You did not bear the shame,you resisted,sacrificing your life for freedom, justice and honor.

di Ndra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Destinazione distretto 12. ***
Capitolo 2: *** Mi offro volontaria come tributo! ***
Capitolo 3: *** Nel treno. ***
Capitolo 4: *** La cerimonia di apertura. ***
Capitolo 5: *** Sessione con gli strateghi ed intervista. ***
Capitolo 6: *** Pensieri di una ragazza mai amata. ***
Capitolo 7: *** L' arena. ***
Capitolo 8: *** Every ribellion begin with a spark ***
Capitolo 9: *** You are my backbone when my body aches with wearyness ***
Capitolo 10: *** The End. ***



Capitolo 1
*** Destinazione distretto 12. ***


Odio gli Hunger Games.
Odio vedere gente morire senza aver fatto nulla.
Odio osservare quei mostri di Capitol City festeggiare quando iniziano questi stupidi Giochi.
Da che distretto vengo?
Da nessun distretto.
Io sono di Capitol City.
Può sembrare strano ma io  sono diversa da tutti qui.
Non voglio essere un burattino del Presidente.
Ho una testa e ho un carattere. Posso ragionare da sola.
E combatterò il sistema.
Il mio nome?
Selena. Selena Snow.
Si,sono la figlia del Presidente Snow.
E odio anche lui e come si comporta.
Vorrei tanto fargli provare ciò che provano tutte le famiglie dei tributi estratti,anche se molto probabilmente,lui più di tanto non se ne importerà.
Perché?
Perché io per lui,per mia madre,non sono nessuno.
Non esisto.
Sono solo un errore,che non hanno più ripetuto.
Non mi volevano,non mi hanno mai voluto.
Non mi hanno amato,come fanno  gli altri genitori.
Forse se morissi,farei loro solo un grande favore:meno scocciature,meno spese.
E io vorrei anche farglielo questo favore,ma prima,mi ribellerò in nome di ogni famiglia di ogni distretto.
Io cercherò di cambiare il mondo,per quanto esso si possa cambiare.
Forse sarà impossibile,ma alla fine,non ci perderò niente. Tanto vale provare no?
Tra pochi giorni ci sarà la mietitura in ogni distretto.
Ed io sono pronta.
Ero nella grande villa dove vivevo,troppo grande per così poche persone,che ci stanno anche poco.Quante stanze immense che c’erano! Le pareti erano ricoprite da marmo rigorosamente bianco.
Dietro c’era un giardino enorme,dove mio padre amava coltivare rose.
Le rose. Ce n’erano dappertutto in casa mia.
Sul corrimano delle scale, in ogni tavolo e in ogni angolo della grande villa. Rose bianche,che odoravano di sangue.
Perché io sapevo che mio padre era una persona senza cuore.
Uccideva gli avversari politici,e obbligava i vincitori degli Hunger Games a vendere i propri corpi.
Anche per questo odiavo gli Hunger Games perché comunque andava,eri sempre schiavo,in ogni caso, di questa stupida società.
 
 
“Esco”- mi limitai a dire,e mentre questa parola rimbombava tra le pareti della villa che sembrava vuota,varcai l’uscio di casa. Mi fermai ancora un minuto ad osservarla, perché sapevo che non l’avrei più rivista.
Era bello vivere nel lusso, questo non lo mettevo in dubbio.
Era bello avere sempre ciò di cui hai bisogno, sicuramente.
Ma al pensiero che mentre io mi godevo ciò che avevo, in un distretto qualcuno trasgrediva quelle inutili regole sancite da mio padre per portar a casa propria qualche cosa da mangiare, stavo male.
Perché io non sono niente in più degli altri, sono solo la figlia di quel mostro, e di ciò non potevo  neanche vantarmi, alla fine.
 
Chissà se qualcuno mi aveva sentito o si era interessato a me.
Più che altro non mi importava però.
Uscii di casa e vidi davanti a me quella  città immensa, ricca di grattacieli e di ville enormi, ricca di oggetti inutili e di troppo cibo, e iniziai a camminare tra quelle strade in mezzo a quelle persone vestite da pagliaccio.
Io non ero come quei tipi difficili da classificare. Nessuno poteva affermare con sicurezza se fossero maschio o femmina.
Io, infatti, ero vestita semplicemente, e il mio trucco era molto leggero.
Mi avviai verso la stazione e presi un treno.
Destinazione distretto 12.
 
 
 
Mi farebbe piacere una recensione,positiva o negativa!
 

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Capitolo 2
*** Mi offro volontaria come tributo! ***


Ero nel treno che velocemente correva,senza badare a nessuno,esattamente come un fiume che corre inesorabile verso il mare.
Questo treno  “sfociava” nel distretto 12,ed è lì che volevo andare.
Volevo  andare nel distretto più rovinato,più povero,dove la gente più aveva bisogno di aiuto.
Nessuno si era accorto della mia identità,ed è stato un bene altrimenti avrei dovuto inventare delle scuse e non ne avevo proprio voglia.
Il treno era quasi deserto,perché nessuno predilige i viaggi,qui a Panem.
Si viaggia solo se è strettamente necessario,come per i Pacificatori,come per i tributi o le escort che li sorteggiano.
Ci volle un po’ di tempo per arrivare,e davanti a me scorsi tutti i distretti,che avevano paesaggi completamente diversi ma straordinariamente belli.
E quando arrivai  lo spettacolo fu allucinante.
Le strade erano deserte e le case tutte rovinate,sembrava quasi che stessero per crollare.
A passi lenti,e con il mio zaino dietro le spalle, iniziai a camminare,e osservai quelle case e quei negozi con mille crepe. Avevo l’impressione che se li avessi toccati sarebbero crollati.
E decisi di non provarci.
Ormai era il giorno della mietitura e pensai alle notti insonni di tutti quei genitori,mentre il Presidente aveva dormito tranquillo nel suo letto ornato di rose bianche,mentre non si preoccupava minimamente dove fosse la figlia,scomparsa già da qualche giorno.
Alla fine,avrei voluto di più esser figlio di una povera madre nei distretti come questi,che essere figlia di Snow.
Almeno avrei ricevuto amore,e io di questa parola, non ne conoscevo il significato.
Vedendo la diretta sapevo,che seppur ogni famiglia considerasse questo giorno come una specie di funerale, erano obbligati a vestirsi con gli abiti migliori.
Io non avevo vestiti,nonostante fossi di Capitol City.
Avevo quindi un semplice pantalone nero,con degli stivali dello stesso colore e una semplice maglia.
Ero,in fondo la più sincera,d’altronde,non è questo il colore che si usa nei funerali?
Pian piano vidi le famiglie con in mano bambini tremanti avanzare verso il palco.
 Della gente toglieva loro una goccia di sangue,e poi i ragazzi si mettevano ordinatamente in fila.
Mi misi anche io in fila,dietro ad una ragazza di all’incirca sedici anni e nessuno si accorse di me.
In fondo,come potevano accorgersi di me,quando la tensione si era già impossessata dei loro corpi?
I genitori si avviavano invece verso un altro dipartimento,con passi cauti e con le lacrime agli occhi,perché non avrebbero voluto perdere un figlio o una figlia.
Poiché qui,nel distretto 12, ma come in fondo negli ultimi distretti come 11 o 10,nessuno si era potuto preparare per i Giochi, perché i ragazzi servivano a ben altri lavori.
Vidi l’escort salire sul palco,con un sorriso stampato in faccia. Era talmente stupida che non si accorgeva neanche di ciò che stava per fare. Non si accorgeva che nelle sue mani c’era il destino di povere creature indifese e delle loro famiglie.
Avevo già in mente il mio piano: era semplice ma  prevedeva  poche abili mosse.
 
“Nessuno potrà contraddirmi,io sono la figlia del Presidente,ogni mia parola è ordine”- pensai.
 
“Benvenuti ai settantaquattresimi Hunger Games”- disse un uomo panciuto che,si vedeva benissimo,non era per niente contento di questi Giochi,perché pur essendo il sindaco,sua figlia o suo figlio non sarebbero potuti  scampare a tali orrori.
 
“Siamo qui per ricordare che la ribellione  e bla bla bla bla bla bla” – quella specie di pagliaccio sul palco disse la solita cantilena,che ero stufa di ascoltare.
 
“E come sempre,prima le signore”- esordì,e si avvicinò alla boccia.
Gliel’avrei voluto tanto togliere io quello stupido sorriso.
 
Prese un bigliettino e iniziò a leggere il nome.
“Hope McLean”- disse.
Vidi una bambina,doveva essere la sua prima mietitura, salire tremante sul palco.
 
“Mi offro volontaria,mi offro volontaria come tributo!”
 
Oh no,non era una sorella o un parente. Quella voce era mia.
Salii sul palco con passi decisi,passai affianco alla ragazzina e velocemente le accarezzai i capelli.
 
“Qual è il tuo nome?”- mi chiese l’escort.
 
Sorrisi,presi il microfono e lo avvicinai alla mia bocca,guardando le telecamere.
 
“Selena. Selena Snow”- risposi.
 
L’escort sembrò sconcertata e la sua faccia era ancora più da imbecille del solito.
 
“Si,solo la figlia del Presidente Snow,e verrò in arena,che vi piaccia o no . ”- dissi prima che potesse aprir bocca.
 
“Bisogna combattere l’oppressione,bisogna ribellarsi,e poiché voi non lo farete,lo farò io per voi. Ciao papà”- continuai salutando verso le telecamere.
Avrei tanto voluto sdoppiarmi per poter vedere la sua faccia in quel momento.
 
L’escort iniziò ad agitarsi e a guardarsi attorno per sapere se fosse legale,ma prima che potessero risponderle,le urlai che non mi importava se si potesse fare o no,sarei stata un tributo degli Hunger Games,punto e basta.
 
 
Ciao a tutti,mi farebbe piacere una recensione,perché non sono molto sicura a dir la verità di questa storia..un bacio :)

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Capitolo 3
*** Nel treno. ***


Voi penserete che sia pazza.
Ma non è così. Sono solo stanca di sopportare le  prepotenze di mio padre.
 
L’ escort sembrò rassegnata.
 
“Bene,passiamo ai ragazzi adesso!”-continuò.
 
Si avvicinò alla boccia e prese un bigliettino. Avrei protetto anche lui,chiunque fosse.
 
“ Alex Allen “ – chiamò.
 
Si incamminò verso il palco un ragazzo con capelli neri e con gli occhi grigi.
Gli occhi tipici del Giacimento.
Mai avevo visto un ragazzo tanto bello.
Ma non era il tempo di innamorarmi.
Dovevo prepararmi per la sfida contro Snow.
 
“Ecco a voi i tributi di quest’anno.
E che la fortuna possa sempre essere a vostro favore”- disse.
 
 
Non so cosa mi abbia mantenuto in quel momento dal prenderla a schiaffi ripetutamente.
Che frase stupida e senza senso.
Andammo dietro al palco,e mi assegnarono lo stesso una camera per poter ricevere eventuali visite.
Entrai nella stanza. Pensai che fosse la più lussuosa in quel distretto anche se non si poteva paragonare minimamente alla mia villa.
 
“Posso?”- mi chiese qualcuno.
 
“Avete sbagliato stanza,il tributo è nell’altra”- risposi pacatamente.
 
“No,sto cercando te.”- mi disse.
 
Entrò una donna consumata dall’età che non si reggeva in piedi e camminava solo grazie a un piccolo bastone di legno che teneva in mano.
 
“Perché lo fai?”- mi chiese,in maniera molto antipatica.
 
“Perché non sopporto ciò che sta succedendo”- risposi tranquilla.
 
“Ma tu sei la figlia del Presidente! Che t’importa?- continuò.
 
“Ma che significa? Mi scusi signora,con tutto il rispetto,ma il fatto che io sia figlia del Presidente non significa che non abbia un cuore. Anche io odio mio padre,e vorrei fargli patire,anche se per poco ciò che avete patito voi,per metter fine agli Hunger Games. E non ho bisogno del vostro consenso.”- sbottai.
 
“Ma che bel caratterino!- concluse e con un ghigno uscì dalla stanza.
 
Non ebbi altre visite e allora mi portarono in treno. Non ero molto felice di stare ancora rinchiusa là dentro per poi ritornare nella città da cui ero scappata,ma non mi importava,avrei fatto di tutto,per ribellarmi a mio padre.
 
Sul treno,aspettammo il nostro mentore. Un certo Haymitch.
Con una bottiglia di alcol in mano,si sedette sul divano di fronte a noi,tintinnando.
 
“Ma guarda chi abbiamo qui,la piccola presidente! Arrivata nell’arena ti pentirai del tuo passo,dolcezza!”- disse mentre un liquido,che doveva essere vino, gli colava dalla bocca semi aperta.
 
Mi alzai di scatto.
 
“Ma smettila! Senti ubriacone,io l’ ho fatto per voi. E perché non sopporto mio padre che uccide povera gente. E poi ormai è fatta,stai sicuro che non mi pentirò.”- risposi,innervosita.
 
“Calma,dolcezza. Siediti,prendine un sorso,così ti calmi un po’.”- continuò.
 
“A me non chiami dolcezza,hai capito? E te lo puoi pure tenere il vino.
Anzi no,dovresti posarlo e darci dei consigli per sopravvivere.
Certo,a me no,perché non mi importa ma a lui sì. “- gli dissi.
 
Subito dopo mi rivolsi verso Alex,che aveva  lo sguardo rivolto al finestrino.
 
“Ehi tu,forza,vuoi restare qui senza far niente? Li vuoi vincere o no questi maledetti Hunger Games?”- gli domandai,ovviamente retorica.
 
Lui mi guardò e io restai lì a guardarlo come una stupida.
Senza dire niente si alzò,e dopo aver preso la bottiglia di vino gliela fece scorrere in testa e la posò sul tavolo, vuota.
 
Dopo entrò euforica l’escort,che ci disse di chiamarsi Effie,mentre ripeteva tra sé e sé: “in questi giochi ce ne saranno delle belle”.
 
Andammo nei nostri vagoni,e posai lì lo zaino. Lo aprii e presi l’unica foto in cui io e mio padre eravamo insieme,nel suo giardino di rose finte.
Guardai il suo volto,e cercai di memorizzarlo bene,perché in fondo era sempre mio padre. Poi osservai il mio: felice e spensierato,con i capelli che morbidi mi cadevano sulle spalle e con un sorriso un po’ sdentato perché molti denti mi erano caduti.
Rimpiansi quei giorni quando ancora non sapevo,non capivo ciò che accadeva intorno a me.
Adesso invece avevo capito troppo bene,che tutti gli avvenimenti,dei quali era l’iniziatore mio padre,non dovevano essere trascurati. Dovevano essere combattuti. Ed io avevo l’età per combatterli,ed ero anche preparata.
Sì,mi ero esercitata,non per sopravvivere,ma per far sopravvivere qualcuno dell’arena. Per non farli uccidere  dai Favoriti.
Presi la foto e senza pensarci due volte la stracciai in tanti piccoli pezzi,che lasciai lì inermi per terra,senza neanche curarmi di buttarli in un cestino.
No,dovevano marcire là ,come tutti i ricordi che avevo e che non avrei voluto avere,come tutti i miei sogni,marciti a terra già da troppo tempo.
 
Dopo un po’ Effie mi venne a chiamare perché la cena era pronta,ma il mio stomaco si era rimpicciolito,e non sarei riuscita a mandar giù un solo boccone.
Nonostante ciò andai a tavola,e iniziai a giocherellare con la mia forchetta,come facevo anche molte volte a casa mia.
Dopo la cena,le parole di Effie,che ripeteva che dovevo mangiare,erano buttate al vento,perché mi sedetti sul divano e continuavo ad osservare il paesaggio,che mi faceva capire che ci stavamo avvicinando sempre di più a Capitol City.
 

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Capitolo 4
*** La cerimonia di apertura. ***


Effie andò in camera sua,e anche Haymitch si rinchiuse nella sua stanza,dopo p aver preso una decina di bottiglie di vodka.
Alex,invece,con mia grande sorpresa,si avvicinò a me,che ero ancora seduta sul divano blu.
 
“Ciao”- disse,e nel frattempo sentivo che mi stava scrutando.
 
“Ciao”- risposi.
 
“Ti ammiro,sai,per quello che hai fatto.”- mi disse.
 
Mi girai verso di lui. E vidi i suoi lineamenti così decisi,ma allo stesso tempo così dannatamente belli.
Rivolsi immediatamente lo sguardo alla finestra,osservando non curante,il paesaggio che velocemente passava sotto i miei occhi.
 
“Non l’ ho fatto per ricevere ammirazione.”- risposi,forse un po’ troppo scorbutica.
 
“Lo so. Si vede che sei diversa dal Presidente.”- disse,con un sorriso.
 
“Non potevi farmi un complimento migliore!”- risposi,rilassandomi un po’ e ridendo.
 
“Perché lo odi?”- mi chiese,all’improvviso.
 
Ritornai a girarmi verso di lui,guardandolo negli occhi.
 
“Non tollero ciò che fa,tutto qui. Ho provato un sacco di volte a dirgli di smettere,ma niente,non capiva. Da un orecchio gli entrava e dall’altro gli usciva.
Ma in fondo,questo passo,penso che non servi a molto. Non mi ha mai voluto bene.”- risposi abbassando subito dopo lo sguardo.
Non piansi,non ne avevo motivo.
 
“Tutti i genitori,in un modo o nell’altro vogliono bene ai figli! E poi,comunque è stato davvero un bel gesto da parte tua,sacrificarti per tutti noi!”- rispose.
 
Mi limitai a sorridergli,pensando di quanta sofferenza invadeva il mio corpo nella vita di tutti giorni,quando la convinzione di essere stata un errore,si faceva sempre più strada nella mia coscienza.
Se tutti i genitori vogliono bene ai figli,ero sicura,che i miei fossero un po’ l’eccezione che conferma la regola.
 
“Adesso vado,forse sarà meglio che vada anche tu.
Domani ci aspetta una giornata ricca di impegni!”- disse imitando la voce di Effie.
Involontariamente,dimenticai tutti i pensieri negativi e tristi che avevano affollato la mia mente pochi secondi prima e iniziai a ridere, avviandomi verso la mia stanza, e salutandolo.
 
Arrivata nella mia camera,decisi di riposarmi,per restare in forze. Nonostante tutto per me non è mai stato facile affrontare i miei genitori e l’indomani avrei dovuto vedere davanti a milioni di persone mio padre,con la sua solita presunzione.
Riuscii ad addormentarmi,e sì,quella notte sognai un mondo migliore.
 
La mattina fui svegliata dal tocco per niente leggero della mano di Effie sulla porta che mi urlava di alzarmi.
Mi vestii semplicemente e legai i miei capelli in una morbida coda.
Facemmo colazione appena in tempo perché in un batter d’occhio arrivammo a destinazione.
Mentre Alex guardava Capitol City con un espressione di stupore,io guardavo la mia città con una smorfia di disgusto,dopo aver capito l’arretratezza degli ultimi distretti.
Ci avviammo nel grande palazzo,e io potei evitare la parte della ceretta,perché per fortuna non ne avevo bisogno.
Andai subito dal mio stilista.
 
“Ciao”- mi salutò.
 
Ricambiai il saluto.
 
“ Per la sfilata di stasera,ho ideato e realizzato un abito davvero fantastico!
 Anche se ho l’impressione che quello di attirare sponsor non sia  il tuo obiettivo”- mi disse.
 
Sorrisi,aveva centrato il punto.
 
“Bella mossa la tua. Forse riuscirai davvero a cambiare le cose.”- mi disse,sorridendo.
 
 Senza dir nulla indossai un vestito nero. Mi arrivava al ginocchio e partiva da una sola spalla,lasciandomi l’altra scoperta. Mi legò i capelli in uno chignon,lasciandomi dei capelli in avanti.
Poi ci avvicinammo al carro.
Iniziai ad accarezzare uno dei cavalli,mentre attendevo Alex.
Arrivò.
 
“Sei davvero molto bella”- mi disse.
Imbarazzata farfugliai un “grazie”.
 
Salimmo sul carro ornato,come al solito,di rose bianche,e iniziarono a partire gli altri. All’improvviso partì anche il nostro. Subito sorrisi e iniziai a salutare tutti gli abitanti della mia città. Quando all’improvviso notai dai mega schermi,che mi stavo bruciando.
Una fiamma ardente mi avvolgeva il vestito. Non mi mostrai a disagio,anzi. Mi sporsi verso l'orlo del carro con il vestito ardente,e la fiamma,come avevo previsto,coinvolse le rose bianche tanto amate dal Presidente,che divennero bruciate.
Nel frattempo,continuai a salutare e a sorridere.
Finché lo vidi.
Vidi il Presidente,al suo posto,in procinto di fare il discorso di apertura,con la sua solita rosa bianca sulla giacca,ma senza il sorriso beffardo che tanto lo caratterizzava.
Lo guardai,e senza perder tempo iniziai a salutarlo con la mano e con il mio solito sorriso di sfida.
Mi girò la faccia,come da copione. Era prevedibile.
Non badai più a lui,finché arrivammo nella piattaforma centrale. 
Iniziò a dire quelle inutili parole di sempre,senza menzionarmi minimamente.
Meglio così.
Nel frattempo,mentre Snow parlava senza sosta,io non gli prestavo ascolto e non riuscivo a staccare gli occhi  di dosso ad Alex,che come me era stato investito da quella grossa fiamma.
Anche lui ricambiava il mio sguardo e mi sorrideva.
E notai come,anche essendo la figlia di colui che tante morti anche nel suo distretto aveva procurato, non avesse rancore nei miei confronti e per qualche arcano motivo sperai,come mai mi era successo, di stargli simpatica.
D’improvviso il  Presidente concluse il discorso e ci ritirammo nelle  nostre stanze.
Senza salutare nessuno,né Haymitch,né Effie e nemmeno Alex,mi chiusi in camera,per stare da sola. Il giorno dopo avrei iniziato gli esercizi,ma a me non importava vincere.
 
 
Scusate se non aggiornerò presto,ma essendo in vacanza,quando troverò un po' di tempo e linea per la connessione ad Internet continuerò ad aggiornare!:) 
 
Ad ogni modo,mi farebbe piacere una recensione, negativa o positiva che sia!
 
Ringrazio inoltre Katniss99, Katniss Granger e MatitaGialla per aver recensito i capitoli precedenti!:)

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Capitolo 5
*** Sessione con gli strateghi ed intervista. ***


Durante i tre giorni di allenamento,non feci nulla. Osservai gli altri.
Notai che Alex se la cavava molto bene con le armi.
E ciò mi fece piacere.
I Favoriti,ovviamente manovravano armi come se fossero stati dei giocattoli e riuscivano a centrare ogni volta il bersaglio.
Sapevano usare di tutto: dai coltelli alle frecce,dalle lance alle spade.
Ed io mentre li osservavo,dentro me ridevo perché, nonostante tutto,sapevo che avrei potuto benissimo vincere contro quei quattro palloni gonfiati,ma pur avendo grandi capacità sarei dovuta restare in un angolo a farmi uccidere.
Mi guardai attorno e notai che non era stato estratto nessun dodicenne,per fortuna.
Dopo ci fu la sessione con gli strateghi.
Non sarei voluta andarci,ma era d’obbligo.
 
“Selena Snow”- sentii chiamare.
 
 Era il mio turno. 
Alex mi abbracciò augurandomi buona fortuna,ma io non volevo questa fortuna.
Non avevo perso neanche un secondo per pensare a ciò che avrei dovuto fare,mentre gli altri tributi erano nervosi.
Entrai nella stanza,pensando di dover fare qualcosa che desse fastidio agli strateghi.
Dentro notai un quadro di mio padre.
Ormai avevo già in mente cosa fare.
Sentivo gli occhi di tutti puntati addosso,e l’adrenalina si impossessò del mio corpo.
 Con tutta la rabbia che avevo in corpo,presi una manciata di coltelli e iniziai a colpire ripetutamente la faccia di Snow,dipinta sopra quell’orrendo quadro.
Colsi gli occhi,la bocca,la gola,ogni parte del suo viso. Avrei continuato a lungo se non mi avessero obbligato ad andarmene.
Perfetto,pensai,voti bassi,niente sponsor.
Mi avviai di sopra e cenai con gli altri. Mentre gli altri restavano in silenzio e non avrebbero voluto mangiare un solo boccone presi dall’ ansia,io invece mangiai tutto molto velocemente.
Dopo cena ,Caesar iniziò ad annunciare i voti.
I Favoriti ovviamente presero voti altissimi,poi arrivò il nostro turno.
 
“Alex Allen,10”- disse. Iniziammo a urlare di gioia. Era andato molto ma molto bene.
 
“Selena Snow,8!”-disse. Iniziarono a congratularsi anche con me,mentre io volevo solo sprofondare.
Come avevano potuto mettermi un 8? Avevo massacrato il quadro del loro Presidente!
 Senza dir nulla mi ritirai in camera mia,confusa e adirata.Non riuscivo a capire come fosse potuto succedere. Poi pensai che forse la loro strategia fosse quella di farmi apparire forte per farmi uccidere prima,o semplicemente,facevano i ruffiani con mio padre. E non mi importava,tanto lì dentro con un 8,un 10 o un 4 sarei morta lo stesso.
 
Il tempo passò in fretta e il mio stilista mi diede un vestito da indossare per l’intervista.
Era una gonna che si chiudeva un po’ sotto al petto con dentro una semplice camicia. I capelli mi ricadevano su una spalla.
Alla fine fu il mio turno.
 
“Un applauso a Selena Snow”- disse Caesar.
Mi avvicinai al centro del palco,senza alcuna paura del pubblico.
Mi sedetti sulla poltrona affianco a lui.
 
“Perché l’ hai fatto,allora?”- mi chiese.
 
“Perché trovo che gli Hunger Games debbano finire!”- risposi nervosa.
 
“Non hai paura della morte?”- mi chiese.
 
“No,non ho paura di morire,soprattutto se a casa non c’è nessuno che mi aspetta.
Mio padre alla fine non mi ha mai voluto,mia madre meglio che non la nomino proprio.
Spero solo che il Presidente Snow,abbia un briciolo di buon senso,e un cuore anche se molto ma molto piccolo,ed esaudisca dopo la mia morte imminente,si perché io morirò,il mio ultimo desiderio:quello di abolire gli Hunger Games.
Voi,gente di Capitol City,pensate a divertirvi. - dissi,alzandomi e puntando il dito verso quelli seduti in prima fila. - Tanto non sono i vostri figli che perderanno la vita atrocemente. Io sono qui,per far provare le stesse sensazioni dei genitori dei distretti a mio padre,anche se molto probabilmente non gliene importerà minimamente.”- risposi.
 
Senza aspettare un consenso,me ne andai, abbandonando il palco.
Ovviamente nessun applauso.
 
“Alex,è il tuo turno. Vai e sorprendili tutti!”- gli dissi,appena lo vidi.
Stava tremando,ma dopo le mie parole,si incamminò verso Caesar a passi sicuri.
 
Per fortuna fece una buona impressione al pubblico e questo  gli aveva fatto guadagnare molti sponsor.
Mentre tornavamo lentamente nelle nostre camere,incontrammo il gruppo dei Favoriti.
 
“Allora,che ne dite di allearvi con noi,in arena? Siete in gamba”.- ci dissero.
 
“Mm..fammi pensare..
No . Scordatevelo”- risposi andandomene  e portando per mano anche Alex.
 
“Mai cedere alle richieste del nemico”- gli dissi. 
 
Sorrise.
 
E anche se mi costa ammetterlo,io ero perdutamente innamorata di quel sorriso.
 
Ci vuole poco per innamorarsi,sorprendentemente poco.
Ma dopo averlo conosciuto,ero pronta a difenderlo,e a farlo tornare da vincitore al suo distretto.
 
 
 
 
Ciao a tutti!
Vi ringrazio ancora per le recensioni e vi invito a continuare,o per chi non ha ancora recensito nulla, a farlo. Accetto ogni tipo di critica,positiva o negativa!
Baci :)

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Capitolo 6
*** Pensieri di una ragazza mai amata. ***


Era giunto il momento.
La notte era ormai conclusa,e io mi trovavo nel letto nella mia lussuosa camera con gli occhi rivolti al soffitto,mentre le immagini di una vita migliore mi passavano davanti.
Sapevo che di  lì a poco sarei dovuta entrare in arena.
Non avevo idea di cosa mi aspettasse,ma non avevo paura.
Non ho mai avuto paura di niente,io.
Ero la classica ribelle,che non teneva niente per sé,e diceva le cose in faccia.
Mi aprivo solo a chi mi stava simpatico,e ciò succedeva molto raramente,a dir la verità.
Notavo dalla grande finestra della mia camera il sole che lentamente si alzava in alto. 
Sembrava che neanche lui volesse far iniziare questa giornata.
Iniziai a piangere silenziosamente.
Non avevo mai pianto. Piangevo dentro,questo sì.
Cercai velocemente di asciugarmi quelle lacrime che scorrevano lungo il mio viso,perché io non potevo,non dovevo piangere.
Io ero forte. E potevo sopportare tutto,anche la morte.
Non piangevo perché sarei dovuta andare incontro al mio destino,no .
Piangevo perché ero piena di rimpianti,ero piena di sogni mai avverati e di momenti sfuggiti.
Ero piena di mancanze.
Avevo molti soldi,questo è vero,e materialmente non mi mancava mai nulla.
Ma in realtà io non avevo niente.
“Ti voglio bene mamma”. Le avrei voluto dire. L’avrei voluta abbracciare un’ultima volta.
Maledetto orgoglio!
Ma no,a pensarci meglio,sarei stata ancora peggio,e poi adesso sicuramente l’avrei disturbata,era occupata con la sua nuova famiglia,e con i suoi nuovi bambini. Sarei stata solo un peso.
 
“Moglie del Presidente,lo tradisce e lascia la piccola bambina a lui.”
 
Ricordo ancora i titoli dei giornali di Capitol City.
Non mi ha neanche salutato.
Ormai avevo dimenticato cosa si provasse ad avere una mamma.
Si era completamente dimenticata di me.
Io,invece,non riuscivo a dimenticarmi di lei.
Corse nel giardino di casa mia,favole della buona notte, pancarrè con la nutella,passeggiate.Questo mi mancava,questo rimpiangevo.
Rimpiangevo un amore mai ricevuto.
Ma no,non avevo mai pianto per non aver avuto una madre.
Non l’avevo mai fatto.
Trattenevo le lacrime,e dicevo a tutti che stavo bene anche senza.
Ma non è mai stato così. Sono cresciuta senza una parte di me.
Adesso,guardando gli Hunger Games,magari aveva gli stessi pensieri degli altri pagliacci di Capitol City: questa edizione sarà speciale.
Chissà se però,le assomiglio.
Chissà se abbiamo gli stessi lineamenti.
Da quanto tempo non la vedo. 
Ho scordato anche com’era.
Però una differenza sostanziale ci sarebbe sempre stata: io non avrei mai abbandonato mia figlia.
Chissà se ha provato dispiacere mentre mi avviavo verso il palco urlando le fatidiche parole,che mi avrebbero portato in arena.
Ma in fondo io,per lei,sono sempre stata già morta.
Come per mio padre.
Certo,mio padre almeno ha provato a modo suo ad essere genitore.
O almeno,pensava di potermi comprare con tutti i suoi soldi.
Povero illuso! 
Non mi ha mai conosciuto abbastanza.
Ma,alla fine,anche lui mi sarebbe mancato.
Anche se è sempre stata una persona senza cuore,sapevo che in fondo,una parte di lui, in questo momento mi pensava.
O forse mi volevo solo illudere.
Ricordo l’odio che provavo verso tutte quelle famiglie felici,verso quei padri sempre presenti,pronti a darti tutto l’amore che hai sempre desiderato. Verso quei padri che ti hanno desiderato,e hanno aiutato a crescerti. Verso quei padri che portavano per mano i loro figli così piccoli,fragili e indifesi,pronti a proteggerli dal mondo intero,pronti a far evitare loro ogni tipo di sofferenza.
Verso quei padri che non hanno bisogno di ripetere saltuariamente un “ti voglio bene”,perché te lo dimostrano nella vita di tutti giorni,in ogni gesto,in ogni carezza.
Guardavo quei bambini tenuti in braccio dalle madri,le quali guardavano solo i figli e nessun altro. Non avevano occhi se non per i figli. Non desideravano altro se non che i figli fossero felici. Non volevano altro che vedere un sorriso apparire sul viso pulito dei loro bambini. Che li sostenevano e li appoggiavano in ogni gesto che compivano ,che li aiutavano a non soffrire,e a superare gli errori che commettevano.
Avrei voluto una famiglia felice,dove la realtà sembrava più bella di ogni tipo di immaginazione,avrei voluto una famiglia un po’ come quelle che si vedono nella pubblicità dei cereali : unita. Avrei solo voluto sentirmi amata.
Non ho mai chiesto la luna,né regali o oggetti sfarzosi. L’unica cosa che desidero e che ho sempre desiderato è una famiglia felice,due genitori che si amano e che amano più di loro stessi la loro bambina.
Ma i miei genitori sono stati sempre troppo egoisti e concentrati a pensare a loro stessi per badare a me,che sono stata solo un intralcio nelle loro vite.
 
“Forza,alzati”- era Effie,che mi distolse dai miei tristi pensieri.
 
Svogliatamente mi alzai e andai a sciacquarmi la faccia,rigata da lacrime amare.
Mi vestii e uscii dalla camera.
Incontrai Alex.
 
“Cos’ hai?”- mi chiese.
 
“Niente,perché?”- risposi.
 
“No,mi è sembrato che avessi ..pianto”- disse,avendo quasi paura di pronunciare l’ultima parola.
 
Non poteva essersene accorto,prima di uscire ero rimasta molto più del necessario di fronte allo specchio.
 
“No no, non ti preoccupare. Tu come stai?”
 
“Bene,grazie”-mi rispose sorridendo.
 
Ricambiai il sorriso.
 
Dopo esser salita sull’ hovercraft,incontrai il mio stilista,e subito dopo fui catapultata nell’arena.
 
 
 
 
Ciao a tutti.
Scusate il ritardo nell’aggiornare ma sono stata in vacanza.
Ringrazio tutti coloro che leggono la storia, che l’ hanno messa nelle seguite, nelle preferite e nelle ricordate.
Ringrazio molto anche chi l’ ha recensita.
Vi chiedo di continuare o iniziare a recensire,anche negativamente,perché vorrei sapere la vostra opinione.
Baci :)

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Capitolo 7
*** L' arena. ***


Verde, verde e ancora verde.
Alberi.
Cornucopia con le armi.
Mi ritrovai a fissare ciò che si trovava di fronte a me.
Quasi meccanicamente rivolsi lo sguardo ad Alex, sussurrandogli un addio doloroso, e lanciandogli uno sguardo pieno di dolore.

 “Go”, sentii da una voce che mi sembrava lontana anni luce.

 
Con un balzo saltai dalla pedana e mi misi al centro della Cornucopia,pronta a morire,mentre facevo segno ad Alex di salvarsi.

 

“Vinci anche per me!”- gli sussurrai.

 
Nessuno mi colpì,sebbene me ne stessi lì,a cercare di proteggere i più deboli e a farli scappare nella foresta. Nessuno si curò di me inizialmente, ma poi rimanemmo solo io e i Favoriti, e iniziai a guardarmi incurante le unghie per non vedere l’arma che mi avrebbe colpito.

 Un Favorito mi lanciò un coltello.
Sapevo schivarlo benissimo io, un coltello. Ma decisi di stare lì, immobile ed essere colpita.
Ma qualcuno mi scaraventò a terra.
Caddi e vidi Alex sopra di me.

 “Non fare la stupida, e vieni con me. Non ti permetterò di morire. ”-mi disse.

 Vidi i suoi occhi così vicini ai miei. Mi mandava in confusione ed io non dovevo essere confusa. Il Favorito non si accorse di nulla, perché un rumore, proveniente da alcuni cespugli, molto più forte,  stava rimbombando in quel poco spazio di arena. Scappò via dalla Cornucopia assieme agli alleati, avendo paura che fossero ibridi.

 Velocemente Alex si  alzò e mi tirò su. Mi spinse verso il bosco ed io, ancora un po’ confusa,lo seguii.

Ci addentrammo tra gli alberi.
Vedevo che ogni tanto si girava indietro per sapere se me ne fossi andata.
Io,ero lì, che come un’ automa lo seguiva.

 

 “Devo morire”- sbottai all’improvviso, mentre a passi lenti procedevamo verso una meta totalmente sconosciuta.

 
“Non te lo permetterò, Selena!”

 
“ E perché? “-

 
“ Perché non voglio perderti! Davvero non lo capisci?”- rispose, imbarazzato e nel contempo nervoso.

 

Non risposi. Continuai a camminare.
Mangiammo poco e male.
E ben presto scese la notte.
Mi disse che avrebbe fatto lui la guardia, e che io potevo riposarmi.
All’improvviso,però,mi accorsi che si era addormentato, e  lo lasciai solo,seppur con un gran groppo in gola. Sapevo che se la sarebbe cavata benissimo da solo, come sapevo che sarebbe stato molto meglio non arrivare in finale insieme a lui.Lentamente mi avvicinai alla Cornucopia,perché sapevo che era lì che di solito i Favoriti si accampavano, e pensavo fossero tornati alla base, dopo la rapida corsa per allontanarsi da quel rumore ignoto e misterioso.

 Ed  infatti i Favoriti erano ritornati nel loro posto abituale, e si erano accampati di fianco a  molte scorte di cibo, medicinali e armi. E tutt’ad un tratto si accorsero della mia presenza  e  sentii un coltello  colpirmi il  braccio. Sentivo il sangue scorrere.
Faceva male,tanto male.
Pensavo di morire dissanguata.
Chiusi gli occhi per sapere se prima di passare all’altro mondo si vedesse davvero la luce.
Aspettai, aspettai, ma niente, nessuna luce. Solo un ricordo.

 

- Selena, vieni qua. Ti ho fatto un regalo. -

Svogliatamente,con le mie gambine  fragili raggiunsi mio padre, appena tornato dal Centro di Addestramento, dove era rimasto per tutta la durata degli Hunger Games. Gli arrivai di fronte e mi porse una scatola. Finsi un sorriso per l’ennesimo regalo che mi comprava quando non c’era a casa.

“Spero che non sia un’altra bambola”- pensai, mentre aprivo il pacco regalo e pensavo alle altre bambole chiuse in camera mia.

- Dov’è la mamma? – domandai tutt’a un tratto,mentre ero intenta a strappare la carta che ricopriva la scatola.

Abbassò lo sguardo, e disse che era andata in giro per Capitol City. Ed era vero. Mia madre non stava mai in casa.
Finalmente terminai di aprire la scatola, ma nel frattempo mio padre ricevette una telefonata. Si allontanò da me, ed uscì di casa senza avvertirmi.
Un altro inconveniente di lavoro, o un altro problema che potrebbe intralciare la sua carriera. Ero abituata, ormai  lo faceva spesso. Mi lasciò  da sola, con il mio regalo nuovo: un’altra bambola di pezza.
La portai in camera e la poggiai delicatamente sul letto. Presi le altre bambole che erano ordinate su uno scaffale e le posai vicino alla nuova arrivata. Le guardai. Erano così finte. Erano così false, proprio come l’amore che i miei genitori dicevano agli altri di provare per me. Corsi in cucina dove una delle tante senza voce che pensavano alla casa, era intenta a pulire. Presi un coltello, lei ovviamente non potette replicare, e corsi in camera mia. Mi seguii, ma velocemente chiusi la porta dietro di me, chiudendola a chiave. Iniziai a guardare il coltello : era così affilato. Anche io avevo delle lame nel cuore ed ero sicura facessero più male di quel coltello. Strappai tutte le parti del corpo delle bambole e con il coltello cavai loro gli occhi. Dopo lo posai sul comodino, e guardai il mio lavoro: erano diventate orribili. Le avevo distrutte, adesso erano proprio come me. Così mi sentivo dentro, senza dei pezzi, e con il cuore infranto. Le presi e le rimisi ordinatamente al loro posto, e dopo gettai gli occhi nel cestino. Ripresi il coltello e andai in camera di mio padre, che come sempre era vuota. Col coltello staccai tutte le rose bianche che ornavano il suo letto,e le lasciai a terra. Mi sedetti in mezzo a loro, e iniziai a fissare un punto sul muro di fronte a me,non facendoci caso in realtà. Lo facevo spesso, svuotavo la mente da ogni pensiero e gli occhi da ogni immagine che mi faceva soffrire. Mi alzai, e come se non fosse successo niente ritornai in camera mia, lasciando il coltello sul pavimento e continuando a giocare con le mie bambole di pezza rotte.

 

 

Tornai alla realtà,perché un urlo risuonò per tutta l’arena. Provai ad alzarmi per proteggere chi stava urlando, e pensai ad Alex, ma nulla, non riuscivo a compiere un passo. Sebbene il coltello mi avesse colpito sul braccio, la ferita era molto profonda, e la lama di quel coltello era così spessa da far sì che il sangue scorresse velocissimo lungo il mio braccio, fino ad arrivare a terra e a formare una chiazza sul terreno umido.
Ero debole. Non pensavo che un semplice coltello che mi aveva ferito al braccio potesse farmi sentire così totalmente inutile.

 
“Cosa hai fatto? Perché te ne sei andata?”- disse urlando un ragazzo, del quale non riuscivo a riconoscere la voce.

 
Aprii gli occhi, e mi specchiai nei suoi, profondi e grigi.
Era Alex, che lentamente, per non farmi male, cercava di tirar via il grosso coltello  dal mio braccio, dopo strappò un pezzo della sua maglietta e l’ avvolse attorno ad esso.

 
“Alex, perché lo hai fatto tu!Stavo morendo. E’ questo ciò che voglio!”- risposi spazientita.

 
“Smettila.”- mi disse e mi sentii presa in braccio. Chiusi gli occhi, per assaporare il sollievo della ferita tamponata, e per assaporare le emozioni che il contatto che il mio corpo aveva con le sua braccia mi procurava, per assaporare la delicatezza che le sua braccia tanto forti avevano nel portarmi. Chiusi gli occhi, felice di non esser morta e di poter passare ancora del tempo con Alex, ma allo stesso tempo preoccupata, perché la mia sorte non era quella di vivere felice la mia vita con la persona che amo. La sorte di nessuno a Panem, a parte quella dei Capitolini, è così. La mia sorte era quella di avere una morte lenta e dolorosa, per dimostrare a mio padre qualcosa che forse non avrebbe mai capito.

Mi portò sotto il tronco d’albero dove c’eravamo accampati quella notte. Aprii gli occhi ma li richiusi subito dopo, colpita da un attacco di sonno.

 

Sentii dei rumori che provenivano dall’atrio della casa, e dei passi sulle mattonelle bianche che ricoprivano il pavimento. Continuai a giocare con la mia nuova bambola, ma all’improvviso irruppe in camera mia mio padre. Nei suoi occhi si riusciva a scorgere ira e  pazzia.

- Selena!- mi chiamò.

Come se non fosse successo nulla, rivolsi il viso verso di lui, abbozzando un sorriso.

- Papà. – risposi.

- Vieni con me. – mi ordinò. Appoggiai delicatamente la bambola sul letto, sotto gli occhi inorriditi di mio padre, che rivolgeva lo sguardo alla bambola e subito dopo a me.

Mi portò in camera sua,dove una senza voce stava raccogliendo le rose che avevo strappato dal letto.

- Perché lo hai fatto? Perché sei stata tu, vero? – mi chiese scuotendomi.

-  Si. Sono stata io. E tu perché mi hai lasciato sola in casa senza avvertirmi? Perché non ci sei mai?- gli domandai io controbattendo, con l’innocentezza di una bambina di otto anni, ma fin troppo matura per la sua età.

- C’era stato un contrattempo a lavoro. – rispose, scorbutico.

- Hai sempre contrattempi a lavoro, papà!  Io voglio solo stare con te e la mamma. –risposi, guardandolo nei suoi occhi che lasciavano trapelare molto più che pazzia.

- Non abbiamo tempo per te. – mi rispose. – dove hai preso il coltello? -  mi domandò.

- In cucina. – risposi.

- Da sola? Te l’ ha dato qualcuno? –

- No,da sola. – dissi.

- Julia! – chiamò.

Apparve quasi immediatamente la senza voce che era in cucina quando ero entrata io poco tempo prima.

- C’eri tu quando Selena ha preso il coltello? – domandò, nervoso.

Julia annuì con la testa.

- Perché non l’ hai fermata? – continuò mio padre.

La senza voce ovviamente non rispose,ma abbassò lo sguardo,mentre iniziò a tremare.

- Ha cercato di fermarmi! – urlai io, per difenderla.

Mio padre non disse nulla, ma  subito dopo si rivolse a me.

- Cos’ hai fatto alle bambole? – mi chiese.

- Le ho distrutte. – risposi.

- Non hai a cuore neanche per  quello che hai. Sei la figlia peggiore che mi potesse capitare. – continuò.

Nuovamente dai miei occhi non fuoriuscì neanche una lacrima.Non abbassai neanche lo sguardo, perché in fondo io sapevo che se nessuno mi voleva bene, doveva per forza essere colpa mia. Mi ero già convinta che fossi io sbagliata e non gli altri.

- Restate qui-  ordinò poi mio padre,e lentamente raggiunse un cassetto nell’altro lato dell’enorme stanza, e prese una rivoltella.

Si avvicinò a noi, e pensai che  mi volesse uccidere. Ero ferma ad aspettare di morire, perché forse sarebbe stato meglio così. Ma non mi uccise. Rivolse la rivoltella a Julia, e con sette colpi le tolse la vita.

- No!-urlai in preda alla disperazione, ma lei giaceva già a terra. Morta. Morta per colpa mia.

 

 

Mentre la mia mente era invasa da ricordi e i miei occhi affollati di immagini che avrei voluto dimenticare, Alex iniziò a scuotermi.

 “Non chiudere gli occhi.Mi fa impressione. Io..ho paura che tu possa morire!”

 
“Okay.”- mi limitai a rispondere, non avendo la  forza di parlare, e guardandolo negli occhi.

 

Mi sentii subito meglio con il braccio, e passò tranquillamente il giorno successivo. Altre morti affollarono il cielo quella notte dopo l’inno, ed eravamo rimasti ormai in quattordici.Nel frattempo in me iniziava a nascere un sentimento che mai avevo provato in vita mia  per Alex. Era così bello poter amare qualcuno, l’amore è felicità, tra le mille difficoltà è proprio l’amore che ti aiuta a superarli. L’unico problema, appunto, era quello che non avrei potuto coltivare il mio sentimento, l’avrei dovuto far troncare prima di farlo nascere completamente.

 

 

 

 

Ciao!

Mi dispiace per il ritardo nell’aggiornare ma la connessione ad Internet non andava!
Comunque, ringrazio tutti quelli che hanno recensito,messo la storia nelle seguite, preferite e ricordate, e tutti coloro che l’ hanno letta!
Mi farebbe piacere una recensione, positiva o negativa!

Un bacio a tutti! 

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Capitolo 8
*** Every ribellion begin with a spark ***


Erano giorni che mia madre non tornava a casa. Mio padre tutto il giorno era fuori per lavoro e la sera tornava, girava per tutte le stanze, e non trovandola  andava in camera sua e si chiudeva dentro. Non mi veniva a salutare, non mi chiedeva come stavo.
 Un giorno il telefono di mio padre squillò, mentre eravamo a tavola e andò a parlare in camera sua.  Uscì dalla stanza molto tempo dopo, più nervoso del solito. E mentre era nel corridoio, come ogni sera da quando mia madre non tornava, mi avvicinai a lui.
- La mamma?- domandai, e nei miei occhi si poteva scorgere un pizzico di speranza.
- Non tornerà più. – mi rispose, non guardandomi negli occhi e lasciandomi lì, in mezzo al corridoio della mia enorme villa e uscendo di casa, quando la luna era già alta nel cielo. Le senza voci avevano finito il loro turno di lavoro, ed io ero ancora più sola del solito. Tornai in camera mia lentamente ripensando alle parole dette da mio padre:  “Non tornerà più”, ma  perché? Come succedeva sempre mi addossai tutte le colpe. Mi affacciai all’enorme finestra che c’era in camera mia. La luna era splendente, e le stelle intorno erano molto luminose.
Restai ore ed ore lì, a contemplare la bellezza del cielo, a sognare di ammirarlo con mia madre e mio padre, un giorno. Speravo che quel “non tornerà più” fosse stata  solo una bugia, o che in futuro mia madre potesse cambiare idea e ritornare da me. In fondo preferivo avere una madre assente piuttosto che non averla proprio, piuttosto che non vederla più.






- Vado a cacciare. Dobbiamo mangiare. – mi disse qualche giorno dopo l’entrata in arena Alex, destandomi dai miei pensieri.

Io lo lasciai andare, ma subito dopo andai anche io, per poter raccogliere qualche pianta. 
Lo osservai mentre, lentamente, con qualche freccia e l’arco, cercava di uccidere un coniglio. 
Poi voltai lo sguardo verso un albero, dalla folta chioma verde, e vidi una figura che nell’ombra lo spiava. 
Senza pensarci due volte balzai su Alex, e lo spinsi a terra. 
In quel momento un coltello mi trafisse la pancia, quasi vicino al cuore.
L’avevo salvato.
Lo vidi alzarsi da terra, e con un colpo preciso, avendo recuperato l’ arco e le frecce che gli erano cadute sul terreno umido, uccidere quel ragazzo che aveva colpito me.
Subito si accasciò accanto a me.

“Selena!Selena!” iniziò a chiamarmi.

Ma io non riuscivo a rispondere.
Avevo ancora gli occhi aperti e vedevo il sangue scorrere lungo la mia pancia a fiotti. 
E la cosa che più odiavo è che non potevo far nulla.
Non potevo consolarlo, non potevo neanche sussurrargli un “ti amo”.
Sarei morta senza avergli confessato il mio amore, e mi sarei portata questo scrupolo dovunque fossi andata.
Sentivo le sue lacrime cadermi sul mio sangue, e non potevo fermare neanche quelle.
Poi chiusi gli occhi.

“Non mi lasciare, Selena!”- sentivo che diceva.

Pian piano anche quelle parole si fecero lontane, mi abbandonai tra le sue braccia, mi abbandonai a lui.


Eravamo nel soggiorno della mia grande villa, e mio padre aveva degli ospiti in casa.
- Ormai mia figlia ha già quattordici anni. – disse mio padre all’uomo panciuto che gli era seduto accanto. La moglie, vestita sfarzosamente con un lungo abito rosso, e con una parrucca dello stesso colore, era seduta sulla poltrona affianco e si toccava le ciglia finte, facendo finta di prestare attenzione al discorso che i due uomini facevano. Accanto a lei c’era un ragazzo, vestito in smoking, con un ombretto nero sul viso e un rossetto sulle labbra. Doveva avere la mia stessa età. Nella poltrona di fronte alla loro invece ero seduta io, con i capelli raccolti in una coda e un semplice jeans con una maglia blu. Non ero truccata, ero semplice.
- Oh, mio figlio ha quindici anni. – rispose l’uomo.
 I due uomini si alzarono, dopo un cenno di mio padre,  e andarono nel suo ufficio. Intanto io guardavo imbarazzata quegli strani individui che erano seduti di fronte a me, soffocando una risata. 
- Selena, allora non sei eccitata? Tra qualche giorno inizieranno gli Hunger Games. – mi chiese la donna con un’ eccitazione mai vista prima.
Il mio viso si contorse in una smorfia di disgusto verso chi avevo davanti, pensando a ciò che avevo visto in televisione e a quei poveri ragazzi che morivano per colpa di mio padre.
- No, dovrei essere eccitata nel vedere dei ragazzi della mia età, se non più piccoli morire?-  risposi, infastidita.
La signora in rosso non rispose, ma rimase sbigottita. Il ragazzo truccato, invece, mi guardò con aria  di superiorità .
- Che ti importa di quella gente? Sono solo persone povere, non meritano di vivere. – rispose, sorridendo e scambiandosi un’ occhiata con la madre.
Mi alzai, per non sentire più nessuna parola dalla bocca di quelle stupide persone e andai in camera mia. Mi chiusi dentro e ripensai a tutte quelle uccisioni e presi la mia decisione: avrei cercato di cambiare la situazione, ma prima dovevo allenarmi duramente per poter raggiungere il mio obiettivo.
- Selena! – mi sentii chiamare. Tornai in salotto, non chiedendo neanche scusa per il mio atto impulsivo.
- Il tuo fidanzamento ufficiale con John ci sarà appena avrai compiuto venti anni, così le famiglie più potenti di Capitol City saranno finalmente unite.
Rimasi sconvolta.
E inizialmente non riuscii a capire chi fosse questo John.
- Chi è John? – chiesi.
Iniziarono a ridere tutti, neanche avessi fatto una così grande battuta.
- E’ il ragazzo di fronte a te!- mi rispose mio padre, dopo aver finito di ridere.
Io non mi sarei sposata con quel ragazzo neanche per tutto l’oro del mondo.
Ripresi fiato e lentamente iniziai a parlare.
- Oh, io non mi sposerò con lui. Potete scordarvelo. La vita è mia e decido io con chi passare il resto dei miei giorni e sicuramente non sarà con lui. – risposi con decisione.
Tutti rimasero senza fiato.
Non aspettai né risposta né un consenso e me ne andai, abbandonando lì mio padre e la famiglia di quello che avrebbe dovuto essere mio marito.
Dopo qualche ora mio padre entrò furioso nella mia stanza.
- Non tieni neanche a tuo padre! Sei la persona peggiore che potessi conoscere. –
- Sono io la persona peggiore che potessi conoscere? Io non ucciderei mai i miei avversari politici, non farei mai vendere i propri corpi ai vincitori degli Hunger Games, ma soprattutto non lascerei mai che ventiquattro ragazzini morissero in un’arena!- risposi urlando.
- Ma cosa dici? Gli Hunger Games sono una tradizione! Non potrò mai abolirli! E poi per quanto riguarda il resto non ne hai prove! E se non sbaglio per colpa tua è morta Julia. - rispose, in preda ad un attacco di follia.
Julia. La senza voce che era stata uccisa per colpa mia. Ero una persona spregevole come lui.
- Meglio che non ne parliamo più. E comunque, sì, è vero, sono la persona peggiore del mondo, ma non cambio la mia decisione, non mi sposerò mai con quel pagliaccio. – conclusi e tra il freddo di quella notte piovosa di dicembre uscii di casa,  e camminai senza sosta tra le strade immense della mia città, pensando a Julia, e il ricordo della sua morte mi apparve davanti agli occhi.    



                                    -Snow


-Fermate i giochi!-
-Mandate un’ hovercraft!-
-Velocemente. –
-Non lasciatela lì! –
- Salvatela! –

Intanto, il presidente Snow, impartiva ordini veloci agli strateghi.
Si era accorto solo adesso, nel vedere sua figlia così, inerme per terra, del bene che le voleva.
Vederla stesa lì tra le braccia di quell’ Alex, gli fece una gran paura.
Non voleva perdere l’unica persona a cui teneva e che gli rimaneva.
E si pentiva di essersene accorto così tardi.
Niente più Hunger Games.
Niente più assassini agli avversari politici.
Niente più prostituzione per gli ex-vincitori degli Hunger Games.
Niente più morti innocenti.
Niente più rose.
Invece avrebbe fatto riprendere l’economia nei distretti più lontani, e avrebbe trattato tutti i cittadini nello stesso modo.
Più tempo con sua figlia.
Avrebbe recuperato il tempo perso, e il loro rapporto che per colpa sua era stato distrutto.
Aveva deciso: sarebbe stato una persona migliore.
Aveva imparato tanto dalla sua bambina.
Quanto ne era orgoglioso!
Era stata così coraggiosa.
Era felice che lei fosse cresciuta in maniera diversa, e non avesse preso da lui.
Dai mega-schermi guardò minuziosamente l’operazione salvataggio di sua figlia e degli altri concorrenti. La vide mentre la trasportavano sull’  hovercraft.
L’avrebbe riabbracciata, e non l’avrebbe più lasciata andare.
Mai più.


Scusate, scusate, scusate per il ritardo! E’ solo che è iniziata la scuola e mi risulta più difficile aggiornare.
Cooomunque, chiedo scusa anche per questo capitolo. 
A dir la verità non ne sono molto soddisfatta, mi farebbero piacere le vostre recensioni, e qualche consiglio.
Ringrazio chi ha messo la storia nelle preferite, ricordate e seguite, e coloro che hanno recensito gli scorsi capitoli. Vi ringrazio di cuore!
Ringrazio anche chi ha letto la storia senza recensire, anche se mi farebbe piacere sapere anche la vostra opinione.
Un bacio grande! <3

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Capitolo 9
*** You are my backbone when my body aches with wearyness ***


Riaprii gli occhi, e iniziai pian piano a riprendere conoscenza.
Vidi la figura sbiadita di un uomo, che era chinato su di me e delicatamente mi metteva i capelli dietro le orecchie.
 
“Si è svegliata!”- sentii che diceva.
 
Non riuscivo a capire né dove mi trovavo né chi fosse quell’uomo.
 
“E l’arena? E Alex? E gli Hunger Games? Chi sei tu?” chiesi all’uomo sbiadito.
 
“Tranquilla,niente più arena e niente più Hunger Games. Li ho aboliti.
Alex sta bene,si sta riprendendo.
Sono papà”- mi rispose.
 
Lentamente riuscii a distinguere pian piano i suoi occhi, la sua bocca e la sua barba bianca.
Stranamente non vidi nessuna rosa e l’odore di sangue che perennemente popolava la sua bocca si era fatto molto più debole.
Era mio padre.
Era il Presidente.

 
Il rumore di tacchi riecheggiava per tutta la villa. Non sentivo il rumore dei tacchi da quando mia madre se ne era andata. Velocemente mi precipitai nell’atrio e vidi mio padre, con la sua solita rosa bianca appesa alla giacca e con una donna di fianco. Era molto bella ,aveva gli occhi celesti e capelli biondi che le cadevano leggeri sulle spalle. Aveva in viso un sorriso che si poteva riconoscere da chilometri, era finto. Aveva un vestito corto e dei tacchi dodici centimetri. L’avevo già vista in televisione, da poco aveva vinto gli Hunger Games. Mio padre mi guardava senza riuscire a  dire una parola. Non sapeva come spiegarmi ciò che stava facendo. Ma io sapevo che non era la prima vincitrice degli Hunger Games che portava in casa. Ed ero sicura che non l’avesse portata per prendere un tè. Li guardai, in attesa di una spiegazione che non arrivò. Iniziai ad incamminarmi verso la mia cameretta e sentii mio padre tirare un sospiro di sollievo. Arrivata in camera mia, spiai dalla porta. Mio padre e la ragazza andarono nella stanza di mio padre e chiusero la stanza a chiave. Chiusi anche io la porta e mi gettai sul letto, pensando a quella povera ragazza, che anche dopo la sua vittoria è dovuta restare schiava di mio padre, ed ha dovuto vendere il proprio corpo a lui.
 
 
“Che è successo? ”- chiesi, confusa,e cacciando via dalla mia mente quel ricordo che mi aveva assalito alla vista di mio padre.
 
“ Appena ti ho visto lì per terra ho mandato un’ hovercraft, e l’edizione è terminata.”- chiarì.
 
Mi alzai e involontariamente sorrisi.
Avevo vinto.
Ed ero viva.
Potevo essere felice. Tutti potevano essere felici.
Ciò che avevo fatto non era stato inutile.
 
“Scusami per non averti fatto da padre, scusami per essere stata quella persona spregevole. Cambierò te lo giuro.”- continuò.
 
Ma la gente può cambiare? Questa domanda aveva invaso ogni parte della mia mente. E la paura della risposta iniziò a martellarmi.
Non sapevo se credergli o no .
Non sapevo se potevo fidarmi ancora di lui.
Ma avrei tanto voluto farlo, avrei tanto voluto provare ad avere nonostante tutto un padre. Ma quando si è stati delusi è così difficile poter riacquistare la fiducia e poter credere ancora nelle persone.
 
Non risposi. Mi alzai.
 
“Dimmi dov’è Alex.Voglio vederlo.”- gli dissi.
 
“ Nella stanza affianco. Ma non ti affaticare Sel.”
 
Sel, non mi aveva mai chiamato così.
Solo quando ero bambina mia mamma mi chiamava in questo modo.
 
 
- Sel, sono tornata a casa!- un urlo risuonò nella villa.
Abbandonai velocemente le mie bambole sul letto e corsi ad abbracciarla. Ma lei non era più nell’atrio.
La cercai per tutta la casa e finalmente la trovai. Era nel giardino, con un libro in mano.
- Mamma!- urlai.
- Sel! Come stai? – mi domandò,staccando per un minuto gli occhi dal libro.
- Sto bene e tu?- domandai a mia volta.
- Tutto bene. Scusami Sel ma adesso vorrei leggere un po’.- mi disse ,riprendendo a guardare le parole scritte sul libro.
Me ne tornai in casa, con la testa basta e con la tristezza disegnata negli occhi.
Non aveva mai tempo per me. Nessuno lo aveva. Ritornai in camera mia.
Ero meno importante di un libro? Mi sedetti sul mio letto, spostando le bambole distrutte, e pensai alla famiglia delle mie amiche. Perché a me non era successo? Ero tanto cattiva? Guardai un punto fisso sul muro,come al mio solito, avendo un luccichio negli occhi, ma senza piangere. Pensai che forse col tempo avrei potuto essere migliore, avrei potuto provare ad esser voluta bene da mia madre. Ma ciò non accadde, perché il giorno dopo se ne andò e non tornò più.
 
 
 
Senza curarmi di lui uscii da quella stanza e andai in quella vicino.
Spalancai la porta e gli andai incontro.
Abbracciai Alex.
 
“Non sai come sono stato male Selena! Per favore,non lasciarmi più”- mi disse, con le lacrime agli occhi.
 
"Non preoccuparti, non ti lascerò mai più.”- risposi.
 
Restammo lì, uniti da quell’abbraccio confortante, che sapeva di amore.
Lui sì, era stato il primo, a dimostrarmi l’importanza di questo sentimento.
Grazie a lui ho imparato ad amare.
 
“Ti amo”- gli sussurrai.
 
Ed era vero.
Lo amavo davvero.
Non potrei dire più di me stessa, perché io non mi sono mai amata.
Nessuno mi aveva insegnato a volermi bene.
Non mi ero mai ritenuta importante per qualcuno, prima di incontrare Alex.
 
 
 
----
Scusate, scusate, scusate per il ritardo! Sono super impegnata in questo periodo con la scuola.
Scusatemi ancora, anche per il capitolo, solo che non aggiornavo da tempo e prima o poi dovevo scrivere qualcosa..
Chiedo scusa anche a chi non ho continuato a recensire le fan fiction prometto che le recensirò tutte al più presto! 
<3

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Capitolo 10
*** The End. ***


Sono passati anni ormai dai settantaquattresimi Hunger Games.
O forse dovrei dire dall’ultima edizione degli Hunger Games.
Mio padre è cambiato, per quanto una persona possa cambiare.
Tutto qui è cambiato.
Niente più morti innocenti e niente più crisi per i distretti.
Ma,anche se adesso la vita va meglio per tutti, niente potrà cancellare il dolore di quelle famiglie,anche se mio padre cerca di dare loro tutto ciò di cui hanno bisogno, perché veramente è pentito.
Non coltiva più rose, e il suo alito non odora più di sangue.
Al posto degli Hunger Games hanno istituito un reality sul canto e sul ballo ,per intrattenere non solo il pubblico di Capitol City, ma anche gli altri distretti.
Ogni tanto insieme, io e mio padre, viaggiamo per ogni distretto e vediamo come pian piano rinascono.
E insieme abbiamo recuperato il tempo perso negli anni della mia infanzia.
Abbiamo imparato a volerci bene. Ed io ho cercato di dimenticare tutto il male che avevo subito da lui e l’assassinio di quella senza voce, che sapevo  sarebbe rimasto sempre nel mio cuore e nella mia mente, come le morti che avevo visto in tutte le edizioni degli Hunger Games.
E mi ha aiutato a superare il distacco da mia madre, che ha continuato a restare con la sua nuova  famiglia, nonostante tutto.
Cresco ogni giorno insieme ad Alex, che è stato il fiore tra l’erba stepposa, che è stata la luce nel buio della notte.
Grazie a lui, anche io sono migliore.
Ci sposeremo, tra qualche giorno.
E ai miei figli darò ciò che i miei genitori non hanno dato a me.
E darò loro anche un nonno.
Avranno un’infanzia felice, loro.
Avranno due genitori, uniti da un amore più forte che mai.
Saremo forti insieme e non ci allontaneremo mai, perché entrambi abbiamo paura di perderci.
Non mi pento della scelta che ho fatto, non mi pento della mia mossa per far abolire gli Hunger Games.
Se si potesse  tornare indietro nel tempo lo rifarei, sempre, nonostante tutto.
Anche perché ho ritrovato un padre.
E per mia madre non mi preoccupo, in fondo,non l’ ho persa.
Non si perde qualcosa che non si ha mai avuto, no?
Anche se qualche volta vorrei parlarle e dirle quanto sono cresciuta.
Vorrei raccontarle ciò che mi accade e confidarmi con lei.
Vorrei essere felice con lei per ciò che mi sta accadendo, per l’amore che sto provando.
Ma, alla fine, potrò sopravvivere, perché tutto l’amore che non ho ricevuto e che adesso non ricevo da mia madre, lo ricevo da Alex, che è come un porto sicuro dove approdare, è la spalla su cui piangere, è il faro che mi illumina il cammino.
E’ tutto.
E sono sicura che non lo perderò mai.
 
Perché tutti prima o poi troviamo colui che ci rende  felice e ci aiuta a  superare ogni ostacolo.
Ed io l’ ho trovato.
 
 
:)
Ciao a tutti, dopo anni e anni, sono riuscita a pubblicare l' epilogo, finalmente. Mi scuso tantissimo per il ritardo, e per ciò che ne è uscito, e mi scuso per il ritardo nel recensire le vostre storie. So che lo sto dicendo da tantissimo tempo, ma riesco a connettermi davvero poco, appena posso passo a leggerle tutte, scusatemi davvero.
Beh, che dire, mancano undici giorni a Catching Fire, yep. Un bacio grande, e scusatemi ancora. <3

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