Dangerous Connection

di Mary Mary
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'incontro ***
Capitolo 3: *** Giocheremo col fuoco ***
Capitolo 4: *** Una doccia calda ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Dangerous Connection

Prologo

 
Odiavo quell’uomo con tutto me stesso.
La sua non l’ho mai considerata una buona figura paterna, nonostante fosse biologicamente mio padre.
Ma potrebbe mai un buon padre uccidere la propria moglie, in un insensato momento di gelosia, a causa di un SMS ricevuto da un collega maschio di lei? A quanto pare sì, perché è esattamente ciò che accadde un giorno in cui io, un ragazzino con l’acne all’epoca, mi trovavo a scuola.
Avevo solamente quattordici anni quando trovai mio padre in cucina intento a smacchiare la propria camicia piena di sangue nel lavello. Del suo sangue, di quello di mia madre, la quale, mentre lui strofinava la sua inutile camicia, giaceva sul freddo parquet nella camera affianco.
Un assassino, ecco cos’era e come mi apparì da quel giorno.
Ma, quattro anni dopo, lo divenni anche io. Il suo assassino. Feci bene a sparargli e ora, a distanza di sette anni, non mi sono ancora pentito.
Scontai per tutti questi lunghi anni una pena per omicidio colposo e il mio avvocato cercò addirittura di far credere che io fossi pazzo, che avessi qualche problema mentale, pur di diminuire un po’ il mio tempo in gabbia. Il punto è che riuscì a convincere i magistrati veramente, aiutandosi dal fatto che avessi un leggero tic al dito indice della mano destra, il quale, tra l’altro, ho sempre avuto sin dalla nascita. Ovviamente non sono pazzo, né ho qualche problema mentale, il tic è dovuto dalla mia iperattività e dal mio frequente stress. In fondo chi non sarebbe stressato dopo aver visto il cadavere della propria madre steso a terra, dilaniato?
E’ anche questo il motivo per cui, sei anni fa, la prigione in cui pernotto (mi piace pensarla così) mi rifilò una psicologa; per quanto io mi ostinassi a dire alle guardie e al mio compagno di cella che fosse una rottura di coglioni, mi aiutò molto, sia nell’eliminare quasi del tutto il tic, sia per la mia aggressività.
Si chiamava Jennifer. Era una donna di mezza età in carne, ma non troppo, dagli straordinari occhi azzurri e dai lunghi capelli ricci, riccissimi, biondi. La consideravo una seconda madre.
Ovviamente sapevo che per lei ero solamente uno dei suoi tantissimi e pericolosi pazienti, ed ero anche a conoscenza che lei aveva una famiglia come quelle delle pubblicità fuori dal penitenziario. Non c’era modo che lei mi considerasse un figlio o, almeno, una persona importante.
Una volta, non ricordo quanti anni fa, Jennifer mi fece vedere una foto raffigurante i suoi due figli: un biondo bambino intorno ai quattro anni, assomigliante alla madre, e una bambina di pochi anni più grande del fratellino, intorno ai dieci anni, ma che era l’esatto contrario di Jennifer.
La piccola in questione avevo dei capelli lisci molto corti, ma non fu questo a stupirmi. Mi sorpresi del loro colore: nero, come la pece più scura che si potrebbe trovare in mercato. Anche gli occhi sembravano scuri, molto scuri, forse anch’essi neri. Era l’unica in tutta la famiglia che possedesse capelli e occhi scuri.
Strano pensai, ma non ci diedi molto peso in quell’epoca.
Ma tralasciamo l’argomento “Jennifer e la sua amorevole famiglia felice”.
Tra esattamente un mese uscirò da questa merda, ancora non ci credo che siano veramente passati ben sette anni. Sette anni in cui mi erano concesse solo due ore alla settimana di aria, sette anni in cui mi hanno rotto addirittura per tre volte qualche ossa a causa delle frequenti risse tra noi detenuti. Sopravvivenza la chiamano qui dentro.
Sono felice, finalmente tra poco tempo metterò il naso fuori dalle sbarre, fuori dall’intera prigione.
Però sono ancora considerato una mina vagante per la città, e credo facciano anche bene ad avere paura. Ho ucciso un uomo, mio padre, a sangue freddo, e non ho ancora avuto nessun pentimento fino ad ora, e credo mai lo avrò.
A causa di questo c’è pure il lato brutto della faccenda: dovrò continuare le sedute per altri sei mesi con Jennifer. OK, non è Jennifer che rappresenta il lato negativo della situazione, è suo marito, la sua famiglia. Infatti, lei non possiede un vero e proprio studio; lavora in prigione dentro una stanza a lei assegnata, ammobiliata solamente da un paio di poltrone messe una di fronte all’altra, divise da un tavolino di legno rotondo, uno scaffale contenente libri sulla psicologia e sulla criminologia, e infine una scrivania sotto l’unica finestra presente nella camera (tra l’altro anch’essa sbarrata).  Insomma, non è per niente uno studio di uno psicologo. Perciò dovrò andare due volte alla settimana per sei mesi a casa sua,  e incontrare di sicuro suo marito e i suoi due bambini.
Ora che ci penso dovrebbero essere cresciuti, credo siano già degli adolescenti. Interessante come situazione, no? Conoscerò il marito, il figlio,la figlia.
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-Signorina, sta bene?- mi chiese un bidello con una lunga barba bianca e un pancione da far invidia a una donna incinta.
-Benone.-
-La vedo un po’ pallida, devo accompagnarla in infermeria?- continuò il bidello, che assomigliava troppo a Babbo Natale.
-Sto benissimo, è il mio fondotinta che è cinque toni più chiari della mia pelle.- replicai ironicamente, seccata dalla presenza di quell’uomo.
Maledizione, proprio in un momento simile dovevano sbucare bidelli dappertutto? Non potevano scegliere di pulire i corridoi scolastici in un altro orario? Ad esempio alle quattro di mattina, ora in cui non potevano infastidire a nessuno?
Mi voltai e proseguì verso l’uscita sulle scale anti incendio, avendo cura di non essere vista più da nessuno; dopodiché uscì e cominciai a correre, scendendo i gradini a due a due. Arrivai nel cortile interno, in cui i docenti parcheggiavano le loro auto. Mi nascosi dietro l’unico albero presente e scavalcai la cancellata.
Più che una scuola sembra una prigione.
Mi misi a pensare inevitabilmente a mia madre, che lavora come psicologa in un carcere federale.
Chissà con che assassino o stupratore sta parlando in questo momento pensai.
Sfilai una sigaretta dal mio pacchetto di Chesterfield rosse e la accesi con il mio accendino, l’unico che non avessi ancora perso o che mi fosse stato per ora rubato. Continuai a passeggiare verso casa mia con lo zaino in spalla, guardando le vetrine e scalciando i pochi sassi per terra.
Dopo una ventina di minuti arrivai a casa mia, vuota al momento. Entrai in casa e preparai la caffettiera, per poi salire le scale e giungere in camera mia. Mi buttai a capofitto sul mio letto e solo allora vidi un bigliettino attaccato con lo scotch ad una cassa del mio stereo.

Tornerò dopo cena, devo sbrigare alcune faccende per quel paziente di cui ti parlavo fin da piccola. Non aspettarmi, e mi raccomando fai la brava!!!   xoxo Mamma!

Potrò finalmente avere tutto il tempo per curiosare nel suo ufficio! pensai immediatamente.
Scesi per spegnere la caffettiera, presi la tazza contenente il caffè e mi diressi velocemente nell’ufficio di mia madre, situato nello stesso piano delle camere da letto. Volevo assolutamente sapere qualcosa di più su quel paziente che mia madre aveva in cura da molti anni. Sapevo solamente che si chiamava Soan, niente di più.
Vabbè, non credo abbia tanti pazienti con questo nome.
Aprì il suo cassetto e cominciai a cercare sotto la “S”; dopo cinque minuti trovai due documentazioni sotto il nome di “Soan”. Ne eliminai subito uno, un certo Soan in cura da mia madre da solo due mesi. Doveva per forza essere l’altro.
Aprì il documento e rimasi a bocca aperta per circa venti secondi davanti alla foto del paziente.
Da come ne avevo parlato mia madre pensavo fosse molto più vecchio, e invece la foto rappresentava un ragazzo giovane, molto giovane. E anche molto attraente.
Nonostante avesse molti tatuaggi, persino sul viso, non c’era nessuna esagerazione in essi, anzi, debbi addirittura ammettere che gli stavano bene. Aveva una scritta sulla parte alta della fronte, e forse aveva anche un disegno lungo il fianco della mandibola, ma non ne ero sicura, data la scarsa qualità della foto. Infine, dalla maglia a V della divisa penitenziaria si notavano anche altri tatuaggi, forse delle ali.
I capelli, lunghi fino alle spalle e lisci, avevano una tonalità tra il castano chiaro e il biondo scuro e gli occhi erano verdi. Forse aveva un dilatatore al lobo dell’orecchio, ma, anche lì, non si capiva bene.
Dovrebbe fare il modello sussurrai, per poi voltare la pagina con foto e caratteristiche fisiche. Nella pagina successiva c’era il motivo per cui era in carcere.
Omicidio colposo.
OK, sarà pure bello come un dio, ma è pur sempre un assassino…
Eppure quegli occhi dicevano tutto il contrario. Ci sarà stato un motivo molto grave per far sì che un ragazzo, poco più grande di lei, uccidesse il proprio padre, addirittura in maniera così violenta.
Finirò male per tutta questa curiosità, ma… voglio assolutamente sapere qualcosa di più su Soan.


Foto Soan:


Angolo autrice:
Ciao a tutti/e! Questo è solamente il prologo, sper vi sia piaciuto! Recensite pure, non vi mangio! c:
E..Se ho fatto qualche imperdonabile errore grammaticale mi scuso già in anticipo :)
Il prossimo capitolo sarà proprio l'inizio di tutto, non so quando lo aggiornerò ma cercherò di fare presto.
Un bacio,
Mary.
P.S. Soan l'ho immaginato come il ragazzo nella foto sopra...E sì,  per chi lo non lo conoscesse é Bradley Soileau, famoso modello e DJ (trovarne uno così dove abito io! Ahaha).

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Capitolo 2
*** L'incontro ***


Capitolo 1

 
-Ehi ho sentito che te ne stai andando… Dai chi l’hai preso in culo per uscire da qua, eh?!- Urlò un uomo sulla cinquantina, con un vistoso tatuaggio sull’avambraccio.
-Già, da chi?- ripeté ringhiando poi il suo compagno di cella, cercando di acchiappare il mio braccio mentre passavo davanti alle sbarre, lungo il corridoio principale.
-Smettetela o vi sbatto in isolamento!- urlò di rimando la guardia carceraria dietro di me, sbattendo violentemente il manganello sulle sbarre della cella, quasi beccando le dita del carcerato.
L’ultimo mese, finalmente, era passato e io ero sollevato di non essere più costretto a dormire in una brandina fredda e dura o a essere svegliato nel bel mezzo della notte per i controlli di routine.
Ora sarei tornato nel mio bel monolocale al sesto piano, piccolo ma pur sempre confortevole. In fondo vivevo da solo, che mi sarebbe servita una casa più grande?
Ho perso così tanti anni della mia vita in prigione, una volta uscito di qui potrei trovarmi davanti una città come quella di Futurama a quanto io sappia  pensai amaramente, sorridendo.
Presi tutti gli effetti personali che avevo lasciato il primo giorno di gattabuia, e dopo le noiose raccomandazioni da parte delle guardie, uscì da quel diabolico edificio che mi aveva rubato sette anni di esistenza per poi salire sul camioncino federale che mi avrebbe portato alla periferia della città.
Dopo venti minuti di viaggio mi fecero scendere dal mezzo e, con l’autostop, raggiunsi la mia abitazione.
Fu una goduria immane entrare nel mio appartamento, e, sorrisi, sentendomi finalmente a casa.
Il giorno dopo sarei dovuto andare da Jennifer e la cosa mi entusiasmava parecchio. Non volevo più che la mia aggressività prendesse il sopravvento.
Volevo solamente chiudere il brutto capitolo della mia vita e ricominciare, intenzionato a cercare un lavoro onesto e ritrovare me stesso.
Mangiai qualcosina e mi misi direttamente a letto, addormentandomi quasi subito.

La sveglia del mio vecchio Nokia suonò puntuale alle 8 di mattina. Alle nove avrei dovuto recarmi a casa di Jennifer, per cominciare le famose sedute.
Spensi la sveglia e aprì l’armadio. Era proprio come l’avevo lasciato, cioè quasi vuoto.
Presi le prime cose che vidi: un maglione a tinta unita nera ed un paio di jeans larghi a cavallo basso. Mi feci una doccia veloce, ringraziando chi avesse inventato l’acqua calda.
Mi guardai allo specchio.
Ero dimagrito, e avevo ancora molti lividi su tutto il corpo; la vita in prigione non era stata affatto facile per me, non potevo fidarmi di nessuno ed i lividi ne erano la più visibile prova. Avevo inoltre delle scure occhiaie, ed ero molto pallido. In fondo passavo solo due ore settimanali all’aria aperta.
Sarei dovuto anche andare dal parrucchiere, ormai i miei capelli erano decisamente troppo lunghi per i miei gusti, e le poche volte che qualcuno me li tagliò in prigione non lo fece molto accuratamente.
Sbuffai pensando alla mancanza di soldi nel mio portafogli.
Come avrei potuto lavorare subito dopo aver scontato una pena per omicidio? Chi mi avrebbe assunto con una fedina penale così tanto macchiata?
Uscì dal bagno e misi l’acqua in un pentolino, per prepararmi un tè caldo.
Accesi la televisione. Non avevo la benché minima idea di cosa fosse successo fuori dalla prigione durante questi anni, così optai per un telegiornale.
Guerra, pedofilia, il papa, attentati.
Solita cosa, ricevuto forte e chiaro.
L’acqua stava bollendo, mi alzai e spensi il fornello. Non avevo voglia di cercare una tazza, così immersi la bustina di tè nel pentolino e bevvi da lì.
Erano le 8 e trenta, potevo già cominciare a dirigermi verso casa di Jennifer, che distava non molto dal mio appartamento.
Presi il pacchetto di Camel che avevo comprato il giorno prima durante tragitto verso casa e ne accesi una.
Fumavo da una decina di anni ormai, avendo cominciato intorno ai quindici anni.  Ma la cosa, per ora, non aveva ancora portato a gravi conseguenze. Almeno credo.
Arrivai all’inizio della strada in cui abitava Jennifer e da quanto ero agitato accesi un’altra sigaretta. Giunsi al numero 34 della via e alzai lo sguardo verso la casa davanti a me.
Era una villetta bifamiliare, a due piani, con tanto di giardino, in cui cresceva un cespuglio di rose rosse che attorcigliava con i suoi rami spinosi le sbarre del cancelletto. Il tetto ero rosso e tutta la superficie della villa era stata dipinta di un tenue azzurro, del colore del cielo. Proprio una bella casetta.
Guardai l’ora. Le 9 meno venti.
Non mi importò di essere in anticipo e suonai quindi il campanello, appena finì la sigaretta.
Vidi le tende di una finestra al piano terra scostarsi e una figura femminile guardare verso di me. Non mi sembrava Jennifer.
Sentì l’elettronico biip del cancello, così lo aprì ed entrai nella proprietà.
Arrivato a pochi metri la porta si aprì e comparve sulla soglia una ragazza dai lunghi capelli neri.
La figlia di Jennifer?

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Aprì la porta. Non potevo credere ai miei occhi.
Che cosa diavolo ci faceva Soan, il famoso paziente di mia madre, a casa mia?
E’ ancora più bello di persona…disse una vocina nella mia testa. E maledizione a ciò che sto per dire, aveva  pienamente ragione!
-Tu saresti…?- gli chiesi. Meglio fingere di non conoscerlo pensai.
-Piacere, sono Soan. Te dovresti essere la figlia di Jennifer… Chrystal, giusto?- mi rispose lui.
-Sì, sono io… Mia madre ora non c’è, dovrebbe tornare a momenti però. Vuoi entrare?-
Glielo chiesi solamente per gentilezza, avevo un po’ paura di lui.
In fondo è un assassino…continuò la voce nella mia testa.
Rispose alla mia richiesta con un sì ed entrò. Chiusi la porta e mi voltai.
Ha anche un bel fondoschiena… OK, vocina del cazzo, anche se hai ragione ora smettila.

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La figlia di Jennifer me la immaginavo decisamente diversa.
Quando aprì la porta rimasi profondamente scioccato.
Aveva un corpo molto minuto ma da urlo allo stesso tempo, dei lunghi capelli neri lisci con una frangetta, occhi neri, una pelle molto chiara ed una serie di tatuaggi sulle braccia. Aveva delle labbra piene ed un bel profilo. Non sembrava assolutamente una…quanti anni aveva? Sedici, massimo diciassette. Eppure esteticamente dava l’apparenza di aver vent’anni, con quel viso, con quel corpo e con quei tatuaggi.
Non avrei mai pensato che Jennifer, quella Jennifer, potesse acconsentire ai tatuaggi sulla propria figlia.
Vabbè, anche io ho cominciato ad avere tatuaggi più o meno alla sua età…pensai.
-Gradisci qualcosa? Un tè, un caffè…?-
-Uhm, non credo tu abbia delle birre, quindi…- feci per dire io, mentre lei apriva il frigo e mi dava una buona visione del proprio fondoschiena.
Secondo me lo sta facendo apposta…pensai, sorridendo maliziosamente.
-Ma sì che ne ho di birre! Ne prendo una per me e una per te, va bene?-  mi chiese poi lei, mostrandomi una confezione di sei lattine di birra Heineken.
-Tua madre non ti dirà niente se vede due birre mancanti nel suo frigo? In fondo sei minorenne…-
-Le ho comprate io le birre, cosa centra mia madre?- mi rispose lei, alzando un sopracciglio e sorridendo.
Le sorrisi di rimando e presi la birra che mi porgeva, facendo in modo che le sfiorassi la mano.
A quanto pare non se ne accorse e si sedette su uno dei divani posti davanti alla televisione.
-Siediti pure mentre aspetti mia madre!-
Mi sedetti di fronte a lei e cercai un pretesto per attaccar bottone, curioso di scoprire qualcosa in più di lei, ma mi precedette.
-Posso chiederti una cosa?- disse con lo sguardo basso.
-Certo, Chrystal- le risposi, cercando di pronunciare il suo nome nel modo più sensuale possibile.
-Ehm… Mettiamo, ad esempio, che io abbia letto la documentazione di mia madre su di te, e che quindi io sappia il motivo per cui sei… insomma, perché sei stato incarcerato…-
-Vuoi sapere se è ho ucciso veramente mio padre, giusto?-  
-Ah, ehm… Così è brutto da dire, non volevo essere scort…-
Si fermò di scatto e ci voltammo entrambi verso il porta d’ingresso. Pochi secondi dopo comparve sulla soglia Jennifer, con una busta della spesa per mano.
-Oh, Soan, sono in ritardo? Non me n’ero accorta!- si scusò Jennifer.
-No no, tranquilla, ero io quello in anticipo…- le dissi io, sorridendo gentilmente.
-Vedo che hai fatto conoscenza con mia figlia… Va bene, andiamo direttamente nel mio “studio”, non perdiamo tempo, mi devi raccontare tante cose!-
La seguì fino alle scale, sentendomi lo sguardo di Chrystal sulle spalle; mi voltai verso di lei.
-Comunque sì, è vero- le dissi, sorridendo e cominciando a salire i gradini.

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Lo guardai mentre saliva le scale saltando uno o due gradini alla volta. Indossava sotto i jeans dei boxer neri, i quali si intravedevano abbastanza a causa dei pantaloni a vita bassa. Bassissima.
“Comunque sì, è vero” mi aveva detto.
Quindi aveva veramente ucciso suo padre.
Eppure…Eppure niente, stupida vocina, eppure niente. E’ un assassino. Quel suo “sì” ne era la conferma.
Eppure… I suoi meravigliosi occhi color smeraldo erano così…gentili.
Certo, un paio di occhiate maliziose me le aveva lanciate, ed ero sicura che non mi avesse sfiorato la mano involontariamente mentre gli porgevo la lattina di birra.
Che sciocca che sono…pensai.
Non posso innamorarmi di un ragazzo di otto anni più grande di me.
Non posso innamorarmi di un assassino.

Salì al piano superiore solo dopo aver sentito la porta dell’ufficio di mia madre chiudersi. A passo felpato entrai in camera mia e lasciai la porta aperta.
Mi coricai sul mio letto e accesi il computer portatile per accedere al mio Tumblr.
Senza rendermene conto erano passate quasi tre ore.
Cazzo, ma sono stata veramente così tanto su Tumblr? Che record!
Mi alzai svogliatamente dal letto e spensi il computer.
Aprì la finestra, mi portai alle labbra una delle mie solite Chesterfield e l’accesi. Presi il posacenere a forma di mezza noce di cocco scavata e mi sedetti su un angolo del letto, ormai disfatto.
Mia madre sapeva benissimo del mio vizio, all’inizio era assolutamente contraria, ma poi, lentamente, capì che i polmoni non erano i suoi e che se avessi voluto fumare avrei potuto, a mio rischio e pericolo.
Sospirai.
Soan mi aveva veramente stupita.
Era riuscito a dire di aver ucciso il padre senza una nota di malinconia o di pentimento, sembrava essere addirittura felice di averlo fatto.
Aveva sorriso mentre lo confessava!
Feci un altro tiro dalla sigaretta e guardai dalla finestra aperta il cespuglio di rose. L’avevo piantato pochi mesi prima, eppure, nonostante le numerose piogge di quegli ultimi giorni, era ancora lì, rigoglioso come non mai.
Sbuffai, pensando che dovevo potare le rose. Spensi la sigaretta dentro la mezza noce di cocco e mi voltai di colpo sentendo la porta scricchiolare.
Soan era appoggiato sullo stipite della porta con le braccia conserte e persi un paio di battiti cardiaci alla sua vista a causa della sua bellezza.
-Ciao Chrystal…- mi disse sorridendo, con fare disinvolto.

Chrystal (purtroppo non sono riuscita a trovare un'immagine rappresentante una ragazza con la frangetta che mi soddisfasse, mannaggia!) :


Angolo Autrice:
Salve a tutti, finalmente (con ovviamente molto ritardo data la mia colossale pigrizia :c ) ho pubblicato il primo vero e proprio capitolo di Dangerous Connection!
Credo abbiate capito chi sono i protagonisti e perchè il titolo sia così, quindi non mi dilungo più di tanto.
Bando alle ciance, ringrazio le due anime pie che stanno seguendo la mia storia e anche l'altra anima pia che addirittura l'ha introdotta tra le preferite, che dire... Vi ringrazio moltissimo :)
Nel prossimo capitolo Chrystal e Soan comincieranno a conoscersi meglio ed avere più "incontri ravvicinati" (esatto, come quelli con gli alieni, miaow), quindi...
Alla prossima! :D
Mary.

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Capitolo 3
*** Giocheremo col fuoco ***


Capitolo due




Avevo terminato le prime tre ore consecutive di sedute con Jennifer e mi sentivo stranamente molto sollevato.
Era andato tutto a gonfie vele, credo, lei confidava in me ed era addirittura sicura che io sarei ritornato sulla giusta strada, nonostante non ci sia mai stato.
Sono cresciuto in periferia, la mia famiglia non aveva abbastanza soldi per soddisfare la mia felicità, così cominciai già a dodici anni a rubare. Niente di serio, non scippavo le anziane che passeggiavano ovviamente, ma se capitavo negli empori o in altri piccoli negozi la tentazione di infilare sotto il giubbotto gli oggetti posti sugli scaffali era troppo forte. Mi avevano sorpreso a rubare per due volte, in due negozi diversi. La prima volta avevo cercato di nascondere nei pantaloni un portachiavi che mi piaceva tantissimo ma che era troppo caro, la seconda volta, invece, mi avevano beccato mentre infilavo nel mio zaino una t-shirt. In tutti e due i casi i negozianti, grazie al cielo, avevano preferito non chiamare le forze dell’ordine ma solo i miei genitori. E appena mio padre venne a saperlo, beh… mi riempì di botte dopo aver riempito anche mia madre, accusandola di non aver saputo crescermi.
In periferia una volta alla settimana si facevano delle retate, e mettevano dentro spacciatori, prostitute, bucomani e altra gente. Non avrei mai immaginato che, sei anni dopo, sarei stato sbattuto in carcere anche io, addirittura per omicidio.

Avevo appena chiuso la porta dell’ufficio di Jennifer quando sentì odore di sigarette.
Notai l’unica porta aperta sul corridoio e mi diressi verso di essa, sperando fosse quella della camera di Chrystal.
Quella ragazza aveva un so cosa di… eccitante.
E non potevo evitare di pensare al modo in cui, poche ore prima, mi mangiava con gli occhi.
I tatuaggi fanno sempre questo effetto sulle donne…
Peccato che lei non è una donna, è solo una ragazza.
Soan, ha otto anni in meno di te, cazzo!
Ignorai la vocina che continuava a rimbombare sulle pareti della mia mente e mi ritrovai proprio davanti alla sua camera da letto.
La vidi sbuffare e spegnere un mozzicone di sigaretta dentro un insolito portacenere. Guardava fuori, sembrava assorta nei suoi pensieri.
Chissà a cosa stesse pensando. O a chi.
La fissai per un paio di secondi e mi appoggiai allo stipite della porta, senza staccare un momento il mio sguardo su di lei.
Poteva far gola anche ai preti più religiosi, era bellissima e più la guardavo, più avevo voglia di farla mia. Incrociai le braccia e continuai ad ammirarla, fin quando si voltò improvvisamente verso di me.
-Ciao Chrystal- le dissi sorridendo, ma cercando allo stesso tempo di essere più disinvolto e indifferente possibile.
Notai la sorpresa nei suoi occhi. Alzò un sopracciglio e…
Era malizia quella che balenò nel suo sguardo?
Mi avvicinai lentamente a lei. Guardai il mozzicone di sigaretta nel portacenere- noce di cocco per poi posare lo sguardo su un pacchetto di sigarette posto sul davanzale, accanto al suo letto.
-Chesterfield rosse, eh?- mi limitai a dirle.
-Già… Hai  già finito con mia madre?- mi disse, alzandosi dal letto.
-A quanto pare… Quanti anni hai, Chrystal?- le domandai, sperando non rispondesse diciassette o di meno. Volevo renderla mia, solo mia, ma non volevo essere accusato per pedofilia, accidenti.
 

***

-… Quanti anni hai, Chrystal?- mi domandò tranquillamente, mentre mi stava visibilmente spogliando con lo sguardo.
Ma che diamine…?
Alzai il sopracciglio destro come d’abitudine.
-D-Diciassette, perché?- gli dissi, cercando di apparire calma nonostante mi tremasse improvvisamente la voce.
Mi sembrò di vedere un lampo di delusione nella sua espressione, ma decisi di rifargli la domanda, questa volta con una voce più sicura. Si appoggiò intanto con un braccio al davanzale, a pochi centimetri dal mio portacenere.
-Era tanto per chiedere… Posso rubarti una sigaretta? Le mie le ho finite- mi disse.
Presi il pacchetto di Chesterfield e ne sfilai dal suo interno due sigarette, una delle quali porsi a Soan. Misi la mano nella tasca posteriore dei miei jeans neri e presi il mio amato accendino.
Accesi la mia sigaretta e, voltandomi per dargli l’accendino, lo sorpresi a fissarmi le labbra.
Avvampai. Cazzo, come poteva farmi questo effetto un ragazzo che conoscevo da poco più di tre ore?
Non lo conosci da poche ore, Chrystal!
Sei cresciuta sentendo parlare di lui! E’ come se lo conoscessi da anni.
Dovevo fare qualcosa per questa dannata vocina che mi perseguitava!

***

Portai la sigaretta che mi aveva dato alle labbra e la accesi con il suo accendino rosso.
Chrystal avvicinò il portacenere alla mia mano, sorridendomi. Ciccai la sigaretta e guardai fuori.
La finestra era stata spalancata e da lì si vedeva il cancelletto d’ingresso affiancato dal cespuglio di rose.  Guardai la ragazza accanto a me con la coda dell’occhio. La vidi trattenere il fumo della sigaretta all’interno della bocca per poi farlo spirare fuori silenziosamente.
Il mio sguardo ricadde nuovamente sulle sue labbra piene, sembravano così morbide…
Bramavo di baciarla, volevo a tutti i costi appoggiare le mie labbra sulle sue.
Porca puttana, Soan, ragiona!
Ha solo diciassette anni, è poco più di una bambina!
Non puoi avvicinarti a lei, né baciarla, né toccarla!
-Al diavolo!- esclamai.
-Cos…-
Mi gettai su di lei e la baciai, violentemente. Percepì la sua sorpresa iniziale che lentamente, ed inesorabilmente, scomparve. Ricambiò il mio bacio altrettanto passionalmente e ci ritrovammo così vicini da far combaciare i nostri corpi in modo perfetto.
La spinsi contro la parete dietro di lei e continuai a baciarla. Tutti i miei sensi si triplicarono e mi sentì fuori controllo, come un animale. Le circondai la vita con le braccia e la imprigionai tra il freddo cartongesso del muro e il mio caldo, bollente, corpo. Mentre ricambiava il bacio fece intrufolare le sue sottili dita tra i miei capelli e sentì il suo bacino premere contro il cavallo dei miei jeans, ormai troppo stretti in quella zona.
Infilai una mano sotto la sua maglietta e le sganciai il reggiseno in modo tale che potessi toccarle i capezzoli, ormai turgidi e induriti.
Le baciai il collo e arrivai con la lingua fino alla sua spalla, mentre sfregavo tra il pollice e l’indice il capezzolo destro. La sentì gemere sommessamente e mi eccitai ancora di più.

Poi, la porta dell’ufficio dall’altra parte del corridoio si aprì e il suo cigolio mi fece riportare alla realtà.
Cazzo, mi stavo facendo la figlia di Jennifer!
Ci allontanammo entrambi l’uno dall’altro velocemente, capendo dal rumore di passi che Jennifer si stava avvicinano alla camera in cui eravamo. Ci guardammo a vicenda spaventati e, mentre lei si riallacciava il reggiseno, raccolsi la sigaretta ormai spenta dal pavimento, che mi era caduta mentre la baciavo.
-Fai finta di niente!- le sussurrai accendendomi la Chesterfield rossa.
Le porsi l’accendino, il suo, e le feci segno di accendersi una sigaretta. La vidi deglutire con aria preoccupata e accendersi la metà sigaretta che giaceva sul davanzale.

-Chrystal, io ho finito con Soan, ora ti posso accompagnare allo skate p…-
Jennifer assunse un’espressione stupita sul suo volto e alzò un sopracciglio.
Ma è un vizio di famiglia?
-Oh, Soan… Non te ne sei ancora andato?- disse sorridendo forzatamente.
-Eh, scusami Jennifer, è che avevo finito le sigarette e ne ho chiesta una a tua figlia…-
-Capisco… Bhe, potrei parlarti un attimo?- mi chiese, sempre sorridendo in modo visibilmente forzato.
Spensi la sigaretta nel portacenere, diedi una veloce occhiata a Chrystal e risposi un “certo”.
Vidi Jennifer voltarsi per poter uscire dalla stanza ed aspettarmi fuori, così mi girai nuovamente verso Chrystal e le diedi un bacio veloce sulle labbra. Le feci l’occhiolino indicandole il portacenere e uscì dalla camera, chiudendo la porta alle spalle.

-Soan, ascoltami bene ora. Non te lo dirò una seconda volta. Non voglio più trovarti in camera con mia figlia, OK?- disse lei, puntandomi l’indice contro -Non perché non mi fidi di te, è solo che… che…-
-Jennifer, hai paura che io uccida anche tua figlia?- le chiesi ironicamente.
-Maledizione, no! So che sei cambiato, ma… è mia figlia! Non voglio che quando finisci le nostre sedute te vada nella sua camera, sarebbe poco professionale! Inoltre è ancora una bambina, se vuoi instaurare qualche rapporto fallo con qualcun altro che non sia mia figlia. Capito? Mi fido di te, te l’ho già detto- fece lei gesticolando eccessivamente.
-Tranquilla, era nella sua camera solo per scroccarle una sigaretta…- le risposi, sorridendo -… Ora vado, ci vediamo alla prossima seduta-
Scesi velocemente le scale e uscì da quella casa con mille pensieri in testa.
Gesù, se Jennifer non fosse piombata in camera che cosa sarebbe successo? Sarei andato a letto con sua figlia?
Non che mi sarebbe dispiaciuto, ma…
-Cazzo, quella ragazzina mi ha fottuto il cervello!- sussurrai mentre chiudevo il cancelletto d’ingresso e tirando fuori dalla tasca dei pantaloni il mio pacchetto di Camel che avevo tenuto nascosto fino a quel momento.

***

Mi toccai le labbra, ancora bollenti e infuocate dal suo tocco.
Mi ha baciata… L’ho baciato… Ci siamo baciati!
Cosa sarebbe successo ora?
E perché mi aveva indicato il portacenere?
Guardai velocemente il portacenere ed il mio cuore si fermò. O continuò a battere, non saprei, seppi solo che mi aveva lasciato sotto il portacenere un foglietto ripiegato più volte.
Spostai la noce di cocco e aprì il foglietto. Era uno del mio block notes color oro, quello che usavo come “diario scolastico”. Non so perché ma sorrisi automaticamente dopo aver letto la frase scritta sopra il foglio.

Da oggi sei mia.
348 XXXXXXX

Sentì il cancelletto chiudersi e mi affacciai alla finestra.
Vidi Soan uscire e… prendere un pacchetto di sigarette dalla tasca. Non mi aveva detto di averle finite? Bugiardopensai, sorridendo.
Presi il mio cellulare e gli scrissi subito un messaggio.

Buona la Camel?

Appoggiai il mio Blackberry nero sul davanzale e mi vestì larga per poter andare allo skate park. Dopo pochi attimi il telefono vibrò.

Ammetto che era solo una scusa per avvicinarmi… Sai che stiamo giocando col fuoco, vero?

Cazzo se lo sapevo. Gli risposi immediatamente.

Sì, ma mi voglio assolutamente scottare.

Indossai le DC ai piedi, presi lo skateboard tutto rigato da un angolo della stanza e sentì il telefono vibrare per la seconda volta. Lessi e sorrisi.

Ho già caldo al solo pensiero. Domani vengo a prenderti a scuola… Ti porto in un posto. Niente obiezioni, sarai mia tutta la giornata.

 
 

***

Angolo autrice!

Salve a tutti, rieccomi qua :D
E…Anche il secondo capitolo è andato.
Nel secondo capitolo Soan, come ho già scritto, verrà a prendere Chrystal all’uscita da scuola; cominceranno a conoscersi meglio e… sta a voi scoprirlo, dico solo che sarà “spinto”, ma ovviamente non troppo  ;)
Ringrazio infine le 4 persone che stanno seguendo la storia e le altre 2 che l’hanno messa tra le preferite!
Al prossimo capitolo,
Mary.

 

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Capitolo 4
*** Una doccia calda ***


Capitolo tre

Driin!!
Aprì faticosamente gli occhi, maledicendo mentalmente chi diavolo avesse deciso che le scuole dovessero aprire alle otto di mattina e non alle… dieci? A mezzogiorno sarebbe stato ancora meglio.
Quel giorno, inoltre, avevo promesso al mio migliore amico di saltare la scuola per passare tutta la giornata allo skate park, a destreggiare con lo skateboard tra Ollie e Aerial*, ma avevo deciso ovviamente che avesse precedenza l’appuntamento con Soan. Ma potevo veramente chiamarlo “appuntamento”? Me l’aveva imposto, in fin dei conti.
Ma anche se non te l’avesse imposto ci saresti andata lo stesso…
Forse dovrei consultare qualche esorcista per questa fastidiosissima vocina che continuava a burlarsi di me! Forse ero posseduta da qualche sorta di demone un po’ troppo realista, chissà!

Spensi il diabolico arnese chiamato dai comuni mortali con il nome di “sveglia” e mi alzai svogliatamente dal letto dopo aver contato mentalmente fino a dieci.
Strisciando i piedi scalzi sul freddo cemento del pavimento mi diressi silenziosamente in bagno e lì mi lavai. Dopodiché tornai in camera mia con addosso solamente l’intimo. Ero sola a casa. Come tutte le altre mattine, per dirla tutta. Mia madre esce da casa ogni santa mattina alle cinque per essere puntuale a lavoro alle sei; e mio padre… beh, mio padre è un giornalista e passa la maggior parte del tempo (se non tutto) in viaggi di lavoro. Ha girato il mondo ormai, promettendo sempre di portarmi con sé nel successivo viaggio. Ma erano passati ben undici anni dalla prima volta che me lo promise e, alla fine, non ci credevo più. In quell’esatto momento dovrebbe essere stato a Chicago, o giù di lì. Inutile dire di averlo addirittura pregato affinché mi portasse con lui, e inutile ridire che, ovviamente, lui non me lo permise.

Guardai l’ora sul mio Blackberry e notai un messaggio da Soan.

Ieri ho visto uno skateboard nella tua camera: portalo!

Alzai un sopracciglio (come mio solito) e risposi al mattiniero ragazzo.

Ok. Non sapevo sapessi anche skateare! Se vuoi ne ho due di skate.

Mi infilai, in attesa della sua risposta, uno dei miei maglioni extra large preferiti, di colore verde petrolio ma comunque molto semplice. Indossai dei pantaloncini neri sopra dei collant quasi trasparenti molto leggeri e ci abbinai le mie solite DC bombate. Amavo alla follia quei collant perché attraverso essi si intravedeva perfettamente il mio tatuaggio sulla coscia destra, il più grande tra tutti; raffigura un lupo posto all’interno di una cornice antica ed elegante. Aveva fatto malissimo, soprattutto nel momento in cui il tatuatore cominciò a fare il chiaroscuro dell’animale in questione, ma, nonostante tutto ciò, non mi sono ancora pentita di averlo.
Ripresi il telefono in mano e constatai che Soan aveva risposto al mio messaggio già da qualche minuto.

Anche? Cos’altro pensi che io sappia fare? Porta solo il tuo comunque. A dopo bellezza.

Sorrisi. Cosa avrei dovuto rispondere? Ci pensai due minuti poi digitai.

A quanto ho scoperto ieri sai baciare bene…benissimo! ;) A dopo…

Dopo aver inviato, presi lo zaino e ci infilai al suo interno il mio quaderno per gli scarabocchi da fare durante le ore scolastiche, l’astuccio su cui c’era scritto alla mo’ di tag “Skate Or Die” e le mie amatissime Chesterfield rosse da venti.
Indossai infine sopra il maglione una felpa nera col cappuccio, anch’essa extra large nonché da uomo, ed uscì di casa con in mano il mio skateboard e con lo zaino tutt’altro che pieno sulla spalla destra. Accesi una sigaretta, e, facendo attenzione a chiudere le tasche della felpa al cui interno avevo infilato telefono e altra roba, cominciai a skateare per le strade della mia città.

***

Sorrisi per il messaggio di Chrystal.
Te la vuoi portare semplicemente portare a letto mi disse la ormai fin troppo conosciuta vocina nella mia testa, facendo scomparire il mio sorriso dalle labbra.
Mi convinsi che avesse ragione, ma non era così, lo sapevo benissimo.
Io non volevo solamente scoparmi Chrystal, io volevo accarezzarla, baciarla, abbracciarla, trovarla la mattina sul letto affianco a me…
Vuoi avere una fottutissima relazione con una fottutissima minorenne. Complimenti, continua così Soan, in fondo la tua fedina penale è già macchiata per omicidio, perché non aggiungerci pure un bel “accusato di pedofilia” in maiuscolo?!
… farla ridere, scherzare assieme a lei, portarle la colazione a letto…
Oh, certo, geniale! Da quand’è che sei diventato così ridicolo?
Per una volta ero pienamente d’accordo con la vocina.
Forse soffro di bipolarismo… pensai sorridendo, ormai esausto per i troppi pensieri.
Mi sfregai gli occhi per il sonno e mi alzai dal mio letto matrimoniale, troppo grande per una sola persona. Mi ero addirittura svegliato presto per mandarle uno stupido messaggio! Avevo paura che se le avessi mandato un SMS in tarda mattinata sarebbe stata beccata da qualche insegnante.
Pure altruista sono diventato!?
Accesi una sigaretta dirigendomi in balcone e sospirai. Quella ragazza mi aveva mandato a puttane i neuroni del cervello, maledizione.

***

La campanella era appena suonata…
Oh mio Dio, oh mio Dio, oh mio Dio!
Oh mio Dio, ti stai comportando da dodicenne in balia degli ormoni.
Ok, suvvia, che sarà mai uscire con un ragazzo? Ne ho avuti tanti in passato, non sono neanche più un timida verginella!
Afferrai tutta la mia roba sparsa per il banco e la buttai all’interno dello zaino, uscendo di corsa dall’aula. Mi affrettai a raggiungere il piano terra e scesi i gradini delle scale a due a due, rischiando di cadere e di colpire un altro studente con il mio skateboard. La manica del maglione mi si era impigliata in qualcosa, forse nel corrimano delle scale.
Mi girai, aspettandomi di vedere un filo sgualcito impigliato nel metallo, ma vidi una mano che teneva la manica. Chi diavolo…? Alzai lo sguardo e mi paralizzai, cominciando a sudare freddo improvvisamente. La mano in questione apparteneva niente meno che a Jared, il mio ex ragazzo.

-Flashback: nel passato di Chrystal-
Una ragazza dai lunghi capelli neri lisci rideva con un’amica, seduta al bancone di una squallida discoteca in periferia.
-Chrystal, sono fatta da far paura, ci sediamo su uno di quei divanetti blu?- urlò per farsi sentire dall’amica in mezzo al frastuono una delle ragazze, indicando intanto con l’indice un divano a pochi metri di distanza.
-Michelle, te non sei fatta, sei strafatta!- esclamò sghignazzando la ragazza dai capelli lunghi neri.
-Cosa te lo fa pensare?!- esordì l’altra, fingendosi offesa.
-Magari il fatto che tutti i divanetti sono rossi e non blu? Ahahah!-
Le due ragazze si misero a ridere. A giudicare dal loro improvviso daltonismo dovevano essere entrambe strafatte di MD MA. Perché? Perché i divani di quella discoteca non erano né blu né rossi: erano gialli.
Si alzarono e la ragazza di nome Michelle si sedette su uno dei divanetti, mentre Chrystal rimase in piedi davanti ad esso, in un momento di paranoia dovuto all’acido. Si voltò di scatto, impaurita dai troppi colori e dai troppi suoni attorno a lei, indietreggiò velocemente di un paio di passi e andò a sbattere contro qualcuno.
Si girò spaventata e vide un ragazzo dai capelli neri molto corti, più alto di lei di un bel po’ di centimetri.
-S-scusa!- balbettò terrorizzata la ragazza.
-Figurati, sei Chrystal, giusto?- sorrise poi il ragazzo.
-C-come lo sai?-
-Cazzo, te sei partita completamente o sbaglio? Frequentiamo la stessa scuola, scema. Io sono Jared, piacere.-
-Fine flashback-


-Jared, non ho tempo da dedicarti, levati dalle palle.- risposi acida guardandolo male e liberandosi dalla sua presa con uno strattone.
Non ascoltai nemmeno le sue solite battute del cazzo e scesi le scale, uscendo poi dal portone dell’atrio.
Vidi Soan, davanti al cancello, mentre si fumava una sigaretta, aspettandomi. Sorrisi involontariamente, dimenticandomi all’improvviso il brutto incontro con Jared pochi secondi prima. Scesi i tre gradini e mi incamminai verso Soan.
Vidi solo in quel momento che non era solo. Davanti a lui c’era una ragazza bionda, che stava ridendo come una fottuta oca.
Troia di merda pensai, rabbiosa, nonostante non sapessi neanche chi fosse la bionda.
Mi accesi una sigaretta e uscì dal cancello, dove, a pochi metri si trovavano i due in questione. Mi avvicinai furtiva e mi accostai alla bionda, guardando Soan con il mio solito sopracciglio alzato;
Soan si catapultò su di me baciandomi con foga, e, senza rendermene conto, una volta che le nostre labbra si staccarono, la bionda non c’era più! Puff! Sparita non appena capì che Soan non era merce in vendita.
-Ehi, non puoi usarmi in questo modo solo per levarti dalle palle una ragazza!- esclamai.
-Scusa, non riuscivo più a scollarmela di dosso!- rispose lui ridendo e facendo un tiro dalla sua Camel. -Andiamo?- continuò poi, guardandomi.
-Dove?- chiesi curiosa.
-Casa mia, baby.- rispose tranquillamente.
Alzai un sopracciglio, contrariata. Meglio di niente pensai comunque, maliziosamente.

Ci vollero circa dieci minuti a piedi prima di arrivare a casa sua. Era una palazzina molto carina, dovetti ammettere, sembrava confortevole.
-Mi sarebbe piaciuto vivere in un palazzo così!- confessai.
-Casa tua è dieci volte migliore del mio monolocale, Chrystal- rispose lui, guardandomi triste.
-Che mi serve una casa così grande se sono quasi sempre da sola?- gli dissi, buttando per terra il mozzicone della mia sigaretta appena finita.
Credo di avergli fatto pena con la mia ultima frase, infatti, subito dopo, sentì le sue braccia stringermi da dietro, e, in un attimo, mi ritrovai abbracciata a lui.
Il suo profumo inebriava i miei sensi. Era un mix tra sigarette e dopobarba. Mi strinsi più forte a lui, buttando per terra il mio zainetto.
Mi staccai di pochi centimetri dal suo petto, ispirando profondamente prima il suo profumo, come se fosse stata l’ultima volta che l’avrei sentito.
-Ma il mio skateboard dov’è?- chiesi, tutto ad un tratto, non notandolo più sotto il braccio di Soan.
Mi guardai intorno e lo vidi. Era in mezzo alla strada, mentre scivolava a causa della pendenza della via.
-Cazzo!- sentì dire da Soan, che subito si lanciò all’inseguimento della dannata tavola fuggitiva.
Mi misi a ridere data l’improvvisa nota comica della situazione, guardando Soan che correva come un pazzo cercando di acchiappare il mio skateboard.
Dopo tre minuti buoni a inseguirlo (e a ridere a crepapelle), lo vidi tornare, con la tavola in mano.
-Ridi, ridi, che intanto quello che ha corso fino ad ora sono io!- esclamò sorridendo Soan, mentre si passava una mano tra i capelli, sudato e sfinito dalla corsa.

Entrammo subito nel palazzo, e, raggiunto il sesto piano, ci addentrammo nel suo monolocale.
-Vado a farmi  una doccia velocissima e sono qua, va bene?- mi disse.
-Certo, fai pure, io… guarderò la tv!- risposi, annuendo con il capo.
Accesi la tv e sentì l’acqua della doccia scorrere. Mi guardai intorno. La stanza era arredata bene, mi ispirava una strana sicurezza. Mi sedetti su un angolo del letto di Soan, con il telecomando della televisione in mano.
Poi, però, dopo una decina di minuti, sentì chiamare il mio nome dal bagno.
-Chrystal, puoi venire un momento?- sentì, più chiaramente.
Bussai timidamente alla porta del bagno, che si aprì all’improvviso. Comparve sulla soglia Soan con i capelli bagnati e con solo un asciugamano bianco legato intorno alla vita. Alzai un sopracciglio.
-Che vuoi?- gli chiesi, fingendo indifferenza e guardandolo in faccia.
-Te.- rispose, tirandomi verso di sé e sorridendomi maliziosamente.
Divenni quasi sicuramente rossa in viso e distolsi lo sguardo dai suoi splendidi occhi verdi.

***

Sorrisi per la sua improvvisa timidezza nei miei confronti. Aveva addirittura distolto lo sguardo!
La abbraccia, portando inizialmente le mie mani sui suoi fianchi, per poi cingerle la vita con fare un po’ possessivo, forse.
-Guardami- le dissi.
Alzò lo sguardo, e mi guardò con i suoi meravigliosi occhioni.
Sentì il mio cuore perdere dei battiti.
Ero veramente così tanto innamorato di Chrystal?
Mai nessuna donna mi fece quell’effetto.
La baciai senza pensarci due volte, in modo casto, per poi approfondire il contatto in modo più passionale. Sentì le sue labbra schiudersi e dare il permesso alla mia lingua di danzare con la sua. Non capivo più niente, era come se io e Chrystal ci fossimo chiusi all’interno di una bolla, solo io e lei.
Avvicinai il suo bacino al mio, coperto solo da un sottile strato di tessuto. Ero ancora bagnato a causa della doccia di pochi istanti prima e già sudavo.
In preda all’eccitazione le sfilai il maglione extra large, facendola rimanere in reggiseno. Le stuzzicai leggermente i capezzoli sfregandoglieli con la punta delle mie dita, senza aver neanche cura di levarle anche il reggiseno.
La pregai di togliersi tutto, e così fece, rimanendo nel giro di pochi secondi solo in intimo.
Ebbi modo di vedere tutti i suoi tatuaggi. Erano bellissimi, così come lo era lei.
Percorsi verticalmente con le dita la sua candida schiena, e le tolsi il reggiseno nero. Strinsi teneramente con la stessa mano il suo seno destro, mentre con l’altra mano raggiungevo l’elastico dei suoi slip, anch’essi neri.
La sollevai di peso per le natiche e sentì le sue gambe abbracciarmi la schiena. Continuammo a baciarci per una manciata di attimi, poi, appoggiandomi al muro, la feci scendere. Le presi la mano e la feci entrare nella doccia, nonostante lei avesse ancora gli slip e io l’asciugamano. Entrai anche io e chiusi le ante di plastica, aprendo intanto l’acqua.

L’acqua cominciò a scendere fredda, quasi ghiacciata, provocando brividi sia a Chrystal che a me. Ricominciammo a baciarci, questa volta con più foga e infilai una mano nei suoi slip, stimolandola maggiormente e facendola gemere. Il mio asciugamano finì in un batter d’occhio sul pavimento della doccia, così come le sue mutandine.
Entrai dentro di lei in un solo colpo, provocando un suo gridolino di piacere; cominciai a penetrarla lentamente, per poi adottare un ritmo sempre più veloce e appagante. Lasciai nel mentre succhiotto sul suo pallido collo ed un altro vicino al suo capezzolo sinistro. I nostri movimenti si allargarono e sentì il suo bacino cercare più piacere, avvicinandosi a me e mantenendo il ritmo.
Sentì le sue mani farsi strada tra i miei capelli per poi circondarmi il collo; mi baciò violentemente, aggrappandosi a me, ormai vicina all’orgasmo.
Poco dopo esplosi, ancora dentro di lei; continuai comunque a entrare e uscire da lei con la stessa velocità, e, nel giro di una decina di secondi venne, gemendo sommessamente dal piacere.
Se questo vuol dire fare l’amore e non scopare, beh… credo proprio di essermi innamorato di questa ragazza!
 
*Ollie e Aerial: skateboard trick.

Angolo autrice:
Ok, allora comincio già a dire che non essendo etero mi ci è voluto un bel po' per scrivere decentemente un rapporto così, quindi non fate i cattivoni con me ahahah.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, sono rimasta inoltre gradevolmente sorpresa che questa storia è stata inserita tra le preferite da 4 personcine carine carine, e seguita da altre 10 altrettanto carine, perciò... Grazie mille, mi sento stranamente realizzata :)
Questo capitolo è più lungo rispetto agli altri perchè volevo infilarci dentro anche un po' del passato di Chrystal, per rendere l'idea e per far capire meglio ciò che succederà nel prossimo capitolo!
Che dire in più? Ri grazie, se volete passare a leggere altre mie storie ne sto scrivendo altre due:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2105750&i=1
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1977162&i=1

Au revoir!
Mary.
 

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