Once Upon A Dream (2019).

di Kiki87
(/viewuser.php?uid=289)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Once upon a dream.
 
Ad Evil Queen,
che c'era quando il sogno iniziò,
che lo ha accompagnato a lungo,
e che ancora lo custodisce per me.
 E che, soprattutto, continua a sognare insieme a me.

 
1
 
Un giorno il mio principe verrà.
Un giorno incontrerò il mio amore.
E come sarà emozionante quel momento,
quando il principe dei miei sogni verrà […].
 
Da qualche parte mi aspetta
 qualcuno che desidero ardentemente incontrare.
Qualcuno che non potrò che adorare.
Chi altro potrebbe farmi fremere di più?
E lo riconoscerò
nel momento in cui ci vedremo.
 
Someday My Prince Will Come
(Colonna sonora di “Biancaneve”[1] -
Walt Disney)
 
Mi sentivo confusa: non riuscivo a riconoscere il luogo in cui mi trovavo. Osservai la scalinata della villa che conduceva a giardini immensi. Riuscivo a percepire, anche a quella distanza, il profumo dei fiori e il suono dello zampillare dell’acqua.
Dove mi trovo? La domanda mi solleticò la mente.
Soltanto in quel momento mi resi conto di indossare un abito meraviglioso, seppur non ne conoscessi la provenienza. Era composto da una lunga gonna, di uno scintillante color azzurro, resa ampia e corposa dalla sottogonna di crinolina, in tinta unita con la parte superiore dell’abito. Un corpetto, impreziosito da ricami di perle, cucito con stecche di balena che si chiudeva sulla schiena, con un lungo motivo di laccetti incrociati. Era adornato da ampie maniche a sbuffo e aveva una scollatura che lasciava nude le spalle.
Le scarpe erano di colore zaffiro e sotto ai miei piedi vi era un lungo tappeto rosso.  Giunsi all’ultimo scalino della gradinata senza comprendere cosa stesse accadendo, ma neppure la paura  sembrava essere contemplata dai miei recettori nervosi.  Camminai nel giardino e superai una maestosa fontana coi suoi giochi d’acqua, le aiuole di rose, le statue decorative che raffiguravano figure e amori della mitologia greca, fino a scorgere un sontuoso gazebo. La struttura era in legno intarsiato, sormontata da rose rampicanti, con ampie finestre ad arco e, collocato al centro dell’ara, offriva una perfetta panoramica del giardino.
Seguendo l’impulso, quasi fossi certa di ciò che stavo per compiere, valicai la soglia dell’apertura ad arco. 
Feci un giro su me stessa e ammirai quel gioco di colori per la combinazione di diverse aiuole di fiori e ne inspirai il profumo che sembrava trasportato dalla brezza. Fu spontaneo socchiudere gli occhi e rilassarmi.  
Li schiusi solo quando avvertii un respiro caldo sulla nuca e mi sentii avvolgere da un profumo stuzzicante e piacevole al contempo.
Sentii una voce sconosciuta. “Siete arrivata, finalmente”.  Fu un sussurro roco e mi fece fremere.
Avrei voluto voltarmi, per scoprirne l’identità, ma quell’intento mi fu impedito. Quella figura misteriosa, con un gesto gentile, appoggiò le mani sulle mie spalle. Istintivamente seppi di non dover avere paura, seppur non riuscissi a spiegarmene il motivo.
Chi sei?”. Avevo parlato a mia volta in tono flebile e, nonostante la pace interiore che provavo, il mio cuore scalpitò più intensamente.
Lo scoprirete presto”.  Sussurrò nel mio orecchio, quasi fosse un intimo segreto.  Solo nostro. 
Avrei dovuto sottrarmi a tale pressione, cercare di divincolarmi o cercare almeno di scoprirne l’identità, ma era un pensiero remoto e distante. Non scorgevo segnali di pericolo.
 “Come mi hai trovato?”. Domandai con voce esitante e tornai ad osservare quel giardino ma non riuscii a ricondurlo ad alcun luogo visto in precedenza e a giustificare la mia presenza.
Vi attendo da sempre”. Lo disse in tono così pregno di emozione che non potevo dubitare che fosse sincero.
Non potevo tuttavia spiegarmi come riuscisse ad avere un simile effetto su di me. Sembrava riuscire a risvegliare le mie insicurezze e quella solitudine che talvolta mi attanagliava il cuore.
M-Ma tu non sai chi sono”. Protestai con voce confusa, seppur avessi il timore che la realtà potesse infrangere quella dolce fantasia.
Forse voi non sapete chi siete realmente”, ribatté prontamente.
 “Aiutami a capirlo”. Bisbigliai e sentii il mio corpo tendersi, cercando la sua presenza per sincerarmi che fosse tutto reale.
Lo capirete e solo allora mi troverete”. Sembrava una promessa solenne, ma la sua voce era divenuta un eco distante, quasi fosse stata portata dal vento.
Mi voltai ma non vidi che il nulla. Mi guardai attorno con crescente agitazione e confusione, non potendo sopportare quell’improvviso vuoto interiore.  Supplicai persino, quasi sperando che ciò potesse farlo tornare.
Non andartene”. 
Non avrei saputo dire se fosse stato o meno effetto delle mie parole, ma solo in quel momento mi accorsi della rosa bianca ai miei piedi.  La presi tra le mani e ripresi a guardarmi attorno nella speranza che potesse tornare altrettanto misteriosamente. Sospirai, ma strinsi più delicatamente lo stelo della rosa.
Tornerà, mi dissi.  Non sapevo da dove provenisse quella certezza, ma sorrisi. 


“Sara?”. 
La ragazza seduta al mio fianco ritirò la mano con cui mi aveva scosso. Sbattei le palpebre a più riprese e cercai di mettere a fuoco il suo viso, ma una parte della mia mente voleva caparbiamente conservare i ricordi di quel sogno. Avrei voluto ricostruire i dettagli di quel luogo, dell’abito che indossavo e della voce di quel giovane misterioso.
“Bentornata, Bella Addormentata”, mi disse con un sorriso complice, pizzicandomi la punta del naso.
Emisi un mugugno e gettai un’occhiata fuori dal finestrino, quasi a voler fare mente locale, mentre ascoltavo distrattamente il brusio circostante. Trassi un lento respiro. A differenza della mia amica, era la prima volta che affrontavo un viaggio in aereo e avevo sentito dire che la manovra peggiore fosse proprio quella dell’atterraggio. A ciò si univa naturalmente anche un nervosismo più piacevole, legato all’aspettativa di ciò che ci avrebbe atteso nei mesi successivi.
“Ti ho svegliata perché mancano dieci minuti all'atterraggio”. Mi disse con un sorriso complice. “Anche se un po’ mi dispiaceva, considerando la tua espressione”, soggiunse con un sorrisino più suadente e allusivo.
Scossi il capo ma le sorrisi con aria misteriosa, lasciando che quegli occhi mi scrutassero con attenzione. Morgana McGrath[2], come la strega leggendaria di cui portava il nome, aveva uno sguardo particolarmente eloquente che, a seconda della luce, appariva ora tendente al blu, ora al verde. Sembrava in grado di ammaliare e affascinare le persone che facevano parte della sua vita. Me compresa. Non potevo che plaudire la fantasia della madre nell’averle dato un nome che sembrava rappresentarla perfettamente. La famiglia di Morgana, originaria di Londra,  si era trasferita in Italia quando lei era solo una bambina, ragione per cui era bilingue e non aveva perso l’accento britannico che suscitava sempre il compiacimento di tutte le sue insegnanti di inglese.
“Cosa stavi sognando, prima?”. L'intonazione della voce era realmente incuriosita e le labbra rosse erano ancora increspate da un sorrisetto allusivo, quasi fosse stata in grado di intuire perfettamente la risposta.
Sospirai e cercai di formulare una risposta abbastanza esaustiva ma senza sembrare la protagonista di un’improbabile commedia d’amore. “Un principe... o almeno credo che lo fosse”. Cercai di mettere a fuoco i dettagli per illustrarle quella sequenza nel modo più dettagliato possibile. “Non l'ho visto in faccia: sentivo solo la sua voce, ma so per certo che fosse meraviglioso. Come succede nei sogni d’altronde”, mi schermii con uno scrollo di spalle. Sorrisi di me stessa e di come la mia mente talvolta potesse produrre immagini particolarmente elaborate. Mi era capitato in altre occasioni di sognare il giorno del mio matrimonio, ma senza mai vedere il volto del mio sposo. Persino nei sogni l’amore sembrava prendermi in giro.
“Mmm”, commentò Morgana con aria pensierosa. Vidi presto un sorrisetto impertinente incresparle le labbra. “Non è che per caso questo principe aveva con sé un fratello o un amico reale?”. 
Scrollai le spalle. “Non mi è dato saperlo, almeno per ora”. Mi domandai, con un moto di speranza, se quel sogno avrebbe potuto avere un seguito o se avessi scoperto il suo significato remoto.
“Reale o immaginario, sembrava avere un bell’effetto su di te persino in sogno, quindi chi sono io per giudicare?”. Aveva riposto vagamente divertita. Aprì la sua borsetta e vi ripose dentro gli oggetti che aveva portato con sé per intrattenersi durante il volo tra cui un libro e una rivista di sudoku.
Scossi appena il capo e imitai il suo gesto, annotandomi mentalmente che avrei dovuto riaccendere il cellulare quanto prima per far sapere a mia madre che ero giunta a destinazione.  
“Spero ti sia dato riconoscere il tuo pen-friend: non vedo l'ora di arrivare agli alloggi”, mi disse Morgana e annuii con aria solidale. Benché il viaggio non fosse stato particolarmente lungo, il risveglio era stato di primo mattino e sentivo il bisogno urgente di farmi una doccia e di cambiarmi gli abiti.
Mi sporsi per osservare, dal finestrino, una prima panoramica della città dall'alto. Sembrava una ventilata e mite giornata di sole, ma tra non molto sarebbe calato il buio e avrebbe dolcemente vezzeggiato il profilo di Glasgow. 
In Gaelico, Glasgow, secondo quanto recitava la guida turistica, significava: “il caro posto verde”. Una descrizione che calzava a pennello, a giudicare da ciò che riuscivo ad intravedere dal finestrino: non a caso aveva un primato per la presenza di spazi verdi alberati che si fondevano con il paesaggio urbano, lambito dal fiume Clyde. Sarebbe senz'altro valsa la pena visitarne la campagna: i sublimi laghi, le colline verdeggianti per il pascolo che avevano ispirato molti di quei film romantici che avevo spesso guardato con mia madre, tratti dai romanzi di Rosamunde Pilcher, quasi sempre ambientati in Scozia[3].
Distolsi lo sguardo e presi dal mio zainetto un pacchetto di lettere. Cercai una delle prime buste dalla quale estrassi la fotografia di un ragazzo. Sean Biggerstaff.[4]


Ricordai, con un sorriso, il giorno in cui la mia professoressa di liceo  ci aveva esortato ad iniziare una corrispondenza epistolare con degli studenti stranieri che avevano aderito al progetto per favorire le capacità di stesura e di comprensione di un testo in inglese. Non avrei mai potuto immaginare ciò che sarebbe nato da quello scambio di lettere mensili. Erano passati più di cinque anni dalla prima lettera che Sean e io ci eravamo scambiati seguendo le direttive del progetto: una breve presentazione di sé, della propria famiglia, degli hobby e delle proprie ambizioni. Malgrado la distanza e i contatti sporadici (certo avremmo potuto avvalerci della tecnologia ma entrambi riconoscevamo il fascino di una lettera scritta di proprio pugno) avevamo stabilito un legame che ci aveva visto divenire una presenza confortante nella vita dell'altro. Senza contare quanto fosse stato curioso apprendere, in un modo così piacevole, alcune caratteristiche delle tradizioni scozzesi. Avevo sempre ricambiato cercando di descrivere nel modo più esauriente possibile alcune delle peculiarità della cultura italiana.
La fotografia era di qualche anno prima ma già da quell'immagine avevo potuto scorgerne gli occhi nocciola e il sorriso sbarazzino e gioviale. Sembrava che avesse messo in risalto la personalità di Sean e quella sua natura mite, gentile e premurosa.  Mi domandai quanto fosse cambiato fisicamente nel frattempo ma speravo di riconoscere, nelle nostre interazioni faccia a faccia, quelle qualità che avevo apprezzato durante la nostra corrispondenza. Certo, ero abituata al temperamento “mediterraneo” quindi qualsiasi variante più riservata avrebbe potuto esser classificata come “fredda”, senza contare che incontrare una persona “dal vivo” dopo anni di amicizia a distanza comportava un certo nervosismo. Si aveva quasi il timore di scoprire che quella sintonia che era tanto naturale tra le righe di una lettera o di un messaggio attraverso i social network, potesse mancare “dal vivo”.  Vi era persino l’orrore all’idea di scoprire di non riuscire a sopportare la compagnia dell’altro per più di cinque minuti consecutivi. Sean era sembrato entusiasta quando gli avevo annunciato che sarei venuta nella sua città natale e mi aveva promesso che mi avrebbe fatto visitare la città e i suoi luoghi di ritrovo. Si era inoltre offerto lui stesso di aiutarmi a trovare un appartamento che avrei condiviso con Morgana. 
“Dovremo ricordarci di ringraziarlo, è stato davvero disponibilissimo”. Commentò quest’ultima e sorrisi nel notare come i nostri pensieri fossero all’unisono in quel momento.
 “Lo delizieremo con la nostra cucina...”, mi sentii dire con orgoglio. Non era certo casuale che la nostra dieta mediterranea fosse tra le più apprezzate anche a livello internazionale. 
“O l'intera valigia di Ciobar[5] che ti sei portata da casa: abbiamo quasi rischiato di non prendere il volo, ma non potevamo correre il rischio di non trovarne a Glasgow”. Commentò con aria complice, ma io arrossii comunque. Quella figuraccia ancora mi infastidiva: in fondo non ci avevo visto nulla di male ad aver superato il limite di peso consentito per poco più di un chilo. Si trattava pur sempre della mia bevanda solubile preferita. Non potevo rischiare di dover rinunciarvi solo per qualche regolamento eccessivamente tassativo e un controllore pignolo. 
Mi riscossi all’annuncio dell’imminente manovra di atterraggio e, a quel punto, fui troppo impegnata ad ignorare la nausea crescente per concentrarmi su altri pensieri. 




Recuperammo i nostri bagagli dal nastro trasportatore e prendemmo a trascinare le valigie nell'aeroporto, mentre controllavo il display del cellulare, in attesa della chiamata del giovane. 
“Come siete rimasti d’accordo?”.  Mi domandò Morgana.
Stavo scorrendo la rubrica alla ricerca del numero di Sean, immaginando che la soluzione più rapida fosse chiamarlo di persona. Stavo per risponderle, ma il mio sguardo scorse un viso familiare. Nonostante i suoi lineamenti fossero più adulti di quelli immortalati nella fotografia, non ebbi il benché minimo dubbio. 
Mi avvicinai al giovane che si stava guardando attorno con una mano affondata nel giaccone e le labbra semischiuse a simulare la concentrazione.  Ne chiamai il nome e si volse in mia direzione. Un sorriso spontaneo gli fece risplendere il viso e gli occhi nocciola parvero emanare quello scintillio sbarazzino e dolce al contempo.
I capelli erano più lunghi rispetto al ragazzo ritratto nella fotografia e sulle guance si intravedeva un sottile strato di barba, ma la sua corporatura e il suo bel viso lo rendevano un affascinante giovane uomo. Lo pensai con sincera ammirazione, seppur fossi troppo avvezza a vederlo come una sorta di fratello maggiore.
Mi feci largo tra gli altri passanti e fu del tutto naturale e spontaneo cingergli il collo con le braccia, abbandonando per un istante le mie valigie.  Sorrisi quando, dopo un lieve ed istintivo irrigidimento ricambiò il gesto e lo sentii accarezzarmi i capelli.  Mi sembrava di conoscerlo così personalmente da dimenticare che provenivamo da due culture diverse e che probabilmente non era così avvezzo a quel gesto con una persona conosciuta soltanto tramite lettera e qualche sporadico scambio di messaggi attraverso i social network.
“Sarah”. 
Pronunciò il mio nome con forte cadenza inglese che lo faceva somigliare al sostantivo “sera” in italiano. 
“Sean”. Mi scostai con un sorriso e mi presi un altro momento per contemplarlo. Cercai le parole più esaustive e chiare per esprimermi nella sua lingua nativa. “Sei così… Wow!”, conclusi goffamente, sapendo che sarebbe stato necessario del tempo affinché mi fosse fluido convertire i miei pensieri in parole inglesi.
Rise divertito e ricambiò lo sguardo con la stessa curiosità, prima di sorridermi calorosamente. Avevo sempre apprezzato che Sean non si fosse mai mostrato scettico o supponente per gli inevitabili difetti linguistici nella stesura delle mie lettere ed ero confortata all’idea che avrebbe avuto lo stesso atteggiamento nel sentirmi parlare con accento straniero. Inoltre non potei che sorridere di sollievo  perché l’imbarazzo iniziale sembrava essere affievolito.
“Sei cresciuta parecchio e i tuoi capelli sono molto più mossi”, commentò con un sorriso divertito.
Sembrò voler aggiungere qualcosa ma scorse la ragazza alle mie spalle e si interruppe.  Mi riscossi rapidamente e mi rivolsi a Morgana con un sorriso bonario: ero così presa da quel saluto da averla lasciata in disparte. Fui lesta a rivolgerle un cenno del mento perché si avvicinasse.
A giudicare dal sorriso piuttosto compiaciuto che le increspava le labbra e dallo scintillio dello sguardo, azzardai tra me e me l’ipotesi che lei avrebbe trovato un aggettivo molto più esplicativo di “wow”. E non soltanto perché parlava perfettamente la sua lingua natia.  
Ripescai nella memoria la formula di introduzione che si sarebbe usata in un contesto informale come quello. “Sean, questa è Morgana, ti ho parlato di lei”, feci riferimento a una delle lettere in cui ci eravamo raccontati delle nostre amicizie. Avevo scritto di lei anche più recentemente, spiegando che mi avrebbe accompagnato in quel viaggio. “Morgana, lui è il mio pen-friend, Sean”.
La giovane sorrise e allungò la mano in sua direzione, il volto inclinato di un lato. “E’ un piacere conoscerti: mi ha detto cose stupende su di te, ma non potevo certo lasciarla da sola in quest’avventura”, mormorò con sincero calore. Aveva sempre avuto nei miei confronti un forte istinto protettivo.
Sean sorrise di quelle parole come se comprendesse la profondità del nostro legame. “Ha parlato di te in modo altrettanto splendido e immagino sia bello tornare nel Regno Unito”, alluse alle sue origini e le strinse delicatamente la mano.
“Così di primo acchito, non ho dubbi che sarà così”, rispose Morgana con un sorriso più caloroso.
Sean si riscosse quando una signora lo urtò involontariamente con il suo trolley e parve convenire che fosse il caso di non creare ulteriore ingombro al passaggio pedonale. “Signorine, sono sicuro che siate entrambe impazienti di raggiungere il vostro alloggio”. Aveva imitato i modi di uno chauffeur che avrebbe scortato i datori di lavoro alla limousine al rientro da un viaggio di lavoro.  
“Vedo che i corsi di recitazione danno il loro frutto[6]”. Ridacchiai bonariamente mentre si accingeva a prendere le nostre valigie, malgrado le nostre remore. 
“Vedo con piacere che in Gran Bretagna la cavalleria non si è estinta”, commentò Morgana seguendolo con incedere fluido.
Sean rise tra sé e sé al commento, come se in lui si fosse destato un pensiero ben preciso. “Ti consiglio di non parlare troppo presto”.
Morgana ed io ci scambiammo uno sguardo interrogativo ma lo seguimmo verso il parcheggio  e Sean si fermò di fronte a un modello di Porsche di colore grigio metallizzato.
Il percorso in macchina non fu troppo lungo e il nostro Anfitrione diede ulteriore prova del suo lodevole spirito di accoglienza. Dopo averci chiesto del viaggio in aereo, ci indicò diversi luoghi di attrazione turistica e naturalmente si propose immediatamente come nostra guida personale. Ci parlò inoltre della scuola da lui frequentata: la Royal Scottish Academy of Music and Drama, un conservatorio di musica, teatro e danza il cui “patrono” era il Principe Carlo d’Inghilterra in persona.  Superfluo dire che si trattasse di un luogo alquanto rinomato e di notevole prestigio con studenti che si trasferivano dalle più remote località per frequentarla. Sean, nella fattispecie, si interessava di tutti i corsi di recitazione anche se non mancava di presenziare ogni anno al festival tradizionale di musica celtica, con tutta la famiglia. Ci promise che avrebbe fatto tutto il possibile perché potessimo ottenere il permesso di una visita dell'istituto e entrambe sorridemmo all'idea. Alla fine del breve tragitto, giungemmo a un convitto studentesco. La madre di Sean, infatti, lavorava nel settore della pubblica istruzione ed era riuscita a fare leva sulle proprie conoscenze per agevolarci l'affitto e la residenza in uno di quegli appartamenti. 
Lunedì mattina, ci avvisò mentre ci aiutava a portare le valigie fino al quinto piano, avremmo ricevuto la visita della responsabile dell'affitto delle camere per definire le ultime clausole del contratto. 
L’appartamento era dotato di una piccola cucina con tavola da pranzo, un salotto, due camere da letto e il bagno. Vi era una lavanderia per ogni piano che avremmo dovuto condividere con le studentesse delle altre camere.
“Niente male”. Commentai guardando la mia camera da letto. Mi sedetti sul letto e mi stesi per provare la morbidezza del materasso. Nelle prossime ore avrei disfatto le valigie e mi sarei premunita di personalizzare quell’ambiente. Lo sguardo indugiò soprattutto sulla libreria e sulla scrivania del tutto spoglie di suppellettili.
Ci sarebbe stato tutto il tempo, pensai tra me e me.
Sean si affacciò sulla soglia dell’uscio e gli feci cenno di accomodarsi.  “La vita della studentessa fuori sede non sembrerebbe affatto male”, commentò con un sorriso. “Immagino che cercherai di renderla più italiana possibile”. 
“Oh, so io che cosa ci vuole adesso per sentirmi a casa: una bella tazza di cioccolata”, commentai con quell’alone di puerile golosità che mi contraddistingueva. “Ci fai compagnia?”.
“Ottima idea!”, intervenne la voce di Morgana che entrò nella mia camera e sorrise ad entrambi.
Sean guardò dall’una all’altra con un sorriso, ma scosse leggermente il capo. “Mi dispiace, ma dovremmo rimandare: siete appena arrivate e vorrete godervi un po’ di tranquillità”.
“Ma non ci disturbi affatto!”, lo rassicurò Morgana, strappandomi letteralmente le parole di bocca.
“Non è vero, Sara? E poi mi sembrerebbe il minimo, vista la tua calorosa accoglienza”. Soggiunse con un sorriso più dolce.  
Mi rimisi in piedi e reclinai il viso di un lato, imitando un broncio:  “La cioccolata non avrebbe lo stesso sapore senza di te”, commentai in tono enfatico che lo fece ridacchiare.
“Un’altra volta, ma per farmi perdonare potrei venirvi a prendere domani sera: mia madre è ansiosa di conoscerti”, mi disse con quel sorriso più affabile e dolce. Si passò una mano tra i capelli con un lieve accenno di disagio. “Scusatemi, di conoscervi. Di conoscere entrambe”, specificò con un sorriso rivolto a Morgana.
“Con immenso piacere”, risposi per entrambe. “Porteremo qualche specialità italiana”, gli promisi mentre lo accompagnavamo alla porta.
“Allora a domani”, si congedò con un sorriso.
“Ancora grazie di tutto”, rimarcai con un sorriso, baciandolo sulle guance alla maniera italiana.
Sean mi sorrise e si rivolse alla mia amica. Allungò nuovamente la mano in sua direzione: “E’ stato un piacere, Morgana”, pronunciò con la cadenza gaelica che fece scintillare lo sguardo della ragazza con evidente compiacimento.
La porta si chiuse alle sue spalle e la mia amica si volse in mia direzione con un sorriso piuttosto compiaciuto.
“E’ di bell’aspetto, gentile, premuroso e serio”, mormorò, contando sulle dita le sue qualità. “Sei davvero sicura che non abbia una ragazza? Ma, soprattutto, possibile che non ti sia mai invaghita di lui?”, continuò con quell’alone più complice.
Non potei che annuire a quella sua esamina del mio amico e sorridere con un certo orgoglio all’idea di aver stretto un’amicizia così importante, nonostante la distanza fisica. Non avevo dubbi che la nostra amicizia non avrebbe potuto che divenire persino più forte, potendo frequentarci quotidianamente.
“Che io sappia, dopo che Angelina l’ha lasciato, non ha più frequentato nessuna. E’ stata dura per lui”, mormorai con una nota di dispiacere, soprattutto considerando quanto fosse stata importante per lui quella relazione. Non si poteva certo biasimarlo se aveva deciso di prendersi del tempo per sé e dedicarsi agli studi e alla sua carriera.
Morgana era parsa a sua volta dispiaciuta nell’apprendere quelle notizie. “Che io sappia dovremmo approfondire la conversazione ma, se sei d’accordo, dopo una lunga doccia e una tazza di cioccolata”.
Non potei che annuire con aria solidale, lasciando che si prendesse il primo turno per il bagno.
 “Che l’avventura abbia inizio”, commentai tra me e me, guardandomi attorno con un sorriso.




Mi svegliai di buon mattino, ma rimasi piacevolmente sotto le coperte per diversi istanti. Con gli occhi socchiusi, cercai di concentrarmi su qualche sprazzo di immagini apparse in sogno. Non riuscivo ancora a spiegarmene l’origine di quei sogni e non mi era mai capitato di averne alcuni collegati tra di loro fino a comporre una “trama” composta di diversi episodi.  Ma non mi era affatto sgradito poiché quelle sensazioni di benessere e di calore continuavano a riempirmi il cuore anche a distanza di ore. Il giardino era lo stesso, ma questa volta illuminato da uno spicchio di luna crescente. Ricordavo di aver indossato un abito diverso, di un bianco opalescente che sembrava letteralmente scintillare quanto le stelle in cielo. Avevo trovato sul mio cammino un’altra rosa bianca che avevo stretto tra le dita e proprio in quel momento avevo avvertito una presenza alle mie spalle. Seppur fosse invisibile, anche in quel caso, avevo la certezza che si trattasse dello stesso “Principe”.
 “S-Sei qui?”. Gli avevo chiesto con voce tremante. Avevo sentito un fruscio all’altezza dell’orecchio e un sussurro con la stessa voce dolce e amorevole, seppur apparisse distante, quasi un eco.
 “Non è ancora il nostro momento...”, sembrò volermi avvertire. “Attendete, ve ne prego”.
Anche in questo sogno avevo avuto la certezza che fosse la cosa giusta da fare.
Attenderò”, gli avevo risposto ed ero rimasta seduta su una panchina a lungo.
Non potevo definirmi una persona pigra, ma nel periodo autunnale e invernale trovavo particolarmente piacevole indugiare sotto le coperte anche oltre il consueto orario della mia sveglia. Al contrario, in estate la luce del sole e l’afa mi facevano anticipare il momento in cui abbandonavo il mio letto. Fu quindi con un moto di dispiacere che spostai le coperte e rabbrividii leggermente, trovando quella differenza di calore più pungente rispetto a quella a cui ero avvezza in Italia.  Mi concessi una lunga doccia calda, approfittando del fatto che Morgana fosse ancora addormentata e ripresi a fantasticare sull’ultimo sogno.
Torniamo alla vita reale, ho ben altro a cui pensare, pensai tra me e me. L’attimo dopo, tuttavia, sorrisi nuovamente, quasi a schermirmi.  E' concesso sognare... e se sono sogni così dolci, chi potrebbe biasimarmi? 
Uscii dal bagno nello stesso momento in cui Morgana si accingeva ad uscire dalla sua camera. Sorrisi di quell’alone più sbarazzino e quotidiano che aveva in quei frangenti. Se durante la giornata sembrava sempre in perfetto controllo della situazione (dalla piega dei capelli ai sorrisi più accattivanti), c’era qualcosa di consolatorio nel vederne l’aria arruffata e assonnata. Decisamente soffriva i risvegli più della sottoscritta.
“Buongiorno”, la salutai con voce già pimpante.
Borbottò qualcosa di indistinto, difficile dirsi se fosse in gaelico o in un italiano, ma si diresse verso il bagno con tutto l’equipaggiamento per vestirsi.
Feci colazione e finii di vestirmi, decidendo di indossare un cappotto lungo che mi fasciasse fino al ginocchio e mi consentisse di affrontare in modo confortevole le temperature poco clementi. Bussai alla porta di Morgana, ne attesi il permesso. Quando schiusi la porta rimasi quasi sconvolta nel vedere tutti gli abiti appoggiati sul letto, sorprendendomi per la quantità esorbitante che era riuscita a insinuare nei suoi bagagli. La mia amica aveva aperto l’armadio e stava cominciando a disporli con metodo, separandoli in base al tessuto, al colore e all’occasione. L’abbigliamento per lei era qualcosa di estremamente importante e più volte mi bacchettava quando riteneva che fossi troppo casual persino tra le pareti domestiche o per uscire di casa per gettare l’immondizia. A suo dire, dopotutto, non bisognava necessariamente imbellettarsi per un uomo, ma semplicemente per amor proprio. E non si poteva mai sapere chi si sarebbe potuto incontrare anche in quegli spaccati di quotidianità.
“Sto per uscire e incontrare Sean”, le dissi con un sorriso. “Mi chiedevo se ti andasse di unirti a noi”.
Appoggiò l’ennesima gruccia nell’armadio e mi rivolse un sorriso ma scosse il capo. “Magari un’altra volta: avrete tante cose da dirvi e, come vedi, non ho ancora finito di sistemare i vestiti”.
“Sei sicura? Puoi sempre farlo al ritorno”, insistetti.
Scosse il capo, continuando a sorridermi. “Vai con il tuo amico e divertitevi, dopotutto conosco già la città e poi non mancheranno sicuramente occasioni”, aggiunse con un lieve ammiccamento. “Piuttosto dovremmo cominciare a guardarci attorno per trovarci un lavoro. Compra i giornali della zona e guarda nei negozi se ci sono cartelli”.
“Lo farò”, sorrisi ed annuii. “Allora a più tardi”.
“Buona mattinata e salutami Sean”.
 
Un timido sole si affacciava dietro delle nubi e sperai di non essere sorpresa da uno di quei tipici acquazzoni. Mi guardai attorno e mi confusi tra i passanti, notando che il traffico sembrava già aver raggiunto livelli stressanti. Riuscii ad orientarmi senza troppi problemi e senza dover chiedere aiuto con il rischio di non riuscire a decifrare le parole degli abitanti, rischiando una pessima figura oltre al mero panico. Obliterai il biglietto e mi promisi che, una volta scesa dalla metro, avrei telefonato a mia madre che mi aveva già tempestato di messaggi e di richieste di fotografie che molto probabilmente sarebbero divenute di dominio del mio parentado entro la fine della giornata. Sentii la suoneria del cellulare e dovetti cercarlo per quasi due minuti nella borsa, rimproverandomi perché non perdevo il vizio di riempirla di oggetti apparentemente superflui. Tuttavia non sarei riuscita ad uscire di casa se non mi fossi premunita di avere il romanzo del momento, il disinfettante per le mani, i fazzoletti di carta oltre ai documenti e al portafogli. Immaginando che si trattasse proprio di mia madre e afflitta all’idea della sgridata che mi avrebbe rivolto, fu con sollievo che lessi il nome del chiamante.
“Buongiorno Sean, scusa l’attesa: stavo litigando con la mia borsa”, lo salutai con tono allegro e ciarliero. Controllai per l’ennesima volta il tabellone per assicurarmi di non perdere la prima corsa a disposizione.
“Buongiorno”, mi salutò con quella sua tipica pacatezza. “Hai già fatto colazione?”.
“Se per colazione intendi porridge o interiora di capra, allora no”, commentai divertita, punzecchiandolo in tono bonario per alcuni dei piatti tipici che mettevano a dura prova la mia nostalgia di casa. 
Rise in risposta. “Non voglio certo sminuire il fabbisogno calorico fornito da un po' di cioccolata”, commentò con tono di bonaria presa in giro. “Che ne diresti allora di una tazza di the o di qualsiasi altra bevanda voi beviate a quest’ora?”.  
“Molto volentieri”, risposi con calore. “Ma non stai marinando la scuola a causa mia, vero?”.
“Anche i Conservatori reali sono chiusi di Sabato”, mi spiegò e non potei che arrossire leggermente per la mia gaffe.
“Dove ci incontriamo? Sto per prendere la metro”, gli fornii l’indirizzo di riferimento.
Sean ci mise pochi istanti per fare mente locale e mi indicò il nome della stazione a cui sarei dovuta scendere. Ci congedammo e io salii sul convoglio che scivolò di fronte a me ed attesi che le porte del vagone si aprissero, cercando di non restare schiacciata tra le folla di pendolari.
Dopo pochi minuti scesi alla fermata giusta e sorrisi quando ne scorsi la sagoma familiare.
“Buongiorno”, lo salutai e mi fu spontaneo sollevarmi sulle punte a baciarne la guancia e non potei fare a meno di sorridere nel notare che il ragazzo sembrasse già essersi abituato a quella familiarità.
“Sei sola?”, mi chiese con le sopracciglia inarcate.
“Morgana aveva altri impegni per questa mattina, ma ci raggiungerà più tardi”, spiegai con un sorriso.
“Spero sia tutto confermato per stasera: mia madre non vede l’ora”, soggiunse più dolcemente, facendomi cenno di seguirlo e ne sostenni il passo per non rischiare di perderlo tra la folla di viaggiatori, soprattutto quelli che temevo maggiormente. Le comitive con i famigerati trolley e i turisti che si fermavano ogni cinque secondi per estrarre cellulari o tablet per immortalare ogni dettaglio o registrare video ricordo.
“C'è un pub ristorante qui vicino dove si mangia benissimo”, mi spiegò con un sorriso. “Hanno persino una teca dedicata soltanto ai dolci”, soggiunse con un buffetto sulla punta del mio naso.
Mi portai una mano al cuore, simulando un’espressione di profonda gratitudine ed emozione. “Stai facendo leva sui miei punti deboli, ma sei un Cicerone formidabile!”.
Notai la sua espressione confusa e mi affrettai a spiegargli l’origine di quell’espressione italiana in cui si paragonava l’eloquenza delle guide turistiche con quella del celebre oratore romano che difatti conosceva soltanto per dei rimandi della letteratura classica.
Dopo pochi minuti ci fermammo di fronte al locale che Sean aveva suggerito e non potei fare a meno di contemplarne l’insegna colorata e dai caratteri gotici che sembrava letteralmente spiccare tra gli edifici circostanti.
La Camera dei Segreti[7]”. Lessi e non potei fare a meno di sorridere. “Un nome davvero pittoresco, complimenti per la fantasia”, commentai divertita. “Qualche segreto culinario che potrei rubare?”.
Sean si strinse nelle spalle. “Che io sappia nessuno ha mai capito a quali segreti si alluda, ma considerando la stravaganza del proprietario, forse riguarda qualcosa di losco”, disse in tono così serio che non potei fare a meno di guardarlo con espressione stranita. “Sto scherzando!”, si affrettò ad aggiungere con una risata. “O forse no”, soggiunse poi con aria misteriosa, prima di aprirmi galantemente la porta. “Lascerò a te l’onore di scoprirlo, ma posso assicurarti che il cibo è eccellente”.
Ci mettemmo in fila dietro ad altri commensali e io ne approfittai per guardarmi attorno, quasi volendo capire l’atmosfera tipica di quel luogo. Le pareti del locale erano a tinte scure e vi erano quadri alle pareti che sembravano rievocare scenari apocalittici. L’ambiente, tuttavia, era ben illuminato e già in quella sala ci si sentiva avvolti da un’atmosfera raccolta e rassicurante. Vi era un piacevole brusio di sottofondo e, a giudicare dalla calca di persone, nella zona era universalmente riconosciuta la qualità del servizio. Osservai distrattamente un paio di giovani camerieri che sembravano particolarmente affaccendati, mentre si affrettavano a sparecchiare e a pulire i tavoli per accogliere nuovi clienti.
“Spero che Percy non dica a Riddle che sono arrivata in ritardo oggi”, sentii mormorare una ragazza paffuta, dai capelli rossi e dall’espressione impaurita[8], mentre si affrettava a riempire la bacinella delle stoviglie già sporche.
Il collega scosse il capo con un sorrisetto. “Lo sai che Riddle odia gli spioni persino più dei ritardatari”, sembrò consolarla. L’aspetto del ragazzo mi colpì perché era molto alto e allampanato, scuro di pelle e mi ricordava uno degli attori di una delle mie serie tv preferite tra quelle prodotte da Shonda Rhimes[9]. “Comunque le cose andrebbero meglio se Lavanda si degnasse di darci una mano anziché perdere tempo a civettare”, aggiunse con uno scuotimento del capo.
La ragazza dai capelli rossi annuì e il suo sguardo sembrò rabbuiarsi. “Se quella ottiene un contratto da sei mesi, giuro che mi licenzio io per protesta!”, dichiarò in tono inviperito e il suo amico annuì con enfasi e scosse il capo come a sottolineare l’assurdità dell’ipotesi.
Mi riscossi quando Sean mi fece cenno di avanzare: finalmente la fila si era diramata abbastanza perché potessi osservare la teca dei dolci a cui Sean aveva fatto allusione poco prima.
 “Come sta andando il primo giorno?”, mi chiese in tono dolce e rassicurante. “Potremmo fare un breve giro turistico nell’attesa di Morgana”. Mi propose dopo aver ordinato per entrambi.
 “Voi scozzesi siete incredibilmente affabili e francamente ancora fatico a credere di essere davvero qui”, commentai con un sorriso, quasi temendo che da un momento all’altro mi sarei accorta che era tutto frutto di un sogno particolarmente realistico. “Ma al momento è altro che mi preoccupa:  dovrei trovare un lavoro per non pesare troppo sui miei genitori”, ammisi con una nota di esitazione, mordicchiandomi il labbro inferiore. “Pensi che ci siano studenti che avrebbero bisogno di ripetizioni di italiano?”.
Dopo aver conseguito la laurea magistrale all’Università di Pisa in sociologia e ricerca sociale, a differenza dei miei colleghi, non avevo festeggiato con un tour all’estero, ma i miei genitori mi avevano proposto di prendermi un anno sabbatico in Scozia, potendo contare sulla presenza di Sean. Dopo più di due anni di studio assiduo per completare gli esami e la tesi magistrale, avevano convenuto che avrei dovuto prendermi del tempo per distendere la mente e ritemprarmi fisicamente e mentalmente. Senza contare che quella permanenza all’estero mi avrebbe aiutato ad affinare la mia conoscenza dell’inglese. Alla conclusione di questo periodo di pausa  sarei tornata in Italia nella speranza che, nel frattempo, la crisi economica si sarebbe attenuata e sarebbe stato più semplice trovare un lavoro nella mia città.  Naturalmente non volevo dipendere completamente dalla mia famiglia durante quel soggiorno.  Avevo risparmiato gran parte dei soldi guadagnati con le ripetizioni e con un po’ di fortuna avrei potuto trovare un lavoro.  
Lo vidi assumere una posa pensosa al riguardo ma, prima che potesse rispondere, la giovane dall'altra parte del bancone ci porse le nostre tazze di the e indugiò con lo sguardo su di me. 
“Scusatemi, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare”, mormorò e notai soltanto in quel momento che il suo accento poco gaelico avrebbe potuto fare concorrenza al mio.  Mi riservò lo stesso sguardo curioso e indugiai sui suoi lineamenti, come se potessero svelarmi qualche indizio sulla sua identità. Era giovane, probabilmente coetanea di Sean, bruna, coi capelli lunghi fino alle spalle e tinti di una sfumatura di fucsia che le conferiva  un aspetto esuberante ed estroso. Ciò era confermato dal sorriso contagioso ed allegro che mi suscitò un interrogativo. Nelle sue parole vi era una spontaneità e un modo di gesticolare che sembravano poco affini al “tipico” temperamento britannico.
“Sei italiana, vero?”.
Trasalii quando furono le sue labbra, colorate dal rossetto, a pronunciare quella domanda. La stessa che mi stava ronzando in mente. Sorrisi quasi con sollievo, prima di ridere di me stessa. “Ho un accento così terribile?”, domandai.
La ragazza scosse il capo con lo stesso divertimento, ma si affrettò a porgermi la mano. “Mi chiamo Amy”, si presentò con un alone di complicità che mi fece istintivamente rilassare. Era davvero straordinario ritrovarsi così lontana da casa e incontrare qualcuno che potesse perfettamente comprendere il mio stato d’animo. Difficoltà ad integrarsi comprese, dal momento che Morgana, per certi versi, aveva un vantaggio unico.
“Io sono Sara e questo è il mio amico nonché guida turistica, Sean”. 
Amy sorrise e strinse la mano anche al ragazzo, prima di tornare ad osservarmi. “Se ho capito bene, stai cercando un lavoro”. Continuò nella nostra lingua madre, mentre il ragazzo restava ad osservarci e non potei che intenerirmi di fronte alla palese confusione sul suo volto. 
“Sì”, spiegai con un sospiro. “Se tu avessi qualche idea o suggerimento, se avessi sentito di qualcuno che cerca una segreteria o qualcosa del genere, te ne sarei infinitamente grata”.
Lei sorrise ancora più soddisfatta. “Potresti lavorare qui”, si guardò attorno con aria sospettosa, prima di indicarmi con il mento una cameriera che sembrava intenta a pulire i tavoli. In realtà, notai con un breve sguardo, sembrava svolgere in modo insofferente quella mansione, strofinando il panno sulla superficie dei tavoli con gesti blandi. In compenso la sua espressione era spensierata e la sua risata argentina mentre cicalava al telefono con la mano libera. Il suo comportamento stonava incredibilmente con quello dei colleghi che avevo osservato poco prima e che sembravano, al contrario, sotto pressione per la calca di persone.
“Il mio capo ha concesso una settimana di prova a quella ragazza, Lavanda Brown, ma ha intenzione di comunicarle che non l’ha superata”, spiegò in tono gongolante.  Mi raccontò a bassa voce che la giovane in questione non si era affatto dimostrata una dipendente modello: arrivava spesso e volentieri in ritardo, facendosi coprire da uno dei camerieri che aveva una cotta per lei. Quando era stata assegnata al turno di chiusura, aveva pulito il locale con grande negligenza per andarsene il prima possibile e neppure si era premunita di gettare la spazzatura accumulata durante la serata, come sarebbe stata sua mansione, prima di sigillare il locale. Inoltre passava almeno la metà del tempo a flirtare coi clienti e scompariva regolarmente ogni volta che nel locale vi era calca o intralciava l’operato degli altri con la sua cronica pigrizia. I colleghi pertanto erano spesso costretti a coprire anche i suoi tavoli per non rischiare di compromettere ulteriormente l’umore assai volubile del proprietario.
“Mi ha chiesto se conoscessi qualcuno in cerca di lavoro: è parecchio seccato dal fiasco di Lavanda”, continuò con un sorriso. “ Se posso aiutare una mia connazionale che ne ha bisogno per il visto, ben volentieri”. Commentò con lo stesso sorriso spontaneo e sincero e non potei che sentirmi scaldare il cuore dalla sua gentilezza del tutto gratuita e spontanea.
“Lo faresti davvero?”. Domandai in tono incredulo.
“Ma certo”, mi sorrise per risposta. “Ho fiuto per le persone e tu mi sembri una ragazza perbene”. Ci indicò uno dei tavoli liberi con un cenno del capo. “Andate pure a sedervi: ti chiamerò quando sarà pronto a riceverti”.
La ringraziai nuovamente e mi andai ad accomodare nel posto che mi aveva indicato. Sean, che era rimasto silenzioso per tutto il tempo, mi seguì e sedette di fronte a me.
“Adesso potresti spiegarmi che cosa è successo?”.
 

Il colloquio con Tom Riddle durò poco più di dieci minuti, ma furono sufficienti per rendermi conto che l’aggettivo che aveva usato Sean era soltanto un pallido eufemismo e fin troppo sintetico per poter cogliere le  ambigue sfumature di quella personalità. Era certa che mia sorella, neo-laureata in psicologia, l’avrebbe definita “borderline[10]”.  Persino il suo bell’aspetto aveva un alone sinistro: era un uomo alto, aveva un portamento elegante, nonostante fosse vestito in modo casual con una camicia blu che ne metteva in risalto gli occhi e un paio di jeans. Doveva essere vicino alla cinquantina, era quasi calvo sulla sommità del capo ma i capelli erano accuratamente tagliati ai lati e di un castano scuro, come la barba, anch’essa ben curata. Aveva degli occhi azzurri molto intensi quando ti scrutavano con attenzione, ma sembravano quasi sempre distanti, come se fosse perso in pensieri piuttosto gravosi. Sorrideva raramente ma in modo intimidatorio, piuttosto che rassicurante, soprattutto perché lo sguardo continuava ad apparire fosco e il suo modo di parlare era sicuro e fluido, quasi imperativo[11].
Nel momento della presentazione, mi strinse la mano con dita gelide ed estremamente lunghe che sembrarono farmi sentire persino più freddo. Il sorriso che gli increspò le labbra era formale e non si estese agli occhi blu e neppure ne ammorbidì  i lineamenti ma sembrò renderli, al contrario, più cupi.  Lo seguii nel suo ufficio e mi accomodai dall'altra parte della scrivania mentre questi faceva il giro e, solo in quel momento, notai la teca adagiata sul mobile, dietro alla scrivania. Ebbi quasi una sincope quando posai, per la prima volta, lo sguardo sul pitone racchiuso all'interno. Tom Riddle vi si pose davanti e lo sentii aprire il vetro, porgendo una dolce carezza all'animale e, con mio gran disgusto e sgomento, lo vidi estrarre un topolino vivo da una piccola gabbia. Sentii quel povero animaletto squittire disperato, quasi avesse compreso cosa stesse per accadere e dovetti distogliere lo sguardo o probabilmente avrei dato di stomaco.  Non avevo particolare simpatia per i rettili e mi augurai di tutto cuore che prendersi cura di quell’animale non rientrasse tra le mie mansioni.
Il proprietario chiuse nuovamente la teca e finalmente prese posto di fronte a me e gettò un’occhiata al mio curriculum, tambureggiando con le dita sopra il foglio.
“Italiana”. Lesse in tono secco e sollevò lo sguardo in mia direzione, studiandomi attentamente.
Non ero mai stata particolarmente rilassata durante i colloqui di lavoro o particolarmente eloquente ma la sgradevole sensazione che volesse leggere tra i miei pensieri non mi fu di aiuto neppure in quel frangente.
“Mmm, i clienti di solito gradiscono il vostro entusiasmo”. Seppur il commento fosse stato proferito in tono pacato, sembrava esservi una nota di altezzoso riserbo al riguardo. Forse un’implicita disapprovazione del temperamento mediterraneo che alle persone di origine britannica poteva apparire fin troppo “ostentato”. “E’ anche vero che finora non ho avuto alcun problema con i dipendenti di questa nazionalità,  una volta che hanno preso dimestichezza con la lingua”, mormorò tra sé e sé. Immaginai che stesse cercando una voce nel mio curriculum che facesse riferimento alla conoscenza delle lingue e ancora una volta rimpiansi di non essere riuscita, ai tempi del liceo, a conseguire l’attestazione PET[12] per un basso margine di errore.
Prima del colloquio avevo scambiato qualche parola con Amy, esprimendole le mie remore: seppur fossi in grado di sostenere una conversazione informale e semplice, temevo che la lingua potesse essere un ostacolo che potesse legittimamente porre delle obiezioni da parte del Signor Riddle. Lei mi aveva rassicurato con calore, svelandomi che, al momento della sua assunzione, era alle primissime armi e che gli aveva spiegato che avrebbe frequentato un corso di lingua per rendersi il più possibile autonoma e poter al più presto assolvere il proprio lavoro in modo ineccepibile. L’uomo rispettava le persone che erano volenterose e ligie al loro dovere e le aveva accordato la sua fiducia, accordandole turni lavorativi che potessero agevolarle la frequentazione del corso e quindi l’apprendimento della lingua. Non solo aveva conseguito una certificazione linguistica, ma era una delle veterane del locale e aver vinto in un paio di occasioni una gratifica con un bonus di 100 sterline rispetto allo stipendio regolare. I turni lavorativi, inoltre, non le impedivano di continuare a coltivare le sue ambizioni professionali al di fuori della Camera dei Segreti.
Mi schiarii la gola e decisi di intervenire per perorare la mia causa. Gli avevo consegnato un curriculum “standard” che portavo sempre con me, ma certamente se avessi previsto un colloquio simile, lo avrei personalizzato per mettere in luce le qualità più importanti per aspirare al ruolo di cameriera. “Non sarebbe la prima volta che lavoro in un’attività simile”, spiegai. “Da anni sono volontaria in una sagra del mio paesino: ho lavorato sia come barista, sia come addetta alle comande e cerco sempre di essere paziente e disponibile coi clienti. Inoltre sono sempre disposta ad imparare e acquisire nuove competenze e-”.
Mi interruppi quando ebbi l’impressione che non stesse affatto ascoltando. Non mi aveva rivolto lo sguardo e continuava a tamburellare con le dita sul foglio, scorrendo tra le varie voci del curriculum con una lievissima increspatura sulla fronte. Rimasi in attesa e quel silenzio sembrò durare un’eternità prima che, finalmente, alzasse lo sguardo su di me. Si appoggiò allo schienale e un lievissimo sorriso ne increspò le labbra, ma non era un sorriso accattivante o di comprensione e neppure di mera educazione.
“Ha una bella parlantina”, dichiarò come se fosse un dato di fatto.
Non potei fare a meno di chiedermi se lo considerasse un lato positivo o negativo e se questo stesse facendo vertere il colloquio a mio favore o meno. Arrossii e mi sentii emettere una risatina nervosa.
“Non preoccuparti, tesoro”. La sua voce si era fatta improvvisamente carezzevole e sinuosa, premurosa e amorevole, tanto che sembrava impossibile che fosse stato lo stesso uomo a pronunciare quelle parole. L’uso del vezzeggiativo, in particolar modo, mi lasciò basita, ma fu con ulteriore incredulità che mi resi conto che stava parlando con il suo adorato animaletto domestico. “Per pranzo ti ho riservato qualcosa di più prelibato”, continuò a parlare con voce flautata.
Molto probabilmente mia sorella, quando le avrei raccontato l’aneddoto, avrebbe confermato la mia diagnosi di disturbo borderline della personalità. Sicuramente mi avrebbe incoraggiato a lasciare il lavoro ancora prima di iniziarlo. Fu con sguardo sgomento (e nausea crescente) che osservai il pitone avvilupparsi sinuosamente su se stesso, per poi sibilare contro il vetro, laddove Tom Riddle aveva adagiato le dita.
“Sì, Nagini, ho pensato la stessa identica cosa”, la informò e finalmente tornò a rivolgermi lo sguardo.
Sperai che il mio viso non tradisse il mix di disgusto e di inquietudine che provavo in quel momento, ma deglutii a fatica e mi sforzai di sorridere come se tutto ciò fosse perfettamente naturale. 
Tom Riddle tornò ad osservarmi e sorrise di nuovo, ma quel gesto sembrò inquietarmi persino di più per la sua repentinità. “Potrebbe sembrarti un po’ burbero e misterioso”, mi aveva avvertito la ragazza, facendomi strada verso il suo ufficio. “Ma ti assicuro che è una brava persona e un datore di lavoro onesto. Devi solo cercare di guadagnarti il suo rispetto e dimostrarti una lavoratrice seria e affidabile. Non sopporta i lavativi e i ritardatari, gli spioni e i ruffiani. Se un dipendente ha delle particolari esigenze o deve chiedere un giorno di permesso, vuole che se ne parli direttamente a lui e in privato, senza chiedere l’intermediazione di Mrs Weasley, la sua socia. E’ un po’ insofferente con le persone goffe, ma al massimo ti toglierà qualche punto dal tabellone se combinerai qualche guaio. Non passa mese senza che a Neville tolga almeno 50 punti per questo”.
“Il tabellone?”, le avevo chiesto con aria sgomenta.
“Ne parleremo con più calma”, commentò l’altra, notando il mio nervosismo. “Ora pensa solo al colloquio: sii onesta con lui, ma non cercare di impressionarlo troppo. In bocca al lupo”.
“Potrà iniziare lunedì...”. Commentò e mi porse un modulo da compilare. 
Sbattei le palpebre con aria incredula: “Davvero?!”, domandai in tono ansioso, quasi timorosa che l’attimo dopo avrebbe cambiato idea. “Le prometto che cercherò di non deluderla, ho davvero bisogno di questo lavoro e-”.
Alzò una mano con un movimento elegante che sferzò l'aria, fluido e aggraziato,  per invitarmi a tacere e mi ammutolii all’istante. “Naturalmente le sto concedendo un periodo di prova: una settimana”, chiarì in tono risoluto.
Annuii con espressione comprensiva, non volendo tuttavia apparire meno grata. “Naturalmente”.
Riddle mi guardò più intensamente, sporgendosi leggermente e scavando nel mio volto con il suo sguardo. “Durante la settimana, lei sarà sotto il mio sguardo perpetuo”, dichiarò in tono molto risoluto. Non potei fare a meno di provare un’istintiva antipatia per quella Lavanda Brown poiché avevo la sensazione che, reduce della sua prova fallimentare, Riddle avrebbe preteso da me persino più professionalità prima di stilare un contratto.
"Valuterò il suo modo di interagire coi clienti e coi colleghi, di svolgere le mansioni assegnate e la sua professionalità. Soltanto se sarò soddisfatto da ognuno di questi requisiti, potremo parlare di un’assunzione di sei mesi, tanto per cominciare. Dal prossimo mese potrò includerla nella lista degli aspiranti impiegati del mese che hanno diritto a un bonus sullo stipendio mensile”.
Annuii di nuovo, consapevole che avevo tutto da dimostrare. Come mi aveva suggerito Amy, dovevo guadagnarmi la fiducia dell’uomo e avrei dovuto fare del mio meglio perché in una sola settimana potessi convincerlo di poter essere un buon elemento da aggiungere al personale attualmente in servizio. 
“La ringrazio dell'opportunità, signor Riddle”, mormorai con un sorriso. Mi alzai e gli porsi la mano, ma non potei fare a meno di rabbrividire un’altra volta a causa del contatto con le sue dita gelide.
 “Si abitui alle temperature scozzesi, se vorrà fermarsi a lungo”, mi consigliò in tono eloquente. Inclinò il viso di un lato e mi rivolse nuovamente quel sorriso vagamente inquietante che sembrava stonare con i suoi lineamenti. “L’aspetterò lunedì mattina, alle nove. Sia puntuale, mi raccomando”.
Annuii prontamente e gli sorrisi un’ultima volta. “Ancora grazie e buona giornata”.
Cercai di non camminare troppo frettolosamente per non dargli l’erronea impressione che volessi scappare dal suo ufficio.
“Sì, tesoro, adesso parliamo con quella smorfiosetta incompetente e la cacciamo dal locale”, lo sentii dire con la stessa voce carezzevole e premurosa che probabilmente riservava solo a Nagini.
Sean era seduto davanti al bancone, puntellandosi con il gomito, mentre Amy stava sparecchiando i tavoli. Si voltarono entrambi in mia direzione e sorrisi facendo un cenno di assenso. 
“Congratulazioni”. Commentò il ragazzo con un sorriso entusiasta e mi abbracciò.
“In realtà si tratta una settimana di prova”. Spiegai con un sorriso, non volendo creare false speranze in nessuno, soprattutto in me stessa.
Lei mi sorrise con aria rassicurante:  “Prende molto sul serio il periodo di prova, ma posso assicurarti che se Nagini ti ha preso in simpatia, hai delle ottime possibilità di ottenere un contratto”.
Risi per quella che credevo essere una battuta spiritosa. O almeno speravo che lo fosse. Rabbrividii tra me al ricordo del povero topolino, prima di scuotere la testa e rivolgermi di nuovo alla ragazza con un sorriso.
“Non so ancora come ringraziarti”. 
Fece un vago cenno con la mano come a scacciare le mie remore prima di sorridermi con lo stesso fare affabile e cordiale:  “Me lo ricorderò quando ti chiederò di sostituirmi perché dovrò uscire con Jared Leto”, replicò in tono ironico e complice. “Sarebbe bello lavorare con un’altra italiana”, soggiunse con un sorriso.
“Lo spero tanto. A lunedì”. Mi congedai con un ultimo sorriso.
Uscimmo dal bar, proprio nel momento in cui il mio cellulare squillò e sorrisi quando scorsi il nome di Morgana, affrettandomi a raccontarle delle piacevoli novità.



Sean abitava in centro e in una delle ville a schiera vittoriane.  L'abitazione aveva un aspetto raffinato ed aristocratico, con le pareti di un delicato color avorio e fiancheggiava una delle arterie principali della città.  Gli interni erano spaziosi e sapientemente arredati e vi era anche un piccolo giardino sul retro della casa con colorate e profumate aiuole di fiori. I signori Biggerstaff ci accolsero con molto calore e gentilezza. Il padre si chiamava John ed era un pompiere.  Era un uomo dai modi pazienti e concilianti, molto pacato e discreto e potei facilmente desumere che Sean gli somigliava molto sia nell’indole che nell’aspetto fisico[13]. Gli occhi e il sorriso, però, erano quelli della madre, Stacy, una donna più bassa e grassottella ma dai modi incredibilmente premurosi e sinceri.  Jennifer, la sorellina di Sean, era una bambolina dai lineamenti delicati e dagli stessi occhi nocciola del fratello, seppur le sue maniere denotassero una puerile ostentazione di sicurezza, soprattutto nell’intonazione più saccente della voce. Aveva quasi otto anni ed era coccolata da tutta la famiglia ma sembrava provare un'adorazione quasi tangibile per suo fratello e, che fosse casuale o meno, ciò si tradusse con un'istintiva e immediata antipatia nei confronti miei e della mia amica.
Morgana quella sera era semplicemente splendente nel suo nuovo vestito azzurro che ne metteva in risalto gli occhi, i capelli perfettamente acconciati e il sorriso lieto di chi si stava deliziando dell’atmosfera briosa che si respirava in quella casa.  Sean non aveva mancato di rivolgerle dei complimenti per il suo aspetto, dopo aver indugiato per qualche secondo a contemplarne il volto. La sua presenza sembrava stuzzicare la gelosia di Jennifer o forse si trattava di un mero spirito competitivo tra due caratteri non molto diversi. Ne fui quasi certa quando ci spostammo in salotto, in attesa del caffè, e la bambina si accomodò sulle ginocchia del fratello e affondò il volto contro il suo petto. Parve crogiolarsi con un sorriso soddisfatto quando lui le carezzò i capelli per cullarla.
Approfittai del chiacchiericcio allegro e mi alzai per chiedere le indicazioni del bagno, soffocando un lieve sbadiglio con il palmo della mano. La prima giornata ufficiale era stata molto intensa e stancante e non vedevo l’ora di stendermi nel mio letto.  Prima di rientrare, mi sciacquai le mani e pettinai leggermente i capelli con le dita, sistemandone qualche ciocca dietro le orecchie.
Stavo per rientrare in salotto, quando sentii il campanello che segnalava la presenza di qualcuno alla porta di ingresso, a pochi passi da me. Guardai la porta con esitazione: evidentemente le chiacchiere allegre in cucina avevano coperto il suono del campanello poiché nessuno stava venendo in mia direzione. La signora Biggestaff stava uscendo dalla cucina ma stava trasportando un vassoio colmo di tazze di caffè e di piatti con il dessert.
“Vuole che apra io?”, le chiesi per trarla d’impaccio. 
“Grazie, Sara”, mi rispose con un sorriso sincero. “Poso il vassoio e sarò subito da te”.
Allungai il passo verso la porta quando il campanello fu suonato per la seconda volta e appoggiai la mano sulla maniglia, aprendola con un movimento fluido.
Mi ritrovai faccia a faccia con un ragazzo e mi ritrovai a scrutarlo per un breve istante che sembrò dilatarsi nel tempo, nonostante fosse un perfetto sconosciuto.  Il ragazzo era poco più alto di me e magro. Aveva un viso allungato e il mento leggermente pronunciato, labbra ben disegnate e la carnagione molto chiara. Gli occhi erano realmente magnetici e di una sfumatura tra il grigio e l’azzurro, come i laghi scozzesi, ma in quel momento erano assottigliati per la confusione.  Il viso era incorniciato da capelli di un castano caldo, quasi ramato, e dal taglio sbarazzino con delle ciocche che ricadevano sulla fronte. Dopo il primo istante di palese confusione, lo sconosciuto mi scrutò dall’alto al basso con le braccia incrociate al petto e un’espressione altezzosa. 
Mi mordicchiai il labbro inferiore, cercando di vincere l’imbarazzo e di assolvere al mio dovere, fino all’arrivo della Signora Biggerstaff. “Posso aiutarti?”, gli domandai.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia alle mie parole, quasi fossero una conferma che qualcosa non andava. Le sopracciglia si inarcarono ulteriormente e si sporse a contemplare la facciata della villa, quasi volendo sincerarsi di non aver sbagliato porta.  Quando ne ebbe conferma, sembrò adombrarsi ulteriormente, scrutandomi con il volto inclinato di un lato: “E tu chi saresti?”. Mi domandò in tono pomposo e insolente, scrutando il mio volto e i miei abiti come se stesse cercando una conferma ai suoi sospetti.
Di fronte a simile boria mi pentii di non aver imitato Morgana e non aver indossato un vestito o un completo più elegante.
“La nuova colf?”, azzardò il ragazzo. Evidentemente le sole parole che avevo pronunciato erano state sufficienti per fargli decretare che dovessi essere straniera.
Non potei fare a meno di lanciargli un’occhiataccia sdegnata e offesa per un simile atteggiamento, anche nell’eventuale ipotesi che fossi realmente una dipendente al servizio della famiglia di Sean. Sentii un fastidioso calore salirmi alle guance, ma strinsi le braccia al petto e lo fissai risentita. “Non sono una colf”, risposi risentita ma mi interruppe prima che potessi presentarmi.
“Colf, cameriera, babysitter, come preferisci”, mi blandì con un gesto pigro della mano, come a voler porre fine a quegli inutili formalismi. Salì il gradino che ci separava e cercò di guardare alle mie spalle, alla ricerca di Sean evidentemente.
Provai l’impulso di calpestargli il piede o di spingerlo via, ma mi limitai a scuotere il capo. “Sono un’ospite”, specificai in tono incredulo. “Se mi dici chi sei tu, posso chiamare Sean”, gli spiegai in tono paziente anche se provava il suggestivo impulso di chiudergli la porta in faccia per costringerlo a suonare nuovamente e ad aspettare che fosse uno dei proprietari ad aprirgli la porta.
“Non è molto educato lasciare qualcuno sulla soglia di casa o, peggio ancora, chiuderlo fuori”, rispose con un sorrisetto beffardo, quasi fosse stato in grado di leggermi il pensiero “Specie se non è casa tua”, aggiunse sollevando le sopracciglia con espressione insolente.
Presi un profondo respiro, cercando di celargli il mio fastidio e il desiderio di sbattergli la porta sul naso.
Sembrò intuire la mia battaglia interiore, ma si strinse nelle spalle: “Visto che hai avuto l’onore di aprire, tanto vale che tu mi lasci accomodare”.
Il dovere di trovare una risposta altrettanto ironica mi fu risparmiato dall'arrivo di Sean. “Non prima  di averti fatto una perquisizione”. Rispose al mio posto e mi sorrise. “Scommetto che questo gran cafone non  si è presentato come avrebbe fatto una persona normale”, commentò con un breve sospiro. “Sara, lascia che ti presenti Tom, un mio compagno di Accademia”.
Registrai il nome con un cenno di assenso, ma strinsi le braccia al petto, non avendo alcuna intenzione di porgergli la mano, fino a quando non avesse dimostrato di essere dispiaciuto per il suo comportamento.
“Tom, questa è la mia amica italiana di cui ti ho parlato”.
“Ah”, commentò l’altro con aria del tutto indifferente. Mi scrutò con espressione vagamente sorpresa. “Quindi non è una cameriera”, concluse come se quell’informazione gli fosse fondamentale per farsi un’opinione della sottoscritta.
 Mi irrigidii. Avevo conosciuto  persone fastidiose in vita mia, ma nessuna mi aveva mai suscitato una simile antipatia a pochi minuti dalla presentazione.
Sean scosse il capo. “Ti prego di scusarlo, Sara, non è nulla di personale. E’ maleducato con tutti. Mi domando perché ancora mi disturbo a frequentarlo”. Si rivolse all’altro con espressione stoica. “Ti dispiacerebbe provare ad essere sopportabile per almeno cinquanta secondi? Così, tanto per vedere che effetto fa sulle persone normali che ti odiano dal primo istante”, soggiunse con un sorriso ironico che Tom non ricambiò.
Si strinse nelle spalle. “Avevo intuito dall’accento che fosse straniera”, ribatté con un certo orgoglio per la propria madre patria che probabilmente si convertiva in una sorta di insofferenza per chi la storpiava con un accento poco britannico[14]. “Ma non mi sembra molto mediterranea”, alluse alla mia carnagione chiara e ai capelli. 
Provai il vago impulso di scimmiottarlo ma non volevo abbassarmi al suo livello di infantilismo, senza contare la mia poca sopportazione per simili pregiudizi. Forse dovevo ritenermi fortunata per il fatto che non mi avesse chiesto se avevo appena finito di mangiare un piatto di spaghetti.
 “La non mediterranea ci sente benissimo”.  Gli feci presente, ma strinsi maggiormente le braccia al petto. A quel punto, considerando le parole di Sean, non mi sentivo neppure in dovere di essere cortese soltanto perché era un suo collega di studi. “Vorrei poter dire che è stato un piacere conoscerti, ma sarebbe una bugia”, commentai in tono pacato, ma con un sorriso affettato. Non attesi risposta, ne ignorai il sogghigno divertito e mi diressi nuovamente verso il salotto.
Non potei tuttavia fare a meno di sorridere al rimprovero di Sean: “Possibile che tu debba sempre fare lo stronzo?!”.
“Che vuoi che ti dica?”, rispose l’altro con voce affettata. “Deve essere stato amore a prima vista”.
Mi irrigidii per un breve istante, ma non volli dargli ad intendere che avessi origliato la loro conversazione, per cui mi affrettai ad allungare il passo e a tornare in salotto.
Sean fece ritorno dopo pochi minuti e, con mio grande sollievo, da solo.
 “Chi era, tesoro?”. Domandò la madre porgendogli una fetta del tiramisù che avevamo preparato Morgana ed io quel pomeriggio.
“Tom”, rispose in tono distratto.
“Perché non l’hai invitato ad entrare?”, gli chiese la madre con aria realmente dispiaciuta. Evidentemente Tom doveva essere una delle frequentazioni più assidue di Sean.
 “Emma[15] lo stava aspettando in auto”, rispose con uno scrollo di spalle.  “Scusami ancora per lui”, aggiunse in un sussurro in mia direzione e io gli sorrisi come a voler sminuire il tutto. Non volevo certamente che si sentisse in colpa, anche se non riuscivo veramente a comprendere come un ragazzo affabile e gentile come lui potesse avere a che fare con un tipo così insolente e maleducato. Non valeva comunque la pena dedicargli troppi pensieri, soprattutto considerando che si era trattato di un incontro fortuito e occasionale e probabilmente sarebbero state ben rare le occasioni in cui ci saremmo incontrati per il nostro comune legame con Sean.
Morgana mi guardò con aria interrogativa, ma le feci cenno che le avrei raccontato tutto a tempo debito. Fortunatamente il pensiero di Tom scivolò rapidamente in un angolo remoto della mia mente e fu tutt’altra presenza maschile ad apparire nei miei sogni.
Non è ancora il nostro momento”, sembrò ricordarmi anche quella notte.
 
To be continued…
 
 
«Era Maggio 2011 quando ho iniziato a comporre questo racconto e devo ammettere che mi sorprende siano passati due anni: in parte perché sono accadute molte cose, nel frattempo, e molte sono cambiate. 
Io, in primo luogo e questa infatuazione che mi ha accompagnato per molto tempo e che aveva i lineamenti di Tom Felton. E' come se, inconsapevolmente, mi avesse accompagnato per un bel periodo della mia vita nel quale era una presenza costante, qualcuno a cui proiettare le mie fantasie, i miei sogni e le mie speranze per il futuro, soprattutto nei momenti di tristezza. 
Riprendere questo racconto, dopo due anni, è come riabbracciare una parte di me: sono più matura, consapevole di me ma non dimenticherò mai il ruolo che Draco/Tom hanno avuto per molto tempo e adesso guardo il tutto più oggettivamente ma non mancando di riprovare tenerezza. 
Ringrazio ancora di cuore Evil Queen  che mi ha spronato con particolare enfasi a riprendere questo racconto e condividerlo: ma soprattutto a non lasciar andare questa parte di me. 
Per avermi ricordato che ciò che sono adesso, lo devo anche a ciò è che stato e ciò che questo racconto riflette (ancora) di me». 


Giugno 2018
Sono passati ben sette anni dalla stesura originale di questo racconto e ben cinque dalla prima pubblicazione su questo sito e ciononostante eccomi di nuovo qui. Se qualcuno me lo avesse detto anche solo due settimane fa, non lo avrei creduto possibile. Non lo avevo previsto e tanto meno lo avevo desiderato. Fino a quando la mia amica non ha cominciato la revisione di una sua fanfiction e a questo punto mi sono resa conto che c’erano alcuni elementi di questo racconto che attualmente non mi soddisfacevano. Abbiamo cominciato a parlarne tra noi e ho capito che questa storia meritava una “terza” vita ed eccoci qua.
Molte cose sono cambiate in questi anni, a partire dal mio stile (ho storto non poco il naso anche soltanto nel trovare la vecchia formattazione!) fino al modo in cui adesso guardo il personaggio di Tom. I sentimenti e la passione di un tempo si sono ridimensionati (e per fortuna!), ma sarà sempre un dolce ricordo. Mi ha aiutato inconsapevolmente ad affrontare momenti difficili della mia adolescenza e si può dire che sia stato fautore del mio incontro con Evil Queen che è ancora parte fondamentale delle mie giornate. Una magia ben più potente di quelle cui Draco era avvezzo ;)
Ecco perché ancora non mi stanco di tornare tra queste pagine.
Chiedo scusa a chi ha già letto la fanfiction originale e al potenziale lettore che inizierà a leggerla e potrebbe trovarsi in difficoltà. Prometto che cercherò di modificare il testo della fanfiction il prima possibile. Nelle caratteristiche della storia troverete di volta in volta in volta la notifica della modifica dei cambiamenti.
Ringrazio di tutto cuore le persone che hanno apprezzato questa fanfiction, persino scrivendomi in privato. E’ stato commovente vedere come questa fanfiction scritta per lo più per motivi “personali” sia riuscita a toccare il cuore di altre persone e persino che siano riuscite a identificarsi nello stato d’animo di Sara o a sentirla una presenza “familiare”.
Un dolce augurio che tutti i vostri sogni diventino realtà.
 
 
 
[1]    Per  chi volesse visualizzare il testo originale: http://www.angolotesti.it/A/testi_canzoni_ashley_tisdale_7481/testo_canzone_someday_my_prince_will_come_297190.html  ; per ascoltare l'interpretazione di Ashley Tisdale: http://www.youtube.com/watch?v=jctXmI_fjcU
[2] Per il nome e il personaggio mi sono ispirata, su suggerimento della mia amica, all’attrice Katie McGrath che interpreta Morgana nella serie tv “Merlin”. Dal momento che nella fanfiction è ricorrente questo elemento fantasioso, ispirato al mondo delle favole, come giustamente Evil Queen mi ha fatto notare, non poteva certo stonare il riferimento a un personaggio tratto dai racconti di Re Arthur, della tavola rotonda e del mito della spada della roccia. Ragione per cui per rendere omaggio alla bellissima attrice e alla serie tv che amiamo entrambe, abbiamo optato per combinare il nome della strega con il cognome dell’attrice.
[3] Considerando certe serie tv che ho guardato e amato negli ultimi tempi, mi sembra assurdo il pensiero che andassi matta per quel genere di film. In realtà sono molto più gradevoli i romanzi a mio parere, ma d’altronde non sarebbe un’onesta ricostruzione del mio passato se avessi omesso questa informazione ;)
[4] Per chi non lo ricordasse (male, molto male! :P), Sean è l'attore scozzese che ha interpretato Oliver Baston nei film tratti dal ciclo di romanzi di Harry Potter.
[5] Non per fare pubblicità alla Cameo, ma è un mio vezzo personale che ho lasciato per rendere tutto più realistico :)
[6] Nella mia fan fiction, come si renderà ancora più evidente andando avanti, Sean, Tom, Daniel, Emma e tutti gli altri non sono ancora attori famosi ma stanno ancora studiano in una prestigiosa scuola che li preparerà ai futuri successi (non Harry Potter, ovviamente, per ragioni di tempistica e di “copione”.).
[7] Troverete molti riferimenti alla saga: che si tratti di nomi di luoghi fantasiosi o, talvolta (come vedrete tra poco!) personaggi a cui ho lasciato il nome del loro alter ego per marcare una caratterizzazione che ricalca il personaggio della saga.
[8] Si tratta di Susan Bones, coetanea di Harry Potter, studentessa di Tassorosso. Percy a cui fa riferimento è chiaramente Percy Weasley che, tuttavia, in questo racconto prenderà il nome di Percy Rankin, associandogli il cognome dell’interprete, Chris Rankin. Poiché userò altri personaggi della famiglia Weasley e non voglio che questa versione di Percy sia imparentata con loro :)
[9] Si tratta di Dean Thomas interpretato da Alfred Enoch che è stato uno dei protagonisti di “How to get away with a murder” :)
[10] Le persone che soffrono di disturbo borderline di personalità tendono a provare emozioni molto intense che cambiano in modo molto rapido e provano difficoltà a calmarsi. Questo stato d’animo può dare vita a frequenti scoppi d’ira o a conseguenze più gravi. Nella fattispecie il mio commento voleva essere bonario e rivolto soprattutto al personaggio di Voldemort :) Ma avrete modo di conoscere meglio Riddle nel corso della storia :)
[11] Si tratta del nostro amato Ralph Fiennes. Onestamente all’inizio avevo optato per colui che lo aveva interpretato nel secondo film della saga, ma più ci penso, anche in vista delle future revisioni, e più mi domando come avessi potuto scrivere una storia ambientata nel mondo di Harry Potter senza Ralph :D 100 punti alla mia amica Evil Queen :D
[12] Ahimé è un episodio reale. PET sta per Preliminary English Test. Al liceo la mia professoressa di inglese aveva proposto a me e ad altre due ragazze di frequentare un corso a pagamento che avrebbe permesso il rilascio dell’attestato dall’Università di Cambridge dopo un esame scritto, orale e un test di ascolto. Non riuscii a ottenere l’attestazione per poco. La mia insegnante cercò di convincermi a ripresentare domanda l’anno successivo ma il corso costava di più e con la mole di studio del liceo non me la sentivo di prendere ulteriori lezioni pomeridiane.
[13] Sulla famiglia Biggerstaff ho raccolto a suo tempo delle informazioni, ma non posso assicurarvi circa l’attendibilità della fonte, per cui suggerisco caldamente di considerare il tutto come frutto di fantasia. La sorella di Sean, per altro, ha attualmente diciotto anni ma per ragioni di trama manterrò l’idea originale di una bambina di otto anni. Altri dettagli sono ovviamente frutto della mia immaginazione come la descrizione fisica e i loro nomi di battesimo.
[14] Ricordo che la mia insegnante di inglese ai tempi del liceo ci aveva detto più volte che gli inglesi avrebbero un atteggiamento di “supponenza” nei confronti di chi non parla bene la loro lingua. Non si tratta di una volontaria mancanza di rispetto o di maleducazione, quanto di una loro convinzione radicata che sia scontato che tutti dovrebbero conoscere e parlare fluidamente l’inglese, essendo la lingua internazionale. Nella fanfiction, tuttavia, per motivi di trama ho voluto appositamente enfatizzare questo aspetto della personalità di Tom, rendendolo altezzoso e maleducato più del dovuto :) Naturalmente non è mio intento diffondere pregiudizi di sorta sugli inglesi.
[15] Si parla di Emma Watson che, in questo racconto, è la storica fidanzata di Tom.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


2
 
 
Avevo puntato la sveglia alle 7.30 per non rischiare di fare tardi al primo giorno di lavoro, ma gemetti quando suonò puntualmente. Come se non bastasse la prospettiva di iniziare la settimana a un simile orario, quel risveglio brusco aveva interrotto il mio dolce sogno. Mi crogiolai per diversi istanti nel ricordo di quelle immagini, seppur non ci fossero cambiamenti significativi rispetto alle ultime sequenze nel giardino. 
Schiusi gli occhi e fissai il soffitto, cercando di pensare ai motivi per i quali avevo cercato lavoro innanzitutto e i miei buoni propositi di non essere una figlia viziata e cominciare a essere autonoma in tutti gli aspetti della mia vita. Sospirai e mi passai una mano sul volto.
Ancora cinque minuti, mi dissi tra me e me. Stavo per impostare nuovamente l’orario della sveglia, quando sentii bussare alla porta. Sgranai gli occhi e il sonno sembrò dimenticato all’insistenza dei tonfi, domandandomi chi potesse cercare me o Morgana a quell’ora del mattino. Imprecai mentalmente e mi affrettai ad uscire dalla camera con addosso una vestaglia.
La mia amica uscì a sua volta nel corridoio con i capelli arruffati e lo sguardo rabbuiato. “Ma chi diavolo può essere a quest’ora?!”. Diede voce alla mia stessa domanda.
Scossi il capo a simulare i miei stessi dubbi e mi affrettai ad accostare il volto allo spioncino.  
“E' una donna...”.  Mormorai in italiano.
Ci scambiammo un altro sguardo confuso prima che schiudessi l’uscio e ci ritrovassimo faccia a faccia con una signora bassa e paffuta. La prima cosa che letteralmente mi abbagliò la vista fu il suo morbido cardigan di una tonalità di rosa shocking che avrebbe potuto destare invidia ad una Barbie. O per essere più precisi, considerando l’aspetto della donna, a Nonna Barbie. Il cardigan era decorato da trini e merletti ed era intonato a una gonna lunga fino al ginocchio che le lasciava nude le gambe tozze e ben poco gradevoli alla vista. Non potei fare a meno di paragonarla a  un rospo,  mentre indugiavo con lo sguardo su un orribile cappello di lana (ovviamente della stessa tonalità cromatica) sui suoi capelli grigio topo.
La donna ci scrutò per un istante con la stessa curiosità e le labbra si contrassero in una smorfia quando si rese conto che eravamo ancora in vesti notturne.
“Buongiorno, mie care. Mi chiamo Dolores Umbridge”. La sua vocetta era particolarmente acuta e sembrò del tutto innaturale. Da una donna di simile stazza mi sarei aspettata un timbro molto più rauco e gutturale. Rimase in attesa ed evidentemente si aspettava che avessimo tutt’altra reazione dopo la sua presentazione.
“Cosa possiamo fare per lei, Signora Umbridge?”, domandò Morgana con sguardo interrogativo. Apparentemente il tono era cordiale ma i suoi occhi erano stretti in due fessure e il sorriso le modellava le labbra, senza estendersi allo sguardo. Voleva realmente conoscere il motivo di quell’arrivo mattutino, prima di renderle noto il suo dispiacere per essere stata svegliata a quell’ora.
“Ehm ehm...”. Mrs Umbridge controllò il suo orologio da polso e tossicchiò come a schiarirsi la gola. “Credevo di essere attesa per le 8”. Aggiunse in tono puntiglioso e prese qualche appunto su un foglio adagiato sul portablocco che teneva tra le braccia.
Morgana e io dovemmo assumere la stessa espressione incredula e sgomenta nel realizzare che si trattasse proprio della responsabile all’affitto delle camere. Sean ci aveva preannunciato la sua vita per quel mattino ma avevo inteso che ciò non sarebbe avvenuto prima dell’ora di pranzo. Ci scambiammo uno sguardo sgomento, prima di rivolgerle i nostri sorrisi più calorosi.
 “Naturalmente!”, mi sentii dire e la mia voce apparve più stridula del solito. “La prego, si accomodi. Ci perdoni, deve esserci stato un piccolo equivoco sull’orario del nostro colloquio”.
“Sono certa di aver parlato più che chiaramente con Mrs Biggerstaff”, mormorò la donna in risposta, entrando in soggiorno e guardandosi attorno.
Imprecai mentalmente. Se avessi puntato la sveglia un’ora prima, sarei riuscita a passare l’aspirapolvere o a lustrare i mobili. O quanto meno avrei potuto lavarmi i denti e vestirmi. Il mio rammarico non poté che acuirsi quando lo sguardo di Mrs Umbridge indugiò sul salotto e sugli oggetti di uso quotidiano che avevamo lasciato sul tavolino da caffè, sulle giacche appoggiate allo schienale del divano e sulle borse abbandonate su una sedia. In verità la sera precedente eravamo tornate a casa più tardi del previsto (Sean aveva insistito per farci fare una passeggiata prima di rientrare in convitto) e non avevamo avuto le forze di rimettere tutto in ordine.
La donna non pronunciò parola ma riprese a scrivere sul suo modulo. “E' possibile fare una chiacchierata amichevole, care?”. Sorrise di nuovo con aria affettata, guardando dall’una all’altra. Ancora una volta fui stordita dal suono della sua voce ma un altro dettaglio nel suo modo di parlare mi causò una certa diffidenza. Aveva pronunciato ogni parola premunendosi di scandirla in modo esageratamente lento, mimando con le dita l’atto del “chiacchierare”. Sembrava che si trovasse di fronte non soltanto una ragazza la cui lingua nativa non era la sua, ma che soffriva di problemi di comprendonio. Guardai Morgana di sottecchi, quasi volendo sincerarmi che non si trattasse di una mia impressione, suscitata dalle mie incertezze. Anche il suo sguardo sembrava perplesso. Dovetti darle atto, anche in questa circostanza, di essere molto più abile di me nel gestire la situazione. Rivolse alla donna il suo sorriso più affascinante, scostandosi i capelli arruffati dal volto con un gesto fluido. “Possiamo offrirle una tazza di the, mentre io e la mia amica ci rendiamo presentabili? Perché non si accomoda?”, si era affrettata a togliere le suppellettili dal divano per farle posto, ma la donna non si mosse.
Lo sguardo si era assottigliato come se fosse infastidita, ma sorrise di nuovo con aria stucchevole e scosse il capo. “Non in servizio, grazie: ho altri appuntamenti e il mio tempo è prezioso”.  Squittì, accompagnando quelle parole a una risatina altrettanto pretenziosa. Si volse e si diresse con incedere fluido verso la cucina: “Accomodiamoci tutte: non ci vorranno più di cinque minuti”. Non attese neppure che io o la mia coinquilina le scostassimo la sedia, perché prese posto a capotavola e inforcò un paio di occhialini. Alzò lo sguardo, in evidente attesa che anche noi sedessimo.
Mi sentivo come se fossi stata appena richiamata nell’ufficio del preside. 
“Molto bene”, sorrise ad entrambe come se il solo fatto di essere riuscite ad accomodarci fosse encomiabile. Si schiarì la gola con la stessa esagerata teatralità, prima di estrarre dalla sua cartelletta due plichi di fogli. “Le regole sono poche e semplici: voi rispettatele e andremo tutti d'accordo”. Il suo timbro era divenuto molto più severo e il suo sguardo più penetrante: sembrava aver lasciato da parte quelle apparenze gentili e comprensive per incarnare il suo ruolo con severità e riserbo.
“Certo”. Mi sforzai di sorriderle e apparirle collaborativa. Avevo l’impressione che al suo confronto Tom Riddle sarebbe sembrato un datore di lavoro affabile, comprensivo e amichevole. Forse.
“Ci dica, la prego. Ha la nostra completa attenzione”, mormorò Morgana, inclinando il volto di un lato e rivolgendole un sorriso falso almeno quanto il suo. Il tutto sarebbe stato vagamente comico se non avessi seriamente temuto per la nostra permanenza in quell’appartamento.
Mrs Umbridge guardò dall’una all’altra per qualche secondo, quasi volesse realmente stabilire se fossimo o meno sincere, ma finalmente ci porse i fogli. “Qui troverete tutte le clausole dettagliate del nostro contratto. Verrò il primo giorno del mese a ritirare la retta. Ripeto: il primo giorno del mese”, lo marcò nuovamente con voce acuta e parlando così lentamente che sembrava quasi che stesse facendone lo spelling. Aveva persino mimato il numero “uno” con la mano.
Avevo stretto le labbra per impedirmi di risponderle in modo poco educato e Morgana si era concentrata sul contratto, ma non potei fare a meno di notare la vena che le pulsava sulla fronte. Imitai il suo gesto e indugiai con lo sguardo sui paragrafi prolissi e intrisi di termini specifici sulla giurisdizione del contratto di affitto. Una vera fortuna che la mia amica fosse in grado di comprenderlo senza bisogno di dover ricorrere a un vocabolario bilingue. Tuttavia mi domandai se non fosse il caso di rivolgersi, per ogni evenienza, a un avvocato per sincerarsi che non vi fossero dei cavilli ai nostri danni.
“Non si ammettono proroghe per il pagamento”, continuò Mrs Umbridge con lo stesso tono formale e petulante. “Il solo ritardo di una settimana comporterà un supplemento di cinquanta sterline che aumenterà di giorno in giorno”.
Cinquanta sterline?!”, ripetei incredula, quasi sperando che una volta tanto avessi realmente frainteso le parole. Cinquanta sterline corrispondevano per approssimazione a 57 euro[1].
Il sorriso subdolo e affettato che mi rivolse la rese ancora più somigliante a un rospo a causa delle labbra particolarmente carnose e marcate dal rossetto. Sembrava in attesa del momento ideale  per estrarre la lingua e cibarsi di un insetto distratto ed incauto. Di conseguenza mi sentivo persino peggio del povero topolino dato in pasto a Nagini.
 “Ehm, ehm”, sembrò richiamare la nostra attenzione. “Se l’affitto mensile non sarà saldato entro la fine del mese corrente, farò intervenire la polizia”. Emise una risatina simile ad uno squittio, mentre Morgana e io ci scambiavamo uno sguardo terrorizzato. Mi sentivo ancora più ansiosa di andare a lavoro e fare una buona impressione sul mio datore ed ero certa che la mia amica avrebbe intensificato i suoi sforzi per ottenere al più presto qualche colloquio di lavoro.
 “Ma naturalmente noi ci auguriamo che questo non debba mai succedere”. Il sorriso le morì sulle labbra mentre tornava ad osservarci con fare più somigliante a quello di un generale che si rivolge al suo subalterno. Almeno fino a quando non ci vide annuire entrambe. Solo a quel punto sorrise nuovamente, prima di schiarirsi la gola con il solito colpo di tosse che sembrava un rituale adottato per attirare l’attenzione o introdurre un nuovo argomento di conversazione.
“Ehm, ehm”, cambiò pagina. “Mi aspetto che le mie inquiline abbiano una condotta puritana”. Trillò quasi l'ultima parola e l'accompagnò ad una risatina fintamente complice. Il suo sguardo indugiò infatti sulle nostre vestaglie e sui nostri capelli scarmigliati e le sue labbra si irrigidirono come fossero segnali di una condotta licenziosa. Quasi impercettibilmente, in sincronia, io e Morgana ci annodammo maggiormente la cinture della vestaglia e cercammo di accollarla.
“In questo convitto il rispetto assoluto delle regole e le punizioni per le infrazioni sono le basi fondamentali per mantenere la disciplina. Quindi aspettatevi delle ispezioni a sorpresa per monitorare la situazione. E' mio onere controllare che l'ambiente sia sempre salubre fisicamente e moralmente”. Sottolineò la parola con tale enfasi che quasi mi sentii in colpa persino per i miei sogni, seppur non conoscessi neppure l’identità del mio presunto amante. Nonostante quest’ultimo, inoltre, fosse dotato di una pudicizia quasi vittoriana. 
Morgana si era appoggiata allo schienale della sedia con le braccia incrociate al petto e le labbra serrate in una linea dura, evidentemente risentita per i giudizi di cui erano intrese quelle parole. Normalmente le sarei stata solidale e sarei stata la prima a interrogarmi su quanto fosse realmente conveniente firmare quel contratto, prima di essere riuscite a trovare una sistemazione alternativa e dalla tariffa altrettanto conveniente. Inoltre mi sarebbe sembrata una mancanza di rispetto verso Mrs Biggerstaff che doveva aver faticato non poco a farsi concedere un simile contratto che, vista la natura zelante di Mrs Umbridge, doveva essere a esclusivo vantaggio delle studentesse dell’Università di Glasgow. Mi costrinsi quindi a inghiottire il mio amor proprio e strinsi appena il braccio di Morgana come a comunicarle i miei pensieri in modo tacito. Sorrisi a Mrs Umbridge e annuii. “Le assicuro che non le causeremo alcuna preoccupazione: saremo delle inquiline impeccabili”.
Mrs Umbridge mi sorrise con aria affettata ma dall’inarcatura delle sopracciglia sembrava nascondere dei reali dubbi sulle mie parole. Tuttavia tornò a volgere lo sguardo al paragrafo successivo. “Naturalmente, è assolutamente vietato permettere a fidanzati o ad amici più o meno intimi di pernottare la notte: qualsiasi violazione di questo genere comporterà l'immediato sfratto di entrambe”.
Morgana si irrigidì. Aveva la fronte aggrottata e un nervo le vibrò all’altezza della mascella. Qualcosa mi diceva che in quel momento avrebbe realmente desiderato incarnare l’omonima strega leggendaria per scagliare un maleficio sulla donna.
 “Qualcos'altro?”, domandai in tono cortese, seppur pregassi in cuor mio di vederla uscire al più presto.
“Abbiamo discusso delle regole più importanti: gli altri dettagli potrete leggerli voi stesse”, commentò, dopo aver controllato nuovamente l’orologio. Evidentemente avrebbe dovuto allietare altre studentesse con la sua visita. “Per qualunque esigenza o problema, i miei contatti sono scritti nel contratto”. Si schiarì nuovamente la gola e ci porse una penna stilografica. “Ora potete firmare”, trillò infine.
Morgana ed io ci scambiammo un solo sguardo prima di apporre la nostra firma: probabilmente anche lei si stava domandando se non stessimo per firmare la nostra condanna.
“Molto bene”. Mrs Umbridge riprese la pratica velocemente, la inserì nella sua cartelletta e si alzò in piedi. “Come annunciato, ci vedremo il primo del mese per il pagamento, salvo qualche imprevisto o un’ispezione a sorpresa”. Sorrise di nuovo con aria leziosa e ci strinse la mano.
Chiusi la porta alle sue spalle e mi appoggiai alla superficie dell’uscio come se stessi per avere un crollo nervoso. Senza contare che quella visita mi aveva sottratto del tempo prezioso per prepararmi e andare al lavoro. Morgana appariva ancora incupita mentre sfogliava le pagine del contratto. Il solco delle sue sopracciglia appariva sempre più marcato mano a mano che procedeva. Sollevò infine lo sguardo su di me.
“Una fortuna che abbiamo richiesto l’affitto di una stanza e non del suo utero”, rabbrividì lei stessa della sua battuta che riuscì nonostante tutto a strapparmi una breve risata.
“Dovevamo aspettarci qualcosa del genere: questi appartamenti sono quanto di meglio potessimo sperare. Immagino che la nostra sola presenza sia una violazione delle sue poche e semplici regole”, cercai di imitarne il tono per stemperare la gravità della situazione.
“Oh, non ha idea di quante regole vorrei infrangere”, commentò Morgana tra sé e sé e un sorrisetto più saputo le increspò le labbra. “Sempre che il tuo amico voglia darmi una mano… o anche due”, soggiunse in tono così allusivo da strapparmi uno sguardo costernato.
“Ti prego”, sollevai le mani per impedirle di aggiungere altre allusioni più o meno velate. Guardai l’orologio affisso alla parete del salotto e gemetti. “Devo sbrigarmi o farò tardi e sarò licenziata ancora prima di iniziare. E poi verremo buttate fuori dall’appartamento prima della fine del mese!”. La mia voce sembrò riflettere un crescendo di angoscia e preoccupazione. Mi affrettai a rientrare in camera e prendere tutto il necessario per la doccia.
“Ti ho mai detto che adoro il tuo ottimismo?”, mi urlò dietro Morgana con voce ridente.
 
Uscii dal bagno in tempi rapidissimi, ma dovessi accontentarmi di una rapida colazione. Morgana era ancora in vestaglia da camera ma aveva già aperto il giornale che aveva comprato il giorno prima e stava cerchiando qualche annuncio di lavoro a penna. Immaginai che avrebbe passato la mattinata a inviare curricula, telefonare per chiedere informazioni e usufruire anche di siti internet tra quelli consigliati da Sean, oltre ad aggiornare il suo profilo Linkedin.
“Ci sentiamo più tardi, in bocca al lupo per la ricerca”.
Mi rivolse un sorriso e un cenno della mano. “Crepi il lupo e buon lavoro. Mandami un messaggio vocale quando hai tempo e fammi sapere come va il primo giorno”.
“Promesso, a più tardi”.
 
~
 
La Camera dei Segreti aveva la fisionomia di un tradizionale pub scozzese: si trattava di un ambiente prevalentemente rustico e fiocamente illuminato da lampade che emanavano un bagliore di un dolce arancione rossastro. L'atmosfera era resa ancora più piacevole per il calore che proveniva dal grande camino in cui ardeva sempre della legna e per l’aroma di luppolo di cui i mobili di mogano sembravano essere intrisi.  Era un ambiente molto ampio, composto da diversi saloni. Il  public pub[2] era dotato di lungo bancone dietro al quale vi erano gli scaffali di liquori e di bibite che non potevano essere vendute ai minorenni. La vendita di alcol inoltre poteva avvenire solo dalle 10 alle 22 e tali bibite dovevano essere consumate all’interno del locale. Si trattava di disposizioni giuridiche per le quali, come comprensibile, Tom Riddle non permetteva eccezioni. Il lounge bar e il  saloon bar erano frequentati soprattutto nei pomeriggi e nelle serate quando, oltre alla birreria, si offrivano servizi di ristorazione. Le serate più proficue erano quelle della trasmissione di eventi sportivi che attiravano i tifosi delle squadre della Premier League. Vi era infine il private bardi cui usufruivano i clienti più eccentrici e facoltosi che talvolta lo prenotavano per cene di affari o incontri privati e in cui si esibivano, talvolta, musicisti che proponevano musica dal vivo, soprattutto di tradizione celtica.
Mi osservai allo specchio dello spogliatoio e studiai l’effetto dell’uniforme su di me. Una camicia candida con bottoncini a pressione e una gonna a tubino scura e lunga sino alle ginocchia. La camicetta esibiva il logo del locale: un blasone a sfondo verde con il disegno di un serpente argentato. Evidentemente Nagini doveva essere la mascotte, ma se il mio dovere si fosse limitato a decantarne le lodi coi clienti, avrei potuto sopravvivere a quella settimana di prova. Un ulteriore vezzo d’eleganza a cui il proprietario non era disposto a rinunciare era conferito dalla cravatta a strisce verdi e argento. L'uniforme era analoga per i ragazzi: camicia e pantaloni degli stessi colori ma nelle serate di gala era tassativo indossare il kilt. Per noi ragazze, invece, una gonna a portafoglio con lo stesso tradizionale motivo a quadrettoni ma in bianco e nero.
“Buongiorno!”.Mi riscossi dalle mie riflessioni quando scorsi il volto di Amy dallo specchio e le rivolsi un sorriso.  
“Ciao, come stai?”. La salutai nella nostra lingua madre. Cercai di arrotolare una ciocca di capelli per riporla dietro la nuca con un fermaglio, in modo che non mi fossero di ingombro durante le varie mansioni.
“Tutto bene”, mi sorrise per risposta e aprì il suo armadietto per potersi specchiare e allacciare correttamente la sua cravatta. “Sei pronta a iniziare?”.
“Più o meno: sono un po’ nervosa”, le confessai. Avevo sorriso nel leggere i messaggi di auguri che mi avevano mandato i miei genitori, Morgana e Sean. Riposi il cellulare nell’armadietto e lo chiusi con le chiavi che mi erano state assegnate.
“Andrai benissimo”, mi sorrise Amy con espressione incoraggiante. Aveva controllato il proprio riflesso per qualche istante e mi aveva fatto cenno di seguirla. “La cosa migliore è rompere il ghiaccio e cominciare”.
Nella fascia oraria mattutina, mi spiegò, il pub non era particolarmente frequentato a eccezione di qualche avventore che non aveva il tempo per una tradizionale (e consistente!) colazione a casa. Dalla metà della mattinata i clienti abituali erano soprattutto impiegati che uscivano dall’ufficio per una pausa caffè, pendolari o turisti che giungevano dalla fermata della metropolitana più vicina al pub. Il maggior movimento al bar lo si vedeva soprattutto nel pomeriggio e nella serate,  quando le scuole erano chiuse o quando vi erano eventi sportivi. O quando Tom Riddle organizzava qualche particolare evento come in occasione delle festività natalizie, di San Valentino o di San Patrizio. In serata naturalmente le cose divenivano più delicate poiché era tassativo il rispetto delle norme sulla distribuzione degli alcolici.
Del longue bar, del saloon bar e della zona privata,  mi spiegò Amy, si occupavano soprattutto i camerieri “veterani” che erano al servizio da almeno un anno come nel suo caso e in quello di Alicia Spinnet, Katie Bell, Lee Jordan, Zacharias Smith e Percy Rankin. La ragazza mi mise subito in guardia su quest’ultimo poiché aveva una sgradevolissima mania di controllo su tutto e tutti, tanto da essersi avvalso la nomea di “spione” ed era persino più severo di Madama Bumb, la coordinatrice e responsabile dello staff. Io per il momento mi sarei occupata esclusivamente del public pub e le mie mansioni consistevano nella preparazione delle bevande e nel servire paste, panini, toast e spuntini. La maggioranza del personale erano ragazzi giovani, soprattutto studenti che volevano pagarsi gli studi, come Susan Bones, Dean Thomas (i due ragazzi che avevo notato la prima volta che ero entrata nel locale), Seamus Finnigan, Neville Paciock, Justin Flitch-Fletchey, Hannah Abbott e altri che avrei conosciuto nei giorni seguenti. Amy non mi aveva nascosto di provare una certa antipatia per Smith che era un vero e proprio “lecchino” e coglieva ogni occasione utile per proporre idee strampalate che Riddle puntualmente rifiutava.
Madama Bumb e Riddle in persona stabilivano settimanalmente i turni lavorativi cercando di garantire una rotazione equa che consentisse di bilanciare i turni più sgraditi e faticosi, soprattutto quelli che riguardavano il finesettimana.
Ben più adulti erano i magazzinieri tra i quali spiccavano Eoin Macken, Tom Hopper e Santiago Cabrera[3]. La cucina e il coordinamento dei pasti erano affidati a Mrs Weasley, la chef della Camera dei Segreti nonché socia di Riddle. Lavorava insieme al marito Arthur, il fornaio e Dexter Fortebraccio, il sous chef. Le addette alla pasticceria erano invece Mrs Sprite, Gabrielle Delacour e Penelope Light. Infine l’ultimo arrivato prima di Lavanda Brown, Neville Paciock che era lo sguattero e il tuttofare della cucina ma sognava di diventare pasticciere. Era stato preso sotto l’ala protettiva di Mrs Sprite che cercava di insegnargli nei “tempi morti” tra un servizio e l’altro. 
Scoprii presto che la parte iniziale della giornata, la preparazione del pub, era particolarmente rilassante, soprattutto se si era in compagnia e si poteva accompagnare le mansioni a qualche discussione leggera. Naturalmente Amy ed io ne approfittammo per raccontarci le nostre storie.  Lei e la sua famiglia si erano stabiliti in Scozia da oltre due anni, quando il padre si era dovuto trasferire per lavoro. Aveva trovato un posto in questo pub dopo poco tempo, grazie a un fortuito incontro tra lei e Madama Bumb che le aveva fissato un appuntamento con il Signor Riddle. Come mi aveva già raccontato in parte, era stata sincera con lui fin dal primo momento circa le difficoltà linguistiche e la necessità di frequentare un corso specifico. Non solo era riuscita a superare il periodo di prova, ma alla fine dell’anno corrente, Riddle le avrebbe proposto un contratto per il terzo anno consecutivo. Inoltre tuttora si barcamenava tra il lavoro e un master in disegno, ma sognava di specializzarsi nell’ambito dell’arredamento degli interni.
Il lavoro al pub era impegnativo ma, nonostante gli aspetti più faticosi, si sentiva ormai parte di quel luogo, anche se non poteva escludere che in futuro avrebbe assecondato altre ambizioni. Grazie allo stipendio e ai risparmi accumulati in Italia era riuscita a trovare alloggio in un appartamento che condivideva con Luna Lovegood, una ragazza inglese dalla personalità stravagante ma premurosa e con la quale aveva stretto una forte amicizia. Come mi aveva rassicurato, la Scozia era un paese molto accogliente e caloroso e si era creata una bella cerchia di amicizie sia italiane sia scozzesi. La nostalgia di casa, come comprensibile, si faceva sentire a tratti, ma sembrava dell’avviso che non sarebbe tornata facilmente a vivere in Italia, a meno che non vi fossero state condizioni economiche e politiche più che ottimistiche.
Le avevo raccontato, a mia volta, della mia amicizia di lunga data con Morgana (dovendo spiegarle anche l’origine del nome che, come sempre, incuriosiva chiunque ne sentisse parlare), della mia corrispondenza epistolare con Sean, delle mie fatiche universitarie fino alla decisione di concedermi quell’anno sabbatico proprio in Scozia. A mia volta mi dicevo molto fortunata per aver avuto un punto di riferimento saldo nella mia amicizia con Sean. Le avevo raccontato brevemente della sua famiglia ma non avevo potuto trattenere una smorfia al vago ricordo dell’incontro con quel Tom. Avevo tuttavia scosso il capo e avevo preferito raccontarle del disastroso risveglio di quella mattina e dell’incontro con la famigerata Mrs Umbridge.

“Mi sembra di averti spiegato tutto”, concluse Amy alla fine di una dettagliata spiegazione sulla disposizione delle bibite e delle stoviglie necessarie al servizio. Non esageravo nel dire che avevo preso appunti e che avrei cercato di “studiare” quelle annotazioni nei momenti di pausa.  Inoltre avevo osservato attentamente i movimenti della mia nuova amica mentre si aggirava tra i macchinari e i vassoi per occuparsi dei primi avventori. Non volevo assolutamente rischiare di dare a Tom Riddle motivo di dubitare della mia assunzione. Mi appoggiò una mano sulla spalla e mi sorrise. “In ogni caso se hai bisogno di qualcosa, se ti sembra di non ricordare nulla, fammi un fischio: sono a tua disposizione”, mi promise con un lieve ammiccamento.
“Grazie di cuore”, commentai per l’ennesima volta. “Spero tanto di poter ricambiare il favore prima o poi”.
Tom Riddle si avvicinò a entrambe e ancora una volta non potei che paragonare le sue parvenze a quelle di un gentiluomo di altri tempi, visto il camminare fluido ed elegante. La giovane mi aveva spiegato che trascorreva gran parte del suo tempo nell’ufficio tra le scartoffie, gli ordini e il controllo delle fatture. Tutti i giorni, tuttavia, alle 17 in punto voleva che gli fossero serviti una tazza di the e dei biscotti che variavano a seconda dell’umore. La maggior parte delle volte, quando era saturo di lavoro o di malumore, si faceva portare il vassoio da Mrs Weasley nel suo ufficio. In caso contrario si sedeva in un tavolo appartato e approfittava della pausa per guardarsi attorno e assicurarsi che tutti i clienti fossero soddisfatti.[4] Come mi aveva annunciato, tuttavia, quella settimana sarebbe stata dedicata al suo esame personale della mia condotta.
“Il suo esame sta per iniziare”, mi confermò in tono fermo. “Vada dietro al bancone e si occupi dei prossimi clienti”. Rivolse poi lo sguardo all'altra e le fece un vago cenno in direzione dei posti a sedere. “Lei resti nei dintorni nel caso il locale si affollasse. Intanto può pulire i tavoli: voglio potermi specchiare in ognuno”.
Immaginai che fosse una delle sue “fisime” dal momento che era compito dei camerieri dell’ultimo turno serale quello di pulire i pavimenti e di lustrare i tavoli, prima della chiusura del locale.
“Buona fortuna”, mi sussurrò la ragazza e la vidi prendere il detergente e lo strofinaccio per adempiere alla sua mansione.
Pochi minuti dopo il campanellino affisso alla porta segnalò l’ingresso di nuovi clienti. Il normale nervosismo non poté che acuirsi quando Tom Riddle prese posto all’estremità del bancone, dal lato dei dipendenti.
Avanti Sara: è come dice Amy. Devo solo buttarmi e cominciare. Salii sulla pedana e cercai di sfoggiare il sorriso più caloroso e naturale di cui ero capace. E considerando la mia proverbiale e totale assenza di fotogenicità, lo sforzo fu realmente lodevole.  
“Buongiorno”, sorrisi alla giovane, guardandola dritto negli occhi. Il suo accompagnatore mi dava le spalle ed era appoggiato coi gomiti sul bancone, apparentemente intento a controllare le notifiche sul suo cellulare. “Cosa posso servirvi?”.
La ragazza mi rivolse un sorriso caloroso che ne fece baluginare lo sguardo che era messo in risalto da un trucco leggero e naturale. Aveva la carnagione chiara, i capelli castani con nuance bionde e lunghi fino alle spalle, lievemente ondulati. Non era molto alta ma era vestita in modo elegante e sembrava possedere una grazia autentica e innata.
 “Una tazza di the”. Fu la risposta spiccia e sbrigativa del ragazzo che non si era neppure preso la briga di voltarsi per guardarmi in viso o tanto meno di aggiungere una formula di cortesia. Al contrario, il tono di voce era sembrato perentorio, come se fosse avvezzo a dare ordini. Fu un altro particolare, tuttavia, a fare breccia nei miei pensieri. Non era una voce sconosciuta. Indugiai con lo sguardo sulla sua nuca, cercando indizi che potessero confermare o confutare quell’ipotesi assurda.
No, non è possibile, mi dissi.
 “Una tazza di the anche per me, per favore”, rispose la giovane, ma quasi non la sentii.
Il ragazzo si era finalmente voltato e, per la seconda volta a distanza di pochi giorni, i nostri sguardi si incrociarono e i suoi lineamenti furono improvvisamente alterati dalla pura e semplice sorpresa. Inarcò le sopracciglia e sembrò aver bisogno di qualche secondo per fare mente locale. L’attimo dopo le sue labbra si contorsero mentre indugiava con lo sguardo sul blasone cucito sulla camicetta. Inclinò il viso di un lato e, dalla lieve smorfia che gli apparve in volto, ebbi la spiacevole sensazione che stesse trattenendosi dallo scoppiare a ridere. Mi parve persino di leggerne i pensieri.
Una cameriera, dunque non avevo torto.
Strinsi i pugni lungo i fianchi, mentre la ragazza, con sguardo interdetto da quel silenzio improvviso, guardava dall’uno all’altro. “Vi conoscete?”.
Rispondemmo in contemporanea.
“Sì”.
“No!”.
Io avevo emesso un verso strozzato e scandalizzato all’idea di definirlo una mia “conoscenza”, quasi questo implicasse che mi fossi, mio malgrado, approcciata a lui in modo volontario. Lui annuì ma con una scrollata di spalle che lasciava perfettamente intendere che la mia presenza gli fosse del tutto indifferente.  
Mr Riddle si schiarì rumorosamente la gola e strinse le braccia al petto. Sembrava intimarmi silenziosamente di non perdere ulteriore tempo. Cercai mentalmente le parole più semplici per riuscire a esprimermi in modo efficace ma senza apparire goffa e a disagio, soprattutto di fronte al ragazzo che aveva già dato prova al nostro primo incontro di essere polemico nei confronti degli stranieri e del loro accento. “Mi chiamo Sara, sono un’amica di Sean”, mi presentai e le porsi la mano con un sorriso. Dopotutto una delle regole più importanti era dimostrarsi cordiale coi clienti e non potevo non spiegare a quella ragazza il motivo del nostro comportamento.
Un guizzo di comprensione le baluginò nello sguardo e si affrettò a stringermi la mano. “Oh, ciao Sarah”, accarezzò il mio nome con l’accento anglosassone. “Sean mi ha parlato di te. Io sono Emma”, si presentò e confermò la mia supposizione. “Sean mi ha detto che sei appena arrivata dall’Italia, ma non sapevo che lavorassi qui”.
“In effetti questo è il mio primo giorno”, spiegai con un sorriso. Ovviamente omisi il dettaglio che loro fossero i miei primi clienti.
Emma sorrise con aria affabile. “Allora faremo del nostro meglio per farti fare bella figura”, mi disse in tono allegro, rivolgendosi anche a Tom come a chiedergli conferma. Dal modo in cui inarcò le sopracciglia e dal sorrisetto impertinente che gli increspò le labbra ebbi il timore più che legittimo che avrebbe parafrasato quelle parole a suo uso e consumo. E soltanto per mero divertimento personale. Il pensiero mi fece irrigidire. Sembrava che la mia prima impressione del giovane non fosse affatto infondata. Non sapevo per quale scherzo del destino ero costretta a trovarmelo nuovamente di fronte, ma di certo non gli avrei permesso di rovinarmi la giornata.
“Naturalmente”, rispose in tono serafico che stonava con quel sorrisetto insolente. “Vorremmo due tazze di the”, mi disse nuovamente in tono formale, tambureggiando con le dita sul bancone e rivolgendomi quel sorrisetto tanto odioso che mi fece incupire.
Mi sforzai di sorridere, sentendo su di me lo sguardo fisso del mio principale, ma evitai di incrociare quello del ragazzo perché avevo il timore di svelare la mia insofferenza. E di alimentare i miei impulsi omicidi. “Subito”. Risposi in tono gentile ed accondiscendente. Mi volsi quindi verso la macchina del caffè e cercai di ricordare le istruzioni ricevute.
“Perché intanto non ti vai a sedere?”. Propose Tom con tono da perfetto fidanzato modello.
Mi scottai con l'acqua calda per la sorpresa e gemetti per il dolore. Sentii Riddle sospirare tra sé e sé, mormorando qualcosa di simile a: “Non una versione femminile di Paciock, per l’amor del cielo”. Mi affrettai a sorridergli con espressione rassicurante, ma sentendo le guance bollire.
Seppur girata di spalle, sentii Emma allontanarsi verso i tavoli. Socchiusi spasmodicamente gli occhi e inspirai profondamente, ringraziando di avere un'ottima scusa per non dover guardare il suo ragazzo in faccia ma ebbi la spiacevole sensazione (o paranoia, che dir si voglia) che lui stesse continuando a scrutarmi. Sembrava che stesse cercando tutti i modi possibili per mettermi a disagio o che stesse attendendo che rivelassi tutta la mia goffaggine.  
Che faccia da stronzo. Non potei fare a meno di pensare quando appoggiai,  con tutta la delicatezza possibile, le tazze sul bancone.
Le scrutò entrambe con fare analitico,
Starà cercando un difetto. Mi costrinsi a stringere i pugni lungo i fianchi ma non commentai. Doveva ritenersi soddisfatto perché mi  chiese il conto e lo pagò prontamente. Lo osservai andare al tavolo, reggendo il vassoio che gli avevo porto, e rilasciai un sospiro di sollievo. Forse aveva deciso di mettere da parte le sue maniere perché sapeva quanto mi fosse necessario quel lavoro.  
Scossi la testa e mi concentrai sui nuovi clienti e mano a mano che passavano i minuti, riuscivo ad acquisire maggiore dimestichezza con i macchinari e con le specialità culinarie che avevamo a disposizione. Sorrisi ad Amy che sembrò chiedermi con lo sguardo se stava andando tutto bene. Approfittai del momento di quiete per prendere un panno umido e presi a strofinare il bancone, sperando che Tom Riddle, che nel frattempo si era seduto per la sua colazione personale, apprezzasse il mio spirito di iniziativa.  Strofinai fino a quando la superficie di legno non sembrò lucida.
“Ci si può quasi specchiare”, mi compiacqui del mio stesso lavoro, prima di osservare analiticamente il mio viso. “Dovrei comprare un fondotinta: sembro più pallida di Liv Moore[5]”, mormorai tra me e me.
“E' un'abitudine italiana parlare da soli?”.
Sussultai al suono della sua voce e mi ritrovai trovai faccia a faccia con il ragazzo. Se non altro avevo borbottato nella mia lingua madre, risparmiandomi di dargli un ulteriore motivo per prendersi gioco di me.
Tom si appoggiò con aria indolente al bancone e notai distrattamente che la sua ragazza, dopo aver ringraziato Amy, si stava dirigendo verso il bagno del locale. Evidentemente l’ego di Tom non era sufficientemente grande perché si facesse compagnia da solo o voleva approfittare di ogni momento utile per darmi fastidio.
Lo fissai stizzita e presi a strofinare il bancone con energia eccessiva fino ad avvicinarlo al suo gomito per scansarlo e  continuai a sfregare la superficie di legno senza degnarlo di sguardo.
Se lo ignoro, si stuferà di fare l'idiota, pensai tra me e me.
Si schiarì con enfasi la gola e io alzai gli occhi al cielo ma mi costrinsi a incrociarne nuovamente lo sguardo. “Che cosa diavolo...”. Mi interruppi bruscamente quando Tom Riddle si avvicinò per guardarmi con le sopracciglia inarcate. Mi volsi al giovane con un sorriso affettato, cambiando repentinamente tono e timbro di voce. “Mi dica, come posso aiutarla?”. Pigolai con voce velenosamente dolce e sforzandomi di sorridere, con il risultato di procurarmi un dolore improvviso alla mascella.
Il giovane non nascose la sorpresa per quel brusco cambiamento di modi, ma seguì il mio sguardo preoccupato e ne comprese il motivo. Le sue labbra si contrassero e un sorriso di pura perfidia gli fece scintillare gli occhi. Mi  fece un finto cenno di intesa e si schiarì nuovamente la gola.
“Potrei avere un bricco di latte? Caldo. Non bollente e non tiepido, mi raccomando. Latte caldo”, lo ripeté con voce strascicata, pronunciando l’aggettivo “caldo” in un modo che avrebbe fatto impallidire un attore specializzato in film pornografici.
Provai il desiderio impellente di colpirlo con una delle bottiglie alle mie spalle, ma dovetti reprimere quella fantasia e annuire con finta cortesia e disponibilità. Promisi a me stessa che da quel giorno in poi non mi sarei più lamentata delle commesse indolenti o insofferenti, tanto meno delle persone che lavoravano nella ristorazione ed erano costantemente a contatto con persone nate semplicemente per infastidire il prossimo.
 “Sarà un piacere”. Dissi con voce forzatamente gentile, dandogli bruscamente le spalle e prendendo il bricco del latte per scaldarlo. Sospirai e socchiusi  per un attimo gli occhi, come ad invocare la calma e la concentrazione.
Stai calma: è solo un idiota e tu sei superiore.  
Appoggiai il bricco del latte, facendolo cozzare contro la superficie di legno, gesto che parve soltanto divertirlo ulteriormente. Non fece cenno di prenderlo e neppure di allontanarsi e inarcai le sopracciglia.
“Posso fare qualcos'altro per lei?”. Domandai con una nota di sarcasmo che non fui in grado di celare. Dovetti trattenermi tuttavia dall’incrociare le braccia al petto perché Riddle sembrava seguire il nostro dialogo come se fosse di vitale importanza per farsi un’idea delle mie capacità.
Il giovane annuì e mi sorrise accattivante. “La mia ragazza è fissata con le calorie”, finse perfettamente un atteggiamento stoico nei confronti delle tipicità del mondo femminile. “Potrebbe darmi del dolcificante al posto dello zucchero?”.
Non potei fare a meno di concedermi di squadrare la ragazza che era appena uscita dal bagno: era così magra  che l’ultimo dei suoi pensieri sarebbe stato quello di dimagrire. Al suo posto, personalmente, avrei preferito mettere su qualche chilo per ammorbidire la mia figura. 
Il pensiero mi suscitò un ulteriore moto di stizza poiché era palese che fosse tutta una macchinazione per darmi ulteriore fastidio.
So io dove dovresti infilarti il dolcificante, brutto stronzo sessista.
Contai mentalmente fino a dieci ma preferii non commentare alcunché: mi limitai ad abbassarmi e a cercare tra le mensole sottostanti. La mia irritazione aumentò al dover letteralmente spostare scatole su scatole per trovare quella giusta. Mi drizzai e la sbattei sul bancone, proprio dove pochi secondi prima vi era adagiata la sua mano.
“Qualcos'altro?”. Corrugai le sopracciglia e approfittai della momentanea distrazione di Riddle, che stava parlando con una collega, per guardarlo di sbieco. Gli stavo ordinando con lo sguardo di andarsene, prima che gli gettassi addosso il registratore di cassa.
Sembrò comprendere perfettamente i miei pensieri e di nuovo notai quella smorfia sulle labbra a simulare un tentativo di non scoppiare a ridere. “Ma che gentile”, mi lodò con voce flautata, per attirare l’attenzione del proprietario. “Credo proprio che approfitterò della sua cortesia perché, ora che mi ci fa pensare, ci sarebbe un’altra cosa”. Assunse un’espressione pensierosa, portandosi teatralmente la mano al mento.
Mi sentii sul punto di scoppiare. La cosa peggiore era dover fingermi composta e trattenere i miei reali pensieri ed intenzioni perché la posta in gioco era troppo alta e non potevo davvero permettere a quell’insolente maleducato di compromettere la mia possibilità di avere quel lavoro. Senza contare che non riuscivo veramente a capire perché si stesse accanendo in quel modo nei miei confronti.
“Potrebbe pesare gli scones[6]?”, alluse all’espositore di paste che aveva attirato la mia attenzione dalla prima volta che ero entrata in quel pub.
Nascosi una mano dietro la schiena e strinsi il pugno fino a conficcarmi le unghie nel palmo e contai mentalmente fino a dieci, socchiudendo gli occhi.
Se la stronzaggine pesasse quanto il grasso,  saresti un lottatore di sumo.
Continuava ad osservarmi con espressione candida, ma il mio sguardo saettò verso Riddle che mi fece cenno di rispondere affermativamente.
“Ma è ovvio!”, la mia voce era divenuta così stridula da sembrare quasi in falsetto per tentare di contenere la rabbia. “Anzi, sarò lieta di farle preparare sul momento se necessario”, ringhiai letteralmente le ultime due parole, quasi a sfidarlo a raccogliere la provocazione.
Presi a tastare, con la mano nascosta sotto il bancone, il ripiano per cercare un oggetto contundente. Purtroppo non potevo usarlo realmente su di lui ma la mia fantasia sarebbe stata più accurata se avessi studiato la conformazione della suddetta arma.
“Sarebbe perfetto!”. Esclamò lui con enfasi e si volse al Signor Riddle.  “Sa, a noi piacciano appena uscite dal forno”, gli disse con un sorriso affabile, quasi fosse in vena di confidenze. “Penso proprio che torneremo presto nel suo locale: deve essere fiero di avere al suo servizio delle cameriere così servizievoli”, marcò dolcemente l’ultima parola. Sentii letteralmente il mio cervello spegnersi, quasi la dose di meschinità a cui ero stato esposto fosse stata eccessiva.
 “La signorina andrà subito in cucina a dare disposizioni per i suoi scones”, lo rassicurò Riddle con il suo sorriso più smagliante. Non mi degnò di sguardo (o almeno di un segno di approvazione per la mia condotta impeccabile) ma mi fece un vago cenno verso la cucina. “Sono molto lieto che apprezzi il servizio: la professionalità e la disponibilità delle mie dipendenti sono importanti quanto la qualità del cibo”, lo sentii dire in tono quasi pomposo.
Mi diressi con aria mesta e sconfitta verso il portone che mi fu letteralmente sbattuto in faccia da Neville. Come mi aveva raccontato Amy, era un ragazzo adorabile quanto goffo che in più di un’occasione era finito nei guai per colpa di Lavanda la quale aveva ben sfruttato il suo fascino su di lui.  “Scusami, Sarah, mi dispiace tantissimo!”, mormorò con voce mortificata e le guance arrossate, mentre teneva tra le mani un vassoio di muffin appena sfornati.
“Ringrazi che la signorina abbia attutito il colpo e le paste non siano cadute, Paciock!”, lo rimproverò aspramente Riddle, facendolo arrossire. “Devo ricordarle il suo record di penalità?!”, aggiunse con voce simile al sibilo di un serpente.
“M-Mi perdoni, signore”, pigolò il povero ragazzo in questione, prima di tornare a guardare me. “Scusami davvero, Sarah, non volevo darti così il mio benvenuto”.
Scossi il capo come a sminuire il tutto, ma sentivo vere lacrime di dolore prudermi gli occhi. Cercai di mordermi le labbra e lo rassicurai, non volendo acuire ulteriormente la mia umiliazione, soprattutto dopo aver sentito il verso di scherno di quell’essere abominevole. L’universo o la Provvidenza sembrarono volermi ricompensare perché Mr Weasley aveva appena sfornato dei nuovi scones. Selezionai i più esili e li portai alla zona bar insieme a una piccola bilancia da cucina. Riuscii a trovare un paio di scones che sembrarono soddisfare gli standard fin troppo precisi di Tom e tirai letteralmente un sospiro di sollievo quando finalmente tornò a sedersi.
Al bancone era giunto un uomo di colore, molto alto, vestito in modo molto elegante e dalla voce profonda. Persino l’orecchino d’oro appariva come un vezzo che ne contraddistingueva l’aspetto.
“Cosa posso servirle?”, gli domandai con un sorriso.
“Nulla, mia cara, non sono qui per il cibo”, mi sorrise con aria affabile.
Riddle si avvicinò all’uomo e gli strinse la mano. “Il Signor Kingsley Shacklebolt è il nostro ragioniere”, mi spiegò con un cenno. “Andremo nel mio ufficio a controllare le fatture dell’ultimo mese, ma tornerò subito da lei”, soggiunse in tono quasi minaccioso. Sembrava intimarmi con lo sguardo di non approfittare della sua assenza per comportarmi in modo meno professionale.
Lo seguii con lo sguardo e non potei che rilassarmi per qualche istante con gli avambracci appoggiati al bancone. Lasciai vagare lo sguardo sui clienti che chiacchieravano tranquillamente e consumavano la loro colazione. Mi fu fatale incrociare nuovamente lo sguardo di Tom. Alzò la tazza di the in mia direzione e mi rivolse quel sorriso beffardo che sembrava un’incitazione alla violenza. Lo fulminai con lo sguardo e mi voltai con la scusa di dover allineare le bottiglie sullo scaffale.
Erano passati pochi minuti nei quali mi ero illusa di potermi rilassare, ma emisi un verso di esasperazione quando Tom si avvicinò nuovamente al bancone, con le mani conficcate nelle tasche dei pantaloni. Il suo sguardo indugiò su delle paste e cercai di ignorarlo ma pregai mentalmente che Amy facesse ritorno per chiederle un rapido cambio.
“Un vassoio di scones e di shortbread[7] da portare via”, ordinò con quel tono strascicato che gli era tipico. Evidentemente in assenza del mio principale non aveva motivo di fingersi un cliente affabile.
Che razza di stronzo.
“Cerca di fare una bella confezione: sono per un compleanno”, soggiunse con quel sorrisetto saputello che mi fece desiderare profondamente di usare la pinza dei dolci per accecarlo.
Per mia fortuna Amy era molto zelante nel suo lavoro e mi aveva spiegato persino dove trovare l’occorrente per una simile eventualità. Un peccato che io fossi a malapena capace di incartare un regalo natalizio e dovevo sempre chiedere aiuto a mia madre o a mia sorella per riuscire a realizzare un involucro decente. Cercai di imitare i gesti che avevo visto compiere dai pasticcieri in situazioni analoghe, cercando realmente di impegnarmi al massimo. Nel caso contrario avrei chiesto a una delle ragazze addette a quel settore.
“Quasi dimenticavo”, ne sentii nuovamente la voce, con quell’intonazione suadente che fino a quel momento mi aveva solo causato ulteriori malumori e grane.
 “COSA DIAVOLO VUOI?!”. Sbottai al culmine dell’esasperazione e sollevai lo sguardo in sua direzione. Non mi ero accorta, ahimè, che nel frattempo altri clienti si erano avvicinati al bancone e parvero tutti scandalizzati dalla mia risposta acida. La mia sola fortuna, pensai sentendo le guance bollire, era che Tom Riddle non fosse stato nelle vicinanze o sarei stata licenziata a tempo di record. Oltretutto di fronte a quell’essere rivoltante. Mi morsi il labbro inferiore, tossicchiando per infrangere quel silenzio teso e cercai di ignorare lo sguardo di evidente disapprovazione che mi aveva scoccato una signora anziana.
Tom sembrava persino più allegro, ma finse di non essersi assolutamente accorto del mio tono burrascoso. “Potrei sapere dove si trova il bagno, per favore?”, mi chiese con voce candida.
Superfluo dire che ero sicurissima che già lo sapesse e non solo perché Amy in persona aveva fornito la stessa informazione alla sua ragazza. Glielo indicai con un cenno del braccio. Il pensiero di rivolgergli nuovamente parola mi dava il voltastomaco.
“Molte grazie”, sorrise con aria affabile, incamminandosi in quella direzione con le mani insinuate nelle tasche dei pantaloni, fischiettando un motivetto.
 
Scoprii che, come mi aveva suggerito Amy, la cosa più difficile era il primo impatto dopodiché diveniva tutto abbastanza naturale e quell'atmosfera calorosa e briosa (e soprattutto la lontananza di quell'imbecille) rendeva tutto più agevole. Congedai una signora anziana e mi avvicinai al bancone delle bibite, notando un trio di ragazzi. Giocatori di football probabilmente, a giudicare dalla divisa che indossavano. Mi scrutarono come se non avessero mai visto una donna di fronte a loro o non ne vedessero a sufficienza ed ebbi l’impressione che in quel primo giorno di lavoro fossi già costretta ad avere a che a fare con una delle categorie sociologiche maschili più irritanti. Quelli che ci provavano con ogni essere vivente in grado di respirare.
“Cosa vi porto?”. Chiesi in tono spiccio e informale.
Il ragazzo al centro sembrò confermare immediatamente il mio sospetto. Scambiò un sorrisetto saputo con i suoi compari altrettanto bifolchi, prima di passarsi una mano tra i capelli biondi e ricci, probabilmente illudendosi di apparire più affascinante. Mi sorrise e ammiccò con aria spudorata. “Il tuo numero di telefono, sarebbe ideale”, mormorò in tono vellutato, suscitando le risatine complici degli altri due. Uno dei due gli diede persino una pacca sulla schiena e io dovetti trattenermi dal vomitare.
Sorrisi serafica, con le braccia incrociate al petto. “Temo che non lo troverai nel menù”, gli risposi in tono volutamente distaccato e professionale.
Il ragazzo non  finse neppure di voler scrutare il listino, ma mi sorrise persino più confidenziale, quasi le mie parole fossero state un incoraggiamento. “Vorremmo tre caffè, degli scones e il tuo numero di telefono”, sussurrò l’ultima parte della frase in tono complice, aggiungendo un ulteriore ammiccamento.
“Smettila, Cormac, la metti in imbarazzo”.
Risi per risposta, quasi realmente divertita, cercando di raccogliere le mie conoscenze degli epiteti in lingua inglese.
“Credo che i signori siano ancora indecisi”, intervenne quella voce che mi era fin troppo nota. Non avevo notato che era tornato dal bagno, ma osservai l’espressione di disgusto che riservò al suddetto Cormac. Mi domandai se Sean non avesse omesso di spiegarmi che quel Pub era una sorta di succursale della sua prestigiosa Accademia.
“Gradirei avere il mio vassoio nel frattempo”. Aggiunse a mio beneficio.
Mio malgrado restai sorpresa del suo intervento: rischiavo di credere che si trattasse di un espediente per trarmi di impaccio da una situazione scomoda. O forse semplicemente voleva avere l’esclusiva ed essere l’unico a tormentarmi. Quale che fosse la risposta, prima lo avessi accontentato e prima se ne sarebbe andato.
“Torno subito”, mi diressi verso le cucine per chiedere aiuto alla disponibilissima Mrs Sprite e tornai poco dopo con un vassoio decentemente confezionato. Notai distrattamente che i tre idioti erano usciti dal locale. Appoggiai il vassoio sul bancone battei lo scontrino alla cassa. Il ragazzo estrasse il portafoglio e mi porse una banconota da 20 sterline. Per fortuna il registratore di cassa provvedeva anche a segnalarmi il resto, così presi il denaro necessario.
Sgranai gli occhi quando mi accorsi che stava tornando al suo tavolo. “Aspetta, il resto!”, lo richiamai.
Mi rivolse un sorriso saputello e si strinse nelle spalle. “Tecnicamente, in gergo da bar, si chiama mancia”. Mi disse in tono di ovvietà.
Arrossii ma scossi la testa e gli porsi il denaro con maggiore slancio. “Sono troppi”. Gli feci notare in tono stizzito e non di meno offeso all’idea che mi stesse trattando come una povera pezzente dall’alto della sua presunta superiorità sociale ed economica.
Scrollò le spalle. “Diciamo che è il compenso che non otterrai da quei tre: hanno improvvisamente ricordato di avere degli impegni improrogabili”.
Sorrise suadente mentre sgranavo gli occhi all’idea che li avesse in qualche modo cacciati. Eppure ciò non aveva senso, considerando come lui stesso mi avesse letteralmente dato il tormento fino a quel momento. 
“Non voglio i tuoi soldi”. Sibilai con maggiore autorità nella voce.
Sospirò con aria stoica e trattenne il vassoio con una sola mano, allungando l’altra verso di me. Chiuse le mie dita attorno al palmo e quasi trasalii al tocco caldo e morbido della sua mano. Sentii uno strano e inaspettato brivido percuotermi. Per qualche puerile associazione di idee, mi sarei aspettata che le sue mani fossero fredde almeno quanto quei modi altezzosi.
“Sono tuoi”. Ribatté in tono deciso.
Lo guardai stranita.
Sorrise di nuovo con fare beffardo e inclinò il viso di un lato. “Lasciati dare un consiglio: sorridi ogni tanto e cerca di nascondere la tua isteria”. Mi scrutò con le sopracciglia inarcate e l’espressione pensierosa, prima di ammiccare con aria insolente. “Non si abbina alla tua uniforme”, mi fece presente in un sussurro insolente che mi fece bollire le guance per l’imbarazzo.
Scossi la testa ma prima che potessi reagire si era già voltato con un ultimo cenno del capo e si era diretto verso l’uscita. Emma lo raggiunse e mi salutò con un sorriso e un cenno della mano.
Quelle parole, l’ulteriore stoccata, parvero darmi il tormento nei successivi istanti. Sembrava quasi che volesse assicurarsi di recarmi fastidio anche in sua assenza.
Quanto lo detesto.
“Allora, come va?”. Mi riscossi alla voce della mia nuova amica. “Hai iniziato a lavorare da solo un’ora e hai già servito un gran fico”, mi fece notare con espressione sorniona. “Dimmi che ci hai provato mentre la sua ragazza era al tavolo”, aggiunse con un ammiccamento.
Il pensiero mi fece arricciare il naso. “Ma anche no”, borbottai per risposta e, con un movimento brusco, chiusi la cassa, dopo aver riposto il denaro negli appositi scompartimenti.
“Mi stai dicendo che uno del genere non ti ispira?”, mi domandò in tono incredulo. Mi scrutò con aria clinica e scosse il capo. “Ragazza, hai bisogno di un oculista”.
Mi strinsi nelle spalle. “Se si escludono la sua maleducazione, i suoi sorrisetti diabolici, la sua arroganza, il suo snobismo e tutti i fastidi che mi ha creato per puro dispetto, potrei concederti che è passabile. Ma nulla di straordinario”, replicai in tono composto. Di fronte al suo sguardo scettico, sorrisi con finta noncuranza. “Te lo assicuro. L’unica cosa che potrebbe ispirarmi è una buona dose di violenza”,
“Oh, quello sì che a me ispira e non immagini quanto”.
Mi resi conto che il suo tono era cambiato repentinamente, divenendo più appassionato. Si era appoggiata al bancone coi gomiti e stava osservando una coppia di amici che era appena entrata nel locale. Il primo ragazzo era piuttosto basso, aveva capelli castani e folti, piuttosto scarmigliati e gli occhi di una bella tonalità di turchese. Il suo amico era allampanato, aveva il viso pallido e i capelli rossi. Notai che sul suo volto apparivano spesso delle comiche espressioni, mentre parlottavano tra loro di qualcosa.
Daniel”. Mi spiegò Amy in un sussurro, facendo cenno al ragazzo castano che stava prendendo posto con il suo amico.
 “Oh sì, direi che Daniel riassume perfettamente tutto”, risposi nella nostra lingua madre. La osservai con un moto di curiosità perché avevo l’impressione che quell’interesse avesse una storia più lunga alle spalle che avrei voluto farmi raccontare. Evidentemente si trattava di un cliente abituale.
“Sarah?”.
Mi riscossi quando Neville mi si avvicinò con il cordless del locale tra le mani.
“C'è un ragazzo al telefono: ha chiesto di te”. Mi porse l'apparecchio che presi con espressione interdetta.
“Per me?”, chiesi conferma. Che Sean  avesse avuto bisogno di rintracciarmi urgentemente? Sembrava plausibile dal momento che avevo lasciato il cellulare nel ripostiglio per non avere interruzioni. Mi allontanai per cercare un po’ di quiete dal brusio generale.
“Pronto?”. Risposi con voce esitante, sperando che non fosse successo nulla di grave.
“Stavo giusto dimenticando… gradirei ordinare delle paste per domattina. Vorrei che mi fossero consegnate a scuola alle 8.45”. Riconobbi la voce di Tom e il mio cervello parve spegnersi.
Non soltanto aveva trovato un altro modo per darmi il tormento, ma neppure si era preso la briga di salutarmi come una persona civile. Fissai lo sguardo nel vuoto con aria incredula.
Non è possibile. Deve essere un incubo. Adesso mi sveglierò e scoprirò che sono ancora a letto.
“Una vera fortuna che il tuo capo mi abbia fornito il numero del bar”,  soggiunse in tono casuale. Sembrava totalmente incurante dell’assenza di una mia risposta o di un qualsiasi suono che attestasse che fossi ancora all’ascolto. “Spero tu abbia carta e penna”. Il suo tono era tornato svogliato e autoritario e strinsi in un pugno la mano libera. Se avessi avuto i poteri di Darth Vader lo avrei strangolato a distanza, ma mi limitai ad emettere un cupo ringhio[8].
“Ascoltami bene perché non lo ripeterò: io non sono in servizio domattina”, iniziai in tono fintamente lezioso. “Ma soprattutto non sarò mai e poi mai AL TUO SERVIZIO”. Enfatizzai a voce più alta le ultime parole.
Oh”, si concesse di apparire vagamente confuso, ma avrei potuto scommettere tutti i miei risparmi che stesse sogghignando. “Mi dispiace, immagino che sarai costretta a svegliarti presto perché dubito che Mr Riddle voglia perdere un cliente facoltoso perché una delle sue cameriere si comporta in modo poco professionale”. Accarezzò con voce vellutata quell’insulto e dovetti trattenermi dall’urlare per la mera frustrazione.
“Come ti permetti?!”, sbottai in tono indignato, gesticolando furiosamente con la mano libera. “Non solo mi hai reso il primo giorno, anzi, la prima ora di lavoro insopportabile, ma hai anche la faccia tosta di telefonare al bar, chiedere espressamente di me per potermi insultare?!”, la mia voce era divenuta sempre più acuta in corrispondenza all’intensità delle accuse che gli stavo rivolgendo. “Sai che cosa ti dico?!”. Non attesi risposta e cercai di passare in rassegna tutte le frasi più volgari che conoscevo nella sua lingua madre.
“Che cosa sta succedendo, signorina?”, sibilò una voce fin troppo familiare. Ero talmente infervorata e concentrata nella mia invettiva da non essermi accorta che era uscito dal suo ufficio. Boccheggiai ma cercai di riprendere rapidamente il controllo e spiegargli la situazione. Riddle torreggiava su di me, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo severo.
“Mi scusi, stavo cercando di spiegare a un cliente che non sarò disponibile per una consegna mattutina. Ma temo che si trovi in una zona in cui la ricezione non è ottimale, così ho dovuto alzare la voce”, mentii spudoratamente, guardandolo dritto negli occhi e cercando di simulare la mia espressione più innocente.
Mi guardò così a fondo che ebbi timore che potesse leggermi il pensiero, ma mi porse la mano con il palmo aperto. “Dia a me, ci parlerò personalmente”.
Mi morsi il labbro ma obbedii e i suoi lineamenti furono alterati dal sorriso che gli contorse le labbra. Sembrava che per lui fosse importante mantenere una parvenza di cordialità, persino quando non aveva l’interlocutore di fronte a sé. “Buongiorno, sono il proprietario, come posso aiutarla?”, usò il suo tono più affascinante. Annuì un numero indefinito di volte, prendendo nota sul proprio taccuino. Senza mai smettere di sorridere.
Evidentemente tra psicopatici con lo stesso nome ci si intende, pensai tra me e me. Forse avrei dovuto approfittare di quell’espediente per tornare al bancone e sperare che Riddle si dimenticasse di me.
“Molto bene, domattina alle 8.45”, confermò con la stessa professionalità. “Le assicuro che la signorina in questione sarà più che disponibile ad accontentare la sua richiesta fino alla fine del semestre. Grazie a lei e buona giornata”. Lo congedò con lo stesso sorriso affabile e mi porse il taccuino su cui aveva scritto con calligrafia elegante. “Lo porti alla signora Sprite e le dica che le paste devono essere sfornate ogni mattina alle 8.30. Si occuperà lei della consegna visto che già conosce l’indirizzo”.
Mi sentii sul punto di svenire all’idea che ogni singolo giorno avrei dovuto presentarmi di fronte a quell’ignobile essere fino alla fine del semestre. Non riuscivo razionalmente a capire che cosa avessi mai fatto di male perché il ragazzo si accanisse in quel modo nei miei confronti.
“Credevo che avesse deciso che da domani mi sarei occupata dei turni pomeridiani e qualche volta della chiusura serale”, mormorai in tono contrito, ma cercando di mantenere un atteggiamento umile che non lo indisponesse ulteriormente. 
“Il nostro cliente, per qualche arcano motivo di cui francamente non mi importa, l’ha richiesta espressamente”. Mi rivelò in tono indifferente mentre era intento a rivolgere sorrisi di congedo o di benvenuto alla clientela in movimento nel locale. Ad eccezione del duetto costituito da Daniel e dal suo amico ai quali, invece, rivolse uno sguardo torvo. Forse non avevano consumato cibo a sufficienza per i suoi gusti.
“Non potrebbe farlo qualcun altro?”. Sarei persino stata disposta a supplicarlo o a farmi fare delle trattenute dallo stipendio ma capii che era tutto vano dal modo in cui i suoi occhi si ridussero in due fessure.
“Naturalmente”, mi sorrise in modo repentino ma tutt’altro che caloroso, mentre controllava distrattamente il suo orologio da polso. “Se lei può permettersi di non lavorare o di licenziarsi dopo solo un’ora di servizio”.  Parve soddisfatto quando fui incapace di articolare suono. “Sapevo che avrebbe capito”. Mi strinse brevemente la spalla con le sue lunghe dita gelide. “Adesso torni ad occuparsi dei clienti: la sua pausa è finita ma il mio esame tutt’altro”.
 
~

Chiusi l’uscio alle mie spalle e rilasciai un lungo sospiro. Mi passai una mano sul viso come a far scivolare i residui di stanchezza. Sentivo il bisogno fisico di una doccia e di indossare dei vestiti casalinghi per poter avere realmente la sensazione di lasciarmi quella lunghissima giornata alle spalle. Mi tolsi il cappotto e lo appoggiai sullo schienale del divano. Mi sembrava passata una vita da quando Mrs Umbridge lo aveva guardato con aria di rimprovero.  
“Sono tornata”, mi annunciai con voce stanca.
Morgana stava canticchiando allegramente in cucina: evidentemente le sue ricerche per un lavoro stavano dando dei risultati promettenti. Alle mie parole si era alzata ed era venuta in soggiorno, ma il sorriso allegro sembrò congelarsi dopo aver incontrato il mio sguardo.
 “Hai un aspetto orribile”. Sentenziò dopo un breve scrutinio. Superfluo dire che ciò non fosse particolarmente incoraggiante, soprattutto considerando che lei, al contrario, sembrava in ottima forma. Ancora profumava di una recente doccia e, come sempre, aveva i capelli ben pettinati e il trucco così bene applicato da poter fare concorrenza a Clio Make Up in persona.
“Dimmi qualcosa che non so”, borbottai per risposta.
“Giornata difficile?”, mi domandò con il volto inclinato di un lato.
Incrociai le braccia al petto e mi scostai i capelli dal viso con una vaga smorfia di assenso.“Non ho voglia di parlarne”. Mi diressi verso la cucina e aprii il frigorifero alla ricerca di qualcosa da bere.
Morgana mi rivolse un sorriso persino più complice. “Ma lo sai che così mi rendi più curiosa”, simulò un’espressione più puerile e lo sguardo scintillò. Stava esibendo la sua espressione più accattivante, quasi sperando che ciò bastasse a farmi demordere. “E se ti preparassi una tazza di the?”.
La mia mente associò a quella frase il sorrisetto beffardo di Tom nel formulare quella prima richiesta in quel tono arrogante e maleducato che sembrava così tipico di lui.
“No”, risposi seccamente. “Te lo chiedo per favore: non ho voglia di parlare!”, aggiunsi dopo averla guardata dritto negli occhi. Le parole mi uscirono forse con troppa foga, ma non ero fisicamente e psicologicamente pronta a raccontare quella giornata e riviverla con il ricordo. Senza contare che la prospettiva di iniziare l’indomani con quella consegna mattutina, mi stava già deprimendo e facendo venire voglia di telefonare a Riddle per rassegnare le dimissioni. Non era solo il pensiero dei miei genitori a farmi desistere e il mio orgoglio personale. Amy si era esposta per me, pur conoscendomi appena, e non potevo farle questo. Inoltre, anche se conoscevo appena gli altri membri del personale, non volevo sembrare loro una persona più inaffidabile di Lavanda Brown e durare persino meno di lei.
Morgana parve realmente senza parole di fronte alla mia reazione inaspettata. In altre circostanze avrei dovuto annotare quell’evento sulla mia agenda come qualcosa di straordinario. Tuttavia, prima che potesse formulare una domanda alternativa, uscii rapidamente dalla cucina e mi chiusi in bagno. Avevo decisamente bisogno di restare sola e scrollarmi di dosso le emozioni negative che avevo accumulato durante la giornata.
 
Mi concessi una lunga doccia calda, coccolandomi con un buon bagnoschiuma e, dopo essermi cambiata, mi gettai letteralmente sul mio letto. Non avevo realmente sonno, ma mi rilassai e cercai di svuotare la mente. Ciò che rendeva tutto persino peggiore era l’idea che ciò fosse solo l’inizio di una lunghissima ed estenuante tortura a cui avrei dovuto sottopormi quotidianamente.
Avevo perso la cognizione del tempo e mi stavo quasi assopendo, quando sentii bussare alla porta. “Avanti”, mormorai, dopo essermi strofinata il viso con una mano.
Morgana non esibiva quel suo sorrisetto più irriverente o sensuale. Aveva reclinato il viso di un lato e mi stava osservando con espressione incerta. Non potei fare a meno di notare con un guizzo di buon umore, reggeva tra le mani un vassoio con due tazze fumanti di cioccolata calda, appena preparata. “Posso offrirti una tazza del tuo amatissimo Ciobar?”, mi domandò.
Quella gentilezza del tutto spontanea e l’alone premuroso dello sguardo mi fecero sorridere ed annuii, facendole cenno di entrare nella camera. Morgana coprì la distanza con un sorriso, appoggiò delicatamente il vassoio sul comodino e si stese al mio fianco, appoggiandosi alla testiera del letto. Sollevammo le nostre tazze e le facemmo cozzare come per un brindisi. Era una sorta di rituale nel nostro rapporto, quando l’una o l’altra aveva un malumore di qualsiasi natura: riuscivamo a mettere tutto momentaneamente da parte e a concederci un po’ di relax o ad affogare i dispiaceri in una bella tazza di cioccolata o in una vaschetta di gelato. Talvolta anche guardando e riguardando i nostri film preferiti, anche se conoscevamo le battute a memoria.
Dopo un sorso di cioccolata mi appoggiai con il capo alla sua spalla. “Scusami per prima, è stato un inferno. E non un inferno piacevole con Tom Ellis[9]”, borbottai, facendo riferimento a una delle serie tv a cui ero particolarmente dedita in quel periodo.
Morgana mi diede un buffetto sul naso. “Avevo immaginato qualcosa del genere”, mormorò con un sospiro. “Se non ti va di parlarne non preoccuparti, vorrei soltanto aiutarti in qualche modo. Potrei sedurre il tuo principale o aiutarti a seppellire un cadavere”, soggiunse con un alone più furbesco nello sguardo che mi strappò una risatina. “Qualunque cosa per te”.
Sorrisi per risposta e sorseggiai un lungo sorso della mia cioccolata calda, prima di farmi coraggio e cominciare a raccontarle per filo e per segno ciò che era accaduto. Ritenni necessario cominciare proprio da quell’aneddoto a casa Biggerstaff, fino a raccontarle minuziosamente tutte le provocazioni e i fastidi che Tom mi aveva creato quel mattino. Morgana rimase in perfetto silenzio, anche se in più di un’occasione aveva inarcato le sopracciglia con espressione interrogativa. Talvolta aveva stretto le labbra quasi a cercare di contenere un sorriso per non offendermi. L’apice della sorpresa e dell’incredulità era stato raggiunto quando le avevo raccontato della consegna mattutina che avrei dovuto effettuare ogni giorno, fino alla fine del semestre, recandomi personalmente all’Accademia frequentata da Sean e da Tom stesso.
“La prima certezza da tutta questa storia è che questo Tom sia veramente an asshole[10]”, sottolineò nella sua lingua madre e non potei che annuire. Anzi, forse avrei dovuto esercitarmi per riuscire a dirlo con la stessa fluidità. “Mi domando come una persona gentile e premurosa come Sean possa andarci d’accordo o permettergli di frequentare casa sua”.
Non  potei che aggrottare le sopracciglia alla sola idea di accostare quelle due personalità così differenti. Effettivamente non riuscivo a spiegarmi che cosa Sean ci trovasse in simile compagnia, soprattutto considerando che lui stesso doveva essere spesso oggetto della sua insolenza.
“Non capisco per quale motivo si sia accanito in questo modo nei miei confronti”, commentai in tono incredulo.
Morgana sospirò per risposta, lo sguardo pensieroso. “Da come lo descrivi mi sembra un ragazzo fin troppo sicuro di sé e del suo presunto fascino – rise del mio verso disgustato – ma probabilmente quel vostro primo incontro lo ha colpito”. Alla mia espressione perplessa mi sorrise divertita. “Mettiti nei suoi panni: deve essere abituato a vedere sguardi leziosi e ciglia sbattute in sua direzione per tutto il tempo, elemento che certamente alimenta il suo ego, ma al contempo lo rende soggetto alla noia. Poi arrivi tu, una straniera immune al suo fascino e alla sua prepotenza che gli tiene testa e non sembra minimamente impressionata da lui. Anzi, gli dice bellamente in faccia di non essere stata felice di incontrarlo. Aggiungici che sicuramente Sean deve averlo rimproverato e che lui se ne sia completamente fregato. Deve aver pensato che non ci fosse alcun motivo per cui vi incontraste di nuovo. Fino a oggi, quando l’occasione era troppo ghiotta per non cercare un po’ di divertimento a tue spese. Non credo che sia nulla di personale, se questo ti può far stare meglio. E’ semplicemente uno stronzo e tu ti sei trovata sul suo cammino e oltretutto nel ruolo che ti aveva attribuito al primo impatto. Sembra uscito da un libro della Kinsella”.
Ero rimasta ad ascoltarne quella spiegazione dettagliata con le labbra schiuse, realmente impressionata dalla sua magistrale abilità a interpretarne gli atteggiamenti e i modi di fare. “Sembra quasi che tu lo conosca da prima di me”.
Morgana si schermì con uno scrollo di spalle. “Ho qualche esperienza con soggetti simili”, rivelò con un sorriso. “All’inizio li trovavo interessanti, non lo nego, ma con il tempo il gioco di seduzione perde fascino, se non è accompagnato da un sentimento concreto. Diciamo che adesso mi piacciono i bravi ragazzi. E poi diciamocelo, mi riesce meglio il ruolo della cattiva e ho bisogno di qualcuno di diverso da me”, soggiunse con un moto di auto-ironia che le fece scintillare lo sguardo.
Risi per risposta e mi rilassai, grata di aver dato sfogo al mio nervosismo. Mi feci più pensierosa. “Quindi, dimmi, che cosa dovrei fare con quel tipo?”.
“Esattamente il contrario di quello che vorrebbe. E’ lodevole che tu non ceda al suo presunto fascino, ma continui a mostrargli che la sua presenza ti infastidisce, ti innervosisce o ti procura istinti omicidi”.
“Sì, sì e sì”, confermai.
Morgana rise, ma mi diede un buffetto.“Anche agendo in questo modo fai il suo gioco. In un modo contorto sembra che questo gli sia fonte di divertimento, quindi la cosa più saggia e salutare per te è cercare di dimostrarti del tutto indifferente”.
“So che teoricamente hai ragione, ma non sono mai stata brava a nascondere le mie emozioni”, ammisi con un sospiro. “E lui, credimi, ha un talento naturale nel tirare fuori il peggio di me”.
“Ragione per cui se vuoi sopravvivere e sperare di diventare presto ai suoi occhi noiosa e banale, devi fare del tuo meglio per nascondergli il tuo stato d’animo. Sii professionale, posata e pacata e ti assicuro che nell’arco di un paio di giorni recepirà il messaggio e lascerà perdere. Dubito che in ogni caso l’ordine dovesse riguardare l’intero semestre. Sicuramente dopo che te ne sarai andata, telefonerà al tuo capo per disdire tutto e tu andrai avanti come nulla fosse”.
“Professionale, pacata e posata, sì. Mi sembra perfetto!”.
 
 
Trattenni impercettibilmente il fiato di fronte all’imponente edificio che ospitava il Conservatorio. Si trattava di una costruzione in cui lo stile classico sembrava fondersi con quello moderno in modo armonioso. La facciata era ricoperta di mattoni rossi e vi erano ampie vetrate che permettevano alla luce del sole di entrare nelle sale da ballo e nelle aule dedicate al Drama Club e alle rappresentazioni teatrali. Sulla facciata vi era l’acronimo del nome ufficiale[11]. Ai piedi della scalinata che dava sull’ingresso principale, mi guardai attorno e mi confusi tra la fiumana di studenti. Indossavano tutti di soprabiti eleganti, sotto i quali si poteva intravedere un completo in giacca e cravatta. Si doveva trattare di un ambiente molto prestigioso in cui, seppur mancassero le uniformi, era particolarmente importante rispettare un certo codice di abbigliamento. Non potei che sentirmi a disagio con la mia tenuta da lavoro.
Mi feci coraggio e salii gli scalini, ma cercai con lo sguardo dei cartelli che mi indicassero dovrei avrei potuto trovare una segreteria o un ufficio a cui rivolgermi affinché le paste fossero consegnate al diretto interessato. Non vedendo nulla di simile e non volendo perdere ulteriore tempo, cercai di prendere il cellulare per chiamare Sean in mio aiuto.
Sussultai quando una figura bassa e tozza mi si parò di fronte. Sembrava incredibilmente fuori posto in quell’ambiente tanto sfarzoso, ma doveva trattarsi dell’inserviente, poiché indossava abiti da lavoro. L’uomo doveva essere sulla settantina a giudicare dalle rughe e dalla pelle raggrinzita. Sulla sommità del capo aveva capelli stopposi e brizzolati che gli arrivavano alle spalle, la barba incolta e lunghe basette. Tutto ciò gli conferiva un aspetto rozzo.  Mi scrutò in maniera ostile e sembrò fiutare ciò che tenevo tra le braccia, a giudicare da come dilatò le narici. “Non sono ammessi estranei in quest’Accademia”. Mi abbaiò contro con voce gracchiante.
Restai a debita distanza per evitare che mi sputacchiasse addosso mentre parlava. “Buongiorno”, cercai di rabbonirlo con un sorriso. “Dovrei consegnare questo vassoio a uno degli studenti, dopodiché toglierò immediatamente il disturbo”.
“Quale studente?”. Domandò in tono sospettoso, quasi temesse che fossi una stalker squinternata o un’infiltrata speciale sotto copertura.
Mi morsi il labbro. Eppure avrei dovuto ricordare il suo cognome. “Tom”, balbettai. “Tom e qualcosa”. Cercai di darne una descrizione fisica dettagliata, ma l’uomo di fronte a me non cambiò espressione. Sospirai. “Mi lasci entrare: lo rintraccerò con l’aiuto di un mio amico e me ne andrò subito dopo aver consegnato il vassoio”, proposi in tono ragionevole.
L’uomo strinse le braccia al petto, tutt’altro che convinto.  Mi morsi il labbro inferiore, guardandomi attorno nella speranza che qualcuno comparisse: Sean, Tom o persino la sua ragazza se necessario.
“Lei non può restare qui”, berciò nuovamente.
“La prego, rischio il mio lavoro se non consegno questo vassoio”, cercai di dissuaderlo in tono implorante. Non potevo davvero arrendermi a quel punto.
“Ma che buon profumino”, mi riscossi all’udire una voce allegra e pimpante. Mi volsi verso un uomo anziano. Aveva una lunga barba bianca, un sorriso raggiante che si sarebbe perfettamente abbinato a un biglietto natalizio e brillanti occhi azzurri, dietro gli occhiali. Guardò da me all’inserviente con un sorriso. “C’è qualche problema con questa signorina, Argus?”.
Il suddetto Argus parve persino imbronciarsi maggiormente all’intervento del nuovo arrivato. “Un’intrusa, Signor Preside, sta cercando di intrufolarsi per non so quale motivo!”.
Scossi il capo, ma mi rivolsi al Preside con espressione di scuse. “Non volevo creare tutto questo trambusto”, mi schermii con un sorriso. “Dovrei consegnare queste paste a uno dei suoi studenti, ma sfortunatamente non so dove rintracciarlo”.
L’uomo mi sorrise e annuì. “Dobbiamo lasciarla passare, Argus. Non possiamo certo permettere che queste delizie si raffreddino”.
Gli sorrisi colma di gratitudine, ma prima che potessi avanzare, allungò una mano verso l’involucro. “Posso?”, mi domandò in tono così bonario e goloso che non potei che sorridergli. Mi stava istintivamente simpatico soltanto per quelle sembianze da Santa Claus.
“Ma certo, si serva pure”, sollevai delicatamente un lembo dell’involucro e l’uomo scelse una delle paste più grandi.
 “Mmm”, la gustò con sguardo raggiante.  “Il vecchio Tom sa il fatto suo in fatto di ristorazione[12]”, lo sentii commentare, dopo aver letto il nome del pub.
“Lei lo conosce?”, domandai sorpresa da quella familiarità con il suo nome.
“Certamente”, mi sorrise con aria bonaria. “Sono stato un suo insegnante, ma tanto tempo fa. Era il mio pupillo nonché uno degli studenti migliori di questa Accademia, ma ahimè è passato tantissimo tempo”, soggiunse e parve intristirsi al pensiero.
Riddle un promettente attore?! Non vedevo l’ora di tornare al pub per raccontarlo ad Amy. Il Signor Riddle era un uomo incredibilmente discreto, tanto che nessuno conosceva alcunché della sua vita privata ma c’erano infinite speculazioni sul suo conto. Smith, ad esempio, asseriva che la scorsa settimana aveva indossato per due giorni consecutivi lo stesso completo e che la giacca era impregnata di un profumo femminile. Dean Thomas, invece, giurava di averlo visto in un ristorante lussuoso dall’altra parte della città con una donna alta e affascinante che sembrava avere il portamento da modella.
“Purtroppo non posso restare a chiacchierare: ho una noiosissima riunione che mi attende. Grazie del nostro dolce incontro”, mi sorrise con aria complice, alludendo alla pasta e si allontanò.
“Non si intrufoli nelle aule”, mi minacciò l’inserviente, lasciandomi finalmente passare.
“Le assicuro che sono impaziente quanto lei di andarmene”, sospirai per risposta e mi confusi tra gli studenti. Stavo per comporre finalmente il numero di Sean, quando il vassoio mi fu letteralmente strappato dalle mani da Tom in persona. Indossava un completo scuro, con tanto di cravatta.
“Finalmente ce l’hai fatta”, commentò con espressione stoicamente sorpresa. “Pensavo che Gazza avrebbe chiamato la sorveglianza”.
Sbiancai. “Se hai visto che ero in difficoltà perché diavolo non-”. Mi sovvennero le parole di Morgana e scossi il capo, sollevando le mani come se con quel gesto volessi ricordare a me stessa di dover mantenere la calma. “Non importa. Ad ogni modo questa è la tua consegna”.
 “Bene”. Sollevò la carta per poi osservare le sue paste con lo stesso fare analitico con cui aveva osservato le tazze di the. “Anche se in ritardo”. Precisò dopo aver controllato l’ora con un gesto enfatico.
Sospirai ma cercai di controllare la risposta acida che mi era sovvenuta in mente, sottolineando che sarei giunta in orario se lui si fosse fatto trovare all’ingresso, anziché costringermi a entrare e a cercarlo tra centinaia di sconosciuti.
Inarcò le sopracciglia alla mia mancata risposta, ma si strinse nelle spalle. “Quanto ti devo?”.
Gli porsi lo scontrino stampato e lui mi consegnò una banconota dal taglio di cinquanta sterline che mi fece sollevare gli occhi al cielo.
Posata, mi aveva suggerito Morgana. Quindi contai mentalmente fino a dieci e mi costrinsi a sorridergli con aria affabile. “Ti ho consegnato un vassoio di paste, non uno scaffale di bibite”, gli feci notare in tono paziente. “Non ho abbastanza contante per darti il resto”.
 “Ah”, si finse teatralmente sorpreso dalla mia risposta.  Non poteva essere così stupido da pensare che Riddle mi avrebbe consegnato il contenuto della cassa, ragion per cui si trattava dell’ennesimo espediente per crearmi fastidio. Scrollò le spalle. “Vorrà dire che passerò più tardi al bar per pagare”.
Dunque era questo il suo scopo? Una scusa legittima per disturbarmi anche di pomeriggio?
Al solo pensiero di rivederlo, dal momento che sarei stata di turno fino alla sera, una delle mie palpebre cominciò a tremare in un evidente sintomo di nervosismo.
Professionale, sentii nella mia mente la voce di Morgana. Annuii tra me e me, come se stessi ancora dialogando con lei.
“Oh, non c'è bisogno”. Gli sorrisi con aria comprensiva che lo lasciò interdetto. Tuttavia, repentinamente, un sorriso più beffardo gli increspò le labbra e lo sguardo parve scintillare. “Mi stai dicendo che queste le offri tu?”. Aveva parlato strascicando lentamente le parole, carezzandole con voce vellutata, probabilmente una delle sue tecniche di rimorchio più collaudate. Peccato che a me ricordasse una serpe con il diabolico intento di stordire la sua vittima, prima di infliggerle il morso letale o stritolarla tra le proprie spire.
 “No”, risposi altrettanto tranquillamente, ma riprendendomi il vassoio. Modulai la mai voce per recitare, con tutta la passione possibile, uno dei motti preferiti del mio capo. “Niente pagamento, niente consegna”.
Aggrottò le sopracciglia e questa volta mi guardò come se pensasse che avessi qualche problema cognitivo. “Mai sentito parlare di credito? Sono sicuro che il tuo capo non voglia perdere un cliente come me”.
Mi strinsi nelle spalle. “Certamente non vorrebbe che tornassi al pub senza i soldi che mi devi e, dopotutto, perché dovremmo fidarci di te?”, gli feci notare con il voluto intento di infastidirlo per simile zelo encomiabile.
“Vorresti sprecare quelle paste per ripicca personale?”.
“Non lo farei mai”, commentai in tono teatralmente sdegnato a simile accusa. “Piuttosto le mangerò io stessa o le regalerò al Preside. Me le farò detrarre dallo stipendio e riferirò al Signor Riddle che hai cambiato idea sulle tue ordinazioni mattutine”.
“Non oseresti”. Sembrò sfidarmi con cipiglio altezzoso e un lieve raggrinzire del naso che alimentò quel malsano desiderio di vendetta.  
Lo guardai dritto negli occhi mentre, con un movimento fluido, scoprivo le paste. Scelsi una delle più appetitose e la sollevai in sua direzione. “A differenza della tua ragazza, io non mi preoccupo della dieta”, gli feci presente.
Professionale, sentii nuovamente la voce della mia amica, ma questa volta me la immaginavo con espressione rassegnata, mentre mi guardava fare tutto il contrario di quanto mi aveva suggerito. Non mi stavo dimostrando abbastanza distaccata, ma stavo facendo il suo gioco e abbassandomi al suo livello. Quasi volendo coprire il suono dei miei pensieri, morsi la pasta con sincera delizia che mi fece mugugnare.
“Oh, lo vedo”, fu il commento di risposta. La soddisfazione per quel gesto puerile lasciò spazio alla confusione quando mi resi conto di quale sguardo mi stava rivolgendo. Sembrava quasi che io avessi compiuto qualcosa di vagamente “sexy” che ne aveva fatto inarcare le sopracciglia con espressione allusiva e un sorrisetto provocatorio che mi fece quasi strozzare.
Inclinò il viso di un lato e mi dedicò un lento e accurato scrutinio che mi fece quasi sentire volgare, tanto da indurmi a indietreggiare, come se mi sentissi in pericolo.
“Stai insinuando che sono grassa?”, domandai vagamente piccata.
Contorse le labbra e sembrò trattenere a stento un moto di ilarità, ma affondò le mani nelle tasche dei pantaloni e assunse un’espressione fintamente pensierosa. Lo sguardo emanò uno scintillio più vispo. “Personalmente non mi dispiacciono le curve morbide”. La sua voce carezzevole e setosa sembrò solleticarmi i timpani mentre le guance si pitturavano di mero imbarazzo. Il suo sguardo indugiò sui miei fianchi e un verso strozzato di indignazione mi sgorgò dalle labbra. Indietreggiai, fino a quando non sentii il contatto con la parete alle mie spalle e mi sentii letteralmente in trappola. Non solo fisicamente.
Tom sollevò lentamente una mano e mi sfiorò uno zigomo con un lieve movimento dell’indice. Se lo portò alle labbra e le schiuse per assaggiare lo zucchero a velo che aveva preso dal mio viso. Se le umettò ed emise un mugugno di piacere che mi fece letteralmente perdere il conto dei miei battiti e scorrere un brivido inspiegabile lungo la spina dorsale.
“Niente male”. Sussurrò, ma guardandomi così intensamente che si sarebbe potuto sospettare che alludesse a ben altro.  
Mi resi vagamente conto che quel teatrino che avevamo improvvisato era tutt’altro che privato a giudicare dagli sguardi curiosi, perplessi e taluni persino scandalizzati che avevamo attirato. In particolare due gemelle dai lineamenti indiani[13] mi stavano scrutando, parlottando tra loro con aria di evidente disapprovazione. Mi scostai dalla parete, allontanando Tom con un gesto secco e mi volsi alle due ragazze in questione. “Che cosa avete da guardare? Volete anche voi delle paste?”, domandai in tono risentito, volgendomi in loro direzione come a volerle offrire.
Sentii la pressione improvvisa della mano di Tom sul mio braccio. Mi fissò con aria incredula. Quell’alone sensuale era scomparso repentinamente. “Ci tieni così tanto ad essere licenziata?”.
Con un tempismo degno di una commedia romantica la campanella suonò e gli alunni cominciarono a muoversi verso le rispettive classi.
Mi liberai con uno strattone. “Schifoso ipocrita!”, lo additai con espressione disgustata. “Hai fatto di tutto per farmi perdere il controllo e sfigurare, anche se era solo il mio primo giorno di lavoro”.
Tom ebbe la compiacenza di fingersi sorpreso dalla mia accusa. “Che razza di ingrata!”, commentò in tono stizzito. “Ovviamente era tutto pensato per farti fare bella figura”, mentì spudoratamente, guardandomi negli occhi. L’espressione si ammorbidì e reclinò il viso di un lato. “Anzi, a ben pensarci, dovresti ringraziarmi”, mi fece presente, rivolgendomi nuovamente quello sguardo a suo dire seduttivo.
Che cosa?!”, la mia voce sembrò riecheggiare in quell’ampio atrio.
Al diavolo! Osservai la pasta che tenevo ancora tra le mani e reclinai leggermente il braccio, guardandolo minacciosamente, quasi stessi trattenendo tra le mani un ordigno esplosivo.
Inarcò le sopracciglia e strinse le braccia al petto con aria di sfida. “Non lo farei, se fossi in te”.
Sorrisi per risposta, del tutto incurante della mia razionalità e di tutto ciò che normalmente avrei etichettato come “giusto” o “sbagliato”. Flettei il braccio all’indietro per avere maggiore slancio e lanciai la pasta. Tom, dando prova di ottimi riflessi, si scostò di lato e il dolcetto si infranse contro la camicia di un uomo.
Sgranai gli occhi e gemetti mentre il povero malcapitato scrutava l’alone che si era creato sul tessuto candido fino a pochi secondi prima. Era un uomo sui quarant'anni seppure i capelli castani fossero già striati di grigio e aveva una certa eleganza, nonostante il completo sembrasse piuttosto trasandato e fuori moda.  Mantenne la calma, seppur la sua espressione ne tradisse l’incredulità. Era ragionevole pensare che non fosse un evento quotidiano e dovevo realmente ringraziare il cielo che l’inserviente non fosse nei paraggi o molto probabilmente mi avrebbe fatto scortare fuori e poi emettere un’ordinanza restrittiva che mi impedisse di entrare nuovamente. Senza contare le spese della tintoria che avrei dovuto rimborsare personalmente all’uomo.
“Felton, che cosa sta succedendo?”. Domandò, in tono pacato.
Tom, con mio grande scorno, stava sogghignando tra sé e sé con aria palesemente soddisfatta. Neppure nelle sue fantasie più idilliache doveva aver immaginato di giungere a quel risultato. Con mia sorpresa, si rivolse all’uomo con espressione altezzosa ed incurante. O era maleducato con tutti, persino con il corpo docente, oppure quell’uomo, per qualche arcano motivo, non si avvaleva del suo rispetto. “Nulla di particolare, professor Lupin”. Rispose con uno scrollo di spalle. Non potei fare a meno di notare una nota di sarcasmo nel chiamarlo “professore”.  
Io invece mi affrettai ad avanzare in sua direzione e a porgergli una salvietta di carta. “Mi dispiace veramente tanto”, mormorai con le guance colorate di imbarazzo. “So che non avrei mai dovuto lanciare del cibo, ma in ogni caso era destinato a qualcun altro”, soggiunsi e scoccai un’occhiataccia a Tom che sembrava persino più divertito. Notai che non dava alcun adito a volersi a sua volta scusare.
L’uomo non parve particolarmente interessato alle mie scuse. Mi studiò per un lungo istante con sguardo attento e neppure sembrava curarsi della macchia sulla camicia. Al contrario, inclinò il viso di un lato e mi osservò con le sopracciglia inarcate. “Lei sarebbe...?”.
“Una cameriera”.  Intervenne il ragazzo con voce suadente. “Ha qualche problema ad accettare il suo ruolo, per non parlare della sua pessima gestione della rabbia”, spiegò in tono mellifluo.
Mi volsi in sua direzione con il volto trasfigurato dalla stizza. “Tutto questo non sarebbe successo se tu non fossi…”, mi trattenni a stento dal rivolgergli un epiteto che peggiorasse ulteriormente la mia posizione. “Se tu non fossi semplicemente tu”, conclusi come se ciò riassumesse tutto quanto.
Tom sospirò con aria fintamente stoica, rivolgendosi all’adulto con uno scuotimento del capo. “Stavo solo cercando di aiutarla ad ambientarsi, sa”.
Maledettissimo stronzo, narcisista, psicopatico e bastardo”, lo insultai nella mia lingua madre, pronunciando quelle parole quasi senza prendere fiato. Tom esibì un’espressione volutamente sorpresa e io flettei il braccio all’indietro per dargli uno schiaffo. “Vieni qui, che ti do’ il resto”, aggiunsi in inglese.
Questa volta fu l’uomo a fermarmi. “Basta!”, ci interruppe in tono risoluto, guardando dall’uno all’altra. “Vi siete già resi abbastanza ridicoli. Adesso seguitemi, nell’ufficio del preside”.
“Cosa?!” Sbottammo entrambi in risposta e l'uomo annuì.
“Entrambi”, ordinò con voce enfatica, indicandoci la rampa di scale che avremmo dovuto salire.
“Ma io neanche la frequento questa Accademia”, commentai in tono incredulo. “Le rimborserò personalmente la tintoria, ma mi lasci tornare al lavoro: non volevo neppure entrarci qui dentro!”, conclusi con voce quasi strozzata.
“Ma non può punirmi per colpa di una cameriera!”.
Notando che le nostre lamentele non sortivano alcun effetto, ci voltammo l’uno verso l’altra: “E’ tutta colpa tua!”, ci additammo in tono rabbioso. “Mia?!”.
L'uomo sospirò con aria flemmatica, prima di mettersi in mezzo a noi e trascinarci entrambi per un braccio. Tuttavia il suo volto non appariva rabbioso e neppure impaziente. Vi era un sorriso a increspargli le labbra. E non uno qualsiasi, avrei realizzato da lì a poco. Era il sorriso di chi aveva appena trovato la risposta ai propri problemi.
 
To be continued…
 
25 Giugno 2018
Buon lunedì a tutti, 
spero di aver potuto umilmente contribuire a rendere piacevole questo esordio settimana. 
In questo capitolo rispetto alla prima versione ci sono stati dei cambiamenti relativi al fraseggio delle frasi e nella loro formulazione per rendere la lettura più scorrevole e il riadattamento di qualche battuta per renderla più attuale o aumentare l'effetto comico (o almeno l'intenzione era quella ;)). Sto riscontrando diversi difetti nel mio modo di scrivere di qualche anno fa che ci tengo a correggere di capitolo in capitolo. Ho voluto aggiungere dei dettagli per arricchire la storia di Amy e del suo trasferimento in Scozia e del tutto modificato la scena del rientro di Sara dal suo primo e disastroso giorno di lavoro con la successiva discussione con la sua coinquilina. 
Chiedo ancora scusa per il disagio che si potrebbe creare per chi avesse iniziato la storia soltanto adesso o per chi volesse rileggerla rispetto all'originale. Cercherò di revisionarla al più presto possibile. Non ho voluto cancellare interamente la storia e ripostarla per riguardo alle persone che avevano lasciato una recensione e avevano inserito questa storia tra i preferiti o tra le storie da ricordare. 
Buona settimana a tutti :)
 
30 Ottobre 2018
Nella seconda revisione di questo capitolo mi sono limitata ad aggiungere qualche spezzone dedicato all’organizzazione dello staff della Camera dei Segreti, aggiungendo diverse comparse prese dai libri di Harry Potter e dal cast di Merlin. Ho aggiunto qualche spunto comico con protagonista il proprietario del pub e corretto qualche lapsus o riformulato qualche frase :)
Grazie dell’attenzione e al prossimo capitolo,
 
Kiki87

 
 
[1] Sicuramente all’epoca in cui pubblicai questo racconto il valore del cambio era inferiore, ma ho voluto aggiornare anche questo dettaglio :)
[2] Per la descrizione del bar mi ero avvalsa delle informazioni che avevo letto su un sito internet. Purtroppo non ho più quel riferimento, così non posso fornirvi il link. Riguardo le regole sul consumo degli alcoli ho trovato informazioni qui  e qui
[3] Si tratta degli attori che hanno interpretato dei Cavalieri in “Merlin”. Sono rispettivamente gli interpreti di Galvano, Parsifal e Lancillotto.
[4] Nel racconto è Amy che fa da mentore  al mio alter ego :D Nella realtà è stata la stessa Evil Queen a suggerirmi questa idea che poi tornerà utile più avanti per una scenetta comica ;)
[5] Protagonista della bellissima serie fantasy e poliziesca iZombie. Come suggerisce il titolo stesso, si tratta proprio di una zombie :D
[6] Molto diffusi nel mondo anglosassone, si tratta di focaccine con cui spesso prendono il the: sono poco zuccherate ma vi spalmano spesso sopra del burro o della marmellata. Talvolta sono arricchite con frutta secca o da altri ingredienti, a seconda dei gusti personale e, presumo, delle tradizioni locali. In foto, vedete un esempio.  
[7] Lo shortbread è un tipico biscotto scozzese, tradizionalmente prepararto con una parte di zucchero, due di burro, tre di farina d'avena e altri ingredienti. Potete vedere una foto qui. 
[8] Si allude a una scena tratta dal V episodio di “Star Wars”, quando Darth Vader, esasperato dai fallimenti dell’ammiraglio al suo servizio, lo strozza con l’uso della Forza, attraverso una schermata video. Se volete rivedere questo aneddoto vi lascio il link
[9] Avevo promesso alla mia amica che, data la presenza di Morgana e altri personaggi di Merlin con i quali Tom Ellis ha lavorato in passato, avrei cercato un modo di inserirlo nella fanfiction :D Beh, l’idea mi è venuta del tutto spontanea dopo aver visto un episodio della serie tv “Lucifer” e dopo aver riletto questa battuta sull’inferno :D
[10] La traduzione è “uno stronzo” :D
[11] Perdonatemi ma le descrizioni degli edifici non sono davvero il mio forte :D Ad ogni modo ecco qui una foto dell’Accademia. 
[12] Come avrete intuito si tratta di Albus Silente al quale ho lasciato il ruolo di Direttore scolastico :)
[13] Le due ragazze sono le gemelle Padma e Calì Patil, tratte anche loro dall’universo di Harry Potter.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


3
 
Arrivai al pub in netto anticipo: avevo deciso di non tornare a casa per pranzo. Dopo ciò che era avvenuto quella mattina al Conservatorio, avevo sentito il bisogno di raccogliere le idee, ma avevo ancora la netta sensazione di star vivendo in una sorta di sogno a occhi aperti. Mi sentivo ancora frastornata e sotto shock poiché, dopo aver lanciato involontariamente una pasta contro il Professor Lupin, gli eventi avevano assunto una piega ancora più incredibile. Una parte di me si sentiva lusingata e compiaciuta, ma in quel momento predominavano il puro terrore e la voglia di prenotare un biglietto aereo per l’Italia e scappare senza più guardarmi alle spalle.
Tutto questo non ha alcun senso.
Avevo davvero bisogno di lavorare e dedicarmi a dei perfetti sconosciuti, compiendo gesti abituali e di mera routine.
O quasi.
“Sara!”, sussurrò Amy in mia direzione, battendo il piede per attirare la mia attenzione. Mi indicò con un cenno della testa la bottiglia di whisky che tenevo tra le mani e che stavo per usare erroneamente per macchiare il caffè.
No, decisamente non ero ancora tornata del tutto in me. Sbattei le palpebre e osservai la bottiglia che tenevo tra le mani.  “Grazie, ti devo un altro grandissimo favore”, mormorai.  La riposi sul bancone e presi il bricco del latte per versarne una discreta quantità nel caffè della cliente.
Fortunatamente Riddle non era nei paraggi. Doveva aver convenuto che, dopo aver passato incolume il primo giorno di lavoro, avrebbe sì continuato a osservarmi, ma a una maggiore distanza o incaricando il famigerato Percy di sostituirlo, quando doveva uscire per delle commissioni legate al pub o ritirarsi nel suo ufficio per altre incombenze burocratiche. Seppur il ragazzo per stazza e per aspetto non incutesse lo stesso timore di Riddle, il modo petulante di parlare e il suo sguardo severo, da dietro gli occhialini, erano decisamente odiosi. Poco prima mi aveva ammonito perché non indossavo il fermacravatta e si era persino trascritto un appunto. Non avevo dubbi che avrebbe riportato anche quel dettaglio. Amy aveva scosso il capo all’indirizzo di Percy ma mi aveva sorriso. “Riddle lo ha scelto per farti sentire ancora sotto pressione vista la sua reputazione, ma lui per primo detesta chi fa la spia e tiene in considerazione 1 critica su 10 di quelle che gli espone quello stronzo. Ma di certo non ha mai licenziato nessuno per il fermacravatta”, aveva aggiunto con un ammiccamento.
Mi rimproverai silenziosamente: dovevo imparare a lasciare i miei pensieri al di fuori di quella porta o rischiavo guai grossi a prescindere dalla presenza o meno di qualcuno che mi controllasse.
“Tutto bene?”. Mi domandò la ragazza con sincera gentilezza, sempre parlando in tono moderato affinché Percy non venisse a rimproverarci, nonostante non ci fossero clienti in fila in quel momento. “Sei pensierosa da quando sei arrivata. Hai avuto dei problemi per la consegna al tuo futuro marito?”, mi domandò in tono scherzoso.
Al nomignolo raggrinzii il naso in una smorfia, ma mi premunii a mia volta di parlare piano. “Superfluo dire che si è fatto cercare in lungo e largo, prima di palesarsi. L’inserviente neanche voleva farmi entrare, neppure avessi cercato di fare irruzione a Buckingham Palace con un ordigno esplosivo!”, raccontai in tono evidentemente polemico. Le avrei anche raccontato degli eventi successivi, se non fossimo state interrotte dall’arrivo degli altri clienti. Forse così facendo sarei riuscita a metabolizzare ciò che era accaduto e renderlo più reale. O forse avrei finito con il farmi scoppiare la testa.
“Perché non vai a sparecchiare e a pulire i tavoli? Sto io al bancone per un po’”.  Mi propose dopo quasi un’ora di intenso lavoro, quando il pub era quasi vuoto e molti tavoli avevano bisogno di essere riordinati per accogliere nuovi clienti.
Annuii con un sorriso. Trovavo particolarmente rilassante potermi dedicare a quel genere di mansione.
“Strofina in senso orario e poi in quello antiorario!”, mi illustrò Percy che mi strappò letteralmente lo strofinaccio di mano per mostrarmi la sua “tecnica”. Mi morsi le labbra: avevo la sensazione che sopportare quell’individuo facesse parte implicitamente dell’esame di Riddle. Dopotutto aveva specificato che era importante sapersi relazionare anche coi colleghi. Mi lasciò provare e finalmente si allontanò, mentre io sollevavo gli occhi al cielo. Spruzzai un po' di disinfettante e presi a strofinare con fervore, cercando di annullare i pensieri. Il brusio di sottofondo delle chiacchiere dei clienti e il rumore delle posate sembrarono avvolgermi piacevolmente.
“Mi scusi,  è libero questo tavolo?”. Alzai lo sguardo e mi ritrovai faccia a faccia con un ragazzo dinoccolato e dai fiammanti capelli rossi.
“Ma certo, si accomodi”, gli sorrisi e mi scansai per dedicarmi alla postazione vicina. Se la memoria non mi ingannava, si trattava proprio dell’amico di Daniel. Gettai uno sguardo al bancone e sorrisi quando ne scorsi la sagoma. Era in fila e in attesa di essere servito.
Mi interruppi dal mio lavoro di pulizia per osservare la mia collega che, al momento, non aveva ancora scorto la fonte del suo interesse poiché si stava occupando di altri clienti nell'area dedicata ai pasticcini. Nel momento in cui gettò un'occhiata all'estremità del bancone, le sue gote si pitturarono di un delicato color ciliegia che sembrò estendersi anche alle orecchie.  Mi parve quasi di avvertire l'irrigidimento involontario della sua spina dorsale e il pulsare frenetico del suo cuore.
Tornai a sfregare e a pulire ma gettavo di tanto in tanto occhiate alla giovane mentre cercava di comportarsi in modo del tutto naturale.  Atteggiamento credibile, se non fosse stato per delle piccole distrazioni e per il  modo goffo con cui aveva urtato contro Neville che sembrava avere un talento naturale nel comparire nei momenti peggiori.
Sembrava incredibile che una ragazza così briosa e vivace, così allegra e vitale potesse nascondere un lato così timido e vulnerabile. Il pensiero mi fece sorridere con un moto di tenerezza. Anche se non volevo ammetterlo apertamente, ero un’inguaribile romantica. Non tutti sembravano pensarla come me tuttavia. “Signorina!”, l’aveva richiamata Riddle in persona, appena rientrato da una commissione. “Vuole sabotare la già pessima posizione di Paciock in classifica o imitarlo?”, le domandò con voce simile a un sibilo. “10 punti in meno! E lei, Paciock, sparisca dalla mia vista o gliene toglierò 20”.
“Mi scusi, Signor Riddle!”, mormorò la ragazza e questa volta il rossore fu di imbarazzo, mentre Neville si affrettava a rientrare in cucina dopo aver balbettato delle scuse.
Riddle sospirò, ma mi passò di fronte senza rivolgermi parola, modificò il punteggio di Amy sul tabellone e si diresse verso il suo ufficio. Percy gli trotterellava alle spalle con il taccuino tra le mani. Con mia somma soddisfazione, il nostro capo lo fulminò con lo sguardo. “Fuori dai piedi, Rankin, è quasi l’ora del the! Di’ alla Signora Weasley di portarmelo in ufficio!”, tuonò e si sbatté l’uscio alle spalle, facendo sussultare tutti i presenti.
Evidentemente non ero l’unica ad aver avuto una pessima giornata fino a quel momento.
Tornai alla mia postazione quando ormai Daniel si era accomodato con il suo inseparabile amico. Amy si era appoggiata con i gomiti sulla superficie del bancone, come il giorno prima.  
Tossicchiai  con lieve enfasi per attirarne l’attenzione. Trasalì e si volse in mia direzione. Quella traccia di rossore si era mitigata ma aveva ancora lo sguardo vacuo, come se avesse sognato a occhi aperti. “Hai detto qualcosa?”, mi domandò, dopo essersi schiarita la gola per rendere la voce meno rauca. Si era anche drizzata come a voler recuperare la sua naturale compostezza.
Scrollai le spalle e le sorrisi. “Non servono parole in certi casi”. Commentai in risposta, parlando in tono basso e complice, nella nostra lingua madre per evitare che orecchie indiscrete potessero intromettersi. “O forse ne basta solo una”, allusi al giovane con un cenno del mento, premunendomi naturalmente di non guardare in quella direzione.
Scosse il capo, come se si stesse rimproverando di mostrare quella sfaccettatura più insicura del suo carattere. Sembrò dover raccogliere le parole, prima di dar voce ai propri pensieri.
“Lui è così favoloso[1]”, carezzò con enfasi quella parola. Sospirò e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi in un gesto di resa. “Io invece sono così goffa quando lo vedo”. Si rimproverò con tono scoraggiato.
Daniel, nel frattempo, stava continuando a parlare con il suo amico come nulla fosse. Evidentemente non aveva alcuna idea di essere l’oggetto di quella conversazione. E tanto meno dei pensieri della mia nuova amica.
Le sorrisi più dolcemente e cercai di attenuarne la preoccupazione. “Non rimproverarti troppo: per fortuna ieri Neville ha sbattuto la porta in faccia a me”, convenni in un bonario commento sul pessimo tempismo del nostro collega. “Per quanto cerchiamo di essere sempre razionali e perfettamente in controllo della situazione, penso che sia bello avere qualcuno che ci faccia esattamente l’effetto opposto”, mormorai, nel tentativo di attenuare il suo rammarico.
Si confidò con la medesima delicatezza che mi fece intuire che, nonostante le apparenze calorose e vivaci, fosse una persona molto più riservata di quanto avessi pensato di primo acchito. Ragione per cui avrei cercato di fare del mio meglio per ringraziarla nel tempo della sua fiducia e mostrarle che non era stata mal riposta.  Daniel era stato uno dei suoi primi clienti ed era uno degli habitué del pub, nonostante Riddle non sembrasse avere una particolare predilezione per lui. O forse era colpa di Nagini e del suo sesto senso.  Ascoltandone le parole, compresi che si trattava di un’infatuazione molto profonda da parte sua. Inizialmente era apparsa come una mera attrazione, ma dal modo in cui sapeva descriverne le abitudini o il baluginio di quegli occhi azzurri quando rideva, ebbi conferma della mia supposizione. Quell’interesse era stato covato segretamente nel tempo e, malgrado la sua assoluta volontà di trattenerlo gelosamente, sembrava continuare a crescere nei suoi sogni ad occhi aperti e in quel dolce tremito al cuore, ogni volta che entrava nel pub. 
Mi ritrovai a sorridere quando ne scorsi lo sguardo addolcito al saluto di Daniel. Quel suo stato d’animo mi scaldò il cuore all’idea che l’amore potesse assumere quelle sfumature più dolci. Proprio come in quei romanzi che rileggevo periodicamente e nei quali sembravo cercare una rassicurazione sul mio futuro.  Un giorno, mi dicevo, avrei provato qualcosa di simile per qualcuno. E forse, in quel caso, avrei avuto la certezza che non fosse un sentimento unilaterale.
 
~
Era quasi ora di cena quando mi richiusi la porta dell'appartamento alle spalle. Per fortuna quel giorno mi era stato risparmiato il turno di chiusura, anche se l’indomani avrei dovuto effettuare nuovamente la consegna mattutina a Tom. Scossi il capo, decidendo di non rovinarmi la serata al pensiero. Il lasso di tempo dal risveglio alla consegna era più che sufficiente e più di quanto quello stronzetto meritasse.
“Sono a casa”, mi annunciai.
“Bentornata, siamo in cucina”, annunciò la voce di Morgana. Incuriosita dall’uso del plurale, mi diressi in quella direzione e sorrisi quando vidi Sean seduto al tavolo con lei. Di fronte a loro vi erano due tazze ormai vuote e degli scones che avevo portato ieri dal lavoro. 
“Ciao ragazzi”. Li salutai con un sorriso.
“Vuoi anche tu del the o preferisci una tazza di cioccolata?”, mi domandò Morgana premurosamente.
“Stai comoda, faccio da sola”, feci un cenno con la mano affinché non si alzasse e le rivolsi un sorriso, quasi a dirle implicitamente che andava tutto bene. Quel mattino mi aveva mandato un messaggio per chiedermi della mia consegna mattutina e mi ero limitata a una rapida risposta vocale. Le avevo raccontato per sommi capi che, nonostante l’atteggiamento strafottente di Tom, ero riuscita ad affrontarlo. Non avevo precisato che poi, in realtà, le paste le aveva mangiate qualcun altro. E avevo anche omesso il dettaglio del pasticcino lanciato contro di lui perché avrei preferito parlarne di persona. O non parlarne affatto.
 “Come va con  lavoro?”, mi chiese Sean con un sorriso. “Potrei venire a farti un saluto di quando in quando, sempre che non ti metta in difficoltà”, soggiunse con quella sua tipica premura che mi strappò uno sguardo intenerito. Adoravo quel ragazzo: a mio parere aveva la naturale dote di riuscire a far tornare il buon umore a chiunque e solo per la sua gentilezza e il suo calore. 
“Sei sempre il benvenuto”, specificai e mi chinai a lasciargli un bacio di saluto. “Comunque non preoccuparti: la Camera dei Segreti è sempre lì e io pure”. Aggiunsi in tono enfatico.
Gettai poi di sottecchi un’occhiata complice alla mia amica che mi riservò un sorriso più sornione che mi fece comprendere che doveva aver particolarmente gradito quella visita a sorpresa. E che, superfluo dirlo, non aveva avuto alcun problema a intrattenerlo in attesa del mio rientro. Chissà da quanto tempo Sean si trovava lì, mi domandai tra me e me.
Mi diressi verso il frigo e presi il necessario per prepararmi la mia rituale tazza di cioccolata. Stavo giusto mescolando cacao in polvere e latte quando mi resi conto dell’improvviso silenzio che era sceso alle mie spalle. Solo in quel momento mi si affacciò alla mente il sospetto che stessero parlando di me. E di ciò che era successo quella mattina all’Accademia. Naturalmente una parte di me non vedeva l’ora di tornare a casa per raccontare tutto a Morgana, anche se ciò significava dover ammettere di non averne seguito i consigli sul mio modo di interagire con Tom. Che la presenza di Sean non fosse stata una mera visita di cortesia? Provai a guardare in loro direzione con la vista periferica ed ebbi l’impressione che si stessero scambiando qualche sguardo confuso.
Sto diventando paranoica. Scossi la testa tra me e me e mi concentrai a mescolare fino a ottenere una miscela densa e profumata. Dopo pochi minuti presi posto di fronte a loro. Ancora una volta, a distanza di un giorno dal colloquio con Mrs Umbridge, ebbi l’impressione di essere una studentessa mandata nell’ufficio del preside. Beh, teoricamente era davvero successo, mi corressi tra me e me con uno scuotimento del capo.
Mi riscossi quando Morgana mi chiamò per nome e volsi lo sguardo in sua direzione.
Mi stava studiando attentamente e i suoi occhi mi osservavano con tale intensità che sembrava quasi volermi ipnotizzare. “E’ davvero andato tutto bene questa mattina, quando hai consegnato le paste a Tom?”.
Alla menzione del suo amico, Sean era parso agitarsi sulla sua sedia, quasi si sentisse inevitabilmente a disagio. Si passò una mano tra i capelli e scosse il capo. “Morgana mi ha raccontato di ieri”, mi confessò. “Sara, davvero, non so in quale lingua dovrei scusarmi”, ammise con espressione così stoica da somigliare a un genitore che parli del figlio indisciplinato.
Scossi il capo e gli sorrisi. “Sean, tu non hai alcuna colpa di quello che è successo”, mi strinsi nelle spalle e Morgana annuì come a rincarare la dose. “E’ solo che francamente non capisco cosa tu abbia a che spartire con una persona così amabile”, scandii quella parola in tono volutamente ironico.
“Per non essere volgari in tua presenza”, rimarcò Morgana, strappandogli una risata.
“Credetemi, non passa giorno senza che io me lo domandi”, commentò con uno scuotimento del capo, prima di tornare a guardarmi. “In realtà, Morgana e io ci stavamo riferendo a quello che è successo dopo che tu hai consegnato le paste”, ammise Sean con voce più esitante.
Presi un lungo sorso di cioccolata per temporeggiare, ma infine mi appoggiai allo schienale della sedia e mi rivolsi a entrambi con un sospiro. “Immagino che non abbia senso fare finta di nulla o temporeggiare, vero?”, domandai.
Morgana annuì con aria saputa. “La mia idea era di farti l’interrogatorio non appena fossi entrata”, mi disse con quel sorriso più impudente. “Ma immaginavo che potesse essere un argomento un po’ tabù per te, visto che c’è Tom di mezzo”, rivelò con un sospiro. “Devo dedurre che quello che ci siamo dette ieri non è stato di grande aiuto?”, mi domandò senza tuttavia voler mortificarmi.
“Ci ho provato, davvero”, commentai con uno scuotimento del capo. “Ma se avessi immaginato che cosa sarebbe accaduto dopo…”, lasciai la frase in sospeso. Inarcai le sopracciglia e mi rivolsi a Sean. “Aspetta, ma tu lo sai già? Come è possibile? Era un colloquio privato tra me, Lupin, Silente, il suo vice e… ah, certo”. Quindi adesso non solo si divertiva a rendermi la vita un inferno, ma si permetteva persino di parlare di me al nostro amico. Di qualcosa che riguardava soprattutto me. E prima che io potessi dirglielo personalmente.
Scossi il capo e mi passai una mano tra i capelli: anche a distanza di ore ciò che era accaduto ed era stato detto durante quel colloquio, mi sembrava impossibile da credere.
Sentii Morgana stringermi la mano e rivolgermi un sorriso caloroso che si estese allo sguardo, acceso sì di curiosità ma anche di sincera premura. “Che ne dici di raccontarci tutto dall’inizio? Giuro che sto morendo dalla curiosità, ma penso che ti farebbe bene anche per capire che cosa fare”. Mi strinse più forte la mano. “Insomma, non riesco a credere che tu sia così calma: al posto tuo l’avrei già sbandierato su tutti i social alla faccia delle vecchie conoscenze! Quando mai capita una cosa del genere a una ragazza straniera? E soprattutto a una che non frequenta un’Accademia così esclusiva?!”.
La stessa domanda che ogni persona, nel pieno delle sue facoltà mentali, si sarebbe posta da quel pomeriggio in poi.
Perché lei? Cos'ha di speciale, lei? Chi è lei per meritare qualcosa di simile?
La stessa domanda che mi ero posta io stessa quando Lupin ci aveva condotto nell’ufficio del Preside.
 
 
Il Professor Lupin non aveva pronunciato parola, ma il suo sguardo sembrava sprizzare di mero entusiasmo. Dopo esser saliti dalla scalinata principale, ci immettemmo in un lungo corridoio. Dall’espressione incupita di Tom potei solo dedurre che stessimo davvero recandoci verso l’ufficio del Preside. Se non altro mi era sembrata una persona molto affabile e gentile. Ben altra sorte sarebbe stata trovarsi nuovamente di fronte al custode che sembrava aver provato per me un’antipatia personale al primo sguardo. Speravo con tutto il cuore che non sarebbe mai venuto a conoscenza dell’episodio del lancio della pasta. Ci fermammo di fronte a una porta di mogano e Lupin si affrettò a bussare e ricevette prontamente l’invito ad entrare. Dietro una bella scrivania, vi era seduto l’uomo anziano che avevo paragonato per modi e gentilezza a Santa Claus. I suoi occhi azzurri ammiccarono nella direzione del vassoio che tenevo ancora tra le mani. “Altre paste, questa giornata non fa che migliorare”, commentò in tono così entusiasta da strapparmi un sorriso.
Tom, che si era scostato da Lupin e teneva le braccia conserte  al petto, a quelle parole si volse in mia direzione e mi fulminò con lo sguardo. “Le mie paste”, mimò con le labbra, ma lo ignorai. Anche a costo di ricorrere ai miei risparmi personali per pagarle a Riddle, avrei preferito regalarle al Preside. Anche solo per fargli dispetto.
Evidentemente la “noiosissima riunione” a cui aveva fatto riferimento poco prima, era un colloquio privato con l’uomo che era seduto dall’altra parte della scrivania. Quest’ultimo si era voltato in nostra direzione e squadrò dal collega a me con espressione evidentemente stizzita per essere stato interrotto. Indossava un completo scuro e gessato che conferiva al suo aspetto un alone ancora più lugubre, soprattutto perché associato ai capelli scuri e alla carnagione olivastra. Il suo stesso sguardo sembrava cupo e minaccioso.
Si trattava del Vicepreside dell’Accademia, Severus Piton. [2]
Il Preside ci guardò tutti con espressione bonaria. “Buongiorno Remus e Thomas”, li salutò come se fosse persino grato di essere stato interrotto. Si volse quindi in mia direzione. “Buongiorno di nuovo a lei, signorina. Mi raccomando, porti i miei saluti al caro Tom e gli faccia i complimenti per il suo staff tanto efficiente e capace”, mi disse con calore.
Nonostante il disagio e la tensione che sentivo all’idea di cosa sarebbe accaduto da lì a poco, non potei che sorridergli. Ma scoccai un’occhiataccia a Tom quando, alle parole del Preside, emise un verso di scherno.
“Buongiorno a voi. Vi prego di scusarmi per l’interruzione”. Esordì il Professor Lupin, rivolgendo anche un sorriso in direzione del collega che non lo ricambiò. Il suo cipiglio, al contrario, sembrò approfondirsi, quasi l’interruzione fosse secondaria alla fonte del disturbo.
Il Preside ancora una volta diede prova della sua personalità accogliente e calorosa, perché lo scintillio dello sguardo azzurro si rianimò e si rigirò i pollici, guardandoci tutti con mera curiosità.
“Nessuna interruzione e, se anche fosse, ammetto che sono curioso di scoprire perché hai condotto da me uno dei nostri allievi e la signorina...?”. Mi si rivolse educatamente.
“Sara”.  Risposi in un sussurro, sentendo accrescere il nervosismo. Anche se quell’uomo era un perfetto sconosciuto, mi mortificava l’idea che il Professor Lupin gli spiegasse l’accaduto. Il solo fatto che ricordasse i nomi degli allievi e si fosse preso il disturbo di chiedere persino il mio, mi dava l’impressione di trovarmi di fronte a una persona realmente innamorata dell’insegnamento e che si prodigava nel suo lavoro. Non soltanto ai fini didattici ma anche nel creare un legame sincero con tutti i suoi allievi.
“La signorina Sarah”, riprese l’anziano con un sorriso. “Accomodatevi pure”, ci indicò le sedie vuote. Il gesto di cortesia parve infastidire persino di più il suo precedente interlocutore che incrociò le braccia al petto e ci scrutò con aria sospettosa. Soprattutto Lupin e la sottoscritta. Evidentemente Tom era uno dei pochi studenti a rientrare tra i suoi favoriti, il che probabilmente era molto eloquente della personalità tutt’altro che amorevole di entrambi.
“Deve sapere, Signor Preside, che ho scovato accidentalmente il signor Felton e Sarah nell’atrio. Sembra che fosse in atto un’accesa discussione, dopo il suono della prima campanella”, iniziò a spiegare e sentii le mie guance imporporarsi. Se già l’episodio di per sé era imbarazzante, ripensandoci a mente lucida, che fossero delle persone adulte a vagliare il tutto, lo rendeva persino più mortificante.
“Una storia davvero affascinante”. Si intromise Piton. “Personalmente muoio dalla voglia di sapere se ciò spiega la macchia sulla tua camicia”, gli rivolse un sorriso canzonatorio e ne osservò il completo con aria di profondo disgusto, indugiando sull’alone giallognolo che era ben visibile. Il suo sguardo saettò poi verso il blasone impresso sulla mia uniforme e lo sprezzo sembrò farsi persino più intenso. Tom neppure si premunì di nascondere un sorrisetto divertito e io non potei che guardarlo disgustata. Da quel poco che avevo osservato dei due professori, non avevo dubbi su quale dei due incontrasse la mia approvazione, nonostante mi avesse condotta di fronte al Preside.
Il professor Lupin, tuttavia, non parve aversela a male perché sulle sue labbra continuò ad aleggiare un sorriso amichevole, quasi si stesse lui stesso schermendo. “Esattamente, Severus. Sarah la stava scagliando contro il Signor Felton, quando mi sono maldestramente intromesso nella sua traiettoria”, raccontò e nuovamente vidi quell’alone entusiasta nel suo sguardo. O Tom era più impopolare di quanto avessi immaginato, oppure ero vittima di qualche strana candid camera, perché non riuscivo a spiegarmi la sua euforia.
“Hai lanciato una pasta contro Thomas?”, mi domandò il Preside e sentii le guance bollire, mentre quest’ultimo scuoteva il capo con aria di profondo rammarico.
Tom annuì con enfasi, improvvisando un’espressione da martire che stonava in modo ridicolo con la sua personalità. “Era completamente fuori di sé”, soggiunse con un mormorio contrito, come se stesse descrivendo una psicopatica stalker che aveva cercato di aggredirlo.
Il Preside neppure parve udirlo. “Ah, che spreco! Spero proprio che non si trattasse di una delle mie preferite, perché sarei decisamente pronto a fare il bis”. Mi scrutò nuovamente con quell’alone più giocoso e mi strizzò amabilmente gli occhi.
Mi sentii così sollevata che risi persino. Annuii e mi gustai un’altra piccola vittoria nei confronti di Tom. “La prego, si serva pure”. Appoggiai il vassoio sulla sua scrivania.
Dallo sguardo di mera gratitudine che mi rivolse sembrava quasi che non aspettasse altro, perché riprese a scartare il vassoio sotto lo sguardo scandalizzato di Tom e del Vicepreside. Fu quest’ultimo a riprendere le fila della discussione per rivolgersi nuovamente al collega. “Appurato che questa Signorina probabilmente avrebbe dovuto aspirare a una carriera nel softball, ti prego Remus, continua con questa storia affascinante. Sono davvero curioso di sapere se hai informato la BBC, o se pensavi di organizzare una conferenza stampa per raccontarla personalmente a-”.
Si interruppe al pacato gesto della mano del Preside. Aveva abbandonato momentaneamente la sua pasta ed era con sguardo molto più attento e concentrato che si rivolse a Lupin: “Mi sbaglierò, forse, ma ho la sensazione che tu stia per darmi la notizia che aspettavo da diverso tempo”.
Lupin sorrise e di nuovo vidi baluginare nel suo sguardo quella scintilla di puro entusiasmo. Annuì con enfasi, dopo avermi osservata con un sorriso.
“E' lei, dunque?”. Continuò il Preside e, sotto il mio sguardo confuso, si sporse dalla scrivania per osservarmi meticolosamente, come un collezionista avrebbe guardato una potenziale aggiunta preziosa ai propri cimeli. Sentii accrescere una spiacevole sensazione di disagio: tutti, ad eccezione di Tom, mi stavano guardando, anche se non riuscivo a spiegarmene il motivo.
Sentii le guance imporporarsi e avrei quasi voluto ritirarmi contro lo schienale della sedia o diventare invisibile. Mi domandai che cosa vedessero in me che fosse degno di nota. Un pensiero simile doveva attraversare la mente di Piton che era l’unico a guardarmi con espressione sprezzante. Persino Tom, che stava dondolandosi sulle gambe posteriori della sua sedia, sembrò rendersi conto della particolare tensione che era scesa nell’ufficio. Le sue sopracciglia erano inarcate a dimostrarne la perplessità.
“Sì Preside, è lei”, confermò Lupin. Si scambiarono uno sguardo di intesa che trovai particolarmente esasperante. Avrei voluto che la smettessero di parlare di me come se non fossi stata presente. Guardai dall’uno all’altra con aria sconcertata, domandandomi se tutto ciò non fosse stato orchestrato da Tom stesso ai miei danni, ma sembrava altrettanto confuso.
“Qualcuno potrebbe degnarsi di spiegarmi per quale motivo la nostra riunione è stata interrotta?”. La voce untuosa e spigolosa dell'uomo sembrarono riscuoterli dalle loro riflessioni. Nonostante il suo scrutinio nei miei confronti non fosse stato esattamente lusinghiero, una parte di me gli fu riconoscente per aver dato voce alla mia stessa domanda.
Il Preside tornò ad appoggiarsi allo schienale della poltrona. Mi rivolse una strizzatina d’occhi e sollevò l’ennesima pasta quasi a farmi un brindisi prima di addentarla. Tom di riflesso assottigliò gli occhi come un felino, probabilmente augurandosi che gli andasse di traverso. Ne ignorai lo sguardo risentito che mi indirizzò ancora una volta.
Mi sentivo quasi estranea alla situazione. Mi sembrava di star osservando quella scena dall’esterno come una mera spettatrice, quasi il mio corpo non mi appartenesse.
Lupin ancora una volta non sembrò turbato dall’evidente impazienza e dai modi bruschi del collega. Dal sorriso bonario avrei potuto sospettare che vi fosse avvezzo. Ma gli sorrise con aria condiscendente. “Perdonami, Severus. Devi sapere che ho appena deciso di proporre la mia sceneggiatura per lo spettacolo di fine anno”.
Le sopracciglia di Piton si sollevarono così tanto da essere quasi nascoste sotto i capelli. Dovette assimilare la notizia in quei brevi secondi di silenzio perché poi inclinò il viso di un lato con un sorrisetto lezioso che sembrava ben poco abbinato ai suoi lineamenti spigolosi. “Sto trattenendo a stento la commozione. Ma potrei sapere che cosa questo abbia a che fare con questo siparietto?”.
Lupin non sembrava aver alcuna fretta di rispondere. Sembrava, al contrario, gustarsi quei momenti di attesa, quasi gli permettessero  di  trarre ulteriore appagamento. “Semplice, ho appena trovato i due protagonisti”, rispose in tono affabile e compiaciuto.
La frase risuonò nel silenzio della stanza come il fragore di uno scoppio ritardato. Come se fosse stato parte di una coreografia, nello stesso istante, il vicepreside, Tom ed io ci voltammo verso Lupin con la stessa incredulità. Tom aveva persino smesso di dondolarsi sulla sedia, Piton sembrò divenire di un colore tendente al giallognolo e io sgranai gli occhi e boccheggiai per qualche istante, incapace di articolare suono.
L’attimo dopo quattro paia di occhi saettarono in mia direzione: due sguardi benevoli e altrettanti sconcertati e poi scandalizzati.
 “Cosa?! Uno spettacolo? Io come protagonista?!”. A stento riconobbi la mia voce che, per l’incredulità, sembrò quasi divenire in falsetto. Scossi il capo, agitandomi sulla sedia come se improvvisamente fosse stata infuocata.
 “Il tuo senso dell'umorismo è piuttosto atipico, Remus”. Fu il commento sarcastico del collega che mi riservò nuovamente uno sguardo malevolo che avrebbe fatto concorrenza a quello dell’inserviente. “Non è la sede per discutere dei tuoi metodi di insegnamento, ma l’idea di permettere a una cameriera di recitare nella nostra Accademia, è una delle cose più stupide che io abbia mai sentito. Non so in quale universo parallelo ti sei immaginato che  prendessimo seriamente in considerazione questa proposta suicida. E’ più probabile che  Radcliffe tra dieci anni, dall’alto della sua inettitudine totale a questo mestiere, ottenga una nomination all’Oscar”.
Tom si era concesso un verso di scherno, ma sarebbe stato difficile capire se il suo divertimento riguardasse il riferimento alla sottoscritta o a quel ragazzo[3].
Da parte mia non mi sentivo minimamente turbata dalle parole dell’uomo: nonostante fossero vagamente offensive nei miei riguardi, mi sembrava l’unica persona a esprimere un dubbio legittimo. Naturalmente avrei preferito che lo facesse con un altro atteggiamento, ma di fatto io stessa faticavo a credere che Lupin fosse serio e che il Preside lo stesse persino ascoltando. Quest’ultimo non aveva smesso di guardarmi e tantomeno di sorridermi. Mi porse persino una pasta.
“Niente di meglio di una pasta per addolcire lo shock o una brutta mattinata”.
Lupin mi aveva stretto la spalla come un gesto di conforto, ma il suo sguardo era diretto al collega e nello sguardo scintillava una determinazione simile a quella che aveva esibito nell’intimare a me e a Tom di seguirlo. “So che i miei metodi possono essere ritenuti poco convenzionali, ma posso dirti in tutta onestà che mi è bastato guardarli insieme per pochi minuti, durante un alterco. Tra di loro scorreva una tale energia che avevo la sensazione di poterla percepire”, aveva parlato nuovamente con tono enfatico, accompagnando i gesti alle parole, nel tentativo di farsi comprendere. “Non ho mai visto nulla di simile in una scena recitata perché era autentico”.
“Forse perché sei un insegnante incapace”, fu la fredda replica.
Lupin sorrise ma continuò, come se non fosse stato interrotto. “Questi due insieme sono uno spettacolo e mi rendo conto che possa sembrare folle una simile impresa, ma il confine tra genio e follia è spesso più labile di quanto non si pensi”.
Sbattei le palpebre a più riprese e scambiai uno sguardo con Tom che sembrava persino più sconcertato dell’altro insegnante. “Ridicolo”, commentò in tono quasi offeso e indignato. “E’ semplicemente ridicolo che ne stiamo persino parlando. Sono anni che studio per essere qui e per migliorarmi.  Non mi esporrò a una simile umiliazione pubblica per una cameriera qualsiasi”, aggiunse in tono infervorato e incrociò le braccia al petto. In quel momento sembrava un bambino viziato che si vede privato delle attenzioni del genitore.
“Hai perfettamente reso l’idea, Thomas”, fu il pacato rimprovero del Preside che lo guardò con aria mesta, quasi in quelle parole avesse colto un atteggiamento che gli dispiaceva personalmente.
“Il Signor Felton ha ragione, Preside: mi domando perché stiamo ancora perdendo tempo”.
Il Preside lo ignorò ma mi sorrise con tale dolcezza che mi sentii un nodo in gola. Ero in quell’odioso stato d’animo in cui la rabbia e la mortificazione per i giudizi di Tom e di Piton avrebbero potuto tradursi in lacrime che mi rifiutavo di versare in loro presenza. Ero sempre stata una persona introversa e avvezza a sopprimere certi stati d’animo. Dal mio arrivo in Scozia, Tom aveva tirato fuori il mio lato più burrascoso e infantile. Ma in quel momento mi sentivo in parte lusingata dalle parole di Lupin e in parte umiliata e calpestata. Avrei solo voluto urlare a tutti di smetterla di parlarmi o rivolgermi lo sguardo. Mi pentii amaramente di non avergli lasciato quello stupido vassoio di paste perché venisse nel pomeriggio a pagarlo. Se soltanto avessi seguito il consiglio di Morgana, non mi sarei trovata in quella situazione. Al pensiero della mia amica, sospirai per mandare giù quel nodo che mi serrava la gola. Di certo non avrebbe voluto che restassi così inerte in quel momento.
Il Preside sembrò seguire il corso dei miei pensieri perché mi sorrise con aria incoraggiante. “Vuoi dirci qualcosa, Sarah? Ho ragione di credere, mia cara, che la notizia ti abbia colta impreparata. E dal tuo accento che sei straniera, mi sbaglio?”. Congiunse le dita lunghe e affusolate e si sporse in mia direzione.
Annuii e mi rivolsi solo a lui, l’unico che mi aveva fatto sentire realmente accolta e che non mi aveva giudicata per la divisa che indossavo. Non provavo rancore verso Lupin: le sue parole mi lusingavano, ma avrei preferito che me ne parlasse privatamente, prima di trascinarmi in quella situazione.
“Sono italiana”.
“Avrei dovuto immaginarlo: il sangue latino”, convenne con un nuovo scintillio nello sguardo azzurro. Scambiò un altro sorriso con Lupin.
“Preside”, intervenne di nuovo il suo vice in tono esasperato. “Posso ricordarle che questa idea oltreché ridicola va contro il regolamento?”.
“Non serve che me lo ricordi, Severus”, lo rimbeccò con un vago cenno della mano. “L’ho stilato io stesso nella quasi totale interezza, dopotutto. Il che dimostra che spesso anche i migliori possono sbagliare”, soggiunse, rivolgendomi di nuovo una strizzatina d’occhi, prima di parlare a Lupin. “Avrai tutto il mio appoggio. Sono davvero curioso di vedere coi miei stessi occhi ciò che tu hai intravisto in una piccola divergenza d’opinioni”.
Sgranai gli occhi. Quelle parole sembrarono sancire che fosse tutto inequivocabilmente reale.
 “Lei sta scherzando, voglio sperare!”, intervenne nuovamente il vicepreside in tono così alterato che i suoi lineamenti erano persino più spaventosi. “Dovremmo davvero permettere a una cameriera inesperta di rappresentare la nostra Accademia? Di fronte alla stampa e ai più prestigiosi addetti ai casting teatrali e cinematografici?[4]”.  La voce sembrava farsi sempre più acuta, a testimoniarne lo sdegno e l'incredulità mentre mi agitavo maggiormente sulla sedia.
Lupin sembrò aver raggiunto la soglia massima di sopportazione, perché il sorriso era completamente scomparso, mentre si rivolgeva di nuovo al collega per spiegare le sue ragioni. “Ho sottoposto tutte le ragazze di questa Accademia a un provino, Severus. In nessuna di loro, neppure nella più talentuosa, ho scorto un pallido barlume della reale passione che ho visto in questa cameriera inesperta, come la definisci tu”. Ricalcò la sua definizione per rimproverarne il pregiudizio nei miei riguardi.  
Sentii di essere giunta io stessa al limite e che non potevo sopportare ulteriormente quello scambio di frecciatine e commenti sulla sottoscritta. Mi alzai in piedi, richiamando l’attenzione di tutti, ma mi rivolsi soltanto al Preside e al Professor Lupin.
“Voglio ringraziarvi della vostra gentilezza e delle vostre parole di apprezzamento”, esordii con un reale sorriso. La voce era esitante e tremula nel tentativo di esprimermi in modo chiaro e conciso. “Sono venuta in Scozia per concedermi un anno sabbatico nell’attesa di trovare la mia strada. Ho appena trovato un lavoro per mantenermi e la mia massima aspirazione è di migliorare il mio inglese, conoscere nuove persone e scoprire me stessa. Tutto questo è lusinghiero, davvero, ma è ben al di là della mia portata e delle mie ambizioni. Vi ringrazio nuovamente, ma non credo che sia giusto sottrarvi altro tempo”.
Il Preside reclinò il viso di un lato e mi sorrise nuovamente con aria rassicurante. “Posso assicurarti che non c’è nulla di meglio del teatro per imparare una nuova lingua. Inoltre conosco bene Tom Riddle e sono sicuro che se gli parlassi di persona, giungeremmo a un accordo per conciliare il tuo lavoro alle prove necessarie per lo spettacolo. Ma il Professor Lupin non troverà altrettanto facilmente una candidata che lo entusiasmi quanto te. Capisco bene le difficoltà, ma ti prego di non rifiutare a priori. Concediti del tempo per rifletterci. A volte sono proprio le situazioni impreviste e i fuori programma che ci regalano i momenti più belli della vita”, mi consigliò in tono saggio. Avevo l’impressione che in quel breve colloquio avesse capito di me più di molte persone con le quali avevo condiviso la routine universitaria o che erano entrate e uscite dalla mia vita, lasciandomi poco più di un ricordo. E non sempre piacevole.
Lupin si alzò a sua volta e mi appoggiò una mano sulla spalla. “Se le tue remore riguardano la tua mancanza di esperienza, posso assicurarti che non è nulla su cui io non possa intervenire. Il talento naturale è importante, non lo nego, ma tutto il resto è duro lavoro e impegno”.
Il vicepreside si alzò a sua volta, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi in un gesto esasperato. “Stiamo parlando di una ragazza estranea al mondo teatrale, Remus. Quest’Accademia ha una tradizione e un prestigio che non possono essere messi a rischio per un tuo capriccio!”.
La tensione nella stanza era quasi palpabile e avevo la sensazione che il professor Lupin stesse per rivolgersi al collega in toni molto meno pacati e rispettosi.
“Il Signore ha ragione”, intervenni, prima che potesse nascere un alterco. Mi volsi in direzione dell’uomo che dal primo momento mi aveva rivolto soltanto sguardi sprezzanti e giudicanti. “E’ vero, sono una cameriera. Ma si tratta di un semplice ruolo e voi più di tutti dovreste sapere che un ruolo non definisce interamente una persona. Così come un mestiere particolare non dovrebbe renderla più o meno degna di rispetto. Non ho dubbi che in questa prestigiosa Accademia insegniate in modo esemplare ai vostri alunni quale sia il modo più efficace di indossare una maschera, ma dovreste ricordare loro che nella vita reale sono molte le maschere che indossiamo e non necessariamente sono tutte adatte a rappresentare la nostra vera essenza”, conclusi in tono infervorato. Gettai un’occhiata di sbieco anche a Tom che fino a quel momento mi aveva solo saputo giudicare in quanto straniera e in quanto cameriera. 
La carnagione del vicepreside sembrò farsi ancora più olivastra mentre stringeva i pugni lungo i fianchi ed ebbi la sensazione che, in altre circostanze, mi avrebbe volentieri schiaffeggiato. Da quel poco che avevo scorto nei suoi modi, non doveva essere avvezzo a ricevere una replica dai suoi alunni, visto che a stento sopportava quelle degli insegnanti.  
Mi rivolsi un’ultima volta al Preside e al Professor Lupin con un sorriso. “Grazie ancora di tutto e buona giornata”.
Uscii dall’ufficio e camminai nel corridoio  con passi lunghi e distesi, volendo solo lasciarmi alle spalle quella mattinata surreale per tornare alla mia realtà. Circondata da persone che realmente mi conoscessero e dai miei oggetti di uso quotidiano.
Ero ormai uscita dall'edificio, ignorando il custode che mi aveva squadrato con antipatia e sospetto, anche se una parte di me avrebbe voluto, per puro dispetto, urlargli addosso che non sarei più entrata in quell’Accademia neppure sotto tortura. E non certo per i suoi tentativi intimidatori. Ero quasi giunta al cancello, quando sentii uno scalpiccio di passi alle mie spalle e il richiamo del Professor Lupin.
Sospirai, ma mi voltai con espressione stanca. “Mi scusi, non per essere maleducata, ma devo tornare al lavoro e ho altre cose di cui occuparmi”.
“Un'ultima parola”. Mi pregò in risposta e, mio malgrado, annuii. In fondo gli dovevo pur sempre il pagamento della tintoria.
 “Sai che cosa ho visto, mentre eri in corridoio con Thomas?”.
Feci per rispondere ma scosse la testa.
“Non una cameriera”, replicò prontamente con un sorriso sbarazzino che sembrava ringiovanirlo. “Ho visto una giovane donna con una scintilla nello sguardo: una richiesta di rispetto e, al contempo, la ricerca di se stessa. In te ho letteralmente visto il mio personaggio prendere vita:  è questa l'Elisabeth che ho immaginato per la mia sceneggiatura. E il tuo discorso di prima me ne ha dato la conferma”. Mi spiegò nuovamente in tono infervorato.
Malgrado mi avesse colpito la sua sincerità e il suo spirito di osservazione, non riuscivo a credere che tali parole potessero essere accostate a me.“Lei è davvero gentile ma sono sicura che tra le sue studentesse ci siano molte ragazze piene di talento”.
“Senza dubbio ma, come dicevo prima, nessuna ha la tua passione e vederti con Thomas...”.
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai al solo sentirlo nominare.
 Il gesto lo fece sorridere come se avesse trovato un’ ulteriore conferma alle sue impressioni.  “Voi due insieme siete pura magia: devi credermi”.
Sospirai per l'insistenza del suo sguardo e per quella luce che gli animava le pupille. Non occorreva conoscerlo per comprendere che in quel progetto doveva aver investito tutte le sue energie, i suoi sogni e le sue speranze. Ero sicura che sarebbe stato in grado di coinvolgermi nella sua stessa passione, farmi vibrare l'animo dello stesso entusiasmo ed energia. Non di meno mi lusingava quel sincero e gratuito atto di stima e di considerazione. Innegabilmente il mio orgoglio ne sarebbe stato lusingato e compiaciuto. Ma sembrava tutto irrazionale e folle.
Era anche vero che del teatro avevo dei ricordi stupendi quando, alle scuole medie, per tre anni di fila la mia classe si era esibita in rappresentazioni teatrali scritte e dirette dal mio professore di lettere. Ricordavo ancora l’adrenalina pura nel momento in cui si avvicinava il momento di salire sul palco, ricordavo l’emozione di recitare un monologo e sentire tutti gli occhi puntati su di me, tutti che pendevano letteralmente dalle mie labbra. Ricordavo la sensazione di catarsi nell’indossare panni diversi da quelli quotidiani e dare vita e corpo a un personaggio di fantasia. Ricordavo inoltre la soddisfazione del mio professore, ogni volta che riuscivo a offrire una prestazione che fosse di suo gradimento. Erano tra i ricordi più dolci della mia adolescenza. Legati anche a quello che, lo avrei capito solo anni dopo, era stato il mio primo amore.
La voce di Lupin mi riscosse nuovamente.
“Quarantotto ore: non chiedo altro. Sarò qui ad attendere, ma devi darmi la tua parola che ci rifletterai seriamente e profondamente. Dopodiché accetterò la tua risposta, qualunque essa sia e senza altre recriminazioni”.
 
“Tu ci stai pensando, non è vero?”. Mi incalzò Morgana, alla fine del racconto. Erano stati entrambi in perfetto silenzio, salvo lasciarsi sfuggire, di quando in quando, qualche esclamazione.
Nonostante la sorpresa iniziale, Morgana mi stava osservando con un reale sorriso e il suo sguardo sembrava dardeggiare con un alone più sognante. Superfluo dire che tra le due era sempre stata lei la ragazza dallo spirito più avventuriero e non stentavo a credere che, al mio posto, non si sarebbe neppure fatta metà delle remore, e non soltanto perché padroneggiava perfettamente l’inglese.
“Dovrei davvero pensarci, secondo te?”. Le chiesi.  Ero sinceramente sconcertata da quella sua reazione:  stava persino pensando che fosse attuabile? Eppure sapeva perfettamente quanto faticassi persino a posare per una fotografia, costringendola spesso a scattare almeno una dozzina di foto prima che potessimo postare un nostro selfie delle vacanze per trovarne almeno una in cui non sembrassi costipata. Il confronto con lei talvolta era imbarazzante, poiché tra le sue doti vi era quello di essere incredibilmente fotogenica, persino nell’esibire un finto broncio. Come avrei potuto dare vita a un personaggio inventato da Lupin, ai suoi modi di esprimersi, alla sua personalità e ai suoi sentimenti in quel determinato contesto storico?
“Sarah”. Mi richiamò Sean con voce pacata, prima che Morgana potesse rispondermi. Si era sporto in mia direzione con un sorriso rassicurante.  “Posso assicurarti che  Lupin sia uno degli insegnanti migliori dell'Accademia: è un vero uomo di teatro, appassionato e sognatore e non stento a credere che ciò che ha detto su di te e Tom sia vero”.
Si interruppe con un lieve sorrisino quando, alla menzione del suo amico, avevo aggrottato le sopracciglia. Non potevo fare a meno di pensare, a prescindere dalle mie remore e dalla mia incredulità, che tutto ciò non sarebbe mai accaduto se non fosse stato per Tom e i suoi tentativi di sabotarmi il lavoro e la permanenza in Scozia. Sean inclinò il viso di un lato e mi pizzicò la punta del naso. “Da quel poco che ho visto sull’uscio di casa mia, dubito che annoiereste una platea”.
Scossi il capo, guardando dall’uno all’altra. Avevo sperato che almeno uno dei due potesse avere una posizione simile alla mia, che rafforzasse la mia convinzione a dover rifiutare subito, onde evitare di alimentare false speranze in Lupin o di ritardare la ricerca della protagonista tra i ranghi delle sue studentesse.
“Ragazzi, è una follia”, mormorai. “Mi sorprende che ci stiate persino pensando”.
Morgana mi strinse nuovamente la mano e mi rivolse il suo sorriso più brioso e incoraggiante. “Follia non significa necessariamente fallimento”, mi suggerì in tono più accattivante. “Vuoi dirmi che non ti sei sentita in fibrillazione? Neppure per un misero istante? Non sarebbe neppure la prima recita a cui partecipi e il tuo insegnante di lettere non diceva che avevi del potenziale?”.
“Credo che il suo fosse un metodo per aiutarmi a sconfiggere la timidezza”, mi schermii con un vago cenno del capo.
“Questo professore di cui parlate non mi sembra uno sprovveduto”, ribatté Morgana, cercando lo sguardo di Sean che annuì enfaticamente. “Se lui ha visto in te della “materia grezza” che è certo di poter affinare, che cosa avresti da perdere? Credo che per l’Accademia sia ancora più importante mantenere il loro prestigio e di certo non ti manderebbero sul palco se, dopo un mese di prove, capissero di aver fatto un grosso errore. Certo, in quel caso dovremmo sequestrare e uccidere Tom, così che non te lo rinfacci per tutta la vita”, soggiunse come se fosse un dettaglio di poco conto. “Senza offesa, Sean”.
Il ragazzo rise, ma scosse il capo. “Chiamatemi quando è ora di seppellire il corpo e vi aiuterò. Poi ci troveremo un alibi inespugnabile”, commentò con la stessa complicità che riuscì persino a farmi sorridere. Si fece nuovamente serio. “Sono d’accordo con Morgana: credo che tu non abbia nulla da perdere nel provarci. Lupin è un insegnante straordinario e se ti ha scelta di persona è perché sa che puoi dargli grandi soddisfazioni e che sei l’unica che può dare allo spettacolo quella verve che lui cerca. E’ da anni che lavora su questa sceneggiatura, ma non aveva ancora trovato la sua Elisabeth, almeno fino a oggi”, alluse a me con un altro sorriso. “Tom mi ha detto che è tutto top secret fino a quando non darai la tua risposta”.
Da quel poco che avevo potuto scorgere di Lupin, ero altrettanto certa che se c’era qualcuno in grado di iniziare una novellina al teatro inglese, quello era proprio lui. Ma il riferimento a Tom mi procurò un ulteriore moto di fastidio, soprattutto al ricordo del suo intervento nell’ufficio del Preside.
“Quindi il grande divo ha già confermato la sua straordinaria partecipazione, nonostante tutto?”, domandai in tono risentito. Quello sembrava un ulteriore motivo per rifiutare. E in modo definitivo. Sarebbe stato a dir poco masochistico lasciarmi coinvolgere in un progetto che avrebbe richiesto mesi e mesi a stretto contatto con quel damerino. Senza contare che trovavo il suo consenso a dir poco ipocrita, considerando tutto ciò che aveva detto per dissuadere Lupin e come sembrasse trattare persino quest’ultimo con poco rispetto.
Sean scrollò le spalle con aria d’ovvietà. “Un galeotto deportato dall'Inghilterra alle colonie americane per essere venduto. Un personaggio spregiudicato, misogino, ironico e glaciale: praticamente gli è stata scritta a pennello”. Commentò con un sorrisetto di scherno che non riuscii a ricambiare.
“Dimmi che ci penserai”, continuò Morgana, guardandomi quasi con aria supplichevole. “Da quando ti conosco, sei sempre stata una ragazza beneducata e sempre ligia alle regole e ai tuoi doveri. Hai sempre messo lo studio e l’università sopra ogni cosa, trascurando la tua vita sociale e  i divertimenti. Dovevo sempre rapirti per portarti in vacanza!”, soggiunse in tono quasi esasperato che fece sorridere Sean più dolcemente. “A parte questo, credo che tu abbia bisogno di uscire dalla tua zona di comfort e quale occasione migliore? Soprattutto con noi e Lupin dalla tua parte?”.
Sospirai nel guardarla negli occhi. Non potevo ignorare facilmente quel commento che era fin troppo veritiero del mio modo di essere e di vivere. In un lontano futuro, ripensando a quei giorni, come mi sarei sentita? Poteva realmente definirsi “vita” una routine ripetuta giorno dopo giorno, sempre armandosi di cautela, pazienza e duro lavoro, senza mai improvvisare o concedersi una “follia” o un’avventura?
“Vi ringrazio della vostra opinione e del vostro incoraggiamento: è evidente che pensiate che sarebbe un bene anche a livello personale”, commentai con un sospiro ed entrambi annuirono. “D’accordo allora”, sussurrai infine con aria quasi stanca.
“Parteciperai?!”, mi incalzò Morgana con espressione già eccitata.
Le concessi un sorriso e scossi leggermente il capo. “Intendevo dire che ci penserò sopra”.
Sospirò. “Immagino che per oggi non otterremo niente di più”, commentò con finta aria di rimprovero, rivolgendosi a Sean. “Diamole il tempo di assimilare tutto”.
“E ora, vi prego, cambiamo argomento e raccontatemi la vostra giornata”, conclusi con un sorriso.
 
~
 
Dove mi trovo?
Ancora una volta mi guardai attorno, senza riuscire a riconoscere l’ambiente che mi circondava. Si trattava di un ampio salone che sembrava uscito dai romanzi di Jane Austen, illuminato soltanto dalla luna piena, la cui luce penetrava dalle ampie finestre ad arco, e dalle candele che erano disseminate nella stanza a creare un’atmosfera più suggestiva. Indugiai sulla soglia con aria esitante, ma infine mi decisi ad entrare. Il mio sguardo scivolò su un immenso specchio d’avorio che era accostato a un angolo della sala la cui acustica sembrava amplificare il suono dei miei passi. Trasalii quando scorsi il mio riflesso e stentai a riconoscermi. Indossavo un abito dall’ampia gonna in crinolina, di una sfumatura rosa, e con decorazioni a tema floreale che impreziosivano il corpetto e sembravano cucite sulla gonna. I miei capelli erano morbidamente raccolti con nastrini della stessa sfumatura. Quasi faticai a riconoscere la ragazzina acqua e sapone e dagli abiti casual e informali in quella giovane donna che mi restituiva lo sguardo dallo specchio. Lo distolsi a fatica e continuai a guardarmi attorno nel tentativo di comprendere cosa stesse accadendo.  
Trasalii quando lo stelo di una rosa mi sfiorò la spalla nuda e la presi tra le dita con un sorriso.
“La sala da ballo”. Soffiò quella voce nel mio orecchio con la stessa intonazione vellutata.
Sollevai lo sguardo allo specchio ma non si poteva scorgerne il riflesso, nonostante fossi certa della sua presenza corporea. “Sei tornato”. Sussurrai con un misto di incredulità e di sollievo, quasi ne avessi sentito realmente la mancanza.   
“Non me sono mai andato, in verità”. Sussurrò nuovamente.
Sorrisi maggiormente in risposta, continuando a sfiorare i petali. “Ancora non so chi tu sia”. Gli feci presente ma ciò non sembrava comunque rendere la situazione inappropriata.
“Dovete prima scoprire voi stessa”, mi rivelò con tono enfatico, quasi volesse darmi un suggerimento. “Debbo ancora chiedervi di attendere”.
Sospirai per risposta, ma, nonostante tutto, non riuscivo a essere infastidita da quel mistero.
“Non so come tu faccia, ma riesci davvero a farmi sentire una principessa”. Sussurrai con voce più bassa, quasi gli stessi confidando un intimo segreto e avessi il timore che qualcuno potesse sentirci e deridere quella mia infantile fantasia.  
Appoggiò le sue mani sulle mie spalle e sentii il mio cuore scalpitare intensamente e un dolce calore avvolgermi.
 “Forse i vostri occhi non hanno ancora scorto il vostro vero riflesso”, ribatté per risposta.
Sorrisi in risposta ma ero anche intimorita e soggiogata per una simile osservazione. “Forse i tuoi sono filtrati: si dice che  la bellezza sia negli occhi di chi guarda”.[5]
La pressione sulle mie spalle sembrò aumentare, ma la sua voce sembrò farsi più profonda, quasi a testimoniare l’importanza di quelle parole.  
“E' il vostro cuore che anela d'essere accolto, ma solo quando glielo permetterete, potrà dischiudere il suo incanto...”.
Il mio sguardo si fece più ansioso e guardingo, quasi sentissi realmente il bisogno di scoprire me stessa, prima ancora della sua identità. “Come?”. Domandai in tono più accorato.
“Innamorandovi di nuovo e lasciandovi amare”, mi rivelò con una nota di dolcezza mista a malinconia all’idea che per troppo tempo mi fossi chiusa in me stessa.
 
Trasalii al suono della sveglia e mi drizzai con il busto. Osservai i contorni della mia stanza e sospirai, prima di lasciarmi ricadere sul materasso.
Da quanto tempo stanno andando avanti questi sogni? Corrugai le sopracciglia e ricordai vagamente che era tutto iniziato durante il volo per la Scozia e da allora, ogni notte, in immagini più o meno nitide, avevo ricevuto la visita di quel giovane misterioso.
Non potei fare a meno di rivolgere un sorriso al soffitto. Non ne comprendevo il significato, sempre che ve ne fosse stato uno. Secondo un’interpretazione freudiana erano messaggi da parte del mio inconscio. In ogni caso non potevo negare che fossero piacevoli e che il mio disappunto nasceva soltanto dal non aver completato la sequenza.   
Scossi la testa e mi costrinsi ad alzarmi.
Stavo ancora sorseggiando la cioccolata, con la mente ancora annebbiata dagli ultimi ricordi del sogno, prima che il cellulare mi notificasse l’arrivo di un messaggio. Scorsi il nome di Sean e lessi quelle poche parole, accompagnate dalle emoji.  Indugiai soprattutto su due frasi: “Lupin mi sembra particolarmente distratto. Non farlo attendere troppo, mi raccomando”.
Sospirai e, dopo un attimo di riflessione, mi sollevai per tornare in camera da letto. Avevo ancora una mezzora prima di dover uscire. Nonostante non volessi ammetterlo a me stessa, le parole di Morgana mi risuonavano ancora in mente e così anche le rassicurazioni di Sean.
Fu quasi un gesto incondizionato: sollevai lo schermo del notebook e feci quello che mi veniva spontaneo e naturale, quando avevo la mente stipata di pensieri e avevo bisogno di fare chiarezza. E in più di una questione irrisolta.
Non dovetti faticare perché le parole sembravano dettate dal puro istinto e le stavo semplicemente facendo fluire in piena libertà.
 
 
Avete mai avuto la sensazione, più o meno fondata, che qualcosa attorno a voi stia cambiando?
Quasi in cielo si stesse disegnando una geometria sconosciuta e un particolare allineamento dei pianeti  stia sconvolgendo la vostra rassicurante e banale quotidianità?
Io sì, o meglio, è quello che mi sta accadendo da quando è iniziata la mia avventura in Scozia.
Sembra che tutto mi stia sfuggendo di mano e che io non abbia alcuna possibilità di controllarlo e di difendermi. E' come se mi stessi sdoppiando e fossi spettatrice passiva di questi eventi.
Per una mente analitica e programmatrice come la mia, potete ben immaginarlo, è qualcosa di inconcepibile e contro natura!
 
Si dice che la notte debba portare consiglio e un ristoro dai nostri quotidiani crucci e problemi. Ma non nel mio caso. Insomma, pensate che altrimenti sarei davvero qui, ancora in pigiama e con una colazione a malapena iniziata,  ad aggiornare questo blog e a tediarvi con i miei lunghi e solitari soliloqui? :)
Le notti scozzesi mi hanno fatto un dono del tutto speciale e fuori dall'ordinario. Un principe.
In carne e ossa. Più o meno dal momento che, elemento davvero pittoresco e originale a mio modesto parere, non sono mai riuscita a scorgerlo in volto. Eppure nel sogno è incredibilmente reale: sento la sua voce ed è dolce e incantevole.  Le sue parole sfiorano il cuore perché sono sincere, nonostante sembrino formule di cortesia uscite da un romanzo vittoriano.
Non saprei spiegarne il motivo o dare un’interpretazione degna di queste sequenze. L'unica certezza è che il risveglio reca sempre una punta di dolore: un dolce dolore perché quando tornerò a coricarmi la sera, malgrado tutte le preoccupazioni e gli screzi del giorno, avrò sempre un desiderio segreto.
E lui non mi delude mai. Mi ha chiesto di aspettare: dovrò scoprire me stessa e innamorarmi, prima di incontrarlo.
“Il mondo appartiene a coloro che credono alla bellezza dei loro sogni”, recita un aforisma di Eleanor Roosevelt. Io ci credo. Credo che il mio “Principe” mi stia attendendo e farò quanto possibile per incontrarlo.
Anche se significa scoprirmi nel modo più difficile e inconsueto.
Crederò in me stessa, come mai fino a questo punto. Magari cadrò, ma saprò rialzarmi ed essere più determinata di prima. Non guarderò la mia vita scorrere passivamente, ma stringerò le redini del mio destino e gli andrò incontro.

 
 
Pubblicai l'intervento sul blog e sorrisi soddisfatta: ancora una volta, il potere della parola scritta non mi aveva delusa.
Non c'era altro tempo da perdere.
Mi alzai rapidamente in piedi e mi diressi al bagno per una breve doccia. Presi il cellulare, cercai il contatto nel registro delle ultime chiamate e attesi risposta. “Possiamo vederci tra un’ora? Di fronte al cancello, sì”. Continuai a sorridere anche dopo aver interrotto la telefonata. Indossai il piumino, abbracciai Morgana e uscii rapidamente di casa per dirigermi alla fermata della metropolitana.
 
Quando entrai nell'ampio auditorium guidata da Sean, il mio sguardo abbracciò l'ampia platea dove era radunata la classe e tutti si voltarono ad osservarci. Sentivo il cuore in gola e il mio sguardo era soltanto per Lupin, tanto da non concedermi neppure di ammirare la struttura. Sentivo solo il suono dei miei passi che sembravano rimbombare a causa dell’acustica eccezionale di quel posto. Ci fu un attimo di silenzio quasi elettrico e concitato, l'attimo dopo un fastidioso brusio che sembrò ferirmi i timpani, ma non mi fermai.
Il professor Lupin stava ancora illustrando una scena del copione a Tom e solo quando arrivai ai piedi del palco, mi scorsero entrambi. L'uomo, dopo il primo accenno di stupore, mi sorrise sinceramente e calorosamente. Il ragazzo invece mi fissò con le sopracciglia inarcate. Fulminò il nostro amico in comune con lo sguardo, quasi lo ritenesse responsabile.
L'insegnante si affrettò a scendere dalla pedana per avvicinarsi. “Le quarantotto ore non sono ancora scadute: hai altro tempo per pensarci. Non voglio che tu sia frettolosa”, precisò in tono ansioso.
“Non è necessario”. Sospirai e, malgrado la determinazione quasi caparbia di pochi istanti prima, sentii il nervosismo accrescersi. Cercai con lo sguardo Sean che mi sorrise con sguardo incoraggiante.  Ricambiai il gesto e mi rivolsi nuovamente a Lupin. “Ho riflettuto molto e credo che lei abbia ragione: sto cercando di scoprire chi sono e voglio capirlo e gridarlo al mondo”. Sorrisi quasi divertita e, malgrado il tono infervorato delle mie parole, la voce mi uscì in un sussurro tremulo, quasi fosse un nostro segreto.
Lo sguardo dell’uomo baluginò e quel sorriso lieto ed entusiasma parve sgravarlo delle sue preoccupazioni. Si passò una mano tra i capelli, come nell’atto di contenere le sue emozioni. “Dunque, è un sì?”. Mi domandò, quasi avesse avuto bisogno di un’ulteriore conferma.
Il brusio attorno a noi parve farsi più intenso, ma lo ignorai.  
“E' un sì”. Confermai e sorrisi del suo entusiasmo.  
“Parlerò subito con Silente: troveremo un modo di incastrare le lezioni al tuo lavoro, avremo molto da fare ma è straordinario”. Mi sorrise e mi strinse la spalla. “Inizieremo già questa settimana, se ti è possibile: è meraviglioso!”.
Sollevai lo sguardo verso il palcoscenico quando mi sentii quasi trafitta da uno sguardo insistente. Tom non proferì parola ma la sua postura appariva rigida:  aveva incrociato le braccia al letto ed esibiva un’espressione irritata e insofferente. Avevo valicato il suo territorio, il suo palcoscenico, il suo quotidiano e la sua realtà.
Ne ero consapevole. Ma ciò non mi avrebbe fermato. Doveva ancora capire realmente con chi avesse a che fare e, scoprendo me stessa, lo avrei dimostrato anche a lui. Sorrisi velenosamente e appoggiai ai suoi piedi  un vassoio accuratamente incartato.  “La tua ordinazione quotidiana: appena uscite dal forno, proprio come piacciono a te”. Sorrisi candidamente e non mi scomposi quando lo vidi squadrare il pacchetto incartato, prima di insinuare una mano nella giacca dei pantaloni della divisa. Mi affrettai a sollevare la mano, come a fermarlo, e reclinai il viso di un lato.  “Non ti preoccupare, queste le offro io: puoi considerarlo un risarcimento per le paste che non hai ricevuto ieri. E un augurio per una collaborazione produttiva e di qualità”. Pronunciai quelle parole con studiata lentezza e voce vellutata, quasi volendo assaggiarne l’effetto. Quasi capivo perché si divertisse a provocare così tanto il prossimo.
Come prevedibile, tuttavia, Tom non  si scompose: i suoi lineamenti parevano scolpiti nel granito. Solo un lieve assottigliamento degli occhi ne tradì il fastidio.
“A presto”. Sussurrai, infine, e dopo un ultimo sorriso ed essermi congedata da Lupin e da Sean, mi voltai per uscire. Compii il percorso a ritroso, perfettamente consapevole di tutti gli sguardi che mi sfioravano e del brusio crescente.
Ma la mia mente era distesa e rilassata come non mai.
Dipende solo da me.

 
To be continued...
 
4 Novembre 2018
Buona Domenica a tutti :)
Questa rivisitazione del capitolo non ha subito particolari cambiamenti, se non la modifica e l'introduzione di qualche intermezzo comico grazie ai personaggi di Riddle e di Percy :)

Al prossimo capitolo :)
 
[1]Piccola nota autobiografica: questo era il reale soprannome con cui la mia amica ed io definivamo Daniel. Tom aveva quello di “fascinoso”, Pensarlo adesso, a distanza di anni, fa veramente ridere, ma è comunque un bel ricordo da mantenere anche in fan fiction :D
[2] Ho preferito lasciare una descrizione più attinente al personaggio della Rowling piuttosto che ad Alan Rickman perché, come vedrete, mi sarà anche più funzionale nel descriverne i comportamenti J
[3] Sara ancora non sa che Daniel frequenta l’Accademia di Tom. E tanto meno che il suo cognome sia proprio Radcliffe J Non potevo immaginare nessun altro come soggetto ideale di una battuta simile da parte di Piton :D
[4] Naturalmente questo dettaglio l’ho inventato io. In ogni caso questa Accademia può annoverare davvero tra gli ex studenti degli attori famosi come David Tennant, Robert Carlyle, Colin Morgan e  Richard Madden per citarne solo alcuni J
[5]Aforisma di Johann Wolfgang Goethe.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


4
 
 
Mi strofinai le mani tra loro quasi a innescare un moto di calore: le previsioni non escludevano che, con le nuove perturbazioni, ci sarebbe stata una nevicata. Seppur la prospettiva mi facesse sorridere come una bambina, da che nella mia Toscana era un evento molto più raro, non osavo immaginare come avrei potuto adattarmi a un ulteriore calo delle temperature.
Posai la tazza di cioccolata sul comodino e ripresi a digitare sui tasti del notebook, dopo aver riletto quanto avevo scritto fino a quel momento.
 
Sono davvero imperdonabile: sono passati più di quindici giorni dall'ultima volta che ho aggiornato questo blog, me ne rendo conto! Spero che siate comprensivi: le ultime due settimane sono state lunghe e interminabili. Ogni sera, al rientro in camera, lo ammetto senza remora, il primo pensiero è stato quello di gettarmi sotto le coperte, consentendomi a malapena la doccia e il pigiama felpato.
Ma cerchiamo di rimediare, quindi vi racconterò le novità nel più breve tempo possibile.
 
Ho superato il periodo di prova che Riddle mi ha concesso. Mi è stato quindi proposto un contratto di sei mesi che potrà essere rinnovato fino alla fine di Settembre del prossimo anno, data in cui sarebbe previsto il mio ritorno in Italia.
Ho accolto con gioia la notizia e non soltanto per il fattore economico, certamente non indifferente. Il locale è divenuto una sorta di seconda casa e mi sono perfettamente integrata,  grazie soprattutto ad Amy che mi ha ben accolto fin da quando ci siamo conosciute. Adesso quel giorno sembra lontano: mi sento come se facessi parte di quello staff da molto più tempo. Non soltanto per la familiarità con i visi dei colleghi e dei clienti abituali o per la routine consolidata. Nonostante i turni di lavoro a volte massacranti, siamo come una grande famiglia, disposti ad aiutarci l’un l’altro, anche facendo cambio di turno o sostituendoci in caso di necessità. O almeno quasi tutti, visto che Percy si distingue per le sue manie di autoritarismo che gli avvolgono spesso un rimprovero di Madama Bumb se non di Riddle in persona. Non è un caso che l’unico con il quale abbia davvero legato sia Smith che è altrettanto prepotente e un ruffiano di prima categoria.
Questo mese, inoltre, sono stata iscritta ufficialmente nel tabellone dei punteggi e potrò competere per il titolo di “impiegato del mese” e, soprattutto,  per la gratifica dello stipendio che certamente non mi dispiacerebbe.
 
Lo so quale argomento state tutti aspettando. Trovo molto ironico e masochistico che quello stronzetto sia diventato una sorta di “star” in questo blog. Il pensiero di come reagirebbe, se lo sapesse, mi fa venire l’orticaria. Ma cercherò di essere il più possibile obiettiva e approfitterò di questa sede per rispondere a qualche domanda e/o osservazione dedicate a lui.
Non ho nascosto che possieda un suo fascino. Probabilmente lo apprezzerei di più se non fosse accompagnato dalle sue maniere villane, dal suo egocentrismo e dalla sua presunzione. Per amore di chiarezza,  è il caso di ribadirlo, si tratta di un futile dettaglio per me. Non ho certamente  accettato la proposta di Lupin per “avvicinarmi a lui” e sono grata che almeno su questo non sembrino esserci dubbi. Ovviamente, Amy, non sto “reprimendo” la mia attrazione nascosta. Per inciso, Morgana, non ho la benché MINIMA intenzione di invitarlo qui a cena, quindi dovrai accontentarti delle descrizioni mie e di Sean. Comunque lo so che stai usando le tue doti da “stalking queen” per studiarlo attraverso i social e le amicizie in comune.
Nutro seri dubbi sulla possibilità che questo spettacolo possa renderci “amici”. Sarebbe tuttavia già prodigioso se riuscissimo a collaborare come due persone civili. Le cose tra noi, al momento in cui scrivo, non stanno affatto migliorando. Al contrario. Preferirei comunque cominciare dagli aspetti positivi e lasciare alla fine il  “lato oscuro” dello spettacolo.
 
Il Professor Lupin non ha deluso le mie aspettative e si è confermato un insegnante meraviglioso. Se vedeste la sua pazienza nel seguirmi, passo dopo passo, parlandomi approfonditamente del mio personaggio e aiutandomi a memorizzare quelle battute, come se fossero frutto dei miei stessi pensieri.  Mi incoraggia spesso e mi loda immancabilmente quando mi avvicino al risultato sperato. Minimizza i miei errori e risalta il mio impegno. Devo ammettere che lavorare con lui è una delle esperienze di insegnamento più stimolanti della mia vita.
 
Piuttosto sorprendente, invece, è stata la reazione del signor Riddle. Ho accompagnato personalmente il Preside nel suo ufficio. Riddle, alla sua vista, si è alzato immediatamente, ha circumnavigato la scrivania per stringergli solennemente la mano. Silente gli si è rivolto con grande informalità e confidenza, chiedendogli della sua vita con voce commossa. A quel punto il mio datore di lavoro mi ha chiesto di lasciarli soli in tono brusco. Qualcosa nel suo sguardo mi ha suggerito che si sarebbe sentito a disagio se fossi rimasta. Se non altro ciò confermava le parole del Preside circa il suo passato da studente dell’Accademia. Ricordavo ancora bene le lodi sul suo talento innato e non avevo dubbi che la sua sconcertante decisione di lasciare le scene avesse lasciato dietro di sé parecchia incredulità e delusione.
Non riesco sinceramente a spiegarmi come si possa rinunciare a una simile carriera per dedicarsi alla ristorazione, ma era anche vero che Riddle non mi sembra provare alcun tipo di rimorso. Inoltre trovo molto coraggiose le persone che abbandonano un destino che sembra già deciso e si rimettono completamente in discussione, ripartendo da zero.
Il colloquio è durato quasi un’ora e Mrs Weasley ha servito loro due tazze di the e dei dolcetti che devono aver soddisfatto la golosità del Preside. Io sono rimasta in tensione per tutto il tempo, fino a quando non sono finalmente usciti dall’ufficio. Riddle l’ha accompagnato alla porta, insistendo per offrirgli un vassoio assortito di paste e gli ha nuovamente porto la mano. Silente invece l’ha abbracciato calorosamente. Riddle, che sembrava molto restio al contatto fisico, è sembrato pietrificarsi ma le sue labbra si sono ammorbidite in un sorriso che, a detta di Neville, è più spaventoso delle sue espressioni severe. “Beh, che avete da guardare?”, ci ha rimproverato tutti, di fronte al nostro sguardo incredulo, come se non lo ritenessimo capace di dimostrare affetto a qualcuno. “A chi comincio a togliere punti?”, ha tuonato l’attimo dopo e tutti sono tornati al loro lavoro ad eccezione della sottoscritta.
Mi ha chiesto di seguirlo nel suo ufficio e di chiudermi la porta alle spalle. Mi ha fatto cenno di accomodarmi e mi ha osservato a lungo, prima di parlare con il volto inclinato di un lato. Con mio grande sollievo, ho scoperto che Silente aveva omesso il dettaglio del lancio della pasta, ma si era concentrato soprattutto sul desiderio di Lupin di avermi nel suo spettacolo e sarebbe certamente venuto di persona a perorare la mia causa ma le parole del Preside erano state più che sufficienti.
“Rispetto molto le persone che si mettono in gioco e colgono le occasioni uniche della vita”, ha esordito con voce molto profonda. Nel suo sguardo mi sembra di aver letto una certa stima che mi ha intimidito non poco. “Mi ha sorpreso piacevolmente questa novità. Madame Bumb ed io ci occuperemo personalmente della modifica dei suoi turni per consentirle di partecipare alle prove dello spettacolo. Ovviamente ne saremo gli sponsor quindi le chiedo fin da adesso di prendere molto sul serio questa opportunità anche per il nostro interesse”.
Non ho potuto fare a meno di guardarlo con tanto d’occhi e di sentirmi lusingata e in soggezione. Riddle si aggiunge alla lista delle persone che non vorrei mai deludere. “Farò tutto il possibile per non tradire la stima e la fiducia del Professor Lupin e del Preside e anche per ringraziarla di rendermi possibile questa partecipazione”, ho risposto con le guance infiammate e la voce flebile.
Lui ha annuito in segno di approvazione ma il suo sguardo si è fatto distante, come se se fosse perso nei suoi ricordi. “Il teatro è ricco di magia e di insegnamenti: faccia tesoro di questa esperienza”.
Non dimenticherò la solennità di quelle parole e ho promesso che così avrei fatto.
Già in queste due settimane Riddle ha dimostrato piena collaborazione, tanto da elaborare delle strategie di marketing da mettere in atto nelle settimane precedenti allo spettacolo, dalla vendita dei biglietti fino a sconti per i partecipanti allo spettacolo e l’organizzazione di un buffet a suo carico alla fine della rappresentazione.
Non vi nascondo di aver tirato un grosso sospiro di sollievo perché la sua reazione, sempre imprevedibile, era una delle mie principali angosce.
 
Ma c’è ancora un aspetto che mi turba di tutta questa situazione. E non è affatto trascurabile. Se ci penso, mi sento ancora bollire di umiliazione ma, per mia fortuna, ancora una volta il professor Lupin mi ha sorpreso per la sua calma, comprensione e... tolleranza.
Sì, lo ammetto. Quello stronzetto e io non ci stiamo “sforzando” di andare d'accordo. Lui non perde occasione per rendersi insopportabile e la cosa che davvero mi sta logorando è che neppure sembra sforzarsi! Gli riesce con una naturalezza che sembra parte del suo patrimonio genetico almeno quanto gli occhi che stringe in due fessure quando è infastidito o quel ghigno che gli increspa le labbra quando è divertito. Talvolta non deve neppure ricorrere a quel suo sarcasmo da perfetto stronzo. Basta quel modo accondiscendente e sprezzante di scrutarmi, il modo in cui inarca il sopracciglio quando recito e cerco di assumere l'intonazione adeguata alla battuta. Per non parlare degli sbadigli e di come si stravacca in platea quando Lupin lo invita ad “aspettare qualche minuto”. O quando lo sorprendo a guardare enfaticamente l'orologio o giochicchiare con il suo cellulare mentre io cerco di portare a termine una scena con gli altri membri del cast. Quest’atteggiamento è quasi preferibile, comunque, ai momenti in cui mi fissa insistentemente e sembra attendere il momento in cui farò un nuovo errore e costringerò tutti a ricominciare la scena da principio.
 
Ma niente è stato, almeno per ora, mortificante come il giorno in cui Lupin ha azzardato a farci provare una scena insieme. Non tanto lo scambio di battute perché a suo parere professionale… 

 
“Non dovete neppure sforzarvi di scrutarvi in cagnesco”. Commentò Lupin con aria evidentemente soddisfatta, guardando dall’uno all’altra.
“No, infatti”. Feci spallucce con un sorriso affettato, mentre il ragazzo faceva roteare gli occhi con espressione insofferente.
“Siete molto naturali e spontanei: c'è quasi da sperare che non riusciate mai ad andare d'accordo”. Continuò Lupin con lo stesso tono scherzoso e diede una pacca sulla spalla del ragazzo. Tom non rispose ma a quel gesto lo guardò con una smorfia di altezzoso riserbo che, in verità, gli riservava quasi sempre, a prescindere dallo spettacolo.
“Oh, non ci sono rischi, per quanto mi riguarda”. Mi sentii dire, premunendomi di ignorare lo sguardo del ragazzo.
Non sembrava ancora essersi rassegnato all’idea che fossimo entrambi protagonisti dello spettacolo. Se non altro aveva smesso di venire al pub: evidentemente conveniva che vederci per le prove fosse più che sufficiente. Una volta tanto eravamo implicitamente d’accordo su qualcosa, anche se ciò non mi esimeva dal portargli le paste tutti i giorni.
“Spero non troppo”. Aveva mormorato Lupin, guardandoci con finta aria di rimprovero. “Non vorrei sacrificare qualche altra camicia”.
Risi persino di quel ricordo, ma mi strinsi nelle spalle e continuai a scarabocchiare con la matita sulle pagine del copione. “Sinceramente questo non posso proprio prometterlo”.
“Dopotutto dovreste innamorarvi nell'arco di due ore di spettacolo”.
“Sì, infatti”. Avevo risposto con tono casuale. Sembrai recepire le parole di Lupin con qualche secondo di ritardo. Sgranai gli occhi e quasi mi caddero matita e copione dalle mani.
Che cosa?!”. Avevo gracidato con voce strozzata.

 
Lo so cosa state pensando e non avete tutti i torti. Come è possibile che abbia accettato di prendere parte a quello spettacolo e neppure si sia curata di conoscerne la trama? A mia giustificazione posso dire che l’avevo capita a grandi linee e che sapevo che il rapporto tra i nostri alter ego sarebbe stato caratterizzato da una forte tensione che, talvolta, avrebbe avuto incrinature più romantiche. Mi ero naturalmente ripromessa di leggere per intero il copione e studiare le mie battute, ma tra il lavoro e la gestione della vita domestica, spesso e volentieri mi addormentavo prima di giungere alla fine del secondo atto. Senza contare che la lettura è ovviamente rallentata dal bisogno di tradurre alcune parole (molte in linguaggio ottocentesco) ricorrendo a un dizionario o a internet, quando Morgana non è in casa per aiutarmi.
 

Un profondo calore mi salì alle gote e mi voltai bruscamente verso il professore.
Quest'ultimo parve vagamente a disagio di fronte alla mia reazione evidentemente sorpresa e lo vidi carezzarsi pensosamente il baffo prima di abbozzare un sorriso incoraggiante.“Elisabeth e William sono legati da un'ostilità quasi elettrica che è pari soltanto all’intensità dell'attrazione reciproca”. Mi illustrò in tono pacato.
“Attrazione, certo”, balbettai per risposta, ricordando vagamente quella breve sinossi dello spettacolo.
Tom aveva guardato Lupin con una vaga smorfia annoiata per poi studiarmi. I suoi occhi dardeggiarono di divertimento nel notare il mio imbarazzo. Ancora una volta maledissi la mia incapacità di simulare le mie reale emozioni che mi rendeva, a mio modesto parere, una pessima attrice.  Il  viso di Tom si illuminò e annuì con enfasi.“Un'attrazione irresistibile”. Aggiunse a mio beneficio e mosse rapidamente le sopracciglia con aria provocatoria.
“Esattamente”. Gli sorrise Lupin compiaciuto all’idea che lui stesso volesse partecipare a quella discussione sulle implicazioni psicologiche dei protagonisti.
Guardai dall’uno all’altra, prima di scuotere il capo. “Tuttavia Elisabeth è una nobildonna inglese”, rimbeccai in tono pacato. “Certamente dovrebbe combattere contro molti pregiudizi visto che lui è…”, mi interruppi per scoccargli uno sguardo schifato. “Un avanzo di galera”, sottolineai volutamente quella definizione.
“Condannato ingiustamente”, ribadì Lupin ma neanche lo ascoltai.
“Chi potrebbe credere che una donna fiera e illustre come Elisabeth si abbasserebbe al suo livello? Creando un simile scandalo presso la famiglia e la società?”.
Lupin sorrise, ma mi imposi di ignorare lo sguardo sornione di Tom. “Molto bene, Sarah. Ti ringrazio di aver ribadito questo punto che sarà fondamentale per lo sviluppo del tuo personaggio. Ma è proprio per questo aspetto cruciale che mi  affido totalmente a voi: perché non sia un risultato banale e scontato. Ecco perché è fondamentale che l'ostilità iniziale tra voi sembri vera”, spiegò in tono paziente, ma incredibilmente serio.
Sospirai nel rendermi conto che non potevo certo chiedergli di snaturare il suo spettacolo per mio capriccio personale. Soprattutto se volevo comportamenti in modo “professionale”. “Su questo non ci sono rischi”. Avevo borbottato in risposta.
“La scena del ballo sarà di importanza strategica”, continuò pensierosamente, sfogliando il proprio copione.
Il ragazzo aveva improvvisato un'espressione di seria concentrazione: finse persino di prendere appunti, mentre io  lo fissavo disgustata.
Mi volsi di nuovo bruscamente verso l'insegnante. “La scena del ballo che avverrà…?”.
“Atto 10, scena 2”. Si intromise Tom con l’aria saccente da primo della classe. Esibiva ancora quel sorrisetto strafottente ma lo ignorai.
Avrei voluto, tuttavia, poter sfogliare per intero quello stupido copione e appurare che fosse la verità.
“Il valzer”. Specificò Lupin con sguardo che sembrava perso nell'immaginare la scena così come l'aveva stilata. “Un ballo in maschera in cui William si introdurrà furtivamente: scorgerà Lady Elizabeth, elegantissima quanto affascinante, e la riconoscerà malgrado la maschera...”.
Sospirai e incrociai le braccia al petto.“Immagino che io dovrò provare per lui un’irresistibile attrazione, pur non riconoscendolo”. Cercai di non apparire spezzante per rispetto alla creatività dell'uomo ma soltanto sorpresa e curiosa. Il ragazzo, d'altro canto, stava canticchiando  il motivetto del rinomato ballo, persino muovendo il capo a ritmo.

“Più o meno”, rispose Lupin con lo sguardo ancora vacuo. “Almeno  fino a quando non si protenderà per il bacio”, precisò e un verso strozzato e scandalizzato mi sgorgò dalle labbra. “Ma prima”. Fece una pausa enfatica, muovendo una mano nell'aria come a dipingere la scena che stava cercando di descriverci.
Mi tesi in sua direzione e deglutii a fatica: “Prima?”, lo incalzai con voce atterrita all’idea di come avrebbe terminato la frase.
“Lui si toglierà la maschera e Lady Elisabeth lo colpirà con il suo ventaglio”. Il suo volto sembrò tendersi mentre si concentrava. “Siete una viscida serpe, William”.  Imitò una voce femminile e, dopo averlo arrotolato,  usò il copione per dare un lieve colpetto sulla spalla del ragazzo.
Quest'ultimo smise di intonare il valzer e lo guardò con le sopracciglia inarcate e una vaga smorfia di disgusto che riuscì a strapparmi un sorrisetto. Non vedevo l’ora di replicare quel gesto, ma ovviamente con molta più energia.
“Bene, quindi non ci sarà alcun happy ending scontato...”. Rilasciai un sospiro di sollievo. Avevo seriamente temuto che sarei anche stata costretta a baciarlo in quella sequenza.
“Oh, solo alla fine”, precisò Lupin. Sembrava così assorbito nel parlare del suo copione da non offendersi neppure all'idea che non lo avessi (ancora) letto per intero. “Dopo che si confesseranno il loro reciproco amore. Il sipario si chiuderà sul bacio finale”. Aggiunse con tono casuale e quasi scontato.
Gemetti e fissai l'uomo con gli occhi sgranati, mentre avvertivo una profonda vampata di calore salirmi al viso. “Bacio?!”. Ripetei con voce acuta.
“Sì, è un cliché che non può mai mancare. E una perfetta sintesi dell’attrazione sopita, del magnetismo elettrico fino a quando la passione diviene incontrollabile per entrambi. Elisabeth rinuncerà al matrimonio di prestigio voluto dal padre, per il suo vero amore”. Sorrise guardando dall'uno all'altro.
Ero rimasta impietrita e immobile, fissando il ragazzo con gli occhi sgranati. Quest'ultimo schioccò la lingua sul palato e mi rivolse un sorrisetto beffardo. Ero incredula. Perché non poneva alcuna obiezione, come faceva ad essere così tranquillo e naturale, indifferente? Se fino a pochi giorni prima riteneva scandalosa la sola idea di recitare con me, perché non lo disturbava fingersi innamorato o compiere simili gesti? Perché solo io ero così atterrita e sgomenta alla sola idea di... scossi il capo: neppure riuscivo a pensarci.
“C'è qualche problema con questo?”. Domandò cautamente Lupin nel notare l'ulteriore silenzio. Guardò dall'uno all'altra e il ragazzo scrollò le spalle con espressione indifferente. “Perché dovrebbe? Si chiama recitazione dopotutto”. Rispose in tono pacato, ma sottolineò la parola, guardandomi dritto negli occhi. Avrei giurato che avesse perfettamente compreso il mio stato d'animo, ma volesse accrescere il mio disagio. Probabilmente si sentiva persino lusingato e aveva l’erronea percezione che il mio nervosismo fosse di ben altro genere.
Facile parlare per lui, pensai amaramente, sfuggendone lo sguardo.
Dopotutto non si sarebbe trattato del suo primo bacio e dato di fronte a una platea di persone. Dovetti fare appello a tutto il mio autocontrollo per non deglutire ulteriormente. Mi morsicai furiosamente il labbro, mentre cercavo di sorridere a Lupin e di nascondere il mio reale stato d'animo. “Naturalmente no, è tutta finzione”. Cercai di imitare il tono indifferente dell'altro, ma non riuscii a ricambiarne lo sguardo.
Lupin annuì, salvo controllare l’orologio. “Si è fatto tardi, potete andare: ci rivedremo Mercoledì”. Si congedò con un sorriso e lo seguii con lo sguardo. Continuavo a sentirmi inquieta. Specialmente all'idea di restare da sola con quel viscido verme la cui presenza adesso mi appariva quanto meno ingombrante. Temporeggiai con la scusa di riordinare la mia borsa: vi inserii il copione e cercai di non pensare alle parole di Lupin, tanto meno al bacio che sarebbe divenuta la mia nuova ossessione. O psicosi.
Non mi voltai per salutarlo, ma mi diressi alla scalette per scendere dal palcoscenico. Trasalii, tuttavia, quando sentii il suo respiro sulla nuca. “Sembri piuttosto nervosa”. La voce era roca e sentii intirizzirsi quella porzione di pelle. Deglutii a fatica, ma mi sforzai di voltarmi per guardarlo in volto.  Aveva le sopracciglia inarcate e il ghigno divertito.
Alzai il mento e scossi la testa. “Si chiama senso del pudore”. Cercai di spiegare con tono pacato e ragionevole. Non era legittimo, anche se si trattava di recitazione, avere qualche remora a dover compiere un simile gesto e di fronte ad una platea?
Sogghignò in risposta e lo sguardo sembrò dardeggiare malizioso. “Si chiama recitazione”. Ripeté. Inclinò il viso e mi scrutò per un lungo istante e lo sguardo penetrante sembrò voler leggermi dentro. “A meno che ciò non significhi qualcosa per il tuo cuoricino”.
Il mio “cuoricino” stava scalpitando furiosamente e solo in quel momento sembrai accorgermi di quella vicinanza poco opportuna. Indietreggiai bruscamente, odiando il rossore che mi stava pitturando le guance e cercando di ignorare il brivido lungo la spina dorsale. “Niente affatto”. Risposi rapidamente, ma non fui felice del suono stridulo della mia voce.
Quel sorrisetto sfrontato non accennò ad estinguersi ma, al contrario, sembrò far dardeggiare ancora più intensamente i suoi occhi. Scrollò le spalle, con aria incurante e mi superò. “Te lo auguro”. Scese gli scalini, alzò appena una mano in segno di saluto e si allontanò con passi indolenti.
 

 
Ma che cosa diavolo avrà voluto dire? Perché mi ha guardata con quell'aria consapevole e sicura di sé, perché il mio imbarazzo lo fa tanto divertire?
Sto seriamente cominciando a pensare che il comportamento insolito sia il mio. Senza dubbio devo imparare al più presto a dissimulare le mie emozioni e a non farmi più trovare impreparata, a costo di finire di leggere il copione in tarda notte.
Se queste sono state solo le prime due settimane di prove, non oso immaginare a quali scenari andrò incontro. Ma non fatico a credere che saranno ulteriore fonte di divertimento e di aspettativa per le mie amiche. Ancora non riesco a credere che, in fondo, sarebbero ben felici che tra noi nascesse ben altro tipo di sintonia. Il solo contesto in cui l’idea mi farebbe sorridere sarebbe un romanzo della Kinsella o una commedia romantica che di quando in quando mi allieta le serate altrimenti tediose.
Ma non serve che vi dica che la vita è tutt’altra cosa.
Direi che per oggi è tutto, prometto che cercherò di essere più solerte nei prossimi aggiornamenti.
Buona serata a tutti, alla prossima! :)

 
~
Mi allacciai la cravatta di fronte allo specchio dello spogliatoio, prima di emettere un breve sbadiglio. Sbuffai nel tentativo di sistemare l'ennesima ciocca di capelli che era sfuggita dal chignon. Li avrei lasciati sciolti, ma Riddle era inflessibile su quel punto e per comprensibili motivi di ordine igienico. Alla fine decisi di comporre una piccola treccia e di annodarla sulla nuca, sistemando le ciocche ribelli con qualche mollettina. Sbadigliai nuovamente e mi sfregai gli occhi con uno sbuffo. La consegna mattutina delle paste mi stava letteralmente distruggendo il ritmo di sonno-veglia, ma almeno mi sarebbe stata risparmiata la visione di Tom fino alle prove. Il custode, infatti, aveva recentemente saputo di quel malaugurato “incidente” della prima consegna e da allora non mi permetteva di varcare la soglia dell'edificio, quando avevo un vassoio tra le braccia. Neppure per le prove sarebbe stato possibile, a dirla tutta, se fosse dipeso da lui: la prima volta che mi presentai a tale scopo, infatti, fu il professor Lupin a farmi da garante.
Magari la prossima volta chiederà a una poliziotta di perquisirmi, pensai tra me e me.
Diedi il buongiorno al signor Riddle che stava lustrando la teca del suo “tesorino”: aveva preso la spiacevole abitudine di piazzarla in bella vista nel salone, quasi si augurasse che divenisse fonte di ispirazione per tutti. Era vagamente inquietante parlare coi clienti e cercare di assumere un atteggiamento affabile quando quegli occhietti maligni ti fissavano. Soprattutto mentre cercava di ingoiare uno spuntino e le sue spire si contorcevano.
“Buongiorno”, mi rispose Riddle, guardandomi di traverso. “Come è andata questa mattina?”, mi chiese come di consueto.
“La consegna è avvenuta regolarmente e ho ricevuto il pagamento: ho già inserito l’importo in cassa”, risposi, cercando di non guardare Nagini e il povero topolino che stava torturando.
“E’ vero, signor Riddle, ho controllato di persona che ci fossero tutti i soldi”, ribatté Percy che sembrava letteralmente “materializzarsi” alle sue spalle, quando faceva domande ai suoi dipendenti, soprattutto agli ultimi arrivati.
“Molto bene, dieci punti per lei”, ribatté il nostro capo, strappando il sorriso dalle labbra del mio collega. Superfluo dire che quest’ultimo fosse anche “ossessionato” dalla competizione e che non sopportasse l’idea che qualcuno gli strappasse il titolo o si avvicinasse al suo record personale.
Sorrisi. Se non altro quella scocciatura quotidiana mi fruttava qualche probabilità in più. Ero nella fascia più alta della classifica che era attualmente capitanata dallo stesso Percy. Amy e Susan Bones, tuttavia, erano molto vicine a insidiare il suo primato e mi auguravo di cuore che una delle due trionfasse anche solo per fargli dispetto. Il povero Neville, invece, era in fondo alla classifica per un recente incidente in cucina in cui aveva frantumato almeno una decina di piatti.
“Come sono andate le prove?”.  Mi domandò la mia amica quando mi collocai dietro al bancone.
La guardai mentre cercavo di allacciare il grembiule alle mie spalle. Aveva un sorrisetto divertito e lo sguardo pregno di curiosità.
Sospirai. “Diciamo bene”, mormorai con un breve sospiro. “A parte che la maggior parte degli aspiranti attori con cui interagisco, mi fissa come se fossi un animale repellente”.
Ripensai con una smorfia a due ragazze in particolare. La prima aveva i capelli corvini e i lineamenti gradevoli come quelli di un carlino. Sfortunatamente per me dovevamo recitare insieme diverse scene perché lei vestiva i panni della mia rivale nel palese tentativo di accattivarsi le attenzioni di Lord Duncan, il mio promesso sposo. Se fosse stata interamente un carlino, almeno, mi sarei risparmiata la sua voce petulante e quelle smorfie da diva mancata. La seconda, era la sua insopportabile compagna di gossip, una ragazza di origine indiana, dai capelli scuri e dalla figura alta e slanciata e dall’espressione altezzosa. Si trattava della stessa ragazza che aveva assistito all’incidente con la pasta e che mi aveva già allora scoccato un’occhiata scandalizzata. Lei avrebbe interpretato la mia cameriera personale, quindi non osavo immaginare il dolore che mi avrebbe inflitto con quei famigerati corsetti che mi avrebbe allacciato alle spalle.[1]
“Giornata pesante?”. Mi domandò con un sorriso addolcito.
Sospirai. “Più passo tempo in quell’Accademia e più mi convinco che bisogna avere il gene dello stronzo o l’affabilità di Victoria Beckam per farne parte”.
“Io non credo che siano tutti così”. Commentò con voce ridente mentre asciugava delle tazze e dei bicchieri per poi riporli nello scaffale.
“Sean è l'eccezione che conferma la regola, ma questo è scontato”, precisai con un sorriso di affetto al pensiero di quell’unico volto che mi accoglieva sempre con un reale sorriso. In parte potevo anche capire gli alunni che dovevano aver vissuto la mia partecipazione come qualcosa di ingiusto. Soprattutto le ragazze che sicuramente si ritenevano più degne e preparate per rivestire i panni di Elisabeth.
Interruppe la sua attività per rivolgermi un sorrisetto supponente. “Ma io non stavo parlando di lui”, precisò con un breve ammiccamento.
Feci una smorfia e scossi il capo. “Quale parte di stronzetto risulta difficile da comprendere? Se quella scuola è frequentata da stronzi, lui ne è il dittatore supremo tuttora in carica”.
Lei continuò a sorridere e fece spallucce, quasi vedesse qualcosa che a me sfuggiva. “Posso solo immaginare quale sofferenza sarà il doverlo baciare: mi fai davvero pena”, commentò in tono fortemente ironico. Lo sguardo si fece vacuo, quasi stesse pensando a qualcosa e la sua espressione mutò in un’aria più malinconica. “Magari avessi io questa fortuna con Daniel!”.
“Magari!”, replicai con altrettanta energia.
“Ti assicuro che in tal caso non scriverei tante cattiverie su di lui nel mio blog”, soggiunse con una risatina. Superfluo dire che fosse una delle mie lettrici più accanite e quasi sempre la prima a lasciare un commento di risposta, anche quando si trattava di emoji con enormi sorrisi.
“Sono stata fin troppo educata, se proprio vuoi saperlo”. Risposi con perfetta nonchalance, mentre allineavo le bottiglie dei liquori per mantenermi impegnata e non doverne sostenere troppo a lungo lo sguardo, rischiando di arrossire.
“Scommetto dieci sterline che dopo che ti avrà baciata, avrai tutt'altra opinione di lui”. Soggiunse in tono più malizioso.
Sentii le gote infuocarsi e quasi rischiai di far cadere una bottiglia di rhum che mi affrettai a posare al suo posto.  Mi voltai a guardarla con gli occhi sgranati e le labbra quasi schiuse di indignazione. “C-Cosa dici?!”.
Qualcuno è arrossito”. Mi fece notare con la stessa finta ingenuità.
Non ebbi tempo di formulare una risposta, perché il suo sguardo fu attirato dal nuovo arrivato. “A proposito di dive famose”, commentò nella nostra lingua madre con una lieve traccia di ironia.
Inarcai le sopracciglia e ne seguii lo sguardo, provando un vago sentore di nervosismo, quando incontrai il sorriso di Emma. “Vi lascio sole: avrete sicuramente un bel pezzo di ragazzo di cui parlare...”. Ridacchiò tra sé e sé.
Sentii nuovamente le guance infiammarsi. “Il discorso non è finito!”, esclamai nella nostra lingua madre. “E comunque, perché tu lo sappia, Morgana ne ha già scommesse 20 di sterline!”, conclusi in tono quasi petulante.
Ma cosa sto dicendo?!
Probabilmente la giovane si stava domandando la stessa cosa: aveva le sopracciglia leggermente inarcate mentre ci guardava. Fortunatamente la sua attenzione fu calamitata dal cellulare che le stava suonando. Insinuò la mano guantata nella borsa elegante, abbinata al suo completo di un marchio prestigioso, per prenderlo. Un sorriso le increspò le labbra nel leggere il chiamante e non potei fare a meno di incrociare le braccia al petto. Evidentemente Tom doveva avere un qualche potere speciale per riuscire a infastidirmi anche quando fisicamente non presente. La sentii pronunciare il nome del locale e pregai in cuor mio che lui non decidesse di raggiungerla.  Le telefonata durò pochi minuti e Emma si avvicinò al bancone e mi sorrise.
“Ciao Sarah”. Pronunciò il mio nome con la tipica cadenza anglosassone a cui, mio malgrado, mi stavo abituando.
Le sorrisi di rimando. “Ciao Emma. Cosa ti preparo?”.
“Un cappuccino, per favore”.
Annuii e la giovane prese posto sullo sgabello. Evidentemente non aveva intenzione di fermarsi a lungo e neppure ne stava attendendo l’arrivo o presumibilmente avrebbe scelto un tavolo. Versai la crema del latte nella tazza del caffè con piccoli e rapidi movimenti e depositai la tazza sul piattino che avevo appoggiato davanti a lei.  
La vidi estrarre dello zucchero di canna dall'apposito cestino.
“C'è anche del dolcificante, se vuoi”. Mi sentii dirle per istinto, ricordando fin troppo bene che quello era stato uno dei pretesti con cui Tom mi aveva infastidito il primo giorno.
Ne presi qualche bustina dal recipiente apposito, ma Emma scosse il capo con una smorfia. “Mai piaciuto, molto meglio lo zucchero”.
Brutto pezzo di stronzo. Lo sapevo che era una balla.
“Gliela faccio vedere io la dieta”. Borbottai nella mia lingua madre.
La ragazza, che stava ancora mescolando, levò lo sguardo e parve perplessa: anche se non poteva capire le mie parole, doveva aver notato il tono seccato. “Dici a me?”.
Sentii le guance arrossarsi ma scossi il capo. “Oh no, scusami. Stavo pensando a uno dei miei primi clienti. Un vero rompiscatole. Pensa, mi ha fatto una scenata perché avevamo esaurito il dolcificante”, mi complimentai con me stessa per come stessi diventando abile a improvvisare risposte false. O parzialmente vere. Sospirai con aria quasi stanca. “Meglio che tu non mi faccia parlare. Sono qui da meno di un mese e potrei già riempire un manuale di aneddoti di questo tipo”, soggiunsi con teatrale drammaticità.
Emma sorrise con aria comprensiva, annuendo vistosamente. “E’ un lavoro fin troppo sottovalutato”, aggiunse in tono cortese, salvo tornare a osservare il proprio cellulare. Sperai che non fosse una di quelle avventrici che perdevano cinque minuti a scattare foto al proprio cappuccino, a modificarle coi filtri e a cercare una quindicina di hashtag prima di postarle, ingombrando il bancone e facendo perdere tempo a me e ai miei colleghi.
 “Gradisci qualcosa da mangiare?”, le chiesi per essere sicura di non dover porgerle un altro piattino. “Abbiamo appena sfornato degli scones”.
Emma strinse le labbra in una vaga smorfia, levando anche la mano. “Non nominarmeli: non so come Tom faccia a ordinarne così tanti ogni mattina. Io non riesco più a sopportarne neppure la vista”.
Ah! Lei non può più vederli? Non potei fare a meno di pensare. Quei maledettissimi scones mi costavano la sveglia mattutina e la metropolitana affollata fino alla fermata della loro Accademia.
“Quattro etti”, precisai.
“Scusa?”. Mi guardò nuovamente con le sopracciglia inarcate.
“E’ la quantità precisa di scones che ogni mattina Mrs Sprite sforna appositamente per lui e che io vengo a prendere alle 8.30. Tutti i giorni fino al Venerdì”, spiegai con un sorriso. Non ero certa di riuscire a celare il mio fastidio, ma dopotutto neanche mi importava che le fosse palese che non provassi particolare simpatia per lui.
Emma parve appena dispiaciuta. “Sono sicura che si stuferà presto”, aggiunse in tono incoraggiante. Appoggiò la tazza ancora piena a metà. Accavallò le gambe e si slacciò il soprabito.
Avevo l’impressione che, benché sola, non avesse particolarmente fretta di andarsene. Mi guardai attorno, pensando a quale mansione avrei potuto adempiere nel frattempo. Non potevo allontanarmi troppo nel caso arrivassero altri clienti, ma mi sembrava maleducato restare a guardarla, nell’attesa che se ne andasse.
“Allora,  come va lo spettacolo?”. Mi chiese dopo qualche istante di silenzio.
Non potei fare a meno di chiedermi perché mi stesse facendo quella domanda. Era un espediente come un altro per rompere  il ghiaccio e chiacchierare mentre finiva la sua consumazione o era realmente interessata? Essendo lei stessa una studentessa di quell’Accademia e la ragazza storica di Tom, doveva parlarne già abbastanza con lui. Che lei sapesse esattamente di cosa parlava la sceneggiatura e mi stesse tendendo una trappola, per capire la mia interazione con il suo boyfriend?
Forse dovrei sospendere la lettura di Dan Brown per un po’ di tempo. O forse i geni paranoici della mamma mi stanno contagiando.
Misi da parte i miei pensieri e le risposi. “Sai, all’inizio ero molto nervosa, ma il professor Lupin è sempre molto incoraggiante”.
Emma annuì e a sua volta lodò per qualche minuto le lodi dell’insegnante, citando anche qualche spettacolo in cui aveva vestito i panni della protagonista ed era stato lui a dirigerla. Ad un tratto inarcò le sopracciglia e sembrò farsi più pensierosa. “Devo confessarti che non credevo che avrebbe scelto Tom per questa parte. Per me è difficile vederlo nei panni di un presunto assassino e dai modi così irriverenti e volgari verso le donne”. Il suo sorriso era parso addolcirsi nel pensare al giovane in questione con una tenerezza che avrebbe fatto impallidire le protagoniste dei libri di Nicholas Sparks.
Non potei che restare perplessa da quell’affermazione. Non per me, con quella faccia da stronzo che si ritrova, sarebbe stata la mia risposta più sincera. Per la prima volta mi sentii particolarmente curiosa sulle reali dinamiche di questa coppia:  o Emma era innamorata al punto da avere una visione eccessivamente rosata della realtà, proiettando in Tom le caratteristiche di un vero e proprio “principe azzurro”. E se fossi stata da sola avrei riso al pensiero. Oppure semplicemente Tom aveva un disturbo della personalità. Magari era affetto da schizofrenia e aveva diverse personalità e l’ingenua Emma era innamorata di quella più garbata e gentile. E con me, ovviamente, dava sfoggio di quella da stronzo. L’idea non era così malvagia. Dopotutto avevo già notato qualche comportamento contradditorio. Mi appuntai mentalmente di chiedere a mia sorella di mandarmi qualche pagina dei suoi libri di psicologia per dare una prova empirica a quell’ipotesi.
 “Capisco”, risposi laconica, non volendo ovviamente incoraggiarla a parlarmi della loro storia d’amore, soprattutto se lo avesse fatto in quei termini smancerosi. Per quanto avessi una discreta collezione di romanzi rosa, da Sophie Kinsella a Rosamunde Pilcher, ultimamente i miei gusti letterari erano scivolati verso romanzi polizieschi. E di quando in quando thriller. Ma avevo un debole per quelli vittoriani, il che probabilmente spiegava l’origine dei miei sogni notturni.
“Si chiama recitazione, dopotutto”. Mi ritrovai a citarne il ragazzo, ancora incupita al ricordo di quell’espressione arrogante mentre proferiva tali parole.
Emma ridacchiò e annuì con foga. “Lo dice sempre anche lui. Sembrava quasi che lo stessi imitando”, soggiunse con un’altra risatina tintinnante.
Feci un vago cenno con la mano. “Credo di averglielo sentito dire, effettivamente”.
“Immaginavo, anche perché in tal caso, scusa se lo dico, ma sarebbe stata un’imitazione scadente”.
Scadente?! Almeno io non parlo di lui come se fosse Mister Darcy, non potei fare a meno di pensare con un certo fastidio.
Ancora non riuscivo a leggere bene  il carattere di Emma: non pensavo che provasse alcuna ostilità nei miei riguardi, ma semplice curiosità. Ma se fosse stato tutto un modo per celare una sorta di gelosia professionale? O per celare il fatto che condivideva lo stesso risentimento delle sue colleghe? La guardai per qualche istante, valutando se potessi chiederglielo in modo più o meno velato. In fondo bastava essere educati e non avevo nulla da perdere, visto che ci conoscevamo appena. “Emma, posso farti una domanda diretta?”.
La ragazza si fece subito seria e parve sorpresa da quel cambiamento di toni. “Ma certo, chiedi pure”, mi sorrise con espressione più affabile.
“Forse ti sembrerò paranoica, ma alcune tue colleghe mi sembrano molto fredde nei miei confronti e capisco che il vostro sia un ambiente molto competitivo. Per caso ti ha dato fastidio che Lupin abbia scelto me?”.
Emma parve sinceramente spiazzata dalla mia domanda poiché inarcò le sopracciglia e assunse un’espressione di reale confusione. Mi osservò per qualche istante con espressione perplessa, per poi sorridermi con la stessa gentilezza.“Ma certo che no. Ho grande stima di Lupin e anche se non ci conosciamo molto bene, di te ho sentito dire solo cose splendide da Sean”, rispose con foga. “ In ogni caso in questo momento sono impegnata in un altro spettacolo”, spiegò in tono del tutto composto. Probabilmente gran parte di quel savoir faire era frutto del temperamento britannico che talvolta sembrava del tutto opposto a quello italiano in quanto a flemma e a compostezza.
Mi morsi il labbro e mi pentii subito di averle rivolto quella domanda. Sapevo di essere, per natura, una persona fin troppo riflessiva e spesso e volentieri mi ero trovata, anche nelle relazioni personali, ad affrontare equivoci nati esclusivamente dalla mia natura ansiosa e insicura. Anche se spesso facevo la figura della paranoica, preferivo sempre la chiarezza. Anche se il mio orgoglio ne avrebbe risentito per un po’, avrei presto smaltito quella conversazione e sarei andata avanti più serenamente. Magari io e Emma saremmo persino diventate amiche con il tempo.
“Meglio così, ho preferito chiedere”, mi schermii con un sorriso.
Emma reclinò il viso di un lato e sorrise con una luce bonaria nello sguardo che la rendeva quasi leziosa. Mi domandai se fosse un tratto del suo carattere che andava a nozze con l’egocentrismo di Tom, o se io le sembrassi una povera ragazzina che doveva rassicurare. “A meno che tu non avessi temuto che fossi gelosa di te e di Tom: questo sì che sarebbe stato assurdo”, aggiunse a mo’ di battutina di cui rise lei stessa.
Ovviamente non avevo dubbi che fosse una battuta, ma io non ci vedevo nulla di comico. Istintivamente mi irrigidii e incrociai le braccia al petto, maledicendo l’assenza momentanea di clienti che mi dessero un valido pretesto per lasciarla da sola a finire la sua consumazione. Avevo sbagliato tutto dalla mia esamina da dilettante: forse lei e Tom si meritavano a vicenda, solo che lei riusciva a nascondere la sua superbia con finta leziosità.
“Come hai ricordato tu stessa, è recitazione, no?”, soggiunse nuovamente con un sorriso apparentemente affabile.  
O non avevo capito nulla di Emma o avevo davanti a me un futuro Premio Oscar nella recitazione. Una cosa era certa: cominciavo a destare mortalmente quella frase.
“Sì, infatti, è recitazione”, risposi distrattamente, ma mi spostai per fingere di pulire delle stoviglie, così da tenere la mente e le mani impegnate. Non potevo permettermi di guardarla negli occhi e farle capire il mio stato d’animo perché sarebbe stato doppiamente mortificante.
“E' per questo che ti sentivi  a disagio con me?”, mi chiese quando finalmente sembrò aver smaltito il suo divertimento. Mi porse le stoviglie perché potessi sciacquarle con le altre e le rivolsi un cenno di ringraziamento, senza alzare lo sguardo. “Io non ti ho detto nulla perché pensavo che non ce ne fosse bisogno”, soggiunse con la stessa flemma.
Scossi il capo e mi imposi di incontrarne lo sguardo. “Stai tranquilla: adesso non mi sento più a disagio”, spiegai in tono composto, ma non le sorrisi. Non mi curavo del suo giudizio e del fatto che mi avrebbe considerato una paranoica musona. Non ero affatto desiderosa di accattivarmi la sua simpatia. Per me sarebbe sempre stata un’amica di Sean, la ragazza di Tom e una conoscente. Niente di più. Mi sarei sempre comportata in modo cordiale sia nel pub sia nelle aule dell’Accademia, ma non le dovevo nient’altro.
Emma dovette notare un cambiamento netto nella mia attitudine e ancora una volta mi dissi che avrei dovuto assorbire da Lupin il più possibile per cercare almeno di contenere le mie emozioni. Assunse un’espressione preoccupata e poi dispiaciuta. “Sara, temo di averti offesa, ma forse hai frainteso”, mormorò per la prima volta con un moto di disagio e di imbarazzo. “Non intendevo dire che fosse assurda l’idea che tu fossi una mia rivale, ma che io potessi accusarti di volermi rubare il ragazzo”, specificò con un sorriso. “Quello sì che sarebbe stato odioso da parte mia”, aggiunse con un sorriso più dolce.
Una parte del mio fastidio si attenuò, ma ebbi la conferma che Tom e Emma avessero in comune un’alta opinione di loro stessi e probabilmente, a giudicare da come parlava la ragazza, anche dell’entità della loro relazione. Scossi il capo per interrompere quella conversazione che stava decisamente andando troppo per lunghe.
“Lasciamo stare”, le proposi in tono molto più rilassato. “E’ stato solo un equivoco da parte mia: ti ho attribuito delle preoccupazioni che evidentemente erano solo mie”.
Emma parve a sua volta rilassarsi a quelle parole. Anzi lo sguardo castano fu attraversato da un baluginio più complice. “Davvero? Quindi hai lasciato in Italia un fidanzato geloso?”.
Un cosa?!
Sbattei le palpebre a più riprese, cercando di capire l’origine di quel gioco di equivoci a cui stavo partecipando involontariamente. Guardai la ragazza che chiaramente si aspettava una risposta positiva e, a giudicare dal sorriso sul viso, l'aneddoto sembrava esserle anche abbastanza congeniale. Quei pochi secondi parvero durare un’eternità e passai al vaglio la possibilità di assecondare quell’idea, soltanto per poter porre fine a quella conversazione. Tanto più che aveva finito la sua consumazione e probabilmente entro pochi minuti sarebbe uscita dal locale.
Annuii, assumendo un’espressione di stoica pazienza. “E’ così in effetti. Noi italiani siamo molto passionali”, enfatizzai. Così, tanto per rendere ancora più saldi gli stereotipi nei nostri confronti, lo dissi gesticolando.
La giovane si raddrizzò maggiormente sullo sgabello: lo sguardo era sembrato sfavillare e il suo sorriso più caloroso. Seppur naturalmente non pensassi agli inglesi come a dei robot, era la prima volta che Emma mi sembrava realmente avvinta dal dialogo. “Come ha reagito?”, mi domandò infatti con aria trepidante.
Già, come ha reagito?
“Non è che lui non si fidi di me”, precisai per darmi un certo contegno. “Anche noi abbiamo una storia di lunga data: stiamo insieme da quasi dieci anni”.
Beccati questa.
“Quasi dieci anni?!”, ripeté in tono realmente impressionato. “E avete ancora problemi di gelosia?”, sembrava piuttosto perplessa all’idea.
Perfetto, ora penserà che abbiamo una relazione alla Brooke e Ridge. O alla Brooke e Bill. O alla Brooke… oh, insomma, penserà che sia una Brooke Logan.
“Normalmente no, ma era molto ansioso per la mia partenza e la distanza non aiuta. Lui ha un lavoro importante che non può abbandonare, quindi non poteva accompagnarmi”, spiegai e improvvisai un sospiro. Non mi ero resa conto di aver giocherellato con le mani, ma lo sguardo di Emma era evidentemente intento a cercare un anello che chiaramente non indossavo.
Ridacchiai, seguendo il suo sguardo. “Non indosso mai l’anello quando lavoro: maneggio paste e liquidi tutto il giorno e non voglio certo che si rovini. Anche se mi sento nuda quando non lo porto, sai com’è”.
No, che non lo sa. Lei non lo indossa, non potei fare a meno di notare con una certa soddisfazione.
Emma tuttavia non si scompose o non parve aver colto la mia implicita osservazione. “Deve essere davvero difficile per entrambi. Ma potrà venirti a trovare nei weekend, no?”, mi disse in tono incoraggiante.
“E’ quello che gli ripeto”, risposi in tono pacato. “Ma ovviamente ci sentiamo tutti i giorni con skype, videochiamate e quant’altro”.
“Un anno può sembrare immensamente lungo”, sospirò Emma e lo sguardo sembrò farsi vacuo, quasi stesse riflettendo su qualcos’altro. Sembrò persa nei suoi pensieri per qualche secondo, ma poi mi guardò con un sorriso. “Dovresti convincerlo a prendersi qualche giorno di vacanza, così potrai fargli vedere l’Accademia, conoscere il Professor Lupin e anche Tom se questo potrebbe tranquillizzarlo”.
Oh, certo, diamo a quello stronzo altre occasioni di sabotarmi la vita. Non che il problema si ponga davvero.
Nota per me: assicurarsi che il mio storico fidanzato immaginario sia più alto e muscoloso di Tom. Non che questo sia troppo difficile.
E già che ci siamo, procuriamoci un finto anello.
“Oppure potresti fargli una sorpresa e tornare da lui per un weekend, così potrete chiarirvi di persona e sarà più facile gestire la lontananza nei prossimi mesi”. Mi disse in tono così infervorato e partecipativo che al confronto Barbara d’Urso sarebbe impallidita. Sembrava, per qualche arcano motivo, che Emma avesse un sincero bisogno di sapere che le cose tra me e il mio fantomatico fidanzato sarebbero andate bene nonostante quell’anno di separazione.
“Mi sembra un’ottima idea! Magari dopo che avrò incassato il primo stipendio e mi sarò comprata un bel vestito per l’occasione”. Recitai con finto entusiasmo.
Emma annuì con aria di evidente approvazione. “Credo che sia la cosa migliore per entrambi. Come hai detto che si chiama?”.
“Matteo”, risposi di riflesso.
Non era un nome casuale, naturalmente.
Avevo davvero conosciuto Matteo più di dieci anni prima ed eravamo stati compagni di classe alle medie inferiori. Era il classico ragazzino combina guai, svogliato e maleducato, dallo sguardo intenso e dal sorriso impudente. Ricordavo con tenerezza quella mountain bike che cavalcava e il modo in cui si impegnasse soltanto con i professori che riuscivano a stimolare il suo lato più energico e creativo. Spesso aveva schermaglie con gli altri ragazzi della classe.
Non avevamo mai avuto un particolare dialogo, a parte quando mi chiedeva aiuto per qualche compito o di poter prendere in prestito i miei appunti. Effettivamente eravamo agli antipodi e ripensai per un attimo al mio alter ego, negli anni precedenti al menarca. Ero una ragazzina bassa, smilza e indossavo un orribile paio di occhiali rotondi. Ero timida e introversa e a stento riuscivo a parlare in classe senza arrossire. A volte ero oggetto di scherno degli altri ragazzi. Ma non di Matteo. Lui, in quel suo modo un po’ arrogante, aveva sempre cercato di difendermi. Ma, soprattutto, a differenza degli altri ragazzi, mi aveva sempre rispettato come ragazza, anche se non ero mai stata la più ammirata.
Allora non avevo capito.
Lo rividi negli anni di liceo, alla fermata del bus. Di fronte a me vi era un giovane uomo, con gli stessi occhi meravigliosi ma i modi più pacati e posati nel chiedermi se fossi proprio io. Ricordavo ancora il modo in cui mi aveva detto: “Ti vedo spesso qui intorno”, che mi aveva fatto contorcere lo stomaco e fatto provare un dolcissimo batticuore. Non aveva terminato gli studi dopo la bocciatura al nostro ultimo anno di scuole medie, ma mi aveva fatto i suoi migliori auguri per il futuro. Andavo a scuola ogni giorno con una trepidazione nuova, nella speranza di incontrarlo nuovamente alla stessa fermata. E ogni volta sentivo nuovamente quel brivido lungo la spina dorsale. Ogni singola volta, soprattutto, mi sorgeva il dubbio che lui potesse sentire qualcosa di vagamente simile. Che quel saluto non fosse solo di mera educazione al ricordo della secchiona della classe.
Morgana mi osservava con tenerezza e preoccupazione insieme e in quei momenti il suo lato protettivo sembrava emergere. Ricordo ancora quando mi strinse il braccio con aria complice e mi baciò la guancia: “Lo sai, Sarina? Credo proprio che tu ti sia innamorata”, mi aveva sussurrato all’orecchio. “Forse ne eri già innamorata ma non lo avevi capito”. Nonostante i miei dinieghi e le mie remore, si era assunta autonomamente il compito di scovare più notizie possibili sul suo conto, sfruttando i social network, la sua ampia rete di contatti e di amicizie, fino a scoprire che aveva una relazione e piuttosto duratura.  E, pochi mesi dopo, che sarebbe presto diventato padre. Mi aveva abbracciato forte in quel momento e avevo sentito che quel bel sogno era finito ancora prima di iniziare.
Il destino volle che lo incontrassi nuovamente, la settimana prima della partenza per Glasgow, mentre ero in giro per negozi con mia madre alla ricerca degli ultimi oggetti da mettere in valigia.
Era stato un lunghissimo attimo di sospensione quello in cui i nostri sguardi si erano incrociati e tutto era parso fermarsi. A onor del vero sembrava molto più trasandato di come lo ricordassi, sia per la barba incolta che gli abiti poco ricercati, ma avevo appurato anche in quella circostanza, che aveva ancora effetto su di me. E dal modo in cui entrambi esitammo prima di salutarci, non potei fare a meno di pensare che anche lui sentisse lo stesso. O, almeno, che lo avesse sentito in passato.
Era quello il mio rimpianto più grande. Non avrei mai potuto saperlo con certezza e, come Morgana giustamente mi faceva notare, non dovevo indugiare troppo in quello stato d’animo, ma essere comunque grata di quelle emozioni che mi aveva donato. Che fossero condivise o meno.
Ma evidentemente non era mai stato destino tra noi.
 
Emma mi stava sorridendo più teneramente. “Da come lo hai pronunciato, si vede quanto lo ami, non dovrebbe davvero dubitare di te”, mi disse più dolcemente.
Sospirai per risposta, ma le sorrisi sinceramente. “Corrisponde al vostro Matthew”, specificai.
“Se verrà a trovarci, mi piacerebbe conoscerlo. Anzi, dovremmo uscire tutti e quattro insieme!”, propose con un gran bel sorriso.
“Ma che bella idea”, mormorai, cercando di simulare un sorriso realmente felice alla prospettiva.
Come no, te lo puoi anche scordare: piuttosto fingo di averlo lasciato.
Perfetto, tra due o tre mesi, sempre che si ricordi di lui, potrò dire che avevamo prospettive troppo diverse per il nostro futuro di coppia e che la lontananza ci ha aiutato a capirlo. Anzi, le svelerò che lo sospettavamo già da prima e avevamo messo in stand-by la nostra storia. Ovviamente dovremmo lasciarci prima dello spettacolo, o sarà troppo sospetto se non si presenterà. Che fatica la vita da bugiardi improvvisati.
“Spero proprio che venga presto!”, soggiunse. Volse lo sguardo all’orologio e parve sussultare: “Accidenti, si è fatto tardissimo”.
Non potevi accorgertene dieci minuti fa?
“A presto, Sarah e salutami Matthew”.
Come no, non vedrà l’ora. “Con piacere!”, risposi con un altro sorriso improvvisato. Avrei finito con il farmi venire una paresi alla mandibola di quel passo.
“Chi è Matthew?”, mi chiese Amy.
Sorrisi ironicamente. “Hashtag: I guai di Sara.  Nel nostro universo, quello dei comuni mortali, è il primo ragazzo di cui mi sia mai innamorata”.
“Mi piace questa versione”, convenne con un sorriso.
“Nell’universo di Emma e dell’Accademia di Stronzi, è il mio fidanzato storico”.
“Ok”, replicò in tono perplesso e con le sopracciglia inarcate. “Ma quanto storico?”.
“Dieci anni”, specificai in tono serio.
Emise un fischio. “Devo dedurre che aggiornerai presto il blog”.
“Elementare, mia cara….”, mi interruppi prima di pronunciare il cognome del famoso medico letterario che coincideva con quello di Emma. “Aggiornerò presto”, promisi.
C’era un lato positivo nella lunghissima permanenza della ragazza: mi aveva lasciato una generosa mancia. Forse dopotutto questa storia del fidanzato lontano poteva fruttare qualche bel gruzzoletto. E forse, soprattutto, potevo considerarla un risarcimento per i danni psicologici che mi aveva causato quel pomeriggio.

 
Lo so. Non guardatemi in quel modo.
Non è mai un bene mentire su queste cose. Ma, dopotutto, alcuni dettagli erano veri.
So anche che il fatto che io abbia sentito il bisogno di mentirle così spudoratamente dovrebbe essere più esplicativo dei miei problemi di insicurezza che della sua genuina curiosità. Mi dispiace coinvolgere Sean e le mie amiche, ma in fondo basterà restare tutti fedeli alla stessa versione. Non sarebbe neppure impossibile restare chiusa in casa per un weekend e far dire a Morgana e a Sean che sono tornata in Italia per lui. Al ritorno dovrò simulare un cuore spezzato, ma a quel punto probabilmente Lupin mi avrà abbastanza istruita.
Ma in fondo perché mi preoccupo così tanto? E’evidente che Emma si è intrattenuta con me perché non aveva nulla di meglio da fare e altra compagnia. Non c’è certo bisogno che diventiamo amiche del cuore. Quindi mi sto facendo troppi sensi di colpa.
Oh, al diavolo. Io e Matteo avevamo tanti bei presupposti. E’ solo mancata l’occasione o il tempismo. O entrambe le cose.
 
E poi beh, a voi posso dirlo. Faccio fatica a inquadrare il carattere di Emma, ma devo confessare che mi ha fatto sentire inadeguata ed è qualcosa che detesto. Ammetto oggettivamente che sia una bella ragazza e che sia molto elegante e sofisticata, ma la trovo fin troppo razionale per certi versi. Insomma, so che è fidanzata con il sindaco di Stronzolandia, ma un po’ di sana gelosia non dovrebbe essere funzionale al rapporto di coppia?
La prossima volta sarò superiore e non le permetterò più di mettermi in soggezione. Solo perché aspira a fare l’attrice e indossa abiti firmati, non è più donna di me. Comincio seriamente a pensare che lei e il suo ragazzo siano davvero una coppia perfetta. Già presi singolarmente, pur in modi diversi, mi rovinano le giornate e mi fanno impazzire. Avrò bisogno di uno psichiatra entro la fine dell’anno sabbatico, se continuo così.
 
Vi prego, non prestate troppo caso a queste turbe emotive, ma se avete qualche consiglio o aneddoto buffo per la mia “storica” love-story, non esitate a commentare, mi raccomando ;)

 
 
“Sono a casa!”, sentii la voce di Morgana dal corridoio e le risposi che ero in camera. Vidi la sua testa fare capolino dalla porta, il volto inclinato di un lato e lo sguardo saettò verso il notebook. Le labbra si incresparono in un sorrisetto divertito: “Un nuovo aggiornamento?”.
Annuii. “Spoiler alert: è coinvolta una persona del mio passato ed Emma”.
“Emma?”, mi chiese con aria confusa.
“La ragazza dello stronzo”, specificai a suo beneficio.
Morgana annuì ma sembrava ancora confusa, evidentemente non riuscendo a capire come due persone di contesti così diversi potessero essere collegate. “Ora sì che sono curiosa”. Si era tolta il cappotto e si era lasciata cadere sul mio letto.
“Preparo due tazze di cioccolata?”, mi proposi, notandone l’aria stanca.
“Andata”, sorrise per risposta.
“Giornata pesante?”.
“Inventario. E una gang di liceali insopportabili”.
Morgana era infine riuscita a trovare lavoro presso un negozio di abiti che era rinomato per il reparto di alta sartoria e la tradizionale preparazione dei kilt scozzesi. Tuttavia il negozio comprendeva anche un’ampia sezione dedicata alle donne per gli abiti da cerimonia e quelli più eleganti e sofisticati. Persino il nome del negozio era particolarmente suggestivo: Labirinto di Gedref[2], facendo riferimento al gran numero di corridoi tra i quali ci si poteva letteralmente perdere. Morgana, sempre elegante e disinvolta, ben si adattava in quel contesto e la proprietaria, Mrs Fox[3], doveva averlo pensato subito, perché divenne la favorita tra tutte le candidate. Inoltre nel suo curriculum vantava la frequentazione di una rinomata Accademia di Costume e Moda a Roma ed ero certa che, con la sua ambizione e un po’ di fiducia da parte della sua datrice di lavoro, avrebbe colto ogni occasione propizia per realizzare il suo sogno di diventare stilista.
La paga era buona ma, come nel mio caso, l’elemento spesso stressante era caratterizzato dal rapporto con la clientela di ogni tipo.
Tornai dopo pochi minuti e le porsi la sua tazza di cioccolata. Le facemmo cozzare insieme, a mo’ di brindisi, e ci rilassammo per qualche istante. Morgana alluse con un cenno del mento al notebook. “Spero che sia divertente come quello dell’altra sera. A proposito, come sta il tuo amato?”.
A quella definizione roteai gli occhi.“I suoi livelli di stronzaggine sono regolari, come sempre”, risposi con uno scrollo di spalle e una smorfia. Per l’indomani avevamo in programma altre prove con tanto di intervento di un coreografo famoso di cui non ricordavo neppure il nome. “Piuttosto, dimmi come sta Sean”, le chiesi con aria complice.
Morgana non era il tipo di ragazza che arrossiva facilmente, tanto meno che sembrasse lasciarsi prendere alla sprovvista, ma parve sinceramente sorpresa, tanto da inarcare le sopracciglia e inclinare il viso di un lato. “Non capisco perché lo chiedi a me”, rispose in tono tranquillo, giocherellando con un boccolo.
Sorrisi con aria più complice. “Mi sembravate così in confidenza l’ultima volta e di certo non è immune ai tuoi sortilegi da fattucchiera”, commentai con aria scherzosa, facendo riferimento all’origine del suo nome.  
Morgana mi sorrise con aria più suadente. “Non negherò certo che mi abbia fatto un’ottima prima impressione e che quelle successive siano state altrettanto soddisfacenti”, parlò in tono composto. Era sempre stata consapevole delle sue doti attrattive, ma non era quel tipo di ragazza che amasse sbilanciarsi o apparire troppo “appassionata”, a meno che non vi fossero stati dei gesti e dei segnali che potessero farle intuire che il ragazzo in questione ne ricambiasse l’interesse. “Certo, non mi sentirei offesa se mi chiedesse di uscire, ma lo conosco a malapena e non voglio certo compromettere i rapporti tra voi due”, soggiunse con calore.
“Siete entrambi molto importanti per me e siete due persone mature e responsabili, quindi non mi preoccuperei di questo”, le dissi sinceramente.
Spesso e volentieri noi ragazze, io in primis, attraversavamo un periodo della vita in cui eravamo attratte dal ragazzo carismatico e affascinante, quello che aveva storie d’amore superficiali e che spezzava cuori a destra e a manca. Spesso non attribuendo il giusto valore o persino lasciandoci sfuggire dei ragazzi meravigliosi, sinceri e dolci come Sean, senza rendersi conto di quanto potessimo essere fortunate ad avere qualcuno di simile nella nostra vita.
“Credo che anche le mura di questo palazzo abbiano capito che è tutto l’opposto del tuo amato”, ribatté Morgana in tono ironico, ma mi sorrise. “Capisco che sia cauto e lo rispetto. Io stessa al momento sto benissimo così, ma ammetto che non mi dispiacerebbe conoscerlo meglio e poi, chissà, potrei stregarlo alla tua prima distrazione”, soggiunse in tono più complice.
Sorrisi ma mi persi per un attimo nelle mie riflessioni. “Potremmo organizzare una cena informale in qualche locale, una serata a base di pizza, coinvolgendo più persone per non creare disagi o pressioni”.
Morgana approvò con un sorriso. “Mi sembra un’ottima idea! Senza contare che non scherzavo quando dicevo che vorrei conoscere di persona il famigerato Tom”, soggiunse con una strizzatina d’occhi.
Al pensiero feci una smorfia e scossi il capo. Riflettei sulla possibilità di creare un’ampia comitiva di persone. “Vorrei chiedere anche ad Amy. Probabilmente porterà la sua coinquilina e qualche loro amico”.
 “Ma certo, non vedo l’ora di conoscerla”, soggiunse Morgana con un sorriso. “Ma dubito che Sean, anche solo per educazione, non estenderà l’invito anche a lui. E poi verrebbe con Emma, quindi non avrà modo di infastidirti e se ci provasse, dovrà vedersela anche con me”, soggiunse in tono più minaccioso che mi fece sorridere malgrado tutto. “So che ti chiedo tanto, ma sai che adoro conoscere persone nuove”.
Finsi di pensarci per qualche minuto, sorridendo del modo in cui apparisse totalmente sulle spine. Potevo capire che Morgana, dal carattere così estroverso e sicuro di sé, sentisse un po’ la mancanza della sua cerchia di amici e comprendevo che avvertisse il bisogno di stringere nuove amicizie e conoscenze e non essere più considerata semplicemente: “l’amica di Sara”.
Sorrisi ed annuii. “Parlerò con Sean e organizzeremo questa serata”.
Lo sguardo dardeggiò di reale serenità nel baciarmi la guancia a mo’ di ringraziamento, prima di appoggiarsi alla testata del letto e simulare un’espressione concentrata.  “Ma ora veniamo a te e alla tua giornata. Preferisci raccontare a voce o devo leggere sul blog?”.
Sospirai con aria esasperata, ma prima finii di bere la mia cioccolata calda. Sapevo che alla rivelazione di quell’ultimo guaio non sarebbero mancate risatine e commenti. Probabilmente avrebbe persino raddoppiato la sua quotazione su me e Tom.
“Premetto che non l’avevo premeditato”, esordii in tono incerto.
Morgana rise, già pregustando le novità. “Spero che questa volta tu non abbia lanciato scones”.
“Forse sarebbe stato meglio”, convenni tra me e me, prima di cominciare il racconto.
 
 
~
 
Osservai il mio riflesso con una vaga smorfia. Non ero sicura che mi piacesse quel completo da ballo, soprattutto l’idea di indossare dei leggings così aderenti. Una fortuna che almeno fossi coperta da una lunga gonna scura, ma quelle calzature non sembravano particolarmente comode per camminare, figurarsi per qualche ballo da sala. Chiunque fosse il coreografo di fama internazionale,  aveva dei gusti piuttosto eccentrici. Mi guardai attorno, notando che era già entrate una dozzina di coppie, ma non c’era ancora traccia del “sedicente divo”.
Magari gli sono andate le paste di traverso.
Sorrisi tra me a quel pensiero, ma il mio sorriso sembrò gelarsi quando mi accorsi che tra le ballerine vi sarebbero state anche la ragazza carlino e la sua amica indiana. Una fortuna che almeno non dovessi ballare con nessuna delle due. Trasalii quando avvertii il suono basso e modulato di un fischio al mio orecchio. Mi voltai e mi irrigidii istintivamente nel vedere Tom. Aveva il volto inclinato di un lato, le sopracciglia inarcate e mi stava rivolgendo un silenzioso scrutinio che mi fece aggrottare le sopracciglia. Soprattutto quando si permise di rivolgermi un sorriso suadente. “Non del tutto male”, commentò con quella sua tipica arroganza.
Incrociai le braccia al petto. “E’ del tutto un dispiacere rivederti”, commentai per risposta. Indossava un completo totalmente scuro che gli lasciava nude le braccia, ma ne metteva in risalto la magrezza e la poca tonicità. Nulla a che vedere con i fisici dei ballerini di professione.
Mai una gioia. Non potevo imbattermi in Roberto Bolle?
Tom aveva sorriso ironicamente ma non ebbe modo di rispondermi, perché il Professor Lupin era appena entrato nell’aula di danza. “Bene, siete tutti qui?”, aveva lasciato vagare lo sguardo sulle coppie per poi annuire. “Buongiorno ragazzi. Lasciate che vi presenti-”.
“Io”.
Ci voltammo tutti al suono di quella voce vellutata e sulla soglia dell'uscio scorsi la sagoma di un uomo avvenente. Alto e slanciato, aveva biondi capelli ondulati,  accuratamente pettinati e molto vaporosi, occhi azzurri e splendenti e il sorriso di chi è abituato a rivolgersi a una platea di flash. Una fila perfetta di perle di un candore accecante sembrarono ammiccare in nostra direzione. Era straordinario come riuscisse a mostrarli tutti con un semplice sorriso mentre allargava le braccia del suo completo in calzamaglia di una delicata sfumatura di non-ti-scordar-di-me. Un outfit incredibilmente aderente che suscitò qualche risatina giuliva delle ragazze e qualche sguardo interdetto (e/o schifato) dei ragazzi. “Gilderoy Allock”. Si presentò sottolineando con un sorriso il proprio nome mentre avanzava nell'aula.
Era seguito da un uomo basso e tarchiato e dall’espressione annoiata e visibilmente esasperata. La sua statura e quella barba bianca lo facevano somigliare vagamente alle fiabesche rappresentazioni di un folletto. Insieme creavano un contrasto quasi comico. Quest’ultimo doveva essere il suo assistente a giudicare da come Allock gli porse la propria felpa e una bottiglietta d’acqua[4].
Il coreografo si rivolse alla classe con un inchino. “Medaglia d'oro dei Mondiali di Danza,  vincitore delle ultime cinque edizioni di Ballo da Sala ed esperto conoscitore della Danza Irlandese nonché...”. La sua voce sfumò: dal tono sicuro e quasi stucchevole con cui aveva appena recitato il suo curriculum, si esibì in un sorriso brillante e accattivante. “Vincitore del premio per il sorriso più seducente promesso dal Settimanale dei Danzatori di Riverdance, ma lasciamo stare”. Un sorriso di finta modestia. “Non mi sono certo guadagnato il titolo di Sir mostrando un sorriso alla nostra amata regina Lizzie[5]”. Si profuse in una risatina gutturale, o almeno ci provò,  dal momento che sembrava basilare che nessuno di noi si perdesse lo sfolgorio del suo sorriso.
Fece una pausa studiata, evidentemente aspettando che le risate riempissero la sala. Solo poche labbra si distesero in un sorriso mentre Lupin, l'espressione educatamente perplessa,  gli si avvicinava. Gli porse la mano con un sorriso amichevole e si presentò. Parlottarono tra loro fino a quando  Allock  non volse lo sguardo in nostra direzione.
Si avvicinarono ed ebbi l'impressione che i piedi del ballerino sfiorassero appena il pavimento, come stesse svolazzando. Il sorriso scomparve dal suo volto e si portò una mano sul mento guardando da me a Tom con profonda concentrazione che sembrò far scintillare lo sguardo azzurro da cherubino.
“Questi saranno i protagonisti della scena di valzer”, gli stava spiegando Lupin.
Allock lo invitò a tacere con un cenno della mano, prima di farne un altro al suo assistente. Quest’ultimo neanche provò a nascondere la sua esasperazione, ma si avvicinò.
“Scatta qualche primo piano e qualche foto per intero ad entrambi ”.
L'uomo tirò fuori svogliatamente una macchina fotografica: ci girò attorno e ci accecò con qualche flash veloce. Lupin osservava Allock con la stessa premura con cui un’infermiera, in sala operatoria, si sarebbe rivolta al neurochirurgo in procinto di effettuare un’operazione pericolosa e delicata insieme. Allock continuava a studiarci con attenzione tale che il sorriso lezioso era totalmente scomparso.
Cominciavo a sentirmi vagamente innervosita, perché avevo la sensazione che volesse scavare nel mio animo. Superfluo dirlo, Tom non sembrava affatto a disagio, ma semplicemente annoiato. Affondò le mani nelle tasche dei pantaloni e guardò con aria corrucciata l’orologio appeso alla parete.
Finalmente Allock sembrò giungere alla fine del suo scrutinio perché sorrise e si rivolse a Lupin. “Mi piacciono molto: è stato lei a proporre l'abbinamento?”.
Il viso di Lupin sembrò rischiararsi per il mero sollievo e annuì. “Lasci che glieli presenti”.
Ma Allock sembrò nuovamente ignorarlo, mentre riprendeva a studiarci fino a sospirare con aria più preoccupata. “Mi sembra un buon abbinamento a livello di incarnato e di proporzioni, ma mi dispiace dire che non abbiano un’adeguata postura né tonicità e dovremo lavorarci sopra”.
Deglutii a fatica. Non soltanto non ero mai stata una persona particolarmente patita di sport, ma dovevo anche ammettere che ogni volta che Morgana mi aveva proposto di andare a ballare, ero sempre sembrata rigida come una tavola di legno. Se a malapena me la cavavo con musica moderna, come avrei potuto imparare un ballo formale come il valzer?
Allock fece nuovamente segno al proprio assistente che, dopo averci accecato con qualche altro flash, prese a scribacchiare sul proprio taccuino. Evidentemente doveva anche registrare i pensieri e le osservazioni del suo datore di lavoro.  
Tom aveva stretto appena gli occhi al riferimento poco lusinghiero sulla mancanza di tonicità, guardando in mia direzione, come a constatare che non stesse parlando di lui.
Ti piacerebbe, Smilzo.
Allock si avvicinò ad entrambi e aprì le mani e le pose di fronte ai nostri volti e poi socchiuse gli occhi come se fosse intento a compiere qualche meditazione. Scambiai uno sguardo perplesso con il Professor Lupin che non sembrava in grado di trovare parole. “Percepisco un torrente di vibrazioni!”, esclamò Allock con tono mistico che avrebbe fatto concorrenza a qualche finta chiromante che vendeva false predizioni in cambio di denaro. Chiuse le mani come se stesse cercando di far confluire le forze dell’universo nella direzione che riteneva più opportuna. Aprì di nuovo le mani e le mosse come a disegnare nell'aria.
Tom e io ci scambiamo uno sguardo di pura incredulità e per un attimo sembrammo dimenticare il nostro tipico modello di interazione.
“Percepisco una recente ostilità tra voi due”, convenne Allock con un sorriso suadente, guardando dall’uno all’altro con l’aria di un genitore comprensivo, prima di chiudere di nuovo gli occhi.
Lupin trasse un profondo respiro e si carezzò pensosamente il baffo. Guardò in direzione dell’assistente, come a chiedergli spiegazioni, ma quest’ultimo gli fece cenno di lasciar correre, come se quanto visto finora fosse davvero ben poca cosa rispetto a ciò di cui il suo principale era capace.
“AH!”,  esclamò il ballerino dopo qualche secondo di silenzio che ci fece trasalire. Batté il pugno chiuso nella mano aperta e ci additò con un sorriso sferzante e l’espressione di chi ha colto qualcuno in flagrante. “Non pensate di imbrogliarmi, miei cari ragazzi: le vostre emozioni stanno cambiando”.
“Riguardo al valzer”, intervenne Lupin in tono deciso. “Credo che dovremmo cominciare con il concordarci per le lezioni che vorrà impartire alla classe”.
“Schhhh”, lo rimproverò l’altro. “Queste quisquilie burocratiche potrà chiarirle con Filius, la prego di non interrompermi nuovamente”, lo rimproverò con simile sussiego che strappò persino a Tom un sorrisetto divertito.
Mi fece cenno di avvicinarmi e io deglutii a fatica, non avendo idea di cosa avrei potuto aspettarmi da una persona così “estrosa” ed “eccentrica”. Dovevo avere un particolare talento nello scovare i casi clinici oppure in Scozia erano diffusi tanto quanto in Italia. Allock si chinò di fronte a me, imitando perfettamente la reverenza di un gentiluomo d’altri tempi. “Enchanté, Mademoiselle”, parlò in perfetto accento francese. “Posso chiederle il nome?”.
 “Sara”. Sussurrai in risposta ed arrossii quando lo sentii appoggiare, in una lievissima pressione, le labbra sul dorso della mia mano.
Si drizzò nuovamente e mi fece fare un rapido giro su me stessa, approfittando della pressione che ancora esercitava sulla mia mano e suscitandomi non poco imbarazzo perché ciò stava avvenendo sotto gli occhi di tutti i presenti. Mi lasciò  andare e sorrise, rivolgendosi al suo assistente affinché prendesse appunti. “Un piccolo vulcano di energia scoppiettante”, pronunciò con voce divertita e velata di mistica analisi. “Ti chiamerò trottolina”.
Sbattei le palpebre a più riprese ed ebbi una fugace visione di Amedeo Minghi e Mietta che si esibivano con un brano rinomato sul palco di Sanremo nel lontano 1990. Mi sembrava persino di sentirne la melodia e quei versi immortali: Magari ti chiamerò: trottolino Amoroso, dudù dadadà.
Mi riscossi quando avvertii uno strozzato verso di divertimento e fissai di sbieco Tom che si era portato la mano al viso, fingendo di voler nascondere la sua ilarità.
Verso che dovette attirare l'attenzione di Allock che si concentrò su di lui per uno scrutinio altrettanto accurato.
“Tom Felton”. Lo presentò Lupin, perché Tom aveva ricambiato lo sguardo dell’uomo con aria indolente, persino incrociando le braccia al petto.
 “Tom”. Ripeté Allock come a soppesarne il suono, ma le labbra si contorsero in una smorfia.
Non potei fare a meno di annuire con aria comprensiva, come se potessi leggere i pensieri del maestro di ballo. In fondo anche a me bastava sentirne il nome o doverlo pronunciare perché mi passasse la voglia di sorridere.
“No, no, no, no”, decantò Allock con aria decisa.
Trattenni il fiato. Sarei stata persino disposta a baciarlo se avesse detto a Lupin che non lo reputava idoneo al valzer e se lo avesse costretto a trovare una sorta di controfigura che lo sostituisse nella scena del ballo.
“Ho deciso: ti chiamerò Томас!”. Esclamò, infine, con espressione piuttosto compiaciuta di se stesso, pronunciando un nome che somigliava vagamente a “Tomà”.
Tutto qui? Non potei fare a meno di pensare.
“Ballerino russo di grande fama internazionale[6]”. Spiegò agli sguardi interdetti, perplessi e, nel caso del suddetto Томас , disgustati.
“Mai sentito prima”. Borbottò quest'ultimo. Serrò maggiormente le braccia al petto, con il sopracciglio inarcato e la smorfia di altezzoso sdegno che avevo imparato a conoscere così bene.
Allock non parve sentirlo perché continuò il suo scrutinio con lo stesso sorriso. “Anche nel tuo caso dovremo lavorare sulla postura”, convenne con un sospiro quasi stoico. Lo sguardo indugiò poi sui bicipiti lasciati nudi dalla casacca e sul busto del giovane. “Mhmmm”, mormorò con aria pensierosa. “Qualcuno dovrà darsi a un po’ di palestra per sollevare Trottolina”, alluse alla sua mancanza di tonicità ed evidentemente a qualche passo della coreografia più elaborato.
L’espressione offesa e sdegnata di Tom fu impagabile. Ci mancava soltanto che sbattesse il piede a terra o rispondesse qualcosa tipo: “Mio padre lo verrà a sapere”.
Dovetti portarmi la mano alla bocca e simulare un colpo di tosse per nascondere l'eccesso di risa che mi era salito alle labbra a quella visione.
“Sempre che Trottolina non diventi una Trottolona”, commentò Tom in tono beffardo in mia direzione. Indugiò con lo sguardo sui miei fianchi, quasi preoccupandosi che potessi pesare troppo per le sue braccia consistenti quanto due grissini.
“Pensa a gonfiare i bicipiti, cafone” Borbottai in risposta, punta sul vivo. Sapevo di avere qualche chiletto di troppo, ma non avevo dubbi che con tutto lo stress a cui sarei andata incontro nei prossimi mesi e una discreta riduzione del consumo giornaliero di zuccheri, per il giorno dello spettacolo sarei stata in buonissima forma fisica.
“Oh, sarete sublimi: ne sono sicuro”. Ci interruppe Allock che neppure sembrò essersi accorto di quello scambio di parole poco gentili.  Si rivolse finalmente a Lupin e gli sorrise. “Dovrebbero seguire un buon regime alimentare e fare esercizio tutti i giorni, ma sono sicuro che, sotto la mia scrupolosissima direzione, diventeranno due ballerini atletici e disciplinati”.
A quell’ultima parola Lupin guardò dall’uno all’altro e mi sembrò che supplicasse il cielo perché Allock riuscisse davvero nell’intento. “Tanti auguri”, ribatté in tono accorato, stringendogli forte la mano.
Tom e io ancora una volta sembrammo mettere da parte le ostilità e lo guardammo con aria profondamente offesa, prima di borbottare: “E’ colpa sua!”.
Allock rise di quella sua risata più leziosa, appoggiandoci le mani sulle spalle: “Ci sarà tempo per mostrare al pubblico la vostra sintonia e senza neppure bisogno di parlare”, ci rassicurò. Si rivolse nuovamente a Lupin in tono molto più brusco: “Ora ci lasci: dobbiamo iniziare subito!”. Gli intimò con tono melodrammatico e quasi autoritario e immaginai che la passione fosse un elemento caratteristico del suo stile.
Seguii con lo sguardo l'uscita di Lupin e mi morsicai il labbro: adesso non avevo più alleati e non ero propriamente sicura che l'atteggiamento di Allock mi piacesse. Quest'ultimo si pose al centro della stanza e fece cenno agli allievi di disporsi attorno a lui e aprì le braccia per attirare l'attenzione generale. “Mi vedete tutti?! Mi sentite tutti?!”. A quel punto si schiarì la gola e si raccolse. Il suo volto mutò e divenne molto più serio e determinato. Nonostante il suo carattere assai estroso, ebbi l’impressione che Allock non scherzasse sulla disciplina e sull’importanza dell’essere seri e composti nel momento in cui si iniziava a parlare di danza. “Chi di voi sa dirmi qual è la principale caratteristica che non deve mai  mancare in un ballo di coppia?”. Fece vagare lo sguardo attorno e sorrise incoraggiante affinché provassimo a indovinare la risposta corretta.
“Senso del ritmo?”. Domandò la ragazza dai lineamenti indiani.
“Coordinazione?”. Intervenne un ragazzo al segno negativo dell'uomo.
Altri alunni provarono a suggerire altre soluzioni, ma Allock fece cenni negative a tutte.
La fiducia”. Ci rivelò in tono solenne e di nuovo sulle sue labbra apparve quel sorriso quasi maniacale.
Fiducia, ripetei tra me e me, gettando un'occhiata di sottecchi al ragazzo al mio fianco. Alzai gli occhi al cielo, per nulla convinta.
Allock batté le mani per richiamare la nostra attenzioni. “Mademoiselles, disponetevi di fronte ai vostri cavalieri e lasciatevi cadere tra le loro braccia”.
Vidi tutte le coppie disporsi per seguire le istruzioni mentre io incrociavo le braccia al petto, tutt’altro che felice e ben disposta ad assecondare quel bizzarro metodo di insegnamento.
Che stupidaggine: dovrei davvero lasciarmi cadere tra le braccia di questo idiota?
Trasalii quando sentii il suo respiro sulla nuca.
“Hum, questo potrebbe essere piacevole”, sussurrò al mio orecchio con intonazione suadente che riuscì, mio malgrado, a strapparmi un brivido lungo la spina dorsale e a farmi schiudere le labbra. “Non hai idea di quante ragazze ucciderebbero per essere al tuo posto”. Aggiunse con quell’atteggiamento più sferzante che mi fece bruscamente tornare alla realtà. Non potei fare a meno di voltarmi e rivolgergli uno sguardo schifato, apparentemente dimentica di quel momento di stasi in cui la sua voce sensuale mi aveva fatto intirizzire.  
“Oh, credimi: trattengo a stento i miei fremiti”. Dissi in tono sarcastico e coronai il commento con un sorriso lezioso.
“Per ora”, mi rispose prontamente. La cosa sconvolgente, me ne rendevo conto, era che sembrava maledettamente serio nel dirlo. Quasi fosse realmente convinto che avrei potuto provare qualcosa di simile per lui.
“In Italia quelli come te li chiamiamo ‘sboroni’ per non usare termini volgari”, gli feci presente con aria annoiata.
Allock, nel frattempo, aveva fatto ricognizione tra tutte le coppie che si erano disposte come da istruzioni: le ragazze si erano lasciate scivolare all’indietro e i rispettivi partner le avevano sorrette con le braccia. Aveva sorriso a qualche coppia, dato qualche indicazione, ma aveva aggrottato le sopracciglia e si era rapidamente avvicinato a noi due. “Qualche problema, Trottolina e Томас?”. Ci domandò, scrutando dall’uno all’altra con le mani sui fianchi. “Ve l’ho già spiegato: voi due dovrete imparare a comunicare senza parlarvi in quest’aula. Avanti, Trottolina”.
Sospirai ma annuii e controllai che Tom fosse esattamente alle mie spalle e pronto a sorreggermi. Contai mentalmente fino a tre, cercando di regolare il respiro perché era molto più difficile di quanto Allock lasciasse credere. Socchiusi gli occhi e mi lasciai andare. Aspettai la pressione delle braccia di Tom, ma gemetti quando, invece, urtai dolosamente il coccige contro il parquet.
“Томас!”, lo rimproverò Allock in tono incredulo e sgomento. “Stai bene, trottolina?”.
Rimasi seduta sul pavimento, in parte perché volevo nascondere le lacrime di dolore che mi pungevano gli occhi, in parte perché avevo il timore di barcollare.
Tom mi guardò dall’alto al basso con espressione teatralmente dispiaciuta e interdetta. “Chiedo scusa!”, esclamò in direzione mia e di Allock. “Stavo cercando di googlare ‘sborone’”, spiegò, provando a pronunciare l’insulto che gli avevo rivolto prima.
Accettai la mano che Allock mi aveva allungato ma lo sguardo era rivolto solo e soltanto al ragazzo. Dovetti mordermi la lingua per non ricorrere a qualche vocabolo più volgare, accontentandomi di apostrofarlo con un: “Lurido verme!”.
Ignorai gli sguardi interdetti e il silenzio che era sceso nella stanza e cercai di non pensare al dolore lancinante che provavo al fondoschiena.
“Mademoiselle, l’etichetta!”. Trasalì Allock al mio fianco.
Se soltanto avesse sentito lo scorrere dei miei pensieri, probabilmente sarebbe svenuto. Strinsi i pugni lungo i fianchi e mi scostai da lui. “Gliela do’ in testa l’etichetta! [7]”, esclamai nella mia lingua madre, incurante degli sguardi ancora più perplessi, nel tentativo di decifrare le mie parole. Parvero persino più confusi quando mi tolsi la scarpa con il tacco e la brandii in direzione di Tom con aria evidentemente minacciosa. Dubitavo che Allock si sarebbe messo in mezzo al ragazzo e a quel tacco quadrato senza cognizione di causa.
Il ragazzo non si scompose minimamente: incrociò le braccia al petto e scrollò le spalle. “Non oseresti”. Sembrò sfidarmi con quella sua solita compostezza che era in perfetto contrasto con il mio modo di palesare la rabbia.
“Non ci giurerei, se fossi in te”. Sibilai e avanzai, zoppicando leggermente per la differenza di altezza con una scarpa ancora addosso.
Tom gettò indietro la testa e rise. Poi si fermò improvvisamente e il suo volto assunse un’espressione di teatrale sgomento. Alzò il braccio per additare qualcosa alle mie spalle. “E’ il custode!”.
Il diversivo riuscì nel suo intento perché per un istante dimenticai persino i motivi della mia stizza e mi volsi. Non osavo immaginare che cosa mi avrebbe fatto se mi avesse colta in flagrante, ma sgranai gli occhi, quando mi resi conto che si era trattato di un infantile scherzo ai miei danni. Mi volsi con l’intento di lanciargli realmente la scarpa, quando mi accorsi che aveva approfittato di quei secondi per incamminarsi verso l’uscita. Mi scrutò dalla soglia dell’uscio, il viso inclinato di un lato e il sorriso persino più beffardo. “Prova a raggiungermi”, mi invitò, muovendo allusivamente le sopracciglia.
Sbattei le palpebre a più riprese, ma scossi il capo e mi tolsi anche l'altra scarpa. La ragione avrebbe voluto che lasciassi perdere e chiedessi ad Allock di assegnarmi un altro partner per quella prima prova, ma ero realmente stanca di avere a che fare con Tom e le sue stupidaggini. Senza contare che avrei voluto finalmente porre fine a quel suo atteggiamento provocatorio. Mi rifiutavo di corrergli dietro, metaforicamente e letteralmente, ma ignorai il richiamo interdetto di Allock e gli sguardi increduli della classe. Immaginando che fosse un pretesto per parlare come due persone adulte (o una e mezzo, insomma), lo seguii fuori dall’aula.
Tom, accortosi che non mi andava di giocare come una bambina di sette anni e di corrergli dietro, si era fermato sul pianerottolo della scala che conduceva al piano superiore. Aspettò che lo raggiungessi, appoggiato con la schiena alla balaustra e con le braccia incrociate al petto. “Devo ammettere che non mi sarei mai aspettato che tu accettassi la parte”.
Aggrottai le sopracciglia. Mi aveva attirato fuori dall’aula e per parlare di questo? Era in ritardo di quasi tre settimane, senza contare che mi aveva chiarito fin dal colloquio con il Preside quale fosse la sua opinione. E io altrettanto palesemente avevo fatto capire quanto me ne importasse.
“Un progetto un po’ ambizioso, considerando che a malapena riesci a comporre una frase per intero senza esitazione”.
“Credevo ti fosse chiaro ormai quanto poco mi importi della tua opinione. Non c’era comunque bisogno di uscire dall’aula per parlarmene”, gli feci notare, cercando di mantenere un atteggiamento composto, per non dargli l’erronea percezione che le sue parole mi ferissero. “Inoltre, ti dirò, il fatto che siate tutti convinti che la mia performance sarà disastrosa, mi sarà solo di incentivo”, gli feci presente con un sorrisetto provocatorio.
Mi studiò per un istante e sembrò cercare nel mio volto una qualche conferma ai suoi pensieri. Infine scrollò le spalle. “Non disastrosa”, volle specificare per qualche arcano motivo. “Nella migliore delle prospettive farai un lavoro mediocre”.
Sbuffai con un sorriso ironico. Poteva quasi considerarsi un complimento, tenendo conto della naturale gentilezza del mio interlocutore. “Ripeto: il piacere di presentarmi sul palco sarà tanto maggiore tanto tu o chiunque altro mi dimostrerete di non credere in me”.
Sorrise. Di quel sorriso beffardo dall'incrinatura maliziosa che sembrò farne dardeggiare gli occhi.  “Ohh, sono lusingato”, dichiarò con voce flautata e palesemente artefatta.
Alzai gli occhi al cielo. “Tu sei l’unico aspetto negativo dello spettacolo”.
Si scostò dalla balaustra, forse per il gusto di apparire più alto e affondò le mani nelle tasche dei pantaloni. “Ti prego, smettila o rischio seriamente di arrossire”, recitò con enfasi, portandosi persino una mano al petto.  
Alzai nuovamente gli occhi al cielo, ma gli rivolsi uno sguardo di sufficienza. “Chi non prova emozioni, non si può imbarazzare”.
Le mie parole o il tono fermo con cui le avevo pronunciate sembrarono sorprenderlo per un mero istante, tanto da fermarsi a pochi centimetri da me. Mi scrutò con il sopracciglio inarcato e sembrò realmente interdetto. “Credi che io sia un muro di cemento?”. L'intonazione sembrava realmente incuriosita, quasi prestasse attenzione a quello che si diceva o si pensava di lui.
Dunque la sua arroganza era solo un paravento per nascondere un’insicurezza radicata nel profondo? O era una questione personale?
“No”. Scrollai le spalle, in tono perplesso. Mi presi qualche secondo per soppesare le parole da pronunciare. “Intendevo dire che non manifesti le tue emozioni e ti comporti come se non ne provassi”, ribattei con uno scrollo di spalle. “Immagino che sia carattere, oltre al temperamento britannico”, spiegai pacata. A differenza sua non volevo dare troppo peso agli stereotipi di etnia e nazionalità.
Tom era rimasto ad ascoltarmi con espressione imperturbabile ma, mi resi conto, stava continuando ad avanzare in mia direzione. Pochi passi e saremmo stati a una distanza minima che mi avrebbe messo a disagio.
Indietreggiai per istinto.
“Non sembri scomporti per nessuno”, aggiunsi soltanto per riempire quell’improvviso silenzio. Mi sorpresi del contatto con la parete alle mie spalle, perché tutto ciò su cui riuscivo a concentrarmi erano i suoi occhi. Sembrava che il colore stesse sfumando in una nuance più azzurrina.
Dio, da quando ha gli occhi così? Azzurri, grigi... di che colore sono? Mi sorpresi dei miei stessi pensieri e sbattei le palpebre nel tentativo di tornare lucida.
Tom si era fermato di fronte a me e i suoi lineamenti sembrarono contrarsi mentre sembrava realmente riflettere sulle parole che avevo pronunciato. Sembrò accigliarsi. “Ne sei seriamente convinta?”. Mi domandò. Non c’era sdegno nella sua voce e neppure sembrava essersi offeso. Vi era una reale curiosità. Le sue labbra, tuttavia, si erano increspate in un sorriso più voluttuoso che sembrava poco coerente al tipo di conversazione e di contesto. La sua voce era parsa roca e il suo respiro mi aveva sfiorato il volto all’ultima parola.
Troppo vicino, mi resi conto.
Tom allungò il braccio e lo appoggiò sopra la mia testa e l’atmosfera, ancora una volta, sembrò molto più sensuale di quanto avrebbe dovuto.
Dovrei mollargli un ceffone, pensai distrattamente, ma per prima cosa dovevo continuare a restare ancorata a quella sorta di conversazione ancora in sospeso. “Non mi sembra di aver raccolto prove per confutare la mia ipotesi”, mi sentii dire, usando persino termini sociologici, ma rimasi sorpresa dal timbro della mia voce. Molto più flebile di quanto mi sarei aspettata. Sembrava che il mio corpo si stesse afflosciando contro la parete per l’effetto del suo sguardo e della sua vicinanza decisamente sfacciata.
Tom ridacchiò vicino al mio orecchio, strappandomi dei brividi lungo la spina dorsale. Mi sentii letteralmente travolgere dal suo profumo stuzzicante e deciso, come i suoi modi beffardi. “Questo sembrerebbe  un invito poco velato”. Sussurrò nel mio orecchio con la stessa intonazione sensuale.
Sentii le sue dita sollevarmi delicatamente il mento per indurmi a guardarlo negli occhi. A dispetto del modo in cui volevo mantenere una parvenza di controllo e di compostezza, sentii le mie guance bollire e il mio cuore sembrò tambureggiare fin troppo rapidamente. Avevo persino il puerile timore che potesse sentirlo. Sbattei le palpebre e scossi il capo. “M-Ma cosa fai?”, domandai incredula, scostandolo da me. Se la mia mano non avesse tremato, lo avrei schiaffeggiato. “Stammi lontano!”, gli intimai con voce sdegnata da un simile atteggiamento irrispettoso. Un conto era che mi insultasse, un altro che pensasse persino di potermi sedurre come palesemente aveva fatto con quella ragazza dal muso a carlino.
 “Stai tremando?”. La voce aveva perso quella flessione sardonica e maliziosa, ma sembrava trionfante. Soprattutto se associata a quel baluginio compiaciuto nelle sue iridi.
Provai l’impulso di colpirlo violentemente, quando ebbi conferma del modo subdolo con cui cercava di confondere e prendersi gioco delle ragazze, come se fossero tutte alla sua mercé.  Provai a esercitare una maggiore pressione sul suo petto perché indietreggiasse ulteriormente. “Allontanati”. Gli ordinai in tono determinato, ma mi sentii mancare quando, per risposta, si sporse nuovamente al mio orecchio.  
“E dimmi, ti piace essere preda delle emozioni?”, mi domandò in un sussurro allusivo, respirando nel mio orecchio e strappandomi, mio malgrado, un ulteriore brivido. Mi imprigionò di nuovo il mento con le dita per costringermi a sostenerne lo sguardo.  “Non riuscire più a ragionare lucidamente”. La voce si era resa ancora più soffice e allungò il braccio libero accanto al mio fianco, senza tuttavia sfiorarmi.
Mi stava letteralmente bloccando tra la parete e il suo corpo, ma la cosa peggiore era rendersi conto che i principali ostacoli non fossero le sue mani, ma l’intensità del suo sguardo, la sua voce vellutata e quei modi provocatori. E dannatamente naturali. Sapevo che era solo provocazione, ma non riuscivo a sottrarmi e non potei che arrabbiarmi con me stessa.
“Sentirti perdere il controllo”. Continuò Tom e il suo dito scivolò dal mento alla gola per sfiorarmi la carotide, quasi volesse misurare i miei battiti accelerati. “In bilico tra desiderio e razionalità, passione e orgoglio”. Lo stesso tono roco e soffice che sembrò annebbiare i miei pensieri e la mia ragione. In quel momento riuscivo a stento a respirare e a rendermi conto di quanto, ancora una volta, la situazione mi fosse sfuggita di mano, a causa sua.
“Volendo solo prolungare tutto, fino a quando quella scintilla non ti brucia dentro”, mormorò contro il mio orecchio. Mi avrebbe persino indotto a socchiudere gli occhi e a rilassarmi, se quei brividi non mi avessero mantenuto in allerta. “Ti fa sentire viva?”. Mi domandò con intonazione beffarda, restando con il volto a pochi centimetri dal mio. Inarcò le sopracciglia con evidente soddisfazione nel palesare come fosse abile in quel gioco di provocazioni, tanto da potermi soggiogare a piacimento, approfittando della mia ingenuità.
Rimasi ad osservarlo senza fiato, le labbra appena schiuse a cercare di respirare regolarmente. Avrei dovuto indignarmi, avrei dovuto colpirlo con forza e intimargli di non osare mai più rivolgersi a me in quel modo e togliersi soprattutto dalla testa l’idea di potermi sedurre per mero divertimento. Sapevo che ripensando a quell’episodio mi sarei odiata e lo avrei odiato persino di più. Ma in quel momento mi sentivo esattamente come lui mi aveva descritto poc’anzi: pericolosamente in bilico. Tutta l'ostilità che avevo covato per lui era sembrata dissolversi,  ma ricordavo solo quei brividi che mi avevano lasciato alla sua totale mercé. Lo sentii scostarsi con altrettanta repentinità e ne studiai il sorriso beffardo e divertito.
Sarai soddisfatto di te, Casanova.
Mi disgustava l’idea che usasse persino il suo corpo per riuscire ad avere la meglio in una diatriba o a manipolare le azioni altrui. Ma ero soprattutto disgustata da me stessa e da come non ero stata in grado di reagire prontamente. Mi sentii così arrabbiata da essere vicina alle lacrime, ma non le avrei palesate neppure a costo di sfuggirgli via.
Tom aveva continuato a guardarmi e sembrò intuire la gravità dei miei pensieri perché il sorriso si dissolse e parve avere il buon gusto di apparire quasi dispiaciuto.
“Eccovi qua, voi due!”.
Trasalii al suono della voce di Lupin, ma fui lieta di quel diversivo che mi avrebbe permesso, finalmente, di allontanarmi da Tom e da quella situazione. L’uomo appariva visibilmente arrabbiato, ma si fermò a pochi gradini di distanza, guardando dall’uno all’altro con le braccia serrate al petto. “Complimenti ad entrambi”, ci fece un ironico battimano. “Spero che siate soddisfatti: avete sabotato la vostra prima lezione di ballo e fatto spendere a Silente dei soldi a sproposito”. I baffi sembrarono vibrare per l'indignazione e nessuno dei due sembrò trovare parole per rispondere o quanto meno scusarsi.
Tom aveva nuovamente affondato le mani nelle tasche dei pantaloni, ostentando nuovamente indifferenza e non potei fare a meno di chiedermi se anche il dispiacere che aveva mostrato fosse recitato. Come ci poteva fidare di un aspirante attore, dopotutto? Almeno dovevo riconoscergli di avere stoffa per quel lavoro.
“Chiederò ad Allock di seguirvi individualmente nel vostro tempo libero”, ci comunicò con insolita intonazione severa.  “Felton, ti aspetto in classe, mentre lei può andare per il momento”. Si congedò bruscamente.
Annuii, pigolando una scusa, ma Lupin mi ignorò e scese rapidamente le scale, dirigendosi nuovamente verso l’aula di danza, evidentemente per porgere nuovamente le scuse al Maestro.  Volevo soltanto andarmene a quel punto, ma gettai un’occhiata di sottecchi a Tom, aspettando che lo facesse per primo. Avevo seriamente bisogno di restare sola per qualche minuto.
Non era sembrato affatto turbato dalle parole di Lupin ma prese a scendere gli scalini con perfetta flemma. Come se non fosse accaduto nulla che fosse degno di nota, da quando ci eravamo allontanati dal resto della classe. Si fermò, tuttavia, quando giunse alla fine della gradinata e si volse in mia direzione. “Voglio darti un suggerimento”, commentò con il mento lievemente sollevato. Le sue labbra si erano nuovamente increspate in quel suo tipico sorrisetto beffardo. Le sue iridi sembravano baluginare persino a quella distanza. Indugiò volontariamente in quell’attimo di sospensione, prima di schioccare la lingua sul palato. “Cerca di non innamorarti di me...”, mormorò in tono fintamente preoccupato.  
Arrossii furiosamente, ma in quel momento sarebbe stato impossibile capire se fossi più indignata o più mortificata da quell’ulteriore scherno.
Mi rivolse un vago cenno del mento, si voltò e prese a camminare con passo rapido. Non si voltò più.
Rimasi su quel pianerottolo una quantità indefinita di tempo, con la sola compagnia dei miei pensieri e l’umiliante consapevolezza che gran parte della mia stizza fosse solo verso me stessa.

 
 To be continued...
7 Novembre 2018
Ben ritrovati :)
In questo capitolo le modifiche più significative sono state nel dialogo tra Sara e Emma, laddove la ragazza fa riferimento al fantomatico Matteo che, come si scopre, non è del tutto fittizio. Ho revisionato il resoconto di Sara sul dialogo tra Tom Riddle e Silente e ho apportato lieve modifiche anche nel dialogo con la sua coinquilina e quello finale con Tom.
Come sempre un ringraziamento ad Evil Queen che mi sprona e mi incoraggia in questa revisione :)
Un forte abbraccio a tutti,
Kiki87
 
[1] Si tratta rispettivamente di Pansy Parkinson e di Padma Patil.
[2] Come giustamente mi ha suggerito Evil Queen, avendo scelto Morgana di “Merlin”, era necessario trovarle un posto di lavoro che facesse riferimento alla medesima serie tv. Nella prima stagione, Merlino e Arthur si dirigono in questo labirinto e il Principe deve trovarne la via d’uscita. Si tratta di una prova a cui lo sottopone  lo stregone Anhora perché possa redimersi dopo aver ucciso un unicorno.
[3] Si tratta di un altro personaggio tratto dalla serie tv “Merlin” che interpretava proprio la sorellastra di Morgana, Morgause. Piccola curiosità: l’attrice che ne vestiva i panni, Emilia Fox, ha lavorato anche con Sean Biggerstaff  in “Cashback”.
[4] Si tratta di Filius Vitious, l’insegnante di “Incantesimi”. Sono rimasta fedele alla descrizione del libro e tale era anche la sua rappresentazione nei primi due film della saga.
[5] Mi sono molto divertita ad adattare il reale dialogo di Allock quando si presenta come insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure per dargli questa nuova identità. Confesso che è stata una delle mie trasposizioni preferite da maghi a personaggi reali :)
[6] Ovviamente l'ho inventato :D E' la semplice traduzione del suo nome in russo :)
[7] Come sapete, in italiano la parola “etichetta” fa riferimento sia alle regole di comportamento e di bon ton, sia al cartoncino di identificazione dei prodotti. In inglese, invece, la parola “label” si applica solo come riferimento al marchio o all’azione di etichettare, classificare le cose in senso figurato.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


5
 
Non avrei saputo dire quanto tempo fosse passato da quando Tom si era allontanato. Quelle parole continuavano a darmi il tormento, insieme alla vergogna per come ero sembrata in totale balia di quelle emozioni inaspettate. Lui era infido e subdolo, ma non riuscivo a essere clemente nei miei stessi confronti. Mi ero lasciata abbindolare come una scolaretta ingenua di fronte a un approccio vagamente lusinghiero e puramente provocatorio. Il pensiero che si fosse reso conto che ero una ragazza con un certo senso del pudore e che avesse fatto leva sulle proprie maniere artefatte per prendersi gioco di me, mi dava il voltastomaco. Soprattutto non riuscivo a sopportare l’idea che avrebbe ripensato a quei frangenti con non poca soddisfazione. Molto probabilmente avrebbe usato quel vantaggio psicologico da quel momento in poi e ciò avrebbe alimentato quella sua parvenza di superiorità.
Non posso permetterglielo. Mi aveva colto di sorpresa e ne aveva approfittato con grande abilità. Ma la prossima volta non sarei stata presa alla sprovvista. Potevo aver perso quella battaglia, ma la guerra era ancora lunga e io ero più che determinata a non lasciarmi sopraffare da lui.
Non te la caverai così facilmente la prossima volta. Mi dissi e mi sentii subito meglio. 
Rilasciai un lungo sospiro e finalmente scesi le scale per dirigermi verso lo spogliatoio e riprendere in mano la mia giornata, non lasciando che quell’incidente potesse comprometterla del tutto.
 
 
Dopo aver nuovamente indossato degli abiti “normali”, costatai che avevo tutto il tempo per tornare a casa e pranzare. Il mio turno di lavoro, quel giorno, sarebbe iniziato soltanto nel pomeriggio, ma sarei stata impegnata fino alla chiusura.  Allacciai il cappotto e annodai la cintura in vita, pronta ad attraversare il lungo corridoio per uscire da quell’edificio. Mi confusi tra la fiumana di studenti ma sorrisi quando scorsi un profilo familiare tra coloro che stavano sistemando gli oggetti personali nei propri armadietti, tra una lezione e l’altra. Tutta la frustrazione provata, fino a quel momento, sembrò dissolversi e mi sentii già più rilassata e in pace con il mondo. Avanzai in sua direzione, sorridendo perché ancora non si era accorto del mio arrivo. Stava tuttora armeggiando con il proprio armadietto, inserendovi dei libri e cercandone altri. Mi fu facile coglierlo di sorpresa. Gli coprii gli occhi con entrambe le mani, dopo essermi fermata alle sue spalle. “Hello, my pen-friend”, lo salutai con voce allegra e risi quando lo sentii trasalire.
Sean si voltò e il sorriso ne increspò immediatamente le labbra. “Ciao, Sarah. Non ricordavo che avessi le prove anche oggi”, mi accolse con lieve sorpresa. Mi porse un buffetto sulla guancia, prima di richiudere il proprio armadietto.
“Lezioni di ballo”, risposi con uno scrollo di spalle. “ Tu come stai?”.
Lui si portò una mano alle labbra per coprire lo sbadiglio, prima di rivolgermi un sorriso di scuse.  “Sfinito”, rispose di getto e ne osservai il viso pallido su cui spiccavano le occhiaie. “La professoressa McGrannith non mi ha dato tregua: ho declamato il Macbeth[1] per quasi due ore di fila”, mi spiegò. Anche la sua voce, più rauca del suo naturale timbro, ne tradiva la stanchezza. Assunse un’espressione di palese disappunto. “Non così, signor Biggestarff”. Pronunciò con voce più stridula, imitando il rimprovero femminile e gonfiandosi il petto come un tacchino. “Non vi permetterò di rendere questo spettacolo una balbettante bambocciona banda di babbuini![2]”.
Non riuscii a trattenere un moto d’ilarità cui si unì lui stesso.
“E tu, invece, guest star, cosa mi racconti?”, mi domandò con quell’alone più sbarazzino che mi strappò un sospiro.
“Se ti consola, non sei l’unico a sentirsi stremato e strapazzato tra queste mura”, mormorai con altrettanta stanchezza.
“Ma non mi dire: avete imparato il tip-tap?”. Domandò giocosamente. “Ti prego, dimmi che hai materiale scottante su Tom: lo caricherò su youtube in questo stesso istante e ti edificherò una statua ad altezza naturale”, aggiunse con reale entusiasmo alla prospettiva.
Dovevo ammettere che quell'opzione mi faceva sorridere. Effettivamente non sarebbe stata un’idea malvagia, se non fosse stato per il provvedimento disciplinare di Lupin. Dubitavo che in ogni caso Allock ci avrebbe fatto ballare insieme molto presto. Il pensiero del giovane e di quella sorta di dialogo che avevamo intrattenuto, mi fece nuovamente incupire. 
“E' stata davvero così dura?”, mi domandò Sean, notando la mia espressione.
Annuii. Non me la sentivo di raccontargli ciò che era accaduto: sia perché era ovvio che si trattasse di una mera provocazione nei miei confronti, sia perché sapevo che Sean era anche amico di Emma e non volevo metterlo in una posizione scomoda. Dopotutto non era affar mio se Emma non si rendeva conto che il suo ragazzo aveva il vizietto di provarci con tutte. Da parte mia certamente non lo avrei incoraggiato e avrei evitato di intrattenermi da sola con lui. “E’ già abbastanza difficile cercare di entrare nel ruolo e imparare così tante cose in poco tempo, senza che lui colga ogni occasione possibile per provocarmi o prendersi gioco di me”, ammisi con un sospiro e scossi il capo. “Lascia stare, so che è tuo amico e non voglio che tu ti senta coinvolto”.
Sean mi guardò intensamente. “Sei sicura, Sarah? Se ha fatto o detto qualcosa d’inappropriato, basta che tu me lo dica e gli parlerò a quattrocchi”. Non avevo mai visto quell’espressione seria e determinata. Sapevo che naturalmente Sean non era una persona incline al litigio o al venire alle mani, ma qualcosa mi diceva che se si fosse seriamente arrabbiato, avrebbe potuto perdere del tutto quella compostezza e divenire molto più minaccioso.
“Nulla di grave, non ti preoccupare”, volli rassicurarlo e gli strinsi il braccio con un sorriso. “Devo solo imparare a gestirlo. Tutto si può dire tranne che sia una persona dal carattere affabile”.
Sean annuì con aria fin troppo consapevole. “Sotto la scorza da stronzo, narcisista, strafottente e borioso damerino… molto al di sotto, c’è qualcosa di buono”, disse in tono solenne e compresi che evidentemente lui era riuscito a trarre fuori il meglio da Tom. O la parte meno peggiore di lui. Questo però non mi dissuadeva del tutto dall’ipotesi che avesse più di una personalità latente.
“E' anche vero che tu sei la prima ragazza, che io sappia, a trattarlo con così aperto disprezzo e insofferenza. Qui dentro, per qualche arcano motivo, la sua amabilissima personalità riscuote un gran successo tra le studentesse e molte ucciderebbero per essere al tuo posto”.
“E’ quello che dice anche lui”, ricordai con una smorfia. “Mi domando che cosa ci trovino in lui di così affascinante”, ribadii con una certa perplessità. Nonostante il fattaccio accaduto pochi istanti prima, mi sentivo decisamente poco solidale verso le ragazze che accrescevano il suo proverbiale narcisismo.
“Non chiederglielo o ci scriverà un manuale”, ribatté per risposta con quel sottile umorismo che riuscì a strapparmi una risatina.
“E’ una mia impressione o le ragazze in Gran Bretagna sono sempre molto composte?”.
Sean inarcò le sopracciglia a quella domanda e mi guardò curiosamente. “No, ma capisco che voi italiane possiate sembrare molto più passionali al confronto”, ribatté gentilmente e il sorriso si addolcì nello scrutarmi. “Dopotutto è stato questo a fare colpo e forse non solo su Lupin. Forse in un modo molto contorto, Tom ti sta facendo un complimento: credo che lo diverta bisticciare con te”, spiegò in tono pacato.
Sospirai per risposta e scossi il capo, cercando ancora una volta di rimuovere dalla mente quell’ultima sequenza d’istanti in cui l’atmosfera tra noi era sembrata di tutt’altro genere. Mi morsi il labbro e distolsi lo sguardo, prima di correre il rischio di arrossire e di dare a Sean un’erronea impressione. “La sua concezione di divertimento è piuttosto strana”, replicai con uno scrollo di spalle. “Mi ha fatto piacere vederti, ci sentiamo più tardi?”.
“Perché non resti per pranzo, invece?”, mi propose con un sorriso. “Mi farebbe piacere un po’ di compagnia ed è da parecchio che non ci facciamo una chiacchierata tra di noi”, soggiunse in tono più dolce.
Non potei che sorridere. Ancora una volta l’amicizia di Sean era riuscita a ribaltare il mio pessimo umore. Senza contare che quella sarebbe stata un’ottima occasione per imbastire una conversazione che poteva culminare nell’organizzare una serata tra amici, come avevo promesso a Morgana. “Molto volentieri”, gli sorrisi per risposta e mi lasciai condurre verso il refettorio. “In realtà anche io avevo bisogno di parlarti: si tratta di Morgana”, esordii con un sorriso.           
“Non sta bene?”. Mi domandò subito con le sopracciglia inarcate e quell’aria premurosa che gli era solita. Dallo sguardo castano trasparì un sincero interesse e non soltanto la mera educazione o il riguardo a una mia amica di vecchia data.
“Sta bene”, lo rassicurai subito. “E’ molto soddisfatta del suo lavoro, ma ho il timore che senta nostalgia di casa. A differenza mia è sempre stata una persona molto estroversa e temo che possa sentirsi a disagio. Vorrei che si sentisse a sua volta la benvenuta e non soltanto in quanto mia amica”.
Sean era rimasto ad ascoltarmi con espressione molto attenta e aveva annuito più volte. “Immagino che non sia facile ricominciare da capo in un altro posto e sentirsi completamente spaesati o avere il timore di essere un terzo incomodo. Spero di non averle dato questa impressione anche se involontariamente”.
“Oh, no, no, affatto”, lo rassicurai con un sorriso. “Vorrei soltanto che stringesse nuove amicizie a prescindere da me. Stavo pensando di organizzare una cena a cui ovviamente vorrei invitarti. Potrai portare qualche tuo amico dell’Accademia e oggi lo chiederò anche ad Amy. Più siamo e meglio è”, spiegai semplicemente. 
“Mi sembra un’ottima idea”, approvò con un sincero sorriso. “Che ne dici del prossimo Sabato?”.
“Assolutamente perfetto!”, esclamai con una sensazione di mero sollievo. “Ne sarà entusiasta, non vedo l’ora di dirglielo!”.
Sean annuì con un sorriso. “Io sentirò i miei amici e poi ti farò sapere”.
“Perfetto”. Il sorriso mi si congelò sulle labbra quando un nuovo pensiero fece capolino nella mia mente. “Aspetta, Sean. Quando parli di amici, intendi anche lui?”, non potei fare a meno di chiedere con un certo grado di preoccupazione.
Sean parve vagamente impacciato. “Non posso non dirglielo, Sarah”, mi spiegò in tono di scuse. “A volte organizziamo qualcosa insieme per il weekend. E poi se non glielo dicessi, potrebbe sospettare che tu non voglia passare la serata con lui, il che forse sarebbe anche peggio”.
Imbronciai le labbra e sospirai. Non potevo certo dargli torto e non sarebbe stato giusto chiedergli di scegliere tra me e lui.  Morgana mi deve un grosso, grossissimo favore, pensai intensamente. Se non altro potevo contare sulla sua natura estroversa: non avevo dubbi che si sarebbe fatta nuove amicizie.
“In ogni caso non è certo che accetti”, continuò Sean con un sorriso d’incoraggiamento. “So che progettava di tornare nel Surrey, dalla sua famiglia, entro la fine del mese. Se sei fortunata, potrebbe scegliere proprio questo weekend”.
“Magari”, risposi con un vago sorriso.
Ma figurati. Sarebbe capacissimo di annullare, soltanto per farmi un dispetto.
Mai una gioia.
 
Trovammo un tavolo libero e mi tolsi il cappotto prima di accomodarmi davanti a lui. Feci vagare lo sguardo sulla mensa e sugli altri studenti mentre continuavo a mangiucchiare: checché mi ritenessi una persona dalla mentalità piuttosto aperta e disposta a conoscere le tradizioni e i costumi degli altri paesi, la mia esperienza con la gastronomia scozzese non era stata interamente piacevole fino a quel momento.  Sbattei le palpebre a più riprese quando mi sembrò di scorgere un volto familiare, ma non potei che inarcare le sopracciglia. Ero così avvezza a vederlo in ben altro ambiente, che mi sembrava incredibile che fosse lì in quel momento. Nella stessa stanza. Non c’erano dubbi che si trattasse di lui: i capelli perennemente scarmigliati, gli occhi azzurri e il sorriso divertito mentre chiacchierava con l’immancabile amico dai capelli rossi. Allo stesso tavolo vi era una ragazza dalla chioma altrettanto fiammeggiante. “Daniel?!”. Domandai a voce più alta.
Sean, seppur confuso, seguì il mio sguardo e annuì. “Lo conosci? Si è trasferito da Londra ed è dello stesso anno di Tom. Ha trovato una casa in affitto con Rupert e sua sorella Bonnie”, alluse ai due che erano seduti al tavolo con lui.
Assimilai quelle notizie e memorizzai i loro nomi, prima di sorridergli. “E' un cliente abituale di Riddle”. Gli dissi per spiegare la mia conoscenza del suo nome di battesimo. Ebbi una folgorazione e tornai a guardarlo freneticamente. “Siete amici?”. Domandai, infatti, con tono più appassionato.
Sean parve persino più sorpreso per quella foga. “Ogni tanto esce con noi. Rupert è amico dei fratelli Phelps che sono del mio stesso anno”, spiegò.
Tutte queste coincidenze sembravano perfette: avremmo potuto organizzare una serata con una discreta compagnia di amici e, al contempo, potevo persino sperare di far sbloccare le cose tra Amy e l’oggetto dei suoi desideri. Forse l’universo, dopotutto, mi stava ricompensando di tutte le sciagure che mi erano accadute da quando avevo accidentalmente aperto la casa di porta Biggerstaff e mi ero imbattuta in Tom.
“Che tu sappia Daniel ha una ragazza?”, gli domandai a bruciapelo.
Sean corrugò le sopracciglia e parve rifletterci. “No, mi risulta che sia single. Lui e Bonnie sono come fratelli”, spiegò.
Seguii il suo sguardo e li osservai per qualche istante. La ragazza sembrava perfettamente a suo agio nel parlare con il fratello maggiore e il loro coinquilino e non vedevo nel suo volto o nelle sue parvenze nient’altro che sincero divertimento. Come se, dopotutto, fossero tutti e tre una famiglia.
Sean sembrava piuttosto incuriosito dal mio interesse, ma era fin troppo educato per chiedermene esplicitamente il motivo.
“Sai per caso se gli piace qualcuna?”, insistetti.
“Non saprei”, rispose in tono persino più interdetto e si passò una mano tra i capelli. “In realtà non siamo così in confidenza”, mi spiegò.
Non era una risposta certa, ma comunque avevo ottenuto più informazioni di quanto sarebbe stato possibile da dietro al bancone del pub. A meno che non avessi ingaggiato Morgana e le sue doti informatiche per un po’ di stalking virtuale. “Capisco”, ribattei con un sorriso, ma mi affrettai a cambiare argomento. “Come ti accennavo, vorrei invitare anche Amy, ma tu sentiti perfettamente libero di estendere l’invito anche a Daniel, Rupert e Bonnie”, conclusi con un gran sorriso.
“Ho la sensazione che questa proposta nasconda un complotto femminile, ma lo chiederò loro comunque e fingerò di non sospettarlo”.
Non potei che sorridergli con la stessa complicità. “Sei un tesoro”. Già pregustavo il momento in cui avrei rivisto la mia nuova amica e non solo l’avrei invitata a quella cena, ma le avrei persino rivelato la presenza di Daniel tra i commensali.
“A proposito di ragazzi, come sta Matteo?”.
Quasi mi strozzai con la mia acqua e tornai a guardarlo con gli occhi sgranati. Come faceva a saperlo? E soprattutto chi glielo aveva detto?  Emma?! Se la bugia si stava diffondendo così in fretta, avrei anche dovuto premunirmi di rendere privato il mio profilo di Instagram ed evitare di accettare nuovi contatti e sospendere l’utilizzo di Facebook.
“E’ strano però: nella lettera in cui hai parlato di lui, giurerei che mi avessi detto che non era mai successo nulla tra di voi”. Non sembrava offeso, ma semplicemente confuso. Non mi guardava neppure apertamente, giocherellando con la forchetta, per non alimentare ulteriormente il mio disagio. Sollevò infine lo sguardo e mi sorrise. “Non che tu fossi obbligata a raccontarmi ogni dettaglio, s’intende. Io stesso sono stato molto vago su Angelina”, soggiunse con maggiore dolcezza.
Scossi il capo e mi guardai attorno, per assicurarmi che potessimo parlare in tranquillità. Non che ci fossero molti rischi, dal momento che ero una mezza sconosciuta lì dentro e gli altri studenti che prendevano parte allo spettacolo di Lupin in ogni caso non fossero che mere conoscenze superficiali.
Sean notò la mia preoccupazione e parve persino più disorientato.
Sospirai. “Avrei dovuto parlartene in ogni caso per sicurezza, ma non pensavo che questo nome sarebbe venuto fuori in questa scuola”.
“Va tutto bene?”, mi domandò premurosamente.
“Quello che ti ho raccontato nella lettera era tutto vero: tra noi non è mai accaduto nulla”, parlai in un sussurro, ma guardandolo dritto negli occhi. “Diciamo che ho tratto ispirazione dalla realtà e poi l’ho romanzata. Superfluo dirti che me ne pento ogni istante di più, ma non pensavo che la voce si diffondesse”, soggiunsi con uno sbuffo.
Sean sembrò a malapena seguire il filo del mio discorso, ma sollevò le mani. “Non voglio essere indiscreto e neppure giudicarti, è ovvio, ma non riesco a capire perché tu abbia dovuto re-inventare le cose. A quale pro?”.
Mi passai una mano sul volto e abbandonai la forchetta. A quel punto avevo completamente perso l’appetito. Senza altri indugi, ma continuando a parlare a voce bassa nel caso qualche conoscente di Emma si palesasse, gli raccontai di quella nostra conversazione al pub e di come la discussione avesse preso una piega inaspettata. Sarebbe stato tutto molto più semplice se all’equivoco della ragazza, avessi subito chiarito le cose, anche a costo di sentirmi ulteriormente in imbarazzo in sua presenza.
Sean aveva ascoltato il racconto con espressione concentrata e più volte il suo volto era divenuto una maschera d’incredulità e di sorpresa. Avevo però avuto l’impressione che talvolta avesse nascosto un sorriso divertito per pura premura nei miei confronti. Alla fine del mio racconto parve semplicemente senza parole.
“So che ho fatto una grandissima stupidaggine”, mormorai con le guance arrossate. Se possibile, raccontare quell’episodio con il senno di poi, mi faceva sentire persino più sciocca. Per quale arcano motivo avevo permesso che l’opinione di Emma, una mezza sconosciuta, incidesse al punto da creare una fan-fiction su due piedi? “E ti chiedo scusa perché non avrei mai voluto coinvolgerti, ma in quel momento mi è sembrata la cosa più semplice da fare”.
Sean mi sorrise con aria indulgente e mi strinse la mano. “Non devi preoccuparti per me, non sarà difficile assecondare il tuo gioco, ma dovrai pensare a un modo plausibile di gestire questa finta relazione decennale, perché se si scoprisse la verità, le implicazioni sarebbero anche peggiori della bugia di per sé”, rifletté con aria pensierosa e non di meno preoccupata per me.
Sbuffai al pensiero e incrociai le braccia al petto. “Sono arrabbiata con me stessa, non immagini quanto, ma lei mi ha fatto sentire così insignificante in quel momento. E ho voluto sbatterle in faccia qualcosa e l’ironia del fato è che adesso sembra che Matteo ed io siamo diventati la sua OTP se te ne ha persino parlato”.
Sean sorrise, ma scosse leggermente il capo. “Mi dispiace che tu ti sia trovata così in difficoltà con lei. Posso assicurarti che dietro quella parvenza di perfezione e quell’aria sicura di sé che le attribuisci, c’è una ragazza molto simpatica e disponibile. Dovresti sentire come parla di te, poi. Si è persino lamentata di come alcune persone qui dentro si comportano nei tuoi confronti”.
Santa Emma da Glasgow, non potei fare a meno di pensare. Perfetto. Non solo ero una bugiarda patentata, ma persino un’ingrata con un latente complesso d’inferiorità nei confronti di una ragazza che, a quanto sembrava, mi aveva preso in simpatia. Un peccato che non si rendesse conto che in cima alla lista delle persone più infide di quella scuola ci fosse proprio il suo ragazzo. “Non metto in dubbio che sia come la descrivi”, ribattei. Dopotutto la conosceva da più tempo e la frequentava anche al di fuori dell’Accademia. “Ma francamente mi domando come non faccia a rendersi conto che il suo ragazzo è un-”.
 “Oh guarda, due posti liberi”.
Trasalimmo entrambi e sollevai lo sguardo nell'esatto istante in cui Tom, dopo averci appena degnato di un'occhiata, appoggiò il suo vassoio e si accomodò accanto a Sean. Emma, d’altro canto, ci salutò e prese posto al mio fianco.
Non potei fare a meno di irrigidirmi nell’osservare Tom. Con quale sfrontatezza si presentava al nostro tavolo e mi guardava tanto candidamente, dopo quello che era successo su quella rampa di scale?  Guardai il profilo di Emma e mi domandai se avesse il benché minimo sospetto di come agisse alle sue spalle, oppure se dall’alto della sua sicurezza di sé e del loro rapporto, la cosa non la sfiorasse minimamente.
Fui colpita da un altro pensiero che mi lasciò senza fiato. Molto probabilmente aveva parlato anche a lui di Matteo. Ciò significava che, anche mentre cercava di sedurmi, era consapevole che io stessa avessi una relazione duratura. Quindi non solo avrei dovuto preoccuparmi di essere stata quasi circuita, ma persino che avevo dato prova di essere a mia volta poco leale nei confronti del mio ipotetico ragazzo. Se possibile il mio disgusto verso Tom crebbe smisuratamente e non potei fare a meno di lanciargli un’occhiata di disprezzo.
Il ragazzo aveva sollevato lo sguardo nello stesso momento, ma non parve minimamente turbato. Al contrario, mi rivolse un ammiccamento impudente, prima di rivolgersi a Sean con espressione beffarda. “Se non conoscessi il letargo perenne del tuo testosterone, avrei quasi potuto sospettare di aver interrotto una conversazione privata”.
Sean alzò gli occhi al cielo con l’aria insofferente e stoica di chi sia più che avvezzo a simili provocazioni.
Io invece osservai Emma che, con aria imperturbabile, sorseggiava il suo bicchiere d’acqua. Evidentemente quelle punzecchiature tra i due ragazzi erano qualcosa di abituale. Forse ero davvero l’unica ragazza a cui Tom rivolgesse simili provocazioni?
“Fortunatamente io ti conosco perfettamente e non ho simili dubbi sulla tua cronica mancanza di buone maniere e di simpatia”, fu la risposta tranquilla di Sean. Forse era proprio il fatto che raramente si scomponesse a rendere le sue parole persino più taglienti, tanto da strapparmi una risatina.
Tom sembrava pronto a replicare con altrettanta solerzia, ma fu la voce di Emma a interromperli, mentre si rivolgeva al mio amico. “Hai saputo, Sean? Sembra che il Preside organizzerà un ballo per il prossimo mese”.
“Un ballo?”. Domandò quest’ultimo con espressione vagamente sorpresa.
Io ascoltavo solo distrattamente e approfittai di quel momento per controllare le notifiche sul cellulare. Poiché il mio appetito non sarebbe certamente stato giovato dalla vicinanza della coppietta, avrei aspettato qualche minuto per non sembrare maleducata e me ne sarei andata con la scusa di un messaggio di Morgana o di un collega al pub.
La giovane annuì con un sorriso: “Ricorrerà il centosettantesimo Anniversario della Fondazione dell’Accademia[3] e ha voluto convincere il Consiglio a festeggiare con un ballo in maschera”.
Non potei fare a meno di sorridere con sincera simpatia al ricordo del Preside e di quella noiosissima riunione che avevamo interrotto con Piton. Chissà se già in quell’occasione aveva avanzato quell’idea. Non dubitavo che il suo Vicepreside, anche in quel frangente, si fosse dimostrato ben poco conciliante ma ammiravo il modo in cui l’uomo anziano, pur con quei modi quieti ma sbarazzini, riuscisse sempre a spuntarla.
“Capisco”, commentò Sean ma non potei fare a meno di notare che non sembrava particolarmente entusiasta all’idea. Tanto meno Tom che continuava a mangiare indisturbato.
“Sarà permesso invitare anche chi non frequenta la nostra Accademia”. Continuò con tono solare e, per la prima volta, mi ritrovai a sorridere civettuola mentre gettavo un'occhiata di sottecchi al mio amico e poi a Daniel. Non potei fare a meno di pensare che quello sembrava davvero un segno del destino. Vuoi vedere che quel ballo mi cascherà proprio a fagiolo?
Mi riscossi quando sentii la pressione delicata ma ferma della mano di Emma sul mio braccio e mi volsi a guardarla, improvvisando un sorriso. “Sono sicura che sarà una serata molto speciale per tutti voi”. Ma inarcai le sopracciglia, nel notarne il sorriso più allusivo.
“Non soltanto per noi”, commentò in tono entusiasta. “Non sarebbe un’occasione perfetta anche per te?”, mi domandò in tono complice. Lo sguardo le si era illuminato con reale entusiasmo che mi fece inarcare maggiormente le sopracciglia, non riuscendo realmente a seguire il filo dei suoi pensieri.
Ma di cosa diavolo...?
Memore di quanto accaduto nell'aver accettato di prendere parte a uno spettacolo, senza conoscerne la trama, non potevo limitarmi alla tattica del “sorridi, ringrazia e annuisci”.
“Perfetta?”. Le domandai ancora e gettai un'occhiata di sottecchi a Sean, quasi sperando che potesse darmi un suggerimento.
La giovane ridacchiò divertita e io mi misi istintivamente in allerta. “Sarebbe così romantico riconciliarti con il tuo ragazzo proprio in occasione del ballo”, disse con tale foga da somigliare realmente a una fangirl che si nutre di spoiler e indizi per cercare segni della realizzazione del suo progetto romantico per la coppia preferita dello show.
Sentii il cuore scalpitare furiosamente in gola e il respiro venirmi meno.
“Specialmente dopo quello che mi hai raccontato sulla sua gelosia”, soggiunse in tono più basso e complice, per non farsi udire dagli altri due ragazzi.
Sean si era improvvisamente irrigidito e persino Tom sembrò vagamente incuriosito, tanto da sollevare per la prima volta lo sguardo dal suo pasticcio di rognone. Mi stava scrutando con le sopracciglia inarcate. 
Merda.
Questo era un chiaro segno dell’universo che voleva punirmi per la mia stupidissima bugia.
Porca merda. Giuro che non mentirò mai più in vita mia.
“Ma io non frequento questa Accademia”, mi sentii dire con voce stridula.
Emma rise e scosse il capo. “Non essere modesta: sei solo la protagonista dello spettacolo di fine anno”.
Mi grattai nervosamente la nuca. “Non lo so”, borbottai, evitandone lo sguardo. “E’ così impegnato sul lavoro, gli affari sono un po’ in calo in questo periodo e non so se potrebbe permettersi di assentarsi”.
Emma sembrava poco convinta, ma mi guardò persino con maggiore fervore, quasi fosse una questione personale il vedermi felice con il mio storico fidanzato. “Sei soltanto nervosa, ma credimi, è la cosa migliore per entrambi e non potrebbe esserci pretesto più romantico. Insomma, sembra un segno del destino!”, aggiunse con maggiore enfasi.
Sì, un segno che Dio mi sta punendo.
“Compragli il biglietto aereo e mandaglielo qualche giorno prima, prenota il volo e l'albergo, non avrà scuse!”.
Dove erano finiti il suo savoir-faire e quella compostezza con cui mi si era rivolta al pub, non esitando minimante nel parlare di me, di Tom e della sua totale assenza di gelosia? Dietro quella parvenza di persona tanto razionale, si celava un’anima così romantica? Ciò sembrava compatibile con il modo in cui parlava del suo ragazzo, dopotutto.
La guardai sgomenta e per un attimo fui congelata dal panico. Era evidente che ogni giustificazione legata al lavoro sarebbe sembrata una scusa poco plausibile. Forse persino un mio tentativo di auto-sabotare la mia relazione d’amore. Mi maledissi nuovamente per aver permesso che tutto ciò accadesse sotto i miei occhi. Non avrei potuto certamente confermarne la presenza materiale. L’unica soluzione plausibile, a quel punto, era fingere la fine della relazione, ma ciò non poteva avvenire così rapidamente e senza che io mostrassi i segni di un simile turbamento.
La malaria e la quarantena, a poche ore dal ballo, l'avrebbero convinta?
Merda.
“Infatti, nessuna scusa”, intervenne la voce di Tom con mia grande sorpresa. Mi stava scrutando con reale curiosità, persino abbandonando la sua degustazione.
Per quale motivo doveva interessarsi a sua volta a quella questione? L’istinto mi diceva che, al suo solito, aveva colto il mio nervosismo e si stava semplicemente divertendo a recitare anche in quel contesto per mero dispetto.  Lo fissai con astio mentre assumeva una posa di enfatica attesa: si stava sostenendo il viso con una mano e mi scrutava con il volto inclinato di un lato.
“A meno che non ci sia un'altra complicazione imprevista”, aggiunse in un sussurro.
Seppi con esattezza di cosa stesse parlando e sentii lo stomaco annodarsi, al ricordo di quelle parole che mi aveva rivolto in corridoio. Strinsi i pugni lungo i fianchi e seppi di non averlo mai odiato intensamente come in quel momento. Ma anche che avrei odiato persino di più me stessa per la decisione che avevo appena preso.
Mi strinsi nelle spalle e sorrisi a Emma candidamente. “Comincerò a organizzarmi oggi stesso perché vada tutto perfettamente, senza alcun imprevisto”.
Emma mi sorrise con reale entusiasmo, ma Sean mi guardò di sottecchi con espressione assai guardinga, seppur non avesse più preso parola nella conversazione.
Cercai di restare calma. Dopotutto mancava circa un mese a quell’evento e ragionando lucidamente con l’aiuto delle mie amiche, avrei potuto trovare una scusa plausibile o un rimedio.
Possono succedere tantissime cose in un mese. Ho tutto il tempo necessario. Per quanto continuassi a ripetermelo, quel nodo allo stomaco era più stretto che mai e avevo la spiacevole sensazione che mi sarei pentita amaramente di quel pranzo e di quella decisione.
 “Non vedo l'ora di conoscerlo”, commentò Emma con una foga tale da farmi ulteriormente innervosire. Seriamente, non aveva qualche amica o qualche interesse oltre allo shopping o alla sua meravigliosa love-story? Non aveva uno spettacolo da preparare a sua volta?!
“Di cosa hai detto che si occupa?”.
“Veramente non l’ho detto”, replicai con un sorrisino misterioso, sperando di scoraggiarla dal fare ulteriori domande o che semplicemente cambiassimo argomento. Quasi speravo che Morgana o Amy potessero sentire telepaticamente la mia disperazione e una delle due mi telefonasse, dandomi un’ottima scusa per rispondere e allontanarmi.
Due minuti, mi dissi. Due minuti e me ne vado.
La mia risposta sembrò lasciarla spiazzata e Tom aveva socchiuso gli occhi, quasi avesse potuto scrutarmi dentro o sospettasse la bugia.
“Come sei riservata”, ridacchiò Emma. “Dovremmo chiederlo a Sean?”.
Si rivolse all’amico che, per tutta risposta, si riempì il bicchiere d’acqua e ne tracannò il contenuto avidamente. Qualcosa mi diceva che avrebbe preferito bere whisky in quel momento. Se non altro, essendo a sua volta un provetto attore, sarebbe stato un buon bugiardo all’occorrenza.
 “Stai facendo scorte per affrontare il deserto?”. Lo apostrofò Tom con una smorfia in volto, quasi stesse osservando un cammello affondare il muso nell’abbeveratoio.
Dopo essersi sincerata che nessuno mi stesse osservando, lasciai cadere la bottiglia sul tavolo. Vidi l’acqua scivolare a macchia d’olio sulla superficie di legno, fino a bagnare la manica della camicia di Emma.
Il karma esiste dopotutto.
“Oh, mi dispiace!”, pigolai in tono contrito. Mi affrettai a porgerle delle salviette di carta per aiutarla a tamponarsi il tessuto bagnato. Dopotutto era semplice acqua.
Se non altro potei costatare che Emma era in grado di scomporsi, perché era trasalita, ma aveva accettato le mie salviette e stava cercando di asciugarsi, senza tuttavia arrabbiarsi. “Non ti preoccupare, davvero, può capitare a chiunque...”.
“A chiunque, certo”, ribatté Tom con voce tagliante. “Soprattutto alla cameriera di un bar”. Increspò le labbra in un sorriso sardonico. Non sembrava infastidito dal piccolo incidente ma, piuttosto, sembrò voler cogliere l’ennesima occasione per provocarmi. “Immagino che sia stata proprio la tua scarsa coordinazione mano-occhio a farti ottenere il posto e a far colpo sul tuo fidanzato”.
Lo guardai per qualche istante come a studiarne le intenzioni e voler capire esattamente che cosa diavolo volesse da me.
A che gioco sta giocando?
Preferii reagire nel modo esattamente contrario a quello che si sarebbe aspettato e sorrisi con aria sognante. Mi permisi persino di sospirare nell’imitare i gesti di una teenager innamorata. Annuii e mi passai una mano tra i capelli, prima di emettere una risatina leziosa che sembrò lasciare entrambi i ragazzi interdetti. “Proprio così. Lui adooooora la mia goffaggine”.
“Come vi siete conosciuti?”. Mi chiese Emma, dopo aver finito di tamponare la camicetta.
M’imposi di mantenere la calma. Il trucco era cercare di non inventare tutto di sana pianta, ma piuttosto modificare la verità in modo che mi fosse più semplice ricordare gli eventuali dettagli. “Alle scuole medie”, risposi con un sorriso.
Sean dovette attingere alla sua stessa preparazione teatrale perché annuì con foga, con l’aria di chi conoscesse a sua volta la storia a menadito. Dopotutto gli avevo raccontato tutto per filo e per segno attraverso la nostra corrispondenza. “Ma si può dire che la seconda occasione sia stata ai tempi del liceo. E’ da allora che stanno insieme”.
“Quindi vi siete ritrovati a distanza di tempo?”, mi domandò Emma e non potei che annuire con enfasi, raccontandole brevemente di quell’effettivo incontro alla fermata del bus. Se non altro non dovevo fingere le emozioni che avevo provato quel giorno, perché raccontarlo a voce alta aveva ancora l’effetto di farmi tremare la voce e battere il cuore furiosamente.
“Quindi, anche se avevate smarrito i contatti per tanto tempo, avevate conservato il ricordo dell’altro”, convenne Emma con un sorriso empatico.
Annuii e sospirai. “Credo che il sentimento fosse sbocciato prima, anche se non me ne ero resa conto all’epoca. Mi accontentavo di vederlo ogni giorno alla fermata del bus, fino a quando non mi ha chiesto di uscire”, soggiunsi in tono cauto. Da quel momento in poi avrei dovuto inventare tutto e non volevo rischiare di scendere in troppi particolari che sarebbero stati difficili da ricordare.
“Quindi anche lui provava lo stesso”, commentò Emma con un sorriso. “Forse lo provava già da ragazzino, ma era troppo presto”.
“E’ quello che ci siamo detti a cena quella sera”, risposi con un velo d’emozione, provando a immaginare come sarebbe andata la mia vita se effettivamente gli eventi avessero assunto quella piega. Un peccato, però, che anche quella finzione avrebbe dovuto avere una conclusione plausibile ed entro la sera del ballo. 
Mai una gioia neppure in una fan fiction sulla mia vita.
“Non dimenticherò mai quella sera: abbiamo parlato per ore e più tempo passava e più ci rendevamo conto che ci trovavamo esattamente dove dovevamo essere”, mi concessi di indugiare qualche istante di troppo in quella fantasia.
I miei pensieri, infatti, furono bruscamente interrotti dal fragore di un morso. Sollevai lo sguardo e incontrai quello di Tom. Si era stravaccato sulla sedia, in equilibrio sulle gambe posteriori, e appariva visibilmente annoiato. Morse nuovamente la lucida mela verde, continuando a osservarmi di sottecchi. Non sembrava affatto impressionato, ma lo sguardo era simile a quello che mi rivolgeva in auditorium, ogni volta che aspettava che facessi un errore durante le prove dello spettacolo.
“E’ una storia così romantica, sembra tratta da un romanzo”, sospirò Emma e non potei che sorridere per risposta. In fondo era un complimento: in parte per reali eventi del mio passato e in parte per la mia capacità d’improvvisazione. “Non vedo l’ora di conoscerlo di persona!”, soggiunse con enfasi.
“Anche lui”, risposi in tono cortese. “Ha visto Sean soltanto via Skype, ma non vede l’ora di vedere quest’Accademia, conoscere Lupin, i miei colleghi di lavoro e anche te naturalmente”.
 “Davvero?”. Mi domandò Emma che sembrava visibilmente sorpresa, nonostante anche al pub avesse espresso quel desiderio.
“Ma certo, è molto curioso della mia vita in Scozia e degli aspetti più piacevoli e importanti. Non certo delle scocciature”, commentai con una nota di ironia appena percepibile.
Dovevo dare atto a Tom di essere molto abile a cogliere quelle frecciatine velate, perché lo sentii emettere uno sbuffo divertito. Non commentò, tuttavia, e appoggiò il torsolo della mela sul piatto ormai vuoto. Mi rivolse quel suo sorrisetto beffardo e allusivo. Non sembrava affatto infastidito. Anzi, appariva fin troppo divertito.
Merda. E’ davvero convinto che sia attratta da lui? E che lascerei Matteo per lui?
Il suono della campanella li fece tutti riscuotere e sospirai di sollievo, anche se avrei preferito che potesse suonare prima che mi cacciassi nell’ennesimo guaio.
Emma si rimise in piedi e mi sorrise. “E’ stato un piacere pranzare insieme, dovremmo rifarlo”.
Come no, non vedo l’ora.
Sean si chinò a baciarmi la guancia. “Ci sentiamo più tardi, ho lezione”. Mi rivolse uno sguardo più serio che sembrò dirmi implicitamente che avremmo dovuto riprendere la nostra conversazione privata. Non stentavo a credere che fosse preoccupato di come quella vicenda avrebbe potuto evolversi. Sapevo che avrei dovuto ricompensarlo adeguatamente per tutto quello che stava facendo per me. Persino sostenermi il gioco con gli amici di sempre, ma mi limitai a sorridergli in quella circostanza e augurai a entrambi un buon proseguimento di lezioni.
Mi guardai attorno e notai che Daniel e i suoi amici si erano già alzati.  Mi riscossi nel sentire Tom spostare rumorosamente la sua sedia. Raccolse la borsa e se la mise a tracollo, lisciando la giacca scura che indossava, ma affondò le mani nelle tasche dei pantaloni abbinati, apparentemente incurante di sgualcirli. Notai con fastidio che non sembrava aver fretta di raggiungere gli altri due.
Mi guardò con le sopracciglia inarcate e fece schioccare la lingua sul palato.
Incrociai le braccia al petto ma dovetti reclinare leggermente il volto per guardarlo negli occhi. “Che c'è?”. Domandai bruscamente.
Quel sorrisetto ne fece baluginare lo sguardo, ma circumnavigò il tavolo e si fermò di fronte a me. 
“Curioso”. Commentò semplicemente, con uno scrollo di spalle. Mi stava fissando intensamente, quasi avesse voluto leggere qualcosa nel mio sguardo. 
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai. Mio malgrado mi costrinsi a guardarlo di nuovo. E, soprattutto, a porgli l'ennesima domanda. “Che cosa?”.
Sogghignò con aria compiaciuta. “Il fatto che il tuo ragazzo ignori la mia esistenza, è alquanto eloquente”. Aveva strascicato le parole e lo sguardo scintillava maliziosamente. 
Mi strinsi nelle spalle. “Come ho detto prima, non gli ho racconto le cose spiacevoli. Tanto meno quando sono prive d’importanza”, ribattei con un sorriso velenoso. Sperai che comprendesse che anche quell’episodio sulla rampa delle scale era stato soltanto un imprevisto che non avrebbe avuto un seguito. E tanto meno le sue parole avrebbero avuto fondamento.
Tom scrollò di nuovo le spalle, come se quella risposta gli fosse sufficiente. Sembrò volersene andare, ma trasalii quando, dopo essersi guardato attorno, si chinò verso il mio viso.
M’irrigidii, ma strinsi il pugno, pronta a ricorrere a uno schiaffo se necessario.
“O forse ne ha fin troppa”, mi suggerì all’orecchio con intonazione morbida.
Ignorai quel brivido che scivolò infido lungo la spina dorsale, ma prima che potessi scostarlo bruscamente, si era già risollevato.
Non attese risposta e neppure mi salutò. Si diresse all'uscita senza mai guardarsi indietro.
Mi morsi il labbro e sentii le gote ancora accaldate. Rimasi immobile e silenziosa fin quando la mensa fu deserta. A dispetto di ciò che mi ero detta un’ora prima, il mio cuore stava ancora battendo furiosamente.
 
~
 
Scesi due fermate prima del solito e cercai di ricordare le indicazioni di Morgana. Mi confusi tra la folla e mi strinsi maggiormente nel cappotto, quando mi sentii intirizzire da una gelida folata di vento. Sollevai lo sguardo verso il cielo, augurandomi che non cominciasse a piovere, prima che giungessi a destinazione. Camminai per una decina di minuti ma sorrisi soddisfatta alla vista dell’insegna su cui era stato disegnato un labirinto, l’emblema stesso del negozio di abbigliamento.
La mia entrata fu segnalata dal campanellino e sentii la voce di Morgana in lontananza, mentre annunciava di star tornando in tono formale. Ne approfittai per guardarmi intorno e costatare che la descrizione che mi aveva fornito era più che calzante così anche il nome così fantasioso e suggestivo. Dopo aver osservato il reparto dedicato ai kilt, lo sguardo vagò verso il settore dedicato agli abiti da cerimonia e al pensiero del ballo che si sarebbe tenuto in Accademia, non potei che sospirare. Più tempo passava e più mi pentivo, ancora una volta, di aver agito in modo molto superficiale e stupido.
In attesa, di fronte a una bella scrivania di mogano con il registratore di cassa, vi era un uomo anziano. Dopo pochi istanti sentii lo scalpiccio di passi di Morgana. Camminava con incedere fluido e naturale nel tailleur elegante, apparentemente non sentendo la fatica nell’indossare scarpe con il tacco. Portava con sé un abito confezionato che porse all’uomo.
Mi scorse e sorrise. “Oh, meno male, sei tu”, commentò nella mia lingua madre e non potei che ricambiarne il sorriso. Notai che aveva l’aria stanca, ma fortunatamente il suo turno di lavoro era quasi giunto al termine.  Aspettai che si congedasse dal cliente e mi si avvicinò. “Vieni, ti faccio fare un giro”.
Non potei fare a meno di notare che, benché avesse iniziato il lavoro da poco più di una settimana, sembrava perfettamente padrona della situazione.
“E’ davvero un bellissimo negozio”, mi complimentai alla fine del breve tour. “Senza contare che sei perfettamente intonata al contesto”, soggiunsi.
La ragazza sorrise con espressione piuttosto compiaciuta, prima di reclinare il viso di un lato. “A cosa devo l’onore, a parte il tour? Dimmi che non hai litigato di nuovo con Tom”.
“Allora non te lo dico”, replicai con una scrollata di spalle.
Morgana mi osservò con un misto di divertimento e di rassegnazione: “Devo dedurre che la prima lezione di ballo non sia andata come sperato?”.
“Deduci bene”, ammisi con un sospiro. “Ma, ti prego, adesso parliamo di qualcosa di bello, come ad esempio della serata che Sean ed io stiamo pensando di organizzare”.
Lo sguardo della giovane parve brillare alla prospettiva e non poté che sorriderne: “Quindi anche lui è d’accordo?”.
“Assolutamente”, le risposi con un sorriso e le raccontai brevemente di quello scambio di opinioni, prima che fossimo interrotti dall’arrivo di Tom e di Emma.
“Quindi è per questo Sabato?”.
“Esatto”, le sorrisi per risposta. “Dobbiamo ancora finire di definire dei dettagli, vuole estendere l’invito a qualche suo conoscente dell’Accademia”.
“Vuoi dire che ci sarà anche-”.
“Spero di no”, risposi immediatamente, senza bisogno che specificasse il nome. “Mi ha detto che dovrebbe tornare a Londra e se è vero che, secondo la legge delle probabilità, prima o poi dovrò avere un colpo di fortuna, magari sceglierà questo weekend. O semplicemente lui ed Emma troveranno altro da fare”.
“Detta così suona molto male”, mi stuzzicò con un sorrisetto supponente.
Feci una smorfia che le strappò una risata, ma poi pensai a un altro dettaglio e non potei che sorriderne. “Spero che Daniel si unisca, non vedo l’ora di dirlo ad Amy”.
 “Daniel?”. Mi domandò con le sopracciglia inarcate. Negli ultimi giorni le avevo citato diversi nomi degli altri membri dell’Accademia con cui avevo interagito per le prove. Se le ragazze apparivano spesso altezzose, dovevo ammettere che i ragazzi sembravano più facilmente disposti a superare i pregiudizi e concedermi un’occasione. Tra questi vi era Robert Pattinson che avrebbe interpretato Lord Duncan, il fidanzato di Lady Elisabeth.
Le raccontai brevemente di com’era nata l’infatuazione di Amy e dei dettagli che mi aveva fornito Sean. “Non le ho ancora detto nulla perché non vorrei darle una falsa speranza, ma se venisse anche lui sarebbe un’occasione perfetta per  farli conoscere meglio e in una situazione informale”.
“Glielo auguro di cuore, è stato provvidenziale il suo intervento per farti trovare lavoro ed è sempre gentile e disponibile con te. E sono anche d’accordo coi suoi commenti sul blog”, aggiunse, guardandomi di sottecchi.
Ignorai del tutto il riferimento all’idea che io covassi per Tom qualche sentimento romantico.“A proposito di Amy, se hai finito il turno, perché non mi accompagni al lavoro, così finalmente vi presenterò?”.
 
 
Una ventina di minuti dopo varcammo la soglia del pub e le feci strada. Poteva apparire un luogo meno sofisticato rispetto al negozio di abbigliamento in cui lavorava lei, ma ero orgogliosa del modo in cui a mia volta mi fossi ambientata e dei sorrisi di buona accoglienza che ricevevo da tutti i colleghi e dai clienti abituali. Mi cambiai rapidamente e le feci strada verso il bancone che Amy era impegnata a pulire.
“Ciao”, le sorrisi. “Posso presentarti Morgana?”.
La ragazza sollevò lo sguardo e sorrise con la sua consueta cordialità, porgendo immediatamente la mano. “E’ un piacere conoscerti di persona, finalmente. Mi ha parlato molto di te”.
Morgana ne ricambiò il sorriso e la stretta di mano. “Il piacere è tutto mio, anche se in realtà un po’ mi sembra di conoscerti”, ammise con un baluginio complice nello sguardo. “Sono contenta che anche sul lavoro abbia qualcuno che le copre le spalle”.
“Hai impegni per Sabato sera, Amy?”, le domandai e le raccontai brevemente della serata che Sean e io stavamo organizzando. Omisi il dettaglio su Daniel, non potendo avere alcuna conferma al riguardo per il momento. “Naturalmente puoi invitare anche Luna o qualcuno dei vostri amici”, soggiunsi con un sorriso.
Sembrava altrettanto entusiasta alla prospettiva. “Molto volentieri, parlo con Luna e poi vi faccio sapere”.
“Ma adesso, se Amy è d’accordo, credo che tu debba raccontarci ciò che è successo all’Accademia”, intervenne Morgana che si sedette sullo sgabello con espressione più felina. Si rivolse all’altra con uno sguardo d’intesa. “Ha litigato di nuovo con Tom”.
L'altra non pareva affatto sorpresa, ma si volse in mia direzione con un sorrisetto divertito. “Quand’è che vi sposate?”, domandò, strappando una risata a Morgana.
“Molto divertenti, davvero. Comunque tecnicamente non abbiamo litigato. Abbiamo avuto uno scambio di opinioni nel quale ha confermato di essere un grandissimo stronzo, narcisista e bastardo”. Avevo discretamente abbassato la voce nel pronunciare quegli insulti, nonostante stessi parlando in italiano.
“Sembra interessante e non ho voglia di aspettare che aggiorni il blog”, commentò Amy.
“Sono più che d’accordo”, convenne Morgana. “E se non ti dispiace, gradirei ascoltare questo resoconto con una tazza di the e qualche biscotto della casa a tua scelta”.
Sospirai con aria rassegnata, ma mi affrettai a servirle quanto richiesto. Fortunatamente Riddle era chiuso nel suo ufficio e Percy aveva il giorno libero, ragione per cui, se non ci fosse stato affollamento nei prossimi minuti, sarei riuscita a raccontare tutto prima che il nostro principale si sedesse in sala per farsi servire il the.
Presi a raccontare loro della lezione di ballo e di quella conversazione che avevamo avuto, fino alle parole finali di Tom. Se inizialmente erano sembrate divertite o persino eccitate alla prospettiva di quell’approccio, sul finire del racconto sembravano semplicemente indignate.
“Spero che tu lo abbia preso a schiaffi”, commentò Morgana con faccia scura.
“Ritiro tutto quello che ho detto sul matrimonio”, fu il commento finale di Amy con voce mortalmente seria. “Ma un calcio nei cosiddetti se lo meritava tutto”.
Sospirai quasi con aria stanca. Se possibile, quei ricordi sembravano rendere tutto persino peggiore. “E non vi ho ancora detto che cosa è successo mentre pranzavo con Sean, quando sono arrivati lui ed Emma e si sono seduti con noi”.
“Dimmi che non hai continuato a parlare di Matteo”, sembrò supplicarmi Morgana.
“Quindi esiste davvero?”, le domandò Amy e la mia amica annuì con foga. “Sarebbero stati una bellissima coppia”, soggiunse con tono più dolce.
Alla fine del racconto nessuna delle due sembrò riuscire a commentare di primo acchito. Morgana aveva assunto la sua espressione più calcolatrice. “Per prima cosa, se intendi portare avanti la storia del finto fidanzato, dovrai rendere privati i profili social”.
“Già fatto”.
“E inventarti una storia plausibile su come vi siate lasciati, ovviamente prima che arrivi il giorno di questo fantomatico ballo”, soggiunse con espressione pensierosa. Indubbiamente le sue macchinazioni mi sarebbero state di grande aiuto per gestire quella finta relazione.
“Perché quella Emma non si fa mai gli affari suoi?”, commentò Amy in tono incredulo. “Ti ha messo in una posizione terribile, ma se anche la storia di Matteo fosse vera, perché mai dovresti voler andare a quel ballo del cavolo?!”. Sembrava in procinto di voler aggiungere altro, ma il suo sguardo fu attratto verso la porta di ingresso del bar. Dapprima assunse un’espressione più trasognata, ma dopo pochi secondi parve impallidire. “Scusatemi”, mormorò a capo chino, salvo poi rivolgersi a me. “Ti dispiace restare al bancone da sola per un po’?”.
“Certo che no”, la rassicurai. “Ma stai bene?”.
“Torno tra poco”, si limitò a rispondere.
Morgana e io ci scambiammo uno sguardo interdetto per quel cambiamento repentino di umore e non potei che lasciar vagare lo sguardo sulla clientela, fino a quando non mi soffermai sul viso di Daniel. Mi fu subito chiaro il motivo dello stato d’animo della mia amica. Stava prendendo posto a uno dei tavoli, ma questa volta non era accompagnato da Rupert o dalla sorella, ma da una ragazza graziosa che non avevo mai visto prima. Aveva i lineamenti asiatici, i lunghi capelli scuri e stava chiacchierando amabilmente con Daniel. Ciò che risultava evidente erano le sue maniere leziose, a partire dalla risatina tintinnante che si lasciava sfuggire a ogni commento del ragazzo, dal modo in cui giocherellava coi capelli fino al modo in cui spesso e volentieri gli toccava il braccio o la mano. Non occorreva essere degli esperti di comunicazione non verbale per intuire che stesse cercando di flirtare con lui. Non potei fare a meno di soffocare una mezza imprecazione tra i denti.
“Detesto gli uomini”. Ringhiai, nella mia lingua madre, mentre Morgana seguiva il mio sguardo e la vidi osservare la coppietta con le sopracciglia inarcate. “Quindi quel ragazzo è Daniel?”.
Annuii e non potei fare a meno di gettare un’occhiata astiosa nei confronti della sua accompagnatrice che continuava a ridere in modo lezioso.
“Non mi serve il nome per dedurre che quella ragazza stia facendo la svenevole”, continuò Morgana, passandone in rassegna l’abbigliamento e arricciando il naso, come ogni volta che notava qualche abbinamento poco opportuno o non di suo particolare gusto. Probabilmente persino Enzo Miccio avrebbe dovuto temere il suo giudizio. “Non mi sembra che Daniel ci stia provando, comunque. Dovremmo chiedere a Sean”.
“Temo che non ne sappia molto, conosce Daniel da poco”, commentai con un sospiro. La cosa peggiore era che non potevo essere certa che, a quel punto, Daniel non avrebbe portato proprio quella sconosciuta con sé. Non osavo immaginare come avrebbe reagito Amy a tale eventualità. “Spero davvero che non sia la sua ragazza o sarà davvero costretto a invitarla”.
Morgana mormorò un’imprecazione, ma scosse il capo, continuando a guardare discretamente nella loro direzione per studiarne i comportamenti.
Dovemmo sospendere la conversazione per l’arrivo di nuovi clienti e dovetti trattenere la mia rabbia quando fu proprio il turno di Daniel. Non potei fare a meno di notare che la sua misteriosa accompagnatrice lo stava seguendo con lo sguardo persino mentre stava in fila. “Salve. Due tazze di the per favore”, mi domandò educatamente. Se non altro potevo dire che Daniel non era quel tipico cliente che neppure rivolgeva un saluto al barista o al cameriere o li trattava come se fossero dei servi.
“Gradisci anche qualcosa da mangiare?”. Così magari ti ci puoi strozzare, aggiunsi mentalmente.
“No, grazie, solo del the”.
Lo seguii con lo sguardo mentre portava entrambe le tazze verso il tavolo scelto dalla smorfiosetta e scossi il capo tra me e me, ma dovetti concentrarmi sugli altri clienti in fila. Una delle esperienze più “traumatiche” nell’abituarsi a quel lavoro era che talvolta si sarebbe pagato per vedere entrare un cliente e non annoiarsi. Altre volte, invece, negli orari “di punta”, si aveva la sensazione che i clienti non finissero mai. Nulla di peggiore di congedarne uno e vederne arrivare altri due e doversi temporaneamente destreggiare tra la macchina del caffè, la cassa e l’espositore dei dolci. Susan mi aveva vista in difficoltà ed era intervenuta prontamente ad aiutarmi. Era un ragazza molto disponibile e abbastanza discreta da non chiedermi perché Amy si fosse allontanata dalla sua postazione. Fu con un sospiro di ringraziamento al cielo che, dopo cinque minuti di pieno fermento, scorsi la sagoma di Sean. Mi rivolse un cenno della mano e si avvicinò al bancone per sedersi accanto alla mia amica.
“Ciao Morgana, che piacere rivederti”, le sorrise con calore.
La ragazza giocherellò coi capelli e gli rivolse uno dei suoi sorrisi più affascinanti, ricambiandone il saluto e li lasciai per qualche minuto per continuare a occuparmi dei clienti. Quando fui libera, mi avvicinai al loro angolo e Sean mi sorrise.
“Posso già confermarti che verranno i gemelli”.
Annuii, seppur il mio entusiasmo per quella serata avesse lasciato spazio al terrore. Le mie intenzioni erano di regalare alla mia nuova amica una serata meravigliosa, ma adesso rischiavo di rovinare tutto. Stavo per chiedere a Sean al riguardo, ma lui mi precedette.
“Sei fortunata: Emma ha un impegno con delle amiche e qualcuno di nostra conoscenza non sarà in città”.
Sbattei le palpebre. Con tutto quello che era accaduto negli ultimi venti minuti, incredibile a dirsi, mi ero persino dimenticata dell’esistenza di Tom e di Emma. “Almeno una gioia, grazie universo”, borbottai tra me e me, lanciando un’occhiata al soffitto.
“Oh, c’è Daniel, allora vado subito a invitarlo”.
“No!”, rispondemmo Morgana ed io in coro e la mia amica, per mero istinto, gli strinse anche il braccio, suscitandogli una comica espressione di perplessità.
Guardò dall’una all’altra con le sopracciglia inarcate. “D’accordo: mi potete spiegare che cosa sta succedendo?”. Nonostante la sua proverbiale pacatezza, Sean mi stava guardando come se fossi impazzita. “Scusa, ma oggi in mensa mi hai fatto un terzo grado sul suo conto e adesso hai cambiato idea?”.
Scossi il capo. “Scusami, hai ragione. Intendevo dire che non puoi dirglielo adesso, soprattutto se corriamo il rischio che inviti anche quella”. Gli indicai la coppia con un cenno del mento e non potei fare a meno di incrociare le braccia al petto. “Ho invitato Amy che è pazza di lui, non posso spezzarle il cuore. Quindi prima dobbiamo assicurarci che quella non verrà. A proposito, chi diavolo è?”, soggiunsi con voce più stridula.
Sean sembrò persino più stralunato da quel fiume di parole, ma discretamente si volse nuovamente verso l’amico. Scrollò le spalle e quel gesto sembrava promettere bene. “Si chiama Katie Chang[4]. Frequenta anche lei l’Accademia. E’ uscita con Pattinson l’anno scorso”.
“Il mio Lord Duncan?”, domandai confusa.
Sean annuì. “Sembra che Robert si sentisse soffocato dalle sue attenzioni”, ci confidò in tono più discreto.
“Questo non stento a crederlo”, borbottai per risposta.
“A quanto pare adesso è interessata a Daniel”, soggiunse Sean.
“E questo non potevi dirmelo oggi in mensa?”. Ribattei vagamente indignata.
“Non ne avevo idea, giuro”, si difese con le sopracciglia inarcate.
“Scusami”, gli sorrisi e scossi il capo. “Ma non stanno uscendo insieme, vero?!”.
Sean sollevò le mani. “Tutto quello che posso dirti è che finora tra loro non c’è stato mai nulla, ma quest’anno reciteranno insieme. Forse si tratta solo di questo: si stanno conoscendo meglio per lo spettacolo”.
“Sul fatto che lei voglia conoscerlo meglio non ci sono dubbi”, fu il commento di Morgana e non potei che annuire con espressione scocciata. Sean era davvero di animo nobile ma talvolta appariva così candido da sembrare quasi ingenuo. 
Il ragazzo scosse il capo, come se stesse capendo la portata dei nostri pensieri. “Domani avrò lezione con Rupert, gli chiederò se tra Daniel e Katie c’è qualcosa e a quel punto se la risposta sarà negativa, inviterò tutti”.
Io e Morgana approvammo con un gran sorriso e non potei fare a meno di sporgermi per baciargli la guancia. “Non so che farei senza di te”.
“Non dovrai scoprirlo presto”, sorrise per risposta. “Ora vi saluto, ragazze, devo tornare a casa a finire di studiare il mio monologo. Comunque dovremo proseguire la nostra chiacchierata di questa mattina”, soggiunse in mia direzione con finta aria di rimprovero.
“Sto pensando di assumere gli sceneggiatori di Beautiful”, commentai con un sorrisetto.
Sean aveva sospirato con aria stoica. Estrasse dalla tasca dei pantaloni il suo mazzo di chiavi e ci giocherellò, prima di rivolgersi alla mia amica. “Hai bisogno di un passaggio?”.
Morgana si strinse nelle spalle. “Non voglio disturbarti, con la metro bastano pochi minuti”.
“Nessun disturbo, insisto”, soggiunse con un sorriso.
“D’accordo”, ne ricambiò il sorriso e si alzò. Inclinò il viso di un lato e mi guardò con finta aria preoccupata. “Siamo sicuri che posso lasciarti da sola? Non inventerai qualche figlio segreto o qualche storia da agente sotto copertura?”.
Risi persino ma scossi il capo. “Cercherò di fare del mio peggio. Ci vediamo stasera”.
Si sporse a baciarmi la guancia: “Buon lavoro e saluta Amy per me”.
“Ciao Sarah, a domani”.
Li seguii con lo sguardo finché non furono usciti e rilasciai un sospiro.  Da quando la mia vita era diventata così movimentata? Cominciavo quasi a rimpiangere quella routine di studio, tesi e serie tv che era stata la mia vita fino alla fine di Giugno quando, finalmente, avevo discusso la mia tesi.
 
                     
~
 
Amy era riemersa dallo spogliatoio quando ormai il suo turno era finito e Daniel si era già congedato. Se non altro mi ero consolata nel rendermi conto che lui e la sua amica erano usciti separatamente. Quel pomeriggio Riddle aveva preferito farsi portare il the nel suo ufficio, così non si era accorto della sua temporanea assenza.
Mi aveva rivolto un cenno della mano e si era diretta verso l’uscita, senza neppure guardarsi attorno.
Non glielo avevo permesso. Avevo chiesto in modo imperioso a Neville di sostituirmi per pochi istanti, sperando che al mio ritorno non avrei trovato tutto il servizio di stoviglie in frantumi o clienti infuriati. A quel punto, considerando la mia sfortuna, non solo Riddle sarebbe arrivato, attirato dal clamore, ma saremmo finiti entrambi alla fine della classifica. E forse persino con lo stipendio ridotto per rimborsare i danni.  Mi ero frapposta tra lei e la portiera della sua auto. A quel punto ero stata onesta con lei: le avevo raccontato tutto ciò che Sean mi aveva riferito su Daniel: il fatto che frequentasse l’Accademia, che viveva con quel Rupert che lo accompagnava spesso e volentieri al pub e anche di ciò che Sean sapeva di questa Katie.
Inizialmente era apparsa molto rigida e poco incline a voler ascoltare. Avevo avuto l’impressione che, dietro quelle parvenze più calorose e spontanee, si celasse una ragazza sensibile che aveva sofferto molto in passato e che era restia ad aprirsi alle persone, soprattutto con il rischio di uscirne con il cuore spezzato. Ciononostante lo sguardo aveva avuto un barlume di speranza, di trepidazione e di mera gioia all’idea di trascorrere la serata con Daniel e i suoi amici. All’improvviso si rabbuiò. “Sia chiaro che se viene la sua amichetta, io non ci sono”. Aveva dichiarato in tono secco e risoluto.
“Ti do’ la mia parola che Sean sarà molto attento e discreto: mi fido ciecamente di lui”. Tanto per rincarare la dose, aggiunsi: “Sia io sia Morgana l’abbiamo osservato molto insieme. Lei è più obiettiva di me, ma anche a suo parere il flirt era solo da parte di Katie”.
Ciò sembrò consolarla, ma era tutt’altro che sicura. Avevo l’impressione che, Katie a parte, la sua insicurezza nascesse proprio dal timore di non essere abbastanza o di non poter ispirare nel ragazzo quello stesso tipo di affetto che provava nei suoi riguardi. “Siete tutti molto gentili e, credimi, so che vuoi aiutarmi e lo apprezzo moltissimo, ma sono già stata ferita e illusa in passato. Non voglio più stare così male per qualcuno”, concluse con voce più flebile ma evitando di guardarmi negli occhi.
Sospirai per risposta, annuendo con aria comprensiva, prima di cercare le parole migliori per esprimerle il mio pensiero. “L’ultima cosa che vorrei è darti una falsa speranza”, ammisi e mi morsi il labbro al pensiero. “Ma sono sinceramente convinta che dovresti provare a buttarti di nuovo: anche se in passato hai sofferto, non significa che ciò debba continuare ad avere ripercussioni anche per il futuro. O l’unica certezza che avrai sarà di restare bloccata”, mormorai per risposta, cercando di mostrarle una prospettiva diversa. Tuttavia ero consapevole di quanto fosse difficile cambiare il proprio modo di porsi e uscire dalla propria zona di comfort. Talvolta ci si “abituava” così tanto alla propria solitudine da farla diventare una roccaforte che era sì capace di prevenire il dolore ma, proprio per questo, di precludersi nuove occasioni di felicità. Era qualcosa che provavo io stessa sulla mia pelle.
Lasciai che alle mie parole seguisse un breve silenzio per darle tempo di assimilarle ma non la guardai in volto, così che non si sentisse sotto pressione. “Ti chiedo solo di pensarci”, soggiunsi con un sorriso. “Ci vediamo domani”.
Stavo per rientrare nel pub, quando la sentii bussarmi sulla spalla. Non sorrideva ma il suo volto si era rischiarato con una nuova consapevolezza: “Raccontami nel dettaglio per favore”.
 
 
Aveva deciso di offrire il cambio di turno ad Alicia Spinnet (previa autorizzazione di Madama Bumb) così da occuparsi personalmente del servizio nel saloon e nel lounge bar durante la cena, insieme a Katie Bell e Lee Jordan. Ormai tutti i clienti se n’erano andati e Madama Bumb aveva fatto altrettanto, dopo che i saloni erano stati ripuliti. Mrs Weasley, suo marito, Mr Fortebraccio, Mrs Sprite e Neville se n’erano andati a loro volta, dopo aver completato le pulizie in cucina. Si offrì di restare con me fino alla chiusura. Dal momento che a quell’ora erano pochissimi gli avventori e c’era lei al mio fianco, persino Riddle si era già congedato, raccomandandosi di sigillare bene. Seppur mi sembrasse una persona spesso burbera e facilmente incline alla rabbia, anche quella sera mi sorprese perché indugiò sulla soglia dell’uscio, quasi fosse indeciso se dovesse attendere o meno. “Avete il mio numero personale, non esitate a chiamarmi in caso di bisogno. Ma posso chiedere a Tom Hopper[5] di venire qui: abita in questo quartiere”, alluse a uno dei magazzinieri dall’aspetto piuttosto imponente.
“Non c’è bisogno, signore”, gli sorrise Amy. “In mezzo alla settimana non c’è molto movimento a quest’ora”.
Riddle controllò l’orologio e annuì. “Abbiate pazienza fino alle 22. Se non si presenta nessuno, chiudete pure al pubblico, pulite e andate a casa. Buonanotte signorine, a domani”. Si allacciò la sciarpa abbinata al colore dei suoi occhi, abbottonò il soprabito e uscì.
Come aveva predetto Amy, nei successivi minuti non arrivò nessuno e ne approfittammo per continuare la nostra conversazione lasciata in sospeso. Avevamo passato in rassegna tutte le possibilità concernenti l’eventuale invito esteso a Daniel prima di discorrere di argomenti più frivoli.
Controllai l’orologio: entro pochi minuti sarebbe scoccata la restrizione sul consumo degli alcolici e nell’ultima mezzora avevamo avuto pochi clienti, soprattutto giovani. Mi volsi verso la ragazza. “Non è venuto nessuno negli ultimi venti minuti. Che ne dici se chiudiamo l’ingresso laterale e cominciamo a pulire?”.
Amy, intenta a sistemare l’incasso e controllare che monete e le banconote fossero nei divisori appositi, sollevò appena lo sguardo e annuì.
Mi strinsi nel cappotto e approfittai di quella breve uscita per sgranchirmi le gambe e prendere una boccata d’aria fresca. Rabbrividii a una gelida folata di vento e ancora una volta non potei che sorridere all’idea che avrei potuto assistere a una bella nevicata. Stavo per sigillare l’ingresso laterale, quando sentii uno scalpiccio di passi alle mie spalle e mi volsi per incontrare il volto di un ragazzo. Sussultai nel riconoscerne i lineamenti, mentre quest’ultimo mi rivolgeva un sorriso educato, passandosi una mano tra i capelli già arruffati. “State chiudendo?”.
Sbattei le palpebre e presi rapidamente una decisione, sperando che Amy non mi avrebbe uccisa. Rivolsi a Daniel un sorriso e lo rassicurai: “No, no, assolutamente. Siamo ancora aperti: entra pure”, gli feci cenno di passare dalla porta principale e lui mi ringraziò.
Lo seguii con lo sguardo e, se avessi potuto, gli avrei anche allungato uno spintone, ma convenni che sarebbe stato un gesto decisamente inopportuno ed eccessivo.
“Sara, dovremmo controllare-”. La frase della giovane rimase in sospeso, quando si accorse dell’ingresso di Daniel. Anche se non potevo vederla perfettamente in volto, avrei potuto immaginare facilmente il rossore sul suo volto.
“Potrei avere una birra, per favore?”. Domandò Daniel. La ragazza annuì e mi tranquillizzai quando la vidi riprendere il controllo della situazione.
Non potei che sorridere. Feci qualche passo in avanti per rimirare quella notte di luna piena e lasciare loro un po’ di privacy. Speravo che quell’atmosfera più intima potesse aiutarli a rompere il ghiaccio e che potesse tranquillizzare Amy dopo quel pomeriggio burrascoso. Canticchiai tra me e me, scambiando qualche rapido vocale con Morgana e rispondendo all’augurio di buonanotte di mia madre, quando una nuvola di fumo mi colpì in piena faccia. Trasalii e tossicchiai, diramandola con un gesto della mano per poi guardare il mio attentatore.
Avrei dovuto immaginarlo, pensai tra me e me, dopo essermi istintivamente irrigidita e aver aggrottato le sopracciglia. Stavo cercando di formulare un insulto nel modo più “poetico” possibile ma neppure me ne diede il tempo.
“Una birra ”, mi ordinò Tom in tono indolente e lapidario. Da tipico cliente maleducato (e in questo caso anche stronzo) che neppure si prendeva la briga di salutare o usare formule di cortesia. Si portò di nuovo la sigaretta alle labbra, l'aspirò e continuò a guardarmi con il viso inclinato di un lato, prima di soffiare via il fumo.
Gli augurai mentalmente di soffocarsi con la sua stessa nicotina. Indietreggiai e agitai d nuovo la mano in aria per rendergli palese quanto anche quell’atteggiamento mi desse fastidio.
Fu con un sorriso di trionfo che sollevai il mento. Questa, pensavo, era una delle piccole gioie di un barista: poter dire a un cliente come lui che non poteva avere ciò che voleva. “Spiacente, sono le 22 e non serviamo più alcolici”, spiegai nel mio tono più professionale, come se lui non conoscesse quella norma giuridica. A giudicare dal mio sorriso, non si sarebbe detto, ovviamente, che fossi davvero dispiaciuta.
Tom inarcò il sopracciglio e, con gesto enfatico, estrasse dalla tasca del cappotto il suo cellulare e ne illuminò il display per controllare l’orario. “Sono le 21:57[6]”, commentò in tono saccente e mi rivolse un sorriso di sbieco. “Ho ancora tre minuti”, sottolineò con aria petulante.
Non mi lasciai intimidire e neppure finsi di controllare l’orologio affisso in sala che aveva il compito cruciale di risolvere simili controversie, tanto più che sapevo che aveva ragione. “Riddle vuole che usiamo esclusivamente l’orologio del pub come riferimento. Lui stesso ogni giorno lo controlla”, riferii ciò che era fin troppo vero, secondo quanto mi era stato raccontato dai colleghi del turno di apertura. “Quindi mi dispiace, ma  sono passate le 22 e non serviamo più alcolici”, rimarcai in tono pacato ma ancora con quel sorrisetto di trionfo. Sembrava che, dopotutto, il karma lo stesse finalmente punendo.
Tom continuò a guardarmi con quel cipiglio indolente e poco convinto. Gettò la cicca nel cestino alle mie spalle e si sporse con il busto, come aveva fatto sull’uscio di casa Biggerstaff al nostro primo incontro, per guardare all’interno. Il suo cipiglio sembrò accentuarsi e mi rivolse uno sguardo risentito, quasi offeso. “Perché allora Radcliffe si è seduto?”.
Dovetti ricorrere a tutto il mio autocontrollo e ai miei buoni propositi per continuare ad assumere un atteggiamento composto. Sapevo che la presenza di Daniel per lui sarebbe divenuta questione di principio. Scrollai le spalle. “Non è certo venuto per bere”, commentai, lasciando intendere che fosse una questione personale. Una fortuna che dall’interno si sentisse il sottofondo delle loro chiacchiere e di quando in quando una risatina.
Tom si sporse nuovamente a guardare la scena e mi fissò di sbieco. “Ha un boccale di birra in mano”. Mi fece presente in tono polemico.
Alzai gli occhi al cielo e scrollai le spalle nell’atteggiamento di chi è costretto a spiegare futili dettagli a una persona che è poco sveglia. “Evidentemente è lento a bere, ma posso assicurarti che la mia collega non gli avrebbe mai servito una birra dopo le 22. A questo punto non posso certo strappargliela di mano”, conclusi in tono ragionevole. “Ora, se non hai altre stupidissime osservazioni da fare, gradirei tornare dentro e finire di pulire. Chiuderemo tra poco e mi stai facendo perdere tempo”.
Tom non sembrava affatto intenzionato a lasciare correre, ma un sorriso di sbieco gli increspò le labbra. “Ho il numero personale di Riddle”, mi fece presente, sventolandomi davanti al viso il cellulare. “Sono sicuro che se gli mostrassi una foto di ciò che sta accadendo, sarebbe parecchio scontento di entrambe le sue dipendenti”, soggiunse con un sorrisetto perfido.
Sentii il sudore freddo scivolarmi lungo le tempie e valutai l’idea di rubargli il cellulare o di prendergli una birra e fargliela bere sull’ingresso e poi mandarlo via a pedate. Ovviamente non avrei voluto ricorrere a questa soluzione perché sarebbe significato dargliela vinta.
Maledetto bastardo.
Tom sorrise con aria trionfante, come se intuisse perfettamente i miei pensieri. “Ti propongo un compromesso che farà contento tutti. Io entro dentro, facciamo tutti finta di non avere l’orologio e ti prometto che berrò la mia birra velocemente”.
Sospirai, ma incrociai le braccia al petto. Non poteva averla vinta su tutto. “Ti lascerò bere la birra, ma lo farai qui”.
“Non ci penso neanche”, borbottò per risposta. “Non vedo perché Radcliffe dovrebbe stare al caldo e io gelare qui fuori”.
“Vuoi davvero che ti elenchi tutti i motivi per cui spero che quella birra del cavolo ti vada di traverso o che tu ti prenda una congestione fatale?”, gli domandai di sbieco, senza neppure fingere di non desiderare che qualcosa di simile gli accadesse.
“Sei sempre così gentile”, commentò Tom in tono flautato.  “Aspetterò qui”.
“Bene”, borbottai per risposta, guardandolo con aria sospettosa.
Mi volsi, ma trasalii quando lo sentii spingermi di lato per passarmi davanti e dirigersi verso l’ingresso principale.  Dovetti ricorrere a tutta la mia forza e ai miei riflessi per stringergli il braccio e cercai di trattenerlo. “Vuoi che ti ci mandi io a quel paese o fai da solo? Tu devi restare qui!”.
Volse il viso in mia direzione e sollevò gli occhi al cielo. “Non essere ridicola, fammi bere la birra e me ne andrò”.
“Ti ho detto di fermarti”, sbottai per risposta, diventando paonazza per lo sforzo fisico e per l’esasperazione. “Ti faccio lo sconto sugli scones se ti fermi e lasci che ti prenda io quella cavolo di birra!”.
Finse di rifletterci per qualche istante e poi mi rivolse un sorriso mellifluo. “Non credo che mi basti. Cominciamo con il regalarmi la birra, così non resteranno prove, visto che adesso sono davvero le 22”, indicò l’orologio del pub.
Pezzo di merda”, borbottai in italiano.
“Come hai detto, scusa?” Mi domandò in tono cortese ma il sorrisetto mellifluo, come se intuisse che si trattasse di epiteti.
Vaffanculo, testa di cazzo”, continuai nella mia lingua madre. “Spero che diventi impotente e che ti stempi entro i trent’anni”.
Rise come se riuscisse realmente a capire quelle parole, ma, con un movimento fluido e inaspettato, mi cinse il fianco con la mano libera e mi attirò a sé. Considerando che ancora ne tenevo il braccio con una mano, mi ritrovai pressata contro il suo petto, senza neppure rendermi conto di come fosse accaduto. “Non ho idea di cosa tu stessi dicendo, anche se sono certo che fosse qualcosa di offensivo”, mormorò in tono suadente. “Ma per qualche strano motivo sembrava quasi sexy”.
“Solo perché sei un pervertito”, borbottai per risposta, cercando di liberarmi. “Lasciami andare subito o giuro che mi metto a urlare così Amy e Daniel saranno subito qui e indovina per chi testimonieranno a favore”.
Non sembrò preoccupato ma sorrise ulteriormente. “Sei tu quella che mi ha stretto per prima”, mormorò, salvo lasciarsi sfuggire un lieve lamento quando gli conficcai le unghie nel braccio.
“Non sto scherzando”, chiarii con voce seria e lo sguardo minaccioso, valutando la possibilità di assestargli una ginocchiata che lo avrebbe reso dolorante per qualche minuto. A quel punto mi sarei chiusa dentro al pub e lo avrei minacciato di chiamare la polizia. Certo mi dispiaceva l’idea di guastare il momento tra la mia amica e Daniel ma in extremis non avrei potuto fare altro.
“Neppure io”, mormorò il ragazzo con voce più bassa. “Nonostante i tuoi modi sgraziati, la tua bassissima soglia dell’autocontrollo e la tua petulanza, c’è qualcosa di curioso in te”, mormorò con intonazione suadente e il volto inclinato di un lato.
Riconobbi lo stesso atteggiamento che aveva messo in atto solo quel mattino e con il mero pretesto di inibirmi per poi prendersi gioco di me in modo tanto meschino e sessista. Gli conficcai le unghie nel braccio con maggiore pressione. “Lasciami andare o il prossimo posto in cui ti colpirò sarà molto più doloroso, te lo assicuro”.
“Curioso e passionale”, continuò, ignorando volutamente le mie minacce. “Anche se cerchi di nascondere l’attrazione che hai per me”.
Non risposi neppure ma gli calpestai il piede con forza. “Questo è per avermi fatto cadere questa mattina a lezione di ballo”. Poi con tutta la forza che avevo e tutta la rabbia e il disgusto che avevo provato per lui fin dal primo momento, sollevai la mano e lo colpii in viso con uno schiaffo sonoro. “Questo è per come ti sei comportato in corridoio”, continuai e osservai con un sorriso la chiazza rosata sulla sua guancia. “E questo è per quello che stai pensando di fare adesso”, sollevai il ginocchio con l’intento preciso di colpirlo laddove lo avrei tramortito davvero.
Tom, con gli occhi sgranati, riuscì a frenare il colpo, ma approfittò della vicinanza per prendermi il volto tra le mani. “E come mi puniresti per questo?”, mi domandò in un soffio. 
Restai senza fiato. Non vi era stata alcuna traccia di arroganza nella sua voce, ma era sembrata una sincera domanda. Nonostante mi avesse intrappolato il viso tra le mani con simile slancio e con un atteggiamento così poco rispettoso, mi stava accarezzando le guance con movimenti così delicati che stonavano incredibilmente con quel suo tipico modo di fare. Aleggiava un sorriso sul suo volto, ma completamente diverso da quelli supponenti, arroganti o perfidi che esibiva fin troppo spesso. Seppur non riuscissi a spiegarmene il motivo, nel suo sguardo sembrava esservi qualcosa di completamente diverso. O fuori posto. Era davvero così bravo a fingere?
“Lasciami”, mormorai con voce flebile e sconvolta al pensiero. “Per favore”.
Tom stesso parve riscuotersi come se avesse perso il controllo della situazione. Mi lasciò immediatamente andare e indietreggiò. Non mi guardava più in volto, ma si passò una mano tra i capelli in un gesto che, per la prima volta, non sembrava voler simulare un atteggiamento seducente. Mi superò rapidamente. “Ci vediamo”, borbottò e si allontanò in rapide falcate.
Lo seguii con lo sguardo, portandomi una mano sul volto e sentendo ancora la pelle intirizzita dal suo tocco. Nessun ragazzo mi aveva mai sfiorata in quel modo. Rilasciai un profondo sospiro e mi strinsi le braccia al corpo.
“Sara, stai bene?”, mi domandò la ragazza con aria stralunata.
Mi volsi e arrossii quando vidi lei e Daniel ai piedi dell’uscio. Non potei fare a meno di domandarmi quanto avessero visto o sentito.
Lei sembrò rispondere per caso al mio dubbio. “Ho visto che se n’è andato, ma ti ha fatto qualcosa d’inappropriato?”, mi domandò con voce quasi arrabbiata.
Daniel stesso aveva guardato nella direzione di Tom con aria profondamente disgustata. “E’ un tale pallone gonfiato, mi domando come faccia Emma a sopportarlo”, aveva rincarato la dose.
Scossi il capo per tranquillizzarli e sorrisi alla mia amica, convenendo che avrei dovuto parlargliene in altra sede. Soprattutto dopo aver assimilato ciò che era accaduto. O non accaduto. “Sto bene, ha fatto  lo sbruffone perché voleva bere, anche se è passata l’ora per gli alcolici, ma questa volta l’ho mandato via”.
“Bene” approvò lei. “La prossima volta però chiamami che mi porto dietro la padella preferita di Mrs Weasley”, aggiunse.
Non potei che ridere per risposta. Daniel si unì alla risata e notai che di nuovo lo sguardo turchese sembrava baluginare, come mai era accaduto in compagnia di Katie. Sorrise a entrambe. “Buonanotte, ragazze, grazie di tutto”, si congedò.
Lo seguimmo con lo sguardo e sorrisi alla mia amica. “Credo che tu debba raccontarmi qualcosa”.
Lei si era stropicciata nervosamente i capelli ma aveva sorriso con aria serena e i suoi stessi occhi sembrarono sfavillare. “Prima finiamo di pulire e chiudiamo. Ti accompagno io in auto e ti racconto”.
La lasciai rientrare per prima e mi presi qualche istante per guardare nella direzione in cui Tom era scomparso. Avevo l’impressione che quello sguardo sarebbe tornato a tormentarmi in sogno.

 
To be continued...
 
14 Novembre 2018
Buonasera a tutti :)
In questo capitolo ho apportato un cambiamento significato e che non avevo sinceramente previsto, quando ho iniziato questo progetto di revisione. Ho deciso di eliminare la storyline relativa all'ammiratore segreto con cui Sara interagisce attraverso il suo blog e che si faceva chiamare "Ice". Chi di voi ha letto la versione originale, sa che quello pseudonimo nascondeva l'identità di Robert Pattinson, uno degli attori che prendono parte allo spettacolo di Lupin. Nella fattispecie avrebbe interpretato Lord Duncan, il fidanzato di Lady Elisabeth.  Non è stata una decisione presa superficialmente, in quanto mi sono confrontata con la mia amica per essere sicura che questa omissione non avrebbe compromesso l'intreccio della storia nei capitoli successivi. Insieme abbiamo trovato una soluzione che ci appare più realistica, meno forzata e che non comprometterà gli eventi del capitolo dedicato al Ballo di cui si fa menzione in questo capitolo :)
Vi do appuntamento al prossimo capitolo :)
Kiki87
 
 
[1] Protagonista dell'omonima tragedia di Shakespeare. Ho immaginato che in Accademia si potessero svolgere più rappresentazioni nel corso dell'anno e Sean, nella fattispecie, con altri colleghi è seguito dalla McGrannith.
[2] Oliver Baston in “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban” aveva fatto l'imitazione della professoressa McGrannith. La battuta in questione, invece, è pronunciata da Maggie Smith nel quarto film quando stanno impartendo lezioni per il ballo del Ceppo.
[3] L’Accademia è stata realmente fondata nel 1845 e la fanfiction è ambientata a cavallo tra il 2015 e il 2016. Nella versione originale della fanfiction il ballo era in occasione di San Valentino, ma francamente, nella fase di revisione, mi è sembrato un motivo poco fondato, pur ammettendo l’eccentricità di Silente. Inoltre ho cambiato il contesto temporale della fanfiction. Sara e Morgana giungono a Glasgow verso la fine di Settembre del 2015 e dovrebbero tornare in Italia alla fine dell’estate del 2016 J Ciò darà a Sara e a Tom quasi nove mesi per la preparazione dello spettacolo che mi sembrava un lasso di tempo più ragionevole  rispetto alla versione originale in cui hanno avuto più o meno sei mesi :D
[4] Anche in questo caso ho optato per combinare il nome del personaggio letterario, Cho Chang, con quello dell’interprete, Katie Leung. Piccola curiosità: Katie ha realmente frequentato l’Accademia di Glasgow di cui si parla in questa fanfiction  ;)
[5] Attore di “Merlin” che ha interpretato Parsifal, uno dei Cavalieri di Camelot.
[6] Come sapete in Inghilterra si usa il formato delle 12 ore distinguendo in AM e PM le ore del giorno e della sera, ma per comodità ho lasciato il formato italiano.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


6
Oh Mio Dio, sono un disastro! […]

Mi sono abbigliata
per vivere nell’ombra
di chi si suppone io sia.
 
 Siamo tutti parte dello stesso
piccolo gioco malato
e ho bisogno di una via di fuga [...]

Intrappolata sotto i riflettori,
tremante per la paura del palco,
come sono finita qui?
Sick Little Games – All Time Low[1]
 
Sorridevo nel sonno e ghermivo il cuscino con le braccia, perdendomi nella sequenza onirica.
Mi guardai attorno con crescente emozione, riconoscendo la sala da ballo in cui ero stata in altre occasioni. Indossavo lo stesso abito che sembrava uscito da un libro di fiabe. Ancora una volta aspettavo soltanto che il mio misterioso “principe” si manifestasse. I miei occhi saettarono verso il pianoforte e la rosa che vi era adagiata sopra. Era bianca ma emanava uno scintillio simile a quello dei cristalli.
“Sei qui?”, domandai in un sussurro, quasi dovessi accertarmi di non fare troppo rumore. Non avrei saputo descrivere la sensazione, ma ne percepivo la presenza, come la traccia di un profumo o una carezza sulla guancia.
“Ma voi ancora non riuscite a scorgermi”. Pronunciò con voce vellutata ma distante, quasi fosse soltanto uno spettro della persona in carne ed ossa. In quelle parole sembrava esserci una nota di rimpianto, ma non di accusa.  
Abbassai lo sguardo e sospirai. “Forse c’è qualcosa di sbagliato in me”, rivelai quel segreto sospetto che non osavo mai pronunciare a voce alta.
Fu una pressione delicata ma ferma a indurmi a sollevare il mento. Mi carezzò nuovamente la guancia e non potei che rilassarmi a quel tocco invisibile. “Forse non riuscite a guardare la realtà con la giusta luce”. Mi rivelò con maggiore tenerezza.
Mi sorprese nuovamente per l'intensità delle sue parole, ma non riuscivo a coglierne il significato più profondo. Sembrava che nascondessero un enigma di cui non avevo tutti gli elementi per la sua corretta decifrazione. “Cosa dovrei fare?”, mi sentii chiedere. 
Sentii una mano calda cingere la mia, fino a fare intrecciare le nostre dita. Mi indusse ad accostarla al corpetto dell’abito. “Ascoltarlo”. Fu la semplice risposta, ma più che un’indicazione sembrava che mi stesse rivolgendo una preghiera.
Socchiusi gli occhi, quasi avessi voluto concentrarmi, ma il mio cuore batteva regolarmente. Ma non mi sentivo affatto diversa.
Sembrò comprendere il mio turbamento perché aggiunse, con la medesima dolcezza:“Voi non lasciate parlare il vostro cuore: lo tenete prigioniero”.
A quelle parole, invece, il mio battito sembrò decelerare e mi sentii stringere in una morsa fredda. “Non so come fare, non senza di te”, ammisi con intonazione più intensa, quasi disperando che ciò gli fosse sufficiente affinché mi apparisse finalmente in forma umana.
“Perdonate i vostri sentimenti, non fuggiteli. Proteggeteli, non rifiutateli”. Accarezzò ognuna di quelle parole, come se stesse cercando di imprimerle più intensamente nella mia mente.
Scossi il capo ma, prima che potessi formulare motto, mi appoggiò un dito sulle labbra, inducendomi a tacere.
“Lo capirete presto e allora tutto sarà chiaro”, mi promise in tono solenne.
“Allora ti vedrò?”. Incalzai con trepidazione, a dispetto dei suoi modi cavallereschi.
“Allora non sarà solo un sogno”.
Sgranai gli occhi a quelle parole e mossi un passo in sua direzione ma ebbi la sensazione che fosse scomparso. “A presto, mia principessa”.
La penombra che ci aveva accolto fino a quel momento si dissolse quando tutti i lampadari e le candele della stanza si accesero. Mi guardai attorno mestamente, dirigendomi verso l’uscita della sala. Rabbrividii e sbarrai gli occhi quando ne ebbi varcato la soglia.
Era ancora notte e mi trovavo all’esterno, ma in luogo che non mi sarei mai aspettata. Con aria incredula guardai l’insegna del pub della Camera dei Segreti. Mi affacciai alla porta: riconobbi Amy, Daniel, Morgana, Sean e i volti di altri studenti e di avventori abituali. Provai ad avanzare in loro direzione, ma una forza invisibile sembrava segregarmi all’esterno. Mi accorsi con ancora più confusione che indossavo ancora quell’abito fiabesco.
Alle mie spalle percepii un verso di scherno. “Uhm, persino i tuoi sogni sono noiosi”, sentii dire da una voce fin troppo nota.
Non capivo perché lo scenario fosse cambiato così repentinamente, ma certamente non era quello il volto che agognavo di guardare in quel momento. Tom indossava degli abiti informali e aveva le braccia conserte, il volto inclinato di un lato e quel sorrisetto beffardo a increspargli le labbra e a farne baluginare gli occhi.
Scossi il capo e socchiusi gli occhi, sperando che si sarebbe dissolto in una nuvola di fumo. Fu del tutto inutile.
Il ragazzo ridacchiò come se avesse compreso il filo dei miei pensieri ma, con mio crescente nervosismo, prese a muoversi in ampie falcate per avvicinarsi. “Avete perso l'uso delle corde vocali, mia principessa?”. Domandò ironicamente. Sogghignò dopo essersi esibito in un ridicolo e ostentato inchino che gli fece guadagnare uno sguardo indignato.
Scossi il capo e feci per sollevare i lembi della lunga gonna per andarmene ma mi accorsi che l’abito elegante era stato sostituito dalla divisa che indossavo al lavoro.
Tom continuò ad avanzare in mia direzione e potevo soltanto attendere che inevitabilmente riducesse le distanze tra di noi. Si fermò di fronte a me con un sorrisetto soddisfatto e si chinò al mio orecchio. “Che cosa turba il vostro cuore?”, mi domandò in tono lezioso.
Aggrottai le sopracciglia e strinsi i pugni. “Tu rovini sempre tutto!”, lo accusai con voce stridula e grondante di rabbia.
Parve persino più divertito. Fu con un movimento fluido che mi cinse i fianchi. “Ne sei davvero convinta?”. Mormorò nel mio orecchio.
Il mio cuore aveva cominciato a scalpitare fin troppo intensamente e furono vani i tentativi di fuggirne lo sguardo, ma feci pressione con le mani contro il suo torace per tenerlo a distanza. “Ne sono sicura”, risposi in un sibilo.
Completamente indifferente al mio tentativo di scostarlo, mi prese il mento. “Non ti sei mai chiesta il perché?”. Sussurrò a fior di labbra e sembrava mortalmente serio, quasi stesse cercando di farmi capire qualcosa.
“Cosa stai cercando di dirmi?”, mi sentii chiedere in tono realmente smarrito e confuso. Avevo persino smesso di dibattermi.
Il sorriso sembrò addolcirsi e mi sfiorò la schiena in un movimento rassicurante. “Credo che dovresti farlo”, mi suggerì e la sua voce era parsa più profonda. Le sue mani mi cinsero delicatamente il viso e i nostri sguardi sembrarono fondersi. Una parte remota del mio corpo sembrò comprendere che ero in sua totale balia. Ma non avevo paura. Sembrava persino giusto che fosse così. I miei occhi si chiusero e le sue labbra trovarono le mie. Fu un tocco morbido, caldo e appena sfiorato e tutto parve fermarsi. Le mie mani si artigliarono alla sua giacca e ne cercai a mia volta la pressione delle labbra.
Ne sentii nuovamente il respiro contro il mio orecchio. “Davvero niente male. Un vero peccato che sia solo un sogno”. Rise sensualmente. “Almeno per ora”, soggiunse in tono vellutato. 
“Un sogno?”.
Un sogno... solo un...
 
Mi svegliai bruscamente. Avevo il cuore in gola e il volto madido di sudore. Ci vollero diversi secondi per rendermi conto che avevo sognato tutto il tempo. Non soltanto la sequenza nella sala da ballo, ma anche quella con Tom.
Un sogno, uno stupido sogno.
Scossi il capo ma, a dispetto del mio sgomento e della mia incredulità, quel volto beffardo continuò ad affiorare con crudele esattezza di dettagli. Persino la fossetta a un angolo della bocca sempre presente quando sorrideva soddisfatto. Mi portai una mano alle labbra e il mio respiro si fece più rapido al ricordo della pressione di quel bacio.
Ma quale ricordo?! Sara, era solo uno stupidissimo sogno. Non vi siete mai baciati.
Scossi il capo e cercai di ignorare il reale ricordo di una circostanza simile, avvenuta soltanto la sera prima. Mi rimproverai mentalmente. Ovviamente il mio cervello aveva rielaborato quell’aneddoto e me lo aveva nuovamente presentato in forma mascherata. Non avrei sicuramente scomodato Freud e le sue teorie sull’interpretazione dei sogni e sull’inconscio. Una cosa era certa: quello stronzo era capace persino di rovinarmi i sogni.
Mi alzai con uno sbuffo, maledicendolo e imprecando tra me e me durante il tragitto verso il bagno.
 
Stavo cercando di gustarmi la tazza di cioccolata calda, quando Morgana fece il suo ingresso, ancora avvolta nella vestaglia. Mi diede il buongiorno ma la mia risposta fu appena mormorata. Se avessi potuto, avrei disertato le prove, ma anche così facendo ci sarebbe stato l’inconveniente della consegna di quelle stupidissime paste e non me la sentivo di scaricare tale responsabilità a uno dei miei colleghi. 
La mia amica mi scrutò con il volto inclinato di un lato e prese posto di fronte a me con una tazza di the e dei biscotti. “Va tutto bene? Hai un’aria stravolta”.
Sospirai per risposta, ravviandomi i capelli con una mano. “Adesso non mi dà solo il tormento da sveglia, ma persino in sogno”.
Morgana non ebbe neppure bisogno di chiedermi chi fosse l’oggetto delle mie parole, ma si limitò a inarcare le sopracciglia. “La tua non starà diventando un’ossessione?”.
“Non ho le manie di persecuzione!”, esclamai per risposta, in tono vagamente offeso. Anche se sapevo che quella conversazione mi si sarebbe ritorta contro, le raccontai per filo e per segno ciò che era avvenuto la sera precedente. “Il mio inconscio si è limitato a rielaborare il tutto ovviamente”, finii il mio discorso.
La mia amica restò silenziosa per diversi istanti, fino a quando non la incalzai, pregandola di parlare.
“Potrebbe non piacerti quello che sto per dire”, disse a mo’ di premessa.
Sospirai ma le feci cenno di continuare in ogni caso.
“Non te lo nascondo, sto cominciando a preoccuparmi”. Esordì in tono fin troppo serio. Non c’era alcun barlume d’ironia nel suo sguardo e neppure sorrideva.
“Sinceramente non credo che sia pericoloso, uno stronzo senz’altro ma non fino a quel punto”.
“Non sono preoccupata per la tua incolumità fisica”, specificò Morgana, guardandomi intensamente. “Non sto dicendo che tu ti stia comportando in modo inappropriato e neppure che tu gli stia lanciando strani segnali, anche se mi dispiace che sia riuscito a parare l’ultimo colpo”, soggiunse con un sorrisetto perfido. “Ho paura che stia inconsciamente facendo presa su di te: in fondo nel sogno ti sei persino lasciata baciare”.
Arrossii furiosamente. “Se anche fosse, e non lo sto affermando, forse una parte molto remota di me ne è attratta fisicamente, ma questo non significa certo che sia disposta a cadergli tra le braccia”.
“Questo lo so”, mi rassicurò con un cenno del capo. “Quello che mi preoccupa è che possa farsi strada nei tuoi pensieri e nei tuoi affetti, approfittando della tua sensibilità e della tua inesperienza. Giuro che se ti spezzasse il cuore per divertimento, io gli spezzerei le gambe, Sean o non Sean”. Concluse con espressione di palese disgusto.
Mi morsi il labbro e distolsi lo sguardo. Normalmente mi sarei inviperita o avrei reagito molto male, persino rispondendo in modo brusco e giungendo a discutere con lei. In quel momento, tuttavia, stavo cercando di riflettere obiettivamente su quanto era accaduto di recente e sul modo in cui il mio corpo, a dispetto di quell’alterco, avesse reagito. Nonostante le provocazioni e nonostante la mia pessima opinione sul carattere di Tom, non mi ero affatto sentita in pericolo. La mia preoccupazione, alimentata dalle parole di Morgana, era che i miei sentimenti potessero essere in bilico. Che, dopotutto, Tom era stato profetico nel suggerirmi di non innamorarmi di lui.
“Forse ho un debole per i cattivi ragazzi”, mi sentii dire con un sorriso quasi ironico, anche riferendomi ai miei personaggi preferiti tra quelli delle fiction televisive e dei romanzi.
“Hanno fascino indubbiamente”, ammise Morgana con un sospiro. “Ma sono anche pericolosamente incerti sui loro sentimenti e non voglio vederti soffrire a causa di una persona simile, senza contare la presenza di Emma”.
“E quella teorica di Matteo”, sospirai e scossi il capo. Mi passai una mano tra i capelli con un gesto esasperato. “Pensi che dovrei tirarmi indietro dallo spettacolo?”.
“Niente affatto”, replicò prontamente e con aria scandalizzata alla sola idea. “Conoscendo il tipo in questione neppure ti gioverebbe perché per puro divertimento lo ritroveresti ovunque, ma certamente ti raccomanderei di essere cauta e di cercare di evitarlo, al di là della collaborazione teatrale”.
“E’ quello che continuo a prefissarmi, ma lui continua a renderlo un problema!”. Ribattei con tono palesemente stanco al pensiero di quante volte mi avesse tediato con la sua presenza indesiderata.
Morgana si era rabbuiata. “Forse in quello che dice Sean c’è qualcosa di vero e cerca di attirare la tua attenzione, ma questo certamente non gli dà diritto di giocare con te appena la sua ragazza ha svoltato l’angolo. Non mi piace per niente. A costo di fare l’abbonamento al pub, non voglio che ti ritrovi da sola con lui, al di fuori dell’Accademia. In qualche modo ce la faremo, stai tranquilla”, mormorò in tono protettivo. Mi aveva già visto tormentarmi nel dubbio e soffrire per Matteo e non si sarebbe perdonata di avermi lasciato in balia di un ragazzo poco affidabile come Tom.
“Ti ringrazio”, mormorai con un sorriso, stringendole la mano, salvo assumere un’espressione pietosa. “Posso marinare le prove questa mattina?”.
Morgana sospirò, assumendo l’aria di una madre di fronte alla richiesta del figlio di saltare la scuola per un compito in classe. “E dargli questa soddisfazione? Alla luce di quello che è successo ieri, devi mostrarti più che mai composta e indifferente. E adesso ti troviamo un anello, tanto per ricordargli che sei impegnata con un ragazzo che ti merita davvero”. Con la luce giocosa nello sguardo, mi aveva esortato ad alzarmi e a seguirla in camera sua.
 
~
 
Stavo ancora rimuginando sulle parole della mia amica, nonostante il volume elevato della musica che stavo ascoltando con il mio iPod. Non potevo fare a meno di sentirmi inquieta e non vedevo l’ora che giungesse l’ora di cena per scrollarmi di dosso l’ennesima giornata e sentirmi più vicina al weekend tanto agognato. Mi tolsi le cuffie quando giunsi di fronte al pub ed entrai, rivolgendo un saluto e un sorriso a Hannah Abbott che stava spolverando i tavoli. Mi diressi verso la cucina e Mrs Sprite mi chiese di aspettare qualche minuto, quindi uscii di nuovo per non esserle di intralcio. Sorrisi quando scorsi il viso familiare di Amy che già aveva addosso la divisa per il turno mattutino. Mi rallegrai nel notare che quella serenità d’animo scaturita dal piccolo episodio con Daniel, era ancora presente nello sguardo e nel sorriso particolarmente allegro che mi rivolse.
Durante il tragitto in auto, poiché si era offerta molto gentilmente di accompagnarmi a casa, mi aveva raccontato della loro chiacchierata e mi ero ritrovata completamente assorbita da quel resoconto. Non avevo potuto fare a meno di sorridere con un moto di tenerezza alla menzione dell’imbarazzo e del panico che l’avevano congelata quando lo aveva scorto sulla soglia del pub. Aveva cercato di sorridergli gentilmente e professionalmente: il malumore del pomeriggio si era completamente dissolto di fronte a quegli occhi turchesi. C’era stato un silenzio più teso e imbarazzato all’inizio: quando era stato evidente che fossero soli. Gli aveva riempito il boccale per poi porgerglielo e si era sforzata di sostenerne lo sguardo. Il giovane si era accomodato sullo sgabello e la sua mente era stata un delirio di pensieri all’idea che potesse trattenersi qualche minuto. Era stato allora che, con un commento molto casuale, Daniel aveva fatto un’osservazione sulla sua assenza al bancone nel pomeriggio. A mio avviso si era trattato di un pretesto per sciogliere il ghiaccio. Aveva funzionato perché l’atmosfera si era fatta più distesa e avevano cominciato a chiacchierare piacevolmente.  Nel rivivere quei momenti, mi era sembrata molto più sicura di sé di come fosse apparsa quel pomeriggio in preda a quei dubbi e ai fantasmi dolorosi del passato.
E’ così che ci si sente quando non si fuggono i propri sentimenti? Non potei fare a meno di chiedermi.
“Buongiorno. Stai andando in Accademia?”.
“Buongiorno a te e purtroppo per me, sì. Ho anche le prove oggi”.
“Non so che darei per accompagnarti”, mi disse con sguardo sognante. “Non lo dico solo per Daniel, vorrei proprio vederla dal vivo quell’Accademia o assistere alle prove di uno spettacolo!”, precisò in tono entusiasta.
Mi appuntai mentalmente di chiedere a Silente o a Lupin se fosse possibile far visitare il posto alle mie amiche o assistere alle prove, senza recare disturbo a nessuno. E magari quando il custode fosse stato in ferie. Sempre che un tipo simile se le concedesse. Cominciavo a sospettare che dormisse in una brandina nel ripostiglio delle scope.
“Non so che darei perché tu potessi sostituirmi”, mormorai per risposta.
Inarcò le sopracciglia. “Va tutto bene?”, mi domandò. Evidentemente aveva notato la mia espressione stanca e demoralizzata.
Avevo scosso il capo. “Stai tranquilla, nulla di serio”.
Si era rabbuiata e mi aveva guardato più intensamente. “Me lo sentivo che ieri sera era successo qualcosa con quello”.
“Non volevo guastarti l’umore”, ammisi e mi mordicchiai il labbro.
“Sei un tesoro, ma puoi sempre parlarmi di tutto e in qualsiasi momento”, mormorò e mi strinse la spalla. Mi fece cenno di attenderla e, approfittando del fatto che il pub fosse ancora chiuso al pubblico, versò del the caldo in due tazze e ci scegliemmo un tavolo. “Raccontami tutto”, m’invitò dolcemente.
Controllai l’orologio, assicurandomi di non star facendo tardi e, per la seconda volta dal risveglio, mi ritrovai a rivivere quegli episodi. Mi sentivo in colpa all’idea di starle rovinando il buon umore, ma al contempo avevo l’impellente bisogno di parlarne il più possibile per riuscire a razionalizzare e magari sentirmi confortare da un punto di vista diverso dal mio. Se aveva letteralmente esultato alla menzione dello schiaffo, il suo viso si era fatto gradualmente più serio. Era stata molto gentile ed era stato evidente che non avrebbe voluto giudicarmi, ma la descrizione di quel gesto, da parte di Tom, le aveva fatto scuotere il capo.
“Ho la sensazione che tra lui ed Emma le cose non vadano così bene come lei sembra voler sbandierare. Questo spiegherebbe perché ci tiene così tanto a conoscere Matteo e ad assicurarsi che tu non sia una rivale”, fu il suo primo commento. Non nascose un certo compiacimento alla prospettiva. “Dopotutto Miss Perfezione è una comune mortale come noi. Bell’anello comunque”.
Risi e accennai a come Morgana e io avessimo passato in rassegna la sua collezione personale di bigiotteria e di gioielli fino a selezionare l’anello che indossavo. Si trattava di una semplice banda in oro bianco con un fiorellino decorativo dai petali azzurri.
Onestamente non avevo proprio pensato a Emma, a parte un vago senso di colpa, anche se era Tom a doverle lealtà e fedeltà. Mi disgustava l’idea di giocare, mio malgrado, il ruolo dell’altra donna. “Credi che lei sospetti che ci sia qualcosa tra me e lui?”.
Lei sollevò le spalle. “Credo che, a dispetto delle sue parole sul loro grandissimo amore, sappia che il suo ragazzo non è propriamente un santo”.
Incrociai le braccia al petto e una parte di me non poté che sentirsi solidale con Emma e dispiaciuta all’idea che potesse vivere l’inquietudine di un potenziale tradimento. “Pensi che ci provi con tutte?”.
“Penso che ci provi con te neppure troppo velatamente ed è l’unica cosa che ci interessi”, rispose con un sospiro.
“Non ho mai voluto incoraggiarlo”, mi sentii dire, quasi mi sentissi colpevole.
“Lo so”, mi rassicurò con un sorriso. “Non ti avrei certo proposto come rimpiazzo di Lavanda in caso contrario, ma ci saremmo tenuti l’originale”, soggiunse più scherzosamente. “Ci organizzeremo in qualche modo. Possiamo fare cambi di turni coi colleghi, ma in ogni caso sono d’accordo con Morgana e non voglio che resti da sola fino alla chiusura, specie se dovesse tornare di proposito. A quel punto lo servirò io. Magari riesco a procurarmi un po’ di lassativo o di inibitori chimici nel frattempo”, soggiunse con una strizzata d’occhi che mi fece ridere e sembrò stemperare la tensione del momento.
Non potei che ringraziarla di cuore ancora una volta. Decisamente il mio umore era notevolmente migliorato da quando mi ero svegliata quel mattino. Avevo ancora una strana sensazione alla bocca dello stomaco, quasi il presagio di qualcosa di negativo, anche se ancora non riuscivo a spiegarmelo. Ma sapere che avevo due persone al mio fianco (tre contando anche Sean) mi faceva sentire in grado di affrontare qualsiasi eventualità futura.
 
˜
 
La struttura dell’Accademia sembrava persino più suggestiva del solito e, ancora una volta, desiderai andarmene. Avrei voluto concedermi un giorno di assenza, se ciò non fosse significato causare problemi agli altri attori o al Professor Lupin che si era esposto in prima persona perché prendessi parte allo spettacolo. Sospirai ma mi decisi a salire i gradini e, come di consueto, lasciai le paste al custode. Anche quel mattino non mancò di riservarmi uno sguardo astioso. Lo ignorai e mi diressi verso l’auditorium. Ero in netto anticipo perché le prove sarebbero iniziate solo un’ora dopo, ma avrei approfittato del tempo a disposizione per ripassare le battute e starmene in tranquillità. Evidentemente non ero l’unica ad aver avuto una simile iniziativa, ma mi limitai a rivolgere qualche saluto sottovoce ad altri membri dello spettacolo e mi scelsi un posto in prima fila per stare da sola.
 
Mancavano ormai pochi minuti all’inizio della lezione e il mio sguardo guizzò ai lati del palcoscenico, quando sentii dei suoni. Era l’entrata laterale che consentiva agli attori di accedere al palco e sapevo che vi erano degli armadi in cui erano riposti oggetti di scena. Dopo pochi istanti, infatti, scorsi la sagoma di una figura familiare che scendeva i gradini della platea con tanto di bastone da passeggio che doveva servirgli per entrare nel personaggio.
Sorrisi quando ne incrociai lo sguardo. “Ciao Daniel”.
Il ragazzo era apparso inizialmente confuso: evidentemente mi aveva riconosciuto, ma era sorpreso di trovarmi tra quelle mura. Avevo provato lo stesso smarrimento quando lo avevo visto in refettorio con Rupert e Bonnie. Mi sorrise. “Ciao, sei la collega di Amy. Scusami, non ci siamo presentati ufficialmente”, mi aveva porto la mano.
La strinsi con un sorriso. “Ma figurati. Piacere di conoscerti ufficialmente, allora. Sono Sara”.
“Quindi sei tu l’amica di Sean che interpreterà Lady Elisabeth!”, esclamò.
Non lo biasimavo di certo. Io stessa ancora faticavo a credere che la mia vita a Glasgow si stesse dividendo tra il condominio universitario, il pub in cui lavoravo e quell’Accademia tanto prestigiosa che aveva dato formazione e istruzione anche ad attori celebri che seguivo sui social media.
“Ancora non so esattamente come, ma sì”, risposi.
“Conosco Lupin, è uno dei miei professori preferiti e se lui ha fiducia in te, non ci sono altre opinioni che contino”, mi disse con un sorriso.
“Hai lavorato con lui ad altri spettacoli?”.
Annuì e mi citò lo spettacolo dell’anno precedente, ispirato a un racconto di fantasia e di magia di cui era stato protagonista[2]. “Quest’anno invece sto lavorando a uno spettacolo con il professor Black”. Raccontò con entusiasmo, facendomi capire che provasse anche per lui altrettanta stima.
Non avevo dubbi che la ragazza sarebbe stata più che felice di poter assistere alle prove. Anche se ciò avrebbe significato imbattersi in Katie che, stando alle parole di Sean, era coinvolta. “Verrò senz’altro allo spettacolo, quando andrà in scena”, gli sorrisi. “E sono sicura che farebbe molto piacere anche ad Amy, giusto stamani mi diceva che vorrebbe poter visitare l’Accademia”.
Daniel mi ringraziò e lo sguardo turchese baluginò ulteriormente al riferimento alla mia amica. “Potrei chiedere al Professor Black, sono certo che non gli dispiacerebbe”, commentò con sguardo più dolce. “Comunque vorrei poter dire lo stesso sul tuo spettacolo, ma non ho molta simpatia per il tuo co-protagonista”, mi rivelò con un sorriso complice.
Stavo per dargli manforte ed esprimere la mia piena solidarietà, ma fummo interrotti da un eloquente schiarimento di gola. Tom, le braccia incrociate al petto, stava guardando dall’uno all’altra con il suo tipico sorrisetto beffardo. Mi domandai distrattamente se il suo corpo, come un social network, avesse attivato le notifiche per le “menzioni verbali” poiché sembrava arrivare sempre quando si stava parlando di lui. E in termini poco lusinghieri.
Assottigliò leggermente gli occhi e si avvicinò a Daniel, fermandosi a pochi passi da lui. Sembrava piuttosto soddisfatto di poterlo torreggiare di almeno dieci centimetri. “Il disprezzo è più che reciproco, Radcliffe”, gli fece presente con sottile ironia. “Nel caso in cui Lady Elisabeth avesse bisogno della statua di uno gnomo[3], saremo lieti di fartelo sapere”, gli disse con un sorrisetto mellifluo. “Sempre che per te non sia troppo difficile imitarne una”.
Daniel aggrottò le sopracciglia e rinsaldò la pressione sul bastone, probabilmente in un gesto incondizionato. Notai una certa tensione nel modo in cui si stavano studiando e non potei fare a meno di chiedermi se tra loro non vi fosse stata una precedente rivalità professionale. O forse sentimentale e legata a Emma? Avrei dovuto chiederlo a Sean quanto prima. Non che mi sorprendesse quell’acredine, considerando il caratteraccio di Tom, ma il modo in cui si era rivolto a Daniel andava oltre l’irriverenza che usava anche con Sean. Sembrava davvero provare per lui qualcosa di simile al mero disgusto. Di certo doveva ritenersi un attore migliore di lui e forse si riteneva superiore anche in altri ambiti, considerando la sua megalomania.
 “Di certo tu non avrai difficoltà a interpretare un misogino bastardo”, borbottò Daniel, alludendo al personaggio di William, nato da una relazione clandestina tra un gentiluomo e una donna di spettacolo. Naturalmente il gentiluomo non aveva voluto riconoscere il figlio che era quindi considerato un reietto della società e non soltanto per il suo presunto crimine.
Tom non si scompose affatto, ma sembrò persino compiacersi di tale descrizione, quasi fosse stata un complimento.
In quel momento, le doppie porte che davano accesso al teatro furono spalancate: ci voltammo tutti a osservare l’incedere sicuro e imperioso dell’uomo. Il volto olivastro era pervaso da un’espressione insofferente e percorse il corridoio tra le poltroncine con rapidi passi. Si fermò quando giunse in prima fila e il suo sguardo freddo indugiò su noi tre.
Deglutii a fatica e sentii l’aria mancarmi. Perché Piton, il vicepreside, si trovava lì? Voleva forse assistere alle prove? Forse il progetto del Professor Lupin era a rischio e voleva assicurarsi di persona che fossimo meritevoli di portarlo a termine?
“Radcliffe, tu non fai parte dello spettacolo”. La voce era spigolosa e fredda e l’espressione che gli rivolse sembrava di autentico odio. Persino nel modo in cui aveva pronunciato il suo cognome sembrava esserci una nota di biasimo. In quel momento mi sovvenne alla mente il riferimento che aveva fatto proprio al povero Daniel nell’ufficio del Preside nel ritenere una “proposta suicida” la scelta della sottoscritta come Lady Elisabeth. “E’ più probabile che Radcliffe tra dieci anni, dall’alto della sua inettitudine totale a questo mestiere, ottenga una nomination all’Oscar”.
Daniel quindi doveva essere oggetto del continuo scherno di Piton e di Tom e ciò non fece che accrescere il mio risentimento verso entrambi.
“Fortunatamente, il Professor Lupin ha convenuto che il livello d’incapacità fosse già abbastanza alto, senza doverti scomodare”. Il suo sguardo aveva dardeggiato in mia direzione a quell’ultima osservazione e avevo sentito le guance ardere furiosamente. Incrociai tuttavia le braccia al petto e corrugai le sopracciglia, rifilando uno sguardo di sbieco a Tom per il sogghigno che si era lasciato sfuggire. Se non altro, il fatto che si comportasse come il solito stronzo rendeva molto più semplice sopportare i sospetti di Morgana e di Amy sul suo presunto interesse per me.
Daniel scoccò a entrambi uno sguardo ostile, ma sembrò inspirare profondamente per costringersi a non raccogliere la provocazione.
“Dov’è il professor Lupin?”. Chiesi io, sperando che Piton se ne andasse al più presto. Dopotutto non aveva mai partecipato alle prove dello spettacolo e dubitavo che nel frattempo avesse cambiato giudizio al riguardo.
“E’ indisposto”. Rispose indifferente.
“Quindi le prove saranno rimandate?”, lo incalzai con una nota di sollievo. Mi ero già alzata in piedi e stavo già riponendo le mie cose nella borsa, pronta a lasciare l’edificio.
“No”. Rispose lapidario e il suo sguardo lampeggiò malevolo mentre le labbra si piegavano nell’imitazione di un sorriso compiaciuto. “Lo sostituirò io”.
Deglutii a fatica ma non riuscii a ribattere: ero letteralmente congelata.
“Buona fortuna”. Mi sussurrò Daniel con lo stesso sguardo contrito e pietoso che avrebbe usato per porgermi le sue sincere condoglianze. Mi rivolse un cenno della mano e mi sembrò più che felice di andarsene dall’auditorium.
 
Non ci volle molto perché mi rendessi conto che quella di Daniel non era stata un'esagerazione. Tutt'altro.
Durante quel colloquio nell’ufficio di Silente avevo avuto l’impressione che tra Lupin e Piton non vi fosse un rapporto di reciproca stima e di rispetto. Quest’ultimo era sembrato particolarmente indispettito dal fatto che il Preside si fosse dimostrato più che fiducioso nei confronti del collega. Mio malgrado, mi trovavo coinvolta in quella spirale di risentimento perché mi appariva evidente che la scelta della sottoscritta come protagonista, fosse stata la proverbiale goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Soprattutto dopo che Piton aveva evidenziato il rischio di una simile scelta, finendo per l’essere messo in minoranza e ignorato. Non avevo dubbi che quella supplenza improvvisata gli fosse motivo di personale soddisfazione affinché fosse evidente a tutti, per primis ai miei colleghi, quanto Lupin avesse sbagliato a fidarsi di me. Forse sperava di poter far leva sugli alunni affinché reclamassero di fronte al Preside fino alla decisione di allontanarmi dallo spettacolo.
Quale che fosse il suo doppio fine, odiai ogni istante di quella lezione. Mi aveva subito ordinato di salire sul palco e più della metà della lezione fu dedicata a provare le scene in cui ero il personaggio principale. Dapprima mi riservò commenti maligni, ogni volta che avevo difficoltà a ricordare esattamente la battuta (non certamente facilitata dal lessico arcaico e dalla pressione che sentivo addosso in quel momento), infierendo con parole crudeli: “Evidentemente qualcuno si ritiene già degno di una stella sulla Hollywood Walk of Fame, tanto da poter selezionare autonomamente quali battute siano essenziali e quali non”. Le cose non andavano meglio quando invece le ricordavo. M’interrompeva per sottolineare che la mia pronuncia non era perfetta e che la mia intonazione non appariva naturale o che gesticolavo in un modo troppo ostentato e quasi pacchiano. Si trattava, come non mancò di sottolineare, di: “Inconvenienti che s’incontrano, quando si sceglie una dilettante come protagonista”. Già dopo venti minuti di lezione mi sentivo pericolosamente vicino alle lacrime di rabbia e di frustrazione. Non solo le tecniche d’insegnamento di Piton erano sgradevoli, ma mi sentivo doppiamente mortificata poiché quei rimproveri aspri e quei commenti ironici erano pronunciati davanti agli altri, Tom e la Parkinson soprattutto. Non avevo dubbi che entro la fine della giornata sarei diventata lo zimbello dell’Accademia.
Nonostante il mio stato d’animo, non mi ero arresa: avevo impiegato tutta la mia buona volontà, anche se era difficile concentrarsi con le labbra tremanti e il magone in gola. Più Piton infieriva e più mi sentivo insicura e questo aveva un effetto controproducente poiché alimentava i miei errori, le mie esitazioni e le mie difficoltà di pronuncia, suscitando nuovi rimbrotti in un circolo vizioso che sembrava non avere mai fine. Fu solo dopo un'ora e mezza che Piton stesso sembrò essersi stancato: “Felton, sali sul palco e ricordaci cosa sia la recitazione”.
Non avevo osato incrociarne lo sguardo perché non sarei riuscita a sopportare il suo sorrisetto beffardo o maligno, ma lo sentii salire i gradini e camminare sul palco. Si fermò a pochi passi da me, ma continuai a guardare ostinatamente il copione.
“Proviamo la scena finale”, dichiarò Piton e un nuovo sorriso maligno gli increspò le labbra. “Vediamo se l'intera opera è da gettare in un inceneritore”. Continuò con lo stesso tono sprezzante e gemetti per risposta. Più che mai in quel momento, dopo tutte le umiliazioni subite, non mi sentivo in grado di provare una scena con Tom. Soprattutto una scena di simile romanticismo.
Perché ho ignorato il mio istinto, perché?!
Socchiusi gli occhi e cercai di inspirare ed espirare profondamente, ma Tom si allontanò da me e si avvicinò al bordo del palcoscenico per rivolgersi direttamente al docente. “Mi scusi Professor Piton ma, se permette, preferirei provare la parte del duello”, parlò con voce strascicata e una nota vellutata nel tentativo di accattivarsi il favore del vicepreside. “Purtroppo il professor Lupin non è un grande esperto di scene di combattimento”, continuò con voce affettata nel simulare un reale dispiacere nel parlare in quei termini del suo docente. “Ritengo che sia un momento fondamentale dello spettacolo e vorrei poter dare il meglio di me”.
Normalmente sarei rimasta schifata dall’atteggiamento di Tom che si permetteva, in assenza di Lupin, di screditarlo di fronte all’uomo che aveva passato gran parte della lezione a insultarlo. Altrettanto sarei rimasta inorridita da quelle evidenti lusinghe. Una parte di me, tuttavia, non poté fare a meno di chiedersi se, dietro quelle parole, si celasse anche una premura nei miei confronti che non poteva ovviamente ostentare.
“Questo non mi sorprende affatto”, convenne Piton con uno scuotimento del capo. “Molto bene, Pattinson sali sul palco. Tu puoi scendere, signorina: per oggi è stato più che sufficiente”, mi fece presente con lo stesso tono polemico.
Mi morsi le labbra per non rispondere, sentendomi tremare di rabbia e di mortificazione, ma mi affrettai a scendere dal palco, prima che potesse cambiare idea. Neppure mi accorsi del sorriso gentile che mi aveva rivolto Robert e tanto meno volli incrociare lo sguardo di Tom o di qualsiasi altra persona. Mi sedetti in platea con il sottofondo delle battute dei due ragazzi, senza tuttavia riuscire a sentirle realmente.
Quando la campanella suonò, saltai letteralmente in piedi per recuperare i miei oggetti personali e fui la prima a lasciare l’auditorium senza guardarmi alle spalle. Ignorai l'ennesima frecciata di Piton circa la sua premura di riferire a Lupin quanto fossimo indietro per lo spettacolo.
 
~
 
Mi sembrò di respirare solo quando uscii finalmente dall'edificio, ma mi strinsi nel cappotto che indossavo come se sentissi freddo. Era quasi ora di pranzo, ma avevo lo stomaco sottosopra. Osservai l’orologio e mi accorsi, con una smorfia di disappunto, che avevo ancora più di due ore libere prima dell’inizio del mio turno lavorativo. Avevo vagliato la possibilità di tornare a casa, tanto più che Morgana avrebbe lavorato nel pomeriggio, ma non mi sentivo in grado di raccontarle di quella mattinata. Avevo solo bisogno di tranquillizzarmi e di lasciarmi alle spalle quelle ultime ore.
Trasalii quando una goccia di pioggia mi bagnò il capo. Alzai il viso verso il cielo, coperto da pesanti nuvoloni, e mi morsi il labbro nel rendermi conto che stava per scoppiare a piovere e naturalmente nella fretta di uscire di casa, avevo dimenticato l’ombrello. Trafficai nella borsa e imprecai tra i denti nel rendermi conto che non avevo neppure un cappellino per tenere il capo asciutto. Scossi la testa e mi rimproverai mentalmente, ma allungai il passo.
La fermata della metropolitana era a dieci minuti da lì e non potevo far altro che camminare il più velocemente possibile.
Merda. Oggi non me ne va dritta mezza. Ecco che succede quando ignoro il mio istinto. Che mi serva da lezione.
Trasalii al rimbombo di un clacson e un SUV grigio metallizzato si fermò al bordo del marciapiede. Tom abbassò il finestrino e mi scrutò con le sopracciglia inarcate e il viso reclinato di un lato. Quel sorrisetto odioso gli increspò le labbra. “Dimenticato l’ombrello?”, mi domandò in tono fintamente innocente e casuale.
L’ultima cosa di cui avevo bisogno in quella giornata infernale era una discussione con Tom. Potevo anche concedergli il beneficio del dubbio circa il suo comportamento in auditorium, ma non avevo alcuna intenzione di lasciarmi prendere in giro anche da lui. Scossi il capo, ma ripresi a camminare. “Niente affatto, sto solo cercando di formarmi gli anticorpi”, risposi in tono ironico.
Aumentai leggermente il passo: camminare lentamente mi avrebbe fatto sembrare una stupida ma non volevo neppure dargli la soddisfazione di vedermi correre alla ricerca di un riparo.
Lo sentii sogghignare, ma mi superò con l’auto e l’accostò al bordo del marciapiede. “Dai, sali”. Mi invitò con un cenno del mento ad aprire la portiera del lato passeggero.
Lo studiai interdetta e vagamente sorpresa: per la seconda volta, nella stessa giornata, sembrava stesse offrendosi liberamente di elargirmi una cortesia. Gratuitamente.
Doveva esserci qualcosa sotto, immaginai ma scoprii che, dopotutto, non era quello (o almeno non solo quello), il motivo del mio irrigidimento. Il ricordo della sera precedente, del sogno e delle parole delle mie amiche sembrarono volermi ricordare chi fosse il giovane in questione.
Scossi il capo. “No, grazie, preferisco camminare”. Risposi in tono asciutto. 
Alzò gli occhi al cielo. “Non essere sciocca, ci vorranno dieci minuti per arrivare al pub, posso lasciarti lì. Mi è comunque di strada”, aggiunse in tono indolente.
“Non è là che sono diretta”, replicai senza guardarlo. “Grazie ma no, sono quasi arrivata alla fermata della metro”. Ripresi a camminare, superando la sua auto.
“Cos’è, un tentativo velato di invitarmi a casa tua?”, mi domandò con quell’intonazione più suadente e provocatoria.
Mi morsi le labbra e strinsi i pugni lungo i fianchi mentre interrompevo la mia avanzata. Sapevo perfettamente che sarebbe stato sciocco e poco vantaggioso cogliere la provocazione ma la sola idea di quel sorrisetto arrogante mi suscitò un travaso di bile. Senza contare che avrebbe potuto travisare il mio silenzio a proprio piacimento. Mi voltai lentamente e lo fissai sprezzante. “Non ho bisogno di aiuto: specialmente del tuo, nel modo più assoluto”. Sibilai prima di dargli le spalle e riprendere a camminare.
Lo sentii scendere dall’auto e chiudere la portiera, ma non mi voltai neppure quando i suoi passi rapidi risuonarono alle mie spalle. “Puoi sempre pagarmi, se questo alimenta la tua autostima”. Sogghignò e mi accorsi, con un’imprecazione, che mi aveva facilmente raggiunto. Avrei dovuto mettermi a correre per poter anche solo sperare di mettere una distanza decente tra noi.
Mi morsi la lingua per non rispondere e aumentai leggermente il ritmo, ma ancora una volta si adattò senza particolari problemi, persino incurante della pioggia
“Sai, così non fai che peggiorare le cose”. Disse in tono saccente ma ancora una volta finsi di non sentirlo. “Insomma se prima potevo soltanto sospettare un tuo interesse nei miei confronti, adesso comincerò seriamente a temere che tu mi stia evitando per nascondere una vera e propria passione”.
La cosa sconcertante era che sembrava realmente convinto di quanto diceva. Detestavo persino la sua cadenza nel parlare, il modo in cui strascicava le parole e ne enfatizzava alcune con voce più suadente. Il pensiero che potesse persino rinvangare l’approccio che aveva osato solo la sera prima, mi fece montare la nausea. Strinsi i pugni e mi voltai a fissarlo scornata. Continuava a scrutarmi con il volto inclinato di un lato e il sorriso impertinente. “Stai vaneggiando: se ti evito, è solo perché non ti sopporto e non ti stimo”, commentai in tono serio, ignorando il modo in cui inarcò le sopracciglia a simulare una reale sorpresa. “Mi dai la nausea!”, specificai perché non ci fossero dubbi. “Ogni cosa che fai, ogni cosa che dici, ogni smorfia, ogni sorriso!”. Sentii la mia voce farsi sempre più stridula, in un crescendo di emozioni negative, soprattutto al pensiero di quanto stress mi avesse causato senza apparente motivo. Se non, come sosteneva Morgana, il mero prendersi gioco di me e coccolarsi l’ego all’idea che potessi realmente provare attrazione nei suoi confronti.
Tom non si scompose minimamente, ma schioccò la lingua sul palato con aria suadente. “Buffo. Credevo fossero proprio tutte queste cose a fare colpo”. Si permise persino di rivolgermi un ammiccamento che mi fece quasi tremare di rabbia.
“Mi fai schifo!”, ribadii, ma mi volsi bruscamente e ripresi a camminare, maledicendo persino la fermata della metropolitana che sembrava più distante del solito. Persino di quando mi dolevano le braccia per portare il vassoio delle sue paste.
Sentii Tom sospirare con aria stoica. “Dico sul serio: vieni da sola o devo venire a prenderti io?”.
Non mi volsi neppure, ma sollevai il braccio, mandandolo silenziosamente a quel paese, ma fui sorpresa ancora una volta dalla sua tenacia. Forse si trattava di un’infantile presa di posizione, forse era il mero gusto della provocazione ma anziché rientrare in auto e andarsene per i fatti suoi, come qualsiasi altra persona dotata di buon senso, aveva di nuovo preso a seguirmi. Fui costretta a rallentare e a cedere il passo a una coppia di signori anziani che si stavano riparando con un unico ombrello e ciò mi fu fatale perché Tom era già alle mie spalle. Con un rapido guizzo, mi cinse il braccio e sentii il suo respiro caldo sulla nuca. “Siete tanto bella quanto insopportabile, Lady Elisabeth”. Sussurrò al mio orecchio e trasalii.
A dispetto di quanto gli avevo detto poco prima, a dispetto della ragione e del mio stesso orgoglio, sentii un brivido scivolare lungo la spina dorsale e sapevo che poco aveva a che vedere con il clima.
“Non so se uccidervi o innamorarmi di voi”. Continuò nell’imitare perfettamente la personalità villana, presuntuosa e arrogante di William. Se non altro potevo asserire onestamente che per certi versi la parte sembrava realmente essergli stata cucita addosso. “Niente male, eh?”. Si complimentò con se stesso e sentii la mia palpebra tremare a quel ritorno ai suoi consueti modi da sbruffone fin troppo sicuro di se stesso e del suo fascino.
Mi voltai e lo fulminai con lo sguardo prima di scostarlo bruscamente da me. “Stai-alla-larga-da-me”.
Tom scosse il capo e parve perdere la sua tracotanza. “Smettila di fare la nevrotica e andiamo: non voglio prendermi l’influenza per colpa tua”. Indicò il suo SUV con un cenno della testa.
“Io sarei nevrotica?!”, sbottai incredula e incurante di star alzando la voce anche in luogo pubblico. “Fai di tutto per provocarmi e mettermi in difficoltà, ignori il mio desiderio di stare da sola e ciò farebbe di me una nevrotica?!”.
Tom non rispose ma si limitò a inarcare le sopracciglia in un evidente gesto affermativo.
Ma vaffanculo e restaci!”, gli urlai in italiano e mi voltai bruscamente, prendendo a camminare più rapidamente per lasciarmelo alle spalle, incurante del dolore che provavo a causa degli stivali. Per la fretta, misi male un piede, rotandolo verso l’interno ma fu una fortuna che non indossassi dei tacchi alti perché non caddi, ma un dolore lancinante e improvviso mi mozzò il fiato e mi misi a coccoloni per tastarmi la caviglia. 
Tom sospirò ma fu rapido a raggiungermi. “Parlare e camminare contemporaneamente è un lusso che pochi possono concedersi”. Commentò con un sorrisetto baldanzoso. Riuscì prontamente a schivare il colpo che avevo cercato di assestargli in testa, mentre si chinava a sua volta. “Smettila di agitarti”, mi rimproverò in tono conciliante e allungò la mano verso la cerniera dello stivale per abbassarla.
In quel momento mi sentii molto simile a Lady Elisabeth che, da puritana e ideale dama vittoriana, non poteva certo concedersi il lusso di mostrare la propria caviglia a un simile mascalzone.
“E’ tutta colpa tua”. Mormorai con voce sofferta e gli occhi appannati dalle lacrime di dolore. Non era bastata la mortificazione pubblica per grazia del Vicepreside o che quello stronzo rovinasse persino i miei sogni, ci mancava anche quel dolore fisico. “Mi succedono sempre disgrazie quando mi stai attorno, dovrei far emettere un’ordinanza restrittiva! O farmi togliere il tuo malocchio!”, aggiunsi in tono più isterico.
“Non essere melodrammatica”, commentò lui divertito, ma tastò delicatamente la mia caviglia e io emisi un verso di dolore. “Si sta gonfiando, ma dubito che ci sia qualcosa di rotto. Comunque è meglio passare da un dottore[4]”.
Sgranai gli occhi a quelle parole, ma scossi il capo.  “Non ho intenzione di peggiorare ulteriormente questa giornata: andrò a casa e metterò del ghiaccio”. Decisi e mi sollevai nuovamente, ma cercai di spostare il baricentro del mio corpo così che la maggior parte del peso fosse sostenuto dall’altra gamba. Provai a camminare ma dovetti arrendermi all’evidenza di non riuscire a raggiungere la fermata. Sospirai e socchiusi gli occhi nel tentativo di fare mente locale. O telefonavo a Sean, sperando che non avesse lezioni al momento, oppure dovevo chiamare un taxi e farmi riportare al dormitorio.
Mi riscossi quando Tom si mise al mio fianco e, incurante del mio sguardo costernato, mi cinse la vita e mi passò un braccio intorno alle spalle perché mi sostenessi a lui. “Basta discussioni per oggi: ti porto da un dottore”.
Lo guardai persino più arrabbiata. Se non mi avesse sostenuto fisicamente in quel momento, gli avrei voluto cavare gli occhi o colpirlo con un pugno. “Posso ricordarti che questo incidente è stata colpa tua?!”.
Alzò gli occhi al cielo. “Se tu non fossi sempre così sulla difensiva, a quest’ora ti avrei già lasciato davanti al pub e mi sarei fatto offrire la birra che ancora mi devi, tra parentesi”.
Sgranai gli occhi. Con quale coraggio si permetteva persino di menzionare gli eventi della sera precedente, come se nulla fosse realmente accaduto? “Se tu non fossi tu, il mio anno sabbatico sarebbe-”. Lasciai la frase in sospeso quando, con una naturalezza che mi sorprese e mi lasciò sconcertata, mi sollevò tra le braccia.
Sorrise e l’espressione beffarda si attenuò per lasciar spazio a una divertita. “Allora esiste un modo per farti star zitta”.
Avrei voluto strangolarlo, ma fui costretta ad assicurarmi al suo collo con entrambe le braccia per non rischiare di farlo sbilanciare. Ciononostante lo guardai con tutto l’odio che mi era possibile in quel momento. Avrei sempre potuto inserire del lassativo nella sua birra o rigargli la carrozzeria del SUV con le mie chiavi.
Tom mantenne salda la sua presa, giungemmo di fronte alla portiera della sua auto e mi depositò gentilmente sul sellino del lato passeggero.
La caviglia stava dolorosamente pulsando, costretta dallo stivale, ma pensai che fosse meglio non toglierlo fin quando non fossi stata alla presenza di un dottore.
L’auto era impregnata del suo profumo, non potei fare a meno di notare, mentre lasciavo saettare lo sguardo alla ricerca di qualche oggetto personale. Non ce n’erano in vista. Neppure quei ninnoli con cui le fidanzate solitamente “marcavano” il territorio come una pinza per capelli o un cosmetico.
Mi riscossi quando Tom sedette al posto di guida, insinuò la cintura e accese il motore. “Allacciati la cintura”, si raccomandò.
Alzai gli occhi al cielo. “Le disse in tono preoccupato, dopo averle causato una distorsione”, commentai in tono sarcastico.
Si permise persino di sorridere, mentre s’immetteva nella corsia. “Prometto che lo farò scrivere come epitaffio”. Approfittò del semaforo rosso per volgersi in mia direzione e scrutarmi con il volto reclinato di un lato.
Non ne ricambiai lo sguardo, fissando ostinatamente il cellulare, ma sbuffai. “Che c’è?”.
“Ho vinto”, sogghignò con aria realmente divertita.
Mi ci vollero diversi secondi per capire che si stava riferendo al fatto che, alla fine di quell’irreale situazione, mi ero ritrovata ad accettare il suo passaggio. “Sì, Tom, hai vinto la gara dello stronzo dell’anno”, gli dissi con un sorriso sarcastico. “Prometto che lo farò scrivere come epitaffio”. Ripetei esattamente le sue parole, provando a imitarne il tono tracotante e il sorrisetto beffardo.
Lui non sembrò offendersi, ma rise con reale divertimento che mi lasciò persino più perplessa. Scossi il capo, sollevai gli occhi al cielo e presi a frugare nel portafoglio per assicurarmi di avere portato con me la tessera sanitaria. Sospirai di sollievo perché l’ultima cosa che avrei voluto era che mi accompagnasse in dormitorio per recuperarla. Solo allora mi appoggiai al sellino della sua auto e provai a rilassarmi e a ignorare il dolore atroce, fissando fuori dal finestrino.
 
Il tragitto fu breve e siglato dal mio silenzio rancoroso, ma cercai di restare rilassata anche per non mettere in ulteriore tensione il piede. Tom si fermò nei pressi dello studio medico più vicino. Non appena spense il motore, fui lesta a slacciare la cintura e ad aprire la portiera. Lo sentii chiudere la propria, ma cercai di scendere prima che potesse avvalersi di quella scusa per avvicinarsi.
“Cammino-da-sola”. Specificai in tono fermo, non volendo incoraggiarlo nuovamente a starmi troppo vicino.
Sollevò le mani in un gesto di enfatica resa, ma lo ignorai e scesi dall’auto cautamente. Ogni passo mi procurava un dolore stordente, ma cercai di sopportare.
Il ragazzo sospirò ma rimase alle mie spalle: sentivo il suo sguardo pungente ma non azzardò iniziative. Giunta di fronte all’accettazione, dovetti attendere che la giovane, munita di un camice bianco (un’infermiera probabilmente), terminasse la sua telefonata. Cercai di spiegarle la mia situazione e mostrai la tessera sanitaria. In tono gentile mi consegnò un modulo stampato con i miei dati e m’indicò la sala d’attesa. Mi volsi verso Tom per dirgli che poteva lasciarmi lì e che avrei chiamato un taxi per il ritorno, ma con mia sorpresa mi accorsi che si era già seduto e mi aveva indicato la sedia accanto. Mi guardai attorno e costatai che fortunatamente c’erano poche persone prima di me e non sembravano riportare gravi problemi fisici. Potevo ancora sperare di arrivare al lavoro in tempo, se avessi mangiato un panino lungo il tragitto.
“Non c’è bisogno che resti: per oggi hai fatto anche troppo”, commentai con un filo d’ironia.
Tom sollevò gli occhi al cielo. “Vuoi davvero fare un’altra scenata?”.
“Non ho voglia di litigare, ma non ho piacere che tu resti”, gli dissi in tono esplicito. “Chiamerò un taxi”.
“Non essere sciocca, aspetterò qui fuori”, disse con uno scrollo di spalle ed estrasse il cellulare per poi accedere al gioco di Candy Crush Saga e cominciare a intrattenersi con quello.
“Non hai niente di meglio da fare?”.
Sollevò lo sguardo dallo schermo dell’iPhone e mi rivolse un sorrisetto beffardo. “Decisamente no”.
“Che vita triste la tua”, non potei fare a meno di commentare con una certa soddisfazione.
“Disse colei la cui caviglia era sempre più gonfia”.
Bisticciammo sottovoce fino a quando l’infermiera non ci rivolse un’occhiataccia come una bibliotecaria bisbetica. Incrociai le braccia al petto e rimasi in silenzio, fino a quando non fu il mio turno.
 
Il dottor Richard Wilson[5] era un uomo dall’aspetto solenne. Era alto e corpulento, aveva capelli bianchi e lunghi, pettinati accuratamente all’indietro. Era distinto ed elegante nel suo camice bianco e aveva un’aria paterna che mi aveva rassicurato non poco. Gli raccontai brevemente dell’incidente e lui m’invitò a stendermi sul lettino e a slacciare lo stivale. Si mise in piedi e prese a tastarmi delicatamente la caviglia per appurare l’entità del danno. “E’ una brutta distorsione”, confermò il mio sospetto. “Ma nulla di grave, la sua caviglia tornerà in perfetto stato. Comunque è importante che non sottovaluti le mie indicazioni”, mi spiegò gentilmente.
Sospirai di sollievo e lo rassicurai che sarei stata una paziente ideale.
Si sedette sullo sgabello di fronte al lettino. “Ora le applicherò un bendaggio, così dovrebbe provare sollievo. Le prescriverò anche un antidolorifico da assumere se il dolore fosse eccessivo. Ma la migliore prescrizione è riposo e impacchi di ghiaccio. Almeno tre volte al giorno e da venti minuti l’uno. Tenga la gamba sollevata con dei cuscini per ridurre l’ematoma”, mi spiegò in tono efficiente.
Stare a riposo sembrava la cosa più sensata, ma non potevo ignorare le mie responsabilità. “Ma io devo lavorare, dottore”, spiegai in tono preoccupato poiché il mio visto dipendeva proprio da quell’occupazione.
“Capisco, ma non posso contravvenire ai miei doveri. Non sarei un buon medico se non le facessi presente la situazione. Se accelera la convalescenza allora rischia delle gravi ripercussioni all’articolazione e danni permanenti”, spiegò in tono più accorato. “Le scriverò un certificato naturalmente: sono sicuro che il suo datore di lavoro capirà”.
Il pensiero della possibile reazione di Tom Riddle mi suscitò un vuoto nello stomaco. Il suo carattere era tutto fuorché facilmente interpretabile: talvolta sapeva essere irascibile e inalberarsi per dettagli che ritenevo di poco conto e, al contrario, reagire in modo fin troppo razionale quando la situazione sembrava più preoccupante. D’altro canto, doveva convenire, se non fossi stata in grado di servire i clienti dietro al bancone e tanto meno pulire il locale, avrei potuto essere più di ostacolo che di aiuto ai colleghi, rischiando reclami e di suscitare il malcontento generale. “Di quanti giorni di riposo stiamo parlando?”, domandai con un sospiro. Ironia del destino, pensai amaramente. Quel mattino avrei fatto di tutto affinché avessi una legittima scusa per non andare in Accademia ed ecco che quel piccolo incidente mi avrebbe costretto a un’assenza involontaria anche al lavoro. E’ proprio vero: fai attenzione a ciò che desideri.
Il dottore mi rivolse un sorriso bonario, dopo aver assicurato la fasciatura al piede. “Tutto dipenderà da lei e dalla solerzia con cui rispetterà le mie indicazioni. Nel migliore dei casi potrà riprendere a muovere la caviglia in tre o quattro giorni. Ma naturalmente non dovrà fare sforzi eccessivi o stare in piedi troppo a lungo per i prossimi dieci giorni o rischia di compromettere la guarigione”.
Dal modo serio con cui lo disse e dallo sguardo severo, ebbi l’impressione che non stesse esagerando per spaventarmi. Dieci giorni non erano pochi, soprattutto considerando i weekend che erano più redditizi, ma non potevo rischiare conseguenze peggiori. Nella peggiore delle ipotesi Riddle mi avrebbe licenziata e avrei dovuto cercare lavoro altrove. L’idea mi faceva mancare il respiro ma non era nulla cui potessi riporre rimedio in quel momento. Senza contare che non osavo immaginare quali problemi avrei potuto causare alla mia articolazione. Era vagamente inquietante la prospettiva di esser condannata a camminare come il Dottor House per il resto dei miei giorni. Repressi quel pensiero sciocco e scossi il capo.
“Di che lavoro si occupa?”. Mi domandò il Dottor Wilson e alla mia risposta sembrò incupirsi. “Assolutamente no”, ribadì con maggiore enfasi. “Le preparo subito il certificato e tanto per essere sicuri, aspetteremo due settimane prima di farla tornare al lavoro. Il suo principale dovrà accettare volente o nolente”.
Volente o nolente mi farà mangiare da Nagini appena glielo dirò.
Sospirai ma lo ringraziai e mi rimisi in piedi. Gli strinsi la mano e il dottore si premunì di aprirmi l’uscio della sua porta. Tom si rimise subito in piedi e mi si avvicinò prontamente, dopo aver rivolto al dottore il suo miglior sorriso innocente. 
“Si appoggi al suo fidanzato”. Mi suggerì il dottore, tenendomi la porta aperta.
“Sì tesoro, appoggiati a me”, rimarcò Tom, allungando la mano al mio fianco, ma la schiaffeggiai e lo fissai scornata.
“Non è il mio fidanzato”, sibilai in direzione del dottore, facendo ridacchiare Tom.
Il dottore si concesse di guardare dall’uno all’altra con espressione vagamente perplessa. Non tanto per l’equivoco, probabilmente, quanto per il fatto che mi fossi sentita in dovere di specificarlo di fronte a lui. Lo vidi aprire un armadio per cercare qualcosa e, dopo pochi istanti, mi porse un paio di stampelle. “Allora se non vuole appoggiarsi al suo conoscente, le consiglio caldamente di usare queste in alternativa”.
Lo guardai avvilita. Dalle stampelle al ragazzo, dal ragazzo alle stampelle e alla fine sospirai con aria sconfitta e le presi tra le mani.
E' ufficiale. Dopo anni dal finale della serie, David Shore ci sorprenderà con la rivelazione della figlia segreta e storpia di Gregory House
Ringraziai il dottore e mi premunii di insinuare il certificato nella borsa. Memore delle parole di Amy, sapevo che non potevo inoltrarlo per e-mail ma avrei dovuto affrontare Riddle di persona, anche se la prospettiva mi terrorizzava. Quella giornata andava di male in peggio. Avrei dovuto prendere in seria considerazione l’ipotesi di barricarmi in casa fino alla mezzanotte.
“Si riguardi, signorina. L’aspetto tra dieci giorni per l’accertamento, ma può chiamarmi in caso di bisogno”. Mi salutò con un sorriso gentile.
Quando uscimmo dallo studio medico, aveva smesso di piovere, ma tirava un gelido vento che stava allontanando i nuvoloni scuri. Fortunatamente dopo pochi passi, l’uso delle stampelle sembrava divenire piuttosto automatico e fisiologico per impedirsi di appoggiare il piede dolorante. Evidentemente Tom dovette convenire la stessa cosa perché non mi aprì la portiera, ma circumnavigò il SUV per mettersi subito al posto di guida.
Fu con un sospiro che allacciai la cintura di sicurezza e mi appoggiai sul sellino dell’auto. Socchiusi gli occhi.
“Portami al pub, per favore”.
Fortunatamente Tom si limitò ad un cenno di assenso e fece quanto gli avevo chiesto. Rimase in auto, mentre io entravo nel locale, sotto lo sguardo preoccupato e incredulo di Amy e di Hannah.
Il colloquio con Riddle fu breve ma intenso, soprattutto considerando le ultime ore. Dapprima si limitò ad ascoltarmi mentre gli riferivo la cura che mi aveva prescritto il dottore. Prese il certificato, ma neppure si prese la briga di leggerlo e continuò a osservarmi. Non si fece prendere dalla rabbia, seppur una parte di me lo avrebbe preferito perché la gelida delusione che leggevo nel suo sguardo era persino più mortificante. “Spero che si renda conto che questa sua leggerezza non soltanto le costerà una bella fetta di salario di questo mese”, esordì in tono gelido. “La sua assenza causerà non pochi contrattempi al suo insegnante di recitazione e ai suoi colleghi dello spettacolo”.
Mi morsi il labbro, soprattutto al pensiero che l’ultima volta che ero stata in quell’ufficio lui stesso mi aveva esortato a sfruttare al meglio quell’occasione. Nella stessa circostanza avevo promesso che avrei fatto del mio meglio per non deludere le aspettative di tutte le persone che mi avevano accordato fiducia, lui compreso. Annuii, sentendo gli occhi pizzicare. “Sono mortificata”, riuscii a dire con voce flebile.
Non rispose, ma scrisse rapidamente un recapito telefonico e me lo porse. “E’ il numero del Preside, almeno lo avvisi della situazione quanto prima”.
Annuii, affrettandomi a prendere il cartiglio, incontrandone di nuovo lo sguardo. “Mi dispiace tanto”, mormorai ancora, ma lui sollevò la mano perché tacessi.
“E’ ovvio che non sarà l’impiegata del mese: è esonerata dalla competizione”, continuò a parlarmi in tono gelido, come se non mi avesse neppure sentito. “Può andare, non c’è altro da aggiungere”.
Mi rimisi in piedi e cercai di uscire il più rapidamente possibile, aiutandomi con le stampelle e chiudendomi la porta del suo ufficio alle spalle.
“Stai bene?”, mi domandò Amy, premunendosi di aprirmi la porta del pub.
“Ti chiamo più tardi”, promisi con voce flebile, sforzandomi di sorridere.
“Va bene, riguardati, mi raccomando”, mi salutò lei, stringendomi il braccio in segno di silenzioso conforto.
Fortunatamente Tom stava trafficando con il suo cellulare, quindi mi presi qualche istante per tranquillizzarmi, prima di rientrare sulla sua auto. Mi allacciai la cintura e lo sentii avviare di nuovo il motore.
“Dove abiti?”. Mi chiese, ma la sua voce sembrava provenire da un’altra realtà. Era come se mi sentissi estraniata da tutto quanto e stessi contemplando me stessa dall’esterno.
Pronunciai l’indirizzo in tono stanco. 
 
 
Appena Tom ebbe accostato l’auto, mi affrettai a slacciare la cintura e ad aprire la portiera per scendere. Tom  fece lo stesso e pensai che volesse semplicemente rendermi le stampelle che aveva riposto nel bagagliaio. Mi volsi per congedarlo il più freddamente possibile, ma lo osservai premere l’interruttore per sigillare le portiere. Lo guardai interdetta e lui sorrise beffardo: aveva recuperato la consueta espressione sardonica. “Penso che tu debba offrirmi qualcosa da bere”, mi disse nel porgermi le stampelle.
Mi presi un istante per sognare a occhi aperti di sollevare la stampella e sbattergliela sul naso e romperglielo. Farlo cadere a terra e infierire ulteriormente, sfregiandogli la faccia e poi rompendogli qualche costola, aggiungendo dei calci, tanto per essere sicura che cogliesse appieno il mio stato d’animo.
Presi un profondo respiro e lo guardai con espressione stizzita. “Pensi davvero che io ti debba qualcosa? Non pensare solo alle ultime due ore, ma a tutto quello che mi è successo da quando ti ho conosciuto”.
Inarcò le sopracciglia e affondò le mani nelle tasche dei pantaloni. “Sinceramente?” mi domandò in tono calmo. “Metà dei guai che mi attribuisci sono stati causati dalla tua totale incapacità di controllare la rabbia o dalla tua goffaggine”, spiegò con un sorrisetto irriverente, indicando la caviglia con un cenno del mento.
Sollevai la stampella per colpirlo, ma fu lesto a prenderla dall’altra estremità e farmi un cenno ai passanti che ci stavano guardando curiosamente. Oh, certo, per coronare quella bellissima giornata ci mancava soltanto che fossi arrestata per aggressione. Anche se ero sicura che, qualsiasi giudice dotato di raziocinio e di empatia, non solo mi avrebbe perdonato alla fine del racconto, ma mi avrebbe persino dato manforte per punirlo adeguatamente.
“Ascolta, io non so per quale motivo ho attirato la tua antipatia personale e sinceramente neppure mi importa”.
Tom parve realmente confuso dal modo in cui inarcò le sopracciglia e inclinò il viso di un lato. Sorrise divertito. “Antipatia? Pensi davvero che io provi questo per te?”.
“Chiamala come vuoi, non m’importa, ma qualsiasi stato d’animo sia, non possiamo continuare in questo modo. Non voglio finire il mio soggiorno in un carcere, in una clinica psichiatrica o alle tue esequie”.
“Ed ecco che ricomincia il melodramma”, mormorò Tom con espressione stoica, inclinando il volto di un lato e sospirando. “Ascolta, ammetto di non essere stato esattamente un tuo fan quando quello strampalato di Silente ha dato a quell’incompetente di Lupin il permesso di reclutarti nello spettacolo, ma l’ho accettato. Mi sono anche abituato alla tua incapacità di stare dietro al bancone di un bar senza diventare isterica o alle tue difficoltà locomotorie”.
“Stai cercando di blandirmi o di darmi un ulteriore motivo per aggredirti? Qual è il punto?”. Gli chiesi con espressione stizzita. Ero ancora in tempo a rendere reale la mia fantasia.
“Se è una tregua quella che vuoi, sono disposto a concedertela”.
Lo guardai intensamente, cercando nel suo volto segnali di un’ulteriore presa in giro. “Non so se posso fidarmi di te”, gli dissi esplicitamente. “Vorrei ricordarti come ti sei comportato fuori dall’aula di danza o fuori dal pub”, mormorai, cercando di evitare di arrossire o avrebbe potuto fraintendere il mio stato d’animo.
Reclinò il viso di un lato e mi osservò più intensamente, occhieggiando l’anello che indossavo. “E’ comprensibile”, ammise con uno scrollo di spalle.
“Aspetto ancora le tue scuse per entrambe le occasioni, tra l’altro. E devi promettere di non comportarti mai più in questo modo. A quel punto potrò valutare di concederti il beneficio del dubbio”.
Parve rifletterci sopra qualche istante, ma infine sospirò con aria quasi stanca. “Non avrei dovuto comportarmi in quel modo”.
“E…?”. Lo incalzai affinché continuasse.
Mi guardò con un sorrisetto divertito e sollevò le spalle. “Non posso fare false promesse per il futuro”, rispose con espressione fintamente innocente.
Per l’ennesima volta, sospirai esasperata. “Sei incredibile”.
“Lo so”, rispose con finta modestia e il sorriso più malizioso.
“Ma non hai il benché minimo rispetto per la tua ragazza?”.
A quella domanda il suo sguardo parve baluginare e reclinò il volto di un lato, scrutandomi con le sopracciglia inarcate. “Love[6], se avessi voluto davvero sedurti, credimi, adesso non ci limiteremmo a parlarne”.
Lo scostai con una smorfia disgustata sia per l’insinuazione che per l’uso di quel vezzeggiativo piuttosto confidenziale. “Certamente, perché a questo punto saresti tu quello in ospedale, ma nel reparto di urologia”.
Rise alla battuta, ma reclinò il viso di un lato e mi guardò più attentamente. “Allora, tregua?”.
Lo fissai ancora sospettosa, ma scrollai le spalle. “Ti concederò il beneficio del dubbio, ma non so ancora se posso fidarmi di te”.
Sollevò gli occhi al cielo. “Almeno mi offri una bibita?”.
“In via eccezionale perché mi hai fatto da autista”, chiarii subito. Non potei fare a meno di avere il presentimento che quello che stavo per compiere fosse l’ennesimo errore. L’ennesima decisione di cui mi sarei pentita dal mio arrivo a Glasgow.  “Ma non voglio che tu ti presenti senza invito”.
“La prossima volta manderò il mio paggetto ad annunciare la mia visita, love”, replicò in tono volutamente ironico, imitando anche l’inchino di William.
Sbattei le palpebre per rimuovere dalla mente il ricordo dello stesso gesto compiuto in sogno.
“Forse è meglio che tu taci, se non vuoi che cambi idea”.
Lui mi tenne le porte aperte e io entrai con le stampelle, muovendomi verso l’ascensore.
Quello scambio di parole poteva davvero considerarsi un passo avanti tra di noi? Non si era propriamente scusato di aver cercato di sedurmi, ma aveva ammesso di avermi ostacolato al pub e al colloquio con Silente. Non doveva essere molto avvezzo a esprimere dispiacere e probabilmente era realmente convinto di non aver mancato di rispetto alla sua ragazza. Il modo in cui vivevano la loro relazione non era affare mio, ma forse quella pazza giornata avrebbe potuto siglare un nuovo inizio per entrambi. Sempre che non mi desse motivo per continuare a diffidare di lui. Intanto per quel pomeriggio mi sarei limitata a offrirgli una tazza di the e poi, se necessario, lo avrei scaraventato giù dalla rampa di scale affinché se ne andasse.
Feci girare la chiave nella serratura e annunciai il mio ritorno. Sentii la voce di Morgana dalla cucina e Tom mi seguì e si chiuse l’uscio alle spalle. Si guardò attorno con le mani conficcate nelle tasche dei pantaloni.
“Hey, credevo che oggi pranzassi fuori”, mi accolse la mia amica con un sorriso.
Fu quasi comico il modo in cui la sua espressione mutò nel notare le mie stampelle e poi il ragazzo alle mie spalle. Evidentemente lo aveva già cercato nelle fotografie condivise da Sean sui social o lo aveva stalkerato. Fatto sta che i suoi occhi sgranarono e assunse un’espressione irritata e preoccupata, guardando da me a lui. “Che diavolo ti è successo?”, mi domandò. Guardò Tom con espressione così minacciosa che al suo posto avrei subito fatto dietrofront.
“Siete sempre così arrabbiate voi italiane?”, domandò lui con la sua espressione più innocente. “O italiane d’adozione, insomma”, alluse all’accento della mia amica o forse alle informazioni che gli aveva dato Sean.
Fulminai Tom con lo sguardo, ancora una volta infastidita da quei suoi infantili pregiudizi sugli italiani. “Lei è Morgana”, gli dissi e lui allungò la mano.
Lei lo ignorò e si rivolse a me. “Che cosa è successo, Sara? E che cazzo ci fa a casa nostra?”, mi domandò nella mia lingua madre, evidentemente non intenzionata a toccarlo e neppure a fingersi cordiale nei suoi confronti o a rivolgergli parola. Il fatto che avesse usato una parola volgare, poi, era chiaro sintomo di crescente ira.
Non potevo certamente biasimarla, soprattutto alla luce dei lunghi e dettagliati resoconti delle disastrose ore passate in compagnia di Tom e di tutte le carognate che mi aveva fatto fino a quel momento. Inoltre non avevo piacere che potesse, in quel modo, fare irruzione nell’intimità della nostra casa. Cercai comunque di rassicurarla con un sorriso. “Stai tranquilla, è solo una distorsione, accompagnami in cucina un attimo, per favore”. Le feci cenno di aiutarmi e fu lesta a cingermi la vita e accompagnarmi, dopo aver rifilato a Tom un altro sguardo sprezzante. “Torniamo subito”, gli disse a mo’ di minaccia.
“Il piacere è tutto mio”, rispose con un sorrisetto baldanzoso e quella voce flautata, abbassando la mano che Morgana non gli avrebbe mai stretto. Le rivolse persino uno sguardo di ammirazione. Non mi sorprendeva che neppure lui fosse immune alla sua evidente bellezza.
“Su questo non ci sono dubbi”, gli rispose in tono disgustato. Forse avrei dovuto lasciarli soli e ci avrebbe pensato lei a eliminare definitivamente il problema. Ma ovviamente avrei ripreso la scena per potermela riguardare svariate volte.
Morgana mi aiutò a sedermi e si affrettò a chiudersi la porta della cucina alle spalle. “Siamo sicure che non ruberà niente, almeno?”, mi domandò in tono evidentemente irritato, continuando a parlare in italiano per sicurezza.
Sospirai per risposta, passandomi una mano tra i capelli. “E’ stata una giornata tremenda, ricordami di fidarmi del mio istinto. Se un giorno ti dico che ho un brutto presentimento, tu chiudimi in casa anche con la forza”.
“Mi dici cosa è successo?”, mi domandò in tono preoccupato e sospettoso al contempo. “E ti prego, dimmi che hai una spiegazione plausibile e credibile sul motivo per il quale quell’essere rivoltante si trova nel nostro soggiorno in questo momento. E pensare che è da tutta la mattina che ripenso alla nostra conversazione e mi sono sentita in colpa per averti messo in testa l’idea che tu possa esserne attratta”. Raramente Morgana perdeva le staffe o il controllo di sé, ma era evidente che fosse veramente in apprensione. Non soltanto perché mi ero presentata con le stampelle ma con l’ultima persona che avrei voluto accanto in quella circostanza.
Le rivolsi uno sguardo da cane bastonato. “Ti prego non urlarmi contro, devo ancora parlare con il Preside dell’Accademia e raccontargli di questo pasticcio”.
Sospirò, ma sedette di fronte a me e attese che le raccontassi brevemente gli eventi di quel mattino, fino a quanto era accaduto fuori dall’Accademia. Conclusi con quello scambio di parole fuori dal dormitorio. “Sai che ti voglio bene e che ti rispetto”, esordì con un sospiro.
“Ma?”, la incoraggiai.
“Sei davvero così ingenua, Sara? Ti sei bevuta le prime due paroline vagamente cortesi che ti ha rivolto?”.
“Certo che no”, ribattei prontamente. “Ma sai come si dice: tieniti stretti gli amici e ancora più stretti i nemici. Non mi fido assolutamente di lui, ma forse questo è il modo più diplomatico e indolore di levarmelo dai piedi una volta per tutte. Ha ammesso di non aver mai voluto davvero sedurmi e di essersi comportato male. E’ un buon passo in avanti”.
Morgana roteò gli occhi e mi guardò con il volto inclinato di un lato. “Devo ricordarti che aspira a diventare un attore professionista?”.
“Touchée. Gli offrirò una tazza di the e poi se ne andrà e l’ho già avvisato che la sua presenza non sarà gradita se non con invito”.
“E’ come se tu avessi invitato Damon Salvatore[7] a entrare in casa nostra per squartarti la gola nel sonno”, mi fece presente, ricorrendo a una metafora piuttosto azzeccata.
“Non voglio certo fare la Elena[8] della situazione”, commentai con una smorfia al pensiero del paragone con un personaggio televisivo e una storia d’amore che non avevo mai potuto soffrire.
Morgana prese il cellulare tra le mani con aria agitata. “Senti, io chiamo la Fox e le dico che oggi non posso andare al lavoro”.
Le sorrisi ma scossi il capo con determinazione. “Non c’è bisogno, davvero. Anzi, dovresti riaprire la porta e cominciare a parlare in inglese, non diamogli la soddisfazione di capire che sei in ansia a causa sua”.
“Non voglio lasciarti sola con quello stronzo. Almeno chiama Sean”, mi suggerì in tono perentorio e normalmente avrei seguito il consiglio senza neppure rifletterci.
“Sean si fida. Forse come dice lui nell’abisso del suo ego c’è qualcosa di buono”.
Morgana scosse nuovamente il capo, ma abbandonò il cellulare sul tavolo. “Forse non è solo Emma ad avere i paraocchi”, si rimise in piedi e si affrettò a mettere a bollire dell’acqua. “Solo una tazza di the, poi se ne va. Devo uscire tra dieci minuti ma ti chiamerò tra venti e se non se ne sarà già andato, giuro che tornerò qui e saranno guai per entrambi. Intesi?”. Aveva appoggiato le mani sui fianchi in un’espressione vagamente minacciosa che mi aveva fatto annuire.
“Intesi”, convenni con un sorriso e la ringraziai vivamente.
Vidi le sue labbra tremare come ogni volta che voleva fare la sostenuta o mostrarsi arrabbiata, ma doveva trattenersi dal sorridere. Sospirò e mi abbracciò brevemente. Dopo pochi minuti aprì la porta della cucina, trasportando le due tazze di the caldo. Mi aiutò a sistemarmi sul divano affinché fossi più comoda.
Scoprimmo che Tom non aveva atteso alcun invito e si era già accomodato e, con mio grande fastidio, stava studiando la fotografia che mi ritraeva con mia sorella, il giorno del matrimonio di mio fratello. Eravamo entrambe in accappatoio ma già truccate e sorridenti. Una delle mie foto preferite in assoluto. Morgana fu lesta a strappargliela di mano e porgermela, sapendo quanto fossi gelosa delle mie cose, soprattutto quando c’erano persone invadenti che se ne appropriavano senza chiedere il permesso.
Tom guardò dall’una all’altra con un sorrisetto divertito. “Devo chiamare il mio avvocato o una guardia del corpo?”, domandò con intonazione suadente, riferendosi al nostro colloquio privato.
Morgana sollevò gli occhi al cielo e mi si rivolse con un sorrisetto beffardo, mentre sistemava una pila di cuscini sul tavolino da caffè, di modo che potessi stendere la gamba. “Davvero, Sara, non capisco come tu faccia a resistergli. Matteo chi?”.
Senza neppure guardarlo, tornò rapidamente in cucina e ne uscì per portarmi del ghiaccio.
Tom guardò le due tazze di the e sollevò le sopracciglia con espressione evidentemente delusa. “Ma come? Non ci tieni compagnia con la tua squisita cordialità?”.
Morgana lo guardò dall’alto al basso, appoggiando le mani sui fianchi. “Ringrazia che io non resti, ragazzino”, sottolineò l’ultima parola. “Ma ci tengo a precisare che non sei il benvenuto in questa casa. Il the è un ringraziamento per averla accompagnata, ma sappi che oggi ti sei guadagnato la mia attenzione e non è un complimento”. Finì in tono così sibillino e minaccioso che Tom si limitò a scrutarla con le sopracciglia inarcate. Avevo l’impressione che, suo malgrado, fosse impressionato e che non l’avrebbe sottovalutata.
La guardò con il viso reclinato di un lato e sollevò la tazza di the, come a volerle dedicare il brindisi. “Buon lavoro”.
Morgana tornò a guardarmi e mi si rivolse in tono addolcito nel parlarmi nuovamente in italiano. “Chiamami sei hai bisogno e, ricordati, dieci minuti”.
Annuii e le mandai un bacio. “A dopo, buon lavoro”.
 
Morgana si chiuse la porta alle spalle e lasciò dietro di sé un pesante silenzio. Se non altro era stato divertente vederli interagire e rendersi conto che persino Tom era sembrato in difficoltà.
“Siete sempre così ospitali o dovrei considerarmi fortunato?”, domandò dopo qualche istante con voce serafica. Non sembrava offeso, ma quasi lusingato.
Mi strinsi nelle spalle. “Hai finito?”, gli domandai, controllando l’ora sul display del cellulare.
“A quanto pare, hai parlato a lungo di me alla tua amica”, commentò dopo qualche istante di silenzio. La sua voce era nuovamente beffarda. “Deve essere molto preoccupata a lasciarci soli soletti”.
Sollevai gli occhi al cielo e, dopo averne bevuto un sorso, mi sporsi per appoggiare la tazza sul piattino e gli rivolsi uno sguardo schifato. “Hai ragione, non avrei dovuto. Avrebbe capito da sola quanto sei stronzo”.
“Non avevamo detto che dovevamo fare una tregua?”. Mi domandò con il sopracciglio inarcato per quell’epiteto.
“Sei tu a renderlo difficile”, precisai con uno scrollo di spalle.
Tom ridacchiò e mi guardò di sbieco con quel sorrisetto soddisfatto di sé. “Sembra che tu sia spesso in difficoltà in mia presenza, effettivamente”.
Sbuffai apertamente. Non solo era fastidioso ma stava diventando anche petulante e ripetitivo. “Ancora con questa storia, seriamente? Non devo averti schiaffeggiato abbastanza forte ieri sera”.
Sorrise al riferimento. “Tutt’altro, è stato molto passionale e drammatico al punto giusto”. Sembrò rifletterci qualche secondo, salvo poi scoccarmi un’occhiata beffarda, reclinando il viso di un lato. “La cosa realmente divertente è che alla fine dovrai davvero baciarmi”.
Storsi le labbra in una smorfia. “Si chiama recitazione”, imitai nuovamente la sua voce annoiata.
Sorrise persino più suadente e lo sguardo perlato baluginò di nuovo. “Sai perfettamente che per te non sarà davvero così”.
“Ammetto di avere un senso del pudore sopra la media”, replicai in tono annoiato, scrollando le spalle. L’idea di baciarlo ancora mi procurava un forte senso di disagio e al contempo mi sentivo schifata all’idea che avrei dovuto sprecare in quel modo il mio primo bacio, donandolo a qualcuno di simile. E per uno spettacolo.
“Credo di piacerti”, replicò e questa volta fu la semplicità e la compostezza con cui lo disse a lasciarmi senza fiato. “Contro la tua razionalità, il tuo senso del pudore sopra la media e nonostante la tua relazione. Ti rifiuti di accettarlo e lo capisco, deve essere frustrante”, mormorò con quell’intonazione piuttosto compiaciuta di sé.
“Riesco a stento a sopportare la tua compagnia per due minuti, pensi davvero che provi attrazione per te?”, ribattei senza neppure nascondere quanto le sue parole mi sembrassero vaneggiamenti di un megalomane.
“Non razionalmente, ma i tuoi occhi non mentono”, rispose in tono del tutto composto, guardandomi intensamente.
Sentii le guance bollire e mi affrettai a distogliere lo sguardo, anche se ciò sarebbe stato letto come un segno d’insicurezza. M’impedii di riflettere sulle parole di Morgana e su quelle di Amy o di ripensare alla reale sensazione delle sue labbra durante il sogno di quella notte.
Scossi il capo. “Smettila di dirlo. Sei fuori luogo e se davvero vuoi che facciamo una tregua, non puoi dirmi cose del genere”, gli feci presente in tono ragionevole.
“Perché?”, mi domandò confuso. “Per creare un rapporto di reciproco rispetto, non dovremmo essere sinceri?”.
Per quanto seccante e fastidioso, ero più che avvezza a reagire al suo sarcasmo, alla sua tracotanza e all’eccessiva sicurezza di sé. Quindi mi spiazzava ogni volta che sembrava rivolgermi una domanda con sincera confusione o che, semplicemente, cercava di parlarmi come una persona ragionevole.
“Lo pensi sinceramente?”. Domandai.
Mi guardò negli occhi e non ci fu bisogno di pronunciare altra parola.
“Beh ti sbagli”, gli feci presente ma odiai quel tono stridulo che mi uscì dalla bocca.
Tom sospirò e sembrò che anche lui fosse stanco di ripetere quel solito schema d’interazioni in cui lui mi provocava, io mi arrabbiavo e non giungevamo mai alla fine di una conversazione. “Non voglio turbarti o renderlo più difficile di quanto non sia, ma alla fine dovremmo parlarne, soprattutto per le scene romantiche a cui dovremo lavorare insieme”.
Mi morsi il labbro, mio malgrado colpita da come sembrasse lui la persona razionale e pragmatica in quel momento. “Quindi quale sarebbe il tuo suggerimento?”.
“Baciamoci”.
Sbattei le palpebre per qualche istante e sentii il cuore scalpitare più intensamente e rimbombarmi nei timpani. “Scusami?”, domandai incredula.
Il ragazzo mi guardò seriamente, le sopracciglia inarcate. “Dovremo farlo prima o poi e affinché questo non ti metta in imbarazzo o non ti crei disagio, credo dovremmo smetterla di girarci intorno e provare. Alla fine ti sarà così naturale che non ci penserai più e potrai concentrarti sul copione e su Elisabeth. Capisco che non sia facile per chi è estraneo a questo ambiente, ma superato il disagio iniziale, sarà tutto più semplice”.
Non potei fare a meno di guardarlo con espressione atterrita. Parlava in quel modo da un punto di vista meramente professionale, oppure era quel tipo di persona che non desse minimamente valore a un gesto così intimo e importante? Forse aveva dato il suo primo bacio in modo superficiale, quando era solo un ragazzino e incapace di attribuirgli valore, senza preoccuparsi di cercare la persona giusta?
Nelle sue parole poteva anche esserci qualcosa di vero, ma non potevo dirgli che quello sarebbe stato il mio primo bacio e non volevo che avvenisse così. Non che contassi di avere un appuntamento da lì allo spettacolo e di baciare qualcun altro, ma era impensabile che collegassi il mio primo bacio a quella mattinata e a una persona come Tom.
“Perché sei turbata? E’ per il tuo ragazzo?”.
Mi sentii ancora più mortificata all’idea che non potessi andarmene liberamente con quelle stupide stampelle e che avesse assistito al filo dei miei pensieri.
Scossi il capo. Non ero in grado di affrontare quella conversazione, non dopo quella mattinata inverosimile. “Vorrei che andassi via, per favore”.
Si sporse in mia direzione e mi cinse delicatamente il mento, affinché lo guardassi. Appariva visibilmente serio e sembrava preoccupato. “Dobbiamo parlarne o sarà tutto ancora più difficile”.
“Non adesso”, mormorai con voce strozzata. “E’ stata una mattinata orribile se non te ne fossi accorto e l’ultima cosa di cui ho bisogno in questo momento è un bacio da te”.
“Love credimi, ti cambierei la giornata”, commentò ma con voce così ironica che riuscì persino a strapparmi un sorriso perché avevo intuito che non volesse provocarmi o giocare in quel momento. “Sono serio: se vogliamo davvero che questa collaborazione funzioni, dobbiamo impegnarci anche in questo”.
Sospirai ma non ne fuggii lo sguardo e annuii.
“Bene”, asserì e mi rivolse un sorriso più complice. “Quando non diventi nevrotica, sei quasi ragionevole. Forse dovresti procurarti un’altra distorsione”.
“Molto divertente”.
Tom sorrise e mi scostò un ciuffo di capelli dal viso. Lo ripose dietro l’orecchio con una delicatezza che mi sorprese: il tocco era deciso ma non arrogante, caloroso e morbido e mio malgrado mi ritrovai a specchiarmi nel suo sguardo. Improvvisamente sembrava tutto essersi dissolto: la caviglia pulsante, le familiari pareti dell’appartamento e quel turbinio di emozioni provate fino a quel momento, dall’ostilità che provavo solitamente nei suoi confronti, fino a quegli ultimi minuti nei quali avevamo stabilito una sintonia senza precedenti.
“Dovresti allontanarmi, o potrei pensare che vuoi essere davvero baciata”, mormorò con quello stesso alone scherzoso nello sguardo.
Mi scoprii incapace di rispondere ma il mio battito era accelerato improvvisamente e un brivido mi era scivolato lungo la spina dorsale. Sembrammo congelati in un lunghissimo attimo di sospensione, prima che il cellulare vibrasse al mio fianco, facendomi trasalire. Scorsi il nome di Morgana sul display e mi affrettai a rispondere.
“Se n’è andato?”, domandò la mia amica senza preamboli.
Tom aveva finito di sorseggiare la sua tazza di the e si era rimesso in piedi, insinuando nuovamente il cappotto.
“Lo sta facendo adesso”, risposi in un sussurro, seppur il ragazzo non potesse capire le mie parole.
“Hai la voce strana”, osservò Morgana in tono sospettoso. “Devo tornare lì e cacciarlo di persona?”.
“No, no, tranquilla”, mi affrettai a replicare. “Va tutto bene, davvero”, mi sforzai di tornare a parlare in tono più composto.  
La mia amica annuì. “Ci sentiamo dopo, sto entrando. Chiamami se hai bisogno”.
La congedai e sollevai lo sguardo per incontrare quello di Tom. Aveva affondato le mani nelle tasche dei pantaloni, dopo aver controllato il suo cellulare. “Devo andare”.
Annuii meccanicamente ma con un reale sollievo perché avevo bisogno di restare sola e di metabolizzare ciò che era accaduto quel giorno. E non accaduto.
Rivolse uno sguardo alla mia gamba sollevata e reclinò il viso di un lato con un sorrisetto divertito. “Conosco la strada”.
“Grazie di avermi accompagnato”, mormorai per risposta. Forse avrei dovuto anche ringraziarlo perché in quell’ultima mezzora si era realmente impegnato a comportarsi in modo diverso.
“A presto”, mormorò con un ultimo cenno del mento e si chiuse la porta alle spalle.
Sospirai quando fui avvolta dal silenzio del soggiorno.
Se non altro ancora una volta il Professor Silente si dimostrò un uomo molto dolce e gentile, premuroso quasi come un nonno. Mi ascoltò con attenzione e si disse sinceramente dispiaciuto per il mio infortunio. Mise presto a tacere le mie scuse e mi tranquillizzò, dicendomi che due settimane non avrebbero compromesso l’eccelso lavoro di Lupin e degli altri attori. Mi promise che avrebbe parlato con il docente di persona e si raccomandò con calore affinché non trasgredissi le indicazioni mediche. Non potei che sorridere e il senso di colpa che mi aveva stretto lo stomaco dal colloquio con Riddle si attenuò notevolmente. Evidentemente chi è stato attore in passato, non poteva fare a meno di serbare una certa deferenza per il mestiere con le annesse preoccupazioni per i tempi di preparazione di uno spettacolo.
Mossi cautamente la gamba per appoggiarla sul bracciolo del lato opposto del divano e mi distesi completamente. Attendevo disperatamente la fine di quella lunga e turbolenta giornata.
 
~
 
“Allora, che ne dici di questo?” .
Sollevai lo sguardo dal mio libro per guardare Morgana. Era ancora avvolta nel suo accappatoio di spugna e aveva i capelli umidi per la doccia recente. Teneva in mano una gruccia cui era appeso un abitino delizioso, uno dei suoi più recenti acquisti presso il negozio di Miss Fox. L’abito era nero, in tinta unita, molto semplice ma elegante al contempo e ne avrebbe messo in risalto la carnagione chiara, in perfetto contrasto coi capelli scuri. Il vestito aveva una scollatura a v e si stringeva in vita per poi aprirsi in una gonna lunga fino al ginocchio. Ai piedi avrebbe indossato delle décolleté abbinate. Non avevo dubbi che, anche in quell’occasione, sarebbe stata sofisticata e bellissima.
“Semplicemente perfetto”, convenni con un sorriso. “Sarai un incanto, anche senza bisogno di sortilegi”, soggiunsi con quel proverbiale riferimento alle origini del suo nome.
Morgana ridacchiò e annuì tra sé e sé, accostandoselo addosso, salvo controllare l’orologio. “Devo sbrigarmi o farò tardi”.
Era infine giunto il Sabato sera che Sean e io avevamo organizzato con tanta premura e tra circa una mezzora la mia amica si sarebbe unita all’allegra compagnia. Mi dispiaceva non poco l’idea che, dopo tanti affanni e premure, non potessi prendere parte a quella serata, ma mi ero consolata al pensiero che ci sarebbero state altre occasioni. Non erano mancate le remore di Morgana e di Amy e dello stesso Sean, ma l’idea di trascorrere la serata con le stampelle mi aveva tolto ogni entusiasmo. Senza contare che non sarebbe stato giusto guastare loro i piani, se avessero deciso di andare in discoteca o di concedersi una passeggiata. Dapprima Morgana aveva cercato di convincermi a posticipare il tutto, ma avevo insistito e non dubitavo che, con la sua personalità estroversa, sarebbe riuscita in breve tempo a sciogliere il ghiaccio e a farsi nuovi amici. Non aveva mai avuto bisogno di me per questo. Amy era sembrata più preoccupata: contava sulla mia presenza poiché ero stata l’anello di raccordo tra lei e Daniel, ma per fortuna ci sarebbe stata la sua amica Luna. Inoltre non avevo dubbi che l’atmosfera sarebbe stata resa ancora più piacevole dalla chiassosa presenza dei gemelli Phelps. C’erano tutti gli ingredienti perché la tavolata potesse trascorrere una bellissima serata in allegria e spensieratezza.
Mi riscossi al suono del cellulare e sorrisi nel leggere il nome di Amy sul display. Sembrava quasi che avesse percepito i miei pensieri nei suoi confronti. “Pronta per la grande serata?”. Domandai con tono allegro cui rispose con voce più acuta del consueto, tra la trepidazione e la preoccupazione all’idea di rivedere Daniel da lì a poco. Ancora una volta mi espresse il suo rammarico alla mia assenza.
“Mi sarebbe piaciuto molto, ma non a queste condizioni”, risposi con un breve sospiro, osservando la gamba che tenevo ancora sollevata per non sentire troppo dolore. “Ci saranno altre serate”.
Annuì per risposta. “Anche perché avevo in serbo una sorpresina per te”, aggiunse in tono più furbo che mi fece sgranare gli occhi.
“Una sorpresa?”, domandai vagamente confusa.
“Niente serata, niente sorpresa”, commentò in tono dispettoso.
“Allora dovrò accelerare la guarigione”, risposi in un pigolio, sperando di poterla convincere a lasciarmi almeno un indizio. Ovviamente fu tutto vano, ma promise che l’avrei ringraziata a dovere quando mi avrebbe svelato il tutto.
“Come va al pub, tutto bene?”. Le chiesi realmente incuriosita.
“Ti salutano tutti, a parte Percy e Zacharias, ma loro non fanno testo”, commentò con calore. “Il povero Neville non è proprio a suo agio a consegnare le paste al posto tuo”, soggiunse e non potei che sentirmi ulteriormente in colpa all’idea che quell’incombenza fosse stata scaricata proprio a lui. Non osavo immaginare come il custode approfittasse della sua timidezza e della sua natura timorosa e insicura. Anche se onestamente era un vantaggio che mi rendeva quelle ferie forzate particolarmente gradite, potendo dormire più a lungo. Sapevo che al mio ritorno avrei dovuto fare molti favori ai miei colleghi, compresi i cambi di turno più sgraditi per farmi perdonare.
“Perché non vieni a trovarmi uno di questi giorni, così mi racconti anche di questa serata?”.
“Volentieri, ma adesso devo andare: mancano venti minuti e Luna mi sta facendo segno di tagliar corto”, aggiunse con una risatina.
“D’accordo, allora. Passate entrambe una buona serata e buona fortuna!”.
Mi congedai con un ultimo saluto e abbandonai il cellulare sul cuscino con un vago sospiro. Solitamente non disdegnavo trascorrere il Sabato sera a casa e diverse volte, anche in Italia, inducevo Morgana a uscire con altre amiche per andare a ballare. Ma questa volta avrei davvero voluto partecipare ed essere parte di quella compagnia. Non erano mancate anche occasioni in cui Morgana aveva cercato di farmi conoscere qualcuno, soprattutto dopo il fiasco con Matteo, ma avevo sempre rifiutato. Oltre alla mia natura più introversa, vi era un altro fattore che cercavo di non farle pesare. Adoravo Morgana ed era quasi come una sorella, ma era una ragazza incredibilmente bella. Non lo dicevo con invidia perché era un semplice dato di fatto e qualsiasi ragazzo non poteva che trovarmi ordinaria e banale al confronto. Pretendere che fosse lei a presentarmi qualcuno, era un po’ come farsi un’autorete e poi lamentarsi della sconfitta. Morgana non sembrava rendersene conto. Non che non fosse consapevole della sua bellezza, ma sembrava darla per scontato e ribatteva sempre che ero una ragazza eccezionale e chiunque sarebbe stato fortunato ad avermi nella sua vita. Inoltre era sempre pronta a difendermi e parlare in modo più che lusinghiero di me in mia assenza. Era innegabile che, soprattutto a prima vista, l’impatto maggiore fosse quello del proprio aspetto fisico. E al suo confronto mi sarei sempre sentita il brutto anatroccolo, anche se non lo dicevo mai apertamente per non ferirla. 
Mi riscossi quando uscì dal bagno, lasciando dietro di sé una scia del suo profumo preferito. Non potei fare a meno di sorriderle e di simulare un fischio maschile di gradimento. “Come avevo previsto: sei bellissima”, le dissi sinceramente.
Mi sorrise con autentico compiacimento che le fece baluginare lo sguardo, mentre si passava una mano tra i capelli lunghi e ondulati, appoggiandoli tutti su una spalla. Indossò il soprabito e insinuò il cellulare nella pochette. Mi rivolse un ultimo sguardo e sospirò. “Sei sicura che non sia un problema restare da sola? Posso sempre annullare così ti faccio compagnia e ci guardiamo un film”, mi propose con lo sguardo addolcito.
Dovevo ammettere che l’idea era piuttosto allettante e sapevo che non me lo avrebbe mai rinfacciato, ma non volevo farle perdere questa occasione. Inoltre era una delle poche persone che Amy già conoscesse e che avrebbe potuto aiutarla a rilassarsi, quindi scossi il capo. “Più che sicura: mi conosci e sai quanto mi piaccia stare del tempo da sola. Ne approfitterò per continuare il libro”, allusi al romanzo di una coppia russa, ambientato durante la seconda guerra mondiale. Nelle ultime settimane mi rammaricavo spesso di aver poco tempo da dedicare alla lettura, ma mi ero ripromessa che lo avrei ultimato nel più breve tempo possibile.
“Chiamami se hai bisogno, promesso?”, domandò.
Sorrisi e annuii. “Promesso e adesso sparisci: Sean starà già aspettando fuori”.
Il pensiero la fece sorridere più dolcemente, ma mi rivolse un breve ammiccamento e attraversò il soggiorno per uscire.
Assaggiai il silenzio per qualche istante, ma alla fine scossi il capo e tornai alla lettura del capitolo in cui i due sventurati amanti dovevano dirsi momentaneamente addio per l’imminente partenza del protagonista. Erano passati appena dieci minuti dalla partenza di Morgana, quando sentii un languorino. Mi sollevai dal divano e presi le stampelle per dirigermi in cucina. Stavo ancora pensando a cosa avrei potuto cucinarmi con gli ingredienti a disposizione, ma mi riscossi quando sentii bussare alla porta.
“Fammi indovinare, hai dimenticato le chiavi?”, domandai nella mia lingua madre. Una fortuna che mi trovassi già vicino all’ingresso e schiusi l’uscio.
Sgranai gli occhi e schiusi le labbra.
Tom era di fronte a me con il suo sorrisino irriverente. Mi aveva rivolto un cenno del mento ma aveva inarcato le sopracciglia e lo sguardo perlato mi aveva passato in rassegna. Non avendo in programma di uscire, avevo indossato un pigiama felpato in tinta blu, formato da giacca e pantaloni, con sopra disegnati degli stupidi orsetti. Indossavo gli occhiali da vista, avevo legato i capelli in due trecce alla Pollyanna e, come ciliegina sulla torta per quell’outfit casalingo, indossavo ai piedi un paio di ridicole ma confortevoli pantofole con sembianze canine e dalle lunghe orecchie.
Sentii le guance ardere e feci l’unica cosa sensata in quel frangente: gli chiusi la porta in faccia.
Mi appoggiai alla superficie dell’uscio con il cuore in gola.
Che cosa diavolo ci fa qui?!
“Ehy, Gambadilegno. Che ne diresti di lasciarmi entrare?”.

 
To be continued...
19 Novembre 2018
Salve a tutti.
In questo capitolo, oltre all'eliminazione del dialogo con Ice, ho apportato dei cambiamenti nel dialogo tra Sara e Tom fuori e dentro l'appartamento.   L'intreccio generale non cambia particolarmente, ma volevo dare più spessore a quelle conversazioni per evidenziare che, in un modo un po' faticoso e contorto, si stanno avvicinando :) Inoltre ho aggiunto il dialogo tra Sara e il suo datore di lavoro al pub per rendere quest'ultimo più coerente con le modifiche apportate fino a questo momento :)
Vi auguro una buona settimana,
Kiki87
 
 
 
[1] Per ascoltare il brano che ho citato a inizio capitolo cliccate qui. 
[2] Sinceramente? :D Non ho potuto resistere! Non potevo citare “Harry Potter” per il semplice fatto che alcuni personaggi hanno il nome degli alter ego magici, ma mi sembrava un’idea carina :D
[3] Nei giardini delle ville vittoriane non mancavano fontane e statue decorative che potevano rappresentare eroi della letteratura greca o personaggi di fantasia.
[4] Nell’epoca in cui la storia è ambientata, non c’era ancora stato il referendum del Brexit, quindi Sara potrebbe avvalersi della tessera sanitaria che è nota anche come Tessera Europea di Assicurazione Malattia (TEAM) in virtù della quale riceverebbe prestazioni sanitarie gratuite in quanto residente di un paese dell’Unione Europea :)
[5] Data la revisione della fanfiction ho pensato di dare al personaggio del dottore un volto noto e anch’esso proveniente dal mondo di Merlin. Si tratta dell’attore che ha interpretato Gaius, il medico e consigliere alla corte del Principe Arthur.
[6] Si tratta di un nomignolo che è usato in Gran Bretagna in modo confidenziale non soltanto tra innamorati, ma anche tra  persone che hanno una conoscenza più superficiale o persino un barista che si rivolge a un cliente per chiedergli l’ordinazione. In Scozia è più diffuso “Hen” ma ho descritto Tom come un inglese d’hoc ragione per cui ho optato per questo nomignolo che ho lasciato in lingua originale per rendere meglio l’idea di questo suo atteggiamento flirtante e perché suona decisamente meglio del nostro “tesoro/amore/cara”. Se siete curiosi sull’argomento, ho trovato queste informazioni qui
[7] Uno dei protagonisti della serie tv: “The Vampire Diaires” interpretato da Ian Somerhalder.
[8] La protagonista della suddetta serie tv, interpretata da Nina Dobrev. Spero che eventuali fan di Elena o della Delena non me ne vogliano troppo per questo mio personalissimo giudizio J

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


7
 
Lavoravi come cameriera in un bar
quando ti ho conosciuta.
Ti ho scelta,
ti ho sconvolta e ti ho cambiata.
 
Sai che non riesco a crederci
quando dici che non vuoi vedermi.
Sai che non ti credo
quando dici che non hai bisogno di me.
 
E' troppo tardi per scoprire
che pensi di aver cambiato idea.
Farai meglio a ricambiarla di nuovo
o ce ne pentiremo entrambi.
Don't You Want me - Human League.[1]
 
 
I tonfi alla porta sembravano sincronizzati con il mio battito cardiaco. La mia mente era diventata uno scorrere frenetico di pensieri.
“Lo so che sei lì dentro”, mi disse Tom in tono tranquillo e vagamente divertito. Riuscivo a immaginare, con fin troppa dovizia di dettagli, la sua postura: un braccio appoggiato indolentemente sullo stipite della porta, il corpo lievemente proteso in avanti e il sorrisetto beffardo a incresparne le labbra.
M’irrigidii e non potei fare a meno di sentirmi presa in giro dal destino. Avevo organizzato quella serata perché fosse un’allegra cena tra amici e per dimenticare le preoccupazioni e lo stress accumulati durante la settimana. Non solo ero stata privata della possibilità di prendervi parte per quel malaugurato incidente, ma quel microcefalo, che avrebbe dovuto trovarsi a Londra, era lì, a venti centimetri da me. Per quale motivo non era partito? E perché, soprattutto, aveva deciso di venire da me?!
Mi riscossi quando Tom sbuffò e bussò nuovamente. “Sei diventata anche sorda?”, mi domandò in tono vagamente annoiato.
“Che diavolo vuoi?”. Gli domandai in tono risentito.
“Entrare?”. Mi rispose ironicamente.
Non potei fare a meno di rimproverarmi ulteriormente per ciò che era accaduto pochi giorni fa, quando gli avevo persino offerto una tazza di the. Anche se ancora non mi fidavo completamente di lui, avevo avuto l’impressione che tra noi si fosse stabilita una tregua. Ma ero stata chiara sul fatto che non volevo che si presentasse senza invito e che il nostro rapporto sarebbe stato esclusivamente professionale. Soprattutto alla luce di quanto era quasi accaduto in quell’occasione. Non lo avevo raccontato a nessuno e mi ero quasi convinta di aver travisato completamente la situazione. Forse ero davvero una povera ingenua. Mi incupii maggiormente, ma strinsi le braccia al petto e mi scostai dalla porta. Dubitavo che sarebbe stato in grado di sfondare l’uscio. Senza contare che a quel punto avrei avuto tutte le ragioni per chiamare il portinaio o le forze dell’ordine. “Spiacente, non posso aiutarti. Buona serata”.
Lo sentii sospirare. “Capisco che tu abbia un rapporto difficile con le porte d’ingresso...”.
Mi sentii avvampare mentre faceva riferimento al modo in cui ci eravamo conosciuti.
“Ma non è così difficile: si apre, si saluta, si sorride e si lascia entrare l’ospite con tanto di riguardi”, m’illustrò come se non conoscessi le benché minime convenzioni sociali.
Sospirai ma cercai di parlare in tono ragionevole e determinato. “Nessuno ti ha invitato ed ero stata chiara al riguardo”.
Lo sentii ridacchiare, prima che si rivolgesse a qualcun altro, usando il suo tono più flautato: “Deve essersi offesa perché non le ho portato i fiori”, spiegò in tono complice a qualche studentessa che stava passando nel corridoio. “Non costringermi a inventare una scusa credibile con il portinaio: sai che ne sarei capace”.
“Sparisci subito o chiamerò la polizia per dirgli che c’è un maniaco fuori dalla mia porta!”. Lo minacciai con risoluzione, affinché non avesse dubbi sul fatto che ne sarei stata realmente capace.
A mali estremi…
Si lasciò sfuggire un’altra risatina divertita. “Beh, devo ammetterlo: quelle pantofole sono dannatamente sexy e se tu aprissi nuovamente la porta, sarebbe difficile non cadere in tentazione”. Il tono si era ammorbidito in una nota più maliziosa che di solito si accompagnava al baluginio delle iridi e al suo sorriso più irriverente.
Non potei fare a meno di arrossire al pensiero di come avessi aperto la porta impulsivamente, senza neppure accertarmi che si trattasse effettivamente di Morgana. E senza prima essermi data una parvenza presentabile.
“Se quello è il tuo look casalingo, mi sorprende non ci sia la fila per entrare…”.
Osservai la stampella. Forse non sarebbe stato lui ad assecondare una tentazione.
Lasciando che continuasse a parlare da solo, mi diressi rapidamente in camera per cambiarmi e indossare un paio di jeans comodi e un maglioncino. Mi premunii anche di indossare le lenti a contatto e di legare i capelli in una treccia. Se non avessi avuto l’impedimento della caviglia ancora dolorante, sarei stata più rapida, ma dovevo ammettere che una parte di me sperava che quel cretino nel frattempo se ne fosse andato. Imprecai mentalmente nel rendermi conto che, invece, aveva ripreso a bussare. Un tonfo ogni dieci secondi. Lo conoscevo ormai abbastanza da sapere che non si sarebbe fermato fino a quando non lo avessi affrontato o mi fossi rivolta alle forze dell’ordine. Avrei anche optato per la seconda possibilità ma non volevo rischiare complicazioni. Senza contare che, negli ultimi tempi, la sfortuna sembrava essermi fin troppo fedele. Senza pronunciare parola, schiusi l’uscio e lo trovai seduto sullo zerbino. Si voltò lentamente e mi rivolse un sorrisetto impertinente. Si rialzò e si scrollò i vestiti con gesti enfatici e pomposi. Mi squadrò e si soffermò sulle pantofole con un sorrisetto. “Temevo che non risparmiassi l’accessorio osé del tuo guardaroba”, mi fece presente e ammiccò.
Sollevai gli occhi al cielo e gli rivolsi uno sguardo insofferente. "Ho aperto la porta solo per poterti dire in faccia quanto sei idiota”, gli sorrisi con aria serafica ma sembrò ignorarmi. “Non che m’importi, ma avrei immaginato che tu avessi un modo migliore di passare il sabato… ma che stai facendo?!". Interruppi la mia filippica. Tom stava cercando di guardare nell’appartamento alle mie spalle, sollevandosi sulle punte.
"Sei sola". Constatò in tono vagamente sorpreso. Forse non si ricordava della serata che avevamo organizzato Sean ed io.
Non potei fare a meno di chiedermi se non si fosse aspettato di rivedere Morgana perché aveva fatto su di lui più effetto di quanto avessi considerato. Non che la cosa sarebbe stata sorprendente. Anzi, quasi mi dispiaceva che non fosse arrivato prima perché fosse la mia amica a occuparsene. “Tu, piuttosto, in questo momento non dovresti trovarti di fronte al Tamigi? O preferibilmente affogarci dentro?”.
Sorrise alla battuta. “Sei sempre così cordiale”, rispose in tono ironico per poi stringersi nelle spalle e affondare le mani delle tasche dei jeans. “Cambio di programma”.
“Ma tu guarda che coincidenza fortuita”, replicai in tono sarcastico. Incrociai le braccia al petto e gli rivolsi uno sguardo schifato.
Tom sorrise con espressione compiaciuta, allungando il braccio sopra le nostre teste e inclinando il viso di un lato. “Se stai insinuando che sia qui per intenti poco cavallereschi…”. Aveva lasciato volutamente la frase in sospeso e si era umettato le labbra. “Dovresti farmi entrare per confermare o meno questi sospetti”, concluse in un sussurro.
Gli rivolsi uno sguardo schifato: “Non ho alcuna intenzione di lasciarti entrare, quindi dimmi subito cosa vuoi o vattene”.
Si guardò attorno con espressione circospetta, prima di rivolgermi un sorrisetto complice. “Non pensavo che tu fossi tanto spudorata, ma quand’è così”, aveva fatto per avvicinarsi nuovamente con espressione più maliziosa, ma avevo frapposto la stampella tra noi.
“Buona serata, Tom”. Non attesi risposta e gli chiusi nuovamente la porta in faccia, maledicendolo per avermi rovinato l’umore. Imprecai quando riprese a bussare.
“Tanto lo sai che non me ne andrò”.
“Allora chiamerò la sicurezza!”, lo minacciai a voce più alta.
“Lo sappiamo entrambi che lo avresti già fatto se non temessi ripercussioni per te e per la tua amica. Non che mi dispiacerebbe darvi asilo in caso di bisogno, dall’alto della mia generosità”.
“Perversione vorrai dire”, ribattei in tono schifato.
“Dai, love, apri la porta, devo mostrarti le modifiche del copione proposte da Lupin. Come ha sottolineato Piton, siamo piuttosto indietro e i tempi sono stretti. Molto stretti”.
Aggrottai le sopracciglia, domandandomi se non si trattasse dell’ennesima scusa che aveva architettato, volendo puntare sul mio spiccato senso del dovere. Mi sporsi verso lo spioncino e notai che effettivamente aveva estratto il copione dalla borsa che portava a tracollo. Superfluo dire che, considerando che sarei stata assente anche la settimana successiva, avrebbe potuto tranquillamente farmelo avere attraverso Sean. O comunque presentarsi durante la settimana e a un orario più opportuno. Dopo avermi chiesto il permesso, ben inteso.
“Puoi lasciare il copione sullo zerbino: te lo faro restituire da Sean”.
Lo senti sbuffare. “Devo mostrarti le modifiche di persona e non mi sembra che tu abbia qualcosa di meglio da fare”, sottolineò con intonazione più ironica.
Schiusi l’uscio e lo fissai con espressione sospettosa e le braccia incrociate al petto: “E tu passeresti volontariamente il Sabato sera con me per lavorare allo spettacolo?”, gli domandai esplicitamente.
Inclinò il viso di un lato e sorrise. “Stenti a credere nella tua fortuna, vero?”. Il sorriso lasciò lo spazio a un’espressione più composta e seria. “Allora mi lasci entrare, per favore?”. Enfatizzò quella richiesta con la sua espressione più innocente.
Sospirai stancamente. Non potevo negare che fosse un motivo valido. Inoltre non potevo ignorare il mio senso di colpa all’idea che le prove dello spettacolo fossero condizionate dalla mia assenza. Se non altro il Preside, anche in quell’occasione, si era dimostrato molto accomodante e comprensivo, soprattutto dopo averlo rassicurato circa la consegna delle paste a carico di un mio collega.
Non dissi nulla ma mi spostai di lato e Tom, con un sorrisetto piuttosto compiaciuto, mi passò accanto e si chiuse la porta alle spalle.
“Togliti quel sorrisetto dalla faccia”, gli intimai e gli strappai il copione dalle mani, facendogli cenno verso il divano. Non se lo fece ripetere due volte: sembrava fin troppo a suo agio a dirla tutta. Appoggiò il cappotto sull’attaccapanni e si accomodò sulla poltrona con le gambe accavallate.
Tornai a sedermi e allungai la gamba verso la pila di cuscini sul tavolino da caffè. Sfogliai le pagine con un vago sospiro, notando che alcune erano state appena riviste, altre invece erano state pesantemente ritoccate con una penna rossa e persino con post-it per aggiungere nuove battute o la descrizione di gesti che avrebbero dovuto accompagnare le parole. Non vedevo qualcosa di così spaventoso dai tempi delle correzioni del mio relatore alla tesi magistrale. Mi sembrava ancora di sentire la sua voce mentre pronunciavi frasi simili a: “Come vede, ho fatto qualche cambiamento”. Peccato che quelle parole significassero dover riformulare in toto un paragrafo, aggiungere almeno un paio di note a piè di pagina o persino procurarsi qualche altro libro per arricchire la bibliografia.
“Una bella seccatura”, commentò Tom che sembrò leggermi il pensiero.
Scrollai le spalle, non volendo certamente assecondarlo o parlare male di Lupin in sua presenza. Per quello c’erano Twitter e le mie amiche che avrebbero assecondato i miei sfoghi. “Quali sono le scene che dovresti spiegarmi di persona?”, gli domandai, porgendogli nuovamente il copione.
Tom ignorò la mia mano protesa e sorrise. “La notte è lunga. Perché piuttosto non zoppichi gentilmente in cucina per prendere qualcosa da mangiare?”.
Mi sentii fremere di rabbia e di sdegno all’idea che mi stesse trattando come la sua cameriera personale. In casa mia. “Non sono ai tuoi ordini e non ho alcuna intenzione di cucinare per te. Se vuoi mostrarmi le modifiche bene, altrimenti puoi tornartene a casa e chiederò personalmente a Lupin quando tornerò in Accademia”.
Tom emise un sospiro. “Non sai proprio come divertirti, vero? Bene, dimmi dove tieni le scorte di cibo e ci penserò da solo”.
“Ti ho detto chiaramente che ti ho permesso di entrare per lavorare allo spettacolo!”, ribattei a voce più alta, gesticolando più furiosamente. “Quindi dimmi quello che devi dire oppure vattene!”, gli indicai la porta.
Tom sospirò con aria paziente e sollevò le mani. “Va bene, niente cibo”.
“Bene”, borbottai per risposta. Ero piuttosto sorpresa dal fatto che si fosse così facilmente arreso. Presi di nuovo il copione e qualche foglio bianco che avrei usato per trascrivere delle annotazioni.
“Buonasera, consegnate pizze a domicilio, vero?”.
Sgranai gli occhi e lo guardai incredula.
“Vorrei ordinarne due, per cortesia. Una con wurstel e patatine e l’altra… come la vuoi?”, mi domandò a voce più bassa.
Chiusi gli occhi e contai mentalmente fino a dieci per non costringermi a lanciargli addosso la stampella. “Fuori-da-casa-mia”, sibilai, dopo avergli rivolto uno sguardo colmo d’odio, quasi sperando che fosse sufficiente a incenerirlo fisicamente.
Tom non si scompose ma scrollò le spalle. “Scelgo io”, rispose in tono pragmatico e riprese a parlare con il suo interlocutore. “L’altra margherita e porti anche due birre”. Fornì il mio indirizzo con tanto di numero dell’interno e terminò la telefonata.
“La cena sta per arrivare”, mi disse con un sorrisetto affettato come se le parti si fossero invertite e fosse lui a dover accogliere la sottoscritta e intrattenerla.
"Quale parte di fuori esattamente non rientra nel tuo vocabolario?". Gli domandai spazientita.
“Non possiamo lavorare allo spettacolo a stomaco vuoto”, ribatté con uno scrollo di spalle e allungò la mano verso il divano per prendere il telecomando della tv.
Lo guardai di sbieco e allungai la stampella per spegnere il televisore dal pulsante di accensione.
Tom si strinse nelle spalle. “D’accordo, niente tv. Raccontami della tua giornata”, mi esortò con un sorrisetto irriverente. Si puntellò con il gomito sul bracciolo della poltroncina e mi guardò con il volto reclinato di un lato.
“Non ho voglia di chiacchierare. Quindi puoi anche uscire e aspettare il fattorino in corridoio”, gli dissi senza neppure guardarlo, riprendendo a sfogliare il copione.
Tom sospirò, ma si rimise in piedi. Attesi di sentirne i passi verso l’ingresso ma fu con le sopracciglia inarcate che sentii il divano abbassarsi ulteriormente quando prese posto al mio fianco. “Hai pensato alla nostra conversazione sulla recita?”, mi domandò dopo qualche istante di silenzio.
Sollevai lo sguardo dal copione con espressione insofferente. Non sopportavo le persone insistenti. “Ti ho già detto che non ho voglia di parlare e tanto meno di avere ospiti per la serata”.
Aggrottò leggermente le sopracciglia. “Mi sembrava di averti fatto capire che sono piuttosto serio su questo argomento ma mi sembra che tu continui a tergiversare”.
Sbuffai apertamente, abbandonando la mia lettura e volgendomi in sua direzione. “No, Tom, non parleremo di questo argomento perché, se ancora non l’hai capito, le persone non agiscono così nel mondo civile. Le persone chiedono in tempo utile di poter venire a fare visita e si assicurano di non disturbare e di non rovinare i piani altrui per la serata. Questa è casa mia e il fatto che io non abbia chiamato la portineria per farti uscire a forza, non ti autorizza a decidere che dovremmo parlare e tanto meno di cosa. Quindi, a meno che tu non voglia lavorare sulle modifiche del copione, la porta sai dov’è e vedi di non sbatterci addosso”, conclusi con le guance infiammate per la rabbia.
“Quali programmi avrei rovinato esattamente?”, mi domandò con un sorrisetto beffardo, sollevando il romanzo che avevo abbandonato sul tavolino. “Molto eccitanti presumo”.
La rispostaccia che volevo rifilargli sembrò dimenticata, quando sentii bussare alla porta d’ingresso e Tom fu rapido a rimettersi in piedi. “Lascia, love, faccio io, anche se dovrai rimborsarmi i soldi per la tua pizza”.
“Signorina?”.
Mi congelai sul posto quando riconobbi quella vocetta acuta che mi esortava ad aprire la porta.
Mi sollevai dal divano con espressione atterrita. “E’… è la mia affittuaria”, mormorai con voce sgomenta.
Il ragazzo inarcò il sopracciglio, ma ben presto un sorriso perfido gli increspò le labbra. Lo stesso sorriso che mi aveva rivolto durante il mio primo giorno di lavoro, quando ero sotto la supervisione di Riddle. “La mia presenza potrebbe crearti qualche problema?”, mi domandò con finta espressione innocente, premunendosi tuttavia di abbassare la voce.
Mrs Umbridge bussò un’altra volta con maggiore forza. “Signorina! So per certo che si trova lì dentro: venga ad aprire la porta!”.
“Sto arrivando!”, mi affrettai a dirle con voce più stridula del solito. “Mi perdoni ma devo recuperare le stampelle e sarò subito da lei!”. Mi rivolsi quindi al ragazzo che sembrava trattenersi a stento dallo scoppiare a ridere. “Vatti a nascondere o penserà che sia una situazione equivoca!”.
Tom reclinò il viso di un lato e si prese qualche secondo di troppo per scrutarmi come se mi stesse facendo una radiografia. Schioccò la lingua sul palato e scosse la testa. “Non accetterei mai se tu fossi vestita così, per quanto quelle pantofole siano sexy, ben inteso”, soggiunse con un ghigno divertito.
Non sto scherzando!”, gemetti, stringendogli il braccio affinché mi guardasse in volto. “Rischiamo che ci butti fuori di casa!”, cercai di fargli capire la gravità della situazione.
Si fece serio e mi scrutò per un altro lunghissimo momento prima di sorridere. "Hai dimenticato la parola magica". Sorrise e si sedette nuovamente. Incrociò le braccia dietro alla nuca a mo’ di cuscino e allungò le gambe verso il tavolino.
Sentii la Umbridge tossire.
Brutto segno.
"Arrivo, mi perdoni ma mi è caduta una stampella!”, le dissi con voce strozzata. Volsi nuovamente lo sguardo a Tom che sembrava godersi il momento. Gli puntai minacciosamente la stampella verso la gola: “Vatti-a-nascondere”, scandii in tono imperativo che gli fece sollevare le sopracciglia.
Parve rifletterci qualche istante, ma sorrise e schioccò la lingua sul palato, guardandomi con il volto inclinato da un lato. “D’accordo”, sussurrò. “Io mi nasconderò, ma in cambio dovrai cominciare a trattarmi con un po’ più di riguardo. Come se fossi la mia cameriera personale”, enfatizzò con la voce, muovendo allusivamente le sopracciglia.
Non potei fare a meno di ripensare a come si fosse comportato durante il primo giorno di lavoro e quanto fosse stato difficile mantenere il controllo in quel frangente. Lo guardai schifata. “Non ci penso neppure”, mormorai e gli rifilai uno sguardo truce.
Tom si strinse nelle spalle e si alzò. “E’ maleducato farla attendere oltre, non trovi?”. Sotto il mio sguardo incredulo e sgomento, si diresse verso la porta d’ingresso. Si muoveva lentamente, simulando una camminata in moviola che mi fece sollevare gli occhi al cielo, consapevole che fosse l’ennesima minaccia implicita.
Mi portai una mano sul volto, domandandomi se dovessi seriamente pensare a ingaggiare un sicario professionista o se dovessi andare da uno psicologo per capire come diavolo riuscissi a infilarmi sempre in situazioni simili. “Va bene”, mormorai in tono sconfitto.
Tom ammiccò con espressione particolarmente compiaciuta, ma non se lo fece chiedere nuovamente. Afferrò il suo soprabito e la tracolla dall’attaccapanni e seguì la direzione del mio braccio: entrò nella mia camera e chiuse silenziosamente la porta. Solo a quel punto mi mossi verso l’ingresso il più rapidamente possibile.
Dolores Umbridge indossava un completo color pervinca che era orribile almeno quanto quello rosa che aveva sfoggiato al nostro primo incontro. Portava una borsetta abbinata e un cardigan ben accollato, una gonna lunga fino al ginocchio con collant. Evidentemente l’idea di tenuta pudica con la quale era stata cresciuta. Aveva un altro accessorio: una collana di perle che le conferiva ulteriormente un tocco da zitella inacidita.
"Buonasera". Mi sforzai di sorriderle con naturalezza, un gesto davvero complicato in quelle circostanze. Non potei fare a meno di chiedermi per quale motivo si trovasse alla mia porta. Di Sabato sera soprattutto. Avrei immaginato che se intrattenesse con qualche sceneggiato alla tv o che facesse la maglia o che esercitasse la mente coi cruciverba.
Lei non ricambiò il sorriso, ma mi scrutò con espressione severa, quasi fosse stata certa che stessi nascondendo qualcosa ed era terribile la prospettiva che in quel frangente avesse ragione. “Sono qui per un’ispezione a sorpresa”, chiarì con la solita vocetta acuta.
Evidentemente era questa la sua nozione di divertimento per concludere degnamente una settimana lavorativa. Mi domandavo quante studentesse, come me, avessero deciso di non uscire.
Non aspettò che le dessi il permesso e varcò la soglia dell'uscio, trattenendo tra le mani la stessa cartelletta che avevo già imparato a temere. Non avevo dubbi che, anche in questa circostanza, avrebbe preso molti appunti. Fece vagare lo sguardo sul soggiorno, ma per fortuna non c’erano oggetti fuori posto.
"Ho dovuto attendere quasi tre minuti prima che lei mi aprisse la porta". Mi fece presente in tono di pacata disapprovazione, dopo aver controllato l’orologio. Avevo la netta sensazione che avrebbe riportato anche quel dettaglio nel suo resoconto.
Mi morsi il labbro e cercai di sorriderle con aria accattivante. “Mi dispiace molto, ma come vede ho avuto un piccolo incidente”.
Degnò appena di un’occhiata la mia fasciatura, ma non commentò. Si avvicinò invece al mobile vicino all’ingresso su cui era appoggiata una pianta ornamentale e mosse il dito sulla superficie, come a voler appurare se spolverassimo in modo “regolare”.
“Posso offrirle una tazza di the o un caffè?”, domandai per mostrarle la mia buona volontà.
“Sono in servizio”, rispose con uno scuotimento del capo, prima di rivolgermi uno sguardo penetrante. “Ho sentito un’altra voce oltre alla sua: una voce maschile”. Sottolineò la parola e strinse le labbra in un atteggiamento così giudicante e perbenista da farmi sentire ulteriormente a disagio, nonostante le interazioni tra me e Tom potessero giudicarsi tutt’altro che compromettenti.
“Sarebbe molto spiacevole se dovessi scoprire che sta cercando di nascondermi un ospite notturno, considerando il contratto che lei e la sua coinquilina avete firmato, dopo che vi ho illustrato perfettamente quale sia l’etica da seguire”. Aveva abbandonato la vocetta infantile e leziosa, assumendo un tono più severo. In normali circostanze avrei potuto spiegarle che Tom si trovava lì per lavorare allo spettacolo e che tra noi non vi fosse quel tipo di relazione, ma dubitavo che mi avrebbe creduto. Così come dubitavo che Tom stesso non mi avrebbe creato ulteriori problemi. Era un rischio troppo grande da correre. Dovevo essere impallidita durante quelle riflessioni silenziose, ma strinsi più forte la stampella come a sostenermi e scossi lievemente il capo. Dovetti ricorrere a tutto il mio controllo per evitare di gettare un'occhiata ansiosa verso la mia stanza da letto che le avrebbe dato un indizio. Allusi con un cenno del mento alla televisione spenta. “Stavo facendo zapping, ma ho rinunciato a guardare la tv: meglio trascorrere la serata con un buon libro, non crede?”.
Mi rivolse un lungo sguardo e alla fine le sue labbra si ammorbidirono. Non era propriamente un sorriso, ma sembrava che mi stesse concedendo il beneficio del dubbio. “Dipende da quale tipo di libri”, rispose con sussiego. Riprese a muoversi nella stanza, prendendo qualche appunto. Mi domandai distrattamente perché una donna così osservatrice e minuziosa non avesse fatto il concorso per entrare in polizia: sarebbe stata una versione acida e maligna di Miss Marple e probabilmente avrebbe avuto persino più acume di lei. Tornò a osservarmi con le sopracciglia inarcate: “Eppure sono quasi certa che non fosse una voce filtrata dalla televisione. Sembrava la voce di un ragazzo giovane: suo fratello, magari?”.
Non potei fare a meno di chiedermi, con crescente orrore, se non avesse persino accesso ai miei fascicoli personali con tanto di notizie sulla mia famiglia. Cercai di sorriderle per confutare tutti i suoi dubbi e scossi il capo nello spudorato tentativo di mentire in modo sfacciato ma convincente. “Signora, posso assicurarle che non ci sarebbe nessun ragazzo con il quale vorrei trascorrere un tranquillo Sabato sera domestico”.
Un lieve colpo di tosse mi fece trasalire e volsi uno sguardo inorridito verso la mia camera. Era ovvio quale fosse la provenienza e che mi avrebbe fatto buttare fuori di casa se avesse continuato a sabotarmi. Maledettissimo stronzo.
Rivolsi uno sguardo sgomento alla donna e mi affrettai a imitare un colpo di tosse altrettanto secco mentre, con fare casuale, mi avvicinavo alla porta della mia camera. Mi parai di fronte all’uscio e diedi qualche lieve colpo in un tacito avvertimento.
Bastardo che non sei altro. Me lo immaginavo appoggiato alla superficie di legno e con l’orecchio premuto per origliare.
"Ehm, ehm. Che brutta tosse”, commentò la Umbridge, sollevando lo sguardo dalla cartelletta. “Prenda un’aspirina: non vorrei che i miei condomini diventassero dei lazzaretti”.
Mi sforzai di sorridere e ignorai il sogghigno dall'altra parte della porta.
Dopo aver esaminato il soggiorno, la donna si spostò verso la cucina e ringraziai che non ci fossero stoviglie sporche nel lavello e il tavolo fosse ancora sparecchiato. Ci dirigemmo poi verso il bagno: per fortuna Morgana si era premunita di non lasciare abiti o biancheria sporca sul pavimento, di asciugare la doccia e di passare lo straccio sul pavimento. Esultai mentalmente all’idea che l’ispezione fosse giunta al termine.
“Molto bene”, commentò la donna dopo aver finito di compilare un modulo. Avevo sbirciato la cartelletta ed ero rimasta inorridita nel notare che si era creata un set di schede pre-compilate dedicate alle ispezioni e suddivise per ambienti, dalla cucina al bagno. “Restano soltanto le stanze da letto”.
Mi sentii mancare la terra sotto i piedi. Insomma, se avessi davvero voluto ospitare un fidanzato, sarei stata così sciocca da nasconderlo nella camera? Non sarebbe stato il posto più banale in cui cercare? “Anche la stanza da letto?”, le chiesi, cercando di non apparire nervosa e quindi degna di sospetto.
“Esatto". La sua voce aveva nuovamente assunto quell’intonazione leziosa e fintamente dolce che, lo avevo imparato, nascondeva ben altri sentimenti. “Ehm, ehm. C’è forse qualche problema?”, mi domandò con le sopracciglia inarcate.
Sospetta, dannazione, sospetta.
Strinsi le braccia al petto e cercai di assumere un’espressione di educata perplessità. “Mi perdoni, ma ritengo che questa sia un’eccessiva violazione della nostra privacy”.
Se possibile le labbra della donna, pesantemente ritoccate con rossetto che le aveva anche macchiato gli incisivi, si piegarono in un sorriso ancora più viscido. Sembrava che quel commento, lungi dall’infastidirla realmente, le procurasse una personale soddisfazione. Non potei fare a meno di chiedermi se, così facendo, non stessi alimentando i suoi sospetti, piuttosto che giocare in offensiva. “Mi rincresce che lei la pensi in questo modo”, cinguettò in tono lezioso, ma era piuttosto ovvio che non fosse realmente dispiaciuta. “Ma vorrei ricordarle che era una delle condizioni previste dal contratto che avete entrambe firmato, mia cara”. Quel vezzeggiativo alla fine della frase, lungi dal rassicurarmi, appariva come un’ulteriore minaccia.
Sbattei le palpebre, ma non demorsi. “Davvero?”, domandai con le sopracciglia inarcate nel simulare un’espressione persino più sorpresa. “Non ricordo affatto di aver letto niente di simile, anche se è la mia coinquilina ad avere più dimestichezza con l’inglese. Forse dovrei telefonarle”. Non era del tutto una bugia: nel colloquio aveva fatto riferimento a quelle ispezioni a sorpresa, ma non aveva specificato quali vani sarebbero stati sottoposti al suo controllo.
Sembrò persino più soddisfatta. Forse provava un perverso piacere a dire alle persone che erano in errore. "La clausola 2 bis di pagina 12”, specificò con uno scintillio nello sguardo. “La scritta in fondo e in corsivo”.
Avevo l’impressione di aver appena perso un chilo per la tensione. “Oh”, non potei fare a meno di boccheggiare. Oh, cazzo.
“Allora, possiamo procedere?”, mi domandò con lo stesso sorriso stucchevole.
“Potrei vedere questa clausola?”, le domandai con espressione innocente. Dovevo ammettere che sarebbe valsa la pena continuare quel gioco solo per vedere il crescente fastidio sul volto della donna. Sperai che nel frattempo quell’idiota si stesse premunendo di cercare un nascondiglio decente e non stesse perdendo tempo ad ascoltarci.
Mi guardò risentita, ma non poteva rifiutarmi quella legittima richiesta. Aprì la cartella e cominciò a cercare tra la documentazione. “Spero per lei che questa non sia una scusa, signorina”, la sentii dire in tono minaccioso, evidentemente non curandosi più di apparire affabile. “Se dovessi scoprire che sta nascondendo qualcuno, ci saranno delle gravissime ripercussioni, glielo assicuro”.
“Nascondere?”, domandai, premunendomi di alzare lievemente la voce affinché Tom potesse sentirmi. “Non c’è proprio niente da NASCONDERE nella mia stanza!”.
Le sopracciglia della donna erano così inarcate che sembrarono sparire sotto i ciuffi di capelli.
Le sorrisi con espressione innocente. “E’ un trucco teatrale che mi hanno insegnato recentemente per scaldare le corde vocali: bisogna fare delle scale, alzando e abbassando la voce in modo graduale”, le spiegai, cercando di imitare il tono professionale del professor Lupin.
Parve ancora più sospettosa, ma non commentò nulla e riprese a cercare il nostro contratto. Dopo pochi secondi me lo porse con un gesto brusco e impaziente. Prese a battere il piede a terra, mentre io cercavo di prendere tempo, sfogliando lentamente il plico. Finsi di non notare il suo fastidio: avevo lo sguardo fisso sulle pagine ma ero concentrata sui rumori alle mie spalle. Avevo percepito un lieve scalpiccio di passi e poi il silenzio. Dovevo quindi fidarmi della capacità del ragazzo di improvvisare e di trovarsi un riparo decente. Non potevo neppure immaginare cosa sarebbe successo in caso contrario. Senza contare che non volevo istigare la rabbia di Morgana che molto probabilmente avrebbe cercato di uccidere la donna, Tom e poi me. E non avrebbe avuto torto. Quando mi parve che i suoi occhi di rospo mi avessero trafitto a sufficienza, alzai lo sguardo e le restituii i documenti con un sorriso di ringraziamento.
Li riprese con sguardo truce e immaginai che non avrei avuto una valutazione positiva se la sua ispezione avesse riguardato anche la mia propensione ad accogliere gli ospiti. Tossì con enfasi. “Ehm, ehm, vogliamo procedere?”. Se non ha altre stupide scuse, sembrò sottinteso.
"Oh, certo". Sorrisi falsamente e mi scostai dalla porta come se nulla fosse accaduto. “Le do’ il benvenuto nella MIA CAMERA”. Le ultime due parole furono pronunciate con una nota particolarmente acuta che la fecero incupire ulteriormente. Mi schermii con una risatina di circostanza. “A proposito dello spettacolo, se vuole potrei procurarle dei biglietti". Mi sforzai di conferire al mio tono una nota accattivante, ma lei neppure mi rivolse lo sguardo.
“Molto gentile da parte sua”. Rispose senza neppure curarsi di fingersi interessata al riguardo, suscitandomi non poco risentimento. Una volta tanto avrebbe anche potuto usare la sua finta leziosità a fin di bene per farmi un mezzo complimento, no?
Aprì la porta con un gesto rapido e brusco. Non potei fare a meno di immaginarla nuovamente nei panni di un detective con una pistola in mano mentre, con movimenti sinuosi e silenziosi, sarebbe entrata di profilo e si sarebbe voltata a destra e a sinistra per poi gridare: “Libero!”.
Mi guardai attorno con crescente ansia, cercando di immaginare dove si fosse nascosto. Speravo che fosse stato abbastanza furbo da evitare luoghi banali come l’armadio.
La donna finse di studiare con eccessivo zelo il tappeto, ma non potei fare a meno di sorridere soddisfatta quando lanciò un’occhiata sotto al letto per poi restarne delusa. Sgranai gli occhi quando scorsi la sagoma di Tom fuori dalla finestra. Evidentemente aveva pensato che la soluzione ideale fosse usare le scale antincendio. Mi rivolse un ammiccamento, ma si premunì di abbassarsi prima che la donna lo vedesse. Si era persino ricordato di abbassare la finestra e non potei fare a meno di chiedermi quante volte si fosse trovato in una situazione analoga.
Nota per me: chiedere alla Umbridge delle inferriate. Magari dopo qualche giorno, quando avrebbe smaltito quell’ispezione.
La donna si muoveva con movimenti bruschi e autoritari e spalancò le ante dell’armadio per appurare che anche all’interno non si nascondesse un ospite indesiderato. Ero talmente divertita a quel punto che avrei persino fischiato un motivetto se non fosse apparso un gesto troppo sfacciato.
"Sembrerebbe tutto in regola". Dovette confermare cinque minuti dopo, uscendo dalla camera di Morgana. La sua espressione era tornata fintamente cordiale mentre mi porgeva la mano. “Riceverete la mia valutazione la prossima settimana”. Mi informò e la seguii verso l’ingresso per congedarla.
Appena fu uscita, mi lasciai scivolare lungo la parete con un sospiro e mi portai una mano sul viso come a voler cancellare i residui di stanchezza fisica e psicologica.
“Ore 7.30 sveglia”.
Sbattei le palpebre e mi volsi verso Tom che stava uscendo dalla mia camera e, con mio crescente orrore, stava leggendo la mia agenda personale. Avevo preso l’abitudine, per esercitarmi con l’inglese, di compilarla nella sua lingua madre, così che quei termini mi divenissero ancora più familiari.
“Ore 7.30: sveglia, ore 8.00 colazione”, iniziò a leggere con un sorrisetto divertito. “Ore 8.30, ritirare le paste per… lo stronzo?”. Solo allora si permise di sollevare lo sguardo in mia direzione e corrugare le sopracciglia. Sollevò il mento a simulare un’espressione di reale disappunto e di offesa.
“Puoi darmi torto?”. Ribattei stizzita da quell’ulteriore violazione della mia privacy. Mi rimisi in piedi e cercai di raggiungerlo, neppure prendendo le stampelle, ma procedendo cautamente e zoppicando.
Tom finse persino di rifletterci, ma si strinse nelle spalle. “Sicuramente non mi chiamerai più così, quando tornerai al lavoro”, convenne tra sé e sé con un sorrisetto compiaciuto, prima di riprendere la lettura. “La tua vita sembra scandita con la precisione di un soldato”, commentò con le sopracciglia inarcate. Sembrava realmente incuriosito. “Mi domando se tu non scriva persino l’ora in cui vai al bagno. Oh, eccola!”, finse di averla notata qualche riga più sotto.
Alzai gli occhi al cielo, ma gli strappai di mano l’agenda e lo fissai ancora risentita per quell’assurda situazione in cui mi ero cacciata. “Ti avverto, se per colpa tua saremo sfrattate, occuperemo abusivamente casa tua, anche perché sono certa che a questo punto Morgana ti ucciderebbe”.
L’allusione alla mia amica lo fece sorridere compiaciuto. “La prospettiva è stranamente eccitante, devo ammetterlo. Ma mi stai dicendo che tu non interverresti ma lasceresti solo a lei l’onore?”. Dal modo in cui lo disse e dallo sguardo suadente, potei facilmente immaginare che stesse alludendo a una prospettiva di tutt’altro genere.
“Sei disgustoso”, gli dissi e riposi l’agenda nel cassetto della scrivania, premunendomi di chiudere a chiave, prima di tornare in soggiorno. Alzai gli occhi al cielo quando mi resi conto che si era di nuovo accomodato sulla poltrona e si era persino acceso la televisione. “Quanto credi di restare?”, gli domani scornata.
Tom reclinò il viso di un lato. “Credevo che avessimo stretto un patto, ma se preferisci posso andarmene subito e chiedere a Mrs Umbridge di indicarmi l’uscita”.
Imprecai mentalmente. Non soltanto sarebbe stato capacissimo di farlo, ma non avevo pensato che sicuramente si stava occupando di altre ispezioni. Non avevo idea di quante ragazze, come me, avessero deciso di restare a casa quel Sabato sera, ma non potevo rischiare che lui uscisse prima che lei se ne fosse andata. Avremmo dovuto restare insieme per almeno un’ora. Non risposi, ma tornai verso il divano e mi lasciai sprofondare, sollevando nuovamente la gamba per appoggiarla sul tavolino. Mi era persino passata la voglia di cenare, ma avrei atteso che se ne fosse andato. Socchiusi gli occhi, sentendolo fare zapping tra diversi programmi, fino a scegliere una partita di calcio.
“Un lato positivo c’è”, mi fece notare dopo qualche istante di silenzio. Schiusi gli occhi e lo vidi completamente rilassato: aveva accavallato le gambe e teneva le braccia incrociate dietro la nuca a mo’ di cuscino. Mi rivolse un sorriso più furbo: “Mangeremo la pizza”.
“La mia vita adesso è completa”, risposi in tono ironico, ma presi il cellulare e aprii Instagram per vedere se qualcuno dei miei amici avesse postato qualche foto. Misi qualche like e sospirai, sentendomi persino più invidiosa. Studiai la composizione della tavolata: Sean era a capotavola con Morgana da un lato e uno dei gemelli Phelps dall’altro. Amy sedeva tra Morgana e una ragazza bionda che doveva essere Luna. Di fronte ad Amy c’era Daniel, seduto tra un gemello e Rupert. All’altro capotavola il secondo gemello. Esibivano tutti un’espressione allegra e rilassata e non potei che rimirarli con un sospiro. Ero quasi tentata di mandare un messaggio alle mie amiche, ma non volevo disturbarle o costringerle a fissare un display, anziché i loro interlocutori.
“C’è qualcosa di strano in questo appartamento: soprattutto nella tua camera”.
Mi riscossi e abbandonai il telefono al mio fianco, rivolgendogli lo sguardo e inarcando le sopracciglia. “Prego?”, domandai vagamente perplessa.
“Indossi un anello, ma non vedo nessuna fotografia del tuo ragazzo”.
Imprecai mentalmente. Da quando avevo imbastito la bugia del secolo, avevo preso degli accorgimenti: avevo reso privati i profili di Instagram e di Twitter e avevo evitato di accettare la richiesta di amicizia di Emma su Facebook. Nonostante quella volpe di Morgana me lo avesse suggerito, non avevo voluto stampare una vera foto di Matteo e incorniciarla. Non avevo certamente immaginato che Tom avrebbe potuto avere accesso ai miei effetti personali e ovviamente non avevo bisogno di mentire a Sean o ad Amy.
Dovette notare il mio silenzio teso perché mi rivolse uno sguardo interrogativo. “Non sarai una di quelle ragazze che brucia le foto al primo litigio?”, mi domandò con un sorrisetto divertito.
Mi strinsi nelle spalle, giocherellando con l’anello. “Hai visto com’è bigotta la Umbridge: non potevo correre il rischio che le vedesse e pensasse che lo ospito di nascosto”.
Non sembrava affatto convinto da quella spiegazione raffazzonata. “Mi stai dicendo che non hai sue fotografie neppure nell’armadio o nei cassetti?”.
“Hai perquisito anche quelli mentre ti godevi lo spettacolo?”, non potei fare a meno di chiedergli con lo sguardo infuriato. L’idea che avesse aperto il cassetto della biancheria mi faceva salire un travaso di bile, seppur non potessi certo vantare lingerie degna delle modelle di Victoria’s Secret.
Sollevò gli occhi al cielo, ma si strinse nelle spalle. “Non capisco perché ti comporti sempre in modo così strano, quando qualcuno lo nomina”. 
Immaginai che si riferisse a quella conversazione nel refettorio, quando era stata Emma a prendermi in contropiede, chiedendomi degli ulteriori dettagli. Anche in quell’occasione avevo sudato freddo. Il pensiero del ballo, poi, mi fece salire ulteriormente l’ansia. Se proprio dovevo infortunarmi, ciò non poteva avvenire la vigilia di quella stupida celebrazione? Avrei sfidato chiunque a costringermi a venire con le stampelle e un piede fasciato.
“Sono una persona riservata, d’accordo? Inoltre non mi sembra che siamo così in confidenza da poterci raccontare i dettagli sulle nostre vite private”, precisai con uno scrollo di spalle.
“Ho capito”, mormorò Tom dopo qualche istante, il volto inclinato di un lato. “Non gli hai ancora detto del famoso bacio di scena”.
Sbattei le palpebre di fronte all’ennesima dimostrazione del suo egocentrismo smisurato. Forse era realmente convinto che un suo bacio mi avrebbe stravolto la vita? Scossi il capo ma riflettei su quale risposta mi fosse più conveniente. Avrei potuto assecondarlo, ma questo avrebbe significato ricreare un’atmosfera tesa come l’ultima volta o che lui mi proponesse nuovamente di provare quella scena per smorzare gli imbarazzi. E non era proprio ciò che volevo.
Scossi il capo. “Gli ho parlato dello spettacolo e ha accettato l’idea. Ammetto che fosse un po’ geloso all’inizio, ma nulla di grave”, spiegai brevemente, ricordando di aver fatto riferimento alla sua gelosia durante la conversazione con Emma al pub, quando era nato l’equivoco. “Quindi puoi stare tranquillo: non ti prenderà a pugni quando lo vedrai”, soggiunsi con un sorrisetto dispettoso.
“Meglio così”, rispose con uno scrollo di spalle. “Comunque la tua riservatezza mi sembra esagerata: nessuno ti ha chiesto i dettagli scabrosi della vostra vita sessuale, anche se devo ammettere che-”, non finì la frase perché gli spalmai in faccia uno dei cuscini del divano. Lo abbassò con un sorrisetto. “Ammetto di aver sospettato che ti fossi inventata tutto di sana pianta”, soggiunse dopo qualche attimo di silenzio e mi sentii seccare la gola.
Finsi di ridere. “Sarebbe stato piuttosto patetico da parte mia. Insomma, che problema avrei avuto a dire di essere single? Dai, è ridicolo!”, pronunciai con enfasi. Cercai di ignorare il pensiero che Tom in quella stessa stanza, pochi giorni prima, mi avesse detto che i miei occhi non erano in grado di mentire.
“Forse non ti sei inventata la relazione o la vostra storia, ma magari state avendo degli alti e dei bassi e questa lontananza non è d’aiuto”, continuò in tono composto. Non stava sorridendo e neppure prendendosi gioco di me, ma sembrava sinceramente incuriosito, tanto da ignorare il televisore.
Mi presi un istante per distogliere lo sguardo e riflettere. Potevo usare questo espediente a mio vantaggio: dopo il ballo, non avevo alcuna intenzione di portare avanti quella bugia che mi era solo fonte di frustrazione e di difficoltà. Inoltre più tempo passava e maggiori erano i rischi di farmi scoprire e di subire una cocente umiliazione pubblica. Mi schiarii la gola. “Effettivamente è così”, mormorai, ma evitando di guardarlo come se fossi imbarazzata a scendere in simili dettagli. “Si tratterrà per qualche giorno, così avremo modo di parlarne di persona”, conclusi in tono dignitoso. “Ma cambiamo argomento, perché invece non mi racconti qualcosa di te e di Emma?”.
In realtà non m’importava molto, ma speravo che conoscere altri dettagli mi potesse aiutare a gestire le nostre interazioni future e a distogliere la sua attenzione da me.
Tom rispose tranquillamente. “Ci siamo conosciuti a Londra: frequentavamo lo stesso liceo e abbiamo lavorato insieme a uno spettacolo. Le ho chiesto di uscire e il resto è storia”, concluse brevemente, tornando a guardare la partita. A dispetto delle sue critiche alla mia riservatezza, non sembrava voler aggiungere altro.
“Avete deciso insieme di trasferirvi per frequentare l’Accademia?”, lo incalzai con sincera curiosità su quel punto.
“Io ho sempre saputo di voler fare l’attore”, rispose Tom di riflesso, tornando a guardarmi. Per la prima volta notai una reale passione nelle sue iridi e il modo in cui lo aveva detto non lasciava adito a dubbi. Dunque era realmente innamorato della recitazione e non si trattava di una mera carriera che avrebbe dato ulteriore lustro al suo ego spropositato.
Dovevo ammettere che in quel momento ero curiosa di conoscerne meglio il carattere. “Stai dicendo tra le righe che per Emma non è lo stesso?”, domandai.
“Chi è adesso la persona poco riservata?”, mi fece notare in tono ironico. “Rispondo solo se mi concedi un’altra domanda sul tuo ragazzo”.
Aggrottai le sopracciglia. “Seriamente? Una volta tanto che stiamo avendo un dialogo civile, dobbiamo ridurlo a un gioco?”.
“Ci stai?”, insistette con un sorrisetto beffardo.
Sospirai, ma acconsentii. Dopotutto io dovevo soltanto inventare. “Allora inizia tu”.
Lo sguardo di Tom parve farsi più vacuo, quasi stesse riflettendo tra sé e sé. “Credo che inizialmente fosse realmente convinta di voler diventare un’attrice professionista, ma negli ultimi tempi sta esplorando altri possibili sbocchi”, spiegò semplicemente.
Non potei fare a meno di chiedermi se Emma non avesse seguito Tom in preda allo slancio dell’amore adolescenziale. E soprattutto se non si fosse mai pentita di aver intrapreso un percorso accademico che le fosse poco affine. Decidere di cambiare carriera in corso d’opera era una decisione importante e molto coraggiosa e potevo capirne eventuali remore, senza contare quanto gli sembrasse devota. Tom aveva i suoi molteplici difetti ma non mi sembrava quel tipo di partner che imponeva scelte simili e per egoistico interesse. Sperai di non sbagliarmi al riguardo o ne sarei rimasta terribilmente delusa. Annuii ma non indagai oltre perché sentivo che non sarebbe stato giusto.
“Tocca a me”, commentò Tom che si volse anche con il busto in mia direzione. “Non hai mai il dubbio che la tua relazione con quel ragazzo non sia solo un prolungamento di una cotta liceale?”, mi domandò in tono quasi professionale.
“Scusami?”. Mi aveva totalmente presa alla sprovvista e avevo bisogno di temporeggiare. Non mi sarei mai aspettata una domanda così ponderata e seria. Ciò che era altrettanto curioso è che io avevo pensato esattamente la stessa cosa del suo rapporto con Emma.
Tom si strinse nelle spalle. “Sto solo facendo un’osservazione. Forse sei così ancorata a quel sentimento che non ti rendi conto che nel frattempo sei cresciuta e che siete diventati due persone diverse. E non più necessariamente fatte per stare insieme”. Concluse semplicemente.
Non potei fare a meno di guardarlo con espressione sorpresa. Talvolta, in verità, mi domandavo quale sarebbe stato l’esito di una mia relazione con Matteo. Mi chiedevo persino se il mio presunto amore per lui non fosse altro che l’infatuazione di un’adolescente, mista all’idealizzazione dell’amore. Senza che questo necessariamente significasse che ne fossi realmente innamorata e che insieme avremmo potuto essere realmente felici. Sospirai, ma sollevai lo sguardo e risposi in modo più sincero di quanto avessi previsto. “Mentirei se dicessi di non essermi mai posta questa stessa domanda”, ammisi, parlando con voce tremula e le guance più rosate. “E’ uno dei motivi per cui sento che dovremo parlare al suo arrivo”. Aggiunsi.
Tom non aveva smesso di guardarmi, ma annuì e soprattutto si risparmiò commenti poco leciti.
“Ora però basta parlare di queste cose”, proposi. Mi sentivo frastornata come se quell’atmosfera fin troppo seria mi avesse appesantito la mente.
“Vorrei farti notare che sto ancora aspettando che tu mi offra qualcosa da bere, cameriera”, commentò Tom, lanciandomi contro il cuscino che riuscii a parare con una mano. Per la prima volta, tuttavia, non stava usando quella parola con il diretto intento di prendersi gioco di me. Sembrava voler tornare ai consueti toni più leggeri e informali.
Sbuffai, ma mi rimisi in piedi. “Non ti ci abituare”. Stavo attraversando il soggiorno per dirigermi in cucina, quando sentii bussare nuovamente alla porta e m’irrigidii. Decisamente non ero pronta ad altre sorprese per quella sera. “Chi è?”, domandai infatti.
“Consegna pizza”, commentò una voce maschile con aria annoiata. Tom si alzò dalla poltrona, ma gli feci cenno di restare indietro: non potevo rischiare che la Umbridge fosse in corridoio e lo vedesse. Quando schiusi l’uscio mi ritrovai di fronte un ragazzo dai capelli biondi e ricci che indossava un’uniforme con il logo della pizzeria. Ebbi l’impressione di averlo già visto e ne ricevetti subito la conferma dallo scintillio dello sguardo e dal sorrisetto che mi rivolse. "Ciao dolcezza”, mi salutò con aria confidenziale che mi fece inarcare le sopracciglia. “E così abiti qui?".
Mi ci vollero pochi secondi, ma riuscii a riconoscerlo come uno dei primi clienti che avevo servito al pub. Anche in quell’occasione aveva ostentato un atteggiamento flirtante e da gradasso.
"Niente affatto, è un’abusiva”, rispose Tom al mio posto. Mi raggiunse, prese le pizze e le bibite e porse al ragazzo una bianconata con un gesto indolente. Non potei fare a meno di chiedermi, con una certa curiosità, se fosse di famiglia benestante visto come sembrasse più che a suo agio a elargire banconote di taglio più o meno grande. Di certo l’Accademia non doveva costare poco.
Il fattorino lo fissò con le sopracciglia inarcate e guardò dall'uno all'altra come alla ricerca di una spiegazione convincente sulla presenza di Tom.
“Grazie della consegna”, gli sorrisi per mera cortesia e feci per chiudere la porta, ma il ragazzo vi incastrò il suo piede. Fui costretta a riaprirla, ma gli rivolsi uno sguardo interdetto.
“Se ti servisse una guida per la città, sarei più che felice di esserti d’aiuto”, mi disse in tono che doveva apparirgli galante, passandosi persino una mano tra i capelli.
Non potei fare a meno di sospirare. Da quando esattamente ero diventata una calamita per ragazzi simili?
Ancora una volta, tuttavia, Tom diede prova di grande prontezza di spirito perché rispose al mio posto e con tono irriverente. “Così generoso da parte tua, McLaggen. Dopotutto è così difficile trovare delle guide turistiche per gli stranieri”.
“Grazie, ma non ne ho bisogno”, cercai di sorridere nuovamente per congedarlo. “Buon lavoro”.
Evidentemente non era in grado di capire quando fosse opportuno desistere, perché avanzò di un passo, come se non avesse capito che avevo cercato di congedarlo nel modo più educato possibile e, al contempo, di scoraggiare qualsivoglia approccio. “Pensi che ti tratterrai molto in Scozia?”.
Aggrottai le sopracciglia e cercai una risposta meno diplomatica ma inequivocabile.
Tom sospirò con aria quasi esasperata quanto la mia e si rivolse all’altro con uno scuotimento del capo. “Credimi, McLaggen, stai solo perdendo tempo e imbarazzando te stesso e la categoria maschile. Inoltre la tua vista non è particolarmente gradevole prima di cena”.
Cercai di trattenere il sorriso divertito a quella battuta, ma McLaggen lo fissò di sbieco e con aria corrucciata. “Non l’ho chiesto a te, Felton!”, ribatté con voce indignata. “A proposito, Emma sa che ti trovi-”.
“Ti saluto”, lo liquidò senza lasciargli finire la frase e richiuse la porta con un calcio. Mi parve persino di sentire il gemito di dolore che il malcapitato si era lasciato sfuggire. Evidentemente la porta gli era stata sbattuta sul naso.
“Sei sempre così diplomatico”, commentai vagamente divertita.
“Puoi ringraziarmi dopo”, replicò con uno scrollo di spalle, prima di aprire la mia confezione di pizza per farmi vedere il contenuto. Sinceramente ero piuttosto refrattaria poiché da brava italiana avevo degli standard piuttosto elevati in materia e per quel che ne sapevo, in quel negozio potevano anche servirla con l’ananas, cosa che ritenevo un vero sacrilegio. Aprii il coperchio con aria dubbiosa, ma la mozzarella sembrava filante e aveva un aspetto realmente appetitoso.
Tom aveva seguito i miei gesti e sogghignò. “Il pizzaiolo è di origini italiane”, mi spiegò con un sorrisetto beffardo.
“Quindi ammetti che esista qualcosa in cui eccelliamo”, non potei fare a meno di chiedergli compiaciuta.
“Forse. Ma mi devi ancora una birra”, mi fece notare.
“Vedremo”, commentai con uno scrollo di spalle e gli feci strada verso la cucina.
 
~
 
Quando sollevai lo sguardo dal copione per appuntarlo sull’orologio della cucina, non potei che sorprendermi nel notare che erano passate le 22.30. Avevo completamente perso la nozione del tempo mentre Tom m’illustrava i cambiamenti da apportare alle pagine del copione. Alcuni mi erano sembrati dei veri e propri lampi di genio e delle innovazioni che avrebbero reso la trama ancora più avvincente e piacevole, altri invece piuttosto superflui. Durante tutto il tempo necessario, Tom mi aveva dato prova di quanto fosse profonda la sua passione per la recitazione: era stato paziente, attento e si era realmente impegnato affinché comprendessi tutte le implicazioni psicologiche che avrebbero reso ancora più credibile l’interazione tra i nostri personaggi e il loro innamoramento. Dovevo ammettere che non era neppure stato insolente quando avevo fatto qualche errore grammaticale nella sua lingua madre, ma aveva corretto lui stesso qualche frase. Aveva cercato di spiegarsi in modo più semplice, quando avevo difficoltà a seguire i suoi discorsi, soprattutto quando si lasciava prendere dal fervore del momento e parlava in modo più rapido. Potevo attribuirgli molti difetti, ma di certo non prendeva superficialmente quello spettacolo, nonostante le molte polemiche iniziali. Vi si stava dedicando con anima e corpo ed ero certa che sul palcoscenico avrebbe mostrato il suo talento.
“Abbiamo finito?”, domandai e dovetti reprimere un lieve sbadiglio.
Il ragazzo si prese un altro istante per controllare il suo copione per poi annuire.
Non potei che sorridere di sollievo, sgranchendomi le braccia e il collo per un breve istante.
Immaginavo che la cena al ristorante fosse ormai giunta al termine e che il gruppetto avesse deciso di spostarsi altrove, ma non c’erano né messaggi né chiamate da parte delle mie amiche e neppure altre fotografie sui social. In realtà ciò era positivo: se non avevano tempo per postare on-line, si stavano davvero godendo la serata.
Tom si era a sua volta rilassato e stava trafficando con il suo cellulare. “Posso usare il bagno?”, mi chiese e si rimise in piedi al mio cenno di assenso. “Conosco la strada”, mi fece notare con un sorrisetto.
Lo seguii con lo sguardo e sorrisi tra me e me. Dovevo ammettere che, nonostante l’inizio turbolento e la sincope per l’arrivo della Umbridge, avevo passato una serata divertente e piacevole. Dopotutto quella “tregua” sembrava sortire un effetto positivo. Mi riscossi alla vibrazione del cellulare e sorrisi quando scorsi il nome di Morgana e mi affrettai ad aprire il testo.
 
Hey Bae[2] ♥ spero che tu non ti stia annoiando troppo :) Qui stiamo passando una serata fantastica e ci manchi molto ♥ Stiamo andando a pattinare, poi ti racconto tutto, ma non aspettarmi alzata, se sei stanca ♥ Ti salutano tutti e ovviamente riorganizzeremo presto per avere la meravigliosa Lady Elisabeth con noi ;) Buonanotte e sogni d’oro ♥
 
Non potei fare a meno di sorridere intenerita e mi affrettai a risponderle, immaginando che avesse approfittato del breve tragitto in auto per mandarmi quel messaggio. Le risposi che andava tutto bene e che stavo trascorrendo una piacevole serata. Indugiai per qualche attimo, domandandomi se fosse il caso di raccontarle brevemente della presenza di Tom, ma cambiai subito idea. Non era il momento giusto, tanto più che probabilmente avrebbe reagito male o mi avrebbe telefonato per avere spiegazioni immediate, minacciando di tornare nell’appartamento e di prendere a schiaffi entrambi. Senza contare che probabilmente si sarebbe immusonita e le avrei rovinato la serata e l’atmosfera più briosa e allegra. Scossi il capo e ricambiai gli auguri di buonanotte, pregandola di estendere i saluti a tutta la compagnia.
Tuttavia, quando vidi Tom rientrare con le mani conficcate nelle tasche dei jeans e un sorriso, non potei fare a meno di sentirmi in colpa. Mi tornò persino in mente la domanda che stava formulando McLaggen prima che lui gli sbattesse la porta in faccia. Scossi il capo, dicendomi che stavo esagerando poiché non stava accadendo davvero nulla di male tra noi.
“Che ne dici di un caffè e di una fetta di dessert?”, gli proposi.
Tom parve impressionato ma un sorrisetto più allusivo ne increspò le labbra. “Love, l’ho detto e lo ribadisco: avresti dovuto procurarti prima quella distorsione”, commentò in tono ironico.
“Aha, molto divertente”, lo rimbeccai e mi rimisi in piedi per prendere due tazze pulite.
“Mi sembra che tu stia meglio comunque”.
Annuii. “La prossima settimana avrò la visita di controllo e non dovrebbero esserci brutte sorprese”.
Quando il caffè fu pronto, aprii lo sportello del frigorifero e sorrisi alla vista della magnifica torta. Ancora una volta Mrs Biggerstaff aveva dato prova della sua natura premurosa e gentile. Aveva saputo del mio piccolo incidente e mi aveva fatto portare dal figlio quella torta, con tanto di un bigliettino d’auguri di pronta guarigione. Presi delicatamente l’alzata e l’appoggiai sul tavolo.
Tom si sporse a osservarla con un sorrisetto. “Sembra davvero deliziosa e data la tua goffaggine e la tua natura poco paziente, scommetto che non l’hai preparata tu”.
“Gentile come sempre”, risposi con uno scrollo di spalle, usando la spatola da cucina per tagliarne due fette e depositarle su due piattini. “E’ stata la madre di Sean in effetti”.
“Sì, riconosco il tocco”, convenne con espressione altrettanto golosa.
Allungai la forchetta da dessert per tagliarne una piccola porzione e me la portai alle labbra, non potendo fare a meno di emettere un mugugno di soddisfazione.
“Anche dalla tua espressione si direbbe che sia deliziosa”, mormorò e sollevai lo sguardo per incontrare quello del giovane. Mi stava osservando con un reale sorriso. Non un moto di scherno nei miei confronti, ma di reale divertimento e di complicità che quella sera sembravano permetterci di interagire in modo meno polemico e litigioso del solito. Alluse con il mento a una lieve macchia accanto alle labbra. Scossi appena il capo per la mia goffaggine e cercai un tovagliolo alle mie spalle per pulirmi le labbra. Tom mi precedette e allungò un dito e se lo intinse di glassa, prima di portarselo alle labbra. Sentii il mio cuore scalpitare più intensamente e un brivido scivolarmi lungo la spina dorsale mentre osservavo il suo gesto.
“Deliziosa, sì”, confermò in un sussurro, ma guardandomi così intensamente da non riuscire a fare a meno di chiedermi se stesse parlando soltanto della torta.
Scossi il capo tra me e me, rimproverandomi. Mi affrettai a scostarmi e indicargli il suo piatto di dessert, sorprendendomi per il battito convulso del mio cuore.
“Aspetta, ti è sfuggito un punto”, mi fece presente e mi volsi nuovamente in sua direzione. Inarcai le sopracciglia, quando mi resi conto che aveva nuovamente intinto il dito di glassa. Con un movimento fluido mi cinse il polso e con un sorrisetto dispettoso mi disegnò delle linee astratte sul viso.
“M-Ma cosa fai?!”, balbettai con le guance arrossate e l’aria incredula. Cercai di divincolarmi e le stampelle caddero per terra, ma sembrarono dimenticate, mentre a mia volta intingevo la mano nella glassa per ricambiare il favore. Tom continuava a ridere, cercando di schivare la mia mano, ma trattenendo la presa sul mio polso. Stavo rischiando di sbilanciarmi e di cadere, ma fu lesto a cingermi i fianchi.
Non avrei saputo dire come fossimo giunti a quella situazione. Stavamo giocando in modo complice e puerile, ma sembrammo congelarci in un lungo attimo di sospensione nel quale restammo occhi negli occhi. Tom aveva smesso di ridere, ma una traccia di quel sorriso più sincero e dolce gli increspava le labbra. Persino i suoi occhi parvero cambiare sfumatura dell’iride e quella distesa grigia e insondabile lasciò spazio a una nuance più azzurra e delicata. Il suo profumo mi annebbiò la mente e il suo respiro mi fece accapponare la pelle della gota. Sentivo il cuore scalpitare furiosamente, rimbombandomi nei timpani. “Adesso non stiamo recitando”. Mi sentii dire con voce tremula. Ancora una volta mi sentivo frastornata da quello stato d’animo che non avevo mai sperimentato.
“No”, ammise Tom, ma la sua voce parve distante. Sembrava condividere la mia confusione.
“Allora dovremmo smettere”, mormorai con voce flebile, schiarendomi la gola. L’anello che portavo al dito, seppur non simboleggiasse qualcosa di reale, sembrava pesare come un macigno. Senza contare le implicazioni sulla sua effettiva relazione.
Tom non rispose ma continuò a osservarmi attentamente: “E’ quello che vuoi?”, mi domandò. Non vi era alcuna spavalderia nella sua voce e questo sembrò preoccuparmi più di ogni altra cosa, ma distolsi lo sguardo e cercai di divincolarmi.
“Guardami”, sembrò chiedermi e con una mano mi sollevò delicatamente il mento perché ne incontrassi lo sguardo. Era così serio e così attento che non potei che sentirmi arrossire e il mio cuore scalpitò persino più intensamente. Mi carezzò delicatamente la guancia, apparentemente incurante della traccia di glassa ancora presente, ma sembrava osservarmi come se mi vedesse per la prima volta.
La risposta affermativa morì sulle mie labbra e dall’improvviso baluginio del suo sguardo compresi che cosa sarebbe accaduto, se non glielo avessi impedito. Percepivo un calore intenso che sembrava indurmi a rilassarmi e socchiudere gli occhi e lasciare che in quella cucina, sporca di glassa, ricevessi il mio primo bacio.
Non dovrebbe succedere così, fu il pensiero che mi fece riscuotere e m’irrigidii tra le sue braccia.
Tom si fermò, ancora prima che ne pronunciassi il nome. Gli avevo appoggiato le mani sulla maglia in un gesto cortese ma determinato e avevo distolto lo sguardo. Mi lasciò subito andare, ma non pronunciò motto. Mi diede le spalle e lo vidi passarsi una mano tra i capelli.
Mi morsi il labbro, non avendo minimamente idea di come gestire quel silenzio teso e imbarazzante, ma mi premunii di pulirmi il volto con un tovagliolo.
Quasi ringraziai mentalmente il tempismo della persona che aveva composto il suo numero perché Tom si mosse verso il salotto per poter rispondere. La telefonata fu breve ma mi concentrai sulla sua voce: non per origliare la sua conversazione con Emma (come fu evidente dopo che ne ebbe pronunciato il nome), ma piuttosto per impedirmi di pensare a ciò che stava per accadere poco prima. In verità avrei voluto davvero cancellare gli istanti successivi al suo ritorno dal bagno. Avrei dovuto palesargli la mia stanchezza e chiedergli di tornare a casa sua così che potessi coricarmi. Mi sedetti e allungai la mano verso la forchetta, ingoiando il dolce, senza neppure apprezzarne il sapore come avrei fatto in normali circostanze.
Sentii Tom congedarsi e dopo pochi secondi apparve sulla soglia dell’uscio con il cappotto addosso e le chiavi dell’auto in mano. Aveva perfettamente recuperato la sua compostezza, ma non sorrideva più con quell’alone complice e divertito. “Devo andare”, mi disse in tono piatto, ma senza neppure guardarmi. Si allungò verso il tavolo per recuperare il suo copione.
Annuii. “Grazie di avermi mostrato le modifiche”, mormorai.
Mi rivolse un breve cenno del mento e un sorriso cortese, ma sembrava lontano anni luce dal ragazzo che pochi minuti prima mi stava contemplando. “Ci sentiamo, buonanotte”.
“Buonanotte”, mormorai per risposta e lo seguii con lo sguardo. Contai i passi necessari affinché lo sentissi aprire la porta dell’appartamento e assaggiai il silenzio totale nel quale ricaddi.
Non posso più restare sola con lui, realizzai con un moto d’inquietudine.
Non potei fare a meno di sentirmi in colpa, nonostante la mia relazione fosse immaginaria. Ma, se avessi dovuto essere completamente sincera con me stessa, avrei dovuto ammettere che, benché avessi preso la decisione più giusta, una parte di me non riusciva a non sentirsi dispiaciuta per averlo fermato.
Quella notte, per la prima volta dal mio arrivo a Glasgow, non sognai alcun principe.
 
~
 
Mi svegliai alla consueta ora nonostante non avessi puntato la sveglia. Avevo faticato ad addormentarmi perché non avevo potuto fare a meno di rivivere mentalmente la sequenza degli eventi che ci aveva incastrato in una situazione degna di una commedia romantica. Avevo sentito Morgana rientrare dopo la mezzanotte. Seppur si fosse premunita di camminare piano, si era accostata alla porta per sussurrare il mio nome. Probabilmente se le avessi risposto, sarebbe entrata per darmi un resoconto a caldo della sua serata. Seppur mi sentissi incredibilmente in colpa e con la coscienza “sporca”, avevo finto di non sentirla e di essere addormentata. In quel momento non sarei stata davvero in grado di sostenere una conversazione con lei: mi conosceva fin troppo bene e avrebbe capito che cercavo di nasconderle qualcosa. Non aveva insistito ma si era diretta verso il bagno e, circa una ventina di minuti dopo, si era coricata a sua volta.
Mi sollevai dal materasso e mi affrettai ad andare in cucina per fare colazione. Probabilmente la mia amica sarebbe stata ancora su di giri e non mi restava che sperare che fosse più “distratta” del solito. Avrei voluto concedermi qualche ora prima di parlargliene. Mi ero infatti premunita di infilare nel secchio della spazzatura i cartoni della pizza e le due lattine di birra per non lasciare indizi sulla presenza di un’altra persona. Dopo colazione, anziché dirigermi in bagno per vestirmi, tornai in camera e mi sedetti di fronte alla scrivania. Accesi il notebook, pensando di scrivere la bozza di un nuovo articolo sul blog, ma la mia attenzione fu attratta dall’agenda. La presi e l’aprii per controllare la data dell’appuntamento con il dottor Wilson.
La mia attenzione fu catturata da un post-it giallo che non ricordavo di aver affisso e che era preso dal blocchetto che tenevo sulla scrivania. Aggrottai le sopracciglia di fronte a quella calligrafia sconosciuta. Ci misi pochi secondi per capirne l’identità.
 
You are almost nice when you’re freaking out!
 
Brutto figlio di…
Evidentemente doveva riferirsi alla mia reazione all’arrivo della Umbridge. Ecco come si era intrattenuto durante l’ispezione: rubandomi un post-it, una penna e scrivendomi quelle idiozie sulla mia agenda personale. Continuai la lettura con le sopracciglia ancora più corrugate. Non aveva il benché minimo rispetto della privacy altrui e poi aveva il coraggio di sorprendersi della mia riservatezza!
 
I have seen your agenda: you should renew your contacts, there wasn't my name at the letter "T"![3]
 
Sbattei le palpebre a più riprese e scossi la testa: rilessi il fogliettino e sentii un sentore crescente di nervosismo e di stizza all'idea che avesse letto i miei dati personali. Tanto più che, come aveva notato, non c’erano fotografie di Matteo per la casa. E se si fosse anche accorto che mancava il suo nome alla rubrica? Era comunque plausibile che conoscessi il suo numero a memoria e che non avessi bisogno di scriverlo. Sfogliai la sezione dedicata alla rubrica con gesti bruschi, procurando persino qualche piccolo strappo a una pagina, ma mi affrettai a giungere alla lettera “T” nella quale, a dirla tutta, non avevo alcun nominativo. Fino a quel momento.
Boccheggiai incredula. Aveva scritto il suo nome a lettere cubitali sulla colonna di sinistra. In quella a destra, invece, aveva occupato diverse righe per scrivere una lista dei suoi recapiti personali: il numero di cellulare, due indirizzi (uno di Glasgow e uno del Surrey), l’indirizzo e-mail e la sua username di Instagram.
“Che razza di esaltato”, commentai e scossi il capo. Fissai il numero di telefono e lo memorizzai nella rubrica del cellulare, dopodiché aprii WhatsApp per cercarne la chat corrispondente e quando notai che vi era scritto “online” non potei fare a meno di provare un singulto in gola. Soprattutto al ricordo della formalità con la quale c’eravamo congedati la sera prima. D’ora in avanti sarebbero state quelle le nostre interazioni? Prima che potessi cambiare idea, feci partire la chiamata, premunendomi di atteggiare la voce in un tono arrabbiato e sdegnato. Se non altro ciò mi era di aiuto per rompere il ghiaccio e appurare se le cose tra noi sarebbero tornate o meno alla normalità. Il telefono aveva già squillato quattro volte. Stavo per buttare giù, quando ne sentii la voce e il mio cuore perse un battito. “Sei uno stronzo!”, risposi in tono deciso ma mantenendo la voce bassa, affinché Morgana non mi sentisse.
“Oh, love”, mormorò per risposta con voce più roca del solito. Non potei fare a meno di chiedermi se fosse ancora a letto. “Buongiorno anche a te”, mormorò con intonazione suadente che mi fece arrossire. Se non altro, constatai con un moto segreto di speranza, sembrava comportarsi come al solito. Come se non fosse accaduto nulla. In fondo non era del tutto falso.
“Come ti sei permesso di guardare la mia agenda?!”, lo rimproverai, sforzandomi di non alzare troppo la voce. “E chi sarebbe quelle che dà di matto? Devo ricordarti che ancora non sono certa che l’ispezione darà esito positivo?!”.
Tom si schiarì la gola come se ciò che stesse per dire fosse di vitale importanza. "Dovresti rilassarti più spesso”, mi suggerì in tono indifferente, ma avevo l’impressione che stesse sorridendo. “Potrebbe farti bene lasciarti andare, anziché essere sempre così rigida”.
Sentii le guance bollire al pensiero che, seppur stessimo parlando con i consueti toni, stesse facendo riferimento all’episodio in cucina, che sembrava aggiungersi alla lista spaventosamente lunga di altri momenti simili. “Io non sono rigida”, replicai in tono risentito.
"Devi programmare ogni singolo dettaglio della tua vita per averne il controllo”, mi fece notare Tom con un sospiro e poi sbadigliò teatralmente nel mio orecchio. “Mi sto già annoiando al pensiero”.
“Sei così infantile!”.
“Disse colei che si è infortunata alla caviglia perché non voleva accettare un passaggio amichevole”, mi ricordò con voce ridente.
“Mi sembrava che avessimo già chiarito che è successo tutto a causa tua!”, strillai per risposta. Mi congelai e mi morsi la lingua quando sentii schiudersi la porta della camera di Morgana.
Lo sentii sospirare con aria quasi stoica. “Non ho ancora fatto colazione e non sono in grado di sostenere le tue paranoie, ti dispiace se rimandiamo?”.
“Non ti scomodare, non ho intenzione di rivederti tanto presto!”, ribattei e, malgrado il tono concitato, mi impegnai perché carpisse la mia indignazione.
“Non è che tu possa scappare molto lontano, anche perché adesso ho il tuo numero”, mi fece notare. Quel pensiero mi strappò un brivido lungo la spina dorsale e sembrò annebbiare la mia mente per qualche istante. Sapevo che da lì a poco mi sarei maledetta da sola per essere stata così sciocca da telefonargli, senza neppure ricorrere all’opzione della chiamata anonima. Mi morsi il labbro, ma mi trattenni dal ringhiare letteralmente. “Grazie di avermi rovinato il risveglio e buona Domenica”, gli augurai in tono sarcastico.
Tom rise. “E’ stato un piacere, love. Non ringraziarmi, ci rivedremo presto. A questo proposito, controlla bene la tua agenda”.
Sgranai gli occhi. “Che cosa hai fatto alla mia agenda?!”.
“Bye-bye, love”. Non mi diede il tempo di rispondere perché riagganciò.
Ripresi l’agenda tra le mani e cominciai a sfogliarla febbrilmente, trasalendo nello scorgere altre scritte nella sua grafia o dei post-it colorati qua e là. Già dalla prima occhiata rapida mi resi conto che aveva scritto il suo nome una quantità innumerevoli di volte, dalla consegna delle paste mattutine, fino a improbabili appuntamenti. Trovai la data del Lunedì della settimana in cui, salvo imprevisti, avrei ricominciare a lavorare e a recarmi in Accademia. Originariamente avevo appuntato l’ora in cui avrei avuto lezione con Lupin. Avevo originariamente scritto, accanto all’ora corrispondente: “Lesson with Professor Lupin”. Sotto, con la stessa calligrafia era stato aggiunto, in lettere cubitali: “AND TOM FELTON, I’M SO FUCKING IN LOVE WITH HIM!!!”.
"E Tom Felton: sono fottutamente innamorata di lui?!", lessi con voce strozzata, portandomi persino una mano alle labbra come a volermi contenere dal mettermi a urlare nella mia stessa camera. Maledetto ipocrita. Ha fatto finta di nulla per tutta la sera e mi ha persino strappato una confessione sulla mia crisi con Matteo. Narcisista e doppiogiochista bastardo.
Dopotutto lui non poteva sapere che mi stavo inventando tutto, quindi teoricamente mi stava accusando di serbare dei sentimenti per lui. Nonostante quella sorta di tregua che avevamo stabilito. Non potei fare a meno di ripensare a quell’episodio in cucina e ringraziai che il mio buon senso avesse prevalso e che lo avessi respinto. Ed ero stata anche così sciocca da telefonargli per assicurarmi che non fosse ferito o non ci fosse alcun disagio tra di noi. E lui neppure si poneva il problema. Continuai a sfogliare le pagine per cercare di non restare aggrappata a quel pensiero. Repressi una smorfia disgustata nel notare una fittizia citazione personale risalente alla fine del primo mese di prove all’Accademia.
Tom's smile is so hot: I’m crazy about him since the day we met[4].
Continuai a sfogliare le pagine, cercando ulteriori segni della sua presenza. Per fortuna usavo quell’agenda per tenere nota degli impegni e non come diario personale. Anche se in quel caso sicuramente avrei scritto tutto in italiano, quindi gli sarebbe stato assai difficile capirne il contenuto. Giunsi alla data del ballo dell’Accademia e non potei fare a meno di sgranare gli occhi nel rendermi conto che aveva aggiunto qualcosa anche a quella pagina.
I’d like to dance with him tonight at the ball. TBH I don’t love Matt anymore but I don’t know what to do.[5]
Non potei fare a meno di ribollire di rabbia all’idea che, dopo aver scritto quelle parole, mi avesse persino rivolto quelle domande personali sulla mia fittizia relazione. Mi sentivo così umiliata e così arrabbiata con me stessa da sfogliare le pagine con maggiore brutalità, fino a quando non giunsi al 15 Marzo, la data del compleanno di Sean. Alzai gli occhi al cielo al commento puerile che aveva aggiunto:
IMHO Sean is very ugly compared to him! [6]
Fortunatamente non aveva avuto molto tempo per completare l’opera, infatti trovai delle scritte soltanto a dei giorni specifici. Andai al 5 Giugno[7], il giorno in cui avremmo debuttato con il nostro spettacolo.
OMG! I can’t wait for this day ! I WANNA KISS HIM SO BADLY! [8]
Megalomane coglione.
Mi affrettai a prendere un post-it colorato per coprire quelle parole, continuando a sfogliare fino ad arrivare alle ultime pagine dell’agenda: il prossimo Settembre. Aveva persino trovato la data del mio compleanno in cui avevo appuntato semplicemente un: “My birthday”.
Sotto era stato aggiunto: I’d like to have HIM for my birthday. Or at least one kiss[9].
Preferirei baciare McLaggen, mi ritrovai a pensare.
Non mi aspettavo di trovare altre annotazioni perché ancora non avevo programmato la data del rientro in Italia, ma probabilmente sarei partita dopo il compleanno, per concedermi un ultimo sfizio. Aggrottai quindi le sopracciglia quando al 22 Settembre, la cui pagina era vuota fino a poche ore prima, trovai un’altra scritta da parte sua. Tom’s birthday. I’d like to give him something very special: my heart for example.[10].
Una bara ti regalerò, maledetto bastardo, non potei fare a meno di pensare tra me e me. Ovviamente mi sarei premunita di partire prima di quel giorno. Ripresi a sfogliare pazientemente l’agenda dalla prima all’ultima pagina per controllare che non mi fosse sfuggito altro.
Trasalii quando Morgana bussò e aprì la porta. Indossava ancora la camicia da notte e aveva i capelli raccolti in una treccia morbida. “Buongiorno”, mi salutò con voce allegra e squillante. Intuii che fosse ancora piena di energia e di entusiasmo dal baluginio nel suo sguardo. “Scusa se non aspetto, ma non vedevo l’ora di parlarti di ieri sera! Quando sono tornata stavi già dormendo”, convenne in tono febbrile.
Alla menzione della sera precedente non potei che sentirmi ulteriormente in colpa: non solo le stavo nascondendo qualcosa, ma avevo persino finto di essere addormentata per rimandare quella conversazione. Mi sforzai di ricambiarne il sorriso e inclinai il viso di un lato: “Raccontami tutto: sono curiosa e non tralasciare nessun dettaglio, anche se ho già visto da Instagram come eravate seduti a tavola”, la invitai.
“Ora ti racconto tutto”, mi sorrise e abbassò il vassoio per appoggiarlo sulla mia scrivania. La tazza era stata riempita fino all’orlo perché traboccò leggermente e schizzò sulla mia agenda. “Oddio, scusa! Per fortuna che non sono io la cameriera della casa”, mi disse con un sorriso. Prese una delle salviette di carta per pulirne la copertina ma, in un gesto istintivo, gliela strappai da sotto gli occhi, prima che potesse prenderla.
“Ma non ti preoccupare! E’ solo un’agenda: mica la mia vita dipende da questo”, le dissi in tono ridente, ma a stento riconobbi la mia voce che era salita di almeno due ottave.
Morgana si bloccò e guardò da me al libricino per almeno trenta secondi. Conosceva perfettamente la mia dipendenza da quell’oggetto e certamente quelle parole sarebbero sembrare strane anche se le avessi pronunciate in tono calmo. Il sorriso parve svanire dal suo volto e lo sguardo di quella tonalità di verde e di azzurro sembrò farsi più gelido, come ogni volta che intuiva che qualcuno le stesse mentendo. “Che cosa succede, Sara?”, mi domandò.
“Niente!”, mi affrettai a rispondere ma la mia voce parve persino più stridula e mi alzai dalla scrivania. Mi affrettai a riporla nel comodino e mi volsi verso di lei con un sorriso. “Allora, mi vuoi raccontare della tua serata? Siete stati tutti bene? Trovi simpatico Daniel? Sean è stato un bravo cavaliere?”.
Morgana non era certamente tipo da lasciarsi distrarre così facilmente, ma se possibile il suo sguardo parve persino più scrutatore. “Cosa mi stai nascondendo?”, mi domandò e incrociò le braccia al petto.
“Niente!”, replica nuovamente e la mia voce parve persino più stridula. Imprecai mentalmente.
Devo decidermi a prendere lezioni di dizione per imparare a mentire.
Morgana annuì tra sé e sé con un sorriso mellifluo. “Ora so per certo che nascondi qualcosa e considerando i trascorsi, devo dedurre che abbia a che fare con quella grandissima testa di-”.
“Posso spiegare!”, mi sentii dire e se non altro la mia voce parve recuperare un po’ di dignità.
“Oh, lo spero bene!”, soggiunse Morgana con espressione non poco minacciosa. “Mi auguro per te che sia davvero una giustificazione plausibile, perché in questo momento sento che sia mia dovere di amica prenderti a schiaffi energicamente. Ma prima ti lascerò parlare”, soggiunse con finta cordialità.
“Ha-passato-la-serata-qui”, mormorai tutto di un fiato, ma evitando di guardarla in faccia, sentendo le mie guance bollire.
“Scusami?”, mi incalzò in tono ancora più gelido. “Vuoi ripetere e scandire bene, per favore?”.
Sospirai e ripetei quelle parole, cercando di sostenerne lo sguardo, seppur non sopportassi l’idea di vedere la delusione dipinta sul suo volto.
Morgana sembrò prendersi qualche attimo per assimilare. “Nonostante ti avessi detto esplicitamente che non volevo che tornasse in casa nostra e nonostante Amy ed io ti avessimo consigliato di evitarlo e sottolineo che lo abbiamo fatto nel tuo interesse”, esordì in tono quieto, ma lo sguardo fiammeggiante. Avrei preferito che mi urlasse contro violentemente.
“E’ venuto per le prove dello spettacolo, abbiamo lavorato sul copione, lo giuro! Almeno per la maggior parte del tempo”, spiegai con voce flebile.
Morgana sospirò ed ebbi l’impressione che si stesse trattenendo a stento dallo scuotermi energicamente o dal mettersi a sbraitare platealmente. Richiamò il suo autocontrollo e mi fece ceno di tacere. Poi si sedette e bevve la sua tazza di the molto lentamente.
Io rimasi al centro della stanza come una bambina colta con le mani nel vaso dei biscotti. Mi sentivo incredibilmente confusa in quel momento, non sapendo neppure come dovessi interpretare quella serata. Se era già terribile subire il giudizio della mia coscienza, l’idea che una delle persone per me più care potesse giudicarmi male era insopportabile.
Morgana sembrò notare il mio stato d’animo e sembrò vivere una profonda lotta interiore ma si alzò e mi si avvicinò e, senza dire nulla, mi strinse a sé. “In questo momento la mia voglia di strozzarti è pari soltanto al bene che ti voglio”, mi disse all’orecchio. Si sedette sul mio letto e mi fece cenno di sedermi al suo fianco. “Sinceramente in questo momento sono più preoccupata dal fatto che tu abbia cercato di nascondermelo: devo pensare che sia successo qualcosa di compromettente tra di voi?”. La sua rabbia era sembrata fluire verso la mera preoccupazione.
Scossi il capo, sentendo la gola serrata. “No, ho evitato che potesse succedere. Te lo giuro, non credevo di aver fatto nulla di male e non lo avevo invitato, si è presentato con il copione e abbiamo davvero lavorato allo spettacolo. Abbiamo persino parlato di Matteo e di Emma. Era tutto innocente, fino a quando non mi ha quasi baciata in cucina”. Continuai a parlare a raffica, nonostante Morgana fosse impallidita, come se non riuscissi più a fermarmi per l’agitazione. “Poi mi ha lasciato il suo numero e io avevo paura che le cose tra noi diventassero troppo strane, così l’ho chiamato, ma lui era tranquillissimo, quindi adesso sto peggio perché credo di essermi fatta soltanto delle paranoie inutili e mi pento di non averlo mandato via subito. Il piano originale era quello ma poi è arrivata la Umbridge per un’ispezione a sorpresa e non potevo permettere che pensasse a qualcosa di scandaloso e ci sfrattasse!”.
Morgana sbatté le palpebre a più riprese e sollevò una mano per fermare il fluire confuso e rapido delle mie parole. “Ti conosco e so bene che non sei quel tipo di ragazza, ma adesso devi cercare di calmarti e di raccontarmi tutto dal principio e, ti prego, non devi nascondermi nulla. Sono tua amica e sono sempre dalla tua parte, soprattutto quando ti ritrovi in questi casini”. Soggiunse in tono più dolce, dandomi un buffetto sul naso.
Era calato un profondo silenzio dopo il mio racconto e Morgana sembrò aver bisogno di tempo per assimilare il tutto, ma non aveva smesso di cingermi la mano.
“Devo avere un talento naturale per mettermi in questi guai”, commentai in tono scherzoso, più che altro nel tentativo di rompere il silenzio e indurla a dire qualcosa. Qualsiasi cosa.
La mia amica sospirò ma mi guardò intensamente. “Ho una domanda da farti e voglio che tu ci rifletta bene prima di rispondere perché è una risposta che devi soprattutto a te stessa”.
“Vuoi chiedermi se provo qualcosa per lui”, ne dedussi con un sorriso amaro e Morgana annuì. Fissai un punto indefinito di fronte a noi, prima di sospirare. “Sinceramente credo sia presto per dargli un’etichetta ma credo che più passo del tempo con lui, più imparerò a conoscerlo e più probabilità ci saranno che l’attrazione fisica lasci spazio a qualcosa di più profondo”.
Lei sospirò con l’aria di chi vedeva realizzarsi i propri timori. “Non voglio vederti soffrire, soprattutto per una persona che provoca e poi si nasconde e torna dalla sua ragazza”, mormorò con voce flebile. “Sono d’accordo con Amy: credo che tu gli piaccia e credo che dietro quella parvenza da arrogante bastardello ci sia una persona che ha altrettanta paura di soffrire, ma non puoi stare in sospeso e in attesa che lui metta fine a una relazione che dura da così tanto tempo. Forse lui ed Emma sono al capolinea, ma la tua vita non deve dipendere da questo. Lo capisci?”.
Annuii senza bisogno di rifletterci e Morgana mi cinse le spalle e mi scombinò giocosamente i capelli. “E’ anche colpa mia: reprimi il tuo amore per me, cercando ragazzi affascinanti e pericolosi”, commentò in tono più leggero che riuscì a farmi ridere nonostante tutto. “Non ti dirò di evitarlo perché credo che sia quasi impossibile, prove o non prove, ma il fatto che tu ne prenda consapevolezza è importante per prevenire altri episodi come quello in cucina. Cosa pensi di fare con la storia di Matteo, piuttosto?”.
“Voglio finirla con le bugie al più presto, ballo o non ballo”, commentai per risposta, lasciandomi cadere sul materasso e passandomi una mano sulla tempia pulsante. Restammo in silenzio per qualche istante, prima che decidessi di riporre l’argomento per il momento. “Adesso però mi racconti della serata di ieri?”.
Morgana mi sorrise con aria più suadente e l’entusiasmo sembrò di nuovo accenderle lo sguardo, stendendosi al mio fianco. “Sì, te lo sei meritata dopotutto”.
 
~
 
Sollevai lo sguardo dalle pagine del copione, quando sentii bussare alla porta. Annunciai il mio arrivo e mi rimisi in piedi con le stampelle. Mi premunii di controllare preventivamente dallo spioncino e sorrisi quando vidi la giovane che era in attesa all’esterno.
Schiusi la porta e mi spostai dal vano per consentirle di entrare: “Che bello, sei venuta alla fine!”, L’accolsi con un sorriso. “Vieni, accomodati”.
Lei ricambiò il gesto e mi ringraziò, si tolse il cappotto, il cappellino e la sciarpa e li appoggiò sull’attaccapanni. “Come stai?”.
“Molto meglio: l’ematoma è quasi scomparso, ma uso ancora le stampelle per precauzione”, spiegai. “Andiamo in cucina, ti va un po’ di cioccolata?”.
Parve dubbiosa, ma infine sorrise con un gesto di complicità. “Posso fare uno strappo alla regola ogni tanto”, commentò con aria golosa.
“Questo è lo spirito giusto”, acconsentii e le feci cenno di accomodarsi. “Morgana mi ha già raccontato della vostra serata, ma ovviamente sto aspettando l’approfondimento su di te e su Daniel”.
Il suo sorriso sembrò allargarsi, lo sguardo baluginò e quei segni furono una conferma che la serata era stata molto piacevole anche per lei. Iniziò a raccontare in tono vivace ed entusiasta che, talvolta, lasciava spazio a una dolcezza del tutto particolare e a una sfumatura più rosata sulle guance che nulla aveva a che vedere con il freddo. "E' stata una serata magnifica: io e Luna non ci divertivamo così tanto da un sacco di tempo, sono stata felicissima di conoscere meglio Sean, Morgana e gli altri ragazzi dell’Accademia”.
Non potei che sorridere nel notare come le sue parole combaciavano perfettamente con quelle dell’altra mia amica. “E poi c’era Daniel”, soggiunsi in tono più complice e quasi provocatorio.
“E poi c’era Daniel”, ripeté, fingendo un tono distratto e quasi indifferente, prima di sciogliersi in una risata e cominciare a raccontare con maggiore dovizia di dettagli. “All’inizio ero nervosa, anche se c’era Luna ed ero seduta tra lei e Morgana, ma avevo Daniel di fronte e non volevo dargli a vedere che fossi troppo interessata, ma al contempo neppure volevo apparirgli troppo riservata”.
“Non avevate rotto il ghiaccio quella sera al pub?”.
Annuì. “Infatti è stato molto gentile, mi ha salutata per nome e gli ho subito presentato Luna che, tra parentesi, sostiene che la sua aura è positiva ma che dovrei evitare di incontrarlo quando la luna è in conflitto con Mercurio o qualcosa del genere”, alluse alla passione della sua coinquilina per il mondo dell’astronomia[11]. “Quindi anche Luna ha dato la sua benedizione?”, domandai con un sorriso.
“Più o meno”, ribatté e aggiunse in tono cospiratorio: “Dice che percepisce in lui un mutamento interiore che ancora non si è del tutto manifestato”.
Aggrottai le sopracciglia nel tentativo di capire. “Tradotto in italiano?”.
“Devo essere cauta e restare coi piedi per terra ma non precludermi la possibilità che qualcosa possa succedere tra noi”.
“Mi sembra un consiglio molto saggio”, approvai, salvo sorridere in modo più civettuolo. “Ma adesso raccontami qualche dettaglio succulento”, la incalzai.
"Come ti dicevo, all'inizio ero un po’ tesa e impacciata, ma lui è stato molto gentile come al pub e in pochi minuti abbiamo di nuovo rotto il ghiaccio. Mi ha chiesto del lavoro, della mia famiglia e da quanto tempo sono arrivata in Scozia e poi gli ho chiesto di raccontarmi dell’Accademia, del suo sogno di diventare un attore e dei suoi amici. Ovviamente non ho menzionato quell’oca di Katie e ho fatto finta di dimenticarmi della sua esistenza”, aveva aggiunto in tono così disgustato da farmi ridere. “Mi ha raccontato qualcosa dello spettacolo, ma l’ho pregato di non scendere nei dettagli perché vorrei andare a vederlo di persona”.
Non potei che ascoltare con autentica empatia e altrettanto entusiasmo: “Sono contenta di vedere che vi state conoscendo meglio”.
“La parte più divertente comunque è stata dopo cena, quando siamo andati tutti a pattinare”, convenne e ridacchiò al ricordo. “Dovevi vederlo: è completamente negato! Credo che i gemelli e Rupert abbiano raccolto così tanti video e foto che potrebbero ricattarlo per tutta la vita. Ovviamente conto su di te e su Sean per farmene avere una copia di nascosto”, soggiunse con un ammiccamento e una risata.
“Povero Daniel”, commentai di primo acchito, ma risi persino più forte quando mi raccontò di una clamorosa caduta sul fondoschiena. “Spero che non si sia fatto troppo male”.
“No, tranquilla, rideva persino più forte dei gemelli”, raccontò, ma il sorriso s’intenerì. “L’ho aiutato a rialzarsi e, a costo di apparire un po’ troppo sdolcinata, quando gli ho stretto la mano è stato come se tutto il mondo si fermasse e io sentissi che ero nel posto giusto, al momento giusto e, soprattutto, con la persona giusta”. La sua voce si era fatta più flebile nel pronunciare quelle parole, quasi fossero state un dolce segreto. “Non so se mi sono spiegata bene. Hai mai provato qualcosa di simile per Matteo?”, mi domandò.
Annuii per istinto, ma non era a Matteo che stavo pensando. “E’ come se scomparissero tutte le obiezioni che ti poni normalmente e non senti più quella vocina nella testa che sembra dirti che a te non accadrà mai qualcosa di simile. Quel momento è reale”.
Annuì e sembrò completare le mie riflessioni a voce alta: “Anche se non si può avere alcuna certezza sul futuro, si è grati di quei momenti perché ti fanno sentire viva come non mai”.
Non potei che osservarla con un moto di empatia e di curiosità nel rendermi conto di come, per certi versi, fossimo simili. Probabilmente era proprio questo ad averci consentito di stringere un legame così profondo ed empatico, nonostante ci conoscessimo da così poco tempo. Adoravo Morgana ed era parte della mia vita da così tanto tempo che non potevo pensare alla mia quotidianità senza la sua presenza, fisica o virtuale, ma lei aveva una personalità più esuberante e sicura di sé che si rifletteva in una disposizione d’animo più sensuale nella sfera sentimentale. Al contrario, Amy ed io sembravamo capirci perfettamente e talvolta senza neppure bisogno di parlare in modo approfondito.
Mi riscossi dalle mie riflessioni e la invitai a continuare il racconto.“Sono davvero felice che sia andato tutto bene. Ovviamente ho in progetto di organizzare altre serate simili, ma pensi che saresti pronta a un’uscita soltanto tra di voi?”.
Doveva essersi aspettata quella domanda: seppur fosse evidente l’emozione che quella prospettiva le causava, mi rivolse un sorriso più compiaciuto. “Non voglio crearmi troppe aspettative e voglio continuare a vivere normalmente la mia quotidianità, ma ci siamo scambiati i numeri e non posso negare che spero che possa richiamarmi”.
Non potei che sorridere alla prospettiva, guardandola con il viso inclinato di un lato. “Non pensi di prendere l’iniziativa, immagino”, commentai cautamente.
Scosse risolutamente il capo. “Ammetto di aver abbozzato un messaggio di ringraziamento per ieri sera, ma l’ho subito cancellato. Sta a lui la mossa se è davvero interessato”.
Non potei che annuire: al suo posto avrei agito esattamente nello stesso modo.
Avevamo già consumato le tazze di cioccolata calda, ma le avevo offerto una fetta della torta che era ancora in frigorifero. Da parte mia mi ero rifiutata di assaggiarla, strappandole uno sguardo costernato. Mi ero ritrovata a raccontarle per sommi capi della serata che avevo trascorso con Tom: aveva riso non poco del riferimento all’ispezione e mi aveva persino supplicato di leggere le diciture di Tom sull’agenda. Si era fatta seria e più cauta quando le avevo raccontato di ciò che era quasi accaduto in quella stessa stanza.
“E’ un gran bel casino”, commentò con un sospiro. “Secondo me hai fatto benissimo a respingerlo, anche se non deve essere stato facile: alla fine il suo consiglio ti si è ritorto contro”, convenne con uno scuotimento del capo e uno sguardo comprensivo.
Non potei che sorridere amaramente. “Se fossi riuscita a centrarlo nei gioielli di famiglia, forse mi sarei risparmiata questi guai”, convenni con l’intento di smussare l’atmosfera.
Sorrise per risposta, ma si fece nuovamente seria. “Non sono una gran fan di Emma, ma penso che farebbe meglio a lasciarla a questo punto. Tu comunque ti meriti di più di giocare il ruolo dell’amante e, in ogni caso, anche se si lasciassero, non dovresti subito accettare di uscirci insieme. Bisogna che prima passi del tempo e soprattutto che lui dimostri che prova davvero qualcosa per te e non sia solo attrazione”, sancì in tono più determinato. “Mi raccomando, o la prossima volta Morgana e io ti gonfieremo”, soggiunse in tono più complice.
Non feci in tempo a rispondere che sentimmo proprio la voce di Morgana nell’ingresso e le dissi che eravamo in cucina. Apparve pochi istanti dopo con le buste della spesa e un sorriso allegro ne increspò le labbra, guardando dall’una all’altra. “Ciao belle fanciulle”, ci apostrofò, depositando le buste. “Ho preso la pasta per la pizza”.
“Allora vi lascio”, mormorò Amy che si rimise in piedi.
“Ma perché non resti, invece?”, la incalzai in tono entusiasta. “Morgana e io ce la prepariamo sempre la Domenica sera. Non sarà buona come quella delle pizzerie, ma non ce la caviamo affatto male”.
“Non accetto un no come risposta”, soggiunse Morgana, cominciando a riporre il contenuto delle buste, mentre mi alzavo per aiutarla.
“Allora accetto, ma la prossima volta venite voi da me e da Luna”, soggiunse allegramente, aiutandoci a sua volta.
“Ti ha raccontato che ha combinato ieri sera? Sto pensando di chiamare un prete per esorcizzare questa stanza”, dichiarò Morgana mentre io scuotevo il capo.
Amy rise per risposta. “Si mette in troppi casini quando non ci siamo”, soggiunse con uno scuotimento del capo.
“Guardate che vi sento”, feci loro notare, ma sempre sorridendo.
“L’intento era quello”, commentò la mia inquilina con aria giocosa.

Non avevo dubbi che, anche in futuro, avrei ricordato quella serata come una delle più belle e spensierate del mio soggiorno in Scozia.
“Scommetto che Daniel ti chiederà di andare con lui al ballo”, fu il commento di Morgana, durante la cena, rivolgendosi ad Amy con un sorriso d’intesa.
Da quello che avevo sentito del resoconto non potevo che dirmi altrettanto speranzosa.
Come immaginavo, tuttavia, lei appariva molto incerta al riguardo e scosse il capo, seppur avesse sorriso all’idea. “Non voglio farmi illusioni”, disse semplicemente. “In fondo ci conosciamo appena e sarebbe comprensibile se volesse invitare Katie”. Non poté fare a meno di pronunciare quel nome con un sospiro.
“Non credo”, ribatté rapidamente Morgana con uno sguardo assai sicuro di sé. “Non mi sembrava affatto che ne sentisse la mancanza”.
Amy si schermì con un sorriso. “Sei fin troppo gentile”, replicò rapidamente, ma volle spostare l’attenzione su di lei. “Secondo me invece è ovvio che Sean inviterà te: sembrava non riuscire a staccarti gli occhi di dosso ieri”.
“Ah sì?”, m’intromisi io con un sorriso altrettanto gongolante, guardando la mia amica con le sopracciglia inarcate. Non era da lei essere così modesta e non mi aveva fatto alcun riferimento esplicito a un’evoluzione del rapporto tra lei e il mio amico di penna.
Morgana ci rivolse un sorriso più suadente. “Effettivamente potrebbe avermi chiamato prima”, ci rivelò e ci sporgemmo entrambe in sua direzione per ascoltare i dettagli. “E’ stato molto dolce e gentile, come sempre del resto. Mi ha detto che è stato benissimo ieri e che gli farebbe piacere se potessimo uscire qualche altra volta. Da soli”, specificò in tono compiaciuto. Si volse poi in mia direzione per studiarmi.
Conoscevo la natura più riservata di Sean in ambito sentimentale, quindi non mi sorprendeva il fatto che non avesse fatto alcuna menzione di quella proposta nel suo messaggio del buongiorno. Forse avrebbe preferito parlarmene di persona. Se non altro Tom non sembrava avergli raccontato della nostra serata insieme e mi ero scoperta sollevata. Non volevo che lo scoprisse in quel modo.
“Non lo starai tenendo in sospeso?”, indagai con un moto di preoccupazione per il mio amico.
Morgana sorrise, ma mi guardò con il volto inclinato di un lato. “In realtà gli ho detto che mi farebbe molto piacere, ma al contempo mi sono sentita in colpa, perché è tuo amico e non voglio intromettermi tra voi o-”.
La interruppi con un cenno del capo e le strinsi la mano. “Siete adulti e non avete certamente bisogno della mia benedizione. Inoltre siete due delle persone a cui voglio più bene al mondo, quindi mi sembra semplicemente perfetto”, commentai con un sorriso.
“Sei la migliore”, mormorò Morgana e si sporse a baciarmi la guancia.
“Quindi molto probabilmente Sean ti inviterà al ballo e speriamo che Daniel faccia altrettanto con Amy”, convenni con un sorriso, alzando il bicchiere di birra per brindare con entrambe. “Si prospetta una serata molto interessante, ragazze. A me dispiace soltanto di non poter usare il pretesto della caviglia”, ribattei con una smorfia.
Morgana si era accigliata. “Credevo che volessi fingere di rompere con Matteo prima del ballo”.
“Questo mi darebbe un buon motivo per non venire”, riflettei a voce alta.
Morgana aggrottò le sopracciglia in risposta. “Vuoi davvero interpretare la parte della povera ragazza abbandonata e disperata che rinuncia al ballo per piangere a casa con il gelato?”, la sola idea le procurò una smorfia. “Perché invece non vieni da sola e ti dimostri una donna emancipata e autonoma?”.
“Forse perché non ho neppure la metà del tuo carisma e della tua sicurezza, senza contare la coordinazione su un tacco da 7 centimetri?”, ribattei in tono lievemente ironico.
Amy, che fino a quel momento non era intervenuta, aveva assunto un’espressione piuttosto furba e si era sporta verso di voi. “Potrei avere la soluzione perfetta per te. In realtà avrebbe dovuto presentarsi alla cena di ieri sera, ma sappiamo come è andata a finire”, soggiunse con un cenno distratto della mano.
“Quale soluzione?”, chiedemmo io e Morgana in coro.
Amy sorrise persino più soddisfatta. “Si dà il caso che io abbia un amico la cui famiglia paterna è di origini siciliane. Ha la tua stessa età e da come mi hai parlato di Matteo, credo che sarebbe perfetto per interpretarlo”.
Prima che potessi replicare, aveva estratto il suo cellulare e aveva aperto il profilo Instagram del ragazzo in questione: Dario Aita[12]. Ci porse il telefono e Morgana ed io ci sporgemmo per osservarlo. Era il selfie di un bel ragazzo dai tratti mediterranei. Aveva la carnagione olivastra, fluenti capelli castani che gli arrivavano alle spalle e lo sguardo nocciola che sembrava animato da un certo brio. Aveva un sorriso vispo e affascinante che sembrava il segno di una personalità spensierata. Ma dalla postura e dallo sguardo diretto all’obiettivo si sarebbe potuto facilmente evincere che fosse consapevole del suo fascino.
“Gli ho parlato di te”, continuò mentre Morgana prendeva a sfogliare le sue fotografie, mostrandomene alcune con un sorriso piuttosto eloquente. “Gli ho fatto leggere qualche stralcio del tuo blog e ha visto le tue foto di profilo su Facebook e ha detto che sembri molto carina e simpatica e che sarebbe disposto ad aiutarti”.
“Davvero?”, domandai incredula.
Annuì con un sorrisino. “Devo avvertirti: ha le maniere di un Don Giovanni, ma sotto sotto è un ragazzo sensibile e dolce. Ma è uscito di recente da una storia lunga e travagliata, quindi al momento non sta cercando una relazione seria. Finché si tratta di venire a un ballo e vestirsi elegante o uscire insieme per un drink si è detto più che disponibile”.
“Ed essendo di origini italiane non dovrà neppure simulare l’accento, basterà che tu gli racconti la versione che hai dato a Emma e al suo stronzato[13] e il gioco è fatto”. Intervenne Morgana, come sempre amante di simili intrighi.
Amy si riprese il cellulare e aprì la rubrica. “Questo è il suo numero. Cito le sue testuali parole: Dille che può fare di me ciò che vuole”, recitò nel tentativo di simulare il tono del ragazzo, strappando  una risata alla mia amica.
“Che sfrontato, già mi piace!”, commentò per risposta ed entrambe rimasero in attesa di una mia reazione.
Non avevo potuto fare a meno di provare un moto di sollievo ma, al contempo, ero dubbiosa alla prospettiva. “Sei davvero sicura che per lui non sia un disturbo? E che non si aspetterebbe altro? Perché in questo momento l’ultima cosa che voglio è complicarmi ulteriormente la vita”.
“Assolutamente no”, rispose. “Gli ho detto esplicitamente che deve fingersi il grande amore della tua vita ma ho subito premesso che al momento non vuoi ulteriori complicazioni. Certo, se poi volessi baciarlo, questo è a tua discrezione”, soggiunse con un ammiccamento che mi fece ulteriormente arrossire.
“Dai, chiamalo subito”, commentò Morgana, dandomi una lieve spintarella.
“Magari domani”, ribattei prontamente. “Non vorrei disturbarlo se è uscito in compagnia o con una ragazza”.
“No, subito!”, mi spronò Morgana, per poi volgersi all'altra. “Credimi: se c’è qualcosa su cui è dubbiosa, sarebbe capace di rimandarlo all’inverosimile. Dai, chiamalo e metti il vivavoce, voglio sentire”.
Lasciai che mi dettassero il numero, premetti il tasto della chiamata e poi l’icona del microfono per attivare il vivavoce, sentendo il cuore scivolarmi nello stomaco. Perché dovevo essere sempre così emotiva? Anche con una persona che doveva semplicemente farmi un favore in nome di un’amicizia in comune. Il telefono squillò a vuoto per qualche secondo ed ero quasi sollevata e sul punto di sospendere la chiamata, quando sentii la voce maschile rispondere in inglese.
Incoraggiata dagli sguardi delle mie amiche, risposi con le guance in fiamma. “Dario?”, domandai in tono esitante.
“Sì?”, rispose subito il ragazzo. “Con chi sto parlando?”.
“Mi chiamo Sara”, mi affrettai a presentarmi. “Sono l’amica di Amy”.
Fu repentino il cambiamento nell’atteggiamento del ragazzo la cui voce divenne subito più confidenziale e amichevole. “Ciao Sara! Come stai? Amy mi ha detto della caviglia”, mi salutò in italiano e con una confidenza tale che sembrava che già ci conoscessimo.
Cercare di non farmi sopraffare dall’imbarazzo era persino più difficile di fronte alle mie amiche. Morgana aveva assunto un’espressione piuttosto compiaciuta e sembrava voler studiare ogni dettaglio possibile dalla voce di Dario e dalle sue parole. Amy, mentre lui parlava, si stava dilettando nel farne una bonaria imitazione, stringendosi spesso nelle spalle, grattandosi l’orecchio e poi inclinando il viso verso di me con le sopracciglia inarcate e il sorriso vispo. Evidentemente dei gesti che erano abituali da parte dell’amico.
“Sto molto meglio, grazie. Spero di non averti disturbato piuttosto”.
“Assolutamente no. Anzi, sono molto lusingato che tu mi abbia chiamato”, commentò con voce persino più vellutata che strappò a Morgana un fischio di ammirazione. Le feci cenno di smetterla mentre Amy cercava di non ridere troppo alle parole dell’amico. “Posso dedurre, con immenso piacere, che stai per invitarmi al ballo?”
Non potei fare a meno di sorridere per il modo in cui mi stesse letteralmente evitando di cadere in ulteriore imbarazzo, senza fingere di aver bisogno che esplicitassi la mia richiesta. “Davvero, Dario, soltanto se non ti è di troppo disturbo”.
“Amy l’aveva detto che sei una ragazza premurosa e gentilissima”, mormorò in tono più complice. “Dai, facciamo così. Aspettiamo che la tua caviglia guarisca e poi ci prendiamo un caffè, così mi racconti tutto di te e di Matteo. Ti farò fare un figurone, promesso”.
“Non so come ringraziarti, davvero”.
“Passare una serata con una bella ragazza è già un ringraziamento”, commentò in tono persino più galante, strappando alle ragazze una bella risata che riuscirono fortunatamente a contenere affinché non le sentisse. “Allora aspetto tue notizie, memorizzo il tuo numero. Ciao bella, a presto”.
“A presto Dario, ancora grazie. Buona serata”.
Sospesi la chiamata e le mie amiche poterono dare sfogo liberamente alla loro ridarella. Amy scosse il capo. “Non cambierà mai”, commentò in tono bonario. “Credimi, quando vuole sa interpretare il fidanzato perfetto: non vedo l’ora di vedere la faccia di Emma. Ovviamente lo castrerò di persona se si permetterà di fare il cascamorto anche con lei”, soggiunse con fervore e Morgana non poté che annuire con enfasi. “Anzi, ora la cerco su Instagram così salvo qualche foto e lo istruisco a dovere”.
“Non posso crederci che i miei guai siano risolti! Non so come ringraziarti ancora una volta!”, esclamai, portandomi una mano al cuore. “Prometto che dopo quella sera non mentirò mai più”.
Morgana rise per risposta. “Propongo di alzare i calici su questa promessa infranta sul nascere”, mi prese bonariamente in giro, facendo cozzare di nuovo i nostri bicchieri.
Il divertimento continuò per le ore successive, probabilmente fomentato da qualche bicchiere di birra di troppo (soprattutto per la mia poca dimestichezza con l’alcol) e senza dubbio il momento più spassoso era stato quello in cui, dopo il caffè, c’eravamo spostate in salotto. Dopo esserci scambiate degli aneddoti spassosi sulle persone che avevamo incontrato in Scozia e sui clienti abituali, avevamo dato inizio a un gioco di imitazioni. Personalmente ottenni non poco successo nel fare le veci di Emma, provando a mulinare i capelli nello stesso modo e a camminare con la stessa eleganza, dopo aver saccheggiato un cappotto e una borsa firmata di Morgana. Poi mi ero rivolta alle mie amiche con voce leziosa e un sorriso forzatissimo. “Oh, Sarah! Non vedo l’ora di conoscere il tuo Matthew!”, avevo cercato anche di simulare l’accento britannico. “Dovremmo uscire tutti e quattro insieme e magari potremmo sposarci lo stesso giorno e andare in luna di miele tutti insieme!”, cinguettai e battei le mani come ad applaudirmi da sola, strappando alle mie amiche versi di disgusto e di scherno.
Amy ci deliziò con un’imitazione di Lavanda Brown e ancora una volta ebbi la conferma che il nostro principale poteva avere molti difetti, ma non certo quello di licenziare senza valido motivo. “Ma Signor Riddle!”, pigolò, con voce acuta e supplichevole. “Non posso pulire i pavimenti e i tavoli: mi si rovinerà il gel alle unghie! Non capisco perché sia arrabbiato con me, in fondo sono arrivata in ritardo solo di un’ora quest’oggi e Neville mi ha coperta. Non è vero, Nevnev?![14]. Si portò poi le mani al viso e finse di piagnucolare. “Nagini è d’accordo con me, non vero, Nagini?”. “Signorina Brown”, avevo imitato il tono severo di Riddle e lo stesso sguardo di fuoco, nonché il modo in cui contorceva le mani, quasi a ricordarsi di non poter strozzare il suo interlocutore. “Non le permetto di mentirmi così spudoratamente, soprattutto di coinvolgere il mio tesorino, avevo accarezzato un cuscino come se si fosse trattato dell’amato serpente. “Come dici, tesorino? Sì, dovremmo licenziarla subito!”.
Morgana, invece, ci aveva letteralmente steso con un’imitazione di Mrs Umbridge, cominciando a tossire convulsamente nel tentativo di attirare la nostra attenzione, per poi cinguettare con voce acuta. “Ehm. Ehm. In questo dormitorio è richiesta una condotta pu-ri-ta-na!”, aveva esclamato, guardandoci entrambe con sguardo severo e le braccia incrociate al petto. “In altre parole, ehm, ehm,ehm, visto che la mia vagina sta benissimo con le sue ragnatele, non vedo perché le vostre non dovrebbero essere altrettanto impolverate! Niente ragazzi, capito? Nel modo più assoluto e nel raggio di cinquanta chilometri dal mio condominio salubre fisicamente e moralmente !”.
Stavamo ancora ridendo a crepapelle quando Amy ricevette una notifica e controllò il suo profilo di Instagram per poi aggrottare le sopracciglia. “Stan Krum[15]?”, lesse con aria perplessa. “Mai conosciuto, chi cavolo è? Ha messo “like” a tutti i miei disegni!”.
Personalmente adoravo le sue vignette con le quali, quando era ispirata, sapeva riprodurre scene di vita domestica delle sue scorribande con Luna, episodi particolarmente comici avvenuti alla Camera dei Segreti, aneddoti della sua vita in Italia. Il tutto in chiave ironica e non mancando di ironizzare persino su se stessa. Vi erano anche ritratti dei protagonisti di manga e di fumetti o di celebrità che avevano attirato l’attenzione del suo nuovo follower.
“E’ carino?”, domandò Morgana e ci sporgemmo entrambe per spiare dal suo telefono mentre apriva il profilo del giovane.
Fischiò d’ammirazione. “Mica male”, commentò con gli occhi sgranati. La fotografia ritraeva un giovane che aveva più o meno trent’anni, dai lineamenti slavi, i capelli scuri e corti, modellati con il gel, la barba e il pizzetto. Indossava gli occhiali da sole e dalle maniche corte della camicia si intravedevano bicipiti muscolosi e ricoperti di tatuaggi. Rivolgeva un sorrisino all’obiettivo e nella descrizione si diceva particolarmente soddisfatto dell’acquisto del modello di Rayban che indossava. Al suo collo pendeva un ciondolo con un toro, evidentemente un riferimento al suo segno zodiacale. A giudicare dalla sua stazza e dai muscoli doveva essere un assiduo frequentatore della palestra, ma dalle foto postate si capiva che era un insegnante di arti marziali e che aveva la passione per i fumetti e per il rugby. Evidentemente doveva aver trovato il suo profilo dagli hashtag che aveva usato per descrivere alcuni dei suoi disegni. L’ammirazione, dopo pochi secondi, lasciò spazio all’ulteriore ridarella, quando Amy passò in rassegna diversi selfie e dei brevi video del giovane mentre si trovava in palestra. In uno in particolare, stava facendo esercizi con il bilanciere e con il sottofondo piuttosto discutibile di una melodia che somigliava a un jingle pubblicitario. Ci scambiammo un’occhiata costernata per poi scoppiare a ridere in simultanea.
Si era fatto molto tardi e Amy era troppo brilla per mettersi al volante, così insistemmo perché dormisse da noi e improvvisammo un pigiama party per dormire tutte e tre nella mia camera. Ci svegliammo non prima delle undici del mattino e con un mal di testa da guinness dei primati nel caso mio e di Amy. Una fortuna che lei non avesse il turno di lavoro prima di quel pomeriggio. Al contrario, Morgana era già in piedi ma sembrava fresca come una rosa mentre portava un vassoio di cioccolate e due bicchieri d’acqua e aspirina effervescente.
“Signore, è stato pazzesco”, commentò in tono giocoso, e già vestita di tutto punto. “Ma adesso devo proprio lasciarvi. Fate le brave in mia assenza: nessun’altra telefonata al finto Matteo e basta followers aitanti. Bye-bye”.
Rispondemmo in un coro di parole indistinte, miste a un saluto e a un’imprecazione perché a differenza nostra non sembrava avere alcuna ripercussione degli eccessi della sera precedente.
“Come diavolo fa a essere così in forma?”, mormorò Amy che sembrava infastidita sia dalla luce che dalla voce squillante di Morgana. Si era raddrizzata, con i capelli scarmigliati, e mi aveva porto una delle due tazze di cioccolata.
“Anni di pratica e una soglia di resistenza all’alcool più alta della nostra”, risposi con voce tombale. “Non berrò mai più”, piagnucolai e mi massaggiai la tempia pulsante con una mano.
“Direi che hai appena detto un’altra cazzata”, commentò e rise, prima di gemere. “Non farmi ridere, mi scoppia la testa. Prima l’aspirina o prima la cioccolata?”, mi domandò.
“Adesso non farmi ridere tu”, mugugnai.
Dopo una mezzora sembrammo recuperare sembianze vagamente umane e solo a quel punto si accorse di aver ricevuto un messaggio. “Daniel mi ha scritto!”.
“Cosa?!”, mi sporsi dalla porta del bagno, la mia voce era appena udibile dal momento che mi stavo energicamente strofinando i denti con lo spazzolino.
Fu con un sorriso che mi porse il cellulare perché leggessi io stessa:
Buongiorno Amy :)
Ci tenevo a dirti che sono stato benissimo Sabato sera e che mi ha fatto piacere conoscerti meglio. Spero che i nostri amici organizzeranno presto un bis. Che ne diresti se uno di questi pomeriggi, quando non sei impegnata con il lavoro, ci vedessimo per un aperitivo?
Buona giornata :)
Le restituii il telefono con un sorriso piuttosto compiaciuto. “Credo che questo, mia cara, possa considerarsi un palese segno del suo interesse”, commentai in tono complice.
Sembrava evidente che non volesse entusiasmarsi troppo, ma lo sguardo sembrava baluginare della stessa dolcezza che lo attraversava quando ne incontrava lo sguardo o parlava di lui. Nei successivi minuti si ingegnò per elaborare una risposta che fosse cordiale ma non troppo espansiva, con la tipica cautela di chi continuava a sognare ma coi piedi ben appoggiati a terra.
Non potei che guardarla con un sorriso. Certamente era presto per dirlo a voce alta, ma non potevo che sentirmi felice all’idea che, di quando in quando, un sogno sincero e così dolce potesse divenire realtà. Forse era questo che intendeva il Principe dei miei sogni quando m’incoraggiava a non fuggire dai miei sentimenti. Non potei fare a meno di chiedermi quando avrei potuto scoprirlo io stessa.


 
To be continued... 
 
Salve a tutti e ben ritrovati :)
Gli aggiornamenti, come potete notare, diventano meno regolari ma a mano a mano che mi inoltro nel cuore della storia, mi rendo conto che devo apportare più modifiche. D'altronde si tratta di un vero e proprio effetto domino.
Devo quindi avvertirvi che anche il capitolo 8 mi richiederà del tempo, soprattutto perché mi sono resa conto (e ancora una volta ringrazio Evil Queen con la quale siamo spesso impegnate in consultazioni degne del Presidente della Repubblica) che dovrò riscriverlo completamente ex novo. Non si tratta solo di dettagli legati ai personaggi secondari o alla scelta dei costumi, ma non riesco più a rispecchiarmi nella ragazza descritta in quel modo e soprattutto trovo intollerabile l'originale versione, soprattutto il comportamento di Tom che è tutt'altro che incoraggiante per una svolta romantica tra i due. Soprattutto alla luce della comprensione di Sara dei propri sentimenti per lui. 
Quando questa fanfiction fu scritta originariamente (2010-2011) e poi revisionata prima della pubblicazione (nel 2013), ero fin troppo coinvolta emotivamente, tanto da mancare di oggettività e avere un'idea dell'amore piuttosto discutibile ma che era coerente alla mia personalità in quel particolare frangente della mia vita. Sono soddisfatta della revisione che si sta delinenando e sto cercando il più possibile di mantenere "lo spirito" con cui è stata scritta la prima versione, ma non posso lasciare le cose come stavano in quel particolare capitolo e spero che chi ha letto la versione originale possa capire e non restarne deluso. 
Un forte abbraccio e alla prossima :) 

[1]Per ascoltare il brano: qui
[2] Nomignolo che si usa in rapporti di amicizia e confidenziali. Può essere usato come abbreviativo di “baby” o acronimo di Before Anyone Else per indicare una persona che viene prima delle altre tra i nostri affetti.
[3] Traduzione: Sei quasi carina quando stai dando di matto. Ho visto la tua agenda: dovresti aggiornare la rubrica, mancava il mio nome alla lettera “T”. La parola “agenda” è di origine latina ed è usata anche in inglese, senza bisogno di tradurla :D
[4] Il sorriso di Tom è così sexy: sono pazza di lui dal giorno in cui ci siamo incontrati.
[5] TBH è l’acronimo di “To be honest”. Traduzione: Vorrei danzare con lui stasera al ballo. A essere onesti non amo più Matteo ma non so che cosa fare.
[6] IMHO è acronimo di “In my honest opinion”. Traduzione: A mio parere, a essere sinceri, Sean è davvero brutto in confronto a lui!
[7] Ho scelto questa data perché sarebbe il giorno del compleanno di Draco Malfoy :)
[8] Oh Mio Dio! Non vedo l’ora che arrivi questo giorno! VOGLIO BACIARLO COSI’ TANTO!
[9] Mi piacerebbe avere LUI per il mio compleanno. O almeno un bacio.
[10] Compleanno di Tom. Vorrei dargli qualcosa di speciale: il mio cuore, per esempio.
[11] Non potendo descrivere Luna esattamente come il personaggio della Rowling che parla di Nargilli e cose simili, ho pensato di attribuirle questa passione per dare al suo carattere una sfumatura più estrosa :)
[12] Devo ringraziare ancora una volta Evil Queen che mi ha suggerito, tra diverse opzioni, questo attore di origine siciliana e mi ha aiutato a escogitare un modo per sostituire la storyline originale con l’ammiratore segreto. Ammetto di non seguire  molte serie tv italiane, quindi non ho ancora avuto il piacere di vederlo all’opera, ma mi sono ispirata a qualche video di youtube durante le sue interviste e ne ho osservato la gesticolazione e le espressioni del volto. Naturalmente anche in questo caso gli sto attribuendo una personalità che è funzionale al mio racconto :D
[13] Non è un errore di battitura, ma un tentativo di fondere la parola “stronzo” e “fidanzato” :D
[14] Sicuramente ricorderete tutti il “Ronron” che usava in Harry Potter e quindi non ho potuto resistere :D
[15] Anche in questo caso ho optato per mescolare il nome del personaggio con quello dell’interprete. Si tratta, infatti, di Stan Yanevski che nella saga di Harry Potter interpretava Viktor Krum.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


8
 
Il tempo era letteralmente volato dopo il periodo della mia convalescenza. Il Dottor Wilson aveva confermato la mia completa guarigione e avevo fatto ufficialmente ritorno alla mia routine, con la consegna delle paste al custode dell’Accademia. Se non altro avevo avuto la conferma che la sua antipatia nei miei confronti non fosse un fatto personale, ma piuttosto una disposizione di carattere e un particolare risentimento verso i giovani.
Nella stessa settimana avevamo ricevuto il risultato dell’ispezione di Mrs Umbridge con un rapporto prolisso e dettagliato in cui aveva sottolineato che, a parte il ritardo con cui le avevo aperto la porta e l’evidente “eccentricità” delle mie maniere, eravamo riuscite a soddisfare gli standard richiesti. Almeno fino a quel momento. Qualcosa mi diceva che prima della fine di quell’anno sabbatico ci sarebbero state altre visite ma sinceramente speravo che la prossima volta fosse Morgana ad averne l’onore.
Non avrei saputo dire quale fosse stata la mole di lavoro più spaventosa: le prove con Lupin, soprattutto alla luce dei recenti cambiamenti di sceneggiatura, le prove del ballo, da che quelle due settimane di immobilità avevano strappato non pochi sospiri ad Allock o i turni lavorativi. Al pub ero stata accolta con grande entusiasmo da tutti i colleghi (Neville mi aveva persino abbracciato di slancio all’idea di non dover più compiere la consegna mattutina al mio posto), ma anche da qualche cliente abituale. Daniel, in particolare, aveva insistito per farmi conoscere Rupert e Bonnie. Più contenuta era stata la felicitazione del Signor Riddle, ma avevo ripreso il mio lavoro con energia, non lamentandomi quando mi veniva chiesto di coprire l’ultimo turno. Avevo cercato di dimostrarmi disponibile anche con i colleghi, offrendomi sempre di sostituirli per cercare di farmi perdonare dei disagi che avevo causato con il mio periodo di assenza.
Alla prima menzione del ballo per celebrare il 150° Anniversario dell’Accademia, avevo ritenuto di avere abbastanza tempo per gestire tutte le implicazioni: dal falso Matteo al vestito e agli accessori per quella serata.  Mi ero dovuta ricredere perché i giorni sembravano letteralmente volare ma, grazie al sostegno delle mie amiche, ogni cosa sembrava incastrarsi nel modo più congeniale possibile. Questo, tuttavia, non mi esortava a voler sfidare ulteriormente il destino. Era sempre più evidente che fosse opportuno limitare le frequentazioni tra me e Tom e non soltanto per riguardo a Emma.
Le mie amiche avevano visto soddisfare le loro aspettative per il ballo e sarebbero state accompagnate da Sean e da Daniel.
Il primo appuntamento tra Morgana e Sean era stato la conferma di quella complicità che avevo notato dal primo giorno e che si era poi approfondita nei momenti che avevano trascorso da soli, fino a quella cena a cui ero mancata. Avevano due caratteri molto diversi, ma avevano raggiunto un’intesa particolare e Sean era esattamente ciò che Morgana sperava di trovare, giunta in questa fase della propria vita in cui i flirt più spensierati lasciavano spazio al desiderio di un impegno serio.
La storia tra Daniel e Amy, per certi versi, era più “datata”, considerando per quanto tempo la mia amica avesse vissuto segretamente la propria infatuazione. In più di un’occasione, che fossero soli o in una compagnia più vasta,  Daniel con la sua spontaneità era riuscito a rompere il ghiaccio e a infrangere  quel velo di riservatezza tra la mia amica e il resto del mondo. L’aperitivo che le aveva proposto era stato solo l’esordio di una cenetta informale in pizzeria. Alla fine della serata, dopo aver insistito per portarla a casa con la sua auto, le aveva chiesto di accompagnarlo al ballo. Mi aveva confessato che non era stato facile nascondere la commozione e contenere il suo entusiasmo. Lo aveva abbracciato di slancio e aveva sussurrato una risposta affermativa al suo orecchio. L’atmosfera al pub, da quella sera, era completamente cambiata tra loro: Daniel appariva più entusiasta che mai quando entrava e si premuniva di avvicinarsi al bancone quando sarebbe stata la mia amica a servirlo. Da parte mia esortavo la mia amica, in assenza di Riddle naturalmente, a raggiungerlo al tavolo, quando il locale non era troppo affollato e ritenevo giusto che si concedesse una pausa. Non potevo che sorridere a quei gesti discreti con cui accompagnavano la conversazione, come il tenersi per mano o un bacio sulla guancia.
Amy, tuttavia, non si era affatto dimenticata di me: si era proposta di organizzare a casa propria quel “caffè” tra me e Dario, così da rendere la situazione più informale possibile per entrambi. Le mie prime impressioni (nate dalle fotografie e dalla telefonata) avevano trovato conferma. Dario si fregiava del suo fascino naturale e aveva maniere galanti e suadenti, ma potevo anche scorgere dei segnali d’insicurezza nel modo in cui si grattava l’orecchio di quando in quando o si stringeva nelle spalle, ogni volta che lo ringraziavo con particolare enfasi. Gli avevo raccontato per sommi capi la verità sulla mia conoscenza di Matteo e la “versione” che avevo propinato a Emma e a Tom e aveva ascoltato tutto attentamente. Mi aveva promesso che avrebbe seguito le mie direttive e ridotto l’improvvisazione al minimo. Dovevamo apparire in sintonia come due persone che, prima di diventare una coppia, erano state buone amiche e tali sarebbero rimaste per sempre. Ma dovevamo evitare atteggiamenti leziosi e stucchevoli che sarebbero sembrati artefatti e poco credibili, soprattutto considerando la successiva “rottura programmata”.
In quell’occasione avevo finalmente conosciuto l’amica e coinquilina di Amy, Luna Lovegood. Era una ragazza molto carina (come già mi era apparsa in foto) con i capelli lunghi e biondi, lievemente ondulati e grandi occhi azzurri che sembravano studiare le persone attorno con sé con grande arguzia e sagacia. Talvolta il suo sguardo, come avevo notato, sembrava farsi più velato e perdersi nelle sue elucubrazioni. La nostra amica in comune mi aveva raccontato che la povera ragazza era stata oggetto di scherno e che molte ex compagne di liceo o del college la giudicassero “stramba” o “tocca” per la sua passione legata all’astrologia. Luna, come mi aveva confermato con calore, era una persona sincera e leale e la sua personalità estrosa era stata fin troppo oggetto di critiche e pregiudizi da parte di persone superficiali e maligne. Non potevo che sorridere all’idea che si fossero trovate e potessero aiutarsi a guarire quelle ferite del passato.  
Da parte mia, provai subito un moto di simpatia e fui molto lusingata quando, dopo le presentazioni, Luna dichiarò che il suo sesto senso le stava suggerendo che fossi una brava persona e una buona amica per Amy. Lasciai anche che mi studiasse il palmo della mano e che mi scrutasse a lungo. Ero certa che non avrei mai dimenticato la sua analisi: sosteneva che avevo “un’aura rosata”, sintomo del fatto che mi stessi innamorando e che stessi cercando inutilmente di combattere contro quel sentimento. L'altra ragazza ed io ci eravamo scambiate uno sguardo insieme ammirato e incredulo, ma Luna aveva continuato a trattenermi la mano e mi aveva sorriso con un moto di dispiacere. A suo dire la persona verso la quale provavo quel sentimento, non era “emotivamente disponibile” per la sottoscritta. Non al momento. Non escludeva che sarebbe potuto accadere, ma forse, mi aveva ammonito, troppo tardi. Tuttavia, e qui mi aveva rivolto un sorriso più complice, riteneva che il mio “cavaliere” fosse in procinto di arrivare. Non mi ero trattenuta, a quel punto, e le avevo raccontato dei miei sogni ricorrenti sul misterioso Principe. Si era fatta molto seria al riguardo, ma mi aveva detto che  il cavaliere e il principe non erano la stessa persona. Quella sarebbe stata la scelta più importante in quella fase della mia vita. Amy sembrava particolarmente incline a crederle: poteva testimoniare che quelle “percezioni” si erano spesso rivelate corrette, seppur talvolta richiedessero del tempo. In altre occasioni, invece, la sua interpretazione era stata erronea. Superfluo dire che, astrologia e/o interpretazione dei sogni a parte, quelle parole mi avrebbero lambiccato la mente non poco.
 
~
 
Non riuscivo a distogliere lo sguardo dallo specchio. Erano quasi le otto di sera e tra pochi minuti avremmo sentito suonare il campanello, quando Sean sarebbe venuto a prenderci.
E’ ufficiale, continuavo a ripetermi: quella serata tanto temuta stava per aver inizio. Ciononostante, c'era qualcosa d’irreale e di suggestivo. Per tutto il giorno, da quando avevo aperto gli occhi quel mattino, aveva percepito una morsa all'altezza dello stomaco. Non vedevo l’ora che quella lunga giornata giungesse al termine e, al contempo, avevo il terrore che qualcosa andasse storto e che qualcuno smascherasse le mie bugie.
In quel momento, tuttavia, tutte le mie preoccupazioni sembravano tacere mentre contemplavo il mio riflesso e avevo quasi difficoltà a riconoscere la mia immagine.
Un abito che Morgana stessa mi aveva disegnato, prendendo ispirazione dai racconti del mio sogno, e che aveva insistito per regalarmi, considerandolo un anticipo del regalo di Natale. Mrs Fox era stata talmente colpita dai suoi bozzetti da prometterle che avrebbe potuto presentarle, al pari di altri stilisti che lavoravano per lei, una sua linea di abiti da cerimonia.  
Il corpetto mi stringeva il busto e si allacciava alle spalle con una serie di lacci che ricordavano quelli dell’epoca vittoriana che tanto ammiravo negli sceneggiati in tv. Lasciava nude le spalle e le clavicole ed era colorato da nuance di azzurro e di bianco, con una striscia blu a ridefinirne i contorni e a impreziosirlo. Lo stesso motivo decorativo caratterizzava l'ampia gonna di taffettà che sembrava produrre uno sfarfallio appena percepibile per ogni movimento, soprattutto se avessi ballato un lento. “Come in una favola”, era stato il commento della mia amica. Persino le scarpe di un bel color zaffiro richiamavano un motivo fiabesco[1]. Un peccato che, a differenza di quelle di Cenerentola, non fossero altrettanto comode. Morgana mi aveva inoltre applicato un lieve filo di ombretto che richiamava lo stesso colore dell’abito e un rossetto rosato sulle labbra. 
“Sei stupenda”, mi sussurrò con un alone di tenerezza, finendo di acconciarmi i capelli.
Le strinsi la mano poiché l’emozione m’impediva di parlare. Non mi ero mai sentita a mio agio a essere al centro dell’attenzione o a essere tanto appariscente ma, in quel momento, mi sentivo davvero come una delle principesse Disney che tanto avevo ammirato da bambina.
“E’ solo merito tuo”, mormorai con un sorriso e mi crogiolai per un attimo nel girare su me stessa per il semplice gusto di sentire il fruscio della stoffa.
Morgana si era schermita con uno scrollo di spalle e mi aveva pizzicato la punta del naso. “Smettila di sminuirti. Stasera sei splendida e non metterlo mai in discussione”, mi ammonì con un misto di dolcezza e di determinazione.
Mi ero concessa un altro momento di vanità e le avevo sorriso. “No, non lo farò”.
“Qualcosa mi dice che Dario farà fatica a ricordarsi che è solo una finzione”, soggiunse con un ammiccamento, mentre prendeva il mio posto di fronte allo specchio per completare il suo make-up.
Ero arrossita leggermente all’idea ma era stato il mio turno di sorriderle più scherzosamente, mentre camminavo nella stanza, cercando di abituarmi alle scarpe e di non apparire troppo impacciata. “Io dico che questa sera rischi di compromettere lo storico autocontrollo di Sean”, ribattei per risposta con la stessa complicità.
“Lo spero proprio”, fu il commento più malizioso e furbesco della mia amica che accompagnò quelle parole con un ammiccamento.
Anche lei stava indossando un abito che aveva disegnato di persona. Aveva inoltre insistito per occuparsi anche di quello di Amy come ringraziamento per tutto quello che aveva fatto per entrambe dal nostro arrivo a Glasgow.
Superfluo dire che anche quella sera Morgana fosse semplicemente meravigliosa.  Dopo aver saputo che sarebbe stato un ballo in costume, non aveva potuto che omaggiare le origini del suo nome con un abito medievale che rappresentasse la leggendaria e affascinante ammaliatrice alla corte di re Arthur. L'abito era molto semplice di per sé e di una bellissima tonalità di viola che ne metteva in risalto il colore della carnagione e l'espressività dello sguardo. Era sorretto da delle spalline sottili e aveva una decorazione florale sul decolleté. Gli accessori erano altrettanto eleganti nella loro sobrietà: un coprispalle azzurro che le copriva le braccia e con ampie maniche e che scivolava fino alle ginocchia. Era a sua volta ornato con bracciali dorati all'altezza dei gomiti, una cintura alla vita che faceva pendant con gli orecchini e con il gioiello che le sfiorava la fronte[2]. I capelli, neri come l'ebano e ondulati, erano stati raccolti morbidamente ai lati e lasciati sciolti a ricadere sulle spalle.
Laddove il mio abito, nella sua appariscenza e nella sua ampiezza sembrava aiutarmi a indossare una maschera che mi permettesse di lasciarmi andare; l'apparente umiltà dell'abito di Morgana ne metteva in risalto la bellezza naturale.
Ci riscuotemmo dalle nostre chiacchiere quando sentimmo il campanello suonare: ancora una volta Sean stava dando prova della sua puntualità. In verità Dario si era proposto di venirmi a prendere di persona ma il mio amico aveva insistito, ritenendo che fosse superfluo e volendo trascorrere tutti insieme quel breve tragitto dal nostro appartamento all’Accademia.
“Vado io”, le sorrisi con aria complice, così da consentirle di prendersi qualche altro minuto per ultimare il trucco e indossare il soprabito.
“Sto arrivando”, mi annunciai con voce allegra, ma camminando cautamente.
Quando schiusi l’uscio, rimasi letteralmente abbagliata alla vista di Sean il cui abbigliamento s’intonava a quello di Morgana e gli conferiva un’aria elegante e signorile. Indossava un lungo soprabito scuro che gli arrivava fino ai piedi, rifinito con dei bottoni dorati. Al di sotto una casacca blu che gli arrivava alla vita, dei pantaloni scuri e dei semplici stivali. Seppur l'insieme sembrasse molto modesto, erano i particolari ad arricchirlo: una collana dorata con un lungo ciondolo e i guanti di pelle, oltre a polsini d'argento che ricordavano quelli delle armature medievali. Sembrava un incrocio tra abiti da nobile e quelli dei cavalieri [3].
“Buonasera”, lo salutai, facendomi da parte per lasciarlo entrare. “Sei bellissimo”, mormorai in tono ammirato.
“Molte grazie”. Sean mi sorrise con la consueta dolcezza e si chinò a baciarmi la guancia e il gesto mi strappò un sorriso intenerito. Ricordavo ancora quanto apparisse “rigido” a quei primi abbracci. Mi osservò a sua volta e mi sorrise. “Ma i complimenti sono d’obbligo anche per te: non ti ho mai vista così raggiante e piena di vita, dovresti concederti più spesso momenti simili”.
“L’ho sentito dire”, convenni. Almeno una volta a settimana Morgana cercava di ricordarmi la stessa cosa e coinvolgermi in uscite o divertimenti per staccare dalla solita routine di lavoro, studio e altro lavoro. “Lei è in camera”, gli feci cenno con il mento e lo seguii con lo sguardo, mentre bussava e otteneva il permesso per entrare.
Mi spostai verso la cucina per concedere loro un po’ di privacy, controllando il cellulare che avevo lasciato in carica. Sorrisi quando scorsi un messaggio da parte di Dario. Mi aveva inviato un selfie e non avevo potuto che ammirarlo mentre indossava una riproposizione dell’abito indossato dal Principe al primo e fatale incontro con Cenerentola. Sorrisi nel leggere le parole che aveva scritto con quella verve più sfrontata che era riuscita a conquistare le simpatie di Morgana e a convincere persino Luna che i nostri pianeti natali potessero essere in buona armonia. O qualcosa del genere.
 
Il Principe e Cenerentola s’innamorarono a prima vista proprio al ballo. Chissà che a noi non tocchi un simile destino. Sono impaziente di vederti, a presto.
 
“Sei pronta ad andare?”, mi chiese Sean con un sorriso.
“Adesso è pronta”, commentò Morgana in tono premuroso, aiutandomi a indossare il cappotto e attenta a non sgualcirmi la pettinatura.
“Signore, mi ritengo l’uomo più fortunato di questo convitto femminile”, mormorò Sean con un sorriso, offrendo a ognuna un braccio affinché potesse condurci fuori dall’appartamento.
“Accetteremo il complimento e tralasceremo il dettaglio che le ragnatele di Mrs Umbridge non consentono altre presenze maschili”, commentò Morgana, ammiccando in mia direzione. Non potei che ridere al ricordo di quella folle serata che era culminata nella sua perfetta imitazione della famigerata affittuaria. Le fui grata, ancora una volta, di riuscire a stemperare il mio nervosismo: più si avvicinava il momento della festa e più sentivo una piacevole frenesia farmi accapponare la pelle.
 
˜
L’edificio, già elegante e sfarzoso, pur essendo una struttura moderna, quella sera sembrava la scenografia di un sogno ad occhi aperti. Le decorazioni della sala da ballo sembravano quelle di un antico castello, con tanto di arazzi appesi alle pareti e statue decorative. Le ampie finestre ad arco facevano filtrare la luce della luna che rifletteva sui cristalli che pendevano dai lampadari. Le luci erano soffuse per creare un’atmosfera raccolta e consentire alle coppie di sentirsi avvolgere nell’intimità di un momento romantico.
Entrai da sola in sala da ballo poiché Sean voleva approfittare dell’occasione per permettere alla mia amica di fare un giro panoramico dell’edificio, nella remota speranza che il custode quella sera fosse troppo impegnato a controllare gli alunni già raccolti nella sala.
Mi guardai attorno con un misto di sorpresa e di semplice incanto: soltanto in un sogno recente avevo avuto l’impressione di trovarmi in un’atmosfera altrettanto suggestiva.
La pista da ballo era costituita da un parquet di legno che appariva lucido e su cui vi erano già delle coppie a inaugurare le danze. Nell’ampia sala erano disseminati molti tavoli circolari nonché un’ampia tavola adibita al buffet. Guardandomi attorno, distinsi le più disparate coppie di ballerini e avventori: personaggi tratti da opere teatrali, dallo spettacolo e persino personaggi storici o protagonisti di mitologie e di leggende. Avanzai lentamente nella stanza e cercai di non farmi impressionare dagli sguardi curiosi o, nel caso della ragazza carlino e della sua amichetta indiana, ostili. A ciò seguì un esame accurato dell’abito che evidentemente costituiva il bigliettino da visita dell’intera serata. Cercai con lo sguardo il pendolo che era stato incluso tra le decorazioni e mi resi conto che eravamo giunti in netto anticipo. Controllai il cellulare e vidi che l’ultimo messaggio di Dario era stato inviato circa quindici minuti prima, annunciandomi che si stava mettendo alla guida e che sarebbe giunto presto. Sorrisi quando incontrai lo sguardo di Amy che stava arrivando a braccetto con Daniel.
La mia amica aveva richiesto a Morgana un vestito semplice, a cui aveva abbinato un trucco dorato che ben risaltava con la lunga chioma di quel colore acceso. L'abito era scuro, ma con rifiniture bianche a sottolinearne il corpetto. Aveva uno scollo a barca, con lunghe maniche frastagliate e dai lembi svolazzanti, a creare un effetto che ben si abbinava al “personaggio”. Si stringeva in vita per poi aprirsi in una lunga gonna che ne cingeva i fianchi e si apriva morbidamente. Era inoltre dotata di uno spacco sul davanti che lasciava intravedere la gamba coperta da un collant la cui fantasia ricordava l'intreccio di una ragnatela. Gli accessori che aveva abbinato erano: una collana con un lungo ciondolo, guanti scuri e, il più importante, un paio di corna scure ma risaltate da strisce dorate[4].
Daniel, essendo un grande appassionato di romanzi horror (e volendo scegliere un costume abbinato a quello della sua dama), si era ispirato, come mi rivelò, al protagonista di “La vendetta del diavolo[5], romanzo scritto da Joe Hill, il figlio di Stephen King. Indossava un completo informale: un paio di jeans scuri, una felpa giallo ocra e una giacca di pelle marrone. Anche nel suo caso, l’accessorio più pittoresco era costituito da un paio di corna che, nel romanzo, conferivano poteri magici al protagonista che sarebbe divenuto il diavolo in persona. I suoi occhi turchesi erano messi in risalto da un filo di eyeliner e aveva lasciato crescere la barba per darsi una parvenza più adatta al carattere burrascoso del personaggio letterario.
“Ragazzi, siete bellissimi e perfettamente abbinati!”, mi complimentai con un sorriso e studiai con attenzione i dettagli dei loro costumi.
“Ma guardati, sembri uscita da un libro di fiabe o da un tuo sogno”, aveva mormorato Amy per risposta.
“L’intento era quello”, confessai a voce bassa.
“Più che riuscito”, confermò Daniel con aria galante, prima di guardarsi attorno. “Sean e Morgana?”.
“Stanno facendo un giro panoramico: Morgana non vedeva l’ora di esplorare questo posto”.
“A chi lo dici!”, commentò Amy con aria altrettanto sognante. “Ho anche visto le aule in cui vi esercitate e l’auditorium. Siamo venuti un po’ in anticipo di proposito”, spiegò con un breve ammiccamento.
Parecchio in anticipo”, rimarcò Daniel con un sorrisetto divertito, ma le baciò la tempia e non potei che sorridere della loro complicità. Soprattutto pensando per quanto tempo la mia amica avesse solo potuto sognare qualcosa di simile, senza tuttavia riuscire a credere che la realtà potesse anche solo minimamente avvicinarsi alle sue fantasie.
“E Dario?”, mi domandò Amy con le sopracciglia inarcate. “E’ un ritardatario cronico, ma l’ho minacciato di persona”.
Risi al commento. “Mi ha mandato un selfie come anteprima”, le porsi il cellulare per farle vedere. “Direi che per un simile principe valga la pena aspettare”.
“Non male”, commentò con un sorriso, prima di restituirmi il cellulare. “Si è davvero impegnato: meglio per lui!”.
“Dario chi?”, domandò Daniel con le sopracciglia inarcate e l’aria confusa.
“Matteo?”, replicò Amy a voce più alta, lanciandogli uno sguardo d’intesa. “Il ragazzo di Sara, sì, sta venendo appositamente dall’Italia e si rivedranno dopo più di due mesi. Non è incredibilmente romantico?”.
“Oh, sì, molto molto romantico”, ribatté prontamente Daniel. “Non vedo l’ora di conoscerlo!”, esclamò come se si aspettasse che qualcuno ci stesse realmente ascoltando.
“Temo che tu non sia l’unico”, mormorai tra me e me, quando la mia vista fu attratta da un abito dorato e mi ritrovai a osservare Tom ed Emma che stavano ballando al centro della pista. Dunque non ero stata la sola a scegliere un abito che rievocasse le favole dei fratelli Grimm, nonché la versione animata della Disney. Fu evidente a prima vista, per la forgia dell’abito e per il colore, che Emma dovesse interpretare Belle. Il che faceva di Tom “la Bestia”, non potei fare a meno di pensare con un sorriso ironico. Dovevo ammettere che, nonostante il fisico smilzo e poco muscoloso, calzasse perfettamente quel completo ottocentesco con tanto di redingote blu con fregi dorati, calzoni scuri, e una camicia bianca e decorata dai volant.[6] Sembrava distinto come un gentiluomo di altri tempi. Emma spiccava per la gioia che le faceva scintillare lo sguardo e si sarebbe compreso a prima vista che amasse simili atmosfere, dal modo in cui non si stancava di piroettare e di volteggiare per poi abbracciarlo stretto e affondare il viso contro la sua spalla. Non potei fare a meno di notare che sembravano aver attirato l’attenzione di tutti, come se si fossero costruiti una sorta di status di “coppia celebre” tra quelle mura.
Tuttavia in pochi istanti l’atmosfera sembrò del tutto mutare di fronte ai nostri occhi quando le persone si dispersero in due grandi ranghi per lasciare passare al centro un’altra coppia. Non potei che sorridere con orgoglio ed eguale ammirazione nell’osservare l’ingresso di Sean e di Morgana.
Chiunque conoscesse il mio amico non avrebbe avuto alcun dubbio circa il suo totale disinteresse nell’essere al centro dell’attenzione. Quella sera, invece, sembrava fiero di se stesso e consapevole della sua eleganza come mai fino a quel giorno. Il suo sguardo nocciola sembrava letteralmente sfolgorare per il sorriso più dolce che gli increspava le labbra nel rivolgere lo sguardo alla giovane che teneva a braccetto. Seppur potessi dirmi “avvezza” alla straordinaria bellezza della mia amica, quella sera ciò che la rendeva persino più leggiadra era il fatto che, a differenza di altre occasioni, non stesse cercando di ostentare la sua naturale grazia e il suo fascino sensuale. Sembrava completamente incurante degli sguardi ammirati che stava suscitando e del modo in cui tutti i presenti (studenti professori e personale ingaggiato per quella serata) sembravano esser rimasti con il fiato sospeso. Sentivo le persone domandarsi chi fosse la ragazza in questione o ammirarne la bellezza con sincero interesse. Persino Emma aveva smesso di piroettare e di ridere e contemplava la mia amica con tanto d’occhi. Tom invece una volta tanto stava osservando il nostro amico in comune e nel suo sguardo non sembrava esservi alcuno scherno. Piuttosto un certo compiacimento nel vederlo accompagnato dalla ragazza più bella della festa.
“Sembrano usciti da un film”, mormorò Amy quasi in tono sospirato.  
Non potei che sorriderle. “Potrei dirti che con Morgana ci sono abituata, ma stasera è più bella che mai ed è tutto un dire. Sean non mi è mai sembrato così fiero di sé. Sono una coppia perfetta”, sussurrai con un moto di affetto per entrambi.
Ci raggiunsero dopo pochi minuti e Morgana salutò Amy e Daniel con calore, ammirando il perfetto abbinamento tra i loro abiti.
Decidemmo di accomodarci tutti insieme intorno a un tavolino rotondo per degustare qualcosa prima di iniziare le danze. Io mi premunii di lasciare una sedia vuota accanto a me per il momento in cui Dario sarebbe arrivato. Avevo controllato nuovamente il cellulare ma non c’erano altre sue notizie. Dopotutto la nostra amica me lo aveva detto che era un caso cronico di “accumulatore seriale di ritardi”.
Sean e Daniel si offrirono di dirigersi al tavolo del buffet per prendere del punch per tutti e qualche stuzzichino, lasciando noi ragazze a contemplare la sala da ballo e io mi divertii a indicare loro alcuni miei colleghi della recita e qualche personale antipatia di cui avevano sentito parlare. Era difficile, ad esempio, non notare l’abito rosa shocking di Pansy Parkinson che la faceva sembrare una versione volgare e pacchiana della celebre Barbie.
“Modestie a parte, gli abiti che ho disegnato sono i migliori”, convenne Morgana con un sorriso e notai che il suo sguardo si era catapultato verso Emma e Tom. I suoi occhi si strinsero appena e una smorfia le increspò le labbra, prima di sorridere con aria piuttosto ironica. “Sono felice che Tom finalmente abbia smesso di interpretare il “fighetto” e che si sia dato a un ruolo che più gli si addice”, commentò con non poco sarcasmo. Risero tutti alla battuta ad eccezione della sottoscritta. Naturalmente non avevo dimenticato i consigli delle mie amiche e sapevo di dover essere doppiamente cauta alla presenza di Tom, ma al contempo non potevo fare a meno di pensare alle nostre ultime interazioni e a ciò che avevo scoperto di lui e che andava ben oltre quella facciata più arrogante e sgradevole.
“Vi ammiravano tutti”, ribattei, rivolgendo uno sguardo compiaciuto a lei e a Sean. “Senza ombra di dubbio avete tolto loro la scena”.
 “Lo so, questa sera sono da togliere il fiato”, replicò Sean prontamente e non potei che sorridere nuovamente per l’evidente serenità che traspariva dalla sua voce. “Ma mai quanto la mia dama”, soggiunse con calore tale che dovetti distogliere lo sguardo, quasi mi sentissi persino di troppo. “Vuoi concedermi il primo ballo della serata?”.
Morgana mi rivolse uno sguardo interrogativo, quasi si dispiacesse di abbandonarmi, ma io le sorrisi e la esortai a non farlo attendere.  Amy stessa ammiccò con aria complice e le fece cenno di avviarsi sulla pista. “Andate pure. Restiamo noi con Sara fin quando quell’idiota non arriva”, soggiunse, alzando gli occhi al cielo.
 
Era passata quasi mezz’ora dall’inizio del ballo e avevo già avuto modo di deliziarmi delle prelibatezze culinarie e al tavolo, grazie alla premura degli amici, non ero mai sola. Finalmente avevo conosciuto i gemelli Phelps che non mancavano di rendere omaggio alla loro reputazione, tanto da confidarmi di aver sostituito alcuni pasticcini con altri preparati da loro che contenevano una buona dose di lassativo. Senza ombra di dubbio vedere lo scorbutico custode dirigersi fuori dalla sala con la velocità che i reumatismi gli consentivano, era stata una delle esperienze più esilaranti dal mio arrivo a Glasgow. Almeno fino a quando McLaggen e il suo gruppo d’idioti non avevano fatto una fine analoga. Avevo sperato che qualcosa di simile accadesse anche alla Parkinson che guardava spesso in nostra direzione con aria malevola, ma invano.
“Non gli sarà mica successo qualcosa?”, mi ritrovai a chiedere a Morgana. Sospirai e riposi il cellulare nella borsetta, dopo averlo controllato inutilmente. Nessun messaggio o chiamata da parte di Dario.
La mia amica appariva visibilmente accaldata per aver ballato fino a quel momento quasi senza pause e si stava dissetando con il punch. Aveva inarcato le sopracciglia alla mia domanda e mi aveva sorriso con un moto d’ironia. “Lo sai che ti fanno le maratone dei programmi di Shonda Rhimes[7], vero? Cominci a vedere disgrazie ovunque. Mi sorprende che tu sia riuscita a prendere l’aereo”.
Avevo sollevato la mano per interromperla. Ancora portavo il lutto per la morte tragica di Lexie Grey[8] e quella persino più assurda del suo amato, qualche mese dopo.
Morgana aveva sospirato, dopo aver controllato l’ora. “Effettivamente è strano. Da quello che mi hai detto, non mi sembra il tipo che dia buca senza neppure un decente preavviso”.
“Infatti!”, avevo sospirato. “Non m’importa della storia di Matteo, ma se gli fosse successo qualcosa per colpa mia, non me lo perdonerei mai”, confessai con crescente ansia, continuando a guardarmi attorno, quasi sperando di vederlo apparire dalla porta d’ingresso.
Quasi ci avesse letto nel pensiero, Amy si avvicinò con il cellulare ancora in mano. Era evidentemente irritata. “Ho provato a chiamarlo tre volte, gli ho anche lasciato un messaggio in segreteria! Giuro che quando mi capita a tiro, lo prendo a sberle”, stava inveendo per poi guardarmi con aria contrita. “Mi dispiace da morire, ad averlo immaginato ti avrei presentato qualcun altro, ma lui mi sembrava perfetto per il ruolo”.
Morgana le aveva sorriso con aria rassicurante, stringendole la mano. “Non sentirti in colpa: sei stata gentilissima come sempre. Sono sicura che stia arrivando”.
“Infatti”, avevo confermato, sorridendole a mia volta. “Io ho solo paura che gli sia capitato qualche imprevisto. Non m’importa più nulla né di Emma né di nessun altro”, avevo sbuffato, guardando in direzione della coppia in questione.
Amy aveva sospirato, cercando di mantenere la calma. “Sappiamo che è uscito di casa e nessun altro dei nostri amici l’ha visto. Quindi deve avere bucato la ruota o qualcosa del genere. Ma perché cavolo non ci ha chiamato per avvisarci del ritardo?!”, sbuffò con evidente disapprovazione. Mi dispiaceva che quell’imprevisto le togliesse il buon umore, sentendosi in parte responsabile.
“Farci salire l’ansia o arrabbiarci non serve a nulla”, mormorò Morgana, cercando di riportare la quiete. “Sono sicura che al suo arrivo avrà una spiegazione esauriente o gliela faremo pagare a turni”, propose con quel suo sorrisetto più diabolico.
“Oh, questo è poco ma sicuro. Mi arrogo la precedenza, visto che io ci ho messo la faccia a presentarglielo”, aveva mormorato Amy, strappandomi un sorriso.
“Spero di non interrompere questo sodalizio al femminile”, era intervenuta una voce ben nota con intonazione dolce e scherzosa insieme.
“Lei non disturba mai, Signor Biggerstaff”, gli aveva risposto Morgana con il suo sorriso più affascinante.
Lui aveva ricambiato e le aveva rivolto un inchino, prima di guardare in mia direzione. “Spero non vi dispiaccia allora se chiedo alla mia cara amica di concedermi il suo primo ballo di questa sera”, aveva mormorato in tono galante, porgendomi la mano.
Avevo sorriso con un misto di gratitudine e di affetto, volgendo lo sguardo in direzione di Morgana che mi aveva strizzato l’occhio, incoraggiandomi ad alzarmi. “Quel vestito è troppo bello perché tu aspetti ancora a ballare”, mi aveva esortato, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Goditi il tuo momento”, mi aveva suggerito più dolcemente.
Non avevo potuto fare a meno di avvertire una nota di nervosismo: in Italia non vi erano tradizioni simili ai balli scolastici. Ai matrimoni mi guardavo bene dall’unirmi ai trenini improvvisati o dal mettermi troppo in mostra. Era quindi un notevole conforto sapere che, anche in quel momento, potevo affidarmi al mio caro amico. La sua mano calda e morbida, ricoperta dal guanto scuro, mi aveva trasmesso energia ed entusiasmo.
“Spero di non calpestarti i piedi”, gli confessai con una risatina nervosa.
Sean rise a sua volta. “Vorrà dire che correrò il rischio”, aveva mormorato più delicatamente, guidandomi verso il centro del parquet.
Se non altro le lezioni di Allock stavano cominciando a sortire dei frutti perché mi fu più semplice del solito assumere la giusta posizione, assicurandomi alla sua spalla e stringendo la sua mano libera, lasciando che fosse lui a condurre. Prendemmo a muoverci in lievi circonferenze. Sean mi fece piroettare su me stessa, facendo roteare la gonna del mio vestito, resa più ampia dalla sottogonna che indossavo e che le dava maggiore volume.
“E’ una festa bellissima”, avevo mormorato.
Sean aveva annuito per poi inarcare le sopracciglia. “Mi dispiace che quel ragazzo non sia ancora arrivato, ma ti stai divertendo? Non vorrei ti sentissi abbandonata”, mormorò in tono preoccupato.
“Tutt’altro. Anzi, mi sento quasi viziata da tutte queste attenzioni e non posso certo dire che mi dispiaccia”, avevo convenuto, strizzandogli l’occhio. “Stasera sembri una persona quasi diversa”, avevo mormorato, dopo averlo guardato pensierosamente.
Sean aveva incurvato le labbra in un sorriso più sbarazzino. “Dovrebbe essere interpretato come un complimento o come un insulto?”.
Avevo riso prima di scuotere il capo. “Voglio dire che stasera mi sembri più sicuro di te e questa nuova consapevolezza ti dona. Ti dona molto. Certo, il costume medievale fa la sua parte”, avevo aggiunto con un lieve ammiccamento.
Sean aveva sorriso più dolcemente. “In verità mi sento diverso io stesso. Come se mi fossi svegliato da un lungo sonno e adesso mi sentissi pieno di entusiasmo e di energia. Non che prima fossi un depresso cronico o cose del genere”, soggiunse in tono ironico che mi strappò un’altra risata.
“L’ho notato e ne sono molto felice. Credo che vi facciate molto bene a vicenda”.
Lo sguardo del mio amico era stato attraversato da uno scintillio più dolce. “A questo proposito, spero che tu non ti sia risentita perché non ti ho parlato di quello… di quello che stava accadendo tra noi”.
Avevo scosso il capo, come a porre fine a quelle scuse superflue. “Avevi bisogno di prenderti il tuo tempo, ma posso dirti in tutta onestà che sono felicissima per entrambi e vi auguro solo il meglio”, avevo cercato di rassicurarlo con sincerità.
Sean aveva sorriso, abbracciandomi brevemente e baciandomi la fronte, prima di riprendere a farmi piroettare. “Ma non sei l’unica ad aver notato un cambiamento. Sono molto fiero di come hai imparato a trovare un tuo equilibrio dal tuo arrivo a Glasgow: non temi più il giudizio di nessuno e tu e Tom siete persino riusciti a trovare un modo di comunicare costruttivo. Devo dirlo: sono molto impressionato”.
“Avevi ragione, sai? Sotto quella scorza da egocentrico, presuntuoso e insopportabile si cela un ragazzo molto intelligente, spiritoso, piacevole se preso a piccole dosi nonché un futuro attore di grandissimo talento”. Quasi per istinto avevo rivolto lo sguardo nella direzione in cui, pochi attimi prima, avevo visto Tom volteggiare con Emma. Sussultai con un guizzo all’altezza del petto quando mi resi conto che lui stesso stava guardando nella mia direzione. I nostri sguardi s’intrecciarono e il mio cuore sembrò fare una capriola. Sentii le guance ardere, ma tornai a osservare Sean con un sorriso.
Il mio amico mi stava osservando molto attentamente. Naturalmente confidavo nel fatto che Morgana fosse stata discreta. Sapevo, in ogni caso, che avrei dovuto essere io a parlargli del suo amico e di ciò che era quasi accaduto tra noi. Sean, quasi potesse intuire la serietà dei miei pensieri, inclinò il viso di un lato e mi sorrise in modo rassicurante. “Non ti farò domande inopportune e ti concederò tutto il tempo di cui hai bisogno”, aveva mormorato. “Ho solo il timore che tu possa soffrirne”.
Mi sentii seccare la gola e mi tremarono le labbra, ma scossi il capo. Se Sean era riuscito a comprendere tutto da solo, non aveva senso fingere che non ci fosse stato alcun mutamento nel rapporto tra me e Tom. Senza contare che il parere di una persona che mi era amica e dal carattere così saggio e discreto poteva essermi utile. “Sono terribilmente confusa”, confessai. “Mi sento sull’orlo di una scogliera e pericolosamente vicina a cadere dallo strapiombo”, ammisi e mi mordicchiai nervosamente il labbro.
Sean annuì. “Conosco bene la sensazione e la situazione non è delle più semplici, soprattutto perché c’è un’altra persona che rischia di soffrirne terribilmente. Senza contare che lui non è certo noto  per la sua capacità di esprimere i suoi pensieri o i suoi sentimenti”. Mormorò con una nota di preoccupazione.
“Non mi aspetto nulla del genere. L’ultima cosa che vorrei è intromettermi in una relazione, soprattutto se così profonda e duratura”, specificai immediatamente. Non sopportavo l’idea che qualcuno potesse avere una simile opinione di me, soprattutto se si trattava di una persona cara.
Lui mi rivolse uno sguardo più dolce e protettivo e mi scostò una ciocca di capelli dal viso. “Questo ti rende onore, ma devi pensare anche a proteggere te stessa”, sembrò ammonirmi.
Avevo annuito ma non avevo potuto fare a meno di sospirare e mi ero appoggiata lievemente alla sua spalla, come se improvvisamente sentissi una stanchezza fisica, sintomo di quella interiore.
Mi accarezzò la schiena per rassicurarmi. “Comunque, per la cronaca, ho sempre pensato che tu fossi una principessa, ancora prima di indossare quest’abito che tra parentesi è bellissimo”, sussurrò con dolcezza tale da farmi quasi commuovere.
“Dovresti fare i complimenti alla stilista”, avevo mormorato ma ne avevo baciato la guancia lievemente ispida. “Grazie Sean. Di tutto quanto”.
 
 
Dopo un’ora dall’inizio del ballo mi era sembrato evidente che, per qualche motivo che ancora non mi era dato sapere, Dario non si sarebbe presentato. In verità stavo comunque trascorrendo una piacevole serata. Avevo accettato anche di ballare con Daniel e con i gemelli Pheps. Avevo chiacchierato con le mie amiche quando ci concedevamo una pausa dalla pista da ballo e mi stavo “consolando” con dei pasticcini offerti al tavolo del buffet.
“Lo ammazzo appena mi capita a tiro!”, sbuffò Amy che, ancora una volta, aveva provato a telefonargli. “Non ci credo, ha pure spento il telefono!”, affermò in tono scandalizzato.
“Almeno adesso dovremmo essere quasi certe che non gli sia successo nulla a livello fisico”, commentò Morgana con le sopracciglia aggrottate.
“Almeno fino a quando non mi capita tra le mani”, continuò l'altra, strappandomi una risatina, nonostante tutto.
“Non è grave, ragazze”, mormorai e scossi il capo. Sorrisi alla mia amica per convincerla che non doveva sentirsi ulteriormente in colpa e tantomeno avremmo dovuto guastarci l’umore per quell’imprevisto. “Anzi, forse è meglio così”, rivalutai con uno scrollo di spalle. “In ogni caso avremmo dovuto fingere di lasciarci e non volevo certo fargli una piazzata pubblica. Diremo che c’è stato un disguido all’aeroporto di Pisa e quindi ha perso la coincidenza da Londra a qui”, mormorai in tono risoluto e le mie amiche annuirono. “Fate passaparola con Sean e Daniel, ma giuro che finita questa sera non voglio più sentire parlare di Matteo o io-”.
“Ciao Sarah!”.
Trasalii nel sentire il saluto allegro di Emma che sembrò perforarmi il timpano come una coltellata nella schiena. Stavo letteralmente sudando freddo e avrei dovuto ringraziare qualche santo in Paradiso se avevo parlato nella mia lingua nativa, impedendomi di smascherarmi da sola. Le mie amiche erano impallidite a loro volta ma, in perfetta sincronia, ci voltammo tutte e tre nella direzione di Emma, improvvisando tre sorrisi piuttosto artefatti e innocenti.
“Ma ciao Emma!”, la salutai come se l’avessi notata soltanto in quel momento.
“Scusami, avrei voluto venire a salutarti prima”, cinguettò. Mi prese la mano e osservò il mio abito con grande attenzione. La stessa con cui Morgana stava studiando il suo e non avevo dubbi che in soli dieci secondi avrebbe trovato almeno una mezza dozzina di difetti. “Sei bellissima questa sera”, sospirò infine Emma.
“Sei troppo gentile”, mi schermii con un sorriso. Mi guardai istintivamente attorno e mi accorsi che Tom, che si era tolto la giacca, era al tavolo del buffet e stava chiacchierando con Sean, sorseggiando qualcosa da un bicchiere di plastica. “Anche tu stai benissimo”, mi premunii di ricambiare il complimento. “Lascia che ti presenti le mie amiche: lei è Morgana, la mia coinquilina e amica storica. Lei invece è Amy, l’ho conosciuta al pub ed è grazie a lei se ho subito trovato lavoro”.
“Ho sentito parlare benissimo di te da Sean”, aveva mormorato Emma, porgendo la mano alla prima. Era una mia impressione o aveva stretto leggermente le labbra nell’ammirarne l’abito? In ogni caso non fece alcun commento e si volse all’altra mia amica. “Mi ricordo di te: è un piacere conoscerti ufficialmente”. Si guardò poi attorno con le sopracciglia inarcate. “Ma il tuo Matthew dov’è?”, domandò con espressione quasi imbronciata. “Non vedevo  l’ora di conoscerlo”.
Ma davvero? Accidenti, non lo avrei mai immaginato. Lo avrai detto solo dodici volte nell’ultima settimana.
Avevo sospirato con aria quasi melodrammatica e Morgana e Amy, improvvisando a loro volta la parte delle buone amiche consolatrici, mi avevano appoggiato entrambe una mano sulla spalla. Apprezzai il gesto che almeno mi ricordava di non essere sola ad affrontare quel dialogo. “Purtroppo c’è stato un disguido con la compagnia aerea italiana. Temo che arriverà a Glasgow troppo tardi per presentarsi al ballo”, spiegai in tono pacato, ma simulando un reale dispiacere. Giocherellai per istinto con l’anello che ancora indossavo.
Emma sospirò. “Speriamo che ce la faccia comunque, in ogni caso si fermerà per il weekend, no?”.
Non pensarci neppure.
“Sempre che non lo uccida prima”, risposi in un tono scherzoso che riuscì a strapparle una risata.
“In ogni caso sei una Cenerentola bellissima, adoro il modo in cui hai ricreato in chiave moderna il suo abito”, commentò con un ulteriore sorriso, quasi volesse consolarmi per il fatto di trovarmi da sola a quel ballo.
“Ti ringrazio, in realtà è stato merito soprattutto di Morgana: ha disegnato di persona i nostri tre abiti”. Dissi con evidente orgoglio.
“Ma davvero?”, aveva domandato Emma, concedendosi di guardare tutti e tre i vestiti per qualche istante, prima di sorriderle. “Anch’io sono una grande appassionata di moda: devi dirmi dove lavori, mi farebbe molto piacere vedere il negozio e fare un po’ di shopping, soprattutto se potessi contare sulla tua consulenza”.
“Sperando di avere qualcosa che soddisfi i tuoi gusti particolari”, fu la replica di Morgana con quel bel sorriso irriverente che sapeva nascondere pensieri ben poco lusinghieri. Avevo sentito Amy simulare un colpo di tosse per evitare di ridere e io avevo dovuto distogliere brevemente lo sguardo per non tradirmi.
Che Emma avesse notato o meno quel velo d’ironia, non lo diede a vedere perché continuò a sorridere e si rivolse nuovamente a me. “Sai, ho sempre pensato che Cenerentola fosse un personaggio un po’… frivolo, senza offesa ovviamente” [9].
Senza offesa un piffero, non potei fare a meno di pensare con un corrugamento lieve delle sopracciglia. Cercai tuttavia di non darle a vedere il sincero fastidio che provavo per quel suo modo pomposo di condividere le sue opinioni personali. Soprattutto quando non richieste. “Personalmente, invece, credo che il personaggio di Cenerentola sia troppo spesso sottovalutato, soprattutto quando non si considera il contesto storico e sociale dell’epoca in cui fu scritta dai fratelli Grimm e riproposta dalla Disney in cartone animato. Vi era uno stereotipo della donna che, ahinoi, talvolta persiste ancora oggi”, mi senti dire con tono quasi professionale. Neppure alla declamazione della tesi mi ero tanto impegnata per dare enfasi alle mie parole. “Inoltre ho sempre ammirato il suo modo di rifugiarsi nei sogni e di non perdere il suo buon cuore anche di fronte alle umiliazioni e alle angherie della matrigna e delle sorellastre”, conclusi con un sorriso.
Emma inarcò le sopracciglia ma non perse il sorriso, reclinando il volto di un lato. “Devo ammettere di non averla mai considerata da questo punto di vista. Io personalmente ho sempre preferito Belle: un’amante della lettura che non si limita a sognare l’amore, ma di essere protagonista dell’avventura della sua vita. Inoltre m’identifico in lei perché-”.
 “Quindi tu saresti travestita da Belle?”, intervenne Morgana in tono così volutamente interdetto e sorpreso che l’avrei baciata pubblicamente per ringraziarla.
Emma parve vacillare sul posto, ma si affrettò a sorridere nuovamente. “Forse avrei dovuto portarmi dietro una tazza di porcellana scheggiata?”, domandò in tono scherzoso.[10]
Morgana scosse il capo, fingendosi mortificata. “Devi scusarmi, che figura! Colpa di Tom, comunque: si è dimenticato di mettere le corna e la coda”, lo aveva indicato con un cenno del capo, non smettendo di sorridere con espressione candida.
“Te l’avevo detto io”, aveva commentato l'altra, scuotendo il capo con aria di rimprovero. “Mi devi cinque sterline”.
Quasi quasi mi sentivo male per Emma che aveva guardato dall’una all’altra con espressione quasi smarrita. Dovevo lodarne sinceramente il fatto che non stesse mostrando alcun risentimento, ma, al contrario, continuava a sorridere garbatamente. Si era infine rivolta proprio ad Amy. “Ho visto che sei venuta al ballo con Daniel, è da tanto che noi due non ci facciamo una bella chiacchierata”.
“In realtà spero di poterla presto considerare più di una semplice amica”, era stato l’intervento il ragazzo che era giunto in tempo per cingerle le spalle e sentire parlare di sé. Aveva sorriso ad Emma. “Ciao Emma”.
“Ciao Daniel, non vieni più a trovarmi!”, gli fece notare con aria di lieve rimprovero.
“Lo farei, Emma, se non volessi poi prendere a pugni il tuo ragazzo”, fu la risposta apparentemente scherzosa, prima di rivolgersi a noi. “Vi dispiace se ve la rubo?”, aveva alluso alla pista da ballo. Il dj aveva nuovamente selezionato una melodia romantica, adatta a un ballo lento.
“Ma certo che no, a dopo”, li congedai con un sorriso, scambiando un cenno d’intesa con la mia amica.
Emma si guardò attorno e sorrise nuovamente. “Sarà meglio che vada a recuperare Tom, fatemi sapere se arriva Matthew”.
“Puoi contarci”, risposi in tono affabile e disponibile.
“Ti si slogherà la mascella a forza di sorridere”. Mi fece notare Morgana non appena Emma si fu allontanata.
“Ma ti rendi conto che ha insultato Cenerentola?”, mi premunii di parlare sottovoce anche se lo stavo facendo in italiano. “Comunque hai rischiato seriamente che ti baciassi pubblicamente per quel commento sul suo vestito”.
“Ero serissima”, commentò l’altra con una smorfia. “Ho visto imitazioni migliori ai tempi dell’asilo, quando si facevano i costumi con la cartapesta”, sentenziò in tono quasi stizzito. Sembrava quasi che il suo buon gusto si fosse offeso per quella riproduzione a suo parere poco fedele.
Non avevo potuto fare a meno di ridere, ma avevo seguito Emma con lo sguardo, mentre raggiungeva Tom e Sean. Non avevo ancora avuto modo di salutare il ragazzo, ma non potevo certamente biasimarlo se si teneva a una debita distanza, soprattutto alla luce di quanto era quasi accaduto tra noi. Ciò sembrava suggerire che non fossi solo io a sentire una “strana” atmosfera tra di noi. Scossi il capo e decisi di riporre quei pensieri in un angolo remoto della mia mente. Erano inopportuni e, soprattutto, non avrebbero condotto a nulla di buono per nessuno dei due.
Lasciai vagare lo sguardo in direzione della nuova coppietta, sorridendo di quel quadretto dolce che costituivano mentre ballavano insieme. Lui le stava mormorando qualcosa all’orecchio, lei ne stava ridendo con quello sfolgorio nello sguardo che baluginava ogni volta che erano così vicini. Si appoggiò alla sua spalla e si abbandonò alla tenerezza del momento.
 
Animo dolce,
non è mai troppo presto.
Oh, dolce abbandono.
Come se nessuno ti stesse guardando.[11]
 
 
 
“Sono davvero belli e affiatati insieme, non è vero?”, mormorò Morgana che sembrava avermi letto il pensiero.
Avevo annuito con la medesima tenerezza. “Sono felicissima per lei, soprattutto se penso a quanto tempo ha passato a sognarlo in silenzio”, ammisi con un sincero sorriso.
 
Un momento, un amore
un sogno, una risata
un bacio, un pianto.
le nostre ragioni, i nostri torti
un momento, un amore
un sogno, una risata.
 
Sweet Disposition – Temper Trap
 
 
Mi strofinai istintivamente le mani contro le braccia, come se improvvisamente sentissi freddo. Morgana mi cinse le spalle.  “Sai che arriverà anche il tuo momento, vero? Quando meno te lo aspetti”, aveva mormorato. “Ma nel frattempo possiamo dare ai nostri ammiratori un succulento pettegolezzo:  puoi ballare con la sottoscritta”, mi aveva porto la mano che avevo stretto con il medesimo sorriso.
“Sai, se non fosse per Sean, comincerei quasi a shipparci”, le dissi in tono complice.
 
Alla fine della melodia più dolce, ci eravamo ritrovati a ballare tutti insieme, in un unico grande gruppo, al ritmo di una canzone più movimentata. La serata stava trascorrendo in modo così piacevole e divertente che non potevo che rimproverarmi per le inutili ansie e i momenti di pura crisi che avevo vissuto al pensiero di quel ballo, dei giudizi delle persone e della pantomima che avrei dovuto mettere in scena con Dario. E per cosa, poi? Per non sentirmi inferiore a Emma o a qualcun’altra? Per dimostrare che non provavo alcun sentimento per Tom?
Presto quel ballo sarebbe stato dimenticato e mi sarei sentita del tutto libera di essere me stessa, senza temere il giudizio di alcuno. Questa era la più grande libertà a cui potessi aspirare in quella fase della mia vita.
Lasciai che Sean mi facesse nuovamente girare su me stessa, ma senza rendermene conto finii quasi per cozzare contro Tom che era giunto alle mie spalle. Sbattei le palpebre e arrossii leggermente, scostandomi i capelli dal viso.
“Ciao”, lo salutai con voce più bassa del naturale, indugiando con lo sguardo sul suo costume. Non potei fare a meno di guardarmi attorno, aspettandomi che Emma fosse al suo fianco, ma doveva essersi allontanata dalla sala perché non vi era traccia dell’abito dorato.
Mi rivolse a sua volta un lungo sguardo e le labbra s’incresparono in uno di quei sorrisetti più suadenti che gli facevano baluginare lo sguardo. “Anche con una maschera e un abito da popolana la vostra grazia e la vostra bellezza non potrebbero che essere riconoscibili, Lady Elisabeth”, recitò con la tracotanza che era tipica del suo alter ego. Era il commento d’esordio di un dialogo tra i due protagonisti durante la scena del ballo in maschera. William, in vesti eleganti, trovava l’occasione per avvicinarsi alla nobildonna. Quest’ultima non lo riconosceva di primo acchito ma sembrava affascinata da quel giovane sconosciuto e dalle sue maniere galanti e ammalianti al contempo.  
Gli sorrisi, con le guance accaldate e cercai di far sovvenire alla memoria la battuta che avrei dovuto rivolgergli per risposta, ma trasalimmo entrambi alla comparsa di Gilderoy Allock che si parò di fronte a noi.
Sarebbe stato difficile stabilire cosa fosse più abbagliante: se il suo sorriso a trentadue carati o il suo completo di una bella tonalità di azzurro nel rappresentare Luigi XIV, altrimenti noto come Re Sole[12]. Si era persino premunito di incipriarsi il viso e indossare una parrucca scura, trattenendo l’ampio mantello su una spalla e uno scettro nella mano.  Superfluo dire che fosse l’ospite d’onore di quella serata e ne aveva ben donde vista la sua reputazione nell’ambito artistico.
“Томас, Trottolina, ma lasciatevi ammirare!”, aveva esclamato, guardando dall’uno all’altro con un sorriso quasi orgoglioso. Aveva letteralmente sospirato ed era parso sul punto di commuoversi persino. “Quando vi ho conosciuto eravate così scoordinati, indisciplinati e litigiosi, ma guardatevi adesso! Sembrate usciti dal ballo di Cenerentola”.
Avevo sentito le mie guance infiammarsi all’idea che potesse aver frainteso l’origine del costume di Tom, ma quest’ultimo si era limitato a ringraziarlo, senza neppure premunirsi di correggere l’innocente equivoco.
“Spero non vogliate sprecare l’occasione per provare un ballo di coppia. Devo ricordarvi che siamo rimasti indietro con le prove per colpa della marachella di qualcuno di mia conoscenza?”, domandò con un velato rimprovero in mia direzione.  
Avrei voluto ribattere che il mio piccolo incidente era stato tutt’altro che un dispetto, ma ci riscuotemmo tutti alla risata di Emma. Si era stretta al braccio di Tom e aveva rivolto un sorriso ad Allock. “Temo proprio che il dj non abbia la base adatta a un valzer. Ma posso assicurarle che io stessa ho aiutato Tom con le prove nel tempo libero e ha fatto dei progressi incredibili, non è vero?”, aveva soggiunto in tono più dolce, rivolgendosi solo a lui.
Il ragazzo annuì ma stava ancora guardando me. “Credo che potremmo anche accontentarci di un ballo più moderno”, fu il commento pacato. Non attese neppure la mia risposta, ma mi porse la mano.
Esitai sul posto. Una parte di me, non poteva negarlo, si era sentita molto lusingata e non poteva che provare un piacevole tuffo al cuore all’idea di ritagliarci qualche minuto tra noi. Soltanto per scambiare qualche parola. Non avrei mai chiesto nulla di più di poter coltivare la complicità che si era creata tra noi nelle ultime settimane. Ma l’altra parte di me non poteva che provare empatia per Emma. Certamente al suo posto non avrei potuto non sentirmi mortificata, seppur lei sembrasse nasconderlo più che bene.
“Il tipo di ballo è secondario, quando esiste sintonia tra i ballerini”, recitò Allock. Immaginavo che quello fosse uno dei  suoi aforismi preferiti. Forse lo aveva coniato lui stesso.
Avrei voluto allungare la mano e cingere la sua, ma il mio buon senso avrebbe voluto che declinassi gentilmente l’invito.
Tom non si scoraggiò, ma arricciò le labbra in un sorrisetto più supponente e beffardo, come quello che mi aveva rivolto nelle nostre prime schermaglie. “Prometto che non mi lamenterò quando sicuramente mi calpesterai i piedi”, mormorò in finto tono sospirato, sollevando gli occhi al cielo, come a lodare il suo stoicismo.
Sapevo che non mi stava realmente prendendo in giro, ma che era solo un modo per smussare la tensione del momento e la mia esitazione. Un invito posto in quei termini scherzosi e più “da noi”, rendeva tutto più semplice. Persino accettare. Allungai a mia volta la mano, ma con il mento sollevato a imitare la superbia di Lady Elisabeth. “Tu, piuttosto, vedi di non perdere il ritmo”. Avevo rivolto uno sguardo a Emma che si era affretta a sorridere come a dirmi che non le dispiaceva.
Tom mi rivolse un impercettibile ammiccamento, segno che ne avevo compreso le intenzioni. Lasciai che mi conducesse verso la pista da ballo, quando una nuova ballad prese a risuonare.
 
Uno strano labirinto,
cos’è questo posto? […]
Mi domando perché gareggiamo
quando ogni giorno non facciamo
che correre in circolo?[13]
 
 
Lasciai che le sue dita s’intrecciassero alle mie e, ancora una volta, mi sorpresi di quanto quella pressione fosse energica ma delicata. Lasciai che mi conducesse verso la pista, cercando di placare il ritmo del respiro, ripetendomi che si trattava soltanto di un ballo. Di una carineria e di un gesto d’amicizia, nonché l’occasione per scambiare quattro chiacchiere. Quando ci fermammo, mi sembrò di scorgere una domanda silenziosa nello sguardo di Tom. Non dissi nulla, ma annuii come ad accordargli un implicito permesso e lasciai che mi cingesse la vita e la mano libera per condurmi in quel ballo. Cercai di concentrarmi su di lui e di dimenticare tutto il resto: lo sguardo pensieroso di Emma, quello compiaciuto di Allock che batteva il piede a ritmo e non volli neppure intrecciare quello delle mie amiche. Non in quel momento. Volevo soltanto quei cinque minuti e poi saremmo tornati alla normalità.
“Devo ammetterlo, non avrei mai pensato di vederti agghindato a questa maniera”, mormorai in tono scherzoso, alludendo al costume che aveva addosso. Se non altro si era risparmiato di indossare una parrucca con tanto di nastrino abbinato.
Mi rivolse un sorriso di sbieco, quasi intuendo la mia ironia. “Sono un aspirante attore dopotutto”, mi fece notare con uno scrollo di spalle, quasi volesse sminuire il significato di quella scelta.
“Non sarebbe stato un costume di tua scelta”, mi sentii dire. Non era una domanda, ma una convinzione che mi era balenata alla mente non appena avevo posato gli occhi su di lui quella sera.
“Decisamente no”, ammise senza scomporsi ma con la stessa traccia d’ironia che ne faceva scintillare lo sguardo.
“E’ stato un bel gesto”, annuii. “Ma non sembri davvero tu”.
Aggrottò lievemente le sopracciglia. “Dovrei cogliere un insulto sottinteso?”.
Scossi il capo, ancora sorridendo, ma feci una piroetta e lasciai che mi cingesse nuovamente il fianco. Dovetti schiarirmi leggermente la gola e dovetti cercare di restare concentrata sul dialogo in corso. “Nient’affatto”, mi schermii con un sorriso. “L’ho trovato un bel gesto”, ammisi.
“Almeno io non assomiglio a un satiro. O forse quelle corna simboleggiano la conclusione inevitabile della sua love-story?”, alluse a Daniel che stava tuttora ballando con la mia amica dall’altra parte della stanza. Il che da un certo punto di vista era meglio, affinché non scoppiasse tra loro un litigio che guastasse l’atmosfera romantica.
Lo guardai male a quella battuta di dubbio spirito. “Non riesci proprio a evitare di recitare la parte dello stronzo per più di dieci minuti di fila, vero?”, domandai un po’ seccata, quasi facendo per allontanarmi.
Tom sospirò, ma rinsaldò la presa sul mio fianco impercettibilmente. “Non ti arrabbiare, love. Non volevo certo offendere il tuo nuovo migliore amico. Oppure è in atto un qualche giochino perverso di cui-”, gli morì la frase sulle labbra, quando gli pestai il piede.
“Dicevi?”, lo provocai con un sorriso divertito.
Arricciò il naso e le labbra in una vaga smorfia di dolore. “E tu non riesci a giocare la parte della fanciulla indifesa per più di cinque minuti, vero?”, mi domandò, imitando il mio tono.
“Decisamente no”, risposi.
Nuovamente sembrò calare il silenzio tra noi e scoprii che quello scambio muto di sguardi era solo capace di innervosirmi ulteriormente. Avrei voluto trovare un qualsiasi espediente per rompere nuovamente il silenzio: se necessario anche ricorrendo a qualche schermaglia più puerile come quella precedente. Questa volta fu Tom a precedermi, inclinando il viso di un lato e parlando con voce più bassa, probabilmente volendo sincerarsi che non fossimo ascoltati, anche se era poco probabile con la musica a quel volume.
“Devo ammettere che questa sera anche tu mi hai sorpreso con quest’abito”, ammise e, quasi volesse dar sfoggio della gonna ampia, m’indusse nuovamente a fare un giro su me stessa.
Mi ritrovai nuovamente tra le sue braccia con le guance più rosate e il fiato corto.
 
 
Mostro le mie carte,
dandoti il mio cuore,
desiderando di poter ricominciare da capo.
Niente ha senso.
Ho cercato di aprire i miei occhi
e spero in una possibilità di farlo bene.
 
“Stavolta dovrei cogliere io un insulto sottinteso?”, domandai ma a stento riconobbi la mia voce.
Tom scosse appena il capo, con lo stesso sorrisetto irriverente. “Voleva essere un complimento. Un vero complimento, love”, specificò e accarezzò quel nomignolo. Era divenuto così abituale sulle sue labbra che avevo persino rinunciato a sgridarlo per quell’iniziativa.
Non potei che sentirmi blandire da quelle parole seppur non fosse stato il mio intento esplicito quello di impressionare proprio lui. Almeno non volontariamente. “Grazie davvero”, sussurrai per risposta.
Si era nuovamente fatto serio e aveva inarcato le sopracciglia. “Sii sincera: stai bene?”, mi chiese in un sussurro e rinsaldò la presa sul mio fianco, quasi a volermi offrire un conforto.
 
 Mantenendo la presa,
persino il mio cuore,
vorrebbe che potessimo ricominciare tutto da capo.
 
Inarcai le sopracciglia con aria sorpresa, senza contare che il suo tocco mi stava procurando un piacevole brivido lungo la spina dorsale. “Perché me lo… oh”, m’interruppi, rendendomi conto che effettivamente avrei avuto un motivo valido per apparire più amareggiata del solito. Mi morsi il labbro, ma cercai di sorridere nel modo più naturale possibile. “Non è stato un gesto voluto: si è trattato di un imprevisto. Comincio a pensare che fosse destino che venissi da principio da sola”, spiegai in tono calmo e composto, cercando di non pronunciare troppe parole e, soprattutto, di non cacciarmi ulteriormente nei guai.
Tom mi guardò a lungo, quasi stesse cercando una conferma, quasi volesse realmente scongiurare l’ipotesi che stessi fingendo per mero orgoglio. Apprezzai comunque il fatto che non assumesse un’espressione pietosa e neppure pronunciasse qualche frase banale di circostanza per il mero gusto di sollevarmi l’umore. “Meglio così, love”, dichiarò semplicemente. Sembravano esserci molti altri pensieri racchiusi nel suo sguardo, ma non avrei potuto conoscerli in ogni caso. “E poi sappiamo bene che sono l’unico uomo che possa meritarsi i tuoi istinti omicidi”.
Risi persino della battuta. “Tranquillo: non è un primato che ti sarà sottratto facilmente”.
“Lo voglio ben sperare, love”, mormorò per risposta, ancora con la traccia di quel sorriso più suadente e quello scintillio che sembrava rischiararne lo sguardo e renderlo più dolce.
Avrei voluto dire qualcosa per risposta, ma avevo quasi il timore di rovinare quel momento di stasi e di mera complicità. Avevo paura di poter compromettere tutto o di complicare le cose inutilmente, causando guai ben peggiori. Avevamo continuato a volteggiare, scivolando appena sulla pista da ballo. Mi ero concentrata sul testo della canzone che, avevo la sensazione, non avrei dimenticato facilmente.
Eravamo giunti alle note finali del ritornello, quando ci riscuotemmo a uno schiarimento di gola. Emma sorrise a entrambi: “Ti dispiace?”, mi domandò con il suo sorriso più affabile.
Tom ed io ci fermammo bruscamente e mi sentii frastornata, come se fossi stata risvegliata bruscamente nel mezzo di un sogno. In un certo senso quegli ultimi minuti con Tom erano sembrati allo stesso modo delicati  e surreali. “Certo che no”, mormorai per risposta, sforzandomi di ricambiarne il sorriso. Mi allontanai dalla pista da ballo e mi diressi verso il tavolo del buffet mentre la canzone finiva.
 
Quando mi sveglio,
il sogno non è finito.
Voglio vedere il tuo viso,
 so che l’ho reso la mia idea di casa.
Se niente è vero,
che altro posso fare?
Sto ancora dipingendo fiori per te.
Painting Flowers – All Time Low
 
 
Prima che potessi decidere che cosa bere, Morgana mi porse un bicchiere di aranciata.
“Lo sai? Mi scoccia terribilmente dirtelo, ma eravate davvero un bel quadretto. Peccato che se ne sia accorta anche qualcun’altra”, alluse a Emma.
Amy annuì e scosse il capo. “Che razza di vipera, poteva lasciarti finire il ballo. Almeno questo conferma quello che sospettavamo: è gelosa di te”, concluse con un sorrisetto piuttosto compiaciuto all’idea.
Svuotai il mio bicchiere e mi strinsi nelle spalle. Non ero nella posizione per giudicare Emma che, teoricamente, aveva tutti i diritti di voler passare una serata romantica con il suo ragazzo. Inarcai le sopracciglia quando sentii lo squillo della suoneria. Vidi il nome di Dario lampeggiare sul display e lo mostrai a entrambe, prima di uscire fuori dalla sala da ballo per rispondere con un po’ di silenzio e di tranquillità. Trovai il bagno e mi chiusi dentro.
“Pronto, Dario? Stai bene?”, domandai subito.
“Ciao Sara”, mi giunse la voce del ragazzo che aveva assunto un’intonazione parecchio contrita. Dalla voce sembrava anche particolarmente stanco. “Hai tutti i diritti del mondo per chiudermi il telefono in faccia o insultarmi, anche se sicuramente Amy ci penserà anche per conto tuo”.
Sorrisi al riferimento alla nostra amica, ma scossi il capo. “Non dirlo neppure! Avevo solo il timore che ti fosse successo qualcosa”.
“Effettivamente è scoppiato un bel casino”, ammise con aria stanca. “Amy ti ha parlato della mia ex, vero?”, attese la mia conferma prima di continuare. “Sono stato a casa sua a litigare fino a pochi minuti fa: sostiene di essere incinta e che il bambino sia mio”. Mi disse tutto di un fiato, come se avesse avuto bisogno di sfogarsi con qualcuno. E chi meglio di una mezza sconosciuta?
Non potei fare a meno di lasciarmi sfuggire un’imprecazione. Ironia della sorte, mi ritrovai a pensare al “vero” Matteo. Anche lui aveva reagito così al sospetto della gravidanza? O era realmente felice con la sua compagna e il loro bambino? Mi costrinsi a ritornare al presente, perché era un capitolo ormai chiuso della mia vita. “Non sarà un folle tentativo di incastrarti?”.
“Non mi sorprenderebbe, ma comunque ho insistito per una visita dal medico cui ovviamente assisterò di persona. Ma basta parlare di quella pazza, faccio ancora in tempo a venire alla festa? Puoi sempre farmi una piazzata pubblica e insultarmi: ne avresti tutti i diritti e potrebbe essere credibile per i tuoi fini”.
Soppesai l’idea per qualche secondo ma poi scossi il capo. Se la situazione fosse stata reale, certamente sarei stata ferita dal suo comportamento, ma non mi sarebbe piaciuto ostentare il tutto con una scenata degna di un reality show o di una soap-opera. “Non c’è bisogno, Dario. Ho rimediato dicendo che c’erano stati dei problemi all’aeroporto di Pisa”.
Lo sentii sospirare. “Mi dispiace davvero tanto, Sara. Non sono uno stinco di santo ma non è da me dare buca alle persone e senza un preavviso decente”.
“Non devi giustificarti, davvero”, rimarcai sinceramente e con voce più dolce di fronte al suo evidente dispiacere. “Ti auguro buona fortuna per la tua situazione piuttosto, io me la caverò comunque”.
“Sei una ragazza speciale, lo sai? Presto non avrai bisogno di fingere un fidanzato”. Mormorò in tono intenerito. Non sapevo perché, ma d’istinto sentivo che non stava mentendo per trarsi d’impaccio e neppure per mera cortesia. O almeno volli credergli.
“Grazie Dario e ricordati che anche tu sei una bellissima persona. Devi solo deciderti a crescere, intesi?”, soggiunsi in quel bonario rimprovero. Speravo davvero che la sua ex stesse mentendo, in ogni caso quello spavento avrebbe potuto essere l’occasione affinché desse una svolta alla sua vita.
“Ci proverò”, commentò con voce più rilassata e complice. “Buona serata”.
“Ciao Dario”.
Riposi il cellulare nella pochette e sospirai appena, come a finire di liberarmi della tensione del momento. Poco male. Dopotutto la serata era quasi giunta al termine. Già che mi trovavo in bagno, tanto valeva approfittarne per fare pipì. Di certo farlo con quell’abito addosso sarebbe stata una bella sfida, convenni tra me e me, chiudendomi in uno dei cubicoli.
Stavo ancora riassettando l’abito, quando l’uscio del bagno si schiuse e riconobbi all’istante la voce femminile e petulante che stava parlando.
“Non ti stai divertendo, Pansy?”, le chiese un’altra voce femminile, quella di una delle gemelle indiane[14]. Ero quasi certa che si trattasse di Padma.
“Divertirmi?”, ribatté l’altra con voce gracchiante. “E questa tu la chiami festa?! A me sembra solo una sfilata di smorfiose”.
Ma senti da che pulpito, non potei fare a meno di pensare.
“E la cosa peggiore”, rincarò la dose dopo qualche istante di silenzio e mi parve che il suo tono diventasse persino più stridulo. “E’ che non vengono neppure da quest’Accademia, ma si comportano come se fossero le Reginette della festa”.
“Avete visto come era bella quella ragazza? L’amica di Sean?!”, la interruppe un’altra ragazza. Dedussi che si trattava della gemella di Padma, Calì. Parlava in tono candido e con voce dolce e tintinnante, quasi come una bambina poco cresciuta.
Sentii Pansy emettere una sorta di ringhio e un verso di frustrazione e non potei fare a meno di ridere tra me e me. Sapevo che era scorretto da parte mia restare nel cubicolo, ma dopotutto era la Parkinson quella che sparlava alle spalle di tutti. Se non altro avrei potuto riferire quelle chiacchiere di corridoio per farci qualche risata.
“Lo sapevi che ha disegnato gli abiti per sé e per le sue amiche?! E’ proprio un genio”, continuò Calì che evidentemente non aveva percepito il disappunto dell’altra.
“Quegli straccetti, vuoi dire?”, la rimproverò la Parkinson con voce persino più acida. “Ma per favore, si atteggia tanto a damina di corte, ma è solo una montatura, come quella della sua amichetta. Soltanto uno squinternato come Silente poteva permettere che una cameriera prendesse parte al nostro spettacolo!”.
Dunque era questo il motivo principale. Scossi il capo tra me e me, ma in fondo potevo capire che in un ambiente simile la competizione fosse molto accesa e che si sentissero tutte “defraudate” da un’ottima occasione per fare colpo su persone influenti nel mondo del cinema e delle serie tv. Di certo io non mi aspettavo di essere assunta da Shonda Rhimes o da Ryan Murphy. Ma era quella definizione snob, quella di “cameriera” a darmi profondamente fastidio. Come il riferimento sarcastico all’evidente abilità di Morgana nel disegnare degli abiti tanto belli e sofisticati.
“Non ti arrabbiare troppo, Pansy. Sappiamo tutti chi avrebbe dovuto interpretare Lady Elisabeth”, cercò di consolarla Padma.
“Giusto!”, rimarcò Calì. “Emma!”, esclamò con quella genuinità che mi avrebbe strappato una risata fragorosa. Avrei dato oro per aprire un varco e guardare la scena con i miei occhi.
“No, stupida!”, la rimproverò Pansy in tono persino più irritato. “Io, io e soltanto IO!”, protestò con voce ancora più alta e distorta dalla rabbia.
“Guarda, Pansy, che anche se interpretassi Lady Elisabeth, Tom non ti sposerebbe veramente”, ribatté l’altra, come se temesse che non lo avesse capito.  
“OH, TACI!”, la rimproverò aspramente e sentii la sorella blandirla perché evidentemente la poveretta era rimasta male per l’ennesimo rimprovero aspro.
Scossi il capo tra me e me.
“Non so proprio con quale faccia tosta sia persino venuta stasera con quell’abito da Fata Turchina”, continuò Pansy come se non fosse stata interrotta.
“Veramente era vestita da Cenerentola, ho sentito che ne parlava con Emma prima”. Obiettò debolmente Calì.
“Chi se ne frega! Almeno quell’incapace di Radcliffe si è trovato una ragazza alla sua altezza!”. Rise della sua stessa battuta mentre io alzavo gli occhi al cielo.
Pazienza che se la prendessero con me, ma mal sopportavo l’idea che ne andassero di mezzo le mie amiche. Questa me l’avrebbe pagata a caro prezzo, decisi tra me e me.
“E’ davvero alla sua portata!”, ribatté Padma sulla sua stessa onda.
“Non l’ho capita”, pigolò Calì mentre le altre due ridevano di gusto.  
“E quando mai tu capisci qualcosa?”, fu il commento maligno di Pansy.  “Ma vogliamo parlare del modo in cui si è buttata tra le braccia di Tom?!”.
Mi incupii ulteriormente e mi morsi il labbro. Naturalmente la Parkinson non era nessuno e io non le dovevo alcuna spiegazione, ma non potei fare a meno di pensare a come la scena potesse apparire a occhio esterno. Una qualsiasi altra persona che non mi conoscesse e non avesse motivo di rancore nei miei confronti, avrebbe avuto la stessa impressione? Cioè che stessi civettando con un ragazzo impegnato?
“Che spudorata!”, rincarò la dose Padma.  “Emma è troppo di classe, se fossi stata in lei, l’avrei presa per i capelli e trascinata a forza fuori dalla pista”.
“Ve lo dico io: non aveva detto nulla al suo ragazzo fin dal principio”, dichiarò Pansy e annuì con vigore, con l’aria di chi sa perfettamente ciò che sta dicendo. “Anzi, sicuramente lo ha lasciato prima del ballo e voleva solo attirare l’attenzione su di sé. Tom le ha concesso un ballo solo perché le faceva pena, è ovvio”.
“Solo io li ho trovati carini?”, domandò Calì che fu puntualmente ignorata.
“Scommetto che se la Watson non fosse andata a riprenderselo, avrebbe finto di piangere per impietosirlo ulteriormente”, continuò la sua invettiva.
Sentii Padma annuire con convinzione. “Scommetto che all’inizio fingeva soltanto di odiarlo! Come quando gli ha lanciato addosso quella pasta: in realtà era tutto parte di un piano per rubarlo a Emma sin dal principio!”. Dichiarò, lasciandomi completamente basita. Ricordavo che, effettivamente, era una delle persone presenti quello storico giorno e avevo avuto l’impressione, fin da subito, che mi guardasse con aria sprezzante. Più ascoltavo quelle congetture degne di un melodramma dai risvolti patologici e machiavellici, più sentivo ribollire la rabbia e il disgusto. Mi sentivo letteralmente tremare, un nodo mi serrava la gola e mi sembrava che il cuore mi volesse uscire dal petto. Mi era già capitato in passato di essere oggetto di critiche di altre ragazze perché a loro parere vestivo male, perché non ero abbastanza formosa, per gli occhiali o perché sembravo una sfigata che non avrebbe mai vissuto una vera storia d’amore. Ma questo andava oltre e non ero disposta a tollerarlo.
Sbloccai la serratura dell’uscio e aprii la porta, guardando nella loro direzione. La Parkinson neppure si voltò ma si limitò a guardarmi malignamente dal riflesso dello specchio. Sia lei che Padma sorridevano malignamente, segno evidente che quelle chiacchiere non fossero state una mera coincidenza. Avrei dovuto immaginarlo, mi rimproverai. Era stato il loro piano fin dall’inizio. Soltanto Calì sembrò avere la compiacenza di apparire imbarazzata.
Erano molti gli insulti che mi premevano sulle labbra, ma cercai di reagire in modo decoroso e senza abbassarmi al loro livello. Come se non le vedessi, mi diressi verso il lavandino e con calma mi lavai le mani, dopo essermi sfilata i guanti del vestito. Solo allora mi volsi verso la Parkinson che era sicuramente la mente dietro al piano e la ragazza che realmente aveva un rancore personale nei miei confronti.
“Vedi, Pansy, capisco e posso tollerare che tu pensi che io non sia all’altezza di indossare un abito di questo genere o di impersonare Lady Elisabeth. Puoi anche parlarne con Silente o con Lupin se lo ritieni il caso. Trovo molto spiacevole che il tuo rancore nei miei riguardi coinvolga anche le mie amiche che non hanno fatto nulla di male”, esordii e mi sorpresi per la compostezza della mia voce, nonostante interiormente mi sentissi un tumulto di emozioni pronte a sgorgare all’esterno. Mi volsi verso Pansy, quando ormai avevo le mani asciutte.  “Visto che siamo in vena di scambiare opinioni sincere, lascia che ti dica che, a mio modesto parere, sei una persona maligna, codarda, pettegola e, soprattutto, una grandissima stronza”, conclusi in tono asciutto, culminando quegli insulti in un sorriso di scherno.
Pansy arrossì di sdegno ed emise un verso rabbioso. “Non permetterti di giudicarmi! Io almeno non mi nascondo dietro un abito da principessa per fare la sgualdrina  con il ragazzo di un’altra!”.
Non ero mai stata una persona impulsiva e più volte durante il mio soggiorno in Scozia mi ero sorpresa delle reazioni più accese che avevo avuto durante un alterco con Tom. Anche in quella circostanza qualcosa agì prima che potessi pensarci sopra e razionalizzare, a dispetto della mia intenzione iniziale.
La schiaffeggiai nel silenzio teso dell’androne del bagno con tutta la mia forza e sentii la mano formicolare, mentre la guancia di Pansy diventava di una bella tonalità di rosa.
Esalò senza fiato e mi guardò shockata. Sentii le gemelle trasalire come se avessi colpito anche loro.
“Vado a chiamare qualcuno!”, squittì Padma, portandosi dietro la sorella.
“Non osare più rivolgermi la parola a meno che non si tratti dello spettacolo e se provi nuovamente a insultare le mie amiche o a rovinare loro la serata, ti darò anche il resto”, le dissi in tono basso e minaccioso, sentendo che la mia rabbia era tutt’altro che estirpata.
Pansy tremava a sua volta di collera e la sua voce risuonò più stridula che mai: “VOI NON DOVRESTE NEPPURE ESSERE QUI!”.
Stavo per risponderle quando dalla porta del bagno apparve una donna anziana, alta e magra, vestita di una bella tonalità di verde. Aveva i capelli stretti in una crocchia, gli occhiali sul naso e un’aria molto severa. Seppur non l’avessi ancora vista di persona, la riconobbi subito dalla descrizione accurata che ne aveva fatto Sean.
“Che cosa succede, signorine?”, chiese in tono severo e lo sguardo azzurro vagò dal mio viso adombrato alla guancia ancora rossa di Pansy.
“Professoressa McGrannith!”, squittì la giovane con voce lamentosa. “Questa pazza mi ha aggredito senza motivo, guardi!”, le mostrò la guancia.
“E’ vero!”, rincarò la dose Padma. “L’ho vista io: l’ha schiaffeggiata senza ragione!”, confermò subito la versione di Pansy.
Ero incredula e disgustata da quelle spudorate bugie. Sapevo che sarebbe stata la mia parola contro la loro. Senza contare che  era evidente dalla guancia di Pansy che ero stata io a colpire.
“E’ davvero andata così, signorina Patil?”, domandò la donna in tono severo.
Padma annuì con veemenza. “Gliel’ho detto, questa svitata-”.
“Non sto parlando con lei”, la interruppe la professoressa, volgendosi verso Calì che sembrava la più smarrita di tutti. “Allora?”, la esortò la professoressa.
La ragazza scambiò uno sguardo con la gemella e con l’amica e appariva in evidente difficoltà.
“Sì, è vero l’ha schiaffeggiata. Sa, Pansy aveva notato che Sarah era andata al bagno e voleva che la seguissimo e parlassimo male di lei e delle sue amiche perché secondo lei Silente è completamente fuori di testa per-”
“TACI!”, la interruppe Pansy che, per l’esasperazione, si era portata le mani tra i capelli.
La Professoressa sospirò con aria stoica. “Può andare signorina Parkinson, insieme alle sue lacchè e alle sue maligne chiacchiere”.
Pansy parve impallidire. “Cosa?! Ma io sono la vittima! Non dovremmo parlarne con Silente?”.
“Me ne occuperò personalmente senza disturbare il Preside”, le disse in tono perentorio. “Capisco che sia una tragedia che il colorito sulla sua guancia non si abbini al suo abito”, commentò in tono tagliente che, in normali circostanze, mi avrebbe strappato una risata.
“M-Ma professoressa!”, cercò di protestare nuovamente.
“Vada, signorina Parkinson. Ora”. Specificò la donna con un ultimo sguardo gelido.
Rimanemmo sole nel bagno. Mi era passato il formicolio alla mano, ma avevo una forte sensazione di nausea ed ero ancora incredula per quello che era accaduto negli ultimi istanti.
La donna rimase a guardarmi a lungo, prima di inclinare il viso di un lato e rivolgersi a me in tono cortese ma deciso. “La violenza non è mai la risposta giusta, checché siano le condizioni che la fomentano in prima istanza”.
Annuii, cercando di ricambiarne lo sguardo, malgrado l’imbarazzo. “Ha ragione, ma mentirei se le dicessi che non mi ha procurato soddisfazione”.
La donna mi guardò con velata aria di rimprovero e sospirò. “Lo immagino. Tuttavia, anche se lei non è ufficialmente iscritta a quest’Accademia, devo prendere un provvedimento disciplinare nei suoi confronti. Per tanto devo chiederle di lasciare il ballo”.
Annuii senza esitazione. Dopotutto era il minimo. Una fortuna che non avessi coinvolto uno dei miei amici iscritti. “Me ne andrò subito”, mormorai con un sorriso, ma qualcosa nella sua espressione calma e composta, mi tranquillizzò al punto da poter condividere i miei pensieri. “E’ buffo, ma da quando sono arrivata in questo paese stento a riconoscermi: non sono mai stata una persona impulsiva”.
La donna mi guardò per un lungo istante ed ebbi l’impressione che potesse capire. O quanto meno concedermi qualche attenuante, seppur non mi conoscesse di persona. “Non sempre l’impulsività è del tutto negativa: non avremmo una Lady Elisabeth se così non fosse stato dopotutto”, mormorò e vidi sulle sue labbra l’ombra di un sorriso.
Non potei che ricambiare quel gesto. “La ringrazio professoressa”.
Rientrai nella sala da ballo soltanto per avvicinarmi al tavolo del buffet e recuperare il mio cellulare e la mia pochette. Quando le mie amiche chiesero spiegazioni, mi limitai a dire loro che avevo avuto un alterco con Pansy e che ero stata invitata a lasciare la festa prima della fine.
Sean aveva insistito per accompagnarmi di persona, ma lo avevo dissuaso. Avrei fatto una passeggiata nei dintorni per schiarirmi le idee e poi li avrei raggiunti alla macchina quando fossero stati pronti a lasciare la festa. Avevo dovuto insistere perché non si rovinassero a loro volta la festa.
Stavo scendendo i gradini dell’ingresso, sotto lo sguardo maligno del custode, quando mi sentii chiamare.
Mi voltai con espressione incredula nello scorgere Tom. Si era affrettato a scendere i gradini per raggiungermi: si era nuovamente tolto la giacca da principe e mi guardava con un sorrisetto sghembo.
“Sono vere le voci? Il tuo schiaffo letale ha colpito ancora?”, mi domandò con un sorriso divertito.
Mi sembrava quasi ironico che, poche settimane prima, avessi schiaffeggiato proprio lui. “Pansy sta già scrivendo il suo epitaffio?”, domandai per risposta, seppur non fossi certamente disposta a spiegargli il motivo del mio gesto. Fino a pochi minuti prima mi sarei impensierita all’idea che in quel momento fossimo visti insieme, lontani dalla festa. Ma mi sentivo stranamente quieta, come se lo schiaffo dato alla Parkinson mi avesse fatto sfogare tutta l’adrenalina e il mio corpo potesse finalmente rilassarsi. O forse era la presenza di Tom che non sembrava volermi giudicare, ma era sinceramente curioso.
Mi guardò più intensamente e inclinò il viso di un lato. “Sei sicura di stare bene? Posso riaccompagnarti”, accennò al parcheggio con un cenno del mento.
“No, non dovresti”, mormorai per risposta ma gli sorrisi. “Comunque, sì, sto bene, ti ringrazio”.
“Non è vero”, ribatté per risposta, ma in tono tranquillo. Accennò di nuovo un sorriso. “Ma starai bene molto presto, ne sono convinto”.
Annui e ne ricambiai il gesto. “Ci vediamo Tom”.
“Buonanotte, love”, mormorò per risposta. Allungò la mano per scombinarmi i capelli sulla sommità del capo, in un gesto dispettoso e complice.
Lo seguii con lo sguardo, fino a quando non svoltò l’angolo. Mi sorpresi nel rendermi conto che il mio malumore si era notevolmente ridimensionato.
 
                                    
Tutto potrei dire di questa serata, tranne che sia stata banale. Cominciamo dalle note positive: le mie amiche si sono entrambe divertite molto coi rispettivi cavalieri ed effettivamente il ballo ha costituito una delle location più romantiche che io abbia mai visto in vita mia.
Mentirei se dicessi, episodio del bagno escluso, che io stessa non ho tratto divertimento dalla serata: nonostante la mancanza di un cavaliere, mi sono sentita coccolata dai miei amici, ho riso e scherzato con due mattacchioni che sono diventati subito tra le mie conoscenze preferite in assoluto e ho mangiato dolci buonissimi.
 
Mentirei se dicessi che non ho gradito quei momenti che ho condiviso con l’ultima persona che mi sarei aspettata di elogiare, fino a poche settimane fa. Non so se sia frutto del nuovo inizio che ci siamo concessi con quella “tregua”. Forse ero talmente ottenebrata dal mio orgoglio e dalla mia testardaggine dal non volere ammettere che, dopotutto, Tom sa essere una presenza di piacevole compagnia. Certo, questo non può annullare i ricordi meno belli che ci uniscono, ma più tempo passa e più credo di capire perché Sean lo reputi un amico fidato e lo tenga nella cerchia delle sue amicizie.  
 
Forse era davvero destino che fossi sola questa sera. Una parte di me vorrebbe tornare indietro nel tempo soltanto per rivivere quella discussione con Emma da cui è nato l’equivoco in prima istanza. Non posso attribuirle del tutto la responsabilità: io per prima ho mancato di rispetto a me stessa nel momento in cui le ho dato il “potere” di farmi sentire inferiore e di vergognarmi della mia condizione di “single cronica”.
In tutta onestà? Sento che questo viaggio in Scozia mi sta facendo bene: sto imparando a essere autonoma e sto scoprendo degli aspetti del mio carattere che erano soffocati dalla mia tipica routine. So essere impulsiva e agire in modo avventato, soprattutto quando sento di dover difendere me stessa o le persone che amo.
Non nego che ci siano giornate in cui mi sento assalire da una malinconia apparentemente inspiegabile ma che è giustificabile con l’impazienza dell’innamorarsi e dell’essere amata. Tuttavia, in tutta onestà, credo che sia più importante che io mi prenda cura di me stessa.
 
Soprattutto alla luce della confusione che provo in quei momenti in cui tutto sembra svanire nel nulla, comprese le remore legate a Emma e alle mie amiche e ai loro saggi consigli.
Potrei innamorarmi di lui nei prossimi mesi e se anche non posso impedirlo, devo certamente trovare un nuovo equilibrio, un'evoluzione del nostro rapporto affinché né io, né lui e né Emma dobbiamo soffrirne.
Non mi assumerò la responsabilità della loro relazione. Non resterò inerte ad aspettare una risposta che non potrebbe mai arrivare.

Vivrò la mia vita e scoprirò di più di me stessa. Solo allora raggiungerò quella chiarezza di sentimenti a cui fa spesso menzione il mio “Principe”. E se quella figura maschile non fosse altro che un riflesso del mio sogno d’amore? Forse il mio inconscio cerca di farmi capire che l’unica via per il vero amore, sia innanzitutto scoprire se stessi e amarsi profondamente.
 
O forse, per dirla come Luna, questa esperienza mi sta avvicinando al misterioso “Cavaliere” che mi è destinato?
 
Immagino che lo capirò solo con il tempo, quindi per questa sera riporrò l’abito da Principessa e tornerò l’ordinaria Sara di tutti i giorni. O quasi.
 
Buonanotte e alla prossima avventura!
 
Ps: se ve lo state chiedendo, sì, tornerei indietro e schiaffeggerei ancora Pansy ;) Sfizi del genere sono irrinunciabili :)

 

 
Rivolsi un ultimo sguardo all’abito, ne accarezzai la stoffa e richiusi l’anta dell’armadio. Era stato bello giocare alla principessa per quella sera.
 
To be continued…
 
Ben ritrovati :)
Chiedo scusa se la pubblicazione da un capitolo all’altro risulta più tardiva, ma più vado avanti e più sono necessarie modifiche. In parte per l’effetto “domino” delle revisioni dei capitoli precedenti e in parte perché emergono delle perplessità riguardo alcune decisioni prese nella prima stesura, o si reputano alcune scene superflue o poco idonee e subentrano nuove idee.
Senza dubbio finora questo è stato il capitolo che ha subito il più grande stravolgimento. Come accennavo nei saluti del capitolo 7, ciò era necessario ai fini della trama, poiché era intollerabile il comportamento di Tom nella versione originale e ciò rendeva poco accettabile (e piuttosto masochistico) il successivo innamoramento di Sara. Inoltre le dinamiche tra i due sono cambiate e il loro rapporto è ben più maturo e solido di quello che si leggeva nelle pagine originali. Senza contare che facevo realmente fatica a riconoscermi in quegli atteggiamenti e la lettura risultava eccessivamente pesante e melodrammatica. Decisamente è stato un sollievo cestinarlo e riscrivere ex novo questa versione. Gli unici dettagli rimasti immutati sono stati il costume di Sara e le colonne sonore che sono un po’ simbolici del capitolo e dell’intrigo in generale.
Colgo questa occasione per ringraziare nuovamente la mia amica Amy che mi accompagna e mi sostiene in questa lunghissima riproposizione della mia storia. I suoi feedback e le sue osservazioni sono preziosi e mi aiutano a vedere le cose con maggiore obiettività per rendere la storia più realistica e godibile. In modo particolare, in questo capitolo, devo a lei l’idea della scena del bagno e dell’alterco con Pansy e le sue scagnozze J Di modo che, sì, vi è un pizzico di “drama” ma decisamente molto più scorrevole da leggere.
Spero che i vecchi lettori (se ce ne sono :P) possano convenire con noi che questa versione è di gran lunga superiore ed eventuali nuovi lettori possano essersi divertiti a leggere questo capitolo ;).
22 Novembre 2018. Ho terminato la revisione dei primi 8 capitoli quest'oggi. Da domani provvederò alla rilettura delle versioni originali dei seguenti capitoli. So già che alcune scene verranno eliminate, alcune modificate e ci sarà la possibilità che aumenterà il numero totale dei capitoli, ma lo scopriremo solo con il tempo :) Grazie a tutti della pazienza :)

Kiki87

 
 
[1]L'abito a cui mi sono ispirata è stato indossato da Taylor Swift in un suo videoclip. Eccone la foto
[2] Ecco una foto dell’abito che la meravigliosa Katie ha indossato in “Merlin” nel ruolo di Morgana per l’appunto ;) 
[3] Sicuramente la mia descrizione non gli rende giustizia, ma ho scelto per Sean un abito indossato da Bradley James nella medesima serie tv.
[4] Ecco una fotografia dell’abito di Amy.
[5] Daniel ha interpretato il protagonista del romanzo nell’adattamento cinematografico, “Horns”. Qui trovate la trama se siete curiosi. https://it.wikipedia.org/wiki/Horns E qui una foto degli abiti di scena e della corna :D  
[6] Credo che tutti abbiate visto almeno la versione della Disney. In ogni caso, come di certo saprete, Emma ha interpretato Belle insieme a Dan Stevens nell’adattamento cinematografico del 2017. Gli abiti che indossano lei e Tom sono questi.
Scusate se non mi sono dilungata nella descrizione ma sinceramente ne avevo fin sopra i capelli :D
[7] Come di certo saprete, è una sceneggiatrice, regista e produttrice e il suo prodotto più noto è Grey’s Anatomy.
[8] Spero di non fare spoiler a nessuno ;) Sorella della protagonista morta in un tragico incidente aereo. A pochi mesi, la morte drammatica anche del suo amato (e una delle più assurde a mio modesto avviso).
[9] Curiosità: a Emma fu proposto di interpretare Cenerentola, ma lei rifiutò e la parte fu assegnata a Lily James.  In un’intervista successiva Emma ha dichiarato di sentirsi molto più vicina al personaggio di Belle che preferiva di gran lungo e che ritiene un modello femminile migliore. Ho pensato quindi di sfruttare questo “gossip” e inventare questo confronto tra lei e Sara. Poi naturalmente ognuno è libero di pensarla come preferisce ;) Uno stralcio dell’intervista a Emma.
[10] Sicuramente ricorderete tutti la simpaticissima tazza animata nel cartone della Disney, Chicco.
[11] Ecco il brano.
[12] Per darvi un’idea del costume e della parrucca: qua.  Ho voluto assegnare ad Allock un personaggio noto per la sua natura “egocentrica”. Si dice che fosse chiamato “Re Sole” perché tutto ruotava intorno alla sua persona, come i pianeti intorno al sole per l’appunto.
[13]Qui potete ascoltare questo meraviglioso brano degli All Time Low.
[14] Ci tengo a sottolineare che la mia interpretazione delle sorelle Padma e Calì non ha nulla  a che vedere con quella dei romanzi della Rowling, ma è funzionale al dialogo che avverrà in questa scena :)

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


9
 
A volte mi sento come se fossi sola
mentre tu sei davanti a me.
Noi ci giriamo e ci rigiriamo
dentro questa ruota.
Sto raccogliendo tutti i miei pensieri,
sono sicura che usciranno nel modo sbagliato,
ma finalmente tu saprai cosa provo […]. 

Sono certa che tu abbia qualcosa da dire,
una melodia dispettosa.
Ascolterò le tue parole stasera, è giusto.
Tu farai crollare dei ponti
e lascerai le macerie per me.
Starai di fronte a me, fingendo che ti importi.
 
Cadere è solo parte del rialzarsi in piedi […]
Per favore, credimi quando ti dico
che ci ho provato ma
non mi hai lasciato altra scelta.
Non ce la faccio a sostenere quel tuo sguardo
e il modo in cui mi sentirei se restassi con te.
Falling Down – The Sunstreak[1]
 
 
 
 
Era passato quasi un mese dal ballo dell’Accademia. Eravamo ormai giunti a metà Dicembre ed eravamo immersi in un’atmosfera natalizia. A partire dal brusco calo delle temperature e dall’arrivo delle prime nevicate, fino alle bellissime decorazioni che abbellivano la città, il nostro pub compreso. Il signor Riddle, tuttavia, sembrerebbe perfettamente incarnare lo spirito del Grinch e credo che nessuno di noi potrà facilmente dimenticare il modo in cui ha fulminato con lo sguardo Rankin quando quest’ultimo ha proposto di comprare un cappellino di Santa Claus per Nagini. Come ci è stato comunicato con un’e-mail da parte di Madame Bumb, il pub resterà chiuso esclusivamente i giorni di Natale e il 1° Gennaio, ma il 24 e il 31 Dicembre il servizio sarà ridotto, consentendo ai miei colleghi di tornare dai propri cari per i festeggiamenti.  
Morgana e io abbiamo già prenotato, con una tariffa conveniente, i biglietti per il ritorno in Italia. Al contrario, Amy rimarrà in Scozia poiché ormai la sua famiglia vive qui stabilmente, ma ci siamo ripromesse che resteremo in contatto.
Nell’ultimo mese le mie settimane sono state scandite da una solida routine, cosa di cui spesso Morgana mi rimprovera, sottolineando che quell’anno avrebbe dovuto essere una svolta anche da quel punto di vista. Seppur teoricamente le dia ragione, non posso esimermi di fronte a talune responsabilità come i turni lavorativi e le ore da dedicare alle prove dello spettacolo e di ballo. Spesso e volentieri gli orari prescindono dalla mia volontà e, di conseguenza, devo cercare di dedicarmi alla mia cura, ai miei hobby e alla “vita sociale” nei ritagli di tempo. Se non altro, i nostri weekend sono notevolmente spensierati. A settimane alterne ci riuniamo tutti in pizzeria e la nostra cerchia si è allargata, includendo anche una collega di Morgana, Angel Coulby[2], Eoin Macken il magazziniere del pub e l’adorabile Neville che è diventato una sorta di “mascotte” dei gemelli Phelps. Seppur Sean non me l’abbia detto esplicitamente, ho il sospetto che più volte abbia invitato Tom, ma che quest’ultimo abbia declinato. Talvolta, invece, lui ed Emma hanno preferito uscire con altri colleghi dell’Accademia e Morgana ha confessato di preferire di gran lunga questa opzione.
Dalla sera del ballo alcune cose sono inevitabilmente cambiate. Il giorno successivo mi sono sfilata il finto anello di fidanzamento. Seppur sia certa che Tom lo abbia notato, non ha fatto alcun riferimento. Emma, d’altro canto, ha preso l’abitudine di venire in auditorium ad assistere alle prove ogni volta che ne ha l’occasione. E’ sempre molto gentile e sorridente, ma ho la sensazione che tra noi ci sia una certa tensione. Siamo molto educate l’una con l’altra ma in modo quasi formale.
Il rapporto tra me e Tom è in una sorta di stallo: abbiamo smesso di discutere in modo infantile durante le prove, con grande sollievo di Lupin e di Allock. Tuttavia, le continue ingerenze di Emma e la mia risoluzione a dedicare del tempo a me stessa e a non voler coltivare la mia infatuazione, mi hanno reso più “riservata” nei suoi confronti. Cerco di non restare mai sola con lui e di evitare situazioni potenzialmente imbarazzanti. Talvolta ho l’impressione che lui mi scruti con aria pensierosa e si sia avveduto di questo tentativo di mantenere le distanze, ma si è perfettamente adattato. Pur peccando di vanità, non posso fare a meno di chiedermi se lui ed Emma abbiano mai discusso a causa mia. Seppur mi abbia fatto avere il suo numero di telefono, non ci siamo mai scambiati dei messaggi. Salvo in un’occasione: circa due settimane dopo il ballo, mi ha chiesto in modo garbato di sospendere il suo ordine di paste mattutino. La notizia non è stata presa con grande gioia da Riddle.  Io stessa mi sono vista privare di preziosi punti per la competizione mensile tra gli impiegati. 
Tuttavia ci sono dei lati positivi: la Parkinson e le sue scagnozze, anche mi riservino ancora delle occhiate malevoli e risentite, hanno smesso di spettegolare in mia presenza. O almeno si degnano di attendere che io sia uscita dalla stanza. Ormai sono diventata un viso noto nell’Accademia e persino gli studenti con cui non ho mai scambiato una parola, mi rivolgono cenni o sorrisi di saluto. Mi trattengo sempre più spesso a pranzo nel refettorio ed è sempre con un sorriso che accetto volentieri l’invito di Sean. Lo stesso Daniel si premura spesso di riservare un posto per entrambi quando giunge in mensa con Rupert o con Bonnie. Sono occasioni particolarmente piacevoli, soprattutto quando si uniscono i gemelli che raccontano dell’ennesima burla che hanno in mente ai danni del custode o di McLaggen.
Ogni volta che incontro Luna, si premunisce di ricordarmi che il mio presunto Cavaliere sta arrivando, ma sono sempre più convinta che questo non sia il momento più idoneo per una storia d’amore.
 
˜
 
Lupin era sul palcoscenico di fronte a tutti noi. Alla fine delle prove, ci chiedeva di prendere posto in platea. Era il momento in cui, prima di congedarci, si soffermava a fare il punto della situazione: dava indicazioni supplementari agli aspiranti attori che dovevano lavorare ulteriormente su una loro scena, lodava chi era migliorato e incoraggiava chi era stato corretto più volte durante la lezione.
Nelle ultime settimane appariva spesso pallido, con visibili occhiaie e sembrava persino dimagrito, ma non era sorprendente considerando le nottate passate a riesaminare alcune parti della sceneggiatura o a riscriverle ex novo.
In quel momento, con mio grande sollievo, esibiva un bel sorriso soddisfatto e sembrava avere solo parole di lodi per tutti. “Sono molto orgoglioso di tutti voi. Abbiamo ancora tempo davanti a noi per migliorare e perfezionarci, ma quest’oggi voglio solo ringraziarvi per il vostro impegno e per la vostra passione”, commentò con calore. Batté le mani e noi lo imitammo. “Potete andare”, congedò la classe con un sorriso. “Sarah, Tom, una parola per favore”.
Mi rimisi in piedi e mi avvicinai con un misto di curiosità e di timore: stavo pregando mentalmente che non estraesse dalla sua borsa un plico di fogli modificati. A giudicare dal corrugamento delle sopracciglia di Tom anche lui sembrava augurarsi la stessa cosa.
“Non fate quelle facce”, ci esortò con un sorriso divertito, sollevando le mani. “Prometto di non avere modifiche da proporre per il momento. Non ci crederete ma io stesso ho intenzione di rilassarmi nelle vacanze di Natale. Dovrò occuparmi di mia moglie”. Spiegò e lo sguardo si addolcì.
“A proposito, congratulazioni Professore”, non potei fare a meno di sorridergli con reale gioia al pensiero del lieto evento.
“Ti ringrazio. Non avevamo programmato un altro figlio dopo Teddy, ma non vedo l’ora di scoprire se sarà maschio o femmina[3]”, ci confidò con sguardo quasi commosso.
Non potei che guardarlo intenerita. “Allora si riposi: tra lo spettacolo e la gravidanza avrà molto a cui pensare nei prossimi mesi”.
Lupin annuì con fervore, prima di rivelarci il motivo per cui ci aveva trattenuto. “Il Professor Silente vorrebbe parlare a entrambi”.
Sbattei le palpebre e scambiai uno sguardo confuso con Tom. Non entravo in quell’ufficio dal famoso lancio della pasta. Mi sembrava che da quel giorno fosse passato moltissimo tempo. A volte stentavo a credere quante cose fossero cambiate dal mio arrivo in Scozia.
“Di cosa si tratta?”, domandò Tom, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
“Una bella sorpresa, ma ho promesso di non anticipare nulla”, commentò Lupin, incoraggiandoci a non farlo aspettare troppo.
“Magari ha organizzato un buffet in nostro onore?”, azzardai mentre seguivo Tom sulla scalinata verso l’ufficio.
Il ragazzo emise uno sbuffo ironico. “Sarebbe perfettamente nel suo stile, sempre che prima non sia andato in coma diabetico”.
Scossi il capo per risposta, ma lasciai che fosse lui a bussare e la voce allegra di Silente ci invitò a entrare. Ci rivolse un sorriso garbato e non potei che ricambiare il gesto. Il Preside era una di quelle persone così vitali e positive che riuscivano a mettermi di buon umore. Senza contare che in quel periodo la sua barba bianca lo rendeva ancora più simile a Babbo Natale.
“Sarah, Thomas, accomodatevi: vi stavo aspettando”, ci indicò le due sedie di fronte alla scrivania e Tom mi fece cenno di precederlo mentre lui chiudeva la porta.
 “A cosa dobbiamo il piacere?”, domandai con reale curiosità.
Lui guardò entrambi e congiunse i polpastrelli delle dita in un gesto che gli era caratteristico. “Il Professor Lupin mi fa regolarmente rapporto sulle vostre prove e non ha mancato di riferirmi quali straordinari progressi stiate facendo nell’aula di danza, sul palcoscenico e persino nel vostro modo di comunicare”.
Non potei fare a meno di arrossire di fronte all’evidente stima e all’approvazione che si notava nel suo sguardo e nel sorriso che ne faceva brillare gli occhi azzurri.
Tom esibì il suo sorrisetto più compiaciuto e si mise più comodo sulla sedia: lui non sembrava mai stancarsi di ricevere lodi.
“Dobbiamo molto alla dedizione del Professor Lupin e alla sua pazienza soprattutto”, mi schermii, non volendo negare che spesso e volentieri eravamo stati tutt’altro che collaborativi.
Silente mi sorrise e annuì. “Sono completamente d’accordo. Come avrete saputo una bellissima notizia gli ha cambiato la vita di recente e tutto ciò ha un buffo tempismo perché i suoi impegni personali si trasformano in un bel premio per voi due”. Soggiunse con uno scintillio più giocoso nello sguardo.
“Un premio?”, ripeté Tom con le sopracciglia inarcate.
Sorrise con l’aria di chi si stesse crogiolando prima di svelare una notizia attesa. “Che ne direste di accompagnarmi a Londra per un finesettimana?”.
Londra?”, ripetei e mi sporsi letteralmente dalla sedia. Se si poteva coltivare un’infatuazione per una città, nonostante non la si fosse mai visitata, quello era il mio caso. Da quando avevo cominciato a studiare l’inglese, alle scuole medie, e a vederne le illustrazioni sui libri di testo, non avevo potuto che invaghirmi di quella città, dell’eleganza dei suoi monumenti e dell’armoniosa fusione tra il classico e il moderno, della vivacità di alcuni quartieri e della peculiarità di alcuni elementi tradizionali come gli autobus a due piani, le cabine telefoniche di quella tonalità di rosso scarlatto fino al “London Eye”, la ruota panoramica. Il tutto era ulteriormente arricchito dalle descrizioni e dai ricordi di Morgana.
Notai Tom scrutarmi con un certo divertimento, ma si rivolse nuovamente al Preside. “Il mio premio sarebbe farvi da guida turistica?”
Silente gli rivolse un sorriso impertinente. “Sono certo che ci sarebbero aspetti di questo premio che ti sarebbero molto graditi, Thomas”, ribatté in tono pacato, ma capace di fargli morire il sorriso sulle labbra. “A Londra vi è un’Accademia molto nota: il Drama School Center”, spiegò successivamente e si rivolse soprattutto a me che pendevo letteralmente dalle sue labbra. “Conosco il Preside dell’Istituto e mesi fa mi ha mandato degli inviti per lo spettacolo che degli studenti appena diplomati metteranno in scena questo Sabato. Originariamente avrebbero dovuto accompagnarmi il Professor Lupin e il Professor Piton, ma visto lo stato interessante della Signora Lupin, Remus ha pensato che potesse essere un’occasione molto istruttiva per entrambi. E il Professor Piton è stato così cortese da cedere l’altro invito”.
“Uno spettacolo teatrale? A Londra?”, ripetei in tono ancora più sognante e febbrile.
Silente mi guardò divertito. “Posso facilmente dedurre, mia cara, che tu sia entusiasta di partire”.
“Anche subito”, risposi con fervore, strappando all’uomo anziano una risata e una strizzatina d’occhi.
“E tu, Thomas? Cosa ne dici?”.
Tom sembrò esitare un attimo. Era comprensibile che, avendo vissuto gran parte della sua vita nel Surrey, non fosse altrettanto “febbricitante” di aspettativa, ma forse vi era un altro motivo a farlo esitare? Forse Emma? Si prese un breve istante prima di rispondere con un cenno di assenso decisamente più sobrio del mio. Si strinse nelle spalle e accavallò una gamba sull’altra. “Qualcuno dovrà pure assicurarsi che Lady Elisabeth capisca interamente lo spettacolo”, commentò con un sorrisetto dispettoso a cui risposi con una smorfia.
“Molto bene, allora. Immagino che approfitterai dell’occasione per una visita a casa, quindi puoi tornare con comodo”, gli disse e il ragazzo lo ringraziò.
“Sarah, hai bisogno che telefoni a Tom per chiedergli di persona che ti conceda un permesso di lavoro?”.
Scossi il capo. “La ringrazio, ma non ce n’è bisogno. Preferisce che gli si faccia personalmente questo genere di richieste, ma conosce il suo numero in ogni caso”.
“Bene”, sorrise Silente con una strizzatina d’occhi. “Allora aspetterò una tua conferma al più presto possibile per prenotare i biglietti aerei e un posto in albergo”.
 
 
Il sorriso continuava a incresparmi le labbra, anche quando entrai nel pub, suscitando un’occhiata interrogativa da parte di Amy.
“Riddle è nel suo ufficio?”, le chiesi dopo aver indossato la divisa da lavoro per entrare in servizio.
“Doveva andare in banca ma non dovrebbe metterci molto”, mi informò distrattamente, mentre riordinava le paste rimaste nell’espositore. Alzò lo sguardo in mia direzione con aria incuriosita. “Spero che tu non abbia in programma di slogarti anche l’altra caviglia”. Commentò con una lieve ironia, ma non potei fare a meno di notare che sembrava stanca quasi quanto Lupin.
Risi della battuta ma scossi il capo e, approfittando del fatto che non ci fossero clienti da servire in quel momento (e che Rankin fosse troppo impegnato a spadroneggiare sulla povera Susan che era alle prese con la pulizia dei tavoli), le raccontai della meravigliosa sorpresa che mi aveva riservato il Preside.
Dovetti attendere che reagisse con un misto di entusiasmo, di incredulità e d’invidia. “No, sto rosicando di brutto!”, commentò sbalordita. “Io dovrò studiare per il master, lavorare e tu andrai a Londra a vedere uno spettacolo!”.
Sorrisi con aria solidale, consapevole di quanto in quel periodo fosse particolarmente stremata per i molteplici impegni. Non da poco la frequentazione del corso per diventare un’arredatrice d’interni. L’ammiravo molto per come riusciva a barcamenarsi tra lo studio e il lavoro, cercando oltretutto di non trascurare Daniel e di non mettere in secondo piano la loro relazione ancora agli inizi.
“Perché non approfitti adesso per andare a studiare nel saloon, Rankin permettendo. Posso stare da sola al bancone per un po’”.
Scosse il capo e intuii, com’era successo a me per la tesi, che fosse nauseata anche dai libri e dal dover ripassare i soliti argomenti. “Non ti preoccupare, finisco il turno tra un’ora”.
Non mi sorprese che, poco dopo, giungesse Daniel in compagnia di Rupert e dei gemelli Phelps che ci rivolsero energici saluti, prima di occupare uno dei tavoli in fondo. Daniel si avvicinò al bancone per ordinare una birra per tutti. Come di consueto, riempii delle vaschette di patatine e di altri stuzzichini che erano in omaggio con le bibite, mentre lui parlottava con la mia amica.
“Perché non vai a sederti un po’ con loro?”, proposi alla mia amica. Sapevo che era una persona molto ligia al dovere, ma prima che potesse rifiutare, aggiunsi: “Ci sono pochi clienti e posso farcela da sola per il momento’”.
Parve vacillare ma alla fine si arrese e annuì, soprattutto dopo aver notato che Rankin si era spostato nel saloon. “Grazie davvero”, mi sorrise, prima di unirsi al tavolo dei ragazzi.
I successivi venti minuti trascorsero senza troppi intoppi: solitamente in quella fascia oraria, nel bel mezzo della settimana, non vi era una particolare affluenza.
Amy sgattaiolò immediatamente dietro al bancone quando Riddle fece il suo ingresso con espressione funerea. Il nostro capo slacciò i primi bottoni del lungo cappotto e allentò la sciarpa. Sembrava intenzionato a dirigersi verso il suo ufficio e immaginai che quel pomeriggio avrebbe preso lì il suo the. Indugiò un attimo di troppo davanti al tavolo di Daniel e fu con espressione non poco stizzita che si avvicinò, facendo trasalire me ed Amy quando sbatté la mano sul ripiano.
“Signorina!”, si rivolse alla mia amica, invitandola ad avvicinarsi. Prese a parlarle in un sibilo ma con tono inviperito. “Chi frequenta al di fuori dal lavoro non è affar mio, ma non posso permettere che ciò condizioni anche i miei affari! Ha servito altre porzioni di stuzzichini oltre a quelle previste in omaggio?!”, l’accusò con sguardo indagatore. Avevo sempre l’impressione che sapesse leggere nel pensiero.
La ragazza arrossì vistosamente, ma rispose in tono fermo: “Assolutamente no, Signore”.
“In realtà ho servito io quel tavolo, Signor Riddle”, mormorai dalla mia postazione, guardandolo dritto negli occhi. “Daniel si è persino offerto di pagare le porzioni in omaggio”.
Riddle restò a fissarmi per un breve istante come a voler soppesare se fossi sincera o se stessi mentendo per la mia amica. Ma si rivolse di nuovo a lei. “Da oggi in poi, in ogni caso, non le sarà più permesso servire quei clienti. E se scopro che hanno ricevuto razioni supplementari, le decurterò dal suo stipendio e con gli interessi!”. La minacciò con la stessa voce gelida ma composta. Se possibile a me incuteva persino più soggezione di quando sbraitava contro Neville per aver rovesciato un vassoio di paste.
“Non succederà Signor Riddle”, mormorò Amy che, seppur sorpresa dalla sua evidente irritazione, ne stava sostenendo lo sguardo caparbiamente.
Riddle non aggiunse altro ma marciò verso il suo ufficio e si sbatté la porta alle spalle, attirando lo sguardo sorpreso persino dei gemelli e facendo cadere uno dei quadri appesi alle pareti. Sentii Amy borbottare qualcosa in un dialetto tipico di una delle tante province romane. “Grazie”, sussurrò l’attimo dopo in mia direzione.
“Era il minimo”, le sorrisi con aria solidale, prima di sospirare. “E’ una mia impressione o è persino più di cattivo umore del solito? Non ho il coraggio di andargli a chiedergli i due giorni di permesso”.
Lei si strinse nelle spalle, ancora risentita per quell’aspro rimprovero. “Avrà rotto con l’ennesima sciacquetta. E poi è successo solo una volta che abbia dato a Daniel una porzione extra! E si era anche proposto di pagarla! Oltretutto ho scoperto che era per i gemelli”, soggiunse tra sé e sé con uno scuotimento del capo. “Al massimo sarà successo due volte, non di più! Dovrebbe conoscermi ormai e sapere che sono una dipendente seria!”.
Sospirai. “I gemelli non dovrebbero approfittare così della vostra storia. Sono simpatici e tutto, ma solo perché spendono soldi in stupidaggini, non puoi rischiare di rimetterci tu lo stipendio”, convenni con aria preoccupata. Avevo già notato quanto fossero dei veri e propri talenti anche nell’arte dello scrocco, accattivandosi i favori altrui e facendosi spesso offrire la pizza dagli altri amici.
“Ne parlerò con Daniel”, mormorò lei in tono riluttante.
Annuii per risposta, convenendo che fosse la cosa migliore e sperando che lui capisse. Sospirai nel guardare in direzione dell’ufficio di Riddle. Silente attendeva una mia risposta e non potevo tergiversare troppo. “Fammi gli auguri, vado a parlargli”.
Bussai alla sua porta e lui rispose in tono seccato: “E adesso che c’è?!”. Mi morsi il labbro inferiore ma rimasi sulla soglia dell’uscio con aria esitante, dopo aver abbassato la maniglia per mostrarmi. Persino Nagini, tornata con mio grande sollievo nella sua postazione originaria, sembrava di cattivo umore. Mi domandai se tra loro non vi fosse una simbiosi tale da influenzarsi reciprocamente lo stato d’animo.
“Mi scusi, Signor Riddle – mormorai in tono cauto - se preferisce, posso tornare più tardi”.
Mi fece un brusco cenno di entrare e mi chiusi rapidamente la porta alle spalle. Superfluo dire che anche in quella circostanza ne temevo la reazione. Ancora una volta, invece, fui del tutto spiazzata. Non appena nominai Londra e la rinomata Accademia, lo sguardo di Riddle sembrò nuovamente sfolgorare e sembrò calmarsi.
“E’ un’Accademia prestigiosa, molti attori famosi hanno studiato lì”, commentò e ne nominò alcuni, lasciandomi senza fiato. Colin Firth in persona ma anche attori del calibro di Emilia Clarke di Game of Thrones, Penelope Wilton di Downton Abbey e Alexander Dreymon, il protagonista di una serie tv iniziata da poco, The Last Kingdom[4]. Ancora una volta ebbi la conferma che, seppur avesse cambiato carriera, la passione per la recitazione non sarebbe mai svanita.
“Pernotteremo a Londra Sabato notte e torneremo Domenica, ma da Lunedì sarò di nuovo regolarmente in servizio. Naturalmente recupererò queste due giornate quando lo riterrà opportuno, weekend inclusi”, chiarii subito per non sembrargli un’ingrata e tanto meno una lavativa.
Riddle annuì, prendendo un appunto sulla sua agenda foderata di pelle scura[5]. “Ne parlerò con Madama Bumb, ma sono assolutamente d’accordo con il Preside: è un’occasione unica e irripetibile. Osservi con attenzione e cerchi di imparare il più possibile dagli altri studenti”. Mi consigliò con sincero interesse per la mia esperienza teatrale.
Annuii e mi sentii incredibilmente leggera. Avevo persino ritrovato il sorriso. “La ringrazio, Signor Riddle. Silente le manda i suoi cari saluti”.
Il suo sguardo si addolcì di reale affetto al pensiero del Preside. “Li ricambi da parte mia. E’ tutto?”.
“Sì, torno subito al lavoro”.
“Per favore, dica alla signora Weasley di portarmi in ufficio the e biscotti”, mi esortò, prima di riprendere a scrivere qualcosa. Lo sentii aggiungere, parlando tra sé e sé: “Non vorrei che certe presenze mi bloccassero la digestione”.
Tornai al bancone con un sorriso trionfante, rispondendo allo sguardo interrogativo della mia amica con il titolo di un noto brano dei The Clash: “London is calling!”.
 
 
Il trolley era adagiato sopra il letto nella mia camera, mentre osservavo le pile d’indumenti e di oggetti che avrei dovuto inserirvi all’interno. Stavo consultando la lista che avevo annotato sull’agenda, quando sentii il richiamo di Morgana. Entrò con un sorriso e un vassoio con due fumanti tazze di cioccolata calda appena preparata. “Come va con i bagagli?”, mi domandò in tono allegro. Essendo nativa di Londra non poteva condividere la mia stessa emozione ma era felicissima che quell’occasione mi fosse letteralmente caduta dal cielo.  
“Passeremo solo una notte fuori, quindi non avrò bisogno di molte cose”, spiegai con uno scrollo di spalle. “Spero comunque di tornarci presto e di intrattenermi per visitarla come si conviene”.
La mia amica parve illuminarsi. “Potremmo organizzare una gita estiva tra ragazze!”, propose e mi porse la mia tazza di cioccolata, mentre sedeva ai piedi del letto. “Vi mostrerò il mio vecchio quartiere e i miei luoghi preferiti!”, mormorò con sguardo fervente.
Alla sola idea non potei che sorridere con entusiasmo. “E’ un’idea magnifica!”.
Mi sedetti al suo fianco e sorseggiai a mia volta la bevanda con un mugugno di piacere. Sembrava persino più deliziosa in quel periodo dell’anno. Mancava soltanto la mia playlist natalizia su Spotify e l’atmosfera sarebbe stata a dir poco perfetta.
“A proposito di Londra, come va con Tom?”, mi domandò con una lunga occhiata indagatrice. Se possibile, dalla sera del ballo, le sue preoccupazioni in merito erano divenute persino più impellenti e mi domandava ogni giorno come fossero andate le prove. Sapevo perfettamente che non alludeva soltanto alla recitazione vera e propria.
“Bene”, risposi di riflesso. “Non è successo nulla di nuovo. Lui resterà qualche giorno con la famiglia”. Spiegai in tono composto.
Lei sospirò. “Non dovrò preoccuparmi di sapervi soli in giro per la città, vero?”.
“Assolutamente no”, ribattei fermamente ma con le guance arrossate. “La mia posizione non è cambiata dopo il ballo: siamo amici e nulla di più”. Cercai di parlare nel modo più convincente possibile.
Lei parve ancora cauta. “Mi sorprende che Emma non si unisca alla gita, considerando come ultimamente sembri onnipresente, ogni volta che sei con Tom”.
Mi strinsi nelle spalle, seppur lo stesso pensiero mi avesse sfiorato. “Dopotutto saremo con Silente, non si può certo definirla una fuga romantica”.
La mia amica annuì con fervore. “Meglio così: non sopporterei di vederti soffrire, soprattutto per qualcuno di eternamente indeciso”.
Inarcai le sopracciglia, non potendo fare a meno di chiedermi se si scambiasse opinioni simili con i nostri amici in comune. “E’ quello che dice anche Sean?”.
Morgana ridacchiò e mi rivolse un sorrisino più impudente. “Francamente quando siamo soli, parliamo d’altro o non parliamo affatto”.
Arrossii e sollevai le mani. Non ero decisamente in grado di pensare a Sean in quell’accezione, considerandolo quasi un fratello.
Si fece di nuovo seria e scosse il capo. “Non è un argomento che affronto volentieri con lui: so che è un suo amico e lo rispetto, ma la mia priorità sei tu”, specificò in tono eloquente.
Le baciai la guancia e le sorrisi. “Non c’è motivo che discutiate a causa nostra in ogni caso”, rimarcai, guardandola dritto negli occhi.
Lei parve finalmente rilassarsi. Ritrovò immediatamente il sorriso e inclinò il viso di un lato. “Parlando di cose piacevoli: hai già deciso che cosa indosserai per assistere allo spettacolo?”.
Mi morsi il labbro inferiore e la mia amica sollevò una mano per ammonirmi.
“Non osare rispondere ‘qualcosa di casual’ o ti bandisco dalle mie amicizie”. Non attese neppure la mia risposta e si rimise prontamente in piedi. Aprì il mio armadio e si spostò nella sezione degli abiti che avevamo comprato insieme (o che lei mi aveva quasi costretto a comprare) e li studiò con una mano sotto al mento. “Se non avessimo già speso una cifra enorme per il ballo, sarebbe stata l’occasione ideale per fare shopping”, convenne con un sospiro, salvo poi illuminarsi ed estrarre dall’armadio una gruccia su cui era appeso un abito rosa. Probabilmente lo avevo indossato tre volte. Non casualmente era stato un suo regalo di compleanno.  
“Non sarà troppo elegante?”, ebbi l’ardire di chiederle.
Morgana mi trafisse con lo sguardo come se l’avessi offesa mortalmente. “Sembra quasi che tu non mi conosca”, commentò in tono stizzito, salvo scuotere il capo. “Non andrai a quello spettacolo in jeans e camicia”, era tornata a lisciare l’abito con un sorriso. “Ho un paio di deliziose Jimmy Choo che sarebbero perfette insieme a questo. Andiamo in camera mia: dobbiamo anche pensare a un paio di orecchini, una collana e ovviamente a come ti truccherai e alla pettinatura. Forza, non c’è tempo da perdere!”.
Mi trascinò letteralmente con sé, dimenticandosi persino della cioccolata. Non potei fare a meno di sorridere, godendomi quelle attenzioni. “Un giorno, quando sarai una stilista famosa, potrò dire al mondo di essere stata la tua prima modella”.
“La mia preferita”, rimarcò Morgana, dandomi un buffetto sul naso, prima di riscuotersi. “La piastra! Devi assolutamente ricordarti di portarti dietro la piastra per capelli!”.
Sollevai appena gli occhi al cielo ma cominciavo seriamente a preoccuparmi di quale sarebbe stata la mole totale del mio bagaglio. “Ecco cosa mancava alla mia lista!”, commentai in tono enfatico, guadagnandomi una sua occhiataccia.
“Non scherzare su queste cose: mi ringrazierai un giorno!”.
 
˜

Nonostante il profondo affetto che provavo per Morgana, ero certa che non sarei riuscita a ringraziarla fino a quando non mi fossi seduta in aereo. Alla fine non solo stavo portando con me il trolley che avevo previsto, ma lei stessa mi aveva prestato una sua valigetta e ovviamente l’abito era stato disposto in una busta di cellofan con il marchio del negozio in cui lo aveva acquistato. Il tutto rese incredibilmente scomodo il tragitto dal taxi all’ingresso dell’aeroporto.
“Buongiorno”, mormorai quando raggiunsi Tom e Silente. Entrambi, superfluo dirlo, avevano un bagaglio molto più modesto del mio. Tom mi accolse con le sopracciglia inarcate ma Silente sorrise con quel suo tipico barlume sbarazzino nello sguardo.
“Ben arrivata, mia cara. Possiamo metterci in fila per il check-in”.
Avevo ancora ben in mente l’imbarazzante episodio all’aeroporto di Pisa, ma per fortuna questa volta non ci furono intoppi e salimmo tutti e tre sull’aereo e cercammo i nostri posti nelle file da tre sellini. Scoprii con grande soddisfazione che il mio era quello che dava sul finestrino.
“Spero che non vi dispiaccia se ho scelto il posto centrale”, commentò allegramente Silente, accomodandosi al mio fianco.  “Ahimè, ho paura delle altezze e non potrei sopportare di stare vicino al finestrino”, prese a raccontarmi con la tipica allegria. “Senza contare che il posto che dà sul corridoio è il peggiore, lo sanno tutti”, soggiunse in tono più scherzoso.
Tom lo guardò con un’espressione così stizzita e offesa che dovetti trattenermi per non scoppiare a ridergli in faccia. “Così dicono”, commentò in un sibilo ironico. Dispose il bagaglio a mano sullo scaffale sopra di sé, lasciando fuori solo un libro, prima di prendere posto all’altro lato del Preside.
“E poi qualcuno pensa che stiate fin troppo vicini negli ultimi tempi”, continuò Silente con la stessa cordialità, come se non si fosse accorto del malumore di Tom.  “Ma non vorrei rimetterci la guancia come la signorina Parkinson”, soggiunse con una strizzatina d’occhi che mi fece arrossire furiosamente. Tom si era limitato a inarcare ulteriormente le sopracciglia, guardando il Preside di sbieco.
“Come fa a saperlo?”, domandai con aria mortificata all’idea che quel pettegolezzo fosse giunto persino alle sue orecchie. Sarebbe stato sciocco sperare che Emma ne fosse rimasta all’oscuro? O forse Silente ci stava bonariamente prendendo in giro per la presenza costante della ragazza di Tom in auditorium?
“Io so sempre tutto quello che accade nella mia Accademia”, ribatté allegramente. Prese a frugare nella borsa che aveva recato con sé, prima di estrarre una pedana per il gioco dello scrabble in una comoda versione da viaggio. “Chi ha voglia di una partita?”.
 
 
Il volo arrivò a Londra puntuale. Non avrei saputo dire se si trattasse di semplice soggezione, ma mi sentii invadere fin da subito da un entusiasmo quasi infantile, continuando a guardarmi attorno come se ancora non riuscissi a credere di trovarmi davvero in quella città. Sapevo naturalmente che non avrei dovuto farmi grandi aspettative vista la brevissima permanenza che mi era concessa, ma studiai avidamente ogni dettaglio, sotto lo sguardo divertito dei miei due accompagnatori.
“Sfortunatamente non avremo molto tempo per visitarla”, commentò il Preside, stringendomi il braccio con aria solidale. “Ma potrai senz’altro tornare in gradevole compagnia”, aggiunse con una strizzatina d’occhi.
Sorrisi per rassicurarlo, ma il mio entusiasmo non poteva scemare. “Trovarsi qui è come un sogno e anche se di breve durata, voglio viverlo fino in fondo”.
Vidi Tom sollevare gli occhi al cielo. “La solita melodrammatica”, commentò a bassa voce, prima che gli rifilassi una gomitata nelle costole.
Silente invece mi sorrise con aria di approvazione. “Trovo molto lodevole il tuo atteggiamento e il tuo entusiasmo contagioso: dopotutto seppur siano brevi, non bisogna mai dare per scontato attimi di pura felicità come questi”, disse saggiamente e non potei che annuire.
Il tragitto dall’aeroporto all’albergo fu breve e ciò ci consentì di avere tempo necessario a rifocillarci, cambiarci d’abito ed essere pronti a dirigerci verso il prestigioso istituto.
Studiai la mia figura e mi scattai rapidamente una fotografia che mandai alle mie amiche. L’abito era di una delicata tonalità di rosa pastello: seppur personalmente preferissi l’azzurro, Morgana insisteva spesso che quel colore si sposasse bene con la mia carnagione e con i capelli schiariti dai colpi di sole. Era un semplice abito composto di una scollatura rotonda e un’ampia gonna che non enfatizzava la naturale rotondità dei miei fianchi e che scivolava fin sotto il ginocchio. Ai piedi indossavo le favolose scarpe di Morgana di una tonalità di rosa più acceso e orecchini e collana abbinati. Grazie alla piastra e alle spiegazioni esaurienti della mia amica, riuscii facilmente a rendere ondulata qualche ciocca di capelli e seguii scrupolosamente i suggerimenti che mi aveva dato per passarmi un filo di trucco che non fosse troppo appariscente, ma che mi mettesse in risalto i lineamenti. Controllai il mio riflesso per un’ultima volta, indossai il soprabito e scesi nella hall dell’albergo in cui avevo appuntamento con Tom e con Silente.
Ringraziai mentalmente che la mia amica avesse insistito perché mi sarei sentita incredibilmente fuoriposto coi miei due accompagnatori. Tom indossava un completo elegante e scuro e il Preside ne aveva preferito uno altrettanto sontuoso ma di una tonalità piuttosto accesa di verde. Ammiravo il modo in cui non si curasse minimamente di apparire “eccentrico” anche nel vestire. Si volsero entrambi in mia direzione e discesi cautamente le scale: come sempre mi sentivo impacciata coi tacchi e volevo evitare di inciampare.
“Mia cara, sei una visione questa sera”, convenne Silente con un sorriso e quello scintillio dolce nello sguardo. “Ti offrirei volentieri il braccio, ma soffro di artrite. Sono certo che a Thomas non dispiacerà farlo, nevvero?”, gli rivolse uno sguardo in tralice.
Tom tuttavia non lo stava guardando, ma mi sorrise senza alcuna traccia d’ironia e fu lesto a porgermi il suo braccio destro che strinsi leggermente. “Cerca di non inciampare”, mi soffiò a voce bassa ma con un sorriso sbarazzino che lasciava perfettamente intendere che stesse scherzando.
“Il taxi vi aspetta, passate una buona serata”, ci salutò il proprietario dell’albergo con un sorriso. Si trattava di un signore anziano, quasi del tutto calvo e piuttosto corpulento, aveva degli occhi sporgenti e dei grandi baffi che lo rendevano simile a un tricheco. Vestiva in maniera molto elegante e con gran gusto. I bottoni della sua giacca, non potei fare a meno di notare, sembravano scintillare, come se li avesse lucidati appositamente. Immaginavo che pretendesse gli stessi alti standard per il suo albergo. Dalla targhetta appesa alla giacca, vidi che si chiamava Horace Lumacorno[6].
“Sono sicuro che lo sarà”, rispose allegramente il Preside che mi aprì galantemente la portiera affinché entrassi per prima.
 
 
Giungemmo all’Istituto con un anticipo di venti minuti rispetto all’inizio della rappresentazione. Il Drama Centre era stato fondato nel 1963 e trasferito dal 1999 presso il Central Saint Martin, la prestigiosa Università delle Arti di Londra, in una zona centrale della città. Il preside era una vecchia conoscenza di Silente: il signor Anthony Head[7]. L’edificio aveva una facciata di mattoni grigia e un aspetto imponente con ampie finestre ad arco e un cortile ospitale in cui immaginavo si radunassero gli studenti tra un corso e l’altro. La vista delle finestre illuminate era ancora più suggestiva a quell’ora di sera[8].
Lo spettacolo fu particolarmente stimolante. Si trattava di un’opera  teatrale ambientata nell’epoca medioevale e non potei fare a meno, fin dai primi minuti, di ammirare la scenografia che era stata allestita e gli abiti di scena. Avevo scattato delle fotografie che avrei mandato alle mie amiche e sorrisi al pensiero che i costumi che Morgana e Sean avevano indossato per il ballo, sarebbero stati perfettamente intonati a quel contesto[9]. La sceneggiatura intrecciava scene di duelli tra cavalieri con altre di natura romantica o dall’intrigo politico, mantenendo l’attenzione della platea e riuscendo perfettamente ad alternare momenti di alta tensione con altri più introspettivi e intensi come i monologhi o le riflessioni dei protagonisti. Inoltre erano state sapientemente aggiunte delle sottotrame comiche che avevano saputo strappare risate e sorrisi agli spettatori e il cui merito era indubbiamente da imputare ai due ragazzi protagonisti di quelle scene. Il primo era il tipico cavaliere apparentemente sbruffone, saccente e di alto lignaggio ma dal cuore puro. Il secondo era il suo servo pasticcione ma incredibilmente leale. Entrambi gli attori si erano facilmente avvalsi del favore del pubblico. Avevo visto Silente asciugarsi gli occhi più volte dopo un loro dialogo spassoso e persino Tom si era concesso di apparire vagamente divertito.
Mi commossi persino alla morte del cavaliere, ignorando lo sbuffo ironico di Tom che, tuttavia, mi porse il fazzoletto da taschino. Avevo scosso il capo, cercando di restituirglielo e prendendo a frugare nella pochette, ma lui mi aveva esortato, stringendomi appena la mano e facendomi arrossire. Lo avevo ringraziato in un sussurro e lui mi aveva scostato i capelli dal viso. “Cercate di non sciupare il trucco, Lady Elisabeth”, mi aveva sussurrato. Seppur la stanza fosse semibuia, avrei potuto immaginarne il sorrisetto irriverente.
Tutti gli attori salirono di nuovo sul palco per ricevere il giusto plauso e io battei energicamente le mani, alzandomi come tutti gli altri.
“Davvero uno spettacolo meraviglioso: un peccato che Remus non fosse qui per vederlo”, convenne Silente. “Ma sono sicuro che sarete così premurosi da descriverglielo nei minimi dettagli. Vogliamo andare a salutare il mio collega Anthony?”.
Non fu facile farsi largo tra la folla degli astanti: le famiglie degli attori, gli altri studenti accorsi a sostenere i propri colleghi, i giornalisti e le tv locali. Silente propose quindi, con mio grande sollievo, di allietarci con il buffet, in attesa che la calca si diramasse.
 
Quando finalmente la ressa diminuì, fummo in grado di avvicinarci al palcoscenico, ai piedi del quale vi era un uomo molto elegante che era circondato da un campanello di persone che gli stringevano la mano e gli facevano complimenti e lodi. Tra questi vi era un giornalista e un cameraman che dovevano appena averlo intervistato.
“Buonasera Anthony” lo salutò Silente con un sorriso.
L’uomo si volse in nostra direzione e il suo sguardo si animò non poco alla vista del Preside e spalancò le braccia in un caloroso gesto di benvenuto.  “Albus! Che piacere!”.
Sembrava sulla sessantina, aveva i capelli ormai radi e brizzolati, pettinati all’indietro, ma era molto distinto e aveva maniere affabili e calorose. I due uomini si erano stretti in un abbraccio fraterno e Silente gli aveva fatto i suoi calorosi complimenti a cui io avevo sinceramente annuito, sorridendo e aggiungendo a mia volta qualche commento. Solo Tom rimase in disparte, con le braccia incrociate al petto e l’aria di chi avrebbe voluto già andarsene.
Il signor Head guardò da me a Tom con reale curiosità. “E questi devono essere i due ragazzi di cui Remus mi ha parlato”.
“Esattamente, Anthony, saranno i protagonisti del suo spettacolo di fine anno: la signorina Sarah e Thomas”.
“Benvenuti”, ci salutò con un sorriso e strinse la mano a entrambi. “Da come ho sentito parlare di questo spettacolo, non vedo l’ora di vedervi sul palco!”.
Non potei fare a meno di osservare il palcoscenico e sentire un nodo all’altezza dello stomaco al solo pensiero che il nostro auditorium potesse essere pieno anche solo la metà di quello in cui ci trovavamo in quel momento. Mi riscossi e sorrisi all’uomo con altrettanto calore.
“Spero che saremo in grado di offrirvi una performance altrettanto emozionante”, mormorai con sincera ammirazione.
L’uomo mi sorrise con reale gratitudine. “Sono davvero lusingato, ma non posso prendermi tutti i meriti”, si era guardato attorno e aveva scorto il ragazzo corvino che aveva interpretato il servo impacciato. “Colin! Colin, vieni qua, vorrei presentarti delle persone e chiama Bradley per favore!”.
Il ragazzo giunse pochi attimi dopo, seguito dal collega biondo che aveva interpretato il cavaliere protagonista. Lo stesso che mi aveva commosso nella scena incredibilmente toccante della sua morte, soprattutto considerando che ciò fosse avvenuto prima che potesse sposare la sua amata.
Sembravano entrambi molto più alti di quanto mi fossero apparsi sul palcoscenico: dovevano superare il metro e ottanta. Colin aveva intensi occhi azzurri, capelli scuri e un sorriso adorabile.
Il mio sguardo incontrò quello di Bradley e a quel punto mi parve che tutta la sala scomparisse, compresi i suoni, i colori, le voci e persino il mio stesso battito. Sembrò che il tempo si fosse fermato mentre indugiavo nelle sue iridi che erano di un’incantevole sfumatura tra l’azzurro e il grigio. Il sorriso che gli increspava le labbra era piuttosto sicuro di sé e del proprio fascino, decisamente accattivante, come la sua camminata fluida. Mentre si avvicinava, tuttavia, e si fermava dietro al suo mentore, parve che il suo stesso sorriso vacillasse per un attimo. Sembrò a sua volta restare inerte, fin quando non fu richiamato alla realtà dalla voce di Colin.
“Piacere di conoscervi, sono Colin Morgan”, si presentò il ragazzo, per poi indicare l’amico. “E questo con la faccia da asino è il mio amico Bradley”.
Quest’ultimo distolse lo sguardo da me per raggrinzire il naso in sua direzione e dargli una lieve spintarella.
Silente salutò entrambi con la consueta cordialità e Tom si limitò a un cenno del capo e a stringere appena le mani che gli erano state porte.
Mi costrinsi a sbattere le palpebre e a deglutire, sentendo improvvisamente fin troppo caldo, ma ricambiai il sorriso di Colin e ne strinsi la mano. “E’ un vero piacere e complimenti per lo spettacolo”, mormorai, prima di trovare il coraggio di incontrare nuovamente lo sguardo di Bradley. Ebbi la sensazione che il mio cuore stesse tambureggiando fin troppo forte, soprattutto quando sembrò osservarmi intensamente. Sentii le mie guance accaldarsi, sperando che il fondotinta potesse celare quello stato d’animo.
“Il piacere è tutto mio, Milady”, fu la sua replica con voce roca e modulata. Accarezzò quel nomignolo con dolcezza simile a quella del suo alterego sulla scena. Non mi strinse la mano ma, sotto lo sguardo ironico di Colin, me la prese delicatamente e se la portò alle labbra per baciarne il dorso. Lo sfiorò appena, ma la freschezza delle sue labbra si tradusse in brividi improvvisi che mi scivolarono lungo la spina dorsale. Seppur si trattasse di un gesto anacronistico, Bradley lo compì con una naturalezza e una fluidità da non renderlo affatto fuori luogo o banale. Sentivo la testa incredibilmente leggera, ma un sorriso mi sfiorò spontaneamente le labbra nell’indugiare nel suo sguardo, prima che Colin si schiarisse la gola.
Bradley lasciò la mia mano e si rimise in posizione eretta ma non abbandonò il sorriso e sentii il suo sguardo su di me, anche quando mi costrinsi a tornare a guardare il Preside e ad annuire alla conversazione in atto che stavo ascoltando soltanto a metà. Il mio cuore non aveva smesso di battere intensamente e non avevo potuto che sorridere tra me e me, senza apparente motivo.
“Lasciamo che i giovani socializzino: fate loro gli onori di casa”, si raccomandò Anthony dando una pacca a entrambi i suoi pupilli. “Vieni Silente, dobbiamo brindare alla tua visita tanto attesa”.
“Li lascio nelle vostre mani”, sorrise il nostro Preside, seguendo l’amico.
Sollevai lo sguardo e incontrai nuovamente quello di Bradley che sembrava a sua volta poco incline alla conversazione, mentre Colin cercava evidentemente di rompere il ghiaccio.
“Ho sentito parlare benissimo della vostra Accademia[10]”, esordì con un sorriso gioviale, guardando da me a Tom. Quest’ultimo sembrava piuttosto corrucciato, tanto da aver incrociato le braccia al petto e dal guardare i due attori con aria sprezzante.
“In realtà solo Tom è iscritto all’Accademia”, specificai con un sorriso. “Io mi sono ritrovata coinvolta nel progetto per un evento fortuito”, mormorai per risposta, sperando che non mi chiedessero di entrare nel dettaglio.
A quella menzione, se non altro, Tom si era sciolto in un mezzo sorriso. “L’eufemismo dell’anno”, commentò, ma rivolgendosi soltanto a me.
“Davvero? Non avevi mai studiato recitazione prima?!”, domandò Colin incuriosito. “Devi avere un grandissimo-”, non finì la frase perché Bradley lo interruppe con una lieve spallata.
Si rivolse a me con un sorriso affascinante che ne fece baluginare lo sguardo. “A me piace credere che certi incontri avvengano per destino”. Mormorò con voce più rauca. “Lo studio è importante ma il talento è innato”, si strinse nelle spalle e mi rivolse un breve ammiccamento. “Io lo so bene dopotutto”.
Fu il turno di Colin di sospingerlo e scuotere la testa in un gesto enfatico e sollevare gli occhi al cielo. “Vi consiglio di cambiare argomento: potrebbe parlare del suo presunto talento per ore intere e senza annoiarsi”.
Non potei fare a meno di ridere nel notare che quella sintonia vista sul palcoscenico fosse sintomo anche di una profonda complicità che li legava nella vita reale. Nella fattispecie Bradley gli rivolse un finto sguardo ammonitore.
“Sarebbe un argomento di assai discutibile interesse”, fu la replica sferzante di Tom che neppure si prese la briga di nascondere l’evidente antipatia con cui stava scrutando Bradley.  “Senza contare che questo cosiddetto talento dovrebbe essere provato al di fuori di un’Accademia”.
“Tom”, ne mormorai il nome in tono di ammonimento, non potendo fare a meno di sentirmi in imbarazzo di fronte al repentino cambiamento d’atmosfera.
Lui m’ignorò ma Bradley non perse il sorriso.  Lo scrutò con aria incuriosita. “Potrei dire lo stesso di te, ma non amo i pregiudizi e dopotutto non ti ho ancora visto recitare”, rispose in tono pacato.
Tom si strinse nelle spalle con un sorrisetto strafottente. “Avresti di che imparare”.
L’altro si permise di sorridere con aria educatamente perplessa e un lieve inarcare delle sopracciglia. “Se così fosse, non esiterei a farlo”, lo rassicurò con nonchalance.
Mi intromisi per porre fine a quel momento di tensione che lo stesso Colin stava notando con espressione sorpresa. “Non sono un’esperta in materia, ma ci tenevo comunque a dirvi che ho amato entrambe le vostre performance: siete stati molto spassosi e a tratti commoventi e-”. Sentii la mia voce farsi più tremula quando incontrai di nuovo gli occhi di Bradley e quel bel sorriso, sospendendo la frase per qualche secondo. “Emozionanti”, conclusi. Mi sforzai di non distogliere lo sguardo per non apparire una scolaretta alle prime armi.
“Sei davvero molto gentile e permettimi di aggiungere che hai un accento adorabile, Milady”, sussurrò, guardandomi dritto negli occhi. Sentii Tom sbuffare alle mie spalle. Bradley aggiunse in tono più ironico e scherzoso: “Tuttavia non posso prendermi tutti i meriti: sembra che la parte dell’idiota sia stata scritta su pennello per Colin. Gli è bastato essere semplicemente se stesso”.
Era evidente che stesse scherzando perché l’amico rise, ma scosse il capo. “Come a Bradley quella del somaro”, soggiunse con la stessa leggerezza.
“Davvero illuminante”, fu il commento di Tom che neppure provò a simulare la sua indifferenza, prima di rivolgersi a me. “Credo che dovremmo recuperare Silente e tornare in albergo: si sta facendo tardi”.
Inarcai le sopracciglia a quell’osservazione, non riuscendo a credere che volesse andarsene così presto, soprattutto considerando che lo stesso Silente si stava ancora intrattenendo con l’amico. La risposta mi morì sulle labbra quando Bradley mosse un passo in mia direzione, il viso inclinato di un lato e il sorriso a farne baluginare lo sguardo.
“Milady, posso tentarti con un tour dietro le quinte dello spettacolo?”, indicò il palcoscenico con un cenno del mento.
Sentii nuovamente il mio cuore scalpitare più intensamente, soprattutto quando mi porse prontamente il braccio, continuando a parlare con voce flautata, del tutto incurante di Tom. “Non accetterò un ‘no’ come risposta”, aggiunse in un sussurro complice che mi fece scorrere un brivido lungo la spina dorsale.
Sembrai dimenticare nuovamente tutto il resto e non potei fare a meno di sorridere nuovamente, sentendo la mia voce più flebile. “Mi farebbe molto piacere”.
“Molto bene”, mormorò per risposta, attendendo che ne cingessi il braccio. Ne percepii il profumo e il contatto con il suo fianco mi suscitò un nuovo brivido lungo la spina dorsale. Si rivolse brevemente a Colin. “Perché non offri a Tom qualcosa da bere nel frattempo?”.
“Non ti disturbare”, fu la replica secca di Tom che neppure guardò il povero Colin. “Io vengo con voi”, specificò, guardando Bradley negli occhi con aria di sfida, malgrado quest’ultimo lo sovrastasse di quasi dieci centimetri. “A meno che non sia un problema”. Aggiunse in tono calmo, quasi volendolo sfidare ad affermare esplicitamente il contrario.
L’altro sospirò con aria quasi stanca. “Immagino di no”, dovette convenire con l’aria di chi per mera educazione si costringeva ad asserire ciò. Ma tornò a osservare me e il sorriso tornò a incresparne le labbra, conducendomi verso gli scalini della platea.
“Io resto qui: non preoccupatevi per me!”. Rimarcò Colin con aria evidentemente ironica.
“Non lo faremo”, lo rassicurò l’amico ma gli rivolse un breve ammiccamento.
Mentre camminavamo, Bradley mi chiese di parlargli del nostro spettacolo e gliene feci una breve sintesi anche perché, come aveva già promesso solennemente, sarebbe venuto di persona ad assistere. Sarebbe stata una conversazione molto più piacevole se Tom non avesse indugiato alle mie spalle. Anche se non stava pronunciando una parola, mi sembrava di “percepire” il suo fastidio che non faceva altro che innervosirmi.  
Mi lasciò curiosare nell’armadio in cui erano stati riposti degli abiti di alta sartoria che avevano indossato poco prima. “Quindi interpreterai una Lady. Non vedo l’ora di vederti in quelle vesti e con un’acconciatura dell’epoca”, mormorò e si permise di indugiare con lo sguardo su di me, suscitandomi un ulteriore rossore alle gote.
Mi schiarii la gola. “Devo ammettere che anche io sono impaziente: ho un debole per l’epoca vittoriana”, mormorai con sincero entusiasmo.
Lui inclinò il viso di un lato e mi sorrise. “Si vede da come ne parli, ma credo che i Cavalieri sarebbero impazziti per te, se tu fossi vissuta nel Medioevo”, alluse ai canoni di bellezza stilnovista della rappresentazione “angelicata” della donna. “Me compreso, s’intende”, sottolineò con voce più suadente che mi suscitò un altro fremito interiore.
“Sei molto galante”, mormorai con voce spezzata.
Sembrò in procinto di voler aggiungere qualcosa, ma ci riscuotemmo entrambi quando sentimmo il colpo di tosse volutamente esagerato da parte di Tom. Sbattei le palpebre, rendendomi conto che mi ero persino dimenticata della sua presenza, mentre Bradley, al contrario, sembrava sforzarsi di mantenere la calma.
“Quindi è una spada vera, wow!”, commentò con aria fintamente impressionata. Ne impugnò l’elsa e ne carezzò attentamente la lama, come a volerne saggiare la capacità d’incisione.
“Ti consiglio di fare attenzione: se non sei abituato a maneggiarla, potresti farti male”, replicò Bradley in tono serafico, ma con un sorrisetto volutamente provocatorio.
“Si dà il caso che anche nel nostro spettacolo ci sia un duello con una vera spada”, sottolineò l’altro in tono polemico.
“Ma davvero?”, domandò l’altro in tono sorpreso. “Quindi avresti già iniziato gli allenamenti?”. Ne studiò la stazza con le sopracciglia inarcate, evidentemente ritenendolo troppo mingherlino per essere realmente minaccioso.
Tom sembrò comprenderlo perché strinse gli occhi in due fessure. “Vorresti una dimostrazione?”.
Scossi il capo, guardando dall’uno all’altra. “Non credo che sia necessario”, intervenni con un sorriso, ma decisa a troncare sul nascere quel potenziale alterco.
“Perdonami, Milady”, mi sorrise Bradley. “Sono sempre disposto a dare una lezione a qualcuno”. Prese a sua volta  una spada e la fece roteare con agilità e decisione, come se fosse un gesto perfettamente naturale. Era presumibile, considerandone anche il fisico atletico e la sceneggiatura, che si fosse impegnato duramente negli ultimi mesi.
Lui e Tom si studiarono a vicenda, ma ringraziai mentalmente il tempestivo arrivo di Colin.
“Bradley ci stanno aspettando per un’intervista”, lo richiamò. Sgranò gli occhi in una comica espressione di sorpresa nel notare la posa dei due ragazzi. “Ho interrotto qualcosa?”.
L’amico gli rivolse uno sguardo piccato, ma ripose la sua spada. “Scusatemi”, mormorò, ma fu a me che si rivolse con un sorriso. “Non scappare, Milady, tornerò presto”.
Lo seguii con lo sguardo, senza neppure rendermi conto di star ancora sorridendo, fino a quando non incontrai lo sguardo seccato di Tom. Aveva riposto a sua volta la spada, ma aveva stretto le braccia al petto e mi stava osservando con le sopracciglia aggrottate e un atteggiamento evidentemente polemico.
“Cosa c’è?”, gli domandai con voce velata. Mi schiarii la gola e lo guardai con aria di rimprovero. “Ti rendi conto di essere stato un grande cafone? Potevi sforzarti di fare loro un complimento: siamo loro ospiti”, commentai in tono sdegnato per quella sfaccettatura più immatura del suo carattere.
Tom ignorò la mia ramanzina ma continuò a fissarmi con espressione altrettanto stizzita.“Non ti sembra un po’ troppo presto per flirtare così spudoratamente con qualcuno?”, mi domandò a bruciapelo. Aggrottò le sopracciglia e neppure si prese la briga di parlare a voce più bassa. “Non mi risulta che tu e il tuo ragazzo vi siate lasciati da molto”.
Sentii le mie guance ardere nuovamente, ma scossi il capo d’istinto. “Io non stavo flirtando!”, negai ma con voce stridula. La stessa che avevo usato quando avevo cercato di nascondere a Morgana ciò che era quasi accaduto tra noi.
“Non trattarmi come un idiota!”, ribatté Tom che sembrava realmente irritato dalla situazione.  “Ho visto come lo guardavi”, rimarcò e sentii le guance bollire nuovamente.
Mi morsi il labbro inferiore, ma lo fissai di rimando con altrettanta rabbia. Non potevo certo negare di trovare Bradley incredibilmente attraente e tanto meno di essermi sentita lusingata dalle sue attenzioni. Ma questo non mi rendeva di certo una ragazza degna di biasimo o di pregiudizi. “Non vedo perché questi dovrebbero essere affari tuoi”, sottolineai, cercando di mantenere la calma.
Tom si strinse nelle spalle, come a voler sminuire il tutto e le sue labbra si contorsero in una smorfia. “Non lo sono infatti. Ma lo trovo un atteggiamento ipocrita, soprattutto considerando il tuo tanto decantato senso del pudore”.
A quelle parole impallidii e boccheggiai, come se non riuscissi a credere che mi stesse definendo in quel modo e giudicando come una “ragazza facile”. Mi sentii tremare di un’improvvisa rabbia e avanzai in sua direzione, già pronta a rifilargli uno schiaffo. Lo additai con aria minacciosa. “Non osare giudicarmi o darmi dell’ipocrita!”, gli gridai contro. “Devo ricordarti che sei stato TU a tentare di baciarmi in più di un’occasione?”.
Lui sorrise con quel barlume di strafottenza e di soddisfazione che non vedevo sul suo viso dai tempi delle prime schermaglie. “Sai benissimo che ti stavo soltanto provocando”, mormorò per risposta senza il benché minimo sentore di pentimento. “Ti ricordo, inoltre, che te l’ho proposto unicamente per lo spettacolo”.
“Anche quella sera in cucina?”, ribattei con aria sdegnata. Non sopportavo l’idea che fingesse che non fosse accaduto nulla o che io mi fossi inventata tutto o, peggio ancora, illusa di una strana alchimia tra di noi.
“Ci siamo fermati”, specificò Tom in tono tranquillo, come se ciò risolvesse tutto.
“IO ti ho fermato!”, risposi con veemenza, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. Ci mancava soltanto che mi accusasse di fare la “gatta morta” con tutti i ragazzi che incontravo.
Tom affondò le mani nelle tasche dei pantaloni e sorrise di sbieco. “Non puoi essere certa che ti avrei baciata. Ma forse dovresti domandarti se tu volessi essere baciata”, mi fece notare con aria suadente e lo scintillio sardonico nello sguardo.
Dovetti reprimere l’impulso di dargli un pugno. Non riuscivo a credere che stessimo facendo così tanti passi indietro. Da quella sorta di tregua, avevo rivalutato Tom e parlato spesso di lui in termini positivi, anche di fronte allo scetticismo e alla preoccupazione delle mie amiche. E nuovamente sembrava volermi mostrare la sua parte peggiore e più odiosa. Non riuscivo a credere che stesse rinnegando tutto o comportandosi come se fossi stata io a insidiarmi nella sua relazione e a provocarlo in più di un’occasione. “Forse tu dovresti domandarti, caro Tom, se sia lecito baciare un’altra ragazza prima di aver lasciato quella attuale!”.
Non avrei facilmente dimenticato il modo in cui il viso di Tom sembrò vacillare dopo quelle parole. Fu il suo turno di impallidire e le sue labbra si contorsero, perdendo subito quel sorrisetto irriverente. Persino i suoi occhi parvero perdere brio. Aggrottò le sopracciglia, l’attimo dopo e sembrò tremare. Mi resi conto di non averlo mai visto così tanto arrabbiato. “Non ti devi permettere!”, esclamò per risposta, parlando in un sibilo e strascicando le parole. “Non sai nulla della nostra storia! Senza contare che anche tu avevi una relazione nel frattempo!”, sibilò con voce indignata e gli occhi stretti in due fessure.
Mi strinsi nelle spalle, guardandolo persino più amareggiata. Quindi la mia presunta relazione rendeva il suo torto nei confronti di Emma meno grave? Una parte di me avrebbe voluto sbattergli in faccia che tutta la storia di Matteo era una farsa e solo lui era un potenziale traditore, ma mi trattenni. “Hai ragione, Tom: la vostra relazione non è affare mio”, ammisi, sollevando le mani. “Ma non ti permetterò di trattarmi come la tua squallida tentazione, quindi facciamoci un favore: non rivolgiamoci più la parola a meno che non sia strettamente necessario!”.
Non ne attesi risposta e, ancora stordita e incredula dall’evolversi di quella conversazione, mi affrettai a tornare in platea e a farmi largo tra i presenti. Ero così furiosa con Tom che mi sentivo vicina alle lacrime, tanto da dovermi rifugiare in un bagno nel tentativo di ricompormi e di tranquillizzarmi, continuando a maledirlo interiormente.
Ne uscii solo dopo una decina di minuti, dopo aver ricevuto una telefonata da parte del Preside che mi chiedeva gentilmente di raggiungerli all’uscita dell’Accademia. Fu con un sorriso mesto che vidi in lontananza Bradley, ancora in auditorium, circondato da un’allegra cerchia di persone, probabilmente familiari e amici. Non potei fare a meno di essere inviperita con Tom anche per avermi completamente guastato la serata e quel bellissimo incontro.
Lo osservai da lontano e sospirai mestamente. “E’ stato un piacere conoscerti”, mormorai come se potesse udirmi.
Mi affrettai a uscire per raggiungere gli altri due.
“Tutto bene, mia cara?”, mi domandò Silente, facendomi cenno di salire sul taxi. Evitai volutamente di guardarlo in viso, temendo che potesse cogliere il mio stato d’animo. Se non altro, notai con una lieve soddisfazione, anche Tom appariva ancora rabbuiato e più pallido del consueto.
“Sono un po’ stanca”, mormorai soltanto.
“Torneremo subito in albergo”, mi sorrise con aria rassicurante e, con mio grande sollievo, sedette tra me e Tom così che non fossi costretta ad averlo troppo vicino.  “Domattina farò visita all’Accademia, se qualcuno di voi volesse accompagnarmi”.
Né io né Tom rispondemmo, ma lui sorrise imperturbabile. “Meglio così: più cibo per il sottoscritto”.
 
˜
La discussione con Tom mi aveva messo così di cattivo umore che non sarei riuscita ad addormentarmi subito. Mi ero già tolta il vestito da sera e avevo indossato il pigiama felpato e stavo cercando qualcosa da guardare in televisione, rimpiangendo ben presto di non avere portato con me il mio notebook e il prezioso collegamento a Netflix. Mi stavo finalmente rilassando sul letto dell’albergo, quando sentii bussare alla porta e, con uno sbuffo, mi sollevai per andare ad aprire, dopo aver spento la tv.
Il mio cipiglio si corrugò ulteriormente dopo aver incontrato lo sguardo di Tom.
“Credevo di essere stata chiara”, parlai in tono deciso, prima che potesse dire qualcosa. “Non ho niente da dirti”.
“Meglio così”, dichiarò Tom, avanzando di un passo in mia direzione, probabilmente sperando che ciò bastasse perché gli consentissi di entrare. “Sono io che devo parlare e tu dovrai solo ascoltare”, propose con uno scrollo di spalle.
“Non ne vedo l’utilità: la mia opinione non cambia e non voglio perdere altro tempo con te!”, ribattei in tono fermo e risoluto.
“Mi conosci ormai abbastanza da sapere che non desisterò facilmente”, fu il suo commento tranquillo, inclinando il viso di un lato. “Posso anche restare qui fuori e bussare alla tua porta per tutta la notte, a meno che tu non voglia chiamare la sicurezza”.
Sollevai gli occhi al cielo, ma con un ulteriore sbuffo lo lasciai entrare, scrutandolo con le braccia incrociate al petto.
Tom si passò una mano sulla nuca ma quel gesto non ne tradiva un intento seducente, quanto un certo nervosismo. “Ti devo delle scuse”, pronunciò tutto di un fiato, probabilmente convinto che se così non avesse fatto, non sarebbe davvero giunto a pronunciare tali parole.
Inarcai le sopracciglia a simulare una reale sorpresa, ma non risposi, attendendo che continuasse.
“Hai ragione: non ho alcun diritto di giudicarti o di interferire nella tua vita privata”.
Ma?”, lo incoraggiai, quasi certa che a quel punto della conversazione mi avrebbe fatto notare che io stessa gli dovevo delle scuse.
Tom sospirò e scosse il capo. “Perché devi sempre essere sulla difensiva?”.
“Non saprei”, ribattei in tono ironico. “In fondo in una sola serata mi hai accusato di flirtare con un mezzo sconosciuto e di averti provocato nonostante tu abbia una relazione consolidata. Forse sbaglio io? Forse dovrei ringraziarti? Sentirmi lusingata?”. Sottolineai con voce sarcastica.
Tom sollevò gli occhi al cielo. “Quel tizio è davvero un mezzo sconosciuto per te”.
“Ma non sono comunque affari tuoi!”, ribattei caparbiamente.
Tom fece un vago cenno della mano come a voler cancellare qualsiasi riferimento a Bradley, prima di guardarmi intensamente. Inspirò profondamente e riprese la parola. “Non possiamo negare che nonostante entrambi fossimo impegnati, tra noi ci sia stato fin da subito un… qualcosa”.
Sbattei le palpebre. Ero sinceramente sorpresa dal fatto che, gettata la maschera, lo stesse  ammettendo, anche se con la sua tipica compostezza. Ripensai brevemente alle nostre interazioni. C’era sempre stato, soprattutto attraverso gli sguardi e i gesti di Tom, un alone di provocazione che poco aveva a che vedere con quelle schermaglie verbali ma che sembravano emergere da un altro tipo di tensione. “E’ proprio per questo che dovremmo prendere le distanze”, mormorai dopo un lungo attimo di silenzio, ma evitandone lo sguardo. “E’ quello che io sto provando a fare”, specificai per giustificare il mio atteggiamento nell’ultimo mese.
Tom mi guardò con il volto inclinato di un lato e le labbra serrate. “L’ho notato, ma credevo che fossimo amici ormai”.
“Lo speravo anche io”, ammisi e scossi il capo. “Ma forse tra noi non è possibile”.
Tom scosse il capo riottosamente all’idea. “E se ti dessi la mia parola che ti tratterò solo ed esclusivamente come un’amica da ora in poi?”.
Sospirai, passandomi una mano tra i capelli, sentendomi vacillare di fronte al suo sguardo che sembrava sinceramente dispiaciuto. “Non credo che sia una buona idea”, mormorai. “Soprattutto alla luce di questa attrazione”. L’ultima parola la pronunciai a voce più flebile, come se avessi paura dell’effetto che avrebbe potuto produrre.
Tom continuò a osservarmi attentamente. “Ti chiedo un’ultima occasione di provarti che sono sincero”. Nel suo sguardo lessi una reale determinazione che riuscì, nonostante tutto, a sciogliere quel nodo che mi serrava la gola.
Sospirai. “Per quanto tu possa essere sincero in questo momento, temo che questa storia finirà male e non siamo solo noi due le persone coinvolte”, risposi in tono quasi rassegnato.
“Lo so bene”, mormorò Tom. “E se credessi che tu fossi un ostacolo alla mia storia con Emma, allora accetterei di prendere le distanze, ma ti assicuro che non è così”.
Lo guardai più intensamente, come a voler soppesare le sue parole. “Non era mia intenzione giudicare la vostra storia, ma non voglio che Emma pensi male di me o del nostro rapporto”.
“Non lo farà”, mormorò Tom per riposta. “Non gliene daremo motivo”. Si fece più serio e mi guardò con un alone di dispiacere nello sguardo. “Spero di non essere stato la causa della tua rottura con il tuo fidanzato a questo proposito. Non mi hai mai raccontato come sia andata”.
A quelle parole boccheggiai, ma distolsi lo sguardo e scossi il capo. “C’erano altre questioni e la separazione ha fatto il resto”, risposi e cercai di rendere la mia voce il più possibile convincente.
Mi sentivo in colpa, in quel momento, per non avergli detto la verità ma temevo che potesse avere un effetto controproducente e rendermi persino più sospettosa agli occhi di Emma.
Tom sembrò notevolmente rassicurato all’idea ma sembrò rispettare la mia privacy. “Allora, adesso va tutto bene tra noi?”.
“Credo che possa considerarsi un nuovo inizio”, mormorai per risposta, inclinando il viso di un lato. “Spero solo che sia la decisione migliore per entrambi”, confessai perché ancora non ero del tutto certa che fosse la scelta giusta. Non potevo permettermi di dare nulla di scontato, soprattutto quando si trattava di noi. Se non altro Tom sembrava aver confermato implicitamente che tra lui e Emma le cose andassero bene o che comunque non fossero certo vicini a una separazione. Il che era un notevole sollievo per la mia coscienza.
Tom sembrò notevolmente sollevato e ritrovò il sorriso. “Bene, allora ti lascio andare a dormire e per dimostrarti la mia buona volontà, potrei portarti in giro per la città. I miei genitori mi attendono in serata: ho tempo di farti vedere alcune delle migliori località”, mi propose in tono più allegro.
Esitai qualche attimo, ma lui sorrise nuovamente. “Sarei lieto di farti da guida personale come amico”. Specificò.
“D’accordo”, acconsentii infine. Dopotutto dovevamo pur inaugurare questa versione “3.0” del nostro rapporto. “Buonanotte Tom”.
“Buonanotte Sarah”, mormorò per risposta e non potei fare a meno di sgranare gli occhi nel rendermi conto che forse era la prima volta che mi chiamava con il mio vero nome.
Mi richiusi la porta alle spalle, ma non volli indugiare nel domandarmi cosa provassi in quel momento: un misto di sollievo e una punta di mestizia, come la fine di qualcosa.
Rinunciai a guardare un film e mi distesi sotto le coperte, sentendomi sopraffare dalla stanchezza fisica e psicologica di quella lunga giornata.
 
˜
Il giorno dopo mi svegliai con un’energia del tutto nuova. Il confronto con Tom mi aveva notevolmente tranquillizzata, anche se sapevo che eravamo ben lungi dal dover sottovalutare quella tensione tra di noi. In compenso tutto quello che era avvenuto nell’Accademia londinese sembrava adesso un sogno. Mi ero limitata a un rapido messaggio vocale di saluto alle mie amiche, promettendo che quella sera, al mio ritorno, avrei raccontato loro ogni evento con dovizia di particolari. Mi ero fatta la doccia, vestita ed ero scesa nella sala pranzo per la colazione in dotazione da parte dell’albergo. Nonostante vivessi in Scozia da quasi tre mesi, non riuscivo ancora a spiegarmi come si potesse introdurre nel proprio organismo dei cibi così sostanziosi come le uova o il bacon a quell’ora del mattino. Avevo richiesto una tazza di latte caldo e mi ero accontentata dei biscotti. Mi ero poi diretta nuovamente nella hall dell’hotel in attesa dell’appuntamento con Tom per il nostro giro turistico.
Non si fece attendere troppo e scese la scalinata con un abbigliamento sportivo e ringraziai di aver avuto il buonsenso di portare con me un completo simile e delle sneakers per non rischiare ulteriori sofferenze da parte dei miei poveri piedi dopo le ore passate nelle scarpe eleganti.
Fu un giro entusiasmante e dovevo dare atto a Tom di essere una guida straordinaria: considerando l’argomento della mia tesi magistrale, mi aveva sorpreso con due biglietti per la visita del museo dedicato a Conan Doyle e a Sherlock Holmes[11]. Quel luogo era una fedele riproduzione della casa del detective come descritta nei romanzi e nei racconti. Al primo piano, dopo diciassette gradini scricchiolanti, si trovava lo studio di Sherlock, con tanto di poltrona di fronte al caminetto così come si vedeva negli sceneggiati della BBC o nella trasposizione degli anni ’80 e ’90 con Jeremy Brett. Non si poteva fare a meno di notare, una volta entrati lì dentro, che sembrava molto più piccola. Tuttavia si aveva l’impressione di respirare la stessa aria di mistero e di pericolo dell’investigatore durante le sue indagini. La stanza era ulteriormente arricchita dagli oggetti che erano divenuti iconici: la pipa, la lente d’ingrandimento, il violino, le ampolle per gli esperimenti chimici e il tipico berretto che tuttavia non appariva nei romanzi. Accanto allo studio vi era la camera di Holmes, molto austera e spartana. Al secondo piano si trovavano la stanza della signora Hudson, la padrona di casa, e quella del dottor Watson. Anche lì si trovavano oggetti personali e documenti privati del grande detective, oltre ad una varietà di reperti tratti dai suoi casi pubblicati. Il diario di Dottor Watson conteneva note scritte a mano ed estratti dalla famosa avventura di “The Hound of the Baskervilles”. Al terzo piano era stata allestita un'esposizione con delle statue in cera che ricreava alcune scene tratte dai romanzi di Conan Doyle e non potei fare a meno di provare particolare soggezione in quella dedicata all’incontro tra Sherlock e il Professor Moriarty.
Tom dovette letteralmente trascinarmi fuori per impedirmi di scialacquare tutti i miei risparmi in souvenir nel negozio dedicato al piano terra[12]. La visita procedette con altre attrazioni più “classiche” come la monumentale ruota panoramica di circa 135 metri. Permetteva di compiere un giro di 360 gradi sul fiume Tamigi di fronte al Palazzo del Parlamento e al Big Ben. Non potei resistere dal salirvi, sfidando le mie vertigini e ammirando dall’alto i più famosi monumenti della città.
Tom mi spiegò che non fosse possibile visitare Buckingham Palace, la residenza della Regina, se non nel periodo estivo ma mi portò al museo di Madame Tussads con le proverbiali statue di cera che rappresentano personaggi famosi tra i quali Leonardo di Caprio, George Clooney, alcuni membri della famiglia reale, lo stesso Sherlock fino a David Beckam, Barack Obama, Albert Eistein e persino Beyoncé e Lady Gaga.
Visitammo inoltre la meravigliosa Cattedrale di St. Paul con un interno maestoso. Nella cripta si potevano ammirare le tombe e i monumenti degli eroi nazionali tra cui Lord Nelson e il Duca di Wellington. E vi era inoltre la nota Whispering Gallery, letteralmente la “galleria dei bisbigli” nei quali i turisti si divertivano a porsi ai due lati opposti della sala e a sussurrarsi dei segreti. Nonostante la distanza si poteva udire la persona come se fosse al proprio fianco.
L’atmosfera era stata piacevole e rilassante e nessuno dei due aveva più toccato argomenti “scomodi” e tutto era sembrato filare liscio. Avevamo pranzato in una pizzeria e ripreso il nostro pellegrinaggio fino a quando non avevamo convenuto che fosse opportuno che tornassi in albergo per raccogliere le valigie e recarmi in aeroporto per il check-in
“Immagino che ci rivedremo dopo le vacanze”, mormorai di fronte all’uscio della mia camera.
Tom annuì e mi osservò per un lungo attimo, prima di sporgersi e lasciarmi un lieve bacio sulla guancia. Non potei fare a meno di sorridere per il moto di calore che sembrò rassicurarmi e rincuorarmi rispetto ai dubbi della sera precedente dopo l’ennesima e pesante discussione. “Passa un buon Natale”.
“Anche tu”, gli augurai sinceramente, seguendolo con lo sguardo fin quando non fu rientrato in camera. Lui avrebbe preso un treno più tardi per raggiungere la sua cittadina nel Surrey. Io avevo appuntamento con il Preside all’aeroporto poiché sarebbe stato Mr Head in persona ad accompagnarlo. Rientrai in camera, raccolsi tutti i miei effetti personali e finii di riordinare il trolley, prima di scendere nella hall dell’albergo. Avrei chiesto alla reception di chiamarmi un taxi che mi portasse direttamente in aeroporto. Alla fine della scalinata d’ingresso, tuttavia, fui chiamata dal Direttore dell’albergo. Non potei che provare un moto di apprensione, sperando che non ci fossero inconvenienti economici, nonostante il pernottamento fosse stato finanziato dall’Accademia di Glasgow.
“Spero che il soggiorno sia stato di suo gradimento”, mi sorrise con grande sussiego.
Sospirai di sollievo. “E’ stato tutto perfetto: tornerò a trovarvi la prossima volta che verrò in città. Merita di essere vissuta più approfonditamente”.
“Non posso che essere d’accordo”, convenne Lumacorno. “Durante la sua assenza un giovane è venuto a chiedere di lei”. Alla mia occhiata perplessa specificò che si trattava del signor Bradley James.
Fu come un pugno nello stomaco e un successivo sfarfallio confuso di pensieri: Bradley era venuto di persona a chiedere di me? Che si trattasse di un mero gesto di cortesia per la visita di Silente o…? Non potei fare a meno di sentire un nodo in gola per il mio pessimo tempismo nell’abbandonare l’albergo prima del suo arrivo, nonostante la bellissima giornata passata con Tom.
“Ha lasciato un recapito?”, non potei fare a meno di chiedere.
“Sono desolato”, mormorò, carezzandosi pensosamente i baffi con una mano. Sorrise l’attimo e mi porse una rosa che aveva tenuto dietro la schiena fino a quel momento. “Il signor James ha insistito affinché le consegnassi di persona questo cadeau”.
Una semplice ma deliziosa rosa bianca. Vi era accluso una busta con un biglietto. Non potei fare a meno di sentire un nodo in gola nel realizzare che era molto simile a quella che il mio “Principe” misterioso mi aveva donato in sogno. Me la portai al viso per inspirarne il profumo e al pensiero di quel sorriso e di quell’elegante baciamano sentii nuovamente brividi caldi e freddi lungo la spina dorsale.
“La ringrazio”, mormorai al Direttore e lo congedai con un ultimo ringraziamento.
Finalmente potei aprire la busta e leggerne il cartiglio:
 
Il destino non può averci fatto incontrare perché tutto finisse così presto.
Considerala una promessa, Milady.
A presto,
Bradley.

 

Non avevo sognato ad occhi aperti quella sorta di incantesimo tra di noi. Lui doveva aver percepito qualcosa di simile. Anche se non potevo permettermi di fantasticare troppo, quel pensiero mi fece sorridere fino all’aeroporto e mi staccai dalla rosa, solo quando dovetti sottopormi ai controlli di routine prima dell’imbarco. Sorrisi al Preside e lo raggiunsi.
“Com’è stata la visita all’Accademia?”.
“Entusiasmante”, commentò l’uomo di buon umore. “Forse non quanto la tua esplorazione della città con Thomas, ma ho senz’altro gradito”.
Trovammo rapidamente i nostri posti e ancora una volta Silente sedette nel posto centrale, mentre io mi accomodavo accanto al finestrino e un signore dal tipico abbigliamento da uomo d’affari occupò l’altro posto, quello che dava sul corridoio. Non avevo voluto riporre la rosa insieme al bagaglio leggero per paura che si deturpasse, seppur arrivata a destinazione avrei subito dovuto riporla nell’acqua.
Notai che il Preside la stava osservando con un sorrisetto piuttosto compiaciuto e quel barlume sbarazzino nello sguardo azzurro. “Ma che bella rosa!”.
Sentii le guance infiammarsi nuovamente al pensiero di Bradley e annuii. “E’ stata una bellissima sorpresa”, mormorai, seppur l’altro signore sembrasse troppo concentrato sul suo libro per prestarci attenzione.
Il Preside ammiccò con aria piuttosto complice e sorniona, mentre si ripuliva gli occhiali con un fazzoletto che recava le sue iniziali. “Sono lieto che i giovani d’oggi conoscano ancora l’arte del corteggiamento”.
A quel commento arrossii persino di più ma scossi il capo con un sorriso. “Io non credo che-”
“Oh, ti prego, Sarah”, m’interruppe con un pacato cenno della mano. Inforcò di nuovo gli occhiali e mi guardò di traverso. “Sarò anche vecchio, ma non sono completamente rimbambito. Quel ragazzo non stava certo guardando me o Thomas”, commentò con espressione quasi complice. “Anthony mi ha parlato di lui come uno dei loro talenti di punta: si può dire tranquillamente che sia stato il suo pupillo come Tom un tempo era il mio”.
Mio malgrado registrai quell’informazione. Mi domandai se lo avrei rivisto in Accademia, se solo avessi deciso di accompagnarlo in quella visita guidata. Tuttavia, se le parole del bigliettino avevano un senso, le nostre strade si sarebbero nuovamente intrecciate. Non potei fare a meno di sorridere e mi sorpresi di come fosse naturale parlare con il Preside anche di questioni così personali. Più volte, nonostante lo conoscessi così poco, avevo identificato in lui una figura affettuosa, saggia e sincera come poteva esserlo un nonno. Avevo perso entrambi i miei nonni fin troppo presto e forse anche questo me lo rendeva istintivamente così gradevole.
“Non posso negare che sia stato bello incontrarlo. Quasi magico. Ma non ho programmato nulla del genere per la mia vita. Almeno non adesso”, specificai. Era quella la tiritera che continuavo a propinare quando le persone sembravano “sorprendersi” all’idea che non avessi un fidanzato. In fondo, rispondevo sempre: “C’è tempo” o “Prima lo studio e la carriera”.
Silente mi guardò con aria più seria. “L’amore non prende appuntamento, mia cara. Sai come si dice: La vita è ciò che accade mentre fai altri progetti”, recitò in tono solenne.
“Charles Dickens?”, azzardai nel cercare di indovinare da dove provenisse la sua citazione.
Silente ridacchiò. “Pensano sempre tutti che citi solo dei grandi autori classici”, mi strizzò l’occhio. “John Lennon”, replicò con aria furbesca.
Ridacchiai ma annuii. “Cercherò di tenerlo a mente”, promisi anche se sapevo che non sarebbe stato facile. La mia mente per certi versi “quadrata” e “schematica” amava programmare le cose nel minimo dettaglio, come Tom aveva notato a sua volta a mie spese.
“Sarai lieta di sapere che sicuramente quel bel giovanotto assisterà al vostro spettacolo. Ho ricambiato gli inviti”, commentò con una garbata strizzatina d’occhi. “Dovrai attendere qualche mese, salvo che il destino non decida diversamente”, soggiunse con un’altra occhiata penetrante. Ebbi l’impressione che volesse comunicarmi altro tra le righe, ma dovetti distogliere lo sguardo per l’imbarazzo, seppur non riuscissi a smettere di sorridere. Dunque era confermato che l’avrei rivisto. E forse la distanza di tempo sarebbe stata efficace per capire se si fosse trattato solo di un episodio isolato o se tra noi potesse esserci davvero un “qualcosa”.
“Capisco”. Mormorai con un sorriso.
Lasciai che il silenzio calasse tra noi, prima che Silente riprendesse la parola per rivolgermi una domanda, dopo avermi guardato a lungo con aria indecisa. “Come sta Tom?”.
Non potei fare a meno di notare che parlasse sempre di Riddle come “Tom” ma usava sempre l’appellativo più formale di “Thomas” per il mio coetaneo. Non avevo dubbi che il Preside, per la sua natura così premurosa e gentile, si affezionasse a tutti i suoi studenti, ma immaginavo, anche alla luce dei loro incontri più recenti, che a Riddle fosse da sempre particolarmente legato. Forse era un’amicizia che andava oltre il normale legame tra mentore e allievo.
“Bene, credo”, replicai di primo acchito, salvo farmi più pensierosa. Non era facile capire lo stato d’animo del mio datore di lavoro. Mi ero ormai abituata all’atmosfera e avevo potuto notare in più occasioni che fosse un uomo talvolta severo ma sicuramente giusto e comprensivo. Tuttavia il suo carattere restava per lo più un mistero, soprattutto i repentini cambi d’umore. “Ci sono giorni in cui è molto pensieroso e taciturno e in altri dimostra che sotto quella scorza è una persona premurosa e gentile. Tiene molto ai suoi collaboratori ed è evidente che sia ancora appassionato al mondo del teatro. Mi ha dato il consenso per questa partenza senza batter ciglio, nonostante poco prima avesse rimproverato una mia cara amica”.
Silente sembrò bersi ogni mia parola, annuendo tra sé e sé come se gli stessi dando conferma di qualche sua silenziosa congettura. Forse non era così cambiato dall’alunno che aveva conosciuto, decisione a parte di lasciare la carriera teatrale. “Perdonami se te lo chiedo, pur rischiando di fare la figura dell’impiccione”, soggiunse con aria più complice e sbarazzina. “Che tu sappia frequenta una donna?”.
Sbattei le palpebre, presa in contropiede ma assunsi un’espressione dispiaciuta. “Il Signor Riddle è molto discreto sulla sua vita privata: non saprei dirlo per certo”. Non mi sembrava il caso di riportare certe pettegolezzi sulle cosiddette “avventure” del mio datore di lavoro.
 “Oh, certo, certo”, si affrettò a rispondere Silente, facendo un vago cenno con la mano, come a invitarmi a lasciar correre.
“Deve essere stato triste perdere un simile talento”. Non potei fare a meno di osservare e fu il mio turno di guardarlo con curiosità per studiarne la reazione.
Silente sospirò e mi parve invecchiare di colpo, come se l’argomento ancora gli suscitasse un reale dolore. “Sì, molto”, confermò, per poi guardarmi nuovamente con aria intenerita.  “Ma non parlo della sua brillante carriera abbandonata. In fondo mi sembra che abbia  comunque trovato la sua strada e ne sia soddisfatto”.
Ci pensai qualche istante e annuii. Ogni giorno, appena arrivato e ogni sera, prima di andarsene (a quanto avevo visto di persona), Riddle si prendeva un lungo attimo per contemplare il suo locale. Sembrava abbracciare ogni mobile, ogni suppellettile e ogni parete, come se quell’ambiente fosse una vera e propria “casa”. Poi pensai al modo in cui si rivolgeva al suo personale: anche se voleva spesso apparire severo, era un leader comprensivo e incoraggiante e cercava sempre di venire incontro pazientemente alle nostre necessità.
“E’ vero”, risposi. “A volte può essere stanco, esasperato o frustrato ma credo che quel Pub sia il suo rifugio”.
Silente mi sorrise e annuì. “Hai una buonissima capacità di osservazione”, mi lodò. “Ma se non ti dispiace vorrei approfittare del tempo restante per fare una pennichella.”. Commentò. Lo vidi appoggiarsi al sellino e socchiudere gli occhi, intrecciando le mani tra loro e rilassandosi.
“Buon riposo”, gli sorrisi.
“Abbi cura della tua rosa: è il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante”, mormorò in tono più solenne e non potei fare a meno di sorridere nel riconoscere la citazione senza problemi.
“Il Piccolo Principe[13]”.
“Sì, ogni tanto li cito i classici”, convenne con un sorriso ma non schiuse gli occhi e pochi istanti dopo si addormentò.
 

Era ormai calato il sole quando giungemmo a Glasgow e, dopo aver riacceso il cellulare, scoprii che Sean mi aveva mandato un messaggio per scusarsi. C’era stato un piccolo imprevisto in famiglia e doveva occuparsi della sorellina che aveva contratto l’influenza e aspettare il ritorno dei genitori. Morgana mi attendeva al pub, invece.
“Hai bisogno di un passaggio?”, mi domandò il Preside.
Esitai sul posto, valutando di chiamare un taxi poiché sarebbe stato troppo scomodo viaggiare in metro con tutti quei bagagli. “Non vorrei disturbarla”.
Silente scosse il capo. “Ma certo che no: dove hai bisogno che ti porti?”.
“Le sarebbe di strada il Pub del Signor Riddle?”, domandai con qualche remora all’idea di allungargli troppo il suo abituale percorso per tornare a casa.
L’uomo sembrò illuminarsi, ma scosse il capo. “Ho proprio voglia di paste”, commentò con una strizzatina d’occhi e mi fece strada verso il parcheggio. “Ti presento Arianna”, alluse a un vecchio modello di Ford Anglia[14] dalla tonalità turchese.
“Piacere di conoscerti, Arianna”, commentai con un sorriso e salii dal lato del passeggero.
Giungemmo al pub che era da poco passata l’ora del the: notammo subito il Signor Riddle seduto in mezzo alla sala, mentre leggeva dei documenti con gli occhiali da lettura. Al nostro ingresso, sorrise e si mise subito in piedi. “Bentornati, com’era lo spettacolo?”.
“E’ stato magnifico”, risposi di riflesso, sorridendogli prima di volgere lo sguardo al bancone e salutare le mie amiche. Amy era in tenuta da lavoro, mentre Morgana e Luna stavano sorseggiando la loro tazza di the.
“Si sieda, la prego, lasci che le offra qualcosa”, commentò Riddle, cercando di convincere il Preside.
“Un’altra volta, Tom, ho davvero bisogno di andare a casa dalla mia gattina e mettermi a dormire: il sonnellino in aereo ha riacceso i miei reumatismi”, commentò con un lieve lamento.
Era strano pensare a lui come a un uomo con gli acciacchi, vista la vitalità che esprimeva sempre con i gesti e con lo sguardo azzurro e brillante.
“Signorina, prepari subito un vassoio di paste per il Preside”. Si rivolse alla mia amica in tono imperioso. Sollevò la mano quando Silente fece cenno di estrarre il portafoglio. “Assolutamente no, per lei offre la casa. Sempre[15]”.
“Per lei offre la casa, sempre”, borbottò Amy, facendogli il verso nella nostra lingua madre per poi simulare uno starnuto. “Etccìtacci tua e de tu nonno”. Evidentemente non aveva ancora “digerito” la polemica di Riddle sugli stuzzichini alla comitiva di Daniel. Morgana ridacchiò e io dovetti fare del mio meglio per trattenermi.
“Ciao ragazze”, le salutai prima di accomodarmi tra Morgana e Luna e attendere che Amy finisse di confezionare le paste.
“Grazie signorina per questo bellissimo vassoio e buon lavoro”, mormorò Silente, quando si avvicinò al bancone per prenderlo con espressione assai golosa.  Sorrisi del modo in cui il suo garbo e la sua gentilezza sembrarono riuscire a rabbonirla.
“Sarah ci vediamo in Accademia. Buona serata signorine”, ci salutò tutte, prima di stringere la mano di Riddle. “A presto Tom e grazie come sempre di queste paste squisite”.
Lo accompagnò alla porta e gliela trattenne aperta. “Di nulla, ma la prossima volta deve fermarsi a cena”.
“Se proprio insisti”, ribatté con un sorrisino e un ultimo cenno della mano. Solo quando fu rientrato in auto, Riddle tornò a sedersi al suo posto con aria nuovamente pensierosa.
“Allora, com’era Londra?”, mi domandò Amy in tono curioso.
Non feci in tempo a rispondere che Morgana mi strappò letteralmente di mano la rosa: “E questa?! Da dove viene?!”.
“Potrei avere una tazza di the?”, domandai in tono innocente, sentendo già le mie guance farsi bollenti. “E potresti metterla in un bicchiere d’acqua?”.
“Non fin quando non ci hai detto chi te l’ha regalata!”, commentò Amy, incrociando le braccia al petto.
“D’accordo”, mi arresi subito, sollevando le mani. “Si chiama Bradley”, mormorai e non potei fare a meno di sorridere al ricordo del suo volto.
“Bradley come?”. Mi interrogò subito Morgana, già con l’iPhone pronto per indagare sui social network.
“Era uno degli attori dello spettacolo”, cominciai a parlare, premunendomi di abbassare la voce, anche se il lieve brusio di fondo ci poteva garantire una certa privacy.
“Un attore?”, ripeté Morgana con un sorrisino. “Adoro il modo in cui ti sforzi di uscire dai tuoi schemi”, soggiunse con tono più ironico, salvo reclinare il volto di un lato. “Era una delle comparse?”.
Scossi il capo, godendomi quel momento. “In realtà era il protagonista: un cavaliere”, spiegai e vidi Amy e Morgana scambiarsi sguardi eloquenti. Luna, che fino a quel momento sembrava assorta nel giochicchiare con il suo cucchiaio, si volse bruscamente verso di me. I suoi grandi occhi azzurri parvero strabuzzare ulteriormente e prese  a sua volta la rosa, come se potesse captarne qualcosa. “Il cavaliere!”, ripeté in tono quasi mistico. “Te lo avevo detto che lo avresti incontrato presto”, canticchiò tra sé e sé con aria piuttosto soddisfatta.
“Sì, me lo ricordo!”, intervenne Amy, raccontando quell’aneddoto a Morgana, mentre io guardavo Luna incredula. Forse avevo interpretato la sua “profezia” in modo troppo metaforico? Forse si riferiva molto più semplicemente al ruolo che Bradley (supponendo fosse vero) avrebbe interpretato nello spettacolo?
“Questa rosa somiglia molto a quella che il Principe mi ha dato in sogno”, mormorai dopo un lungo attimo di silenzio, mentre lasciavo che Amy la riponesse in un bicchiere con dell’acqua.
La ragazza scosse il capo con aria risoluta. “Te l’ho detto: non sono la stessa persona, ma sei vicina a capire tutto”, mi rassicurò con un sorriso più dolce.
“Odio quando fa così”, brontolò la sua coinquilina.
“Lo sai che non posso rivelare troppo”, le spiegò Luna pazientemente. “Il destino non è scolpito nelle pietre”, la ammonì in tono più serio.
“A proposito, Neville vorrebbe tanto sapere quante probabilità ci sono per una promozione”, la imbeccò Amy.
Luna sembrava essersi scottata con il the ma scosse il capo. “Non interrompiamo Sarah”.
“Giusto”, convenne Morgana, sfilandomi dalle mani il bigliettino. “Posso?”, mi domandò con sguardo implorante e la lasciai fare. Lo lesse e lo scintillio dello sguardo si fece persino più soddisfatto, prima di porgerlo anche ad Amy. Luna non volle leggerlo, mormorando che avrebbe potuto interferire con le sue “percezioni”, ma anche lei ascoltò il mio racconto.
“Come hai detto che si chiama di cognome?”, insistette Morgana.
“Non ho intenzione di stalkerarlo sui social”, commentai con lieve aria di rimprovero.
“Lo so”, rispose la mia amica tranquillamente. “E poi sarebbe così banale. Non preoccuparti: lo controllerò io per te usando un fake. Non posso rischiare che gli algoritmi ci tradiscano e risalga a noi”, commentò con aria esperta.
“Mi fai seriamente paura”, commentò Amy per poi aggiungere. “Non è che potresti seguire qualcuno da parte mia? Così, tanto per sicurezza”, soggiunse con finta aria casuale.
“A tua disposizione”, sogghignò Morgana per poi tornare a guardarmi. “Cognome, prego. Tanto sai che lo scoprirò comunque”.
Lo sapevo fin troppo bene, quindi tanto valeva arrendersi subito. “James”.
“Bradley James”, ripeté Morgana che si affrettò a cercarlo dal motore di ricerca di Instagram. “Di Londra, attore… trovato!”, dichiarò dopo pochi minuti, prendendo a studiare le fotografie mentre Amy si sporgeva dal bancone per guardare insieme a lei.
“Cristo, che bel pezzo di manzo”, fu il suo commento a caldo, ma si affrettò a tradurlo in inglese per Luna che sembrava tuttavia esser tornata nel suo mondo fatato per prestarci attenzione.
“Mhm, molto affascinante”, convenne Morgana, mentre io mi trattenevo a stento dallo sporgermi a guardare a mia volta, dopo essermi assicurata che non si trattasse di un omonimo. “Si vede che è consapevole del suo fascino, ma ha un sorriso sincero. Ci sono un sacco di fotografie con i colleghi di teatro e sulla preparazione dello spettacolo. Vediamo qualcosa sugli hobby”, prese a scorrere le altre foto. “Un appassionato di calcio, questo è abbastanza tipico. Ama viaggiare ma per lo più sono fotografie di se stesso, della sua compagnia, della natura o di monumenti: mi sembra un ottimo candidato”, approvò con un sorriso.
“Silente mi ha detto che sarà tra gli invitati per lo spettacolo di fine anno”, aggiunsi.
“Direi che è magnifico!”, commentò di slancio per poi fare un rapido calcolo mentale. “Sei mesi non sono pochi però”.
“Infatti”, ribattei, carezzando la rosa. “E’ stato bellissimo incontrarlo, ma non voglio farmi illusioni: sapete com’è finita l’ultima volta”. Sospirai al ricordo di Matteo. Chissà se avrei mai smesso di chiedermi come sarebbero andate le cose tra noi se avessimo avuto una reale occasione.
“Essere realistici è importante”, mormorò la mia amica in tono saggio, stringendomi la mano. “Ma ho una sensazione positiva al riguardo”, soggiunse con un sorriso d’incoraggiamento.
“E tu, Luna?”, la interpellò Amy.
Luna mi sorrise con un misto di comprensione e di rincrescimento. “Anche se sapessi il suo segno zodiacale non potrei dirti altro: ho già parlato troppo. Deve essere una tua scelta”, rimarcò in tono più eloquente.
“Una scelta tra lui e Tom?”, intervenne Amy. “Non c’è storia o a questo giro la trasciniamo da un oculista e poi da un neurologo!”.
“Il buon senso è una cosa”, convenne Morgana, guardandomi intensamente. “Il cuore a volte va’ da tutt’altra parte”.
Scossi il capo, in parte lusingata, in parte intimorita dal modo in cui stessero traendo quelle conclusioni troppo rapidamente, senza contare che ritenevo davvero poco saggio rimuginarci sopra. Sollevai le mani. “Come stavo dicendo, non voglio proiettarmi troppo sul futuro”, commentai e sorseggiai il mio the. “Ma questo primo incontro è stato qualcosa di unico: sembrava di essere in una favola”, ammisi con un sorriso. Se non altro con loro non avevo timore di esprimermi in questi termini o di essere giudicata troppo infantile o ingenua. Mi strinsi poi nelle spalle. “Quel che sarà, sarà”.
“E te lo auguriamo di tutto cuore”, commentò Morgana in tono addolcito.
Lasciammo la conversazione in sospeso mentre Amy serviva qualche nuovo cliente o ne congedava altri. Era passata circa una ventina di minuti da quando Silente si era congedato e il pub si era quasi svuotato, ad eccezione di Riddle che stava ancora consultando i suoi documenti. Evidentemente quel giorno era abbastanza di buon umore da intrattenersi nella parte “pubblica” del locale.
Amy riprese le fila del discorso con espressione più stizzita. “Almeno esiste ancora qualcuno che sa come si corteggia una ragazza”.
La guardai con aria sorpresa. “Problemi con Daniel?”, mi azzardai a chiedere. Le altre due sospirarono all’unisono e intuii che avessero affrontato abbondantemente il discorso, ben prima che arrivassi.
“Mi devi spiegare”, esordì Amy in mia direzione, trattenendo quasi minacciosamente il cucchiaio che stava sciacquando e facendomi istintivamente arretrare con il busto. “Come sia potuto accadere a me. A me che piacciono i ragazzi alti! Come ho fatto a perdere la testa per quel nano malefico?!”.
“Nano malefico?!”, ripetei in tono incredulo,  senza accorgermi di aver alzato la voce.
“Quell’imbecille!”, ribatté lei in tono velenoso.“Tu che lo conosci meglio di tutte, visto che ci pranzi tutti i giorni!”.
Morgana mi lanciò un’occhiata penetrante come ad avvertirmi di procedere con estrema cautela, mentre Luna sospirava qualcosa riguardo all’influenza nefasta di Saturno. O qualcosa del genere.
“Non capisco”, mormorai sinceramente presa alla sprovvista. “Non fa che parlare di te, quando ci vediamo in Accademia”, cercai di rassicurarla.
“Strano, visto che quando sta con me fissa più spesso il cellulare o messaggia con quell’oca di Katie!”.
Avevo notato effettivamente che negli ultimi tempi era spesso chino sul display ma immaginavo che fosse sempre in contatto con lei, almeno nelle ore in cui la ragazza non era in servizio, viste le regole di Riddle al riguardo. Inarcai le sopracciglia ma cercai di parlare in tono cauto. “Tu hai provato a farglielo notare?”.
“Certo, ma ovviamente nega che lei ci provi con lui e dice che parlano solo dello spettacolo!”, ribatté in tono incredulo e sdegnato.
Sospirai, scambiando uno sguardo con Morgana. Non volevo sottovalutare le ansie di Amy e neppure accrescerle: noi stesse avevamo notato quanto la giovane sembrasse leziosa nei suoi confronti. “Quello che conta è che Daniel non abbia alcun interesse per lei”, ribattei, volendo spezzare una lancia a favore del ragazzo.
“Non ha neppure fatto un commento sul mio nuovo colore! Mi domando se l’abbia notato!”. Esclamò in tono indignato, indicando i suoi capelli. Dopo il ballo aveva abbandonato la tonalità accesa di fucsia e li aveva tinti di scuro. Ricordavo ancora come tutte le colleghe, me compresa, le avessero fatto i complimenti quando si era presentata al pub con quel cambio di look.
Morgana era parsa rabbuiarsi alla precisazione e aveva scosso il capo. “Non è effettivamente normale nelle prime fasi di una storia”, ammise con uno scuotimento del capo.
Visto?!”, commentò Amy come se fosse un segno palese di un problema.
Mi morsi il labbro con aria dispiaciuta. Non mi piaceva pensare male di Daniel che era sempre stato molto gentile e affabile con me, ma non potevo certo ignorare che quei comportamenti non fossero ideali in un ragazzo che aveva appena iniziato una relazione. Non ero una grande esperta in questioni sentimentali, ma potevo senz’altro darle il consiglio che mi sembrava più opportuno. “Credo che sia meglio che ne parli apertamente con lui senza tralasciare nulla”, mormorai.
“Sai invece che cosa vorrei fare?”, ribatté, prendendo anche le mie stoviglie sporche. “Chiedere al signor Riddle di gettarlo in pasto a Nagini! Sono certa che gli farebbe piacere!”.
Stavo per ribattere cautamente qualcosa, quando un suono rauco ci fece trasalire tutte quante. Eravamo talmente prese dal nostro piccolo “pettegolezzo party” da esserci completamente dimenticate della presenza del proprietario del pub. Non potei fare a meno di guardarlo con tanto d’occhi quando mi resi conto che aveva ascoltato buona parte della conversazione. A quella battuta che coinvolgeva lui e la sua adorata Nagini stava ridendo così sinceramente da avere quasi le lacrime agli occhi. Si schiarì la gola di fronte ai nostri sguardi allucinati e interdetti e si rimise in piedi. “Per quanto apprezzi il pensiero, temo che tale pasto sarebbe troppo pesante per la povera Nagini”, mormorò con sussiego, sfilandoci davanti per dirigersi verso il suo ufficio. “Ma grazie dell’offerta allettante. Buona continuazione, signorine”, ci salutò prima di chiudersi l’uscio alle spalle.
Ci guardammo tutte con aria incredula per almeno trenta secondi prima di scoppiare a ridere. Se non altro l’intervento inaspettato di Riddle sembrò rabbonire anche Amy che promise che avrebbe affrontato l’argomento con Daniel. Ci confidò inoltre che stava organizzando per lui una sorpresa: essendo entrambi appassionati di rugby aveva chiesto ai suoi amici scozzesi dei biglietti per una partita del campionato che sarebbe ricominciato dopo le festività natalizie.
Morgana e io ci congedammo dopo una mezzora, quando Sean venne a prenderci al pub. Aveva proposto di portarci entrambe fuori a cena, ma dovetti reclinare perché non vedevo l’ora di buttarmi sotto le coperte.
Quella sera feci il sogno più bizzarro di sempre. Mi ritrovai nella solita sala da ballo con tanto di abito azzurro, molto simile a quello confezionato da Morgana per il ballo dell’Accademia. Nessun Principe tuttavia. In compenso vi erano Bradley e Tom impegnati in un combattimento con le spade e apparentemente troppo distanti per sentire i miei richiami. Alla fine di un lungo combattimento nel quale nessuno dei due sembrava riuscire ad avere la meglio sull’altro, furono entrambi risucchiati da una porta apparsa all’improvviso. Mi ero precipitata sulla soglia dell’uscio per soccorrerli, ma mi ero ritrovata nel giardino in cui i sogni erano iniziati. Nessuna traccia dei due. Neppure della presenza incorporea del Principe misterioso.
Mi svegliai al mattino dopo con espressione stranita. “Devo smetterla di farmi film mentali prima di dormire”. Mormorai tra me e me e mi lasciai cadere di nuovo sul cuscino.
Mi misi di fianco e ammirai la rosa che avevo depositato in un vaso e adagiato sul comodino. Presi nuovamente il cartiglio tra le mani e ne accarezzai le parole scritte sopra.
“Il destino non è scolpito nelle pietre”, ripetei tra me e me le parole di Luna.
Qualunque cosa il futuro avesse in serbo per me, l’avrei affrontata un giorno alla volta. Tuttavia non c’era nulla di male nell’indugiare nel ricordo di un bel momento. Quasi fiabesco.
 
 
To be continued…
 
Ben ritrovati :)  Chiedo scusa per la lunga assenza ma, dopo aver postato il capitolo 8, mi sono resa conto che era necessaria un’ulteriore revisione dei capitoli pubblicati fino a quel momento, soprattutto i primi due. In verità speravo di postare questo capitolo per la fine di Gennaio, ma piccole traversie domestiche e impegni mi hanno fatto ulteriormente ritardare la pubblicazione.
Sarebbe ormai superfluo fare un’esamina dei cambiamenti di questo capitolo rispetto alla versione originale e più andremo avanti e più modifiche avverranno ;) 
Al prossimo capitolo :)
Kiki87
 
 
[1] Credo che finora sia stata la scelta più difficile. Ho cambiato colonna sonora almeno tre volte perché non volevo che fosse troppo palese della conclusione della fanfiction :D Per fortuna ho trovato questo testo di una band che ho conosciuto attraverso un’altra canzone, forse più famosa. Non trovando una traduzione “ufficiale”, ho proceduto personalmente, cercando di guardare al significato delle parole più che ai termini specifici. Per ascoltare il brano
Per vederne il testo originale
[2] Attrice britannica che ha interpretato il ruolo di Ginevra nella serie tv “Merlin”. Eoin Macken ha recitato nella stessa serie tv, interpretando Galvano, uno dei Cavalieri della Tavola Rotonda.
[3] Almeno nella mia fanfiction volevo dare a Lupin e a Tonks la gioia di crescere Teddy e un altro figlio. Non mi è mai andata giù la morte di entrambi. Credo che la Rowling qui sia stata esageratamente drammatica con questa famiglia :/  
[4] Tenete conto che la fanfiction si svolge tra il 2015 e il 2016. Game of Thrones e Downton Abbey erano già usciti da tempo, ma The Last Kingdom ha debuttato nel Regno Unito e negli USA nell’Ottobre del 2015, quindi è presumibile che Alexander stesse diventando famoso in quel periodo ;)
[5] Non poteva mancare il diario di Tom Riddle ;) Siamo pur sempre nella Camera dei Segreti :D
[6] All’inizio non avevo assegnato un nome al direttore dell’albergo, ma ho voluto cercare tra i personaggi di Harry Potter che ancora non avevo utilizzato e ho pensato a Lumacorno, visto il suo amore per il lusso e gli ambienti eleganti :) Per la descrizione mi sono basata su quella che appare nel sesto libro della saga.
[7] Uno dei personaggi di “Merlin”. Interpretava Re Uther, il padre di Arthur. Nella versione originale avevo pensato a Sirius Black, ma ringrazio Evil Queen che, anche in questo caso, mi ha fatto ricredere e devo dire che mi sembra uno dei cambiamenti più azzeccati ;)  
[8] La descrizione degli edifici è uno dei miei talloni d’Achille, ma accludo questa fotografia
[9] Ma che coincidenza incredibile, eh? :D Scherzi a parte, non era previsto nella prima versione ma sono davvero felicissima di essermi ricreduta e colgo l’occasione per ringraziare ancora Evil Queen.
[10] Ironia della sorte (giuro che non lo sapevo quando ho scritto la versione originale del racconto :P) Colin Morgan ha DAVVERO frequentato l’Accademia di Glasgow che nella mia fanfiction ho attribuito a Tom e agli altri ;) Colin è stato il protagonista di "Merlin". Invece Bradley James, che nella stessa serie ha interpretato Arthur, ha frequentato proprio il Drama School Center :) 
[11] In questa pagina di Tripadvisor potete sfogliare la galleria e vedere delle fotografie del museo
[12] Purtroppo non sono mai stata Londra ma ho ricavato queste informazioni dal web e da uno dei libri che ho consultato per la mia tesi.
[13] Meraviglioso racconto di Antoine De Saint-Exupéry.
[14] Si tratta dell’auto dei genitori di Ron Weasley che quest’ultimo e Harry hanno usato al loro secondo anno per arrivare a Hogwarts. Invece Arianna era il nome della sorella di Silente.
[15] Fan di Piton, non uccidetemi :D

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


10
Ho sognato che stavo annegando […]
Ho sognato che non
 avevo proprio niente,
nient’altro che la mia pelle.
 
Scivolavo dalle tue braccia aperte […] 
Vedevo il tuo viso che mi guardava,
ho visto il mio passato e il mio futuro.
 
Ci aggrappiamo all’amore come a un’auto che slitta,
ci aggrappiamo agli angoli.
Ma più mi stringo e più rapidamente cadiamo.
 
Prendi i frammenti dei tuoi sogni
perché non ti piace il modo in cui stanno andando,
li tagli e li spargi sul pavimento,
sei pieno di speranza
 mentre li riorganizzi e li riunisci.
Ma in qualunque modo la si guardi,
Sembra che gli innamorati stiano perdendo.
 
The Lovers are losing – Keane[1].
 
 
L’hostess annunciò che saremmo atterrati all’aeroporto di Glasgow entro pochi minuti, in perfetto orario. Morgana ed io ci scambiammo un sorriso e immaginai che i nostri pensieri fossero molto simili in quel momento. Sembrava di essere tornate al punto di partenza, in quel giorno di fine settembre, quando quell’avventura era iniziata. In pochi mesi molte cose sembravano cambiate: non avrei mai pensato di potermi sentire “a casa” così lontano dal luogo e dagli affetti con cui ero cresciuta e neppure che, tornando lì, mi sarei sentita spaesata.
Se non altro durante quelle festività ero riuscita a intavolare conversazioni più interessanti del consueto coi parenti in visita. Avevo raccontato più volte del nostro appartamento, del mio lavoro part-time e ovviamente dello spettacolo. Tutti erano rimasti sorpresi e avevo faticato non poco a spiegare come ero stata reclutata, senza entrare nei particolari e senza alcuna allusione all’aneddoto della pasta e del primo incontro con Lupin. Era come se i due stati rappresentassero parti ben separate della mia vita e questa sensazione era stata alimentata dalla difficoltà a mantenere i contatti con Sean e con Amy. Quest’ultima aveva, infatti, deciso che non avrebbe fatto ritorno in Italia per trascorrere le vacanze con la madre e con la nonna, avendo già organizzato la cena della Vigilia con il padre, la sua matrigna e gli amici di Glasgow.
Avevo accolto con un gran sorriso l’e-mail di auguri di Madama Bumb ed era stato dolce e amaro al contempo vedere la fotografia del personale con tanto di addobbi natalizi sullo sfondo. Non mi ero sorpresa più di tanto nel notare che il Signor Riddle mancava, ma avevo sorriso ai visi familiari di Amy, Neville, Susan e degli altri colleghi con cui avevo legato di più.
Il pensiero della mia nuova amica mi aveva fatto inarcare le sopracciglia e mi ero rivolta a Morgana. “Per caso Amy ti ha scritto in questi giorni?”.
Il suo ultimo messaggio vocale risaliva a qualche giorno prima, alla vigilia della partenza per la partita di rugby: un’amichevole tra la Scozia e la Nuova Zelanda che si sarebbe giocata a Edimburgo[2]. Si trattava di una sorpresa che aveva organizzato per Daniel, con l’aiuto di alcuni amici scozzesi, appassionati di quello sport. Aveva pianificato tutto con la sua tipica accortezza e pignoleria, ma dalla voce mi era sembrato che il suo entusiasmo fosse notevolmente ridimensionato. Immaginavo che avesse avuto un’altra discussione con Daniel, ma non avevo voluto insistere, presumendo che ne avremmo parlato di persona al mio ritorno.
Non avevo più ricevuto messaggi da parte sua, ma secondo i suoi piani, sarebbero dovuti rientrare la sera precedente. Avevo anche controllato i social ma aveva postato pochissime fotografie, soprattutto quelle dell’incontro e dei balli tradizionali compiuti dai giocatori. Sembrava aver particolarmente gradito la danza Maori di cui aveva condiviso un breve filmato. Neppure una fotografia di coppia con Daniel e quest’ultimo mancava persino in quella di gruppo. L’account di lui, addirittura, non era aggiornato da un paio di settimane. Aggrottai le sopracciglia, domandandomi se non si fosse ammalato o non avesse disdetto all’ultimo momento.
Morgana scosse il capo e si fece pensierosa. “Non la sento da Giovedì”, mi rispose. “Dici che è successo qualcosa?”, domandò nel notare la mia espressione pensierosa.
“Non saprei, ma ho una strana sensazione al riguardo”. Mi sentii rispondere, seppur non avessi alcuna ragione “scientifica” per sostenerlo con certezza.
La mia amica inclinò il viso di un lato: “Luna ti ha trasmesso un po’ dei suoi poteri divinatori?”, mi prese bonariamente in giro.
Scossi il capo. “Non mi servono poteri profetici per immaginare che Sean non veda l’ora di riabbracciarti”, commentai con lieve ironia.
“Lo spero proprio”, rispose ne vidi lo sguardo scintillare più dolcemente. Checché fosse sempre stata una ragazza intraprendente e sicura di sé, sapeva essere piuttosto riservata sulle implicazioni romantiche della sua storia con Sean.  Avevo volutamente concesso loro dello spazio e avevo sfruttato quei minuti per una breve telefonata a casa e per un post su Instagram. Avevo anche mandato un messaggio ad Amy, ma notai l’ultimo accesso alla chat risaliva alla notte precedente. Mi riscossi al richiamo di Sean e fui lesta ad avvicinarmi per abbracciarlo a mia volta.
Passammo la giornata insieme: la signora Biggerstaff aveva organizzato un pranzo per noi e non potei che commuovermi nel vedere la tavolata di volti sorridenti (a eccezione di Jennifer, la sorellina di Sean) e le numerose pietanze, tra cui spiccavano quelle italiane. Quella sera risposi a un’e-mail di Madama Bumb, confermando che sarei tornata al lavoro il pomeriggio seguente. Controllai di nuovo la chat con Amy e trovai un breve messaggio scritto. Si era limitata a scrivermi “bentornata” con un paio di emoji. Inarcai le sopracciglia: mi sarei aspettata un messaggio vocale con un breve riferimento a Edimburgo o una menzione alla partita, ma immaginai che preferisse parlarne faccia a faccia. Scossi il capo, quasi a reprimere quel “sesto senso”. Forse era semplicemente impegnata con lo studio, quindi mi limitai ad augurarle una buona serata e a rimandare la chiacchierata al giorno successivo.
 
˜
Mi svegliai con una nuova energia: sorridevo sotto la doccia, mentre mi pettinavo e mentre mi applicavo un filo di trucco. Ero impaziente di ricominciare la mia routine scozzese. Quel giorno avrei dovuto recarmi in Accademia, anche se sapevo che Tom non era ancora rientrato dalle vacanze. In quelle ultime due settimane ci eravamo scambiati gli auguri di Buon Natale e di Felice Anno Nuovo. A differenza di Emma, che aveva postato diverse fotografie della sua cena in famiglia e delle loro passeggiate a Londra, Tom si era limitato a pubblicarne una coi genitori, coi fratelli e con il cane di famiglia.
Avevo scritto ad Amy per chiederle se avesse gradito fare colazione insieme al pub ma, con mia grande sorpresa, declinò l’invito. Mi disse inoltre che aveva chiesto a Susan di fare cambio di turno con lei. Sarebbe stata in servizio dall’ora di pranzo fino al tardo pomeriggio, quando sarebbe iniziato il mio turno. Ne fui dispiaciuta perché pensavo che avremmo lavorato insieme e che sarebbe stata l’occasione ideale, nei momenti di pausa, per aggiornarci sulle ultime due settimane. Non mi restò che salutarla e augurarle una buona giornata.
 
Rientrare in Accademia fu più emozionante di quanto mi sarei aspettata e persino lì incontrai volti sorridenti. A parte quello del custode che sembrava più arcigno che mai, mentre strofinava energicamente le vetrate delle finestre. Mi diressi in auditorium e strinsi calorosamente la mano di Lupin. Il periodo di vacanza sembrò averlo particolarmente giovato perché aveva ritrovato vitalità e non aveva più quei segni scuri sotto gli occhi. Approfittando dell’assenza di Tom, ci occupammo delle mie scene principali insieme a Robert, nei panni di Duncan e agli attori che avrebbero interpretato i miei familiari. L’unico neo fu la presenza di Pansy e di una delle gemelle Patil che sembravano ancora maldisposte nei miei confronti.
Lupin si disse molto soddisfatto dei miei miglioramenti e quelle ore mattutine trascorsero piacevolmente. Fino a quando non aveva mormorato qualcosa circa qualche modifica dell'ultimo minuto: aveva quasi del tutto riscritto un dialogo tra Elisabeth e William. Si trattava di un colloquio che io avevo faticato enormemente a imparare, soprattutto per le invettive e tutti i gesti e le smorfie che avrebbero dovuto accompagnare le mie battute. Tutte molto rapide e lapidarie in un faccia a faccia carico di tensione.
Sospirai. “Non aveva promesso che durante le vacanze si sarebbe rilassato e si sarebbe occupato di sua moglie?”, domandai con le sopracciglia inarcate, pur parlando in modo cortese.
Lui mi sorrise più goffamente e si carezzò i baffi. È stata mia moglie a insistere dopo tre giorni: non sopportava di avermi sempre attorno”, mi rivelò, strappandomi una risata.
Dovetti convenire, mio malgrado, che quella nuova versione mi piaceva persino più dell’originale. Avrei faticato non poco a imparare la nuova scena ma pensai che ne sarebbe valsa la pena.
“Dovremmo far avere le nuove bozze anche a Felton”, convenne in tono più ansioso per la sua assenza.
"Dovrebbe rientrare in giornata". Gli risposi automaticamente, ricordando le parole di Sean al riguardo.
“Benissimo!”, convenne e parve davvero sollevato. “Potrei chiederti di portargliele oggi stesso? Così domani potreste lavorarci già insieme. So che abbiamo ancora cinque mesi ma credimi: questo tempo volerà senza che ce ne rendiamo conto”.
Avrei voluto fargli notare che obiettivamente non sarebbe stato un giorno a fare la differenza. Ma ne conoscevo bene le ansie e non volevo sminuirne il senso del dovere. 
"Allora posso contare su di te, Sarah?". Mi si rivolse con tono informale e appoggiò una mano sulla mia spalla. "Lo informerai oggi stesso: magari potreste provarla già insieme... sarà tutto tempo guadagnato".
Sospirai e feci rapidamente mente locale. Avevo finito per quella mattinata e avevo tempo a sufficienza per pranzare, raggiungere la casa dei Felton, lasciargli il copione e forse persino provare, prima di dovermi recare al pub. “D’accordo, ma non potrò trattenermi tutto il pomeriggio: dovrò andare al lavoro”.
“Ma certo”, mi sorrise Lupin. “Sei davvero un tesoro”, mi lodò con tale calore che non potei che sorridere.  Dovevo solo incontrare Sean e farmi dare le indicazioni per il percorso in metro.
 
Entrai in sala mensa e cercai il mio amico con lo sguardo, ma invano. Stavo per mandargli un messaggio, quando mi sentii chiamare da una voce familiare.  Mi voltai con un sorriso, ma sgranai gli occhi quando misi a fuoco il volto di Daniel. Aveva i capelli più scarmigliati del solito, quasi vi avesse passato la mano attraverso diverse volte e il volto pallido su cui spiccavano due occhiaie profonde.
“Ciao Daniel”, lo salutai con aria confusa. “Come sono andate le vacanze?”.
“Lascia perdere!”, borbottò per risposta e si strinse nelle spalle. Sospirò e mi guardò più intensamente. “Posso parlarti in privato? Si tratta di Amy”, specificò.
“Oddio, che è successo?”, domandai subito ansiosamente, ripensando al suo strano atteggiamento nelle ultime ore.
Mi indicò un tavolo e prendemmo posto. Già il fatto che volesse parlarmi in privato era piuttosto eloquente, dal momento che di solito pranzavamo in una compagnia molto più numerosa e chiassosa quando i gemelli Phelps erano particolarmente di buon umore. Gli offrii parte del mio cibo ma mi rispose con una smorfia di avere lo stomaco chiuso.
“Daniel, mi dici cosa succede? Mi stai facendo venire ansia!”, lo pregai, cominciando a mangiucchiare.
Il ragazzo esitò, ma mi guardò con le sopracciglia inarcate. “Quindi tu non sai nulla?”, mi domandò in tono circospetto.
“Nulla di cosa?”, domandai di rimando e non poco perplessa.
Sembrò interdetto dalla mia reazione. “Scusa ma non hai parlato con lei negli ultimi giorni?”.
Mi sentii sprofondare nel realizzare che dovevo aver parzialmente indovinato. La ragazza era stata piuttosto evasiva proprio a causa di Daniel. Evidentemente quella trasferta si era rivelata un vero e proprio disastro. E i precedenti tra loro non erano propriamente idilliaci. Sospirai e scossi il capo. “Sono tornata solo ieri e non ho ancora avuto modo di parlare con lei”, spiegai in tono dispiaciuto.
Lui annuì con aria comprensiva e sembrò sforzarsi di sorridere. “Non ti preoccupare! Anzi, scusami se ti ho colta alla sprovvista, ma pensavo tu fossi già al corrente e mi avrebbe fatto piacere una tua opinione, visto che conosci entrambi”, mi rivelò con non poca esitazione. Sembrava così mortificato e imbarazzato che non potei fare a meno di sentirmi dispiaciuta per lui, a prescindere dagli eventi di cui ero ancora all’oscuro.
Mi morsi il labbro, pur sapendo che non era mai cosa saggia mettersi nel mezzo o proporsi come mediatrice, soprattutto senza conoscere i fatti. Avrei potuto farmi raccontare la “sua versione” e poi confrontarla con quella di Amy per essere il più imparziale possibile. “Beh, se vuoi sfogarti, io sono qui”, gli sorrisi con aria amichevole, allungando la mano a stringergli il braccio.
Ricambiò il sorriso ma sembrò esitare ulteriormente. “Non voglio metterti in una posizione scomoda: siete amiche e lavorate anche insieme”.
Scossi il capo. “Non è mia intenzione giudicare nessuno dei due e neppure schierarmi con te o con lei: a prescindere da tutto siete entrambi miei amici”. Specificai subito. Dopotutto non c’era nulla di male nel coltivare l’amicizia con entrambi, purché fossi sincera e cercassi di non alimentare ulteriormente la tensione tra loro. Nel peggiore dei casi avrei dovuto chiedere di restare al di fuori delle loro divergenze. 
“Ne sei sicura?”, mi domandò con aria così speranzosa da sembrarmi un cucciolo in cerca di una carezza o di un bocconcino.
“Sicurissima, parla pure”, lo incoraggiai.
Fu con qualche incertezza dovuta all'imbarazzo e al dispiacere che Daniel mi raccontò quanto avvenuto negli ultimi giorni. L'atmosfera era stata trepidante e piena di entusiasmo all’idea di assistere alla partita e poi trascorrere una breve vacanza romantica a Edimburgo, prima di tornare a Glasgow. Invece, il progetto era sfumato e lui aveva passato tutta la notte in auto per tornare subito a casa, lasciando Amy in albergo con il resto della compagnia.
Tutto era filato liscio fino a uno degli intervalli. Daniel aveva approfittato della circostanza per alzarsi, sgranchirsi le gambe e andare allo stand per comprare cibo e bevande. Aveva ammesso, con grande imbarazzo, di essere sparito per quasi un’ora perché nel frattempo aveva ricevuto una telefonata di Katie in lacrime per qualche attacco di panico legato allo spettacolo o alla recente rottura con Robert, o a entrambe le cose. Su quel punto Daniel appariva ancora confuso. Da parte mia, memore delle insicurezze della mia amica riguardo alla ragazza in questione, avevo dovuto trattenermi dal rimprovero che mi sarebbe venuto spontaneo. Mi ero limitata a sospirare e a fargli cenno di continuare.  Al suo ritorno, aveva trovato Amy in compagnia di uno sconosciuto, un tipo palestrato e piuttosto “pompato” e dai lineamenti slavi. La mia amica aveva abbandonato la loro compagnia per sedersi con quel ragazzo e i suoi amici, anch’essi appassionati di rugby.
Il volto di Daniel sembrò mutare e la mestizia lasciò spazio a una profonda irritazione, quando raccontò qualche dettaglio che sembrava averlo particolarmente ferito.
“Non solo si è seduta con quel tizio che, detto tra me e te sicuramente fa uso di steroidi per avere un fisico del genere, ma l’ho sentita prendersi gioco di me!”.
“Cioè?”, lo incoraggiai con aria perplessa. Evidentemente doveva essere realmente arrabbiata. Non che potessi darle torto, considerando gli sforzi per organizzare la partenza e il comportamento di Daniel.
“Mi sono avvicinato per parlarle e ho sentito cosa si dicevano!”, mi rivelò e la scena dal suo punto di vista somigliava molto a un estratto di qualche soap opera in cui il protagonista sta per sentire qualcosa che mina ulteriormente la relazione. “Lui le ha chiesto se fosse da sola. E lei ha guardato verso di me, mi ha rivolto uno sguardo sprezzante e poi ha detto: Sì sì, sono sola!”. Aveva imitato una voce femminile esageratamente leziosa, per poi tornare a osservarmi con aria stizzita. “Ma ti rendi conto?!”.
Avevo dovuto sforzarmi di restare seria di fronte a quell’imitazione enfatica e al livore sul suo viso. Il ragazzo in questione, continuò Daniel, l’aveva sorpresa in quella smorfia e le aveva chiesto con chi ce l’avesse e lei, per la seconda volta, aveva fatto la finta tonta, rispondendo con un: “Nessuno, nessuno!”. Il culmine del racconto di Daniel fu il riferimento a una canzone dei Good Charlotte, “We believe”, che era stata trasmessa dagli altoparlanti. Amy e i suoi nuovi conoscenti si erano alzati in piedi, cantando e muovendo l’accendino in aria. Daniel al ricordo aveva scosso il capo e una smorfia disgustata gli aveva alterato i lineamenti: “Non voglio mai più sentire quella canzone in vita mia!”.
Alla fine dello sfogo mi aveva guardato intensamente, forse aspettando una mia reazione. Una parte di me riteneva che non fosse il caso di esternare la mia opinione, o almeno non fino a quando non avessi sentito anche la “versione” di Amy. Mio malgrado, sentii il bisogno impellente di essere sincera con lui. “Daniel, di norma non mi piace mettermi in mezzo a queste situazioni e non sono nessuno per giudicare”, esordii con cautela perché avevo la sensazione che ciò che avrei detto avrebbe potuto creare una spirale di guai nei quali mi sarei ritrovata coinvolta.
Daniel era parso farsi più attento, sporgendosi leggermente verso di me. “Ti prego, dimmi quello che ne pensi”.
“Io credo che tu per primo le abbia mancato di rispetto”, mormorai e prima che potesse reagire, notando la scintilla di determinazione nel suo sguardo, avevo sollevato la mano per indurlo ad ascoltarmi. “Non mi riferisco soltanto alla tua assenza per un’ora intera, motivo per il quale chiunque si sarebbe indispettito, specie dopo tutta l’organizzazione necessaria per questa trasferta. Ogni volta che sei uscito con lei e hai prestato più attenzione al cellulare, a Katie o a chiunque altro, l’hai ferita. Lei ha cercato di farti capire il suo disagio e tu non l’hai presa abbastanza sul serio!”.
Dovevo dire a sua difesa che Daniel stava ascoltando tutto attentamente e i suoi occhi si erano ingranditi nel confermare che avesse peccato molto di superficialità ma che non fosse stata sua intenzione ferirla. Pensai alla mia amica e continuai: “Credo che Amy abbia bisogno di tempo per perdonarti, ma purtroppo ha già sofferto molto in passato. Forse le vostre aspettative sulla vostra storia non sono le stesse: se non sei davvero coinvolto, dovresti rifletterci sopra prima di chiederle una seconda occasione. Lei ha bisogno di serietà e di concretezza e nonostante le tue buone intenzioni, tu non sembri in grado di offrirgliele. Non a sufficienza almeno”, conclusi nel tono più gentile possibile, pur consapevole che fossero parole amare da assimilare.
“Lei mi piace davvero”, sembrò volersi giustificare con aria quasi puerile che mi fece tenerezza.
Sospirai e annuii. “Non lo metto in dubbio, ma forse non ne sei davvero innamorato. Dovreste prendervi del tempo per riflettere, a prescindere da quello che è accaduto alla partita”.
Daniel mi guardò con aria da cucciolo bastonato, ma alla fine annuì. “Grazie di essere stata sincera con me”.
“Ma figurati”, gli sorrisi più dolcemente e gli strinsi il braccio. “Sono sicura che capirete entrambi cosa sia meglio per voi”.
Non sembrò molto convinto ma sospirò. “Ora scusami, devo andare in auditorium”, mormorò e si alzò senza più guardarmi. Era talmente avvilito che passò in mezzo ai gemelli Phelps senza quasi sentirne il richiamo allegro e ciarliero.
Lo seguii con lo sguardo, non potendo fare a meno di sentirmi dispiaciuta per entrambi. In situazioni simili ringraziavo di non avere una relazione in corso.
 
˜
Circa un’ora dopo arrivai alla fermata della metro che mi aveva indicato Sean e cercai di richiamare alla memoria le istruzioni che mi aveva dato per raggiungere la casa dei signori Felton. Avevo mandato qualche messaggio vocale a Morgana per raccontarle della mia conversazione con Daniel. La sua risposta non tardò ad arrivare: mi telefonò durante la sua pausa pranzo.
“Sei stata gentile ad accogliere lo sfogo di Daniel, ma sinceramente, anche se condivido quello che gli hai detto, penso avresti fatto meglio a non dire assolutamente nulla, visto quanto sei coinvolta. È meglio sentire entrambe le campane prima di farsi un’idea ma MAI – lo aveva sottolineato con la voce – condividere le proprie opinioni a meno che non sia espressamente richiesto dai diretti interessati. Senza contare che Amy ha il diritto di raccontarti la sua verità e tu dovresti ascoltarla prima di tutto”.
Avevo sospirato per risposta, anche se non potevo negare che il suo suggerimento fosse più che saggio, ma non avevo potuto fare a meno di chiederle che cosa dovessi fare con la mia amica.
Morgana, come sempre, non parve avere dubbi sulla situazione. “Sinceramente credo che abbia cambiato turno proprio per evitarti. Cioè, non prenderla sul personale, ma in questo momento evidentemente non ha voglia di parlarne, soprattutto con te”.
Mi morsi il labbro e sospirai. “Quindi dovrei fare finta di nulla?”.
“Ti conosco: non ne sei capace”, aveva commentato con una nota più dolce nella voce. “Se lo ritieni il caso, puoi accennargli al fatto che Daniel ti abbia parlato, ma dille che rispetti la sua privacy. Se vorrà farlo ti parlerà. In caso contrario dovrai lasciarla stare. Anche se lo fai per il suo bene”.
“Ma-”.
“Sara, hai capito?”, insistette Morgana che sembrava leggermi il pensiero.
Sbuffai con aria puerile ma annuii. “Hai ragione. Cercherò di avere tatto”.
“A proposito di tatto, perché diavolo Lupin ha mandato te a casa di Tom? Non poteva fargli avere il copione attraverso Sean?”, mi domandò in tono più stizzito.
“Sinceramente non ci vedo nulla di male”. Risposi di riflesso.
“Sì, lo so”, rispose Morgana con uno sbuffo. “E’ anche questo il problema”.
Alzai gli occhi al cielo vagamente offesa. “Gli sto portando il copione, non ho in programma di saltargli addosso!”.
“Non mi sorprenderei se trovassi Emma”. Rifletté l’altra e avrei potuto giurare che lo sperasse per il mio bene.
“Meglio così! Avrei un ottimo motivo per andarmene e lei potrà aiutarlo con le prove al posto mio”, replicai serenamente alla prospettiva.
“Fammi sapere come è andata. Devo tornare al lavoro, ci sentiamo dopo”, si congedò.
“Buon lavoro e grazie. A dopo”.
 
 
Osservai la struttura vittoriana dell'edificio. Dall'esterno ricordava l'architettura gotica con alcuni elementi di rococò: il tetto in ardesia e una facciata a tre vetrate dalla forma semi esagonale. L’esterno era decorato da mattoni rossastri in cui spiccava il marmo delle colonne. Sembrava un edificio imponente e quasi austero, addolcito dall'edera che si abbarbicava sulla superficie come ulteriore elemento decorativo. Percorsi il piccolo vialetto per avvicinarmi alla colorata porta d'ingresso: un verde scuro che sembrava quasi abbagliante per il contrasto con gli altri toni. Sapevo soltanto, per sentito dire, che vi abitava con i nonni paterni che si erano trasferiti a Glasgow da ormai molti anni[3].
Suonai il campanello e attesi pazientemente mentre estraevo dalla borsa il copione da mostrargli.
Sentii un cane abbaiare e dei passi leggeri. Una signora anziana schiuse l'uscio e mi osservò. Gli occhietti scuri si ingrandirono dietro le lenti degli occhiali che si premette maggiormente, nel tentativo di mettermi a fuoco. Aveva un'aria mite e sembrava particolarmente fragile, vista la magrezza. Stava leggermente gobba ma doveva esser stata una donna piuttosto alta. I capelli corti e canuti le incorniciavano il viso rotondo e non potei fare a meno di notare che vi erano ancora dei bigodini che doveva aver dimenticato di rimuovere. Teneva tra le dita, i ferri con cui stava sferruzzando e indossava, a mo' di collana, una coroncina per il rosario. Il suo sguardo indugiò sul mio viso, il mio abbigliamento e il plico di fogli rilegati che tenevo tra le braccia.
Sembrò impallidire.
"Buonasera signora, mi scusi per il disturbo”. Mi premunii di sorriderle e di parlare a voce abbastanza alta e scandendo bene le parole. “Mi chiamo Sara e dovrei parlare con...".
Si scurì in volto e scosse la testa. "No, grazie!”, mi interruppe con tono deciso, seppur la voce fosse tremolante. Cercò persino di raddrizzare la schiena come a rendersi più autoritaria e notai che era poco più bassa di me. “Noi non abbiamo intenzione di cambiare religione!". Fece una smorfia come a voler sottolineare quanto aveva detto e dimostrarmi quanto fosse forte la sua determinazione.
Tale fu lo sbigottimento che restai impietrita, quando l'uscio mi fu sbattuto in faccia.
Schiusi le palpebre a più riprese e sentii le guance imporporarsi mentre scuotevo il capo. Stesi il braccio per suonare di nuovo e attesi qualche istante, sentendola tornare all’ingresso. Si era liberata dei ferri da lavoro e teneva tra le mani una scatola di biscotti allo zenzero. Mi sorrise con aria caritatevole e me ne porse uno. "Prendi cara e non temere: questa notte pregherò per la tua anima". Mi informò con tono fervente.
Scossi leggermente la testa e sorrisi. Dopotutto, poteva essere un aneddoto buffo. Forse. "Signora, temo ci sia stato un equivoco, io non sono-".
Scosse la testa con un sospiro. "Non disperare, mia cara!”, mi mise a tacere con un movimento brusco della mano su cui scintillava la fede nuziale e mi batté sulla spalla. “Sono sicura che il buon Dio si ricorderà anche di te sulla via di Damasco[4]". Lo disse tutto di un fiato: doveva averlo imparato a memoria.
Sorrisi più nervosamente. Non era il caso di risponderle in modo brusco e maleducato: doveva avere più o meno l'età di mia nonna. "Signora, lasci che le spieghi di nuovo chi sono".
"Evangeline!". Tuonò una voce maschile e cavernosa dall'interno e la vidi trasalire.
Sentii il suono di alcuni passi sostenuti da un bastone. L'uomo indossava un maglioncino fatto ai ferri che non copriva esattamente la preponderanza dello stomaco. Camminava lentamente e sul viso era dipinta un’espressione arcigna. Era piuttosto stempiato, ma i capelli sulla nuca erano lunghi e ormai striati di grigio. Notai che i lineamenti del viso erano simili a quelli del nipote, soprattutto quando era corrucciato o guardava le persone con risentimento. Si fermò a pochi passi dall'ingresso e, quando mi vide, sgranò gli occhi e mi guardò con un misto di orrore e di disgusto. "Che mi venga un colpo!". Esclamò e il bastone gli cadde dalle mani mentre la moglie squittiva e gli si avvicinava per sostenerlo. La scostò malamente e si tenne una mano sul petto, tanto che ebbi il timore che potesse barcollare in preda a un attacco di cuore. Sì, decisamente guardavo troppe trasmissioni di Shonda Rhimes. 
"Il fantasma di Eva Braun![5]". Esclamò indicandomi.
Sbattei le palpebre e mossi un passo in sua direzione, ma lui mi fermò con un gesto imperioso della mano e parve irrigidirsi, prima di voltarsi verso la moglie, artigliandole il polso sottile. "Donna, mettiti al riparo!”, le intimò, ignorando le sue lamentele miste a litanie e invocazioni al Signore. Forse rischiavo persino che improvvisasse un esorcismo.
Sir Winston[6] vieni a difendere la casa, presto!".
A quel richiamo, un tozzo bulldog inglese si avvicinò a passi lenti e stanchi. Scodinzolò come fosse stato un gesto innato ma sembrava perennemente stanco. Probabilmente era per la mole che era costretto a portarsi dietro e a reggere sulle zampe superiori che erano più snelle di quelle posteriori. Mi osservò con occhietti opachi, si avvicinò per annusarmi e poi emise un lungo sbadiglio.
"Stupida bestia!”, lo rimproverò aspramente il padrone. “Prendo il fucile!".  Annunciò e con una nuova agilità - quella permessa dagli acciacchi e la gamba che si trascinava - recuperò il bastone e cominciò a zoppicare verso il soggiorno.
"Thomas!”, chiamò il ragazzo con tono imperioso, guardando verso il piano superiore. “Prendi le munizioni, figliolo: nemico a ore 12, piano di evacuazione B!".  Il tono simile a quello di un generale sul campo di battaglia.
Assistetti a tutta quella scena rapida e confusionaria con la mente completamente svuotata.
Era tutto talmente assurdo da non riuscire quasi a muovere un arto. Un solo pensiero riuscii a esprimere abbastanza lucidamente. Perché ogni Felton che mi vede a un ingresso, mi scambia per qualcun altro?
Evangeline si era rannicchiata in un angolo e snocciolava rapidamente preghiere. Alternava sguardi nervosi a me, al cane e poi al marito e la preghiera si faceva sempre più rapida. Strizzò gli occhi come se non volesse vedere e baciò il crocifisso. Sir Winston, dopo aver camminato faticosamente, si rannicchiò ai suoi piedi: le tozze zampe anteriori gli sostennero il muso schiacciato.
"THOMAS!".
Il grido dell'uomo mi fece trasalire. Sentii una porta aprirsi dal piano superiore e passi lungo le scale.
"Che c’è, nonno?!". Lo sentii chiedere in tono evidentemente scocciato. Scese le scale e quando ci raggiunse sgranò gli occhi e guardò dall’uno all’altro. La sua espressione sarebbe risultata piuttosto comica, se non mi fossi trovata in quella situazione a dir poco paradossale.
Mi morsi nervosamente il labbro. "Forse avrei dovuto telefonare?". Mi sentii chiedere in tono mortificato, sorridendo nervosamente.
Scosse leggermente il capo: l'ombra di un sorriso gli curvò le labbra, mentre mi faceva cenno con il mento di entrare. Guardai ancora dubbiosa gli altri due ma valicai la soglia d’ingresso, sentendomi come un vampiro che necessitava di un invito esplicito da parte dei proprietari.
Sua nonna sembrò riscuotersi e trasalire quando il nonno arrancò con un fucile a pompa in mano. Sorprendentemente non era impolverato: immaginai che lo lucidasse spesso e volentieri ma non potei fare a meno di chiedermi se fosse anche carico di munizioni. Aveva un’espressione raggiante e quasi folle. "Bravo, Thomas”, commentò con voce roca e cercò, con il braccio tremante, di sollevare l’arma per fissarmi da dietro il mirino. “Tieni ferma quella sporca tedesca".
"Cornelius, no!”, gracidò la donna quasi piangente e si mosse verso di lui. “Ricordati il quinto comandamento! Il Signore dice-”.
"Taci, donna! Dio perdona, io no”, recitò seccamente. Ricordai l’omonimo film con Terence Hill e Bud Spencer e non potei fare a meno di chiedermi se non pensasse di essere lui stesso l’autore di quella battuta.
Tom sospirò, si passò una mano tra i capelli e parve realmente in imbarazzo. Si mise di fronte a me e appoggiò la mano sulla canna del fucile. “Nonno, hai preso le medicine oggi?”, gli domandò in un sussurro discreto che finsi di non aver sentito.
“Che fai giovanotto?!”, lo rimproverò l’uomo anziano. “Levati dalla traiettoria: la progenie di quei maledetti tedeschi non metterà piede in questa casa finché vivrò!”.
Tom alzò gli occhi al cielo ma sospirò. Era solo il legame di sangue, immaginai, a impedirgli di replicare con i suoi soliti modi sarcastici e beffardi. "Nonno, va tutto bene: la conosco".
Il braccio sembrò afflosciarsi mentre fissava il nipote. "Che Dio salvi la Regina!”, mormorò come se fosse un’invocazione per lui abituale. Stava quasi barcollando ed era così pallido che temetti di nuovo un attacco di cuore. “Sangue del mio sangue che mi tradisce!”, ruggì. Sembrava disgustato e offeso. "Sir Winston, attacca e immobilizza". Il fucile quasi gli cadde di mano quando vide il cane addormentato e annaspò.
Il ragazzo sospirò stancamente prima di avvicinarsi per toglierglielo dalle mani.
"Thomas, non sei degno di impugnarlo: piccola serpe cresciuta in seno...”.  Brontolò e indietreggiò come un bambino che protegge il suo giocattolo preferito. “Me lo dovevo immaginare quando sei arrivato con quei capelli da ariano!".
Fu solo la mia delicata posizione che mi impedì di ridere a quel riferimento. Avrei dovuto chiedergli spiegazioni, ma non riuscivo a immaginarmi Tom coi capelli di una gradazione di biondo platino[7]. Chissà se Sean aveva qualche fotografia compromettente.
Alzò gli occhi al cielo e mi fece cenno di seguirlo, dopo aver riposto il fucile in un armadio e averlo sigillato. Con mio grande sollievo, si mise la chiave in tasca e accompagnò il nonno in salotto mentre io sorridevo alla signora che, tuttavia, si era ritratta come se nel mio gesto vedesse qualche intento meschino. "Thomas caro...". Gli si avvicinò e gli cinse il braccio: c'era una tale adorazione nel suo sguardo che sembrava struggersi alla sua vista. Non mi aveva più fissato ma per parlare con lui sembrò disposta a correre il rischio. Inclinò il viso di un lato e parlò con voce sottile. O forse immaginava che così fosse, visto il tono di confidenza. "Sei sicuro che non sia qui per corrompere la tua anima?”. Di fronte al buffo verso del ragazzo, gli strinse più forte il gomito e mosse il dito con l'aria di chi la sa lunga. “Ricorda, figliolo, che Satana spesso usa giovani donne per tentare la carne...".
Il viso del giovane fu pervaso da una smorfia di difficile identificazione: probabilmente stava trattenendosi dallo scoppiarle a ridere in faccia.
Da parte mia arrossii furiosamente. Scossi la testa. Probabilmente sarebbe stato meglio lasciargli il mio copione e andarmene prima che la situazione degenerasse ulteriormente.
"Non preoccuparti nonna: è una timorata di Dio, vero?". Si volse a osservarmi e annuii prontamente. Quasi automaticamente e con un vago cipiglio di risentimento, mostrai la catenina con il crocifisso che portavo al collo e mi rimproverai per non averci pensato io stessa.
La donna si portò la mano al petto e sollevò lo sguardo al soffitto in un tacito ringraziamento. "Meraviglioso”, commentò e mi si avvicinò con un sorriso così cordiale e dolce che riuscì a farmi rabbonire. Con mia grande sorpresa, poi, mi cinse con più energia di quanto mi sarei aspettata vista la sua costituzione fragile. “Come ti chiami cara?”.
"Mi chiamo Sara". Balbettai interdetta da quel repentino cambiamento di modi.
"Ma che graziosa fanciulla". Si scostò e mi diede un buffetto sulla guancia. "Tieni, prendi un biscotto”.
Un altro, pensai scoraggiata. Mi ero quasi rotta un molare provando il primo. Cercai di mettermelo in tasca senza dare nell'occhio.
Si rivolse al nipote e gli porse l'intero piatto. “Anche tu Thomas caro, guardati: sei pelle e ossa!”, commentò in tono ansioso per la sua salute. "Non ho ragione, Samantha cara?”.
Mi voltai quasi aspettandomi si fosse materializzata un'altra ragazza per poi scuotere la testa. Ma le ho detto di chiamarmi Sara. "Mi scusi?".
"Non pensi anche tu che sia troppo magro, Susan?".
Fantastico. Testimone di Geova. Eva Braun e adesso questo. Samantha e Susan.
"Sto benissimo così, nonna”, tagliò corto Tom e mi fece cenno di seguirlo sulla rampa di scale. 
"Ma Sandie, non hai preso i biscotti!", pigolò la donna alle mie spalle.
"Oh, Sir Winston!”, sentii letteralmente uggiolare suo nonno l’attimo dopo. “Lo sapevo che eri di tempra forte. Avanti, portami il giornale!”.
 
 
Se non altro quello strano incontro coi nonni aveva rotto il ghiaccio. Non vedevo Tom da quel weekend a Londra poiché Morgana ed io eravamo partite per l’Italia qualche giorno dopo e lui stesso era rientrato da poche ore. Mi ero sorpresa diverse volte a pensare a lui e a domandarmi come stessero trascorrendo le sue vacanze, soprattutto quando notavo nuove fotografie pubblicate da Emma. O Morgana le notava per me, avvalendosi di un fake. Avevo cercato tuttavia di non indugiare mai troppo in quei pensieri, ma in quel momento, non potei fare a meno di ripensare alla nostra conversazione in albergo e a quell’ulteriore assestamento del nostro rapporto. Questa volta saremmo riusciti a evitare altre situazioni imbarazzanti o quella strana tensione che talvolta appesantiva i nostri gesti e le nostre parole si sarebbe ripresentata?
Tom mi sorrise e mi fece cenno di seguirlo in camera: “Qui staremo più tranquilli”.
Non vidi nulla d’inopportuno in quel gesto: al contrario, ero solleticata all'idea di vedere il suo mondo riprodotto in scala. Lasciai vagare lo sguardo ad abbracciare l'arredamento e le suppellettili con genuina curiosità. Spiccava soprattutto il legno dell'ambiente rustico. Il letto da una piazza e mezzo, una scrivania con un MacBook, una chitarra adagiata in un angolo con spartiti musicali (non avevo la benché minima idea che la sapesse suonare!), una televisione, la playstation, una libreria con volumi soprattutto letterari e teatrali. Diverse cornici con fotografie di famiglia e un paio con Emma, oltre a mazze da golf, un pallone da calcio che era la riproduzione di quello della Premier League e la bandiera del Chelsea. Fu la sua voce a riscuotermi quando mi porse la sedia di fronte alla scrivania e lui prese posto sul letto.
Mi scrutò attentamente e sorrise: “Ti trovo bene”.
Mio malgrado, sentii un effluvio di calore in petto e sussurrai un ringraziamento. “Hai passato delle buone vacanze?”, domandai a mia volta.
Annuì distrattamente, salvo osservarmi più curiosamente. “A cosa devo questa sorpresa? Ti mancavo troppo?”, soggiunse con un lieve filo d’ironia.
“Come no”, risposi con la stessa leggerezza e gli porsi i fogli del copione che prese con un vago sbuffo. “Lupin ha introdotto altri cambiamenti. Gli avevo spiegato che saresti rientrato domani, ma sai quanto sia ansioso. Mi ha chiesto di portarti il materiale il prima possibile”, spiegai.
Tom alzò gli occhi al cielo. "La mia vacanza è appena finita. Ha stravolto tutto?”, mi domandò, gettando un’occhiata ai fogli e alle mie annotazioni a margine. 
Gli sorrisi con altrettanta esasperazione. "Ha praticamente riscritto il nostro dialogo nelle scuderie".
Lo vidi corrugare le sopracciglia mentre scorreva quegli scambi di battute. "Un quasi bacio prima della fine dell'atto. Interessante". Commentò. Rise dopo pochi secondi: "Tenti di allontanarmi con il frustino per il cavallo: questo sì che è un dettaglio importante".
Non potei fare a meno di sorridere. “In realtà quella parte mi è piaciuta”, ammisi.
Tom mi guardò con espressione velatamente di rimprovero. “Non avevo dubbi: casualmente le scene in cui mi offendi o mi picchi con un oggetto di scena, sono quelle in cui riesci senza sforzo”, mi fece notare in tono ironico.
Non potei fare a meno di ridacchiare: era fin troppo vero, soprattutto ai primi tempi quando ne sopportavo a malapena la vista ed ero ancora alle primissime armi con la recitazione. Lo seguii con lo sguardo mentre recuperava carta e penna e cominciava a copiare le mie annotazioni su un foglio bianco e per qualche minuto l’unico suono nella stanza fu quello della penna che scorreva. Mi ritrovai a osservare il modo in cui i ciuffi di capelli gli sfioravano la fronte e la piega delle labbra mentre era concentrato nella scrittura. Avevo sempre ammirato il modo in cui la recitazione sembrasse animarne lo sguardo, renderlo più assorto e completamente avvinto dal suo personaggio e dalla scena, persino quando si limitava a rileggerla. Era una delle sfaccettature del suo carattere che, dovevo ammetterlo, trovavo affascinante. Mi riscossi ed estrassi il cellulare per controllare se ci fossero nuove notifiche.
Mi ringraziò e mi porse nuovamente il copione, prima di inclinare il viso di un lato: “Fammi indovinare, Lupin vuole che la proviamo oggi stesso?”.
Sospirai appena e controllai l’ora. “Se sei troppo stanco possiamo rimandare”. Non volevo dirglielo esplicitamente, ma mi avrebbe fatto comodo andarmene al più presto nella speranza di arrivare al pub in anticipo e poter osservare il comportamento della ragazza.
“Hai un altro impegno?”, domandò per risposta, alludendo al mio orologio.
Mi strinsi nelle spalle. “Il mio turno inizia tra due ore”.
“Possiamo lavorare per un’ora, se ti va”, propose in tono pacato.
Sembrava esserci tra noi una patina di formalità e di ostentata gentilezza e non potei fare a meno di associarla al nostro ultimo confronto. Ero tentata di scusarmi e svicolare (non mi sentivo molto a mio agio a restare in un ambiente frequentato così spesso da Emma e coi nonni imprevedibili al piano inferiore), ma ancora una volta la mia etica del lavoro ebbe la meglio. “Va bene”.
“Posso darti un passaggio al pub”.
Scussi subito il capo, ma gli sorrisi. “No, non ti preoccupare: con la metro posso arrivarci facilmente”.
“Come vuoi”. Si rimise in piedi ed io lo imitai.
“Proviamo da quando Lady Elisabeth arriva alla scuderia?”.
Annuii e rilessi attentamente le indicazioni introduttive alla sequenza, cercando di concentrarmi e di assumere la giusta espressione.
Tom riuscì a sorprendermi anche in questa situazione perché, in modo del tutto spontaneo, assunse il ruolo che ricopriva abitualmente Lupin, suggerendomi talvolta gesti o espressioni del volto che accompagnassero le mie battute per renderle fluide e naturali.
“Sembrate nervosa: che cosa vi turba, Lady Elisabeth?”. Mi domandò in tono suadente e la voce volutamente più rauca del suo naturale timbro. Non sembrava affatto sforzarsi di essere affascinante e galante come il suo alter ego.
Da parte mia cercai di ricordarmi lo stato d’animo di quei momenti nei quali, a causa sua, mi ero sentita vicina a perdere il controllo e alla mercé di quell’emozione fin troppo intensa. Avrei dovuto incanalare quelle emozioni per rendere al meglio lo stato d’animo del mio personaggio. “C-Cosa dite?”, mormorai in tono incerto.
Lui sorrise, avanzando in mia direzione fino a invadere il mio spazio personale e fu quasi reale l’istinto che provai e che mi fece sollevare le mani per far pressione contro il suo petto e respingerlo.
“Allontanatevi, scostumato!”, esclamai in tono drammatico, seppur l’utilizzo di quell’aggettivo mi facesse sorridere. A quel punto, secondo il copione, avrei dovuto colpirlo con un frustino da equitazione ma mi limitai a farlo col plico di fogli arrotolato.
Si sfiorò la parte colpita con espressione vagamente offesa. “Hey”, borbottò.
“Scusa”, mormorai per risposta, cercando di non ridergli in faccia.
Si era concentrato nuovamente sulla scena e quando mi cinse il mento con le dita non vi era alcun alone di divertimento o di puerile offesa sul suo volto.  Le iridi sembrarono addensarsi e la patina azzurra coprirne la sfumatura grigia: renderle più solide, quasi guizzanti e restai senza respiro. Il dito affusolato mi scostò una ciocca di capelli e mi reclinò leggermente il viso per specchiarmi nel suo sguardo. La mia parte razionale sembrò volermi ammonire che, benché si trattasse di finzione, fosse decisamente troppo vicino e con il rischio conseguente di alimentare nuovamente quella tensione tra noi. Se non altro sarebbe stato perfetto per i nostri personaggi. Sentii la gola secca e provai l’impulso di mordermi il labbro ma quando parlò, la mia mente sembrò spegnersi.
“Non ne ho la benché minima intenzione”. Soffiò nel mio orecchio. L’evidente implicazione più maliziosa che gli fece anche increspare le labbra in un sorrisetto beffardo. Il pollice mi sfiorò le labbra e trattenni il respiro. Faticai a ricordarmi che, quando si sarebbe proteso, avrei dovuto respingerlo. Malgrado l’evidente attrazione e la passione del momento, la razionalità e il pudore di Elisabeth avrebbero avuto la meglio. Scostò il dito dalle labbra e si chinò impercettibilmente mentre i battiti del mio cuore sembrarono letteralmente sopraffarmi.
Devo scostarlo. Ma non sono del tutto sicura di volerlo davvero, pensai e ciò mi sconvolse nel profondo e mi procurò un moto di rimprovero e di ira nei miei stessi confronti. Evidentemente, ancora una volta, ero stata incapace di celare il mio stato d’animo o dovevo essermi irrigidita perché gli occhi di Tom si ingrandirono. Avrei voluto balbettare qualche parola di scuse, ma fu un autentico sollievo quando la porta fu aperta e comparve la sagoma fragile della nonna.
“Thomas caro? È l’ora del the”, commentò con aria mite. “E’ tutto apparecchiato di sotto”.
Per fortuna non eravamo in una serie tv o sicuramente sarebbe stata Emma ed entrare e probabilmente ne sarebbe seguito un disastro, seppur potessimo obiettare che si trattava dello spettacolo. Oddio, mi sto comportando come Katie con Daniel? Non potei fare a meno di chiedermi. Il pensiero mi procurò un moto di nausea e fui lesta a recuperare il mio cappotto. Mancavano ancora venti minuti alla fine dell’ora concordata ma non volevo restare un attimo di più in sua compagnia.
Tom mi dava le spalle e lo sentii rivolgersi alla donna con tutta la premura di cui era capace: “Grazie, nonna. Arrivo tra poco”.
“Sally ho apparecchiato anche per te”, cinguettò in tono dolce e gentile e non potei fare a meno di intenerirmi a dispetto di tutto. Tuttavia, mi affrettai a rimettere il copione nella mia borsa.
“La ringrazio molto, signora, ma purtroppo si è fatto tardi e devo andare al lavoro. Mi dispiace averla disturbata”.
Sembrò sinceramente rammaricata. Ma si illuminò e mi diede un altro pizzico sulla guancia: “Allora ti lascerò dei biscotti per la merenda”, replicò in tono soave. A nulla valsero le mie remore perché sorrise di nuovo e la sentimmo ciabattare verso il piano terra, canticchiando tra sé e sé.
Mi rimisi la borsa a tracolla e il ragazzo mi osservò con le mani affondate nelle tasche. Sembrò studiarmi per qualche attimo in silenzio.
“Allora ci vediamo domani in Accademia”, gli sorrisi a mo’ di congedo.
“Aspetta”, mi trattenne gentilmente per il gomito e mi volsi in sua direzione seppur con espressione sorpresa.
“Devo darti una cosa”, si schermì con uno scrollo di spalle e aprì un’anta dell’armadio per porgermi un libro. “Scusa, non ho avuto il tempo di impacchettarlo, ma visto che sei qui puoi prenderlo”, commentò con uno scrollo di spalle.
Sgranai gli occhi con aria incredula. “Ma non dovevi, davvero. Io non ti ho preso nulla per Natale”, ammisi con lieve imbarazzo. Mentre per Sean, Amy e Luna mi era sembrato un gesto naturale e scontato, non potevo permettermi un simile pensiero per Tom. Non senza creare imbarazzi, a meno che non avessi fatto un regalo a tutti i ragazzi dell’Accademia che avevo conosciuto, Emma inclusa. Si strinse nelle spalle. “Consideralo un souvenir della nostra gita a Londra”, mormorò e mi porse il tomo che presi tra le mani.
Non potei fare a meno di sgranare gli occhi nel rimirare la copertina rilegata in blu su cui erano rappresentate una pipa, una lente d’ingrandimento e un cappello da caccia. “Lo so che nella versione originale non aveva quel cappello e fumava anche le sigarette”, mi fece presente, ricordando quanto gli avevo detto, mentre visitavamo il Museo dedicato a Conan Doyle. “Ma credo sia giusto che tu abbia la versione originale dei racconti”, soggiunse con un sorriso soddisfatto.
Lo sfogliai con occhi avidi, indugiando sulle fotografie dell’autore, sulle rappresentazioni iconiche dei personaggi principali e non potei fare a meno di guardarlo con sincera gratitudine ed emozione. "È bellissimo, non vedo l’ora di rileggerli tutti in lingua originale”.
Sorrise per risposta, inclinando il viso di un lato. “Sono contento che ti piaccia”.
“Davvero, non avresti dovuto”, aggiunsi con aria imbarazzata.
Alzò gli occhi al cielo. “Non fare la melodrammatica: l’ho visto, ti ho pensato e l’ho comprato. Niente di più”, sembrò voler chiarire, tornando ai suoi modi più bruschi.
Eppure, avevo la sensazione che fosse una montatura per proteggerci entrambi. “Grazie davvero”.
Sorrise con un guizzo più dolce nello sguardo, prima di stringersi nelle spalle. “Ti accompagno alla porta: sia mai che Mr Winston ti possa aggredire”.
Mi sentivo ancora frastornata quando uscii dalla casa dei signori Felton ma sfogliando il tomo, durante il tragitto in metro, non potei fare a meno di sorridere.
 
˜
 
Le decorazioni natalizie erano già state rimosse ma non mi dispiaceva: era come essere tornati ai miei primi giorni di lavoro. Al mio ingresso, i colleghi che erano impegnati nella pulizia della sala mi vennero incontro per chiedermi delle mie vacanze in Italia. Persino Rankin mi rivolse un breve cenno del mento e sembrò compiaciuto del fatto che fossi arrivata in anticipo. Avevo sperato di approfittarne per parlare con Amy o almeno per sondarne lo stato d’animo, seguendo il consiglio di Morgana. La sua espressione funerea, tuttavia, sembrava tutt’altro che incoraggiante.
“Ciao Amy”, la salutai dopo essermi avvicinata al bancone.
Mi rispose bofonchiando un mezzo saluto e alludendo al fatto che dovesse pulire la macchina del caffè. Immaginai che volesse evitare il più possibile il contatto visivo. Quindi, un po’ rassegnata, mi diressi verso il camerino per cambiarmi e indossare la divisa da lavoro.
 
“Posso aiutarti?”, le domandai nel prendere posto dietro al bancone.
“Sì, grazie: stacco cinque minuti prima”, mi sorrise ma prima che potessi aprire bocca, mi superò per andare a cambiarsi.
“Ciao Sarah, bentornata”, mi sorrise Neville nel porgermi un vassoio di scones appena sfornati affinché li mettessi nell’espositore. Ne ricambiai il saluto e lui mi fece cenno verso la nostra amica. “Non farci caso. È da stamani che è di umore nero e parla appena”, m’informò sottovoce e annuii con un sospiro.
La ragazza uscì dallo spogliatoio poco dopo, rivolgendo un saluto generale a tutti i colleghi e dirigendosi verso l’uscita. Guardai Susan con espressione di scuse: “Torno subito, ti dispiace?”.
Allungai il passo e la raggiunsi prima che potesse uscire. Stava armeggiando e imprecando mentre cercava evidentemente le chiavi dell’auto dentro la borsa.
“Come mai tanta fretta?”, le domandai in tono casuale e con un sorriso, cercando di non indurla a mettersi sulla difensiva e, al contempo, di capirne lo stato d’animo.
“Scusa, non ho tempo, devo correre a casa a studiare”, rispose in tono frettoloso.
“Perdonami se insisto”, mormorai, mettendomi di fronte a lei. “Ma stai bene?”.
Forse avevo osato troppo perché il suo volto s’irrigidì e compresi che sarebbe stato vano fingere che non sapessi nulla. Senza contare che non mi sembrava molto onesto. Mi affrettai a sollevare le mani e cercai di usare tutta la diplomazia di cui ero capace. “Non volevo dirtelo, ma ho incontrato Daniel in Accademia e abbiamo parlato”.
L’effetto del suo nome sembrò quello di una bomba. Gli occhi di Amy si erano ingranditi e aveva stretto i pugni lungo i fianchi, dimenticandosi persino delle chiavi. “Ah sì?”, mi domandò in tono freddo e distaccato. “E cosa ti avrebbe detto il tuo migliore amico?”, mi domandò in tono tagliente.
Perché non do mai ascolto a Morgana?
Mi morsi il labbro inferiore ma cercai di simulare tranquillità. “Non voglio forzarti a parlarne, mi dispiace. Era così avvilito che mi ha fatto pena e ho lasciato che si sfogasse”, mi affrettai a spiegare.  “Ma certo! Lui era avvilito!”, replicò lei a voce più alta. Una fortuna che stessimo discutendo nella nostra lingua madre, seppur i nostri colleghi più vicini ci gettassero qualche occhiata confusa e così anche i clienti che sembrarono captare il nervosismo. “Lasciami in pace, Sara, tanto lo so che ormai sei più amica sua che mia!”.
Sbattei le palpebre presa in contropiede. “Ma lo sai che non è vero!”. Ribattei con reale indignazione nella voce.
Mi fissò con aria sospettosa. “Dovrei saperlo? Magari ha scritto anche a te durante la partita! Ogni pretesto era buono pur di non parlare con me!”.
“Ma Amy…”.
“Basta!”, indietreggiò e senza volerlo sbatté contro Rankin che ci guardò con aria severa.
“State litigando?!”, domandò con quel suo tipico tono impettito e odioso. Pur non capendo nulla d’italiano doveva aver colto i toni accesi.
“Ma levati, stai sempre tra le palle!”, gli inveì contro, continuando a parlare nella nostra lingua madre. “Toglimi pure tutti i punti che vuoi, ma tu fatti gli affaracci tuoi una volta tanto!”. Non avevo dubbi che tutti, me compresa, le avrebbero fatto un applauso se la situazione non fosse stata tanto tesa (e se avessero capito qualcosa delle sue parole). Ad ogni modo l’espressione indignata e basita di Rankin era memorabile e avrei voluto immortalare il momento e ricordarlo per sempre.
Neppure attese una replica ma uscì dal pub di gran carriera. Sentii che il cicalare dei clienti si era interrotto e tutti ci guardavano con espressione incuriosita e perplessa.
Percy si volse in mia direzione, con espressione minacciosa: “Era un’offesa?!”, mi domandò.
Scossi il capo. “Un’esclamazione dialettale”, mentii con un sorriso affettato.
Strinse gli occhi in due fessure come se avesse intuito la verità: “Puoi starne certa che racconterò tutto a Madama Bumb e al Signor Riddle!”, mi minacciò e si allontanò con il mento sollevato e l’aria stizzita. Quasi preferivo Cornelius Felton e il suo fucile a pompa.
Mi strofinai una mano sul viso e rilasciai un sospiro pesante.
 
Decisamente non era il ritorno alla “normalità” che mi sarei aspettata dopo la pausa natalizia. Per tutta la durata del mio turno mi sentii sulle spine: avrei voluto poter avere il cellulare per chiamare Morgana e sentire una voce amica, ma almeno la clientela era un’ottima fonte di distrazione. La mia ansia aumentò quando arrivarono dapprima Madama Bumb e poi il Signor Riddle. Rankin mi rivolse un’occhiata baldanzosa prima di chiedere loro un colloquio privato nell’ufficio del nostro datore di lavoro.
“Non ti angosciare”, mi consolò Susan, stringendomi la spalla. “Al massimo vi sgrideranno e vi daranno qualche straordinario per punizione”.
Le sorrisi con aria di gratitudine ma mi riscossi quando vidi Luna entrare nel pub. Se solitamente sembrava camminare con la testa tra le nuvole e un sorriso mistico sulle labbra, quel giorno appariva visibilmente preoccupata e si avvicinò subito al bancone. Temetti che fosse accaduto qualcosa ad Amy. “Luna che succede?”, la incalzai subito.
“Per fortuna ti ho trovata!”, esclamò con voce affannata, portandosi una mano al petto. Riprese fiato, assunse uno sguardo trasognato e si raddrizzò con l’aria di chi stava per fare una grande rivelazione. “Sono venuta subito dopo aver controllato le carte e mi dispiace dirtelo, ma quest’oggi Marte gravita intorno al tuo segno: porterà discordia e guai[8]”, disse tutto di un fiato, prima di guardarmi più intensamente e ammonirmi con l’indice alzato. “Quindi evita i confronti e non agire d’impulso!”, mi intimò in tono quasi autoritario.
“Ah”, replicai io senza parole, sforzandomi di sorriderle. “Grazie tante, Luna”, mormorai dopo qualche istante d’imbarazzante silenzio. Meglio tralasciare il pensiero che mi avrebbe fatto comodo saperlo prima. “Non è che la prossima volta potresti mandarmi un messaggio per colazione?”.
La ragazza parve offesa dalla mia richiesta. “Io non amo la tecnologia”, commentò con lo stesso tono solenne. “Sono fermamente convinta che le onde elettromagnetiche possano influenzare i pianeti”.
Mi passai una mano sulla tempia, prevedendo l’arrivo di un’emicrania coi fiocchi. Il malessere esplose nettamente quando alle mie spalle sentii un clangore improvviso: Neville aveva appena fatto cadere un vassoio di paste. Contai mentalmente fino a tre e puntuale l’urlo di Riddle fece trasalire i presenti.
“Paciock!!!”.
“M-Mi scusi Signor Riddle”, balbettò quest’ultimo con le guance infiammate, mettendosi subito in ginocchio per riparare al danno.
“Le decurterò dal tuo stipendio! Di questo passo dovrai essere tu a pagare me per lavorare qui dentro!”. Soggiunse in tono freddo e con lo sguardo di fuoco, facendolo diventare di una tonalità accesa di bordeaux.
“Io devo andare”, balbettò Luna con voce più stridula del consueto. “Ricorda: evita le discussioni fino a questa sera! Anzi, fino a mezzanotte per sicurezza”.
“D’accordo”, risposi in tono distratto. La salutai senza neppure guardarla, mentre cercavo di aiutare Neville a pulire per terra. Riddle si avvicinò e rimirò le paste cadute con uno scuotimento del capo, prima di rivolgersi a Susan. “Non stia lì impalata! Aiuti Paciock e lei, invece, venga subito nel mio ufficio!”, m’intimò con aria stizzita.
Mi rimisi in piedi con le guance di un colore simile a quelle di Neville e il cuore in gola.
Almeno Luna non ha parlato di licenziamento.
Nell’ufficio trovai Madama Bumb con le mani sui fianchi e con gli occhi così iniettati di sangue da sembrare un rapace. Solitamente ci parlava in tono pragmatico: era una donna molto diretta e non particolarmente amante delle chiacchiere a vanvera, ma non avevo mai avuto problemi con lei. Fino a quel momento almeno.
“Si accomodi”, m’invitò Riddle, indicandomi la sedia. “Immagino che non ci sia bisogno che le spieghiamo il motivo per cui l’abbiamo convocata. Naturalmente domattina parleremo anche con la sua collega”. Mi fece presente in tono pacato ma freddo.
“Siete per caso impazzite?!”, lo interruppe Madama Bumb, in tono molto più animato. Non l’avevo mai vista così arrabbiata e mi sarei volentieri risparmiata quella situazione.
“Mi dispiace moltissimo”, mormorai con voce esitante, guardando dall’una all’altra. “Avete perfettamente ragione, non abbiamo giustificazioni”.
“Certo che abbiamo ragione!”, sbraitò di nuovo. “Discutere in quel modo davanti ai clienti! Con tutto quello che abbiamo fatto per voi, aiutandovi con la lingua, adattando i vostri turni agli altri impegni! È questa la serietà con cui ci ricambiate?!”.
Mi morsi il labbro inferiore. Non mi sentivo così mortificata dalle prime schermaglie con Tom, quando Lupin mi aveva guardato con simile delusione nello sguardo. Se soltanto avessi seguito il consiglio di Morgana, non potei fare a meno di rimproverarmi, avendo il terrore che potessero decidere di licenziarci entrambe.
“Non ho scusanti”, ripetei con voce tremula. “Posso solo promettere che la prossima volta-”.
“Se ci sarà una prossima volta!”, mi interruppe di nuovo Madama Bumb in tono ancora più stizzito. Riddle nel frattempo aveva preso posto alla sua postazione, dopo aver carezzato la teca di Nagini che sembrava infastidita dai toni burrascosi della donna.  Non aveva preso parola, ma avevo sentito il suo sguardo su di me per tutto il tempo. “Potrebbe lasciarci soli?”, le domandò in tono cortese e pacato nonostante la situazione spiacevole.
A lei sembrava dispiacere parecchio la prospettiva, ma mi rivolse un’ultima occhiata gelida. “Sono molto, molto delusa!”. Uscì dalla stanza e si chiuse bruscamente la porta alle spalle.
Non riuscii a rilassarmi, ma sollevai lo sguardo sul mio datore di lavoro. Ripensai brevemente a quegli ultimi mesi e a tutti i guai che avevo causato, compresa la distorsione alla caviglia. Non avrei potuto appellarmi a molto se mi avesse comunicato di essersi stancato di me e di tutti i guai che sembravano accompagnarmi.
“Per quale motivo stavate discutendo?”, mi chiese il Signor Riddle in tono composto. “Una di voi due ha dei problemi personali? Questioni di famiglia?”.
Quella domanda mi suscitò emozioni contrastanti: da un lato mi faceva sentire rincuorata dal fatto che, ancora una volta, desse prova di essere severo ma imparziale e persino solidale coi nostri vissuti personali. Dall’altra mi sentivo ulteriormente mortificata all’idea di spiegare il modo in cui era nata quella sciocca discussione.
“È stato uno stupido malinteso”, mi affrettai a spiegare perché non volevo che si preoccupasse eccessivamente, anche se questo ci avrebbe messo ulteriormente in cattiva luce. “Avevo l’impressione che Amy avesse bisogno del mio aiuto e ho insistito affinché mi dicesse cosa le stava succedendo, anziché concederle un po’ di spazio”, spiegai in tutta onestà.
Riddle mi guardò pensierosamente e assunse un’espressione severa. “Sono lieto che non sia qualcosa di grave, ma è stato molto inopportuno e per nulla professionale da parte vostra: i vostri problemi privati devono restare al di fuori di questo locale. Credo che siate abbastanza adulte da poterlo capire e sono certo di averlo ripetuto almeno un centinaio di volte da quando l’ho assunta”.
“Assolutamente”, replicai, guardandolo dritto negli occhi. “Vorrei solo ribadire che mi dispiace sinceramente e qualunque decisione prenda, l’accetterò. Ma la prego di non licenziare la mia amica. Sono stata io a esasperarla fino a farle perdere le staffe”.
Riddle mi guardò un lungo attimo, ma infine scosse il capo. “Dovrò togliere a entrambe cinquanta punti perché sia di monito a tutti, ma non intendo tollerare altri episodi simili: spero che questo sia chiaro”. Parlò con voce ancora gelida ma tutto sommato composta.
Mi sentii come se un grosso peso mi fosse stato tolto dal petto e gli sorrisi. “Non so davvero come ringraziarla”.
Riddle sollevò una mano come per interrompermi: non aveva mai amato appassionati ringraziamenti e lodi. “Un’ultima cosa”, mi invitò ad ascoltarlo. “Voler aiutare gli amici è lodevole, ma deve capire che in alcune circostanze la cosa migliore è farsi da parte e rendersi disponibili quando saranno pronti a chiederci aiuto”. Dal tono con cui lo disse, immaginai che parlasse per esperienza personale.  
Non potei che sospirare e annuire a quelle parole. “Farò tesoro del suo consiglio”, gli promisi.
Riddle annuì e fece breve cenno con il mento in direzione della porta. “Torni al lavoro”.
“Grazie ancora”, mormorai.
“Signorina?”, mi richiamò prima che aprissi l’uscio.
Mi volsi in sua direzione e la sua espressione sembrò meno rigida e severa. “Mi raccomando: la prossima volta che combinerete un guaio, perché sappiamo che accadrà, cercate di non farlo alla presenza di Rankin. Niente mi rovina la digestione quanto i suoi resoconti prolissi e petulanti”, disse con un sospiro, sollevando gli occhi al cielo.
Dovetti cercare di trattenere l’ilarità ma sorrisi un’ultima volta e annuii.
Mi chiusi la porta alle spalle ed ebbi l’impressione che tutti i miei colleghi si fermassero: Rankin aveva le braccia incrociate al petto e sembrava poco soddisfatto, Neville al contrario mi si avvicinò con espressione ansiosa. “Non vi ha licenziate, vero?”.
“No”, gli sorrisi e mi sentii scaldare il cuore per la sua reale preoccupazione.
“Al lavoro!”, abbaiò Madama Bumb. “Tornate subito al lavoro tutti e guai se vi sento fiatare!”. Mi riservò un’ultima occhiata astiosa, prima di dirigersi verso il tabellone a modificare i punteggi. Mi parve che lo facesse con enfasi eccessiva, in tutta onestà, ma ero tutt’altro che nella posizione di ribattere.
 
 
“Sei già stata strapazzata abbastanza per oggi, quindi non intendo infierire”, mormorò Morgana, di fronte alla toeletta. Si era già vestita per l’imminente appuntamento con Sean e si stava spalmando una base di fondotinta sul viso, prima di applicare il trucco. Riusciva a compiere quei gesti con una naturalezza e una fluidità che le invidiavo non poco e che mi facevano restare quasi incantata a osservarla.
“Ne avresti ogni diritto”, mormorai stancamente. “Ogni volta che non ti ascolto, combino un guaio”.
La mia amica sorrise non poco soddisfatta. “Dovrei regalarti un maglione con questa scritta”, scherzò, prima di voltarsi in mia direzione. “Non è stato il rientro spensierato che avevi sperato”.
“Decisamente no”, ammisi. “Ma sono felice di essere di nuovo qui: mi sento a casa”. Rivelai con un sorriso entusiasta.
“Anche io”, sorrise con la stessa gioia, prima di tornare a occuparsi del trucco. “E non preoccuparti per Amy”, soggiunse più dolcemente e ancora una volta parve avermi letto il pensiero. “Sono sicura che si farà viva prima di quanto tu pensi”.
“Le lascerò tutto il tempo di cui ha bisogno”, mi affrettai a promettere solennemente e Morgana ridacchiò per risposta.
“E come è andata a casa di Tom?”.
Nell’attesa, le raccontai delle nostre prove e non mancai di riferirle quegli aneddoti buffi sui suoi nonni ed io stessa mi ritrovai a ridere con leggerezza. Ne avevo davvero bisogno dopo quel pomeriggio.
“Magari hai avuto un’anteprima di come sarà Tom da vecchio: motivo in più per scappare”, commentò ironicamente, prima di guardarmi con il volto inclinato di un lato. “Ti ha fatto effetto stare da sola con lui?”.
Sapevo che era inutile mentire e non potei che annuire. Le raccontai anche del cadeau e vidi la sua espressione vacillare. Ammirò a sua volta il libro che era ricco d’illustrazioni, di foto d’epoca dell’autore e della Londra vittoriana. “Un regalo così azzeccato non può essere casuale”, convenne con un sospiro. “Devi stare attenta, Sara. Credo che quel ragazzo sia più confuso che mai”.
Non potei che assentire. “Io non ho cambiato decisione su di lui”.
“Lo so”, mi sorrise. “Ma sono le sue decisioni quelle che mi insospettiscono”.
Fummo interrotte dal suo cellulare che le notificava l’arrivo di Sean. La mia amica indossò il cappotto. “Che cosa farai stasera? Sei sicura di non voler venire con noi?”.
Scossi il capo. “Ho avuto abbastanza emozioni per oggi: credo che mi limiterò a una maratona di Downton Abbey prima di mettermi a dormire”.
“Allora ti lascio alla famiglia Crowley, a più tardi”.
 
˜
Il giorno dopo, in Accademia, feci tutto il possibile per evitare Daniel: avevo imparato la lezione e temuto seriamente di perdere il lavoro che mi era fondamentale per mantenermi in quei mesi a Glasgow. Nulla di quello che avrei potuto dirgli, avrebbe cambiato la decisione di Amy ed era giusto che si prendesse tutto il tempo per riflettere. Se non altro le prove mi tennero la mente occupata per tutta la mattinata, soprattutto alla luce dei nuovi cambiamenti introdotti da Lupin. Quest’ultimo si dimostrò molto soddisfatto della mia performance con Tom e non mancò di farci dei vivi complimenti, dovendo intervenire ben poco per correggerci o darci consigli tecnici sulla postura, sulle espressioni da adottare durante il dialogo e sull’adeguata dizione per ogni battuta.
Il ragazzo sembrò particolarmente compiaciuto e mio malgrado dovetti ammettere sportivamente che gran parte del merito era suo, ragion per cui io stessa gli feci discretamente i complimenti.
“Anche tu non sei stata male”, mi concesse con un breve ammiccamento, salvo poi osservarmi con il volto inclinato di un lato. Sembrò in procinto di volermi chiedere qualcosa, prima che Emma lo richiamasse. Ci voltammo in sua direzione: sorrideva e lo stava attendendo ai piedi del palco.
“Pronto per andare a pranzo?”, gli domandò prima di rivolgersi a me. “Ciao Sarah, ottimo lavoro oggi”.
“Ciao Emma”, ricambiai il saluto. “E grazie”.
“Ci vediamo”, commentò Tom.
Annuii, augurando loro buon appetito, prima di raccogliere le mie cose. Recuperai il cellulare e notai un messaggio da parte di Sean che mi avvertiva che mi aveva tenuto un posto in mensa. Sospirai ma decisi di declinare l’invito e approfittare del pomeriggio libero per la spesa e le faccende domestiche, prima del turno serale al pub.
 
Era stata una lunghissima giornata e avevo già pulito le tazze, sistemato le bottiglie dei liquori e strofinato il pavimento. Riddle si era già congedato da una ventina di minuti, ma Dean ed io non potevamo chiudere il locale a causa di una chiassosa comitiva di amici che aveva prenotato per cena. Avevano già consumato il dessert e il caffè ma sembravano così spensierati e allegri da aver smarrito la cognizione del tempo.  Nel frattempo, c’eravamo dati il cambio al bancone e avevamo pulito le altre stanze. Non restava che attendere che i ragazzi se ne andassero, ma non sembravano avere alcuna fretta e non potei che invidiare la loro serenità[9].
Avevo saputo da Neville che questa mattina Amy era stata convocata nell’ufficio di Riddle per un colloquio privato con lui e con Madama Bumb, ma a parte questo era stata una giornata tranquilla. Era apparsa più taciturna del solito ma molto più calma di ieri. Gli aveva persino chiesto di me. Ero stata tentata di prendere l’iniziativa e scriverle durante la mia pausa, ma mi trattenni, memore della mia ultima conversazione con Morgana.
Repressi uno sbadiglio e Dean mi sorrise con aria solidale. “Non capita spesso che vengano durante la settimana, per fortuna”, convenne con un lieve arricciare del naso.
“Al loro posto faremmo lo stesso, se non fossimo dei camerieri”, convenni con un sorriso.
“Intanto butto la spazzatura, così ci portiamo avanti”, mi disse Dean. “Chiamami se si decidono ad andare via, anche se ne dubito”. Sospirò nel sentirli ridere chiassosamente.
Annuii e lo seguii con lo sguardo, appoggiandomi al bancone. Ero quasi tentata di prepararmi un caffè per non lasciarmi cogliere dal sonno, ma mi riscossi quando la porta si aprì e fu con autentica sorpresa che scorsi Amy. Appariva più tesa del solito e aveva le guance arrossate per il freddo, nonostante fosse imbacuccata con tanto di cappotto, sciarpa, guanti e cappello.
“Ciao”, mi salutò, dopo aver chiuso la porta.
“Ciao”, mormorai per risposta, sentendomi come un’idiota perché non sapevo neanche come comportarmi e finii per insinuare le mani nelle tasche dei pantaloni. Fortunatamente in quel periodo dell’anno Riddle ci consentiva di abbandonare la gonna della divisa.
“Mi prepareresti una tazza di the per favore?”, mi domandò.
“Subito”, mormorai per risposta, preparando il necessario.
Lei prese posto sullo sgabello di fronte al bancone e apparve pensierosa. Evidentemente il suo arrivo doveva aver attirato anche l’attenzione dei ragazzi che sembrarono rendersi conto solo in quel momento di aver occupato la stanza oltre la loro consumazione. Se non altro si congedarono con delle scuse, una mancia generosa e con grandi sorrisi. Li salutai e li seguii con lo sguardo.
“Alleluia!”, commentò Dean con un sorriso, per poi guardarci entrambe. “Vado a sparecchiare io”, si premunì di aggiungere.
“Grazie, ti devo un grande favore”, ribattei per risposta, mentre Amy mi porgeva la sua tazza.
Le sorrisi e cominciai a sciacquarla, cercando un qualsiasi espediente per rompere il ghiaccio, ma fu lei a recuperare le parole e a parlare con la sua tipica schiettezza.
“Volevo chiederti scusa per ieri”, esordì a voce bassa.
Le sorrisi ma scossi il capo e le risposi in italiano. “Non c’è bisogno, davvero”, sollevai le mani. “Dovrei scusarmi io per essermi messa nel mezzo: avevo buone intenzioni ma avrei dovuto darti il tempo di elaborare e di parlarmene quando e se lo avessi voluto”, mormorai sinceramente, guardandola negli occhi. “Voglio che sia chiaro: Daniel e io siamo amici, è vero, ma noi lo siamo da prima, quindi se ti dà fastidio-”.
Scosse il capo e mi interruppe. “Non voglio che tu e Daniel smettiate di essere amici a causa mia”, si affrettò a dire. “Non hai nessuna responsabilità per quello che è successo, ma ieri ero particolarmente suscettibile e in quei momenti non voglio sentirmi sotto pressione”.
Annuii con fervore. “Avrei dovuto capirlo, ma non si ripeterà”, promisi con un sorriso.
“Allora tutto a posto tra noi?”, mi domandò a mo’ di conferma.
“Assolutamente sì”.
Un sorriso più caloroso le curvò le labbra e lo sguardo guizzò più allegramente. “Dio, quanto siamo state stupide!”, commentò. “Ti sei beccata anche tu il cazziatone della Bumb?”.
“Non me ne parlare!”, mormorai, passandomi una mano sul viso prima di ridere al ricordo del suo sguardo assassino. “Non l’ho mai vista così nera. Pensavo ci avrebbe licenziato. Oggi mi ha guardato male per tutto il tempo, neanche ci fossimo tirate addosso tazze o bicchieri!”. Commentai con uno scuotimento del capo e lei rise all’idea.
“Anche io ho temuto che ci facessero fuori”, ammise con un sospiro, guardandosi attorno. Sembrò farlo con una luce dolce nello sguardo, come se quel luogo anche per lei rappresentasse un rifugio, una casa e un posto che era divenuto parte di sé. “Anche se non voglio restare qui dentro per sempre, con tutto rispetto parlando, non avrei voluto andarmene per una cavolata del genere”
“Infatti”, convenni con un sorriso. “Senza contare la faccia compiaciuta di Percy”, soggiunsi più stizzita.
A quel nome si rabbuiò ulteriormente. “Lo sapevo che era stato lui a riferire tutto!”, borbottò.
Le raccontai del mio breve colloquio privato con Riddle e di come avesse parlato di Rankin e rise a sua volta. “Allora la prossima volta che dobbiamo litigare ci metteremo d’accordo per farlo fuori di qui”, concluse con una nota di leggerezza a cui mi unii volentieri.
Dopodiché le raccontai brevemente del mio rientro dalle vacanze e anche delle modifiche apportate da Lupin e della visita dai nonni di Tom. Aneddoti buffi che trovò particolarmente esilaranti e che riuscirono a strapparle qualche risata. Non mi ero neppure accorta del tempo passato, mentre aiutavo Dean a finire di pulire per poter finalmente chiudere il locale. Amy ci fece compagnia e si offrì di accompagnarmi di persona a casa.
 
La invitai a salire nel nostro appartamento per rilassarsi un po’, prima di rimettersi alla guida.
“Vuoi qualcosa da mangiare?”, le proposi e lei scosse il capo, sedendosi sul divano con lo sguardo perso nel vuoto.
“Ho deciso di lasciare Daniel”, mi rivelò dopo qualche istante. La voce era pacata e il tono fermo, ma lo sguardo ne tradiva l’amarezza e la tristezza.
Sospirai e presi posto al suo fianco, guardandola attentamente, ma lasciai che potesse spiegarsi coi suoi tempi e senza farla sentire sotto pressione.
“Sai che tra noi c’erano già dei problemi”, commentò e non potei che annuire.
“Ti conosco abbastanza da sapere che non sei il tipo che prende decisioni affrettate”, mormorai e le strinsi il braccio in segno di silenzioso conforto. “Mi dispiace che non sia andata come speravi”.
“Anche a me”, ammise con un sospiro. “Ma dopo tutto quello che ho passato, ho bene in chiaro ciò che è giusto per me e per quanto Daniel sia una bellissima persona, tra noi c’è un divario troppo grande. Non è una questione d’età, anche se è un rischio possibile”, convenne tra sé e sé. Si prese qualche istante per radunare le idee e io la lasciai fare, per non metterle pressione addosso ma farle sapere che sarei stata al suo fianco se ne avesse avuto bisogno. Quando parlò nuovamente mi colpì per la sua razionalità e la sua lucidità.
“Non volevo dargli importanza all’inizio ma più passava il tempo e più era evidente: siamo persone con trascorsi diversi e in diverse fasi della nostra vita. Io ho bisogno di qualcuno che mi dia attenzioni, che non smetta di corteggiarmi e, soprattutto, che si diverta con me e che perdi la cognizione del tempo e del mondo esterno quando siamo insieme”, mi spiegò in tono fermo.
Una delle prime cose che mi aveva colpito di Amy era stato il racconto del suo doloroso passato. In quel momento mi appariva evidente che non solo aveva condizionato le sue relazioni successive, ma che l’aveva resa molto più consapevole di ciò di cui aveva bisogno e del tipo di persone di cui voleva circondarsi e del tipo di uomo da cui si sarebbe lasciata amare.
“Non dovresti accontentarti di nulla di meno”, assentii con altrettanta convinzione. “Ne hai già parlato con lui?”.
Scosse il capo. “Lo farò domani: ho il turno di mattina e ci vedremo da me dopo le sue lezioni”.
Le strinsi la mano. “Sappi che se avessi bisogno di me per qualunque cosa e in qualunque momento-”.
Annuì e mi sorrise per risposta. “Lo so”. Si passò una mano tra i capelli e mi sorrise con aria più sbarazzina. Comprensibilmente non voleva indugiare in quei pensieri troppo amari e troppo a lungo, soprattutto non prima di aver comunicato tale decisione al ragazzo. “Ma ora basta parlarne, ci guardiamo una puntata di Lucifer?”.
“Assolutamente sì”.
 
“Me la togli una curiosità? Se non ti va di parlarne fa lo stesso”, le chiesi dopo aver guardato in silenzio un paio di episodi, interrotti soltanto dai momenti in cui avevo dovuto mettere pausa per dare sfogo alle nostre risate. Al suo cenno di assenso, inclinai il viso di un lato e la guardai. “Chi era quel tizio palestrato e pompato di steroidi, citando Daniel, con cui ti sei seduta alla partita?”.
“Ha detto davvero così?”, mi domandò vagamente divertita, salvo poi stringersi nelle spalle. “Ti ricordi quel tizio bulgaro che mi segue su Instagram e che mette sempre like ai miei disegni?”.
“No!”, esclamai con voce incredula per quella fortuita coincidenza. “Credevo che vivesse in Bulgaria”.
Scosse il capo. “Sono andata a controllare il suo profilo, lavora qui ma è anche lui appassionato di rugby ed è andato alla partita con gli amici”.
Mi spiegò che entrambi avevano postato una fotografia della partita e quindi era stato evidente che si trovassero nello stesso luogo e persino nello stesso settore degli spalti. 
“Sembra quasi destino”, convenni con aria incredula di fronte a quella coincidenza.
A quel commento sbuffò e scosse il capo. “Non cominciare anche tu per favore!”, commentò stancamente. “Ne ho abbastanza di Luna e delle sue profezie su Saturno e sui suoi anelli della malora. Non voleva neppure che andassi alla partita!”, borbottò per poi scuotere il capo. “Comunque adesso lo seguo anche io e ci scambiamo qualche like”, commentò con uno scrollo di spalle. “Mi ha scritto un messaggio privato, ma non so ancora se ho voglia di rispondergli”, concluse in tono distratto.
Alle mie sopracciglia inarcate, sollevò le mani. “Non farò nulla di impulsivo”, promise.
“D’accordo”, mormorai in tono più tranquillo. Misi nuovamente play e finimmo di goderci l’episodio corrente.
 
~
 
Quando incontrai Daniel nei corridoi dell’Accademia, la settimana successiva, non potei fare a meno di avvicinarmi, approfittando del fatto che, diversamente dal solito, fosse da solo. Gli sorrisi e lui ricambiò il gesto seppur con sguardo più amareggiato.
“Immagino che tu abbia saputo”, mormorò, senza fare alcun riferimento esplicito.
Annuii. “Mi dispiace molto per entrambi”, risposi in tutta sincerità. “E so che in questo momento non ci sono parole sufficienti per farti stare meglio”.
“È giusto così”, convenne con uno scrollo di spalle, quasi a voler schermirsi e trarsi di impaccio. “Mi dispiace di averla fatta soffrire”, mi confessò. Sembrava che quello fosse il particolare che lo rendeva più amareggiato, a prescindere dai propri sentimenti.
“Lo so”, mormorai per risposta. “E lo sa anche lei, te lo assicuro”, commentai più delicatamente, seppur ciò potesse essergli di magra consolazione in quel momento.
Daniel assentì, seppur con un sospiro pesante. “Ti capirei se ti sentissi a disagio a parlare con me”.
Scossi il capo. “Resto sempre tua amica e sono sicura che entrambi troverete la vostra strada e non rimpiangerete di averne percorso un tratto insieme, ma capirete che era giusto così”, mormorai.
Lui ricambiò il sorriso nonostante tutto. “Grazie Sarah. Stalle vicino, mi raccomando”.
Annuii con fervore e lo abbracciai brevemente. “Lo farò, ma tu prenditi cura di te, d’accordo?”. Lo seguii con lo sguardo mentre raggiungeva Rupert e si avviavano insieme verso una delle aule di lezione.
“Gran bel quadretto”, commentò Tom alle mie spalle e mi volsi in sua direzione, notandone il sorrisetto strafottente.
Non potei fare a meno di chiedermi da quanto tempo si trovasse alle mie spalle e quanto avesse compreso della situazione.
“Guai in Paradiso?”, domandò con un cenno del mento in direzione di Daniel.
Sospirai. “Te lo chiedo come favore personale: non dargli fastidio per un po’. Pensi di riuscirci?”.
Tom parve vagamente sorpreso da quella richiesta e schioccò la lingua sul palato, prima di stringersi nelle spalle. “A differenza di quanto tu possa immaginare, la mia vita non ruota intorno a Radcliffe”, mi fece presente in tono ironico. “Lupin ci aspetta”.
Annuii e ci incamminammo insieme.
“Parlavi per esperienza poco prima?”, mi domandò in tono pensieroso.
Inarcai le sopracciglia cercando di capire che cosa avesse sentito della nostra conversazione.
“Immagino che tu sia convinta che anche la fine della tua storia sia stata la cosa migliore per entrambi”, mi domandò più intensamente.
Sospirai e mi sentii stanca all’idea di dover continuare a “interpretare” quella bugia ma annuii soltanto. Non ero dell’umore neppure per fingere di voler parlare della mia immaginaria love-story. 
“Capisco”, replicò Tom in tono asciutto per poi sfiorarmi appena il braccio. Mio malgrado non riuscii a ignorare quel brivido lungo la spina dorsale. Inclinò il viso di un lato e mi sorrise con aria più sbarazzina: “Pronta per le prove?”.
Ne ricambiai il sorriso. “Andiamo”.
 
 
Sorseggiai la tisana, continuando a guardare fuori dalla finestra: il cielo stellato, la luna piena, auto che percorrevano i due sensi della carreggiata, coppie che passeggiavano e persone che portavano a spasso il loro cane. Avevo abbandonato il mio libro per quella sera poiché non riuscivo a restare concentrata sui personaggi e sull’intrigo. Mi riscossi quando sentii bussare alla porta.
“Hai del dentifricio da prestarmi?”, mi domandò Morgana con un sorriso. Quella sera non era uscita, ma era già in tenuta notturna e i capelli legati in una treccia.
Mi riscossi e cercai il beauty case dentro l’armadio per poi porgerle una confezione nuova.
“Tutto bene?”, mi domandò con le sopracciglia inarcate. “Stasera sei stata molto silenziosa”.
Sorrisi e mi strinsi nelle spalle. “Continuo a pensare ad Amy e a Daniel”, le confessai, sedendomi sul mio letto.
Si sedette al mio fianco e mi sorrise. “Hai fatto di tutto per aiutarli a mettersi insieme, ti sentirai un po’ delusa”, mormorò in tono gentile e senza alcuna traccia di giudizio o d’ironia.
“Non è questo”, risposi con uno scuotimento del capo. Mi presi qualche attimo per cercare di dare forma ai miei pensieri per esprimerli nel modo più chiaro possibile. “Credo che uno dei motivi per cui ci siamo subito trovate bene insieme, sia stato perché in alcuni aspetti siamo molto simili: entrambe con la testa tra le nuvole e innamorate dell’amore”, convenni con un sorriso.
Morgana annuì più che concorde. “A volte le persone legano perché sono simili, altre volte perché l’una completa l’altra”, convenne con un sorriso, alludendo alle differenze tra di noi.
Sorrisi, ma mi feci nuovamente pensierosa. “Ha sognato di stare con Daniel per tanto tempo e adesso il suo sogno si è infranto. Comincio a domandarmi se io stessa non stia perdendo tempo con sogni irrealizzabili”.
Lei inarcò le sopracciglia. “Parli di Matteo, di Tom o del Principe misterioso?”.
Mi strinsi nelle spalle. “Non lo so. Forse di tutti loro o forse di nessuno dei tre”, rivelai stancamente.
“Molto chiaro”, commentò l’altra con un sorriso indulgente. “Non c’è nulla di male nel sognare, lo sai. I sogni ci aiutano a rendere il presente più sopportabile, ma forse dovremmo imparare a farlo con cautela: tenere la testa tra le nuvole ma almeno un piede saldo a terra”.
Sospirai con espressione più dubbiosa. “Un sogno che si infrange era un errore fin dall’inizio? O siamo noi ad arrenderci prima di vederlo realizzarsi?”.
La mia amica non sembrava avere la risposta pronta a quella domanda, ma mi strinse la spalla. “Per come la vedo io, anche le esperienze apparentemente negative sono importanti. Ognuno di noi deve trovare la sua strada e la persona giusta da avere al proprio fianco. A volte sono proprio le deviazioni sbagliate a condurci nella giusta destinazione”.
Sorrisi. “Mi piace quest’idea”.
“E, come dice Luna, il destino non è scolpito nelle pietre. Non ha senso lambiccarsi troppo sul futuro: prendiamo le decisioni che sono giuste in quel momento della nostra vita. L’importante è non smettere di provare per timore di soffrire o di sbagliare”.
Annuii e mi sentii più tranquilla. Sapevo di dover lavorare molto su me stessa e, come mi aveva suggerito, non dovevo rinunciare ai miei sogni, ma imparare a non perdere di vista i miei obiettivi e le certezze concrete del mio quotidiano. “Grazie”, mormorai.
“Comunque so come tirarti su di morale”, commentò e mi porse il suo cellulare. “Bradley ha postato una nuovo foto su Instagram”.
A quel nome non potei fare a meno di sentire un guizzo all’altezza del petto e la osservai con un misto di trepidazione e di timore insieme. “Forse non dovrei”.
“Stai per vedere una sua foto, non per scegliere un abito da sposa”, commentò ironicamente.
“Lo so, ma incontrarlo è stato così magico che ho paura di guastare tutto e di scoprire che sia stata l’ennesima illusione”. Confessai con le guance arrossate.
“Per questo stavi rileggendo il suo bigliettino?”, mi provocò con un sorrisetto saputo ed io arrossii. Avevo conservato dei petali della rosa tra le pagine della mia agenda e quella sera stessa avevo riletto quel bigliettino, carezzandone le parole e cercandone un profumo, un segno tangibile. Avevo però maldestramente dimenticato di riporlo al sicuro. E non in bella vista.
“Forse”, le concessi, ma le presi di mano il telefono e osservai il suo viso sorridente sul display. E sorrisi di riflesso. Socchiusi gli occhi e provai a immaginarmelo nuovamente di fronte, il gesto con cui mi aveva baciato il palmo della mano e le parole che aveva pronunciato quella sera, lo scintillio nello sguardo nel chiamarmi “Milady” e quel sorriso tanto affascinante che mi faceva sciogliere al solo ricordo.  Non potei fare a meno di chiedermi, ancora una volta, che cosa sarebbe accaduto se non fossimo stati interrotti e non me ne fossi andata con l’umore incupito a causa di Tom.
“Sembrereste Ken e Barbie, lo sai?”, mi fece presente Morgana con un sorrisetto dispettoso.
“Ma smettila”, la rimproverai fintamente offesa. Le diedi una cuscinata e mi coprii il viso, ridendo, quando cercò di fare altrettanto.
Quando mi stesi sotto le coperte, un’ora dopo, sorrisi in direzione del soffitto. La mia amica aveva ragione: non aveva senso tormentarsi con mille domande e ipotesi sul futuro, ma si poteva soltanto cercare di vivere alla giornata e, inconsapevolmente, muovere un passo dietro l’altro verso il nostro destino.
 
 
To be continued…
 
Ironia del destino: nel capitolo si descrive il ritorno di Sara dopo le vacanze di Natale e questo capitolo viene postato dopo quelle di Pasqua. Spero che tutti voi abbiate passato dei bei momenti.
Chiedo venia per il tempo che lascio passare tra un capitolo e l’altro ma dovete tener conto che sto riscrivendo praticamente ex novo. Sicuramente la storia avrà più capitoli della versione originale e purtroppo il tempo a disposizione è sempre meno, ma non ho intenzione di lasciare nulla di incompiuto! Soprattutto con tante idee già da parte e molte delle quali già discusse e proposte da Evil Queen che ringrazio ancora una volta. Credetemi, sono impaziente anche io di descrivere alcuni momenti, ma non farò spoiler :D
Al prossimo capitolo,
Kiki87

 

 
 
 
 
[1] Come sempre ho optato per una traduzione “a senso” più che letterale. Qui potete ascoltare il brano. 
[2] Ovviamente  questo incontro è stato inventato per i fini della trama :D
[3] Ci tengo a precisare che tutto ciò che leggerete sulla famiglia Felton e, soprattutto, i nomi e la personalità dei nonni sono esclusivamente frutto della mia fantasia :D
[4] Si riferisce all’episodio della conversione di San Paolo, avvenuta per l’appunto sulla strada verso Damasco. Nella mia interpretazione, la signora Felton è di professione Cattolica. I Protestanti, infatti, non venerano né Maria né i Santi.
[5] Compagna per molti anni e, nell’ultimo giorno di vita, moglie di Adolf Hitler.
[6] Il cane prende nome da Wiston Churchill, I° Ministro inglese dal 1940 al 1945. “Sir” è un titolo onorifico concesso dalla Regina per particolari meriti. Nella fattispecie “il merito” del cane sarebbe quello di appartenere al Signor Felton.
[7] Scusate ma non ho potuto resistere! Visto lo stato attuale dei suoi capelli, chissà se Tom è così contento dei trattamenti a cui si è sottoposto per interpretare Draco :D
[8] Ovviamente queste “previsioni” sono frutto della mia fantasia. Se non erro comunque c’è la convinzione, in astrologia, che il pianeta Marte (che fa riferimento al dio della guerra nella mitologia greca) sia simbolo di aggressività.
[9] :D queste righe vogliono essere un mio contrappasso per la povera cameriera che ha dovuto attendere che io e la mia comitiva lasciassimo il ristorante ormai vuoto a eccezione di noi :D 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


11


 
Mi sento come se non ti conoscessi più,
mi sono bruciata e sbagliata
così tante volte.
Camminiamo in cerchio
il cieco che guida il cieco.
In qualche modo ci siamo disconnessi.
 
Ci siamo appoggiati l'uno all'altra
così forte,
legati così strettamente da ritrovarci
a miglia di distanza.
 
C'è un muro invisibile tra di noi,
ma mi sono sbagliata
e sono stata delusa troppe volte.
 
Vedo il panorama cambiare
davanti ai miei occhi […]
No, niente sembra più come prima.
Non so dove e cosa cercare.[1]
[Disconnected – Keane]
 
Immagino che molti di voi sospetteranno che io mi sia completamente dimenticata di questo blog. Non che io abbia la presunzione di credere che sia letto da qualcuno al di fuori delle mie amiche e di mia sorella (ma su quest’ultima ho dei legittimi dubbi). Dovrei smetterla con questa specie di prologo e venire al sodo e approfittare dell’attesa del fattorino di Just Eat per raccontarvi qualcosa.
Non oso neppure controllare quando è stato l’ultimo aggiornamento ma, come potrete immaginare, le mie giornate sono molto piene e, in tutta onestà, nei momenti di pausa trovo molto più seducente affondare sul divano con il collegamento a Netflix o uscire con gli amici. Sto divagando come sempre. Il punto è che mi dispiace di questa lunga assenza. Non posso promettere che i prossimi interventi saranno più regolari, ma almeno di quando in quando avrete l’ulteriore conferma che questo blog non è stato del tutto abbandonato.
 
Il mese di Gennaio, dopo il ritorno a Glasgow, è letteralmente volato, nonostante la sua proverbiale lunghezza. Le prove in Accademia proseguono a ritmo serrato e mi dispiace dire che il Professor Lupin sta tornando alle malsane abitudini di lavorare fino a tardi. Ben presto le occhiaie sono tornate sul suo viso e i capelli sono sempre più striati di grigio, seppur non sembri affatto crucciarsene. Il Preside in persona spesso lo sgrida in modo bonario o ci “caccia” dall’auditorium, così da consentirgli di tornare a casa dalla moglie, facendoci terminare le prove anche prima del dovuto.
Chi appare sempre in ottima forma e smagliante, invece, è il signor Allock le cui prove di ballo sono sempre più impegnative ma posso affermare, con una certa soddisfazione, di non esser mai stata così in forma in vita mia. Se si escludono gli anni precedenti alla pubertà ovviamente.
 
Dopo il rocambolesco ritorno al pub, per fortuna, non ci sono stati altri episodi eclatanti e Madama Bumb è tornata ai suoi consueti modi pragmatici e bruschi. In verità non è mai stata particolarmente affabile, ma almeno ha smesso di trucidarmi con lo sguardo, ragion per cui posso ritenermi più che soddisfatta. Ho persino avuto un piccolo “assaggio” di promozione: il nostro personale è attualmente un po’ ridotto a causa delle influenze e lei mi ha chiesto, con il benestare del nostro principale, di servire ai tavoli nel salone, quando il locale è particolarmente affollato. Devo ammettere che, sebbene sia più faticoso del servire i clienti al bancone, non mi sia affatto dispiaciuto lavorare con i colleghi più “veterani”. Amy e io sfruttiamo quel tempo in più per chiacchierare tra noi o scambiarci aneddoti sui clienti più esigenti. In quelle occasioni Neville mi ha sostituita come barista e, complice l’assenza del Signor Riddle nei paraggi, se l’è cavata egregiamente. Dopotutto è difficile resistere al suo viso bonario, alla sua naturale dolcezza ed è riuscito a riscuotere le simpatie dei clienti fin da subito. Gli ho chiesto scherzosamente se rischiassi che mi rubasse il posto, ma ha confermato che è la pasticceria la sua vera passione e mi ha mostrato i libri che sta studiando nel tempo libero. La scorsa settimana ci ha persino portato un assaggio di una torta al cioccolato: seppur la Signora Sprite, sua insegnante e capo pasticcere del pub, abbia notato qualche difetto nella ganache
[2], è rimasta molto colpita. Non mi sorprenderei se, tra qualche anno, avendo alle spalle più studio ed esperienza, aprisse una propria pasticceria.
 
Mancano dieci giorni a San Valentino. Non è mai stata una ricorrenza a cui abbia prestato particolare attenzione. Per ovvi motivi. Anche se non trovo assolutamente nulla di male o riprovevole nelle coppie che lo festeggiano, quest’anno provo qualcosa di simile a una tiepida indifferenza. Persino i miei sogni con il Principe si sono fatti più radi o al mattino fatico a ricordare le parole pronunciate o l’ambientazione. Forse anche per questo non riesco a proseguire la lettura delle sventure di Alexander e Tatiana sullo sfondo della Seconda guerra mondiale
[3]. Il pensiero che quel libro abbia un seguito mi getta nello sconforto. Qualche anno fa probabilmente lo avrei letto molto più speditamente, ma in questo periodo i romanzi d’amore sono entusiasmanti quanto osservare Rankin mentre cerca di lucidare i quadri appesi alle pareti del pub. Non sto scherzando: lo fa spesso nella speranza di essere notato dal nostro datore di lavoro e ricevere qualche gratificazione o elogio speciale. Invano fortunatamente.


La mia scrittura del post si interruppe e rimasi a osservare il cursore che lampeggiava sul riquadro del blog dedicato alla stesura dei commenti. Vi era un tarlo fisso nei miei pensieri, in quest’ultimo periodo, che non mi sentivo di condividere su quelle pagine. Non fino a quando non avessi fatto maggiore chiarezza interiore.
Stavo forse cominciando a diventare disillusa nei confronti dell’amore? O forse cominciava l’inevitabile deterioramento della componente romantica della mia personalità, dirottando verso il realismo o cominciando a diventare cinica?
Scossi il capo tra me e me, convenendo che non fosse il caso di lasciarsi cogliere da riflessioni di quella portata. Forse si trattava semplicemente della stanchezza fisica e psicologica accumulata, oltre alla fisiologica sindrome premestruale.
Un’altra persona che, involontariamente, mi era fonte di simili pensieri era la mia amica Amy. Nonostante la sua decisione di porre fine alla sua storia con Daniel fosse stata ben ponderata e non se ne fosse affatto pentita, avevo l’impressione che quel fallimento avesse intaccato ulteriormente le sue idee sulle relazioni. Circa due settimane dopo la rottura, ci ha sorpreso tutti: è entrata nel pub con i capelli tagliati ma un sorriso piuttosto soddisfatto e compiaciuto di se stessa.
Morgana ritiene che sia importante concedersi qualche cambiamento perché ciò darebbe nuova energia e vitalità ed è importante non stagnare nello status quo ma concedersi qualche vezzo per sentirsi nuovamente padroni della propria vita. Immaginavo che simbolicamente quel nuovo taglio rappresentasse uno sprono interiore ad andare avanti con più coraggio e determinazione. Dopo i primi istanti di shock, non avevo potuto che sorriderle e complimentarmi per quel nuovo look che ne metteva in risalto lo sguardo e i lineamenti. Mi confessò di essersi ispirata ad alcune fotografie dell’attrice Alyssa Milano[4]
Come avevo presto scoperto, tuttavia, il cambiamento che stava avvenendo in lei non era esclusivamente estetico: aveva continuato a messaggiare con il ragazzo bulgaro, Stan Krum, con il quale aveva sperato di poter lasciarsi definitivamente alle spalle la delusione per la storia con Daniel. Seppur non lo dicesse apertamente, pensavo che nutrisse delle buone aspettative, dal momento che si conoscevano già abbastanza. Superfluo dire che avevo strategicamente evitato il mio amico in Accademia. A quanto sapevo, lui e Amy si erano risentiti perché le aveva chiesto se le dispiacesse l’idea che continuasse a frequentare il pub ma la mia amica era stata molto diplomatica, seppur ovviamente gli avesse chiesto di evitare quel luogo per appuntamenti romantici. Almeno per quella prima fase del loro nuovo assestamento. Da parte mia, seppur approvassi questo accordo, non sarei riuscita a guardare Daniel negli occhi se le cose tra lei e Krum fossero andate bene, visto il suo ruolo in quella disastrosa trasferta.
Le mie preoccupazioni erano state vane, tuttavia. Il ricordo di quella sera mi strappò una risata.
 
Quel Sabato sera il locale era piuttosto affollato. Nella saletta privata, infatti, avevamo dovuto accostare diversi tavoli per delle prenotazioni: due feste di compleanno. I miei colleghi che servivano ai tavoli sembravano piuttosto frustrati: a causa del chiasso facevano fatica persino a raccogliere le comande o a comunicare i piatti speciali del giorno. Il tutto era ancora più sgradito per le battute di dubbio gusto comico di alcuni degli avventori o l’impazienza di altri che continuavano a chiedere quando la loro pizza sarebbe stata pronta.
Non avevo potuto che sentirmi sollevata nel ricoprire il mio ruolo dietro al bancone, dal momento che di fronte a me le cose erano decisamente meno movimentate.
Stava tutto procedendo normalmente fino a quando non mi si era avvicinato Neville con il cordless del pub. “Sarah, è Amy al telefono: è agitatissima e vuole parlare con te”, mi informò con espressione confusa e non poco preoccupata.
Inarcai le sopracciglia, domandandomi cosa fosse mai accaduto perché mi cercasse mentre ero in servizio. “Grazie Neville”. Avevo lasciato l’intera postazione a Seamus e mi ero spostata in un angolo più appartato per poterne sentire la voce. “Eccomi”, mi annunciai. “Tutto bene?”.
“Devi chiamarmi subito!”, rispose in tono agitato. Faticai a sentirla perché lei stava parlando a voce molto bassa.
“Cosa?”, domandai ancora più perplessa.
“Ti prego!”, mi supplicò. “Sono disperata! Preferisco lavare i piatti o sopportare Rankin: se resto altri cinque minuti con quel deficiente mi metto a urlare!”.
Cercai di non ridere. “E’ così terribile?”.
“Se lo dici a Daniel ti ammazzo, ma non aveva tutti i torti”, mi confessò in tono frustrato e polemico. “Non fa che parlare di palestra, si gasa di continuo sul suo programma di allenamento e mi ha fatto una ramanzina sulle bevande energetiche e altre cazzate del genere!”.
“Oddio che noia”, convenni con aria solidale.
“Mi sono talmente rotta che dopo dieci minuti mi sono messa a guardare i social”.
“Ma Amy!”, la rimproverai con aria incredula, ricordando come avesse accusato lo stesso Daniel di simile disattenzione.
“E non hai sentito ancora il peggio! Ho trovato un post su Joffrey e l’ho insultato a voce alta”.
“Non dirmi che è un suo fan”, commentai con una smorfia. Seppur non seguissi il Trono di Spade, conoscevo di “fama” la perfidia e la pazzia di quel personaggio nonché i tratti somatici dell’attore che lo interpretava.
“Peggio ancora!”, replicò e sembrò esitare prima di rivelarmi il dettaglio più scottante. “Pensava che stessi imprecando contro il mio ex!”.
Questa volta non fui in grado di trattenere l’ilarità. “Non posso crederci”, riuscii ad articolare dopo un paio di minuti nei quali avevo dovuto tapparmi la bocca per non ridere in modo sguaiato.
“Hai capito cosa sto passando?!”, mi interruppe in tono disperato. “Io torno di là, aspetta due minuti e chiamami: ti prego!”.
“D’accordo, d’accordo”.
Così feci e giunse al pub dopo una ventina di minuti, lasciandosi cadere su uno sgabello. Io le servii discretamente il suo cocktail preferito che era diventato una sorta di premio di consolazione per delusioni d’amore o esami particolarmente difficili.
 
La sua determinazione è comunque ammirevole perché quel fiasco non l’ha fatta desistere. Al contrario si è creata un account in un sito di incontri. Ho dovuto far giurare a Morgana sulla nostra amicizia affinché non si creasse un account fake anche su quella piattaforma per farle qualche tiro mancino o controllarla. A volte nutro il timore che possa incontrare qualche malintenzionato, ma è una ragazza prudente e ricorre a tutte le precauzioni del caso prima di incontrare dal vivo qualcuno degli iscritti. Senza contare che, in fondo, io stessa ho conosciuto Sean soltanto attraverso carta e penna e la nostra corrispondenza è stata comunque molto sincera e profonda, prima di incontrarci di persona.
Anche se una parte di me non può fare a meno di preoccuparsi, sono orgogliosa del modo in cui è riuscita a concludere i suoi studi e a ottenere la certificazione per la sua futura carriera. Ancora non riesco a credere che questo sia l’ultimo mese in cui lavoriamo insieme. Attraverso i contatti di suo padre, ha ottenuto un importante colloquio per un nuovo progetto in collaborazione con un’agenzia immobiliare: si sarebbe occupata dell’arredamento di alcuni nuovi appartamenti in centro.
Entrare in quel pub e lavorare senza di lei non sarà la stessa cosa e sono certa che molti colleghi proveranno lo stesso, nonché il Signor Riddle e Madame Bumb seppur si fossero dimostrati più che comprensivi e lieti che la sua futura carriera potesse iniziare così presto.
Mi riscossi quando Morgana mi annunciò l’arrivo del fattorino e mi affrettai a completare l’intervento prima di postarlo.
 
Pausa finita, amici miei, si torna alla realtà. Spero di ritrovarvi al più presto tra queste pagine, ma nel frattempo auguro a tutti voi una buona serata e, a chi può, un San Valentino romantico e speciale :)
 
 
˜
Quel mattino mi gustai la mia colazione con insolita calma e tranquillità, sfogliando distrattamente una rivista di moda che aveva lasciato Morgana. Non ricordavo neppure quando era stata l’ultima volta che avevo avuto una mattinata libera sia dagli impegni in Accademia, sia dal turno al pub. Avevo deciso, una volta tanto, di gustarmi il momento, a partire dalla colazione. Dopodiché mi sarei data alle pulizie della mia camera e degli spazi comuni e, infine, sarei andata a fare la spesa per la settimana. Dopotutto non potevamo avere alcuna idea di quando Mrs Umbridge sarebbe tornata per una delle sue “ispezioni a sorpresa” e speravo caldamente che non avrei più dovuto temere lo sfratto.
Il mio turno al pub sarebbe iniziato soltanto all’ora del the, quindi ero del tutto intenzionata a dedicarmi alle attività che ero spesso costretta a trascurare durante la settimana. Avrei preso il posto dell’ultimo arrivato al pub: Christian Coulson[5]. Era un ragazzo di bell’aspetto, coi capelli castani scuri, leggermente striati di grigio sulle tempie e gli occhi cerulei. Mi ha subito fatto un’ottima impressione per il suo portamento elegante e per le sue ottime maniere: non permette a nessuna collega di sollevare carichi pesanti in sua presenza. D’altro canto, è molto silenzioso e riservato: ogni volta che qualcuno prova a coinvolgerlo in qualche conversazione o a chiedergli un’opinione personale sull’argomento di cui discorriamo nei momenti di pausa, sembra a disagio. A parte questo è cortese con tutti e questo sembra infastidire Rankin che ha un talento naturale nell’esasperare gli animi altrui. Coulson gli rivolge sempre un sorriso di circostanza e tuttalpiù accetta le sue “esortazioni” con un cenno del capo. Mi domando se non sia un sotterfugio per farlo arrabbiare persino di più e, in tal caso, non potrei che stimarlo.
Mi riscossi dai miei pensieri quando il cellulare mi notificò l’arrivo di un messaggio e inarcai le sopracciglia nel leggerne il contenuto: Sean si trovava nel parcheggio e mi chiedeva se potesse salire nel nostro appartamento. Risposi immediatamente e mi avvolsi maggiormente nella vestaglia da camera nell’attesa che arrivasse. Gli aprii subito l’uscio e lo accolsi con un sorriso e con un bacio.
“Scusa se ti disturbo nella tua mattinata libera”, si scusò subito.
“Non dirlo neanche”, lo tranquillizzai e gli feci strada verso la cucina. “Anzi, è da troppo tempo che non ci facciamo una chiacchierata tra noi, ma tra l’Accademia e il pub…”.
Lui mi rassicurò con un sorriso e uno scuotimento del capo. Dopotutto lui stesso era uno studente molto impegnato, senza contare la sua relazione con Morgana. Sperai di tutto cuore che non fosse venuto a parlarmi di lei perché, dopo l’esperienza con Daniel e Amy, non avevo alcun desiderio di ritrovarmi coinvolta in un dissidio. Ma esclusi a priori la possibilità perché la mia amica lo avrebbe già preceduto e mi avrebbe parlato per prima, anche a costo di svegliarmi nel cuore della notte.
“Vuoi mangiare qualcosa?”.
Scosse il capo, ma sedette al tavolino e mi osservò con il volto inclinato di un lato, prima di sorridere con aria impacciata. “Avrei bisogno di un favore”, mi rivelò.
“Anche due”, gli risposi con calore, notando le sue remore che imputai alla sua natura più riservata.
“Si avvicina San Valentino”, esordì e non potei fare a meno di intenerirmi alla sua espressione imbarazzata.
Feci un cenno di assenso, già avendo le idee più chiare su dove volesse andare a parare. Mi rilassai istantaneamente. “Qualche dubbio sul regalo?”, lo incoraggiai a parlarmi liberamente.
Sean scosse il capo. “No, credo di avere le idee piuttosto chiare, anche perché casualmente Morgana potrebbe già avermi indicato qualche articolo tra accessori, cioccolatini e liquori”, mi rivelò.
Non potei fare a meno di ridere. Tipico di Morgana. Riuscivo perfettamente a immaginarmela mentre camminava sottobraccio con lui e poi, molto poco sottilmente, lo spingeva letteralmente verso una vetrina per mostrargli questo o quel gingillo che sarebbe stato di suo gradimento. Osservai il mio amico con espressione più complice. “Ma tu hai pensato anche a qualcos’altro, vero?”.
Annuì e ne trovai conferma nello sfolgorio del suo sguardo. Estrasse una serie di depliant che mi porse e non potei fare a meno di spalancare gli occhi nell’osservare quei luoghi meravigliosi che evocavano le leggende arturiane: sarebbero partiti da Salisbury e avrebbero visto il sito di Stonehenge, avrebbero proseguito in Cornovaglia con la visita del Castello di Tintagel e della grotta di Mago Merlino, avrebbero poi fatto tappa a Winchester per ammirare la leggendaria Tavola Rotonda. Sarebbero poi risaliti verso il Galles e lì avrebbero ammirato alcune località tra cui la Cappella di San Govano, a When, dedicata al nipote e cavaliere di Re Arthur. [6]
Non potei fare a meno di restare incantata dalle sole fotografie, non osando immaginare che cosa avrebbero provato nel visitare di persona quei luoghi, così intrisi di magia, di leggenda e del mero fascino di paesaggi così incantevoli e mozzafiato.
“Mi sembra a dir poco perfetto per lei”, convenni con tono ammirato e orgoglioso. Questo progetto mi sembrava un chiaro segno che la loro relazione stava mettendo delle solide radici. Non potei fare a meno di esserne commossa e felice per entrambi. Tuttavia, lo guardai con espressione confusa. “Non capisco come potrei aiutarti”.
Sean sospirò appena. “Hai sicuramente più esperienza di me nel tenerle nascosto qualcosa”.
Scossi il capo. “Vorrai dire nel cercare di tenerla all’oscuro di qualcosa”, lo corressi e non potei fare a meno di ridacchiare.
“Esattamente. Le sto lasciando credere che il mistero riguardi solo il regalo vero e proprio, anche se a suo dire San Valentino è una festa troppo sopravvalutata”.
“Non fidarti mai di commenti simili”, lo ammonii. “Lo diciamo sempre, ma in realtà ognuna di noi sogna che il nostro partner ci faccia sentire speciali, soprattutto quel giorno”, gli dissi con aria complice e rimirai quei volantini con sguardo sognante. “Credimi, non sto io nella pelle per lei. Dovrò chiedere a Lupin lezioni extra per dissimulare in sua presenza”, aggiunsi con una risatina.
“Dovremmo partire la vigilia di San Valentino: mi chiedevo se potessi aiutarmi a contattare la sua collega e il suo capo per aiutarmi a definire l’organizzazione, senza che lei sospetti nulla e lo venga a sapere prima del tempo”, mi spiegò con un sospiro.
Sorrisi e annuii. “Non c’è problema”, lo rassicurai. “Ho il numero di Angel: le chiederò di venire al pub uno di questi giorni, quando Morgana sarà di turno”, escogitai tra me e me, prendendo subito nota nell’agenda del cellulare. “Inoltre Mrs Fox l’adora così tanto che sono sicura non porrà obiezioni e le potrà anticipare le ferie che le spettano. Le colleghe potranno di certo sostituirla per qualche giorno”, aggiunsi come ulteriore rassicurazione della fattibilità di quella meravigliosa sorpresa.
Chiacchierammo a lungo, definendo gli ultimi dettagli necessari all’organizzazione: io stessa mi sarei premunita di preparare i bagagli della mia amica. Non sarebbe stato difficile vista la quantità di vestiti che aveva a disposizione. Avrei solo dovuto sgraffignarle il trolley e nasconderlo nella mia camera e far sparire alcuni abiti e completi un poco alla volta per non insospettirla. Dopotutto avrebbe sempre potuto comprarsi qualcosa nelle varie tappe.
“Parola mia, Sean: sei un fidanzato perfetto”, commentai con un sorriso del tutto orgoglioso. Non potei fare a meno di notare quel moto di imbarazzo che ne fece colorare le gote e renderlo persino più adorabile.
“Ma basta parlare di me”, mi esortò con uno scuotimento del capo e ripose tutto il materiale nella borsa che usava per andare in Accademia. Controllò l’orologio per accertarsi di non essere in ritardo per le sue lezioni. “Tu come stai?”, mi domandò e mi guardò intensamente.
Lo conoscevo fin troppo bene per sapere che non si trattasse di una domanda formulata per pura educazione, quindi non avrei potuto glissarla con una risposta casuale o di poco conto. Mi presi qualche istante per rifletterci e mi arruffai i capelli con una mano, mentre mi stringevo nelle spalle.
“Mi tengo impegnata”, risposi molto onestamente. “E’ un sollievo essere così presa dalle prove di recitazione, di ballo e anche dal lavoro al pub. E poi ci sei tu, le mie amiche, le conoscenze in Accademia e al pub che mi riempiono le giornate”.
Sean annuì e mi guardò con espressione più premurosa. “A volte mi sento in colpa: ho paura di averti trascurata”, ammise.
Scossi il capo e gli sorrisi. “Non devi, assolutamente. So che non ti faresti remore a venire da me anche in piena notte se te lo chiedessi… Morgana permettendo”, soggiunsi in tono più sbarazzino e complice.
Lui confermò quelle parole con un cenno di assenso e un sorriso. “Supererei persino le sue proteste, lo sai”, mi promise in tono solenne che ne rese lo sguardo più affettuoso.
“Lo so”, mormorai in tono grato. “Ma non voglio metterti in una posizione così scomoda e costringerti a fare da spola da me a Tom e viceversa”, confessai e non potei fare a meno di preoccuparmi per lui. “Io ho avuto un assaggio di quanto possa essere difficile con Amy e Daniel. Voi due siete amici da molto più tempo e non mi perdonerei mai di metterti in un guaio ancora più grande, senza contare Emma”, conclusi con espressione mortificata. Non avrei mai voluto essere nei suoi panni.
Il ragazzo sospirò e si passò una mano tra i capelli in un gesto che ne denotava nervosismo e anche stanchezza. Evidentemente erano pensieri che lo crucciavano spesso, anche se per quella sua meravigliosa dolcezza non voleva darmelo a vedere. “Solo perché spesso taccio o resto in disparte, non significa che non noti qualcosa”.
Lo guardai più confusamente, domandandomi se quelle parole fossero riferite a un cambiamento nel mio atteggiamento o in quello di Tom.
Lui sembrò leggermi nel pensiero e annuì come a rispondere alla mia implicita domanda. Parlò in tono più accorato: “Lo vedo come ti guarda quando entri in una stanza e temo di non essere l’unico ad averlo notato”, mi informò in un sussurro, seppur fossimo soli.
“Emma”, risposi di riflesso e non potei fare a meno di sospirare. Questo spiegava anche perché fosse così onnipresente e non potei che sentirmi ulteriormente in colpa. “Non vorrei mai farle quello che Katie ha fatto ad Amy”, ragionai a voce alta seppur mi addolorasse quel paragone.
Sean scosse subito il capo. “Tu non sei come Katie[7]”, chiarì subito. “Non credere che io stesso non mi senta responsabile, ma ogni volta che provo a parlargli reagisce male e si chiude ulteriormente in se stesso”. Mi rivelò con un filo di voce. Ebbi l’impressione che si riferisse a diversi episodi di cui non mi aveva mai parlato apertamente per non tradire la fiducia di Tom e, al contempo, per non mettermi ulteriore pressione addosso.
Strinsi le labbra. “Non vorrei mai esser causa di sofferenza né per lui né per Emma”, mormorai con voce più spenta. “In ogni caso non dovresti preoccuparti troppo: non ho alcuna intenzione di stare con Tom più del necessario per l’Accademia. Ne ho parlato esplicitamente anche con lui e stiamo prendendo le distanze necessarie”.
“L’ho notato”, ammise Sean. “Ma tra le azioni e i sentimenti non sempre c’è corrispondenza”.
Arrossii al ricordo di alcuni momenti “incriminanti”, ma scossi il capo. “Non voglio rendere più complicata la mia presenza qui. Voglio godermi questi ultimi mesi e impegnarmi nel lavoro e in Accademia. Il destino della loro storia non dovrà dipendere da me”.
Sean mi strinse la mano. “E tu starai bene?”, mormorò. “La tua felicità non è secondaria alla loro per me e non dovrebbe esserlo neppure per te”, mi fece presente con un moto di affetto che mi scaldò il cuore.
“Starò bene”, mormorai e lo guardai più intensamente. “Una parte di me vorrebbe lasciarsi andare e innamorarsi di lui, ma non sarebbe un bene per nessuno dei due. Non è ancora il mio momento per una storia d’amore e, credimi, non scoppio di voglia”, conclusi con una risatina per stemperare le emozioni.
Sean annuì con aria di evidente approvazione. “Sono sicuro che arriverà la tua occasione e con la persona giusta soprattutto”, sottolineò con dolcezza, prima di inclinare il viso di un lato. “A proposito di questo, che fine ha fatto il Principe misterioso dei tuoi sogni?”.
Sospirai con aria melodrammatica, portandomi una mano al petto in gesto enfatico. “Sembra che persino lui mi abbia abbandonata”, convenni. “Ma resisterò alla tentazione di chiedere a Luna di leggermi le carte, i fondi di caffè o le foglie del the o quello che è”, conclusi con un vago cenno della mano.
Sean ridacchiò prima di farsi serio. “Sappi che saremo tutti felici per te. E so per certo che Morgana è persino più impaziente di te”, mi ammonì con aria complice.
Alzai gli occhi al cielo al pensiero. “A proposito di questo, cerca di tenerla impegnata: l’ultima cosa di cui ho bisogno è che cominci a tendermi qualche agguato con appuntamenti al buio o cose del genere”, gli feci presente e rabbrividii alla prospettiva.
“Prometto che in quel caso ti avvertirò prima”, commentò e mi allungò la mano come a siglare un accordo tra uomini d’affare.
Risi e ne imitai il gesto. “Ci conto”.
 
˜
 
Quella sera sarei stata di turno fino alla chiusura del locale, ma l’atmosfera sembrava piuttosto tranquilla: non c’erano prenotazioni per la cena. E neppure Rankin per mia immensa gioia e fortuna.
Nonostante la giornata tranquilla, avevo rimuginato sulle parole di Sean ed ero stata parecchio sollevata dal fatto che non avrei rivisto Tom fino al giorno successivo. Non avrei neppure potuto parlarne con Morgana, almeno fino a quando non fosse passato San Valentino per non rischiare di compromettere i progetti segreti del mio amico. 
Amy era passata dal pub per un aperitivo e qualche chiacchiera in attesa dell’ora convenuta per cenare con uno degli ultimi giovani conosciuti tramite il sito di incontri: un certo Dimitrj. Ero rimasta colpita dal nome, domandandomi se non stesse sviluppando un’ossessione per i ragazzi di origine slava. In realtà si trattava di uno pseudonimo e il ragazzo era di origini italiane. Seppur non lo dicesse apertamente, anche per una questione di scaramanzia, immaginai che cominciasse a pentirsi di quell’iscrizione o che sospettasse che Stan le avesse lanciato una sorta di maledizione tale per cui fosse costretta a collezionare dei veri e propri “casi umani”.
Morgana ci aveva raggiunto alla fine del suo turno: avrebbe cenato nel locale insieme a Luna e mi avrebbe fatto compagnia fino alla chiusura. Al momento erano tutte sedute di fronte a me, sugli sgabelli: Morgana occupava il posto sull’estremità sinistra e di quando in quando si appoggiava coi gomiti al bancone, dandomi le spalle e osservando il pub in quella posa rilassata e casuale che la faceva somigliare a una fotomodella che prendeva il sole. Amy sedeva sullo sgabello centrale mentre Luna stava all’altro lato ma ascoltava solo parzialmente le nostre chiacchiere mentre consultava una rivista d’astronomia a cui era abbonata.
“Non hai novità dell’Accademia?”, mi domandò Amy con aria curiosa, dopo aver consultato l’orologio per l’ennesima volta.
Sorrisi in segno di scuse e mi strinsi nelle spalle, mentre continuavo ad asciugare posate, tazze e bicchieri. “Giorno libero”, spiegai con un sorriso. “La cosa non mi è affatto dispiaciuta”.
“Eppure ha qualcosa che le frulla in mente”, commentò Morgana, guardandomi con la coda dell’occhio. “Ti concederò del tempo per continuare a torturarti da sola, ma prima o poi me ne parlerai”, concluse con un sorrisetto saputo.
“Non preoccuparti troppo”, mi blandì Luna, sollevando lo sguardo dalle pagine che stava consultando. Lo sguardo era vacuo, come se stesse osservando qualcosa al di là di me. “Venere sta per gravitare nel tuo segno: ti renderà irresistibile”.
L’ascoltammo tutte con le sopracciglia inarcate e la medesima espressione tra il divertimento e la confusione.
“A me invece mai una gioia come sempre, vero?”, l’interpellò Amy, sporgendosi per guardare il giornale, come se sperasse di trovare un indizio a suo favore.
Luna neppure sollevò lo sguardo, voltò pagina con un gesto secco e sospirò con impazienza: evidentemente non era la prima volta che le veniva posta quella domanda. “Te l’ho detto: sei in una fase di transizione”, mormorò nel suo consueto tono mistico. “Pensa solo a vivere alla giornata”.
“Non hai letto niente su questa sera?”, insistette l’altra.
“Anche se lo avessi fatto non te lo potrei dire, lo sai”, rispose in tono pacato ma risoluto, chiaro segno che ulteriori tentativi di estorcerle una previsione sarebbero stati vani.
Amy sbuffò apertamente, salvo tornare a guardarmi e sembrò rimuginare sulla previsione di Luna. “Quindi ci sono speranze per Bradley?”
Quasi mi cadde la tazza di mano e mi sentii come una scolaretta sorpresa a fare qualcosa di poco lecito. Seppur la precedente “profezia” di Luna sul mio incontro con un “cavaliere” si fosse rivelata veritiera, accoglievo sempre con un sorriso le sue parole ma non ci rimuginavo mai troppo. Soprattutto se quei pensieri mi riportavano a quella magica serata londinese. Mi mordicchiai il labbro, ma mi strinsi nelle spalle, cercando di simulare tranquillità.
Morgana, da parte sua, aveva già estratto il cellulare con uno sbuffo. “Ha un account noioso quasi quanto il suo”, alluse a me e le porse il telefono perché lo controllasse di persona. “Posta un suo selfie ogni dieci anni”.
“Allora sono proprio anime gemelle”, convenne l’altra ridacchiando, per poi osservare le foto. “Di certo ne vale la pena quando le posta, guarda che manzo”, commentò con un certo compiacimento per poi sgranare gli occhi. “E guarda quanti like”.
Il pensiero che tante ragazze, sue colleghe d’Accademia e conoscenti potessero passare ore a contemplare le sue immagini e vederlo dal vivo, mi procurò un guizzo all’altezza dello stomaco, seppur non avessi alcun diritto di sentirmi in quel modo. “Sinceramente non capisco perché ne parliate ancora”, mormorai nel tentativo di apparire del tutto incurante.
“Dice così ma dorme ancora con il bigliettino che le ha scritto”, replicò Morgana con un sorrisino di scherno alla mia finta compostezza.
“D’accordo, lo ammetto”, sospirai con aria arrendevole, ma parlando in un sussurro. “Ogni tanto fantastico su di lui”.
“Io lo farei tutto il giorno”, ribatté candidamente Amy. “Basta pensare a come ti ha accolta!”.
Non riuscii a fare a meno di sorridere al ricordo e a sentire le guance infiammarsi, pur cercando di ignorare le loro occhiate furbe e sapute. Per fortuna Luna non si unì a quell’esamina. Scossi il capo frettolosamente e mi schiarii la gola. “Vi ricordo che lo rivedrò tra quattro mesi: è impossibile che per allora sia ancora interessato a me”, mormorai seppur la prospettiva fosse demoralizzante.
“O forse ci prova un po’ con tutte e quella sera non aveva di meglio per quello che ne sappiamo”, soggiunsi. Era anche questo a impedirmi di prendere qualche stupida iniziativa. Era meglio tenersi stretto il ricordo di quel sogno che sperarci e poi vedere quelle fantasie sgretolarsi di fronte ai miei occhi.
Morgana mi lanciò uno sguardo di fuoco come ogni volta che riteneva che mancassi di autostima e in modo illegittimo. Sembrava trascurare due dettagli fondamentali: l’affetto che nutriva per me e il fatto che lei fosse sempre stata di una bellezza abbagliante e non potesse provare empatia in questo caso. “Quella sera lui ha visto solo te”, rimarcò con sicurezza tale che sembrava fosse stata testimone del momento. “Non mi intendo di pianeti e non lo conosco quindi non posso darti certezze, ma se anche lo rivedrai solo tra quattro mesi, non varrebbe comunque la pena sondare il terreno?”.
Amy annuì in segno di evidente approvazione. “E poi nessuno ti vieta di uscire con qualcuno o di cercare nuove persone! Te l’ho detto che Dario è di nuovo single? Posso organizzare tra voi”, mi propose con un sorrisetto di intesa.
“Mi sembra perfetto!”, esclamò Morgana già entusiasta alla prospettiva. “Lo hai già conosciuto, abbiamo appurato che non è diventato padre[8], è affascinante, simpatico, divertente e conoscete l’una i casini dell’altra”, convenne guardandomi più intensamente. Si sporse verso di me e abbassò la voce con aria più discreta. “Sul serio non vorrai che sia Tom a darti il primo bacio e oltretutto per finta?”.
Amy parve inorridita alla prospettiva, ma guardò Morgana di traverso. “Non penso che per lui sarebbe tanto finto, ma lei sicuramente merita di meglio come prima esperienza”.
Sentii il mio viso andare in fiamme e sollevai le mani. “Vi ringrazio, davvero. Siete molto dolci e di grande incoraggiamento, ma adesso davvero non me la sento. Sto bene così e ho fin troppi pensieri tra Accademia e lavoro e poi-”.
Morgana sollevò la mano. “Se dici un’altra volta che non è il momento adatto, ti prendo a schiaffi”, mi minacciò con sguardo vagamente inquietante.
Sospirai con una certa esasperazione ma abbandonai le braccia lungo i fianchi. “Sto bene così. Grazie ma no”, sancii e le guardai entrambe attentamente negli occhi perché cogliessero tutta la mia determinazione.
Amy sospirò ma assentì. “Se cambi idea, basta dirlo”.
Tornai alle mie pulizie, sperando che introducessero un nuovo argomento di conversazione nei successivi minuti. Quasi trasalii quando sentii l’esclamazione dell'altra.
“Ragazze!”, ci richiamò tutte quante, indicando il suo cellulare. “Dovete vedere la foto che ha postato questa mattina la Signora Weasley!”.
Inarcai le sopracciglia con aria perplessa: avevo accettato la richiesta d’amicizia della nostra cuoca e di tutti i colleghi che avevano Facebook (a eccezione di Rankin che a quanto pare non lo usava quasi mai). Il profilo della signora Weasley rispecchiava esattamente il prototipo dell’adulto di mezza età che prende confidenza coi social condividendo spesso e volentieri gif animate e glitterate con tanto di augurio di buongiorno, di buonanotte e di sogni d’oro ma che non è in grado di fare operazioni appena più impegnative come inoltrare una fotografia, condividerla su altri social o inviare un messaggio collettivo. Era una delle persone più attive sulla pagina aziendale del pub (alla quale mi ero prontamente iscritta) che non mancava di taggare metà dei suoi contatti, ogni volta che pubblicava i suoi manicaretti con tanto di inviti accattivanti e notizie di promozioni speciali. Non mancavano fotografie con le colleghe e con Neville e si era molto rammaricata del fatto che fossi partita prima che venisse scattata quella natalizia. Non era raro, nei momenti di pausa, vederla con il proprio telefono mentre rispondeva ai commenti, ridendo anche rumorosamente o facendo leggere qualcosa di particolarmente divertente al marito o alla Signora Sprite.
Di fronte agli occhi sbarrati di Morgana, all’espressione a dir poco deliziata di Amy e persino dello sguardo impressionato di Luna non potei fare a meno di avvicinarmi e osservare la fotografia. Il ragazzo in questione somigliava molto a Bradley Cooper: aveva i capelli castani, lievemente ondulati e lunghi fino alle spalle, una spruzzata di barba sulle guance e i baffi. Gli occhi azzurri sembravano brillare per la risata che era immortalata sulle sue labbra. Indossava un completo elegante con giacca e camicia scura e cravatta abbinata.
“Wow”, mormorai a mia volta per poi corrugare le sopracciglia. “Ma siamo sicure che sia davvero il nipote della Signora Weasley? Non si somigliano per niente! Certo, Bill è molto carino, ma questo è tutt’altro pianeta!”.
Amy annuì con vigore. “Nulla da togliere al tuo Bradley, ma questo avrebbe potuto perfettamente fare la parte di Lucifer se non ci fosse stato Tom Ellis”, commentò in tono infervorato. “Manderebbe in crisi i Brangelina: Angelina lascerebbe Brad per uno così, veramente!”, continuò in tono animato. La vidi muovere le dita sul display per allargare l’immagine e studiarne ogni dettaglio.  
Morgana si strinse nelle spalle e sembrava già aver perso interesse. “Solo se sono vere le voci che Brad non si lava”.
“No, no, no!”, rimarcò l'altra, alzando la voce a ogni negazione. “Sono seria: l’unica volta che sono andata così in brodo di giuggiole è stata alla seconda puntata di True Blood, quando si vede Eric seduto sul trono del Fangtasia e tutti sono lì a morire per lui. Se si fosse stato lui a interpretare Bill, anziché Stephen Moyer[9], Sookie non ci avrebbe pensato due volte a fare una cosa a tre, altroché sogno o delle voglie di Ginger!”.
Morgana rise ai riferimenti. “Allora perché non mandi al diavolo quel Dimitrj non ci provi con questo?”, la provocò con un sorrisetto saputo.
Amy sembrò impiegare qualche secondo di troppo per ricordare chi fosse il suddetto ragazzo e tutto l’entusiasmo per l’appuntamento sembrò dimentico. Scosse il capo. “Questo è troppo fuori dalla mia portata! Avrebbe bisogno di un’Angelina al suo fianco come minimo”, sospirò con aria quasi drammatica.
“Fammi vedere meglio”, commentò Morgana con le sopracciglia inarcate e quel suo fare più scettico e altezzoso. Raramente mostrava un apprezzamento troppo esplicito nei confronti di un estraneo, a meno che non vi fosse un personale interesse. La vidi studiare la foto con particolare attenzione e sul suo viso sembrò dipingersi un’espressione strana. Mi diede di nuovo le spalle e sembrò studiare un punto indefinito della stanza, probabilmente rimuginando su una somiglianza somatica a un conoscente o a una persona famosa. Stavo per chiederle che cosa le ronzasse in mente, ma fui distratta nuovamente da Amy che continuava a elogiarlo, mentre Luna era sprofondata di nuovo nella lettura, come niente fosse.
Questo ragazzo è il sesso!”, continuò la ragazza che, nell’enfasi del suo sproloquio, aveva alzato notevolmente la voce che sembrava rimbombare nella saletta vuota. “Una donna lo guarda e non può che venire!”.
Morgana, per qualche motivo, sembrò irrigidirsi e sgranò gli occhi. Il suo volto parve perdere del tutto colore e le appoggiò la mano sul braccio. Le sorrise con aria accattivante. “Cosa dicevi di Dimitri? Non mi dirai che fa palestra anche lui?”, le domandò con voce più alta del consueto.
“Ma chi se ne frega di quello!”, ribatté con un gesto non curante, sventolando nuovamente la fotografia dello sconosciuto. “Se fossi la sua ragazza non gli darei tregua: non lo farei dormire e andrei avanti per ore e ore!”, aggiunse con voce appassionata, probabilmente resa così loquace ed esplicita anche dall’aperitivo. “A questo i vestiti non li levi, glieli strappi o glieli mordi!”, continuò in tono sempre più enfatico e lo sguardo infervorato.
“Schhh!”, cercò di zittirla Morgana che sembrava insieme disperata ed esasperata.
“Questo ragazzo è pura istigazione allo stupro, mamma mia!”, continuò Amy, strappandomi una risata.
Mi riscossi quando la Signora Weasley fece il suo ingresso dalla porta che separava la mia postazione dalle cucine. Era un passaggio molto utile che mi permetteva di raggiungerle facilmente se un cliente aveva una particolare richiesta e consentiva loro di portarmi i piatti appena sfornati senza dover disturbare le cameriere già oberate di lavoro.
“Ecco qua, cara: ho preparato altri stuzzichini e dei sandwich”, mi sorrise nel porgermi il vassoio. “Ma tu hai cenato?”, mi domandò, mettendosi le mani sui fianchi con aria di finto rimprovero.
“Non si preoccupi, sto benissimo”, le sorrisi e deposi il vassoio nell’espositore.
“Devo chiedere al Signor Riddle-”.
La sua frase fu interrotta dal richiamo energico di Amy che si era drizzata in piedi e le si era avvicinata con entusiasmo, mostrandole il proprio telefono oltre il bancone. “Ma che belle foto che ha postato!”, le disse in tono allegro. Lo sguardo della signora si illuminò, come sempre compiaciuta quando qualcuno le lasciava un like o un commento di risposta. Soprattutto se si trattava delle foto di Bill o delle sue pietanze.
“Oh che cara! Ti ringrazio”, squittì con evidente orgoglio.
“A proposito, non sapevo che avesse un nipote così bello! Dove lo nasconde?!”, le chiese in tono tra il complice e il malizioso.
Morgana imprecò in sottofondo e le rivolsi uno sguardo interrogativo mentre lei mandava giù l’ultimo sorso del suo cocktail con un gesto quasi drammatico e degno della sequenza di un film.
“Che c’è?”, le domandai in un sussurro.
Morgana sembrò sul punto di volermi dire qualcosa, ma appariva assai titubante. Mi volsi nuovamente verso Amy e la Signora Weasley con una certa curiosità e non potei fare a meno di notare che quest’ultima aveva cambiato completamente espressione. Era persino arrossita, seppur continuasse a sorridere. “Ehm sì, è mio nipote, una così brava persona!”, lo elogiò con voce più stridula del suo naturale timbro.
“E’ così affascinante poi!”, continuò la ragazza in tono incoraggiante. “Perché non me lo fa conoscere? E’ single?”. La incalzò, senza neppure curarsi di apparire interessata.
No!”, esclamò la signora Weasley con enfasi fin troppo eccessiva. Di fronte ai nostri sguardi confusi, si affrettò ad ammorbidirsi in un sorriso. “Scusami, cara, volevo dire che sfortunatamente per te è già sposato”.
Oh, no!”, commentò la mia amica con espressione visibilmente delusa. “Davvero?”.
“Sì sì!”, confermò la Signora Weasley che sembrava sudare freddo. “Molto felicemente sposato e ha tre figli!”, continuò con enfasi.
Osservai Morgana con la coda dell’occhio: a quel commento si era quasi strozzata con la sua bibita e stava cercando frettolosamente di ricomporsi. Si sporse a contemplare il suo riflesso dallo specchio che era appoggiato sullo scaffale delle bibite alle mie spalle. 
“Che peccato!”, si lamentò la ragazza in tono più puerile. Sbuffò persino. “Come non detto”. La ringraziò, mentre la Signora Weasley borbottava qualcosa su una pentola lasciata sul gas e si affrettava a rientrare in cucina.
“Ma non doveva chiedere qualcosa al Signor Riddle?”, le ricordai, ma neppure sembrò sentirmi.
Mai una gioia!”, borbottò Amy tra sé e sé, riprendendo a contemplare la foto. “Ma ci pensate a quanto sia fortunata sua moglie? Un uomo così ti metterebbe incinta anche solo con uno sguardo!”, Morgana si schiarì rumorosamente la gola. “Stavamo dicendo? Bradley, sì! Quand’è che dovrebbe arrivare?”, mi domandò. Sembrava supplicarmi con lo sguardo di darle corda e riprendere quell’argomento, nonostante fosse stato archiviato dieci minuti prima.
“Ma chi se ne frega di Bradley!”, sbottò Amy, salvo poi guardarmi. “Senza offesa”, aggiunse.
Ma io non la stavo neppure ascoltando, troppo confusa dal comportamento di Morgana e anche dall’improvviso cambiamento d’umore della Signora Weasley.
La mia coinquilina si schiarì di nuovo la gola e mi fece cenno con il mento alle sue spalle. Continuando a strofinare la tazza che reggevo tra le mani feci vagare lo sguardo con più attenzione ai tavoli vuoti, mentre Amy continuava a parlare sul ragazzo della fotografia.
“Luna, se scopro il suo segno puoi prevedere se divorzierà?”.
“Cosa?”, domandò l’altra scendendo dalle nuvole come suo solito. “Di chi stai parlando?”
“Ma come?! Non hai sentito una parola di quello che ho detto finora?!”.
Fu il mio turno di impallidire quando mi resi conto che non eravamo affatto sole. Nel tavolino all’angolo, nascosto dietro a una parete, si era appena alzata una persona e fui sul punto di svenire quando mi resi conto che altri non era che il Signor Riddle. Conoscevamo naturalmente la sua abitudine a sedersi in mezzo ai clienti, di quando in quando, anche per monitorare la serata e il comportamento dei suoi dipendenti, ma l’espressione che aveva sul volto di puro divertimento sembrò la conferma che avesse ascoltato fin troppo.
“Sto solo parlando dell’essere più eccitante e sexy che si sia mai visto sulla faccia della terra!”, continuò mentre Luna la guardava con espressione perplessa e non di meno impaziente per essere stata interrotta per l’ennesima volta. Scosse il capo e tornò alla lettura.
“E non oso immaginare l’effetto che avrebbe di persona: potrebbe eccitarmi persino parlando degli impulsi sessuali delle formiche e-”.
Buonasera Signor Riddle!”, lo salutai con voce piuttosto alta e stridula, nello stesso momento in cui, in un gesto estremo, Morgana aveva appoggiato la mano contro la bocca di Amy per farla tacere.  Il mio richiamo fece trasalire persino Luna che si guardò attorno come se si ricordasse solo in quel momento di dove si trovasse.
“Buonasera”, replicò in tono pacato. Sembrò ulteriormente divertito dalle nostre espressioni e dall’evidente tensione che era calata sul locale. “Chiedo scusa, non volevo disturbare la vostra animata conversazione”.
La poveretta era sbiancata e arrossita nell’arco di dieci secondi e si era voltata verso il Signor Riddle con sguardo sgomento, imbarazzato e mortificato. Cercò di balbettare qualche parola di scuse, ma il nostro datore di lavoro ci sorprese con un sorriso più indulgente. Sembrava particolarmente allegro ed era forse la prima volta, da che lo conoscevo, che mi sembrava che il sorriso ne facesse baluginare gli occhi azzurri. “Non c’è motivo di vergognarsi, signorina”, le disse in tono del tutto cordiale. “Siamo tutti osceni: è il mondo che è osceno. E’ questo il punto: lo sappiamo ma ci amiamo tutti ugualmente”[10], disse con grande flemma e in tono così ponderato che sembrava averci riflettuto sopra in diverse occasioni. “Vi ringrazio della vostra compagnia chiassosa e piacevole, ma devo tornare al lavoro. Buona continuazione”. Ci salutò con un ultimo cenno del mento e sfilò con il suo incedere elegante verso il suo ufficio, richiudendosi la porta alle spalle delicatamente. Sembrava un’altra persona rispetto a quella che, sovente, sbatteva l’uscio e faceva cadere i quadretti dalle pareti.
Amy sembrò sprofondare contro lo sgabello per la mortificazione e l’imbarazzo, mentre io e Morgana cercavamo di non ridere per non infierire ulteriormente.
“Perché non mi avete fermata prima?!”, ci rimproverò con le guance in fiamma. “Non mi vergognavo così da quella volta che mi ha beccata a ballare nella sala privata mentre pulivo e ascoltavo Sympathy for the devil[11]”.
A quella rivelazione ridemmo persino più forte. “Cosa? E quando sarebbe successo?!”, la invitammo a raccontare l’episodio con maggiori dettagli.
Abbassò la voce, scuotendo la testa e appoggiandosi la mano sulla fronte. “Mi ha detto che la prossima volta che mi sorprende a ballare anziché a pulire, mi licenzia e mi porta in discoteca”, soggiunse, facendoci ridere persino di più. Se non altro fu la conferma ulteriore che, dietro quelle parvenze da uomo scorbutico e fin troppo serio, si celasse un uomo con un sottile senso dell’umorismo e molto più “umano” di quanto potessimo immaginare.  
Morgana le scoccò un’occhiata maliziosa e le diede un lieve colpetto con il gomito, gongolando. “Beh tanto tra poco più di mese te ne andrai: magari mantiene la promessa!”, la prese in giro.
Shhh, sta zitta!”, ribatté l’altra, alzandosi frettolosamente in piedi e lasciandomi i soldi del drink. “Per stasera ho già fatto abbastanza casini”, borbottò e si allacciò il soprabito, dopo aver controllato il suo riflesso allo specchio. “Me ne vado prima di combinarne un’altra”.
“Sei sicura di voler ancora andare all’appuntamento?”, la provocò Morgana e Amy le rivolse un gestaccio col dito medio, prima di salutarci e di uscire dal pub, tra lo scroscio delle nostre risate.
Non potei fare a meno di sorridere nel seguirla con lo sguardo. “Adoro questo posto: non ci si annoia mai”.
Morgana assentì per poi rivolgersi a Luna: “Non so te, ma io sono pronta a sedermi nella saletta e a ordinare la cena”.
 
 
Mancavano poco più di venti minuti allo scoccare del divieto per la distribuzione degli alcolici, ma cominciavo già ad avvertire la stanchezza e un po’ di dolore ai piedi costretti nelle scarpe eleganti. Se non altro Mrs Weasley e Mrs Sprite non ci facevano mai mancare dei manicaretti da assaggiare nei momenti di pausa e anche quella sera il mio appetito era stato più che viziato.
Repressi uno sbadiglio e mi riscossi quando sentii l’uscio schiudersi e non potei fare a meno di irrigidirmi nello scorgere la coppia che era appena entrata. Emma era vestita elegantemente, come di consueto, e si stringeva al braccio di Tom, ridendo per qualcosa che doveva aver detto.  Vederli insieme mi suscitò una fastidiosa sensazione di dejà-vu: ricordavo fin troppo bene il mio primo giorno di lavoro, quando Tom aveva fatto di tutto per farmi impazzire e avevo corso il rischio di non essere neppure assunta. La presenza di Emma, inoltre, mi rimandava a quel pomeriggio quando da una nostra conversazione privata avevo tessuto le fila di una bugia che ancora mi rimordeva la coscienza. Avevo ancora il timore che, in un modo o nell’altro, sarei stata smascherata e non osavo immaginare l’umiliazione che ne sarebbe seguita e come ciò avrebbe compromesso ulteriormente le mie interazioni con entrambi.
“Ciao Sarah”, mi salutò Emma con voce tintinnante. “Che bello, finalmente ti ritrovo dietro al bancone!”, commentò con un gran sorriso, staccandosi dal ragazzo per prendere posto su uno degli sgabelli liberi.
Tom mi dedicò un saluto decisamente più sobrio con un cenno del mento. Con le mani conficcate nelle tasche dei jeans, seguì Emma ma restò in piedi.
Cercai di ricambiarne il sorriso nel modo più cordiale possibile. “Buonasera, avete già cenato?”.
“Oh, sì, sì!”, rispose lei. “Gli ho preparato una cenetta coi fiocchi”, mi disse con sguardo scintillante. Sean mi aveva raccontato che, mentre Tom si era trasferito dai nonni, Emma aveva affittato un appartamento in centro, in un quartiere piuttosto rinomato. “Non è vero, amore?”, soggiunse rivolgendosi al giovane e tornando a stringerne il braccio.
Lui annuì e le sue labbra si ammorbidirono ma, ancora una volta, ebbi l’impressione che non manifestasse volentieri i propri pensieri in pubblico.
“Allora cosa posso servirvi?”, domandai con il mio tono più professionale, mentre continuavo a sfregare il bancone, nonostante l’avessi strofinato fino a pochi minuti prima.
“Per me una birra per favore”, fu la risposta concisa di Tom. Se non altro, non potei fare a meno di notare, mi si stava rivolgendo con educazione, rispetto ai modi spicci e sgarbati che aveva esibito al mio primo giorno di lavoro.
“Io invece vorrei un caffè”, commentò Emma.
“Benissimo”, replicai di riflesso.
“Decaffeinato se possibile”, aggiunse.
“Certamente”, risposi con un sorriso, cercando il filtro giusto.
“Macchiato caldo”, continuò Emma per poi ridacchiare con aria di scuse. “In una tazza di vetro se non ti chiedo troppo”.
Susan inarcò le sopracciglia al mio indirizzo e dovetti trattenermi dallo scoppiare a ridere: noi camerieri del pub avevamo una sorta di rituale cui partecipavano tutti, ad eccezione di Rankin e di Coulson. Quando ci trovavamo di fronte un cliente “esigente” (per non usare altri termini), ne prendevamo nota per poi farne l’imitazione a fine turno[12]. Quella sera avrei dovuto cimentarmi nell’imitazione di Emma e di questa sua specifica richiesta.
“Assolutamente no”, le risposi con tono affettato e diedi loro le spalle per azionare la macchina del caffè.
“Che orari hai domani, amore?”, domandò Emma a Tom e mi premunii di concentrarmi sulla preparazione della bibita e far finta di non sentirli, seppur io stessa sapessi che l’indomani avremmo avuto ben due ore da dedicare alle prove dello spettacolo.
“Grazie Sarah, gentilissima”, mi sorrise Emma quando le posi di fronte il caffè, premunendomi di versarlo nella tazza di vetro come mi aveva richiesto.
“Ma figurati”, risposi in tono solerte e mi avvicinai all’impianto della birra, reclinando il boccale come avevo imparato alla sagra del mio paesino. Sembrava passata una vita dall’ultima volta che lo avevo fatto con un bicchiere di plastica.
“Grazie”, mi rispose Tom con un breve cenno.
“Di nulla”.
Stavo pensando a un modo discreto per allontanarmi e garantire loro un po’ di privacy ma senza venir meno ai miei doveri, ma fu Tom a riscuotermi dalle mie riflessioni.
“Potrei andare al bagno?”.
“Certo”, gli risposi e gli indicai la direzione seppur fossimo entrambi consapevoli che non ne avesse davvero bisogno[13], ma non potevo che aggrapparmi al mio ruolo e a quelle convenzioni professionali per stemperare la tensione che mi sentivo addosso.
Emma lo seguì con lo sguardo per poi sorridermi candidamente. “La tua amica non c’è?”, domandò, dopo essersi guardata nuovamente attorno e aver rivolto un saluto amichevole anche a Susan, ancora intenta a sparecchiare i tavoli. Avrei voluto discretamente darle il cambio, così da potermi allontanare, ma non potevo farlo senza dare nell’occhio.
Sbattei le palpebre alla domanda. “Ti riferisci ad Amy?”. Al suo cenno di assenso scossi il capo. “Non è di turno questa sera”.
“Capisco”, rispose Emma e sospirò appena. “Povero Daniel!”, commentò con enfasi. “L’ho visto oggi ed è ancora così avvilito! Mi è dispiaciuto tanto per lui”, concluse con un breve scuotimento del capo.
Inarcai le sopracciglia a quell’osservazione. Forse stavo diventando eccessivamente sospettosa e cinica, ma con Emma avevo sempre la sensazione che ogni sua parola o commento, per quanto vellutati e garbati, celassero altre intenzioni o un giudizio negativo, come in questo caso.
“A me è dispiaciuto molto per entrambi”, risposi con la stessa tranquillità ma enfatizzando sulla parola finale. “Sono molto affezionata a Daniel, ma lui stesso ha dovuto ammettere di aver fatto diversi errori nella loro storia. Comunque sono sicura che le cose andranno al meglio per tutti e due”, conclusi con un sorriso.
Emma mi aveva ascoltato attentamente e con le sopracciglia inarcate. “Ahh, certo”, mi rispose con sussiego, prima di inclinare il viso di un lato e rivolgermi un sorriso più accattivante. Si era sporta in mia direzione e aveva parlato in tono più basso e cospiratorio. “Adesso posso anche confidartelo: ho sempre pensato che lui e Bonnie fossero fatti l’uno per l’altra”, mi disse in tono piuttosto allegro e gongolante. “Credo che sia solo questione di tempo”, continuò.
“Davvero?”, domandai con le sopracciglia inarcate.
Forse non la conoscevo quanto Emma e la loro relazione mi era sembrata sempre molto amichevole o simile a quella tra fratello e sorella, considerando che fossero coinquilini e non fosse raro che uscissero tutti insieme a Rupert o giocassero persino insieme ai videogames.
“Fidati”, replicò Emma dopo aver annuito con enfasi. “Io le noto queste cose”, dichiarò in tono molto più fermo e sicuro di sé. Mi lanciò un lungo sguardo e non potei fare a meno di irrigidirmi.
Stavo davvero diventando paranoica o Emma aveva introdotto quell’argomento come un semplice pretesto per potermi ammonire tra le righe?
L’attimo dopo sorrise nuovamente con la stessa cordialità, depositando il cucchiaino sul piattino e porgendomi il tutto perché potessi lavare le stoviglie. Sperai che Tom ritornasse nel più breve tempo possibile perché non mi sentivo affatto a mio agio a parlare con lei. Se avessi avuto il cellulare, avrei potuto scrivere un messaggio a Morgana affinché mi salvasse dall’impiccio. Persino Susan sembrava essersi volatilizzata.
“Mi sono resa conto che non abbiamo più parlato dopo la storia del ballo”, mormorò Emma. Il suo tono era ancora amichevole ma sentii il mio cuore scalpitare più rapidamente al ricordo del ballo e delle implicazioni.
Lo sapevo! Non dovevamo nominare Dario.
Le rivolsi la mia migliore espressione da gnorri e le sorrisi. “Siamo state entrambe molte impegnate”.
Emma annuì ma assunse un’espressione rammaricata. “Mi dispiace tanto, sai? Non ti ho mai chiesto come stessi dopo la tua separazione con il tuo ragazzo. Matthew, giusto?”.
“Matteo”, replicai di istinto, sottolineando la versione italiana e originale del suo nome. Mi strinsi nelle spalle ma mi imposi di continuare a guardarla negli occhi affinché non fraintendesse le parole successive. “Non hai alcun motivo per sentirti in colpa: sto bene”.
“Deve essere stato terribile per te”, continuò Emma, enfatizzando l’aggettivo e guardandomi più attentamente, quasi a distanza di tre mesi ancora cercasse segni della mia sofferenza dalla teorica separazione dal mio fidanzato storico.
“Lo è stato”, risposi in tono composto. “Ma la sua assenza al ballo è stata una casualità: i problemi erano altri e li ho portati con me a Glasgow”.
“Devo ammettere che sembri esserti ripresa con una velocità piuttosto… invidiabile, considerando quanto lunga e intensa fosse la vostra relazione”, continuò Emma con un sorriso educato.
Ancora una volta non potei fare a meno di notare il modo in cui la sua voce, volontariamente o meno, avesse pronunciato l’aggettivo più importante della frase con una certa enfasi. Il suo sguardo castano mi stava nuovamente studiando con un’attenzione particolare. Avevo quasi la matematica certezza, confermata dalla sua perenne presenza in auditorium durante le prove, che non solo stesse ribadendo la profondità del suo legame con Tom, ma persino intimandomi di non pensare a lui in termini diversi da quelli di una collaborazione a scopi accademici.
Mi irrigidii ma ne sostenni lo sguardo e incrociai le braccia al petto. “Sono sempre stata una persona piuttosto riservata, soprattutto quando si tratta dei miei sentimenti”, replicai e inclinai il viso di un lato. “Non a tutti piace esternare platealmente le proprie emozioni”, continuai con un sorriso, senza neppure curarmi della possibilità che cogliesse la mia frecciatina. Non avevo alcun diritto di esprimere un giudizio su Tom o sulla loro relazione. Ma parimenti lei non aveva diritto di insinuare che io stessi cercando di separarli.
Sembrò assimilare le mie parole con grande attenzione, senza smettere di studiarmi attentamente ed era in procinto di rispondere, quando Tom si presentò nuovamente. Se avesse percepito o meno la tensione non lo diede a vedere ma finì di bere la propria birra. “Andiamo?”, domandò alla ragazza e mi porse una banconota da dieci sterline.
“Sì, amore”, replicò Emma in un sorriso, alzandosi e stringendogli il braccio. “Dobbiamo guardare The Abominable Bride[14]. Non vedo l’ora: io adoro Benedict Cumberbatch”, mi disse con un sorriso entusiasta.
Non potei fare a meno di gettare un’occhiata a Tom che stava mettendo il resto nel portafoglio ma senza degnarmi di sguardo.
“Sono sicura che vi piacerà”, le sorrisi cortesemente. “Io e le mie amiche abbiamo in programma di guardarcelo una di queste sere”.
“In questo periodo Tom è davvero in fissa con Sherlock Holmes”, aggiunse la ragazza in tono enfatico. “Durante le vacanze si è comprato una raccolta magnifica con tutti i romanzi e i racconti!”, continuò con tono adorante nel rimirarlo con evidente orgoglio.
Sentii il sorriso gelarsi sulle mie labbra al pensiero di quello stesso volume che avevo lasciato sul comodino, vicino al mio letto e che avevo iniziato a leggere lo scorso mese.
“Si sta facendo tardi”, disse Tom in tono brusco e prese la ragazza per mano. “Non voglio che mia nonna stia in pensiero”, aggiunse.
“Ma certo amore”, lo rassicurò Emma, ricambiandone la stretta. “Dovresti assolutamente leggerli, Sarah! Alla prossima”, si congedò con un ultimo sorriso.
“Ci vediamo”, mormorai per risposta seguendoli con lo sguardo.
 
Stavo ancora finendo di sciacquare le stoviglie quando Morgana e Luna arrivarono. La mia coinquilina sembrava trattenersi a stento dal ridere e persino Luna sembrava più su di giri del solito. 
“Sara, devi vedere una cosa, subito!”.  Mi disse la prima in tono trafelato.
“Cosa?”, domandai con voce distratta.
La mia amica sembrò guardarmi solo in quel momento e si fece seria. “Che ti è successo?”, mi domandò confusamente.
“Vi siete perse la coppia reale”, replicai in tono sarcastico.
Quando finalmente congedai gli ultimi clienti, potei fermarmi davanti a loro e raccontare dell’accaduto, soffermandomi soprattutto sulle osservazioni e sulle domande di Emma che fecero incupire Morgana.
“Hai capito bene: ti stava intimidendo”, sbottò con sguardo indignato. “Ma non preoccuparti troppo per lei: sta già scontando la sua punizione continuando a idolatrare uno stronzo che non l’ama più. Lascia fare al tempo”, commentò in tono insolitamente composto. Solitamente non ci avrebbe messo più di trenta secondi per pianificare una vendetta in tutti i dettagli. O forse lo stava già facendo e non voleva coinvolgermi.
“E non avete ancora sentito il peggio”, soggiunsi con aria stanca e continuai la spiegazione, fino alla terribile rivelazione riguardante il regalo di Natale.  
Morgana andò su tutte le furie, cominciando a imprecare contro Tom passando dall’inglese all’italiano e dall’italiano all’inglese.
Luna, al contrario, aveva ancora lo sguardo vacuo ma mi guardò con aria mite. “Qualcuna di voi conosce il segno di Tom?”, ci chiese.
“Sì, il segno dello stronzo, maiale, bastardo e doppiogiochista”, fu la replica di Morgana.
Luna sbatté le palpebre e si fece pensierosa. “Deve essere sicuramente un segno di aria allora[15]”, convenne tra sé e sé.
“Glielo devi restituire”, sbottò Morgana.
Non potei fare a meno di incupirmi e sentirmi una stupida. Ero stata così felice di quel regalo e così emozionata da essere disposta a passare sopra tutte le carognate che mi aveva fatto in passato e a voler guardare a lui come a una persona diversa. Ma se anche avesse coltivato per me dei sentimenti dolci, ciò non avrebbe mai giustificato le sue azioni.
“Se non si trattasse di un libro e di un oggetto di valore glielo restituirei pagina per pagina”, borbottai a denti stretti. Ero talmente arrabbiata che avrei voluto spaccare i bicchieri anziché pulirli.
“E io ti suggerirei il posto in cui infilargliele”, replicò prontamente Morgana.
“Non posso credere di essere stata così ingenua!”, mormorai umiliata.
Morgana sospirò ma non parve voler infierire nonostante più volte mi avesse ammonita sulla questione. “Il tuo unico difetto è essere fin troppo nobile: avresti dovuto sputtanarlo davanti a lei e avrebbero avuto entrambi la penitenza che meritavano”, commentò in tono ancora velenoso ma mi sorrise dolcemente. “Ma tu sei fatta così e noi ti adoriamo anche per questo”. Sospirò e mi guardò con un moto di incoraggiamento. “Devi cercare di resistere per qualche mese e poi non avrai più nulla a che vedere con nessuno dei due”.
“Lo spero”, risposi con uno scuotimento del capo.  
Incredibile come, ancora una volta, Tom mi avesse rovinato una giornata che si supponeva fosse tranquilla e priva di preoccupazioni.
 
Era passata più di un’ora da quando avevamo chiuso il locale e Morgana ed io eravamo tornate a casa in taxi. Mi ero concessa una lunga doccia ma non avevo fatto che rimuginare su ciò che era accaduto: la conversazione con Emma che sembrava esser stata condotta da lei magistralmente per mettermi in difficoltà e quella rivelazione sul libro di racconti. Lo avevo trovato sulla mia scrivania, esattamente dove l’avevo lasciato la sera precedente. Tolsi il mio segnalibro. Tutto l’entusiasmo e l’emozione che avevo provato nello sfogliare quelle pagine, nello studiare le fotografie e tutti i bei ricordi del museo di Londra sembravano svaniti.
Un altro motivo per essere furiosa con Tom.
Rovina sempre tutto, sempre.
In fondo mi aveva portata in giro per Londra ma per rimediare all’ennesima lite e all’ennesima occasione in cui mi aveva volontariamente ferito. Senza contare che a causa sua non avevo potuto finire la conversazione con Bradley e tantomeno incontrarlo il giorno successivo. Certo, non potevo sapere con certezza che queste due occasioni avrebbero potuto cambiare la mia vita, ma grazie a Tom avrei continuato a tormentarmi con questa domanda.
Ero talmente arrabbiata che mi sentivo nuovamente vicino alle lacrime, ma mi era insopportabile l’idea di versarne altre a causa sua.
Fui grata quando sentii Morgana bussare alla mia porta e la invitai a entrare.
“Non ho detto nulla a Sean come mi hai chiesto”, mi fece presente, dopo la telefonata della buonanotte. “Per ora”.
“Grazie davvero”. Ero consapevole di quanto le fosse difficile non assecondare il suo istinto. Altrettanto arduo tenerle lontano il mio cellulare affinché non agisse di sua iniziativa e telefonasse a Tom per minacciarlo fisicamente, psicologicamente e penalmente.
“Va meglio?”, mi domandò in tono più premuroso. “Ti preparo una cioccolata calda? Ti tira sempre su di morale”.
Scossi il capo. “Meglio di no: ho la nausea”, le rivelai e mi sedetti sul letto.
“Allora adesso ci guardiamo qualcosa su Netflix così ti distrai e-”, si interruppe quando il suo cellulare suonò e un sorriso gigantesco le sfiorò le labbra. “Credo di avere tra le mani una situazione che ti farà distrarre”, gongolò in tono complice e si sedette accanto a me, mostrandomi il display.
Sgranai gli occhi nel leggere quel nome. “Perché Amy ti sta chiamando a quest’ora?”, domandai in tono perplesso. “Non doveva uscire con quel ragazzo?”.
“Era quello che stavo per dirti al pub”, mi informò Morgana per poi premere il tasto di risposta. “Ciao cara”, la salutò con la sua voce flautata. Sospettai che ne avesse combinata un’altra delle sue e che questa volta, ahinoi, la vittima fosse proprio la nostra nuova amica. “Sono con Sara, ti metto in vivavoce se non ti dispiace”.
“CARA UN CAZZO!”, fu la risposta di Amy urlata a tutta gola.
Sgranai gli occhi a quel tono infuriato e mi volsi verso Morgana che stava ridendo così tanto da avere le lacrime agli occhi, cominciando a dondolarsi con il busto ma cercando di non fare rumore. Dall’altra parte della linea riconobbi a stento Luna dai suoi versi sguaiati e rumorosi.
“Che sta succedendo?”, domandai inebetita, rendendomi conto di essermi decisamente persa qualcosa.
“SEI UNA MALEDETTISSIMA STRONZA! COME HAI POTUTO FARMI QUESTO?!”, continuò la sua invettiva. L’attimo dopo cominciò a piagnucolare. “Tu lo avevi capito che era lui!! TI ODIO!”.
Morgana era talmente sopraffatta dall’ilarità dal non riuscire a replicare. Mi porse il cellulare affinché non le cadesse.
“Amy, scusa”, intervenni io con voce pigolante, temendo che potesse riversare su di me la sua rabbia come accaduto in precedenza per la mia intromissione. “Non ho idea di cosa stia succedendo e Morgana non riesce a parlare”.
“FATTELO SPIEGARE DA LEI CHE COSA MI HA FATTO!”, urlò di nuovo e ringraziai che fosse impostato il vivavoce o probabilmente avrei perso una buona dose del mio udito.
“Morgana”, la richiamai in tono ammonitore. “Che cosa hai fatto questa volta?!”.
“Io l’ammazzo Sara!”, piagnucolò la ragazza dall’altra parte. “Lo so che è tua amica da tanto tempo, ma io la uccido! Sapessi che cosa mi ha fatto!”, continuò e tirò su rumorosamente il naso. “CHE CAZZO RIDI, LUNA?! FATTI I CAZZI DEI PIANETI TUOI!”
“Morgana, dimmi che diavolo è successo!”, alzai a mia volta la voce.
Lei finalmente parve ricomporsi e si asciugò il volto. “Resta in linea”, disse ad Amy che le rispose con un invito assai poco cortese.
La sentimmo sgridare nuovamente Luna e alternare imprecazioni e piagnucolii nel suo dialetto nativo, mentre Morgana, senza sospendere la chiamata, apriva l’applicazione di Facebook e mi mostrava la pagina del pub e la fotografia che Amy aveva scorto poche ore prima.
Sbattei le palpebre perplessa e frastornata. Mi sembrava che fosse passata una vita da quando la nostra preoccupazione principale era quella di commentare la beltà del fantomatico nipote della Signora Weasley. Morgana fu presa da un altro attacco di risate, prima di farmi cenno di leggere.
“SMETTILA DI SGHIGNAZZARE, STRONZA!”, la rimproverò l'altra.
Le strappai di mano il cellulare, dopo averle lanciato un’occhiata di fuoco, ma sbattei le palpebre a più riprese e sgranai gli occhi. “Oddio, non può essere”, mormorai con voce sgomenta e atterrita. La mia reazione fece soltanto accrescere l’ilarità di Morgana e intensificare i piagnucolii dell’altra ancora in linea.
Nelle ultime ore la fotografia aveva raggiunto un centinaio di like e una ventina di commenti che passai in rassegna con lo sguardo. Ma non potei fare a meno di sgranare gli occhi quando scorsi il nome della persona a cui erano rivolte le parole più lusinghiere.
Un tale Peter Minus aveva scritto: “Gran bei tempi, Molly! E complimenti Tom: sei sempre in formissima, beato te!”. Poco dopo un certo Sirius Black aveva aggiunto: “Davvero Tom, complimenti! Chissà quante cameriere sono invaghite di te! Se non sei interessato perché stai ancora infrangendo i cuori delle “vecchie fan”, puoi anche presentarmene qualcuna: non dico mai di no a carne fresca!😉[16]”.
“Tom come Tom Riddle?!”, balbettai incredula, facendo quasi ululare Morgana dal divertimento.
Non potevano esserci dubbi perché le risposte a quei commenti erano state inserite dall’account ufficiale della pagina del pub il cui amministratore era proprio il Signor Riddle. Non era raro, tuttavia, che lasciasse a Lee Jordan, avvalendosi del suo master in informatica, ad aggiornare la pagina e a creare dei layout accattivanti a seconda del periodo dell’anno o della promozione da pubblicizzare.
“Grazie Peter! Troppo gentile. Se ti serve una mano[17] per dimagrire non esitare a chiedere 😉.
Al commento dell’amico Black, invece, aveva risposto senza alcun riferimento malizioso alle sue dipendenti. Tuttavia, il commento avrebbe potuto essere interpretato come una frecciatina nei confronti della mia amica, seppur non ve ne fosse menzione e solo io le ragazze avremmo potuto cogliere un doppio senso. “Troppo gentile, Sirius 😉 Ma dubito che qualche presunta “vecchia fan” possa essere d’accordo. Temo che risulterei irriconoscibile rispetto al ragazzo della foto 😉”.
“Oh mio Dio”, mormorai con voce sgomenta.
Ripensai al momento in cui, poche ore prima, lo avevamo scorto nel tavolo più appartato del locale. Sembrava particolarmente divertito e di buon umore, ma da qui a immaginare che fosse lui l’oggetto dei complimenti maliziosi di Amy e che, pur fingendo nulla, si fosse preso la briga di rispondere e lanciare quella frecciatina, non sarebbe stata sufficiente neppure la mia proverbiale fantasia. Indubbiamente era molto cambiato da allora, ma osservando bene i lineamenti del ragazzo si poteva scorgere lo stesso taglio degli occhi, lo stesso colore intenso, la stessa linea della mascella e la stessa fisicità. Ciò che mancava al Riddle attuale era l’entusiasmo che traspariva dal volto della sua versione fanciullesca. Non avevo mai visto il mio datore di lavoro sorridere in quel modo e avevo il sospetto, confermato anche dalle domande del Preside, che avesse affrontato delle traversie che gli avevano tolto tale spensieratezza[18].
“Io non ci torno più al lavoro, Sara!”, mi si rivolse Amy con voce grondante di mortificazione. “Con che faccia posso presentarmi domani?! Scrivo subito un’e-mail a Madama Bumb: DO LE DIMISSIONI IN QUESTO MOMENTO!!”.
Morgana sembrò finalmente riuscire a riprendere il controllo di sé perché si rimise composta e lo sguardo baluginò di malizia. “Allora puoi anche cancellare l’iscrizione al sito: tu e Riddle potrete andare a cena fuori già da domani!”, trillò in tono allegro.
“VAFFANCULO”, fu la sua risposta di cuore.
Tu lo avevi riconosciuto e non hai detto niente?!”, mi intromisi.
“Ho provato a farla tacere al pub!”, protestò Morgana di fronte al mio sguardo di rimprovero. “Non mi sembrava il caso di inferire dopo la figuraccia con lui e con la signora Weasley. Poi a cena ho letto quelle risposte e volevo fartele leggere al pub”, continuò a spiegarsi mentre io la guardavo e scuotevo la testa. “Luna aveva giurato di non farne parola con lei per non metterla in ulteriore imbarazzo! Speravo che non andasse a controllare di nuovo la fotografia!”.
Non riuscii a formulare una risposta verbale, ma assecondai il mio istinto e le diedi uno scappellotto.  
“Ahia!”, protestò in tono indignato, massaggiandosi la parte lesa.
“Ma ti rendi conto di quale imbarazzo avresti potuto risparmiarle se fossi stata più chiara?!”, la sgridai in tono alterato. “Adesso guarda in che posizione si trova a causa tua!”.
“Evidentemente non in orizzontale”, rispose lei con il suo tono più impertinente. “Altrimenti sarebbe stata troppo impegnata per chiamarci!”.
“VENGO AD AMMAZZARTI ADESSO”, le urlò contro, mentre io mi strofinavo la tempia, sentendo l’anteprima di un mal di testa da primato.
“Sparisci”, le ordinai in un sibilo e le indicai la porta della mia camera come avrei fatto con un cucciolo disobbediente.
“Sei seria?”, mi domandò in tono perplesso.
“Sparisci!”, ribadii. Mi rimisi in piedi e la trascinai. “Non voglio vederti fino a domattina!”. La spinsi fuori e mi chiusi l’uscio alle spalle.
“Sì, ma ridammi il telefono!”.
La ignorai a chiusi a chiave per poi sedermi nuovamente sul letto e togliere il vivavoce.  Lasciai che si sfogasse tra imprecazioni, lamenti e commenti più o meno razionali e isterici. Ci misi tutto il mio impegno per cercare di attenuare i toni e tranquillizzarla: dopotutto non necessariamente tutti i colleghi avrebbero letto il post e se anche fosse accaduto, non avrebbero certamente potuto capire quella battuta. Senza contare che il Signor Riddle si sarebbe comportato come se nulla fosse accaduto e di certo si sarebbe aspettato lo stesso da tutte noi. Quindi era meglio archiviare quell’imbarazzante episodio e cercare di simulare la normalità. Dopotutto tra poco più di un mese avrebbe iniziato il nuovo lavoro e, con un po’ di fortuna, sarebbe accaduto altro nel frattempo a distrarci da questo episodio.
Alla fine, anche per cercare di distrarla dall’accaduto e dall’ennesimo appuntamento che si era rivelato un fallimento, le raccontai dell’arrivo al pub di Emma e di Tom. Ma decisi di omettere il riferimento a Daniel: ero ancora più convinta che si fosse trattato di un pretesto per arrivare al nodo della discussione che realmente interessava ad Emma. Ritenni inoltre poco saggio fomentare ulteriormente le sue emozioni. Almeno per quella sera.
“Detesto ammetterlo ma su questo sono d’accordo con la tua amica: dovresti infilargli quel libro sai dove, una pagina alla volta”, fu il suo commento conclusivo. Dopo un’altra serie di imprecazioni e di offese nei confronti della coppietta.
“Non ho intenzione di tenerlo a casa mia un giorno di più!”, ribadii in tono altrettanto fermo e sicuro di me. Non avevo alcun dubbio al riguardo, per quanto una parte di me non potesse che dispiacersi di perdere quel regalo. Non il libro di per sé ma la gratitudine e la dolcezza che avevo provato nel riceverlo.
“Lui e Emma si meritano a vicenda”, aggiunse la mia amica quasi con disprezzo. “Lei di avere un fidanzato così doppiogiochista e lui di sentirsi costretto a restare con lei”.
Parlammo ancora un po’ al telefono fino a quando la stanchezza non subentrò e ci congedammo, dandoci appuntamento al giorno successivo per una colazione al pub.
 
~
 
Quella notte faticai ad addormentarmi e il mio subconscio ne fu in gran parte responsabile. Sognai di nuovo il giardino “principesco” in cui tutto era iniziato, ma indossavo lo stesso abito rosa che avevo portato per assistere alla rappresentazione teatrale a Londra. Seppur fossi sola provavo una profonda angoscia e continuavo a correre, senza apparente motivo, ma senza trovare una via d’uscita in un labirinto senza fine in cui continuavano ad apparire siepi dal nulla. Superavo dei roseti ma i fiori sembravano appassire al mio passaggio e cominciava a piovere intensamente e ben presto il mio bell’abito si sporcava di fango e i miei capelli sembravano afflosciarsi come i fiori secchi al mio passaggio.
Non avrei dovuto rispolverare il saggio di Freud sull’interpretazione dei sogni o cercare riferimenti in rete per avere la conferma che quegli ultimi eventi mi avessero turbata più di quanto fossi disposta ad ammettere.
Cercai di cacciare quelle immagini dalla mente, mi vestii e raccolsi il necessario per le ore in Accademia e per il lavoro. Inserii a forza il libro di Doyle nella mia borsa, nell’esatto momento in cui Morgana entrava in cucina con addosso ancora il pigiama.
“Hai una pessima cera”, mi informò in tono pacato, dopo aver mormorato un saluto.  
“Grazie”, risposi senza alzare lo sguardo.
Lei sospirò. “Prometto che mi farò perdonare da Amy: sono seria, non avrei mai immaginato che sarebbe accaduto qualcosa del genere e neppure glielo avrei mai augurato”, mi disse in tono realmente dispiaciuto. Ogni traccia di ilarità della sera precedente sembrava essere smaltita.
Ne ricambiai lo sguardo e non ebbi dubbi sulla sua sincerità. “Fossi in te mi impegnerei parecchio”, le feci presente ma con un sorriso.
Indicò con un cenno del mento il libro. “Vuoi che ti accompagni in Accademia? Potrei chiedere ad Angel di coprire il mio turno”.
Scossi il capo ma la ringraziai per il pensiero. “Devo imparare a cavarmela da sola in queste situazioni”, mormorai per poi inclinare il viso di un lato e rivolgerle uno sguardo allusivo. “Ad ogni modo credo sia meglio che tu non ti faccia vedere da Amy oggi”.
“Immagino di sì”, commentò lei con la traccia di un sorriso. “Mi fai sapere com’è andata?”.
“Certo”, le promisi mentre indossavo il cappotto e prendevo la borsa per i manici. Il libro era troppo pesante affinché potessi caricarmela in spalla come di consueto.
“Allora buona giornata e in bocca al lupo”.
“Anche a te”.
 
 
Quando giunsi al pub trovai Amy dietro al bancone per il suo turno mattutino. Non mi sorprese il fatto che lei stessa apparisse pallida e non particolarmente riposata. La salutai e presi posto su uno sgabello.
“E’ già arrivato?”, le domandai in un sussurro.
Lei scosse il capo, preparandomi la colazione e io mi guardai attorno, constatando che sembrava tutto normale. Il pub sarebbe stato aperto al pubblico soltanto dopo una mezzora. Neville ci salutò con un gran sorriso, annunciando che aveva in mente di preparare una torta di mele e promettendoci una fetta della stessa. Anche la Signora Weasley ci salutò allegramente e per fortuna non fece alcuna allusione al post, ma sembrava troppo intenta a mostrare alla Signora Sprite il risultato di un test che aveva fatto su Facebook e che le rivelava a quale celebrità somigliasse.
La mia amica sembrava finalmente rilassata, quando la voce sgradevole di Rankin ci riscosse. Si avvicinò al bancone con le braccia incrociate al petto e la fulminò con lo sguardo. “Si può sapere come mai hai 20 punti in più?”.
Cosa?”, domandò frastornata.
“Ieri sera ho controllato i punteggi di tutti prima di uscire!”, berciò lui. “E stamani hai 20 punti in più: come è possibile? Non eri neppure di turno alla chiusura!”.
Vidi la ragazza diventare di un colore simile al bordeaux ma fui io a rispondergli, anche nel tentativo di sviare la sua attenzione da quel particolare. “Ci stai dicendo che tu controlli i punteggi di tutti prima di andartene?”, gli chiesi con aria incredula. “Ogni giorno?!”.
“Beh?”, rispose lui che sembrava non comprendere perché io apparissi tanto perplessa.
Sbattei le palpebre. “Davvero non ti rendi conto che questo è un comportamento poco sano?”, gli domandai senza alcun intento ironico.
Percy mi ignorò e si rivolse di nuovo alla mia amica: “Allora? Voglio una spiegazione!”.
“Che cosa vuoi che ne sappia!”, sbottò lei a voce più alta e comprensibilmente infastidita dai suoi modi e dalla sua insistenza. “Chiedilo al Signor Riddle se proprio ci tieni!”.
“E’ quello che farò!”, rispose Percy, sollevando il mento con aria profondamente oltraggiata.
“Per l’amor del cielo!”, sentimmo la voce esasperata del signor Riddle. Trasalimmo tutti e tre sul posto. “E’ mai possibile che io non possa entrare in questo dannato pub senza che ci sia una polemica in corso?”.
Percy si affrettò ad avvicinarsi e Riddle gli sbatté addosso il proprio cappotto senza neppure degnarlo di sguardo. Lui lo appoggiò sull’appendiabiti con quel suo fastidioso atteggiamento servile, prima di sorridergli. “Mi perdoni, Signor Riddle, ma volevo chiederle qualcosa riguardo-”.
Il Signor Riddle lo fece tacere con un gesto imperioso. “Ti avverto, Rankin: non ho ancora fatto colazione”, gli fece notare in tono gelido.
Il ragazzo non sembrò affatto intimorito, ma gli sorrise persino con maggiore accondiscendenza. “Cosa posso portarle? Gradisce farla nel suo ufficio o le apparecchio un tavolo qui?”.
Riddle lo fulminò con lo sguardo. “Sparisci subito dalla mia vista”.
Rivolse uno sguardo tutto attorno, me compresa nonostante fossi in abiti quotidiani, e assunse il suo cipiglio più severo e infastidito. “Non voglio sentire una parola: tutti al lavoro!”, ci rimproverò prima di incamminarsi a passo di carica verso il suo ufficio.
Rankin sembrava piuttosto offeso da quella reazione ma, suo malgrado, si impettì. “Avete sentito il Signor Riddle? Al lavoro!”. Lo sentii tuttavia borbottare ancora con Zacharias Smith. Era l’unico collega, con simili modi spocchiosi e antipatici, che sembrava tollerarlo. Superfluo dire che, secondo il parere popolare dello staff, ciò avvenisse per non essere oggetto dei prolissi resoconti di Rankin al nostro datore di lavoro.
“In questo pub regna l’anarchia ultimamente!”, si stava lamentando in tono aspro. “Punti assegnati a casaccio, chiacchiere durante il lavoro e l’ultimo arrivato che è dispensato da tutti i turni serali per chissà quale motivo!”. Continuò a polemizzare seppur premunendosi di parlare a voce bassa, mentre si recava verso la saletta privata per sincerarsi che tutto fosse in ordine.
Mi rivolsi ad Amy e malgrado tutto le sorrisi. “Ignora Rankin e comportati normalmente”, le suggerii dopo aver pagato la colazione.
“Ci proverò”, promise con un sospiro. “Per mia fortuna non dovrò sopportarlo ancora a lungo”, convenne e non potei che annuire, invidiando quel particolare. Inclinò il viso di un lato e mi guardò con un moto di apprensione: “Tu parlerai con Tom?”.
“Sì, gli ho scritto prima di uscire di casa”, le raccontai. “Voglio chiudere questa faccenda una volta per tutte”.
“Puoi sempre usare il libro per picchiarlo”, mi suggerì con un sorriso malefico che ricambiai.
“Potrebbe essere un’idea. A più tardi”.
 
 
Avevo immaginato che l’auditorium prima delle prove fosse un luogo adatto per avere privacy e tranquillità. Non che avessi granché voglia di discutere con lui o, peggio ancora, di affrontare l’ennesima lite, ma non potevo tergiversare e volevo mettere le cose in chiaro. Sperai che fosse l’ultima volta. Il mio messaggio recitava: “Devo vederti urgentemente. Vieni in auditorium prima delle prove. DA SOLO”.
Seppur fosse piuttosto ovvio che quel colloquio dovesse avvenire all’insaputa di Emma, ritenni prudente enfatizzare quella necessità. Se non altro Tom si risparmiò di domandarmi spiegazioni, ma si limitò a visualizzare e a rispondere, dopo pochi secondi con: “Ok”.
Superfluo dire che persino quelle due miserabili lettere mi suscitarono un profondo fastidio ma non avrebbe avuto senso anticipare la contesa attraverso dei messaggi.
Volsi lo sguardo alle doppie porte di ingresso quando le sentii schiudersi e lui entrò. Camminava con passo sciolto e fluido e se fosse o meno nervoso come la sottoscritta non lo diede a vedere. Aveva le mani conficcate nelle tasche in quella tipica postura di chi voleva apparire rilassato o ben poco preoccupato dai toni della comunicazione.
Non potei che incupirmi, soprattutto considerando che avevo passato gli ultimi dieci minuti a immaginare come sarebbe andato quel colloquio e persino a “prepararmi” qualcosa da dire nel caso in cui avesse reagito come presagivo, rifiutandosi di riprendersi il libro o sminuendo il tutto.
Mi raggiunse e si fermò di fronte a me. “Ebbene?”, mi incoraggiò con le sopracciglia inarcate e un cenno del mento.
Dovetti mordermi la lingua per impedirmi di rispondergli male o di offenderlo prima ancora di comunicargli la parte più importante della mia invettiva. Mi limitai a trarre il libro dalla borsa e glielo porsi.
Tom non si mosse e neppure fece cenno di voler stendere il braccio per riprenderselo. Inclinò il viso di un lato e mi studiò attentamente. “Posso chiederti perché me lo vorresti restituire?”.
Aggrottai le sopracciglia e glielo tesi con più energia. “Non lo voglio più”, risposi in tono lapidario.
Si strinse nelle spalle con un sorrisetto di sbieco. “Mi sembra evidente, ma non risponde alla mia domanda”, replicò in tono supponente.
Quel suo atteggiamento non faceva che rendere le cose persino più complicate, ma non avevo intenzione di assecondarlo. Che lui continuasse pure a sminuire tutto o ad agire in maniera subdola e infida. Non ero più disposta a dargliele vinte. “Rispondi tu a questa domanda”, lo sfidai. “Perché non hai detto a Emma di aver comprato quel libro per me?”.
Sorrise e fece schioccare la lingua sul palato. Sembrava persino divertito ma almeno ebbe il buon gusto di non fingersi sorpreso. “Ti farebbe sentire meglio sapere che a te ho comprato una seconda copia e in sua assenza?”.
“Sto parlando sul serio, Tom!”, lo sgridai. “Basta giochetti: perché non glielo hai detto o non me lo hai dato di fronte a lei?”.
Si strinse nelle spalle e schioccò la lingua sul palato, scuotendo il capo con flemma irritante. “Lo sai benissimo perché”.
Lo guardai per un istante e annuii, trovando ulteriore conferma che non avessi equivocato il comportamento di Emma dalla sera del ballo. “E’ proprio per questo che non posso tenerlo”.
Fu il turno del ragazzo di spazientirsi. “E’ solo uno stupido libro!”, rispose, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. “E’ mai possibile che tu debba sempre cercare significati nascosti e farne dei melodrammi?”.
Se possibile quell’accusa mi fece persino agitare di più e superai la distanza per poi appoggiargli bruscamente il tomo contro il petto, costringendolo a riprenderlo in mano per non farlo cadere. “Smettila! Smettila di negare le cose e fingere che sia io a fraintendere i tuoi gesti di proposito!”. Gli sbottai contro e, seppur stessi cercando di non alzare la voce, l’acustica di quel luogo la faceva riecheggiare tra quelle pareti.
Tom strinse le labbra contrariato, ma appoggiò delicatamente il libro sulla poltroncina più vicina e avanzò di un passo in mia direzione. Mi cinse il braccio, ma io mi strattonai per liberarmi. Il gesto sembrò farlo ulteriormente irrigidire. “Credevo che dovessimo restare amici”. Mormorò risentito.
Fu il mio turno di sorridere amaramente e lasciar cadere le braccia lungo i fianchi. “Lo speravo anche io con tutto il cuore”, dissi con enfasi. “Ma tu valichi sempre quel confine e menti a me, a Emma e persino a te stesso!”.
Lo vidi passarsi una mano tra i capelli in un gesto che sembrò rivelarne una fragilità che non avrebbe potuto ostentare liberamente, se non mortificando il suo orgoglio e l’apparente superficialità con cui affrontava ogni situazione. Tornò a guardarmi negli occhi intensamente, come se volesse sondare i miei sentimenti. “Vorresti rinnegare tutto quello che è successo?”, mi domandò in tono di sfida.
Mio malgrado mi morsi il labbro, sentii il cuore farsi più pesante e un nodo serrarmi la gola. Non avrei mai voluto arrivare ad esasperare in quel modo la situazione e sapevo che avevo la mia parte di responsabilità e che troppe volte, consapevolmente o meno, avevo incoraggiato quella complicità tra noi e fantasticato che le cose potessero andare diversamente. Che Emma non fosse presente nell’equazione. Che ci fossimo incontrati in altre circostanze e che avremmo potuto abbandonarci a quell’attrazione. O forse mi stavo solo illudendo che ci fosse qualcosa di sentimentale e di più profondo così da giustificare pensieri e azioni di cui non andavo fiera. Pronunciai le seguenti parole senza alcuna intenzione di ferirlo o tanto meno di addossargli ogni colpa, ma con voce stanca e rauca. “A volte vorrei poterlo fare”. Cercai di sostenerne lo sguardo. “Ma questo non significa che le cose tra noi debbano cambiare”.
Tom mi guardò più intensamente e annuii come implicita conferma. “Io non lo voglio”, confermai in tono fermo e risoluto.
Sembrò necessitare di diversi secondi per assimilare quelle parole e il loro significato, ma mi rivolse un sorrisetto beffardo e mi si avvicinò. Allungò una mano in mia direzione e mi costrinse a sostenerne lo sguardo, sollevandomi il mento. “Temo che ti sfugga qualcosa, love”, mormorò in un sorriso sgradevole, riponendomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e rispolverando quel nomignolo. “Forse ti sei creata una fantasia romantica su tutto questo, ma è giusto che tu sappia che avrei solo voluto divertirmi un po’. Niente di più. Almeno per un po’ di tempo”, mormorò al mio orecchio, inspirando il mio profumo e facendomi intirizzire la pelle del collo.
Ne fui disgustata e lo strattonai per allontanarlo da me. Lo avrei anche schiaffeggiato se ciò non avesse reso quella farsa persino più “drammatica”. Sapevo che stava mentendo per proteggersi, ma mi feriva il fatto che lui, al contrario di me, non si faceva remore a rivolgermi parole pregne di cattiveria e con un certo intento vendicativo che trovavo alquanto meschino e vile. “Sei così schiavo del tuo orgoglio che preferisci fare la figura del bastardo doppiogiochista e del ragazzino immaturo: complimenti”, gli dissi in tono sarcastico.
Vidi un lampo di pura rabbia alterarne i lineamenti e sembrò in procinto di aggiungere qualcosa, prima che le doppie porte si aprissero nuovamente.
“Oh, bene, siete in anticipo!”, ci salutò Lupin con evidente aria di approvazione e il sorriso entusiasta. “Magnifico! Sono davvero compiaciuto del vostro zelo: cominciamo subito?”.
Trovavo ironico il modo in cui il professore, così abile nel descrivere le emozioni e i pensieri dei suoi personaggi cartacei, sembrasse in quel momento del tutto incapace di cogliere la tensione che aleggiava tra noi in quel momento.
 
Avrei potuto dire a sua discolpa che scelse di farci provare una scena che sembrava più che idonea al nostro stato d’animo. Fin dalla prima lettura del copione l’avevo considerata la scena più importante dell’intera opera. Era il momento in cui i protagonisti affrontavano una discussione particolarmente tesa che riusciva a far emergere i loro reali pensieri, a dispetto delle convenzioni sociali, della possibilità di ferire l’altro o di compromettere il proprio futuro. L’ulteriore ciliegina sulla torta era la somiglianza tra Tom e William: il personaggio parlava spesso in modo sarcastico e irrispettoso per nascondere le proprie fragilità, preferendo farsi odiare alla possibilità che qualcuno ne carpisse i sentimenti più profondi.
Mi ghermì il braccio con la risoluzione che era idonea a quel momento narrativo, costringendomi a voltarmi in sua direzione. Non dovetti neppure fingere la rigidità del mio corpo e neppure la rabbia che mi avrebbe dovuto ammantare lo sguardo.
“Lasciatemi subito o mi metterò a urlare fino a quando non accorrerà qualcuno!”, lo minacciai.
Mi guardò con espressione dura, la pressione sul braccio non scemò, ma si protese con il busto in mia direzione. Inarcò le sopracciglia e sorrise senza allegria: con un misto di amarezza e di collera repressa. “Vi riempite la bocca di parole virtuose, ma siete solo una codarda che continua a mentire a se stessa”, fu la risposta proferita in tono provocatorio ma decisamente più tranquillo di quello usato dalla dama.
A quel punto lo fissai persino più stizzita, strattonandolo per liberarmi nuovamente. “Se vi è una persona codarda, quella di certo non sono io: vi nascondete dietro il vostro orgoglio e non siete disposto a dar voce ai vostri reali pensieri”.
Il sorriso scemò dalle sue labbra. “Potrei farlo, solo se voi foste disposta ad ammetterlo”.
“E perché dovrei?!”, ribattei con voce così alta che la sentii rimbombare nell’auditorium. Sembrava che tutti fossero immobili ad ascoltarci e il fatto che Lupin non intervenisse sembrava presagire che stessimo svolgendo un ottimo lavoro. “Per compiacere la vostra superbia? Affinché pensiate di togliermi anche l’ultimo granello di rispetto che posso nutrire per me stessa, a dispetto di tutto?”.
Fu con un gesto fluido e rapido che mi avvolse nella morsa delle sue braccia e mi costrinse a sollevare il mento in sua direzione. “Come potete parlare di rispetto per voi stessa se non siete disposta ad essere sincera né con voi né con quel damerino che sposerete comunque”.
Lo guardai con disgusto. “Non osate parlare del mio fidanzato in tal guisa! Egli è più uomo di quanto voi sarete mai, miserabile canaglia”.
Rise con evidente sarcasmo e disapprovazione. “Se vi piace la porcellana[19] levigata da plasmare con le vostre mani delicate, sì, è l’uomo perfetto per voi”.
“Vi sbagliate”, mormorai con voce più stanca, colma di rassegnazione e tristezza. “Duncan è capace di qualcosa che a voi non riuscirà mai e vi compatisco per questo”. Conclusi in tono pacato e realmente amareggiato per lui.
“Potrei dimostrarvi in questo stesso momento quanto vi sbagliate”, rispose con quella dose di malizia che era tipica del suo personaggio e uno sfolgorio più complice nello sguardo.
Lo guardai quasi disgustata. A quel punto la giovane dama avrebbe cessato di dibattersi tra le sue braccia e di imporsi di provare solo rancore nei suoi riguardi. In realtà nel suo animo vi era solo rassegnazione al pensiero che tutto fosse vano e la determinazione a superare i propri sentimenti e il dolore che essi recavano con sé. “Lo ribadisco: siete solo degno di commiserazione perché preferite essere odiato all’idea di mostrarvi realmente a una donna.”.
Lasciai che indugiasse con lo sguardo sul mio volto, anche se avrei potuto protestare che mi stesse cingendo in modo fin troppo energico.
“Non potrei mai fidarmi completamente di voi e tantomeno rispettarvi”, aggiunsi in tutta sincerità. Apprezzavo molto il modo in cui Elisabeth, anche nei momenti cruciali, parlava senza alcun intento vendicativo ma cercando, di palesargli quanto fosse nociva la loro sintonia.
“Lasciatemi William”, ripetei in un sussurro e abbassai lo sguardo a una maniera più pudica.
“No”, fu la risposta sferzante, mentre l’attirava maggiormente a sé. “A costo di farmi odiare più di quanto non facciate al momento”.
Fui sollevata nel vedere Robert con la coda dell’occhio, consapevole che sarebbe intervenuto da lì a pochi istanti. Tom non accennava a ridurre la pressione delle sue braccia e avrei solo voluto allontanarmi come il mio alter ego vittoriano.
“Non osate!”, mormorai, sollevando le braccia al suo petto per allontanarlo.
Stavo attendendo la sua replica sferzante, ma sussultai nel sentire l’applauso spontaneo che era sorto dalla platea. Ero talmente assorbita da quel momento che mi ero quasi dimenticata che l’intero cast selezionato fosse presente, oltre a Emma e, con mia grande sorpresa, Silente che era appena entrato in auditorium. Immaginai che avessimo di nuovo sforato i tempi della nostra prenotazione.
“Preside, benvenuto!”, lo accolse Lupin dopo averci applaudito a sua volta. “Ottimo lavoro entrambi: state diventando un tutt’uno coi vostri personaggi!”, ci lodò con evidente orgoglio.
“Sapesse quanto”, mormorò Tom tra i denti, gettandomi un’occhiata di sbieco, ma lo ignorai volutamente. Invece sorrisi nel vedere l’avanzare del Preside il cui volto allegro riusciva sempre a trasmettermi serenità.
“Più tempo passa, Remus, e più capisco perché hai scelto la nostra signorina Sarah per questo bellissimo personaggio”, mormorò con la consueta gentilezza.
Arrossii e scossi il capo come a volermi schermire. Dovevo gran parte del merito al modo in cui Tom riuscisse a far emergere le mie emozioni ed era incredibilmente terapeutico poterlo insultare e talvolta percuotere nei panni di Lady Elisabeth.
“Chiedo scusa per l’interruzione, ma ho sempre amato i colpi di scena”, commentò Silente e si volse nuovamente verso la doppia porta che aveva richiuso alle sue spalle. “Puoi entrare”, aggiunse.
Istintivamente volsi lo sguardo in quella direzione. Una figura atletica si stagliò sulla soglia dell’auditorium, entrò e camminò con andatura sicura. Sul volto spiccava un sorriso compiaciuto e divertito.
“Non potrei essere più d’accordo”, commentò una voce familiare con un gradevolissimo accento inglese. Si guardò attorno e abbracciò l’ampia stanza con un sorriso. “Buongiorno a tutti”, salutò in tono cordiale e sembrò godersi la piccola sfilata che fece verso i piedi del palcoscenico per raggiungere Lupin e Silente.
Seppur consapevole dell’effetto che stava suscitando, il ragazzo non si lasciò distrarre e il suo sguardo sembrava catturato dal palcoscenico. Tutti i suoni e i presenti parvero scomparire sullo sfondo, non riuscii a mettere a fuoco altro che lui. Anche se aveva cambiato acconciatura rispetto all’ultima volta che lo avevo visto ed esibiva un taglio decisamente più moderno, sentii il mio cuore scalpitare intensamente nel riconoscerne immediatamente le fattezze: soprattutto gli occhi di una bella tonalità d’azzurro e le labbra sottili e modellate in un sorriso affascinante. Non potei biasimare tutti i colli femminili che si volsero in sua direzione e il brusio che riempì la platea. Persino Emma distolse lo sguardo da Tom per studiare il nuovo arrivato con le labbra schiuse, come se avesse appena assistito a una visione celestiale.
Fui a malapena cosciente del passo in avanti che aveva fatto Tom con le braccia incrociate al petto e il suo tono più petulante e stizzito. “Che ci fa lui qui?!”, protestò.
Silente sospirò, le mani sui fianchi, ma l’espressione di pacato rimprovero. “Thomas non avevo dubbi che saresti stato ansioso di dare il tuo caloroso benvenuto al signor James”, mormorò in tono amabile ma con un sorrisetto divertito. “Si dà il caso che io abbia avuto un colloquio privato con lui quando Anthony mi ha invitato a fare il tour della sua Accademia che tu hai preferito disertare. Avevo già saputo delle condizioni della Signora Lupin e, conoscendo la natura fin troppo zelante di suo marito, ho pensato che potesse fargli comodo un assistente personale”.
“Che cosa?!”, ribatté Tom con voce persino più stridula.
Silente continuò come se non fosse stato interrotto. “Per nostra grande fortuna il signor James ha accettato. Aiuterà il professor Lupin e sarà a vostra completa disposizione come tutor per la preparazione dello spettacolo”, ci informò tutti. Il suo sguardo scintillava con evidente soddisfazione alle reazioni generali.
Pansy e Padma e molte altre ragazze sembrarono squittire di delizia alla prospettiva di qualche lezione privata con il nuovo arrivato.
“Albus, non so come ringraziarti”, mormorò il Professor Lupin che sembrava sopraffatto dalla generosità del Preside e dalla sua capacità di comprendere i bisogni di ognuno. Spesso senza che gli venissero richiesti esplicitamente. Si avvicinò a Bradley e gli porse la mano con un sorriso entusiasta. “Finalmente ci conosciamo: ho sentito dire cose splendide su di te e sullo spettacolo”.
Il Preside mi sorrise e gli occhi sprizzarono in modo complice. Stavo osservando quella scena come se, improvvisamente, mi trovassi nel bel mezzo di un sogno e tutto stesse accadendo a prescindere da me e dalla mia volontà. Avevo ancora il timore che avrei potuto svegliarmi da un secondo all’altro e restarne profondamente delusa e amareggiata. Quindi avevo semplicemente continuato a guardarlo esattamente come quella sera.
“Mia cara, ti ho lasciato senza parole, vero?”, mi chiese con un sorriso complice. “Si direbbe che sia una mia specialità dopotutto”.
Annuii ancora frastornata e soltanto in quel momento mi concentrai sull’uomo anziano che continuava a sorridermi.
Dunque era tutto vero, realizzai. Non soltanto il suo arrivo era benvoluto ma era stato persino organizzato a mia insaputa. Mi sembrava tutto chiaro in quel momento: il messaggio allegato alla rosa e le allusioni di Silente durante il nostro volo di ritorno a Glasgow.  
Dopo aver sorriso a Lupin, Bradley era tornato a cercare il mio sguardo e avevo sentito nuovamente quel dolce calore in petto. Stavo quasi tremando, ma non riuscivo a smettere di contemplarlo, quasi timorosa che scomparisse di fronte ai miei occhi. Realizzai che l’incanto di quella sera non fosse stato casuale. E, se non stavo travisando tutto, lui avrebbe potuto dire lo stesso.
“Bradley”, ne sussurrai il nome con voce che a stento riconobbi come la mia.
Il sorriso che gli sfiorò le labbra divenne più dolce e sembrò farne baluginare lo sguardo. Restammo in silenzio per qualche secondo, limitandoci a osservarci come se ciò fosse persino più importante delle parole che ci saremmo rivolti.
 “Ciao Milady”, sussurrò con voce calda e vellutata, apparentemente incurante di tutto il resto. “Finalmente ci rivediamo”.

 
To be continued…
 
Superfluo dire che quest’ultima sia stata una delle mie scene preferite da descrivere :D
Non vedevo l’ora di giungere a questo punto e, al contempo, ho provato un po’ di soggezione per il timore di non renderlo al meglio.
Questa versione avrà più capitoli rispetto a quella originale, ma ancora è presto per dire quanti saranno in totale. Sicuramente il personaggio di Bradley era uno di quelli che meritava un trattamento migliore. Non posso che vergognarmi di alcune sequenze del 2013 e promettere di metterci tutto il mio impegno per farvelo apprezzare, a prescindere che voi siate #TeamTom o #TeamBradley :)
Vi prometto anche che cercherò di lavorare con più costanza possibile ai prossimi capitoli, per postarli al più presto, ma ci sono impegni familiari e lavorativi che prescindono dalla mia volontà. Fino a quell momento vi ringrazio della partecipazione e ci vediamo al prossimo capitolo :*

 
 
 
[1]Ho faticato molto a trovare una canzone che mi convincesse per questo capitolo e ancora una volta devo ringraziare i Keane. Qui trovate il brano e il video originale (che fa tanto film horror rispetto al capitolo :P) Al solito ho preferito una traduzione “a senso” più che letterale.
[2] Si tratta di una crema morbida preparata, in questo caso, con una miscela di panna, cioccolato e burro.
[3] I libri a cui si fa riferimento sono la trilogia di Paullina Simons di cui mi sono stati regalati i primi due volumi: “Il cavaliere d’inverno” e “Tatiana & Alexander”. Ovviamente la mia non vuol essere un’offesa alla scrittrice ma penso che ogni libro, per essere apprezzato pienamente, debba essere letto in alcuni periodi della nostra vita. In questo caso la nostra Sara non è molto in vena di storie d’amore drammatiche e tormentate.
[4] Come sicuramente saprete si tratta dell’attrice che ha preso parte a “Melrose Place”, “Streghe” per citarne alcuni fino al più recente “Mistresses”. Dal momento che sono una frana nelle descrizioni ho pensato di allegarvi una sua fotografia per farvi immaginare meglio il nuovo look di Amy.
[5] Si tratta dell’attore che ha interpretato Tom Riddle nella versione 16enne che appare nel film: “La camera dei segreti”. Fun Fact: nella versione originale di questa fanfiction era lui il gestore del pub ma non posso che convenire, a ragion veduta, che la mia amica Evil Queen avesse ragione nel dire che Ralph Fiennes fosse più adeguato al ruolo di gestore e responsabile di un simile esercizio commerciale.
[6] Ho preso spunto da questa pagina che offriva un’esamina di alcuni dei luoghi del Regno Unito legati alle leggende di re Arthur.
[7] Ci tengo a sottolineare che, anche quando parlo in modo poco lusinghiero dei personaggi, si tratta sempre e solo di un giudizio sulla mia interpretazione degli stessi. Non mi permetterei mai di esprimere simili sentenze su Tom o sugli altri, soprattutto se negative!
[8] Ricordate? Si tratta dell’amico di origini italiane che Amy presentò a Sara affinché potesse fingersi Matteo in quella serata al ballo di festeggiamento dell’anniversario della fondazione dell’Accademia. Non si presentò perché la ex ragazza di allora sosteneva di aspettare un bambino da lui. In realtà si rivelò un falso allarme :D Ma almeno il fintomatico fidanzato si chiamava Matteo e non Mark Caltagirone :P Scusate ma ci stava troppo! 
[9] Si tratta, per l’appunto, dell’attore che ha interpretato Bill Compton nella suddetta serie tv.
[10] Questa battuta è tratta da “A bigger splash” (2015), film in cui uno straordinario Ralph Fiennes ha interpretato il personaggio di Harry Hawkes che ha pronunciato queste esatte parole :D
[11] Si tratta di un brano dei Rolling Stones che potete sentire qui.
[12] Questa la dedico a tutti i baristi e camerieri che si trovano ogni giorno di fronte a clienti particolarmente rompiscatole e che devono fare buon viso a cattivo gioco. L’ordine me lo ha ispirato mia cugina che ha raccontato di essere particolarmente inviso ai baristi che neppure la salutano quando entra in un bar per la seconda o terza volta :D
[13] Nel secondo capitolo, durante la lunga sequenza del primo giorno di lavoro di Sara, Tom fece di tutto per metterla in difficoltà davanti a Riddle. Tra le altre cose la esasperò in modo infantile, fino a farla sbottare in malo modo con la scusa di chiederle dove si trovasse il bagno :D Questo per darvi un’idea di come le dinamiche tra i due siano cambiate e come Sara stia cercando di mantenersi professionale anche per evitare altri problemi con la coppia. Ci riuscirà?
[14] Episodio speciale della serie tv “Sherlock” della BBC di cui Benedict è protagonista. E’ uscito nel Regno Unito il 1° Gennaio del 2016 e reso subito disponibile su Netflix :D Tempismo a dir poco perfetto per la mia fanfiction.
[15] O forse è parente di James Potter :P ;P Ironia della sorte :P Ok, la smetto.
Ho letto che i segni di aria tra le varie caratteristiche avrebbero quello della “volubilità” e mi sembrava più indicato, anche se in realtà Tom sarebbe un segno di terra (Vergine), avendo lasciato il compleanno dell’attore come riferimento :D
[16] Sirius è sempre stato descritto come il più affascinante dei Malandrini e ho immaginato che in questa versione si godesse la sua vita da scapolo con avventure più o meno serie e talvolta anche con ragazze più giovani. Ovviamente è una mia interpretazione che non vuole offendere né il personaggio letterario e tanto meno l’interprete.
[17] :D Sicuri che la mano gliela dia o piuttosto non gliela toglierebbe? :D Sto ridendo da sola come una deficiente da cinque minuti ^_^ Immagino che se stiate leggendo siate tutti fan di Harry Potter. In ogni caso questa mia freddura è dedicata a un episodio del quarto libro. Peter Minus è uno dei lacché di Lord Voldemort (alias Tom Riddle) che, per riappropriarsi del suo corpo, ha dovuto ricorrere a una pozione. Tra gli “ingredienti” vi era proprio la mano “donata” dal suo servo :D
[18] Vi rimando a questa pagina dove potete ammirare il look e la beltà di Ralph Fiennes nel film “Strange Days” (1995). Ho usato queste immagini come riferimento per cercare di descrivere la fotografia incriminata. Dai, siate oneste, quante di voi lo avrebbero riconosciuto di primo acchito? :P 
[19] Perdonami Robert, non ho potuto resistere a un riferimento ironico a “Twilight”! :D In bocca al lupo per “Batman”!

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


12
Tu, da dove sei venuto?
Eri diverso […]
E lo sento anche adesso.
Sento i brividi,
l’aspettativa di ciò che verrà […]

Fino a stanotte ho solo sognato di te,
non credo che respirerò senza di te.
Mi fai sentire viva e nuova […].

Heartbeat Song – Kelly Clarkson[1].
 
 
 
 
Non avrei saputo spiegare ciò che stavo provando in quel momento: la mia mente era un brulicare intricato di pensieri ma i brividi che mi scorrevano lungo la spina dorsale non potevano essere imputabili soltanto alla naturale sorpresa di trovarselo di fronte. Era qualcosa di molto più profondo, solleticato dal barlume del suo sguardo, dalla piega delle sue labbra e dal suono così gradevole della sua voce che riusciva a farmi scalpitare il cuore più intensamente.  Ero a malapena cosciente del fatto che non fossimo soli e che il tempo non si fosse fermato, ma lo avrei voluto per immortalare l’attimo e non rischiare una cocente delusione.
Quasi sussultai quando Tom mi passò accanto: nonostante avesse tutto lo spazio necessario per raggiungere la gradinata e scendere dal palco, decise di avvicinarsi al punto da urtarmi con il gomito. “Con permesso”, mormorò di fronte al mio sguardo di rimprovero con quel suo sorrisetto insopportabile.
Ingoiai l’imprecazione e la rispostaccia che mi erano balenate in mente e scossi il capo mentre discendeva dalla pedana e passava di fronte a Bradley. Seppur fosse decisamente più basso e gracile non dovette resistere dal tentare di sbattergli contro ma l’altro, senza degnarlo di sguardo, lo scansò facilmente. Senza perdere il sorriso, si avvicinò ai gradini e mi porse la mano affinché potessi scendere agevolmente nonostante le scarpe eleganti[2]. Notai soltanto distrattamente che Tom, nel frattempo, aveva raggiunto Emma, si era ripreso la borsa e si era incamminato verso l’uscita. La ragazza parve metterci qualche istante di più per sollevarsi, ancora frastornata da quella novità.
“Grazie”, sussurrai per risposta e cercai di reprimere il brivido quando la sua mano calda avvolse la mia. Una volta tanto sembrai persino dimentica del lancinante dolore ai piedi, mentre mi soffermavo sui suoi occhi. Dovetti sollevare leggermente il mento per osservarlo, quando ci trovammo l’uno di fronte all’altra. Non aveva ancora lasciato la mia mano ma se l’era portata alle labbra come quella sera londinese per sfiorarla  con un bacio.
“Ti trovo benissimo”, sussurrò.
Sorrisi, ma dubitai che fosse del tutto vero: quella sera avevo presentato la mia “versione migliore” con tanto di trucco, abito da sera e istruzioni di Morgana, ma lo sfolgorio dello sguardo sembrava una conferma di quanto fossero sincere quelle parole. D’altro canto, lui era semplicemente incantevole anche in quelle vesti “moderne” e mi sembrava ancora incredibile che si trovasse lì. Era come se stessi contemplando un personaggio fuoriuscito dalle pagine di uno dei miei romanzi preferiti. Fin troppo meraviglioso per essere reale. O vagamente simile ai ragazzi che avevo conosciuto fino a quel momento.
“Anche io”, mi sentii rispondere per poi schiarirmi la voce. “Cioè trovo che tu stia benissimo”, precisai perché non fraintendesse il mio commento.
Parve divertito e inclinò il viso di un lato, guardandomi più giocosamente e ammiccando.  “Mi sono impegnato, devo ammetterlo”, mormorò nel tentativo di schermirsi.
“Bradley, che ne diresti se parlassimo un po’ nel mio ufficio?”, intervenne il Professor Lupin. Ebbi una fugace visione di Silente che, alle sue spalle, scuoteva il capo e si portava le mani sui fianchi con un vago sospiro.
Il nuovo arrivato mi rivolse quasi un sorriso di scuse ed era evidente che non si sentisse nella posizione di rifiutare la richiesta, ma fu il Preside a intervenire. “Remus, devo ricordarti che anche oggi ti sei intrattenuto più del dovuto?”. Gli fece presente in tono gentile ma piuttosto eloquente.
Il professore sorrise con aria accattivante: “Ma Preside, si tratta di una questione importante, non ci vorrà molto”, parve promettergli.
“Più importante di tua moglie che ti attende?”, lo incalzò l’uomo anziano con un’altra occhiata penetrante.
Fu evidente che il Professor Lupin si vergognasse immediatamente, perché si affrettò a passarsi una mano tra i capelli e a scuotere il capo. Silente strizzò gli occhi in mia direzione prima di aggiungere, in tono premuroso: “Allora è meglio che tu vada. Ho promesso ad Anthony di prendermi personalmente cura del suo pupillo. Non vorremmo stressarlo fin dal suo arrivo, vero?”.
Lupin sorrise a Bradley con aria quasi di scuse e gli strinse nuovamente la mano. “Certo che no, perdona il mio entusiasmo: come scoprirai, sono piuttosto ansioso ”.  
Il ragazzo gli sorrise con la medesima gentilezza. “Sarà un piacere lavorare per lei”.
“Con me. Lavorare con me”, sottolineò Lupin con la sua tipica cortesia. “A domani. Ottimo lavoro Sarah”, si congratulò, prima di lasciare l’auditorium.
“Bradley, temo di doverti ricordare, mio malgrado, che delle noiose scartoffie ti attendono nel mio ufficio come ha più volte sottolineato il mio Vice”, sospirò Silente al pensiero. Controllò il proprio orologio da polso e gli sorrise con aria complice: “Diciamo che ti attenderemo tra… mezzora?”.
“Mezzora”, confermò Bradley. “Le sono molto grato”.
“A presto Professor Silente”, lo salutai a mia volta con calore. Non potevo ancora credere che quella nostra chiacchierata in aeroplano fosse in qualche modo collegata a ciò che stava avvenendo in quel momento, ma se aveva preso quella decisione anche per me, non avrei mai potuto ringraziarlo abbastanza.
“Molto presto, mia cara”, mi rispose con la consueta vivacità.
Lo seguii con lo sguardo prima che Bradley richiamasse la mia attenzione. “Ho solo mezzora: pensi che potremo trovare un posto tranquillo per riprendere la nostra conversazione interrotta?”.
Sentii un’ondata di calore travolgermi e farmi colorare le gote al riferimento a quella sera, ma annuii. “Potrei avere in mente il luogo adatto”.
“Allora dopo di voi, Milady”, mi sorrise e mi tenne la porta aperta affinché passassi per prima.
Lo condussi in uno dei miei luoghi preferiti di quell’Accademia: il porticato interno[3], che ospitava diverse panchine e dava la vista su un bel prato fiorito. In quei mesi invernali, tuttavia, l’erba era ricoperta da uno strato di neve, facendola somigliare a un lago ghiacciato. Era una delle scorciatoie usate spesso dagli studenti per spostarsi da un’aula all’altra, ma anche un’occasione di ristoro, se il tempo lo concedeva, e di intrattenimento prima dell’inizio delle lezioni. Non potei fare a meno di notare che, ovunque si trovasse, Bradley sembrava catturare l’attenzione dei passanti. Esattamente come la mia amica Morgana, sembrava avere un fascino evidente a prima vista che non poteva che attirare l’ammirazione e l’invidia altrui. Persino lo scorbutico custode, il Signor Gazza, dopo avermi rifilato la consueta occhiata di biasimo, di fronte al suo cordiale saluto non sembrò trovare nulla da ridire. O forse già sapeva quale ruolo avrebbe rivestito e non avrebbe certamente potuto trattarlo come uno studente qualsiasi, quindi si limitò a borbottare un “buongiorno” e si allontanò.
“Mi piace”, assentì Bradley con un sorriso, alludendo al luogo. Mi indicò panchina libera e presi posto al suo fianco, concedendomi, a mia volta, uno sguardo tutto attorno. In primavera avremmo potuto assistere alla fioritura delle rose e delle altre specie che abbellivano le aiuole. Quel pensiero mi riportò alla memoria il fiore che Bradley mi aveva lasciato in albergo.
Mi volsi in sua direzione e lo trovai già intento a osservarmi, facendomi arrossire.
“Finalmente ho l’occasione di ringraziarti per quella rosa”, esordii in un sussurro. Seppur stessi cercando di non lavorare troppo di fantasia, non potevo negare l’emozione che stavo sentendo in quel momento. Stato d’animo che non poteva che acuirsi allo sguardo e al sorriso che gli increspava ancora le labbra e che, se possibile, lo rendeva persino più bello.
“A questo proposito dovrei scusarmi per non essere stato più esplicito nel biglietto”, ribatté Bradley ma senza abbandonare quel sorriso compiaciuto di fronte al mio ringraziamento. Inclinò il viso di un lato e pronunciò le parole successive in un sussurro più complice: “Ma devo ammettere che non ho saputo resistere alla tentazione di farti un’ulteriore sorpresa”.
Dovetti distogliere brevemente lo sguardo per impedirmi di smascherare troppo il mio entusiasmo, ma non riuscivo a smettere di sorridere. “Ci sei riuscito perfettamente”, mormorai con voce più rauca rispetto al mio naturale timbro.
Lui parve farsi serio, quando ne incontrai nuovamente lo sguardo. “Senza contare che non avrei potuto prevedere quale accoglienza ci sarebbe stata dopo quasi due mesi[4]”, sussurrò.
Sentii il mio cuore scalpitare più intensamente: mi stava implicitamente confermando che lui stesso aveva ripensato a quella sera? O si era domandato cosa sarebbe potuto accadere se fossi rimasta a Londra per più tempo? Avevo il terrore di svegliarmi nel mio letto e scoprire che quella mattinata era stata solo frutto delle mie fantasie o di un sogno particolarmente vivido.
“Non credevo che ti avrei rivisto prima di Giugno, ma sono felice di essermi sbagliata”, confermai in un sussurro che ne fece baluginare lo sguardo di evidente soddisfazione. Mi schiarii la gola, tentando di riprendere il controllo delle mie corde vocali. “Devo anche confessare di essere spiazzata: immaginavo che ti saresti subito dedicato a provini e audizioni dopo il diploma”.
Bradley annuì. “L’intenzione iniziale era quella”, confermò in tono tranquillo. “Ma Silente sa rivelarsi particolarmente convincente e non mi tiro mai indietro quando si tratta di provare qualcosa di nuovo. Sarà un’interessante esperienza teatrale  anche se non sarò io sotto i riflettori. Per vostra sfortuna”, soggiunse con un breve ammiccamento che mi strappò una risata e un cenno di assenso. Dopotutto avevo già avuto prova di quanto fosse talentuoso e la sua vanità al riguardo non era certamente inappropriata.
“A proposito di quella sera, ti devo anche io delle scuse”, mi sentii dire e mi mordicchiai il labbro, non potendo fare a meno di ricordare il malumore che aveva guastato quei momenti emozionanti. “Mi dispiace di essere sparita in quel modo: non era mia intenzione”, mormorai e sperai che non me ne chiedesse il motivo.
Lessi curiosità nel suo sguardo, ma sembrò convenire che non fosse quello il momento idoneo ad approfondire quel discorso. Mi rivolse un sorriso più accattivante e parlò in tono complice: “Se fossi stata vestita d’azzurro saresti stata una perfetta Cenerentola”.
Non potei fare a meno di sorridere al ricordo del ballo dell’Accademia nel rendermi conto che anche la scelta di quell’abito sembrava quasi “profetica”. E senza intervento di Luna avrei dovuto aggiungere. “In effetti ho un vestito da Cenerentola nel mio dormitorio”, gli rivelai. “Ma questa è un’altra storia”.
Aveva inarcato le sopracciglia, senza smettere di sorridere. “Che non vedo l’ora di conoscere nei minimi dettagli”, mi confermò in un sussurro, prima di guardarmi più intensamente. “Non sono affari miei, ma potrei chiederti se quella sparizione improvvisa abbia avuto a che fare con Tom?”.
Sentirgli pronunciare il suo nome, per qualche motivo, mi sembrò strano. Era come se, nella mia mente, loro appartenessero a mondi diversi e difficilmente avrei potuto abituarmi al fatto che queste due realtà dovessero collimare. Così come mi sembrava difficile collegare la mia esistenza italiana con quella scozzese.  Mi colpì anche la sua delicatezza nel formulare quella domanda: seppur fosse legittimamente incuriosito, sembrava voler rispettare la mia riservatezza. O forse riteneva che i miei trascorsi con Tom o qualsiasi altro ragazzo fossero parte della persona che si trovava di fronte e pertanto non lo riguardassero direttamente. Continuavo a ripetermi che, se non fosse avvenuto il litigio tra me e Tom, non necessariamente le cose tra me e Bradley sarebbero andate diversamente. La mia unica certezza era che non volevo nascondergli nulla e tanto meno mentirgli, seppur avrei avuto bisogno di tempo per aprirmi e lasciarmi conoscere. E tanto più per cercare di spiegare le complicate dinamiche tra me e Tom, soprattutto dovendo condividere quella bugia di cui non ero affatto fiera. Posto che Bradley desiderasse lo stesso e che non si sarebbe persuaso che quella sintonia istantanea non fosse stata semplicemente frutto di un momento “particolare”.
Sospirai ma non potei che annuire. “Abbiamo avuto una brutta discussione”, mormorai. “Non credo di averlo mai perdonato per aver guastato la magia di quella serata”, rivelai in un sussurro.
Il sorriso tornò a increspargli le labbra e a farne scintillare lo sguardo. “Nemmeno io”, soggiunse con un breve ammiccamento, prima di farsi nuovamente serio. “Perdona la domanda diretta, ma quella sera ho percepito una certa tensione tra voi nonché degli istinti omicidi rivolti al sottoscritto”, precisò in tono quasi divertito.
Sospirai. “Abbiamo dei trascorsi complicati che non si possono riassumere in poche parole”, cercai di fargli capire, senza scendere in troppi dettagli per il momento. “Ma a scanso di equivoci, avrei volentieri continuato quella conversazione”.
Lo sguardo continuò a scintillare e mi scrutò con maggiore attenzione, parlando con voce vellutata: “Mi basta sapere questo per adesso”. Inclinò il viso di un lato e mi rivolse un breve ammiccamento, prima di rimettersi in piedi. “In realtà vorrei sapere molto di più, ma temo di essere costretto a congedarmi: ho un contratto da firmare e degli scatoloni da disfare”, alluse all’ora con una vaga smorfia.
“Certo”, gli sorrisi e mi alzai a mia volta.
“A scanso di equivoci”, continuò Bradley, prendendomi nuovamente la mano. “Spero di poter conoscere tutto di te nei prossimi mesi”. Ne sfiorò il dorso ma la trattenne qualche secondo in più. “E con tutto, intendo tutto ciò che vorrai condividere con me”.
Sentii la gola seccarsi e immaginai il sorriso sognante che mi stava sfiorando le labbra, ma non potei che ricambiarne lo sguardo e lasciare che mi lasciasse la mano che ricadde mollemente al mio fianco. “Lo vorrei tanto anche io”, sussurrai in tutta onestà.
Mi sorrise nuovamente. “A presto, Milady”.
“A presto”.
Lo seguii con lo sguardo fin quando non fu scomparso alla mia vista e mi sedetti nuovamente sulla panchina, sentendo il cuore tambureggiare e i suoi tonfi risuonarmi nei timpani. Trassi un profondo respiro e scossi lievemente il capo. Era vitale restare coi piedi saldamente ancora al terreno: metaforicamente e letteralmente. Ripresi il cellulare dalla borsa e, come immaginai, mi trovai di fronte diversi messaggi delle mie amiche che mi chiedevano aggiornamenti sulla mia discussione con Tom. Mi resi conto che avevo completamente ridimensionato quell’episodio e che lo stato d’animo iroso della sera precedente aveva lasciato spazio a quell’improvvisa euforia.  Mandai loro un breve messaggio per rassicurarle e promettere che avrei spiegato il tutto a parole. Fui anche tentata di parlare di Bradley ma cancellai rapidamente il riferimento: non era una cosa da anticiparsi con un freddo sms. Senza contare che avrei voluto semplicemente godermi la miriade di opportunità che si aprivano di fronte a me nei prossimi mesi. Almeno per qualche ora volevo serbare solo per me quei sogni ad occhi aperti, quasi avessi il timore che si sarebbero dissolti se li avessi condivisi prematuramente.  
 
~
 
Quando giunsi al pub, in netto anticipo rispetto all’orario in cui avrei iniziato a lavorare, mi sentivo ancora piena di energie e con il sorriso che continuava ad ammorbidirmi le labbra. Il campanellino appeso alla porta aveva segnalato il mio ingresso e Morgana ed Amy si erano girate istantaneamente in mia direzione con sguardo indagatore. La seconda aveva addosso la divisa da lavoro: avrebbe smontato quando io avrei preso il suo posto e sarei rimasta fino all’orario di chiusura.
“Eccoti finalmente!”, mi accolse la mia coinquilina, parlando nella mia lingua madre e facendomi cenno allo sgabello al mio fianco. Salutai i colleghi che stavano sparecchiando i tavoli,  raggiunsi il bancone e presi posto.
 “Ciao ragazze”, le salutai allegramente. “Potrei avere una tazza di the?”, domandai ad Amy.
“Non hai qualcosa da dirmi?”, mi incalzò lei, le mani sui fianchi e lo sguardo sospettoso.
Sentii rivoli di sudore freddo scivolarmi lungo la spina dorsale: che già sapessero che Bradley era arrivato in città? Non era possibile, mi ripetei: era appena successo e non ero certa che Tom lo avesse già detto a Sean. Era probabile che lo facesse anche Emma, ma a quel punto anche il mio amico mi avrebbe contattata per chiedermi ulteriori spiegazioni.
“Allora?”, insistette Morgana. “Si può sapere cosa è successo tra te e Tom?”.
Non potei fare a meno di sospirare per il sollievo, suscitando nelle due ragazze uno sguardo persino più circospetto.
“Perché sorridi?”, incalzò Amy, trattenendo il filtro per la preparazione del the.
“Aspettate un attimo”, guardai dall’una all’altra con aria confusa e sospettosa. “Com’è che vi trovo nello stesso luogo e nessuna delle due sanguina?”. Mi volsi in direzione della mia coinquilina: “Non ti avevo detto di stare alla larga dal pub per oggi?”.
Lei fece un vago cenno con la mano, come stessi parlando di dettagli poco significativi. “Non potevo aspettare fino a stasera, visto come sei stata sintetica nel messaggio”. 
L'altra le scoccò un’occhiata velenosa. “Oh, credimi: non abbiamo affatto risolto”, specificò con tono funesto per poi stringersi nelle spalle. “Ma non posso cercare di ucciderla con la Bumb e Riddle nelle vicinanze”.
“A proposito di Riddle, è ancora di buon umore?”, le domandò Morgana con uno dei suoi sorrisi più melliflui e dispettosi.
Il viso di Amy divenne di una bella tonalità di rosso. Si sporse dall’altra parte del bancone e aprì e chiuse le mani come se si stesse trattenendo a fatica dall’allungarle verso il suo collo e strangolarla. Dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per tornare in sé e rivolgersi a me, agendo come se Morgana non esistesse. Almeno per il momento, immaginai. “Allora? Che ti ha detto Tom?”.
Mi strinsi nelle spalle. In tutta onestà non avevo molta voglia di raccontare dell’ennesima discussione con lui e guastare quella piacevolissima bolla di sapone nella quale mi sentivo completamente immersa. Mi sforzai di restare concentrata sul presente e di non lasciar la mente vagare su dei lineamenti ben noti. “Gli ho restituito il libro”, risposi laconica.
“E poi?!”, mi incalzò Morgana sporgendosi verso di me. “Come ha reagito?”.
“Scommetto che ha sminuito il tutto da lurido vigliacco quale è”, si intromise Amy con sguardo quasi disgustato al pensiero del ragazzo in questione.
“Ovviamente”, le confermai con uno scuotimento del capo e riferii loro brevemente ciò che era accaduto. Nonostante la ragazza offesa si stesse sforzando di mantenere la sua momentanea inimicizia con Morgana, più volte le due si scambiarono sguardi e scuotimenti del capo quasi in sincronia, alternando insulti più o meno coloriti ai danni del ragazzo. Alla fine del racconto, tuttavia, continuavano a osservarmi curiosamente.
“Che c’è?”.
“Sei fin troppo calma: ieri sera al telefono mi hai quasi assordato”. Si riferiva alle note più acute della mia voce, quando perdevo completamente le staffe.
“Infatti”, si intromise Morgana, seppur Amy la ignorasse volutamente, e si sporse in mia direzione. “Nonostante tutto, il modo in cui sorridevi appena sei entrata, persino il modo in cui camminavi… sembravi con la testa tra le nuvole”, mi scrutò con aria clinica ed ebbi l’impressione che volesse leggermi il pensiero.
Dovetti ricorrere a tutto il mio autocontrollo per impedirmi di distogliere lo sguardo, ma le sorrisi con aria rassicurante e sollevai le spalle. “E’ vero: ieri ero fuori di me”, le concessi. “Ma gli ho restituito il libro e da questo momento in poi cercherò-”.
Bla bla bla, lo abbiamo già sentito altre volte”, mi interruppe Morgana. “No, c’è qualcosa di diverso in te”, dichiarò nello studiarmi persino più scrupolosamente. “E’ come se stessi cercando di nasconderci che sei entusiasta di qualcosa”.
Mi schermii con una risata e scossi il capo. “Francamente credo di aver già perso fin troppo tempo ad arrabbiarmi a causa di Tom e non voglio più che accada, quindi voglio tornare alla normalità. O almeno a qualcosa di simile”, precisai e ringraziai che Amy mi avesse finalmente messo di fronte la tazza di the. Mi presi qualche secondo più del dovuto per inserirvi una bustina di zucchero e per mescolarlo alla miscela.
Oddio”, mormorò Morgana in tono affranto, portandosi una mano alle labbra. Sembrò impallidire e si agitò così tanto sullo sgabello che quasi perse l’equilibrio. “Dimmi che non l’hai baciato mentre litigavate! Dimmi che non sei stata così stupida!”.
Dovetti farmi aria con le mani perché mi ero scottata la lingua e avevo cominciato a tossire convulsamente.
Amy si lasciò sfuggire un’imprecazione, dimenticandosi del suo momentaneo proposito di fingere che Morgana non esistesse. “No, Maria: io esco”, recitò con enfasi nella nostra lingua madre. Fu il suo turno di guardarmi con espressione sgomenta e al contempo indignata: “Non puoi averlo fatto davvero! Ti disconosco!”.
“Ma certo che no!”, risposi con voce soffocata, appena la tosse mi diede tregua, seppur con le lacrime agli occhi per quanto avevo annaspato negli ultimi secondi. “Per chi mi avete presa?”. Scossi il capo energicamente e quell’ipotesi fu abbastanza sconvolgente da farmi allontanare dalla mente il pensiero di Bradley. Inoltre, dovevo seriamente cercare di tornare in me se volevo evitare di smascherarmi in modo così sciocco.
“Eppure mi nascondi qualcosa”, commentò Morgana che non sembrava affatto persuasa. “Anzi, due cose”, si corresse, facendo riferimento al segreto che, a suo giudizio, le stavo nascondendo dal giorno precedente. Non potevo rischiare di compromettere la sorpresa di Sean, quindi sbuffai apertamente, incrociando le braccia al petto e sollevai gli occhi al cielo.
“Potrei gustarmi una tazza di the senza essere sottoposta a un interrogatorio?”, domandai in tono aspro. “O forse devo rivolgermi alla concorrenza?”, allusi alla possibilità di fare merenda in un altro pub.
Morgana inarcò le sopracciglia: evidentemente anche quella reazione le sembrava sospetta. “Peggio per te: dovrò scoprirlo da sola”, mi ammonì con un sorriso serafico.
Sospirai ma scossi il capo. “Almeno non tormentare Sean”.
“Io non tormento Sean”, ribatté in tono visibilmente stizzito alla scelta di quel verbo.
L'altra si lasciò sfuggire un verso di ironica incredulità a quella frase, ma prese i soldi che le avevo porto e li mise in cassa per poi porgermi lo scontrino e il resto.  
“Stai insinuando qualcosa?”, le domandò Morgana.
Una volta tanto fui grata di quella loro tensione che, forse, le avrebbe distratte dal mio comportamento.
Neppure la guardò. “Sara, puoi dire a quella stronza della tua amichetta che le è concesso stare qui soltanto perché ci sono troppi testimoni e non posso perdere questo lavoro prima del tempo?”.
“Sara, di’ a quella rancorosa della tua nuova amica che se avessi cercato di imbarazzarla volontariamente, avrei potuto fare davvero di peggio”, ribatté in tono piuttosto eloquente. La conoscevo da troppo tempo per poter ignorare il fatto che non fossero parole vane.  
“Vi prego”, sospirai in tono melodrammatico. “Sono di turno fino alla chiusura”, le supplicai nel tentativo di bere tranquillamente ciò che restava della mia tazza di the. Senza contare che sentivo sulla nuca lo sguardo di Rankin che probabilmente stava controllando l’orologio per assicurarsi che Amy finisse il turno esattamente all’orario stabilito e io contemporaneamente iniziassi il mio. “Come sta Luna? E’ pronta per il saggio di danza?”.
Mi era sembrata una buona carta quella di introdurre un argomento neutrale, riguardante una persona che tutti adoravamo, ma trasalii quando Neville urtò l’espositore con il vassoio. Fortunatamente non cadde alcuna pasta ma il nostro amico diventò di una bella tonalità di rosso acceso.
“Ciao Neville”, gli sorrisi. “Mi lasceresti da parte una fetta della tua torta? Sono impaziente di assaggiarla”, gli dissi per compiacerlo e cercare di lenire la sua mortificazione all’ennesima gaffe.
“Ciao Sarah”, ricambiò il mio saluto con le guance ancora colorate. “Ma certo, poi fammi sapere cosa ne pensi. Ma sii sincera, è importante per migliorare”, soggiunse in tono fin troppo serio.
Annuii con aria complice e lo tranquillizzai: “Non sono Iginio Massari[5] ma farò del mio meglio”.
Neville sorrise persino più incantato al riferimento al noto maestro pasticciere bresciano che era famoso in tutto il mondo e non solo nel mio paese d’origine.
Amy gli prese dalle mani il vassoio e dispose le nuove paste, prima di rispondermi. “Non vede l’ora”.
“Non è nervosa?”, domandai con una certa curiosità. Io ancora non sapevo come, a prescindere dalla preparazione, sarei riuscita a recitare la parte di Elisabeth di fronte a centinaia di persone e al personale della stampa.
Scosse il capo. “Non credo che Luna conosca il significato di questa parola”, convenne con un sorriso. “Dovreste… cioè dovresti vederla ballare: le riesce naturale come respirare”, ammise con un misto di ammirazione e quasi di invidia.
Sorrisi al pensiero. “Allora dovremo organizzare dei festeggiamenti”.
“Chiedo scusa”, ci interruppe una voce alquanto sgradevole, soprattutto per il tono altezzoso con cui ci si rivolse. “Forse non lo avete notato, ma tra pochissimi minuti finirà il tuo turno”, si rivolse ad Amy, prima di scoccarmi un’occhiata severa. “E inizierai il tuo, quindi ti conviene cambiarti se non vuoi che riferisca del tuo ritardo”.
“Comandi”, risposi in tono ironico, ma mi rimisi in piedi e mi affrettai a raggiungere lo spogliatoio.
 
Indugiai qualche attimo di fronte allo specchio a studiare il mio riflesso, non potendo fare a meno di notare che le mie amiche avessero ragione nel sostenere che ci fosse qualcosa di diverso nel mio aspetto. Era come se, malgrado l’espressione neutrale sul mio volto, vi fosse una luce nuova nello sguardo e non potei che sorridere al pensiero di chi ne fosse l’artefice. Scossi il capo e mi affrettai a spazzolare i capelli e a raccoglierli in una coda alta. Allacciai la cravatta (onde evitare di dare a Rankin altri spunti di critica) e mi diressi di nuovo verso il public bar. Non feci in tempo a raggiungere il bancone che Madama Bumb mi richiamò: teneva tra le mani un portablocco e stava controllando la lista dei turni con espressione incupita.
“C’è qualche problema?”, le domandò Percy con quel suo insopportabile tono deferente.
La donna gli rivolse una delle sue proverbiali occhiate arcigne. “Ti ho convocato, Rankin?”.
Sembrò sgonfiarsi di fronte a lei ma non perse il sorriso o il modo quasi ossequioso di parlare e di darsi arie di importanza. “No, mi perdoni l’intromissione, ma mi stavo solo domandando se-”.
“Allora datti anche da solo questa risposta: chi ti ha cercato?”.
“Nessuno ma-”.
“Allora non farmi perdere altro tempo! Anzi, non è già finito il tuo turno?”, gli berciò contro e io, a differenza di Amy e di altri colleghi in sala, dovetti farmi violenza per non sghignazzare alle sue spalle. Persino Coulson, che aveva appena finito il suo turno, sembrò particolarmente sorridente quando augurò a tutti una buona serata prima di uscire dal pub. Ogni tanto era piacevole che i superiori lo punissero per quel suo atteggiamento arrogante e dispotico e ridimensionassero le sue ambizioni. Il ragazzo scoccò a tutti i colleghi un’occhiata malevola e si allontanò.
“Venendo a noi”, mormorò la donna, tornando alla sua lista e tambureggiando con il cappuccio della penna contro la lista. “Siamo ancora a corto di personale: vorrei che questa sera si occupasse di servire ai tavoli. Chiederò alla Signora Sprite di cederci uno dei pasticcieri perché ti sostituisca al bancone”.
“D’accordo”, acconsentii.
“Tra poco arriverà la signorina Bell: lei ti farà vedere come vogliamo che siano apparecchiate le tavole e piegati i tovaglioli”, continuò con la solita pignoleria, assicurandosi che avessi compreso tutto, prima di dirigersi verso le cucine.
Nell’attesa della mia collega, raggiunsi Morgana che era ancora seduta sullo sgabello. “Ceni qui stasera?”, le domandai.
“Forse sì. Non ho voglia di cucinare”, convenne con uno scrollo di spalle. “Sto aspettando che Sean abbia finito con le prove per assicurarmi che non ci siano altre proposte per la serata”.  
“Tu invece?”, domandai ad Amy che si era già tolta il grembiule e stava circumnavigando il bancone per andare allo spogliatoio. “Che programmi hai per stasera?”.
Lei si strinse nelle spalle e parve accigliarsi, ma mi fece cenno di seguirla perché Morgana non potesse sentire, anche se era china sul suo cellulare. “Il tizio con cui dovevo uscire mi ha dato buca”, mi rivelò a voce bassa.
“Che sfortuna”, convenni in tono solidale.
“Forse è meglio così”, borbottò tra sé e sé. “Ma fammi la cortesia di non dire nulla a Luna”.
“Perché?”, le domandai perplessa.
“Credo di aver insistito troppo a chiederle notizie e ha cominciato a inventarsi delle cazzate per tenermi buona”, confessò con un sospiro.
“E cosa ti ha detto?”, la incalzai ancora più incuriosita.
Amy sollevò gli occhi al cielo. “Di aspettare che il tristo figuro  mi permetta di far breccia nella sua quotidianità”, mi rispose con voce mistica, cercando di imitare gli sguardi di Luna sovente persi nel vuoto o in qualche elucubrazione personale.
“Il tristo… cosa?!”, ripetei con una risata.
Scosse il capo ripetutamente. “Lascia perdere: è evidente che non vuole che le chieda più niente”, concluse con uno scrollo di spalle.
Stavo per risponderle qualcosa di consolatorio quando il campanello ci segnalò l’ingresso di altri clienti e sgranai gli occhi nel riconoscere le due persone stagliate sulla soglia.
“Buonasera”, salutò Silente con la sua consueta vivacità, abbracciando con lo sguardo tutti i presenti. Bradley si stava guardando attorno con evidente curiosità e un sorriso allegro a farne increspare le belle labbra. I nostri sguardi si incontrarono e mi rivolse un breve ammiccamento che mi fece deglutire e scalpitare furiosamente il cuore. Fu come se uno strano silenzio fosse calato sulla sala e persino gli altri clienti si fermarono dalle loro chiacchiere e non si sentiva neppure il tintinnio delle posate. Avrei giurato che questa volta non fossero le maniere calorose e i vestiti sgargianti dell’uomo anziano, ma la figura del più giovane ad attirare l’attenzione.
Cazzo”, sentii mormorare Amy nella nostra lingua madre: sembrava che la mascella le stesse cadendo nel guardare Bradley.
Morgana, dal bancone, si era voltata in direzione della voce familiare di Silente, ma alla vista del ragazzo si era bloccata a sua volta, quasi sputando il drink che stava bevendo. La vidi smanettare con il cellulare per controllare il profilo del ragazzo e fissare dalla foto al ragazzo e dal ragazzo alla foto per almeno quindici secondi.
Oddio.
Oddio.
Volli evitare accuratamente i loro sguardi e avanzai verso il Preside con un sorriso. “Buonasera signor Silente, ma che bella sorpresa”, lo accolsi in assenza di Madama Bumb e di colleghi più esperti, approfittando dello shock di Amy.
“Ma che fortunata coincidenza, mia cara”, mi sorrise Silente, stringendomi brevemente la mano. “Vedo che sei di turno questa sera”.
“Sì, infatti”, mormorai, cercando di mantenere con lui il contatto visivo per evitare di impappinarmi di fronte all’eleganza di Bradley che si era persino cambiato per l’occasione.
“Spero che mi perdonerai, ma è stata un’idea del tutto improvvisata”, convenne e mi scoccò una garbata strizzatina d’occhi che contraddiceva quello che aveva appena detto. “Ho telefonato direttamente a Tom che ci ha prenotato un tavolo”, continuò e rivolse lo sguardo alle mie amiche. Il suo sorriso sembrò farsi persino più gigantesco. “Oh, ci sono le tue amiche: immagino che il signor James non abbia bisogno di molte presentazioni o sbaglio?”, mi domandò con una nota di complicità.
Sentii le mie guance ardere mentre Bradley non nascondeva un certo compiacimento, guardando dall’una all’altra e rivolgendo loro un sorriso. Si diresse verso Amy che era più vicina e le porse la mano. “Sono Bradley, piacere di conoscerti”, pronunciò nel suo fine accento inglese.
Il piacere è tutto mio”, mormorò la mia amica in italiano, con tono quasi languido e lo sguardo così adorante che avrei voluto che una botola si aprisse ai miei piedi e mi facesse sprofondare nelle viscere della terra. Insieme a lei.
“Scusami?”, le domandò il ragazzo con adorabile confusione nello sguardo.
Per fortuna sembrò riscuotersi abbastanza velocemente, tornando a parlare con voce più naturale e in inglese. “Il piacere è mio: sono la sua amica e collega Amy”, specificò. Quando Bradley le strinse la mano, la vidi arrossire fino alle orecchie.
Morgana, d’altro canto, non aveva fatto alcun segno di avvicinamento, ma aveva lasciato che fosse lui a ricoprire la distanza. Anche se in quel momento Bradley mi dava le spalle potevo ben immaginare quanto la sua evidente bellezza potesse colpirlo. Come la sua aveva fatto con me d’altronde. Mi vergognavo ad ammettere a me stessa che temevo quel loro incontro perché sembravano entrambi fatti di una sostanza diversa da noi “comuni” mortali.
Bradley allungò la mano e ripeté la formula di rito e il suo nome. La mia amica lo studiò con espressione circospetta ma un tiepido sorriso, inclinando il viso di un lato e ricambiandone la stretta. “Morgana”, si presentò in tono composto. “E di certo qualcuno deve averti accolto con piacere”, convenne, scoccandomi un’occhiata eloquente. “Sei un po’ in anticipo per lo spettacolo: dovevi essere impaziente di visitare la Scozia”.
Silente batté le mani con aria divertita. “Temo proprio di aver rovinato la sorpresa della vostra amica: ho assunto Bradley affinché sia l’assistente di Lupin fino alla sera dello spettacolo”, spiegò in tono pimpante e non poco orgoglioso di se stesso.
“Ma senti senti”. Il sorriso di Morgana si fece persino più largo e lo sguardo scintillò in mia direzione. Sollevò persino il calice come a dedicarmi un brindisi. La conoscevo abbastanza per sapere che, una volta sole, mi avrebbe mostrato quanto fosse indignata per non avergliene parlato subito.
Non ebbi modo di scusarmi con lo sguardo perché Bradley aveva ricoperto le distanze e si era fermato di fronte a me. “Perdonami, Milady”, mormorò. “Buonasera”.
Sentii il cuore tambureggiare più rapidamente ma un sorriso mi increspò le labbra automaticamente e tutte le mie preoccupazioni parvero dimentiche. “Ben arrivato”, sussurrai.
“Sono sicuro che Bradley svolgerà un ottimo lavoro”, stava commentando Silente ma mi parve che la sua voce fosse distante anni luce da noi.
“Lo spero proprio”, sorrise Morgana.
“Io penso che già lo stia facendo”, commentò Amy in tono più complice.
“Bene, siete già arrivati”.
Ci riscuotemmo tutti all’arrivo del signor Riddle che indossava un completo elegante su cui spiccava una camicia azzurra che ne faceva risaltare lo sguardo. “Preside, è sempre un piacere”, allungò la mano ma l’uomo più anziano la schivò e preferì abbracciarlo. Seppur non sembrasse una persona particolarmente incline al contatto fisico, ancora una volta la compostezza del Signor Riddle sembrò venir meno e ricambiò il gesto.
“Buonasera Tom, il piacere è tutto mio: spero che in pasticceria si lavori con la stessa lena di sempre”, commentò in tono complice.
“Non potrei pretendere di meno quando so che viene a trovarci. E questo deve essere il ragazzo di cui mi ha parlato: Tom Riddle”, si presentò allungando la mano.
Bradley sgranò gli occhi. “Riddle? Quel Tom Riddle?”, domandò, guardando dall’uno all’altra.
“Proprio lui”, convenne Silente in tono compiaciuto.
Il Signor Riddle scosse il capo, come a schermirsi, mentre il ragazzo si affrettava ad allungare la propria mano. “Mi scusi, signore, ho sentito parlare benissimo di lei. Sono Bradley James, dell’Accademia di Londra. Anthony non ci crederà quando gli dirò che l’ho incontrata”.
Silente parve divertito al pensiero. “Credo che una parte di lui si penta ancora che Tom mi sia sempre rimasto fedele e non abbia abbandonato la mia Accademia per la sua”.
Il Signor Riddle, di fronte ai nostri sguardi sorpresi, quello ancora entusiasta di Bradley e quello orgoglioso di Silente, si schermì e scosse il capo. “E’ stato molto tempo fa ma lo saluti per me”, commentò dopo essersi schiarito la gola. “Ho sentito parlare benissimo di te: so che la Signorina ha gradito moltissimo il vostro spettacolo e il Preside ha sempre avuto un buon istinto con le persone. Sono sicuro che il tuo aiuto sarà prezioso per tutti loro”.
Bradley mi aveva rivolto un sorriso così grato che non potei che intenerirmi: era evidente che, seppur non avesse mai assistito a una sua performance dal vivo, dovesse aver sentito parlare del mio datore di lavoro al punto da averne una grande stima e ammirazione. Senza contare che trovavo sempre interessante quei dettagli sul passato di Riddle che era sempre così evasivo al riguardo. Nessun ninnolo del suo ufficio, piuttosto spoglio di oggetti personali a parte la teca di Nagini, rimandava a un passato nella prestigiosa Accademia.
“Ho già fatto apparecchiare il vostro tavolo”, disse loro in tono premuroso.
“Ti unisci a noi, Tom?”, sembrò incoraggiarlo il Preside con la consueta vivacità.
Il Signor Riddle scosse il capo, ma gli sorrise con aria di scuse. “Mi piacerebbe, ma ho del lavoro amministrativo da svolgere”.
Naturalmente il Preside non desistette facilmente. “Insisto almeno per il dessert”.
“Per il dessert, promesso”, ribatté con un sorriso. “Jordan vi accompagnerà ai vostri posti”.
“Prego, signori: da questa parte”, sorrise loro in modo professionale.
Li seguii con lo sguardo fin quando non scomparvero alla mia vista e sentii il cuore tambureggiare ancora più nervosamente. Non soltanto Bradley era tornato nella mia vita da poche ore e lo avrei rivisto in Accademia, ma forse sarebbe divenuto persino parte della mia routine lavorativa.
“Mi raccomando”, commentò Riddle guardando i dipendenti. “E’ superfluo dire che siano ospiti di riguardo: non voglio distrazioni ed errori”, disse in tono pacato ma era evidente che la sua tolleranza sarebbe stata più bassa del solito in quella circostanza. Ci guardò tutti con aria quasi intimidatoria mentre rispondevamo in coro un: “Sì, signore”, prima di tornare nel suo ufficio.
“Sentito il Signor Riddle?”, rincarò la dose Madama Bumb. “Ognuno al suo posto”.
“Signora?”, le si era rivolta Amy con un sorriso. “Non ho potuto fare a meno di notare che siamo ancora a corto di personale: potrei restare per un altro turno e aiutare Sara a servire ai tavoli”.
Non potei celare la mia sorpresa: dopo la sfuriata che entrambe avevamo ricevuto dalla nostra coordinatrice avevamo sempre fatto di tutto per non essere nel suo mirino più a lungo del necessario. Senza contare che, dopo aver rimproverato Percy, non mi aspettavo che si azzardasse a proporsi: evidentemente avrebbe fatto di tutto per avere un pretesto per restare quella sera.
La donna la scrutò a lungo ma scosse il capo. “Apprezzo la tua disponibilità, ma hai appena concluso il doppio turno: è meglio che ti riposi”, rispose con il solito pragmatismo.
“Ah”, rispose in tono evidentemente deluso. “Allora resterò a cena qui”.
Madama Bumb parve perplessa per quella specificazione. “Accomodati pure, ma non nella saletta privata: il Signor Riddle l’ha riservata esclusivamente per i suoi ospiti”.
Vidi la stessa espressione delusa passare sul volto delle mie amiche: era evidente che avessero entrambe escogitato di accomodarsi a uno dei tavoli per poter osservare Bradley da vicino. Quando la coordinatrice si allontanò, mi rivolsero entrambe un’occhiata tra l’indignato e l’offeso: “Perché non me l’hai detto prima?!”, mi domandarono quasi all’unisono.
Sorrisi al suono della campanella. “Oh, è arrivata Katie: è meglio che vada!”.
“Non così in fretta”, mi sentii trattenere il polso da Amy e Morgana mi si piantò di fronte per impedirmi di allontanarmi.
Alzai le mani e rivolsi loro uno sguardo di scuse. “Volevo dirvelo, sul serio”, mormorai in tono contrito e le guance arrossate, convenendo che era stato un colpo basso da parte mia.
“Come hai potuto tenermelo nascosto?!”, mi domandarono ancora in coro.
“Sul serio”, mormorai debolmente. “Non credo di averlo ancora assimilato io stessa e avevo solo bisogno di tempo”, cercai di giustificarmi.
Morgana sorrise con un certo compiacimento. “Ora si spiega perché non riesci a smettere di sorridere da quando sei entrata”, sentenziò con un luccichio malizioso nello sguardo.
“Assistente di Lupin, eh?”, intervenne Amy. “E non ne avevi il minimo sospetto?”.
“Assolutamente no!”, spiegai con voce entusiasta. “Ancora ho paura di svegliarmi e scoprire che sia solo un sogno: è incredibile!”.
Morgana scosse il capo come se stessi peccando di ingenuità e mi rivolse quel suo sorriso più sardonico: “Incredibile non è la parola giusta. Sembra evidente che Silente abbia avuto il suo peso in questa decisione”.
“Quindi vi siete già parlati?”, incalzò Amy con sguardo avido di dettagli.
“Più o meno”, risposi in tono laconico, osservando i movimenti della mia collega.
“Che significa?!”, mi incalzarono in tono trepidante.
“Ora non posso”, mormorai in tono di scuse, indicando Katie che aveva appena indossato la divisa e mi aspettava per andare ad apparecchiare la sala del ristorante.
“Non finisce qui”, mi dissero all’unisono e mi affrettai a seguire la mia collega. Faticai molto più del consueto a restare concentrata sul mio lavoro ma era fondamentale che imparassi a disporre le tovaglie, le posate e a piegare il tovagliolo come stabilito dal Signor Riddle.
 
 
Fortunatamente quella sera non vi era particolare affluenza per cena, ma in breve tempo era girata la voce dell’arrivo del Preside della prestigiosa Accademia e dell’affascinante ospite. Sembrava esserci una sorta di competizione in cucina per riuscire ad accaparrarsi il vassoio con le loro portate, tanto da richiedere l’intervento di Madama Bumb che aveva sgridato Susan e Hannah, lasciando a me e a Seamus la consegna dei loro ordini. Ogni volta che entravo nella saletta privata li trovavo piacevolmente coinvolti in qualche conversazione e sembrava che avessero presto accantonato l’argomento dello spettacolo e Silente gli stesse facendo domande sulla sua vita a Londra e sui suoi progetti futuri. Tuttavia, non mancavano mai di sorridermi o di porgermi i piatti ormai vuoti, gesto che avrei apprezzato da qualsiasi cliente, ma che era particolarmente piacevole se accompagnato dai loro sorrisi o dalle premure di Silente che cercava sempre di convincermi a “prendermi una pausa”.
“Hai l’aria stanca mia cara: devo sgridare Tom perché ti consenta di prendere almeno una fetta di torta con noi?”, mi propose, quando tornai in sala per sparecchiare la tavola.
Mi schermii con un sorriso, impilando i piatti e prendendo quello che Bradley mi stava porgendo con espressione altrettanto premurosa. “Divorerei l’intera torta se potessi”, rivelai al Preside con un sorriso complice.
“Si direbbe che siamo un trio di golosi”, mi rispose, alludendo anche a Bradley che annuì con enfasi e uno scintillio più puerile nello sguardo alla menzione dei dessert.
“Volete che vi porti la lista?”.
“Quale ci consiglieresti?”, mi domandò Bradley con un sorriso affascinante che mi fece salire un’ondata di calore lungo il collo e il viso.
Non ebbi alcun dubbio sulla risposta. “Ci sarebbe una torta alle mele che sembra particolarmente invitante”.
“Mi hai convinto”, asserì Bradley. “E’ una delle mie preferite”, mi informò e ammiccò brevemente.
“Ne prenderei volentieri un assaggio”, convenne Silente, lisciandosi la barba. “Anche se io preferisco-”.
“La torta al limone[6], lo so bene”, intervenne il Signor Riddle che aveva portato di persona la lista dei dolci.
“Ben detto, Tom”, gli sorrise Silente che gli spostò la sedia a capotavola e attese che prendesse posto.
“Vado subito a prendervele”, mi proposi con un sorriso.
“Lasci i dessert a Finnigan”, mi invitò il Signor Riddle, dopo aver preso finalmente posto a sua volta.
“Che bella idea, Tom”, lo lodò Silente, già indicandomi la sedia all’altro capotavola e accanto a Bradley. “Sarah merita una pausa dopo tutto questo lavoro”.
Riddle stava leggendo distrattamente dalla lista e neppure ne ricambiò lo sguardo. “L’avrà quando sarà il suo turno di cenare”, rispose in tono pacato, per poi rivolgersi a me. “Torni dietro al bancone: la signorina Delacour ha finito il suo turno e deve tornare a casa”.
“Sì, Signor Riddle”, annuii e rivolsi un sorriso ai due ospiti. “Buona continuazione: spero che la torta di mele sia di vostro gradimento”.
“Ne sono sicuro”, mi sorrise Bradley. “Ma te lo farò sapere dopo l’assaggio, promesso”, soggiunse con voce vellutata che mi strappò l’ennesimo brivido lungo la spina dorsale.
“Buon lavoro Sarah”, mi sorrise Silente con il consueto calore.
Dovetti trattenermi dal ridere perché quest’ultimo non attese neppure che fossi uscita per rimproverare bonariamente il suo ex studente per non avermi concesso di sedere con loro per qualche minuto. Sentii quest’ultimo schermirsi e giustificarsi, alludendo alla riduzione del personale, seppur la sua voce sembrasse molto più imbarazzata di quando si rivolgeva a noi. Sembrava che, nonostante il passare del tempo, ancora si comportassero come insegnante e studente e Riddle si preoccupasse del giudizio del suo mentore.
Tornai al mio posto dietro al bancone e avevo appena avuto il tempo di congedare un cliente, dopo che aveva pagato caffè e liquori, che Amy e Morgana presero posto sugli sgabelli, lasciando vuoto quello centrale. Superfluo dire che nessuna delle due se ne sarebbe andata fino a quando non avessi raccontato loro ogni dettaglio succulento sull’arrivo di Bradley e sulla nostra conversazione.
“Allora?”, mi incalzarono in coro, nonostante Amy ancora evitasse a ogni costo di parlare o di guardare l’altra.
Sospirai per la stanchezza fisica e psicologica e cercai di raccontare il tutto, premunendomi di parlare in italiano e a bassa voce, continuando a gettare occhiatine alla saletta privata nel caso in cui uscisse qualcuno dei tre.
Morgana parve particolarmente compiaciuta alla fine del mio resoconto. “Spera di conoscere tutto di te e non solo del tuo personaggio”, ripeté con lo sguardo scintillante. “Mi sembra un’ottima premessa e adesso puoi rimangiarti tutti i dubbi e i tormenti degli ultimi mesi: te lo avevo detto che gli sei piaciuta da subito!”. Soggiunse soddisfatta. “Ancora una volta avevo ragione”.
Amy che aveva ascoltato il tutto con altrettanta trepidazione ed entusiasmo mi stava scrutando con espressione quasi di rimprovero. “Io mi sono iscritta su un sito di incontri e mi capita un caso umano dopo l’altro”, borbottò con aria indignata. “Tu ti sei rifiutata di incontrare qualsiasi nostra conoscenza e un simile manzo è venuto da Londra appositamente per te: qual è il tuo segreto?”.
“Non è venuto solo per me”, le ricordai con le guance arrossate, ma il sorriso che mi increspava le labbra non poteva dissimulare quell’euforia che ancora sentivo dentro malgrado la fatica delle ultime ore.
“Dov’è che sbaglio?”, domandò Amy in tono quasi mortificato.
“Vuoi che te lo dica?”, la punzecchiò Morgana.
“Parla pure”, le sorrise l'altra in tono serafico, sporgendosi a prendere una forchetta dalle stoviglie che dovevo ancora lavare. La brandì con aria particolarmente minacciosa, attendendo che prendesse parola.
“Vi prego”, le supplicai, alludendo a Madama Bumb che stava scrutando la sala con occhi da falco.
Ripresi la posata e la sciacquai insieme a delle tazze ma senza smettere di sorridere.
“Sapete che non voglio farmi troppe illusioni”, continuai in tono cauto. “Voglio vivere un giorno alla volta, imparare a conoscerlo e ad aprirmi con lui”, mormorai senza smettere di sorridere.
Morgana si morse le labbra, ridacchiando. “Mi è venuta una battuta sconcia sull’aprirsi ma la terrò per me”, convenne di fronte al mio sguardo scandalizzato per poi sorridermi. “E se nel frattempo ti portasse a cena fuori potrei concedergli il mio benestare, dopo una chiacchierata privata”, mi fece sapere con tono quasi altezzoso.
“Se poi ti baciasse prima dello spettacolo”, continuò Amy sulla stessa onda. “Doppia goduria alla faccia della coppia reale”, soggiunse con un ammiccamento. Superfluo dire che non avesse affatto preso bene il mio racconto sulle allusioni di Emma riguardo alla sua rottura con Daniel e la speranza che si fidanzasse con Bonnie. Per mia fortuna, non avevo il recapito telefonico di Emma, ma aveva garantito che quella frase non sarebbe passata impunita.
Mi schiarii la gola e ripetei: “Un giorno alla volta”.
Morgana sembrò in procinto di aggiungere qualcosa, ma ci riscuotemmo quando Riddle mi si avvicinò e parlò in tono discreto. “Prepara il conto del Professor Silente e assicurati che né lui né il signor James paghino qualcosa: se il Preside insiste mandalo direttamente da me”, mi disse in tono così serio e autoritario che mi limitai ad annuire e ad assicurargli che avrei seguito le sue istruzioni.
“Si sta avvicinando”, mi avvertì Morgana. “Fai finta di nulla, sta venendo verso il bancone”, mi disse in italiano, salvo fingersi sorpresa quando Bradley ci salutò nuovamente tutte.
Sollevai lo sguardo dal conto e gli sorrisi. “E’ stato tutto di tuo gradimento?”.
“Tutto quanto”, mormorò Bradley ma inclinò il viso di un lato e mi rivolse uno sguardo così intenso che sentii lo stomaco contorcersi al pensiero che non si riferisse solo al cibo. “A proposito, vi avanza della torta di mele? Perché me ne porterei volentieri una porzione a casa. Anzi due”, asserì in tono così entusiasta che non potei fare a meno di ridere, ma mi premunii di controllare nell’espositore.
“Sei fortunato”, gli dissi, recuperando la pinza per i dolci.
“Potrei fare i complimenti di persona al maestro pasticciere?”, mi domandò.
Non potei fare a meno di sorridere. “In realtà l’ha preparata Neville che è un allievo della Signora Sprite: è lei il capo pasticciere”, gli spiegai con un sorriso orgoglioso, mentre ricoprivo le porzioni della torta con la carta su cui era impresso il blasone e il nome del pub.
“Ed è stato un allievo a preparare questa torta?”, mi domandò in tono sorpreso.
“Proprio lui, vuoi che te lo chiami?”.
Sembrò ancora più colpito ma sorrise e annuì con vigore. “Se non ti dispiace”.
“Affatto”, ribattei, scambiando un’occhiata con Amy. “Neville merita questo ed altro”.
“Vai pure”, mi sorrise Morgana con aria serafica. “Teniamo noi compagnia a Bradley”.
Le rivolsi uno sguardo ammonitore ma lei sorrise con la sua espressione più innocente. Nonostante tutto il mio affetto per Sean e il mio stato d’animo, non potei fare a meno di pensare che lei e Bradley sembrassero perfetti insieme da un punto di vista meramente estetico[7]. Senza contare che temevo seriamente per l’incolumità del ragazzo se lei non gli avesse dato la sua “benedizione”. Cercai lo sguardo di Amy e lei mi fece un cenno di assenso come ad assicurarmi che avrebbe monitorato il tutto.
Entrai in cucina e tutto lo staff si rivolse a me con espressione sorpresa e impaurita: capitava raramente che un piatto tornasse indietro o un cliente volesse lamentarsi, ma ogni volta era assai spiacevole. Soprattutto perché il Signor Riddle indiceva una riunione con lo staff della cucina, ci aveva raccontato Neville, e passava in rassegna tutto il menù e le comande della serata per capire chi avesse sbagliato e che cosa. Non era quindi sorprendente che il nostro amico fosse sempre terrorizzato in sua presenza e solo di recente, dopo l’approvazione della Signora Sprite, osasse esporre una sua ricetta.
“Va tutto benissimo”, li rassicurai con un sorriso e tutti sembrarono sospirare di sollievo.
“Ti ho lasciato da parte della pasta, cara”, mi sorrise la Signora Weasley e la ringraziai, prima di chiamare Neville. Quest’ultimo stava riordinando la postazione dei dolci mentre la Signora Sprite si godeva la sua meritata pausa.
“Un cliente vorrebbe parlare della tua torta di mele”.
Il viso del ragazzo divenne subito rosso e sgranò gli occhi: “Ho sbagliato qualcosa?”.
Gli sorrisi e scossi il capo. “Niente affatto: me ne ha persino chiesto altre due fette da portare a casa”, gli confidai e vidi il suo sguardo illuminarsi.
“Dici sul serio?”, mi domandò come se non riuscisse a crederci di essere stato oggetto di ammirazione. “Ed è un cliente vero? Non un collega?!”.
Gli sorrisi e annuii. “Vieni con me”.
“Avanti Neville, i clienti non si fanno aspettare!”, gli sorrise la Signora Sprite con espressione orgogliosa. “Togliti il grembiule!”, si raccomandò tuttavia, prima che uscisse.
Al mio ritorno Bradley doveva aver ceduto alle maniere persuasive di Morgana perché si era accomodato tra le due ragazze. La prima stava parlando con la sua solita intraprendenza e lui sembrava avere sempre la risposta adatta perché lei sorrideva compiaciuta, mentre la seconda li ascoltava attentamente e sorrideva di qualche commento scherzoso.  
“Neville, ti presento Bradley: l’ospite di Silente nonché Assistente del Professor Lupin[8]”.
Bradley gli sorrise e si rimise in piedi per poi porgergli la mano che Neville strinse con aria ancora incredula. Seppur fossero entrambi alti[9], il nostro amico sembrava più minuto per quell’atteggiamento remissivo e goffo, nonostante si trovasse sulla pedana.
“Piacere di conoscerti Neville”, mormorò Bradley. “Scusami se ti ho interrotto dal tuo lavoro, ma ci tenevo a complimentarmi: la tua torta di mele è fenomenale”.
Neville arrossì ma lo sguardo sfolgorò di uno scintillio orgoglioso che raramente appariva sul suo volto. “Davvero signore?”.
L’altro fece una vaga smorfia al sentirsi appellare in quel modo. “Chiamami Bradley”, si schermì in tono più confidenziale. “Sappi che non scherzerei mai su una torta”, asserì in tono fin troppo serio. “Questa è persino migliore di quella di mia madre anche se ovviamente non potrò mai dirglielo”.
L’entusiasmo e la felicità di Neville erano quasi commoventi perché gli strinse calorosamente la mano. Drizzò le spalle e parve persino più alto del solito. “Grazie Bradley, davvero: ho ancora molto da imparare ma cercherò di fare sempre del mio meglio”.
“Non ne dubito”, gli sorrise con garbo. “E mi offro volontario per essere la tua cavia”, aggiunse.
“Allora ci conto”, mormorò Neville ancora entusiasta. “Buona serata e ancora grazie”.
“A te e ancora complimenti”.
Seguii Neville con lo sguardo mentre tornava alle cucine e io ed Amy ci scambiammo un sorriso orgoglioso. Nessuno più di lui meritava quell’encomio e speravo che quell’innesto di fiducia lo avrebbe ulteriormente spronato.
Finii di confezionare il vassoio e lo porsi a Bradley che mi ringraziò con un sorriso ed estrasse il portafoglio.
“Il Signor Riddle mi ha categoricamente impedito di accettare denaro da parte vostra”, commentai con un sorriso.
“Che persona squisita”, convenne tra sé e sé, prima di controllare l’orologio appeso alla parete. “Ladies, è stato davvero un piacere”, commentò con un sorriso e si rimise in piedi.
“Non te ne starai già andando?”, gli domandò Morgana con voce modulata a simulare sorpresa e costernazione alla sola idea.
Lui annuì. “Temo di sì: domani sarà il primo giorno di lavoro e voglio essere ben riposato”.
Lei non parve impressionata inclinò il viso di un lato. “Davvero? Neppure se insistiamo perché resti altri cinque minuti?”, gli propose con la sua espressione più accattivante. Sapevo naturalmente che stava dando fondo al suo repertorio per me, ma non potei fare a meno di sentire una fitta allo stomaco all’idea che anche lui fosse facilmente “preda” delle sue manipolazioni.
Il ragazzo parve incuriosito dalla sua insistenza, ma non si scompose. “Sono sicuro che non mancheranno occasioni: credo che diventerò un habitué di questo pub”, ci rassicurò con un sorriso.
“Di questo pub, certo”, convenne Morgana sorridendo in mia direzione. “Il cibo è delizioso”.
“E il personale anche di più”, intervenne Amy dall’altro lato.
Bradley sorrise all’una e all’altra e sembrò perfettamente comprendere il sottinteso: lo sguardo baluginò e la voce si fece più bassa e intensa, come stesse loro rivolgendo un segreto. “Credo che la parola giusta sia speciale”.
“Speciale”, ripeté Morgana con un sorriso persino più allusivo.
Bradley assentì. “L’ho capito dal primo istante”, rivelò loro in tono quasi mistico e sorrise di nuovo, ma fu il mio sguardo che cercò infine.
Non potei fare a meno di sorridere, seppur negli ultimi istanti non fossi riuscita a pronunciare motto,  e avrei voluto che quel bancone tra noi scomparisse. Mi domandai distrattamente se stesse pensando qualcosa del genere, ma si sporse leggermente in mia direzione.
“Potresti accompagnarmi all’uscita?”, mi domandò in un sussurro discreto.
Le mie amiche neppure si sforzarono di fingere di non aver udito e sembrarono incoraggiarmi con lo sguardo a non farlo attendere.
Seppur morissi dalla voglia di seguirlo, dovetti cercare un collega e fu Susan a raggiungermi, dopo aver rivolto a Bradley uno sguardo sognante. “Vai pure, Sarah”.
“Grazie Susan”, mormorai in sua direzione e feci strada a Bradley verso l’uscita. Notai che, ancora una volta, stava attirando tutti gli sguardi su di sé, ma non sembrava prestare attenzione a quel dettaglio o forse, come Morgana, vi era fin troppo avvezzo.
Uscimmo nella piazzola fuori dal locale in cui, nei mesi più caldi, venivano allestiti dei posti affinché le persone potessero consumare le loro ordinazioni anche all’esterno, sotto un gazebo appositamente montato per l’occasione. Mi strinsi le braccia al corpo alla folata di vento e ringraziai che Riddle permettesse a noi ragazze di indossare i pantaloni in quel periodo dell’anno.
“Oh, perdonami”, convenne Bradley nel notare il mio disagio e si affrettò a togliersi la giacca di pelle.
“Non ti preoccupare, è solo un attimo”, mi schermii.
“Insisto”, sussurrò più dolcemente.
Sentii un effluvio di calore, misto al suo profumo, quando me l’adagiò sulle spalle e non potei fare a meno di sorridere a quella piacevole sensazione. “Non vorrei che prendessi freddo e dovessi perderti il tuo primo giorno di lavoro, Signor Assistente”, gli feci presente con il volto inclinato di un lato.
Lui scosse il capo. “Non sarebbe un raffreddore a fermare me o lo spettacolo”, convenne per poi osservarmi più attentamente. “In realtà è di questo che volevo parlarti”.
Non potei fare a meno di nascondere la sorpresa, anche se sarebbe stato prematuro e inopportuno pensare che ci fosse un altro scopo. “Dimmi pure”.
Bradley sembrò scegliere accuratamente le parole da pronunciare. “Silente mi ha concesso una grandissima opportunità e non ho alcuna intenzione di far venire meno la sua stima e la sua fiducia”.
Annuii. “Lo capisco: ho provato lo stesso appena l’ho incontrato, anche se ci sono ancora giorni in cui credo che sia stato folle a dare il benestare per la mia partecipazione. Ma è un uomo così amabile che la sola idea di deluderlo sarebbe insopportabile”.
“Esattamente”, convenne Bradley e mi guardò più intensamente. “Intendo svolgere il mio lavoro con tutta la serietà e la professionalità richieste al mio ruolo”.
“Oh, certo”, convenni dopo aver intuito cosa intendesse. “Non mi aspetto niente di meno da chi ha una vocazione come la tua: accetterò tutte le tue osservazioni e non farti remore a sgridarmi e a riprendermi se lo ritieni necessario”, lo invitai, gesticolando con più foga, come quando ero particolarmente avvinta da una conversazione o dal tentativo di farmi capire.
Mi interruppe con un sorriso e uno scuotimento del capo. “Non era ciò a cui mi riferivo”, specificò con espressione divertita. “O meglio non solo a questo aspetto, anche se sono felice che tu sia altrettanto professionale”.
Inarcai le sopracciglia con espressione confusa. “Allora di cosa stavi parlando?”.
Mi guardò più dolcemente. “Dentro quelle mura dovrò svolgere delle mansioni ben precise e di conseguenza dovrò rispettare un certo… codice deontologico ed etico”.
Sentii le guance arrossire. “Certo”, convenni e sollevai le mani. “E’ naturale che sia così”.
“Quindi spero che tu non fraintenda le mie parole o i miei gesti se ti apparissi distaccato”.
Non potei fare a meno di sentire un moto spontaneo di affetto nei suoi confronti alla sola idea che si preoccupasse del mio stato d’animo al vederlo assumere un approccio e un tipo di interazione che erano più adeguati a quel ruolo. Il fatto che, benché ci conoscessimo appena, si preoccupasse così tanto dell’impressione che avrebbe avuto su di me era emozionante. Al punto che avrei voluto, malgrado il mio buon senso, fargli comprendere in qualche modo ciò che mi stava procurando e la dolcezza che mi aveva pervasa dal suo ingresso in auditorium.
“Non lo farò”, promisi e gli sorrisi. “Grazie di avermelo detto”, aggiunsi in un sussurro.
“Non vorrei mai che nascessero simili equivoci tra noi”, sussurrò per risposta e il sorriso tornò a farne baluginare lo sguardo.
Sembrò in procinto di voler aggiungere altro, ma ci riscuotemmo quando fu Silente ad attraversare la soglia del pub, guardando dall’uno all’altra con un sorriso bonario e uno scuotimento del capo.
“Il tempismo, Signor James, è tutto e non solo sul palcoscenico”, lo rimproverò bonariamente, passandogli una mano sulla spalla. “Io e Ariana[10] ti aspettiamo nel parcheggio. Buonanotte mia cara e ringrazia ancora tutti dell’ospitalità”.
“Buonanotte Professore”, gli sorrisi e lo seguii con lo sguardo.
Bradley estrasse dalla tasca dei pantaloni il cellulare e mi guardò con un sorriso: “Posso chiederti il numero? Non sarebbe facile rintracciarti in tutti i dormitori di Glasgow”, convenne con un sorriso che ricambiai, pur sentendo il cuore in gola.
“Ma certo”, mormorai, prendendolo dalle sue mani per poi memorizzarglielo in rubrica.
“E’ meglio che ti lasci tornare al lavoro”, convenne dopo averlo insinuato nuovamente in tasca.
Annuii e mi affrettai a restituirgli la giacca, ma lui se l’appoggiò su un braccio distrattamente e mi trattenne brevemente la mano. “Buonanotte”.
Sospirai al contatto, ma lasciai che mi sfiorasse il dorso con le dita e la strinsi brevemente a mia volta.  “Buonanotte e ancora ben arrivato a Glasgow”.
Tornai sui miei passi con un sorriso che non sembrò svanire neppure di fronte alle implacabili domande delle mie amiche nonché le congetture su cosa avrebbe comportato la sua permanenza. Non solo tra le mura dell’Accademia.
 
 
~
 
Non appena valicai la soglia della stanza riconobbi l’ambiente in cui mi ero già trovata precedentemente. La sala da ballo era fiocamente illuminata e dalla terrazza proveniva una piacevole brezza e nel cielo stellato brillava una meravigliosa luna piena. Mi guardai attorno, cercando altri indizi già noti ma questa volta non vi era una rosa bianca ad attendermi sulla superficie del pianoforte. Solitamente era un profumo a rivelarmi la presenza del misterioso Principe ma sembrava tutto silenzioso.
“Sei qui?”, domandai e attesi risposta per qualche secondo.
Udii uno scalpiccio di passi alle mie spalle e mi volsi: speravo di scorgere quel volto o di sentirne la voce, mentre pronunciava il mio nome come solo lui avrebbe saputo fare…
“Sara?”.
“Mh?”.
“Sara!”.
Sbattei le palpebre all’ennesimo e impaziente richiamo di Morgana, con la mente ancora annebbiata e il cuore in gola per l’attesa così emozionante che si era rivelata un semplice sogno.
“Finalmente!”, commentò la mia amica, in vestaglia da camera, seduta sul bordo del letto.
Sbattei le palpebre, ancora frastornata dalle immagini oniriche, soprattutto dall’ultima sequenza così misteriosa e l’irrisolta domanda su chi fosse la persona giunta alle mie spalle. Non potei fare a meno di rivolgerle uno sguardo stizzito. “Si può sapere perché mi hai svegliata?!”.
“Ma non dirmi: di nuovo il Principe?”, mi domandò lei con quel suo sorrisetto incuriosito.
“Lascia perdere”, borbottai. “Allora?”, le domandai e non potei fare a meno di notare, dalla sveglia, che aveva anticipato il mio consueto risveglio di ben un’ora. “Perché siamo già sveglie a quest’ora?”.
“E me lo domandi pure?”, mi incalzò lei rimettendosi in piedi e recuperando in fretta i suoi modi più autoritari. “Fila sotto la doccia: devo ancora pensare a cosa farti indossare, a come truccarti e dobbiamo passare la piastra ai capelli per farti i boccoli”, alluse ai miei capelli raccolti in una treccia.
“Stiamo festeggiando il nostro anniversario?”, le domandai in tono ironico.
Morgana si piantò le mani sui fianchi e mi guardò con aria quasi scandalizzata. “Questo sarà il primo giorno di lavoro di Bradley o sbaglio?”.
“Non ci posso credere”, convenni e mi lasciai cadere sul cuscino.
“Sì, lo so”, sorrise con aria piuttosto compiaciuto di sé. “Anche io sarei grata di avere me ad aiutarmi in una situazione simile, ma non perdiamo tempo”.
“Morgana so vestirmi da sola”, ribattei con aria stizzita da quel brusco risveglio.
La mia amica fece una smorfia piuttosto eloquente. “Tra le cose che ti scelgo io”, mi concesse salvo poi guardarmi più intensamente. “D’accordo, te la metto in termini chiari e inequivocabili: hai visto l’effetto che il tuo Cavaliere ha sulla popolazione femminile?  Sospetto che è così anche su una buona parte di quella maschile”, aggiunse tra sé e sé.
“Non dici sempre che sono bellissima?”, la incalzai a mia volta, ricordando le sue tiritere.
“Certo che lo sei”, convenne Morgana. “Ma la bellezza richiede impegno e il supporto di accessori, trucco, pettinatura e portamento e in queste, mia cara, sei piuttosto carente”.
“Grazie tante per l’iniezione di autostima di prima mattina”, sbuffai, facendo per stendermi di nuovo, ma Morgana mi tolse il copriletto e mi guardò con aria di rimprovero.
“Vuoi davvero essere l’unica ragazza in quell’auditorium ad apparire sciatta e casual? Scommetto che Emma e Pansy hanno già scelto ieri cosa indossare quest’oggi e che faranno di tutto per farsi notare. Sarà anche un cavaliere, ma è pur sempre un uomo e la carne, hem, hem, è molto debole!”, soggiunse nell’imitare il tono quasi puritano della Umbridge.
Aveva toccato un nervo scoperto: non potei fare a meno di ripensare all’eleganza di Emma e al modo in cui Pansy si era letteralmente divorata Bradley con lo sguardo dal suo arrivo in auditorium. L’espressione di mero disgusto doveva essere abbastanza palese perché Morgana sorrise soddisfatta.
“Mantieni questa grinta e vai sotto la doccia: non gli permetterò di guardare nessun’altra”, mi promise con espressione parecchio esaltata alla prospettiva dell’ennesima sfida.
La guardai con espressione ancora dubbiosa. “Ricordi cosa mi ha detto ieri sera, vero?”.
“Certo”, ribatté lei con un cenno vago della mano. “La sua versione pubblica sarà professionale e distaccata, ma tu devi puntare al ragazzo che si nasconde sotto quella cortina e che, credimi, non attende altro che confermare quanto tu sia… speciale”. Aveva pronunciato l’ultima parola imitando il tono di Bradley, strappandomi un’occhiata molto perplessa e vagamente inquieta.
“Mi stai facendo paura”, la informai con voce pigolante.
“Non perdere altro tempo!”.
Dopo quasi un’ora di coercizioni più o meno gentili della mia amica e coinquilina, una dittatrice del gusto che avrebbe fatto sfigurare persino Blair Waldorf [11], mi trovavo di fronte allo specchio della sua camera per osservarmi. Morgana aveva scelto un completo elegante: una lunga gonna a tubino scura che mi cingeva morbidamente i fianchi e mi arrivava fin sotto al ginocchio, abbinata a una camicia bianca con le maniche di pizzo trasparente e un fiocco nero sul davanti. Aveva inoltre insistito per prestarmi un paio di Jimmy Choo dal tacco di cinque centimetri e un suo lungo cappotto morbido e ampio di una bella tonalità di azzurro con una borsa abbinata nella quale avrei dovuto cercare di “strizzare” lo stretto necessario per quella giornata. Era fuori discussione che potessi usare la mia che era il doppio capiente ma che, a suo dire, avrebbe compromesso l’outfit.
Mi aveva inoltre truccato e acconciato i capelli in modo da arricciarne qualche ciocca.
Mi contemplò con espressione soddisfatta, studiando anche il dettaglio degli orecchini e sorridendo tra sé e sé. “Sei un figurino”.
“Dovrei ringraziare Allock”, risposi distrattamente ma studiando il mio riflesso con altrettanta soddisfazione. Mi addolcii di fronte al suo sguardo offeso e ne baciai la guancia. “Grazie Fata Madrina”.
Si sciolse e mi abbracciò brevemente, attenta a non spettinarmi. “E’ meglio che tu vada, non potrai correre per prendere la metro”, convenne in direzione delle scarpe eleganti quanto dolorose.
 
Quando giunsi in Accademia ebbi l’impressione che si respirasse una certa trepidazione: ero quasi certa che la voce dell’arrivo di Bradley si fosse ormai diffusa, ma ne ebbi la conferma quando incontrai Sean in cortile.
“Buongiorno”, mi sorrise e mi rimirò. “Come sei elegante questa mattina”.
Ne ricambiai il saluto e lo ringraziai. “Puoi immaginare chi sia l’artefice”.
Lui sorrise persino più divertito, salvo scrutarmi con finta espressione di rimprovero. “Non hai nulla di nuovo da raccontarmi?”, mi domandò con le braccia incrociate al petto.
“Lo hai saputo?”, gli domandai, abbassando la voce, mentre mi faceva strada verso la caffetteria per concederci una colazione prima delle lezioni. Ci dirigemmo verso un tavolo libero.
“Sembra che tutta l’Accademia non parli d’altro”, mi confermò. “Senza contare l’espressione di disgusto di Tom: dovrò ringraziarlo di persona solo per quello”, mi raccontò con espressione palesemente divertita al pensiero.
Non potei fare a meno di sorridere al pensiero che Sean lo prendesse realmente in simpatia e viceversa. “Non vedo l’ora di presentartelo: spero tanto che andrete subito d’accordo”.
“Non per infastidire ulteriormente qualcuno di nostra conoscenza, immagino”, commentò ironicamente.
Scossi il capo e mi feci seria, valutando se potessi parlargli o meno dell’ultima discussione. Seppur l’arrivo di Bradley avesse del tutto smorzato la mia rabbia nei confronti di Tom, non potevo ignorare che il nostro amico in comune si potesse trovare indirettamente coinvolto.
Sean abbandonò il suo caffè. “Avete discusso di nuovo, vero?”.
“Non ti ha detto niente?”, cercai di svicolare la domanda.
Lui sospirò ma la risposta era piuttosto evidente. “No, il che significa che deve averne fatta una grave: se vuoi parlarmene, ti ascolto”, aggiunse con un sorriso più dolce nei miei confronti.
Alla fine del mio breve resoconto sulla rivelazione sfortunata del libro e del nostro screzio in auditorium, Sean si stava strofinando la fronte con espressione insieme stanca e preoccupata. “Sei stata ineccepibile Sarah, senza contare che avresti potuto sbugiardarlo di fronte a Emma”.
“Le ragazze mi hanno sgridato un sacco di volte per non averlo fatto”, gli confidai in un sussurro.
“Lo immagino”, convenne con un sorrisino divertito,  prima di farsi serio. “Potrei parlargli, ma sarei costretto a dirgli che mi hai raccontato tutto”, mi ammonì con espressione dubbiosa al riguardo.
“Francamente credo che gli abbiamo dedicato fin troppi pensieri”, risposi dopo un breve istante di riflessione. “Non volevo neppure dirtelo perché non ti sentissi costretto a fargli di nuovo la predica”.  
Mi sorrise e mi strinse brevemente la mano. “Tu puoi sempre parlarmi di tutto, lo sai. Aspetterò di vedere come si comporterà”, mi promise per poi controllare l’orologio. “Devo scappare a lezione. Ci vediamo oggi a pranzo?”.
“Volentieri”, ne baciai la guancia. “Buone lezioni”.
“Anche a te”, mi sorrise prima di andarsene.
 
Restai in caffetteria per un’altra ventina di minuti e approfittai di quel tempo per ripassare alcune scene che trovavo particolarmente complesse. Sentivo un misto di impazienza e di trepidazione all’idea di cosa sarebbe accaduto alle prove, ma ero anche incredibilmente curiosa di scoprire quale sarebbe stato, di preciso, il ruolo di Bradley. Mi diressi in auditorium quando mancavano dieci minuti all’inizio della lezione, camminando cautamente e cercando di celare il fastidio che provavo a causa di quelle scarpe eleganti quanto rigide. Al mio ingresso mi accorsi che c’erano poche persone e camminai lungo il corridoio, passando in rassegna lo sguardo ai primi posti che solitamente occupavo. Sgranai tuttavia gli occhi e sbattei le palpebre a più riprese quando scorsi due volti fin troppo familiari che stavano bisbigliando tra loro. Mi fermai all’altezza dei loro sellini con gli occhi sgranati: “Che ci fate voi qui?”, domandai con un misto di incredulità e di orrore alla prospettiva.
Le mie amiche mi rivolsero un sorriso radioso e apparvero perfettamente a loro agio.
“Ho appuntamento con Sean”, trillò Morgana in tono del tutto naturale. “La sua insegnante non permette di assistere alle loro prove, quindi ho pensato di guardare le tue nell’attesa”.
Incrociai le braccia al petto con le sopracciglia aggrottate. “E sei arrivata con ben due ore di anticipo?”, le domandai in tono sarcastico, conoscendo gli impegni del mio amico per quella mattinata.
“Ho pensato di farti una sorpresa”, rispose lei con il suo tipico savoir faire, ma improvvisando persino un’espressione offesa. “Francamente speravo in una reazione migliore”.
Non le risposi neppure, ma volsi lo sguardo ad Amy che sorrise con altrettanta sicurezza: “Il Signor Riddle mi ha chiesto di fare una consegna a uno degli studenti. E poi sapevamo che a quest’ora ti stavi preparando per le prove e volevamo esserti di sostegno”, aggiunse con tono premuroso.
Scossi il capo, ma il mio cipiglio si fece persino più sospettoso: “Un momento!”, esclamai nel guardare dall’una all’altra con aria ancora più perplessa. “Ma non eravate ancora ai ferri corti?!”.
Morgana al riferimento fece un vago cenno della mano come a sminuire la portata del loro recente dissapore. Amy, invece, si irrigidì e rilasciò un sospiro, prima di guardarmi con espressione stoica. “Ho deciso di accantonare tutto”, precisò per poi rifilare all’altra uno sguardo di sbieco. “Per il momento. E lo faccio solo per te”, sottolineò in mia direzione in tono quasi drammatico.
“Per me?”, rimarcai in tono ironico. “Immagino che questo non abbia nulla a che fare con il fatto che questo sia il primo giorno di Bradley, vero?”, le incalzai con voce incredula.
“Certo che no!”, risposero in coro.
Sospirai e scossi il capo. Cercai di parlare in tono fermo ma gentile:  “Sentite, apprezzo il vostro interessamento ma-”.
“Non ti metteremo in imbarazzo!”, mi rassicurò subito Morgana per poi indicare la gigantesca platea. “Insomma con tutte le persone che ci saranno, non si accorgerà neppure che ci siamo imbucate”, sembrò volermi rassicurare.
Amy rincarò la dose con voce più stizzita: “E poi non hai detto che Emma è quasi sempre presente, anche se non fa parte di questo spettacolo? Perché lei potrebbe e noi no?”.
“Forse perché lei è iscritta?”, la incalzai in tono ironico.
“Ah! Non lo sei neppure tu se è per questo!”, ribatté Morgana che doveva aver previsto le mie remore e aver giocato d’anticipo come sempre.
Stavo per replicare qualcosa di altrettanto pungente, ma fui dissuasa dall’arrivo di altri studenti, compresi Tom ed Emma. Convenni che non fosse il momento e il luogo adatto. Senza contare che non mi sembrava il caso di attirare l’attenzione su di loro. Amy borbottò una parolaccia nel suo dialetto nativo alla vista della coppietta, ma io la zittii per timore che qualcuno le scoprisse. Le feci cenno di scalare e presi posto all’estremità della loro fila così da poter facilmente raggiungere il palcoscenico in caso di bisogno. Sfilai con attenzione il cappotto di Morgana per non stropicciarlo.
“Visto come l’ho vestita bene?”, la sentii chiedere ad Amy con un certo compiacimento.
“Non mi offenderei se ogni tanto mi dessi qualche dritta”, rimarcò l’altra salvo poi volgersi in mia direzione. “Sei agitata?”.
“Vuoi che ti ripassi al volo il lucidalabbra?”.
Ci interrompemmo a uno scalpiccio di passi e ci voltammo tutte e tre verso l’ingresso delle doppie porte. Bradley le valicò con la stessa sicurezza del giorno prima e si levò un mormorio tra i presenti, soprattutto tra le ragazze che ne stavano ammirando la silhouette, mentre io sentivo un moto di calore salirmi al volto. “Buongiorno a tutti”, salutò e sorrise con aria affabile.
Quel giorno indossava un completo molto elegante che ne metteva in risalto la figura atletica: una camicia bianca e un paio di pantaloni scuri a cui aveva abbinato una giacca di una tonalità chiara. Dalla camicia pendeva una cravatta dello stesso colore e portava in spalla una borsa di pelle in cui doveva aver racchiuso il copione e altri oggetti di uso quotidiano[12].
“E’ proprio manzo”, mormorò Amy al mio orecchio.
“Ha buon gusto nel vestire”, gli concesse Morgana con la tipica espressione noncurante, ma avrei giurato che fosse più impressionata di quanto volesse dare a vedere.
Da parte mia non riuscii a pronunciare motto, ma ne seguii i movimenti fin quando non salì sul palcoscenico di modo da poter essere visibile e udibile a tutti agevolmente. Mi sarei aspettata che Lupin lo precedesse e lo introducesse, ma probabilmente aveva ritenuto più efficace lasciare a Bradley fin da subito la direzione della lezione di modo da accattivarsi la fiducia e l’attenzione generale.
Sembrava perfettamente a suo agio al centro del palco e guardò gli alunni di fronte a sé con un sorriso. “Quest’oggi vorrei proporvi una lezione diversa da quella a cui siete abituati: in parte perché credo sia utile testare quanto abbiate assimilato la personalità dei vostri personaggi e in parte perché spero di rompere il ghiaccio e conoscervi meglio”, soggiunse con un sorriso più accattivante. Dalla mia postazione vidi chiaramente Pansy, Padma Patil e altre ragazze riservargli occhiatine più languide o ridacchiare in modo lezioso. Cercai di ignorare quella punta di fastidio che mi stava facendo distrarre da Bradley. Quest’ultimo aveva già estratto il plico imponente del copione e non potei fare a meno di notare che vi avesse inserito dei post-it colorati, probabilmente per annotare qualche osservazione o qualche domanda da porre al Professor Lupin.
“Goloso di dolci e maniaco della cancelleria: mi sa che è proprio la tua anima gemella”, commentò Morgana, rivolgendomi uno sguardo saputo che mi sforzai di non ricambiare. Non avrei ammesso neppure sotto tortura che avevo iniziato ad annotare mentalmente quei piccoli dettagli per imparare a conoscerlo meglio.
“Non perdiamo tempo e, se siete d’accordo, vorrei iniziare proprio da-”.
“Dov’è il Professor Lupin?”.
La voce di Tom, strascicata e indolente riempì l’auditorium. Era seduto in seconda fila insieme a Emma. Vidi Morgana sollevare gli occhi al cielo. “Eccolo che comincia”, borbottò mentre Amy era impegnata a fargli il verso a mezza voce. Dovetti trattenermi dal ridere: di primo acchito ero così preoccupata dalla loro presenza che non avevo pensato a quanto potesse essere comica la situazione.
Rivolsi nuovamente lo sguardo a Bradley che non sembrò aversela a male per quell’interruzione  che sembrava avere il solo scopo di minarne l’autorevolezza fin da subito. “Grazie della domanda, Tom”, gli rispose in tono tranquillo prima di rivolgere lo sguardo a tutta la classe. “Il Professor Lupin è esattamente dove dovrebbe stare: accanto a sua moglie che sta per sottoporsi a un’ecografia”.
“Ci raggiungerà più tardi?”, continuò Tom con lo stesso tono petulante.
“Ma non può imbavagliarlo nessuno?”, azzardò Morgana in tono infastidito.
“E questo è niente, ve lo assicuro”, replicai e sollevai gli occhi al cielo. Non avevo dubbi che il ragazzo avrebbe mostrato il peggio di sé: ancora ricordavo come si era comportato in modo odioso durante la mia prima settimana, non soltanto sorridendo dei miei errori ma rivolgendosi in modo sprezzante persino al Professor Lupin di cui in quel momento sembrava sentire la mancanza.
Non potei che ammirare Bradley che non diede segni di impazienza ma sorrise leggermente. “Temo di no. In verità si era offerto, ma ha convenuto che potesse lasciarmi gli onori di casa almeno per questa mattina”, concluse brevemente, prima di richiamare l’attenzione generale. “Come stavo dicendo, vorrei chiedere a ognuno di voi di fare una breve analisi del proprio personaggio: lo status sociale, le origini della famiglia e le caratteristiche psicologiche che a vostro avviso sono più salienti e che dovrebbero essere messe in risalto”.
Le mie amiche si volsero in mia direzione mentre deglutivo: sembravano preoccupate quasi quanto me. “Sei preparata?”, mi domandò Amy e mi parve di tornare indietro nel tempo, quando ero una matricola universitaria e scambiavo simili chiacchiere prima di un esame.
“Se devi farlo per scritto, tu mi detti e faccio io”, mi rassicurò Morgana e non potei che esserle grata. Non avrei voluto certamente farmi distinguere al primo giorno per qualche errore grammaticale o la difficoltà a comporre un saggio da sottoporre a una persona di madrelingua inglese.
La richiesta di Bradley sembrò aver creato una certa preoccupazione generale, ma lui fu lesto a sollevare le mani e sorriderci con aria rassicurante. “Non vi sto chiedendo di scrivere una biografia: ne parleremo a voce naturalmente”.
“E’ davvero necessario?”, intervenne nuovamente Tom. La domanda era stata pronunciata in quel suo tono apparentemente educato ma che non nascondeva la sua perplessità al riguardo. “Forse non ha avuto modo di leggere per intero il copione?”, gli domandò, incurante persino del gesto con cui Emma sembrò cercare di placarlo.
Bradley parve divertito, ma scosse leggermente il capo. “Al contrario, Tom, ma sono impaziente di sentire quello che hai da dire su William e immagino che tu lo sia di riempire questo auditorium con il suono della tua voce che deve esserti particolarmente gradevole”.
Morgana neppure cercò di celare la risatina e Amy, sotto il mio sguardo incredulo, tirò fuori uno dei block-notes del pub e ci scrisse i nomi dei due ragazzi e disegnò un paio di colonne sotto il nome di Bradley, evidentemente volendo segnare il punteggio.
“A questo proposito, vorrei iniziare proprio da te e dalla tua co-protagonista”, continuò Bradley e passò in rassegna la platea per cercarmi con lo sguardo, mentre le mie amiche quasi mi spingevano per farmi alzare.
“Cammina lentamente e con la schiena dritta”, mi istruì Morgana in un sussurro mentre io prendevo un profondo respiro, cercando nervosamente di raccogliere le idee e, al contempo, di non inciampare sul tappeto.
Tom si era già alzato, costringendo Emma e altri compagni di corso a spostarsi di lato per lasciarlo passare mentre Bradley discendeva gli scalini e mi aspettava.
“Buongiorno”, avevo pigolato quando mi ero ritrovata di fronte a lui.
Mi sorrise e fece per sollevare la mano per aiutarmi a salire, ma fui affiancata da Tom che ne anticipò il gesto e mi fece cenno al palco. “Prego”, mi incoraggiò.
Lo guardai perplessa, ma non volli accettarne l’aiuto. Non davanti a Bradley e tantomeno davanti alle mie amiche che probabilmente mi avrebbero rimproverato fino alla fine dei tempi, senza considerare come la stessa Emma avrebbe interpretato il tutto.  “Grazie, faccio da sola”, mormorai in tono educato. Una parte di me, tuttavia, avrebbe voluto schiaffeggiarlo al pensiero che, ancora una volta, stesse fingendo che tra noi non ci fosse stata alcuna discussione di recente.
“Accomodati”, replicò con uno scrollo di spalle.
Salii i gradini, cercando di ignorare il pensiero che tutti quanti si aspettassero di sentirmi parlare, compresi Bradley e le mie amiche. In fondo, continuavo a ripetermi, si trattava di fare pratica, in vista dello spettacolo di Giugno. Era anche vero che, a differenza delle altre volte, non mi sarei dovuta limitare a dar voce e suono ai pensieri e alle gesta di Lady Elisabeth.
In momenti simili invidiavo l’evidente mania di egocentrismo di Tom che, al contrario, sembrava godere delle attenzioni altrui e, dall’altra parte, la sicurezza di Morgana che sarebbe stata capace di recitare una filastrocca per bambini e ricevere una standing ovation o persino un riconoscimento pubblico.
Mi volsi in direzione della platea: Bradley aveva preso posto su una poltroncina centrale della prima fila. Aveva accavallato le gambe e aveva appoggiato sul ginocchio un taccuino sul quale stava prendendo qualche annotazione. “Quando vuoi”, mi sorrise con aria cordiale e incoraggiante.
Tom, al mio fianco, aveva conficcato le mani nelle tasche dei pantaloni e stava guardando in modo ostentato il suo orologio in un atteggiamento silenziosamente polemico.
Socchiusi gli occhi, ripensando al mio arrivo a Glasgow e alla prima volta che avevo letto quelle pagine, non potendo fare a meno di provare ammirazione, comprensione, divertimento e talvolta esasperazione per i comportamenti della giovane dama. Dopotutto era da circa quattro mesi che cercavo di “darle vita”. “Lady Elisabeth, come apprendiamo dalle prime pagine del copione, è l’unica figlia di Lord e Lady Crawford, una nobile famiglia originaria del Wiltshire che si è stabilita nel Nuovo Mondo. Ha compiuto da poco diciassette anni ed è fidanzata con Lord Duncan da quasi sei mesi e, come naturale all’epoca, si tratta di un’unione concordata dalle due famiglie, seppur Elisabeth si convinca per buona parte dello spettacolo di esserne realmente innamorata”, esordii. Come mi era capitato in altre occasioni, una volta rotto il ghiaccio, il mio battito si placava, il respiro diveniva più naturale e la mia voce assumeva una maggiore sicurezza. Senza contare che le mie amiche mi stavano facendo ampi cenni d’assenso e di incoraggiamento.
“Questo è quello che si evince fin da subito”, confermò Bradley, dopo aver finito di prendere nota, sollevando lo sguardo in mia direzione e inclinando il viso di un lato. “Tu chi pensi che sia al di là dei titoli altisonanti, della stima e dell’affetto dei suoi familiari e dei conoscenti?”.
Provai a immaginare di descrivere a una persona esterna ciò che, a mio avviso, rendeva Elisabeth memorabile. “Devo confessare di essermi innamorata di questo personaggio fin da subito  perché credo che racchiuda alcune delle virtù delle nobildonne più amate nei romanzi di Jane Austen”, esordii. Ignorai il verso di sgomento che si era lasciato sfuggire Tom all’idea che le elencassi tutte. Al contrario Bradley si mise più comodo e mi sorrise come un silenzioso incoraggiamento a continuare.
“Si potrebbe pensare, di primo acchito, anche per l’omonimia che sia ispirata esclusivamente all’orgogliosa, razionale ma coraggiosa Lizzy Bennet di Orgoglio e Pregiudizio[13]. Certamente condivide il suo senso di responsabilità nei confronti della propria famiglia, la lealtà e la generosità verso le amiche e la testardaggine nel tenere testa ai vari Wickam e Darcy della situazione”, gettai uno sguardo in direzione di Tom, pensando alle numerose scene dedicate ai battibecchi tra i due personaggi. “Elisabeth ha anche l’esuberanza di Emma Woodhouse[14] e la sua stessa propensione al complotto e all’incoraggiare relazioni amorose tra le persone a lei care. Sembrerebbe avere la sua stessa ingenuità nel non comprendere i sentimenti di William nei suoi confronti, fraintendendoli anche a causa di un certo snobismo nei confronti dei ceti inferiori”.
“Prima che scopra che lui è un suo pari[15]”, intervenne Tom con un sorrisetto saputo.
“Touchée”, gli concessi con uno scrollo di spalle, prima di tornare a osservare la platea. “Ma credo che l’aspetto più interessante di Elisabeth siano le sue sfaccettature: sembra racchiudere in sé alcuni aspetti che la Austen ha estremizzato nelle sorelle Dashwood[16]”, spiegai. “Nel romanzo si è giocato molto sulla differenza abissale tra le due sorelle: Elinor sembra spiccare per la razionalità e il buon senso che spesso e volentieri la inducono a reprimere i suoi sentimenti per mantenere integra la sua apparente compostezza; laddove Marianne, al contrario, sembra ostentare in modo drammatico ed energico lo sconvolgimento del primo amore, non curandosi di calpestare il proprio orgoglio e la propria reputazione, pur di essere fedele a se stessa. Credo che questa sia l’essenza di Elisabeth: la razionalità e l’orgoglio da un lato, la passione e la fragilità dall’altro”, conclusi.
Bradley sembrò necessitare di qualche altro minuto per prendere nota sul taccuino, ma lasciai vagare lo sguardo sulla platea. Amy sollevò entrambi i pollici in segno di approvazione, Morgana ammiccò in mia direzione. Altre persone come Pansy e Calì non si diedero la briga di fingersi vagamente interessante, ma rivolsero sguardi tediati al soffitto. Emma, al contrario, mi stava ancora osservando con aria incuriosita e un lieve solco tra le sopracciglia.
“Ti ringrazio, Sarah”, mormorò Bradley dopo aver finito di scrivere. Era la prima volta che pronunciava il mio nome e, seppur mi fossi ormai abituata all’accento anglosassone, non potei fare a meno di provare un piacevole brivido lungo la spina dorsale, soprattutto quando ne incontrai nuovamente lo sguardo. Mi sorrise. “A quanto pare abbiamo di fronte un’esperta di Jane Austen”, convenne con espressione più sbarazzina, prima di tambureggiare con la penna sul taccuino. “Vorrei che tenessi a mente queste due sfaccettature: la razionalità e la passione che contraddistinguono questa giovane donna, a dispetto dei canoni della compostezza e dell’assoluto rigore dello stereotipo vittoriano”.
“Prometto che ci proverò”, mormorai per risposta.
Bradley voltò la pagina del suo taccuino e rivolse lo sguardo al ragazzo. “Prego, Tom”.
Lui non si diede pena di dissimulare il proprio scetticismo di fronte a quella richiesta, ma raddrizzò le spalle, tolse le mani dalle tasche e fissò Bradley con il sopracciglio inarcato prima di articolare la propria risposta ermetica ed essenziale. “In apparenza William è l’anti-eroe: scorbutico, insolente, sarcastico, orgoglioso, diffidente e misogino. Sembra amare solo i cavalli e provare profondo astio e rancore verso le classi nobili nonché Lady Elisabeth e Lord Duncan che sembrano incarnare lo stereotipo che tanto disprezza”.
Bradley stava continuando a prendere nota, ma sollevò lo sguardo, quasi in attesa che Tom continuasse.
Quest’ultimo si strinse nelle spalle. “E’ cresciuto in un orfanotrofio ma ciò non significa che cercherò confronti con Oliver Twist[17]”, rimarcò con un sorrisino insolente nei miei confronti.
“William agisce in modo vigliacco”, ribattei io. Normalmente non mi sarei permessa di intervenire, ma non avevo potuto trattenermi di fronte ai modi insolenti e superficiali di Tom.
“Prego?”, ribatté con un sorrisino e mi pentii di aver ceduto nuovamente alla sua provocazione.
“Come lo definiresti un uomo che preferisce farsi credere un misogino senza cuore, piuttosto che confessare a una donna i suoi reali sentimenti?”.
Tom mi scoccò un’occhiata in tralice. “Un uomo saggio considerando la donna in questione, un amante della propria vita e privo di masochismo”, aggiunse con un sorrisetto compiaciuto della sua stessa battuta.
“Oppure”, intervenne la voce pacata di Bradley che non sembrava affatto indispettito dalla nostra interazione. “Un uomo che, a dispetto delle sue parole, è disposto anche al sacrifico più grande: rinunciare alla donna che ama perché crede che Lord Duncan sia la scelta più adatta a lei”.
“Senza dubbio è il personaggio che ha l’evoluzione più sorprendente e ammirevole”, dovetti ammettere.
Tom inclinò il viso di un lato. “Ciò che è davvero sorprendente, a mio avviso, è che sia Lady Elisabeth a capirlo, andando oltre i suoi pregiudizi e decidendo, malgrado tutto, di accettare i propri sentimenti e smetterla di agire a sua volta in modo vigliacco”.
Mi morsi la lingua per non rispondergli in modo brusco e velenoso, ma fu Bradley a riprendere la parola e ad annuire. “Come avete sottolineato è un aspetto cruciale a cui dovremo lavorare per rendere bene l’evoluzione del loro rapporto. Prima di lasciarvi tornare al posto, vi dispiacerebbe provare qualche battuta insieme? La scena di ieri andrebbe benissimo”.
Non potei fare a meno di sentire il mio cuore scalpitare ancora più intensamente all’idea di sottopormi alla sua esamina, seppur fossi consapevole che prima o poi sarebbe accaduto. Seppur mi sforzassi di mantenere un atteggiamento professionale come il suo, l’idea che fosse proprio lui a osservarmi e a giudicare la mia performance mi innervosiva non poco. Dopotutto non si trattava solo di un bellissimo ragazzo ma di un altro aspirante attore che aveva ricevuto una formazione ad hoc. Una parte di me temeva che lui stesso avrebbe giudicato “folle” la mia partecipazione.
“Certo”, mormorai nel rendermi conto che, ignorando il ragazzo al mio fianco, era da me che stava aspettando un cenno di assenso.
“Va bene”, acconsentì Tom in tono neutrale. Si volse in mia direzione e, con un gesto fin troppo fluido, mi cinse la vita, lasciandomi senza fiato.
“Ma che fai?!”, lo rimproverai, guardandolo male. Non osavo controllare  le reazioni delle mie amiche e tanto meno quella di Emma.
“Ha detto che basta solo qualche battuta”, mi ricordò con tono amabile e un sorrisino dispettoso. “Tanto vale fargli vedere la parte più interessante, sempre che il nostro Assistente sia d’accordo”, soggiunse con voce melliflua, rivolgendosi a Bradley. Fu la prima volta in assoluta che riuscì persino a sorridergli.
Quest’ultimo lo guardò con le sopracciglia inarcate e mi parve che la mascella si fosse leggermente tesa, ma assentì con un cenno del capo. “Quando volete”, ci incoraggiò.
Tom fece per prendere parola, ma gli pestai il piede di modo da pronunciare per prima la battuta: non gli avrei permesso di far iniziare il dialogo dove avesse voluto lui, costringendomi a sostare in sua compagnia e tra le sue braccia più del dovuto.
“Lasciatemi William”, mormorai in tono deciso, ma abbassando lo sguardo come da sceneggiatura.
Il ragazzo, suo malgrado, mantenne la concentrazione e mi sorrise in quel modo viscido e irritante che era così lineare al suo personaggio. “No”, pronunciò in tono quasi svogliato e mi strinse maggiormente a sé. “A costo di farmi odiare più di quanto non facciate al momento”.
“Non osate!”, esclamai, sollevando le braccia al suo petto per allontanarlo.
Vidi un barlume di soddisfazione nel suo sguardo nel riprendere la scena esattamente dove ci eravamo fermati il giorno prima. Lasciò una delle mani sul mio fianco e con l’altra mi sfiorò lo zigomo in un gesto delicato e deciso, con movimento circolare delle dita.
“Allora fermatemi”, fu il suo commento provocante, sussurrato a pochi millimetri dal mio viso.
Era uno dei momenti topici della rappresentazione: in Elisabeth aveva luogo quello scontro tra la sua razionalità e l’inevitabile e spietata passione che sembrava intensificarsi in quei momenti. Tom stava eseguendo tutto alla perfezione, ma io avevo difficoltà a pensare al mio alter ego. Quando mi sfiorò le labbra con le dita, indietreggiai di istinto, anziché sollevare la mano per uno schiaffo che, secondo il dialogo, William avrebbe dovuto fermare.
Tom inarcò le sopracciglia al mio errore ma, intuendo il mio stato d’animo, sorrise con aria piuttosto compiaciuta.
Bradley ci interruppe in tono deciso: “Grazie a entrambi, potete accomodarvi”.
Sbattei le palpebre e Tom lasciò la presa, cercai per istinto lo sguardo di Bradley ma sembrava concentrato nello scrivere sul taccuino e mi costrinsi a scendere dal palco, ignorando la mano che Tom mi stava porgendo e lo sguardo intenso di Emma.
Bradley invitò sul palco gli studenti che interpretavano la parte di Lord e Lady Crawford, ma continuai a camminare e mi lasciai cadere accanto ad Amy. “La pestata al piede era prevista?”, mi domandò con una risatina.
“No”, ammisi e mi sforzai di sorridere, ma in quel momento non ebbi il coraggio di ammettere che neppure l’indietreggiare di Elisabeth a quella carezza lo fosse. Mi morsi il labbro, osservando la nuca di Bradley e domandandomi cosa pensasse di tutto questo.
“Sei andata benissimo”, mormorò Morgana, sporgendosi oltre Amy per stringermi brevemente la mano. “La tua analisi su Elisabeth? Neppure alla tua discussione di tesi eri tanto presa o tanto sexy”, soggiunse con un breve ammiccamento che, mio malgrado, mi strappò un sorriso e uno scuotimento del capo. Sospirai, ma mi rilassai contro lo schienale. Era inutile lambiccarmi la mente fino a quando non avessi parlato apertamente con Bradley in veste professionale. E non.
Il resto delle prove trascorse in modo analogo: a coppie gli interpreti salivano sul palco, esponevano le loro riflessioni e condividevano qualche notizia biografica sui loro personaggi e Bradley chiedeva loro di provare qualche battuta. Tuttavia, prima di congedarli e ringraziarli, dava un primo giudizio sulla loro performance condito da qualche suggerimento o da qualche osservazione. Mi morsi il labbro, domandandomi perché non avesse fatto lo stesso con me e Tom.
“Forse preferisce parlartene in privato”, convenne Morgana e scambiò un’occhiata di intesa con l'altra, mentre io cercavo di non cadere vittima di troppe paranoie. Gettai un’occhiata in direzione del mio co-protagonista ma, come prevedibile, non sembrava affatto nervoso, ma piuttosto annoiato. Lo vidi parlottare con Emma che gli carezzò il braccio in un gesto confortante e si appoggiò alla sua spalla. Tornai a concentrarmi sulla lezione. Non potei fare a meno di sorridere nel rendermi conto che Bradley si era avvalso della collaborazione di tutti. Le uniche voci stonate del coro erano: da un lato Tom con la sua evidente insofferenza seppur non fosse particolarmente sorprendente; dall’altro ragazze del calibro di Pansy Parkinson e  Padma Patil che sembravano fin troppo entusiaste della sua attenzione, tanto da sorridere e parlare in modo stucchevole o fingere un’esitazione che ben poco era tipica del loro naturale atteggiamento. Avevo osservato il tutto con sguardo critico e cercando di ignorare i sorrisetti saputi delle mie amiche.
Quando anche l’ultimo studente fu tornato al suo posto,  Bradley si alzò in piedi.
“Grazie a tutti: è stato molto istruttivo”, ci confidò con un sorriso accattivante, trattenendo tra le mani il blocco note su cui aveva scritto parecchio. “Per oggi è tutto: grazie della collaborazione”. Ci alzammo tutti in piedi e l’auditorium fu avvolto da un mormorio di approvazione, ma Bradley sovrastò nuovamente le nostre voci. “Sarah, Tom: una parola per favore”.
“Vai”, mi incoraggiarono le mie amiche e mi affrettai a percorrere nuovamente il corridoio tra le due schiere di poltroncine. Mi guardai attorno, notando che le due ragazze sembravano cercare di attardarsi, fingendo di parlottare tra loro e ignorando i miei cenni di lasciare l’auditorium. Bradley seguì il mio sguardo e compresi dall’inarcatura delle sopracciglia che le aveva riconosciute entrambe. Mi sentii diventare di un colore simile al viola, mentre le due, con tutta la tranquillità di questo mondo, gli rivolgevano un saluto con la mano prima di uscire dalle doppie porte. Avrei potuto scommettere il braccio che si sarebbero appostate nella speranza di origliare la conversazione.
Raggiunsi i due ragazzi e mi resi conto che un’altra persona stava indugiando al proprio posto: Emma. Quando sembrò realizzare che tutti fossimo in sua attesa, si mise prontamente in piedi e si avvicinò con la mano tesa in direzione di Bradley e un sorriso accattivante. Mi passò di fronte apparentemente senza vedermi. “Ciao Bradley”, lo salutò con voce tintinnante. “Scusami, non mi sono ancora presentata: sono Emma, la ragazza di Tom”.
Il ragazzo, che ne aveva stretto brevemente la mano, sembrò incapace di nascondere un moto di sorpresa a quella presentazione, ma rispose garbatamente. “Piacere di conoscerti, Emma: non mi ero reso conto di avere pubblico o sarai una nostra comparsa?”, le domandò educatamente.
Lei  ridacchiò come se si fosse trattata di una battuta di spirito, ma avrei giurato che l’idea di essere una comparsa non fosse particolarmente lusinghiero. “Essendo la sua ragazza, come ti dicevo, assisto sempre alle prove quando gli orari me lo consentono: noi ci sosteniamo in tutto, vero?”, domandò al suo ragazzo e sorrise.
Bradley si schiarì la gola ed ebbi la sensazione che stesse trattenendosi dal sorridere per non apparire maleducato. “Non lo metto in dubbio ma, a costo di sembrarti insensibile, devo chiederti comunque di lasciarci soli. Ti dispiace?”.
Fu evidente che Emma non si sarebbe aspettata tale reazione, perché per la prima volta dal ballo, da quando Morgana aveva malignamente insinuato che a stento l’avesse riconosciuta come Belle, mi parve completamente inerme. “Oh”, commentò dopo aver fatto mulinare nuovamente i capelli, rivolgendogli uno sguardo contrito. “Se lo ritieni davvero necessario”, soggiunse con un sospiro.
Bradley inclinò il viso di un lato con le sopracciglia ancora inarcate, ma fu Tom a intervenire. Non potei fare a meno di notare che sembrava piuttosto infastidito e non potevo negare a me stessa di provare qualcosa di altrettanto pungente all’altezza dello stomaco. “Vai pure”, le fece cenno all’uscita laterale. “Ci vediamo dopo”, soggiunse in un sussurro, carezzandole la schiena.
“Va bene”, gli sorrise e ne baciò la guancia. “E’ stato un piacere, Bradley”, mormorò, passandogli di fronte. “Oh, ciao Sarah”, soggiunse in secondo tempo, rivolgendomi appena un cenno della mano senza neppure voltarsi[18].
“Ciao Emma”, risposi nel mio tono più cordiale seppur senza sorriso, ma feci l’errore di incrociare lo sguardo di Bradley che sembrava piuttosto compiaciuto, come se avesse perfettamente compreso il mio stato d’animo. Sentii un effluvio di calore salirmi alle gote e dovetti distogliere lo sguardo per tornare in me.
“Allora?”, domandò Tom con aria impaziente.
L’altro ci fece cenno di accomodarci e rimase in piedi di fronte a noi: sembrò anche in questo caso scegliere bene le parole. “Sono rimasto molto colpito dalla vostra performance per quanto breve”, esordì e io mi tesi sulla poltroncina mentre Tom si stravaccava sulla sua.
“L’ho già sentito dire”, commentò con un vago cenno della mano come a respingere ulteriori complimenti.
 Bradley  continuò a parlare come se non lo avesse sentito. “Tra voi vi è un’evidente chimica e non fatico a capire perché Lupin fosse così entusiasta di avervi entrambi su un palcoscenico”, ammise prima di assumere un’espressione pensierosa. “Ma è altrettanto chiaro che ci sono delle questioni irrisolte tra di voi”, continuò in tono velatamente preoccupato.
Il sorriso sulle labbra di Tom si congelò e inclinò il viso di un lato: “Credevo tu fossi l’Assistente, non lo psicologo, ma ti faremo sapere se avremo bisogno di un terapeuta di coppia”, commentò con un sorrisetto irriverente.
“Ti dispiacerebbe lasciarlo parlare?”, lo rimproverai io in tono aspro. A quelle parole avevo sentito un nodo serrarmi la gola perché era evidente che non gli fosse sfuggita la mia esitazione e il mio errore, seppur non ne avesse fatto parola di fronte agli altri studenti. Senza contare il nostro dialogo privato nel porticato, quando avevo brevemente fatto riferimento alla complicata relazione tra me e Tom.  
“Non è certo una novità che lei sia sempre volubile in mia presenza”, replicò quest’ultimo, rivolgendo a Bradley un sorriso piuttosto compiaciuto.
Non ne ricambiò il gesto ma lo vidi stringere le labbra, prima di replicare: “In verità il suo autocontrollo con te è invidiabile”. Un sorriso evidentemente sarcastico gli increspò le labbra nell’alludere al suo temperamento tutt’altro che amabile. Scosse brevemente il capo e tornò a incontrare il mio sguardo, prima di continuare. “Come stavo dicendo, la natura del vostro rapporto sembra essere molto affine a quello dei protagonisti e senza dubbio facilita molto la vostra performance quando si portano in scena le discussioni e i rancori tra i protagonisti, ma temo che, al contempo, possa compromettere il romanticismo che è altrettanto importante per la credibilità delle scene”.
Tom inarcò le sopracciglia e incrociò le braccia al petto con espressione evidentemente risentita e dubbiosa. “Hai solo visto uno stralcio di scena: mi sembra prematuro come giudizio. Forse dovremmo parlarne con il Professor-”.
“E’ vero”, ribattei io, sospirando e attorcigliandomi le dita in grembo. Mi sentivo esattamente come ogni volta che apparivo di fronte al mio datore di lavoro, dopo aver combinato qualche guaio, in attesa di riceverne la sgridata e l’eventuale sanzione. “A volte faccio fatica a restare concentrata sul personaggio, soprattutto nei momenti che si suppone debbano essere romantici e importanti per la crescita del loro rapporto”. Soprattutto quando ero infuriata con Tom, avrei voluto aggiungere, ma non era il caso di fare precisazioni polemiche. Si supponeva che io imparassi a dissimulare meglio, seppur mi fosse ben difficile anche nella vita reale.
Bradley mi sorrise con tale dolcezza che mi sentii ancora più sprofondare per la mortificazione. “Non fraintendetemi: il mio non vuole essere un rimprovero”, mormorò in tono gentile. “Sono qui per aiutarvi”.  
Tom si strinse nelle spalle. “Immagino che dovremo lavorare insieme parecchio”, convenne e mi rivolse uno sguardo di sottecchi. Seppur avesse parlato in tono strascicato sembrava cercare di nascondere un sorriso vittorioso.
Mi morsi il labbro e strinsi i pugni. In assenza di Bradley non avrei esitato a spalmargli la borsa sulla faccia per togliergli quell’odioso ghigno. Viscido bastardo.
“Questo senza dubbio, Tom”, gli rispose Bradley con sguardo serafico, ma non potei fare a meno di notare che si era raddrizzato come a voler apparire ancora più imponente. “Tu non hai nessun commento da fare sulla tua performance? Sei soddisfatto di te stesso?”, gli domandò in tono pungente.
Tom inarcò le sopracciglia, ma sorrise con aria fintamente innocente: “Estasiato”.
L’altro sospirò. “Credo che questo dica molto di te”.
“Stai insinuando che non mi ritieni all’altezza del ruolo?”, gli domandò in tono quasi minaccioso.
“Al contrario”, replicò  senza perdere la calma, ma continuando a studiarlo. “Sei molto empatico con William. Sei sempre concentrato e hai un grande talento: tutto questo è innegabile”. Ma sembrava evidente che non gli facesse piacere dirlo e che fosse Tom a mettere a dura difficoltà i suoi tentativi di mantenersi “professionale”. Riprese a parlare, prima che potesse interromperlo nuovamente. “E’ il tuo atteggiamento che non mi piace: ti trovo profondamente irritante”, gli rivelò senza alzare la voce, ma inclinando il viso di un lato. “Al tuo posto mi interrogherei sul come riuscire a fare in modo che la mia partner di scena si senta a suo agio perché siete co-responsabili del fallimento o del successo dello spettacolo, non dimenticarlo”, lo ammonì in tono severo.
Tom strinse gli occhi in due fessure. “Non sai un bel niente di noi”.
“Forse”, gli concesse Bradley, ma non sembrava affatto preoccupato. “So per certo che questo atteggiamento potrebbe essere controproducente: ti consiglio caldamente di cambiarlo”.
“Bene”, rispose lui con uno scrollo di spalle, per nulla impressionato. “Farò finta di annotarlo”, si permise di aggiungere.
“Sei sempre così infantile”, lo rimproverai.
Mi ignorò ma si rivolse nuovamente a Bradley. “Quindi dovremo fare delle sedute private”.
“Ne parlerò con il Professor Lupin”, rispose, prima di tornare a guardarmi. “In realtà stavo pensando a qualcosa di diverso”. Inclinò il viso di un lato e mi osservò più intensamente. “Potremmo lavorare noi due insieme, magari nei giorni in cui verrai in Accademia solo per le prove di ballo, così da non fare troppe sedute di recitazione. Che ne pensi?”.
Tom gli sorrise di sbieco e intervenne prima che potessi rispondere. “Perdonami, ma non ricordo il momento in cui Silente ti ha scelto come mia controfigura”, gli fece notare ironicamente.
Bradley gli sorrise con una certa soddisfazione che ne fece baluginare lo sguardo. “Sono quasi certo che tu fossi presente, quando ha fatto riferimento al mio ruolo di tutor”, ribatté prontamente.
Il suo viso si contorse in una smorfia sdegnata. “Davvero professionale, complimenti”.
“Grazie Tom, sono felice che tu apprezzi i miei sforzi”, gli sorrise amabilmente, prima di rivolgermi nuovamente lo sguardo, in attesa di una mia risposta.
Quasi non avevo neppure percepito quello scambio di battute ironiche, ma sentivo il cuore tambureggiare più intensamente all’idea di condividere con lui simili momenti, seppur per finzione. Sorrisi con le guance accalorate: “Te ne sarei molto grata”, sussurrai.
Sorrise a sua volta e mi sentii letteralmente sprofondare nella morbidezza della poltroncina.
“C’è altro?”, gli domandò Tom in tono sferzante e al cenno di diniego di Bradley, si rimise in piedi e, ignorando entrambi, si diresse verso l’uscita laterale. Si chiuse la porta alle spalle con più energia di quella realmente necessaria.
L’altro sospirò e si passò una mano tra i capelli, rivelando in quel momento un moto di stanchezza che fino a quel momento aveva nascosto bene. “E’ sempre così amabile o quest’oggi sono fortunato?”, mi domandò con un sorriso divertito.
“Non è stata una delle sue giornate migliori, ma sei stato impeccabile”, lo rassicurai. Cacciai rapidamente il pensiero di Tom, concentrandomi su questioni più serie. Lo guardai con un moto di preoccupazione. “Bradley, tu me lo diresti se rischiassi di rovinare tutto, vero? Non avrei problemi a ritirarmi se Lupin trovasse qualcuna di più adatta, anche se mi rendo conto che i tempi sono stretti”, rivelai con un sospiro.
Lui scosse il capo alla mia esitazione, ma mi porse la mano per aiutarmi a rimettermi in piedi. Me la strinse delicatamente. “Mi avevi già convinto al primo riferimento a Jane Austen”, mormorò e mi sorrise più dolcemente. “Non ti permetterò di arrenderti e tanto meno di perderti la mia performance nei panni di William”, soggiunse con un breve ammiccamento.
Dovetti trattenermi dal sorridere più compiaciuta alla sola idea. Inclinai il viso di un lato e gli rivolsi uno sguardo più sbarazzino: “Temo di doverti dire che fisicamente ti avvicini di più al personaggio di Duncan”.
“Ne sono consapevole”, convenne con una smorfia. “Ma non sarei così sciocco da lasciarmi sfuggire una simile donna”, mormorò con sguardo più intenso.
Sentii il mio cuore scalpitare più rapidamente, ma non potei fare a meno di sorridere e schiarirmi la gola nel tentativo di non lasciarmi troppo sopraffare dall’emozione del momento. “Cercherò di non ricordarlo quando dovrò, mio malgrado, cadere tra le braccia di William”, replicai con un sorriso.
Fece una breve smorfia con le labbra al pensiero che mi strappò una risata più giocosa, ricordando quante volte, nello spettacolo di Londra, avesse rivolto una simile espressione al suo co-protagonista.
“E’ stata una bella lezione”, mormorai con il volto inclinato di un lato. “E’ stato interessante soffermarsi a riflettere sui nostri personaggi”.
Bradley sorrise con autentico compiacimento. “Lo penso anche io: avrò molto da raccontare a Lupin”, convenne prima di concentrarsi sulla sua borsa per insinuarvi il copione e il taccuino. Mi osservò con il volto inclinato e un sorrisino. “Toglimi un’altra curiosità: le tue amiche vengono sempre a vederti durante le prove o devo ritenermi doppiamente lusingato?”.
Scossi la testa quasi a simulare la mia esasperazione. “Devi esserne lusingato”, confermai prima di rifarmi seria. “Spero non ti sia dispiaciuto: impedirò che diventi una loro abitudine”.
“Non è assolutamente un problema, almeno non per me”, soggiunse con aria più sbarazzina, mentre ci incamminavamo insieme verso le doppie porte. “Hai finito in Accademia per oggi?”, mi domandò dopo aver aperto l’uscio, facendomi cenno di precederlo.
“Grazie”, mormorai con un sorriso, finendo di allacciare il cappotto. Come avevo immaginato, Morgana e Amy si erano intrattenute in corridoio ed erano a pochi passi da noi, ma mi concentrai sul ragazzo al mio fianco. “Dovrei vedere un amico a pranzo: vuoi venire con noi?”, gli proposi.
Bradley assunse un’aria dispiaciuta e mi mordicchiai il labbro prima di sentirne la risposta. “Mi piacerebbe molto, ma temo che anche in quell’ambiente io debba mantenere una certa professionalità”, mi spiegò in un sussurro.
“Ma certo”, ribattei prontamente. “Ti presenterò Sean in un’altra occasione”.
“Sean?”, ripeté Bradley con le sopracciglia inarcate e l’espressione pensierosa nel tentativo di capire di chi stessi parlando.
“E’ il mio pen-friend, nonché il ragazzo di Morgana: è una storia lunga. Sappi che è stato grazie a lui che sono giunta a Glasgow”.
Bradley sorrise. “Sappi che gli sono già grato e che vorrò conoscere questa lunga storia nei minimi dettagli”, convenne con tono simile al mio. Si guardò attorno, quasi a sincerarsi che non ci fossero altri sguardi su di noi, a parte quelli delle due ragazze, prima di avvicinarsi di un passo, di modo da parlare in un sussurro.
Sbattei le palpebre, sentendomi letteralmente senza fiato di fronte a quello sguardo, a quel sorriso o al tono soffuso della sua voce.
Chinò il volto. “In ogni caso, Milady, so dove lavori quindi né tu né le torte di Neville potrete sfuggirmi”, mi rivelò con sguardo più affascinante, strappandomi un altro singulto. Addolcì il sorriso. “Buona giornata”.
“Ciao Bradley”, mi sentii rispondere con voce più acuta del naturale.
Scomparve dietro l’angolo, dopo aver rivolto un cenno di saluto anche alle mie amiche che si affrettarono ad avvicinarsi. A giudicare dai sorrisi entusiasti, dovevano essere riuscite a origliare buona parte della conversazione in auditorium e forse a leggere il labiale di quegli ultimi saluti.  
“E così proverete insieme le scene romantiche”, mi incalzò Morgana con un sorriso compiaciuto.
“Quanto avete sentito?”, domandai loro con aria di rimprovero.
“Quanto basta!”, rispose prontamente Amy. “Piuttosto, quand’è che torna a trovarci al Pub?”.
“Immagino presto”, risposi in tono cauto, cercando di celare il mio stesso entusiasmo.
“E voi che ci fate qua?”, domandò Sean in tono interdetto, guardando dall’una all’altra, prima di raggiungerci. “E soprattutto quand’è che l’avresti perdonata?”, aggiunse in direzione di Amy.
Morgana rise del suo stupore ma lo baciò brevemente e rispose alla sua domanda. “Siamo venute a dare il nostro sostegno a Sara”.
“Quindi vi siete infiltrate”, commentò Sean con una punta di ironia, guardando dall’una all’altra.
“E tu allora?”, lo incalzò la sua ragazza. “Non dovevi aspettarla in refettorio?”.
“Aha!”, lo additò l'altra in tono sagace. “Volevi vedere Bradley anche tu”.
Sean sembrò arrossire perché colto in flagrante, ma sollevò le mani: “Sono l’unico che ancora non l’ha conosciuto!”, protestò in tono così puerile da strapparmi una risata.  
“Venite anche voi in refettorio?”, domandai alle ragazze.
“Perché invece non andiamo a pranzo fuori?”, convenne Morgana. “Sia mai che l’arrivo di Amy guasti i tentativi di Lady Emma di far sposare la sua piccola e dolce Bonnie con il facoltoso Lord Radcliffe”, recitò in tono altisonante, portandosi una mano al petto mentre io cercavo di non ridere e Sean appariva non poco perplesso.
“Vuoi che ti strozzi adesso o aspetto che Sean sia distratto?”, la minacciò.
Li seguii con un sorriso, ma con la mente già proiettata al momento in cui avrei rivisto Bradley.  Stavo salendo nell’auto di Sean, nei sellini posteriori insieme ad Amy, quando sentii il telefono vibrare. Inarcai le sopracciglia quando notai un messaggio da un numero che non avevo tra quelli memorizzati sulla rubrica, ma non potei che sorridere nel comprenderne il mittente.
 
So che sarebbe poco professionale dirlo, ma spero che perdonerai tale sfrontatezza, Milady. Non vedo l’ora di recitare con te. Buon pranzo e a presto.
 
 To be continued…
 
Eccoci qua finalmente, buon Luglio a tutti :)
Come è divenuto ormai evidente, la revisione della fanfiction vedrà un numero superiore di capitoli rispetto alla versione originale che si fermava al 13°. Non saprei ancora dire esattamente quanti saranno per giungere alla sua conclusione: devono accadere ancora diverse cose da Febbraio a Giugno e non aggiungo altro ;) Ancora meno prevedibile è la data in cui presumibilmente riuscirò a finire questo progetto che ha superato di gran lunga le mie aspettative, rispetto alle intenzioni originali. Ringrazio di cuore Evil Queen che è la mia più grande sostenitrice e che è stata autrice lei stessa di molti cambiamenti significativi di questa versione di gran lunga superiore alla precedente. Grazie a tutti dell’attenzione ;*
Kiki87
 
[1] Spero non vi dispiaccia ma a questo capitolo ho pensato di associare una canzone decisamente più briosa e allegra del solito ;) Potete sentire il brano originale qui.
[2] Tenete sempre conto che si tratta di un’Accademia prestigiosa, quindi Sara, anche se non è iscritta, non si presenta alle prove con le sneakers e la tuta da ginnastica. Anche perché, diciamolo, Morgana di certo non glielo permetterebbe ;D
[3] Non ho trovato molte fotografie degli ambienti di questa Accademia, purtroppo, quindi sto inventando :D
[4] Vi ricordo che il primo incontro tra Sara e Bradley è avvenuto nel mese di Dicembre, prima che lei tornasse in Italia per le festività, ed è stato raccontato nel capitolo 9.
[5] Si tratta del maestro pasticciere più famoso in Italia ma ha ottenuto diversi riconoscimenti anche all’estero ed è noto anche come personaggio pubblico da quando appare in Master Chef Italia. E’ verosimile che anche in Scozia si sia sentito parlare di lui, soprattutto gli appassionati di pasticceria come il nostro Neville e la sua mentore.
[6] Dal primo libro di Harry Potter si sa che Silente è goloso di ghiaccioli al limone quindi ho immaginato che una torta simile fosse appropriata :D
[7] Vorrei anche vedere, considerando che sono stati colleghi in “Merlin” :D Devo confessarvi che all’inizio della prima stagione, pensavo pure che avrebbero avuto dell’ottimo potenziale come coppia, nonostante i miti arturiani che raccontano del matrimonio con Ginevra.
[8] Fate conto che Neville è una delle persone con cui Sara ha stretto un’amicizia più profonda, tanto che spesso è incluso nella sua compagnia del weekend.  Quindi conosce ormai per nome gli insegnanti dell’Accademia che sente citare più spesso.  
[9] Neanche a farlo di proposito Matthew Lewis è alto 1.83, esattamente come Bradley. Tenete conto che è dall’altra parte del bancone su cui c’è una pedana, quindi tecnicamente in quel momento dovrebbe sembrare più alto :D
[10] Per chi non lo ricordasse, sempre nel capitolo 9, alludevo all’auto di Silente, una Ford Anglia a cui ha dato questo nome :D
[11] Una delle protagoniste di Gossip Girl, interpretata da Leighton Meester, nota per il suo caratterino acceso e il suo impeccabile gusto nel vestire e la passione per la moda. E’ stato Dan Humphrey, un altro dei personaggi interpretato da Penn Badgley (che forse conoscete come protagonista della serie Netflix, “You”) a coniare la bellissima definizione di “dittatrice del gusto” che credo sia perfetta anche per la nostra Morgana ;)
[12] Per il look di Bradley mi sono ispirata a questo recente photoshoot. Credo che si commenti da solo *_*
[13] Credo che non ci sia bisogno di spendere parole sul romanzo più famoso della Austen, pubblicato nel 1813.
[14] Si tratta del romanzo pubblicato nel 1815. E’ curioso che la Austen disse della protagonista: "Sto per descrivere un'eroina che non potrà piacere a nessuno, fuorché a me stessa".
[15] Non ho definito nel dettaglio la trama dello spettacolo, ma tenete conto che William è il figlio naturale di un barone che aveva una relazione extraconiugale con una nota cantante di Londra. Dopo varie vicissitudini viene ingiustamente accusato di furto e giunge alle colonie come galeotto, finendo per lavorare per la famiglia di Elisabeth. Soltanto in punto di morte, per ravvedersi dei propri peccati, il padre di William lo riconoscerà e il suo avvocato giungerà nella colonia, verso la fine dell’opera, per rivelare che è l’unico erede del titolo e del patrimonio di famiglia.
[16] Protagoniste del secondo romanzo più noto della Austen, “Ragione e sentimento”, pubblicato nel 1811.
[17] Protagonista dell’omonimo romanzo di Charles Dickens, pubblicato nel 1837.
[18] Spero che nessuno di voi si offenda se ho attribuito a Emma questa connotazione “negativa”. In questo intreccio mi è funzionale come “nemesi” ma ci tengo sempre a ribadire che si tratta di una mia interpretazione dell’attrice stessa ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


13
 
Mi svegliai in un piacevole silenzio: Morgana era partita il giorno prima con Sean per il viaggio che quest’ultimo aveva organizzato in occasione di San Valentino. Oltre alla sorpresa e al compiacimento, vi era stata una dolce commozione per l’impegno necessario alla pianificazione e per il significato che il mio caro amico attribuiva al dono. La sua assenza, tuttavia, non le impediva di essere partecipe della mia quotidianità, tanto da essersi premunita di scegliere degli abbinamenti per le lezioni in Accademia e persino un abito da sera per ogni evenienza. Amy e Luna mi avevano già invitato a trascorrere con loro qualche serata affinché non restassi da sola, ma in verità non mi dispiaceva affatto avere un po’ di tempo per me stessa.
Feci colazione con tutta calma: avevo tutta la mattinata a disposizione. Controllai l’agenda (ringraziai che nella pagina odierna mancasse uno di quei puerili commenti aggiunti da Tom mesi prima) e appurai che gli impegni erano tutti dal pomeriggio alla sera. Quel giorno avrei avuto la lezione di ballo con Allock e, il mio cuore perso un paio di battiti, la prima “lezione privata” con Bradley. Era passata appena una settimana dal suo “insediamento” come Assistente, ma sembrava essersi perfettamente integrato. Il Professor Lupin aveva plaudito il resoconto della sua prima lezione all’intera classe e approvato gli appuntamenti che aveva fissato in qualità di tutor. In verità mi ero sorpresa di aver dovuto attendere ma, a prescindere dalle prove in seduta plenaria, Bradley aveva già diversi alunni da seguire personalmente. E tra questi niente poco di meno che Pansy Parkinson. Superfluo dire che la ragazza in questione non avesse mai fatto riferimento a eventuali difficoltà e ciò non faceva che acuire il mio sospetto che si trattasse di un pretesto per avvicinarlo.
Finalmente ero riuscita a presentargli Sean e Luna. Avevo invitato il primo a raggiungermi in auditorium e avevo trattenuto Bradley affinché potessero incontrarsi e tra i due era scattata un’istantanea simpatia. Sean sembrava divertito dal suo senso dell’umorismo, molto interessato al suo punto di vista nella conduzione di uno spettacolo e favorevole alla possibilità di approfondire la conoscenza. D’altro canto, Bradley si era detto molto curioso del nostro rapporto epistolare ai tempi del liceo, della sua relazione con Morgana e anche dello spettacolo di cui Sean sarebbe stato protagonista. L’incontro con Luna, invece, non era stato “programmato”. Bradley veniva abbastanza spesso al pub, quando ne aveva l’occasione o non aveva voglia di prepararsi la cena da solo. Sia la Signora Weasley che la Signora Sprite sembravano adorarlo come un figlio e si premunivano di riempirlo di manicaretti che certamente lui non disdegnava. Evidentemente era solo l’attività fisica a cui si dedicava regolarmente a impedirgli di accumulare grasso, considerando quanto fosse generoso il suo appetito[1].  Luna quella sera doveva raggiungere Amy. Stava camminando dietro a Bradley, quando si era fermata bruscamente, rivolgendo alla sua schiena uno sguardo quasi mistico.
“Sei tu!”, aveva esclamato.
Bradley, con la bocca impastata di torta e l’espressione confusa, si era voltato in sua direzione.
Il cavaliere! Sei tu!”, lo aveva additato con voce quasi sognante.
Lui aveva sbattuto le palpebre con aria smarrita. “Chiedo scusa?”.
Divertita da quell’esordio e al contempo intimorita da ciò che la ragazza avrebbe potuto “rivelare”, mi ero affrettata a intervenire. “Ti presento Luna, una mia amica nonché coinquilina di Amy”.
A quel punto le aveva sorriso con aria rilassata, porgendole la mano amichevolmente. “Piacere di conoscerti, Luna. Io sono-”.
Si era interrotto perché la mia amica, anziché stringerne la mano, gliela aveva girata in modo da studiarne il palmo. “Hai uno spirito vivace e molto intelligente. Ami la bellezza e ti piace essere apprezzato. Hai ambizioni di successo. Sei uno spirito libero che vuole scegliere chi avere accanto senza pressioni. Non fai nulla di cui non sei convinto, fino a quando non è il momento adatto”, aveva “diagnosticato”, lasciandomi basita.
Bradley, dopo aver sbattuto le palpebre per la sorpresa, le aveva sorriso e aveva inclinato il viso di un lato. “Sembra che tu mi conosca da sempre”.
“Sei un segno d’aria, vero[2]?”, lo aveva incalzato la biondina.
“Sono nato ad Ottobre… vale come un sì?[3]”.
“Eccellente”, aveva convenuto Luna. Difficile dire se si riferisse alle proprie “capacità profetiche” o all’idea dell’accostamento tra i nostri segni e personalità, visto il sorriso di approvazione che mi rivolse.
Quando fummo sole, cercai di estorcerle ulteriori spiegazioni, ma lei sollevò le mani. “Posso solo dirti che è il Cavaliere che stavi attendendo, ma se le cose tra voi funzioneranno o meno dipende solo da voi due. Rischierei di influenzarti altrimenti”, mi ammonì con espressione quasi severa.
Amy le aveva rivolto un’occhiata di sbieco. “E il tristo figuro invece, come sta?”.
“Sempre molto schivo e solitario”, fu la flautata risposta.
L’altra sollevò gli occhi al cielo e si rivolse a me. “Lasciamo perdere: meglio non sapere a questo punto”, mi suggerì.
 
Al culmine di quella giornata avrei avuto il turno serale al pub. In verità Alicia Spinnet mi aveva letteralmente supplicata di sostituirla, dal momento che avrebbe voluto trascorrere la serata con il fidanzato e, dopotutto, non sarebbe stata la prima volta che avrei lavorato come cameriera in sala. Madama Bumb e il Signor Riddle avevano acconsentito, ma mi avevano già avvertito che sarebbe stata una serata impegnativa, a giudicare dalle prenotazioni di coppiette (mi augurai che Tom ed Emma non fossero tra queste) e una comitiva di ragazzi e ragazze stranieri che avevano confermato una prenotazione collettiva.
Dedicai la mattinata alle faccende domestiche, comprai le cose strettamente necessarie per i prossimi giorni e mi preparai per andare in Accademia. Dal momento che le prove di ballo sarebbero iniziate nel primo pomeriggio e non mi andava di pranzare da sola in qualche locale (Amy mi aveva detto di essere ancora troppo stanca per il turno della serata precedente fino alla chiusura), decisi di pranzare nel refettorio anche in assenza di Sean.
Mi fu palese, dopo aver pagato il mio pranzo, che era stata una buona decisione: il mio sguardo saettò verso uno dei tavoli più grandi nei quali erano seduti alcuni degli insegnanti. Bradley, anche quel giorno con un completo elegante, sedeva tra il professor Lupin e una donna che conoscevo di nome come Sibilla Thompson, docente di canto[4]. Era molto elegante, coi capelli biondi e lunghi fino alle spalle e un sorriso dolcissimo. Al tavolo con loro vi erano anche la Professoressa McGrannith, il Professor Black[5]e il Preside.
Lasciai vagare lo sguardo sull’ampia sala, cercando un posto libero o un tavolo nel quale potessi accomodarmi senza disturbare delle conversazioni in corso, ma mi riscossi quando Daniel mi fece un cenno con la mano.
“Ciao ragazzi”, salutai lui e Rupert. Erano seduti l’uno di fronte all’altro. “Posso sedermi con voi?”.
“Non devi neanche chiedere, lo sai”, mi sorrise Daniel e presi posto accanto a Rupert. Quella posizione mi avrebbe permesso, notai con una certa soddisfazione, di osservare Bradley senza rischiare il torcicollo.
“Come state?”, domandai loro, cominciando a servirmi del pasticcio di carne.
“Abbastanza bene”, rispose Daniel. Non si era ancora del tutto ripreso dalla sua rottura con Amy e appariva spesso taciturno. Se non altro doveva aver affrontato anche Katie Chang che negli ultimi tempi era molto meno invadente e appiccicosa.
“Bene”, rispose Rupert a sua volta. “Se non fosse per il test che abbiamo tra poco. Con Piton”. Ne pronunciò il cognome con una smorfia comica e l’aria di chi sentisse un brivido gelido lungo la spina dorsale.  A quanto avevo sentito dai loro racconti, si trattava di uno dei corsi più temuti e odiati: storia del teatro inglese[6]. Non soltanto le trame e l’analisi delle opere teatrali e dei rispettivi autori ma uno studio approfondito del contesto storico, economico e politico di riferimento. Il docente, inoltre, era particolarmente esigente riguardo l’analisi strutturale dei testi teatrali e le date di pubblicazione delle opere.
“Allora non vi disturbo, se volete fare un ultimo ripasso”, li rassicurai con un sorriso. Lasciai che si scambiassero commenti e indicazioni, interrogandosi a vicenda. Notando la confusione e la preoccupazione di entrambi, non potei che ringraziare di non dover condividere anche quel tipo di impegno.
“Basta così”, borbottò Rupert dopo cinque minuti e chiuse il libro. Daniel fu lesto a imitarlo, massaggiandosi la tempia come se lo sforzo gli avesse procurato un’emicrania. Il rosso si stiracchiò pigramente e lo sguardo vagò nella sala. “Peccato che Piton non sia venuto in mensa: speravo che si affogasse nella zuppa”, borbottò, strappandomi una risata per il suo tono risentito.  
“Magari”, commentò Daniel e seguì il suo sguardo per poi inarcare le sopracciglia. “In compenso il cocco di Lupin non manca mai”, notò con un velo di sarcasmo che solitamente rivolgeva a Tom.
Sbattei le palpebre con aria interdetta e mi volsi in sua direzione. “Stai parlando di Bradley?”.
“Ah, è così che si chiama?”, mi domandò con aria non curante. “Sembra che siano tutti stregati da lui, solo perché è più grande ed è già diplomato?”, domandò con aria torva, incrociando le braccia al petto come se il ragazzo gli avesse fatto un torto personale.
Lo guardai incredula: la sua espressione di sufficienza era pari quasi a quella di Tom, ma non capivo per quale motivo sembrasse provare una simile diffidenza e antipatia. Dopotutto Bradley non era coinvolto anche nel suo spettacolo. Era molto più probabile che lo avesse visto al Pub e lo avesse riconosciuto come l’Assistente di cui tutti parlavano.
Rupert sembrò divertito. “Beh, amico: è bello, alto, atletico ed è il più giovane del corpo insegnante. Se fossi una ragazza, gli sbaverei dietro pure io”, commentò in tono bonario.
“Senza contare che è un attore straordinario: vi ho raccontato dello spettacolo di cui era protagonista?”, intervenni io in tono entusiasta. “Credo che abbia anche la stoffa dell’insegnante: è molto competente, gentile e ha un approccio innovativo e-”.
Mi morì la voce quando vidi Emma e Tom avvicinarsi pericolosamente al nostro tavolo.
“Ciao Daniel, ciao Rupert!”, si rivolse ai due con la sua voce tintinnante e il sorriso caloroso. “Oh, ciao Sarah”, aggiunse in secondo tempo mentre io traevo un sospiro e cercavo di ricambiarne il saluto nel modo più cordiale possibile. “Vi dispiace se ci sediamo con voi? La mensa è piena oggi”.
Dovetti mordermi la lingua per non rivelare ciò che stavo pensando realmente, soprattutto quando Tom, senza attendere risposta, prese posto proprio di fronte a me.
Così imparo a stalkerare Bradley da lontano.
Più scontento di me vi era solo Daniel che aveva allontanato definitivamente il suo vassoio, come se improvvisamente provasse un vago sentore di nausea.
“Allora Dany, come stai?”, gli domandò Emma in tono entusiasta.
Lui si strinse nelle spalle. “Non tanto bene: mi è appena passato l’appetito”, le fece presente. Incontrò lo sguardo di Tom e i due si fissarono come se si stessero reciprocamente augurando ogni male possibile, al di sopra della spalla della ragazza che sedeva tra loro.
“Cercherò di non piangere nel mio pasticcio di rognone, Radcliffe”, rispose Tom con aria serafica.
“Oh, smettetela”, li rimproverò Emma in tono blando, continuando a sorridere a entrambi e schioccando un bacio sulla guancia di Tom, lasciandogli una traccia rosata di lucidalabbra.
“Credo che andrò in aula a ripassare un altro po’”, dichiarò Daniel e riprese il suo libro.
“Sì, andiamo, è meglio”, convenne Rupert.
Avrei voluto supplicarli con lo sguardo di non lasciarmi da sola con la coppietta, soprattutto quando ero ancora a metà del mio pranzo, ma mi sforzai di mantenere la calma e di fingere di essere persa nelle mie riflessioni.
“Non sarete preoccupati per il test di Piton?!”, domandò Emma, prendendo il libro e guardando Daniel con aria supplichevole. “Dai, restate, posso aiutarvi a ripassare”, sorrise e abbassò la voce con aria complice. “Ho un sesto senso su quali saranno le domande. E poi tra poco dovrebbe arrivare Bonnie!”, aggiunse in tono casuale.
Rupert sembrò tentennare[7], ma Daniel scosse nuovamente il capo e si riprese il libro. “Grazie, ma preferisco ripassare da solo. Ci vediamo dopo, Emma. Ciao Sarah”, mi rivolse un sorriso.
“Anche tu Rupert?”, gli domandò la ragazza in tono evidentemente deluso.
Il ragazzo sembrò vittima di un conflitto interiore ma alla fine seguì l’amico e rivolse a tutti un saluto. Li seguii con lo sguardo e sospirai. Non avevano fatto in tempo ad uscire dalla mensa che era giunta una ragazza con i capelli scuri legati in due codini, gli occhiali sul naso e il vassoio tra le mani. “Posso sedermi con voi?”.
“Ma certo Mirtilla”, le aveva sorriso Emma con voce premurosa. Doveva trattarsi di Mirtilla Warren. Ricordai che i gemelli ne avevano fatto allusione in qualche battuta. Nell’Accademia era nota come Mirtilla Malcontenta[8] poiché spesso e volentieri gli insegnanti le assegnavano dei personaggi femminili particolarmente melodrammatici o sfortunati che passavano buona parte dell’opera a piangere o a commiserarsi. Quanto era stimata per le sue abilità teatrali, altrettanto risultava sgradita per la sua nomea di gran pettegola. Le avevo rivolto un sorriso d’educazione ma ero tornata a osservare il tavolo degli insegnanti. Bradley chiacchierava amabilmente e sorrideva dei racconti animati del Signor Black e di Lupin, evidentemente amici di vecchia data, e stava addentando una lucida mela rossa.
“Sarah?”.
Mi riscossi e, mio malgrado, fui costretta a rivolgere lo sguardo a Emma. “Scusami, dicevi?”, le domandai frettolosamente e mi rimproverai. L’ultima cosa di cui avevo bisogno era che lei si rendesse conto del mio interesse per Bradley: avevo la sensazione che quell’informazione mi si sarebbe ritorta contro e dovevo cercare di adottare lo stesso atteggiamento del ragazzo ed essere il più professionale possibile tra quelle mura.
“Ti stavo chiedendo se hai programmi particolari per questa sera”, mi sorrise, mentre Mirtilla guardava dall’una all’altra come la spettatrice di un programma di gossip.  “Io non so ancora cosa mi abbia organizzato”, alluse a Tom a cui strinse la mano da sopra il tavolo. “Ma hai visto lo splendido bouquet di rose che mi ha fatto recapitare a casa?”.
“Erano bellissime!”, intervenne Mirtilla con aria reverente, facendola sorridere con evidente compiacimento.
Stava alludendo alla fotografia che aveva postato su Instagram e su cui mi ero premunita di non mettere alcun like, stando anche attenta a non lasciare commenti o apprezzamenti a conoscenze in comune.  “Deve essermi sfuggita: Instagram mi è andato in crash”, mentii con un sorriso per poi stringermi nelle spalle. “Comunque stasera lavoro”, risposi in tono laconico.
“Oh capisco”. Mi sorrise con aria accondiscendente. “Ma sono sicura che avrai anche tu tempo di festeggiare con la persona giusta e al momento giusto”, parlò con aria affettata. Ancora una volta ebbi l’impressione che quelle moine nascondessero ben altri pensieri e che stesse cercando di mettermi in difficoltà anche con domande apparentemente innocenti e casuali.
Dovetti trattenermi dal guardare in direzione di Bradley, ma le sorrisi. “Non avrei saputo dirlo meglio”, risposi con la stessa voce vellutata che dovevo riservare alle mie clienti più petulanti.
“Ti piace qualcuno?”, mi domandò Mirtilla in tono avido.
“No, ma adoro passare il tempo con me stessa”, risposi tranquillamente.
“Oh, certo”, commentò Emma con un sorriso. “E’ molto importante saper stare da soli”, sembrò lodarmi e dovetti trattenermi dal sollevare gli occhi al cielo.
“A quanto pare chi invece passerà un pessimo San Valentino sarà Pansy”, ci rivelò Mirtilla, dopo essersi guardata attorno per sincerarsi che la ragazza in questione non fosse nei paraggi. “Se non fosse così maligna con tutti mi dispiacerebbe per lei”, aggiunse con voce gongolante.
“Cosa è successo?”, domandò l’altra in tono evidentemente incuriosito.
“Non capisco perché vi importi”, fu la risposta laconica di Tom che aveva preso una mela verde. Non potei fare a meno di notare, con una certa curiosità, che persino nella scelta della varietà dello stesso frutto lui e Bradley sembrassero agli antipodi[9].
“E’ solo per fare due chiacchiere, amore”, lo blandì la sua ragazza. Ebbi l’impressione che Tom si stesse trattenendo a stento dal sollevare gli occhi al cielo. “Stavi dicendo, Mirtilla?”.
Quest’ultima, che non sembrava affatto curarsi dell’opinione del ragazzo, abbassò ulteriormente la voce: “Sembra che abbia chiesto di uscire all’Assistente di Lupin”.
“No!”, esclamò Emma, portandosi teatralmente le mani alle labbra mentre io sentivo una parte del mio cervello spegnersi. Ignorai lo sguardo insistente di Tom e mi concentrai a mia volta sulla narratrice, alla ricerca di ulteriori particolari.
Mirtilla sembrava godersi l’attenzione che le stavamo riservando e affatto dispiaciuta perché diede sfogo a una risatina divertita. “Padma lo stava raccontando alla sua gemella, mentre ero in bagno: glielo ha proposto durante una loro lezione privata!”. Diede nuovamente sfogo alla sua ilarità.
L’altra sembrò dover ricorrere al suo self-control per non sorridere, seppur lo sguardo avesse baluginato. Scosse il capo con aria quasi scandalizzata. “Che ragazza sfacciata!”, commentò con una smorfia. “E lui come ha reagito?”.
La nostra informatrice sembrò andare in brodo di giuggiole. “Le ha risposto in modo garbato, naturalmente. Ha detto che sarebbe poco professionale uscire con un’alunna dell’Accademia”, spiegò. Le sue labbra s’incresparono in un sorriso più malizioso. “Padma giurerebbe che si trattasse solo di un pretesto per liberarsi dalle sue avance”, rivelò infine e coronò quell’esclamazione con un’ulteriore risata.
Sentii qualcosa di simile a un pugno alla bocca dello stomaco: in quel frangente, paradossalmente, mi sentivo quasi solidale con la Parkinson e non potevo fare a meno di provare disgusto per il modo irrispettoso e maligno con cui stavano divulgando quel pettegolezzo. Senza contare le possibili implicazioni che, egoisticamente parlando, mi procuravano un ulteriore moto di sconforto. Mi riscossi al suono dei denti di Tom che infierivano sulla mela: inclinò il viso di un lato e mi guardò attentamente. Seppur infastidito dalle chiacchiere di corridoio che riguardavano Bradley, sembrava molto più interessato a carpire il mio stato d’animo.
“Che fosse una scusa o meno, Bradley non avrebbe potuto reagire diversamente”, commentò Emma in tono asciutto e incontrò il mio sguardo, ma abbassò la voce. “Sarebbe davvero inappropriato e poco professionale frequentare una ragazza con cui sta lavorando per lo spettacolo. Credo che, in tal caso, Silente sarebbe costretto a prendere provvedimenti disciplinari”, sancì in tono quasi autoritario. In quel momento mi ricordò vagamente Rankin: sembrava che avesse studiato a memoria il regolamento e sapesse persino citare l’articolo inerente alla questione.  
Spostai il vassoio con un gesto brusco e mi rimisi in piedi, non potendo più sopportare la loro compagnia. “Bradley è una persona estremamente seria e corretta”, dichiarai in tono pacato, ma guardando dall’una all’altra senza timore. “Personalmente trovo che siano altri i comportamenti inappropriati da parte di persone decisamente abili a nascondersi dietro la propria reputazione”, mi sentii dire con voce più dura di quanto avessi voluto. “Vi saluto”.
Non attesi risposta e mi allontanai, premunendomi di non guardare in direzione del tavolo degli insegnanti.
 
Camminai nei familiari corridoi dell’Accademia e mi diressi nel porticato per prendere un po’ d’aria. Mi sedetti su una panchina libera e cercai di tranquillizzarmi e di regolarizzare il respiro, ma le parole delle ragazze continuavano a ronzarmi in testa prepotentemente. In quel momento non riuscivo neppure a valutare obiettivamente se avessi fatto bene o meno a reagire in quel modo o se sarebbe stato più saggio mordersi la lingua e far finta di nulla. Ma in verità non era quella la mia preoccupazione principale al momento.
Non potei fare a meno di ripercorrere i momenti più emozionanti che avevo vissuto con Bradley: malgrado continuassi a ripetermi di non dover alimentare incautamente fantasie romantiche, non riuscivo a capire il significato delle parole rivolte alla Parkinson, supponendo che il pettegolezzo fosse veritiero. Era stato onesto fin da subito nel farmi comprendere che entro quelle mura avrebbe dovuto mantenere un certo distacco, ma quegli sguardi e quelle parole scambiate al Pub sembravano andare in tutt’altra direzione. Che si trattasse di una frase garbata per porre fine, in modo deciso, a qualsiasi avance da parte della ragazza? O questo significava chiaramente che io stessa dovessi farmi illusioni? Non aveva senso continuare a scervellarmi, mi dissi. Sapevo che i miei amici mi avrebbero suggerito la cosa più matura e sicura: parlarne direttamente con Bradley o, nel caso di Morgana, cercare un modo più sottile di estrapolargli quell’informazione senza sbilanciarmi troppo. Un peccato che non avessi neppure la metà della sua eloquenza e del suo savoir faire.
“Buongiorno Trottolina!”.
Sussultai a quel richiamo e al suono squillante ed entusiasta della voce del Maestro Allock: ero talmente persa nelle mie elucubrazioni da non essermi neppure accorta del suo arrivo. Sbattei le palpebre e misi a fuoco il suo volto: sorrideva con uno sfolgorio quasi abbaiante dei denti bianchissimi, per non parlare delle vesti di una lucente tonalità di rosa. Decisamente più sobria di quella “da Barbie” adottata da Dolores Umbridge ma altrettanto eccentrica e particolare. “Buongiorno a lei”, gli sorrisi e mi rimisi in piedi.
A mezzo metro da lui arrancava il suo povero assistente che sembrava faticosamente trasportare due scatole e teneva al collo l’immancabile macchina fotografica. Il Maestro mi studiò attentamente e si appoggiò le mani sui fianchi, come quando valutava la forma fisica degli aspiranti ballerini che aveva di fronte. “Ma perché quel broncio?”, mi domandò con aria di evidente disapprovazione. “No, no, no, no, no, Trottolina! Non devi fare così”, mi rimproverò in tono bonario, facendo oscillare il dito in segno di diniego. “Sono sicurissimo che entro sera riceverai un invito!”.
“Un invito?”, ripetei con espressione alquanto confusa.
Allock spalancò le braccia come a voler mettere in mostra il suo outfit: “Buon San Valentino!”, esclamò con espressione raggiante. “Purtroppo il professor Lupin non mi consente di tenere una lezione a tema perché dice che abbiamo poco tempo”, sospirò con aria di evidente insoddisfazione alla prospettiva e probabilmente ritenendo “esagerato” il pessimismo dell’altro. Evidentemente ciò non aveva inficiato il suo buon umore perché ammiccò. “Ho comunque in serbo qualcosa di speciale per i miei alunni”, mi anticipò con espressione piuttosto compiaciuta di sé. Si voltò per sincerarsi che l’assistente fosse arrivato incolume. Quest’ultimo avrebbe potuto sembrare entusiasta quanto il Signor Gazza e il Signor Riddle all’idea di festeggiare quella ricorrenza a giudicare da come lasciò cadere pesantemente le scatole sulla panchina.
“Filius!”, lo rimproverò il Maestro. “Si sgualciranno le tu-sai-cosa!”.
Quest’ultimo parve doversi trattenere dal dirgli dove avrebbe riposto volentieri le “loro-sapevano-cosa”, ma mi sentii in dovere di intervenire. “Avete bisogno di aiuto?”.
“No, Trottolina, grazie”, Allock mi fece cenno di non muovermi. “E’ una sorpresa anche per te e poi non voglio certo che la mia ballerina di punta si affatichi: forza, andiamo a prepararci per la lezione!”, mi fece cenno di precederlo e non potei che assecondarlo. In quel momento ringraziai di quel suo carattere così meravigliosamente estroso che era riuscito ad attenuare il mio malumore.
 
Avevo già indossato il completo e legato i capelli in una treccia laterale. Stavo approfittando del tempo a disposizione per fare qualche esercizio di riscaldamento, quando cominciarono a entrare alcuni allievi. Non potei fare a meno di notare che la Parkinson sembrava giù di tono e prestava a malapena attenzione a ciò che le stava dicendo Padma, ma cercai di restare concentrata e ricambiai il saluto di Lupin. Notai che era solo e mi domandai se Bradley non si fosse già diretto nell’ufficio che condivideva con l’insegnante per preparare la nostra lezione.
“Buongiorno Gilderoy”, salutò cordialmente.
L’altro gli si avvicinò con la tipica vivacità e non potei fare a meno di notare il forte contrasto tra i due adulti. Allock appariva brillante al cospetto del remissivo e cupo professore di recitazione non soltanto per le vesti a tema romantico ma per i capelli sempre acconciati e voluminosi e il sorriso sfolgorante. Era anche comprensibile che Lupin, sempre piuttosto pallido anche per gli standard britannici, con l’avvicinarsi della nascita del secondogenito e dello spettacolo fosse sempre in tensione. “Ci tenevo a dirle che finalmente ho letto l’intero script!”, gli rivelò con il suo miglior sorriso.
“Davvero?”, gli domandò Lupin con aria quasi incredula. “E le è piaciuto?!”, lo incalzò subito dopo e non potei fare a meno di intenerirmi del modo in cui sembrasse sempre cercare l’approvazione altrui per qualcosa di così personale.
 “Da impazzire!”, commentò Allock con calore. “Ho adorato la storia d’amore e mi sono commosso alla fine”, rivelò, portandosi una mano al petto con gesto enfatico, prima di continuare. “Ma è stato molto illuminante perché mi ha dato un’idea che renderà la scena di ballo persino più emozionante”.
“Ma certo”, approvò subito Lupin. “Dopotutto è lei l’esperto di danza”.
Allock parve gonfiarsi il petto: sia per il piacere scaturito da quel riconoscimento, sia per dare l’enfasi giusta all’idea che, a suo dire, avrebbe reso lo spettacolo un vero e proprio capolavoro.
Il tango!”.
Il sorriso sul volto di Lupin svanì repentinamente e parve farsi persino più pallido mentre sbatteva le palpebre e schiudeva le labbra con aria incredula. “Il tango?!”, ripeté con voce quasi strozzata.
“Il tango!”, ripeté l’altro con entusiasmo quasi folle nello sguardo. Schioccò le dita in direzione dell’assistente che sembrava sempre più immusonito ma che si affrettò a porgergli il copione. “Ogni dialogo tra i suoi personaggi è intriso di passione, attrazione e anche una buona dose di impertinenza e quasi repulsione!”, iniziò a spiegare, mostrando dei passaggi che aveva sottolineato.
“Questo è vero”, convenne Lupin che sembrò comprendere di aver fatto un errore imperdonabile nell’avergli promesso carta bianca. “Ma temo che-”.
“E quale ballo incarna meglio questi valori?”, lo incalzò il Maestro che non sembrava neppure sentirne le proteste flebili. “Ci pensi, amico mio, ci pensi!”.
“Gilderoy”, lo richiamò Lupin in un coraggioso tentativo di farsi valere. “Per quanto io sia profano nella storia del ballo, sono piuttosto certo che il tango non fosse diffuso all’epoca e soprattutto nelle prime colonie inglesi del Nuovo Mondo”, spiegò in tono pacato ma razionale.
Allock fece un cenno distratto con la mano. “Le posso assicurare che è il tipo di danza che meglio esprimerebbe la tensione e la passione tra i suoi protagonisti! Lasci che oggi insegni a Trottolina e Томас i passi iniziali. Sono sicuro che la convincerò e dopotutto può sempre cambiare la data dell’ambientazione”, gli fece notare come se si trattasse di un dettaglio di poco conto.
Lupin si strofinò la tempia con una mano e trasse un profondo respiro. “Se anche avessimo il tempo per farlo, Gilderoy, temo che dovrei insistere nel voler restare fedele al copione. Magari per un futuro spettacolo”.
“Sono sicuro che impareranno in fretta, ho fiducia in loro!”, gli fece notare Allock che, come sempre, sembrava sordo a ciò che contrastava le sue idee.
“Anche io ho fiducia in loro”, rimarcò Lupin, alzando leggermente la voce e scostandosi i capelli striati di grigio dal viso. Avevo la sensazione che quella conversazione gli stesse alzando notevolmente i livelli di stress. “Ma non è questo il punto”. Prese fiato prima di riprendere. “Non ho intenzione di apportare uno stravolgimento nella data: significherebbe cambiare il modo di esprimersi dei personaggi, il vestiario, le pettinature, i riferimenti legislativi e tutto quello su cui si basa questo spettacolo!”.
L’altro gli sorrise con aria indulgente e scosse il capo. “Remus, Remus, Remus. Lei non pensa che ne varrebbe la pena per la buona riuscita dello spettacolo? Ovviamente non diremo al Preside che sono stato io a rendermi conto di questo vitale cambiamento che era fondamentale per il successo dello spettacolo”.
“IL TANGO È ARGENTINO, PER L’AMOR DEL CIELO!”, sbottò Lupin, sovrastando il chiacchiericcio generale.
Allock sbatté le palpebre chiaramente spiazzato da quella reazione accesa, prima di rivolgergli il suo sorriso accattivante. “Ho capito: vuole pensarci sopra ancora un po’. Ma non troppo, mi raccomando. Sono uno straordinario Maestro ma neppure io potrei insegnarlo loro in-”.
“NON HO BISOGNO DI PENSARCI!”, sbottò Lupin con il viso ormai rubicondo e un cipiglio quasi canino. “NO, NO E ANCORA UNA VOLTA NO”.
A quel punto neppure Allock parve in grado di aggirare o ignorare la sua determinazione, ma fu impressionante l’effetto che quella reazione accesa ebbe su di lui. Mentre Vitious cercava di camuffare la risata dietro dei colpi di tosse, lui finse di voler recuperare il proprio libro. Ora che il sorriso era scomparso dal suo volto appariva molto meno sgargiante e persino la tonalità rosata dei suoi vestiti sembrava sbiadita. “Molto bene”, mormorò con un filo di voce. “Mi perdoni se ho osato esprimerle la mia opinione”.
Fu evidente il conflitto in Lupin: se una parte di sé voleva evidentemente scusarsi del tono brusco, altrettanto chiaramente non voleva concedergli uno spiraglio di speranza che lo portasse a deviare dal piano originale. Mentre cercavo qualcosa da dire per stemperare la tensione del momento e risollevare l’umore di Allock, vidi Bradley varcare la soglia della sala da ballo.
“Buongiorno”, salutò tutti con il consueto sorriso cordiale.
“Bradley, grazie al cielo”, gli si rivolse Lupin. “Puoi restare tu per la lezione? Ho bisogno di prendere una boccata d’aria”, gli chiese ansiosamente.
“Certo”, replicò il ragazzo. Lo guardò curiosamente e restò interdetto quando venne letteralmente trascinato di peso verso Allock.  
“Gilderoy, le presento il mio Assistente. Si è diplomato recentemente al Drama Centre”.
“Maestro, ho sentito dire meraviglie di lei: è un piacere conoscerla”, commentò Bradley con calore.
Allock che sembrava intenzionato a tenere il broncio il più a lungo possibile, si costrinse a guardare di sottecchi la mano che gli veniva porta per poi sollevare lo sguardo e restare letteralmente folgorato. Le sue gote divennero di una tonalità simile a quelle dei suoi vestiti e gli occhi parvero letteralmente brillare. “Bontà divina!”, esclamò con voce quasi gutturale rimirandolo come si contempla un’opera d’arte. “Quale celestiale visione!”.
Bradley parve incapace, di primo acchito, di celare il proprio sbigottimento e il suo sorriso vacillò prima di schiarirsi la gola. “Bradley James”, si presentò di nuovo. “Sarò l’Assistente del Professor Lupin”
No!”, esclamò Allock con un sorriso che rivelò nuovamente lo sfolgorio quasi magico dei suoi denti perfetti. Sembrò contemplarlo come se non lo ritenesse reale, con la mano sotto il mento e un sospiro quasi febbrile. “Ti chiamerò Apollo: come la divinità greca delle arti e del sole[10]”, dichiarò con voce enfatica, alludendo probabilmente al suo incarnato, ai suoi capelli chiari. Era un appellativo pertinente considerando anche la sua predisposizione al teatro. Gli strinse finalmente la mano e la trattenne più del dovuto. “Gilderoy Allock”, si presentò e sciorinò di nuovo la sua lunga presentazione, menzionando le sue vittorie e il titolo di Cavaliere.
“Molto onorato”, replicò il ragazzo con un filo di voce.
“Presto Filius, facci una foto insieme! Raggiungeremo il record di like sui social!”.
Il povero Bradley non sembrò trovare il tempo e il coraggio di chiedere spiegazioni perché fu letteralmente accecato dal flash della macchina fotografica e intrappolato dal braccio di Allock intorno alle sue spalle.
Lupin si schiarì la gola e sembrò trattenere a fatica il sorriso. “Credo che sia ora di iniziare la lezione. Non le dispiace se quest’oggi assisterà solo Bradley, immagino”.
“Non mi dispiace affatto conoscere meglio Apollo”, ribatté Allock che parve aver dimenticato il suo malumore. “Arrivederci Remus”.
Il ragazzo si era schiarito la gola e si era divincolato gentilmente dal Maestro. “Non voglio farle perdere altro tempo: cominci pure la sua lezione”, lo incoraggiò. Sembrava molto più pallido di quando era entrato e non potei fare a meno di provare un moto di tenerezza.
“Ci proverò”, gli sorrise l’altro con espressione adorante. “Anche se oggi non è un giorno qualsiasi, dico bene?”.
“Immagino di no”, replicò cautamente Bradley, la cui voce sembrava più acuta. Sorrideva in modo decisamente nervoso. “Io allora vado a… sedermi”, gli sorrise un’ultima volta e lo vidi passarsi una mano tra i capelli, prima di cercarsi un posto tranquillo da cui osservare la lezione.
“Buongiorno a tutti e buon San Valentino!”, salutò e spalancò le braccia come a stringerci tutti in un abbraccio silenzioso. “Prima di aprire le danze, letteralmente, vorrei ringraziare le studentesse che sono state così gentili da mandarmi un biglietto di auguri[11]”.
“Dimmi che non sei tra queste”, soffiò la voce di Tom alle mie spalle. Non potei fare a meno di trasalire per la sorpresa: non mi ero accorta del suo arrivo e tanto meno che mi fosse così vicino. Ne incontrai lo sguardo sopra la mia spalla e aggrottai le sopracciglia nel vedergli quell’espressione ironica. Mi morsi la lingua per non rispondergli, più che mai persuasa a limitare il più possibile le nostre interazioni.
“Ho portato per voi una bella sorpresa”, dichiarò Allock, indicando le due scatole appoggiate sulla scrivania. “Delle rose per voi maschietti più distratti che avete dimenticato un cadeau per la vostra dama”, puntò il dito contro di loro come se li stesse effettivamente sgridando. “E dei cioccolatini per voi signorine: non voglio vedere bronci sul viso di nessuno quest’oggi”.
Non potei fare a meno di guardarmi attorno e notare che i presenti sembravano attoniti e perplessi, a partire da Bradley che sembrava ben interpretare solo in quel momento la premura di Lupin nello svignarsela. Soltanto qualche ragazza stava sorridendo, evidentemente per educazione. Pansy appariva persino offesa, come se Allock le stesse facendo un torto personale di fronte a tutti.  “Potrete ritirare il vostro pensierino a fine lezione, ma ora torniamo a noi. Disponetevi in coppie”.   
Mio malgrado, mi costrinsi a seguire Tom mentre l’insegnante estraeva il suo saggio sui balli e mostrava Bradley la copertina in cui il suo alter-ego vestito con abito da sala, sorrideva impertinente all’obiettivo.
“Pensi di ignorarmi per i prossimi mesi?”, mi domandò Tom in tono pacato ma il cipiglio corrugato.
Stavo per rispondergli in modo caustico ed eloquente ma ringraziai mentalmente che Allock si fosse avvicinato per porsi al centro della stanza. Aveva inforcato un paio di occhiali dalla montatura rosa, adornata di strass che brillavano. Mi domandai scioccamente se avesse una montatura da abbinare a ogni completo stravagante che indossava con simile fierezza.
“Vogliamo dire al nostro Assistente per quale motivo il valzer fu considerato un ballo scandaloso?”.
Fu forse la prima volta che vidi Tom offrirsi di rispondergli. “Fu il primo ballo nel quale era previsto che gli uomini e le donne si abbracciassero”. Enfatizzò sull’ultima parola con tale compiacimento che mi fece sollevare gli occhi al cielo.
“Eccellente Томас!”, lo lodò l’insegnante. “Sentite cosa ne pensavano all’epoca: "Citando Curt Sachs[12]: la coppia balla così strettamente allacciata, volteggiando in un atteggiamento sconvenientissimo […] A proposito dei danzatori che tengono sollevati i lembi dei vestiti delle dame, nota che la mano del maschio che tiene il vestito, poggia ben ferma sul petto della donna… premendo con lascivia ad ogni piccolo movimento", continuò a leggere con enfasi e un mormorio incredulo si diffuse nell’aula. Era comprensibile che, per il pudore dell’epoca, la sola vicinanza fisica tra un uomo e una donna non sposati fosse “scandalosa” e compromettente per la reputazione della dama, soprattutto se di nobili origini, ma la sequenza descritta sembrava inappropriata persino in epoca moderna.
Bradley era apparso non poco preoccupato, tanto da abbandonare la sua postazione per avvicinarsi ad Allock. Quest’ultimo si emozionò al punto da lasciar cadere il libro. “Vuole offrirsi volontario?”, gli chiese in tono evidentemente entusiasta alla prospettiva. “Sono sicuro che il Professor Lupin converrebbe con me che potremmo senz’altro trovarle un ruolo come comparsa per questa scena: un simile corpo armonioso sarebbe sprecato se-”.
Il ragazzo sollevò la mano a interromperlo con un sorriso educato. “In realtà vorrei chiederle delle delucidazioni su quanto ha appena letto”.
Il Maestro sospirò e recuperò il libro. “Mio caro Apollo, le ricordo che il narratore è vissuto in un contesto diverso dal nostro e potrebbe aver enfatizzato ciò che credeva di aver visto”, lo tranquillizzò. “Senza contare che il Preside e il Professor Lupin hanno posto dei limiti oserei dire… vittoriani per restare a tema”, soggiunse con una risatina per la sua stessa battuta a cui nessuno si unì. “Tuttavia è interessante leggere queste fonti storiche circa l’atteggiamento dei ballerini”, non attese replica e riprese. In diverse occasioni avevo avuto l’impressione che, in nome dell’arte, lui stesso avesse una nozione di morale piuttosto “discutibile”.  “Il giudizio sulle donne non è da meno: le ragazze avevano uno sguardo folle o sembravano prossime al deliquio", riprese da dove si era interrotto.
“Non mi offenderò se cercassi di stringermi più del dovuto”, soffiò Tom in mia direzione. “O se mi rivolgessi uno sguardo… folle e prossimo al deliquio”, citò il brano con un sorrisino sfrontato.
Gli rivolsi una smorfia disgustata. “Non so se ad Emma piacciano queste fantasie. Di certo non sono nessuno per giudicarvi e francamente non ne ho alcun interesse”, sibilai freddamente per risposta.
Tom sospirò con aria insofferente e prese a parlare in un bisbiglio irritato. “Ti ho già spiegato che si tratta di un equivoco: mi credi davvero così squallido?”, mi incalzò in tono quasi offeso.
“Vuoi davvero che ti risponda?”, gli risposi bruscamente ma la mia voce riecheggiò nel silenzio.
Non mi ero infatti resa conto che Allock aveva finito la sua lettura. “Rispondere a cosa?”, mi incalzò, dopo aver richiuso il libro.
Sentii le guance ardere agli sguardi di tutti ma non osai incontrare quello di Bradley che aveva già avuto occasione di appurare quali problemi avessi a mantenere la concentrazione a causa delle provocazioni di Tom.
“Le stavo chiedendo di ricordarmi se il valzer sia un ballo ternario o meno”, replicò prontamente il ragazzo. “Evidentemente Trottolina ritiene che sia scandaloso che io non lo ricordi”.
“E ha ragione!”, commentò il Maestro, portandosi una mano al petto come se fosse personalmente offeso dalla sua mancanza di attenzione. “Un, due e tre, Томас!”. Sospirò e socchiuse gli occhi come a incoraggiarsi a mantenere la calma. “L’ho detto a Lupin che dovreste esercitarvi più spesso, ma non perdiamo tempo e iniziamo!”.
Lasciai che mi cingesse la vita e gli appoggiai la mano sulla spalla. Dovetti, mio malgrado, stringergli l’altra mano, ma cercai di guardare un punto fisso alla parete alle sue spalle. Allock, con la sua tipica cura quasi maniacale, si avvicinò e corresse le nostre posture. “Sembri molto tesa, Trottolina: hai qualche dolore muscolare?”, mi domandò in tono vagamente preoccupato.
“Ho dormito poco bene”, mentii spudoratamente e finsi di ascoltare la sua tiritera su quanto fosse importante assumere una posizione idonea per la spina dorsale e ricercare un materasso adatto alle proprie esigenze.
Diede alla classe delle ultime direttive prima di chiedere al suo assistente di premere il tasto “play” sul suo cd. “Dovete concentrarvi sui vostri respiri, sui vostri battiti e mantenere il contatto visivo con il vostro partner: non deve esistere altro durante il ballo se non la persona che avete di fronte. Svuotate la mente, ascoltate la musica. Signori, prendetevi cura delle vostre dame con dolcezza ma determinazione. Signorine, lasciatevi andare e ballate con il cuore”, ci istruì con voce quasi sognante. La musica familiare si diffuse nell’aria mentre Allock prendeva a fare circonferenze su se stesso e a mormorare: “Un, due, tre… un, due, tre” per guidare i nostri movimenti. Rivolgeva di quando in quando occhiate speranzose verso Bradley che si stava premunendo di evitarlo il più possibile.
Dovevo ringraziare la mia memoria muscolare: dopo quasi cinque mesi di lezioni avevo ormai memorizzato i movimenti, ma trovavo ancora difficile costringermi a guardare Tom e cercare di non pensare ai motivi per i quali non sopportassi la sola idea di trovarmi nella stessa stanza con lui. La sua superficialità e la sua tranquillità, poi, non facevano che accrescere la mia esasperazione. Seguii il movimento del suo braccio e feci una piroetta prima di tornare nel suo abbraccio, suscitando un fiero battimano di Allock di cui sentii il complimento.
Tom richiamò la mia attenzione, facendo una maggiore pressione sul mio fianco. “Non possiamo andare avanti così”, mormorò, muovendo a malapena le labbra. “Non essere irrazionale”.
Mi morsi la lingua e dovetti impedirmi di approfittare della situazione per rifilargli un calcio nello stinco (o in un’altra parte del corpo), ma ogni parola da lui pronunciata era solo un’ulteriore conferma che meritasse il mio rancore e il mio risentimento. “Tu smettila di forzare un rapporto tra noi”, ribattei per risposta. “E smettila di sminuire i tuoi comportamenti: non lo sopporto!”, gli dissi in tutta onestà.
Tom mi guardò con circospezione e le sopracciglia aggrottate: “Quindi vorresti che agissimo come due estranei, ho capito bene?”.
“Sei un futuro attore: non dovrebbe essere così difficile per te”, rimarcai in modo scontroso, prima di stringermi nelle spalle. “Da parte mia cercherò di tollerarti e di essere professionale”.
“Professionale come il tuo Cavalier Servente?”, mi domandò in tono pungente.
L’allusione a Bradley mi suscitò un guizzo all’altezza del petto, soprattutto al pensiero della conversazione in sala mensa a cui aveva assistito.
“Si è creato un bella armatura, glielo concedo, ma cosa ti fa credere che voglia qualcosa di diverso da chiunque altro?”, mi domandò in tono beffardo e con un sorriso quasi viscido.
Mi irrigidii nella sua stretta, ma sollevai il mento e lo guardai con aria furiosa: “Non ti permettere, tu non lo conosci!”.
Mi studiò con aria clinica e scosse il capo. “Neanche tu”, rimarcò per poi sospirare e rivolgermi uno sguardo quasi compassionevole. “Non dovresti confondere le tue fantasie romantiche con la realtà”.
Mi sentii punta nel vivo e un misto di rabbia, di umiliazione e di amarezza mi serrò la gola. In quel momento mi sentivo davvero vicina a odiarlo con tutto il cuore. “Forse non lo conosco bene, ma da quel che ho capito è più uomo di quanto tu sarai mai”, sibilai per risposta.
Sembrò impallidire e provai una reale soddisfazione all’idea che il confronto gli suscitasse un simile fastidio e che lo avessi offeso realmente. Parlò di nuovo in tono sibillino. “Accomodati pure se vuoi cadere nella sua trappola, ma poi non tornare a piangere da me!”, sembrò volermi minacciare.
Lo guardai disgustata e scossi il capo, salvo sollevare il mento con un moto di orgoglio.  “Preferirei piangere per lui che stare con te più del necessario”, gli dissi guardandolo dritto negli occhi prima di inclinare il viso di un lato. “In ogni caso, ho degli amici che mi sostengono sempre: tu hai solo il tuo amore per te stesso e puoi infilartelo tu-sai-dove”.
Mi fece fare l’ultima piroetta prevista dalla coreografia e mi strinse il fianco quasi fino a farmi male, avvicinandosi al mio viso per mormorare le successive parole. “Non hai capito niente, proprio niente”, ripeté quasi rabbiosamente.
“Ti sbagli”, ribattei con altrettanta stizza. “Ho capito fin troppo e non mi importa più nulla di te”.
La melodia sfumò e Tom abbandonò la pressione intorno alla mia vita: era evidente che fosse infuriato e il suo corpo si era irrigidito. Da pallido il volto era divenuto di una sfumatura rosata per la mera indignazione. Aveva la mascella serrata e mi rivolse un ultimo sguardo ricco di biasimo e di disprezzo, mentre stringeva i pugni lungo i fianchi. “Ho chiuso con te”, dichiarò e indietreggiò di un altro passo, quasi a voler enfatizzare anche fisicamente quella sua decisione.
“Bene, spero che questa volta sia per sempre”, risposi con altrettanta durezza. Non avrei permesso al mio senso di colpa o alle mie tipiche remore di farmi rimpiangere quella decisione. Gli avevo concesso più occasioni e ogni volta ero stata puntualmente delusa, continuai a ripetermi.
Non ci rivolgemmo la parola fino alla fine delle prove e fu un vero e proprio sollievo. Allock era intervenuto diverse volte per correggerci ma, a fine lezione, si era complimentato, pur raccomandandosi di non trascurare gli esercizi quotidiani che ci aveva consigliato. Bradley aveva parlato poco, se non per chiedere spiegazioni ulteriori o per osservare le coppie e avevo avuto l’impressione che il suo sguardo avesse indugiato su me e Tom più di una volta.
“Alla prossima lezione”. Lo salutò Allock e allungò la mano con sguardo sognante. “Mio caro Apollo, continuo a pensare che sia uno spreco non permetterle di prendere parte allo spettacolo, senza contare che sono sicuro che sarebbe-”.
“Troppo gentile, davvero”, lo interruppe pacatamente, ma con decisione, prima di congedarsi. È stato un onore incontrarla”.
“L’onore è stato tutto mio!”, replicò Allock rimirandolo con un altro sospiro.
“Arrivederci Maestro”, gli sorrisi a mia volta, prima di rivolgermi a Bradley. “Cinque minuti e sarò pronta”, allusi alla necessità di cambiarmi e rinfrescarmi.
Mi sorrise e annuì. “Ti aspetterò qui”.
 
Controllai il mio riflesso per l’ennesima volta e spazzolai i capelli, lisciai la gonna e mi affrettai a rientrare nell’aula di danza. Bradley si era nuovamente accomodato e aveva approfittato dell’attesa per sfogliare il copione.  Sollevò lo sguardo, quando mi annunciai e mi sorrise, prima di rimettersi in piedi e farmi cenno di uscire prima di lui. Mi si affiancò facilmente per la sua ampia falcata. “Spero non ti dispiaccia se ho scelto io la scena da provare: stavo ripassando la battute”, mi spiegò con un sorriso complice.
Non potei fare a meno di rimirarlo sorpresa. “Le hai studiate per le nostre prove?”.
Parve divertito dalla mia reazione. “Certo. Preferisco concentrarmi sul timbro della voce, sulla gestualità e sulle espressioni da accompagnare alla battuta. La comunicazione non è mai esclusivamente verbale: è uno degli aspetti più affascinanti della recitazione a mio modesto parere”, mi illustrò.
Annuii a quelle parole, ricordando di aver studiato quelle nozioni per un esame di sociologia della comunicazione. Non avevo mai pensato a quanto fosse effettivamente fondamentale per completare le abilità di un attore. Mi sentii anche sciocca per avergli posto quella domanda. Avrei dovuto prevederlo, visto come si era dimostrato competente fin da subito. Senza contare che mi trovavo di fronte a un altro attore di incredibile talento come avevo avuto la fortuna di appurare nello spettacolo di Londra. “Non vedo l’ora di vederti recitare di nuovo”, gli rivelai.
Mi sorrise più dolcemente. “Spero di non deludere le tue aspettative”. Si fermò di fronte all’ufficio di Lupin. Inserì la chiave nella toppa e mi cedette il passo.
Ero già stata lì dentro, soprattutto nelle prime settimane, quando avevo incontrato delle difficoltà con alcuni dialoghi e lui si era sempre dimostrato più che disponibile e affabile anche in preziosi consigli di dizione. Non potei fare a meno di notare che non vi erano significativi cambiamenti: evidentemente Bradley si comportava come un perfetto ospite e si premuniva sempre di lasciare la stanza nelle stesse condizioni in cui la trovava, comprese le indicazioni sulla lavagna.
“Ho pensato di provare questo dialogo, se sei d’accordo”, mi liberò una sedia perché potessi accomodarmi e mi porse la sua copia dello script. Aveva contrassegnato con una freccia la battuta di esordio che avrebbe pronunciato lui.
Lo osservai con la coda dell’occhio mentre appendeva il cappotto. Spostò la scrivania e le sedie verso una parete per creare uno spazio confortevole. Quando ebbe finito, mi osservò con il volto inclinato di un lato. “Mi spiace averti fatto attendere: ho avuto diversi appuntamenti e Lupin ha la smania di aggiungere nuove scene, modificarne altre o pensare di eliminarne alcune”, mi confidò con voce appena intaccata di stanchezza. Avevo la sensazione che il Professore gli telefonasse persino nel suo tempo libero. “Di questo passo non so come farà ad arrivare a Giugno ancora vivo”, convenne con un’espressione divertita e in parte preoccupata.
“Meno male che ci sei tu ad alleggerirgli il lavoro”. Sospirai e scossi il capo. Forse avremmo dovuto seriamente parlarne con il Preside che sembrava l’unico in grado di farlo ragionare o, come accadeva spesso, di imporgli la propria volontà. “Ti stai trovando bene?”.
“Molto”, sorrise con uno scintillio nello sguardo. “Devo ammettere di essere un po’ invidioso, quando vi vedo sul palcoscenico, ma non mi dispiace dirigere e guardare le cose da un punto di vista diverso. E poi in queste sedute posso divertirmi a interpretare molti personaggi diversi”, aggiunse con un breve ammiccamento.  
“Lo immagino”, gli sorrisi e tornai a concentrarmi sul copione per non perdere tempo prezioso.  Rilessi per sicurezza le mie battute un’ulteriore volta, seppur le avessi già apprese e mi rimisi in piedi. Inspirai profondamente, cercando di concentrarmi sulla scena e non pensare a quanto fosse emozionante ritrovarsi faccia a faccia in un luogo appartato.
“Svuota la mente e concentrati”, mi istruì parlando a voce bassa e ponendosi a circa tre passi di distanza da me. Era straordinario come Bradley, al pari di Tom, sembrasse aver bisogno di pochi istanti per assumere una postura più consona al personaggio: persino i lineamenti sembravano irrigidirsi o ammorbidirsi per poter simulare le espressioni consone alle battute da recitare.
Mi presi un breve istante per richiamare alla mente gli eventi cronologici della narrazione e tutte le indicazioni che mi aveva dato Lupin su quel momento narrativo. Si trattava di una delle sequenze vicine al finale, quando finalmente i due protagonisti avrebbero messo da parte i rancori, il loro orgoglio, la loro testardaggine per smettere di negare ciò che era sempre stato evidente quanto pericoloso. Il confronto era ambientato durante un ricevimento serale nel quale entrambi erano ospiti dei proprietari ma, come di consueto, Elisabeth si era allontanata dalla ressa per restare in terrazza a prendere una boccata d’aria. Gli diedi le spalle come previsto dalle indicazioni.  
“Non vi state godendo la festa?”, mi giunse la sua voce in un sussurro.
Elisabeth non doveva apparire sorpresa perché era ormai in grado di riconoscerne i passi. Lentamente mi voltai in sua direzione. “Buonasera, Lord Pendlenton”, mormorai e sollevai leggermente il mento per incontrarne lo sguardo. Mi presi un istante per scrutarlo con atteggiamento incuriosito e guardingo: era la prima volta che Elisabeth e William, dopotutto, si ritrovavano faccia a faccia dopo aver scoperto le reali origini di quest’ultimo. Dopo che era divenuto uno degli scapoli più ambiti della ridente colonia.
Si chinò impercettibilmente in un gesto formale ed elegante e mosse un paio di passi in mia direzione. L’espressione doveva apparire distante e indifferente, ma quel contegno era attenuato dalla piega ironica delle labbra. “Buonasera a voi, Lady Crawford”, mormorò per risposta e carezzò con voce più vellutata il cognome della dama. “Ne è passato di tempo”.
“Di certo sembrate un’altra persona”, mormorai per risposta, facendo finta di indicarne i panni eleganti e da gentiluomo. La stessa Elisabeth doveva simulare compostezza e indifferenza. “Mi domando se sia stato facile adattarsi al ruolo di una classe sociale che fino a due settimane fa detestavate”.
Il giovane mosse rapidamente e allusivamente le sopracciglia, emettendo un ironico verso gutturale. “Devo ammettere di essere stato prevenuto nei confronti del nostro ceto”. Si sporse in mia direzione, come da copione, e sentii il mio cuore cominciare a scalpitare più intensamente. Dovetti controllarmi per impedirmi di tradire il mio stato d’animo con un gesto istintivo come mordermi il labbro o scostarmi i capelli dal viso. “E devo parimenti aggiungere che vi sono dei vantaggi che non avevo mai considerato”, soffiò con voce più suadente, sporgendosi ulteriormente verso il mio volto, facendo decisamente accelerare il battito del mio cuore. Mi prese la mano con un gesto fluido ed elegante e, senza smettere di sorridere con quell’alone più furbesco, ne baciò il dorso della mano.
Sbattei le palpebre, come da copione e mi allontanai con una smorfia. “Non illudetevi troppo: alcuni mascalzoni sono esattamente come sembrano, a prescindere dalla loro rendita”, soffiai in tono sarcastico e sprezzante. Non ne attesi risposta e mi mossi di lato per superarlo.
La sua risata bassa e gutturale mi provocò un brivido lungo la spina dorsale, soprattutto quando mi artigliò il polso per fermarmi, inducendomi a voltarmi in sua direzione. Finse di guardarsi attorno per accertarsi di essere soli, prima di avvicinare ancora e pericolosamente il viso al mio. Non dovetti fingere il battito accelerato del mio cuore e neppure quel calore che mi invase il corpo, ma avevo difficoltà a distogliere lo sguardo dalle sue iridi che mai avevo scorto a simile distanza. Se fin da subito, ero rimasta colpita dal loro colore, in quel momento faticavo a comprendere quale fosse la nuance predominante: se l’azzurro o il grigio. Ma avrei solo voluto continuare a sondarli.
“Alcuni, temo, che nascondano la loro natura malvagia dietro una bella apparenza”, mormorò per risposta, ma la voce si era ammorbidita e così la pressione intorno al mio polso. Sollevò la mia mano sinistra e sorrise con aria soddisfatta nel notare l’assenza dell’anello che avrei indossato per gran parte dello spettacolo. “Allora le voci sono vere”, mormorò e un sorriso sfrontato gli increspò le labbra. Parlò con timbro ancora più roco. “Avete annullato il fidanzamento con quel faccino di porcellana”.
La battuta aveva una doppia valenza: in parte riprendeva le precedenti provocazioni sul matrimonio concordato soprattutto per ragioni economiche e sociali come era prassi quasi universale all’epoca; in parte voleva essere una crudele allusione sul colpo di scena nel quale si sarebbe scoperto che Lord Duncan fosse tutt’altro che un uomo per bene. Malgrado fosse umiliata, la giovane dama gli avrebbe rivolto nuovamente uno sguardo di puro disprezzo e di odio. “Lasciatemi subito”.
Lui mi sorrise per risposta e il suo sguardo parve ancora più intenso mentre, con incredibile delicatezza, mi carezzava il palmo della mano, fino a intrecciarne le dita con le mie. “Non prima che riprendiamo la nostra conversazione in sospeso”, sussurrò per risposta, soffiando letteralmente quelle parole sul mio volto.
Sentii il mio respiro accelerare rapidamente e cercai di sostenerne lo sguardo anche quando, con le dita della mano libera, mi sfiorò lo zigomo. Era sempre più difficile restare concentrata sulle mie battute, sulla situazione descritta da Lupin e sulle emozioni della protagonista, mentre l’unica cosa che mi sembrava naturale era abbandonarmi a quel contatto che mi stava strappando brividi caldi e freddi lungo la spina dorsale. La pelle del mio viso stava formicolando laddove il suo pollice si stava muovendo in senso circolare, i suoi occhi sembravano avvolgermi e non potei fare a meno di contemplarne le labbra carnose, domandandomi se fossero morbide come apparivano. “William”, ne mormorai il nome ma riconoscevo a stento la mia voce e, soprattutto, realizzai a quel lungo silenzio, non riuscivo a ricordare la mia battuta. Non avrei neppure saputo dire quando avessi mosso un ulteriore passo in avanti e gli avessi appoggiato la mano sulla camicia. Sentivo al di sotto il suo battito calmo e regolare. Mi specchiai nel suo sguardo per un lunghissimo istante, senza rendermi conto che si fosse fermato e che ancora ne stessi scrutando le labbra.
E stooop”, mormorò lui ma la sua voce parve distante anni luce da noi. 
Sbattei le palpebre a più riprese, mentre il viso si infiammava per il mero imbarazzo. “Oddio, scusa, mi spiace!”, esclamai, e mi affrettai a scostare la mano dal suo petto con il cuore in gola. Mi morsi il labbro e mi ravviai i capelli dal viso.
Bradley non pareva spazientito e neppure arrabbiato, ma lo vidi indietreggiare di un passo e osservarmi. Ciò non fece che accrescere il mio imbarazzo all’idea di come, per un folle attimo avessi quasi perso il controllo. “Non ti preoccupare”, mormorò in tono pacato. “Capita anche agli attori professionisti”, soggiunse con un sorriso, come a voler stemperare la tensione.
Dubitavo tuttavia che ciò accadesse perché, in maniera molto poco professionale, indugiavano a fantasticare sul loro partner di scena. Mi morsi il labbro, osservandolo di sottecchi e con non poca mortificazione all’idea che i miei pensieri così intimi gli si fossero palesati per la mia stupidità e inesperienza. “Scusami davvero, non vorrei farti perdere tempo”, aggiunsi in imbarazzo.  Senza contare che non sopportavo l’idea che pensasse che avrei approfittato di quelle sedute per avvicinarmi a lui in quel modo. Mi tornarono alla mente le parole di Mirtilla e non potei fare a meno di sentirmi ulteriormente umiliata all’idea che paragonasse il mio comportamento a quello di Pansy.
Bradley mi appoggiò una mano sulla spalla. “Non hai motivo di scusarti”, specificò in tono più deciso, guardandomi con le sopracciglia inarcate. “Le prove sono indispensabili a qualunque livello di esperienza: non tormentarti troppo”.
Scossi il capo, ancora arrabbiata con me stessa. “A questo punto dovrei essere in grado di mantenere la concentrazione per una scena intera”, mi rimproverai.
Lui mi sorrise più indulgente. “Sei sempre così severa con te stessa? Stavi andando bene. Molto bene”, precisò. Mi fece cenno di accomodarmi. “Esistono molte tecniche e occorrono anni e anni di studio e di pratica per imparare a calarsi perfettamente in un personaggio. Tu stai facendo enormi progressi in poco tempo, mettendoci anima e cuore e questo è palese per tutti: da Lupin che ti ha scelta al sottoscritto che è l’ultimo arrivato”, mi rassicurò con voce gentile.
Sospirai e mi domandai se, malgrado i suoi propositi, non stesse trattandomi con i guanti di velluto. “Tu e Tom lo fate sembrare così facile: è come respirare per voi”, convenni con un sorriso seppur non potessi certamente confrontare i nostri percorsi di studio.
Non sembrò particolarmente felice del paragone, ma inclinò il viso di un lato. “Posso assicurarti che nel mio caso si tratti di un raro e incommensurabile talento naturale”, rispose con un sorrisino piuttosto compiaciuto di sé e un barlume più complice nello sguardo. Vi era talvolta nel suo parlare una punta di vanità che, tutto sommato, non mi dispiaceva affatto. “Un dono supportato da anni e anni di studio e di pratica”, aggiunse più seriamente. “Quando dai vita a un personaggio devi sforzarti di entrare in sintonia con lui. Devi pensare al tuo corpo come a un contenitore vuoto: devono sparire i tuoi pensieri, le tue preoccupazioni e, in alcuni casi… le tue emozioni”, aggiunse.
Avrei potuto giurare che a quelle parole il suo sguardo avesse scintillato con una certa soddisfazione personale all’idea che fosse stato il mio trasporto per lui a farmi sbagliare.
Dovetti distogliere lo sguardo per non arrossire troppo. Avevo potuto facilmente appurare che non fosse Tom l’unico a minare la mia concentrazione, il che era piuttosto ironico, considerando che ci trovassimo lì proprio per quella difficoltà. Mi schiarii la gola. “Deve essere liberatorio dimenticarsi di se stessi per qualche ora”.
“E’ uno dei pochi lavori al mondo che ti consente di vivere centinaia di vite, in diverse epoche storiche e località del mondo. Puoi persino esplorare parti della tua personalità che non conoscevi”, mi rivelò e fu evidente dal baluginio del suo sguardo quanto amasse realmente quell’attività e come la ritenesse parte della sua identità. Non potevo che provare ammirazione e un pizzico di invidia per coloro che sembravano avere le idee così chiare sul loro futuro, tanto che il loro destino sembrava già segnato.  Inclinò il viso di un lato e parlò con voce più carezzevole: “Conosci la storia di Elisabeth, i suoi pensieri, le sue emozioni quasi più Lupin: interpretala per qualche ora e lasciala prendere vita così che tutti possiamo conoscerla e amarla attraverso te”.
Sperai che la sua passione potesse contagiarmi e gli sorrisi, dopo aver annuito con maggiore determinazione. “Ci proverò”, promisi.
“Allora concentrati e riproviamo dall’inizio”.
 
“Magnifico”, commentò Bradley alla fine dell’ennesima prova. “Lupin ha ragione: c’è soddisfazione con qualcuno che apprende così rapidamente”, mi lodò e non potei fare a meno di sorridere. “Credo che per oggi potremmo fermarci qui”, mi disse, dopo aver controllato l’orologio.
Non potei fare a meno di tirare un sospiro di sollievo: mantenere la concentrazione così a lungo era molto dispendioso a livello mentale. Si trattava comunque di una stanchezza piacevole e che donava un profondo senso di gratificazione: sentivo che, con i suoi suggerimenti e le sue imbeccate, avrei potuto migliorarmi molto da qui a Giugno.  “Grazie di tutto”, mormorai.
Si schermì con un sorriso, salvo controllare un calendario appoggiato sulla scrivania. Notai che vi erano scritti alcuni nomi degli studenti del corso di recitazione. “Che ne dici di mantenere questo giorno della settimana e questo orario?”.
Controllai la mia agenda sul cellulare, notando distrattamente delle notifiche e una telefonata persa di Morgana. “Non dovrei avere problemi con il pub, ma potrei confermartelo nel finesettimana?”. Gli orari di lavoro erano ancora piuttosto volubili a causa dell’ondata di influenza che aveva colpito alcuni dei miei colleghi.
“Ma certo”, mi sorrise, prendendo nota del mio nome con una matita. Si appoggiò alla scrivania e tornò ad osservarmi con il volto reclinato di un lato, mentre io indossavo il cappotto e recuperavo la mia borsa. “Posso chiederti se hai degli impegni per questa sera?”.
Avevo sentito il cuore tambureggiare nel petto più rapidamente e le guance infiammarsi nuovamente. La piacevole sensazione sfumò e non potei fare a meno di mordermi il labbro inferiore. “Sono di turno: ho promesso di sostituire una mia collega e siamo a corto di personale ultimamente”, spiegai in tono dispiaciuto.
“Capisco”, rispose e mi guardò pensierosamente.
Non potei fare a meno di chiedermi se non si fosse aspettato una risposta diversa e se non avesse avuto intenzione di propormi di passare insieme la serata. Le parole di Mirtilla e di Emma continuavano a tormentarmi come un brusio che non si riesce ad ignorare. Avrei voluto trovare un espediente per carpirgli la verità e cosa avesse pensato di quell’invito inaspettato. Ma non potevo farlo senza chiamare in causa quel pettegolezzo e non ero sicura che ciò gli avrebbe fatto una buona impressione. Inoltre, se non ne aveva parlato di sua iniziativa, poteva significare che fosse tutto falso. O che non lo ritenesse necessario per come stavano le cose al momento tra noi.
“Tu invece?”, gli domandai, cercando di mantenere un tono neutrale e pacato.
Inarcò le sopracciglia, ma sorrise. “In realtà sì”, replicò tranquillamente, appoggiando i palmi delle mani sulla scrivania e dondolandosi appena con il busto.
Sentii il mio cuore sprofondare. Dunque, Emma aveva ragione? Avrebbe frequentato soltanto persone al di fuori dell’Accademia? Aveva già conosciuto un’altra?
“Credo che mi impegnerò a finire di sistemare degli scatoloni: il mio appartamento è ancora nel caos e se non mi sbrigo, rischio che resti così fino a Giugno”, soggiunse ironicamente.
Non potei fare a meno di sorridere con un certo sollievo, anche se non potevo escludere del tutto l’ipotesi più spaventosa. In realtà era già abbastanza sorprendente che non avesse una fidanzata che lo avesse accompagnato. Scossi il capo come a rimproverarmi di quelle sciocche paranoie a cui, anche volendo, non potevo dare una risposta immediata. Non senza chiederle al diretto interessato. Cosa che ovviamente non avrei fatto. Non in quel momento.
“Allora buon lavoro”, gli augurai dopo aver visto l’ora con un sussulto. “Devo proprio scappare”.
Bradley mi aveva guardato curiosamente, come se avesse seguito il filo dei miei pensieri, ma aveva sorriso più dolcemente. “Anche a te”.
 
Tra le notifiche del cellulare vi era un messaggio di Morgana che mi invitava a telefonarle quando ne avessi avuto l’occasione. Lieta di potere avere “compagnia” nel tragitto verso la metropolitana e di sentire una voce amica, composi il numero. Rispose dopo un paio di squilli, con voce allegra e rilassata. Mi aveva già mandato diverse fotografie e non potevo che invidiare i meravigliosi paesaggi che avevano persino più valore, visto le leggende di cui erano intrisi.
“Come va?”, le domandai subito.
“Mai stata meglio. Piuttosto, come è andata la tua prima lezione con Bradley?”, domandò con voce assai suadente. Me la immaginavo ad attorcigliarsi il dito intorno ai boccoli, come quando era particolarmente rilassata o incuriosita.
Non potei fare a meno di sospirare e mordicchiarmi il labbro, valutando cosa dire. Avevo l’istinto di “selezionare” i contenuti leciti e quelli di cui sarebbe stato più opportuno parlare di persona. Curiosità e intuizioni di Morgana permettendo. “Abbastanza bene”, risposi cautamente.
Lei parve spiazzata, ma la sua voce aveva già assunto un’intonazione sospettosa. “Perché invece dal tuo tono di voce si direbbe il contrario?”.
“Ho fatto una figuraccia”, mi arresi subito, consapevole che mi avrebbe comunque estorto la verità.
La mia amica scelse di mostrarsi comprensiva, anche se non avevo dubbi che l’avrei fatta ridere non poco. “Sono sicura che non è andata così male, sentiamo”.
Cercai di raccontarle in modo sintetico, ma abbastanza esaustivo ed oggettivo della mia performance e di come mi fossi trovata a pochi centimetri dal suo volto. Probabilmente fu solo in nome del suo autocontrollo, del suo affetto e del fatto che non potesse guardarmi in faccia che si trattenne dallo sghignazzare. Si limitò a una risata squillante, prima di schiarirsi la gola. “Beh, almeno non ti potrà accusare di non essere in grado di… ehmmostrarti appassionata”.
“Non scherzare”, la pregai in tono contrito e con le guance rosse. “Volevo sotterrarmi, specie tutte le sue remore sul mantenere un atteggiamento professionale”.
Adoravo e invidiavo il modo in cui la mia amica riusciva a restare pragmatica, anche in quelle circostanze. “Dopotutto è stato lui a proporsi di aiutarti per quel genere di scene: professionale o meno, sei pur sempre umana e ti sei lasciata andare. E a differenza sua, tu non sei una professionista: è naturale che tu abbia più difficoltà degli altri a separare finzione e realtà”, rimarcò e mi bevvi quelle parole come se fossero un balsamo benefico. “Comunque dubito che se ne sia rammaricato, a dispetto dei suoi modi cavallereschi”, commentò con voce più maliziosa.  
Mi mordicchiai il labbro. “In realtà oggi l’atmosfera era un po’… strana”, cercai di spiegarle, anche se io stessa faticavo a capire la situazione e il mio stato d’animo. “A fine lezione, mi ha chiesto se avessi degli impegni per questa sera”, le dissi a mo’ di premessa prima di riferirgli a memoria le parole che aveva usato.
“Voleva invitarti a uscire, mi sembra chiaro”. Replicò prontamente, perplessa per la mia esitazione.
“Sì, l’ho pensato anche io e mi sarei morsa le mani per aver dato il cambio di turno ad Alicia. Ma comincio a domandarmi se volesse davvero invitarmi o se fosse solo una domanda di cortesia”.
La mia amica tacque per un lungo momento e la immaginai sollevare gli occhi al cielo. Rispose solo dopo che l’ebbi richiamata per sincerarmi che non fosse caduta la linea. “Hai battuto la testa nelle ultime 24 ore o sei solo in sindrome premestruale?”, mi domandò in tono più schietto e quasi di rimprovero per la mia presunta ingenuità.
Sbuffai e le raccontai anche di quanto era accaduto all’ora di pranzo, quando Emma e Mirtilla avevano intavolato quella conversazione che riguardava proprio Bradley e quel pettegolezzo sull’invito di Pansy Parkinson. A quel punto anche Morgana si lasciò sfuggire un’imprecazione e parve parecchio stizzita. “E casualmente ne stavano parlando davanti a te?”.
“Stai insinuando che sia tutta una macchinazione di Emma?!”, le domandai e l’idea mi fece sbarrare gli occhi. In verità non l’avevo mai vista in compagnia di Mirtilla fino a quel giorno stesso. Aveva senso che si fossero messe d’accordo? E per quanto la Parkinson fosse poco amata, potevano aver messo in giro quel pettegolezzo per pura cattiveria?
Ci mise qualche istante per riflettere.  “Emma non mi sembra il tipo che rischia in prima persona e apertamente. Non so nulla di questa Mirtilla e dovremmo indagare. Ma ritengo plausibile che la tua amica si sia accorta del tuo interesse per Bradley e abbia approfittato dell’occasione ghiotta. O magari ha pagato questa complice per diffondere la diceria, così da farti sapere la sua opinione che per inciso nessuno le ha chiesto”, continuò in tono parecchio stizzito. “Forse voleva solo intimidirti o indurti a parlarne con Bradley per farti fare una pessima figura o semplicemente per metterti in crisi”.
Ci riflettei qualche attimo. Ero davvero in presenza di una ragazza così machiavellica, subdola e indiretta? Il mio istinto sembrava suggerirmi di sì, soprattutto ripensando alla sua ultima visita al pub. Ma qualcosa non mi tornava. “Scusa ma non dovrebbe essere sollevata all’idea che io voglia Bradley e non Tom?”.
La mia amica sospirò. “Mi domando come farai a sopravvivere altri giorni senza di me. Immagino che tu non abbia chiesto spiegazioni a Bradley”.
Mi morsi il labbro. “Non mi sembrava il caso di chiederglielo esplicitamente”, risposi di riflesso per poi mettermi sulla difensiva. “Lo sai che non so manipolare i ragazzi e flirtare per farmi rivelare le cose”. 
“Dovrei insegnartelo in effetti”, convenne tra sé e sé in tono compiaciuto, prima di farsi seria. “Bradley mi sembra una persona adulta e rispettosa: sarebbe plausibile e coerente con il suo carattere scoraggiare le avances di Pansy in modo garbato ma deciso. Sono sicura che adotterebbe nuovamente lo stesso atteggiamento se qualcun’altra prenotasse delle lezioni con lui con il solo scopo di saltargli addosso”, parlò con la tipica sicurezza. “Anche se a quello ci stavi già pensando tu”, aggiunse con voce più maliziosa.
“MORGANA!”, strillai con le guance arrossate per la vergogna.
“Scusa, non ho saputo resistere”, ammise ridacchiando, per poi riprendere. “Scherzi a parte, venendo al suo atteggiamento e lasciando perdere pettegolezzi non confermati… cerca di capire la sua posizione. Anche se vorrebbe invitarti ad uscire alla prima occasione utile, sa di dover agire con molta prudenza, soprattutto perché, scusa se te lo dico, ancora non ha ben chiara la situazione tra te e Tom. Senza contare tutte le polemiche che ci sono state quando Lupin ti ha scelta per lo spettacolo: prova a immaginare cosa accadrebbe se cominciaste a frequentarvi e la cosa diventasse di dominio pubblico. Si creerebbe un clima di lavoro tutt’altro che collaborativo ed entrambi sareste sottoposti a una tremenda pressione che probabilmente comprometterebbe la vostra storia in partenza. È naturale che agisca in modo molto cauto e con il piede sul freno”.
Boccheggiai e per qualche istante processai quelle parole. Mi resi conto che non solo erano ragionevoli e fondate, ma mi domandai come avessi potuto essere così sciocca dal non pensarci da sola. Lo stesso Bradley, in modo più velato, mi aveva fatto capire che fosse importante apparire distaccato. Evidentemente non pensava solo al suo ruolo di Assistente ma anche a ciò che avrebbe significato per me.  Mi morsi il labbro.  “Ma Silente gli ha fatto questa proposta a Dicembre ed è stato il primo a parlare di colpi di fulmine”.
“Quell’uomo è adorabile, ma francamente ha un senso dell’etica abbastanza personale”, mi fece notare Morgana onestamente. “Dubito che persino lui potrebbe approvarvi pubblicamente se sbandieraste la vostra relazione prima dello spettacolo”.
“Quindi… dovrei restare in sospeso per i prossimi quattro mesi?”, domandai in tono sgomento.
La mia amica sospirò. “Ascolta, io stessa, Amy e metà dei vostri colleghi abbiamo assistito al suo arrivo da gentleman e alle sue frasi d’effetto, quindi non dovresti dubitare di lui. Ma in tutta onestà penso che sia un bene che, a prescindere dallo spettacolo, prendiate le cose con calma. Molta calma”.
Mi fermai in mezzo alla strada per lo shock. “Cosa?!”, le domandai con voce strozzata.
“Lo so!”, replicò Morgana rapidamente, prima che potessi interromperla. “Lo so che io per prima ti ho incoraggiata a non abbandonare le speranze con lui. E continuerei a spronarti a fare una mossa verso di lui se non fosse uno pseudo insegnante. E poi, beh…”.
“Poi?”, la incoraggiai con un sospiro, avendo la sensazione che stesse per pronunciare parole che non avrei particolarmente gradito.
“Sia chiaro che non è una critica perché ti conosco da una vita e adoro questo di te: ma tu tendi a idealizzare l’amore e le persone”, disse in tono gentile ma non meno doloroso. “So che Bradley, soprattutto se paragonato a Tom, ha le sembianze da Principe Azzurro e tutto il resto, ma non vorrei che restassi delusa e ti creassi delle aspettative irrealistiche sul suo conto”.
Sentii la gola secca, ma mi sforzai di replicare. “So che è umano e che ha dei difetti, solo che ancora è presto per notarli”, replicai con le guance arrossate perché aveva fatto leva sul mio lato più fragile e sul sogno di un amore che avevo atteso tanto a lungo.
Sembrò scegliere con cautela le parole da rivolgermi, evidentemente timorosa di farmi stare ulteriormente male. “Potresti perdere facilmente la testa per lui ed essere poco lucida”.
Sapevo che si stava comportando da vera amica quale era sempre stata, ma ciò non mi impedì di provare una punta di fastidio. “Scusa ma non dicevate sempre tutte che avrei dovuto uscire di più, fare qualche follia, divertirmi?”, le domandai in tono più aspro di quanto avessi voluto.
La sua voce apparve più stanca e ansiosa. “E’ dei tuoi sentimenti che mi preoccupo. Non fraintendermi: Bradley mi ha fatto un’ottima impressione e non fatico a capire perché ti sia piaciuto subito, ma non voglio che tu perda il contatto con la realtà. Avete dei mesi prima dello spettacolo: ci sarà tutto il tempo di conoscervi meglio e capire se si tratta solo di attrazione o se c’è qualcosa di più”, mi disse in tono ragionevole e pacato. “Credimi, in quel caso accadrà in modo naturale e spontaneo. Non voglio che tu ti lasci andare all’istinto e poi ti penta di non aver voluto attendere, capisci?”.
Presi un profondo respiro, stringendo i manici della borsa, come se sentissi il bisogno di restare aggrappata alla realtà. Benché non potessi che concordare con molte delle cose che aveva detto ed essere grata della sua sincerità, al contempo non potevo che sentirmi punta nel vivo. Una parte di me, di cui non andavo per nulla fiera, non poteva fare a meno di pensare che per lei fosse fin troppo semplice parlare in quel modo e consigliarmi di attendere ancora. Per quanto mi volesse bene, pensai, lei non poteva capire del tutto. Lei era sempre stata “venerata” dai ragazzi e non rischiava di dare il primo bacio su un palcoscenico o per finta. O di passare l’ennesimo e stupido San Valentino da single o con una scatola di cioccolatini regalata da un insegnante per consolazione.
“Sei ancora lì?”, mi domandò Morgana, notando il mio silenzio prolungato.
Presi un bel respiro, cercando di ricacciare le lacrime di rabbia e di frustrazione. “Sì”, risposi in un bisbiglio e maledissi quell’improvvisa amarezza. “So che lo dici per il mio bene”, mi sentii dire con voce più soffocata.
Parve a sua volta amareggiata. “So che non è facile sentirselo dire e non voglio guastarti la festa, ma voglio che la tua prima esperienza sia speciale come meriti”.
“Lo so”, mormorai per risposta e il mio risentimento si attenuò per la sincerità nella sua voce.
“Ora non ti angosciare”, mi incoraggiò in tono più ciarliero. “L’ho osservato e te lo assicuro: gli piaci molto e sono certa che stia cercando il modo di dimostrarti che ti merita. Dagli il tempo di lucidare l’armatura. E ti prego di non cogliere metafore sessuali”, soggiunse, strappandomi una risata, malgrado tutto. “Ti passo Sean, vuole salutarti anche lui”.
“Non ho idea di cosa stiate complottando[13]”, sentii la sua voce calda e affettuosa che, come sempre, riuscì a farmi sentire subito meglio. “Ma ci tenevo a dirti che, da parte mia, faccio il tifo per te e Bradley. L’ho già detto che mi piace quel ragazzo?”.
Non potei fare a meno di ridacchiare. “Almeno una dozzina di volte e sono certa che questo non abbia nulla a che vedere con Tom. Ma ti ringrazio, lo apprezzo molto”.
“Ma sappia che se non si comportasse bene, dovrò trattenere Morgana dallo spaccargli la faccia”, mi fece presente in tono guardingo.
“Buona fortuna per questo”, replicai di riflesso.
“Anche perché il primo a spezzargli le ossa sarebbe il sottoscritto. Una per una”, soggiunse in tono eloquente che mi strappò un sorriso. Sean riusciva a commuovermi persino in una finta minaccia nei confronti di un potenziale corteggiatore.
“Grazie Sean”, mormorai dopo aver ritrovato un po’ di serenità. “Ma adesso pensate voi a trascorrere un buon San Valentino”.
“E tu cerca di non saltare addosso a Rankin”, mi rispose Morgana con voce ridente. La immaginai accanto a Sean e la mia voce diffusa con il vivavoce. “Ma se Amy ci prova con Riddle fai un filmino e mandamelo!”.
“Considerati mandata a quel paese da parte di entrambe”, risposi ridacchiando e scuotendo il capo.
Mi congedai, riposi il cellulare nella borsa dopo una breve telefonata a casa e raggiunsi la fermata della metropolitana. Neppure prestai attenzione al breve tragitto perché non potevo fare a meno di rimuginare sulle parole di Morgana e su quegli scrupoli che mi si erano annidati nello stomaco. Sollevai gli occhi al cielo di fronte alle pubbliche svenevolezze tra fidanzatini e uscii alla mia fermata, augurandomi caldamente che Rankin non avesse proposto a Riddle di riempire il pub di cuoricini e altre decorazioni simili. Se non altro il pensiero della possibile reazione del mio principale riuscì a farmi ridere.
 
~
Basta Sara, mi rimproverai per l’ennesima volta, basta pensare a Bradley per oggi. Se non altro quella sera sarei stata così stanca che mi sarei addormentata non appena avessi toccato letto. Spazzolai i capelli energicamente ma notai che quel giorno sembravano più ribelli del solito e sospirai. Forse avrei dovuto decidermi a trovare un parrucchiere per correggere il taglio. Li legai in una crocchia e appuntai le ciocche ribelle con delle forcine, mentre Susan entrava. Mi salutò con voce stremata e si stese sul divanetto come se fosse in procinto di svenire. “Brutta giornata?”, le domandai incuriosita.
Sbuffò con aria polemica. “Tutta colpa di Miss Accademia!”, mi confidò con le sopracciglia aggrottate.
“Parli di Emma?”, le domandai in tono angosciato. L’ultima cosa di cui avevo bisogno era di ritrovarmela al lavoro. Sperai con tutto il cuore che lei e Tom avessero organizzato altri piani e possibilmente in un’altra parte della città per quella sera.
“E chi altro? È venuta prima insieme alla sua amica rossa”, rispose stancamente, prima di rimettersi seduta e assumere un’espressione snob, lisciandosi i capelli, evidentemente pronta a imitarla. “Gentilmente, mi porteresti un altro spicchio di limone per il mio the? Gentilmente, mi porteresti una bottiglietta d’acqua a temperatura ambiente? Gentilmente, potreste portare altro zucchero, questo cestino è vuoto! Gentilmente, mi porteresti il menù dei dolci? Gentilmente, potrei sapere se manca tanto alla mia crème brûlée?”.
Scossi il capo e non potei che sorriderle con aria solidale: personalmente ritenevo che l’aspetto più snervante fosse l’utilizzo di quell’avverbio che sembrava voler denotare una certa premura, anche se la persona che li utilizzava appariva, in questo caso, impaziente e spocchiosa. “Mi spiace che questa volta sia toccata a te”, mormorai in tono solidale.
“A me non è affatto dispiaciuto usare la tattica Amy”, mi confidò con una strizzatina d’occhi.
Per lo shock mi cadde una molletta di mano. “Non mi dirai che hai-?”.
“Sì. Molto gentilmente”, mi rispose e lo sguardo le brillò.
La guardai incredula, boccheggiai e scoppiai a ridere.  
 
“Guarda, guarda: la tua amica è appena entrata”, aveva mormorato Amy, alludendo all’ingresso.
Avevo sollevato lo sguardo dal bancone che stavo lucidando, quando vidi entrare Emma. Anche se era un sollievo constatare che fosse sola, non potei fare a meno di sospirare.
“La servo io: non preoccuparti”, si era offerta con un sorriso.
“Amy, ti prego, non puoi farle capire che ti spifferato tutto su Daniel e Bonnie”. L’ultima cosa di cui avevo bisogno era alimentare altre tensioni con la ragazza in questione. Soprattutto dopo il mio ennesimo alterco con Tom.
“Non lo farei mai”, mi rassicurò con calore. “Davvero, la servo io: tu vai a sparecchiare i tavoli”.
“Sei sicura?”.
“Sicurissima, fila prima che ti faccia un altro interrogatorio”, mi suggerì con un occhiolino.
“Allora grazie, ti devo un grande favore”, mormorai in tono realmente sollevato.
“Ciao Sarah”, mi aveva salutata Emma con voce tintinnante.
“Ciao Emma”, la salutai.
La vidi dirigersi verso il bancone per effettuare il suo ordine. Non potei fare a meno di notare che, al suo arrivo, un ragazzo aveva letteralmente sospirato. Sembrava riuscire a stento a toglierle gli occhi di dosso. Non si era neppure accorto che stava sbriciolando il suo sandwich sopra una macchina fotografica costosa. Scossi il capo tra me e me e cominciai a pulire i tavoli vuoti.
“Posso sedermi?”, domandò Emma, alludendo al tavolo che avevo appena liberato dalle tazze. Mi premunii di strofinare la superficie con un panno umido, prima di annuire. “Prego”.
“Gentilissima”, cinguettò e prese posto.
“Ciao Emma”, la salutò il ragazzo con voce quasi sognante.
Sollevò lo sguardo e inarcò le sopracciglia prima di mettere a fuoco il volto del giovane in questione. Sembrò impiegare qualche secondo per capire di chi si trattasse. “Oh, ciao Canon[14]”, lo salutò distrattamente ma evidentemente non era in vena di chiacchiere perché si concentrò sul suo cellulare. Il catino dei piatti che stavo usando era quasi pieno, quando Emma si rimise in piedi. “Io ho finito, se vuoi sparecchiare anche questo tavolo”.
“Grazie”, mormorai per risposta e presi la tazza e il piattino che mi stava porgendo.
“Ringrazia la tua amica da parte mia”, sorrise con voce tintinnante. “Senza offesa, ma questo è il miglior caffè che abbia mai assaggiato qui dentro”.
“Riferirò”, le promisi con le sopracciglia inarcate. Attesi che fosse uscita prima di affrettarmi a raggiungere Amy che stava sorridendo con aria melliflua.
“Emma ti ha fatto i complimenti per il caffè: dice che è il migliore che abbia mai assaggiato qui dentro”, ripetei le testuali parole e lei quasi rischiò di far cadere il bicchiere che stava sciacquando a causa di un moto di ilarità.
“Ho usato un ingrediente segreto”, mi rivelò e notai che le tremavano le labbra, come se stesse sforzandosi di non scoppiare a ridere platealmente.
“Che sarebbe?”, le domandai perplessa.
Il mio sputo”, rispose con voce flautata e leggermente più acuta del solito.
Boccheggiai e sgranai gli occhi. “Stai scherzando, vero?”.
“No”, rispose in tono fin troppo serio.
Ci guardammo per qualche secondo e dovemmo entrambe coprirci la bocca per non ridere sguaiatamente, seppur fossimo entrambe percosse dai tremiti. Io piansi così tanto da correre il rischio di farmi uscire le lenti a contatto. Le cose non migliorarono di certo quando Percy si avvicinò al bancone, con le mani sui fianchi e lo sguardo severo: “Si può sapere cosa c’è da ridere?! Non si ride in servizio!”.
 
“Grazie, Susan, ne avevo davvero bisogno”, mormorai quando fui in grado di parlare nuovamente. Dovetti asciugarmi gli occhi anche in quell’occasione.  
È stato un piacere”, rispose lei, decisamente tornata di buon umore. “E in bocca al lupo per stasera: ho sentito che ci sarà il pienone e Rankin è già isterico perché siamo in ritardo con la preparazione delle tovaglie”.
Sospirai e mi affrettai a uscire dallo spogliatoio, dopo averle augurato una buona serata. L’ilarità si spense molto presto perché, come mi aveva preannunciato, quella sera avevamo il pienone tra le sale pubbliche e il salone privato.
“Ciao”, salutai Amy. “A quanto pare Susan ha adottato la tua tattica con Emma”, le raccontai nella nostra lingua madre.
La mia amica parve presa alla sprovvista dal mio arrivo e rise al riferimento ma in modo quasi forzato, prima di guardarmi ansiosamente. “Non sapevo che fossi di turno stasera”.
“Non te l’avevo detto?”, domandai distrattamente, mentre l’aiutavo a piegare i tovaglioli. “Alicia mi ha supplicato di fare cambio di turno perché doveva uscire con il suo ragazzo”.
“Quindi niente appuntamento con Bradley per San Valentino?”, continuò Amy, guardandomi quasi apprensivamente.
“Lascia perdere”, mormorai con un sospiro. “Ma te ne parlerò con più calma: Katie mi ha detto che abbiamo una prenotazione nel saloon. Ce ne occupiamo noi due?”, proposi con un sorriso. Inarcai le sopracciglia nel notare che appariva pallida. “Ma ti senti poco bene? Non avrai fatto qualche altro sogno strano, vero?”, aggiunsi ridacchiando tra me e me.
 
“Dobbiamo riferire a Riddle il messaggio del contabile”, mi aveva detto Amy, dopo aver preso nota della telefonata a cui aveva risposto lei con il cordless.
“E’ nel suo ufficio: approfittane adesso che non c’è il pienone”, avevo risposto distrattamente mentre ordinavo le bottiglie sugli scaffali.
“Puoi andarci tu?”, mi aveva domandato con una nota di supplica nella voce.
Avevo inarcato le sopracciglia per quell’atteggiamento schivo. “Pensavo avessi superato l’imbarazzo per l’equivoco della foto”, avevo aggiunto in un sussurro.
Aveva sollevato la mano per intimarmi di non menzionare più l’accaduto, prima di continuare in un sussurro. “Prima di tutto: una cosa del genere non si supera e l’unica consolazione è che il prossimo mese non lavorerò più qui. In secondo luogo… mi devi giurare sulla tomba di Bradley che se ti confido questa cosa non la racconterai a nessuno, soprattutto a Morgana. E neppure a tua sorella!”.
Se già il riferimento macabro alla sepoltura del ragazzo mi aveva fatto inarcare le sopracciglia, doveva essere davvero grave se era proibito a raccontarlo a mia sorella che la conosceva solo attraverso i miei racconti. “Devo sedermi per caso?”
Aveva pronunciato le parole successive rapidamente, come se avesse fretta di spurgarsi di quel pensiero. “Da qualche notte, faccio qualche sogno erotico”, confessò dopo aver tossicchiato per coprire il più possibile quell’aggettivo, nonostante nessun altro potesse capire la nostra lingua. “Con Riddle”, aveva aggiunto.
“Oddio”, avevo commentato, non sapendo se ridere o inquietarmi.
“La versione giovane!”, si era affrettata a precisare.
“Oh, meno male”, avevo replicato, portandomi una mano al cuore.
“Solo che… mentre siamo sul più bello… si trasforma in quel Signor Riddle”, alluse alla porta dell’ufficio.
Non riuscii a sentire altro dei suoi tentativi di schermirsi e di sminuire il tutto, perché cominciai a ridere così intensamente da dovermi allontanare, neppure sentendo la metà delle sue imprecazioni e dei suoi insulti. Non riuscii a guardarla in viso senza sghignazzare fino alla fine del mio turno, ma per farmi perdonare riferii di persona il messaggio a Riddle.
 
Lei scosse il capo bruscamente alla mia domanda. “Torno subito, ce la fai a finire da sola?”. Neppure attese la mia risposta perché uscì dalla stanza, lasciandomi da sola con una cinquantina di tovaglioli da piegare e disporre. La seguii con lo sguardo e con espressione sconcertata e interdetta[15].
 
Dall’arrivo della comitiva numerosa non ebbi più modo di pensare allo strano comportamento di Amy perché ero completamente assorbita dal lavoro: eravamo io, Percy e Katie a servirli e, come di consueto, ci eravamo divisi gli altri coperti dell’area pubblica. I giovani che avevano prenotato nella saletta privata erano una decina in tutto, la maggioranza maschi ma non ci volle molto tempo per comprendere il motivo del fastidio di Katie. Non solo alcuni di loro l’avevano squadrata in modo piuttosto licenzioso ma, con mia grande sorpresa, mi ero resa conto dall’accento che si trattava di italiani. Effettuavano le ordinazioni e ci rivolgevano domande in tono accattivante e con lo stesso sorrisetto sfrontato di persone alla Cormac McLaggen, convinte di trasudare sex-appeal da ogni poro. Dopodiché accompagnavano l’uscita di uno dei camerieri commentando tra loro nella mia lingua madre anche in modo volgare, sghignazzando alle spalle del personale e approfittando del fatto che nessuno potesse comprendere le loro parole. Avevo osservato quei ragazzi, più o meno miei coetanei con una smorfia disgustata: avevano tutti un fisico atletico, probabilmente praticavano insieme qualche sport. Delle ragazze mi colpirono in modo particolare due di loro, a causa delle loro risate sguaiate nel coronare ogni battuta pronunciata dai loro amici. La prima sembrava uno strano incrocio tra una geisha e Morticia Addams a causa dei capelli scurissimi, il fondotinta chiaro che creava un contrasto fortissimo e la peculiarità con cui aveva sottolineato le ciglia con il rimmel e allungato la forma degli occhi con la matita abbinata. L’altra indossava un abito striminzito di una tonalità verde acqua che metteva generosamente in risalto le morbidezze del suo corpo come se fosse ben lieta di metterle in mostra, dandomi persino l’impressione che avesse scelto una misura troppo piccola e affatto contenitiva. Indossava vistosa bigiotteria a completare l’abito e aveva unghie finte e smaltate della stessa tonalità. La presenza di Katie fu accolta con sorrisi apparentemente innocenti ma non mi sfuggì un commento bisbigliato dal ragazzo a capotavola, che sembrava il leader del gruppetto, circa le sue “bocce sode[16]”, mentre lei raccoglieva le sue ordinazioni. Dovevano già aver visto anche Percy in altre occasioni perché la sua distribuzione dei menù fu accompagnata da un gesto con cui le ragazze si tappavano la bocca per cercare di non ridergli in faccia. La loro ilarità trovò il suo sfogo quando il mio collega si fu allontanato. “Chi glielo chiede se si può fumare qui dentro?”, domandò la ragazza dal vestito verde. Il ragazzo a capotavola trasse in fuori il petto in un atteggiamento che ricordava effettivamente Rankin e si fece prestare un paio di occhiali dal ragazzo al suo fianco e li inforcò. Sollevò il dito indice e con voce stridula e artefatta recitò: “Sono spiacente, signori, ma secondo le nostre leggi non è possibile fumare nei locali pubblici. E questo pub non fa differenza! Se non avete altre domande sciocche che mi facciano perdere tempo, torno al mio lavoro. Buon appetito”.  A quell’imitazione crudele ma perfetta le ragazze presero a ridere. Una delle due emettendo un suono simile al grugnito di un maiale. Persino nell’area pubblica alcuni clienti si volsero in quella direzione. Avrei voluto smascherarli subito, ma il mio istinto mi aveva suggerito di lasciar correre per il momento e sincerarsi che i loro commenti non fossero di un’entità così grave da costringermi a fare rapporto. Era stato evidente dall’atteggiamento di Madama Bumb che, seppur non li gradisse personalmente, si trattava di un introito economico a cui non voleva rinunciare.
Fu con un sospiro che presi dalla cucina il vassoio con delle portate dirette a quel tavolo e cercai di restare impassibile quando sentii i loro occhi addosso. Evidentemente dovevano trovare qualcosa da ridire su ogni addetto del locale, come se fossimo il loro intrattenimento personale. I ragazzi mi rivolsero sorrisi fintamente educati, ringraziandomi quando posavo loro di fronte il piatto. La ragazza dal vestito verde mi chiese di cambiarle la forchetta che, a suo dire, non sembrava pulita. Dovetti ricorrere al mio autocontrollo per non sindacare al riguardo, vista la scrupolosità di Riddle in ogni ambito della ristorazione, non in ultimo quello igienico. Mi limitai a prendere la posata e a rassicurarla che sarei subito tornata da lei.
“Visto che fianchi quella?”, sentii dire da un ragazzo con la voce nasale.
“Non male. Preferisco la moretta che è più soda, ma potrei farci un pensierino”, commentò il leader.
Sollevai gli occhi al cielo, imponendomi di ignorarli e mi affrettai a dirigermi verso la postazione delle posate. Notai che anche Madama Bumb sembrava irrequieta e ogni volta che uscivo dal saloon mi osservava per sincerarsi che andasse tutto bene.
“La sua forchetta”, mormorai in direzione della ragazza, sperando che il mio accento non mi tradisse ma sembravano così presi dai loro schiamazzi da non farci caso.
“Grazie”, rispose la ragazza e la prese senza neppure rivolgermi lo sguardo, ma studiando l’oggetto con aria clinica, quasi temesse l’avvelenamento.
Lieta di avere l’occasione di allontanarmi, mi mossi verso l’uscita, ma non potei fare a meno di sentire altri commenti.
“Hai visto Diego? Manca la tua amica stasera!”, commentò il leader del gruppetto.
“Ieri sera c’era una bella biondina infatti. Starà lavorando nell’altra sala?”.
“Non quella! Quella coi capelli corti”, precisò il ragazzo dalla voce nasale, ridendo.
“Ah, la lesbicona? Sarà amica tua, stronzo”.
“Saprei proprio io come farle tornare normali!”.
“Ma che schifo! Neppure se si coprisse la faccia con un cuscino!”.
“Ve l’avevo detto che dovevamo cenare da un’altra parte. Non mi piace questa bettola”, soggiunse la ragazza che somigliava a una geisha.
“Ha ragione, fanno lavorare proprio tutti, ma non c’è da sorprendersi se il capo dello staff è la maitresse delle lesbiche”.
“Per non parlare di quel coglione del suo cagnolino: con i pantaloni così stretti non mi meraviglia che gli sia seccato l’uccello”, commentò sprezzante il leader, facendo un’ulteriore imitazione di Percy con voce fin troppo stridula, quasi in falsetto.
Sentii il sangue salirmi al cervello e mi tremarono le mani per la rabbia.  Adesso era tutto evidente: Amy era stata in servizio fino alla chiusura la sera precedente e non avevo capito che il suo stato d’animo non fosse legato solo alla stanchezza, ma ai commenti offensivi di quei miserabili. Evidentemente aveva preferito tacere e ignorare la questione, ma non aveva previsto che io stessa sarei stata in servizio quella sera e la sua strana reazione appariva molto più sensata. Uscii dalla sala e la cercai con lo sguardo, approfittando del fatto che Madama Bumb non fosse nei paraggi.
“Hai visto Amy?”, chiesi a Katie che aveva raccolto le ordinazioni da un altro tavolo.
 “Scommetto che non vuole lavorare ai tavoli perché c’è Daniel stasera”, si intromise Percy con aria da saputello.
Sbattei le palpebre con aria perplessa: neppure mi ero accorta dell’arrivo di Daniel, Rupert e dei gemelli che evidentemente stavano festeggiando un “San Valentino alternativo” tra loro, ma non potei che rivolgere a Percy uno sguardo impaziente. “Ma cosa dici?!”, lo apostrofai irritata. “Se Amy stessa gli ha detto che può venire quando vuole. Senza contare che lei per prima si offre di servirlo, non parlare di sproposito!”. Mi resi conto che stavo sfogando su di lui gran parte della frustrazione causata dai miei connazionali, ma fin troppe volte meritava un rimprovero per i suoi modi insopportabili.
Lui tirò in fuori il petto e sollevò la mano in un atteggiamento severo.  “Non ti permetto di rivolgerti a me in questo modo, sei l’ultima arrivata per giunta!”, commentò con voce quasi stridula.
“Veramente è Coulson l’ultimo arrivato”, lo corresse Katie cercando di non ridere.
Dettagli!”, continuò Percy fulminandola con lo sguardo, prima di tornare a sgridare la sottoscritta. “Non ti permettere mai più, altrimenti-”.
“Katie, per favore, l’hai vista?”, mi rivolsi alla collega con impazienza.
Sembrò interdetta dal mio comportamento, ma sollevò le spalle. “In magazzino a fare l’inventario”.
L’inventario era una delle “piaghe” del nostro lavoro e il fatto che la mia amica lo preferisse al servizio serale era piuttosto eloquente della gravità del suo stato d’animo.
“Che succede?”, mi incalzò, notando il mio sguardo fosco.
“Devo chiederle una cosa importante, grazie”.
Percy, oltraggiato perché lo avevo ignorato, mi rivolse un’altra occhiata arcigna: “Ma ti sembra il momento? Se non l’avessi notato abbiamo il pienone stasera!”, gesticolò nell’indicare la sala.
Quasi mi era passato il dispiacere per gli insulti di cui lui stesso era vittima inconsapevole. Fortunatamente la porta dell’ufficio di Riddle era chiusa e la superai per dirigermi nel magazzino in cui non ero mai entrata se non nel primo giro di perlustrazione del pub. Sembrava un labirinto di scaffali dedicati alle bibite, agli alcolici, ai filtri di caffè, di the, di cioccolata, alle bottiglie d’acqua, fino ai contenitori di fazzoletti e di utensili di uso quotidiano. Mi trovai di fronte Eoin e Santiago[17] che stavano spostando scatoloni di bibite.
“Ciao ragazzi”, li salutai. “Potete dirmi dov’è Amy?”.
“Quanto traffico stasera”, commentò Santiago con aria incuriosita.
“Dev’essere il tuo nuovo taglio di capelli”, ammiccò Eoin per poi indicarmi la direzione giusta.
La mia amica stava scrupolosamente spuntando una lista su un portablocco e la sentii fare i calcoli delle bibite di rhum disposte sul ripiano di fronte a lei. Al mio arrivo si interruppe e sospirò.
Era inutile girarci intorno, quindi mi avvicinai a lei con un sospiro e parlai in un sussurro, seppur nessuno potesse sentirci. “Non vuoi lavorare in sala per non dover stare nella stessa stanza con quegli stronzi vigliacchi, vero? E non volevi che io lo scoprissi”.
La mia amica si irrigidì, segno evidente che avevo colpito nel segno. “Dovevi proprio lavorare in sala stasera, vero?”, mi domandò. Avrei giurato che non fosse arrabbiata con me, ma piuttosto frustrata perché sarebbe stata costretta ad affrontare quella discussione con me.  
“Se ti hanno offesa, possiamo andare a parlarne insieme al Signor Riddle e sono sicura che prenderà dei provvedimenti”.
“No!”, rispose Amy ferocemente, gli occhi sgranati e le mani tremanti. “Tu mi fai il sacrosanto piacere di tenere la bocca chiusa o chiedi a qualcuno di sostituirti!”, mi intimò con voce acuta.
Sgranai gli occhi per la sorpresa. “E dovremmo lasciar correre?”.
“Che cosa cambierebbe?”, mi domandò in tono quasi esasperato, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. “Oggi sono loro, domani potrebbe essere qualcun altro”, commentò amaramente.
“Non fare nulla sicuramente non cambierà le cose”, le feci notare pacatamente.
“Tu lo sai che cosa si prova a essere giudicati per il proprio aspetto?”, mi domandò in tono aspro ma con voce più tremula. Era evidente che, seppur in modo e in contesti diversi, quella situazione stesse risvegliando i suoi ricordi più dolorosi. Il passato le aveva lasciato delle ferite che non si erano mai cicatrizzate del tutto.
Sospirai.  “Sicuramente non posso capirti fino in fondo, ma penso che dovremmo parlare a Riddle”, cercai di convincerla.
“No, Sara, fammi il piacere e fai finta di nulla!”, mi rimbeccò in tono autoritario, per poi guardarmi con espressione quasi disperata. “Se lo scoprissero gli altri…”.
“Madama Bumb, presto, stanno litigando di nuovo!”, sentimmo l’eco della voce di Percy.
“Complimenti!”, borbottò Amy in mia direzione, alludendo alle voci che si avvicinavano, portandosi le mani ai capelli. Sembrava trattenersi a stento dall’urlare per l’esasperazione.
Maledetto Percy, pensai seccata. Mi sentivo come se mi fossi appena intrappolata da sola e la cosa peggiore era che non potevamo far altro che attendere l’inevitabile. Madama Bumb entrò e guardò dall’una all’altra con le mani sui fianchi e lo sguardo arcigno. Ma la cosa peggiore era osservare l’espressione compiaciuta di Rankin alle sue spalle. “Allora?”, ci abbaiò contro. “Abbiamo il personale ridotto, un locale pieno e voi vi mettete nuovamente a litigare? Durante il servizio?”, ci domandò con gli occhi quasi fuori dalle orbite.
“No, signora, assolutamente no: è stato solo un malinteso”, spiegò la mia amica in tono calmo.
La donna cercò il mio sguardo e mi affrettai ad annuire. “Non avevo più visto Amy e mi ero preoccupata, così sono venuta a controllare”.
“Proprio così, signora”, intervenne Santiago con il suo adorabile accento spagnolo[18], portando una scatola di bibite che lasciò sul pavimento. “Io capisco un po’ di italiano anche se non lo parlo bene: non stavano affatto litigando. Era una conversazione tranquilla”, la rassicurò con un sorriso garbato.
Madama Bumb ci guardò tutti e tre per un altro interminabile attimo, prima di fare un brusco cenno di assenso. “Allora tornate subito al lavoro”. Rankin sembrò in procinto di aggiungere qualcosa ma lei gli indicò l’uscita come a un cane disobbediente. “Tutti quanti!”.
Promisi a Santiago ed Eoin di offrire loro una birra e mi affrettai ad uscire. Notai dei nuovi clienti nel mio settore e mi diressi in quella direzione, cercando di svuotare la mente, ma sussultai quando mi sentii premere una mano sulla schiena. Incontrai nuovamente lo sguardo della direttrice di sala. “Si occuperà Dean Thomas di quei clienti, tu vieni con me nell’ufficio del Signor Riddle”.
“Ma i-io…”, balbettai terrorizzata all’idea che non ci avesse creduto e che questa volta sarei stata davvero licenziata.
“Non qui”, mi rispose in tono così serio che non potei che sospirare ma seguirla. Cercai di ignorare lo sguardo tronfio di Percy e mi diressi ancora una volta nell’ufficio fin troppo familiare del mio datore di lavoro. Con mia grande sorpresa notai che lui sembrava aver atteso il nostro arrivo in piedi, di fronte alla teca di Nagini che stava sonnecchiando pigramente. “Si sieda”, mi disse e indicò la sedia di fronte alla scrivania, prima di chiudersi l’uscio alle spalle.
Rimasero entrambi in piedi, facendo alimentare il mio livello di stress e di ansia, mentre guardavo dall’uno all’altra e mi mordevo il labbro. “Signore, le giuro che non stavamo litigando!”, mormorai con voce strozzata. “Anzi, ero andata in magazzino per sincerarmi che stesse bene”.
“Perché doveva assicurarsene?”, mi domandò Riddle dopo avermi scrutato attentamente, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni. “Aveva qualche motivo per temere che la sua amica nonché connazionale non stesse bene?”.
Mi morsi il labbro, maledicendomi per essermi tradita in modo così sciocco e avendo la sensazione che mi leggesse il pensiero. “Credevo che sarebbe stata in servizio con me questa sera: avevo paura che si fosse sentita male. È molto stanca e stressata ultimamente”, risposi cautamente.
Riddle sospirò. “Si rilassi. Non sta per essere licenziata e può parlare sinceramente con noi. Abbiamo pensato di convocarla perché anche noi vorremmo capire che cosa le sta succedendo”.
“Non è che solitamente vi offriate volontari per l’inventario”, convenne Madama Bumb ma anche lei non sembrava spazientita, quanto piuttosto preoccupata. “Immagino che Rossi sia un cognome molto diffuso nel suo paese”, alluse alla prenotazione del tavolo e io sentii le viscere attorcigliarsi. “Il loro accento mi era sembrato familiare e stasera, parlando con lei e con la sua amica, ne ho avuto la conferma”.
“Sì”, risposi con voce amareggiata, consapevole che non potessi negare l’evidenza. “Sono italiani e della peggior specie purtroppo[19]”, dovetti ammettere con non poca vergogna.
“Abbiamo già ricevuto delle lamentele da alcune sue colleghe a loro carico: si sentono a disagio in loro presenza, anche se non possono capire che cosa dicono esattamente”, mi riferì Riddle.
Madama Bumb si fece più torva. “Ho notato io stessa degli atteggiamenti poco piacevoli e non occorre un interprete per intuire che si tratti di commenti poco lusinghieri. Ma volevamo avere una sua conferma”.
Mi agitai sulla sedia. “Si tratta di apprezzamenti poco eleganti perlopiù e qualche imitazione di Rankin”, ammisi, guardando dall’uno all’altra. In cuor mio sapevo che la cosa giusta era condividere anche gli epiteti più gravi, di stampo sessista e omofobo ma Amy mi aveva chiesto espressamente di non farlo. Forse il fine avrebbe giustificato i mezzi? Potevo tradire la fiducia di un’amica per quello che credevo essere il suo bene?
“C’è dell’altro, vero?”, mi incalzò Madama Bumb, notando la mia indecisione. “Signorina non possiamo cacciarli se non abbiamo delle prove concrete o una testimonianza”.
“Se riguardasse me, ve lo direi senza esitazione”, mormorai in tono di scuse.
Sembrarono capire perché si scambiarono un altro sguardo. Riddle aveva un’espressione piuttosto apprensiva. “Signorina, è per il vostro bene. Non si tratta solo di affari. Se le mie dipendenti non possono sentirsi al sicuro nel loro posto di lavoro, io ho il diritto di saperlo e il dovere di intervenire per porre rimedio. Ma non posso farlo in questa circostanza se lei non si confida con noi”.
Ancora una volta mi stava dimostrando che, oltre quella facciata più severa, burbera e talvolta impaziente, si nascondeva una persona molto attenta e premurosa verso i propri dipendenti. Era esigente con noi ma parimenti sensibile alle nostre difficoltà.
“Questa sera li ho sentito rivolgersi a Amy in modo molto volgare”, riferii con voce contrita. “L’hanno chiamata lesbicona a causa del suo taglio di capelli”.
Riddle e Madama Bumb scossero in simultanea il capo e parvero per qualche istante non riuscire a trovare le parole per commentare quanto vile e meschina fosse la natura umana. Il fatto che ciò avvenisse da parte dei miei connazionali mi riempiva di ulteriore amarezza.
“Quindi ieri sera, quando si è occupata del loro tavolo, deve averli sentiti dire la stessa cosa ma ha finto di non comprendere”, dedusse Madama Bumb con un sospiro.
“Amy ha una brutta storia di bullismo alle spalle”, spiegai con voce amara. “Ho cercato di spronarla a parlare con voi, ma non vuole sentirsi una vittima. Non avrebbe mai voluto che ve ne parlassi”.
“Ha fatto la cosa giusta”, intervenne Riddle prontamente. “Devo chiederle di tornare a lavorare in quella sala, anche se è difficile. Se sente dire qualcos’altro di inappropriato, venga da noi a riferircelo. Se la sente?”.
Trassi un profondo respiro e sentii il cuore tambureggiare nel petto, ma sapevo che non mi sarei mai perdonata se non avessi almeno tentato di fare qualcosa. “D’accordo”.
Uscii dall’ufficio del Signor Riddle, sentendomi ancora frastornata, ma cercai di dissimulare le mie emozioni e, incoraggiata da un cenno di Madama Bumb, mi diressi verso la cucina. Ad attendermi vi era un altro vassoio destinato alla loro tavolata. Presi un profondo respiro prima di entrare nella sala privata e mi diressi verso di loro, dovendo reprimere la smorfia di disgusto nel rendermi conto, dal volume delle loro risate e dai commenti che si stavano scambiando, che sembravano già alticci.
“Guarda Pietro, è tornata la tua amica fiancona”, commentò uno dei ragazzi.
Distribuii i piatti ai legittimi proprietari e mi premunii, arrivata alla postazione del ragazzo che si era rivolto a quel Pietro, di urtare il suo bicchiere d’acqua, facendogliene riversare parte del contenuto. “Oh, mi dispiace!”, mi scusai con aria artefatta. “Le prendo subito delle salviette”.
“No, non c’è bisogno”, mi rispose lui con il sorriso persino più divertito, dopo aver sussultato.
“Secondo me ha puntato te, Diego. Mi sa che voleva svegliarti l’uccello”.
“Non mi servono le… come cazzo si diceva tovaglioli in inglese?”, domandò al resto della tavolata, facendo ridere le ragazze in modo persino più sguaiato.
Sapevo che molto probabilmente me ne sarei pentita. Ma non riuscii a resistere oltre e fui io a rispondere e a suggerirgli la parola: “napkin”. Mi sarei consolata, ricordando la mia impulsività, al silenzio tombale che era sceso tra loro e agli sguardi increduli che si erano scambiati. Persino le risate delle ragazze si erano smorzate.
“Se non avete altro da dire, me ne torno a lavorare. Abbiate la decenza di aspettare che sia uscita prima di parlare di me o dei miei colleghi. E, per la cronaca, una delle lesbiche che tanto ammirate vi ha già nel suo mirino. Fossi in voi scherzerei meno”, li avvertii in tono affettato.
“Wow, wow, wow, non vorrai andartene così. È sempre bello ritrovarsi tra connazionali”, aveva commentato quel Diego, rimettendosi in piedi. Mi sovrastava di quasi dieci centimetri e aveva un fisico atletico, la pelle abbronzata e la barba incolta, oltre all’alito appesantito dal vino.
“Mi vergogno che siate italiani. Finite le vostre consumazioni e andatevene, non siete-”.
Non feci in tempo a finire la frase che il giovane mi attirò bruscamente a sé: “Allora sei tornata perché volevi sentire altri complimenti. Non ci dispiaci affatto”, commentò in tono suadente e sentii la sua mano palparmi il fondoschiena. Un gelo improvviso mi serrò il cuore e sentii le mie guance avvampare di umiliazione, soprattutto per l’eco delle risate sguaiate. Fu forse quel pensiero a farmi montare una collera simile a quella che avevo provato nello schiaffeggiare Tom fuori dal locale. Non avevo mai odiato nessuno, in quel modo, fino a quel momento. Lo schiaffo ebbe un fragore fortissimo e riecheggiò nel silenzio della sala, mentre la mia mano tremava quasi dolorosamente per l’impatto. Il ragazzo mollò la presa e mi guardò con la gota ancora arrossata ma, mentre la tavolata restava immobile e silenziosa, si mise a ridere. “Non fare tanto la difficile, tesoro”, mi si rivolse suadente, come se nel mio gesto vedesse un ulteriore invito. Fu con un gesto più brusco che mi attirò nuovamente a sé, mentre cercavo di divincolarmi.
“Lasciala subito, bastardo!”, mi riscossi all’udire la voce di Amy che era entrata nella sala con il viso paonazzo di indignazione e di rabbia. Katie era rimasta impietrita con il vassoio tra le mani, guardandoci impotente e orripilata.
“Guardate, l’amica lesbica! Mi sa che vuoi rubargli la ragazza!”, intervenne un altro dei ragazzi rimettendosi in piedi. Lei non vacillò questa volta e si avvicinò al giovane che aveva parlato, dopo aver preso un boccale di birra dal vassoio della nostra collega.
“Omaggio della casa a te e a tutti i tuoi amici omofobi del cazzo”, commentò prima di riversargli il contenuto in faccia, strappando agli altri risate sguaiate e versi di incredulità. Poi si avvicinò al ragazzo contro cui stavo ancora lottando e lo allontanò da me con un brusco strattone.
“Brutta stronza!”, sbottò quest’ultimo, avvicinandosi di nuovo. “Ora ti faccio tornare etero!”.
“Lasciala stare, imbecille”, mi sentii gridare, cercando di aggirarlo e bloccargli il braccio da dietro.
“Ma che sta succedendo qui?!”, domandò Percy a cui gli occhiali andarono quasi di traverso.
“Percy, presto, aiutale!”, lo supplicò Katie che dovette appoggiare il vassoio per le mani tremanti.
“Dai, mammoletta”, lo invitarono gli altri ragazzi al tavolo, rimettendosi in piedi e accerchiandoci. Notai con orrore che la ragazza in abito verde non solo sembrava divertirsi un mondo ma stava persino riprendendo la scena con il cellulare. “Vediamo di che pasta sei fatto”, commentarono e sollevarono le maniche delle bluse e delle camicie che indossavano, come a voler mettere in mostra i loro bicipiti. Percy parve impallidire e indietreggiò. “Io… io sono contrario alla violenza!”, balbettò, sotto lo sguardo costernato di Katie. “V-Vado a chiamare Madama Bumb: torno subito!”.
Guardate come corre veloce quel frocetto! Sarà andato a chiamare la capa delle lesbiche: allora è lui la donna della coppia!”, commentò uno di loro, facendo ridere tutti gli altri.
Il ragazzo aveva ancora fatto in tempo a uscire dalla saletta privata che aveva incontrato il Signor Riddle sulla soglia, evidentemente attirato dagli schiamazzi decisamente troppo alti e poco comuni persino quando il locale era pieno. “Signore!”, lo chiamò in tono quasi devoto. “Ho pensato che fosse meglio chiamare le autorità per non rischiare una denuncia e-”.
Il Signor Riddle, il cui sguardo furioso mi fece accapponare la pelle, si volse verso il suo dipendente a quelle parole. Non avevo mai visto sul suo volto un’espressione di simile disgusto e incredulità, ma fu con un gesto brusco che lo scansò, dandogli uno spintone, facendolo quasi sbattere contro la parete. “Sparisci dalla mia vista, vigliacco!”, lo rimproverò aspramente.
Nonostante la rabbia gelida che sembrava animarlo, camminò con incedere fluido ed elegante fino a raggiungerci e si parò di fronte al ragazzo che ci aveva importunato. Nonostante lo superasse di pochi centimetri, sembrava molto più minaccioso. “Si-allontani-dalle-mie-dipendenti-subito”, soffiò con voce gelida a pochi centimetri dal suo volto.
“Guardi che sono state loro a cominciare!”, intervenne prontamente un altro. “Quella gli ha versato di proposito dell’acqua addosso e quell’altra pazza l’ha aggredito senza motivo!”.
“Solo dopo aver sopportato silenziosamente i vostri commenti offensivi”, fu la gelida replica del nostro datore di lavoro, scansando il ragazzo con una spinta. Guardò da me ad Amy con aria clinica, come a chiederci implicitamente se stessimo bene, prima di volgersi di nuovo alla tavolata, ignorando i tentativi di protesta. “Vi prego di lasciare subito il locale, dopo aver pagato le vostre ordinazioni: non siete più ospiti graditi”.
“Ma come si permette?! Dovremmo denunciarvi!”, intervenne la ragazza, brandendo il cellulare come se fosse una prova da portare in tribunale.
“Non ce ne andremo fino a quando non avremo finito!”, commentò il leader.
“La denuncerò all’ambasciata italiana!”, lo minacciò il ragazzo dalla voce nasale.
“Siete una vergogna per il vostro paese”, soffiò il Signor Riddle in faccia al ragazzo che aveva appena parlato. “Non ve lo chiederò un’altra volta: andatevene subito”.
“Costringici ad andarcene, nonnetto!”, lo sfidò quest’ultimo con un sorriso strafottente.
Il Signor Riddle lo guardò con aria quasi divertita, ma, con una rapida mossa, torse dolorosamente il braccio del ragazzo all’indietro e gli soffiò sulla nuca. “Questo nonnetto ha ancora molta da insegnarti, ragazzino”.
“Qualche problema Signor Riddle?”, domandò Eoin dalla soglia della stanza. Era seguito da Santiago, Tom Hopper e gli altri magazzinieri[20]. Notai con soddisfazione che tutti i ragazzi della tavolata sembravano aver perso il coraggio di fronte a quei giovani dai fisici statuari e dalle espressioni torve.
Riddle sorrise in segno di sberleffo. “I signori stavano per andarsene, non è vero?”.
Gli italiani si scambiarono occhiate tra loro, ma questa volta furono il buon senso (o vigliaccheria) delle ragazze a farli desistere. “Andiamocene, non vale la pena”, commentò la geisha prendendo per mano il ragazzo dalla voce nasale.
“Via da qui”, commentò il leader del gruppo con una smorfia, dopo aver gettato dei soldi sul tavolo con aria sprezzante. “Il personale di questa bettola fa veramente schifo”.
Madama Bumb sembrò in procinto di schiaffeggiarlo, ma fu Riddle a bloccarla con un cenno del braccio, mentre Rankin sembrava aver recuperato la sua spavalderia. O forse cercava semplicemente di riconquistare un minimo di credibilità agli occhi di tutti. “Sì, andatevene, prima che mi arrabbi sul serio! Fuori, fuori! E non fatevi mai più vedere, brutta gente!”. Prese a scortarli e a indicare loro l’uscita come un vigile urbano che dirige il traffico.
Dean Thomas gli rivolse uno sguardo schifato. “Guarda che non avevano tutti i torti su di te: neppure hai cercato di difendere le tue colleghe!”.
“Ma cosa dici?! Sono accorso subito a cercare Madama Bumb!”, replicò in tono offeso.
“Sì, grazie davvero, Rankin”, rincarò la dose Amy. “Per fortuna non lavorerò più a lungo con te!”, dichiarò tra il silenzio attonito dei nostri colleghi che ancora non erano stati informati. Persino Rankin sembrò non trovare nulla da ridire per l’incredulità.
“Te ne vai? Quando?”, cominciarono a chiederle Katie e Dean.
“Avrete modo di parlarne con più calma”, intervenne Madama Bumb. “Per nostra fortuna le nostre dipendenti sono ragazze sveglie e coraggiose”, commentò e strinse la spalla ad entrambe in segno di stima. “Adesso sedetevi. Chiedo alla Signora Weasley di prepararvi un the caldo”.
“Non c’è bisogno”, commentai con voce che a stento riconobbi come la mia. Mi sembrava di aver assistito agli ultimi eventi come se si fosse trattata di una scena particolarmente movimentata di un film d’azione. Solo in quel momento mi sentivo le gambe tremanti e la gola secca.
“Mi sembra un’ottima idea”, intervenne il Signor Riddle. “Dopodiché voglio che andiate a casa”.
“Ma Signore, davvero, non occorre”, replicò la mia amica con le guance arrossate.
“Insisto”, sovrastò le nostre voci e sollevò le mani. È stata una serata lunga e faticosa, ma adesso saremo in grado di gestire tranquillamente gli altri tavoli”.
Si schermì ai nostri ringraziamenti e tornò nella sala pubblica: lo sentii scusarsi coi clienti presenti per il trambusto e chiese ai miei colleghi di offrire una bibita a tutti.
 
 “Mi dispiace per prima”, commentò Amy nella nostra lingua madre, mentre ci gustavamo una bella tazza di the bollente nella saletta privata. Neville stesso giunse dalle cucine con espressione preoccupata e ci rifilò due belle fette della sua torta al cioccolato che certamente contribuì a risollevare l’umore.
“Non dirlo neppure”, le sorrisi. “Grazie di essere accorsa in mio aiuto, piuttosto. Sono stata un po’ impulsiva”, dovetti riconoscere con un sospiro. Non era stata la mia decisione più saggia.
“Un po’”, convenne. “Ma avrei voluto avere fin da subito il tuo coraggio”.
“Lo hai avuto e anche di più”, le dissi con reale ammirazione. “Hai affrontato tante situazioni difficili e stasera hai avuto un riscatto non da poco”, le dissi con un sorriso, nonostante la bruttissima situazione appena vissuta.
"È vero”, convenne. Seppur sorridesse c’era quell’ombra di mestizia nello sguardo, legata agli eventi del passato e le strinsi il braccio come a comunicarle silenziosamente la mia vicinanza.
Sembrò che tutto il personale si stringesse attorno a noi, tra adulti e coetanei e quelle attenzioni erano quasi commoventi. Nonostante le nostre remore, il Signor Riddle insistette perché finissimo prima il nostro turno, stabilendo che erano più che in grado di portare a termine il servizio con il personale in carica. Superfluo dire che Rankin, molto probabilmente per “redimersi”, si offrì di coprire tutti i tavoli che sarebbero spettati a me. Proposta che Madama Bumb accettò, pur non mancando di rivolgergli un’occhiata sprezzante.
Durante il viaggio in auto chiesi ad Amy di non accennare all’episodio a Morgana e a Sean: avremmo avuto tempo di raccontarlo al loro ritorno. Non avevo alcuna intenzione di agitarli inutilmente e guastare loro la serata.
“A proposito di coppiette felici”. Si era voltata verso di me, approfittando del rosso del semaforo. “Che cosa è successo con Bradley? Non dirmi che avete litigato!”.
Quel mese di Febbraio era stato carico di eventi al punto tale che avevo l’impressione che alcune giornate durassero il doppio per la portata di emozioni e di situazioni nelle quali mi trovavo coinvolta. Nella fattispecie mi sembrava passato molto più tempo dalla nostra lezione e dalla telefonata con Morgana che mi aveva tanto turbata. Cercai di ricostruire la sequenza degli eventi e raccontarle il tutto nel modo più obiettivo possibile.
“Morgana non ha tutti i torti, anche se lei parte da un punto di vista privilegiato: di certo non le sono mai mancate le attenzioni e i complimenti”, replicò dopo avermi ascoltata. Mi sorrise con aria solidale. “Ti capisco perfettamente, ma ha ragione sul fatto che non dovresti idealizzarlo: siete nelle prime fasi che spesso sono persino più belle della relazione stessa. Con il tempo ne scoprirai i difetti. Se ripenso a tutti i castelli in aria che mi sono fatta per Daniel”, sospese la frase e scosse il capo. Sembrava quasi vergognarsi al ricordo di certi episodi che, a suo tempo, mi avevano fatto sorridere di tenerezza e comprensione.
“So che devo sforzare di restare coi piedi per terra”, risposi cautamente.
“Assolutamente”, rimarcò. “Però credo che dovresti parlargli se sei confusa per il suo comportamento: non si può costruire un rapporto solido se non ci si capisce. Perché di sicuro, da quello che ho visto, è interessato. È chiaro che non possa sbandierarlo in Accademia e questo te lo aveva già detto, ma hai il diritto di sapere se ha intenzioni serie con te, prima che ti innamori sul serio e poi tu ne debba soffrire”, mi espresse la sua opinione con chiarezza e semplicità.
"È stato così per te? Eri davvero innamorata di Daniel?”, le domandai a bruciapelo.
Sembrò necessitare di qualche istante prima di rispondere. “Forse è ancora presto per dirlo, ma credo che mi piacesse soprattutto l’idea che mi ero creata di lui nella mia testa”, mi spiegò con la lucidità di chi ha molto riflettuto sulla questione. “Ma il vero Daniel era tutta un’altra cosa”.
Mi morsi il labbro e annuii. Non volevo fare lo stesso errore con Bradley e dovevo ammettere che i consigli delle mie amiche erano molto sensati e avrei dovuto sforzarmi di metterli in pratica.
“Ci penserò, grazie”, mormorai. Decisi poi che non era né l’ora né la giornata migliore da concludersi con simili discussioni filosofiche, così le raccontai anche di Allock, facendola quasi piangere dal ridere. Le riferirei anche della “discussione” con Tom durante la lezione di ballo e la vidi sollevare gli occhi al cielo.
“Speriamo che questa volta lo intenda sul serio”, commentò con uno scuotimento del capo, per poi guardarmi di traverso. “Non ti dispiace se prendo ispirazione per una vignetta sulla coppia d’oro, vero? Ovviamente non metterò i nomi reali”, mi rassicurò subito.
“Ti prego, fallo!”, la supplicai, già ridendo all’idea.
Acconsentii a passare dal dormitorio per prendere un cambio per la notte così da pernottare da lei e Luna. Non me la sentivo proprio di restare da sola a rimuginare, a mente fredda, su quanto accaduto al pub quella sera.
“Faccio in un attimo”, promisi e scesi dalla sua auto per rientrare nell’appartamento e recuperare la mia valigia. Stavo ancora sistemando i panni e la trousse coi prodotti per il bagno, ma sussultai quando sentii un ticchettio al vetro della finestra che dava sulle scale antiincendio. Al di fuori vi era Bradley che appariva visibilmente preoccupato.
 
 
To be continued…
 
Chiedo scusa per questo cliffhanger :D Se devo essere sincera non era previsto, ma il capitolo è divenuto più lungo di quanto immaginassi e ho pensato, vista la mole di eventi già scritta, che fosse meglio spostare la scena tra Sara e Bradley nel prossimo. Come avrete di certo notato, in questa versione stiamo superando il numero di capitoli dell’originale di cui è rimasto ben poco. Vi chiedo di pazientare perché sento il bisogno di prendermi del tempo prima di iniziare la stesura del 14: voglio rileggere i capitoli postati fino a questo momento e spero che questo mi aiuti a prendere definitivamente una decisione molto importante per il futuro di questa storia.
Non ho ancora idea di quanti saranno i capitoli necessari alla conclusione, ma mi impegnerò anche a fare una cernita delle scene che ho abbozzato anche grazie alla preziosissima collaborazione della mia amica Evil Queen. Cercherò di concentrare gli eventi più importanti in un numero non troppo alto di capitoli, ricorrendo magari anche a scene più “riassuntive” e piccoli salti temporali per giungere a compimento di questo progetto. Nonostante tutte le fatiche e gli imprevisti, credetemi, ne sono sempre più orgogliosa e mi riconosco molto di più nel mio alter ego :D
Grazie della pazienza, cercherò di aggiornare il prima possibile.
Buon rientro alle vostre attività abituali:*
 
 
[1] Tutte le cose che leggete su Bradley o sono tratte da mie intuizioni dovute alle fotografie che posta (come la passione per il calcio), o sono frutto di fantasia. E’ una persona molto riservata e non ho trovato molte notizie sulla sua vita privata e sulla famiglia. Inoltre preferisco interpretarlo nella maniera più funzionale alla mia trama ;)
[2] Non sono esperta di astrologia, quindi non saprei dire quanto tutto questo sia attendibile. Ho reperito queste informazioni da questo sito.
[3] Per comodità lascerò a Bradley il suo reale giorno di nascita: l’11 Ottobre.
[4] Anche in questo caso ho preferito abbinare il nome del personaggio con quello dell’interprete, dal momento che abbiamo già un personaggio che si chiama Emma 😊 Naturalmente in questo caso NON vale la descrizione del libro, ma ho voluto attribuirle un aspetto molto più sobrio e “normale” rispetto al personaggio cartaceo :D
[5] Mi sono resa conto di aver inserito Sirius in due circostanze diverse. Viene citato la prima volta in quanto insegnante che sta seguendo lo spettacolo a cui partecipa Daniel e poi successivamente come una ex conoscenza di Tom Riddle che gli commenta la fotografia “famosa” che ha dato luogo alla gaffe di Amy.  Fortunatamente le due cose possono collimare, in quanto, come sapete, Riddle stesso è un ex allievo dell’Accademia. Possiamo supporre che Sara, nel capitolo 11, fosse troppo presa dalla situazione e dalla disperazione dell’amica, tanto da aver capito solo in un secondo momento, a mente più lucida, che la persona che aveva commentato la foto, fosse la stessa di cui le aveva parlato Daniel. Dovete scusarmi, ma quando la storia comincia ad avere tanti capitoli, si rischia di dimenticare questi dettagli se non la si rilegge da cima a fondo, come ho intenzione di fare 😉  
[6] Non potendo attribuire a Piton una materia come “pozioni” ho pensato a qualcosa di particolarmente impegnativo che avesse a che fare anche con un po’ di storia :D
[7] Vi ricordo che in questa fanfiction Rupert e Bonnie sono i fratelli Grint. Ho lasciato infatti ai gemelli e a Percy il cognome degli attori che li hanno interpretati. L’unico figlio della Signora Weasley è il suo amatissimo Bill :D
[8] Anche in questo frangente ringrazio Evil Queen che mi ha saggiamente consigliato di ricorrere a Mirtilla per questa scena in particolare. A onor del vero io avevo pensato a Bonnie per l’amicizia che ha con Emma, ma l’occasione richiedeva un personaggio più incline al pettegolezzo. Scegliere Mirtilla ha reso la scena ancora più peculiare, attribuendole anche una certa malignità che non avrei potuto permettermi con Bonnie che deve restare simile a Ginny Weasley 😊
[9] Dovete sapere che questa è una cosa che io e Evil Queen abbiamo notato con non poco divertimento. Tom Felton, nel terzo film della saga di HP, durante la lezione di Cura delle Creature Magiche addenta una mela verde. Invece Bradley, nei panni di Giuliano dei Medici, nel momento del suo fatale incontro con Simonetta sta addentando una mela rossa :D Ho dovuto spremermi le meningi per trovare un’occasione per inserire questa piccola differenza :D
[10] Apollo era una delle divinità più amate nell’antica Grecia. Era noto come il capo delle Muse, delle arti e della poesia.  Tra i suoi attributi vi era quello di “Febo”, ossia “splendente” sia per la sua bellezza che per il legame con il Sole di cui, secondo la tradizione, trainava il carro.
[11] Non ho potuto fare a meno di ispirarmi a una scena nel secondo libro di Harry Potter quando Allock, per San Valentino, indossa abiti rosa e ringrazia dei bigliettini di auguri :D La scena del ballo l’ho riciclata dalla vecchia versione della fanfiction ma l’ho riadattata al nuovo contesto temporale e alle nuove situazioni.
[12] Etnomusicologo tedesco, noto per aver proposto un suo sistema di catalogazione degli strumenti musicali. Ha scritto anche “Storia della danza” da cui sono tratte le citazioni che sta leggendo Allock.
[13] Sara e Morgana stavano parlando in italiano perché per la prima è molto più agevole affrontare una discussione simile nella sua lingua madre.
[14] Come credo abbiate indovinato dal riferimento alla macchina fotografica, si tratta di Colin Canon :D
[15] Come diremmo io e la mia amica, “con faccia da Messi”. Ossia così. 
[16] Per comodità ho pensato di scrivere in corsivo le frasi che i clienti pronunciano in italiano, mentre il font resterà inalterato quando parlano in inglese. Così che io non debba ripetere tutte le volte che stanno parlando nell’una o nell’altra lingua e già visivamente si possa capire :D
[17] Come accennato nel secondo capitolo si tratta degli attori che hanno interpretato rispettivamente Galvano e Lancillotto nella serie tv “Merlin”. Vi allego delle fotografie per poterli immaginare meglio :D EoinSantiago e Tom Hopper
[18] In realtà Santiago parla bene inglese, ma in questa scena mi era funzionale che avesse conservato l’accento, viste le origini cilene della famiglia😊
[19] Spero comprendiate che la mia amica ed io, mentre progettavamo questa scena, non volevamo mancare di rispetto alla nostra cultura, ma era esigenza di trama che solo Sara e Amy potessero capire i commenti offensivi che sono stati rivolti al personale.
[20] Per darvi un’idea dei ragazzi schierati insieme cliccate qui. 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


 
 
14
 
Perciò dimmi cosa vuoi sentire,
qualcosa che drizzi quelle orecchie.
Sono stufa di tutte le persone insincere,
così svelerò tutti i miei segreti.
Questa volta
non mi servirà un’altra bugia perfetta […].
Non ho motivo, non ho vergogna,
non ho una famiglia che io possa incolpare.
Solo non lasciarmi sparire,
ti dirò tutto.
Secrets – One Republic[1].



 
In quel pomeriggio di Marzo si respirava un’aria diversa nel pub e non soltanto perché il locale era chiuso al pubblico e tutto lo staff, dai magazzinieri fino al personale in cucina, era riunito nella sala privata. Nei sorrisi di tutti i presenti vi era una nota di commozione al pensiero che quello fosse ufficialmente l’ultimo giorno di Amy come dipendente. Il tavolo era stato riempito di pietanze preparate dalle abili mani della Signora Weasley e della Signora Sprite e il signor Riddle in persona aveva scelto lo spumante per il brindisi. Neville ed io l’avevamo attirata in quella sala con una scusa e, appena era entrata, aveva sbarrato gli occhi alla vista di tutti quei volti familiari.
 
“Dai, Amy, ti prego! Solo cinque minuti: se non lo trovo neppure lì, giuro che mi rassegno!” l’avevo supplicata con espressione pietosa.
Lei sembrò a disagio, ma sospirò. “Non è che non voglia aiutarti, Sara, ma devo andare a casa: te l’ho detto che mi aspetta il mio amico per portarmi il suo cane”.
“Ti prego, Amy”, era intervenuto anche Neville con tono preoccupato, guardandosi attorno con espressione molto credibile. “Approfittiamo adesso che non c’è il Signor Riddle!” aveva soggiunto con una credibilissima espressione terrorizzata al solo pensiero.
La ragazza ci guardò con aria impaziente, evidentemente seccata all’idea di ritardare. “Ma non capisco la fretta, puoi sempre chiedere ai colleghi di fine turno di prestarci attenzione mentre puliscono, no?”
Per fortuna mi ero già preparata una possibile risposta a quella remora comprensibile. Le rivolsi nuovamente uno sguardo quasi disperato: “E se lo trovasse una cliente nel frattempo e me lo rubasse?”
Mi aveva guardata come se avessi perso il senno. “Anche volendo, che se ne farebbe di un orecchino solo?!”
Avevo emesso un lamento. “Ti prego! Mi conosci: non riuscirò a concentrarmi sul lavoro se non lo trovo. E poi non è un orecchino qualsiasi: lo indossavo la sera in cui ho conosciuto Bradley!” aggiunsi e dovetti trattenermi dal sorridere perché ero certa che ciò avrebbe fatto la differenza.
Lei aveva sbuffato apertamente. “Mamma mia, quanto la fai lunga”, aveva brontolato ma era vicina alla resa.
“Puoi sempre avvisare il tuo amico che farai tardi,” aveva suggerito Neville in tono conciliante, “sono sicuro che capirà”.
La mia amica, dopo aver capitolato, aveva indicato la sala con un cenno della mano. “Va bene, va bene. Dai, cerchiamo questo cavolo di orecchino”.
Le avevo rivolto uno sguardo raggiante. “Grazie, ti devo un favore”.
“Ti avverto che sto tenendo il conto…” mi aveva ammonita con espressione fintamente severa.
Neville ed io c’eravamo scambiati uno sguardo di intesa e avevamo volontariamente rallentato il passo, cosicché fosse lei la prima a entrare nella stanza. Qualcuno aveva acceso la luce e in coro avevano tutti, noi compresi, urlato: “Sorpresa!”
La mia amica aveva sussultato e lo sguardo castano aveva passato in rassegna tutta la stanza, indugiando sul volto di tutti i presenti fino allo striscione appeso alla parete alle nostre spalle. In una bella calligrafia erano state scritte le parole: “Goodbye Amy and good luck!” e intorno alle stesse si avviluppava Nagini, il simbolo del pub stesso. In un angolo dello striscione vi era una sua caricatura in vesti di cameriera, di cui si era occupato Dean Thomas[2].
 
Ancora non riuscivo a credere che non l’avrei più vista dietro al bancone o intenta a trasportare i vassoi di cibo. Certo, come aveva detto a più colleghe commosse, non avrebbe sicuramente smesso di frequentare il locale come cliente e non avrebbe smarrito i contatti con le persone con le quali aveva instaurato un legame che andava oltre il rapporto professionale.
Ma non sarà stata la stessa cosa, ragionai tra me e me.
Tuttavia, la mia era un’egoistica nostalgia e non potevo che essere fiera di lei. Era palpabile quanto fosse entusiasta di quel nuovo progetto lavorativo, mentre salutava tutti i colleghi. Rankin e Smith si risparmiarono sorrisi ipocriti, ma furono piuttosto pomposi nello stringerle la mano e congedarla. Persino Coulson, notoriamente persona di poche parole e poco propensa alle confidenze, sorrise con espressione affabile, le strinse la mano e le augurò cortesemente di realizzare le sue ambizioni professionali. Morgana e Sean, come promesso, erano passati a loro volta per un saluto e Luna era sembrata particolarmente “stordita” dalla presenza di tante persone con così diverse “aure” e “vibrazioni”. Di certo non collaborò il fatto che Neville, in quello stesso momento, si fosse fatto scappare di mano il vassoio con le tartine. Il Signor Riddle sembrò trattenersi a stento dall’urlargli addosso ma Amy, Coulson e io fummo rapidi ad aiutarlo a pulire il pavimento.
Quando il nostro datore di lavoro si schiarì la gola per prendere parola, la mia amica arrossì vistosamente e dovetti trattenermi dall’incrociare lo sguardo di Morgana. Avevo giurato su quanto avevo di più caro che non le avrei riferito quegli “strani sogni” di stampo erotico che coinvolgevano il “passato” e “presente” Signor Riddle. Quest’ultimo sembrò cercare le parole per pronunciare il brindisi: “Quest’oggi il nostro pub perde una collaboratrice molto diligente e zelante, coraggiosa e onesta. Quasi sempre professionale sul posto di lavoro,” e qui scoccò a me e a lei uno sguardo quasi di rimprovero, “e sempre disponibile e cordiale coi propri colleghi. O almeno con quelli che lo meritano…” aggiunse con una nota ironica che mi fece ridacchiare. Tutti, persino Sean e Luna, si volsero ad osservare Percy il quale aveva aggrottato le sopracciglia e si era guardato alle spalle, quasi cercando la fonte del nostro divertimento e la persona a cui quelle parole erano rivolte. “E sempre paziente coi clienti, persino i più petulanti”. E qui dovetti ben guardarmi dall’incrociare lo sguardo di Amy o di Susan al pensiero della “tattica Amy” che sarebbe divenuta leggendaria tra coloro che condividevano il segreto.
“Ma tutti noi quest’oggi vogliamo augurarle di trasferire e affinare queste qualità nella sua prossima avventura. Non ci resta quindi che augurarle, di tutto cuore, buona fortuna!” esclamò il Signor Riddle con un breve sorriso. Sollevò il calice e tutti noi facemmo altrettanto.
“Scommetto che è il discorso più lungo che gli abbiate mai sentito fare in pubblico…” insinuò Morgana, scoccandomi un’occhiata maliziosa.
Le rivolsi uno sguardo perplesso. Non trovavo nulla di male in quella dimostrazione di stima. Al contrario, ciò non faceva che alimentare la mia consapevolezza che, dietro quella cortina di severità, Riddle fosse un uomo molto premuroso verso i suoi dipendenti. “E allora?” le domandai con uno scrollo di spalle.
Morgana sospirò. “A volte non so chi sia più ingenuo tra te e Sean”, commentò tra sé e sé.
Le rivolsi uno sguardo canzonatorio, dopo aver sorseggiato dal mio calice: “Stai dicendo che ti sei sentita attratta da Sean perché ti ricordava me?”
“Forse”, rispose con uno scrollo di spalle e un sorriso altrettanto furbo. Mi indicò Riddle che, in quel momento, stava stringendo la mano di Amy. Quest’ultima sembrava essere divenuta più rossa dei capelli della Signora Weasley. “Ma sembra che i complimenti gli facciano proprio bene”, alluse nuovamente all’equivoco della fotografia.
Scossi il capo e la guardai con aria di rimprovero: “Ti prego, almeno oggi non ricordarglielo”.
“Ci proverò”, promise con un sorrisino, ma tacemmo quando fu Amy a prendere la parola con voce decisamente emozionata e flebile.
“Ci tengo a ringraziarvi tutti”, mormorò e lasciò vagare lo sguardo su tutti quei volti familiari con un sorriso più dolce che ne faceva baluginare lo sguardo. “Soprattutto lei Signor Riddle”, aggiunse con maggiore imbarazzo. Io dovetti calpestare il piede a Morgana perché la smettesse di ghignare come suo solito. “Lei mi ha concesso una possibilità nonostante, al mio arrivo, conoscessi a malapena la vostra lingua e mi è sempre venuto incontro, quando ne ho avuto bisogno. Non dimenticherò questo posto e tutte le persone con cui ho lavorato e sarò una delle vostre clienti più affezionate. Grazie a tutti!” concluse e l’applaudimmo tutti. “Posso chiedervi una cortesia? Vorrei un’ultima foto con tutto lo staff!” dichiarò e tutti parvero ben lieti alla prospettiva. “Soprattutto tu, Sara…” soggiunse in mia direzione, notando come avessi cercato di defilarmi dietro a Morgana e a Sean. “Sei già scampata a quella di Natale, non me lo sono dimenticata!”
“Va bene, va bene”, mormorai, appoggiando il mio bicchiere sul tavolo. “Ma lo sai che odio farmi le foto”, piagnucolai più per dispetto che per reale intenzione di darle un dispiacere.
“E sia”, commentò il Signor Riddle. “Faremo una foto tutti insieme, ma poi si torna al lavoro!” aggiunse con quell’anelito più severo. Sembrava che dovesse sempre premunirsi di mantenere la sua facciata più severa e inflessibile. Amy porse la sua macchina fotografica a Sean e ci mettemmo tutti in posa in diverse file, dai più alti ai più bassi per immortalare quel momento che, lo sapevo, contrassegnava la fine di un capitolo particolarmente bello della mia vita a Glasgow.
 
~
 
Mancavano circa tre mesi alla messa in scena dello spettacolo e quella settimana era stata particolarmente impegnativa: malgrado avessimo ormai memorizzato le nostre battute e i costumi e le scenografie fossero quasi ultimati, sembrava che Lupin non riuscisse a placare le sue preoccupazioni. Gli era decisamente di conforto la presenza di Bradley che sempre più spesso prendeva l’iniziativa, si occupava delle questioni organizzative e logistiche. Seppur lui stesso mi sembrasse talvolta pallido di sonno, riusciva con la sua posatezza e la sua sicurezza a placare l’irrequietudine del docente. Personalmente non sapevo come riuscisse a star dietro a tutto e seguire persino alcuni allievi, me compresa, senza perdere il sorriso o le energie. Lupin stesso aveva notato quanto quelle sessioni private mi stessero giovando, rendendo più fluide le scene che provavo con Tom di fronte a tutto l’auditorium, Emma compresa. Ogni volta che me lo trovavo di fronte, prima di iniziare, eseguivo quegli esercizi di respirazione che mi aveva consigliato e riuscivo più facilmente a scollegare il personaggio di William dalle fattezze di Tom. Mi era, inoltre, di grande aiuto il fatto che quest’ultimo avesse mantenuto il suo proposito: non ci rivolgevamo la parola se non strettamente necessario. Aveva smesso di esibire, in mia presenza, quei sorrisetti provocanti e irritanti. In compenso sembrava che Emma fosse divenuta una presenza fissa anche al pub ma, quando avevo la sfortuna di doverla servire, cercavo di liquidarla il più rapidamente possibile o mi mostravo indaffarata. Avevo la netta sensazione che se fossi rimasta troppo a lungo con lei, avrei finito con il cacciarmi nuovamente nei guai o di intavolare una conversazione che mi avrebbe solo innestato l’ennesimo travaso di bile.
“E stop”, aveva mormorato Bradley quando eravamo giunti alla fine della scena su cui ci eravamo concentrati quel pomeriggio.
“Come è andata?”, gli domandai ansiosamente, dopo aver tracannato avidamente dell’acqua. Avevo ormai la gola secca dopo aver provato con lui nell’ultima ora e mezza.
Il suo sorriso era parso piuttosto eloquente e si era appoggiato alla scrivania con espressione piuttosto rilassata. “Molto bene: migliori di giorno in giorno. Sono molto contento. O meglio lo siamo entrambi: anche Remus me lo stava dicendo ieri”.
Non potei che sentirmi sollevata e al contempo orgogliosa. “Devo ringraziare entrambi di cuore: è uno dei progetti più faticosi a cui abbia mai preso parte e uno dei più soddisfacenti”.
Lui sorrise.  “Credimi: quella sera ci sarà solo la gratificazione e la consapevolezza che questi sforzi e queste difficoltà hanno portato a un risultato che non avresti mai immaginato”, mi incoraggiò con uno scintillio appassionato nello sguardo.
Sorrisi e non potei fare a meno di chiedergli: “E’ così che ti sei sentito alla fine del vostro spettacolo?”.
Bradley sembrò rievocare quel ricordo con un’espressione particolarmente lieta. “Sì, anche se poi qualcuno mi ha distratto”, mi confidò con un sussurro più dolce. Mi rivolse uno sguardo così allusivo che sentii il mio cuore scalpitare più rapidamente. “Spero di poter ricambiare la cortesia quella sera”.
Sentii le guance ardere, ma il sorriso continuò a sfiorarmi le labbra: “Lo spero anche io”.
Inclinò il viso di un lato e mi scrutò più attentamente. “Lavorerai tutte le sere di questa settimana?”
“No,” gli sorrisi con espressione piuttosto compiaciuta, “ho la giornata libera domani”.
“Sembra proprio che io sia fortunato allora…” mi rivelò con un sorriso. “Ho ufficialmente finito di svuotare gli scatoloni e di arredare il mio appartamento.”
“Ci hai messo solo un mese. Lodevole, considerando che Lupin sia diventato più presente di uno stalker nella tua vita”, avevo commentato con un sorriso ironico.
Sorrise appena alla battuta, ma continuò a guardarmi intensamente. “Ti andrebbe di cenare da me?  Non sono neppure lontanamente Gordon Ramsay ma potrei preparare qualcosa di semplice o, molto più probabilmente, supplicare la Signora Weasley di aiutarmi a non fare una figura meschina”.
Sbattei le palpebre a più riprese e un familiare senso di vertigini mi avvolse, come ogni volta che mi trovavo vicina a lui.
“Finalmente potremmo parlare liberamente”, aveva aggiunto con la medesima tranquillità. Seppur fosse stato molto esplicito sulla necessità di attendere per un appuntamento galante[3], mi sembrava evidente che quell’invito sembrasse una sorta di preliminare per appurare se il nostro rapporto potesse evolversi. La consapevolezza era insieme emozionante e terrificante, ma la voce mi uscì più flebile: “Sì, mi piacerebbe”.
Sorrise a sua volta. “Bene, ci speravo davvero”.
Ci accordammo per la serata successiva e mi premunii di farmi scrivere il suo indirizzo su un foglio del mio block-notes. Mandai un messaggio alle mie amiche, nel nostro gruppo, e i loro commenti mi accompagnarono nel tragitto verso il pub.
 
~
 
Sospirai per l’ennesima volta, camminando nella mia stanza con l’accappatoio addosso e i capelli ancora umidi, sentendomi vicina alla nausea. O a creare un fossato nella mia camera e poi seppellirmici dentro. Avevo avuto l’impressione che quella giornata fosse durata la metà del consueto e continuavo a immaginare possibili scenari di quella serata: da quelli più romantici e sentimentali a quelli più “shondiani[4]” e drammatici nei quali ne sarei uscita con il cuore a pezzi e compromessa da lì ai prossimi mesi, fino alla fine della rappresentazione. Le mie amiche, in verità, non mi stavano rendendo le cose più semplici. Amy e Luna erano arrivate un’ora prima: mentre la seconda si era accomodata sul divano e stava beatamente leggendo la sua rivista e di quando in quando spostava gli oggetti secondo i principi del “feng-shuj” o qualcosa di simile, la prima stava discutendo animatamente con Morgana.
“Ma quante volte te lo dobbiamo dire?!” sbuffò per l’ennesima volta. “Non è un appuntamento romantico! Non può vestirsi troppo elegante! Darebbe l’impressione sbagliata!”
Non avevo potuto fare a meno di notare che l’inizio del nuovo lavoro aveva sancito un abbigliamento più formale per lei. Indossava un tailleur che Morgana stessa le aveva messo da parte nel periodo dei saldi e che aveva abbinato a delle scarpe eleganti che aveva gettato malamente da parte non appena era entrata. Seppur non indossasse mai tacchi molto alti, si era lamentata parecchio dei dolori ai piedi.  
E’ Sara a credere che non lo sia,” specificò Morgana, “forse anche Bradley inconsciamente, ma non le permetterò di uscire da questo appartamento con un look informale!” sottolineò l’aggettivo con una smorfia schifata.
“Sei sicura di voler uscire questa sera?” trasalii nel riconoscere la voce mistica di Luna: ero così impegnata a perdermi nei meandri dei miei pensieri più confusi, che neppure mi ero accorta che si era alzata dal divano e che mi si era avvicinata. Mi stava osservando con espressione parecchio incupita. “Venere non è nella posizione migliore per il tuo segno: penso che dovreste rimandare di una settimana. Forse anche due”.
Sentii un nodo serrarmi la gola e mi volsi verso le altre ragazze.  
“Non ti ci mettere anche tu: disfattista!” l’additò Amy dopo aver sollevato gli occhi al cielo.
“Magari ha ragione!” ribattei io con voce più acuta del normale. “Dovrei chiamarlo e rimandare: mi sto sentendo male. Sto per dare di stomaco. E se lo facessi davanti a lui? O peggio ancora, nella sua casa nuova!” enfatizzai con un brivido al solo pensiero.
“E’ solo un po’ di ansia”, mi blandì Morgana con uno scrollo di spalle.
“In effetti non ha un bel colorito”, convenne l'altra.
“Tanto le passo il fondotinta”, replicò distrattamente l’altra, prima di estrarre dall’armadio una mise che mi mostrò con un sorriso piuttosto compiaciuto. “È elegante ma non è provocante, è adatto a una cena informale, ma non suggerisce doppie intenzioni”.
Amy sembrava dubbiosa. “E se lui fosse vestito con jeans e maglietta? È pur sempre casa sua”.
Morgana la fulminò con lo sguardo. “In quel caso lo depennerò dalla lista dei miei contatti. Allora, cosa ne dici?” mi incalzò nuovamente.
“Mi piace”, approvai.
Amy sospirò. “Ma fa sempre così? Accetta la tua prima proposta?”.
Morgana sorrise compiaciuta. “Perché lei a differenza tua si affida a me completamente e sa che è la cosa migliore”, sancì con voce sicura di sé e uno scintillio piuttosto vivace nello sguardo.
“O forse è troppo buona”, replicò l'altra con uno scrollo di spalle. Immaginai che si divertisse semplicemente a contraddirla e non volesse darle la soddisfazione di mostrarsi a sua volta conquistata dalle sue scelte o dai suoi consigli.
Le sentii discutere durante tutta la mia preparazione, ma se non altro ciò mi permetteva di non concentrarmi troppo sui miei pensieri. Avevo persino cominciato a provare mentalmente qualche risposta sulle classiche domande che concernevano la mia famiglia, i miei studi e il mio lavoro al pub. Ma sapevo cosa fosse a terrorizzarmi all’idea di quella serata. Uscii dal bagno e le trovai entrambe nel soggiorno e pronte a osservarmi, chiedermi di fare un giro su me stessa.
Indossavo un paio di pantaloni scuri dal cavallo alto e una giacca abbinata a doppio petto. Al di sotto, quando avrei slacciato la giacca, si sarebbe intravisto il top bianco con lo scollo a cuore e le spalline abbassate. Ai piedi delle semplici décolleté per slanciare ulteriormente la silhouette[5].
“Scherzi a parte, sei sicura di stare bene?” mi domandò Morgana alla fine della seduta di make-up e dopo avermi arricciato qualche ciocca di capelli. Era la stessa pettinatura che avevo esibito la notte dello spettacolo a Londra e quel dettaglio mi era sembrato di buon auspicio.
Amy mi scrutò a sua volta con aria guardinga. “Hai a malapena aperto bocca da quando sei uscita dal bagno. Sei così nervosa?” indagò.
“No”, avevo ribattuto frettolosamente per poi sospirare. “Cioè, sì… ovviamente sono un po’ nervosa anche se non è un appuntamento vero e proprio…” specificai ancora una volta come se ciò mi potesse aiutare a ridimensionare le mie paure.
Morgana contrasse le labbra ma sembrò riuscire a trattenersi dal ribattere sul punto e mi guardò più intensamente per poi annuire tra sé e sé. “Hai deciso di dirgli tutto quanto, vero?” mi domandò.
Sentii un silenzio intenso seguire quella domanda.
Annuii. “Non voglio mentire a Bradley”.
“Certo, non puoi iniziare a uscire con lui senza che sappia cosa c’è quasi stato tra te e Tom,” commentò Amy in tono solidale, “ma in fondo aveva già intuito qualcosa la sera in cui vi siete conosciuti. A parte criticare il tuo dubbio gusto sui ragazzi, non dovrebbe fartelo pesare…”
“Non si tratta solo di Tom…” specificai e rilasciai un profondo sospiro.
Le vidi scambiarsi uno sguardo piuttosto eloquente e rivelai loro le mie intenzioni.  Approvarono la mia decisione e lodarono la mia determinazione. Seppur entrambe continuassero a pronunciare parole di incoraggiamento, nessuna delle due avrebbe potuto prevedere l’esito di quella serata. Considerando, inoltre, l’ammonimento precedente ero più che decisa a non chiedere il responso di Luna.  Apprezzai che fossero tutte presenti durante il tragitto in auto con Sean.
“Cerca di passare una buona serata” mi aveva augurato il mio amico, sporgendosi a darmi un bacio sulla guancia.
“Andrà tutto bene”, aggiunse Amy, stringendomi la spalla.
“E se così non fosse torneremo da lui con forconi e torce!” aggiunse Morgana con un ammiccamento, riuscendo a farmi ridere. Mi volsi in direzione di Luna che sembrava troppo concentrata a canticchiare tra sé e sé, dando sempre l’impressione di trovarsi lì con noi per puro caso ma con la mente già persa in ben altri pensieri mentre scrutava fuori dal finestrino.
Rivolsi loro un ultimo sorriso e scesi dall’auto di Sean. Tenevo tra le mani un’alzata con un dolce che avevo preparato per l’occasione e, camminando cautamente per i tacchi, percorsi il breve viottolo e suonai il campanello mentre l’orologio scoccava l’orario convenuto.
Quando Bradley mi aprì la porta e ne contemplai il sorriso, seppi che sarebbe valsa la pena affrontare tutto il nervosismo e l’ansia che avevano accompagnato quella giornata solo per quell’istante.
“Ben arrivata”. Si scostò premurosamente di lato così che potessi valicare la soglia dell’appartamento e mi guardai attorno curiosamente, quasi cercando nei mobili, nell’arredamento e nella scelta delle suppellettili, altri indizi sulla personalità del ragazzo che avevo di fronte. Lo sentii chiudersi la porta alle spalle e mi sentii invadere dal suo profumo: “Vuoi lasciarmi il cappotto?” sussurrò e dovetti trattenermi dal rabbrividire in modo troppo evidente.
Lo ringraziai e lasciai che lo appendesse all’attaccapanni.
“Stai benissimo”, mormorò l’attimo dopo, chinandosi a baciarmi la guancia.
Sentii la mia pelle intirizzirsi, ma gli sorrisi: “Anche tu”.
“Lo so”, rispose con un sorrisetto complice.
Sorrisi con leggerezza di quella risposta, prima di porgergli l’alzata che avevo confezionato. “Ho pensato di portare questo dessert: l’ho preparato ieri ma potrei aver avuto dei suggerimenti da un certo aspirante pasticciere”, spiegai con un sorriso nel porgerglielo.
“Mhm, non vedo l’ora di assaggiarlo, grazie del pensiero”, mormorò, prima che mi facesse strada.
“Come vedi è un ambiente molto semplice, ma l’importante è che sia funzionale fino a Giugno e non troppo impegnativo da gestire e da tenere in ordine”, mi spiegò con un atteggiamento pragmatico che potevo ben comprendere. Dopotutto, pensai razionalmente, era anche possibile che, alla fine dello spettacolo, sarebbe tornato a Londra. O persino che il suo lavoro lo portasse dall’altra parte dell’oceano. Aspettai che tornasse e lo sentii aprire il frigorifero per riporre il dolce.  
“Mi piace molto e capisco cosa intendi: anche io e Morgana abbiamo cercato di non complicarci troppo la vita. Spero solo che la tua affittuaria non sia parente della nostra e non abbia strane manie”. Seppur l’avessi pronunciata come una battuta, al pensiero di Dolores Umbridge sentii un brivido e ringraziai che l’ultima ispezione, che aveva dato buon esito, fosse avvenuta mentre mi trovavo al lavoro, ma Morgana non aveva avuto problemi a gestirla. O un ragazzo da nascondere.
“E’ stato Silente a fornirmi un contatto”, si schermì con un sorriso. “La cena è quasi pronta, che ne dici di un cocktail… analcolico, giusto?”.
“Volentieri”, replicai dopo aver annuito.
Entrai nella cucina moderna coi ripiani in acciaio e un’isola con un ampio ripiano che doveva aver usato per cucinare. Si muoveva fluidamente e agevolmente tra gli scaffali e non potei che osservarlo con il volto reclinato di un lato e un sorriso durante la breve preparazione. Pochi istanti e mi porse un calice di un colore vivace e dal profumo intuii che era un concentrato a base di frutta.
“Allo spettacolo”, mormorò, facendo cozzare i due bicchieri.  
Sorrisi e ne ricambiai il gesto prima di sorseggiare la bibita e mugugnare. “Ma è buonissimo. Una fortuna che tu non sia Assistente di Riddle o avrei dovuto temere la concorrenza”.
Bradley sorrise. “Ho lavorato anche io in un pub a Londra”, mi rivelò e annuì di fronte alla mia espressione sorpresa. “Non volevo pesare eccessivamente sui miei genitori e cercavo di contribuire per pagarmi gli studi. Avevo una particolare predilezione per i cocktail…”
“Sembri muoverti bene in cucina, complimenti.” Dovevo ammettere, probabilmente complice la mia natura golosa e i diversi reality a sfondo culinario che guardavo nel tempo libero, di trovare particolarmente affascinante quella caratteristica in un ragazzo.
“Diciamo che so fingere bene…”, replicò con un sorriso più vispo. “Potrei aver imbrogliato e aver ordinato qualcosa a casa”, aggiunse in un sussurro e un breve ammiccamento.
Risi per risposta. “Non volevo darti tanto disturbo, magari potremmo andare a cena fuori… la prossima volta”, mi sentii dire e le mie guance divennero incandescenti.
“Ne terrò conto”, mormorò per risposta, dandomi un buffetto sulla punta del naso. “In realtà me la cavo bene con i piatti della nostra tradizione, ma volevo accertarmi che il menù fosse di tuo gradimento. Giuro che ho preparato da solo il pollo alla diavola. Ma potrei aver ordinato le lasagne in un ristorante italiano che mi ha suggerito Sean”.
“Fingerò di non aver sentito allora,” mormorai in tono complice, “piuttosto… posso aiutarti in qualcosa? Posso apparecchiare?”
Scosse il capo. “Ti ringrazio, ma assolutamente no”. Mi indicò la zona soggiorno con un sorriso. “Perché invece non ti metti comoda e finisci il tuo drink?”
“Sicuro?”
“Insisto”, mi esortò con un sorriso.
Mi mossi verso il divano ma la mia attenzione fu catturata da delle cornici che erano adagiate su un mobile insieme a una ciotola nella quale erano riposte le chiavi dell’appartamento e dell’auto. “Posso?” domandai in sua direzione.
Si sporse dall’uscio per capire a cosa mi stessi riferendo e sorrise. “Ovviamente, ma devo avvertirti che potrei averle scelte strategicamente per far colpo”.
Scossi il capo con un sorriso, ma studiai le immagini, contemplando quei momenti familiari e privati che dovevano aver un significato importante per lui e che erano immortalate. La prima foto che catturò la mia attenzione fu quella con Colin e riconobbi i vestiti eleganti che avevano indossato dopo essersi spogliati degli abiti di scena. “Come sta Colin?” domandai di slancio.
“Sta già facendo dei provini, ma ha promesso che non mancherà. Dovrebbe arrivare qualche giorno prima dello spettacolo e temo proprio che mi toccherà ospitarlo”, commentò con un sospiro stoico che immaginai fosse tutta finzione. Era evidente dalle loro espressioni quanto fossero complici anche dietro le quinte. Nella seconda cornice era in compagnia di una bella signora più bassa e in carne, ma la cui espressione buffa erano simile alle sua. “Complimenti: tua madre è una donna bellissima”.
“Mi premunirò di ricordarglielo quando mi telefonerà per la buonanotte”, rispose con la stessa disinvoltura, ma con una nota di dolcezza nella voce.
“Devo correggermi: tutta la famiglia è bellissima[6]”, mormorai e studiai più attentamente l’immagine che lo ritraeva con i genitori e una ragazza molto affascinante che aveva i suoi stessi occhi ma i capelli di una tonalità più scura. Il suo sguardo era reso raggiante e si cingeva con le mani un bel pancione. Bradley esibiva lo stesso taglio che aveva durante lo spettacolo, ragion per cui doveva essere stata scattata più o meno nello stesso periodo.
“Ma spero di mantenere il primato”, commentò in tono più suadente e ringraziai che non potesse osservarmi, mentre mi schiarivo la gola e arrossivo. Lo sentivo muoversi nella cucina, aprendo di quando in quando il forno per controllare le due preparazioni e riordinando gli utensili e gli ingredienti con cui aveva trafficato.
Il mio sguardo saettò verso la fotografia che lo ritraeva con un bambino in braccio che doveva avere circa due mesi e non potei fare a meno di sospirare per la tenerezza che emanava. Ero talmente presa da quella contemplazione che quasi sussultai quando mi resi conto della sua presenza alle mie spalle. Mi porse lo scatto perché potessi studiarlo da più vicino. “Mio nipote nonché figlioccio Lowell[7]: è nato a Dicembre”.
“Deve essere difficile perdersi questi suoi primi mesi”, mormorai e sollevai lo sguardo verso di lui.
Il sorriso sul suo volto parve appena più amaro, ma inclinò il viso. “Mia sorella mi manda tutti i giorni fotografie e video e ci sentiamo su Skype, ma ho promesso di far loro visita il più possibile. Non voglio certo che si dimentichi il suo meraviglioso zio”, soggiunse con un sorriso più compiaciuto. “Ogni lavoro richiede dei sacrifici e talvolta i compromessi non sono semplici, ma tu lo sai meglio di me.”
Annuii, pensando a quella sensazione che talvolta mi stringeva la gola per la nostalgia di casa. Scossi il capo, dicendomi che non fosse il momento adatto per rifletterci. Non potei fare a meno di domandarmi quanto sarebbe stato bello vederlo alle prese con suo nipote, mentre riponevo la cornice al suo posto. “Devono essere molto orgogliosi di te”.
“Molto. Mi chiedono notizie dettagliate dello spettacolo, di Silente, di Lupin e naturalmente di te”.
Il mio cuore cominciò a scalpitare più rapidamente e mi domandai in quale accezione avesse parlato di me, ma non osando pronunciare quella richiesta.
“Ad ogni modo, Milady, la cena è servita: se volete seguirmi…”
Sorrisi. “Con molto piacere e un discreto appetito.”
 
La cena trascorse in modo molto piacevole: al di là del mio nervosismo e delle mie ansie non avrei mai saputo ringraziare abbastanza Bradley che riusciva a mettermi a mio agio, alternando momenti più scherzosi e giocosi a momenti nei quali mi lasciava parlare e ascoltava con reale interesse. Fu affascinante sentirlo argomentare della sua passione per il teatro, nata quando era ancora un bambino e accompagnava i genitori agli spettacoli. Sembrava che avesse sempre saputo, fin dalla tenera età, che quello sarebbe stato il suo destino e non potei fare a meno di ammirarlo e persino invidiarlo. Registrai le informazioni sulla sua famiglia e sulla sua vita a Londra e gli chiesi maggiori dettagli della preparazione del loro spettacolo e dell’amicizia quasi fraterna con Colin.
Lui era altrettanto curioso della mia vita, ma non mi faceva alcuna pressione, lasciando che mi prendessi il mio tempo per spiegargli le cose o cercare di formulare i miei pensieri nella sua lingua madre. Non fu affatto semplice spiegargli l’ambito nel quale mi ero laureata ma non potevo fargliene una colpa perché persino i miei familiari avevano difficoltà a capirlo e non era facile ricordare la terminologia adatta nella sua lingua. Fu decisamente più agevole parlare della mia famiglia, della mia amicizia con Morgana, del mio incontro con Amy fino agli aneddoti del pub che lo divertivano e incuriosivano molto. Fu particolarmente colpito dall’atmosfera di cameratismo che gli stavo descrivendo, con la dovuta eccezione di Rankin, e naturalmente del Signor Riddle.
“E’ un uomo così modesto poi…” commentò Bradley. “Nell’Accademia di Londra abbiamo persino dei filmati di lui e posso assicurarti che raramente si vedono attori con la sua preparazione e la sua naturalezza. Era puro talento”, mi spiegò. Vidi nuovamente quell’anelito di mera ammirazione farne quasi brillare lo sguardo nel parlare di lui.
“Non mi sorprende: Silente ne parla ancora con grande orgoglio, ma sembra aver accettato e compreso la sua scelta di ritirarsi dalle scene”, spiegai seppur fossi sempre confusa al riguardo.
Bradley sembrò accigliato. “Anthony stesso ancora non si spiega il motivo e rimpiange di non essere riuscito a portarlo a Londra. Ma è sempre stato l’uomo di Silente, fino alla fine.”
“E giurerei che sia ancora così: sembra essere l’unico in grado di metterlo in soggezione ancora oggi”.
Bradley ridacchiò al riferimento. “Non mi sorprende: io stesso mi sento così in sua presenza”.
Annuii con la stessa enfasi. “Quando l’ho conosciuto mi è sembrato un Babbo Natale ma credo che non sopporterei mai l’idea di deluderlo. Anche per lui voglio fare del mio meglio allo spettacolo”.
“Ci riuscirai”, mi rassicurò lui. “Anche perché io stesso non me lo perdonerei. Ma parlami invece un po’ di te. Credo di aver capito, più o meno, il tuo percorso di studi, la tua famiglia, il tuo rapporto con Sean e con le tue amiche”.
Mi sentii tendere, immaginando che stessimo giungendo al momento cruciale, ma attesi che formulasse la domanda, stringendomi le mani in grembo e promettendomi, per l’ennesima volta, che avrei affrontato la situazione con maturità e onestà.
“Quali sono le tue passioni? Cosa ti piace fare nel poco tempo libero a disposizione, a parte passare il tempo con le amiche?”
Non avevo bisogno di riflettere sulla risposta. Mi sarebbe salita alle labbra istantaneamente ma, seppur fino a quel momento Bradley mi fosse sembrato molto rispettoso ed attento, sarebbe stata la prima volta che condividessi una simile informazione con qualcuno di diverso dalle mie amiche. Persino coi familiari avevo difficoltà ad esternare qualcosa di così personale e privato.
“La scrittura…” risposi e sollevai lo sguardo a incontrare il suo.
Bradley sbatté le palpebre e poi sorrise, raddrizzandosi sulla sedia. “Questo sì che è un hobby particolare: lo fai da molto?” mi domandò e si sporse per osservarmi con più attenzione.
“Ho iniziato quando ero poco più di una bambina e ringrazio il cielo che su internet e sui vecchi floppy non ci siano tracce di quegli obbrobri!” commentai in tono sincero, facendolo ridacchiare. “Sono seria: erano schifezze”, precisai e sollevai la mano quasi ad invitarlo a non chiedermi ulteriori dettagli. “Si trattava di brevi racconti ispirati da serie tv o da manga giapponesi. Lo trovavo rilassante, ma con il tempo, crescendo, mi sono resa conto che era un modo di esprimermi attraverso i personaggi. Poco contava che fossero inventati da me o presi da altri autori e rielaborati: ognuno di loro aveva qualcosa di mio o qualcosa che avrei voluto esprimere ma non ero in grado di farlo personalmente. Sono sempre stata una persona piuttosto… introversa”.
“Lo trovo davvero affascinante”, ribatté Bradley. “Non lo dico per educazione o per far colpo: credo che non sia molto diverso dall’essere un attore. Entrambi indossiamo metaforicamente o meno i panni di qualcun altro e a volte ci illudiamo che quelle emozioni rimangano nel personaggio e non sia uno riflesso delle nostre. Scrivi ancora?”
“Vorrei continuare a farlo”, confessai. “Non ho molto tempo libero ultimamente, ma è sempre piacevole tornare tra quelle pagine anche solo per una mezzoretta e dimenticare i problemi, le preoccupazioni e tutto quello che mi circonda…” cercai di spiegare con uno scrollo di spalle.
“E’ catartico, è vero.” Convenne e non potei fare a meno di sorridere perché avevo la sensazione che lui fosse realmente empatico in quel frangente. “Fammi indovinare: stai per caso scrivendo dell’epoca vittoriana?”
“Colpita e affondata”, mormorai con uno sbuffo.
Lui ridacchiò. “Me lo dicesti fin dal primo incontro che ti piaceva quel contesto storico e potrei aver notato tra le mensole della tua libreria, dei volumi a tema, oltre alla collezione di Jane Austen ovviamente…” mi informò con un ammiccamento che mi fece arrossire. “Immagino che siano storie d’amore”.
Mi schiarii la gola e allungai la mano a prendere il bicchiere di vino con un gesto eloquente che lo fece sorridere non poco.
“Non intendo essere invadente più del dovuto per oggi”, mi rassicurò per poi guardarmi più dolcemente. “Hai mai pensato di farlo per lavoro?”.
Scossi il capo e aggrottai le sopracciglia. “Non seriamente: è sempre stata un’attività relegata al tempo libero o qualcosa da fare come hobby o per affrontare un momento difficile…” gli spiegai.
“Forse dovresti riconsiderare l’idea”, mi suggerì con voce più intensa.
Scossi il capo e scrollai le spalle. “Sei gentile, ma leggermente imparziale. Non ho la formazione adeguata e neppure l’esperienza”.
“Ma hai la passione che muove tutto il resto: per quanto l’impegno e lo studio siano importanti e così una buona dose di talento, è quella motivazione interiore a guidare tutto il resto. Dovresti guardarti mentre ne parli: ti brilla lo sguardo…” mormorò in tono più dolce.
Mi sentii arrossire. “Non lo starai dicendo nella speranza che ti lasci leggere qualcosa?” finsi di accusarlo con aria indagatrice, anche affinché cambiassimo argomento. Non mi sentivo molto a mio agio a continuare quella conversazione.
“Sono serio”, sussurrò Bradley sporgendosi appena in mia direzione.
“Lo so”, mormorai più intensamente. “Posso prometterti che ci penserò ancora se ti fa piacere”.
“Bene. Ma ovviamente non mi offenderei se chiedessi a Morgana di tradurre i tuoi scritti. Soprattutto se avessi immaginato un affascinante personaggio a mia immagine e somiglianza” si indicò con un gesto ampio delle mani.
Mi schiarii la gola in modo eloquente: “Credo che mi avvarrò del diritto di non rispondere”.
Bradley rise ad annuì. “Concesso. Che ne dici se ci spostiamo sul divano? Preparo il caffè e ci gustiamo il tuo dolce”.
“Posso aiutarti almeno a sparecchiare?” mi offrii nel tentativo di impilare i nostri piatti.
“Certo che no. Mettiti comoda: farò presto”.
“Solo se prometti che potrò ricambiare e la prossima volta sarò io ad occuparmi di tutto”.
Sorrise più dolcemente e ammiccò. “Spero proprio di sì”.
Lo seguii con lo sguardo mentre si dirigeva in cucina e tornai in salotto per poi accomodarmi sul divano.  Ero felice di come stavano andando le cose tra noi: era stato incredibilmente piacevole parlare con lui e mi sembrava che la sua figura divenisse sempre più concreta e reale, a mano a mano che ne conoscevo il carattere, i punti di forza, i difetti che si attribuiva, le sue passioni e ciò che non gli piaceva o che lo infastidiva. Fino a pochi minuti prima non avrei mai neppure immaginato di aprirmi con lui fino a quel punto e raccontargli della mia passione per la scrittura, come non ero mai riuscita a fare neppure con le compagne di liceo con le quali ero stata gomito a gomito per ben cinque anni. Ed era il primo ragazzo in assoluto ad esserne a conoscenza.
“Ha un aspetto delizioso” mormorò Bradley con voce golosa, trasportando il vassoio e appoggiandolo sul tavolino da caffè di fronte a noi.
“Spero lo sia anche il sapore…” mormorai con un sorriso nervoso, sperando di non aver dimenticato nulla, anche se avevo telefonato a Neville un paio di volte e gli avevo persino mandato delle foto. Attesi che prendesse posto e presi con un ringraziamento il piattino che mi porgeva.
Bradley assaggiò e mugugnò di delizia con aria così infantile da strapparmi una risata, prima di deglutire. “Lo è davvero, complimenti: saresti da sposare solo per questo”.
“Lo inserirò nel mio curriculum”, risposi giocosamente, ma scuotendo leggermente il capo.
Sospirai e appoggiai la tazza di caffè ormai vuota sul tavolino. “Ho paura di guastare questa bella serata, ma sei stato molto paziente da quando sei arrivato e meriti delle spiegazioni”.
Lui stesso sembrò rendersi conto di quel cambiamento repentino di atmosfera e abbandonò il dessert per volgersi in mia direzione e prendermi delicatamente la mano. “Non è mia intenzione farti pesare i tuoi trascorsi con Tom, soprattutto considerando che nelle ultime settimane sembrate ignorarvi bellamente, quando non state provando…” mormorò in tono gentile. “Ma per quanto mi dispiaccia ammetterlo, è evidente che abbia avuto un ruolo molto importante nella tua quotidianità, persino la sera in cui ci siamo conosciuti.”
Mi morsi il labbro ed annuii ma ne trattenni la mano, quasi avendo bisogno di un punto fermo.
“Ti prometto che cercherò di rispondere a ogni domanda in modo sincero: non voglio mentire. Non a te…” soggiunsi con enfasi e lo guardai negli occhi.
Inarcò le sopracciglia con evidente sorpresa e quasi una sorta di timore di scoprire una verità che avrebbe potuto non piacergli e compromettere tutto.
Sospirai ma raccolsi coraggio e lo osservai. “Vorrei partire da un paio di premesse se non ti dispiace”.
Mi fece un cenno di assenso e raccolsi i miei pensieri, sentendo la mente brulicare e una morsa all’altezza dello stomaco per l’ansia. La mia voce uscì più tremula e flebile del consueto: “La prima è che non ho mai avuto una relazione fino a questo momento”. Sentii le guance bollire ma continuai. “Non ho mai neppure ricevuto un bacio”.
Bradley mi sfiorò il dorso della mano, inducendomi a tornare ad osservarlo in volto per quanto mi sentissi mortificata da una rivelazione simile. Inclinò il viso di un lato e mi guardò più dolcemente e con un moto di preoccupazione. “Non sei obbligata a parlarne adesso, se non ti senti pronta.”
Scossi il capo, consapevole che non mi sarei perdonata se non fossi arrivata fino in fondo. “Credimi è meglio che me lo lasci fare o potrei non trovare più il coraggio”.
“D’accordo: fai con calma, non vado da nessuna parte.” sussurrò più dolcemente.
Gli sorrisi come implicito ringraziamento, prima di riprendere le fila del discorso. “La seconda premessa è che, affinché tu capisca meglio tutte le implicazioni del mio rapporto con Tom e delle ingerenze di Emma, devo fare un passo indietro e parlarti di un’altra persona: Matteo.”
Sembrò completamente confuso e smarrito e provò a ripeterne il nome in uno stentato italiano, quasi a chiedermi una conferma.
Annuii. “Il vero Matteo e quello fittizio…” specificai e fui lieta che non mi ponesse domande, nonostante la sua espressione apparisse sempre più interdetta.
Ancora una volta, rievocai i ricordi delle scuole medie e cercai di fornirgli una sintesi breve ma abbastanza esaustiva della sua personalità, delle nostre interazioni quotidiane, fino a quella scintilla scattata qualche anno dopo. Aveva ascoltato tutto con attenzione e quel sorriso dolce non aveva lasciato le sue labbra, nonostante gli stessi parlando di un perfetto sconosciuto.
“Sembra che tu avessi un debole per i bad boy”, mormorò con un moto di comprensione e di curiosità.
Sorrisi quasi ironicamente a quel pensiero e annuii.
“Rimpiangi spesso che non sia stato lui il tuo primo ragazzo?” mi domandò in un sussurro delicato. Sembrava realmente interessato a scoprire quella parte più intima e personale dei miei pensieri.
“A volte sì.” ammisi con voce flebile.
Annuì. “Sinceramente mi dispiace molto per quella ragazza con gli occhiali, timida e introversa che cercava il suo spazio nel mondo attraverso quei primi racconti”.
Mi morsi il labbro ma sorrisi. “Quei primi orribili racconti” precisai con una risatina più amara.
Inclinò il viso di un lato. “Pensi ancora spesso a lui?”
Lo guardai più intensamente, ma scossi il capo, dopo averci riflettuto per qualche secondo. Probabilmente avrei continuato, soprattutto nei giorni di maggiore fragilità, a interrogarmi su come sarebbe stata la mia vita se fossimo stati insieme, ma non vi avevo più riflettuto così intensamente dalla fine della storia tra Amy e Daniel. “Non in quel modo.”
Mi guardò con persino più premura nello sguardo e sussurrò: “Non ti biasimerei se fosse così”.
“Posso assicurartelo.” mormorai per risposta, “Ma sono stata io a richiamarlo in causa mio malgrado, dopo aver conosciuto Tom ed Emma”.
Il ragazzo non parve sorpreso, ma inarcò le sopracciglia. “Avevo intuito che fosse molto gelosa e possessiva nei confronti di Tom…” mormorò quasi tra sé e sé.
“Per quanto mi piacerebbe, non posso attribuirle tutte le responsabilità: ho mentito e non sono stata sempre rispettosa del suo rapporto con Tom”, rivelai in tono quasi stanco e con un moto di vergogna.
A quelle parole, lui era sembrato rabbuiarsi ma aveva atteso pazientemente che riprendessi il mio racconto e non mi aveva interrotta, se non per chiedermi qualche ulteriore delucidazione, soprattutto sul ruolo di Dario nelle vesti di Matteo e sulle circostanze che, quella sera a Londra, mi avevano spinto a discutere e poi riappacificarmi con Tom. Di fatto, così facendo, avevo rimandato il nostro incontro.  A quel punto lui stesso mi aveva rivelato che, il giorno dopo, aveva sperato di incontrarmi con Silente per la visita guidata alla loro Accademia. Dopo avergli proposto quell’incarico, il Preside stesso lo aveva esortato ad accompagnarlo in hotel.
“Tornai con lui in albergo,” continuò a parlare in un sussurro più triste, “ma il direttore ci disse che stavi passando la giornata in giro per la città con l’altro ospite di Glasgow.” Concluse in tono pacato che non fece che accrescere il mio disagio e il mio senso di colpa.
Sospirai pesantemente e scossi il capo quasi a rimproverare il mio alter ego di qualche mese prima. “Non sai quanto abbia rimpianto di esser stata così sciocca da concedergli l’ennesima occasione. Soprattutto perché ho temuto che non ti avrei mai più rivisto”, confessai più mestamente.
Bradley mi sfiorò il dorso della mano e sorrise. “E’ stato Silente a suggerirmi di tenerti nascosta la mia assunzione, così da darti tempo per affrontare la tua confusione e non accrescerla…” mormorò e non potei che sorridere per l’infinita saggezza e la dolcezza del Preside. Non potei fare a meno di ripensare alla nostra chiacchierata in aereo nella quale aveva sfacciatamente fatto allusione al “colpo di fulmine” tra noi, tenendomi tuttavia nascosto il suo ruolo nei prossimi mesi.
“Non gli sarò mai abbastanza grata.”
Fu quindi con un sospiro che ripresi e gli raccontai delle ultime vicissitudini e di come avessi toccato il fondo solo dopo il regalo di Tom, smascherato dalle parole di Emma e le tensioni che erano state alimentate dal suo arrivo e dal suo ruolo di Assistente. Alla fine di quella lunga narrazione mi ero sentita sopraffare dalla stanchezza. Soprattutto, mi ero resa conto, di come gli eventi avessero assunto uno schema ripetitivo e quasi patologico nel quale io e Tom, in un modo o nell’altro, creavamo un equilibrio precario che finiva inevitabilmente per sgretolarsi, ogni volta che lui compiva qualche gesto inappropriato nei miei confronti e in quelli della sua fidanzata storica. Mi ero resa conto, obiettivamente, che avevo sbagliato a mia volta a concedergli troppa confidenza, nonostante i pareri negativi delle mie amiche e ogni volta avevo finito con il pentirmene. In verità le ultime settimane nelle quali le nostre interazioni si erano limitate esclusivamente alle prove scolastiche avevo provato un senso di pace e di liberazione che non sentivo da prima di conoscerlo. Era come se la sua presenza fosse divenuta un gas nocivo a cui non solo mi ero abituata, ma che mi aveva persino assuefatto in talune circostanze. Avevo la gola quasi secca e allungai la mano a recuperare il mio bicchiere d’acqua mentre Bradley sembrava avere lo sguardo fisso in un punto indefinito. Mi resi conto che i suoi lineamenti apparivano più rigidi e aveva un solco tra le sopracciglia a testimoniarne lo stato d’animo tutt’altro che lieto. Mi morsi il labbro inferiore ma mi imposi di lasciargli tutto il tempo necessario per poter processare tutto ciò che gli avevo rivelato e rendersi conto di come i fatti si fossero intrecciati, compresa la sua apparizione nella mia vita. Dopo quella che parve un’eternità si voltò in mia direzione e sospirò. Ogni traccia di sorriso era scomparsa dal suo volto e persino i suoi occhi sembravano spenti e ciò bastò a farmi tendere.
“E’ davvero molto da assimilare.” Sembrò volersi giustificare per la difficoltà di trovare qualcosa da dire, probabilmente incapace di decidere quale fosse il modo consono di reagire.
“Me ne rendo conto.” mormorai e mi sforzai di apparire tranquilla e comprensiva. “Non potrei certo biasimarti se tu ti sentissi diffidente nei miei confronti: ho fatto un casino dopo l’altro e avrei potuto porvi rimedio subito se avessi avuto più coraggio e fossi stata sincera da principio.” In fondo, avevo continuato a ripetermi, perché avrei dovuto curarmi del giudizio di Emma? Avevo sospettato fin dalla prima conversazione privata che tra noi non sarebbe mai nata una vera amicizia. E neppure lo avevo mai desiderato, se dovevo essere del tutto onesta con me stessa.
Il ragazzo si alzò dalla sua postazione e quasi sussultai ma lo vidi raccogliere le stoviglie sporche per portarle in cucina, probabilmente cercando di prendere tempo e radunare le idee. Pensai che non fosse il caso di chiedergli nuovamente se avesse voluto il mio aiuto e lasciai che si prendesse quegli istanti per restare da solo.  Quando rientrò in soggiorno, mi scostai dallo schienale del divano e attesi in silenzio, seppur mordicchiandomi il labbro inferiore.
Sembrò faticare a trovare le parole ma alla fine prese di nuovo posto al mio fianco e parlò con la consueta pacatezza. “Capisco che non sia stato facile parlarne e conoscendo i fatti posso capire perché apparissi così rigida ogni volta che mi riferivo a Tom.” convenne con un sospiro. Le sue labbra si incresparono appena nell’ombra di un sorriso. “Apprezzo che tu sia stata sincera con me”.
Mi tesi istintivamente, perché avevo la sensazione che stesse per arrivare la parte sgradita del discorso e volesse attenuarne l’impatto. Persino in quel momento si comportava come un “cavaliere”. Inclinai il viso di un lato. “Ma?” lo esortai a parlare direttamente.
Strinse le labbra. “Non ho alcun diritto di giudicarti e non vorrei mai ferirti, ma voglio e devo essere onesto con te.” mormorò con voce più grave, guardandomi negli occhi.
Trattenni il fiato ma lasciai che parlasse e ne sostenni a fatica lo sguardo.
“In questo momento mi riesce estremamente difficile riconoscere la ragazza che ho osservato e ammirato da quella sera di Dicembre in quella che hai descritto in queste situazioni.” mormorò in tono accorato che ne fece scintillare lo sguardo. “La stessa che ha volontariamente mentito e omesso la verità per timore del giudizio e delle azioni di un narcisista patologico e della sua svenevole ragazza”. Pronunciò gli aggettivi riferiti alla coppia con evidente disprezzo.  
Non potei fare a meno di sentire un nodo in gola, seppur ne comprendessi la reazione e non potessi trovare una giustificazione ai miei comportamenti. Trovavo amaramente ironico che Morgana mi avesse messa in guardia affinché non idealizzassi il ragazzo che avevo di fronte ma, in fin dei conti, lui sembrava aver fatto lo stesso con me. E, in quel momento, realizzai con un nodo in gola, era evidentemente deluso dal confronto tra le sue fantasia e la realtà dei fatti.
“Non cercherò di giustificarmi.” mormorai con voce più flebile, cercando di restare aggrappata al mio respiro e di mantenere un minimo di dignità e di autocontrollo. “So di essere una persona ancora immatura sotto diversi punti di vista e mi rincresce molto di averti deluso.” Cercai nuovamente il coraggio di guardarlo in volto. Sembrava in procinto di voler rispondere ma lo interruppi. “Era giusto che tu sapessi tutto per conoscermi davvero”.
“Sai cosa mi dispiace davvero di tutta questa storia intricata?” mi domandò con espressione contrita. Sembrava che pronunciare quelle parole fosse per lui difficile come per me ascoltarle. “Tutti noi abbiamo dei rimpianti guardando al nostro passato, ma ho l’impressione che tu non abbia mai perdonato quella liceale introversa, silenziosa e sognatrice che trepidava per recarsi a quella fermata dell’autobus nella speranza di rivedere la sua prima cotta”.
Mi morsi il labbro a quelle parole e distolsi lo sguardo, fin quando non mi strinse più delicatamente la mano.
“Quella ragazza è ancora dentro di te: ne ho visto uno spiraglio quella sera a Londra e sono quasi certo che tu sia stata vittima più volte dei raggiri di quei due perché nelle persone cerchi sempre il meglio, anche quando non lo meritano. O, peggio ancora, approfittano della tua buona fede e della tua sensibilità…” pronunciò con calma e il cipiglio si corrugò nuovamente al pensiero.
“Devo chiederti del tempo per riflettere su tutto questo.” Sussurrò dopo quella che parve un’eternità nella quale persino il mio respiro era rimasto in sospeso.
“Certo.” mormorai per risposta. Mi sforzai di sorridere e di simulare tranquillità. “Ti ringrazio molto per la cena, ma credo che sia ora di tornare a casa.”
Bradley annuì e fu lesto a rimettersi in piedi e a recuperare le chiavi dell’auto, insieme ai nostri cappotti.  “Ti accompagno”.
 
Il tragitto in auto fu breve, ma particolarmente silenzioso. Intuivo che il ragazzo alla guida stesse ancora riflettendo sulle mie parole anche dalla presa salda sul volante e dal corrugamento delle sopracciglia. Mi accompagnò fino alla porta del nostro appartamento, al quinto piano.
“Allora ci vediamo in Accademia.” mormorò con un sorriso gentile.
Contai i passi che stava facendo per raggiungere l’ascensore: avevo la sensazione che se lo avessi lasciato andare in quel modo, me ne sarei pentita profondamente. Qualcosa dentro di me scattò e ne richiamai l’attenzione: “Aspetta un attimo, per favore.”
Mi affrettai a ricoprire la distanza e Bradley si voltò con le sopracciglia inarcate, ma attese che prendessi coraggio e trovassi le parole per far chiarezza dei miei pensieri in quel momento.
Lasciai cadere le braccia lungo i fianchi quasi in un gesto di resa e di frustrazione.  “La mia vita, come avrai capito, è piena di incertezze e da un punto di vista personale, professionale, per non parlare di quello emotivo…” mi sentii pronunciare con voce flebile. Feci un ulteriore passo in avanti e ne cercai lo sguardo, affinché le parole successive fossero ben metabolizzate. “Ma so per certo che quella sera a Londra ha cambiato le cose per sempre.” Sorrisi e inclinai il viso di un lato, cercando di spiegarmi meglio. “Morgana una volta mi ha detto che a volte le persone devono attraversare delle deviazioni sbagliate per trovare la propria strada e credo che Tom e lo spettacolo siano stati esattamente questo per me. Tutto ciò che di assurdo e di caotico è avvenuto dal mio arrivo a Glasgow doveva condurmi a Londra quella notte…” le mie labbra si distesero in un sorriso sincero. “Da te.”
Sembrò che il suo contegno vacillasse e vidi un nervo tendersi sulla sua guancia, ma restò immobile, continuando a studiarmi, mentre inspiravo profondamente per trovare la forza di proseguire.
“Conoscerti e stare in tua compagnia mi sta facendo tornare sul percorso giusto. So che è solo un primo passo, ma spero con il tempo di riuscire a meritarmi il tuo rispetto e la tua fiducia”.
Lui sospirò e sembrò in procinto di ribattere, ma sollevai la mano, pregandolo silenziosamente di lasciarmi terminare. “A prescindere da quello che potrebbe o non accadere tra noi, voglio solo che tu sappia che non potrò mai ringraziarti abbastanza per il bene che mi hai fatto, anche senza saperlo. Non lo dimenticherò mai.” Terminai con voce flebile, sentendomi vicina alla commozione. Mi sollevai sulle punte e ne baciai la guancia.
“Buonanotte”, sussurrai dopo essermi nuovamente abbassata sui talloni.
Un sorriso più dolce gli increspò le labbra e ne fece baluginare lo sguardo, dandomi l’impressione di rivedere quell’affascinante “cavaliere” che mi aveva emozionato dal primo momento. Si chinò verso di me e sentii le sue labbra premere delicatamente contro la mia fronte. “Buonanotte”.
Trattenni il fiato e socchiusi gli occhi. Avrei voluto più di ogni altra cosa supplicarlo di cingermi per un breve istante e dimenticare ciò che gli avevo raccontato. Almeno per un attimo. Avrei voluto sostare in quella bolla, non sapendo cosa sarebbe accaduto dopo, accontentandomi di quel momento. Mi ripetei che non sarebbe stato giusto e lasciai che si scostasse e lo seguii con lo sguardo fin quando non entrò nella cabina dell’ascensore.
Sospirai e quel nodo in gola sembrò persino più forte. Rimasi in corridoio per qualche istante, sentendo attutiti i suoni di chiacchiere e risate che provenivano dagli appartamenti che mi circondavano. Cercai di concentrarmi su quegli schiamazzi, il tempo sufficiente a regolarizzare il respiro, ad asciugarmi il viso e a tornare nel mio appartamento dopo essermi sincerata di apparire il più composta possibile. Insinuai le chiavi nella serratura e mi parve che le voci delle mie amiche si estinguessero istantaneamente. Erano entrambe sedute sul divano e impostarono la pausa al programma che stavano guardano – una puntata di The Big Bang Theory notai distrattamente – e si volsero in mia direzione.
“Ciao ragazze”, mi sforzai di parlare in tono tranquillo, notando che Luna doveva già essere tornata a casa. Vidi Morgana controllare l’orologio con aria sorpresa, ma si drizzò subito in piedi, mentre io mi prendevo qualche istante per togliermi il cappotto e sfilarmi le scarpe eleganti.
“Allora gli hai detto tutto?” mi domandò Amy senza preamboli. “Tutto quanto?”
Annuii, camminando verso il soggiorno e lasciandomi cadere sulla poltrona. Notai distrattamente gli avanzi di pizza davanti a loro, ma sentii lo stomaco contrarsi come per la nausea.
“Stai bene?” mi domandò prontamente Morgana.
“Non proprio…” risposi, ma mi sforzai di sorridere. “E’ stato molto gentile come suo solito, ma anche molto sincero: ha bisogno di tempo”.
“E’ normale che sia così,” sembrò volermi tranquillizzare Amy, “è una cosa abbastanza pesante da mandare giù. Quasi mi pento di aver avuto l’idea di presentarti Dario…” aggiunse con un sospiro.
“Non è assolutamente colpa tua”, mi affrettai a precisare. “Avrei dovuto chiarire subito le cose con Emma e stare alla larga da lei e dal suo amato…” conclusi con una smorfia. Il solo pensiero di quella coppia mi riempiva di rabbia e di acredine.
Dalle loro espressioni era evidente che pensassero lo stesso ma fui grata che non me lo rinfacciassero in quel momento, malgrado più volte avessi ignorato i loro consigli.
“E’ un buon segno che Bradley ti abbia chiesto del tempo, comunque”, continuò Morgana con la sua tipica sicurezza. “Significa che non vuole prendere una decisione affrettata e penso che sia la cosa migliore. Con il tempo ti conoscerà meglio e se così non fosse, io e Sean ci siamo già prenotati per fargli pelo e contropelo” aggiunse in tono più scherzoso.
“Deve essere un record il mio”, mormorai tra me e me, passandomi una mano tra i capelli e appoggiando le ginocchia alla poltrona, stringendomele al petto. Il fatto che Morgana non mi sgridasse per come stavo sgualcendo i vestiti era un chiaro segno della tensione del momento. “Potrei aver rovinato una bella storia ancora prima che iniziasse…” commentai in tono ironico, scuotendo amaramente il capo.
“Non sarebbe comunque finita bene, se fosse iniziata con una simile omissione” mi fece notare Morgana seppur in tono gentile.
Annuii. “Lo so, ho continuato a ripetermelo, ma non mi consola”.
Lei mi strinse dolcemente la mano. “Per quel che vale, sono incredibilmente orgogliosa di te.”
Ne ricambiai la stretta e sorrisi, consapevole che da quel giorno sarei riuscita a guardarmi allo specchio con meno sensi di colpa sulle spalle.
“Se le cose non andassero in porto, potrei provarci io con lui?” mi domandò Amy con una tale faccia tosta che Morgana quasi lasciò cadere il bicchiere che stava portandosi alle labbra. “Certo, lascerei passare un po’ di tempo…” aggiunse quasi a mo’ di consolazione.
Sbuffai ma risi e fui persino grata di quella battuta che riuscì a stemperare la tensione del momento. “Comunque stasera hai avuto molto coraggio e per questo ti stimo.” Aggiunse più dolcemente, prima di battere le mani in un gesto pratico che le avevo visto fare al pub infinite volte. “Allora cosa ti preparo? Una cioccolata? Una tazza di the?”
Morgana scosse il capo e anticipò la mia risposta. “Qui ci vuole qualcosa di più forte”.
Mi sollevò quasi di peso dalla poltroncina e mi condusse con sé in cucina.
 
I miei guai sembrarono decisamente molto più leggeri dopo qualche drink preparato appositamente da Morgana e qualche risata in compagnia, cercando di cambiare argomento. Amy, ad esempio, si era premunita di raccontarmi uno degli appuntamenti più disastrosi degli ultimi tempi, in compagnia di un altro ragazzo di origini italiane.
“Io gli dico che non vedo l’ora che esca quella serie tv dedicata ai Medici”, iniziò a spiegare, cercando di restare seria.
Richard Madden[8]…” sospirò Morgana un sorriso colmo di aspettative.Non vedo l’ora”.
“E lui sapete che mi risponde?”. Assunse un’espressione impettita, imitando evidentemente il giovane in questione, cercando di trattenersi dallo scoppiare a ridere. “Non fa per me. A me non piacciono le serie tv ambientate negli ospedali[9]!”
Sbattei le palpebre a più riprese, dapprima incredula e poi scoppiai a ridere convulsamente, in parte per sincero divertimento e in parte per la leggerezza che mi aveva invaso la mente, dopo qualche bicchierino di troppo. La serata culminò con ulteriori imitazioni da parte di Morgana nei panni di Emma e di Amy in quelli di Tom mentre interpretavano due personaggi di una ben nota opera.
 
“Mhm, qual era lo spettacolo che hanno interpretato Tom ed Emma ai tempi del liceo?”
Inarcai le sopracciglia e mi voltai verso Morgana a quella domanda inaspettata. Mentre Amy e io eravamo ancora alle prese con il tiramisù che stavo preparando per la mia cena con Bradley, la mia amica si era concessa una pausa. Negli ultimi minuti l’avevo vista trafficare con il cellulare e immaginai che stesse dandosi a una delle sue attività preferite: controllare i social pubblici dei nostri conoscenti, avvalendosi di uno dei suoi numerosi fake. Aveva le sopracciglia inarcate ma le sue labbra guizzavano come se si stesse trattenendo dallo scoppiare a ridere.
Cercai di fare mente locale e ripensare a quanto mi aveva raccontato quella notte. Sembrava passata una vita da quel folle Sabato sera, quello della prima cena tra amici che avevo dovuto disertare a causa del mio infortunio alla caviglia. “Non ha specificato il titolo”, risposi con uno scrollo di spalle. “Perché?”
Amy aveva sbuffato. “Strano che sia stato così modesto: forse non sarà stato così ben riuscito. E ha pure avuto la faccia tosta di non fare i complimenti a Bradley e al suo collega!” ripensò con uno scuotimento di capo.
“Si sarebbero innamorati durante quello spettacolo?” insistette Morgana.
“Non ne ho idea,” risposi ancora indifferente, “ma perché ti interessa?” le domandai vagamente seccata dal fatto che mi stesse interrompendo durante quella fase delicata nel ricoprire la superficie del dolce con il cacao in polvere senza sporcare dappertutto.
“Sembra proprio che quello spettacolo li abbia consacrati come coppia”, spiegò Morgana con aria gongolante. “Sono stati amanti nella trasposizione teatrale di un’opera che tu conosci bene”, mormorò con sguardo eloquente.
“Ce lo dici o no?” la incalzò Amy.
Le nebbie di Avalon[10]” replicò Morgana.
Sbattei le palpebre e boccheggiai con aria incredula. Si trattava del primo romanzo che mi avesse mai regalato con tanto di dedica: era in virtù di quel romanzo che la madre si era appassionata alla mitologia arturiana e le aveva conferito il suo nome. “Non me lo dire”, mormorai incredula.
“Avalon come quella dei miti di Arthur?” domandò Amy ed io annuii.
“Indovinate chi interpretava Emma?”.
“Ginevra”, risposi senza neppure bisogno di pensarci e risi l’attimo dopo. Se in molti racconti o enciclopedie il personaggio della regina era sempre tratteggiato in modo decisamente molto fazioso, esaltandone la grazia, la bellezza e il profondo amore di Arthur nei suoi confronti; in quel romanzo si veniva coinvolti dal punto di vista della Sacerdotessa Morgana. E si mettevano in luce l’ipocrisia, la superbia, la svenevolezza e il fanatismo religioso della Regina.
Morgana annuì, prima di porgermi il telefono. “E indovinate chi ha interpretato Tom?”.
“Non dirmi Arthur!” aveva esclamato Amy con voce quasi indignata.
Aggrottai le sopracciglia, ricordando i vaneggiamenti del nonno circa i suoi “capelli d’ariano”, ma Morgana aveva già scosso il capo.
A quel punto la risposta poteva essere solo una. “Lancillotto!” esclamai e l’attimo dopo scoppiai a ridere. Era davvero ironica la vita. Lui interpretava quello che poteva definirsi il fedifrago che insidiava l’amore del suo sovrano quando, di fatto, era lui a sabotare la sua stessa relazione.
“Non sapevo che Tom portasse i capelli lunghi all’epoca” mormorò Morgana che finalmente ci porse il telefono. Era stata aperta la pagina Instagram di Emma che aveva postato un “TBT[11]” risalente a qualche anno prima, in occasione del suo anniversario con Tom, ricordando quel giorno che le aveva cambiato la vita e di come, talvolta, dalla finzione potesse nascere un sentimento reale.
Ma il mio sguardo vagò sul volto di Tom e quasi mi cadde il telefono di mano, mentre Amy alle mie spalle stava già ridendo fino alle lacrime. Il ragazzo nella foto aveva i capelli lunghi fino alle spalle, lievemente ondulati e castani. La barba e il pizzetto gli conferivano un'aria più matura. Ma erano radi i ciuffi che gli cadevano sulla fronte, facendo sembrare il suo viso ovale persino più allungato e il mento persino più appuntito[12].
“Dobbiamo procurarci un filmato! Datti da fare!” la esortò, quando finalmente riuscì a controllare l’ilarità degli ultimi istanti.
Morgana annuì con enfasi, ancora ridendo a sua volta. “Devo cercare altri compagni di classe di Londra!”
 
Non era decisamente il dopocena che avevo sperato, ma ancora una volta fui grata di avere al mio fianco delle amiche che riuscissero a farmi sorridere e dimenticare i miei pensieri e le mie preoccupazioni. Almeno per qualche ora.
 
~
 
La casa era più silenziosa del solito. Morgana e Sean quella sera erano usciti con Angel ed Eoin. Era stata la mia amica stessa artefice e complice in quell’abbinamento romantico. Non era insolito che le due colleghe venissero nel nostro pub per un aperitivo preparato dall’ultimo arrivato: Bill Weasley, l’adorato figlio della nostra cuoca. A quanto sembrava Eoin si era letteralmente invaghito di Angel, tanto bella quanto dolce e Morgana non aveva mancato di notare la reciproca scintilla. Affinché la prima uscita per conoscersi meglio non fosse troppo impegnativa, aveva organizzato quell’appuntamento a quattro.
Quella sera non avevo particolarmente voglia né di dedicarmi alla visione di una serie tv o della lettura e tantomeno della scrittura. Aprii l’agenda e presi tra le mani il bigliettino che avevo inserito al suo interno la sera di San Valentino.
 
Avevo esclamato il nome del ragazzo con aria sorpresa e mi ero affrettata a coprire la distanza dalla finestra per sollevarne il vetro e lasciarlo entrare. Era vestito, come sempre, in modo impeccabile con tanto di cappotto lungo per ripararsi dal freddo, ma non era mai apparso così pallido e agitato. Aveva lasciato cadere distrattamente una scatola di cioccolatini e un piccolo bouquet di rose sul mio letto e mi aveva scrutato attentamente. “Stai bene?” mi aveva domandato con voce concitata.
Avevo sbattuto le palpebre a più riprese, ancora spiazzata alla sua vista.
“Ero passato dal pub… Neville mi ha raccontato quello che è successo: mi dispiace di non essere stato lì…” aveva mormorato ed era sembrato mortificato alla prospettiva. “Ma stai bene, vero?” mi aveva incalzato.
Nonostante tutte le incertezze di quel giorno, le emozioni contrastanti e non in ultimo il timore che avevo provato in quei momenti e la successiva scarica di adrenalina, la sua presenza mi aveva scaldato il cuore e mi ero sentita commossa da simili premure.  “Sto bene…” avevo risposto con voce flebile, ma sorridendogli. “Mi dispiace che ti sia spaventato.”
Bradley aveva scosso il capo a quelle scuse, ma con un gesto più fluido e spontaneo, facendomi quasi sussultare, mi aveva avvolto tra le braccia e stretto al suo petto. Mi era sembrato che il tempo si fosse fermato intorno a noi. Il mio cuore aveva scalpitato in modo febbrile e il mio respiro era accelerato ma ne avevo ascoltato il battito regolare e ben scandito. Avevo socchiuso gli occhi e mi ero abbandonata al contatto, sentendo il bisogno del suo calore e della solidità del suo corpo. Lui aveva appoggiato il mento sul mio capo e mi aveva accarezzato i capelli fino a quando non mi ero completamente rilassata. Avevo messo da parte i dubbi, le remore e i timori per assaporare quell’attimo semplicemente perfetto in cui mi sentivo al sicuro. Esattamente dove avrei voluto essere.  Anche quando le mie emozioni erano in subbuglio, credevo che gesti simili fossero più che eloquenti e talvolta più efficaci delle parole. Mi ero costretta a scostarmi e lo avevo guardato con espressione piuttosto confusa: era la prima volta che si presentava nel mio appartamento. “Come hai fatto ad arrivare qui?”
Aveva scrollato le spalle. “Ho chiesto a Neville l’indirizzo e ho visto Amy in auto: è stata lei a consigliarmi di usare le scale antiincendio per non metterti nei guai.” Mi aveva spiegato con voce più pacata. Aveva continuato, tuttavia, a osservarmi come a volersi sincerare delle mie reali condizioni.
Avevo annuito per poi indicare la valigia dimenticata. “Stavo preparando le mie cose per andare a dormire da lei e da Luna”.
“Mi sembra un’ottima idea.” aveva risposto educatamente, passandosi una mano tra i capelli.  Sembrava voler aggiungere qualcosa, ma aveva sorriso con aria di scuse. “Allora vado: volevo solo assicurarmi che stessi bene”.
“Aspetta!” Lo avevo trattenuto e avevo indicato i piccoli cadeaux che aveva abbandonato sul letto.  “Eri passato al pub per lasciarmi questi?” Avevo sentito un moto di calore e di speranza che sembrava aver annullato le preoccupazioni delle ultime ore.
Mi aveva osservato con una punta di rammarico. “In realtà volevo anche scusarmi per quest’oggi…” mi aveva rivelato, prima di scuotere il capo. “Ma non è il momento migliore per parlarne: hai già avuto una giornata pesante e la tua amica ti sta aspettando.”
Avevo rafforzato istintivamente la pressione sul suo braccio. “Non andartene così per favore: non riuscirò a dormire se non terminiamo questa conversazione. Sono certa che Amy capirà”.
Mi ero seduta ai piedi del mio letto e lo avevo invitato, con un gesto, ad accomodarsi al mio fianco. “Per cosa dovresti scusarti?” gli avevo domandato con le sopracciglia inarcate.
Il ragazzo era sembrato combattuto, ma aveva annuito alla mia richiesta di spiegazioni. Si era seduto e aveva cercato le parole adatte per poi parlare con la consueta sincerità e compostezza. “Ho avuto l’impressione che fossi triste quando ci siamo congedati quest’oggi e mi sono sentito responsabile”.
Mi ero sentita arrossire per la vergogna. Anche in quel momento sentivo che non era il caso di raccontargli del pettegolezzo che lo riguardava in prima persona, ma non potevo pretendere che lui fosse del tutto sincero con me, se io non mi sforzavo di fare altrettanto. Senza contare i miei trascorsi con Tom che dovevano sembrargli ancora ambigui. “Quest’oggi, quando ci stavamo congedando, ho pensato che stessi per chiedermi di uscire… ero piuttosto confusa e ho cominciato a chiedermi se non avessi frainteso tutto.” Gli avevo confessato con non poca esitazione.
Bradley aveva annuito alle mie parole, come se avessi confermato la sua impressione. Si era sporto leggermente in mia direzione con un sorriso sulle labbra, seppur di un’incrinatura più amara, come se fosse stato consapevole di non poter del tutto dissipare quel mio stato d’animo. “Ricordi quando alludevo al fatto che in Accademia dovremmo mantenere una certa professionalità?”
Avevo annuito prontamente e mi ero sentita nuovamente in colpa per quel piccolo “incidente” avvenuto durante le nostre prove. “Infatti sono io che dovrei scusarmi per quest’oggi e-”.
Bradley aveva scosso il capo e mi aveva cinto la mano per poi scrutarmi più intensamente. “Se dobbiamo lavorare insieme per il bene dello spettacolo, dovremmo stare molto attenti a non lasciare che quello che accade al di fuori possa interferire, capisci?”
“Certo.” Avevo risposto con un filo di voce. Avevo sospettato che quella giornata sarebbe terminata in modo persino peggiore di tutti i miei San Valentino trascorsi da single. “Lo capisco, ma devo ammettere che non mi risulta affatto facile…” Avevo confessato e avevo sentito nuovamente le guance infiammarsi.
Un sorriso più dolce gli aveva increspato le labbra, facendone baluginare le iridi. “Neanche per me, credimi.” Aveva sussurrato più intensamente. “Ma sto cercando di prendere molto seriamente questa opportunità, quindi sarò costretto ad attendere che tu non abbia più bisogno di me da un punto di vista professionale. A quel punto potrò chiederti un vero e proprio appuntamento.”
“Oh”. Avevo sentito il mio cuore scalpitare persino più intensamente, ma avevo sentito un sorriso aprirsi sulle mie labbra.
“A meno che tu, naturalmente, non sia contraria o cambi idea nel frattempo.” Aveva aggiunto Bradley facendo cozzare la sua spalla contro la mia in modo giocoso. Vi era nel suo sguardo una punta di vanità che gli si poteva facilmente perdonare per quel guizzo più sbarazzino nel suo sguardo.
Avevo scosso il capo con uno sbuffo simile a una risata e, confortata anche dal tocco della sua mano, gran parte dei miei dubbi e dei miei timori finalmente sembrarono placarsi. Lo avevo osservato più intensamente e avevo annuito. “Prometto che farò tutto il possibile per non rendere la situazione ancora più difficile e aspetterò… sempre che non sia tu a cambiare idea naturalmente”.
Aveva finto di rifletterci con fin troppa enfasi. “Chissà…” aveva sospirato. “Potrei sempre invaghirmi di Morgana e cercare di uccidere Sean nel frattempo.” Aveva dichiarato in tono così serio da indurmi a dargli una lieve spintarella.
“Non sarà facile per nessuno dei due, ma potremo comunque passare del tempo insieme e approfittarne per conoscerci meglio”.  Seppur non lo avesse detto esplicitamente era certa che molte delle sue domande gravitassero intorno a Tom e alle tensioni che non sembravano mai appianarsi tra noi. Sapevo che non sarebbe stato facile averlo vicino e cercare di tenere sotto controllo le mie emozioni e il mio stato d’animo, ma razionalmente convenivo che fosse fondamentale restare lucida e non rischiare di invaghirmi di un’idea di lui e di vivere la stessa illusione di Amy nei riguardi di Daniel.  Solo con il tempo avremmo potuto constatare se tra noi potesse nascere qualcosa di più dell’amicizia. Speravo con tutto il cuore che quella sorta di sogno che era iniziato in quella notte di Dicembre, non si rivelasse una fantasia simile ai miei sogni.
“Per questa sera è meglio che mi congedi e ti lasci andare dalle tue amiche: hai avuto una giornata lunga e devi riposare.” Aveva mormorato in tono deciso, prima di rimettersi in piedi.
Lo avevo imitato e gli avevo nuovamente sorriso. “Grazie dei fiori e dei cioccolatini.”
Con tutti gli avvenimenti delle ultime ore, solo in quel momento mi ero resa conto che era la prima volta che ricevevo un pensiero per San Valentino e il fatto che fosse da parte sua, rendeva tutto ancora più speciale.
“Avrei voluto poter fare di più…” mormorò per risposta. Aveva indugiato qualche secondo ma si era chinato e mi aveva sfiorato la guancia con le labbra. Aveva sostato qualche secondo contro la mia pelle intirizzita e io avevo socchiuso gli occhi e ne avevo inspirato il profumo.  “Buonanotte, Milady.” aveva sussurrato al mio orecchio.
Lo avevo seguito con lo sguardo mentre discendeva dalle scale antiincendio. Avevo mandato un messaggio alla mia amica, scusandomi per l’attesa e promettendole che l’avrei raggiunta in pochi minuti. Avevo preso il bouquet e lo avevo riposto in un vaso con un sorriso sognante.
 
Ripensai alla dolcissima emozione che mi aveva scosso nel leggere quelle parole per la prima volta:
 
Milady,
mi rincresce che questo non sia il San Valentino che avresti desiderato o meritato. Ma sono abbastanza megalomane da sperare di poter farmi perdonare, prima del prossimo.
Bradley
 
Lo avevo riposto nell’agenda e avevo sospirato per l’ennesima volta, sfogliando l’agenda e appuntando qualche impegno e promemoria per i giorni seguenti.
Il mese di Marzo era scivolato via rapidamente dopo il compleanno di Sean[13], che avevamo festeggiato al pub, e il cambio di lavoro da parte di Amy. Mi sembrava che fossero passati due mesi, piuttosto che due settimane, dalla cena a casa di Bradley. Mi mancava terribilmente e più volte durante la giornata mi sorprendevo ad aprire le applicazioni di messaggistica e a controllare il suo ultimo accesso o a guardare la nuova immagine di profilo[14]. Sentivo il cuore in gola ogni volta che appariva “online” e desideravo trovare un pretesto legittimo per contattarlo ma, al contempo, non volevo in alcun modo “imporgli” la mia presenza. Avevo giurato a Morgana che non avrei preso stupide iniziative e Amy mi aveva già telefonato per invitarmi ad andare al cinema con lei e con altri suoi amici tra cui Luna e Dario, ma avevo preferito restare a casa. Avevo alluso alla necessità di una “serata tranquilla” e al proposito di finire il libro dei due amanti russi che, più che mai in quel momento, mi era divenuto quasi intollerabile persino alla vista.
Invece accesi il notebook e aprii la familiare pagina del mio blog e lasciai vagare la mente.
 
Tutti mentono, ripeteva spesso Gregory House. Tre bugie ogni dieci minuti di conversazione, precisava Cal Lightman[15]. Sembra una cosa scontata ma è fin troppo vera. Lo facciamo per i più disparati motivi: per evitare di affrontare discussioni, per non ferire i sentimenti altrui, per vigliaccheria, per timore del giudizio altrui, per coprire qualcuno che ci sta a cuore. Talvolta ci concediamo persino delle attenuanti, ripetendoci cose come: “Le bugie bianche non contano, sono dette a fin di bene e non per egoismo” o anche: “Tecnicamente l’omissione non è una bugia” o “Assecondare l’equivoco altrui non è bugia ma educazione”.

Siamo incredibilmente bravi a sminuire le nostre responsabilità. Ma quanti di noi si domandano davvero delle conseguenze? Se avessimo una vaga percezione dei guai a cui potremmo andare incontro, continueremmo a mentire? O avremmo il coraggio di affrontare la verità e tutte le sue implicazioni? Di guardare apertamente le parti di noi di cui ci vergogniamo e camminare comunque a testa alta? Consapevoli delle nostre debolezze e delle nostre imperfezioni?

Francamente non lo so e sono stanca di cercare risposte a queste domande. In tutta onestà, non starei scrivendo questo post se non mi stessi torturando per l’incertezza e per il senso di colpa.

Vorrei poter dire che “questa volta” imparerò dai miei errori e cambierò atteggiamento e crescerò. Posso solo promettere di provarci.

Nulla di più.


Non rilessi neppure il breve intervento, ma lo pubblicai e abbassai lo schermo del portatile, prima di lasciarmi cadere sul letto e socchiudere gli occhi. Mi avvolsi nel plaid e mi concentrai sul mio respiro, attendendo solo di assopirmi.
Non appena valicai la soglia della stanza riconobbi l’ambiente in cui mi ero già ritrovata precedentemente. La sala da ballo era fiocamente illuminata e dalla terrazza proveniva una piacevole brezza e nel cielo stellato brillava una meravigliosa luna piena. Mi guardai attorno, cercando altri indizi già noti, ma questa volta non vi era una rosa bianca ad attendermi sulla superficie del pianoforte, ma seguii la curiosità ed uscii nella terrazza. Solitamente era un profumo a rivelarmi la presenza del misterioso Principe ma, in quel momento, sembrava tutto silenzioso.  
“Sei qui?” domandai speranzosa.  
Scossi il capo. Sembrava tutto immobile e addormentato intorno a me e mi appoggiai alla balaustra per rimirare il meraviglioso giardino e l’insidioso labirinto in cui avevo smarrito la strada.
Mi riscossi a uno scalpiccio di passi alle mie spalle e mi volsi con un sorriso lieto alla prospettiva del suo arrivo, ma mi sentii gelare il sangue alla vista del ragazzo. Mi stava studiando con espressione annoiata, fumando e indugiando con lo sguardo sul mio abito e sull’acconciatura.
“Sul serio?” mi domandò Tom con voce strascicata e derisoria. “Sei ancora intrappolata in questo stupido sogno?” mi incalzò, gesticolando con la sigaretta ancora accesa.
Sbuffai e scostai la nuvola grigia con un movimento seccato della mano. “Di certo non ti ho invitato!”
Strinse gli occhi in due fessure ma mi rivolse uno sguardo canzonatorio, dopo aver scrutato l’ambiente circostante. “Non sei un po’ troppo grande per credere ancora in queste stronzate?”.
Sollevai le mani per interromperlo. “Risparmiami l’emicrania: non avevi detto che questa volta avresti chiuso definitivamente con me?” Non ne attesi la risposta ma cercai di circumnavigarlo per rientrare nella sala.
Tom mi trattenne per il gomito e mi costrinse a voltarmi di nuovo. “La vita non funziona così: credevo l’avessi già capito”.
“Va’ al diavolo ma restaci questa volta!” risposi infastidita. Lo strattonai e mi allontanai da lui con passo rapido, ma finendo bellamente per inciampare nella lunga gonna dell’abito. Gemetti per il dolore alla caviglia e ma la massaggiai, con il sottofondo umiliante della sua risata di scherno.
Prima che potessi rimettermi in piedi, lui si mise a coccoloni e allungò la mano per cingermi il mento e costringermi a incontrarne lo sguardo perlato. “Svegliati, love, prima che sia troppo tardi…” mi ammonì ma sulle sue labbra serpeggiava ancora quel sorriso perfido.
“Vattene!” gli intimai con un nodo in gola.
Il vento fece aprire la porta della sala e spense tutte le candele accese, lasciandomi al buio e senza fiato. Non sentivo più il respiro del giovane e mi avvidi che il mio bell’abito era sparito, sostituito dai miei abiti quotidiani e i capelli mi ricadevano disordinati sulle spalle.
“Sembra che la tua bella favola sia finita”.
Sussultai nel riconoscere la voce della ragazza e incontrai il sorrisetto divertito e compiaciuto di Emma che stava giocherellando con una rosa bianca dal lungo stelo.
“La rosa”, mormorai confusamente. Cercai di rimettermi in piedi, nonostante il dolore alla caviglia ancora pulsante e allungai la mano affinché me la restituisse.
Lei mi guardò quasi disgustata e la strinse più forte. “Vorresti rubarmi anche questa?” mi domandò in tono pungente per poi ridere e scuotere il capo. “Non è mai stata per te, povera stupida…” mormorò con un finto sorriso affettato nell’avvicinarsi in mia direzione e osservarmi con il viso inclinato di un lato. “Oh, tu ci credevi davvero?” mi domandò con aria di scherno, fingendosi preoccupata della mia reazione.
Mi morsi il labbro inferiore, sentendo una profonda tristezza all’idea che fosse stato tutto un raggiro che lei e Tom avevano orchestrato sapientemente alle mie spalle. Forse fin da subito. Ma non le avrei dato la soddisfazione di capire quanto ciò mi facesse male. Finalmente mi rimisi in piedi. “Forse non era per me,” convenni seppur volessi solo strappargliela dalle mani e magari schiaffeggiarla per toglierle il sorriso, “ma scommetterei la mia vita che non fosse neppure per te”.
Arrossì furiosamente e quella patina leziosa e premurosa si disintegrarono, lasciando spazio alla rabbia e all’insofferenza. “Come osi? Ti credi forse migliore di me?”
La studiai attentamente, come se volessi memorizzarne i lineamenti tanto eleganti e sofisticati e quel sorriso in apparenza svenevole e mieloso che nascondeva una certa durezza delle labbra e un guizzo più freddo nello sguardo. Mi strinsi nelle spalle. “Il punto è questo: non mi spaventa più il confronto con te”.
Me la lasciai alle spalle, incurante delle sue parole e dei suoi richiami, ma quando uscii dalla sala da ballo, sembrò che tutto fosse scomparso, la ragazza compresa. Vagai cautamente in quella penombra, cercando di orientarmi per trovare l’uscita, ma sussultai nel sentire una mano calda e morbida artigliarmi delicatamente il polso.
“Eccoti finalmente.” mormorò una voce roca e calda.
Mi volsi, quasi timorosa che fosse l’ennesima illusione ma lo sguardo azzurro ricambiò il mio e il sorriso già gli increspava le belle labbra.
“Bradley” ne sussurrai il nome con un moto di sollievo.
“Dove ti era nascosta per tutto questo tempo?” mi domandò senza lasciarmi il braccio ma scostandomi le lacrime dal volto. Non attese risposta ma mi cinse e affondai contro il suo petto. Socchiusi gli occhi e mi sentii finalmente in pace. Sorrisi contro la stoffa della sua camicia, cingendone il collo e inspirandone il profumo[16].
“Sara”.
“Bradley”, mormorai per risposta. Mugugnai quando mi sentii strattonare a una maniera decisamente poco cavalleresca e sussultai.
Morgana, già con la camicia da notte e i capelli stretti in una treccia, era seduta ai piedi del letto e mi osservava con espressione preoccupata.
Mi sollevai con il torso, inarcando le sopracciglia. “E’ successo qualcosa?!” domandai subito, pensando ai nostri amici e a Bradley stesso.
“Mi ha chiamata Sean poco fa,” mormorò Morgana in tono piuttosto grave, “sembra che Tom ed Emma si siano lasciati”.
 “Cosa?” riuscii solo a mormorare.
Sbattei le palpebre a più riprese e scossi il capo, cercando di discernere dalle nebbie di quel sogno incredibilmente vivido. 
 
 
To be continued…

13 Ottobre 2019. 
Ben ritrovati!
Mi rendo conto che è passato più di un mese dall’ultimo aggiornamento. Ma, come vi avevo preannunciato, avevo bisogno di rileggere i capitoli precedenti e fare ordine tra le idee appuntate fino a questo momento. Ciò mi è stato molto utile per prendere delle decisioni importanti e per definire uno schema che mi aiuterà nella conclusione di questa fanfiction. Come è evidente con la pubblicazione inedita di un capitolo 14 (la versione originale si fermava al 13), la storia è divenuta più lunga e complessa e dovrebbe arrivare a un totale di 20 capitoli.
La mia amica Amy a cui devo molte delle idee di questa nuova versione, mi è testimone nell’appurare che era tutto nato dal proposito di una semplice revisione per correggere molte sbavature nello stile e modificare i nomi di alcuni personaggi. Tuttavia, con il trascorrere del tempo e il nostro rifletterci sopra e confrontarci, mi sono resa conto che non mi bastava più questo tipo di intervento. La versione originale di questa storia (che conserverò nei miei archivi come ricordo) non mi rispecchiava più e, soprattutto, era intrisa di messaggi piuttosto “distorti” sull’amore e sull’amicizia che allora non ero abbastanza matura per cogliere. Francamente, pur ringraziando ancora tutte le persone che hanno apprezzato lo scritto iniziale, non volevo più associare il mio nome a quelle idee.
Vi prego di non fraintendere: questa nuova versione non nasce con alcun intento “infantile” di denigrare gli attori che hanno fatto parte della mia adolescenza. Sarò sempre affezionata a Tom Felton per quello che ha rappresentato per me e non è mai stato mio desiderio mancare di rispetto né a lui né tanto meno a Emma Watson. Si tratta sempre di una mia interpretazione e dei personaggi che ho loro attribuito in questo contesto. Dal momento che, in questa mia creazione, sono delle “pedine”, credo sia opportuno rimarcare il più realisticamente possibile i loro difetti e il loro comportamento negativo nei confronti della protagonista.
Sono molto più felice di come stanno andando le cose in questa ritrattazione e spero di poter giungere al compimento di questo progetto nel più breve tempo possibile :)
Grazie dell’attenzione e della pazienza :)
Kiki87
 
 
[1] Una volta tanto ho avuto le idee più che chiare nella scelta della canzone da usare come colonna sonora. Colgo l’occasione per ringraziare Evil Queen che mi ha suggerito di ascoltare questo gruppo. Questa è stata la prima traccia a colpirmi e sono davvero felice di aver trovato un contesto adatto in cui usarla :)
Per ascoltare il brano e leggerne il testo originale cliccate qui. 
[2] Essendo una sorpresa non poteva occuparsene Amy stessa :D Inoltre ricordo che nei libri più volte viene citato Dean proprio per la sua abilità nel disegno.
[3] Tranquilli, non vi siete persi pezzi di fanfiction. Troverete la scena in cui se ne parla in forma di flashback ;D
[4] Termine coniato da me e dalla mia amica per far riferimento a una cosa drammatica almeno quanto le serie tv prodotte da Shonda Rhimes tra le quali la più volte citata: “Grey’s Anatomy”.
[5] Non ho fotografie perché me lo sono inventato sul momento :D E’ stato uno dei dettagli inseriti in fase di revisione sia perché sono sempre in crisi quando si tratta di descrivere l’abbigliamento sia perché non è particolarmente rilevante ai fini della scena. Checché Morgana insista NON è un appuntamento galante :P
[6] Ribadisco che Bradley è una persona estremamente riservata. Ho letto su wikipedia che dovrebbe avere due sorelle maggiori, ma in ogni caso preferisco inventare le notizie sulla sua famiglia, come ho fatto in precedenza con quella di Sean e quella di Tom. Quindi non prendete queste notizie come attendibili!
[7] Il nome del nipotino l’ho preso dal personaggio che Bradley ha interpretato in iZombie :D Avendo già tra i personaggi il Signor Weasley e Morgana, non mi sembrava il caso di chiamarlo Arthur come il suo personaggio in “Merlin” :P
[8] La serie tv dei “Medici” è uscita effettivamente in Italia nell’Ottobre del 2016 😊 Richard Madden ha interpretato Cosimo de Medici. Piccola curiosità e involontario ma ulteriore riferimento alla favola di Cenerentola: come di certo saprete ha anche rivestito il ruolo di Principe Azzurro nel film del 2015.
[9] Mi sono permessa di prendere spunto da un aneddoto molto simile accaduto davvero alla mia amica. Ancora ricordo la sera in cui me l’ha raccontato e ho riso per almeno un quarto d’ora :D
[10] E’ il romanzo principale della raccolta “Ciclo di Avalon” di Marion Zimmer Bradley. E’ a metà tra ucronia e fantasy e racconta le vicende di Morgana e di altre protagoniste delle leggende arturiane.
[11] Come credo sappiate TBT sta per “Throwback Thursday” ed è un’iniziativa in voga sui social,  Instagram soprattutto, che consiste nel postare, di Giovedì per l’appunto, fotografie di ricordi ed eventi del passato.
[12] Per farvi un’idea vi consiglio di cercare il look di Tom nella serie: “Labyrinth”. Vi allego un’immagine come esempio. Devo dire che è piuttosto ironico vederlo coi capelli così lunghi, considerando in quale stato siano attualmente :P 
[13] Ho lasciato a Sean il suo reale compleanno: il 15 Marzo. Forse ricorderete che Tom aveva aggiunto un commento sarcastico anche su quel giorno nell’agenda di Sara.
[14] Non seguite questo esempio :D Piuttosto trovatevi un’amica come Morgana che lo faccia per voi :P
[15] Protagonisti, rispettivamente, delle serie tv: “Dottor House” e “Lie to me”.
[16][16] Fun fact: ho scritto la bozza di questa scena per un capitolo 12. Originariamente Sara avrebbe dovuto fare questo sogno nella notte precedente alla prima lezione di Bradley come Assistente, ma alla fine ho deciso di tagliarla perché il capitolo era già abbastanza corposo. Inoltre, pensavo ci fossero stati abbastanza colpi di scena e volevo riproporla in un altro contesto. Ho pensato, schematizzando gli eventi di questo capitolo, che avrebbe potuto essere perfetta in questa fase, dopo la chiacchierata tra lei e Bradley. E per il finale di capitolo che state per leggere :D
 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Premessa: più che mai in questo capitolo ritengo che sia necessario ribadire che si tratta di una storia di pura invenzione. Le caratteristiche e i comportamenti, soprattutto negativi, che ho attribuito ad alcuni attori che abbiamo conosciuto e apprezzato nei panni dei personaggi della saga di “Harry Potter” sono funzionali all’intrigo. Non ha nulla a che vedere con le loro reali personalità e non è mia intenzione mancare di rispetto a nessuno di loro. Vi prego di tenerne conto e nel caso in cui le scene che li coinvolgono non fossero di vostro gradimento o urtassero la vostra sensibilità, vi consiglio di cuore di non continuare con la lettura. L’ultima cosa che vorrei è arrecare dispiacere a qualcuno, ma devo restare coerente alla caratterizzazione che ho voluto assegnare a ogni “personaggio” di questa vicenda.
A chi resterà, anche solo per curiosità, auguro buona lettura 😉
 
15
Tutto questo sembra strano e surreale
E non perderò altro tempo senza di te […]
La rabbia mi ribolle dentro
e non vorrò sentirmi come fatto a pezzi […]
Alzati e allontanati da questi bugiardi
perché loro non hanno la tua anima
o il tuo fuoco interiore.
Prendi la mia mano e stringiamoci le dita […]
Ogni minuto da adesso
possiamo fare ciò che vogliamo dappertutto.
Vorrei tanto che tu aprissi gli occhi
perché ho bisogno che guardi nei miei.
Dimmi che aprirai gli occhi.
Open your eyes – Snow Patrol[1].
 
 
 
“Andiamo, Silente e Lupin vogliono parlarti”.
Sbattei le palpebre e sentii il cuore scalpitare rapidamente. Non potei fare a meno di porgli quella domanda, seppur ne conoscessi già la risposta. “Sanno tutto?”.
Bradley annuì e lo sguardo sembrò più serio che mai: “Naturalmente. Te lo avevo detto che non avrei lasciar correre questa volta”.
 
48 ore prima.
 
Ogni volta che entravo in Accademia provavo una fitta di ansia alla bocca dello stomaco che poco aveva a che vedere con l’avvicinarsi di Giugno. Cercavo di non soffermarmi troppo su quel pensiero per non aggiungere ulteriore pressione alle mie giornate.
Ero uscita dall’ufficio di Lupin con un vago sospiro, richiudendomi la porta alle spalle e domandandomi, ancora una volta, se non fosse opportuno chiedere esplicitamente a Bradley se avesse preso una decisione sulla nostra situazione. Durante le prove si comportava sempre in modo ineccepibile, ma erano i momenti di stasi che mi creavano maggiore nervosismo, quando avevo la sensazione che mi seguisse con lo sguardo, che fosse persino in procinto di dire qualcosa, ma senza mai comprendere che cosa gli passasse per la mente. Non aveva smesso di frequentare il pub, quando ne aveva l’occasione: vuoi per il the pomeridiano, vuoi per una fetta di torta o vuoi per qualche piatto d’asporto.  Scossi il capo, dicendomi che non aveva senso lambiccarsi troppo la mente e mi concentrai sugli impegni previsti per quella giornata. Ero talmente assorta da non accorgermi che qualcuno aveva allineato il suo passo al mio e quasi sussultai quando una mano mi si appoggiò sulla spalla.
“Ciao straniera.” Mi salutò una voce familiare.
“Ciao Sean.” Lo salutai, dopo essermi riavuta, e gli sorrisi. “Come stai?”
“Tutto bene,” rispose con aria serena, “e tu? Hai avuto una lezione con Bradley?”
Annuii, ma non gli sfuggì la mia espressione pensierosa. Inclinò il viso di un lato, premunendosi di abbassare la voce: “Non vi siete ancora chiariti?”
Mi strinsi nelle spalle e continuai a scendere la scalinata al suo fianco: “Morgana, come saprai meglio di me, sostiene che non devo pensarci troppo per non farmi venire paranoie,  drammi shondiani e, soprattutto, per non dargli a vedere che sto andando fuori di testa...” riassunsi la sua filosofia con un lieve scuotimento del capo. “Amy, invece, sostiene che ho il diritto di chiedergli una spiegazione o quanto meno una stima approssimativa di quanto tempo voglia prendersi prima di comunicarmi il verdetto”.
Sean aveva sorriso bonariamente all’allusione alle due amiche che sembravano spesso schierarsi su due orientamenti opposti, a prescindere dalle loro abituali schermaglie.
Mi guardò più intensamente: “Tu invece cosa ne pensi?”
Mi mordicchiai il labbro inferiore. “Naturalmente questa attesa mi sta snervando,” gli confidai con un bisbiglio, “ma al contempo non credo sia giusto fargli pressione: è il minimo che possa fare concedergli del tempo”.
“Sì, lo penso anche io,” ammise con un sospiro per poi rivolgermi un ulteriore sguardo indagatore: “Non ti sei pentita di avergli parlato, vero?”
Lo guardai per un breve istante prima di sospirare. “A volte sì,” gli confessai, “anche se continuo a ripetermi che è stata la cosa più giusta”.
Sean allungò la mano a darmi un buffetto e mi guardò dritto negli occhi, quasi a volersi assicurare che le sue parole fossero ascoltate con la dovuta attenzione. “Nonostante tutto, devi essere orgogliosa di te stessa: ti sei resa conto di aver sbagliato e stai cercando di imparare e di trarne una lezione”.
Non potei fare a meno di sorridere e di abbracciarlo brevemente, ringraziando il modo in cui riuscisse sempre a sollevarmi l’umore e a farmi guardare le cose da una prospettiva meno disastrosa di quella che adottavo io comunemente. “Grazie Sean,” mormorai in tono sentito, prima di mettere da parte i miei pensieri. “Ma basta parlare di me. Come stanno andando le prove del tuo spettacolo?”
Notai uno scintillio animato nel suo sguardo castano e un sorriso affiorò alle sue labbra: “Molto bene, persino la McGrannith mi ha concesso un sorriso…” precisò in tono quasi cospiratorio e non potei che rivolgergli uno sguardo orgoglioso.  L’unica occasione in cui mi ero confrontata con la donna, non era stata particolarmente lusinghiera per me, ciononostante mi era sembrata molto sincera e gentile, a dispetto della sua reputazione di insegnante particolarmente severa e rigida. “Sarai un meraviglioso McBeth.”
Mi diede un buffetto sulla punta del naso quasi a mo’ di ringraziamento, prima di indicarmi la direzione del refettorio. “Vieni a pranzo? Ho chiesto a Daniel di tenerci il posto”
Raggrinzii il naso. “Mi piacerebbe, ma vorrei evitare di restare qui dentro più del necessario…”.
Sean mi guardò attentamente. “Per via di Bradley o anche per qualcun altro?”.
Se già attraverso le lettere scambiate negli anni c’eravamo conosciuti, il vivere nella stessa città aveva reso le nostre interazioni ancora più profonde e rafforzato quel legame con esperienze quotidiane e condivise. Annuii mio malgrado. “Credo che Morgana mi abbia messo la pulce nell’orecchio”.
“Lo so bene,” sospirò Sean con aria comprensiva, “vede complotti ovunque”.
Sperai che almeno nei momenti di intimità con il suo fidanzato, gli risparmiasse commenti velenosi o speculazioni sul ragazzo in questione. Sorrisi tuttavia con aria complice: “E accusa noi due di essere eccessivamente ingenui”.
“E si sorprende che non abbiamo antenati in comune”, ribatté Sean con un sorriso.
Indugiai qualche secondo, ma non potei fare a meno di porgli quella domanda: “Come sta Tom? Ti sembra diverso dal solito?”
Assunse un’espressione pensierosa e scosse il capo. “Lo sai com’è fatto: non ha voluto parlarne neppure con me. A essere onesti non mi è sembrato particolarmente turbato dalla separazione”.
“Era quello che temevo…” risposi con un filo di voce.
“Quando mi sono proposto di offrirgli il mio aiuto, mi ha mandato malamente a quel paese ma con più enfasi del solito,” continuò Sean come se ciò fosse un indizio di particolare importanza.
Scossi il capo. Per quanto ammirassi la personalità del mio amico, la sua nobiltà d’animo, la sua dolcezza e la sua empatia, non riuscivo ancora a spiegarmi il rapporto che aveva intessuto con Tom. Non conoscevo i dettagli della loro cosiddetta “amicizia” seppur mi avesse brevemente confidato che era stato proprio il ragazzo ad aprirgli “bruscamente” gli occhi sulla sua ex che gli era stata fonte di tanta sofferenza. A parte ciò, tuttavia, non avevo mai visto da parte di Tom un particolare slancio nei suoi confronti, non paragonabile alle premure che erano invece tipiche di Sean per le persone a cui si affezionava.
“Temi che possa importunarti di nuovo?” mi domandò più seriamente, facendo breccia tra i miei pensieri.
Aggrottai le sopracciglia e scossi il capo. “Non ne vedo il motivo: a prescindere da Emma avevamo già chiarito che non avremmo avuto più a che fare l’un l’altra, spettacolo a parte”.
Sean sospirò. “Mi dispiace che tutta questa storia ti abbia creato problemi con Bradley: se vuoi che provi a parlargli io, non farti remore…”.
Gli strinsi la mano per un breve istante e gli sorrisi più dolcemente. “Sei un tesoro e ti ringrazio per l’offerta, ma credo che dovremo cominciare a cavarcela da soli. Allora buon pranzo: salutami gli altri”. Mi congedai da lui con un bacio e l’augurio di una buona giornata, prima di uscire frettolosamente dall’Accademia.
Mio malgrado, non potei fare a meno di rimuginare sulle sue parole circa lo stato d’animo di Tom.
 
Avevo tastato il comodino alla ricerca degli occhiali che avevo inforcato confusamente, prima di accendere la lampada e guardare nuovamente Morgana.
“Mi hai sentita,” aveva ribattuto lei in tono quasi impaziente, “sembra che Tom abbia lasciato Emma dopo una cena nel suo appartamento e…”.
Avevo sollevato la mano come a chiederle implicitamente di tacere. “Innanzitutto, ti pregherei di smetterla di svegliarmi in questo modo: ti ricordo che nella mia famiglia ci sono dei casi di cardiopatia. In secondo luogo… davvero mi hai svegliato per dirmi questo?” L’avevo incalzata in tono infastidito. “Nel bel mezzo di un sogno con Bradley per giunta!” avevo specificato in tono non poco indignato.
La mia amica aveva inclinato il viso di un lato e mi aveva rivolto una delle sue occhiatine taglienti, tipiche delle occasioni in cui si vedeva costretta a esplicitare qualcosa di ovvio: “Non potevo certo aspettare domattina!” aveva risposto in tono altrettanto determinato. “Sai cosa significa questo, vero?”.
In verità la mia prima reazione era stata di pura sorpresa e sgomento perché il mio istinto mi aveva messa in allerta, ma considerando gli ultimi eventi della mia disastrata situazione sentimentale, non volevo darle a vedere di essere particolarmente preoccupata. E tanto meno interessata. “Francamente non mi importa di quello che gli passa per la testa.”
Morgana non sembrava prestarmi attenzione. Si era appoggiata una mano sotto il mento e aveva assunto un’espressione pensierosa, come quando si dilettava a formulare ipotesi sulla vita amorosa di qualcuno. Che si trattasse di serie tv o di persone reali. “Devo ammettere di essere sorpresa: avrei giurato che Tom non l’avrebbe lasciata, neppure se fosse riuscito a sedurti com’era nei suoi piani. Ritenevo molto più probabile che volesse tenervi entrambe…” Spiegò in tono disgustato. “Insomma, rientrerebbe nel profilo del patologico narcisista. Hai chiesto a tua sorella di mandarti i PDF dei suoi libri di psicologia?”
Avevo sbuffato apertamente. “Morgana, in tutta onestà: non mi importa! Il mio eccessivo coinvolgimento con quei due mi ha solo creato guai!” Le ricordai con più asprezza di quanto volessi. “E comunque, per citare Amy, si meritavano a vicenda.” Aggiunsi con una smorfia.
La ragazzo, tutt’altro che tranquillizzata dal mio distacco, sembrò persino più ansiosa: “Sara, dico sul serio: quello stronzo deve essersi accorto che tu e Bradley siete in posizione di stallo!”
Sentii il mio cuore fermarsi in petto e quel sospetto fare breccia tra i miei pensieri: erano passate poche settimane da quella cena, ma mi fidavo di Sean e certamente non avrebbe divulgato qualcosa di così personale. Soprattutto a lui.
“E se anche fosse?” Ribattei quasi in tono di sfida.  “Questo non cambia le cose per me”.
Si era sporta in mia direzione e mi aveva cinto la mano, guardandomi così intensamente che sembrava stesse cercando di leggermi dentro. Era piuttosto inquietante a dirla tutta. “E’ il momento di essere totalmente e brutalmente sincere: tu sei assolutamente sicura che non vuoi più avere a che fare con lui, neppure come potenziale amico, giusto?”.
Sospirai, ma ne ricambiai lo sguardo e cercai di sdrammatizzare. “Ho autorizzato te ed Amy a picchiarmi in caso contrario, ricordi?” Notando che non sembrava tranquillizzarsi, sollevai gli occhi al cielo. “Vuoi anche una dichiarazione scritta?”.
Aveva rafforzato la pressione sulla mia mano, tanto da farmi quasi male. Raramente la vedevo così in preda all’ansia, ma sembrava che quell’ultimo periodo delle mie avventure a Glasgow stessero mettendo alla prova persino il suo self control. “Devi stare attenta più che mai sia a lui che a Emma, perché sono sicura che sarei nelle sue mire e dall’alto del suo egocentrismo, credi che biasimerà te o sé stessa per il ben servito?”.
Il pensiero mi procurò una fitta allo stomaco, ma sorrisi amaramente. “Non ti sembra che mi abbia già sabotato abbastanza?”.
“Tu dici?” Ribatté lei in tono quasi mordace. “Dopotutto Bradley è single al momento”.
Il ricordo del sogno e delle parole di Emma mi fecero salire il sangue alla testa e rimpiansi di non avere qualcosa più forte dell’acqua sul comodino. In tutta onestà, dubitavo che una ragazza come lei avrebbe giocato per molto la parte della damigella abbandonata e con il cuore spezzato. Soprattutto considerando quanti ragazzi l’ammirassero nei corridoi e persino nel pub. Ma il solo pensiero che volgesse lo sguardo al “mio” Bradley…
Mi concessi qualche secondo per una piacevolissima fantasia nella quale l’acciuffavo per i capelli e le spiaccicavo la testa contro uno dei piatti della tradizione scozzese a base di frattaglie e di budella di capra, disfacendole la pettinatura e il deturpandole il trucco. Mi sembrava persino di sentire il sibilo di Nagini, mentre io, imitando la voce di Riddle, mormoravo: “Nagini, la cena”.
Per la prima volta la mia amica mi aveva sorriso come se intuisse la portata dei miei pensieri.
“La terremo sotto controllo,” mi promise solennemente, “mando subito un messaggio anche ad Amy. E Sean farà la sua parte in Accademia”.
“Comunque Bradley è troppo intelligente per lei: ha già capito che tipo sia”, mi sentii dire con un moto di orgoglio al ricordo dei suoi commenti tutt’altro che lusinghieri sulla (ex) coppietta. Ma in verità avevo anche bisogno di ripeterlo a voce alta, quasi a sincerarmi che non avessi sognato quel dettaglio e che lui non sarebbe caduto in balia di un sorriso svenevole e di uno sguardo languido.
Morgana aveva annuito con enfasi, prima di rivolgermi uno sguardo sardonico. “Glielo auguro o dovrà espatriare per salvarsi da me”.
Mi ero concessa di sorridere, prima di sospirare. “Ora posso tornare a dormire?”
Speravo che il mio sogno riprendesse da dove mi ero interrotta o che mi proponesse una sequenza simile alla mia fantasia sul trattamento che avrei sottoposto a Emma.
“Solo se mi giuri che eviterai Tom come la peste e in Accademia starai sempre con la classe di recitazione, con Sean o con Daniel o con chiunque tranne che con quei due”.
Non avevo battuto ciglio. Era quasi impossibile pensare che, pochi mesi prima, in quella stessa stanza avessimo avuto ben altro tipo di conversazione. Avevo persino ammesso di provare una forte attrazione per il ragazzo, seppur dando la mia parola che avrei fatto di tutto per evitare situazione compromettenti. “Posso prometterlo facilmente”.
 
Scossi la testa mentre scendevo alla fermata della metro più vicina al pub. Non dovevo in alcun modo ossessionarmi in sciocche e superflue congetture. Tom ed Emma, continuavo a dirmi, mi avevano già condizionato fin troppo negli ultimi mesi.
 
~
 
 
Spesso e volentieri il lavoro al pub era un vero e proprio toccasana e non soltanto da un punto di vista finanziario. Il contatto coi clienti e coi colleghi mi consentiva di dimenticare momentaneamente le mie ansie. L’entrare in quell’ambiente, l’indossare la divisa da lavoro, mi davano l’impressione di poter dividere la mia quotidianità in settori ben separati tra loro. In giornate come quella, persino la calca di clienti mi sembrava una benedizione per impedirmi di riflettere.
Stavo ancora finendo di disporre il vassoio di pasticcini che mi aveva consegnato Neville, quando Madama Bumb mi chiamò e mi fece cenno di avvicinarmi a lei.
“Il Signor Riddle ti aspetta nel suo ufficio. Ha preparato il rinnovo del contratto”, mi disse e mi concesse uno dei suoi rari sorrisi. Non potei fare a meno di essere compiaciuta all’idea che sia lei che il mio datore di lavoro mi ritenessero ormai un membro effettivo dello staff.  D’altra parte, mi sembrava incredibile che fossero passati solo sei mesi dalla mia assunzione, considerando che spesso e volentieri avevo l’impressione di trovarmi in quel pub da molto più tempo.
“Vado subito, la ringrazio”.
Quando giunsi di fronte all’ufficio notai che la porta era semischiusa e allungai la mano per bussare ma il Signor Riddle, con la cornetta del telefono appoggiata all’orecchio, mi fece un cenno silenzioso affinché aspettassi. Rimasi quindi ferma sulla soglia dell’uscio, mentre lui era concentrato ad ascoltare il suo interlocutore. Notai che l’alta figura si era irrigidita e le sopracciglia si erano aggrottate per il disappunto. Persino il pomo d’Adamo sembrava in tensione e strinse in un pugno la mano libera. Chiunque stesse parlando, non gli stava dando notizie gradevoli.
“So benissimo che cosa sia l’inflazione, Shacklebolt!” aveva esclamato in tono risentito e quasi offeso. “Ma non posso aumentare ulteriormente i prezzi del listino!”
Non potei fare a meno di sentirmi a disagio, soprattutto all’idea di star ascoltando una conversazione di simile entità. Finsi di essere concentrata a osservare le mie unghie smaltate, domandandomi se non potessi indietreggiare senza farmi notare e aspettare una decina di minuti, prima di bussare nuovamente alla sua porta. Forse anche venti, a seconda dell’esito della conversazione.
“Perché non provi tu a far quadrare i conti senza licenziare nessuno o dissanguare i miei clienti abituali?” gli domandò il Signor Riddle, ma non attesa la replica del contabile e abbassò bruscamente la cornetta del telefono.
La sollevò di nuovo e sembrò in procinto di voler nuovamente digitare il numero, prima di scuotere il capo tra sé e sé. Aveva lo sguardo assente che vagava dal ricevitore alla parete spoglia del suo ufficio, ma una smorfia gli increspò le labbra e rabbiosamente prese a sbattere la cornetta a più riprese contro il ricevitore, come se stesse, così facendo, punendo Kingsley. Rimasi impietrita mentre infieriva sulla cornetta diverse volte, alternando ogni colpo a una parola: “Stupido… burocrate… saccente!” Gli cadde il ricevitore, ma lo raccolse senza scomporsi e riprese a sbattere la cornetta. Per quanto agghiacciata da quella visione, non riuscivo a smettere di guardarlo e tanto meno a lasciare la stanza.
Sussultai quasi nel sentire la voce di Rankin, come se mi fossi dimenticata del mondo esterno.
“Signor Riddle?” lo richiamò con l’intonazione che gli riservava quando cercava di accattivarsene l’attenzione o conquistarne la simpatia. Sembrò sbiancare alla vista del nostro datore di lavoro che, apparentemente indifferente alla nostra presenza, continuava a malmenare la cornetta.
“Signor Riddle!” lo apostrofò nuovamente in tono scandalizzato.
L’uomo alzò lo sguardo e lo fissò. Aveva le sopracciglia ancora aggrottate, le narici dilatate e gli occhi azzurri sembravano essersi tinti di una sfumatura più scura. Gli rivolse un’occhiata così gelida che io stessa sussultai dalla mia postazione. “Che vuoi?!”.
Il ragazzo sembrò raccogliere tutto il coraggio di cui era capace e deglutì a fatica prima di riprendere: “Signore, con tutto il rispetto, perché inveisce contro quel telefono? È solo un oggetto inanimato!” esclamò in tono di ovvietà, probabilmente nel tentativo di farlo tornare in sé. Era lodevole, dovevo concederglielo, il modo in cui addolcì il tono che sarebbe stato altrimenti saccente e petulante, come ogni volta che si sentiva in dovere di riprendere un collega.
Riddle non sembrò neppure dover riflettere perché la risposta gli uscì spontanea e naturale, mentre lasciava momentaneamente l’apparecchio. “Qui l’unico oggetto inanimato sei tu! SPARISCI![2]”.
Quasi a coronare quelle parole o a sfidare l’altro a contraddirlo, sbatté un’ultima volta la cornetta sul ricevitore. Poi afferrò l’intero apparecchio e lo gettò sul pavimento con veemenza.
Se non avessi percepito la tensione del momento, di fronte alla faccia prima esangue e poi paonazza di Rankin, avrei riso fino al giorno dopo. Quest’ultimo pigolò un commento di scuse e si affrettò a uscire dall’ufficio, mentre Riddle, le mani sui fianchi, contemplava il telefono ormai distrutto ai suoi piedi. Staccò la presa dalla corrente e lo calciò per assestarlo alla parete, di modo che non gli fosse di ingombro.
Quindi tornò a guardarmi con un’espressione molto più rilassata: “Desiderava?”.
Mi passai una mano tra i capelli, cercando di simulare un’espressione composta e tranquilla, come se non avessi appena assistito alla distruzione di uno strumento di lavoro. La voce, tuttavia, mi uscì tremula e dovette sforzarmi di non balbettare. “M-Madama Bumb mi ha riferito che voleva vedermi per il rinnovo del contratto.” Mi schiarii la gola: “Ma se preferisce, posso tornare…”
“Oh, giusto”, sembrò fare mente locale, annuendo con vigore. “Ce l’ho proprio qui”. Inforcò gli occhiali da lettura, estrasse un plico di pagine spillate da un faldone che teneva nella libreria alle sue spalle. Mi indicò la poltrona con un cenno della mano: “Si accomodi pure.” Mi invitò in tono tranquillo.
Mentre apponevo la firma non potei fare a meno di provare un dejà-vu: rividi la me stessa e il Riddle di qualche mese prima. Ricordai persino la lieve esitazione che avevo provato prima di firmare il modulo per la settimana di prove. Certe cose, fortunatamente, sembravano non poter cambiare.
 
~
Ventiquattro ore prima.
 
 
Uno dei nostri rituali preferiti, quando i rispettivi impegni lo permettevano, erano ritrovarsi al pub per la colazione. A quell’ora non era particolarmente frequentato e l’atmosfera era molto distesa e rilassata. Stavo ancora mangiucchiando la mia pasta, quando notai Morgana rivolgere ad Amy una di quelle sue occhiatine suadenti e piuttosto compiaciute, come chi ha la pretesa di aver compreso tutto quello che gli accade attorno e tutto ciò che riguarda le persone vicine. Aveva seguito con lo sguardo l’ingresso del Signor Riddle che ci aveva rivolto un breve cenno del capo, in risposta al nostro cordiale saluto.
“Deve mancarti tanto lavorare per lui…” commentò in tono divertito, pur premunendosi di parlare in italiano. “Tommaso Indovinello[3]”.
Quasi mi strozzai con la mia tazza di cappuccino a quel nomignolo, mentre Amy, al contrario, arrossiva e sbiancava nell’osservare la schiena dell’uomo, probabilmente temendo che potesse “intuire” l’oggetto del nostro divertimento. “Schhh!” la rimproverò, dandole anche una pacca sul braccio.
Non bastò a farla desistere perché la guardò con la guancia appoggiata a una mano e il sorriso persino più divertito: “Scommetto che è per lui che vieni tutte le mattine.”
“Ma che cosa dici?!” protestò Amy nella nostra lingua madre, le guance ancora arrossate. “Ho lavorato per anni in questo pub, è anche il minimo”.
La risposta di Morgana sembrò morirle sulle labbra quando sentimmo il suono del campanellino appeso alla porta. Ci voltammo istintivamente in quella direzione mentre Emma faceva il suo ingresso. Appoggiai la tazzina sul piattino e non potei fare a meno di studiarla: nel suo aspetto truccato e nell’abbigliamento ricercato non traspariva un cambiamento significativo dalla fine della sua storia con Tom. Sembrò sentire i nostri sguardi addosso perché si fermò vicino al nostro tavolo e un sorriso le increspò le labbra.  “Buongiorno a tutte, spero di non interrompere una chiacchierata intima”.
“Buongiorno.” Risposi pacatamente ma non avevo potuto fare a meno di notare l’enfasi con cui aveva pronunciato le ultime parole.
Morgana, d’altro canto, le rivolse il suo miglior sorriso lezioso, sbattendo appena le palpebre: “Non preoccuparti: non mancano occasioni per quelle”.
“Non hai lezioni stamani?” domandai io in tono casuale.
Emma si soffermò su di me con le sopracciglia inarcate. “Buffo, stavo per chiederti altrettanto delle prove”.
“Tra un’ora.” Risposi di riflesso. “Ma mi piace iniziare la giornata con buon cibo e una bella compagnia”.
“Capisco,” rispose senza smettere di sorridere. “Ad ogni modo questa mattina non ho impegni, vi lascio alla vostra colazione: buona giornata”.
“Vi lascio alla vostra colazione,” la scimmiottò Amy che prese a scribacchiare qualcosa sul blocco note del suo cellulare. Immaginai che avrebbe tratto ispirazione per una nuova vignetta.
Mi mordicchiai il labbro inferiore, ripensando a quella breve conversazione. Negli ultimi tempi tendevo ad analizzare dialoghi e comportamenti in modo quasi morboso. “Sono io quella paranoica o sembrava insinuare che dovessimo parlare di lei?”.
“Fai bene a pensare il peggio,” commentò Morgana. “Ma non diamole la soddisfazione di farle credere di essere al centro dei nostri pensieri.” Sorrise perché, come sempre, aveva in mente un argomento di conversazione molto più piacevole. “A proposito, non vi ho ancora raccontato della cena con Angel e Eoin!” Iniziò il suo resoconto dettagliato, senza mancare di una digressione (sinceramente non richiesta) sugli abiti indossati da tutti e quattro, con tanto di menzione delle marche e dei prezzi di listino. Solitamente Amy sbuffava e la incitava a darci qualche dettaglio effettivamente “interessante”, ma sembrava ascoltare solo in parte, lo sguardo castano che fissava un punto alle mie spalle. Mi parve di sentire la tiritera di Emma che, con voce tintinnante, stava spiegando il modo in cui preferiva il caffè.
“Ma vi pare?!” sbuffò Amy continuando a parlare in italiano e indicandola con un cenno della mano. “Sono passate appena due settimane da quando lo stronzo l’ha mollata e già ci prova con un altro?”
“Christian?!” domandai io incredula, alludendo al collega di turno. Non potendo voltarmi, finsi di voler controllare il mio riflesso da uno specchietto che avevo nella borsa e osservai le espressioni del ragazzo. Dovetti dargli atto che sembrava incassare la fiumana di parole di Emma in modo stoico, senza alterare la sua espressione ma annuendo e rivolgendole, quando necessario, un sorriso educato ma evidentemente distaccato.
Morgana inarcò le sopracciglia, concedendo alla scena appena trenta secondi della sua attenzione, prima di rivolgere ad Amy uno sguardo interdetto: “Sembra che la trovi attraente quanto Rankin”. Il paragone parve farla sorridere, ma si mise subito sulla difensiva quando Morgana le rivolse un sorrisetto sardonico. “Perché ti interessa?”.
“A chi? A me? Ma cosa dici?!” rispose di riflesso con voce appena più stridula. “Ma proprio per niente… mi dispiace soltanto perché è evidente che lo sta mettendo a disagio!”.
Inarcai le sopracciglia a quella precisazione, continuando a guardarlo dal riflesso dello specchio e scuotendo il capo. “Mi sembra imperscrutabile come sempre”.
“Diresti lo stesso se facesse quelle moine a Bradley?” mi provocò l’altra.
Senza accorgermene, stritolai il cucchiaino che reggevo ancora con la mano destra, mentre sentivo la risatina soffusa di Emma e provavo a immaginare che ci fosse qualcun altro al posto di Christian. “Gatta morta” sibilai.
“Continuo a non capire perché ti interessi tanto.” Riprese Morgana senza smettere di studiare l’altra con la coda dell’occhio. “Non sarai mica gelosa?”.
“Chi? Io?! Ma non è per Christian che lo dico!” ribatté con uno sbuffo quasi seccato. “Non sopporto le smorfiose come lei: mi darebbe fastidio se ci provasse anche con Rankin!” aggiunse con vigore.
Quasi mi strozzai una seconda volta al pensiero di quell’improbabile coppia: persino esteticamente sembravano cozzare incredibilmente l’uno con l’altra.
“E comunque credo che Christian sia gay, quindi tutta quella pantomima è inutile con lui!” Aggiunse come se ciò fosse il dettaglio più rilevante. “Solo che mi dispiace che possa sentirsi a disagio per i suoi modi svenevoli, tutto qui…”
Sbattei le palpebre con aria perplessa a quella supposizione: in verità non avevo mai sentito il collega fare alcun riferimento alla sua vita privata. Tanto meno alla possibilità di una relazione in corso o passata con chiunque.
Morgana rise e scosse il capo: “Io credo che il tuo gay-radar abbia bisogno di una revisione. Posso assicurarti che non è gay”.
“E tu che ne sai?” borbottò Amy per risposta e con aria piuttosto seccata.
“Possiamo fare un esperimento se vuoi” suggerì Morgana, lisciandosi i capelli con una mossa così casuale ma sensuale che Seamus, alle mie spalle, quasi rischiò di farsi cadere di mano il vassoio con le stoviglie sporche che stava riportando in cucina.
“Non farai un bel niente e smettila di guardarlo!” l’ammonì l’altra, parlando in un sussurro. “Mi bastano le figure di merda da ex dipendente, grazie! Comunque, ripeto: non lo dico per Christian. Mi danno fastidio quelle come lei. Se potessi, comprerei il locale solo per permettere l’ingresso a cani e porci, ma vietarlo alle smorfiose come Emma Watson che mulinano i capelli!”.
La mia coinquilina non sembrava del tutto convinta, ma io mi intromisi con una nuova riflessione, anche per evitare che cominciassero a bisticciare come loro solito. “Comunque sembra che si sia ripresa piuttosto in fretta dalla separazione”. Non potei fare a meno di sentirmi infastidita dal modo in cui lei avesse fatto una simile allusione nei miei confronti poco tempo prima.
“Non abbassare la guardia”, mi ammonì Morgana, distogliendo lo sguardo dall'altra. “Io farei così al posto suo: ti colpirei quando meno te l’aspetti”.
Mi lasciai sfuggire un verso ironico. “Molto rassicurante”.
“Vabbè, ragazze, oggi offro io,” commentò Amy e si rimise in piedi. “Vi darei un passaggio ma devo andare dall’altra parte della città e ho poco tempo”.
“Non ti preoccupare: buona giornata e buon lavoro”, la salutai con un sorriso.
“Non passi a salutare Tommaso Indovinello?” insistette Morgana.
“Smettila di chiamarlo in questo modo!” sibilò l’altra con le guance arrossate, facendoci ridere, fino a quando Percy, appena entrato, non guardò dall’una all’altra con aria interdetta. Si prese qualche secondo per controllare i propri abiti e sincerarsi di non aver dimenticato di sollevare la zip dei pantaloni, gesto che fece ridere anche Amy.
Piantò le mani sui fianchi e parve arrossire di sdegno: “Si può sapere cosa avete da ridere?!”.
“Niente!” rispondemmo in coro nella sua lingua, rivolgendogli il nostro sorriso più candido.
Ci rivolse una smorfia ma scosse il capo e si diresse verso lo spogliatoio, cercando di ignorare le nostre risatine di sottofondo.
 
Durante il tragitto in metro mi ero quasi assopita: era stata una giornata piuttosto lunga sia per le ore in Accademia, sia per il lavoro al pub. Ero stata in servizio dal dopo pranzo all’inizio del servizio serale. Inoltre, ero stata costretta a fare una commissione al supermercato perché Morgana mi aveva ricordato che avevamo quasi esaurito alcuni prodotti di uso quotidiano e mi stavo trascinando la borsa e un paio di sacchetti discretamente pesanti di generi alimentari. Mi fermai di fronte all’ascensore e imprecai sottovoce alla vista del cartello che indicava un guasto. Sospirai con aria sconfitta all’idea di dover salire più di cinque rampe di scale e con un simile carico addosso.
“Non è decisamente la mia giornata,” borbottai tra me e me.
Avevo appoggiato le buste a terra e stavo maledicendomi per aver smarrito le chiavi nel caos delle cose che portavo sempre con me. Dopo aver finalmente aperto l’uscio, risollevai le buste e lo richiusi con il piede, affrettandomi a raggiungere il tavolino del soggiorno per appoggiarvi la spesa. Mi tolsi il cappotto, mi sfilai le scarpe e strofinai le braccia indolenzite mentre riflettevo sulla possibilità di cucinare qualcosa di sbrigativo, senza cedere alla tentazione di ordinare qualcosa e di farmelo portare a casa.
“Ti offrirei una mano, se non temessi l’arrivo del tuo Cavaliere a difesa della tua virtù”.
Sussultai a quella voce familiare che aveva inaspettatamente infranto il silenzio, le mani ancora immerse nella borsa alla ricerca del cellulare per contattare Morgana e chiederle un parere sulla cena. Mi volsi con gli occhi sgranati e le labbra schiuse e fissai Tom con aria incredula per qualche secondo. Non potei fare a meno di chiedermi se non fosse stato nascosto per tutto il tempo, attendendo l’occasione propizia come quella: troppo impegnata con la spesa, avevo chiuso l’uscio ma senza dare un giro di serratura. Ne scrutai l’espressione: sembrava più serio che mai, ma anche piuttosto trascurato e trasandato. I capelli, che ormai gli arrivavano fino alle guance, erano scarmigliati come se vi avesse tuffato le mani dentro molteplici volte, gli abiti sembravano molto dimessi rispetto ai completi che indossava in Accademia e, mi accorsi con crescente apprensione, riuscivo a percepire uno sgradevole tanfo d’alcool provenire da lui.
Cercai di mantenere la calma, mantenendo il contatto visivo mentre nascondevo il cellulare nella tasca dei pantaloni “Che cosa ci fai qui?” domandai in tono pacato.
Lo sguardo non si staccò dal mio ma le labbra guizzarono in un sorriso fugace. Affatto divertito. E la sua voce sembrava più rauca del solito. “Mi sembra ovvio: ti stavo aspettando, love”. Aggiunse quel nomignolo quasi con aria minacciosa.
“Hai solo sprecato il tuo tempo,” risposi in tono determinato ma cercando di mantenere la calma. “Non abbiamo altro da dirci: voglio che tu te ne vada subito”.
Sorrise di nuovo e quell’espressione indugiò sul suo volto, rendendo l’effetto ancora più spiacevole. “Oh, no, mia cara, credo proprio che, al contrario, tu abbia molto da dire. Molte spiegazioni da dare”, precisò in tono d’accusa, additandomi.
Scossi il capo, non avendo la benché minima intenzione di perdere tempo con lui o fingere persino di riflettere al riguardo. “È evidente che tu non sia lucido,” risposi e sollevai le mani. “Per l’ultima volta: noi due abbiamo chiuso e non abbiamo più nulla da spartire, a parte lo spettacolo”.
Il cambiamento fu repentino nel suo sguardo che parve ispessirsi e divenire quasi liquido, la mascella si irrigidì, aggrottò le sopracciglia e le narici si dilatarono. Strinse i pugni lungo i fianchi “Smettila di mentire!”.
Un terribile sospetto mi si affacciò alla mente, seppur non potessi capire come fosse accaduto. Il mio cuore aveva iniziato a scalpitare più intensamente, ma cercai di controllare il timbro della voce e di non lasciar trasparire il mio stato d’animo. Avevo il timore che ciò non avrebbe fatto che peggiore la mia situazione. “La scelta è tua, Tom: o te ne vai con le buone o sarò costretta a chiamare-”
“Chi?” mi interruppe lui con voce grondante di divertimento e con sguardo maligno. “Il tuo fidanzato immaginario?” mi incalzò con voce beffarda e provocatoria.
Sembrò che un nodo mi stringesse la gola e la mia mente si congelò per qualche istante, mentre sbattevo le palpebre e continuavo a ripetermi che non fosse possibile. Doveva trattarsi di un brutto sogno: mi sarei svegliata da un momento all’altro e ne avrei persino riso.
Lui ridacchiò della mia espressione in modo beffardo. “Credevi davvero che non l’avrei scoperto?” mi incalzò con un sibilo e lo vidi nuovamente incupirsi. “Solo perché quel vecchio rimbambito di Silente ti ha dato dei privilegi, non significa certo che tu sia un’attrice provetta… per quanto quel fallito di Lupin cerchi di trasformarti in tale”.
Forse fu proprio sentirlo pronunciare quegli insulti a due persone che adoravo o l’ennesima dimostrazione della sua mancanza di rispetto nei loro confronti, ma strinsi i pugni lungo i fianchi. Presi un profondo respiro, prima di pronunciare le successive parole in tono deciso e serio: “Questa discussione non porterà a nulla di buono per nessuno dei due. Te lo chiedo gentilmente: vattene e mi comporterò come se tu non avessi mai fatto irruzione”.
Lo conoscevo abbastanza da sapere che non avrebbe affatto desistito e lo sentii ridere teatralmente, mentre si volgeva verso la porta, quasi ad assicurarsi di averla chiusa alle sue spalle. Approfittai dell’attimo di distrazione per avviare una telefonata a Morgana affinché potesse sentire la nostra conversazione.
“Così come hai finto per mesi interi di respingere le mie avances?” mi domandò quando la sua ilarità si interruppe. “Di non provare la stessa attrazione? Di non desiderare la stessa cosa?”.
Sentirlo pronunciare quelle parole con voce rauca, con quell’alito pesante e con quello sguardo mi procurò non poco disgusto e repulsione nei miei stessi confronti, contando quante volte mi fossi esposta a una situazione simile e non potessi cancellare quegli episodi che mi stava rinfacciando.
Scossi il capo e lo fissai risentita: “Non perderò tempo a discutere con te, tanto meno in queste condizioni,” lo indicai con una smorfia, “Vattene subito!”.
“Vi siete divertite abbastanza tu e le tue amiche?” mi domandò in un sussurro gelido che sembrava perfino più furioso. Seppur non nutrissi una profonda stima per Tom, non credevo che mi avrebbe fatto del male fisicamente, ma speravo che Morgana avesse risposto alla chiamata e che stesse arrivando. “Magari ti compiacevi persino di aver attirato la mia attenzione, ma se te lo fossi dimenticato, love, eri solo un discreto passatempo”, continuò a parlare con acredine.
Non potei fare a meno di incupirmi, attribuendogli un atteggiamento narcisistico e con tratti paranoici: evidentemente, dal suo punto di vista, l’unica spiegazione plausibile all’evolversi del nostro rapporto era stata una mia manipolazione volta a sedurlo per mero divertimento. Non sembrava riuscire a contemplare l’idea che avessi erroneamente interpretato le mie emozioni. Persino in quel momento, secondo la sua distorta versione del mondo, gli stavo negando una soddisfazione per mero dispetto. Dubitavo che avesse mai provato qualcosa di vagamente serio per me. “Stai delirando”.
“Al contrario, non sono mai stato tanto lucido”, rispose con una smorfia, inclinando il viso di un lato e guardandomi intensamente come se così facendo potesse bloccarmi. “Per mesi hai giocato con me, mi hai accusato di essere poco rispettoso della mia ragazza, mi hai giudicato dall’alto della tua cosiddetta levatura morale… sei solo una schifosa ipocrita”.
Mi odiai per la rabbia che sentivo in quel momento e che mi faceva prudere gli occhi, anziché avere una reazione più impulsiva come schiaffeggiarlo o assestargli un pugno. “Sei completamente pazzo!”.
Sorrise nel notare la mia voce tremula e avanzò di un passo con l’aria del gatto che giocava con il topo, mettendolo in trappola e godendosi la sua paura e il suo senso di impotenza, prima di sferrare il colpo fatale. “Ti piace tanto interpretare la parte dell’innocente verginella, ma sappiamo bene cosa sarebbe accaduto quella sera in quella cucina, se non fossimo stati interrotti”.
“Ringrazio ogni giorno che non sia successo davvero!”, mi sentii rispondere con foga. Maledissi la mancanza di un oggetto contundente a portata di mano, se si escludeva il cibo contenuto nelle buste.
Inarcò le sopracciglia e continuò a parlare con la stessa intonazione. “Ma poi hai cambiato idea e hai intessuto la tua tela intorno a qualcun altro. Eppure, sembrerebbe che lui ti abbia capita persino prima di me: forse dopotutto l’ho sottovalutato”. Si finse persino dispiaciuto di averlo giudicato male.
Fu il mio turno di ridere con aria sprezzante e non di meno schifata dalla sua ipocrisia. “La verità è che Bradley è più uomo di quanto tu sarai mai ed è questo che ti fa rodere nel profondo”.
Le mie parole parvero far breccia per un istante perché tacque e sembrò acquietarsi. Fu solo un battito di palpebre perché un altro sorriso, gelido e inquietante quanto il precedente, gli increspò le labbra e rise con aria quasi folle. Avanzò di un passo in mia direzione e sollevò una mano, parlando con il volto reclinato di un lato. “Sai qual è la parte più divertente di tutto questo?” mi incalzò con voce serafica, ma non attese che fingessi di voler rispondere. “Che, dopotutto, il tuo primo bacio lo avrò io in ogni caso”.
Sbattei le palpebre e mi sentii mancare l’aria, rendendomi conto di quanto la situazione stesse divenendo persino più sinistra e inquietante. Strinsi i pugni e mi concentrai sui suoi movimenti, pronta a scattare in caso di necessità e di colpirlo con tutte le mie forze.
“Ma non credo proprio che aspetterò Giugno.” Aggiunse in un sussurro e con un movimento brusco mi avvinse il braccio per attirarmi a sé.
“Lasciami!” gridai, strattonandolo e cercando di colpirlo sotto la vita, ma mi fu letteralmente strappato dalle mani.
Non mi ero resa conto dell’arrivo di Morgana e Sean, ancora ansanti per aver fatto di corsa le scale, fino a quando l’uscio non fu spalancato con tale forza da farlo sbattere contro la parete.  Il mio amico era rimasto congelato sulla soglia per un breve istante, gli occhi sgranati e le labbra schiuse, prima che il suo volto fosse completamente trasfigurato dalla rabbia. “Lasciala, bastardo!” gli urlò contro e si frappose tra noi. Fu un movimento naturale e fluido del braccio e lo colpì violentemente al volto con un pugno, facendolo cadere a terra.
Vidi fiotti copiosi di sangue scivolare dal naso di Tom, l’occhio appariva già arrossato e gonfio ma lui, dopo un istante di mero shock, riprese a ridere quasi in modo selvaggio.
Quasi neppure sentii la voce di Morgana che mi aveva cinto e mi stava chiedendo se stessi bene: non riuscivo a distogliere lo sguardo dal ragazzo che si era rimesso in piedi, barcollando leggermente e avvicinandosi al mio amico che appariva ancora rigido ma pronto a reagire.
“Tu…” stava indicando Sean con sguardo quasi folle. “Sei persino peggiore di lei. Per tutto questo tempo hai coperto le sue bugie.” Sibilò guardandolo con aria di profondo odio e di risentimento. I suoi lineamenti furono alterati dalla rabbia e la sua voce suonò molto più stridula e isterica: “Credevo che fossi mio amico!”
Sean, tuttavia, non distolse lo sguardo e ribatté prontamente, come se la risposta fosse sempre stata nascosta in un angolo remoto del suo cuore, ma non avesse mai avuto né il coraggio né la forza di pronunciarla. “Tu non lo sai cosa significa essere leali con qualcuno e mi dispiace soltanto di averci messo così tanto tempo per capirlo”. Non aveva gridato, ma la sua voce appariva così colma di sofferenza e di delusione che avrei quasi preferito che le sfogasse in modo più acceso. Inclinò il viso di un lato e gli rivolse uno sguardo minaccioso: “Adesso ricomponiti e vattene, o ti aiuterò io a farlo, ma ti avverto che non lo troverai piacevole”.
Si scrutarono per un lunghissimo istante in cui Morgana e io restammo immobili e quasi neppure in grado di respirare. Tom continuò a scrutare Sean come a studiarne le mosse. Rivolse infine a me un ultimo sguardo di puro astio e si diresse verso la porta con passo ancora malfermo. Il mio amico lo seguì, evidentemente volendo assicurarsi che uscisse davvero dall’edificio.
Mi sembrò che il mio corpo e la mia mente si fossero sdoppiati e stessi contemplando la scena dall’esterno: senza rendermene conto avevo cominciato a tremare e mi si era bagnato il volto di lacrime, pur non emettendo un singhiozzo. Morgana mi strinse a sé, carezzandomi i capelli e continuando a ripetermi che era tutto finito e che ero al sicuro. Soltanto quando vidi rientrare Sean che ci assicurò con un cenno affermativo che se n’era davvero andato, riuscii a tranquillizzarmi e lasciai che lui stesso mi stringesse.
“M-Mi dispiace,” mugugnai contro il suo maglione. Non sapevo esattamente per cosa mi stessi scusando: dei guai che gli avevo causato dal mio arrivo, della fine della sua amicizia con Tom, delle bugie che aveva dovuto coprire per mio conto e della situazione difficile in cui si era ritrovato nuovamente.
“Non hai motivo di scusarti,” sussurrò al mio orecchio in tono dolce e gentile. “Anzi, dovrei ringraziarti di avermi aperto gli occhi su tante cose”.
Mi stavo rilassando con una tazza di the che Morgana aveva preparato per tutti e quasi sussultai quando bussarono alla porta. Fu Sean ad alzarsi e ad andare ad aprire e sgranai gli occhi nel vedere Amy sulla soglia: aveva ancora addosso il tailleur da ufficio, ma i capelli, che stava facendo ricrescere, si erano allentati dall’acconciatura. Aveva il fiatone, le guance rosate e una pentola tra le mani. “Dov’è quel bastardo?!” domandò, facendo saettare lo sguardo tutto attorno. “Non è la pentola della Signora Weasley, ma servirà comunque allo scopo[4]”.
Persino Sean rise e scosse bonariamente il capo: “Temo che tu sia arrivata in ritardo: vieni a sederti”.
 
Sean era uscito per comprare qualcosa per cena e per lasciarci a una chiacchierata femminile. Avevo il sospetto che sentisse il bisogno di star solo per metabolizzare la fine della sua “amicizia” con Tom.
Cercando di controllare il tremito della voce, avevo iniziato a raccontare di come ero stata sorpresa alle spalle e di come ero riuscita a telefonare a Morgana. La mia amica proseguì da lì, riferendoci della sua sorpresa e dello sconcerto del sentirmi parlare con qualcun altro. Era stata una fortuna che si trovasse ancora con il suo ragazzo ed entrambi si erano precipitati a casa per aiutarmi. Lasciai che fosse lei, con non poca soddisfazione e compiacimento, a raccontare dell’intervento repentino ed efficace di quest’ultimo. “Tra parentesi è stato particolarmente eccitante.” Concluse con un’occhiatina più maliziosa, nel tentativo di stemperare la tensione.  
Amy era rimasta a bocca aperta, probabilmente provando a immaginare la scena: “Che peccato essermela persa,” dichiarò con uno sbuffo, prima che lo sguardo si rabbuiasse e mi osservasse, come per voler valutare sé stessi realmente bene. “Ma c’è una cosa che ancora non riesco ancora a capire: come accidenti ha fatto a scoprire la verità su Matteo?!”.
Sbattei le palpebre a più riprese e incrociai il suo sguardo. Ero stata talmente presa dal precipitare degli eventi da non essermi più posta quella domanda essenziale e dal non aver più riflettuto su quel “particolare”. Tom era visibilmente arrabbiato per quel motivo e aveva persino bevuto, forse per darsi il coraggio e la determinazione per arrivare da me e pretendere la mia ammissione.
“Emma.” Rispose Morgana, infrangendo il silenzio e guardando dall’una all’altra. Annuì con fervore di fronte al mio viso pallido e alla mia espressione interdetta. “Pensateci bene: tutto torna. Ti ha praticamente imboccato la bugia sul fidanzato italiano e per settimane ti ha dato il tormento per chiederti i dettagli, nella speranza che ti tradissi. Per non parlare dell’annuncio del ballo e delle sue continue insistenze sull’occasione ideale per farlo arrivare dall’Italia”.
L'altra stava annuendo a ogni frase, ma io continuavo a cercare di ricordare i dettagli più esaustivi dei nostri dialoghi: da quel giorno al pub in cui tutto era iniziato, ai pranzi alla mensa, fino a quella sorta di minaccia dopo Natale.
“Avresti dovuto fidarti del tuo istinto fin da subito,” mormorò Morgana. “Ricordi quelle sensazioni di disagio che provavi in sua compagnia? L’impressione che la sua gentilezza fosse solo finzione e che ti stesse mettendo in difficoltà fin da subito per intimidirti?”
“Sono stati i tuoi primissimi clienti,” intervenne Amy, “e sono pronta a scommettere che si è stranita fin da subito, quando Tom ha ammesso di averti già conosciuta, mentre tu lo negavi con forza. Sei stata nel suo mirino fin dall’inizio, anche se non te ne rendevi conto e cercavi di trovare una giustificazione[5]”.
Mi massaggiai la tempia, sentendola pulsare dolorosamente, ma cercando di restare il più possibile lucida per collegare i tasselli di un puzzle che mi era stato costruito attorno ben prima che me ne rendessi conto. Tuttavia, c’era ancora qualcosa che non mi convinceva di quella storia. “Ma se anche fosse, questo non spiega come abbia fatto a scoprirlo. In fondo avevamo Dario a coprirci le spalle”.
“Il tuo blog!” esclamò Amy, colta da quell’illuminazione improvvisa.  “E’ pubblico, no?”.
Morgana imprecò. “Abbiamo protetto tutti i tuoi social e questo deve averla insospettita ancora di più! Come abbiamo fatto a dimenticarci del blog?!” convenne nel portarsi una mano tra i capelli con espressione di profondo rammarico.
Scossi il capo, guardando dall’una all’altra e alzando le mani. “Il blog è in italiano”.
Amy sbuffò. “Oh, avanti: persino io ai miei primi tempi al pub, riuscivo a cavarmela con Google Translate. Coi suoi modi leziosi, scommetto che ha assunto persino qualche hacker per tenerti sotto controllo e visto che continuavi a rifiutarle l’amicizia su Facebook, deve aver sospettato che le nascondessi qualcosa e ha fatto in modo di tradurre ogni tuo post. Meno male che non avevi più tempo di scriverci ultimamente!”.
“A parte quell’articolo sulle bugie di recente”, sospirò Morgana per poi rabbuiarsi ulteriormente. “Deve essere andata così…” approvò il ragionamento della nostra amica. “Forse sapeva persino che Tom aveva comprato il libro di Sherlock e ha inscenato quella pantomima di proposito, così che tu lo affrontassi e decidessi di allontanarlo una volta per tutte”.
Amy appariva parimenti impressionata e disgustata. “Nonostante tutto, probabilmente se lo sarebbe comunque tenuto, se non le avesse dato il benservito”. Ci rifletté sopra e si incupì ulteriormente.  “Non poteva sopportare l’idea che non solo l’avesse lasciata dopo tutti quegli anni, ma persino che volesse tornare alla carica con te. Deve avergli spiattellato tutta la verità su Matteo o persino mostrato i tuoi post, così che poi ti affrontasse e magari tu decidessi di abbandonare lo spettacolo!”.
Sentivo lo stomaco serrato e una crescente sensazione di nausea e di orrore alla realizzazione di aver assecondato, senza saperlo, tutti i machiavellici piani di Emma. Doveva aver imparato a conoscermi in tutto questo tempo e a usare le mie debolezze. Chissà quanto divertimento aveva tratto nel vedermi agire come aveva previsto in diverse circostanze. Adesso che le mie amiche stavano ripercorrendo a ritroso gli ultimi mesi, sembrava fin troppo ovvio. Non potevo fare a meno di sentimi ulteriormente sciocca e ingenua per non essermene resa conto prima. Tutte le risposte erano state di fronte a me per tutto il tempo.
Morgana aveva le sopracciglia ancora contratte e guardò dall’una all’altra con espressione cospiratoria: “Scommetto che Bradley sarà il prossimo obiettivo: un ulteriore modo di infastidire Tom e vendicarsi di te. È una fortuna che tu gli abbia già parlato. Sai cosa devi fare adesso, vero?”.
Sospirai, passandomi una mano tra i capelli, desiderando che quella lunga giornata finisse al più presto. “Chiamare Lupin e fargli venire un infarto con la mia richiesta di dimissioni?” domandai in tono velatamente ironico. “Ci sto seriamente pensando,” confessai loro, pur consapevole che non avrebbero approvato una simile iniziativa.
Amy aveva imprecato: “Fallo e ti disconosco per sempre e poi ti rubo Bradley!”.
“Non lo starai pensando sul serio, vero?” mi incalzò Morgana con espressione realmente sorpresa e indignata insieme. “Piuttosto dovrebbero estromettere Tom!”.
L'altra sospirò per risposta. “Se fosse accaduto in Accademia, forse…”. Aggrottò le sopracciglia nell’osservare entrambe: “Piuttosto… dovreste richiedere un’ordinanza restrittiva e dico sul serio!”.
Morgana annuì con fervore. “Lo farò domani per prima cosa e consegnerò una sua foto in portineria così che non possa più entrare. Anche se non mi sarebbe dispiaciuto accecarlo coi miei tacchi, se Sean me lo avesse permesso”.
Sospirai, sentendomi più che mai stanca di tutta quella situazione. Arrivai persino a rimpiangere quella serata a casa dei Biggerstaff, quando avevo aperto l’uscio di ingresso ed era tutto iniziato. Se anche Sean prima o poi fosse stato costretto a presentarmelo, ciò sarebbe avvenuto in altre circostanze. Questo, tuttavia, significava anche rinunciare alle cose belle di questa esperienza: conoscere Silente, Lupin e, non in ultimo, Bradley.
Fu proprio quel nome a riscuotermi quando fu Morgana a pronunciarlo, appoggiando la mano sulla mia. “Dovresti chiamarlo”.
“Fallo subito… dammi retta o non troverai più il coraggio!” intervenne Amy.
Sbattei le palpebre, ancora frastornata. “E raccontargli tutto questo?!”. Di fronte ai loro cenni di assenso mi sentii persino più inquieta. “Io non credo che sia il caso”, mormorai e mi morsi il labbro. Di fronte alle loro espressioni incredule, continuai: “Non voglio apparirgli così vulnerabile… e non vorrei che questo pretesto lo inducesse a darmi una seconda occasione, se ha bisogno di ulteriore tempo”, aggiunsi con voce tremula e un moto di vergogna.
Parvero entrambe spiazzate dalla mia reazione ma più che determinate a farmi ragionare.
“Qui non si tratta di voi due,” iniziò Morgana in tono più dolce. “Non gli avevi promesso che avresti fatto tutto il necessario per riconquistarne la fiducia e la stima? Cosa penserebbe se lo venisse a scoprire da qualcun altro? Supponiamo che Tom si vanti in Accademia di essere venuto da te. O che Emma insinui che avete un flirt alle sue spalle!”.
“Vorrebbe saperlo da te!” rincarò la dose Amy. “Hai mentito in passato, ma questo non giustifica di certo il comportamento di Tom. E, se proprio vogliamo dirla tutta, se Bradley non riuscisse a farsi passare la delusione per la tua confessione, forse neppure lui è la persona che tu speravi”.
L’altra ragazza le scoccò un’occhiata ironica, seppur avesse annuito con aria di approvazione: “Non lo starai dicendo perché segretamente speri di avere un’occasione per provarci con lui, vero?”.
“Ma cosa dici?!” la rimbeccò l’altra pur con le guance arrossate.
“Forse avete ragione,” convenni in tono stanco. “Datemi un paio di minuti”.
Mi sollevai dal divano e mi diressi verso la mia camera e mi lasciai cadere sul letto, sentendomi quasi crollare per la stanchezza fisica e psicologica. Avrei solo voluto addormentarmi, risvegliarmi e scoprire che le ultime ore erano soltanto frutto di un sogno particolarmente inquietante, causato dallo stress e dall’ansia per le varie situazioni che stavo affrontando.
Sentivo le loro voci sommesse nel soggiorno e sapevo che stavano solo attendendo che raccogliessi il coraggio o molto probabilmente avrebbero composto il numero per poi costringermi a parlargli. Accarezzai il bigliettino di San Valentino che avevo conservato e cercai il suo numero in rubrica, affrettandomi a premere il pulsante della cornetta prima di cambiare idea. Sentii il segnale della linea libera e mi domandai quale espressione gli avrebbe attraversato il volto nel vedere il mio nome lampeggiare sul display. Rispose al terzo squillo e sentii un nodo in gola quando pronunciò il mio nome con l’accento britannico.
“Ciao Bradley,” mormorai per risposta, sentendo la voce ancora tremula. “Spero di non disturbarti”.
“No,” rispose fluidamente. “Ma stai bene? Sembri turbata” mi domandò in tono gentile.
“No, non va tutto bene,” risposi sinceramente, pur cercando di controllarmi per non rischiare di scoppiare a piangere al solo sentirne la voce. “Preferirei parlartene di persona: ti sarebbe possibile raggiungermi?”.
Dai rumori in sottofondo intuii che si era già alzato e aveva raccolto le chiavi dell’auto. “Sto arrivando”.
“Grazie Bradley, ti aspetto”. 
 
Lo aspettai in camera, dopo essermi riassettata i capelli e aver sciacquato il volto. Scambiò pochi convenevoli con le mie amiche e bussò all’uscio della mia camera, seppur la porta fosse ancora socchiusa. Lo invitai ad entrare e notai che si era già tolto la giacca e appariva confuso e preoccupato.
“Stai bene?” mi incalzò prima che avessi il tempo di salutarlo. “E’ di nuovo successo qualcosa al lavoro?”.
Scossi il capo. “Fisicamente sto bene.” mi affrettai a precisare, sollevando le mani quasi a dargliene una conferma implicita. Mi morsi il labbro prima di riprendere: “E’ successo qualcosa di spiacevole che riguarda Tom ed Emma.”
Sospirò ma non parve particolarmente sorpreso. Mi sforzai di sorridere per non farlo preoccupare troppo: “Credo sia meglio che ti sieda: forse dovrei chiedere alle ragazze di preparare una camomilla” cercai di smorzare la tensione. Ricordavo come Amy mi avesse bonariamente rimproverato di aver optato per il tiramisù, un dessert a base di caffè, prima di svelargli le mie bugie su Matteo.
Mi si avvicinò e sedette al mio fianco ma scosse il capo: “Arriviamo al punto per favore”.
Annuii ma dovetti esordire con una premessa: “Circa due settimane fa Tom ha deciso di porre fine alla sua relazione con Emma. Noi lo abbiamo saputo poco dopo da Sean”.
Bradley sbatté le palpebre e la sua mascella si indurì. Annuì tra sé e sé come se stesse trovando conferma ai suoi dubbi e incrociò le braccia al petto. “Immagino che non abbia perso tempo per tornare da te”. Fu solo in virtù del suo straordinario talento nella recitazione, immaginai, che riuscisse a pronunciare quelle parole senza evidente disapprovazione o rancore nei confronti del ragazzo.
Annuii. “A suo dire avevamo un conto in sospeso,” mi morsi il labbro prima di aggiungere: “Sa tutto, Bradley. Ha scoperto le mie bugie su Matteo ed era completamente fuori di sé…”
Non riuscì a dissimulare la sorpresa e la confusione a quella dichiarazione e sgranò gli occhi, sciogliendo la postura rigida delle braccia e guardandomi con una nuova apprensione: “Ma come è possibile?”.
“Non lo so per certo,” risposi e mi sentii nuovamente male al valutare le riflessioni che avevamo condiviso poco prima. “Le ragazze sono sicure che ci sia sempre stata Emma dietro a tutto, che abbia approfittato di me e che io abbia assecondato senza volere tutti i suoi stratagemmi”.
Il ragazzo si concesse qualche secondo per pensarci e strinse le labbra: “Avrebbe senso, ma dimmi come ha reagito quel verme,” mi esortò e mi strinse la mano. “Ti ha minacciato?!” domandò in tono così infervorato che deglutii a fatica.
“Sto bene.” Ripetei. Non solo per impedire che si agitasse ulteriormente, ma anche perché una parte di me aveva bisogno di continuare a ripeterselo per non indugiare in pensieri più amari su cosa sarebbe potuto accadere se i miei amici non fossero giunti. Se Tom fosse stato lucido e se non fossi stata tanto sciocca dal non chiudere subito a chiave la porta alle mie spalle.
Bradley avvampò di rabbia: “Allora ti ha aggredito!” ruggì quasi.
“Per favore, calmati”, lo supplicai e, a fatica, restò seduto ma mi fece cenno di parlare.
Cercai di riassumere la sequenza degli eventi in modo da dargliene una visione il più obiettiva possibile, ma il suo volto era una maschera di indignazione, di risentimento e di puro odio. Alla fine del mio racconto si alzò e cominciò a vagare per la stanza ma con movimenti più scoordinati di quando stava cercando un modo di contenersi dopo la mia confessione nel suo appartamento. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi nel commentare il tutto con voce rabbiosa e sdegnata che mi fece sussultare. Non in ultimo perché era la prima volta che lo sentivo imprecare in modo volgare.
Figlio di puttana![6]”. Si volse verso di me: “Dimmi dove abita!” mi ordinò energicamente.
Scossi il capo e sollevai le mani. “Era proprio per questo che non volevo dirtelo!”.
“Lo stai difendendo? Nonostante questo?!” Mi domandò con il volto improvvisamente infiammato di stizza persino all’eventualità.
“Certo che no!” ribattei indignata mentre la mia voce si faceva più stridula e sentivo le mie amiche agitarsi nell’altra stanza. “Ma tu sei di gran lunga un uomo migliore di lui e…”
Bradley fece una smorfia a quel commento e mi interruppe: “Se non vuoi dirmelo tu, costringerò Sean a parlare!”.
“Posso assicurarti che non lo saprai né da me né da lui”, ribattei in tono più pacato ma deciso.
Ci squadrammo ai due lati della stanza, entrambi caparbi e intestarditi nella nostra posizione: dopo quello che parve un lungo attimo Bradley sospirò. Le parole successive furono pronunciate in tono più amareggiato. “Vorrei solo che ti sentissi libera di parlarmi di tutto: soprattutto quando succede qualcosa del genere. Non sopporto l’idea di doverlo scoprire da qualcun altro o che siano le tue amiche a costringerti a parlarmene…”.
Sussultai nel rendermi conto che ormai mi conosceva abbastanza da aver intuito la mia reazione naturale all’accaduto. “Lo so,” mormorai e mi morsi il labbro. “Hai ragione, ma avrei voluto riuscire a cavarmela da sola”.
Sospirò e mi guardò per un lungo istante prima di avvicinarsi e, con un gesto più delicato, mi cinse la vita e mi attirò al suo petto, inducendomi a rilassarmi a quel contatto. Era come se, nonostante le tensioni degli ultimi tempi, non mi fossi dimenticata del calore e della solidità del suo corpo.
“Ammiro la tua forza d’animo, ma devi ricordarti che non sei sola, soprattutto in questi momenti”, sussurrò al mio orecchio. Per la prima volta, nelle ultime ore, mi sentii al sicuro. In quel momento, cullata dalla sua presenza, ebbi l’impressione di poter realmente affrontare ogni cosa.
“Chiamerò Lupin questa sera stessa,” sussurrò al mio orecchio, quasi gli dispiacesse infrangere quel momento di stasi nel quale avrei quasi potuto illudermi di annullare tutto ciò che era accaduto dopo la nostra cena. “Non posso permettere che lui continui lo spettacolo”.
Mi morsi il labbro ma mi scostai per guardarlo e scossi il capo.  “Sai bene che lui e Silente non hanno autorità al di fuori dell’Accademia,” mormorai in tono tranquillo, “inoltre non voglio che Tom mi creda intimidita da lui e dai suoi comportamenti…”. Dovevo almeno preservare una parvenza di compostezze e di tranquillità, seppur ciò che era accaduto non avrebbe mai potuto essere dimenticato da nessuno dei due.
Bradley inclinò il viso di un lato con le sopracciglia nuovamente aggrottate: “Dovrebbero comunque saperlo, soprattutto se continua ad essere un pericolo per te o per qualcun altro. Non possiamo fidarci di lui”.
Il punto era quello, mi resi conto con profonda amarezza. Seppur Tom non si fosse sempre comportato in modo gentile o sincero e tanto meno leale nei miei confronti o in quelli di Emma o di Sean, e la mia stima e la mia fiducia nei suoi confronti si fossero incrinate da tempo, non avevo mai messo in dubbio che, pur coi suoi difetti, non mi avrebbe mai fatto del male. Certamente l’alcool gli aveva dato maggiore determinazione e risolutezza ma non potevo più provare a giustificarlo o a sminuire.
“Sei sicura di stare bene?” mi incalzò nuovamente Bradley in tono più preoccupato. “Ti assicuro che non lo perderò di vista un solo istante quando saremo in Accademia e ti staremo tutti vicino perché non provi nuovamente a tenderti un’imboscata”.
Nonostante tutto, non potevo, anche in quell’occasione, che essere grata della sua presenza e degli amici che non avrebbero esitato a starmi vicino e a farmi sentire protetta, al punto da commuovermi. Ma non potevo mentirgli e scossi il capo. “Una parte di me non può fare a meno di pensare che me la sono cercata: tutto questo non sarebbe accaduto se non avessi mentito e”
Mi appoggiò le mani sulle spalle e mi guardò intensamente, inducendomi a tacere. “Non hai motivo di incolparti: hanno deliberatamente scelto in più occasioni e di loro spontanea volontà di farti del male.” Specificò e il suo volto si contrasse in una smorfia di mero disprezzo e di risentimento al pensiero. “Adesso, nonostante tutto, puoi sentirti libera dalle bugie. Dovrai avere pazienza per un paio di mesi e ti libererai definitivamente di loro”, mi incoraggiò con un sorriso. “Hai investito troppo in questo spettacolo perché lui te lo rovini. D’accordo?”.
Riflettei su quelle parole e nonostante tutto non potei che annuire e sorridere all’idea che tutte le carte fossero state scoperte, mio malgrado, e che non avrei più dovuto temere le conseguenze. Indugiai nel suo sguardo e non potei fare a meno di sentire un dolce effluvio di calore che poco aveva a che fare con il calore di quella vicinanza. “Grazie di essere accorso… nonostante tutto”.
Lui inclinò il viso di un lato, sorridendo con un’ombra di mestizia e mi scostò una ciocca di capelli dal volto. “Sono stato molto duro con te…” sussurrò con evidente rammarico.
Scossi il capo fermamente. “Niente affatto,” asserii senza esitazione, “sei stato sincero e è quello che apprezzo più di tutto”.
Mi guardò più intensamente, come volesse scavarmi dentro e al contempo proiettarmi un futuro possibile che mai come quella sera mi sembrò nuovamente possibile. “Non avrai altro che sincerità da me. Sempre”.
La risposta mi morì sulle labbra, ma ne trattenni la mano e mi riscossi quando sentii bussare alla porta. Morgana, dopo aver ricevuto il permesso, fece capolino con la testa e guardò dall’uno all’altra. “Scusate se interrompo, ma è tornato Sean con la cena: ti fermi con noi?” aggiunse in direzione di Bradley.
Il ragazzo mi osservò come a chiedere una mia opinione, inclinò il viso di un lato e mi rivolse un sorrisetto più impudente. “Solo se mi prometti una tazza del tuo famoso budino al cioccolato come dessert”.
Risi per risposta ma annuii. “Credo che tu lo abbia meritato,” convenni per poi sorridere alla mia amica. “Arriviamo subito, grazie”.
 
~
 
Il giorno dopo, in Accademia, Tom aveva ancora il naso e le labbra tumefatte. Sembrava anche più pallido del solito e con le occhiaie in evidenza. Quando Lupin lo chiamò affinché salisse sul palco e notò quei particolari, sembrò sull’orlo dello svenimento.  “Felton, cosa diavolo è successo al tuo viso?” domandò in tono quasi sgomento. Bradley, al suo fianco, ammorbidì le labbra per in un fugace sorriso, prima di assumere un’espressione neutrale ma lo scrutò a sua volta, con le braccia incrociate al petto, probabilmente in attesa di scoprire come si sarebbe giustificato.
Tom sembrò rivolgersi più a lui che all’insegnante nello stringersi nelle spalle, a voler sminuire il tutto: “Un piccolo incidente: niente di che.” Spiegò in tono asciutto.
L’uomo sospirò e scosse il capo prima di rivolgersi a tutta la classe: “Ve lo chiedo per favore, siate prudenti: l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che vi infortuniate prima dello spettacolo…” si raccomandò, prima di cercare nella sua borsa consunta il plico del copione. “Riprenderemo da dove siamo rimasti la scorsa settimana: il duello tra William e Duncan,” propose per poi guadarsi attorno, “Oh no, manca Robert quest’oggi” sospirò con evidente frustrazione. “Vorrà dire che andremo avanti con la scena successiva…”
Bradley si schiarì la gola, rivolgendogli il suo sorriso più affabile e premuroso. “Non è necessario. Sarei felice di poterlo sostituire: ho esperienza con la spada, sempre che per Tom non sia un problema,” ne cercò lo sguardo e il sorriso si fece più ampio, “potrei insegnargli un paio di trucchi”.
Si scrutarono per un lungo istante nel quale parvero comunicarsi con lo sguardo il reciproco astio, ma nessuno dei due sembrava intenzionato a cedere di fronte all’altro. Io mi morsi il labbro, domandandomi se non fosse il caso di intervenire con qualche pretesto, ma Lupin non parve affatto rendersi conto della reale atmosfera tra loro.
“Sarebbe davvero molto premuroso da parte tua, Bradley,” lo lodò con sincero entusiasmo e gratitudine, “te la senti, Felton?”.
Quest’ultimo si alzò in piedi, le mani conficcate nelle tasche dei pantaloni eleganti e un sorriso irriverente: “Ne sarei estasiato,” mormorò per risposta, “abbiamo un conto in sospeso dopotutto”.
Di fronte allo sguardo perplesso di Lupin, Bradley sorrise persino più serafico: “Gli ho promesso il giorno in cui ci siamo conosciuti che gli avrei mostrato le mie abilità da spadaccino”.
“Magnifico,” commentò distrattamente, “hai bisogno di leggere le battute di Duncan?”
Bradley scosse il capo: “Le ricordo bene: le ho provate con Robert la scorsa settimana”. Fece cenno a Tom verso il palco e quest’ultimo lo precedette con la tipica spavalderia. Incrociai lo sguardo di Bradley, ma lui mi rivolse un breve sorriso, quasi a schermire le mie preoccupazioni.
Sentimmo la suoneria di un cellulare e ci voltammo verso Lupin che appariva scosso. “Scusatemi: è mia moglie: devo rispondere”. Era piuttosto comprensibile che, all’avvicinarsi della fine del termine della gravidanza, dovesse essere sempre raggiungibile.  “Voi iniziate pure senza di me…” rivolse un cenno ai due ragazzi e si allontanò per poter sentire meglio la comunicazione.
I due contendenti si scrutarono l’un l’altro con aria guardinga, prendendo le reciproche spade e camminando ai rispettivi angoli. Vidi un sorriso suadente increspare le labbra di Bradley nell’indicare il volto dell’altro con un cenno del capo: “Ti fanno male le labbra quando parli?[7]”.
Tom assottigliò gli occhi quasi a ridurle in due fessure: “L’ho pensato fin dall’inizio che fossi un presuntuoso. Ma non avevo capito che fossi anche così idiota da provocarmi quando ho in mano un’arma…” gli fece notare, giocherellando con l’elsa. “Oh, scusa… vuoi chiamare Lupin o Silente per proteggerti?”.
Bradley ridacchiò con aria strafottente. Ripensandoci bene, fin dal loro primissimo incontro, il loro modo di interagire era stato all’insegna della reciproca ironia e di una buona dose di competitività. “Ti potrei distruggere con un soffio”, gli disse con un sorrisino compiaciuto di sé stesso.
L’altro inclinò il viso di un lato: “Io potrei distruggerti con meno…” sibilò per risposta.
Bradley inarcò le sopracciglia con aria teatralmente scettica: “Ne sei sicuro?”.
Tom non rispose ma si tolse la giacca con aria enfatica, rigirandosi la spada tra le mani.
L’altro rise, stringendo la propria: “Mi sono addestrato per oltre tre anni”, gli disse quasi a mo’ di avvertimento.
“Da quanto ti addestri per essere un idiota?” lo incalzò l’altro in tono sferzante.
Si fece scuro in volto: “Non puoi rivolgerti a me in questo modo”.
“Scusami,” replicò con un sorriso affettato e la voce grondante di sarcasmo, “riformulo la domanda: da quanto si addestra per essere un idiota, signor James?”.
Sorrise, quasi fosse realmente lusingato dalla rettifica. “Molto meglio, grazie”.
Si scambiarono un altro lungo sguardo prima che Tom coprisse la distanza per lanciarsi contro di lui: Bradley sembrò dapprima lasciarlo fare, studiandone i movimenti energici, pieni di foga, ma poco coordinati. Sembrava agire per istinto, senza una reale strategia o una reale consapevolezza di ciò che stesse facendo.  L’altro si muoveva in modo più fluido e naturale e riuscì prontamente a difendersi e a schivarlo.
Non stavano neppure fingendo di recitare e nessuno dei due aveva pronunciato le battute previste per quella scena. Persino il brusio degli altri studenti, che avevano commentato in modo animato e confuso quello scambio di battute, si era spento ed era calato un silenzio irreale. Seguivamo i loro movimenti come se fossero parte stessa dello spettacolo. Senza rendermene conto mi ero drizzata dalla mia postazione, atterrita all’idea che si facessero realmente del male.
Tom si scagliò contro Bradley con particolare impeto, cercando di metterlo alle strette, ma i riflessi del secondo erano eccezionali e riuscì a schivare un colpo di spada dall’alto. Nel volgersi rapidamente, gli assestò una gomitata, un lieve colpo al fianco e uno sulla fronte, facendolo cadere. Calciò via la sua spada, lasciandolo disarmato e ansante ai suoi piedi, ma con lo sguardo carico di odio e di risentimento. Bradley gli puntò la spada contro la gola, mentre un sorriso vittorioso gli increspava le labbra.
Fu così che li trovò Lupin che parve completamente spiazzato, tanto da guardare dall’uno all’altro.
“Professore?” sentii chiamare Tom con voce vagamente risentita. “Potrebbe ricordare al suo Assistente che la scena non finiva così? Curioso che non lo sappia, dopo aver detto di averla provata con Robert”.
L’uomo salì sul palco e si passò una mano tra i capelli brizzolati. “Ehm, da quello che ho notato, è stato molto intenso, Bradley,” mormorò e parve solo in quel momento domandarsene il motivo. “Tuttavia, Felton ha ragione: doveva essere lui a disarmarti”.
Bradley simulò un’espressione contrita e imbarazzata: “Chiedo venia: devo essermi lasciato trasportare troppo,” spiegò in tono pacato ma guardando Tom con un sorriso affabile, “spero di non averti spaventato”.
“Ti dispiacerebbe smettere di puntarmela contro?” gli domandò risentito, afferrando la spada per la punta.
“Attento, potresti farti ancora male,” commentò Bradley ritirando l’arma ma continuando a osservarlo con le sopracciglia aggrottate. Anche se non fossi stata coinvolta nelle loro interazioni, non avrei potuto fare a meno di pensare che la minaccia non riguardasse esclusivamente la lama tagliente.
“O forse sarai tu a fartene la prossima volta” replicò Tom con altrettanta freddezza.
L’altro serrò la mascella e sembrò in procinto di ribattere ma sussultammo tutti quando sentimmo un battito di mani. Mi volsi in quella direzione e scrutai Silente tra le due file di poltrone come quando, qualche mese prima, aveva annunciato l’arrivo di Bradley. In quel frangente, sembrava un uomo diverso a causa della mancanza del tipico sorriso allegro e spensierato: seppur magro e fragile emanava un’aura di potere che mi impressionò non poco. “Davvero un’ottima performance, signori: molto realistica e vissuta” commentò pacatamente, ma sembrava insinuare cose molto più serie. “Mio caro Remus, temo di dover annullare le prove previste per questa mattina”.
“Che cosa?!” domandò quest’ultimo che divenne persino più pallido alla prospettiva. “Ma Preside, mancano appena due mesi allo spettacolo! Non possiamo permetterci di sprecare tempo!”
L’uomo più anziano lo fece tacere con un cenno della mano e scosse il capo: “Ho urgenza di parlare con entrambi i protagonisti del tuo spettacolo e credo sia bene che sia tu che il tuo Assistente siate presenti durante i colloqui”.
“E’ successo qualcosa?” domandò Lupin confuso, guardando noi tre come se solo in quel momento cominciasse a nutrire qualche sospetto.
Neppure volendo sarei riuscita a tranquillizzarlo: avevo il cuore in gola e le guance imporporate ma non osavo incrociare lo sguardo degli altri.
“Tutto a tempo debito,” rispose garbatamente Silente per poi rivolgermi un breve sorriso. “Mia cara, mi perdonerai se sarò poco cavaliere e parlerò prima con Thomas. Potrai aspettarci nell’ufficio del Vicepreside e con una buona colazione offerta da me”. Al mio cenno di assenso, si rivolse al resto della classe e placò i sussurri carichi di confusione e di sorpresa. “In quanto a voi, vi consiglio caldamente di approfittare di questo tempo extra per studiare in vista degli esami di fine corso”.
 
Avevo seguito le indicazioni di Silente e mi ero fermata nell’ufficio del vicepreside, non riuscendo a fare a meno di domandarmi che cosa stesse accadendo nel frattempo. Non avevo alcun dubbio su quale fosse l’argomento di discussione, ma temevo le possibili conseguenze. Era come se il tempo si fosse dilatato e sentivo accrescere l’ansia e la preoccupazione. Mi parve passata un’eternità quando sentii l’uscio aprirsi e intravidi Tom uscirne con passo rapido e il viso livido di furore.
Mi mordicchiai il labbro inferiore e attesi fino a quando Bradley, non uscì dalla stessa camera e si diressi verso di me.
“Andiamo, Silente e Lupin vogliono parlarti”.
Sbattei le palpebre e sentii il cuore scalpitare rapidamente. Non potei fare a meno di porgli quella domanda, seppur ne conoscessi già la risposta. “Sanno tutto?”.
Bradley annuì e lo sguardo sembrò più serio che mai: “Naturalmente. Te lo avevo detto che non avrei lasciar correre questa volta”.
Nonostante le sue parole e la sua mano appoggiata sulla schiena a mo’ di rassicurazione, non potei fare a meno di sentirmi tesa, quando entrai nell’ufficio del Preside. Seppur l’uomo anziano mi sorridesse con la medesima dolcezza di sempre, il suo volto mi sembrava profondamente preoccupato. Lupin si era drizzato bruscamente dalla sedia e mi si era avvicinato con volto pallido e i capelli più scarmigliati che mai. “Mio Dio, Sarah, non avevo idea di quello che stava succedendo: sono mortificato…” mi disse in tono agitato e con un evidente senso di colpa.
“Sto bene, Professore, davvero…” cercai subito di tranquillizzarlo, non volendo fargli gravare addosso ulteriori motivi di cruccio e tanto meno sensi di colpa.
Silente mi indicò la poltrona libera di fronte a lui: “Spero che tu non ne voglia a Bradley per essere venuto da me questa mattina”.
Osservai il profilo del giovane e sorrisi prima di scuotere il capo e incrociare nuovamente lo sguardo azzurro del Preside. “Me lo aveva preannunciato. Inoltre, a ben pensarci, avrei fatto bene a venire di persona e prima che le cose degenerassero…” ammisi con un sospiro.
“Se tu volessi tirarti indietro dallo spettacolo lo capirei” mormorò Lupin e lessi nel suo sguardo la sincerità. Non osavo immaginare con quanto stress e disperazione avrebbe affrontato la successiva crisi e la ricerca di un’altra aspirante protagonista in pochissimo tempo, ma sapevo che non avrebbe esitato, se lo avessi pregato di togliermi dalle spalle questa responsabilità.  
“Non voglio,” specificai e lo guardai intensamente, “qualcuno mi ha ricordato che ho investito troppe energie per questo progetto e non voglio abbandonarlo o tradire gli altri partecipanti: ci siamo dentro tutti quanti insieme…”.  Non potei fare a meno di sorridere al pensiero di Robert e delle altre persone che avevo conosciuto in quei mesi e che erano diventati parte della mia routine, nonostante gli esordi meno piacevoli.
Silente sorrise con aria di approvazione prima che lo scintillio azzurro si spegnesse. “Non possiamo regolamentare e tantomeno punire ciò che accade al di fuori dell’Accademia,” esordì in tono quasi stanco, “Ma, come ho comunicato a Thomas, ho parlato con il corpo docente e tutti si impegneranno a monitorare la sua condotta da questo giorno in poi. In particolare, il Professor Piton che lo ha sempre considerato il suo pupillo più talentuoso. Sarà anche mia personale premura assicurarmi che tu possa sentirti al sicuro tra queste mura e in ogni circostanza. Sono sicuro che Tom Riddle in persona abbia preso a cuore la tua sicurezza e di certo non mancano persone che vogliono vegliare su di te,” concluse con una garbata strizzatina d’occhi in direzione di Bradley. Quest’ultimo sorrise per risposta e appoggiò la spalla contro la mia, pur non accennando altri gesti confidenziali, ma facendomi comunque percepire la sua vicinanza.
“Vi ringrazio di cuore,” mi sentii dire con voce più tremula e un sorriso, “mi sento molto meglio adesso”.
“Ti prego, mia cara, non esitare a bussare alla mia porta, anche per condividere una dolce colazione tra golosi…” mi disse con uno sguardo più complice che riuscì a farmi ridere nonostante tutto.
Lupin mi appoggiò la mano sulla spalla: “Bradley e io ci metterei al lavoro per riadattare la scena finale senza stravolgerla, ma limitando il contatto fisico, hai la mia parola”.
Fu come se un grosso macigno mi si fosse liberato dallo stomaco e, a dispetto di tutto, cercai la mano di Bradley che intrecciò le dita alle mie senza esitazione, ma continuai a guardare Lupin: “Non volevo creare un simile scompiglio e in tutta onestà, malgrado tutto…” tornai a guardare Silente. “Quello che mi addolora di più è il dubbio che Tom avrebbe potuto farmi del male anche se fosse stato lucido”.
L’uomo anziano sospirò con aria altrettanto mortificata. “Thomas ha disperatamente bisogno di aiuto: spero che un giorno decida di accettare il mio, quando si sentirà pronto a cambiare. In ogni caso non gli permetterò di arrecare danno a nessun altro”. Si sporse in mia direzione, guardandomi intensamente, come se volesse leggermi dentro. “La tua fiducia nel prossimo è una dote splendida, mia cara, ma ti consiglio caldamente di non permettere a nessuno di abusarne. Non più”, sottolineò con voce profonda e solenne. Ero certa che quelle parole non le avrei mai dimenticate in vita mia e avrei sempre avuto un dolce ricordo di quell’uomo.
 
 
“Niente più bacio finale quindi?” domandò Amy, sbattendo le palpebre come se non riuscisse a crederci.
“No,” confermai con un sorriso, ricordando il breve messaggio che mi aveva lasciato Bradley, “sono molto sollevata. Dopo quello che è successo ieri, il pensiero mi era ancora più insopportabile”.
“Sono contenta che Silente lo abbia affrontato e sono assolutamente d’accordo con lui”. Commentò Morgana con espressione seria.
Amy annuì a sua volta per poi farsi scura in volto: “Mi dispiace soltanto che Emma la passi liscia: più ci penso e più sono convinta che abbia aizzato Tom di proposito. Anche se non è stata lei la colpevole materiale, dovrebbe ricevere almeno un cazziatone!” borbottò in tono non poco scandalizzato all’idea che lei ne uscisse completamente indenne.
“Qualcosa mi dice che Silente lo farà,” mormorai per risposta, “ma forse vuol fare calmare le acque o darle la possibilità di fare ammenda da sola”.
In verità non ero affatto convinta che ciò sarebbe accaduto e dalle loro espressioni, intuii che anche le altre due la pensassero allo stesso modo.
“Passando alle buone notizie, mi sembra che le cose tra te e Bradley vadano meglio”, mormorò Morgana con tono decisamente più allusivo e un alone più sbarazzino nello sguardo.  
Non potei fare a meno di sorridere al pensiero: “E’ stato molto dolce e protettivo e farò di tutto per non sprecare questa ulteriore occasione”.
 “A proposito di ragazzi,” si era voltata verso Amy, “quand’è che ti deciderai a dirci con chi te la sei spassata?”.
Sbattei le palpebre con aria perplessa, ma persino la diretta interessata sembrava presa in contropiede: la mano che reggeva la tazza tremò e fece urtare la porcellana contro la superficie del tavolo.
“Di cosa stai parlando?” le domandò in tono casuale, ma notai un certo rossore sulle gote.
“Anche se siamo state distratte da eventi di causa maggiore, non credere che non mi sia accorta che sei diversa”, la incalzò la mia coinquilina con espressione più sagace. “Persino il tuo modo di camminare: hai fatto cose sconce, vero?”.
“Ma cosa dici?!” la interruppe l’altra con voce più alta del consueto. “Voglio dire: magari!”.
“Credevo che non volessi più conoscere nessuno per il momento,” intervenni io, ricordando anche la recente cancellazione dai siti di incontri on-line.
“Infatti!” precisò lei in tono deciso, sollevando il mento e guardandoci quasi con aria di sfida a contraddirla. “Voglio concentrarmi soltanto sul nuovo lavoro e ho già abbastanza da fare con l’appartamento e quella cagnolina insopportabile che non mi lascia quasi chiudere occhio!”.
Morgana inclinò il viso di un lato, studiandola con il mento appoggiato sulla mano, tutt’altro che convinta: “Va bene, fai pure finta di nulla,” le concesse e sollevò le spalle, “Ma tanto lo sai che lo scoprirò comunque da sola”. Aggiunse con voce flautata e uno scintillio malizioso nelle iridi.
“Ti ho detto che non c’è niente e ora lasciami in pace!”. Berciò l’altra in risposta, prima di rimettersi in piedi e indossare di nuovo il cappotto. “E’ meglio che vada, devo anche passare a fare la spesa: abbiamo il frigo quasi vuoto…” brontolò prima di congedarsi frettolosamente e lasciare il nostro appartamento.
Morgana e io la seguimmo con lo sguardo.
“Sì, nasconde decisamente qualcosa” convenni.
“Le concedo al massimo settantadue ore per confessare spontaneamente, poi inizierò le mie indagini”, sancì la mia amica con un sorriso divertito. Quasi a sugellare quella promessa, intrecciò le dita e le fece scrocchiare.
 
~
 
Quella sera il pub aveva registrato molte prenotazioni per la cena: avevo notato molta stanchezza tra i colleghi che si occupavano dei tavoli e della cucina. Era curioso come, alla fine del servizio serale, quelle stesse pareti sembravano rimpicciolirsi e il silenzio era incredibilmente rilassante. Mancavano pochi minuti allo scoccare del divieto del consumo di alcolici. Bill e io stavamo approfittando della mancanza di clienti per riordinare: lui stava riallineando le bottiglie sugli scaffali e io stavo riassettando i tavoli del pub, strofinando le superfici con il solvente. Ridacchiai tra me e me al ricordo dei miei primi giorni, quando Percy mi alitava sul collo nel darmi una spiegazione “enciclopedica” persino sul modo “giusto” di svolgere quella mansione. Il Signor Riddle si era congedato da circa mezzora, raccomandando a Bill di non lasciarmi sola: non avevo potuto fare a meno di sentirmi insieme lusingata e in imbarazzo. Avevo il presentimento che il Preside avesse raccontato tutto al mio datore di lavoro che quest’oggi era stato particolarmente gentile nei miei confronti, pur non facendo minimamente allusioni eloquenti.
“Sono quasi le 22, dovremmo resistere ancora mezzora: vuoi che ti dia il cambio?” mi domandò Bill con un sorriso.
“Non sono stanca, ma ti ringrazio.” In verità trovavo particolarmente rilassante occuparmi di quel compito. Inoltre, dovevo attendere Neville che si era molto gentilmente offerto di riaccompagnarmi a casa in auto, così da evitarmi di telefonare a Sean o ad Amy che probabilmente si era già buttata sotto le coperte vista la stanchezza accumulata in quei giorni.
Il tintinnio del campanello mi fece sollevare il capo e sentii un familiare batticuore quando la sagoma di Bradley riempì la soglia dell’uscio e ci rivolse un cordiale saluto con quel sorriso che mi spezzava il fiato.
“Ciao Bradley,” lo salutò a sua volta Bill, “sei ancora in tempo per una birra”.
L’altro scosse il capo: “Preferirei un caffè: devo accompagnare la nostra protagonista a casa”.
“Non c’era bisogno che ti scomodassi,” mormorai con le guance arrossate. “Neville si era già offerto”.
“Lo so, ma volevo farlo,” specificò e si chinò a baciarmi delicatamente la guancia. “Ma già che ci sono,” soggiunse con voce più allegra, rivolgendosi al mio collega, “credo che approfitterò dell’attesa per degustare una torta del mio pasticcere preferito, se ha preparato qualcosa di buono”.
“Torta di mele”, indicò Bill con una pinza per dolci.
Bradley sospirò con aria enfatica. “Amo questo posto”.
Non potei fare a meno di ridere, ma gli spostai la sedia: “Accomodati pure: ti portiamo la torta e il caffè”.
Avevo lasciato Bradley al bancone a chiacchierare con Bill e con Neville e mi ero chiusa nello spogliatoio per cambiarmi. Mi ero stretta nel cappotto e avevo recuperato il cellulare: feci una breve telefonata a casa (approfittando del fuso orario sapevo che non avrei svegliato nessuno), lasciai un messaggio di risposta ad Amy e rassicurai Morgana e Sean che sarei tornata a casa con Bradley.
“Com’è andata al lavoro?” mi domandò dopo aver messo in moto l’auto.
“Abbiamo avuto il pienone per cena,” raccontai con un sorriso, dopo essermi allacciata la cintura, “e la tua serata?”.
“Ho lavorato con Remus fino a quando non l’ho letteralmente costretto a tornare a casa da sua moglie e da suo figlio,” raccontò con tono divertito. Non potei fare a meno di notare che, malgrado le belle fattezze e il tono ciarliero, apparisse pallido e stanco. Si volse in mia direzione durante l’attesa di un semaforo rosso e sorrise: “Devo dire che stiamo facendo un ottimo lavoro: oserei dire che questa scena finale sia persino migliore dell’originale”.
“Mi dispiace davvero che abbiate avuto quest’ulteriore incombenza”.
Corrugò le sopracciglia e scosse il capo: “Non scusarti più per questo, per favore” mormorò in tono deciso seppur con voce gentile e vellutata. “Remus stesso ha ammesso di aver ecceduto di sentimentalismo nella prima versione: dopotutto stiamo pur sempre parlando dell’epoca vittoriana e grandi slanci di affetto non erano verosimili in situazioni pubbliche”.
Non potei fare a meno di pensare a quanto, in modo infantile, fossi rimasta quasi delusa quando alcuni dei miei romanzi preferiti, ambientati in quel contesto, mancassero di dettagli particolarmente romantici nelle scene sentimentali. “Vero anche questo”.
“Quindi non hai motivi per sentirti in colpa e poi lo conosci meglio di me: non mi sorprenderebbe se da qui a Giugno modificasse altre scene,” soggiunse con un bonario scuotimento del capo al pensiero dell’insegnante fin troppo devoto al suo progetto.
“Purché non elimini la scena del valzer sono disposta a tutto: non sopporterei di vedere Allock con il broncio” commentai in tono ironico, volendo smorzare la tensione delle ultime ore.
L’espressione di Bradley a metà tra l’inquietudine e il medesimo dispiacere al pensiero mi strappò una risata. Sospirò tra sé e sé: “Pensi che potrei darmi malato alle prossime prove?”.
“Potresti,” commentai per risposta, “ma non sarebbe solo Allock a dispiacersene” gli feci notare in tono calmo ma osservandolo di sottecchi e con un sorriso.
Sospirò. “Questo è un colpo basso, lo sai?”.
Risi per risposta.
Lo ringraziai quando mi tenne aperta la portiera e mi porse la mano per scendere e non potei fare a meno di sorridere al calore delle sue dita e alla loro presa salda e forte.
“Pensi che possa accompagnarti al vostro appartamento, senza rischiare scandali con la tua proprietaria?”.
Controllai distrattamente l’orologio e sorrisi. “Non è ancora scoccato il coprifuoco”.
Dal silenzio che percepii all’interno della camera intuii che Morgana non era ancora rientrata, quindi aprii la borsa e pescai le chiavi in una delle tasche interne. Mi volsi in sua direzione, dopo aver aperto l’uscio e gli sorrisi: “Posso offrirti qualcosa?”.
“Meglio di no: ho già sgarrato la dieta con la torta”.
Scossi il capo in risposta, dal momento che non avesse minimamente di questi problemi.
“Inoltre è stata una giornata lunga ed è meglio che tu vada a riposare” aggiunse in tono più premuroso.
“Grazie di avermi accompagnata”.
Inclinò il viso da un lato e sorrise: “Piacere mio, te l’assicuro”.
“Allora buonanotte”. Avevo esitato qualche istante e mi ero mordicchiata il labbro, prima di sollevarmi sulle punte a lasciargli un bacio sulla guancia. “Oh, aspetta, ti ho macchiato,” feci per allungare la mano a pulire il segno del lucidalabbra, ma mi trattenne la mano.
“Milady?”
Sentii il cuore tambureggiare più intensamente in petto. Quasi neppure ricordavo l’ultima volta che avesse usato quel nomignolo, ma era sicuramente avvenuto prima di quella cena dall’esito disastroso. “Sì?”
Mi guardò per un lungo istante e un sorriso più dolce ne increspò le labbra, mentre mi sfiorava il dorso della mano con le dita. “Vorrei ricominciare da dove ci siamo interrotti, se sei d’accordo”.
Un effluvio di meraviglioso calore sembrò avvolgermi e sentii le guance accalorarsi e non potei fare a meno di sorridere, intrecciando le mie dita alle sue. Inclinai il viso di un lato. “Solo se mi permetti di invitarti a cena, una di queste sere, dopo che avrò sbattuto fuori Morgana” precisai in tono più scherzoso.
Lo sguardo sembrò sfolgorare del medesimo entusiasmo al pensiero. “Non chiederei di meglio, compresa l’assenza della tua amica. Ho già detto che la trovo inquietante quanto affascinante?”.
Risi per risposta ma annuii: “Allora è riuscita nel suo intento”.
Si chinò sul mio volto per premere delicatamente le labbra sulla mia guancia e ne sospirai il profumo.
“Fai sogni d’oro” sussurrò al mio orecchio, strappandomi un brivido lungo la spina dorsale.
 
Fu esattamente ciò che mi augurai quando mi distesi sotto le coperte mezzora dopo, non riuscendo a fare a meno di sorridere. Non sentivo più il bisogno di scoprire chi fosse il “Principe misterioso” che era apparso negli ultimi mesi. O forse, per dirla con un linguaggio più consono a Luna, tutta la mia aura rosata era concentrata su un ben noto Cavaliere.
 
To be continued…
 

Per prima cosa credo che sia doveroso chiedervi perdono: sono passati più di due mesi dalla pubblicazione del capitolo precedente. Non vi nascondo che talvolta mi sento frustrata: non fraintendetemi, sono felicissima di questa revisione e sempre più convinta che fosse la cosa migliore, ma d’altra parte, come potete immaginare, più passa il tempo e meno si ha tempo da dedicare a simili progetti. Seppur (per fortuna!!) io abbia già le idee piuttosto chiare sugli avvenimenti dei restanti capitoli (e ringrazio come sempre Evil Queen che si è letteralmente sfornata da sola le idee per il suo alter ego), è sempre più difficile riuscire a trovare la concentrazione per mettersi a scrivere. Il ritmo è ulteriormente rallentato perché spesso le sedute di scrittura sono distanti tra loro e questo mi costringe a dover ricontrollare per evitare incongruenze o ripetizioni.
Mi auguro di tutto cuore che il 2020 veda la conclusione di questo progetto! Colgo l’occasione per farvi i miei migliori auguri di buon anno 😊
 
Ringrazio chi è riuscito ad arrivare alla fine di questo capitolo: per le fan di Tom ed Emma non deve essere stato particolarmente facile, ma spero possiate apprezzare questa scelta di renderli i “villain” della situazione e siate curiosi di continuare la lettura ;)
 
Un abbraccione e ancora tanti auguri,
 
Kiki87
 
 

 
 
 
 
 
 
[1] Per ascoltare e leggere il brano originale cliccate qui. Ringrazio la mia amica Evil Queen per avermi consigliato tempo fa di adottare questa canzone tra le colonne sonore: non credo possa esserci capitolo migliore per inserirla :D
[2] La mia amica ed io abbiamo immaginato questa scena ispirandoci al film “In Bruges” (2008) in cui Ralph nei panni di Harry inveiva contro un apparecchio telefonico e poi bisticciava con la moglie :D Potete vedere la scena originale in questo filmato
[3] Si tratta della traduzione letterale del nome “Tom Riddle”. Sinceramente non mi ero mai soffermata su questo pensiero, almeno fino a quando non ho cominciato a seguire “Il Trono del Muori” e i suoi riassunti accuratissimi dedicati alla saga di Harry Potter. E’ stato lui a farlo diventare un vero e proprio meme e consiglio caldamente la visione dei suoi video non solo dedicati alla saga del nostro maghetto preferito 😉 Trovate il suo canale qui
[4] Si riferisce a una promessa fatta a Sara nella scena finale del capitolo 5: usare la pentola della Signora Weasley qualora Tom l’avesse nuovamente importunata.
[5] Dovete sapere che questo non era stato studiato a tavolino né nella prima versione e neppure nella revisione. E’ stata proprio Evil Queen, rileggendo i primi capitoli, ad avanzare questa possibile interpretazione e ci siamo rese conto che era davvero molto intrigante, anche per dare al personaggio di Emma un maggiore spessore e un carisma davvero niente male come vera e propria antagonista della vicenda :D
[6] NON UCCIDETEMI :D Non è ASSOLUTAMENTE mia intenzione infierire sulla VERA madre di Tom Felton. Ma non posso fare a meno di immaginare Bradley con la voce di Stefano Crescentini che lo ha doppiato in “Merlin” e presta la sua voce anche a Dean Winchester nella versione italiana di “Supernatural”. Dovete sapere che quell’imprecazione è tipica del suo personaggio e non ho potuto resistere e pensare a Bradley nel pronunciare la stessa frase con altrettanta enfasi :D
[7] Per questa scena, seguendo un suggerimento di Evil Queen, mi sono ispirata al primo episodio della serie tv “Merlin”. Nella fattispecie si intravede uno “scontro” tra Arthur (interpretato dallo stesso Bradley) e Merlino (interpretato da Colin Morgan).  Se siete curiosi potete vedere il video originale qui.
La sequenza che ci interessa inizia al minuto: 1.14.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


16
«Sai che sei innamorato, quando non riesci a dormire
perché finalmente la realtà è migliore dei tuoi sogni.»
(Theodor Seuss Geisel)
 
Nonostante ormai lavorassi al pub da più di sei mesi, non smetteva di sorprendermi il silenzio che scendeva tra quelle pareti, quando restavano solo i dipendenti per le pulizie di fine turno.
Mi morsi il labbro quando mi resi conto che era decisamente più tardi del previsto, uscii dal bagno e sorrisi a Neville che mi stava aspettando. “So che ti sei offerto di aiutarmi, ma non voglio farti rientrare troppo tardi…” gli dissi in tono preoccupato. 
Mi sorrise con la consueta bonarietà e scosse il capo. “Te l'ho promesso e poi non devi preoccuparti: mia nonna ha il sonno pesante[1].”
“Sei davvero un tesoro”, mormorai con gratitudine. Non solo si era offerto di riaccompagnarmi a casa a fine turno, senza che dovessi scomodare Sean e tanto meno ricorrere ai mezzi pubblici, ma aveva persino acconsentito a una richiesta del tutto inedita e senza battere ciglio.
Si schermì con uno scuotimento del capo. “E poi a quest’ora saremo tranquilli: non mi sentirei molto a mio agio se qualcuno ci vedesse”, mi confidò con un alone d’imbarazzo che ne fece colorare le guance.
“Ti sottovaluti sempre troppo, ” lo rimproverai bonariamente, “ma davvero ti sono grata e se posso fare qualcosa per ricambiare la tua gentilezza”.
“Te lo farò sapere, promesso” mi rassicurò con una strizzatina d’occhi.
“Ecco qua”. Estrassi dalla mia borsa l'enorme plico, arricchito di annotazioni, post-it colorati, cancellature, sottolineature, scritte a penna e nuove pagine che lo rendevano assai più voluminoso rispetto alla prima versione.
“Leggi pure, io andrò a memoria…” lo tranquillizzai e lasciai che si prendesse qualche minuto per esaminare la scena in questione.
Sembrò divertito dall’atmosfera tra i due protagonisti, ma aggrottò le sopracciglia poco dopo. “Dovrai recitare questa scena con quello sbruffone di Tom?” mi domandò con uno scuotimento del capo. Quasi mi ero dimenticata che, durante il periodo del mio infortunio alla caviglia, aveva avuto la sfortuna di imbattersi in lui e nel suo atteggiamento arrogante per la consegna mattutina.
Sospirai. “Esatto. Come se già il copione di per sé non fosse un’insidia”.
“D’accordo... dovrei iniziare io, giusto?” mi domandò per conferma e con una punta di nervosismo.
“Quando vuoi, ” lo rassicurai, “e non preoccuparti di nulla, anzi, cerca di divertirti!” gli proposi con un sorriso.
Pensai che fosse un segno evidente della bontà del ragazzo anche il modo in cui s’impegnò per assumere un’espressione arrogante e altezzosa che stonava incredibilmente con il suo sorriso sincero e la sua natura mite e bonacciona. Si era schiarito la gola e aveva pronunciato la sua battuta.
“Non vi state godendo la festa?[2]
“Che sta succedendo qui?!”
Trasalimmo entrambi quando il Signor Riddle apparve sulla soglia del pub, guardando dall’una all’altra con espressione stranita e le sopracciglia aggrottate. Non potei fare a meno di chiedermi che cosa ci facesse lì a quell’ora. Con espressione glaciale si guardò attorno, quasi a sincerarsi che non avessimo bighellonato. Il profumo dei detergenti e la vista delle sedie rovesciate sui tavoli e del bancone lustro sembrarono tranquillizzarlo.
Il mio amico sbiancò ed io mi affrettai a rispondere: “E’ stata colpa mia, signore!”
Di fronte al suo cipiglio severo, mi sentii bollire le guance, ma continuai: “Ho chiesto a Neville di aiutarmi con le prove dello spettacolo. Saremmo rimasti solo cinque minuti e avremmo chiuso e sigillato come sempre”.
Guardò dall’una all’altra e parve interdetto.
“Bradley… cioè il Signor James, ” mi affrettai a correggermi, “mi ha suggerito di provare alcune scene con degli amici. Crede che questo possa aiutarmi a focalizzarmi sul dialogo... più che sull’interlocutore”, aggiunsi con voce strozzata. 
“Problemi di concentrazione?” mi domandò.
Annuii e, di fronte al suo silenzioso esame, mi sentii persino in maggiore soggezione.
Fece un vago cenno di assenso prima di rivolgere lo sguardo al mio collega. Era curioso come quest'ultimo sembrasse rimpicciolirsi in sua presenza. “Gentile da parte sua, Paciock” gli disse, prima di tornare a osservarmi. “Mi fa piacere che prenda così sul serio le istruzioni che riceve, ma dovrò chiedere a Silente di pagare l’affitto dei miei locali, se divengono una succursale della sua Accademia” soggiunse con una sfumatura ironica nella voce.
Non volli sfidare ulteriormente la sorte e mi affrettai a sollevare le mani: “Ce ne andremo subito, signore”.
“Assolutamente!” confermò Neville, già dirigendosi verso l’attaccapanni.
Il nostro datore, tuttavia, si strinse nelle spalle e continuò a scrutarci: “Purché non distruggiate nulla, per questa volta posso concedervi quindici minuti”.
Sbattei le palpebre a più riprese e schiusi le labbra per la sorpresa. “Ne è sicuro?”.
“Le consiglio di non sprecare secondi preziosi: avete quattordici minuti e cinquanta secondi”, ribadì e gettò un’occhiata all’orologio affisso alla parete.
Non potei fare a meno di sciogliermi in un sorriso: ancora una volta, ebbi la netta sensazione che quell’aria burbera fosse solo una maschera che s’impegnava quotidianamente a mantenere. “La ringrazio di cuore”.
Attesi che si allontanasse verso il suo ufficio ma, con mia grande sorpresa, prese una sedia adagiata sul tavolo e l’appoggiò sul pavimento. Dopo essersi tolto il cappotto e la sciarpa, si sedette. “Avanti, iniziate, ” ci invitò in tono sbrigativo, “sono passati altri trenta secondi”.
Neville ed io ci scambiammo uno sguardo interdetto. Quest'ultimo era diventato di una tonalità quasi scarlatta. Non avrei mai trovato un modo adeguato di ringraziarlo e potevo solo immaginare quanto per lui fosse ulteriormente difficile di fronte all’uomo che lo terrorizzava.
Mi schiarii la gola e fui io a rompere gli indugi e a pronunciare una battuta del mio personaggio: “Mi domando se sia stato facile adattarsi al ruolo di una classe sociale che fino a due settimane fa detestavate”.
Il ragazzo lesse la risposta in tono tremante: “D-Devo ammettere di essere stato prevenuto n-nei confronti del nostro ceto”. Si prese una breve pausa per leggere le indicazioni e apparve non poco in imbarazzo: avrebbe dovuto avvicinarsi con quell'atteggiamento impudente e malizioso che era tipico di William.
“Suvvia, Paciock” sbuffò il signor Riddle e scosse il capo. “Ci metta più passione: si dimentichi di me e si cali nell'atmosfera.  Presumo che la signorina le abbia descritto il personaggio che sta interpretando”.
“D’a-accordo, ” bofonchiò con voce tremula e le guance la cui tonalità ricordava quella dei capelli della Signora Weasley. Si erse nella sua considerevole statura e pronunciò nuovamente la battuta, ma con una baldanza che mi lasciò di stucco.
Mi concentrai altrettanto intensamente e il nostro dialogo scorse in modo fluido, fino al momento topico e di maggiore tensione romantica. Sarebbe stato difficile stabilire chi dei due si sentisse più a disagio, soprattutto con un simile pubblico. L’uomo si alzò in piedi e notai che i quindici minuti erano scaduti da almeno trenta secondi, per cui mi affrettai a riprendere il copione dalle mani del mio amico. “La ringrazio ancora, signore. Ce ne andiamo subito…”
Lui ignorò le mie parole, ma mi fece un cenno affinché gli porgessi la sceneggiatura che prese a leggere con le sopracciglia lievemente aggrottate. Inclinò il viso di un lato e lo sguardo azzurro mi scrutò analiticamente. “Mi dica: è la scena in sé a destarle difficoltà, o il suo co-protagonista?”
Non potei fare a meno di chiedermi che cosa gli avesse raccontato Silente su Tom e sulla sottoscritta. Negli ultimi tempi, benché non me ne avesse mai fatto parola, si premuniva affinché fossi di turno con almeno un collega di buona stazza fisica. Mi morsi il labbro inferiore e non potei fare a meno di arrossire.
Lui sembrò intuire la verità e parlò con voce solenne. “Un’opera teatrale è un gioco di squadra: non necessariamente dobbiamo amare le persone con cui collaboriamo per realizzarla... ma ciò non toglie che il pubblico meriti i nostri sforzi e il nostro impegno nel fingere che sia così. Soprattutto in questo tipo di scene”.
Quelle parole acuirono i miei sensi di colpa: avevo l’impressione di star sabotando lo spettacolo nonostante gli sforzi e le rassicurazioni degli amici, di Bradley e di Lupin stesso.
“Tuttavia, ” la voce di Riddle mi riscosse e tornai a osservarlo, “se ha problemi a mantenere il contatto visivo e a restare proiettata sulla scena… potrebbe esserci un piccolo trucco al caso suo…” mi rivelò.
Il sorriso che gli increspò le labbra sembrò folgorarmi: mi parve di scorgere un riflesso del ragazzo della fotografia postata dalla Signora Weasley su Facebook. Ebbi un’ulteriore conferma che la rinuncia al teatro fosse stata tutt’altro che premeditata e che tuttora serbasse il ricordo prezioso di quegli anni. Non aveva mai fatto esplicitamente riferimento ai suoi studi e mi sarei guardata bene dal dirgli che ne ero a conoscenza.
“Basterà che guardi il suo partner in un punto fisso, anche sopra gli occhi” mormorò e sfiorò la fronte di Neville che parve trasalire per quel tocco. “Mi creda, dal palcoscenico nessuno noterà la differenza a parte il suo partner: ci provi la prossima volta. L'importante è che si concentri su un punto preciso o su un suo collega. Mi raccomando: mai fissare nel vuoto o il pubblico se ne accorgerebbe. Deve restare nel qui e nell'ora dell'opera, o ne andrebbe della credibilità dello spettacolo stesso”.
Cercai di memorizzare quelle parole, continuando a osservarlo e annuendo di quando in quando, mentre Neville lo osservava con occhi sgranati.
“Cerchi di ruotare leggermente verso gli spettatori”, aggiunse Riddle e mi mostrò il movimento, “devono vedere le sue espressioni e sentire chiaramente la sua voce. Come si dice nel gergo teatrale: deve trovare la luce e mantenere la posizione fin quando è necessario per la scena in esecuzione[3]”.
Sorrisi al pensiero che bastasse quel piccolo espediente a facilitarmi le cose e mi premunii di prendere qualche veloce annotazione. Tornai a osservarlo con un sorriso. “La ringrazio di cuore, Signor Riddle”.
Si strinse nelle spalle e tornò immediatamente ai suoi modi più bruschi, dopo essersi schiarito la gola. “Ora andatevene. Cinque punti a entrambi per l’impegno”. Mi porse la mano con il palmo aperto e gli restituii le chiavi. “Buonanotte”.
Lo osservammo mentre si dirigeva verso il suo ufficio e accendeva la luce: evidentemente non era intenzionato a tornare a casa propria per il momento. O forse erano veri alcuni dei maligni pettegolezzi secondo i quali nascondeva una brandina da qualche parte.
“Che cosa è appena successo?!” mi domandò Neville ancora stranito, ma parlando in un sussurro concitato, mentre si rimetteva il cappotto.
Non potei fare a meno di sospirare. “Credo che il teatro abbia perso un grandissimo attore”.
Annuì con la stessa espressione pensierosa, prima di sorridere. “Credevo che ci avrebbe sbranati” mi rivelò con una risatina nervosa.
Gli appoggiai una mano sulla spalla. “Grazie ancora, Neville. Mi dispiace di averti messo più a disagio del previsto”.
“Non dirlo neanche: è la prima volta che mi dà cinque punti e non me ne toglie cinquanta dopo due minuti!” commentò in tono entusiasta. “Anzi, sarà meglio che corra ad accendere il motore, prima che torni in sé e cambi idea”, aggiunse e non potei fare a meno di ridere.
 
~
 
Quando entrai in Accademia, il giorno dopo, non potei fare a meno di sentirmi più nervosa del solito: mi aspettavano due ore di prove ed era inevitabile che trascorressi molto tempo sul palco con Tom. Dopo l’accaduto non vi era stato alcun tentativo di approccio: per ogni evenienza, avevo bloccato il suo contatto su tutte le applicazioni di messaggistica e l'avevo aggiunto all'elenco delle chiamate da rifiutare automaticamente. Negli ultimi giorni, nei ritagli di tempo, mi ero chiusa in camera per studiare la nuova scena finale: sapevo che Lupin ci avrebbe chiesto di provarla insieme per la prima volta.
Mi misi in fila con altri studenti in caffetteria[4] per prendere una tazza di latte macchiato.
“Buongiorno Sarah”, mi salutò il Preside.
“Buongiorno, Professore, gradirebbe una tazza di cioccolata?”.
Lo sguardo parve golosamente animarsi e mi rivolse una strizzatina d’occhi: “Non rifiuto mai una così gentile offerta. Da portare via, Julie[5], se non ti dispiace” aggiunse in direzione della graziosa barista. “Ti ringrazio, mia cara, ma purtroppo non posso fermarmi: ho una riunione che mi aspetta... ” mi raccontò con un vago sospiro. “Come stai questa mattina?”
Non potei fare a meno di sorridere delle sue maniere così premurose, soprattutto dopo gli ultimi avvenimenti. “Molto meglio, la ringrazio.” risposi sinceramente.
“Mi fa piacere saperlo, ma ricorda che la mia porta è sempre aperta... ” mormorò e mi strinse il braccio quasi a confermare quelle parole.
“Non lo dimenticherò”.
“Per caso questa mattina sei già passata dal pub?”
Inarcai le sopracciglia a quella domanda: “No, ma sarò in servizio questo pomeriggio”.
“Che sciocco, in caso contrario avresti certamente fatto colazione lì... ” convenne con un sorriso.
Credevo di conoscerlo abbastanza da affermare che nulla di ciò che diceva o faceva fosse casuale. “Ha bisogno che riferisca qualcosa al Signor Riddle da parte sua? O che le prenoti un tavolo per la cena?” lo incoraggiai.
Mi sorrise, ma scosse il capo. “Non preoccuparti: ho intenzione di venirlo a trovare presto in ogni caso, ” si affrettò a rispondere. “Grazie ancora della bibita e buona giornata”.
“Anche a lei”.
Incrociai lo sguardo di Sean che era seduto a uno dei tavoli insieme ai gemelli Phelps e mi fece cenno di raggiungerli. Mi sedetti al suo fianco e ci intrattenemmo in una piacevole conversazione. Fu un sollievo notare che il mio amico sembrava essersi ripreso dopo l'ultima discussione con Tom. Immaginavo, conoscendone l'indole riservata, che non avesse rivelato a nessuno degli altri studenti i dettagli del loro alterco. Tuttavia, era un ragazzo così benvoluto che sarebbe stato spontaneo prenderne le difese, anche senza conoscere dettagliatamente gli eventi. D'altra parte, nell'ex coppietta d'oro, era sempre stata Emma quella più ciarliera e inclina ai rapporti sociali, quindi dubitavo che Tom avrebbe sofferto di solitudine. 
Dopo la colazione mi diressi verso l'auditorium.
“Buongiorno, ” mi salutò Lupin e mi gratificò con un gran sorriso: apprezzava molto la puntualità. “Come stai?”.
Mi affrettai a sorridergli per tranquillizzarlo. “Benissimo, la ringrazio. Volevo farle i complimenti: le modifiche alla scena finale mi sono piaciute moltissimo!”
“Mi fa molto piacere,” replicò con uno scintillio compiaciuto nello sguardo, prima di passarsi una mano tra i capelli sempre più brizzolati. “A questo proposito, se sei d’accordo... vorrei che oggi la provaste sul palco”.
Ne sostenni lo sguardo e annuii. “Va bene, sono pronta”.
“Magnifico”.
Sospirai all’arrivo di Tom. Seppur mi fossi ripromessa di ignorarlo, non potei fare a meno di notare che non sembrava affatto cambiato né nell’atteggiamento né nelle movenze. Apparentemente il colloquio con Silente non lo aveva minimamente intaccato. Prese posto in prima fila come di consueto, ma incrociò le braccia al petto, con lo sguardo rivolto all’insegnante.
Notai, con una certa sorpresa, l'assenza di Bradley. Non ero l'unica poiché Pansy e Padma stavano bisbigliando animatamente tra loro e s’interruppero solo quando l’insegnante, salito sul palco, le guardò con aria di blando rimprovero. A quel punto la ragazza indiana parve prendere il coraggio e sollevò la mano: “Mi scusi, Professore, ma oggi non c’è il Signor James?”
“Si è preso qualche giorno: è indisposto.” rispose Lupin laconico.
“Ma avevo in programma una lezione con lui!” protestò con voce petulante.
“Era proprio quello che stavo per dirvi: mi occuperò personalmente dei suoi appuntamenti: quindi non deve preoccuparsi Signorina Patil” le sorrise con aria serafica. “Se non ci sono altre domande, vi comunicherò le scene su cui ci soffermeremo questa mattina”.
Sorrisi alla faccia delusa delle ragazze, ma ero a mia volta spiazzata da quella notizia. Fui tentata di recuperare il cellulare, ma convenni che fosse opportuno attendere la fine delle prove, soprattutto quando Lupin si sedette al mio fianco. Borbottò a bassa voce: “La prossima volta spero che Silente mi assegni un Assistente meno attraente. E possibilmente calvo”..”.
Ridacchiai, ma mi sforzai di mettere da parte i miei pensieri e mi costrinsi ad approfittare di quel breve lasso di tempo per rileggere la scena conclusiva. Sentii un nodo allo stomaco quando mi fu chiesto di salire sul palco, ma mi persuasi a provare l'espediente che mi aveva suggerito Riddle.
Non incontrai mai lo sguardo di Tom, ma mi concentrai sulla sua fronte e sulle sopracciglia che si arcuavano o aggrottavano nel dare vita allo scambio di battute. Mi resi conto che ciò mi rendeva molto più semplice restare presente a me stessa e alla fittizia situazione. Fummo interrotti di quando in quando da Lupin che ci fornì qualche nuova indicazione sulla gestualità e sui ritmi del dialogo di cui presi nota. Solo alla fine dell'ora scrutai l'espressione stranita del giovane, ma si volse bruscamente e scese dal palco senza pronunciare motto.  Mi appuntai mentalmente di ringraziare Riddle e recuperai il cellulare in una delle tasche laterali della borsa. Sorrisi quando trovai un messaggio da parte di Bradley e, con una lieve aritmia, lo lessi.
 
Buongiorno Milady,
Spero che la mia assenza non si sia fatta sentire troppo.
Ti auguro una buona giornata.
 
Notai che era stato scritto da pochi minuti, quindi lo ringraziai e gli chiesi se potessi chiamarlo. Uscii dall'auditorium e composi il numero. Rispose subito: il tono era lieto e carezzevole ma il timbro decisamente più gutturale. 
“Come stai?” domandai in un sussurro.
“Sopravvivrò, ” rispose con aria indolente, “ma avere la febbre è sempre una seccatura”. Soggiunse con un sospiro. Sperai con tutto il cuore che non fosse uno di quegli uomini, come mio padre ad esempio, che in quelle occasioni diventavano delle “drama queen” e sembravano crogiolarsi nell'avere un motivo per cui lamentarsi in modo eccessivo, pur di richiamare l'attenzione su di sé.
“Sarei venuta volentieri a trovarti, ma ho la giornata piena” gli dissi con aria dispiaciuta.
“Non preoccuparti, anzi, non vorrei contagiarti e mettere Lupin ancora più in crisi” replicò con aria scherzosa che riuscì a farmi sorridere. “Come sono andate le prove piuttosto?”
“Molto bene: Tom ed io abbiamo provato il dialogo finale e Lupin mi è sembrato soddisfatto”, lo informai. “Mi duole dirti che sei mancato particolarmente ad alcune studentesse: soprattutto quelle con cui avevi una lezione in programma”.
“Non posso biasimarle: sentirei anch’io la mia mancanza.” replicò con quella punta di autocompiacimento che solitamente gli faceva increspare le labbra in un sorriso più vanitoso. “Devo ammettere che speravo di percepire più dolore nella tua voce”.
Non potei fare a meno di ridere. “Sto cercando di trattenermi” replicai con lo stesso tono giocoso per poi addolcire la voce. “Potrei richiamarti più tardi? Sempre che tu non stia riposando ovviamente”.
“Spero che tu lo faccia” replicò e neppure il raffreddore riuscì a intaccare il fascino racchiuso in quelle risposte concise.
Sentii il cuore tambureggiare più rapidamente. “Allora nel frattempo riguardati, ci aggiorniamo più tardi... ” gli promisi.
“E tu non stancarti troppo” replicò con aria altrettanto premurosa. “A più tardi”.
 
 
Il sorriso sulle mie labbra sostò fino a quando non entrai nel pub nel primo pomeriggio. Non potei fare a meno di notare che sembravano tutti nervosi: era come se l'aria stessa avesse assunto una diversa composizione. Persino i clienti sembravano parlare in tono sommesso per non creare disturbo.  Christian si congedò quasi frettolosamente, dopo aver augurato a tutti una buona giornata. Inarcai le sopracciglia e Susan mi fece un cenno verso la porta dell'ufficio di Riddle. Evidentemente lo sprazzo di buon umore che mi sembrava di aver colto poche ore prima, era solo un pallido ricordo. Ne ebbi la dimostrazione quando lo vidi uscire dal suo ufficio, circa un’ora dopo, con dei faldoni tra le braccia.
“Dubito che il suo umore migliorerà dopo essere stato da Shacklebolt, ” sospirai tra me e me, ma dovetti trattenermi dal ridacchiare al ricordo del povero telefono sul quale aveva sfogato la sua ira.
Sorrisi all’arrivo di Amy e di Luna verso l'ora del the e, tra un momento di pausa e l'altro, chiacchierai con loro.
“Sei sicura di non volere qualcosa da mangiare?” domandai alla prima, nel notare che si era astenuta dal prendere qualcosa da mangiare.
Scosse il capo con aria risoluta: “Sono a dieta”.
Aggrottai le sopracciglia “Ma stai benissimo!” replicai in tono sincero, non volendo sminuire la sua determinazione, ma al contempo timorosa che stesse esagerando nel suo severo regime alimentare, non certamente facilitato dalla sua intolleranza al lievito.  “Anzi, a dire il vero, oggi mi sembri pallida” mi permisi di aggiungere.
“E’ colpa dell’influenza di Saturno... ” s’intromise Luna con la sua solita aria di consapevolezza, annuendo tra sé e sé.
L'altra levò gli occhi al cielo, ma mi fece cenno di lasciar correre e si strinse nelle spalle. “Ultimamente sto lavorando fino a tardi, ma è il mio primo incarico importante e voglio dare il meglio di me”.
“Capisco.” annuii. “Ma cerca di ricordarti di dormire e di mangiare regolarmente, dieta permettendo” mi raccomandai.
“Sì, mammina” rispose con un velo d’ironia. “Piuttosto, come vanno le cose qui? Niente Rankin?” mi domandò seppur fosse superfluo. Tra le qualità del collega non c'era sicuramente quella di passare inosservato, visto che a stento si tratteneva persino dal dare istruzioni agli avventori sul come riporre un cappotto o addentare una torta.
“Per fortuna no, ” risposi con un risolino, “in compenso è una di quelle giornate per Riddle.”
Amy sbatté appena le palpebre. “Comincio seriamente a sospettare che ci nasconda un gemello dalla personalità opposta” commentò con un sorriso.  “O che ci nasconda una diagnosi da disturbo bipolare di personalità. Mi dispiace essermi persa le tue prove private con Neville”.
Stavo per rispondere altrettanto divertita, ma il ragazzo in questione, quasi invocato da quelle parole, uscì dalla cucina con un vassoio. “Sarah, ho portato altri dolci”.
Luna per la prima volta sollevò lo sguardo dalla rivista e gli rivolse uno di quegli sguardi penetranti e profondi che sapevano mettere in soggezione chiunque, persino Rankin. “Ciao Neville, ” lo salutò con voce velata, “Sarah dice che hai preparato una zuppa inglese: potrei averne una porzione?”
Come sempre emozionato quando un cliente chiedeva espressamente delle sue creazioni, il nostro aspirante pasticciere arrossì, ma un sorriso dolce e bonario gli increspò le labbra: “Te la servo di persona!” propose con entusiasmo.
Gli indicai le stoviglie e gli utensili necessari. Circumnavigò il bancone per porgerle il dolce nello stesso momento in cui l’uscio fu sbattuto e Riddle fece nuovamente il suo ingresso. Il mio amico trasalì e il piattino gli cadde dalle mani e s’infranse sul pavimento, ai piedi di Luna e di Amy. Quest’ultima, istintivamente, si era già abbassata con delle salviette di carta per aiutarlo, mentre io mi affrettavo a raggiungerli.
Che sta succedendo?!” sbraitò Riddle, il volto livido di rabbia e i pugni serrati lungo i fianchi. Persino Luna sgranò gli occhi alla sua reazione. “Che avete combinato adesso?!”.
Neville sbiancò e arrossì nell’arco di pochi secondi e balbettò. “E’ t-tutta colpa mia, s-signore,” pigolò, “m-mi dispiace!”
Il proprietario lo ignorò ma il suo sguardo si soffermò sulla mia amica, chiamandola per cognome con voce aspra e facendola sussultare. “E tu... che diavolo stai facendo?!”
Lei sbatté le palpebre, evidentemente confusa da quella domanda la cui risposta era piuttosto evidente. “Sto aiutando a pulire, signore.” rispose d’istinto e con sguardo interdetto.
Sembrò farsi persino più cupo e l'additò con un gesto brusco: “Tu ormai non lavori più qui: sei solo una cliente!” le berciò contro, lasciando tutti gli astanti senza fiato. “Non azzardarti mai più a toccare qualcosa, a meno che tu non l’abbia pagata!”.
Lo guardai incredula e cercai di trovare le parole per intervenire senza peggiorare ulteriormente la situazione. Madama Bumb mi precedette, cercando di placare le acque, soprattutto considerando gli avventori che stavano seguendo la scena a disagio. Si avvicinò al proprietario e si schiarì la gola. “Signor Riddle, non crede che sia il caso di parlarne in un’altra sede?” gli suggerì in tono cortese ma diretto.
“Non ce n’è bisogno, Madama Bumb!” dichiarò Amy al mio fianco con le sopracciglia aggrottate e il volto arrossato dallo sdegno. Cercai di trattenerle il braccio, ma lei si divincolò e si parò davanti al suo ex datore di lavoro. “Sa che le dico?! Meno male che non lavoro più per lei!” dichiarò e indicò il locale con un ampio cenno delle braccia, prima di farle ricadere lungo i fianchi. Non ne attese la risposta, ma si rivolse a Luna: “Andiamocene! E’ evidente che non siamo più gradite!”.
La biondina, con le sopracciglia inarcate, la seguì, ma non mancò di rivolgere un’occhiata profonda all’uomo. “Lo sa? Dovrebbe davvero smetterla di lasciare che Marte abbia questo influsso nefasto sulla sua personalità... ” gli suggerì in tono premuroso e gentile. Dovetti darle atto che non sembrò minimamente preoccupata di fronte al suo sguardo minaccioso e cupo. Raggiunse la nostra amica e quest'ultima mi rivolse un cenno del mento prima di sbattersi la porta alle spalle.
Riddle non aveva reagito alle parole dell'ex dipendente, ma sembrava più rigido che mai e stava stringendo spasmodicamente i pugni mentre una vena gli pulsava alla base del collo. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da lui: ero abituata ai suoi cambiamenti di umore e alle invettive più aspre, ma non a una così palese ingiustizia. La mia amica era sempre stata la sottoposta che più lo aveva tollerato e difeso, anche di fronte allo sconcerto generale.
Lui contrasse maggiormente le sopracciglia, ricambiando il mio sguardo e facendomi quasi rabbrividire, nonostante la voce bassa ma grondante di sarcasmo. “Riuscirete a pulire entro la fine del vostro turno, o avrete bisogno di un copione?”.
Sarebbe stato difficile stabilire chi fosse arrossito maggiormente tra me e Neville. L'uomo scosse il capo, guardando l'intera sala come se si stesse interrogando sul senso del proprio lavoro, ignorò Madama Bumb e camminò in rapide falcate verso il suo ufficio. Sbatté l’uscio, facendo cadere il quadro che aveva pericolosamente vacillato dopo l’uscita delle ragazze. La direttrice di sala, con la consueta flemma, si scusò con i clienti, pregandoli di restare al loro posto e promettendo a ognuno una bevanda in omaggio.
Neville al mio fianco deglutì a fatica e si abbassò sulle ginocchia con aria profondamente mortificata. Io stessa mi sentii un nodo alla gola ma mi sforzai di controllare il tremore delle dita e mi chinai per aiutarlo.
“Finite pure di pulire e prendetevi una pausa: garantirò io per voi, ” mormorò Madama Bumb quando anche gli avventori sembravano essere tornati alla loro degustazione. Ci sorrise con insolita delicatezza, quasi a mo' di consolazione.
 
“E’ stata tutta colpa mia.” mormorò il ragazzo con le guance ancora arrossate, quando seguimmo il consiglio della donna e ci prendemmo una pausa.
Gli strinsi la mano in segno solidale e gli sorrisi: “Non è così, lo sai. Sono sicura che abbia altri pensieri per la testa e si sia semplicemente sfogato con noi”.
La sua voce suonò più roca: “Mi domando se valga davvero la pena sopportare tutto questo per il mio sogno... ” mormorò con un cenno in direzione del pub.
Egoisticamente mi sarebbe dispiaciuto se anche Neville si fosse dimesso, ma non avevo dubbi che, con il suo talento e la sua passione, sarebbe riuscito a raggiungere il suo obiettivo anche con un mentore diverso da Mrs Sprite e in un ambiente più tranquillo.
“Per quel che vale, io riesco a sopportare giornate simili per i bei momenti che trascorro tra queste mura. Compresi quelli con te... ” gli dissi e lo abbracciai brevemente.
Mi sorrise quando ci separammo. “Ti andrebbe una fetta della mia zuppa inglese?”.
Assunsi un'espressione enfatica di sollievo: “Speravo proprio che me lo chiedessi!”.
 
~
 
Sospirai con aria melodrammatica. Non ero solita prendere una tazza di caffè al mattino, ma in quell'occasione era necessario fare un'eccezione. Dal salotto giungeva ancora il sottofondo tutt'altro che idilliaco dei singhiozzi. Erano molesti e fastidiosi, inframmezzati da parole pronunciate ora in inglese, ora in italiano e ora in un dialetto della provincia romana.
Morgana mi rivolse uno sguardo tra lo sgomento e l'incredulo: “Com’è possibile che una donna possa piangere così tante lacrime senza restare disidratata?”. Mi avvicinai all'uscio che aveva tenuto socchiuso e vidi Amy che strappava un altro Kleenex dalla scatola. Tirò su con il naso e parlò a fatica tra i singhiozzi: “C-Come... ha pooooootuto... t-trattaaaaaarmi così?!”. Prese fiato, per poi continuare con voce ancora più stridula: “Dopo tutti questi anniiiiii?!”.
Non avrei saputo rispondere alle sue domande e ogni tentativo, fino a quel momento, di rabbonirla e di indurla a ridimensionare la sua delusione, mi aveva fatto guadagnare delle risposte colorite. 
Mi massaggiai la tempia e le rivolsi uno sguardo costernato. “Tu sei riuscita a dormire?”
Lei si volse bruscamente verso di me, rivolgendomi un'occhiataccia: “Non lo vedi?! Ho dovuto persino usare il tuo correttore per le occhiaie!” berciò in tono polemico. “E non abbiamo neppure l'incarnato dello stesso colore!” aggiunse con tono più stridulo, quasi a sottolineare la gravità del fatto.
“Uhm... deduco che la risposta sia negativa”.
“PERCHÉ È STATO COSÌ INGIUSTOOOO CON MEEEEE?!” ci giunse la voce dell'altra, talmente alta che sembrava che ci trovassimo nella stessa stanza. “Mi sono sempre impegnata! Ho imparato l'inglese per lavorare nel suo maledettissimo pub a tempo pienoooo!”.
Morgana fece una smorfia ma indicò il salotto con un cenno del mento: “Comunque è il tuo turno!” mi disse in tono perentorio.
Aggrottai le sopracciglia. “Scusami?! Ma se sono stata sveglia tutta la notte per cercare di tirarla su! Mentre tu te la dormivi!” aggiunsi in tono risentito, ma cercando di non farmi udire dall'ospite. Dubitavo che quella discussione potesse giovarne l'umore già compromesso. 
Lei si strinse nelle spalle, ma sorrise in modo irritante e con quella punta di presunzione di chi ha sempre la replica pronta. “L’hai conosciuta tu per prima!”.
“Appunto!” ribattei in tono altrettanto convinto. “Devi recuperare lo svantaggio!”.
Si piantò le mani sui fianchi e mi guardò con aria bellicosa: “Il lavoro l'ha trovato a te! Sei tu a essere in debito con lei!”.
“IL LAVOOOORO!” ululò Amy dall'altra stanza. “Ho cercato di accettare tutte le sue stranezze e ho spronato TE a fare lo stessooooo!” puntualizzò mentre Morgana sorrideva con aria soddisfatta. “Se non fosse stato per ME starebbe ancora cercando una sostituta per Lavanda!”.
Sospirai e mi scostai i capelli dal volto. “Possibile che Luna dovesse partire proprio ieri sera con la sua compagnia di ballo?!”.
A quelle parole emise uno sbuffo sarcastico. “Ma per favore! Non essere ingenua: è ovvio che se la sia data a gambe perché non la sopportava più! E non posso darle torto!” replicò in tono quasi stizzito. Notai che il suo sguardo si faceva più pensieroso, avvicinandosi di nuovo all'uscio per spiare la ragazza. Si rivolse nuovamente a me: “Comunque la questione è sospetta. Non è normale che reagisca così”.
Sospirai. “Tu non c'eri, non hai idea di quanto sia stato umiliante. Soprattutto di fronte agli ex colleghi e ai clienti. Neville stava persino pensando di licenziarsi!”.
“Non voglio sminuire”, ribatté l'altra con la fronte aggrottata. “Ma ha passato l'intera notte a piangere e non si dà pace. Sinceramente... non pensi che l'abbia presa troppo sul personale?” Mi domandò con un'occhiata penetrante, come se si aspettasse che io cogliessi un significato implicito.
“E' stato Riddle a renderla personale, scagliandosi contro di lei ingiustamente!”.
La mia amica sbuffò con aria spazientita. “Avrei potuto capire se avesse pianto per qualche ora... ma non si calma! Mi sembra ovvio che la questione vada ben oltre i trascorsi professionali!”
“Ma dai, smettila!” ribattei io in tono polemico. “Sei ancora seriamente convinta che abbia una cotta per lui?!” le domandai al colmo dell'esasperazione. Non era sufficiente la crisi in corso? Doveva persino continuare a farneticare su simili sciocchezze?
Sembrò quasi offesa dalla mia reazione e mi scrutò con aria torva. “Sai che io non sbaglio mai su queste cose!”
Non riuscii a pronunciare una risposta, perché sentimmo bussare alla porta d'ingresso e ci scambiammo uno sguardo perplesso, come a chiederci se aspettassimo qualcuno.
“Ehm, forse è il caso che ti sposti in camera?” mi azzardai a chiedere ad Amy, ma fu Morgana a sollevarla quasi di peso e a trascinarla in cucina. Fu con un sospiro che accolsi l'ennesima bussata a cui risposi con un: “Sto arrivando!”
Schiusi l'uscio e fui letteralmente stordita dal colore sgargiante di rosa che spiccò nell'ingresso. Curioso come un colore così allegro e vivace si accompagnasse a una personalità che, al contrario, ispirava sentimenti tetri e quasi angoscianti.
“S-Signora Umbridge!” squittii alla sua vista. Mi chiesi se non avesse un sesto senso che le permettesse di presentarsi nei momenti e negli orari meno opportuni. “Ehm, buongiorno.”
Ricambiò il saluto in tono freddo, ma controllò l'orologio: “Mi duole confermare che debbo sempre attendere oltre il legittimo, prima che qualcuno si degni di aprirmi la porta di questo appartamento”.
“Mi dispiace, ” cercai di giustificarmi, “ma non l'aspettavamo.”
Uno sgradevole sorriso le increspò le labbra e sembrò renderla persino più minacciosa. “Devo forse ricordarle il significato d’ispezione a sorpresa?” enfatizzò volutamente, mimando anche con le dita le virgolette.
Scossi il capo, sforzandomi di non perdere la calma di fronte a quell'atteggiamento odioso. “Intendevo dire che non è passato molto tempo dall'ultima e-”
“Ehm, ehm, ” m’interruppe in tono deciso, lo sguardo torvo. “Se permette, signorina, sono ancora io a stabilire con quale frequenza debba svolgere il mio lavoro. Pensa di invitarmi a entrare, piuttosto?”
Mi morsi il labbro, già consapevole che le mie parole avrebbero confermato la sua cattiva opinione della sottoscritta: “Temo che non sia il momento migliore”.
Stava già scribacchiando sul suo plico, ma inclinò il viso di un lato: “Devo dedurne che abbia qualcosa da nascondere?”
“Certo che no!” ribattei risentita perché in quel frangente ero sincera al riguardo. Senza contare che era piuttosto offensivo che mi credesse così stupida dall'ammettere il contrario. “Si accomodi pure.” la invitai quasi con un sorriso di sfida. Peggio per lei, mi dissi.
“Non era così difficile, visto?”
Strinsi i pugni lungo i fianchi per impedirmi di risponderle in modo sboccato, ma mi limitai a farle il verso, mimando le stesse parole con le labbra. Restai alle sue spalle e la osservai mentre esaminava il soggiorno. Mi domandai se Morgana, nel frattempo, non avesse tramortito la nostra ospite poiché non ne sentivo più alcun suono.
La donna, con la tipica flemma da detective, scrutò il tavolino da caffè sul quale erano rimaste le tre tazze di tisana che avevamo bevuto la sera prima, sperando che potessero aiutare la nostra amica a rilassarsi e magari a dormire.
“Il vostro ospite ha pernottato qui?” mi domandò con voce tagliente, probabilmente sperando di trovare un ragazzo in accappatoio o sotto la doccia. Una palese violazione delle regole che ci sarebbe costata cara.
“La mia ex collega: al momento è in cucina”, indicai la direzione con un cenno del mento.
“Sarò lieta di bere un caffè, se fosse così gentile da offrirmelo” mi disse e camminò rapidamente verso la direzione indicata.
E la sua regola sul non bere in servizio? Avrei voluto chiederle. Senza contare che credeva davvero che sarei stata così sciocca dall'indicarle la strada, se avessimo nascosto un amante?
“Ma certo, si accomodi” le dissi tra i denti.
“Buongiorno, se non vi dispiace, vi farò compagnia per qualche minuto,” cinguettò con la sua tipica voce dolciastra. Sembrò un poco delusa alla vista di Amy, ma notai che lo sguardo continuava a saettare in ogni direzione, mentre Morgana appariva atterrita.
“La signora Umbridge gradirebbe un caffè”, le dissi nel tentativo di non sembrare troppo polemica.
“Senza zucchero”, aggiunse quest'ultima. “Così lei sarebbe un’ex collega della suddetta signorina?” indagò, rivolgendole un'occhiata penetrante. Mi augurai con tutto il cuore che non rivelasse una nuova clausola che implicava un colloquio conoscitivo con gli ospiti notturni.
Probabilmente si trattò solo di una coincidenza ma, a quella domanda, riprese a singhiozzare rumorosamente. “La vita è così ingiustaaaaaa!!! Anni di lavoro e di impegno e finisci sola, bullizzata e cazziata senza motivooooo!” esplose nella nostra lingua madre, come se avesse trattenuto quei pensieri troppo a lungo e non riuscisse più a sopportarne il peso.
Morgana ed io ci scambiammo uno sguardo terrorizzato, sperando che questo non ci costasse una qualche penale per “disturbo della quiete pubblica” o qualche insidioso cavillo aggiunto per l'occasione. Rivolsi lo sguardo alla donna che sbatté le palpebre a più riprese. Io mi passai una mano sulla fronte, sperando che Amy non pronunciasse parolacce in inglese o imprecazioni volgari.
“Temo di non aver capito il suo nome, mia cara” si rivolse di nuovo a lei in tono zuccheroso.
Morirò sooooola e dimenticata da tuttiiii!!!” continuò l'altra, parlando nuovamente in inglese. Ebbi l'impressione che neppure si fosse resa conto della persona che aveva di fronte. “E' quello che succede quando si pensa solo al lavorooooo e la propria vita sentimentale fa schifoooo, per non parlare di quella sessuaaaaaaleeee!!!” continuò con voce quasi isterica, lasciandoci tutte senza fiato.
“Ehm, ehm, ” aveva tossicchiato la Signora Umbridge che sembrò molto a disagio di fronte a quelle parole potenzialmente “scabrose” per i suoi standard. “Credo che, dopotutto, io abbia raccolto abbastanza dati per questo mese”, ci disse, alzando leggermente la voce per superare i singhiozzi della nostra amica. Appariva decisamente più pallida del solito, ma si affrettò a rimettersi in piedi. “Vi auguro una buona giornata”
“Ma non vuole più il caffè?” domandai perplessa.
“Non in servizio, cara” ribatté quasi istintivamente, sbattendo appena le palpebre. “Arrivederci”.
Morgana ed io la seguimmo con espressione incredula, accompagnate dai singhiozzi incessanti di Amy. Non potei fare a meno di sorridere quando si chiuse l'uscio alle spalle. “Non credevo che esistesse qualcosa in grado di fermarla”.
L'altra assentì con un sorriso suadente. “Magari la prossima volta potresti piangere tu. Chiederò a Bradley di registrarsi mentre finge di scaricarti brutalmente”, aggiunse in tono ironico. Le suggerii dove avrebbe potuto infilarsi un registratore.
 
C’erano voluti tutti i nostri sforzi congiunti, una doppia dose di camomilla e un lavoro certosino di make-up da parte di Morgana per riuscire a rimettere la nostra amica abbastanza in sesto da uscire e recarsi a sua volta al lavoro. Speravo di tutto cuore che quello stato d’animo non interferisse con le sue mansioni. E che le nostre giornate fossero continuate in modo più tranquillo.
 
~
 
 
Quel mattino avevo in programma una sosta al pub prima di recarmi in Accademia. Erano passati mesi dall'ultima volta, ma questa consegna sarebbe stata molto più gradevole: Silente aveva telefonato al pub la sera precedente e aveva chiesto espressamente di me. Doveva aver istruito anche l’inserviente perché mi lasciò passare con il vassoio confezionato, ma non mancando di rivolgermi un’occhiata arcigna e sospettosa. Quando bussai all’uscio, l'uomo rispose prontamente. Entrai nell'ufficio e mi accolse con il suo consueto sorriso caloroso che ne faceva brillare le iridi. “Buongiorno mia cara, ma senti che profumino! Grazie di cuore”.
“E’ stato un piacere”. Appoggiai le paste sulla sua scrivania.
“Ma prego, siediti qualche minuto: spero di non averti disturbato troppo, so che questa mattina non erano previste le prove per il vostro spettacolo” si premunì di aggiungere.
Scossi il capo, pensando tra me e me che non avrei mai potuto sdebitarmi del tutto con lui. “Non si preoccupi, è stato un piacere...” mi affrettai a rispondere. “Sarei venuta comunque in zona per delle commissioni”.
Lo sguardo dardeggiò. “Commissioni che hanno le sembianze di un Assistente dagli occhi azzurri e dall’aspetto regale, immagino” commentò in tono sbarazzino e giocoso, ma ciononostante arrossii furiosamente. “Perdonami, non voglio essere troppo sfacciato. Quanto ti devo?”
Mi agitai sulla sedia. “In realtà questa mattina non ho incontrato il Signor Riddle, ma sono sicura che non voglia che la lasci pagare... ”
Il sorriso si addolcì alla menzione. “Parlerò con lui allora. Ma ti prego: prendine almeno una”, mi indicò l'assortimento con le lunghe dita. “Un regalo da un goloso a un'altra”.
“Mi rende praticamente impossibile dirle di no, ” sospirai, ma misi facilmente a tacere i miei sensi di colpa.
Silente, contrariamente a quanto mi sarei aspettata, non sembrò avere altrettanta fretta di gustarsi la colazione, ma continuò a studiarmi attentamente. Non potei fare a meno di pensare che quella consegna celasse qualche altro intento. “Perdona la curiosità invadente, mia cara, ” esordì in tono cauto, “ma vorrei chiederti come hai trovato il signor Riddle in questi giorni”.
Sbattei le palpebre di fronte all'evidente conferma della mia supposizione. Non potei fare a meno di sospirare al ricordo delle ultime ore al pub. Persino quel mattino si sentiva ancora tra le pareti la tensione, tanto che lo stesso Rankin sembrava meno ciarliero del solito e meno incline a bacchettare i colleghi. “I suoi cambiamenti d’umore sono stati più evidenti del solito, eppure l'altra sera sembrava così di buon umore... ” mormorai e gli raccontai di come avesse assistito a quelle prove improvvisate.
Mi interruppi quando Silente distolse lo sguardo e sgranai gli occhi alla vista di una lacrima solitaria a sfiorargli la guancia. “Si sente bene?”.
“Perdonami, Sarah” si schermì subito in tono rassicurante, ma lo sguardo ancora lucido. “Sono un vecchio sentimentale, ma è stato emozionante rendersi conto che ricorda ancora con passione i miei insegnamenti: ti ringrazio di avermelo raccontato”.
Sorrisi per risposta, avendo ancora una volta la conferma che il loro legame fosse sempre stato qualcosa di più profondo delle tipiche interazioni tra mentore e allievo.
“Stavi alludendo al fatto che hai notato un cambiamento repentino rispetto ai suoi standard, ” riprese Silente. “Posso azzardarmi a immaginare che ieri sia stato particolarmente teso”.
Annuii e in quel momento, ripensando anche al nostro breve incontro in caffetteria, ebbi la netta sensazione che non ne fosse sorpreso. Anzi, forse si aspettava qualcosa di simile, seppur ne ignorassi il motivo. “Siamo abituati a vederlo perdere facilmente la pazienza, ma c’è stata una terribile scenata anche di fronte ai clienti. Si è scagliato in modo ingiusto contro la mia amica Amy: lei è ancora sconvolta... ” mormorai con un sospiro. “Al pub tuttora si sente molta tensione”. 
Sospirò. “Non fatico a crederlo purtroppo.” Mi sorrise con la consueta gentilezza. “Posso sperare che cercherete di sopportare con tolleranza e che continuerete il vostro lavoro con il medesimo impegno. Anzi, con più riguardi del consueto?”
Annuii fermamente. “Ha la mia parola. Mi perdoni... posso farle io una domanda?”
Inclinò il viso di un lato e congiunse le lunghe dita delle mani, dopo essersi appoggiato con la schiena alla sua morbida poltroncina. Mi osservò con espressione particolarmente seria. “Credo che te lo sia guadagnato, ma mi scuso fin da adesso se non dovessi rispondere in modo esaustivo: confido che tu capisca che, in tal caso, io abbia delle buone ragioni”.
Mi affrettai a sollevare le mani: “Non voglio essere indiscreta, glielo assicuro... ma ho l'impressione che lei si aspettasse qualcosa del genere”.
Non distolse lo sguardo dal mio e annuì. “Non te lo nascondo: è così” confermò.
Incoraggiata, mi azzardai ad aggiungere: “Forse la data di ieri ha… un significato simbolico?”
Silente contrasse le sopracciglia e si massaggiò il mento per qualche secondo, continuando a osservarmi. “Purtroppo sì”.
Seppur la mia curiosità fosse più che mai stuzzicata, non volevo intromettermi senza il suo consenso, ma l'anziano riprese parola prima che potessi decidermi. “Forse sei troppo giovane e spero che il destino sia sempre generoso con te, ma talvolta bastano davvero pochi istanti affinché una vita possa andare distrutta”.
Sospirai a quelle parole, mordicchiandomi il labbro inferiore. “E' evidente che il signor Riddle abbia ancora una passione per la recitazione, ” dissi d’impulso, quasi sperando che ciò potesse lenire la sua amarezza. “Avrebbe dovuto vedere la luce nello sguardo, mentre mi dava quel consiglio. Per non parlare di come sorride, quando è in sua compagnia: sono certa che i ricordi dell'Accademia siano tra i più felici della sua vita”.
“Sei molto gentile e premurosa... ” mormorò e la sua voce parve tremare di nuovo. “Nonostante io sia ancora convinto che sia stato il mio miglior allievo, sono certo che aver abbandonato la carriera teatrale sia il rimpianto meno doloroso di tutti”.
 
Continuai a sentire una stretta al cuore per tutto il tragitto in metro e improvvisamente i miei crucci per la scenata al pub e per la mortificazione di Amy e di Neville sembrarono quasi nulli.
 
~
 
Fu con un lieve batticuore che accolsi l'arrivo del messaggio di Bradley: gli avevo chiesto delle sue condizioni e se avessi potuto fargli visita senza disturbarlo. Scossi leggermente il capo ma con un sorriso bonario, di fronte a quelle parole e all'uso dell'emoji dallo sguardo impudente. 

Per quanto mi lusinghi l’idea, non vorrei davvero rischiare di contagiarti. E, anche se è difficile crederlo, potrei non essere al massimo della forma e apparirti meno affascinante 😉

Mi presi qualche istante per rifletterci, prima di rispondere:

Sono disposta a correre il rischio. O, per essere più precisi, entrambi i rischi :P

Scrutai il listino dei prezzi che era affisso alla parete esterna di un ristorante: il servizio prevedeva anche cibo da asporto. Fu con un sorriso trionfante, dopo aver letto le sue parole, che entrai e mi lasciai avvolgere in quel piacevole calore.

Lascerò la chiave sotto il vaso della pianta. Ti aspetterò sveglio, o almeno ci proverò 😉

Contemplai la porta del suo appartamento: non potei fare a meno di ricordare l'unica occasione in cui mi fossi trovata lì. I bellissimi ricordi di quella cena erano inevitabilmente resi più amari per la tensione che era scesa tra noi dopo la mia “confessione”. Scossi il capo tra me e me, recuperai le chiavi e le inserii nella serratura, cercando di fare il meno rumore possibile nel caso si fosse addormentato. Le lasciai in un mobile dell'ingresso. Regnava un pacifico silenzio e mi premunii di accendere la luce e di camminare con passi leggeri per non disturbarlo. Mi diressi verso la cucina e riversai il brodo in un piatto fondo che appoggiai a un vassoio, insieme a un bicchiere d'acqua fresca. Osservai la porta socchiusa della stanza da letto e provai un certo moto di nervosismo seppur l'avessi già vista durante il “tour” che mi aveva concesso la prima volta. Mi feci coraggio ed entrai.
Sorrisi alla vista del ragazzo che sembrava assopito: le coperte sollevate fino al collo, i capelli scarmigliati a sfiorarne la fronte, le labbra dischiuse e leggermente screpolate. Probabilmente non ero molto obiettiva ma Bradley serbava il suo fascino persino durante un'influenza stagionale[6].
Appoggiai il vassoio sul comodino e allungai istintivamente la mano verso la fronte. Sospirai nel sentirla ancora calda e mi guardai attorno, provando a immaginare dove avrei potuto trovare un panno pulito per poterlo detergere. Quasi sussultai nel sentirne la voce, più nasale del solito.
“Le favole Disney non insegnavano che i risvegli migliori avvengono attraverso un bacio?”
Schiuse gli occhi lucidi e febbricitanti e sembrò sforzarsi di mettermi a fuoco prima che un sorriso impudente gli increspasse le labbra.
“Hey, ” mormorai a mo' di saluto. Risi e scossi il capo. “Quindi saresti la mia Principessa?” gli domandai in tono ironico.
Inarcò le sopracciglia e assunse un'espressione fintamente addolorata: “Non giudicarmi per questo”.
“Non oserei mai, ” mormorai. “Sono passata in una trattoria per prenderti del brodo di pollo, che ne dici? Te la senti di mangiare?”
Raggrinzò il naso in una smorfia adorabile e piuttosto puerile: “Avrei preferito una leccornia preparata da Neville”.
“Ti sentiresti meglio se ti dicessi che ti manda i suoi migliori auguri di pronta guarigione?”
Non desistette da quell'espressione fintamente mortificata. “Solo se gli auguri fossero accompagnati da una fetta di torta di mele. Ma mi potrei accontentare di una crostata...”
“Temo di doverti deludere, ma sarei lieta di festeggiare in modo goloso, quando ti sarai ripreso”, promisi e cercai di aiutarlo a sollevare il busto, affinché potesse mangiare comodamente. Appariva sempre così energico e atletico che era insolito trovarlo indolenzito e quasi bisognoso di aiuto anche per un gesto così semplice. Gli sprimacciai i cuscini e appoggiai cautamente il vassoio di fronte a lui.
“Non dovevi disturbarti, ” mormorò ma un sorriso più dolce ne fece scintillare lo sguardo.
“E' stato un piacere, davvero.” lo rassicurai. “Hai chiamato un dottore?”
Annuì, indicando con un cenno del mento i medicinali. Si prese qualche istante per assaggiare, prima di sorridere. “O le mie papille gustative sono totalmente compromesse o è una minestrina squisita”.
“Ti concederò il beneficio del dubbio, ” replicai con un sorrisino. “Sei riuscito a riposare stanotte?”
“Un poco, ” replicò con uno scrollo di spalle. “Le giornate sono interminabili: sarei stato contento persino di modificare di nuovo la scena finale dello spettacolo”.
Non potei fare a meno di ridere. “Non dirlo neanche per scherzo: avrei il terrore di vedere Lupin spuntare da uno di questi armadi a sentire parlare di modifiche”.
Rise al pensiero, ma lo sguardo tornò a sondarmi con maggiore attenzione, tra una cucchiaiata e l'altra.
“Ma dimmi di te, piuttosto... come sta andando la settimana?”
“Se vuoi assicurarti otto ore di sonno, basterebbe che ti raccontassi della mia vita in Italia durante il periodo della tesi. Posso promettere un effetto soporifero istantaneo! ”
Sorrise ma scosse il capo. “Ancora sono sconvolto dal fatto che parlasse di Sherlock Holmes e non della famiglia Bennet”.
Lo guardai con aria fintamente offesa. “La maggior parte dei racconti è in piena epoca vittoriana!”
“Touché,” mi concesse con un sorriso, “Quindi solita routine in Accademia? Al lavoro?”
Sospirai al riferimento al pub e, mio malgrado, mi ritrovai a raccontare per l'ennesima volta della sera in cui mi aveva trovato con Neville, aneddoto che lo divertì moltissimo. Fu piuttosto spiazzato da quello successivo sulla scenata di Riddle.
“Deve essere stato terribile per entrambi: stimo molto l'attore che è ancora in lui, ma dubito che riuscirei a lavorare per una persona così volubile e burbera” commentò con le sopracciglia aggrottate.
Annuii con un sospiro. “Amy non ha chiuso occhio: era terribilmente mortificata.”
“Mi dispiace per lei, ha lavorato per tantissimo in quel pub e mi sembrava che Riddle la stimasse molto... ” commentò con espressione piuttosto perplessa.
Malgrado tutto, non avevo mai dubitato del rispetto che il mio datore nutriva per lei, seppur fosse tutt'altro che incline a dimostrarlo. “Sono convinta che sia ancora così, ma purtroppo è stata la sua valvola di sfogo ideale in quel momento”.
“Un tempismo davvero azzeccato per il tuo rinnovo di contratto” aggiunse con un sorriso ironico.
Spostai il vassoio, quando ebbe finito di mangiare, ma gli porsi il bicchiere d'acqua. “Se ti consola, questa notte neppure io ho quasi chiuso occhio per cercare di calmarla. Piuttosto inutilmente aggiungerei”. Trovai una sedia e l'avvicinai al letto.
Si portò teatralmente una mano al petto: “Adesso sono quasi invidioso, considerando che stavo combattendo con la febbre da solo”.
Inclinai il viso di un lato: “Cerchi di farmi sentire in colpa?”
Un barlume di furbizia ne fece scintillare lo sguardo e, con un movimento fluido, si sporse appena in mia direzione per acciuffare una ciocca dei miei capelli che si rigirò intorno al dito. “Ci sto riuscendo?”
Sentii il mio cuore scalpitare più intensamente e la risposta mi uscì più sussurrata. “Forse”.
Mi rivolse un sorriso complice, prima di tornare a stendersi, ma continuò a osservarmi attentamente. “Fino a quando ti è stato rinnovato il contratto?”
“Settembre, ” risposi di riflesso. “Sarà passato esattamente un anno dal nostro arrivo a Glasgow” aggiunsi e non potei fare a meno di sentirmi sorpresa da quella constatazione. In certi momenti mi sembrava che quei mesi fossero trascorsi a velocità perlomeno raddoppiata rispetto alla mia quotidianità in Italia. Per altri, invece, erano accadute così tante cose che mi sembrava che fosse passato molto più tempo. Io stessa talvolta stentavo a riconoscermi nella ragazza che era giunta in Scozia per la prima volta. 
Bradley sembrava a sua volta concentrato in qualche riflessione a giudicare dalle sopracciglia corrugate e dallo sguardo velato. “Sei decisa a restare a Glasgow anche dopo lo spettacolo quindi” mormorò.
“Almeno fino a Settembre” spiegai con un cenno di assenso.
“Hai già pensato a cosa accadrà dopo?” mi domandò e mi scrutò in modo intenso.
Sentii una familiare sensazione di ansia impadronirsi di me e distolsi lo sguardo. Porsi quella domanda aveva diverse implicazioni che coinvolgevano la mia famiglia, le mie amiche e presumibilmente anche lui. Ne incontrai nuovamente gli occhi, prima di rispondere cautamente. “Ho provato a immaginare diverse possibilità, ” ammisi, “ma ci sarebbero delle ragioni piuttosto importanti affinché tornassi a casa”. Sospirai. “Anche se significherebbe abbandonare questa specie di fiaba e tornare alla normalità”.
Lui aggrottò le sopracciglia e sentii la sua mano ghermirmi il braccio quasi istintivamente. “E tra questi scenari, che ne diresti di fare di questa favola, la tua nuova quotidianità?”
Mi sentii senza fiato di fronte a quell'espressione che sembrava insieme una proposta e una richiesta. “Mi sembri così inserita in questa realtà che sarebbe difficile immaginarti altrove... se non a Londra”.
“Londra?” ripetei.
“Non ho ancora avuto occasione di mostrarti i miei luoghi” mi fece notare con un sorriso più dolce e non potei fare a meno di ripensare alla sera del nostro incontro. 
“Ammetto di averci fantasticato più di una volta” sussurrai per risposta. Sarebbe stato meraviglioso contemplare quella parte della sua vita e avere la percezione di conoscerlo più a fondo.
“Spero che queste fantasie diventino presto realtà, ” mormorò per risposta, salvo assumere un'espressione più sbarazzina e complice. “A proposito d’immaginazione e di sogni, dimmi... hai ripreso a scrivere? Non mi sono dimenticato di questa passione”.
Sentii un dolce calore in petto al pensiero che conservasse questi dettagli delle nostre conversazioni e che fosse così semplice parlare di qualcosa di così personale e potenzialmente imbarazzante. Inclinai il viso di un lato: “Se ti dicessi di sì, ne saresti contento?”
Glielo leggevo nello sguardo, ma lo lasciai rispondere. “Naturalmente. Soprattutto se mi confermassi che almeno uno dei protagonisti mi somiglia”.
Risi e gli diedi un buffetto sul braccio ancora proteso in mia direzione. “Te l’hanno mai detto che sei un adorabile sfacciato?” lo interrogai con aria di finto rimprovero.
“Fa parte del mio fascino, ” replicò con un'alzata di spalle, ma mi guardò più intensamente, “Dico sul serio: ammiro la tua etica del lavoro e il tuo impegno per lo spettacolo, ma non rinunciare completamente a questa parte di te”.
“Ti prometto che ci proverò” mormorai per risposta. Pronunciare quelle rassicurazioni aveva un sapore del tutto particolare: era realmente e sinceramente interessato a ogni aspetto della mia vita. “Ma adesso dimmi... tu hai già deciso che cosa farai dopo lo spettacolo?”
Mi studiò attentamente e sembrò cercare le parole prima di rispondere con la consueta pacatezza, ma con un barlume più consapevole nello sguardo: “Per quanto sia grato di quest'esperienza che mi ha concesso Silente, so per certo che voglio tornare in scena” mi rivelò.
“Sarei rimasta delusa dal contrario.” risposi sinceramente. “Non ti auguro di meno, anche se dovessi trasferirti altrove... ” aggiunsi e sentii la mia voce farsi più tremula. Era un tarlo che aveva cominciato a ronzarmi per la mente da qualche tempo: sarebbe davvero valsa la pena iniziare una relazione, se molto probabilmente il nostro futuro ci avrebbe visto distanti? O Bradley sarebbe entrato nella lista dei miei interrogativi su come la mia vita sarebbe potuta andare se avesse seguito le mie egoistiche aspirazioni?
Mi riscossi al tocco delicato con cui mi indusse a sollevare nuovamente il mento. Si sporse nuovamente in mia direzione: “Non andrò da nessuna parte per il momento, ” mi assicurò con voce ferma e vellutata, un suono dolce nonostante il suo raffreddamento. “Puoi prenderla come una promessa o una minaccia” aggiunse con un ammiccamento, riprendendo a giocare con una ciocca dei miei capelli.
Sorrisi per risposta, ma riuscii a sussurrare solo un ringraziamento. Dopodiché allungai le mani ad apporre una lieve pressione sulle sue spalle: “Ma adesso basta parlare: devi riposare”.
Sbuffò, ma si appoggiò nuovamente al cuscino e si stese nuovamente, mentre io mi rimettevo in piedi.
“Oh, avanti, resta, ” brontolò con una smorfia adorabile, “mi piace sentirti parlare: hai una voce rilassante”.
Inclinai il viso di un lato osservandolo con aria piuttosto scettica: nessuno aveva mai definito la mia voce con quell'aggettivo. “Sei molto galante, ma persino io mi stanco di sentirmi parlare”.
“Te l'ho già detto, vero, che ho un debole per quell'accento?” domandò allora, modulando la voce a una maniera più accattivante.
Non potei fare a meno di sciogliermi all'ulteriore riferimento al nostro primo incontro. “D'accordo, resterò: ma solo per mezzora”, acconsentii.
Gli tamponai il volto delicatamente e cercai di distrarlo dal bollore, presi a raccontargli qualcuno degli episodi più divertenti delle mie ore al pub e in Accademia, ma evitai accuratamente quelli che riguardavano Tom ed Emma.
Rimasi a contemplarlo quando parve, finalmente, essersi assopito. Volevo assicurarmi che dormisse in modo tranquillo e decisi di attendere almeno una decina di minuti. Ne studiai i lineamenti del volto e ne carezzai il dorso della mano con le dita. Per la prima volta nella mia vita, mi rendevo conto di quanto fosse appagante e meraviglioso vegliare sul sonno di qualcuno e scorgerne quell'anelito più dolce e vulnerabile.
 
Sbattei le palpebre nel tentativo di mettere a fuoco i contorni della camera e rimasi per qualche secondo allibita di fronte al giovane addormentato nel suo letto. Inarcai le sopracciglia e mi scostai di dosso la coperta di lana, ma sussultai alla vista dell'ora. Incredula, fissai lo sguardo fuori dalla finestra e mi passai una mano sul volto nel rendermi conto che avevo trascorso tutta la notte lì. Non osavo immaginare chi mi avrebbe urlato contro con più irruenza: mia madre per la mancata telefonata della buonanotte o Morgana per non avermi vista rientrare.
Tanto ormai il danno è fatto, mi dissi. Mi sollevai cautamente per non disturbare il riposo di Bradley e ripiegai la coltre che doveva avermi appoggiato addosso. Lo avrei sgridato per essersi alzato, ma sorrisi dell'ennesima premura tanto dolce e delicata, puramente nel suo stile. Allungai una mano alla sua fronte e fui sollevata nel rendermi conto che la febbre era finalmente calata. Scribacchiai velocemente un biglietto di saluti e di ringraziamento e mi chinai a lasciargli un bacio sulla fronte.
Sussultai, tuttavia, nel sentirne le dita stringermi una ciocca di capelli: aveva ancora gli occhi socchiusi e l'espressione rilassata. Sulle labbra, tuttavia, era apparso un sorrisetto sbarazzino e complice.
“E' proprio vero, ahimè... gli sceneggiati della Disney non insegnano proprio niente” mi prese giocosamente in giro, facendomi arrossire pur senza guardarmi.
Ne strinsi appena la mano. “Devo scappare. Ritieniti fortunato che Morgana non abbia già sguinzagliato Scotland Yard per cercarmi... ” lo ammonii con tono fintamente severo.
Il sorriso non sfumò dalle sue labbra, ma schiuse gli occhi. “Grazie di essere rimasta... ” sussurrò.
“E' stato un piacere. ” mormorai. Mi costrinsi a fare un passo indietro e a rimettermi il cappotto.  “Riposati, ti chiamerò più tardi: prendila pure come una minaccia” ne imitai il tono suadente e galante.
“Volentieri, ” sorrise e si appoggiò pigramente al cuscino.
Chiusi delicatamente la porta dell'ingresso alle mie spalle e mi affrettai a mettermi in cammino per raggiungere la fermata della metro più vicina.
“Merda... ” borbottai tra i denti notando la notevole quantità di messaggi e di chiamate perse. La telefonata con mia madre aveva richiesto qualche minuto e, dalle sue parole, dedussi che la sera prima aveva contattato anche a Morgana. Quest'ultima, per non farla preoccupare, le aveva detto che, visto il turno serale al pub e le pulizie successive, mi sarei fermata a dormire a casa di una collega. Naturalmente mi beccai la sua predica sul fatto di non averle almeno mandato un messaggio, ma usai come scusa il pretesto di non volerla svegliare in piena notte. Stavo per aprire la chat di gruppo con le amiche, quando il telefono iniziò a vibrare per la telefonata di Amy. Sperai che Morgana fosse con lei, così che potessi parlare direttamente a entrambe. “Ciao, scusami tanto! Di' a Morgana che STO BENE e sto-”
“MA DOVE DIAVOLO ERI FINITA?!”
Mi staccai il cellulare dall'orecchio. Non la sentivo urlare così da quella famigerata sera in cui si era scagliata contro Morgana per la fotografia del giovane Signor Riddle. Anche in questo caso, mio malgrado, non potevo che comprenderne la stizza.
“ABBIAMO PROVATO A CHIAMARTI UN CENTINAIO DI VOLTE A TESTA!”
“Mi dispiace, davvero, non volevo farvi preoccupare!” pigolai e le spiegai che mi ero accidentalmente addormentata a casa di Bradley. Mi ascoltò e la sentii ripetere brevemente, in inglese, il mio racconto: in sottofondo la voce di Luna che confermava il tutto con qualche riferimento astrologico e quella di Morgana che prometteva che, una volta archiviato tutto, mi avrebbe dato una bella strigliata di persona. Oltre alla preoccupazione, aveva anche dovuto fingere che tutto andasse bene con mia madre ed era stata costretta a mentirle, cosa che detestava dal profondo del cuore.
“Quindi siete tutte a casa tua?” domandai.”
“Almeno una questione l'abbiamo risolta,” rispose in tono stanco e il mio senso di colpa salì vertiginosamente. “Raggiungici appena puoi, devo parlare a tutte”.
“E' successo qualcos'altro?!” la incalzai in tono allarmato.
“Vieni qua di corsa” si limitò a replicare e intuii che non fosse un argomento piacevole e preferisse di gran lunga parlarne di persona.
“Arrivo,” replicai ma non ebbi modo di aggiungere altro perché la batteria del telefono si era completamente scaricata. Rinunciai alla possibilità di tornare a casa, farmi una doccia, cambiarmi d'abito e mettere il cellulare sotto carica. Sembrava che la questione fosse veramente urgente e non volevo farle attendere ulteriormente.
Un quarto d'ora dopo suonai il campanello e fu Luna ad aprirmi con viso benevolo e sorridente. Seppur ne avessi sentito la voce dal telefono, non potei fare a meno di guardarla con una certa curiosità. “Ciao Luna, pensavo che saresti rientrata la prossima settimana,” commentai, mentre lei mi lasciava accomodare.
“Ciao Sarah!” mi accolse con voce melodiosa. Osservai lo strano quadretto che avevo di fronte: Morgana e Amy erano sedute sul divano e avevano un'espressione seria e corrucciata. La biondina mi sfilò gentilmente di dosso il cappotto e continuò a parlare con voce tintinnante e allegra, che stonava incredibilmente con l'atmosfera pesante che si respirava in quella stanza. “Sono dovuta tornare prima”, rispose in tono eloquente, “ho sentito il richiamo mentale di Amy”.
“Quindi hai percepito una perturbazione nella Forza?[7]” azzardai con un sorrisino.
La biondina sgranò gli enormi occhi: “Ma di cosa stai parlando?”
Amy sollevò gli occhi al cielo con espressione insofferente e mi affrettai a scuotere il capo. “Come non detto”.
“Come sta Bradley?” mi incalzò Morgana con un sorrisino solo in parte cordiale. “Spero sia valsa la pena di farci prendere un colpo” commentò in tono di rimprovero.
“Avete ragione,” commentai con un sospiro. “Vi devo delle scuse, ma...” guardai in direzione di Amy con una certa confusione. Dalla telefonata avevo percepito una certa urgenza, ma in quel momento sembrava ancora persa nelle sue riflessioni.
Morgana sembrò seguire il corso dei miei pensieri e concordare che potessimo soprassedere per il momento. “Mi ha chiesto di venire qui questa mattina, ma ha detto che voleva parlare solo quando fossimo state tutte presenti”.
Sospirai e mi mordicchiai il labbro, non potendo fare a meno di incupirmi. Non mi era mai capitato di trascorrere la notte in un luogo improvvisato e ovviamente una simile emergenza doveva accadere quando non ero reperibile neppure per avvisare del mio ritardo. “Mi dispiace veramente tanto, ragazze: non si ripeterà” promisi e presi posto tra le due. Luna si accomodò nella poltrona rimasta libera accanto alla sua coinquilina. Per la prima volta il suo sguardo sembrava realmente focalizzato sui presenti e non perso nelle sue tipiche elucubrazioni sugli astri e sui segni zodiacali.
Rivolsi lo sguardo alla diretta interessata e così tutte le altre: quella compostezza sembrò sgretolarsi e mi resi conto che appariva pallida e tremante. E terrorizzata come non mai. “Ho fatto una stupidaggine, ” esordì con voce molto più bassa del suo naturale timbro, “ la più grande della mia vita”.
Morgana sciolse la postura rigida e inclinò il viso di un lato: “Lui chi è?” domandò in tono tranquillo, ma senza traccia del sorriso vispo o dello sguardo provocatorio che solitamente accompagnavano quel tipo di conversazione.
“Deve essere un segno di Aria, visto come sei agitata... ” intervenne Luna quasi di riflesso.
“A meno che non si parli del tuo nuovo lavoro... ” aggiunsi io. Amy scosse il capo in segno di diniego ed io trattenni il fiato. “Ti prego, non dirmi che è qualcuno che lavora al pub o qualche tipo strano dei siti d’incontri!”
Scrollò le spalle: “Lo sai che mi sono cancellata e... no!” esclamò, sporgendosi per guardare Morgana, “Non osare dirlo!”
“Dev'essere qualcuno che conosciamo, o avresti già detto nome e cognome... ” fece notare quest'ultima in tono tranquillo.
Annuì. “Tanto vale che ve lo dica subito: si tratta di Dario”.
Luna si agitò sulla poltrona con espressione trasognata: “L'avevo detto! Un segno di Aria![8]”.
“Questo sì che è interessante!” commentò Morgana, sporgendosi in sua direzione con un barlume più civettuolo. “Quindi avete deciso di diventare friends with benefits? Non sarò certo io a giudicarti, anzi, mi complimento per la scelta!” sorrise con espressione felina. “Anzi, forse dovrei sgridarti per aver aspettato così tanto!”
“Certo che no!” ribatté Amy che arrossì ferocemente fino alle orecchie. “Ve l'ho detto che me ne pento e non era affatto programmato!”
Sbattei le palpebre a più riprese, sentendomi ancora stordita e incredula, guardando dall'una all'altra. “Stiamo parlando di quel Dario?” la incalzai come se non riuscissi realmente a immaginarlo.
“No, mio nonno!” replicò lei, recuperando un po' del suo spirito. “Quanti Dario pensi che io conosca?!” si agitò maggiormente sul divano e distolse lo sguardo dal mio. “Non avrei mai voluto che lo scopriste, soprattutto tu, ” m’indicò con un cenno del mento,ma adesso sono stata costretta a dirvelo.”
Sospirai per risposta ma le strinsi il braccio: “Dario è un tuo caro amico ed è stato molto gentile e disponibile anche con me, nonostante fossi solo un'estranea”. Seppur mi capitasse molto di rado di vederlo o di sentirlo nominare, avevo sempre pensato solo cose positive sul suo conto.
“Sono sicura che lo pensi anche Bradley.” intervenne Morgana con voce ridente. “Anzi, dovresti presentarglielo”. Il sorrisino scomparve solo quando le rifilai una gomitata e un'occhiataccia. Mi rivolsi nuovamente ad Amy che sembrava troppo turbata per notare l'intervento ironico dell'altra.
“Tu credi di nutrire dei sentimenti romantici nei suoi confronti?” indagai con aria confusa nel tentativo di capirne lo stato d'animo.
“Certo che no!” ribatté con fermezza, nonostante fosse ancora imbarazzata. “Certo, è un gran bel ragazzo, non sono cieca... ” borbottò e si passò una mano tra i capelli, prima di riprendere a parlare. “Siamo usciti per festeggiare il mio nuovo lavoro. Lo sapete che per me non è un bel periodo, dopo quello che è successo a San Valentino,” gesticolò animatamente, prima di proseguire, “poi ho scoperto che Daniel ha iniziato a uscire con Bonnie, come quella stronza di Emma aveva previsto. Ho bevuto troppo, ho iniziato a commiserarmi e lui voleva solo farmi star meglio... mi è stato molto vicino.”
Supplicai con lo sguardo Morgana di non fare battute allusive, ma quest'ultima inclinò il viso di un lato: “Come vanno le cose tra voi? Come ha reagito a mente lucida?”
“Sta per partire per l'Australia...” ammise controvoglia. Di fronte alle nostre facce, si affrettò ad aggiungere: “Ma non c'entra con quello che è successo tra noi!”.
L'altra parve aver difficoltà a trattenersi dal ridere, ma si schiarì la gola e sollevò le mani: “Sarà anche stata la tua prima volta, ma dubito che tu abbia fatto così schifo. Anzi, si dice che l'alcool-”
La interruppi con un cenno della mano e cercai di tornare al punto cruciale della conversazione: “Perché dici che sei costretta a parlarcene?”
Mi resi conto che la mia domanda aveva colto nel segno dal silenzio pesante che l'accolse. Il suo viso divenne più pallido, le sue labbra tremarono nel tentativo di formulare una risposta che non sembrava in grado di accettare. Fu come se tutti i pezzi del puzzle si stessero formando di fronte a me: gli sbalzi d'umore repentini degli ultimi tempi, il suo pallore e la difficoltà a mangiare, il modo eccessivo in cui aveva reagito alla sfuriata di Riddle e il timore con cui aveva affrontato quella conversazione. Senza contare che, a detta di Morgana, da qualche settimana aveva “fiutato” un cambiamento nei suoi modi. La conferma mi giunse quando estrasse dalla sua borsa un pacchetto che conteneva un test di gravidanza. Sbattei le palpebre e deglutii a fatica. Sembrò che nessuna di noi riuscisse a trovare una parola o un commento che fosse necessario o opportuno in quel contesto.
“N-Non ho il coraggio di f-farlo!” mormorò con voce tremante e rauca. “Se fosse positivo? Mi sarei rovinata la vita e la carriera per una stupida notte!” la sua voce cominciò a divenire più stridula e sempre più alta e le parole si accavallavano.  “Di tutte le cavolate che ho combinato, questa è la peggiore! Non posso neppure pensare di rinunciare alla carriera, tanto meno di crescere un bambino o anche solo di-”
“Non lo sai ancora.” la interruppe Morgana in tono deciso ma pacato. Si alzò in piedi e si appoggiò al bracciolo accanto a lei. Allungò una mano a stringerne il braccio. “Agitarsi non cambierà il risultato: la prima cosa da fare è assicurarsi che sia vero”.
Annuii e mi sforzai di sorriderle seppur io stessa avessi il cuore in gola e mi sentissi terrorizzata dalle possibili implicazioni. “Morgana ha ragione: la risposta la tieni tra le mani. Prenditi tutto il tempo che ti serve. Ma una cosa per certo non cambierà: saremo tutte qui per te”.
La moretta annuì e sorrise più dolcemente: “I discorsi sentimentali riescono meglio a lei... ”
Luna si appoggiò con un movimento fluido sul tavolino da the e ne carezzò la mano, prima di inclinare il viso di un lato e sorriderle. Non pronunciò parola, ma nel suo sguardo sembrava esserci tutto quello che avevano condiviso, ben prima che noi giungessimo a Glasgow.
Amy la guardò e sembrò vacillare. “Q-Questo non lo avevi proprio previsto!” pronunciò con un verso gutturale a metà tra un singhiozzo e una risata.
Sembrarono attimi infiniti quelli in cui ci sedemmo tutte e quattro in soggiorno, attendendo che il timer suonasse. Nessuna parlò e sembravamo persino aver paura di scambiarci uno sguardo o un sorriso. Quando sentimmo il suono, tuttavia, ci avvicinammo tutte a lei. Cercò il nostro sguardo prima di esaminare il bastoncino da cui dipendeva tutto il suo futuro.
 
 
“Sei proprio sicura che sia il caso di chiamarlo?” mi azzardai a chiederle, pur sapendo che sarebbe stato impossibile farla desistere.
“Mai stata più sicura” ribatté senza neanche degnarmi di uno sguardo, scorrendo rapidamente la rubrica del cellulare. Azionò il vivavoce e restammo tutte in attesa del segnale della linea libera, prima che il ragazzo rispondesse.
“Hey Amy!” la salutò con la consueta vivacità e riuscii a immaginarmi il suo sorriso spensierato o il modo in cui si passava di quando in quando una mano tra i capelli lunghi fino alle spalle. “Ho appena ricevuto la conferma: parto per Sidney tra due settimane!” le raccontò all'apice dell'entusiasmo.
La nostra amica assunse un'espressione stizzita e un sorriso vendicativo le increspò le labbra, mentre rispondeva in tono enfatico: “Ah sì?”. Di fronte al cenno d’incoraggiamento di Morgana, continuò: “Anch’io ho ricevuto una conferma poco fa: sono incinta, sai?”
Sembrò che Dario restasse qualche secondo senza fiato, prima di reagire in tono cordiale. Forse fin troppo nel tentativo di mostrarsi entusiasta per lei. “Wow, congratulazioni!” Non passarono che pochi secondi prima che formulasse la domanda successiva: “Scusa, ma di chi sarebbe?”
Il sorriso della ragazza divenne persino più perfido. “Tuo, ovviamente” cinguettò.
Sentii Dario imprecare in un dialetto siciliano, prima di parlare con voce notevolmente agitata e quasi stridula: “Aspetta, che cazzo significa che è mio?!”
Non dovette riflettere sulla risposta successiva. “Lo sai benissimo che io ero vergine prima di quella maledettissima notte, testa di minchia!”
Il ragazzo non sembrò neppure curarsi dell'insulto, ma continuò a parlare in tono incredulo e sgomento, non riuscendo neppure a immaginare l'eventualità: “Che cazzo di preservativo mi hai dato?! L'hai fatto di proposito, vero? Volevi incastrarmi?!”
Tradussi a Luna in inglese, premunendomi di tenere la voce bassa, sentendomi non poco a disagio per quell'iniziativa. Quest'ultima fu subito scossa dalle risatine, ma cercò di trattenersi, mentre Morgana si tappava la bocca per non rivelare la propria presenza.
Continuarono a urlarsi addosso per almeno cinque minuti, prima che Amy gli rivelasse che il test era risultato negativo. 
Minchia, ma ti sembra qualcosa su cui scherzare?!” riuscì a dire con voce ancora flebile ma sollevata.
“Almeno hai avuto un assaggio di quello che ho passato io nelle ultime 24 ore!” ribatté l'altra il cui volto era diventato rosso di indignazione. I capelli, che le stavano ricrescendo, sembravano emanare elettricità statica.
“SEI UNA PSICOPATICA!” urlò lui di rimando, rendendosi conto del tiro mancino. “Sei quasi peggio di quella pazza della mia ex! Lo sai quanto ci tengo a questa promozione: mi hai fatto credere di aver mandato tutto all'aria!”
“Ah certo, perché per me sarebbe il momento ideale, vero?!” ribatté con altrettanta foga. “ Quasi quasi la rintraccio io la tua ex e le do il tuo nuovo numero!”
“Non osare neppure pensarci!” sbraitò per risposta. “Giuro che questa me la paghi!”
“Spero che ci crepi in Australia!” ribatté e neppure attese una risposta. Sospese la chiamata e lasciò cadere il telefono sul divano.
“Ben fatto, ” ghignò Morgana che si era premunita di registrare la conversazione, “così la prossima volta ci penserà due volte prima di allungare le mani”.
“Ora mi sento molto meglio, ” convenne Amy, rilassandosi contro lo schienale del divano. Fu scossa da una lunga risata che sembrò liberarla dalla tensione e dallo sconforto delle ultime ore.
“Comunque non dovresti prendere alla leggera questo ritardo del ciclo: dovresti rallentare il ritmo e cercare di riposare di più.” le feci notare con un sospiro. Mi accomodai a mia volta, sentendomi decisamente più leggera.
“Basta bravate per un bel po'...” sembrò promettere in tono stanco. Non avevo dubbi che avesse bisogno di una bella notte di sonno per recuperare le ore perse.
“Ci credi davvero?” la provocò Morgana.
“Altroché!” ribatté con il mento sollevato. “Tanto per cominciare non verrò più al pub”.
“Lo so che Riddle è stato terribile con te, ” esordii io, cercando un modo di farla ragionare, “ma sono sicura che non lo pensasse davvero e poi ci resteranno tutti male... Neville per primo che continua a incolparsi di quello che è successo.” Speravo che almeno l'amicizia con il ragazzo potesse dissuaderla da tale decisione.
Non sembrò voler sentire ragioni e scosse il capo risolutamente. “Continueremo comunque a uscire tutti insieme, ma sono serissima: non tornerò là dentro, a meno che io non riceva delle scuse”.
“Vorrà dire che dovremo cercarci un altro bar, ” concluse Morgana con un sospiro, “ma almeno abbiamo ancora un'infiltrata che potrà raccontarci i pettegolezzi più succosi”.
Mi rimisi in piedi e mi ravviai i capelli, convenendo che non potessi fare altro per il momento. “Se volete scusarmi, io andrei a casa: ho urgente bisogno di una doccia”.
Di fronte agli sguardi avidi delle ragazze e quello perplesso di Luna, mi affrettai a sollevare le mani: “Non è come pensate!”
That's what she said[9],” replicò Morgana con un sorriso malizioso.
Amy si sollevò appena dalla propria posizione con un'espressione altrettanto beffarda. “Non penserai che ti lasceremo andare senza averci raccontato i dettagli: ho proprio bisogno di un po' di sano pettegolezzo”.
Sospirai, ma cercai di nascondere il sorriso: in realtà non vedevo l'ora di ripercorrere quelle ultime ore con Bradley. Soprattutto adesso che sembrava il momento ideale per parlarne.
 
~
 
Fu quasi con incredulità che mi resi conto, sfogliando l'agenda, che mancava solo un mese e mezzo alla data dello spettacolo. Sospirai di fronte alla pagina dell'agenda, a causa di una riga scritta da Tom qualche mese prima. V’incollai sopra un paio di post-it e vi annotai la lezione in Accademia e l'orario del turno di lavoro. Mi riscossi al sentire la suoneria del cellulare. Sorrisi quando scorsi il mittente del messaggio.
 
Buonasera, Milady.
So che il coprifuoco è passato, ma sarei disposto a introdurmi furtivamente dalla finestra, se tu fossi così premurosa da aprirla. Non ti tratterrò a lungo, promesso ;)
 
Non potei fare a meno di sorridere e mi rimisi in piedi, dopo aver inviato la risposta.
 
Permesso accordato.
 
Mi affrettai a controllare il mio riflesso e a dare una rapida spazzolata ai capelli, prima di aprire il vetro della finestra. Osservai la figura atletica che stava salendo senza apparente sforzo, malgrado si fosse appena ripreso dall'influenza. Scavalcò agilmente il davanzale e mi fu di fronte in pochi istanti.
“Di solito le introduzioni furtive non vengono annunciate,” feci notare con un sorriso, “ma non voglio essere troppo pignola. Mi fa piacere rivederti in piedi” aggiunsi.
Inclinò il viso di un lato e mi rivolse un breve ammiccamento. “Ed io che speravo di essermi giocato bene la carta dell'ammalato”.
“In realtà l'hai fatto... ” confessai e gli feci cenno di accomodarsi, ma lui preferì restare in piedi.
“Perdonami l'ora, ma non volevo aspettare fino a domani.” mi spiegò con voce modulata, alludendo al nostro appuntamento in Accademia.
“E' successo qualcosa?” mi affrettai a chiedere, ma mi rilassai di fronte alla sua espressione rassicurante.
Scosse il capo, ma mi osservò attentamente, quasi studiandomi, prima di parlare con la tipica tranquillità: “Temo di dover annullare la nostra lezione”.
“Cosa?” domandai del tutto presa alla sprovvista. “Ma perché?”
Sorrise più dolcemente e lo sguardo azzurro ebbe un piacevole scintillio mentre osservava la delusione che non avevo neppure provato a dissimulare. “Perché non sarebbe opportuno, considerando che sto per chiederti un appuntamento. Uno ufficiale, ben inteso”.
Mi sembrò che il cuore si fermasse e che poi cominciasse a scalpitare a velocità sostenuta. Mi tremavano le gambe ma lui riprese il discorso con lo stesso disarmante savoir-faire. 
“Ho parlato con Lupin e anche lui conviene che tu non abbia più bisogno del mio aiuto: certo, potremmo sempre provare in un ambiente più informale... se tu mi supplicassi” aggiunse in tono più scherzoso.
Avevo quasi il timore di svegliarmi e di scoprire che si trattasse soltanto di un sogno, ma la risposta mi giunse repentina, come se l'avessi taciuta da troppo tempo. “Sì”.
Inarcò le sopracciglia e sorrise: “Sì nel senso che hai intenzione di supplicarmi?”
Avanzai di un passo e lo guardai intensamente. “La risposta alla richiesta di un appuntamento è sì” specificai e mi sorpresi di come la mia voce avesse assunto un timbro che persino a me sembrava sconosciuto fino a quel momento.
“Bene, ” mormorò e il suo sguardo dardeggiò. Fece poi un cenno del mento verso l'altra stanza. “Per favore, mandami il numero di Morgana e chiedile di tenersi pronta: mi farò sentire molto presto”.
Aggrottai le sopracciglia: “Pensavi a un appuntamento a quattro?” domandai e mi strinsi le mani in grembo, pur cercando di mantenere un certo contegno. 
Mi diede un buffetto sulla punta del naso. “Niente affatto. Ho bisogno di parlare con lei perché non ho intenzione di svelarti i dettagli. So che si considera la tua stilista personale, quindi mi avvarrò della sua collaborazione... ” mi spiegò con un sorriso giocoso.
Lo guardai incredula: era già abbastanza difficile sottostare alla tirannia di Morgana, quando si trattava di qualcosa di simile, ma era insopportabile l'idea che potesse gongolare perché a conoscenza di un simile segreto. “Davvero non vuoi darmi neppure un indizio?”
“Davvero, ” ribatté e mi scostò una ciocca di capelli dal viso per ripormela dietro l'orecchio. “Ti fidi di me, vero?”
Mi rilassai e anche la mia curiosità sembrò placarsi mentre lo osservavo e mi ritrovavo a sorridere. “Più che di chiunque altro”.
“Per il momento dovrai accontentarti, ” mormorò con espressione dispettosa, salvo addolcirsi. “Buonanotte”. Socchiusi gli occhi alla pressione delle sue labbra contro la mia guancia, soprattutto quando indugiò per qualche secondo, consentendomi di inspirarne il profumo.
“Buonanotte” mormorai per risposta e lo seguii con lo sguardo mentre usciva nuovamente dalla finestra e mi rivolgeva un ultimo sorriso prima di scendere nuovamente in strada.
Mi sedetti ai piedi del letto. In quel momento realizzai quanto fossi stata fortunata ad avere il mio primo appuntamento con un ragazzo come Bradley. Non riuscivo a smettere di sorridere al pensiero, tanto meno a placare quell'aritmia.
E adesso chi dorme?
Fino a poche settimane prima avrei subito aperto il mio notebook e avrei cominciato ad abbozzare un post per il mio blog, ma era come se quella parte della mia vita fosse ormai solo un ricordo. Fu invece con entusiasmo che mi avvicinai al cassettino della scrivania e ne estrassi un quaderno su cui stavo, a poco a poco, abbozzando dei personaggi e delle linee guida per un nuovo racconto. Era la prima volta che mi cimentavo in quell'esercizio creativo con la consapevolezza che la realtà potesse essere di gran lunga migliore del mio bel mondo immaginario.
 
To be continued...
 
Certamente non avrei mai immaginato che quest’aggiornamento sarebbe giunto in un periodo così delicato e difficile per tutto il mondo. Spero, se non altro, che questa lettura possa avervi fatto trascorrere il tempo con un po’ leggerezza J Da parte mia, è stato molto divertente da scrivere, ma purtroppo ho avuto diversi contrattempi a causa dei quali è stato scritto in un intervallo fin troppo lungo. Non posso promettere di essere più celere con i prossimi, ma è quello che mi auguro onestamente :D
Un ringraziamento, come sempre, ad Evil Queen le cui idee hanno permesso la stesura dell'80% (se non 90 :P) delle scene di questo capitolo, soprattutto quelle legate al suo sfortunato alter ego ;)
Un abbraccio a tutti.

Kiki87

 
 
[1] In questa versione i genitori di Neville stanno benissimo ma ho immaginato che fosse carino lasciare il riferimento alla mitica signora Paciock :D Facciamo conto che viva coi genitori di lui.
[2] Si tratta del dialogo che Sara e Bradley provano alla prima lezione privata che le impartisce quest'ultimo, nel capitolo 13. Sì, lo ammetto, non mi andava di inventare un dialogo nuovo se non strettamente necessario :P
[3] Non sono un'esperta di tecniche teatrali, ma ho trovato qualche informazione su questa pagina web e ho un po' rielaborato il tutto per renderlo funzionale alla mia trama.
[4] Sara ormai vive nelle caffetterie :P
[5] Si tratta di Julie Christie, l’attrice che in Harry Potter ha interpretato Madama Rosmerta :D
[6] Lo so, è una spiacevole coincidenza, ma in tutta onestà quando ho immaginato queste scene, non si era ancora scatenata la pandemia che stiamo tuttora vivendo. Non ho voluto modificare l’espediente perché queste scene mi sono particolarmente piaciute.
[7] Riferimento a una battuta pronunciata da Obi-Wan Kenobi in: “Star Wars, episodio IV: Una nuova speranza” (1977) quando percepisce la distruzione di un pianeta e la relativa disperazione delle vittime. “Ho sentito come una perturbazione nella Forza... Come se milioni di voci gridassero terrorizzate e a un tratto si fossero zittite. Temo sia accaduta una cosa terribile”.
[8] Dario Aita è nato il 25 Gennaio. Il suo segno zodiacale è l’acquario che corrisponde a un segno d’aria per l’appunto :D
[9] Letteralmente significa: “E' ciò che ha detto lei”. Si tratta di uno slang che è usato, con intento ironico, quando una persona pronuncia una frase senza alcuna implicazione sessuale, ma è decontestualizzata e interpretata come se lo fosse. Trovate la spiegazione qui
 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


17
Mi salverai, vero? [...]
Sarò felice, vero?
 
Mi renderai completa, vero?
Allora la mia vita potrà finalmente iniziare.
Sarò degna di valore, vero? [...]
 
Queste preziose illusioni nella mia mente
non mi hanno abbandonato quando ero indifesa
e separarsi da loro è come separarsi
da migliori amici invisibili.
 
Ma adesso non funzioneranno come in passato,
perché voglio scegliere
tra la sopravvivenza e la gioia immensa
e sebbene sappia chi non sono,
ancora non so chi sono,
ma so che non continuerò
a far la parte della vittima.
 
Questo anello mi sarà ancora d'aiuto,
come lo sarai tu, principe azzurro.
 
Precious Illusions – Alanis Morissette[1]
 
 
Non avevo mai vissuto una simile tensione, neppure nell'attesa della sessione di laurea. Mancava circa un mese allo spettacolo, ma cercavo di non soffermarmi troppo su quel pensiero e mi impegnavo con tutte le mie forze e la mia buona volontà. Era tuttavia difficile ignorare quel countdown, soprattutto quando Lupin ci proponeva di indossare gli abiti di scena o il parrucchiere, ingaggiato dall'Accademia, mi prendeva da parte per valutare le acconciature che avrei dovuto esibire nel corso della serata. Era emozionante osservarsi allo specchio e avere la sensazione di appartenere realmente a quell'epoca storica che avevo amato attraverso i romanzi, i saggi storici e gli sceneggiati televisivi. 
Mi riscossi nel sentire la voce di Amy che aveva lanciato un'occhiata alla porta d'ingresso. “Ma le hai mandato la posizione?”
Mi sentivo “una traditrice”, seppur non avessi alcun obbligo a consumare dei pasti soltanto nel locale in cui lavoravo. La mia amica, coerente alla sua decisione di non tornare alla Camera dei Segreti, aveva cercato in rete, consultando anche le recensioni, e ci aveva proposto quella sala da the: Madam Puddifoot's Tea Shop[2]. Ero rimasta quasi shockata di fronte all'atmosfera che si riusciva a respirare fin dai primi secondi: era tutto l'opposto del locale di Riddle, ma mi ricordava in modo quasi inquietante gli abiti della signora Umbridge per la scelta dei trini e dei merletti che adornavano i tavolini rotondi. La proprietaria era una donna molto affabile e le poltroncine su cui sedevamo erano molto confortevoli. Sembrava il rifugio ideale per le coppiette, viste le luci soffuse e la zona poco trafficata. Compresi che se ne era accorta anche l’altra (a giudicare da come alzava gli occhi al cielo o sbuffava nello scorgere simili atteggiamenti) ma era ben lungi dall'ammetterlo. Luna, come sempre imperturbabile, stava consultando la pagina dell'oroscopo di una rivista che aveva trovato all'ingresso. Ridacchiava tra sé e sé e scuoteva il capo di fronte a delle inesattezze che la curatrice della rubrica aveva scritto sulle “lune di Giove” o sull'influenza nefasta di qualche pianeta su un particolare segno. Io avevo già consultato il menù e dovevo ammettere che c'era un impressionante ventaglio di scelte: pregiate miscele di the e deliziosi dolcetti, dai biscotti allo zenzero, ai croissant farciti, fino alle torte di zucca.
Controllai il cellulare e inarcai le sopracciglia: non era da Morgana farsi aspettare, soprattutto senza avvisare. “Dai, mandale un messaggio!” mi incalzò Amy.
“Hai fretta?” le domandai in tono perplesso, considerando che era stata lei a proporre quell'incontro.
“No!” mi rispose bruscamente. “É che mi danno fastidio i ritardatari, lo sai”.
Aggrottai le sopracciglia: io stessa mi ritenevo una persona molto rispettosa su quel versante, ma credevo che quella reazione fosse piuttosto esagerata.
Allora? Le scrivi o devo farlo io?” insistette con le braccia incrociate al petto.
“Ma perché siete tutti così nervosi oggi?! C'è qualcosa nell'aria che ignoro?” domandai, quasi sperando che Luna mi illuminasse. Scossi il capo. “Persino Coulson era fuori di sé”.
 
Quella mattina c’era stato il pienone fin dalla colazione: soprattutto bambini coi genitori o gruppi di amiche che si concedevano un po' di tempo insieme, prima di andare al lavoro. Stavo ancora lustrando il bancone, ma sospirai nel sentire l'ennesima tiritera di Rankin che, in quel momento, stava dando il tormento ai colleghi che stavano sparecchiando e pulendo i tavoli, approfittando di quel momento di quiete. La povera Hannah, di temperamento tanto insicuro e sensibile, aveva le guance imporporate per l'ennesimo richiamo. Persino Christian cominciava a dare segnali di esasperazione: aveva chiesto cortesemente a Rankin di non vessare la ragazza, ma quest'ultimo lo prese di mira. “Ma quanto ci metti?!” lo incalzò con le mani sui fianchi e la voce petulante. “Hai visto quanti tavoli dovete ancora pulire?!” indicò la sala con le braccia aperte.
Strappò dalla mano della giovane il panno per mostrare i movimenti, a suo dire, più corretti ed efficienti. “Visto?” si rivolse anche a Christian che, per la distrazione, quasi si lasciò cadere di mano una tazzina. Fortunatamente riuscì a recuperarla con degli ottimi riflessi, ma ciò non gli risparmiò l'ennesimo rimbrotto. “Ma che cos'hai questa mattina, si può sapere?! Meno male che non guidi, o chissà quanti incidenti causeresti...”
“Rankin... ” mi sentii in dovere di intervenire. “Lasciali lavorare-”
Rimasi senza parole, quando mi accorsi dell'espressione sul volto di Coulson: aveva le sopracciglia aggrottate e gli occhi sgranati. Lentamente, un sorriso sardonico gli increspò le labbra. Ma anziché ammorbidirne i lineamenti, sembrò renderli meno gradevoli, quasi inquietanti. “Guarda come sono veloce adesso, Rankin!” gli disse in un sibilo. Con un movimento rapido, spinse un set di piattini, tazze, cucchiai e forchette da un lato, rovesciandolo sul pavimento di proposito[3]. Il rumore dei cocci infranti sembrò simile a quello di uno sparo e tutti ci bloccammo con espressione shockata, compreso il despota della situazione che era istintivamente indietreggiato.
La stessa Madama Bumb parve incredula di fronte alla spiegazione ricevuta, ma con tono brusco invitò il responsabile a pulire il disastro, promettendogli che avrebbe riferito tutto a Riddle.
“Naturalmente” fu la sua tranquilla risposta. “Chiedo scusa, non si ripeterà più”.
Non mi sorprese sentire Riddle alzare la voce, nonostante si fossero chiusi nel suo studio, ma non volle convocare Rankin per avere la sua testimonianza, cosa di cui quest'ultimo sembrò molto deluso. All'uscita, mi accorsi che il cognome Coulson era stato depennato dalla lista per la competizione al “dipendente del mese”.
 
Avevo descritto loro la scena nella maniera più esaustiva possibile per rendere l'aneddoto ancora più accattivante. Luna aveva persino smesso di leggere e aveva assunto un'espressione concentrata.
“Sapete di che segno sia quel ragazzo?”
Scossi il capo per farle intendere che non ne avessi la benché minima idea, ma mi stranii nel notare che Amy, ben lungi dall'essere divertita, si era infuriata.
“Mi stai dicendo che non l'ha licenziato?!” mi domandò conferma con le sopracciglia aggrottate e il viso arrossato. “Veramente?!” La voce divenne stridula, come ogni volta che era in procinto di perdere il controllo. “Io sono stata trattata come una merda! E solo perché volevo aiutare Neville! E mi conosceva da anni!” continuò la sua sfuriata, facendomi rimpiangere amaramente di aver avuto la brillante idea di raccontarle tutto, nella speranza di distrarla dal pensiero di Morgana. “Quello stronzo è arrivato da due giorni, fa i turni a suo piacimento, rompe deliberatamente un servizio intero e non prende neppure una sospensione! Quello stronzo!” concluse quasi in falsetto. Era impressionante la quantità di parole che riusciva a pronunciare in un solo fiato, anche quando era agitata. Il suo range vocale raggiungeva note altissime che avrebbero destato l'invidia persino di una cantante lirica.
“Come sarebbe a dire « quello stronzo »?” domandai in un sussurro per non attirare ulteriormente l'attenzione altrui. Trovavo più che giustificabile che fosse ancora risentita per il trattamento ingiusto riservatole da Riddle, ma non riuscivo a spiegarmi perché si era così accalorata contro un collega con il quale non c'era mai stato un vero e proprio dialogo, se non dei cordiali saluti.
“SONO TUTTI STRONZI!” ribadì prontamente, attirando l'attenzione di altri tavoli e inducendomi a sprofondare maggiormente nella poltroncina, quasi volessi sotterrarmi. “Come fai a non indignarti?!” mi incalzò. “É un'evidente discriminazione di genere! Noi abbiamo rischiato il licenziamento per molto meno!”
“Non stai esagerando?” le domandai, pur sapendo che stavo rischiando di farla ulteriormente sbottare. “Christian è sempre stato l'essenza della quiete e conosci Rankin meglio di me... e poi, scusa, perché ce l'hai tanto con lui?”
“E perché tu invece lo difendi?!” mi interrogò aspramente. “É uno dei tanti raccomandati e ha pure gli scatti da psicopatico, magari si scopre che lui e Riddle sono parenti!”
Sospirai. In tutta onestà non mi sentivo tanto migliore del collega, considerando alcuni episodi della mia storia lavorativa in quel pub, ma ritenevo plausibile che il datore di lavoro avesse considerato il temperamento del suo dipendente che era stato irreprensibile fino a quel momento. Dopotutto una giornata storta capitava a tutti, persino alle persone notoriamente più pacate. “Capisco che tu sia ancora offesa, come è giusto che sia... ma non hai motivo per avercela così tanto con lui. Non ti aveva anche ritrovato il braccialetto che avevi perso?”
Si trattava di un monile con un ciondolo che rappresentava una chiave di violino a cui era particolarmente legata e che aveva perso qualche mese prima, quando eravamo ancora colleghe. Si era rivolta a tutto lo staff, persino ai magazzinieri, ma era stato proprio Coulson a ritrovarlo e a restituirglielo.
E questo che vuol dire?” Aveva una replica pronta per smontare ogni mia obiezione. “Avrebbe potuto trovarlo chiunque! No, te lo dico io: o ha ricevuto un bel calcio nel culo per essere assunto, oppure è parente di Riddle! Altrimenti non si spiega!”
Inarcai le sopracciglia. “Mi stai nascondendo qualcosa?”
“Un bel niente! Odio tutti i maschi, sono tutti stronzi! Fanculo tutti!” ripeté e, per lo scorno, lasciò cadere il menù sul tavolino come se anche quell'oggetto le avesse fatto un grave torto.
“Hai controllato il suo oroscopo, Luna?” domandai alla biondina, quasi nella speranza che potesse asserire qualcosa di positivo che ne migliorasse l'umore.
“Naturalmente” rispose lei con la sua voce velata e lievemente trasognata. “Lei e il tristo figuro si stanno avvicinando sempre di più, ma sfortunatamente le loro aure non sono ancora in sincronia... ” spiegò con la tipica serietà.
La sua coinquilina, a giudicare dallo sguardo sdegnato, era in procinto di una nuova invettiva, ma fu con autentico sollievo che riconobbi una silhouette familiare. “Ecco Morgana!” la indicai con un cenno del mento.
La nuova arrivata appariva basita nello scrutare quel nuovo ambiente, forse domandandosi se si trovasse nel luogo giusto ma, dopo averci individuato, camminò rapidamente verso di noi. Mi accorsi, con maggiore perplessità, che si stava trascinando dietro Sean che appariva piuttosto esasperato.  Nel weekend uscivamo spesso in una compagnia allargata, ma durante la settimana preferivamo degli incontri tra ragazze che erano più idonei a scambiarci aggiornamenti, pettegolezzi o lamentele sul lavoro o sulle nuove conoscenze.
“Finalmente!” l'accolse Amy, con le guance ancora arrossate per lo sfogo precedente. Sperai con tutto il cuore che le due non cominciassero a pizzicarsi subito. Osservò a sua volta Sean con espressione confusa. “Dobbiamo aggiungere una sedia”.
“Non mi trattengo, tranquille” precisò Sean, con le mani sollevate, dopo averci rivolto un saluto generale. Avrei giurato che fosse impaziente di andarsene.
“Va tutto bene?” gli domandai.
Lui mi scrutò con espressione assorta e si passò una mano tra i capelli: era evidente che stava scegliendo le giuste parole. Morgana, che aveva appoggiato di malagrazia la sua borsa sulla sedia vuota, levò gli occhi al cielo e gli rivolse uno sguardo minaccioso. “Avanti, diglielo o glielo dico io” lo pressò.
Mi rivolse uno sguardo contrito e colpevole. Luna abbandonò del tutto la sua lettura e scrutò Sean con tanto d'occhi, quasi fosse una qualche creatura magica che non aveva considerato fino a quel momento con la dovuta attenzione.
“Devo dirti una cosa, Sarah, ma spero che non salterai subito alle conclusioni più nefaste... ” esordì in tono cauto che non fece che alimentare la mia tensione.  “Non vorrei mai causare qualche guaio tra te-”
Morgana lo interruppe: “Emma ha messo gli occhi su Bradley!” dichiarò con voce stentorea.
Mi mancò il fiato e sbattei le palpebre a più riprese, ma fu Amy la prima a reagire, serrando i pugni e guardando la coppia con sopracciglia aggrottate. “Quella maledettissima serpe!” strillò. “Che cos'ha fatto stavolta?!”
Sean guardò la sua ragazza con espressione di rimprovero, prima di appoggiarmi la mano sul braccio. “Questo è quello che sta deducendo lei” precisò. “Io ho solo visto che Emma stava entrando nel suo ufficio”.
“Non è una semplice ipotesi, è evidente che stia tramando qualcosa!” rincarò la moretta.
“Strega maledetta, stronza!” cominciò a squittire Amy con sempre più vigore, prima di assumere un'espressione seria e profondamente concentrata. “É l'occasione perfetta: si vendica di te, di Tom che ne era geloso e ci guadagna anche perché è un bel ragazzo. Prendi 3 e paghi 1!”.
Bernie ha ragione![4]” la plaudì Morgana. In simili circostanze il loro modo di pensare era pressoché lo stesso.
Il ragazzo scosse il capo e continuò a osservarmi con espressione incoraggiante. “State dimenticando che Bradley è dotato di libero arbitrio e ha già inquadrato Emma da tempo”.
“E tu non dici niente?” mi interpellò Amy.
Mi sentivo come se fossi immersa in una bolla di sapone e le loro voci mi giungessero da molto lontano, ma Morgana mi ghermì il braccio, cercando di farmi alzare. “Adesso noi torniamo a casa e ti aiuto a metterti in tiro. Poi ti presenti a casa di Bradley, con il pretesto di fargli una sorpresa, e ti fai raccontare tutto”.
Mi liberai gentilmente della sua stretta e scossi il capo: “Vi ringrazio del vostro interessamento, ma non ho bisogno di tendere un agguato a Bradley... ” risposi in tono cauto, cercando di tranquillizzarli. Soprattutto Sean che era in particolare difficoltà di fronte a quelle cospirazioni femminili. 
“Come?!” mi domandò Morgana incredula.
“Allora andiamo noi a occuparci della megera!” suggerì Amy con enfasi, quasi avesse il bisogno spasmodico di dirottare la sua rabbia verso qualcuno. Preferibilmente una persona a lei sgradita.
Dovevo ammettere che l'idea di un colloquio privato tra loro mi confondeva e non mi lasciava presagire nulla di buono. Tuttavia non dovevo temere che gettasse del fango su di me, perché avevo già confessato tutto a Bradley. Sarebbe stato insopportabile il pensiero contrario. Al contempo, tenendo conto dei nostri precedenti, non potevo essere incauta. Era evidente che Emma non fosse soddisfatta dal regolamento di conti tra me e il suo ex. Sicuramente aveva sperato che io mi ritirassi dallo spettacolo. Stava semplicemente cercando un altro modo di incastrarmi e avrebbe approfittato della posizione di Bradley nel corpo docenti. Sean aveva ragione: il ragazzo in questione era tutt'altro che sciocco e molto probabilmente più avvezzo di me ad avere a che vedere con persone simili. Guardai le mie amiche intensamente, nel tentativo di persuaderle ad appoggiare la mia posizione. “Bradley mi ha concesso una seconda occasione… io non ho mai avuto motivo di dubitare di lui. Naturalmente non mi fa piacere il pensiero che lei voglia usarlo, ma sono più che sicura che saprà rimetterla al suo posto... e senza un nostro intervento”.
Il giovane sembrò rilassarsi istantaneamente, al contrario delle due ragazze che si scambiarono uno sguardo eloquente.
“Ti fidavi anche di Tom...” mi ricordò Morgana.
“Non essere ingiusta” la rimproverò Sean con le sopracciglia aggrottate. Avevo il sospetto che lui stesso si sentisse ancora punto nel vivo e che quelle parole lo mortificassero. “Bradley merita il beneficio del dubbio e non è qui per difendersi”.
La ragazza gli sorrise sarcastica: “Eppure non eri così tranquillo, quando mi hai spifferato tutto”.
Sospirò. “Non volevo accusare nessuno, soprattutto senza alcuna prova” precisò prima di rivolgersi a me.  “In quanto tuo amico, sentivo che era giusto dirtelo, anche se sono più che sicuro che Bradley non te lo terrebbe mai nascosto”.
Gli sorrisi di tutto cuore per tranquillizzarlo.
“Allora sei proprio sicura?” tentò nuovamente la mia coinquilina.
“Sicurissima”.
Amy, da parte sua, aveva continuato a rimuginare, ma alle mie parole sospirò. Inclinò il viso di un lato e si rivolse alla mia coinquilina: “Tu continua a controllare i loro profili: non si sa mai”.
“Oh, puoi giurarci che lo farò” confermò. “Ne avevo proprio l'intenzione, a prescindere”.
Il ragazzo aveva sospirato con espressione stoica prima di sorridere con maggiore dolcezza: “Vi lascio al vostro meeting, buona continuazione”. Si era sporto verso Morgana per lasciarle un bacio che lei aveva ricambiato brevemente, prima di accomodarsi.
Seguii Sean con lo sguardo e le rivolsi un'occhiata confusa. “Va tutto bene tra voi due, vero?”
“A meraviglia” ribatté lei senza guardarmi. Allungò le dita verso il menù e prese a studiare il listino dei prodotti.
Non ero l'unica ad aver notato una certa rigidità, perché anche Amy la guardò di sottecchi: “Ti sei infrigidita?”.
L'altra sollevò lo sguardo e le rivolse un sorrisetto beffardo: “Tu, piuttosto, piccola sgualdrina, sei andata a letto con qualcun altro mentre eravamo distratte?”
Arrossì e sgranò gli occhi, prima di incrociare le braccia al petto e lanciarle un'occhiataccia: “Morgana, che cavolo!
Una fortuna che stessero parlando nella mia lingua madre, o sarebbe stato piuttosto imbarazzante, di fronte al sorriso stucchevole della proprietaria. “Siete pronte per ordinare, signorine?”
 
~
 
Mi guardai attorno e mi sentii felice: non c'erano dubbi. Si trattava dello stesso giardino in cui tutto era iniziato e forse, finalmente, avrei appreso la verità tanto attesa. Mi avvicinai al gazebo e sedetti sulla panchina. Socchiusi gli occhi e mi concentrai, quasi volendo captare ogni suono e ogni possibile profumo che confermasse le mie impressioni. Udii uno scalpiccio di passi e mi volsi in quella direzione. Sentii il cuore salirmi in gola quando lo riconobbi.
“Lo speravo” mormorai con voce grondante di sollievo e quasi commossa. “Volevo che fossi tu!” Attesi che mi raggiungesse, trattenendomi a stento dal coprire la distanza tra noi.
Bradley sorrise con uno scintillio tenero nello sguardo. Inclinò il volto e le sue parole furono come una carezza: “Ti aspettavo, sai?”
Mi avvicinai e allungai le braccia al suo collo, ma lo attraversai come se la sua figura non avesse consistenza.
Solo allora mi accorsi della vera destinataria delle sue attenzioni. Sgranai gli occhi e boccheggiai nel riconoscere il vestito azzurro che indossava. Mi soffermai sulle perline che impreziosivano il corpetto e sulla lunga gonna scintillante. Si trattava del mio abito[5].
“Non è possibile!”
“Lo so” rispose lei con voce soffusa e civettuola. Lo cinse e appoggiò il mento sulla sua spalla.
Una profonda angoscia mi attraversò e un brivido freddo mi scivolò lungo la spina dorsale, quando mi rivolse un sorrisetto perfido. Rise del mio stupore, accarezzando la nuca del ragazzo, ma continuando a fissare me. Evidentemente crogiolandosi del mio dolore.
“Davvero pensavi che fosse qui per te?”
La ignorai, sentendomi vicina alle lacrime, ma pronunciai il nome del ragazzo con voce flebile.
Lei rise con persino maggiore godimento. “É inutile, tanto non ti sente” mi disse e si scostò. Allungò una mano a sfiorargli la gota e si sollevò sulle punte, protendendo le labbra verso il suo volto.
“Nooooo!”.
 
Finiscila. Non era reale.
Avevo continuato a ripetermi quelle parole per tutta la giornata e avevo perso il conto. Cercavo in tutti i modi di tenermi occupata, per evitare di cadere nella pura e semplice paranoia. La mancanza di lezioni in Accademia, quel giorno, non mi aveva reso le cose più semplici.
 
Morgana mi aveva svegliato con uno scossone.
“Oddio ” avevo ansimato. Mi ero appoggiata alla testiera del letto e mi ero accostata una mano al petto, laddove il mio cuore continuava a scalpitare furiosamente.
La mia amica aveva incrociato le braccia al petto e mi aveva squadrato con espressione fin troppo consapevole. “Guai nel Regno Incantato? Il tuo Principe è diventato un ranocchio o, peggio ancora, si è trasformato in Tom?”
Le guance mi stavano ardendo per l'imbarazzo e non avevo potuto fare a meno di sentirmi stupida. In altre circostanze lo avrei raccontato per schermirmi e riderci sopra, ma non potevo permettermelo. Non dopo aver insistito più volte sulla mia posizione. Avevo riflettuto rapidamente per improvvisare una bugia plausibile. “Stavo sognando lo spettacolo... e ho scoperto di essere nuda davanti a tutti. E di non ricordare neppure una battuta”.
Era molto scettica, ma si era stretta nelle spalle. “Farò finta di crederci”.
 
Scossi il capo per l'ennesima volta, ma presi a strofinare con maggiore vigore il pavimento umido.
Mancava pochissimo allo spettacolo: era ovvio che Bradley fosse sommerso d’impegni con Lupin e di appuntamenti con gli studenti, ma si era comunque premunito di mandarmi qualche messaggio durante la giornata. Non mi sarei trasformata in una versione assillante e appiccicosa di me stessa.  Soprattutto, non avrei continuato a proiettarmi film mentali sul suo misterioso colloquio con Emma.
É solo uno stupido sogno: hai rielaborato la tua preoccupazione inconscia. Me lo ripetei diverse volte, riprendendo quel lavoro monotono.
“Mi domando cosa possa mai averti fatto di male quel pavimento”.
Sussultai e, con lo scopettone ancora tra le mani, mi volsi a contemplare il giovane. Notai che indossava uno di quei completi che esibiva durante le lezioni e si era appoggiato col braccio allo stipite della porta. Il suo viso appariva piuttosto stanco, ma era anche spudoratamente affascinante. Inarcò le sopracciglia e sollevò le mani: “Scusami, non volevo spaventarti: non hai risposto al mio ultimo messaggio e mi sono ricordato che avevi il turno serale”.
“S-Scusami tu... ero sovrappensiero” balbettai imbarazzata anche per la mia mise tutt'altro che elegante o piacevole alla vista, dopo un turno serale in cui mi ero persino macchiata.
Inclinò il viso di un lato e mi osservò attentamente: le labbra si distesero a disegnarne un'espressione comprensiva, mentre si avvicinava. “Giornata lunga?”
Sollevai le spalle. “Non quanto la tua, a quanto vedo: sembri sfinito...”
Annuì. “Ho avuto il pomeriggio pieno tra Lupin e i tuoi colleghi...” spiegò. Si chinò a lasciarmi un bacio sulla guancia e arricciò la punta del naso: “Carino questo retrogusto di detersivo, mischiato al tuo profumo”.  Ammiccò con aria complice.
“Troppo gentile...” mormorai per risposta per poi scuotere il capo. “Non dovevi disturbarti: Sean verrà a prendermi tra poco”.
“L'ho già avvisato” mi rassicurò. “Non mi andava di finire anche questa giornata senza vederti... anche in questa versione da Cenerentola” aggiunse in tono sbarazzino.
Lasciai cadere il bastone di slancio, allungai le braccia al suo collo e mi appoggiai al suo petto per un breve istante. Ne sentii la sorpresa ma fu un solo attimo e le sue braccia mi cinsero con naturalezza. “Sono felice che tu sia qui.” sussurrai contro la sua camicia. “Anche se odoro di sapone per i pavimenti”.
La sua risata mi sfiorò l'orecchio, ma si divincolò delicatamente. “Potremmo sederci un paio di minuti? Devo parlarti di una cosa piuttosto importante”.
Il suo volto non lasciava traspirare nulla di preoccupante, ma il pensiero di Emma tornò a balenarmi in mente. “Ma certo”.
“Non finirai nei guai con Riddle, vero?”
“Tranquillo, è già andato via” lo rassicurai. “E poi tu lavori per Silente: questo dovrebbe renderti immune... almeno fino allo spettacolo”. Mi avvicinai al primo tavolo libero e mi sedetti, in attesa che facesse lo stesso.
Sembrò cercare le parole per un breve istante, ma il suo volto non appariva agitato e la sua voce era tranquilla come di consueto. “Ieri si è presentata Emma nel mio ufficio e mi ha chiesto aiuto... si sta occupando anche lei di una rappresentazione teatrale”.
Corrugai le sopracciglia istintivamente, non potendo fare a meno di pensare che si trattasse di un pretesto, soprattutto considerando che Bradley era l'Assistente di Lupin e non di tutto il corpo docente. Annuii. “Me lo aveva accennato” risposi con uno scrollo di spalle. “Ma non posso fare a meno di sospettare che ci sia dell'altro”.
Sorrise. “Avevo lo stesso presentimento, ma ero molto curioso e le ho permesso di accomodarsi” continuò a spiegare. “Dopo pochi minuti è stato palese che non fosse alla ricerca di consigli... ” si concesse un sorriso più ironico e ammiccò appena. “Anche se in tutta onestà ne avrebbe davvero bisogno”.
Ridacchiai e inclinai il viso di un lato: “Non lo dici solo per farmi un favore, vero?”
“Affatto... ” rispose in tono più serio. “Le ho detto, con tutta la delicatezza possibile, che non credo che la recitazione sia davvero la sua strada...”
Sgranai gli occhi e dovetti restare seria, ma già pregustai il momento in cui avrei spifferato tutto alle mie amiche. “Avrei dato oro per assistere” gli confessai.
Inarcò le sopracciglia: “Ciononostante devo dire che è abbastanza esperta, quando si tratta di accattivarsi la compassione e la simpatia altrui. Ha ammesso che una delle motivazioni più forti per iscriversi all'Accademia è stata la relazione in corso con Tom”.
Mi feci pensierosa. “Ricordo che lui disse qualcosa di simile: con il nesso di poi è stato oltremodo egocentrico ed egoista a non cercare di dissuaderla” riflettei con un sospiro. “Anche se questo non la giustifica... ” mi affrettai ad aggiungere.
“Si dice comunque intenzionata a completare la formazione” continuò Bradley, per poi sporgersi in mia direzione e appoggiare la mano alla mia. Fu come se silenziosamente mi stesse informando che stesse per giungere alla parte più “delicata”. “A quel punto si è presa il viso tra le mani, immagino per simulare meglio il pianto... ha detto di aver perso completamente la bussola e ti ha persino nominato”.
Se avevo aggrottato le sopracciglia al pensiero che avesse voluto mostrarsi vulnerabile di fronte a lui, a quella precisazione ero rimasta senza fiato. “Ha nominato me?!”.
Annuì con vigore e un sorriso amaro gli increspò le labbra. “Diceva di capire perfettamente il tuo stato d'animo, dopo la rottura con il tuo Matthew...” pronunciò quel nome con una nota ironica che mi fece salire il rossore alle guance al ricordo della mia bugia. “Si diceva addolorata all'idea di essere stata troppo dura con te e di aver sottovalutato il tuo dolore”.
Mi irrigidii: mi sentivo colmare di rabbia e di indignazione al punto da provare qualcosa di simile alla nausea. “Ma come ha osato?!” mi sentii esclamare e la mia voce riecheggiò nella stanza. “Dopo avermi dato il tormento per quella storia e aver aizzato Tom contro di me?!”.
Il ragazzo non si scompose al mio sfogo ma strinse più delicatamente la mano che mi stava ancora trattenendo. “Devi ancora sentire il peggio...” parve ammonirmi. “Ha cercato non molto velatamente di mettermi in guardia su quanto sia semplice, in questi frangenti, cercare attenzione altrove e gettarsi tra le braccia del primo potenziale corteggiatore”. Stava masticando quelle parole come se fossero velenose e la mascella gli si era notevolmente irrigidita.
“Aspetta... ha insinuato che tu saresti il rimpiazzo di Tom?” gli domandai con voce quasi stridula per lo scalpore.
Un lampo di rabbia gli attraversò lo sguardo e annuì. “Ha persino proposto un'interpretazione fatalistica degli ultimi mesi: tu e Tom vi meritereste a vicenda.”
Sentii un verso gutturale salirmi dalla gola, una risata mista a un ruggito. Mi ero drizzata in piedi e avevo cercato di inspirare ed espirare per qualche istante a occhi chiusi. Ricordai i nostri incontri: la presentazione, il dialogo che aveva dato vita all'equivoco sul finto Matteo, le sue continue richieste e insistenze sull'argomento, quell'ammonimento velato dopo le vacanze natalizie, fino allo sguardo che mi aveva lanciato di recente.
 
“Sarah?”
Mi ero riscossa e avevo sbattuto le palpebre. Mi ero costretta a distogliere lo sguardo dal tavolo degli insegnanti, in cui Bradley era seduto al fianco di Lupin, per tornare a guardare i gemelli Phelps che erano in attesa della mia risata alla loro battuta. Avevo ancora le guance arrossate perché, pochi secondi prima, il ragazzo aveva intenzionalmente intrecciato lo sguardo al mio per poi rivolgermi un fugace ammiccamento.
“Tutto bene?” mi domandò Sean con espressione divertita.
“Scusatemi, ero sovrappensiero...” mi giustificai.
Il sorriso sulle mie labbra si era altrettanto rapidamente congelato, quando avevo incrociato lo sguardo di Emma che mi stava studiando piuttosto intensamente, neppure fingendo di ascoltare le ragazze con cui stava pranzando.
 
“Ma certo...” commentai tra me e me. Questo spiegava perché non avesse agito fino a quel momento: avevamo abbassato scioccamente la guardia e troppo presto. “Ieri in mensa!” esclamai e lasciai cadere le braccia lungo i fianchi.
“Cosa?” mi domandò lui con aria perplessa, dopo essersi alzato a sua volta.
“Mi stava praticamente facendo una scansione,” mi affrettai a spiegargli, “ha avuto la conferma che ci frequentiamo al di là dell'Accademia. Scommetto che eri già entrato nell'equazione a tua volta, se gli altri tentativi fossero falliti. Le ragazze avevano ragione: sperava di non doversi sporcare le mani e che sarebbe stato Tom a indurmi ad abbandonare lo spettacolo”.
Bradley sembrò valutare a sua volta le mie parole, ma non appariva affatto sorpreso.
Che razza di strega!” mi sentii esplodere l'attimo dopo in italiano. “Razza di vipera, subdola, doppiogiochista, ipocrita e stronza!” continuai letteralmente a ruggire, stringendo i pugni lungo i fianchi e fissando un punto indefinito, mentre pensieri incessanti continuavano ad arrovellarmi. Non mi sentivo così agitata da tantissimo tempo: avrei voluto fuggire dal pub, estorcere da qualche conoscente il suo indirizzo per poi prenderla a schiaffi. Mi riscossi quando Bradley mi cinse il braccio per attrarmi a sé.
“Sono certo che meriti ognuna di queste imprecazioni, ma lasciami finire... prima di tradurmele” mi suggerì con aria complice.
“Scusami” mormorai e assentii. “Tu cosa le hai detto?”
Assunse un'espressione piuttosto serafica e compiaciuta: la stessa che aveva rivolto alla faccia tumefatta di Tom e durante quel loro duello improvvisato. “Ho dovuto, mio malgrado, addolcire la mia precedente valutazione: in effetti, la parte della subdola manipolatrice le calza a pennello... ma le ho suggerito di guardarsi bene dal cercare di interpretare un personaggio dotato di umanità e di empatia” continuò con uno scrollo di spalle. Mi carezzò il dorso della mano prima di concludere: “Dopodiché le ho indicato la porta e le ho chiesto di non farsi più vedere”.
Lo ammiravo per la maturità e l'eleganza con cui aveva gestito la situazione. “Deve essere stato un duro colpo per il suo amor proprio”.
“Ammetto che è stato piuttosto soddisfacente vederne il disappunto e l'offesa” mormorò, ma l'allegria non durò molto sulle sue labbra. “Temo, tuttavia, che potrebbe ingegnarsi per suscitare delle tensioni o progettare nuove ritorsioni. Su di te...
“Forse dovrei autorizzare Morgana a dare il peggio di sé o lasciarla alle mani di Bernie” allusi alle mie amiche. “Non abbasserò la guardia”.
“Neppure io, ma dovremmo essere molto più prudenti in pubblico: non possiamo permetterci che usi il nostro legame per creare un qualsiasi tipo di scandalo che possa nuocere all'Accademia”.
Mi morsi il labbro inferiore, avendo un brutto presentimento. “Se volessi posticipare il nostro appuntamento...”
Aggrottò le sopracciglia. “Niente affatto, ma dovremmo limitare le interazioni all'auditorium, quindi da ora in poi... cerca di non guardarmi troppo”. Mi lanciò un'occhiata piuttosto allusiva che riuscì a farmi arrossire.
“Ci proverò” mormorai contro la sua spalla. Mi scostai dopo un attimo e lo osservai. “Devo confessarti anche io una cosa”.
Inarcò le sopracciglia e sembrò farsi più cauto. “Devo sedermi di nuovo?”.
Scossi il capo con un sorrisino. “Qualcuno mi aveva già informato di aver visto Emma entrare nel tuo ufficio”.
Parve spiazzato per qualche secondo, ma parve intuire rapidamente. “Morgana ha corrotto Sean?” mi domandò con un velo d’ironia.
“No, affatto” risposi seriamente. “Anzi, lui era profondamente combattuto”.
Sembrò confuso. “Perché non hai detto nulla finora?”
“Non fraintendermi, ti prego: non ti volevo mettere alla prova” mi affrettai a precisare. “Non mi hai mai dato motivo per dubitare di te”.
Sorrise più dolcemente e mi costrinse a sostenerne lo sguardo: “Quindi il pensiero di Emma nel mio ufficio non c'entrava nulla con il malumore evidente di poco fa?”
Mi imbronciai e mi strinsi nelle spalle con aria puerile. “Potrei aver fatto uno stupidissimo sogno al riguardo” confessai a voce bassa.
Ridacchiò, ma le iridi furono ammantate di una nuova dolcezza. “Grazie di avermelo detto” mi diede un buffetto sulla punta del naso. “Ma per quanto mi lusinghi che pensi al sottoscritto anche dormendo, non sono il soggetto ideale per gli incubi”.
“Sono d'accordo”. Mi costrinsi a scostarmi da lui e lo additai con finta aria di rimprovero. “Ma adesso è bene che tu non stia qui a distrarmi: devo finire di pulire”.
“Va bene”, acconsentì suo malgrado. “Ti aspetto di là” mi baciò nuovamente la guancia. “Sì, è decisamente profumo di solvente” confermò con aria scherzosa.
 
~
 
Era stata una lunga settimana di lavoro e di studio, ma eravamo finalmente giunti al famigerato weekend ed eravamo riusciti, finalmente, a coordinarci per organizzare una cena di Domenica sera. Sean era passato a prenderci con la consueta puntualità, ma avevo notato che Morgana non era particolarmente in vena. Le avevo persino chiesto se volesse ritirarsi e passare del tempo con il mio amico: in tal caso avrei chiesto a Bradley di darmi un passaggio, ma si era affrettata a cambiare argomento.
Nel giardinetto, fuori dal locale, trovammo già ad attenderci Amy e Luna e, poco dopo, arrivarono anche Neville, Eoin e Angel. Stavamo quindi attendendo l'arrivo di Bradley.
“Si era detto che l'ultimo pagava per tutti, vero?” domandò Eoin con un sorrisetto ironico, il braccio che cingeva la vita della sua dama che lo rimproverò blandamente.
Controllai il display del cellulare, ma Neville scosse il capo: “Meglio non chiamarlo, se sta guidando” mi disse e annuii.
Pochi minuti dopo ne riconobbi l'auto di passaggio, ma inarcai le sopracciglia quando mi parve di scorgere un'altra sagoma al lato del passeggero.
“Buonasera a tutti” salutò con un sorriso, quando fu a portata di orecchio. “Scusate l'attesa, ma ci tengo a precisare che non sia colpa mia”. Alluse a qualcuno alle proprie spalle ed io sgranai gli occhi nel riconoscerlo, malgrado avesse un taglio di capelli completamente diverso.
La figura era alta e magra, come la ricordavo, ma era messa in risalto da un lungo cappotto e i capelli erano decisamente più lunghi, tanto da incorniciargli il volto e quel filo di barba gli conferiva un aspetto più adulto. Solo in quel momento compresi che persino il suo look, era stato un dettaglio studiato per la rappresentazione, così da attribuirgli un alone più goffo e accentuarne la naturale comicità. Potevo affermare, senza alcun dubbio, che il suo aspetto “in borghese” era decisamente più attraente[6].
“Ancora non mi hai presentato e già mi incolpi” lo rimproverò in modo plateale. “Poi ti domandi perché a Londra non si senta la tua mancanza, faccia di asino”.
Sentii la mezza imprecazione, in tono piuttosto trasognato, mormorata da Amy nella nostra lingua madre e le risatine causate da quel bisticcio, ma mi affrettai ad avvicinarmi con un sorriso. “Ma che bella sorpresa: ciao Colin!”
“Ahimè, è proprio lui”, mormorò Bradley, simulando uno stato d'animo tutt'altro che lieto, “è giunto piuttosto in anticipo e ovviamente sarò costretto a farmi carico del suo alloggio”.
Il moretto sollevò gli occhi al cielo, ma mi rivolse un sorriso lieto e mi abbracciò brevemente: “Ciao Sarah, mi fa molto piacere rivederti”.
Ne ricambiai il gesto e lo ammirai con reale ammirazione: “Ti trovo benissimo”.
“Non fargli montare troppo la testa, Milady” replicò il biondino con un sorrisetto di scherno. Mi era già stato evidente quella sera a Londra che il loro modo di interagire fosse coronato da una lieve traccia d’ironia, ma sempre accompagnata da un sorriso che tradiva il reale affetto reciproco.
Approfittò della vicinanza per cingermi la vita e baciarmi la guancia: “Io trovo che tu stia benissimo” mormorò al mio orecchio, strappandomi un sorriso.
Stavo per rivolgergli un analogo complimento, ma Colin si schiarì la gola per richiamare la mia attenzione. “Questo galletto mi ha parlato per ore dell'Accademia e della vostra rappresentazione...” mi disse con voce calorosa. “E di te ovviamente... ” aggiunse con un sorriso più complice.
“Invece Sara, come al suo solito, è stata fin troppo sintetica... ” intervenne Morgana, senza la benché minima traccia di timidezza o d’insicurezza.
“È giusto che vi abbia parlato solo delle vere bellezze della città” fu la pronta replica di Bradley.
“Vieni, ti presento ai miei amici” invitai Colin e lui mi seguì.
“Spero non vi dispiaccia se mi sono unito... ” si schermì con un sorriso adorabile.
A giudicare dal modo in cui Amy lo stava rimirando si sarebbe detto tutto il contrario.
“Ti presento Morgana, la mia coinquilina e amica di vecchia data” iniziai le presentazioni con la coppia più vicina. Colin le porse prontamente la mano, non prima di averla contemplata come se si fosse trattata di un'opera d'arte. Aveva leggermente sbattuto le palpebre e mi era parso che il pomo d'Adamo pulsasse, prima che ritrovasse il consueto savoir-faire. “Questo è Sean, il mio pen-friend, nonché suo ragazzo”.
Forse ero condizionata da quel piccolo alterco a cui avevamo assistito alla sala da the, ma avevo l'impressione che quest'ultimo fosse più rigido del solito quando gli porse a sua volta la mano per stringergliela. “Questa è Amy, la mia ex collega, ” allusi all'altra ragazza che aveva le guance più colorate del solito, la voce tremula ma un sorriso sincero. “Luna, la sua coinquilina” allusi alla biondina che lo stava studiando con la consueta attenzione che riservava a una nuova conoscenza. Afferrò la mano di Colin per studiarla rapidamente, strappando a Bradley una risatina. “Diglielo pure, Luna, che la linea del fallimento è più lunga di quella della vita... ” le suggerì.
“Non esiste nessuna linea del fallimento”, rispose Luna con voce fin troppo seria, evidentemente non avendo colto l'intento scherzoso.
Finii di presentargli il resto della compagnia e, finalmente, entrammo nel bel locale e chiedemmo al cameriere di aggiungere un coperto al nostro tavolo. Bradley e Amy si posero ai due capotavola, alla sinistra di Bradley c'eravamo io, Morgana, Sean e Luna. Alla sua destra Colin, Eoin, Angel e Neville[7].
“Allora, Colin, raccontaci di te” lo incoraggiò Morgana, dopo essersi tolta il cappotto.
“Ti prego, non dargli troppa corda” intervenne Bradley che aprì il menù perché lo guardassimo entrambi.
Colin non si fece pregare e raccontò molti aneddoti dell'Accademia di Londra, talvolta aiutato dall'amico. Fu molto interessato a conoscere le nostre occupazioni e il modo in cui ci fossimo reciprocamente conosciuti, fino a creare quella comitiva a cui Bradley si era aggiunto recentemente.   Non era sorprendente il fatto che Morgana fosse divenuta la “reginetta” della serata. Neville e Luna erano concentrati in una loro conversazione personale, tanto che le guance del mio amico si tingevano spesso di un colorito rosato. Eoin, come sempre, assolveva il ruolo del festaiolo della serata e non mancava di raccontare gli aneddoti più divertenti del pub o delle sue disavventure da magazziniere. Notai, invece, che due persone non erano particolarmente ciarliere. Da un lato vi era Sean, il cui sorriso plastificato non si estendeva agli occhi. Dall'altro vi era Amy che si perdeva nelle proprie elucubrazioni e di rado interveniva, soprattutto se le era rivolta una domanda o un'osservazione, ma anche la sua allegria appariva una semplice proforma. Quando la vidi alzarsi per andare al bagno, dopo aver effettuato le ordinazioni, mi offrii di accompagnarla.
Dopo essermi chiusi la porta della toilette alle spalle, la trovai di fronte allo specchio mentre cercava di acconciare i capelli che le destavano non poche difficoltà vista la lunghezza media che avevano raggiunto, da quando aveva iniziato a farli ricrescere.
“Va tutto bene?” le domandai, mentre m’insaponavo accuratamente le mani.
“Sì, perché?” si mise subito sulla difensiva, senza tuttavia incontrare il mio sguardo.
“Ho l'impressione che tu non ti stia divertendo molto questa sera” spiegai cautamente. “Mi dispiace se l'arrivo imprevisto di Colin ti ha dato fastidio”.
“Non è per lui” mi rassicurò e scosse il capo. “Anzi, non mi dispiacerebbe se Bradley ogni tanto ci presentasse qualche altro esemplare britannico. Non mi avevi detto che era così figo, tra parentesi”.
“Lo so” ammisi e ridacchiai. “Era molto carino anche quella sera, ma con questo look è veramente una bomba!”
“Un'altra persona di nostra conoscenza è d'accordo... ” mi fece notare con uno sguardo piuttosto eloquente.
“Non credo che stia realmente flirtando con lui” mi sentii quasi in dovere di difenderla, seppur avessi avuto un brutto presentimento. Mi balenò un'idea in quello stesso istante. “Potrei chiedere a Bradley di organizzare un'uscita a quattro, così tu e Colin potreste... ”
Non riuscii a finire la frase perché scosse il capo con convinzione e m’interruppe. “Non ti azzardare!” mi ammonì con voce acuta.
Mi morsi il labbro mortificata. “Lo so che con Daniel non è andata bene, ma...”
“Non si tratta di questo... ” sbuffò e sembrò quasi infastidita al mio sospetto. “Dopo quello che è successo con Dario, non voglio saperne di uomini per un bel po'... ” dichiarò in tono serio e determinato.
“Comprensibile” convenni con un sospiro, seppur non si spiegasse perché apparisse di umore così lugubre. “Non ti fa comunque piacere che sembri affascinato da Morgana, vero?”
Sospirò. “Non si tratta di lui personalmente” specificò con serietà. “Per quanto sia un bel vedere, non ho intenzione di umiliarmi per un perfetto sconosciuto. É una questione di principio: per una dannata volta mi farebbe piacere che qualcuno notasse me. É tanto sbagliato?” mi domandò con una nota di stanchezza.
Mi affrettai a rassicurarla. “Affatto. Credo di capirti perfettamente.”
“Voglio bene anch’io a Morgana, anche se non lo ammetterei neppure sotto tortura, ma perché deve essere sempre lei?!”
Non avevo mentito per pura cortesia: era una domanda che spesso e volentieri mi ero posta a mia volta, seppur non avessi spesso il coraggio di ammetterlo neppure a me stessa. Avevo sempre avuto un carattere piuttosto introverso. Lei era sempre stata l'opposto: estroversa, stuzzicante e carismatica. Tutti la notavano persino quando entravamo in un bar per comprare un trancio di pizza e immancabilmente riceveva complimenti o sguardi di ammirazione da tutti. Talvolta qualcuno estendeva tale apprezzamento alla sottoscritta, ma avevo sempre l'impressione che si trattasse di un atto di puro “garbo” per non farmi sentire, al confronto, “il brutto anatroccolo”. Era sorprendente come talvolta, da adulta, continuassi a sentirmi così in sua presenza. Avevo capito con il tempo che dovevo lavorare su me stessa e sulla mia autostima perché nulla sarebbe cambiato, fin quando io mi fossi sentita invisibile al suo cospetto.
“Non ti nascondo che me lo sono chiesta per anni e anni...” confessai. “La sua non è soltanto bellezza fisica, ma ha molto a che vedere anche con la sua personalità e il suo amor proprio che non fanno che alimentare la sua capacità attrattiva”, cercai di spiegarle. “Quello spirito che manca a persone più introverse e insicure come noi”.
Parve incuriosita ma annuì e, ancora una volta, mi resi conto che avevamo molto in comune, malgrado avessimo vissuto distanti per la maggior parte delle nostre vite. “Deve essere stato difficile imparare a conviverci...”
“Maturando ho capito che non era giusto fargliene una colpa. Ogni volta che le esprimevo il mio disagio, la facevo soffrire... Morgana è e sarà sempre la ragazza più bella che io abbia mai conosciuto, ma questo non significa che io debba sentirmi insignificante al suo confronto. Ho cominciato a concentrarmi di più su me stessa: è un lavoro costante e mi capita tuttora, in giornate storte, di sentirmi come ai tempi del liceo, quando tutti facevano la fila per lei o mi avvicinavano per avere il suo numero... o neppure mi notavano”.
“Davvero?”
Annuii con serietà, perché non pensasse che le stessi rivolgendo quelle parole per pura e semplice empatia. “Ricordi quando Bradley è arrivato e non vi ho detto nulla?”
“Certo” ricordò con le sopracciglia aggrottate. “Che c'entra?”
Mi morsi il labbro. “In fondo al cuore avevo il terrore al pensiero del loro incontro: cosa avrei fatto se, una volta conosciuta Morgana, si fosse rese conto che io, al confronto, non ero poi questo granché?” Mi sentii infiammare le guance per l'imbarazzo. Non lo avevo confidato a nessuno, men che meno alla diretta interessata. “Continuavo a dirmi che, se ci fosse stata anche lei a Londra, forse le cose sarebbero andate diversamente”.
Sbatté le palpebre e boccheggiò appena. “Pensieri masochisti ne abbiamo?” mi domandò in tono scherzoso per stemperare la gravità di quanto avevo appena detto. Si fece nuovamente seria. “Certo, l'avrebbe notata e forse prima di te, senza offesa, ma penso che, in quanto a sicurezza, siano troppo simili e finirebbero con l'uccidersi reciprocamente”.
Ridacchiai al pensiero. “Come ben sai si sono incontrati e lui non ha mai vacillato a causa sua”. Tornai a osservarla attentamente: “Vorrei poterti promettere che presto sarà anche il tuo momento, ma ti incoraggio fin da adesso a prenderti cura di te stessa e, soprattutto, a ricordarti che meriti di trovare qualcuno di altrettanto prezioso. Non accontentarti di meno, promesso?”
Si schermì con uno scrollo di spalle, quasi volesse sminuire il suo momento di sfogo, ma l'espressione si era addolcita. “Accadrà quando deve farlo: tu non avevi certo programmato di incontrarlo, quando sei andata a Londra... e Morgana di certo non ti ha seguito per imbattersi in Sean”.
Annuii con vigore. “Ben detto” approvai con una strizzatina d'occhi. “Torniamo al tavolo?”
Finì di riordinare la pettinatura e mi guardò in tralice. “Fammi una cortesia: che questa chiacchierata resti tra noi.”
Simulai un'espressione perplessa. “Non so di cosa tu stia parlando”.
“Meglio così” approvò con un cenno del capo. “Dopo di te”.
 
~
 
Rimuginai sulle interazioni tra Morgana e Colin persino dopo aver ricevuto un dolcissimo messaggio da parte di Bradley. Il giorno dopo, in Accademia, il giovane fu l'ospite d'onore e le reazioni della classe furono molto analoghe a quelle dimostrate all'arrivo dell'amico: le ragazze gli sorridevano e apparivano in procinto di “sciogliersi” al suo passaggio, i ragazzi erano incuriositi e Tom piuttosto infastidito. Il nuovo arrivato lo aveva salutato con una certa freddezza: intuii che Bradley gli avesse raccontato tutto. Alla fine delle prove mi fece non pochi complimenti e punzecchiò il suo compare, sostenendo che rientrava nella categoria del: “chi è incapace, insegna”. Silente lo accolse con altrettanto calore, invitandolo a fare un tour dell'Accademia e si disse dispiaciuto del dover attendere ancora per l'arrivo del Signor Head.
Quel giorno Sean ed io ci ritrovammo alla fine delle lezioni: forse ero condizionata dalle mie elucubrazioni notturne, ma mi appariva più cupo del solito.
“Va tutto bene?”
Sembrò colto alla sprovvista, ma si affrettò a sorridere: “Ma certo, perché me lo chiedi?”
“Ho la netta sensazione che tu non sia rimasto soddisfatto dalla cena di ieri sera”.
Sospirò. “Sono sicuro che Colin sia una brava persona”, si affrettò a precisare.
“Lo è, ” confermai, “e credo che, come chiunque altro, sia rimasto incantato da chi-sappiamo-noi”.
“Non gliene posso certo fare una colpa, ” continuò Sean, “io stesso ho subito questo sortilegio fin dal primo giorno”. Le sue labbra s’incresparono in un sorriso.
“Me lo ricordo...” confermai con un sorriso complice.
“Mi sento sciocco anche solo a parlarne... ” mi disse con una nota di disagio.
Mi venne istintivo stringergli il braccio e camminargli accanto, per fargli percepire la mia vicinanza. “É umano provare un po' di gelosia: non c'è assolutamente nulla di male”.
Sembrò rincuorato e mi diede un buffetto sul naso, prima di indicare la sua auto: “Vuoi uno strappo al pub?”
“Volentieri, ma solo se ti lasci offrire qualcosa” gli proposi. Non ricordavo neppure l'ultima volta che ci fossimo presi un po' di tempo per una chiacchierata tra di noi. Chissà che poi non riuscissi a estorcergli qualche indizio sull'appuntamento che Bradley stava organizzando con la complicità di Morgana.
“Non posso rifiutare”.
 
Quando entrammo nel locale trovammo una sorpresa inedita: in un tavolo centrale erano seduti Morgana, Colin e Bradley. Quest'ultimo si era subito alzato. “Ciao Sean” gli sorrise e mi baciò la guancia.  “Silente ha insistito per offrirci qualcosa da bere ed è andato nell'ufficio di Riddle per un saluto, ” mi raccontò in tono allegro. “Sei di turno?”.
“Sì, inizio tra un quarto d'ora” risposi, dopo aver controllato l'orologio alla parete.
Seguii con lo sguardo Sean che si era avvicinato agli altri due: Colin gli aveva sorriso e indicato la sedia vuota. L'altro scosse il capo, gli rivolse uno sguardo mite e si chinò a salutare Morgana. Si scambiarono poche parole e tornò in mia direzione, ma con passo rapido.
“Devo andare... ” farfugliò a mezza bocca.
“Aspetta, ” provai a trattenerlo per il braccio, “dovevamo mangiare qualcosa”.
“Un'altra volta, Sarah, scusami” mi sorrise gentilmente, rivolse un cenno a Bradley e si affrettò a uscire.
Il ragazzo al mio fianco sospirò e si passò una mano tra i capelli: “Morgana era venuta a cercarti, ho pensato fosse educato invitarla al nostro tavolo” mi confessò con aria pentita. “Lo porto subito via”.
Normalmente avrei sorriso perché parlava dell'amico come di un cucciolo indisciplinato. Scossi il capo e strinsi i pugni lungo i fianchi, fissando la mia amica con sguardo torvo. “Non è colpa vostra... ” dichiarai in tono fermo e mi affrettai a raggiungerla.
“Ciao Sarah!” mi salutò Colin con tono fin troppo entusiasta: doveva aver captato una certa tensione nella coppietta.
Lo salutai di riflesso, ma fissavo la mia coinquilina che si stava rilassando beatamente contro lo schienale della sedia. “Eccoti qua. Colin mi stava dicendo che è rimasto molto colpito dalle tue prove: evidentemente gli insegnamenti stanno dando il loro frutto.” Mi rivolse un sorriso insinuante che non ricambiai.
Mi incupii ulteriormente a quel palese tentativo di lusingarmi. La conoscevo fin troppo bene e sapevo che non avrebbe mai illuso un potenziale corteggiatore di proposito. A meno che non stesse cercando di far ingelosire Sean. O di punirlo per qualcosa.
“Chiedo scusa per l'interruzione, ma ti ricordo che è il tuo turno di andare a fare la spesa”. Cercai di usare un tono tranquillo, ma non potevo controllare la rigidità dei miei lineamenti, mentre appoggiavo la mano sul tavolo, ignorando la sedia vuota che mi avevano indicato.
Si strinse nelle spalle, continuò a mangiucchiare gli scones con il sorriso da fotomodella sul viso finemente truccato. “Ero venuta a questo proposito per chiederti se volessi aggiungere qualcosa alla lista”.
“No, grazie. Sarà meglio che tu vada, se vuoi evitare l'ora di punta”.
“Non ho alcuna fretta in verità” rispose con un sorriso serafico, continuando a sostenere il mio sguardo senza alcun timore. “Colin si è offerto molto gentilmente di accompagnarmi e di aiutarmi a riportare tutto a casa”.
“Strano, ” intervenne Bradley alle mie spalle con voce flautata, “considerando che avevamo altri piani per questo pomeriggio”.
“I programmi sono fatti per essere cambiati, diglielo anche tu, Sara” cinguettò Morgana, ma senza smettere di sorridere al ragazzo al suo fianco che parve vacillare sulla sedia.
“Morgana, credo che sia meglio che tu vada adesso” ripetei nella mia lingua e la guardai in modo penetrante e insistente, affinché notasse la mia serietà[8].
Strinse gli occhi. “Non capisco quale sia il tuo problema: non sto facendo niente di male” affermò in tono tagliente. Mantenne, tuttavia, il sorriso sulle labbra.
Inspirai profondamente, ignorando il mio desiderio di schiaffeggiarla, consapevole che fosse poco educato continuare a ignorare i due ragazzi che dovevano senz'altro captare delle vibrazioni negative, nonostante l'ostacolo della lingua. “Il ragazzo che hai salutato a malapena e che se n’è andato: questo è il problema”.
Le sue labbra si distesero ulteriormente e sembrò canzonarmi. “Non sai di cosa stai parlando: fidati di me”.
“Con permesso” si scusò Bradley che, nel frattempo, aveva indossato il suo cappotto. Si avvicinò all'amico e, con un gesto brusco, afferrò lo schienale della sua sedia e lo spinse in avanti, costringendolo ad alzarsi goffamente, per non cadere sul pavimento. “Noi ce ne andiamo”.
Il moretto gli rivolse uno sguardo di puro biasimo, ma guardò dall'una all'altra con un sorriso accattivante. “Allora... restiamo d'accordo per rivederci tutti nel weekend?” domandò in tono speranzoso.
“Ho detto che dobbiamo andare” ripeté il biondino in tono secco e lo spinse letteralmente verso la porta, dopo avermi rivolto un fugace ammiccamento. Sentii Colin protestare aspramente e dargli del tiranno, ma lui non pronunciò parola.
Sospirai e tornai a guardare la mia amica. Fu quasi una soddisfazione notare che era visibilmente irritata. “Si può sapere che cosa ti è preso?”
“La domanda è che cazzo è preso a te!” sbottai in sua direzione, indicandola con la mano aperta.
Strinse le labbra, come se avesse ingoiato qualcosa di amaro, ma apparentemente non provava alcun rimorso. “Stavo solo cercando di essere amichevole con il tuo amicorispose con aria di sfida.
Sollevai gli occhi al cielo. “Non prendermi in giro: ti conosco da troppo tempo! Lo stavi incoraggiando e di proposito!” l'accusai in tono grave, le mani appoggiate al tavolo e china verso di lei. “Ti ricordo che hai un ragazzo meraviglioso che è pazzo di te... ma come ti salta in mente di flirtare con un mezzo sconosciuto, per quanto affascinante sia?!”
“La signorina gradisce qualcos'altro?”
Sbattei le palpebre, quando riconobbi la voce di Rankin a pochi passi da me. Lo guardai allibita: seppur non conoscesse l'idioma, era piuttosto palese che stessimo avendo una conversazione privata e piuttosto impegnativa.
“No!” sbottai in sua direzione, le mani sui fianchi e l'espressione esasperata. “Non hai qualche altro collega da far impazzire mentre aspetti che mi metta in divisa?” gli berciai contro, con un implicito rimando all’episodio con Coulson.
Arrossì di sdegno e gonfiò il petto, prima di avvicinarsi e torreggiare su di me. “Guarda che, anche se non sei ancora ufficialmente di turno, non puoi rivolgerti così a me! Lo farò sapere al Signor Riddle!” mi minacciò, prima di tornare a sparecchiare i tavoli.
Morgana, che si era rimessa in piedi, mi si piazzò di fronte con aria bellicosa. “Non è la stessa cosa che tu hai fatto con Bradley?” mi provocò.
Scossi il capo, aprendo le braccia in un gesto frustrato, sentendomi non poco offesa per come stava paragonando, in modo del tutto inappropriato, le due circostanze. “Io non ero fidanzata!” Senza contare che dubitavo che, anche volendo, sarei mai riuscita a rivolgergli, fin dal primo incontro, certi sguardi e sorrisi che erano più nelle sue corde.
Per la prima volta parve esitare e la sua voce suonò più acuta del consueto. “Magari non voglio esserlo neppure io: te lo sei mai chiesto?”
Sbattei le palpebre e schiusi le labbra, sperando con tutto il cuore di aver capito male. “Come?! Ma di cosa stai parlando?!”
Annuì a mo' di conferma. “Forse lo sapresti... se non fossi solo concentrata su di te, sullo spettacolo e sul tuo  Principe Azzurro!”
Quelle parole mi riecheggiarono dentro con intensità crescente. Qualcosa dentro di me parve incrinarsi pericolosamente e mi sentii senza fiato. Lei stessa, tuttavia, era visibilmente impallidita. Non feci in tempo a pronunciare motto perché si voltò bruscamente e uscì dal locale, lasciandomi come un'idiota al centro della stanza, incapace di distogliere lo sguardo.
“Magari potreste provare con la terapia di coppia... ” mi suggerì Rankin in tono beffardo, mentre iniziava a sparecchiare il tavolo che avevano occupato fino a pochi minuti prima.
“Lasciala in pace, Percy!” sbottò Dean.
“Chiedo scusa?!” replicò l'altro. “É forse scattata l'anarchia e vi siete dimenticati di informarmi?!” lo redarguì in tono sarcastico. Era in procinto di iniziare una nuova solfa, ma s’interruppe all'aspro richiamo di Madama Bumb. Quest'ultima gli si avvicinò e gli rivolse un'occhiata arcigna.
“Smettila di urlare, stai infastidendo i clienti!” sibilò. “Senza contare che stai solo perdendo tempo, anziché fare il tuo dovere!”.
“M-Ma signora!” farfugliò in tono lamentoso. “Stavo solo facendo notare alla mia collega che è ora che si cambi!” mi indicò con un cenno del mento. “E mi spiace dire che non ha alcun rispetto per il sottoscritto”.
La donna spostò lo sguardo su di me, evidentemente per un chiarimento, ma mi affrettai a riprendere il controllo e a dirigermi verso lo spogliatoio, dopo aver balbettato una richiesta di permesso.
 
 
Amy fischiò in segno di incredulità quando le raccontai l'accaduto, approfittando del tragitto dal parcheggio del locale a casa mia. Naturalmente non mancavo di tenerla aggiornata sugli ultimi pettegolezzi e, in quel frangente, mi era comoda un'opinione esterna. Bradley mi aveva già scritto diversi messaggi, dicendosi mortificato per il ruolo di Colin nella vicenda, ma cercando di rincuorarmi e spronandomi ad avere pazienza con la mia amica.
“Cerca di non rimuginarci troppo” mi consigliò, dopo avermi osservato. “Sono sicura che non lo pensasse sul serio, ma devi averla punta nel vivo. La conosci meglio di me: deve essersi sentita ancora più in colpa nei confronti di Sean, dopo che le hai fatto giustamente la ramanzina”.
Sospirai e mi massaggiai la tempia. “Non potevo stare lì a guardare e fare finta di nulla...”
“Infatti” confermò. “A Morgana piace molto mettere becco sulla vita altrui, dare consigli non richiesti e formulare giudizi... ma non è altrettanto brava quando è lei a essere messa in discussione” mi fece notare con un sorriso.
Annuii. “Ma cambiamo argomento... tu come stai? Va tutto bene al lavoro?”
Mi raccontò per sommi capi del progetto a cui stava lavorando: era un incarico piuttosto importante e voleva dimostrare che la fiducia nei suoi confronti era stata ben riposta.
“Mi fa davvero piacere... ma dimmi, hai risentito Dario?”
Emise uno sbuffo simile a una risata: “Sono andata a trovarlo prima che partisse e ci siamo chiariti, ma ha ammesso di esserselo un po' meritato...”
Risi al ricordo di quella surreale conversazione telefonica a cui avevo assistito. “Come si sta trovando in Australia?”
“É entusiasta e poi, lo hai visto tu stessa, non è mai stato un tipo timido: riesce subito a integrarsi in un nuovo ambiente e a fare conoscenze. Ha già una recensione positiva sulle australiane” aggiunse con uno scuotimento del capo.
Non faticavo a crederlo, ma provavo per lui un'istintiva simpatia, anche se non ne approvavo tutti gli atteggiamenti e continuavo a credere che dovesse maturare.
Mi feci pensierosa, prima di seguire l'istinto e formularle una proposta. “Che ne dici se chiamiamo Luna e andiamo a fare un aperitivo?”
Scosse il capo. “Scusa, ma non è la giornata adatta: devo sbrigare delle commissioni, prima di tornare a casa” si affrettò a dire, prima di rivolgermi un'occhiata di sbieco. “E poi tu dovresti chiarirti con Morgana, dammi retta: non tergiversare”.
“Hai ragione, ” convenni con un sospiro nel riconoscere la strada del mio dormitorio. “Grazie del passaggio, ci sentiamo”.
 
Quando entrai nell'appartamento, notai che la chiave di Morgana era appoggiata al consueto posto, ma tutte le luci erano spente, segno che doveva essersi chiusa in camera. Sospirai, ma mi diressi verso la cucina per preparare le nostre tradizionali tazze di Ciobar. Seppur si trattasse di un'abitudine che onoravamo quando l'una o l'altra aveva bisogno di sfogarsi, quella sera speravo che divenissero un gesto di “riappacificazione”. Mi ero anche domandata se non fosse il caso di telefonare a Sean, ma ricordavo fin troppo bene una situazione analoga con Amy e con Daniel, quindi decisi di affrontare prima la mia amica, alla quale dovevo la mia lealtà, malgrado l'episodio di quel pomeriggio. Rimuginavo su quelle parole che mi bruciavano nella mente, rimettendo in discussione l'ultimo anno e domandandomi se la vita a Glasgow mi avesse coinvolta al punto da non prestare più attenzione ai bisogni delle persone care.
Bussai alla sua porta con una lieve esitazione. “Posso entrare?”.
“Vieni pure... ” rispose dopo pochi secondi, ma mi parve che la sua voce fosse meno allegra e gioviale del solito. Inarcai le sopracciglia alla vista degli abiti che aveva riverso su una poltroncina, alcuni persino gettati sul pavimento in un gesto evidente di frustrazione. Sembrava molto più “piccola” con i vestiti di tutti i giorni. Tuttavia, appariva di una bellezza rara anche con un paio di jeans e una camicia. Aveva legato i capelli in uno stretto chignon alla base della nuca e il trucco era perfetto, ma lo sguardo appariva più spento ed emaciato.
“Ho pensato di preparare due belle tazze di cioccolata...”
“Allock non ti sgriderà?” mi domandò in un coraggioso tentativo di apparire scherzosa.
“Non lo farà, a patto che non lo sappia.”
Ostentavamo entrambe una tranquillità poco credibile, nel tentativo di dissipare quell'atmosfera più pesante e quel silenzio carico di sottintesi.
Appoggiai cautamente il vassoio sul comodino che lei aveva liberato, ma non allungò la mano verso la tazza. Fu invece con un gesto energico e fluido che mi attrasse a sé per abbracciarmi brevemente. Ne ricambiai il gesto istintivamente, sentendo che era più eloquente di parole lacrimose e di scuse formali.  “Stai bene?”
Si scostò da me e scosse appena il capo, ma mi guardò attentamente: “Ti devo delle scuse” disse rapidamente, quasi volendo annullare il dolore e la vergogna. “Non avrei mai dovuto dirlo”.
Sospirai gravemente. “Vorrei solo capire se lo pensi seriamente” mormorai senza rabbia né recriminazione. “So di aver sempre avuto la testa tra le nuvole da che tu mi conosci... e so che il pub, l'Accademia e Bradley ultimamente mi assorbono molto... ma se ti ho fatto sentire trascurata, in qualche modo, ti chiedo perdono. Non era mia intenzione: mi devi credere”.
Scosse il capo con vigore. “In realtà è quasi incredibile come ti presti sempre ad ascoltare gli sfoghi altrui, a cercare di aiutare i colleghi in difficoltà, a non trascurare le serate in compagnia... anche adesso: dovresti pensare solo all'appuntamento con Bradley ed eccoti qua, trascinata nel mio melodramma romantico...” Il carattere orgoglioso spesso la rendeva poco incline a esprimere le sue emozioni e i suoi stati d'animo se non in modo velato, attraverso l'ironia e parole affettuose mischiate a quelle più sbarazzine.
Ne strinsi la mano: “Tu ci sei sempre stata per me, anche e soprattutto in quest'anno e anche tuttora so che stai complottando perché io abbia un primo appuntamento da sogno... il minimo che possa fare è cercare, a mia volta, di prendermi cura di te”. Sospirai e mi mordicchiai il labbro al pensiero di quel pomeriggio e di come l'impulsività, ancora una volta, avesse vinto sulla razionalità. “A questo proposito, mi dispiace se oggi sono partita in quarta davanti ai ragazzi. Ho sbagliato. Avrei dovuto prenderti da parte e chiederti che cosa stava accadendo. Voglio molto bene a Sean, lo sai... ma non intendo tradire la nostra amicizia... ” mi presi una pausa per guardarla negli occhi, quasi a voler confermare quel concetto. “Solo che... non so come posso aiutarti, se non mi dici cosa sta succedendo tra voi. Hai forse dei ripensamenti?”
Mi parve che si intristisse: il solo nominarlo aveva fatto pericolosamente incrinare il suo storico autocontrollo. Sembrò faticare a formulare una spiegazione. “Mi vergogno a dirlo, ma sto mandando tutto all'aria di proposito”.
Sgranai gli occhi e per qualche secondo mi sentii troppo sopraffatta dalla sorpresa per trovare qualcosa da dire. Cercai di mantenermi calma e lucida ma il ricordo del volto affranto del mio amico mi suscitò una morsa all'altezza dello stomaco.  Tuttavia, in quel momento era importante ascoltarla, senza giudicare.
“Posso chiederti perché? Insomma... credevo che fossi molto felice con lui”.
Mi fissò, quasi pregandomi di credere alla veridicità e alla profondità di quanto stava asserendo, prima di riprendere: “La scorsa settimana, per la prima volta, mi ha detto che mi ama”.
“Oh...”
Non avevo idea di che cosa significasse sentire pronunciare quelle parole. Nella mia adolescenza ero stata letteralmente cresciuta a romanzi d'amore e sogni a occhi aperti e, seppur con gli anni, fossi riuscita a ridimensionare i livelli di stucchevolezza a cui gratuitamente ricorrevo nelle mie fantasticherie e nelle bozze dei miei scritti, non potei fare a meno di sentire un tuffo al cuore. Doveva essere un momento realmente intenso nella vita di una coppia, ma al contempo solenne. Tanto da indurre la persona che le pronunciava o le riceveva a fare un riepilogo della relazione in corso, così da appurare se fossero giunti allo stesso punto del cammino comune.
“Posso dirti che conosco Sean abbastanza da rassicurarti che non lo avrebbe mai detto, se non ne fosse assolutamente sicuro... ” mormorai seppur fosse superfluo.
“Credo che sia stato proprio questo a spaventarmi... ” ammise delicatamente.
Sollevai le mani e cercai di capire quale fosse il punto. “Tu non provi lo stesso?”
Non sembrò esitare e ne fui enormemente sollevata. “Assolutamente, no. So per certo di amarlo, come non è mai capitato con nessuno. So che forse è difficile da capire... ma a volta mi sento come se io stessa fossi alle prime armi”.
Non lo era affatto. Ero stata testimone diretta della lunga fila dei suoi corteggiatori più o meno meritevoli, dei cuori che aveva spezzato e delle rare occasioni in cui era stata lei a subire una ferita e un abbandono indesiderato. Provai un moto di tenerezza: anche a lei accadeva di sentirsi vulnerabile e delicata. Ciò la rendeva più “accessibile” e, se possibile, persino più graziosa ai miei occhi. “Questo è meraviglioso... te ne rendi conto?”
Mi rivolse uno sguardo quasi implorante e mi strinse di rimando la mano. “Ma lui è completamente diverso da qualunque ragazzo io abbia mai avuto”.
“Lo so” risposi di riflesso.
“Ama anche i miei lati scomodi e quelli meno piacevoli” insistette, quasi volendo che giungessi alla sua stessa conclusione.
“Soprattutto quelli” suggerii con un sorriso, pensando al contrasto tra i loro temperamenti che era un punto di forza del loro legame.
“Non posso fare a meno di pensare che prima o poi potrei rovinare tutto. Forse l'ho già fatto”.
La guardai con aria incredula. Era curioso come, spesso e volentieri, fossimo i nemici più spietati di noi stessi e cercassimo di infliggerci delle punizioni. Istintivamente ogni uomo ricerca la felicità e l'amore ma, una volta giunto al traguardo, scatta un meccanismo inconscio che lo induce a sabotarsi la vita e preferire una routine vuota e quasi confortevole.  
“E se invece non lo facessi?” la incalzai. “Non puoi saperlo!” le dissi con tono energico, sorridendo al pensiero di come avrebbe reagito se io avessi attuato un simile comportamento con Bradley. “Nessuno, neppure Luna, può saperlo per certo... a volte siamo così proiettati al futuro che ci dimentichiamo di vivere degnamente il presente che è l'unica cosa reale che abbiamo di fronte. Magari tra qualche anno sarete ancora insieme. O forse no, ma resterete amici” provai a incoraggiarla. “In ogni caso,  non pensi che valga la pena vivere le emozioni che stai provando? Non pensi che in futuro, a prescindere da tutto, conserverai un ricordo meraviglioso di tutto quello che state costruendo adesso?”
Si prese qualche istante per riflettere, ma seppi di aver detto la cosa giusta quando, finalmente, quello scintillio più vitale e sbarazzino tornò a farne scintillare gli occhi. “É l'aria scozzese che ti rende così saggia o il pensiero del tuo primo appuntamento?”
“Forse entrambe le cose... ” risposi con uno scrollo di spalle. “Ti senti meglio?” domandai più premurosamente.
“Molto meglio... ma adesso dovresti goderti la tua cioccolata prima che si geli. Anzi, prenditi anche la mia: te la sei meritata”.
Senza darmi tempo di rispondere, si rimise in piedi ed esaminò accuratamente gli abiti che aveva lasciato sulla poltrona.
Aggrottai le sopracciglia. “Non puoi sistemarli dopo?”
“No, devo andare dal mio meraviglioso ragazzo” mi informò con una strizzatina d'occhi, prima di avvicinarsi. “Grazie” sussurrò più dolcemente. “Ma non pensare che ti svelerò qualcosa sui piani di Bradley”.
Mi scottai la lingua per la sorpresa e tossii, seguendola fuori dalla sua camera. “Ma allora sai già qualcosa?!” la incalzai. Dopotutto avevo ipotizzato che stessero già, effettivamente, prendendo accordi, ma nessuno dei due mi aveva mai dato un appiglio certo e inequivocabile.
“Ovviamente” rispose lei e la sentii azionare l'acqua della doccia. “Mi ha telefonato il giorno dopo la sua visita notturna...” mi rivelò. Non attese risposta, agitò la mano in segno di saluto e si chiuse la porta del bagno alle spalle.
Bussai con energia: “Hey! Non puoi cavartela così: mi devi almeno un indizio!”.
“Ti ho già ceduto la mia cioccolata” riecheggiò la sua voce, dopo una risata malefica.
Scossi il capo: anche se stavo letteralmente morendo di curiosità, la cosa più importante era che si riappacificasse con Sean. Tornai nella sua camera per finire la cioccolata e una nuova idea mi balenò in mente: poteva aver lasciato un indizio in giro per casa e la sua uscita sarebbe stata un'occasione ideale per controllare a sua insaputa.
“Non aspettarmi alzata” mi disse con un sorriso, dopo essersi cambiata di tutto punto. “Ah, prima che tu perda tempo: in camera mia non troverai nulla e, come avrai notato, ho cambiato tutte le password per l'apertura dei miei social, fake compresi. Buona serata” mi augurò con un trillo quasi perfido.
Non mi presi neppure la briga di rispondere, ma lanciai la spazzola contro la porta in un gesto di pura frustrazione.
 
~
 
“So che lo dico sempre, ma questa volta mi sono davvero superata!” dichiarò Morgana decisamente compiaciuta e orgogliosa di se stessa.
“Detesto ammetterlo, ma hai ragione: supera anche l'outfit per Londra... ” le concesse Amy. Inclinò il viso di un lato e mi rivolse uno sguardo d’intesa, prima di punzecchiarla: “A proposito, mi sorprende che tu in quell'occasione le abbia selezionato un abito rosa: è evidente che sia questo il suo colore”.
Si appoggiò le mani sui fianchi e sospirò. “Un complimento e un'offesa nella stessa frase, davvero?”
Ridacchiai, ma fui lieta di quel piccolo battibecco che mi stava distraendo dall'interminabile attesa e mi concessi un'altra occhiata allo specchio. Era emozionante indossare nuovamente una creazione della mia amica. Si era ispirata a uno degli abiti dei miei sogni. Mancavano solo pochi minuti e sentivo già il cuore in gola. Cercavo di non crearmi troppe aspettative, ma era inevitabile ricordare che avessi atteso una serata simile da anni. Non mi sarei mai perdonata se avessi rovinato tutto.
“Respira profondamente” mi suggerì la moretta, notando la mia agitazione. “Devi solo rilassarti e lasciarti andare”.
L'altra mi rivolse un sorriso più giocoso, nel tentativo di stemperare l'atmosfera. “E poi hai già provato a saltargli addosso, durante una lezione privata... ” puntualizzò e arrossii al ricordo. “Questa sera è tutto compreso” mi fece notare con un ammiccamento.
“Bernie ha centrato il punto!”
Alzai le mani. “Vi prego, non ricordatemelo adesso!”
Morgana controllò l'orologio e lo sguardo baluginò di nuovo. “Non per metterti in ulteriore agitazione, ma mancano pochi minuti: scommetto che sta già parcheggiando”
“Le facciamo bere qualcosa per tranquillizzarla?” suggerì l'altra.
“E rischiare di rovinarle il trucco e il vestito prima di cena? Scordatelo...” la rimproverò con aria quasi scandalizzata al pensiero. Erano in procinto di iniziare uno dei loro diverbi, ma ci bloccammo tutte al suono inconfondibile che giunse dalla porta.
Attraversai il soggiorno, accompagnata dai battiti più intensi del mio cuore e presi un profondo respiro, prima di schiudere l'uscio. Fu come se il mondo si fermasse in quell'istante incredibilmente lungo in cui i nostri occhi si incontrarono. Se possibile, Bradley appariva persino più avvenente della notte del suo spettacolo e del giorno in cui era entrato in auditorium, dopo l'introduzione di Silente.
Inclinò il viso di un lato e lo sguardo sembrò sfavillare, prima di infrangere il silenzio. “Credo che da questo momento in poi, mi pentirò ancora di più di non aver visto l'abito da Cenerentola del ballo” sussurrò con voce vellutata. Con un gesto fluido mi prese la mano e se la portò alle labbra per baciarne il dorso.
“Oh, ma anche tu ti difendi bene!” sentii il sussurro enfatico di Amy e ringraziai che fosse nella nostra lingua madre.
“Schhhh!” la interruppe Morgana.
“Oh, buonasera anche a voi ragazze...” si premunì di salutarle, osservandole per un istante al di sopra della mia spalla.
“Ti ringrazio” sussurrai, prima di rivolgergli uno sguardo affascinato. “Sembri letteralmente... uscito da un sogno” mi sentii direi.
Mi osservò con un misto di compiacimento e di tenerezza, parlando nuovamente in modo sommesso: “Da parte tua non potevo sperare in un complimento migliore” mi rivelò con un breve ammiccamento, prima di rivelare il bouquet che aveva tenuto dietro la schiena fino a quel momento. “Queste sono per te”.
“Ohh...” avevo esclamato e avevo sentito il cuore in gola nel riconoscere una varietà di rose che ricordavano quelle del mio sogno. “Sono bellissime...” le ammirai per qualche secondo e me le portai al viso per sentirne il profumo.
“Le metto subito in un vaso” intervenne Morgana, aprendo maggiormente la porta e sfilandomeli dalle mani, prima di rivolgere il suo personale scrutinio al ragazzo in questione. Avrei dovuto chiedergli se si fossero consultati persino sul suo smoking.  “Come da programma, l'ho vestita come si conviene alla serata...[9]” mi indicò con un cenno del mento, prima di farsi seria. “Venendo a te: spezzale il cuore ed io ti faccio a pezzettini, poi ti rimando a Londra un frammento alla volta, in modo tale che neanche tua madre saprà ricomporti...” gli disse senza smettere di sorridere, ma rendendo quell'ammonimento persino più inquietante.
“Morgana!” la rimproverai con voce strozzata.
Lui non era affatto sorpreso, ma ne sostenne lo sguardo e ridacchiò. “Ho afferrato il concetto e colgo l'occasione di ringraziarti nuovamente per la tua preziosa collaborazione... ” spostò lo sguardo da lei ad Amy e rivolse loro un cenno del capo. “Auguro a entrambe una buona serata...”
Mi porse il braccio con una naturalezza e un'eleganza che erano del tutto coerenti alla sua personalità e non un'ostentazione artefatta. “Vogliamo andare?”
Nonostante l'emozione e il timore, mi sentii come se tutta la mia vita dovesse condurmi a quel momento, a quel ragazzo meraviglioso che mi stava di fronte. Fu altrettanto spontaneo e naturale appoggiarmi a lui. “Non aspettavo altro”.
“Divertitevi anche voi!” trillò Amy dalla soglia dell'uscio.
“Sì, ma non troppo!” le fece eco Morgana, facendo ridere lui e sospirare me. Fu solo in nome del romanticismo che mi trattenni dal rispondere per le rime.
 
Fu categorico e irremovibile: non volle concedermi alcun indizio e parlarmi della sua sorpresa, neppure durante il tragitto in auto. Mi accorsi che controllava l'orologio e immaginai che dovessimo rispettare una prenotazione. Il viaggio non fu molto lungo: ci trovavamo nella parte centrale della città. Mi avvolsi nella stola e, aiutata da lui, scesi dall'auto: non riusciva a smettere di sorridere, come se non stesse nella pelle.
Studiai la facciata imponente e sontuosa, illuminata in modo suggestivo e solo allora compresi che si trattava di un teatro.
“Benvenuta al King's Theatre[10]lo indicò.
Oh mio Dio!” squittii nel riconoscere il titolo dell'opera e studiai la locandina in ogni minimo dettaglio.
“Pronta?” mi domandò in un sussurro, dopo aver salutato l'addetto e aver consegnato i biglietti.
“Assolutamente!” trillai con voce colma di entusiasmo, provando l'impulso di saltargli al collo per ringraziarlo.
Sembrò leggermi il pensiero perché sorrise e mi scostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, prima di baciarmi la tempia: “Meglio non rischiare di entrare in ritardo” mi indicò con un cenno del mento la scalinata che ci attendeva. Evidentemente aveva scelto dei posti in un palchetto, realizzai con ancora più emozione. Mi porse nuovamente il braccio per aiutarmi nella salita e mi premunii di sollevare un lembo dell'abito, come mi aveva mostrato la mia amica.
Naturalmente conoscevo la trama di Orgoglio e Pregiudizio a menadito e fu una scelta più che saggia: non solo perché fosse il mio romanzo preferito dell'autrice, ma perché non riuscivo a contenere l'emozione e l'entusiasmo e il mio sguardo vagava nel tentativo di cogliere ogni dettaglio della scenografia, degli abiti, delle pettinature e dell'inflessione della voce degli attori, soprattutto considerando che da lì a una quindicina di giorni mi sarei trovata su un palco molto più piccolo ma certamente non meno importante. L'attenzione di Bradley era più rivolta alla mia infantile e genuina gioia che non alla vicenda che conosceva altrettanto esaustivamente. Seppur non potessimo parlare se non durante gli intervalli da un atto all'altro, non lasciai che scostasse la mano che aveva appoggiato alla mia in grembo e ne carezzai il dorso, quasi per sentirmi ancora connessa a lui.
Ci scambiammo opinioni durante la cena in un ristorante nelle vicinanze e fui ben lieta di continuare la serata con una passeggiata, lasciandomi condurre nel percorso del Kelvingrove Park[11] che permetteva di ammirare la bellezza del paesaggio scozzese che, in alcune zone, sembrava sgorgare fuori da un dipinto dai colori inebrianti e pulsanti di vita.
“Dimmi la verità: da quanto tempo stavi pianificando tutto?” lo incalzai, quando sostammo sul ponte sospeso sopra al fiume. Continuavo a ripetermi che ero stata indicibilmente fortunata e mi sentivo come se stessi letteralmente vivendo un film. La sensazione era resa ancora più palpabile delle meraviglie naturali che ci circondavano.
Il suo sguardo riluceva persino nella penombra, ma non dovette pensare molto alla risposta e si prese un istante per scrutarmi negli occhi. “Più o meno dalla mia prima lezione in Accademia, quando ti sei cimentata in quell'esamina sui romanzi della Austen...” spiegò con aria complice. “Volevo che fosse un'esperienza indimenticabile” aggiunse in un sussurro.
Sentii un dolce calore avvolgermi e mi fu naturale avvicinarmi di un passo, senza smettere di osservarlo. “Neppure nelle mie fantasie avrei mai potuto pianificare qualcosa di più perfetto... ” gli rivelai, prima di prendermi un ulteriore attimo per contemplarlo. “Credo sia giusto dirti che ogni momento che ti riguarda, da quella sera a Londra... mi ha letteralmente cambiato la vita”.
“Credevo che il mio inevitabile e scontato successo sarebbe stato la cosa più importante di quella sera” mi rivelò e, seppur parlasse con la consueta verve, anche il suo timbro appariva più profondo. “Almeno fino a quando non ho incontrato questi occhi e mi sono detto che era stato un peccato imperdonabile lasciarti fuggire”.
Mi sentivo serena e piena di vita come non lo ero mai stata e, per la prima volta dopo il primo batticuore, mi resi conto di quanto poco la mia immaginazione avesse mai potuto carpire di un sentimento così profondo che si rendeva concreto in uno sguardo, in una stretta di mano, in poche parole sussurrate. Mi sentivo quasi tremare per l'emozione e il nervosismo, ma al contempo ero sempre più consapevole che non avrei potuto anelare ad altri che a lui. Forse lo avevo presagito inconsciamente dal primo momento.
Non avrei saputo dire se ero stata io ad avvicinarmi ulteriormente o se erano state le sue braccia a cingermi, ma ne sentii il tocco delicato sulla guancia e la mia pelle si intirizzì.
“Sei nervosa?”
“Un poco” ammisi. “Ma prometto che questa volta non svanirò”.
Le labbra si distesero in un sorriso. “Credo che Morgana ti ucciderebbe se ti azzardassi a perdere una di queste scarpe” commentò scherzosamente, paragonandomi nuovamente alla ben nota principessa.
“Di queste maledette e scomodissime scarpe vorrai dire” precisai in un sussurro.
Rise contro il mio orecchio e fu un suono dolce e, al contempo, irresistibile: non riuscivo a smettere di contemplarne gli occhi che parevano aver assunto una sfumatura più dolce.
“Spero mi perdonerai se dovrò abbandonare l'armatura per un istante... ” sussurrò contro la mia guancia. “Ma queste labbra mi stanno chiedendo un bacio da quella notte e non voglio attendere oltre”.
Ne sussurrai il nome, come una preghiera e una conferma insieme.
La sua bocca sfiorò la mia in un tocco gentile ma deciso che mi spezzò il fiato e mi fece scorrere brividi caldi e freddi lungo la spina dorsale. Mi attirò al suo petto e mi sentii immersa nel suo profumo e nel suo calore. Quando la mano mi artigliò delicatamente la nuca, reclinandomi il viso, sentii le mie braccia avvolgergli il collo come se fosse stato parte di un copione che avevo appreso in quello stesso istante. Non c’era più paura, ma solo il bisogno di lui. Avrei solo voluto che il tempo si fermasse affinché non dovessi mai allontanarmi. Solo quando si scostò, percepii nuovamente la brezza fresca e i suoni della notte, ma indugiai con gli occhi socchiusi contro la sua spalla, quasi sperando di trattenere quelle emozioni il più a lungo possibile. Mi sentivo persino vicina alla commozione.
“Dove sei stata finora?” mi domandò in tono rauco e flebile.
Sollevai il mento per osservarlo, senza smettere di sorridere e a stento riconobbi la mia voce. “Forse mi ero persa, ma continuavo a sognare qualcosa di simile”.
Mi parve che volesse replicare qualcosa, ma gli posai le dita sulle labbra sottili e scossi il capo, prima di sollevarmi sulle punte a cercarne nuovamente un bacio. Ne percepii il sorriso in quel contatto carezzevole e dolce. Mi presi qualche istante per sfiorarne il volto e intrecciare le dita tra i suoi capelli, attirandolo più vicino.
“Sai qual è una cosa che adoro di te, Milady?” Mi domandò, dopo che mi fui accoccolata nuovamente contro il suo petto. Ne ascoltavo i battiti più accelerati del consueto e mi resi conto che erano la perfetta colonna sonora.
“Quale?”. Avevo quasi il timore che la mia voce spesso eccessivamente pimpante al mio udito, potesse guastare l'atmosfera da sogno.
“Sei un'allieva provetta: impari subito” mormorò al mio orecchio con intonazione sagace che mi strappò un nuovo brivido. Risi, ma gli diedi una lieve pacca sul braccio quasi a mo' di rimprovero. Non mi scostai tuttavia dal suo petto e socchiusi gli occhi.
“Gliel'hanno mai detto, Milord, che è uno sfacciato?”
“Forse” rispose con la consueta naturalezza. “ Ma ammetto che non mi è mai piaciuto sentirlo, almeno fino a questo momento”.
 
 
“Adesso è meglio che tu vada... ” alluse all'entrata del mio appartamento, non prima di avermi nuovamente baciato la guancia. Di fatto, tuttavia, non accennò a scostarsi.
“Sicuro di non voler entrare?”
Le sopracciglia si arcuarono a modellarne la sorpresa. “E subire l'interrogatorio delle tue amiche?” mi interrogò con uno scuotimento del capo. “Lascerò a te il privilegio”.
Risi ma incrociai le braccia al petto. “Questo non è molto cavalleresco da parte tua”.
“Saprò farmi perdonare...” promise con un ammiccamento. “Buonanotte, Milady, credo di essermi guadagnato un posto d'onore nei sogni di stanotte”.
“Mhm, forse” finsi di rifletterci dopo un ultimo saluto.
Ne ricambiai il sorriso e osservai le porte dell'ascensore chiudersi con lui dentro. Mi sentivo la testa incredibilmente leggera e un'allegria del tutto irrazionale. Avrei voluto indugiare ancora qualche istante in quello stato d'animo, ma quasi sussultai quando la porta fu schiusa.
“Allora? Che aspetti?” mi incalzò Morgana che quasi mi trascinò dentro di peso. Non fu una sorpresa notare che Amy era ancora dentro.
“Ciao ragazze” risposi in tono sereno, ma fu un vero sollievo dell'animo sfilarsi quelle terribili scarpe e camminare coi piedi nudi fino al divano. Ero troppo euforica per scandalizzarmi all'idea che avessero origliato gli ultimi saluti.
“Avanti, ho già preparato la cioccolata... ” commentò Morgana e indicò le tazze adagiate sul tavolino di fronte al divano.
“Mi sa che ha già avuto un'overdose di zuccheri” replicò Amy con un cenno distratto della mano. “Allora, passiamo alle cose importanti: bacia bene?
“Ma guardala...” mormorò Morgana tra l'intenerito e il divertito. “Ti brillano gli occhi: non c'è da sorprendersi se quella notte a Londra hai fatto colpo”.
“Allora, vuoi parlare?” insistette l'altra.
Sollevai le mani e cercai di ritrovare un po' di compostezza. “Datemi solo qualche minuto, poi vi racconterò tutto”.
La moretta mi guardò sospettosa: “Non penserai di darti adesso alla scrittura, vero?!”.
Non sarebbe stata un'idea malvagia ma promisi loro che sarei tornata presto.
“Ti diamo cinque minuti, non di più” mi giunse la minaccia di Amy.
Fu con un sorriso che scorsi un messaggio del ragazzo e mi affrettai ad aprirlo e quelle parole mi fecero ulteriormente sorridere.
 
Cerca di non farmi troppi complimenti durante l'interrogatorio ;)
Ci vediamo domani in Accademia, sii pronta a qualche “rapimento strategico”.
Buonanotte, Milady.
 
~
 
Quello stato di profonda esuberanza e di spensieratezza non si era completamente attenuato dopo una notte di sonno. Entrai nel pub, canticchiando un motivetto che avevo sentito recentemente alla radio. Mi fu facile persino sorridere a Rankin, ma mi diressi verso il bancone.
“Ciao Sarah, tutto bene?” mi accolse Susan.
“Benissimo, grazie. Potresti prepararmi un cappuccino?”
“Certo... ” inclinò il viso di un lato e assunse un'espressione guardinga. “Qualche richiesta in particolare?”
Mulinai i capelli per imitare una nostra conoscenza in comune che le aveva causato non pochi fastidi, inducendola a usare la “tattica Amy”. “Credo che, dato il mio buon umore, mi accontenterò di un cappuccino normalissimo”.
“Questo è parlare” dichiarò lei.
Nell’attesa, notai dei volantini dal colore sgargiante e allungai la mano per prenderne una copia: “Questi sono nuovi?” le domandai.
“Sì, in estate apriranno una palestra qui vicino” rispose distrattamente, mentre azionava la macchina del caffè.
Annuii, registrando l’informazione con un certo interesse: il volantino indicava una buona selezione di corsi: discipline orientali come lo yoga, corsi di zumba e step coreografato fino alle arti marziali, il kickboxing e il pugilato, oltre al classico bodybuilding. Ricordai il proposito di Amy di dedicare più tempo all’attività fisica e convenni che avrei potuto farle compagnia.
“Ci farò un pensierino” commentai e ne scattai una foto che inviai subito alla mia amica.
Stavamo allegramente chiacchierando, quando Riddle uscì dal suo ufficio con espressione piuttosto cupa. Sembrò sorpreso di vedermi e si avvicinò. Provai un poco di soggezione, seppur mi trovassi lì come cliente e non avessi combinato guai di recente. “Buongiorno Signor Riddle”.
“Stia pure comoda” mi invitò con un cenno della mano. Mi scrutò con espressione seria, quasi volendo sondare qualcosa nel mio sguardo. Mi domandai se non volesse, in modo velato, chiedermi notizie di Amy, dopo lo spiacevole avvenimento che li aveva coinvolti. “Immagino che si stia per recare in Accademia”.
“Più tardi” risposi di riflesso. “Ha bisogno che dica qualcosa al Preside?”
Sospirò. “Non ha ancora saputo, quindi”.
“Saputo... cosa?”
La sua serietà non faceva immaginare nulla di buono ed ebbi paura di sentirne la risposta.
Appoggiò il giornale di fronte a me e sgranai gli occhi nello scorgere una fotografia dell'Accademia e sussultai quando lessi la scritta a caratteri cubitali.
 
 L'ERRORE GIGANTESCO DI SILENTE[12]
a cura di Rita Skeeter
 
Albus Silente, eccentrico Preside della Royal Scottish Academy of Music and Drama, non ha mai nascosto la sua eccessiva buona fede e tenerezza nei confronti dei suoi studenti. Anche dei meno meritevoli. Benché il prestigioso Istituto abbia dato formazione ad alcuni dei più brillanti attori di fama mondiale, sono in grado di fornirvi, in esclusiva, i dettagli di una vicenda che, con mio grande rammarico, rischia gravemente di intaccarne il buon nome.
Emma Watson, una giovane e promettente studentessa, si è resa artefice e protagonista di una clandestina e assai redditizia compravendita di esami, con la complicità di un hacker informatico la cui identità è ancora da confermare, benché alcuni giovani siano già stati interrogati e inseriti nella rosa dei possibili candidati. La signorina Watson, decisamente avvenente ed elegante di aspetto, si sarebbe avvalsa della sua amicizia coi tutor scelti dal corpo docente, per avvicinarsi a potenziali “clienti”. Ben lungi dal voler assistere nello studio alcuni degli iscritti in difficoltà, avrebbe aggirato la sicurezza del sistema informatico e rubato i testi delle loro prove di esame. In taluni casi, inoltre, si sarebbe personalmente premunita di fornire, dietro un compenso maggiore, le risposte corrette. Fin troppo brillanti. Sembrerebbe che quest'attività redditizia e criminosa sia in piedi da quasi un anno.
“É stata davvero subdola,” dichiara Pansy Parkinson, una graziosa, vivace ragazza del penultimo anno, “ma è sempre stata la cocca di molti docenti, è molto brava a conquistarsi la fiducia altrui. Sono sicura che abbia abbindolato qualcun altro per fare il lavoro sporco e rubare i file. Credo proprio che ci sia riuscita così”.
Non tutti gli insegnanti, tuttavia, hanno ceduto al presunto charme della giovane ed è stato soprattutto lo sforzo da parte di Severus Piton, il Vicepreside, ad avviare un'indagine interna, alla quale il Preside non ha mai dato la giusta considerazione. “Da quasi un anno ho notato dei miglioramenti piuttosto sospetti in alcuni dei miei discenti più incapaci, ” ha dichiarato, “ quindi ho cominciato ad alterare le prove di un piccolo campione di alunni. Quelli affidati ai tutor precisamente. Taluni sono stati talmente ottusi che non si sono neppure accorti della differenza e hanno fornito le risposte corrispondenti alle verifiche che erano caricate nel database. Ho esortato alcuni colleghi a fare altrettanto e, incrociando i dati delle nostre classi, abbiamo facilmente ristretto la cerchia dei sospettati. Alcuni dei miei studenti hanno confessato di aver ricevuto la copia dell'esame dalla Signorina Watson che li avvicinava in alcune delle caffetterie e dei pub della città. Si premuniva di non rivolgere mai loro la parola all'interno dell'Accademia per sua sicurezza”.
Alcuni di questi allievi affermano di essersi pentiti da tempo, ma la fama di denaro della signorina Watson, decisa a trasferirsi a Parigi per iniziare una formazione nell'ambito della moda, non avrebbe loro concesso di fare ammenda. “Io sono stato messo alle strette,” dichiara Vincent Tiger, “e lo stesso il mio amico Gregory Goyle. Noi volevamo confessare tutto al Preside, ma avevano hackerato i nostri profili social e ci avevano minacciato di rendere pubblici alcuni contenuti privati”.
Resterà da chiarire la posizione di Albus Silente: sembrerebbe plausibile che l'uomo sospettasse qualche attività illecita, ma non abbia mai agito concretamente per fermare la signorina Watson. La famiglia di quest'ultima, già accorsa da Londra, si è garantita la difesa del miglior avvocato della città ed è assai probabile che cercheranno di ottenere un patteggiamento.
 
Non riuscii neppure a finire di leggere il testo, ma continuai a fissare i nomi familiari di Emma, di Silente e del Vicepreside. Non riuscivo neppure a capire che cosa stessi realmente provando, a parte una morsa all'altezza dello stomaco, all'idea di quali sarebbero state le conseguenze in termini di prestigio e di rispettabilità. Ero angustiata soprattutto per il Preside, che consideravo il cuore stesso dell'Accademia.
“Non è certamente il tipo di pubblicità in cui si poteva sperare, a un paio di settimane dagli spettacoli di fine anno”. La voce amareggiata di Riddle mi riscosse e sollevai lo sguardo su di lui. “Lei conosce questa ragazza?” mi chiese con una smorfia di disgusto.
Annuii, sentendo la testa brulicare di pensieri. Ricordai un dettaglio che allora mi era parso insignificante quando, in un gesto di apparente solidarietà, Emma si era proposta di aiutare Daniel e Rupert in un ripasso per il corso di Piton. Provai un brivido al pensiero che si divertisse a fare allusioni velate alla propria attività illecita. Non avrei potuto sopportare l'idea che qualcuno dei miei amici o della classe di Lupin fosse coinvolto in quello scandalo.
“É venuta anche da noi qualche volta”.
Il proprietario si accigliò maggiormente alla realizzazione che anche il suo locale potesse essere stato scenario di quei loschi affari. 
“Non ho mai nutrito particolare stima per lei, ma non avrei potuto immaginare una cosa del genere”.
“Capisco, ma spero che questo significhi che si impegnerà ancora di più nella rappresentazione: dobbiamo sperare che questa brutta storia sarà ridimensionata per allora”.
“Ha la mia parola...” risposi con altrettanta intensità. Mi rimisi prontamente in piedi: “Credo che andrò a trovare il Preside”.
“Dirò a Mrs Sprite di preparare un bel vassoio. Gli dica, da parte mia, che sarò a sua disposizione per qualunque cosa”.
“Lo farò, non ne dubiti”.
 
Mi presi un istante per ammirare l'edificio: non avrebbe mai smesso di apparirmi imponente, nonostante ormai ne conoscessi ogni angolo. Quel giorno, tuttavia, mi destava una profonda inquietudine: era come se quello scoop lo avesse reso meno solenne.  Molti studenti, come prevedibile, tenevano tra le mani una copia del quotidiano o discutevano animatamente: le loro facce erano incredule e affrante. Stavo per varcarne la soglia, ma mi bloccai quando riconobbi la persona che stava elegantemente discendendo dalla scalinata. Emma teneva tra le braccia una scatola nella quale doveva aver riversato i propri effetti personali. A pochi passi da lei, quasi scortandola, l'arcigno custode che la squadrava con faccia schifata. Tutti gli studenti si fermarono a osservarla: non più con il rispetto e la reverenza che alcuni le avevano riservato nei fino a pochi mesi prima. Taluni si allontanavano e si facevano da parte per lasciarle lo spazio, quasi non volessero dare l'impressione di conoscerla personalmente.
Pansy e Padma, invece, neppure si premunivano di nascondere la loro soddisfazione e gongolavano in modo ostentato. “Vai a vendere anche i tuoi vestiti?” le domandò la prima e la sua voce riecheggiò tra le pareti. “Fammi sapere se anche a Parigi si vendono i compiti: potrei farci un pensierino”, aggiunse la sua amica, suscitando l'ilarità generale. Il custode neppure parve prendersi la briga di ammonire gli studenti o di intimare loro di andare nelle rispettive classi.
Lei non si fermò e neppure rivolse loro lo sguardo, ma continuò a camminare con la stessa compostezza. La sua espressione s’incrinò solo quando incontrò gli occhi di Tom. Non potevo sentirne la voce, ma fu evidente dal risentimento e dalla vergogna che trasparivano dal suo atteggiamento che fosse stato all'oscuro di tutto. Lei impallidì e le tremarono le labbra, provò a cingerne il braccio, ma lui si ritrasse come se il solo contatto lo facesse inorridire. Gli rivolse un ultimo sguardo contrito e riprese il proprio cammino a testa alta.
Solo quando fu a pochi passi da me, i nostri sguardi s’incrociarono.
Non riuscivo a processare ciò che stavo realmente provando in quel momento: una parte di me era confortata all'idea che non sarei più stata vittima dei suoi sotterfugi, ma le ferite che mi aveva inferto non erano mai guarite. Non potevo sopportare, inoltre, che avesse infangato il nome del Conservatorio per il proprio egoismo.
Come è arrivata a tutto questo?
Mi aveva colpito fin dalla prima volta che l'avevo vista per i suoi modi da “lady”, quell'apparente perfezione che era insita anche nei dettagli e negli accessori dei suoi abiti costosi, nella cura per il trucco e per la capigliatura, persino nel modulare la propria voce e in quella risatina artefatta. Apparentemente la ragazza più invidiabile per il suo status, la sua relazione e il suo talento. Era piuttosto evidente, tuttavia, che non fosse mai stata realmente felice e che la vita a Glasgow sarebbe stata solo fonte di rimpianti e ricordi amari.
Che ne era adesso di quella maschera?
Se la mia presenza le causasse ulteriore umiliazione, non lo diede a vedere. Al contrario, un sorriso quasi sferzante le increspò le labbra nel fermarsi a pochi passi da me, ignorando il gesto imperioso con cui Gazza le indicava l'uscita. Inclinò il viso di un lato e indugiò con lo sguardo sul vassoio. “Buffo, vero? Certe cose cambiano, ma altre restano le stesse”. Di fronte all'ennesima esortazione dell'uomo, sollevò gli occhi al cielo e mi passò accanto, senza neppure attendere una mia replica.
Mi irrigidii e qualcosa dentro di me si smosse e la seguii in cortile. Non mi curai del fatto che alcuni ci stessero osservando o persino seguendo, ma affrettai il passo e la richiamai.
Lei si girò con una mano puntellata sul fianco in una posa incuriosita e spazientita insieme.
“Ma tu sei mai stata sincera con qualcuno?” le domandai a bruciapelo. Nonostante tutto il male che mi aveva fatto, direttamente o meno, avrei voluto capire l'origine del suo comportamento, prima di poter accantonare il suo ricordo una volta per tutte.
Non riuscì a nascondere la sorpresa per una simile domanda, ma i suoi lineamenti si distorsero in una smorfia di autentica ira. Lasciò cadere la scatola e mi guardò con un sorriso quasi folle, puntando il dito contro di me. “Non osare giudicarmi o crederti tanto migliore di me... ” mi disse in tono imperioso, prima di riprendere il controllo e parlare in un sussurro. “Devo ammettere di averti sottovalutata: non avrei mai pensato che mi avresti portato via Tom. Ma a quanto pare eri persino più ambiziosa...”
Mi sentii emettere un verso gutturale d’incredulità e di divertimento alla sua visione distorta del mondo, fino al punto di paragonarmi a lei.
“Ti sbagli, non è mai stato il mio intento” le dissi in tono tranquillo. Era ormai passato abbastanza tempo da rendermi conto che avevo seriamente rischiato di invaghirmi e di lasciarmi abbindolare dalla sua inebriante caccia. Forse persino lui si era realmente illuso che insieme potessimo costruire qualcosa di solido e di concreto. “Ma non hai esitato ad aprirgli gli occhi, non è vero?”
Era la prima volta che l'accusavo esplicitamente, ma finalmente riuscivo a vederla per ciò che era sempre stata, sotto alla sua scorza lucente e della mia ingenuità.
Non lo negò neppure ma sembrò gratificata dalla mia comprensione. “Gli ho fatto solo un favore... un giorno, se non sarà troppo tardi, rinsavirà e mi ringrazierà” replicò con voce flautata e si strinse nelle spalle. “Ti consiglio di goderti il tuo momento, presto anche il tuo adorato Bradley si renderà conto del tuo vero valore. Mi spiace solo di non poter assistere al momento” si permise di aggiungere con un ultimo sorriso. “Addio”.
Sentii montare dentro un'antica rabbia e l'istinto mi suggeriva di afferrarla per i capelli e di schiaffeggiarla per tutti i trascorsi e per quelle ultime parole velenose. Strinsi istintivamente il vassoio tra le mani e mi sentii folgorata da un'illuminazione improvvisa: sapevo esattamente cosa dovevo fare per chiudere il cerchio.
“Allora, queste paste?” mi abbaiò contro l'inserviente. “A chi vanno consegnate?”
“Le dispiace tenermele un attimo?” gli misi tra le braccia il vassoio, lo sguardo fisso tra le scapole della ragazza. “Emma?”
Neppure si voltò e mi costrinsi ad accelerare il passo per pararmi di fronte a lei e impedirle di procedere. Sorrisi di fronte alla sua espressione infastidita e seccata.
“Mi sono appena resa conto che non ti ho mai raccontato del giorno in cui Lupin mi ha sorpreso con Tom nell'atrio. Dell'esatto momento in cui ci ha scelto come protagonisti”.
“Sei seria?!” mi domandò in tono stridulo. “Per quale motivo...?”
Non le permisi di formulare la successiva domanda: sferrai contro di lei la pasta che avevo sottratto dall'involucro. Il ripieno di cioccolata si infranse contro la stoffa di seta bianca e la ragazza osservò con incredulità e indignazione la chiazza scura sul tessuto. Il custode e molti degli studenti ci fissavano senza fiato, taluni si misero a ridere sguaiatamente e ad additarne il vestito, comprese le mie colleghe di spettacolo che non mi erano mai state solidali. La risata di Mirtilla Warren, poi, spiccava su tutte le altre.
“S-Sei così infantile!” squittì Emma con voce quasi isterica. Lasciò cadere la pasta e cercò di tamponare la macchia con un fazzoletto.
“É vero, è stato molto infantile...” dovetti riconoscere. “E sai una cosa? Sarei anche disposta a rivivere tutto quello che mi hai fatto passare solo per questo...”
Mi trafisse con lo sguardo.  “Dovrei mandarti il conto della lavanderia, se potessi permettertelo!”
“Probabilmente no” risposi con uno scrollo di spalle. “Ma dubito che si possa pulire del tutto” aggiunsi candidamente.
“I miei complimenti, signorina...” mi riscossi nel sentire quella familiare voce che mi fece salire un brivido lungo la spina dorsale. Mi domandai da quanto tempo si trovasse alle mie spalle. “Avevo sentito decantare da Lupin le sue doti da lanciatrice, ma finalmente posso appurare di persona che sono ben meritate”.
Emma, che aveva smesso di cercare di rimediare al danno, assottigliò gli occhi, rivolgendo uno sguardo di sprezzo al nuovo arrivato. “A proposito di finzione, spero che le tue presunte doti da attore superino quelle da cosiddetto insegnante”
Bradley inarcò le sopracciglia e la studiò per un breve istante, prima di rivolgerle uno sguardo di mero sconcerto. “In normali circostanze la pregherei di darmi del lei, signorina Watson, poiché non siamo in confidenza. Tuttavia non intendiamo trattenerla a lungo: la sua presenza non è gradita. E, a giudicare dalla reazione dei suoi colleghi,” alluse con un cenno del capo agli studenti che stavano ancora ridacchiando e rimirando la scena, “non lo è mai stata realmente”. Ammorbidì l'espressione in un sorriso serafico, prima di aggiungere: “Ciao Emma e addio Emma[13]”.
Solo in quel momento, consapevole che fosse davvero tutto finito, sembrò vicina alle lacrime di rabbia e di frustrazione. “Vi auguro davvero tanta felicità!” strillò con evidente sarcasmo, prima di affrettare il passo e varcare il cancello d'ingresso, senza mai voltarsi. Molto lentamente il corteo si diradò, ma continuai a ricevere occhiate incuriosite e sorrisi di approvazione.
“Forse dovrei chiedere a Luna come prevenire i malocchi” mormorai, senza smettere di osservarne la figura, fin quando non fu un puntino minuscolo.
Bradley mi stava osservando con un sorriso e uno sguardo piuttosto eloquente, ma abbassò a sua volta la voce: “Mi piacciono le donne che arrivano in anticipo”.
Mi sentii arrossire, ma ne ricambiai il sorriso. “A onore del vero, sono venuta per parlare con Silente: vorrei esprimergli la mia solidarietà, anche se non so a quanto possa servire... ” conclusi con un sospiro. Esaurito quel momento di euforia, mi resi conto che dovevamo tornare alla realtà e alle pesanti conseguenze di quella scoperta.
“Sono sicuro che apprezzerà” mormorò per risposta, salvo inclinare il viso di un lato. Si guardò attorno, quasi a sincerarsi che non fossimo uditi. “Tuttavia, dopo questa informazione, non sorprenderti se sarò ancora più motivato ad attuare i miei progetti di rapimento”.
Sentii il mio cuore mancare un battito e dei piacevoli brividi di attesa al pensiero.
Mi rivolse un breve ammiccamento, prima di salutarmi a voce più alta. “Ci vediamo alle prove, signorina”.
“Naturalmente, Signor James” risposi con altrettanta flemma.
 
 
Non avrei potuto giurarci, ma mi parve che Gazza fosse meno diffidente quando gli chiesi di ridarmi il vassoio di paste.
Ebbi un attimo di esitazione, prima di bussare alla porta dell'ufficio tanto familiare.
“Avanti” rispose prontamente dall'interno.
Il Preside era seduto dietro la sua scrivania più stanco e amareggiato che mai: sentii un nodo in gola nel rendermi conto che non mi era mai apparso così vulnerabile. E neppure così... anziano. Aveva sempre mostrato un'energia e una spensieratezza che lo rendevano molto più giovanile di quanto l’età lasciasse immaginare.
“Buongiorno Sarah, che bella sorpresa” mi disse con la consueta gentilezza che per un breve istante ne animò gli occhi.
“Il Signor Riddle mi ha chiesto di portarle queste e di dirle che è a sua completa disposizione”.
“Non rifiuto mai un dolce regalo, dopo lo chiamerò per ringraziarlo” commentò allegramente, prendendo il vassoio e appoggiandolo davanti a sé. Mi invitò ad accomodarmi, ma non si dedicò alla sua colazione. “Cosa posso fare per te?”
“Mi ha anticipato” mormorai per risposta.
Sorrise più mestamente, alludendo alla sua copia del giornale che aveva riposto in un angolo della scrivania. Sopra vi era appoggiata la custodia degli occhiali. “Deduco che anche tu abbia letto l'articolo. Hai ammirato l'incantevole perfidia[14] della reporter?” mi domandò con un barlume della tipica ironia.
Sospirai e cercai di trovare le parole adatte. “Mi stavo proprio chiedendo se, una volta tanto, potessi essere io a fare qualcosa per lei. Mi rendo conto che non sono neppure una vera studentessa, ma vorrei davvero sentirmi utile in questo momento”.
“Una cortesia disinteressata vale più di una cattiveria pianificata, mia cara” mi disse con un sorriso che, nonostante tutto, riuscì a scaldarmi il cuore.
“Lei non rischierà il suo posto, vero?” domandai in tono angosciato alla prospettiva.
“Non che io sappia” ribatté in tono del tutto tranquillo. “É anche vero che alcuni consiglieri hanno educatamente fatto presente che nulla mi impedirebbe di concedermi la mia meritata pensione. Il nostro eroe, il Professor Piton, sarebbe sicuramente pronto a prendere il mio posto”.
“Non dovrebbe farlo! Non per questa storia almeno” mi affrettai a dire, seppur non fossi nessuno per giudicare con autorevolezza. “Lei mi ha insegnato molto, nonostante sia stata solo di passaggio. E molti studenti meritano la sua attenzione e i suoi saggi consigli che di certo non riguardano solo la recitazione, ma la vita reale”.
Mi sorrise, ma lo sguardo sembrò nuovamente velarsi di una malinconia mista a stanchezza. “Ti confesso che una parte di me si pente di non aver gestito questa situazione in modo diverso”.
Lo osservai attentamente: nonostante il disgusto per il tipo di articolo, c'era stato un punto in cui la Skeeter forse non aveva del tutto torto. Non riuscivo davvero a credere che Silente non fosse minimamente a conoscenza di ciò che stava accadendo. “Durante il viaggio per Londra, lei mi disse che è sempre aggiornato su tutto quello che accade tra queste mura.”
Congiunse i polpastrelli delle dita. “Mi stai chiedendo se sospettassi delle attività illecite della signorina Watson?”
“Non intendo accusarla di nulla... ” mi affrettai a replicare.
“Ebbene sì. Gli insegnanti erano già informati sulla necessità di non divulgare gli esiti degli esami, prima della fine dell'indagine interna” mi rivelò. “Confesso che ho scioccamente sperato che, concedendole altro tempo, la ragazza sarebbe venuta spontaneamente da me. Ha perso una preziosa lezione di vita tra le altre cose... ” mormorò in tono più amareggiato. Era evidente che il suo cruccio principale fosse la crescita interiore di coloro che trascorrevano anni di formazione sotto la sua tutela.
“Una persona molto saggia, tempo fa, mi disse che talvolta le persone hanno bisogno di tempo, prima di essere disposte ad accettare l'aiuto altrui e a cambiare” gli ricordai delicatamente[15].
Mi sorrise più dolcemente. Fui lieta di notare che aveva recuperato uno sprazzo della sua tipica allegria. “Tutti noi abbiamo bisogno, di quando in quando, di ricordarci di continuare a concedere fiducia al prossimo, se non vogliamo nasconderci dalla vita stessa” mormorò e seppi che avrei dovuto, ancora una volta, custodire preziosamente quelle riflessioni.
“Allora non lo dimentichi, la prego”.
“Prometto che m’impegnerò” sorrise per risposta. “Ma ora che ci penso c'è davvero qualcos'altro che potresti fare per me, anche se sono sicuro che sia superfluo chiedertelo”.
Mi sporsi verso di lui per conferire ancora più veridicità alle mie parole. “Le prometto che metterò cuore e anima nello spettacolo, ora più che mai”.
“Era quello che avevo bisogno di sentire... ” affermò allegramente e allargò le braccia. “Propongo di festeggiare questo accordo con una colazione golosa. Prego, cara, a te la scelta”.
Addentai la pasta con un sorriso, dopo averla sollevata, quasi a volergli dedicare un brindisi.
Mi imitò, ma scrutò i pasticcini con espressione incuriosita. “Pensi di raccontarmi spontaneamente che fine abbia fatto la pasta scomparsa, o dovrò aspettare il resoconto di qualche testimone?”
Non riuscii a trattenere la risata: “Molto volentieri”.
 
Non erano state parole di proforma. Quel giorno trovai una motivazione tutt'altro che egoistica a impegnarmi in quelle ultime due settimane. Desideravo, con tutta me stessa, che il nostro lavoro fosse un successo per tutti coloro che, in quell'anno, mi avevano concesso la loro fiducia.
 
To be continued...
 
 
Ben ritrovati :)
Sono contenta che se non altro, questo periodo di forzata reclusione mi abbia consentito di lavorare con maggiore assiduità a questo capitolo.
Ci tengo a ricordarvi, ancora una volta, che tutto quello che è stato detto dei personaggi famosi, soprattutto di negativo, è dovuto al ruolo che ho loro attribuito nella vicenda. Non è assolutamente mia intenzione screditare Tom Felton o Emma Watson ai vostri occhi, ma non nascondo di essermi divertita a conferire loro la parte dei “villain”. Mi riferisco soprattutto all'attrice. Se pensate che non sia adatta a una simile parte, vi suggerisco di guardare il film: “The bling ring” (2013) nel quale interpreta una perfida ladra. La mia amica ne abbiamo tratto spunto nell’affibbiarle questo alter ego. Spero non me ne vogliate: anche se i nomi sono quelli originali, si tratta pur sempre di una finzione e questo è bene non dimenticarlo né da autori né da lettori ;)
Spero di riuscire ad aggiornare quanto prima :)
Nell'attesa ringrazio, come sempre, Evil Queen che mi supporta e mi sostiene e che è stata co-autrice di moltissime story-line ed episodi più divertenti dei vari capitoli. Ringrazio i “nuovi lettori” e anche eventuali “lettori nostalgici” della prima versione che spero non soffrano troppo dei cambiamenti rispetto all'originale. Sono comunque più che disponibile a rispondere a dubbi e perplessità :)
Un abbraccio a tutti,

Kiki87

 
 
[1] Ringrazio Evil Queen per avermi suggerito questa canzone e il suo spettacolare video ufficiale che lo rende una colonna sonora perfetta di questa fan fiction :) Potete trovarlo qui. Credo che sia una perfetta sintesi non solo del capitolo che state per leggere ma anche dell'intera vicenda. Ce lo ridiremo quando giungeremo all'epilogo ;)
[2] Come avrete capito si tratta della sala da the di Madame Piediburro di cui ho lasciato il titolo originale. Per la descrizione mi sono aiutata con quella riportata nel quinto libro.
[3] Per darvi un’idea del gesto, potete ammirare l’attore stesso che lo ha eseguito in questa scena tratta dalla serie tv “Nashville” a cui ha preso parte per qualche episodio. 
[4] Nomignolo affibbiato a Bernadette, uno dei personaggi di Big Bang Theory. Uno dei suoi grandi punti di comicità è l'essere apparentemente piccola e indifesa ma nascondere una grinta quasi omicida e una voce che diviene stridula in modo comico. É a lei che ci siamo ispirate per caratterizzare il personaggio di Amy.
[5] Si tratta dell'abito che ho descritto nella prima scena stessa della fan fiction ;)
[6] Per aiutarvi a figurarvi meglio la scena, ecco un'immagine tratta da un photoshoot recente di Colin, decisamente cresciuto dai tempi in cui interpretava Merlin. Fate voi stessi il confronto con il personaggio della fiction.
[7] Per capirci meglio: Bradley e Amy sono ai due capotavola. Le persone che si trovano una di fronte all’altra sono: Sara – Colin,  Morgana – Angel, Sean – Eoin e Luna e Neville :) Se ve lo steste chiedendo, sì, ho fatto un disegnino su un foglio di brutta e ci ho messo pure una decina di minuti per decidere le singole posizioni :D
[8] Anche in questo caso, ho cambiato graficamente il font, mettendolo in corsivo, per farvi notare il passaggio all'italiano. Se poi, oltre al corsivo, vi è il grassetto, significa che quelle parole sono state pronunciate con maggiore enfasi.
[9] Come ormai ben sapete, sono una frana nel descrivere gli abiti, quindi vi allego le immagini degli outfit che ho scelto per questo appuntamento. Quello di Bradley è tratto da un suo photoshoot
Quello di Sara, invece, da un
catalogo online.
[10] Si tratta di uno dei teatri più antichi e importanti della città. Onestamente non so se abbiano mai rappresentato le opere della Austen, ma ho letto che dovrebbero rappresentarvi “Cenerentola” da Novembre 2020 a Gennaio 2021 e mi è sembrato un segno :P Trovate alcune foto e informazioni qui
[11] Potete ammirare le fotografie di questo bellissimo parco qui
[12] Per scrivere questo articolo, ho preso spunto da quelli riportati nel quarto volume di Harry Potter, ai capitoli 24 e 27, prendendone anche il titolo. Data la natura dello scoop, chi meglio della Skeeter per interpretare la giornalista? ;)
[13] Non ho potuto fare a meno di inserire questa battuta, immaginando la voce di Crescentini che la pronuncia. Era un'altra tipica esclamazione di Dean Winchester quando, in uno dei suoi casi, doveva liberarsi dei resti di un cadavere per permettere la liberazione dello spirito a esso collegato.
[14] Anche questo è un riferimento al quarto libro: Silente, parlando con la Skeeter, si complimenta per il suo stile e, persino, dei commenti a suo carico.
[15] Sara sta facendo riferimento alle parole di Silente nei confronti di Tom, espresse nel capitolo 15.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


18
Il tuo cuore è pieno di sogni infranti,
solo un ricordo sbiadito.
E tutto se n'è andato, ma il dolore va avanti.
Persa nuovamente nella pioggia,
quando finirà?
L'abbraccio del sollievo sembra così fuori portata,
ma io sono qui.
 
Io sono con te.
Ti porterò con me, attraverso tutto.
Non ti lascerò, ti prenderò,
quando vorrai lasciarti andare,
perché non sei sola.
 
Ti solleverò quando il tuo mondo
andrà in pezzi.
Quando sarai, infine, di nuovo tra le mie braccia,
vedrai il vero volto dell'amore.
 
Not Alone – Red[1]
 
Era stata una giornata molto lunga e intensa, ma non avevo alcun sentore di stanchezza. Mi sentivo ancora stordita e la mia mente era un brulicare incessante di pensieri e di ricordi da assimilare.
Fui quasi lieta di sentire la voce di Morgana e la esortai a entrare. Dopo aver congedato Sean, si era già struccata, fatta la doccia e aveva indossato la camicia da notte. Si fece avanti con passi leggeri e mi sorrise: “Vuoi che ti prepari qualcosa di caldo? Una tisana o una tazza di latte?”
Scossi il capo e sussurrai un ringraziamento.
“Anche la cioccolata se vuoi, te la sei meritata” aggiunse con un accenno scherzoso.
“Non ne ho voglia.” risposti laconica.
Sospirò e sedette ai piedi del letto, mentre io mi appoggiavo alla testiera. Allungò la mano verso la mia. “Mi dispiace davvero tanto...” mormorò.
“Anche a me...” ripetei la risposta che avevo già pronunciato almeno due volte in una simile conversazione con gli altri. “Mi sento anche in colpa,” ammisi con un sospiro, “so che dovrei essere felice e orgogliosa di quest'opportunità”.
“Nessuno potrebbe biasimarti: lui soprattutto” specificò lei in tono incoraggiante. “É giusto che affronti le tue emozioni, ma ti sconsiglio caldamente di prendere decisioni affrettate”.
In verità avevo già valutato diverse ipotesi, una più folle dell'altra, ma annuii a quel consiglio.  “Vorrei potermi addormentare di botto, con la sicurezza di non fare sogni”.
“Per quel che vale, sono molto orgogliosa di te e di tutto quello che hai affrontato quest'anno”.
Un sorriso mi affiorò alle labbra e, nonostante lo stato d'animo, un dolce calore mi riempì il cuore.  “Ti ringrazio di esserci sempre stata, specialmente in quest'anno scozzese”.
“Dovere” replicò con un ammiccamento. “Allora, se sei proprio insonne, potremmo fare quello che vuoi: guardare la tua stagione preferita di Grey's Anatomy o persino un rewatch di Glee o di quella miniserie di Orgoglio e Pregiudizio con Colin Firth o... ”
“Sei un tesoro, ma questa sera preferirei restare da sola...” le dissi, sperando che potesse comprendermi. Senza contare che non avrei voluto sentire altri riferimenti all'epoca vittoriana per almeno un mese.
Annuì e si alzò. “Sarò di là se avessi bisogno: ti autorizzo persino a svegliarmi e a interrompere il mio sonno di bellezza... ” si schermì con ironia.
“Lo terrò presente.” promisi con un sorriso. “Buonanotte”.
Attesi che uscisse dalla stanza e mi sporsi verso il cassetto del comodino da cui estrassi un raccoglitore in cui custodivo bozze di scritti, appunti e schemi. Iniziai a sfogliare quelle pagine, quasi sperando che un personaggio fittizio potesse suggerirmi che cosa fare in quella circostanza.
Non avrei mai potuto immaginare che quella notte, attesa da mesi, si sarebbe terminata in questo modo.
 
~
 
 
Qualche ora prima.
 
Fin dal risveglio, ben prima di quanto programmato, avevo percepito la morsa dell'ansia. Mi trovavo in uno stato d'animo simile a quello che avevo sperimentato alla vigilia delle discussioni di tesi o dei primi esami, quando ero ancora preda dell'emotività. Le ore precedenti erano indubbiamente le peggiori: cercavo, in tutti i modi possibili, di distrarmi e di rilassarmi, ma la mente non faceva che proiettarmi al momento in cui avrei fatto il mio ingresso in scena. Avrei voluto saltare quella fase antecedente e trovarmi direttamente sul palcoscenico e “buttarmi”: qualunque fosse stato l'esito di quella serata, dal giorno successivo sarei tornata alla normalità.
Avrei dovuto ringraziare gli sforzi congiunti dei miei amici che mi avevano proibito categoricamente di ripassare il copione e mi avevano coinvolto nelle attività più disparate.
Ci siamo, mi ero ripetuta nel camerino, mentre contemplavo il mio riflesso: avevo indossato il primo abito di scena e mi avevano acconciato i capelli in una pettinatura idonea. Il vestito era di una delicata tonalità rosata, accollato e con delle rifiniture bianche: dalle lunghe maniche, alla cintura che si stringeva alla vita, fino alle balze della lunga gonna[2].
Mancavano pochissimi minuti all'inizio, preceduto da una breve presentazione da parte di Lupin, ma riuscivo a percepire il brusio eccitato e curioso delle persone in platea. Cercai di concentrarmi sugli amici e sui colleghi del pub, per non soffermarmi sugli ospiti di riguardo e sui giornalisti.
Sussultai a un tocco gentile sulla schiena e incontrai lo sguardo di Bradley che, ancora una volta, sembrava indossare lo smoking come un modello professionista. Si chinò per parlare al mio orecchio, dopo essersi assicurato che non fossimo osservati: “Te l'ho già detto che se fossimo vissuti nell'epoca vittoriana, ti avrei corteggiato in modo spietato?”
Mi sentivo troppo agitata persino compiacermi della lode. Lui sembrò intuirlo e mi appoggiò le mani sulle spalle: “Adesso fai un bel respiro profondo. Lentamente... ” mi incoraggiò.
Scossi il capo e sollevai le mani. “Lo farei, ma ho paura che questo corpetto esploda e che possa ferire accidentalmente qualcuno con una delle stecche!” Allusi a quanto fosse stretto quel capo, soprattutto se associato alla biancheria che era stata sapientemente studiata per rispettare i canoni dell'epoca.
Ridacchiò, ma mi sollevò leggermente il mento: “Guardami”.
Lo feci e sentii il cuore tambureggiare fin troppo intensamente. “Se posso essere sincera, questo è tutto l'opposto del rilassamento”.
Ammiccò e mi sorrise: “Andrà tutto bene, dico sul serio. So che la tensione dal vivo è terribile, ma sfruttala a tuo vantaggio per mantenere la concentrazione”.
“E se dimenticassi una battuta?” lo incalzai con voce agitata.
Inarcò le sopracciglia e contrasse le labbra in una smorfia al pensiero. “Non succederà”.
“E se invece accadesse?” insistetti.
“Abbiamo i suggeritori, ricordi?” sussurrò paziente. “Inoltre conosci bene la storia e il tuo personaggio: potrai anche modificare leggermente le frasi, pur mantenendo il significato originale. Nessuno se ne accorgerà”.
“Certo, a parte i colleghi, Lupin e te!” enfatizzai in tono sarcastico.
“Vorrà dire che rimanderemo il tuo linciaggio a domani e ci accontenteremo dei pomodori della Signora Weasley” affermò con espressione seria e con tono sibillino tale da strapparmi una risata stridula. “Fidati di me, ma soprattutto, di te stessa”. Mi sfiorò la guancia con un tocco soffuso e clandestino, prima di lasciarmi. “D'accordo?”
“Avrei dovuto insistere con Luna per il rito anti-malocchio: ricordi le ultime parole di Emma, vero?”
Vi auguro tanta felicità” la scimmiottò con una smorfia e con voce petulante, prima di scuotere il capo. “A dire il vero, credo che alludesse alla nostra storia. Facciamo così: dimentica tutto e tutti: fingi che ci siamo solo noi due in questo teatro, che ne dici?”
La sua mano scivolò a stringere la mia e a sfiorarne il dorso, inducendomi a trattenerla, quasi sperando di poter cogliere la sua forza d'animo e la sua intraprendenza da quel semplice contatto.
Sollevai nuovamente lo sguardo e annuii. “D'accordo”.
Sostò nel mio sguardo fino a trovarvi un barlume di determinazione e mi sorrise di rimando. Lupin, che non avevo mai visto così distinto e curato nell'aspetto, richiamò la nostra attenzione e ci disponemmo a capannello intorno a lui. Bradley gli si mise di un lato e Allock, con una mise di un brillante color arancione, dall'altro. Sembrava lui stesso trepidante seppur fosse abituato ad apparire in pubblico.
“Sono ormai parecchi mesi che ci prepariamo a questa serata, ma tranquilli, non vi farò un'altra ramanzina...” esordì l'insegnante. Una volta tanto mi parve che persino Tom avesse abbandonato quell'espressione di sufficienza e lo stesse ascoltando seriamente.  “So quanto impegno avete investito e voglio solo applaudirvi, prima di chiunque altro, per il vostro percorso di crescita sia come attori sia come persone e voglio ringraziarvi dal profondo del cuore.” commentò in tono solenne, battendo simbolicamente le mani. Fu istantaneo il gesto che nacque anche dal cast in un reciproco atto di fiducia e di stima. “Vuoi aggiungere qualcosa, Bradley?”
Lui annuì e si schiarì la gola. “Mi sono unito a voi quando metà del lavoro era già stato fatto, ma è stato un privilegio e un onore assistere un professionista e lasciarmi colmare dalla sua passione...” Appoggiò una mano sulla spalla di Lupin che sembrò emozionato e scosse il capo vigorosamente.
Allock, dall'altra parte, gli rivolse un inchino e si profuse in una risatina compiaciuta, lisciandosi la giacca. “Vi prego, così mi mettete in imbarazzo...” si schermì con falsa modestia, senza accorgersi che tali parole erano rivolte a qualcun altro. Nessuno dei presenti ebbe cuore di smentirlo ed io soffocai una risatina.
“Inoltre è stato un piacere condividere ore di lavoro con molti di voi e mi sento altrettanto orgoglioso... ” riprese Bradley con un alone più dolce nel sorriso, prima di indicare il palco con un cenno del mento. “Andate là fuori e pensate solo a gustarvi ogni momento: divertitevi”.
“Ben detto...” approvò Lupin, dopo avergli stretto la mano. Si volse all'altro collaboratore con una punta di apprensione: “Maestro?”
“Oh, io?” domandò e parve realmente sorpreso di essere interpellato: in caso contrario, immaginai, avrebbe già avuto un discorso alla mano o un suo libro da citare. “In realtà dopo il professor Lupin e Apollo...”
“Il Signor James...” lo corresse Bradley con la mascella più tesa del consueto.
“Non mi resta che aggiungere un augurio: rompetevi una gamba!” ci augurò con entusiasmo, citando uno dei motti più consueti nell'ambiente teatrale.
Applaudimmo quasi per abitudine in sua presenza, prima che Lupin richiamasse la nostra attenzione.  “Cominciate tutti a prendere posizione”.
 
~
 
A fine serata, ripercorrendo ogni istante, avrei ricordato le rapide palpitazioni del mio cuore al mio ingresso in scena. Era curioso come si avesse una percezione “reale” dei propri movimenti e del proprio corpo, quando si indossavano i panni e si entrava in un personaggio così distante da se stessi. Avevo messo in pratica tutti i consigli che mi erano stati dati nel tempo: avevo mantenuto l'attenzione sul “qui e ora”, avevo scandito ogni parola lentamente e avevo prestato attenzione a ogni movimento.  Aspettavo il silenzio e l'attenzione totale da parte degli spettatori prima di calarmi nei dialoghi: da quelli più rapidi e impulsivi alle sequenze più statiche ma pregne delle emozioni dei protagonisti. Avevo realmente cercato di assaporare ogni istante e, come aveva suggerito Bradley, di divertirmi. A lui avevo pensato nel tentativo di dar vita al turbamento sentimentale del mio personaggio, facilitata anche dalla brillante performance di Tom.
Eravamo giunti all'ultima scena. Mi raccolsi per rendere al massimo l'espressione idonea al volto della protagonista che, a discapito dei propri sentimenti, stava cercando faticosamente di resistere e di celare la sofferenza.
“Ve lo dissi poche settimane fa, Lord Pendlenton...” pronunciai le parole con la pacatezza che era parte della sua personalità. “La mia risposta non è mutata da allora”.
Il ragazzo, di slancio, ricoprì la distanza per guardarmi dritto negli occhi e costringermi ad ascoltarlo un'ultima volta.  “Vi sbagliate, Lady Crawford,”  rivelò con tono più carezzevole del consueto, “chi vi è fronte, in vero, è un uomo diverso da quello a cui alludete”. 
Aggrottai le sopracciglia e un sorriso serpeggiò sulle mie labbra in un'incrinatura sarcastica. “Sapete perfettamente che cosa intendo: non sarà la vostra ben più conveniente condizione sociale a intaccare il mio giudizio su di voi” replicai.
“Vi ripeto che non sono la stessa persona!” esclamò e la sua voce si levò di un'ottava a testimonianza del tormento del personaggio.
Distolsi lo sguardo, perché sarebbe divenuto difficile per Elisabeth, in caso contrario, mantenere fede ai propri principi, ma parlai nuovamente con voce gelida. “Perché dovrei essere disposta a crederlo?”
In netto contrasto, i modi del giovane divenivano più calorosi, seppur intaccati dal riserbo dell'epoca e mi cinse la mano per indurmi a osservarlo in volto. “Perché sono pronto a dire ciò che avete atteso da tutta la vita...”
Sbuffai, mi liberai da quella pressione e la risposta fu persino più tagliante: “Se pensate di lusingarmi con qualche parola che avete certamente rivolto per diletto a qualcuna delle vostre nuove ammiratrici... ”
“Vi prego di tacere” mi interruppe bruscamente.
Sgranai gli occhi per simulare l'indignazione e l'oltraggio: “Ma come vi permettete, razza di villano, giuro che vi-”
Non finii la frase perché, con un gesto più spontaneo e istintivo, mi aveva incorniciato il volto tra le mani. Misi tutta me stessa nel dare vita all'incredulità e, al contempo, all'agitazione, evidente nel rossore delle guance e nel timbro più tremulo.
“Lasciatemi andare...” riuscii a proferire seppur senza la medesima autorità di poco prima.
Il sorriso sulle labbra del giovane si ammorbidì, ma lo sguardo serbava quell'ironia che aveva contraddistinto ogni momento cruciale della loro vicenda. “Siete una donna caparbia, orgogliosa, capricciosa e insopportabile per la maggior parte del tempo che si passa in vostra compagnia...”
Mi incupii, ma mi sfiorò lo zigomo con il pollice. “Ma ciononostante non desidero mai essere altrove...” ammise. Mi trattenne in quella posizione, approfittando del mio smarrimento, prima di cingermi più devotamente le mani e portarsele alle labbra. “O almeno è ciò che mi auguro, se mi vorrete concedere la vostra mano...”
Sembrò che un silenzio teso scendesse sull'intero auditorium: nonostante gli astanti fossero stati in grado, fin dalle primissime battute, di indovinare la soluzione dell'intrigo, la magia del teatro imponeva che restassero col fiato sospeso. O almeno era ciò che mi auguravo. Tom fu abile a calcolare i tempi prima di riprendere il discorso, parlando in modo ancora più appassionato.
“Vi prometto solennemente che mi impegnerò ogni giorno per divenire un marito degno del vostro rispetto e, soprattutto, del vostro affetto incondizionato...”
Mi presi a mia volta un istante e lasciai che la voce uscisse con un anelito più rauco e flebile. “Non mi avete ancora concesso di rispondere, Signore”.
Sarebbe stato superfluo, in verità, ma le labbra del giovane si incresparono di un sorriso più complice che sembrava una perfetta sintesi di tutto ciò che era stata la loro crescita.
“Dunque, Lady Crawford?”.
La mia ultima battuta, realizzai con il cuore in gola. Sollevai una delle sue mani fino ad accostarla al mio viso e ne percepii la morbidezza. Solo allora incontrai nuovamente i suoi occhi. “A dispetto di quanto pensiate, non sono né troppo orgogliosa né troppo testarda per ammettere che avete ragione”. Sorrisi del suo sguardo ironico e annuii. “Ho di fronte un uomo diverso che mi impegnerò a rispettare e, soprattutto... ad amare per ogni giorno della nostra vita”.
Lo sentii appoggiare la fronte alla mia e socchiuse gli occhi mentre proferiva la sua ultima frase: “Esattamente come avevo previsto”.
 
É finita, pensai con sollievo, mentre riecheggiavano gli applausi finali. Il sipario era calato ed eravamo rimasti solo io e Tom al centro del palcoscenico. Mi presi un lungo istante per assaporare quella sensazione: seppur avessi passato quasi nove mesi a imparare come dare vita a Elisabeth, capii che ne avrei sentito la mancanza. Entro pochi istanti, tutti i colleghi ci avrebbero raggiunto per ricevere l'ultimo omaggio del pubblico. Mi sentii artigliare il polso e fissai Tom. Faticai, tuttavia, a riconoscerne lo sguardo: non vi era più quell'alterigia e quella rabbia che vi avevo scorto nel mio appartamento. Aveva un'espressione quasi febbrile: sembrava che fosse inquieto e desideroso di trovare le parole su cui forse aveva meditato da tempo.
“Mi dispiace.” disse di getto, desideroso di essere ascoltato. “Di tutto quanto.
Trattenni quasi il fiato: speravo con tutto il cuore che quella nuova scintilla indicasse un desiderio sincero di cambiare e di crescere.
“Mi rincresce davvero, anche se so che sarà difficile da credere.” aggiunse di fronte al mio prolungato silenzio.
Io stessa faticavo a processare il mio stato d'animo: una parte di me aveva atteso a lungo simili scuse, ma mi resi conto che, mettendo da parte recriminazioni e torti subiti, ero riuscita ad andare avanti e a lasciarmelo alle spalle.
“Lupin aveva ragione su di te: sei stata perfetta.” Lasciò andare il mio braccio e si allontanò senza aspettarsi una risposta, tanto meno un perdono.
“Lo apprezzo davvero...” sussurrai nel guardarne la nuca.  “Per la cronaca, sei stato straordinario questa sera”.
Sembrò voler replicare, ma fummo interrotti. Mi sentii cingere con vigore e fui letteralmente stordita dal profumo fin troppo intenso di Allock. “Trottolina, sei stata magnifica! Parfaite!” mi lodò con voce lacrimosa. “Potrei persino iscriverti a una gara di valzer della mia compagnia”.
“In tal caso sarei ben lieto di offrirmi come Cavaliere...” aggiunse Bradley con un sorriso più allusivo. Ne ricambiai il gesto e mi rilassai istantaneamente, seppur dovessi trattenermi dall'abbracciarlo.
Oh-mio-Dio!” scandì lentamente Allock che, alla prospettiva, parve quasi in procinto di svenire, mentre ne contemplava la figura. “Questo sì che sarebbe un sogno che si avvera!” continuò con voce sognante. Il ragazzo divenne improvvisamente pallido e sembrò imprecarsi mentalmente contro a giudicare dallo sguardo quasi vitreo.
“Sapevo di non avere torto su di te...” soggiunse la voce di Lupin che mi abbracciò brevemente, facendomi quasi commuovere. “Ora vai dal pubblico: è il tuo momento” alluse agli altri che si stavano già allineando per i saluti.
Raramente avevo provato una simile sensazione di mero orgoglio personale e di trionfo, ma volevo godermene ogni istante e camminai lentamente per avvicinarmi e occupare il posto che mi era assegnato: al centro e accanto a Tom. Gli spettatori erano a pochi metri da noi e sentii Lupin impartire l'ordine di riaprire il sipario.
“E complimenti per quell'ultimo lancio...” mi giunse la voce del ragazzo, riferendosi al mio personale congedo per Emma.
Ebbi pochi secondi per ridere, prima di ritrovarmi di fronte a una marea di persone che stavano applaudendo vigorosamente. Ci prendemmo tutti per mano e ci inchinammo di fronte a loro. La sala sembrava letteralmente esplodere per l'ovazione e il brusio: osservai il Preside Silente, la signora Lupin al suo fianco, riconoscibile per il pancione prominente e gli insegnanti. Cercai lo sguardo e i sorrisi dei miei amici e la sagoma inconfondibile del Signor Riddle.
 
Avevo perso la cognizione del tempo: dopo essere scesa dal palco, ero stata avvicinata dai giornalisti. Tom sembrava perfettamente nel suo elemento, ma io ero intimidita, soprattutto di fronte agli occhi scrutatori di una donna dai capelli acconciati in riccioli biondi che contrastavano con il viso dalla mascella pronunciata. Indossava degli occhiali incorniciati da strass e aveva le unghie lunghe almeno cinque centimetri di una tonalità di rosso cremisi. La sua stretta di mano era stata piuttosto energica e non smetteva di sorridere in modo sfrontato[3].
“Quindi lei non aveva mai recitato a questi livelli?” mi domandò in tono avido.
“No” risposi in tono pacato. Fino a poche ore prima, era stato un pensiero fisso che mi aveva fatto desiderare di fuggire di fronte alle mie responsabilità. “Il merito è soprattutto delle persone che mi hanno istruito e guidato per tutto questo tempo, il Professor Lupin e-”
“Era piuttosto... palpabile la tensione tra te e il tuo coprotagonista...” mi interruppe e mi irrigidii istintivamente. Mi sembrava piuttosto chiaro che stesse cercando qualche notizia succulenta e non si sarebbe accontentata di buoni sentimenti e di aforismi. “ I nostri abbonati morirebbero dalla voglia di sapere se si è trattata solo di finzione... oppure no”. Aggiunse con aria complice.
Si chiama recitazione[4]” mi ritrovai a pronunciare la frase di Tom e cercai di imitarne il tono quasi annoiato e saccente. Mi ricordai che fosse prudente parlare poco e in modo inequivocabile.
Inclinò il viso: immaginai che stesse cercando un modo di arginare le mie difese e cogliere uno spiraglio per far breccia. “Mhm, quindi se chiedessi ai tuoi colleghi, immagino che tutti confermerebbero-”
“Che il nostro cast è stato formato da persone estremamente responsabili e professioniste...” ci interruppe il Preside. Esibiva il suo sorriso amabile e lo sguardo azzurro baluginava verso di me con aria d’intesa, quasi promettendomi che mi avrebbe aiutato contro quell'implacabile reporter.
“Silente, che piacere!” squittì quest'ultima seppur gli occhi restassero freddi.
“La gioia è mia, Rita, come sempre. Speravo di incontrarla e di ringraziarla personalmente dell'attenzione che ha rivolto di recente alla nostra Accademia” le disse con la sua tipica signorilità.
Solo in quel momento capii che si trattava della donna che aveva gettato fango su di lui e dovetti trattenermi dal peggiorare la situazione con un insulto.
Lei parve intuire cosa si celasse dietro quelle maniere garbate, ma si mise istintivamente sulla difensiva, giocherellando con la sua penna stilografica, abbinata al tailleur. “Come di certo conviene, è mio dovere informare i lettori di ciò che accade: nel bene e nel male”.
“Naturalmente,” le concesse Silente, “ma spero di poter approfittare della sua deliziosa disponibilità per annunciare un progetto su cui il Professor Lupin ed io stiamo riflettendo da mesi...”
“Un nuovo progetto?” lo incalzò la Skeeter che si affrettò a cambiare pagina del suo taccuino e mi resi conto, con grande sollievo, di essere stata accantonata.
“Credo che il successo di stasera sia l'occasione perfetta: anzi, devo ringraziare la nostra protagonista che ne è stata l'ispirazione” rivelò con un baluginio di affetto nei miei confronti.
“Io?!” domandai incredula.
“Proprio tu, mia cara” mi disse con un sorriso più dolce, prima di tornare a osservare la sua interlocutrice. “Dal prossimo semestre, offriremo lezioni di recitazione ad attori amatoriali che saranno abbastanza coraggiosi da mettersi alla prova e da sottoporsi al giudizio degli esperti in uno degli spettacoli di fine corso[5]”. Sentii il singulto sorpreso della Skeeter e dei colleghi più vicini che si affrettarono ad accerchiare il Preside per strappargli ulteriori dettagli.
Lo ringraziai con un sorriso e provai un moto d'orgoglio all'idea di esser stata, inconsapevolmente, parte di un piano che sarebbe divenuto ufficiale. Sperai di tutto cuore che altri potessero essere altrettanto fieri e gratificati da quell'esperienza.
 
Avevo totalmente smarrito la cognizione del tempo, mentre parlavo con altri reporter fino a sentirmi stremata nel dover continuare a formulare frasi in inglese e a rispondere a quesiti piuttosto impegnativi sulla mia preparazione, sullo studio della dizione fino anche ai rapporti interpersonali con gli altri studenti e con gli insegnanti. Altrettanto stancante fu la sessione di fotografie con ancora addosso gli abiti di scena. Mi parve letteralmente di rinascere quando, finalmente, potemmo ritirarci nei camerini e tornare alle vesti quotidiane. Mi presi, tuttavia, un istante per contemplare quel vestito e sfiorarne la stoffa.
“Addio Elisabeth e grazie di tutto” mormorai tra me e me.
Tornai in auditorium e mi guardai attentamente attorno, riconoscendo alcuni attori con i rispettivi familiari, alcuni insegnanti e spettatori. Aguzzai la vista e cercai qualche viso familiare, domandandomi dove fossero finiti i miei amici.
“Sembri esserti persa...”
Sorrisi nel riconoscere la voce di Bradley e mi voltai, ma prima che potessi formulare una risposta, mi cinse la mano e mi condusse con sé all'esterno, cercando un'aula vuota. A quel punto, con un sorriso più suadente, mi attirò a sé e si chinò per baciarmi. Sorrisi sulle sue labbra, trattenendolo per qualche istante.
“Sei stata eccezionale, lo sai?” bisbigliò contro il mio orecchio.
“L'ho sentito dire...” mi schermii con un sorriso.
“Come ti senti?” mi domandò curiosamente, giocherellando con una ciocca ondulata.
A fatica riuscii a trovare le parole, ma non riuscivo a smettere di sorridere.  “Orgogliosa e piena di energie: è come se questa sera mi sentissi invincibile!”
Dalla sua espressione e dallo sguardo fu evidente che riuscisse perfettamente a comprendere e che lo avesse sperimentato pochi mesi prima e durante i suoi anni di formazione. Mi trattenne contro di sé e disegnò forme astratte con le dita sulla mia schiena. “Immagino che dovrei portarti dai tuoi amici e dai tuoi colleghi che smaniano dalla voglia di vederti e di congratularsi” commentò con espressione pensierosa.
Gli avvolsi nuovamente le braccia intorno al collo: “Penso che potranno attendere altri cinque minuti”.
Ammiccò con un guizzo più complice. “Speravo che lo dicessi”.
 
 
Il Signor Riddle aveva organizzato, con la professionalità e l'efficienza consuete, un ricevimento nella sala che aveva ospitato il ballo di qualche mese prima. Appena ne varcai la soglia, fui letteralmente sommersa dagli abbracci e dalle congratulazioni degli amici e delle persone che avevo incontrato e conosciuto in Accademia in quei mesi. Fu altrettanto commovente scorgere le espressioni fiere di Madama Bumb, della Signora Sprite e della Signora Weasley che, da “mamma chioccia” del pub, mi strinse in un abbraccio affettuoso. “Siamo tutti orgogliosissimi di te!” mi disse con calore. “Un vero peccato che i tuoi familiari non siano potuti venire”.
“La ringrazio” le sorrisi di tutto cuore. “Ho dovuto giurare solennemente di ingaggiare qualcuno per una ripresa video e per inserire i sottotitoli in italiano...” mi schermii in una risatina, vista la poca dimestichezza dei miei parenti con la lingua.
Di fronte al Signor Riddle mi sentii persino più in soggezione del solito: la sua opinione, in quanto ex attore, sarebbe stata tra le più accurate e costruttive. Mi scrutò con la consueta serietà, ma le labbra si ammorbidirono e mi porse un bouquet. “Da parte di tutti noi del Pub: le mie sincere congratulazioni per la sua splendida performance” mi disse in tono solenne. Aggiunse in un sussurro: “Potrei averle concesso dei punti extra che le saranno proficui per la competizione mensile”.
“Non so davvero come ringraziarla” mormorai con le guance infiammate, stringendo i fiori e rivolgendo sguardi affettuosi a tutti i presenti che quella sera erano venuti a mostrarmi il loro affetto. “Il suo sostegno è stato indispensabile: dagli orari di lavoro flessibili, ai consigli e anche ai giusti rimproveri” aggiunsi con una risatina per stemperare l'imbarazzo.
Mi appoggiò la mano sulla spalla: era sempre stato di poche parole, seppur avesse saputo sorprendermi in diverse situazioni. Gli fui grata perché ero certa che avesse compreso più di quanto riuscissi a esprimere senza sentirmi ancora più a disagio. “Si goda la serata” mi augurò.
A pochi metri, ma con lo sguardo fisso su di noi, avevo notato Morgana e Amy: la prima stava sorridendo con aria gongolante e, spesso e volentieri, si chinava verso la seconda. Dai suoi modi, era facile intuire che la stesse stuzzicando. Quest'ultima le aveva rifilato un'occhiata di sbieco, aveva borbottato qualcosa e tracannato un bicchiere di vino. Stavo per raggiungerle, ma mi riscossi al richiamo di Bradley, in compagnia di un uomo distinto ed elegante che riconobbi come il suo mentore. “Le mie congratulazioni...” mi disse Anthony Head e allungò la mano per stringere la mia.  “La sua interpretazione è stata ancora più sorprendente se si considera che non ha una formazione teatrale come i suoi colleghi. A questo proposito, se mai cambiasse idea...”
“Caro Anthony, mi riterrei mortalmente offeso se scegliesse un'Accademia diversa da questa...” intervenne Silente con una garbata strizzatina d'occhi.
Guardai dall'uno all'altro con espressione incredula e le guance nuovamente infiammate, ma mi ravviai i capelli e scossi il capo. “Siete tutti così lusinghieri che rischio che mi giri la testa...” mi schermii con una risata. “Ma sono onorata che provengano da voi”.
Ci intrattenemmo in una breve conversazione, prima che Silente appoggiasse una mano sulla spalla del suo ospite. “Dovremmo lasciare che Sarah si goda la compagnia dei suoi cari...” convenne. “Ma, parlando di altri allievi che avresti voluto rubarmi, ti ricorderai senz'altro di Tom Riddle...”
Quest'ultimo era concentrato nel coordinamento del catering insieme a Madama Bumb mentre le Signore Weasley e Sprite, aiutate da alcuni dei più giovani, stavano finendo di disporre il cibo sui tavoli.  Anthony sgranò gli occhi e fu ben lieto di farsi accompagnare a salutarlo.
“Sara, diglielo anche tu...” mi riscossi alla voce di Morgana che stava letteralmente trascinando Amy, parlando in italiano. Notai l'espressione profondamente infastidita di quest'ultima che tratteneva ancora il calice da cui aveva bevuto poc'anzi.
“Convincerla di cosa?”
“Dovrebbe andare a parlare con il Signor Riddle per chiarirsi!” esclamò con vigore.
Prima che potessi esprimere una mia opinione, la diretta interessata si liberò dal suo braccio e la fissò con aria bellicosa. “Dopo il modo in cui mi ha trattato?!” gracidò con voce acuta. “Col cavolo! Dovrebbe essere lui a scusarsi con me!”
Morgana sollevò gli occhi al cielo e aggiunse a mio beneficio: “Lo fissa in continuazione!”
L'altra arrossì e sgranò gli occhi. “Non mi interessa proprio per niente, perché ne parli ancora?!” la sgridò, puntandole il dito contro. “Diglielo anche tu, Sara, per favore!”
Mi passai una mano tra i capelli, osservando dall'una all'altra, ma soffermandomi sulla mia coinquilina prima di parlare in modo calmo, ma convincente. “Sono d'accordo con lei: per quanto ti piacerebbe, non puoi controllare le azioni e le intenzioni altrui. Soprattutto se ci dovrebbero essere di mezzo delle scuse sincere...”
“Grazie! Questo è parlare!” esclamò Amy.
La moretta mi rivolse un'occhiata di puro biasimo e di scontento ma sembrò ingoiare la replica che aveva già pensato. Si strinse nelle spalle: “Come dite voi...”
Si mise a osservare la tavola che veniva imbandita. Inarcai le sopracciglia: la conoscevo fin troppo bene per potermi illudere che si sarebbe arresa.
“Oh Signore...” sentii esalare dalla Signora Weasley alle nostre spalle con voce implorante. “Ti prego, abbi pietà delle mie povere ovaie![6]” annaspò quasi a fatica. Si stava facendo aria con un vassoio. Aveva gli occhi fissi su Anthony al centro di un'animata conversazione con diversi ospiti.
“M-Ma Signora Weasley, che cosa dice?!” la rimproverò il Signor Riddle con lo sguardo atterrito e sconvolto insieme.
“C-Come? H-Ho parlato ad alta voce?” si riscosse e sbatté le palpebre, mentre un rossore colpevole le chiazzava le guance e il collo. Dovetti soffocare la risata di fronte all'espressione del marito che si era posto le mani sui fianchi con aria indignata, mentre il figlio Bill sollevava gli occhi al cielo.
Per sua fortuna, l'attenzione generale deviò su Silente al centro della sala: “Grazie a voi tutti per essere qui, ma in modo particolare allo staff della Camera dei Segreti che ha preparato queste leccornie per tutti voi. Lungi da me perdere tempo in lunghi discorsi: dateci dentro!”
In breve tempo la sala si riempì di un chiacchiericcio piacevole e, coi gemelli Phelps subentrati nel ruolo di dj, si creò un'atmosfera simile a quella del ballo, seppur in questo momento mi trovassi in un perfetto mix tra i colleghi di scena e quelli del Pub. Almeno per quella sera, Rankin, uno dei prevedibili assenti, non avrebbe bacchettato nessuno. Fui invece piacevolmente sorpresa dal Signor Riddle che sembrava aver dismesso gli abiti da datore di lavoro: quella sera era soltanto Tom, l'ex pupillo di Silente, che sembrava essersi ripreso il suo posto tra quelle mura. Mi sembrava sereno, rilassato e spensierato, mentre era circondato dai suoi colleghi di studio dell'epoca, tra i quali Lupin, Black e Sibilla Thompson.
“Signore e signori” prese la parola Oliver Phelps. “É giunto il momento di rispolverare le scarpe da ballo: abbiamo una bella lista di canzoni da proporvi. Quindi, signori avvicinatevi alle vostre dame e concedetevi qualche minuto di smancerie gratuite...”
Mi lasciai condurre da Bradley con gioia all'idea che si era sciolto quel legame “professionale”. Ne cinsi il collo e costatai che sembrava un ballerino provetto, anche senza aver ceduto alle molteplici suppliche di Allock di diventarne un allievo. Con il mento appoggiato sulla sua spalla, avevo osservato le altre coppie sulla pista: Morgana, tra le braccia di Sean, sembrava momentaneamente distratta dai suoi propositi. Neville aveva calpestato involontariamente il piede di Luna, ma quest'ultima cominciò a condurlo dolcemente e amorevolmente, facendolo arrossire. Notai con piacere che Colin si era avvicinato ad Amy per chiederle galantemente di danzare: quest'ultima gli sorrise e accettò con le guance arrossate.  Ad eccezione di Sean e Morgana gli altri abbinamenti erano decisamente cambiati.
“Mi dispiace essermi perso il vostro primo ballo...” disse Bradley.
“Stavo pensando la stessa cosa...” ammisi. “Ma avrei atteso anche di più se necessario” confessai e mi rilassai fino alle note finali del brano, dopo averne baciato la guancia.
“Ma torniamo alle cose serie!” ci giunse la voce energica di James. “Adesso abbiamo una dedica speciale al nostro amico Daniel per il suo compleanno” indicò il ragazzo che si era appena sciolto dall'abbraccio con Bonnie. Aggrottai le sopracciglia: a quanto ricordavo, compiva gli anni a Luglio.
“Ma cosa dici?” lo rimproverò Oliver con uno sbuffo plateale. “Lo sai che sei in anticipo”
Oh, è vero!” recitò James con fin troppa enfasi. “Allora dobbiamo festeggiare la sua nuova conquista...”
“Chi lo conosce, sa bene che si tratta pur sempre di un miracolo!” ribatté Oliver, suscitando una risatina generale a cui i diretti interessati si unirono volentieri e con bonarietà.  “A proposito, mi devi cinque dollari, fratello”.
“Questa è per te, Dan, con tutto il nostro affetto...”
 
There's a woman crying out tonight
her world has changed...
 
L'espressione lusingata ma sorpresa di Daniel cedette il posto a un evidente incupimento nel riconoscere le note dei Good Charlotte.
Mi parve nuovamente di sentirne la voce e di ricordare l'indignazione e la rabbia per la disastrosa conclusione della sua trasferta con Amy. Tra gli episodi che mi aveva citato, vi era stato l'incontro con “un tizio che, detto tra me e te sicuramente fa uso di steroidi”, ma il momento culminante era stato vederli ballare sugli spalti sulle note di quella melodia.
 
We believe
we believe
in this love
 
“Non voglio mai più sentire quella canzone in vita mia![7]”.
 
Soffocai una risata contro la spalla di Bradley che esibiva un'espressione adorabilmente confusa e perplessa. Lanciai uno sguardo ad Amy che aveva gli occhi sgranati e le guance infuocate e, per lo shock, sputacchiò lo champagne che stava bevendo che le sgorgò anche fuori dal naso.  Scambiò uno sguardo con il suo ex che sollevò il braccio in segno di saluto, dopo aver indicato i gemelli con uno scuotimento del capo. Scoppiarono entrambi a ridere, mentre io facevo un veloce riepilogo per Bradley che fu a sua volta scosso dall'ilarità.
“Chiedo scusa” ci giunse la voce di Anthony alle spalle. “Temo di doverle rubare il Cavaliere per qualche istante: è una questione molto importante” mi disse in tono febbrile e notai che aveva condotto anche Colin con sé.
“Ma certo, si figuri”.
Il ragazzo apparve confuso, ma mi baciò la guancia e si congedò.
“A dopo” ne lasciai la mano e tornai a osservare la postazione dei gemelli che stavano decisamente dando una scossa all'ambiente, cominciando a cantare a squarciagola il brano, con voci piuttosto stonate, fino alle note finali.
“Lieti che Daniel si sia commosso per il nostro affetto, ma adesso vogliamo vedervi scatenare!” ci esortò James, prima di inserire un altro brano ritmato, cominciando a scatenarsi dalla sua postazione, imitato subito da Oliver.
“Ottima idea!” esclamò Morgana. “Balliamo tutti insieme!” mi trascinò in pista insieme a un bel gruppetto misto. Soltanto troppo tardi mi accorsi dello scintillio diabolico del suo sguardo e della sfortunata destinataria della sua ultima trovata.  Era riuscita a far spostare Amy, coinvolta dalla canzone che gradiva e resa più disinibita per i bicchierini di troppo, nella zona in cui il Signor Riddle stava ancora chiacchierando con gli amici di vecchia data. Fu con un gesto deciso, nel momento più conveniente, che la spinse contro di lui, facendola cozzare contro il suo petto. La ragazza si staccò con tale foga da rischiare di cadere sul fondoschiena. Mi sentii mortificata per lei quando Lupin le chiese gentilmente se si sentisse bene. La situazione era ulteriormente resa imbarazzante dal fatto che apparisse spettinata e leggermente alticcia. Il suo ex datore di lavoro la stava osservando con occhi sbarrati e l'espressione interdetta, ma la poveretta riuscì a biascicare qualche parola di scuse, con aria mortificata, prima di allontanarsi.
“Sei incorreggibile...” sibilai in direzione di Morgana, dopo averle dato uno scappellotto. Mi affrettai a seguire la nostra amica che si era diretta verso i tavoli, lontano dalla pista.
“Sto bene!” mi disse con voce strozzata e le guance ancora infuocate. Ingollò un altro bicchiere di champagne e mi guardò cupamente: “ Ti giuro che questa me la paga!”
Sospirai e annuii. “Hai tutte le ragioni del mondo, ma credo lo abbia fatto a fin di bene, anche se ovviamente è senza scuse” mi affrettai a precisare.
“Se vuoi scusarmi, credo che andrò al bagno” mormorò in tono lugubre, evitando gli sguardi altrui. Sean stava rimproverando la sua ragazza e neppure le sue moine lo fecero desistere. Luna e Neville, invece, sembravano troppo assorbiti dal loro ballo per accorgersi di tutto il resto.
“Vuoi che ti accompagni?”
“No, potrei sempre decidere di suicidarmi...” replicò con una forte nota ironica. Recuperò la sua borsetta e si allontanò. Sospirai e tornai a osservare la calca di persone nella stanza e inarcai le sopracciglia quando mi resi conto che Anthony e i ragazzi sembravano essere usciti. Evidentemente necessitavano di un luogo più tranquillo e discreto. Mi sedetti per dare sollievo ai piedi e per mangiucchiare qualcosa.
“Mi serve il tuo aiuto...” mi disse Morgana dopo aver occupato la sedia al mio fianco.
Sollevai gli occhi al cielo, ma scrollai le spalle: “Scordatelo.”
Mi strinse la mano per indurmi a guardarla in volto: ben lungi dal sembrare dispiaciuta, era ancora determinata e quasi ossessionata dal suo obiettivo. “Lo sai che l'ho fatto per il suo bene.”
Aggrottai le sopracciglia e le rivolsi un sorriso sarcastico: “É una giustificazione che usano spesso anche i sociopatici nei confronti delle loro vittime...” le feci notare con finta cordialità.
“Aha, molto divertente...” ribatté ma, prima che potesse replicare ulteriormente, sollevai una mano.
“So che avevi buone intenzioni, ma Amy è stata esplicita e dovresti rispettarne la volontà”.
Scosse il capo, neppure fingendo di riflettere sopra la mia considerazione: “Lo pensi anche tu che questo malinteso è durato fin troppo, vero?!”
“La nostra opinione conta poco...” ribattei in tono deciso. “Inoltre io lavoro ancora al pub e non posso certo intromettermi nella vita personale del mio capo”.
“Ma è stata proprio Amy a presentarvi!” mi ricordò in tono compiaciuto. “Pensa a come sarebbe bello se ricambiassi la cortesia e contribuissi a farli riappacificare... se tutto va bene, potremmo tornare lì per gli aperitivi e per le cene” aggiunse in tono eloquente.
La guardai con profondo rancore: detestavo quando, al solito, riusciva a rigirare la frittata a una maniera per lei vantaggiosa.  Mi rivolse il suo sorriso trionfante e sospirai. Sapevo che non avrebbe potuto godersi la festa prima di riuscire nel suo intento o di fallire in modo clamoroso e irrecuperabile. “D'accordo, sentiamo il tuo piano strampalato” borbottai. “Ma è ancora da vedere se accetterò!”
“Oh, tesoro...” mi blandì con un buffetto. “Dici sempre così e poi sai come finisce”.
 
Aspettò che Riddle restasse solo con Silente, prima di avvicinarsi con il suo sorriso più affascinante e richiamarlo. Quest'ultimo si era voltato per capire di chi si trattasse: la studiò per un istante e le rivolse un cenno distratto, prima di tornare a sorseggiare dal suo bicchiere.
“Sto parlando con lei!” lo sgridò Morgana, alzando la voce. “Non finga che sia un'estranea!”
Sarei volentieri rimasta ad assistere a quella conversazione, ma dovetti attenermi al nostro accordo e mi affrettai a raggiungere Amy, prima che potesse rientrare nella stanza. Sospirai di sollievo nel trovarla ancora in bagno e alle prese coi propri capelli, contro i quali stava sbuffando.
Mi guardò dal riflesso con le sopracciglia inarcate: “Lo sai che scherzavo quando ho detto che volevo suicidarmi, vero?” mi interrogò.
Ridacchiai alla battuta ma scossi il capo. “Mi chiedevo se potessi farmi il favore di accompagnarmi in auditorium: devo recuperare la mia borsa”.
Aggrottò le sopracciglia: “Dov'è Bradley?”
Fui lieta di poter essere sincera su quel punto. “L'ha letteralmente sequestrato il signor Head: ti dispiace? Ci andrei più tardi, ma ho lasciato anche il cellulare e avevo promesso a mia madre di telefonarle appena possibile”.
“D'accordo” mi concesse e si strinse nelle spalle. “Almeno potrò cambiare aria per un po'” aggiunse mestamente, ripensando alla figuraccia di poco prima.
“Grazie...” le sorrisi, sentendo già montare il senso di colpa. Le feci strada con disinvoltura, ancora faticando a credere che forse sarebbe stata l'ultima volta che avrei camminato tra quei corridoi.
“Accidenti, la mia lente a contatto!” mugugnai di fronte alla porta. Mi coprii all'altezza degli occhi con una mano e finsi di tamponare le lacrime con un fazzoletto. “Ti dispiace andare da sola? La borsa dovrebbe essere in un armadio dietro il palcoscenico.” spiegai.
Lei sospirò.  “Fortuna che è successo adesso e non mentre eri sul palco: avevi chiesto a Luna un contro-malocchio, vero?”
“Altroché...” ribadii con uno sbuffo, lasciando che mi passasse di fronte ed entrasse.
“Dentro un armadio, giusto?” mi incalzò, dopo aver seguito le mie istruzioni per trovare un interruttore.
“Esatto” risposi automaticamente. La spiai in segreto, controllando il corridoio e l'orologio con impazienza. Forse avrei guadagnato qualche altro minuto nel quale si sarebbe dedicata a cercare inutilmente. Sentii uno scalpiccio di passi e fui rincuorata nel riconoscere le voci e appurare che Morgana era riuscita nella sua parte del piano.
“Far dispiacere una signorina, Tom!” lo stava rimproverando Silente con insolita serietà. “Mi meraviglio di te”.
“Ben detto!” ribadì la mia amica con espressione giudicante.
“Ma guarda cosa mi tocca fare...” brontolò il malcapitato che sembrava ancora più stizzito dall'aver dovuto percorrere mezza Accademia, apparentemente senza motivo. “E per una ex dipendente tra l'altro”.
Nonostante tutto, dovetti trattenermi dal ridere di fronte a quell'insolito quadretto, ma allo sguardo eloquente della mia amica rivolsi un cenno di assenso.
“Amy la sta aspettando...” disse in tono composto. “Qui potrete parlare tranquillamente e senza essere disturbati” precisò con naturalezza. Era ammirevole come riuscisse a far sembrare tutto ragionevole e persino doveroso.
Le rivolse una delle sue occhiate in tralice che sapevano intimidire chiunque. “Lei signorina mi sembra chimicamente sbilanciata, lo sa?” le disse dopo aver scosso il capo.
“E lei è un autentico gentiluomo” ribatté prontamente, facendo ridacchiare Silente. “Vada...” lo spinse senza troppe cerimonie.
Lo sentimmo emettere un'esclamazione di sorpresa: “Ma qui non c'è nessuno!”
Con uno scatto chiudemmo e sigillammo la porta alle sue spalle. 
Che sta succedendo?!” domandò in tono alterato. “Se si tratta di uno scherzo, posso assicurarvi che ci saranno gravissime conseguenze: riaprite subito la porta!” ci ordinò in tono così coercitivo che dovetti trattenermi dall'assecondarlo.
“Se mi licenzia, giuro che me la paghi” gemetti in risposta, mentre lei mi faceva cenno di tacere.
Professor Silente, faccia qualcosa, la prego!”
Il preside era la nostra incognita: avrebbe potuto rivelarsi il nostro complice più prezioso ma, al contempo, la nostra rovina. Morgana, alla luce dei miei racconti, sembrava persuasa che il buon uomo avrebbe capito le nostre intenzioni e avrebbe potuto sorvolare sui metodi poco ortodossi. Gli rivolsi uno sguardo interrogativo, ma di fronte al baluginio complice del suo sguardo mi sentii enormemente sollevata.
“Accidenti...” gemette in tono più che convincente, dopo aver finto di abbassare la maniglia. “Mi dimentico sempre di appendere un cartello che avvisa che questa entrata è difettosa e di non usarla. Temo che dovrai attendere, Tom, perché le altre sono già sigillate, ma non preoccuparti: noi andremo subito a cercare il Signor Gazza per farti uscire”.
“Stia tranquillo, ci pensiamo noi!” ribadii a mia volta, cercando di controllare la voce.
Sara?!” sentii la voce di Amy con intonazione sorpresa. Si lasciò sfuggire uno squittio incredulo di fronte al suo ex datore di lavoro.
Morgana mi fece cenno di intesa e mi affrettai a risponderle: “La maniglia è bloccata, ma sto andando a cercare il custode. Stai tranquilla, torno subito!”
Seguimmo l'esempio di Silente e ci muovemmo effettivamente di qualche passo per lasciar udire lo scalpiccio dall'interno.
“Magnifico...” borbottò Riddle. 
“Per niente!” ribatté la mia amica, ritrovato un po' di coraggio.  “Non ho alcuna voglia di parlare con lei: avrei preferito rimanere qui dentro con Rankin!”
Dovetti trattenermi dal ridacchiare al riferimento, ma premetti maggiormente l'orecchio alla porta per sentire la reazione dell'uomo.
“Strano, è tutto il contrario di quello che sosteneva la sua amica, quella moretta inquietante”.
“Hey!” sibilò Morgana, ma le diedi di gomito per indurla a tacere.
“Morgana!” ringhiò letteralmente Amy. “E con questa sono due, anzi tre[8]” commentò. La sentimmo muoversi e immaginai che si fosse accomodata su una poltroncina. Ne ebbi conferma dopo aver spiato dalla serratura, ma lo spiraglio era troppo piccolo per individuare Riddle.
Silente mi fece un cenno di intesa e, dopo aver udito anche i passi dell'uomo, girò la chiave e abbassò la maniglia per schiuderlo, di modo che potessimo gustarci la scena.
“Per la cronaca, è stato tratto in inganno...” precisò la ragazza. Aveva accavallato le gambe e incrociato le braccia al petto, fissando ostinatamente da tutt'altra parte. “Non avevo alcuna intenzione di parlarle”.
Lui sbuffò apertamente e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, prima di avvicinarsi alla poltrona, ma senza accomodarsi. “Tutto questo è ridicolo!” esclamò, prima di scuotere il capo. “Le chiedo scusa. Sono stato un vero cafone quel giorno: ero arrabbiato per ben altri motivi e me la sono presa ingiustamente con lei” affermò in tono brusco e spiccio. Sembrava abbastanza chiaro che era poco avvezzo a chiedere perdono. Scambiai un sorriso soddisfatto con la mia amica: dovetti riconoscere che era davvero un bel passo avanti rispetto ai suoi standard.
Finalmente Amy gli rivolse uno sguardo, ma parve poco impressionata: si rimise in piedi a sua volta, le mani sui fianchi e sollevò il mento. “Non dovrebbe chiedere scusa solo alla sottoscritta” precisò sull'onda dell'impeto.
“Ecco l'effetto di qualche bicchiere di champagne...” ridacchiò Morgana.
L'uomo anziano gongolò a sua volta: “Non ne sarei così sicuro: ha un bel caratterino pepato” commentò, prima di rivolgerci uno sguardo d’intesa. “Credo che questa volta Tom avrà del filo da torcere...”
Quest'ultimo la guardò interdetto: “E questo cosa vorrebbe dire?” la esortò a spiegarsi meglio.
“Lei mi diceva sempre che dovevo separare la vita personale da quella professionale: ma lei è il primo a infrangere questa regola!” lo additò di nuovo e la sua voce divenne persino più stridula.
“Ben detto!” mormorai.
“Quando è arrabbiato se la prende sempre con il primo sfortunato. Soprattutto con Neville che è terrorizzato da lei!” continuò con la solita energia.
“Quel ragazzo simpatico che si occupa dei dessert?” mi domandò Silente e annuii.
Riddle sospirò. “Paciock è una brava persona, ma è un tale pasticcione, lo sa meglio di me!” Scosse il capo. “Cerco solo di spronarlo”.
Beh sta sbadigliando approccio!” squittì lei. “Diventa goffo perché lei lo innervosisce! Una volta, quando lei era nel suo ufficio, ha sostituito Sara dietro al bancone ed è stato bravissimo: i clienti lo adorano” ribatté prontamente. “Lo sa che sta studiando per diventare un pasticciere? Le sue torte sono a dir poco deliziose, ma è la persona più umile che conosca!”
Il volto dell'uomo tradì un reale moto di sorpresa e restò silenzioso per qualche istante nel quale parve realmente riflettere. “Non ne avevo idea...” rivelò e il suo tono sembrò tradire un reale dispiacere.
“Perché non ascolta MAI i suoi dipendenti!” lo sgridò con ancora più enfasi, approfittando del vantaggio. “Rankin se lo merita ma gli altri no!”
Sul volto di Riddle apparve una smorfia: “Questo è falso: sono sempre stato ragionevole nell'accordare dei permessi o nel modificare gli orari di lavoro per i loro bisogni” precisò indignato.
“Io capisco la necessità di mantenere la distanza legittima con lo staff...” gli concesse Amy in tono più quieto.  “Ma lei ha sempre un'espressione torva. Sembra Heathcliff[9]!”
A quel paragone Silente ridacchiò e, nello stesso momento, un sorriso increspò le labbra di Riddle che volse uno sguardo al luogo in cui si trovavano. “L'ho davvero interpretato, proprio su quel palcoscenico” disse e parve perdersi nei ricordi per un breve istante.
“E fu un grandissimo successo: Anthony gli fece una corte spietata” aggiunse il Preside a nostro beneficio. Seppur avessi sentito quell'aneddoto anche da Bradley, sorrisi al pensiero che, in qualche modo, i nostri mondi si fossero toccati anche attraversando quelle due persone che avevano inciso nella nostra vita.
“Evidentemente è rimasto troppo a lungo nel personaggio” osservò la mia amica.
Riddle si prese qualche istante per riflettere, senza smettere di osservarla.
“Poche donne sono state in grado di metterlo alle strette: la vostra amica è una di queste” dichiarò Silente. Avevo l'impressione che quel colloquio fosse stato un bene anche per il mio capo: aveva davvero bisogno di sentirsi rivolgere quegli ammonimenti e speravo con tutto il cuore che ne avrebbe beneficiato in futuro.
“Sapevo che era la cosa giusta da fare” si compiacque Morgana.
“Questa chiacchierata è stata molto istruttiva, devo ammetterlo...” commentò Riddle dopo un lungo istante di silenzio, prima di ammorbidire l'espressione. Un sorriso gli increspò le labbra e mi domandai se Amy potesse scorgere nel suo sguardo un riflesso del ragazzo della fotografia. “La ringrazio e mi scuso nuovamente. Cercherò di seguire i suoi consigli d’ora in poi”.
Lei sembrò senza parole e quasi incredula di essere riuscita a sostenere una simile discussione e con tal esito. Si rilassò a sua volta e ne ricambiò il gesto. “Sono contenta di sentirglielo dire: adesso posso accettare le sue scuse”.
“Molto bene” commentò l'uomo e le porse la mano destra. “Spero di rivederla da noi”.
 
“Sarah? Morgana?” mi giunse una voce quasi flautata e mistica che mi strappò da quel momento di osservazione. Sussultammo tutti e tre e ci voltammo verso la nuova arrivata.
“Ma cosa ci fate qua? C'è una saletta privata per la festa?” ci domandò con voce interdetta.
“Ciao Luna... ” mi affrettai a salutarla, ma cercando di mantenere la voce a decibel discreti, mentre Silente richiudeva la porta alle nostre spalle.
“Che ci fai qui?” la incalzò Morgana. “La festa è appena iniziata, torniamo di sopra!” la spronò con un bel sorriso.
Ci scrutò attentamente, con gli occhi sgranati e quasi fuori dalle orbite. “Stavo cercando il bagno e credo di essermi persa... ” rispose e si prese un istante per rimirare la porta dell'auditorium, prima di rivolgersi a me. “Bradley ti stava cercando, sai?”
“Allora è meglio che torniamo tutti di sopra” intervenni prontamente.
“Sarò lieto di indicarle il bagno più vicino” si propose Silente allegramente, mentre l'uscio alle nostre spalle si schiudeva.
Riddle ci scrutò con espressione sospettosa e accigliata, le braccia incrociate al petto, mentre Amy fulminava Morgana e me con lo sguardo.
“Come vi stavo dicendo, signorine,” improvvisò Silente, indicandoci un dipinto affisso a una parete laterale, “quel quadro è molto antico: pensate, si trova qui dalla Fondazione stessa dell'Accademia...”. Finse di essersi accorto solo in quel momento che erano usciti ed esibì il suo sorriso più amabile. “Tom, bentornato: stavo facendo gli onori di casa”.
“Credevo che la maniglia fosse difettosa e che foste andati a cercare Gazza per aiutarci” ribatté quest'ultimo con voce serafica ma inquietante.
“Lo abbiamo cercato!” si affrettò a replicare Morgana con il suo sorriso spudorato.
“Ci siamo persino divisi” continuò il Preside in tono convincente. “Stavamo giusto chiedendo alla signorina di aiutarci per estendere ulteriormente le ricerche...”
“Credevo mi volesse dire dove si trovano i bagni...” obiettò Luna con intonazione perplessa.
“Fortunatamente, a differenza nostra, hai avuto abbastanza forza da sbloccarla da solo, caro Tom” ribadì Silente. “Spero che tornerai di sopra con me: sono certo che alcuni dei tuoi ex compagni di studio muoiano dalla voglia di continuare a chiacchierare con te”.
Riddle gli rivolse un altro sguardo scrutatore, ma assentì con un cenno del capo. “Con permesso” si congedò, dopo aver guardato male Morgana. Da parte mia, ne evitai lo sguardo, ma deglutii a fatica quando mi disse: “Noi faremo i conti al lavoro”. Si mosse in rapide falcate e raggiunse il Preside. 
Merda.
Mi voltai per incrociare lo sguardo inflessibile della mia amica e capii che i guai erano appena iniziati. “Nell'armadio non c'erano borse...” mi fece notare con voce sarcastica. “Ma mentre mi affannavo a cercarla, mi sono ricordata che Bradley in persona la stava custodendo nel suo ufficio”.
“Oh, che scema, hai ragione!” mormorai per risposta, passandomi una mano tra i capelli. “Credo che andrò a recuperarla per telefonare a casa, prima che a mia madre venga un attacco di panico”.
“Certo” commentò lei con un sorriso velenoso. “Per tua fortuna ho un bersaglio più grande” sibilò in direzione di Morgana.
Lei ammiccò sfacciatamente: “Non ringraziarmi, è stato un piacere. Ora, se volete scusarmi, devo recuperare il mio ragazzo: finalmente posso godermi la festa”.
“Fai pure...” le sorrise Amy, raggiungendo Luna e conducendola con sé. “Finché puoi!” aggiunse e la minaccia riecheggiò nel corridoio.
 
~
Quando rientrai nella sala da ballo, i gemelli erano ancora impegnati a movimentare il rinfresco, Riddle era nuovamente circondato da alcuni conoscenti, Morgana si stava finalmente rilassando con Sean e Amy stava chiacchierando con Luna e Neville.  Bradley stava parlando con Colin e quest'ultimo gli aveva appoggiato la mano sulla spalla. Si capiva dalle loro espressioni che non fossero le loro tipiche schermaglie. Fu il moretto a notarmi e gli fece cenno in mia direzione. Lo salutai con la mano e lui si affrettò a raggiungermi.
“Hey” lo accolsi con un sorriso.
“Dov'eri nascosta?” mi domandò incuriosito.
“Scusami. Mi sono ritrovata, mio malgrado, coinvolta in uno degli intrighi di Morgana, ma almeno a fin di bene. Luna mi ha detto che mi stavi cercando...” soggiunsi.
“Infatti” confermò e mi cinse la mano. “Andiamo nel mio ufficio: parleremo più tranquillamente”.
Lasciai che mi facesse strada, ma avevo una strana sensazione e continuai a domandarmi che cosa potesse essere accaduto in quel breve arco di tempo.
Si chiuse la porta alle spalle e mi indicò la poltroncina che avevo occupato in altre occasioni, tuttavia preferii restare in piedi e lo guardai ansiosamente: “É successo qualcosa?”
“Sì, ma è una cosa potenzialmente bella” pronunciò con cautela e il suo volto restò teso.
Inarcai le sopracciglia. Era evidente che qualcosa lo stesse preoccupando, ma mi sforzai di mantenere la calma e mi avvicinai. “Puoi dirmi tutto, davvero...” lo incoraggiai.
Annuì e lo sguardo scintillò mentre un breve sorriso gli increspava le labbra: “Questa sera Anthony ha incontrato, tra i vari ospiti, l'amico di un regista che ha parlato di alcuni provini per una serie tv piuttosto prestigiosa di cui stanno selezionando il cast...” 
“E vogliono che tu faccia un provino?” domandai in tono febbrile.
“Tra i tanti, sì” mi spiegò. “Anthony ha proposto Colin, me e altri studenti e altrettanto ha fatto Silente con alcuni dei nuovi diplomati”.
“Ma è fantastico!” esclamai e lo abbracciai brevemente. Notando la sua rigidità, tuttavia, mi staccai con espressione confusa. Forse preferiva evitare di crearsi troppe aspettative.  “Insomma, eri così impaziente di tornare a recitare... perché sembri impassibile?”
Lui sospirò e mi cinse le mani. “Anthony vorrebbe che tornassi a Londra al più presto: vorrebbe aiutarci personalmente nella preparazione. Come sai, il mio lavoro qui è ufficialmente finito questa sera”.
Solo in quel  momento, mi presi davvero la briga di immaginare le possibili implicazioni e sentii mancarmi il respiro, mentre lo stomaco mi si stringeva. La distanza tra le due città era piuttosto impegnativa da percorrere per continuare una relazione, soprattutto nelle prime fasi. Scossi il capo e mi rimproverai. Bradley doveva pensare al suo futuro e io di certo lo avrei sostenuto. Liberai una delle mie mani per sfiorargli lo zigomo e gli sorrisi: “Spero che tu gli abbia detto di sì, perché dovresti cogliere al volo una simile occasione”.
Mi trattenne il dorso a contatto con la sua guancia e gli occhi si ammantarono di una dolcezza che aveva un retrogusto più amaro: “Vorrei essere abbastanza folle da chiederti di venire con me”.
Il solo pensiero della città mi faceva girare la testa, senza contare che più volte avevamo fantasticato su quali luoghi visitare insieme, soprattutto quelli legati alla sua formazione personale e professionale. Forse era proprio un segno del destino, mi dissi e il mio cuore scalpitò più rapidamente. “Sarei abbastanza folle da accettare”.
Sospirò e mi baciò la fronte, tuttavia la sua mascella si irrigidì e le labbra si contorsero come se avesse inghiottito un boccone amaro. Ebbi la sensazione di aver scelto la risposta che riteneva meno appropriata. Scosse il capo e mi guardò più intensamente: “Per quanto mi renderebbe felice, sarebbe egoistico da parte mia”.
Cosa stai dicendo?
“Non lo sarebbe affatto!” esclamai di impulso. “Sarebbe una mia scelta: certo, dovrei affrontare dei cambiamenti e separarmi dagli amici, ma ne varrebbe la pena per vivere a Londra” gli dissi, gesticolando animatamente.
Mi scrutò con espressione quasi analitica. “Quali progetti avresti?”
Mi parve di ricevere un pugno nello stomaco e mi sentii come quella ragazzina, alla fine delle scuole medie, che cercava di capire a quale istituto superiore dovesse iscriversi o, cinque anni dopo, la ragazza diplomata che doveva scegliere tra le facoltà universitarie. La stessa sensazione di trovarsi di fronte a un precipizio.  “Sinceramente non lo so ancora” risposi e scossi il capo. “Ma potrebbe essere un nuovo inizio per entrambi” sussurrai con l'ombra di un sorriso.
Sospirò come se gli stessi rendendo le cose ancora più difficili. “Supponiamo che io vinca il provino e debba partire per girare le riprese lontano dal Regno Unito... che succederà a quel punto?”
Mi morsi il labbro inferiore, costernata da quell'atteggiamento, ma lasciai cadere le braccia in un gesto frustrato: “Perché mi fai queste domande ipotetiche? Non possiamo saperlo in anticipo, ma immagino che ne discuteremo quando sarà il momento”.
“É questo il punto. Tu dovresti avere dei tuoi progetti, a prescindere dal sottoscritto”.
“Non sono un'esperta di relazioni come ben sai...” ribattei e sollevai le mani. “Ciononostante credo che certe decisioni dovrebbero essere discusse insieme, soprattutto se coinvolgono l'altra persona”.
“Certo,” ribatté più dolcemente, “ma sarebbe auspicabile che entrambe le parti avessero le idee chiare sui propri obiettivi personali”.
Sospirai e distolsi lo sguardo con un moto di disagio. “É vero: non so ancora quale sarà il mio futuro professionale” mormorai e sentii un nodo di ansia allo stomaco. Che cosa avevo fatto in quegli ultimi mesi? Ero stata impegnata nel lavoro al pub, nello spettacolo, nelle uscite con gli amici, nelle vicende con Tom ed Emma. Avevo trascorso il tempo a Glasgow, mi ero creata una nuova routine ma, riflettei con crescente angoscia, avevo messo da parte la domanda più importante.  Che cosa ne sarà di me?
Morgana, la cui abilità era pari solo all'ambizione, avrebbe sicuramente fatto carriera nella moda, Amy aveva già iniziato una nuova carriera, Luna aveva la sua compagnia di ballo e il suo lavoro di assistente sociale, Sean si sarebbe diplomato per poi tentare a sua volta con provini e spettacoli, Neville sarebbe diventato pasticciere... e io?
“Al momento so solo che non voglio perderti” sussurrai, seppur potesse suonare eccessivamente sentimentale.
Sembrò valutare con particolare attenzione le parole successive, prima di rivolgermi uno sguardo carezzevole. “Neppure io. Ma non lascerò che la tua vita ruoti intorno a me e al mio futuro: voglio che tu scelga la tua strada, a prescindere dalla mia. Solo così potremo stare davvero bene insieme”.
“So che hai ragione” mormorai e ne strinsi la giacca. Avevo la sensazione che potesse scivolare via e dissolversi come nei miei sogni.  “Ma lasciami venire con te, mi prenderò del tempo per riflettere, te lo prometto” mi sentii dire con voce più rauca. Tutti i segnali sembravano presagire un addio prematuro e al quale non ero assolutamente pronta.
“Non lo faresti. Ecco perché devo impedirtelo”.
“Bradley...” lo richiamai in tono angosciato.
Scosse il capo, indietreggiò e sollevò le mani: vidi un nervo vibrare sulla mascella tesa e sospirò, quasi si stesse dando coraggio. Un barlume di determinazione ne fece brillare lo sguardo: “Non voglio che tu venga con me” dichiarò infine.
Non sta accadendo davvero.
Distolsi il mio sguardo e mi morsi il labbro inferiore, sentivo un nodo in gola, gli occhi prudere e una sensazione crescente di nausea montarmi dentro. Mi concentrai sulle suppellettili che mi circondavano ed ebbi l'impressione che trattenessero ancora alcuni dei ricordi più preziosi: dall'emozione che avevo provato durante la nostra prima lezione a quegli ultimi giorni, in quei momenti rubati dopo le prove generali. Socchiusi gli occhi e presi un profondo respiro.
Svegliati.
Restai a fissare il pavimento perché temevo di compromettere il mio autocontrollo e la mia capacità di dire qualcosa di sensato, nonché di ledere al mio orgoglio.
“Che cosa significa per noi?” gli chiesi con voce rauca. “Proveremo a vivere una storia a distanza, prima di rinunciare? O dovremmo finirla qui?”
Non può essere vero.
Trasalii quando sentii nuovamente le sue braccia intorno alla vita. Mi pressò con forza contro di sé e parlò al mio orecchio. “Non ho intenzione di dirti addio, a meno che non sia tu a desiderarlo” mi rivelò contro la mia guancia. La sua voce appariva più tremante del consueto e mi strinse quasi fino a farmi male.
“No...” mormorai in un singhiozzo e non riuscii più a trattenere quella parvenza di calma. Ne cinsi il collo e mi nascosi letteralmente contro la sua spalla. Lasciai che mi accarezzasse i capelli, ne ascoltai le parole rassicuranti, le promesse e gli incoraggiamenti, ma chiusi gli occhi e desiderai soltanto che spazio e tempo si annullassero.
Dimmi che è un incubo.
 
 
 
~
 
Riconobbi subito quel luogo. Era buffo rendersi conto che, a differenza delle volte precedenti, non provavo alcun batticuore o alcuna trepidazione, ma soltanto un misto di insofferenza e di stanchezza. Mi avvicinai comunque al pianoforte e presi tra le dita la rosa dal lungo stelo. Mi concentrai per un solo istante, alla ricerca di un profumo o della mera illusione di un'altra presenza, seppur invisibile.  Un sorriso sarcastico mi affiorò alle labbra e mi volsi, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi: “Allora?!” domandai, alzando la voce e sentendola riecheggiare nella sala da ballo vuota.  “C'è qualche altro criptico consiglio che vorresti offrirmi?!”
Attesi solo qualche secondo, prima di lasciar cadere il fiore con un gesto quasi sprezzante.
“Non ho più tempo per queste stupidaggini...”
Mi guardai attorno e, nonostante tutto, sentivo il bisogno di scorgere un riflesso, un'ombra, qualsiasi cosa. “Mi hai sentito?!”
Mi sedetti sul pavimento, mi presi il viso tra le mani e serrai gli occhi. Mi sentivo soffocare e incapace di muovermi. Mi concentrai esclusivamente a immaginare una via d'uscita, anche se appariva tutto inutile.
“Basta...” singhiozzai in tono di supplica. “É il momento di crescere, lasciami andare!”.
 
Schiusi gli occhi dopo il rimbombo di un tuono in lontananza. Sbattei le palpebre a più riprese. Mi soffermai ad ascoltare l'ululato del vento e scroscio sempre più intenso della pioggia. Avevo le guance realmente bagnate dalle lacrime e mi affrettai ad asciugarle. Mi abbandonai nuovamente contro il cuscino e, mio malgrado, lasciai che le immagini delle ultime ore continuassero a vorticarmi di fronte. La sensazione più fastidiosa era quella di naufragare nell'inerzia e in uno stato di eterna indecisione. Avrei voluto prolungare quella sospensione del tempo, ma sapevo che avrei dovuto schiarirmi la mente, prima che fosse troppo tardi.
 
~
 
Trovavo affascinante il modo in cui il paesaggio cambiava a causa della pioggia: si aveva di fronte lo stesso scenario con i medesimi alberi e palazzi, ma era come se i colori divenissero più freddi e gli aromi meno artificiosi e più silvestri. Quasi il sole creasse un'illusione che riusciva solo momentaneamente a mostrare la più bella e artefatta superficie di ogni cosa. Forse l'amore agiva nello stesso modo, dandoci l'illusione che la vita fosse più “fiabesca”, prima di tramortirci di nuovo.
“Hey...” mi richiamò Morgana, alle mie spalle. “So che te l'ho già chiesto, ma come ti senti?”
La notizia dell'imminente partenza di Bradley aveva sconvolto tutta la nostra compagnia: Sean, forse per la medesima aspirazione professionale, aveva compreso prima di tutti la necessità di essere tempestivi e razionali. Tuttavia, anche gli altri erano stati piuttosto empatici sulla sua decisione di lasciarmi andare, affinché potessi focalizzarmi esclusivamente sui miei progetti.  Mi avevano fatto notare che naturalmente per me era difficile perché ero emotivamente coinvolta, ma erano più che sicuri che sarei giunta alla loro stessa conclusione, una volta che fossi riuscita a ragionare con maggiore lucidità. Gliene sarei stata persino riconoscente. Luna, a modo suo, aveva cercato di rincuorarmi: a suo dire, Venere si sarebbe allontanata dal mio segno momentaneamente per poi ritornare con l'avvicinarsi dell'autunno. Avrei dovuto sfruttare quel tempo per recuperare energia fisica e karmica. O qualcosa del genere.
Lasciai la tendina della finestra e mi voltai. “Abbastanza,” risposi, “comunque adesso sono più tranquilla” ammisi.  O almeno era ciò che continuavo a ripetermi.
Anche il suo sorriso appariva triste e mi strinse la mano. “É quasi ora, sei pronta?”
“No, ma devo farcela comunque” risposi.
 
La pioggia era incessante, ma dovevo ammettere che si trattava di un elemento “scenografico” piuttosto appropriato alla situazione. Esitai un solo attimo prima di bussare e schiudere l'uscio, quando sentii la voce di Colin dall'interno. Seppur avessi passato poco tempo tra quelle pareti, ebbe un effetto stordente rendersi conto di quanto fosse spoglio delle suppellettili e degli oggetti che la rendevano, a tutti gli effetti, una casa vissuta. Restavano solo i mobili e i quadri che avrebbero accolto il prossimo inquilino.
“Ciao Sarah...” mi sorrise il moretto con un cenno del capo. Alle sue spalle, apparve Bradley con le valigie pronte.
“Ciao Colin” gli sorrisi per risposta e lo abbracciai brevemente. “Buon viaggio e buona fortuna per tutto”.
“Anche a te” mormorò per risposta, salvo volgersi all'amico per prenderne i bagagli, ma gli lasciò la valigia che usava per l'Accademia. “Ti aspetto fuori” gli disse. Lo seguii con lo sguardo e attesi che chiudesse l'uscio affinché potessimo restare soli.
Bradley ricoprì la distanza e un sorriso sincero gli increspò le labbra, ma lo sguardo era ammantato della stessa malinconia che mi premeva addosso dalla sera dello spettacolo.
“Hai preso tutto?” gli chiesi per rompere gli indugi.
Annuì, appoggiò la borsa sul pavimento e mi attirò a sé per un abbraccio.
Mi costrinsi a scostarmi dopo qualche istante, consapevole che così facendo sarebbe stato ancora più arduo separarsi e cercare di restare calma. Avrei voluto che affrontassimo la sua partenza nel modo meno doloroso possibile.
Sospirai. “Davvero non mi chiederai di seguirti?” gli domandai, seppur già conoscessi la risposta.
Mi scostò una ciocca di capelli dal volto: “Mi sto trattenendo a fatica” mi confessò con un sorriso.  “Per quanto la mia scia possa essere irresistibile e unica,” si concesse un'espressione di mero autocompiacimento prima di farsi serio, “voglio che inizi a brillare da sola”. Sembrò supplicarmi con lo sguardo di comprenderlo, pur dovendo distaccarmi dai sentimenti.
Annuii. “Valeva la pena fare un ultimo tentativo...” mi schermii con sorriso, quasi a smorzare la tensione, ma mi affrettai ad aprire la mia borsa. “Ho qualcosa per te.” Estrassi un raccoglitore e glielo porsi. Lo guardò con espressione incuriosita e lo aprì per scorgere una pila di fogli stampati in inglese e divisi in due sezioni.
“Morgana è stata così gentile ad aiutarmi a tradurli in tempi record” precisai. “Sono le bozze di un paio di racconti su cui ho lavorato dal mio arrivo a Glasgow,” gli illustrai e allusi in particolare al secondo che appariva anche visivamente più prolisso. “Questo ha un nuovo protagonista e l'ho iniziato qualche giorno dopo il nostro incontro...”
Era la prima volta che consegnavo in maniera simbolica una parte di me a qualcuno di così importante, a dispetto del timore di essere giudicata. Ritenevo che fosse la cosa più “personale” e “vissuta” che potessi affidargli, affinché, a prescindere dal nostro futuro, gli restasse un mio ricordo tangibile. Era anche un espediente per ringraziarlo di avermi sempre spronata a ritagliarmi del tempo per coltivare quella passione. “Devo avvertirti che quest'ultimo è incompleto: anche la protagonista ha bisogno di prendersi del tempo per sé”.
“Non vedo l'ora di leggere entrambi.” Mi aveva ascoltato con grande attenzione e aveva lasciato vagare gli occhi tra le prime righe, cercando un qualche indizio saliente del tipo di narrazione. “Significa molto per me poter entrare nei tuoi pensieri e conoscerti meglio...”
Ancora una volta mi resi conto di quanto lo ritenesse possibile. Ammorbidì le labbra in un sorriso più sfrontato e quel baluginio suadente ricomparve nei suoi occhi: “Inoltre sarà particolarmente lusinghiero trovare un personaggio ispirato a me”.
Ridacchiai con aria bonaria: “É un rischio possibile”.
“Ma dimmi, cosa passa per la testa della mia protagonista preferita?”
Ero lieta di poter rispondere, soprattutto dopo la nostra ultima conversazione che aveva innescato molti dubbi e tormenti.  “Ho deciso di tornare a casa per il momento...” lo informai senza esitazione. “Ho già rassegnato le dimissioni al pub e parlato con la nostra affittuaria: Angel prenderà la mia stanza per aiutare Morgana con l'affitto” spiegai. Non volevo indugiare in quei pensieri: persino la reazione comprensiva del Signor Riddle mi aveva commosso.
Mi sfiorò la guancia e sospirò. “Deve essere stato difficile...”
“Le ragazze hanno capito, anche se avrebbero preferito che restassi” risposi con voce flebile.
“Io credo che sia una buona idea...” disse di rimando, dopo qualche istante. “Ti gioverà questo passo indietro, stare tra i tuoi affetti, tra i tuoi luoghi familiari e, soprattutto, dedicare del tempo a te stessa”.
“Lo farò” promisi. Sentivo anche io, in cuor mio, che era la cosa migliore.
Mi lasciò andare solo per recuperare la sua valigetta e rivolgermi un sorriso: “Anche io ho qualcosa per te”. Mi porse un libricino rilegato in pelle e il mio sguardo cadde sul titolo, impresso a lettere dorate. Inarcai le sopracciglia e, al suo cenno del capo, lo schiusi per osservarne le prime pagine e un sorriso mi affiorò alle labbra quando lessi il nome del protagonista e il mio sospetto fu confermato. Vi era anche il nome del suo mentore indicato come autore del testo.
“É davvero...?”
“Il copione dello spettacolo, sì” confermò. “Anthony è stato molto comprensivo quando gliene ho chiesto una copia”.
Riconobbi alcune delle scene che avevo visto dal vivo e sentii un misto di gioia e di nostalgia. Se avessi socchiuso gli occhi, avrei potuto illudermi di trovarmi ancora in quel teatro e di poterne nuovamente ammirare il talento e l'impegno.
“Mi hai detto più volte che quella notte ha cambiato la tua vita: per me è stato lo stesso”.
Ne sussurrai il nome con voce flebile e sentii le lacrime scivolarmi sul volto, incapace di trattenerle ulteriormente. Fu con un movimento delicato delle dita che me le scostò, prima di sollevarmi il mento e chinarsi sulle mie labbra. Ne sfiorai la gota con la mano libera, cercando in quel contatto di fargli comprendere ciò che era difficile esprimere a parole e mi faceva mancare l'aria all'idea di lasciarlo andare e di allontanarmi da lui. Sospirai e indugiai contro il suo petto e cercai di memorizzare ogni dettaglio, dal calore del suo abbraccio, fino all'essenza del suo profumo.
“Credo che ti lascerò un'altra cosa.”
Sembrò lui stesso faticare a mantenere un timbro allegro e sferzante, dopo essersi divincolato gentilmente. Lo vidi allungare le braccia al proprio collo per cercare di sciogliere la catenina.  Aveva un significato molto importante per lui: un regalo del nonno paterno che aveva voluto festeggiare il diploma all'Accademia di Londra. Era stata la prima persona alla quale aveva confidato il suo sogno e il primo a incoraggiarlo a dedicarvi anima e corpo, soprattutto nei momenti di difficoltà. Mi aveva detto che l'avrebbe sempre indossata come promessa a se stesso e ai suoi cari di non desistere mai dalle proprie aspirazioni[10].
“Non posso accettarla...” mormorai imbarazzata. “É troppo importante per te”.
“Te la sto affidando fino al giorno in cui ci rivedremo” mi disse in tono rassicurante e mi augurai che quelle parole mi avrebbero aiutato ad affrontare i tempi successivi.  Mi sarebbero state di monito e mi avrebbe ricordato che lui credeva davvero in me.
L'avvolse intorno al mio collo e fece scattare la piccola chiusura. Mi scrutò e sorrise. “Devo ammettere che sono quasi geloso di come ti stia...” commentò in tono leggero e ammiccò.
Presi il ciondolo e lessi la citazione sulla parte davanti: A goal without a timeline is just a dream[11] che si sarebbe potuto tradurre in: “Un obiettivo senza pianificazione temporale resta solo un sogno”.
Sul retro vi era impressa la data della fine dei suoi studi.
“Ne farò tesoro fino a quel giorno...” promisi con gli occhi ancora umidi.
“Non ti dirò addio...” ribadì di nuovo e appoggiò la fronte alla mia.
“Neppure io” sussurrai. Mi sollevai sulle punte e lo trattenni per qualche istante ancora.
“Vai...” lo incoraggiai.
“A presto”. Mi baciò la guancia e mi lasciò tra le mani le chiavi dell'appartamento.
Ripetei lo stesso congedo con voce strozzata. Mi sforzai di sostenerne lo sguardo mentre raccoglieva il faldone e indietreggiava. Quasi di tacito accordo rimasi all'interno e lasciai che lui e Colin scambiassero i saluti finali con i nostri amici.
 
Non seppi quanto tempo fosse passato, prima che la porta si schiudesse nuovamente, ma rimasi nella mia posizione per nascondere il mio volto.
“Noi ti aspettiamo qui, se ti serve ancora qualche minuto” mi rassicurò Sean con la consueta gentilezza.
Inspirai profondamente. “Arrivo” sussurrai.
Non è un addio, mi ripetei con il cuore in gola e lo stomaco serrato.  Dopo aver rivolto un ultimo sguardo al soggiorno spoglio, abbassai la maniglia e sigillai.
Devo crederci.
 
 
 
 
To be continued...
 
 
 
 
Ben ritrovati :D
 
Siamo ormai agli sgoccioli della storia e non vi nascondo che da un lato provo un enorme sollievo, ma d’altra parte mi mancherà iniziare un nuovo documento per raccontare la vicenda di Sara e dei suoi amici. Se conoscete Bradley James, potete già immaginare che cosa ho in serbo per lui e che mi è sembrato un bel regalo del destino :P In caso contrario, non resta che attendere.
Grazie dell’attenzione, soprattutto alla mia sostenitrice più presente nonché co-autrice di molte delle storyline che state leggendo ;)

Alla prossima,
Kiki87
 
[1] Ho leggermente modificato la traduzione, per renderla più idonea alla narrazione. Potete leggere il testo originale e ascoltare la melodia qui
[2] Il vestito a cui mi sono ispirata è visibile in questo bellissimo blog Tumblr in cui si trovano molte altre foto per chi fosse appassionato all’epoca e volesse vederne gli abiti. 
All’epoca le donne tenevano necessariamente i capelli raccolti e nel caso di quelle nubili, come Elisabeth, era concesso far mostra dei boccoli. Quelle sposate avevano pettinature più “austere”. Ho scelto questo hairstyle  ma potete ammirarne altri nella pagina principale
[3] Immagino che l’abbiate riconosciuta :P  Mi sono ispirata alla descrizione della Rowling nel capitolo 18 del quarto libro. 
[4] Questa battuta è stata ripetuta più volte nel corso della storia, ma è comparsa la prima volta nel capitolo 4, mentre Sara apprendeva la versione originale del copione con tanto di bacio finale.
[5] Ringrazio la mia amica Evil Queen per aver avuto anche questa brillante idea che mi sembra un modo perfetto per “chiudere il cerchio” anche alla fine dello spettacolo cui ha preso parte Sara.
[6] E’ stata la mia amica ad avere l’idea per questa battuta, tratta dal divertentissimo: “Ritorno al Marigold Hotel” (2015) come potete vedere dal trailer :D 
[7] Le due frasi in corsivo sono state pronunciata da Daniel nel capitolo 10, prima della sua rottura con Amy :D
[8] Per rinfrescarvi la memoria, i torti più gravi di Morgana ai suoi danni sono stati: l'incidente della foto con il Signor Riddle, l’averla spinta contro di lui durante il ballo e quest'ultima iniziativa. Ovviamente non sono conteggiate le tipiche schermaglie e canzonature quotidiane o la cifra sarebbe moooolto più consistente :D
[9] Si tratta del protagonista maschile di “Cime Tempestose” di Emily Brönte, personaggio che Ralph Fiennes ha realmente interpretato nell’omonimo film del 1992. 
[10] Ho notato, dal suo account instagram, che Bradley indossa spesso una collana di cui però non si scorge il ciondolo, quindi ho pensato che potesse essere un bel gesto simbolico. Naturalmente, tutti questi riferimenti sono fittizi, ma anche se non mancano interviste in cui racconta aneddoti reali della sua vita e formazione, ho preferito inventare un background che si adattasse alla storia :P
[11] La citazione è di Robert Herjavec.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


19
Mi addormento coi sogni di casa,
dove le onde si infrangono.
L'unico posto che abbia mai conosciuto,
ora il futuro mi ha.
 
Vedo il fuoco nel cielo,
lo vedo tutto intorno a me.
Ho detto che il passato è andato,
la vita che avevo, è finita.
Ho detto che non mi arrenderò
finché non vedrò il sole [...]
 
Queste ali stanche stanno cedendo,
ho bisogno che mi afferri.

Abbracciami ora,
finché le paure non svaniscono.
Riesco a respirare a malapena.
Hold me now – Red[1]
 
 
Il volo era stato molto tranquillo e del tutto privo di perturbazioni, ma non ero riuscita a concentrarmi sul libro per oltre cinque minuti. Ero in preda a una varietà di emozioni: dalla nostalgia rispetto alla quotidianità che mi lasciavo alle spalle all'euforia di ritrovarmi tra i volti familiari. Accolsi l'annuncio dell'hostess con un sorriso, senza smettere di giocherellare con il ciondolo che mi pendeva dalla collana.
Era la cosa giusta da fare, mi ripetei.
Lasciai vagare lo sguardo sulle persone che mi circondavano, mentre attendevo che il nastro trasportatore mi rendesse il mio trolley. Mi affascinava l'idea che innumerevoli vite si stessero confondendo in quel luogo di passaggio: chi si allontanava per la carriera o per realizzare un sogno, chi si lanciava in una nuova avventura, chi era costretto a separarsi dalla persona amata e chi si stava ricongiungendo in quel momento.
Afferrai il manico della mia valigia e scorsi un nuovo messaggio sul display: stando all'orologio mancavano pochi minuti. Mi diressi verso l'uscita, cercando un viso tra la folla e un sorriso mi affiorò alle labbra, prima ancora che potesse pronunciare il mio nome. La scena era incredibilmente simile eppure diversa a quella di un anno prima: accelerai il passo e mi lasciai cingere con un sorriso.
“Bentornata...” mi disse di tutto cuore, cullandomi brevemente in un abbraccio caloroso che aveva il sapore di “casa”. Si scostò con un sorriso sbarazzino che ne fece scintillare le iridi castane e inclinò il volto di un lato: “Penso proprio che non dovremmo smetterla di incontrarci così!” dichiarò in tono solenne.
Annuii e ne baciai la guancia. “Sono più che d'accordo, ma ammetto che non mi sia affatto dispiaciuto riprendere la nostra corrispondenza cartacea, mio caro pen-friend”.
“Neppure a me” ammise e mi studiò brevemente. “Ti trovo in gran forma: ti ha fatto bene l'Italia”.
“Sì, ma ero impaziente di tornare”. Ancora una volta compresi che nel Regno Unito avevo letteralmente lasciato una parte del mio cuore.
“Le ragazze si scusano, ma come ben sai sono tutte al lavoro, anche se hanno già in serbo qualcosa di speciale per stasera...” si lasciò sfuggire salvo impallidire. “Ti prego, fingi che non abbia detto nulla negli ultimi cinque secondi”.
“Promesso!” lo tranquillizzai e uscimmo insieme dall'aeroporto.
Era una sensazione davvero difficile da descrivere: in parte mi sentivo come se il mondo non si fosse mai fermato poiché ero rimasta quasi quotidianamente in contatto con gli amici e sapevo che cosa stava accadendo nelle loro vite sentimentali e professionali. Al contempo, gustavo ogni cosa come se fosse la prima volta e, benché annunciati, trovai sconvolgenti alcuni “sviluppi”.
Il primo fu l'ingresso nel pub della “Camera dei Segreti”: benché sapessi che era in corso un restauro (e per tale motivo la saletta privata non era momentaneamente accessibile ai clienti e allo staff), si respirava un'atmosfera completamente diversa. Le pareti erano state ridipinte di colori più tenui, le luci erano più calorose ed erano spariti i quadri a tema apocalittico, sostituiti da dipinti dei meravigliosi paesaggi scozzesi. Quando vi ero passata di fronte, avevo notato un cartello con la scritta: “Cercasi cameriera con esperienza”. Non avevo potuto fare a meno di sorridere poiché l'universo sembrava darmi un segno. Come mi spiegò Madama Bumb, dopo avermi accolta con un sorriso, Dean Thomas era diventato un grafico pubblicitario e aveva trovato un impiego a tempo pieno che non gli permetteva più di dedicarsi al servizio, lasciando così vacante la sua posizione. Mi aveva sollecitato a seguirla con un guizzo di complicità inedito, prima di bussare alla porta del Signor Riddle: “Signore, avremmo una candidata dell'ultimo momento”.
“La prego, Madama, per oggi ho ascoltato abbastanza” rispose lui con tono insieme stanco e scoraggiato.
“Mi perdoni ma insisto: credo che questa persona potrebbe farle cambiare idea”.
Incoraggiata dal suo gesto, mi ero affacciata sulla soglia e gli avevo sorriso: “Buonasera Signor Riddle”.
L'uomo doveva aver riconosciuto la mia voce e il mio accento, perché aveva sollevato lo sguardo dai documenti e aveva sgranato gli occhi. Si tolse gli occhiali e si alzò in piedi, pronunciò il mio cognome esattamente come pochi mesi prima. Sorrise e mi porse la mano che strinsi con calore. “Non sapevo che aveva in programma di tornare...” mi disse con aria confusa, ma mi indicò la sedia libera. 
“Neppure io a dire il vero, ma è stata una decisione molto ponderata”. Presi posto dopo averlo ringraziato e non potei fare a meno di osservare l'ambiente con curiosità. I faldoni della libreria alle sue spalle erano gli stessi e così Nagini nella sua teca. Tuttavia c'erano dei piccoli indizi di un altro “vissuto”: sulla scrivania vi erano delle cornici e sull'attaccapanni un ombrello e un cappellino decisamente femminili. Naturalmente già conoscevo la bellissima novità che lo riguardava poiché Amy non aveva mancato di tenermi aggiornata. La sera dello spettacolo aveva rappresentato uno spartiacque nella vita del Signor Riddle sotto diversi punti di vista: lo scorso mese, aveva contattato l'agenzia della mia amica per affidarle l'incarico di restaurare le stanze del pub. Non solo. Quella sera era tornato in contatto con Sybilla Thompson. L'insegnante era divenuta una cliente fissa del locale e, recentemente, la sua nuova compagna. Mi era evidente, guardandolo in quel momento, che i cambiamenti dovuti al restauro erano solo un riflesso di una metamorfosi interiore che gli avevo augurato dal giorno in cui Silente mi aveva confidato qualche dettaglio della sua triste vicenda[2].
“Quindi sarebbe interessata a riprendere le sue vecchie mansioni? Naturalmente non dovrà ripetere la prova di una settimana” aggiunse con un alone più scherzoso che ne fece scintillare lo sguardo azzurro.
“Sto cercando un lavoro momentaneo, Signore” mi affrettai a precisare. “Perché sto per iniziare un nuovo percorso di formazione, ma sarebbe un onore per me essere nuovamente al suo servizio... naturalmente se questo sarà compatibile con le sue necessità”.
Mi scrutò per un lungo istante, giocherellando con l'asta degli occhiali, ma le labbra si incresparono in un fugace sorriso.  “Le sarebbe possibile ricominciare da dopodomani?”
 
Il secondo sviluppo che mi sconvolse persino più del precedente riguardava Amy. La poverina, anche durante la mia assenza, aveva annoverato un nuovo soggetto nella sua ormai storica collezione di “casi umani”. Il ragazzo in questione, Alexander Vahlos[3], le aveva dato l'illusione di essere un “vero cavaliere” ma si era rivelato uno degli esemplari più spregevoli di sempre. L'aveva corteggiata a regola d'arte, con tanto di premure e gesti ricercati come aprirle sempre la portiera dell'auto o la porta degli edifici. Tuttavia, non appena la loro relazione era passata al “livello successivo” aveva iniziato a rendersi sempre meno reperibile, fino a svanire nel nulla e arrivare persino a bloccarla da tutte le applicazioni di messaggistica. Superfluo dire che Morgana si fosse offerta di aiutarla a organizzare una vendetta a puntino. Gli aveva teso una trappola Lo aveva attraverso un fake di Instagram, fingendo di frequentare la sua stessa palestra e di essere interessata a lui. Naturalmente il bifolco, dopo aver evidentemente gradito le fotografie, si era detto più che disponibile, ma era stata Amy a presentarsi all'appuntamento per “concludere” la loro storia come si conveniva, mentre la nostra amica contemplava la scena a una distanza di sicurezza. Nell'occasione erano state usate molte parolacce tra l'inglese e l'italiano e, a detta di Morgana, la sua voce aveva raggiunto decibel sconosciuti persino alle cantanti liriche. Al ragazzo, inoltre, non era stata risparmiata una vera e propria “esecuzione” a suon di colpi di borsetta.
Il vero e proprio shock, tuttavia, giunse in quella bellissima serata: le ragazze mi avevano organizzato una festa di bentornata che era stata anche l'occasione per festeggiare, seppur in ritardo, il mio compleanno. Era stato un immenso piacere poter riabbracciare alcune delle persone con le quali avevo legato di più in Accademia e al pub, ma avevo finalmente potuto contemplare di persona le interazioni bellicose o i reciproci “trattamenti del silenzio” tra Amy e un'altra mia vecchia conoscenza.
Christian Coulson.
In una lunga video-chiamata, Amy mi aveva fornito un resoconto più che dettagliato di tutti i loro momenti cruciali e mi ero resa conto che la loro diatriba era iniziata ben prima che io partissi per l'Italia, ma l'aveva tenuta nascosta a tutti. L'incidente in auto aveva dato inizio a tutto: per sdebitarsi con lui, dopo che le aveva ritrovato il braccialetto[4] che aveva perduto al pub, lei si era offerta di dargli un passaggio in auto mentre rientrava dal suo lavoro, poiché lo aveva sorpreso sotto la pioggia. Il ragazzo, seppur riluttante per la sua tipica riservatezza, aveva acconsentito, ma l'auto di Amy aveva slittato a causa dell'asfalto sdrucciolevole, fino a uscire dalla carreggiata e a urtare un lampione. Gli airbag si erano attivati e fortunatamente erano rimasti illesi ma Christian, in preda a una crisi isterica, aveva imprecato a lungo e l'aveva aggredita verbalmente, prima di uscire frettolosamente e continuare il suo tragitto a piedi. Amy era rimasta troppo sconvolta dall'urto e dalla sua reazione per provare a difendersi. Le cose non erano affatto migliorate dopo “l'incidente al parco”. Amy stava portando a passeggio Penny, il labrador che le era stato affidato da un amico, ma un altro cane, di taglia ben più piccola, aveva cercato di aggredirla. Una sfortunata coincidenza aveva voluto che il padrone del cane fosse lo stesso Christian. Quest'ultimo aveva colto quell'occasione per formulare altri giudizi piuttosto sgradevoli sulla sua incapacità di guidare un'auto e di gestire un cane, tanto da cacciarla malamente. Amy, anche in quell'occasione, era sembrata incapace di reagire con la tipica grinta e, per non creare ulteriori sceneggiate in pubblico, se n'era andata. Tuttavia, da quel giorno, aveva iniziato a rimuginare sui due episodi e sul comportamento scorretto e prepotente del ragazzo in questione. Dalla mortificazione e dall'imbarazzo iniziali, era subentrata una vera e propria voglia di riscatto, tuttavia in quel periodo non frequentava più il pub (a causa della lite con Riddle) e aveva provato a cercarlo nello stesso tragitto in auto. Invano. Fino a quando, non aveva scoperto che Christian frequentava la sua stessa palestra. Quasi incredula di quel “regalo” del destino, si era avvicinata al giovane che sembrava intento a chiacchierare amorevolmente con una ragazza. In quel momento aveva lasciato andare tutta la rabbia, l'umiliazione e il rancore accumulati e si era riversata su di lui con parole dure, ammonendo anche la sconosciuta a non fidarsi di lui, raccontandole del suo comportamento ignobile dopo l'incidente in auto. Quest'ultima era rimasta così scandalizzata dall'assecondare Amy e dal scaricare il ragazzo con uno sguardo schifato. Dopodiché la mia amica aveva dichiarato che quello era solo l'inizio. Ed era stata profetica.
Da allora le interazioni tra i due passavano da un estremo all'altro: dal prendersi in giro, soprattutto in presenza di pubblico, all'ignorarsi bellamente. Uno degli scenari più comuni era il pub in cui Christian lavorava tuttora. Un giorno, ad esempio, aveva aperto cavallerescamente la porta d'ingresso a Morgana e a Luna per poi chiuderla in faccia alla mia amica che vi aveva sbattuto contro. O, in altre circostanze, quando era costretto a servire il loro tavolo, raccoglieva gli ordini di tutti ma ignorava Amy. Per tutta risposta, lei non mancava occasione per lasciargli le impronte sul pavimento del pub appena strofinato, si premuniva di aiutare tutti i camerieri ed ex colleghi a raccogliere le stoviglie sporche ad eccezione di lui. Di quando in quando, inoltre, faceva cadere volutamente oggetti dalla tavola al suo passaggio.
Le cose non andavano meglio in palestra: Christian che seguiva un programma di allenamento per braccia e gambe, non mancava di divertirsi a guardarla durante le lezioni di zumba o deriderne la difficoltà ad andare a tempo con l'insegnante e con gli altri membri del corso. D'altro canto, Amy, memore delle offese sulla sua guida, lo aveva schizzato più di una volta, in un rapido testa-coda con l'auto, premunendosi di passare sopra una pozzanghera a velocità sostenuta.
Era piuttosto curioso rendersi conto che, in un certo qual modo, era stato in virtù di Christian che Amy si era avvicinata ad Alexander. Quest'ultimo, infatti, era intervenuto in modo cavalleresco per apostrofare Christian e intimargli di smetterla di prendersi gioco della sua “cara amica”.
“Lui sì che è un vero Cavaliere, non come quello stronzo di Christian!” aveva commentato un giorno, mentre, in una conversazione via skype, mi raccontava del loro imminente appuntamento.
“Bla, bla, bla, bla” le aveva fatto il verso Morgana. “Tanto lo so che ci finirai a letto”
“Con Alexander?” domandò Amy compiaciuta all'idea.  “Non vedo l'ora”
Morgana aveva schioccato la lingua sul palato con aria saputella, prima di scuotere il capo e rivolgerle un sorriso ironico. “Io sto parlando di Christian”.
“Ma che cazzo dici?!”
Un altro caso “strano” del destino aveva voluto che stringesse amicizia con Sean, tanto che quest'ultimo lo coinvolgeva spesso nelle serate tra amici, compresa la festa in corso nella sala che Morgana e Amy avevano affittato in un locale del centro[5]. In quello stesso momento, la mia amica lo stava scrutando con sguardo così arcigno che sembrava volerlo accoltellare tra le scapole. Da parte mia, avevo cercato di non pensare a tutti quegli episodi che mi aveva raccontato, quando mi salutò con la mano tesa e un sorriso garbato. “Ciao Sarah. Non ero di turno oggi, ma ho saputo che torni a lavorare al pub: bentornata”.
Era la frase più lunga che mi avesse rivolto da quando ci conoscevamo, ma ne avevo ricambiato la stretta con un sorriso: “Ti ringrazio, immagino che da domani ci rivedremo al lavoro”.
“Questi sono per te” mi porse una grande scatola che si rivelò essere piena di cioccolatini. “Ho chiesto aiuto a Sean: sono un disastro coi regali” aggiunse quasi a schermirsi.
“Li adoro, sei stato gentilissimo” lo ringraziai con un sorriso, riconoscendone la marca e pregustandoli con l'acquolina in bocca.
“Era il minimo. Con permesso” si congedò, quando scorse il cenno di Sean che, dal tavolo delle bibite, lo stava invitando a raggiungerlo.
Morgana, al mio fianco, rilasciò un sospiro enfatico nel guardare il saluto caloroso tra Christian e il suo ragazzo. “Chissà, forse un giorno mi amerà nello stesso modo[6]” recitò in tono ironico, strappandomi una risatina.
Quasi sussultai, invece, quando Amy apparve all'altro lato e mi strappò letteralmente di mano il cadeau per poi assumere un'espressione quasi disgustata. “Cioccolatini, eh?”
“Ne vuoi assaggiare uno?”
“Certo che no!” squittì con voce stridula. “E poi mi fanno schifo quelli al latte!”
Sbattei le palpebre: era piuttosto evidente che fosse infastidita dalla sua presenza alla mia festa, ma ancora una volta era stato Sean ad avere la meglio.
“Credo che li abbia comprati per lei e non per far dispetto a te” le fece notare Morgana, sollevando gli occhi al cielo. “Quando Sean l'ha invitato, gli ha chiesto aiuto per trovare qualcosa che potesse piacere a Sara”.
“Lo sapevo!” squittì lei, con lo sguardo ancora più infervorato, ma premunendosi di parlare a voce bassa. “E' la sua tattica: davanti ai miei amici fa il gentile e l'affabile, ma in realtà è uno stronzo!”
Rivolsi un altro sguardo ai due amici in questione: sembrava davvero difficile associare il ragazzo presente quella sera a quello che mi era stato descritto con dovizia di dettagli. Tuttavia, ricordavo ancora molto bene quell'episodio al pub nel quale, in un eccesso di ira contro Rankin, aveva frantumato volontariamente delle stoviglie.
“Tanto lo sai che finirà con voi due che vi prenderete una camera” replicò Morgana dopo aver sorseggiato un po' di spumante.
“Ti ignoro!” dichiarò l'altra, dopo averle rivolto uno sguardo di fuoco.
Da parte mia le rivolsi uno sguardo divertito: “Mi ricordate due persone che conosco”. Non potei fare a meno di ridacchiare, ripensando a Scrubs che avevo riguardato negli ultimi mesi. “Siete come JD e l'inserviente. E io, in questo frangente, sono stata la sua Elliot”.
Il paragone parve divertire la moretta che ridacchiò per risposta, ma fece ulteriormente incupire Amy che mi additò con aria minacciosa: “Dillo un'altra volta e ti faccio piangere io in un ripostiglio[7]”.
Sospirai con aria enfatica, ma nel tentativo di smussare quel momento di tensione. “Ora che mi sento di nuovo a casa” recitai e mi portai una mano al petto.
“Il paragone è legittimo...” continuò Morgana con sguardo scintillante. “Ma se tutto va come ho previsto, si ritroveranno come Cox e Jordan”.
State zitte tutte e due!” ci rimproverò con voce ancora più stridula. La osservai allontanarsi con espressione ancora stizzita, ma premunendosi di camminare dall'altro lato della stanza per non dover incrociare lo sguardo di Christian. Andò a salutare Santiago e la sua compagna che teneva in braccio una bellissima bambina dai capelli ricci e scuri come quelli del padre, la pelle olivastra e le labbra carnose. Si era illuminata all'arrivo di Amy e si era sporta in sua direzione per un abbraccio che, ne ero certa, le avrebbe fatto mettere da parte il malumore. O almeno glielo auguravo.
“Mi era mancato tutto questo...” convenni con un sorriso. “Non ci si annoia mai”.
“Direi che anche la tua estate non è stata per niente male” ribatté Morgana con un sorrisino complice. Allungò una mano verso il mio ciondolo e lo studiò con attenzione, indugiando sulla citazione. “Bel ninnolo a proposito”.
Un sorriso più dolce mi increspò le labbra e, nonostante tutto, non potei fare a meno di sospirare. Mancava solo una persona affinché quella festa potesse davvero definirsi perfetta.
 
~
 
 
Non avrei potuto dimenticare facilmente il mio ultimo compleanno, lontana da tutti i miei affetti, ma con dei nuovi progetti[8]. Tuttavia, era stata una video-chiamata a Bradley a cambiarmi letteralmente il corso della giornata e, se tutto fosse andato come speravo, anche il nostro destino. Mi ero alzata prestissimo: in verità ero impaziente di iniziare quella giornata.
Passai di fronte a Santa Maria Novella, ma mi presi un istante per ammirarla, seppur ormai mi fosse divenuta familiare come Piazza dei Miracoli ai tempi dell'università o Kelvingrove Park di Glasgow. Giocherellai con il ciondolo che portavo sempre al collo, mordicchiandomi il labbro e sorridendo nel rendermi conto che mancavano solo pochi istanti.
Lo riconobbi facilmente: era come se, ai miei occhi, spiccasse sempre anche nel bel mezzo della calca di persone che ci circondavano nel centro storico. Affrettai il passo e sorrisi di fronte a quell'immagine: si guardava intorno con un misto di ammirazione e di smarrimento, gli stessi che avevo provato nelle mie prime ore a Glasgow nel tentativo di convincermi che quella sarebbe divenuta, per un breve periodo, una parte della mia quotidianità. Aveva abbassato la fotocamera del cellulare e si era immobilizzato. Si era tolto gli occhiali da sole e, dopo aver aguzzato la vista, aveva preso a camminare per venirmi incontro.
“Bradley...” ne pronunciai il nome con una nota d'emozione e un nodo in gola.
Le sue braccia mi cinsero con la stessa naturalezza dell'ultima volta, seppur fossero passati tre mesi e mi cinse le gote coi palmi delle mani.
“Milady” mormorò sulle mie labbra, prima di fermare il tempo nel bacio che ci scambiammo.
Sorrisi nel rendermi conto che sembrava realmente che fossimo semplicemente rimasti in sospeso.
“Mi sei mancato...” avevo mormorato contro la sua guancia. “Non sai quanto”.
Mi aveva stretto così forte che sembrò smentire quelle parole.
 
Ne avevo sempre invidiato la sicurezza e la determinazione, ma mi aveva fatto sorridere con sincero entusiasmo e tenerezza scorgere il suo genuino entusiasmo nel comunicarmi che avrebbe interpretato Giuliano de’ Medici nella seconda stagione della serie tv anglo-italiana che omaggiava la più famosa famiglia nobile della Repubblica di Firenze. Ero stata orgogliosa, a quel punto, di rivelargli che il mio stesso percorso di formazione mi avrebbe vista sostare in quella città per i prossimi cinque anni, ma non ero scesa nei dettagli, preferendo affrontare la conversazione di persona. Da allora avevo contato letteralmente i giorni che ci separavano fino a quel momento.
 
“Devi raccontarmi tutto, sto morendo di curiosità...” mi disse, dopo avermi contemplato, quasi a voler appurare se vi fosse qualche cambiamento. Lo sguardo guizzò in direzione del ciondolo che ancora indossavo naturalmente.
“Stavo per dirti la stessa cosa: mio Dio, lavorerai con Sean Bean e Daniel Sharman” lo incalzai, dandogli una pacca sul braccio. “Sai che dovrai raccontarmi tutto nei minimi dettagli, vero? A Morgana e ad Amy è quasi venuto un infarto: sono orgogliosa persino io che neanche seguo Game of Thrones e neppure andavo pazza per Teen Wolf !”
Ridacchiò per risposta. “Ci penserò, non sono così sicuro di voler passare in secondo piano... senza contare che sei tu la prima a dovermi delle spiegazioni” aggiunse e mi diede un buffetto sulla punta del naso.
“D'accordo” sorrisi, con entusiasmo alla prospettiva. “Hai già fatto colazione?”
“Un caffè veloce in aeroporto conta?” mi domandò con un sorriso sbarazzino.
“Decisamente no, se vuoi italianizzarti un po': vieni con me”.
 
Si trattava di uno dei miei locali preferiti, non troppo distante dal centro storico, ma con una bella vetrata che permetteva di osservare la città e dei tavolini per stare all'aperto a quelle piacevoli temperature. Lo aiutai a identificare le voci del menù che potevano interessargli e salutai amichevolmente la cameriera prima di ordinare per entrambi.
“Non tenermi più sulle spine” mi pregò con un sorriso e lo sguardo scintillante.
“D'accordo”. Appoggiai la tazza di cappuccino ormai vuota. “Ho riflettuto molto e ho messo da parte qualche soldo con delle ripetizioni in preparazione di test universitari e dei debiti scolastici...” esordii. “Aver vissuto, lavorato e recitato a Glasgow ha fatto faville sul mio curriculum: l'inglese è molto richiesto.” aggiunsi con un sorriso. “ Ma ho dovuto interrogarmi a fondo sul mio futuro e ho capito che dovevo fare qualche passo indietro... quindi mi sono di nuovo iscritta all'Università, ma qui a Firenze”.
Mi stava ascoltando con grande attenzione e non poté che sorridere a quella precisazione finale. Mi rivolse un breve ammiccamento. “Ho l'impressione che questa città diventerà una delle mie preferite” commentò con un sorriso più suadente che ebbe l'effetto di procurarmi una piacevole morsa allo stomaco, esattamente come durante le nostre prime interazioni.  “Se non ricordo male la tua famiglia non vive molto lontano da qui”.
Annuii. “E' un viaggio breve in auto, ma piuttosto scomodo in treno, quindi ho messo da parte tutti i miei risparmi e con l'aiuto dei miei genitori, ho preso una casa in affitto, rispondendo all'annuncio di una ragazza siciliana in cerca di una coinquilina e un'auto usata...” spiegai. Era decisamente la soluzione più semplice e mi consentiva anche di fare occasionalmente trasferte a casa nel weekend.
“E di cosa ti occuperai?” mi incalzò.
Mi tesi impercettibilmente, come era già accaduto, quando avevo comunicato quella decisione ai parenti e alle amiche. “Scienze della Formazione Primaria” risposi di primo acchito. Cercai di spiegargli in inglese con una certa difficoltà, non conoscendo la terminologia esatta. Sorrisi di fronte alla sua espressione confusa e aggiunsi: “E' la laurea necessaria per diventare un'insegnante delle scuole elementari”.
“Oh”.
Aveva smesso di mangiucchiare la sua pasta ripiena e lo sguardo azzurro aveva tradito un lampo di mera sorpresa. Sembrava piuttosto disorientato e perplesso.
Il mio corpo si era irrigidito, quasi avesse percepito, prima della mia razionalità, che in quella scena vi era qualcosa di anomalo.
“Ho una discreta esperienza nell'ambito come ti accennavo...” continuai, quasi avessi bisogno di giustificarmi. “Certo, dovrei affinare le mie tecniche, abituarmi ad avere a che fare con più alunni in contemporanea, ma la volontà non mi è mai mancata. Ed è curioso che mi sia sentita dire letteralmente da tutti che ne abbia la verve” aggiunsi con un sorrisino divertito. Ricordavo ancora il giorno in cui il mio insegnante preferito delle medie, che mi aveva spronato nelle attività teatrali, fosse stato il primo a dirmelo.
Bradley si era appoggiato maggiormente allo schienale della sedia e aveva raddrizzato le spalle. “Hai dimostrato anche di fronte a degli esperti che hai del talento nell'assumere un ruolo che ti è stato assegnato” mi ricordò.
Inarcai le sopracciglia e fu il mio turno di apparire interdetta, soprattutto dai suoi modi: avevo la percezione che mi stesse trattando con “i guanti” per non essere troppo impulsivo o per non urtare la mia sensibilità.“Un ruolo che mi è stato assegnato?” ripetei il concetto, scandendo le parole, come a verificare se stessi equivocando o meno. “Forse non mi sono spiegata bene”.
Scosse il capo. “Credo di aver capito, almeno in parte, che ti piace quest'immagine che gli altri ti attribuiscono” ribatté lui cautamente. “Quello che mi domando è se questo coincida o meno con la cosa più importante: ciò che tu vuoi realmente”.
Sbattei le palpebre a più riprese e sentii una sgradevole morsa all'altezza dello stomaco, ma cercai di mantenermi calma e composta, seppur dalla sua espressione fosse evidente che il mio viso aveva tradito il fastidio che stavo provando.
“Non fraintendere, per favore” si affrettò ad aggiungere e mi cinse la mano sopra il tavolo. “Non pensare che voglia giudicarti o esserti d'ostacolo: al contrario, voglio sostenerti”.
“Beh, spero che perdonerai la mia sincerità, ma quello che interpreto del tuo atteggiamento è tutto il contrario del sostenere qualcuno!” dissi con vigore, pur cercando di non alzare la voce. “Non hai neanche finto di rifletterci per un paio di minuti, ma è piuttosto evidente che l'idea ti... ti ripugna!” conclusi con uno scuotimento del capo.
Sospirò e rafforzò la pressione della mano sulla mia. “Mi preoccupo per te, soprattutto quando mi sembra chiaro, anche da come ne parli, che questo non è davvero una tua aspirazione Lo hai detto tu stessa, chiamando in causa altre persone” dichiarò con timbro grave della voce. “Spero mi perdonerai se io non voglio far parte di quella lista per come ti conosco”.
Lo guardai con tanto d'occhi e il fastidio che avevo provato sembrò sfumare in un'improvvisa collera che mi fece letteralmente ribollire la pelle. In quel momento, mi resi conto ironicamente, avrei voluto che fosse dall'altra parte del mondo. Gli rifilai uno sguardo risentito ed esternai quello che mi passava per la testa, una volta tanto incurante della sua opinione.  “Lascia che ti dica una cosa a cui forse stenterai a credere: molte persone, me compresa, non nascono con una vocazione precisa. Devono faticare, fare sacrifici, provare diverse strade, sbagliare e ricominciare, prima di avere una vaga idea di quello che sarà il loro avvenire”.
Aggrottò le sopracciglia, ma le mie parole non parvero scalfirlo. “Questo lo so bene, ma tu non fai parte di quella categoria e se fossi abbastanza sincera con te stessa lo riconosceresti: se non hai intenzione di lottare per il tuo futuro, che io sia dannato se non ci proverò per te, anche a costo di farmi odiare”.
Mi sentii quasi tremare di indignazione e di repulsione a quell'atteggiamento quasi paternalistico, seppur ne avessi sempre amato quei modi cavallereschi e garbati. Ma quello era decisamente troppo persino per me.  Scostai bruscamente la mano dalla sua per poi affrettarmi a cercare nella borsa il portafoglio. “Sai che c'è? Ho lasciato a Glasgow un'amica che adora cercare di sistemare la vita degli altri, la mia in special modo” feci riferimento a Morgana con un sorriso ironico, prima di fulminarlo con lo sguardo. “Francamente non ho bisogno e neppure desidero che tu o chiunque altro faccia lo stesso. Anzi, ti dirò di più: ne ho fin sopra i capelli!”. Esclamai le ultime parole in italiano: ero troppo agitata per cercare un'espressione simile in inglese.
Sospirò e cercò nuovamente di trattenermi. “Perché non andiamo nel mio albergo e ne parliamo con più calma?”
“Vacci tu” lo esortai bruscamente e mi sentii quasi girare la testa per l'adrenalina che avevo in corpo. Dovevo ammettere che era piuttosto “liberatorio” concedersi quei momenti d'ira e non curarsi più dei sentimenti altrui. “Ma sta attento a non cadere dal tuo stupido cavallo bianco: le armature del Medioevo non sono certo leggere come quelle moderne” gli dissi con un sorriso sarcastico.
Sbattei la banconota da cinque euro e qualche spicciolo di mancia e mi alzai, pronta ad andarmene. Sollevai la mano come a fermarlo dal dire o dal fare qualcosa. “Spoiler alert: Giuliano de’ Medici creperà durante la Congiura dei Pazzi. Beh, Tanti auguri!” cinguettai. Avrei anche riso dell'espressione incredula che non era riuscito a mascherare. Difficile stabilire se non lo sapesse o se, semplicemente, fosse impreparato alla stoccata.
Non mi voltai, seppur ne sentissi i movimenti, ma dopo che fummo usciti dal locale, mi cinse il braccio con decisione, ma attento a non farmi male. Sospirai e feci una smorfia prima di voltarmi, imponendomi di mantenere la parvenza di controllo e di non concedergli alcuno spiraglio che gli lasciasse intuire che poteva far leva sui miei sentimenti.
“So bene che è una tua decisione” sussurrò e mi carezzò la guancia. Non rifiutai il tocco, ma dovetti inspirare profondamente per sostenerne lo sguardo e incrociai le braccia al petto, attendendo che continuasse. “Ti avevo promesso che sarei sempre stato sincero, ma questo non mi autorizza a farti sentire giudicata e tanto meno a decidere al posto tuo”.
Inarcai le sopracciglia: “Non era quello che hai lasciato intendere poco fa, te lo assicuro”.
Sospirò. “Perché non proviamo a parlarne stasera a cena? Puoi venire in albergo o io da te, come preferisci”.
Scossi il capo. “Puoi provare quanto vuoi a rendermi più accettabile la tua opinione” mormorai con uno scrollo di spalle. “Ma è evidente che la mia decisione non ti aggrada, quindi non ne vedo l'utilità...” ribattei con una nota amara. Nonostante ciò che provassi per lui, avrei dovuto capire se potevo continuare a vivere quella relazione, anche di fronte a una simile divergenza di opinioni. Dopotutto ne andava del mio futuro. Allungai la mano a sciogliere la collana. “Buona fortuna per le riprese” gli augurai sinceramente.
Glielo tesi ma lui incrociò le braccia al petto. “A cena, stasera” scandì nuovamente.
“Scrivimi l'indirizzo del tuo albergo: te la manderò per posta” replicai in tono stanco e, dopo un ultimo sguardo, mi allontanai.
Camminai a passo spedito fino al parcheggio in cui avevo lasciato l'auto. Mi tremavano le mani e non fui subito in grado di mettere in moto. Mi imprecai contro mentalmente, continuando a dirmi che la mia reazione era stata naturale e legittima. Anche ammesso che non condividesse le mie scelte, non avrebbe dovuto supportarmi a prescindere? O aiutarmi a capire piuttosto che elargire lezioni di vita gratuite? Forse in quei mesi a Glasgow lo avevo troppo idealizzato e mi era sfuggita una chiusura mentale o una tendenza al controllo che mi era insopportabile?
Stupido cavallo bianco, borbottai. Mi asciugai gli occhi, ignorai il ronzio del telefono e mi diressi verso il mio appartamento.
 
~
 
Inevitabilmente, avevamo fatto tardi la sera precedente: dopo aver congedato gli ultimi invitati, eravamo tornate nel nostro appartamento. Fortunatamente mi era stata concessa una giornata libera e ne avevo approfittato per disfare le valigie e addobbare nuovamente la mia vecchia camera da letto, accludendo qualche cornice in più che mi fece sorridere. Avevo anche fatto compere per rifornire la credenza e il frigorifero di alcune delle mie pietanze preferite. Angel mi aveva tranquillizzata più volte sul fatto che non si fosse sentita “obbligata” a lasciarmi il mio precedente posto, tanto più che aveva già stabilito con Eoin di trasferirsi da lui.
Il giorno dopo Amy era passata a prendermi per darmi uno strappo, approfittando del fatto che avesse un appuntamento con Riddle per discutere del restauro. Mi aveva raccontato, con non poca serenità, che il loro rapporto era notevolmente ridimensionato rispetto a quando era una sua dipendente: la trattava con il massimo garbo e professionalità, ma occasionalmente quella coltre di formalismo sembrava sciogliersi e concederle anche qualche consiglio da “mentore”.
Mi rimirai allo specchio con un sorriso: la divisa non era cambiata dall'ultima volta che l'avevo indossata e anche questo mi dava l'erronea sensazione che il tempo si fosse fermato. Sorrisi e non potei resistere alla tentazione di scattarmi un selfie che stavo per inviare, quando mi riscossi all'udire uno strano trambusto. Aggrottai le sopracciglia, non riuscendo ad afferrare bene le parole, ma avevo l'impressione che fosse in corso una lite e mi affrettai a uscire dallo spogliatoio. Sgranai gli occhi di fronte alla scena: Neville, con il viso arrossato, stava additando Rankin e il suo compare, Zacharias Smith al centro della stanza. Torreggiava sulle due figure e li stava aspramente redarguendo, quando la porta dell'ufficio di Riddle si aprì e giunse quest'ultimo, seguito dalla mia amica.
Che diavolo sta succedendo?” domandò il proprietario con voce cavernosa e sembrò lui stesso sotto shock alla vista di Neville. “Paciock?!”
Rankin arrossì come uno scolaretto alle prime armi e sembrò in seria difficoltà, ma riuscì a farfugliare timidamente: “A-Assolutamente nulla! Solo uno sciocco malinteso”. Sorrise con aria accattivante, evidentemente sperando che la conversazione fosse troncata sul nascere. A quelle parole, tuttavia, Neville aveva emesso una risata sarcastica, rivolgendogli uno sguardo di mero disprezzo, prima di girarsi verso l'uomo.
“Adesso glielo spiego io, Signore” si offrì in tono serafico e, per la prima volta, riuscì a sostenerne lo sguardo senza alcun timore, ma persino con una punta di orgoglio che ci lasciò tutti ammutoliti.
“No, Signore!” sembrò supplicarlo Smith. “Non è nulla che meriti la sua attenzione!”
Sta zitto, ipocrita!” gli berciò contro Neville.
“BASTA!” urlò più forte Riddle, zittendoli tutti. “Prego, Paciock: riprenda pure il suo discorso” lo invitò con un cenno del capo, incrociando le braccia al petto e scrutandoli tutti e tre con aria analitica.
“Rankin e Smith stavano facendo allusioni offensive sul suo conto e su quello di Amy” aggiunse a beneficio della mia amica alla quale rivolse uno sguardo realmente dispiaciuto. Quest'ultima parve presa alla sprovvista e impallidì visibilmente.
Mi parve che la figura imponente di Riddle si irrigidisse mentre riservava un'occhiata gelida a Percy e a Zacharias che parvero supplicare Neville con lo sguardo di non andare oltre. “Che genere di allusioni?” lo interrogò con voce simile a un sibilo che fece sussultare anche me anche se, pensai con sollievo, non ero coinvolta nell'incresciosa vicenda.
Non ero l'unica rimasta impalata, tuttavia, a osservare la scena: Christian aveva ancora tra le mani lo straccio con cui stava strofinando la superficie del bacone. Santiago, Eoin, Tom Hopper e Leon[9] si erano bloccati vicino all'ingresso con le casse di bibite ancora tra le mani e Susan fissava Neville come se non lo avesse mai visto fino a quel momento.
“Credono che Amy abbia ricevuto l'incarico di rinnovare il pub perché avrebbe in corso una relazione con lei, Signore” dichiarò Neville, senza distogliere lo sguardo.
Un silenzio scandalizzato riempì la stanza e il volto della ragazza, da pallido, divenne rubicondo. Le tremarono le labbra e sbatté le palpebre a più riprese. Santiago quasi si lasciò cadere la cassa dalle mani, ma rivolse loro uno sguardo di fuoco che sembrava promettere loro delle gravi conseguenze.
Riddle stesso sembrò senza parole per un lungo istante. Una vena iniziò a pulsargli sulla fronte e rivolse uno sguardo così furibondo che i due parvero squittire come i topolini che Nagini si divertiva a torturare prima di inghiottirli interi. “Come-avete-osato?” ringhiò.
“M-Ma Signore, glielo stavo d-dicendo” provò coraggiosamente Rankin a difendersi, muovendo un passo in sua direzione. “Si è solo trattato di un innocente equivoco e-”
“TACI!” lo interruppe l'uomo.
“Le chiedo scusa per il trambusto, Signore” intervenne nuovamente Neville. “Ma non potevo tacere, mentre una mia cara amica veniva screditata in questo modo”.
Mi ero avvicinata alla ragazza e le avevo appoggiato la mano sul braccio: “Stai bene?” le avevo domandato in un sussurro. Non parve neppure udirmi, ma sussultai quando dalle sue labbra sgorgò una risata che sembrò rimbombare nel silenzio che era sceso nella stanza. Si avvicinò ai due diffamatori e, seppur molto più piccola di statura, parve quasi farli rimpicciolire con il sorriso sarcastico che rivolse loro.
“Aha!” rise nuovamente ma senza alcuna allegria. Ero quasi certa che quell'apparente tracotanza fosse una maschera per celare la mortificazione e l'amarezza che le aveva stretto il cuore. “Avete sentito tutti quanti?!” domandò con voce altisonante, intrecciando lo sguardo di tutti i presenti per qualche secondo. “Adesso sono ANCHE l'amante di Riddle, aha!” pronunciò con voce stridula. Aggrottai le sopracciglia e mi resi conto che quella frecciatina doveva avere un altro destinatario oltre a Rankin e a Smith. I suoi occhi, infatti, avevano cercato Christian che sembrò sussultare.
“E io che pensavo di essere solo l'amante di Santiago!” alluse all'amico con un cenno del mento. Quest'ultimo arrossì visibilmente, soprattutto di fronte agli sguardi interrogativi dei due amici.
“¿Qué?[10]” domandò in spagnolo.
Lo siento, Santiago[11]” gli rispose Amy per poi indicare Christian. “Lo vedi quel cabrón[12] che finge di lavorare? Lui pensa che siamo amanti!” esclamò. Santiago appoggiò la cassa sul pavimento e gli rivolse uno sguardo di puro disprezzo, prima di far scrocchiare le dita in un gesto piuttosto eloquente.
Lei si liberò dalla mia presa e spalancò le braccia, guardandosi attorno in un atteggiamento di sfida. “Avanti, sentiamo, qualcun altro? Ovviamente a parte Neville, visto che ha preso le mie difese... Ci sarebbe anche Hopper” fece riferimento al ragazzo più alto del quartetto, “che mi ha sempre aiutato a prendere le cose dagli scaffali più alti. Oppure Eoin!” additò l'altro che parve troppo a disagio per intervenire con una delle sue proverbiali battute. “Mi racconta sempre le barzellette quindi è un ottimo candidato. Senza tralasciare Leon che mi ha sempre tenuto la porta aperta... allora, c'è ancora qualcun altro?” strillò con voce stridula. I suoi occhi fiammeggianti saettarono da Percy e da Smith, che non osavano incrociarli o replicare, a Christian che sembrava tuttora impietrito e incredulo che ciò stesse davvero accadendo sotto gli occhi di tutti i presenti.
Riddle aveva ancora le sopracciglia aggrottate, ma sembrava ormai conoscerla abbastanza da appurare che la cosa migliore fosse lasciarle sfogare la rabbia e lo sdegno.
La ragazza ormai respirava affannosamente, ma continuava a fissare i suoi interlocutori, quasi sperando che uno di loro avesse l'ardire di rispondere. Scosse il capo dopo un lungo attimo di silenzio. Fu con voce più tremula che pronunciò le ultime parole, dopo aver sollevato il mento: “Mentre qui si continua a discutere su chi sia o meno il mio amante, a differenza di alcuni, io vado davvero a lavorare...” annunciò e marciò verso la porta. Prima di uscire, rivolse un ultimo sguardo alla sala: “Andatevene tutti al diavolo!” squittì e si sbatté sonoramente la porta alle spalle.
Neville, Santiago ed io ci scambiammo uno sguardo, ma scossi il capo in un muto invito a lasciarla andare. Sarebbe stato inutile seguirla in quel momento e cercare di tranquillizzarla, al contrario c'era il rischio di esacerbare ulteriormente il suo stato d'animo.
Lasciò dietro di sé un silenzio assai teso, che fu infranto solo da Riddle che stava battendo le mani platealmente, lo sguardo ancora rivolto a Percy e a Zacharias.  “I miei complimenti, signori” sibilò. Notai che lanciò anche una fugace occhiataccia in direzione di Christian che era notevolmente accigliato. “Posso promettervi che la vostra brutta giornata è appena iniziata...” sorrise come se stesse pregustando ciò che aveva in mente. “Vi voglio nel mio ufficio entro cinque secondi”.
“S-Signore” tentò Rankin per l'ennesima volta con voce quasi piagnucolosa.
Neppure finse di averlo udito ma indicò con le dita lunghe l'orologio appeso alla parete e continuò a contare in tono minaccioso: “Quattro, tre...”
I due, seppur ancora pallidi e con aria simile a quella di due condannati verso il patibolo, si precipitarono verso l'ufficio, mentre il nostro principale percorreva la distanza in passi lievi e calcolati, quasi volesse prolungare la loro agonia con quell'attesa. Si fermò, tuttavia, prima di varcare la soglia dell'uscio: “Paciock?” lo richiamò.
“Sì, Signore?”
“Anche se non lo dico spesso, apprezzo la lealtà e la vera amicizia. Cento punti per lei e il mio sincero ringraziamento” ammorbidì la voce sul finale e gli rivolse un cenno del capo che riuscì a farlo sorridere come non mai. “Voialtri, finite di preparare la sala per le colazioni” concluse con un cenno brusco in nostra direzione.
“Sei stato meraviglioso, Neville!” gli dissi con un sorriso orgoglioso.
“Cento punti!” commentò in tono visibilmente emozionato. “E quel sorriso! Perché era un vero sorriso, non ho avuto le allucinazioni, vero?” mi domandò, strappandomi una risatina. Con la coda dell'occhio vidi Santiago dirigersi verso il bancone e sbattere la cassa sullo stesso, rivolgendo uno sguardo torvo a Christian, le mani appoggiate sui fianchi.
“Non adesso, Santiago!” lo rimproverò blandamente Leon. “Non creiamo altri problemi a Riddle”.
Il ragazzo, suo malgrado, dovette annuire, ma rivolse all'altro uno sguardo sferzante: “Ne parliamo alla fine del turno: ti offro una birra” alluse alle bibite nella cassa. Ero quasi certa che ciò che realmente intendeva era che avrebbe desiderato spaccargliela in testa. Sembrò intuirlo anche Christian che appariva piuttosto seccato, ma riprese a pulire energicamente il bancone e senza più rivolgere lo sguardo ad alcuno. Da parte mia, aiutai Susan a preparare i tavoli, ma continuai a riflettere sulle assurde teorie di Percy e di Smith e sulla reazione accesa di Amy che lasciava intuire che le punzecchiature di Christian dovessero averla esasperata più di quanto avevo realizzato dai suoi racconti.  Una cosa era certa: nessuno di noi avrebbe potuto dimenticare quell'episodio e tanto meno le urla di Riddle contro i due maligni pettegoli che avevano stabilito un record per lunghezza e intensità.
 
~
 
 
Bradley aveva provato a chiamarmi diverse volte, ma soltanto in serata, dopo aver sbollito la rabbia ed essermi sfogata con le mie amiche su Skype, avevo risposto e acconsentito a rivederlo il giorno successivo. Si erano divertite nel sentirmi ripetere alcune frasi salienti della discussione (“Aw, la vostra prima lite!” mi aveva punzecchiato Morgana), mi avevano spronata a considerare che lui fosse mosso da ottime intenzioni e da un sincero affetto, anche se le maniere erano state, a tratti, piuttosto brusche (“Meglio così,” aveva commentato Amy per smorzare i toni, “sembrava davvero troppo perfetto per essere vero!”). La nostra conversazione si era decisamente alleggerita quando Morgana mi aveva raccontato della sua prima collezione di abiti invernali a cui stava lavorando, mentre Amy aveva decantato le lodi di una nuova conoscenza, un certo Alexander Vahlos e, per compensazione, mi aveva raccontato qualche battibecco con Christian Coulson. Avevo l'impressione che l'episodio con Percy e le stoviglie gettate a terra avesse aperto uno spartiacque nella mia mente: il ragazzo educatissimo, silenzioso e garbato sembrava ancora latente, ma con Amy emergeva un lato molto più burrascoso e sarcastico. Morgana, in privato, mi aveva confidato di non riuscire più a capire che cosa le stesse accadendo: nonostante avesse iniziato a frequentare Alexander, sospettava anche un flirt con Santiago (al quale, talvolta, aveva prestato aiuto come babysitter della figlia) e sosteneva che quell'astiosità con Christian celasse ben altro sentimento.
“Io non ci sto capendo più niente!” aveva concluso in tono esasperato. “Ma sei sicura che a te non abbia detto nulla? Le hai giurato che non mi avresti detto niente, di' la verità!
“Morgana, devo ricordarti che sei tu quella che abita nella stessa città?”
“Non importa, tanto lo scoprirò”.
 
Sorrisi ancora al ricordo, ma mi costrinsi a finire di prepararmi: Bradley sarebbe arrivato entro pochi minuti e volevo assicurarmi che fosse tutto in ordine. Mi ero sorpresa a sollevare molte volte la mano verso il mio collo e a scoprirmi “nuda” in assenza del ciondolo che avevo indossato per tutta l'estate. Ero più che mai determinata a restituirglielo, a prescindere dall'esito di quella conversazione. Era un nervosismo diverso quello che provavo solitamente al pensiero del suo arrivo, ma mi affrettai ad avviarmi alla porta quando suonò il campanello.
“Ciao” mi salutò con un sorriso impacciato. “Posso entrare?”
“Certo” risposi cordialmente e mi spostai dal vano della porta. “Posso offrirti qualcosa?” gli proposi per pura proforma, ma lui scosse il capo. Lo guidai verso il soggiorno e gli indicai il divano, ma lui preferì restare in piedi.
“Mi dispiace davvero: avevi ragione” esordì con un sospiro. “A prescindere dalle mie opinioni, avrei dovuto lasciarti il tempo di spiegarti”.
“Grazie” sussurrai e mi distesi in un sorriso più sincero. “Lo apprezzo, ma anche io ho sbagliato: mi sono subito messa sulla difensiva e ho reagito impulsivamente come non accadeva da un po'” mi ero ritrovata a riflettere. Era come se, inconsciamente, mi fossi sempre sforzata di dare il meglio di me davanti a lui, ma sapevo che, con il tempo, le nostre difese avrebbero dovuto abbassarsi e mostrare i nostri difetti, se volevamo stabilire un rapporto veritiero.
Annuì e sembrò lui stesso riflettere sulla questione. “ E' un aspetto di te che mi incuriosisce, ma spero di non scoprirlo sempre sulla mia pelle” soggiunse in un fugace sorriso per smorzare la tensione. Si avvicinò, continuando a osservarmi attentamente, prima di riprendere il discorso con maggiore solennità. “Voglio solo che tu ricordi che io sono sempre dalla tua parte e se tu sei davvero convinta della tua decisione, allora ti sosterrò totalmente, hai la mia parola”. Concluse e mi appoggiò la mano sulla spalla.
Lo ringraziai, ma quelle parole, per qualche motivo, mi fecero stare persino peggio. Mi lasciai cadere sul divano e scossi il capo. Mi guardò con aria confusa e sedette al mio fianco e attese paziente che mi spiegassi meglio. “E' assurdo, ma devo ammettere che il motivo per cui mi sono arrabbiata tanto, è che avevi maledettamente ragione” confessai con un sospiro.
Notai una contrazione delle labbra e immaginai che si stesse trattenendo dal sorridere con un certo divertimento. Sollevai la mano come a bloccarlo: “Se osi dire qualcosa di simile a «te lo avevo detto», giuro che-”
Scosse il capo e mi sorrise più dolcemente: “Lungi da me farlo, promesso”. Si era fatto nuovamente serio. “Tu sai per quale motivo ero tanto spiazzato dalle tue parole?”
“Perché sei fin troppo intuitivo?”
“Non solo” replicò con un ammiccamento e lo vidi cercare qualcosa nella sua borsa. Ne estrasse un faldone che mi era fin troppo familiare e non potei fare a meno di sorridere, pur con un familiare rossore di imbarazzo a sfiorarmi le guance.
“L'hai letto...” mormorai e mi mordicchiai il labbro inferiore.
“Fino all'ultima pagina” mi assicurò e indicò il plico del secondo racconto. “Credo che la tua protagonista non sia poi così confusa, ma piuttosto bloccata dalla paura e dal salto nel vuoto che in fondo al proprio cuore sa di desiderare”.
Annuii e sollevai lo sguardo al soffitto, quasi cercando le parole successive. “A volte vorrei che la mia vita fosse un romanzo scritto da qualcuno che ha le idee chiare...” gli confessai.
“Potrà diventarlo, ma non ci sarebbe autrice più adatta di te a questo compito e non lo dico solo perché chiaramente stravedo per il personaggio che mi somiglia” soggiunse, strappandomi un sorriso, nonostante il tipo di conversazione. Mi cinse la mano e lo lasciai fare. Anzi, mi aggrappai a quel contatto, perché forse, al di là di tutto, ciò di cui avevo realmente bisogno era la consapevolezza che avrei potuto sbagliare e cadere disparate volte. Ci sarebbe stato qualcuno vicino, pronto a sostenermi, farmi da cuscinetto o, quando necessario, spronarmi a tentare.
Si alzò dopo qualche istante con aria pensierosa. “Hai già pagato l'affitto per tutto il mese?” mi domandò.
Inarcai le sopracciglia alla domanda e lo guardai confusamente prima di annuire.
Sorrise. “Allora prenditi questo mese: io dovrò comunque restare qui e potremmo farci compagnia a vicenda” propose con tono così carezzevole da farmi scivolare un brivido lungo la spina dorsale. “Cosa ancora più importante, potrai continuare i tuoi studi per il test di ingresso e chissà che magari non si sblocchi l'ispirazione per dare alla tua protagonista il finale che merita. Forse questo ti aiuterà a schiarirti le idee, ma da parte mia prometto di non tornare sull'argomento, a meno che non sia tu a chiedermelo. Che ne dici?”
Un sorriso si fece prepotentemente strada sulle mie labbra. “Mi avevi già convinta alludendo al fatto che resterai qui per lavoro”.
Lasciai che mi aiutasse a rialzarmi e che mi cingesse.  Mi rilassai nel suo abbraccio, affondai il volto contro la sua spalla e cercai di ignorare, almeno per un po', i miei dubbi e le mie ansie.
“Posso considerarmi ripristinato nel mio ruolo di Cavaliere?” mi domandò, scostandomi i capelli dal viso. “Sai, l'armatura mi sta davvero troppo bene” mi fece presente, enfatizzando sulle ultime parole con uno scintillio complice nello sguardo.
Sorrisi, pur con un briciolo di vergogna e di rimorso. “Perdonami, è stato un colpo basso”.
“Per la cronaca, l'avevo già fatto.” mi disse con un buffetto sul naso. “Temo che non sia così per il mio stupido cavallo bianco” aggiunse con aria fintamente drammatica al pensiero.
Sospirai. “Cosa potrei fare per lui?”
“Sarebbe molto felice se mi portassi in giro per la città e se ti esercitassi nell'insegnamento con me: sarei davvero felice di imparare qualche parola di italiano”.
“Tipo Giuliano de’ Medici?” gli domandai con un sorriso dispettoso.
Sorrise con aria affettata: “L'ho pronunciato in modo così terribile?”
Simulai un'espressione profondamente concentrata. “Dovrei risentirlo”.
Sospirò, ma obbedì e non potei che sorridere all'evidente inflessione inglese che faceva cadere erroneamente l'accento sulla seconda sillaba, anziché sulla prima.
Dovetti prendermi un istante per imitarne lo sguardo suadente che mi aveva rivolto al nostro primo incontro e avevo inclinato il viso di un lato. “Sei davvero molto gentile e permettimi di aggiungere che hai un accento adorabile, Milord” gli dissi, proponendo le stesse parole che mi aveva rivolto quella sera.
Colse l'allusione e ridacchiò, prima di incrociare le braccia al petto. “Credo che mi cercherò un'altra insegnante, dopotutto”.
“Non provarci neppure!” lo ammonii ma lo abbracciai di mia iniziativa. Estrassi dalla tasca la collana e gliela misi al collo.
“Sicura di non volerla più tenere?”.
Su molte cose non avevo ancora una risposta definitiva, ma non in quel caso: sembrava che le parole fossero sempre state trattenute dentro di me, da quando era entrato nell'auditorium dell'Accademia di Glasgow. “Non ne avrò bisogno, se sarai qui”.
Mi sfiorò la gota delicatamente: “E' una promessa”.
 
 
~
 
Il giorno successivo Morgana aveva insistito perché facessimo colazione al pub: nonostante il racconto dettagliato che avevamo fornito Amy ed io, sembrava volersi “gustare” l'atmosfera. La diretta interessata, d'altro canto, aveva accettato solo ed esclusivamente per riprendere la conversazione interrotta con Riddle. Da parte mia, rielaborando il tutto, ero giunta  a questa conclusione: “Il mio primo giorno di lavoro porta sempre sfiga[13]”.
Christian, dietro il bancone, non aveva battuto ciglio, ma aveva interagito cordialmente con Morgana prima di iniziare a preparare le nostre colazioni. Amy, d'altro  canto, dopo esser andata nelle cucine per ringraziare Neville, era tornata nella sala principale e non aveva fatto in tempo a sedere che Percy e Zacharias le si erano avvicinati con espressione estremamente tesa e informale.
“Volevo dirti che mi rincresce davvero di quello che è successo ieri” commentò Rankin e mi parve di scorgere un reale pentimento nella sua voce e molta meno petulanza del solito. Sicuramente aiutava che Riddle avesse previsto per lui e per Smith le mansioni più sgradite quali la pulizia dei bagni dei dipendenti e dei clienti, lo scarico delle merci sotto la direzione dei magazzinieri e la pulizia serale del locale, oltre al gettare la spazzatura, premunendosi di farne la raccolta differenziata. 
“Siamo stati inopportuni e maligni” aggiunse Zacharias con notevole sforzo.
“Ah sì?” domandò Amy, le braccia incrociate al petto e lo sguardo scettico. “E vi dispiace davvero o è solo perché Riddle vi costringe a dirlo?” domandò in tono sprezzante. Non diede neppure loro tempo di replicare che continuò: “Siete sempre stati i primi a fare rapporto sulle inerzie degli altri, ma quando si tratta di assumervi le vostre responsabilità, vi rivelate solo dei luridi vigliacchi! Mi fate schifo!”
“Senti, se non vuoi accettare le nostre scuse-” ribatté Smith in tono più stizzito e quasi rancoroso, ma fu interrotto da Percy che lo indusse a tacere e sollevò la mano in sua direzione.
“Ne hai tutto il diritto...” intervenne con voce più composta ed evidentemente a disagio. “Ma spero sinceramente che un giorno tu possa ricrederti sul mio conto”.
Personalmente non potei fare a meno di scambiare uno sguardo sorpreso con Morgana: era la prima volta che Rankin mi sembrava realmente impegnato a giudicare criticamente il proprio comportamento.
Amy stessa sembrò pensare qualcosa di simile, ma la sua espressione si incupì e si irrigidì. “Hai detto qualcosa, Coulson?” interpellò il ragazzo che stava finendo di sciacquare alcune stoviglie. Lui non diede neppure segno di sentirsi “colpevole” e si strinse nelle spalle, ma evitò di guardarla.
“Affatto.” replicò con la consueta calma. “Non ho nulla da dire”. 
Susan, poco distante, guardava in tutt'altra direzione e sembrava pregare silenziosamente che Amy non la mettesse nel mezzo. Personalmente, avevo notato, con la coda dell'occhio, che il ragazzo in questione stava assistendo alle scuse dei due accusatori e aveva borbottato tra sé e sé qualcosa di simile a: “Vuoi anche che si mettano a strisciare?”.
Era palese dall'espressione sul viso di Amy che non avrebbe lasciato correre, neppure quando Morgana ed io provammo a convincerla a sedersi al tavolo e a gustarsi la colazione. Si diresse con rapidi passi verso il bancone mentre Rankin e Smith, dopo aver esitato qualche istante, tornavano alle loro incombenze.
Sospirai, indecisa se provare a intervenire, ma Morgana scosse il capo: “Credimi, sarebbe inutile: hanno troppe questioni irrisolte... e nessuna camera affittata. Per ora.” aggiunse con un sorrisino più vispo.
“Ho capito bene?” domandò Amy in tono evidentemente stizzito. “Non pensi di dovermi dire qualcosa, invece? Magari porgermi le tue scuse?” lo incalzò e sottolineò le ultime parole con voce più stridula.
Il giovane chiuse il rubinetto dell'acqua e finalmente la scrutò. Aveva le sopracciglia inarcate a simulare un'espressione perplessa e basita e il volto inclinato di un lato: “Le mie scuse?” scandì quelle parole, quasi volendo assicurarsi di aver compreso bene.
“Sto aspettando” ribadì Amy e incrociò le braccia al petto.
Christian sbatté le palpebre e scosse il capo lentamente mentre Susan, evidentemente intimorita, si allontanava per cominciare a pulire i tavoli sporchi, giusto per fare qualcosa nel frattempo.
“E perché mai dovrei?” la interrogò, dopo aver appoggiato le mani sulla superficie del bancone che li divideva. “Io non c'entro niente, non ho pronunciato una parola ieri: anzi, sei tu che mi hai messo nel mezzo e sei tu che dovresti scusarti con me”.
“E' anche meglio di quelle soap turche per cui va pazza tua madre[14]” commentò Morgana con un sorrisetto, girando la sedia di modo da seguire la scena.
“Il Sagittario ha ancora la luna in Marte” commentò la coinquilina di Amy, come se ciò potesse giustificare tutto. 
Da parte mia, avevo abbandonato la mia colazione e non riuscivo a fare a meno di continuare a seguire quel dialogo.
Cosa hai detto?!” domandò Amy con voce persino più stridula per l'incredulità.
Christian sembrava altrettanto caparbio perché annuì e continuò la sua spiegazione con lo stesso cipiglio incupito: “Per colpa tua, il tuo amichetto latino ha provato ad attaccare briga con me e a mettermi le mani addosso!” iniziò con tono indignato. “Riddle mi ha convocato e mi ha fatto una sfuriata e sono di nuovo fuori dalla classifica del mese”. La fissò con un sorriso sarcastico. “Quindi, lo ripeto: non hai nessun diritto di aspettarti delle scuse dal sottoscritto, casomai è il contrario”.
Vidi Amy stringere i pugni lungo i fianchi e sembrò persino tremare per la rabbia. “Peccato che Santiago non ci sia riuscito!” rimbeccò in tono velenoso. “E' evidente che non hai imparato la lezione: sei persino peggio di quei due lecchini!” alluse a Percy e a Smith. “Ti fingi una brava persona, ma sei il peggiore dei villani e, come se non bastasse, sei persino misogino e razzista! Spero che Sean capisca che razza di persona sei e che-”
“Amy!” ero intervenuta, tirandola via per il braccio. “Smettila, c'è Madama Bumb” aggiunsi a suo beneficio tra i denti, ma rimasi sconvolta di fronte al repentino cambiamento sul volto del ragazzo. Un guizzo di rabbia fulminea era lampeggiato nelle sue iridi azzurre che sembravano esser divenute più fosche. La mascella era serrata e il pugno era stretto in evidente tensione. L'ultima volta che avevo scorto tale stato d'animo, aveva gettato per terra delle stoviglie e tuttora non riuscivo a spiegarmi tale gesto in modo razionale, anche se Percy lo aveva provocato più volte. Sembrò faticosamente tornare in sé alla vista di nuovi clienti.
La mia amica mi seguì ma esibiva un'espressione scornata per essere stata interrotta nel mezzo della discussione, ma dubitavo che tra lei e il ragazzo sarebbe potuto emergere qualcosa di costruttivo, soprattutto con una simile disposizione d'animo. Non ebbe neppure il tempo di sedersi per consumare la sua colazione perché Madama Bumb le riferì che Riddle l'attendeva nel suo ufficio.
“La situazione stava sfuggendo di mano” sussurrai con uno scuotimento del capo, alludendo a Christian.
“Non penserai che sia pericoloso, vero?” mi domandò Morgana con le sopracciglia aggrottate.
“No, non è questo, ma quando si arrabbia sembra trasformarsi come...  come se cedesse al lato oscuro della Forza” cercai di spiegare, gesticolando animatamente e ricorrendo a una metafora piuttosto eloquente del mondo di Star Wars.
“Lato oscuro di cosa?” mi domandò Luna e ancora una volta invidiai la sua apparente imperturbabilità.
La moretta sembrò volermi tranquillizzare. “Non è necessariamente una cosa negativa che sia passionale: non dimenticherò mai quanto fu sexy vedere Sean stendere Tom”.
Scossi il capo e gettai nuovamente un'occhiata in direzione del giovane: seppur fosse concentrato sul suo lavoro, i suoi movimenti apparivano più rigidi del solito. “Spero solo che trovino un modo civile per parlarsi prima o poi...” sospirai.
“Te lo dico e te lo ripeto: è solo questione di tempo” sentenziò Morgana.
“Se aggiungi qualcosa su una camera vuota, ti schiaffeggio io per lei” le dissi con un sorriso sarcastico, prima di controllare l'orologio e sussultare. Era più tardi di quanto avevo previsto e non avevo idea di quanto tempo ci sarebbe voluto per recarmi all'Università di Glasgow e sbrigare le pratiche burocratiche per l'iscrizione al master[15]. “Devo scappare: l'aspettate voi?” allusi alla nostra amica e lasciai loro la mia parte del conto.
Morgana annuì. “Non preoccuparti per lei, ci aggiorniamo dopo”.
“A più tardi”.
 
~
 
L'ingresso familiare dell’edificio era deserto: come un luogo del tutto privato della sua anima. Non riuscivo a capire per quale motivo mi trovassi in quel posto, con il cielo stellato e la luna piena la cui luce fatiscente era soffocata dalle nubi attorno a essa.
Non avevo timore tuttavia: avevo la certezza che nulla mi avrebbe ferito, fino a quando fossi rimasta entro quelle mura.
C'è qualcuno?” domandai e la mia voce riecheggiò nel corridoio. Mossi qualche passo e la mia vista a poco a poco si abituò alla penombra.
Ripetei la domanda ma sembrò vana. Mi lasciai guidare dall'istinto e camminai lungo la scalinata per raggiungere una meta ben nota. Sgranai gli occhi, tuttavia, quando mi ritrovai in una stanza circolare, rischiarata solo da delle candele sospese in aria, come per opera di qualche magia. Di fronte a me vi era una parete con tre porte forgiate in modo identico, con la stessa maniglia, analoghe dimensioni e colore di vernice. L'unico segno distintivo era il numero romano impresso su un cartello sopra le stesse[16].
“Benvenuta”
Trasalii per la sorpresa, ma un sorriso mi increspò le labbra. Dopotutto, era logico trovarmelo di fronte.
O forse farei meglio a dire, bentornata” mi sorrise e allargò le braccia in un implicito gesto di accoglienza.
“Professor Silente, è davvero lei?” domandai in tono confuso. Naturalmente avevo riconosciuto l'Accademia di Glasgow, ma la mia mente continuava a dirmi che lo era solo in apparenza.
Mi sorrise e riconobbi lo scintillio vivace negli occhi azzurri: “Mia cara, sappiamo entrambi che questo non ha la benché minima importanza, fin quando mi considererai una guida”.
“Non ho mai fatto un sogno simile” mi sentii dire.
“No, infatti, ma sono onorato che tu mi abbia scelto come tuo Virgilio”commentò con la consueta serenità. “Immagino che tu abbia notato l'esatta uguaglianza tra le porte”.
Annuii. “Ma immagino che abbiano tre diverse destinazioni”.
“Quali pensi che siano?”
Mi domandai se dalla mia risposta sarebbe dipeso tutto, ma pronunciai le prime parole che mi erano venute in mente. “Passato, presente e futuro.”
Sorrise. “Dickens ne sarebbe orgoglioso, immagino. La tua ipotesi è corretta, ma al contempo no” rispose con semplicità.
Aggrottai le sopracciglia e mi avvicinai, quasi sperando che una visione ravvicinata potesse svelarmi degli ulteriori dettagli, ma scoprii che non potevo avvicinarmi.
“A volte il modo migliore di andare avanti è fare un passo indietro”.
“Bradley” mormorai, ricordando che lui stesso aveva pronunciato una frase simile. Mi guardai attorno e mi mordicchiai il labbro, quasi sperando di scorgerlo.
“Non è qui” confermò e mi si avvicinò per appoggiarmi la mano sulla spalla. “Come ti dicevo: in un certo senso hai indovinato. La prima porta apre una breccia sul tuo passato. Riesci a indovinare quale persona lo incarni davvero?”
Esitai un solo attimo. Non perché non immaginassi la risposta, ma perché la temevo.
“Matteo” sussurrai.
“Esattamente. Tutti i tuoi dubbi e le tue domande irrisolte su quale sarebbe potuta essere la tua vita, se aveste fatto scelte diverse e aveste potuto disporre di un'occasione concreta” mi illustrò. Indicò la porta centrale. “Questa rappresenta una breccia di un tuo presente alternativo, ben diverso da quello odierno. Ed è associata a un'altra persona”.
Sentii una morsa all'altezza dello stomaco e un disagio persino peggiore nel pronunciare il secondo nome.  “Tom”.
Fece un cenno di assenso con la testa. “Cosa sarebbe accaduto se Tom non ti avesse regalato quel libro? Se avesse affrontato Emma onestamente, se tu non avessi deciso di prendere le distanze da lui e non avessi aperto uno spiraglio a Bradley?”.
Mi morsi il labbro inferiore e mi presi un solo istante per immaginare un futuro radioso per il ragazzo, ma non avendo alcuna certezza sul fatto che avremmo potuto essere una coppia solida e ben aggregata. Dubitavo istintivamente che avrei potuto mostrargli anche la mia fragilità e i miei pensieri più intimi. Rivolsi uno sguardo insieme timoroso e speranzoso verso la terza porta. “Il futuro che potrei avere con Bradley?” domandai.
Lo sguardo azzurro sembrò rilucere in modo misterioso. “Sì e no”. Sorrise bonariamente al mio moto di impazienza.
“Per favore, mi spieghi” lo esortai.
“Quella porta rappresenta ciò che sarebbe potuto accadere se Bradley ti avesse concesso di seguirlo a Londra e se non vi foste separati negli ultimi mesi”.
Istintivamente sollevai la mano a cercare il ciondolo della sua collana, ma aggrottai le sopracciglia nel notare che non la indossavo. Un profondo silenzio cadde tra noi ma l'uomo non sembrava avere alcuna intenzione di infrangerlo e tanto meno avere fretta di congedarsi.
“Immagino di dover passare da una di queste porte” mormorai più a me stessa che a lui. Forse uno spiraglio dei tre possibili fati avrebbe reso più facile la mia decisione? Mi avrebbe confermato che nel tempo avevo fatto le scelte giuste? Mi avrebbe aiutato a uscire da quell'impasse e vivere più serenamente il mio presente o correggere il tiro per avvicinarmi al futuro che mi era realmente assegnato.
“Credi che ognuno abbia un futuro già scritto?” mi domandò con profonda serietà e quella domanda parve persino più importante della precedente.
Sospirai. “Credevo che lei fosse qui per darmi risposte, non per alimentare i miei dubbi e le mie perplessità” non potei fare a meno di fargli notare.
Ridacchiò. “Deve essere particolarmente frustrante: avere in sé il potenziale per qualsiasi decisione, ma sentirsi inermi e bloccati”.
“Non credo che il destino sia scolpito nelle pietre” mormorai, ricordando le parole di Luna e le sue ammonizioni affinché non prendessimo troppo sul serio le sue “predizioni”. Mi ricordavano una teoria sociologica che avevo studiato accuratamente circa la possibilità che l'uomo sia in grado di far avverare o meno una  “previsione”, semplicemente convincendosi che qualcosa sia realizzabile o meno e modificando il suo comportamento, in modo tale da causarla o da prevenirla concretamente[17]. “Ma ammetto che spesso e volentieri mi sono consolata a questa idea”.
“Spaventa molto di più rendersi conto di essere i responsabili del proprio avvenire” rifletté lui in tono comprensivo e addolcito.
“Una delle tre porte” ripetei tra me e me.
 
“Io ti avrei detto di scegliere la prima!” affermò Amy dalla schermata di Skype. “Mi fa male al cuore il pensiero che tu e Matteo non abbiate mai avuto realmente un'occasione” rivelò. “Anche se Bradley ha fatto la cosa giusta, ammetto che sarebbe stato curioso anche scoprire cosa sarebbe accaduto se foste stati a Londra insieme”.
“Una cosa è certa... ” intervenne Morgana al suo fianco con un sorriso ironico. “Nessuna di noi avrebbe voluto che scegliessi la seconda porta, se non per fare un confronto e ringraziare nuovamente il cielo per l'arrivo di Bradley”.
“Allora, quale hai scelto?” mi incalzò l'altra, dopo aver annuito con vigore.
Mi strinsi nelle spalle. “Mi sono svegliata in quel momento”.
Amy si lasciò sfuggire un'imprecazione e Morgana aggrottò le sopracciglia: “Non mi sembra una gran perdita: a meno che tu non possegga un dono, sarebbero state solo le suggestioni del tuo inconscio”.
“Non saprei. Vi ho raccontato di quante volte ho avuto dei sogni premonitori? Anche Luna non li sottovaluta, anche se preferisce i segni zodiacali e i moti dei pianeti o quello che è...” cercò di spiegare Amy.
Da parte mia, volevo mantenere la mente abbastanza “aperta” da poter accettare che c'erano fenomeni che non saremmo mai stati in grado di spiegarci, neppure attraverso le affermazioni della scienza, della psicologia e della religione.
“Hai sognato quel Principe misterioso per mesi” ricordò Morgana con le sopracciglia inarcate.  “Forse ti sarà concessa una seconda occasione: sai già quale sceglierai a quel punto?”
“In tutta onestà?” domandai e scossi il capo. “Credo che, se avessi la certezza di poter tornare indietro, aprirei tutte le porte”.
“Che sarebbe come imbrogliare” sottolineò Amy. “Meglio di Being Erica[18] comunque!”
“A meno che non si tratti di una rivelazione: hai coltivato per mesi una passione segreta per Silente, alla faccia di Tom e Bradley” dichiarò Morgana in tono così serio e speculatore che non potemmo che scoppiare a ridere tutte e tre.
“A proposito di Bradley, vi state frequentando?” mi incalzò l'altra con un sorriso più allusivo.
“Lavora tantissimo” precisai. “Ma è sempre premuroso nei messaggi. Pensavo di portarlo in gita da qualche parte se avrà il weekend libero, per fargli vedere i luoghi in cui sono cresciuta, l'Università in cui mi sono laureata...”
Amy sembrò illuminarsi, come colta da un pensiero. “Prima o poi comunque dovremmo organizzare una vacanza tutti insieme”.
“Oh, sì, Sara sta fremendo all'idea di conoscere Alexander” la punzecchiò Morgana che sollevò gli occhi al cielo. “Così le farai l'elenco anche di persona di tutti i suoi attributi”.
“Beh sì, vorrei presentarglielo e allora?” sbottò l'altra, evidentemente risentita dalla sua reazione. “Finalmente incontro qualcuno di decente e perché non dovrei essere contenta di farglielo conoscere?”
Morgana non sembrò affatto sentirsi in colpa, ma le appoggiò la mano sulla spalla: “Ti do lo stesso consiglio che diedi a lei con Bradley: attenta a non idealizzarlo troppo”.
L'altra sembrò insieme indignata e preoccupata. “Non pensi che abbia già incontrato abbastanza casi umani per una vita?”
Si strinse nelle spalle. “Ho solo le mie idee” si schermì.
“Spero tu non alluda ancora a Riddle” commentai io con una risatina.
“Magari dovresti passare a lei il tuo sogno, sono ancora convinta che in una realtà alternativa sarebbero stati una gran bella coppia... o sarebbe stato un bel altro tipo di mentore”.
Risi alla faccia arrossata di vergogna e di sdegno di Amy e mi divertii a lasciarle battibeccare per qualche minuto, prima di chiedere loro gli aggiornamenti sulle loro carriere. Fui grata che non mi chiedessero se mi ero già schiarita le idee in merito all'insegnamento.
Abbassai lo schermo del portatile e rimasi a osservare un punto indefinito di fronte a me, ma mi riscossi al tonfo alla porta. Inarcai le sopracciglia, facendo mente locale e cercando di stabilire se potesse trattarsi del corriere con un pacco da parte della mia famiglia.
Fu invece con lieta sorpresa che scorsi Bradley sulla soglia, sorridente e ben curato come sempre, malgrado si notasse la stanchezza.
“Hey, come è andata?” gli domandai di impulso, spostandomi dal vano affinché potesse entrare.
“Hai del vino?” mi domandò con un sopracciglio inarcato e ridacchiai per risposta. Mi sorrise: “Che ne diresti, invece, di andare a cena da qualche parte? E' una serata incantevole, ma a una sola regola”.
“Sentiamo” lo incoraggiai in tono insieme curioso ed entusiasta alla prospettiva. Firenze era persino più incantevole al calare del sole.
“Non si parla di lavoro e neanche di studio”.
“Credo che sarebbe perfetto ed è quello che mi ci vuole, ma devi darmi tempo di cambiarmi” allusi alla tenuta domestica, tutt'altro che elegante. “Ti verso quel bicchiere di vino intanto”.
 
~
 
Amy, durante la cena, ci aveva raccontato con dovizia di dettagli della conversazione privata con Riddle: si era lamentata esplicitamente del fatto che Christian non si fosse scusato a sua volta. L'uomo l'aveva ascoltata pazientemente, ma le aveva anche riferito la giustificazione del ragazzo: aveva chiarito che i loro dissidi personali erano nati in ben altro contesto e circostanze e, per tanto, non aveva alcuna disciplina al riguardo. Tuttavia aveva ammonito lui e Santiago per la loro discussione accesa nel magazzino. L'aveva infine pregata di evitare nuove dispute durante l'orario lavorativo dei dipendenti nonché dei loro colloqui per definire il progetto di restauro del locale. All'uscita dall'ufficio, mi aveva anticipato Morgana, la ragazza aveva scambiato uno sguardo colmo di rancore con Christian ed era stato piuttosto evidente che la loro questione fosse tutt'altro che risolta.
“So che Christian in più occasioni si è comportato male con te” commentai alla fine del racconto, dopo aver sorseggiato il mio caffè. “Ma credo che Riddle abbia ragione: devi cercare di concentrarti sul tuo lavoro e lasciarlo perdere”.
“Ignorarlo, certo...” ribatté in tono ironico. “Facile a dirsi, peccato che Sean ormai lo inviti ovunque. Ha davvero trovato un rimpiazzo perfetto per Tom[19], spero che lo mandi presto al diavolo”.
Morgana fece spallucce. “Che posso dire? Evidentemente gli piacciono i tipi poco socievoli” convenne con un sorriso divertito. “Ma tanto per chiarire: io non c'entro nulla con l'origine della loro bromance”.
“Pensa che mi ha persino sgridato perché non ci vado d'accordo” rincarò la dose Amy. “Continua a dirmi: ma come fai a non andarci d'accordo? E' così a modino!” ne imitò l'accento scozzese, facendomi ridacchiare. “Il tuo ragazzo è di un'ingenuità imbarazzante!” concluse in direzione di Morgana.
Quest'ultima strinse le labbra. “Forse Christian ha una cotta per lui: non eri sicurissima che fosse gay fino a pochi mesi fa?” le fece notare in tono sarcastico.
Scossi il capo, dopo un attimo di riflessione personale. “Non conosco molto bene Christian, ma non mi sembra il tipo che si compiace delle attenzioni altrui, tanto meno un manipolatore. E a dirla tutta non credo neppure che sia misogino o razzista”.
La moretta annuì. “Neppure io, ci sei andata giù pesante sul finale”.
L'altra divenne di un colorito acceso per l'indignazione ma scosse il capo. “Mi ci manca solo di sentirvi prendere le sue difese!” borbottò in tono stizzito. “Anzi, non voglio più sentirlo nominare per stasera!” sancì e accese la televisione per cominciare a fare zapping.
“Se pensi di poterci riuscire” la punzecchiò Morgana e ignorò il mio sguardo di rimprovero.
L'atmosfera si era decisamente distesa attraverso le gesta della squadra di detective protagonisti di Brooklyn 99 e ci stavamo godendo quella maratona, prima che sentissimo i tonfi alla porta di ingresso. Amy inarcò le sopracciglia e poi sorrise tra sé con un lieve scuotimento di testa: “Questa è Luna che, come sempre, si dimentica le chiavi” convenne tra sé e sé, andando ad aprire. Penny, che fino a quel momento stava giochicchiando con un pupazzo di gomma, si era sollevata dalla sua postazione e l'aveva seguita, la coda ritta per la concentrazione.
“Sei sempre la solita distratta!” commentò in inglese, prima di schiudere l'uscio, ma il suo urletto ci fece sussultare e sollevare dal divano con uno scatto, affrettandoci a raggiungerla.
Sgranai gli occhi quando riconobbi il ragazzo alla porta che, approfittando della sorpresa di Amy, era entrato nel soggiorno. I suoi lineamenti erano nuovamente resi rigidi dalla rabbia, aveva i pugni serrati lungo i fianchi e sembrava visibilmente agitato.
“Christian?!” lo chiamai con voce incredula.
Lui degnò appena di un cenno Morgana e me, prima di volgersi verso Amy che era divenuta rubiconda per l'indignazione e la sorpresa: “CHE CI FAI QUI?!” gli inveì contro con voce strozzata per l'indignazione. “E come diavolo hai trovato casa mia?!”.
Lui non si scompose, ma la guardò con le sopracciglia aggrottate: “Dobbiamo riprendere la conversazione di questa mattina” sancì in tono asciutto, prima di guardarci tutte con aria di sfida. “Non ho intenzione di andarmene fino a quando non avremo chiarito un paio di cose” continuò in direzione della padrona di casa.
 
 
 
To be continued...
 
 
 
Credo che questo sia stato uno dei capitoli più “litigiosi” che abbia mai scritto in questa fanfiction. Non vi nascondo che sono stata particolarmente contenta di scrivere dello scontro tra Sara e Bradley ma non per mero masochismo :P Si tratta di un tema che sento molto attuale: la sensazione di incertezza e di paura del futuro, soprattutto nella difficoltà di individuare la propria strada. Non vi nascondo di aver davvero provato un po' di invidia per chi ha sempre avuto consapevolezza di cosa avrebbe voluto fare “da grande” e ha seguito quest’aspirazione. Magari fin dalla più tenera età. Uno dei motivi per cui sono felice di aver intrapreso questa revisione era proprio per toccare questo argomento delicato. Nella prima versione, me ne vergogno al ricordo, i personaggi femminili erano ridotte a delle “first lady” dei rispettivi partner e tutto l'intrigo ruotava esclusivamente intorno alla sfera romantica, non dando spazio ad altri temi altrettanto significativi come questo. Spero, al di là delle preferenze e opinioni personali sui personaggi, di aver rimediato come si conviene :)
 
Come vi avevo annunciato, siamo in dirittura di arrivo. Non resta che l'ultimo capitolo di cui ho già delle bozze pronte, quindi cercherò di non farvi attendere troppo :)
 
Alla prossima,
Kiki87
 
[1] Per ascoltare il brano e vederne il testo originale cliccate qui
[2] La mia amica e io avevamo pensato per Riddle una storyline piuttosto commovente che vi riassumo qui brevemente per non creare una digressione troppo prolissa nel testo del capitolo. Riddle era stato un alunno dell'Accademia di Silente, uno dei più promettenti e il suo sogno era quello di diventare un attore. Era fidanzato con una ragazza molto solare, Claudia Kim (ossia l'attrice che ha interpretato Nagini nella saga di Animali Fantastici) e piena di vita che aveva il sogno di aprire un ristorante. Dopo la sua morte improvvisa, a causa di un aneurisma celebrale, e aver elaborato il lutto, lasciò l'Accademia per realizzare il sogno della giovane di aprire un ristorante.  Con la Signora Weasley, una cara amica di famiglia, in qualità di sua socia, fondò la Camera dei Segreti. Il giorno del litigio aspro con Amy era particolarmente inquieto, poiché ricorreva l'anniversario della morte di Claudia. Sybilla Thompson era studentessa dell’Accademia, sua collega di corso e da sempre invaghita di lui. Avevano smarrito i contatti dopo la sua perdita, ma si sono ritrovati in occasione dello spettacolo finale in Accademia.
[3] Si tratta dell’attore che ha interpretato Mordred nella quinta stagione di Merlin.
[4] Dell’episodio del bracciale di Amy si faceva riferimento nel capitolo 16.
[5] Giusto perché la saletta privata del pub è chiusa al momento, o non avrebbero mai tradito Riddle ;)
[6] E' una battuta tratta da Scrubs, la sitcom ambientata in un ospedale fittizio, pronunciata da Carla al ritorno dalla sua luna di miele, alludendo al rapporto quasi morboso tra il marito e il protagonista.
[7] E’ un’allusione al personaggio della dottoressa Elliot, sempre di Scrubs, la quale nei momenti di tensione e di difficoltà, soprattutto nelle prime stagioni, tendeva a nascondersi in uno stanzino e dar sfogo alle lacrime.  Altri personaggi della sitcom sono quelli citati: JD, il protagonista, l’inserviente, l’uomo che gli dà il tormento, Cox, il mentore di JD e Jordan, la compagna di Cox.
[8] Ho deciso di ricorrere al corsivo per raccontare, in forma di flashback, alcuni episodi salienti delle vicende di Sara durante l’estate, così che risaltino facilmente nel testo globale del capitolo.
[9] Leon è il nome del Cavaliere di Merlin interpretato da Rupert Young, ho dovuto lasciare il nome del suo personaggio, poiché c'era già Rupert Grint e non volevo creare confusione.
[10] Parola spagnola che significa: "Cosa?!" quando si chiedono spiegazioni.
[11] “Mi dispiace, Santiago”.
[12] Letteralmente significa "caprone" o "cornuto" ma viene usato, se i dizionari online non mi ingannano dovrebbe essere usato anche nel turpiloquio per dire: “stronzo” o “coglione”.
[13] Nel primissimo giorno di lavoro di Sara (capitolo 2) si presentano Emma e Tom e quest'ultimo fa di tutto per metterla in difficoltà. Nel primo giorno, al ritorno dalle vacanze natalizie (capitolo 10 ) ha una discussione con Amy a causa della sua separazione con Daniel e la chiacchierata avuta con quest'ultimo in Accademia. E come avete visto, alla ripresa del lavoro al pub, dopo l'estate la scenata causata dalle supposizioni di Rankin e Smith ai danni di Amy.
[14] Non me ne vogliate :P Mi capita talvolta che mia madre stia guardando le repliche di queste soap opere che danno nel periodo estivo. Spesso e volentieri i protagonisti hanno una storia d'amore travagliata e lunga ma che esordisce quasi sempre da bisticci più o meno complici.
[15] Volutamente ho omesso, per il momento, di specificare quale sia il master di Sara, vediamo se indovinate :P
[16] Mi sono in parte ispirata alla stanza circolare in cui entrano il trio magico, Neville, Luna e Ginny nel quinto libro e in parte al fatto che a Hogwarts l'illuminazione fosse legata alle candele sospese, come si vede nei film :D
[17] Si tratta della "profezia che si auto-adempie" elaborata da Merton, secondo cui una previsione si realizzerebbe solo per il fatto di essere espressa. Si era ispirato al "Teorema di Thomas" (lo so, questo nome sta ovunque :P) elaborata in precedenza da William Thomas secondo il quale: "se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze". Vi lascio il link di wikipedia se foste interessati ad approfondire. 
[18] Tra le molte cose, Evil Queen nella vita reale mi suggerisce la stragrande maggior parte delle serie tv da vedere. Una delle prime, a cui sono molto affezionata, fu proprio Being Erica, una serie canadese, andata in onda dal 2009 con protagonista Erin Karpluk. La protagonista affrontava i rimpianti della sua vita in terapia con il Dottor Tom (neanche a farlo apposta :P) che le permetteva di fare dei veri e propri viaggi nel tempo per rivivere dei momenti in cui Erica riteneva di non aver preso la giusta decisione. Ciò le consentiva di apprendere qualche nuova lezione di vita.
[19] La presunta somiglianza a cui Amy fa riferimento è legata alle maniere brusche e assai poco cordiali di Christian nei suoi confronti, che ricordano vagamente l’approccio di Tom nei riguardi di Sean e di Sara. Ma Christian ha alle spalle ben altro background e, a differenza della "mia versione" di Tom, non si compiace delle attenzioni altrui e tanto meno è il tipo di ragazzo che intratterrebbe questo tipo di interazione con una ragazza per doppi fini personali.  Lui, come scoprirete a suo tempo, prova rancore nei confronti di Amy in quanto le attribuisce la colpa di aver risvegliato, seppur non ne fosse affatto consapevole!, qualcosa di latente e doloroso.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


20
Spero che quando farai quel salto
non avrai paura della caduta.
Spero che quando la folla urlerà,
starà gridando il tuo nome.
Spero che se tutti correranno,
tu sceglierai di rimanere.
 
E spero che tu non soffra,
ma possa conservare il dolore.
 
Mi auguro di poter testimoniare
tutta la tua gioia e tutta la tua sofferenza,
ma finché non arriverà il mio momento,
dirò:
 
Io ho fatto tutto.
Ho posseduto ogni singolo istante
che questo mondo mi poteva donare.
Ho visto così tanti posti,
le cose che ho fatto.
Sì, le ossa rotte sono valse la pena,
giuro che ho vissuto.
 
I lived – One Republic[1]
 
“Non ho intenzione di andarmene fino a quando non avremo chiarito un paio di cose” aveva asserito Christian e l'intensità di quelle parole era confermata dal suo cipiglio corrugato.
Scese un silenzio attonito e confuso: era piuttosto evidente che fosse serio. Seppur mi avessero raccontato degli sguardi tutt'altro che amorevoli che si erano lanciati poche ore prima, non avrei mai immaginato che sarebbe giunto persino a casa di Amy e a quell'ora.
Fu Morgana a muovere un passo in sua direzione, dopo aver rivolto un'occhiata eloquente al cellulare che tenevo tra le mani. Annuii senza parlare: la brutta esperienza con Tom mi aveva insegnato a essere sempre vigile, soprattutto quando gli stati d'animo erano piuttosto “surriscaldati”.  “Scusa, Christian, ma non credo che sia né il luogo né il momento giusto”.
Lui sospirò e sembrò tornare lo stesso ragazzo garbato che gestiva amabilmente i clienti al pub. “Mi dispiace interrompere la vostra serata, ma oggi mi sono state rivolte delle critiche gravissime e infondate e non ho alcuna intenzione di sorvolare...
Scambiai uno sguardo con l'altra, domandandomi se fosse il caso di lasciarli soli o se dovessimo spostarci ma restare in allerta. Lui sembrò leggermi il pensiero perché scosse il capo. “Non c'è bisogno che vi allontaniate, visto che la vostra amica non si fa mai problemi ad accusarmi pubblicamente”.
“Va bene” sbottò Amy che era rimasta in silenzio fino a quel momento. Incrociò le braccia al petto, ma il suo sguardo era più che mai risoluto. “Sentiamo, che cosa avresti da dire?” lo sfidò.
Sembrava che il giovane fosse impaziente. Mosse contro di lei una serie di accuse e rinvangò gli episodi che lei stessa mi aveva raccontato dall'inizio delle loro diatribe, ben prima dell'estate. Fu come se avesse aperto il leggendario vaso di Pandora e stesse lasciando andare tutto, dalle piccole alle grandi recriminazioni.
“Sei una delle persone più maleducate e prepotenti che io abbia mai conosciuto!” esordì con voce distorta dalla rabbia. “Sostieni che mi fingo una brava persona, ma sei stata tu a iniziare tutto!” le ricordò con voce strozzata. “Mi hai praticamente costretto ad accettare il tuo passaggio e ci siamo schiantati contro un palo!”
Sospirai nel rendermi conto che non si era ancora ripreso dal brutto episodio. La mia amica mi aveva descritto quanto fosse stato difficile e spaventoso guidare con le strade sdrucciolevoli a causa dell'acquazzone che aveva fatto slittare l'auto fino all'impatto.  Lei stessa aveva avuto bisogno di diversi istanti per controllare il tremore e poter riavviare il motore e recarsi da un meccanico. In quel frangente lo avevo giudicato male per averla abbandonata in quella situazione.
L'accusata arrossì di sdegno e d’incredulità, strinse i pugni lungo i fianchi, ma tacque e lasciò che continuasse il suo monologo.
“Non sai guidare un'auto e non sai neppure gestire una bestiaccia al guinzaglio” alluse a Penny che sembrò quasi comprendere che si stesse parlando di lei perché s’irrigidì e lo fissò di traverso. Seppur fosse una labrador giocherellona e docile, sembrò captare la tensione ed ero certa che sarebbe stata la prima a scagliarsi contro di lui, se lo avesse percepito come una minaccia.
“Hai finito?” domandò Amy stizzita. Al suo brusco cenno di assenso, iniziò la sua argomentazione:
“Io non ti ho obbligato ad accettare il mio passaggio: per inciso volevo ricambiare una gentilezza, visto che mi avevi ritrovato il bracciale. E ho dovuto insistere semplicemente perché pensavo che fossi una persona normale e che stessi avendo delle remore! Inoltre eri già fradicio e il pub mi era di strada: solo cinque minuti e saresti arrivato!”
“Se non ci fossimo schiantati, vorrai dire!” evidenziò astioso.
“STAVA DILUVIANDO!” strillò lei. “Le strade erano bagnate, sarebbe potuto succedere a chiunque!”. Lasciò cadere le braccia sui fianchi in un gesto esasperato.
“Infatti” ribadii io, prendendo la parola per smorzare gli animi. “Amy voleva solo farti una cortesia: non ti avrebbe mai messo in pericolo volontariamente” cercai di farlo ragionare. Speravo che fosse disposto ad ammettere, a mente lucida, che stava esagerando e che certe situazioni sfuggivano al nostro controllo.
Non doveva succedere!” ribatté Christian con una tale foga nella voce che rimasi interdetta a fissarlo. “Non cercare di giustificarti o di sminuire quello che ho passato a causa tua!” la rimproverò e il suo volto, per un fugace istante, sembrò una maschera di dolore. Avevo la sensazione che non alludesse semplicemente a quell'episodio in sé.
La sua interlocutrice parve avere la stessa percezione, infatti inarcò le sopracciglia.  “Ma come diavolo farei a saperlo?!” protestò esasperata.  “Si può sapere che cosa nascondi?! Fammi capire!” lo spronò.
Il giovane si irrigidì e si passò una mano tra i capelli, prima di scuotere il capo. Sembrava che stesse sforzandosi di restare presente a quel momento e che la conversazione stesse prendendo una piega diversa da quella che aveva immaginato. “Non-cercare-di-psicanalizzarmi!” scandì con voce imperiosa, facendo irrigidire Penny.
“Lo vedi?!” ribatté l'altra con altrettanta foga. “Sei incapace di affrontare una discussione sincera: è ovvio che nascondi qualcosa! E forse è proprio per questo che sei tanto incazzato con me! Ma come posso difendermi se non mi dici il vero motivo del tuo comportamento?!”
Sembrò persino incupirsi maggiormente, ma avevo la sensazione che questa fosse un'involontaria conferma della supposizione di Amy. Sembrava l'unica spiegazione plausibile ai suoi repentini e improvvisi scatti di rabbia.
“Smettila!” le ordinò e sollevò le mani. “Sei anche paranoica per giunta!” la additò con finto divertimento. “Ce l'ho con te perché sei una pessima guidatrice e mi hai messo in pericolo!”.
Sospirai e incrociai lo sguardo di Morgana. Sarebbe stato impossibile giungere a una reale comprensione reciproca e all'eventuale riappacificazione se c'erano troppe cose in sospeso tra loro.
Amy emise un verso di frustrazione. “Una cosa la so per certo: sei uno psicopatico!” dichiarò. “Come puoi pretendere che le persone ti capiscano se non dici quello che pensi, eh?!”. Era una domanda retorica perché continuò: “Ma tanto per chiarire, è stata quella bestia di Satana ad aggredire la mia povera Penny e ho fatto tutto il possibile per trattenerla!”
Un sorriso increspò le labbra di Christian, ma non si estese agli occhi che rimasero gelidi e la sua voce grondò di sarcasmo. “Con risultati impressionanti!”
Lei lo ignorò e continuò la sua imbeccata. “Inoltre, mio caro gentiluomo dei miei stivali, smettila di fare la povera vittima innocente. Perché non parliamo di tutte le volte in cui tu mi hai provocato?!” Conoscevo abbastanza dei suoi trascorsi in Italia e in Scozia per sapere che aveva una memoria degna di un computer quando si trattava di ricordare i torti subiti. Prese a enumerare con le dita: “Hai riso alle mie spalle in palestra, hai inventato soprannomi odiosi ma, quel che è peggio, mi hai accusata di avere una tresca con Santiago! SANTIAGO! Che ha una compagna e una figlia!” rimarcò con voce strozzata per l'indignazione.
“Oh sì, il tuo amico si è difeso con foga, te lo assicuro” le fece notare Christian in tono sarcastico per poi guardarla con le sopracciglia ancora più aggrottate. “Ma voglio ricordarti che tu di certo, su questo punto, non sei tanto innocente: mi hai dato del misogino perché ho delle questioni in sospeso con te e persino del razzista per un equivoco così sciocco!”
Lei sembrò momentaneamente vacillare, dovendo forse ammettere che su questo punto avesse ragione e avendolo sentito dire poc'anzi anche da Morgana e da me.  Lui ne approfittò per riprendere la sua invettiva. “Adesso lascia che sia io a puntualizzare qualcosa. Sei stata tu la prima a farneticare sulla mia vita privata e sulla mia presunta relazione con Naomi[2], solo perché ha cominciato a frequentare il pub, dopo che le ho raccontato dove lavoro!”.
Amy sembrò voler intervenire, ma lui la interruppe: “E vogliamo parlare del fatto che ti sei ben guardata dal chiedermi se volessi un rimborso per le spese del veterinario? Adesso chi è che si finge beneducato?!”
Ma sei serio?!” gli domandò lei e ridacchiò con aria sarcastica. “Come avrei potuto sapere che il tuo mostriciattolo aveva bisogno di cure?! Ti ricordo che non eravamo più colleghi! Senza contare che è stato IL TUO CANE ad attaccare il mio!”.
“Non ne usciremo mai” commentai, sentendo pulsare la tempia.
“Solo perché sono ancora vestiti” ridacchiò Morgana ma, dopo un cenno d’intesa, ci facemmo avanti e ci frapponemmo fisicamente tra i due litiganti.
“Vi abbiamo lasciato sfogare abbastanza e mi sembra palese che così non arriverete da nessuna parte” illustrai in tono risoluto. Ma era come se fossi divenuta trasparente perché entrambi si muovevano lateralmente per continuare a fissarsi in modo torvo.
“Perché adesso non vi sedete e provate a comportarvi da adulti?” aggiunse Morgana con un sorriso serafico. “Magari smettendola di urlarvi addosso potrete riconoscere che entrambi avete sbagliato e scusarvi reciprocamente...
“Scusarmi?!” risposero all'unisono, guardandola come se fosse ammattita e, al contempo, sdegnati all'idea di dover cedere all'avversario.
Sospirai. “Se non siete intenzionati a riconoscere i vostri reciproci torti, continuerete solo a urlarvi per tutta la sera e francamente sarebbe solo una perdita di tempo per tutti i presenti”. 
“Esattamente” mi sostenne l'altra. “Senza contare che è nato tutto da un grosso equivoco che però non avete chiarito...” continuò. “Seriamente, Christian, perché sei ancora arrabbiato per l'incidente? Non è stato certamente voluto!”
“Io almeno non ho elemosinato soldi per il meccanico!” intervenne Amy con un sorriso sarcastico.
Lui rise beffardo. “Vorrei anche vedere: stavi guidando tu!” precisò. “Se poi lo si può definire così!”.
“Andiamo fuori e te lo dimostro: farò retromarcia sul tuo cadavere cinquanta volte!” gli propose ed io dovetti trattenermi dal ridere. “E comunque non lo abbiamo chiarito perché lui mente! Nasconde qualcosa, è ovvio!”.
“Sinceramente lo penso anche-”
Non riuscii a finire la frase perché il ragazzo le si rivolse nuovamente con furia: “Te l'ho già detto perché sono furioso. Non inventare cose assurde!”
Morgana levò gli occhi al cielo. “Ammesso che sia così e che tu abbia i tuoi motivi per non voler essere completamente sincero... perché non v’ignorate semplicemente?” domandò in tono ragionevole.
“E' davvero così importante ammettere di avere ragione o entrambi nascondete qualcosa?” domandai io. Rivolsi lo sguardo ad Amy: cominciavo a sospettare che non fosse stata del tutto onesta neppure con se stessa. Era come se, per qualche motivo, volessero restare aggrappati a quelle loro schermaglie e non riuscissero a passare oltre. Possibile che fosse solo per orgoglio?
“Non pensare a shondate o a complottismi: ho solo voluto vendicarmi!” mi rispose.
Scossi il capo. “Queste discussioni non fanno bene a nessuno dei due, credetemi. Starete meglio solo quando ammetterete i vostri errori e ripartirete da lì. Non dovete necessariamente diventare amici, ma almeno potreste avere un rapporto civile”.
“E' vero” convenne Christian dopo qualche istante. Sembrò essersi calmato e si strinse nelle spalle, ma guardò da me a Morgana, ignorando volutamente la nostra amica.
“Cioè?” gli chiesi interdetta. Non mi sembrava l'atteggiamento di chi fosse pronto ad accogliere il mio consiglio.
“Sto solo sprecando il mio tempo” ribatté, alludendo a quello che avevo detto poco prima. “E francamente non ne vale la pena” sibilò quelle ultime parole in direzione di Amy. “Per me finisce qui, purché tu stia alla larga da me, da ora in poi” le intimò.
“Volentieri!” replicò lei. “Ma comincia tu: sparisci subito da casa mia e non azzardarti mai più a tornare o ad avvicinarti a me! Altrimenti t’investo con l'auto!”
Christian aprì le braccia. “Stai tranquilla, non corri alcun rischio. Ho imparato la lezione dopo averti ridato quello stupido bracciale! E' la prima e l'ultima volta che cerco di essere gentile, sia mai mi ricapiti un'altra psicolabile del genere” commentò tra sé e sé con uno scuotimento del capo.
“E poi non saresti un misogino?” lo punzecchiò nuovamente. “Non hai la benché minima idea di come ci si comporti con una donna!”
Scosse il capo, indietreggiò verso la porta, senza smettere di guardarla. “Ma quale donna, sei solo una mocciosa petulante che alza la voce e pesta i piedi se le persone non l'assecondano!”
“FUORI DA QUI, VATTENE!” gli ordinò al culmine della collera, cercando di circumnavigare Morgana che la stava trattenendo per le spalle.
Sorrise con la stessa affabilità che mostrava al pub: “Molto volentieri, addio!”. Uscì rapidamente come era entrato e si premunì di sbattersi la porta alle spalle.
Lei scagliò la pantofola contro la superficie di legno con la stessa foga con cui Johanna Mason[3] avrebbe scagliato una scure contro un avversario nella lotta degli Hunger Games.  Aveva ancora le guance rosse, i capelli spettinati per la tensione e il respiro ansante. Ci mise qualche attimo per ricomporsi. “Non voglio mai più vederlo!” ruggì letteralmente.
Sospirai, ma una parte di me continuava a rimuginare sulla sua ipotesi: Christian stava omettendo volontariamente il vero motivo del suo rancore? Era anche una spiegazione a quella sua indole riservata e taciturna che negli ultimi tempi aveva lasciato intravedere un ragazzo impulsivo e irascibile? Scossi il capo. Forse solo il tempo avrebbe risposto a quella domanda. “E' paradossale ma andate d'accordo solo sul fatto di non voler andare d'accordo” le feci notare.
La mia coinquilina le rivolse un sorriso con uno scintillio complice dello sguardo: “Sai, non è una cosa del tutto negativa questa tensione che si è creata tra voi”.
“Cioè?” le domandò l'altra con espressione ancora scura in volto.
Ammiccò. “E' così che nascono le storie d'amore più appassionate”.
Lei arrossì e sgranò gli occhi, prima di urlarle: “Ma vaffanculo!” con voce acuta.
“Comunque in una cosa siete molto simili” commentai io nel porgerle nuovamente la sua calzatura. Al suo sguardo interrogativo le rivolsi un sorriso, quasi nel tentativo di stemperare la tensione.  “Sbattete le porte nello stesso modo alla fine di una disputa” ripetei candidamente. Avevo perso il conto del numero di volte in cui Amy avesse compiuto un gesto simile al pub, quasi fosse una “degna” conclusione di un'invettiva o di un moto rabbioso.
Morgana rise, ma lei strinse i pugni lungo i fianchi: “Vaffanculo anche a te!” mi strillò contro.
 
 
~
Il sogno delle tre porte era fastidiosamente ricorrente e trovavo particolarmente frustrante che persino nel mio inconscio avessi tante difficoltà a prendere una decisione definitiva. Sostavo in un “limbo”, nonostante sapessi che, nella vita, non esistevano scelte “corrette” o “sbagliate” in assoluto, ma era sempre una questione relativa e di cui non si poteva conoscere a priori le conseguenze. Quel “mese di prova” con Bradley, se non altro, aveva creato a una routine molto piacevole: la maggior parte del suo tempo libero, naturalmente, era dedicata allo studio dei copioni, ma mi piaceva guardarlo di sottecchi mentre tambureggiava con la matita sulle pagine o evidenziava le proprie battute. Di quando in quando sembrava reagire alla narrazione con un lieve corrugamento delle sopracciglia, ma non mancavano momenti nei quali le sue labbra si distendessero in un sorriso divertito.
Da parte mia, invece, non riuscivo a essere altrettanto ligia al dovere quel Sabato: avevo già abbandonato le teorie di Piaget e di Vygotskij[4] per quel giorno, ma in compenso avevo riaperto un vecchio file nel mio portatile e mi ero lasciata immergere dall'ispirazione. Mi riscossi al suono delle campane della Chiesa: era mezzogiorno. Abbassai lo schermo per lasciare il pc in standby e pensai a cosa potessi preparare per pranzo.
“Finito?” mi domandò il ragazzo dall'altra parte del tavolo.
Annuii e mi stiracchiai le braccia e il collo. “E tu?” domandai con un sorriso.
“Quasi” replicò. Sollevò gli occhi dal copione e notai lo sguardo vacuo, quasi stesse ponderando su qualcosa. Sembrò prendere una risoluzione perché sorrise tra sé e sé. “Avresti tempo per aiutarmi?”
“Certo” acconsentii incuriosita. “Vuoi che traduca in italiano i dialoghi?” domandai divertita. Ammiravo il suo impegno nel cercare di assimilare più parole possibili persino dai menù delle caffetterie, dai cartelli stradali o dai libri che lasciavo disseminati in giro.
“Immagino che tu conosca Simonetta Vespucci”.
“L'amante di Giuliano dei Medici, certo. Nonché la Musa di Botticelli” replicai rapidamente, richiamando alla memoria alcune nozioni scolastiche, oltre alle letture sul web che avevo fatto in quei giorni per rinfrescarmi la memoria, visto il suo coinvolgimento nella serie.
Annuì con un sorriso e come sempre ascoltò attentamente il suono dei nomi nella lingua originale. “Era una donna molto affascinante, coi capelli biondi e gli occhi blu” continuò in tono non molto casuale e mi scrutò in modo piuttosto eloquente. “Sei persino alta quanto Matilda”.
Alludeva naturalmente alla bellissima interprete, Matilda Lutz, che era stata scelta per il ruolo.
“Non avrei mai perdonato i miei genitori se fossi stata più bassa di lei” replicai in tono scherzoso, ma scuotendo il capo al paragone fin troppo lusinghiero per la sottoscritta.
Sorrise con il volto inclinato di un lato: “Che ne diresti di farne le veci in sua assenza? Ti andrebbe?”
Boccheggiai e sbattei le palpebre, sorpresa da quella richiesta particolare. “Ne avresti davvero bisogno o è per puro divertimento?”
“Non scherzo mai quando si tratta di recitazione e mi hai già dimostrato di avere un'ottima attitudine, ma naturalmente conto sulla tua discrezione nel non divulgare assolutamente nulla di quello che leggerai, nel caso accettassi”.
Dovetti ammettere a me stessa che era particolarmente allettante la prospettiva di poter vedere in anteprima alcune delle sequenze che lo coinvolgevano. Ancora più importante, tuttavia, era l'investimento di stima e di fiducia che stava dimostrando nei miei confronti e che mai avrei voluto infrangere.
“Ti do la mia parola” asserii dopo essermi fatta seria al riguardo. Non avrei detto nulla neppure alle mie amiche. Solo dopo aver visto le scene in onda, magari, avrei potuto alludere al fatto che le avessimo provate insieme. “Potrei essere arrugginita però”
Quella premessa parve divertirlo e inclinò il viso di un lato. “Mi offenderebbe l'idea che tu abbia dimenticato le mie eccellenti doti di insegnante”.
Sorrisi al ricordo di alcuni dei momenti più emozionanti che avevamo vissuto nell'ufficio di Lupin.  “Non potrei mai, neanche volendo”.
Ammiccò compiaciuto e mi raggiunse, mi porse il copione e mi mostrò le due scene di cui aveva già evidenziato e imparato le proprie battute. Erano due dialoghi piuttosto prossimi nella narrazione dell'episodio in questione: il primo si svolgeva durante una festa in cui Giuliano e Simonetta avrebbero intrattenuto uno scambio di opinioni piuttosto interessante sull'amore. Ciò che era intrigante non erano le riflessioni di per sé, ma lo spiraglio che si poteva intravedere della personalità del giovane rampollo. Il secondo, invece, aveva luogo nel laboratorio di Sandro Botticelli. Sorrisi alla caratterizzazione di Giuliano le cui maniere arroganti e allusive sembravano così distanti da Bradley. Il confronto più incalzante e ritmato e quel primo bacio quasi rubato, mi procurarono un brivido al pensiero ed ero certa che si sarebbero conquistati facilmente il favore degli spettatori. Non potei fare a meno di notare delle curiose analogie con i personaggi di Elisabeth e William e sembrò leggermi il pensiero perché sorrise.
“In fondo abbiamo già recitato simili dinamiche insieme e facevamo faville” mi ricordò e la sua voce vellutata mi suscitò un'improvvisa aritmia.
“Farò del mio meglio[5]”.
 
 
Era coinvolgente e appassionante il modo in cui, in pochi minuti, riusciva a impostare una sorta di "set" domestico che ci aiutasse nell'imbastire la scena. Si appoggiò con la schiena contro il tavolo della cucina (che doveva simulare la colonna del porticato dietro il quale era nascosto Giuliano) e ed esordì con la sua battuta. Sembrava in grado, nonostante fossero quasi due estranei, di riconoscerne il passo. O forse l'aveva seguita fino a quel momento con lo sguardo e aveva colto quei momenti clandestini in cui erano lontani da occhi e persone indiscrete.
"Amore eterno gronda dai loro occhi" disse con evidente asprezza.  Si staccò dal tavolo per superarmi, senza tuttavia guardarmi direttamente. "O è ciò che credono sia amore" concluse con una nota più profonda.  Camminò verso il soggiorno e lo seguii: lui si appoggiò allo stipite della porta ed io mi misi a pochi passi e gli domandai, realmente incuriosita: "Non credete nell'amore, Messer de' Medici?"
Solo allora mi concesse un'occhiata, pur restando con le braccia incrociate al petto in una postura quasi guardinga. Tornò subito dopo a guardare di fronte a sé: "E' solo una bella parola per descrivere alcuni impulsi meschini dell'uomo, desideri, gelosia..." lasciò la frase in sospeso e volse lo sguardo in mia direzione ma già i miei occhi erano puntati altrove. "... brama di possesso".
Simulai un verso ironico e lo fissai con un sorriso divertito: "Con voi i poeti rimarranno senza lavoro".  Aveva rivolto gli occhi alla mia mano e aveva allungato il braccio, me la sollevò e finse di studiare l'anello nuziale. "Questo è molto bello" indugiò con le dita a fingere di sfiorarne la pietra ed io l'allontanai di scatto. "E' un regalo... di mio marito". Calcai le ultime tre parole, prima di tornare a osservare dinanzi a me. 
"Allora, " incalzò lui, tornando a studiare il mio profilo, "tu ci credi nell'amore?" Non era una domanda sarcastica, Giuliano sembrava realmente incuriosito, quasi quella risposta potesse cambiare ogni cosa. Finsi di assumere un'espressione assorta e guardinga, ma tornai a incontrarne le iridi per un solo istante, senza rispondere, prima di sfuggirgli di nuovo. Quasi sostare in quel momento divenisse troppo rivelatore per entrambi. A quel punto della scena, Simonetta avrebbe notato il cenno del marito affinché la raggiungesse. "Perdonatemi"
Lui inarcò un sopracciglio, allungò il braccio verso le mani che tenevo strette tra loro in grembo e lasciai che sollevasse la sinistra che si portò alle labbra per un bacio con la naturalezza che mi aveva rivolto anche la sera del nostro primo incontro. "E' stato un piacere" mormorò, prima di appoggiare le labbra sul dorso. Finse di far scivolare l'anello nuziale ed io mi allontanai.
 
Gli rivolsi un applauso d’incoraggiamento e ridacchiai: “Credo che diventerà una delle mie scene preferite” gli confessai e inclinai il viso di un lato “Devo ammettere che ti dona quest'aura... cinica e misteriosa”.
Mi diede un buffetto sulla punta del naso. “Non nasconderò che interpretare personalità così diverse dalla mia sia parecchio avvincente”. Mi prese gentilmente di mano il copione e voltò qualche pagina prima di porgermelo nuovamente. “Che ne diresti, adesso, di provare una delle mie scene preferite?” alluse al secondo dialogo.
“Come sei romantico...” lo canzonai leggermente, prima di schiarirmi la gola e tornare a leggere lo scambio di battute. “D'accordo, dammi un paio di minuti”.
“Tutto il tempo che ti serve” approvò con un sorriso.
 
In assenza di un interprete per Sandro Botticelli che potesse aiutarci, esordii con questa battuta: “Perdonatemi, Maestro, mi hanno detto che avrei trovato qui Giuliano de' Medici" dissi in tono severo e stizzito. Lui si schiarì la gola e non sembrò affatto intimorito e neppure troppo sorpreso, ma io lo fissai con sdegno. "Devo parlarvi in privato".
Mi rivolse un sorriso impudente, inclinandosi verso sinistra e indicandomi un altro vano. Senza smettere di fissarlo con la stessa ira, lo superai. Attesi che mi si ponesse di fronte.  "Avete qualcosa che è mio: mio marito si accorgerà che è sparito" dissi in tono secco, anche di fronte a quel sorrisino beffardo.
"Non vorrei crearti fastidi, non sia mai". Di fronte al mio sguardo incredulo, finse di sfilarsi l'anello dalla sua mano destra e lo lasciò cadere sul palmo della mia. "Sandro dice che poserai per lui".
"Perché v’interessa?" lo interrogai con la stessa freddezza.
Dondolò la testa: "Lo convincerò a farmi posare con te”.
Prima ancora che finisse la frase, avevo sollevato la mano per schiaffeggiarlo con la stessa energia che avevo usato nei panni di Elisabeth, ma lui mi bloccò il braccio con una stretta decisa, seppur attento a non farmi male. Un sorriso leggero gli curvava ancora le belle labbra. Abbassò lo stesso arto e ne approfittò per trarmi a sé.
Avevo il pugno chiuso, le labbra leggermente dischiuse per la sorpresa che lui continuò a osservare come incantato e inebriato dalla tensione di quei momenti. Dovetti, non solo in virtù del copione che stavamo seguendo, cercare di mantenermi lucida, seppur gli rivolgesse uno sguardo spaventato e insieme turbato per le proprie emozioni che stava cercando di celare. "Siete come tutti gli altri" lo accusai con aria disgustata al pensiero.
Non si scompose, ma ricambiò il mio sguardo e parlò in un sussurro: "Ti sbagli, non lo sono affatto" sussurrò e cercò nuovamente di avvicinarmi, strappandomi un verso adirato, seppur non potessi distogliere gli occhi dai suoi. "Non è la maschera ad attrarmi... ma quello che c'è dietro" parlò in un soffio, senza smettere di fissarmi la bocca.
Eravamo a una distanza così ravvicinata da percepirne il profumo, il respiro caldo e da ricordare fin troppo bene che cosa avessi realmente provato al nostro primo bacio. Lentamente, senza smettere di osservarmi, quasi mi stesse sfidando e, al contempo, cercando un consenso, inclinò il volto di un lato e appoggiò le labbra alle mie. Socchiusi gli occhi solo per un breve secondo e dovetti ignorare i miei battiti incessanti e l'istinto di trarlo più vicino o di stringergli le braccia al collo e ricercare la solidità del suo corpo.
Mi staccai bruscamente, ignorarne lo sguardo ancora fisso su di me, e con un misto di turbamento e di rabbia finsi di allontanarmi.
 
Mi voltai con un sorriso, tornando alla realtà. “Non sta a me dirlo, ma è stato perfetto e... ” non riuscii a finire la frase perché lo sorpresi con lo stesso sguardo che Giuliano rivolgeva alla sua Simonetta. Non disse nulla ma, con un movimento fluido, mi cinse il fianco e mi attirò nuovamente a sé. Sulle labbra era increspato un sorriso insieme suadente e tenero: “Preferisco la conclusione dei nostri baci” mi disse a fior di labbra. Sorrisi nel suo bacio e mi lasciai attirare maggiormente al suo petto, lasciando cadere il copione ai nostri piedi per intrecciare le braccia al suo collo e trattenerlo.
“Mhm, dovrò chiedere a Matilda di contenersi” mi sussurrò all'orecchio con voce divertita e gli diedi un pizzicotto sul braccio a mo' di risposta, ridendo al suo verso di dolore. Non ero certamente indifferente alla bellezza dell'attrice che era stata scelta e non avevo dubbi che sullo schermo sarebbero stati una coppia d’incredibile fascino e carisma, ma non mi sarei neppure lasciata troppo suggestionare da un'istintiva gelosia. Si trattava pur sempre del suo lavoro e avrei fatto di tutto per sostenerlo. Ciò non toglieva che a quelle provocazioni, provassi a difendermi altrettanto giocosamente.
“Immagino di poter contare su di te per altre prove” mi domandò con sguardo furbo.
Annuii senza esitazione: era elettrizzante stargli vicino mentre muoveva quei primi passi verso la sua carriera ed era il minimo che potessi fare per ricambiare il sostegno che lui mi aveva dato costantemente, da quando era entrato nella mia vita. Gli rivolsi un sorriso sornione: “Purché non provi a baciarmi anche qualora mi chiedessi di interpretare un uomo”.
“Ci proverò” promise con voce ridente.
 
~
 
Nei giorni seguenti l'umore di Amy era piuttosto volubile: a tratti era letteralmente ossessionata da Christian e passava al vaglio tutte le possibili teorie, più o meno realistiche, sul suo “segreto”. In altri momenti, invece, si comportava come se non esistesse e non voleva neppure sentirlo menzionare. In ogni caso sembrava ben lungi dall'essergli completamente indifferente. Se non altro, anche spronata dall'esplicita richiesta di Riddle, nel pub non si erano più verificate liti e i due, molto semplicemente, sembravano concordi nel volersi ignorare.
Quella sera eravamo ospiti di Neville che aveva organizzato una cena per festeggiare il suo nuovo appartamento: grazie ai suoi risparmi e agli stipendi accumulati, era riuscito finalmente ad andare a vivere da solo. Non avevo mai visto Luna così raggiante e orgogliosa e chiunque li guardasse poteva solo asserire che erano una coppia affiatata e deliziosa.
I tavoli del buffet erano stati riccamente apparecchiati con prelibatezze e piatti della tradizione britannica ma, con mio grande sollievo, anche qualche ricercatezza italiana che ci aveva dedicato. L'atmosfera era molto piacevole: il nostro anfitrione aveva invitato molti colleghi del pub oltre a Morgana e a Sean.
Eravamo in attesa dei dessert e stavamo chiacchierando in piccoli gruppi: io ero insieme ad alcune colleghe e alle mie amiche.
“Che pecato che Bradlì non sci sia[6]” pigolò Gabrielle con aria dispiaciuta. “Lui adora la torta di mele di Neville”.
Risi al ricordo delle sue parole al riguardo. “Credimi, nessuno ne è più dispiaciuto di lui”.
E' felisce en Italie?” mi domandò e riportai loro qualche aneddoto che mi aveva raccontato nelle nostre video-chiamate.
Et toi, invesce, Emì?” le si rivolse con un sorriso. “Stai uscendo con qualcuno d’interessonte, adesso?” domandò curiosamente.
Assunse un'espressione piuttosto eloquente, prima di scuotere il capo. “No comment” borbottò e immaginai che stesse ancora rimuginando sull'ultima delusione. Naturalmente Morgana non aveva mancato di mostrarmi il profilo Instagram del suo ex, nonché lo scambio di messaggi incriminante.
“Pardon?” chiese la francese con aria confusa.
“Che cosa hai detto?!” scattò Amy, facendoci sussultare, prima di renderci conto che non stava parlando alla biondina. Solo allora mi accorsi che Christian si era avvicinato al tavolo alle nostre spalle per servirsi di qualche stuzzichino. Evidentemente, come accaduto al pub, aveva borbottato qualcosa a mezza voce e la mia amica aveva confermato un udito quasi bionico. Lui non reagì, intento a ignorarla bellamente.
“Sì, sto parlando a te, Coulson!” lo incalzò. “Allora? Dimmelo in faccia se hai il coraggio!”.
Morgana levò gli occhi al cielo: “Ecco che ricominciano” borbottò.
“Dai, Amy, lascia stare... ” cercai di farla tornare alla nostra conversazione.
“Oui, oui!” rimarcò Gabrielle. “Non ti asgitare, parliamo del tuo lavoro”.
Il ragazzo, da parte sua, con il piattino ancora tra le mani, le rivolse uno sguardo stoico e scosse il capo lentamente. “Se proprio lo vuoi sapere, Miss Paranoia, stavo solo esprimendo il mio sollievo, a nome della popolazione maschile”. Lo disse in tono così calmo che non sarebbe neppure sembrato offensivo senza quel finto sorriso cordiale.
“Ma come osi?!” strillò Amy che sembrò nuovamente dimentica di tutto il resto.
La mia coinquilina sollevò le mani per interromperli sul nascere: “Perché non vi prendete la camera da letto e la fate finita?” suggerì maliziosamente. “E non provate a negare che tra voi c'è quel tipo di tensione” commentò con la sua solita sagacia che fece sospirare me e ridacchiare Gabrielle.
Christian la guardò con faccia stralunata: “Ma chi la vuole questa?!” protestò in tono irriverente.
“Cafone!” ribatté la ragazza. “E poi chi vorrebbe te?!” ribatté e non potei darle torto se quella battuta infelice le aveva dato fastidio.
“Chi disprezza compra” intervenne Morgana. “E vale per entrambi!”
“Oui, oui!” aggiunse Gabrielle.
“Dovreste essere caute con questi commenti…” ribatté Christian amabilmente, guardandole entrambe. “La vostra amica è già incline ai film mentali. Sia mai che si convinca che sono anche uno stalker psicopatico che la provoca per avvicinarla” aggiunse in tono sarcastico.
"Sai che ti dico? Non ti sopporto più!” sbottò Amy.
La povera Susan sussultò per la foga della sua reazione e si allontanò dal nostro gruppetto. Vidi Sean sgranare gli occhi da lontano e avvicinarsi rapidamente.
“Non hai idea di quanto io rimpianga di averti dato quel maledetto passaggio! Sarebbe stato molto meglio se avessi avuto da sola l’incidente!” commentò in tono amareggiato e visibilmente stanco.
Un nervo vibrò sulla mascella di Christian. Scosse il capo, guardandola con riprovazione: “Non sai quello che stai dicendo, sta zitta!”  ringhiò le ultime parole.
No, non sto zitta!” esplose lei con voce ancora più acuta. “Sarebbe stato meglio morire che avere ancora a che fare con te!” aggiunse con una vena più “drammatica”, segno che fosse talmente arrabbiata da aver valicato ogni forma di razionalità.
La reazione del giovane mi parve un pericoloso déjà-vu: i suoi lineamenti si erano irrigiditi e gli occhi erano divenuti più foschi. Sembrava pronto a replicare ma non gliene fu dato il tempo.
“Che diavolo sta succedendo?!” ci giunse la voce alterata di Sean. Il suo sguardo si riempì di mero disappunto dopo essersi soffermato sui due contendenti. “Ora basta! Andatevene via, tutti e due!” ordinò in tono brusco.
Cosa?!” domandò Amy stordita.
“Non vi permetterò di rovinare questa serata a cui Neville ha dedicato tanto tempo e cura” alluse al padrone di casa che stava guardando la scena con espressione quasi mortificata. “Questa storia è andata avanti per le lunghe e francamente abbiamo avuto fin troppa pazienza!” continuò in tono esasperato. “O cominciate a comportarvi come adulti o eviteremo di invitarvi nelle nostre serate: via, fuori da qui!”.  Indicò la porta d’ingresso con un gesto imperioso.
La nostra amica sollevò il mento con aria risentita ma non replicò e si allontanò con le guance arrossate. Christian, invece, appoggiò di malagrazia il piatto sul tavolo e impugnò un coltello che conficcò, in un gesto repentino e brusco, contro una pila di tovaglioli di carta puliti, prima di uscire.
Neville aveva seguito la loro uscita con aria ancora più frastornata e perplessa, prima di parlare alla sua ragazza: “Non avevi detto che era questa la serata ideale e che Marte non interferiva con Saturno?!”
“E' la serata giusta” confermò con un sorriso. “Ma solo se guardi il disegno di insieme” aggiunse con aria misteriosa.
Morgana si sventolò la mano davanti al viso a dimostrazione del suo gradimento: “Ti ho già detto che ti trovo super eccitante quando ti arrabbi così?”
Sean sembrò doversi far forza per non sorridere compiaciuto, ma scosse brevemente il capo: “Scusami, Neville, ma qualcuno doveva prendere in mano la situazione e devo ammettere che non mi è dispiaciuto prendere l'iniziativa”.
“Te lo dicevo che era appagante intervenire e a ragione nella vita altrui” gli disse la sua ragazza con un sorriso complice.
Scosse il capo. “Domani proverò a parlare con lui. Sono anch’io persuaso che ci sia qualcosa che non vuole dirci e che ha collegato ad Amy” si rabbuiò con aria pensierosa. “Finché non si deciderà ad affrontare la verità, le cose non potranno che peggiorare ulteriormente”.
Annuii con altrettanta serietà. “Di te si fida e sono sicura che riuscirai a farlo ragionare... ” gli dissi a mo' d’incoraggiamento. Mi voltai verso Neville con un sorriso intenerito, notando quanto apparisse ancora spaesato, nonostante ci trovassimo in casa sua. Quella avrebbe dovuto essere la sua serata e avremmo dovuto fare del nostro meglio per tornare a un'atmosfera più festosa. “Non so voi, ma tutto questo parlare mi ha fatto tornare un bel languorino”.
“Oh sì!” ribatté con calore la biondina, stringendosi al suo braccio. “ Abbiamo bisogno dei tuoi dessert per ritrovare il sorriso!” trillò e gli baciò teneramente la guancia. 
“Ben detto...” approvò Morgana. “E che ne dite di alzare il volume della musica?”
 
La maggior parte degli invitati si stava già congedando ma alcuni di noi si erano trattenuti per aiutare a sparecchiare a ripulire la stanza.
“Niente, Amy ha il telefonato staccato” dissi, prima di rimettere il cellulare nella borsetta. 
“Meglio lasciarla sbollire in solitudine” commentò Morgana.
“Povero tristo figuro” aveva mormorato Luna tra sé e sé, mentre gettava le stoviglie e i piatti di plastica in un sacco della spazzatura, a pochi passi da noi.
Ci voltammo bruscamente in sua direzione per la sorpresa: “Cosa?!” le domandammo all'unisono.
Sembrò stralunata di fronte ai nostri sguardi avidi. “L'ho detto ad alta voce?” ci domandò quasi pigolando mentre, per la prima volta da che la conoscevo, sembrò arrossire d’imbarazzo. Emise una risatina nervosa. “Non fate caso a me, stavo solo pensando a un mio conoscente” farfugliò ma in modo poco credibile.
“Oh, no, non ce la darai a bere così facilmente!” intervenne Morgana che le artigliò il polso. “Sappiamo che c'è solo un tristo figuro in circolazione!”
Mi lasciai sfuggire un verso di sorpresa quando mi resi conto della coincidenza sospetta a cui non avevo mai prestato attenzione. “Hai cominciato a parlare del tristo figuro poco dopo che lui era stato assunto![7]
La moretta boccheggiò: “Vuoi dire che per tutto questo tempo tu sapevi che-”
“SCHHHH!” ci fece tacere e parve farsi più pallida e ansiosa, mentre ci guardava con occhi sgranati, nonostante fossimo appartate in un angolo del salotto. “Dovete giurarmi sulla vostra Carta del Cielo che non direte una parola ad Amy! Fatelo!” ci spronò, guardando dall'una all'altra.
“Giurare su cosa?” domandai io perplessa.
L'altra levò la mano come se si fosse trovata in un'aula di tribunale. “Giurerei anche su mia madre!” ribatté in tono pratico. “Quindi, confermi che io ho avuto ragione fin dal principio?!” le domandò con foga.
“E' davvero Christian?” chiesi esplicitamente, pur premunendomi di sussurrare.
Lei si guardò attorno prima di annuire, senza smettere di fissarci con aria solenne: “Sono seria, ragazze! Non dovete farne parola con nessuno, soprattutto coi diretti interessati!” si raccomandò vivamente. “Se lo faceste, rischiereste di spezzare il legame, ancora prima che possa formarsi”.
“Sempre che prima non si uccidano a vicenda” commentò Morgana con un sorrisino ironico.
“Lo ha avuto sotto agli occhi per così tanto tempo” dissi a metà tra il divertito e l'incredulo. Le parole di Luna, inoltre, non facevano che confermare il mio pensiero circa un inconfessato interesse della mia amica per Christian. Dopotutto, qualche mese prima, non si era persino infastidita dei modi leziosi di Emma nei suoi confronti?
“Con tutti i casi umani che ha collezionato, non posso biasimarla se questa infatuazione se la sia voluta tenere per sé” commentò la moretta. “Sarà divertente quando finalmente lo dovrà ammettere”.
Scossi il capo. “Il tuo altruismo è pari soltanto al tuo romanticismo” la canzonai.
“Sei tu quella dalle parole all'acqua di rose” replicò in italiano e con uno scrollo di spalle.
 
 
~
 
“Oh, di nuovo qui, mia cara?” mi salutò Silente in tono allegro e con una garbata strizzatina d'occhi.
Annuii con consapevolezza.  “Credo che sia giunto il momento di prendere una decisione”.
“Ti senti pronta?” mi domandò premuroso.
Non risposi immediatamente. Tornai a osservare le tre porte e ricordai le istruzioni che mi aveva dato: la prima mi avrebbe mostrato cosa sarebbe potuto accadere con Matteo, la seconda mi rilevava un presente alternativo con Tom e la terza mi avrebbe svelato l'estate alternativa con Bradley a Londra. Di fronte a me vi erano i dubbi che mi avevano tormentato e talvolta tenuta sveglia la notte, quando con la mera curiosità di ciò che avrebbe potuto essere, quando accompagnati dal rimpianto che ciò non fosse accaduto, quando al mero sollievo.
Additai il primo uscio. “Non posso modificare il mio passato o la vita di un'altra persona che ha preso le sue decisioni e affrontato le sue esperienze di vita: non sarebbe giusto”.
L'uomo assentì con un cenno del capo e mi invitò a continuare la mia riflessione.
“Ho ammesso più di una volta che avrei potuto innamorarmi realmente di Tom” sussurrai con lo sguardo fisso sulla seconda superficie. “Ma non sarebbe stato legittimo né per lui né per Emma e non sarebbe stato giusto per me: sarei stata schiacciata dal suo bisogno di affermarsi anche a mie spese e dubito che sarebbe stato pronto a spronarmi a lottare per il mio futuro. Almeno non in questa fase della sua vita” ammisi serenamente. Naturalmente auguravo a Tom, con tutto il cuore, di trovare la propria strada e una persona che potesse camminare al suo fianco. Non alle sue spalle e neppure di fronte a lui. Mi era sembrato, la sera dello spettacolo, di aver visto nel suo sguardo una nuova risolutezza e speravo che il tempo lo avrebbe aiutato a realizzarsi nella vita professionale e sentimentale.
“Molto bene” commentò alla fine del mio ragionamento. Congiunse le dita affusolate e mi rivolse un lungo sguardo. “Non resterebbe che una porta”.
“Per quanto le parole di Bradley mi sembrassero insopportabili quando le ha pronunciate, adesso sono abbastanza lucida da capire che cosa intendesse. Avrei continuato a vivere di fantasie, seguendo i suoi successi, ma scomparendo nella sua ombra. Forse con il tempo ci saremmo allontanati ed io lo avrei biasimato”. Era una prospettiva orribile il pensiero che l'affetto per una persona venisse corrotto dalla rabbia, dal risentimento o dalla sensazione di essere stati privati della propria individualità.
“Quale credi che sia la lezione nascosta?”
Sapevo che rispondere a quella domanda significava anche trovare “il senso” di questa narrazione onirica ricorrente.
“Credevo di dover scegliere una di queste alternative per avere il cuore sereno e per andare incontro al mio futuro, ma erano solo scuse per tergiversare. Non ho bisogno di selezionare uno di questi possibili destini per dirmi che devo farmi coraggio e rischiare, anche a costo di sbagliare” mormorai e lo guardai con una maggiore determinazione. “Non ho più intenzione di restare ferma e inerte”.
Il suo sguardo parve baluginare di approvazione. “Qual è dunque la tua decisione finale?”
“Non sceglierò nessuna di queste porte” dichiarai con un sorriso. “ Ritornerò alla mia vita”.
Mi scrutò a lungo e mi rivolse parole che, lo sapevo, avrei portato sempre con me: “Non serve a niente rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere[8]”.
Annuii. “Continuerò a sognare, è nella mia natura,” replicai con un sorriso, “ma lascerò solo la testa tra le nuvole e terrò i piedi ben saldi a terra” L'ultimo anno di vita sembrava avermi impartito una lezione fondamentale: i sogni potevano essere un dolce rifugio dalla sofferenza del presente, uno stimolo per intraprendere un nuovo percorso. Avevano tuttavia un alone oscuro: si poteva correre il rischio di restarne ostaggio e preferirli alla realtà, tanto da lasciare che la vita scorresse senza mai cercare di crescere, ma restando fermi e limitandosi a sopravvivere.
“So di averlo già chiesto... ma tutto questo è reale?” gli domandai infine.
Si accarezzò la barba ma mi rivolse una strizzatina d'occhi indulgente. “Se anche non lo fosse, pensi che abbia realmente importanza?”
“Immagino di no, ma grazie lo stesso”. Mi congedai con un ultimo sorriso e un cenno del capo. Mi volsi e scoprii che le scale si stavano muovendo, mi aggrappai istintivamente alla ringhiera e sgranai gli occhi quando mi resi conto che la scalinata non conduceva più all'ingresso dell'Accademia. Vi era un giardino e un gazebo. Boccheggiai e sgranai gli occhi nel realizzare che tutto aveva avuto inizio proprio lì. Discesi gli scalini e mi avvicinai alla costruzione, quasi aspettandomi di percepire nuovamente uno scalpiccio di passi, una brezza improvvisa, una rosa abbandonata su una panchina. Niente di tutto questo. Aggrottai le sopracciglia e solo allora mi accorsi che avevo ancora addosso le mie vesti ordinarie.
“Sembri delusa, Milady”.
Il sorriso che mi affiorò alle labbra testimoniava tutt'altro stato d'animo, ma sgranai gli occhi quando lo vidi a pochi passi. Teneva tra le mani delle redini di un cavallo bianco che stava brucando l'erba pigramente. Mi avvicinai con un sorriso e allungai la mano a sfiorarne la criniera e il muso.
“Sei sempre stato tu?” domandai.
Inarcò le sopracciglia. “Non saprei, non sono io a scrivere il copione, ma te lo avevo detto che ero irresistibile con un cavallo bianco” ammiccò, prima di carezzarlo a sua volta.
“Sono pronta” mormorai dopo un lungo attimo di silenzio.
Incontrò nuovamente il mio sguardo e sorrise.
“Lo so”.
 
Mi svegliai con una risatina e mi presi qualche istante per rimuginare sui dettagli più particolari. Allungai il braccio verso il cellulare e notai che, oltre ai messaggi nella chat di gruppo con le ragazze, ve ne era uno di Bradley. Inarcai le sopracciglia nel leggerne l'ora mattutina, ma ne ricambiai l'augurio di una buona giornata e gli proposi di raggiungermi quella sera per cenare insieme. Mi aveva chiesto di andare in un ristorante, ma avevo insistito, invece, per cenare a casa e mi ero cimentata nella preparazione della sua adorata torta di mele, naturalmente dopo aver chiesto a Neville di inviarmi la sua ricetta e qualche trucco del mestiere. Lasciai che si rilassasse e che mi raccontasse della sua giornata sul set, condita di qualche aneddoto divertente sul cameratismo che si era creato tra lui e i colleghi, in modo particolare con Daniel Sharman e con Sebastian de Souza[9].
“So che non sarà buona quanto quella di Neville, ma spero che la gradirai comunque” mormorai, prima di mostrargli il dessert che ne fece letteralmente brillare gli occhi.
Inarcò le sopracciglia, tuttavia: “Ho la sensazione che tu debba dirmi qualcosa”.
“Nulla che riguardi un finto fidanzato, promesso” replicai scherzosamente.
Mise da parte la torta: “Sentiamo”.
“D'accordo” convenni con un sorriso più emozionato. Volevo che lui fosse il primo a saperlo, dopo quello che era accaduto. “Ho preso una decisione e posso assicurarti che non sono mai stata così sicura prima d'ora”.
Indugiò nel mio sguardo: “Non è ancora scaduto il mese” mi fece notare pur parlando in tono pacato. Sembrava persino più nervoso di me alla prospettiva e non potei fare a meno di sorridere.
“Sappiamo entrambi che ho passato troppo tempo a rimandare e non voglio lasciare la mia vita in sospeso ancora a lungo, per quanto queste ultime settimane siano state perfette” allusi a noi due.
Mi carezzò la mano, ma annuì. “Ti ascolto e questa volta davvero” mi promise solennemente.
“Prima di tutto voglio ringraziarti per avermi sempre incoraggiata e spronata, soprattutto quando non ero pronta ad ammettere di essere bloccata” mormorai.
Scosse il capo con un sorriso: “Te l'ho promesso: da me avrai solo la verità, anche quando è scomoda”.
Di fronte al suo cenno d’incoraggiamento, continuai. “Tornerò a Glasgow” mormorai. “Per quanto mi spezzi il cuore l'idea di separarci nuovamente, ho deciso di iscrivermi a un Master di letteratura e di scrittura creativa” gli dissi con la voce più tremula e il cuore quasi in gola. Non per il timore, ma per autentico entusiasmo alla prospettiva. “Mi finanzierò con i risparmi, i guadagni delle ripetizioni e magari un lavoro part-time al pub, se Riddle mi vorrà ancora con sé”.
Fu repentino il cambiamento sul suo volto: lo sguardo azzurro sembrava aver assunto una sfumatura più vivida e il sorriso ne aveva reso i lineamenti persino più belli e armonici. Si era sporto ad abbracciarmi con foga. “Ne sono felicissimo” mi confermò e anche la sua voce parve più rauca e altrettanto emozionata. Si scostò a guardarmi con una punta di divertimento. “Quindi ho buone speranze di leggere il finale?” mi domandò con un sorrisino allusivo che mi fece inarcare le sopracciglia. Ridacchiò. “Mi sono accorto che l'ispirazione è tornata, ma cercherò di non prendermene tutto il merito”. Aggiunse con aria insolente.
Lo guardai intensamente e ne sfiorai la gota. “Sì, ci sono delle ottime speranze” mormorai, ma sapevo che non mi stavo riferendo solo alla mia protagonista.
Era evidente che per lui fosse lo stesso, perché strinse la mia mano e annuì. “Che sono certo diventeranno realtà”.
 
~
 
Quella Domenica mattina non avevamo particolari programmi, quindi c'eravamo alzate con calma e stavamo ancora indugiando a fare colazione, quando bussarono alla porta.
“Sono io” si annunciò Amy, prima che potessimo interrogarci su chi potesse essere, dal momento che non attendevamo visitatori.
La facemmo accomodare in cucina e le offrimmo una tazza di the, mentre le raccontavamo brevemente di come si era conclusa la festa.
“E tu? Sei riuscita a dormire?” le domandai alla fine del resoconto.
Si strinse nelle spalle, ma con sguardo rabbuiato. “Alla fine sì” dichiarò in tono secco. “Ma mi aspetto delle scuse da parte del tuo ragazzo” aggiunse in direzione di Morgana.
Quest'ultima le scoccò un'occhiata tutt'altro che colpevole, mentre si portava la tazza alle labbra e si gustava l'ennesima sorsata. “Adoro quando si arrabbia in quel modo” commentò in tono suadente. “Comunque devi essere obiettiva: vi stavate rendendo ridicoli e stavate guastando l'atmosfera della serata”.
Alla menzione si lasciò sfuggire un sospiro: “Ho già telefonato a Neville per scusarmi” ci rivelò, prima di tornare a guardare la moretta con aria stizzita. “Ma, tanto per essere chiari, tutto questo non sarebbe successo se Sean non avesse cominciato a coinvolgerlo in tutto”.
L'altra non si scompose ma inarcò le sopracciglia in un'espressione scettica. “Sarebbe colpa del mio ragazzo se non riuscite a ignorarvi? Prenditela con le tue ovaie piuttosto”.
“Non ricominciare!” l'ammonì con aria minacciosa.
“Stai facendo tutto da sola” ribatté Morgana, sollevando le spalle. “E poi...” non finì la frase perché il suo cellulare iniziò a vibrare e indicò il chiamante. “Lupus in fabula” sorrise prima di rispondere in modo caloroso. 
“Sì, è qui con noi” la sentimmo dire. “Perché?” lo incalzò, ma la risposta di Sean fu breve. “D'accordo, vengo ad aprire”.
“A quanto pare le scuse arriveranno prima del previsto” gongolò Amy in tono compiaciuto, ma il verso ironico che si lasciò sfuggire Morgana sembrava affermare il contrario. La seguimmo nel soggiorno e attendemmo l'arrivo di Sean.
“Buongiorno” ci salutò tutte con un sorriso e baciò la guancia di Morgana. “Scusate il disturbo, ma la questione deve essere risolta con una certa urgenza”.
“Assolutamente!” rimarcò la moretta. “Prego, Christian, accomodati” lo invitò, dopo aver lanciato un sorriso soddisfatto in direzione di Amy che sbiancò e arrossì nell'arco di pochi secondi.
Il ragazzo sulla soglia era tutt'altro che rilassato: sembrava persino più pallido del solito mentre ci rivolgeva un cenno di saluto, prima di soffermarsi sulla nostra amica.
“Christian ed io dovremmo parlarti” annunciò Sean.
“Sul serio?” domandò lei con espressione sospettosa. Incrociò le braccia al petto e rivolse uno sguardo penetrante al suo contendente. Quest'ultimo sospirò, ma la guardò intensamente prima di annuire.
“Possiamo usare la camera di Morgana” suggerì Sean.
“Prego, dopo di voi” fece strada e accese la luce.
“Grazie” le sorrise Sean che entrò per ultimo. La baciò brevemente e si chiuse la porta alle spalle con decisione, facendola cozzare contro la stessa.
Dovetti ricorrere a tutto il mio autocontrollo per non scoppiare a ridere di fronte alla sua faccia sconvolta e scandalizzata. Indicò la stanza, con gli occhi sgranati: “M-Ma ti rendi conto?!” farfugliò con voce strozzata.
“Se avessero voluto pubblico sarebbero rimasti qua” le feci notare in tono ragionevole, prima di indicare la cucina. “Andiamo, ti offro un po' dei miei biscotti per riprenderti”.
“Questa me la paga” sancì con aria puerile, superandomi e camminando in rapide falcate.
 
Erano passati pochi minuti, ma continuava a fissare la porta che dava verso il soggiorno e, dopo aver addentato un altro biscotto, sbuffò con aria polemica. “Non capisco perché si siano isolati!” borbottò risentita. “In fondo Sean è il mio ragazzo e lei è nostra amica: ovviamente lo verremo comunque a scoprire a breve.  Tanto valeva includerci nella conversazione... e poi è la mia stanza!” ripeté per l'ennesima volta come se quel dettaglio fosse fondamentale.
Seppur a mia volta stessi morendo di curiosità, le scoccai un'occhiatina ironica: “So che per te il concetto di privacy è ancora un mistero, ma le persone discrete amano avere i loro spazi, soprattutto se si tratta di una questione privata. E dalla faccia di Christian sono pronta a giurare che sia così”.
“Lo so che stai smaniando anche tu!” mi incalzò quasi infastidita dal mio aplomb.
“E' vero” confermai tranquillamente. “Ma capisco che per Christian sia già difficile così, figurarsi con altre persone” cercai di farla ragionare.
Risi dopo qualche istante.
“Che c'è?” mi domandò.
“Sean è sempre stato così pieno di scrupoli quando si trattava di me e di Tom” ricordai con affetto. “E guardalo adesso: si ritrova a fare da moderatore tra quei due. E' evidente che hai avuto una grande influenza su di lui” convenni.
Quelle parole parvero addolcirla e farla sorridere con un misto di orgoglio e di tenerezza. Sembrò in procinto di aggiungere qualcosa, quando sentimmo l'uscio schiudersi. In sincronia, ci alzammo e andammo da loro. Sembrava che la conversazione fosse stata piuttosto intensa perché tutti e tre erano piuttosto seri, Christian sembrava stremato e Amy frastornata.
“Christian, possiamo offrirti un caffè?” fu Morgana a rompere gli indugi.
Quasi richiamato dalla sua voce, il giovane le rivolse lo sguardo e scosse il capo: “Devo andare, scusate per il disturbo e buona domenica” si congedò, dopo aver stiracchiato un sorriso, ma i suoi lineamenti erano ancora piuttosto tesi.
“Anche a te” lo congedai a mia volta.
Morgana chiuse l'uscio, attese qualche istante per precauzione e si volse agli altri due con le mani sui fianchi: “Qualcuno si degna di dirci qualcosa?”
Amy neppure la guardò ma si diresse verso l'attaccapanni e s’infilò la giacca: “Vado anch'io” annunciò.
“Va tutto bene?” le domandai io, notando quanto apparisse ancora scossa. “Sei sicura di riuscire a guidare? Puoi restare ancora un po' se vuoi” le proposi, anche se non sarebbe stato facile trattenere Morgana dal farle un interrogatorio.
Scosse il capo. “Credo che andrò a fare una passeggiata: ho bisogno di prendere aria” borbottò e si affrettò a uscire.
Ci voltammo verso Sean che ci rivolse un sorriso sbarazzino: “Potrei averlo io quel caffè?”
 
“Allora?!” lo incalzò Morgana, seduta al suo fianco. Aveva resistito circa cinque minuti.
Lui svuotò la tazzina e sospirò. “Christian si è scusato sinceramente del suo comportamento e ha chiarito 'origine della sua ostilità, questo era fondamentale perché si chiarissero” spiegò semplicemente.
Tutto qui?!” domandò lei in tono stizzito. Lo guardò offesa e incrociò le braccia al petto: “Io ti racconto sempre tutto quando succede qualcosa del genere!” gli fece notare.
“Sì” le concesse lui con un sorrisino ironico. “Se prima non sono stati gli altri a supplicarmi di provare a contenerti” le rispose con la tipica compostezza che mi strappò un sorriso, nonostante tutto.
“Bene” incassò la frecciatina, pur rivolgendogli uno sguardo di sbieco. “Non te lo chiederò di nuovo: tanto ce lo racconterà Amy, quando si sentirà pronta” ribatté con il mento sollevato.
Lui si dichiarò dubbioso: “Non ne sarei così sicuro: non è un suo segreto”.
La mia amica emise un verso esasperato: “Così mi distruggi!” gemette.
“Eri sincero, prima?” gli domandai io, cercando una rassicurazione, ma senza metterlo in difficoltà. “Pensi che potranno appianare le cose, dopo quello che si sono detti?”
Lui ricambiò il mio sguardo, ma non sembrò indugiare e tanto meno cambiare opinione. “Ne sono sicuro: Amy ha solo bisogno di assimilare, ma l'atmosfera tra loro è decisamente più distesa” ribadì con profonda convinzione.
“Questo è l'importante” commentai e mi sentii più sollevata.
“Parla per te” borbottò Morgana che sembrava ancora crucciata, come se le fosse stato fatto un torto personale. “Prima o poi lo scoprirò, con o senza la collaborazione dei diretti interessati”.
 
 
~
 
 
La scena sembrava incredibilmente familiare e al contempo diversa. Avevo già effettuato il check-in e stavo solo attendendo che venisse annunciato il mio volo, ma sarebbe stata questione di minuti. Sospirai e allungai le braccia al suo collo. Sentivo il cuore pesante all'idea di ciò che stava per accadere. “Sta diventando una spiacevole abitudine quella di salutarsi”.
“Lo so” mormorò, dopo avermi scostato una ciocca di capelli. “Almeno adesso siamo pari, visto che sarò io a guardarti andar via” replicò con una nota scherzosa che riuscì a farmi sorridere. “E spero che tu non abbia bisogno di ulteriori conferme sul fatto che non sia un addio”.
Annuii. “Immagino che questo sia il momento ideale per dirti che potrei aver lasciato delle bozze nuove nella tua stanza d'albergo” lo informai e gli svelai il “nascondiglio” che avevo usato.
Sorrise con espressione soddisfatta: “Non vedo l'ora di darmi alla lettura”.
“Sono in italiano però” lo ammonii e risi del suo verso d’incredulità. “Non ho dimenticato la tua determinazione a imparare la lingua”.
Sospirò. “Crudele ma giusto” commentò, prima di sorridermi con un baluginio più dolce nello sguardo. “Ho anche io qualcosa per te”.
“I copioni di tutta la seconda stagione dei Medici?” azzardai a chiedergli in tono febbrile. “Perché non abbiamo provato molte scene insieme”.
Scosse il capo, dopo aver ridacchiato. “Qualcosa di meglio, o almeno spero”. Estrasse dalla giacca una scatolina rettangolare di velluto. Inarcai le sopracciglia, ma la presi e la dischiusi: sgranai gli occhi e sentii un verso d'emozione sgorgarmi dalle labbra. Una catenina simile alla sua, ma sul cui ciondolo era impresso un simbolo inedito: una spada e una penna stilografica intrecciate. Sembravano una versione “moderna” di un blasone antico.
“Mio Dio, è bellissimo” sussurrai, accarezzandone la superficie e studiandolo per qualche istante. “E se invece avessi davvero deciso di fare l'insegnante?” lo punzecchiai.
“Potrei avere preso un altro ciondolo di scorta” rispose di getto, ma rise alla mia occhiata incredula. “Sto scherzando” mi informò, prima di indicarmi il regalo. “Voltalo” mi incoraggiò.
Vi erano alcune parole vergate in una calligrafia elegante e le lessi: “A dream becomes a goal when action is taken towards its achievement”. Avrebbe potuto tradursi in: “Un sogno diventa un obiettivo quando s’intraprende un'azione per il suo raggiungimento”.
“E' perfetto” mormorai con voce tremula e lasciai che me l'allacciasse al collo. Sarebbe stato un souvenir e, al contempo, una fonte di motivazione continua, soprattutto nei momenti di nostalgia o di fronte ai primi ostacoli.
“E' quello che stai facendo” alluse a sua volta alla citazione. “E non potrei esserne più fiero”.
Sospirai quando l'altoparlante annunciò il mio volo e mi sollevai sulle punte a baciarlo.
“Grazie” mormorai al suo orecchio e lo strinsi con foga. “Di tutto quanto”.
Mi strinse a sé più intensamente, salvo divincolarsi con un sorriso più amaro. “Vai...” mi incoraggiò.
“A presto” sussurrai, gli diedi un ultimo rapido bacio e mi misi in fila. Nonostante la malinconia, questa volta non avevo alcun dubbio che sarebbe stata una separazione solo temporanea.
 
~
 
Inspirai ed espirai profondamente, prima di socchiudere gli occhi. Il mio cuore non voleva smettere di scalpitare rapidamente, ma era un piacevole nervosismo. Accarezzai il monile che mi pendeva dal collo, come ogni volta che mi sentivo in preda a quel tipo di emozione.
Percepii un profumo familiare e mi sentii avvolgere dalle braccia del giovane che mi cinse da dietro, inducendomi ad appoggiarmi al suo petto. Ne sentivo il battito regolare contro la mia schiena. “Rilassati” mi suggerì, dondolandomi appena.
Risi. “Mi sembrava di avertelo già detto: questo tipo di attenzioni non sono ideali per tranquillizzarsi, non che me ne stia lamentando” precisai. Inclinai il busto di un lato per riuscire a scorgerne il sorrisetto compiaciuto.
“Sempre lieto di averne conferma, Milady” ammiccò, prima di sfilarmi gentilmente dalle mani il libro. “Come disse Shakespeare, quel che è fatto è fatto[10]” mi ripeté, muovendo il volume con un sorriso allusivo. Lo schiuse e lasciò vagare lo sguardo sulle pagine, prima di indugiare sul retro e sulla fotografia che personalmente detestavo (non che fosse una novità per me) per poi sfiorare il titolo inciso sulla copertina.
Once upon a dream.
“Devi ancora scrivere una dedica speciale sulla mia copia” mi ricordò con un sorriso vispo.
“Lo sai che le parole hanno bisogno d’ispirazione” risposi, prima di riprenderne la copia e continuare a sfogliarla, quasi cercando un errore di punteggiatura, la ripetizione di una parola nella stessa pagina o una scena che avrei potuto omettere, descrivere con più dettagli o, al contrario, riassumere.
Andrà tutto bene...” ripeté in italiano e sorrisi a quel suo modo di gesticolare notevolmente più marcato rispetto a quando c'eravamo conosciuti.  Non finiva mai di sorprendermi quel suo desiderio di assimilare anche quegli aspetti più curiosi e peculiari della mia cultura.
Ora posso crederci” risposi nella mia lingua madre. “Se non venisse nessuno?” mi chiesi con un sospiro e mi mordicchiai il labbro. “Voglio dire, a parte i nostri amici”.
“Potrei pagare qualche passante per occupare le sedie” mi punzecchiò.
Non feci in tempo a trovare una risposta ironica perché la Miss Pince[11] mi informò che eravamo quasi pronti a cominciare e che avrei dovuto raggiungerla alla postazione che mi era stata assegnata.
“Buona fortuna” mi sussurrò Bradley, lasciandomi un bacio e si affrettò a raggiungere una delle sedie lasciate libere da Morgana che si era assicurata dei posti in prima fila.
La direttrice della libreria aveva esordito con una breve sinossi del racconto ed era stata la prima a rivolgermi alcune delle domande che mi aspettavo: quando era nata la mia passione per la scrittura, quale era stata la mia fonte d’ispirazione, se vi erano caratteristiche dei protagonisti che richiamavano le mie e quelle dei miei cari. Mi ero permessa di indugiare qualche minuto nel fornire una risposta esaustiva, poiché avevo diversi aneddoti che potevo raccontare e che riguardavano anche il coinvolgimento indiretto delle mie amiche che mi fornivano sprazzi di quotidianità che potevo “reinterpretare” nel contesto della narrazione.
Naturalmente mi fu anche chiesto se avessi già delle idee in serbo per futuri progetti, dopo quell'esordio nel mondo dell'editoria. A quel punto aveva lasciato la parola alle persone che si erano raccolte: avevo osservato i miei amici e Morgana mi aveva fatto cenno di continuare a sorridere, Sean mi aveva rivolto un cenno di assenso, promettendomi che avrebbe posto uno dei quesiti che avevamo concordato, nel caso fosse sceso un silenzio imbarazzante. Ci furono, tuttavia, dei quesiti interessanti da parte di una ragazza che aveva già letto il tutto e di una che era in procinto di comprarlo.
“Abbiamo tempo per un'ultima domanda” illustrò Miss Pince. “E sembra che provenga da una giovanissima lettrice” alluse a una bambina seduta all'ultima fila. Aveva allungato il braccino verso l'alto, come se si trovasse a scuola seppur dall'aspetto dovesse avere circa quattro anni. Aveva i capelli scuri, le guance paffute e un sorriso gioioso. Parlò con vocetta acuta ma con grande spigliatezza. “Ti piacerebbe se il tuo libro diventasse uno...” sembrò cincischiare con la gonna, evidentemente cercando di ricordare una parola in particolare, prima di sorridere. “Spettacolo?”
Sorrisi. “Sinceramente non ci ho mai pensato, anche se mi viene spesso fatto notare che dovrei imparare a essere più ambiziosa... ma credo che sia il sogno di tutti vedere realizzare concretamente qualcosa che si è creato. Quindi sì, certo, ne sarei onorata”.
La piccola non sembrava aver capito molto delle mie parole, ma sorrise con evidente entusiasmo: “Allora lo dico al mio papà!” mi promise in tono solenne, strappando una risata intenerita e sorpresa da parte di tutti gli avventori.
Lasciai che la direttrice congedasse i presenti e a mia volta porsi dei ringraziamenti, ma continuavo a osservare la giovanissima spettatrice: qualcosa nei suoi lineamenti mi era familiare, seppur faticassi a capirne il motivo. La risposta arrivò quando mi sentii chiamare per nome da una voce che apparteneva al mio passato, ma non troppo lontano. Fui presa da un moto di sorpresa e di commozione di fronte all'uomo che la teneva in braccio.
“L'ho detto al papà!” mi confermò con un gran sorriso.
L'uomo annuì dopo averle stampato un bacio sulla guancia e mi rivolse un sorriso insieme orgoglioso e gioioso. “Ciao Sarah, è un piacere rivederti”.
“Professor Lupin!” lo richiamai con voce commossa, usando lo stesso appellativo, anche se erano passati anni da quando avevamo lavorato insieme. Lo abbracciai brevemente, attenta a non farlo sbilanciare con la figlia tra le braccia. “Che bellissima sorpresa!”
“Mai quanto la mia quando il Professor Silente mi ha regalato questo libro” commentò con calore e il riferimento all'uomo mi fece sorridere con maggiore tenerezza. Non mancavo mai, almeno in occasione delle feste, di fare una telefonata di auguri o di inviare qualche leccornia in Accademia. “A questo proposito, mi ha chiesto di porgerti i suoi calorosi saluti, sarebbe venuto di persona se non fosse stato impegnato con gli esami di fine anno”.
“E' una delle sorprese più belle che potessi farmi ed è stato un vero piacere conoscerti” mi rivolsi alla bambina e le diedi un buffetto sulla punta del naso. L'ultima volta che avevo visto la Signora Lupin era ancora in attesa del parto.
“Dora e io siamo molto esigenti in fatto di spettacoli, non è vero, tesoro?” le domandò con un sorriso devoto.
“Verissimo!” confermò.
Inarcai le sopracciglia e lo guardai con le labbra schiuse per la sorpresa: “Lei stava dicendo sul serio?”
Sorrise di fronte al mio stupore e mi guardò più intensamente, inclinando il viso di un lato, prima di annuire con vigore. “Silente mi ha mandato con il preciso compito di riferirti la nostra proposta: vorremmo scrivere una sceneggiatura ispirata al tuo libro e saremo felicissimi di metterla in scena il prossimo anno, naturalmente se sei interessata e se fossi disponibile a collaborare con noi...”
Sentii la testa girarmi e fui sopraffatta dall'emozione, tanto da non riuscire neppure ad articolare parola, ma continuando a guardarlo come se mi aspettassi che fosse tutto frutto di una fantasia.
“Perché piangisci[12]?” mi domandò la bambina con espressione interdetta.
“Vedi, Dora, può succedere quando le persone sono molto felici o parecchio tristi” le spiegò pazientemente, prima di tornare a osservarmi. “Voglio ben sperare che si tratti del primo caso”.
Annuii con vigore. “Continuo a temere di svegliarmi nel bel mezzo di un sogno” gli confessai.
Assunse un'espressione fintamente seria e cerimoniosa. “Naturalmente dovrai recarti da lui per parlarne e definire i dettagli dell'accordo, ma su un punto è stato categorico”.
“Mi dica” commentai dopo aver sbattuto le palpebre.
Un sorriso gli increspò nuovamente le labbra: “Non ti riceverà senza un vassoio di paste proveniente dal pub del Signor Riddle”.
Risi di cuore: “Credo sia possibile”.
 
~
 
Lo spettacolo della sera precedente era stato un successo e avevo particolarmente apprezzato la performance della giovane che aveva aderito al programma di Silente e di Lupin e, da attrice amatoriale, aveva dedicato un intero anno alla preparazione del personaggio. Avevo contribuito nello sfoltimento del libro affinché divenisse una sceneggiatura che riuscisse a racchiudere gli aspetti salienti dell'intreccio ed ero stata sempre disponibile a chiarire alcuni aspetti della psicologia dei personaggi. La protagonista, nata nell'epoca contemporanea, era letteralmente “tormentata” da dei sogni ricorrenti nei quali percepiva la presenza di un gentiluomo vittoriano che le proponeva di raggiungerla nella propria epoca. Il passaggio avveniva attraverso una copia di Orgoglio e Pregiudizio. Seguivano una lunga sequenza di avvenimenti nei quali la giovane cercava faticosamente di adattarsi a quei costumi e a quel contesto storico, ritrovando persino i suoi familiari che sembravano perfettamente calati nella parte. Avrebbe poi scoperto, con grande sgomento, di essere promessa fidanzata di un uomo le cui maniere le erano insopportabili, ma avrebbe finito con l'invaghirsi di un altro gentiluomo che, tuttavia, era già promesso a un'altra donna. Soltanto nelle pagine finali si sarebbe potuto evincere che era stato tutto frutto di un lunghissimo sogno della protagonista. In una delle ultime scene, tuttavia, vi era l'incontro fortuito con un ragazzo dalle sembianze identiche a quello del secondo gentiluomo. Avevo deliberatamente lasciato libera interpretazione ai lettori: era stato solo un sogno o si trattava dello stesso uomo per opera della stessa magia che l'aveva trascinata nell'epoca vittoriana?
Come di consueto, il Signor Riddle e lo staff della Camera dei Segreti si erano occupati del catering e Sybilla Thompson aveva lavorato assiduamente con la giovane a un paio di canzoni che erano state composte per arricchire la sceneggiatura, poiché era usuale che le giovani di alto rango sociale si esibissero al pianoforte durante le serate in società.
 
Non potevo fare a meno di osservare ognuno dei miei amici e provare un moto di affetto e di orgoglio per i cambiamenti che si erano verificati nelle loro vite nel corso degli ultimi anni. Erano cresciuti come singoli individui ma avevano anche consolidato le loro relazioni.
Morgana aveva abbandonato il suo lavoro come commessa ed era divenuta una delle stiliste di riferimento di Mrs Fox: il suo marchio cominciava a farsi strada nel mondo per il suo stile dinamico, elegante, seducente e frizzante, proprio come lei. Negli ultimi tempi, tuttavia, aveva cominciato ad allargare i suoi orizzonti e dedicarsi anche alla moda maschile. Lei e Sean ormai vivevano insieme stabilmente: quest'ultimo aveva ottenuto un importante ingaggio in Consenting Adults ed era in lizza per un premio istituito dal BAFTA Scotland come “miglior attore” [13].
Neville non era più un semplice sguattero e aspirante pasticcere. Mrs Sprite era andata in pensione, lasciando il suo posto a Penelope Light che lo aveva aiutato a ultimare la sua preparazione. Il prossimo mese inaugurerà la sua pasticceria, di cui il Signor Riddle sarà socio e non ho potuto che ammirare i suoi progetti fin nei minimi dettagli. L'esercizio commerciale avrà una sua identità dall’emblema che raffigurerà un grifone (che secondo Luna è un simbolo di coraggio e di lealtà) e i colori predominanti delle divise del personale saranno delle sfumature sgargianti di rosso e di oro[14]. Amy affermava con tutto calore che fosse uno dei suoi maggiori successi e che ne fosse comprensibilmente orgogliosa.
Luna aveva ottenuto e vinto un provino per una delle compagnie scozzesi più prestigiose del Regno Unito, la Scottish Ballat che ha sede a Glasgow, ma nel tempo libero non è venuta meno la sua dedizione al prossimo e si dedica al volontariato, in particolare nella cura degli animali abbandonati e randagi.
Rivolsi un cenno di saluto a Rankin che era compunto ed elegante nella sua nuova divisa: dopo il pensionamento di Madame Bumb ne aveva preso il posto ed era divenuto uno dei collaboratori più fidati del Signor Riddle. Aveva da tempo dimesso i panni del collega spione, ruffiano e petulante. Seppur fosse ancora esigente, aveva imparato a contenere i suoi comportamenti, a riprendere in modo più diplomatico, a illustrare pazientemente le procedure e a coordinare il personale in modo determinato ma giusto. Un cambiamento che era stato innestato dal ritorno dell'unica ragazza che gli avesse mai realmente rubato il cuore. Avevo accolto con un sorriso commosso la sua partecipazione per il loro matrimonio, ma ancora ridacchiavo al ricordo del giorno in cui li vidi insieme per la prima volta.
 
Ero entrata nel bagno per indossare la divisa e avevo sorpreso Hannah e Gabrielle nel pieno di una conversazione che aveva loro strappato delle risate piuttosto divertite. Al mio arrivo mi avevano informato che la sera precedente mi ero persa una scena memorabile: tra i clienti era giunta una giovane graziosa che aveva salutato Percy con grande confidenza. Quest'ultimo, potevano testimoniare, era arrossito e impallidito e aveva quasi fatto cadere le stoviglie che stava portando in cucina e che avrebbe dovuto lavare a mano.  Aveva supplicato il Signor Riddle di potersi prendere una pausa per accompagnarla alla sua auto, alla fine della sua cena e, per tutto il turno di pulizie del locale dopo la chiusura, aveva continuato a canticchiare allegramente.
Quella sera fui io stessa partecipe dell'epocale cambiamento del nostro collega: tra i tavoli che dovevo servire, vi era quello con una bella ragazza dai capelli scuri, il viso tondeggiante e il sorriso affabile[15]. Avevo notato che gli altri camerieri si stavano dando di gomito e avevo cominciato a sospettare che si trattasse della “misteriosa” amica di Percy.
“Buonasera” salutai le ragazze e porsi i menù. “Se avete qualche domanda o richiesta particolare, sono a vostra disposizione”.
Una delle sue commensali le fece un cenno d’intesa e la giovane arrossì, prima di trovare il coraggio per formulare la richiesta. “Potrei chiederti un favore che non ha a che fare con la cena?”
Sbattei le palpebre ma sorrisi. “Se mi è possibile, sarò felice di aiutarla”.
“Percy è in servizio questa sera?” mi domandò parlando a voce bassa.
Assunsi un'espressione pensierosa. “Sì, ma al momento sta lavorando in un'altra stanza” le dissi vagamente, non volendo umiliarlo circa le mansioni “punitive” del periodo. “Posso andare a chiamarlo, mentre decidete che cosa mangiare”.
Il suo viso sembrò illuminarsi e mi rivolse un ringraziamento sincero che mi strappò un sorriso.
Madama Bumb mi osservò sospettosa, quando mi vide dirigermi verso l'uscita di servizio: Rankin quella sera era addetto allo smistamento della spazzatura. “Dove stai andando?”
“Una cliente mi ha chiesto di chiamarle Rankin” spiegai.
La donna non nascose il suo shock. “Rankin?” ripeté quasi certa di aver frainteso. “Stiamo parlando del nostro Rankin?!”
Di fronte al mio cenno d'assenso, parve ancora più sbigottita, ma riprese presto i suoi modi pragmatici: “Sbrigati, la signorina Abbott si agita quando vede tanti clienti”.
Trovai il ragazzo con indosso una brutta e malconcia tuta da lavoro di un colore grigio topo e con macchie di candeggina e toppe nei punti più consumati del tessuto. Raggrinzii il naso per il fetore tutt'altro che piacevole dei rifiuti. Gli comunicai che una ragazza aveva chiesto di vederlo. 
“U-Una cliente?!” ripeté in tono eccitato e incredulo insieme. Si lasciò cadere dalle mani un sacco della spazzatura. Dal suono mi resi conto che aveva appena spaccato almeno una dozzina di bottiglie di vetro. Una di queste era caduta sul piede di Smith che si lasciò sfuggire un'imprecazione. “Ha detto come si chiama?” m’incalzò, senza prestare attenzione al collega.
“No...” risposi, ma gli fornii una descrizione dettagliata.
 Il suo volto si trasfigurò, un sorriso ne fece scintillare gli occhi e parve persino più alto. “Mi cambio e sarò subito da lei!” annunciò e si precipitò letteralmente fuori, lasciando Smith da solo e parecchio seccato.
Ritornai al tavolo e assicurai le clienti che Percy sarebbe arrivato entro pochi minuti e raccolsi le loro ordinazioni. Stavo finendo di annotare i dessert, quando il ragazzo sfrecciò fuori dal bagno con tale impeto che urtò la povera Susan. Quest'ultima impallidì visibilmente, sia per la sua natura timida sia per i loro precedenti negativi. “S-Scusami” gemette letteralmente, evidentemente terrorizzata all'idea che le facesse una scenata pubblica.
“Oh, no!” esclamò Percy che le appoggiò una mano sulla spalla. “E' stata solo colpa mia, sono stato io a urtarti: perdonami Susan”. La giovane sbiancò e boccheggiò come se avesse assistito all'apparizione di una divinità.
Avrei dovuto complimentarmi con lui per la rapidità con cui aveva indossato i suoi abiti informali, ma non potei fare a meno di notare l'incontro tra i loro sguardi. La giovane si tese sulla sua sedia e sembrava che si stesse trattenendo dall'alzarsi e dall'abbracciarlo.
“Consegno subito il vostro ordine” annunciai, volendo lasciare loro privacy.
“Grazie, Sarah” rispose Percy, strappandomi uno sguardo costernato. In verità non ero neppure consapevole del fatto che conoscesse il mio nome di battesimo. Mi indicò alle ragazze: “E' una delle mie colleghe più premurose e zelanti: sono sicuro che si raccomanderà con la Signora Weasley perché dia il meglio di sé”.
Seppur imbarazzata a quella lode, sorrisi e promisi loro che lo avrei fatto, ma il ragazzo mi trattenne ancora un istante: “Forse non te l'ho ancora detto ma bentornata tra noi”.
“Grazie” mormorai quasi senza fiato.
Madama Bumb, le mani sui fianchi, non si era persa un attimo di quell'insolita scena: “Deve essere un miracolo” mormorò con voce incredula, quando le passai accanto.
In cucina spiegai che si trattava dell'amica di Percy e la reazione fu comica: lasciarono tutti, compresi gli adulti, la loro postazione per sbirciare dalle doppie porte.
M-Ma che cos'ha la sua faccia?!” domandò il Signor Weasley in tono sgomento, osservandolo mentre chiacchierava amorevolmente con la ragazza.
“Quello, signori, è un sorriso!” affermò Seamus, additandolo con foga.
“Ewww,” gemette Neville, “è quasi inquietante: stai flirtando con una ragazza, non stai per uccidere Batman, Rankin![16]” commentò.
“Io lo trovo terribilmente romantico” cinguettò Susan.
“Ma allora è capace di sorridere” intervenne la Signora Sprite.
“Parola mia, è la prima volta che lo vedo da quando è stato assunto” aggiunse Madama Bumb, per un attimo dimentica di sgridarci e di invitarci a riprendere il nostro lavoro.
“Comincio seriamente a credere che in questo pub tutto sia possibile” conclusi io. Mi presi un istante per riflettere sulle coppie che si erano create o avevano condiviso momenti speciali in questo luogo, come Neville e Luna, il Signor Riddle e la signora Thompson. Io stessa custodivo dei ricordi preziosi e romantici di quelle pareti. Sapevo che, anche se avrei lasciato definitivamente quel lavoro, avrei ricordato quel luogo con autentico affetto. Alcune delle lezioni più importanti sul dovere, sull'impegno e sull'amicizia le avevo imparate proprio lì.
 
Colin, il più caro amico di Bradley, si era dedicato soprattutto a progetti teatrali tra i quali: “Gloria”,  “Translation”, “All my sons” e “A Number” e non mancava di riempirci di orgoglio. Nonostante il suo fascino e la sua simpatia, le sue vicende amorose erano state decisamente più travagliate: dopo aver conosciuto Michelle Ryan[17], un'aspirante stilista e collega di Morgana, se ne era perdutamente innamorato. Sembrava che il suo interesse fosse ricambiato ma la giovane gli aveva inaspettatamente spezzato il cuore, inducendolo a chiudersi in se stesso e a dedicarsi al lavoro. Fino a quando, sul set di uno spettacolo, non aveva incontrato Laura Donnelly[18]  con la quale era nato un rapporto di reciproca stima e di amicizia che era presto sfumato in un sentimento più romantico.
Senza ombra di dubbio, la coppia che ci aveva più sorpreso nell'ultimo anno, a dispetto della previsione di Luna, era quella che avevo di fronte in quel momento. Non mancavano mai di punzecchiarsi a quella maniera giocosa e flirtante che era divenuta una componente costante del loro rapporto.
Amy e Christian.
Il ragazzo aveva affrontato un percorso di terapia che lo aveva aiutato a fronteggiare il suo doloroso segreto. Al pari di Sean e Amy, quando il giovane aveva voluto confidarsi anche con me e Morgana eravamo rimaste profondamente turbate, ma non potevamo che ammirarne la forza d'animo e il coraggio necessari a riprendersi. Era appena ventenne quando, in seguito a una notte di balli e di alcool, lui e i suoi amici avevano fatto ritorno a casa. Si imbatterono tragicamente in un'altra auto e a causa dell'impatto violento, il loro veicolo uscì dalla carreggiata. Nonostante i tempestivi soccorsi, tutti i ragazzi, ad eccezione di Christian, morirono. Lui ne uscì gravemente ferito e con delle cicatrici che ne erano un doloroso ricordo. In tutti quegli anni aveva cercato di superare il trauma ma il senso di colpa e l'incapacità di spiegarsi per quale motivo o merito fosse l'unico superstite avevano continuato a logorarlo, seppur all'esterno esibisse una facciata composta e impassibile. Si era trasferito a Glasgow e aveva chiesto aiuto al Signor Riddle, un amico di famiglia, che gli aveva concesso orari vantaggiosi affinché potesse rientrare a casa coi mezzi pubblici e riprendere gli studi universitari. L'incidente con Amy aveva, a sua insaputa, riaperto quella ferita e si era ritrovato rabbioso e tormentato, fino a quando un secondo percorso di terapia gli aveva insegnato a convivere con il suo background[19]. A Sean andava riconosciuto il merito di aver colto uno spiraglio di quel ragazzo giocoso e affabile che era stato e che si nascondeva dietro quella maschera di compostezza e di garbo. Con il tempo e con nostro grande sollievo, era letteralmente “rifiorito” e appariva molto più energico e vitale. Aveva ripreso la sua carriera, ultimato il tirocinio e si stava affermando come architetto.
Amy era divenuta un'arredatrice di spicco e, dopo la ristrutturazione del pub e l'ottima pubblicità che ne era derivata, aveva ottenuto altri incarichi di rilievo e di prestigio: aveva lavorato per alcune delle famiglie più facoltose della città ed era spesso richiesta da altri gestori di locali. Tuttavia, al di là delle ambizioni professionali, aveva affrontato, ancora una volta, i fantasmi del passato e accettato i suoi sentimenti contrastanti per Christian. Seppur avesse ammesso a posteriori di essersi infatuata di lui fin dal primo incontro, aveva lasciato che i sentimenti fossero seppelliti, si era ritrovata catapultata in situazioni rocambolesche perché, in ultima istanza, aveva il terrore di provare una delusione simile a quella subita con Daniel, dopo anni di silenziosa ammirazione. Seppur ogni relazione abbia la sua storia, avrei potuto affermare che la svolta decisiva al loro rapporto era nata in seguito al loro chiarimento di cui Sean era stato un vero e proprio “mediatore”. Le cose tra loro erano sensibilmente cambiate: dapprima erano divenuti cortesi e affabili nei confronti dell'altro ma, evidentemente “nostalgici” dei loro battibecchi, erano tornati a punzecchiarsi, ma in modo più complice e giocoso. Superfluo dire che ciò avesse alimentato i nostri sospetti circa l'evoluzione che sarebbe potuta avvenire nella loro interazione. La rivelazione avvenne solo successivamente alle festività natalizie, dopo che Bradley aveva finito le riprese. Ero di turno al pub, quando Christian era entrato, salutando tutti i presenti, ma esibendo un livido scuro sotto l'occhio destro.
"Che cos'hai fatto alla faccia?" gli aveva domandato Hannah con gli occhi sgranati e le labbra schiuse, additando il segno scuro.
Avevo evitato di guardarlo, mentre borbottava qualche scusa e si affrettava a dirigersi verso gli spogliatoi. Aveva incrociato Amy che stava uscendo dal bagno con Morgana e, alla sua vista, si ritrasse come se avesse paura di essere contaminata dalla sua sola vista: “Stai lontano da me!” lo rimproverò.
“Con immenso piacere!” aveva borbottato Christian, dopo aver levato gli occhi al cielo.
Morgana aveva riso mentre prendeva posto al tavolo che avevo appena sparecchiato: “Quante storie per un bacio!”
"Vorrei vedere se avesse baciato te!" aveva sbottato Amy in risposta ma con le guance arrossate, evidentemente ancora incredula al ricordo.
"Di cosa state parlando?!" aveva chiesto Hannah in tono avido.
 
Avevo riso al ricordo della sera precedente, a una consueta serata tra amici in pizzeria.
 
“Eccoti” l'aveva accolta Morgana con una punta di rimprovero per il lieve ritardo.
“C'era traffico” sbuffò per risposta, togliendosi il cappotto, prima di sedersi accanto a Luna.
“Va tutto bene?” le avevo domandato io, incuriosita poiché appariva piuttosto nervosa.
“Hai notizie di Christian?” l'aveva incalzata Sean con le sopracciglia inarcate. “Mi ha scritto un'ora fa per disdire tutto, ho provato a chiamarlo ma ha il telefono staccato”.
Amy gli rivolse uno sguardo piccato e gli strappò di mano il cellulare, quasi a volersi assicurare che non stesse mentendo.
“Lo sapevo!” affermò la moretta, additandola. “E' successo qualcosa, vero?!”
“Avrei dovuto immaginarlo...” cinguettò Luna, mentre Neville osservava la scena con faccia smarrita. Sembrava sempre cadere dalle nuvole quando succedevano cose simili. “Venere sta transitando nel tuo segno finalmente”.
Lei sospirò e si mise seduta, ma solo dopo che il cameriere si fu allontanato per il nostro ordine, si decise a parlare. “Christian ed io ci siamo visti oggi pomeriggio al parco coi nostri cani” esordì. Da quando avevano chiarito il malinteso, erano divenuti piuttosto comuni quegli incontri e spesso si mettevano d’accordo per far giocare i loro animali e prendersi un caffè insieme.
“E avete discusso?” domandò Bradley.
“Sì” ammise con uno scrollo di spalle. “Niente di serio” si affrettò a precisare, prima di sospirare e passarsi una mano tra i capelli. Tentennò per qualche istante, forse temendo che quella rivelazione potesse costarle caro.
“Per farla breve, stavamo parlando dei nostri progetti futuri e... mi ha baciata” borbottò in tono infastidito ma era piuttosto evidente che non volesse scendere nei dettagli.
A quell'affermazione seguirono i nostri versi di sorpresa e di entusiasmo, ma Morgana allungò la mano in direzione di Bradley con espressione gongolante. Quest'ultimo sospirò ma, sotto il mio sguardo incredulo, estrasse il portafoglio e le porse cinque sterline.
“E non ne sei stata contenta?” le domandai, notando che esitava a continuare.
Non sembrava ancora in grado di processare realmente le sue emozioni, ma si mordicchiò il labbro inferiore. “Gli ho dato un pugno” ci confessò.
“Aha!” gongolò Bradley che si riprese la banconota, mentre Morgana imprecava tra i denti, rivolgendo alla nostra amica uno sguardo di puro biasimo e di rancore.
Sean ed io ci scambiammo uno sguardo d’intesa e, quasi in sincronia, punimmo il partner dell'altro con uno scappellotto sulla nuca.
 
In un momento successivo, mentre eravamo solo tra ragazze, Amy aveva confessato che una parte di sé era stata incredibilmente felice e che avrebbe voluto ricambiare il gesto con lo stesso slancio. Non poteva, tuttavia, ignorare le paure che erano alimentate dalle sue esperienze negative, coronate di delusioni e di tentativi di ridimensionare le sue aspettative romantiche. Ci eravamo tutte impegnate, cercando anche attraverso i nostri vissuti, di incoraggiarla a non lasciare che la paura la bloccasse.
 
“Nessuna di noi, purtroppo, può garantirti che Christian sia la persona che stavi aspettando”, aveva mormorato Morgana. “Anche se sono pronta a rilanciare la mia scommessa” aggiunse scherzosa.
Luna le aveva stretto il braccio con un sorriso: “Il futuro non è scolpito nelle pietre: sei tu che devi prendere in mano la tua vita e costruire quello che desideri”.
Avevo annuito alle loro parole e aggiunto: “E' naturale volersi proteggere da altre delusioni e scottature, ma così facendo ci togliamo anche la parte migliore della vita. So di averti detto qualcosa di simile molto tempo fa, ma ne sono ancora convinta, anche se allora non ha funzionato. Una persona saggia una volta mi ha detto che bisogna spesso prendere delle deviazioni sbagliate per trovare la propria strada” ricordai con un moto di affetto.
“Se te lo stessi chiedendo quella persona ero io” soggiunse la moretta con evidente autocompiacimento. “Ma lo credo fermamente: io non avrei dato un'occasione a Sean se non avessi cercato qualcosa di diverso. Sara non avrebbe mai trovato Bradley, senza aver conosciuto Tom. Persino Rankin non si godrebbe la sua relazione, se non fosse venuto a patti con la brutta versione di se stesso che era diventato. Tu non potrai avere alcuna occasione con Christian, se neppure ci provi”.
Amy era stata silenziosa a lungo, prima di drizzarsi in piedi e prendere cappotto e borsa per uscire dall'appartamento.
“Allora?” la incalzammo.
“Se anche questa volta andasse male, la terapia la pagherete voi tre e Sean!” dichiarò in tono minaccioso.
 
Mi permisi per un attimo di pensare anche ad altre persone che avevo conosciuto nel mio primo anno sabbatico a Glasgow. Daniel aveva riscosso un grandissimo successo a teatro grazie all'opera: “How to Succeed in Business Without Really Trying” e ha recentemente ottenuto l'ingaggio in una sit-com: “Miracle Workers”. Tom era apparso in televisione: dapprima come presenza ricorrente nella terza stagione di “The Flash” ed è stato scelto come comparsa in “Rise of the Planet of the Apes” il cui protagonista era James Franco. Sembra che al momento stia lavorando a una serie fantascientifica di cui sarà uno dei personaggi principali: “Origin”. A quanto mi aveva detto Morgana, attraverso il suo gossip e la sua lungimiranza nello studio della “concorrenza”, Emma aveva definitivamente abbandonato la carriera d'attrice, ma era divenuta la modella di punta di una delle case di moda più famose, la “Burberry[20]”.
 
“Un penny per i tuoi pensieri”.
Sbattei le palpebre e incontrai lo sguardo azzurro del giovane e ne osservai il sorriso indulgente.
“Dov'eri finita questa volta?” mi domandò complice. Uno degli aspetti che più adoravo di Bradley era che non mi faceva mai pesare il fatto che talvolta mi capitasse di distrarmi o perdermi nelle mie riflessioni. Gli sentivo spesso asserire che non avrei mai dovuto rinunciare a quella parte più “estrosa” e “fantasiosa”, soprattutto se desideravo che i miei scritti fossero “vivi”.
“Stavo pensando a quanto siamo cresciuti in questi ultimi anni” gli confessai. 
Annuì, ma arricciò le labbra in un sorriso più suadente: “Spero che tu stessi pensando anche a me”.
“Naturalmente” confermai e ne baciai la gota.
Bradley aveva davvero saputo crearsi una bella fetta di pubblico e mi rendeva non poco orgogliosa che, anche in virtù del successo riscontrato in “I Medici”, avesse una particolare predilezione per l'Italia. Lo notavo ogni volta che mi chiedeva un consiglio quando registrava un breve video o scriveva un tweet nella mia lingua madre o nel modo in cui si divertisse, durante le interviste, a improvvisare qualche frase, riscontrando il plauso degli intervistatori e dei fan. Entro pochi giorni sarebbe dovuto partire per l'inizio delle riprese di The Liberator, una serie tv Netflix nella quale interpreterà un ufficiale statunitense, ambientata durante la seconda guerra mondiale.  Non era inusuale che fossimo lontani per un periodo più o meno lungo di tempo e, nonostante il distacco, mi ripetevo che fosse un ottimo espediente affinché la nostra relazione venisse rinnovata e si consolidasse, senza dare mai per scontato i momenti trascorsi insieme ma assegnando loro il giusto valore.
“Attenzione a quel che dite... ” commentò Morgana, indicandomi con un cenno del mento. “E' a caccia d’ispirazione per un nuovo libro, ma non illudetevi perché la prossima protagonista sarà la sottoscritta”.
“Naturalmente...” le fece eco Amy con un sorriso ironico. “Se volesse intraprendere un suicidio letterario con un personaggio antipatico e snob”.
“Perché dovrebbe?” intervenne Christian con un baluginio scherzoso negli occhi. “Soprattutto se può scegliere un'imbranata che non sa guidare o andare a tempo durante le lezioni di zumba”.
“E' inutile che discutiate” intervenne Sean compunto, prima che nascesse uno dei loro proverbiali bisticci. Ci rivolse un sorriso compiaciuto. “E' ovvio che il prossimo protagonista sarà qualcuno ispirato al sottoscritto” dichiarò in tono altisonante.
Risi insieme agli altri ma lasciai che continuassero a fare congetture al riguardo.
Benché amassi la scrittura, continuavo ad ammonirmi e a ripetermi che nessuna narrazione, per quanto preziosa e accattivante, avrebbe mai potuto superare la realtà, soprattutto quando si sceglieva di diventarne protagonisti.  Nessuna fantasia, per quanto fatata, avrebbe mai potuto darmi le stesse certezze della vita che stavo costruendo con quelle persone. Cercai istintivamente, con le dita, il ciondolo che mi pendeva dal collo, fin quando Bradley non le intrecciò alle sue. Le strinsi di rimando e sorrisi di cuore: non era più solo un sogno.



 
 
The End.
Ci sarà amore stasera,
quando tutti staranno sognando,
per una vita migliore?
 
In questo mondo
diviso dalla paura
noi dobbiamo credere che
ci sia un motivo se noi siamo qui.
 
La nostra fiducia può essere infranta
e le nostre mani possono essere legate,
ma apriamo i cuori e riempiamo il vuoto.
Non lasciamo che qualcosa ci fermi.
Non vale la pena rischiare?
 
Perché questi sono i giorni per i quali
vale la pena vivere.
Questi sono gli anni che ci hanno dato,
questi sono i momenti,
questo è il tempo,
sfruttiamo al meglio le nostre vite.
 
Our lives – The Calling[21]
 
Mi accingo a salutarvi per un'ultima volta con emozioni contrastanti: sono passati ben due anni da quando la mia amica ed io, quasi giocosamente, abbiamo iniziato delle vere e proprie “consultazioni” sui cambiamenti che avrebbero caratterizzato questa revisione. Francamente, non avrei mai immaginato che sarebbe passato così tanto tempo ma, soprattutto, che ne sarebbe nata una storia parallela per una prima parte di capitoli e poi completamente diversa.
Sì, il mio primo obiettivo era un semplice miglioramento nello stile e qualche cambiamento legato ai personaggi più o meno rilevanti, ma ha finito con il divenire un vero e proprio “crossover” tra due universi magici e meravigliosi. Non solo. Sono finalmente orgogliosa di poter affermare che sono stati affrontati temi importanti e delicati che vanno oltre la mera “storiella d'amore” della protagonista e delle sue amiche. Ogni personaggio ha avuto una sua evoluzione e posso quindi lasciarlo andare con un sorriso e un pizzico di commozione.  Mi auguro di essere riuscita a farvi affezionare almeno ad alcuni di loro, di aver saputo proporvi momenti di riflessioni, alternati a momenti più leggeri e sbarazzini per non rendere il tutto troppo “shondiano”.
Complice e prima sostenitrice è stata la mia amica Evil Queen che ringrazio ancora di cuore: non solo per aver elaborato tutte le trame rocambolesche che riguardano il suo alter ego, ma anche per avermi dato spunti di riflessione, suggerimenti e sostegno, anche di fronte alle decisioni più controverse. Mi riferisco in particolare al finale con Bradley. Vi confesso che dapprima avevo immaginato di includere un “finale alternativo” per lui e lasciare che fosse Tom, come nella prima versione, la scelta definitiva della protagonista. Ma più tempo andavo avanti e più mi rendevo conto che non era più ciò che realmente volevo. Ho adorato scrivere questa interpretazione di Bradley e, per tanto, immaginare ogni dialogo e momento cruciale, comprese le incomprensioni che lo riguardavano. Non potevo andare contro questa inclinazione o non avrei realmente “amato” queste pagine. 
Altrettanto cruciale è stato il suo sostegno nel decidere di enfatizzare alcuni aspetti negativi di Tom e di Emma ai fini della trama generale.  Ci tengo ancora una volta a precisare che si sia trattata solo di  un “ruolo” che ho loro attribuito e non ha nulla a che vedere con chi siano realmente. 
Posso dire, parafrasando il testo dei One Republic, di aver letteralmente “vissuto” in forma narrativa ognuno di questi capitoli e spero che possiate dire lo stesso.
Grazie a chi è arrivato fin qui, a chi ha mi ha accompagnato in questa rivisitazione e a chi si imbatterà in questa fanfiction.
Un abbraccio a tutti,
 
Kiki87
 
[1] Potete ascoltare il testo e leggerne il testo originale qui
[2] Si tratta di Naomi McDougall Jones che ha lavorato con Christian Coulson nel film: "Bite Me" (2019). Qui potete vederli in una scena del film.
[3] Personaggio del secondo e terzo volume della saga di “Hunger Games” che era nota per la sua abilità nell'infliggere colpi mortali con l'ascia.
[4] Due dei principali pedagogisti che ho avuto realmente occasione di studiare al liceo e in una materia universitaria :D
[5] Devo confessarvi che quando ho guardato queste scene in tv per la prima volta, mentre ero alle prese con la revisione di questa fanfiction, mi sono ripromessa che avrei dovuto trovare un espediente per riproporle, sfruttando il lavoro di Bradley come attore ;)  Sono tratte dal terzo episodio della seconda stagione. In verità gli attori sul set recitavano in inglese, ma sinceramente, anche volendo, non sarei stata in grado di tradurre in un linguaggio adeguato :P Ho cercato di descrivere il più fedelmente possibile le espressioni di Bradley e le intonazioni  usate dal doppiatore :)
[6] Mi sono resa conto che ho nominato Gabrielle nei primi capitoli ma non le ho mai dato una mezza scena :D Rimedio adesso, meglio tardi che mai :P I piccoli errori che trovate sono voluti per imitare l’accento francese.
[7] Christian compare nella storia, per la prima volta, nel capitolo 11 e Luna inizia ad alludere a un certo "tristo figuro" a partire dal 12 ;)
[8] Come ricorderete senz'altro, è una battuta pronunciata da Silente alla fine del dodicesimo capitolo di "Harry Potter e la pietra filosofale".
[9] Rispettivamente gli attori che hanno interpretato "Lorenzo il  Magnifico" e "Sandro Botticelli" nella seconda e terza stagione di "I Medici".
[10] Si tratta di una battuta tratta da McBeth: "What's done is done".
[11] In assenza del nome del direttore/direttrice del "Ghirigoro" nei libri di Harry Potter, ho scelto sfruttare la temibile bibliotecaria di Hogwarts.
[12] Errore intenzionale per imitare qualche errorino di pronuncia dei bambini :P
[13] Sean Biggerstaff ha effettivamente vinto questo premio, grazie a quel film. Il riconoscimento è elargito dalla British Academy of Film and Television Arts (BAFTA) , un’organizzazione britannica che premia ogni anno opere cinematografiche e televisive.
Di seguito troverete citati diversi titoli di film o opere teatrali che sono state effettivamente interpretate dagli attori corrispondenti. Ma, per ragioni di trama, non ho tenuto conto dell’effettiva tempistica di ognuno di questi progetti :P
[14] Con tutto rispetto per i Serpeverde di cui non ho mai amato la generalizzazione eccessivamente negativa, stimo al punto il personaggio di Neville da ritenere che sia un Grifondoro nell'anima. Non potevo quindi lasciare i paramenti di Serpeverde :D
[15] Per descrivere questa ragazza mi sono ispirata alle fotografie della reale compagna di Chris Rankin che ho visto dal suo account Instagram. Ho deciso di non citarne il nome, in quanto non si tratta di un personaggio famoso.  
[16] Queste battute sono tratte da “The Bing Bang Theory” quando i protagonisti si burlano di Stuart e della sua storia d’amore. Invece il riferimento al sorriso inquietante era una canzonatura nei confronti di Sheldon :D
[17] Michelle Ryan interpretò Nimueh, antagonista di Merlin, nella prima stagione della serie tv omonima.
[18] Laura Donnelly invece impersonò Freya, la Dama del Lago. Fu l’ interesse amoroso di Merlin nella seconda stagione.  I due in realtà non hanno mai lavorato insieme a teatro, ma per ragioni di trama fingiamo che sia così :P
[19] Nel capitolo 17 Percy lo stava sgridando e in una battuta maligna allude al fatto che sia un bene che il ragazzo non guidi. E’ quella provocazione a farlo reagire in modo inaspettato, rovesciando le stoviglie in un moto di rabbia. Ovviamente Percy, come Amy quando allude al fatto che avrebbero preferito subire da sola l'incidente, era completamente ignaro del suo trauma e non poteva sapere di star risvegliando dei tragici ricordi.
[20] Non me ne vogliate, ma non me la sono sentita di attribuire a Emma una carriera legata alla tv o al cinema, in coerenza a come ho rappresentato il personaggio in tutta la storia.
[21] Non ricordo neppure quando Evil Queen mi ha suggerito di usare questa canzone per i “titoli di coda” ma non posso che convenire che sia perfetta. Se volete ascoltarla e vederne il testo originale, potete cliccare qui. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1850374