpì Lysandre furono i capelli: riccissimi di un arancione intenso. Una vera e propria criniera selvaggia.
Bennie, tanto valeva chiamarla con quel nome, era seduta a penzoloni sul bancone e osservava divertita la scena. Gli occhi che si spostavano da una parte all’altra della stanza.
“Anni sessanta, secondo scaffale, vinile di Jimi Hendrix
La donna si bloccò di colpo, fece dietrofront verso la decade indicatale dalla ragazza e ululò soddisfatta quando trovò un bustina di plastica contente diverse erbe essiccate.
“Zia, non dovevi aprire il negozio questa mattina?” le chiese Roxanne facendo nel frattempo segno a Lysandre di avvicinarsi.
“Io e le ragazze abbiamo avuto una seduta questa mattina! E io ho finito la salvia! ”
Non aveva realmente risposto alla domanda della ragazza, ma a Bennie sembrò non importare.
“Com’è andata?”
“Una liberazione cara, una vera e propria liberazione!”
Solo allora sembrò notare il ragazzo, non si limitò a studiarlo con lo sguardo, ma cominciò a girargli intorno, storcendo il viso smorfie più o meno educate.
Gli occhi della donna erano rimpiccioliti dalle spesse lenti degli occhiali e risultò difficile a Lysandre ricambiare il suo sguardo.
La proprietaria del negozio tirò su con il naso, si grattò il cespuglio color carota che aveva in testa e guardò la nipote con fare indagatorio.
“Amico tuo?” Bennie annuì e la donna esplose in un urletto di gioia cambiando completamente atteggiamento.
“Gli amici di Bennie sono amici miei! Come ti chiami, caro?”
Lysandre si presentò come Castiel e allungò la mano che gli fu stretta mollemente con le sole quattro dita.
“Adélaïde! Incantata e dimmi, caro, tu non ti vergogni del tuo nome, non è vero?”
Quella semplice domanda lo ammutolì, quelle parole non erano state rivolte a lui, la donna aveva guardato intensamente la nipote nel pronunciarla, gli occhi tagliati a metà dagli occhiali e un sorriso falso sulle labbra. Allo stesso tempo però non poté impedirsi di rispondersi: lui non si vergogna del suo nome, ma di se stesso altrimenti non avrebbe avuto bisogno di fingersi un altro. Se solo quella donna avesse saputo, quell’occhiata di rimprovero sarebbe stata allora rivolta a lui.
Bennie alzò gli occhi al cielo prima di saltare giù dal bancone e porsi tra la zia e il ragazzo.
“Sei un disastro, piccola ribelle!” la donna scosse divertita la testa e si sedette sullo sgabello accanto al registratore di cassa.
“Avevo finito la salvia” disse tra sé tamburellando con le dita sul banco.
“Lo hai già detto zia” Adélaïde annuì energicamente alzando l’indice in aria.
“Hai ragione! L’ho già detto! Cosa sto dimenticando allora?”
Si portò una mano al mento e cominciò a rimuginare parole tra sé. Stava cercando di ricordare qualcosa, ma a quanto pareva ogni suo sforzo era vano.
Bennie non riuscì a trattenere un sorriso e lanciò uno sguardo complice a Lysandre che era rimasto un po’ scombussolato da quell’incontro. La verità era che quel disperato tentativo della donna di richiamare alla memoria chissà quali pensieri, gli ricordò se stesso e la cosa lo spaventò non poco. Avrebbe dovuto prendere seri provvedimenti! Per cominciare una dieta ricca di fosforo!
“Zia, noi usciamo dal retro! Ci vediamo domenica, per l’eclissi”
All’udire la parola eclissi la donna saltò in piedi e batté entrambe le mani sul banco facendo sobbalzare entrambi i ragazzi.
“Eclissi! Luna! Marguerite! Ha chiamato Marguerite!”
Adélaïde si risedette e si asciugò la fronte con una manica come se ricordare quel dettaglio gli era costato grande fatica. Lysandre associò subito quel nome, di solito non era bravo in tutto ciò che richiedesse un minimo di memoria, ma stranamente ricordava benissimo tutto ciò gli avesse detto Bennie.
“Devo dire basta agli intrugli di Clarisse! Non riesco a ricordare più nulla!”
La donna non si era accorta di come l’atmosfera fosse completamente cambiata. Bennie non sorrideva più, il suo sguardo si era fatto duro e guardava la zia con attenzione.
“Che cosa ti ha detto?”
“Chi?”
“Marguerite” la calma nella voce di Bennie fu però tradita da quel suo grattarsi nervosa le unghie.
“Mi ha chiesto se hai dormito da me. È l’ultima volta che mento per te, signorina” c’era una celata ironia nella voce della donna e persino Lysandre, totalmente estraneo a quella conversazione, capì quella bugia non fosse altro che una delle tante e soprattutto non l’ultima.
“Nient’altro?” Bennie era tesa, tesissima e Lysandre rimase colpito da quel suo cambio di umore. Come poteva la madre metterla in quello stato di agitazione?
“No, ma ti consiglio di dormire a casa stanotte! Mi sembrava di sentire mia madre al telefono! Adélaïde guarda che faccia! Adélaïde hai strappato le calze! Chi l’avrebbe mai detto Marguerite avesse preso così tanto da lei? Eppure ha il mento di papà, sì, sì tutto suo!” Adélaïde si era persa nei suoi pensieri e l’atmosfera tornò a essere quella leggera di poco prima. Bennie fece un lungo sospiro prima di tirare le labbra in un sorriso.
“Dove sei stata?” gli chiese la zia con occhi curiosi.
“In giro per il mondo”
“Più specificatamente?”
“Un concerto nella vieille ville”
Fu lì che Lysandre si ricordò del fatto che le due fosse imparentate. Quella donna si rivolgeva a Bennie come se fosse stata sua madre, certo una madre molto bizzarra. Notò ancora una volta il tatuaggio che Bennie aveva dietro l’orecchio, quella “A” poteva voler significare molte cose, ma più le vedeva insieme più si convinceva avesse un solo preciso significato.
La donna sorrise e si appoggiò con entrambi i gomiti sul bancone. Sospirò riportando alla mente chissà quali ricordi, tornò però subito seria.
“Promettimi di dormire a casa stanotte”
“Te lo prometto, zia! Ci vediamo per l’eclissi!”
“Eclissi, luna, domenica… no non mi viene in mente nient’altro! Puoi andare!”
Bennie rise di gusto prima di prendere per mano Lysandre, il quale non oppose alcuna resistenza, e avviarsi verso la porta del magazzino.
“Ehi, vagabonda!” si bloccarono entrambi senza però voltarsi “Ricorda che a me piaci così!”
 


Rebel rebel, youve torn your dress
Rebel rebel, your face is a mess
Rebel rebel, how could they know?
Hot tramp, I love you so!
 
And I love your dress
Youre a juvenile success
Because your face is a mess
So how could they know? 
 
 
 
 
Euphoria__'s corner:
'Sera! Questo capitolo è lungo. Lo so, è che più andavo avanti più scrivevo! 
Ringrazio in particolar modo Charlina, mi ha aiutato tantissimo ed è sempre pronta ad ascoltare i miei scleri su questa storia :P
La canzone del capitolo -> Clicca qui 
Piccola precisazione: nella canzone si legge "hot tramp, i love you so" -> tramp ha diverse traduzioni, alcune delle quali poco eleganti, ho preferito scegliere quella che più si adatta a Roxy ovvero vagabonda.
L'immagine iniziale appartiene ad una serie di frasi molto famose in francia, a nizza le fermate dei tram ne sono piene <3
Ringrazio chi ha recensito lo scorso chap (grazie milleeeeeeee <3) a cui risponderò il più presto:
Lady_Light_Angel
Tsuki 96
Gozaru

 
Non posterò per un po', causa università e bisogno di pensare a cose più serie. Tornerò probabilmente a novembre.
Intanto spero la storia vi piaccia :) Un bacione!! (ps. è tardi, giuro che domani rileggo e correggo gli orrori! Ma volevo postare assolutamente ;P)

 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Mr. Brightside ***


 
 
 
 
 
 

«Mr. Brightside~
 
 
 
 
“Prendi nota!”
Lysandre indirizzò a Bennie uno sguardo confuso, ma lei non gli prestò attenzione.
“Riportare il libro a Dorian”.
Il ragazzo non sprecò parole per chiederle chi fosse, la conosceva abbastanza bene per sapere che le chances di ottenere una risposta fossero pari a zero.
“Dobbiamo andare in un posto!” la ragazza si fermò all’improvviso come alla ricerca di un segnale, poi si voltò e ripercorse veloce il tratto di strada che li divideva dal negozio per prendere la via opposta a quella scelta poco prima.
“Strada sbagliata” si giustificò con un sorriso e Lysandre la seguì senza protestare, sentiva lo stomaco sottosopra. In parte associava quella strana sensazione ai jeans e agli stivali ancora bagnati e in parte alla curiosità che piano stava crescendo dentro di lui.
Dove lo stava portando? Si aspettava di tutto e di niente. Non riusciva a decifrarla e questo, stranamente, lo eccitava. Non pensava sarebbe mai potuto essere possibile. Non gli piaceva non riuscire ad inquadrare una persona, ma quel giorno si era ritrovato a smentire molti punti fermi del suo carattere e aveva finalmente deciso di smettere di combattere e di lasciarsi trasportare dagli eventi.
Raggiunsero la via principale e Lysandre fu quasi stupito nel notare gli altri passanti. Era come se nell’ora precedente fossero esistiti solo loro sul pianeta e tornare in un qualche modo alla realtà, tra gli sguardi della gente e il rumore della città, fu come svegliarsi bruscamente da un bel sogno, uno di quelli che lasciano un amaro sapore in bocca al risveglio.
Dovevano essere una strana coppia agli occhi del mondo, pensò osservando il loro riflesso in una vetrina e sorridendo involontariamente.
Cominciò a riconoscere gli edifici e infine capì esattamente dove si trovassero e quando Bennie si fermò, realizzò quello fosse solo il primo passo verso la loro prossima destinazione.
Davanti alle scale della metro, la ragazza osservava con sguardo corrucciato un mendicante seduto in ginocchio, in mano un cartello scritto alla bene e meglio.
La gente saliva e scendeva le scale il tutto senza mai neanche degnarlo di uno sguardo. Lysandre lo aveva già visto, prendeva spesso la metropolitana in quel punto e se non lo trovava lì, lo rivedeva in qualche altra fermata.
Indietreggiò quando la ragazza si voltò di colpo.
“Arrivo subito. Resta qui”.
Per la prima volta da quando si erano incontrati quella mattina Lysandre non la seguì. Bennie affrettò il passo e scomparve dietro l’angolo. Avrebbe voluto farlo, avrebbe davvero voluto seguirla, ma lei gli aveva detto di non farlo e contravvenire a quell’ordine così risoluto gli sembrò quasi impossibile. Così era rimasto, fermo, immobile, probabilmente con una strana espressione sul viso.
Più i minuti passavano più si sentiva perso. E se non fosse tornata?
Di solito era paziente. Anzi, aveva sempre pensato la pazienza essere uno dei suoi più grandi pregi, con un amico come Castiel! Invece, in quel momento, non riusciva a smettere di battere il piede. Era ansioso, ogni qual volta vedeva una testa spuntare sperava fosse quella azzurrina della ragazza e più gente passava, più perdeva le speranze.
Sospirò per l’ennesima volta e guardò l’orologio da taschino che sempre portava con sé: non erano passati che pochi minuti e questo sembrò tranquillizzarlo.
“Eccomi, scusa se ci ho messo tanto” alzò immediatamente lo sguardo alla voce della ragazza.
Lysandre fece per rispondere quando, con sua sorpresa, capì non stesse parlando con lui.
Bennie era ricomparsa con un sacchetto di plastica in mano, un giornale nell’altra e un grande sorriso sulle labbra scarlatte.
La ragazza lo superò veloce e si piegò accanto all’uomo. Quello non alzò neanche la testa, guardava in basso, le mani giunte.
“Il cartello dice che hai fame... ti ho preso un panino al pollo, spero ti piaccia” posò il sacchetto accanto all’uomo insieme al giornale “Ci sono degli annunci interessanti. Datti una ripulita e trova un lavoro”. Lysandre l’osservò tirare fuori dal portamonete delle monetine e posarle sul piattino insieme alle altre offerte, prima di alzarsi e stirarsi energicamente il vestito. Fece due saltelli e scese le scale di corsa, come se nulla fosse successo, lasciandolo lì solo con l’uomo e con il viavai di passanti.
Scese lento i gradini, la consapevolezza che lei lo avrebbe aspettato, in fondo lo aveva sempre fatto, gli occhi ancora fissi sul mendicante che finalmente aveva alzato la testa. Intercettò il suo sguardo, ma non riuscì a sostenerlo.  
Quella era la prima volta che lo guardava. Anni e anni di tirare dritto, passati ad ignorare e mai guardare in basso, che crollavano ora davanti ai suoi occhi.
Quando raggiunse Bennie quella sensazione di disagio non l’aveva ancora abbandonato, lei era già dall’altra parte dei tornelli.
“Abbiamo perso la metro” dichiarò solenne una volta raggiunta la banchina vedendo il mezzo allontanarsi per il tunnel “Tutto per colpa tua, sei lento”.
“È stato un bel gesto” gli disse Lysandre ignorando le accuse poco velate della bionda non riuscendo a comunicarle in altro modo la sua sorpresa per quello che era successo poco prima.
“Sei un ingenuo se pensi che l’abbia fatto per lui”
Lysandre alzò stranito un sopracciglio e non riuscì a trattenere un sorriso divertito. Quella sua franchezza non lo infastidiva più, lo divertiva invece.
“Ingenuo?” ripeté curioso accarezzandosi il mento con una mano. Gli piaceva quella parola. Ingenuo. Non era la prima a definirlo così.
“L’ho fatto per me. Per sentirmi meglio. Ho solo buttato altra polvere sotto il tappeto, non ho risolto il problema”
“Rimane comunque un bel gesto” la voce di Lysandre suonò più bassa di quello che avrebbe voluto, per la prima volta quel giorno la stava fronteggiando e non si sentiva più a disagio a farlo “Non bisogna per forza fare la cosa giusta. A volte bisogna fare la cosa che ci sembra meno sbagliata. Non puoi caricarti il peso del mondo sulle spalle, non tu sola”.
“Prendi una canzone triste e rendila migliore, no?” Bennie gli fece l’occhiolino e canticchiò tra sé il vecchio successo dei Beatles. Guardò Lysandre piegando appena la testa, lo sguardo quasi amorevole. Fece una mezza giravolta e indicò una cabina delle fototessere lì vicino.
“Facciamo una foto?” e senza aspettare risposta lo prese per mano e lo trascinò dentro tirando la tenda.
Lysandre non poté fare altro che sedersi in quello spazio ristretto e subito Bennie fece lo stesso sulle sue gambe. La ragazza sembrò non notare il suo imbarazzo iniziale o se lo fece lo ignorò completamente. Inserì i soldi e scelse veloce tra le diverse opzioni.
“Vuoi davvero uscire così teso nelle foto?” gli disse senza neanche guardarlo. Doveva sentire la sua tensione sul corpo, nel modo in cui le mani erano appoggiate precariamente sulla sua vita, o come aveva smesso addirittura di respirare.
“Rilassati, Castiel”
Bennie si voltò così da guardare Lysandre negli occhi. I loro visi erano così vicini che lui poteva sentire il respiro caldo della ragazza sulle guance.
“Uno…due… tre…”
Prima che il ragazzo potesse anche solo distendere le labbra in un sorriso sentì quelle di Bennie premere forte sulle sue.
In un primo momento rifiutò quel bacio inaspettato, ma poi non riuscì più a combatterlo, o meglio, non volle più farlo.
Si sciolse sotto le labbra sapienti di quella ragazza, affondò le dita nella sua pelle e finalmente si lasciò andare. Tutto ciò che non aveva detto, ma desiderato, sembrò prender vita in quel momento. Serrò forte gli occhi e nel buio di quella dolce tortura esplosero mille luci.
Il bacio che era iniziato in modo irruento, brusco quasi, si era trasformato in una danza da una lentezza quasi dolorosa e più si chiedeva come era potuto succedere, più i suoi pensieri venivano confusi, traviati, trasportati su lidi lontani e dimenticava ogni cosa.
Bennie lasciava piccoli baci, toccava e fuggiva. La sua lingua giocava con quella di Lysandre, la tentava, la ammaestrava.
Si allontanava di qualche centimetro per poi tornare con un’altra serie di umidi baci. Lysandre provava ogni volta a trattenerla e ogni volta falliva. Quando quelle labbra erano lontane dalle sue, anche se per pochi secondi, sentiva l’aria mancare e una strana amarezza riempirgli la bocca.
Lysandre sentì le mani della ragazza abbandonare lente i suoi capelli, gli occhi ancora chiusi, le labbra di Bennie che ancora giocavano con le sue. Lente, sensuali, tentatrici.
In quella marea di sensazioni, sentì i denti affondargli la carne e subito il sapore ferroso del sangue che andò a mischiarsi a quello dolce di ciliegia. Spalancò gli occhi per quella fitta improvvisa, ad aspettarlo due iridi velate che lo guardavano con un’innocenza non adatta a loro. Solo nel profondo era intravedibile una scintilla di divertimento.
“È quello che volevi, no? Prima, al negozio… era quello che desideravi”
Lysandre aprì bocca con tutte le intenzioni di parlare, ma Bennie non gliene diedi il tempo. Ridacchiò con fare bambinesco prima di stampargli un bacino veloce sulla punta del naso.
“È stato solo un bacio Mr. Brightside, rilassati!”.
Detto questo saltò giù dalle gambe del ragazzo e uscì veloce dalla cabina.
Lysandre rimase muto a guardare la tendina blu che ondeggiava avanti indietro, si portò una mano tra i capelli per poi scendere fino alle labbra. Il labbro inferiore pulsava dolorosamente, quando allontanò le dita quelle erano macchiate di rossetto e di sangue.
Aveva il fiato corto e le ginocchia molli, trovò un precario equilibrio ed uscì a sua volta da quel rettangolo che a malapena lo conteneva. Davanti a lui scene di vita quotidiana, persone che camminavano veloce avanti indietro. Le gambe si mossero per inerzia, fece qualche passo verso la banchina e solo allora realizzò cosa stesse succedendo: vide le porte delle metro chiudersi a qualche metro da lui e subito sentì il cuore affondargli nel petto.
E Bennie?
Il rumore assordante dei vagoni che si allontanavo sui binari non riuscì a sovrastare quello dei suoi pensieri. Guardò freneticamente a destra e a sinistra, prima di osservare impotente il mezzo scomparire giù per il tunnel.
Dov’era Bennie?
“Abbiamo perso la metro, di nuovo. Sei davvero lento”.
Lysandre fece un respiro di sollievo. Bennie era lì. Con lui.
Quel rimprovero non gli suonò tale. Avrebbe voluto urlare, scoppiare a ridere, prenderla tra le braccia e abbracciarla forte, ma non lo fece. Si voltò senza riuscire a trattenere un sorriso. Bennie lo guardò confusa, come se i ruoli si fossero appena invertiti e fosse lei quella a non capire, poi semplicemente rispose al sorriso.
“Ti perdono”sussurrò “Il negozio non chiude prima della sei”.
“Dove stiamo andando?” le chiese con vero interesse, scoprendosi senza fiato e con il cuore che batteva a mille.
“C’è un negozio di dischi a poche fermate, ho letto che cercavano del personale. Wayne’s, lo conosci?”
Lysandre per poco non si strozzò con la propria saliva. Il sorriso gli scomparve dal volto e fu sicuro di essersi lasciato sfuggire un farfuglio senza senso, fortunatamente mascherato dall’arrivo della metro.
Bennie saltò su e lui non poté fare altrimenti, anche se ogni cellula del suo corpo gli urlava di non farlo, di rimanere fermo, di non percorrere quella strada.
Se lui lo conosceva? Lui lo conosceva benissimo.
E questo era male, malissimo.
“Allora, lo conosci?” lo incitò la bionda con fare impaziente.
Le porte si chiusero davanti a loro e Lysandre perse definitivamente le speranze. Non c’erano più vie di fuga.
“Io…io…no, non lo conosco”.
Che senso aveva dire la verità quando presto quella sarebbe saltata a galla da sola?
Era solo questione di tempo.
 
 
 
 
 
 
I'm coming out of my cage
And I've been doing just fine
Gotta gotta be down
Because I want it all
 
It started out with a kiss
How did it end up like this?
It was only a kiss
It was only a kiss
 
 
 
 
 
 
 
Euphoria__'s corner:

Sono tornata! Non so per quanto ancora, ma sono qui! Questo capitolo è corto e un po' sbrigativo. Forse il bacio farà storcere qualche naso, ma io sentivo era il momento giusto per inserirlo!! Ci tenevo ad inserire la scena del mendicante perchè è qualcosa che mi è molto vicino: li vedo tutti i giorni in metro e tutti i giorni li ignoro e ogni volta sento un senso di disagio... quindi volevo in un qualche modo mostrarlo in Lysandre. Wayne's è il nome di un locale che frequentavo a Nizza, ma che è diventato un negozio di dischi in questa storie :P
La canzone è Mr. Brightside <3 
Nel prossimo capitolo entra in scena un altro personaggio di DF :) Non sono molto originale, quindi penso abbiate già capito di chi si tratta!
Detto questo ringrazio di cuore 
Lady_Light_Angel
 
per aver recensito lo scorso chap e 

charlina
per aver segnalato all'amministrazione la storia come scelta!
Grazie mille, siete gentilissime :3

Un bacione e a presto!


 
 
 

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Capitolo 8
*** Chopin Nocturne Op.9 N.2 ***


 
 
 
«Chopin Nocturne Op.9 N.2~
 
 
 
Non riusciva a vederlo, ma sapeva fosse lì.
Una cosa che conosceva bene erano gli orari del suo migliore amico e non perché fossero particolarmente interessanti, ma perché Castiel non faceva altro che lamentarsene. Quel giorno avevano addirittura spostato le prove perché lui doveva lavorare. Non che poi lavorasse veramente, si sedeva dietro il bancone, i piedi sul suddetto, e faceva finta di leggere qualche rivista schiacciando un pisolino ogni tanto. Il proprietario, naturalmente, sapeva tutto, ma era divertente vedere la reazione di Castiel ogni qual volta il vecchio entrasse nella stanza: saltava in piedi più veloce di una molla, rincorreva il primo malcapitato cliente a portata di mano e lo obbligava, con i mezzi più gentili che conosceva, a comprare un cd preso a caso nel tragitto bancone-cliente.
E ancora, non riusciva a vederlo, la sedia dietro il banco tristemente vuota.
Bennie era già dentro da un pezzo, lui aveva finto un certo interesse verso un prodotto esposto in vetrina ed era rimasto indietro. Posò un’ultima volta la mano sul vetro alla ricerca della chioma rubino del suo amico, c’era una sola cosa da fare e alla fine dovette arrendersi.
Prese un bel respiro e abbassò la maniglia. Il suo ingresso fu accompagnato dall’usuale campanello della porta che avvisava l’arrivo di una possibile fonte di guadagno.
Il negozio era quasi vuoto, non che lo avesse mai trovato pieno. Era un negozio che vendeva musica di nicchia, vi si potevano trovare delle vere e proprie chicche! Era lì che aveva conosciuto Castiel. O meglio era lì che gli aveva parlato per la prima volta. Per conoscerlo, lo conosceva da anni, dal primo anno di liceo per essere precisi, solo quella loro passione per la musica e per tutto ciò che la riguardava era riuscita ad unirli.
Castiel era un tipo particolare, la prima volta che lo aveva visto, aveva subito pensato male di lui, ma erano bastate poche frasi per convincerlo del contrario. Castiel voleva che la gente pensasse male di lui, lo divertiva. Gli piaceva avere un’aria minacciosa, da duro, anche un po’ misteriosa. “Funziona con le ragazze” diceva per giustificarsi, ma non credeva a quelle parole e a Lysandre era bastato osservarlo negli occhi per capirlo. Era più facile apparire così agli occhi del mondo, invece che mostrare ogni lato di sé.
Ad un primo sguardo non era altro che il bulletto della scuola: quello con i capelli sempre troppo lunghi, tinti di un colore inappropriato, quello con la maglietta di un qualsiasi gruppo metal, quello con il broncio perenne. Ad un secondo sguardo avresti capito suonasse la chitarra, facesse parte di una band e lavorasse in un negozio di dischi. Ad un terzo lo avresti catalogato come un perditempo e saresti passato oltre.
La verità è che ti sarebbero voluti molto più di tre sguardi per capirlo e Lysandre lo sapeva bene perché dopo quasi quattro anni di amicizia Castiel era ancora un grande punto di domanda. Quello che sapeva per certo era che Castiel non era un perditempo: lui la musica l’amava davvero. Lui non ascoltava metal, non solo. Castiel amava Bach, amava Liszt, amava Chopin. Chi l’avrebbe mai detto, il bullo dell’istituto, ricoperto di catene e teschi che ascoltava musica classica. Il fatto era che lui ascoltava di tutto, non si lasciava limitare da un’etichetta, da un genere musicale, sarebbe stata una perdita troppo grande per le sue orecchie.
Lui non suonava la chitarra, non solo. Suonava, o provava a suonare, ogni strumento gli capitasse sotto mano e Lysandre doveva ammettere avesse un talento naturale, forse non era il più gran pianista di tutti i tempi, ma si arrangiava. Aveva orecchio, aveva cuore e tanta determinazione. La musica non era il suo passatempo, era la sua vita e cose come queste non si capiscono con pochi sguardi.
Un pomeriggio, mentre erano intenti ad ascoltare vecchi cd nel retrobottega, Castiel aveva iniziato a strimpellare qualche accordo ed era bastato un solo cenno di incoraggiamento perché Lysandre iniziasse a cantare. Erano in sincronia, funzionavano. Le sue parole e la musica Castiel. Insieme funzionavano. Da allora avevano suonato ovunque, su qualsiasi palco gli ospitasse e ogni volta una potente scarica di adrenalina gli entrava in corpo. Si diventa dipendenti da emozioni del genere e non erano più riusciti a smettere.
Sorrise in parte intenerito da quei ricordi e in parte sollevato nel non vedere il suo migliore amico. Sarebbe stato davvero complicato spiegargli il perché di tutte quelle bugie.
Lysandre cercò con lo sguardo Bennie, ma non riuscì a trovarla. Probabilmente era andata a cercare il titolare. Il negozio non era molto grande, si divideva in due piani e lui vi ci aveva passato ore, lo conosceva come le sue tasche. Sapeva dov’erano i vinili, la musica classica, quella rock, quella più recente e quella vecchia di decadi. Sapeva quando un cd era un affare e quando invece valeva ancor meno del suo prezzo scontato.  Cominciò a camminare tra gli scaffali ricoperti di merce. Fece qualche altro passo quando si sentì tirare per una manica e trascinare indietro.
“Il vecchio vuole rimpiazzarmi!” Lysandre deglutì a fatica quando la faccia del rosso gli comparve a pochi centimetri dal viso.
Rimase in silenzio cercando di metabolizzare quella frase.
Castiel lasciò la presa e spostò qualche cd per vedere oltre lo scaffale.
“È entrata una bionda, mi ha mostrato un annuncio e mi ha chiesto del titolare. Quel bastardo vuole farmi fuori! È una lotta impari, come posso competere con lei? Non ho nessun davanzale da mostrare e il mio lato B è decisamente meno interessante!”
Lysandre sorrise divertito dimenticando per un attimo le sue preoccupazioni. Castiel a volte era un vero cretino e per capirlo allora sì che ti sarebbero bastati un paio di sguardi. Risistemò i cd sulla mensola obbligandolo a voltarsi verso di lui.
 “Castiel lavori qui da più di quattro anni, Cyprien non ti licenzierà. E non penso quella ragazza mostrerà più pelle del dovuto”
“E tu come fai a saperlo? Aspetta un attimo… tu la conosci?” qualcosa nel suo sguardo dovette averlo tradito perché Castiel ci mise meno del previsto ad unire tutti i puntini.
Lysandre annuì con fare rassegnato, consapevole della reazione a cui avrebbe assistito da lì a pochi secondi e, quando l’ululato di Castiel gli riempì le orecchie, non riuscì a trattenere un sorriso. Gli intimò di fare silenzio, ma l’umore di Castiel si era completamente trasformato.
“Amico, da quant’è che non esci con una ragazza? Mesi? Forse un anno e poi ne trovi una e non me lo dici?” il sorrisetto di scherno comparso sul volto del rosso lasciava intravedere un pizzico di delusione “Da quanto tempo me la tieni nascosta?”
Lysandre andò alla ricerca delle parole più adatte. Avrebbe dovuto dirglielo prima o poi, solo voleva trovare il modo giusto di farlo.
“L’ho conosciuta oggi alla fermata del bus. Non c’è nulla tra di noi Castiel, mi ha solo chiesto di accompagnarla in alcuni posti” decise di tralasciare la parte del taccuino e di navigare in acque sicure. Castiel sorrise, un sorriso che non presagiva nulla di buono.
“Certo e quello che hai sulle labbra non è rossetto,vero?”
Come scottato, Lysandre portò la mano alla bocca nel tentativo di darsi una ripulita, scatenando le risate del rosso che aveva ormai perso ogni preoccupazione.
“Me la presenterai?” Lysandre si aspettava una domanda del genere, sapeva Castiel essere più curioso di quanto lui volesse lasciar trasparire. Non si sarebbe fatto scappare un’occasione del genere.
“Castiel, c’è un problema…”
“Hai paura lei possa innamorarsi di me e lasciarti in asso? Sì, è una possibilità che prenderei in considerazione”
Lysandre non poté fare a meno che alzare gli occhi al cielo frustrato, fare la parte del coglione gli riusciva davvero bene.
“Io potrei averle mentito su una o due cose” azzardò ormai consapevole di dover dire tutta la verità.
“Del tipo?” l’amico lo guardò curioso, per la prima quel giorno non stava scherzando. Lysandre fece un lungo respiro, era come strappare un cerotto, un bel colpo secco.
“Io…”
“Castiel! Eccoti, ti ho cercato dappertutto!”
Gli occhi del vero Castiel si allargarono in maniera spropositata quando sentì il proprio nome e vide la bionda buttare le braccia al collo dell’amico.
“È un tuo amico?” Lysandre sbiancò, basta, era fatta. Le bugie erano, inevitabilmente, arrivate al pettine. Non dipendeva più da lui. Guardò Castiel con occhi supplichevoli, doveva capire, anni e anni di amicizia dovevano pur servire a qualcosa, ma Castiel sembrava aver perso l’uso della parola e all’ennesima occhiata curiosa della ragazza decise di rispondere.
“Vedi lui è…”
“Nathaniel, molto piacere! Ho un debole per i gatti, le signore attempate vestite di rosa e dormo con una pinzatrice al mio fianco.”
Bennie rise di gusto e gli strinse energeticamente la mano, lasciandosi alle spalle un Lysandre completamente inebetito con i muscoli ancora tesi e il volto pallido.
“Piacere Nathaniel! Forse diventeremo colleghi!”
Castiel sorrise divertito e spese qualche frase di circostanza restando nella parte che si era scelto.
Lysandre era immobile, incredulo, sollevato. Certo, non risolveva il suo problema, ma c’era un qualcosa di gratificante e, allo stesso tempo, devastante nel rimandare i problemi.
“È stato un piacere conoscerti, Nathaniel! Spero di rivederti presto!” Bennie sorrise dolce prima di lanciare un’occhiata complice a Lysandre.
“Ti aspetto fuori” sussurrò e uscì dal negozio.
“Castiel io…”
“Amico il modo migliore per ringraziarmi è portartela a letto”
Lysandre scosse divertito la testa, i muscoli finalmente rilassati.
“Prima o poi le dirò la verità, semplicemente non volevo la scoprisse così”
Il rosso fece un segno d’assenso con il capo, prima di indicare la porta.
“Sei bravissimo a complicarti la vita. Mi darai spiegazioni un'altra volta. Ti sta aspettando” disse osservandola attraverso il vetro dondolare sul posto.
Lysandre annuì e senza aggiungere nient’altro si diresse verso l’uscita.
“Ah, Cass un’ultima cosa… Nathaniel, davvero?”
“Ti ho parato il culo, non questionare le mie scelte”. 
 
 
 
Euphoria__'s corner:
Ecco a voi Cas! Uhuh che ne pensate? Il capitolo è breve, ancora un capitolo e la prima parte sarà conclua e potrò iniziare la seconda (questa storia avrà tre parti!)
Che ne pensate di questa visione di Cas? Volevo donargli dei tratti leggermete diversi da quelli del gioco!
Ringrazio tantissimo Charlia e Lady per aver recensito lo scorso capitolo! Siete carinissime <3
Questa stora procede lentamente ma procede e ne sono fiera! E' un po' particolare, ne sono consapevole!
La canzone è un po' diversa dal solito e mi piace immaginare Castiel super impegnato nel tentativo di suonarla (con scarsi risultati), i capelli per aria, la maglietta più nera e punk che possiede e le dita intorpidite per lo sforzo!:)
Un bacione a chiunque leggerà!
A presto <3 (probabilmente la prossima volta che aggionerò avrò 19 anni... mi sento vecchiaaaa!)
PS. nella foto c'è un piccolo spoiler del prossimo chap!
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** Nine In The Afternoon ***


 
 
 
 
 
 
 

«Nine In The Afternoon~
 
 
 
 

 
 
 
Ci sono posti in cui non si può entrare senza alzare la testa. Senza puntare gli occhi al soffitto ed ammirare quanto vasto ed immenso è ciò che ci è attorno, ciò che ci include dentro di sé.
Questo è quello che aveva pensato Lysandre nell’entrare quella sera di fine estate nella biblioteca comunale. Uno grande e maestoso edificio, uno dei pochi che ancora ricordava il passato glorioso che quella tranquilla cittadine francese doveva aver avuto una volta.
Bennie era a casa. Aveva ignorato i grandi cartelli che indicavano l’ora di chiusura e il fatto che sembravano due pesci nuotare contro corrente. Aveva spalancato l’alta porta di legno massiccio e gli aveva fatto segno di seguirla.
La grande sala d’ingresso era deserta e i loro passi rimbombavano nell’aria.
Lysandre era ancora con il naso all’insù quando andò a sbattere indelicatamente contro la schiena di Bennie.
Dietro ad un grande bancone, vi era una donna di mezza età. I capelli neri, striati di grigio, erano tirati in modo quasi maniacale all’indietro e stretti in un precisissimo chignon. Indossava degli occhiali le cui lenti ricordavano vagamente le ali di una farfalla e aveva un grosso neo appena sotto le labbra sottili. Strano come a volte gli stereotipi coincidevano con la realtà.
La tipica bibliotecaria fece una mossa ancora più prevedibile: si abbassò gli occhiali sul naso e squadrò entrambi i ragazzi con fare inquisitorio.
“Maria! Sei in ritardo!” quelle parole spiazzarono completamente Lysandre, che si aspettava ben altro. Si appuntò mentalmente quell’ultimo nome da aggiungere a quella lista che sembrava essere infinita. La donna afferrò il golfino color prugna da dietro la sedia e li raggiunse aldilà del banco.
“Ecco le chiavi, lasciale a Maurice quando te ne vai e se dorme sveglialo. Abbiamo bisogno di un custode, non di uno scansafatiche!” Maria afferrò le chiavi e se le fece dondolare tra le mani.
“Agli ordini!” sorrise raggiante e saltellò verso le porte di vetro che dividevano l’atrio dal vero cuore dell’edificio: lì dove tutti i libri erano stati meticolosamente ordinati. Lysandre la seguì senza avere però ben chiare le dinamiche di quel discorso. Che ci facevano loro lì? Quello doveva essere un altro dei suoi lavori part time.
“Ehi Lucille! Dorian è ancora qui?”
“Quel ragazzo è sempre qui” e questa fu l’ultima cosa che disse la donna prima di infilarsi il golf e avviarsi con passo spedito verso l’uscita.
Quando Lysandre si voltò nuovamente verso Maria, lei era sparatia. Forse era entrata senza aspettarlo o forse si era solo dissolta nell’aria. In fondo poteva benissimo trattarsi di un sogno, lui, per lo meno, si sentiva come se lo fosse.
Si guardò intorno, sentendosi improvvisamente inquieto. L’ingresso era deserto e la luce del tramonto filtrava dalle ampie vetrate donando al tutto un nonsoché di magico, ma beffardo.
Si affrettò ad aprire le porte. Tutto era silenzioso e un aghiacciante cigolio riuscì a trafiggere l’aria facendolo sobbalzare. Un lungo corridoio contornato da altissimi scaffali gli si materializzò davanti.
“Maria?” si sentì dire con voce eccessivamente grave e con una strana riluttanza, come se non si fosse ancora abituato a quel nome.
Non ottenendo risposta fece un passo avanti e poi ancora altri due.
Si ritrovò a marciare per quell’infinito corridoio, gli occhi che vagavano senza metà alla ricerca di quel volto familiare. L’orecchio teso in attesa di captare la sua voce. L’aria era calda ed arancione e gli scaffali di legno, i vecchi libri, i tavoli ricoperti di incisioni non facevano altro che appesantire ancora di più la stanza.
“Bennie?” provò allora, sentendosi, per la prima volta quel giorno, stanco.
“Roxanne, dove sei?”
E poi la sentì. La sua risata. Quella risata che era fortunatamente così vicina a lui. Aumentò il passò fino a raggiungere l’ultimo scaffale della stanza.
Prima di superarlo sentì delle voci, delle risate soffocate, delle mani tamburellare nervosamente qualcosa, forse la copertina di un libro.
Fece un lungo respirò e si mostrò allo scoperto.
“Castiel! Finalmente!”
Maria era seduta ad un grosso tavolo, davanti a lei vi era un ragazzo. In un primo momento faticò a notarlo. Solo quando quello fece cadere maldestramente un libro a terra, Lysandre si accorse della sua presenza.
“Castiel ti presento Dorian! Dorian lui è Castiel!” la voce squillante della bionda non riuscì a interrompere l’attenta analisi che era partita nella testa del ragazzo. Lysandre era fatto così. Quando una nuova persona entrava nel suo campo visivo, ne voleva avere un’immagine completa.
“M-maria c-cosa ci-ci fa q-qui?”
“Ancora questa storia della balbuzie? Dorian pensavo avessimo superato quella fase!”
Era biondo, ma già stempiato, indossava dei sottili occhiali rotondi dietro i quali vi si celavano quelli che dovevano essere gli occhi più veloci del west. Si muovevano da una parte all’altra senza trovare pace. Si stringeva un mano nell’altra, si contorceva le dita, grattava pelle e unghie.
Maria si alzò in piedi e lo raggiunse veloce. Gli separò le mani e piano cominciò ad accarezzargli i polsi.
“Ti ho riportato il libro, ma resto della mia idea. I romanzi rosa dell’ottocento, restano romanzi rosa, seppure molto meno scandalosi” riuscì a strappargli un sorriso e il ragazzo sembrò calmarsi.
“Dorian perché mi hai chiesto di incontrarti?” Maria azzardò quella domanda con molta insicurezza nella voce. Come se avesse paura di spaventarlo e farlo scappare via.
“I-io…” il suo sguardo si puntò su Lysandre. Maria fece un gesto veloce con la mano e il ragazzo non poté fare a meno che lasciarli soli.
Non andò molto lontano, superato l’angolo si sedette sul primo posto trovato e cominciò a massaggiarsi le tempie. Non ci capiva più nulla. In ogni posto andassero, doveva succedere qualcosa di strano.
I mormorii di sottofondo cominciarono a diventare lentamente parole e senza volerlo Lysandre si ritrovò ad ascoltare la conversazione che stava avendo luogo a pochi passi da lui.
All’inizio erano parole isolate, con poco senso: ballo, padre, madre, poco di buono, ma con l’avanzare del discorso tutto divenne più chiaro.
“So che non piaccio ai tuoi genitori, ma ha sempre funzionato! I miei sono più o meno felici, i tuoi sono più o meno felici e poi non hai un'altra dama!”
Lysandre non aveva mai sentito Maria così risoluta.
“Irènée De Lacroix” la voce di Dorian era appena un sussurro, sembrava spaventata, impaurita.
“Irènée De Lacroix?!” quella della ragazza era invece tutto il contrario: tonante e offesa.
“Suo padre è amico di mio padre e…”
“Non puoi andarci con De Lacroix, non puoi! Puzza di zuppa, tutta la sua casa puzza di zuppa. Io cosa dirò a Marguerite?”
All’improvviso Maria si era fatta calma, la sua voce ora non era niente più che un sussurro. Sapeva di aver perso, sapeva che quella decisione era ormai già stata presa.
“Maria… ti prego di capirmi. Io non posso disubbidirgli. Non posso”
Le parole tremanti di Dorian si dispersero nell’aria immobile della biblioteca. Rimasero in silenzio per quella che parve un’eternità. Proprio quando Lysandre si alzò deciso ad interrompere quella tortura silenziosa, sentì Maria parlare molto dolcemente. Proprio come se stesse parlando ad un bambino.
“Va tutto bene. Mi arrangerò, non lo faccio forse sempre?”
Seguì un altro silenzio, anche se questa volta molto più breve, nuovi mormori e qualche sospiro.
Poi Dorian comparve da dietro lo scaffale, salutò con un veloce cenno della mano Lysandre e corse via.
 
 
 
“Va… tutto bene?”
Lysandre si avventurò di un passo verso la ragazza. Era seduta sul tavolo, le gambe che penzolavano sollevate da terra. Si rigirava tra le dita un libro e quando vide il ragazzo scosse la testa riprendendo vitalità. Saltò giù e subito afferrò con entrambe le mani un carrello di acciaio lì vicino.
“No. Va tutto male” cominciò a afferrare il libri lasciati sui tavoli e buttarli con poca eleganza nel carello.
“Chi glielo dice a Marguerite?” urlò camminando veloce giù per il corridoio e infilando ogni tanto un libro o due a loro posto.
Lysandre seguiva quella folle corsa senza poter far nulla, impotente davanti allo sfogo di quella ragazza.
Maria sembrava impazzita, raccoglieva sempre più libri alla volta, le braccia le tremavano sempre di più e i muscoli le si tiravano per lo sforzo. La fronte era imperlata di sudore sia per l’aria pesante, sia per quel nervosismo che l’aveva completamente cambiata.
Poi all’improvviso non ce la fece più. Tutto cadde a terra. Il carello, i libri che aveva tra le sue mani. Persino lei si lasciò scivolare fino ad inginocchiarsi al suolo.
“Io so che c’è una soluzione. Esiste sempre una soluzione, ma ora non riesco a trovarne” singhiozzò senza piangere. Con la voce rotta e la mani tra i capelli.
Per la prima volta si mostrò debole davanti a suoi occhi e Lysandre sentì il cuore stringersi in una stretta. Si abbassò e le sedette accanto. Cominciò ad accarezzarle dolcemente la testa, proprio come faceva sua madre da bambino con lui.
“Castiel…” la voce della ragazza suonò così pura alle sue orecchie che sentì un brivido percorrergli le braccia.
“Castiel… mi aiuti?”
E per un attimo Lysandre pensò che lei non gli stesse chiedendo di aiutarla a sistemare, ma di aiutarla in tutti gli aspetti della sua vita. Di prenderla in braccio e portarla via, di conquistarla, risollevarla, toglierle dubbi, ansie e insicurezze. Di farla sua. Di accettarla, di cambiarla. Di salvarla, di amarla. Quei suoi grandi occhi scuri velati di preoccupazione gli stavano chiedendo aiuto come se da lui dipendesse la sua vita.
Forse era davvero quello che gli stavano dicendo.
E che cosa fece lui?
Prese un libro e lo sistemò su uno scaffale e poi un altro e un altro ancora.
Non aspettava indicazioni, in qual modo sapeva dove appartenessero. Maria lo guardava spaesata, seduta a terra stretta tra le proprie braccia. Aumentò il ritmo, riempì il carello una, due, tre volte e altrettante lo svuotò. Sistemò ogni singolo libro e quando finalmente terminò, sentì delle braccia sottili stringerli la vita.
“Tutto bene?” gli chiese per la seconda volta.
“Sei un angelo” la stretta si fece più salda e Lysandre sentì il petto della ragazza aderire contro la sua schiena.
“Perché sei rimasto, prima al negozio, perché non hai preso il taccuino e te ne sei andato?”
“Perché il taccuino non era più il motivo per cui restare”
“Perché mi hai aiutato, qui ora, perché non mi hai lasciato?”
“Perché ho più bisogno io di te”
Lysandre sentì la presa allentarsi e per un attimo ebbe paura di aver detto qualcosa di sbagliato, ma quando Maria cercò la sua mano tutte quelle paure sparirono.
“Voglio mostrarti una cosa”
Raggiunsero la scala che portava al piano superiore, scala che fino ad allora Lysandre non aveva nemmeno notato. Vi era appeso un cartello che permetteva l’accesso ai soli dipendenti.
Maria gli sorrise tranquilla prima di esortarlo a seguirla.
“Questo è il posto che preferisco in assoluto qui dentro” vi erano altri scaffali, anche se molto più polverosi e meno organizzati. Tra loro vi erano delle finestre, anche se più piccole di quelle del piano di sotto, donavano una vista fantastica della città. Soprattutto a quell’ora del giorno. Una mare di lava che contornava ogni palazzo, ogni vicolo buio, ogni strada. La frenesia della città che mutava in un qualcosa di calmo e silenzioso dietro a quel vetro vecchio e impolverato. Fu sotto una di quelle che Maria si sedette, prima che Lysandre facesse lo stesso.
“Amo sedermi qui e osservare la vita. Mi aiuta a riflettere”.
Lysandre poteva vederla riflessa nel vetro e sapeva lei lo stesse guardando. Sembrava aver perso quella preoccupazione che solo pochi attimi prima l’aveva presa così alla sprovvista.
“Chi sei davvero Castiel?” gli chiese quando i loro sguardi si incontrarono.
“Dimmi tre cose di te, Castiel”
Dentro il petto di Lysandre scoppiò una vera tempesta.
Uno: non mi chiamo Castiel.
Due: il taccuino è mio.
Tre: ho bisogno davvero di te.
Rimase in silenzio.
Maria allungò il braccio davanti a sé e finse di stringere una mano “Non è difficile: amo le ombre al tramonto, i modi di dire e il vento!”
Il ragazzo alzò il braccio, ma invece di stringere una mano immaginaria raggiunse quella della ragazza e la strinse per la seconda volta quel giorno. Cercò di reprimere quelle parole che gli vorticavano in testa e piano si sforzò affinché nessuna di quelle scapasse al suo controllo.
“Amo il passato, le luci e l’inchiostro sulle dita”
Maria spalancò gli occhi sorpresa e quelli sorrisero per lei. Si morsicò l’interno della guancia e continuò a guardarlo senza dire nulla. Le loro mani erano ancora strette l’una nell’altra ed entrambi sentivano l’energia dell’altro fluirgli dentro.
“Ti ci è voluto un po’, ma finalmente sei qui, con me, per davvero”.
Lysandre rispose ad ogni altra piccola domanda, evitò pochi argomenti, cercò di essere sincero, per quanto le bugie ormai create glielo permettessero, cercò di aprirsi, smise di nascondersi. Parlò come non faceva da anni, come non faceva con nessuno.
Rise, sospirò e raccontò. Raccontò di sé da piccolo, di suo fratello, dei suoi genitori. Raccontò del Dolce Amoris, della sua ex-ragazza, di come era finita male. Si liberò di tutto ciò che si era sempre tenuto dentro e Maria ascoltò. L’ascoltò con interesse, ponendo le domande giuste al momento giusto e Lysandre si accorse di una cosa.
Lui non era di poche parole, semplicemente non aveva mai trovato prima di allora un pubblico adatto.
 
 
 
 
 
 
Back to the street, back to the place
Back to the room where it all began
'Cause it's nine in the afternoon
Your eyes are the size of the moon
You could, 'cause you can, so you do
We're feeling so good, just the way that we do
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Euphoria__'s corner:

Come previsto sono qui ad aggiornare da 19enne. Sigh.
Che dire? Ci stiamo avvicinando alla fine della prima parte, la scorsa volta ho detto uno o due capitoli? Be' intendevo due :P Questo e il prossimo. Quindi con il prossimo chiudiamo il POV di Lysandre e ne iniziamo uno misto. E poi l'ultima parte avrà come POV quello di lei. O così spero di riuscire a scrivere la storia!
Che dire? AMO la canzone. L'adoro e le parole sono così perfette per la mia Lucy/Bennie/etc.
L'immagine iniziale è di Christian Schloe. Lo adoro.

Spero questo capitolo non sia troppo noioso, ci ho messo una vita e mezza a convincermi a scriverlo (a scriverlo ci ho messo una cosa come un'ora, quindi ora capite perchè è un po' miserino di lessico/trama/dettagli...)
Per quanto riguarda l'indizio della scorsa immagine... chi sono i Blondie? Non soffermatevi sul significato letterale del nome :)
Ringrazio chi ha messo la storia nelle preferite e nelle seguite!!
Ringrazio la mia più accanita lettrice :P (grazie mille)
Lady_Light_Angel
e

Tsuki 96
Siete state troppo gentili :)


 
 
 

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Capitolo 10
*** Unintended ***


 
 
 

 

«Unintended~

 

 
 
 
Era arrivata la fine.
Lo sentiva nell’aria.
Lo sentiva dentro.
Lo sentiva nel guardarla.
In fondo non c’era più nulla da aggiungere. La macchina aveva ormai battuto il punto, era solo questione di andare a capo.
Aveva svuotato il cuore, ora era tempo di riempirlo e per farlo doveva lasciarla.
Il sole era tramontato e con lui il loro incontro.
Cos’è che aveva voluto quella ragazza sin dal principio? Il suo tempo e Lysandre glielo aveva donato tutto.
Era cambiato. Non era più lo stesso ragazzo di quella mattina. O forse sì.
Non gli piaceva il termine “cambiare”. Era troppo riduttivo. Una persona non cambia, una persona si arricchisce ed era così che si sentiva. Più ricco, infinitamente più ricco.
Quel giorno lui era diventato milionario. Aveva imparato cose di sé che fino ad allora aveva, a volte volutamente, ignorato. Aveva visto nuovi posti, conosciuto nuove persone e provato nuove sensazione. Sentiva le mani fremere, aveva voglia di scrivere. Scrivere di lei, di loro, della folla, del traffico, della luna, del vento d’estate, del mondo.
La ragazza che lo aveva tenuto in ostaggio quel fantastico giorno gli camminava accanto. Lo aveva spinto, catturato, buttato in una fontana, spogliato di ogni segreto, conquistato, baciato. Eppure gli camminava accanto come se nulla di tutto quello fosse successo. Come se lo conoscesse da un anno o da appena pochi secondi.
Vagavano per i vicoli della città deserta, i passanti erano ancora una volta scomparsi forse per paura di rovinare quella magia che gli circondava.
Erano le otto di sera ed era buio. I lampioni illuminavano pigri le strade, la luce artificiale che si rifletteva sugli occhiali della ragazza. Non c’era più nulla da dire, avevano sprecato talmente tante parole quel giorno che il silenzio era in un qualche modo rincuorante.
Erano in un quartiere di lusso e Lysandre lo capì subito, quella parte della città aveva fama di essere la casa di politici e grandi industriali. Ogni villa era più grande e più lussuosa della precedente. Alti cancelli dall’aria austera le proteggevano dai pericoli del mondo.
Non sapeva che cosa ci facessero lì, ma non gli importava. Era nelle mani di quella strana ragazza. Lo era sempre stato e anche questo era rincuorante. Era come se qualcuno si prendesse completamente cura di lui.
Maria si fermò e Lysandre fece lo stesso, ma non dovette aprire bocca per ottenere spiegazioni.
“Siamo arrivati al capolinea” con poche, semplici parole i presentimenti di Lysandre presero vita.
Maria si voltò e gli sorrise proprio come aveva fatto quella mattina in autobus.
Si era dimenticato di quel sorriso e per un attimo fu preso alla sprovvista. Gli incisivi sporgenti morsicavano il labbro inferiore, ancora rossissimo nonostante tutto quello che aveva sopportato quella giornata. Si era davvero scordato quanto quelle labbra scarlatte fossero belle tirate in un sorriso.
“Abiti qui?” chiese indicando la casa davanti a loro. Lo aveva detto con un tono incredulo, sorpreso quasi, e subito se ne pentì. Quella villa era troppo grande, troppo ricca, troppo… tutto per lei e quel pensiero si era riversato nelle sue parole. Non riusciva ad associarla ad un luogo del genere.
“Non essere sciocco” si affrettò Maria a rispondergli, forse con un po’ troppa fretta “Faccio la babysitter. Uno dei miei tanti lavori ricordi?”.
Lysandre annuì, non sentendosi però del tutto riscattato.
“Penso sia il momento di dirtelo” aggiunse la bionda alzando per un attimo gli occhi al cielo alla ricerca di chissà quale pensiero.
“Dirmi cosa?” chiese stupidamente sentendo lo stomaco contrarsi e il formarsi di un groppo alla gola.
“Mi piaci. Mi piaci tanto” Maria lo disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Rise di gusto alla reazione del ragazzo, prima di sorridergli dolcemente ancora una volta. Si avvicinò a lui e piano gli accarezzò il viso.
“Mi piacciono i tuoi occhi e i tuoi capelli” passò una mano tra quelle ciocche argentee prima di continuare la sua corsa verso l’interno del suo viso “Mi piace il profilo del tuo naso. Mi piacciono le tue labbra, ho dovuto assaggiarle per mettere a tacere ogni dubbio sul loro gusto” si alzò in punta di piedi e soffiò delicata sul soggetto della sua ultima frase. Lysandre osservò ogni suo piccolo movimento, aveva le labbra secche e quel respiro caldo bruciava come se fosse stato fuoco. Era immobile, tutto intorno a loro lo era.
“Mi piacciono le tue mani, sono così grandi, ma mai fredde. E poi mi piace la tua voce. Penso sia la cosa che preferisco. No, aspetta! La cosa che preferisco è il tuo profumo. Non c’è ricordo migliore. Un giorno per strada, in un negozio, alla fermata del tram sentirò questo profumo e mi ricorderò di te, di oggi” lo guardò negli occhi e per la prima quel giorno gli chiese il permesso.
Allargò le braccia e con un’incertezza nella voce che non le era mai appartenuta sussurrò la parola “Posso?”
Bastò un leggero cenno del capo, volontario o involontario, perché si precipitasse tra le braccia di Lysandre. Seppellì il volto nel suo petto e inspirò profondamente. Il ragazzo avrebbe voluto dirle che il suo profumo gli sconvolgeva la mente tanto quanto a lei. Che quell’odore perenne di ciliegia lo faceva sentire così insoddisfatto, ma così bene.
“Sai perché ti sto dicendo tutto queste cose?” sussurrò la ragazza ancora tra le sue braccia, mentre lui, padrone di un coraggio tutto nuovo la stringeva a sé.
“Perché non ci vedremo mai più. Io ti ridarò il taccuino e ti dirò addio. Tu ti volterai una, forse due volte, ma io non sarò più lì. Ti maledirai per non aver insistito, per non avermi trattenuto, ma non fartene una colpa. È stata una mia scelta. Sin dall’inizio, sono tutte state mie scelte e io penso che sia giunta l’ora di mettere una parola fine”.
Lysandre rimase muto. Muto come non lo era mai stato. Di solito non parlava non per mancanza di parole. Teneva i suoi pensieri per sé non perché quelli non meritassero di vivere, a volte ne era geloso, altre volte erano talmente tanti che preferiva rifletterci su. Invece in quel momento non pensò a nulla.
Non parlò perché non esitava parola, frase adatta a quello che provava.
Maria gli prese il viso tra le mani e l’obbligò a guardarla.
“Puoi fare una cosa però” gli sussurrò con un sorriso furbo “Puoi baciarmi. Un bacio d’addio, sta a te questa volta”.
Lysandre fece un lungo sospiro. Guardò quella ragazza negli occhi, la guardò a lungo. Osservò ogni dettaglio del suo viso. Le sue braccia ancora strette intorno a quel corpo minuto. Contò le lentiggini che aveva sulla fronte e sulle guance, ne mancò qualcuna nel buio della sera. Le misurò la lunghezza della ciglia e osservò le screpolature delle labbra.
Lei ricambiava lo sguardo curiosa, come se stesse in un qualche modo provando a decifrarlo.
Pian piano sentì il groppo che aveva alla gola dissolversi e il nodo allo stomaco sciogliersi.
Era contento. Contento di avere tra le sue braccia un tale tesoro. Una cosa bella.
E le cose belle finiscono, o non sarebbero tali.
Un orgasmo perenne, non è affatto un orgasmo sentì risuonare nella mente.
“È un no?” chiese la ragazza interrompendo i suoi pensieri.
Lysandre abbassò il capo di qualche centimetro e le baciò delicatamente la fronte.
“Non ho bisogno di un bacio d’addio”
Maria scosse la testa divertita, qualcosa però nel suo sguardo lasciava intravedere il contrario. Se ci fosse rimasta male, questo non lui non lo avrebbe mai saputo.
Scivolò lenta dalle sue braccia.
“Addio Castiel. Sei lo sconosciuto di cui avevo disperatamente bisogno e saluta Lysandre da parte mia, digli che mi ha fatto un gran bene” gli fece uno dei suoi soliti occhiolini e lo superò veloce. Lysandre rimase di spalle. Incapace di muoversi. Le dita delle mani che bruciavano.
Forse rimase così per ore, o forse per una manciata di secondi. Si voltò all’improvviso protendendo un braccio nel tentativo di trattenerla, ma lei non c’era più. Il cancello della villa si stava chiudendo lentamente davanti ai suoi occhi.
Se ne era andata.
Si mise le mani in tasca in un moto di rabbia, come a voler nascondere il bruciore che sentiva sulla punta delle dita, e subito notò una nuova presenza, qualcosa che prima non era lì.
Il taccuino di cui si era completamente dimenticato era ora lì tra le sue mani, ma la verità è che quell’ammasso di fogli non contava più nulla per lui.
Per poco non lo tirò al di là delle mura di quella villa che come un enorme mostro l’aveva diviso da lei.
Se le rigirò tra le mani, indeciso. Lo aprì e subito la vide: la foto del loro bacio.
Le loro labbra per sempre unite su un semplice pezzo di carta.
Lysandre sospirò e si rinfilò il taccuino in tasca.
Se ne era andata, per sempre.
Era arrivata la fine.
 
 
 

«You could be my unintended
Choice to live my life extended
You could be the one I'll always love
You could be the one who listens to my deepest inquisitions
You could be the one I'll always love

I'll be there as soon as I can
But I'm busy mending broken pieces of the life I had before
~












Euphoria__'s corner:


Canzone capitolo <--
Fine Prima Parte!
To be continued :P
 

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