Coffee, keys and mistakes.

di Gracedanger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 31 Gennaio 2018 ***
Capitolo 2: *** 24 febbraio 2018 ***
Capitolo 3: *** 26 febbraio 2018 ***
Capitolo 4: *** 1 Marzo 2018 (Joseph) ***
Capitolo 5: *** 1 Marzo 2018 (Amy) ***
Capitolo 6: *** 18 Marzo 2018 (Joseph) ***
Capitolo 7: *** 2 Agosto 2018 (Amy) ***
Capitolo 8: *** 2 Agosto 2018 (Joseph) ***
Capitolo 9: *** 15 Agosto 2018 (Amy) ***
Capitolo 10: *** 15 Agosto 2018 (Joseph/Amy) ***
Capitolo 11: *** Run. ***
Capitolo 12: *** Mistakes. (15-08-18 Joseph) ***
Capitolo 13: *** 16 Agosto 2018 (Amy) ***
Capitolo 14: *** Girlfriend? (29 Agosto 2018-Amy) ***
Capitolo 15: *** 29 Agosto 2018 (Joseph/Amy) ***
Capitolo 16: *** 12 Settembre 2020 (Joseph) ***
Capitolo 17: *** 20 Settembre 2020 (Joseph) ***
Capitolo 18: *** 28 Settembre 2020 ***
Capitolo 19: *** Run, again. (28 Settembre 2020) ***
Capitolo 20: *** Found (10 Settembre 2020) ***



Capitolo 1
*** 31 Gennaio 2018 ***


                

Credits: Sara_Scrive



31 gennaio 2018
New York
Queens
River Street
Condominio n.46
Terzo piano senza ascensore
Pianerottolo appartamenti 3G-3H
2:47 a.m.

 
“Non credevo sarei finita qui, quando mi hai chiesto di andare a prendere un drink.” dice la biondina ridacchiando con la sua voce stridula.
“Scusa, non trovo mai le chiavi.”                                    
 
Sempre la stessa storia.
Ogni sera una diversa, ecco la filosofia di vita del ragazzo che vive nell’appartamento di fronte al mio.
Credo non abbia altri pensieri.
Esce la sera tardi e rientra a notte fonda, quasi sempre quando torno dal lavoro. E allora mi nascondo dietro le scale e aspetto che lui e l’ochetta di quella sera, entrino nell’appartamento e si chiudano la porta alle spalle per poi tornare in casa mia.

“Stavolta ci mettono più tempo del solito” sussurro tra me e me.
Sospiro e mi siedo sulle scale ma mi accorgo di avere qualcosa di appuntito sotto di me. La chiave dell’appartamento di… Joseph, credo si chiami così.
Sono troppo stanca a causa del lavoro per riflettere su quello che sto per fare. Mi alzo e esco dal mio nascondiglio. Mi avvicino silenziosa ai due, con le occhiaie e la faccia stravolta, prendo il braccio di Joseph e gli tiro fuori la mano dalla tasca. Rivolgo il palmo della mano verso l’alto, e ci metto sopra la chiave, intanto gli do una rapida occhiata. Non l’avevo mai visto da vicino, e anche con i capelli arruffati e quell’aria beffarda da cattivo ragazzo, è davvero attraente.
Mi guarda ammutolito, come se fossi una specie di essere interessante da osservare, probabilmente non mi aveva mai vista, anche se vivevamo nello stesso palazzo da cinque anni.
Lo guardo ancora una volta.
“Era sulle scale.” sussurro con un filo di voce. “Buona serata.”
Mi giro prima che potesse parlare, faccio un paio di passi verso la porta, poi mi volto di nuovo verso la porta dietro di me e squadro da capo a piedi la sua conquista della serata, che si è addormentata sbavando con metà faccia sul muro mentre stavo parlando con lui, Joseph se ne accorge e si volta verso di lei poi rivolge il suo sguardo di nuovo verso di me.
“E buona fortuna.” dico con un velo di sarcasmo e sgattaiolo in casa, per evitare di ricevere risposte indesiderate che potessero rovinare la mia scena madre, mentre mi giro intravedo sul volto di Joseph un sorrisetto divertito.
Chiudo la porta dietro di me, e sento passi sulle scale e dopo una decina di minuti, un taxi si allontana per la strada, ancora passi sulle scale, avvicino l’orecchio alla porta. Mi sembra di sentire un respiro dall’altro lato.
 
“Buonanotte Amy.”

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Capitolo 2
*** 24 febbraio 2018 ***


                

Credits: Sara_Scrive

24 febbraio 2018
New York
Queens
Coven Road
The lucky guy bar
2.14 a.m.

 

Piove. Mi affaccio fuori dal bar. L’ennesimo straordinario estenuante.
“Mi servono soldi.” sussurro tra me e me ogni volta che vado in quel bagno sudicio per levarmi il grembiule e cambiarmi.
Do un’occhiata allo specchio opaco: ho gli occhi scavati, non riesco a sorridere, questo lavoro mi sta divorando.
Prendo la metro, guardo fisso il pavimento, sono circondata dai pendolari, uomini d’affari, mamme che tornano esauste dal lavoro pensando ai bambini che dormono già nei loro tiepidi letti.
Arrivo a casa, la pioggia continua a cadere insistente, apro il portoncino, e comincio a salire le scale.
Il pianerottolo del terzo piano è vuoto. Guardo la porta dell’appartamento di fronte. Chiusa. Nessun rumore proviene dall’interno, forse il ragazzo non è ancora tornato, cerco di sbrigarmi a rientrare per non fare figuracce, nel caso l’avessi incontrato.
Sto per aprire la porta quando non riesco a trovare le chiavi. Emetto un urlo isterico e do un calcio alla porta, butto la borsa a terra e comincio a cercare la chiave in ginocchio, quasi piangendo per i nervi.
“Qualche problema?”
Salto per lo spavento. Sarà stato lui? Non ho mai sentito la sua voce prima.
Mi giro lentamente strofinando le ginocchia sul pavimento freddo, e lo trovo in piedi davanti a me,  con le gambe davanti alla mia faccia, lo sguardo curioso, e un sorriso malizioso appena accennato.
D’istinto guardai aldilà delle sue gambe per controllare se ci fosse la sua “ospite” della sera, ma con mia grande sorpresa, trovai un muro vuoto.
“Sono solo stasera.” dice ridacchiando, facendomi arrossire per la vergogna.
Mi tende la mano, mi alzo e finisco a qualche centimetro dal suo volto, sento il suo respiro sul labbro superiore, mi allontano istintivamente con un passo indietro, quasi andando a finire contro la porta.
Nonostante il pianerottolo sia poco illuminato riesco ad osservarlo bene.
Aveva un paio di occhi nei quali vorresti navigarci per ore ed ore, marroni, profondi, che penetrano l’anima. Un momento. Devo riprendermi, lo sto fissando troppo, da un momento all’altro se ne accorgerà.
“Non sei l’unico che non trova mai le chiavi.”
Mi abbasso per prendere la borsa ma lui lo fa con me, quasi per prendermi in giro.
Cerco di afferrare la borsa ma lui mi sfiora la mano e mi sorride, si lecca leggermente le labbra, un impercettibile momento che io purtroppo ho colto e che mi sta facendo impazzire.
Devo andarmene, non posso cadere nella sua trappola.
Per una volta mi va bene e appena infilo la mano nella borsa trovo la chiave.
“Ehm, notte.”
“Notte Amy.”
Sparisco dietro la porta e la chiudo dietro di me con un sospiro, getto la borsa sul divano e scivolo sulla porta, mi siedo sul pavimento, sbatto la testa all’indietro ripetutamente.
Ma che mi è preso?
Nonostante la stanchezza non dormo, non riesco a smettere di pensare e il cervello di notte si vendica per tutte le volte in cui non l’hai ascoltato.

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Capitolo 3
*** 26 febbraio 2018 ***


                

Credits: Sara_Scrive


26 febbraio 2018
New York
Queens
River Street
Condominio n.46
Terzo piano senza ascensore
Appartamento 3H
7:58 a.m.

 
Una fredda mattina di febbraio.
Sono passati un paio di giorni dalla serata del pianerottolo e mio malgrado non smetto ancora di pensarci.
Qualcuno bussa.
“Chi diavolo è alle otto di mattina? Il postino non passa prima delle dieci.”
Mi alzo da quel vecchio divano che scricchiola e apro la porta.
“Tu?!”
“Buongiorno anche a te.”
“Buongiorno… ma che ci fai qui?”
Joseph dondola un po’ sui piedi con le mani nelle tasche.
“Non mi inviti ad entrare?” sussurra.
“Okay..”
Mi faccio da parte ed entra in casa, si guarda attorno e poi siede sulla poltrona di fronte al tavolino.
“Avanti, perché sei qui?” dico mentre riprendo la tazza di caffè e mi siedo sul divano e appoggio i piedi sul tavolino.
Lui mi squadra in silenzio con un sorriso malizioso e due minuti dopo mi accorgo di portare solo una camicia azzurra un po’ troppo larga, salto giù dal divano e corro dietro il separé che avevo comprato ad un mercatino delle pulci. Cerco qualcosa di decente nei cassetti: trovo un paio di Jeans sgualciti e un maglione, vanno più che bene, tanto non devo far colpo su nessuno, o si?
Mi levo la camicia e la getto sul letto, mi accorgo di stare indossando un paio di lanose mutandine nere.
“Le avrà viste di sicuro, maledizione, perché ho messo queste proprio oggi?”
Mi schiaffeggio un secondo dopo per la stupida frase che mi era venuta in mente.
Ma cosa me ne frega? Mi ha visto le mutande e allora? Tipi come quello ne avranno viste centinaia. Dio, che imbarazzo.

Riappaio dal separé sperando che Joseph se ne sia andato, ma lo trovo ancora lì, con le labbra sulla mia tazza, che beve il mio caffè, che avevo poggiato sul mio tavolino.
“Hey! Stai bevendo il mio caffè!”
“Si ed è un po’ freddo, se posso dirlo.”
“Ma perché lo stai facendo?”
“Tu non me l’hai offerto.”
“Il caffè è per gli ospiti graditi.” dico e gli sottraggo la tazza dalle labbra e riprendo a bere.
Ride e abbassa lo sguardo, mette la mano in tasca e tira fuori una chiave, si alza dalla poltrona, mi prende la mano, rivolge il palmo verso l’alto, e mise sopra la chiave. Mi guarda divertito.
“Che significa?”
“Beh, visto che entrambi non troviamo mai le chiavi, ora ti ho fatto una copia della chiave del mio appartamento, da tenere, nei casi d’emergenza, o…”
Si appoggia con le braccia sul divano, bloccandomi i fianchi da entrambi i lati e si piega sopra di me, avvicinandosi abbastanza da sfiorarmi con la punta del naso.

“..o nel caso ti venisse una pazzesca voglia di venirmi a trovare.”

Ad ogni movimento delle sue labbra mi viene il desiderio di scoprire che sapore avessero, inclino la testa e mi avvicino ancora di più sto quasi per toccargli le labbra, lo vedo chiudere gli occhi, pronto a pregustare un bacio.
“Non ci spererei tanto se fossi in te.”
Gli riporto il caffè alle labbra, lui apre gli occhi allarmato, ma la prende con classe e riafferra la tazza.
Vado in bagno a lavarmi i denti e ad aggiustarmi i capelli.
“Dove corri?”
“Devo andare a lavoro.”
“Uh, che lavoro fai?”
“Non sono affari tuoi.”
Esco dal bagno e lo trovo ad armeggiare con la mia chitarra che era nascosta dietro il divano.
“Mettila giù.”
“Sei una musicista.”
“Già, se mi posso definire così…”
“Interessante.”
Prendo il cappotto e la sciarpa e apro la porta.
“Beh, io sto facendo tardi, quindi ti pregherei di andartene, grazie.”
“Ehm, non posso.”
“Perché?”
“C’è una ragazza nel mio appartamento, notte fantastica, ma mi ha chiamato “amore” già tre volte, altri cinque minuti in più in casa mia e avrebbe organizzato il pranzo di nozze. Aspetto qui che se ne vada.”
Si siede sul mio divano e incrocia le gambe,  con totale nonchalance.
“Sei disgustoso, Joseph.”
“Nah, solo previdente.”
Guardo l’orologio.
“Dio, le otto e un quarto! Questa è la volta buona che mi cacciano.”
Rivolgo di nuovo lo sguardo verso Joseph, in un ultimo disperato tentativo di cacciarlo via dal mio appartamento e in tutta risposta lui mi fece un cenno disinteressato della mano, come per scacciare pigramente una mosca.
Mi arrendo e chiudo la porta alle mie spalle con un sospiro.

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Capitolo 4
*** 1 Marzo 2018 (Joseph) ***


                

Credits: Sara_Scrive

1 Marzo 2018
New York
Queens
River Street
Condominio n.46
Terzo piano senza ascensore
Appartamento 3G
7:21 a.m.

 
Infilo la mia copia della sua chiave nella serratura dell’appartamento 3H cercando di fare meno rumore possibile.
Trovo una stanza vuota e un filo di sole primaverile che entra dalla finestra e illumina uno squarcio di pavimento proprio sotto il divano, rivolgo il mio sguardo verso il divano e trovo una ragazza rannicchiata tra le coperte che trema. Amy continua a rigirare su se stessa. Ha la fronte imperlata di sudore e le sopracciglia aggrottate. Sta avendo un incubo.
Boccheggia. Sembra stare davvero male.
Mi avvicino e le appoggio una mano sulla fronte, è bollente.
Mi siedo all’angolo del divano e le rimbocco le coperte. Cerco una pezza o qualcosa da bagnare da mettere in testa. Niente. Mi guardo intorno, indosso una vecchia maglia a maniche corte grigia dismessa e stropicciata, alla quale non tengo per niente, me la levo e la bagno, torno da Amy e lei sta continuando a tremare.
“Papà?”
Continua a lamentarsi, l’espressione del volto si trasforma in spaventata, come se stesse facendo un incubo dal quale non riesce a svegliarsi. Piange. Vederla piangere è una tortura, decido di svegliarla e dolcemente metto la maglia sulla sua fronte, e le sopracciglia le si estendono sul volto, ritorna serena. Le accarezzo i capelli.
Mi fermo ad osservarla. Ha due belle labbra.
Apre gli occhi di scatto facendomi sobbalzare sul divano, si mette seduta e mi urla con voce strozzata dalle lacrime: “J-Joseph, ma che diavolo ci fai qui e perché sei senza maglia? Vattene! Vattene via, non è giornata! Va via..” piange tanto forte da non riuscire più a parlare, mi avvicino con cautela a lei e si lascia abbracciare. E’ così stravolta che pian piano si addormenta.
Quando sono sicuro che stia dormendo profondamente, prendo un cuscino e le ci appoggio la testa sopra, scostandole i lunghi e disordinati capelli davanti agli occhi.
Mi dirigo in cucina per prepararle la colazione. Noto un paio di buste sul tavolo non ancora aperte. Accanto ad una bottiglia di whisky quasi vuota.
Apro la prima busta. All’interno trovo una lettera e un registratore.
 
Gentile signorina Amy Ocean,
ci dispiace informarla che al momento non siamo interessati al suo materiale. Le auguriamo comunque ogni bene.
Cordiali saluti,
Hollywood Records.

 
Schiaccio il tasto play sul registratore malandato e la voce dolce e profonda di Amy riempie la stanza, fermo subito il registratore per evitare che si svegli. La Hollywood Records, conosco bene quella casa discografica di bastardi. Anche stupidi direi, se non riescono a sentire il talento che ha la mia vicina. Amy, però, dopo quello che ha passato stanotte non è assolutamente pronta a leggere una cosa del genere, ad avere una delusione. La nascondo dentro la tasca dei pantaloni.
Apro la seconda busta.
 
Ciao amore,
Buon compleanno, non posso credere che la mia bambina abbia già 22 anni.
Ti voglio davvero bene, vorrei che tuo padre fosse qui con noi.
Chiamami ogni tanto, vorrei sapere come va la tua vita, sei riuscita ad avere qualche contratto? Sono sicura che diventerai famosa.
Un bacio,
mamma.

 
Mi avvicino ad Amy e la guardo.
Non è una bellezza convenzionale.
Ha gli occhi scuri e profondi, la pelle bianca e le labbra sottili, le occhiaie scavate, e il mascara colato a causa delle lacrime.
Ma è bella, riesco a notarlo solo ora.

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Capitolo 5
*** 1 Marzo 2018 (Amy) ***


                

Credits: Sara_Scrive


1 Marzo 2018
New York
Queens
River Street.
Condominio n.46
Terzo piano senza ascensore
Appartamento 3G
9:34 a.m.

 
Un odore mi risveglia dal mio incubo. Sono ancora scossa, troppi ricordi confusi si affollano nella mia mente.
Ho ancora la sua voce che mi rimbomba nelle orecchie.
Apro gli occhi e un’immagine dolcissima si presenta proprio davanti al mio naso.
Un piatto di pancakes che grondano caldi di sciroppo.
Non posso non nascondere un sorriso.
Il rumore di pentole che sbattono tra loro risuona dalla cucina, mi alzo e prendo con me i pancakes.
Joseph è così buffo con il grembiule da cuoco.
Mi accorgo della sua bella voce nonostante stia canticchiando a bocca socchiusa “Eye of the tiger” muovendosi con destrezza tra le padelle come se stesse preparando la colazione per un esercito affamato.
“Ehm, ehm.”
Sorride, ma non mi guarda, tiene la testa bassa concentrato su ciò che sta cucinando.
“Buongiorno dolcezza.” dice versando i suoi pancakes nel piatto.
“Mi sono persa qualcosa?”
“Non è un compleanno senza colazione.”
Mi si avvicina con il piatto di pancakes in mano e mi da un leggero bacio sulla guancia che non riesco a scansare.
Continua a fissarmi con questo sorrisetto dolce. E’ insopportabile.
“Aspetta qui!” dice come se fossimo due bambini che giocano al parco e corre fuori dal mio appartamento.
Mi guardo intorno, la stanza si è riempita del profumo dei suoi pancakes.
Senza rendermene conto mi sfioro la guancia che poco prima mi aveva baciato.
Non ho il tempo di riflettere su quello che sta succedendo che Joseph rientra con una chitarra con un enorme e imbarazzante fiocco azzurro sopra.
La chitarra acustica più bella che avessi mai visto.
Me la porge con delicatezza e magari un po’ di imbarazzo perché sono ancora paralizzata a guardarla.
Stanco di aspettare la ritrae e si va a sedere sul divano e comincia a strimpellarla.
“Non ti piace?”
“Cosa? No! E’… è fantastica, ma perché l’hai fatto? Non dovevi..” balbetto.
“Quella che hai tu è in condizioni pessime, quindi te ne ho comprata una nuova.”
Comincia a pizzicare una corda della chitarra ripetutamente.
“Beh, grazie.”
Si ferma e alza lo sguardo allarmato.
“Era un grazie quello che ho sentito uscire dalla tua bocca?”
Non riesco ad evitare di ridere.
“Non ti ci abituare.” cerco di ritornare seria.
“E perché non vieni qui a suonarmi qualcosa allora?”
“No, non sono poi così brava.”
Non ribatte, ridacchia e pizzica ripetutamente la stessa corda della chitarra.

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Capitolo 6
*** 18 Marzo 2018 (Joseph) ***


                

Credits: Sara_Scrive

18 Marzo 2018
New York
Queens
River Street
Condominio n.46
Terzo piano senza ascensore
Appartamento 3G
10:34 a.m.
 

Mi risveglio con la testa così pesante da non permettermi nemmeno di aprire gli occhi.
Emicrania.
Mi sta spaccando in due il cervello.
Provo ad alzarmi e mi siedo sul letto.
Comincio a guardarmi intorno: i soliti vestiti sparpagliati per terra e il rumore dell’acqua aperta nella doccia, i suoni attorno a me sono alquanto ovattati.
Jolene, credo si chiami così, si sta lavando.
D’istinto mi metto in piedi.
Vertigini. Brutta idea.
Ritorno seduto, afferro i boxer ai piedi del letto, un maglia e un pantalone abbastanza sgualciti e mi avvio rapido verso la porta cercando di fare poco rumore.
Attraverso il pianerottolo.
“Dio, le scarpe!” dico fissandomi come un idiota i piedi nudi sul pavimento ghiacciato.
Sto per rientrare quando il rumore dell’acqua cessa e l’anta della doccia si apre.
“Ha finito! Cazzo.”
Lascio perdere e mi affretto ad entrare nell’appartamento di Amy.
“La chiave, dannazione.”
Non me ne va bene una. Decido di bussare, spero sia sveglia e soprattutto di buon umore, avvicino la mano alla porta, ma con mia sorpresa essa si apre appena la sfioro, l’aveva socchiusa, evidentemente si era abituata ormai a questo rito mattutino che andava avanti da un mese o poco più.
Entro nell’appartamento e chiudo in fretta la porta. La luce in quel posto così piccolo e accogliente mi dava sempre un bizzarro senso di sicurezza.
Sono salvo.
Sfortunatamente il mal di testa continua a torturarmi.
“Amy!” imploro cercandola all’interno del piccolo appartamento.
“Ti prego dimmi che hai un’aspirina!”
Un lamento viene dalla cucina, Amy sbuca fuori dalla cucina tastandosi le tempie con le dita, in mano ha un bicchiere d’acqua con un’aspirina.
“Sei un angelo.” mi getto verso la mia ancora di salvezza e prima ancora che lei possa ritrarsi, le ho già sfilato il bicchiere di mano.
“Veramente quella era per me..ah, non fa niente.” Dice non avendo neanche la forza di discutere.
Si gira e lentamente si trascina per la cucina.
Bevo e comincio a sentirmi meglio.
“Fammi indovinare, ti sei portato a letto una scimmia urlatrice o sbaglio?” dice con la voce rauca, il suo solito sarcasmo pungente che apprezzai sin dal primo giorno.
“Ti ha svegliata, per caso?”
“Ha svegliato tutto il palazzo, Joseph.”
“Spero non mi facciano troppe storie.”
Beve un’altra aspirina e si appoggia al muro davanti al divano. Ha i capelli scuri raccolti e la frangetta spettinata che le incornicia il viso.
“Beh, io non ti prometto il mio appoggio alla riunione di condominio.” Dice sorridendo.
La guardo dai piedi scalzi, con le unghie dipinte di smalto nero messo un po’ troppo sbadatamente, in su. Indossa solo una felpa grigia in cui si nasconde completamente. Il mio sguardo si ferma sulle sue gambe bianche e lisce che giocavano tra di loro e quasi tremavano.
Tossisce leggermente.
Se ne è accorta.
Ma questa volta sorride, non un sorriso malizioso, sembra quasi contenta che io le avessi prestato attenzione, ricambio il sorriso con un po’ d’incertezza.
Ci sediamo al divano, si mette con le gambe rannicchiate forse per riscaldarsi.
“Ma perché non ti metti un paio di pantaloni?”
Dico quasi uccidendo l’atmosfera che stranamente si era creata.
Altrettanto stranamente lei accenna un altro sorriso.
“E’ un mio brutto vizio. Aspetto sempre che venga qualcuno a salvarmi, o a riscaldarmi.”
Non ci credo, ci sta davvero provando con me? Dopo un mese e più di rispostacce e battute ironiche?
Le sorrido e apro le braccia.
Il suo profumo mi travolge.
Trema. L’avvolgo ancora di più.
Avvinghia le gambe alle mie per riscaldarle. E anche a me sale un brivido su per la schiena.
Non mi guarda, appoggia solamente la testa al mio petto e si lascia cullare.
“Spero non ti dispiaccia.” sussurra ridendo.

La sento respirare profondamente su di me. Chiude gli occhi. Le levo i capelli neri dagli occhi cercando di essere il più delicato possibile.

“Non è male.”                                     
 

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Capitolo 7
*** 2 Agosto 2018 (Amy) ***


                

Credits: Sara_Scrive

2 Agosto 2018
New York
Queens
River Street
Condominio n.46
Terzo piano senza ascensore
Appartamento 3H
4:47 a.m.

 
Il vento freddo fa cigolare la mia finestra socchiusa, rompendo il silenzio tombale nella stanza.
Sono distrutta, ma non riesco lo stesso a dormire, non faccio che pensare alla stessa cosa.
L’appartamento 3H è vuoto.
Joseph è sparito da tre settimane.
Mi fa rabbia che non mi abbia avvisata. Ogni sera mi chiedo se stia bene.
Mi preoccupo come una vecchia madre ansiosa.
La verità è che c’è una fastidiosissima sensazione mi tortura lo stomaco. I giorni vuoti, stare sola, tutto sembra essere tornato come quando lui non faceva ancora parte della mia vita. Perché c’era entrato, si. C’era entrato con la forza, con il suo comportamento bizzarro e le sue attenzioni intermittenti. Ora senza di lui avverto la tristezza che prima si celava in ogni mio respiro.
All’improvviso il rumore di passi e una chiave nella serratura sovrasta il cigolio della finestra e mi fa sobbalzare. Mi metto in piedi e rimango in apnea finché non sento la porta richiudersi.
E’ tornato.
 
2 Agosto 2018
New York
Queens
River Street
Condominio n.46
Terzo piano senza ascensore
Appartamento 3H
12:16 p.m.

 
Stamattina nessuno ha bussato alla porta.
E io come un’idiota ho aspettato seduta al divano torturandomi le mani e fissando le due tazze di caffè che avevo preparato.
Le ho buttate entrambe.
E’ domenica, il mio giorno libero e lui non mi ha accennato neanche un saluto per sbaglio.
So che è lì dentro. So che è successo qualcosa.
E’ sera, ormai ho perso tutte le speranze. Sarà fuori, sarà con un’altra.
Sento dei passi di più persone che salgono per le scale.
“Mmh, mezzanotte e un quarto, un nuovo record.” sussurro con amarezza.
Prendo la chitarra, la romperei in mille pezzi in questo momento, solo perché me l’ha regalata lui che non si fa vivo da un intero maledettissimo mese.
Provo a strimpellarla, quando sento dei colpi ripetuti alla porta. Ma non è la mia, è quella dall’altro lato del pianerottolo.
I colpi intensificano la potenza, ma la porta non si apre.
Il rumore è così forte e fastidioso da non permettermi nemmeno di suonare.
Ad un tratto sento la sua voce. Le parole sono confuse, ovattate dalle mura, ma lui l’ho sentito.
Poggio la chitarra sul divano e mi acquatto accanto alla porta, sfiorando con l’orecchio il legno freddo.
L’ennesimo rumoroso colpo alla porta e io afferro la maniglia e apro di scatto la porta, sono pronta ad urlare, ma appena prendo fiato rimango immobile con la bocca aperta e gli occhi spalancati.
Due ragazzi, entrambi con i capelli ricci dello stesso colore del capelli di Joseph, sono fermi davanti alla porta del suo appartamento, uno con le braccia incrociate, e un altro con la mano ancora sulla porta.
Il colpevole di quel rumore martellante mi guardò imbarazzato, l’altro era impassibile, sembrava non mi avesse vista nemmeno.
“Mi dispiac..ehm…non..io.. non volevo..” riesco a farfugliare.
Uno dei due ragazzi, quello che definirei un uomo, apre la bocca per rispondermi ma in quel momento la porta dell’appartamento 3G si apre e una versione furiosa e irriconoscibile del mio vicino di casa vi spunta fuori.

 

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Capitolo 8
*** 2 Agosto 2018 (Joseph) ***


                

Credits: Sara_Scrive


2 Agosto 2018
New York
Queens
River Street
Condominio n.46
Terzo piano senza ascensore
Pianerottolo appartamenti 3G-3H
12:28 p.m.

 
 
“Siete sempre i soliti spacconi, avete cinque minuti. Solo perché mi state svegliando tutto il palazzo.” esordisco così aprendo finalmente la porta alle ultime persone che mi aspettavo di vedere in quella parte di New York.
“Palazzo? Joe, ti rendi conto dove vivi? Non sei mai stato tipo da condominii.” Esclama Nick scandalizzato.
“E invece ora lo sono e non credo che siate venuti fin nel Queens solo per farmi una ramanzina su se sono o non sono il condomino ideale, vero?”
“Infatti.” Dice Kevin guardando male Nick e prendendo il suo solito tono serio. “Siamo venuti qui per mettere in chiaro un paio di cose, perché è evidente che..”
“..che tu abbia dimenticato qualcosa nel New Jersey.” Gli parla da sopra Nick.
“Non ho dimenticato niente lì.” Dico infastidito.
“Si, te ne sei andato senza dire niente.” Insiste Kevin.
“Mamma l’ho salutata, anche Danielle e Grace. Cos’altro avrei dovuto fare?”
“Beh, un segnale di fumo quando te ne stavi andando l’avresti potuto fare anche a noi.” Borbotta il fratellino.
“Non vi ho trovati.”
“Certo Joe, perché dopo l’incontro con il notaio ti sei volatilizzato, mi spieghi che ti è preso?”
“Non avevo niente a che fare con quegli affari.”
“Erano affari di famiglia!” ribatte Kevin.
“Saranno anche stati affari di famiglia ma ormai so che è già tutto deciso ed è giusto che sia così.”
“Ma l’eredità doveva essere divisa, il 25% per ciascun fratello!”
“E tu hai detto al notaio che non volevi niente e te ne sei andato senza risolvere tutto!” sbotta Nick.
“Non c’è niente da risolvere. Io non li voglio quei maledettissimi soldi.” Gli rispondo distaccato.
“Quei soldi sono i soldi della band, il frutto di dieci anni di lavoro, Joe non puoi non volere niente.” Dice Kevin sempre mantenendo la calma.
“E invece non voglio niente. La band è morta. Il Joe di prima è morto. E quei soldi servirebbero solo a ricordarmi ogni giorno chi ero.”
“E’ una cosa insensata Joe.”
“Kevin, smettila di fare l’uomo maturo perché ti ricordo che tu hai voluto che finisse e ora non puoi pretendere che io venga a riprendere la vecchia vita.”
“Perché tu questa la chiami vita?” esclama Kevin perdendo per la prima volta la pazienza. “Uno squallido appartamento nel Queens, portandoti a letto ogni donna che ti passa davanti?”
Sto per rispondergli a tono quando mi accorgo di una figura immobile dietro i miei fratelli.
Amy è pallida per la vergogna.
Ha assistito a tutta la scenata.
In quel momento di silenzio anche i miei fratelli si voltano a guardarla.
Lei rimane con la bocca semi aperta cercando di trovare qualcosa da dire.
Mi faccio strada tra Kevin e Nick e mi avvicino a lei.
“J-Joseph scusami, io….io non volevo ascoltare, ho aperto e.. mi dispiace da morire..Joseph.. io..” balbettò.
Io le accarezzo le braccia e le stampo un bacio poco vicino alle labbra.
Lei rimane ancora più scioccata a guardarmi, come sbalorditi sono i miei fratelli ora, ma vedo Nick accennare un mezzo sorriso finalmente.
“Loro sono i miei fratelli Joe e Nick. Lei è Amy.” Dico presentandola con la massima naturalezza, tutti e tre si stringono la mano con un po’ di incertezza.
“Direi che noi dovremmo levare il disturbo.” Dice Nick facendomi l’occhiolino.
Sorrido.
Kevin anche se ha la faccia di qualcuno che avrebbe voluto dire ancora molto altro, alza le spalle, saluta amichevolmente e se ne va senza aggiungere nulla.
Io e Amy siamo finalmente soli nel corridoio e lei non riesce a non guardarmi impressionata.
Forse l’ho baciata per far star zitto Kevin e non continuare una discussione che sarebbe potuta andare avanti all’infinito.
O forse l’ho baciata perché, durante quelle tre infernali settimane in New Jersey, mi era mancata. E tanto.

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Capitolo 9
*** 15 Agosto 2018 (Amy) ***


                

Credits: Sara_Scrive


15 agosto 2018
New York
Queens
Coven Road
The lucky guy bar
00:45 a.m.

 
“Scusami, una vodka liscia, grazie.”
“Con ghiaccio o senza?”
Mi giro verso la voce che mi aveva chiamata e il respiro mi manca per pochi attimi.
Non posso fare a meno di scoppiare in una grande risata davanti al ragazzo che sedeva scomposto sullo sgabello accanto al bancone.
“Che ci fai qui?” mi dice Joseph sorridendo.
“Tu che ci fai qui, hai fatto terra bruciata di tutti i bar per caso?”
“Probabile.”
Continuo a ridere, verso la vodka in due bicchieri e afferro il mio.
“Brindiamo agli squallidi appartamenti del Queens?” gli dico.
Abbassa la testa imbarazzato e poi scoppiamo a ridere insieme.
Bevo, ma già sentivo la gola in fiamme prima di farlo.
“Allora, nessuna conquista all’orizzonte?” dico con sarcasmo sorridendogli.
“Ancora no. Ma credo che stasera sia la mia serata fortunata.”
Mi guardo attorno, proprio questa sera il bar è quasi vuoto. Ci sono solo tre o quattro coppiette e una dozzina di single incalliti, compreso il mio quasi migliore amico.
“Io non vedo nessuna.”
“Io si.”
Mi sta guardando fisso con i suoi grandi occhi color nocciola.
E non posso fare a meno di sorridere come una bambina.
Ma che mi prende? E’ Joseph, l’immaturo spezza cuori. Sono passati sette mesi e ancora non ho imparato la lezione? Ogni volta che provo ad avvicinarmi a lui fa qualcosa per allontanarmi, e poi torna da me e dice cose del genere, così dannatamente dolci, che mi mandano nel pallone.
Io non posso continuare così.
Non posso rimanere sveglia di notte torturata dal pensiero di trovarlo di fianco a me nel mio letto, di sentire il suo calore.
Mi sono ripromessa che non ci sarei cascata.
Ma ho bisogno di qualcuno che mi riscaldi il cuore.
 
Nessun’altra parola. Finisco il turno tra un bicchierino e l’altro. Joe mi prende per mano e ci precipitiamo per strada, stiamo per essere investiti da almeno un paio di macchine, ma non ce ne rendiamo conto, continuiamo a correre tenendoci per mano e ridendo come due idioti.
Saliamo le scale ubriachi e inciampiamo quasi ad ogni gradino.
Arriviamo al pianerottolo dei nostri appartamenti.
Joe comincia a frugare nella tasca e a cercare la chiave.
“Scusa, non trovo mai le chiavi.”
Quella frase che conoscevo troppo bene mi fece ritornare in me per un attimo.
Pochi preziosi secondi di lucidità.
“No.” dico decisa.
Gli blocco la mano e l’afferro, prendo le chiavi dalla mia tasca e lo porto dall’altro lato del pianerottolo.
“Non farmi essere una delle tante, ti prego.” gli sussurro con un filo di voce e la testa bassa, vergognandomi di quello che stavo facendo.
Apro la porta ma lui la ferma con un colpo secco della mano.
Mi prende per il mento e rivolge il mio volto a pochi centimetri dal suo.
“Amy, tu sei irritante, scorbutica e fin troppo difficile da catturare. Non puoi fare parte delle tante. Per questo mi fai impazzire.”
Assapora il mio labbro inferiore e poi lo lascia andare lentamente, i suoni attorno a me si fanno ovattati.
Spalanco la porta con il piede.
Magari quello che sto facendo è profondamente sbagliato e a scopo autodistruttivo.
Magari è stato l’alcool che ci ha portato in casa mia a quell’ora della notte in cui solitamente ci comportiamo come sconosciuti.
Allora perché non riesco più a sentire il cuore battere?
Perché il suo petto a contatto con il mio mi fa venire la pelle d’oca?
Perché il calore del suo corpo mi riscalda come nessuno aveva fatto prima?
Ogni volta che le sue labbra toccano la mia pelle sento le cicatrici di tante delusioni rimarginarsi e scomparire.
Non sono felice, no.
Felicità è una parola troppo grande, troppo impegnativa, non riuscirei a pronunciarla, non riuscirei a sostenerla la felicità, devo avere sempre un po’ di rimpianti con me, altrimenti non mi sento a mio agio.
Ma ogni tanto me lo chiedo.
Ci sarà una persona a questo mondo che si sente davvero felice? Felice, felice, dico. Anche senza urlarlo in faccia alla gente, senza abbracciare gli sconosciuti per strada, senza ballare e cantare come un elfo in un cartone animato. Ci sarà una persona che si sente bene con se stessa, completa.”
Non mi sento felice. Ma mi sento più completa di prima.

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Capitolo 10
*** 15 Agosto 2018 (Joseph/Amy) ***


                

Credits: Sara_Scrive

15 Agosto 2018
New York
Queens
River Street
Condominio n.46
Terzo piano senza ascensore
Appartamento 3H
5:24 a.m.

 
Mi risveglio in un letto diverso dal mio. Sento un respiro dietro di me, mi giro di scatto.
Amy è girata di spalle, è rannicchiata su se stessa e si stringe con le braccia incrociate, come se occupasse troppo spazio in quel letto.
La guardo per qualche minuto.
Di solito me le ritrovo tutte addosso la notte. E’ una cosa che non sopporto. Con il caldo o con il freddo devo sempre avere la testa di una donna che sbava e russa sul mio braccio.
Lei invece non pretende niente: ne spazio, ne tempo, ne cure amorevoli che ti confortano durante la notte. Rimane lì cercando di continuare a vivere da sola.
Mi giro verso di lei.
E quando il sole sorgerà che succederà? Quando lei si sveglierà, sarò accanto a lei? Non so neanche io. E poi anche se me ne andassi, dove vado? Vado sempre da lei quando sto scappando da una donna, ma quella donna è Amy, è la mia migliore amica e non posso farle questo perché con il passare dei mesi a prenderci in giro e ad odiarci, mi sono abituato troppo alla sua presenza nella mia vita, ho bisogno di lei.
Metto il braccio attorno al suo bacino e la stringo dolcemente a me, non voglio che si svegli.

15 Agosto 2018
New York
Queens
River Street
Condominio n.46
Terzo piano senza ascensore
Appartamento 3H
5:12 a.m.

 
Mi sveglio di soprassalto con le lacrime agli occhi.
Trovo un ragazzo che dorme a braccia spalancate e occupa la maggior parte dello spazio sul mio letto, sono accucciata accanto a lui con la testa sul suo petto. Respira profondamente. Ho sempre detestato il troppo silenzio di notte.
Rimango pochi secondi a guardarlo. Ha un ciuffo di capelli che scende giù per il naso e un espressione preoccupata con le labbra serrate, come se stesse facendo un brutto sogno.
Raddrizzo la testa e finisco con le labbra a sfiorare il suo petto. Il suo odore mi tempesta le narici e sento girare la testa, azzardo un leggero bacio e subito dopo mi allontano da lui, mi volto e mi stringo per non dargli fastidio.
Penso e ripenso alla notte che abbiamo appena passato insieme. Ogni dettaglio, ogni gesto, ogni bacio continua a bruciarmi sulla pelle.
E’ tutto impresso.
E’ indelebile.
Continuo a sentile le sue labbra sulle mie spalle.
E’ davvero qui.
Ma ora? Che succede? Finisce tutto? Che farà? Si alzerà, si rivestirà in fretta, uscirà dalla porta e rientrerà un secondo dopo dicendo che la ragazza con cui è andato a letto la notte prima è un’altra da cui correre via, ignorando il fatto che la ragazza dalla quale si sta nascondendo sono io.
Riuscirò a far finta di niente domani? Purtroppo sono quasi certa che lui lo farà.
Lo conosco, è questo il problema.
Conosco il modo in cui agisce, so quanto può ferire.
Se non l’avessi saputo, avrei trascorso la notte con lui ignara di ciò che mi avrebbe uccisa il giorno dopo. Sento già il dolore stringermi lo stomaco.
E’ solo dall’altro lato del letto, ma ho paura che sia già distante, lontano, con la testa che vaga alla ricerca della prossima ragazza, della prossima serata, della prossima notte da dimenticare.
Non riuscirei a sopportarlo.
Avverto l’orribile sensazione di aver fatto un errore e di stare per essere scoperta.
Appena il sole sorgerà, sarò scoperta, le conseguenze del mio errore saranno lì ad aspettarmi.
Una lacrima nera bagna il mio cuscino.
Il trucco consumato mi brucia gli occhi.
Joseph se ne sta per andare e lo so.
Prima che il sole sorga, prima di essere scoperta, prima di pagare le conseguenze di essermi innamorata di lui, voglio assaporare fino in fondo la sensazione di averlo accanto a me, decido di girarmi, ma sento una mano leggera sfiorarmi il fianco, avvolgermi e stringermi. Ho gli occhi spalancati, lui crede che stia dormendo e il suo braccio caldo mi accarezza il ventre e mi tira dolcemente all’indietro tanto da avvicinare il suo corpo al mio per farli combaciare.
Chiudo gli occhi. Assaporo quel singolo momento.
 

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Capitolo 11
*** Run. ***


                

Credits: Sara_Scrive

15 Agosto 2018
New York
Queens
River Street
Condominio n.46
Terzo piano senza ascensore
Appartamento 3H
7:12 a.m.

 
Mi sveglio, di nuovo, con l’irresistibile voglia di ritrovarla tra le mie braccia: elemosinando amore. E io gliel’avrei dato. Le avrei dato tutto l’amore del mondo, in dosi eccessivamente sdolcinate, asfissianti e indimenticabili. Ho deciso, finalmente.
Apro gli occhi, e trovo il mio braccio perso nel vuoto delle lenzuola.
Ero solo in quel letto, mi alzo e mi metto seduto.
La cerco con gli occhi, e poi comincio a sentire dei rumori in cucina.
Mi alzo con il disperato desiderio di andare da lei e darle un bacio per augurarle il buongiorno. Il primo che abbia mai dato in vita mia. Dicono sia fantastico.
Mentre attraverso la camera da letto comincio a sentire una chitarra strimpellare, e la voce dolce di Amy che rimbomba nella stanza, la trovo sdraiata sul divano con indosso solo una felpa grigia e la chitarra poggiata sulle gambe bianche.
Mi nascosi dietro il separé a guardarla cantare.
 
While I powder my nose,
He will powder his guns,
And If I try to get close
He’s already gone,
I don’t know where he’s going
I don’t know where he’s been
But he’s restless at night,
He has horrible dreams
So we lay in the dark,
‘cause we've got nothing to say.
Just the beating of hearts,
Like two drums in the grey.
I don't know what we're doing,
I don't know what we've done.
But the fire is coming,
So I think we should run.

I think we should run, run, run, run.
 
Cerco di avvicinarmi per vedere meglio ma il separè cade a terra, Amy non alza lo sguardo, continua a suonare. Sorride divertita,  si mette una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio e mi fa un leggero cenno di avvicinarmi. Mi avvicino lentamente a lei e mi siedo sulla poltrona di fronte al divano, e rimango ipnotizzato mentre lei riprende a cantare.
 
While I put on my shoes, he will button his coat
And we will step outside, checking that the coast is clear
On both sides, we don't want to be seen, no this is suicide
But you can't see the ropes
And I won't tell my mother, it's better she don't know
And he won't tell his folks, 'cause they're already ghosts
So we'll just keep each other as safe as we can
Until we reach the border, until we make our plan
To run, run, run, run
To run, run, run, run
To run, run, run, run

 

Le sue guance diventano rosse, accenna un sorriso.

Will you stay with me my love, for another day
'Cause I don't want to be alone, when I'm in this state
Will you stay with me my love, 'til we're old and grey
I don't want to be alone, when these bones decay.

 
Alza di poco lo sguardo dalla chitarra con un’espressione divertita.

Run, run, run, run
Run, run, run, run
Run, run, run, run



La sua voce si fa acuta e le sue sopracciglia si avvicinano, chiude gli occhi e inclina la testa all’indietro.

Run, run, run, run
Run, run, run, run
Run, run, run, run



Riabbassa la testa, e stringe le labbra imbarazzata, canta l’ultima strofa sottovoce, evitando il mio sguardo, ma non riesce a non farsi sfuggire un sorriso.

While I powder my nose, he will powder his guns
And if I try to get close, he is already gone
I don't know what we're doing, I don't know what we've done
But the fire is coming, so I think we should run.



Appena finisce di cantare ferma in modo dolce le corde della chitarra che tremano, e la appoggia ai piedi del divano.
Alza lentamente gli occhi lucidi e li punta finalmente verso di me.
“Buongiorno Joseph.” sussurra.


-----xxx-----
So che questo capitolo è corto e non abbastanza soddisfacente.
Ma questa è la canzone che ha ispirato la mia fanfiction e la ritroverete negli ultimi capitoli.
Eccola qui, per farvi un'idea, io me ne sono innamorata.
http://youtu.be/LDBDPPNxocI
Grazie a tutte coloro che hanno recensito/ricordato/preferito/seguito.
Siete splendide. Continuate vi prego.
Un bacio, Grace.

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Capitolo 12
*** Mistakes. (15-08-18 Joseph) ***


                

Credits: Sara_Scrive

15 Agosto 2018
New York
Queens
River Street
Condominio n.46
Terzo piano senza ascensore
Appartamento 3H
9:01 a.m.

 
Stiamo parlando da quasi un’ora, come ogni mattina, ridendo e prendendoci in giro l’un l’altra. Non abbiamo nemmeno accennato a qualcosa della scorsa notte.
Mi ha preparato il caffè per la prima volta. Ma dopo aver finito il mio, ho afferrato anche il suo.
Forse perché volevo liberarle le labbra. Forse perché appena ce l’ho avuta davanti ho avuto l’impulso e l’ardente desiderio di baciarla.
“Cosa hai sognato ieri notte?” mi chiese puntando i suoi grandi occhi scuri verso di me.
“Ieri notte? Che ne sai che ho sognato qualcosa?”
“Mi sono svegliata e ti ho guardato e avevi un’espressione preoccupata.”
“Preoccupata?”
“Si, stavi facendo un incubo.”
“Beh.." mi sistemai meglio sulla poltrona "non è più un incubo, è più che altro un ricordo.”
“Racconta.” disse sdraiandosi sul divano e con la testa poggiata sulle braccia.
“E’ successo cinque anni fa, durante un concerto in Argentina, io e i miei fratelli ci stavamo preparando per lo show poi mentre stavamo salendo sul palco per il soundcheck e salutando le fans urlanti, nostro padre ci fece segno di tornare dietro le quinte, aveva il viso pallido e il fiato corto, ci comunicò che Danielle, la moglie di Kevin che al tempo era incinta, si era sentita male. Annullammo il concerto e con un Jet arrivammo in ospedale. Tutto bene, sia lei che il bambino, ma durante tutto il viaggio in Jet Kevin era irriconoscibile era così teso e così agitato che rispose male persino a nostro padre. “Basta, ora basta.” Ripeteva tra se e se continuamente.
E dopo quel falso allarme disse veramente basta.
E da lì cominciò il peggio.
Discutemmo per giorni, ci urlammo in faccia cose che non avremmo mai nemmeno pensato e nonostante Danielle e i nostri genitori provassero a calmarci, noi eravamo già rotti. Non poteva finire, non ora che eravamo tornati, non ora che le fans si aspettavano così tanto da noi. Ma dovette finire, perché senza Kevin, i Jonas Brothers non esistevano più, facemmo un ultimo tour, l’ultimo addio. Mi ricordo ancora una fan che a un Meet & Greet piangeva disperata, mi abbracciò per più di venti minuti singhiozzante, la dovettero portare via, e lei mi lanciò uno sguardo deluso, uno sguardo che non scorderò mai.
A quel punto non me la sono più sentita di tornare sul palco, ho abbandonato la carriera di cantante, ho abbandonato la vecchia vita, chiamo la mia famiglia ogni tanto, ma i miei fratelli non li sento da anni. Da quando è nata Grace, la figlia di Kevin, ora mi conosce appena. Certo, tutto questo prima delle tre settimane che ho passato in New Jersey e prima della loro “visita” nel mio appartamento. E come hai potuto notare, il nostro rapporto non è proprio dei migliori e non so se le cose mai si aggiusteranno. Non so se uno di noi tre avrà mai il coraggio un giorno di lasciare da parte la vecchia vita e ritornare i fratelli di una volta. Erano i miei migliori amici. Non ho mai raccontato a nessuno questa storia.”
Mi guardò triste. Vedevo nei suoi occhi la voglia di alzarsi e abbracciarmi ma qualcosa la bloccava, allora mi alzai e mi andai a sedere sul divano accanto a lei.
“Anche io ho fatto il solito sogno.” sussurrò con abbastanza voce da farsi quasi sentire, come se avesse bisogno di liberarsi di un peso, di un grosso peso.
“Ho sognato mio padre, mi stava accompagnando all’altare, era il giorno del mio matrimonio, una cerimonia intima, pochi invitati vestiti di bianco, una sinfonia dolce in sottofondo mentre attraversavamo tutta la navata, lui mi guardava orgoglioso, con le lacrime agli occhi. “La mia bambina” mi sussurrò lentamente mentre mi levava il velo dal viso. Mi prese la mano per darla allo sposo ma appena mi girai, lo sposo era sparito. Guardai mio padre in cerca di spiegazioni e accanto a me trovai una bara scura, lucida. Gli invitati ora erano vestiti di nero. La melodia aveva lasciato il posto ad un orribile silenzio. Sentivo solo mia madre che urla straziata dal dolore, le tendo le braccia e cercai di andare a consolarla, ma non riuscivo a muovermi, ero bloccata accanto alla bara e non potevo andarmene, disperata mi ci appoggiai sopra, cominciai a piangere e a singhiozzare, chiusi gli occhi e mi ritrovai di nuovo bambina stretta al petto del cadavere di mio padre con l’uniforme da soldato. La bara si chiuse sopra di noi, cercavo di urlare ma dalle mie labbra non uscì nessun suono.”
 
Rimango in silenzio, non so che dirle. Io sentivo solo delusione per me stesso, ma il suo era dolore.
All’improvviso Amy rompe il silenzio scoppiando a piangere, riesce a stento a respirare, la prendo e la stringo tra le braccia con tutta la forza che ho, le accarezzo i capelli e lei sprofonda il viso nel mio petto.
 

 
“Quindi eri un cantante. Credo di avere ancora dei tuoi cd. I Jonas Brothers, giusto? Li adoravo.” Mi dice Amy mentre è sdraiata sulle mie gambe.
“Ne sono felice.”
Gira la testa verso di me e mi sorride tra le lacrime che ancora le bagnavano le guance.
“E ora?”
“E ora tutto ciò che è rimasto dei Jonas Brothers è la casa discografica, che ora viene mandata avanti solo da Kevin.”
“Solo?”
“Si, anche mio padre la dirigeva, ma è morto un mese fa.”
Mi guarda con la bocca serrata per pochi secondi.
“Mi dispiace, ti capisco.” Disse con un filo di voce. “Sono sicura che era un bravo uomo.”
“Era il migliore che abbia mai conosciuto.”
 
Mi sorride e rimaniamo zitti pochi secondi.
 
“E io sono venuto qui.” continuo a giocare con le ciocche nere dei suoi capelli “Avevo bisogno di allontanarmi dalle delusioni e tutto il resto.”
“Cinque anni.”
Si esatto, sono venuto qui cinque anni fa.”
“Io sono qui da sei. Appena ho finito il college ho pensato che la grande mela sarebbe stata il posto in cui avrei avuto un futuro luminoso. Mio padre era sicuro che sarei diventata famosa. Anche se lo disse quando avevo dieci anni e giravo per casa con la sua vecchia chitarra scordata.” disse quasi ridendo, finalmente.
“Sono sicuro che aveva ragione.”
“E invece sono finita qua.”
“Si, ti ho notata pochi giorni dopo che mi sono trasferito.”
“Davvero?”
“Certo. Insomma nel palazzo c’è una coppia di anziani, un rabbino, una vecchietta grassoccia, un cieco e il suo cane guida… e una sola bella ragazza.
Le guance di Amy diventano rosse e si gira di spalle per non farmelo notare.
“E’ un peccato però.” sussurra.
“Cosa?”
“La signorina Phelps o la vecchietta grassoccia come la chiami tu, mi ha detto che sei davvero un bel pezzo di ragazzo.”
Scoppiamo a ridere insieme.
“Eh, lo so. Ma io credo di aver già fatto la mia scelta.

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Capitolo 13
*** 16 Agosto 2018 (Amy) ***


                

Credits: Sara_Scrive

15 agosto 2018
New York
Queens
Coven Road
The lucky guy bar
11:30 p.m.

 
L’ansia mi sta divorando.
“Ehi tu! Un altro, senza ghiaccio!"
La solita cortesia dei clienti di quel maledettissimo bar.
Mi faccio largo tra i tavoli quando mi sembra di vedere un ragazzo con lo stesso cappotto di Joseph attraversare la porta girevole del bar, e mi ritrovo con la faccia sul pavimento bagnato di whisky. Sono inciampata sull’odioso cane del signore del tavolo 4. Che ora mi guarda come se avessi fatto più male al suo cane che a me stessa.
“Ma che diavolo combini? E’ mezz’ora che aspetto questo dannatissimo whisky!” replica il ciccione del 12 dal fondo della stanza.
Per fortuna ci sono i miei amati clienti a distrarmi dall’ansia con i loro modi delicati.
Mi asciugo il viso con il grembiule e qualche lacrima si confonde con il whisky appena rovesciato.
 
16 Agosto 2018
New York
Queens
River Street
Condominio  n.46
Terzo piano senza ascensore
Appartamento 3H
4:35 a.m.

 
Sono rientrata a casa da due ore.
Fino all’ultimo scalino ho sperato di trovare Joseph sul pianerottolo.
Niente. Nessun rumore.
Quella mattina ci eravamo confidati i nostri segreti, i nostri fallimenti, i nostri errori.
Mi aveva detto “Ci vediamo stasera Amy.”
Mi aveva stampato un bacio sulla fronte ed era rimasto un paio di secondi a guardarmi.
“Devo dirti una cosa.” mi aveva sussurrato questo prima di avviarsi verso la porta.
Eravamo rimasti tutto il tempo a suonare, a canticchiare qualche ritornello a bassa voce, a ridere e a prenderci in giro. Ma non come se nulla fosse successo.
Lui si avvicinava a me come non aveva mai fatto prima.
Mi sfiorava la pelle come non aveva mai fatto prima.
O almeno prima di ieri sera.
Ogni contatto era elettricità pura.
Mi sento come un fuoco fatuo, che ha avuto il suo momento, è brillato più che poteva e poi si è spento, è rimasto senza scintilla ed è precipitato nel buio di una fredda notte di autunno.
La rabbia dovuta alla consapevolezza di non poter più brillare mi bruciava negli occhi.
 

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Capitolo 14
*** Girlfriend? (29 Agosto 2018-Amy) ***


                

Credits: Sara_Scrive



29 Agosto 2018
New York
Queens
River Street
Condominio  n.46
Terzo piano senza ascensore
Appartamento 3H
11:45 a.m.

 
 
Troppo silenzio in quel minuscolo appartamento mi fa venire i brividi.
Ed io che non riesco a romperlo, non riesco a parlare, ne a urlare.
E’ quasi mezzogiorno e nessuno ha ancora bussato.
Nessuno ha rotto questo dannato silenzio.
Nessuno ha aperto la porta del mio appartamento, nessuno è entrato e ha bevuto il mio caffè.
Nessuno mi ha liberato dalle mie catene.
Nessuno fa tutte queste cose da due settimane ormai.
Fisso attentamente la busta che giace sul tavolo della cucina.
Appena l’ho vista tra le tante bollette ho inevitabilmente aperto la bocca per lo stupore e d’istinto sono corsa dall’altro lato del pianerottolo, stavo per chiamare il suo nome quando mi sono tappata la bocca con la mano. Non ho potuto farlo.
Temo che abbia avuto troppa paura. Temo di averlo perso.
Guardo i caratteri dorati incisi sulla busta con il nome di quella importante casa discografica. Lì dentro c’era il mio sogno, la mia occasione.
La prendo con le mani che tremano.
Ciò che c’è scritto dentro avrebbe potuto dare finalmente un senso alla mia vita degli ultimi sei anni.
Anni di fallimenti, anni di delusioni continue.
Cerco invano di intravedere attraverso la busta cosa ci sia scritto dentro senza l’impegno di aprirla. Giusto una sbirciatina, per non illudermi troppo.
Ma avevo già cominciato a farlo quando mi hanno chiamato per fare un provino, hanno detto che una persona fidata aveva parlato loro molto bene di me e della mia canzone.
Anche se non hanno detto il suo nome neanche una volta io sapevo benissimo quale fosse.
Sa quanto quella canzone fosse importante per me.
E sa che l’ho scritta per lui, l’ho scritta quella notte.
La apro, non ce la faccio più ad aspettare.
 
Gentile signorina Amy Ocean,
siamo lieti di comunicarle che abbiamo davvero apprezzato la sua canzone.
Intendiamo proporle un contratto con la nostra casa discografica.
La richiameremo presto per comunicarle data e ora dell’appuntamento.
A presto,
Jonas Brothers Recording LLC.

 
D’impatto guardo la porta del bagno spalancata, piena di fazzoletti che sbucavano da ogni parte. La scatola rosa è ancora lì.  E’ aperta e in bilico sul lavandino.
Un urlo soffocato esce dalle mie labbra.
Queste notizie all’improvviso, troppo tutto insieme.
Sento lo stomaco contorcersi su se stesso, sento il dolore che pulsa sulle mie tempie e mi avvisa che il mio cervello sta per esplodere.
Non riesco più a tenermi tutto dentro devo parlarne con qualcuno.
Ma con il mio qualcuno, non un qualcuno qualsiasi.
Mi avvicino al tavolo e rimango interdetta pochi secondi, sfioro con le dita la chiave che vi è sopra, non l’avevo mai usata, di solito era lui che usava la mia.
Ma oggi non posso più resistere. Devo dirgli cosa mi è successo.
L’afferro e la tengo stretta nelle mani per darmi forza, arrivo nel pianerottolo e mi chiudo la porta alle spalle.
Respiro profondamente.
Il cuore sta battendo direttamente nella mia gola.
Afferro lentamente la maniglia della porta e la apro con dolcezza.
La porta è aperta davanti a me. E non riesco ad oltrepassare la soglia.
Sento una voce provenire dall’interno, inizio ad attraversare la soglia, sollevata e terrorizzata allo stesso tempo dal fatto che qualcuno sia in casa.
Ad un tratto una porta si apre, e dal bagno esce una ragazza con i capelli biondi bagnati, stringendosi in un asciugamano bianco corto, che lasciava vedere le sue gambe snelle.
Mi guarda spaventata, la guardo terrorizzata.
Provo a sorriderle, ma non ci riesco.
Vorrei tranquillizzarla, ma non riesco a tranquillizzare neanche me stessa.
“Non sono una ladra.” riesco solo a dire.
Lei si copre ancora di più con l’asciugamano e mi squadra sospettosa “Cerchi Joseph?” mi dice con freddezza disarmante.
“Si.” dico con un filo di voce e le guance viola per la vergogna.
“Chi sei?” continua lei secca.
“La sua vicina.”
 
La sua vicina. Non sono riuscita a descrivermi in altro modo. Avrei potuto dire che ero la sua migliore amica, avrei potuto dire che ero allo stesso tempo la persona che odiava, avrei potuto dire che ero la sua confidente, avrei potuto dire che ero la donna della sua vita.
Invece le mie labbra hanno pronunciato solo quella misera etichetta che di solito comprende un rapporto tra sconosciuti. E in questo momento mi sento davvero un’estranea.
“Sono Lexie. La sua ragazza.
Lei finalmente si scioglie con un sorriso, che non riesco a ricambiare.

 

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Capitolo 15
*** 29 Agosto 2018 (Joseph/Amy) ***


                

Credits: Sara_Scrive

29 Agosto 2018
New York
Queens
River Street
Condominio  n.46
Terzo piano senza ascensore
Appartamento 3H
11:59 a.m.

 
Busso alla porta del mio appartamento e aspetto che Lexie mi apra.
La trovo con i capelli biondi bagnati e addosso solo un asciugamano che mi sorride.
“Buongiorno Lex.”
“Buongiorno Joseph.”
Mi stampa un bacio sulle labbra e afferra la busta con i miei pancakes e il suo caffè dietetico.
Comincia a frugarci dentro e li posa entrambi sul tavolo della cucina.
Iniziamo a fare colazione insieme.
La mia prima colazione con una ragazza che non sia Amy.
Per una volta non rubo il caffè della ragazza che è con me.
Quello di Amy mi piace perché è dolce a causa dello zucchero.
Quello di Lexie è dietetico. Parola dalla quale mi tengo prudentemente a distanza.
Prendo lo sciroppo dalla dispensa e lo verso generosamente sul pancake.
Lei non riesce a trattenere una smorfia di disgusto.
“Vuoi?” chiedo educatamente prima di mangiare.
Lei mi sorride, e con tono gentile mi risponde: “No, grazie Joseph.” e riprende a bere silenziosamente il suo caffè.
“Ah!” mugugna mentre allontana il bicchiere dalle labbra.
“Si?”
“E’ passata una tizia. Ha detto di essere la tua vicina. Aveva le chiavi del tuo appartamento, ma non ricordo il suo nome…”
Amy!” sobbalzo sulla sedia e quasi la faccio cadere all’indietro, mi precipito senza dire niente fuori dall’appartamento.
Sono due settimane che non prendo la chiave dell’appartamento di Amy, poiché la sera stessa del nostro appuntamento al bar, qualcosa successe.
Corro dall’altro lato del pianerottolo e comincio a bussare delicatamente alla porta.

“Amy. Amy, apri.”

La stessa sera del nostro appuntamento al bar, una sensuale e aggressiva ragazza biondina si tuffò nello sportello del taxi che io avevo chiamato, rubandomelo, poi mi aprì e mi fece entrare e qualcosa scattò dentro di me, Lexie mi rapì completamente.
Continuo a bussare aumentando l’intensità.

“Amy, Amy aprimi, ti prego.

Busso sempre più forte, quasi urlo.

“Amy, per favore, devo parlarti, apri questa porta, ti prego! Amy!

Smetto di bussare e mi piego in ginocchio sul pavimento, avvicino l’orecchio alla porta.
Sento dei singhiozzi ripetuti e il respiro affannato della mia Amy.
 
29 Agosto 2018
New York
Queens
River Street
Condominio  n.46
Terzo piano senza ascensore
Appartamento 3H
12:03 a.m.
 
“Amy. Amy, apri.”
 
“Amy, Amy aprimi, ti prego.”
 
“Amy, per favore, devo parlarti, apri questa porta, ti prego! Amy!”
 
 
Continua a battere la mano contro la porta e a ogni rumore i singhiozzi si fanno più intensi e le lacrime scorrono ancora di più inzuppandomi il viso.

Non riesco a respirare.

Non riesco ad aprirgli.

Non riesco a smettere di piangere.

E’ questo che temo di più.

E’ questo l’incubo dal quale non riesco a svegliarmi.

Non posso andare da lui.
Non posso andare da mio padre.
L’idea di perdere un altro uomo al quale tengo così tanto mi uccide.

Si ferma all’improvviso.
Sento che si accascia sul pavimento.
Vorrei fare silenzio ma non riesco a smettere di sobbalzare a causa dei singhiozzi.
Con le mani che tremano stringo forte le mie ginocchia al petto.
Le conseguenze del mio errore sono tutte qui.
Guardo con disperazione la scatola che è ancora in bilico sul lavandino. E dall’altro lato della stanza, rimango in apnea per non far capire a Joseph che sto piangendo.
Sento il suo respiro dietro di me.
Scusa.” sussurra attraverso la porta.
Mi mordo le labbra per non ricominciare a piangere e continuo l’apnea. Porto la testa all’indietro e la appoggio sulla porta mentre le lacrime continuano a scorrere, e i singhiozzi vengono soffocati in gola.
Dispiace anche a me, Joseph.
Mi dispiace da morire.



-----------xxxx-----------
Perdonate il ritardo nel postare il capitolo ma ieri sera mi è crollato il mondo addosso.
Il rumor della rottura dei Jonas mi ha spaventata troppo e continua a farlo.
Spero vivamente di ritornare su questo capitolo un giorno e riderci sopra sapendo che mi ero preoccupata per nulla.
Riguardo al capitolo, avrei voluto con tutto il cuore postare qualcosa di felice, ma non riesco a scrivere niente di felice in questo momento.
A tutte le Jonas Fans, vorrei solo dire che vi amo con tutte il cuore e che vi abbraccio tutte.


Hold on.

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Capitolo 16
*** 12 Settembre 2020 (Joseph) ***


                

Credits: Sara_Scrive

 
12 Settembre 2020
New York
Queens
River Street
Condominio  n.46
Terzo piano senza ascensore
Appartamento 3G
8:23 a.m.

 
“E metti giù quei dannati biscotti, Joseph, ti avevo detto che non volevo più vederli qua dentro.”
La voce stridula di Lexie ormai mi aveva procurato un’emicrania persistente.
Continua a girare come una trottola per casa, cosa che mi innervosisce sempre.
“Ti prego finiscila, sono stanco di fare tutto quello che mi dici tu.”
“Cosa hai detto?”
“Hai sentito bene! Due anni, Lex, due anni della mia vita sprecati a fare tutto quello che mi dicevi. Tu mi hai usato. Mi hai assorbito e non mi hai più lasciato libero, ho smesso di vedere la mia famiglia, i miei fratelli, i miei amici, la mia migliore amica perché tu hai deciso così.”
“Non è assolutamente vero, tu potevi fare quello che volevi.”
“Cosa? Sai benissimo che se solo provavo a lasciarti un secondo tu ci provavi già con un altro. Non te ne importa nulla di me.”
“Non è vero, è solo che tu non mi presti mai abbastanza attenzione.”dice sgranando gli occhi azzurri e alzando le spalle stizzita.
“Ma se in questi due anni si è parlato solo di te, della tua carriera, dei tuoi progetti, dei tuoi sogni, e mentre ne parlavi non hai mai incluso me neanche una volta, Lex!
“E non chiamarmi Lex, lo sai che lo odio, tu sai che odio tante cose e continui a farle, tipo quei maledetti biscotti!”
“Questi biscotti sono miei e mi piacciono, quante cose ho cambiato perché non piacevano a te? Quante volte ho sacrificato me stesso per far posto ad una persona che ti sarebbe piaciuta di più?”
“Tu mi piaci, Joseph.”
“No, a te piace il Joe che ti corre dietro dalla mattina alla sera, quello che ti compra le cose, quello che ti ama ogni notte, e quello che non si aspetta mai niente in cambio. Ma io mi aspetto qualcosa! Mi aspetto di essere amato, Lex, per quello che sono veramente, per questo non possiamo stare più insieme.”
Pochi secondi di silenzio riempiono la stanza.

“Mi stai lasciando?” Dice fredda senza versare neanche una lacrima. Non è mai stata un tipo da pianti. Più un tipo vendicativo.
Faccio un cenno con il capo. Deve finire.
Sospiro e mi appoggio sul tavolo della cucina ascoltando il rumore delle valigie che sbattono e i suoi tacchetti che si affrettano per il corridoio.
E infine la porta che si chiude dietro quella ragazza che credevo di aver amato così tanto.
Con la coda dell’occhio mi accorgo di una macchia marrone sul pavimento.
Uno dei miei biscotti ridotto in briciole probabilmente da un tacco a spillo.

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Capitolo 17
*** 20 Settembre 2020 (Joseph) ***


                

Credits: Sara_Scrive


20 Settembre 2020
Los Angeles
Pacific Boulevard
Sede della Jonas Brothers Recording LLC
9:30 a.m.

 
Il sole infuoca le strade asfaltate.
L.A. mi metteva sempre di buon umore una volta, le auto che sfrecciano, la gente che non si ferma mai, le giornate di sole e la musica che arriva sempre da qualche angolo della strada.
Entro nello studio.
Attraverso il lucidissimo pavimento di marmo.
“Signor Jonas, è un piacere vederla.” Mi dice la segretaria dall’altro lato della stanza.
“Anche per me, Rose. Lui dov’è?”
“Nella sala di registrazione numero tre.”
“Grazie mille. Buona giornata.”
 
Entro nella stanza e trovo una poltrona di fronte a me, con mio fratello profondamente assorto dal suo iPhone.
“Signor Jonas, non credo sia corretto inviare messaggi birichini alla signora Danielle, quando si è a lavoro.” dico imitando la voce squillante della segretaria.
Kevin sobbalza ma poi mi vede e si scioglie in una risata.
“Sei venuto.” Mi dice dandomi una pacca sulla spalla.
“Beh, tu mi hai lasciato qualcosa come tremila messaggi ed io.. passavo da queste parti.” Gli dico accennando un sorriso.
La verità è che da quando ho lasciato Lexie. Ho realizzato di aver tagliato fuori qualsiasi altra persona dalla mia vita. E ho deciso di andarle a recuperare una per una. A cominciare da loro. I miei fratelli.
Kevin si mette in piedi e mi si avvicina. Allarga le braccia, aspettando che sia io a colmarle.
Mi avvicino lentamente e lo abbraccio.
“Oops, forse non volevate essere disturbati.” dice Nick appoggiato allo stipite della porta.
Gli faccio un cenno con la mano, si unisce a noi.
Anche se la vita ci aveva portato lontano e sfortunati eventi ci avevano separati. Sono bastati pochi secondi per ritrovare in quei due uomini, le persone più care a me sulla terra.
Non si è mai troppo adulti per abbracciare un fratello, loro erano i miei migliori amici e lo saranno sempre.
“Come stai fratellino?” dico scompigliando i capelli di Nicholas che prontamente li rimette al loro posto.
“Fratellino? Non sono un po’ cresciuto?” dice lui ridacchiando.
“E hai messo la testa a posto?” gli ripeto riferendomi alle sue rinomate doti di conquistatore. Anche se mi sembra surreale che sia stato io a dirgli una cosa del genere.
“Lo farò solo quando lo farai tu. E la tua ragazza?”
“Ci siamo lasciati.”
“Peccato, mi piaceva davvero tanto. Lo sai, ora sta avendo un bel successo con noi..”
Spalanco gli occhi.
“Lexie?! Che ci fa con voi?”
Kevin si gira di scatto verso Nick e gli da una gomitata. Evidentemente ha detto qualcosa che non doveva.
“No, non lei, mi sono sbagliato.” Dice Nick massaggiandosi il braccio colpito.
 
Come ha fatto a sbagliarsi? Alzo le spalle.
“Per quanto ti fermi?” mi dice Kevin.
“Ho il volo alle sei di oggi pomeriggio.”
“Allora puoi fermarti da noi.”
Li guardo per pochi secondi, riflettendo sulla risposta, che però era inevitabile.
“Perché no.” Dico sorridendo.
 
Il pranzo sta per cominciare, Kevin sta parlando con me in salotto, Nick è nella cameretta di Grace per aiutarla a fare i compiti e mia madre è in cucina, dando “consigli” a Danielle che gira come una trottola per la stanza.
Kevin rigira tra le dita un sigaro senza accenderlo.
Non riesco ancora a credere alla scena. Fino a pochi anni fa eravamo solo tre ragazzi scalmanati.
Vorrebbe dirmi qualcosa ma non trova le parole.
“Joe, parlando dell’eredità di papà..”
Ed ecco la litigata che vorrei in tutti i modi evitare oggi.
Fortunatamente in quel momento la voce di Danielle risuona in salotto: “Kevin, potresti venire a pelare le patate?”
“Amore, sto parlando con Joe..”
“Beh, amore, tua madre sta già facendo troppe cose, quindi ti sarei grata se venissi tu ad aiutarmi” replica lei con un tono di voce in bilico tra l’arrabbiato e il supplichevole.
Kevin mi guarda scusandosi, gli faccio l’occhiolino e ci alziamo insieme dalle grandi poltrone in pelle.
Attraverso il corridoio della grande casa, sento della musica provenire da una camera, mi acquatto accanto alla porta socchiusa e dolcemente la apro. La musica cessa immediatamente.
Le fantasie floreali e il rosa della cameretta di Grace mi colpisce subito, in un secondo momento mi accorgo della piccola seduta al piano, con accanto il suo giovane zio, che mi guarda con gli stessi occhi che aveva quando sua madre lo sorprendeva a mangiare furtivamente della crema di cioccolato, nonostante avesse il diabete.
“Ops, scusate, sembrava ci fosse un concerto qui.” Dico sorridendo ed entrambi si sciolgono in una risata.
“Avanti Grace, continua ad allenarti, io torno subito.” Sussurra Nick all’orecchio della bambina e si alza.
“Kevin non vuole che impari a suonare.” sbuffa Nick.
“Perché?”
“E che ne so. Dice che è una carriera rischiosa quella dell’artista.”
Grace intanto suonava con una dolcezza meravigliosa, era uno spettacolo per la vista e per l’udito, guardare quelle minuscole dita che scivolavano sui tasti bianchi e neri.
Guardala, ha un talento naturale. Fantastica.”
“E’ di famiglia.” Dissi guardandolo.
“Già.” Mi sorrise. “E’ proprio di famiglia.”

...

 
Dopo i saluti mi avvio verso la grande porta in mogano.
Sento Kevin che mi blocca il braccio e mi prende la mano e poggia sopra il mio palmo un assegno.
“Kevin…” gli dico senza voler minimamente discutere ancora.
“Joe.” dice deciso lui. “Prendili, sono tuoi. E poi, ti serviranno.
A quelle ultime parole lo guardo un po’ stranito ma alla fine alzo le braccia e lo stringo forte a me.
 
“Zio Joe!” strilla la piccola sgambettando affannata per raggiungermi prima che mi allontani.
“Tornerai di nuovo a casa?” la sua vocina mi spezza il cuore.
Le sfioro la fronte con le labbra.
 “Certo.”
“Domani?” dice con entusiasmo.
Scoppio a ridere.
“Tutte le volte che vorrai, Grace, ci sarò.”
 
----------------------xxxxxx---------------------------

Chiedo perdono per il ritardo colossale.
La rottura dei Jonas Brothers mi ha completamente distrutta.
Sto provando ad accettarlo, ma ogni giorno che passa mi mancano sempre più.
Comunque non abbandonerei mai loro, voi fans e le mie storie.
Grazie, se avete letto e avete aspettato e siete rimaste con me.
Siete fantastiche.

-Grace

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Capitolo 18
*** 28 Settembre 2020 ***


                
28 settembre 2020
New York
Queens
River Street
Condominio  n.46
Terzo piano senza ascensore
Appartamento 3G
10:31 p.m.




Ogni tanto mi domando: “La volevo davvero lasciare?”
Probabilmente non sono più abituato a starmene da solo, non sono più abituato a stare solo da tre anni.
Tutto questo non da prima di conoscere Lexie, dal giorno in cui avevo conosciuto Amy.

Amy.

Non busso alla sua porta da due anni. Eppure non ho dimenticato niente. Ho impressa nella mente l’immagine del suo appartamento mezzo illuminato, del suo separé squarciato in due da me, e di lei seduta al divano con la solita felpa sgualcita e lo sguardo impaziente che aspetta che io finisca di bere il suo caffè.
Busso. Aspetto un paio di minuti, poi sento dei passi dietro la porta.
Nonostante siano passati due anni, non so perché mi aspetto di trovarla uguale: la felpa, i capelli raccolti e la frangetta ribelle davanti agli occhi.
La maniglia comincia a girare e il cuore mi batte sempre più forte.
Sono agitato come durante il primo giorno di scuola. Ma questa volta è diverso, so cosa mi troverò davanti.
La porta si apre.
“Si?”
Non riesco a replicare davanti alla vecchia signora che mi si presenta davanti in camicia da notte.
“Ehm…c’è Amy?”
“Amy chi?”
“Amy. Amy Ocean, abita qui.”
Getto uno sguardo dietro la bassa vecchietta e un appartamento completamente illuminato pieno di tappeti, orologi e mobili antichi sostituisce il semplice, accogliente e arrangiato  vecchio appartamento 3H.
“Ah, certo la ragazza, non abita più qui.”
“Da quanto?”
“Saranno due anni, caro.”
Due anni. Amy si è trasferita da due anni e io neanche so dove sia andata o se le sia successo qualcosa.
“Non sa dove si è trasferita?”
“No caro, però ha lasciato qui una cosa.”
Scompare un secondo dietro la porta socchiusa e da dietro di essa tira fuori un grande oggetto verde scuro, e me lo porge.
Dopo qualche secondo riesco a riconoscere la chitarra che le avevo regalato sotto strati e strati di polvere.
“Quando sono arrivata io l’appartamento era vuoto, c’era solo questa, appoggiata al muro.”
“E non ha lasciato nessun indirizzo? Niente?”
“No caro, il padrone di casa mi ha detto che era una ragazza molto riservata, una cameriera, nessuno la conosceva bene nel palazzo e un bel giorno ha preso e se ne andata da questo posto.”
La signora vedendo il mio sguardo deluso mi afferra intenerita la guancia e la strinse.
“Beh, è tutto temo, la chitarra puoi anche tenerla, io l’avrei sicuramente buttata.”
“Si…d’accordo, grazie.”
Chiude lentamente la porta.
Rimango a fissare la chitarra e levo con le dita la polvere che c’è sopra.
Devo trovarla. Devo sapere se sta bene. Ho fatto troppi errori in questi due anni. E’ il momento di mettere le cose a posto.
“Una cameriera… il bar!”
Mi precipito giù per le scale.

10 Settembre 2020
New York
Queens
St. Peter Road
23:02

 
“Andiamo, non può trovare il modo di aggirare il traffico?”
“Nono signore, blocco traffico.”
“Ascolta Sunjeed, io devo andare da una ragazza che ho illuso e ferito.”
“Uuuh, tu brutta persona.”
“Lo so, ma ascolta, lei è la mia migliore amica. E’ l’unica benedetta persona sulla faccia della terra che mi fa sentire bene 24 ore su 24 e mi basta vederla, capisci! Basta che la veda anche una sola volta e la mia giornata, la mia vita, tutto il mondo ha un senso. Non so davvero come ho fatto a vivere due anni senza di lei. Lei non è il solito tipo da smancerie, ma potrebbe donarti tutto l’amore dell’universo e non aspettarsi niente in cambio e io devo andare da lei, non so se mi perdonerà mai, ma devo andare.”
“E allora vai.”
“Vai? In che senso? Siamo bloccati!”
“Taxi si, ma tuo culetto bianco no, vatti a riprendere la tua bella!”
Do una pacca sulla sua spalla e mi lancio fuori dall’auto.

 

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Capitolo 19
*** Run, again. (28 Settembre 2020) ***


                 10 Settembre 2020
New York
Queens
Coven Road
The lucky guy bar
00:28

 
Ho corso per più di un’ora e mezza per le fredde e affollate strade di New York.
Arrivo senza fiato davanti alla porta verde scuro del bar.
L’insegna luminosa “The lucky guy bar” si intravedeva a malapena, è il nome del postaccio in cui Amy lavorava, sempre pieno di turisti ubriachi, o sporchi uomini d’affari dalle mani lunghe, ecco come me l’aveva descritto lei una volta, solo al pensiero di uno di loro che la sfiora, mi viene da stringere i pugni per la rabbia. Scrollo questo pensiero dalla testa e apro la porta.
Con mia grande sorpresa trovo il bar pieno di gente allegra e fremente, sembravano aspettare qualcosa.
Mi faccio strada tra la folla e mi avvicino al bancone. Un uomo robusto e ricoperto di tatuaggi dall’espressione cattiva sta pulendo i bicchieri con uno straccio e borbottando tra se e se.
Mi viene subito in mente la voce di Amy, quando una delle solite mattine in cui stavamo stesi sul suo divano a chiacchierare, mi disse:
“Il mio capo sembra un po’ il vecchio Gamba di Legno a prima vista.”
 

“Ehi, tu! Scusa!”
Si avvicina a me con le sue gambe tozze, mi sporgo per vedere se zoppicasse e non riesco a trattenere un sorriso.
“Si?” grugnisce squadrandomi.
“Sto cercando Amy Ocean. Lavora.. o lavorava qui.”
L’uomo che somiglia a Gamba di legno sbuffa.
“Mi prendi in giro, ragazzo?” dice con aria di scherno, lo guardo confuso. Dopo qualche minuto di silenzio, alza il dito grassoccio indicando il palco al lato del bar, dove solitamente si esibivano gli artisti senza futuro o i turisti ubriachi.
Un’esile figura femminile dalla pelle bianca in un attillato vestito nero e uno scuro caschetto corto sta salendo sul palco.
Si siede sullo sgabello, incrocia le lunghe gambe e avvicina la bocca rosea al microfono.
“L’ultima canzone di questa serata non è stata la prima che ho scritto, ma è stata la prima che ha avuto finalmente un vero significato per me.
Mi riporta a tanti ricordi. A quei mesi in cui ho ricominciato a vivere.
Parte un applauso spontaneo della folla e la ragazza sorride e si mette una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Rimango a bocca aperta quando comincia a suonare una canzone che conosco fin troppo bene.
La sua voce dolce come il miele riempie il bar buio e triste.
Quella donna risplende di luce propria.
La mia Amy.
Era lì.
Lo spettacolo più bello della mia intera vita.

 
While I powder my nose, he will powder his guns
And if I try to get close, he is already gone…

 

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Capitolo 20
*** Found (10 Settembre 2020) ***


10 Settembre 2020
New York
Queens
Coven Road
The lucky guy bar
00:42
 

“Buonanotte e grazie di cuore.”
Lo spettacolo è finito.
Amy sfoggia un sorriso raggiante e soddisfatto davanti all’applauso prolungato della folla.
“E’ diventata famosa, almeno così dice, si è offerta per fare una serata qui, “in ricordo dei vecchi tempi” dice Gamba di legno "blah, per me è solo una bambinetta stonata. E come se non bastasse si è portata dietro pure quel mostriciattolo..”
Il proprietario del bar mi sta borbottando qualcosa nelle orecchie, ma non lo ascolto nemmeno, sto cercando di trovare Amy, devo parlarle, devo riprenderla con me, e sono nervoso, dannatamente nervoso.

Mi allontano dal bancone senza rispondere a quel tipo, che probabilmente ora mi starà maledicendo da dietro, non mi importa, comincio a farmi strada in mezzo alla folla, ma non riesco a trovarla.

All’improvviso intravedo il suo vestito nero passare attraverso la porta girevole del bar.
“Amy! Amy!”
Mi faccio strada tra le persone spingendo e scalciando, non ho tempo per le buone maniere, non posso perderla un’altra volta.

Sono fuori dal bar e una vento freddo mi travolge.
La intravedo girare l’angolo della strada.
“Amy!”
Non mi sente. Comincio a correre, saltando ogni tanto per vederla tra le persone che camminavano davanti a me.
“Amy!”
Si ferma di scatto.
Mi ha sentito, qualcuno lassù deve avermela mandata buona per una volta.

L’ho quasi raggiunta, riesco a intravederla.
Si gira.
Il cuore smette di battere per pochi secondi.
Lei mi guarda con la bocca spalancata mentre i suoi corti capelli corvini le vengono scompigliati dal vento.
Sembra ancora di più una donna.
Amy mi guarda.

Non riesco a muovere neanche un muscolo del mio corpo.
E' tutto freddo, spento.

Io guardo la bambina di circa due anni che sta tenendo per mano.
La bambina di circa due anni che ha gli stessi capelli neri di Amy raccolti in due codini.
La bambina di circa due anni che ora mi guarda spaventata con i suoi grandi occhi color nocciola.


Ha i miei stessi occhi.
 

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