Mi basta averti al mio fianco.

di Nenelafolle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #01 ***
Capitolo 2: *** #02 ***
Capitolo 3: *** #03 ***
Capitolo 4: *** #04 ***
Capitolo 5: *** #05 ***



Capitolo 1
*** #01 ***


“Jack, no!” Rose si sporse verso il ragazzo, cercando disperatamente la sua mano, ma ormai il giovanissimo Di Caprio era andato via, e aveva lasciato la povera fanciulla sulla scialuppa.
Maka Albarn prese un’altra manciata di popcorn dalla ciotola e se la portò alle labbra. Li sgranocchiò, mentre le lacrime cominciavano a sgorgare. Rose stava saltando giù dalla scialuppa, appesa all’enorme fiancata del Titanic, riportata sulla nave della morte, la giovane prese a correre verso il suo grande amore.
Ah, pensò Maka, come vorrei poter vivere una storia del genere… senza morire, si intende! Fece una risatina nervosa fra le lacrime, e sgranocchiò un altro popcorn.
Il telefono squillò al suo fianco, e le strappò uno sguardo davvero contrariato. Chi osava disturbarla adesso? Proprio quando Jack nel film si stava girando e con occhi pieni di speranza vedeva tornare fra le sue braccia la sua amata? Proprio in quel momento?!
Ma il telefono non accennava a smettere. Sbuffò, pose la ciotola di popcorn accanto a sé sul divano e si allungò fino a prendere la cornetta.
“Sì, pronto?” mormorò, massaggiandosi la schiena: dopo essere stata sdraiata sul divano per tutto quel tempo, allungarsi di scatto a prendere il telefono non le aveva fatto bene.
“Maka? Sono il professor Stein.” D’un tratto la sua schiena non contava più nulla. Il professore? Cosa poteva volere da lei?
“Oh. Se è per il riassunto della lezione, come sa la consegna è venerdì, quindi ho giustamente pensato di portarglielo mercoledì, ma se lo desidera prima..”
“No, Maka no, ti prego di portarmelo venerdì come tutti gli altri.. non è per questo che ti disturbo alla tua abitazione privata. Volevo parlarti di un problema..”
“Problema? Beh la mia media è eccellente, e ho seguito corsi extracurricolari, e sono entrata nella Spartoi—io non vedo problemi, professore?”
“Non riguarda te. In realtà, riguarda Soul.”
Maka si bloccò. Tornò a fissare lo schermo, guardando i grandi occhi di Jack che incontravano quelli di Rose, ricordò quante volte aveva visto Titanic e aveva pensato di poter vivere un amore grande come il loro, e sapeva anche con chi.
“Soul..?” Le peggiori idee le passarono per la mente: era morto, fu la prima, a cui seguirono, in quest’ordine:  era scomparso, era ferito, non voleva più essere la sua Buki, aveva fatto qualcosa di terribilmente, gravemente, storicamente stupido.
“Il suo  rendimento scolastico. Non sta andando per niente bene. Sebbene non sia mai stato una cima- il professor Stein ridacchiò- recentemente si sono abbassati troppo, e un occhio possiamo sempre chiuderlo, ma non tutti e due.”
Maka non era troppo stupita, il sentimento prevalente in lei era il sollievo: Soul stava bene, era ancora al sicuro alla DWMA.  “E io cosa centro con questa storia?”
“Ecco, -abbozzò il professore- tu dovresti dargli ripetizioni.”
Silenzio. Maka non trovò le parole per dire quanto fosse contenta! Finalmente aveva una scusa per togliere il ragazzo da Black*Star e Death The Kid e tenerlo tutto per lei per delle ore! Poteva fargli smettere di suonare il piano, di cucinare, di ronfare, di fare qualsiasi cosa per fargli passare il tempo con lei!
“Io, beh, i-io…” si schiarì la voce. “Sì, penso che gli serva una buona dose di responsabilità.”
Stein  sospirò nella cornetta, un sospiro di sollievo. “Grazie, Maka, per fortuna che ci sei tu.”
Maka si rese conto che era sembrata troppo disponibile e ben disposta nei confronti di quel lavoro, e si preoccupò di nascondere le prove: “Eh, voglio dei crediti extra.”
“Sarà fatto. Conto su di te. Ci vediamo a lezione, Maka.”
Il tu-tu ritmico le disse che il professore aveva riattaccato prima che lei potesse ripensarci, ma era tutto lì il segreto: lei non voleva ripensarci.
Spense la televisione con un click, finì i popcorn in due enormi morsi e attraversò il salotto a passo di marcia. Si fermò di fronte alla grande porta in legno, dall’interno si poteva udire un disco jazz girare sul grammofono e un sassofono suonare le sue note nell’aria.
Maka bussò, ma non attese risposta e spalancò la porta. Soul era seduto sul letto, in mano un videogioco. Indossava una maglietta arancione con scritto “Don’t wait for the hero” e dei boxer a quadratoni grigi. Il contrasto arancio-grigio era epico, e Maka non poté fare a meno di ridacchiare.
Soul abbassò la console verso i boxer, e mantenendo un contegno invidiabile disse: “Potevi bussare”.
Il disco sul grammofono smise di girare e si fermò. Soul si alzò e fece per rimettere la puntina all’inizio.
Maka si sedette sul letto e prese in mano il Nintendo DS, Soul stava giocando a uno strano gioco che lei non conosceva, quindi lasciò perdere.
Si lasciò cadere sulle coperte disfatte e disse: “Mi ha chiamato il professor Stein. Mi ha parlato di una certa situazione scolastica di una certa persona. Qualche idea?”
“Sono stato io a proporre al professore l’idea che tu mi dessi ripetizioni, ma se cominci subito con quest’aria di superiorità mi tiro indietro.”
Il cuore di Maka perse un battito: era stato lui a chiedere di poter stare con lei? Non poteva crederci, i suoi sogni stavano diventando realtà? Non era mai stata una ragazza romantica, una sognatrice, ma Soul in questo momento stava davvero buttando benzina sul fuoco.
“Non puoi più tirarti indietro” sussurrò.
Soul lasciò che il disco ripartisse, e riprese possesso del suo Nintendo. “Non avevo intenzione di farlo.”
Maka si alzò e fece per richiudersi la porta alle sue spalle, poi aggiunse: “Cominciamo domani pomeriggio dopo scuola, fatti trovare pronto in soggiorno.”
Chiuse la porta senza aspettare risposta, poi ripeté: “Non puoi più tirarti indietro.” E sorrise.

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Capitolo 2
*** #02 ***


Arrivò mezzogiorno con una velocità estenuante. Soul avrebbe volute che non arrivasse mai, che potesse vivere la mattinata sino alla fine dei suoi giorni. Per la prima volta in vita sua desiderava rimanere a scuola in eterno e poter non tornare mai più a casa, nell’appartamento.
Aveva sempre avuto un rapporto di amore-odio con la scuola, adorava vedere i suoi amici, e poter essere uno dei più “cool” della DWMA, odiava cose come studiare, i test, i professori. Era un ragazzo come tutti gli altri in fondo.
Tornare a casa significava poter abbandonare la vita per dedicarsi a faccende di tutto rispetto come nutrirsi, dormire, guardare stupide serie tv e riderne, o semplicemente suonare il suo piano, cosa che faceva raramente in pubblico. Ma per una volta, tornare a casa significava tornare da lei, ovvero finire dritti nelle mani del diavolo in persona. Soul non voleva essere cattivo, ma lei era un professore che non l’avrebbe mai lasciato distrarsi come durante le lezioni di Stein.
Maka.
Un nome che gli aveva sempre ispirato melodie mai dedicate, torte mai offerte con lo spirito giusto, e dolcezza, infinita dolcezza.. e studio, e Maka-chop e battaglie.
Cose che facevano parte della normalità della sua vita, che ormai erano diventate la sua “routine”, per quanto strana potesse apparire.
Aveva chiesto lui al professor Stein di poter avere delle lezioni con la Meister, perché temeva per la loro risonanza dell’anima.
Soul faceva troppo spesso finta di non vedere le cose che odiava nel suo rapporto con la ragazza –a ben vedere lo faceva con tutte le persone che conosceva- ma in quel periodo i difetti gli si paravano semplicemente davanti e non poteva evitarli, non poteva chiudere gli occhi per non vederli, non poteva scappare.
Ma la sera prima un sentimento disturbante si era unito alla caterva di emozioni che gli faceva provare la giovane. Prima erano cose normali, giuste, sentimenti da partner di scuola. Era ok.
Le ripetizioni sono per il nostro rapporto di risonanza. Continuava a ripetersi. Ma era inutile, poiché sapeva fin troppo bene che era una scusa bella e buona. La risonanza non centrava più nulla da troppo tempo. Ora il punto era quel sentimento strisciante che era entrato in lui e che ora gli stringeva lo stomaco quando Maka sorrideva, quando s’imbronciava, quando era determinata… quando era con Maka.
La sera prima quel fastidio era diventato qualcosa di orrendo. Tremendo. Pauroso.
Lei era entrata nella sua camera senza bussare, mentre lui era in mutande e maglietta. Ma lui era abituato a girare con quell’outfit.. era lei che lo aveva stupito.
Tralasciando il misero decolleté sporco di briciole di popcorn, gli occhi e il naso rossi di pianto e le codine disfatte da un cuscino immaginario, la giovane era entrata nella stanza in mutande e canottiera.
I giorni estivi erano stati un’offesa a tutta la DWMA, con le loro uniformi pesanti e le armi da pratica in ferro. Ma a casa non c’erano tali restrizioni: giravano tutti nudi –o quasi.
Maka non poteva certo definirsi una ragazza sexy, almeno fisicamente, ma nei suoi occhi c’era una scintilla che molte non avevano. Maka avrebbe tenuto testa a molti ragazzi. L’aveva già fatto, in realtà.
Ed ecco che Soul l’aveva lasciata uscire dalla stanza mantenendo il suo aplomb invidiabile per poi ritrovarsi in un sogno apocalittico che lo aveva fatto sudare e rigirare nel letto per tutta la notte.
Dinnanzi a lui aveva solo il suo corpo e il pianoforte. Lei ci stava sdraiata sopra, e Soul non ne poté fare a meno: la guardava come un folle, anzi, forse lo era davvero. Provava la stessa sensazione che sentiva quando il sangue nero gli scorreva nelle vene e la follia lo controllava. Questo di certo spiegava il ghigno che aveva preso il suo viso mentre Maka si girava verso di lui, i seni ricoperti solo dalle codine argentee della fanciulla.
Maka lo fissò senza vederlo, e con un gesto meccanico si tolse gli elastici e lasciò i capelli sciolti sulle sue spalle. Si raddrizzò meglio per scrollarseli.
Soul ebbe un fremito. Il suo
corpolo stava uccidendo. Erano le caviglie finissime e le gambe forti e magre, era la linea della schiena che risaliva sino al collo, erano quei fili d’angelo che si ritrovava in testa, erano quegli occhi verdi che ora lo fissavano e sì, lo vedevano eccome.
Si avvicinò come in trance, si sentiva drogato, galleggiava. La accarezzò teneramente, temendo di poter far male al suo corpo dall’aspetto così fragile, con una delicatezza inaspettata dal carattere della Buki.
Sentiva il battito accelerare e le gote arrossarsi, voleva distogliere lo sguardo imbarazzato, ma era come se il suo corpo non fosse controllato da lui. Dovette prendere qualche attimo e qualche respiro per trovare il sangue freddo di rivolgere l’attenzione a Maka e sporgersi in avanti a baciarle la clavicola, il collo, la guancia, le labbra… Passò velocemente le mani dai capelli alle spalle per stringerla a sé.
Sentì un brivido corrergli lungo la schiena mentre le braccia di Maka lo avvolgevano.
Seguirono altri baci, ognuno che diventava più intimo dell’altro, tralasciando completamente la fase dell’amore platonico. Dopo uno particolarmente profondo si dovettero allontanare per riprendere fiato. Una pausa di una manciata di secondi, pochi battiti di cuore e ripresero con la stessa passione, le gambe che si arrampicavano sopra la coda del pianoforte, Soul che sovrastava la ragazza con il suo fisico scolpito, le sue mani da pianista che svolgevano un lavoro molto diverso dal semplice suonare.
Soul cadde in estasi.
Quel sogno lo aveva rovinato, e ormai era fatta. Non era nemmeno troppo difficile capire cosa provasse per quella ragazza, dopo tutti quei segni: si era innamorato di lei.
Stava amando.
Stava amando ma non se ne rendeva conto.
Stava amando quando faceva di tutto per incontrarla. Quando la “coincidenza” se la cercava lui.
Quando negava a tutti che gli piacesse proprio lei, quando diceva “ma chi, quella piatta?”, non se ne rendeva conto, ma stava amando.
Stava amando cercando in lei i difetti e offendendola sempre. Stava amando quando tra la folla e mille volti, Soul cercava sempre il suo. Stava amando quando ne passavano a bizzeffe, di più belle, più simpatiche e meno imbranate, ma lui pensava solo a lei.
Stava amando quando lei gli chiese di essere la sua Meister e lui non ci pensò nemmeno un istante.
Stava amando quando, ascoltando o suonando canzoni d’amore, l’unica persona che gli veniva in mente era lei. Stava amando quando fecero la prima risonanza e fu terribilmente felice.
Sta amando pur adesso, pur non avendolo ammesso ancora a nessuno, ammettendolo finalmente a se stesso. Sì, sta amando, ed è un bel casino adesso.

N/A
Jaq ordina e Nene esegue, ed ecco che da verde la fic è diventata arancione. Il p0rn mi fu richiesto, ma quando si tratta di questi due è sempre un piacere buttarci qualcosa di più. Di più di tutto, che sia fluff, piccante, derp o random. Ci sta sempre bene.
Vorrei caricare con più velocità i capitoli successivi, giuro che mi sto impegnando c:
Continuate a seguirmi!
Arigato~
Nene

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Capitolo 3
*** #03 ***


Quell’orologio era sicuramente difettato. Di certo, per forza, al cento per cento: rotto.
I secondi non potevano essere così lenti, e le lancette non potevano fisicamente muoversi in quella maniera. Maka ne era sicura: non era umano, non stava né in cielo né in terra, quelle stanghette nere che si stagliavano sullo sfondo bianco pareva quasi tornassero indietro.
Era stata convinta che passare del tempo con il suo Soul tutto per lei sarebbe stato fantastico?
Che insegnargli materie a lei semplici come l’A-B-C fosse una passeggiata?
Che sarebbe stato romantico?
Mai si era sbagliata più che in quella situazione, era ridicolo come ora volesse solo piangere, sbattere i piedi e scappare da quella stanza. Non poteva andare peggio!
Soul era… stupido! All’inizio si era lasciata cullare dall’idea che anche lui ricambiasse il suo amore, e stare a così stretto contatto con lei l’avesse reso confuso, il che avrebbe spiegato la sua totale incapacità di fare 2 + 2, ma non poteva aver “dimenticato” le basi della DWMA, regole su Anime, su Meister e Buki, cose di cui parlavano ogni giorno, sia a scuola che a casa!
Rimaneva a fissarla aspettando una spiegazione o peggio, giocando con le sue codine e alzandosi a cambiare disco o accordare il pianoforte o preparare il tè nel bel mezzo della lezione.
Maka era frustrata.
Non le piaceva essere arrabbiata con Soul, quindi di sua spontanea volontà lo evitava, e cercava il più delle volte di essere semplicemente scocciata. Ma questa stava andando oltre i limiti.
Stein era stato chiaro: Soul stava rischiando l’anno, ed era tutto nelle mani di Maka. A quel ragazzo però mancavano le basi, di qualsiasi materia che non fosse musica, nella quale eccelleva.
“Credo che andrò a preparare una torta da mettere insieme a questo tè al mirtillo. Anzi, no! Preparerò dei cupcakes.” Disse Soul interrompendo Maka nel suo monologo sui benefici dell’allenamento e dello studio costante a fisico e mente. Il ragazzo si alzò e si avviò verso la cucina.
Maka sbuffò, le lacrime che prepotenti tornavano a farsi sentire.
Com’era possibile che fosse così cieco? Non vedeva che lei si stava impegnando per farlo stare meglio, perché si salvasse? Davvero non si accorgeva di niente?
Soul tornò sui suoi passi e, spuntando dalla porta della cucina, disse: “Ci metterò poco, venti minuti dovrebbero bastarmi, e… potresti continuare a parlarmi mentre te li preparo.”
Tornò in cucina prima che lei avesse il tempo di rispondere, ma Maka si sentiva come se le avessero tolto un peso dal cuore. Allora ci pensava a lei, allora gli importava! E non poteva fare a meno di sottolineare a se stessa quel ‘mentre te li preparo ’ come se li stesse facendo solo ed esclusivamente per lei, affinché potesse gustare meglio il tè e rilassarsi e insegnargli ancora meglio.
Le cose sembravano finalmente girare per il verso giusto.
Si stiracchiò e chiuse il libro che aveva di fronte prima di avanzare con passo calmo verso la cucina. Lì si soffermò a fissare per un attimo l’insieme di ciotole, ingredienti e strumenti da cucina che Soul aveva posato sul bancone accanto al lavello, ma poi i suoi occhi verdi scivolarono sul ragazzo.
Stava sbattendo le uova insieme a farina, burro e zucchero all’interno di una ciotola trasparente, quando si sbatté il palmo destro sulla fronte, alzando una nuvola di farina attorno al suo viso. “Il lievito!” esclamò.
Si girò verso Maka e la squadrò da capo a piedi: “Me lo passeresti tu, per favore?”
Maka arrossì di botto, rendendosi conto della gaffe. Che Soul avesse calcolato tutto e avesse avuto intenzione di farla sentire in imbarazzo sin dal principio? “I-Io non lo so dove si trova.”
Soul ghignò. “Ne sono consapevole, Maka-chan. E’ nel ripiano in alto a destra, quello dove tu tieni i tuoi cereali per la colazione –ma probabilmente non sapevi nemmeno questo, dato che te la preparo io ogni mattina no?”
Maka ingoiò la bile e si sporse fino ad aprire l’armadietto, spostò la sua scatola di cereali ed estrasse il lievito. Lo tenne in mano come una ragazzina terrebbe in mano un insetto gigante, come se fosse un’orrenda macchia sul suo vestito preferito. Lo passò a Soul, ma lui la fissò, le mani e il grembiule blu bianchi come la sua fronte. “Potresti aprirla?” Con un cenno del naso alluse alla bustina.
Maka storse il naso e strappò la parte superiore della carta, ribaltò il tutto all’interno della ciotola e lo scosse un paio di volte perché non ne restasse all’interno dell’incarto.
“Contento adesso?” disse con un tono di voce leggermente più acido di quanto non volesse.
“Sì.” Disse Soul, poi, tenendo una mano all’interno dell’impasto, passò l’altra intorno alle spalle di Maka e la imprigionò in quel quadrato tra braccia, tra ciotola e il caldo petto del ragazzo. “Sì, sono contento.”
Maka perse dei battiti. Si chiese, in un istante di pura lucidità, se perdere battiti avrebbe avuto delle conseguenze sul suo cuore, ma fu solo un lampo, un pensiero che sfumò subito, poiché era girata dal lato sbagliato dell’universo.
Se la sua vita fosse stata un film romantico –magari non Titanic- il movimento brusco l’avrebbe involontariamente portata a girarsi verso Soul, ora si sarebbe trovata con le mani appoggiate sui suoi pettorali, e avrebbe potuto sentire il suo cuore battere caldo sotto le punte delle dita, e il suo sguardo si sarebbe alzato sino a incontrare quello del ragazzo, e avrebbe appoggiato la fronte alla sua, e lo avrebbe baciato con lentezza, per poi stringerlo a sé.
Invece era girata verso la ciotola e l’impasto –seppur avesse quel buon profumo di ingredienti da cucinare- era incolore e triste, poiché non assomigliava nemmeno lontanamente a un petto maschile.
Maka voleva sbuffare, ma per fortuna non lo fece, perché Soul le appoggiò la testa sulla spalla e, soffiandole aria calda sull’orecchio le sussurrò: “Mi aiuteresti ancora un po’?”


N/A
Salve!
Inanzitutto, grazie mille per le recensioni e i commenti positivi dei capitoli precedenti a questo, spero di poter continuare a stupirvi e deliziarvi ~
Ringrazio anche chi mi ha preferita, seguita, ricordata, bastonata(?) vivibbo tutti, ecco.
E ringrazio sopratutto Jaq che è la mia musa, sposatemi con quella seme, ecco.
NaruSan mi ha chiesto un angolo dell'autrice, io non so che scriverci perché sono troppo strana come persona, quindi vi cito qui tutte le derp che mi sono venute scrivendo questo capitolo:

“Stein era stato chiaro: Soul stava rischiando l’ano” – invece de “l’anno”
“non poteva fare a meno di sottolineare a se stessa quel ‘mentre te  li preparto’” – invece di “preparo”
“Stava sbattendo Maka” –invece di “le uova” (questa era voluta, lo ammetto.)

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Capitolo 4
*** #04 ***


Traumatico. Soul Eater Evans ne aveva avute di esperienze che poteva definire “traumatiche”: quando aveva scoperto di essere una buki –non aveva dormito per giorni-, quando aveva dovuto salutare e abbandonare la sua famiglia –sebbene avesse un complesso d’inferiorità nei confronti di suo fratello-, quando le sue mani erano diventate una lama, e aveva avuto paura, un terrore antico e profondo che non sarebbero mai tornate come prima, che non avrebbe mai riavuto le dita, che non sarebbe mai più riuscito a suonare. Ma per quante esperienze gli avessero scavato un solco nel cuore e nell’anima, sicuramente avrebbe annoverato quella tra le più memorabili: studiare con Maka.
Si era preparato all’idea per giorni prima ancora di chiedere al professor Stein di chiamarla. Era stato pieno di buone intenzioni: avrebbe dimostrato che era un bravo studente, serio e diligente. Sarebbe arrivato in anticipo agli appuntamenti, e sempre con libri e quaderni pronti, e sarebbe stato attento a ogni parola che avrebbe detto la sua nuova insegnante.
Ma non aveva tenuto conto dei suoi amici, che prima la presero come uno scherzo quando disse loro che avrebbe preso ripetizioni, poi, al momento di alzarsi per fare ritorno a casa, sebbene avesse calcolato l’anticipo da prendere, Black*Star e Death The Kid lo trattennero finché non fu costretto a correre. Disperato, mise tutte le energie nelle sue gambe, consapevole che aveva perso l’anticipo, ma ancora poteva giocare sull’essere in orario. Ci provò con tutto se stesso.
Ma si sa, quando si programma una cosa per filo e per segno e cade il primo step della lista, si vorrebbe far cadere tutto. E così fu, arrivò in ritardo, Maka era già arrabbiata ancor prima di cominciare, e lui si ritrovò in un girone dell’inferno personale, creato appositamente per lui.
Dopo un’ora di lezione, si ricordava si e no quello che si erano detti mentre si sedevano al tavolo. Ma ogni dieci minuti Maka diventava più arrabbiata e allo stesso tempo, più fredda.
Non aveva tutti i torti, Soul si era ripetutamente “assentato” dai suoi discorsi, se non fisicamente almeno mentalmente. Era stato attento diciamo dieci secondi in sessanta minuti di cui è formata un’ora.
Adesso però ne aveva abbastanza: l’elettricità che si stava andando a formare lo avrebbe distrutto. Non era certo quello che pensava quando gli era venuta in mente l’idea delle ripetizioni!
Nei film, nei fumetti, le ragazze cominciano a insegnare, e rendendosi conto della totale incapacità dei loro alunni all’apprendimento, sventolano tette come frisbee e il gioco cambia. Soul sapeva che Maka non era quel tipo di ragazza, ma aveva desiderato una cosa simile, forse un po’ più simile ai suoi sogni, con una melodia di sottofondo e un’aspirazione a crescere in fretta dentro al cuore.
Così, dopo aver cambiato due dischi, preparato il tè, fatto visita tre volte al bagno e due alla cucina –rispettivamente per zucchero una e cucchiaini la seconda-, decise che doveva prendersi una pausa lunga. Bofonchiò qualcosa su torte da preparare per accompagnarle con la bibita, e si alzò.
Attraversò la porta della cucina come in trance, e si svegliò solo quando sentì qualcosa come un singhiozzo provenire dal soggiorno. Oddio, pensò, ho fatto piangere Maka.
D’un tratto il suo grandioso piano gli ricomparve davanti, semplice come non mai: doveva conquistarla una volta per tutte, e invece stava facendo esattamente il contrario.
Tornò indietro, ma il volto di Maka era asciutto come il suo cuore. Niente lacrime, niente amore. Soul provò una stretta al petto, ma trovò lo stesso la forza di invitarla con sé in cucina.
Tornando indietro sentiva il cuore battergli fortissimo, non nel petto, né nel polso o sul collo, lo sentiva in testa, compresso tra orecchio ed orecchio, un suono frastornante. Era sicuro di aver recentemente impostato un vinile sul giradischi, ma non ne sentiva più la melodia.
Aprì il cassetto sotto i fornelli e ne estrasse un grembiule blu scuro. Lo legò con gesti abituati, meccanici, alla sua schiena, e le sue mani corsero a ciotole e attrezzi come correvano ai tasti quando suonava.
Quello era finalmente il suo ambiente naturale, nessun libro da leggere, nessuna nozione da imparare, solo lui e il suo cuore. Cominciò a impastare gli ingredienti, e Maka entrò in cucina quando era ormai a buon punto. Si sbatté una mano sulla fronte, ricordandosi in quel momento che aveva dimenticato un importante pezzo della ricetta: il lievito! Lo chiese a Maka, senza emozioni, semplicemente gli serviva. E non poteva farne a meno, come il fatto di avere la ragazza vicino.
Forse era questo quello che pensava mentre lei gli si avvicinava, quindi non vedeva la sua espressione schifata. Ma il gesto successivo gli uscì così come l’impastare, così come il suonare: abbracciare la ragazza.
La prese fra le sue braccia, e fu annebbiato dal profumo paradisiaco del suo shampoo, che andava oltre quello della farina e delle uova, che lo opprimeva. Le spalle magre di lei tremarono e lui fece per porvi le labbra, ma si controllò, ricordò chi era e dove si trovava e le sussurrò semplicemente all’orecchio: “Mi aiuteresti ancora un po’?”
Non poteva vedere il viso della ragazza, ma la sua sicurezza crebbe insieme al senso egoistico che gli diceva ‘Ehi Soul, sai che se restate in cucina non potrete più studiare!’.
Prese la sua mano destra nella propria, e la portò all’interno della ciotola. Guidò le sue dita affinché prendessero la pasta e la potessero malleare. 
Il resto di quel pomeriggio fu un ricordo, un momento che passerà negli anni dove la giovinezza cede il passo alla vecchiaia. Dimenticherà presto come avevano scherzato, cercando di dare alla pasta la forma che loro ritenessero fosse quella di un’anima. Dimenticherà che Maka gli aveva buttato addosso la farina mentre cercava di mettere l’impasto nelle coppettine da muffin. Dimenticherà che avevano scordato l’aroma alla vaniglia, e dimenticherà che mangiarono tutto senza glassa, perché troppo impegnati a sporcarsi di zucchero a velo e uova. Dimenticherà che quando Maka si era inginocchiata dinnanzi al forno per guardare la cottura, lui le si era seduto alle spalle, e l’aveva stretta a sé.
Dimenticherà tutto questo, per due motivi. Uno, il più ovvio, era perché non aveva fatto caso a nulla di ciò che stavano facendo, troppo preso a assimilare i sorrisi di Maka, i suoi sguardi attenti, le sue domande su cosa fosse lo zucchero semolato e dalla sua differenza con quello bianco. Cercava di ricordare solo queste cose, piccole e bellissime, piccole perle che solo lui avrebbe visto.
Ma dimenticherà anche quelle, perché quando abbracciò Maka, dinnanzi al forno che scaldava l’ambiente, lei si alzò di scatto, togliendosi di dosso le sue braccia, e si diresse a passo di marcia verso la cucina: “Domani lavoreremo davvero. Ti voglio pronto con i libri alle due, e non avrai scampo per tutto il pomeriggio.” Si sbatté la porta alle spalle.
Soul cominciò a sentire un vago odore di bruciato, e inizialmente credette provenisse dal suo cuore, o qualcosa di simile, ma era una cosa molto più terrena: i cupcakes si erano anneriti all’interno del forno, segno che era rimasto lì seduto per quasi un’ora.
Quando si alzò le sue ginocchia scricchiolarono, un rumore molto simile a quello di un vetro in frantumi. Un rumore molto simile a quello di un cuore distrutto.

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Capitolo 5
*** #05 ***


“Heaven is the idea of life that people have when they die; and they’ve been good and sweet for all their lives. Traduci,Soul.”
Il ragazzo continuò a leggere gli appunti che gli aveva dato lei, le parole che gli scivolavano dinnanzi agli occhi. Maka continuò a fissarlo, aspettando e sperando che si accorgesse di lei, ma lui continuò imperterrito a studiare. Sorrise fra sé, fiera che dopo due giornate intense di studio fosse ancora concentrato. Guardando gli occhi rossi della Buki riusciva a seguire il paragrafo che lei stessa aveva scritto al di sotto della lezione di inglese. Sebbene fosse un altro argomento, Soul aveva continuato a leggete: “l’anima, o uovo di kishin, era un’anima comune e mortale prima di diventare uovo. (es. Jack lo Squartatore). Odiernamente, non serve uccidere per diventare uovo di kishin, basta passare sotto l’onda d’urto della follia..” ah , Maka adorava quell’argomento, era durato ben tre lezioni e ci aveva riempito un intero quaderno fra appunti, annotazioni e riflessioni personali. Ripensò a continuava la frase: “La follia, che rende le anime..” vuoto. Nulla. Gli occhi rossi di Soul erano fissi sul libro, e li si poteva vedere muovere a destra o a sinistra di quando in quando, come se seguissero delle righe, ma erano diventati opachi, e Maka, pur conoscendo quasi a memoria le parole che aveva scritto, non riusciva più a seguirle.
Sbatté le palpebre un paio di volte e fissò meglio la Buki: solo allora si accorse di quel particolare che le mancava, qualcosa di fondamentale.
La mano sinistra, che non reggeva la matita per sottolineare, aveva lasciato il libro e penzolava al fianco della sedia. L’aveva lasciata oscillare sino a quel momento, quando quel movimento era diventato dentro di lui un suono, e allora l’aveva preso e l’aveva messo su un pentagramma, e ne aveva fatto una melodia.
Maka poteva quasi sentirlo.
Le dita presto non erano state più capaci di starsene immobili, e avevano cominciato a seguire tasti di un pianoforte immaginario. Eccolo lì, il suo Soul: anni che si conoscevano, e ricadeva sempre negli stessi trabocchetti della sua mente.
Alzò lo sguardo verso la sua mano destra, ma sapeva cosa aspettarsi: la matita tremava leggermente, come in mano a un malato di Parkinson. Fremeva dalla voglia di accompagnare l’altra mano in quella sonata.
Ma per una volta non rendeva felice Maka. Lei, che si stava impegnando così tanto per salvargli la vita.. scolasticamente parlando. Aveva ricopiato tutti i suoi appunti, semplificandoli e aggiungendo schemi e tabelle, aveva preparato risposte a qualsiasi domanda il ragazzo avrebbe potuto avere, e come se non bastasse aveva infine registrato delle lezioni che poteva comodamente ascoltare facendo altro.
Era stata fin troppo  brava, e lui fin troppo poco riconoscente.
Si alzò di scatto, e la sedia cadde alle sue spalle. Soul ebbe un fremito, perse il corso delle note, e le sue mani si fermarono, immobili come quelle di un cadavere.
“Potresti almeno stare attento quando tutto ciò che sto facendo lo faccio per te!” urlò furiosa, le dita che si stringevano a pugno e si riaprivano a scatti irregolari.
Un’espressione strana prese il posto sul viso di Soul: i suoi occhi si adombrarono, e le labbra si tesero in una linea sottile. “Per me?” domandò, soffiando fra i denti che digrignava. “Sei tu a dover ringraziare me!” sbottò, alzandosi anche lui, e agitando quelle stesse mani che prima apparivano così calme e dolci. “Senza di me tu saresti sola, dimenticata, senza amici! E lo sai perché? Perché sei una secchiona che non sa divertirsi, e toglie tutta la gioia anche agli altri! L’unica cosa che sai fare è studiare, studiare e ancora studiare! Perché credi che Tsubaki, Liz e Patty vadano sempre a fare shopping ma non ti invitino mai?!”
Maka si sentiva pugnalare al petto ad ogni parola che il ragazzo pronunciava. Cercò di difendersi, ma inutilmente, riusciva solo a bofonchiare qualcosa di simile a: “M-Ma io…”, e ogni suono che emetteva spingeva l’albino ad alzare ancora di più il suo tono di voce, finché egli non si ritrovò ad urlare: “Nessuno ti vuole!”.
Lei scoppiò a piangere con la stessa velocità di un ramoscello che sotto violente sferzate di vento si piega e si piega e alla fine si spezza, senza che nessuno avesse un’idea che quel momento stava arrivando.
Corse al di fuori del soggiorno, chiuse a chiave la porta di camera sua e si buttò sul letto, stringendo così forte il cuscino da farsi male. Scappò così in fretta che non vide Soul abbassare le mani, poi tenderle verso di lei; pianse così forte che non lo sentì sussurrare al legno della porta chiusa un flebile: “Scusa”, e rimase chiusa così a lungo che si perse l’ira del ragazzo, che sbatté i pugni sul tavolo con tutti gli appunti di Maka sopra, tirò un calcio alle sedie e finì con le lacrime agli occhi, a fissare la distanza che lo separava dalla camera della sua Meister.
Maka aveva perso la sensibilità delle lacrime che bagnavano il cuscino. Se ne fregava delle codine sfatte, del naso gocciolante, della voglia irrefrenabile di prenderlo a schiaffi. Tutto ciò non contava nulla, perché tutto ciò che vedeva la ragazza era il destino che le cadeva addosso. Aveva mantenuto le distanze mentre erano in cucina perché non era  pronta, aveva avuto paura e ora se ne pentiva. In quel momento si era sentita in pace con se stessa, aveva rispettato i propri tempi, ma non aveva pensato a Soul.
Era stata egoista, e ora aveva perso l’ultima possibilità che aveva di stare con lui.
In questo momento disperato, Maka ricordò che aveva voluto baciarlo. Così tanto che si era sentita scottare, mentre lui con un sorriso che non gli aveva mai visto addosso le lanciava addosso una manciata di farina. Aveva voluto unire le sue labbra con le proprie, prendergli i capelli e stringerlo così forte a sé da fondersi con lui. Lo aveva desiderato e non aveva mosso un dito. Ora sarebbe rimasta sola con solo quello a tenerle compagnia: un desiderio mai realizzato.
Dal canto suo, anche Soul si ritrovò a fissare ogni venatura del legno della porta come dovesse imprimerla a fuoco nelle proprie pupille.
Nella testa del ragazzo le cose presero posto con una lentezza estenuante, mentre Maka aveva già tratto le sue conclusioni. In tutti e due sorse il pensiero, inesorabile e spiazzante, che tutto era finito.

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Come al solito, un grazie infinito a tutti i recensori e a tutti i lettori.
Siete nel mio cuore.

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