Sagittarius - Nel Segno del Fuoco

di Water_wolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Minaccio un rottweiler con un arco ***
Capitolo 2: *** 2. Vengo rapita da un ragazzo-leone ***
Capitolo 3: *** 3. Un centauro mi vuole rasare come una pecora ***
Capitolo 4: *** 4. Attraverso il frigorifero del McDonald's ***
Capitolo 5: *** 5. Mi offrono una sfida mortale in carta regalo ***
Capitolo 6: *** 6. La Veggente Salamandra mi fa un salutino ***
Capitolo 7: *** 7. La lingua delle lame ***
Capitolo 8: *** 8. Giochiamo ai rotoloni con gli arieti ***
Capitolo 9: *** 9. Un tuffo imprevisto al centro commerciale ***
Capitolo 10: *** 10. Partecipo a una manifestazione contro la Corrida ***
Capitolo 11: *** 11. Stringo la mano al Minotauro ***
Capitolo 12: *** 12. Fai un tatuaggio e avrai la memoria di un pesce rosso ***
Capitolo 13: *** 13. Perché gli adoloscenti parlano per bro e ormoni ***
Capitolo 14: *** 14. Dai kelpie alla terracotta ***
Capitolo 15: *** 15. Alla palestra Braccio di Ferro ***



Capitolo 1
*** 1. Minaccio un rottweiler con un arco ***


Sagittarius

Sagittarius – Nel Segno del Fuoco



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1.  Minaccio un rottweiler con un arco

La Brighton non organizzava spesso attività fuori orario, come gite a scopi educativi e corsi per una migliore socializzazione. In fondo, altro non era che una sottospecie di riformatorio-orfanotrofio vicino New York.
Quasi nessuno avrebbe voluto prestare servizio qui, con tutti questi delinquenti e orfanelli dagli occhi tristi. Manco fossimo un canile diviso tra pitbull e doberman rabbiosi e beagle e yorkshire impauriti.
Se dovessi decidere da che parte stare, non esiterei a dire orfanotrofio. Avrei vissuto nella speranza che dei genitori normali mi adottassero perché facevo loro gli occhi dolci e, nel caso non fossero mai arrivati per me, a diciotto anni sarei stata comunque sguinzagliata, libera di vagare per il mondo.
Invece, per mia sfortuna, mi trovavo dall’altra parte: nel riformatorio femminile. Solo che non mi sentivo per niente un rottweiler  pronto a combattere per una braciola di maiale. Ero più che altro un mastino che desiderava essere lasciato in pace a rosicchiare il suo osso consunto.
La regola era questa: tu non ti avvicini a me, io non ti spacco il muso. Solo che non tutti la rispettavano, e quella minoranza era in grado di distruggermi. Perciò, i veri rottweiler riuscivano sempre a fregare il mastino, provandoci pure gusto.
Ma oggi era una giornata speciale: un’anima caritatevole e gli angeli a suo seguito avevano deciso di portare un po’ di pace a noi spiriti dannati. Osservai la direttrice Johnson elargire una gloriosa storia all’istituto Brighton, spiegando come fosse difficile trattare con ragazze adolescenti con seri problemi comportamentali.
Potevo capire perché Hayley Becker fosse qui, non avevo dubbi sul suo stato mentale precario. Ma io?
Io ero una dolce orfanella che era scappata a undici anni dall’orfanotrofio della Brighton per vedere la Grande Mela. Sì, be’, avevo rubato una macchina con il bagagliaio pieno di coca e qualche spinello conficcato tra i sedili, l’avevo fatta schiantare contro un idrante rischiando la vita di alcuni ragazzi su uno scuolabus, per poi darmela a gambe e nascondermi in un negozio di vestiti stile hawaiano che, alla fine, era saltato in aria per via di una volante di polizia e un conducente orbo.
Ma questi erano solo dettagli. Mica me l’ero procurata io la cocaina, era già nell’auto! Il giudice, però, non se l’era bevuta ed eccomi qui: riformatorio femminile Brighton. Dai beagle ai pitbull.
L’anima pia – un istruttore sulla quarantina di tiro con l’arco - ascoltava la Johnson sì e no, mentre scrutava le nostre celle e i suoi detenuti dall’altra parte delle sbarre. E, per quanto odi tutti quelli che giudicano questo posto alla prima occhiata, l’idea di fare qualcosa di diverso dal solito mi esaltava a tal punto che rimasi incollata alle piccole e tozze sbarre della finestrella della porta anche minuti dopo il passaggio degli istruttori.
La mia compagna di stanza non ci badava, intenta com’era a contare le macchie di umido sulla parete. Mi riscossi solo quando mi chiamò: - Victoria.
Sobbalzai, smettendo di scrutare fuori. Peace era distesa sul letto a castello di sopra, si era girata verso di me e sorrideva tra i baffi. Letteralmente. I suoi genitori dovevano avere un certo senso dell’umorismo a chiamare la loro figlia così.
Insomma, peace significa ‘pace’ in inglese, e certo non si adattava alla figura enorme e corpulenta di una sedicenne in riformatorio. In tutti i tre anni che condividevo in quella stanza con lei non l’avevo mai vista radersi quei baffetti ridicoli, ne provare a potare le siepi rossicce e sudice che crescevano sotto le sue ascelle.
Io almeno curavo la mia igiene personale. Peace no, e sembrava non farci caso. Ma era buona dentro, mi trattava come una persona civile e non come lo spazzolino del water.
-Sì?- feci, mascherando al meglio la sorpresa. –Stai facendo di nuovo gli occhi dolci a degli estranei- mi rimbeccò. Lanciai uno sguardo disperato al soffitto. –Abitudini da orfanotrofio- mi difesi. –Non riesco a dimenticarle.
-Be’, dovresti farlo. Sei ridicola. Hayley Becker non vedrà l’ora di pestarti.
-Grazie mille per l’incoraggiamento.
Rettifico: mi trattava come una persona civile che viveva nelle fogne e parlava ai coccodrilli annegati nei wc. Prima che Peace potesse dire qualcos’altro, gli auto parlanti lanciarono l’annuncio gracchiante « Attività speciale di questo venerdì. L’istruttore Tompson e i suoi assistenti vi insegneranno la nobile arte del tiro con l’arco. Scendete in palestra. Tra quindici minuti appello. Chi non si presenterà in orario verrà punito. Buona giornata. »
Mi chiedevo come mai quella racchia che stava a comando delle comunicazioni dovesse parlare con frasi brevi e concise, come se stesse stendendo la lista della spesa. “Orario docce modificato. Le ragazze vi avranno accesso alle sette e mezzo. Non un minuto più tardi. Ricordatevelo. Altrimenti, sarete punite” eccetera eccetera.
Quel giorno, però, non ci feci troppo caso. Mi infilai in fretta la mia felpa grigia con zip e cappuccio – l’unica che avessi – e mi legai i capelli in una coda alta. Controllai il mio aspetto allo specchio. Altra abitudine da orfanotrofio: sembrare carini e coccolosi. Chi prenderebbe mai una ragazzina con la faccia incazzosa come la mia?
Dovevo aumentare le speranze di una vita fuori dalla Brighton, dovevo muovere la coda a elica pur di farmi notare. Ma dal riformatorio, con una fedina come la mia, non ci esci facilmente; ero già stata fortunata a non finire nel carcere minorile.
Così, anche se i capelli neri spruzzanti di ciocche rosso fuoco qua e là mi donavano un’aria pacata ma al contempo vivace, non ci sarebbe stato nessuno a notarli. Tranne Hayley che, di sicuro, avrebbe trovato il modo di tormentarmi persino oggi.
Lucy, la guardiana del nostro piano, aprì tutte le porte di ogni cella-stanza, ordinandoci di non agitarci e di metterci in fila ordinatamente. Dovevamo far fare una bella figura alla Brighton, ci ricordava, non come l’ultima volta, quando una ragazza aveva dato fuoco all’attrezzatura da softball di un istruttore. Ammetto che la situazione era davvero divertente.
Non aver potuto usare le docce per… be’… ehm…. Meglio per voi non saperlo, era stato un giusto prezzo da pagare per la scenetta esilarante di un tizio che strillava come una donnicciola imprecando contro di noi per la sua amata sacca zeppa di mazze, palline e guantoni di classe.
Attraversai i corridoi grigi e deprimenti pressata tra una ragazza e l’altra, cercando Hayley Becker con lo sguardo. Sperai con tutto il cuore che fosse rimasta indietro rispetto a me, non avevo la minima voglia di una zuffa mattutina quando non ero nemmeno arrivata in palestra.
Scesi le scale con una mano attaccata al corrimano, gli occhi che saettavano dal cartello PALESTRA alle detenute che stavano dietro di me. Un’altra guardiana ci fece entrare a due a due nella palestra, sussurrandoci all’orecchio avvertimenti e ammonizioni.
-Vedi di non creare i soliti problemi con Becker, Williams. Non ti piacerebbe saltare quest’attività, vero?- sibilò, il suo fiato caldo nel mio orecchio. 
Annuii e passai avanti. Certo, perché ero io a importunare Hayley, ero io quella che la stuzzicava per attirare l’attenzione per cinque minuti. Se foste stati morsi da un cane, quale direste?
Di sicuro non un chihuahua. Ma tutti si sono convinti che io sia la doberman rabbiosa e Hayley la chihuahua con un tutù rosa. E mi chiedo: allora-perché-diavolo-è-finita-qui-se-è-una-stella-caduta-dal-cielo!? Il genere di cose che mi manda in bestia.
In palestra ci disponemmo in fila, le mani unite dietro la schiena, mento alto, petto in fuori e pancia dentro. La Johnson era un’amante del rigore militare e aveva deciso di applicarlo anche qui. Già, una bellezza.
L’istruttore Tompson sembrava leggermente impaurito da noi, ma sorrideva e nascondeva gli occhi verdi semi-terrorizzati dietro riccioli sale e pepe. Fecero l’appello con rigore marziale. Poi, venne il turno dell’istruttore Tompson.
-Bene, bene- si schiarì la voce- qualcuno ha già provato a tirare con l’arco?
Gli risposero i grilli.
Le spalle gli si incurvarono. –Vorrà dire imparerete tutte qualcosa di nuovo. Siete contente?
Avrei giurato di vedere un balla di fieno rotolare ai suoi piedi. Tompson si rassegnò, prese un arco per le scolaresche da una sacca e ci spiegò le sue capacità, come fosse facile tagliarsi braccia e dita come fossero prosciutto… sfilò una freccia dalla borsa e disse di stare bene attenti alle code – sembravano essere attratte dagli occhi, a quanto diceva.
-Mi raccomando, prima di iniziare a tirare, non e ribadisco non puntate le compagne. E’ pur sempre un’arma, capito?
-A bello, chiudi er becco e facce tira’, se no te metto er pepe ar culo!
Un coro di risate si levò dalle ragazze, e non potei non partecipare sghignazzando come una beota. L’artefice del dialetto italiano? Ilaria Conti, madre e padre trasferitisi a New York anni prima, dentro per traffico di stupefacenti, arrivata alla Brighton qualche mese fa dal carcere minorile.
–Conti!- ringhiò la direttrice Johnson –Con me! E in quanto a voi – ci scrutò con i suoi occhi da civetta- osate fare un passo falso e vi aspetterà la punizione più brutta della vostra vita- minacciò.
L’istruttore Tompson deglutì, rosso come un peperone. Nonostante la scenetta patetica, gli assistenti ci divisero in sette file e ci spiegarono come tirare. Finii nel gruppo seguito da Tompson, dietro di me: Hayley Becker.
-Buongiorno, barboncino, pronta a essere trafitta?
Mi voltai, scontrandomi con la stangona. Spaghetti rossi taglio punk, maglietta arancione troppo corta, pantaloni neri a cavallo basso. Agli occhi, di un verde sorprendente, un eyeliner dello stesso colore ottenuto con lo spaccio illecito.
–Lo vedremo, cocca- ribattei, girandomi verso Tompson, cui sorrisi amorevole. Attesi trepidante d’eccitazione che le due detenute davanti a me compissero la loro serie da cinque frecce ciascuna. Poi venne il mio turno.
-Tu sei…?- la voce gli tremò.
Mi sforzai di sorridere. –Victoria Williams, non mordo, signore. – Puntai il pollice dietro – Ma questa qui sì. Ha fatto l’antirabbica per caso?
Tompson mi scoccò uno sguardo supplicante. Scrollai le spalle.
–Non ha fatto l’antirabbica… vabbè, stia attento a non farsi addentar…
Hayley mi mollò un calcio negli stinchi.
–Oookay, tiriamo- conclusi.
Tompson si prodigò a mostrarmi posizione, assetto di tiro e indicò più volte il centro del paglione che dovevo colpire, come se volesse essere sicuro che non avrei usato lui come bersaglio. Mi infilai le protezioni e mi misi in posizione.
Presi l’arco con una mano e con l’altra incoccai la freccia. Lo alzai, portando le dita che tendevano la corda dietro l’angolo della bocca. Non dovetti quasi prendere la mira. Fu come essere investiti da una raffica di vento freddo ed essere riscaldati dal fuoco subito dopo. C’era energia al posto del sangue, nelle vene. Scoccai, e l’elettricità mi percorse con un brivido lungo la spina dorsale.
La freccia tagliò l’aria in due e si conficcò nel centro del paglione.
-Machefigata!- esultai senza staccare le parole.
Tompson mi regalò un timido sorriso. –Su, su, potrebbe essere solo la fortuna del principiante. Hai ancora quattro frecce da tirare, Williams.
-Questo lo dice lei!- replicai, e gli rubai l’asticella che aveva in mano.
I quattro tiri successivi furono degni di Robin Hood:  nessuno si allontanava dall’area rossa. Le spalle dell’istruttore si incurvarono all’impossibile, mentre la mascella gli cadeva.
–Crede ancora che sia solo fortuna?
Fu capace solo di scuotere la testa e balbettare “t-talen-t-to nat-turale”. Non nascondo il fatto che mi sentii un dio in quel momento. Tirare con l’arco era assolutamente… fantastico.
Ero piena di energia, carica, pronta ad affrontare cento Hayley Becker in un giorno. Recuperai le frecce dal paglione, mentre la rossa saggiava la corda dell’arco. Nel suo caso: un’arma micidiale nelle mani di un ciclope.
-Le frecce, barboncino- ordinò.
Gliele porsi. –Ti auguro buona fortuna, Hayley. Spero che il tuo culo non sia così grosso da oscurare il bersaglio.
Col senno di poi, non l’avrei fatto. La vidi gonfiarsi come una mongolfiera e diventare rossa come un pomodoro fino all’attaccatura dei capelli – quelli erano rossi già di per sé.
-Sei morta- sibilò, e quella minaccia mi sembrò più che plausibile.
Incoccò una freccia. Tompson fece per fermarla, ma lei mimò un morso nella sua direzione e ringhiò, lugubre –Smamma!
L’istruttore si ritirò con la coda fra le gambe, sconfitto e umiliato. Le altre ragazze si fermarono, osservando la scena con appassionato interesse. Dalla cricca di Hayley si levarono dei mormorii di morte. « Rissa, rissa, rissa. »
-Posso almeno mettermi in pari?- gemetti.
Gli occhi di Becker fiammeggiarono. –Provaci  e ti spacco il cranio in due come una mela! Come quel tipo lì… Guillaume Hotel… Argh, non importa!
Perfetto, la mia giovane vita stava per finire. La prima freccia mi sfiorò l’orecchio, ma riuscii a evitarla scansandomi a sinistra appena in tempo.
Strappai di mano a una detenuta l’arco che teneva, incoccai a una velocità impressionante la freccia e puntai contro Hayley Becker. Ma come ci riuscivo?
Non ebbi il tempo di rispondere, perché la rossa lanciò un urlo inviperito. La tenni sotto tiro, accogliendo con gratitudine l’ondata di coraggio e energia che mi dava stringere l’arco tra le dita.
-Allora, barboncino, che ne dici di un restyling? Vanno di moda i buchi nello stomaco.
Qualcuno ridacchiò, ma la maggior parte era paralizzata dal timore di essere appena diventata un bersaglio vivente.
-Allora, Hayley, che ne dici di un nuovo taglio? Il militare ti donerebbe di sicuro.
-Provaci- mi stuzzicò, sicura che non avrei avuto il coraggio di completare la mia minaccia.
–Va bene- concordai, sciolsi i muscoli del collo e scoccai la freccia.
Per una frazione di secondo mi chiesi se non l’avessi uccisa, se non avessi sbagliato mira… Naah, ero un talento naturale.
La freccia le volò sopra la testa, portandosi dietro una ciocca di capelli dal centro della nuca, lasciando visibile una vasta striscia di pelle tra i ciuffi rossi.
-Ecco un perfetto moicano!- ironizzai. –Perché non ti unisci alle schiere del comandante Johnson, pelle rossa?
Hayley Becker era prossima alle lacrime, il labbro inferiore le tremava. Non potei non gioire intimamente.
–E ora, prova a fare la bulla un’altra volta e aggiusterò la mira: proprio tra gli occhi.
Dietro di me, la direttrice Johnson tuonò: -VICTORIA WILLIAMS, mi segua immediatamente! E molli giù quell’arco, per piacere!

 


Il mio momento di gloria era finito, così come le mie speranze di scontare la mia pena regolarmente e uscire dalla Brighton in un paio d’anni. Mi trovavo nella mia seconda stanza: l’ufficio della direttrice Johnson.
C’ero stata tante di quelle volte, per colpa di Hayley, che ormai avevo perso il conto. Era un ambiente spazioso che dava sul giardino dell’istituto, con un’unica grande finestra e una sola porticina dalla parte opposta.
Alcuni quadri raffiguranti la savana erano appesi alle pareti. Immaginavo che le piacessero tanto i branchi di zebre in fuga perché s’illudeva d’essere lei a incutere loro paura, non le leonesse poco più dietro.
In quanto a me, stavo seduta su una seggiola, scrutata dall’alto dalla direttrice. Aveva posizionato la sua scrivania nei toni militari – a me sembrava una vasca da bagno di metallo rovesciata – in modo che chi si trovava al mio posto si sentisse sotto esame.
E ci era riuscita benissimo.
Mi inchiodò con lo sguardo con i suoi occhietti azzurri, passandosi una mano sui capelli biondissimi e unti, stretti in una coda.  
-Quello che hai fatto è molto, molto grave, Williams.- esordì. -Hai minacciato una compagna come Hayley Becker con un arco, dopo averla anche ferita.
-Ma… - ribattei.
Volevo dirle che non ero stata io a iniziare la lite, che Hayley aveva tentato di uccidermi e che la mia era pura legittima difesa, ma la direttrice non mi ascoltò.
Fece un gesto stizzito con la mano, come a scacciare le mie obiezioni.
-Niente ma, Williams. Io punisco quello che vedo. E ho visto che lei stava puntando un arco priva di buone intenzioni contro Becker, mentre la minacciava di morte. Considerando i vostri trascorsi burrascosi, direi che…
Si interruppe, lanciò uno sguardo alla porta e impallidì. Si sentì un grande boato rimbombare per il corridoio, poi un ruggito felino e qualcosa abbatté l’entrata dell’ufficio.
Lui, lei o la cosa si scrollò dalla criniera irsuta dei pezzetti di calcestruzzo, ci fissò con degli occhioni castani e parve sorridere. Mosse un passo verso di noi, ringhiando in direzione della Johnson.
Era enorme, ed era un leone.
Un… LEONE?!

 

 

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Angolino dell'autrice
Sono una persona ignobile, che incomincia a scrivere un'altra storia senza nemmeno aggiornare le altre. Ma l'ispirazione ha regole tutte sue...
Comunque, ecco il primo capitolo di Sagittarius - Nel Segno del Fuoco!
Diciamo che è un mix tra urban fantasy, epica e astrologia. Cercherò di reinventare i dati sui segni zodiacali al meglio tramite carattere e aspetto fisico. Chiarimenti al prossimo capitolo!^^
Il rating alto è per via di parole poco carine *spero di non aver sbagliato il dialetto romano* e qualchee scena... ehm... tra il comico e il mortale.
Sarà forse la cosa più pazza che scriverò, quindi, attenti alla salvaguardia del vostro cervello c:
Sarei grata di ricevere una recensione, ringrazio in anticipo chi lo farà!
Besos :*

Water_wolf

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Capitolo 2
*** 2. Vengo rapita da un ragazzo-leone ***



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2.  Vengo rapita da un ragazzo-leone

La direttrice Johnson strillò e corse a nascondersi sotto la scrivania. Il leone sbuffò, avvicinandosi zampa dopo zampa. Scattai in piedi. Perché avevo la strana sensazione che quella palla di pelo troppo cresciuta volesse me e me soltanto?
-Stai buono, micino… bravo, stai indietro…- mormorai, ma il leone ruggì, e un’ondata di alito caldo puzzolente mi investì la faccia.
–Ehm… la vuoi una mentina? Sono lì, sotto il banco- dissi, indicando freneticamente il nascondiglio della Johnson.
L’animale azzerò con un balzo la distanza tra noi, facendomi perdere ogni briciolo di buon senso.
Indietreggiai, sbattendo contro il muro, e aprii la finestra. L’edificio era alto, circa il sesto o settimo piano; sicuramente un bel volo. Ma se fossi rimasta lì sarei stata sbranata dal leone.
La mia mente occupò qualche secondo a calcolare le probabilità di sopravvivenza di uno o l’altro piano. Tutte e due minime.
Colsi un lampo di stupore negli occhi del re della savana.
Deglutii. –Addio, micino- dissi.
Poi mi lanciai giù dalla finestra.
Credo avrei dovuto ripensare a tutte i momenti belli e spiacevoli della mia vita, ma la mia mente era occupata unicamente da un pensiero: “Aaaaaaaaaaaaaaahhhhhh!”.
A un metro da terra, mi sentii afferrare per il cappuccio della felpa. La corsa rallentò immediatamente e qualcosa di caldo e morbido attutì lo schianto. Da sotto di me provennero degli “umpf”, “ach”, “sgrunt”.
Il mio primo pensiero fu: “sono finita in un fumetto di Topolino?”.
Ehi, mi suggerì una vocina nella mia testa, se puoi pensare sei viva! Il mio cuore perse un colpo. Non ero morta! Non mi ero schiantata a terra, ne spiaccicata come una frittella, nemmeno sarei rimasta paralizzata dalla vita in giù, niente ossa rotte o dolore e…
–Sono viva!- esultai, balzando in piedi.
Barcollai, presa da un capogiro, e inciampai in un piede. Caddi a terra con un tonfo sordo, pensando distrattamente che mi ero fatta più male così che con un volo dai piani più alti dell’edificio.
Un’ombra mi sovrastò. Sbattei due volte le palpebre per vederci meglio.
Era un ragazzo, forse più grande di me di un anno, e anche carino. Alto, fisico asciutto, portava una t-shirt con scollo a V nera, una sciarpa bianca e nera a quadretti, pantaloni militari e scarpe che non mi sarei permessa nemmeno nei miei sogni.
Il viso era ingentilito dalle ultime rotondità dei bambini, i capelli erano  luminosi ricci nocciola, che ricadevano in volute ordinate incorniciando il volto.
Ma ciò che più mi attirò di lui furono i suoi occhi: l’iride castana faceva da sfondo, mentre dalla pupilla nerissima partivano dei raggi dorati, di un giallo sfolgorante, che illuminavano lo sguardo di malizia e fascino.
Si passò una mano tra i riccioli e sospirò, scocciato: -La prossima volta, vedi di non farmi fare un volo del genere, non sono mica immortale.
Stavo per rifilargli una sfilza d’insulti sul fatto che io non l’avevo costretto a buttarsi, che non ci sarebbe stata una prossima volta, che nemmeno lo conoscevo  e che poteva tranquillamente farsi gli affari suoi, ma un pensiero mi punse i margini della coscienza.
–Il-il leone dov’è?
Il ragazzo rise di gusto. –Non l’hai capito? Io sono il leone.
Okay, questo era proprio suonato. –Senti, forse leggi troppi fumetti,- azzardai- i mutanti in stile X-Man non esist…
Fui costretta a interrompermi.
La sua pelle abbronzata incominciò a pulsare, i suoi muscoli aumentarono, dalle spalle una criniera leonina gli ricoprì le braccia e lo sterno.
–Sì, sì, lo dicono tutti prima di conoscere la storia- disse, la sua voce aveva assunto una sfumatura gutturale. –Allora, devo trascinarti con la forza o ci vieni con le tue gambe?
Le sue parole mi entrarono da un orecchio e mi uscirono dall’altro. Capii in quel momento come si sentissero lo pietre.
–Va bene, prima opzione. 
Il mio cervello riprese a funzionare.
–No!- esclamai. –Hai tentato di uccidermi! Io ho dovuto buttarmi… no!
Le sue mani pelose mi afferrarono i fianchi, e lui mi issò senza fatica sulle sue spalle.
–No! Lasciami andare, lasciami andare, lasciami andare!- strillai.
Scalciai, mi feci male a furia di colpirgli la schiena con i pugni, mi divincolai con tutte le mie forze, ma il ragazzo-leone sembrava d’acciaio. In lontananza, partì la sirena dall’allarme. Mi rincuorai un po’, sapendo che qualcuno sarebbe venuto a salvarmi dal mio rapitore mezzo animale.
–Aiuto!- gridai a pieni polmoni.
Finalmente, il ragazzo si fermò. Lo sentii fremere sotto di me.
–La vuoi smettere di urlare come una bambina?!- sbraitò – Sono io il tuo aiuto!
-Certo, come no, vallo a dire a qualcun altro, Alex il Leone!- ribattei.
Il ringhio che seguì mi fece gelare il sangue.
Riprese il suo rapimento, ora correndo, ora scavalcando il cancello della Brighton. Non feci in tempo a domandarmi come fosse riuscito a saltare più di tre metri da terra.
Non era per nulla umano.
Percorremmo in un lampo la distanza dal riformatorio alla periferia della città. Sfrecciavamo per le vie e, quando i passanti si accorgevano di quella strana scena, non potevano che voltarsi e domandarsi che tipo di scherzo fosse.
Mentre arrivavamo a quelle che intuii fossero delle strade piuttosto trafficate, notai un taxi fermo, il conducente era fuori e parlava concitatamente al telefono.
Costrinsi Alex il Leone a andare più a destra con un calcio ben piazzato, e sporsi le braccia verso la portiera.
Il colpo fu più duro di quello che immaginavo. Schizzai via dalla presa del mio rapitore, ma proprio quando la mia faccia stava per scontrarsi contro il vetro, lui mi riacciuffò al volo. Il taxista smise di parlare per un secondo.
–E’ matta, è fuggita dal manicomio- biascicò Alex il Leone, ripartendo in quarta.
Ancora stordita per il mio brillante piano di fuga, non mi resi conto che il ragazzo stava rallentando in prossimità di non so quale “esima”. L’insegna a neon era spenta, le persiane erano state tirate giù e un sacchetto di spazzatura che avrebbe potuto essere un balsamo per i ratti copriva parte del cartello CLOSE.
Alex il Leone aprì la porta con una zampata, entrò e mi sbatté sul il pavimento, ansimante.
Quella fu la goccia che fece traboccare il  vaso.
Va bene che mi ero dovuta buttare giù dal sesto piano, va bene che mi ero beccata le maledizioni di uno sconosciuto, va bene che mi ero lasciata trasportare come un sacco di patate per mezza New York, ma gettarmi sul pavimento come uno straccio era troppo!
-Ma tu chi cavolo ti credi di essere per trattarmi così, eh?!- sbottai.
Alex il Leone sorrise, beffardo. –Solo un ragazzo speciale di nome Pride.
Mi prese un attacco di ridarella.
–Tu- riuscii a chiedere tra le risa. –hai per caso un amico di nome Prejudice?
Il suo viso si colorò di porpora. –Detesto Jane Austen…- brontolò.
Fui felice di trovarmi a terra, in quel momento, perché non mi sarei retta in piedi se fossi stata alzata. Mi rotolai sulle piastrelle sporche senza ritegno, ridendo come una matta, con picchi d’ilarità e scoppi improvvisi di risate.
Come si poteva sopportare il nome Pride? Chi era la madre che chiamava il proprio figlio Orgoglio?
Il ragazzo-leone s’infiammò in viso, ma rinunciò in partenza a farmi smettere di ridere. Doveva essergli capitato parecchie volte.
Mi fermai solo quando una voce adulta, temperata, disse: -Victoria, può bastare. Alzati, su.
Lo feci, sia perché il tono del proprietario non sembrava ammettere repliche, sia perché stare ulteriormente sul pavimento sporco non mi eccitava granché. Mi girai, Pride si era fatto attento.
Dietro un bancone scolorito del McDonald’s se ne stava un uomo di mezza età, capelli nerissimi tagliati corti, occhi di un blu profondo e una camicia sbottonata mostrava il torace allenato. Si spostò di lato con un rumore di zoccoli.
Zoccoli?
Quello che vidi mi fece prendere un colpo.
Dalla vita in giù, l’uomo si trasformava in un cavallo sauro, con tanto di quattro zampe e coda lunga.
Mi riusciva difficile ammetterlo, ma quello era un  centauro.

 


Pride mi dovette sorreggere quando svenni. Vorrei  poter dire che fu un eccellente crocerossina, che mi fece riprendere con tanto amore e dolcezza, ma fu tutto il contrario.
Il centauro gli vietò di darmi una secchiata d’acqua gelata in faccia – non lo ringrazierò mai abbastanza per questo -, così lui uscì dal McDonalds e tornò con una buccia di banana che, di banana, aveva ben poco.
L’odore nauseabondo mi fece storcere il naso, e rinvenni. Il ragazzo-leone e il centauro erano chini su di me, distesa sul bancone polveroso di quel McDonald’s abbandonato. Pride gettò via la buccia di banana e decretò:- E’ tra noi.
Gli mollai uno schiaffo. –E’ difficile non rinvenire quando ti sventolano sotto il naso qualcosa di così mefitico.
Pride cercò lo sguardo del centauro, sembrava chiedergli “posso ucciderla? Hai visto anche tu, è una palla al piede”.
L’uomo-cavallo non ci badò, quindi si rivolse a me:-Come stai?
Alzai le sopracciglia.
Come voleva che stessi? La mia vita si era stavolta in nemmeno un’ora e avrei dovuto dirgli che stavo bene? Non sapevo nemmeno se tutto queste assurdità erano frutto della mia immaginazione, se stavo facendo il sogno più strano della mia vita o se Hayley Becker mi aveva colpito in pieno con la sua freccia e quella era la mia proiezione di esistenza oltre la morte.
Il centauro si accigliò, ma capì cosa mi stava evidentemente passando per la testa. A quella reazione mi sentii inspiegabilmente in colpa; dopotutto, l’uomo-cavallo mi aveva evitato un bagno gelido.
–Ehi, per essere stata rapita da un ragazzo-leone e aver appena visto qualcosa che appartiene alla mitologia, sì, sto abbastanza bene.
Il centauro scosse la testa, abbozzando un sorriso. –Quante cose devi ancora sapere…
Non sono sicura di volerle conoscere.
–Da dove ho iniziato a raccontare la storia con te, Pride?
-Dalla fine, ma credo che con lei sia meglio essere più… delicati.
-Che cosa stai insinuando, eh? Che sono una pappamolla?- lo aggredii.
Pride sogghignò, gli occhi brillarono maliziosi. –Io non sono svenuto quando ho visto per la prima volta Pholos.
Aprii la bocca, pronta a ribattere, ma il centauro mi precedette. –Credo, però, di doverle spiegare chi sono per lei.
-Sicuro? – domandò Pride. –Questo potrebbe farla svenire sul serio.
Pholos fissò i suoi occhi nei miei, calcolando le probabilità di un’altra perdita di coscienza. –Se è lei quella che cerchiamo, e lo è, glielo devo dire.
-Fa come vuoi…- sbuffò Pride.
–Ehi- esordii. –Guardate che ci sono anch’io. Cos’è che dovete dirmi di così importante?
Nelle iridi blu di Pholos scorsi un lampo di compassione. –Victoria.
-Sì?- sospirai, esasperata.
Il centauro sembrò tentennare un attimo, ma era solo un’impressione, perché disse ciò che di dovere con decisione. –Victoria, io sono tuo padre.

***

Angolino dell'autrice
Buongiorno a tutti, ecco il secondo capitolo di questa storia!
Non è esattamente all'apice del "spettacolare", visto che avevo spoilerato tutto nell'introduzione. L'ultima frase, che doveva suonare come "Luke, io sono tuo padre", avrà suscitato sicuramente dei "Ma va?" invece che dei "Nuoooo, non è possibile!".
Ma fa niente, le sorprese verranno dopo *sorriso maligno*
Che ve ne pare di Pride? Il suo nome significa veramente orgoglio, in inglese, e il romanzo di Jane Austen si traduce "Pride and Prejudice" ---> Orgoglio e Pregiudizio.
Non ho intezione di scrivere la solita pantomima dove il bello e la protagonista si odiano e poi si amano, no. E' troppo usato, scusate, ormai è anche un pochettino banale.
Per cui, penso di mantenere una certa costante in fatto di odio.
E così mi gioco metà dei lettori LoL
Ci vediamo al prossimo capitolo!
Besos:*

*Ringraziamenti*
Grazie a TiaSeraph, King_Peter e _Charlie_ per aver recensito (in rigoroso ordine di recensioni!) Alle tre persone che l'hanno inserita tra le seguite e a tutti coloro che hanno letto. Sarei grata a tutti se mi lasciaste una recensione, può solo aiutarmi a migliorare, I don't bite^^
E grazie a Marta, la mia host, che DEVE farsi un account lettore per recensire su EFP e non tramite mail. Ti voglio bene anch'io. Non fare l'anticonformista :*


*Piccoli appunti*
Il Leone, segno zodicale, è irascibile, ha l'aria da leader, quindi è orgoglioso. I suoi colori sono il giallo, e la sua pietra il diaspro giallo. Per cui, nome e caratteristica degli occhi, è sistemata^^
Pholos è un altro modo per scrivere Folo, una delle poche eccezioni dei centauri che, invece che essere un violento burbero, si interessa alla medicina e alle stelle. Come Chirone c:
New York è divisa in tante *troppe* strade, come la Settanduesima, per cui quando Victoria dice di essere in non so quale "esima", si riferisce alla strada.
Spero sappiate tutti bene cos'è un centauro, vero? xD

 

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Capitolo 3
*** 3. Un centauro mi vuole rasare come una pecora ***


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3. Un centauro mi vuole rasare come una pecora

Sarei dovuta scoppiare come una bomba atomica, pensare a che tipo di padre fosse uno che si presentava così, dopo questo trattamento, avrei dovuto essere scioccata, arrabbiata, sdegnata.
Avrei dovuto svenire di nuovo, avere un attacco di panico, oppure ridere come una matta, domandarmi se mi fosse saltata qualche rotella, ma riuscii a uscirmene con un patetico:-Aehm… okay.
Il fatto era che quella rivelazione non era più assurda di un ragazzo capace di trasformarsi in leone, o di un centauro in un McDonald’s. Dopotutto, quello era un buon motivo per rapirmi. Il paparino che dopo quattordici anni vuole rivedere la sua figlioletta non era storia nuova. Molte persone l’avevano fatto, certo, in modi meno bizzarri.
Per di più, spiegava perché Pholos sapesse il mio nome. Mi diedi della stupida per non averci riflettuto prima, mi perdevo sempre i dettagli…
Intercettai uno sguardo stupito di Pride verso mio padre, i cui occhi erano lo specchio di sollievo e sgomento.
Tiè, pensai, compiaciuta, speravi ci rimanessi secca, invece non sono nemmeno svenuta!
Proruppi nel peggior attacco di tosse finta della storia e richiamai l’attenzione su di me. –Allora, le altre rivelazioni profetiche? Iniziate quando volete, io sono pronta.
Pholos mi fissò intensamente. –Scusa, ho dimenticato la parola magica: per favore, papà- dissi, sarcastica.
Pride scoppiò a ridere, una risata con un ché di isterico che mi diede sui nervi. Il centauro batté uno zoccolo sul pavimento, zittendo il ragazzo-leone.
–Perdonami, Pholos- bofonchiò. –Era una scena troppo esilarante.
Avrei voluto ribattere: “più del tuo nome?”, ma avevo bisogno di risposte, e una lite non mi avrebbe aiutato. Ottenuto il silenzio, Pholos si schiarì la voce, deciso a raccontare, dimentico di quel dipinto della “perfetta riunione familiare”.
–Immagina un mondo puro, perfettamente in equilibrio, esseri benevoli e oscure presenze si tolleravano, si rispettavano, non avevano bisogno di combattere. Prova a figurarti la Terra migliaia di anni fa, quando i prati erano più verdi degli smeraldi, i boschi risuonavano del cinguettio dei passeri e, sotto terra, brulicava la vita.
E il mare, immagina l’oceano nel pieno della sua potenza, le correnti calde e fredde che trasportavano i pesci. Pensa all’aria pura, così limpida che persino gli uccelli avevano paura di solcare il cielo.
La sua voce calda, persa nei ricordi, era così dolce che chiusi gli occhi e mi figurai ciò che diceva. Continuò a raccontare, e io mi immersi in quelle fantasie tanto da riuscire a sentire una lieve brezza marina sulla pelle, la sabbia tra le dita dei piedi, il grido stridulo di un gabbiano.  
–E- aggiunse in un sussurro che aveva del melodico, –immagina la magia. Una forza impalpabile che, quasi come cenere, si depositava su tutto e tutti. Ma pochissimi erano in grado di utilizzarla. Gli umani non erano tra questi. Fate, elfi, folletti, fauni, ninfe, satiri e, ovviamente, centauri, non sempre ne erano capaci. Voi ignoravate in nostro mondo, distruggevate la natura, le nostre case, solo per futile inconsapevolezza. Molti proposero di sterminarvi, altri erano affascinati da voi, altri ancora non vi consideravano una minaccia imminente.
Già, perché è sempre colpa degli uomini. Pholos riprese il racconto, senza lasciare spazio ai pensieri.
–Quelli che si rivelarono i più saggi, suggerirono di responsabilizzarvi. Fu così che unimmo la magia delle stelle, la magnificenza delle costellazioni, al vostro corpo terreno, umano e imperfetto. Queste persone divennero in grado di vederci, di interagire con noi, e agirono per salvaguardare la natura. Ma quando il contatto con la magia si affievolì, voi smetteste di rendervi conto della grande fortuna che vi ritrovavate.
Di nuovo ci fu la possibilità di un’estinzione. Ma, questa volta, non si riuscì a trovare una soluzione e si scatenò una guerra civile. Le nostre battaglie si confusero con le vostre, il sangue fatato e umano tinse di rosso i fiumi e impregnò lo smeraldo dei prati, facendoli diventare più scarlatti di un tramonto. Avrai studiato almeno un po’ le guerre dell’Impero Romano, no? Quando Augusto morì, anche la nostra età dell’oro giunse al termine.
Mi balenò in mente un pensiero irrazionale, eppure in qualche modo logico, che non potei non interromperlo:- Lui era come…?
Pholos abbozzò un sorriso, contento che avessi seguito la storia con attenzione.
–Esatto, era un Ereditario del Segno del Leone, come il qui presente Pride. Ma questa parte verrà più in là- confermò.
–Come stavo dicendo, la guerra degli esseri fatati fu sanguinosa. Un gruppo misto, tra noi, decise di cercare le persone speciali, gli uomini che avevano responsabilizzato, per metterli di fronte alla loro inettitudine. Impressero sulla loro pelle un marchio che ci avrebbe unito da lì fino alla fine dei tempi. Uomini e esseri fatati giurarono sugli dei che, nel momento del bisogno, si sarebbero uniti sotto il segno degli Ereditari per porre fine ai problemi tra i magici e umani.
-Sì, ma chi erano questi “Ereditari”? Cos’avevano di speciale?- chiesi.
Pride sogghignò. Repressi l’istinto di levargli a suon di pugni quel sorrisetto saccente; ovvio, lui conosceva già tutto quello che Pholos stava dicendo a me perché era uno di quegli “Ereditari”.
Mi feci attenta, visto che il centauro stava rispondendo alla mia domanda.
–Ci stavo giusto arrivando, Victoria. Ricordi cosa ti ho raccontato prima? Che gli esseri fatati unirono la magia delle stelle al vostro spirito?
Annuii.
–Sai anche che più stelle, poste in un certo modo formano le costellazioni. Alcune di loro sono usate nell’astrologia, e saprai di certo che i bambini possiedono il proprio segno zodiacale a seconda del periodo in cui nascono, quello in cui una determinata costellazione è predominante.
Feci un segno d’assenso col capo. Erano informazioni di dominio pubblico, tutti conoscevano il proprio segno zodiacale. 
–Sì, Ariete, Capricorno, Sagittario… - elencai qualche nome per dimostrargli che seguivo il discorso.
-Bene- commentò, sorridendo. –Gli esseri fatati, in principio, scelsero sei uomini e sei donne da responsabilizzare, anche se poi aumentarono. In totale erano dodici, come tutti i segni dello zodiaco. Ebbene, il marchio che è stato imposto agli umani era la raffigurazione grafica di questa dozzina di costellazioni. Anche qui erano  dodici, tutti quelli che il gruppo era riuscito a trovare. Nel vostro corpo fluirono le energie degli dei, quelli con cui nominate oggi i pianeti. Vi chiamaste Ereditari, perché in voi c’erano tre patrimoni da ricordare e tramandare di generazione in generazione di uomini speciali, una sorta di eredità: il primo, la vostra cultura umana; il secondo, quella del popolo fatato; il terzo, la fede. Ora, è giusto che spiegarti perché ti sto raccontando questa storia.
-Già- concordai.
In effetti, quella era un’ottima favola, una storiella da raccontare in campeggio quando il fuoco scoppietta e si arrostiscono marshmallows. Il collegamento fantasia-realtà doveva ancora essere chiarito. Pride incrociò le braccia, spostando il peso da una gamba all’altra.
Intuii che si aspettava da me una reazione spropositata al discorso che stava per iniziare Pholos. Non gli avrei dato quella soddisfazione.
-Ti prego di non interrompermi, adesso, Victoria. Rimanderemo le domande a più tardi, va bene?
-Okay.
-Gli esseri fatati esistono ancora oggi, nel ventunesimo secolo. Viviamo in una sorta di dimensione parallela, un luogo creato in antichità per proteggere il nostro spazio vitale. E’ accogliente, un posticino proprio carino, ma, vedi, è leggermente… piccolo. Geograficamente è pari a metà Europa, ma con tutto l’affollamento di quest’ultimo secolo la situazione si è parecchio scaldata. Alcuni di noi vogliono distruggere la dimensione in cui vivono e occupare di nuovo la Terra, rendendosi visibili a tutti e sterminando gli uomini. C’è a loro favore il fatto che la natura primordiale è più forte della vostra amata tecnologia, la rabbia di aver perso la loro libertà e una buona dose di caratteriale indole sanguinosa e violenta. Quindi… gli Ereditari di quest’epoca  devono impedire che si scateni questa guerra. Non vogliamo un olocausto, non tutti, almeno.
-Sì, ma potremmo sempre lasciarvi un po’ di spazio. New York, per esempio, è grande, si potrebbero costruire case-bosco per dei fauni… -ipotizzai.
Il centauro mi fulminò con lo sguardo. Mi morsi il labbro, sentendomi trapassata dai suoi occhi troppo blu.
O forse era l’ascendente del padre sulla figlia?
-Posso spiegarle io il motivo, Pholos?- domandò Pride, in un tono finto angelico.
Il centauro annuì. –Be’, Victoria, immagina un fast-food nell’ora di punta, zeppo di umani. E figurati un’ondata di gnomi che reclamano il loro pasto. Pensa alle vie trafficate di New York, e uniscici un’ondata di  centauresse dirette a un negozio che ha appena appeso fuori il cartello SALDI.
In entrambe le situazioni, sarebbe il putiferio. Non puoi far convivere popoli così diversi, entrambi sono troppo arroganti per questo. Ci sarebbe ugualmente la guerra. Ritardata di qualche anno, magari, ma ci sarebbe comunque.
-Hai perfettamente ragione, Pride, ci sono ragazzi troppo orgogliosi per permettere una convivenza civile- lo provocai, offesa dal suo tono saccente e dalla sua aria da so-tutto-io.
Lui azzerò la distanza tra le nostre facce in un secondo, aprì la bocca e snudò le zanne.
–Uccidimi se ne hai il coraggio, cugino di Edward Cullen- lo sbeffeggiai.
Non che volessi davvero morire, ma speravo in qualche miracolo che mi permettesse di salvarmi la pelle. Prima che potesse aprirmi in due prendendo come modello Jack lo Squartatore, Pholos lo afferrò per la collottola e lo sollevò da terra, portandolo alla sua altezza.
Lo fissò così intensamente che temetti lo potesse congelare, creando una statua intitolata “Alex il Leone”, ficcarlo in una cassa e spedirlo a un’agenzia di catering per un matrimonio sul ghiaccio. Invece, Pride ritirò le zanne e guaì.
Pholos lo mise giù, ammonendolo:- Ricorda che ho deciso di dedicarmi ad altro nella vita al posto della violenza, ma che sono comunque in grado di usarla.
Deglutii. Non era il caso di far arrabbiare un centauro, specialmente se minacciavi con delle zanne affilate come pugnali sua figlia.
Pride si ritirò in un angolo della sala, lanciandomi occhiatacce e chissà quali maledizioni. Pholos recuperò la calma in qualche attimo, e fu subito pronto a continuare il racconto.
–Dopo queste interruzioni impreviste, veniamo alla conclusione. I centauri non vogliono che si scateni una guerra contro gli umani, e hanno incaricato me di trovare gli Ereditari. Pride è il primo. Anche questa, però, è una corsa contro il tempo: anche altri gruppi di esseri fatati li stanno cercando per portarli dalla loro parte. Come l’Ereditario dei Gemelli, o quella dei Pesci… Il motivo per cui ho dovuto mandare Pride ad accorciare il tuo soggiorno all’istituto Brighton è semplice: ci sono molte probabilità che tu sia l’Ereditaria del Segno del Sagittario, Victoria. Ma dobbiamo confermarlo. Quindi verificherò se tu porti il marchio e, nel caso contrario, ritornerai alla tua vita di sempre, senza ricordi di quello che è accaduto. Va bene?
Puntai lo sguardo sulla parete dietro di lui. Inspirai e espirai, cercando di calmare il battito del mio cuore. Perché ovvio, non bastava essere figlia di un centauro, ma dovevo pure evitare una guerra e trasformarmi in un’eroina.
–Un Ereditario non ha mai rifiutato il suo compito? Voglio dire, perché proprio loro e non altri?- domandai, titubante.
–No. E’ quello che vi rende speciali. Siete consapevoli di dover combattere per la salvaguardia di due popoli, siete gli scelti delle stelle, i combattenti dello zodiaco.
-Ma per questo non c’erano dei Cavalieri?
Pride soffocò a stento una risata con un paio di colpi di tosse. Pholos si limitò a scuotere la testa.
–Victoria, prima di prendere una decisione devo verificare se i miei sospetti sono fondati. Già è un miracolo che non ti sia messa a strillare e abbia creduto fino in fondo all’esistenza degli esseri fatati e alla magia.
-Be’… si vede che ho una mente aperta- commentai. –Penso che si possa vedere se ho il marchio- affermai, mettendomi seduta sul bancone.
Pholos si chinò, tirando fuori da un cassettone un rasoio. Lo accese, e quello inizio a vibrare maligno. Sgranai gli occhi.
–Che-che cosa devi farci con un rasoio?- domandai, pur non essendo sicura di voler ottenere risposta.
–Il marchio si trova proprio sotto la nuca. I tuoi capelli lo coprono. Devo liberare la zona per poter vedere.
-Ah. Oh. Ah.
Il centauro mi scoccò un’occhiata interrogativa.
–P-penso sia meglio se sto in piedi, mentre mi rasi. Ci vedrai meglio.
-Va bene. Stai ferma, però- disse.
–Certo- mentii.
Scesi dal balcone, scelsi un punto in cui c’era più luce e attesi che Pholos si mettesse dietro di me. Il ronzio cupo del rasoio mi fece rabbrividire. No, niente tagli in stile pecora. Avrebbero controllato in un altro modo, di sicuro non così.
Prima che le lamette potessero sfiorare la mia pelle, mi abbassai di scatto, poi corsi gridando verso l’uscita. Il mio autocontrollo non era granché, lo ammetto. Sbattei dolorosamente contro il petto di Pride.
–Levati!- urlai, scansandomi.
Finii faccia contro il vetro della porta, cercai la maniglia con una mano e in un attimo fui fuori. Neanche il tempo di assaporare l’aria o gridare “aiuto!”, che Pride mi riacciuffò e mi issò sulle sue spalle come un militare ferito. Mi dibattei come un pesce tirato fuori dall’acqua, lanciando imprecazioni a iosa contro tutto e tutti.
Pride mi costrinse a pancia in giù sul pavimento, bloccandomi in quella posizione con un ginocchio tra le scapole. Possibile che un ragazzo come lui pesasse così tanto?
Pholos fu rapido a chinarsi, non so come facesse con le sue zampe da cavallo, e sentii il ronzio del rasoio. Pride premette ancora di più il ginocchio sulla mia schiena. Pholos mi scostò la coda e, con un movimento rapido, mi rasò la base della nuca. Non pienamente soddisfatto, ripassò la lama ancora una volta.
Il ronzio si spense. Pride allentò la presa.
Ma prima che potessi liberarmi, il centauro mi passò una mano sul punto liberato dai capelli e avvertii una sensazione strana. Fu così impegnata a tentare di decifrarla che non mi accorsi di un calore crescente.
Pholos levò la mano, e solo in quel momento mi accorsi delle fiamme.
Il fuoco divampò per tutta la schiena, dall’interno, come se la mia carne si fosse aperta dal profondo e gli incendi dell’inferno la bruciassero.
Gridai, ma l’urlo mi si fermò in gola, perché dalla nuca si sprigionò un lampo di dolore cocente. Mi rigirai, cercando di spegnere inutilmente le fiamme del rogo che si era impossessato del mio corpo.
Caldo, caldo, troppo caldo mi bruciava, mi rodeva, e io non riuscivo a fare niente se non contorcermi sul pavimento.
Un serpente di fuoco percorse la spina dorsale in un eccesso di dolore intenso. Poi, com’era iniziato, si spense, lasciandomi indolenzita e sofferente.
Emisi un rantolio cupo, basso e straziante, forse una richiesta d’aiuto.
Intorno a me silenzio.
Qualcuno mi poggiò una mano sulla spalla, facendomi sobbalzare. Probabilmente era a una temperatura normale, ma sulla mia pelle era ghiacciata.
–Guarda il tuo riflesso- disse Pholos.
Lanciai uno sguardo nella sua direzione. Il corpo da cavallo era scomparso, lasciando il posto a due sole gambe fasciate da dei jeans.
–Dopo- sussurrò, passandomi una mano tra i capelli.
Sorrisi debolmente, guardando dietro di me. Pride reggeva uno specchio, messo in modo che potessi vedere la mia schiena, nuda. Felpa e maglietta erano scomparse, mentre il reggiseno scuro era al suo posto. Per fortuna.
Strinsi gli occhi: una linea scura, quasi in movimento, mi segnava la spina dorsale dal punto in cui Pholos mi aveva rasato quasi fino al coccige. Aguzzai la vista, e notai con stupore che non era un’unica striscia, ma molte, moltissime linee sottili, a spirale, come bracci di una galassia, puntini minuscoli erano luminosi in alcuni punti e nerissimi in altri.
Formavano il disegno di un cielo notturno in fiamme, che si sviluppava come una freccia: da un cuore rovesciato partiva una lancia lunga che culminava nella coda infuocata di una fenice, che mi percorreva l’intero bacino.
Pride spostò leggermente lo specchio, lasciandomi intravedere un’altra parte del mio corpo.
Sgranai gli occhi. No… no, non era possibile.
Non avevo più le gambe. O meglio, ne avevo un paio in più, pelose zampe di cavallo, così nere da sembrare a tratti viola a tratti blu. Così come avevo una coda leggermente riccia, degli zoccoli, e un maestoso fondoschiena in tutto e per tutto uguale a quello di Pholos.
Aprii la bocca per dire qualcosa, ma non mi uscì niente. Mio padre si rialzò, in quella forma umana. –Victoria, sei l’Ereditaria del Segno del Sagittario e…- si interruppe, come indeciso se rivelarmi qualcosa o meno. -…questa è la tua forma completa. Mantieni la calma, è normale.
Mantenere la calma. Non c’era nulla di cui preoccuparsi. Era tutto normale. Tranquilla, tranquilla…
-Aaaaaaahhh!



 


***

Angolo dell'autrice:
E anche il terzo capitolo è in porto!^^
La storia di Pholos forse non è la più originale, ma ci sono particolare che ancora devono essere svelati... Intanto Pride e Victoria cercano di uccidersi a vicenda, e scopriamo che Pholos si può trasformare in umano, così come sua figlia può diventare un centauro.
Le spiegazioni verranno nel prossimo capitolo, niente verrà lasciato al caso! xD
Besos :*

Ringrazio _Charlie_, engildi, King_Peter, TiaSeraph e Khallya98 per aver recensito, Duvrangrgata e Khallya98 per aver messo Sagittarius tra le preferite, Noemisworld per le ricordate e Marina98, King_Peter, TiaSeraph, engildi e _Charlie per le seguite^^

Water_wolf


 

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Capitolo 4
*** 4. Attraverso il frigorifero del McDonald's ***


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4.  Attraverso il frigorifero del McDonald’s

Incominciai a strillare come la sirena di un’ambulanza, senza il minimo ritegno. Cercai pateticamente di scappare dalle mie gambe equine e il mio corpo da cavallo, con l’unico risultato che giravo in cerchio sulle piastrelle, inseguita dalle mie stesse zampe.
Credo che quel giorno il pavimento del McDonald’s non fu mai più splendente.
–Ecco, lo sapevo…- commentò il ragazzo.
Pholos prima tentò di fermarmi con parole rassicuranti, poi dolci, infine quasi mi ordinò di smettere.
Ma come potevo? Mi ero appena trasformata in un centauro, e per di più ero nuda!
Pholos tirò fuori da una tasca un corno, ci soffiò dentro e un rumore infernale risuonò per tutto il negozio. Smisi di scappare e rincorrere me stessa.
Lo guardai ansimante per poi gridare:- Che cosa diavolo mi hai fatto, eh?! Neanche nel più sciatto film di fantascienza il padre trasforma la propria figlia in un mostro!
Il viso di Pholos s’indurì, diventando una maschera fredda e gelida. Sotto il  mio sguardo attento, fece ricomparire il suo corpo equino.
Guardarlo dal pavimento faceva spavento, era davvero alto.
Sentii Pride sussurrare:- Ben fatto, Tori.
Scrollai la testa, scacciando via quel soprannome. Era mio padre che m’interessava, o quella creatura mitologica che sosteneva di esserlo.
Temetti che volesse liberarsi di me come aveva suggerito Pride o, per lo meno, darmi una bella lezione.
Invece, si passò una mano sul viso e sospirò: –Dovrai studiare duramente, Victoria, hai grosse lacune.
G-grosse lacune? Ovvio, se non conoscevi ogni creatura fantastica ti trasformavi in un’ignorante.
–Ce la fai a alzarti?- domandò, come se nulla fosse successo.
Be’, aveva i suoi pro avere un papà che si dimenticava subito che l’avevi accusato e insultato indirettamente.
-Sì- risposi.
Okay, mi dissi, non sarà difficile muovere un paio in più di gambe, no?
Riuscii a mettere in assetto le zampe anteriori, ma mi sbilanciai subito, ricadendo con un tonfo a terra. Non era piacevole sbattere il proprio posteriore equino sul pavimento, ma decisi di non protestare apertamente.
–Ehm…non ce la faccio- ammisi. –Un aiutino?- domandai, facendo gli occhi dolci.
Pride ghignò, accostandosi al mio fianco sinistro, mentre Pholos era pronto a destra. Il ragazzo mi diede uno spintone verso l’alto con forza, poi un altro e fui in piedi. Il centauro mi afferrò per un braccio, stabilizzandomi. Il tatuaggio formicolava.
–Ho conosciuto cavalle meno grasse- commentò Pride.
–Oh, sta’ zitto una buona volta- lo rimbrottai, esausta.
Ero di dieci centimetri più bassa di mio padre, con il vello più scuro e lucente. Ma io ero nuda, e stavo gelando. Pholos se ne accorse, si sfilò la camicia e me la porse; accettai riconoscente. Non potei non constatare che mio padre fosse un bell’uomo, atletico, dalla cintola in su, si intende.
–Victoria- esordì. –Il tatuaggio che porti ora sulla schiena è il marchio dell’Ereditaria del Segno del Sagittario. Avrai notato che sembra in movimento, quasi vivo.
-Sì, almeno è carino. In riformatorio c’erano ragazze con disegni a dir poco orrib…- mi interruppi, intercettando un’occhiataccia al mio indirizzo.
–Di solito il marchio è immobile, come un normalissimo tatuaggio. Solo l’Ereditario del Segno del Fuoco ne aveva uno come il tuo.
Lessi tra le righe. –Oh. Sono anche un’Ereditaria del Segno del Fuoco? Che altra diavoleria è questa?
-Non è una “diavoleria”, come dici tu. E’ un privilegio che spetta solo ai più valorosi- mi corresse. –E’ il simbolo che contraddistingue la persona che guiderà gli altri Ereditari, che ci avvantaggerà di fronte alla parte di popolo magico che vuole sterminare gli umani. E’ la forza che ti permetterà di fare la scelta giusta nelle situazioni più difficili.
-Non mi sento per niente valorosa in questo momento. Questa storia è assurda, potrebbe non essere nemmeno vera- protestai.
–Hai assunto la tua forma ibrida, non credo che tu abbia qualcosa con cui ribattere- replicò Pholos.
Colpita e affondata.
Roteai gli occhi.
–Non può farlo Pride?- chiesi, benché avessi già una mezza idea a riguardo.
Mio padre s’incupì, così come il ragazzo-leone.
Mi sentii più instabile sugli zoccoli. Avevo detto qualcosa che non andava, ma non capivo il perché.
Attesi finché non fu Pholos a chiarire. –E’ qui che sta il problema. L’Ereditario del Segno del Fuoco dovrebbe essere uno, non due.
Guardai Pride con occhi sbarrati. Si stavano prendendo gioco di me, era impossibile che quel pallone gonfiato fosse l’altro Ereditario.
Significava collaborare con lui, stare sullo stesso gradino, non poterlo costringere a chinare il capo quando mi pareva… No, non mi piaceva quella storia. Scossi la testa con veemenza, nitrendo un dissenso.
–Levati quella maglietta e fa’ vedere, mi stai prendendo in giro- ordinai, sorvolando sul verso animalesco.
–Come vuoi, Tori- fece lui con un’alzata di spalle. Si svolse con lentezza infinta la sciarpa, si sfilò la t-shirt e le appoggiò delicatamente sul pavimento.
Mi mostrò la schiena nervosa e allenata. I miei ormoni impazzirono per un attimo, perdendosi in fantasie che troncai con forza. Una reclusione in un riformatorio femminile non era un buon motivo per farsi strane idee non appena ti trovavi davanti dei muscoli.
Ghignai alla vista di alcuni segni rossi, lì dove l’avevo colpito cercando di scappare.
Poi, mi concentrai sul tatuaggio che gli percorreva la schiena.
Erano scene che ritraevano leoni che giocavano, leoni a caccia, leonesse che leccavano i cuccioli, leoni oziosi che scacciavano le mosche con la coda, leoni che squarciavano le carni delle antilopi, leoni che facevano la siesta. Erano scuri, sfumati, come ombre cinesi.
Sbattei due volte le palpebre: quelle scene erano un’infinità, tutte minuziosamente riprodotte come i codici minati dei monaci amanuensi, disposte in modo da formare la testa e parte della criniera di un unico, grande leone che spalancava le fauci, mostrando una chiostra di denti aguzzi e una lingua di fuoco.
Pride contrasse i muscoli, e la fiera schioccò le mascelle.
Sobbalzai sul posto, rischiando di perdere l’equilibrio duramente ottenuto. Il mio sguardo fuggiva dalle scene all’occhio del leone gigante: era splendente come il sole, una stella incandescente che brillava più di Sirio.
Immaginai il dolore che aveva straziato il dorso di Pride e rabbrividii. Le costellazioni a forma di freccia che segnavano  la mia, di schiena, erano nulla in confronto a quello spettacolo.
In quel momento, capii che non aveva senso opporsi alla realtà dei fatti, che ciò che i film ritraevano esisteva davvero, che gli abitanti delle favole erano veri.
Pride si chinò a raccogliere i suoi vestiti, facendo scuotere la criniera del leone gigante, e se li rimise senza una parola.
Mi voltai verso mio padre, il mio genitore per metà cavallo.
–Che cosa significa tutto questo?- domandai, nel mio tono non c’era un briciolo dell’incredulità o della rabbia di prima.
Pholos fu costretto a ammettere che non lo sapeva. –Sottoporremo il caso ai centauri nell’altro mondo. A proposito, dobbiamo sbrigarci se vogliamo arrivare presto.
Alzò una mano per prevenire le mie domande. –Hai già scoperto abbastanza, per oggi. Forza, vieni. Pride- chiamò, incamminandosi verso la porta della cucina.
Il ragazzo lo seguì, ma io rimasi impalata nel mezzo del negozio.
Come potevo andare da quella parte se non sapevo camminare?
Be’, o la va o la spacca, mi dissi.
Mossi prima una zampa, poi un’altra, compiendo un mezzo giro. Ero nella direzione giusta. Barcollante, mi fidai dell’istinto e camminai dietro Pride.
Era una sensazione strana, ma non estranea: era come se molto tempo prima fossi stata un centauro e avessi imparato a camminare, così adesso ero solo arrugginita. Un po’ come decidere di fare una passeggiata in bicicletta a distanza di anni: la memoria resta, bisogna solo rispolverare le vecchie conoscenze. Anzi, provavo una sorta di piacere arcano nel sentire i muscoli tendersi e risalassarsi sotto la pelle, gli zoccoli non mi sembrarono più tanto diversi dalle mani.
Ci dirigemmo in cucina. Le friggitrici, i forni e alcune postazioni di lavoro erano coperte da sacchi di plastica verde acqua e scotch trasparente.
Il corridoio era stretto o, più semplicemente, non era stato ideato per passaggi straordinari di centauri. Pholos si fermò davanti a un vecchio frigorifero.
Lo osservai scettica. Avevo sentito parlare di un film in cui quattro ragazzini si catapultavano in un altro mondo attraverso un armadio magico, ma un frigo era tutt’altra storia.
Pholos lo aprì, ci sbirciò dentro e fece cenno a Pride di andare. Il suo sguardo si spostò su di me.
–Non ci passo- obiettai.
Sul suo viso si dipinse un’espressione tenera, la stessa compassione che si prova per i cani abbandonati. Battei uno zoccolo a terra, frustai l’aria con la coda, infastidita.
–Se poi rimango incastrata è colpa tua- ammonii.
Mi feci avanti, controllai l’interno e notai una spirale luminosa, che passava dal bianco accecante all’intero arcobaleno. Spinsi la testa più dentro, e il vortice mi attirò a sé.
Cercai di ritrarmi, ma scoprii che era mi era impossibile.
Dovevo andare avanti, per forza. Strinsi gli occhi e assecondai il volere della spirale. Il mio corpo equino entrò senza difficoltà, il vortice iniziò a ruotare furiosamente, creando un gorgo che mi risucchiò. Sollevai una palpebra, e intravidi un cielo trapunto di stelle troppo luminose per essere reali.
All’improvviso, avvertii uno strappo violento verso il basso. Precipitai. Provai a gridare, ma non avevo voce.
Le stelle scomparvero, risucchiate dallo stesso cielo, che si tinse dell’azzurro del mattino. Sentii erba fresca sotto i miei zoccoli, un venticello delicato mi scompigliò i capelli scuri. C’era un’atmosfera magica, rilassata, casalinga…
–Levati, quello è il mio piede!
Mi riscossi. Stavo schiacciando la scarpa di Pride, arrivato lì prima di me.
–Ops, scusa.
Il ragazzo grugnì qualcosa d’incomprensibile, massaggiandosi il piede. Pholos apparve accanto a me, cogliendomi di sorpresa. Chiuse gli occhi e assaporò l’aria.
-Profumo di casa…- commentò in un sussurro.
Non potei che annuire. Indicò un punto indefinito all’orizzonte, una macchia scura nel bel mezzo di una radura solcata da un fiume.
–Dobbiamo andare là, nel nostro territorio. Questa radura è zona franca, ma non è sicura.
Annuii, incamminandomi.
Il vento fresco faceva frusciare la camicia leggera, ma non mi dava fastidio. Anche Pholos, a torso nudo, non sembrava avvertire freddo. Qualcosa si mosse dentro di me, suggerendomi la soluzione: eterna primavera. Uno stato in cui la natura rifiorisce di continuo, in cui le sensazioni negative vengono allontanate dal corpo e rinforzava lo spirito.
La magia iniziava a piacermi.
Trotterellai per la radura, resistendo all’impulso di fermarmi a brucare dei girasoli più in là.
–Senti, Pholos- esordii dopo un po’. –E’ grazie a te se ho gli occhi azzurri?- domandai.
Approfittare di quei momenti per fare conversazione e scoprire qualcosa sul mio passato non poteva farmi male.
Il centauro scosse la testa. –Anche tua madre li aveva dello stesso colore, Victoria, non saprei dire. Ma è più probabile che sia un segno distintivo dell’eredità del Segno del Sagittario: il suo colore è il blu e la sua pietra il turchese. Nel caso del Leone, invece, la pietra è il diaspro giallo e anche il topazio, due pietre color oro.
Avrei voluto chiedergli di mia madre, dov’era, se era una centauressa, se l’avrei incontrata nel luogo dove stavamo andando, ma mi convinsi che Pholos non aveva voglia di parlare di una delle due persone che aveva abbondonato dall’altra parte del frigorifero.
La mia immaginazione compose una fotografia sbiadita di mia mamma, evidenziando gli occhi di un turchese intenso, da cui partivano radiazioni di blu cobalto e verde acqua. Come i miei.
Scossi la testa; un genitore alla volta. Era già piuttosto difficile ammettere di avere un padre centauro che, ne ero convinta, mi voleva bene ma che mi aveva lasciato a marcire in un orfanotrofio.
–Hai detto che ho assunto la mia “forma ibrida”, cosa significa?- cambiai argomento.
-Devi sapere che in origine i centauri potevano trasformarsi sia in umani che in cavalli, oppure mantenere il loro corpo a metà. Oggi, con la nostra reclusione, sono più uniche che rare le persone in grado di ottenere il controllo di tre forme. A seconda della nostra inclinazione sociale e caratteriale, ci siamo stabilizzati sui cambiamenti centauro-uomo o centauro-cavallo. La maggior parte appartiene al secondo gruppo. Tu sei l’Ereditaria del Segno del Sagittario, sarai di sicuro in grado di trasformarti in tutte e tre le forme.
-Quindi posso ritornare umana?- domandai, sollevata.
Annuì. –Esattamente come Pride, che è sia leone che ragazzo che incrocio tra le due razze.
Guardai verso il diretto interessato. –Quindi potevi chiedere di vedermi in forma umana e poi portarmi via, ma hai preferito farmi spaventare a morte diventando un leone.
Alzò le spalle. –Già.
Spalancai la bocca, pronta a insultarlo come si meritava.
Avevo rischiato di morire per colpa del suo comportamento!
–Ti ho osservato in palestra, te la cavi con l’arco- continuò, ostentando un’aria non curante. –Ma mai quanto me con la spada.
-Egocentrico- brontolai, incrociando le braccia.
Sentivo le guance colorarsi di rosso, e me ne vergognai, ma non ci potevo fare nulla. Non capitava spesso a una ragazza in riformatorio femminile che un ragazzo come Pride –che, non si può negare, è decisamente sexy- ti faccia un complimento.
Pholos s’illuminò, scalpitando con gli zoccoli. –Bene!- esclamò, raggiante. –Una delle abilità del Segno del Sagittario si è già rivelata.
Gli scoccai un’occhiata interrogativa, ma il centauro non rispose, troppo immerso nei suoi pensieri. Pride fece schioccare il collo.
–Una corsetta, Tori? Oppure sei troppo imbranata per il galoppo?
Lo incenerii con lo sguardo. Al fiume distavano una centinaia di metri, dopodiché si avvistava un folto gruppo di capanne.
–Mangia la polvere- dissi, e scattai.
La schiena fu attraversata da un brivido. Sbattei le palpebre: mi sentivo gli occhi troppo distanti e non ci vedevo bene, era tutto più grigio. Il suono del fiato affettato di un Pride completamente leone colorò la mia visuale di un rosso intenso. Annusai l’aria: pericolo.
No, ti prego, pensai, non voglio essere una giumenta.
Ma il mio desiderio era vano, ero un cavallo ed era ciò che mi serviva per vincere quella sfida. Spinsi al massimo, ignorando il rosso pericolo nel mio campo visivo, facendo rombare gli zoccoli sul terreno.
A quanto ne sapevo, i leoni facevano fare il lavoro sporco alle leonesse e si avventavano solo alla fine sulla preda, con uno scatto veloce; questo significava che sulle lunghe distanze un cavallo lanciato al galoppo stracciava il re della savana.
Nitrii fiera, orgogliosa dei miei nuovi muscoli e le mie quattro zampe. Recuperai Pride, che mi aveva sorpassato, sfruttando il mio disorientamento.
Il ritmo veloce della corsa mi fece ribollire il sangue nelle vene, il vento mi ghiacciava il collo, la criniera di ossidiana ondeggiava come la bandiera americana sull’asta.
Il fiume era a pochi metri da me. Non mi chiesi nemmeno cosa fare.
Aspettai di essere vicino all’argine, poi saltai.
Fu come volare, magnifico come toccare le nuvole con un dito. Il contatto con la terra mi scosse da capo a piedi, inviandomi una fitta di dolore agli zoccoli.
Pride si era fermato dall’altra parte del fiume, ansimante.
Sorrisi trionfante, non sapendo come sarebbe apparso sul mio faccione da cavallo.
Sagittario uno, Leone zero.

 


Quelle che avevo scambiato per capanne dalla radura erano in realtà stalle singole o per due, in legno e con interni che avevano tutta l’aria d’essere confortevoli. Il villaggio dei centauri, così l’aveva chiamato Pholos, era un grosso anello, verso il centro c’erano gli edifici più importanti e luoghi comuni, in periferia le abitazioni.
Molti si soffermarono a osservarci, a osservare me, la nuova arrivata. Anche quando li superammo, sentii i loro occhi puntati sulla mia schiena.
Pholos ci condusse oltre la periferia, in un boschetto poco distante dal villaggio.
Lì, c’era una casa a due piani con due grosse finestre frontali, squadrata e bianchissima. Era l’unico elemento moderno di quel posto all’insegna del campeggio per boyscout.
–Victoria, questa sarà la tua nuova sistemazione. Quando rintracceremo gli altri Ereditari, anche loro si trasferiranno qui- spiegò Pholos.
-Quindi saremo solo io e Pride- non era una domanda, ma un’amara affermazione.
Il ragazzo sogghignò. –A quanto pare sì, cara Tori.
-Vuoi uno zoccolo in bocca o chiudi il becco da solo?- scattai.
–Pride, accompagnala dentro, devo sbrigare altre faccende qui- ordinò. –E vedete di non uccidervi mentre non ci sono- aggiunse poi in un sospiro.
Mio padre si allontanò al piccolo galoppo, lasciandoci soli. Il ragazzo-leone tirò fuori da una delle tasche dei pantaloni un mazzo di chiavi, ne scelse una e la infilò nella toppa.
La porta si aprì, mostrando l’interno.
Era arredato secondo gli ultimi canoni della modernità: tavolini bassi, un divano con penisola, una libreria a incastro e una televisione enorme; le finestre che percorrevano l’intera sala davano sul bosco, incorniciando immagini da quadro. Trovai il tutto magnifico.
Non avevo mai avuto l’opportunità di avere uno spazio dove c’era privacy, o una tv così. Gli unici film che guardavamo erano per le festività o per istruirci, quando eravamo riuniti in palestra, a terra, davanti a un oggetto dell’anteguerra.
Se il solo soggiorno aveva quell’aspetto, il resto della casa doveva essere la variante terrena del paradiso.
–Guarda che non puoi entrare quando sei un centauro, vedi di diventare umana- mi apostrofò Pride.
–Non l’avevo capito- borbottai.
Ora restava il problema di come trasformarmi. Ero ritornata ibrida finita la corsa, quando l’emozione mi aveva abbandonato, ma non avevo idea di come indurre il cambiamento.
Pensa, ordinai a me stessa.
Di nuovo, lasciai che fosse l’istinto a decidere per me. Rilassai i muscoli delle spalle, immaginai la mia forma umana e un brivido mi percorse la schiena. Il mondo divenne più alto, oppure ero io che mi ero abbassata.
Guardai in basso, notando con successo di avere gambe e piedi al loro posto.
–Allora, entriamo?- incalzai.
Superai Pride, oltrepassando la soglia. Il soffitto era alto, il pavimento di parquet scuro, e una scala a muro portava al piano di sopra. Il ragazzo indicò svogliatamente dov’erano la cucina e il bagno, poi mi condusse di sopra.
Su un lungo corridoio si affacciavano dodici porte, ognuna di un colore diverso dall’altra, con una scritta a lettere cubitali: EREDITARIO/A DEL SEGNO DEL CAPRICORNO, EREDITARIO/A DEL SEGNO DELLA VERGINE
Su alcune c’era una grossa X rossa, e annotato sotto DALLA PARTE NEMICA. Mi intristì il pensiero che quelle camere sarebbero rimaste vuote e disabitate per sempre, a meno che avvenisse un miracolo.
La porta con la scritta EREDITARIO/A DEL SEGNO DEL SAGITTARIO era turchese, mentre quella di Pride di un giallo sfolgorante. Il ragazzo aprì prima la mia poi la sua.
–La cena è alle otto e mezza, se non ti trovo almeno cinque minuti prima non cucino niente per te- disse, ma io avevo la testa da un’altra parte.
La mia stanza. Solo per me. Una reggia per Victoria Williams e nessun altro.
Un letto matrimoniale con il copriletto azzurro, un armadio gigante in legno bianco, un comodino e… un bagno!
Era un sogno. Entrai con il cuore che mi batteva a mille. Controllai che niente fosse finto, mi pizzicai il braccio per assicurarmi d’essere sveglia.
E lanciai uno strillo di felicità, balzando sul letto.
Il materasso mi accolse morbido, facendomi rimbalzare un paio di volte. Mi rotolai tra i cuscini, ridendo senza motivo. Quasi caddi quando incontrai il bordo del letto.
Subito dopo scattai in piedi, aprii le ante dell’armadio e scoprii un mondo di vestiti da donna e da uomo.
Non sdruciti e scoloriti come quelli del riformatorio, oppure di seconda mano come quelli dell’orfanotrofio.
Nuovi, perfetti, mai usati.
Chiusi le ante e andai in bagno, riflettendo che lo spazio era fin troppo.
Le piastrelle piccole, lucide e verde acqua tappezzavano l’ambiente. C’era una doccia con varie regolazioni, un wc pulitissimo, uno specchio e un lavandino così lungo che ci si poteva lavare un bambino di otto anni disteso.
Era magnifico, e non esitai a strillare di felicità per ogni particolare che scovavo.
Finito il momento di follia, notai che Pride mi osservava ghignando malizioso con una spalla appoggiata allo stipite della porta.
-Che hai da guardare?- lo rimbeccai, senza troppa energia.
Il ragazzo fece un gesto vago con la mano. –Niente, solo una ragazzina che impazzisce di fronte a una normalissima camera da letto- rispose.
–Ragazzina, io? Ma scherziamo? Quanti anni avrai tu per sentirti così superiore?
-Quasi sedici.
-Quindi quindici- puntualizzai. -Un anno solo più di me. Chi è il ragazzino, allora?
Pride sgusciò via per qualche minuto, tornando con un cuscino soffice tra le mani.
–Chi perderà questa battaglia- rispose, scoccandomi un’occhiata di sfida.
Presi il cuscino dal mio letto e lo puntai verso di lui a mo’ di spada. –Ci sto- decretai, ricambiando lo sguardo.
Demmo inizio a una battaglia degna di stare nei libri di storia.
Schivavamo, roteavamo, attaccavamo come  veri maestri di scherma, spingendo prima verso il bagno, poi alla finestra, percorremmo il corridoio a ritroso a forza di stoccate di soffice piume. Costrinsi Pride a fare le scale all’indietro sotto i miei colpi e, mentre tentavamo di sconfiggerci a vicenda, la battaglia era anche di sguardi e occhiate.
Arrivati in soggiorno, puntai alla faccia del ragazzo; lui si abbassò, ruotò su se stesso e mi diede una cuscinata così potente da farmi inciampare sui miei stessi passi.
Incontrai il bordo del divano dietro di me, cadendo a gambe all’aria.
Continuai imperterrita a sfidare Pride, che saltò sul divano, imponendosi sopra di me con una mossa che avrebbe fatto invidia a Jackie Chan.
Lo colpii prima con un calcio, poi lo affrontai con il cuscino.
Era scorretto, ma non potevo permettermi di perdere contro di lui. Ne andava del mio, di orgoglio.
Pride si sbilanciò e mi cadde sopra. Mi ritrovai schiacciata sul fondo del divano, con un solo misero cuscino a dividermi dalle labbra di Pride.
Mi sentii morire e temetti di andare in iperventilazione.
–Quella mossa era spudoratamente sleale- mormorò, ansimando un poco.
–Lo so- replicai, con una sfrontatezza infinita.
E proprio quando disse “menomale che non hai mirato più in basso”, che una centauressa fece irruzione nel soggiorno.

***

Angolino dell'autrice
Sono maledettamente pervy, non mi esce un capitolo senza battute sconce^^"
Avevo detto niente relazioni tra Pride e Victoria, ma questo non vuol dire che li caccerò nelle situazioni più disparate. I titoli dei capitoli parlano da soli x'D
E' un capitolo tranquillo, con descrizioni di luoghi che ritroveremo spesso in seguito. Servivano, ecco.
Svelato il motivo della seconda parte del titolo! Ve lo aspettavate? E che conseguenza porterà in fatto di leadership?
Ok, smettiamola con le domanda stile "fine episodio".
Annuncio con la A maiuscola: sto scegliendo dei prestavolto per i personaggi, è difficile visto che i miei pargoli sono molto personalizzati, quindi le immagini saranno solo una linea guida per farsi una fotografia mentale^^
Ecco Victoria *Tori, perché VicTORIa* , immaginatela con gli occhi azzurri e le mashes rosse!


E Pride, con i capelli più ricci e i suoi occhi!

Sì, non sono pienamente soddisfatta ma amen. Se avete consigli sono ben accetti, soprattutto per Pholos.
Quando compariranno gli altri personaggi saranno molto meglio, ve lo assicuro: la mia artdirector Marta è più brava di me a scovare la faccia giusta :)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, ricordate: le recensioni non mordono!

Water_wolf

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Capitolo 5
*** 5. Mi offrono una sfida mortale in carta regalo ***


http://th01.deviantart.net/fs6/300W/i/2005/080/0/4/Sagittarius_by_Steel_Eyes.jpg
 

 

5.  Mi offrono una sfida mortale in carta regalo

Il mio primo pensiero fu: “Oh merda”.  E immaginai fosse lo stesso per Pride, pietrificato sopra di me.
Perché non c’era il citofono in quella benedetta casa? La centauressa si sporse dentro con il busto, scrutandoci con un’aria finta scocciata.
–Umpf, piccioncini che tubano… ci avrei scommesso che eravate fidanzati- esordì.
Pride emise un ringhio sommesso. –Non siamo fidanzati- la apostrofò, torvo, senza dimenticarsi di fulminarmi con lo sguardo.
–Allora mi serve una spiegazione plausibile, perché quella posizione da monta è molto eloquente- lo sfidò.
–Lui non sta cercando di mont…- non riuscii nemmeno a dire quella parola. –Insomma, no! Come potrei essere la fidanzata di Pride?!
-Che cosa vorresti insinuare?- mi rimbeccò il ragazzo.
–Abbiamo problemi più importanti da risolvere- gli ricordai. -Levati, non mi fai respirare.
-Levati, non mi fai respirare- mi fece il verso, ma obbedì ugualmente.
Sistemai la camicia di Pholos, che si era arrotolata sotto il seno, imbarazzatissima. Alzai lo sguardo sulla centauressa.
Portava una canottiera leggera, che le lasciava scoperto l’ombelico con un piercing luccicante; i capelli erano castano cioccolato e le sfioravano la clavicola, che si intravedeva leggermente. Il viso e i lineamenti erano allungati, gli occhi di un azzurro pallido.
Che cosa ci faceva qui?
–Chi sei?- chiesi, sulla difensiva, alzandomi finalmente dal divano.
Ignorò la domanda. –Sei la ragazza di cui parlava Pholos?
-Come faccio a saperlo, se sono arrivata qui da nemmeno due ore?- ribattei, piccata.
Provavo un’istintiva antipatia per quella centauressa, nonostante non conoscessi la sua identità. Roteò gli occhi, riportandosi indietro un ciuffo ribelle in un movimento che mi mandò il sangue alla testa.
–La possibile Ereditaria del Segno del Sagittario, no?
Enfatizzò fin troppo quel “possibile”, così quando risposi lo feci con perfida cattiveria:- Sì, e non solo. Carino, no?
Non mi calcolò nemmeno, benché i suoi occhi mandassero fiamme.
–Spero che il villaggio ti sia piaciuto, cugina- disse, maligna.
Sentii la mascella abbassarsi fino a toccare il pavimento, il corpo fu percosso da un tremito.
–Cu-cugina…?- domandai, sconsolata e rassegnata.
Pride si era fatto da parte, eclissandosi da quel pericoloso scambio di battute. Gli occhi le brillarono di una luce maliziosa.
–Pholos non ti ha detto di avere un fratello?
Non risposi, troppo frastornata per formulare un solo pensiero sensato e coerente. Non solo avevo un padre metà cavallo, ma un’intera famiglia qui al villaggio. No, “frastornata” non era la definizione adatta.
Ero scioccata, arrabbiata, imbarazzata, sull’orlo di un’altra crisi di nervi e, nonostante fosse ben visibile, la centauressa continuava imperterrita e con apparente gusto.

–Be’, non ti preoccupare, lo conoscerai adesso. E’ qui dietro- riprese, implacabile.
Mi costrinsi a ritornare alla realtà. A-adesso? –V-vado a cambiarmi e arrivo, così non sono presentabile- balbettai, e corsi su per le scale. Il cuore mi batteva direttamente nelle orecchie.
Avevo una cugina, e per di più stronza. La situazione migliorava a vista d’occhio.
Andai in bagno a passo deciso, aprii al massimo l’acqua del lavandino e la lasciai accumularsi sul fondo. Poi la chiusi e immersi l’intera faccia. Il contatto gelido mi fece rabbrividire, ma mi schiarì la mente.
Sbattere la porta in faccia a cugina e zio oppure mostrarsi gentile e accomodante? In fondo, non poteva essere così terribile.
Quando mi mancò il fiato, tirai fuori la faccia e la tamponai con l’asciugamano. Ritornai nella camera da letto, spalancai le ante dell’armadio e presi una maglietta a casaccio.
Feci per uscire, ma mi scontrai con un Pride inviperito. Il viso era una maschera di furia trattenuta a stento, la fronte corrugata era un mare in cui una nave sventolava la bandiera SONO INCAV
OLATO NERO CON TE E NON TI ASPETTARE TRATTAMENTI DI FAVORE PERCHÉ TUO PADRE È IMPORTANTE.
Lo ignorai. –Lasciami passare- ordinai, mentre lo allontanavo con una mano.
Il ragazzo-leone si spostò davanti alle scale , bloccandomi di nuovo la strada. –No. Dobbiamo parlare.
-Non fare l’idiota, una cugina sconosciuta e suo padre sono venuti qui per me, il tuo ego può aspettare- replicai, piccata.
Avevo problemi più incombenti da risolvere, mi sarei tenuta la sfuriata di Pride come dolce a fine giornata.  Il ragazzo si scostò controvoglia, sbuffando sonoramente. Almeno riusciva a mettere in secondo piano la sua arrabbiatura.
Scesi le scale lentamente, studiando il comportamento della centauressa. Teneva le spalle rilassate, le braccia incrociate e aveva un sorrisetto enigmatico stampato sul volto. Gli occhi, però, tradivano l’ansia. Tossii un paio di volte per attirare la sua attenzione.
Le porsi la mano, presentandomi con quanta più gentilezza riuscii a trovare:- Victoria Williams.
Il suo sorriso si allargò, ma non mi strinse la mano.
–Hai sentito, papà? Ha il cognome che usava Pholos quando se la spassava dall’altra parte.
Una grassa risata provenne da fuori, poi, un’altra figura si rese visibile. Era un centauro alto quanto mio padre, ma più possente, come un cavallo da guerra, il vello scurissimo e opaco, come se fosse sporco di fuliggine. Gli occhi erano grigi, nuvole fitte e impenetrabili, da cui partivano raggi blu elettrico.
–Io sono Pirro, il fratello minore di Pholos. Mentre lei –indicò con il pollice la centauressa,- è mia figlia, Gwen.
Se si aspettava che rispondessi “ciao Pirro, ciao Gwen” come a una riunione di un circolo per la riabilitazione dei drogati  si sbagliava di grosso.
Il sorriso che mi rivolse mi ghiacciò in sangue nelle vene. –Possiamo entrare?
Non attese risposta, scansandomi a forza, abbassandosi nell’oltrepassare la soglia, così come Gwen. Pirro esplorò l’ambiente con lo sguardo, e notai che portava un lungo pacchetto regalo al fianco. La centauressa mi sfidò con lo sguardo, dall’alto del suo corpo equino.
Mi ricordai all’improvviso di una sera, al riformatorio, quando nessuna voleva dormire, in cui Ilaria Conti tradusse in italiano i nostri nomi. Il mio, per esempio, era Vittoria.
La guardai dritta negli occhi, sillabando così visibilmente da slogarmi la mascella: sei morta, Guenda.
La centauressa non gradì affatto l’affronto, riscosse il padre e ammiccò al fagotto.
Pirro si schiarì la voce e esordì:- Be’, questo è un dono da parte nostra, sai, per poterti ambientarti meglio.
Quella frase mi suonò familiare, come quando Cappuccetto Rosso diceva al lupo travestito da vecchina: “nonna, che denti aguzzi che hai”.
–Oh, grazie- dissi, impacciata, mentre il centauro mi passava il pacco rosso con tanti piccoli Babbo Natale.
Immaginavo qualcosa di leggero, invece il peso dell’oggetto fu inaspettatamente maggiore.
–Aspetta a ringraziarci- sussurrò Gwen, appena udibile.
Svolsi la carta regalo, gettando l’incarto natalizio terra. Mi ritrovai in mano una spada. Sbarrai gli occhi e feci un salto all’indietro.
Che razza di dono era quello? Quanto doveva essere  traviata la mente del fratello minore di Pholos per darmi una spada vera? Non che se fosse stata giocattolo avrebbe cambiato poi molto.
Mi costrinsi a raccoglierla dal pavimento, educata, nonostante non avessi molta voglia di impugnare un coltello per formaggio gigante.
E proprio quando la mia mano incontrò l’elsa, Pride gridò dalle scale:- Victoria, no!
Troppo tardi. La spada sprigionò una luce bianchissima e accecante, che mi costrinse a ripararmi gli occhi dietro il braccio. La mano che aveva toccato l’impugnatura formicolò, scuotendomi l’avambraccio con un brivido freddo.
Quando la luce si spense, sul filo comparvero delle lettere infuocate. Feci abituare gli occhi e lessi la mia condanna a morte.

 

HAI ACCETTATO LA SFIDA LANCIATA DA GWEN, FIGLIA DI PIRRO, FRATELLO DI PHOLOS, AL COMBATTIMENTO A CINQUE TEMPI. CHI PERDERÀ, DONERÀ I PROPRI DOMINI E POTERI ALLA VINCITRICE. AVETE UNA SETTIMANA DI TEMPO PRIMA DELLO SCADERE DEL TEMPO PRESTABILITO: SE LA CONSEGNA NON VERRÀ RISPETTATA L’IRA DI MARTE SI ABBATTERÀ SU DI VOI.

Mi abbandonai sul petto di Pholos, che mi carezzò dolcemente i capelli. Mi concentrai unicamente sul suo respiro regolare, sul battito del suo cuore, sul sangue pompato nelle vene. La mia testa si alzava e abbassava a ritmo con la sua pancia.
Non c’era più bisogno di parole, non dopo il resoconto di quello che era accaduto. Persino Pride si era mostrato comprensivo con me, sbraitando contro Gwen e cacciando zio e cugina via di casa. Stronza.
Era uscito a sua volta di corsa per cercare mio padre, scatenando chissà quale caos al villaggio. Io ero caduta in ginocchio sul pavimento, con la spada snudata in grembo, le parole marchiate a fuoco nella mia mente, oltre che sulla lama.
Non avevo mai desiderato così tanto essere confortata come in quel momento. Avevo ricevuto un invito a ballare con la morte. “Allegria”, avrebbe detto Ilaria Conti, come quel suo Mike Buongiorno.
Quando mio padre –in forma umana- era arrivato, trovandomi ancora in quella posizione, e aveva letto la sfida sulla lama della spada, aveva faticato a mantenere la calma.
Camminando su e giù per il soggiorno, avanti e indietro, si era fatto raccontare la storia da me e Pride, che aveva omesso i dettagli della scena patetica del divano.
Il racconto era finito prima che potesse scavare un buco nel terreno. Così, si era seduto sul sofà e io mi ero accoccolata in posizione fetale con lui.
–Mio fratello è un inetto- esordì dopo un pezzo. –Desidera il mio posto all’interno del villaggio, e sua figlia sogna di essere l’Ereditaria del Segno del Fuoco più di ogni altra cosa.
-Ma lo sono io, le stelle hanno scelto me, ho sofferto io come un cane per il marchio- mugugnai, sconsolata.
Pholos sospirò. –Lo so- fu la sua risposta laconica.
–Bastardi- infierii, sentendo dentro di me una scintilla d’odio accendersi.
Mio padre non disse nulla, ma non negò neanche.
–Quando il momento arriverà, sarai pronta. I nomi sono potenti, Victoria, e il tuo significa la vittore del Bene contro il Male, qualunque esso sia.
-Questa sfida non può essere annullata?- domandai, mogia. Conoscevo già la risposta.
Pholos scosse la testa. –No, è una sfida lanciata secondo le regole di Marte e fatta in suo nome e di Giove, non c’è modo di annullarla se non vincendola.
-O perdendola- aggiunsi io.
–O perdendola- convenne il centauro.
Silenzio e aria che esce e entra nei polmoni.
–Non voglio cedere i miei poteri- confessai, alzando lo sguardo sul viso di mio padre. E nemmeno la vita, aggiunsi mentalmente.
–Non puoi, e non lo farai- tentò di rassicurarmi. Nei suoi occhi scorsi un bagliore che diceva “non permetterò che ti facciano altro male”.
–C’è altro che devo sapere, prima di combinare altri casini?
Pholos sorrise leggermente. –Discuteremo domani della sfida- disse, calmo. –Solo non offendere ciò in cui crediamo: gli dei greci e romani. Rischieresti un linciaggio.
-Oh. Tu li chiami con i loro appellativi latini, perché non con gli altri? Suonano meglio.
-I nomi sono potenti, Victoria. Giove non gradisce che gli si  metta una mano sulla spalla e gli parli si con i vostri termini troppo giovanili, così vale per il suo equivalente greco. Tutti abbiamo un nome comune e uno segreto, che è bene tenere per sé e le persone di cui ci si fida ciecamente.
Riflettei su quelle parole per alcuni minuti, poi esordii , abbandonando le distanze che avevo tenuto finora con lui:- Io mi fido di te, papà.
Sulle sue labbra si schiuse un sorriso affascinante, rassicurante, un sorriso capace di farti dimenticare ogni preoccupazione.
-Anch’io, Nike.



***

.::Angolino dell'autrice::.
"Ciaaaaao, io sono Water.
Ciaaaaao, Water."
*sghignazza come la cretina che è, poi si dà un contegno*
Awww, amatemi, ho pubblicato in meno di tre giorni^^
Cosa dire di me in questo capitolo? Vocina nella testa: "Che sei una vera stronza", Suggerimento dal pubblico a casa: "Dà retta alla voce ù.ù"
Hahahah già, in effetti non lascio un minuto libero alla mia protagonista xD
E' colpa del mio gemello malvagio, si reputa lui quello cattivo! Come se fossi io la buona LoL *King prende l'arco e la impala, Susan dietro di lui applaude*
*coff coff*
Shippiamo tutti insieme padre e figlia fluff, per favore! VOLOS, VOLOS, VOLOS, VOLOS OH-OH :sisi:
*ri-coff coff*
E' chiara la faccenda dei nomi? Perché io non ne ho la più pallida idea, solo nella mia testa è chiaro xD All rights to Rick Riordan per la frase "I nomi sono potenti, Percy"
Vediamo di fare un "riassuntino" decente: si usano i nomi romani perché 'più formali' e 'comuni', mentre quelli greci sono 'da amici' e 'segreti'' oppure per scopi potenti, arcani e magici.
La dea Vittoria (romana)  è Nike (greca), i due Williams si fidano e papà centauro dice il nome segreto alla pargoletta.
Chi è Pirro nell'epica? Il figlio bastardo di Achille, ma più truce, cruento e spietato di lui. Si chiama così per i capelli rossi, di fiamma, se non sbaglio. Ja, sono un po' capra.
Correggetemi se sbaglio.
Per la sfida: è chiaro tutto? Gwen vuole diventare Ereditaria del Fuoco, prendere il potere di Tori, e Pirro si diverte a stuzzicare il fratello maggiore. 
Pride diventa più dolcioso, ma non lo sarà ancora per molto, dopotutto, lui è il maestro della spada e Victoria dovrà imparare a maneggiare cinque armi *fischietta*
Uhm... altro che angolino il mio.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Grazie a engildi King_Peter Marina94 rosy03 TiaSeraph _Charlie_ per le seguite, a Abby the strange AxXx (AxXx?? Tu, qui, a leggere una mia storia? *collassa*) loveyoutilltheendsoftimes Noemisworld per le ricordate e a ciarychan Duvrangrgata eltanininfire Khallya98 per le preferite <3
E un abbraccio a tutti i recensitori, ovvio *----*


Water_wolf

 

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Capitolo 6
*** 6. La Veggente Salamandra mi fa un salutino ***


 

6. La Veggente Salamandra mi fa un salutino

Pride diventò il mio “maestro in armi”, in altre parole la persona che si occupava delle ore di tortura giornaliera.
Solo qualche volta, Pholos mi aveva presa da parte per insegnarmi nuove tecniche di tiro con l’arco e l’uso della lancia. Per tutto il resto, c’era Pride. Altro che fiera indomita e selvaggia, e neanche Alex il leone che corre sul tapis roulant allo zoo, con mio padre era un micino che faceva gli occhi dolci e, a dirla tutta, ci riusciva anche bene.
Con me, invece, era un despota. “Non tenere la spada come un’anguilla”, “alza la guardia”, “più veloce”, “anche un palo della luce è più reattivo di te”, “lo scudo non l’hanno inventato con l’idea di una frittella gigante, ma per difenderti!”, non si dimenticava mai di correggermi in ogni singola mossa. Almeno potevo respirare come e quando mi pareva.
Se nel tiro con l’arco ero imbattibile e nella lancia una mediocre esordiente, nella scherma –o Scrima, la scherma antica, come la definiva Pride- ero un disastro. La spada troppo pesante, lo scudo mi sbilanciava e mi sembrava inutile, e dopo ore di assetto da battaglia avevo le gambe più molli della fondue.
Guardare il ragazzo-leone, invece, era come incontrare Johnny Depp agli Oscar. Magnifico. Non era più Pride, ne un ragazzino appena quindicenne che usava la spada, ma un cavaliere di San Giorgio.
La spada era un prolungamento del suo braccio, che saettava più veloce di un lampo; scattava, saltava, cambiava mano, affondava come se fosse nato per quello e facendo quello. Ci si incantava a guardarlo, ad ammirare la sua bravura. Capii perché, alla Brighton, l’istruttore Tompson non era riuscito a formulare una frase di senso compiuto vedendomi tirare con l’arco.
Solo che io non potevo semplicemente guardarlo, ma dovevo sfidarlo e imparare da lui. Se perdevo la concentrazione, ero spacciata: Pride aveva già deviato numerosi colpi mortali all’ultimo secondo quando accadeva.
“E’ così che attaccherà Gwen, a morte. Se non riesci a difenderti da me, che non ti voglio uccidere, non avrai speranza” diceva, serio. E aveva ragione.
Pholos me l’aveva spiegato più e più volte: la sfida era à outrage, a oltranza, e non à plaisance, amichevole; ciò voleva dire che in determinate sfide, scherma compresa, l’avversario poteva uccidere l’altro  partecipante.
Data la mia grande fortuna, il tiro con l’arco non era tra questi. Ma, in compenso, avevo cinque tempi, cinque armi e una nemica che si era addestrata a questo sin da bambina.
Come negli incontri di tennis, se si vincevano tre sfide o si feriva in modo compromettente l’avversario ci si poteva dichiarare vincitori, ed era a quello cui puntava Pholos.
“Ci saranno prima l’arco, la lancia e la spada, devi sconfiggere Gwen con quelle armi, perché con la clava e il mazzafrusto non avrai possibilità” mi aveva detto Pholos. Molto rassicurante.
Perciò, se volevo sopravvivere alla sfida non solo mi allenavo con Pride, ma andavo in palestra, dove il ragazzo mi consegnava una lista di attività per fortificare i muscoli. Non che fossi una sfaticata, o non avessi un buon fisico, ma anche Ercole avrebbe preferito altre dodici fatiche piuttosto che questo supplizio. Se avevo un solo filo di grasso in più, era stato levato via con addominali e esercizi vari.
E la sera, prima di andare a dormire, dovevo studiare le regole e la storia delle armi che impugnavo; “per non perdere troppo tempo, avresti dovuto studiarla comunque” aveva detto Pholos.
A cena avevo a malapena la forza per mangiare, e leggere nel mio comodo e caldo letto era un balsamo per il sonno. Come potevo ficcarmi in testa nozioni di utilità dubbia sull’utilizzo delle armi?
Iniziai a rimuginare su quanto i film fossero una brutta copia della realtà, più dura e cruda: non avevo mai visto un film dove l’eroina all’insegna del fantasy avesse faticato quanto me in solo una settimana.
La notte scivolavo in un sonno profondo, che si interrompeva puntualmente alle otto con la sveglia. Il terzo giorno l’avevo annegata nel wc, ma quella era ricomparsa magicamente sul comodino, regolata su una frequenza di volume più alta.
Mentre io subivo le conseguenze dettate da un regalo non particolarmente gradito, mi domandavo come se la stesse passando Gwen.
Si allenava di più del solito? Era ansiosa di uccidermi e fare beffa dell’Ereditaria del Segno del Sagittario davanti a tutto il villaggio dei centauri? Si rilassava all’ombra di un albero componendo un poema epico sulla sfida che si sarebbe tenuta di lì a poco?
Ma, soprattutto, mi chiedevo come Pirro, il fratello di Pholos, potesse aver accordato alla figlia il permesso di combattere à outrage sua nipote per pura rivalità con il maggiore.
Sospettavo che ci fosse un motivo più profondo, ma, come ogni notte, ero troppo esausta per continuare a rimuginare sui miei crucci.

Un contatto freddo mi destò dal sonno. Qualcosa di liscio, sottile e gelido premeva contro la mia giugulare. Fui certa che non fosse un bene.
Mi imposi la calma, mantenendo chiusi gli occhi, studiando la camera da letto da quella posizione, rannicchiata sul fianco destro.
Non c’erano rumore, tutto era in silenzio, solo il mio respiro rompeva ogni tanto la quiete notturna. Ma non era un sogno, ne ero certa.
Qualcosa premeva contro la mia gola. Mugugnai parole incomprensibili, come se fossi ancora addormentata, e mi sistemai meglio il cuscino sotto la testa.
Con le mani, trovai la superficie dura di uno dei libri di Pholos, aperto davanti al mio viso. Non era l’arma adatta, un volume di circa trecento pagine, ma era il meglio che avevo. Lo afferrai senza farmi notare.
Un lieve soffio –probabilmente vento, ma non si sa mai- mi riecheggiò nelle orecchie come un martello pneumatico. L’oggetto freddo era fermo sul mio collo.
Dovevo agire, se volevo scoprire cosa stava accadendo nella mia camera.
Con uno scatto fulminio, mi appiattii sul materasso e colpii il punto dove prima c’era la materia gelida con il libro.
Con mi grande sorpresa, il volume si tranciò in due, sbilanciando l’oggetto misterioso.
Spalancai gli occhi, allibita. Non poteva essere quello che pensavo. Scattai in piedi con un balzo, i piedi sul cuscino, le mani attaccate al muro. Un guizzo luminoso e mi ritrovai con lo stomaco schiacciato da una punta di metallo. 
Avevo sentito mille volte quella sensazione mentre mi allenavo con Pride nella scherma, quando mi puntava la lama alla pancia con un fendente. E quella era sicuramente una spada.
Collezionavo minacce di morte come figurine dei calciatori.
Ero pronta a mettere in atto per la prima volta una delle mosse insegnatami dal ragazzo-leone per salvarmi la pelle da disarmata, quando:-Avresti dovuto riconoscere subito che era una spada, considerando quante volte ci hai avuto che fare.

-Pride- ringhiai, quando ritrovai l’uso della parola.
–Buongiorno, Tori. Sempre all’erta, eh?

-Ma sei scemo o mangi sassi?! E’ notte fonda, sono stanca e voglio dormire! I criceti che hai in testa devono essere proprio dei beoti iperattivi se preferiscono venire a farmi prendere un colpo invece che far girare la ruota!
-Tecnicamente è giorno, Tori, sono le tre del mattino- mi corresse.
–Le tre?!- sbottai. –Perché mi devi torturare anche a quest’ora?! Pensavo mi odiassi, che volessi un po’ di tempo per te, invece mi stai incollato come una cozza!

-Fa parte dell’allenamento, per i riflessi pronti, velocità e astuzia, e ti servirà, visto che la sfida è oggi.
-Oggi?!- ripetei in un grido, incredula.
–Non sai contare i giorni, Tori?- mi schernì.
Non lo potevo vedere al buio, ma ero sicura sorridesse.
–E leva ‘sta cosa!- ordinai, furiosa.
Lui non accennò a smuoverla. Contro ogni logica, scostai con un gesto furente della mano la lama dalla mia pancia. Il sangue mi bagnò presto il palmo e la ferita formicolava.
Pride rinfoderò la spada. Mi avvicinai a lui, camminando sul materasso, basandomi sulla posizione da dove proveniva la sua voce.
Dovevo essere vicina e gli occhi dovevano essersi abituati un po’ all’oscurità, perché riuscivo a distinguere i tratti del suo volto.
Gli tirai uno schiaffo con la mano ferita più forte che potei.
Lui rimase girato per qualche secondo, si tastò la guancia colpita e la smorfia divertita che fece tradì il dolore.
–Grazie per la riconoscenza- commentò, fissandomi negli occhi.
–Per cosa?- urlai, stringendomi al petto il palmo sanguinante.
–Per aver provato a insegnarti un modo per farti vivere!- gridò lui in risposta,  ora arrabbiato.
–Be’, grazie dell’aiuto, Pride!- risposi, sarcastica.
Il ragazzo-leone mi afferrò con forza un polso, tirandomi a lui. Eravamo così vicini che respiravamo la stessa aria.
I suoi occhi lanciavano fulmini, i miei fiamme.
–Ho sempre pensato che avere degli affetti rendesse deboli, avevo già deciso da tempo che non avrei permesso a un sentimento odioso di prendere il sopravvento su di me, nemmeno si trattasse di amicizia- esordì serio, ed ebbi paura del seguito.
–Ma, evidentemente, dovevo preoccuparmi anche della compassione: sei così debole, così indifesa, che non posso fare a meno di provare pena per te, Victoria. Per questo e solo per questo sto facendo del mio meglio per fare in modo che Gwen non ti uccida. Ma sei così cieca da continuare a non capire.

Il sangue ribollì nelle vene, la schiena fu percorsa da una scarica di rabbia e odio. Mi liberai il polso con furia.
–Allora il tuo meglio non è abbastanza, Pride. Non sono una bambina, farò da sola, se è destino che Gwen mi ammazzi non potrò fare niente per cambiare il futuro. Ma, per ora, ho ancora il potere di ordinarti di uscire da camera mia, immediatamente.

-Non prendo ordini da te- replicò, scontroso.
-Da mio padre sì, invece- lo accusai, piccata.
–Avanti, se ti faccio così pena, perché non esaudisci il mio desiderio di poveretta?- sputai, sarcastica.
Pride non accennò a muoversi.
Annuii, facendo schioccare la lingua contro il palato.
–Okay, me ne andrò io, tanto la tua presenza basta per rendere repellente ogni cosa che tocchi e ogni luogo dove sosti.

Scesi giù dal letto, camminai fino alla porta e la aprii. Uscii, sbattendola dietro di me. Scesi le scale, oltrepassai il soggiorno e abbandonai la casa.
L’aria fredda della notte mi ghiacciò la pelle, l’erba annaffiata di rugiada mi bagnò le piante dei piedi nudi.
Mi imposi di respirare con calma, ma la rabbia il sopravvento. Mi trasformai, fuori controllo, in giumenta.
E corsi. Corsi, corsi, corsi, pensando solo a scappare, a andare via da quel posto infernale, via dai problemi, via dai pensieri.
Solo correre, mettere in moto i muscoli, sfinirsi fino all’incoscienza.
Senza accorgermene, mi ritrovai davanti al fiume che tagliava in due la pianura. Le acque argentee riflettevano la fievole luce della Luna, emanando un calmo e pacato azzurro chiarissimo nel mio campo visivo.
Ritornai umana, crollando seduta a terra. Che cos’avevo fatto di male nella vita per meritarmi la compassione di una persona?
Non l’odio, il rancore, la simpatia o l’amore, quelli li potevo capire, ma la compassione... Io non suscitavo pena. No, no. Ma Pride aveva detto… Pride è un coglione.
Malgrado ciò, non potevo impedirmi di ripensare a quella settimana, allo zelo con cui il ragazzo mi insegnava, apostrofandomi e correggendomi di continuo.
Se l’avesse fatto per il mio bene?
La risposta fu di nuovo negativa. No, Pride si era inventato quel discorso a sua discolpa per mero opportunismo. Non era Santa Maria Teresa di Calcutta, era un quindicenne con un grande ego e la faccia tosta di mentire per proteggere il suo orgoglio.
La Luna brillò fulgida per un minuto, e il mio viso si rifletté sulla superficie del fiume. I capelli neri con le mashes rosse erano un nido d’aquila, il naso una pallida linea dritta, le labbra carnose arcuate in una smorfia; le guance, sotto gli occhi, rosse e lucide.
Le toccai, scoprendole bagnate. Levai il capo alla Luna e risi. Tzè, mi ritrovavo a piangere per un cafone, di notte, da sola, per una stupida lite.
Ero davvero un’idiota.

-Non ssssei ssssola.
Sobbalzai sul posto. –Chi ha parlato?- domandai sul chi vive.
Un suono simile al sibilo di una teiera da troppo tempo sul fuoco, ma più roco, riempì la pianura.
–Davanti a te, Ereditaria. Non in alto, in basso- mi corresse la vocetta, vedendomi scrutare l’orizzonte.
Guardai l’erba, e dovetti mettere a fuoco più volte per essere sicura di quello che vedevo. Era un esserino nero lungo una ventina di centimetri, pezzato di giallo evidenziatore, con quattro zampe da rana, la pelle sembrava rugosa, ma era resa liscia da una patina trasparente lucida. Due occhietti nerissimi mi scrutavano, penetranti.
Perfetto, neanche a Narnia le salamandre parlano, pensai, credendo d’essere diventata pazza.
–La Veggente Ssssalamandra non è un semplice anfibio come le sssue ssssorelle- sibilò, irritata. –È l’unica capace di attraversare il fuoco e viverci, la sssola in grado di prevedere il futuro.

-Non ho bisogno di una consulenza spiritica, ne di una medium o di una fattucchiera- obiettai.
La salamandra emise di nuovo quel suono buffo e leggermente inquietante, che intuii fosse il suo modo di ridere.
–Tutti hanno bisogno delle predizioni della Veggente Sssalamandra, sssoprattutto gli Ereditari come te.

-Davvero?- feci, scettica.
Intraprendere una conversazione con un animale parlante di notte, dopo aver discusso con Pride, non mi allettava affatto. L’ora del tè era alle cinque del pomeriggio, non alle tre del mattino. La Veggente Salamandra mi morse il mignolo.
–Ahi! Perché?- protestai, portandomi la mano al petto.
–Perché sssei una ragazzina cocciuta e, invece, devi ssstarmi a sssentire.

-Potevi anche non farmi male…- borbottai.
–Ascolta- ribadì la creatura.
–Va bene- accettai; meglio una salamandra chiacchierona che un monologo con se stessi.
–La Veggente Ssssalamandra è nata dal fuoco, ha conosciuto tempi che ormai nessuno ricorda più. Ha acquisito la capacità di leggere il futuro delle persone, ssse queste sssi prestano al sssuo ssssservizio. Che cosa sssei disposta a offrirmi in cambio?

Come se adesso la dovessi pure pagare, una salamandra chiacchierona e senza qualche rotella.
–Va bene tutto, basta che finiamo presto questa seduta, okay?

La Veggente Salamandra rise, con una sfumatura maligna.
–Non morirai, domani, ne in ssseguito, per molto tempo a venire. Ssssoffrirai più di altri per persone che non avresti mai pensato. Ssssolo tu sssarai l’artefice delle ssscelte che dovrai compiere, e non sssempre farai quelle giuste. Ma, alla fine, conquisterai ciò che desideravi: l’amicizia.

-Che vuoi dire? Gwen non mi ucciderà durante la sfida? Soffrirò per quali motivi? E perché dovrei volere l’amicizia?- domandai a raffica, vedendo che la creatura retrocedeva, scomparendo sempre più nel fiume.
Quando solo la testolina nera fu visibile, gridai –E il prezzo per questa seduta?

-La Veggente Sssalamandra lo prenderà al momento giusto- disse soltanto, ma nei suoi occhi lampeggiò una frase: “fai tesoro di ciò che hai ascoltato o non ne sarà valsa la pena”.
Battei un pugno a terra, frustrata. Non avevo capito nulla del senso di quelle parole, ma sapevo, sentivo, che erano importanti, e molto anche.
Mi toccai il palmo sanguinante, scoprendo con stupore che il taglio era scomparso. Era la mano che mi aveva morso la salamandra.
Che cos’era successo? Che cosa sarebbe successo dopo?
L’aria fredda mi ricordò che stavo gelando. Mi alzai in piedi, mi trasformai in cavallo e tornai al galoppo alla casa nel bosco.
Da umana, aprii la porta principale, accolta subito da un tepore rigenerante. La richiusi piano dietro di me, poi, mi diressi di soppiatto verso il divano.
Mi distesi tra i cuscini, scoprendomi più esausta di quello che credevo. Mi accoccolai con la faccia verso il fondo, chiusi gli occhi e mi addormentai.

E venne infine l’ora della sfida. Pholos mi costrinse a fare colazione, nonostante avessi lo stomaco chiuso per la tensione, e mi condusse verso la parte del villaggio dove abitava.
Pride non era con noi, ne si era alzato, e non m’importava.
Mi legai i capelli in una coda alta, mentre mio padre mi porgeva la mia “armatura”. Pholos strinse il corpetto di cuoio dietro la mia schiena dopo che l’ebbi indossato, sopra un’apposita maglia imbottita,  le uniche protezioni concesse alla sfida.
Da una parte ero sollevata di non dover portare sulle spalle il peso di una cotta di maglia o di un usbergo completo, dall’altra mi sentivo nuda e indifesa.
Ma, a quanto pareva, i centauri erano robusti e non servivano loro protezioni come quelle.
Se, però, non erano utili a me, che di fatto ero in forma ibrida, anche Gwen doveva essere abbastanza forte da non doverle portare. Mio padre mi porse un arco potente e tenne per sé tre frecce.
Un silenzio religioso aleggiava nell’abitazione-stalla di Pholos. Mi fissò dritto negli occhi, scrutando tutte le parti della mia anima, poi annuì, compito.
Senza bisogno di parole, uscimmo dalla casa di legno e ci dirigemmo alteri e frementi d’eccitazione e timore verso il luogo dell’incontro.
La spada e le tre lance che Pholos portava al fianco ticchettavano, gli zoccoli rimbombavano sui tratti di selciato.
Il recinto tondo apparve alla vista. Era un’aria verde circoscritta da una solida palizzata di legno sbozzato e fissato insieme da alcuni chiodi, due cancelli, uno a nord, uno a sud permettevano l’entrata dei concorrenti.
Molti centauri erano riuniti lì, e ci guardavano con interesse. Uno scalpiccio mi fece voltare lo sguardo dagli abitanti del villaggio al cancello sud.
Lì, c’erano Gwen e Pirro ad attendermi.

***
Angolino dell'autrice:
Ce ne ho messo di tempo per aggiornare questa volta, scusate -_-
Vi aspettavate la sfida, invece, vi rtitrovate l'ennesimo litigio tra Victoria e Pride, condita dalla premonizione di una salamandra. Questo esserino (come spiegherò più sotto nel dettaglio) si credeva potesse sopravvivere nel fuoco, nel Medioevo. Per cui, niente di meglio di una creatura nata dal fuoco per l'Ereditaria del Segno del Fuoco, nonché del Sagittario, che è un segno dello stesso elemento.
Be', qualcosa di comprensibile  ce l'ha detto: Tori vincerà la sfida contro Gwen. Sì, ma a quale prezzo? E, a proposito di prezzi, che cosa prenderà la Veggente Salamandra? *maligna*
Vi voglio acculturati, quindi sotto ci sono delle spiegazioni che riguardano armi, parole e animali citati uwu
Spero che il capitolo vi sia piaciuto che non vi siate dimenticati di me D: alla prossima!

.::"Piccoli" appunti::.
Nei tornei medievali (1200 più o meno), si usavano tre lance per gli i tre assalti, Pholos ne porta tre apposta. Dopodiché, se la sfida era a oltranza, si poteva continuare a piedi con la spada. L'arco, invece, era una sfida amichevole che si teneva l'ultimo giorno del torneo, dopo la melée e la quintina (non mi ricordo più come si scrive^^' perdonatemi). Ho scelto nomi francesi perché il francese regna, oui V_V e quindi i tornei a cui mi riferisco sono quelli della corte francese del 1200.

Veggente Salamandra: La salamandra pezzata (Salamandra salamandra) è un anfibio urodelo appartenente alla famiglia Salamadriade. La salamandra pezzata è facilmente riconoscibile per la sua colorazione nera con vistose macchie gialle.Raggiunge i 15–20 cm di lunghezza totale (coda compresa), e le femmine sono in generale più lunghe e grosse dei maschi.La pelle, liscia e lucente, è cosparsa di piccole ghiandole secernenti il muco che ricopre l'animale; il muco ha una funzione battericida (protegge la pelle dalle infezioni), riduce la disidratazione e ha un gusto repellente per gli eventuali predatori. Gli adulti conducono una vita molto discreta, e sono normalmente attivi solo durante le ore notturne, o durante tempo piovoso e umido. Abitano diversi tipi di foreste, soprattutto boschi decidui misti, faggeti e castagneti, soprattutto in prossimità di corsi d'acqua.
La salamandra pezzata è stata oggetto durante secoli di miti e credenze popolari, tra le quali figura quella secondo cui sarebbe in grado di sopravvivere nel fuoco. Questa credenza è totalmente falsa, e la pelle umida della salamandra la rende estremamente vulnerabile non solo a fonti di calore, ma anche al disseccamento lontano dall'acqua o da luoghi umidi. (grazie wiki ;))
 

La Scrima: La scherma tradizionale, scherma antica o scherma storica è la ricostruzione dei sistemi sviluppatisi prima della codifica sportiva della scherma (ovvero dell'uso sistematizzato di una spada o altra arma), sulla base della documentazione storica rimasta, dei sistemi tradizionali ancora conservati e della verifica in simulazione di combattimento.
Non va confusa con la scherma teatrale e coreografica, che sono genericamente ispirate ai sistemi effettivamente esistiti, molto diverse dalla moderna scherma sportiva agonistica che ha perso il senso dell'uso dell'arma come se fosse vera ed affilata (wikipedia)

Nel mito, i centauri usavano o l'arco o la clava, quarta arma della sfida. Il mazzafrusto invece, è un speciale tipo di frusta, ecco un'immagine http://images.treccani.it/enc/media/share/images/orig//system/galleries/NPT/VOL_6/IMMAGINI/mazzafrusto_01.jpg

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Capitolo 7
*** 7. La lingua delle lame ***


 

Colonna Sonora Consigliata per la sfida: "My Songs Know What You Did in the Dark - Light em' up" FallOut Boys

https://www.youtube.com/watch?v=LkIWmsP3c_s

7.La lingua delle lame

Non ci furono ultimi consigli da parte di Pholos, nessuno sguardo, solo una stretta sulla spalla. Riuscii a sentire, invece, cosa diceva Pirro a Gwen. Distruggila.
Tirai un sospiro, aggirando l’arena e arrivando di fronte al cancello a nord.
Gwen, dall’altra parte, sillabò: “si comincia, baby”. “Questa sera mangerò spezzatino” non potei trattenermi dal rispondere, nonostante pensassi tutt’altro.
Pholos mi porse una freccia, aprendo lui stesso il cancelletto.
Lo varcai, deglutendo a vuoto. Era il momento di dimostrare la mia forza, la tempra dell’Ereditaria del Segno del Sagittario.
Mia cugina entrò fiera nella lizza, lisciando con apparente noncuranza la coda della sua freccia. La prima sfida era la più semplice: dal centro della lizza, dovevamo scoccare una freccia nell’aria attraverso otto cerchi di pietra –tanti quanti le stelle della costellazione del Sagittario- e centrare il tizzone ardente posto nell’ultimo, infine colpire il bersaglio oltre di esso.
Si continuava finché una concorrente non completava un tiro perfetto che finiva nel centro del cerchio, con un massimo di cinque frecce, e, nel caso non ci fosse una vincitrice regolare, si contavano i punti: se si era riusciti a far incendiare la freccia, dove avevamo colpito il bersaglio…
Almeno, non ci si doveva uccidere l’un l’altra.
Pholos e Pirro, gli ambasciatori dell’incontro, batterono gli zoccoli a terra, facendo scuotere il terreno, ricreando la forza della natura e del suo supremo dominio. Ritmarono lo scalpiccio, tirarono fuori un corno per ognuno e vi soffiarono dentro.
Il suono fendette l’aria con potenza, facendomi rizzare il peli sul dorso.
Pholos lanciò un’occhiata indecifrabile al fratello, prima che proclamassero:- Nel sacro nome di Marte, dio della guerra, e quello di Giove, dio del cielo e della folgore, codeste intrepide giovani si sfidano ai cinque tempi, combattendo per la gloria, l’onore guerriero e la conquista delle ricchezze e dei poteri dell’altra. Oh dèi, noi vi preghiamo, e porteremo a termine questo duello per compiacervi. Possano i centauri correre veloci come il tuono!
Dagli abitanti si levò un grido unanime di approvazione. I due fratelli si guardarono di nuovo, poi, suonarono ancora il corno, che emise un rombo tetro.
Il terreno sembrò voler scomparire da sotto le mie zampe, tanto vibrò.
Zolle di terra si staccarono, rivelando giganteschi cerchi in marmo bianco, sempre più piccoli man mano che si andava avanti, sorretti da un lungo stelo squadrato. In fondo, intravedevo il punto rosso del tizzone ardente e del bersaglio in legno dietro a esso.
–Incordate gli archi!- ordinò Pirro.
Sia io che Gwen impugnammo l’arma, preparando la prima freccia. Una scossa mi percorse la schiena, dandomi la forza necessaria per portare a termine la prima sfida.
–Prendete la mira!- esclamò Pholos, con una sfumatura seria che non gli avevo mai sentito prima.
Alzai l’arco, portando il gomito alto e la mano dietro l’angolo della bocca, in quella posa che per primo mi aveva insegnato Tompson e che ora era diventata una mia caratteristica. Strizzai gli occhi, compiendo con lo sguardo il viaggio che avrebbe fatto la mia freccia.
–Tirate!- ordinarono all’unisono.
Non guardai Gwen, ne mi preoccupai della miriade di possibilità di fallire. Tirai e basta.
L’asta sfrecciò a pochi centimetri dal mio volto, schizzando come un lampo attraverso i primi cerchi. Pregai di aver impresso abbastanza forza da raggiungere il tizzone. La freccia oltrepassò l’ottavo cerchio. La coda s’infiammò, istigata dal fuoco e dall’ossigeno, e si conficcò nel centro del bersaglio di legno con un sonoro stock.
Mi voltai verso Gwen, che intanto si era morsa le labbra quando la sua freccia era avvampata troppo in fretta, calando la traiettoria e mancando completamente il punto cui aveva mirato.
Gioii internamente. Robin Hood mi faceva un baffo. Osservai mio padre, ma il suo viso non tradiva alcuna emozione. Si portò il corno alla bocca e annunciò la prima vittoria di quella sfida: la mia. Trottai verso di lui, porgendogli l’arco.
–Non aveva scampo con quest’arma- annunciai, raggiante.
Il centauro mi passò la mia lancia, incrociando la sua mano alla mia quando l’afferrai.
–Ricorda che sei tu quella che non avrà scampo nelle prossime sfide, Victoria- disse, con gelida consapevolezza.
–Hai detto che i nomi sono potenti: il mio inizierà a portarmi fortuna adesso- ribattei, allacciandomi al braccio sinistro lo scudo tondo che mi porgeva.
Mi voltai, fronteggiando mia cugina, che dagli occhi mandava fiamme per la rabbia e l’odio. Con un’arma come quella, era terrificante. Nonostante il coraggio acquisito, però, non potei impedirmi di stringere convulsamente la lancia.
Mi allontanai di qualche metro dal cancello, portandomi alla giusta distanza dalla mia avversaria.
Dovevo semplicemente aspettare il suono del corno e lanciarmi al galoppo, brandendo l’arma contro il suo scudo e cercando di sbilanciarla il più possibile per farla inciampare e cadere, facendole perdere la sfida.
I tre assalti concessi sarebbero bastati a farmi ottenere la vittoria. O la sconfitta, aggiunsi subito dopo.
La fissai intensamente, isolandomi dal resto del mondo. Pirro portò alle labbra lo strumento e ci soffiò con forza. Nelle mie orecchie risuonò un’eco lontana, e furono le mie gambe equine ad agire per me.
Lo scintillio della punta aguzza della lancia di Gwen mi riportò alla realtà. Mirai allo scudo, slanciandomi con il busto in avanti, come avevo imparato.
Mia cugina emanava un’aria di potenza pura. Strinsi l’arma convulsamente. Pochi metri.
L’urto fu tremendo, e si ripercosse su per l’intero braccio sinistro, strappandomi un gemito di dolore. Lottai per non sbilanciarmi con la parte umana e cadere, costringendomi a respirare con calma.
Mi guardai la mano destra, che stringeva il moncone della lancia: anche il mio colpo era andato a segno. Mi massaggiai il braccio sinistro dolorante, che iniziò a formicolare.
Tornai indietro da Pholos per ricevere la seconda lancia, incontrandomi a metà campo con Gwen, che sembrava illesa e senza un’ammaccatura.
–Questo non era niente- sibilò, trottando via.
Ingoiai il vuoto, perché di saliva non ne avevo.
L’impatto non era stato facile da reggere, contando che mia cugina era più forte e allenata di me, e non stava nemmeno mettendo tutta se stessa. Presi l’arma che mi porgeva Pholos, mi misi in assetto e sperai di resistere.
Udii perfettamente il suono del corno che annunciava il secondo assalto, ma mi concentrai unicamente sullo scatto che compii e sulla forza da imprimere nel colpo. Gwen e io macinammo i metri che ci separavano in pochi secondi.
L’impatto mi tolse il fiato, ricordandomi un tir che passa sopra un’utilitaria. Strinsi i denti e mi morsi la lingua per non gridare. La punta di ferro della lancia di Gwen si era conficcata nello scudo, facendo saltare via numerose schegge di legno. E non osavo pensare fin dove fosse arrivata.
Perlomeno, non ero caduta a terra, ne mi ero trasformata per sbaglio in una delle mie altre forme. La sfida poteva continuare.
Imprecai a denti stretti in tutte le lingue che conoscevo –non che fossero molte-, mentre tornavo da Pholos. Cercai di non mostrare per intero il dolore che provavo, ma il braccio mi faceva un male cane. Mio padre non si fece ingannare, ma non disse nulla.
Gwen sorrideva beffarda dall’altra parte del campo, come se due lance frantumate sullo scudo non fossero nulla d’importante.
Relegai il dolore al braccio in una parte della mente e mi concentrai sull’avversaria. I corni suonarono, annunciando la carica. Io puntai allo scudo, come prima, ma Gwen aggiustò il tiro più in alto.
Cosa c’era da colpire al di sopra di uno scudo? Ci misi due secondi a capirlo. Gwen mirava alla mia testa.
Oh cazzo.
Un colpo del genere mi avrebbe trapassato il cranio! Perché i centauri non  usavano degli elmi?
Vedere il mio cervello infilato sulla punta della lancia come uno spiedino non era contemplato; dovevo trovare un modo per evitarlo, qualsiasi cosa, purché non mi centrasse la testa.
Ma ormai mancavano pochissimi metri, mia cugina mi avrebbe colpito di striscio anche se mi fossi scansata. Stavo per fare la mossa più azzardata della mia vita.
Scagliai via la lancia, strappai via lo scudo dal braccio e lo lanciai contro Gwen a mo’ di frisbee.
La centauressa dovette ripararsi dietro il suo, che sbilanciò l’assetto giusto per il tiro. Scattai via, ormai disarmata e senza protezioni.
Ma Gwen doveva essere più brava di quello che pensavo, perché avvertii un dolore cocente alla schiena. Il colpo a tradimento mi mozzò fiato, e io caddi con il busto in avanti.
Vidi la terra avvicinarsi pericolosamente alla mia faccia.
In neanche in secondo, mi trasformai in umana e atterrai con una capriola. Il braccio sinistro protestò con una fitta intensa. Un rumore di zoccoli mi fece alzare lo sguardo.
Gwen galoppava come il vento verso di me, con la lancia in resta. Non potei impedirmi di sgranare gli occhi. Ero arrivata alla parte à outrage della sfida.
Evitai di farmi schiacciare all’ultimo, poi mi misi a correre verso Pholos. La sua faccia era cinerea.
–La spada!- gridai.
Mi voltai giusto in tempo per vedere Gwen piombare su di me ed evitare gli zoccoli. Mi rialzai di scatto, pronta a correre, ma una fitta alla schiena mi fece piegare in due. Tentai di ritrasformarmi in centauro, per avere più possibilità, ma non riuscii a mantenere quella forma per molto.
Non avevo tempo di interrogarmi il motivo, perché Gwen stava tornando alla carica e Pholos aveva appena lanciato la spada verso di me. La afferrai al volo, sentendomi minimamente più protetta.
Evitai l’ennesima carica, portandomi verso il centro della lizza, dove avevo più campo libero.
–Vogliamo passare alla scherma? Non mi ricordavo avessi un buon rapporto con la spada- mi schernì, ma non accolsi la provocazione.
Gwen consegnò la lancia a Pirro, prendendo al suo posto un’arma a doppio taglio dall’aria temibile.
Si diresse al passo verso di me, chinò il capo in un cenno di saluto, toccando con la punta della sua lama la mia.
Poi, ritirò la spada e fendette l’aria davanti a sé.
Indietreggiai, non sapendo come agire con davanti un centauro. Con Pride mi ero allenata solo a piedi, adattando alcune mosse alla mia forma ibrida, ma non avevamo mai parlato di tecniche per difendersi da terra contro un centauro!
Dovetti improvvisare. Sviai i fendenti di Gwen alla bell’e meglio, senza mai intrattenere un conflitto di forza, sicura che non avrei resistito. Mia cugina si stava innervosendo, dato che non le stavo dando la soddisfazione di schiacciarmi dopo il primo assalto.
Pensa a qualcosa! mi dissi, roteando su me stessa, evitando l’ennesimo colpo.
La seconda idea folle della giornata fece capolino nella mia mente: la miglior difesa è l’attacco.
E’ una pazzia,
pensai immediatamente dopo, ma seguii l’istinto.
Respinsi la lama di Gwen, scattai in avanti e tranciai l’aria davanti a me. Un guizzo maligno illuminò gli occhi di mia cugina. Impegnai la sua spada, affiancando tecniche e mosse secondo l’ispirazione del momento e le possibilità che mi offriva Gwen.
Le nostre lame parlavano da sole, con sibili intimidatori e bagliori mortali. Avevo già il fiatone, e sentivo il sudore scendermi giù lungo il marchio. Non avrei resistito ancora molto.
Esausta, azzardai un affondo al fianco. Con mio supremo stupore, Gwen non riuscì a schivarlo ne a pararlo e la lama aprì uno squarcio sulla sua parte equina. Non era grave ne impediva di combattere, ma di sicuro faceva male e sanguinava.
La centauressa gridò. Si portò una mano alla ferita, intingendo due dita nel suo stesso sangue e portandosele vicino al volto, osservandole con una smorfia di rabbia.
–Sei una sorpresa continua, Victoria. Ti dimostrerò che è una dote di famiglia- minacciò, e il suo corpo iniziò a contrarsi.
Mia cugina si accartocciò su se stessa come una lattina, costringendomi ad allontanarmi.
Lanciò un grido bestiale, strinse gli occhi, si morse le labbra a sangue ma non mollò, qualunque cosa stesse facendo.
Quando il suo corpo perse le quattro zampe scure dei cavalli e ne assunse due più corte con dei piedi, al posto degli zoccoli, compresi.
Capii che ero spacciata.
Gwen era appena diventata umana.

 


L’attacco diretto mi riportò bruscamente alla realtà, e la forza che ci impresse fu tale da farmi scricchiolare le ossa del polso. Mi costrinsi a controbattere, scacciando via i pensieri su quello che era appena accaduto.
Mia cugina sapeva trasformarsi in umana, nonostante fosse molto più feroce e di natura più simile a una puledra con la voglia di correre.
Non capivo come ci fosse riuscita, come si potesse indurre una trasformazione contro le regole ordinarie, perché di questo ero certa: Gwen non era nata con questa capacita come me.
Mia cugina m’incalzò con la spada, palesemente divertita dal mio sgomento, come suggeriva il ghigno che aveva stampato in faccia. Il fianco sanguinava, ma sembrava non sentire il dolore.
Il braccio con cui impugnavo la spada, invece, era indolenzito. Era già un miracolo che fossi riuscita a sopravvivere fin lì, contro ogni pronostico.
Gwen si mosse rapida, fece un mezzo giro su se stessa e colpì di piatto la mia lama, impegnandola e strappandomela di mano.
La scagliò in alto, facendola ricadere di punta verso il terreno, dove si conficcò.
–Sei morta- mormorò.
Affondò in avanti, squarciandomi il corpetto di cuoio dall’ascella sinistra al fianco destro.
Non sentii nulla, ero come stordita, incapace di realizzare cosa era successo. Udii il tonfo di un corpo che cadeva a terra, attutito dall’erba. Intuii fosse il mio.
E poi, all’improvviso, arrivò il dolore tutto insieme. Cocente, dilaniante, mi bloccava, mi impediva di respirare, bruciava e congelava insieme, freddo come la lama d’acciaio di Gwen e caldo come il sangue che pompava il cuore nelle vene.
Sbattei più volte le palpebre, mettendo a fuoco la visuale.
Mia cugina ghignava, imponente sopra di me. Aveva impugnato anche la mia spada, e ora le teneva a forbice, pronte a tagliarmi la testa.
Ma non potevo morire, non volevo. Non avrei deluso me stessa, o Pholos, e non avrei nemmeno dato altro modo a qualcuno di provare pena per me.
Qualcosa mi si mosse dentro.
Un scarica di energia infiammò la freccia tatuata sulla mia schiena, facendomi dimenticare il dolore provocato dai lividi e dalla ferita.
–E’ giunta la tua ora- sibilò Gwen.
–No. Non ancora- ringhiai.
Feci un balzo all’indietro, compiendo  una capovolta in aria e atterrando in piedi. Non stetti a domandarmi come diavolo ci fossi riuscita, perché il mio corpo si muoveva per sé.
Sfruttai lo stupore di Gwen, mi portai di lato e sferrai due calci in rapida sequenza: uno al fianco e uno alla mano che impugnava la mia spada. E mentre quella roteava in aria, costrinsi Gwen a terra con un calcio, schiacciandole la mano che reggeva l’altra lama.
Afferrai senza nemmeno guardare la mia con la sinistra, feci un gesto intimidatorio e gliela puntai alla gola.
Lei emise un ringhio basso e cupo.
–Finiamo questa sfida così, porterai a casa la pelle e l’orgoglio- dissi.
–Scordatelo!- ruggì.
Lasciò l’elsa della spada e mi afferrò fulminea la caviglia, trascinandomi giù, mentre lei si rialzava con un colpo di reni. Non le permisi di cambiare la situazione; rotolai per qualche metro, allontanandomi, e mi tirai su, decisa a fronteggiarla.
Brandii la spada a due mani, e caricai. Gwen mi accolse con potenza, e con potenza ricambiò l’assalto. Ci incrociammo, giocammo, ci tenemmo a distanza, minacciammo l’un l’altra e aumentammo il ritmo, facendolo diventare così serrato da tagliare il respiro, come se si stesse sott’acqua.
Respinsi un nuovo attacco, mi portai in assetto e, prima che Gwen potesse intrappolarmi in quel vortice di acciaio e cozzare di lame, saltai.
Puntai la spada verso il basso, mirando alla testa di mia cugina come se fosse un melone da tagliare in due. Quando la stavo per falciare, mi resi conto che non la volevo morta, che non l’avrei uccisa.
Deviai il colpo mortale, ma la mia spada affondò comunque nella sua spalla. Mi fermai quando avvertii la consistenza dell’osso della clavicola.
Mi bloccai, esausta e senza fiato.
Io e Gwen ci fronteggiammo, unite e divise dalla mia lama ancora dentro le sue carni. Ci fissammo, scrutammo le nostre espressioni, sapendo che la sfida era conclusa.
Estrassi la spada con un colpo secco, strappandole un mezzo grido.
Cadde in ginocchio, stringendosi la spalla, che iniziò a sanguinare copiosamente. Raccolsi la sua arma, che era ricaduta nell’erba, come bottino di guerra.
L’aria era ferma, i presenti immobili.
Qualcuno applaudì, riscuotendosi e riconoscendo la mia vittoria. Altri si unirono a lui, finché tutti batterono le mani per me.
Levai la mia spada al cielo, accogliendo le urla di gioia dei centauri presenti e il suo dei corni che decretavano la vincitrice. Quando la abbassai, la stanchezza mi schiacciò.
Camminai lentamente, quasi zoppicando, verso Pholos, che nel frattempo aveva già aperto il cancelletto.
Feci per uscire, ma mi ritrovai davanti Pirro.
Pholos lo affrontò con lo sguardo.
–Ho il diritto di prendere le tue proprietà, quelle di nostro padre- disse, lapidario.
–Ma non lo farai- replicò il minore.
Mio padre strinse gli occhi, facendoli diventare due fessure. –No, non lo farò.
-Perché non hai spina dorsale, come nostro padre- accusò Pirro.
–Sai bene che non è per questo che non lo farò.
Il fratello minore rise. –Già, non lasceresti mai un padre e una figlia alla mercé degli elementi, vero? Sei proprio come un insulso umano, debole, e non un degno centauro. Non meriti ciò che hai.
-Esattamente come te, adesso.
Guardai prima mio padre, poi Pirro. Non mi piaceva quella conversazione.
Il minore abbassò il capo, si umettò le labbra e fissò intensamente il maggiore. Gli sputò in faccia.
Fremetti sul posto. Avrei volentieri dato una lezione a Pirro, ma non ero nelle condizioni adatte.
Pholos si passò una mano sulla guancia, pulendosela.
Si rivolse a Pirro, duro:- Vattene via da qui. Tua figlia si sta dissanguando da sola nella lizza, non credo tu voglia lasciarla lì. Chiuderemo questo conto in un momento migliore.
Il centauro rimase qualche momento a scrutare il fratello, ma dovette riconoscere che aveva cose più importanti a cui pensare. Si allontanò, entrando nel campo adibito alla sfida.
Quando anche quell’ennesima scarica di tensione e adrenalina finì, mi sentii prosciugata da ogni forza. Pholos prese le spade e se le assicurò al fianco, mi sollevò delicatamente e mi mise sulla sua groppa.
Mi portai una mano alla ferita, sentendo il caldo viscido del sangue. Pholos mi condusse nella sua abitazione, dove un ripiano in legno era già stato sistemato come un lettino di un’infermeria.
Scesi con fatica dal suo dorso, distendendomi su quella sotto specie di barella. Pholos mi tolse l’armatura in cuoio e la maglia imbottita che c’era sotto, cercando di non procurarmi altro dolore, per quanto fosse possibile.
Iniziò a pulirmi la ferita, lavando via il sangue per vedere meglio come operare. Si allontanò per andare a prendere un barattolo di vetro, dentro il quale si vedeva una sostanza verde muschio gelatinosa. Svitò il tappo e ci intinse due dita, poi, la spalmò sul taglio. Il contatto freddo mi fece rabbrividire, ma mi imposi di rimanere ferma dov’ero.
–Non è grave, le protezioni hanno fatto il loro dovere, non servono punti- mi rassicurò. –E’ stata la vicinanza e la forza del colpo a farti cadere.
Riuscii a leggere nei suoi occhi un “per fortuna”, ma mi limitai ad annuire. Pholos prese garze e bende, fasciando la zona ferita.
–Mettiti seduta, controlliamo quel braccio- disse. –Intanto- si chinò verso il basso- bevi questo. Hai perso sangue, un po’ di vitamine ti rimetteranno in sesto.
Osservai scettica il succo d’arancia in tetrapak che mi porgeva, mentre mi alzavo. Lo presi sulla parola, dubbiosa riguardo agli effetti di una spremuta.
Nel frattempo, Pholos si occupò del mio braccio. Stavo succhiando beatamente il succo, quando avvertii uno strappo allucinante al polso.
Sobbalzai sul posto, sputando la spremuta d’arancia. –Perché l’hai fatto?!- strillai.
–Era necessario, Victoria. Se ti avessi avvertita, avresti con tutta probabilità sentito più dolore.
Borbottai qualcosa di incomprensibile e mi concentrai unicamente sul succo in tetrapak.
Il centauro mi fasciò stretto il braccio, strappandomi più volte gemiti di dolore. Dopodiché, mi fece salire di nuovo in groppa, diretti alla casa nel bosco per un po’ di riposo e per discutere certi particolari della sfida.
Mi lasciai cullare dal suo passo lento, dimenticandomi di tutto ciò che mi stava attorno. Pholos mi dovette scuotere delicatamente per farmi uscire da quel dormiveglia. Scesi dal suo dorso, mentre lui si trasformava in umano e apriva la porta.
Entrò per primo, ma si immobilizzò all’improvviso.
–Pholos?- chiamai, ma non mi rispose.
Mi feci strada nel soggiorno, guardando il punto che fissava il centauro. Mi pietrificai.
Sulle scale, giaceva disteso il corpo di Pride: i piedi erano nudi, segno che si era appena alzato; la maglietta arancione era strappata, come bruciata, sulla schiena, lasciando intravedere il marchio dell’Ereditario del Segno del Leone; le mani si stringevano ancora ai gradini, mentre dalla tempia cadeva un rivoletto di sangue.
Il mio cuore perse un colpo.
Pride!

 

***

Angolino dell'autrice:

Sono di nuovo e decisamente in ritardo sulla mia tabella di marcia per gli aggiornamenti, e credo che lo sarò molto spesso visto che per me la scuola è iniziata .-.

Cooomunque, abbiamo avuto la sfida, nonché tante tante domande. Com'è riuscita Gwen a diventare umana "contro natura"? Come ha fatto Victoria a rialzarsi? Come mai è diventata d'un tratto una samurai abilissima con la spada e a fare salti del genere? Ma -cosa che preme di più a tutte le ragazze che leggono *ammicca*-   cos'è successo a Pride?

Io, ovviamente, so già tutto e non aprirò bocca *risata malvagia*  Spero che la sfida sia piaciuta, adoro la canzone di sottofondo, e tra l'altro l'hanno usata nella prima scena del film "Percy Jackson e il Mare di Mostri" in cui si vede Logan Lerman. Mi sono dovuta trattenere dal cantarla a squarciagola hahaha LoL Questo a voi non frega una beata cippa, ma io sto ancora sclerando da ieri che ho visto il film -che più diverso dal libro non poteva essere xD

Spero che il capitolo sia piaciuto e che vogliate dirmi cosa ne pensate!

Baci :*

Water_wolf

 

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Capitolo 8
*** 8. Giochiamo ai rotoloni con gli arieti ***






 

8. Giochiamo ai rotoloni con gli arieti

Pholos ci piazzò davanti due bicchieroni alti dieci centimetri di succo d’arancia. Non avevo mai avuto niente contro le arance, erano salutari, contenevano tante vitamine, era tonde e colorate, ma stavano diventando leggermente invadenti. Voglio dire, quello era il terzo beverone gigantesco che mi vedevo schiaffato davanti al naso in meno di quindici minuti!
Mio padre stava esagerando. Credo che lo stesso pensasse Pride, affianco a me, perché gettò un’occhiata in tralice al bicchiere. Pholos ci intimò con lo sguardo di bere. La mia mano si chiuse velocissima sul succo, e lo mandai giù a forza.
–Di nuovo, più dettagli, questa volta- ordinò a Pride.
Il ragazzo-leone lo guardò supplicante. –Pholos, è la terza v…
-Non mi interessa se lo dovrai ripetere fino alla fine della giornata, devo essere completamente sicuro che niente di tutto quello che è successo sia da ritenere a carico dei nostri nemici- lo stroncò sul nascere il centauro. 
Pride sospirò, poggiando meglio il panetto di ghiaccio sulla tempia. –Mi sono alzato questa mattina tardi, quando ormai Tori avrebbe dovuto essere stata uccisa da Gwen, e poi WOAHM: ho sentito il marchio tirare e bruciare, come la prima volta che si è rivelato, e qualcosa mi ha colpito il petto, come se mi avessero piantato una lama nello stomaco… ma era diverso, il dolore  proveniva dall’interno, non da qualcosa all’esterno. Mi ricordo di essere scivolato, probabilmente sbattendo la testa su un gradino e ho perso conoscenza. Siete arrivati voi, che mi avete trovato svenuto e mi avete costretto ad avere più succo d’arancia in corpo che nella fabbrica della Fanta!
Sorvolai sul “quando ormai Tori avrebbe dovuto essere stata uccisa da Gwen” e sul fatto che anch’io mi sentivo una spremuta vivente e che anche a me toccava sorbirmi quel monotono interrogatorio, senza riuscire a cavare una spiegazione da Pholos.
Il centauro si passò una mano sul viso, come se d’un tratto fosse invecchiato di dieci anni.
–Adesso ascoltatemi bene e non fate domande finché non ho finito, chiaro?
Annuimmo.
–Bene. Pride, Victoria, avete stabilito un contatto empatico tramite il Segno del Fuoco.
Il ragazzo aprì la bocca per protestare, ma mio padre lo fulminò con un’occhiataccia.
–Come già sapete, il potere del Segno permette di trovare in se stessi le risorse per superare le avversità. Ma voi siete due. Perciò, date le mancanze di Victoria nella scherma, ritengo che il Segno del Fuoco abbia agito servendosi delle conoscenze di entrambi gli Ereditari. Pride, in qualche modo Victoria ha attivato il legame che vi unisce e ha trasferito a te il dolore per il colpo subito da Gwen e trasportato le tue abilità con la spada a lei, permettendole di vincere. Finita la sfida, l’equilibrio è tornato alla normalità.
Il ragazzo-leone mi scoccò un’occhiata penetrante.
–Quindi è a te che devo il mal di testa.
Ricambiai lo sguardo.
–Non è colpa mia se non sai neanche scendere le scale.
-Non è colpa mia se sei così imbranata con la spada da aver bisogno di me in ogni momento.
-Non è colpa se sei così egocentrico da voler intrometterti nelle mie sfide.
-Smettetela, subito- sibilò Pholos. –Non capite che questa è una grande fortuna per il nostro schieramento? Le stelle sapevano già che un solo Ereditario del Segno del Fuoco avrebbe avuto troppi punti deboli, questa volta, così ne hanno scelti due. Se riuscissimo a perfezionare il contatto empatico, sareste in grado di adattarvi alle situazioni più disparate e uscirne vincitori. Ci vuole una particolare congiunzione astrale e il favore degli dèi per permettere tutto ciò.
-Oh, avanti, non vorrai mica dire che quei vecchi barbuti lassù hanno scelto me e Pride come Ereditari del Segno del Fuoco per uno scopo preciso e non per divertimento? Loro sono famosi per i lori divertimenti, soprattutto nei letti altrui!
-VICTORIA!- tuonò mio padre.
In lontananza, si udì un fulmine abbattersi su un albero. Pride ridacchiò, nonostante avesse le labbra tirate in una smorfia per via del troppo rumore.
–Non dire mai più una cosa del genere in pubblico!- minacciò.
Perché altrimenti il signor zap-ti-fulmino si arrabbia? pensai tra me e me, ma mi trattenni dal dirlo.
–Questa spiegazione è assurda!- protestai, però. –Io non posso avere un legame empatico o come cavolo si chiama proprio con Pride!
-Almeno tu hai me, pensa a come mi sento io, che come partner ho una ragazzina che ha bisogno di una balia in tutto.
La mia faccia divenne rossa come un pomodoro per la rabbia. Come si permetteva di definirmi una sorta di bambinetta con il ciuccio?
–Non ho bisogno di un tutore per spaccarti la faccia!- scattai.
Pride emise un ‘uh-uh’ di scherno. –Vogliamo vedere se ci riesci?- mi stuzzicò.
Sentii vagamente mio padre ordinarci nuovamente di smetterla, mentre svuotavo sulla testa del ragazzo-leone il resto del mio succo d’arancia.
Scesi dallo sgabello con furia, salii le scale tutta impettita, non lanciando neanche uno sguardo sulla cucina, e mi chiusi a chiave nella mia stanza.
Che buttassero giù la porta, se volevano davvero parlarmi.
Tirai fuori dall’armadio un pigiama, di un verde fosforescente, e me lo infilai, facendo attenzione a non far tirare le ferite. Mi sistemai nel letto, portandomi le coperte fino alle orecchie.
Odiavo il dover dipendere dagli altri, anche in parte, e contrarre un debito sulla vita con Pride non mi sarebbe mai saltato in mente. Ma la vita aveva scelto una strada diversa. Purtroppo.

Nella settimana successiva, non feci nulla se non oziare tutto il giorno sul divano davanti al televisore, o a studicchiare qualcosa in camera mia. Potevo alzarmi tardi –o non alzarmi affatto-, mangiare quello che volevo, affiancando il dolce e il salato senza un minimo di criterio.
Pride e io avevamo stabilito il tacito accordo di non incontrarci mai –cosa che richiedeva un certo sincronismo, visto che eravamo nella stessa casa- e, nel caso ci scontrassimo, facevamo finta di nulla, ignorandoci completamente.
Il ragazzo aveva un bozzo violaceo sulla tempia, non molto grosso, ma speravo che il mal di testa lo perseguitasse a ogni ora del giorno quanto le ferite che mi aveva inflitto Gwen facevano male a me. Praticamente, usavo solo la mano sinistra e impiegavo diversi minuti a trovare una posizione abbastanza comoda sul divano, dove poi, inevitabilmente, mi colpivano a tradimento delle fitte.
Per il resto, fu la convalescenza migliore della mia vita.
Alla Brighton, quando si era malati, si passava dalla cella cupa e umida all’infermeria, dove la signorina Stuart ti teneva in osservazione un’oretta e, se non mostravi segni di malattie ad alto rischio di contagio, venivi rispedito nella tua camera. Non seguivi le attività per un paio di giorni, ma poi dovevi presentarti per forza. Fortunatamente, non ero cagionevole.
Fu all’inizio della seconda settimana, dopo che la ferita al petto si era richiusa in una cicatrice rosea e lucida grazie alle innumerevoli conoscenze in campo medico di Pholos, e quando riuscivo a muovere non troppo goffamente il polso sinistro, che mio padre convocò me e Pride per discutere su “una questione di vitale importanza”.
Solo l’annuncio mi fece venire il voltastomaco, ma non potei rifiutarmi di partecipare. Mio padre ci disse di vestirci in modo consono a un clima più rigido di quello del villaggio dei centauri e di prendere con noi le nostre armi. Non mi piacque affatto doverlo fare, e la mia mente rischiava di andare in corto a furia di proporre ipotesi sul quello che mi aspettava.
Ci incontrammo presso il fiume, più o meno dove avevo parlato con la Veggente Salamandra.
Pride era già lì, la spada chiusa in un fodero attaccato alla cintura dei jeans, una maglietta sportiva, una giacca di pelle nera e una sciarpa abbinata. Era rilassatissimo, con le mani in tasca e l’aria di chi la sa lunga.
Gli passai davanti, salutai Pholos e aspettai che lui iniziasse la conversazione. Lui sorrise a me e al ragazzo-leone, prima di annunciare –Bene, pronti per tornare a New York?
Spalancai la bocca e strabuzzai gli occhi. Dovetti ripetere tre volte la mia domanda, prima di riuscire a biascicare –N-new York? Perché dobbiamo tornarci?
-Perché, durante questa settimana di riposo, non siamo riusciti a portare dalla nostra parte altri Ereditari, mentre il nemico potrebbe aver ingrandito le sue schiere.
Altri Ereditari. Altri ragazzi che verranno catapultati in universo fantasy, molto probabilmente abbandonando le proprie famiglie. Persone che magari non vogliono lasciare la loro calma e naturale ruotine quotidiana. I loro amici. La loro vita. E alla fine ci arrivai.
–E’ quello che stava facendo Pride con me, non è vero? Trovare gli altri Ereditari e portarli dalla nostra parte, insieme alla loro area di influenza?- domandai.
Pholos annuì. –Abbiamo perso già parecchio tempo e, nonostante voi siate gli Ereditari del Segno del Fuoco, non potremmo mai vincere da soli. Per questo dovete riattraversare il portale e tornare a New York, individuare i possibili amici e portarli qui.
-Ma New York è enorme! Ha idea di quanto ci metteremmo se dovessimo ispezionare ogni singolo angolo?- obiettai.
–Tori, c’è un modo semplice e pratico per trovare gli Ereditari- intervenne Pride, calmo. –Siamo persone speciali, emaniamo un odore specifico, che solo altri ragazzi speciali possono sentire. E’ così che ci orientiamo, seguendo la scia lasciata dal nostro passaggio.
Gli lanciai un’occhiata in tralice. –Stai dicendo che puzziamo così tanto da tracciare un percorso che ci porta a noi soltanto e che dobbiamo sfruttarlo per trovare gli Ereditari come cani da tartufo.
-Se vuoi metterla in questi termini… sì, visto che puzzi e io ho un fiuto da segugio posso seguire una tua scia.
Feci una risatina isterica. Scoprire di emanare un odore a quell’intensità non mi piaceva affatto; rimpiansi di non aver usato molto profumo quella mattina.
–Neanche fossimo dei vampiri sbrilluccicanti…- borbottai.
Pholos batté le mani per incitarci, indicò la direzione dove dovevamo recarci e si allontanò al passo.
Guardai Pride. –Avanti, segugio, spiana la strada.
Il ragazzo-leone si limitò a sbuffare e a oltrepassare con un balzo il fiume, mentre io ci finivo dentro con tutte le scarpe. Lo seguii mantenendo una certa distanza, finché lui non si fermò, poggiò un ginocchio a terra e mormorò:-Apri il portale, oh Ermete.
Cercai nelle mie conoscenze che dio fosse, ricordandomi di una certa divinità messaggera che se ne andava a spasso con dei sandali alati; immaginai fosse lui.
Come per magia, davanti a noi una spirale colorata iniziò a ruotare su se stessa. Quando si fermò, un buco nero dove brillavano una manciata di stelle interruppe l’azzurro del cielo e il verde della pianura.
Pride non mi aspettò, infilando la testa dentro e scomparendo subito dopo, come risucchiato. Feci schioccare la lingua contro il palato, scrutando scettica il portale.
Be’, era meno strano trovarlo nel bel mezzo di una pianura che dentro un frigorifero.
Mi sporsi dentro, osservando la volta stellata, e mi convinsi che non mi sarebbe successo nulla di male. Entrai anche con le spalle nel portale, sentendo qualcosa tirarmi verso l’interno. Assecondai il movimento, ritrovandomi a fluttuare nel cielo notturno. Durò appena qualche secondo, prima di essere attratta verso il basso con forza. Tenni gli occhi chiusi, temendo un possibile conato di vomito, mentre lo stomaco era contratto.
Udii suonare un clacson, il sibilo di un autobus che si fermava in quel momento, il chiudersi di una porta. L’aria profumava di hot-dog e zucchero filato. Aprii gli occhi.
Alla mia destra un uomo con un imbarazzante grembiule viola badava a un carretto ambulante che vendeva hot-dogs, salsicce e pretzel. Davanti a me, invece, si trovava una strada piena di automobili e persone che camminavano svelte, prese dai loro impegni. Un bambino biondo e una ragazzina con delle trecce mi passarono accanto, appiccicandosi mani e bocca con una nuvola di zucchero filato azzurro.
Una folata di vento mi fece rabbrividire, così tirai su la zip della mia felpa.
Ero in un parco, numerosi sportivi facevano jogging e mamme camminavano dietro i loro figli.
Quella era New York, la New York per cui ero scappata dall’orfanotrofio e per la quale ero finita in riformatorio. Ed era ancora più meravigliosa di come me la ricordassi.
–Muoviti, Tori, la gente ci sta guardando male.
La voce di Pride mi riportò alla realtà.
–Eh?- feci io, come uscita da un sogno.
Il ragazzo-leone mi sventolò una mano a un palmo da naso. –Terra chiama Tori, rispondi!
Lo allontanai brusca. –Smettila- ordinai. –Sapresti dirmi dove siamo?- domandai subito dopo.
–A Central Park. Vogliamo cercare un Ereditario o preferisci rimanere impalata in questo punto?- rispose.
–Andiamo- grugnii. –Hai già fiutato una traccia con quel bel tartufo che ti ritrovi?
-Non ancora- ammise.
Ci addentrammo nel parco, seguendo un sentiero qualunque. La primavera era alle porte, ma il rigore dell’inverno non se n’era ancora andato del tutto. Fantasticai su come dovesse essere Central Park con gli alberi in fiore e l’erba verdissima, invece che di un giallo stinto.
Adocchiai un paio di scoiattoli, ma non facevo in tempo ad indicarli che quelli scomparivano immediatamente. Pride sembrava del tutto indifferente, dopotutto, doveva aver attraversato New York molte più volte di me, finendo per non stupirsi più di nulla.
Annusai l’aria, cercando di sentire un odore particolare, ma fui colpita da qualcos’altro: un profumo dolce, che veniva da un baracchino ambulante. Mi avvicinai, lasciando Pride andare avanti senza di me.
–Ehi, bionda, vuoi un waffel caldo?- mi chiese l’uomo di mezza età, con un cappellino degli yankee, che gestiva il tutto.
Mi fermai un attimo a riflettere sul perché mi avesse detto “ehi, bionda” dato che ero mora, ma il profumino della cialda che stava friggendo in quel momento me ne fece dimenticare. Non sapevo nemmeno cosa fosse di preciso un waffel, però domandai ugualmente quanto costasse.
–Per te, tre dollari e mezzo- rispose con un mezzo sorriso, aggiungendo –Sono o no a buon mercato?
Frugai nelle tasche della felpa, poi in quelle dei pantaloni, alla ricerca dei soldi, ma non ne trovai traccia. Se avessi saputo che andavo a New York, mi sarei ricordata sicuramente di portarne.
Feci per dire che ero al verde, quando Pride si affiancò a me e porse le banconote all’uomo. Ordinò:–Due, per favore- lanciandomi subito dopo uno sguardo complice.
Alzai un sopracciglio.
Il ragazzo-leone mi porse una mano. –Tregua?
Vidi l’uomo con il cappellino tagliare a metà un waffel, metterci due cucchiate di nutella e una spolverata di zucchero a velo. Pride mi porgeva ancora la mano.
–Tregua- accettai, stringendogliela.
Prendemmo ognuno il proprio waffel. Mentre lo addentavo famelica, una vecchina ammantata in una pelliccia ci mostrò un sorriso sdentato e sputacchiò:-Che carine le coppiette d’oggi.
E se andò via prima che io o Pride le saltassimo addosso. Sbocconcellai il dolce, assaporando il sapore vellutato dello zucchero, quando mi sorse un dubbio.
Mi rivolsi a Pride:-Ma non si spaventano? Voglio dire, ho un arco e una faretra piena di frecce sulla schiena, tu addirittura una spada legata al fianco!
Lui si limitò a scrollare le spalle. –Gli umani non le vedono, o meglio, vedono qualcos’altro.
Sollevò la sua spada, mostrandomela in controluce. Assomigliava vagamente a un tagliacarte. Ridacchiai, pensando a quanto dovesse sembrare stupido un ragazzo che se andava in giro con un tagliacarte.
–Tu hai una pinza per capelli con delle piume- mi informò.
–Non male- commentai.
Feci per aggiungere qualcos’altro, ma mi fermai. Avevo sentito qualcosa. Come una brezza leggera, che profumava di muschio e fragole acerbe. Proveniva da dietro una collinetta, subito dopo una svolta del percorso dove pochi si aggiravano. Anche Pride si era irrigidito affianco a me.
Doveva essere quello l’odore che emanavano gli Ereditari.
Senza nemmeno consultarci, corremmo in quella direzione. Un gruppetto di ragazzi che andava dai sedici ai venticinque anni camminava con apparente tranquillità, ma si vedeva da come confabulavano e da come lanciavano occhiate furenti ai maratoneti che erano nervosi.
Rallentammo il passo per recuperare fiato, la collinetta era ormai dietro di noi.
Un ragazzo afroamericano di circa diciassette anni, con dei lunghi capelli neri rasta e occhi cioccolato, con punti luce verdi, alzò lo sguardo su di noi. Riscosse un compagno alla sua destra, indicandoci con il mento. Quello ci guardò, assumendo un’espressione contrita.
–Non mi piace- dissi piano.
–No, infatti- convenne Pride, teso.
Pian piano, tutti i membri del gruppo si accorsero di noi, puntandoci feroci. Aspettarono che la via fosse completamente deserta e che nessuno venisse in questa direzione, poi, scattarono. Ad alcuni spuntarono delle corna ricurve, come zanne di elefante ripiegate molte volte su se stesse, mentre le spalle si allargavano, mostrando una folta peluria bianca.
Il ragazzo-leone mi lanciò uno sguardo allarmato. –Scappiamo?
Era una domanda strana detta da lui, orgoglioso com’era, ma non mi fermai a rimuginarci sopra molto.
–Scappiamo- convenni.
Gettammo a terra i waffel, mettendoci a correre su per la collina. Una sottospecie di ululato, molto simile al suono che producevano i corni dei centauri, provenne dalle nostre spalle.
Imprecai mentalmente. Il rombare degli zoccoli mi fece rabbrividire.
Quelle erano persone speciali, sì, ma non di quelle che si volevano unire alla nostra causa. Sentii un tonfo alla mia destra, ma non feci in tempo a voltarmi che qualcosa mi gettò a terra.
Ruzzolai lungo l’altro versante della collina, stringendo i denti ogni volta incontravo un ramo caduto, una radice o una pietra. Quando, alla fine, mi fermai, vidi incombere su di me la figura grottesca e spaventosa di un’enorme capra gigante, con corna dorate ricurve che mi puntavano la gola e zoccoli decisamente troppo grossi  per essere normali.
Deglutii. Ci eravamo imbattuti in un gruppo di arieti.
Guardai Pride, che si trovava nella mia stessa posizione. Capii perché aveva preferito darsela a gambe piuttosto che combattere: non ci sarebbe stata alcuna possibilità.
Sentivo di dover dire qualcosa, magari una supplica, ma quello che mi uscì fu un “se volevate un waffel bastava chiedere”. Il che non li rese molto felici. L’ariete emise uno sbuffo caldo e qualcosa mi bagnò i capelli. Sperai vivamente che non si trattasse di moccio di capra gigante.
–Chi siete?
Cercai di capire chi avesse parlato, e scoprii si trattasse del ragazzo afroamericano che ci aveva visti per primo.
–Ereditario del Segno del Leone e del Sagittario- rispose in un ringhio Pride. –Ariete?- chiese per ricevere conferma.
Il ragazzo annuì. -Gemelli mi aveva detto che anche voi avevate iniziato la ricerca per portare dalla vostra parte altri Ereditari. Non siete così svegli come pensava lui, però.
Pride ringhiò, cupo, e l’avrei assecondato anch’io se ne fossi stata capace.
–Siete venuti a unirvi alla parte dei futuri vincitori?
-Non sei sveglio neppure tu se pensi davvero che qualcuno voglia passare dalla tua parte- ribatté il ragazzo-leone.
L’Ereditario del Segno dell’Ariete fece un cenno alla capra gigante che incombeva su Pride, la quale schiacciò con uno zoccolo il suo petto. Lui boccheggiò.
Sentii montare la rabbia; non eravamo esseri insulsi, quella situazione in stile mafioso non mi piaceva per niente.
–Ehi- esordii dura, attirando tutta l’attenzione su di me. –Devi essere debole se ti circondi di tanti amichetti. Come vedi, noi siamo capaci di andare in giro da soli. Scommetto che non saresti stato in grado di sopraffarci da solo.
Mi pentii immediatamente di averlo accusato in quel modo, però il desiderio era troppo forte. Le sue labbra si schiusero in un ghigno, ma fermò l’ariete che incombeva su di me con un gesto sbrigativo della mano.
Si inginocchiò vicino a me, mi prese il viso tra le mani e mi costrinse a guardarlo negli occhi. Puzzava di paglia sporca e incenso, e sarebbe stato un bel giocatore di football, se non fosse stato per l’enorme naso a patata schiacciato sulle narici e il sorriso sghembo.
Mi fissò intensamente, con interesse, prima di sussurrarmi all’orecchio:-Di’ a Pholos che Ismar Nan, Ereditario del Segno dell’Ariete, vi lascia andare solo perché vuole gustarsi la vostra morte in battaglia, non in un parco con tutti i suoi “amichetti”.
-Se credi di farmi paura ti sbagli- replicai, fredda.
Di certo in forma umana non mi spaventava, mentre la sottospecie di montone sopra di me molto.
Lui sembrò divertito da quella risposta. –Non intendevo farlo, credimi.
Si alzò, lasciandomi il viso, e si avviò giù per la collinetta, seguito dai suoi seguaci, che pian piano ritornavano umani.
Li lasciai allontanarsi un po’, prima di alzarmi e aiutare Pride a mettersi in piedi. Si portò una mano alla costole, tastandole cautamente, mentre cercava di nascondere una smorfia di dolore.
–Direi che per oggi la ricerca è finita.
-Già, torniamo a casa- concordai. –Puoi far comparire un altro portale?
Pride scosse la testa. –No, sulla Terra nessun dio ci aiuterà mai se non in caso di estremo bisogno. Dobbiamo arrivare in un luogo dove la comunicazione tra mondi è stabile.
-Al McDonald’s- intuii.
–Esatto. Forza, prima andiamo prima ritorniamo.
Raddrizzò le spalle, iniziando a camminare. Cercai di darmi una sistemata durante il percorso, ma quando chiesi a Pride se quello che avevo tra i capelli fosse muco di ariete, la risposta fu “sì”. Sperai che la folla tra le strade mi facesse confondere tra la marea di persone stravaganti che abitavano New York.
Il ragazzo-leone sembrava conoscere il percorso a menadito, così mi limitai a stargli dietro mentre mi guardavo attorno. C’era molte, troppe persone che controllavano cellulari, altri che osservavano le borse delle signore in cerca del momento migliore per rapinarle, ragazzi che si portavano dietro uno stereo e rappavano strofe spesso nemmeno in rima. Notai una pattuglia della polizia bloccare un uomo contro la vetrina di un negozio, mettergli le manette e riferirgli i suoi diritti.
Mi fermai un attimo a osservarli, facendo aspettare anche Pride che, non sentendomi al suo fianco, tornò indietro.
–Tori…- sospirò.
Mi voltai sobbalzando, giusto in tempo per vedere un tizio scontrarsi con lui. Pride si piegò in due, portandosi una mano al fianco, mentre l’uomo interrompeva la sua conversazione al telefono e strillava irritato:- Stia attento, non si deve mica fermare in mezzo alla strada!- e si allontanò.
Mi avvicinai, allarmata.
–Tutto a posto?- chiesi, cercando di essere il più gentile possibile.
–Sì- tagliò corto lui.
–Dovresti farti dare un’occhiata da Pholos quando arriviamo al villaggio dei centauri- continuai invece.
–Non c’è bisogno di farsi visitare da tuo padre per scoprire che mi verrà un livido- replicò, scocciato.
Si tirò su, dandomi le spalle, e percorse a passo spedito la via dove si trovava il McDonald’s abbandonato. Entrammo con facilità, senza che nessuno ci chiedesse nulla, e andammo immediatamente sul retro del locale, dove il portale-frigorifero ci aspettava.
Aprii l’anta e, questa volta senza esitazione, mi infilai dentro, lasciandomi trasportare in un altro luogo.

 

Pholos fu sorpreso dal vederci tornare già così presto, ma quando gli raccontammo quello che era successo non mosse obiezioni. Pride omise, senza nemmeno consultarmi, la parte in cui un ariete lo schiacciava a terra.
Detta così, sembrava che avessimo semplicemente giocato ai rotoloni a Central Park.
Nonostante mio padre avesse un notevole colpo d’occhio, Pride mistificò benissimo qualsiasi tipo di dolore o privazioni dovuti a una possibile ferita. Si offrì di segnare lui la stanza dell’Ereditario dell’Ariete con la pittura rossa, però Pholos preferì fare da sé.
Il ragazzo-leone andò nella sua stanza, non uscendo se non per cenare, parecchie ore più tardi.
Ma io lo osservai attentamente intingere il pennello nella tintura e disegnare una X rossa sulla porta destinata a Ismar Nan. E non potei non sentirmi male al pensiero che quel ragazzo sarebbe potuto diventare un mio compagno, aiutarmi nella ricerca degli Ereditari e magari diventare mio amico.
Non mi era piaciuta la sensazione che avevo provato appena entrata in casa, guardano le X sulle altre porte, e questa volta mi piacque ancora meno.
Sapeva di non ritorno, di aver oltrepassato un confine invalicabile.
Non volevo che altri ragazzi come me non avrebbero mai potuto avere una stanza tutta loro qui al villaggio dei centauri, o magarli averla con la X.
No, non era quello che avrebbe permesso una degna portatrice del Segno del Fuoco.
Dovevo trovare gli altri Ereditari, e presto.

***
Angolino dell'autrice
All'alba di questo nuovo giorno, mi decido a aggiornare. Come l'ospite di questa serata, Piero Angela, può confermare io sono in orario perfetto.
Sempre che tu sia al di fuori del normale scorrere del tempo.
E io lo sono! Non devi contraddirmi, Piero , capito? Ho tuo figlio in ostaggio.
Va bene,  va bene.
Ok, ci siamo chiariti u.u Cosa succede in questo capitolo? Be', scopriamo che Pride è legato a Victoria e viceversa, e che possono "sfruttarsi" a vicenda in situazioni di bisogno. O anche non, visto che mi piace metter su casini. Cosa te ne pare, Piero Angela?
Una trovata degna del cervello di un criceto, che sono roditori, e che risalgono...
Taci! Sono sicura che volessi dire ch è una trovata da Percy-criceto, quando viene trasformato in porcellino d'india da Circe.
Ehm..... certo.
Comunque, i due Ereditari faranno spesso delle gite a New York, comparendo in posti diversi e in momenti diversi, magari persino su una punta della statua della libertà! Il primo incontro non è andato per il verso giusto, visto che gli arieti-mafiosi hanno scombussolato tutto. Magari volevano davvero dei waffel O.o
*coff coff* Nel mondo dove volano gli unicorni *coff coff*
Dov'è finita la tua professionalità? Io non ho problemi a tenere Alberto Angela a sostenere il peso del mondo, nemmeno Atlante è.é Comunque ecco cos'è un waffel
http://www.zuccavuota.it/new/wp-content/uploads/2012/06/gaufre-cioccolato.jpg
Bene, non sono mai stata a New York ;w; quindi se sbaglio a interpretare anni di film e telefilm ditemi tutto con una recensione^^
Tori si preoccupa un po' per Pride, ma lui la evita, quindi gli equilibri rimangono invariati, se non per la "tregua". Troveremo al prossimo capitolo un'Ereditaria tutta sua, che pianterà grane per il leoncino (?)
Alla prossima! :*


Water_wolf

 

 

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Capitolo 9
*** 9. Un tuffo imprevisto al centro commerciale ***


 
9.Un tuffo imprevisto al centro commerciale

Di comune accordo, non aspettammo nemmeno un giorno e ritornammo subito a New York. Mi vestii più calda, vista la temperatura, infilandomi una felpa con del pelo all’interno. Feci una colazione semplice, evitando il cartone di succo d’arancia che campeggiava sul tavolo. Al solo pensiero di doverne bere un altro sorso mi veniva il voltastomaco, mi chiedevo come fosse possibile che Pride fosse riuscito a farlo. Doveva avere un coraggio notevole. Intinsi i miei biscotti al cacao nel cappuccino, giocando con la schiuma, finché il ragazzo-leone non brontolò che me la stavo prendendo comoda. Inghiotti le ultime briciole, quasi mi scottai la lingua per terminare il cappuccino, presi l’arco sotto braccio e fui pronta. Raggiungemmo in completo silenzio la radura, dove Pride si inginocchiò. Mi fece segno di imitarlo.

–E’ umiliante- protestai a mezza voce, ma capii che era un preciso rituale divino e che io non potevo trasgredire le regole.

–Apri il portale, oh Ermete- intonammo.

Mi sentii l’idiota di turno, però non obiettai, perché il varco si materializzò davanti a noi. Pride andò per primo, seguito subito da me. Dopo tre viaggi magici, decisamente più veloci di un areo e più economici, non avevo più paura e le sensazioni erano familiari. Avvertii il consueto strappo allo stomaco, vidi il cielo stellato sopra di me, prima di precipitare. Della musica pop ordinaria mi rimbombò nelle orecchie, così come un vociare diffuso mi diede l’idea che, questa volta, non ero comparsa a Central Park. Impiegai qualche secondo per mettere tutto a fuoco e, quando lo feci, mi resi conto di trovarmi in un enorme centro commerciale.

C’erano negozi ovunque, ragazzini che provavano delle cuffie nuove, bambini infilati nei carrelli della spesa, donne con tubini eleganti che facevano provare ai clienti i nuovi profumi della loro boutique. Mi portai istintivamente la mano alla tasca della felpa, toccando la pelle del mio portafoglio. Non ne avevo mai avuto uno, visto che non possedevo soldi e, se anche li avessi avuti, come li avrei potuti spendere se non mi era permesso uscire dalla Brighton? Era una sensazione piacevole, sapere di poter disporre a tuo piacimento di qualcosa, mi faceva sentire importante. Pride mi prese sgraziatamente per un braccio.

–Muoviamoci, odio i centri commerciali- disse, laconico.

–Perché?- domandai, interdetta.

Insomma, era un luogo dove potevi comprare di tutto, anche se c’era una certa confusione. Il ragazzo storse il naso.

–Troppi bambini.

-Non è una risposta sensata- gli feci notare, putando i piedi.

Lui ruotò gli occhi, scocciato.

–Non m’importa!- sbuffò.

Mi trascinò via, cercando il pannello che indicava i punti di uscita. Borbottai insulti e maledizioni contro di lui, sperando intimamente che qualcosa ci impedisse di abbandonare il centro commerciale. Lo ammetto: volevo farmi un giro e comprare un souvenir, anche inutile, ma pur sempre un oggetto che mi ricordasse che non ero più prigioniera della Brighton e che potevo avere una certa dose di normalità nella mia vita, come tutte le adolescenti. Pride si stava quasi spiaccicando contro un pannello dalle tinte vivaci, percorrendo con l’indice i nomi dei negozi in cerca di un’uscita. Strinse gli occhi su un punto particolare, poi emise un ringhio basso e irritato, prima di tirare un pugno contro il cartello. Spalancai gli occhi.

–Pride!- urlai allarmata, ma non volendo attirare troppe attenzioni, mi limitai a sibilare inviperita:- Sei pazzo!? Non puoi sfasciare tutto se non ottieni quello che vuoi!

-Non trovavo l’uscita- si giustificò, ritirando la mano, lasciando un buco circolare nel mezzo del pannello informativo.

–Così non la troverai di certo!- sospirai, esasperata.

Pride era strano, non solo perché era speciale e poteva trasformarsi in un leone, ma perché aveva dei comportamenti bizzarri, esattamente come questo: perché aveva distrutto un innocuo cartello in un centro commerciale? O era spaventato a morte dai bambini o il brano riprodotto al momento era davvero penoso, oppure c’era qualcosa che non voleva dirmi e che era la ragione di quella reazione. Stavo per dargli una bella strigliata, ma un odore di muschio e fragole mi fece rizzare i peli sulla schiena.

Guardai Pride, in cerca di conferma al sentore, e non ci fu bisogno di parole; annuimmo all’unisono e scattammo a correre nella direzione dove proveniva il profumo. La gente ci osservava stranita, ma non ce ne curavamo. Se avessero saputo che stavamo operando sotto copertura come James Bond per salvare New York da un’invasione di esseri fantastici, non credo avrebbero avuto di che ridire. All’improvviso, il ragazzo-leone mi tirò verso di lui, facendomi appiattire contro il muro di un bagno pubblico.

–Ci sono troppi testimoni, ci serve un diversivo- sussurrò.

–Oltre che bisbigliare vuoi che ci diamo nomignoli militari come Sierra e Cobra?- domandai, ironica.

Pride mi scoccò un’occhiataccia. Alzai le mani in segno di resa, nonostante dubitassi che ci fosse qualcuno interessato a due ragazzi nel bel mezzo di un centro commerciale di quelle dimensioni. Feci vagare lo sguardo in giro, finché non trovai qualcosa che faceva al caso mio: l’allarme anti-incendio. Lo indicai al ragazzo col mento; lui annuì, trasformò la sua mano in un artiglio e spaccò il vetro protettivo. Pensai vagamente che una ragazza si era dovuta sorbire un mesetto nel riformatorio femminile per aver commesso un reato simile, ma ormai Pride aveva schiacciato con forza il pulsante rosso. L’allarme scattò immediatamente, trasmesso dagli auto-parlanti e annunciato da sirene. Pochi secondi dopo, l’allegro centro commerciale si trasformò in un inferno.

Aspettammo che la folla sciamasse verso le uscite di emergenza, prima di abbandonare il bagno e correre all’inseguimento dell’odore e dell’Ereditario che lo emanava. Andavamo contro corrente, ma nessuno ci disse nulla, erano tutti troppo preoccupati per mettersi in salvo dal finto incendio. Una folata di profumo intenso mi annunciò che eravamo vicini alla meta. L’edifico si aprì in una rotonda piastrellata, con ai lati delle pizzerie e ristoranti tailandesi e al centro una fontana che zampillava acqua dalla statua di Cupido. Ci avvicinammo, sospettosi, mentre l’odore si intensificava man mano.

Una sensazione mi mise in allarme, ma non feci in tempo a girarmi completamente che qualcosa o qualcuno mi colpì con un calcio nel costato. Caddi all’indietro, inciampando sul gradino che precedeva la fontana e ci finii dentro, sbattendo la nuca a rallentatore. Mi misi seduta di scatto, ignorando il capogiro e respirando affannosamente. Ero completamente zuppa: la felpa calda era un blocco informe di pelo e acqua, i capelli mi si erano appiccicati alla nuca e tutto ciò che doveva rimanere asciutto era andato, mutande, portafoglio e soldi compresi.

Sentii dei passi avvicinarsi e il sibilo di una spada che viene sfoderata e pensai si trattasse di Pride, ma mi sbagliavo. Una ragazza di circa quindici anni, con i capelli biondi e ricci sulle punte, gli occhi azzurri cristallini minacciosi, mi puntava una lama alla gola. Come quando il ragazzo-leone ne impugnava una, la giovane sembrava pienamente cosciente delle sue abilità e pronta a tutto, a differenza della scritta PEACE ricamata in bianco sullo sfondo indaco del suo maglione lanoso.

–Non fare un passo- intimò.

–Anche volendo, in una fontana potrei solo sguazzarci- risposi, piccata.

Diedi così il tempo a Pride di sguainare la sua spada e puntarla al suo collo.

–Non ci provare- minacciò, duro.

Sorrisi, pensando che si doveva sempre contare i nemici e le loro armi, prima di lanciare un’offensiva.

–Ma che bel quadretto!- esultò una voce femminile più lontana, estremamente sarcastica e irritante.

Lo sguardo della bionda saettò verso la nuova arrivata, una ragazza dai capelli riccioluti coi colpi di sole e gli occhi che erano a metà tra il verde acqua e il blu, interamente vestita di nero, fatta eccezione per il rossetto e la gonna scozzese rossa a righe verde palude. Avanzò verso di noi, annusando l’aria con aria noncurante, finché non fu dietro a Pride.

–Ismar aveva sorvolato su dettagli come la tua bellezza…- sussurrò.

Non poté parlare oltre, perché la ragazza lanciò un grido di guerra e attaccò. Pride si abbassò, schivando il colpo, e la l’altra fece un salto all’indietro. Balzai immediatamente in piedi, presi l’arco e una freccia. Erano completamente bagnati e la corda era inutilizzabile in quelle condizioni. Imprecai; ero totalmente indifesa.

Il Sagittario è un segno di fuoco, dovrebbe rimanere sempre asciutto!, pensai. Non sapevo se fossi stata in grado di accendere una scintilla e rimediare ai danni dell’acqua, ma dovevo provare se non volevo che Pride venisse affettato dalla ragazza con la spada e strangolato con una murena da quella vestita in nero. Riavvolsi la frase nella mia mente: il ragazzo-leone rischiava di essere strozzato da una murena!? In effetti, un serpente marrone scuro con riflessi blu e puntini gialli qua e là, stringeva il collo di Pride, sotto l’ordine della giovane in nero. Doveva essere l’Ereditaria del Segno dei Pesci. In un angolo della mente, mi ricordai che dovevo asciugare il mio arco. Seguendo le istruzioni non scritte dei cartoni animati che guardavo qualche volta all’orfanotrofio, mi concentrai sul calore dell’estate, sul fuoco, sul camino a Natale, sul deserto e le sue sabbie bollenti… Guardai speranzosa la mia arma ed esultai. Da bagnato che era, adesso era asciutto e pronto all’uso.

Incoccai velocemente una freccia, mirai all’Ereditaria del Segno dei Pesci e scoccai. Lei sentì il sibilo dell’arma, ma non riuscì a scansarsi completamente. La ferii alla spalla destra, costringendola a mollare la presa su Pride. Il mio compagno respirò a fondo e sfoderò un affondo contro la bionda, che lo parò prontamente, anche se con una smorfia evidente. Cercai la ragazza in nero per la piazzetta, ma era come scomparsa.

–Che ca…

Non completai la frase, perché un pugno mi colpì sul naso. Mi piegai in due dal dolore, imprecando a iosa, poi però fui costretta a concentrarmi su un calcio al mio indirizzo. Saltai fuori dalla fontana, scivolai per via delle scarpe bagnate e slittai all’indietro, cadendo addosso alla ragazza bionda, che stava ruotando su se stessa per evitare un colpo di Pride. Me la ritrovai sotto, ansimante, mentre studiava il mio viso con gli occhi azzurri dilatati. I miei capelli gocciolavano sulla sua faccia.

–Le tue mani sono sulle mie tette- fu la prima frase che disse.

Sentii la faccia andare in fiamme.

–Ehm… scusa, n-on volevo- farfugliai. –Sagittario, e tu?- domandai poi, cercando di scoprire la sua identità. 

–Un’idra!- gridò a pieni polmoni.

–Che cosa…? Sei…un’idra?- chiesi, sconcertata.

–Tori!- urlò Pride, lontano da me. –Un drago a tre teste ha intenzione di pranzare con la tua!

La bionda mi fece rotolare via, prendendomi con sé, nel momento stesso in cui le fauci del mostro schioccarono a qualche millimetro dal mio orecchio. Non so come, ma mi rimise i piedi, mi appioppò l’arco e mi ordinò di mirare e colpire. Lo feci, e nella frazione di secondo in cui scoccai, mi resi conto che una creatura mitologica ben peggiore di un centauro si era come resuscitata. Era grossa più o meno come tre cavalli legati insieme, con tre teste piene di spuntoni che spuntavano da tre colli diversi, uniti su un uguale corpo da pollo squamoso e azzurrognolo. Le ali erano richiuse sul petto, mentre dalle bocche penzolavano lingue rosse come fuoco e serpentine, decisamente meno inquietanti rispetto alle zanne bavose e agli artigli ricurvi da Velociraptor. La mia freccia si infranse sulla testa di mezzo senza provocare alcun danno, anzi, l’idra scrollò i tre capi e si voltò di me, squadrandomi cose fossi un hamburger appena fuggito dal gigante affamato.

–Vedi le orecchie?- domandò la bionda, accanto a me.

Studiai il drago; c’erano delle minuscole fessure rotonde, posizionate dietro rispetto agli occhi, e intuii fossero quelle. Annuii.

–Bene, ora devi sbrigarti a centrarle per tutte e tre le teste contemporaneamente, se non vuoi morire. Ci vediamo!

E si allontanò di corsa, la spada pronta a eliminare qualsiasi cosa si fosse messa tra la ragazza e la meta.

–Aspetta!- gridai, ma ottenni in risposta un “ciao!” sbrigativo.

L’idra ruggì, spazzando con la coda una serie di sgabelli di un ristorantino. Non riuscivo a vedere Pride e l’Ereditaria del Segno dei Pesci, ma quello era il minore dei mali: avevo un mostro da uccidere in una maniera quasi impossibile. Mi nascosi di fretta dietro il vaso di una pianta, mettendomi al coperto per poter mirare meglio. Incoccai con cura una freccia, controllando che la corda dell’arco fosse ben tesa. L’idra fiutava l’aria a caccia del suo pranzo, completamente immersa nei suoi pensieri. Mi costrinsi a mantenere la calma, nonostante il cuore mi martellasse nel petto a un ritmo impressionante, e uscii fuori in posizione di tiro. Fischiai per attirare l’attenzione del drago, e le tre teste schizzarono verso di me. Individuai le orecchie e scoccai. La freccia passò attraverso i vari capi, conficcandosi nel muro.

Era avvolta da una sostanza appiccicosa verde muco, e dei pezzetti più sostanziosi mi ricordarono la gelatina della mensa della Brighton. Sentii il bisogno di vomitare. Lo sguardò dell’idra si velò, poi il drago ricadde a terra con un tonfo e si sciolse, diventando una gigantesca pozzanghera di acqua verdognola. La evitai, preferendo costeggiarla, mentre accorrevo verso Pride e la ragazza bionda, che combattevano contro l’Ereditaria del Segno dei Pesci. Il mio compagno schivò un serpente acquatico, ma fu colpito da un pugnale ghiacciato, che lo ferì alla guancia. La riccia non poté fare altro, perché una raffica di vento la gettò contro la statua di Cupido. La bionda balzò su di lei, calando un fendente dall’alto che le avrebbe sicuramente staccato un braccio, se questa non si fosse dissolta nell’acqua, scomparendo.

Il silenziò calò sulla piazzetta, rotto solo dai nostri respiri concitati. Affiancai Pride, domandandogli se stava bene. Lui annuì, ma aveva il fiato spezzato e il sangue dal taglio sullo zigomo gli colava sul collo. La ragazza mormorò “vigliacca” verso l’avversaria svanita nel nulla, pulì la lama della sua spada nell’acqua, che si colorò lievemente di rosso, poi si passò una mano tra i capelli, riportandoseli indietro. Sembrava non le importasse che i suoi stivali militari neri si bagnassero, né che i jeans scuri spruzzati di bianco si rovinassero. Pride rinfoderò la spada e si schiarì la gola, facendola voltare.

–Possiamo sapere chi abbiamo l’onore di incontrare?- domandò, come se gli costasse molto mantenere un tono calmo.

La bionda gli sorrise, amabile.

–Io sono Eltanin, l’Ereditaria del Segno dell’Aquario.

Eltanin Michelle Spark era capace di parlare così velocemente da far spavento. Non la vedevo riprendere fiato, ma pensai fosse impossibile restare in apnea per tutto quel tempo. Ci raccontò la sua avventura con l’Ereditaria del Segno dei Pesci, un certa Nikita Sands, e di come provò a portarla dalla sua parte.

–Mi sembrava di essere sequestrata, costretta a scendere dall’autobus per via di quel sorriso inquietante, e non sapevo davvero che cosa fare. Mi portò in un vicolo e mi raccontò una storia che allora credevo assurda, quella che conosciamo tutti, e mi mostrò come sapeva manipolare l’acqua e evocò qualche pesce palla dal rigagnolo di un tombino. Ed ero tipo: “wow, sembra una nemica di Spiderman”! Ma non mi sono lasciata imbambolare, affatto!- spiegò in qualche frazione di secondo.

Riprese la sua velocità normale, impostata su “turbo”. –Voleva portarmi nel mondo parallelo al nostro, però, avevo intuito che non fosse esattamente una paladina, così ho rifiutato e sono scappata. A casa ho trovato una boccia di vetro con dentro un pesce rosso, una spada sul letto e un post-it giallo evidenziatore che recitava: “prendili e capirai”. Lo ammetto: ho dato di matto, visto che non ti capita tutti i giorni di essere quasi sequestrata e subito dopo un maniaco del medioevo si introduce nella tua stanza e ti regala un’arma, giusto?

-Sì- risposi, e Eltanin mi risucchiò nel suo vortice di parole.

–Esatto! Quando ho preso la spada per buttarla giù dal balcone, ho sentito un dolore incredibile alla schiena e sono caduta a terra, come se avessi le convulsioni. E, dopo essermi alzata, alla fine di quell’”attacco”, la maglietta mi si è strappata, lasciandomi nuda! Avrete capito che cosa ho visto poco dopo alla specchio, no? Un tatuaggio sulla mia schiena!

Continuando di questo passo, raccontò che Nikita l’aveva ripresa a scuola, dove le aveva rivelato la sua identità ed era arrivata alla forza pur di portarla con sé.

–Dopo aver sentito il suo nome,- commentò Eltanin, quasi sottovoce – mi ero immaginata un’agente della CIA con una tutina nera aderente e super sexy, con il distintivo sul seno, invece era solo una ragazza un po’ punk con la storpiatura del nome di una banana!

Comunque, Eltanin si era difesa come meglio aveva potuto, scoprendo che sapeva dominare il vento. L’Aquario, di fatto, era un segno d’aria. Da quasi una settimana scappava dai nemici, con la spada che sapeva usare meglio di un cavaliere del 1200 nonostante non avesse mai fatto scherma. Confermò che con in pungo quell’arma non era più lei, ma diventava più sicura e sanguinaria di quanto dovrebbe essere normalmente una teenager. Scoccai un’occhiata a Pride, che grugnì, segno che quell’abilità era una dote dell’Aquario. Non interveniva molto, ma si teneva a distanza, come se fosse infastidito dalla presenza della bionda. Lei, da parte sua, quasi non lo vedeva, parlando con me e gettando riferimenti casuali al ragazzo-leone.

–Volevo tendere un agguato a Nikita e farla finita, ma siete arrivati voi e ho creduto foste i suoi rinforzi, così ho attaccato Victoria perché mi sembrava la più debole- spiegò.

-Grazie- borbottai io in risposta.

Intanto, camminavamo verso casa sua, dopo che aveva provveduto ad asciugare me e lei. Non smise di raccontare e commentare la sua esperienza nemmeno quando dovette aprire la porta dell’appartamento, situato al settimo piano di un condominio in mattoni rossi.

–Io aspetto fuori- sentenziò Pride, e appoggiò la schiena al muro.

–Stavo per dirti che non sono permessi cani e gatti qui- replicò Eltanin, sfuggendo all’occhiataccia del ragazzo-leone voltando le spalle.

La bionda andò in cucina, un piccolo locale annesso al soggiorno, e mi lanciò un panetto di ghiaccio. Lo afferrai al volo, riconoscente, e lo appoggiai sul naso, avvertendo una frescura piacevole. Mi passò anche del disinfettante, del cotone e un cerotto, che consegnai a Pride, in modo che potesse medicarsi. Il ragazzo-leone osservò scettico il cerotto, prima di gettarlo via e bofonchiare una maledizione. Ritornai da Eltanin, che aveva aperto un borsone enorme sul letto e ci stava ficcando dentro l’intero guardaroba.

–Dove stai andando avrai vestiti nuovi, quelli vecchi non ti servono!- la fermai, ma la bionda scrollò le spalle.

Prese una canottiera lunga, di almeno due taglie più grandi, con una stampa a caratteri psichedelici di un gruppo musicale a me sconosciuto.

–Non credo che ci sarà ciò che piace a me, come questa meraviglia- ammiccò al capo con gli occhi che brillavano. –Non mi serve roba da fighetti, molto meglio essere originali, creativi.

Corrugai la fronte. –Secondo te mi vesto da “fighetta”?- domandai.

Eltanin annuì. –Be’, non è colpa tua, se hai solo i vestiti che portano tutti. Scommetto che al villaggio dei centauri non hanno magliette dei Pink Floyd, vero?

Non sapevo nemmeno chi fossero i Pink Floyd, ma immaginai di no. La bionda stipò una quantità innumerevole di capi, stivali e scarpe da ginnastica con la suola alta cinque centimetri, dei libri e quaderni colorati, assieme a confezioni di matite, l’iPod e il cellulare. Chiuse la zip, si fece pensosa per un attimo, poi schioccò le dita e mi porse una boccia di vetro dove nuotava pigro un pesce rosso.

–Non posso abbandonare Pong- disse, accarezzandolo attraverso il piccolo acquario.

All’improvviso, mi resi conto che Eltanin stava per lasciare per sempre la sua casa senza mostrare il minimo rimpianto.

–I tuoi genitori non si preoccuperanno se non ti troveranno a casa?- chiesi.

Lo sguardo della bionda si velò di un’ombra scura.

–Si preoccuperanno, sì, ma smetteranno presto di cercarmi. Il divorzio, mia mamma che ha tre lavori diversi per mantenere me e lei, papà che paga di malavoglia la retta della scuola… sai come vanno a finire queste cose: alla fine, è molto meglio se togli il disturbo.

Appoggiai il panetto di ghiaccio sul letto, stringendomi al petto Pong.

–Non avrei dovuto impicciarmi, mi dispiace- mi scusai, sentendomi in colpa.

Eltanin fece una risatina isterica e mi sorrise. –Non farlo, non ne hai motivo. Avevo progettato d scappare già altre due volte, mi mancava solo il coraggio.

Detto ciò, si mise in spalla il borsone e si avviò verso la soglia. Percorremmo le vie di New York diretti al McDonald’s abbandonato, dove si trovava il portale capace di riportarci al villaggio dei centauri. Eltanin lo trovò adorabile, mentre Pride borbottò qualcosa sulla fuga dei cervelli. Quando le facemmo vedere il frigorifero, lei spalancò gli occhi, mostrando la sua iride azzurra sgranata, e fece un salto indietro. Pensai fosse spaventata, invece, la bionda strillò:- Che forza! Fa tanto Ritorno al Futuro in versione moderna!

Non esitò un attimo a intrufolarvisi dentro, eccitatissima all’idea di poter vedere creature mitologiche come i centauri. Prima di passare dall’altra parte, però, fermai Pride per chiedergli perché si comportava in modo strano da questa mattina.

–Il Leone e l’Aquario sono segni opposti, Tori.

-E allora?

-Allora, è un miracolo se non ci uccidiamo a vicenda. Per questo ci ignoriamo, non credo che qualcuno sarebbe capace di divederci, una volta iniziato a combattere- spiegò. Si passò una mano tra i capelli, scostandosi i riccioli dalla fronte. –Preferivo gli arieti a questo.

Gli sorrisi, rassicurante. –Avanti, riuscirai a sopravvivere.

-Di questo ne sono certo, ma temo per la salute di Eltanin.

Chiuse la conversazione con quella frase, entrò nel frigorifero e scomparve. Lo seguii, venendo catapultata nella radura. La bionda era impietrita, intenta a contemplare il paesaggio, con la lieve brezza che le scompigliava i capelli biondissimi alla luce del sole. Subito dopo, aprì la zip del borsone e tirò fuori il cellulare, ci armeggiò per qualche minuto, prima di esultare:- Ci credete che qui c’è il wi-fi al massimo?

Con il telefono alla mano, si avviò tranquillamente verso il villaggio dei centauri, ignorandoci completamente. Oltrepassammo il fiume, dove speravamo di trovare mio padre. Lo incontrammo in forma ibrida vicino alla foresta, prima della nostra casa bianca, mentre parlava con un altro centauro. Quando ci vide arrivare, congedò l’uomo-cavallo e si diresse verso di noi. Sorrise a Eltanin che, alzati gli occhi dal cellulare, era rimasta a bocca aperta. Scrisse velocissimamente un post su un social network, da quello che riuscivo a leggere si chiamava Twitter, che conteneva una frase del genere “Incontro più eccitante della mia vita: incontrare un centauro per davvero”.

–Benvenuta al nostro villaggio, spero potrai trovarti bene…

-Eltanin Michelle Spark, Ereditaria del Segno dell’Aquario- recitò a macchinetta la ragazza.

Strinse energicamente la mano di mio padre, combattendo con lo stupore di sentirla realmente sotto le dita. Fece un gesto vago con le braccia, prima di mormorare, estremamente grata:- Mi ambienterò benissimo. Grazie per la meravigliosa connessione.

Lo oltrepassò, di nuovo faccia rivolta al telefono, e si allontanò verso l’edificio nel mezzo della foresta. Pholos era interdetto, ma anche divertito da quella strana ragazza, appena aggiuntasi alla nostra schiera. Quello era l’arrivo strampalato di Eltanin Michelle Spark, Ereditaria del Segno dell’Aquario.

***

Angolino dell'Autrice:

Buongiorno a tutti, ecco qui il nono capitolo! Non so perché il codice HTML abbia messo questi spazi quando andavo a capo, non sono pratica, mi spiace per la grafica^^"

Presentata la nuova Ereditaria, una personcina decisamente stramba, che passa dalla modalità "combattente concentrata e micidiale" a "teenager che parla a macchinetta e maniaca delle connessione internet"^^ E' un personaggio particolare come il suo segno: l'Aquario. Si scrive senza "c" se ci si riferisce alla costellazione, non mi sono inventata tutto, anche se qualche volta si trova scritto con la "c", anche se meno corretto. Dovrebbero essere persone creative, che si creano un loro 'io', e tra loro c'era anche Galileo Galilei *3* Il colore è il blu, come gli occhi, e l'elemento è l'aria che perciò sa dominare. Dà parecchia importanza all'amicizia ed è in opposizione al segno del Leone, come dice il nostro Pride. Si scanneranno a vicenda? Lo scopriremo nella prossima puntata!

L'Ereditaria di Pesci, invece, è un personaggio con un profilo più basso, ed è tra i cattivi sostanzialmente per una ragione: il segno è "instabile", infatti un pesce va verso la luce e uno verso l'oscurità, nei disegni, segno che a volte prende il sopravvento uno a volte l'altro. Capace di evocare creature marine, manipolare l'acqua e trasporrtasi dove ce n'è quando le pare, ha rischiato di trovarsi senza un braccio nella prima versione dei fatti x''''D

Rigurardo all'idra che evoca, nel medioevo è genericamente un nome per indicare un drago con molte teste -anche nove!- che io ho sempre associato all'acqua, anche se senza riferimenti. Se non siete d'accordo con questa mia visione, è da imputare a me e me soltanto. Mea culpa.

Il resto credo sia chiaro, o almeno spero... ^^" Vi lascio qui il prestavolto di Eltanin, deciso con la mia artdirector Marta, che ora sorriderà di fronte al suo nuovo titolo.

Sì, deliri a parte, spero che il capitolo vi sia piaciuto, nel prossimo si parlerà un po' del nuovo personaggio e ne troveremo un altro. Non dimenticatevi di dirmi cosa ne pensate di Eltanin! c:

Alla prossima

 

Water_wolf

 

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Capitolo 10
*** 10. Partecipo a una manifestazione contro la Corrida ***



 

10. Partecipo a una manifestazione contro la corrida

Eltanin si ambientò con facilità, accettando di buon grado le regole di Pholos e i compiti che le spettavano, soprattutto se questi le davano modo di stuzzicare Pride. La mattina, i due si sfidavano a duello con le spade, e non avrebbero smesso finché uno non sarebbe riuscito a sconfiggere l’altro. Era tutta colpa mia e dell’idra, che li avevamo interrotti al centro commerciale, e lo scontro non aveva decretato un vincitore.
Si fronteggiavano, senza nessuna protezione, facevano il saluto e poi scattavano. Riuscivo a malapena a seguire i movimenti, tanto erano veloci, e facevano di tutto per mettere in difficoltà l’avversario, sfruttando trucchi e inventando nuove mosse sul momento. Nessuno era in grado di divederli durante il duello, solo il richiamo della fame li distraeva dai loro intenti omicidi.
E anche a tavola non facevano che sfidarsi: chi puliva il piatto più in fretta, chi riusciva a mettersi in bocca più pennette al sugo, chi beveva più bicchieri d’acqua, chi risucchiava la minestra più forte o chi la mangiava più silenziosamente… io, intanto, scambiavo occhiate imbarazzate con Pong, il pesce di Eltanin.
Beato lui che aveva una memoria di tre secondi: era estremamente fastidioso sentire quei due battibeccare per ogni cosa. Pholos mi aveva avvertita che quello era il minimo, ed era già tanto se non avevano tentato un omicidio.
–Chi è il mio segno opposto?- gli avevo chiesto per curiosità.
Mio padre si era grattato il collo con un certo nervosismo. –Gemelli.
-Be’, almeno è un nemico- avevo replicato, ma non era molto rassicurante sapere che il capo della fazione avversaria bramava il tuo sangue più di ogni altro.
La situazione si era scaldata solo quando Pride aveva “bollito” Pong. Eltanin mi aveva chiesto di cambiargli l’acqua della boccia, ma io me ne ero dimenticata, lasciando il pesciolino in bella vista sul lavabo della cucina. Era stato il ragazzo-leone a occuparsi di Pong, scegliendo però una temperatura piuttosto calda. Così, il piccolino era diventato una zuppa di pesce lesso.
Dopo aver tentato di tagliare la gola di Pride con una forchetta, Eltanin aveva preso la vernice rossa e aveva scritto sulla porta di Pride, a caratteri cubitali: ASSASSINO BRUCIA NEL TARTARO.
Il Tartaro era l’equivalente dell’Inferno per i Greci, qui al villaggio dei centauri lo sapevano tutti, e anche io l’avevo studiato in uno dei libri che mi aveva dato Pholos. La mattina seguente, mio padre cancellò le lezioni di scherma e spedì me e Pride a New York, dove di solito andavamo nel pomeriggio.
La caccia agli Ereditari non aveva dato frutti in quei quattro giorni, la tensione era salita e tutti si aspettavano un altro successo. Eltanin non aveva più attraversato il portale, sarebbe stato pericoloso averla con noi vista l’insistenza di Nikita e delle probabili ricerche della polizia.
La bionda si chiuse nella sua stanza, alzò il volume dello stereo e si isolò dal resto del mondo. Pride sfoggiava un sorrisetto beffardo da quando si era alzato, incurante della musica sparata a tutto volume che si sentiva fino al fiume, contentissimo di avere a disposizione un’intera giornata lontano da Eltanin.
Stava contando i soldi che gli servivano per della vernice gialla, in modo da poter ridipingere la sua porta. Gli tirai un pugno sulla spalla.
–Sei un idiota.
-Lo aggiungerò alla lista degli insulti che mi sono stati fatti: idiota è subito dopo “assassino di pesci che deve bruciare al Tartaro”.
Gli scoccai un’occhiataccia. –Potevi non uccidere Pong, El ci teneva!- lo apostrofai.
Pride ghignò. –Appunto.
Lo guardai torva. –Idiota- brontolai. –Apri il portale.
Il ragazzo-leone si inginocchiò, seguito da me, e declamò la formula di rito. Si aprì la visuale stellata, sempre suggestiva, ma ormai abituale, del passaggio. Ci entrammo uno di seguito all’altro, e ci lasciammo trasportare a New York.
La confusione che mi invase le orecchie mi stordì. Gente gridava, sventolando cartelloni molti colore con simboli e slogan diversi. Persone di ogni età si accalcavano in una grossa strada, intralciando il traffico e facendo strombazzare i clacson delle auto di molti lavoratori. Una bomboletta che lanciava gas rosa confetto mi volò sopra la testa.
–Che cosa sta succedendo?- gridai, per sovrastare tutta quella confusione.
–Una manifestazione di qualche genere!- urlò Pride in risposta. –L’efficienza di quel portale è sorprendente!
Facemmo dietro front, in cerca di un luogo meno caotico da dove poter iniziare le ricerche. Passammo accanto a un corteo di ragazzi delle scuole superiori vestiti solo con dei pantaloni; sul petto di ognuno c’erano una o due lettere, che insieme formavano la scritta: NO ALLA CORRIDA. I TORI SONO NOSTRI AMICI. Come mai si protestasse contro un divertimento che accadeva in Spagna a New York, non lo sapevo.
Percorremmo una via parallela all’East River, dove i manifestanti erano meno e meno confusionari. I rumori della protesta erano più fievoli in quel punto, ma comunque presenti, un basso ronzio nelle orecchie.
Pride si riavviò i capelli ricci, sospirando.
–Non troveremo mai un Ereditario con tutta questa confusione- si lamentò.
–Andiamo, non vorrai dirmi che hai già gettato la spugna?- chiesi.
Pride ringhiò piano. Era un gesto che faceva spesso quando qualcosa gli dava sui nervi, come un cane che alza il pelo, e ogni volta mi domandavo se avrebbe mai fatto le fusa a una ragazza che lo attraeva. Un micione in formato gigante.
–Manhattan è grande, preferisco cominciare lontano da questa manifestazione- tagliò corto.
Vagammo senza una meta precisa per un’ora buona, aggirandoci per la zona, attenti a ogni odore sospetto. All’improvviso, Pride mi fece fermare. Indicò il marciapiede opposto, dove un’ordinaria ragazza con un caschetto castano stava scendendo da un taxi. Mi concentrai su di lei, annusando l’aria.
Una leggera brezza muschiata mi invase le narici, ma tanto bastò.
Corremmo come pazzi verso quella ragazza, rischiando più volte di farci investire dalle automobili, ma non potevamo permetterci di perderla. Intanto, la bruna aveva indossato una felpa verde prato con un logo rosso, uno dei tanti presenti alla manifestazione.
Si stava avviando verso delle altre ragazze, ferme a chiacchierare di fronte a una boutique con un caffè in mano. Mi voltai verso Pride, ma scoprii che non era più accanto a me. E adesso dove si era andato a cacciare?
Fui attirata da uno strillo qualche metro più avanti.
–Stia attento a dove va!- apostrofò la ragazza che cercavamo.
–Mi dispiace molto. C’è qualcosa che posso fare per aiutarla?- domandò con cortesia un Pride gentiluomo, che aveva appena rovesciato del caffè addosso alla bruna.
Lei sembrò accorgersi solo ora che si trovava davanti un coetaneo, bello e prestante, che le aveva appena offerto una mano. Gli sorrise, facendo brillare gli occhi verde smeraldo, e propose:- Be’, potremmo discutere di questo in un posto più caldo.
Per Giove, pensai, Pride ha architettato tutta questa scenetta solo per poterla isolare dalle sue amiche, sfruttando il suo sexafeel e la voglia di rimorchiare di una quindicenne? Era un demonio.
Lo seguii a distanza, entrando in un piccolo bar, dove il ragazzo-leone aveva invitato la ragazza. Lei scomparì in bagno, per potersi lavare via la macchia dalla felpa, e io ne approfittai per avvicinarmi a Pride, seduto a un tavolino.
–Sei pazzo!- sibilai. –Come credi di spiegarle, ora, che lei potrebbe essere un’Ereditaria?
Lui incrociò le braccia dietro la testa, senza badarmi più che a una gomma da masticare sull’asfalto.
–Sei solo invidiosa perché l’ho attirata rimorchiandola, invece che facendole fare un volo dal sesto piano di un edificio.
Divenni rossa con un peperone, le mani che erano tentate di correre al suo collo e strozzarlo.
–Sei un egocentrico pallone gonfiato!- sbottai. –Sai che me ne importa di come mi hai portato al villaggio dei centauri!
-Eh-ehm.
Alzai lo sguardo di scatto, ritrovando la ragazza di prima. Era in buona forma, abbastanza alta, e gli occhi smeraldo mi stavano incenerendo. Si riportò una ciocca ribelle dietro l’orecchio, ma quella sfuggì subito dopo; uno degli svantaggi del caschetto. Pride le sorrise, gentile.
–Che casualità, ho incontrato qui una mia compagna di scuola- mi liquidò come se niente fosse.
-Sei riuscita a pulirti un po’? Mi dispiace davvero per averti rovesciato il caffè addosso, ero sovrappensiero. Victoria potrebbe aiutarti a trovare un modo in cui potrei sdebitarmi, tra donne ci si intende, giusto?
La ragazza si accomodò all’altro capo del tavolo. Mi porse la mano, sforzandosi di sorridere.
–Piacere, Fatima.
-Victoria- mi presentai, stringendogliela.
Evidentemente, giudicò che non ero un intralcio tra lei e Pride, perché si rilassò sulla sedia e chiese:–Allora, cosa mi consigli? Sarebbe triste farmi ricomprare la felpa da un bel ragazzo come lui, non è vero?
Lanciai uno sguardo sottecchi a Pride. Con fare teatrale, accavallai le gambe e appoggiai i gomiti sul tavolino dov’eravamo seduti.
–Oh, Pride è troppo gentile per non sdebitarsi in qualche modo. Se fosse per me, mi farei offrire una cenetta in un bel ristorante. Ha una certa fama in fatto di conoscenze culinarie, prende tutte per la gola.
-Davvero?- domandò Fatima, incuriosita.
Pride si sforzò di annuire, regalandomi un sorriso omicida che  voleva dire “vedrai come ti prendo per la gola, fuori da questo bar”.
–Credo seguirò il consiglio, se lo dice qualcuno che lo conosce bene- dichiarò.
–Penso sarà una bella serata- disse il ragazzo-leone. –Ma possiamo goderci anche questa mattina, no?
-Sono curiosa di scoprire come riuscirai a conquistarmi- replicò lei, maliziosa.
Dentro di me, sghignazzavo come una dannata.
–Vi lascio soli- intervenni, alzandomi dalla sedia.
Scoccai un bacio sulla guancia di Pride, comunicando con lo sguardo a Fatima: “ti sei aggiudicata il latin lover”. La bruna sorrise, complice.
Mi avviai verso l’uscita, ma quando feci per aprire la porta, qualcuno la spalancò dall’esterno. Un ragazzo afroamericano dai capelli rasta, il naso un po’ storto e un sorriso che avevo già incontrato una volta, fece un passo verso l’interno.
Indietreggiai.
Ismar mi mise le mani sulle spalle, sussurrando:-Come andiamo, Sagittario?
-Mi è appena venuto il bruciore di stomaco- dissi.
Ismar fece spallucce. –Cose che capitano quando si è Ereditari del Segno del Fuoco.
Lui cercò di oltrepassarmi, diretto verso la bruna e il ragazzo-leone, ma opposi resistenza.
–Pride…- chiamai.
Lui si voltò e, non appena incontrò lo sguardo dell’Ereditario del Segno dell’Ariete, si irrigidì. Mormorò qualcosa all’orecchio di Fatima, che annuì, prima di alzarsi da tavola e uscire con il mio compagno, usando una seconda porta d’ingresso.
Ismar grugnì, serrò la presa sulle mie spalle e mi trascinò fuori di peso. Mi trascinò in un vicolo poco affollato, poi mi gettò a terra. Riuscii a non atterrare di faccia, e trattenni un gemito di dolore.
–Le guardie del corpo?- domandai, tirandomi su e spazzolandomi i jeans.
–L’altra volta non eri ansiosa di vederle- mi ricordò.
Decisi che non avevo voglia di tergiversare, né volevo rischiare che Ismar portasse Fatima dalla sua parte.
–Ti consiglio di chiamarle, se non vuoi trovarti un buco tra gli occhi- ringhiai.
L’afroamericano chinò un attimo il capo, come riflettendo sulla mia minaccia, poi scattò. Schivai il pugno per pura fortuna, ma non mi soffermai a combattere. Scappai a gambe levate, alla ricerca disperata di Pride. Se solo sapessi come poterlo trovare grazie al nostro legame empatico!
Sentivo Ismar correre dietro di me. Non mi importava che mi ritenesse una codarda,  ma non potevo dare spettacolo nel bel mezzo di Manhattan; che cosa avrebbero pensato i normali umani, nel vedere una ragazza combattere con una pinza per capelli?
La confusione provocata dai manifestanti mi invase le orecchie, aggiungendosi al battito impazzito del mio cuore. Tentai di imporre la calma, ma ero troppo impegnata a seminare Ismar e schivare i protestanti.
Avanti, mi dissi, non sarà così difficile sfruttare questo legame!
Saltai letteralmente sopra la testa di un mendicante, chino su una coperta lurida, e atterrai. Sentii le caviglie gemere, ma ripresi subito la corsa. Era assurdo pensare che, poche settimane prima, provando a fare qualcosa del genere mi sarei ammazzata.
Non sentivo più Ismar alle mie spalle, così, mi ritirai dietro un blocco di appartamenti e ripresi fiato. Mentre i miei polmoni recuperavano un po’ di fiato, chiusi gli occhi e mi concentrai su un unico nome: Pride.
Lo urlai nella mia mente, nella speranza che il ragazzo-leone mi sentisse. Mi sembrava di essere una recluta degli Avangers capace di comunicare con la telepatia.
Un capogiro mi costrinse a prendermi la testa tra le mani.
Il messaggio mi giunse frammentato, ma Pride lo ripeté più volte.
“Stiamo bene. Non so per quanto Fatima vorrà seguirmi in questo modo. Sbrigati a eliminare l’Ariete.”
Ora, sentire la voce del proprio partner nella tua mente è incredibilmente rassicurante, contando anche le informazioni che mi aveva dato, ma era incredibilmente doloroso. Immaginate un neonato che vi strilla direttamente nelle orecchie, moltiplicatelo per dieci e otterrete più o meno l’effetto che mi faceva comunicare in quel modo.
“Dove stai andando?” domandai, ripetendo ogni parola più volte.
Cercai di non gridare il mio pensiero, visto quanto era potuto essere doloroso il mio richiamo precedente.
“Al portale. Tu non sai arrivarci,” si interruppe per imprecare, poi aggiunse “riesci a sentire la mia traccia?”
Non avevo mai riflettuto sull’odore che emanava Pride, o che producevo io, visto che ce l’avevo sempre attorno, e non ero sicura di riuscire a identificarlo.
“Ci provo. Metti Fatima al sicuro” decisi, senza lasciar trapelare la mia insicurezza.
Il ragazzo-leone ringhiò nella mia mente.
“Vedi di non farti ammazzare.” Lo sentii sospirare, piano. “Tornerò a prenderti.”
Mi venne da ridere, ma invece replicai “Pensa a salvare la tua, di pelle, leoncino.”
Riaprii gli occhi subito dopo, decisa a cavarmela da sola. Quando, però, mi rimisi a correre, rischiai di inciampare. Mi si attorcigliò lo stomaco, costringendomi ad appoggiarmi alla parete per non cadere. Sentivo il sapore amaro della bile in bocca, mentre la visuale mi danzava intorno agli occhi.
Aspettai che il capogiro si fermasse, poi repressi il conato di vomito e ripresi a correre. Non andai molto lontano.
Qualcosa mi schiacciò sull’asfalto, bloccandomi ogni via d’uscita. Mi ritrovai presa dentro tra due corna dorate, con davanti il muso di ariete incavolato e due zoccoli enormi a qualche palmo dalla mia faccia. Fantastico.
Portai le gambe al petto e inizia a sferrare un calcio dopo l’altro sul faccione della capra gigante. Sperai fosse proprio Ismar, perché mi sarebbe tanto piaciuto spaccargli la faccia.
La gente intorno a me urlava, forse per via delle manifestazione o forse perché un montone dalle corna dorate aveva invaso la strada. Lo colpii un’ultima volta, riuscendo finalmente a sgusciare via.
Le persone correvano in tutte le direzioni, abbandonando i manifesti e le bombolette, alcuni si rifugiavano dietro le macchine ferme e posteggiate. Mi voltai all’indietro e spalancai gli occhi.
Oh cavolo.
Saranno stati circa sei arieti del gruppo di Ismar, e occupavano l’intera strada, terrorizzando a morte tutti. Sfasciavano le automobili, infilandole come spiedini con le corna e scagliandole in aria. Senza nemmeno accorgermene, le mie gambe scattarono.
Dimentica della spossatezza, corsi come mai prima d’allora. Sui cento metri neanche Bolt avrebbe saputo fare di meglio.
Capii perché era importante che noi vincessimo questa guerra, portando quanti più Ereditari dalla nostra parte, visto quanto danno e scompiglio provocavano soltanto una parte infima dei nemici. Creature fantastiche e civiltà occidentale non andavano molto d’accordo.
Mi arrovellai su come poter fermare un’ondata di arieti da sola, senza altri su cui contare se non me stessa.
Oh, andiamo, non sono mica così debole! Ho sconfitto Gwen senza l’aiuto di nessuno, posso riuscire a fare anche questo! mi spronai.
Smisi di correre, mi voltai verso gli arieti e li fronteggiai; mi era appena venuta in mente un’idea.
Presi l’arco e incoccai una freccia. Mirai a un cestino dell’immondizia, ma concentrai i miei pensieri su tutt’altro: il fuoco, le fiamme che avvolgevano una città, il Sole che bruciava la sabbia del deserto… E quando scoccai, dalla coda piumata della freccia si accesero scintille.
Svuotai la faretra, formando un muro infuocato alto cinque metri davanti agli arieti. Le capre giganti si muovevano nervose, indecise se provare a saltare la barriera.
Le persone si allontanarono dalle fiamme con stizza, ma sembravano più abituati gli incendi che a un attacco di arieti. Il fuoco bruciava solo di fronte ai miei nemici, non si espandeva, eseguendo il mio desiderio e l’idea che avevo in testa prima di metterla in atto.
Stavo per esultare, quando un suono infernale risuonò per la strada. Una capra più grossa delle altre prese la rincorsa e saltò oltre le fiamme. O meglio, avrebbe voluto evitarle, ma ci finì dentro. Era troppo pesante per spiccare un volo di quel genere.
Tuttavia, l’ariete non ne uscì scalfitto. Anzi, avanzò a passo lento verso di me, scrollandosi dal garrese i resti delle fiamme. Mi sovrastava di parecchi centimetri, ma non indietreggiai.
Quando parlò, aveva la stessa voce di Ismar, solo più roca.
–Dovresti saperlo che anche l’Ariete è un segno di fuoco, governato da Marte, oltretutto.
Fece un cenno ai suoi seguaci, che oltrepassarono il muro di fiamme con altrettanta facilità. Si schierarono ai fianchi del loro capo, vogliosi di avere la mia testa. Cercai istintivamente una freccia da incoccare, ma le avevo usate tutte per innalzare quella barriera, che si era poi rivelata inutile.
Non dissi nulla, mentre il cuore mi batteva con tanta forza da volermi bucare il petto. Mi parve di vedere Ismar sorridere, compiaciuto.
–Invoca il tuo dio, prima di lasciare questo mondo.
Era decisamente troppo teatrale, come una di quelle frasi prese dai telefilm. Poi, fulminea, mi venne in mente una via di fuga.
–Sai, credo proprio che lo farò.
Mi inginocchiai, sotto gli sguardi straniti di tutti, e chiamai:- Proteggi una delle tue figlie, oh Giove, non permettere che il tuo segno perda!
Una pioggerellina leggera iniziò a battere le strade, spegnendo le fiamme del muro e allontanando anche gli ultimi umani dalla strada. Ismar grugnì, non capendo la situazione.
Una luce improvvisa mi accecò, facendomi coprire gli occhi con un braccio. Quando li riaprii, una figura fluttuava a trenta centimetri da terra.
Indossava scarpe da ginnastica alate, una tuta della Adidas dai pantaloni neri e la maglietta bianca, e in mano stringeva un caduceo, un bastone argentato dove si attorcigliavano due serpenti. I capelli biondi sembravano non essere soggetti alla forza di gravità, perché fluttuavano.
Ismar e gli arieti si ritirarono, riconoscendolo.
Io, invece, feci una domanda stupida tipo: “dove si comprano scarpe da ginnastica volanti?”
Il nuovo arrivato mi fulminò con lo sguardo, il che gli riusciva molto bene, visto che aveva degli occhi sorprendentemente azzurri.
–Sono Ermete, dio dei messaggeri, qui per recapitare un messaggio da parte di Giove- declamò.
Schioccò le dita e una pergamena gli comparve davanti.
–Victoria Williams, Ereditaria del Segno del Sagittario, sotto la protezione del dominatore del segno, il divino Giove, verrà sottratta a questo scontro e bla bla bla…
Lo guardai, stranita. Avevo un dio davanti, non un ologramma, o uno scherzo della vista, ma un vero dio e questo si interrompeva perché non aveva voglia di leggere il messaggio completo? E da quando gli dèi vestivano con abiti giovanili e non tuniche greche?
Ermete si voltò verso di me, palesemente scocciato.
–Ragazzina, non giudicare il mio operato. Io proteggo il segno dei Gemelli, il tuo opposto. Non sono così felice di salvarti la pelle ed eseguire gli ordini di quello.
La pioggia si infittì e un tuono rimbombò sopra le nostre teste.
–Be’, mi dispiace di averla scomodata tanto- balbettai, dopo diversi tentativi.
Ermete fece un gesto con la mano, come a voler allontanare le mie scuse.
–Non dire cose che non pensi, ragazzina. E ora- si rivolse a Ismar e agli arieti- voi andatevene. Niente sangue oggi.
Le capre giganti non si mossero.
Ermete batté le mani.
–Su, su, avanti! Non state lì impalati, non ho tempo da perdere!
Dopo la sollecitazione, gli arieti si fecero indietro, si ritrasformarono in umani e corsero via. Il dio sembrò soddisfatto, così rivolse tutta l’attenzione a me.
–Oh, quanto vorrei farti scomparire in una dimensione di nontempo- si lamentò. –Invece, ti devo riportare sulla strada giusta, al villaggio dei centauri. Be’… addio, ragazzina.
Mi puntò il caduceo contro, mormorò qualche parola in una lingua sconosciuta e io mi sentii svanire. Vidi le mie mani disfarsi in una polverina, simile a sabbia, finché non riuscii più a vedere nulla.
Non so cosa accadde nel frattempo, ma quando fui di nuovo in grado di vedere, Eltanin aveva lasciato cadere a terra il telefono e aveva la bocca spalancata. Mio padre, affianco a lei, non sapeva cosa dire o pensare.
In effetti, anche il mio cervello era svuotato da ogni pensiero razionale. Molto più probabilmente, mi si era liquefatto durante il passaggio.

-Hai chiesto agli dèi di aiutarti e loro l’hanno fatto!
-Sì...
-Hai chiesto agli dèi di aiutarti e loro l’hanno fatto!
-Sì.
-HAI CHIESTO AGLI DEI DI AIUTARTI E LORO L’HANNO FATTO!
-Sì!
Eltanin strillò per l’ennesima volta. Fui tentata di strozzarla.
–Che ne dici di andare a conoscere la nuova Ereditaria, mh?- domandò mio padre, sforzandosi di essere gentile.
Eltanin riuscì ad annuire tra un’esultazione e l’altra, scomparendo al piano di sopra.
Mi ritrovai le iridi blu di Pholos puntate addosso. Abbassai lo sguardo, non sapendo che dire. Il centauro si passò una mano sul viso con aria stanca.
–Sei fortunata che non l’abbiano presa come un affronto- disse, laconico.
–Io… io non sapevo esistessero davvero. Voglio dire…
-So cosa vuoi dire- mi interruppe lui. –Forse non sei ancora entrata nell’ottica del nostro mondo, ma tutto è possibile. Gli dèi non sono un affare da prendere alla leggera, anzi, invocarli è molto pericoloso. Non si mostrano da secoli, e magari la vincita dei nostri nemici porterebbe dei vantaggi per loro, come più seguaci devoti; la tua richiesta poteva portare a conseguenze inimmaginabili.
Mi sentii in dovere di ribattere.
–Anche la mia morte.
Pholos fu costretto ad annuire.
–Ma, ora, sappiamo che gli dèi sono interessati a questa guerra. Sappiamo anche che Ermete non è dalla tua parte, quindi di riflesso non aiuterà la nostra fazione se non costretto da altri più potenti di lui.
-Dici che… che potrebbe far finire me e Pride in una dimensione di nontempo, se proviamo ad usare di nuovo il portale?
Il centauro scosse la testa.
–Non lo so, e prego di non doverlo mai scoprire.
Calò un silenzio imbarazzato. Mi mossi a disagio, senza sapere che cosa fare. Avevo chiesto un aiuto al dominatore del mio segno per salvarmi la vita, mi ero inimicata il dio del mio segno opposto, Gemelli, e chissà quanto scompiglio avevo provocato sull’Olimpo, o dove vivevano gli dèi nel ventunesimo secolo. –A parte questo- tossicchiò Pholos. –Stai bene?
-Sì, papà, tutto okay- risposi.
In realtà, non ne ero molto sicura. La mia vita stava diventando un vero casino.

 
***
.::Angolo dell'autrice::.
Non sto più  dire che sono in ritardo, ormai lo sapete già^^
Direi che questo capitolo è abbastanza interessante, visto che compaiono un paio di figure nuove. La nuova Ereditaria, Fatima, è ancora misteriosa, anche se sappiamo che non si tira indietro davanti all'opportunità di rimorchiare. A che segno apparterrà? Sono curiosa di conoscere le vostre ipotesi :3
Poi, c'è Ermete. Per il vestiario, ho fatto riferimento a Percy Jackson, cui comunque questa ff è legata e che funge da musa ispiratrice (?), mentre per il carattere è certo diverso dall'Ermes che conosciamo. Ha preso un po' da Dionisio qui xD
Per quanto riguarda i segni zodiacali, spero di non aver fatto troppa confusione. Credo che si sappia che ogni segno è governato da un pianeta (Giove, Venere, Saturno...) e ha un elemento (fuoco, acqua, terra, aria), così io mi sono permessa di usare il pianeta come dio e gli elementi come poteri "aggiunti".
In realtà, in astrologia Mercurio sarebbe il governante di Gemelli, ma visto che non volevo creare confusione con i nomi, ho cambiato il suo nome in Ermete, che comunque è una delle interpretazioni romane di Mercurio, che invece è più etrusco (wikipedia parla).
Giove o Zeus, come lo volete chiamare, governa il segno del Sagittario. Noi tutti di questo segno siamo figlie/i di Zeus, oh yeah V_V
Eltanin è sempre esaltata e mi diverto un sacco a scrivere di lei così x'''D
Oh, e poi c'è la questione del legame empatico tra Pride e Tori! I due Ereditari del Segno del Fuoco possono parlare uno nella mente dell'altra, anche se per ora non è molto piacevole accogliere un'altra coscienza nella propria testa^,^ E il leoncino mi è uscito troppo tenero, ma non ho resistito, conosendo anche gli avvenimenti futuri c:
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, vi lascio qua sotto il prestavolto per Fatima. Alla prossima!

Water_wolf

 
(occhi verdi, però xD)      

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Capitolo 11
*** 11. Stringo la mano al Minotauro ***


11. Stringo la mano al Minotauro

Venni svegliata da un urlo, seguito da uno strillo e un tramestio infernale. Mugugnai qualche maledizione tra i denti, mentre rotolavo giù dalla sponda del letto. Tirai via la coperta dal materasso, avviluppandola intorno al mio corpo, e oziai qualche minuto sul pavimento. I miei capelli erano una massa color inchiostro sul tappetto.
Lo sentivo sussurrare: “resta qui con me, Victoria, sono morbido, caldo e comodissimo”. Un altro strillo mi svegliò del tutto. Grugnii, mi misi in ginocchio e mi riportai indietro il nido d’aquile nero, facendo abituare gli occhi alla luce del mattino. Mi liberai della coperta, lasciandola ammassata sul pavimento, e mi alzai. Le ginocchia scricchiolarono con quel rumore inquietante di ossa contro ossa.
Nei miei panni da zombie, ossia un pigiama enorme di un colore indistinto tra la carta da zucchero e il grigio, aprii la porta e mi trascinai fino al luogo da cui proveniva tutto quel rumore. Ricordai che Fatima si era nascosta nella stanza dell’Ereditario del Cancro, chiudendosi a chiave e rifiutandosi di uscire. Reazione molto lecita, se aveva attraversato il villaggio dei centauri e aveva visto due zampe equine di troppo.
Bussai piano sulla porta e domandai, in tono gentile:- Fatima, sei qui dentro? Mi faresti entrare?
-Chi… chi sei!?- mi aggredì, subito sulla difensiva.
–Victoria- risposi, ma mi resi conto che probabilmente non le interessava il mio nome, bensì se mi sarei all’improvviso trasformata in un boa constrictor. –Sono umana, non ho intenzione di farti del male- aggiunsi, conciliante.
Sentii un po’ di trambusto, la serratura che scattava e infine la porta si schiuse. Fatima mi sbirciò da dietro di essa, valutò la mia pericolosità – davvero minima di mattina appena alzata – e mi fece entrare. Varcai la soglia e, subito, avvertii uno spostamento d’aria. Mi abbassai di scatto, evitando l’attacco, mi rialzai e bloccai le mani di Fatima.
La mia schiena scricchiolò, protestando per quell’improvviso movimento. Fissai la ragazza, gli occhi verdi rossi di pianto e la fronte corrucciata; le labbra strette per la rabbia di non essere riuscita a mettermi al tappetto.
–Non voglio farti del male- ripetei, calma ma decisa. –Metti giù la lampada…?
In effetti, stava proprio brandendo un’innocente lampada da comodino come una mazza da baseball. Trattenni una risatina sciocca, perché avevo visto persone difendersi con tutto, dagli ombrelli ai gatti, ma mai con quel soprammobile.
Fatima mollò la presa sulla lampada, facendola cadere a terra. La lampadina al suo interno si infranse, e la stanza piombò in una semi oscurità. Lasciai la presa sui suoi polsi, lentamente, e feci un passo indietro. Sospirai, stiracchiando i muscoli.
Fatima giocherellava con una ciocca del suo caschetto, fissando i suoi occhi nei miei. Portava ancora gli stessi vestiti di ieri, felpa macchiata compresa. Aspettai che dicesse qualcosa, ma, con mia sorpresa, mi gettò le braccia al collo e iniziò a singhiozzare come una bambina.
La feci sfogare, mentre le passavo una mano sulla schiena con movimenti circolari e sussurravo:- Va tutto bene. Non c’è niente di cui aver paura.
Diverso tempo dopo, Fatima tirò su col naso, si staccò da me e si sforzò di sorridere. -…Grazie.
Fissò la mia spalla e, seguendo il suo sguardo, scoprii una macchia bagnata e sporca di mascara nero.
–Mi… mi dispiace per il p-pigiama- balbettò, arrossendo.
Feci un gesto con la mano come a voler scacciare via quella scusa.
–Mi è successo di peggio, non hai idea di quanto sia appiccicoso il muco di un ariete.
Fatima rise.
–Questo è il sogno più fuori di testa che abbia mai fatto- dichiarò, mentre ridacchiava.
Poi, puntò le sue iridi smeraldine su di me, in modo accusatorio.
–Ma non è un sogno, vero? Sono finita nel Paese delle Meraviglie del ventunesimo secolo, giusto? Con cavalli parlanti, spade magiche e gatti stregati?
-Veramente i gatti stregati non ce li abbiamo- precisai. –Per il resto, sì, hai centrato più o meno il bersaglio.
Fatima smise di giocherellare con i capelli e annuì più volte. Si sedette spalle contro il muro, mi invitò con lo sguardo a unirmi a lei e, quando eseguii, disse:- Allora voglio delle spiegazioni.
Appoggiai la schiena al muro e con gli occhi guardai il soffitto.
–Ne sei sicura?- chiesi.
–Mh mh.
Le raccontai tutto dall’inizio della storia. Di come gli esseri fatati vivevano in pace, degli uomini che rischiavano di estinguerci per la loro stupidità, della decisione di responsabilizzarli unendoli alla magia e legandoli alle stelle, del marchio degli Ereditari, dell’imminente guerra. Le dissi che lei era una di noi, che se acconsentiva, mio padre avrebbe potuto verificare e avere la certezza della sua identità di Ereditaria.
Senza che quasi me ne accorgessi, Eltanin si intrufolò nella stanza e si sedette accanto a Fatima, intervenendo con qualche commento sulla storia. Finimmo per narrarle le nostre esistenze da quando eravamo nate fino a quel giorno, e la nuova arrivata si rilassò, raccontandoci anche la sua vita.
Una ragazza newyorkese che era costretta ad assumere due volti: uno per i suoi genitori, da ricca e intelligente studentessa modello; un secondo per tutti quelli che la conoscevano intimamente, dove poteva essere se stessa e sbizzarrirsi su come cambiare il mondo e farlo diventare più verde.
Incredibile pensare che suo padre era un magnate del petrolio. Stavamo ridendo come stupide a una battuta di Eltanin, quando Pride entrò nella camera.
Sentimmo tutti i suoi occhi addosso, perché lui era già completamente vestito – jeans, maglietta stampata e una camicia a scacchi arrotolata ai gomiti -, mentre noi sembravamo appena uscite dal circo degli orrori.
–Abbiamo visite, preparatevi- ci informò, laconico; voltò le spalle e se ne andò.
-Che simpatico- commentò Fatima, alzandosi con un colpo di reni.
–Forse dovresti ricordargli che ti deve una cena- scherzai.
Scoppiammo a ridere all’unisono. Indicammo alla bruna dove trovare dei vestiti puliti e il bagno, la salutammo e ci infilammo nelle rispettive stanze. Aprii le ante dell’armadio e ci ficcai la testa dentro. Era molto più facile alla Brighton: non avevo che tre cambi d’abito, decisamente molta meno scelta rispetto ad adesso.
Afferrai una gonna non troppo corta, con fantasia scozzese blu, bianca e rossa, delle calze collant in tono e una maglietta a maniche lunghe blu scura. Cercai di darmi un’aria seria da Ereditaria pronta a tutto, visto che Pride non aveva speso una parola per descrivere il nostro ospite. Scelsi dei meravigliosi stivali neri, che arrivavano sotto il ginocchio; uno dei capi rock che Eltanin mi aveva prestato.
La trovai ad aspettare che Fatima si vestisse, così mi accodai e, quando fummo tutte e tre pronte, scendemmo le scale per andare al piano di sotto. Non appena misi piede in soggiorno, mi accorsi che un puzzo infernale stava appestando la casa. La bionda mi scoccò un’occhiata interrogativa, mimando una morte per asfissia con abilità sorprendente.
–Victoria!- mi chiamò mio padre dalla cucina.
Seguii la sua voce, mentre la puzza aumentava d’intensità. Mi sembrava di stare entrando in un’area radioattiva e il colorito verdognolo di Pride, affianco a mio padre, era un’ulteriore prova. Pholos batté le mani, salutò tutte, prestando particolare attenzione a Fatima.
-Da quel poco che ho potuto osservare- iniziò. –Ho intuito a quale segno tu fossi legata. Per questo, ho chiamato un amico e l’ho fatto venire qui, per fargli verificare di persona la futura e con tutta probabilità Ereditaria del Segno del Toro.
Annuii, ma ormai la mia mente si era distaccata dalla prefazione di mio padre.
Accanto a lui, esattamente alla sua destra, c’era un enorme uomo. Ma non un normale uomo corpulento, uno di quelli che esagerano con le alette di pollo.
Intendo una persona alta dai tre ai cinque metri, con la pelle nera come il catrame; le gambe erano quelle di una capra muscolosa, con tanto di peli folti e zoccoli. Sul punto vita, una sottospecie di gonnellino giapponese gli copriva le parti intime, mentre dalla cintola in su era nudo e mostrava dei mostruosi pettorali. Dallo sterno, una criniera nera gli ricopriva il capo, la testa gigantesca di un toro. Un anello d’argento gli passava tra le narici e diversi orecchini gli adornavano le orecchie.
E puzzava come una discarica.
Sentii le gambe farsi molli.
L’amico di mio padre era un minotauro.

-Ragazzina, non esistono profumi per centauri a lunga durata. Sarebbe più facile se tu facessi finta che non odorassi come una carogna.
La voce cavernosa mi riportò alla realtà. Sbattei un paio di volte le palpebre.
–Eh?
Eltanin scoppiò a ridere, con quella sua risata a sirena dell’ambulanza, che prima è costante e sullo stesso piano, finché non arriva a picchi isterici. Fatima la guardò, stranita.
–Perdonala, Asterione, è fatta così- si scusò Pholos per me.
Il minotuaro sbuffò:- Aquario, giusto?
Mio padre annuì. Rinunciai in partenza a far smettere di ridere Eltanin, così mi concentrai su Asterione. Gli porsi la mano, titubante.
–Salve, sono Victoria, figlia di Pholos- mi presentai, nonostante la “a” del salve tremò più del Titanic mentre si spezzava.
Il minotauro rise, mi strinse la mano e mi abbracciò come se fossi una vecchia amica. Se il mio pensiero quando gli avevo porto la mano era stato “ti prego, non mangiarla”, quello di adesso era “aiuto, un tir che trasporta pesce morto mi vuole uccidere!”. Quando si staccò, iniziai a boccheggiare in cerca d’aria.
Pride si avvicinò a me, sussurrandomi all’orecchio:- Ti è andata bene, a me è toccato aprirgli la porta ed essere abbracciato a sorpresa.
Lo guardai con occhi sgranati di chi ha appena incontrato un famoso sportivo sopravvissuto a chissà quale disgrazia. Asterione scalpitò sugli zoccoli, fremente d’eccitazione.
–E tu, piccola? Qual è il tuo nome?- domandò a Fatima
. Pensai sarebbe scappata a gambe levate, invece, assunse un cipiglio deciso e si presentò:- Fatima McLaren, piacere di fare la tua conoscenza, Asterione. Il vero nome del Minotauro, non è così?
Mi parve di vedere un sorriso disegnarsi sul suo visone da toro.
–Credo che noi due andremo d’accordo.
-Lo credo anch’io- confermò Fatima. –Allora, vogliamo procedere con questa prova? Non mi dispiacerebbe sapere di potermi trasformare in un minotauro, se non fosse per l’odore.
Pholos indicò la porta.
–Vogliamo andare fuori?- domandò, e subito ci avviammo.
Quando fummo lì, però, mio padre ci disse:- Solo noi tre. Aspettate qui- e chiuse la porta.
-Be’, Fatima ha tirato fuori la grinta- commentò Eltanin.
Le brillarono gli occhi.
–Chi ha voglia di disobbedire a Pholos?
Non ci fu bisogno di risposta. Corremmo fuori, facendoci piccoli piccoli e nascondendoci dietro gli alberi del boschetto che percorreva il perimetro della casa. Asterione, Fatima e mio padre camminarono fino ad un punto nel mezzo di esso, dove un grande cerchio erboso circondato da abeti forniva un buon punto di raccolta. Ci appostammo qualche metro più in là, attenti a non farci notare.
Il minotauro sfilò da un fodero, allacciato al gonnellino, un coltellaccio a un solo filo. Posò la lama sul collo della ragazza, sotto la nuca, e tagliò via dei capelli.
Mi portai una mano sul punto in cui anche Pholos aveva trovato il mio marchio, ricordando le forti emozioni di quel giorno. A quanto pareva, ero l’unica che aveva accettato con così tanta difficoltà il suo destino.
Asterione mormorò qualche parola in una lingua sconosciuta, poi premette due dita sul punto appena liberato dai capelli. All’inizio, non successe niente.
Poi, Fatima urlò. Pholos la prese prima che potesse cadere e, con non poche difficoltà, la bloccò schiena a terra.
Il viso della bruna si distese un po’, smise di combattere e lasciò che gli spasmi di dolore si calmassero. Mio padre le domandò se stava bene e se poteva vedere il tatuaggio. Lei annuì.
Si alzò in piedi, ancora un po’ tremante, e si sfilò la maglietta. Non era bruciata perché, se era l’Ereditaria del Segno del Toro, il suo elemento era la terra. Questo spiegherebbe anche il perché del suo sollievo al contatto con l’erba.
Asterione levò il capo al cielo ed emise una specie di ululato. Ne capii subito il motivo.
Lungo la spina dorsale di Fatima, vi era il disegno di una battaglia: tori e minotuari combattevano contro diversi nemici, vincendo ogni volta. Era come un grande affresco, magnifico anche se statico e non in movimento come il marchio mio e di Pride.
A sorpresa, mio padre si girò nella nostra direzione e disse ad alta voce:- Vi conviene scappare dentro casa, se non volete scoprire la forza bruta di Asterione.
Mentre ce la davamo a gambe levate, sentimmo riecheggiare alle nostre spalle la risata gutturale del minotauro e quella meno cupa del centauro.

Speravo che l’avere trovato una nuova Ereditaria fosse un motivo più che ragionevole per rimanere a casa e rilassarsi, invece, Pholos spedì me e Pride di nuovo a New York. Non avevo la minima intenzione di passare il portale.
E se Ermete si fosse divertito a farmi finire in Cina? O, peggio, in una zona di nontempo?
Il mio passo si faceva sempre più lento e incerto man mano che il fiume si avvicinava, così come la radura dove avrei evocato il portale. Invidiai Eltanin e Fatima, le quali potevano rimanere qui senza cacciarsi nei guai.
Pride mi scosse per una spalla.
–Tooori, ci sei? Mi ero inginocchiato, ma tu sei rimasta in piedi a fissare il vuoto.
Mi morsi le labbra.
–Pride- iniziai, la voce angelica. –Per questa volta, non potresti andare da solo?
Mi guardò storto.
–Dai, giusto per oggi, non mi sento bene- continuai.
Incrociò le braccia.
–Ti prego- supplicai.
Sbuffò.
–Farò qualsiasi cosa tu voglia!- azzardai, allargando le braccia, impotente.
–Non vorrai dirmi che, dopo aver invocato l’aiuto di Giove, hai paura di un portale creato da Ermete.
Preferii sfoggiare un sorriso idiota piuttosto che rispondere.
–Tori, io non vado di là senza di te- sentenziò, determinato.
–Perché?- sbottai. –Vuoi davvero torturarmi?
Non gli diedi tempo di rispondere. Girai i tacchi, allontanandomi, nella speranza che mi lasciasse andare. Evidentemente, avevo sottovalutato la forza di volontà di Pride.
–Aspetta!
-No!- replicai. –Se mi vuoi con te, devi prendermi!
Cominciai a correre.
–Non fare la bambina!- mi gridò dietro Pride, ma scattò verso di me.
Scartai a destra, nel tentativo di fargli sbagliare direzione, ma il ragazzo aveva dentro di sé DNA di leone, conosceva i trucchi delle prede. Mi fu subito dietro e, quando cercai di trasformarmi, mi bloccò le braccia. Scalciai, agitandomi e gridando. Pride non si fermò, anzi, mi caricò di peso sulle spalle e evocò di tutta fretta in portale. Non si inginocchiò nemmeno, ma snocciolò a una velocità impressionante una serie di scuse e promesse per aiutarlo in quella situazione.
–Lasciami, ti prego! Adesso, anche tu finirai in una zona di nontempo per colpa di Ermete!- mi ribellai invano.
Avvertii il consueto strappo allo stomaco e, poco dopo, qualcosa di bagnato mi picchiettò sul viso. Non ero in piedi, bensì sdraiata sull’asfalto impregnato dalla pioggia. E Pride era sopra di me, ansimante.
–Non sembra anche a te un dejà-vu?- chiese, con un pallido sorriso.
Mi mossi a disagio sotto di lui, la presa ferrea ancora sulle mie spalle.
–Già- convenni.
–Se mi avessi ascoltato, prima, non sarei stato costretto a fare tutta questa scenetta patetica.
La pioggia gli bagnava i riccioli, poi ricadeva sulle mie guance, quasi stessi piangendo.
–Oh, ma davvero?- ribattei, scettica.
–Sì, davvero- disse tagliente.
–E perché, sentiamo.
-Perché…- si interruppe, lanciò uno sguardo in basso e fissò i suoi occhi nei miei. –Perché non avrei permesso che ti succedesse qualcosa di male in mia presenza.
Fu peggio che subire la carica di Gwen. Il fiato mi si mozzò in gola, la pioggia scomparì, ma lasciò il freddo. Tremai sotto di lui. La mia mente si svuotò di ogni pensiero razionale.
Aprii la bocca, cercai di articolare qualche parola, ma ogni tentativo risultò inutile. La presa di Pride si fece meno salda. E allora mi accorsi che potevo fuggire da quella situazione.
Senza pensare, gli sferrai una ginocchiata nelle costole, facendolo crollare a terra.
Mi rialzai, mi sistemai la gonna e gridai:- Stai mentendo!
Il ragazzo si mise a fatica in piedi.
–Sì…- boccheggiò.
–Sì, cosa!?- urlai. –Dimmi: “sì, sto mentendo!”
Pride deglutì. –Sì, sto mentendo.
-Bene!- sbottai. Mi voltai, non riuscendo a guardarlo in faccia. –Adesso, vattene. Oggi facciamo ricerche separate.
-No- protestò debolmente lui.
–No?- chiesi, stupita.
–No- ripeté.
–No!- ribattei, alzando ancora il tono di voce. –La puzza di Asterione ti ha dato alla testa, Pride, tornate da dove sei venuto e non cercarmi finché non ti sarai schiarito le idee.
-Victoria.
-Non hai capito?- replicai, velenosa. –Ho detto vattene da qui, vai nel luogo dove stai bene e non rovinarmi la giornata.
Pride esitò, ma prima che potesse solo ribattere, gridai con quanto fiato avevo in corpo:- Torna nel tuo zoo, Alex il Leone! La tregua è finita! Finita!
Il ragazzo si irrigidì, si passò una mano tra i ricci, annuì un paio di volte e si allontanò.
–Seguirò il tuo consiglio.
Rimasi lì, ferma, sotto la pioggia, finché non sentii più i suoi passi sull’asfalto. Non so quanto tempo passò, ma quando mi misi in marcia in cerca di riparo, avevo i capelli zuppi e appiccicati alle tempie.
Vagai senza una meta precisa, unicamente per trovare un tetto o un negozio in cui rifugiarmi, riconoscendo il nome di qualche via del Bronx. Quando avevo ormai perso le speranze, notai un negozio di tatuaggi all’angolo della strada.
Ci entrai senza indugio, grata per un po’ di calore. All’interno non c’era nessuno. Tanto meglio.
Mi strizzai i capelli sullo zerbino, poi mi finsi interessata a qualche disegno tra le vetrine che riempivano lo stabile. C’erano molte riproduzioni di loghi di gruppi musicali, come un teschio circondato da rose e spine.
–Come posso aiutarti?
Mi girai di scatto, scontrandomi con una donna di circa quarant’anni, ma prosciugata come una di ottanta. Era molto alta, ma così magra che temevo le si potesse staccare la testa dal collo, tanto questo era sottile. Le braccia era completamente tatuate, seguivano un motivo inusuale: come delle placche di un’armatura, o la corazza di qualche insetto.
–Stavo solo guardando- risposi, sforzandomi di sorridere.
La donna annuì con l’aria di chi la sa lunga, raccogliendosi i capelli neri in una crocchia.
–Stai aspettando il permesso dei tuoi genitori.
Sospirai. –E’ stato difficile per il primo, per il secondo dovrò aspettare anni- buttai lì come alibi.
Gli occhi della proprietaria luccicarono.
–Posso vederlo?
-Certo- acconsentii, pensando che volesse vedere il lavoro di altri tatuatori immaginari.
Abbassai leggermente lo scollo della maglietta, facendole vedere la schiena, e spiegai:- E’ un illusione ottica, in realtà non si muove nulla.
La donna studiò per qualche minuto il tatuaggio, poi commentò, pacata:- Non conosco chi l’ha fatto, ma è dotato. Se ti piace questo stile, puoi trovare di simile là.
Indicò una stanzetta infondo a sinistra, che prima non avevo notato. Seguii il consiglio, felice di poter stare al riparo delle pioggia e dai pensieri, occupando la mia mente semplicemente guardando e giudicando i disegni fatti con l’inchiostro. Le pareti dentro la stanzetta era di color arancione brillante e lunghe vetrine contenevano tatuaggi dalle forme più bizzarre. C’era anche una sedia e, affianco ad essa, il materiale per lavorare.
Controllai che la proprietaria del negozio non mi vedesse e, non scorgendone la figura nella sala più grande, mi accomodai.
Immediatamente, qualcosa mi strinse polsi e caviglie. Sobbalzai, ma non potei fare altro, perché dalla poltrona erano spuntate delle manette di ferro. –Aiuto!- gridai.
–Strilla quanto vuoi, Williams. Nessuno ti sentirà qui dentro.
Raggelai. Una figura alta e ben piazzata entrò nella stanza, facendo scricchiolare la suola degli stivali borchiati sul pavimento.
Capelli rossi fuoco tagliati corti, in un punto di più rispetto al resto.
Occhi verdi.
Conoscevo quella ragazza fin troppo bene.
Era Hayley Becker.
 
***
ANGOLO DELL'AUTRICE ::.
Ebbene, ecco a voi il capitolo n°11! Si è fatto attendere, come al suo solito, ma è stato maltrattato da una verifica di storia e diversi altri contrattempi di materia scolastica e non. Come il film di Robin Hood su Italia 1, che ha deciso di pugnalare a morte la storia e la disposizione normale di un esercito. Vabbè^^
Per chi aveva indovinato il segno di Fatima: BRAVI! Vi siete guadagnati un premio, ossia un'immagine spoiler di House of Hades proveniente da Tumblr. Distruggerà i vostri feelings, fangirls and fanboys u.u
(
http://24.media.tumblr.com/07e68ee9211d1cf5c0e3177efd07e6f2/tumblr_mvi3uypTHE1rwi6lxo1_1280.jpg [toccate l'immagine per far scorrere la scena])
Riguardo al capitolo di oggi... io adoro Asterione! *-* Dei, quel ragazzo è meraviglioso!
Ricordati che stiamo parlando di un minotrauro, la forma ibrida dell'Ereditaria del Segno del Toro. Non puàò essere carino.
E tu chi sei per dirlo? Io lo strapazzerei, se non puzzasse tanto.
Ermete -.-
Be', mi dispiace, caro, ma io lo adoro. Punto. Fine. Stop.
Intrattabile come il padre -_- *si sente un tuono*
Coooomunque, Pride si semi-dichiara! *balla la conga* E Tori lo rifiuta, anche piuttosto brutalmente. Non sono bellissimi quando si vogliono uccidere a vicenda? xD Ma cosa vorrà dire il "Seguirò il consiglio" di Pride? Lo scoprirete presto *sogghigna*
E cosa ci fa Hayley Becker in quel negozio? Come ha fatto a uscire dal riformatorio Brighton? Ma, soprattutto, che armi ha a suo vantaggio per vendicarsi di Victoria? Scopritelo a Voyager!
Oggi sei particolarmente...
Intelligente? Bellissima? Meravigliosa? Supercalifragilistichespiralitoso?
Idiota. Smettila con le domande retoriche e senza risposta!
-.- Torna all'Olimpo, Ermete. Via. Sho! *scompare in un puff verde*
Le informazioni sul vero nome del Minotauro del mito di Teseo viene da Wikipedia, mentre il logo con i teschi e le rose è quello dei Guns 'n Roses. Yeah, conosco i Guns 'n Roses!
Infine, vorrei davvero ringraziare tutti quanti per il folto seguito! Siete già tantissimi, tra 15 preferite, 3 ricordate e 16 seguite! Siete asjsjakjdksjdk *^* You guys got the power V_V
Anyway, spero che il capitolo vi sia piaciuto, e se volete farvi i fatti miei vi lascio il link del mio blog on Tumblr ( 
http://justnelement.tumblr.com/ ) Qui sotto, invece, c'è l'immagine di Hayley Becker.
Alla prossima  :*

Water_wolf


http://api.ning.com/files/ERvUaX951KcCosd43Kbj-sRtQHU8sYGn-nO0t2GJpt-tx4tYyzV1m7VuWSuHWzriYN2xPsik1PLJZ3Z*KlGhpBdp5f*4YEGi/54569RoseLeslieImgur8oBx.jpeg?width=423&height=600 (capelli corti, ovvio^^)
 

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Capitolo 12
*** 12. Fai un tatuaggio e avrai la memoria di un pesce rosso ***




 

12. Fai un tatuaggio e avrai la memoria di un pesce rosso

Hayley sorrise, compiaciuta di avermi colpito, stupito e terrorizzato al tempo stesso. Sembrava una qualche specie di serial killer psicopatico.
–Buongiorno, barboncino- salutò, come quando ci trovavamo al riformatorio.
Mi agitai sulla sedia. –Non dovresti essere alla Brighton?- domandai, fredda.
Scrollò le spalle, indifferente. –Anche tu dovresti essere già da qualche tempo andata all’Inferno, invece sei qui.
Si arrotolò le maniche del cappotto al gomito, esattamente al centro della stanza, e notai lo stesso tipo di tatuaggio della proprietaria: quelle strane placche nere sovrapposte.
Feci lavorare il cervello, cercando di collegare i vari indizi. Hayley era fuori dalla Brighton, aveva degli strani disegni sulle braccia, si trovava in un luogo che tentava di ucciderti o, perlomeno, intrappolarti da solo e sembrava sapere molto di più di quello che diceva… i vari tasselli si composero nella mia mente, formando un puzzle pressoché perfetto.
Storsi la bocca in una smorfia, rigirando i polsi contro il freddo metallo delle manette.
–Quale segno?- chiesi, quasi fosse una domanda usuale e naturale come “qual è il tuo colore preferito?”.
Hayley Becker sorrise di nuovo. –Avanti, avresti potuto capire anche questo- commentò, atteggiando un’aria superiore. –Comunque, sono l’Ereditaria del Segno dello Scorpione. C’era stata una festicciola clandestina a novembre, non ricordi?
-Vuoi che ti faccia gli auguri e ti porti il regalo?
La rossa si avvicinò a me, sovrastandomi, e i suoi capelli furono illuminati da una luce che li fece sembrare fiamme.
–Sei già tu il mio regalo- disse piano. –Una bambola parlante, come quando ero piccola.
Feci fatica a figurarmi una tenera e innocente Hayley Becker all’asilo, con due trecce e una Barbie in mano. Fece un gesto vago con la mano, aggrappandosi ai braccioli e fissandomi direttamente negli occhi.
–Odiavo, detestavo con tutto il mio cuore la mia bambola parlante. “Mamma” qui, “mamma” là, mi dava sui nervi. Sai cosa le feci?- si umettò le labbra, pregustandosi il momento. –Presi le forbici da sarta che mia madre teneva nel cassetto alto della cucina e le staccai la testa; zack, un taglio netto e profondo, che la fece diventare muta.
-Non sono la tua bambola- replicai, scandendo ogni sillaba.
–No, hai ragione- convenne. –Ma ti posso staccare la testa comunque.
Le manette mi segarono la carne per il movimento brusco, senza che riuscissi però a scostarmi di un millimetro. Dietro di lei, si estese una lunga ombra scura, srotolandosi come un tappetto rosso al passaggio della morte.
Hayley Becker rabbrividì di piacere, stirando la sinuosa coda corazzata che finiva in un grosso e affilato uncino, una riproduzione a grande scala della coda di uno scorpione. Aveva assunto la sua forma ibrida, diventando una donna-scorpione.
Capii che in quelle condizioni, da sola, non sarei riuscita a uscirne intera. Per mia fortuna, c’era la possibilità che qualcuno arrivasse in mio aiuto prima che questo accadesse o fosse troppo tardi. Estesi la mia coscienza, toccando quella dell’altro Ereditario del Segno del Fuoco; la sua mente si irrigidì, costruendo in fretta e furia un muro attraverso il quale non potessi passare.
Lo maledissi in silenzio, mentre mi affrettavo a bombardarlo di frasi e immagini del momento. Le sue difese persistevano, decise a tenermi fuori.
Hayley, nel frattempo, si stava accarezzando il pungiglione e diceva:- Hai idea di quanti tipi di veleno io possa usufruire?
-Usane uno che renda carina, perché, ammettilo, così lasci un bel po’ a desiderare- ribattei, distogliendo parte dell’attenzione da Pride.
La rossa fece guizzare la coda contro di me, conficcandola a qualche centimetro dal mio orecchio. La mosse in diagonale verso di me, squarciando la poltroncina e facendone fuoriuscire la spugna giallastra. La superficie coriacea mi pizzicò la clavicola, premendo leggermente contro la cute.
Fremetti, dilatai le narici e mi imposi di respirare con calma.
–Se ti colpisco adesso, la tua memoria svanirà, lasciandoti più vuota di un’ostrica senza mollusco. Un guscio vuoto. Bramerai ciò che hai perso, ma non la ritroverai mai- spiegò, punzecchiandomi la pelle.
–Almeno, non ricorderò la tua faccia da scorfano- risposi, piccata.
Mi serviva tempo, e le chiacchiere facevano giusto al caso mio, sempre che Hayley non si infuriasse e decidesse di porre fine al discorso con una decapitazione. Se solo Pride si fosse lasciato avvicinare!
–Come vuoi tu- dichiarò lei, e premette il pungiglione.
Una lieve pressione bastò a farmi rabbrividire, mentre il veleno si faceva strada nel mio corpo e infettava il sangue. La rossa ritrasse di scatto la coda, come se si fosse bruciata, ma mi mantenne comunque sotto tiro; come se potessi muovermi.
Tutto sommato, preferivo perdere la memoria e compiere dodici fatiche per recuperarla, piuttosto che morire lì, in un fetido negozio di tatuaggi del Bronx. La rabbia di essere completamente in sua balia mi travolse, ma non potei fare niente.
–Passiamo allo stadio successivo- sentenziò, un guizzo malvagio negli occhi chiari.
Aprii la bocca per ribattere, ma Hayley Becker me lo impedì. La sua coda fu veloce come una spada e mi raggiunse alla pancia. Il colpo fu così inaspettato che, all’inizio, non sentii alcun male. C’era qualcosa di rotto, lo avvertivo coi sensi, ma l’allarme non era ancora scattato. La rossa ritirò il pungiglione, riaprendo lo squarcio, e il dolore esplose in tutte le sue sfumature.
La connessone mentale con Pride si chiuse, così come ogni altra percezione che non fosse concentrata su quel punto del mio corpo. Mi morsi le labbra così forte che sanguinarono, prima che la mia bocca si aprisse con un grido. Ansimai forte, gli occhi sbarrati, la carne dei polsi conficcata nelle manette.
Ululai come un cane colpito da una pallottola, mentre il dolore prendeva il sopravvento su tutto. Sentii il sangue riversarsi caldo sui i miei vestiti, che per il momento tamponavano l’emorragia. Strinsi i denti, costringendomi a non dare ulteriore piacere alla mia aguzzina. Mi sfuggì qualche altro lamento, ma riuscii a dominarmi.
–Sono in un negozio di tatuaggi, non ho chiesto un buco per un piercing all’ombelico- dissi, sarcastica, sforzandomi di sorridere.
Cercai di riattivare il legame con Pride, invano.
–Non ti passa mai la voglia di scherzare, Vicky?- chiese, riportandosi un ciuffo dietro l’orecchio.
Presi fiato, prima di replicare in un ringhio:- Il mio soprannome è Tori.
Mi stupì il fatto che avessi dovuto rifletterci per ricordarmelo. Era naturale che mi chiamassero così, usando il nome coniato dal ragazzo-leone. Rabbrividii al pensiero che la memoria stava già svanendo per colpa del veleno. Hayley Becker fece un sorriso storto.
–E’ più terribile di quel sembra, vero? Ed è solo agli inizi- mi lesse nella mente.
Avvertii la viscida sensazione del sangue tra le cosce, mentre mi colpiva un capogiro.
–… Se la tua farmacia ambulante non ha altri veleni da testare, gradirei di potermene andare- cambiai argomento.
Stuzzicata, Hayley Becker fece guizzare di qua e di là l’aculeo, forse rimuginando davvero su quale tossina usare per prolungare la mia agonia. Le comparve un sorrisetto astuto sulla faccia, quando puntò il pungiglione contro il mio petto e fece una leggera pressione.
–Credo che questo potrebbe ucciderti, ma sei diventata più forte, quindi potresti sopravvivere per un altro colpo- considerò, aumentando il peso che esercitava sulle mie costole.
Non seppi se desiderare di porre subito fine a questa tortura oppure pregare che resistessi ancora un po’, giusto il tempo che qualcuno mi salvasse. Sentii la pelle lacerarsi e chiusi gli occhi, ma il dolore di quel taglio si interruppe subito. Hayley Becker emise un sibilo acutissimo, poi una sottospecie di schiocco.
Li riaprii, sbattendo le palpebre e cercando di schiarire la vista annebbiata.
La rossa aveva trasformato un braccio in una chela nera dalle sfumature bluastre e stava tentando di appendere per il collo un ragazzo ricoperto da una folta peluria leonina. Pride, ricordai a me stessa, scrollando la testa. Provai a forzare le manette, ma il movimento mi provocò una fitta alla pancia che mi fece desistere all’istante. L’importante, però, era che lui era qui e che sarebbe riuscito a portarmi via da lì.
Mi accorsi del vuoto che si stendeva nella mia mente, tra i miei ricordi più recenti, dandomi una sensazione di mancanza che mi spingeva a cercare una risposta a tutto.
Perché non sarebbe dovuto venire? Perché avevamo litigato.
Per quale motivo? Perché lui mi aveva quasi confessato che fosse innamorato di me.
E perché tutto ciò mi dava fastidio? Perché…
un ringhio furioso mi fece alzare la testa di scatto, che era ricaduta ciondolante sul petto. Pride era stato morso da una chela più scura di quella di Hayley Becker, ed apparteneva alla proprietaria del negozio, la sua probabile insegnante.
La rossa ne approfittò per colpirlo, ma Pride, con uno sforzo tale che lo fece gridare, si liberò della chela, si portò fuori dalla traiettoria, evitò un altro affondo di coda dalla donna, l’afferrò, la tirò a sé e le prese capo e mento, ruotò e, con uno scricchiolio di ossa, la proprietaria cadde a terra esanime.
–MOORE!-  gridò Hayley Becker, gli occhi spalancati per l’orrore.
Si avventò contro Pride, animata da una furia cieca. Non riuscivo a seguire tutte le mosse, sentendo le palpebre sempre più pesanti; il sangue mi scorreva in un piccolo rivo sul polpaccio.
Per favore, non fatemi morire dissanguata, invocai nessuna divinità in particolare.
Occhi chiusi, occhi aperti.
Pride bloccava Hayley Becker contro il muro. La luce nella stanza troppo potente.
Occhi chiusi, occhi aperti.
Hayley infilava un calcio dietro l’altro nello stomaco di Pride.
Occhi chiusi, occhi aperti.
La rossa che agitava le gambe, il ragazzo-leone che le stritolava il collo.
Occhi chiusi, occhi aperti.
Hayley Becker scivolò svenuta –morta?- sul pavimento.
Occhi chiusi, occhi aperti.
Pride ansante, si voltò verso di me, distrusse le manette con due fendenti di artigli.
Occhi chiusi, occhi aperti.
–Hai ancora abbastanza sangue in corpo, resta sveglia dannazione!
-Mh mh.
Occhi chiusi, occhi aperti.
Pride cercò di prendermi in braccio, ma dovette ritentare, perché la spalla lo tradì. Dolore.
Occhi chiusi, occhi aperti.
La pioggia sul mio viso, le gocce che sembravano lacrime, Pride grugnì per lo sforzo.
Occhi chiusi, occhi aperti.
–… non arrivo fin là…- mormorai flebilmente.
Occhi chiusi, occhi aperti.
–Lo so- rispose lui. –Chiederemo un’altra grazia.
Occhi chiusi, occhi aperti.
Sentii il freddo trapassarmi le ossa e entrarmi prepotentemente nel corpo.
–Morirò… - realizzai.
-No- ribatté, con convinzione.
Occhi chiusi, occhi aperti.
-…sei un bravo bugiardo…- replicai.
Occhi chiusi, occhi aperti.
–Se vuoi morire, visto che sei tanto convinta nelle tue risposte, ti lascio qui- sbottò, esasperato.
Si appoggiò al muro di una casa per riprendere fiato.
Occhi chiusi, occhi aperti.
Il mondo girava paurosamente, non capivo se la pioggia cadeva dal cielo o saliva dalla terra.
–No… non lasciarmi sola…- sussurrai, ricordandomi il panico di essere in balia di Hayley Becker.
Occhi chiusi, occhi aperti.
–Allora vedi di stringere i denti e resistere- disse Pride, in un misto di determinazione, comprensione e preoccupazione.
Quasi cadde sull’asfalto, quando si inghinocchiò.
Occhi chiusi, occhi aperti.
–Oh Ermete…-
Non ci sarebbe stato nessun miracolo, sarei morta in una strada, sotto la pioggia.
Occhi chiusi, occhi aperti.
-… l’onore, la grazia, di aprire per noi un portale. Le vite che salverai ti ripagheranno…-
Era una certezza. Nessun dio avrebbe ascoltato questa preghiera.
Occhi chiusi, occhi aperti.
–Ti prego, concedi un passaggio…-
Gli dèi erano sempre stati vendicativi.
Occhi chiusi, occhi aperti.
Freddo e puzza di bagnato.
–Fanculo, schioda le chiappe dal tuo trono dorato e apri un fottuto portale, adesso!- gridò Pride, non curandosi delle bestemmie.
Mi venne da sorridere.
Occhi chiusi, occhi aperti.
–Figlio di puttana, se per colpa tua morirà tra le mie braccia, salirò sull’Olimpo e ti spaccherò la faccia! Mi serve il passaggio!
Occhi chiusi, occhi aperti.
–ADESSO!- urlò. –Ti prego…
Occhi chiusi.

Qualcuno gridò nelle mie orecchie, trapanandomi i timpani e facendomi pulsare la testa. Le mie mani erano insensibili, tanto che non sapevo se stavo toccando un lenzuolo oppure nuotavo in un mare di yogurt greco.
Le urla persistevano, dandomi l’idea che chiunque le emettesse stesse andando a fuoco. Riuscii a schiudere le palpebre, uscendo da quella specie di nebbia, e vidi un ragazzo di circa quindici  anni, capelli ricci fluenti e fisico allenato, che combatteva contro se stesso per non strapparsi delle bende avvolte intorno agli avambracci.
Forse bruciava davvero.
Non feci in tempo a dire nulla, perché ricaddi di nuovo nell’incoscienza.

Non c’era nessuno che gridava, anzi, regnava un silenzio irreale. Tremai di paura. Ero al caldo, ma avvertivo i muscoli pesanti e le ossa di gesso. Non mi azzardai a muovermi, qualcosa mi diceva che se l’avessi fatto avrei sofferto. Decisi di darle ascolto.
Avevo il palato secco, ma cosa sarebbe successo se avessi parlato?
Mugugnai qualcosa, o forse lo sognai e basta. Qualcuno mi passò un panno umido sulla fronte, poi sulle labbra e fece scivolare un liquido fresco tra le mie labbra.
Ringraziai intimamente, prima di ritornare tra la nebbia bianca.

C’era nuova energia nel mio corpo, ma non abbastanza perché potessi alzarmi dal luogo su cui ero sdraiata. Capivo qualcosa in più. Erano delle certezze assolute, comparse a sprazzi durante l’incoscienza: il mio nome era Victoria Williams, il mio soprannome era Tori, vivevo in un’altra dimensione a New York, avevo qualcosa di importante da fare, mi piaceva molto il blu, i miei occhi erano di quel colore, odiavo il succo d’arancia, qualcuno mi aveva salvata.
Non sapevo ancora il motivo che stava sotto alcune affermazioni, ma se ero stata tratta al sicuro, ero in pericolo e forse mi avevano ferita, per questo non avevo forze.
Sentivo che il “qualcosa di importante” era molto incombente. Decisi di tenere gli occhi aperti per quanto più tempo ci riuscivo, ma, non so quando, mi riaddormentai.

Era sera, ma non avevo idea di quale giorno. Una porta si aprì, rivelando la figura di un uomo sulla quarantina, occhi blu e capelli neri corti.
Lo conoscevo, prima. Prima del Grande Nulla, del Buio Nero e delle Tenebre-mangia-ricordi.
Si sedette in fianco a me, chiedendomi se volevo stare un po’ più su; annuii.
–Ti senti meglio?- domandò.
–Immagino di sì, non so come mi dovessi sentire prima- risposi, studiando la mia voce.
Era giovane, da ragazza, e sicuramente dovevo sparare degli acuti micidiali se strillavo. Mi sistemò il cuscino dietro la schiena e, con calma e gentilezza, mi accomodò in modo che potessi reggermi sui gomiti oppure sprofondare nel materasso, se l’avessi voluto.
L’uomo rimase in silenzio, pensando, e mi rattristò vederlo così rannuvolato.
–Il mio nome è Victoria Williams- esordii, catturando la sua attenzione. –Ho quattordici anni, vivo in un’altra New York, il mio colore preferito è il blu- continuai, osservando compiaciuta come si rallegrava.
Dissi tutto quello che sapevo e ricordavo, mentre l’uomo annuiva. Alla fine, mi resi conto che la parola che accostavo a lui era sempre stata sulla punta dalla lingua.
–Sei mio papà e ti voglio bene- conclusi, sorpresa di essere riuscita a dire tanto.
L’uomo chiuse gli occhi, trattenendo le lacrime; era quel genere di persona che non mostra i suoi sentimenti non perché non è in grado, ma perché sa che, se lo facesse, ferirebbe profondamente anche chi gli sta intorno, e non vuole. Mi prese la testa tra le mani, mi baciò la fronte e, così, raccontò in sussurri chi ero.
–Sei mia figlia e ti amo- mi salutò, uscendo dalla stanza, permettendomi di riposare e memorizzare tutte quelle informazioni.

Credo fosse l’alba quando, con un fruscio appena udibile, qualcuno si accostò a me. Sospirò.
–Non so quanto ti abbia già detto Pholos, ma non è un male se ripeto qualche concetto, giusto?- parlò a quasi a se stesso un ragazzo.
Finsi di dormire.
Un nuovo sospiro.
–Mi chiamo Pride Lewis. Questo ti fa ridere perché “pride” vuol dire “orgoglio” ed è conosciuto soprattutto per il romanzo “orgoglio e pregiudizio”. Non so cosa tu provassi nei miei confronti, cosa avresti fatto di prima mattina tra uccidermi, abbracciarmi, prendermi a calci oppure uccidermi dolorosamente. Al momento, nemmeno io so cosa provo. Vorrei la tua amicizia o una tregua. Mi piace il giallo, che non è il colore della gelosia, ma quello del Sole e della felicità. Se unissimo giallo e blu, le sfumature che preferiamo, potremmo disegnare un paesaggio fatto di erba verde, cielo azzurro e raggi d’oro. Posso parlarti telepaticamente grazie al nostro legame ed è appunto con questo che sono riuscito ad arrivare in tempo. Ho insultato un dio che ti odiava per fargli aprire un portale. Ora detesta anche me. Mi diverte il fatto che non ti piaccia il succo d’arancia. Ti chiamo Tori perché Victoria è un nome troppo bello e potente da poterlo pronunciare senza effetti collaterali. Credo di stare elencando un sacco di cazzate. Mi sento stupido a parlarti mentre dormi. Spero ti rimetterai presto e ti ricorderai di me. Ciao.
Pride si alzò e, felino, uscì dalla stanza.
Non riuscii più a riprendere sonno.

Conobbi allo stesso modo anche Eltanin, simpatica e ironica, e Fatima, più contenuta, quasi allo stesso modo. Pian piano, rientrai nei panni di Victoria Williams, riscontrando nei fatti le parole che gli altri attribuivano a me.
Mi sembrava di essere partita per un lungo viaggio ed essere tornata all’improvviso, scontrandomi con le vecchie abitudini e persone che sentivo di conoscere ma di cui avevo bisogno di ascoltare la storia una seconda volta.
Ricordai le antipatie che mi ero fatta, compresa chi era quasi riuscita a eliminarmi; Hayley Becker. Pholos diceva che era tutta questione di sangue se non ero morta: quello dei centauri è esso stesso velenoso, quindi doveva aver innescato particolare reazioni chimiche e rallentato l’azione delle tossine iniettate dalla ragazza-scorpione. Pride si era come scottato al suo contatto, quando mi aveva preso in braccio, e il seguito non doveva essere stato molto piacevole.
Venni a sapere che non avevo più la milza, e il fatto mi inquietò non poco. Sapevo si poteva vivere anche senza, ma avevo comunque perso un organo, una parte di me.
Assecondai le cure di Pholos senza protestare, lasciando che fossero altri a continuare la ricerca degli Ereditari. Lo squarcio sulla mia pancia si richiudeva pian piano, i lembi di pelle si univano a formare una nuova e rosea cicatrice.
Pride si era lussato una spalla, ma ignorava le prescrizioni di mio padre e andava ad allenarsi con la spada ogni volta che poteva, anche se, poi, tornava più malconcio di prima.
Eltanin e Fatima avevano riportato due brutte notizie: la prima, l’Ereditario del Cancro era passato al nemico; la seconda, Hayley Becker sarebbe stata pronta a combattere molto prima di me e il ragazzo-leone.
Eravamo in quattro: Sagittario, Leone, Aquario e Toro; mentre loro avevano più numeri dalla loro, contando Gemelli, Scorpione, Ariete, Pesci, Capricorno e Cancro. Dovevamo portare dalla nostra Vergine e Bilancia, se volevamo accrescere le nostre possibilità di vittoria.
Il tempo sembrava aver messo le ali, e ogni attimo sembrava far pendere da una parte o dall’altra l’ago della bilancia.
Intinsi un biscotto nella tazza, scacciando quei pensieri oziosi. Sperai che le due ragazze tornassero presto con buone notizie per strapparmi dalla noia di quel giorno.
Un improvviso clamore mi fece tendere le orecchie.
Pride emerse dal divano, mascherando una smorfia per il movimento brusco.
–Sono spade- dichiarò, dopo aver ascoltato il rumore per qualche minuto.
Oltre al ragazzo-leone, l’unica vera spadaccina era Eltanin ed era anche la sola che poteva sostenere uno scontro o un vero allenamento di scherma, ma non avrebbe mai fatto una tale confusione.
Con un cenno del capo, decidemmo di uscire e controllare la situazione. Dal boschetto dietro casa, il cozzare delle lame era più intenso.
Quando accorremmo, vedemmo Eltanin menare furiosa fendenti, spalleggiata da Fatima, la quale brandiva una lancia e si riparava dietro uno scudo rotondo. Combattevano contro cinque nemici, uomini di Ismar metà arieti, e un sesto ragazzo si aggirava tra le due fazioni. Brandiva una spada corta e sembrava conoscere fin troppo bene come sopravvivere in quella battaglia.
Pride imprecò, rendendosi conto di non aver allacciata l’arma al fianco.
Eltanin e Fatima misero i cinque alle strette, costringendoli alla ritirata, non prima che i nemici colpissero il ragazzo alla gamba. Bionda e bruna rinfoderarono le armi e accorsero subito da lui, sollevandolo in piedi e aiutandolo a camminare.
Si diressero verso di noi con l’aria di chi ha appena ricevuto un regalo inaspettato. Eltanin fece un risolino sciocco a una frase dello sconosciuto.
Non era molto alto, anzi, superava di poco il metro e sessanta e, nonostante avesse su una bella massa di muscoli, non sembrava né tozzo né un barilotto palestrato. Capelli neri abbastanza lunghi da poterli legare in una piccola coda e occhi verdi tendenti all’azzurro dall’aria furba.
Fatima sbuffò per il peso, trovandosi innanzi a noi.
–Presentati, poi entriamo, avanti- incalzò.
Il ragazzo non se la prese per il tono spiccio, anzi, sfoggiò un sorriso smagliante e disse:- Sono Scott o’Brian, Ereditario del Segno del Capricorno e, adesso, Traditore. Molto piacere.


Angolino dell'autrice:
Ebbene sì, finalmente mi decido a pubblicare un nuovo capitolo!
Sono stata risucchiata da un'improvvisa ispirazione verso il mondo di Percy Jackson e mi sono imbracata in un'impresa a quattro mani, quindi c'è un po' di ritardo, scusate^^"
Quindi, quindi, quindi... ci eravamo lasciati con la comparsa di Hayley e finiamo con un nuovo acquisto: Scott o'Brian. Badate al suo cognome e amatelo per quello che verrà e farà u.u E' uno dei personaggi che amo di più, percui ci sarà un motivo se la mia mente malata lo vuole strapazzare tutto.
Nella prima parte, Tori sembra un interruttore della luce impazzito: acceso, spento, acceso, spento, on, off, on, off... e che palle, direte voi. Però, volevo dare l'impressione di vare immagini che si susseguivano, magari scollegate, veloce o lento come quando si perde conoscienza per via del sangue. *e si scoprì che non c'è riuscita*
Ancora una volta, fottutamente amante di Pholos/Victoria come padre e figlia *w* E nessuno sa più cosa passa tra Pride e Tori xD Ho pensato a come in "Il Canto della Rivolta", di zia Suz, Katniss ricordi a Peeta chi è e cosa e fa e dopo essere arrivata alle lacrime al ricordo ho voluto sperimentarlo anch'io.
Spero vi sia piaciuto, che non vi siate dimenticati di me e che vogliate farvi sentire con una recensione.
Detto questo, un bacio e biglietti di Catching Fire a tutti! :*

Water_wolf
(Scottino :3)
 
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Capitolo 13
*** 13. Perché gli adoloscenti parlano per bro e ormoni ***


13. Perché gli adolescenti parlano per “bro” e ormoni

Eltanin strinse la benda attorno alla ferita del nuovo arrivato, facendolo sobbalzare lievemente sulla sedia.
–Immagino che le Piccole Marmotte non ti abbiano insegnato a essere delicata al corso di pronto soccorso- commentò.
La bionda lo ignorò, completò la fasciatura e rassettò il materiale nella scatola delle medicazioni prima di riporlo dietro un’anta della dispensa. Pride era appoggiato con la spalla sana al muro, Fatima si era stravaccata sul divano, mentre io ed Eltanin ci stavamo occupando di Scott in cucina.
Scott o’Brian. Il Traditore.
Lo osservai, studiandone i lineamenti del viso: linee morbide, la mascella leggermente spigolosa, naso sottile.
Dovevo essere rimasta lì impalata a guardarlo per più di qualche istante, perché Eltanin mi schioccò le dita davanti agli occhi e mi sussurrò divertita, all’orecchio:- Smettila di fissarlo, non devi mica trovare il momento giusto per stuprarlo.
Sentii la faccia diventare rosso fuoco per quella battuta pervertita.
Solleticai il mento di Eltanin, avvicinandola di più a me e mormorai:-Non essere gelosa, sai che ci sei solo tu nei miei pensieri.
Le scoccai un bacetto sulla guancia come tocco di classe. La bionda mi squadrò con aria di sfida, ma la sua serietà svanì in fretta, mentre gli angoli della bocca si allargavano per diventare un sorriso tirato, prima che scoppiasse a ridere. La voce di Fatima arrivò ovattata dal divano.
–El, hai appena combattuto con gli arieti e ricucito una ferita, non sei stanca per divertirti a fare del sesso a tre con Tori e Scott?
L’Ereditaria dell’Aquario si appoggiò al tavolo della cucina con una mano per trovare stabilità e non cadere. Presa un po’ alla sprovvista da quell’intervento, non seppi se strozzare Fatima o ridere per l’assurdità di quella frase.
Optai per la seconda scelta, esplodendo in una risata così forte che superò persino il volume di quella di Eltanin. La bionda aveva abbandonato il suo appiglio ed era accasciata a terra. Quando il riso si trasformò, all’improvviso, in un grugnito, a Pride sfuggì una risatina tra lo scherno e il divertito.
Mi riportai indietro i capelli, che mi erano finiti davanti al viso, e mi imposi la calma. Offrii una mano alla bionda che, nonostante il contegno, scoppiava in attacchi di riso occasionali. Fatima, rotolata giù dal divano, si rimise su e sistemò un po’ i cuscini.
Scott lanciò uno sguardo significativo a Pride, l’unico ancora ben saldo sui suoi piedi e quello dalla parvenza più normale.
–Siete tutti così pazzi, voi yankee?- domandò.
–Naaah, è che qui abbiamo raccolto dei casi clinici particolari.
Voi yankee. Mi accorsi solo in quel momento che il ragazzo aveva una pronuncia diversa dalla nostra, più simile all’inglese, anche se non abbastanza da risultare evidente appena sentita. Cercai di capire la sua provenienza, così mi ricordai del cognome, o’Brian, che era tipicamente irlandese. Quindi voleva dire che…
Eltanin interruppe le mie considerazioni, dicendo:- Certamente, perché saresti qui, altrimenti? Abbiamo proprio bisogno di particolari modelli di bellezza, in questa casa!
Scott si lasciò andare in una breve risata.
–Lo prendo come un complimento- replicò.
Eltanin fece un gesto vago con la mano, portandosela poi al fianco.
–E che cos’altro doveva essere? Non hai mai considerato il tuo bel faccino, mh?
Fatima tossicchiò, stroncando i tentativi di seduzione della bionda.
–Bene- esordii, decisa a scoprire qualcosa sul conto di quel ragazzo, più che a nascondermi in uno sgabuzzino con lui. –Non sei di qui, vero?
Alzò le spalle.
–Beccato- ammise. –Sono a New York da… - usò le dita per contare. –…quasi tre anni. Prima vivevo a Dublino.
Fatima balzò seduta sul divano, sporgendo la testa verso la cucina; anche Pride si fece più attento. A Eltanin brillavano letteralmente gli occhi. –Irlandese!- strillò. –Io adoro gli irlandesi!
-Per me, ti sono iniziati a piacere solo qualche minuto fa- si intromise il ragazzo-leone.
La bionda incrociò le braccia, socchiudendo gli occhia fessura.
–Ti sbagli- lo rimbrottò. –Tutti amano gli irlandesi. Sono verdi, accoglienti e simpatici. A pensarci su…- si interruppe per assumere una teatrale posizione riflessiva, le dita che le solleticavano il mento, -dovrebbero piacere anche a te, dicono ci siano tante patate lì…- lasciò la frase sospesa, finse di essere colta da un’illuminazione e continuò:- O forse preferisci Bruxelles e i suoi finocchi?
-Veramente, Bruxelles è famosa per i cavoletti, El- puntualizzò Pride.
Fatima si sporse dal divano, scoccò un’occhiataccia al ragazzo e poi a Eltanin.
Puntò il dito contro il primo e lo apostrofò:- Tu, smettila di mettere il becco in ogni questione, e non provare a ribattere che i leoni non hanno il becco; decido io- si rivolse alla ragazza, lanciandole uno sguardo che avrebbe potuto corrodere diamanti, -tu, invece, finiscila di sfumare tutti i discorsi sul sesso. Se hai problemi ormonali, ti posso dare il numero del mio ginecologo. Okay?
-Okay- sbuffò Pride, sollevando col fiato un riccio biondo.
–Okay- brontolò Eltanin, che aveva incrociato le braccia e aveva sporto il labbro inferiore in fuori per formare un musone da cucciolo da salvare.
L’aria di battaglia sfumò, lasciando che un silenzio imbarazzato calasse sui presenti. Di nuovo, puntai gli occhi su Scott. Aveva qualcosa di magnetico nella figura che mi impediva di stargli lontano troppo a lungo, anche se i suoi occhi, spesso assenti, sembravano suggerire il pensiero di voler essere da tutt’altra parte.
Lui si disinteressò agli altri, dedicandosi a me, che alzai un sopracciglio e assunsi un’aria decisa. “Che cosa mi nascondi?” avrei voluti chiedergli. Mi regalò un sorriso affascinante. Sentii il sangue ribollire nelle vene.
Guardò Pride ed esordì:- Vorrei proporvi un accordo.
Il ragazzo-leone si scostò dalla parete, avanzando nel soggiorno.
–Andando a logica, dovresti essere tu ad accettare le nostre condizioni. Non sappiamo nemmeno perché hai tradito, Scott.
-Posso risponderti subito- replicò l’altro. –La mia famiglia non è decisamente a posto e l’unico membro di cui mi importa è mio fratello. Mi ha trovato Gemelli e si è offerto di proteggerlo e vegliare su di lui, ma non ha mantenuto fede ai patti. Perciò, me ne sono andato. Soddisfatto?
-Che genere di problemi?- intervenni, bloccando Pride, che emise un basso ringhio.
–Del genere che non interessa- ribatté, troppo bruscamente, perché dopo si scusò.
No, non erano per niente poco importanti.
Fatima liquidò l’argomento con “tutti hanno problemi con la famiglia”, prima di domandare:- Quindi, se noi proteggiamo il tuo fratellino, starai con noi, giusto?
-Sarò fedele come un border collie- assicurò Scott.
–Non ne dubito- fece Eltanin, ammiccando. –Non ti preoccupare, andrà bene per il “capo supremo”. Mentre Tori va a chiamare Pholos per dirgli che sei qui, io ti mostro la tua camera.
-Basta che gliela mostri soltanto, non ha bisogno della prova letto- la stuzzicai, avviandomi verso la porta.
Fatima mi batté il cinque mentre passavo. Pride alzò gli occhi su di me, e nella mia mente rimbombò la frase “Dopo dobbiamo parlare”.
Lasciai scorrere attraverso il legame lo stupore, la mano alla maniglia. Il ragazzo-leone non rispose, rivolgendo la sua attenzione a Scott. Uscii di casa con la mente soprappensiero.
L’Ereditario del Capricorno non mi convinceva. Tutti noi, a quello che sapevo, avevamo una situazione complicata e problematica in famiglia: Eltanin e i suoi genitori divorziati, Fatima e la sua doppia identità di studentessa modello e ragazza verde, io che avevo incontrato mio padre poco tempo fa, dopo anni alla Brighton.
Ma cosa poteva spingere un fratello a proteggere il minore? Mi vennero in mente parecchie ipotesi, non particolarmente felici: un padre alcolista, che si drogava, capo di gang malavitose… Per quanto il Sagittario fosse un segno caratterizzato dalla sensibilità, non riuscivo a spiegarmi la riluttanza di Scott a parlare di sé.
Fu Pholos a riportarmi alla realtà, posandomi una mano sulla spalla.
–Ho sentito della confusione, ma non sono riuscito ad arrivare prima. Cos’è successo?
La preoccupazione gli si leggeva negli occhi. Era diventato molto più apprensivo, rispetto a quello che gli altri mi dicevano, da quando Hayley era quasi riuscita a fare fuori me e Pride. Gli raccontai di Scott, senza tralasciare il particolare dell’accordo.
Mi ascoltò attentamente, pendendo dalle mie labbra, e, alla fine, concluse:- Manderò Pride a prendere il fratello. Abbiamo parecchie stanze vuote e ho la sensazione che quel ragazzo potrebbe perdere la testa, se lo tengo ancora al guinzaglio.
-E’ persino troppo orgoglioso per ammettere di aver bisogno di riposo, come tutti gli altri- ridacchiai.
Mio padre sospirò, stringendomi a sé.
–Già… è il suo peccato capitale, ma non possiamo dargli la colpa, è il Leone.
Non potei che concordare. Presto, la facciata bianca dell’edificio fu in vista. Pholos chiamò a raccolta il gruppo, soprattutto per osservare coi propri occhi il nuovo arrivato.
–Dov’è ora tuo fratello?- domandò, dopo un altro breve resoconto.
–Uscirà da scuola tra poco- rispose, spiegando poi dove si trovava. –Si chiama Thomas, ma è Tommy per tutti.
-Gli dirò che vengo da parte di suo fratello- lo rassicurò Pride.
Mio padre gli scoccò un’occhiataccia, dopodiché rilassò le labbra e addolcì lo sguardo.
–Oh sì!- esultò il ragazzo-leone.
Spalancò la porta, si fermò sulla soglia ed esclamò:- Ci vediamo alla fine del mondo, comuni mortali!
-E’ fuori- commentai, facendo una smorfia, provocando l’ilarità generale.
Pholos richiuse l’ingresso, facendosi sfuggire un sospiro. Ci fece capire con lo sguardo di lasciarlo solo con Scott, cui si dedicò interamente. Con Eltanin e Fatima, salii le scale e ci fermammo a chiacchierare nel mezzo del corridoio, costruendo una trincea coi nostri corpi. Dove io appoggiavo i piedi, poco dopo c’era la chioma bionda di Eltanin, che faceva il solletico al polpaccio di Fatima, sdraiata nel mio stesso senso.
–Be’, finalmente la scelta maschile si allarga- considerò, fissando gli occhi al soffitto.
–Sempre a caccia, rawr- scherzai, facendo finta di essere una gattina.
Ridacchiammo. Fatima giocherellò con una ciocca di capelli, pensierosa. Ipotizzai stesse riflettendo sulla stranezza di Scott. Se Eltanin non aveva dubbi sul suo conto, noi altre ci stavamo facendo qualche domanda. Inevitabilmente, il discorso finì sui quei lidi, con qualche siparietto divertente riguardo ai due bei ragazzi con cui convivevamo.
Non sapevo quanto tempo fosse passato, quando un improvviso trambusto animò il piano di sotto. Quasi ci catapultammo in salotto, dove un Pride che sprizzava gioia da tutti i pori batteva il cinque a quello che doveva essere il fratello minore di Scott.
Thomas era un bambino smilzo, con il volto da furetto e le fossette, e due vispi occhi azzurri. Si spiaccicò tra le braccia del maggiore, che affondò la faccia nella sua corta chioma castano-ramata. Eltanin emise un versetto che assomigliava alle fusa di un gatto. Quando il ragazzino si accorse di noi, ci rivolse un sorrisone aperto e sventolò la mano.
–Sono Tommy!- si presentò, esultante.
Rimasi impalata, mentre Eltanin correva ad abbracciarlo. Gli fece fare una ruota in aria, facendolo ridere e supplicare di scendere al tempo stesso, minacciandola però di fargliela pagare.
Lo sfidò:- Scommetto che non riusciresti neanche a prendermi.
Tommy lanciò un’occhiata a Scott. –Posso, fratellone?
-Vai- concesse lui, con un sorriso.
Thomas fuggì con Eltanin a giocare nel bosco. Mi chiesi come potesse ancora così piena di energia, ma sospettai sarebbe rimasto per sempre un mistero.
–Il piccoletto è una forza- commentò Pride, umettandosi le labbra.
–Ti consiglio di non chiamarlo “piccoletto” in pubblico, è molto orgoglioso per quanto riguarda l’età- consigliò Scott.
–A occhio e croce, direi undici anni- si inserì Fatima.
Il ragazzo assunse un cipiglio grave, gonfiando il petto.
–Dodici a Settembre- lo imitò.
Ridemmo tutti, e potei osservare come Scott fosse molto più rilassato ora che suo fratello era con lui. Intercettai un’occhiata diretta a me, cui risposi con un sorriso che voleva dire “per il momento sei salvo, o’Brian”.

Fu una cena allegra, che terminò con canzoni cantate tutti insieme e un Tommy troppo divertito per potersi anche solo reggere in piedi. La seconda a crollare fu Eltanin, che Fatima semi-trascinò nella sua stanza. Le sue batterie si era definitivamente scaricate. Pride scomparì nella sua camera, dopo che mio padre abbandonò la tavolata.
Da ultima, aiutai Scott a salire le scale, dato che zoppicava. Il contatto con la sua pelle mi impediva di rilassarmi, era come se fossi percorsa da una scarica elettrica. La sua maglietta si appiccicava alle mie dita, umidicce per via del sudore che continuava a ricoprirle.
Lo accompagnai fino alla sua porta, storcendo il naso alla vista della X rossa che contrassegnava chi era passato dall’altra parte. Mi sentii in dovere di scusarmi.
–Mi dispiace, ci aiuta solo a tenere il conto.
-Non importa- mi rassicurò, scrollando le spalle. –Per me e Tommy va benissimo.
Annuii. –Presto porteremo un altro letto, così sarete più comodi, se lui non vuole dormire da solo.
Scott schiuse delicatamente la porta, scrutando all’interno; proveniva un leggero rumore, il ragazzino che russava. Sorrisi.
–Buona notte- salutai, voltando le spalle.
Ero arrivata alla mia camera, quado lui mi richiamò con un “ehm” impacciato.
–Sì?- feci io.
Scott si passò una mano tra i capelli e si risucchiò l’interno delle guance.
–Tutti qui ti chiamano Tori, ma non ho ancora capito quale sia il tuo vero nome.
-Oh- esclamai, a voce un po’ troppo alta. –E’ il soprannome che mi ha dato Pride. Comunque, io sono Victoria- risposi, controllando il tremito delle mie parole.
–Victoria- ripeté.
Scott considerò il mio nome a lungo.
–Ti dispiace se ti chiamo così? Lo preferisco.
-Certo, nessun problema.
Alzai il pollice per sembrare convincente. Calò un silenzio imbarazzato, che ruppi con un nuovo saluto, prima di infilarmi nella mia stanza.
Chiusi la porta alle mie spalle, appoggiandomici con la schiena. Riuscivo e vedere, grazie ai freddi raggi della Luna che filtravano dalla finestra, le mie mani tremare.
Perché?, mi domandai, confusa. Ero sicura che questo non sarebbe successo alla vecchia Tori, quella che non aveva perso la memoria. La nuova doveva ancora ingranare la marcia giusta, perché un banalissimo ragazzo non poteva farmi provare tali sensazioni.
Mi portai un palmo al cuore, sentendolo correre all’impazzata contro le mie costole. I miei sensi schizzavano alla massima allerta quando Scott si rivolgeva solo a me. Mi imposi la calma, pregando che le gambe mi reggessero fino ad arrivare a letto, visto che le sentivo di gelatina.
Mi svestii in fretta, gettando gli abiti a casaccio nell’armadio. Rabbrividii per il freddo e mi affrettai a indossare il pigiama. Mi infilai sotto le coperte, sotterrandomi sotto di loro.
–Vi supplico, aiutatemi- le pregai in un sussurro.
Una risatina riecheggiò nella stanza. Cacciai fuori la testa, cercando contemporaneamente un’arma con cui difendermi, quando mi accorsi che si trattava di Pride. Solo lui poteva intrufolarsi così nella mia stanza a quell’ora. I suoi occhi scintillavano, e potevo intravedere l’ombra del suo sorriso.
–Che c’è?- sibilai.
–Dobbiamo parlare. Posso?- chiese, ma non attese risposta, accomodandosi sul mio letto.
Mi ritrovai mezzo lenzuolo in meno, il cuscino storto sotto la schiena. Pride si appoggiò per bene al muro e si massaggiò la spalla lussata.
–Prego- borbottai, sistemandomi meglio.
Ne contemplai, per quanto possibile, la figura: avvolta dal manto dell’oscurità, sembrava agile e snello come un gatto.
–Fa male?- sussurrai, ammiccando alla spalla.
Pride grugnì un “no” per nulla convincente. Mi intrufolai a forza dentro di lui, sfruttando il legame, e trasportai un po’ del suo dolore nel mio corpo, che si intorpidì. Mi fulminò con lo sguardo.
–Non fare Superman, non sei indistruttibile. Alla fine, sei solo un ragazzo- sbuffai.
Il ragazzo-leone mugugnò qualcosa di incomprensibile, prima di passare all’argomento che più gli premeva.
–Che ne pensi di o’Brian?
-Vorrei tanto saperlo- ammisi. –Sembra completamente a suo agio solo con suo fratello, altrimenti si perde tra sé. Ho come la sensazione che quella che ci mostra sia una facciata per nascondere qualcosa. Senza contare la questione “famiglia”. Si è richiuso a riccio, quando gliene ho chiesto di più.
-Mh-mh- confermò Pride. –Ha tradito Gemelli e, a quanto ne sappiamo, lui non si lascia sfuggire adepti tanto facilmente. Prima o poi, ci svelerà i suoi segreti.
-Non saprei- obiettai. –Sembra molto deciso a tenerli per sé.
-I segreti sono pericolosi, Tori- replicò, dolcemente. –Sa che se vuole ottenere il nostro completo appoggio, o per assicurarsi che suo fratello stia bene, dovrà parlarcene.
Soppesai quelle parole, constatando che Pride era più intelligente e acuto di quello che poteva sembrare in apparenza.
–Non fidarti di lui- mi mise in guardia, a sorpresa.
–Perché?- domandai, scoccandogli un’occhiata perplessa
. Il ragazzo-leone fece scrocchiare il collo.
–Se coviamo una serpe in seno, è meglio saperlo in anticipo. Non vorrei dovermi lussare anche l’altra spalla per salvarti- scherzò.
Mi si dipinse un sorrisetto malizioso sul volto.
–Non vuoi salvarmi di nuovo o non vuoi preoccuparti per me?- lo stuzzicai.
Lo sentii ridere sia con la voce che col corpo, che vibrava accanto al mio. Si scostò da me, avviandosi verso la porta con aria disinvolta.
–Io sono già molto preoccupato- mormorò. –Pensa a tutte le povere ragazze che cadono ai miei piedi e che non posso accontentare.
Feci segno di lanciarli contro il cuscino, facendolo sgusciare via dalla camera.
–Pallone gonfiato- borbottai, rassettando il letto.
Mi raggomitolai in posizione fetale, cercando di catturare calore, e chiusi gli occhi. Le parole di Scott e Pride occuparono i miei sogni.
 
 
***
.:::Angolino dell'autrice
Ok, ok, direi che sono parecchio in ritardo. Ho finito per la prima volta una long, ho concluso qualche altro progetto e, per il momento, sto scrivendo una long a due mani, quindi dovrei essere abbastanza libera. Scuola permettendo, voglio far tornare gli aggiornamenti regolari^u^
Piccolo recapitolo: Su dodici segni zodiacali, dalla parte del Bene troviamo Sagittario, Leone, Aquario, Toro e, adesso, Capricorno; per il Male, ci sono Gemelli, Ariete, Pesci, Scorpione e Cancro. Quindi, mancano solamente Bilancia e Vergine all'appello. Nei capitoli precedenti, Tori è stata colta di sorpresa da sola da Hayley Becker, che l'avrebbe uccisa, se non fosse intervenuto Pride - ferendosi alla spalla; dopodiché, Tori ha perso la memoria per via di un veleno iniettatole da Scorpione, e l'ha recuperata grazie ai suoi amici. Alla fine di quello precedente, Eltanin e Fatima avevano salvato Scott dal nemico, che però lo ha ferito alla gamba.
Siamo arrivati qui. Sono conscia che questo tredicesimo appuntamento possa sembrare alquanto infantile, o pervertito, ma ehi, sono un gruppo di adolescenti in una casa unica, che cosa vi aspettavate? Chi mi conosce, sa quante cavolate possa sparare in meno di mezzora, figuriamoci loro c: E, be', le patate, i cavoletti e tutto il resto... ho una mente molto malata, e il rating previene un po', giusto?
Alone di mistero attorno a Scott, che non convince del tutto quasi nessuno. Che cosa nasconderà e perché Tori si sente così quando ci parla? come se vi rispondessi subito Uhmm, le verità possono essere tante^^ Quello che è certo, è che il bell'irlandese non ce la racconta giusta. E, davvero, l'Irlanda è famosa per le patate-tuberi, c'è stata persino la Potato Famine che l'aveva mandata sul lastrico, in passato.
Questo angolino si sta allungando troppo, sarà meglio che taglio. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, che non vi siete dimenticata della vecchia Water e dei suoi personaggi, un bacio! :*

Water_wolf


 

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Capitolo 14
*** 14. Dai kelpie alla terracotta ***


14. Dai kelpie alla terracotta

A colazione, Scott non c’era. Tommy stava divorando in gran fretta un toast imburrato, alternandolo con sorsi di succo di frutta, in ritardo per la scuola. Lo zainetto era ai suoi piedi, stracolmo di libri, quaderni e un astuccio foderato di matite per colorare. Ingoiò l’ultimo boccone della fetta, raccolse con uno sbuffo la cartella, mettendosela su una spalla.
Gettò un’occhiata su per le scale e chiamò: -Pride! Non voglio arrivare in ritardo, Miss Keaton non sarà contenta!
Sorrisi, affogando un biscotto nella tazza di latte, schiacciandolo sul fondo con il cucchiaio. Tommy aveva lo sguardo di un cagnolino bisognoso d’aiuto. Decisi di aiutarlo a non finire nei guai con la sua insegnante.
–Pride!- chiamai, quasi strillando. –Smettila di farti bello e vieni giù!
Il ragazzo-leone comparve in un attimo, scese le scale due a due e scompigliò i capelli di Tommy. Mi rivolse un sorrisetto.
–Non mi stavo facendo bello, dopotutto, lo sono già al naturale- commentò.
–Vai, ti conviene- minacciai, fulminandolo con lo sguardo.
Tommy mi rivolse un sorrisone e sillabò “grazie per averlo fatto sbrigare”. Strizzai l’occhio, facendo riemergere il biscotto zuppo e portandomelo alla bocca. Incominciavo ad adorare quel ragazzino.
Continuai la mia colazione, rimuginando su come doveva essere la vita con un fratello al fianco. Sicuramente meno solitaria e monotona. Dopodiché, mi lanciai nella ricerca di Scott. Non era nella sua stanza, né in altri luoghi della casa, così il campo si ridusse all’esterno. L’aria era frizzante e il Sole illuminava il villaggio dei centauri, invogliando la mia parte ibrida a farsi una galoppata.
Per quanto mi trovassi a mio agio nel mio corpo umano, gli istinti animali erano insistenti e piuttosto persuasivi. Era anche un ottimo modo per estendere la ricerca e ridurre il tempo che ci avrei impiegato a piedi. In un batter di ciglia, mi trasformai in una giovane giumenta dal vello scuro.
Nitrii, scrollando la criniera. La mia visuale si ridusse a sprazzi di colori, che mi indicavano quale ciuffo d’erba fosse ancora cosparso di rugiada e quali fiori erano più succulenti. Masticai un dente di leone, passeggiando nelle vicinanze della casa.
Domati quei bisogni vegetariani, puntai al fiume e alla pianura. La mia andatura si velocizzò, passando da una tranquilla passeggiata al galoppo sfrenato. Avvertivo nitidamente i muscoli allungarsi, permettendomi di volare sul terreno, incidendo impronte dov’era più fresco. Punti verdi coloravano la mia visuale, comunicandomi eccitazione nell’aria.
Le mie orecchie captarono un fruscio, seguito da uno scalpiccio, e si mossero in quella direzione per identificarlo. Prima che ne ebbi il tempo, un corpo equino cozzò contro il mio, spingendomi via dal percorso che stavo seguendo. Tuttavia, non avvertivo il pericolo, bensì uno stato di stupore, sfida e gioia.
Sbuffai all’indirizzo del cavallo che mi aveva urtato, nitrendo poi qualcosa che era traducibile con “sconosciuto, non urtare l’Ereditaria del Segno del Sagittario”.
L’altro ricambiò con l’equivalente di un sorriso equino. Era di corporatura snella, più simile a un cavallo da corsa che a uno da tiro; il vello era nero, opaco, e gli occhi sembravano acciaio fuso. Lo annusai, catturando un odore che mi avvertiva: attenzione, non è esattamente un tuo simile.
Una scintilla di sfida accese l’ambiente, prima che il cavallo scattasse di nuovo. Non esitai un secondo a seguirlo, percorrendo un tratto perpendicolare al fiume; dall’altra parte, la pianura, zona neutrale, catturava i raggi del Sole.
Lo sconosciuto era veloce, più di qualsiasi centauro. Tranne che me.
Con slancio, lo raggiunsi in qualche falcata, galoppando al suo fianco. Ci scambiammo uno sguardo, che mi fece capire quanta eccitazione c’era in quel momento. Cercai di intralciarlo, facendolo sbandare, ma senza risultati. Il rumore dei nostri zoccoli sembrava preannunciare un temporale, rendendo appena udibile il sottofondo del fiume.
Quando lo potei sentire chiaramente, decisi che avrei dimostrato al cavallo nero chi comandava. Con il cuore che mi martellava nel petto, sforzai i muscoli al massimo, facendoli quasi bruciare. Lo staccai di qualche centimetro, giusto in tempo per preparare il salto che mi avrebbe permesso di oltrepassare il fiume.
Quando i miei zoccoli si sollevarono dal terreno, sentii l’ebrezza del volo pervadermi, sfiorarmi la pelle, prima che l’impatto mi ripotasse alla realtà. Le ossa tremarono, ma non mi fermai, continuando a correre per qualche altro metro. Immaginai che quella dimostrazione potesse bastare, così mi voltai, ruotando su me stessa.
Il cavallo mi squadrava, ammirato, ma la sfumatura del mio stupore prevaleva. Lo sconosciuto non era più nero, anzi, le sue zampe avevano assunto toni chiarissimi, quasi trasparenti, come perla, e la sua criniera mi ricordava fulgide alghe.
Sbuffò, e potei intravedere la dentatura più affilata, assolutamente sconosciuta agli erbivori. Rimasi ancora più di sasso, quando si rimpicciolì all’improvviso e si trasformò in Scott o’Brian.
Mutai forma ed esclamai: -Oh cavolo!
-Tu sei… insomma… un, un… - balbettai subito dopo, incapace di realizzare ciò che era appena accaduto.
–Un kelpie?- fece lui, avvicinandosi.
Mi strinse la mano, ma io ero troppo concentrata a metabolizzare l’esperienza per farvi troppo caso.
–Complimenti, finora, nessuno mi aveva mai battuto nella corsa.
-Giocavo in casa- minimizzai.
Be’, sono anche piuttosto dotata, in effetti, pensai, ma non lo dissi ad alta voce. Non volevo risultare una sbruffona piena di sé.
–Un kelpie?- domandai, cambiando repentinamente discorso.
–Ah-ah- confermò lui.
Indicai col mento l’altra sponda del fiume, dove potevamo parlare più tranquillamente. Se il mio intento era quello di trovare il ragazzo, c’ero riuscita.
–E’ una creatura della mitologia irlandese- spiegò. –Un cavallo, spesso dal manto scuro, che attira viandanti fingendosi docile. Quando, però, gli montano in groppa non sono più in grado di scendere. Così, il kelpie li trascina fino al fiume o al lago più vicino, li annega e li mangia.
-Inquietante- commentai, fissando Scott come se fosse appena uscito da un film di Tim Burton.
Incontrando il mio sguardo sgomento, scoppiò a ridere.
–Non mangio le persone, né le uccido, Victoria!- mi prese in giro.
–Ne sarei più convinta se fossi vegetariano- replicai, attraversando il fiume cercando di bagnarmi il meno possibile.
Ci sedemmo all’ombra di un pino, dove gli aghi secchi mi pizzicavano la pelle. Incrociai le gambe, pensierosa.
–Un kelpie non dovrebbe essere la tua altra forma- gli feci notare.
Scott annuì, abbandonando le braccia sulle ginocchia, riportate al petto.
–Hai ragione. Conosci la il mito del Capricorno?- mi chiese.
Scossi la testa, sentendomi in imbarazzo. Tutto ciò che sapevo sul Capricorno, si riduceva al fatto che fosse un segno prevalentemente delle donne, e che Scott non lo era. Piuttosto, attirava il sesso femminile.
Ero sicura che, se fossi stata nella forma della giumenta, avrei potuto distinguere chiaramente la tensione e l’eccitazione di quell’incontro.
–Risale alla Grecia- iniziò Scott, perdendosi a guardare le acque del fiume. –Il dio Pan stava pascolando sulle rive dei Nilo, ma arrivò Tifone, che lo spaventò. Pan si trasformò in capra per nascondersi, però, non abbastanza sicuro, si gettò in acqua per diventare un pesce. Il fondale era basso, quindi la parte superiore del corpo rimase fuori nelle sembianze di capra. Zeus, per punirlo della sua vigliaccheria, lo condannò a restare in quelle spoglie.
-Davvero un simpaticone- commentai, riferendomi al Re degli Dei. –Pensare che Giove è il protettore del Sagittario.
Scott sorrise.
–C’è anche la versione più carina, meno crudele, in cui Zeus trasformò la capra Amaltea sua nutrice nella costellazione del Capricorno- aggiunse.
–Molto meglio- concordai.
–Visto che sono di origini irlandesi, che sono un uomo, e che il mio segno è di solito femminile- continuò, -potrei aver preso la forma di kelpie al posto di quella metà capra metà pesce. Almeno, questo è quello che avevo ipotizzato con Gemelli.
Quel nome bastò a far cadere il silenzio. Mi mordicchiai le labbra, riflettendo sulla confidenza che poteva esserci tra i due Ereditari. Poteva trattarsi unicamente di una curiosità, ma anche di discorsi fatti tra persone di cui ci si fida. Mi domandai fino a che punto era profondo quel rapporto.
–Victoria.
Il suono del mio nome mi riscosse. Mi posò una mano sulla spalla, sprigionando un miriade di scintille che mi provocarono scosse in tutto il corpo, scoppiando come fuochi d’artificio nel mio stomaco. Non mi azzardai a parlare, conscia che avrei farfugliato frasi sconnesse.
–Siamo alleati, dobbiamo fidarci a vicenda- mormorò.
Il suo fiato caldo stava mandando a fuoco il mio orecchio, oppure era l’imbarazzo che mi stava facendo arrossire. Mi scostò una ciocca di capelli dalla spalla. Rabbrividii, mentre mi sembrava di stare nuotando in una vasca piena di anguille elettriche.
–Non sono colui che pensi- sussurrò.
Mi irrigidii.
–La fiducia si deve guadagnare- replicai, risultando più fredda di quello che avrei voluto.
–Troverò il modo- assicurò, interrompendo il contatto tra i nostri corpi.
Si schiarì la gola, riprendendo il discorso come se nulla fosse accaduto.
–E l’acqua ha effetti miracolosi sulla mia pelle, può guarire qualsiasi ferita. Almeno, credo.
-Utile- commentai, combattendo contro le sensazioni che impazzivano dentro di me.
Un punto nero comparve nella pianura, quasi cadendo dal cielo. Aguzzai la vista, cercando un particolare che mi confermasse che fosse Pride. Scott fischiò.
–Il tuo amico leone sta arrivando, sarà meglio che levo le tende.
Inarcai un sopracciglio.
–Perché?- chiesi, confusa.
Scott si alzò, spazzolandosi i jeans.
–Questione di territorio- spiegò, velocemente. –Sei dentro al suo fino al midollo, se mi becca con te sono spacciato.
Mentre lo diceva, sembrava realmente convinto di quell’affermazione,  come se io potessi essere veramente il territorio di qualcuno. Non ero una riserva in Africa, Pride non poteva urinarmi addosso per delimitare che gli appartenevo.
Scott gettò un’occhiata veloce in lontana e mi salutò, sventolando velocemente la mano. Quando si voltò, allontanandosi a passo svelto, la sua maglietta si sollevò e la sua pelle luccicò alla luce del sole.
Mi chiesi se non fosse uno strano effetto dei raggi, ma ne dubitavo. Per qualche motivo, Scott aveva della pelle più chiara sulla schiena; l’ennesimo mistero che lo avvolgeva. Aspettai che Pride mi raggiungesse, prima di alzarmi e affiancarlo.
Si avvicinò al mio collo, inspirando il mio odore – provocandomi numerosi brividi per la schiena – e commentò: -Lui è stato qui, con te. Da quando il concetto di “stai attenta, Tori, non fidarti” implica amorevoli incontri?
Gli diedi una gomitata.
–Almeno, ho scoperto qualcosa sul suo conto- lo rimbrottai.
Pride sgranò gli occhi, piuttosto scettico. Camminando verso il villaggio dei centauri, gli riferii della trasformazione in kelpie di Scott e dello strano brillio della sua pelle.
–Hai idea del perché accada?- domandai, alla fine del resoconto.
Pride ci rifletté su.
–Penso si tratti di ci…
Non completò la frase, perché si fermò di colpo, fiutò l’aria e si trasformò in leone. Balzò in avanti, quasi travolgendomi. Saltò addosso a qualcosa che non riconobbi subito, ma, quando rotolarono allacciati uno all’altra sull’erba, identificai una leonessa dal pelo color grano.
Pride latrò, mordicchiandole il muso e le orecchie. La leonessa ricambiò le coccole, strusciandosi contro la sua spalla e affondando il muso nella sua criniera.
–Syrah, finalmente.
La voce di mio padre mi fece saltare sul posto. Era comparso come un fantasma alle mie spalle, e osservava la scena con un sorriso. Avanzò verso Pride con tranquillità, e io gli trotterellai subito al fianco.
–Syrah?- domandai. –Chi sarebbe?
Pholos non rispose, come a dire “te lo spiegherà lei adesso”. Brontolai sottovoce, scoccando a Pride-leone un’occhiataccia. Perché dovevo essere sempre informata all’ultimo?
La leonessa emise un sbuffo, si scrollò di dosso l’erba e si trasformò. Nei panni umani, era una donna sui quarantacinque, allenata come se andasse tutti i giorni in palestra. I capelli rosso ramato erano tagliati corti e asimmetrici, che le arrivavano poco sotto le orecchie; alcune ciocche erano arrotolate a formare dei boccoli.
Aveva occhi vispi, color oro, e un sorrisetto compiaciuto che avevo già visto parecchie volte. Incrociò le braccia al seno, posa che la rendeva attraente come una modella di vent’anni. Aveva dipinta in faccia un’aria furba, che voleva suggerire “controlla se hai ancora il portafoglio”.
–Syrah, che piacere- salutò mio padre, abbracciandola.
La donna ricambiò, ignorandomi completamente. Pride si ritrasformò, sorridendo raggiante. Non riusciva a tenere sotto controllo il legame, perché i suoi picchi di gioia mi occupavano parte della mente, soffocando la diffidenza. La rossa si staccò e mi squadrò, dopodiché mi porse la mano.
Gliela strinsi, mentre si presentava: -Sono Syrah Legrand Lewis, a capo del branco dei leoni e guardiana della nostra zona dall’altra parte del portale, madre dell’Ereditario del Segno del Leone.
Parlava con una spiccata “erre francese”, che rendeva musicale la sua pronuncia. Guardai Pride, poi Syrah, di nuovo Pride e ancora Syrah.
–Oh!- esclamai.
Indicai i loro due sorrisi, perfettamente identici.
–Tu sei la… ah!... siete… wow… cavolo!
-Tori, stai bene?- domandò il ragazzo-leone, preoccupato. –Parli come una verifica a completamento.
La madre gli pizzicò il fianco.
–Postura dritta, tesoro, e rispetto per le donne- lo redarguì benevola.
Pride gettò gli occhi al cielo, ma si raddrizzò. Sghignazzai. Se l’avessi chiamato io “tesoro”, mi avrebbe annegato giù al fiume.
–Victoria Williams, Ereditaria del Segno del Sagittario e figlia di Pholos. Vedo che voi due vi conoscete già bene- mi presentai.
Oui- confermò lei, con un sorriso.
–Io e tuo padre siamo grandi amici da lungo tempo, non è così?- si rivolse a Pholos.
Lui le rivolse un aperto sorriso.
–Grazie per aver accettato di aiutarmi- disse.
–Come non avrei potuto?- replicò Syrah.
–Aiuto per cosa, mamma?- si intromise Pride.
Lei liquidò l’argomento con un aggraziato movimento del polso.
–A tempo debito, tesoro. Adesso, mi lasceresti parlare da sola con Pholos?
Sorrisi al ripetersi di “tesoro”.
Ti strozzo” minacciò Pride attraverso il legame.
“Rispetto per le donne, tesoro” replicai, maliziosa.
Pride lasciò andare sua madre solo per poter scavare una fossa che contenesse il mio cadavere. Syrah e mio padre si allontanarono a braccetto, sorridendosi amichevolmente. Non lo avevo ancora visto così, e quell’improvvisa felicità mi mise di buon umore.
–Chiamami ancora “tesoro” e troverai una morte lenta e dolorosa.
Il ragazzo-leone era così irritato, la sua espressione talmente crucciata che non riuscii a trattenere una risata.
Ripresi il cammino verso la casa, acconsentendo: -Come vuoi, tesoro.
Pride ringhiò.
–Stai calmo, t…- stavo per ripetere ancora il nomignolo, ma lui mi tappò la bocca con la mano.
Mi rivolse un sorriso ambiguo, a metà tra “ho un set di coltelli inox pronti all’uso” e “ristorante francese, questa sera?”. Fece segno di stare in silenzio, mentre mi conduceva tra gli alberi. Lo lasciai fare, sorridendo al pensiero di quanto ci si potesse sentire ridicoli, quando un genitore vi chiamava in pubblico con soprannomi imbarazzanti.
Ci sedemmo sull’erba, il ramo e le fronde di un acero che ci proteggevano gli occhi dal sole. Sentivo i ciuffi solleticarmi il collo, infilandosi tra i miei vestiti. Pride rimase in silenzio, nonostante avesse parecchio da spiegare – a iniziare dal perché mi avesse portato lì.
La famille de ma mère est d’origine française- sussurrò.
Sapeva che non avevo capito nulla, perché tradusse subito: -La famiglia di mia madre è di origine francese. Per lei, è molto importante ricordare le proprie radici, per cui ha mantenuto il cognome del padre anche da sposata.
-Legrand- intuii.
Pride sorrise, rivolto al cielo.
–Prima che ti tedi con la noiosa  storia della mia famiglia, vorrei sapere se sei disposta ad ascoltarla.
Rotolai più vicino a lui.
Mais oui- dissi. –Non so praticamente nulla di te, mentre tu sai tutto di me. Ovvio che voglio conoscere questa storia.
-Mh- fece lui. –Di solito, alle ragazze interessa solo sapere che sono bello e affascinante.
Sbuffai, facendolo ridere.
–Okay.
Si passò la lingua sulle labbra, riflettendo su dove iniziare.
–I Legrand sono in America da molto tempo, quando ancora c’era la Rivoluzione. Dal Québec, Canada francese, si sono stanziati negli Stati Uniti- raccontò.
-Mamma non era sorpresa di saper cambiare forma, non era l’unica nella famiglia, e sapeva di poter trovare l’uomo adatto solo se quest’ultimo conoscesse la storia delle creature fatate. Dopo il matrimonio, be’, sono nato io.
Mi figurai un Pride neonato, che frignava tra le braccia di Syrah, abbracciata a suo marito. Doveva essere bello avere una famiglia che ti vuole bene.
–Solo che non sono nato normalmente. La mia prima forma, è stata quella di leone.
Bloccò le mie domande con un gesto della mano.
–E’ possibile, sì. Mamma si è rifugiata in una radura, nei suoi panni di leonessa, e mi ha messo al mondo. Tra i metà-leoni, gira la leggenda che coloro nati sotto queste spoglie, sono destinati a grandi cose.
Lo disse come se fosse più una maledizione, invece che un ottimo augurio. Si voltò verso di me, e notai quanto i suoi occhi fossero svuotati di ogni allegria.
–Come nei lupi, tra i leoni ci sono diversi branchi, ognuno predominante su una zona di New York.  C’era una faida tra quello di mio padre, e quello di Ripper. Sapendo che io ero nato come leone, si infuriò e decise di uccidermi, perché il suo branco avrebbe seguito quello di mio padre e lui sarebbe stato emarginato.
-Ma tu sei qui- mi sfuggì.
–Sì- confermò Pride. –Perché fu qualcun altro a morire al posto mio.
Sentii un peso occuparmi il petto, il cuore accelerare i battiti.
–Mio padre offrì la sua vita per salvare la mia, e venne ucciso in duello da Ripper- la sua voce si era incrinata leggermente, ma il ragazzo deglutì e riprese, senza più alcuna inflessione.
–Quando muore il capo, l’alfa, un branco si disperde. Così accade per il mio, inutili gli sforzi di mia madre. Venne emarginata, perse la sua carica di regina. E sai dove si rifugiò?
Non ne avevo la minima idea, per cui tacqui.
–Nello zoo centrale di New York- si rispose da solo. –Falsificò dei documenti, che attestavano l’arrivo di madre e figlio, e ottenne una casa, pasti regolari e un luogo sicuro dove crescermi. Quando era l’età per mandarmi a scuola, riscuoteva il suo “stipendio” di attrazione animale e pagava la retta. Tutto il materiale si nascondeva nella nostra gabbia, e lei mi aiutava a studiare, a fare i compiti. Non avrebbe permesso che fossi ignorante. Certo, non potevo invitare amici a casa e dovevo mentire ai temi per scuola su “descrivi la tua casa”, ma ero felice. La pelliccia di mamma era morbida, il suo corpo caldo. Quando i miei compagni mi prendevano in giro perché avevo un nome strano, lei si accoccolava accanto a me, mi leccava via le lacrime e diceva “Gli altri sono così stupidi. Sai cosa vuol dire Legrand, trésor? Il grande. Sei forte, sei grande, sei un re. Il tuo nome significa orgoglio, e con questo spirito bisogna mostrarlo. Tu sei un leone, e loro? Sei ciò che mi rende fiera ogni giorno di più, che rende felice tuo padre lassù, e che porta onore alla nostra famiglia. Sii orgoglioso delle tue radici, non rinnegarle mai, capito, tesoro?”
Il suo sguardo si perdeva tra le fronde, e non ebbi il coraggio di interrompere il flusso di parole che fluiva dalla sua bocca.
–Ogni sera, prima di addormentarmi, mi faceva ripetere il motivo per cui mi chiamassi così. Era un modo per ricordarmi che è col fango che si formano i più bei vasi di terracotta. Infatti, negli ultimi anni, mamma è riuscita a riformare il branco e a riprendersi la carica che le spettava.
-Pride…- mormorai, la voce che tremava. –Come fai a sorridere, ad essere divertente, sicuro di te, portandoti tutto questo dietro?
Pride si puntellò sui gomiti. Sembrava stesse per ridere, anche se quella situazione era tutt’altro che esilarante.
–Vuoi la verità? Non lo so. Credo dipenda da ognuno di noi, da quanto siamo forti. Non scordarti che sono un leone.
Si alzò, gettando un’ombra su di me.
–E, comunque- aggiunse. –L’humor è un ottimo modo per nascondere il dolore.
Se ne andò, lasciandomi sdraiata sull’erba, con il peso della sua vita sullo stomaco.
Dal fango si formano i vasi di terracotta più belli, ripetei nella mente. Pride aveva parlato della sua vita in modo semplice, conciso, come se fosse normale vivere in uno zoo, mentire fin da bambini, nascere leoni e vivere sotto una leggenda che ti affidava il destino di fare grandi cose. C’era un ricordo che stuzzicava la mia memoria, una frase che avevo detto e che aveva ferito Pride, che solo ora si collocava al posto adatto.
Mi sforzai di ricordare, invano. Mi costrinsi ad alzarmi e scossi la testa, cercando di scacciare quei pensieri dalla mente. Se dietro la facciata che Pride innalzava si nascondeva tutto quello che mi aveva detto, non osai immaginare quale verità appartenesse a Scott.

.::Angolino dell'Autrice
Ehm... sì, questo capitolo non è in orario, ma in super ritardo. Spero vi abbia soddisfatti comunque :3
So che tutti amate Pride come no, sogna, quindi la sua storiella personale dovrebbe avervi sciolto un po'. E con dovrebbe, intendo: vi ha sciolto, vero? Vero!? 
Riprendiamo. Sono solo le otto, non posso essere messa già così male. Punti chiave: francese! Sì, può sembrare una lingua da ammosciati e tutto il resto, ma ehi, sapevate che la Francia ha il più alto tasso di attività sessuale al mondo? Se è così, un motivo dev'esserci *ammicca* Come non dare a Pride lontane origini francesi? u.u
Secondo, Ripper. Il suo nome, in inglese, significa "squartatore", infatti, Jack lo Squartatore è Jack The Ripper. Quale nome migliore per un assassino?
Il nome del padre d Pride è sconosciuto, sia perché il leoncino non l'ha mai conosciuto, sia perché io non ne trovavo uno che mi soddisfacesse. Nel capitolo 11, prima dell'arrivo di Hayley Becker, nel momento in cui Pride si rivela, Victoria grida "
Torna nel tuo zoo, Alex il Leone!" e lui "Seguirò il tuo consiglio". Quindi, il ragzzuolo è andato a farsi consigliare da Syrah perché la loro "residenza" è ancora lo zoo.

Per quanto riguarda Scott, tutto ciò che ho usato per informarmi sui kelpie e sul segno del Capricorno è preso da Wikipedia, se ciò che sapete voi è diverso, non esitate a espormi i vostri dubbi! Qualche idea su cosa siano i segni bianchi? *sorriso maligno*
Per finire e lasciarvi in pace, perché Tori prova determinate sensazioni quando sta con Scott? Scoprirà qualcosa sul suo passato?
Alla prossima vi aspetto a Voyager! un bacio! :*

Water_wolf

 
 

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Capitolo 15
*** 15. Alla palestra Braccio di Ferro ***


15. Alla palestra “Braccio di Ferro”

Sognai di nuotare in una grande pozza scura. Sapevo che era mare perché l’acqua era salata. Il cielo, sopra di me, era altrettanto buio – nessuna stella a illuminarlo, nemmeno la Luna. Avevo la vaga sensazione che qualcosa non andasse, ma l’acqua era così calma e nuotare talmente rilassante che la ignorai.
Quando delle dita mi afferrarono la caviglia, spalancai gli occhi e cercai di liberarmi. Un’altra mano mi afferrò il piede sinistro, tirando verso il basso. Aveva una consistenza strana, viscida come la pelle di un pesce.
Scalciai, lottando per rimanere in superficie, ma ogni mio sforzo era inutile. Più mi dimenavo, più mani si aggiungevano e mi portavano verso il basso. Il mio corpo ne era ricoperto, e ormai riuscivo a vedere delle dita unite tra loro da membrane. Mi tirarono sotto, sempre più giù, e io trattenni il fiato.
Dal fondo, sembravano risalire bolle scure. Mi resi conto che non erano bolle, ma cavalli neri, le cui zampe posteriori erano la coda di un pesce. Ippocampi giganti.
I miei polmoni bruciavano, mentre dalle mani erano spuntati piccoli artigli che si conficcavano nella mia pelle nuda. Tre cavalli marini mi raggiunsero e sorrisero, mostrando una sfilza di denti aguzzi e affilati come spilli. Non potei impedirmi di gridare, liberando le ultime riserve di ossigeno.
La mia bocca si riempì di sale, le palpebre si abbassarono leggermente. Prima che un ippocampo potesse dilaniarmi il fianco, qualcosa mi strattonò la spalla e mi tirò su, come un pesce che ha abboccato all’amo.
Mi ritrovai su una spiaggia di ciottoli scuri e levigati, due occhi color ambra che mi fissavano. Riconobbi Pride, il cui sorriso arrogante sembrava più un ghigno. Mi aiutò ad alzarmi e, senza saperne il motivo, lo seguii in una foresta tropicale. L’acqua scivolò via dal mio corpo e mi ritrovai avvolta in un abitino di seta, leggero e trasparente come la carta velina.
Mi fermai, terrorizzata dal frinire dalle cavallette e dalla postura delle spalle di Pride. Sembrava sul punto di tramutarsi in un mostro. Camminai all’indietro, ma anche il ragazzo si arrestò e si voltò verso di me. Strillai.
Pride ruggì e si trasformò in un enorme leone, grosso tre volte più del normale. Corsi verso la spiaggia, riuscendo miracolosamente a raggiungerla prima di lui. Mi gettai in acqua, allontanandomi il più possibile, ma un sonoro splash risuonò accanto a me. La belva si era buttata nel mare.
Alghe si attorcigliarono alle mie gambe, mentre Pride riemergeva e spalancava le fauci, minacciando di inghiottirmi. Gli ippocampi iniziarono a mordermi, mangiando la mia carne. L’acqua si tinse di rosso, la mia vista divenne nera.
Mi svegliai con un urlo. Mi misi a sedere, scacciando le coperte. Ansimai forte, il cuore che galoppava a velocità folle.
–Oh mio Dio- mormorai, solo per sentire la mia voce.
Mi passai una mano sudata tra i capelli, cercando di calmarmi. Era solo un incubo. Eppure, la sensazione di annegare era ancora presente, così come il dolore dei morsi. Sapevo che, di notte, il cervello rielaborava le informazioni e queste potevano formare dei sogni, ma il pensiero non mi calmava.
Pride non era lui, ma comunque un’entità malvagia che mi avrebbe ucciso e fatto pasto con le mie carni. L’incrocio tra capricorni e kelpie non avrebbe esitato a banchettare con le mie budella. Era stato tutto troppo reale.
Misi giù i piedi dal letto, considerando che un bicchiere di latte mi avrebbe fatto bene. Un po’ di dolcezza era tutto ciò che avevo bisogno. Attenta a non svegliare nessuno, scivolai giù per le scale e attraversai a passo svelto il soggiorno. Mi bloccai quando notai la flebile luce del frigorifero, che illuminava le braccia di Scott.
Emisi un brontolio, che lo fece voltare. Dopo essere stata la cena di bestie simili ai kelpie, lui era l’ultima persona che avevo voglia di vedere. Nonostante ciò, mi avvicinai a lui e presi il cartone di latte dal frigorifero, passando sotto il varco creato dal suo braccio. Glielo sventolai sotto il naso, e lui annuì, segno che era lì per lo stesso motivo.
Presi due bicchieri e li riempii, rovesciando gocce di latte oltre il bordo. Gliene porsi uno e facemmo brindisi. Il dolce sapore della bevanda mi rilassò, confermando definitivamente che quello che avevo avuto era solo un incubo. Scott appoggiò il bicchiere vuoto sul lavabo.
–Brutti sogni?- sussurrò.
Mi leccai via un baffo di latte.
–Orribili- confermai.
Rimise il cartone nel frigo.
–Cosa succedeva?- domandò.
Sbuffai piano.
–Annegavo- risposi. –E tu?- indagai.
Scott fece una smorfia.
–Mio padre e troppi serpenti- borbottò.
Mi diede le spalle e si avviò verso le scale. Il pensiero di padri e serpenti insieme mi appariva buffo, ma non doveva valere lo stesso per Scott. Avevo la sensazione che non fosse la prima volta che li sognava. Salii le scale e mi infilai nella mia stanza, cercando rifugio sotto le coperte. Chiusi gli occhi, portando le gambe al petto, raggomitolandomi. Sperai che la prossima serie di sogni fosse meno inquietante.

 

-Non ci posso credere!- esclamò Eltanin, per poi staccare un morso dal suo enorme biscotto con gocce di cioccolato.
–Che c’è di tanto speciale?- chiesi.
Fatima fece un sorrisetto.
–Sicura di voler sapere cosa intendeva Scott quando parlava di territorio?- si informò.
–Ovvio che lo voglio- confermai, secca.
Non capivo perché le due ragazze avessero fatto quelle facce alla mia richiesta.
–Be’- iniziò Eltanin, ruminando il suo biscotto. –E’ il modo di alcuni maschi per segnalare che quella ragazza è stata scelta da lui per primo, e che se qualcuno ci mette le mani sopra potrebbe non ritrovarsele il giorno dopo- spiegò.
I cereali mi si bloccarono in gola.
–Oh, ma non solo in quel senso- aggiunse Fatima. –Potrebbe essere il modo di Pride di mettere in guardia dicendo che tu sei come la sua sorella minore, e che se qualcuno ti fa del male la sua fine sarà dolorosa.
-Mh-mh- concordò Eltanin. –Pride si comporta esattamente come un fratello maggiore e rompiscatole pieno di sé.
Riuscii a mandare giù i cereali.
–E come faccio a “uscire dal suo territorio”?- domandai, tesa.
Fatima ci rifletté su, sorseggiando il caffè nero.
–Non puoi- rispose semplicemente. –Ma questa è una stupida regola da ragazzini, tu puoi fare quello che vuoi.
-E’ Scott quello che non può- ricordò Eltanin, ridacchiando.
–Perfetto- brontolai. –Esattamente quello che speravo.
Allontanai la ciotola di latte e cereali da me, spingendola al centro del tavola. Fatima mi diede una pacca sulla spalla.
–Su con la vita! Questo vuol dire che il leoncino ci tiene a te- tentò di rassicurarmi.
–Forse più che al suo aspetto da “sono dannatamente sexy”- commentò Eltanin.
Non esitava un secondo a fare del sarcasmo ai danni del suo segno opposto, il Leone.
–Almeno oggi potrò ritornare a cercare gli ultimi due Ereditari rimasti- sospirai.
Né Fatima né Eltanin accennarono al fatto che avrei fatto tutto con Pride. Sembrava quasi il mio partener in indagini, se fossi stata una poliziotta. Chissà se sarei riuscita a mascherare le mie tracce, se l’avessi ucciso con un colpo dell’arma.
Mi persi a rimuginare su come avrei trasportato il suo cadavere e dove l’avrei nascosto, quando il ragazzo-leone mi mise una mano sulla spalla, riscuotendomi.
Non l’avevo sentito arrivare e così anche Eltanin, cui era riuscito a sgraffignare un biscotto. La bionda lo fissava con sguardo assassino, probabilmente maledicendosi per non avere con sé un coltello con cui infilzarlo.
–Pronta, Tori?- bofonchiò, la bocca piena.
Allontanai la mano dalla mia spalla, permettendo al mio stomaco di distendersi.
–Certo- risposi, alzandomi.
Pride gettò un’occhiata alla mia spalla, libera dalla sua mano, poi scrollò il capo. Salutò le ragazze con un cenno, mentre io mi chinavo per dar loro un bacio sulla guancia. Ancora con mezzo biscotto da mangiare, Pride sparse un sentiero di briciole sul prato. Nonostante il racconto di ieri, per lui, nulla sembrava essere cambiato.
Ma come poteva aspettarsi che non lo guardassi in modo diverso, ora che sapevo come aveva vissuto per tutto questo tempo? Non poteva chiedermi di non esserne minimamente toccata o turbata. Si ficcò l’ultimo pezzo di biscotto in bocca, ingoiandolo senza masticarlo.
–Dovremmo stare più attenti- esordì. –Con solo due Ereditari che mancano all’appello, probabilmente Gemelli in persona sarà in giro a cercarli.
-Già, considerando anche che gliene è appena sfuggito uno sotto il naso- concordai.
Pride si sistemò meglio la camicia, arrotolandosi le maniche al gomito.
–Uh, e mia mamma ha detto che dobbiamo essere di ritorno prima di mezzogiorno- aggiunse. –Dobbiamo discutere di un argomento tutti insieme.
-Spero in buone notizie- sospirai, riportandomi dietro un ciuffo di capelli.
Oltrepassato il fiume, camminammo ancora un po’ per la radura, prima di inginocchiarci e chiedere ad Ermete di aprire il portale. Gli lanciai solo una breve occhiata, passandoci attraverso. Era da tempo che non provavo la stretta allo stomaco tipica di quel trasporto, e la accolsi come una vecchia amica.
Apparimmo nel mezzo delle strisce pedonali, spaventando a morte una dog-sitter, che ci squadrò come se fossimo demoni. Pride mi prese per un braccio e mi trascinò verso il marciapiede, dove grumi di persone si stavano dirigendo. Menomale che il semaforo era rosso, per le auto.
–Qualche idea di dove andare?- domandai.
Il ragazzo-leone scrollò le spalle.
–Se vuoi, ti posso portare a vedere la scuola di Tommy- propose.
–Okay- accettai, visto che non avevamo una meta migliore.
Camminammo tra la gente, che si differenziava per etnia e abbigliamento. Potevi passare dal rosa shocking di un mini abito, al nero cupo di una maglietta slabbrata di qualche dark. Mi tenevo vicina a Pride, consapevole che, se l’avessi perso, non sarebbe stato semplice ritrovarlo. A un certo punto, si fermò e si voltò a guardare una vetrina.
Erano esposti diversi tipi di televisioni, alcuni cartellini indicavano che la visione era anche 3D. Si finse interessato, ma potevo capire dalla tensione delle sue spalle che qualcosa non andava. Mi mise un braccio attorno alla vita, come se fossi la sua fidanzata.
–Altro capo della strada, palestra “Braccio di Ferro”. Qualcuno ci osserva- mi sussurrò all’orecchio.
Con discrezione, mi girai e cercai l’insegna della palestra. Individuato il cartellone verde acido, trovai anche una ragazza di circa sedici anni; indossava una tuta monocolore e ci lanciava occhiate di soppiatto, fumando una sigaretta ostentando noncuranza. Ritornai a fissare i televisori.
–Vista- dissi. –Andiamo a farle visita?
-Spero tanto, tanto che non abbia voglia di picchiarci- sospirò Pride.
Risi.
–Da quando preghi per queste cose?- chiesi.
Si voltò verso l’altro capo della strada.
–Mai fidarsi delle ragazze in tuta sportiva che vanno in palestra, potrebbero atterrarti con qualche mossa di kung-fu e fregarci tutti- spiegò.
–Questo accade solo nei film- gli feci notare. –Solo nei film scadenti a bassa risoluzione.
-E un portale tra dimensioni si trova in un frigorifero in un Mc Donald’s abbandonato- ricordò. –Mi sembra abbastanza strano da rientrare nella nostra normalità.
Sbuffai, concordando che non aveva tutti i torti. Attraversammo la strada, ritrovandoci subito davanti alla palestra “Braccio di Ferro”. File di vetrine mostravano macchinari vari, dai tapis-roulants alle ciclettes. Annusai l’aria, sentendo l’odore di bosco che contraddistingueva gli Ereditari mischiato a quello del fumo. La ragazza in tuta si staccò dalla parete e ci venne incontro.
I capelli erano color nocciola, schiarito di biondo per i colpi di sole, e gli occhi avevano la sfumatura insolita, un verde pallido, come giada. Non sembrava avere intenzioni minacciose, ma con il fisico snello e allenato sarebbe stata capace di più di qualche mossa di kung-fu.
–Ereditari?- chiese conferma.
–Esatto- risposi. –Sagittario e Leone.
La ragazza ci sorrise.
–Bilancia- si presentò. –Venite dentro, non sono la sola con cui dovete parlare.
Gettò la sigaretta a terra e la schiacciò, poi ci aprì la porta e ci invitò ad entrare. Nessuno ci degnò di più di uno sguardo incuriosito, quando attraversammo le varie sale adibite a esercizi diversi. Arrivammo davanti a un ingresso, con una targhetta che recitava UFFICIO DEL DIRETTORE STHEPHENS.
Bussò, attendendo che le aprissero. La porta si schiuse, rivelando un ragazzo da una folta chioma castana e il naso storto, un po’ orientato verso sinistra. Guardò l’Ereditaria della Bilancia, scoccò un’occhiata ammonitrice a noi e ci fece entrare. Richiuse la porta dietro di sé, continuando ad osservarci.
–Sono altri di Gemelli?- domandò.
Aveva un portamento goffo, sgraziato, e un fare perennemente scocciato.
–No- replicò Pride, subito, come se il commento gli desse fastidio – e, in effetti, era così.
–Loro sono l’Ereditario del Segno del Leone e del Sagittario, Oscar- spiegò Bilancia, facendoci segno di accomodarci sulle due poltroncine poste di fronte alla scrivania.
Oscar si sedette davanti a noi, sulla sedia girevole, all’altro capo del tavolo. I suoi occhi grigi sembravano volermi fare una radiografia.
Tentai di rompere il ghiaccio, porgendogli la mia mano e presentandomi:- Victoria Williams. Lui è Pride Lewis.
-Lo so- mi liquidò. –Abbiamo sentito spesso parlare di voi. 
-Oh- esclamai.
Ritirai la mano, lasciandola ricadere in grembo.
–Non essere scorbutico- lo rimproverò la ragazza coi colpi di sole.
Mi sorrise.
–Felice di conoscerti, Victoria. Io sono Vera Judge. Il mio compagno invece, si chiama Oscar Sthephens.
-Sì, sì- la interruppe l’altro. –Sono Vergine eccetera eccetera.
Pride emise un verso di scherno.
–Non credo che esplicitare le proprie esperienze sessuali sia il modo migliore per iniziare una conversazione.
Oscar batté un pugno sul tavolo.
–Non vergine in quel senso, idiota- sibilò. –Sono l’Ereditario del Segno della Vergine.
-Calmati- gli ordinò Vera, lo sguardo duro e una mano chiusa ad artiglio sulla sua spalla. –La violenza non è la soluzione.
Oscar brontolò qualcosa di incomprensibile, ma abbandonò il campo di battaglia. Pride aveva un sorrisetto strafottente stampato in viso. Gli diedi un calcio, ma lui mi ignorò, continuando a irritare l’altro ragazzo con un atteggiamento spavaldo.
–Immagino vogliate sapere da che parte stiamo, giusto?- si informò Vera.
Annuii.
–Be’, per il momento, abbiamo deciso di rimanere neutrali.
-Ne-neutrali?- ripetei. –Ovvero non fare niente, lasciando che le altre due fazioni si scannino a vicenda?
-Se vuoi metterla in questi termini…- disse, vagamente a disagio.
–Posso capire te, Vera- intervenne Pride. –E’ il tuo segno che ti impone di ricercare l’equilibrio perfetto che, nel caso ti schierassi da una parte o dall’altra, verrebbe danneggiato. Ma, per te, Oscar… non saprei. Forse mancanza di testosterone per prendere una posizione seria?- lo provocò.
Gli occhi dell’Ereditario della Vergine ebbero un guizzo, mentre lui diventava paonazzo. Nonostante ciò, riuscì a rispondere senza sbraitargli contro.
–Sono abbastanza intelligente per capire che, mettendomi dentro questa guerra, rischierei di non sopravvivere. Avete dimostrato di essere abbastanza bravi da riuscire a uccidervi a vicenda, quindi, perché dovrei sacrificare la mia vita per una causa o nell’altra?
-Uhm-uhm- fece Pride. –E’ chiaramente una scusa da codardo. Mi chiedo se tu sia solo vergine oppure non abbia le palle.
Prima che potessi rimediare in qualche modo, un tagliacarte volò verso Pride e attaccò la sua camicia alla poltrona. Rimasi pietrificata. Vera aveva la bocca spalancata per lo stupore.
Oscar era ancora teso in avanti nella posa di lanciare il tagliacarte, gli occhi illuminati da un bagliore folle. Scattai in piedi, stringendo i pugni per la rabbia.
–Sarà meglio se ce ne andiamo- sentenziai. –Mi sembra piuttosto chiaro che non volete immischiarvi.
Pride provò a ribattere, ma mi voltai verso di lui e lo incenerii con lo sguardo.
–Grazie per averci ascoltato- conclusi a denti stretti.
Mi chinai sul ragazzo-leone, sfilando il tagliacarte dalla poltrona.
Feci finta di sistemargli la spalla della camicia, mentre gli sussurravo:- Ti adoro quando ragioni con quella parte del corpo.
Lo afferrai saldamente e lo feci alzare dalla poltrona a forza, mentre me lo trascinavo dietro. Rifiutai l’aiuto di Vera a scortarci fino all’uscita, cercando di sorriderle il più gentilmente possibile, fallendo miseramente. La sua espressione era in bilico tra il più puro dispiacere e il risentimento. Oscar, invece, si osservò le unghie e non ci degnò nemmeno di un saluto – comprensibile, visto il suo istinto di trafiggere Pride con un tagliacarte.
Tenni stretto il ragazzo-leone finché non fummo ad un isolato di distanza. Lasciai la presa e lo spintonai, mandandolo schiena al muro.
–Che cos’avevi intenzione di fare, mh?!- sbottai. –Ti comportavi come un animale in calore che non sa trattenere i suoi istinti!
-Mi ha chiamato idiota- si giustificò, fingendo una calma che non aveva. –E ha pensato che stessi dalla parte di Gemelli.
-Be’, sembravi parecchio stupido e arrogante- replicai, secca. –Hai mandato all’aria una conversazione civile e anche la più piccola possibilità che quei due si unissero a noi!
Pride emise un brontolio a metà tra uno sbuffo e una risata.
–Bilancia non prenderà mai una posizione, è contro natura. Vergine… non lo credo un combattente così abile da essere insostituibile.
-Non è necessario essere un combattente per servire una causa- obiettai. –Anche l’intelletto ci è utile. Tutti, in qualche modo, serviamo, nessuno escluso.
-Pensala come vuoi- ribatté lui.
–Lo faccio già- precisai, trattenendo a stento un ringhio. –Torniamo al villaggio dei centauri, è meglio- conclusi, incamminandomi verso la prima fermata della metropolitana.
Non parlammo per tutto il tragitto, a eccezione del suo “scendiamo questa fermata”. Percorremmo ancora due isolati, prima di ritrovarci di fronte al vecchio Mc Donald’s abbandonato. Nuovi sacchi della spazzatura erano accasciati lì vicino, un gatto che cercava di rompere la plastica in cerca di cibo. Pride lo fece scappare, dopodiché aprì la porta.
Non entravo in quel negozio da molto tempo e, avanzando sulle piastrelle sporche, le storie che mi avevano raccontato Pholos e Pride a riguardo si collocarono. Era come recuperare pezzi di memoria automaticamente, nonostante il veleno di Hayley Becker.
Il frigorifero era al suo posto, così come il portale, che vorticava al suo interno. Ancora adesso, mi sembrava assurdo che ce ne fosse uno dentro un elettrodomestico così comune. Lo oltrepassai per prima, trovandolo piuttosto scomodo rispetto a quello che aprivamo nella radura. Essere trasportati in un luogo in cui c’è sempre primavera era, però, ricompensava il disagio.
Mancava ancora un’ora a mezzogiorno, eravamo ampiamente in orario per la discussione con Syrah. Nonostante questo, la trovammo già in casa a parlottare con Pholos, seduti sul divano. Mio padre le sorrideva apertamente, come se la sua compagnia fosse davvero speciale.
Mi chiesi se, in passato, prima che fossero amici, lui fosse stato innamorato di Syrah. Repressi il pensiero, quando mi venne mente che, in quel caso, Pride sarebbe potuto essere mio fratello. Rabbrividii.
–Già di ritorno?- domandò Pholos, sorpreso.
Scoccai un’occhiataccia al ragazzo-leone, ma risposi:- Siamo stati fortunati, in un certo senso. Vado a chiamare gli altri, così possiamo iniziare la riunione subito?
-Okay.
Sia Pholos che Syrah annuirono. Salii le scale, lasciando che Pride spiegasse ciò che era successo alla palestra “Braccio di Ferro”. Dovetti quasi sfondare la porta di Eltanin, prima che questa mi aprisse, dato che il volume delle cuffiette nelle sue orecchie era sparato al massimo. Fatima, invece, stava navigando in internet, comodamente stravaccata sul letto.
Alzò lo sguardo su di noi e domandò:- Com’è andata?
-Te lo spiego dopo- borbottai.
Stavo per dirigermi alla camera di Scott, ma sentii la sua voce dietro di me, talmente vicina da avvertire il suo fiato sul mio collo.
–Ho sentito che siete ritornati- spiegò. –Dobbiamo fare una consultazione di qualche genere?
Eltanin, accanto a me, sorrideva compiaciuta. Forse, a lei il fiato di Scott non faceva lo stesso effetto.
–Sì- confermò, nascondendo a stento la sua crescente felicità.
Si voltò, sorridendo mentre fronteggiava il suo viso. Scott si ritrasse, alzando un angolo della bocca nell’accenno di un sorriso. Al completo, ritornammo in soggiorno. Pride aveva spostato le sedie della cucina, disponendole a cerchio intorno al divano, cosicché tutti potessero vedersi in faccia. Si sistemò accanto a sua madre, che gli scompigliò bonariamente i capelli. Vicini, si potevano notare ancora di più le somiglianze che li univano.
Mi accomodai sulla sedia all’angolo del divano, che mi permetteva di stare presso mio padre, e Scott prese posto accanto a me. Non potei non domandarmi perché me lo ritrovassi sempre vicino.
Syrah si schiarì la gola.
–Bene- iniziò. –Vi ho fatto chiamare per discutere di quello che sta accadendo. I nostri primi spunti per un accordo pacifico sono andati in fumo, e ciò non fa che protendere il futuro verso una guerra. Né l’Ereditaria del Segno della Bilancia né quello della Vergine si sono esposti, perciò siamo in parità sotto questo aspetto, cinque contro cinque.
Fece una pausa, permettendo a Pholos di inserirsi nel discorso.
–Sappiamo cosa c’è in palio. La fazione di Gemelli vuole rendersi visibile al mondo degli umani, inondandolo con le creature fatate e riprendendosi le terre che tanto tempo fa gli appartenevano. Come sappiamo, questo porterebbe al caos e alla distruzione. Perciò, dobbiamo impedirlo. Prima di questo, però…
Syrah prese il suo posto.
–Prima di questo, però- riprese le fila. –Abbiamo bisogno di fidarci l’uno con l’altro, di non avere misteri tra di noi. A questo fine, chiedo a te, Ereditario del Segno del Capricorno, il Traditore, di raccontare per intero la storia del tuo accordo con Gemelli.
Scott si irrigidì al mio fianco. Una goccia di sudore gli rigò la fronte. Mi sentii in dovere di fare qualcosa per metterlo a suo agio. Gli posai una mano sulla spalla e mi rivolsi a mio padre, tentando un approccio gentile.
–Non basterebbe un giuramento o la sua parola?
Pholos scosse la testa, ma Scott rispose al posto suo.
–No- replicò. –Va tutto bene, Victoria.
Scostò la mia mano da sé, poi si tolse la maglietta. Rimasi un attimo senza fiato per la sorpresa, seguita dal fascino per il fisico allenato e alla bellezza del suo tatuaggio. Creature di ogni genere, dai fauni ai pesci, erano raffigurati in pose mistiche e allegre. Sicuramente era un legame con il mito di Pan, il dio della natura.
Scott si passò un dito sulla parte bassa della schiena, fin dove poteva arrivare, e mostrò i segni bianchi che mi era sembrato di intravedere subito dopo la sua trasformazione in kelpie.
–Vedete queste?- domandò, girando su se stesso per permettere a tutti di guardare quelle strisce di pelle più bianca e lucida.
Dal suo portamento, si intuiva che fosse sulle spine, ma imponeva alla sua voce di rimanere ferma.
–Sono cicatrici- illustrò. –E me le ha procurate io padre.
***
Angolino dell'autrice
Tan-tan-tan! Finalmente, anche il quindicesimo capitolo è online. Spero che l'ultima frase vi abbia lasciato col fiato sospeso :3
Ormai gli schieramenti sono al completo, cinque e cinque, più precisamente ci sono i "cattivi" (Gemelli, Pesci, Cancro, Ariete, Scorpione) e i "buoni" (Sagittario, Leone, Capricorno, Aquario, Toro) Vergine e Bilancia rimangono neutrali.
Vera Judge, perdonatemi il nome scontato .-., è della Bilancia ed è un segno con Marte in esilio e una delle sue pietre è la giada. Appunto perché Marte è un dio della guerra, equivalente di Ares per i greci, lei è contro la violenza.
Oscar Sthephens, invece, è della Vergine. Ero troppo tentata dall'idea di farlo ragazzo, quindi eccolo qui ^^ Il suo colore è il grigio, e le persone di questo segno dovrebbero essere caratterizzate da un'intelligenza sottile e di indole ipercritica e pignola, fatti su cui mi sono basata per creare Oscar, che risulta un po' pedante.
Entrambi questi segni trovano i loro opposti in Ariete per Bilancia e Pesci per Vergine, uno dei motivi che potrebbe aver spinto i due a non unirsi a Gemelli.
Comunque, posso anticiparvi che il prossimo capitolo sarà incentrato sulla figura di Scott e il suo passato, con un finale che stuzzica la mia parte malvagia *evil laugh*
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, un bacio! :*

Water_wolf

 

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