La Ruota

di RLandH
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Temperanza ***
Capitolo 2: *** L'Imperatrice ***



Capitolo 1
*** La Temperanza ***


La Ruota

 

Titolo: La Ruota

Titolo Capitolo: La Temperanza
Ship: 
Girolamo Riario/Caterina Sforza (In un certo senso. Principale comunque) Altri Vari.
Rating: Giallo
Sommario:  Girolamo aveva seguito i passi, disegnando con Caterina una circonferenza immaginaria, “Sei sfacciata” aveva constata, “Ne sono consapevole” aveva detto sorniona lei con una risata, “Potrei riavere i miei occhiali?” aveva chiesto Girolamo, “Sono un uomo che non tollera essere privato delle sue cose” aveva detto con una voce asettica, lei aveva montato un sorriso sornione, “Non so di cosa parliate” aveva bisbigliato lei, prima di rifugiarsi da un altro cavaliere.

 Warnings: Tecnicamente Girolamo e Caterina si portano quasi ventanni, quindi questo potrebbe offendere qualcuno, ma A è ambientato alla fine del quattrocento, B il legame che si forma tra loro è qualcosa di diverso dalla sessualità, decisamente non amore, ma più forte dell’affetto.
A/N:1. Il Titolo della storia si riferisce alla Carta dei Tarocchi che rappresenta la fortuna. Ma anche la frase tipica “La Ruota Gira”, ovvero che la fortuna cambia, quanto le sorti della persona, o semplicemente i sentimenti delle persone.

2.Il Titolo del capitolo è un chiaro riferimento alla carta dei Tarocchi, dove viene rappresentata una donna vestita in blu e rosso. E la Temperanza è una virtù cardinale, rappresenta la moderazione. Un senso lo aveva per questo capitolo sia simbolico che “fisico”.

3.La storia è ambientata più o meno quattro anni prima di Da Vinci’s Demons, ovvero nel 73, all’incirca Leonardo ha venticinque anni nel telefilm, quindi dovrebbe essere il 77, ovvero quando Caterina entra ad Imola e quando si dice sia stato consumato il matrimonio Riario-Sforza, avvenuto però nel 73.

4.Riguardo a Costanza Fogliani era l’originaria promessa sposa e non so come farò a liberarmene.

5.Spero vi possa piacere la mia breve Long, saranno cinque o sei capitoli massimo, se non meno.






La Ruota

 

La Temperanza

 

Ad accoglierlo quando arrivò a Milano, fu quel maiale di uno Sforza. Vestito in un profondo blu notte con ornamenti d’oro, che percorrevano l’intero uniforme, aveva un sorriso sfacciato ed impudente al suo fianco c’era una piccola donna di minuta statura, grassoccia, Bona di Savoia, sua moglie. Quando Girolamo smontò da cavallo, ancor prima che potesse avanzare di qualche piede la grassa signora di Milano era già venuta ad accoglierlo con lunghi abbracci e baci languidi, “Oh siamo così onorati di aver un figlio di Roma qui” aveva cinguettato affabile. Galeazzo Maria venne da lui invece seguito dalle sue guardie con un espressione più seccata che altro, prima di montare un sorriso irsoso e dargli il suo ben venuto. Certamente, si rese conto Girolamo, sua moglie conosceva molto meglio i modi della politica, per quanto apparisse fastidiosa. Bona si prese eccessiva confidenza prendendolo a braccetto, “Abbiamo fatto preparare una delle camere migliori” aveva tenuto a precisare premurosa la donna, “Mio marito ha anche organizzato una caccia per dopo domani” aveva aggiunto, regalando un sorriso amichevole, salutando anche le guardie, Grunwald ridacchiò quando lei lo salutò. “Spero non abbiate avuto un viaggio spiacevole” aveva detto Glaeazzo, disinteressato, “Piacevolissimo duca” aveva risposto lui asettico, prima che la giovane donna arpionata al suo braccio cominciasse ad interrogarlo su tutto il viaggio che lui ed i suoi uomini avevano fatto da Roma a Milano e se per caso casualmente fosse passato ad Imola. Le sue risposte erano state sterili ma piene di finte cortesie.

Bona voltò lo sguardo verso il marito, c’era un sottile rimprovero, “Siamo così felici che il Santo Padre voglia unire le nostre casate” aveva immediatamente detto il duca Sforza, Girolamo ne dubitava, probabilmente  dovevano essere parole che sua moglie doveva averli insegnato. Era risaputa la noncuranza del Duca, un uomo in vena di ascoltare solo i suoi istinti e sempre chiacchierato, la sua promiscuità era ormai nota in tutt’Italia. “Adorerete la piccola Costanza, è una bambina così dolce” aveva tenuto a precisare la duchessa con una voce squittente, “Non ne dubito” aveva risposto asettico lui; sposare la piccola Fogliani non era nelle sue priorità, ma il santo Padre pretendeva un’alleanza con Milano. Probabilmente avrebbero potuto trovare un alleanza più resistente con qualcuno che fosse più stretto alla famiglia Sforza, Costanza era una Fogliani ed era una semplice nipote del Duca, ma sfortunatamente non erano riusciti ad organizzare nozze migliori, neanche con una ragazza che si avvicinasse di più alla sua età.

Bona di Savoia si prese la briga di accompagnarlo fino alle sue stanze e farli fare una lunga visita della corte, fermandosi in interessanti elucubrazioni su tutte le statue e le opere che adornavano la casa. “Rinfrescatevi e riposatevi Girolamo” aveva mormorato lei, “La mia casa è la  sua casa” aveva aggiunto, prima di comunicarli che la servitù era al suo completo servizio e sarebbe stati reperibili per ogni cosa, prima di salutarlo con la comunicazione di attendere con morbosità la cena, dove lui avrebbe potuto conoscere finalmente Costanza. Girolamo aveva sorriso accondiscendente prima di scomparire nelle sue stanze, ultimo dei suoi desideri era conoscere la sua futura moglie bambina. Grunwald era venuto da lui per studiare i suoi pensieri riguardo i Duchi di Milano, ma l’uomo era rimasto ermetico, non che ci fosse molto da stabilire, Galeazzo Maria era un pingue uomo pieno di sfrenatezze ed incosciente ai precetti della chiesa, assuefatto dai suoi vizi, e Bona era una donna con la spregiudicata capacità di affascinare, nonostante le curve sformate del suo corpo. Anche il suo capitano delle guardie pareva incredibilmente attratto dalla duchessa, nonostante questa fosse priva di bellezza.

Girolamo passò le ore che precedevano la cena e rendersi splendente e presentabile, come il santo padre aveva preteso alla sua partenza, indossando l’abito più ricco che potesse sfoggiare. Ed allora che l’aveva notato, un piccolo scatto, di una porta che si chiudeva. Qualcuno era entrato nelle sue stanze, tentando di non farsi vedere, Girolamo afferrò il pugnale che teneva sempre con se e cheto si diresse nelle altre stanze, ma non trovò spie o uomini intenzionati ad ucciderlo, trovò una bambina che studiava le sue cose, aveva piccole mani che frugavano, ma tutta la sua curiosità sembrava appagata dai suoi occhiali a lenti scure, con grandi occhi curiosi li guardava catturata. Girolamo aveva pensato fosse della servitù, ma indossava un abito da cerimonia curato, era di un pallido azzurro che chiudeva la pettorina e le maniche strette, la gonna era di un rosso bruno, così come i ricami d’uncinetto che attraversavano il busto ed una fascia d’orata chiudeva la vita. “Lei sarebbe?” chiese restando composto, la bambina saltò e sollevò il volto, aveva un viso carino come quello delle bambole ed era piccola, più infantile di quanto avesse pensato, dieci anni non di più, “Perdonatemi” mormorò semplicemente lei con occhi bassi, nascondendo le mani ree dietro la schiena non lasciando però i suoi occhiali. “Non è quello che ho chiesto” aveva risposto sterile lui, rimettendo il pugnale al proprio posto, convenendo che con una bambina appena al suo decimo anno di vita non fosse necessario, “Caterina” allora mormorò quella, le gote sembravano essersi stinte del rosso del pudore così come la sua voce ora pareva priva del precedente imbarazzo. “E cosa cercava?” aveva chiesto Girolamo, facendo un passo in avanti, la bambina però non era indietreggiata, era rimasta ferma come se avesse messo le radici. Una bambina alta, dai capelli di fulvo ardente e con una certa fierezza degli occhi castani.

Caterina si morse un labbro, “Lei” aveva risposto poi, “Volevo vedere se i quadri donati a Costanza fossero fedeli” aveva risposto semplicemente lei, “Siete soddisfatta?” aveva domandato lui alla fine, la ragazza allora aveva mostrato nuovamente segni di quel candore, “No” rivelò alla fine, Girolamo crucciò le sopracciglia, “Speravo foste di più brutto” aveva confessato alla fine con un risolino sciocco, “Perché?” aveva chiesto lui, stranamente interessato, “Per Costanza, un marito brutto le sarebbe stato bene” aveva detto lei convinta delle sue parole. Girolamo rimase di granito a quella risposta, non consono di cosa avrebbe dovuto dire, Caterina era una bambina e pensava come tale e la risposta data era solo quella che un’infantile avrebbe potuto dare e si rendeva conto che Costanza non sarebbe dovuta essere troppo diversa.

“Non andate d’accordo?” aveva domandato lui alla fine, “Nessuno ci riuscirebbe” aveva confessato Caterina con un sorriso divertito, “Perdonate la mia impudenza” aveva alla fine enunciato la bambina prima di fuggire dalle sue stanze, senza che Girolamo avesse potuto dire o fare qualcosa. Aveva sorriso, un tenue ed accennato sorriso, ricordando quando anche lui da bambino usava girovagare per le stanze quando c’erano ospiti nel tentativo di scovare tesori, il Santo Padre, ai tempi in cui era cardinale, l’aveva picchiato tante volte per questo suo vizio. Era una punizione al perché si facesse scoprire, che perché lo facesse. E solo quando si destò dai ricordi della sua infanzia si rese conto che Caterina oltre a se stessa aveva portato via anche i suoi occhiali per pararsi dal sole. Quelli si disse doveva recuperarli.

All’ora del grande banchetto fu Grunwald  che venne ad avvertirlo. E così si erano diretti nella sala principale, ad accoglierli era venuto quel maiale del Duca, assieme a quello che ben presto era stato ovvio fosse Lodovico, il fratello minore, più alto, composto, in forma e di bell’aspetto del fratello, un uomo dalle spalle larghe ed il viso affascinante, una mascella marcata, pelle bronzea e capelli scuri, un personaggio per il quale sua cugina Lucrezia avrebbe ridacchiato divertita facendo occhi languidi. E con loro in disparte c’era un ragazzino, Costanzo Sforza, signore di Pesaro, un ragazzino che occupava una posizione che sembrava andarli troppo lenta, sbarbato e divertito da ogni cosa. “Sono addolorato di essere mancato al nostro benvenuto” aveva detto Lodovico, era molto più sarcastico ed attore di suo fratello, che aveva limitato la questione ad un borbottio. “Costanza è felicissima di conoscervi” l’aveva rassicurato il signore di Pesaro, non che ha lui interessasse.

All’interno della sala, Girolamo aveva conosciuto ogni signore della Lombardia, baciato le mani ad ogni ricca donna. Bona l’aveva preso a braccetto e baciato come se fosse di sua famiglia, Costanzo aveva presentato con orgoglio una piccola donna bionda dal sorriso cinguettoso, Camilla sua moglie.  Ed alla fine Girolamo non ricordava neanche più chi avesse conosciuto. “Immagino sia uno strazio” aveva detto un ragazzo affiancandolo,  teneva in mano un calice di vino che Bona aveva fatto portare cominciando il rinfresco, aveva sui quindici anni ed era uno Sforza, somigliava sia a Galeazzo Maria che a Lodovico, più al primo, ma possedeva dei dettagli più aristocratici e fini rispetto gli altri, “Stare qui e sorridere a tutta questa gente” aveva commentato. Girolamo l’aveva guardato critico, “Siete fatto di pietra, ve ne do atto, nessuna emozione traspare dai vostri occhi” aveva detto quello divertito, “Ma la mia defunta nonna mi ha insegnato bene che non esiste uomo in grado di celare ciò che prova” aveva rivelato, gustandosi un poco di vino, prima di allontanarsi. Bona era venuta immediatamente, muovendosi in modo impacciato nel suo pomposo abito che sfoggiava con orgoglio i colori bianco e rosso della sua casa d’appartenenza. “Spero Carlo non ti abbia turbato” aveva detto amichevole, lanciando uno sguardo a disaggio al ragazzo che ora importunava una nobildonna con una parlata di miele, “Non sarebbe il primo” aveva detto accidioso Girolamo. Parole che la duchessa non aveva gradito, “Come?” aveva chiesto con finta ingenuità ad una perfetta curiosità, “Qualcuno vi ha dato fastidio?” aveva domandato. Avrebbe dovuto dirle di Caterina? “L’attesa” aveva risposto, “Gli uomini” aveva cinguettato Bona, “Non amano mai aspettare” aveva bisbigliato, “La venerabile Bianca, la madre dl mio adorato marito, diceva sempre che le cose migliori veniva solo dopo una lunga attesa” aveva bisbigliato, prendendo del forte vino rosso e bevendolo.

Dunque doveva pensare che quell’attesa dai mantovani, fosse la prova di quanto Costanza dovesse essere una cosa migliore. Certamente li avrebbe portato un alleanza ed anche una nomina, il Santo Padre l’avrebbe nominato conte solo a nozze adempiute. Vide Caterina con l’abito da festa, del primo incontro, ma con i capelli raccolti,  perdersi tra la gente tenendo la mano di un piccolo bambino dai capelli con i riccioli d’oro, che somigliava a Bona, sebbene fosse esile quanto una bambina, molto più piccolo della sua accompagnatrice. Altri due bambini li seguirono, uno era un maschio e sembrava una versione di Caterina maschile e più infantile, l’altro era una femmina, piccola, con la zazzera scura degli sforza ed un naso adunco. Correvano tutti insieme allegramente. E per un attimo Girolamo fu tentato di raggiungerli per prendere la più grande,  desideroso di riavere ciò che era suo. Ma l’attesa era finita. Gabriella Gonzaga era entrata nella sala vestita di sete pregiate, tenendosi al braccio di Corrado Fogliani, suo marito,uno strano duo, lei era una donna alta e spigolosa, tanto lui era basso ed in carne seguito dai figli Ludovico che teneva per il braccio sua sorella Costanza, i figli parevano una buona mescolanza dei genitori.   

“Siamo così onorati di conoscervi” aveva detto immediatamente Corrado, un uomo semi stempiato e con grossi baffi, vestito in modo impeccabile, come si addiceva al Marchese di Vighizzolo. Gabriella non aveva detto nulla, si era limitata ad allungare una mano verso di lui perché potesse baciarla con uno sguardo di sufficienza, cosa cui con suo sommo disgusto Girolamo si era dovuto piegare a fare. “Lo stesso per me” aveva detto al marchese prima di voltarsi verso i figli. Ludovico aveva tentato di mantenere come sua madre un atteggiamento glaciale, ma era timorosa, riguardo a Costanza accenno un sorriso vagamente amichevole, “Siete come vi ho immaginato” aveva mormorato lei con sguardo vago, “Voi più bella” aveva mentito Girolamo. Ritrattisti avevano portato i quadri della giovanissima Fogliani, ma lui non aveva speso tempo a guardarli.  E Costanza non era una bambina bella. Non che la bellezza di una donna potesse essere misurata ad undici anni, ma sua cugina Lucrezia era carina già da piccola. 

Il Duca Galeazzo Maria aveva ordinato che si sedessero tutti a gustarsi la cena. Gli Sforza avevano organizzato una cena di tutto rispetto, con molte portate. A Girolamo erano parsa una più ispida dell’altra, si era dovuto sedere accanto alla sua promessa sposa, di fronte Carlo e Caterina, che aveva appurato poi essere i figli maggiori di Galeazzo, illegittimi nati da una nobildonna lombarda. Mentre mangiavano il fagiano, Costanza aveva richiamato l’attenzione alla cugina bastarda e le aveva regalato una smorfia ironica, allorchè Caterina  aveva mandato giù un sorso di acqua senza dire nulla, ma un espressione infastidita.

Dopo il banchetto c’era stata la danza. Girolamo aveva dovuto danzare con la sua futura sposa, con Gabriella, con Bona, sebbene Grunwald ne aveva voluto i diritti, ed anche Camilla. All’ennesima giravolta, si era ritrovato palmo e palmo con la figlia illegittima del Duca. “Cosa ne pensate di Costanza?” aveva domandato lei con curiosità. Una ragazzina ordinaria. “Non le piace, vero?” aveva domandato retorica, “Non piace a nessuno, neanche a Madonna Bona nonostante lo ripeta sempre” aveva aggiunto. Girolamo aveva seguito i passi, disegnando con Caterina una circonferenza immaginaria, “Sei sfacciata” aveva constata, “Ne sono consapevole” aveva detto sorniona lei con una risata, “Potrei riavere i miei occhiali?” aveva chiesto Girolamo, “Sono un uomo che non tollera essere privato delle sue cose” aveva detto con una voce asettica, lei aveva montato un sorriso sornione, “Non so di cosa parliate” aveva bisbigliato lei, prima di rifugiarsi da un altro cavaliere.

Quando la cena era finita quel maiale del Duca Sforza si offrì di scortarlo alle sue stanze, assieme a Bona che intratteneva una conversazione piacevole con Grunwald, che pareva pendere dalle sue labbra. “Sa Girolamo, quando il Santo Padre ha proposto un unione da parte della nostra famiglia con il suo più caro nipote” aveva esordito Galeazzo, “Avevo pensato di proporre la mia figlia maggiore” aveva detto quello, “Caterina?” aveva chiesto Girolamo confuso, avevano pensato di darle una bastarda? Di far contessa un illegittima? Di accostare al nome del Capitano Generale della Santa Chiesa Romana? “Il nipote di Sisto ho pensato l’avrebbe trovata più interessante” aveva ripreso il milanese, “Caterina è quanto mai particolare” aveva ripreso quello con tranquillità, del tutto disinteressato all’offesa che le sue precedenti parole avevano portato. “Ma  sono stato dissuaso” aveva detto burbero il duca, lanciando uno sguardo a sua moglie pochi passi avanti, “Che il Santo Padre interpretasse la mia offerta come un’offesa” aveva ripreso, “Così c’era la figlia della mia cara cugina è sembrava tutto più appropriato” aveva terminato quello. Ovvio che era più appropriata, era una marchese di sangue Gonzaga da Mantova, sarebbe stata certamente più gradita di una bastarda lombarda. Eppure pensò Girolamo lo stesso Santo Padre avrebbe trovato assai più intrigante quella piccola sfacciata di Caterina, non che l’avesse presa a schiaffi se si fosse mostrata così impudente davanti i suoi occhi. Sarebbe stato come essere blasfema agli occhi di Dio.

“Perché Duca mi dite questo?” aveva chiesto Girolamo, “Perché spero sempre che Gabriella si riveli una spina nel fianco” aveva detto quello divertito, “Mia cugina può sempre essere esasperante” aveva rivelato, non prima di guardare sua moglie, “E perché convengo che sarebbe meglio per voi sposare una Sforza” aveva risposto lui. Impudente grasso maiale, aveva pensato Girolamo, “Una bambina illegittima?” aveva detto offeso, trapelante di rabbia, quasi più piccola della sposa che avrebbe dovuto prendere, “Una Sforza” precisò Galeazzo, “Di nome e di fatto” aveva aggiunto, poi aveva dato un lungo sguardo a sua moglie, “Più Sforza di quanto ci sarà mai nei figli che quella Gallina mi darà” aveva aggiunto sprezzante. Girolamo era rimasto interdetto, “Il solo propormi questo matrimonio è un offesa, Duca” aveva sentenziato, prima di accelerare il passo verso le sue stanze, non prima di aver richiamato il capitano delle guardie perché si muovesse. Pingue maiale, imprecò nella sua testa.

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Capitolo 2
*** L'Imperatrice ***


La Ruota

 

Titolo: La Ruota

Titolo Capitolo: L’Imperatrice
Ship: 
Girolamo Riario/Caterina Sforza, Altri Vari.
Rating: Giallo
Sommario: 
Girolamo aveva seguito i passi, disegnando con Caterina una circonferenza immaginaria, “Sei sfacciata” aveva constata, “Ne sono consapevole” aveva detto sorniona lei con una risata, “Potrei riavere i miei occhiali?” aveva chiesto Girolamo, “Sono un uomo che non tollera essere privato delle sue cose” aveva detto con una voce asettica, lei aveva montato un sorriso sornione, “Non so di cosa parliate” aveva bisbigliato lei, prima di rifugiarsi da un altro cavaliere.

 Warnings: Tecnicamente Girolamo e Caterina si portano quasi ventanni, quindi questo potrebbe offendere qualcuno, ma A è ambientato alla fine del quattrocento, B il legame che si forma tra loro è qualcosa di diverso dalla sessualità, decisamente non amore, ma più forte dell’affetto.
A/N:1. Il Titolo è ovviamente riferimento alla carte dei Tarocchi.  Purtroppo non troverete nel capitolo i simboli dell’imperatrice, per esempio nel capitolo precedente Caterina, non aveva la brocca, ma vestiva con i colori tipici della temperanza. Ma anche in questo capitolo ho disseminato l’Imperatrice, forse più di una, forse una meno dell’altra.

2. Nella storia ho deragliato varie lettere, di cui una pur troppo non verremmo a capo tanto facilmente. Non in questa storia almeno.

3. Relazioni famigliari, essendo in Da Vinci’s Demons-verse, Riario un bastardo del Papà, ho sistemato la famiglia in modo che avessimo più parenti che no … Raffaele e Girolamo non dovrebbero essere parenti (visto che la madre di Raffaele e la sorella di Paolo Riario), ma forse io li ho resi (avremo modo di vederli) ancora più parenti.

4. Grazie a Chemical Lady per la recensione. <3

La Ruota

 

L’Imperatrice

 

 

Non era ancora sorto il sole quando fu svegliato, una giovane cameriera era venuto a chiamarlo portandoli pancetta affumicata e vino speziato, non aveva emesso suoni, si era limitata e posarlo vicino al comodino e tanto in fretta si era congedato. Girolamo si era sollevato dal letto, sistemato e vestito per cura, non dopo essersi concesso un breve bagno. Aveva indossato il grigio, ma si era reso conto, dopo aver posto il sua abituale cappello sui capelli, dell’assenza dei suoi occhiali neri. Ed il suo pensiero andò a Caterina, bambina sfacciata. Uscito dalle sue camere un valletto era venuto verso di lui, pareva nervoso e quando l’aveva visto aveva tenuto la testa bassa, “Salve Conte” aveva detto tutto spaventato, “Siete atteso ai giardini se non è per voi d troppo disturbo” aveva bisbigliato quello. Era un ragazzo giovane dall’aspetto scarno ed ossuto, anche molto femmineo. Girolamo aveva acconsentito a seguirlo, non prima di aver chiamato il Capitano delle sue guardie. I giardini erano un altura di verde, non troppo lontano da dove camminava, il conte scorse la sua futura sposa, Costanza, giocare con i figli del conte, sia quelli di Bona che i bastardi, mancava solamente Carlo. Caterina era tra loro, ma i suoi occhi erano coperti da occhiali neri che sembravano catturare la curiosità degli altri bambini.

Intorno ad un tavolo imbandito c’erano gli Sforza, il duca, la moglie, il fratello, il figlio bastardo ed il cugino, ultima era la marchesa, rivestita a festa, che gustava del bianco con espressione adirata in viso. Nulla sembrava mai compiacerla. “Bensveglio Girolamo” aveva esclamato Bona, alzandosi per accoglierlo amichevole, lui le aveva preso una mano e l’aveva baciata, “Spero abbiate avuto sogni dolci” si era augurata la madonna Savoia, “Così è stato, mia signora” aveva risposto con pacata tranquillità, quando poi aveva destato gli occhi agli altri presenti. “Buona giornata Conte” aveva detto asettica Gabriella con un elegante sorriso, “A lei, madonna Gonzaga” aveva risposto lui. “Girolamo ho organizzato una caccia eccezionale per voi, domani” aveva tenuto immediatamente a dire il Duca, lanciando un eloquente sguardo al fratello. Lodovico aveva ridacchiato, “Sarà esaltante” aveva detto malizioso, allora Carlo aveva anch’esso sorriso, “Caterina vorrà certamente venire” aveva esclamato, Girolamo l’aveva guardato confuso, una donna a caccia? Si era voltato verso il duca, “Voi permette a vostra figlia questo?” aveva domandato alla fine, “E’ colpa della buon anima di mia madre” si era scusato Galeazzo, “E’ colpa sua, ha tirato su Caterina come un maschio” aveva detto sconsolata Bona, muovendo il capo tristemente. “Ma è brava” aveva tenuto a precisare Galeazzo, “Più di quanto fosse Carlo alla sua età” l’aveva denigrato il padre, con sguardo critico. Girolamo non disse nulla, preferendo il silenzio, quel grasso maiale cominciava già a tessere le lodi della sua bastarda, pensava seriamente che lui per una bambina che sapeva cacciare avrebbe cambiato partito?

“Girolamo, caro, sta mani è arrivata una lettera da parte di Lupo Mercuri” aveva esordito Bona, dopo una pausa di qualche istante. Cosa desiderava il curatore degli archivi vaticani dagli Sforza? Assicurarsi che la pace ed il matrimonio non andasse a male, probabile, ed offensivo, Girolamo avrebbe potuto gestire l’intera faccenda senza missive o intervento alcune. “E’ cosa riferiva?” aveva domandato alla fine, la donna aveva sorriso enigmatica, “Pare che sia di suo interesse visitare la nostra dimora” aveva risposto quella, “Nel tardo pomeriggio il signor Mercuri e suo cugino Raffaele saranno qui” aveva spiegato, prima di sorseggiare il vino. Girolamo cercò di non mostrarsi stupito o quanto mai spaesato, poteva concepire l’arrivo di uno degli uomini più fidati di sua eminenza, ma non l’arrivo di un tredicenne, quale suo cugino. “Ne sono lieto” aveva risposto con un sorriso di circostanza. Raffaele poteva rivelarsi spesso un valido alleato, non era certamente sciocco, era un ragazzo di fine intelligenza, ma era ancora un bambino per certi versi ed ancora perso nella sua beata innocenza.

Quando la seduta fu sciolta. Gabriella Gonzaga li si affiancò in una lunga camminata, era una donna alta e seriosa, “Volete sorreggermi?” lo invitò, allungandoli il gomito, ma il suo pareva un ordine ben poco chiaro, Girolamo lo prese, “Suo marito e suo figlio?” chiese il conte, vagabondando nello sguardo, Costanza era con gli altri bambini, ma anziché giocare, era intenta a ricamare con novizia, il suo sguardo esito poco su di lei, gli occhi catturarono una Caterina, che sembrava orchestrare alla perfezione gli altri bambini ad ubbidirle, i suoi grandi occhi erano coperti da lenti nere. “In giro per Milano” aveva risposto lei sterile, prima di guardare sua figlia con uno sguardo morbido, “Costanza è tanto cara, conte” aveva detto, con il tono di madre, un tono a cui Girolamo era estraneo, “E’ nobile, pura” aveva aggiunto ed i suoi occhi saettarono sulla maggiore dei bastardi sforza, “Non è certamente come Caterina” aveva detto disgustata, “Quella ragazza è cattivo sangue” aveva stabilito, “Figlia del peccato” disse solenne.  Nata fuori da un matrimonio, frutto di una fortificazione.  “E’ Costanza meriterebbe Nozze davvero adatte al suo rango” aveva ripreso Gabriella con totale calma, Girolamo aggrottò le sopraciglia, per un lasso di tempo minimo, poi era ritornato di puro granito, “Il nipote del papà convengo sia un buon partito” aveva risposto con cheta tranquillità, “Certamente” aveva risposto madonna Gonzaga, con un sorriso di circostanza, prima di continuare: “Sebbene effimero” aveva constato.  Il Conte era rimasto in silenzio per un attimo, decisamente confuso da quelle parole, “Forse non vi ho compreso, mia signora” aveva detto lui cercando di mantenere la calma, imponendosi di aver capito male ed obbligandosi a non scoprire le sue carte prima del tempo. “Certamente, mio caro, mi rendo conto di aver parlato in modo forviante” aveva riferito lei, con un sorriso irritante in viso, “Temo ciò che succederà alla mia bambina se mai, Dio non voglia, il santo padre dovesse venire a mancare” aveva bisbigliato lei. Girolamo aveva taciuto, anche perché l’espressione di puerile noia che aveva ripreso il suo viso, aveva messo fine alla conversazione.

Nella mattinata come il marchese ed il primo figlio, Girolamo e Grunwald passarono il resto del giorno per le vie della Milano, accompagnati da Lodovico, Carlo e Costanzo. Il Conte li aveva studiati per bene, erano due ragazzini, dall’espressione divertite, ancora giocosi e tremendamente immaturi. Probabilmente Raffaele si sarebbe ritrovato così bene con loro. Almeno lui.  Lodovico invece non aveva fatto altre che riempirlo di domande su Roma, evitando con intrigante magistralità l’argomento nozze, come se non fosse stato minimamente informato del discorso con quel Maiale di suo fratello la notte prima o del discorso di Gabriella la mattina stessa. “Vi piace la città?” aveva domandato alla fine l’uomo con un sorriso sghembo sul viso, “Incantevole” aveva mentito Riario, la città di Milano non era nulla di così  interessante, rispetto la Roma da cui arrivava lui. “Sarà il caso di rientrare per pranzo” aveva commentato  Costanzo alla fine, “Alla mia dolce sposa mancherò” aveva detto languido,  Carlo aveva aggrottato le sopraciglia come se quella frase lo schifasse parecchio. “Concordo,  lei conte?” aveva domandato il più grande degli Sforza, “Certamente” aveva risposto il Conte.

Prima di pranzo Girolamo aveva avuto appena pochi minuti per poter parlare con il capo della sua guardia per poter discutere su ciò che aveva scoperto sulle nozze. “Certamente, Conte Riario, credo che tutto sia fatto apposta perché voi sposiate la Sforza anziché Costanza” aveva commentato Grunwald con seriosità. Questo era certamente ovvio, me anche la stessa Gabriella pareva del tutto infilata in questa storia, come mai anche lei era favorevole alle nozze  di Caterina, azichè Costanza? Così alla fine non aveva trovato altro da fare che tacere, non perché Grunwald non meritasse le sue magre costatazione, quanto perché nella reggia sforzesca non erano sicuri neanche i muri. E a testimoniarlo fu una donna che venne verso di loro. Era alta, slanciata, elegante come una gazzella,  aveva luminosi capelli d’oro, intrecciati in modo elegante, indossava  un vestito rosso come aquile damascate d’oro, aveva un aspetto regalo, che le conferiva molti meno anni di quanti avesse. “Il Conte Girolamo?” aveva domandato con una voce di miele, aveva un sorriso amichevole, che trasudava falsità e all’uomo ricordò Violante per i suoi modi incredibilmente fini. “Si, mia signora” aveva risposto lui, “Lucrezia Landriani” aveva risposto la donna, allungando la mano verso di lui, così che il conte dovesse baciarla, studiò i suoi occhi, avevano lo stesso taglio e bellezza della figlia bastarda di Galeazzo. “Lei è la madre di Caterina?” aveva domandato alla fine, “In persona” aveva detto divertita Lucrezia ed anche in questo Girolamo aveva visto Violante.

Lucrezia non era venuta per parlare delle nozze con i Fogliani, quanto più per vedere il figlio di Roma, interessata come lo erano sempre le donne alle stravaganze.  Era una donna suadente, più di quanto Bona lo sarebbe mai stata,  “Come è stata per ora la vostra permanenza a Milano?” aveva domandato con una verta curiosità, “Buona” aveva risposto Girolamo, non che questo fosse vero, ma era stato a Milano semplicemente per due giorni e quasi tutto quello che aveva fatto era stato mangiare, non che lo stupisse visto la stazza che avevano il Duca e la Duchessa. “E ditemi, Conte, come avete trovato la nostra madonna Gonzaga?” aveva subito chiesto la donna prendendolo sotto braccio, “Una donna squisita” aveva risposto sterile lui. Avrebbe preferito passare un intero pomeriggio con sua cugina Lucrezia che altri cinque minuti in compagnia di quella donna. Lucrezia sorrise in modo maligno, “Interessante” aveva commentato con un tono ironico, “Lei non è dello stesso avviso” aveva risposto la donna. Girolamo l’aveva guardata, mostrandosi piacevolmente stupito, “Gabriella non prova amore per me?” aveva domandato fintamente sorpreso, mostrarsi così apertamente contraria alle nozze con sua figlia, ne era la prova, “Alcun genere” aveva risposto madonna Landriani, “Come mai se mi è concesso?” aveva richiesto Girolamo, mentre camminava a passo lento, lungo il corridoio, con la madonna arpionata al braccio,  “La curiosità può essere dannosa, Conte” aveva risposto la donna con un risolino divertito, il conte non aveva espresso alcun tipo di commento, per un po’. “Ieri sera non la ho visto” commentò alla fine, preferendo cambiare discorso, aveva incontrato ogni nobildonna lombarda, ma la madonna Landriani era sfuggita al suo sguardo, “Ma io ho visto lei” aveva risposto la donna con mera tranquillità, prima di continuare lungo il corridoio, prima di congedarsi, rivelando che il pranzo li attendeva.

Lucrezia non si era ovviamente seduta a tavola con loro, anzi non si era mostrata durante il pranzo. Riario si era seduto non troppo lontano dai Duchi, ma il posto al suo fianco era stato occupato a sinistra da Lodovico e quello a destra invece di essere preso da Costanza come la sera prima era stato arpionato da Caterina. “Avete un cappello interessante, Conte” aveva detto la ragazzina, guardando il copricapo che ornava i capelli dell’uomo, “Anche i vostri occhiali” disse mellifluo lui, guardando l’oggetto che la ragazzina indossava sulla fronte a mo di frontino. Lei arrossì, un attimo, prima di toglierli e porli verso l’uomo, “Perdonatemi” disse alla fine, mentre l’uomo recuperava il suo oggetto, “Intelligente” aveva commentato Girolamo, “Non amo essere privato delle mie cose” aveva confidato alla ragazzina, che aveva messo sul viso un sorriso amichevole, “Come tutti gli uomini” aveva risposto lei, prima di concentrarsi sulle portate che veniva versate nei piatti. “Impudente” aveva detto a mezza bocca, allorchè Caterina li aveva sorriso di miele, “Ne sono consapevole” aveva risposto lei.

Alle quattro del pomeriggio, era arrivato un uomo a cavallo, portando la notizia che dalla porta ad ovest cominciavano a vedersi i cavalli, il curatore degli archivi vaticani e il giovane Riario stavano arrivando con un esigua scorta. Bona inistette per accoglierli all’inizio della città, vestita in modo pomposo, assieme a suo marito, annoiato ed accaldato dall’arsura dell’estate. Girolamo e Grunwald erano con loro. Raffaele era arrivato prima di Lupo, era un ragazzino svelto su un cavallo marrone, era alto, allampanato e con i capelli scuri,  vestito di un bruno rosso, ed anche terribilmente somigliante a lui. Raffaele scese da cavallo, lasciando le redine ad un servo senza neanche preoccuparsi di guardarlo in viso, lo stesso sbieco sorriso di Violante sulle labbra, “Cugino” disse per primo, abbracciando famigliare Girolamo, che aveva contraccambiato la stretta freddamente, poi si era diretto verso i duchi, aveva chinato il ginocchio a Galeazzo Maria, senza però chinare gli occhi e baciato la grassa mano di Bona, prima di inventare squisite lodi. Lupo Mercuri era arrivato con il resto del gruppo, portando riverenti saluti.

Bona aveva preso l’uomo sotto braccio, “Immagino che un uomo come lei, con il suo incarico …” aveva esordito la donna, guardando il signor Lupo, “voglia vedere tutte le opere d’arte che abbiamo?” aveva proposto,  il curatore degli archivi vaticani, si era trovato costretto ad acconsentire alla proposta, non avevano neanche il tempo di poter guardare Girolamo, per poterli parlare. Galeazzo Maria era rimasto con i due Riario invece, “Avete avuto un buon viaggio, cugino?” aveva domandato il Conte al ragazzo al suo fianco, che aveva mantenuto un sorriso sul viso, “Ottimo” aveva risposto con cheta tranquillità, “Come mai siete venuti?” aveva domandato  il conte al cugino, “Lupo aveva una lettera da sua eminenza per te” aveva risposto secco il ragazzino, gli occhi di Girolamo cercarono quelli dell’uomo trascinando da Bona, “E tu?” aveva chiesto, “Roma era boriosa” aveva risposto lui, “Giuliano non aveva la forza di sopportarti?” aveva domandato Riario, senza che il suo volto cambiasse di un minimo, “Ha avuto problemi con dei giudei” aveva risposto, prima di infilare una mano sotto i vestiti per tirare fuori una lettera sigillata in ceralacca rossa senza alcuno stemma, “Ma questa è per voi” disse il ragazzino, “Avevi detto che Lupo aveva la lettera” aveva constato Girolamo guardando sospetto la carta che teneva fra le dita. Il duca Sforza non sembrava neanche curarsi di loro, mentre si approssimavano a tornare sulla monta dei cavalli, “Questa non è di sua eminenza” aveva risposto, “Ma del nostro amato cugino” aveva detto sornione, sistemandosi bene sulla sella.

Girolamo era salito in groppa al suo destriero ed aveva nascosto la lettera sotto i vestiti. Perché mai Giuliano avrebbe dovuto scriverli? Perché non aspettare il suo ritorno a Roma per parlarli di persona. Le lettere erano caustiche, le parole scritte rimanevano, sarebbero potute finire nelle mani di chiunque. “Amate la caccia voi, Raffaele?” chiese il duca affiancandoli, “Non molto, signore” aveva risposto quello leggermente a disaggio, “Mio cugino preferisce attività meno ludiche” era accorso in suo soccorso Girolamo,  al che il grasso Sforza non aveva emesso commenti, guardandolo come si guardava l’ultimo degli uomini, non capendo questa cosa, tanto lui dovesse essere un amante del ludico divertimento, “Troverai in Carlo una certa compagnia” aveva detto prima di tirare le redine e costringere il cavallo ad avanzare. “Squisito” aveva commentato inviperito Raffaele, “Esattamente come lo hanno descritto. Un pingue maiale”  era stata l’affermazione di Girolamo, cosa che aveva fatto scoppiare un risolino in suo cugino. “Come è possibile che Madonna Violante ti abbia mandato a Milano, senza insistere per venire anche lei?” aveva domandato alla fine l’uomo, infilando i suoi preziosi occhiali con le lenti scure, al che il cugino aveva sollevato le spalle, “Credo che abbia avuto vari problemi con sua eminenza” aveva risposto il ragazzino. Come sempre, aveva pensato Girolamo, era da sempre che assisteva ai litigi di quei due. Violante Riario era l’unica persona a storia che potesse inveire contro il Santo Padre. In privato certamente.

“Quindi domani si va a caccia?” aveva domandato Raffaele,  dal suo viso si potesse cogliere la tristezza di quest’azione, “Esattamente” aveva risposto Girolamo. Prima di tranquillizzare il cugino con l’informazione che Carlo, Costanzo ed il fratello della sua futura sposa avevano all’incirca la sua età, “Ed il figlio del Duca non è abile” aveva commentato di rimando, “Al contrario della figlia” aveva aggiunto, pensando a Caterina, l’intera colazione  Galeazzo aveva tessuto le lodi della piccola ladruncola della sua figlia illegittima. Nella speranza che lui preferisse quella alla figlia legittima di un marchese. “Cosa si fa alla corte di Milano?” aveva domandato alla fine suo cugino, quando davanti a loro cominciava a delinearsi la reggia, “Si, mangia …” aveva risposto asettico. E si chiese quanto sforzo avesse dovuto fare il duca per aver mantenuto un comportamento dignitoso, si diceva che collezionasse amanti di ambi i sessi di ogni età.

Quando tornarono alla reggia Sforzesca, Lupo riuscì a liberarsi della contessa. “Quella donna è così …” si stava lamentando l’uomo, mentre camminava avanti e dietro la stanza di Girolamo, Raffaele stava ridacchiando divertito, differentemente l’uomo delle guardie sembrava condividere qualsiasi opinione stesse esprimendo il curatore. Il conte invece si stava occupando di un sopraluogo nella sua stanza, uno dei suoi farsetti era scomparso, uno nero con dei istori  d’argento, oggetto singolare da rubare, ma in cuor suo conosceva già il colpevole, una bambina dai grandi occhi curiosi. “Credo signor Lupo, che mio cugino vi stia ignorando” aveva commentato Raffaele, attirando la sua attenzione. “Credo sia ora di fermare queste danze e spiegarmi il suo arrivo qui” aveva detto acido lui, con occhi sottili, che suo cugino mentisse sul perché fossero lì, era plausibile, probabilmente Raffaele non doveva neanche saperlo il motivo.  “Ho una cosa dal Santo Padre” aveva detto il vecchio, prima di cercare da una tasca interna del suo abito, una lettera che aveva sta volta il sigillo papale su esso. Non l’avrebbe aperto alla visione di estranei, sebbene questi fossero i suoi più fidati uomini.

Come aveva fatto da oltre due giorni, anche quella sera c’era un banchetto, nella sala, non sfarzoso come la sera prima. Era per accogliere i due nuovi ospiti. Raffaele aveva fatto la conoscenza di Costanza e mascherare la sua delusione gli fu abbastanza difficile. “E’ una bella bambina” aveva detto alla fine al cugino. Girolamo però era stato più assorbito dal ritrovare Caterina, che certamente doveva averlo defraudato del farsetto, mentre da un lato, sotto le vesti premevano le lettere venute da Roma. La bambina era insieme a sua sorella, la più piccola che sedeva  sulle gambe della madre, fasciata in un discreto vestito scuro, quando l’aveva visto la piccola Sforza era corso verso di lui. “Buonasera conte” aveva detto con una voce dolce, “Credo di aver perso il conto delle volte che ho espresso il desiderio che le mie cose restino tali” aveva detto con voce sterile, “Due o tre” aveva risposto lei, “Anche questa sera mi dirai che non hai idea di cosa parli?” aveva domandato lui. Caterina sorrideva in modo genuino, come Girolamo non vedeva da anni, come solo i bambini sapevano, “Esattamente” aveva detto, sbattendo le ciglia.

“Caterina, prendi Chiara” l’aveva richiamata Lucrezia, togliendosi dal ventre la bambina, che sulle sue arcuate gambe infantili, tendeva ora la mano verso la più grande, che l’aveva presa con delicatezza, sentendosi costretta ad allontanarsi. Così la donna era arrivata da lui, aveva un aspetto regale ed imponente, nonostante avesse nascosto tutta se stessa sotto semplici abiti scuri, “Sapete mio caro” aveva esordito quella con voce flessuosa, “Penso che mi figlia si sia infatuata di lei …” aveva commentato civettuola, lanciando sguardi vaghi a sua figlia, “Fortuita coincidenza” si era lasciato sfuggire il Conte. Lucrezia aveva sorriso di miele a quell’affermazione, che non le era sfuggita, nonostante le speranze che Girolamo avesse contenuto in esse, “Potrebbe esserlo” aveva risposto lei con voce neutrale. Ero assai rare le possibilità che casualmente la ragazzina che volessero farle sposare, fosse infatuata di lui.

La cena era stata lunga, accompagnata da musicanti e teatranti, in cui si erano lette strofe di spettacoli milanesi. Raffaele aveva gustato la cena, cercando di intrattenersi con Costanza, che alla fine non aveva fatto altro che battere le ciglia perplessa, come se non avesse capito tutte le insistenti cortesie di suo cugino, cosa che divertiva, dietro il viso di granito, Girolamo abbastanza. Carlo anche pareva volersi immischiare anche lui nella conversazione, giusto per tormentare la piccola Fogliani. Mentre mangiava formaggio giallo, Caterina aveva riso davvero divertita all’intera scena, impudente, al fianco  di Lupo Mercuri, che aveva voltato gli occhi alquanto confuso ed inorridito dalle libertà di quella bambina.  Girolamo volse gli occhi verso il Duca e si accorse che quel pingue maiale lo guardava compiaciuto. Forse pensava che l’aver tenuto per tempo gli occhi sospesi su Caterina, volesse dire che l’avrebbe sposata. Allora discretamente cercò la fiera Gabriella, che spizzicava salsicce, tra il marito ed il figlio maggiore. Sollevò appena lo sguardo verso di lui, ma non tradì il che ben minimo sentimento, rimanendo come lui di puro ferro.

Nelle sue dimore, nel cuore della notte, con la fioca luce della candela, Girolamo aveva potuto aprire le lettere. La prima fu quella del Santo Padre, parole scritte di fretta e nulla più di ordini urlati su carta anziché nelle sue stanze. Ed una richiesta che lo nauseò parecchio.  Sua eminenza desiderava che lui indispettisse come meglio poteva Madonna Gonzaga. Nella lettera non era scritto nero su bianco che dovesse farlo per interrompere le trattative del matrimonio o che dovesse prendere in sposa la bastarda milanese, c’era semplicemente scritto che il resto era a sua discrezione e che sua Santità confidava molto in lui. Letta la lettera, ne diede fuoco, riducendola in null’altro che cenere. Poi prese la lettera che Raffaele aveva portato, quella che veniva dal neo vescovo di Catania, da Giuliano. Strappò la cera lacca rossa, senza alcuno stemma, e tirò fuori la lettera. La carta era ingiallita, così come l’inchiostro sbiadito, troppo vecchio per essere scritto da poco, la grafia era ordinata, tondeggiante ed incredibilmente famigliare. Nessuna firma, ne nessun destinatario. La scrittura non era italiana ne latina, neanche greca,  era lingua semitica. Riario fissò la lettera, senza provare a leggerne davvero le parole, erano solo linee grigie su un foglio giallo, che sembravano spaventarlo più di qualsiasi altra cosa. Il Santo Padre,  la buon anima di Paolo e suo zio, si erano occupati di insegnarli le lingue, perché fosse istruito. Lui e Giuliano avevano imparato assieme, ma ora sembrava che tutte le sue nozioni si fossero estinte.

Quando cominciò a leggere le parole, si rese conto che era ciò che più temeva. “Il tuo Re dei Giudei, amore mio, fu venduto per trenta talenti d’argento. Concedimi il tuo perdono, se ti è possibile, il mio prezzo è stato infinitamente più alto: La volta celeste.” Mormorò a mezzavoce guardando quel primo periodo.  Possibile che dopo un anno di vuoto silenzio, senza poter arrivare ad alcun progresso, Giuliano avesse scoperto finalmente qualcosa sul libro delle lamine? Si sedé sul letto livido, continuando a leggere le parole sul foglio di carta ingiallita, “Ho nascosto ciò che avevo di più caro, dove non sarà trovabile” aveva ripreso Girolamo a leggere, “E perdonami ancora, amore mio, specialmente perché queste saranno le ultime parole che ci scambieremo” un lungo attimo di silenzio, Girolamo lesse le restanti parole con gli occhi. Era la lettera di sua suicida, che dedicava ad il suo unico amore i suoi ultimi pensieri, dedicati nei ricordi, nel dolce sentimento sollazzevole che era fiorito in un estate calda e morto nel freddo dell’inverno ed ancora una volta chiedeva perdono. Il conte avrebbe dovuto bruciare quella lettera, più di quanto avrebbe dovuto liberarsi di quella del Santo Padre, ma questa volta sembrò più difficile.

Nascose la lettera sotto la veste e chiamò Grunwald. “Ditemi mio signore” aveva detto quello, con voce impastata dal sonno, “Fate immediatamente venire, mio cugino” aveva detto con voce sottile. Grunald era arrivato dopo con un Raffaele con indosso una bianca vestaglia, “Mi riposavo per la caccia, Girolamo, spero tu abbia scuse” aveva bisbigliato il ragazzino, continuando a sfregarsi gli occhi. Riario lgli aveva aperto la porta e fatto accomodare, prima di lasciare il capitano delle guardie fuori. “Cosa sai della lettera di Della Rovere?” aveva domandato con una grinza di rabbia negli occhi, “Nulla. Di ritorno dal Ghetto ebreo me l’ha consegnata per te” aveva risposto Raffaele leggermente a disaggio, “Si è sussurrato che Giuliano venisse dalla casa dell’Usurario” aveva detto quello dopo un lungo silenzio, “Lisimacus?” aveva domandato lui apprensivo, “E come posso saperlo?” aveva domandato retorico il ragazzino. A quel punto il Conte aveva desiderato trovarsi a Roma o a Catania, dove avrebbe potuto raggiungere di fretta il cugino per poter chiarire ogni dubbio, “Lisimacus?” aveva domandato comunque Raffaele, “Non era il cognome di quella giudea suicida l’anno scorso?” aveva chiesto ingenuamente il ragazzino, “Non ricordo perché fosse così importante, ma a Castel Santangelo se ne parlò molto” aveva enunciato alla fine. “Va via, cugino, va a dormire” aveva detto sterile Girolamo, aprendoli la porta della stanza, quello era uscito senza emettere commenti e tenendosi per se i pareri degli ambigui comportamenti del cugino.

Girolamo estrasse ancora la lettera da sotto i vestimenti e cercò in quelle parole la giudea suicida, rilesse la lettera, ma nella sua mente la voce era un dolce musicale suono. E si rese conto che era la lettera d’addio per questo mondo di Clelia Lisimacus. Era certo che avrebbe dovuto bruciarla, che avrebbe dovuto dar fuoco all’intero quartiere dove aveva abitato, uccidere la sua intera famiglia e dissacrare la sua tomba ed invece rimase a leggere quelle parole ancora ed ancora.

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