In Between Days di CleaCassandra (/viewuser.php?uid=24724)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Patron Saint Of Liars And Fakes ***
Capitolo 2: *** Let The Flames Begin ***
Capitolo 3: *** I'm Amazed ***
Capitolo 4: *** Things Behind The Sun ***
Capitolo 5: *** Anywhere I Lay My Head ***
Capitolo 6: *** This Charming Man ***
Capitolo 7: *** Two Suns In The Sunset ***
Capitolo 8: *** (She's In A) Bad Mood ***
Capitolo 9: *** What I Would Say To You Now ***
Capitolo 10: *** Moonage Daydream ***
Capitolo 11: *** Breaking The Habit ***
Capitolo 12: *** Psycho Holiday ***
Capitolo 13: *** Follow And Feel ***
Capitolo 14: *** Little Sister ***
Capitolo 1 *** The Patron Saint Of Liars And Fakes ***
Chapter 01 - The Patron Saint Of Liars And
Fakes
Ci sono diverse cose di cui i miei genitori non sono a conoscenza.
Ad esempio, non sanno che quando avevo quattro, o forse erano cinque,
anni ho picchiato il mio amichetto del parco giochi. In
realtà non ricordo nemmeno che faccia avesse, o il suo
nome…boh, forse Bruce, o Billy, Bob, non
so…ricordo solo che c’era una B di mezzo.
Fu una scena quasi comica: ci pestammo, da bravi discoli, per il
possesso di un’altalena, manco a dirlo la più
bella, quella che non emetteva il minimo cigolìo, ma
soprattutto l’unica del parchetto; e nessuno a dividerci.
Eravamo solo io e lui, quella mattina.
Dopo i pianti e gli strepiti di circostanza, però, accadde
che il bimbo farfugliò che non avremmo dovuto dire nulla
della nostra scaramuccia ai rispettivi genitori. La promessa che ci
scambiammo era così solenne che non me la sentii di venirle
meno, e così mantenni la parola. A quanto pare anche lui,
visto che nessuno venne a reclamare alla nostra porta che
“quella furia di tua figlia ha mollato un cazzotto al mio
bambino!”, o comunque qualcosa di simile. Diciamo che avevamo
entrambi dei vantaggi da trarre: io non sarei dovuta andare a testa a
bassa a chiedere scusa, e lui non sarebbe stato tacciato già
così presto di essere una specie di checca. Ovviamente,
queste cose, due bambini di quattro o cinque anni non le sfiorano
nemmeno col pensiero.
Quanto ai lividi, che inevitabilmente mi ero procurata…
“Sono caduta dallo scivolo”.
Caso archiviato.
Ma fosse solo questo, ciò di cui i miei sono
all’oscuro.
Non sanno che fumo da quando avevo quindici anni, e che la prima
sigaretta, una Lucky Strike, me lo ricordo come se fosse ieri, me la
offrì proprio Dharma, nel bagno della scuola. Se lo
sapessero, smetterebbero di idolatrarla. La adorano, letteralmente,
come se mi avesse portato chissà quale salvezza, ai loro
occhi. In realtà se c’è qualcuno che
deve essere legittimato ad adorarla, beh, quel qualcuno sono io. Mi ha
salvato da loro, non è cosa da poco.
Ma non voglio smontare le loro convinzioni, forse perché ho
paura di un non del tutto improbabile effetto
‘domino’, che contribuisca a far crollare anche le
mie, ed è per questo che tutte le assenze che facevamo, a
giro per caffè, e poi in libreria, o nei negozi di dischi, o
quelli di strumenti musicali, dove rimanevo fissa davanti alla parete
delle chitarre, sono pressoché sconosciute agli abitanti di
casa Root. Sì, sempre loro. I miei genitori.
Le chitarre potevo soltanto stare a guardarle. Non avevo soldi per
prendermene una, e ai miei questo genere di cose non sono mai piaciute,
per cui non avrebbero mai acconsentito a compramene una. Lo so
perché chiedevo di continuo, più o meno
velatamente.
“Mi piacerebbe imparare a suonare la
chitarra…”
“Scordatelo.”
Col passare del tempo nemmeno lasciavano che la mia timida richiesta
finisse di fluire dalla bocca. Mi fermavano al ‘mi
piacerebbe’, ma che potevo farci. Sono sempre stati un
po’ all’antica, e spartani nella condotta di vita,
strana abitudine per dove abitavamo, e non sono mai stata quel genere
di persona io, decisamente, per cui cercavo di arrangiarmi come potevo
e , devo dire, è andata benissimo. Ormai sono anni che
lavoro nel negozio di Mike, qui a Brooklyn, e questo, almeno, lo sanno.
Non è che approvino, ma sul lavoro non si discute: lo so che
avrebbero voluto che studiassi per diventare architetto, ma proprio non
ci sono portata, e così, ovviamente, si prende quello che
capita. Devo dire che il mio è un impiego altamente
invidiabile, voglio dire, paga ottima, orario part-time, che diventa
full quando Mike non sta bene, posso mettere la musica che voglio, e
starmene circondata da dischi di ogni tipo, vinili, cd, dvd.
È il paradiso.
Beh, sì, non l’avevo specificato, è un
negozio di dischi, di quelli vecchio stile, un po’
bugigattolo stipato all’inverosimile di materiale e col
retrobottega perennemente in disordine.
Adoro quel posto. Quando non girano molti clienti puoi anche fermarti a
pensare, magari davanti a un frappuccino di Starbucks e con i Pink
Floyd di sottofondo. E se sei incazzato, puoi sparare i Metallica, o i
Pantera, gli Anthrax, o chiunque altro per loro, e Mike non dice
niente, non batte ciglio, perché a lui la musica piace
tutta, e non discuterà mai i tuoi gusti, anche se dentro di
sé potrebbe pensare che siano privi di spessore, o dettati
dalla moda del momento. Però te lo fa capire
perché, tempo mezz’ora, e ti passa un album a
caso, di quelli che preferisce, e sussurra: “Te lo scalo
dalla paga. Ascoltatelo, merita.”
La prima volta è successo quando ho avuto
l’azzardo di dire che gli Strokes non sono poi
così male.
Mi ha detratto i Velvet Underground. I primi due. Quello della banana
di Andy Warhol in copertina, e White Light / White Heat. E io mi fido
di lui, così quando sono tornata a casa li ho messi, uno
dopo l’altro, nello stereo, e gli Strokes mi sono sembrati
una cagata, in confronto.
Devo molto, a Mike. Mi ha dato un lavoro, consentendomi così
di non rubare più dischi a giro (c’è da
dirlo? Vabbè, sì. Anche questa è una
cosa che sfugge ai miei.), di andare a vivere da sola, o meglio, con
Dharma, il suo gatto e il suo basso, e di comprarmi quella bella
chitarra che mi folgorò anni prima, e che adesso mi vanto di
saper suonare quanto basta per far parte di una band e non fare figure
di merda durante i live.
Tutto questo grazie a lui, e a Ronnie.
Veronica. Sua sorella.
Lei sì che sa suonare, cavolo. E infatti ho approfittato, e
mi sono fatta insegnare le nozioni fondamentali. Si stupì
anche lei dei progressi e la determinazione che acquisivo col tempo, e
mi spronava in tutti modi. Mi ha anche portato a comprare la chitarra.
Una Epiphone Les Paul, di un lucido e brillante blu elettrico. Sono
talmente innamorata della mia sei corde che ci dormirei anche, ma, dato
il mio sonno turbolento, non è un’idea da
contemplare, se non come una fantasia piuttosto divertente.
“Leslie, io dico che sei pronta” mi disse, quel
giorno. In quel momento stavo provando una Fender, credo fosse una
Telecaster.
“A fare che?” le chiesi, distogliendo la mia
attenzione dallo strumento e fissandola piuttosto sbalestrata.
“A suonare in una band, che domande!”
“Beh, se non specifichi…non sono mica
telepatica…e comunque con chi suonerei, che siamo solo io e
Dharma? Manca tutto il resto.”
“Non è proprio esatto…”
“Ah…quindi?” continuavo a chiedere, con
la faccia stolida.
“Avete anche un’altra chitarra” rispose,
finalmente, indicandosi.
“E il tuo gruppo? Aspetta,
eh….com’è che vi chiamate?”
“Heaven Is Good For Heroes…eh, Leslie, siamo in
rotta.”
“Ah sì?” esclamai, sbigottita. Ronnie
annuì, e nulla più.
“Dunque abbiamo bisogno solo di una voce e una
batteria!”
“Abbiamo anche la batteria. Charlie ha detto che sarebbe un
piacere, per lei, continuare a suonare con me.”
“Grandioso” farfugliai, sfiorando distrattamente le
corde della Telecaster, o quello che era.
“Però voglio un nome migliore per la band, non
offenderti, Ronnie, ma quel coso fa veramente pena!”
affermai, e lei rise. Posai la Fender e mi concentrai su quella
Epiphone. Una Gibson mi sembrava ancora troppo, per il mio livello. La
provai, me ne innamorai, la portai a casa e accarezzai le sue corde
tutta la notte, tanto che Dharma, ormai arresasi alla prospettiva di
non chiudere occhio almeno fino a che non fossi andata a lavorare,
prese il basso e si mise a suonare con me. Una bella jam session, a
essere sinceri.
È passato un anno e mezzo, da quel giorno. Stiamo suonando
un po’ a giro per la città, e anche nei dintorni,
New Jersey e posti del genere, e staremmo anche cercando di incidere
qualche pezzo, tra la valanga di quelli che abbiamo scritto, ma la
quantità di soldi che abbiamo è quella che
è, per cui ancora nulla di fatto.
E così, ho una band.
Ma, ovviamente, i miei ancora non lo sanno.
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Capitolo 2 *** Let The Flames Begin ***
wiiiiiii,
grazie per le recensioni *O*
Chapter 02 - Let The Flames Begin
Le settimane sono passate così, come un fiume che scorre,
nella routine. Sì, insomma, mattinate a lavoro, affogata dai
bicchieri vuoti del caffè, l’umore piuttosto
tranquillo, a giudicare dai dischi che ho messo, le prove un giorno
sì e uno no, come sempre, ormai.
Il primo giorno avevamo fatto decisamente macello. Personalmente non
ero abituata a suonare con qualcun altro, a differenza di Dharma, che
anche quando abitavamo coi nostri genitori ha sempre suonato qua e
là. Ronnie mi incoraggiava, al solito, però mi
sentivo tesa, e anche la tacita presenza di Charlotte non mi aiutava
davvero. Dio, quanto è silenziosa quella ragazza. Timida
all’inverosimile. Mi faceva nascere spontaneo
l’impulso di rompere il ghiaccio, usando però
delle battute assolutamente scadenti.
Bella atmosfera, decisamente. Per fortuna che Dharma prese in mano la
situazione e sbottò con un sonoro “E allora?
Vogliamo starci a guardare nelle palle degli occhi per tutte e due le
ore che abbiamo affittato questa topaia?”
Beh, che ci crediate o no, mi ha risvegliato, come se prima fossi in
trance ipnotica.
“Io direi che per vedere se siamo in sintonia dovremmo
suonare qualcosa che conosciamo tutte!” esclamai, di nuovo
piena di entusiasmo.
“Potremmo fare un pezzo dei nostri…”
azzardò Charlotte, con una vocina flebile. Sembrava essere
scomparsa completamente dietro la batteria, e certo il suo fisico
mingherlino la aiutava notevolmente a produrre questo effetto.
“Ah, no, io non faccio cover dei pezzi che suonano gli amici!
Per principio” affermò Dharma, serissima.
“Vuol dire che non sai nemmeno suonarli, questi
pezzi?”
“Ovvio, Les. Mi sembra di fare un plagio”
“Ma che logica del cazzo!” borbotto
“Allora? Un gruppo che piaccia a tutte e quattro e di cui
sappiamo suonare qualcosa?”
Iniziò Ronnie.
“Allora, a me piacciono gli Anthrax, gli Iron Maiden, gli
Avenged Sevenfold…” elencò, contando
sulle dita della mano.
“Ma che robaccia!” sbottò Dharma.
“Ma dai, i Maiden non sono male, presi a piccole
dosi…” sghignazzai “certo è
roba difficile” ammisi infine.
“E sentiamo...a te, Dharma, cosa piace?” la
apostrofò Ronnie, sarcastica.
Cominciò a snocciolare nomi su nomi, tutta roba che ero ben
lontana dal voler suonare. Per carità, i Jefferson Airplane,
o Bright Eyes, mi piacciono, ma avrei voluto qualcosa di più
energico.
Qualcosa di potente, particolare, anche innovativo, che si avvicinasse
al sound ideale, quello che fa sì che la gente si ricordi di
un gruppo.
“I Muse?” me ne uscii all’improvviso,
accorgendomi che nello stesso istante anche la piccola Charlie aveva
avuto la mia stessa idea.
Stranamente, fummo tutte d’accordo, e allora iniziammo a
suonare New Born. Ok, iniziare iniziammo, ma nessuna iniziò
a cantare. Ci inchiodammo, nel medesimo istante, come soldatini.
“Ehm…c’è un
problema…” mormorò Charlie.
“CHI CANTA?” esclamammo in coro.
Ecco come fu effettuata la scelta.
Charlotte: "Ho poca voce, e comunque devo stare dietro alla
batteria..." (in tutti i sensi.)
Dharma: "Ma vogliamo scherzare? Sono stonata come un campanaccio!"
Ronnie: "Devo fare gli assoli, non riesco anche a gridare nel microfono
per tutta la durata di un pezzo. Al massimo posso fare i
controcanti.”
Ecco cosa vuol dire nascere con una voce niente male. Ecco cosa vuol
dire portarsi nel gruppo la propria migliore amica, che conosce ogni
cosa di te, anche meglio di te.
Insomma, toccò a me quest’incombenza. Anche
perché, quando giunse il mio momento, non riuscii a
obiettare nulla.
“Dai che sei brava!” mi esortò Dharma.
Fanculo. Ma seriamente, fanculo. Io volevo suonare la chitarra, mica
spaccare i timpani a quei poveri scemi che verranno a sentirci suonare.
Non potevo farci più niente però,
perché quella cover di New Born venne bene anche grazie alla
mia voce, e quindi fu ufficiale.
Io avrei cantato e suonato la chitarra.
Il nome del gruppo…beh, quello ancora non era venuto fuori.
Era bellissimo quando i gestori dei vari locali ci chiedevano il nome.
Ci guardavamo tra noi, facce stolide e disarmate, e facevamo spallucce.
Questo almeno le prime volte, quando ci accorgemmo che in quel modo non
avremmo mai ottenuto di suonare, nemmeno nelle peggiori bettole.
Escogitai un piano d’emergenza, in attesa di tempi migliori.
Fu un’intuizione felice e fulminante, perché
eravamo ancora davanti a un gestore di una live house dalle parti del
centro di Mahnattan, e mi ero francamente scocciata di alzare le spalle
con fare imbarazzato.
“Il vostro nome quale sarebbe?”
Ci guardammo negli occhi, e capii che avrei dovuto dire qualcosa di
intelligente per non ottenere lo stesso epilogo.
“Eh, sapessi, è un nome così stupido e
senza senso che ci vergogniamo a dirlo…”
Ronnie mi guardò basita, Dharma era persa nel suo mondo
fluttuante e Charlie taceva, ma aveva capito che era ora di cambiare
copione, e implicitamente mi stava ringraziando.
“E sentiamo, io sono curioso di saperlo!”
esclamò il tizio, sorridendo. Un ragazzo giovane,
avrà avuto…hm…trent’anni? Ma
forse anche meno. Molto carino, tra l’altro.
“Ah, bene…ci
chiamiamo…parentesiquadrapuntinipuntinipuntinichiusaparentesiquadra!”
sbottai, tutto d’un fiato.
Qualcosa di intelligente, eh? Oh, non importava. Stavo andando
completamente a improvvisazione.
Il tizio sembrava stupito ma non si scompose più di tanto,
insomma, forse stava andando tutto liscio.
E cazzarola, proprio in quel momento non si risvegliò Dharma
dal suo letargo cerebrale?
“Ma che cazzo dici, Les!” esplose, di colpo.
Charlie, che aveva capito tutto, le mollò una gomitata e le
fece cenno di tacere, una buona volta.
Brava, piccolina.
Grazie al mio clamoroso bluff però iniziammo a fare serate
per New York, e presto iniziammo ad allargarci verso Trenton e il New
Jersey. Certo, il nome era brutto, anche idiota, perché come
fai a pronunciare […] senza incartarti prima, o sembrare un
perfetto imbecille? Però provvisoriamente andava benissimo.
Il nome vero, quello con cui avremmo iniziato a farci conoscere a giro,
e con cui avremmo inciso il nostro EP di lì a qualche
settimana, sopraggiunse, come tutte le cose migliori, per puro caso.
Qualche giorno dopo vidi la porta del Countryhouse (perché
questo nome? Beh, a Mike piace il brit-pop. Soprattutto i Blur.)
aprirsi, e una figura familiare farsi avanti.
“Charlotte!”
“Ehi!” rispose, sorridendo e scuotendo la sua
testolina bionda in segno di saluto.
“Posso…posso dare un’occhiata?”
“Me lo chiedi anche?”
“Beh, sì…” arrossì.
“Non c’è problema, fai pure!”
Quanto è timida.
Però, in quell’ambiente, sembrava perfettamente a
suo agio, libera da quella patina di riserbo che la contraddistingue
sempre, la differenzia da noi, tre casinare all’ennesima
potenza. La sua tacita presenza è un elemento fondamentale
per il nostro equilibrio. Siamo tre personalità forti, ma
lei, col suo silenzio, la sua discrezione e il suo parlare solo quando
ce n’è realmente bisogno, è
più forte di tutte noi messe insieme, perché ci
tiene cementate, ci aiuta a catalizzare la nostra energia in qualcosa
di concreto e non dispersivo.
Ma vederla esaltata e sentirla lanciare gridolini di approvazione e
adorazione per i dischi che prendeva in mano e scrutava con
curiosità maniacale, mi fece capire che c’era un
lato che non conoscevo, di quella piccola ragazza che suona la batteria
nella mia band.
Lei ama quello che fa. Suona con devozione, perché
è nata per fare quello, quasi come se, appena in fasce, le
avessero messo le bacchette tra le manine. E quest’amore
viscerale si vedeva anche da come spulciava i dischi.
“Waaaaah, i Queen, On Fire!” gorgheggiò,
voltandosi verso di me, e sventolando un vinile tra le mani.
Mi persi quella virgola, e le risposi: “Queen On Fire? E chi
sono?”
“No, il disco è dei Queen, s’intitola On
Fire, è un live…” spiegò,
paziente. Ma qualcosa, nella mia testolina bacata, stava già
iniziando a muoversi. E le mie labbra si muovevano
all’unisono coi miei neuroni, mormorando come un mantra
quell’associazione di idee.
“Queen on fire…queen on
fire…Charlie!”
Trasalì, e si voltò, anche perché
prima di quel momento l'avevo sempre chiamata col nome intero,
raggiungendomi al bancone. Lo sguardo dubbioso, in attesa di una
risposta che non fosse bislacca come le mie solite.
“Potremmo chiamarci Queen On Fire, ti piace?”
Riflettè, poi annuì, sorridendo.
“Oggi alle prove lo proponiamo anche a Ronnie e
Dharma” confermò, sorridendo con quella dolcezza
che solo lei poteva avere, tra tutte le persone di mia conoscenza.
A Veronica piacque, a Dharma un po’ meno. Le sembrava troppo
banale, ma convenne sul fatto fosse meglio di […],
così acconsentì anche lei.
Avevamo anche un nome, perlomeno, un nome decente.
Le cose apparivano dannatamente facili, così tanto da non
farci nemmeno destare una minima preoccupazione del futuro. Ce
l’avremmo fatta, e basta.
Ma quell’imprevisto che è arrivato come un fulmine a
ciel sereno ha cambiato completamente la mia prospettiva di vita,
e mi ha fatto rivalutare alcuni concetti.
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Capitolo 3 *** I'm Amazed ***
e
commentate di più >.< per favoreee ;O;/\
Chapter 03 - I'm
Amazed
È fastidioso, vero, quando qualcuno vi mente, o vi tiene
nascoste alcune cose?
Non me ne ero mai resa conto prima di ieri.
La giornata è partita come al solito, da quando lavoro da
Mike: mi sono alzata, ancora più cisposa del solito
perché facciamo le ore piccole a suonare, e avrebbe
continuato a scorrere normale, se non fosse che sono andata a sbattere
contro lo stipite della porta del bagno, non vedendo dove stavo andando.
“Oh, fuonfiorno Lef!” ho sentito. Dharma era
pimpante, impegnata con zelo a lavarsi i denti. Le ho grugnito qualcosa
di incomprensibile e mi sono buttata in direzione della cucina,
stranamente senza usare più di tanto il senso della vista.
Appena entrata, ho aperto gli occhi, dopo essere stata un pezzo a
stropicciarmeli, perché non ne volevano proprio sapere di
fare a cazzotti con la luce del sole, e mi sono diretta subito al
frigorifero. Ho bevuto un boccale di succo di frutta, mi sono lavata,
perché nel frattempo s’era liberato il bagno, mi
sono messa qualche vestito a caso e sono uscita, in direzione del
negozio. Poi sono tornata indietro. La felpa a righe era sporca, e non
me ne ero accorta.
Insomma, alla fine ce l’avevo fatta ad arrivare. Praticamente
ad occhi chiusi, vestita come una disgraziata, ma ero al lavoro.
“Ho bisogno di una bella sveglia” borbottavo tra me
e me, mentre accendevo le luci. Controllato che fosse tutto a posto,
sono andata nel retrobottega, dove Mike tiene i cd che mettiamo come
sottofondo, e ho scelto i Mindless Self Indulgence, "così mi
sveglio come si deve!" ho esclamato risoluta.
Tempo dieci minuti, e ho virato sconsolata su Tori Amos, che mi avrebbe
tenuta ancora un po’ avvolta nel mio accogliente torpore.
La mattinata è trascorsa come sempre, quindi pochi clienti,
la visita di Ronnie delle dieci in punto, almeno quattro o cinque cambi
di dischi, più spesso imputabili alla noia che
all’effettiva fine del long playing, e un paio di frappuccini
dello Starbucks di fronte al Countryhouse. Ma ieri, non so, forse
sentivo qualcosa nell’aria, fatto sta che ero più
nervosa che mai, e quando Veronica ha aperto la porta del negozio ero
già al quarto cambio di disco: dopo Tori Amos, che era il
secondo, i Cure, e poi Dr. Feelgood, dei Motley Crue. Precisamente,
nell’esatto momento in cui è entrata, suonava
Kickstart My Heart. La mia preferita.
“Nervosetta stamani?” è stato il suo
saluto. A volte ritengo sconcertante la sua capacità di
capire cosa mi frulli in testa vedendomi e basta.
“Hm?”
“No, è che non metti mai qualcosa di metal, a meno
che non ti girino le balle” ha spiegato.
“Sì, devo dire che hai ragione” ho
bofonchiato “ma non è che mi girino
proprio…è un altro affare.”
“E allora, dì tutto a Ronnie tua, cosa
c’è che ti inquieta a quest’ora del
mattino?”
Col suo tono finto solenne è riuscita a strapparmi un
sorriso.
“Ma guarda, a essere sincera non lo so. È come se
dovesse succedermi qualcosa di…non tragico, nemmeno
particolarmente negativo…e che cavolo, non mi so
spiegare!”
“Dunque, non è tragico, nemmeno
negativo…qualcosa di evitabile, allora?”
“Ma neanche…è
più…”
“Potrebbe rovinarti la giornata?” mi ha interrotto.
“Ma che ne so”
“Uhm…allora…qualcosa di
positivo!”
“No, proprio no” ho detto, scuotendo energicamente
la testa.
“Un dejà-vu?”
“Ma no!”
“Qualcosa di talmente assurdo da sembrare irreale?”
“Ecco.”
“Beh, direi che è presto per preoccuparsi, sono le
dieci e mezza e hai tutta la giornata davanti, finirai per rovinartela
davvero” ha affermato, serissima.
“Ma magari questa cosa potrebbe arrivare anche adesso, devo
prepararmi!”
“Naaah, prendila come viene!”
“S…sicura?”
“Ovvio che sì!”
“Bah, mi fido, dai!” ho concluso, sorridendo.
Però è facile, a parole, fissarsi un proposito da
seguire. Meno facile è applicarlo nei fatti.
Intanto, per convincermi che ce l’avrei potuta fare, ho
cambiato il disco, e ho messo i Foo Fighters, giusto per farmi elargire
una sana botta di energia ottimista (e un po’ anche
perché i Motley mi erano venuti a noia), e mi sono messa a
riordinare un po’ sul bancone, notando un giornale che non
avevo ancora visto, così l’ho preso e mi sono
messa a sfogliarlo, mentre Ronnie trafficava in mezzo ai vinili, poi
l’ho posato di scatto.
“Puoi stare qui cinque minuti? Vado a prendermi un
frappuccino, vuoi qualcosa?”
“Un caffè lungo, grazie” e non sono
stata nemmeno a sentire il ’grazie’, che ero
già fuori ad aspettare di attraversare. Una sequela infinita
di automobili mi stava separando dal mio frappuccino, e la cosa non mi
andava molto a genio, anzi stava facendo cadere ogni mio proposito di
rendere positiva l’attesa di quel qualcosa che sapevo sarebbe
arrivato, ma di cui, purtroppo, ignoravo le spoglie, mentite o meno che
fossero.
Una volta di là, sono entrata dentro Starbucks, e in cinque
minuti i bicchieri erano tra le mie mani, fumanti, tiepidi e emananti
un profumino invidiabile di caffè.
Tornata in negozio, mi sono riposizionata dietro il bancone, a
sfogliare il giornale, per recuperare un attimo di lucidità.
“Toh, è il New York Times di ieri…deve
averlo preso Mike” ho bofonchiato, affondando metà
faccia nel bicchiere di carta.
Leggevo e sorseggiavo, sorseggiavo e leggevo, e le pagine del
quotidiano scorrevano sotto i miei occhi nella loro austera
solennità.
Sono arrivata alle pagine della cultura, in cerca di qualche mostra
interessante in quel di New York, ma ho visto una cosa che mi ha fatto
andare di traverso il beverone che ormai stavo trangugiando con ingorda
avidità, e che me lo faceva distribuire a intervalli nemmeno
poi così regolari tutt’intorno a me.
“Les, che succede?” mi ha chiesto una giustamente
allarmata Ronnie. E tra un colpo di tosse e l’altro, incapace
di formulare alcunché di differente da gutturali
esternazioni scomposte, le indico la pagina del giornale.
“La giovane fotografa Angelica Smitherson presenta la sua
mostra al museo di arte contemporanea di Los
Angeles…” ha letto ad alta voce, rivolgendomisi,
poi, e guardandomi storta: “E quindi? Siamo a New York,
dall’altra parte degli Stati Uniti!”
Finalmente mi ero ripresa, e riuscivo ad articolare suoni di senso
compiuto.
“Guarda la foto. Guarda lei.”
L’ha fissata, a lungo. Poi ha alzato lo sguardo.
“Okay, ho fatto, e quindi?”
“Guarda me.”
“Hm. Okay. Cosa devo concludere?”
“Vediamo se ci arrivi.”
“Vi somigliate, però...” ha osservato.
“E basta?”
“No, direi che siete proprio uguali...” ha
concluso, meditabonda, poi s'è voltata di scatto in mia
direzione e ha urlato “CAZZO SIETE UGUALI!”,
facendomi saltare sullo sgabello.
“Ecco, lì ti volevo far arrivare” ho
affermato poi, ricomponendomi con una tranquillità a dir
poco inquietante.
“Sì, ma…no, dai. Voglio dire,
sarà un caso, che vi somigliate
così…”
“E mettiamo sia un caso. Ma sono uguale, non può
essere un caso! E poi, guarda” ho detto, indicandole uno
stralcio dell’articolo “ha la stessa età
mia!”
“Non potrebbero essere tutte coincidenze? E poi tu nemmeno
fai Smitherson di cognome…”
“E CHE C’ENTRA?!” sono sbottata. Ronnie
ha tentato di calmarmi, ma niente da fare: credevo che l’aver
visto quella foto, di quella tizia così simile a me, fosse
la faccenda così assurda che mi aspettavo accadesse. In
realtà era soltanto, come dire, l’antipasto.
Perché a volte la realtà può essere
molto, molto surreale. L’esatto contrario di ciò
che vorrebbe far credere di essere.
Sono riuscita a rientrare nei ranghi, almeno fino a mezzogiorno. Fino a
che il mio cellulare non ha iniziato a squillare.
Mia madre.
È da quando abito a New York che mi chiama, ogni giorno,
puntuale, alle dodici.
“Leslie...”
“Mamma buongiorno! Ho una sorella gemella per
caso?” ho esordito la conversazione, con un'insolita brio
nella voce.
“Eh?” ha chiesto, chiaramente sbalestrata.
“Ehi, scherzavo, volevo vedere se ti avrei colto alla
sprovvista o meno!" l'ho rassicurata, ma con la piena convinzione che
stessi parlando a me stessa, in quel momento.
Lei taceva, dall'altra parte della linea. Taceva, e quel silenzio non
mi piaceva nemmeno un po'.
"Mamma?"
“Sì, ci sono...a dire il vero avrei dovuto
dirtelo…"
"Cosa?" ho chiesto, sovrappensiero, ricollegando poi il tutto.
"Non dirai davvero sul serio, mamma!"
"Oh, cavolo, Les, è difficile, sai, e tuo padre nemmeno
voleva che te lo dicessi, ma sei grande, e so che
capirai….si chiama”
“Angelica Smitherson?”
“E come lo sai? Io credevo tu scherzassi, prima!”
mi ha chiesto, esterrefatta.
“Beh, in realtà ero serissima. Ho visto la sua
foto sul giornale, sta allestendo una sua mostra al museo,
lì, a LA…”
“Ah. Non lo sapevo.”
“Beh, ora lo sai!" ho esclamato, non riuscendo a capire se
con allegria o con acido sarcasmo. Poi il mio tono di voce
s'è incupito di colpo.
"Perché non mi avete detto nulla tu e
papà?”
“Santo cielo, Les, mi cogli alla sprovvista,
così…avrei tanto da dirti, e abbiamo
così poco tempo per sentirci…”
“Mamma, non importa. Ne parleremo molto presto, e avremmo un
casino di tempo. Ciao, ti voglio bene.” E ho riattaccato,
secca, senza aspettare sue risposte. Poi ho guardato Ronnie a fondo
negli occhi.
“È vero. Le mie paranoie erano fondate.”
Mi ha fissato, a lungo, torturandosi le labbra in una serie infinita di
morsi. Non sapeva cosa dirmi, era evidente.
“Dici che tuo fratello si incazzerà se ti chiedo
di coprire il mio turno per qualche giorno?”
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Capitolo 4 *** Things Behind The Sun ***
vabbè,
anche se i commenti sono sempre pochinini così, grazie lo
stesso *O*
Chapter 04 - Things Behind The Sun
Beh, se non altro ho avuto la conferma di non essere la sola a
nascondere le cose.
La notizia era abbastanza assurda, ma che dico, lo è ancora,
solo che ieri, a mente caldissima, non ero in grado di formulare alcune
domande fondamentali, quelle che i giornalisti usano quando devono
redarre un articolo, quelle che vengono chiamate ‘le cinque
W’.
Who? Chi?
What? Cosa?
Where? Dove?
When? Quando?
Why? Perchè?
Alla prima c’ero. Io, Leslie Michelle Root, i miei genitori,
Alison e Jonathan Root, e questa Angelica Smitherson, che mi somiglia
come una goccia d’acqua. Era abbastanza a posto anche la
seconda: ridotto in termini semplicistici, a quasi ventiquattro anni
scopro di avere una sorella gemella, che è una fotografa
professionista e fa già mostre nei musei, ed è
probabilmente già piuttosto affermata, nonostante la giovane
età, sennò non mi spiegherei come sia riuscita a
finire persino sul New York Times. La terza, sarebbe stata un
po’ da interpretare. Dove cosa? Dov’è
lei? A Los Angeles, presumo. Dove sono io? Fino a ieri, a New York.
Dove sono i miei? Se non hanno cambiato casa ancora una volta, abitano
a Stanton, contea di Orange, sì, quella piena di ricconi,
appena sotto Los Angeles.
Erano il quando e il perché a sfuggirmi. O meglio, il
quando, diciamo che probabilmente risale a quando ancora non avevo
memoria dei miei giorni, a quando i miei ricordi erano pappa,
pipì e pupù, e non erano catalogabili nelle
pieghe del mio piccolo e giovane cervello.
E il perché? Perché di cognome fa Smitherson, e
non Root, come me e mio padre? E, vabbè, si, anche mia
madre, una volta sposata. Perché non ne sapevo niente?
Perché me l’hanno nascosto finora e, se non
l’avessi scoperto per caso, probabilmente avrebbero
proseguito a oltranza?
A questo punto sono riuscita a pensarci solo in serata, ormai a
Stanton, mentre Dharma mi ha lasciata per tornare a Huntington, dalla
madre.
Sì, me la sono portata dietro. Avevo bisogno di un sostegno
amico, che mi conosca praticamente da una vita e che quindi sia
abituato ai miei soliloqui, senza doversi scomporre o sconvolgere.
Avevo bisogno di qualcuno che avesse condiviso la sua infanzia con la
mia, e soprattutto avevo bisogno di lei per non impazzire in un mondo
che non mi appartiene e a cui non appartengo.
Sono rientrata a casa prima del tempo, a mezzogiorno e mezzo.
"Che ci fai tu già qui?" è stato il saluto della
mia coinquilina. Nemmeno le ho risposto, impegnata com'ero a cercare
una valigia e infilarci dentro le mie cose a caso.
"Ehi, aspetta, dove vorresti andare?"
"Dharma, preparati, torniamo a casa."
"Ma ci siamo..." ha obiettato, per poi rendersi effettivamente conto di
cosa intendessi, parlando di 'casa'.
"No, cazzo!" ha sbottato di colpo. L'ho fissata torva.
"Cioè, io sto bene qui, perché dovremmo tornare
là? Proprio adesso che abbiamo anche una band!" ha
piagnucolato.
"Non è mica definitivo! Diciamo che ho bisogno di tornare a
casa qualche giorno..."
"E non sei preoccupata all'idea che tuo padre veda tutti i tatuaggi che
ti sei fatta? Quel piercing al labbro? E quello al sopracciglio?"
"E chi se ne frega! Ho una sorella gemella e me l'hanno nascosto, qual
è l'omissione più grave, secondo te?" ho urlato,
la voce quasi sul punto di rompersi, stridula, acuta, tesa. Come una
corda di violino che sta per strapparsi.
"Ma lo sai com'è tuo padre, no, che ha i suoi metri di
giudizio sballati e...no, aspetta, COSA HAI DETTO?"
"Ho-una-sorella-gemella-e-i-miei-me-l'hanno-sempre-nascosto. Contenta?
Se vuoi ti faccio anche lo spelling, eh"
L'ho vista schizzare nella sua stanza, e ho sentito rumori poco
rassicuranti.
"Che è caduto? Ti sei fatta male?"
E invece ha solo tirato giù la valigia e la stava riempiendo
di cose a casaccio, come me fino a qualche minuto prima.
"Vengo con te, ci mancherebbe altro!"
"E Zacky?"
"E Zacky...cazzo, hai ragione!" ha esclamato, concludendo, poi: "Oh
beh, dici che Ronnie ce lo terrà qualche giorno?"
"Speriamo, dai...oddio, già io le ho chiesto il favore di
sostituirmi in negozio..."
"Allora lo mollo a Charlie!"
"Ma è allergica!"
"Cazzo, è vero...e allora, niente, Ronnie, per forza..."
"Su, inizio a prepararla psicologicamente..." l'ho rassicurata, facendo
per prendere il telefono, ma Dharma mi ha fermato.
"Ci penso io, sennò un giorno ti squarterà
davvero!"
"Va beeeeeeene!" ho cantilenato, finendo per ridere, e tornare alla mia
valigia.
Nel giro di un paio d'ore abbiamo trovato un volo per Los Angeles,
così ci siamo precipitate da Ronnie, pregandola di
accompagnarci, riportare la macchina indietro e tenerci il gatto, e
abbiamo fatto una corsa a perdifiato per non perdere l'aereo,
perché, nonostante Ronnie andasse come una scheggia, eravamo
in ritardo mostruoso.
Ma adesso siamo a casa. E non so se la cosa mi faccia piacere o mi
inquieti.
"Cosa sono tutti quei bulloni in faccia?"
"Papà, sono solo due, e sono dei semplicissimi piercing..."
spiego, paziente.
"Te li sei fatti senza il mio permesso" incalza, la voce bassa e piatta.
"Papà, ho ventitre anni, e lavoro, posso spendere i miei
soldi come meglio credo..." ribadisco, cercando di non innervosirmi.
"E quei tatuaggi? Guardati, fai schifo! Chissà cos'avranno
pensato i vicini appena hanno visto che razza di figlia mi ritrovo!"
Qui, mi dispiace, ma la calma non riesco più a mantenerla.
Detesto quando si appella al senso comune di decoro, detesto quando
pensa a cosa potrebbero elucubrare degli estranei vedendomi. Detesto
pensare che basti nasconderle, le nefandezze, per mantenere delle
apparenze rispettabili. Magari il vicino ha messo delle corna
così grosse alla moglie che la poveretta nemmeno riesce
più a passare sotto la porta, e si punta il dito contro di
me, che ho solo avuto lo sghiribizzo di colorarmi un po' la pelle.
Che schifo.
"Ti rode perché non ti ho reso partecipe della mia vita da
quattro anni a questa parte, vero? Perché non sei riuscito
ad allungare i tuoi tentacoli sulla mia vita? Perché ti ho
nascosto due piercing e cinque tatuaggi? Tu mi hai nascosto una
sorella, papà, chi ha nascosto la cosa più
grossa, eh? Avanti, dimmelo, vediamo se hai ancora la faccia tosta di
ripararti dietro a queste stronzate!" scoppio.
E lo ammutolisco. Mia madre mi fissa, animata da non riesco a capire
quale sentimento nei miei confronti.
"Leslie, come ti salta in mente di accusarci così? Abbiamo
avuto le nostre ragioni, per farlo..." mormora, con calma.
"E allora spiegatemele" intimo, la voce ferma.
Ero piccola. Troppo per capire in che casini eravamo impelagati. Adesso
i miei genitori sono pieni di soldi, non so in virtù di
cosa, e nemmeno voglio saperlo. Probabilmente un investimento
azzeccato, o una vincita alla lotteria, o forse, perché no,
una rapina in banca, perché non mi ricordavo tutto questo
sfarzo, mi ricordavo solo che abitavamo a Huntington, e che eravamo una
famiglia normale in mezzo ai ricconi, e a me stava bene così.
Normali, appunto. Non ci si può rendere conto di una crisi a
poco meno di un anno di vita, e a quanto pare è precipitato
tutto dopo la mia nascita. Cioè, la nostra.
Per me era tutto a posto, in quanto bambina, ma anche dopo vivevamo in
una situazione di quasi indigenza, in un posto dove non puoi
permetterti di essere un poveraccio.
Non riuscivano, Alison e Jonathan, a poter mantenere due figlie, e
così hanno dato in adozione Angelica. Non capisco
perché lei, e non me, ma credo sia una domanda stupida da
fare. Così come, me ne sto rendendo conto solo adesso, era
stupido chiedere una chitarra, quando i soldi bastavano appena per
arrivare alla fine del mese.
Sto capendo solo adesso molte cose. Forse perché,
guadagnandomi da vivere, ho compreso quanto i soldi escano da ogni buco
delle tasche.
Adesso non posso fare altro che fissarli, costernata. Non so cosa dire.
"E lei?"
"Lei cosa?" chiede mio padre.
"Sì, voglio dire...lo sa?"
"...sì."
Ecco. Perché lei deve saperlo e io no?
Rabbia, delusione, tristezza, non so cosa mi animi adesso. So solo che
ho fatto il pieno di assurdità, e che ho bisogno di
respirare, lontano da questa casa.
Esco, sbattendo la porta, afferro il telefonino nella borsa e compongo
il numero dell'unica persona che mi possa distrarre, ora.
"Pronto?"
"Dharma, disturbo?"
"No, dimmi..."
"Posso venire da te? A...a dormire, dico."
Lei non fa domande, non chiede indiscrezioni, non commenta.
"Va bene, lo dico a mia madre, intanto. Tu monta in macchina,
l'indirizzo è quello di sempre."
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Capitolo 5 *** Anywhere I Lay My Head ***
grazie
per i commenti, graziegraziegrazie *-*
Chapter 05 - Anywhere I Lay My Head
Sono in macchina con Dharma. Sono arrivata a Huntington in
relativamente poco tempo, vista la mia estrema facilità a
spiattellare il piede sull'acceleratore quando sono nervosa. Mi fa un
certo effetto tornare qui, vedere che in sostanza non è
cambiato nulla. Ci ho trascorso la mia infanzia, l'adolescenza, fino a
che i miei non si sono trasferiti a Stanton, e fino a che non decisi,
un giorno, che quella vita mi faceva abbastanza schifo per continuare a
praticarla, e Dharma pensò lo stesso, e partimmo per New
York.
La differenza è abissale: la Grande Mela è
frenetica, grande, sembra divorarti da quanto è enorme e da
quanto ti senti un insetto in confronto, qui invece è...non
saprei, son tutte villette, spiagge, sole cocente e surfisti
perennemente abbronzati, ed è con questo pensiero che mi
guardo le braccia, e poi guardo quelle di Dharma. Siamo bianchissime,
dei cadaveri, in confronto ai californiani tipo, soprattutto da queste
parti, dove è praticamente tutta spiaggia. Ricordo che la
mia vecchia casa era piuttosto lontana dal mare, molto vicina al
confine con Westminster, per cui alla fine i miei non hanno fatto molta
strada, cambiando località: sono tutte abbastanza
ravvicinate tra loro. La madre della mia amica, però,
è rimasta esattamente dove l'avevamo lasciata, e mi ha
riaccolto con un sacco di feste e gentilezza.
Tutto sommato i vecchi di Dharma sono sempre stati così. Non
gliene è mai fregato niente di apparire in un certo modo, di
sembrare dei gran fighi pieni di soldi. Sono effettivamente pieni di
soldi, ma non lo hanno mai dato a vedere, sono persone semplici e
allegre, a differenza dei miei, sempre seriosi e compunti
(chissà, forse mia madre ha paura che a sorridere anche solo
un po' le scappi il botox dalle labbra. Bah).
Si sono separati quando Dharma aveva diciassette anni, ma lei stessa la
prese piuttosto bene, con l'aplomb che le invidio da sempre.
Crollò solo qualche settimana dopo, in preda allo sconforto
totale, nel bel mezzo della festa di compleanno di uno dei suoi cugini,
e solo perché era riuscita a bere talmente tanto di
quell'alcool che mi stupivo di come facesse a stare ancora in piedi. Ma
dopo quell'episodio, più nulla. Suo padre s'era trasferito
quasi subito a Venice, e la madre è rimasta lì,
nella piccola casetta quasi in riva al mare, come un punto di
riferimento, l'unico, per non perdersi in questo posto così
poco adatto a due come noi.
"Tu devi distrarti." proclama, nel silenzio dell'abitacolo.
"E come?"
"Locali. Andremo a giro per locali!"
"Sì ma se beviamo troppo? Chi guida? E poi non mi va di far
brutte figure con Eve, così!"
"Ma dai, mia madre dormirà, quando torneremo! Sai cosa le
importa, poi, siamo maggiorenni, ormai."
"Già...maggiorenni...la pensassero così anche da
me..."
"Successo qualcosa?"
"Beh, ha visto i tatuaggi, e i piercings, ha iniziato a dire delle cose
assurde, le solite, no? Tipo 'chissà cosa penseranno i
vicini a vederti conciata così'..."
Ride.
"Non è cambiato di una virgola, tuo padre!"
"Direi di no. E il tuo?"
"Mah, mamma dice che è sempre a Venice, sta bene, dipinge
molto, fa l'artistoide, come sempre...però non ho tutta
questa voglia di vederlo, se devo essere sincera..."
"Beh, ti capisco. E chi aveva voglia di vedere quel brutto muso di
Jonathan? Però devo capirci qualcosa..."
"E quando avresti intenzione di farlo?"
"Domani pomeriggio verrà inaugurata questa mostra, si spera
che Angelica ci sia, no? Voglio provare a intrufolarmi, e parlare con
lei."
"Pensi sia una buona idea?"
"Non lo so. Devo solo parlarle."
"E di cosa?"
"Non so, andrò a improvvisazione."
"Ah, bel piano..."
"Beh, il compito è anche più semplice, a quanto
pare sa già tutto"
Dharma frena di colpo, guardacaso davanti a un locale.
"E perché lei sapeva e tu no?"
Taccio. Non lo so, e diciamo che ci terrei a saperlo, sperando sia solo
per una specie di ironia della sorte. Sì, insomma, se le
preferenze le facesse lei, chi sono io per discuterle? Ma se
è qualche entità fisica, corporea e quant'altro a
farne, beh, non mi andrebbe molto a genio.
"Uh, vabbè, cerco un posto migliore del bel mezzo della
strada"
"Sì, in effetti sarebbe meglio" concordo. Giriamo un po'
intorno, piazziamo la Mini di Eve non molto lontano da lì, e
ci avviamo verso il locale, raccomandandoci a vicenda di non esagerare
con l'alcool.
*
La prima ad essere venuta meno alle promesse fatte poc'anzi
è stata proprio Dharma, che ha ritrovato per caso dei vecchi
amici a cui s'è unita senza tanti complimenti, trangugiando
di tutto di più. Hanno chiesto anche a me se mi andava di
stare con loro, ma sono troppo occupata a pensare come poter incontrare
mia sorella per poter essere anche solo un po' di compagnia, e
così mi sono isolata al bancone, mandando giù un
bicchiere dopo l'altro di cose a caso. Sono partita con una Guinness e
sono finita chissà dove, contornata da piccoli bicchieri che
indicano sin troppo chiaramente la natura di quel che ho buttato nello
stomaco. Vodka, rum, anche gin, non so di preciso l'ordine, ma in
compenso so che la testa, se potesse staccarsi dal collo, se ne
andrebbe a fare un bel giro fuori di qui. Mi appoggio con le braccia al
piano, adagiandoci tristemente la testa sopra, e farneticando
chissà cosa al povero barista, che mi osserva
compassionevole e imbarazzato per un'avventrice così
spudoratamente bisognosa di qualcuno con cui parlare.
E arriva, quel qualcuno. Mi sento picchiettare su una spalla, e dio
solo sa dove trovo la forza per alzare la testa da quel giaciglio
improvvisato, per rivolgergli la mia attenzione.
"Tutto bene?" mi chiede un ragazzo. Mi fermo un attimo ad osservarlo,
probabilmente mi starà anche dicendo qualcosa, ma non
afferro cosa, perché qualsiasi suono emetta giunge alle mie
orecchie come fosse stato impacchettato, imbottito dentro quella
plastica con tutte le bollicine che scoppiano. Mi piace mettermi a
scoppiare quelle bolle, quando non so cosa fare.
Non sembra particolarmente alto, i capelli neri gli ricadono sugli
occhi, ma riesco a vedere che sono grandi e chiari. Il naso
è un po' a patata, e l'espressione da bambino è
resa più, come dire...rude? ma sì, facciamo che
rude vada bene...dicevo, da qualche piercing sparso qua e là
per il viso.
"Uhm, diciamo
di....sìììììììì"
strascico a fatica, afflosciandomi di nuovo.
Lui rimane, e mi fissa perplesso per un po', poi fa per andarsene, ed
è mentre volta le spalle che mi ricordo di avere bisogno di
rompere un po' le palle a qualcuno con la mia grama esistenza, e
l'eletto sembra essere proprio lui.
"A...ASPETTA!"
Si volta.
"Sì?"
"Ecco, volevo chiederti..."
"Un autografo?"
"Macché autografo! Mica sei famoso!" sbotto, senza sapere di
preciso com'è che siamo finiti a parlare di autografi. Lui
ridacchia, poi nota la mia espressione vagamente contrariata, e si
ricompone.
"Dicevi?"
"Mi fai compagnia?"
"EH?" chiede, sconvolto.
"No, tranquillo, non ho cattive intenzioni, è che..." ma
mentre lo dico, anche se sono ormai palesemente ubriaca, capisco che la
mia è una richiesta un po' particolare, soprattutto da fare
a uno sconosciuto. Però quel faccino paffuto mi ispira un
senso di fiducia innata, e allora, mi dico, diamo retta a questo
intuito, una volta tanto!
"Beh, sì...niente di particolare, solo due chiacchiere..."
"Ma guarda te se mi tocca fare da balia..." bofonchia.
"Non ti va, eh?"
Tace. E si guarda intorno.
"Non importa, starò da sola finché Dharma non si
ricorda che esisto anche io..."
Credo di avergli fatto pena, perché sospira, mi fa alzare e
mi porta fuori dal locale, tenendomi saldamente per un braccio. Mi
affloscio a sedere sul marciapiede e vedo bene di tirare fuori le
sigarette, mentre lui mi raggiunge e mi si posiziona accanto.
"Vuoi?" gli chiedo, porgendogli il pacchetto.
"No, grazie" declina gentilmente, mostrandomi le sue. Accendo la mia,
aspirando alcune boccate di fumo, in totale silenzio, e lui segue i
miei movimenti, ripetendoli con naturalezza.
"Allora, come ti chiami?" chiedo, raggiante. Lui continua a fissarmi
con una gran bella dose di perplessità.
"Beh, dovremo iniziare pur da qualche parte a parlare, no?"
"Beh, hai ragione..." ridacchia, decidendosi finalmente a stare al
gioco "okay, mi chiamo Zacky, tu?"
"Waaaaaaah, come il gatto di Dharma!!! Io sono Leslie, comunque" e gli
porgo la mano, per farmela stringere, ma lui ha qualcosa, che
evidentemente gli preme di più, da chiedermi,
così la mia mano rimane lì, sospesa, per
chissà quanto, prima che mi ricordi di ritrarla a me.
"Davvero si chiama così?" chiede, incuriosito.
"Oh, sì, è un gattone nero, è
bellissimo! Dovresti vederlo..."
"Ma le piaccio? Le piace la nostra musica?"
"Ehi, ehi, non montarti la testa, lei nemmeno ti conosce! E nemmeno io,
non ho mai visto una tua foto nel negozio di Mike!"
"Ah..." mormora. Sembra esserci rimasto un po' male. Così
gli spiego che lavoro in questo negozio, e ben presto la conversazione
decolla. Perlomeno, sono solo io che parlo, rido, grido, e mi lagno un
po', mentre lui ascolta, paziente, in silenzio, mi asseconda in questa
pazzia da ubriaca, forse abituato a ben peggio, fino a che non sentiamo
delle voci alle nostre spalle.
"Ahah, e il piccolo Zacky stasera ha rimorchiato!"
"Ohhhhhh, fottiti Johnny!" lo rimbecca. Mi volto, e vedo un tappetto
con i capelli ossigenati, e l'espressione un po' da stronzo, che se la
ride. Mi alzo in piedi, per nulla intimidita.
"Che vuoi?" gli ringhio in faccia.
"Ehi, Leslie, calma, è un mio amico, lui...Johnny, lei
è...beh, Leslie!"
La situazione, non so perché, ma mi sembra fottutamente
assurda, così mi incammino verso il locale, a cercare Dharma
da sola.
"Vado da Dharma, allora...grazie di tutto Za..." e le mie parole
vengono interrotte da una sonora capocciata che vado a sbattere.
Strano, non mi ricordavo ci fossero muri in questo punto.
Mi concentro un attimo, discostandomi di qualche decina di centimetri.
Scorgo prima un paio di Nike, poi alzo lo sguardo e vedo un paio di
jeans, una maglietta viola piuttosto appariscente, due braccia tatuate,
una faccia a metà tra il divertito e il disturbato, e un
berretto chiaro, semplice, con la visiera, la cui ombra nasconde i suoi
occhi.
No, non è un muro. É molto più simile
a un armadio.
"E stai un po' più attenta a dove vai!"
"Ma vaffanculo" concludo, dopo aver boccheggiato qualche secondo,
allontanandomi.
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Capitolo 6 *** This Charming Man ***
awww,
che bello *_* ormai c'ho le fedeli supporters, figata! :°DDDD
scusate
l'assenza, è che a Siena ci stavo così bene...
:°°°D spero di farmi perdonare con un
capitolotto nuovo u_ù !
Chapter 06 - This
Charming Man
Non è la serata giusta, per andare a giro per pub, stasera.
Perlomeno, per me. Ho un sonno disumano, vorrei soltanto farmi una sana
dormita, con tutto il lavoro che sto facendo insieme agli altri, ma il
Rev ha insistito così tanto...
"Eddai, Zacky, svagati un pochino! Sei così serio, mamma
mia..." mi ha detto Johnny. A lui basta poco per convincerlo, se si
tratta di bere e divertirsi, e quindi non mi sono stupito
più di tanto che abbia subito perorato la causa di Jimmy,
maledetto lui che ha queste idee. Brian ha titubato un po', poi ha
finito per accettare anche lui, senza cambiare minimamente espressione,
come al solito, e Matt, giustamente, è a farsi gli affari
suoi con Valary.
Beato lui. Vorrei anche io adesso qualcuno con cui poter stare, ma non
posso lamentarmi, visto che sono stato io a lasciarla.
E che scusa avrei potuto tirare fuori per sottrarmi a questa tortura e
leggermi un libro in santa pace?
Niente. Se avessi detto che avrei voluto leggere, sarebbe partita la
ridda di prese per il culo, e francamente non mi andava troppo di
scazzarmi, così ho finito per accettare. Tutto sommato non
mi è dispiaciuto bere una birretta, così vado al
bancone a prendermene un'altra, con l'intenzione di rimanere
lì, quasi sollevato all'idea di estraniarmi un po' dalla
bolgia che s'è creata al nostro tavolo.
Ordino una Budweiser, quando mi cade l'occhio su una persona accasciata
sul bancone, la testa appoggiata sulle braccia. Credo sia una ragazza,
la corporatura è piuttosto esile, per essere maschile. Solo
che...sono stranamente preoccupato. Forse l'alcool mi sta
già salendo al cervello, non è possibile, non
è mai successo di preoccuparmi per qualcuno che non conosco.
Alza la testa e si volta verso di me. Ci avevo visto giusto,
è una ragazza, avrà sì e no
l'età mia, forse qualcosa di meno, e un viso da bambina,
indurito da una strana determinazione che le brilla negli occhi
scurissimi. La bocca è piccola, imbronciata e decorata da un
piercing, ma appena mi vede, e dopo che mi ha squadrato da capo a
piedi, si allarga in un sorriso soddisfatto, che mi lascia un attimo
interdetto.
"Beh, forse dovresti andare fuori a prendere un po' d'aria..." azzardo,
ma sembra non ascoltarmi, e continua a sorridere.
"Uhm, diciamo
di....sìììììììì"
farfuglia. Poi si ammoscia di nuovo su se stessa come un sacco di
patate, continuando a fissarmi.
'Cos'è, non hai mai visto uno coperto di tatuaggi?'
É questa la prima cosa che vado a pensare, piccato. Ma non
credo sia per quello che mi sta guardando così
insistentemente. In ogni caso, per qualsiasi motivo sia, vorrei
allontanarmi, perché mi sembra una perdita di tempo
continuare a starmene lì, e poi detesto sentirmi osservato.
Voglio dire, quando suono è un altro affare, sono
lì apposta per farmi vedere, soprattutto sentire, ma in un
pub, accanto a una che nemmeno so chi sia...anche se il viso, non so,
è come se l'avessi già rivisto, da qualche parte.
La mia birra è pronta, già stringo il manico del
boccale tra le dita, pronto ad andarmene, quando la sento chiamarmi.
"A...ASPETTA!"
E adesso cosa vuole?
Mi volto. Il sorriso è evaporato dalle sue labbra, adesso
infligge loro piccoli morsi torturatori, lo sguardo rivolto al
pavimento, ammesso che con queste accidenti di luci soffuse riesca a
vederlo.
"Sì?"
"Ecco, volevo chiederti..."
"Un autografo?"
MA CHE TI VIENE IN MENTE, IMBECILLE?! Come puoi pensare a una cazzata
del genere!
Eppure credevo...no, non devo credere, devo solo ascoltare cosa vuole,
questa è talmente fuori che dubito mi abbia riconosciuto!
Basta una sua esclamazione a riportarmi sulla terra.
"Macché autografo! Mica sei famoso!"
Non mi conosce nemmeno. E io che...bah, se non altro mi sta facendo
sorridere, l'ha detto con una tale spontaneità da farmi
davvero riflettere su quanto ormai io prenda troppo per scontate alcune
cose. É ovvio che non tutti conoscano la band in cui suono,
e lei è una di queste, ed è talmente
inconsapevole di tutto quello che sto macchinando nella mia testa da
scoccarmi un'occhiata truce, nel vedermi sghignazzare.
Scusami, non stavo ridendo di te, davvero.
Tutto questo è...ironico, direi.
"Dicevi?"
"Mi fai compagnia?"
"EH?" Ma...ma allora sa chi sono! E magari è una groupie, o
qualcosa del genere, una fan particolarmente assatanata, e stava
tentando di fregarmi col suo faccino da bambina innocente!
"No, tranquillo, non ho cattive intenzioni, è che...beh,
sì...niente di particolare, solo due chiacchiere..." si
affretta però a spiegare, accatastando confusamente una
parola dietro l'altra. Anche stavolta ho dato troppa retta alle prime
impressioni, e questa ragazza mi ha smontato ben due volte nel giro di
un paio di minuti.
Zacky, stai perdendo colpi.
Nonostante tutto, continuo a credere che la situazione sia davvero
troppo assurda per poterla seguire, assecondandola, adattandomi come
meglio posso.
Questa ragazza è qui, da sola, e io continuo a farmi
problemi su di lei. Non mi mangerà di certo, e non ho
intenzione di farlo io, con lei.
"Ma guarda te se mi tocca fare da balia..." bofonchio. Non ce la
faccio, non ce la faccio proprio. Stasera dovevo rimanermene per i
cazzi miei a leggere, lo sapevo.
"Non ti va, eh?"
Continuo a guardarmi intorno, senza risponderle. Devo trovare un
diversivo, ma poi perché? Non sa chi sono, non ha cattive
intenzioni, o almeno così dice, e anche ne avesse mi so
difendere benissimo, e allora perché mi sto facendo tutti
questi problemi? Bah.
"Non importa, starò da sola finché Dharma non si
ricorda che esisto anche io..."
Ecco. Adesso ci manca che le prenda la sbornia triste. No, io non
voglio averla sulla coscienza, non voglio! E chi se ne frega se sembro
troppo buono, io LO SONO! Me lo dicono sempre, gli altri, cavolo. Fatto
sta che non riesco a lasciarla qui sola, così la aiuto ad
alzarsi e la sostengo fino alla porta del locale.
Vuole sedersi sul marciapiede. É vestita molto
semplicemente: un paio di jeans, una felpa verde scuro col cappuccio, e
un paio di Etnies nere ai piedi. Si tira su il cappuccio, lasciando che
un ciuffo un po' più corto degli altri le cada sull'occhio
destro, nascondendole il piercing che ha sul sopracciglio.
Ha voglia di parlare. E io ho voglia di distrarmi. Chissà,
magari ascoltarla sarà come leggere quel dannato libro che
avrei voluto iniziare stasera.
Si accende una sigaretta, offrendomene una, che rifiuto, visto che ho
già in mano il mio pacchetto, pronto ad attingerne.
"Allora, come ti chiami?" mi chiede.
Definitivo. Non sa chi sono. Ma sono comunque perplesso.
"Beh, dovremo iniziare pur da qualche parte a parlare, no?" spiega,
semplicemente.
Non c'è niente da fare, è terribilmente
disarmante. É tutto così facile e consequenziale,
nel suo mondo...sembra non ci sia spazio per dubbi o seghe mentali,
dentro di lei. Mi chiedo se sia così anche da sobria.
"Okay, mi chiamo Zacky, tu?" mi decido, finalmente, a lasciarmi andare.
A lasciare che le cose scorrano più semplici anche per me.
"Waaaaaaah, come il gatto di Dharma!!!"
Ma chi è questa tizia che nomina in continuazione?
Sarà mica la sua ragazza? Dubbio legittimo, non fa che
parlarne...
"Io sono Leslie, comunque" risponde, sorridente, porgendomi la mano. Ma
sono interessato a un'altra cosa, aspetta.
"Davvero si chiama così?"
Beh, sì, il...gatto. Si illumina tutta quando glielo chiedo,
e mi racconta che è tutto nero, e penso che magari
è anche morbido, dolce, incline alle coccole,
perché il suo sguardo parla chiaro, quel gatto è
una delle cose per cui, secondo lei, valga la pena vivere, e quindi
dev'essere una creatura adorabile. Ma ovviamente decido di rovinare
questo momento, perché a volte dire quello che si pensa,
senza filtri, può rivelarsi una cazzata di proporzioni
immani.
"Ma le piaccio? Le piace la nostra musica?"
Ma cosa me ne fregherà mai di sapere se a questa Dharma
piaccio così tanto da fare sì che abbia chiamato
il gatto come me!
"Ehi, ehi, non montarti la testa, lei nemmeno ti conosce! E nemmeno io,
non ho mai visto una tua foto nel negozio di Mike!"
"Ah..." cazzo, mi ha smontato ancora. Anche con le difese a mille,
questa ragazza riesce a distruggerti l'autostima con una
banalità mostruosa. Però vede che ci sono
rimasto, come dire, scosso, e allora inizia a raccontarmi di
sé, cosa che probabilmente aveva deliberato sin da quando mi
ha puntato come vittima sacrificale, e mi spiega che lavora a Brooklyn,
in questo negozio di dischi gestito da questo Mike, che è il
fratello della sua chitarrista, che se ne è andata da casa
perché non sopportava più i suoi, e mi stupisco
di come riesca a condensare la sua vita in poche frasi, articolate,
sì, ma che non hanno nulla di confusionario.
"Ma tu...sei di New York?"
"No! Sono di qui!"
"E sei tornata..."
"Per poco, devo conoscere mia sorella."
Ecco, ha una gemella che non sapeva di avere, e la vuole incontrare,
non sa nemmeno lei se ci sia un perchè.
"Avrei potuto continuare la mia vita e fregarmene, ma..." e qui una
voce sin troppo familiare ci interrompe.
"Ahah, e il piccolo Zacky stasera ha rimorchiato!"
Ma che cazzo, proprio adesso che stavo iniziando ad appassionarmi alla
storia! Sembra proprio quella di un romanzo.
"Ohhhhhh, fottiti Johnny!" replico, ridacchiando. Lei si volta verso di
lui, e lo guarda malissimo, alzandosi e andandogli incontro.
"Che vuoi?" gli ringhia, piantandogli gli occhi nei suoi.
"Ehi, Leslie, calma, è un mio amico, lui...Johnny, lei
è...beh, Leslie!"
E in che altro modo potrei presentartela? Non so nemmeno io chi sia,
alla fin fine!
Johnny, pur nella sua evidente ubriachezza, è perplesso,
mentre lei si dirige verso l'entrata del locale, a cercare la sua
amica, e va a sbattere contro Brian, che sta uscendo insieme al Rev.
"E stai un po' più attenta a dove vai!" le dice, sornione
come al solito.
"Ma vaffanculo" borbotta lei, tra i denti, rientrando.
Syn si volta ad osservarla, mentre Jimmy commenta con la solita finezza
sul suo 'caratterino', poi si avvicinano.
"Ehi, Zack, ma non era Angie quella?"
"No, è Leslie" rispondo, come fosse la cosa più
ovvia del mondo. E improvvisamente mi ricordo perché mi
sembrava di averla già vista.
"Ah. Cazzo, è uguale identica" si limita a commentare.
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Capitolo 7 *** Two Suns In The Sunset ***
sempre
più assente, lol :°D grazie ancora per i commenti!!!!
Chapter 07 - Two Suns In The Sunset
Che palle, odio questo genere di cose. Odio i musei, odio le cerimonie
solenni e formali, odio la falsità che ho intorno, tutti
questi stronzi che vengono qua soltanto per fare presenza, per dire
'c'ero anche io', non per vedere realmente quello che faccio. E
soprattutto odio questo tailleur che mi sono dovuta mettere per
presenziare all'apertura della mostra.
Ma che diavolo, non ho nemmeno ventiquattro anni, e già mi
tocca andare a giro già conciata così, come una
donna in carriera! Ho appena iniziato a vivere, dovrei girare
abbigliata comodamente, che ne so....una bella tuta da ginnastica
oversize, come le Adidas che usavo ai tempi della scuola. Dio quante ne
avevo, le adoravo, e mamma che mi rimproverava continuamente che
avrebbe voluto vedermi vestita meglio, più 'femminile'.
Mamma, anzi, presunta tale, lo so che adesso non puoi sentirmi, primo
perché sto pensando, secondo perché adesso tu e
il mio presunto padre ve la state spassando nell'aldilà, ma
ti vorrei dire una cosa: se essere femminile significa infliggersi una
tortura abominevole stando a giornate intere sopra dei trampoli,
inguainate in abiti stretti e noiosi, dal taglio eccessivamente severo,
allora che se ne vada a quel paese, la femminilità.
Invidio gli uomini. Seriamente. Anche se devono mettersi una giacca,
possono comunque abbinarla con un paio di jeans e le All Star, magari
anche di un colore cretino. Io non posso mettermi un tailleur con gli
anfibi, non posso nemmeno mettermi un kilt, perché sarebbe
fuori luogo.
E questa sarebbe l'arte? Ormai è una farsa.
Ho sempre immaginato l'artista come un individuo libero da qualsiasi
schema, libero, veramente, di presentarsi a una sua mostra in pigiama,
o in jeans e camicia gigante di flanella, come un grunge fuori tempo
massimo, o anche vestito di piume, magari, perché
è uno spirito contraddittorio, deve fare scalpore, rompere
la noia. Ma diciamo che questo funziona solo quando ormai ti sei fatto
un nome.
Io, povera fotografa, ho solo avuto una grande botta di culo. I miei
scatti piacevano, sembravano catturare lo spirito del tempo che scorre,
la musica che si diffondeva nelle arene, o anche nei piccoli locali in
cui mi si chiedeva, in assoluta amicizia, di fare il mio lavoro. Una
passione, che diventava un modo per guadagnare qualche soldo e un po'
di birra gratis. E allora come ci sono finita qui, in questo mondo
sterile e falso?
Non lo so. Non vorrei nemmeno saperlo, credo. Quello che so
è che non sopporto questa gente, e queste domande idiote che
un sedicente giornalista mi sta rivolgendo. L'inaugurazione della mia
esposizione è agli sgoccioli, e mi si avvicina questo tizio
dal sorriso untuoso, e la mano altrettanto tale, da cui mi divincolo,
con la mia, tentando di nascondere il disgusto.
Ed è mentre rispondo alle sue insulse domande che penso, e
mi chiedo se valga la pena proclamare di essere se stessi in panni che
non ci appartengano, andare orgogliosi della completa assenza di
orecchini o tatuaggi sul proprio corpo e del fatto di non essersi mai
tinti i capelli, quando magari una bella colorazione potrebbe
svecchiarmi e darmi un'aria meno dimessa di quella chioma ramata, ma
solo perché le è stato chiesto dal corredo
genetico di essere così.
I miei capelli rossi sono uno scherzo della natura. Né
biondi, né di quell'arancione così vivace da
accecare.
Sono spenti, scialbi, un colore imbecille, di cui tutti però
si complimentano, non so con quanta sincerità (probabilmente
ben poca). Ma non mi ha mai fatto voglia di cambiare, e poi lo trovo un
fatto di per sè incoerente. Faccio della mia naturalezza una
bandiera, pensando, forse, che alla fine anche con qualcosa in
più si può essere se stessi.
Poi la vedo.
Sbuca da dietro una parete, come se quel varco fosse uno specchio
metafisico, e mi riflettesse per quella che vorrei essere.
Capelli rosso fuoco, un pigmento troppo acceso per sembrare naturale.
Non ci prova nemmeno, anzi: è sfacciatamente schietto.
Jeans, stretti e chiari, ad avvolgere un fisico dichiaratamente
imperfetto, e orgoglioso di esserlo.
Una felpa nera, con il cappuccio che spunta da un giacchetto dello
stesso colore, corto, di panno, che, nonostante l'abbottonatura a
doppio petto, non prova nemmeno a fare finta di essere formale.
E quei piercings, labbro e sopracciglio.
Tutto questo è quello che vorrei essere.
Mia sorella.
Finalmente la vedo.
Leslie Root.
Mi vede anche lei, e sbianca, ammesso che si possa diventare ancora
più pallidi del suo incarnato latteo. E sparisce dietro quel
muro da cui è spuntata due minuti fa.
Decido che stare a sentire le menate del giornalista è
diventato un passatempo piuttosto irritante, così lo liquido
con una scusa e corro in direzione dell'uscita dalla sala, mandando al
diavolo la femminilità contenuta nei tacchi, che prontamente
scrollo dai miei piedi.
La vedo, più vicina adesso. É con un'altra
ragazza, i lisci capelli neri che le scendono sulle spalle.
"Leslie!"
Sta riluttando, non so perché, o forse me lo immagino.
Quando scoprii di avere una sorella, gemella per giunta, ero piuttosto
incline a pensare si trattasse di uno scherzo. Poi subentrò
come una specie di rabbia verso qualsiasi cosa la riguardasse, la
precisa volontà di starmene per i fatti miei e non volerne
sapere di conoscerla, perché credevo mi avrebbe rovinato la
vita, rivoluzionandomela. E invece, pian piano, ho iniziato a
rendermene conto, in assoluta lucidità: sapere che esiste
qualcuno che ti è molto più vicino di quanto
pensi, qualcuno che probabilmente reagirà come te appena
saprà che esiste un altro se stesso al mondo, è
un qualcosa di completamente esaltante, che ti fa ricordare che hai un
motivo per vivere, e che quel motivo dev'essere il più
piacevole possibile.
Leslie. Non scappare, ti prego, e non voltarti verso la tua amica.
Guardami.
"A...Angelica? Sei tu?"
Ti trema la voce, e anche il labbro inferiore. Non capisco se per
rabbia o emozione, ma il tuo abbraccio, così spontaneo e
privo di qualsiasi malizia, risponde per te.
"Oddio, finalmente ti vedo...cioè, niente di nuovo, in fondo
sono ventitre anni che mi guardo tutte le mattine allo specchio..."
Mi fai ridere. Di cuore. Perché non c'è niente di
costruito, in te. Sei così come sei, e mi spiazzi, per il
rossore imbarazzato, per gli occhi che ti sorridono, per...beh, per
tutto.
"Io sono Dharma, piacere!" si fa strada tra noi la ragazza coi capelli
neri, stringendomi la mano. La sua stretta è sicura, e
asciutta. Piacevole.
"Certo che sei proprio strana...mi trascini fin qui perché
la vuoi incontrare, e quando ti ha visto e ti ha chiamato ti sei girata
dall'altra parte..." si rivolge poi a Leslie, che sorride imbarazzata.
Non mi stupisco che sia, non so, a me sembra tipo la sua migliore
amica. Sono molto simili, dotate di quella spontaneità che
da troppo tempo non scorgevo da queste parti.
Non sappiamo cosa dire, cosa fare, per cui ringrazio qualche ipotetica
divinità che si sia portata dietro Dharma, che annuncia
pimpante: "Beh? E non andiamo a mangiare?"
"Ma...l'ora di pranzo è passata da un pezzo..." le fa notare
quella che ormai posso chiamare 'mia sorella'.
"E quella di cena deve ancora arrivare..." rincaro la dose io.
"Vabbè, un caffè? Un tè? Andiamo verso
casa mia, intanto? Ceneremmo lì..."
"Non sei dai tuoi? Cioè....dai nostri?"
"Beh, no...sai, abbiamo avuto un piccolo scambio di opinioni, ieri..."
ammette Les, imbarazzata.
*
Abbiamo parlato tutta la sera. Anche la madre di Dharma è
rimasta al tavolo a chiacchierare con noi.
Risate, battute, complicità. Insomma, mi sento a casa, come
non succedeva da quasi un anno, da quando i miei genitori mi hanno
lasciata sola, o, beh, almeno così credevo.
Per la ragione più banale, eppure più bastarda di
questo mondo.
Incidente stradale.
Ancora non riesco a farmene una ragione. Un giorno erano qui, insieme a
me, a darmi affetto, appoggiarmi nel lavoro e sostenermi senza chiedere
niente in cambio, e il giorno dopo....puf. Non c'erano più.
Spariti, in mezzo a mille lingue di lamiera e vetri infranti, come la
mia voglia di andare avanti.
Ma stasera non c'è tempo per rattristarsi, Leslie sta
raccontando in modo assolutamente ironico e iperbolico il suo 'scambio
di opinioni' con suo...nostro padre, diventando così
l'attrazione della cucina.
"...e ha iniziato a rompere per questi due miseri piercing, voglio
dire, li ha chiamati bulloni! Dì la verità, Eve,
ti sembrano bulloni, questi?"
"Beh, ragionevolmente no..." azzarda l'interpellata.
"Ecco. Ma sai che? Me ne vado a fare un altro, domani. A spregio."
Dharma ride, poi si ferma di botto.
"Aspetta, aspetta, Les, dove vorresti fartelo?"
"Pensavo sulla lingua..."
"Ma perché proprio lì?!"
"Beh, mi piace, e poi hai visto, faccio sempre linguacce a chiunque, ci
starebbe bene..."
"Io me l'immaginavo, è una vita che la meni con questo
piercing alla lingua! Ma fattelo al naso, no? E se poi ti viene fuori
un difetto di pronuncia?"
"Ma dio mio, a chi vuoi che succeda?"
"Succede, fidati! Io ti avviso, se inizi a parlare come se avessi un
limone in bocca ti caccio dalla band!"
"Hai detto, per così poco...posso comunque suonare la
chitarra e basta..."
"Non sia mai! Io voglio che canti, e lo sai."
Secca, perentoria, Dharma mi ha rivelato cosa faccia mia sorella nella
vita.
Vederla borbottare imbronciata, come una bimba delusa, mi strappa un
sorriso soddisfatto. É così che l'ho sempre
immaginata, credevo fermamente che fosse un tipo assolutamente sopra le
righe, ma altrettanto capace di dolcezza e innocenza.
Speciale.
Per fortuna non sono stata delusa.
Pensando così, sorrido come un'ebete, osservando fisso
davanti a me, senza tuttavia guardare niente di particolare.
"Tutto bene?" mi chiede Eve. Non rispondo, continuo a sorridere, ma
adesso riesco a focalizzare l'oggetto delle mia attenzione distratta.
Distratta, perché è come guardarmi allo specchio,
e, come ha detto lei, lo faccio ormai da ventitre anni, e quindi non ci
faccio molto caso. Soprattutto adesso che sorride, piantando i suoi
occhi nei miei.
E vedo anche i miei scuri e profondi.
E sento distintamente i miei muscoli facciali tirare all'unisono coi
suoi, li sento fare festa sotto la mia pelle. Anche loro si sentono a
casa.
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Capitolo 8 *** (She's In A) Bad Mood ***
ahm,
ahm...*coffcoff*
era
tanto che non postavo, la pigrizia mi frega sempre, e come se non
bastasse sto piano piano raggiungendo l'ultimo capitolo che ho scritto,
e sarà meglio mi dia una mossa a scrivere qualcos'altro
:°D
la
martù è tornataaaaaaaaaaa *O* e al solito, grazie
alle mie lettriciuzze affezionate, almeno ci siete voi a leggere ;__;/
Chapter 08 - (She's In
A) Bad Mood
Un paio di giorni dopo, cioè stasera, Angie, non so come, ci
ha convinte ad andare a una festa con lei.
"Vedrete che vi divertirete come delle matte!" ci ha garantito. Io e
Dharma ci siamo guardate negli occhi, con l'aria di chi avrebbe fatto
qualsiasi cosa pur di sfuggire a quello stillicidio.
Una festa. In California.
Meglio, specifico: una festa, a Los Angeles. Immagino questo
particolare aiuti un po' di più.
Gente ricca e annoiata che, per movimentare un po' la sua esistenza,
dà queste feste assolutamente scialbe e insulse, ma se non
vai alle quali rischi di passare per il solito sfigato del cazzo,
quello che nessuno si filerà, un fallito, insomma. Anche a
Stanton andava così, e ovviamente evitavo sistematicamente
di andare in quelle ville a fare finta di divertirmi, quando potevo
andarmene a giro al centro commerciale a fissare con patimento dei
dischi che non avrei mai potuto comprare perché dovevo
risparmiare, e lo stesso Dharma. Lei non andava mai a queste feste, in
compenso, appena poteva, si infiltrava nei locali di Huntington, il
sabato sera, ad ascoltare quei gruppi che le piacciono tanto, e ogni
tanto suo padre le regalava qualche disco, probabilmente per ricordarle
la sua esistenza, ma abitando lontane, non poteva passarmeli.
Ecco perché lei è molto più tranquilla
di me. Sa come vanno queste cose, e sa che c'è solo da fare
buon viso a cattivo gioco. Sa anche che stavolta, probabilmente, non ce
ne sarà bisogno.
"Tua sorella mi sembra una a posto, non credo tenti di portarci a una
festa del cacchio" ha sibilato nel mio orecchio credo un paio di minuti
fa, prima che arrivassimo davanti a questo locale.
Sto iniziando a rendermene conto anche io. Da fuori si sentono i Guns
N'Roses.
I figli di papà non mettono i Guns come sottofondo delle
loro esibizioni di ricchezza.
Rimango inebetita a pensare che forse valga davvero la pena di entrare
e fare un po' di caciara, quando un ululato mi fa tornare bruscamente
sul pianeta Terra.
Dharma.
Che odia Slash e soci. Non li sopporta. Li vorrebbe vedere non dico
morti, ma in pessime condizioni, poco ma sicuro.
"No, ti prego, andiamocene, sarà pieno di metallari qua
dentro!" geme.
"E dai, che palle...cosa ti faranno mai? Mica ti mangiano! Ronnie ti ha
mai mangiato?"
"Beh, no..."
"E allora! Cosa te ne importa! In fondo, chi ascolta i Guns non
può essere una cattiva persona..." ghigno, gonfia di
sarcasmo.
"Beh, ma è diverso..."
"Dharma, SIAMO-QUI-PER-DIVERTIRCI, e nel 'siamo' sei compresa anche tu,
quindi zitta e vieni qua!" le grido, a qualche metro di distanza,
essendomi avviata di gran carriera e facendo slalom tra le persone che
sono all'esterno, buona parte di esse con una birra in una mano e una
sigaretta nell'altra.
"Adesso t'è venuta voglia di entrare eh?" grida nella mia
direzione, poi sospira e mi segue. Angie l'abbiamo persa di vista, ma
probabilmente è già dentro a scambiare quattro
chiacchiere con qualcuno, per cui non me ne curo nemmeno più
di tanto.
Entriamo, e subito, in coro, pigoliamo sfiancate: "Oh, no, che palle,
le luci basse..."
Odio l'illuminazione soffusa, mi darebbe la sensazione di essere
ubriaca marcia anche se avessi davanti a me anche solo un semplice,
banale bicchier d'acqua. Dharma, dal canto suo, sembra afflitta dalla
piega che sta assumendo la serata ai suoi occhi, tra musica che non le
piace e atmosfera da discoteca di quarta categoria, così
provo a rincuorarla.
"Su, non ci pensare...animo!" la sprono, già intuendo che,
più che essere indirizzato a lei, questo invito me lo sto
facendo da sola, perché già mi sento girare la
testa e ancora non ho nemmeno iniziato lo show.
Attimi di silenzio colmi di panico e di impliciti 'e adesso che
facciamo?' riempiono lo spazio vitale intorno alle nostre due figure,
finché lei non esplode di colpo: "Senti, se proprio dobbiamo
stare male, almeno facciamolo con cognizione di causa, e non per colpa
di queste luci del cacchio!" e mi trascina verso il bar.
"Due vodka lisce!" intima perentoria.
"No, no, che dici, oh! Per me un succo di frutta, grazie" correggo la
mia ordinazione, sfoderando un sorriso imbarazzato al barista, prima di
sentire, alle mie spalle, due voci che spiccano sopra il cicaleccio
generale.
"Guarda Zacky, la pazza!"
"Macché pazza, ce l'ha un nome, si chiama Leslie!"
Mi volto interdetta. E me li ritrovo a qualche metro.
Un ragazzo basso, capelli mezzi biondicci e mezzi scuri, a chiazze,
all'incirca, e una faccia che può ritenersi onorata di
essere annoverata tra quelle che prenderei a schiaffi più
volentieri, vicino a un altro ragazzo, poco più alto,
capelli scuri che ricadono sul volto paffuto e costellato di piercing,
due occhi più azzurri del cielo, quando non c'è
nemmeno una nuvola.
E mi sta sorridendo, felice come un bambino. Sarà felice di
vedermi? di vedere ME?
Nemmeno so chi sia. Anche se giurerei di averlo rivisto da qualche
parte. Lui, e anche il suo amico strafottente.
*
"Mi raccomando, ben corretto, quel succo di frutta!"
"La tua amica mi ha chiesto un succo normale" replica, serio.
"Oh, te l'avrebbe chiesto corretto, se non si fosse distratta,
fidati..." sorride sorniona, come lo Stregatto, prima che scompaia.
*
"Ciao Leslie!" gesticola, venendomi incontro.
Il momento si fa imbarazzante: è vero, mi sembra di averlo
già visto, ma chi diamine è? E come fa a sapere
il mio nome?
"Ehm, scusa, la domanda che sto per farti non è il massimo
del tatto, potrei fare finta di niente e sorriderti, chiedere come
stanno a casa e tutto il resto, sarebbe anche divertente, lo ammetto,
ma tu....cioè, ci conosciamo?" chiedo, dopo istanti
interminabili di silenzio, affastellando parole su parole, a
macchinetta, senza prendere fiato, senza filtro, come le penso
così escono, e il tappo, alla mia domanda totalmente da
imbecille, non ha niente di meglio da fare che uscirsene con: "E dai,
speravi che ricordasse di te? Non si reggeva nemmeno in piedi, a
momenti!"
Perfetto. Tu mi stai già abbondantemente sulle palle che non
ho. Il tuo faccino da testa di cazzo non mente, dunque.
Sto per mormorare a dentri stretti un tiratissimo "brutto pezzo di
mer...." quando la solita voce squillante mi interrompe. Più
squillante del solito.
Brutto, bruttissimo segno, conoscendola.
"Les, nemmeno mi presenti i tuoi amici? Ah, tieni il tuo succo" mi fa,
senza nemmeno guardarmi in faccia e mollandomi senza tanti complimenti
il bicchiere tra le mani.
"Io sono Dharma, piacere!" esordisce, raggiante, forte di
chissà quante vodka in corpo.
Li vedo spalancare gli occhi, poi guardarsi tra loro, indecisi su cosa
fare.
"Io sono Johnny" bofonchia il tappo, con aria di sufficienza e modi
secchi e sbrigativi.
"Ma sei quello che l'altra sera stava per prenderle da Les, per caso?!"
Cosa?! Stavo per suonargliele?
E PERCHÉ NON L'HO FATTO?!
Lo vedo sbiancare di colpo, serrando le labbra in una smorfia colma di
disappunto, soprattutto dopo che l'altro ridacchia e ammette che "in
effetti c'è andato molto vicino, ma come lo sai? Ah,
comunque io sono Zacky!"
"Mi ha raccontato tutto Les..." poi si ferma un attimo a pensare (e
dare un sorso piuttosto corposo a quello che ha adesso nel bicchiere)
"...ma tu sei quello che si chiama come il mio gatto!"
"Veramente è il tuo gatto che si chiama come me!"
puntualizza lui.
"Non credo proprio, nemmeno ti conosco!"
"Ma io esisto da più tempo di lui!" ribatte Zacky, piccato.
Vederli battibeccare qui accanto a me, e ritrovarmeli a qualche metro
di distanza, nel giro di una manciata di secondi, sempre a
battibeccare, è un tutt'uno.
Mi avvicino a Johnny, che li sta fissando alquanto sconcertato, poi si
volta verso di me. Vediamo se riesci a smentire l'antipatia che sto
provando nei tuoi confronti da quando ti ho visto.
"E così, avrei cercato di dartele..." esordisco, cercando di
assumere un contegno amichevole. E un sorriso finto-imbarazzato.
"Ma non ce l'hai fatta...avresti avuto un bel coraggio, nel caso..."
ghigna, alzando un sopracciglio con protervia.
Adesso ti aggiusto io. Spaccone.
"Oh, non ci vuole poi così tanto" affermo con sufficienza,
mentre gli assesto un pugno nello stomaco. Lui accusa il colpo,
piegandosi in due, il viso contratto da una smorfia di dolore misto a
disappunto.
"Piccola bastarda...." rantola, mentre sopraggiunge uno che
probabilmente fa parte della sua cerchia di amici, e che non posso fare
a meno di squadrare da capo a piedi.
Perché è alto, perché dalle maniche
rimboccate della semplice camicia nera che indossa spuntano due braccia
piene zeppe di tatuaggi, perché i suoi capelli si propagano
in almeno venti direzioni diverse, perché ha due occhi scuri
e magnetici da cui non riesco a staccarmi, ma soprattutto
perché è assurdamente bello.
Non avevo mai visto un tipo del genere in ventitre anni di vita. Mai. E
mentre ci penso, lui elargisce qualche pacca sulla schiena di Johnny,
che ha ancora in viso quell'espessione un po' sofferente e un po' 'te
la farò pagare, contaci', e sospira: "Amico, devi essere
proprio caduto in basso per farti ridurre in questo modo da una ragazza
dall'aria così dolce..."
"Macché dolce, è proprio una stronza!" sibila
l'altro. Wolverine (perché, andiamo, dei capelli
così li ho visti soltanto in testa a lui!) alza lo sguardo,
intenzionato a studiarmi a fondo, a vedere dove ripongo tutta questa
stronzaggine che Johnny millanta, e un lampo lo attraversa. Spalanca
gli occhi, continuando a mantenere un'espressione assolutamente
indecifrabile.
"Tu devi essere Leslie."
Ma non è possibile! Tutti mi conoscono e io non conosco
assolutamente nessuno di loro! Cos'è questa storia?
"Sì...ma tu che ne sai?" ammetto, sfiancata.
"Colpa di Zacky" si limita a bofonchiare con freddezza.
Ma, com'è che recita quel detto? Le disgrazie non vengono
mai sole?
Ecco. Infatti un'altra voce squillante giunge a rintronare un altro po'
le mie povere orecchie.
"LEEEEEES! Santo cielo, ma che è successo? Perché
Johnny si tiene la pancia?" mi chiede, indicando il tappo e evitando
sistematicamente tutti gli altri presenti.
Angie, ma potevi rimanertene dov'eri, a gestire le tue Public
Relations, senza venire a complicare ulteriormente la situazione? Che,
riassumo brevemente, consiste in: Dharma ubriaca che litiga con uno che
ha lo stesso nome del suo gatto, un tizio antipatico come la merda che
rantola perché gli ho dato quel che si merita, e un suo
amico, che ci sta fissando tutti con fare sornione e superiore,
ridendosela sotto i baffi e riassumendo un contegno semiserio appena si
accorge che lo sto fulminando con gli occhi. E che non si risparmia
nemmeno dal rispondere al posto mio.
"Leslie gli ha mollato un cazzotto" spiega. Lei nemmeno lo considera, e
mi guarda fissa e torva, come una madre guarderebbe suo figlio, appena
tornato da una sessione di lotta nel fango al parco giochi.
"E perché?"
Eh, perché, sorellina...secondo te c'è un
perché per tutto questo? Diciamo che mi sono limitata a
seguire il trend. Tutti qua dentro fanno cose assurde, ne ho fatta una
anche io, che poi, se guardi bene, tanto assurda non è.
Primo, perché diciamo che questa vocazione da bulletto di
infima categoria l'ho sempre avuta, e secondo, perché mi
sono ritrovata davanti uno degli esseri più strafottenti
della terra, e mi sono sentita assolutamente in dovere di fargli sapere
che non è solo.
Ma siccome mia sorella non capisce l'ironia, e me ne sono accorta in a
malapena un paio di giorni che la conosco, mi sembra il caso,
decisamente, di semplificare il concetto.
"Mi sta antipatico."
Okay, ho semplificato troppo. Adesso sembro una bambina idiota.
"Ma non puoi picchiare qualcuno solo perché ti sta
antipatico!"
Non hai tutti i torti, mamma Angie.
"Ha ragione"
Va bene, papà Wolverine, ho sbagliato. Mi cospargo il capo
di cenere e vado a letto senza cena.
"Tu stà zitto, Brian!" stride mia sorella.
Ah, allora Wolverine un nome ce l'ha!
"Strano, avrei giurato tu ti chiamassi Logan..." bofonchio, poi
realizzo un dato fondamentale.
Il tappo, prima, Angie l'ha chiamato per nome. E adesso anche lui.
"Ma...li conosci?" chiedo, alzando all'inverosimile un sopracciglio.
"Beh, sì...ho lavorato con loro!"
"Ah...e me lo dici così?"
Saranno fotografi anche loro? Probabilmente quello Zacky me
l'avrà anche detto, ma tanto non mi ricordo niente di quella
serata.
Naaah, non ne hanno l'aria. In ogni caso, sto seriamente rischiando di
impazzire, la situazione è una delle più assurde
in cui sia mai incappata, e ancora non ho nemmeno bevuto un sorso di
questo succo!
E forse sarebbe stato meglio se non l'avessi fatto.
Questo succo fa schifo, ha un sapore strano...anzi.
Non è succo. Meglio, non è solo succo.
"DHARMAAAAAA! TI AMMAZZO, LO GIURO!!!"
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Capitolo 9 *** What I Would Say To You Now ***
comunque...questa
fic sta diventando sempre più assurda. :°D
@BlueAndYellow: beh, perchè si comporta da testa di minchia!
:°D comunque Wolverine è stata un'intuizione
dell'ultima ora...
@TheFantasy:
boh, io li ho sempre visti azzurri, forse sò io
che sò daltonica :°°°°D in
ogni caso tu stà tranquilla che ci saranno anche Matt e
Jimmy, ti pare che lascio fuori due pezzi da novanta così?
*_*
@Martunza:
okay, okay, mi sbrigo, non minacciarmi così ;_; comunque non
li conosce perchè ascolterà anche tanta musica,
ma se qualcosa non le interessa nemmeno si accorge della sua esistenza,
come me, all'incirca :°D e alla fine si metterà con
Wolfie, ebbene sì....OOOOPS ! l'ho svelato! mannaggia, ho
sputtanato tutto! ;_; ma tanto mi leggete lo stesso, veroveroveroh? ;O;/
Chapter 09 - What I Would Say To You Now
Ieri sera non ci passava nemmeno per l'anticamera del cervello che
stamattina saremmo dovuti tornare in sala di registrazione.
Intendiamoci, lo sapevamo benissimo, il fatto è che ci siamo
detti che sarebbe stata solo una festa, la solita festa da sbornia
colossale, è vero, ma persino Matt ci avrebbe degnato della
sua presenza. Anzi, è stato lui a proporre di andarci.
"Ho voglia di divertirmi in mezzo a un po' di caciara!" ha esordito
ieri mattina, spiegandoci poi di questo party a cui eravamo invitati.
"Pare ci sia anche una nostra vecchia conoscenza" ha ammiccato poi in
direzione mia, e già mentre lo stava dicendo avevo capito di
chi poteva trattarsi, ragion per cui, quando me la sono ritrovata
davanti, non mi sono stupito più del dovuto.
Piuttosto, mi sono stupito dell'esistenza di un suo doppio,
completamente differente da lei.
Quella ragazza era uguale identica, stessi tratti, stessi occhi, ma una
luce diversa ad illuminarli. Capelli corti e di un colore accecante.
Piercing. Due.
Ogni singola cellula di lei sembrava urlare dichiaratamente un diritto
a rivendicare la propria diversità, una diversità
soltanto esteriore, per quel che ne potevo sapere. Vedendola poi
assestare un signor pugno nello stomaco a Johnny avevo ancora
più palese la certezza che quella non fosse Angelica, che
non poteva essere cambiata così, perché
semplicemente non è mai stato nelle sue corde, e lo so sin
troppo bene. Non è una persona votata all'eccesso,
appariscente, volitiva, come quest'altra ragazza, che mi guardava torva
mentre sfottevo un po' il piccolo Johnny.
Poi, improvvisamente, mi sono ricordato di averla già vista,
anzi, di averla sentita urtare il suo corpo sul mio, che stavo andando
incontro agli altri, fuori dall'ennesima festa, un paio di sere fa. E
vi dirò di più, era sbronza fradicia e piuttosto
nervosa, e mi ha anche mandato a fanculo.
Leslie.
Così ha detto che si chiama, Zacky.
Ha parlato con lei, ma non ci ha raccontato di cosa. E adesso mi
incuriosisce sempre di più, ma lui tace, glissa con
non-chalance, a volte ci dice che non sono affari nostri. Sembra il
depositario di una reliquia sacra, intenzionato a proteggerla con le
unghie e con i denti fino all'ultimo.
É strano, che ZeeVee si comporti così, ma non
credo in niente di particolare, non è tipo da colpi di
fulmine, e lei è troppo, per lui. Troppo....troppo. Non
saprei spiegarlo. Non è una bellezza accecante,
è....carina, sì, lo ammetto, ma ha qualcos'altro,
non saprei cosa.
Mette una certa soggezione.
Persino a me.
E così, l'ho chiamata per nome, solo per questo motivo, solo
perchè lo sapevo, e volevo vedere che effetto avrebbe fatto.
A lei non è piaciuto molto, mi fissava incredula, con
un'espressione alla 'E che cazzo ne sai? Ma soprattutto, chi cazzo sei?'
Devo essere sincero? Okay, lo sarò: speravo mi riconoscesse.
No, la fama non c'entra, ve lo assicuro. Si tratta di qualcos'altro,
una possibilità, seppure remota, che è
riaffiorata solo a festa finita, e che mi ha fatto rigirare nel letto
per tutto il resto della nottata, quindi ragionevolmente non sono
proprio fresco come una rosa, anzi, sto quasi addormentandomi anche
adesso, mentre cammino per raggiungere quel dannato studio. La testa
è pesante, i pensieri confusi e annebbiati, lattiginosi, gli
occhi pian piano, lentamente, si chiudono...
Una botta.
Contro qualcosa.
Qualcuno.
Che adesso mi sta maledicendo in tutte le lingue del mondo. Questa
però non la conosco, ha una pronuncia parecchio strana...
"Caffo, che male...ftai affenfo a thove vai!"
Gli occhi si spalancano, pronti a individuare la persona a cui devo
chiedere perdono per la mia disattenzione, ma quel che scorgo mi
produce un lieve sobbalzo.
"Ancora fu!" esclama, colma di stupore.
Capelli rossi.
Piercing. Due.
Labbro e sopracciglio.
"...Leslie?"
"Fì!" risponde, quasi rabbiosa. É ironico pensare
che abbiamo modo di interagire solo planandoci addosso mentre
camminiamo.
"Che hai?" le chiedo.
"Ferchè?" mi risponde, chiedendo a sua volta. Fa fatica a
parlare, me ne accorgo anche se sto praticamente dormendo in piedi. Poi
sembra capire.
"Ahh...ho fassho il fiffin!" pigola mettendo da parte l'astio che
sembra sempre avere nei confronti del mondo, e sorride, soddisfatta,
come una bambina, prima che la sua bocca si deformi in una sottile
smorfia di dolore.
"Cosa?"
Realmente non ho capito, e allora lei mi mostra la lingua, non a
spregio, nè per dileggio, ma semplicemente
perché, al centro esatto di essa, c'è una pallina
di metallo, che affonda in uno scarlatto gonfiore.
"Ah, il piercing!" esclamo, finalmente sollevato dalla lieve
entità del problema. Così mi sembra il caso di
punzecchiarla un po'.
"Lo sai che può indurre difetti di pronuncia?"
"Ftai fitto, Bruf, non shi fi meffere pure fu!" sbotta, provocandomi un
moto involontario di riso. Probabilmente qualcuno è arrivato
prima di me, ma...
"No, aspetta, aspetta....com'è che mi hai chiamato?"
"Bruf!"
"Bruce? Veramente mi chiamo Brian..." mi sento in dovere di
puntualizzare.
"Non imporfa, ftai fitto lo fteffo!" replica, piccata, facendomi ridere
ancora un po'. E mettendomi a tacere.
"Shu, piuffofto, mi fembi un po' affonnato..."
"Assonnato, dici? Beh, in effetti..."
"Anthiamo, fi offho un caffè" mi dice, sorridendo. Noto una
vaga sfumatura di beffa, proprio da lei, che non è
decisamente in condizione di prendere per i fondelli qualcun altro.
"Ma tu per ora sarà meglio che non lo beva..."
"Infaffi lo offho io a fe, sftupitho" incalza, alzando il sopracciglio.
Finisco per accettare, con l'idea di provare a rivalutarla,
più che altro di capire perché Zacky se la sia
presa così a cuore.
Speriamo sia in giornata buona.
Facciamo pochi metri, prima di giungere alla caffetteria.Ci sediamo a
un tavolo in fondo, e la cameriera viene quasi immediatamente a
servirci.
"Un caffè molto concentrato, e...tu cosa prendi?"
"Niente" si sforza di dire, articolando i suoni quasi perfettamente.
Questo però le costa un'altra fitta di dolore, che le fa
strizzare gli occhi.
"E un bicchiere d'acqua fresca" aggiungo, mettendo a tacere Leslie con
un'occhiata che non ammette repliche. Lei abbassa lo sguardo,
arrossendo lievemente, poi si china a prendere la borsa e inizia a
frugarci dentro, finché non riemerge, posando sul tavolo un
blocchetto e una penna. Li apre, e si mette a scrivere qualcosa, poi mi
porge il tutto. Ci butto uno sguardo, e mi si stende davanti un tappeto
di segni tondeggianti e ordinati, che però decifro solo alla
seconda occhiata: "Scusami. ma mi sto sforzando e la lingua fa male,
è un problema se scrivo quello che voglio dire?"
"N...no, fai pure" rispondo a voce, abbozzando un sorriso
incoraggiatore, che lei ricambia.
É strana. Ieri si sarebbe mangiata il mondo intero, con
tutti i panni addosso, e stamani è così
tranquilla e disponibile da farmi dubitare, anche se solo per un
attimo, di avere davanti la stessa persona che ho conosciuto alla festa.
Che la notte si trasformi in un essere malvagio? Una Leslie mannara?
Okay, ho detto una cazzata. In effetti sono restio a chiedere alle
persone di raccontarsi, ma lei è un soggetto talmente
interessante da meritarsi una domanda curiosona da parte mia, in fondo
non c'è nulla di male. Credo.
"Dimmi qualcosa di te" azzardo, aspettandomi l'ennesimo vaffanculo.
Che però non arriva.
"Cosa vuoi sapere?" scrive, sul blocco, mentre sorride, con espressione
divertita.
Le sfilo dolcemente la penna dalla mano e inizio a rispondere. Parlare,
ed aspettare una risposta scritta, mi dà la sensazione di un
desolante monologo, così mi adeguo al suo sistema di
comunicazione provvisorio, e devo essere sincero, è un
esperimento piuttosto insolito. Mi ricorda, per assurdo, certe mie
compagne delle superiori, che comunicavano così durante le
ore di lezione, in genere parlando di cose frivole, effimere.
"Beh, quello che ti va di raccontarmi, immagino."
"Okay, allora...mi sono fatta questo piercing per fare un dispetto a
mio padre, ma me ne sto pentendo...fa malissimo!"
Decisamente insolita, come informazione. Ma d'altronde ho di fronte una
persona che si può definire in qualsiasi modo, meno che
banale. Devo ammettere che è curioso accorgersi di certi
particolari così, all'improvviso, conoscendo qualcuno da
sì e no qualche ora.
Sto per risponderle, ma la vedo riafferrare la penna e impegnarsi a
fondo nel tracciare quelle geometrie così armoniose e
tranquillizzanti. Ecco, sì, la sua grafia è
rilassante, avvolgente. Quasi ipnotica.
"No, a parte gli scherzi (non è mai fastidioso fare
incazzare un po' il paparino :D), mi chiamo Leslie, ma questo
già lo sapevi, ho quasi ventiquattro anni e vivevo a New
York, prima di scoprire di avere per sorella gemella quella piattola di
Angie...no, suvvia, non è una piattola, è che a
volte mi sembra così...così SERIA, capisci?
Però è adorabile, sul serio, siamo molto in
sintonia, non me lo sarei mai aspettato, in fondo ci conosciamo da
qualche giorno...ah, a proposito, ha detto di aver lavorato con te e il
tappo, mica sarete fotografi anche voi? Eh?"
Tutte queste informazioni condensate in qualche riga di blocco mi
sbalestrano giusto un attimo, devo rileggere tre o quattro volte per
poter essere in grado di rispondere.
"Ecco, mi sembrava, dall'accento...quindi tu e Angelica non vi
conoscevate, prima?
P.S.: sì, hai ragione, è dannatamente posata..."
"Lo so, che ho ragione, io ho SEMPRE ragione! Beh, no, te l'ho anche
già detto, questione di qualche giorno, tra l'altro ho
scoperto per caso della sua esistenza, i miei non hanno mai accennato
alla questione...
P.S. anche io: a New York ci vivo da qualche anno, in realtà
sono di qui anche io. Si sente così tanto l'accento di
là?"
"Ah sì? E dove, di preciso?
Sì, si sente. Parecchio."
"Huntington, mi sembra ovvio...ho detto di QUI...comunque ho vissuto
anche a Stanton, prima di andarmene."
Chissà perché, ma ha questo dono innato di farmi
sentire un emerito cretino per qualsiasi cosa mi azzardo a dire. Non
sono nuovo a questo tipo di sensazione, ma non l'ho mai sentita
così forte e persistente.
Anzi, soltanto un'altra volta. Una sola. E il solo pensarci non mi ha
fatto chiudere occhio, stanotte.
Che sia veramente lei?
"Hai ragione, scusa, ho ancora sonno..."
Pessima scusa, Brian. Pessima.
"E come fai di cognome?"
"Root"
Un colpo di tosse mi fa sputare quelle poche gocce di caffè
che stavo ingurgitando pressoché ovunque.
"Ehi, fe fuffede? Fuffo bene?" farfuglia, allarmata, vedendomi
strozzare.
"S...sì, diciamo di...sì" rispondo, cercando di
tranquillizzarla. Afferro il suo bicchiere d'acqua, che lei non ha
nemmeno toccato, e bevo, nel tentativo di ristabilirmi.
"Comunque" riprende a scrivere "ancora non mi hai detto se tu e il nano
malefico siete fotografi..."
Rido, per come è stato chiamato Johnny, e rispondo che "no,
in realtà siamo musicisti, anche Zacky suona con noi,
più altri due, si chiamano Matt e Jimmy"
Già...
Loro.
Le prove.
Me ne sono dimenticato, cazzo. E per di più sono talmente
inebetito, nonostante il caffè, da non sentire nemmeno il
telefono che suona.
Non è per il sonno che sono così rincoglionito,
ma l'effetto è affine: mi sento come se tutti i miei
peggiori incubi si fossero materializzati qua davanti.
"...seh?" rispondo, svaccato come al solito.
"Brian, dove cazzo eri finito? É mezz'ora che ti chiamo!"
Il Rev, e la sua consueta finezza..
"Scusa, Jimmy, ho avuto un contrattempo, arrivo sub..."
"Non stare a scomodarti, le prove sono saltate...mi sono alzato
mezz'ora fa per prendere il telefono e rispondere a quel coglioncello
di Johnny, che l'ha chiamato Zacky, che l'ha chiamato Matt. In pratica,
ci siamo svegliati a catena...a proposito, mica dormivi, vecchio
pigrone?"
"Ma se ti ho detto..." sospiro "no, comunque. Ci aggiorniamo per
domani, ti chiamo dopo" e riattacco, notando che Leslie sta scrivendo
ancora.
Il tempo è volato, insieme a lei. Mi sono dimenticato di
tutto quello che c'è al di fuori di questa caffetteria, al
di fuori di questo angusto tavolino a cui siamo seduti, e forse inizio
un po' a comprendere Zacky, e il suo sorriso, quando la incontra.
É strana, ma affascinante.
Mi porge il blocco, affinché io legga.
"Fico. Anche io faccio parte di una band!"
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Capitolo 10 *** Moonage Daydream ***
@blaise_sl_tr07:
credimi che io quando leggo le storie di BlueAndYellow le leggo sempre
a notte fonda e rido come una cretina :°D e a proposito...
@BlueAndYellow: diciamo che ti ho già spiegato
molto vagamente la dinamica :°D comunque sono contenta che
leggi sempre quel che scrivo *___*
@Martunza: a martù...ma te appari scompari e riappari
così...però mi fa piacererrimo *_*
@TheFantasy: tanti trip non te li sei fatti, fidati... :°DD
@ms_reverie: gnaaaaaaa, anche tu qui *O* !!!! grazie, mi viziate
così! e occhio che se mi si vizia poi divento
insopportabilmente egocentrica XD e adesso che vi ho avvisato, capitolo
nuovo! e buona lettura è_é/
Chapter
10 - Moonage Daydream
"Avanti, dì qualcosa"
"Fualfofa."
"Sì, ma così non vale! Togli quella dannata
cannuccia, cazzo!"
Tolta.
"Fualfofa."
Silenzio.
"IO TE L'AVEVO DETTO CHE SAREBBE FINITA C..."
"Rilassati, stavo scherzando! Qualcosa! Va bene adesso?" borbotto. La
vedo distendersi a poco a poco, ed esplodere in un sorriso a trentadue
capsule.
"Sia lodato l'inquilino del piano di sopra!" squittisce, contenta.
"Non ci sono altri inquilini, è una villetta, questa...e si
dà il caso che questa stanza sia proprio sotto al tetto..."
tento di fare dell'ironia. So benissimo che non sta parlando di
inquilini qualsiasi, e so benissimo anche che nessuna delle due crede
in Dio. Dharma, però, crede in un'entità
superiore, a cui non sa dare una fisionomia (beh, d'altronde
è così che va, no? Non devono avercela,
sennò sarebbe troppo complicato. O semplice. O entrambi. Per
esempio, Buddha. Pensi a lui, e te lo immagini come lo rappresentano
nelle statue: bello in carne e contento. In realtà poi ti
viene in mente che il Nirvana, che a quanto pare lui ha raggiunto,
è uno stato mentale che consegue dalla totale ascesi, e un
ascetico non mangia, quindi non può esser grasso. A creare
dei cliché si finisce per generare confusione.), e come
tale, la chiama così.
L'inquilino del piano di sopra.
Io mi immagino sta specie di divinità come un simpatico
ometto di mezza età con una panza clamorosamente prominente,
che esce dalla doccia con l'asciugamano avvolto intorno e il riporto
dei capelli tutto spostato, oppure che legge il giornale in poltrona,
intabarrato in un maglione a losanghe di tutte le sfumature di marrone
concepibili dalla mente umana e le babbucce di lana col pelo dentro, e
anche con gli occhiali di corno, magari riparati con il nastro adesivo,
che tentano il suicidio precipitando dal setto nasale...un dio molto
alla mano, penso, con un nome banale, tipo Robert, o Frank. Un nome da
nonno, ecco.
"Nessun difetto di pronuncia! NESSUNO!" trilla, saltellando qua e
là. Vorrei chiederle cosa c'entri, perché l'abbia
tirato in ballo. Alla fine è andata solo bene, la
cicatrizzazione del piercing ha fatto il suo decorso, non c'era da
stupirsene, e invece lei saltella e vaneggia, senza preoccuparsi della
mia presenza, così torno a biasciare la cannuccia del mio
milk shake alla menta, e fissare il pavimento come se fosse lo spazio
cosmico.
Con stupore e meraviglia?
No. Con vacuità.
Sono finita di nuovo a casa mia. Cioè, casa dei miei.
Insomma, sono a Stanton, in camera mia, a camminare su quel pavimento
che non vedevo da anni, perché quando sono tornata non ho
avuto neanche il tempo di salire a vedere i miei ricordi mangiati dalla
polvere, anzi, nemmeno da quella, perché la donna delle
pulizie spolvera ogni santo giorno, anche se qui non c'è
nessuno. É tutto così dannatamente asettico,
pulito, non c'è niente fuori posto, e invece ripenso a
quando ci abitavo io, qua dentro, quando ne avevo fatto il mio regno.
Ripenso alla confusione perenne che c'era, ripenso ai pomeriggi passati
con Andy a fare finta di studiare.
Andy. Il mio ex. Un degno stereotipo dell'abitante medio della contea.
Ricco e alternativo, s'intende per finta, perché al liceo
è così semplice fare finta di essere qualcun
altro, e lui era bravissimo a nascondere la sua attitudine da figlio di
papà. Ma mi piaceva. Perché mi portava ai
concerti, perché mi insegnava a suonare la chitarra, qualche
accordo, così, tanto per divertirci.
E nient'altro.
L'ho lasciato dopo il diploma. Perché mi s'era accesa una
luce nel cervello, e quella luce lampeggiava, dicendomi 'non
è quello per te', e le ho dato retta. Si può
dire, anzi, già lo faccio, che quest'azione sia stata
l'inizio della mia nuova vita. Avevo rotto con il passato, e qualche
tempo dopo, durante la solita telefonata con Dharma, le dissi: "Andiamo
a respirare aria nuova."
"Mi trasferirò a New York tra un mese. Ho deciso la
settimana scorsa. Vuoi venire con me?"
Credo sia superfluo specificare che non esitai ad accettare. All'inizio
è stata dura, lo ammetto, ma quando non sei solo
è tutta un'altra storia. Hai momenti per divertirti, anche
solo per ridere in compagnia. La solitudine è deleteria, in
queste circostanze. Anche quando sei a giro, per le strade di una
città grande e avvolgente come New York, riesci a sentirti
isolato, se sei nello stato d'animo giusto per farlo. E io, senza
qualcuno accanto, mi sento come una piccola eremita delle montagne.
Eccola, che termina il suo balletto, la sua personale danza della
pioggia (tanto qua non funziona). E si volta a fissarmi intensamente.
Trucemente.
"E allora perché continui ancora a nutrirti di quella roba?"
chiede, con fare inquisitorio. Cado dalle nuvole, chiedendomi a cosa si
stia riferendo, poi mi guardo la mano, che stringe convulsamente il
bicchiere di carta del frullato, e capisco. Ritorno a flirtare con la
cannuccia, tiro su un sorso piuttosto consistente di quel nettare, lo
assaporo, con calma, soppesando ogni istante che la faccio soffrire
senza rispondere, perché so com'è. Lei
è fatta così, quando qualcosa le interessa, o le
sta particolarmente a cuore, finché non sa, non sta bene, e
infatti la vedo, che sta per iniziare a sudare freddo, mentre io invece
godo di questi attimi di silenzio, di quell'aromino alla menta che mi
si diffonde in bocca, e solo quando ho mandato giù almeno
altri due sorsi di milk shake, sempre seguendo lo stesso iter, mi
risolvo a emettere la sentenza.
"Diciamo che c'ho preso gusto."
La spiazzo, povera Dharma. Però la sollevo anche,
perché adesso è ancora più felice,
più raggiante, in virtù della mia prontezza (ma
dove.) nel pulire quella macchietta che aveva deturpato la sua certezza.
Sono ancora nella band, dunque, e l'averne la consapevolezza (che non
avevo mai perso, lo ammetto. Sarà che conosco i miei
polli...Dharma non mi avrebbe mai scaricata per così poco.
Al massimo mi avrebbe fatto fare la tour manager. Mica male, comunque.
Una tour manager che parla come se avesse un limone in bocca.) mi fa
stare bene, mi strappa un sorriso, il primo in tutta la giornata.
Ebbene sì, ho ancora legata al dito la reazione di mio padre
al piercing.
"CIAO JOHNNY!!!" ho esordito stamani, rientrando dal soggiorno a casa
di Dharma, corredando il tutto con una sonora pernacchia e una
linguaccia, giusto per mostrare al signor padre la mia ultima
marachella. Mi sentivo come una bambina cattiva, che aveva rubato
caramelle e pestato occhiali sotto i piedi, sbriciolandone le lenti (un
po' come facevano con quelli di Woody Allen in 'Prendi i soldi e
scappa'), più altre simpatiche malefatte su questo genere,
oltretutto orgogliosa dei suoi piccoli misfatti, e invece mio padre non
mi ha degnato di una predica, uno sguardo torvo, niente. Nemmeno un
insulto a random, niente di niente. Non mi ha dato la soddisfazione che
sentivo di meritarmi, anzi, non mi ha nemmeno guardato, continuava a
mangiarsi con gli occhi il giornale, mentre mi ha detto: "Ma ti pare
che a ventun anni, o quanti ne hai, ti puoi mettere ancora a fare le
pernacchie."
Sì, col punto in fondo, come a dire 'e detto questo, cali il
sipario, così almeno posso leggere in santa pace'.
Stronzo. Non ti ricordi nemmeno quanti anni ho. Che razza di padre sei?
Ed è stato in quel frangente esatto che mi è
venuta in mente una cosa.
Che mio padre ha lo stesso nome di quel lurido nanetto con i capelli a
chiazze e la faccia da camionista.
Sarà un caso.
Per fortuna Dharma interrompe le mie congetture con una delle sue
osservazioni fuori tempo massimo.
"Solo Charlie riesce a bere roba gelata in pieno inverno..."
"Dharma, a volte ho l'impressione che il tuo neurone ti stia ancora
mandando cartoline dalla Polinesia e rimandi a tempo indeterminato il
suo ritorno..."
"Ma perché?"
"No, seriamente, mi sconcerti!"
"E che ho fatto stavolta?" mi chiede, gemendo sconsolata.
"Dimmi cosa c'entra Charlotte adesso!"
"Eh, pensavo che siamo quasi a ottobre, ormai, e a New York tra un po'
inizierà a far freddino, e Charlie, anche in mezzo alla
neve, riuscirebbe a bersi una Coca, o un frullato freddo, senza
congelarsi...no, è che ho collegato il tuo frullato a...beh,
ma qui non fa testo, non farà freddo nemmeno a invocarlo..."
"Ma a ottobre non nevica nemmeno a casa..." obietto, in punta di voce,
in preda a una malinconia improvvisa, dettata dalla comprensione del
pensiero di Dharma.
Non lo ammetterà mai, perlomeno non direttamente,
perché in un certo senso già lo sta facendo
cripticamente, ed è un grande passo avanti, ma le manca la
nostra vita.
Le manca il freddo gelido della Grande Mela, le mancano le mattinate
passate a gestire una piccola fumetteria, vicino a casa nostra, in cui
il proprietario non c'è mai, e se c'è,
è solo per passare 'a fare un salutino e vedere se
è tutto a posto', le mancano Ronnie e Charlie, le prove, le
serate nei localini piccoli e bui, le cazzate fatte insieme, le
incursioni a Manhattan e le passeggiate in Central Park. Le manca
persino Zacky. Beh, il gatto, ovvio. E queste curiose associazioni di
idee, stupida me, che lo capisco troppo tardi, sono il suo modo per
esprimere disagio.
Non vuole stare qui, per quanto sua madre le sia mancata, per quanto
vorrebbe, magari, andare anche a fare un salutino a suo padre, a
Venice. Però è rimasta, perché sa che
ho bisogno di stare qua un altro po', di conoscere meglio mia sorella,
e soprattutto perché c'è da stringere i denti
ancora per qualche tempo.
"Chiamiamole. Ho voglia anche io di sentirle" propongo, sorridendole
con dolcezza. Si illumina impercettibilmente, prima di annuire e
prendere il telefono.
"Ferma lì!" la blocco. Mi fissa incerta.
"Siamo a casa mia, e la devo far pagare al mio indegno genitore per non
avermi prestato la minima attenzione stamattina!" incalzo trionfante,
afferrando il cordless.
"Tanto adesso è ricco sfondato, cosa vuoi che sia" concludo,
con una vena d'amarezza nella voce. Continua a guardarmi, stavolta
preoccupata del mio sguardo, fattosi improvvisamente vuoto.
"Non è niente, tranquilla!" mi riprendo "puoi dettarmi il
numero di Charlie, per favore?"
"Aspetta che lo cerco!" risponde, trafficando nel suo cellulare.
Il telefono squilla, squilla innumerevoli volte, fino a che una vocina
familiare non risponde.
"Pronto?"
"Charlie, metti via quel piglio formale, qui Leslie dalla California!"
esordisco, allegra. La sento illuminarsi tutta.
"LEEEEES! Oddio, da quanto tempo! Ma perché non hai chiamato
prima? Come stai? E Dharma, è lì con te?"
Ma da quando parla così tanto, e così
velocemente?!
Dobbiamo proprio mancarle un sacco.
"Piano, troppe domande! Sì, Dharma è qui, stiamo
bene e mi sono ricordata solo adesso di avere due genitori a cui poter
scroccare le telefonate!"
Ride, con quel suo trillo cristallino.
"Sempre senza soldi, eh?"
"Eh, che vuoi farci..." sospiro "ma un giorno tutto questo non
succederà più, promesso!" concludo poi, con
piglio solenne.
"Piuttosto, come ve la passate a New York?"
"Non male, fa caldissimo, tra l'altro...sì, aspetta, adesso
glielo dico...ha chiesto Ronnie quando tornate, che suo fratello le fa
fare dei turni da schiavismo puro!"
"E pure gratis!" sento urlare dall'altra parte della cornetta.
"Siete in negozio?" chiedo, e loro pigolano un "Sì" in coro.
"Eh, non so quando torniamo, comunque...abbiamo ancora delle faccende
in sospeso..." rispondo, mantenendomi vaga.
C'è un'altra ragione per cui Dharma non ha fatto le valigie
ed è tornata dall'altra parte della costa, lasciandomi qui
da sola a fare i conti con la mia cosiddetta famiglia. Ma voglio
dirgliela con calma, e soprattutto dopo aver tratto un bel respirone
profondo. Non è facile, perché devo riassumere in
poche frasi il contenuto di una delle settimane più intense
che mi siano capitate nella vita.
"Con tua sorella, dici?"
"Eh, sì..."
Mento, ma fino a un certo punto, perché finora non abbiamo
avuto grandi momenti di condivisione delle nostre esistenze fino ad
adesso. Sì, feste, cene insieme e attimi passati a parlare
di quello che eravamo e di quello che siamo adesso, ma ho come la
sensazione che manchino ancora diverse tessere del puzzle. Voglio
vivere mia sorella fino a che mi sarà consentito, e comunque
posso permettermi il lusso di prendere tempo, vista la svolta
inaspettata che ci ha investito in questi ultimi giorni. Ma questo
ancora non sono pronta a dirlo a Charlie e Ronnie, perciò,
in attesa di trovare le parole giuste, passo il telefono a Dharma, che
è qui che smania e lo reclama con insistenza.
"Ehi, e allora? Zacky come sta?" si premura di domandare. Sorrido,
pensando all'affetto smisurato che prova per quel micio.
Sorrido, anche pensando a quanta compagnia ci abbia fatto da un paio
d'anni a questa parte. A volte mi chiedo come abbiamo potuto passare i
primi due anni senza la sua presenza, la sua coda che volteggia
leggiadra e truffaldina per casa, alla ricerca di coccole o di cibo, i
suoi occhi nel buio della mattina, quando mi sveglio e lo ritrovo a due
palmi dalla mia faccia cisposa, intento a fissarmi e a miagolare il suo
'buongiorno' personale, senza i divani graffiati, anche. Fa parte del
gioco, ma tanto a me quanto a Dharma non importa, tant'è che
non li abbiamo ricomprati nuovi. Beh, anche perché tanti
soldi non ne abbiamo: tra quelli che partono per l'affitto, le
bollette, la spesa, e quelli che mi scala Mike dalla paga ogni
qualvolta mi consigli un disco da ascoltare, rimane poco. Giusto
l'occorrente per pagarci il biglietto aereo. Per il ritorno
dovrò chiedere un prestito ai miei, anche se non sto facendo
molto per tenerli buoni e metterli in condizione di farsi spennare.
E mentre penso a tutto questo, sento come un'eco lontana, in
dissolvenza, le parole di Dharma. Che si fanno sempre più
vicine, fino ad urlarmi nelle orecchie.
"...dovrei farla ubriacare più spesso, cazzo! Ha conosciuto
dei musicisti amici di sua sorella, e con uno di questi ci ha litigato
immediatamente, gli ha anche dato un pugno, ma almeno adesso vogliono
sentirci suonare!"
Ma porca puttana, Dharma, perché devi rovinare sempre tutto?
VOLEVO DIRGLIELO IO, CAZZO!
"E dai, Dhà...perché gliel'hai detto
così? Non hai creato in loro la benché minima
aspettativa..." bofonchio, alzandomi dal letto e dirigendomi verso di
lei con la mano protesa, a volere indietro la cornetta, che ottengo con
non poca reticenza.
"Eh...avrei voluto farvelo sapere in modo meno affrettato, ma
è così..."
"DIMMI IMMEDIATAMENTE TUTTO!" esige Ronnie, dall'altra parte.
Così le spiego, paziente, della festa, di mia sorella, che
inaspettatamente li conosce, di Dharma che litiga con uno che ha lo
stesso nome del suo gatto (e qui mi scocca un'occhiata micidiale, ma
cosa vuoi farci, chérie, c'est la vengeance.)...ma Ronnie mi
interrompe, dubbiosa.
"Zacky?" chiede, con una lieve sfumatura stridula nella voce.
"Beh, così ha detto. É simpatico, sai, uno a
posto, mica come quell'altro imbecille coi capelli a chiazze che gira
con lui...si chiama come mio padre, figurati, dev'essere un segno.
Accomunati nel nome e nella cretinaggine..."
"Johnny..."
"Sì, mio padre si chiama, cioè, lo chiamo
Johnny...ma non siamo qui per parlare di mio padre! E nemmeno del
tappo...e comunque ti sei persa l'articolo migliore..."
"Fammi indovinare..."
"No, non ti faccio indovinare! Taci e ascoltami! Mi sono scontrata con
lui appena uscita dallo studio di piercing, quello dietro casa di
Dharma..."
"Ti sei fatta quel dannato piercing alla lingua, Les?"
"Sì, però senti come parlo bene! Nessun problema,
anche Dharma può confermare, vero?" e mi volto verso di lei,
che annuisce distratta.
Ronnie è sempre stata contro questa mia idea. Mi ha
raccontato gli effetti collaterali, le possibili infezioni e tutto il
resto, ma non è riuscita a farmi desistere. É
come quando leggi i foglietti llustrativi delle medicine: se te ne
capita uno tra le mani ti passa la voglia di curarti. L'aspirina sembra
un veleno mortale, se leggi quel dannato foglietto. Alla fine basta non
dargli peso, e così ho fatto io, anche se grazie alla mia
bravata ho contrariato metà band. Charlie, come al solito,
non s'è schierata.
"Va beh...insomma, dicevi?"
"Sì, insomma, doveva aver passato la notte in bianco,
perché stava dormendo in piedi, e m'è venuto
addosso...ed era uno di loro! L'ho invitato a prendere un
caffè, e abbiamo chiacchierato un po'...cioè, lui
parlava e io scrivevo, mi faceva male la lingua, poi ha iniziato a
scrivere anche lui, e..."
"Arriva al nocciolo, Les!" sbotta, seccata.
"Un attimo, cacchio! Insomma, lui è musicista, suona con
Zacky, Johnny e altri due, e si chiama qualcosa come Barry,
Benji...all'incirca. Ah, e assomiglia a Wolverine. Cioè, i
capelli sono identici, il resto è di gran lunga migliore..."
"No, si chiama Brian. E gli altri due Matt e Jimmy." asserisce,
serissima.
"Ecco, sì! Brava!" esclamo, colpita dall'illuminazione. Poi
mi fermo un attimo a pensare.
"A..aspetta, aspetta...e tu come lo sai?" chiedo, nell'assoluto
silenzio che regna dall'altra parte.
"Pronto, Les? Sono Charlie..."
"E Ronnie?"
"Sta saltellando a giro per il negozio, meno male non c'è
nessun cliente, adesso..." sospira, con quella sua voce pacata "le
uniche parole di senso compiuto che riesco a cogliere sono 'il mio
gruppo preferito'..."
"Oh."
"CIOÉ, TU LI CONOSCI E NON MI DICI NULLA?" urla di nuovo
nella cornetta, mettendomi seriamente in predicato un timpano.
"Ma che ne sapevo..." tento di giustificarmi, e la sento dire a
Charlotte che "ma ti pare? Come se non sapesse che sono la mia band
preferita! E non mi dice che li ha conosciuti!"
"E che vogliono sentirci suonare..." preciso, il tono rassegnato.
"E che vogliono sentirci suonare, anche! Capisci, Charlie? Che
vogliono...COSA HAI DETTO LEEEEEESLIE?"
"Hai sentito bene...ho detto a Wolverine che suono anche io, e che gli
avrebbe fatto molto piacere sentirci, cosa che mi ha ribadito anche nei
giorni a seguire..."
"OSSIGNORE!"
Invocazione seguita immediatamente da un botto sordo, e dalla voce
della nostra batterista.
"Credo sia svenuta...ma darle meno immediate, queste notizie?"
"Dillo a Dharma..." replico.
"Comunque appena si riprende cerchiamo un aereo per Los Angeles. Avete
posti per dormire in casa?"
"Sì."
"Ok, allora vi facciamo sapere quando arriviamo. Ciao!" e riattacca.
Rimango per minuti col telefono appoggiato all'orecchio e la bocca
ciondoloni, finché Dharma non mi risveglia dalla catalessi
con un urlo agghiacciante.
"Tu guardi troppi horror."
"Ma no, sono i Raving Rabbids di Rayman! Quanto a videogiochi sei
rimasta ferma a SuperMario, tu!"
"Probabile..." boccheggio, cercando di riprendermi.
"Dharma, questi sono pezzi grossi, sono il gruppo preferito di
Ronnie..." affermo poi, preoccupata, continuando a tenere la mano sul
microfono della cornetta, ormai appoggiata alla spalla. Come se in
linea ci fosse ancora qualcuno, a cui non devo far sentire quel che sto
dicendo.
"Oh, cazzo...metallari" sospira, accasciandosi nella poltrona, mentre
mi tuffo sul letto, col telefono sempre in mano.
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Capitolo 11 *** Breaking The Habit ***
awwwww
stavolta c'ho da rispondere a un casino di commenti :Q___
@_Ellie_:
minchia che papiro!!! O_O grazie mille, è bello leggere
queste recensioni così soddisfatte *_* soddisfano anche me
:Q_ comunque i Three Days Grace li conosco solo di nome, mò
mi documento!
@BlueAndYellow:
le tue congetture non hanno MAI un senso logico XD ma a me va benissimo
così :°D
@The
Fantasy: restano così per due motivi differenti: Dharma non
sopporta i metallari e Leslie si caga sotto a pensare che siano un
gruppo talmente noto nel suo ambiente da essere conosciuto anche da
Ronnie, e quindi, beh...si caga sotto. :°D
@Elyrock:
la mia bambina mi commenta anche qui!!!! tiè tiè
tiè! *Q*
@Martunza:
a martù, ovvio che ce sò gl'impicci!
sennò che storia mia sarebbe? :°DDDDD
@blaise_sl_tr07:
buono, la parte che hai descritto voleva proprio simboleggiare il
carattere di questa storia, agrodolce, ma soprattutto cretino
:°D perchè, suvvia, a volte la vita è
seriamente cretina! XD e grazie per i complimenti, così tra
tutte mi farete arrossire, minchia ./////.'' ...
@ms_reverie:
waaaaaaaah pure tu qui!! *O* vai, vai, t'appoggio il Leslie
fan club! amo quella donna, se esistesse davvero vorrei stringerle la
mano e congratularmi con lei per le palle che ha XDDDD
e
adesso...si riparte!
Chapter 11 - Breaking The Habit
E vabbè, ieri abbiamo saltato le prove.
E anche l'altro giorno.
Pure tre giorni fa.
Insomma, per farla breve, è quasi una settimana che non
stiamo facendo un cazzo, vuoi perché il Rev si prende delle
sbornie che il giorno dopo non riesce nemmeno a tenere in mano le
bacchette, vuoi perché Brian la mattina non si sveglia, vuoi
perché Johnny ogni tanto si fa prendere dalle paranoie e
finisce per ubriacarsi insieme a Jimmy, che ormai è il suo
compagno di bevute preferito, insomma, non battiamo chiodo, anche se
ormai siamo agli sgoccioli del lavoro, e il grande capo Matt non manda
giù facilmente tutto questo assenteismo. Ieri mattina,
addirittura, non sono arrivato agli studi nemmeno io, in preda a una
sbornia triste senza precedenti (tutti sbronzi, direte voi. Eh, beh. Ci
piace bere.) perché ovviamente ho bevuto per affogare certi
pensieri che si sono affacciati alla mia testa, ma il problema
è che i fottuti in questione sanno nuotare piuttosto bene,
altro che rimanere a galla nel whisky, senza muoversi. Mi sarebbe
andato bene comunque, lo ammetto, ma non che tornassero così
prepotentemente alla ribalta.
L'ho lasciata.
Sono stato io, giusto?
Sì, Zachary
James Baker, sei stato tu.
Ecco, e allora di cosa mi lamento?
Giusto, di che ti
lamenti? La vuoi di nuovo al tuo fianco, per caso?
Beh, no. Per quanto possa sembrare paradossale, sto meglio
così. Prima le sbornie tristi erano molte di più,
e invece adesso è successo solo questo disguido, disguido
che però ha mandato su tutte le furie Matt, esasperato
dall'andare ogni mattina agli studi e trovarsi intorno pressappoco il
deserto del Nevada.
"Matt, ascoltami, per favore...non urlarmi nelle orec...sì,
lo so che ho...E CHE CAZZO, MATT, VUOI FARMI PARLARE O NO?"
"No!"
"Oh, basta dirlo..." ho risposto al telefono, non so se risentito o
tranquillizzato dalla presenza di spirito del mio amico. Forse.
"Dai, scherzo, Zee...ma che hai combinato? Ti sento impastato da morire"
"Beh, sì...ho bevuto come un disperato,
ieri...cioè, ero proprio disperato, diciamo..."
"Ah...sempre per"
"Sì, lei."
"Ma l'hai lasciata tu!"
"E allora?"
"E allora dovresti fartene una ragione"
"Che uomo insensibile sei, capo."
Titubanza in arrivo dall'altro capo del telefono, preceduta da un
silenzio abissale.
"Dici?"
"L'ho appena detto"
"Ah. Okay" ha poi bofonchiato, quasi deluso.
"Ma do davvero quest'impressione?"
"Scusa? Non ti seguo..."
"Ma sì, di essere un insensibile..."
Ecco. Ecco. Avrei dovuto segnarlo sull'agenda.
Mai dire al capo di essere un insensibile. Stronzo, testa di cazzo,
despota vanno bene, ma MAI insensibile.
"Ehm...Matt...tutto bene?!"
S'è apparentemente ripreso e ha iniziato a cinguettare, per
quanto uno con un vocione del genere possa 'cinguettare', che "ma
sì, stai tranquillo, è tutto a posto,
è che pensavo che ieri anche Val mi ha detto la stessa cosa,
e..."
"Ti ha chiamato capo anche lei?" l'ho interrotto.
"Ma no, che c'entra! Mi ha chiamato amore, come al solito..."
"E allora non è la stessa cosa!" ho ribattuto io.
Silenzio.
"Zacky"
"Sì?"
"Torna a dormire, è meglio."
"Vaffanculo, Matt"
"'culo." e ha riattaccato.
Fine del racconto. Perché la giornata di ieri è
finita, e perché sostanzialmente stamattina siamo tutti, no,
scherzavo, tanto per cambiare manca Syn, dicevo, siamo tutti, o quasi,
qui riuniti per beccarci la ramanzina, o meglio, gli altri beccano le
rampogne del grande capo, io me ne sto per i cazzi miei, con ancora un
po' di cerchio alla testa e l'occhio da pesce lesso di chi sta ancora
smaltendo un'ingente quantità di alcool in corpo. Direi che
il mio fegato in questo momento è in attività
più di un condannato ai lavori forzati, e il cervello
praticamente sul cuscino del letto. A Matt è bastato
vedermi, dopo la telefonata di ieri, per avere completamente
compassione di me e lasciarmi in pace, ma evidentemente Johnny e Jimmy
non l'hanno impietosito abbastanza.
"Dai Shads, non fare così, non lo vedi questo povero ragazzo
com'è sconvolto? M'è toccato fargli da balia in
tutti questi giorni, e non ho potuto scop...ehm, stare insieme a Leana!
Quella ragazza l'ha proprio messo sottosopra..." declama il Rev,
mostrando quella specie di larva che è diventato Johnny.
Addirittura si sta facendo crescere la barba. Dev'essere proprio
stranito, io non credo di averlo mai visto così sciatto.
"Sì, ma anche tu Johnny, farti assestare un pugno da una
ragazza..." rincara la dose il nostro cantante, stranamente rabbonito.
"Non ti ci mettere anche tu, il qui presente stronzo e la sua donna non
hanno fatto altro che prendermi in giro per questo! Anche Lacey, che
minchia..." piagnucola.
"Anche Lacey?!" esclamo (sì, lo so che può
sembrare una contraddizione, c'è il punto interrogativo, ma
lo sto davvero esclamando. É una domanda retorica, vedetela
così. So già cosa mi risponderà.), dal
fondo della stanza. Credo che il piccoletto sia oltremodo abbattuto
dalla crescente consapevolezza che anche la sua ragazza lo abbia preso
in giro, infatti mugugna estremamente contrariato, mentre il Rev, alle
sue spalle, se la ride sotto i baffi che non ha.
"Ma perché, a voi non è mai capitato?" chiede,
speranzoso. Mi sembra di notare un luccichio nei suoi occhi, il segno
che sta aspettando qualche risposta rassicurante da noi. Mi dispiace,
Johnny-boy, ma almeno da parte mia non ne arriveranno.
"Beh, no" farfuglio infatti, scompigliandomi i capelli sulla nuca.
"No, nemmeno a me" mi segue Matt, facendo spallucce.
"Ma figurati!" esclama Jimmy, ghignando.
"A me sì."
A te CHI?
Chi sei?
Ci giriamo tutti verso la porta, alla scoperta dell'anonimo (e sfigato)
interlocutore, e ci troviamo Brian come nessuno avrebbe mai il coraggio
di vederlo. Occhi cisposi, di chi si è alzato sì
e no da cinque minuti, la prima cosa trovata a caso in mezzo al
deposito di ciarpame che è diventato ormai il suo armadio,
nella fattispecie una camicia giallo canarino così
appariscente da farmi nascere l'impulso incontrollabile di inforcare
gli occhiali da sole anche se qua dentro c'è un buio
sconcertante, bermuda neri e infradito.
Un fantastico tipo da spiaggia.
Riuscirebbe a farsi guardar male anche dai surfisti, e immagino che
qualcuno l'abbia fatto, quando è sceso dalla macchina per
raggiungere la porta.
"Buongiorno, signorino!" lo apostrofa Shads.
"'giorno" bofonchia, sbadigliando come un ippopotamo.
"Cristo, mettiti la mano davanti, ti ho visto le otturazioni da qui!"
"Vengeance, non rompere i coglioni" risponde, senza nemmeno voltarsi
verso di me. Mi ritiro nel mio angolo, alquanto piccato.
E Johnny, che giustamente ha un tempismo favoloso, se vuole farsi
gonfiare di legnate, si avvicina a Brian, che è ancora
appoggiato allo stipite della porta, e gli chiede, tutto adorante: "Ma
davvero?"
"Uh? Cosa?"
"..."
"Aaaaaaaah, QUELLA cosa...certo che è vera, ma è
anche successa vent'anni fa" gli risponde, passandogli davanti e
presentandosi direttamente al cospetto del grande capo Shads.
Dai, amico, non fare quel broncio. T'è andata di lusso.
Sei ancora tutto intero, vuoi mettere?
"Come mai così in vena di confessioni da potenziale ricatto,
Gates?" chiede, beffardo.
"Per farlo star buono. Piuttosto, Sanders, ho da proporti una cosa,
potrebbe assumere dei risvolti interessanti."
"Avanti, dimmi" e lo tira con sé in disparte, dove se ne
stanno cinque minuti buoni a discutere e confabulare tra di loro, senza
renderci partecipi. Io mi metto ad osservare le espressioni di Matt,
per cercare di capire di cosa stiano parlando, mentre il Rev e Johnny
sono estremamente presi dal cercare di indovinare cosa gli stia
proponendo Brian. Ormai sono arrivati allo stadio 'scommessa', e quando
arrivano lì significa che non riescono a cavarne nulla
nemmeno loro.
"Secondo te cosa staranno complottando?"
"Mah, non lo so, Jimmy...forse un'altra festa?" e rabbrividisce, credo
pensando all'ultima a cui siamo stati tutti insieme.
"Naaaah, non ci sopporta più, da quanto beviamo, e a una
festa vuoi andarci e non toccare un goccio d'alcool? É da
pazzi!" esclama il Rev, serissimo.
"Aspettate, aspettate" mi intrometto, continuando a fissare quel
dannato angolo.
"Stavo guardando Matt, e ha fatto una faccia decisamente contrariata,
credo che il piccoletto c'abbia preso" concludo, ghignando. Johnny
sorride, soddisfatto.
E mi fissa.
Credo cerchi gratificazione. Ma lo trattiamo davvero così
male da averlo reso un innocuo animaletto?
"Se hai azzeccato dopo Zacky ti dà lo zuccherino" ironizza
Jimmy, rabbuiando all'istante la sua gioia.
"Ehi!"
"Shhhht, zitti e fermi!" mi intrometto, troncando la disputa sul
nascere "guardate la faccia di Gates."
"É a dir poco terrorizzato" osserva Johnny.
"Già...chissà, lo starà minacciando di
fargli fare a corsa quattordici chilometri di spiaggia in pieno
pomeriggio indossando quella camicia e i bermuda fucsia a fiori che gli
abbiamo regalato io e Leana per scherzo..." immagina il Rev, e la sua
bocca si incrina in un ghigno sadico.
"Dovrò filmarlo" decreta, infine, nello stesso momento in
cui la conversazione tra Shads e Syn termina, dopo una sequela di facce
incazzose, sconvolte, supplichevoli, rabbonite, 'occhio che se non
funziona...' e 'sì, correrò per la spiaggia con
questa camicia, lo so'.
"Okay, ragazzi, Brian mi ha proposto una cosa..." indugia
"...interessante. Voglio sentire se siete d'accordo o meno, quindi
Brian, vai. Spiega."
Syn si schiarisce la gola e inizia.
Queen On Fire.
Quattro ragazze.
Vengono da New York, ma due di loro sono originarie di Orange County, e
le conosciamo.
Dharma Pritsky e...tergiversa un secondo, forse due, in cui focalizzo
Dharma e la identifico con 'quella che ha il gatto che si chiama come
me', e, dicevamo...Leslie Root.
Leslie! La sorella di Angie...ha una band?
"Insomma, hanno già qualche pezzo pronto per un EP,
registrati un po' alla buona. Les ("LES? Già andiamo coi
soprannomi?" è stato il commento di Johnny, accompagnato da
un'espressione disgustata) me ne ha fatti sentire un paio, e l'ho
proposto al boss, visto che ormai abbiamo praticamente finito il grosso
del lavoro"
"Anche se abbiamo sprecato una settimana, grazie a voi e le vostre
sbornie" borbotta, sentendosi preso in causa.
"Ehi, Matt, io non ho preso nessuna sbornia!" protesta Brian,
ricomponendosi e rivolgendoci finalmente la fatidica domanda.
"Allora...dite che ce la possiamo fare a dar loro una mano?"
"Prima faccele ascoltare!" tuona Jimmy. Io annuisco, mentre Johnny
adesso occupa l'angolo dove sono stato finora e annuisce anche lui, in
realtà ben poco convinto.
Syn mette l'iPod sul tavolo. Il primo a prenderlo è Matt,
poi il Rev, poi io e infine Johnny.
Le espressioni di Shads, come al solito, meriterebbero di essere
filmate. Passa dallo scetticismo allo stupore, poi al visibilio, con
una disarmante rapidità. É disorientante, ma
sembra soddisfatto, il che non fa altro che acuire la mia
curiosità.
"Che genere fanno, Gates?" chiedo, mentre Jimmy scuote la testa
energicamente, immagino a tempo col ritmo dei brani. Ma trattandosi di
lui, potrebbe anche essere che la stia muovendo a caso.
"Mah, direi che sono molto particolari, sperimentano tantissimo, me lo
diceva Leslie qualche giorno fa. Ah, è lei che canta. Senti
che brava, poi" aggiunge, sorridendo compiaciuto. Mi faccio passare le
cuffie, e inizio l'ascolto.
Cazzo. Meritano davvero. Leslie ha una gran bella voce, tra l'altro,
molto calda e vagamente roca.
Okay, lo ammetto, sono brave. Ma mi chiedo soltanto una cosa: come mai
Haner tiene così tanto a farcele sentire?
Mentre mi pongo queste domande dal sapore esistenziale, sento
attraverso le cuffie il Rev che ride e dice a Johnny "Piccoletto, mi
dispiace per te, ma oltre a non beccare lo zuccherino, mi devi anche
venti dollari!"
|
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Capitolo 12 *** Psycho Holiday ***
non
me ne vogliate, ma c'ho la testa nel pallone pur'io, ora :°D
comunque grazie per i commenti, ormai ho un nugolo di fan affezionate
♥
Chapter 12 - Psycho Holiday
"Allora? Quanto manca? Siamo arrivate?"
"Ronnie, siamo partite venti minuti fa, ne avremo per un bel po',
ancora..."
"Oh...è che qua sopra il tempo non passa mai..."
"Se ti metti a fare qualcosa passa anche a te!"
"E cosa posso fare? Se mi mettessi ad ascoltare musica finirei per
pensare a loro, e manderei avanti all'infinito per trovare qualche
pezzo che mi distragga!"
"O che te li ricordi..."
"Ecco, anche. Ancora non ho capito di cosa sono in vena, oggi..."
"E va bene, niente musica...leggi, no?"
"Cosa? Non mi sono portata nulla..."
"Uff, tieni."
Le mollo il libro che starei leggendo, sacrificando l'interesse che mi
stava suscitando al servizio della tranquillità. Mia e di
Ronnie.
"Su, dammi il tuo iPod, allora" la esorto, sorridente, allungando la
mano verso di lei, che è ancora assorta e immersa nella
contemplazione del volume. Se lo rigira tra le mani, curiosa e piena di
dubbi, nello stesso tempo.
"City. Alessandro...Ba...Barrico..."
"Baricco." la correggo.
"Ecco...è italiano?"
"Sì. E scrive da dio."
Personalmente lo adoro. La naturalezza con cui verga parole sul foglio
è ammirevole, e mi suscita un'invidia smisurata. Ogni parola
è essenziale, dove avrebbe sempre dovuto stare. Spostarla di
lì, o eliminarla, romperebbe un equilibrio tanto
affascinante quanto precario. Togli un solo tassello di questa
splendida armonia, e tutto crollerà, perderà il
suo significato. É una specie di mago, non so come faccia,
ma ci riesce, e mi inebria. Ho tutti i suoi libri, ma questo ancora non
l'avevo letto, e certo non credo lo farò durante questo
viaggio.
"Oh, allora inizio subito!" risponde, raggiante.
"Brava...però mi daresti il tuo iPod, per favore?"
"Ehm...è scarico..."
Mi stamperei una manata in faccia, ma mi limito ad aggrottare la
fronte, bofonchiando un "Ah. Merde."
"Sapevo già che non avrei voluto ascoltare musica durante il
viaggio..." tenta di giustificarsi.
"Non importa, davvero" mormoro a denti stretti.
Eppure, non riesco ad arrabbiarmi. Conosco Ronnie da una vita, ormai, e
so com'è fatta, vive nel suo mondo, perennemente distratta
da mille quisquilie.
Ci sono dei momenti, però, in cui si trasforma, in cui della
Veronica Howard che tutti sono abituati a vedere non rimane solo che il
corpo, il simulacro attraverso cui si esprime il suo genio: quando
imbraccia una chitarra.
La vedi concentrarsi, pensare solo a quelle sei corde e trattarle con
amore, a volte tenero e carezzevole, altre volte impetuoso e
passionale, ma sempre di amore si tratta, lo stesso che spinge me a
prendere in mano le bacchette e a fare sì che ogni singola
parte della mia batteria dia il meglio di sé.
La musica è amore allo stato più puro e alto,
così dico sempre. Però adesso non ne sono
più tanto sicura, dopo aver visto Ronnie andare quasi ai
matti per aver saputo che Leslie e Dharma hanno conosciuto il suo
gruppo preferito, che adesso ci vuole sentire. Non so se sia
più preoccupata dal dover suonare davanti ai suoi idoli, o
per il cazzotto che Les ha rifilato al loro bassista. A figurarmi la
scena mi scappa da ridere, perché so com'è fatta
la nostra front, e immagino che debba averle detto qualcosa di
veramente irritante per averla indotta ad agire così. Ci
dev'essere sicuramente una spiegazione, ma non intendo chiederla a
Ronnie, altrimenti ricomincerà a farsi mille paranoie, e
farà cadere anche me nel vortice.
Questi dannati Avenged Sevenfold. Ancora non li conosco e
già sento di odiarli.
Mentre lo penso, non mi accorgo minimamente di Ronnie che, alzato lo
sguardo dalle prime pagine del libro, mi fissa con attenzione.
"Lo so a cosa stai pensando...li starai odiando, minimo. Vero?"
Sono tentata di chiedermi come faccia, ma mi rispondo ancor prima di
pensare alla lettera che partirà a comporre la domanda.
Mi conosce. Così come io riesco a comprendere il suo
carattere, lei comprende il mio, e quindi lei capisce che quando
qualcosa non mi torna, mi limito ad accigliarmi e a ponderarlo nel
chiuso della mia testa, mentre lei grida, impreca, sbraita, e dopo
cinque minuti la trovi a fumare una sigaretta, sorridente. É
fatta così.
"Un...un po'. Più che altro perché ho un po'
paura..."
"Di cosa?" chiede, chiudendo il libro e riponendolo sul sedile vuoto
accanto a sé.
"Di...beh, di fare una figuraccia. É qualcosa di
inaspettato, capisci? A volte penso che sia così assurdo,
quello che forse ci sta succedendo..."
"Già...proprio LORO, poi, che vogliono
sentirci...chissà come avranno fatto quelle due pazze"
sorride, compiaciuta.
"Secondo me Dharma li ha minacciati, come fa sempre quando andiamo a
vedere qualche concerto..." ghigno io, seguita da Veronica.
"Probabile! Da Leslie, invece, mi aspetto più un tentativo
di abbordaggio da ubriaca!"
"Esattamente!" sghignazzo "Li abbranca, racconta loro tutta la sua
vita, poi arriva alla fatidica frase, 'sai, ho una band...' e da
lì sono più che sicura che avrà
iniziato ad intortarli così bene che non avrebbero potuto
dire di no!"
E ridiamo, felici, finalmente consapevoli che le possibilità
le abbiamo, e allora che senso ha preoccuparsi? Dharma e Leslie sono
due persone meravigliose, due adorabili teste di cazzo, pronte a sudare
sangue per la loro passione, per portarla lontano. É vero,
alle prove finiscono sempre per discutere, con me e Ronnie che tentiamo
di dividerle, ma hanno delle idee pressoché esplosive, e
sanno come farle fruttare, anche se spesso si scontrano tra loro. Sono
sicura, mentre sto facendomi pensierosa nel mio riso soddisfatto, che
avranno avuto delle ottime frecce al loro arco per riuscire ad ottenere
un privilegio di tal fatta.
Farsi fare una specie di provino da quella che apparentemente
è una delle band più promettenti degli ultimi
anni. Beh, giudizio parziale, questo ce lo ripete sempre Veronica fino
alla nausea, perché li stima, e vorrebbe essere come loro.
Dove sono loro.
Penso che ce la potremmo fare. Voglio dire, non importa che Dharma li
abbia minacciati o che Leslie li abbia imbottiti di parole fino a farli
scoppiare (e non parole a caso, sia ben chiaro. Ha una
proprietà di linguaggio talmente intrigante che, se per
disgrazia si trova a mandarti a fanculo, lo fa in un modo tale che tu
sei già lì che prepari le valigie, contento per
il viaggio.), quello che importa è che ci sentano suonare.
Costretti o meno dalle circostanze, non potranno fare a meno di
apprezzarci, e stranamente anche io, come Les e Dharma, ne sento la
certezza quasi totale scorrere sulla mia pelle, che sussulta per un
brivido. In aereo fa veramente freddo, e mi viene male a pensare al
povero Zacky, qui accanto a me, chiuso nella sua gabbietta. Abbiamo
preferito portarcelo dietro, anche se non sappiamo quanto staremo in
California, perché, testuali parole di Ronnie, "mio fratello
non è in grado nemmeno di badare a se stesso, figurati a
questo tesorino!", il quale tesorino sta dando evidenti segni di
disagio per la permanenza in questo bugigattolo, abituato
com'è a vagare indisturbato per casa Pritsky-Root.
"Coraggio, piccolo, ancora un altro po' e ti potrai far coccolare dalle
tue vere padrone" gli mormora la mia compagna di viaggio, mentre si
china verso la grata che chiude la gabbia, introducendo un dito tra le
maglie, alla ricerca della testa del micio, per fargli qualche piccola
carezza rincuorante.
Non so nemmeno come abbiamo fatto a convincere la tizia allo sportello
dell'aeroporto a farcelo portare senza prenotazione.
Oh, non importa. Mi assopisco, mormorandolo, mentre Ronnie prosegue la
lettura del libro.
Quando mi sveglia, sussurrando "Allacciati le cinture", mi sembra che
siano passati solo dieci minuti o giù di lì. Mi
preparo adeguatamente, già immaginandomi che tipo di
accoglienza potrebbero riservarci quelle due pazzoidi che abbiamo per
bassista e cantante (nonché seconda chitarra, si arrabbia se
non viene specificato. Mica vorrete che abbia a che fare con Leslie
incazzata, eh? Quel Johnny, o Jamie, come si chiama, credo che ne abbia
ben presenti le conseguenze...).
L'aereo atterra, noi scendiamo, corriamo dentro l'aeroporto, seguiamo i
controlli di routine e poi ci precipitiamo al nastro trasportatore,
sperando che la valigia e la chitarra di Ronnie siano più
che intatte, speranza esaudita, e me ne accorgo dai gridolini di gioia
della mia compagna di viaggio. Recuperato il tutto, usciamo, alla
ricerca di Dharma e Les.
"Ma dove saranno quelle..." borbotta Ronnie, sbuffando.
"Quelle cosa?" sento alle nostre spalle.
"Dharma!" urlo, finalmente felice di trovare un viso conosciuto in
mezzo a questa bolgia infernale. Scattano gli abbracci di rito, e le
coccole al micio, mentre, qualche metro più in
là, la segue la nostra cantante (e seconda chitarra,
sì.), che tiene incastrata tra le labbra una sigaretta
spenta.
"Sto soffrendo, ma devo entrare nell'ottica di smettere" è
il suo saluto, mentre ci abbraccia sbrigativamente, come al solito.
Detesta farlo, o meglio, a lei piacerebbe, ma proprio non ci riesce.
Penso sia una specie di blocco psicologico.
"Allora? Dove sono? Dove sono, eh?" inizia a chiedere convulsamente
Ronnie, riferendosi a LORO e guardandosi intorno.
"Beh, ognuno a casa propria, immagino" asserisce Les, alzando le
spalle, "ho provato a chiedere a Benji se voleva accompagnarci, ma ci
ha detto che Matt si sarebbe incazzato se avesse marcato visita anche
oggi..."
"Si chiama Brian" puntualizza Ronnie.
"Oh, lo so, lo so bene, ma è più divertente
così" taglia corto la piccola rossa.
"Già tutta questa confidenza?" chiedo io, maliziosa. Leslie
si limita a sorridere, compiaciuta. E capisco che lo zampino, in tutto
questo, ce l'ha messo lei. Grazie al cielo, Dharma non ha fatto danni.
"Allora, andiamo? Siamo tutte a casa mia stasera!" esclama proprio lei,
precedendoci verso l'uscita.
Sì, è l'inizio di qualcosa di nuovo, di una
vacanza psicopatica all'insegna dell'ignoto. Non sappiamo cosa potrebbe
succedere, ma sappiamo che, comunque vada, ci divertiremo e saremo
unite come non mai.
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Capitolo 13 *** Follow And Feel ***
come
al solito, vi ringrazio per i commenti....
@The
Fantasy: ma lei non è che li odi davvero, è che
vede il clima di agitazione intorno a sè e lo imputa tutto a
loro! soprattutto per Ronnie che va in iperventilazione quando li sente
nominare :°DDD
@Martunza:
ahsuahsuhuha sì in effetti sono una band di scalmanate
(ispirate a delle mie amiche, con la loro approvazione, eh
u_ù), quindi penso che effettivamente i cinque tamarroni
dovranno temere per la loro incolumità *__*
@BlueAndYellow:
eh, ma Les la tiene spenta anche per via del piercing, che ancora non
è del tutto cicatrizzato XD non deve far molto bene fumare
con una ferita in bocca, non credo lo farei mai u_ù Dharma
è una che tende a fare paura alle band che incontra
:°D
eh,
come fo a scrivere bene....ma perchè, scrivo bene? e lol, mi
viziate con tutti 'sti complimenti! però grazie */////*
@ms_reverie:
massì, è bello essere folli! sono come te allora,
io...anzi, a dire il vero fino a un paio d'anni fa ero ancora
più folle ;__;''
okay,
adesso prendete un bel respirone, eh! :°D
Chapter 13 - Follow And Feel
Gli aeroporti non mi entusiasmano. Grigi, asettici, pieni di gente. Per
un'antisociale come me sono la morte, quasi peggio delle feste.
Detesto i party, detesto gli aeroporti.
Perfetto.
Direi che, se mai inizierò una carriera da rockstar, sono
praticamente fottuta. Intendiamoci, sono qui solo perché
stanno arrivando Ronnie e Charlie, la motivazione è
più che valida, ma odio comunque con tutto il cuore essere
qui, e la presenza di Dharma non mi aiuta molto. Cioè, si
che mi aiuta, fottuto cervello che lavori solo perché ti
viene intimato senza troppi complimenti! É solo che...
Lo volete veramente sapere cos'è? Beh se vi consola non
riesco a capirlo nemmeno io il che diventa un problema intendiamoci io
devo capire il mio cervello che cazzo É mio mica di un
estraneo è mio mio mio di Leslie Michelle Root nata a
Huntington Beach (bleah) il sei ottobre del millenovecentoottantatre e
adesso a vagabondare per l'aeroporto di Los Angeles insieme a Dharma
Dominique Pritsky nata il diciotto luglio dello stesso anno nello
stesso posto (che casualità eh?) con una sigaretta spenta
tra le labbra che porca puttana una sigaretta spenta nella mia bocca
non è concepibile io sono una ciminiera se ho una sigaretta
tra le dita state pur tranquilli che me la fumo e invece adesso la sto
tenendo non solo in bocca ma spenta credo di essere finita nel mio
peggior incubo e il bello è che ci sto sguazzando
deliberatamente io questa sigaretta non la accenderò primo
perché sono in un fottuto aeroporto ad aspettare un fottuto
aereo da New York secondo perché il piercing deve ancora
cicatrizzare del tutto e terzo perché mi è venuta
la malsana idea che non fumare mi aiuterà a cantare meglio
ma allora perché la tengo in bocca vi chiederete e io vi
risponderò non lo so forse ho voglia di farmi del male o
forse permango in uno stato di incoscienza non lo so non lo so non lo
so so solo che volevo che Brian o Barry o Bruce o come stracazzo si
chiama fosse qui e invece ha detto di avere da fare con gli altri ecco
cos'è ecco io sto delirando perché volevo che lui
fosse qui volevo presentarlo a Veronica e vederla diventare di mille
colori e poi ringraziarmi colma di gratitudine per quel colpo da
maestro perché le ho portato il suo eroe a prenderla
all'aeroporto gli aeroporti mi fanno schifo così grigi
asettici senza di lui ma chi se ne frega lui non mi piace lui
è una testa di cazzo come tutti da queste parti come il suo
amico tappo gli unici che si salvano sono Zacky e l'armadio coi Ray Ban
lui è gentile non avrei mai creduto quando Lui me l'ha
presentato ha fatto un sorriso che gli tagliava il viso in due
è stato ubriacante sembrava un bambino sì un
bambino di un metro e ottanta novanta francamente non sono stata a
badare alle misure con un fisico da Big Jim e pieno di tatuaggi a
proposito sono tutti pieni loro sì e anche il batterista
è stato simpatico ma mi sembra di fuori come una scheggia oh
e tutta una settimana passata a parlare con Lui è stato
semplicemente fantastico nemmeno con Dharma parlo così bene
infatti non le ho detto che ci siamo visti le dicevo semplicemente vado
a fare due passi invece secondo me credeva ne facessi anche quattro o
cinquemila perché sono sempre tornata piuttosto tardi ma non
ha mai fatto domande solo si limitava a fissarmi sconcertata o forse
accigliata non lo saprei dire tanto bene però non
può capire io ci sto divinamente con lui non è
come con nessun altro perché tutti tentano di approcciare
per saltarmi addosso ma lui no e poi non fa che parlarmi della sua
ragazza quindi non c'è proprio possibilità e poi
non mi piace preferisco di più Zacky dio che occhi che ha
non ho mai visto nessuno con degli occhi così puri sembra un
bambino anche lui quando ride è non saprei forse dolce ma
sì forse dolce e il tappo invece lui è
decisamente odioso fa sempre lo spaccone con me anche se sa che potrei
stenderlo con un mignolo e che cazzo odio il suo atteggiamento
però l'altro giorno che ero con loro mi sono voltata verso
di lui e ho visto che aveva lo sguardo triste chissà
perché ma tanto poi s'è accorto che lo stavo
fissando e ha fatto una faccia truce beh forse nelle sue intenzioni
doveva essere così in realtà era una specie di
smorfia raccapricciante tant'è che gli ho riso in faccia e
gli ho detto cos'è speri di farmi paura e lui s'è
incazzato ancora di più e lì ammetto che mi ha
fatto paura ma poca eh sì ma anche te Leslie che cazzo ti
giustifichi tutto questo sta accadendo nel tuo cervello è
inutile che menti a te stessa perché la sai la
verità ti sei cagata sotto pensavi avrebbe tirato fuori una
mannaia da chissà dove e ti avrebbe fatto a pezzi se avesse
potuto e tu taci maledetta vocina nel mio cervello non avevo paura oh
sì che ne avevi non dire cazzate stai zitta cazzo mi sembri
Angie con quel suo fare saccente ma che fai adesso spali merda anche su
tua sorella fai proprio schifo cazzo hai ragione in fondo stavolta non
c'entra nulla e poi non ha mai fatto nulla di male in che senso
stavolta era per dire lascia perdere ah okay e comunque esattamente non
ha fatto nulla di male e stare con lui come lo consideri dove lo
annoveri da nessuna parte sono cose che capitano e NON DIRE NIENTE il
fatto che ti fissi con l'occhio da triglia non significa niente si
trova bene con te come tu ti trovi bene con lui perché farsi
viaggi mentali di questo tipo ecco allora taci che anche tu sei un
viaggio mentale oh è atterrato l'aereo ciao Leslie!
Meno male. Dio, se esiste, benedica gli aerei che arrivano in orario.
Nonno Frank, benedici gli aerei in orario. E lascia stare gli occhiali
di corno, li raccatti dopo.
Dharma mi ha fissato stralunata tutto il tempo.
"Che hai?"
"Perché?"
"Facevi certe facce..."
"Oh, niente, stavo dialogando con me stessa"
"Ah, va bene...è arrivato l'aereo quindi smetti di parlare
con te stessa e andiamo"
"S...sì, va bene..." mi alzo dall'angusta seduta che mi ha
accolto finora, barcollando, un po' provata dal monologo svoltosi tutto
nella mia piccola e infelice scatola cranica.
Aspettiamo la bolgia che si dipana da quel volo e cerchiamo le due
sagome familiari di Ronnie e Charlie, quando Dharma mi si avvicina,
picchiettandomi la spalla, e mormora al mio orecchio "Eccole, sono
laggiù, di spalle."
"Perfetto, andiamo!" e la vedo partire di gran carriera ancora prima di
farmi finire di esclamarlo.
"Quelle cosa?" sento dire alla mia amica, a qualche metro di distanza
da me, mentre le coglie di sorpresa. Mi avvicino lentamente, come per
fare una fotografia con gli occhi e la mente a quelle scene di affetto,
per conservarle nella mente e rivederle nitidamente in un futuro
prossimo, poi Ronnie si accorge di me, mentre Dharma fa i grattini a
una gabbia (ZACKY!!! Hanno portato Zacky! Visibilio.), e mi indica con
fare sconcertato.
La sigaretta, vero?
"Sto soffrendo, ma devo entrare nell'ottica di smettere" spiego,
stringendomi nelle spalle, poi le abbraccio frettolosamente.
Non sono mai riuscita ad abbracciare qualcuno per molto. Credo sia un
blocco psicologico, un'idiosincrasia che mi sono costruita ad arte per
evitare fregature, cuore spezzato e cervello in panne. Il cervello,
purtroppo, è già abbondantemente marcio di suo,
ma il resto sono riuscita a tenerlo lontano da me quanto bastava per
non impazzire del tutto.
Il problema è che di LORO dovrei fidarmi. E mi fido.
Ma i miei abbracci non ci riescono.
"Allora? Dove sono? Dove sono, eh?" inizia a chiedere Ronnie, con
insistenza.
"Beh, ognuno a casa propria, immagino...ho provato a chiedere a Benji
se voleva accompagnarci, ma ci ha detto che Matt si sarebbe incazzato
se avesse marcato visita anche oggi..."
"Si chiama Brian" puntualizza, come una fan ferita nell'orgoglio.
"Oh, lo so, lo so bene, ma è più divertente
così" taglio corto, bluffando. Non m'è ancora
entrato in testa il suo nome, eppure è così
semplice...B-R-I-A-N. Voglio dire, si chiama come il cane dei Griffin,
come faccio a dimenticarmene?
Forse ne ho la ferma volontà. Di non impararlo, dico.
"Già tutta questa confidenza?" chiede Charlie, ammiccando.
Sorrido impacciata, senza rispondere.
Non so che dirti...in effetti sì, siamo entrati molto in
confidenza, le nostre chiacchierate fiume, prima su un blocco notes,
poi a voce, sono state molto indagatrici e impiccione, e d'altronde
nessuno dei due s'è sottratto a questo giochino, a questo
escamotage per conoscerci meglio. Potrò dire quanto mi pare
che è uno stronzo, ma so benissimo che non la penso davvero
così.
Perlomeno, con me non sembra esserlo. Anzi, pare assumere verso di me
un rispettoso riguardo, non protettivo, come si potrebbe riservare a
una sorella minore, ma nemmeno da pari a pari, come con i suoi
colleghi. Ha un modo insolito di porsi nei miei confronti, quasi mi
temesse, ma può solo stare tranquillo, non ho intenzione di
dare un pugno anche a lui, per il semplice motivo che finora non se
n'è meritato nemmeno uno. A essere proprio precisi e anche
un po' pignoli, si meriterebbe un bell'abbraccio, ma credo che, se lo
vorrà da me, dovrà aspettare ancora un bel po'.
"Allora, andiamo? Siamo tutte a casa mia stasera!" sento la voce di
Dharma riportarmi bruscamente sulla terra. La seguiamo di gran carriera
fino al parcheggio dell'aeroporto.
"Allora, chi viene in macchina con me?" chiede, vicino alla Mini color
crema di sua madre, abbracciando la gabbietta di Zacky.
"Ehm..."
"Charlie è allergica al gatto, quindi se non ti dispiace lei
viene da me, tanto i miei non vogliono animali per casa..."
"Okay, per me va bene, a dopo!" dice Ronnie, prendendo la sua valigia,
la chitarra sulla spalla, e dirigendosi verso Dharma, mentre io prendo
i bagagli e le faccio strada verso il fuoristrada di mio padre. Sono
riuscita a convincerlo solo perché gli ho detto che Charlie
sarebbe arrivata con la sua batteria, cosa che invece manca all'appello.
"Ma la batteria?" chiedo, montate in macchina.
"Ho dovuto lasciarla a New York...in fondo è ingombrante, e
non sappiamo se andrà in porto, la cosa...se vedo che
funziona me la faccio mandare"
"Okay...spero Jimmy...uhm, se non sbaglio si chiama
così...insomma, spero ti presti la sua...tra l'altro ha la
doppia cassa, è enorme...te la sentiresti di usarla?"
"Proverò" risponde, sorridendo.
"Metti pure della musica, se vuoi...ho portato i miei cd, saranno
sicuramente migliori di quelli di papà Johnny" ridacchio.
"Mah, non so...tuo padre ha i Black Sabbath, i Led Zeppelin, i
Jefferson Airplane, i Doors, addirittura!" risponde lei, spulciando nel
portaoggetti.
"Ah sì? Ma, onestamente...siamo sicuri che sia la macchina
di mio padre, questa?"
"Se non lo sai tu..." dice, scoppiando a ridere, e mettendo i
Murderdolls.
Appena sento partire le note di Slit My Wrist, precedute da qualche
battuta della Primavera di Vivaldi (o almeno, credo fosse quella. Non
sono molto ferrata in musica classica.) lancio un urlo crepuscolare
nell'abitacolo, a tempo con Wednesday 13.
"Tu sei completamente pazza!" esclama.
"Charlie, ma petite chérie, questo ancora è
niente!" la conforto, a modo mio, ghignando, e provocando ancora di
più la sua ilarità.
"Pensa a guidare, và! Che la strada mi pare lunga..."
"Ma non molto, ti dirò..."
Il viaggio prosegue senza intoppi, con me che urlo come un'indemoniata "And people hate me, cause I'm
better than you, and people hate me, and that's the motherfucking
truth, people hate me and you can all fuck off, I'm perfect, pissed
off, beautiful, I'm God!!!"* mentre guido,
e la piccola Charlotte tiene il tempo facendo su e giù con
la sua testolina bionda, finchè non si ferma di colpo e
abbassa il volume della radio di scatto.
"Ehi..."
"Allora sentivo bene, ti squilla il telefono!" risponde poi, risoluta.
Effettivamente si sente risuonare la sigla di Grattachecca e Fichetto,
sapete, quel gatto e quel topo che si sbudellano ogni volta nei Simpson.
"Oh, sì...puoi rispondere tu, per favore?"
"Pronto? Ahm, no, sono Charlie...ah, Angelica...AHHH! La sorella di
Leslie! Piacere, sono la sua batterista!...Oh, sì, ho
risposto io perché sta guidando, se vuoi parlare con
lei...ah, vado bene anche io, okay...allora dimmi
tutto...sì...aspetta che chiedo, eh...Les?" mi chiama,
coprendo il microfono del cellulare con la mano.
"E tu da quand'è che sei così spigliata con gli
sconosciuti?"
"Ohhh, taci! Piuttosto, tua sorella vuole sapere se domani sera siamo
libere...ha invitato tutte noi a cena, più 'i ragazzi',
così li ha chiamati..."
"Per che ore?"
"Aspetta, chiedo...Angelica...ah okay, allora...Angie, tua sorella
vuole sapere a che ora...okay, aspetta...alle otto e mezza"
"Ci saremo."
"Ha detto 'ci saremo', testuali parole...va bene, allora grazie mille
per l'invito...è stato un piacere, sì...okay,
riferirò...c-ciao" e riattacca.
"Oh, adesso ti riconosco!"
"Ma quanto sei cretina!" pigola.
"Lo so, cosa credi? Che ha detto? Cosa devi riferirmi?"
"Mah, s'è raccomandata di guidare piano..."
"Sì, me lo dice sempre...poi?"
"E questo dovrebbe darti da pensare...la conosci da due settimane e
già ti dice di andare piano" ghigna, alzando un sopracciglio.
"É soltanto un po' apprensiva" minimizzo.
"Comunque, ha invitato tutti, così ci conosceremo tra noi
prima delle prove, e nient'altro, penso...mi state mettendo tutte
curiosità adesso...prima Ronnie che dà in
escandescenze in negozio, poi tu che sei in iper confidenza con quel
Brian, e adesso tua sorella che ci invita tutti a cena...ma che tipi
sono, dimmi?"
"Mah, lo scoprirai domani. Secondo me ti divertirai" sorrido, premendo
ancora un altro po' sull'acceleratore, e alzando di nuovo il volume.
*la
canzone citata è "People Hate ME", sempre dei Murderdolls.
quando ho scritto questo capitolo, ero in fissa piena con loro *__*
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Capitolo 14 *** Little Sister ***
dopo
questo mi fermo un po', che devo scriverne altri (sapete
com'è... :°D) sempre grazie per le recensioni, mi
fanno piacerissimo *___*
Chapter 14 – Little sister
Okay, e questa è fatta, Leslie l'ho chiamata, ed
è stato anche un affare relativamente veloce, direi,
considerando che ho detto alla sua batterista dalla voce adorabile di
avvisare anche le altre. Adesso mi sono tenuta lo scoglio, la parte
veramente difficile del tutto.
Chi chiamo di loro?
Legittimamente, questa domanda mi martella il cranio. Dovrei scegliere,
tra cinque opzioni plausibili, la meno peggio.
Matt, o Val? Volendo, sarebbe la scelta più semplice e
diretta.
Affidabili entrambi, gentili ed estremamente disponibili.
Perfetto, no?
Appunto. Troppo perfetto, troppo semplice. Io AMO complicarmi la vita,
per cui sono già in procinto di scorrere la mia lista di
nominativi mentale, quando decido di colpo di provare a chiamarlo.
Ebbene sì, amo anche contraddirmi a velocità
impressionanti.
Telefono morto. Spento.
Val. Spento anche il suo. La mia immaginazione non corre molto lontana,
e mi scappa un sorrisino malizioso, pensando a quando ero io, quella
che poteva permettersi di spegnere il telefono per...beh, per. Certe
cose non ci dovrebbe essere bisogno di spiegarle. Ma torno alla
disperata ricerca della persona a cui telefonare.
Jimmy? Macché, quello se ne scorderebbe. Non sai mai come lo
trovi, se sobrio, ubriaco, o semplicemente addormentato. Oppure...mio
dio. Non oso nemmeno ricordarmi di tutte le volte che l'ho chiamato per
lavoro, e...ecco, diciamo che lui, a differenza del suo cantante, il
telefono lo scorda sempre acceso. Ammetto che non sia molto affidabile,
perciò lo scarto senza troppi complimenti.
Brian? No.
Johnny? Potrebbe essere un'opzione.
Zacky? Anche meglio.
Mi decido a troncare le mille congetture che sto ergendo a difesa del
mio cervello chiamando il primo che trovo nella rubrica del cellulare.
Zacky.
E va bene, ho barato. L'ho scorsa all'indietro.
Capirà perché abbia espresso in tal senso la mia
preferenza. In fondo, era da lui che andavo a sfogarmi, quando qualcosa
non andava.
Oh! Squilla.
Uno...
Due...
Tre...
Quat...
"Pronto?"
"Ehi, Zacky! Sono...sono Angie"
"Biscottino! Da quanto tempo!"
Quel nomignolo. Mi faceva sorridere ogni volta che lo sentivo.
È ridicolo, in sé, somigliante a quegli orribili
vezzeggiativi che i mariti di una certa età, innamorati,
rivolgono alle proprie compagne di una vita. Sì, insomma,
sembravamo una coppia di vecchi, e invece eravamo solo amici cretini.
Però mi strappava sempre un sorriso divertito, come in
questo momento, in cui concentro la forza delle mie dita nello
stringere il telefono e mi scopro compiaciuta nel sentirmi chiamare a
questo modo dopo tanto tempo.
“Mah, saranno poi due settimane...” puntualizzo,
udendolo poi ridacchiare.
“Già, è vero, mi stavo dimenticando di
quella festa...”
“Perché vai a troppi party come quello, ecco
perché!” lo rimbecco, in un botta e risposta denso
e serratissimo.
“Hai ragione, mamma Angie...” borbotta, fingendosi
contrariato.
“Ahhh” sbuffo “anche tu come mia
sorella...e comunque certo, ho sempre ragione, io!” ribatto,
allegra.
"...ti sento parecchio di buonumore, o è solo una mia
impressione?" chiede, interrompendo il gioco a cui ci stavamo
prestando, complici.
"No, non ti sbagli" ammetto, riprendendomi dal breve attimo di
ilarità "mi fa piacere risentirti...Tu come stai?"
“Al solito. Le registrazioni sono finite, mancano le
rifiniture e poi ci siamo!" esclama, gioioso. Mi sento quasi in dovere
di chiedergli qualcosa di più, ma se lo faccio è
perché mi interessa davvero, e sentirlo così
entusiasta di quello che sta facendo mi colma di soddisfazione.
"Beh, allora...immagino avrete molto tempo da perdere, adesso..."
azzardo, poi.
“Non so...oddio, per esempio in questo momento sono sul
divano a non fare nulla...”
“Sei il solito...”
“Perché, tu dove saresti, donna super-impegnata?
Non fare la furba, lo so che sei in panciolle da qualche
parte!”
“Azz'...beccata!”
“Davvero? Quindi sei a casa?”
“E perché non dovrei esserci?!” chiedo,
stupita.
“Ma che ne so, sei sempre a sparare cazzate...”
brontola, mentre lo sento trafficare. Chissà cosa
starà facendo.
Ma non era svaccato sul divano?
“Ehi! Occhio che potrei offend...” ma non faccio in
tempo a finire la frase che un tonfo sordo mi tronca le parole in bocca.
Che cazzo ha combinato?
Sto per chiederglielo quando sento sibilare un rabbiosissimo
“ICHABOD! MALEDETTO!”
“Ehm...tutto a posto?”
“Ti dispiace se ti richiamo tra un po'? Devo andare a vedere
che ha combinato quel piccolo vandalo...”
“V...va bene...ti richiamo tra mezz'ora?”
“No, tranquilla, ti richiamo io! A dopo!” e
riaggancia.
Uff, nemmeno ho fatto in tempo a dirgli della cena.
Vabbè, intanto provo a chiamare Johnny.
*
“Scusa, piccolo” mormora, affettuoso, accarezzando
sul capo il batuffolo nero accanto a lui.
D'altronde, se gli ha attribuito colpe inesistenti, è stato
solo per non destare sospetti, e c'è riuscito benissimo.
Forse.
“Ahah, che bella sorpresa le farò...” si
dice, girando la chiave nel quadro e mettendo in moto il suo
fuoristrada.
*
Detesto, anzi ODIO organizzare queste cose. C'è sempre
qualcuno che, in qualche modo, mette i bastoni tra le ruote, anche
inconsapevolmente, e nella fattispecie questo qualcuno ha forma
molteplice e altrettanti nomi, per il semplice motivo che hanno
lasciato tutti i telefoni chissà dove.
Johnny.
Jimmy. Sì, ho provato a chiamare anche lui.
Anche Matt, che ovviamente l'ha ancora spento.
E Zacky, che avrebbe dovuto richiamare, tant'è che mi sono
portata persino il cordless in bagno. Certo, cazzo...ma quanto gli ci
vuole a redarguire un cane e riparare alle sue malefatte? È
passata più di mezz'ora da quando mi ha quasi attaccato il
telefono in faccia!
Secondo me lo sta facendo arrosto. Non c'è altra spiegazione.
La deve aver fatta parecchio grave, allora. Povera palla di pelo.
Vabbè, torno a fare le parole crociate mentre...rifletto.
Diciannove verticale...capitale del...
AAAAH! SQUILLA!
Non darei una bella immagine di me, se qualcuno mi vedesse adesso,
mentre salto sulla tazza e afferro la cornetta sullo scaffale di
fronte, vado per premere il tasto verde, e...
Ahm.
Non era il telefono. E per inciso sta continuando a suonare.
Realizzo in una manciata di secondi che si tratta del citofono e,
mentre mi chiedo chi possa essere, latro a gola spianata un
“ARRIVO!”, come se la persona alla porta possa
sentirmi. Finisco di espletare certe mie formalità (eh, mica
pretenderete di sapere anche queste...), tiro la catena e mi precipito
fuori ad aprire.
“Ma non eri stravaccata sul divano?”
Un musetto nero mi scruta curioso, mentre dietro un paio di occhi a
metà tra l'azzurro e il verde mi fissano allegri.
“Non avevo mica specificato dove mi trovassi a
poltrire...” rispondo, visibilmente stupita. Lui continua a
sorridere, e alla fine fa prorompere anche me in una risata piena.
“Piaciuta la sorpresa?” chiede poi, abbracciandomi
ed entrando con Ichabod. Annuisco, felice, facendo poi un po' di feste
al piccolino, che scodinzola, contagiato dal clima di euforia creatosi
intorno a lui.
"Ho dovuto dare la colpa a lui di quel fracasso, in realtà
avevo sbattuto la porta di casa, uscendo..."
"Aaaah, infame!!! Come osi scaricare le tue colpe su questo povero
amorino, eh? Sei proprio senza cuore!" rispondo, continuando a
coccolare Ichabod.
Ci sediamo sul famigerato divano, mentre chiedo se vuole qualcosa da
bere.
“Non vorrei sembrare il solito sfacciato...”
“Lo sei.”
“Okay...dunque, partendo da questo presupposto, hai una
birretta fresca?”
“Può darsi” rispondo, andando in cucina.
Torno dopo qualche secondo, tenendo una lattina in mano.
“Mi dispiace, solo Coca-Cola...”
“Oh” sospira. Sembra quasi dispiaciuto. Fa per
prendere la lattina quando gli intimo: “Fermo lì!
Credevi davvero che IO non avessi birra in casa?”
Ride, sollevato, mentre gli porgo la sua adorata Budweiser.
“Fiuuu, pensavo ti fossi ammalata di qualche morbo
strano!”
“Ma chi vuoi che mi ammazzi?!” rispondo, serissima.
“Giusto!” continua a ridacchiare “a
proposito, c'era un motivo particolare per cui mi hai
chiamato?”
“E anche se non ci fosse?”
“Meglio, no? Vorrebbe dire che avevi una gran voglia di
sentirmi, biscottino!”
“Beh, certo che ne avevo! Comunque, effettivamente avrei
dovuto chiederti una cosa...”
“Spara!”
“Ecco...tu e i tuoi allegri compari avete da fare domani
sera?”
Si prende il mento tra le dita, pensieroso. Fissa un punto imprecisato
della stanza cercando di fare mente locale, poi emette il suo verdetto.
“Credo proprio che saremo liberi come aquile!”
“Direi più come cinque piccole moschine, vola
basso, Zachary...”
“Uffa, 'ntipatica!” sbuffa “comunque
sì, poi chiedo meglio anche agli altri...perché?
Che intenzioni hai?”
“Uccidervi con ferocia e farvi diventare l'attrazione
principale della mia prossima cena...sulla griglia del barbecue,
ovviamente...no, scherzo, ehi! Non fare quella faccia! Volevo invitarvi
a cena domani sera, ci sarà anche mia sorella con la band,
così le conoscerete meglio, in attesa di sentirle
suonare...”
“E tu come lo sai?”
“Beh, me l'ha detto Leslie! Dovevi sentire com'era
entusiasta!”
“É molto simpatica tua sorella! Solo che
è un po' strana...”
“E quindi?”
“E quindi ci saremo.”
“Aha! Questo, volevo sentirti dire! Depennate ogni possibile
impegno che avrete domani, perché vi voglio al completo!
Anzi, sai che? Portatevi anche le fidanzate, che è da tanto
che non le vedo!”
Tace. Si fissa con insistenza la punta delle scarpe. Quando
è in difficoltà lo fa sempre, il che mi fa, per
un attimo, rendere conto che devo aver detto qualcosa di sbagliato.
Poi rialza lo sguardo. Contro ogni mia previsione, sta sorridendo.
“E perché, se per caso venissi da solo non mi
apriresti la porta?” domanda, scherzoso. Ma sento nella sua
voce un tono diverso da prima, diverso dal solito Zacky che sono
abituata a conoscere.
Decido di provare a tirarlo su di morale, ovviamente a modo mio.
“Ovviamente no, ti lascerei al freddo e al gelo...”
affermo, millantando una presunta patina di serietà.
“Biscottino...”
“Seh?”
“Tendo a rimarcare due concetti fondamentali: primo, in
California non esistono freddo e gelo, secondo, men che meno alla fine
di settembre.”
“Potrei comunque non farti entrare”
“Eh, il problema allora persiste...dovrò cercarmi
qualche accompagnatrice, cose del genere...” borbotta,
grattandosi la testa.
“No, ti lascio entrare” sospiro, cingendogli le
spalle col mio braccio.
“Ehi, sei ingrassato!” esclamo poi, stupita.
“Ma che razza di stronza sei diventata in questi
mesi?!” sbotta, gli occhi sgranati. Solo a vederli
così grandi e vicini mi ridimensiono nella mia presunta
cattiveria.
“Scherzavo...” mormoro, abbassando lo sguardo e
staccandomi di netto da lui.
“Hm. Piuttosto, hai sentito nessuno degli altri?”
mi chiede poi, rabbonitosi.
“No, altrimenti non ti avrei chiesto di avvisare anche
loro...”
“Matt?”
“Uff, ma non ti fidi, eh? Aveva il telefono spento, e anche
Val.”
“Jimmy?”
“Acceso e dimenticato chissà dove” e, a
questa mia affermazione, lo vedo ghignare di gusto, ricomporsi e
chiedere ancora: “Johnny?”
“Boh, anche lui non ha risposto”
“Brian?”
“Boh”
Un silenzio, anche piuttosto imbarazzante, cade nella stanza.
“...nel senso che non l'hai chiamato?”
Titubo, nel rispondere. Ne conosco perfettamente il motivo.
“Esatto.”
“Perché?” chiede, prendendomi la mano
tra le sue. Sono incredibilmente calde e accoglienti. Una vera e
propria macchina della verità.
“Non sono ancora pronta”
Già. Non riesco ad affrontare il problema, per ora. Ma fa
parte della band, sarebbe brutto non invitarlo. E, sostanzialmente,
anche maleducato.
“Non sei pronta a chiamarlo, ma a vedertelo girare per casa
sì?”
“Può darsi...beh, voglio dire, non ho bisogno di
dirgli necessariamente qualcosa, non saremmo soltanto noi
due...”
Silenzio. Ancora.
“Mah, sei strana forte...” asserisce, scuotendo la
testa.
“Eh, lo so...” sospiro. In qualche funambolico modo
riesco a dirottare la conversazione altrove, e Zacky capisce, sta al
gioco e partecipa attivamente, facendomi trascorrere così il
pomeriggio in una tranquillità quasi nostalgica. Cazzo, non
lo vedevo, né sentivo, da quasi un anno. Mi chiedo come
abbiamo fatto a scordarci l'uno dell'altra.
Forse eravamo affogati dai rispettivi impegni di lavoro, ma almeno
siamo soddisfatti di quello che facciamo, e forse così la
nostra distanza è stata meno dura da affrontare.
Sì, sono sicura che sia per questo.
“Io, però...ecco, dovrei andare, adesso..."
borbotta a un certo punto, quasi tra sé, alzandosi dal
divano.
"...oh...capisco..." mormoro, un poco delusa. Il tempo è
scorso più che velocemente, oggi.
Perché questo succede solo per le cose piacevoli? Quando
accade qualcosa di triste, brutto o semplicemente noioso, il tempo pare
quasi fermarsi e mettere ragnatele.
Non è giusto.
"Ci vediamo domani, okay? A...alle...a che ore, scusa?”
“Otto e mezzo”
Mi schiocca un sonoro bacio sulla guancia, e si dirige verso la porta.
La aprirebbe anche, se non lo fermassi.
“Ahm...aspetta!”
“Sì?” mi chiede, voltandosi. Anche
Ichabod, che gli è trotterellato dietro, mi fissa, come in
attesa di una risposta a questa reazione improvvisa.
“Capitale del Massachussetts?”
“Boston?!”
“Aspetta, che guardo...diciannove verticale...sì,
c'entra!” e la scrivo, frettolosa, nel cruciverba, mentre lui
scuote la testa, mormorando che sono la solita, ed esce dalla porta.
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