Rescue me.

di Donoma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. ***



Capitolo 1
*** I. ***


«Amy! Guarda in TV, c'è un tipo che è uguale a quel tuo amico, quello della foto!» urlò Letizia, un'amica, dall'altra stanza. «Arrivoo» dissi, ridendo,prendendo questa frase come uno semplice scherzo. Entrai nella sala comune, e guardai la televisione.
Colpo al cuore.
Mi avvicinai
«...Ma...Matt...» sussurrai.
« è lui? È lui? È davvero lui il tuo amico?!» mi chiese Letizia, saltando dall'entusiasmo.
Non risposi.

Una piccola lacrima bagnò la mia guancia destra, per poi finire sull'angolo della bocca e essere catturata dalla lingua.
«Lo prendo come un sì» riprese la mia amica, guardando in basso per poi tornare a sedersi sul divano.

Matthew... ce l'hai fatta. Ce la avete fatta,ragazzi. Quanto sono felice per voi!” pensai. Non riuscivo a pensare ad altro.
“Loro cinque su un palco,il loro sogno.”

«Gli Avenged Sevenfold! Li conosci anche tu?» una voce acuta interruppe i miei pensieri. «Mi piacciono un casino!» continuò il ragazzo, sorridendo.
No,non riuscivo a connettere. Dopo un po' tornai nel mondo reale.
«Oh Simon... sì, gli Avenged Sevenfold... sono bravissimi» risposi, sorridendo, rischiando di far scendere altre lacrime. Di felicità stavolta.

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Capitolo 2
*** II. ***


Salii in camera.
Il posto in cui stavo era una specie di prigione minorile, riformatorio per ragazzi disagiati. Non sapevo neanche io dov'ero. So solo che ognuno aveva una sua camera, una propria intimità e la possibilità di rifarsi una vita. Ma bisognava restare lì dentro per un certo periodo di tempo, deciso da una giuria, in base alla gravità del tuo reato. 6 mesi. 6 mesi dovevo restare lì dentro. Per furto. Un fottuttissimo furto di gruppo, in cui presero me e altre due persone. “vabbè, sei mesi sono pochi... almeno ho un posto sicuro dove dormire ogni notte..” mi ripetevo, per infondermi coraggio. Comunque, salii in camera e mi buttai sul letto. Fissai il soffitto giallo per qualche minuto. Poi mi alzai, per andare verso la piccola scrivania, sotto la finestra. Presi un pacco di fogli e una penna, verde. I fogli erano per metà scritti e per metà vuoti. Quelli scritti li misi da parte, sapevo a memoria quello che ci avevo scritto. Mi sedetti sulla fredda sedia di legno. Penna in mano. “No, le lacrime no,dai. La tua faccia deve restare asciutta. Un po' di contegno,Amy” pensai.
“Ciao Matthew. Quanto tempo, eh? Come stai? Immagino bene, ti ho visto prima, eri felice. No, aspetta ahah non sono una stalker e non ti sto seguendo. Ho solo visto un vostro video in televisione. Siete bellissimi,come sempre. E bravissimi. Fate la vostra bella figura su quel palco. Sono felice, sono davvero felice per voi. Ho quasi pianto dalla felicità,prima. Eh sì, ho ancora il vizio della lacrima facile. Ormai, però, non ci sei più tu ad asciugarmi le guance. Se sapessi dove sono, mi uccideresti. Ho fatto un'altra cazzata. Stavolta peggiore delle altre. Sono in riformatorio. 6 mesi ci devo restare, in questo posto di merda. Passeranno veloce, spero. Mi manchi, Matt. E mi mancano anche gli altri. Spero che voi siate felici d'ora in poi. Vi voglio bene,ragazzi.”
Scrissi di getto queste poche frasi, trattenendo le lacrime. Insicurezza. “Gliela mando?” pensai.
«Imbustala e mandagli questa lettera per una fottuta volta» era Letizia. «E se non si ricorda di me?» «AMY FERGUSON, spedisci questa fottutissima lettera oppure ti strangolo, e sai che non ho paura di farlo» Oh eccome se lo sapevo. Rissa,tentato omicidio. I suoi reati era questi. Se la facevi incazzare diventava una belva. Stavo ben attenta a come comportarmi con lei. Presi una busta, ci misi dentro il foglio piegato.
“Matthew Sanders. Huntington Beach, California.”

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Capitolo 3
*** III. ***


 

« è ora di dormire» urlò la solita rauca voce dal corridoio. Spensi la luce e crollai subito in un sonno profondo, nonostante fossero le dieci di sera. “Non dovevo inviarla. Sicuramente mi risponderà dicendomi che non si ricorda di me. O, se si ricorda, mi dirà che non gli manco e cose del genere. Non so se potrei sopportarlo.” pensavo. Pensieri che mi distrussero quel poco di serenità che avevo qualche ora prima.
Mi svegliai in piena notte. L'orologio segnava le quattro. Dalla finestra filtrava un po' di luce lunare. C'era la luna piena, era bellissima.
Sorrisi, guardandola, con la testa appoggiata al cuscino marrone. Quando tutto quello che era successo il giorno prima mi tornò in mente.
Era notte. Se piangevo nessuno se ne sarebbe reso conto. A parte quel cazzo di topo che mi stava fissando da sotto la sedia. Scoppiai. Era la prima volta che piangevo così tanto per lui, per loro. Non ero mai riuscita a far uscire tutto il dolore. Quasi non respiravo.
Decisi di calmarmi. Un attacco di panico non mi sarebbe stato d'aiuto, sopratutto in quel momento in cui non ci sarebbe stato nessuno lì per me.
Sentii dei passi. «Ferguson, sei sveglia?» chiese la figura alta fuori dalla mia porta, che era stata appena aperta. Vedevo il profilo di un manganello penzolare dalla coscia destra del mio interlocutore. Una guardia, o poliziotto. Come volete chiamarlo. «Sì, sono sveglia» «C'è una chiamata per te».
“Co... cosa? Una chiamata alle quattro del mattino?! Per me, che non mi chiama mai nessuno? Oddio...” un pensiero impossibile, ma bellissimo, mi sfiorò la mente “non sarà mica Matt?!”
Mi alzai dal letto e seguii la guardia. Arrivai nella sala grande, dove una donna mi passò il telefono.
«Pronto» dissi, con un pizzico di speranza.
Silenzio. «Pronto!»
«Amy, Amy sei tu?!!» era una voce bassa,graffiante, insicura e impasticciata nelle parole. Probabilmente era ubriaco.
«Chi è?»
«Amy, Amy, amore mio... sono Papà!»
La cornetta mi scivolò dalle mani. Riuscii a prenderla prima che iniziasse a penzolare. La tenni in mano, la strinsi così forte che le vene stavano per esplodere. Alla fine la lanciai contro il telefono, con tanta cattiveria quanta non avevo mai provato. Quell'uomo, come aveva fatto a trovarmi?
Rimasi a fissare il vuoto, lì in piedi. La guardia e Angela, la donna, mi stavano guardando, forse sbalorditi, forse senza sapere cosa fare. Un solo nome mi risuonava in testa. “Matthew”. Lo so, è strano, avevo appena risentito mio padre e riuscivo a pensare solo a lui. Forse perché quando stavo male per quell'uomo, Matt mi abbracciava e mi diceva che ero diversa da lui, che io ero forte e che non ci sarebbe più stato nella mia vita. Forse perché era stato lui a portarmi via da quella casa di merda, dopo che la moglie di mio padre mi aveva picchiato a sangue. Già, la moglie di mio padre. Ero uscita dalla sua vagina ma non era mia mamma. Non era degna di essere paragonata ad una mamma. Era semplicemente... la moglie di mio padre.

9 del mattino. Ero nella sala grande da quella notte, non avevo voglia di tornare nella mia stanza. Ero seduta sul divanetto di fronte la TV. Era sintonizzata su un canale di musica. Là dentro guardavamo solo quelli, la musica ci dava un senso di libertà. Ma comunque
«E ora... un nuovo singolo, di una band arrivata al successo da poco»
“Merda.” pensai, sperai per il peggio. «Burn it down, Avenged Sevenfold»
Urla. “SEVENFOLD! SEVENFOLD!”
Batteria.
Chitarra.
Piccolo assolo, di Gates.
Eccolo.
Quella sua voce.
Una fascetta e un cappellino in testa. .
Mi sembravano 4 folletti che saltellavano per il palco, e un gigante che batte le bacchette sulla batteria.
Bellissimi.
Chiusi gli occhi, alzai il volume. Assorbivo ogni singola nota, ogni singola parola. Era come se le mie orecchie stessero facendo sesso con quel suono.


«Cos'è successo stanotte?» mi chiese Letizia, a pranzo. «Mi ha chiamato mio padre...era ubriaco, mi ha chiamato amore... non ce l'ho fatta, gli ho chiuso il telefono in faccia.» «Che problemi hai con tuo padre?» il solito Simon impiccione. «Ah, lunga storia»
«Tesoro, devo stare qua dentro ancora 8 mesi, ho tempo!» disse, accennando un sorriso
«ahah giusto... bhe, è semplice... quando avevo 6 anni è morta mia zia, sorella di mia madre. Per incidente d'auto, ci dissero. Ma non finisci in ospedale con due pallottole nel petto e una nella spalla, no?! Mia madre impazzì. Andò completamente fuori di testa, per la perdita e per il mistero della morte. Inizialmente beveva, si sfogava con l'alcool. Anni dopo, quando la sua dipendenza dall'alcool era fortissima, un giorno le risposi un po' troppo male.
Si scatenò. Una sberla.
Due sberle.
Tre.
Nelle volte successive la situazione peggiorava. Sberle, pugni, anche qualche calcio. Era un donna ma era forte. Era l'alcool che faceva tutto. Avevo 16 anni...»
«e tuo padre?!»
«Mio padre... mio padre era debole. Aveva paura, proprio quanto me. Dopo un paio di volte che subivo delle botte, mi prese e andammo via di casa. Dopo due giorni ci tornammo però, non so perché. Forse perché la amava, ma non credo. Quando entrammo in casa, mia madre lanciò il ferro da stiro dietro mio padre. Da quel momento non ha più reagito. E io continuavo a essere picchiata. A luglio di quell'anno scappai di casa. Vissi un po' in giro, dormendo dove capitava. Ma ero libera, cazzo. Ero libera e non provavo più dolore o disperazione. Non sarei mai tornata in quella casa, sporca del mio sangue. Fu in quella occasione che conobbi Matthew. Mi vide coperta di lividi, sopratutto in faccia e si preoccupò fin da subito di me. Mi fidai subito di lui. Ma vabbè, questa magari ve la racconto un'altra volta. Eh comunque resta il fatto che mio padre mi trovò, mentre uscivo da un supermercato. Iniziò ad urlare, dicendomi che non dovevo fare queste cose, che dovevo fare quello che dicevano loro, e con loro intendeva mia madre. Mi prese per un braccio e mi lanciò nella macchina. Mi riportò a casa. Ero tornata in quel posto di merda,e come “ben tornata!” ricevetti uno schiaffo. L'incubo era ricominciato, quando un giorno sentii delle urla provenire dal giardino. Erano mia madre e un ragazzo. Corsi giù. Era Matthew che litigava con quella donna. Appena Matt mi vide mi abbracciò e mi portò via, facendomi correre per due isolati... Da quel giorno non li rividi più. L'incubo era finito, grazie a lui.».
«Consegna della postaaaa!
» urlò uno dei tizi che lavorava lì dentro. «Ferguson, c'è ne anche per te oggi!» mi disse, lanciandomi una busta bianca.
«Spero solo non sia mio padre...»
.

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Capitolo 4
*** IV. ***


5 del pomeriggio.
Non avevo ancora letto la lettera che mi avevano consegnato all'ora di pranzo. Dopo un po', l'idea che fosse stato Matt a rispondermi mi sfiorò, ma la avevo eliminata subito. Non volevo illudermi troppo, ero convinta che fosse mio padre. Il professore parlava, io ero in ultima fila. Sfilai la lettera dalla borsa. La aprii e tirai fuori il foglio. Riconobbi la scrittura.

Ciao Amy. Ti porterò fuori di lì. E se non potrò,appena uscirai, sarò lì e resterai con me. Vivremo insieme, ci proveremo di nuovo. E nessuno, ripeto nessuno, ci dividerà questa volta.
Tua madre non c'è più, Amy. Sei al sicuro. Ricordati, ci sono io. Ci sarò sempre,per te.
Devi promettermi che non farai più cazzate del genere però. Sei una ragazza fantastica, non devi buttare via la tua vita così.
Mi manchi. Davvero. E non solo a me. Manchi anche agli altri.
Non ci siamo neanche salutati, ricordi?!
Vivrai con noi. Starai con noi,proprio come ai vecchi tempi, te lo prometto.
Resisti lì dentro, ti prego. Ci vedremo presto.
Ti voglio bene.

Matthew.”

«Amy...Amy vuoi uscire?»mi chiese il professore
«Come? Perchè dovrei uscire?!» risposi
«Ferguson stai piangendo.»
Mi toccai le guance, erano bagnate e gli occhi mi bruciavano. Sì, stavo piangendo. Prima non me ne resi conto. Ero troppo presa dalla lettera.
Uscii dall'aula. Mi ritrovai nel lungo corridoio bianco, chiusi la porta e mi sedetti per terra, con la lettera in mano.
La rilessi. Non ci credevo. Non era possibile.
Si ricordava di me e gli mancavo.

è un sogno, cazzo. È un sogno!” mi ripetevo. Ma più leggevo la lettera più realizzavo che era tutto vero. Mi avrebbe salvato, per la secondo volta.

 

«Weila, Ferg... come va?!» Simon era davanti di me, in piedi e sorrideva.
«Simon » dissi, con un gran sorriso «benissimo, va benissimo.»
«Oh finalmente una bella notizia» si sedette vicino a me «e cos'è successo di così bello che ti fa fare questo stupendo sorriso?»
«Toh, leggi!» E gli porsi la lettera.
«È quel tuo amico? Quello di cui parlavi a pranzo?». Annui e sorrisi di nuovo. Dopo aver parlato un po', Simon se ne andò e rimasi di nuovo sola fino al suono della campanella.
Volai in camera. Mi buttai sul letto, continuando a sorridere come un'idiota.

« Johnson, Ferguson e Dickinson! In sala grande, veloce!» urlò una voce dal corridoio.
Ma che cazzo?!” pensai. Johnson e Dickinson erano i due ragazzi che avevano preso con me per quel furto. Non li volevo vedere. Era anche colpa loro se ero lì dentro.
« Salve ragazzi, come state?» chiese uno dei poliziotti, che ci stavano aspettando nella sala. « Scusate, non abbiamo molto tempo... dobbiamo solo dirvi che il vostro processo verrà svolto nuovamente. Abbiamo trovato nuove testimonianze e probabilmente per voi, Dickinson e Ferguson, ci sarà uno sconto della pena.»


 

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