The borderline

di fren
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una strana coincidenza ***
Capitolo 3: *** Solo amici ***
Capitolo 4: *** La sfida ***
Capitolo 5: *** Un incontro inaspettato ***
Capitolo 6: *** Sussurri ***
Capitolo 7: *** Le ombre del cuore ***
Capitolo 8: *** Legame ***
Capitolo 9: *** La linea di confine ***
Capitolo 10: *** Incomprensibile destino ***
Capitolo 11: *** La notte negli occhi ***
Capitolo 12: *** Noi ***
Capitolo 13: *** Meglio un buon piano oggi che un piano perfetto domani ***
Capitolo 14: *** Di errori, illusioni e mezze verità ***
Capitolo 15: *** La promessa ***
Capitolo 16: *** Segreti ***
Capitolo 17: *** La porta di specchi ***
Capitolo 18: *** La bambina di ombra e il bambino di luce ***
Capitolo 19: *** Vita ***
Capitolo 20: *** La strada di casa ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


prologo
The Borderline, la linea di confine. Questa fan fiction ha una lunga storia, chi l’ha seguita dall’inizio, sospetto, non mi ha mai perdonato di averla lasciata incompiuta e, io stessa, me ne sono sempre dispiaciuta. Così, dopo sei anni, l’ho ripresa in mano e ho provato a darle il finale che meritava di avere. Ma non solo.
Sei anni sono lunghi e, rileggendo, mi sono resa conto di non rispecchiarmi più in molte delle cose che ho scritto. Così, dove ho potuto, ho riscritto. Mi piace paragonare la revisione che ho compiuto su questa storia come all’operazione di pulizia effettuata su una vecchia casa chiusa. Ho aperto le finestre e fatto entrare aria e luce. Ho tolto i teli dai mobili, spazzato la polvere e cercato di sistemare ciò che non mi convinceva più. La struttura non è cambiata, ma c’è più ordine ora. O almeno spero.
Tutto questo mi è servito per dimostrare a me stessa che la scrittura è costituita da una piccola percentuale di ispirazione e una grossa percentuale di forza di volontà. In un mese ho rivoluzionato quattordici capitoli, riscritto il prologo e l’ho conclusa. O quasi: sto finendo di scrivere l’ultimo capitolo. Ho deciso che ne pubblicherò uno alla settimana, perciò prima di Natale avrete il finale. Lo prometto.
Voglio dedicarla a tutte le persone che, in questi anni, non hanno mai smesso di chiedermi di concluderla. Potrà sembrarvi poco, ma per me significa moltissimo. Sono cambiate tante cose, ma scrivere è ancora una delle cose migliori che mi siano capitate, e di certo il merito è un po’ anche vostro.
Spero che la versione aggiornata possa piacervi quanto vi era piaciuta quella vecchia e sarò, come sempre, grata a chi vorrà farmi avere il suo parere. Buona lettura^^


Prologo


‘Per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte.’ (Kahlil Gibran)


L’oscurità aveva molti nomi. Uno di questi era notte.

Le piastrelle erano fredde contro alla pianta nuda dei suoi piedi, ogni passo le costava fatica. Le ricordava perché era lì e, allo stesso tempo, le suggeriva quanto fosse sbagliato quello che stava per fare. Eppure andava avanti, guidata da una forza troppo oscura perché potesse opporle la dovuta resistenza. Era una forza che le toglieva qualunque volontà e la guidava oltre i limiti di ciò che le era consentito. Aveva provato a ignorare quel richiamo, gli dei solo sapevano quanto si fosse opposta alla sua voce suadente. La chiamava, quella voce, la voleva. Da quando viveva a palazzo, le risuonava nella testa più spesso di quanto avrebbe voluto; ma avrebbe mentito a se stessa se si fosse detta che, negli anni lontani da Solaria, non l’avesse mai sentita. Quella voce le parlava da molto tempo prima che lei varcasse i confini del ducato, le parlava da sempre. Lei, però, non si era mai chiesta cosa volesse. Non prima di quella sera.
La candela che teneva in mano produceva ombre sinistre,  rimbalzavano sui muri del corridoio che stava percorrendo, diretta ai sotterranei. Nessuno aveva il permesso di scendere laggiù, nemmeno lei. Stava contravvenendo alle regole perché la voce le aveva imposto di farlo. La voce era forte, più forte di tutto. Resistere era faticoso, richiedeva un impegno e una concentrazione che la sfinivano. Non riusciva più a lottare con essa, poteva solo assecondarla. Scese una lunga e stretta scala e sbucò in un’ampia stanza circolare. Il soffitto era basso, l’aria era umida ed emanava un afrore marcescente. Capì di trovarsi nelle viscere della terra, là dove i confini tra il mondo della luce e quello delle tenebre si sfioravano, compenetrandosi, e un brivido le percorse la schiena.
La cera della candela che teneva in mano le gocciolò sulle dita. Faceva male, ma servì a ricordarle che era viva. In quel luogo buio e freddo era facile dimenticarsene.
Allungò la fiamma davanti a sé e illuminò un’ampia porzione di parete.
 Lì, davanti a lei, c’era la porta.
Era coperta da un panno scuro, ma la riconobbe. L’aveva vista spesso in sogno. La voce l’aveva condotta laggiù per un motivo, un motivo ben preciso: lei era in grado di indagare l’oscurità, di vedere attraverso la porta di specchi. Lei era la chiave che avrebbe potuto spalancare quel passaggio. Quello era il suo destino, niente avrebbe potuto cambiarlo. La profezia parlava chiaro: avrebbe ceduto al suo lato oscuro. Non importava quanto lontana l’avessero mandata, sarebbe tornata e avrebbe assecondato l’ombra che c’era in lei, questo era stato predetto alla sua nascita. E infatti, ora era lì.
Indugiò, la mano che sfiorava il drappo nero. C’era qualcosa di sbagliato, lo sapeva. Ma non poteva fermarsi, non dopo essere arrivata laggiù. Non si sfugge al proprio destino. Lasciò che il telo cadesse a terra, rivelando la porta. Era incastonata in una cornice d’ebano, e rifletteva il suo volto spaventato. Dopo alcuni secondi, tuttavia, al suo volto se ne sovrappose un altro. Aveva contorni indefiniti e sembrava galleggiare in un mare di nebbia. La voce che la ossessionava da tutta la vita apparteneva a lui. Tese una mano verso di lei, attraverso la superficie liscia e lucida dello specchio e lei vide che le sue dita erano pallide e ossute come quelle di uno scheletro.
“Aprimi. Togli i sigilli e lasciami passare, so che lo puoi fare. Ti aspetto da sempre…”
Istintivamente si ritrasse da quella visione, ma qualcosa la trattenne. L’aveva portata sin lì, ora non l’avrebbe lasciata andare. Non così facilmente.
“Io… non posso” sussurrò, debolmente.
“Certo che puoi. Non ti ho aspettato invano, il tuo destino è questo. Lasciami passare e io ti ricompenserò. Avrai tutto ciò che desideri, farò di te la mia regina. Devi solo consentirmi di varcare il confine…”
Senza volerlo, lei allungò una mano verso il vetro. Vibrava come l’acqua solo apparentemente immobile di un lago, e nascondeva abissi profondissimi. L’essere senza tempo che la aspettava fece altrettanto. Vide le sue dita ossute tendersi verso di lei e provò l’impulso di ritrarsi. Voleva voltarsi e fuggire da quella visione spaventosa. Ma le sue gambe erano di gesso e sentiva la lingua incollata al palato. Le sue dita attraversarono lo specchio, sfiorando quelle della creatura fatta di ombre. Fu allora che accadde. Lo specchio sottile che li divideva iniziò a tremare, sul punto di cedere. Sul punto di andare in mille pezzi.
Spaventata, provò a indietreggiare, ma l’essere la agguantò, trattenendola.
“Togli i sigilli, finisci ciò che hai cominciato. Lasciami passare!”
“No!”
Il suo potere era forte, ne ebbe la prova in quel momento, quando, con forza, si ritrasse da lui. Ma era tardi, il loro contatto aveva reso i confini più labili. Li aveva resi fragili. Sentì la creatura gridare di frustrazione quando lei gli sfuggì. Un lungo gemito rabbioso.
“Tornerai da me. Tornerai” promise quell’essere senza tempo, svanendo nella nebbia.
Lei arretrò; la mano le tremava, la candela cadde e una scintilla raggiunse il drappo scuro che aveva coperto la porta. Il fuoco divampò, le fiamme avvolsero ogni cosa e un fumo denso e nero si sollevò attorno a lei. L’aria era bollente, respirare divenne faticoso. Immaginò il palazzo che bruciava e il suo unico pensiero fu per la bambina. Aveva giurato che se ne sarebbe presa cura, che l’avrebbe protetta. Iniziò a correre, mentre l’orlo della sua veste sprizzava scintille e ogni cosa, intorno a lei, veniva consumata dalle fiamme. Corse fino a sentire il cuore scoppiare, fino a non avere più fiato nei polmoni. Corse, e non sentì la vampa che la avviluppava lentamente, che le consumava la carne. Se ne accorse solo quando, ormai, era troppo tardi. Troppo tardi… o forse no?
Sentì un campanello che suonava, nel buio. Seguì la sua melodia. Se c’era un prezzo da pagare, decise, l’avrebbe pagato.
L’oscurità aveva molti nomi. Uno di questi era notte e solo chi aveva la notte negli occhi avrebbe potuto guardare oltre la porta di specchi e rimediare al terribile errore che lei aveva commesso. Il suo compito, adesso, era trovarlo e condurlo lì.

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Capitolo 2
*** Una strana coincidenza ***


capitolo 1
Una strana coincidenza
 
‘Ci sono cose che decidiamo noi, poi ci sono un milione di coincidenze sulle quali non abbiamo nessun controllo, quegli eventi che ci portano in un certo posto, in un dato momento e che ci cambiano la vita per sempre. Chi controlla queste coincidenze? Una cosa è certa: non siamo noi.’ (Moonlight)

Le ultime gocce di pioggia scivolarono giù per la grondaia della locanda, perdendosi in pozze scure in cui si rifletteva la luna. La primavera avrebbe dovuto essere alle porte, ma era ancora presto per dire che l'inverno fosse ormai un ricordo lontano, e un freddo pungente ammantava di brina le notti di Telmord.
“Ripetilo se hai il coraggio!”
Digrignando i denti sbattei il palmo della mano contro al tavolo di legno, issandomi minacciosa in tutto il mio metro e cinquanta, e fissai dritto negli occhi quel bamboccio che evidentemente aveva scelto quella come ultima serata da trascorrere al mondo, prima della fine imminente che gli avrei fatto fare se non ritirava subito quello che aveva appena detto.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia: “Ehi, ragazzina, vacci piano! Cosa ho detto di male? Ho solo constatato la realtà dei fatti!”
Gli uomini che assistevano alla scena si diedero di gomito: “Audace la piccola, eh? Scommetto dieci monete che lo stende!”
“Naa, il capitano che si fa mettere fuori gioco da una mocciosa? Dovrei dire di averle viste proprio tutte per assistere ad una scena del genere!”
Tranquillo, tesoro, ne ho anche per te se non ti tappi quella boccaccia.
“Senti… Ma non ti sembra di esagerare?” Mi domandò l’uomo che tenevo per il bavero della giubba. “In fondo la mia voleva essere una battuta , una semplice, innocente battuta!” Tentò di giustificarsi, esibendosi in un assai poco convincente sorriso. Avvicinai il viso al suo: “Se era una battuta, non faceva ridere. Sto seriamente prendendo in considerazione l’ipotesi di farti andare a dormire con una mascella rotta, sai? Almeno poi non te ne andresti in giro a fare commenti poco lusinghieri sulle delicate fanciulle indifese…”
Il tipo deglutì. Forse aveva capito che c’era poco da scherzare con la più grande e geniale maga che il mondo avesse mai visto, ovvero io, Lina Inverse.
“Quale fanciulla indifesa?” ironizzò, sempre sorridendo, quell’idiota. “Ah, saresti tu!”
I miei occhi si strinsero a due fessure.
Ora, spiegatemi, perché una brava ragazza come me non poteva ambire a passare una serata, una sola serata,  senza doversi sorbire battute idiote sulla taglia del suo seno? Senza contare che la pessima battuta del signor ‘facevo-meglio-a-farmi-gli-affari-miei’ arrivava giusto dopo una lunga giornata di avvenimenti non propriamente felici.
La vita di maga può essere molto dura, a volte.
"Solaria? Mai sentito." Aveva commentato Gourry quella mattina, guardandomi con l'aria di uno che cadeva dalle nuvole.
"La cosa non mi stupisce per niente..." avevo risposto, distratta, mentre controllavo il sigillo in ceralacca con l'elegante stemma del ducato.
Era primo mattino, e un pallido sole invernale penetrava attraverso le finestre della mia stanza.
Gourry si stiracchiò, levando le braccia sopra alla testa, mentre la spada che portava appesa alla cinta tintinnava contro all'armatura.
"Non scendi a fare colazione?" chiese, dopo avermi lanciato un'occhiata dubbiosa.
"Ehi, cos'è questa novità? Ti sembro malata, forse?" domandai, guardandolo da sopra al foglio che tenevo tra le mani.
Gourry si grattò la guancia:
"Non so, sei ancora in pigiama. Le cucine chiudono tra mezz’ora" borbottò, davanti al mio sguardo accigliato.
"Allora forse dovresti iniziare ad avviarti, in modo che io possa vestirmi.”
Gourry mi rivolse uno sguardo contrariato:
" Come vuoi, Lina. Ma poi non ti lamentare perché non ti ho lasciato niente!" disse, prima di darmi le spalle e dirigersi alla porta.
"Ci devi solo provare, cervello di medusa!" esclamai, lanciandogli il cuscino. Gourry lo scansò con un movimento aggraziato.
"Troppo lenta Lina, devi lavorare un po' sulla prontezza d'azione" puntualizzò, con una strizzata d'occhio.
"Cretino!" Questa volta gli lanciai uno dei miei stivali.
Lo spadaccino lo schivò nuovamente per un pelo, e la sua voce mi arrivò ovattata, al di là della porta:
"Ti do cinque minuti, Lina. Dopodiché mangerò tutto quello che il cameriere porterà, senza risparmiarmi!" Sentii che diceva, mentre i suoi passi si allontanavano per il corridoio.
Sospirando mi allungai sul letto, coprendomi il volto con il foglio di pergamena.
Non era un grande incarico.
Anzi, avrei osato dire che, per la grande Lina Inverse, era qualcosa di veramente banale.
Ma, dopotutto, non potevo cimentarmi solo in grandi imprese, giusto? Ogni tanto ci voleva qualche missione rilassante. Calcolai che per arrivare a Solaria non ci sarebbe voluto più di una settimana e presi la mia decisione. Potevo già sentire il peso della ricompensa nelle tasche.
Le fronde degli alberi disegnavano strane ombre che si rincorrevano nel riverbero della foresta. Stavo spiegando la situazione al mio amico, che però non sembrava molto propenso ad ascoltarmi.
"E quindi questo è tutto, capito?" Mi ero voltata verso Gourry, e l'avevo trovato appisolato contro il tronco a cui si era appoggiato mentre stimavo il bottino di cui ero appena entrata in possesso.
Non vorrei che vi faceste strane idee, non c’era nulla di illegale in tutto questo. Si era trattato giusto di una piccola, piccolissima disputa con due o tre banditi, e in fondo se l'erano battuta a gambe levate senza che li avessi sfiorati con un dito, dimenticandosi però, casualmente, della loro mercanzia. Ora, non perché fosse nel mio interesse, ma perché lasciare che quelle antiche monete, lucide e brillanti, si andassero ossidando in balia degli agenti atmosferici? Insomma, non ero un'esperta di numismatica, va bene, ma forse lo sarebbe stato qualcuno nel villaggio in cui ci apprestavamo ad entrare, e non mi potevo di certo tirare indietro davanti alla possibilità di aiutare qualche povero collezionista, che magari stava cercando proprio quelle preziose e rare monete, giusto? In fondo il mio era puro spirito di filantropia, l'aveva capito persino Gourry che, con un sospiro sconsolato, si era accasciato ai piedi di quell'albero, borbottando qualcosa del tipo: "Immagino sia del tutto inutile ricordarti che un furto non diventa meno grave se lo si compie ai danni di un malfattore, vero?"
Oh, certo. Gourry, il buon samaritano.
Il mio compagno di viaggio era uno spadaccino eccezionale, mai visto niente del genere, credetemi. Ma di certo non avrei potuto dire la stessa cosa sul suo modo di gestire il denaro, e di fiutare gli affari in generale. Però non glie ne facevo una colpa, essendo nobilitato dai suoi alti ideali cavallereschi, dubitavo che riuscisse a comprendere fino in fondo che quello, effettivamente, non era un furto.
E comunque, nel disgraziato caso che qualcuno avesse potuto provare il contrario, sbaglio o ci mangiava anche lui con quella refurtiva? Quindi trovavo vagamente irritanti i suoi scrupoli morali sul mio passatempo preferito. Però ero anche consapevole che, in fondo, Gourry aveva protestato sul serio poche volte. Nella maggior parte dei casi mi lasciava al mio hobby limitandosi a controllare che non mi succedesse niente di male. O, più spesso, che non succedesse niente di male a quelli con cui avevo a che fare. E in quel caso, per l'appunto, aveva saggiamente scelto di tenersi in disparte, mentre sistemavo quegli scocciatori da quattro soldi (sì, sì, avevo detto di non averli sfiorati nemmeno con un dito. Non che non li avessi tormentati un pochino con qualche innocente incantesimo!)
Sospirai e mi avvicinai a Gourry.
"Sveglia, lumaca di mare!" gridai, lanciandogli una pigna in piena fronte. Gourry si svegliò di soprassalto, spalancando gli occhi.
"Cosa…? Dove…?” sbatté le palpebre, confuso. “Credo di essermi appisolato” constatò infine.
Scossi la testa:
"Appisolato! Dormivi della grossa, Gourry! Comunque, per tua informazione, mentre scorazzavi felice nel mondo dei sogni, ho fatto una stima di quel che potrei ricavare rivendendo queste antiche monete, e quindi adesso scenderemo giù al villaggio a fare fortuna!”
Lo sguardo di Gourry si fece vigile: “Lina! Che fine hanno fatto quei poveri banditi?”
“Quali poveri banditi?” domandai, con finto stupore.
“Lina…” Lo spadaccino levò un sopracciglio.
“Ah, parli di quei tizi che a un certo punto hanno deciso di battersela lasciando qui tutta la loro roba. Mai visto qualcuno con tanta fretta di andarsene, credimi… avranno avuto qualche impegno improrogabile, cosa vuoi che ne sappia io!” conclusi vaga, evitando appositamente il suo sguardo.
Sentii Gourry sospirare alle mie spalle: aveva prudentemente deciso di lasciar cadere quel discorso.
“In ogni caso, hai capito quello che ti stavo dicendo?” proseguii, mentre spolveravo alcune gemme che si trovavano nella sacca delle monete.
Silenzio alle mie spalle.
Ecco, lo sapevo.
“Sei senza speranza…” borbottai, voltandomi verso Gourry, che mi osservava con l’indice alle labbra, l’espressione concentrata nel tentativo di ricordarsi qualcosa che in effetti non avrebbe mai ricordato, perché non aveva ascoltato una sola parola di quello che avevo detto per l’intero tragitto.
Emisi un lungo sospiro. “Sai, a volte mi chiedo come tu riesca a ricordarti di respirare…” dissi, mentre sistemavo le ultime cose che avevo intenzione di portare con me.
Gourry si sollevò, lanciando un’occhiata sospettosa ai sacchi con la mercanzia: “Lina, non avrai intenzione di trascinarti dietro tutta quella roba, vero?”
Lo guardai sgranando gli occhi: “No! Sei matto? Sarai tu a portare tutta questa roba giù al villaggio” dissi, mentre stringevo soddisfatta lo spago della sacca in cui avevo riposto tutto ciò che mi sembrava più interessante.
“Ah… E poi sarei io, quello matto?”
Oh, per gli dei quanto la faceva lunga.
“Non capisco davvero questa tua riluttanza nell’incoraggiare i miei commerci. In fondo si tratta di poca roba…” affermai con tono grave, mentre incrociavo le braccia al petto.
Gourry rispose al mio sguardo con aria ironica.
Entrambi evitammo di guardare verso la decina di sacchi che avevo accumulato stipandoli fino all’orlo.
E va bene, va bene. Forse quei due non erano stati gli unici briganti che avevamo incrociato sul percorso quella mattina. Che colpa ne avevo se quelli che fuggivano con la refurtiva lo facevano tutti nella mia direzione? E poi gli hobby vanno incoraggiati, lo sanno tutti.
“Tu non capisci” protestai, davanti all’irremovibilità dello spadaccino. “Questa è una delicata operazione finanziaria che il tuo cervello formato seme di sesamo ti impedisce di cogliere, ma è qualcosa di indispensabile!”
Sul volto di Gourry comparve un piccolo, odioso sorrisetto. Sembrava scettico.
“Inoltre,” proseguii , imperterrita, “dobbiamo considerare che le nostre uscite ultimamente sono direttamente proporzionali a quelli che io definirei, ecco... eccessi.” Mi piantai le mani sui fianchi. “Eccessi di entrambi” chiarii, sperando che si rendesse conto da solo che non potevano contare solo ed esclusivamente sull’incerto guadagno da mercenari per campare.
A quel punto Gourry si arrese: “D’accordo” sbuffò, controvoglia. “Ma ritieni davvero necessario portarti dietro tutta questa roba? Insomma… Proprio tutta?”
“Gourry, gli affari non si fanno di certo con quattro carabattole. Inoltre ti assicuro che ognuno di questi sacchi contiene solo oggetti di inestimabile valore, selezionati appositamente dalla sottoscritta mentre tu proseguivi la tua cura del sonno” dissi, mentre con il tallone spingevo indietro, lontano dal suo sguardo, una borsa da cui spuntava la zampa di un orsacchiotto di pezza.
Beh, non guardatemi con quella faccia. Il fatto è che in cuor mio speravo di ritrovare il bambino a cui era stato sottratto l’amico di pezza. Non ho un animo nobile? In alternativa avrei sempre potuto ripiegare su qualche negozio di giocattoli usati. Occorre sempre un piano B.
“Non pensavo fossimo così in bolletta da doverci trascinare dietro ben tredici candelabri… arrugginiti per di più” disse Gourry, scrutando il contenuto di una sacca. I suoi occhi si sollevarono nei miei: “Pensi davvero di riuscire a vendere questo ciarpame?”
Con un rapido gesto gli tolsi la refurtiva di mano: “Questo perché tu non hai la più pallida idea di come funziona il mondo degli affari. Tutto può essere venduto, Gourry, basta saper presentare la merce in un certo modo” dissi, mentre infilavo un’altra manciata di forchette nell’ultimo spazio vuoto che ero riuscita a trovare. “Ti assicuro che, se volessi, sarei in grado di vendere anche te!”
“Non nutrivo dubbi, in proposito” sospirò Gourry, ormai rassegnato all’idea di doversi prestare a fare da facchino fino al villaggio.
Sogghignai tra me e me, e lo caricai di altre tre borse.
“Spero almeno che se un giorno deciderai di liberarti di me in questo modo, lo farai per una somma consistente.”
“Ma, sai, dipende da tanti fattori” considerai, fingendo di rifletterci. “ Venduto singolarmente varresti decisamente di meno che se ti vendessi con la spada, ma dato che la spada la terrei per me…”
“Sei tremenda…” disse il mio amico, scuotendo la testa. Gli sorrisi: “In ogni caso, finché ti dimostrerai così servizievole, non dovresti correre rischi…” conclusi con una strizzata d’occhio.
In effetti, tempo addietro ero stata veramente accusata di essermi venduta il mio compagno di viaggio. Ancora adesso mi capita di chiedermi che razza di opinione si possa fare la gente di me per arrivare a dire simili cose. Però in quel caso era stata Sylphiel a fare la tragica affermazione, quindi supponevo di poterci anche passare sopra. Insomma, era ovvio che non potesse essere lucida mentre diceva una cosa del genere: Gourry era appena stato rapito, e lei era molto preoccupata per lui.
D’accordo, lo ero anch’io. Un pochino. Ma a differenza di Sylphiel conservavo ancora la lucidità sufficiente per rendermi conto che nessuno avrebbe potuto dire, o pensare, una simile cosa in circostanze normali.
Lo spero, almeno.
“Bene, questa era l’ultima!” Lanciai uno sguardo a Gourry, carico come un mulo da soma, e puntai l’indice davanti a me:  “Andiamo a fare fortuna!”
Quel villaggio era davvero grazioso. Piccole case col tetto di paglia e stretti vicoletti su cui affacciavano i negozi dei mercanti; il fornaio, il fabbro, il falegname, e, per ultimo, quello che cercavo io: l’orafo.
Entusiasta mi avviai verso la porta di legno della bottega. Lo spadaccino mi seguì sospirando: “Lina, non mi sento più le braccia” protestò, esausto. Incurante, gli lanciai una breve occhiata: “Porta pazienza Gourry, fra non molto l’unico peso che sentirai addosso sarà quello delle monete sonanti che ci intascheremo vendendo questa mercanzia!”
Gourry fece cadere a terra le borse stracolme, e si massaggiò la schiena: “Sarà… Ma sinceramente non capisco come tu possa vendere delle monete per avere in cambio altre monete. Insomma, non faresti semplicemente prima a tenerti queste?”
Roteai gli occhi al cielo: “Questo tuo ragionamento spiega alla perfezione il perché sia io, e solo io, ad occuparmi dei nostri affari. Stiamo parlando di monete da collezione, Gourry!” Estrassi da una piccola borsa alcune monete, mettendogliele sotto al naso. Si trattava di preziosi dischetti in metallo, finemente cesellati con arcani simboli. “ Con una di queste” proseguii, “non ci pagherei nemmeno un piatto di minestra, ma stimate da un buon intenditore, ognuna di queste monete ci garantirebbe vitto e alloggio nella miglior locanda del paese per una intera settimana!”
Gourry fissò a bocca aperta il piccolo oggetto che tenevo nel palmo della mano, dopodiché scosse la testa: “Se lo dici tu…”
Con rapido gesto della mano feci nuovamente sparire le monete nella sacca: “Se lo dico io puoi star certo che è così!” affermai, con sicurezza.
“Senti, Lina, ma com’è che ti intendi anche di monete da collezione?” Mi chiese lo spadaccino dopo qualche attimo di silenzio.
“Oh beh… Non è che io sia propriamente un’esperta, diciamo che ho giusto un’infarinatura generale sull’argomento. Insomma, una fanciulla deve tenersi aggiornata su come gira il mondo, senza contare che…” Mi schiarii leggermente la gola “Il collezionismo di monete viene spesso definito ‘l’hobby dei re’ e tu sai quali sono i miei progetti per il futuro, no? Quando finalmente incontrerò un bellissimo principe non posso correre il rischio di farmi trovare impreparata sull’argomento. Così quando lui mi chiederà di potermi mostrare il suo tesoro privato, trovandomi ferrata in materia non potrà fare a meno di pensare che sono la donna che ogni regnante vorrebbe avere accanto a sé…” conclusi con una punta di orgoglio. Non era un piano geniale? Erano anni che progettavo nei minimi dettagli il mio inserimento a corte, e considerando che ad una futura regina non erano richieste particolari doti in cucina, potevo dire di essere già a buon punto.
“Capisco…” Sulle labbra di Gourry aleggiava un vago sorriso.
“Beh?” Feci, indispettita, tornando alla realtà. “Cosa credi, che ad un uomo non faccia piacere avere una donna che si interessa ai suoi hobby?”
Gourry represse un sogghigno: “Oh, non è quello… Credo solo che il regnante in questione, notando appunto il tuo interesse, farebbe meglio a tenere i suoi ‘hobby’ debitamente sotto chiave in qualche cassaforte!”
Gli lanciai un’occhiataccia: “Non starai forse insinuando che potrei derubare il mio futuro marito, vero?”
“No di certo! Solo permettimi, quando avverrà il felice giorno del tuo matrimonio con codesto nobile regnante, di mettere in guardia quel poveraccio: non sa a cosa va incontro…”
“E tu invece, Gourry? Tu sapevi a cosa andavi incontro quando hai scelto di viaggiare con me?” domandai, piccata. Era un botta e risposta, e mi aspettavo che proseguisse su quei binari. Ma Gourry sembrò, all’improvviso, confuso.
“No, in effetti” mormorò, quasi soprapensiero. “Non avevo la minima idea di quello a cui stavo andando incontro.”
Lo guardai incuriosita, ma prima che potessi chiedergli cosa intendesse dire lui mi anticipò: “Quindi, vogliamo farli questi affari?” cambiò discorso, scrollando le spalle.
Abbassai lo sguardo verso le borse: “Quando sarò regina, avrò una schiera di lacchè personali che trasporteranno per me tutta la refurtiva…”
Gourry scosse la testa e mi posò la mano sulla testa, scompigliandomi i capelli: “D’accordo,  per adesso accontentati del sottoscritto!”
Mentre allungavo una mano verso la refurtiva, tuttavia, venni colta da un pensiero. Il mio sguardo si spostò verso una bottega  a pochi passi da lì, sovrastata da una sgangherata insegna che diceva ‘antiquario ’.
“Gourry…”
 Insomma, non c’era motivo che Gourry mi seguisse dall’orafo per rimanere a sbuffare mentre intavolavo la mia delicata trattativa, giusto?  Senza contare che avrebbe potuto uscirsene da un momento all’altro con qualche sua affermazione assolutamente fuori luogo. Era meglio non correre il rischio.
“Senti, perché non ci dividiamo il lavoro? Io penso agli oggetti di valore, e tu vedi di disfarti di tutta quella robaccia vecchia, va bene?” Gli spiegai, indicando la bottega. Lo spadaccino mi guardò stupito: “Ma, Lina…” protestò debolmente. “Non sono sicuro di riuscire ad infinocchiare l’antiquario con questa roba. Non come faresti tu, almeno” constatò, estraendo da un sacco quella che aveva tutta l’aria di essere una zuppiera di porcellana.
“Oh andiamo, sono sicura che te la caverai” risposi, sbrigativa. “ Tieni a mente la prima regola del venditore: non importa se quello che stai proponendo è, di fatto, una cosa del tutto inutile: la persona a cui vuoi venderla ne ha bisogno, un disperato bisogno. E sarai tu a farglielo capire.” Mentre parlavo un manico della zuppiera si staccò, rimanendo fra le mani di Gourry, mentre il restò si polverizzò a terra. Entrambi rimanemmo a fissare sbigottiti il mucchietto di cocci.
“D’accordo, niente panico; in un caso del genere sorridi in modo cordiale, e indietreggia velocemente fino alla porta” aggiunsi, dopo un attimo di silenzio. Ma dove le avevano pescate quelle cianfrusaglie quei banditi da quattro soldi, ad una svendita?
Gourry mi guardò sconsolato, e io gli feci un mezzo sorriso: “Ci rivediamo nella piazza del villaggio fra un paio d’ore, va bene? E non fare quella faccia, ricordati che qualsiasi cosa può essere venduta!” Detto quello gli diedi le spalle, stringendo la borsa contenente gli oggetti di valore, e infilai la porta dell’orafo.
Uno scampanellio accompagnò il mio ingresso nella bottega, che profumava di cera e incenso. Dovetti attendere che i miei occhi si abituassero all’oscurità, e fu allora che nell’ombra scorsi una figura ricurva su un lungo tavolo. L’uomo, un anziano signore provvisto di una lunga chioma bianca, sollevò brevemente lo sguardo, lanciandomi un’occhiata contrariata, dopodiché tornò a concentrarsi sul suo lavoro. Avanzai lentamente nella sua direzione: “Permesso? Sono qui per proporle un affare…”
 Avvicinandomi al bancone da lavoro notai numerosi strumenti sparsi sul ripiano del tavolo: pinze e martelli, una pressa manuale, cesoie circolari, e una quantità spropositata di tronchesi e lime di ogni dimensione. Quando fui abbastanza vicina notai che il vecchio, curvo su un incudine, stava lavorando su un prezioso bracciale in oro e non sembrava affatto interessato alla mia presenza. Mi schiarii la voce: “Lei si interessa anche di monete antiche?”
Solo a quel punto l’orafo sollevò su di me due occhietti porcini, fissandomi con aria ostile: “Io di certo sì, ma lei? Non le sembra di essere un po’ troppo giovane per interessarsi di anticaglie?”
“Non sapevo esistesse un limite d’età per avere certi interessi, ma se lei ritiene che io non possa intendermene, suppongo che non voglia nemmeno dare un’occhiata a quello che ero venuta a proporle” conclusi, con un’alzata di spalle.
La voce del vecchio rimbombò nella stanza cupa: “Ora però ha suscitato la mia curiosità…”
Un lieve ghigno comparve sulle mie labbra.
Ti costerà cara questa curiosità, amico.
Tornai a voltarmi  verso di lui, e sfoderai il migliore dei miei sorrisi. Con un gesto deciso posai la borsa sul tavolo, davanti allo sguardo avido dell’uomo.
Mentre lui frugava nella borsa mi guardai attorno. Quel negozio era talmente spoglio che la mia proposta capitava nel momento giusto, constatai. Nel frattempo l’uomo aveva già estratto alcune gemme, due o tre ciondoli finemente decorati, un fermaglio incrostato di pietre, e il pezzo forte di tutta la refurtiva, il borsellino di velluto delle monete da collezione. Le fece rotolare sul bancone, dopodiché ne prese una tra le dita, scrutandola attentamente. Trattenni un sorrisetto compiaciuto quando i suoi occhi si sgranarono stupiti, e schiarendomi leggermente la voce commentai: “Non vorrei sembrarle presuntuosa, ma quella moneta deve risalire come minimo a due secoli fa. Se intende acquistarla, dovremo pattuire un prezzo adeguato…”
Gli occhi dell’uomo si strinsero a due fessure, dopodiché si spostarono verso i miei, mettendomi leggermente a disagio. “Dove ha trovato queste monete?” Mi chiese, con voce roca.
“Mi scusi, ma credo che la cosa non la riguardi” risposi, secca. “Queste sono informazioni riservate che non ritengo di doverle dare…” puntualizzai poi, per darmi un piglio più professionale.
“Capisco…” disse l’uomo “In questo caso deve darmi qualche minuto per controllare nel retrobottega se sono già in possesso di simili chicche, non voglio correre il rischio di ritrovarmi con dei doppioni” precisò, in modo affabile. Gli feci un rapido cenno di assenso e lo vidi sparire dietro ad una tendina che separava la stanza dal retro, rimanendo sola davanti al bancone.
Dopo qualche minuto emisi un sospiro. Perché ci stava mettendo tutto quel tempo? Annoiata lanciai l’ennesima occhiata al banco da lavoro. Alcune lamine dorate erano sparpagliate vicino a bulini di varia dimensione. Soprapensiero ne presi in mano uno, osservandone la punta acuminata, quando la mia attenzione venne catturata dal bracciale che l’orafo aveva lasciato incompiuto. Allungai una mano, sfilandolo dal suo calibro, e lo osservai attentamente. Era un oggetto veramente ricercato, le incisioni riportavano una greca perfetta, mentre un elaborato intreccio di filigrana si attorcigliava intorno alle tre lucide pietre dure che ne decoravano il bordo. Senza pensarci me lo lasciai scivolare lungo il braccio, sentendolo tintinnare contro ai miei talismani; davvero perfetto.
In quel momento, una voce improvvisa mi fece sussultare: “Non lo trova un oggetto meraviglioso?”
Trasalii, sorpresa, e lanciai un’occhiata verso la tenda da cui era sbucato l’orafo. Chissà perché, vestiva un’espressione assai poco rassicurante.
“Sì, è davvero ben fatto.”
“Già, peccato…” L’uomo prese un respiro “Peccato che non sia suo, come tutto il resto della mercanzia che mi ha mostrato.”
“Prego?”
In quel momento la porta della bottega si spalancò, lasciando entrare un gruppetto di guardie.
“È  lei?” Chiesero all’orafo.
“Sì, fa parte della banda di briganti che questa notte hanno derubato il mio negozio!”
Ero senza parole. Che sfortuna maledetta! Ma prima che riuscissi a spiegare l’equivoco, i soldati si erano già precipitati nella bottega, accerchiandomi.
“Hai finito di compiere malefatte, mocciosa” Esclamò una guardia, avvicinandosi con un paio di manette.
Malefatte…? Mocciosa?!
“C’è un errore, io non ho rubato proprio niente!” dissi, arretrando.
“Ah, no? Vorresti farmi credere di non essere complice di quei furfanti? Guardie, acciuffate questa ladra! Guardate, ha tentato di rubarmi anche il bracciale a cui stavo lavorando quando è entrata!” aggiunse, indicando il gioiello che ancora indossavo.
“Non è vero! Lo stavo solo provando!” dissi, sfilandomi il braccialetto e sventolandolo davanti ai presenti. A giudicare dalle espressioni, non sembravano convinti.
A quel punto dovevo ormai arrendermi all’evidenza: i miei affari erano falliti miseramente, dannazione.
“E va bene, vi insegnerò io a dare della ladra e della mocciosa alla grande e geniale Lina Inverse!”
Con un rapido gesto lanciai il braccialetto sulla fronte di una guardia che si avvicinava, e saltai sul bancone per sfuggire all’attacco di altre tre.
“Assha Dist!”
La folata di vento generata dall’incantesimo mandò a gambe all’aria le guardie, l’orafo, e provvide a ribaltare e sparpagliare qualsiasi cosa all’interno del negozio. In mezzo secondo avevo provocato un parapiglia che portava chiaramente la mia firma, e a quel punto non mi rimase altro da fare che infilare la porta e darmela a gambe.
Mezz’ora più tardi camminavo sconsolata per uno stretto vicoletto secondario, trascinandomi dietro l’unica sacca che ero riuscita a portare in salvo di tutto il mio consistente bottino. Grossi nuvolosi grigi si erano addensati nel cielo, e tirava un forte vento. Stava per piovere, non avevo concluso un solo affare, e per di più c’erano orpelli di guardie sparpagliate per tutto il villaggio che mi cercavano per arrestarmi. La fortuna quel giorno aveva chiaramente deciso di darmi le spalle.
Sospirai sconsolata, e mi lasciai scivolare lungo la colonna di un porticato. Sentivo le grida di alcuni bambini che giocavano non molto distante da lì, e il lieve scrosciare di una fontanella di pietra. Non potevo nemmeno andare ad aspettare Gourry giù alla piazza, o avrei dovuto rendere conto a più di una persona. Quello era parecchio irritante. Insomma, per una volta che si trattava veramente solo di un grosso equivoco…
“Mediti sul tuo prossimo colpo?” domandò una voce al mio fianco. Levando lo sguardo vidi Gourry che si avvicinava sorridendo.
“Molto divertente” borbottai, imbronciata.
Lo spadaccino sghignazzò, dopodiché si sedette al mio fianco: “Quando sono uscito dall’antiquario ho pensato di raggiungerti nella bottega dell’orafo, ma quando ho visto che del suo negozio non rimaneva che un mucchietto di macerie ho capito che forse qualcosa nella trattativa non era andato esattamente come avresti voluto…”
“Come sei sagace, Gourry…” dissi, leggermente irritata da quel suo spirito giulivo. A volte Gourry non capiva davvero quant’era frustrante non riuscire a concludere un affare. “E, per tua informazione, eviterei di fare dello spirito, non sono in vena” conclusi, incrociando le braccia al petto.
Rimanemmo in silenzio alcuni secondi, dopodiché Gourry afferrò la sacca che ero riuscita a trarre in salvo: “Vedo che almeno qualcosa sei riuscita a salvare…” Ma quando ebbe slegato lo spago, il suo sguardo si addolcì, e un lieve sorriso ricomparve sulle sue labbra.
“Lina…”
Imbarazzata distolsi lo sguardo.
L’avevo detto che quella non era decisamente la mia giornata, di tutta la roba che avrei potuto recuperare…
“Un orsacchiotto di stoffa…” disse Gourry, prendendo fra le mani l’animale di pezza. “Cosa se ne fa un brigante di un orsacchiotto?” chiese poi, perplesso.
“Non ne ho la più pallida idea, e nemmeno mi interessa saperlo. Io non me ne faccio niente di sicuro…” Esclamai seccata. Non potevo di certo rivelargli che avevo intenzione di provare a vendere pure quello o avrebbe pensato che ero fin troppo veniale. Più di quanto già non pensasse che fossi, intendo. “Per quel che mi riguarda lo puoi anche buttare” conclusi, lapidaria.
Gourry rimase qualche secondo a rimirare il giocattolo, e io distolsi lo sguardo sospirando. Il rimbombo cupo e lontano del temporale imminente echeggiò in lontananza, e le fronde degli alberi frusciarono leggere.
Con la coda dell’occhio scorsi, all’improvviso, qualcosa che si avvicinava al mio volto e sussultai, colta di sorpresa.
“WHA!”
Voltandomi mi trovai faccia a faccia con il muso sgualcito dell’orso: “Sei crudele, vuoi liberarti di me…” disse l’orso con una vocina stridula.
Cioè, a parlare per l’orso era stato in realtà Gourry. Dopo essermi ridata un contegno, lo osservai levando un sopracciglio: “Gourry… Che diavolo stai facendo?” chiesi, calma. Da qualche parte avevo sentito che con i malati di mente era meglio essere cauti.
 Lo spadaccino mi osservò con l’aria più tranquilla del mondo: “Difendo le ragioni dell’orso!”
Aggrottai le sopracciglia, irritata.
“Gourry, non ho molta voglia di scherzare. I miei affari di oggi sono naufragati, e anche se tu non ne hai la percezione, non siamo propriamente in una brillante situazione economica. I soldi non si mettono da parte da soli e possibilmente a Solaria preferirei arrivarci con lo stomaco pieno, quindi lasciami riflettere in pace e butta quel dannato orso!”
Gourry corrugò la fronte: “Hai sentito?” sgridò l’orso. “Lina sta riflettendo, non la disturbare!”
“Ma che ho detto di male?” ribatté l’orso con una penosa voce in falsetto.
“Sssst! Con le tue lamentele la disturbi! Cuciti il muso!” lo rimproverò Gourry.
Rimasi a fissarlo, allibita. Non sapevo se piangere anche il suo ultimo neurone o spaccargli la faccia.
“Gourry, non ho cinque anni. Il teatrino ho smesso di guardarlo da un bel po’…”
“Perché, c’era un teatrino da queste parti?” esclamò l’orso, con la sua vocettina.
“Parola mia io non l’ho visto!” disse lo spadaccino, portandosi al cuore la mano che non stringeva il pupazzo.
Alla fine cedetti e gli sorrisi.
“Cretino…” mormorai, tirandogli un piccolo pugno scherzoso sull’avambraccio mentre anche Gourry mi sorrideva.
Appoggiammo entrambi la schiena alla colonna e sospirammo.
“Quindi, com’è che ti è venuta voglia di dare un tocco Inverse alla bottega dell’orafo?” Chiese Gourry. “La mercanzia non era di suo gradimento?”
“No, al contrario. Gli è piaciuta così tanto che, guarda a caso, si è ricordato che tutta quella roba era in realtà… Sua. Sai, quelle strane coincidenze? Così ha chiamato due o tre guardie, giusto per movimentare un po’ la mattinata…”
Gourry sgranò gli occhi: “Stai dicendo che hai tentato di rivendergli la sua stessa merce, di cui era stato derubato dai banditi che hai  a tua volta rapinato?”
Lo guardai, stupefatta.
“Gourry, sono commossa… hai colto alla perfezione, per una volta. E senza troppi giri di parole.”
“A questo punto sospetto che tu sia ricercata per tutto il villaggio.”
“Ancora una volta mi stupisci: è proprio così” dissi, di malumore.
Gourry si sollevò, scrutando il cielo:
“Fra non molto comincerà a diluviare, ci conviene darci una mossa se vogliamo raggiungere qualche locanda fuori dal paese…” considerò. Dopodiché si voltò e mi tese la mano. Riluttante la afferrai e mi sollevai a mia volta. Lo spadaccino non aveva tutti i torti, fra non molto si sarebbero aperti i cieli. Anche i bambini che giocavano a pochi metri da noi avevano radunato le loro cose, pronti a correre ai ripari.
“Coraggio, andiamo” disse Gourry, cominciando a incamminarsi.
“Gourry, aspetta!” Lo richiamai. Lo spadaccino si voltò, fissandomi perplesso, io mi avvicinai a lui: “Hai intenzione di portare il tuo nuovo amico con te?” domandai, indicando l’orsacchiotto.
Gourry mi guardò senza capire: “Perché?”
“Posso?” Insistei, finché Gourry non mi lasciò il pupazzo tra le mani.
A quel punto mi avvicinai ai bambini: “Ehi, non è che potreste farmi un favore?” Tre piccole testoline si sollevarono stupite verso di me, e io indicai l’orso: “Credo che il mio amico laggiù sia un po’ troppo cresciuto per certe cose, non è che potreste prendervene cura voi? Vi assicuro che è un bravo orso, solo un po’ troppo chiacchierone!” Ammiccai, scoccando una breve occhiata allo spadaccino. I bambini si illuminarono: “Grazie signora!” esclamarono in coro, cominciando a contendersi il pupazzo.
Tornai verso Gourry, cercando di evitare il limpido sorriso che mi rivolgeva: “Non credo ai miei occhi…” cominciò, “Un gesto altruistico, assolutamente disinteressato. Lina, tu mi preoccupi… Non starai per caso diventando una brava persona?”
Mi schiarii la voce: “Che il gesto fosse disinteressato è quello che pensi tu. L’orso l’ho lasciato a quei bambini solo per evitare di sentirvi colloquiare per tutto il resto del tragitto con quell’orribile voce in falsetto!” commentai risoluta. Il sorriso di Gourry non accennava a spegnersi: “Dici così, ma sentirai la sua mancanza, ammettilo…”
“Certo, guarda sto già piangendo…”
“In ogni caso,” considerò Gourry “Almeno questa volta ti è andata bene…”
“Uh? Cosa vuoi dire?” Gli chiesi, perplessa.
Gourry sogghignò: “Pensa se tentavi di rifilare l’orso ai bimbi, e veniva fuori che quel giocattolo era stato sottratto loro dagli stessi banditi del tuo orafo… Ti avrebbero inseguito con le loro fionde!”
“Gourry!” esclamai.
Ma lo spadaccino non voleva accennare a smetterla di prendermi in giro.
Così verso sera avevamo raggiunto quella locanda, zuppi di pioggia.
Mi ero velocemente cambiata d’abito in camera, ed ero scesa nella sala da pranzo, sperando finalmente di poter mettere qualcosa di sostanzioso sotto ai denti, quando mi ero imbattuta in quell’idiota che aveva  scelto di morire stuzzicandomi sul mio segreto punto debole.
Così adesso lo tenevo per il bavero della giubba, guardandolo minacciosa. No, non aveva proprio scelto la giornata giusta per mettersi a sbeffeggiare la grande Lina Inverse. Proprio mentre decidevo che non avrei avuto pietà, la voce di Gourry smorzò la mia sete di sangue.
 “Lina che succede?”
Roteai gli occhi al cielo. Accidenti, non poteva metterci qualche minuto di più a cambiarsi? Così avrei potuto sistemare quell’imbecille senza che Gourry mi facesse la predica.
“Niente, succede solo che certa gente non filtra dal cervello la maggior parte delle cose che dice...” Ringhiai.
Il ragazzo sudò freddo, continuando però a sorridere: “Ma insomma, come te lo devo dire… Voleva essere una battuta…”
“Oh…” Lo spadaccino si portò la mano al mento. “Capito. Una battuta sul famoso ‘punto delicato’” commentò, annuendo.
D’accordo, un cretino era più che sufficiente. Due erano anche troppi.
“Taci Gourry! Questo screanzato prima mi ha scambiato per una cameriera, poi si è corretto dicendo che no, non potevo essere una cameriera, perché qui le cameriere sono tutte…” avvampai dalla rabbia.
“Provviste di un seno?” Provò a concludere la frase per me lo spadaccino.
“Esatto!” gridai, furiosa.
Il mio ostaggio si voltò verso Gourry, sperando che intercedesse per lui: “Ehi amico, prova tu a spiegarle che io non volevo essere…” Ma sul più bello si interruppe a metà frase, strabuzzando gli occhi. “Gourry?” domandò, infine, con una punta di incertezza nella voce. “Gourry… Gabriev?”
Io e lo spadaccino guardammo stupiti verso di lui.
“Uhm,  sì… Ci conosciamo?” domandò il mio amico, vestendo la tipica espressione di chi non ha la più pallida idea di chi si trova davanti.
“Non ci posso credere…” L’uomo che stavo minacciando sembrava sconvolto. “Sono Joy! Joy Shadow!”
Ci fu un attimo di silenzio, in cui il mio sguardo si spostò frenetico tra l’espressione speranzosa dell’uomo che tenevo per il collo, e l’espressione obnubilata dello spadaccino, poi…
“Ma certo!” esclamò Gourry, battendosi il pugno sul palmo. “Joy! Quanto tempo è passato? Sette, otto anni?”
“Quasi nove!” rispose entusiasta Joy Shadow, dimenandosi sotto alla mia stretta. A quel punto decisi di lasciarlo andare, ancora interdetta. Il ragazzo si liberò e, avvicinandosi allo spadaccino, si diedero grandi pacche sulle spalle, scambiandosi commenti tipicamente maschili.
Attesi qualche secondo, dopodiché tossicchiai leggermente: “Scusate… vorreste per favore spiegarmi la situazione?”
Solo a quel punto Gourry parve ricordarsi di me: “Oh, Lina… Questo è Joy!” disse contento, indicandomi l’amico ritrovato.
“Sì, l’avevo intuito” replicai, sarcastica. “Quello che mi premeva sapere era… chi diavolo è questo Joy?”
A quel punto fu Joy stesso a rivolgermi un ampio sorriso: “Eravamo commilitoni nello stesso esercito, tanti anni fa! Noi… Oh, cielo, quanto tempo è passato, mi sembra un’eternità!”
“Già…” mormorò lo spadaccino “E adesso che fai, come te la passi? Vivi ancora da mercenario?”
“Naturale, adesso ho un esercito mio, uomini scelti si intende… Ehi, ragazzi!”
Un branco di bestioni, che gozzovigliavano ad un tavolo, sollevarono la testa da un tavolo, lanciando grugniti di saluto.
Erano quelli i suoi uomini scelti? Però, che selezione accurata, non avrei trovato tanti avanzi di galera nemmeno in una gattabuia.
“E tu invece Gourry, che mi dici? Vedo che hai finalmente messo la testa a posto…” Sorrise, indicandomi.
Cosa, cosa, cosa?
“No, no. Guarda che sei fuori strada…” cominciai, ma Gourry mi anticipò, scuotendo la testa:
“Oh, giusto… No, lei è solo Lina.” Mi presentò al suo amico.
Aspettate… che vuol dire solo Lina?
 “Beh, noi abbiamo cominciato con il piede sbagliato…” disse il mercenario, rivolto a me. “Comunque io sono Joy, piacere di conoscerti Lina…” esordì, porgendomi la mano.
“Per me non è un piacere, ma fa lo stesso” replicai, stringendola forse con un po’ troppa forza.
Insomma, se era un amico di Gourry, nonostante fosse un cafone di prim’ordine, mi sembrava doveroso presentarmi in modo cordiale. “Lina Inverse.” Aggiunsi poi, calcando bene la mano sul mio cognome.
“C-cos-?” Joy strabuzzò gli occhi, guardandomi come se fossi improvvisamente diventata un demonio.
Ragazzi, funzionava sempre.
“Tu sei Lina Inverse…” ripeté, sconcertato.
“In persona, e tu sei Joy qualcosa. Scusa, ma ho già dimenticato il tuo cognome, del resto non mi pare avesse qualche importanza. Bene, ora che ci siamo presentati, posso finalmente ordinare.” E tornando a sedermi afferrai il menù, lasciandolo al suo sbigottimento.
Gourry scosse la testa: “Devi scusarla, fa sempre così prima di cena. Di solito appena si è riempita lo stomaco torna ad essere una persona civile. O almeno ci prova. Comunque ti trovo bene, Joy. Sono passati davvero tanti anni… Cosa ti porta da queste parti?”
“Oh, ecco, sono in missione con il mio esercito…”
Nel frattempo era arrivata la caraffa del vino, e me ne versai un bicchiere abbondante, mentre i due uomini continuavano a conversare.
Joy estrasse una pergamena dalla tasca: “Si tratta di un lavoro ben retribuito, come scorta eccezionale di una duchessa…” proseguì ,abbassando il tono di voce.
Io mi portai alle labbra il bicchiere, ostentando indifferenza mentre allungavo le orecchie più che potevo.
“Ah, capisco…” Fece Gourry, mantenendo lo stesso identico tono basso da setta segreta.
“Già” proseguì Joy “Per l’esattezza la duchessa del Granducato di Solaria, è lì che siamo diretti, e…”
Ma non fece in tempo a finire la frase. Improvvisamente, sputai tutto il vino che avevo appena finito di sorseggiare.
Avevano sentito bene le mie orecchie?
“Lina che succede?” chiese lo spadaccino allarmato, piegandosi verso di me. Ma in una frazione di secondo mi ero sollevata, fronteggiando Joy negli occhi: “Hai detto Solaria?”
Il ragazzo mi fissò, vagamente intimorito: “Sì, perché?”
“Fammi vedere quella missiva!” tuonai.
“Ehi, ma che modi…”
“Fammela vedere!”
 A quel punto Joy decise che era meglio essere solerti quando si aveva a che fare con la grande Lina Inverse, e mi porse la pergamena che aveva mostrato pochi secondi prima allo spadaccino. Con un rapido gesto estrassi dalla tasca la busta che mi era stata recapitata quella mattina stessa, e sedendomi al tavolo scorsi velocemente le due lettere.
Proprio come temevo.
Erano due lettere gemelle, assolutamente identiche.

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Capitolo 3
*** Solo amici ***


capitolo 2
Solo amici

‘L’unica maniera per giustificare una bugia è con un’altra bugia.’ (Alessandro Morandotti)

“No, no, no, e poi no!”
“Ma, Lina…”
“Gourry, ho detto di no!” bisbigliai concitata, cercando di non farmi sentire da Joy che, dall’altra parte del tavolo, si rimirava le unghie con aria indifferente.
Insomma, cosa c’era che non capiva nella parola no? Se era no, era no, accidenti a lui!
Gourry sbuffò: “Certe volte sei irragionevole. Non ti sto dicendo di accettare, ma almeno ascolta la sua versione. Potrebbe trattarsi solo di un grosso equivoco, in fondo” disse, in un sussurro.
Irragionevole? Io? E quando mai?
Lanciai uno sguardo contrariato a Joy, e sospirai. L’ultima cosa che volevo era proseguire il viaggio con quella banda di mercenari da quattro soldi. Insomma, quell’incarico era mio, punto. Ancora non sapevo per quale motivo quel tipo avesse tra le mani una missiva uguale in tutto e per tutto a quella che avevo ricevuto pochi giorni prima, ma di una cosa ero certa: non avrei spartito i soldi della ricompensa con nessuno che non fosse Gourry. E se andava avanti con quella solfa, nemmeno lui avrebbe visto il becco di un quattrino.
Stavo per tornare sulle mie posizioni quando i miei occhi incrociarono lo sguardo fiducioso dello spadaccino, costringendomi ad abbandonare i miei propositi bellicosi.
D’accordo, Joy era un amico di Gourry. Che era un mio amico. Questo non voleva dire che gli amici di Gourry fossero anche miei amici, però…
“E va bene. Per dimostrarti che non sono così irragionevole come sostieni, parlerò con il tuo amico. Ma non ti garantisco niente, Gourry. Resto sempre convinta che meno rompiscatole si hanno tra i piedi, e meglio si viaggia” conclusi, di malumore.
“Ma non era la stessa cosa che pensavi quando ci siamo conosciuti?” domandò lo spadaccino, con un sorriso.
“Appunto. Si impara sempre dai propri errori, no?”
“Lina, vedrai che Joy non sarà un problema.”
No, certo. E gli asini volavano.
Emisi un grugnito “Aspetta a parlare, e comunque non è detto che alla fine io accetti di viaggiare con quel branco di scimmioni fino a Solaria…” sospirai. “E levati quel sorriso compiaciuto dalla faccia, di espressioni idiote ce ne sono già abbastanza in questa sala.”
Imbronciata, guardai Gourry dirigersi da Joy. Quel tizio mi faceva saltare i nervi ma, dovetti considerare, era la prima volta che Gourry mi chiedeva un favore. Giocherellando con il bicchiere fra le mani riflettei su quel concetto. Era bizzarro, ma era davvero così. In cinque anni non riuscivo a ricordare che a Gourry stesse tanto a cuore qualcosa. Voglio dire, se si escludono le sue lamentele e gentili richieste di lasciar perdere saccheggi vari e altre cosucce del genere. Però quelle erano rimostranze dettate dal suo buon senso di cavaliere, niente a che vedere con qualcosa che invece desiderava per sé.
Di solito quella che pretendeva ero io. Quindi adesso, sempre io, chi ero per rifiutarmi di viaggiare con un suo vecchio amico, negandogli la sua compagnia, solo perché quel tizio voleva intascarsi i miei soldi?
‘E poi, non mi si venga a dire che non sono una personcina meravigliosa’ borbottai tra me e me, raccogliendo il mio bicchiere e spostandomi svogliatamente verso la tavolata a cui sedevano quegli sbruffoni con cui, a quanto pareva, avrei dovuto passare più tempo di quel che avrei desiderato.

Ebbene, non era divertente. Non era affatto divertente stare seduta fra quei gorilla mentre, dopo la decima brocca di vino, intonavano l’ennesima canzoncina goliardica sulla bontà dell’oste che non negava cibo e bevande di qualità alla sua clientela. Come se quel polpettone rancido si potesse considerare qualcosa di commestibile.
Con un grugnito infilai la forchetta nell’ammasso di carne che mi ritrovavo nel piatto e l’intero polpettone si staccò dal fondo in un unico blocco.
“Fantastico…” considerai, accigliata. “Davvero fantastico. Cavernicoli con la vocazione per il canto come compagnia e fango colloso per cena, non avrei potuto concludere la serata nel migliore dei modi.” Lanciai un’occhiata torva a Gourry che, dall’altro lato della tavolata, sembrava invece trovare molto divertente la serata. Lo spadaccino appariva del tutto a suo agio, rideva e scherzava, rievocando i momenti in cui anche lui faceva parte di un gruppo come quello, fatto di uomini senza ideali, uniti dalla passione per le armi e il denaro.
Non che Gourry fosse quel genere d’uomo veniale, anzi. Se esisteva una persona a cui importava poco o niente di fama, gloria e soldi, beh, quello era Gourry. Con il suo indiscusso talento, se solo fosse stato ambizioso almeno la metà di quello che era ognuno di quegli uomini, in breve tempo sarebbe stato lo spadaccino più ambito della penisola. Invece Gourry si accontentava di usare le sue eccezionali doti con la spada solo nei frangenti in cui la situazione lo rendeva estremamente necessario, e se vogliamo proprio dirla tutta, in molte occasioni l’avevo visto combattere con un decimo della bravura che avrebbe potuto utilizzare se solo lo avesse voluto. Era un uomo semplice e modesto, che non si dava delle arie, né si metteva in mostra. Mi piaceva pensare di essere una delle poche persone a sapere quanto valesse in realtà; quanto fosse in gamba e unico. Ma quella consapevolezza si accompagnava sempre a una domanda scomoda, che mi ero posta svariate volte nel corso degli anni: cosa lo aveva spinto a seguirmi? Per quale motivo si era autoproclamato mia guardia del corpo, quando avrebbe potuto essere, fare, mille cose diverse nella vita, e tutte migliori? E se un giorno si fosse reso conto che quella vita non faceva più per lui e che avrebbe potuto ambire ad avere di più?
Me lo ero chiesto tante volte, senza tuttavia mai trovare una risposta che mi rendesse veramente soddisfatta. Quindi avevo smesso di chiedermelo , e avevo acconsentito tacitamente alla sua costante presenza al mio fianco. Perché se in fondo stava bene a lui, e stava bene a me, che importanza aveva sapere il motivo per cui continuavamo a stare insieme?
Stavamo insieme e basta, come se qualcosa dentro di noi si fosse assestato in una posizione tanto comoda, da trovare quasi un peccato andare a smuoverlo solo per vedere cosa c’era sotto realmente.
Stavamo insieme, e basta.
I miei occhi seguirono il profilo delle sue labbra, mentre si increspavano in un sorriso, e lì rimasero, quasi ipnotizzati, mentre si portava alla bocca la coppa di vino, bevendone un sorso.
Per qualche inspiegabile motivo rimasi incantata da quel semplice gesto, finché i suoi occhi non mi sorpresero a fissarlo, incrociando i miei al di sopra del calice. Gourry mi sorrise con lo sguardo, nello stesso istante in cui il blocco di polpettone si staccava di colpo dalla mia forchetta, ancora sospesa a mezz’aria, per atterrare con un tonfo nel mio piatto. Imbarazzata distolsi rapidamente lo sguardo e presi a tagliuzzare tutta concentrata la carne dura e gommosa. Non osavo più guardare oltre il mio piatto, temendo che Gourry potesse cogliere sul mio volto la lunga trafila di pensieri che mi aveva affollato la mente fino a qualche secondo prima.  Gourry era dannatamente bravo in questo genere di cose. Capiva la metà della metà delle cose che gli spiegavo. Ma leggeva negli occhi e nel cuore delle persone con una facilità disarmante.
“Ehi ragazzi, credete di essere nelle condizioni di sollevarvi da tavola?” disse a quel punto Joy, facendo stridere la sedia sul pavimento.
“Sì!” tuonarono i mercenari. Una rumorosa flatulenza seguì l’urlo entusiasta.
Oh, ma che personcine deliziose.
“Ragazzi! Ma che modi, non vi siete accorti di essere in presenza di una fanciulla?” Li rimproverò Joy, con un tono fin troppo sarcastico per essere preso sul serio.
Si guardarono tutti attorno, dopodiché uno di loro (uno tizio che non temeva la morte, a quanto pareva) prese la parola: “Ehi capo, ti riferisci alla mocciosa?”
Cercai di contare fino a dieci, come mi aveva insegnato il pacato Zel, mentre piegavo la forchetta fino a fare toccare i rebbi con il manico.
Joy si schiarì la voce:
“Herman, gradirei che tu usassi più gentilezza verso chi, da oggi fino a che non giungeremo a Solaria, viaggerà con noi…”
Il gorilla chiamato Herman ci mise due secondi ad elaborare l’articolata sequenza di parole, dopodiché nel suo cervello si formulò qualcosa di vagamente simile ad una risposta: “Quindi, capo, abbiamo accettato un lavoro come baby-sitter?” chiese, mentre un risolino generale serpeggiava tra gli uomini. Anche gli angoli della bocca di Joy fremettero, e vidi che faceva una fatica notevole per cercare di mantenersi serio: “No, Herman, questa è Lina: lei e Gourry,come noi, sono diretti a Solaria. Quindi ti pregherei di usare con lei il tono rispettoso che useresti con un qualunque compagno.”
Herman grugnì, e vidi che i suoi occhi si spostavano su di me, studiandomi in viso. Mi preparai a rispondergli con l’occhiata più truce che riuscivo ad assumere, quando scorsi il suo sguardo scendere fino ad un punto in cui non sarebbe dovuto scendere, mentre scuoteva la testa: “Non sarà affatto difficile, trattarla come un uomo.” Fu il suo unico commento.
D’accordo, dovevo stare calma.  La calma è la virtù dei forti. Piegai in quattro la forchetta e cercai di ignorare il prurito che sentivo alle dita. Se cominciavo ad innervosirmi quella sera stessa, a Solaria non ci sarebbe arrivato nessuno di quello sgangherato esercito di buffoni.
“Tranquillo Herman, non sforzarti troppo, apprezzo anche solo che tu sia riuscito a mettere in fila tre parole per rispondere” risposi, maligna.
Le sopracciglia dell’omone si aggrottarono, ma prima che potesse dire qualcosa venne preceduto da Joy: “Bene, mi fa piacere vedere che vi siate chiariti in modo così amichevole. Adesso però alzate le chiappe, questo posto comincia a starmi stretto. Oh, Lina, questo non vale anche per te, ovviamente.”
“Ovviamente” risposi, gelida. Nessuno diceva a Lina Inverse di alzare le chiappe e viveva tanto a lungo per raccontarlo, questo era poco ma sicuro.
Gli uomini cominciarono a sollevarsi con uno sferragliare di spade e armature, mentre Joy finiva di sorseggiare il suo vino. Gli lanciai un’occhiata torva, osservandolo controvoglia e, sempre controvoglia, dovetti ammettere che, in fondo, non era malaccio per essere un ignobile omuncolo. Forse troppo giovane per essere già a capo di un gruppo di mercenari, ma senza dubbio dotato del carisma sufficiente per farsi seguire da quella marmaglia. Aveva un fisico asciutto e modellato, riccioli neri che gli cadevano sulla fronte e grandi occhi grigi. In quel momento posò il bicchiere e si rivolse a Gourry.
“Gourry! Che fai, non ti aggreghi?”
Lo spadaccino sorrise, un sorriso calmo e tranquillo, e scosse la testa.
“Ma su! In nome dei vecchi tempi!” Insistette Joy.
“Non mi sembra il caso” rispose Gourry, lanciandomi una breve occhiata. Sembrava improvvisamente a disagio e la cosa mi insospettì. A cosa si sarebbe dovuto aggregare, esattamente?
Joy spalancò la bocca.
“Oh. Scusa, non avevo capito che voi due stavate… insieme” disse, osservandoci con più attenzione, mentre Gourry tossicchiava e giocherellava con alcune briciole di pane.
Ci misi qualche istante a capire la situazione, e mi sentii avvampare, le guance color porpora.
Joy gli stava chiedendo di andare in un bordello? A giudicare dall’espressione imbarazzata di Gourry, che non osava neppure guardarmi in faccia, dedussi che le cose dovevano stare proprio così.
Nel frattempo lo sguardo del mercenario continuava a rimbalzare tra di noi. Dovevo intervenire prima che potesse farsi un’idea sbagliata sulla situazione.
Presi un profondo respiro: “Qual è il problema Gourry? Se vuoi andare con questi avanzi di galera a fare le ore piccole, io non ho niente da ridire” esclamai, fissandomi la punta degli stivali.
Gourry si voltò verso di me.
“Non ho nessuna intenzione di…” bisbigliò. Ma io lo interruppi.
“Dico sul serio. Se vuoi… svagarti con i tuoi vecchi compagni d’arme, vai. Non stiamo insieme, dopotutto. Non stiamo insieme affatto” dissi, sollevando lo sguardo verso Joy. “Siamo solo amici: ognuno per sé” affermai, con una sicurezza tale da non lasciare dubbi.
“Sentito Gabriev? La tua guardia del corpo ti lascia la libera uscita!”
Dopo alcuni secondi Gourry si sollevò, senza staccarmi gli occhi di dosso.
“Fino a prova contraria, dovrei essere io la sua guardia del corpo” disse, vagamente risentito. “Ma dato che insisti, Lina… del resto, l’hai detto tu: siamo solo amici.”
“Appunto. Ricordati solo che domani la sveglia sarà all’alba” aggiunsi, inspiegabilmente ferita dal tono che aveva usato.
Mi passarono a fianco, mentre Joy sghignazzava ribadendo per l’ennesima volta: “Proprio come ai vecchi tempi!” e una fitta mi fece attorcigliare lo stomaco. Doveva essere il polpettone.
Sentii che la porta si richiudeva alle spalle di tutta la comitiva, mentre la quiete tornava a regnare nella sala.
Ero rimasta da sola, seduta al tavolo, e per tutto il tempo avevo controllato che la punta dei miei stivali rimanesse dov’era.
All’improvviso percepii un’ombra che mi sovrastava, e voltandomi di scatto mi trovai davanti al naso il volto rubicondo dell’oste:
“Signorina, lo paga lei il conto del tavolo, vero?”

Una ventina di minuti più tardi me ne stavo con la fronte appoggiata al vetro umido della mia camera, a sbollire la rabbia e... la delusione? La città di Telmord dormiva sotto una coltre scura, al di là del vetro avvertivo il lontano gracchiare di un uccello notturno. Sospirai e lasciai che mantello e spallacci cadessero dalle mie spalle con un tonfo, con un strana fretta mi sfilai i guanti, e quasi lanciai via gli stivali. Poi mi sedetti sotto alla finestra, e incrociai le braccia al petto.
Un triangolo di luce lunare illuminava il pavimento davanti ai miei piedi, mentre nell’intimità di quella solitudine mi torturavo le dita, cercando di dare un senso a quell’inspiegabile vuoto che avevo dentro.
Avevo commesso un errore accettando di viaggiare con quei tizi. Erano uomini stupidi e arroganti, capitanati da un uomo stupido e arrogante. Non capivo come potesse Gourry trovarli tanto divertenti…
Non stava più bene con me? Era la compagnia maschile che gli mancava? Non che con me si potesse aspettare di frequentare certi posti, naturalmente.
“Al diavolo, non sono una bambina, e nemmeno una vecchia bigotta! Lo so anch’io cosa fanno gli uomini per divertirsi…”
Era vero, in effetti, mi ero forse convinta che Gourry non avesse certi bisogni? Era fatto di carne e di sangue, come tutti.
“E poi non mi interessa, può andare con chi gli pare, fare quello che gli pare…” borbottai tra me e me. Eravamo solo amici, del resto. L’avevo detto io, l’aveva confermato lui. Solo amici.
Però…
Qualcuno doveva dirgli che avrebbe potuto prendersi qualche orribile malattia. Quello mi riguardava, eccome. Era la mia guardia del corpo, non potevo lasciare che si ammalasse proprio mentre eravamo in missione. Inoltre, non era cosa nota che in posti del genere era molto facile essere raggirati e derubati? Gourry non aveva forse nelle tasche i soldi della refurtiva venduta all’antiquario?
Dovevo assolutamente impedire che accadesse qualcosa… ai miei soldi!
Rianimata mi sollevai, infilandomi in tutta fretta gli stivali, e dopo aver appeso la spada alla cinta afferrai il mantello, lanciandomi fuori dalla porta.
Ma quando arrivai in fondo al corridoio, per poco non finii dritta addosso a qualcosa che intralciava il passaggio. A chi poteva venire in mente di piazzare una statua in mezzo al corridoio? Ma, soprattutto, da quando le statue… sospiravano?
Improvvisamente mi resi conto che la sagoma nell’oscurità non era affatto una statua.  Avvampai, mentre i miei occhi si abituavano all’oscurità, realizzando di trovarmi a pochi passi da due persone che si baciavano appassionatamente appoggiate alla parete. Le guance in fiamme, non riuscivo più a muovere un muscolo nel terrore di rendere nota la mia presenza, facendo la figura della guardona! Lentamente cominciai ad arretrare, sempre più imbarazzata dai sospiri e dai rumori di quei baci, che nel silenzio del corridoio risultavano amplificati. Fu a quel punto che avvenne l’irreparabile: inciampai nel mantello.
Mi sono sempre chiesta per quale assurdo motivo, quando si cerca di fare meno rumore possibile, si finisce sempre per scatenare il putiferio.
Mentre cadevo tentai inutilmente di aggrapparmi alle pareti, con l’unico risultato che caddi a terra stringendo tra le mani un arazzo decorativo, il quale mi si attorcigliò intorno, impedendomi ogni movimento.
La coppia sussultò, staccandosi, e sentii che la donna emetteva un gridolino, mentre l’uomo estraeva la spada dal fodero: “Chi va là?” chiese, con voce dura.
Non vedevo niente, e tentai di liberarmi dal pesante sudario che mi ricopriva. Quando riemersi da sotto la stoffa vidi che la donna aveva acceso un lume, ed entrambi mi fissavano con aria perplessa.
“Io… ecco, per caso sapete dov’è il bagno?” balbettai, patetica.
I due si scambiarono una breve occhiata, lei aveva ancora un’espressione di puro terrore stampata sul volto, dopodiché l’uomo rimise la spada nel fodero:
“Ragazzina, nessuno ti ha mai detto che è pericoloso andare in giro da sola a quest’ora della notte?”
Perfetto, ci mancava solo la paternale di Casanova.
Abbozzai un sorriso: “S-scusate…” farfugliai, e cercando di trascinarmi dietro l’arazzo, da cui non ero ancora riuscita a liberarmi, indietreggiai fino a fuggire nel vero senso della parola, tornando a rifugiarmi nella mia stanza.
Era la giusta conclusione di una giornata disastrosa.
Scostai le coperte del letto e mi ci infilai sotto ancora vestita, senza neppure togliere gli stivali.
Mi raggomitolai, cercando di scacciare dalla testa l’immagine di quei baci appassionati, di cui poco prima, mio malgrado, ero stata spettatrice involontaria, e improvvisamente sentii scendere una lacrima sulla guancia.
Non avrei potuto impedire che Gourry si prendesse qualche strana orribile malattia; mi sarebbe toccato tenergli la mano in punto di morte mentre si pentiva di aver assecondato quell’idiota del suo vecchio compagno d’arme…
Quattro ore dopo, il cielo cominciava a rischiarare. Nel dormiveglia agitato in cui mi ero assopita, un rumore richiamò lentamente la mia coscienza. Dei passi strascicati nel corridoio, la maniglia della porta accanto alla mia stanza che si abbassava e, infine, il rumore di una spada e di un’armatura che venivano lasciate cadere pesantemente a terra.
Mi portai le ginocchia al petto e tirai le lenzuola fin sopra la testa.
Detestavo Joy.
Lo detestavo, lo detestavo, lo detestavo.

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Capitolo 4
*** La sfida ***


capitolo 3
 La sfida

'Un vestito rosso è ancora rosso quando nessuno lo guarda?' (Michel Pastoureau)

Decisi che quella mattina avrei mantenuto un atteggiamento pacato e indifferente. Dei drammi avvenuti la notte appena trascorsa non avrei fatto parola. Del resto, quasi li ricordavo a malapena…
Questo forse non spiegava il fatto che me ne stessi appostata dietro alla porta sala da pranzo, senza trovare il coraggio di entrare, ma in fondo era un dettaglio irrilevante.
Insomma, volevo solo farmi un’idea della situazione, tutto qua. Conosci i tuoi nemici, prima di agire. E agire, in quel caso, significava liberarsi di quella banda di sfigati prima che Gourry avesse tempo di dire il nome Joy ancora una volta. Una sola volta in più sarebbe stato troppo per le mie orecchie. Joy doveva scomparire dalla nostra vita con la stessa velocità con cui sarebbe scomparsa la mia colazione dopo aver sistemato quella situazione, e volevo farlo nel modo più rapido e indolore possibile. Per me, si intende, non di certo per loro.
Ma, naturalmente, come tutti gli sporchi lavori, occorreva una certa dose di classe, se capite cosa intendo. Non potevo certo far saltare in aria la locanda e tutti i suoi avventori, per quanto l’idea mi allettasse. E, soprattutto, non potevo dire a Gourry che stavo per rimangiarmi la parola data e ritrattare sul viaggio che intendeva compiere con il suo vecchio amico. Mi avrebbe preso per una psicopatica.
Spiai la sala gremita. I mercenari, che sedevano allo stesso tavolo della sera prima, si stavano ingozzando di pane nero e aringhe affumicate, lardo fritto e uova strapazzate, buttando giù tutto con abbondanti sorsate di birra scura. Di Gourry non c’era traccia.
Per forza, la sera prima era rientrato all’alba, ricordai di malumore.
Stavo per decidermi finalmente a varcare la soglia quando una voce, alle mie spalle, mi fece trasalire.
“Ehi, ma tu non sei la ragazzina che se ne andava in giro per i corridoi bui, questa notte?”
Voltandomi di scatto mi ritrovai faccia a faccia con il cavaliere che la sera prima avevo interrotto sul più bello. Alla luce del giorno notai che dimostrava meno anni di quanti glie ne avessi dati alla fievole illuminazione della torcia. Era alto e avvenente, con sottili e lisci capelli neri, raccolti in una coda, e occhi scurissimi e leggermente a mandorla. Lo fissai a bocca aperta, le guance paonazze al pensiero della patetica figuraccia di quella notte.
“Veramente, io…”
“I tuoi genitori dove sono? Non ti sarai persa, spero.”
Il solito maledetto equivoco.
Stavo per ribattere a tono, ma lui non me ne diede il tempo. Si sporse verso l’ingresso, scostando la tenda, e mi spinse nella sala. Il risultato, ovviamente, fu che tutti si voltarono verso di noi.
“Grazie, ma c’è un grosso equivoco: non ho dieci anni!” esclamai, sgusciando via, ben lieta di levarmelo dai piedi… solo per rendermi conto che mi stava seguendo. Lo guardai accigliata, ma lui continuava a sorridere, fino a che entrambi non arrivammo davanti al tavolo cui sedevano i mercenari.
Joy sollevò lo sguardo dal piatto, e si fece scuro in volto. Sventolando una pagnotta ci fece segno di prendere posto.
“Fefetevi” farfugliò, senza smettere di masticare. Lanciai uno sguardo sospettoso al cavaliere, che si trovava ancora al mio fianco, e vidi che scuoteva la testa con un sorrisetto:
“Joy, sarebbe più appropriato finire di masticare prima di usare la bocca per qualsiasi altra cosa.” Commentò, con lo stesso tono asciutto con il quale si era rivolto a me la sera prima.
Joy si ripulì la bocca con la manica della giubba: “Nayden, sarebbe più appropriato se non mi angustiassi con le tue cosiddette buone maniere fin dal primo mattino” brontolò, seccato, prima di spostare lo sguardo su di me.
“Vedo che vi siete già conosciuti. Lina viaggerà con noi fino a Solaria” spiegò, brevemente.
Nyden si grattò una guancia, lanciandomi una rapida occhiata:
“Da quando arruoliamo dei bambini? Comunque sì, ho avuto il piacere di conoscere la signorina questa notte, mentre era tutta intenta nel rubare un tappeto.”
Per poco non caddi a terra.
“Non stavo affatto rubando quello stramaledetto tappeto!” sibilai, indignata. “Oltretutto, a proposito del viaggiare assieme…” ma proprio mentre stavo per dare il benservito a Joy, una voce ben nota mi fece trasalire.
“Buongiorno.”
Voltandomi mi trovai davanti lo spadaccino, la chioma dorata più arruffata del solito, e un paio di occhiaie violacee sotto allo sguardo stanco. Sembrava si fosse trascinato fuori da una cassa da morto e la cosa non mi rallegrava particolarmente. Intendiamoci, già non era molto sveglio di per sé…
Ma prima che potessi trovare qualcosa da ridire sul suo aspetto cadaverico, Joy mi precedette.
“Il buongiorno si vede dal mattino, eh amico? Tieni, tirati su” esclamò Joy, lanciando una mela verso lo spadaccino. Con un rapido movimento, e senza esitazioni, le dita di Gourry si strinsero saldamente attorno al frutto. Eccolo qua, il mio compagno di viaggio. Il cervello di un lombrico e i riflessi di una pantera.
Cercai di scrutare nei suoi occhi, nel tentativo di cogliere qualche indizio che mi svelasse cosa era accaduto quella notte, ma lui evitò il mio sguardo. Una cosa piuttosto insolita per Gourry, che non mancava mai di elargire sguardi amichevoli e sorrisi radiosi.
“Stavamo facendo le presentazioni” disse Joy, distogliendo la mia attenzione da Gourry. “A quanto pare Lina ha già conosciuto Nayden.” Poi, indicando lo spadaccino, si rivolse al cavaliere “ E questo è Gourry, Gourry Gabriev, un amico di vecchia data e uno dei più abili spadaccini dell’intera penisola.”
Lo sguardo di Nayden si fece carico di stupore:
“Tu sei Gourry Gabriev? Onoratissimo” disse, stringendogli la mano con sincera ammirazione. “Le tue imprese sono quasi leggenda… Gourry Gabriev, non ci posso credere, il portatore della spada di luce.”
Gourry fece spallucce: “Un tempo, forse. Adesso ho una normalissima spada” si limitò a commentare, con umiltà.
“Sì, ho sentito che l’arma leggendaria è andata perduta. Ma se tu sei Gourry Gabriev, conoscerai sicuramente colei che impugnò quell’arma per sconfiggere il gran demone Shabranigdu, la ragazza prodigio…”
“Parli di Lina?”
“Sì! Lina Inverse, la massima esperta di magia che sia mai…”
Finalmente qualcuno si degnava di nominarmi, dannazione! Iniziavo a pensare che saremmo andati avanti con quella sviolinata su Gourry fino alla notte dei tempi. Ma prima che il mio elogio potesse essere portato a degna conclusione, Gourry mi posò un palmo sulla testa, battendoci sopra un paio di volte con fare fraterno: “ Certo che ne ho sentito parlare, eccola qua!”
Il silenzio che seguì, unito allo sguardo di assoluta confusione di Nayden, fece del tutto precipitare quel poco di buonumore che c’era in me.
 Decisi di anticipare qualunque cosa avesse avuto in mente di dire: “Sì, se te lo stai chiedendo sono proprio Lina Inverse, non hai capito male. E no, non sono così piccola da non poterti far saltare tutti i denti dalla bocca, se solo lo volessi” grugnii, afferrando uno sgabello e sedendomi alla tavolata.
“Oh, ma non è per la statura…” disse a quel punto Nayden, titubante. “È solo che ti credevo un po’ più agile, ecco tutto.”
Avvampai, mentre Gourry mi rivolgeva uno sguardo perplesso.
“Sai, quello che è successo questa notte…” proseguì Nayden.
“Io…” Stavo per dare in escandescenza, ma la voce di Gourry mi precedette:
“Cos’è successo questa notte?” domandò, allarmato.
Sbuffai: “Niente che possa essere di tuo interesse.”
“Lina, non ne avrai combinata una delle tue mentre io non c’ero, vero?” insisté Gourry, aggrottando le sopracciglia e facendomi infuriare.
Dannazione, doveva proprio usare quel tono da paternale davanti a tutti quei soldati? E poi, io lo avevo forse interrogato sui suoi passatempi notturni?
“Se anche qualcuno avesse avuto intenzione di staccarmi la testa dal collo, non sarebbero affari tuoi, visto che eri impegnato altrove. Quindi levati dalla faccia quello sguardo da cane bastonato. È  tutto a posto, Gourry…” Sospirando mi sollevai il menù davanti alla faccia e mi ci immersi, estraniandomi da quanto mi circondava. Per me la faccenda si chiudeva lì.
Mi concentrai su quel pensiero, e cercai di rimanerci aggrappata anche quando Gourry prese posto di fianco a Joy, e li sentii ridere e scherzare su chissà quali cose eccezionali avvenute in tempi che avrei definito troppo remoti per poter avere ancora una qualche importanza. Ai miei occhi, almeno.
“Altro sidro?” Una voce femminile mi fece sobbalzare nel bel mezzo delle mie attente riflessioni sul carpaccio di salmone, e voltandomi mi sorpresi nel constatare che a parlare era stata niente di meno che la donna che avevo sorpreso quella notte in compagnia di Nayden. La ragazza mi lanciò una breve occhiata, reggendo la caraffa del sidro, dopodiché distolse lo sguardo imbarazzata, e si apprestò a versare da bere ai mercenari. Lanciai una breve occhiata a Nayden, ma sembrava del tutto indifferente alla presenza della donna, che nel frattempo era tornata al mio fianco.
“Puoi darglielo, per favore?” disse, allungando verso la mia mano un bigliettino ripiegato più volte.
“Cosa?” domandai, confusa, mentre lei si allontanava. Ma quando mi voltai per chiamarla, mi sentii gelare il sangue nelle vene.
Sulla soglia della sala da pranzo c’era l’oste. Sul volto un’espressione assai poco amichevole, e nella mano destra il tappeto intrecciato che avevo ammucchiato nell’angolo della mia stanza dopo che me l’ero trascinato dietro la sera prima.
“Tu!” gridò, additandomi.
Mi guardai attorno spaesata, fingendo di cercare con lo sguardo a chi si riferisse l’oste, ma lui ribadì il concetto, dissipando ogni dubbio:
“TU! Ragazzina!” urlò furibondo, sventolando l’arazzo davanti a tutti, mentre sentivo gli sguardi dei presenti posarsi su di me.
“Dice a me?...” domandai, sgranando gli occhi più che potei.
“Ladra di reliquie!”
Eh?
Vidi lo sguardo di Gourry saettare vigile dall’uomo alla sottoscritta, e la sua mano cercare d’istinto l’elsa della spada. Doveva essere ormai un riflesso involontario: minacce - spada.
L’oste nel frattempo, sempre con uno sguardo minaccioso, si era avvicinato al tavolo.
“Questo è il prezioso arazzo che il mio trisavolo appose alla parete quando costruì questa locanda! Non permetto a nessuno di impadronirsene, men che meno a una mocciosa che puzza ancora di latte!”
Ecco, mi stava facendo arrabbiare. Dovevano sempre farmi arrabbiare prima di colazione, dannazione?
“E a chi vuole che importi di quel tappeto pulcioso?” gridai, sbattendo il tovagliolo sul tavolo e issandomi davanti a lui in tutto il mio metro e cinquanta. Joy nel frattempo aveva abbassato la forchetta.
“E allora come ti spieghi il fatto che si trovasse nella tua stanza, piccola ladruncola?”
Ladruncola?... alla grande Lina Inverse, geniale maga e terrore di tutti i banditi?
Ma come osava quel… quel…
Feci appena in tempo a vedere Gourry che, con fare esperto, faceva sollevare i mercenari dal tavolo indicando loro la porta della locanda.
“Quando le pulsa la vena sulla tempia in quel modo, mi creda, non c’è praticamente nulla che si possa fare o dire per farla ragionare…” stava spiegando a un ignaro avventore, che stringeva ancora tra le mani una coscia di pollo mentre veniva accompagnato all’uscita.
“Fireball!”

Quando raggiunsi i mercenari li trovai con delle espressioni sgomente stampate sul volto. Uno di loro, il più lento, cercava di estinguere il filo di fumo che si levava dal suo mantello.
Mi schiarii la voce, gettando alle mie spalle i capelli in un gesto teatrale, poi piantai le mani sui fianchi.
“Con me non si scherza. Ho una soglia di pazienza ai minimi livelli e tendo a irritarmi per delle inezie. Chiaro?”
Continuavano a fissarmi, muti.
Uomini avvisati, mezzi salvati. Forse.
Solo Joy non sembrava particolarmente colpito. Si avvicinò a Gourry e lo sentii che gli bisbigliava a un orecchio: “Che caratterino! Ti sei scelto una bella croce da portare, eh amico?”
Gourry sospirò, guardando nella mia direzione. Sembrava preoccupato. Non volevo sapere quale risposta avrebbe dato al suo amico.
“Comunque direi che è ora di metterci in marcia. Non raggiungeremo mai Solaria perdendoci in chiacchiere” dichiarai, sistemandomi il pugnale lungo nella cinta. Avevo una missione da portare a termine, io, e una ricompensa da intascare.

Dopo qualche ora di marcia silenziosa raggiungemmo una radura, dove ci fermammo per una sosta. Quella banda di bifolchi era attrezzata peggio di gruppo di bambini alle prese con spade giocattolo e fantocci di stoffa. C’era chi affilava vecchi coltelli rubati in chissà quale cucina, chi si premurava di lisciare le pieghe di un logoro mantello, e addirittura chi si calcava sulla testa pentole e coperchi, spacciandoli per estrosi cimieri.
Solo Nayden, in disparte, lucidava scrupolosamente la lama di una splendida e raffinata spada, avvolto in un pesante mantello nero.
Il mio sguardo si spostò curioso su di lui. Era apparentemente l’elemento di disturbo del gruppo. Troppo ricercato per amalgamarsi a quei comuni soldati, sembrava uscito direttamente da una ballata romantica per far sognare le fanciulle a occhi aperti. Nayden non era un qualunque mercenario, ci avrei messo la mano sul fuoco. Sentendosi osservato il ragazzo sollevò lo sguardo, sorridendo ammiccante nella mia direzione. Era un modo di fare che avrei dovuto aspettarmi da un tipo come lui, sempre pronto a sedurre chiunque avesse la ‘fortuna’ di respirare la sua aria. Eppure mi dette i nervi lo stesso.
Dovevo ammettere che ultimamente mi saltavano i nervi un po’ per qualsiasi cosa. Ma come potete darmi torto? Ero circondata da uomini che avevano sostituito il cervello con delle lenticchie, mi sembrava un motivo più che sufficiente per sentirmi frustrata dal corso degli avvenimenti.
In quel momento un fischio acuto mi perforò i timpani. Joy stava chiamando a raccolta i suoi uomini: era arrivato il momento di rimettersi in marcia. Sospirando mi sollevai, ricordandomi perché detestavo viaggiare in gruppo. Non potevo seguire i miei ritmi, ero costretta ad adeguarmi agli altri. Io e Gourry, dopo tutti quegli anni, costituivamo una squadra perfetta, eravamo calibrati per funzionare assieme al massimo della nostra efficienza, compensando l’una le carenze dell’altro e viceversa. Gettai un’occhiata rassegnata al mio amico. Per la prima volta camminava lontano da me, dall’altra parte della fila. Si era creata una situazione di strano imbarazzo tra di noi, che non riuscivo a decifrare. Sapevo solo che il binomio Gourry-Joy non mi piaceva. Non mi piaceva affatto.
Era quello il problema. Joy.
Mi scrocchiai le dita prima di incamminarmi davanti a tutti. Contavo di risolvere il problema Joy prima di arrivare a Solaria. Oh sì, molto, molto prima.

Camminavamo già da diverse ore, e mi ero già sciroppata i racconti, minuziosamente documentati, di alcuni tra i più celebri scontri a cui avevano partecipato quei soldati. Roba che se solo avessero saputo contro chi avevamo combattuto io e Gourry in passato, si sarebbero nascosti sotto al letto piangendo e invocando la mamma.
Mi massaggiai le tempie e repressi uno sbadiglio. Non avrei potuto annoiarmi in modo peggiore.
Gourry era lontano da me, e il suo sguardo non mi aveva cercato neppure per un momento.
Non che lo stessi controllando, si capisce. Ma che razza di guardia del corpo era uno che non si preoccupava di verificare, di tanto in tanto, se la sua protetta non stesse correndo dei rischi?
Non è necessario che facciate dei commenti in proposito.
Colpii un sasso con la punta dello stivale, e lo vidi rotolare avanti, raggiungendo le caviglie di Nayden. Il ragazzo si voltò e sorrise per l’ennesima volta, mentre i lucidi capelli neri riflettevano il riverbero del sole.
Se continui così ti verrà una paralisi irreversibile, Casanova.
“Ehi Lina, non starai cercando di farmi inciampare di proposito per avere la scusa di soccorrermi?”domandò, ammiccante. Gli lanciai uno sguardo disgustato… e per poco non gli finii dritta addosso.
Gourry, a capo della fila, si era fermato di colpo e aveva estratto la spada dal fodero con una mossa tanto fulminea da lasciare senza fiato.
Mi misi sulla difensiva, e avvertii quello che il mio compagno di viaggio, dotato di riflessi fuori dal comune, aveva percepito prima degli altri: qualcuno ci stava osservando, nascosto tra la vegetazione.
“Qualcuno che ha voglia di iniziare la giornata nel peggiore dei modi…” sussurrai, vigile.
Anche i mercenari si erano bloccati, e alcuni di loro si guardavano attorno con le sopracciglia aggrottate.
Appoggiai la mano sull’elsa del pugnale e vidi che Nayden, al mio fianco, faceva la stessa cosa:
“Goblin…” mormorò, e prima che avessi avuto modo di replicare, una ventina di quei viscidi esseri fecero la loro comparsa dal fitto della boscaglia.
Con la spada riuscii a metterne fuori gioco un buon numero, ma evidentemente quelle stupide creature erano troppo limitate per rendersi conto che davanti alla grande Lina Inverse l’unica soluzione per evitare conseguenze catastrofiche era una fuga immediata.
“Fireballs!” Esclamai, mentre il globo infuocato scaturito dalla mia mano destra si schiantava contro tre goblin. “Bel colpo!” Echeggiò la voce di Nayden, al di là della nuvola di fumo che mi avvolgeva. Storsi il naso, e cercai un altro bersaglio, non era male come attività per movimentare un po’ quella noiosissima mattinata! Ma quando mi voltai mi si strinse lo stomaco: davanti ai miei occhi, Gourry e Joy combattevano schiena a schiena, impugnando le spade, con movimenti perfettamente coordinati tra di loro. Rimasi interdetta davanti a quella scena, mentre una vocina nel mio inconscio mi faceva notare quanto fossi stata stupida a credere che Gourry avesse una sintonia quasi simbiotica solo con me.
Quel momentaneo di smarrimento, tuttavia, mi costò più di qualche ostinata riflessione. Senza che me ne rendessi conto, una di quelle viscide creature si avventò su di me, brandendo una lurida accetta. Avvertii un dolore sordo al fianco sinistro, mentre il sangue mi colava tra le mani. Confusa guardai con rabbia verso il mio assalitore e provai a richiamare alla mente qualche incantesimo, quando una voce mi precedette:
“Flare Arrows!”
Il goblin venne spazzato via dalla furia delle fiamme, mentre anche gli ultimi superstiti decidevano che era giunto il momento di levare le tende. A quel punto lanciai un’occhiata stupita verso chi aveva lanciato l’incantesimo, e rimasi a fissare interdetta il sorriso di Nayden.
“Lina, tutto bene?” Mi chiese il ragazzo, avvicinandosi.
Lo stavo ancora fissando, sorpresa, e dovetti sbattere le palpebre un paio di volte:
“Tu… sei un mago” cominciai, ma in quel momento mi giunse la voce di Gourry:
“Lina…” esclamò, avvicinandosi. Coprii la ferita con il mantello, e nascosi la mano macchiata di sangue: “Tutto bene” minimizzai, davanti a Nayden. “Sarà meglio muoverci, non mi stupirei se quegli esseri schifosi siano andati a chiamare i rinforzi” aggiunsi, superando lo spadaccino senza degnarlo di uno sguardo. L’ultima cosa che volevo era che si rendesse conto che ero rimasta ferita in una battaglia dannatamente stupida, quindi strinsi i denti e mi incamminai, contando di utilizzare una magia di guarigione non appena mi fosse stato possibile.

Portai per l’ennesima volta la mano sotto al mantello, faceva un male cane. Gourry mi aveva guardato sgomento, ma non aveva detto niente. Se c’era una cosa di cui gli ero grata, era che capiva sempre quando non era il caso di darmi il tormento. Anche se in quel caso forse ne avrei avuto disperato bisogno. Sapevo che mi sarebbe bastato uno sguardo per dargli modo di capire quanto anche solo camminare mi fosse difficile in quel momento, ma era proprio quello che volevo in tutti i modo impedire. Ce l’avevo con me stessa, per essermi fatta cogliere in castagna come una pivella. Così me ne stavo zitta, e camminavo in fondo alla fila cercando il momento giusto per fare qualcosa prima che il dolore diventasse troppo acuto.
“Sei un po’ palliduccio, bonsai…” disse Herman, comparendomi accanto.
Sospirai:
“Questo si chiama ‘avere una pelle diafana’ Herman, ed è una prerogativa delle fanciulle delicate come me, razza di bestione…” replicai a denti stretti, mentre mi premevo la mano sul fianco, cercando di non darlo a vedere.
Hermann si grattò una guancia: “Diafana? Non so di che parli, piccolo bonsai. Ma di fanciulle delicate non ne vedo nessuna! Rise di gusto, come se avesse detto la battuta più divertente del mondo, mentre in realtà aveva detto la cosa più ovvia alle mie orecchie, abituata com’ero a spiritosaggini di quel tipo.
Feci per replicare, ma improvvisamente, davanti ai miei occhi, Hermann si sdoppiò, per poi triplicarsi. Tutto  intorno a me stava sbiadendo, mentre dieci Herman mi fissavano roteando davanti al mio naso. Mi resi conto che sarei finita dritta a faccia a terra se le mani del bestione non mi avessero recuperato giusto in tempo: “Ehi! Che ti prende?” domandò, quando sollevai verso di lui occhi stanchi e annebbiati. Per fortuna eravamo in fondo alla fila e non attirammo sguardi indiscreti.
Lo sguardo di Hermann si spostò sulla screziatura di sangue che gli avevo lasciato sul braccio, quando mi ci ero aggrappata per non rovinare a terra, e la comprensione si disegnò sul suo volto.
“Sei ferita…” constatò, ma prima che potesse proseguire, lo zittii:
“Non è niente, è solo un graffio…” borbottai, digrignando i denti.
“Ma…”
“Niente ma! Non voglio che tutti si debbano allarmare per un semplice graffio…”
Gli occhi scuri di Hermann mi scrutarono con attenzione, mentre cercavo di recuperare l’equilibrio, dopodiché:
“Ehi, capo!”
“Herman, ti prego!” Tentai di bloccarlo, ma la mano del mercenario mi fermò.
“Capo, facciamo una pausa, non mi sento più le gambe!” Gridò l’omone, mentre i soldati che camminavano davanti a noi si fermavano, girandosi a osservarlo.
Sentii Joy dall’inizio della fila sospirare:
“Mi sembrava strano che non l’avessi ancora chiesto, Hermann. E va bene, ragazzi, facciamo una pausa!”gridò, portandosi le mani a coppa agli angoli della bocca.
“Grazie…” sussurrai al mercenario, pallida e sfinita.
“Non mi ringraziare stecchino, non sarebbe stato divertente vederti crollare esangue, bianca come un cencio…” Mi guardò serio: “Sai cosa fare con quella ferita, vero?”
“Sì.”
“Molto bene, allora ti conviene sbrigarti, le pause di Joy si riducono al minimo indispensabile quando si prospetta un guadagno cospicuo all’orizzonte.” E detto questo mi diede le spalle, diretto verso gli altri uomini, dandomi modo di intrufolarmi di soppiatto nella vegetazione, rivolta al corso d’acqua che avevo sentito scorrere non lontano da lì durante il tragitto.

I primi effetti del recovery cominciavano a darmi sollievo, mentre un tenue tepore si propagava intorno alla ferita, accelerando il processo di cicatrizzazione. Sospirando sedetti con la schiena appoggiata al tronco di un albero, e mi sfilai il guanto imbrattato di sangue, contando di scendere a sciacquarlo al torrente che mi scorreva dinnanzi non appena  l’incantesimo fosse completato.
Non erano passati che pochi minuti, quando un lieve frusciare alle mie spalle annunciò l’arrivo di qualcuno che si stava facendo largo fra la boscaglia.
“Gourry…?” sussurrai, quasi d’istinto, affidandomi all’inconscio desiderio di vederlo affiorare dalle fronde degli alberi, per venire a dirmi che andava tutto bene.
Fu una grossa delusione quando al mio sguardo apparve Joy.
“Eccoti dunque, è qui che ti sei nascosta” commentò, scrutandomi. “Gourry ti cercava…”
Mi rannicchiai contro alla corteccia, irritata dalla sua vicinanza, e mi avvolsi il mantello attorno al corpo.
“Non è possibile avere nemmeno cinque minuti di privacy a quanto pare…” borbottai, sperando che il mio sguardo truce lo convincesse ad allontanarsi il prima possibile. Tuttavia, con mio grande rammarico Joy scacciò una grossa pigna con la punta dello stivale, e sedette al mio fianco.
“Un po’ di compagnia non si nega a nessuno.”
“Dipende dal tipo di compagnia…”
Joy sollevò un sopracciglio, appoggiando la guancia sul pugno chiuso.
“Io non ti sto molto simpatico, vero Lina?”
“No, non molto.” ammisi, sollevata dal fatto che il discorso stesse prendendo quella piega. Ora che eravamo soli, sarebbe stato ancora più facile chiarirgli il fatto che della sua compagnia, io e Gourry ne facevamo volentieri a meno.
Ma Joy non si scompose:
“Non fa niente, non pretendo di piacere a tutti. E comunque, detto tra di noi, nemmeno tu mi sembri un mostro di simpatia. Mi chiedo cosa trovi di tanto interessante Gourry in te.”
Una sfumatura di rabbia si dipinse nel mio sguardo. Ma prima che potessi rispondergli per le rime, Joy parlò di nuovo: “Perché sai, Lina, è davvero strano che Gourry  si interessi a qualcosa per più di una settimana, qualcosa che non sia una spada, intendo. O, come minimo, è strano ai miei occhi. Gourry non è così. Non lo era, almeno.”
Le iridi grigie di Joy riflettevano il mio sguardo spaesato. “Tu credi di conoscerlo molto bene, vero?” Mi chiese in un sussurro.
Mi schiarii la gola ma, nonostante tutto, la mia voce uscì roca:
“Forse sei tu che credi di conoscerlo, e invece non sai niente di lui. Non più. Le persone cambiano in dieci anni.”
Joy sorrise:
“Te ne do atto. Dieci anni sono tanti, eppure… sai una cosa, Lina? Nonostante sia passato tutto questo tempo, sapevo che ieri sarebbe venuto con me. Ma tu, tu non ne avevi idea, vero?” Il suo sorriso beffardo si allargò davanti al mio sguardo basito. “Le persone non cambiano, Lina. E, come vedi, a un uomo fa sempre piacere riaffrontare certi argomenti, se capisci cosa intendo.” Lo sguardo di Joy si fece malizioso.
Io scossi la testa, mi sentivo vacillare.
“Quali argomenti…?” balbettai, confusa.
“Argomenti dai lunghi capelli e dalle morbide curve, Lina. Gourry ne ha affrontati tanti, in passato. Però credo che da quando viaggi con te tu gli abbia fatto, come dire, da limite?”
Sentivo che la mia mano tremava, sotto al mantello. Mi costrinsi a respirare profondamente:
“Io non sono un suo limite; ha deciso Gourry di viaggiare con me, quando si stuferà, sarà libero di scegliere la strada e la compagnia che più gli sarà congeniale…”
“Sei sincera?” Mi chiese Joy, scrutandomi.
“Perché non dovrei?”
“Perché vedi…” Joy prese tempo “Ti fa troppo comodo avere Gourry al tuo fianco, e questo mi fa pensare che forse lui non è poi così libero come sembra. Mi spiego meglio. Tu sei Lina Inverse, giusto? Ma tutte le imprese grandiose che si vocifera tu abbia compiuto negli ultimi anni, non sono, in fondo, il risultato della tua collaborazione con Gourry? Shabranigdu l’hai sconfitto grazie alla sua spada, no?”
Ero immobile, sentivo la gola secca e le mani sudate. Desideravo zittirlo a tutti i costi, invece mi ritrovavo quasi soggiogata dalle sue parole. Stava tirando fuori tutte le mie paure più inconsce e profonde, sbattendomele in faccia. Con che diritto mi parlava in quel modo?
Joy proseguì:
“Quindi dimmi, Lina, non è un vantaggio avere qualcuno come Gourry al tuo fianco? Io credo di sì. Ed è per questo che sono convinto che se decidesse di andarsene, non la prenderesti molto bene. Non hai mai pensato che questo tuo atteggiamento lo possa far sentire obbligato nei tuoi confronti?”
“Io…”
No. Non ci avevo mai pensato.
Joy sogghignò. Tutta la sua cortesia della sera prima stava scemando lentamente, per far posto al rancore, assolutamente ricambiato, che provava nei miei confronti.
“Sai Lina, quando viaggiavamo insieme, Gourry era una persona completamente diversa. Ma io e lui, insieme, eravamo una grande squadra. E sono sicuro che anche lui lo ricorda bene, e chissà… forse lo rimpiange, tu che dici?”
“Dico che queste assurdità mi hanno stufato…” Ringhiai, sperando di non dar a vedere quanto quelle parole mi ferissero.
“Vuoi sapere che tipo di uomo era Gourry, il Gourry che conoscevo io?”
“No!”
“Non importa, te lo dirò stesso: era un uomo arrabbiato Lina.” Joy mi guardò gravemente “E invece sai che uomo è il Gourry di adesso?”
Avrei voluto strillargli in faccia che sì, lo sapevo bene, tante grazie, poteva anche tapparsi quella bocca boccaccia.
Gourry era un uomo gentile e sorridente, sempre pronto ad aiutare chi ne aveva bisogno, sempre pronto ad aiutare… me.
Ma la risposta di Joy mi lasciò congelata, come pietrificata.
“Il Gourry che vedo adesso è un uomo frustrato, Lina. Ma tu forse non te ne sei nemmeno accorta. Sei così concentrata su te stessa da non vedere ciò che ti circonda. Eppure, pensaci. Cosa ti rende tanto speciale? Gourry è la risposta.”
Lo guardai in cagnesco. Era un bene che Joy avesse deciso da subito di giocare a carte scoperte, almeno avremmo evitato un sacco di inutili convenevoli.
“Dove vuoi arrivare, Joy? Perché dubito che questo tuo discorsetto sia privo di un qualche scopo…”
Un leggero alito di vento smosse le foglie sopra di noi, smorzando per un breve attimo la muta tensione che si era creata.
Joy emise un sospiro:
“Infatti. Fino a due giorni fa sai, non lo avrei detto, ma Gourry mi mancava. Penso che averlo incontrato di nuovo sia stato un segno del destino, perché vedi, io e lui, eravamo davvero grandi. E potremmo ancora esserlo. Quindi ti sfido, Lina. Alla fine di questa missione, Gourry verrà via con me. Ne sono sicuro. Giocheremo a carte scoperte, ma senza colpi bassi. Gourry dovrà sentirsi libero di scegliere, e se alla fine sceglierà di restare con te, mi farò da parte senza problemi.”
“Tu… tu sei completamente pazzo!” Sbottai. “Gourry non è un giocattolo, e non si può comprare, o…”
“Lo so. Per questo non saprà mai di questa nostra conversazione, Lina.”
 “Non ho intenzione di ascoltare una parola di più” esclamai, sollevandomi. L’incantesimo aveva curato quasi del tutto la ferita, e senza degnare Joy di uno sguardo gli diedi le spalle, incamminandomi verso il resto del gruppo. Solo quando sentii che si stava avviando dietro di me mi bloccai:
“E tanto per la cronaca, Joy, se c’è qualcuno qui che ha un disperato bisogno di qualcuno come Gourry, quello mi sembri tu, visto che i tuoi uomini non metterebbero paura ad un gattino. È la banda di mercenari più penosa e patetica che io abbia mai visto…” dissi, felice, per una volta, di non sentire risposta alle mie spalle.
Raggiunsi Gourry e lui si diresse verso di me a grandi passi.
“Lina, che fine avevi fatto? Mi hai fatto preoccupare!”
I suoi occhi azzurri trasmettevano sincera ansia, e gli sorrisi gentilmente:
“Tranquillo Gourry, è tutto a posto” lo rassicurai, posandogli brevemente la mano sull’avambraccio.
Lo spadaccino si rasserenò ma io non mi sentii sollevata. Avvertivo lo sguardo di Joy su di me e non era piacevole. Non lo era affatto.
Quando Gourry si fu allontanato mi si affiancò.
“E va bene Lina, hai vinto una partita, non la guerra… Goditi questo momento, perché non ce ne saranno altri…”
“Sei patetico” risposi solo, senza guardarlo. “Non prenderò parte a questo stupida sfida.”
Ma non ottenni risposta, Joy si era già allontanato, richiamando gli altri uomini.
Mi scrocchiai le dita, e cercai di mantenere un’aria spensierata. Non volevo prendere parte a quella ridicola gara su chi riusciva ad aggiudicarsi la fiducia di Gourry. Era una cosa grottesca.
I miei occhi scorsero la fila, e mi ritrovai a fissare la lunga chioma dorata del mio compagno di viaggio.
Non avevo dubbi che Gourry non fosse l’uomo che dipingeva Joy. Non più, come minimo.
… Ma non potevo fare a meno di chiedermi cosa sarebbe stato di me se lui avesse spostato il suo sguardo altrove. Se se ne fosse veramente andato con Joy… cosa avrei fatto a quel punto?

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Capitolo 5
*** Un incontro inaspettato ***


capitolo 4
Un incontro inaspettato

‘Tutte le famiglie felici si somigliano. Ogni famiglia infelice, è infelice a modo suo.’ (Anna Karenina, Lev Tolstoj)

“E va bene Lina, hai vinto una partita, non la guerra… Oh, che paura mi fai, maledetto idiota!” Imprecai, scagliando mantello e spada sul letto della mia stanza. La spada rimase alcuni istanti in bilico sul bordo, dopodiché cadde rumorosamente sul legno imbarcato del pavimento.
Sobbalzai. Avevo i nervi tesi come corde di violino.
“Stupida spada. Stupida locanda… stupido viaggio!” mugolai, osservando accigliata i nuvoloni neri che si addensavano oltre i vetri sporchi della finestra. Mai temporale mi era sembrato più consono all’umore e probabilmente anche all’espressione che vestivo in quel momento.
“Maledetto, viscido, subdolo….” imprecai a denti stretti, mentre mi sfilavo i guanti e mi lasciavo cadere fra le lenzuola umide. Tutto era umido, intorno a me.

“Ci conviene fermarci per la notte.” Aveva detto Nayden nel tardo pomeriggio, lanciando un’occhiata sfiduciata al cielo nero.
“Non mancano che poche miglia a Solaria…” aveva subito protestato Joy, parandosi davanti al mago con l’aria di qualcuno che non ha intenzione di perdere nemmeno un secondo del suo preziosissimo tempo.
“Appunto.” Aveva replicato con tutta calma Nayden “Non ci vorrai arrivare in piena notte, e completamente fradicio, spero? Che figura ci facciamo? Meglio prendersela con calma, alloggiare in qualche locanda, far passare la bufera e presentarsi al granducato domani con un aspetto quantomeno dignitoso, non trovi?”
Joy si era incupito, ma non aveva più aperto bocca. Non ero ancora riuscita a stabilire che tipo di gerarchia ci fosse tra quei due. Joy era chiaramente il capo della banda, i mercenari rispondevano a lui. Eppure Nayden aveva sempre l’ultima parola, e non capivo da dove gli derivasse tutta quell’autorità. Sembrava essere l’unico in grado di abbassare l’ego di Joy e di questo, sinceramente, gli ero parecchio grata.
Dovevo avere un’espressione piuttosto soddisfatta, perché quando lo sguardo del mercenario incrociò il mio lo vidi stringere gli occhi a due fessure.
“Sentito Lina? Ci fermeremo per la notte, così potrai riposarti, visto che, con quella brutta ferita devi esserti stancata parecchio…” disse, ad alta voce, con finta preoccupazione.
“Cosa?” Gourry mi si era affiancato, e mi guardò aggrottando le sopracciglia.
“Gourry!” esclamai “Potresti evitare di comparirmi alle spalle come un fantasma!” Lo rimproverai, ma lo spadaccino non pareva intenzionato a lasciar cadere la questione.
“Sei ferita?” insistette, guardandomi preoccupato.
Oh, fantastico.
“No! Certo che no!...”
Joy si fece avanti:
“Avanti Lina, io credo che con Gourry tu possa parlarne. Se lo hai confidato a me puoi dirlo anche a lui…” Mi batté due o tre volte la mano sulla spalla, dopodiché si rivolse allo spadaccino.
“Lina non voleva dirtelo per non farti preoccupare, amico. La ragazza vuole fare l’eroina, ma si vede che ormai non ce la fa più a reggersi. Così ho deciso di fermare il gruppo, e alloggiare in una locanda per questa notte, per darle modo di riprendersi completamente.”
Gourry sembrava confuso.
“Quando ti sei fatta male? È grave?”
“Durante lo scontro con i Goblin” ammisi. “Ma è già tutto passato, mi sono curata con un Recovery e…” spiegai, dovendo però fermarmi davanti allo sguardo incupito del mio compagno di viaggio. Uno sguardo preoccupato e ferito insieme, che voleva dire solo una cosa: delusione, e impotenza.
Ma non durò che pochi attimi. Gourry si riscosse e si voltò verso Joy:
“Joy, grazie. Per la sosta e per tutto il resto. Lina a volte è davvero troppo orgogliosa per ammettere i suoi limiti. Sono sollevato almeno dal fatto che a te ne abbia parlato.”
Quelle semplici parole mi colpirono come schiaffi. Joy stava mettendo in atto il suo progetto di demolizione della nostra amicizia partendo dalle fondamenta: fiducia e sincerità.

Guardai il pallido cerchio che la luna, sbucando dalle nuvole, proiettava sul soffitto della mia camera da letto. Dovevano essere passate da poco le undici di sera, e in quel preciso istante mi resi conto di un’ovvietà che mi fece rabbrividire: non avevo ancora cenato!
Mi sollevai di scatto e piombai sulla porta come un falco in picchiata, prima di arrestarmi colta da un dubbio: Gourry era sceso a cena senza chiamarmi o era ancora nella sua stanza, dove si era chiuso senza rivolgermi la parola?
Da quando viaggiavo con Gourry non eravamo mai stati così distanti. Certo, c’erano state molte litigate, sfociate spesso in vere e proprie risse. Ma mai rancori. Non così prolungati, come minimo.
Non da parte di Gourry, soprattutto.
Ero io quella che metteva i musi lunghi. E non duravano mai più di una decina di minuti. Perché stare con Gourry, viaggiare con lui, significava avere a disposizione una scorta pressoché illimitata di serenità e spensieratezza. Gourry era la mia pace, la mia ancora nelle tempeste.
Solo in quel momento, solo da quando Joy aveva fatto irruzione nella nostra consolidata quotidianità, sconvolgendo i nostri equilibri, me ne stavo lentamente rendendo conto…
Non potevo lasciare che Joy si insinuasse tra di noi come fumo nero, appannando e minando quanto di più caro avevamo: la nostra reciproca fiducia l’uno nell’altra. Rianimata da quella consapevolezza abbassai la maniglia e aprii la porta, diretta alla stanza di Gourry.
Bussai piano e lasciai passare alcuni secondi. Avvertii le molle del letto che scricchiolavano, oltre l’uscio, ma non ottenni risposta.
“Gourry? Ci sei?” Chiesi, schiarendomi la voce.
Nulla. Stava facendo l’offeso?
Sospirai. Non era da Gourry, comportarsi così. E non era da me indugiare. Ma non avevo alcuna voglia di buttare giù la porta, ero troppo stanca anche per quello. Così accostai il viso al legno scrostato e parlai:
“E va bene. Non vuoi aprire. Posso capirlo, ma sappi che sei in errore, Gourry. È vero, non ti ho detto nulla della ferita perché non volevo farti preoccupare, ma non ne ho parlato nemmeno con Joy, credimi. Se ne è semplicemente accorto da solo!”
Appoggiai l’orecchio alla porta, cercando di captare qualche rumore all’interno, ma tutto taceva.
“Gourry…” mormorai “Sai benissimo che se avessi ritenuto di non poter affrontare il viaggio per questa stupida ferita te ne avrei di certo parlato. Sei la mia guardia del corpo, maledizione, e il mio migliore amico. E…”
Mi bloccai. La saliva mi si era addensata in gola e per un istante mi vidi per quella che ero: una stupida appoggiata ad una porta chiusa, che parlava con il nulla. Perché finché nessuno mi rispondeva non si poteva dire che stessi dialogando con qualcuno.
Il mio sguardo si rabbuiò:
“…E adesso sono stufa di giustificarmi. Quindi se non vuoi aprire fai come credi, non perderò altro tempo a parlare con un idiota che non ha nemmeno la cortesia di farmi entrare! E tanto perché tu lo sappia, il tuo amico Joy ha una spiccata attitudine per le menzogne. E se preferisci  credere a qualcuno che non vedevi da dieci anni, piuttosto che a me, bene, non abbiamo più niente da dirci!” Feci quella sparata tutta d’un fiato, senza nemmeno rendermi conto che nella stanza qualcuno si era alzato e adesso stava lentamente girando il chiavistello della porta.
Mi irrigidii, pronta a confrontarmi con qualunque cosa Gourry avesse avuto intenzione di dirmi, ma quando la porta si aprì, una inaspettata nuvola di fumo mi avvolse, facendomi tossire. Solo dopo che mi fui ripresa potei constatare, con rammarico, che chi mi guardava dalla soglia della porta non era affatto Gourry…
“Joy!” esclamai, al colmo dell’indignazione, mentre gli ultimi strascichi di tosse mi facevano sobbalzare.
Il mercenario mi osservava annoiato, appoggiato allo stipite, la sigaretta tra l’indice il medio.
“Fino a prova contraria, sono proprio io” disse, portandosi la sigaretta alle labbra e aspirando una lunga boccata di fumo che espirò gettandomela in faccia.
Era troppo per i miei nervi fragili.
Lo afferrai per il collo della maglia. Mi superava di almeno due teste, ma quello non era mai stato un problema. Quasi tutti quelli a cui mettevo le mani addosso mi superavano in altezza.
“Tu sei un… un…”
“Bugiardo. Lo so.” Finì la frase per me, per niente intimorito dalla mia aggressione.
“Sei anche un bugiardo! Ma prima di tutto sei un essere spregevole….” Gli abbaiai in faccia, spingendolo poi contro alla parete, il più lontano possibile da me, lui e la sua vomitevole sigaretta.
“Lina, Lina… se non ti conoscessi direi che te la sei presa per quella piccola scaramuccia di questa sera…” “Infatti non mi conosci. Non mi conosci affatto!” gridai. “E che diavolo ci fai nella stanza di Gourry? Non starai rubando le sue cose, mi auguro…”
“Questa è anche la mia stanza, sai? Io e Gourry dividiamo tutto, lo abbiamo sempre fatto. Tu, invece… sbaglio, o la signora chiede sempre una stanza tutta per sé nei posti in cui vi fermate a dormire?”
“E con questo?” mi risentii.
“Mi sembra pretenzioso da parte tua, tutto qua. Voglio dire, potresti tranquillamente dividere con lui il letto, dubito che Gourry potrebbe anche solo sentirsi vagamente attratto da una tavola da stiro come te…”
Avvampai, furibonda. Ma invece di strangolarlo, come avrei desiderato fare, lo lasciai andare. Le mie dita si scostarono da lui come se all’improvviso fosse diventato ustionante e indietreggiai di un passo. Joy si rese conto di aver trovato il mio punto debole e rincarò la dose.
“Lascia che ti riveli un segreto, cara Lina: se lasci passare troppo tempo prima che un uomo ti veda nuda, comincerà inevitabilmente a vederti solo e per sempre come una cara amica. Sai cosa significa questo?” mi chiese, e senza aspettare la mia risposta proseguì: “Significa che per lui sei e resterai una bimbetta senza seno che lo intenerisce al punto da spingerlo a seguirti e proteggerti come si farebbe con un cucciolo.” Espirò un filo di fumo dalle narici. “Ma non ti porterà mai a letto.”
Aprii la bocca, poi la richiusi. Infine scossi la testa. Indossavo abiti puliti e non volevo sporcarmi di sangue.
“Non hai capito proprio niente, di me e Gourry.” Ero pronta a difendermi dalle sue infide insinuazioni, ma lo sguardo che mi lanciò il mercenario mi costrinse a tacere:
“Io non capisco? Oh, Lina… Io capisco anche meglio di te, credimi. Il discorso che hai fatto prima davanti alla porta era abbastanza esplicito. Ma se vuoi continuare a credere a questa frottola dell’amicizia, chi sono io per infrangere i tuoi candidi sogni? Volevo solo metterti in guardia, per evitare al tuo piccolo cuore palpitante di spezzarsi: levatelo dalla testa, Lina. Quelli come Gourry non si innamorano di quelle come te.”
Gettò la cicca a terra, schiacciandola sotto lo stivale, e si allontanò nel corridoio buio, lasciandomi lì, colma di risentimento, davanti a una stanza vuota. La testa piena di confusi pensieri e i pugni serrati tanto che le nocche erano sbiancate nello sforzo.

Conoscevo solo un rimedio per mettere a tacere rabbia e frustrazione: riempirmi lo stomaco.
Scesi rapidamente le scale e varcai la soglia del ristorante; a quell’ora ormai non rimaneva più nessuno…
O quasi.
Il mio sguardo si concentrò su Nayden, che sedeva tutto solo nella sala deserta. Davanti aveva un bicchiere e una bottiglia di vino, che a quanto pareva doveva essere stata appena stappata.
Rimasi alcuni secondi incerta sul da farsi. Non sapevo se sedermi per i fatti miei o raggiungerlo, ma del resto il mago non sembrava essersi accorto della mia presenza, assorto com’era nei suoi pensieri profondi.
Tuttavia, il caso volle che proprio mentre stavo per prendere posto ad un tavolo poco più in là, i nostri sguardi si incrociarono.
“Ciao Lina, ti concedi uno spuntino di mezzanotte?” Sorrise, mettendo in mostra una perfetta fila di denti bianchi e scintillanti come perle.
“Già” tagliai corto. I suoi modi da gran seduttore erano l’ultima cosa con cui volevo avere a che fare quella sera. Ma Nayden non sembrava disposto a farsi sfuggire un’occasione per dare sfoggio del proprio fascino irresistibile. Scostò una sedia dal suo tavolo, e mi invitò tutto sorridente a prendervi posto con un cenno.
Io sospirai. Ero troppo stanca e amareggiata per mettermi a fare la difficile, e anche se non morivo dalla voglia di fare conversazione dovevo ammettere che mangiare in compagnia era molto meglio che consumare la cena arrovellandomi sulle parole di Joy. Parole che, per quanto insensate, continuavano a riaffacciarsi nella mia mente come un motivetto difficile da scacciare dalle labbra.
Nayden si rivolse al locandiere: “Può portare un altro bicchiere? Questa sera si brinda in compagnia!”
Cercai di ignorare le occhiate di Nayden e i suoi modi galanti, e quando arrivarono le pietanze mi ci gettai sopra senza farmi alcuno scrupolo. Il cavaliere non fece commenti, e versò due abbondanti coppe di vino, porgendomi il mio calice:
“Allora Lina, a cosa vogliamo brindare?”
Lo guardai perplessa:
“Dobbiamo necessariamente brindare a qualcosa?” domandai, di malumore.
“Beh, certo. Non lo sai che chi non beve in compagnia, o è un ladro o è una spia?” ironizzò Nayden.
Lo guardai con un lieve sorriso sulle labbra. Per me lui poteva essere benissimo entrambe le cose, bevuta o meno, ma decisi di non fare commenti:
“In questo caso sceglilo tu il brindisi, visto che ci tieni tanto…” dissi con noncuranza, sollevando a mia volta la coppa di vino.
“Bene, allora io direi di brindare alla missione: che ci porti fortuna e successo… e ci permetta di dimostrare tutto il nostro valore!” disse Nayden, con un leggero guizzo nello sguardo.
Annuii distrattamente, bevendo una lunga sorsata. Detestavo già abbastanza quella missione, senza che Nayden si mettesse a fare il filosofo.
“Lina” proseguì Nayden, dopo che ebbe posato il bicchiere “Posso chiederti una cosa?”
“Mmf” fu il mio solo commento, mentre mi abbuffavo.
Nayden si lisciò una ciocca dei lunghi e sottili capelli:
“Tu e lo spadaccino… Chi vi ha ingaggiato per questa missione?”
Deglutii, leggermente sorpresa da quella domanda: “La missiva era firmata con il sigillo del Granducato di Solaria. Non c’era nessun nome sulla lettera.”
Nayden si fece pensieroso.
“Posso vedere quella missiva? Ce l’hai qui?”
Quella frase, detta in tono leggermente sbrigativo, mi lasciò spiazzata. Posai la forchetta sul tavolo:
“A dire il vero no. L’ho lasciata in camera. Perché ti interessa tanto?” domandai, sospettosa.
“Semplice curiosità. Joy mi ha parlato delle missive uguali, e mi è sembrato strano, tutto qua. Voglio dire, tu sei la grande Lina Inverse e Joy… è solo Joy, ecco tutto.”
Continuai a osservarlo. In effetti, era la stessa identica cosa che avevo pensato anche io, decidendo che era inutile arrovellarsi, e che sarebbe stata la prima cosa che avrei cercato di scoprire una volta giunta a Solaria.
“Sai Nayden, a questo proposito, anche io avrei una cosa da chiederti. Cosa ci fa un tipo come te con la più penosa banda di mercenari che io abbia mai visto? Ma, soprattutto, cosa hai da spartire con un idiota come Joy?”
Mi ero aspettata uno dei suoi soliti sguardi ammiccanti, seguito da qualche risposta vaga, invece Nayden  fece spallucce, sospirando.
“Faccio solo il mio dovere, Lina. Tutto qua.” Bevve una sorsata di vino e mi guardò dritto negli occhi. “Joy è il mio fratello minore, voglio assicurarmi che non si cacci nei guai.”
Rimasi a bocca aperta. Quei due erano come il giorno e la notte, non si assomigliavano in niente. In niente.
E io gli avevo appena detto che consideravo suo fratello uno stupido di prima categoria. Ops.
“Nayden, non volevo…”
“Oh, non c’è problema. Penso anche io che mio fratello, quando ci si mette, sia un perfetto idiota.” Sorrise, ma era un sorriso freddo e distante. Di circostanza. “È sempre stato una spina nel fianco. Un bambino difficile che si è trasformato in un adolescente ribelle. Siamo rimasti presto senza genitori, ci ha cresciuti nostra nonna. Lei, beh… lo adorava, era l’unica persona che sia mai riuscita a relazionarsi con lui.  Quando è morta Joy ha deciso di farsi mercenario, se ne è andato di casa, e a quel punto sono cominciate le mie pene. Mio fratello è un tipo bizzarro, e nella maggior parte dei casi si comporta come un irresponsabile. Così ogni tanto faccio la mia comparsa, per assicurarmi che sia tutto a posto. Ma credimi, preferirei di gran lunga lavarmene le mani e lasciarlo al suo destino. È un uomo fatto, ormai, e io sono un po’ stufo. Ma ho promesso alla nonna che avrei vegliato su di lui.”
Giocherellò con il bordo del bicchiere, abbassando lo sguardo.
“Una promessa è una promessa” dissi, riflettendo sulle sue parole. Badare a Joy era per lui un compito gravoso, ma se lo era autoimposto perché aveva promesso. Mi suonava stranamente familiare…
“Talvolta le promesse, soprattutto quando fatte a cuor leggero, diventano strette come il nodo di un cappio” replicò Nayden, con uno sguardo così profondo che fui costretta a distogliere il mio. Non sapendo cosa replicare mi versai un'altra coppa di vino, portandola alle labbra.
In quel momento la porta della locanda si aprì, e un viso molto familiare fece il suo ingresso: Gourry aveva i capelli fradici, le ciocche scomposte appiccicate alla fronte.
Da quando avevamo messo piede in quella locanda non avevo saputo più nulla di lui, ne conseguiva che non avevo la più pallida idea  né da dove arrivasse, né tanto meno cosa avesse fatto in quelle lunghe ore fuori, sotto alla pioggia.
Il suo sguardo incrociò il mio e la sua espressione si fece tesa e guardinga, gli occhi che si spostavano interrogativi ora su me, ora su Nayden. Capii che si stava chiedendo cosa ci facevamo lì, da soli, a confabulare e bere vino insieme. Nayden lo salutò con un cenno del capo: “Non accenna a smettere, vero?”
Gourry si scrollò, e mentre lo faceva notai un particolare che non poteva non saltarmi agli occhi: nella mano destra reggeva la spada. Rendendosi conto del mio sguardo sorpreso lo spadaccino la rinfoderò in fretta, avvicinandosi.
“Viene giù a secchiate” disse, con un tono che mi parve forzatamente tranquillo.
“L’avevo detto a Joy” Nayden sembrava compiaciuto del buon esito delle sue previsioni. Afferrò la bottiglia, scuotendola. “Ti inviterei volentieri a berti un bicchiere con noi, ma temo non ne sia rimasta nemmeno una goccia. Io e Lina ce la siamo scolata tutta!”
Gli occhi di Gourry si strinsero, mentre io arrossivo.
“Sì, lo vedo” disse, lanciandomi una breve occhiata. Rivolsi la mia attenzione al bicchiere che mi rigiravo fra le dita, fingendo di non cogliere il suo sguardo su di me. L’aria si era fatta inspiegabilmente tesa e Nayden dovette intuirlo. Si alzò, stiracchiandosi.
“Mi duole privarmi della vostra compagnia, ma credo proprio che andrò a schiacciare un sonnellino: sono a pezzi e ho anche bevuto troppo” disse, sorridendomi ammiccante. L’aria seria con cui si era confidato solo pochi minuti prima sembrava svanita nel nulla.
“Credo… che andrò a dormire anch’io” dissi a mia volta, spingendo via il piatto. “Buona notte, Gourry.”
Avrei voluto chiedere e dire mille altre cose, ma la pesantezza che era calata tra di noi era talmente surreale che mi mancava quasi l’aria. Senza che ci stessimo necessariamente mentendo, nascondevamo ormai troppi segreti.
“Lina…” La voce di Gourry mi raggiunse, stanca. “Va tutto bene?”
Mi fermai. Lui chiedeva a me se andava tutto bene?
Lui, che da due notti scompariva chissà dove, che pendeva dalle labbra di quell’idiota e sembrava avere messo una pietra sopra alla nostra amicizia, mi chiedeva se andava tutto bene?
“Benissimo, Gourry. E a te, a te va tutto bene?” Lo scrutai, cercando una risposta. Ma i suoi occhi chiari, in genere limpidi e luminosi, mi sembrarono più torbidi che mai. E distanti.
Gourry fece un passo verso di me, ma si bloccò.
Per terra c’era un foglietto spiegazzato, proprio vicino alla punta del mio stivale. Gourry si chinò a raccoglierlo.
“Aspetta, hai perso questo” disse, incupendosi.
Sul biglietto erano scarabocchiate solo poche parole:

“Grazie per questa notte, è stata una delle più belle della mia vita. So che nessuno dovrà mai sapere di noi, quindi ti prego, non farne parola. Ma ogni volta che vorrai, io sarò qui per te, ricordalo sempre.”

Era il biglietto che la figlia del locandiere mi aveva chiesto di recapitare a Nayden, e che io mi ero dimenticata di  consegnargli. Levai immediatamente lo sguardo su Gourry:
“Gourry, guarda che io non… non è come pensi.”
Ma lo spadaccino mi bloccò gentilmente:
“Lina, ti assicuro che non devi spiegarmi proprio niente. Siamo solo amici, giusto? E a questo proposito, sai, volevo dirti che…” deglutì. Sembrava non trovare le parole giuste per proseguire. Alla fine sollevò il viso e parlò talmente veloce che faticai a capirlo: “Ci ho pensato, e non credo che tu voglia continuare ad avermi intorno ogni istante della tua vita.”
Aggrottai le sopracciglia, sbattendo le palpebre.
“Stai… stai scherzando? Perché è tardi, e io sono stanca e non sono per niente in vena di scherzi, credimi.”
Gourry scosse la testa, sospirando pesantemente.
“No, non sto scherzando Lina. E non credere che mi faccia piacere affrontare questo argomento, ma… presto o tardi avremmo dovuto affrontarlo. Ormai sono quattro anni che stiamo insieme” si morse le labbra, come se avesse appena pronunciato una sciocchezza. “Che viaggiamo insieme, volevo dire. E credimi, sono stati gli anni più belli della mia vita. Ma tu sei cresciuta e io… io ti sono solo d’intralcio, me ne rendo conto ogni giorno di più.” Mi guardò con un sorriso triste, e capii che il peggio doveva ancora arrivare. “Io non posso continuare a vegliare su di te come se tu fossi un’eterna bambina, perché non lo sei… non lo sei mai stata, in realtà. Un giorno vorrai avere qualcuno al tuo fianco, un compagno, se capisci cosa intendo. Le nostre strade si separerebbero comunque, prima o poi.”
Gourry sedette al tavolo, io rimasi in piedi. Prese un bicchiere e cominciò a giocarci distrattamente.
“Sono molto colpita da questo discorso, Gourry: è il più lungo che tu abbia fatto in vita tua. Peccato che sia anche completamente senza senso” dissi, acida. Ma mi sentivo le gambe molli. “Stai dicendo una marea di sciocchezze, spero che tu te ne renda conto: quando mai mi sei stato d’intralcio?” domandai, sperando che non avvertisse il tremito nella mia voce.
“Ma lo sarò, un giorno. Ed è questo che voglio… che devo evitare.” Gourry sembrava a corto di parole. Continuava a non guardarmi. “Lina, Joy mi ha fatto una proposta. E forse, la accetterò.”
Incassai il colpo senza battere ciglio. Cosa potevo fare? Infinite cose, ad essere sinceri. Una su tutte, sbattergli la testa contro al muro fino a farlo rinsavire. Invece rimasi immobile. Ero come paralizzata.
“Mi pianti per Joy” riuscii solo a mormorare. “Deve avere delle doti nascoste, perché a me sembra solo un dannato idiota.”
“Non vuoi capire, Lina…”
“No, sei tu che non capisci! Avevi promesso di restare al mio fianco per… per… beh, ma non importa, perché appena incontri un tuo vecchio compagno d’arme di quella promessa non ti importa più niente!”
Gourry si sollevò di scatto:
“Quella promessa, io non l’ho mai scordata! Ma non posso continuare a mantenerla se tu…”
Si bloccò di colpo. I suoi occhi riflettevano i miei: rabbia, paura e dolore. Un dolore sordo e incomprensibile.
“… Se io? Avanti Gourry, finisci di dire quello che stavi dicendo!” Il mio tono era duro, tagliente.
“Se tu ti innamorerai! Se vorrai passare la vita al fianco di un uomo… Che farò io a quel punto, me lo dici?”
Rimasi a fissarlo, a bocca aperta. Gourry abbassò lo sguardo. Il silenzio calò su di noi come una cappa scura e soffocante. E mentre guardavo Gourry capii che io, una possibilità del genere, non l’avevo mai nemmeno contemplata.
Innamorarmi?
E desiderare di passare la mia vita con qualcuno che non fosse… lui?
No, quel pensiero non mi aveva mai sfiorato. Ma a quanto pareva lui ci rifletteva da tempo. E sembrava aver tratto le sue conclusioni.
“In ogni caso, Lina, se ne parlerà dopo che avremo concluso questa missione…” buttò lì, con tono stanco e sconfitto.
“Non credo serva aggiungere altro. Volevo solo dirti che trovo molto nobile, da parte tua, voler portare a termine almeno questo impegno” replicai, gelida. “Buona notte” aggiunsi, sapendo che non sarebbe affatto stata una buona notte.
Gli stupidi malintesi di cui Joy si era tanto abilmente servito stavano provocando una frattura insanabile nel mio rapporto con Gourry, intrappolandoci in una rete di bugie ed equivoci.
A quanto pareva, dovevo ricredermi.
Il mercenario sapeva giocare abilmente alla guerra.


La mattina dopo sembravo l’ombra di me stessa. La gola secca e gli occhi gonfi, che quasi faticavo ad aprire, mi fecero ricordare che mi ero addormentata bagnando il cuscino di lacrime. Io, la grande Lina Inverse, avevo singhiozzato fino all’alba all’idea di perdere il migliore amico che avessi mai avuto, e...
Oh, ma era già acqua passata, in fin dei conti. Io, la più grande maga che il mondo avesse conosciuto, non avevo certo tempo da perdere con cose del genere. Mi sollevai dal bordo del letto, trascinandomi al catino. Il mio volto riflesso nel piccolo specchio ovale mi fece quasi paura: pallida e sfinita, con gli occhi che sprofondavano in due occhiaie violacee, sembravo uno spettro. Mi resi conto che avrei potuto negarlo fino alla morte, ma non sarebbe sfuggito a nessuno: ero a pezzi.
Mi portai una mano alla fronte:
“Fantastico, spero solo che il locandiere non mi chieda dove ho nascosto la bara…” commentai tra me e me, cercando di sistemare come meglio potevo i capelli schiacciati dal cuscino. Li tirai su, cercando di gonfiarne le radici, ma quelli ricaddero piatti, come sconfitti.
Un cespo di insalata, ecco cosa sembrava avessi sulla testa.
Ma in fondo, rimanevo sempre Lina Inverse, con o senza  lattuga al posto dei capelli.
E c’era una sola cosa che avrei potuto fare, in una mattina come quella: colazione.

Camminammo per tutta la mattina, e parte del pomeriggio. Ringraziavo gli dei per quel tempo da lupi: tirava un forte vento, costringendoci a tenere sollevati i cappucci e ad azzerare qualsiasi forma di conversazione.
Procedemmo fino al punto più scosceso della roccia, e da lì, finalmente, riuscimmo a scorgere il granducato.
“Bene, bene…” commentò soddisfatto Joy, grattandosi il mento. “Andiamo a vedere chi necessita del nostro aiuto.” E detto questo cominciò ad incamminarsi, seguito dagli uomini. Dopo pochi minuti eravamo rimasti solo io e Gourry sulla cima del pendio, mentre il vento sibilava forte intorno a noi.
Con la coda dell’occhio scorsi lo spadaccino osservarmi. Sembrava pensieroso.
“Non sei curiosa di sapere cosa ci aspetta laggiù?” disse, spezzando il silenzio. Erano le prime parole che ci rivolgevamo dalla sera prima.
Evitai di incrociare il suo sguardo, concentrando la mia attenzione sulle bandiere che sventolavano sulle torri del palazzo.
Solaria.
E poi… Se ne sarebbe andato.
“Cosa vuoi che ci aspetti, Gourry? Un vecchio castello ammuffito, nobili con la puzza sotto al naso… la solita solfa, insomma” risposi, truce. “Ma ci conviene darci una mossa, non ho intenzione di lasciare che Joy arrivi per primo, soffiandomi il lavoro!” dissi, stringendo le labbra. “Oh scusa, Gourry… Non volevo essere così scortese col tuo futuro compagno di viaggio..” aggiunsi, sarcastica.
“Lina…”
“Non dire niente, ti prego. Ho un mal di testa terribile e non ce la farei proprio a sopportare un’altra marea di idiozie come quelle di ieri sera.”
Gli passai a fianco senza aggiungere altro, mentre il mio sguardo tornava a scrutare le guglie a merlo che correvano intorno al palazzo, avvertendo un brivido percorrermi la schiena. Sarà anche stato un vecchio castello ammuffito ma… metteva una strana inquietudine.

Fu solo quando varcammo l’enorme portale ad arco che scorsi con chiarezza cosa mi aveva inconsciamente turbato dal nostro ingresso a palazzo: tutto era molto, troppo scuro. Forse dipendeva dalle alte ma strette finestre, unica fonte di illuminazione in quella sala, escludendo il fievole bagliore di due candelabri che affiancavano lo scranno, per il momento vuoto.
Lasciai che i miei occhi si abituassero progressivamente alla poca luce di quel luogo, troppo spazioso per risultare angusto, ma egualmente angosciante. Statue, arazzi, affreschi… Tutto in quella stanza era maledettamente cupo. L’arredatore doveva essere un tipo oscuro, decisi, scorgendo le lunghe ombre dei gragoyles di pietra che si allungavano sul grande pavimento a scacchi bianchi e neri.
Anche i mercenari si guardavano attorno con una certa inquietudine, un’ansia incrementata dal fatto che all’ingresso le guardie ci avevano gentilmente intimato di lasciare qualsiasi tipo di arma in loro custodia.
In quel momento entrò nel salone un servo ad annunciare l’ingresso della duchessa.
“La granduchessa Rebecca Di Tunham” comunicò, con fare sussiegoso, mentre una donna alta e superba attraversava a passo spedito il salone, avvolta in una lunga veste nera. Prese posto sul seggio e ci scrutò con attenzione.
Dimostrava una quarantina d’anni, e doveva essere stata una donna avvenente in passato. Ora era solo molto magra e spigolosa, e i suoi capelli, di un pallido castano, erano arrotolati in strette trecce e celati alla vista da un lungo velo nero.
“Voi dovete essere la compagnia di ventura che ho chiamato per scortare me e le mie figlie a Sailunne.”
Joy si fece avanti:
“Al suo servizio, mia signora. Sono Joy Shadow e questi sono i miei uomini.”
“Shadow…” mormorò la duchessa, rivolgendo un lungo sguardo a Joy. “Ma certo.”
Quel villano, nonostante tutte le smancerie di cui era capace, non si era nemmeno degnato di inchinarsi alla sua presenza. Lo sguardo della duchessa si spostò poi su di me, incuriosito.
“E da quando i mercenari ingaggiano delle donne nella loro compagnia?” domandò, con un tono di leggero disprezzo.
A quel punto ritenni necessario intervenire, onde evitare spiacevoli inconvenienti:
“Signora, io sono Lina Inverse e non ho nulla spartire con questi uomini: ho ricevuto a mia volta una missiva in cui si parlava di un incarico che avrei dovuto svolgere proprio qui, nel granducato di Solaria.”
La duchessa aggrottò le sopracciglia, sembrava dubbiosa. Ma fu solo un attimo.
“Vogliate scusarmi, ma non mi sono occupata personalmente del vostro ingaggio. Ad ogni modo, dato che siete entrambi qui, suppongo che potrete collaborare egregiamente per svolgere il compito che intendo proporvi…”
Sia io che Joy facemmo per protestare, ma la voce di Rebecca ci anticipò:
“Mio marito, il Granduca di Solaria, ci ha lasciati la settimana appena passata.” Esordì, greve. “E io temo che la sua morte non sia da attribuire a un fatale incidente quanto, piuttosto, all’empia mano di qualcuno.”
Un profondo senso di disagio calò all’improvviso su tutti i presenti. Se non altro, questo spiegava l’atmosfera lugubre e l’abbigliamento funesto della padrona di casa: l’intero ducato era in lutto per l’assassinio del suo duca.
Rebecca proseguì:
“Ora, a seguito di questa sciagura, intendo recarmi personalmente nel regno di Sailunne, ove chiedere protezione al principe Philionel. Il lavoro che vi chiedo, quindi, è quello di scortare me e le mie figlie dal granducato di Solaria al sacro regno di Sailunne. Reputo che questo posto non sia più sicuro, per noi.” La duchessa ci studiò, attendendo in silenzio che assimilassimo le informazioni appena ricevute.
Mi chiesi che tipo di alleanza legasse Sailunne a Solaria, due città completamente opposte per attitudini e stile di vita. Sailunne, la città bianca, e Solaria… beh, ce l’avevamo davanti agli occhi: era scura come le ali di un corvo. Abbassai lo sguardo sul pavimento a scacchi, scrutando le piastrelle bianche e nere che si susseguivano in una armoniosa alternanza. Una geometria perfetta di chiari e scuri.
Ad ogni modo, non erano fatti miei: il lavoro mi sembrava un’inezia, tanto più che mi avrebbe dato l’occasione di rivedere Amelia, e prendere parte ai banchetti di Phil. Ma, soprattutto, mi avrebbe garantito un discreto guadagno. Soldi facili, per una volta.
“Signora, avete la mia parola che raggiungerete Sailunne senza correre il minimo rischio. Ovviamente, tenendo conto del compenso dovuto…” aggiunsi, scoccando un’occhiataccia a Joy.
Rebecca annuì:
“Ma è chiaro. Molto bene, desidero disporre al più presto ogni cosa per la partenza. E, naturalmente, intendo presentarvi le mie figlie…” disse, mentre la porta da cui lei stessa aveva fatto il suo ingresso pochi minuti prima veniva aperta dallo stesso servo, che però non fece in tempo a fare il suo annuncio ufficiale con la stessa fermezza. Una ragazza, che poteva avere suppergiù la mia età, mise piede nel salone, camminando spedita e sprezzante. Il lungo abito nero frusciava ad ogni altezzoso passo, facendo tutt’uno con i capelli corvini, legati in una treccia arrotolata sul capo. Gli occhi erano tizzoni ardenti.
Le lanciai uno sguardo meravigliato, mentre ci superava senza degnarci di uno sguardo, e con modi bruschi si dirigeva verso la madre, accennando appena un inchino svogliato. Immaginavo di sapere cosa stavano pensando tutti gli uomini presenti nella sala: era di una bellezza tale da lasciare senza fiato.
Prima che Rebecca avesse modo di presentarcela, la ragazza le si rivolse con tono aspro e lamentoso:
“Madre, Anouk è sparita, come suo solito. La servitù sta diventando matta a cercarla, e io non trovo nessuno che mi sistemi le valige! Questa storia deve finire, io esigo che le mie richieste vengano esaudite subito!”
Rebecca tese le labbra in una linea sottile:
“Sarebbe gradito che tu ti presentassi con decoro, invece di comportarti sempre come una bambina capricciosa.”
La ragazza a quel punto, dopo aver emesso un sospiro impaziente, ci rivolse un breve sguardo.
“È un piacere fare la vostra conoscenza. Sono la figliastra del duca, Camelia.”
Nel silenzio imbarazzato che aveva seguito il suo ingresso solo una voce ebbe il coraggio di levarsi.
“Camelia, come il fiore. E ne avete anche la stessa, delicata bellezza.”
Ci voltammo tutti verso quel poeta mancato che era Nayden. Joy sembrava furibondo.
“Taci, per gli dei!” sibilò al fratello, che guardava la duchessina come un gatto osserva un pesce rosso in una boccia.
Camelia inarcò un sopracciglio, ma dopo aver appurato che quell’apprezzamento arrivava dall’uomo alto e bello, quello con il sorriso smagliante, decise di soprassedere sulla sconvenienza dell’affermazione. Gli sorrise maliziosa, poi si voltò e, con lo stesso passo deciso lasciò la stanza, segna degnare nessuno né di un saluto, né di uno sguardo.

Un’ora dopo eravamo ancora in attesa nel cortile principale, mentre la servitù caricava bauli su bauli nella carrozza in cui avrebbero viaggiato la duchessa e le figlie.
“Che noia…” sospirai, scalciando una pietra con la punta dello stivale. Gourry, seduto al mio fianco, represse uno sbadiglio.
A quanto pareva, la figlia minore di Rebecca era praticamente introvabile, e tutta quanta la servitù, escludendo quella adibita al carico dei bagagli, si stava affannando nella sua ricerca.
Joy dava delucidazioni su come sistemare al meglio i bauli, al fine di impedire che se ne andassero per conto loro sulle strade sterrate che avremmo dovuto percorrere, e Nayden lucidava scrupolosamente la sua spada, ed ero quasi certa che stesse escogitando qualche strategia per sedurre quella civetta di Camelia lungo il tragitto.
Io e Gourry ce ne stavamo con le spalle al muro, godendo del timido calore irradiato dal sole, e della relativa quiete che si era creata dopo il nostro ultimo alterco.
Per il quieto vivere avevo deciso di deporre l’ascia di guerra. Senza contare che tenergli il muso era una faticaccia: rimanere arrabbiata con Gourry mi risultava praticamente impossibile.
Quello che provavo, in realtà, aveva più a vedere con la tristezza che con la rabbia. E ogni volta che ripensavo alle parole che ci eravamo scambiati la sera prima sentivo un nodo stringermi lo stomaco. Ma non volevo fargli capire quanto la sua decisione di porre fine al nostro viaggiare insieme mi facesse soffrire. Se voleva davvero andarsene, doveva sentirsi libero di farlo. Non l’avrei tenuto legato a me con le lacrime e i sensi di colpa.
“Lina…” disse a quel punto Gourry, stirando le braccia sopra alla testa “Senti, posso farti una domanda?”
“Se proprio non puoi farne a meno.”
“Sapevi che Phil garantiva protezione al granducato di Solaria?”
“A dire il vero no. Però la cosa non mi stupisce più di tanto. Sailunne è la capitale della magia bianca, non trovo strano che si offra di sostenere un alleato in difficoltà. In fondo stiamo parlando di Solaria, non di Zephilia…”
Per quanto, anche Solaria non scherzasse in quanto ad arti oscure…
Gourry annuì, poi il suo sguardo si fece dubbioso.
“E cosa pensi della missiva? Intendo, il fatto che Rebecca sapesse di aver convocato Joy, ma non te…”
Quell’affermazione mi irritò. Ma, ora che ci pensavo…
Scattai in piedi di colpo.
“Lina! Che ti prende?” Chiese Gourry, colto di sorpresa dal mio movimento repentino.
“Mi è appena venuto in mente che devo controllare una cosa!” esclamai, mentre mi allontanavo velocemente “Torno subito!”
Corsi fino all’ingresso del palazzo e, una volta certa di essere sola, estrassi dalla tasca la lettera col sigillo che mi era stata recapitata. Conoscevo abbastanza bene la burocrazia di corte da sapere che di ogni documento ufficiale, a cui era stato apposto il sigillo, doveva esserci anche una copia a nome di chi l’aveva redatto, scrupolosamente conservata nell’ufficio del cancelliere. Ero diretta proprio lì.
Con un po’ di fatica riuscii a trovarlo, e mi ci intrufolai senza problemi, nonostante la porta chiusa a chiave. Le porte chiuse a chiave non mi avevano mai fermato e dovevo ammettere che il palazzo versava nella confusione più totale, così nessuno fece caso a me o mi chiese spiegazioni.
Ebbene, se vi state chiedendo cosa ne sapessi di documenti ufficiali e via dicendo… non vorrei che vi facciate un’idea sbagliata: ho falsificato giusto due o tre cosette in vita mia, giuro!
Mi feci largo tra le librerie, aggirando una grossa e massiccia scrivania, su cui stavano impilate pergamene e buste, timbri e calamai. L’odore persistente della carta si mescolava a quello della cera e a quello più dolce dell’inchiostro; sfogliai velocemente una pila di documenti, frugai indisturbata nei cassetti alla ricerca dei timbri…
Quando, all’improvviso, mi bloccai. Qualcuno mi stava osservando, ne ero certa come ero certa di chiamarmi Lina Inverse. Immobile, avvertivo i battiti sordi del mio cuore nel silenzio che si era creato. E poi lo sentii. Il lieve tintinnio di un campanello. O meglio, un campanellino. Non ebbi nemmeno il tempo di levare lo sguardo per capire da che direzione provenisse perché, come una macchia d’oscurità, il misterioso osservatore silenzioso piombò sul tavolo di fronte a me, appoggiando agili e setose zampe felpate, rivestite di pelo color argento, e scompigliando le carte che stavo esaminando.
Feci un passo indietro, colta di sorpresa, e osservai il gatto acciambellarsi sul tavolo, senza smettere di fissarmi coi languidi e profondi occhi color ambra.
“Per gli dei… mi hai fatto prendere un colpo!” esclamai, senza riuscire a trattenere una risatina nervosa.
Il felino non si mosse, e non mutò la placida ma vigile espressione con cui osservava ogni mio spostamento; solo il lieve vibrare dei baffi gli conferiva una parvenza differente da quella di una statua di sale.
Notai che al collo portava un collare con un campanello, e quando mi riavvicinai, cauta, vidi che sul metallo era incisa una sola lettera: B.
Allungai una mano per sfiorargli il pelo argentato, che sfumava nel blu. Ma in quel momento, quasi come se si fosse svegliato da un incantesimo, il gatto si alzò, e balzò giù dal tavolo.
“E adesso che ti prende?” dissi, osservando la sua coda scomparire dietro un alto scaffale.
Incuriosita, dimenticai la questione della missiva, e seguii quella piccola scheggia grigia, quando, voltato lo scaffale, rimasi di sasso. Seduta ai piedi della libreria, con il gatto sulle ginocchia, c’era una bambina.
Doveva avere otto o nove anni, era vestita completamente di nero, e aveva lunghi e lisci capelli d’ebano, che le coprivano il volto. La secondogenita di Rebecca.
“Sei la duchessina Anouk?” chiesi, ignorata.
Decisi allora di provare ad avvicinarmi, nel tentativo di interagire con lei. Solo allora il gatto si alzò, venendomi vicino, e cominciò a strusciarsi contro alle mie ginocchia. Anche la bambina si girò verso di me, e dovetti farmi forza per non spalancare la bocca. Anouk aveva la parte sinistra del volto completamente sfigurata, con quelle che sembravano le cicatrici di una grave ustione, e i suoi occhi, di un indefinito grigio, recavano nel profondo delle iridi una tristezza difficile da comprendere.
Rimanemmo a fissarci in silenzio, studiandoci, fino a quando una voce non ci fece sobbalzare entrambe.
“Anouk! Grazie al cielo! Ti abbiamo cercato dappertutto…” Esclamò una serva, entrata in quel momento nella cancelleria.
La bambina non si scompose, lasciando che la serva la sollevasse gentilmente per una mano. Solo a quel punto la domestica sembrò accorgersi di me.
“Lei fa parte della scorta di mercenari, vero signorina? Ah, la ringrazio per aver trovato la duchessina.”
Mi risollevai, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal volto di Anouk, così orribilmente sfigurato, eppure, così enigmatico.
“Così sei proprio Anouk?” Le chiesi, provando ad usare un tono spigliato. “Molto piacere, io sono Lina, viaggeremo insieme, per qualche giorno…” Provai a presentarmi, nel tentativo di stabilire un contatto con quella strana ed ermetica bambina, me la serva mi bloccò gentilmente, e sempre tenendo Anouk per una mano, bisbigliò:
“Non si risenta, ma la duchessina non può risponderle: da tanti anni ha smesso di parlare.” E senza darmi modo di rispondere a quella affermazione si allontanò. “Andiamo Anouk, tua madre si è già spazientita abbastanza per tutto il tempo che le hai fatto perdere giocando a nascondino. E porta con te Babette, voglio evitare che quella gatta si intrufoli dove non la possiamo più trovare prima della partenza…”
Anouk si abbassò, e prese tra le braccia la grossa gatta grigia, che sembrava quasi enorme tra le sue gracili braccia, dopodiché uscì insieme alla serva, sempre vestendo quell’espressione di chi vive distaccato da tutto e da tutti.

“Allora, è tutto pronto, possiamo finalmente partire?” chiese Joy a Herman, che rimirava il suo capolavoro di assemblaggio dei bagagli sul tetto della carrozza. Qualcosa mi diceva che alla prima curva di quei bauli non avremmo più saputo nulla.
Gettai uno sguardo al palazzo, e finalmente vidi comparire la duchessa con le figlie. Tre figure in nero, che avanzavano seguite dalla servitù. Camelia procedeva sprezzante, con lo stesso sguardo algido della madre mentre, alle loro spalle, la serva con cui avevo conversato  poco prima scortava Anouk, tenendola per mano. Nell’altra mano reggeva una cesta, e capii che era lì che avrebbe viaggiato Babette. Si affiancarono alla carrozza e, in quell’istante, sbucato da chissà dove, fece la sua apparizione Nayden, offrendo la mano a Camelia per aiutarla a salire.
Dovevo ammettere che la sua vocazione da seduttore era quasi commovente.
La serva si piegò verso Anouk, dandole un breve bacio:
“Comportati bene…” Le intimò e, dopo averla aiutata a salire, passò la cesta a Joy, che aveva l’aria del cavalier servente, pur non avendo la minima intenzione di dare una mano.
“Che roba è?” chiese il mercenario, aprendo uno spiraglio per capire cosa si stesse muovendo dentro al cestino. Un’imprudenza che gli costò cara. Come una scheggia grigia la gatta schizzò fuori, arrampicandosi ad una folle velocità sul grosso albero che troneggiava nel cortile, i cui rami si estendevano sino a sfiorare la vetta di una torretta diroccata sull’ala est del palazzo.
“Fantastico!” esultai “Il premio ‘idiota della situazione’ è nuovamente nelle tue mani! Congratulazioni” dissi, mentre tutti guardavano verso l’alta torretta, dove la gatta era sparita.
Joy, che non aveva capito nulla di quello che era successo, si guardò attorno confuso. Io sospirai: di quel passo a Sailunne ci saremmo arrivati in vecchiaia.
“Levitation!” esclamai, levandomi nella brezza del cortile. Era ridicolo che dovessi perdere il mio tempo in cose simili.
Quando arrivai sulla cima mi guardai intorno, in cerca della fuggiasca. Una botola aperta, con degli scalini che portavano al centro della torre, mi lasciò intuire che la bestia doveva essersi rifugiata proprio laggiù. Senza perdere tempo la infilai, raggiungendo una stanza circolare piena di calcinacci e pezzi di legno. C’era un tanfo umido lì dentro, un afrore di marcio. L’unica fonte di illuminazione era costituita da una piccola feritoia ad arco. Seduta sul davanzale, Babette mi fissava con gli impietosi occhi arancioni.
Sospirai.
Mi erano sempre piaciuti i gatti, li trovavo creature affascinanti, dotate di un’intelligenza sopraffina, e ne ammiravo l’indipendenza. Babette era uno splendido esemplare, con quella magnifica pelliccia color argento, e quegli occhi penetranti. Mosse impercettibilmente le vibrisse e il campanello che portava al collo tintinnò melodioso.
“Coraggio, bel micetto, vieni qui…” provai ad imbonirmela, tendendole una mano. Ero quasi arrivata a sfiorarla quando, con un abile balzo, la gatta saltò dalla finestra.
Avvertii un brivido freddo percorrermi la schiena ed ebbi timore di guardare giù, per paura di trovarla spiaccicata nel cortile ai piedi della torre. Ma quando mi affacciai mi accorsi con sollievo che era semplicemente atterrata su uno dei rami più bassi dell’albero.
“Infida bestiaccia…” Imprecai, battendo un pugno sul muro, e prendendomela con me stessa per non essere stata abbastanza veloce da afferrarla in tempo. Me ne pentii subito, appena avvertii una pioggia di schegge di pietra che si staccavano dal soffitto per cadermi sui capelli. Un violento schiocco, seguito da un inquietante scricchiolio confermarono ciò che temevo: l’intera, traballante, struttura stava per cadere a pezzi.
Rimasi paralizzata, calcolando quanto avrei potuto metterci a risalire fino al tetto. Dalla finestra non sarei mai riuscita a scappare, era troppo stretta. Ma, vedendo le pareti che si sbriciolavano attorno a me, dovetti constatare che non ce ne era il tempo. Forse mi rimaneva giusto quello di prendere atto del fatto che qualunque pensiero, o formula avessi potuto invocare, non avrebbe mai attraversato la mia mente tanto velocemente quanto il muro che si stava per abbattere su di me, seppellendomi viva come un topo in trappola.
Caddi sulle ginocchia, portandomi le braccia sopra alla testa. Grosse porzioni di muro si stavano staccando tutte insieme, piombandomi addosso. La torre iniziò a traballare,  era tutto sul punto di sprofondare, e io con lei, quando…
Spalancai gli occhi di colpo.
Sotto di me vidi il cielo limpido del ducato di Solaria, offuscato solo dalla nuvola di polvere che si era sollevata mentre la vecchia torre rovinava a terra, sbriciolandosi.
Piccoli puntini in movimento, parecchi metri sotto di me, mi suggerivano che nel cortile del palazzo era in atto il caos più totale.
Ehi, cosa diavolo…?
In quel momento, avrei dovuto essere appiattita sotto alle macerie, e invece… Mi voltai con un espressione che doveva essere al limite dello stupore. Qualcuno mi teneva tra le braccia, sospesa a diverse centinaia di metri dal suolo.
“Cosa? Che diavolo ci fai qui tu?!”
“Lina-Chan! È sempre un piacere rivederti! Buffa coincidenza ritrovarci in questo modo, non credi?”
Il sorriso beato sul volto del demone era serafico come sempre, ma ancora prima di rispondergli, ancora prima di chiedergli cosa stava succedendo, ancora prima di tutto, un pensiero, un unico pensiero attraversò la mia mente, già abbastanza provata:
Se Xellos era lì, qualcosa di grosso stava bollendo in pentola.

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Capitolo 6
*** Sussurri ***


capitolo 6
Sussurri

‘Chi lotta con i mostri deve guardarsi dal diventare lui stesso un mostro. E se scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te.’ (Al di là del bene e del male, Nietzsche)
                                                                                
C’era polvere dappertutto. Nell’aria e sui miei vestiti. Ce l’avevo negli occhi e nella gola. Starnutii mentre Xellos, con la grazia e l’eleganza di un ballerino, posò i piedi a terra, sempre tenendomi tra le braccia. Dovevo avere uno sguardo sconvolto, perché il demone mi rivolse un’occhiata compiaciuta: “Lina-Lina, non ti sarà per caso rimasta la lingua sotto alle macerie? Ti ricordavo più loquace…” Ridacchiò, depositandomi al suolo con un saltello. Barcollai, incerta sulle gambe. Non mi ero ancora ripresa del tutto dallo spavento. Insomma, mi ero già rassegnata a diventare poltiglia sotto al peso di quella costruzione fatiscente, quando chissà da dove spuntava quell’imbroglione di Xellos, che all’improvviso aveva deciso di darsi agli atti caritatevoli. C’era più di un motivo per dubitare della sua buona fede, e l’unica soluzione possibile era…
“Cosa ti serve Xellos?” esclamai, dopo aver riacquisito una parvenza di stabilità.
Il demone mi guardò scuotendo la testa, con un aria che, se non l’avessi conosciuto, avrei osato definire offesa: “Lina! Mi meraviglio di te! Come puoi pensare che io sia tanto meschino e subdolo da salvarti solo per avere qualcosa in cambio?” domandò, mentre quel ghigno diabolico che avevo imparato a conoscere tanto bene affiorava sulle sue fredde labbra.
Sorrisi a mia volta: “D’accordo, se è così allora perché perdere tempo? Ti ringrazio per la tua magnanimità, addio” tagliai corto, dandogli le spalle e cominciando a incamminarmi verso il luogo del disastro, qualche centinaio di metri avanti a me.
Non feci in tempo a fare nemmeno due passi, che in uno sbuffo di fumo il demone mi ricomparve davanti agli occhi.
Ecco, appunto.
Incrociai le braccia al petto, paziente, mentre Xellos sorrideva sornione a due centimetri dal mio naso:
“Cos’è tutta questa fretta?” sussurrò con fare giocoso, sollevandomi una ciocca di capelli e lasciandosela scorrere fra le dita. Mi ritrassi, seccata: “Questa fretta dipende dal fatto che, sai com’è, noi esseri umani dobbiamo lavorare per campare, e si da il caso che, prima del tuo intervento tempestivo, io stessi per l’appunto svolgendo un lavoro che ho intenzione di portare a termine” dissi, irritata da quel suo sguardo perennemente divertito.
Xellos fece un passo indietro: “Bizzarro, a me risultava che prima del mio intervento tu stessi per diventare polvere insieme al resto di quella torretta. Ma forse mi sto sbagliando.”
Avvampai, indignata. Detestavo dover ammettere di non essermela saputa cavare da sola.
“Sono punti di vista…” borbottai a denti stretti, guardando altrove.
Xellos sollevò un sopracciglio. Io sbuffai:
“E va bene, va bene... Per favore dimmi cosa vuoi da me e facciamola finita!” sbottai, stanca di quel tira e molla. Era come cavare sangue da una rapa.
Fu in quel momento che il demone lasciò intravedere una mezzaluna dei suoi occhi ametista. E vi assicuro che metteva i brividi quando lo faceva.
“Come ti ho già detto, Lina, non voglio niente da te.”
“Per chi mi hai preso, Xellos? Non sono nata ieri. Tu non fai mai niente per niente.”
Rimanemmo a fissarci per qualche secondo, immobili.
“Questa volta sì. Ma la prossima volta cerca di prestare un po’ più di cautela a… dove metti i piedi. O le mani. Stai attenta, insomma.”
Rimasi di stucco. Xellos che si preoccupava per me? Il mondo aveva iniziato a girare al contrario?
“Da quando la mia incolumità è un tuo problema, Xellos? Avanti, sputa il rospo. Questa proprio non me la bevo.”
Il demone sospirò. “ Parlavo seriamente Lina, oggi hai rischiato di morire come una pivella qualsiasi…” disse con aria grave, scuotendo la testa.
“E non vedo perché la cosa debba interessarti, visto che più di una volta mi hai portato tu stesso ad un passo dalla morte!” esclamai, per avvalorare la mia tesi che a lui, della mia vita, non glie ne era mai importato particolarmente.
“Immagino che, da un certo punto di vista, tu possa anche avere ragione. Ma in questo caso, che tu ci creda o no, è meglio che ci resti, in vita.” I suoi occhi non ammettevano repliche.
Cominciavo a capire. Ma quello che mi premeva sapere era cosa centrasse lui in tutta quella storia. Feci per chiedere altre spiegazioni, ma si era già innalzato a un metro dal mio naso. Sventolò il bastone in segno di saluto, diradando la leggera foschia che ci avvolgeva, ultimo residuo del crollo da cui mi ero salvata. O meglio, da cui mi aveva salvata. Questo significava che gli dovevo un favore? Detestavo avere debiti, soprattutto con i demoni. Xellos iniziò a svanire, ma prima che il suo corpo si traslasse in un’altra dimensione  riuscii a sentire le sue ultime parole: “Mi raccomando Lina: stai A-T-T-E-N-T-A!”
Rimasi a fissare il punto in cui si era eclissato, imbronciata. A Xellos, e ai suoi superiori, la mia vita era tanto cara quanto un sasso nella scarpa, ma se quel sasso poteva servire a qualcosa, conveniva loro cercare di tenerselo buono. Questa era l’unica cosa che avevo colto di quella che iniziava a profilarsi come una faccenda seria. Perché quando i demoni vogliono qualcosa da te, è sempre una faccenda dannatamente seria, maledizione.

Quando raggiunsi il cortile del palazzo, coprendomi la bocca per non respirare le nuvole di polvere che mi investivano ad ogni folata di vento, dovetti constatare che l’incidente aveva provocato ben più danni di quel che avessi immaginato: la torre si era sgretolata a terra, e pur non essendo di eccessive dimensioni, i detriti coprivano una buona parte del cortile. Mi parai gli occhi e provai a scrutare in quel disastro, quando mi accorsi, con sommo sollievo, che dalla parte opposta del cortile, ben lontana e riparata, si trovava la carrozza con i suoi occupanti. A qualche metro Nayden dirigeva una piccola squadra di soldati che, aiutati dai mercenari, e non senza pochi sforzi, si stavano dando da fare per spostare le macerie. Joy, invece,cercava di rassicurare la duchessa, che del resto, seduta in carrozza, non sembrava minimamente turbata dall’accaduto, e vestiva invece l’espressione seccata di chi abbia avuto un inutile e fastidioso contrattempo.
“È triste che ci abbia lasciato così presto, povera ragazza…” stava dicendo, quando mi avvicinai.
Picchiai energicamente con l’indice sulla sua schiena: “Joy, vuoi spiegarmi cos’è questa storia?” esclamai. Quando si voltò, per un istante, un solo istante, lessi la paura nel suo sguardo. Si ritrasse di un passo, studiandomi meglio, poi sbatté le palpebre: “Lina! Sei… viva?”
“Fino a prova contraria, e con tuo immenso dispiacere, devo constatare.”
Joy si riscosse.
“Che idiozie vai dicendo. È ovvio che sono felice di vedere che stai bene e che sei… ehm, viva.”
Da come mi scrutava, avrei giurato che non ne fosse sicuro per davvero. Allungò un braccio, posandolo sulla mia spalla. Solo a quel punto vidi l’incertezza abbandonare i suoi occhi. Ero viva e vegeta, purtroppo per lui.
 Rebecca, dall’abitacolo della carrozza, mi fissò con occhi enigmatici e penetranti, e nelle sue parole c’era una lentezza quasi esasperante quando disse: “ Sono felice che si sia salvata, Lina Inverse. A quanto pare è vero quel che dicono su di lei, ha nove vite come i gatti.”
Io mi accigliai: “Già, ma lei dovrebbe rendersi conto che tenere un edifico in quelle condizioni era già di per sé una sfida alla morte…”
La duchessa non si scompose: “Ne sono consapevole, signorina Inverse. Ma questo è uno dei motivi per cui necessito di una scorta. Io e le mie figlie siamo in pericolo di vita, e la dimostrazione di questo è la tragica fine di mio marito.”
Rimasi di stucco davanti a quella glaciale compostezza; poi mi ricordai di chi mi teneva quella viscida mano ancora posata sulla spalla.
Con uno strattone me lo tolsi di torno: “Invece di fare l’idiota, raduna gli uomini, almeno cerchiamo di darci una mossa!” ringhiai. Tornai a guardare verso la carrozza, ma la duchessa si era già ritirata dietro alla tendina del vetro. Sospirai. “A proposito, dove diavolo si è cacciato Gourry?”
Lo spadaccino non si vedeva da nessuna parte. Rivolsi la mia attenzione verso Nayden e mi diressi da lui. Quando fui arrivata abbastanza vicino, dovetti urlare per fare in modo che mi sentisse tra la polvere e il fragore: “Ehi Nayden, dov’è Gourry?”
 Il mago, che stava spostando una grossa pietra con un incantesimo, si voltò verso di me, l’espressione confusa. Quando mi ebbe riconosciuta, i suoi occhi brillarono di gioia: “Lina!” gridò, e per poco quel grosso masso non rovinò su un uomo che lavorava qualche metro sotto. Facendo uso della levitation mi atterrò davanti al naso, sulle labbra un autentica espressione di stupore: “Come accidenti hai fatto a non rimanere sotto alla torre?” Mi chiese tutto d’un fiato, mentre sembrava accertarsi con lo sguardo che fossi realmente davanti a lui in carne ed ossa.
“È un pochino lungo da spiegare, adesso dobbiamo darci una mossa. Fra non molto non ci sarà più luce per viaggiare” tagliai corto, tornando a rinnovare la mia domanda: “ Gourry che fine ha fatto?”
 Nayden parve deluso dalla mia evasività; forse pensava che fossi riuscita a salvarmi grazie a qualche strano e misterioso incantesimo originale e voleva saperne di più, lo vedevo dal suo sguardo luccicante; tuttavia, decise di tenersi per sé le sue domande: “Da qualche parte, là in mezzo.” Indicò la distesa di detriti. “Si è precipitato a salvarti, come tutti noi. Perciò dovrebbe qui, da qualche parte. Immagino sia convinto che tu sia ancora là sotto agonizzante…”
A quelle parole impallidii. Nayden si grattò il mento, perplesso: “Chiamo gli uomini a rapporto, così che possano avvisarlo che sei sana e salva.”
Osservai le macerie con il cuore in gola. Dei, c’era mancato così poco… e chissà Gourry che spavento si era preso. La voce di Nayden mi distolse da quei pensieri, senza far tuttavia scomparire l’inquietudine: “Posso chiederti che tipo di incantesimo hai utilizzato, Lina? Sono davvero curioso.”
Io scrollai lievemente le spalle: “ Sai Nayden…” dissi, senza smettere di osservare i resti della torre, alla ricerca di Gourry. “ A volte non si tratta solo di incantesimi. A volte si tratta anche di avere una certa…”
“Fortuna?” Concluse il mago per me. Io rimasi in silenzio per alcuni secondi. ‘Fortuna’ non era esattamente la parola che avrei usato. Forse avrei dovuto dire che si trattava di avere un certo genere di amicizie, sempre che ‘amicizie’ fosse il termine appropriato. Decisi che non lo era.
“Sì, fortuna.” Conclusi infine. Non avevo nessuna intenzione di rivelare quanto fossero ambigui i  miei affari con i demoni, né tantomeno spiegargli per quale motivo potessi vantare simili illustri conoscenze tra i piani alti.
Fu in quel momento che la voce di Gourry sovrastò tutte le altre.
“Lina!” esclamò, facendosi largo tra i calcinacci e le macerie. Era completamente ricoperto di polvere e vidi che i suoi pantaloni presentavano più di uno strappo. Ma i suoi occhi lasciavano trasparire un enorme senso di sollievo.
“Lina, stai bene?” domandò, afferrandomi per le braccia e guardandomi negli occhi. Subito dopo si piegò, scrutandomi da tutte le angolazioni. “Sei tutta intera” appurò quindi, sospirando.  Il suo sguardo tornò su di me: “Ma come diavolo hai fatto?  Io… Io ti ho visto sporgerti dalla feritoia, e poi…” deglutì, “La torre è venuta giù come un castello di carte, e…” La sua voce si incrinò; sembrava voler dominare a tutti i costi l’emozione. “Sei sicura di stare bene?” sussurrò infine, scrutandomi apprensivo, mentre un grumo di polvere gli si staccava dal ciuffo. Abbassando lo sguardo sulle sue mani notai con sgomento che sanguinavano, e le unghie erano spezzate sopra ai polpastrelli scarnificati. Aveva scavato tra le rovine fino a ridurle in quello stato.
Oh, Gourry…
“Io sto bene, Gourry. Tu, forse, un po’ meno…” dissi, prendendo le sue mani tra le mie e rendendomi conto solo in quel momento che Nayden era sempre al nostro fianco. Tossicchiai, eloquente, e il mago intuì che era il caso di levarsi dai piedi.
“Vado a preparare la scorta!” Annunciò solenne, dopodiché girò i tacchi e si incamminò.
Avvertivo il tepore delle dita di Gourry nei miei palmi. Le sentivo calde, anche attraverso la stoffa dei guanti.
“Fammi dare un’occhiata a queste, mi sembrano piuttosto malconce” dissi, evitando lo sguardo dello spadaccino.
“Ah, d’accordo, grazie…” rispose lui, rendendosi conto solo in quel momento del disastro che aveva combinato. Io sospirai: era sempre il solito.
 Mentre il Recovery faceva effetto sentii gli occhi di Gourry su di me.
 “Lina, so che dopo anni può sembrare una domanda retorica, ma… Come accidenti hai fatto a uscire prima che la torre si sbriciolasse? Questa volta ti giuro che…” Non riuscì a terminare la frase e mi accorsi che era terribilmente pallido.
Mi guardai attorno, ma nessuno poteva essere abbastanza vicino da sentirci, così gli raccontai di Xellos. Gourry non si ricordava di Xellos, e questa non era una novità; alla fine riuscì a ricordarsi chi fosse quando gli rammentai alcune delle nostre più celebri disavventure, e a quel punto lo vidi grattarsi la fronte, dubbioso: “Già, ma quel tizio non aveva tentato lui stesso di imbrogliarti o venderti più di una volta?”
Benché avessi appena finito di curarlo gli diedi una manata sulla fronte.
“Sveglia Gourry! È proprio questa la cosa sospetta!”
“Giusto” considerò lui. Si guardò le mani, flettendo le dita, e mi sorrise dolcemente. “Grazie.”
Feci spallucce.
“Figurati, normale amministrazione” risposi, evitando di pensare a quante cose sarebbero cambiate quando sarei stata di nuovo sola. “Ora andiamo…”
A qualche metro da noi Joy ci osservava con ostilità, indicando con impazienza la carrozza e l’imbocco del ponte levatoio.
“Lina…” Lo spadaccino mi bloccò mentre stavo per dargli le spalle, ma non feci in tempo a voltarmi che la sua mano scese affettuosa a scompigliarmi i capelli:
“Sono contento che tu sia bene. Questa volta, mi hai fatto davvero preoccupare…”  disse, strizzandomi l’occhio.
Sapeva che dicevo di detestare quel gesto. E sapeva anche benissimo che protestavo solo per consuetudine, perché oramai mi ci ero talmente abituata…
Mi ci ero affezionata, ecco.

Quando raggiungemmo la scorta Joy mi guardò in cagnesco, dopodiché si affrettò a dire a Gourry che era stato lui il primo a sapere che stavo bene e che si era affrettato a divulgare l’informazione a tutto l’esercito. Era davvero, davvero felice di avermi scoperto sana e salva. Ma chi voleva darla a bere? Sapevamo bene tutti e due che se fossi rimasta seppellita viva quel giorno, l’unico problema di Joy sarebbe stato solo quello di trovare un buon vino d’annata col quale festeggiare il lieto evento. Ricambiai l’occhiata furente quando, sbucando alle mie spalle, due enormi mani mi afferrarono, sollevandomi da terra.
“Pulcino!” Esclamò una voce tonante “Credevo tu fossi ormai in bricioline, e invece sei sana e salva, grazie agli dei!”
Nel tentativo di liberarmi dalla morsa letale di Herman sgambettai, a un metro dal suolo, e provai a biascicare: “Soff…oco”
Alla fine il mercenario si rese conto che la sua gioia di vedermi sarebbe durata poco se non mi avesse lasciata immediatamente andare, così mi mollò, facendomi cadere a terra con un tonfo.
Quando provai a rialzarmi, massaggiandomi fondoschiena  e collo, il volto rubicondo di Hermann era di nuovo davanti al mio naso:
“Sei tutta intera, vero polpetta?”
“Polpetta?” domandai, aggrottando le sopracciglia. “Comunque ero tutta intera, prima che tu mi mostrassi il tuo entusiasmo Herman” conclusi, scrollandomi la polvere.
L’omone a quel punto mi guardò severamente: “Che idee, entrare in una torre fatiscente solo per recuperare quella bestiaccia! Potevi rimanerci secca, ti rendi conto?”
Uhm, in effetti se non mi illuminavi non ci sarei mai arrivata, testone.
“Herman…” Protestai, scocciata dal suo atteggiamento paternale, ma alla fine rinunciai. Evidentemente quella sottospecie di troll pareva avermi eletto a sua personale pupilla.
“Come puoi constatare sono ancora tutta intera, ci vuole ben altro per mettere fuori gioco Lina Inverse!” esclamai, dandogli una pacca sul possente braccio. Non mi sfuggì l’occhiata al cielo che lanciò Joy passandoci a fianco e  intimando a Hermann di mettersi in fila con gli altri soldati.
Lo incenerii con lo sguardo, ma in quel momento la mia attenzione venne catturata da ben altri occhi, che mi scrutavano attraverso il vetro della carrozza. Anouk teneva Babette sulle ginocchia, carezzandole la morbida testa, mentre i suoi occhi mi osservavano con una strana curiosità, sotto al perenne velo di sottile malinconia; quando si accorse che stavo ricambiando il suo sguardo appoggiò piano una mano al freddo vetro della vettura. Sembrava volermi dire parole che la sua bocca non poteva pronunciare, quando, con un rapido movimento la mano della duchessa arrivò a tirare la tendina, interrompendo il nostro contatto visivo.  Eppure quegli occhi, durante il viaggio, mi sarebbero tornati alla mente più e più volte, insieme alla miriade di domande che continuavo a pormi su quella missione piena di incognite, che lentamente si stava rivelando più ostica di quel che mi fossi aspettata.

 Due giorni dopo, in ogni caso, avevo quasi del tutto allontanato da me sospetti e timori: il viaggio era di una noia mortale e, secondo il mio modesto parere, la duchessa avrebbe anche potuto evitarsi le spese di una scorta, dato che eravamo praticamente alle porte di Sailunne e il pericolo più grande che ci eravamo trovati ad affrontare era stato quello di imbatterci in un piccolo branco di cinghiali selvatici, che tra l’altro erano miseramente fuggiti davanti agli sguardi ingordi e famelici dei mercenari. Insomma, non era successo niente di niente. La mia unica preoccupazione, a quel punto, era quella di intascarmi i soldi e accomodarmi alla tavola di Phil per essere informata sulle ultime novità mentre mi riempivo lo stomaco.
Sospirai, scalciando lontano un ramo secco che giaceva sul sentiero, mentre la mia mente già rincorreva patate al burro e arrosti, bagni caldi e soffici materassi. Non fraintendetemi: adoravo la mia vita selvatica e vagabonda. Niente ti permette di vedere il mondo meglio delle tue gambe, anche se il prezzo da pagare per questa vita di libertà era ovviamente qualche piccolo sacrificio in termini di comodità. Ma quando capitava non disdegnavo certo il privilegio dell’ospitalità, anzi.
Senza contare che l’arrivo a Sailunne mi avrebbe finalmente permesso di liberarmi di tutta quella gente con cui viaggiavo ormai da giorni. Per quanto…
Digrignai i denti, osservando come Joy, a qualche metro da me, cavalcasse baldanzoso al fianco della carrozza. Era l’unico ad avere il privilegio di viaggiare in sella ad un destriero, dato che si definiva (non capivo ancora per quale motivo) il ‘capo’. Ma non mi interessava, ancora poche miglia, e sarei stata finalmente risparmiata dalla sua orrenda compagnia.
E da quella di Gourry.
Mi incupii. Faceva male e io non volevo stare male. Detestavo sentirmi debole e in balia degli eventi, così avevo deciso che me ne sarei fatta una ragione il prima possibile e avrei continuato a vivere la mia vita senza indugi. Del resto, prima di incontrare Gourry, me la ero sempre cavata egregiamente da sola. Chi gli aveva chiesto di auto-proclamarsi mia guardia del corpo? Non di certo io. Non mi serviva una guardia del corpo, perciò ne avrei fatto tranquillamente a meno. Non faceva una piega.
 Mi schiarii la voce per dare tregua alla mia crescente irritazione, e scalciai una pigna, che ruzzolò avanti a me, tra le gambe di Nayden.
“Nervosa?” Mi chiese il mago con un sorriso, chinandosi a prendere la pigna tra le mani.
Feci spallucce: “Sono solo annoiata, questo è stato decisamente uno dei lavori più barbosi che abbia mai accettato…” borbottai.
Nayden soppesò la pigna: “Da quel che so di te, Lina, sei una tipa combattiva, è ovvio che un lavoro da scorta mal si adatti al tuo carattere.”
“Già. Ma è un guadagno facile, quindi non lo disdegno” replicai, grattandomi una guancia.
Nayden sospirò: “ Ad ogni modo, non è che il viaggio sia stato proprio povero di avvenimenti, visto che per poco non sei rimasta schiacciata sotto quella torre…” buttò lì, con noncuranza. “Ma forse per te cose del genere sono all’ordine del giorno, dico bene?”
Io mi rabbuiai: “Non proprio. O meglio, mi sono successe cose molto peggiori, in passato, ma non è così che vorrei che andasse. Sembra che io attiri i guai come una calamita, ma giuro che non vado a cercarmeli. Non sempre, almeno.”
Rimanemmo in silenzio alcuni secondi, poi fu il mio turno di importunarlo con le domande: “Ora che la missione è conclusa, tu che farai? Continuerai a fare da balia a Joy?” gli domandai.
Nayden rise di gusto: “No, che gli dei me ne scampino! Credo che aspetterò la divisione del guadagno, e leverò saggiamente le tende. Oppure, chissà, potrei anche scegliere di fermarmi a Sailunne per qualche tempo, ho sentito che le sue biblioteche sono molto ben fornite, e inoltre…” Si bloccò, e il suo sguardo cercò la carrozza su cui viaggiavano la duchessa e le figlie; lo sguardo di Nayden si fece pensieroso: “Forse potrei essere d’aiuto, in qualche modo…” La sua frase faceva chiaramente intendere che non aveva ancora accantonato i suoi piani su Camelia. Il mago, infatti, le era stato dietro come un cagnolino da quando eravamo partiti, ma dagli atteggiamenti arroganti della ragazza, deducevo che le sue aspettative non erano ancora state soddisfatte. Per uno come Nayden, quella sfida doveva essere una cosa non da poco conto. Si voltò verso di me: “ Tu invece che farai? Ho sentito dire che Gabriev si unirà alla compagnia di Joy, una volta terminata la missione…”
Il mio cuore perse un colpo.
“Chi… Chi te l’ha detto?” Chiesi, cercando di mantenere una certa indifferenza. Nayden mi sbirciò con la coda dell’occhio: “Voci che girano tra gli uomini. Qualcuno ha chiesto se ti saresti unita anche tu…”
“Dubito fortemente che accadrà” risposi, accigliata. “Non mi unirei a Joy nemmeno se mi pagassero mille monete d’oro per ogni secondo in cui respiro la sua aria!”
Nayden sorrise.
“Sì, l’avevo intuito che non correva buon sangue tra di voi. Quindi, se non ripartirai con i mercenari, potresti considerare l’idea di fermarti a tua volta a Sailunne?”
“Perché no? Ho molti amici a Sailunne, non è un’ipotesi da scartare…” mormorai, sentendo un nodo stringermi la gola. Con una punta di panico mi resi conto che ero sull’orlo delle lacrime e mi affrettai a guardare verso il cielo, per impedire che scendessero sulle mie guance. Non volevo piangere. Non più di quanto avessi fatto da quando Gourry mi aveva comunicato l’amara notizia. Mi sembrava di non aver mai versato tante lacrime da quando ero ancora una poppante in fasce. E questo dimostrava la mia teoria: piangere non serviva a niente. A niente. Gourry se ne sarebbe andato comunque, e avrei anche potuto affogarci, nelle mie dannate lacrime.
Nayden, però, era un tipo con una vista maledettamente buona.
“Ti senti bene, Lina? Hai gli occhi rossi.”
“Sto bene, è solo… il vento” balbettai, mentre una lacrima faceva capolino. “Allergia!” aggiunsi quindi. “Sono allergica ai… ai licheni” conclusi, impacciata, asciugandomi la guancia con il dorso della mano. “E qui è pieno di dannati licheni!”
Nayden si guardò attorno perplesso, ma scelse saggiamente di non fare commenti. Vi assicuro che avevo ucciso per molto meno. Lo vidi frugare nel mantello ed estrarre un fazzoletto candido.
“Tienilo pure” disse, porgendomelo.
Lo accettai piena di gratitudine, per quanto imbarazzata. Nayden doveva avere una scorta pressoché illimitata di fazzoletti nelle tasche, con tutte le donne che riduceva in lacrime.
Mi soffiai il naso, asciugandomi gli occhi.
“Grazie” mormorai, con un timido sorriso.
In quel momento, una voce alle nostre spalle ci interruppe: “Lina” Gourry ci si affiancò, lo sguardo accigliato. Mi chiesi se avesse assistito a quell’ultimo scambio di battute tra me e Nayden, e l’occhiata torva che rivolse al mago parve confermarmelo. “Joy dice di fermarsi per una pausa, prima dell’ultimo tratto fino a Sailunne. I cavalli sono stanchi e le duchesse desiderano scendere a sgranchirsi le gambe…” disse, senza mutare l’espressione tesa. Io mi ricomposi, e al nome ‘Joy’ sentii bruciare i lobi delle orecchie tanta era la rabbia che covavo verso quell’individuo.
Nayden, vedendo Camelia che si apprestava a scendere dalla carrozza, si scusò, superandoci. Voleva essere tanto veloce da arrivare a porgerle la mano anche a costo di rompersi l’osso del collo, dedussi a giudicare dalla rapidità con cui si era volatilizzato. Io e Gourry rimanemmo immobili, senza guardarci.
Dall’episodio della torre non avevamo più litigato come i giorni precedenti; ma, in realtà, non avevamo nemmeno parlato molto. Spesso lo sorprendevo a osservarmi, lo sguardo teso, e capivo che si sentiva in colpa per come si erano messe le cose. Perciò affettavo indifferenza, fingevo che non mi importasse, volevo renderlo libero. Se avesse saputo quanto mi costava lasciarlo andare si sarebbe fatto degli scrupoli. Ma era proprio quello che volevo evitare perché…
Beh, perché Gourry era stato libero di scegliere, e la sua scelta non ero stata io. Questo era già abbastanza umiliante da mandare giù senza che ferissi il mio orgoglio supplicandolo di non lasciarmi. Non avrei fiatato, anche a costo di vederlo allontanarsi senza una parola.
Fu Gourry a spezzare il silenzio.
“Tu e Nayden andate molto d’accordo, mi pare.”
“Sì, perché?” Replicai, incrociando le braccia.
Gourry ebbe un sussulto, e abbassò lo sguardo. “Nulla, mi fa piacere, tutto qua.”
Io lo guardai storto: “Mi fa piacere che ti faccia piacere.” Ribattei a mia volta. Giuro che non avevo la più pallida idea del perché stessimo sprecando tempo in quel patetico scambio di battute, forse Gourry avrebbe gradito andarsene per i fatti suoi e godere di quella pausa come meglio credeva, ma le circostanze glie lo impedivano? Non lo riconoscevo più. Non ci riconoscevo più.
Ma a quel punto Gourry ebbe finalmente la compiacenza di voltarsi verso di me, i suoi occhi azzurri mi trapassarono da parte a parte e per un breve attimo vacillai.
“Lina” Disse “Sono contento che tu abbia trovato una persona che condivide i tuoi interessi e con cui stai bene. Ecco… poco fa, pur non volendolo, ho ascoltato i vostri discorsi e…” Ora sembrava a corto di parole. “Ti fermerai con lui a Sailunne? Perché… lascia che ti dica che la trovo un’ottima idea” buttò lì, con aria poco convinta. In realtà sembrava arrabbiato e non capivo perché, dato che ero io quella che stava per essere piantata in asso.
Aggrottai le sopracciglia, senza sapere cosa replicare.
“Non capisco dove vuoi arrivare…” dissi, infine, confusa.
“Nayden è… bello, e colto, Lina. Vi vedo così in sintonia…”
All’improvviso capii. Quel cretino.
“Mi stai dando la tua benedizione, Gourry?” domandai, avvampando di rabbia.
“No, io…” Gourry sbatté le palpebre, improvvisamente insicuro. Ma insomma, che diavolo gli prendeva? Prima si faceva da parte per lasciarmi libera di innamorarmi e trovare il mio principe azzurro, e adesso voleva appiopparmi Nayden? Era troppo.
“Sei proprio un idiota, Gourry” dissi, dandogli le spalle e allontanandomi nel fitto della boscaglia.

Vagai tra gli alberi per un tempo sufficiente a fare sbollire la collera che avevo addosso, spezzando rami e prendendo a calci i cumuli di neve. Ero furibonda. Con Joy, con Gourry e con me stessa. Joy era solo un fallito, eppure era riuscito a colpire in un punto che non mi ero mai curata di proteggere a sufficienza dagli scontri dei nemici, e questo mi faceva rabbia. Mi ero costruita una fama degna del nome che portavo con le mie gesta, ma avevo trascurato di nascondere il mio cuore dietro un muro invalicabile e adesso quel maledetto me la stava facendo scontare.
Sedendo su un masso, ripensai a Phibrizio. Il rumore sordo del vetro che si incrinava mi rimbombava ancora nelle orecchie come una fucilata quando ci ripensavo. Prima avevo mentito. L’ultima volta che avevo versato tutte quelle lacrime era più vicina di quanto avessi voluto ricordare. Avevo pianto, in quei giorni, tanto da non ricordare nemmeno più quante lacrime mi avessero rigato le guance. Avevo pianto quando il Principe degli Inferi aveva portato Gourry con sé, le notti in cui il suo volto mi era apparso tra le tenebre degli incubi più atroci, e avevo pianto all’alba che sorgeva sul giorno in cui tutto, nel bene o nel male, si sarebbe risolto. Poi col tempo avevo dimenticato quella sensazione di smarrimento e disperazione in cui i giorni senza Gourry mi avevano gettata. Averlo nuovamente al mio fianco aveva fatto scomparire angosce e incubi, e il tempo aveva cancellato quei giorni di dolore. Fino a quel momento.
Ma questa volta non combattevo contro demoni e mostri. E per quanto avrei potuto definire mostruoso Joy dovevo ammettere con me stessa che non era lui il vero problema. Gourry aveva compiuto quella scelta consapevolmente, cos’altro si poteva aggiungere? Mi sollevai dal masso e, mestamente, tornai all’accampamento.

Joy aveva scelto come luogo della sosta una radura che sbucava sulle sponde di un laghetto ghiacciato. Quando arrivai in prossimità del campo notai che gli uomini si erano dati da fare per accendere un fuoco, e ci stavano radunati intorno, le dita allungate verso le esili fiamme. L’aria sapeva di neve e dalle loro bocche uscivano nuvole di fiato tiepido. Discoste sedevano Rebecca e Camelia, avvolte in pesanti ed eleganti cappe, davanti ad un altro fuoco che Nayden si era premurato di creare, e che teneva ravvivato grazie alla magia.
Mi avvicinai al gruppo dei mercenari e senza dire una parola mi lasciai scivolare seduta davanti al fuoco che, per quanto vivo, non era di alcun conforto al gelo che sentivo dentro. Recuperai da una sacca alcuni pezzi di carne essiccata e del pane di segale e iniziai a masticare lentamente. La mia fame non si placò con quel misero pasto, ma almeno la rabbia era sbollita in parte. Erano giorni che combattevo quella silenziosa battaglia, altalenando tra sentimenti diametralmente opposti di rivalsa e nero sconforto. Finalmente eravamo giunti alla conclusione di quel nefasto viaggio.
Finito lo spuntino mi sollevai, scrollandomi di dosso le briciole, e decisi di fare due passi per schiarirmi le idee prima che ci rimettessimo in marcia. A Joy non sfuggirono le mie intenzioni: “Lina, se stai cercando il modo di perderti prima della partenza, ti avviso che non avremo la cortesia di aspettarti.”
Ecco, quella era una di quelle situazioni in cui un Dragon Slave avrebbe risolto il problema alla radice. Tuttavia, decisi di ignorarlo, non avevo forse deciso che avrei evitato di farmi avvelenare la giornata dalla sua odiosa presenza?

Percorsi alcuni metri a ridosso del lago quasi di corsa.
“Fireballs!” Il mio urlo si levò tra gli alberi, mentre il globo infuocato si perdeva sulla liscia superficie ghiacciata, saettando dalla mia mano con tutta la forza di cui ero capace. Era una cosa sciocca, ne ero ben consapevole, ma nessuno mi vietava di sfogarmi come potevo; la magia era sempre stata la mia valvola di sfiato e, in effetti, dopo aver scagliato l’incantesimo contro ad un invisibile nemico, che nella mia mente assomigliava molto a un mercenario di mia conoscenza, mi sentii un po’meglio. Almeno fino a quando non mi resi conto di avere spettatori.
Mi voltai di scatto, certa di avere degli occhi puntati alla schiena, e scorsi Anouk, accoccolata tra le foglie e la neve. Tra le sue braccia Babette faceva altrettanto, il pelo irto sulla schiena. Mi sentii morire di imbarazzo: dovevo averla terrorizzata a morte con quell’incantesimo aggressivo e gratuito scagliato contro nessuno a pochi passi da lei. Immaginavo che quella bambina avesse avuto già abbastanza traumi nella sua corta vita senza che ne aggiungessi altri, così mi prodigai in scuse e spiegazioni, per cercare di salvare almeno quel minimo di apparenza e non passare per una svitata.
“Anouk, non avevo proprio idea che tu fossi qui! Ecco, io mi stavo esercitando ma… se avessi saputo che eri qui non avrei mai…” Infilavo una scusa dietro l’altra senza preoccuparmi troppo di dare un senso logico all’intera sequenza, ma a metà della mia arringa mi resi conto che avrei anche potuto rivelarle che ero lì per distruggere il mondo, ad Anouk non sarebbe importato. La bambina infatti, dopo aver ascoltato le mie prime parole si era nuovamente voltata verso il lago, estraniandosi come aveva fatto per tutto il tempo del viaggio, mentre Babette aveva ripreso a fare docilmente le fusa tra le sue braccia. Io rimasi alcuni secondi a torcermi  le mani alle sue spalle, dopodiché decisi che avrei potuto sedermi al suo fianco così come avrei potuto andarmene, e optai per la prima soluzione. Scivolai silenziosa tra le foglie umide di neve, riempiendomi la vista con il panorama ghiacciato che si estendeva davanti al nostro naso, mentre una leggera brezza aveva preso a tirare facendo ondeggiare i nostri capelli.
Tutto era immobile, tutto era silenzio.
E all’improvviso provai quel senso di pace che avevo tanto cercato, senza trovarlo, in quei giorni. Quella sensazione che era rassegnazione e arrendevolezza allo stesso tempo. Gourry se ne sarebbe andato, e io mi ero imposta di non ostacolare la sua decisione. Non potevo combattere tutte le guerre del mondo. Se i nostri giorni insieme erano finiti, dovevo accettarlo, non potevo prendermela con nessuno.
Mentre ero assorta in quei pensieri altamente filosofici, sentii che Anouk al mio fianco si faceva più vicina. Lasciò andare Babette, che con un salto si accoccolò a terra annusando il terriccio e le radici dei pini. La bambina nascose le mani nel manicotto che portava appeso alla cinta, e la vidi stringere le spalle sotto le sferzate di vento, provando l’inspiegabile sensazione di stringerle un braccio attorno alle sue esili spalle per riscaldarla: Anouk mi ispirava un infinito senso di protezione, così piccola ed inerme, con quel viso sfigurato e chiusa nel suo mutismo.
“Se senti freddo, Anouk, possiamo tornare all’accampamento…”provai a dire, senza aspettarmi tuttavia una risposta che in effetti non arrivò. Anouk rimase immobile, ma con stupore vidi la sua piccola mano uscire dal manicotto per stringere un lembo del mio mantello. La scrutai, ma non guardava me, e se anche l’avesse fatto, cosa avrei potuto leggere nei suoi occhi scuri e disperati? Anouk era ermetica, prigioniera di incubi che non poteva raccontare, lo sentivo, e in quel momento avvertii una forte connessione con quell’essere indifeso, incapace di chiedere aiuto, ma risoluto nella sua disfatta. Così abbassai la mano e presi le sue dita gelide tra le mie, cercando qualcosa di intelligente da dire per convincerla a seguirmi nell’accampamento, dove almeno avrebbe potuto sedere davanti al fuoco; le sua guance erano davvero troppo pallide. Babette nel frattempo scorazzava indisturbata tra i cespugli, facendosi le unghie sugli alberi e rincorrendo le foglie sollevate dal vento; sembrava essersi ambientata bene ai disagi del viaggio nella cesta, dato che dopo la prima fuga iniziale, che mi era quasi costata la vita, era diventata docile e buona. La osservavo balzare salti verso un improbabile preda, godendo di quegli attimi di libertà lontano dalla carrozza, quando improvvisamente planò su di noi un ignaro pennuto, andando a becchettare inconsapevole sulla superficie ghiacciata. In meno di mezzo secondo Babette era già pronta a spiccare il balzo sullo sventurato, mentre le sue zampe vellutate scivolavano sublimi sul ghiaccio. Inseguì l’uccello per diversi metri, mentre questo si concedeva ti tanto in tanto un battito d’ali che gli consentiva di guadagnare un discreto vantaggio. La gatta tuttavia non demordeva, e mi costrinse ad aguzzare la vista  per scorgerla sul lago: una minuscola macchia argentata nel bianco. Fu la stretta di Anouk nella mia mano a riportarmi alla realtà: la bambina, che si era accorta di dove fosse arrivato il suo gatto, pareva disperata, e mi costrinse a provare a chiamare indietro il felino furfante.
“Babette torna qua!” Gridai, devo ammettere, con assai poca convinzione. Quando mai un gatto ha risposto a un richiamo? Quello, poi, stava iniziando sul serio a darmi sui nervi.
Quando l’uccello volò via, forse spaventato dal suono della mia voce, Babette si voltò verso di noi emettendo un fievole miagolio. La gatta non doveva essersi resa conto di tutta la strada che aveva percorso su quel sentiero ghiacciato, inebriata dal pensiero della caccia, e ora era restia a ripercorrere la strada in senso opposto.
Anouk aveva serrato la mascella, e la vedevo stringere le mani, mentre guardava il suo gattino che miagolava in lontananza. Sospirando mi sollevai: “Anouk, stai qui e non ti muovere. Vado a riprendere Babette…” dissi, chiedendomi se avrei avuto un futuro come acchiappa-animali: quel gatto mi stava dando davvero del filo da torcere.
Arrivando in prossimità del lago provai a tastarne la superficie con la punta dello stivale: il ghiaccio era spesso, ma preferivo non correre rischi.
 “Levitation!” esclamai, levandomi in volo. Arrivai senza problemi fin nel punto in cui la gatta mi osservava tirando indietro le orecchie e soffiando, non doveva avere una particolare predilezione per la magia quella bestia, pensai, mentre atterravo al suo fianco e allungavo le mani per catturarla. Non avevo ancora fatto in tempo a sfiorarne la lucida pelliccia che una voce, dalla riva, mi distolse da quell’operazione: “Lina!”
Voltandomi vidi lo spadaccino che teneva una mano sulla spalla di Anouk, e guardava nella mia direzione. Digrignai i denti: “fantastico, ecco Cupido” borbottai tra me e me, tentando di riconcentrarmi sulla gatta. Ero ancora arrabbiata con lui per come aveva cercato di indurmi a pensare che io e Nayden potessimo costituire una bella coppia, in sua assenza.  La gatta, che era appena sfuggita al mio ennesimo tentativo di catturarla, mi osservava a qualche passo di distanza, con quello che avrei quasi osato definire uno sguardo umano, tanto esprimeva terrore e riluttanza.  “Perfetto, ci mancava solo quest…” Non terminai la frase, un colpo secco mi lasciò paralizzata.
Deglutendo, e cercando di muovermi il meno possibile lanciai un’occhiata smarrita al punto da cui proveniva quello schiocco, e con rammarico dovetti constatare di averci visto giusto: il ghiaccio intorno a me si stava spezzando. Guardai verso Babette, che si rannicchiava su una piastra di ghiaccio staccatasi dalle altre, cercando di mantenersi in equilibrio, e provai a recitare la formula delle freeze arrows, nel tentativo di ricompattare le zolle. Ma non fui abbastanza veloce. Il ghiaccio su cui posavo i piedi si sgretolò di colpo, e senza darmi il tempo di sollevarmi in volo, mi lasciò precipitare nell’acqua gelata.
L’impatto iniziale fu tremendo, scesi giù di qualche metro, mentre il freddo mi penetrava tra i vestiti, lasciandomi senza fiato, intontita. Poi la coscienza ebbe la meglio, e cercai di risalire, annaspando tra i detriti e le schegge di ghiaccio che scendevano a fondo. Vedevo la luce penetrare debolmente dalla fessura che si era aperta nel punto in cui ero precipitata, mancava poco alla superficie, e stringendo i denti mi imposi di non pensare al freddo che mi impediva movimenti più fluidi, né alla scarsa scorta di ossigeno che ancora conservavo nei polmoni. Tesi la mano verso la luce quando ebbi raggiunto la crosta di ghiaccio, cercando il punto in cui si schiudeva, ma non trovai alcuna apertura. Con foga provai a spingere quel coperchio di ghiaccio che mi impediva di risalire, mentre le ultime bolle di ossigeno si disperdevano miseramente nel mio inutile tentativo di ritrovare il punto in cui la crosta si era spezzata, ma tutto fu vano.
Il ghiaccio si era richiuso, e mi aveva imprigionata in quell’inferno di gelo da cui probabilmente non sarei più emersa.
Lottando furiosamente con le mie ultime energie per non affondare nelle tenebre di quella trappola, cercai un qualsiasi spiraglio di ossigeno, consapevole che non avrei potuto lanciare nessun incantesimo per scongiurare quella sorte tremenda, quando lo vidi.
Al di là della trasparente barriera che mi separava dal mondo, Gourry si era inginocchiato scostando furiosamente il nevischio, e quando i suoi occhi avevano incrociato i miei, disperati, sotto la coltre di ghiaccio il suo volto aveva assunto un’espressione terrorizzata che solo in rare occasioni mi pareva di avergli visto vestire. Con gli ultimi stralci di coscienza lo vidi estrarre la spada, e piantarla con violenza nel ghiaccio, una, due, tre, infinite volte, inutilmente. Il ghiaccio non si scalfiva. Ero ormai quasi certa che quella fosse la fine. Il freddo mi intorpidiva braccia e gambe, non avvertivo ormai nemmeno più il tremore che mi aveva scosso in precedenza. Se anche avessi voluto lottare ancora per rimanere attaccata alla superficie, non ne avrei avuta l’energia. Le ultime bolle d’aria che mi rimanevano mi uscirono dalle labbra come un sospiro mentre l’acqua gelata mi invadeva la gola, e la luce che vedevo, sempre più lontana, si spense lentamente. L’unico rammarico che conservavo era per Gourry che ancora pensava di farcela a tirarmi fuori da lì, quando era chiaro che non c’era più nulla da fare. Stavo annegando.
Alla fine anche l’ultimo pensiero si spense in me e, chiudendo gli occhi, ebbi la certezza di essere morta. Non avvertivo più freddo, né dolore. C’era solo silenzio, un magnifico, meraviglioso silenzio. E un profumo delizioso mi invase improvvisamente le narici: erano fiori, fiori gialli. Non riuscivo a vederli, ma sapevo che c’erano, mazzi e mazzi di fiori, con quel loro profumo sconosciuto, eppure, improvvisamente familiare. Provai ad allungare una mano nell’oscurità, i miei muscoli non erano più doloranti e sentivo un’inspiegabile leggerezza in me. Osservai il mio braccio muoversi tra le tenebre, si spostava con incredibile lentezza, e una larga manica di seta candida lo rivestiva; la notai quasi distrattamente, mentre mi divertivo a vedere quella stoffa preziosa che si increspava per poi distendersi a ogni mio movimento. Tutto mi sembrava estremamente piacevole, e giusto, come in quei sogni in cui ogni cosa, anche la più strana, ha un suo perché.
Poi la sentii, quella voce che mi chiamava, salendo dalle tenebre di quell’acqua ghiacciata, che mi cullava dolcemente, nella mia discesa verso il fondo.
Mi chiamava, mi voleva.
Il sorriso scomparve dalle mie labbra.
Potevo resisterle, ma sapevo che non lo avrei fatto.
Ero soggiogata, affascinata, incuriosita.
Allungai una mano verso l’oscurità,  le mie dita si stendevano, per afferrare l’inevitabile, poi mi bloccai.
E se non fosse stato giusto, cedere a quel richiamo?
E se il prezzo da pagare per scoprire di cosa si trattava, fosse stato troppo elevato?
Tentennai. La mano ancora oscillante a mezz’aria, tesa davanti a me.
Quello era il limite umano, la linea di confine. Varcarla, comportava accedere a qualcosa di unico. Unico e immenso…
Non era il coraggio che mi mancava, ma qualcosa mi frenava, tenendomi ad appena un passo dal margine estremo.
Era l’ultimo bagliore di una coscienza che credevo ormai perduta in quella discesa interminabile, era un rumore offuscato, velato, che si opponeva a quel richiamo irresistibile fatto di sogni proibiti, parole sussurrate e profumo di fiori…
Chiusi gli occhi. Non ero abbastanza risoluta da decidere, ma volevo vedere, volevo sapere cosa si celava oltre quel confine…
Solo per un istante…
Ma qualcun altro decise per me, e in un attimo mi sentii strappare via da quel richiamo.
Capivo che mi stavo allontanando rapidamente, e che chiunque mi stesse aspettando oltre quel limite non si sarebbe rassegnato facilmente. Mi avrebbe aspettato, con la pazienza degli esseri senza tempo, accucciato nell’immobilità dell’inevitabile.
Mi avrebbe aspettato.

Dopo la mia risalita, il primo rumore che arrivò ovattato alle mie orecchie tappate di acqua gelata, fu il lieve tintinnio di un campanello, mentre il riverbero del sole accecava le mie palpebre rimaste all’oscurità più del dovuto. Poi qualcosa di molto duro e doloroso colpì la mia schiena, più e più volte, costringendomi a voltarmi, mentre un fiume d’acqua mi si riversava fuori dalla gola e dai polmoni brucianti. Appoggiai le mani contro il suolo stabile e continuai a tossire e a vomitare acqua ghiacciata, senza trovare neppure il tempo di riprendere fiato. Era davvero impressionante quanta ne fossi riuscita a ingurgitare…
Provai ad aprire gli occhi, ma una quantità di macchie nere argentate riempirono il mio campo visivo, così desistetti e mi abbandonai al suolo, esausta, prima che qualcosa di caldo e asciutto arrivasse ad avvolgermi.
“Respira, siano ringrazi ari gli dei…” disse una familiare voce, mentre il suo biondo proprietario mi stringeva, frizionandomi, nel tentativo di riattivare la mia circolazione. Non sentivo più nessuna parte del mio corpo.
Tossichiai ancora un po’ prima di abbandonarmi esausta contro al petto di Gourry. Sentivo le gocce dei suoi capelli bagnati cadermi sulle guance, e solo in quel momento mi resi conto che anche Gourry era fradicio. Aprendo gli occhi quel tanto che bastava per scorgere uno sprazzo dell’ambiente circostante mi resi conto che quello che mi avvolgeva era il mantello imbottito di Nayden, il quale, fermo a pochi passi ci scrutava con un’espressione apprensiva. Al suolo intorno a noi erano sparse schegge e blocchi di ghiaccio rotto, e la spada di Gourry era abbandonata lì in mezzo, in procinto del varco che evidentemente lo spadaccino era riuscito ad aprirsi prima di buttarsi per recuperarmi.
“Lina…” la voce di Gourry era rotta. Sospirò.  “Questa volta mi hai fatto davvero spaventare…” sussurrò, mentre mi stringeva nel mantello.
Le pareti della mia gola bruciavano, così come i miei polmoni, che immaginavo a quel punto come due spugne strizzate fino all’ultima goccia; la voce mi uscì stridula e in falsetto:
“Ma non lo avevi già detto due giorni fa quando è crollata la torre?” Gracchiai, in un penoso tentativo di mostrarmi disinvolta.
Vidi un lieve sorriso comparire sulle labbra tremanti dal freddo dello spadaccino. Doveva essere mezzo morto di freddo come me, eppure non accennava a lasciarmi.
“Allora mi correggo” disse. “Questa volta, mi hai fatto davvero morire di paura…”
Già, morire…
Quella volta, c’era davvero mancato poco, pochissimo…
Aggrottai le sopracciglia e ripensai al ghiaccio che mi aveva inghiottito e si era richiuso sulla mia testa, poi cercai di ricordare cosa era successo quando l’acqua mi aveva sommerso… Forse una voce mi aveva chiamato? Non ne ero molto sicura. Immagini confuse si susseguivano nella mia mente intorpidita. Fiori, c’erano dei fiori…?
Probabilmente avevo vaneggiato mentre perdevo conoscenza.
Forse avrei dovuto avvisare Gourry, del fatto che là sotto mi era accaduto qualcosa di insolito. Ma quasi sicuramente avrebbe pensato che farneticavo. E in ogni caso, ero troppo stanca per parlarne.
Tornai ad appoggiare la fronte al suo petto, mentre sentivo che Nayden spiegava allo spadaccino che sul mantello c’era un incantesimo originale in grado di riscaldare chi lo portava, ma che era comunque   il caso di portarmi davanti ad un fuoco.
E quando le braccia di Gourry mi sollevarono da terra la mia mente scivolò via, vinta dallo spossamento, e le parole che avrei voluto dire volarono via dalle mie labbra, disperdendosi nel vento freddo come farfalle leggere.

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Capitolo 7
*** Le ombre del cuore ***


le ombre del cuore
Le ombre del cuore

‘Domani non mi sentirai partire…
Amarti non è mica così strano.
Io, ho un nome senza via,
per distrarre la mia voglia di tornare.’
(La vita e la felicità, Michele Bravi)


Non riuscivo a pensare ad altro che al freddo. Davanti alle mie labbra  si condensavano lievi sbuffi di fiato pallido, simili a fantasmi. L’aria era fine come carta prossima a strapparsi. Mi strinsi ancora di più nel mantello di Nayden, avvicinandomi al fuoco che crepitava nella radura, e sfregai per l’ennesima volta le mani l’una sull’altra. Alle mie spalle sentivo i mercenari borbottare tra di loro, mentre la parola ‘malocchio’ passava da una bocca all’altra. Già, malocchio. O maledetta sfortuna. Chiamatela come volete, la verità era che attiravo i guai come una calamita. Più di quanto normalmente non facessi.  Sbuffai e lanciai una timida occhiata al mio fianco. Gourry mi sedeva accanto avvolto in una coperta, le mani tese davanti a sé nel tentativo di catturare un po’ di calore da trasmettere al resto del corpo. Le fiamme si riflettevano nei suoi occhi concentrati, il suo volto aveva il colore della cera. Avrei voluto allungare una mano verso la sua, stringere le sue dita tra le mie, ma ero paralizzata dal freddo e…
Risoluta distolsi lo sguardo dal mio compagno di viaggio, tornando a concentrarmi sul fuoco.
Non l’avevo ancora nemmeno ringraziato.
Era stato tutto così improvviso e confuso… il ghiaccio che si sgretolava, l’acqua fredda che mi invadeva i polmoni, la lastra che si richiudeva sopra di me come il coperchio di una bara. E poi la voce di Gourry, i colpi per farmi riprendere, io che sputavo litri di acqua…
E adesso tutti erano convinti che portassi una iella nera. Come potevo dargli torto? Sembravo perseguitata.
“Non fare caso a loro.” La voce di Gourry arrivò dolce alle mie orecchie, quasi mi avesse letto nel pensiero. Era sempre stata una sua prerogativa, quella.
“C-Cosa?”
“Dicevo, non te la prendere per quei commenti. Li ho sentiti anche io, i mercenari sono molto superstiziosi su determinate cose.” Mi sorrise. “Ma se ti conoscessero almeno la metà di come ti conosco io, saprebbero bene che il malocchio avrebbe solo da perderci nel perseguitarti…”
“Molto spiritoso!” dissi, scalciando una pigna nella sua direzione con la punta dello stivale.
Il sorriso svanì dallo sguardo di Gourry: “Ad ogni modo, Lina, te l’ho già detto che questa volta mi hai fatto quasi morire di crepacuore? La prossima volta che deciderai di rimanerci secca sul serio sei pregata di dirmelo con un minimo di preavviso, così giusto per arrivare preparati…” Il suo tono era scherzoso, ma dal suo sguardo trapelava chiaramente l’apprensione. Mi costrinsi a guardare verso il fuoco:
“D’accordo allora, la prossima volta che avrò la brillante idea di lasciarci le penne ti lascerò due righe di commiato…” dissi, pentendomene subito dopo. Ma quale prossima volta? Gourry se ne sarebbe andato nel giro di qualche giorno, a chi diavolo avrei dovuto lasciare quelle ipotetiche due righe? Mi incupii.
“Lina…” Gourry si era voltato verso di me, sentivo il suo sguardo indagare il mio volto. “Non puoi… non puoi nemmeno immaginare quello che ho provato quando ti ho visto attraverso il ghiaccio” disse, in un sussurro.
A dispetto del freddo pungente, che mi intorpidiva i sensi, ebbi la chiara percezione di stare arrossendo.
“Sinceramente, Gourry, dubito che tu possa aver provato qualcosa di peggio di quel che invece ho provato io in quel momento…” risposi, cauta.
Gourry scosse la testa e i suoi occhi incrociarono i miei “Se non ti avessi vista cadere nell’acqua …” si bloccò ma io afferrai comunque il concetto che non era in grado di esprimere.
Se non mi avesse vista cadere, se nessuno avesse assistito all’incidente, in quel momento non sarei stata altro che un corpo rigido sul fondo del lago. Rabbrividii nel visionare me stessa fluttuare nell’oscurità di quell’acqua torbida, i capelli che ondeggiavano pigramente intorno al mio volto di gesso.
“Ad ogni modo…” mi costrinsi a dire, per scacciare quell’immagine.  “Non sei stato il solo a vedermi cadere, anche Anouk ha assistito all’incidente.” I miei occhi si spostarono verso la carrozza, in cui sapevo esserci la bambina con la sua gatta, al sicuro.
“Già. Ma quella bambina è strana, Lina.” Lo sguardo di Gourry si fece pensieroso “Quando ti abbiamo vista sprofondare nell’acqua, mi è parso quasi…” aggrottò le sopracciglia. “So che sembra assurdo, ma ho avuto l’impressione che volesse fermarmi. Mi ha tirato per una manica, scuotendo la testa. Aveva uno sguardo risoluto.”
“Deve essersi spaventata, avrà cercato di fermarti pensando che saresti affondato anche tu…”
“Di certo è così.” Gourry tossì. Non volevo che per colpa mia si prendesse una broncopolmonite.
Le sue mani erano abbandonate sulle ginocchia. Per riscaldarsi si era tolto le vesti zuppe e si era avvolto in una vecchia coperta di lana puzzolente, ma pur sempre asciutta. Le sue mani erano rigide e sospettavo fossero gelide. Mi piacevano molto quelle mani, erano grandi e con le dita lunghe e affusolate; il dorso portava svariate cicatrici, le conoscevo tutte a memoria, mentre i palmi erano ruvidi per il continuo sfregamento con l’elsa della spada. Vedevo quelle mani tutti i giorni, da quattro anni a quella parte. Ero abituata a giocare con loro, a vederle maneggiare sapientemente una spada, a combatterle nella dura guerra della tavola imbandita. Quelle mani mi avevano aiutato, sorretto e sostenuto per tutto quel tempo, e adesso…  Sarei stata pronta a vederle salutare mentre si allontanavano?
Provai di nuovo il forte impulso di stringerle  tra le mie, riscaldarle, intrecciare le dita con quelle di Gourry…
Ma la voce di Nayden risuonò limpida alle nostre spalle, disperdendo in un batter d’occhio tutti i miei ridicoli propositi romantici.
“E come vi dicevo, cara duchessa, ecco la nostra Lina Inverse tutta intera, solo un po’ intorpidita, ma a questo, beh, si può certo porre rimedio!” esclamò con il suo tono di voce più ammaliante.
Voltandomi, mi aspettavo di trovarmi davanti lo sguardo arcigno di Rebecca, invece fu con la bellezza sconvolgente di Camelia che dovetti scontrarmi. Dall’inizio del viaggio non avevo avuto molte occasioni di incrociare il suo sguardo, figuriamoci parlarle. Gli unici attimi in cui la sua presenza mi era nota, dato che passava la maggior parte del tempo chiusa in carrozza, erano per l’appunto quelli in cui c’era Nayden di mezzo. In quel momento dovetti constatare due cose: Nayden era finalmente riuscito, come minimo, a porgerle la mano, e glie la teneva con fare molto galante; e Camelia, contrariamente a qualsiasi cosa avessi potuto aspettarmi, vestiva un’espressione piuttosto intimorita. I suoi occhi erano pece liquida, con delle sfumature di viola, e mi stavano squadrando come a volersi assicurare che fossi effettivamente lì tutta intera. Infine un lieve sospiro uscì dalle sue labbra:
“Sono molto lieta di appurare che stiate bene, Lina Inverse. Quando ho saputo del terribile incidente che vi aveva visto coinvolta, sono rimasta sinceramente impressionata…” Esclamò. Le sue parole erano calme e controllate. “Bene, cavaliere, vorreste essere così gentile da scortarmi nuovamente verso la carrozza? Arrivederci signorina Inverse, messer.” Il suo sguardo si posò rapidamente su Gourry mentre salutava. Nayden voltandosi mi fece l’occhiolino, mentre sulle sue labbra comparve la silenziosa frase ‘torno subito’; annuii con un gesto del capo, e tornando a rivolgermi verso il fuoco incrociai lo sguardo serio di Gourry . Mi rivolse un’occhiata penetrante.
“Nayden. È  lui il tuo eroe, non di certo io.”
“Cosa intendi dire?” chiesi, confusa. Speravo per lui che non stesse tornando sull’argomento di qualche ora prima, ma Gourry si fece scuro in volto.
“Quello che sto dicendo, Lina. Quando sono arrivato e ti ho vista sotto quella lastra, ho cercato di scalfire il ghiaccio in modo da riuscire ad aprirmi un varco, ma è stato tutto inutile.” Si portò una mano sugli occhi “Dei, quando ripenso a quella scena… da solo non sarei riuscito a tirati fuori, invece Nayden in un attimo era lì, e ha sciolto il ghiaccio con un incantesimo. Solo così mi sono potuto immergere per riprenderti.”
Sbattei le palpebre. All’improvviso, qualcosa non tornava.
“Intendi dire che, quando sei arrivato nel punto in cui sono precipitata, il ghiaccio era di nuovo intero?”
Avevo creduto che la lastra su cui poggiavo i piedi si fosse ribaltata per poi tornare al suo posto. Invece Gourry mi stava dicendo che non solo non c’erano segni di crepe nel ghiaccio, ma che fosse anche dannatamente difficile scalfirlo. Come potevo io, con i miei quaranta chili scarsi, averlo rotto semplicemente appoggiandoci i piedi se Gourry, usando tutta la forza che aveva, non ci era riuscito?
“Un incantesimo…” mormorai, tra me e me.
Provai a concentrarmi, e ripercorsi quel viaggio dall’inizio. Le missive uguali, gli sguardi ambigui di Rebecca e le sue paure legate all’omicidio del marito. C’era un assassino ancora a piede libero che aveva spinto lei e le figlie verso Sailunne in cerca di protezione.
Un assassino. Ancora a piede libero.
Pensai al volto deturpato di Anouk. Ai due incidenti in cui ero rimasta implicata. All’improvviso scorsi il filo conduttore che li collegava: non ero l’unico essere vivente a essere stato coinvolto in quelle misteriose disgrazie, no. C’era sempre Babette, di mezzo. E se io, entrambe le volte, mi fossi trovata coinvolta mio malgrado? E se quegli ‘incidenti’ fossero stati creati appositamente per… Anouk? In quanto proprietaria del gatto, era logico pensare che sarebbe andata lei a riprenderlo. E quella bambina portava già chiaramente stampati addosso i segni di una vita passata a scontrarsi con le disgrazie.
Incidenti causati dalla magia, dunque. E un solo mago, tra di noi, esclusa la sottoscritta.
Sollevai gli occhi solo per scorgere Nayden che tornava verso di noi.
“Allora Lina, ti sei un po’ riavuta dal viaggetto nell’aldilà?” Le sue parole volevano suonare scherzose, eppure mi fecero rabbrividire.
Questa volta ci era mancato davvero poco, pochissimo…
Sentii che anche Gourry, al mio fianco, si era irrigidito.
“Sì, devo dire che è stato molto tonificante…” risposi, scrutandolo. “Lo consiglierei a tutti un bel bagno ghiacciato, chiarifica le idee” buttai lì con noncuranza, attenta a cogliere qualche reazione da parte di Nayden. Se fosse coinvolto o meno, questo di certo non avrei potuto dirlo; ma il suo interesse nel salvarmi sarebbe stato giustificato laddove non fossi stata io la vittima predestinata dell’incidente…
Cercai Joy con lo sguardo. Non mi era mai piaciuto, e non volevo farmi guidare dal disprezzo nei suoi confronti per giudicarlo. Ma chi mi garantiva che Joy non fosse implicato? Per un attimo pensai a Gourry, alla sua decisione di seguirlo. Avrei dovuto avvisarlo del fatto che Joy non mi convinceva, che non lo reputavo una brava persona? Tentennai, poi scossi la testa, risoluta.
Perché avrei dovuto aprirgli io gli occhi? Perché avrei dovuto farlo per qualcuno che, messo davanti a una scelta, non aveva scelto me?
Gourry avrebbe avuto tutto il tempo di rendersi conto con che razza di idiota era andato a finire. Lo stesso identico tempo che io invece avrei sfruttato per godere della mia piena libertà .
Già.
Che meraviglia, potevo considerarmi finalmente una persona del tutto libera da preoccupazioni e coinvolgimenti emotivi.
Avrei scoperto cosa significava viaggiare senza avere nessuno tra i piedi, non avere nessuno che ti frega la roba dal piatto, nessuno a cui ripetere cento volte lo stesso identico concetto prima che possa farsene anche solo una vaga idea; nessuno che ti assilla chiacchierando in modo esasperante mentre vorresti rimanere concentrata; nessuno che ti rimprovera per fatti del tutto innocui in cui ti trovi coinvolta tuo malgrado (ehm…); nessuno che ti tratta come una bambina di cinque anni quando devi far valere la tua autorità; nessuno che ti prende in giro solo perché non hai una quarta abbondante (beh, su questo punto ero quasi certa che qualche altro idiota l’avrei trovato.) nessuno che…
Beh, nessuno e basta. Ecco.
Mi scrollai, abbozzando un tentativo di sgranchirmi le braccia. Sentii il caldo mantello scivolarmi dalle spalle e a quel punto, a malincuore, me lo tolsi per restituirlo a Nayden.
Non potete immaginare che dolore mi provocasse compiere un simile gesto. Avrei dovuto escogitare anche io qualcosa di simile per il mio di mantello, anche se, in effetti, non ricordavo nemmeno più quanti incantesimi avessi lanciato su quel pezzo di stoffa!
Lo sfilai con la stessa cautela con la quale avrei tolto un cerotto da una ferita quasi del tutto rimarginata, e il freddo che mi colpì fece quasi altrettanto male. A Nayden non sfuggì l’espressione del mio volto:
“Lina, se senti freddo guarda che puoi tenerlo. Io sto benissimo anche solo con la cotta di maglia…” sussurrò con fare molto galante. E ipocrita. Chi mai poteva stare bene solo con la cotta di maglia in quel clima glaciale? Tossicchiai: “No, figurati… Ti ringrazio, ma va bene così.” Risposi, tendendoglielo. Il mago mi fissò per alcuni istanti, dopodiché afferrò il manto e, sempre sorridendo, se lo passò sulle spalle, appuntandoselo al collo con un elegante fermaglio color rame.
Lo guardai con una punta di invidia.
“È un incantesimo… geniale. Detesto non avere avuto io stessa questa idea.”
“In effetti, sono molto orgoglioso di me stesso.” Si compiacque. “Per quanto… beh, mi ci sono voluti alcuni rigidi inverni passati all’addiaccio per decidermi a escogitare questo sistema.”
“Mettendolo in commercio sono sicura che ne ricaveresti un bel gruzzolo…” commentai, chiedendomi in realtà se non avrei potuto farlo io a sua insaputa.
“Appena saremo a Sailunne ne farò uno anche per te, Lina. Non mi costa nulla.”
In quel momento un insistente tossicchiare mi fece sobbalzare. Gourry si era sollevato, stringendosi nella coperta. I capelli, ormai asciutti, gli si erano arruffati disordinatamente sulla fronte, conferendogli un aria buffa che faceva tutt’uno con il suo cipiglio.
“Credo che anche le mie vesti siano asciutte. Vi lascio soli” disse, secco, lanciando un’ultima occhiata risentita verso il cavaliere, prima di darci le spalle.
Scossi la testa: “Scusalo, Nayden. Di solito non è così scortese, anzi, di noi due è lui quello gentile ed educato. Non so cosa gli è preso…”
“Non preoccuparti, credo che sia solo scosso.”
“Gourry mi ha detto che è merito tuo se oggi  non sono diventata cibo per pesci…”
Il mago si fece pensieroso: “Oh, no. Non voglio certo prendermi i meriti che sono di qualcun altro. Ero solo nel posto giusto al momento giusto, tutto qui. Stavo cercando la duchessina Anouk quando ho sentito le grida del tuo amico, e a quel punto non mi ci è voluto molto per intervenire con un semplice incantesimo. Ma ti assicuro che lui aveva già scalfito buona parte del ghiaccio della crosta; non vorrei che pensasse che il mio intervento sia stato decisivo perché suppongo che ti avrebbe salvata comunque.”
Cercai Gourry con lo sguardo, senza trovarlo. Non pensavo che il suo problema fosse da attribuire a un complesso di inferiorità nei confronti di Nayden. È vero, Nayden era bello, ed era un mago, e l’aveva aiutato a salvarmi. Ma Gourry… era Gourry, per gli dei! Non era da lui comportarsi così acidamente in determinati frangenti, senza contare l’assurda decisione di seguire Joy accampando come scusa il fatto che io dovessi vivere pienamente la mia vita…
Certe volte sapeva andare contro qualunque logica. La mia vita non l’avevo forse vissuta fino a quel momento con lui al mio fianco? Perché le cose improvvisamente avrebbero dovuto essere diverse? Cosa c’era che non funzionava più, tra di noi?
Le mie considerazioni vennero interrotte da un’odiosa voce, alle mie spalle: “Oh, ecco Lina Inverse di ritorno dalla nuotata! E dimmi, Lina, sei sicura di riuscire a reggerti in piedi fino a Sailunne? O credi di aver bisogno di una balia che pensi a te per il resto del tragitto?”
Sobbalzai, e voltandomi mi trovai davanti al naso gli occhi grigi e beffardi di Joy. Il mercenario era appena rientrato dal giro di ricognizione, e, ‘apprensivo’ come sempre, era subito venuto ad accertarsi che fossi ancora in vita; beh, per sua grande sfortuna era proprio così. Gli lanciai uno sguardo carico d’odio:
“Vuoi offrirti tu? Sono certa che così i tuoi tentativi di liberarti di me darebbero più risultati…” Esclamai, prima ancora di rendermi conto di quel che avevo appena detto, spinta dalla rabbia.
Le parole erano uscite direttamente dal mio inconscio, esprimendo qualcosa che avevo di certo considerato, ma che ovviamente non avrei voluto sbandierare ai quattro venti.
Ne fui stupita, e certamente lo stesso Joy rimase a bocca aperta davanti all’accusa, per niente velata, che gli avevo appena rivolto. Lo vidi sbattere le palpebre per alcuni secondi, incapace di ribattere subito a tono. Poi il suo sguardo si fece tagliente.
“È  questo che pensi di me? Mi credi un assassino? Beh, mi lusinghi, non c’è che dire; ma devo confessarti che mi sopravvaluti cara Lina, perché vedi, per quanto tra di noi non corra buon sangue, non avevo ancora pensato a metodi tanto drastici…” disse solo. Sembrava molto scosso.
Ero quasi pentita di avergli rivolto parole tanto dure. Nonostante in realtà non provassi alcun rimorso per averlo collocato nella lista dei sospettati.
“Ad ogni modo, potrei sempre pensarci…” concluse infine, rivolgendomi un’occhiata truce. Per una volta mi sembrava  punto sul vivo, e questa cosa, indirettamente, accrebbe i miei sospetti. Sempre se il bersaglio fossi stata io. Non vedevo che motivi potesse avere Joy di avercela con Anouk… ma, in tutta sincerità, non riuscivo a pensare che qualcuno potesse volersi sbarazzare di una bambina così timida e silenziosa.
‘Pensa alle cicatrici’ sussurrò una vocina dentro di me. Da quel momento, mi ripromisi, avrei prestato molta più attenzione alle persone che mi circondavano. E mi rincuorava molto sapere che Sailunne non distava più molto.
 A quel punto intervenne Nayden, sollevandosi da davanti al fuoco:
“Va bene, Joy perché non cominci a radunare gli uomini? Lo spadaccino è andato a cambiarsi e fra pochi minuti credo che potremmo ripartire.” L’occhiata che rivolse al fratello non ammetteva repliche e infatti il mercenario si allontanò senza una parola, avvolgendosi nella pesante cappa.
Rimasi a fissarlo torva e in quel momento Nayden mi si affiancò:
“Aria di tempesta?” domandò, notando il mio sguardo. Poi senza aspettare una risposta aggiunse: “Se posso darti un consiglio, Lina, stagli lontana. Credimi, ti eviteresti un sacco di grane. Mio fratello è un tipo strano e può diventare pericoloso.”
Certo, come se io volessi stargli vicina intenzionalmente.
Tuttavia le parole di Nayden mi fecero rabbrividire. Pensai a Gourry:
“Cosa significa pericoloso?”
Nayden parve rifletterci sopra per alcuni secondi:
“Lina, Joy…” Si grattò una guancia “Joy mi ha sempre inquietato, anche quando eravamo bambini. Ti parlo di sensazioni, perché di fatto non riesco a ricordare che abbia mai compiuto azioni malvagie. È solo… oscuro. Come se il suo cuore fosse avvolto dall’ombra.” Aggrottò le sopracciglia, sorpreso dalle sue stesse parole. “Sì, il suo cuore è pieno di ombre. E le sue intenzioni non sono sempre buone. Stagli lontana, è meglio.”
Aspettai che Nayden aggiungesse qualche altro particolare, ma la sua descrizione del fratello si fermò lì. Mi chiesi cosa intendesse dire rivelandomi che era sempre stato una persona inquietante, però decisi di non indagare oltre. Non doveva essere facile avere un fratello come Joy, né tantomeno accollarsene la responsabilità.
I miei occhi si ritrovarono a vagare nella bassa foschia che era calata sulla radura, dissolvendo i contorni delle cose, e desiderai ardentemente essere già seduta alla tavola di Phil.

“Così questa è Sailunne? Non ci ero mai stato, ma perdinci se ne ho sentito parlare!” Tuonò la possente voce di Hermann quando varcammo i portali della città bianca.
Il resto del viaggio si era svolto in totale tranquillità, e mentre imbruniva eravamo giunti alle porte della sacra città di Sailunne. Era stato sufficiente mostrare alle guardie il sigillo e la missiva del regno di Solaria perché carrozza e seguito armato potessero varcare l’ingresso. Herman si guardava attorno meravigliato e io me ne compiacqui. Sailunne faceva quell’effetto a chi ci metteva piede per la prima volta. Candida e luminosa, tra templi, palazzi e rigogliosi giardini, sembrava veramente un regno delle favole. C’era anche un principe, in effetti. Ma non avrei mai osato definire Phil un principe da favola… Tutto il contrario, ad essere sinceri.
A quel punto eravamo ormai arrivati alle porte del palazzo. Un araldo venne incaricato di rendere nota la nostra presenza e, dopo qualche istante, le pesanti porte smaltate dell’edificio tremarono, spalancandosi di colpo davanti all’energica presenza del principe in persona.
Ecco, era esattamente come lo ricordavo, purtroppo.
“Ah-ah! Siete giunti infine! Che gli dei siano lodati, ho pregato affinché il vostro viaggio procedesse sotto una buona stella! La stella splendente che guida i giusti, ovviamente!”
Una grossa goccia di sudore scese dalla mia tempia; forse avrei dovuto attribuire le mie disgrazie alle inconsapevoli gufate di Phil.
Il principe, nel frattempo, era sceso dai gradini zampettando agilmente (giuro che dovevo ancora capire dove diamine trovasse tanta agilità un quarantenne con la stazza di un orso bruno) e in uno svolazzo di vesti candide si era affiancato alla carrozza, chiamando a raccolta alcuni paggi affinché servissero la duchessa e le figlie che vi discendevano.
“Rebecca, ti porgo le mie condoglianze…” disse con sincera partecipazione, porgendo lui stesso la mano alla duchessa “Sono lieto che tu abbia richiesto la mia protezione, e che il viaggio sia andato bene…” disse, accompagnandole verso il palazzo. Prima di varcare il grosso portale Phil lasciò la mano della duchessa e si rivolse ai mercenari:
“Immagino che siate molto stanchi, e sarete felici di sapere….”Ma in quel momento si bloccò di colpo, mentre il suo volto assumeva un’espressione di puro stupore:
“Non ci posso credere!” esclamò “Lina Inverse! Che mi prenda un colpo!”
Ah, finalmente te ne sei accorto.
Non mi piaceva molto rimanere in seconda fila, sapete. Meritavo anch’io che mi si facessero gli onori di casa, diavolo!
“Salve a te, Phil. Come te la passi ultimamente?” domandai, lieta che i mercenari con cui avevo viaggiato mi osservassero con tanto d’occhi per la mia familiarità con la famiglia reale.
In meno di mezzo secondo tuttavia mi trovai fagocitata dall’esuberanza del principe:
“Ma Lina! Potevi dirmelo prima che avresti partecipato alla scorta di Rebecca! E c’è anche il signor Gourry!” Phil fagocitò anche Gourry, che si era avvicinato timidamente, nell’abbraccio stritola tutto. “Ma bravi! Che ottima idea passare per un saluto, voi lo sapete no che casa mia è casa vostra? E Chissà come ne sarà felice Amelia! Su entrate, presto! Cosa sono tutti questi complimenti? Bisogna subito avvisare Amelia!”
Quasi senza più fiato ebbi giusto il tempo di pensare, con orrore….
Amelia?

“LINA-SAN!!”
In meno di mezzo secondo venni avvolta da vesti svolazzanti, braccia che mi stringevano e baci umidi sulle guance.
Convenivo che il benvenuto fosse una tradizione importante da rispettare per gli ospiti importanti come me, però… Così era anche troppo, dannazione!
Quando Amelia ebbe finito di stritolarmi passò a Gourry, lasciandomi appena il tempo di riprendere fiato prima di seppellirmi di domande a raffica:
“Lina, cattiva! Perché non mi hai avvisato che saresti arrivata? Oh, è da così tanto tempo che noi non ci vediamo! Ho un sacco di cose da raccontarti! E Gourry, tu come stai? Viaggiate sempre insieme? Oh, sono così contenta!” Gli occhi le brillavano di gioia.
In fondo, era talmente facile volere bene ad Amelia…
“Si, noi… Viaggiamo ancora insieme…” farfugliai, nel tentativo di rispondere ad almeno una delle domande che mi erano state poste con enorme velocità. Anche se fermandomi a pensarci avrei dovuto aggiungere ‘sì, ancora per poco’. Decisi di tenere per me quella considerazione.
Guardando Amelia mi resi conto che non era cambiata affatto: solo i capelli erano più lunghi, ed erano raccolti sulla testa con forcine e perline che, a causa della sua esuberanza, si reggevano per puro miracolo. Ma guardandola meglio mi accorsi che quella semplice acconciatura la rendeva più adulta e più femminile. Mi chiesi se a sua volta lei avesse notato dei cambiamenti in me, nell’ultimo anno in cui non ci eravamo viste, ma ne dubitavo. O almeno, io non ne vedevo per niente in me: i miei capelli erano sciolti e arruffati come sempre, la statura non aveva subito particolari modifiche e nemmeno… Beh, quella parte del corpo che Amelia aveva decisamente più sviluppata della mia. Sospirai rassegnata, e cominciai a sfilarmi guanti.
In quel momento, una voce molto famigliare mi fece trasalire:
“Lina, che sorpresa. Gourry. È un piacere rivedervi.”
“Zel?!”
Zel arrivò a pochi passi da noi, e rimanemmo per qualche secondo tutti e quattro in uno strano, irreale silenzio. Dopodiché la chimera lanciò qualche colpetto di tosse, vagamente irritato:
“Beh, d’accordo, non mostratevi troppo entusiasti di rivedermi” commentò, acido. “Sembra che abbiate visto un fantasma…”
Io scoppiai a ridere:
“Ma no, Zel!  Siamo solo, ecco… Sorpresi di trovarti qua! Vero Gourry?... Gourry?”
Mi voltai verso lo spadaccino.
Espressione vacua, sguardo spento da pesce lesso…
Dannazione, che cervello di medusa!
“Gourry svegliati!” Lo scossi, e intervenni prima che potesse sparare qualche colossale cavolata. Insomma, sapevo quanto Zel potesse essere suscettibile sull’argomento…
“Questo è Zel, ricordi? Abbiamo viaggiato insieme, sconfitto un sacco di mostri… Una volta l’abbiamo anche usato come ancora. Come fai a non ricordartene?”
Gourry mi fissò:
“Lina, lo so chi è…” disse, lanciando un segno di saluto alla chimera.
“E allora perché fai quella faccia da broccolo lesso?!” Gli abbaiai.
Gourry mi guardò timidamente: “Il fatto è, Lina, che… Ho una gran fame, secondo te quando si mangia?”
Per poco non caddi a terra. Mi sentii meno frustrata solo dopo che lo ebbi colpito abbastanza forte con il gomito nel costato.
Zel sorrise, Amelia si portò una mano alla bocca.
“Cretino…” commentai, mentre Gourry si piegava.
“Sempre i soliti…” Ci stuzzicò la chimera.


“E quindi, avete fatto parte della scorta della duchessa?” Chiese Zel dopo un quarto d’ora, soffiando sul suo caffè.
Io posai la mia tazza di tè sul tavolino intorno a cui ci eravamo riuniti:
“Già. Non è stato una missione entusiasmante, ma almeno dovremmo guadagnarci bene…”
Amelia spinse verso di noi un vassoio con sopra delle tartine:
“Non guardarmi con quella faccia, Lina!” disse, dopo che ebbi lanciato un occhiata impaurita verso il vassoio. “Non sarà l’unica cosa con cui ho intenzione di nutrirvi per questa sera!”
Mi sentii subito meglio.
Amelia proseguì: “Mio padre ha organizzato una grande festa, per accogliere le duchesse… beh, per ora fate uno spuntino, poi potrete farvi un bagno e preparavi per la cena!” Aggiunse dolcemente “Ho già fatto preparare le vostre stanze, e ho ordinato alla servitù di riscaldarvi le vasche.”
Ve l’ho già detto quanto adorassi Amelia??
Gourry nel frattempo si stava ingozzando di tartine.
“E tu, Zel? Cosa ti porta qui? Qualche novità sul fronte ‘cura’?” Chiesi con cautela. Zel era molto suscettibile quando si toccavano i suoi punti deboli. E dopo quattro anni di conoscenza potevo dire con certezza che i suoi punti deboli erano due: la tanto agognata cura, e la principessa che in quel momento gli sedeva a fianco.
“No, sono ad un punto morto, per ora…” Zel bevve un sorso di caffè “E per quanto riguarda la mia visita, beh, ecco… Ero di passaggio e ho deciso di intrattenermi per qualche tempo. Le biblioteche di Sailunne offrono sempre un gradito diversivo…” Ora pareva a disagio.
Amelia sorrise, vagamente imbarazzata: “Gli ho detto che non avrebbe potuto negarmi una visita amichevole…”
“Appunto, Amelia poi ha così tanto insistito… che rimanessi a vedere i progressi che aveva fatto con la magia…” Farfugliò Zel, che dal verdognolo stava velocemente passando al violetto.
 “Aaaaah…”
Si certo, i progressi con la magia. Ma a chi voleva darla a bere?
“Bene, ora andrò a prepararmi per la cena di questa sera.” Concluse infine la chimera, bevendo tutto d’un fiato il caffè che rimaneva nella tazza.
Gourry sollevò lo sguardo dalla sua scodella, la bocca ancora piena:
“Fai già fia?” biascicò, disperdendo briciole.
“Sì, ci vediamo al banchetto. E, Gourry, ti sta colando qualcosa sul mento…” Concluse Zel, disgustato, prima di voltarci le spalle.
Con la coda dell’occhio vidi la principessa seguire i suoi movimenti fino a che non scomparve dietro ad una porta; Gourry nel frattempo si stava pulendo con la manica.
“Gentile da parte sua passare e fermarsi…” Commentai. Amelia si sforzò di nascondere il rossore che le si stava diffondendo sulle guance recuperando con attenzione alcune briciole che le erano cadute sul vestito:
“ Zelgadis è così, sembra duro, ma è una brava persona, in fondo…”
Non ne dubitavo. Soffiai sul mio tè, ormai freddo, e decisi di passare ad argomenti più interessanti:
“Tuo padre conosce bene la duchessa di Solaria, quindi?”
Amelia si fece pensierosa:
“In realtà lo legava una grande amicizia al duca. La sua morte è stata un duro colpo, anche considerando che avevano pressappoco la stessa età…”
“Certo. Una brutta faccenda.”
Lo sguardo di Amelia si fece triste:
“Pensavo ad Anouk. Quella bambina è proprio sfortunata…” disse, scuotendo la testa. “Prima la madre, poi l’incidente… E adesso ha perso anche il padre. Ha solo nove anni.”
“La madre hai detto?”
La principessa annuì:
“Sì, non lo sapevi? Rebecca non è la madre di Anouk.”
Improvvisamente qualcosa  cominciò a muoversi nella mia mente. La esortai a proseguire:
“Beh, sua madre è morta di parto. Non so molto di più, solo che il duca ha sposato Rebecca più o meno quando Anouk aveva tre o quattro anni. Rebecca aveva già una figlia, Camelia… Si somigliano molto in effetti, hanno gli stessi capelli neri, però non sono sorelle.”
Lanciai un’occhiata a Gourry che ricambiò il mio sguardo:
“Amelia, prima hai parlato di un incidente… Cosa intendevi dire?”
La principessa sospirò.
“Anni fa, quando la bambina aveva più o meno sei anni, il palazzo di Solaria è andato a fuoco. Non sono molto informata su questa storia, mio padre non ne parla volentieri. Molta della servitù è rimasta sotto alle macerie, e Anouk si è salvata per miracolo. L’ha salvata la sua balia. Era come una madre per la bambina, l’aveva cresciuta lei. L’avevo conosciuta in un’occasione diplomatica, era una ragazza piuttosto giovane, molto gentile, Elizabeth. Ma è rimasta tra le fiamme…” La principessa prese un respiro “Ti sembra giusto, Lina? Quella bambina ha perso praticamente tutte le persone che amava. Non stento a credere che non parli più…”
Rimanemmo un attimo in silenzio.
Amelia si sollevò: “Bene, ora credo che sia il caso di andare a prepararsi” esclamò, cercando di ritrovare un po’ di buonumore. Io e Gourry la imitammo, alzandoci.

Mezz’ora più tardi, mollemente adagiata in una vasca di acqua calda, ripensai alle parole della principessa. Il mistero che ruotava attorno alla famiglia ducale si infittiva e Anouk sembrava essere il perno su cui ruotava tutto. Una bambina segnata dalla sfortuna. Nella sua vita si erano susseguiti lutti e incidenti. Il suo mutismo era una barriera invalicabile, nessuno poteva accedere alla sua anima.
Pensai ancora una volta alla missiva che avevo ricevuto. E se fosse stata proprio lei, la duchessina, a inviarmela? Una disperata richiesta di aiuto…
Sprofondai tra le bolle di sapone fino al naso, quando un lieve bussare alla porta mi riportò alla realtà:
“Signorina Inverse…” Chiese una timida voce femminile “La principessa le ha mandato dei vestiti tra cui potrà scegliere quello da indossare questa sera…”
Per un breve istante desiderai soffocarmici con quelle bolle di sapone: Oh, no! Detestavo la mania di Amelia di vestirmi come una bambolina di porcellana ogni volta che mi aveva sottomano per un ricevimento.
Rassegnata uscii dalla vasca, e avvolgendomi nell’accappatoio seguii la domestica carica di stoffe fino alla stanza che mi era stata assegnata. Quando vi misi piede dentro, tuttavia, sorrisi. Era una delle stanze per gli ospiti più belle e suntuose che ci fossero a palazzo: al centro troneggiava un elegante letto a baldacchino, le pareti erano rivestite di arazzi e c’era un enorme camino a parete in cui scoppiettava un bel fuoco.
La serva posò sul letto una quantità esorbitante di vestiti, e avvicinandomi dovetti constatare che, in effetti, erano veramente splendidi…
Uno in particolare attirò la mia attenzione: era di seta, color glicine e splendidamente decorato da una moltitudine di minuscole stelle argentate. La serva mi guardò con occhi scintillanti: “Sono certa che le starà d’incanto!” Esclamò entusiasta. Io arrossii.

Quando varcai la soglia del salone, non mi sentivo nemmeno io. Avrei tanto voluto avere almeno i capelli sciolti, o il mantello…
Ecco, il mantello sarebbe stato perfetto.
Indossavo il vestito di seta dalle maniche lunghe e ampie, che scivolava perfettamente sulle mie forme così poco sviluppate, ma… Quando lo avevo scelto non mi ero certo resa conto di un piccolo particolare che sicuramente me lo avrebbe fatto scartare se me ne fossi accorta prima. Mi lasciava la schiena quasi, completamente… nuda.
E quella vipera di una serva mi aveva anche raccolto i capelli sulla nuca, nonostante le mie proteste, sostenendo che fermarli con delle stelline argentate avrebbe richiamato il decoro del vestito, così, ecco… ero praticamente nuda e non mi sentivo per nulla a mio agio. Di conseguenza, da quando ero uscita dalla mia stanza, avevo percorso l’intero tragitto strisciando lungo i muri come un ladro!
Ma infine dovetti desistere e staccarmi dalla parete per entrare nel salone. Presi coraggio e deglutii…
Per tutti i diavoli, era una schiena, solo una schiena. Mi detti della stupida per quella mia mania di trovare orribilmente imbarazzante mostrare anche un solo centimetro di pelle. Le altre dame se ne andavano beatamente in giro mezze nude, con scollature da capogiro e spacchi vertiginosi, e sembravano trovarlo anche  molto divertente, quindi perché io dovevo farmi tutti quei problemi per una schiena?
Stavo giusto per avvicinarmi al tavolo delle vivande, quando una voce mi fece sobbalzare e appiattire immediatamente contro al muro. Avrei tanto voluto nascondere il volto tra le mani e sparire in uno sbuffo.
“Lina? Ah, allora sei tu! Ti avevo scambiato con il muro!” Commentò scherzosamente un tono di voce che aveva qualcosa da spartire col tono che avrebbe potuto usare un angelo.
“Emh, no… Ma che ti salta in mente, hehe…” Davanti al mio naso Nayden sorrideva affabilmente, illuminando a giorno l’intera sala. Lavato e tirato a lucido, avvolto in suntuose e preziose vesti, era ancora più abbagliante. Mi sorrise:
“E allora perché te ne stai tutta sola in questo angoletto? Su, vieni con me!” Mi porse la mano “Sei splendida stasera, tutti quanti dovrebbero vederti!”
Oh, no. No, no, no… ne facevo molto volentieri a meno. Probabilmente ero diventata color ravanello. Schiena compresa.
“Ehi, N-Nayden, no! No, aspet… Aspetta!” Cercai di divincolarmi, mentre il cavaliere mi conduceva verso il centro della sala. In quel momento scorsi Gourry.
Era dall’altro lato della stanza, e teneva un bicchiere tra le mani. I lunghi capelli biondi erano stati lavati e gli ricadevano morbidamente sulle spalle, avvolte in un elegante mantello blu, appuntato sulla scapola con un prezioso fermaglio. Era così… così bello.
Peccato solo che vestisse un’espressione tutt’altro che felice guardando nella mia direzione. Abbassando lo sguardo mi resi conto che la mia mano era ancora stretta in quella di Nayden.
Cercai di salutarlo con l’altra di mano, ma lo spadaccino distolse lo sguardo, e quando Nayden si decise finalmente a lasciarmi andare, dopo avermi condotto al centro della sala, Gourry si era allontanato.
Mi torsi le dita, cercando un posto dove rifugiarmi. Un paggio mi passò a fianco sorreggendo un vassoio stracolmo di bicchieri e riuscii ad afferrarne uno al volo, tracannandolo.
Era un vino dolce, che mi scese come acqua per la gola, dandomi un po’ di coraggio. Ed era buono. Forse ne avrei bevuto giusto un altro bicchiere, per superare la serata…
Quando finalmente riuscii a vedere nuovamente Gourry tra la folla, ero ormai al terzo bicchiere; decisi di raggiungerlo.
“Gourry!” Lo chiamai. Ma prima che riuscissi a raggiungerlo andai a finire contro la schiena di uno dei convitati, il quale si girò, chiaramente scocciato:
“Ma che accidenti… Lina?”
“Oh, maledissione…” farfugliai. Di tutte le persone con cui potevo scontrarmi, ero andata a finire proprio contro all’unica che non avrei voluto rivedere mai più. Joy mi fissava, i capelli neri e ondulati ordinatamente tirati dietro le orecchie, e un mantello grigio drappeggiato intorno alle spalle. Il suo sguardo, tuttavia, sembrava stupito.
“Che ascidenti hai da guardare?” Gli intimai, minacciosa. Sarebbe bastato un commento maligno, uno solo, e non mi sarei fatta problemi a scatenare una rissa nel salone da ricevimento di Phil.
Tuttavia, Joy si mantenne composto:
“Guardavo te.” Disse solo. “Sei… piuttosto carina, questa sera…” mormorò. Io rimasi stupefatta, ma il mercenario si riprese immediatamente: “Ma se è un’ultima mossa disperata per convincere Gourry a rimanere con te, rassegnati. Non basteranno un vestito e una acconciatura a trattenerlo. Gli ho parlato giusto due minuti fa: partiamo domani, subito dopo colazione.” Joy bevve un sorso dal suo bicchiere “Non sei contenta Lina? Non mi rivedrai mai più, il tuo desiderio sta per essere esaudito. Certo, dovrai dire addio anche a Gourry. A proposito, l’hai già salutato? Beh, ti avrà detto sicuramente che partiamo domani….” E con un mezzo sorriso compiaciuto si allontanò, lasciandomi con un orribile sapore amaro nel palato.
Mi accorsi di avere bisogno di un altro po’ di vino per scacciare quel gusto acre. All’improvviso, mi sentivo persa. E un dolore sordo si stava facendo largo dentro di me.
Quando Zel mi scovò, circa mezz’ora d’ora dopo la mia simpatica conversazione con Joy, ero ormai al bicchiere numero… Bah, non avrei saputo dirlo. Sapevo solo che non capivo perché mi fossi tanto preoccupata, la vita era così meravigliosa! Mi ero rintanata in un angolo della sala e lì, chissà perché, il futuro non mi appariva più così dannatamente tetro. Forse perché avevo trovato una bottiglia con cui potevo rimboccare il mio bicchiere tutte le volte che volevo, senza stare ad aspettare quel paggio insolente che, ad un certo punto, mi aveva esortato a smetterla di attingere dal suo vassoio. Dovevo ricordarmi di riferirlo a Phil, a proposito, non era bello avere tra la servitù una persona tanto maleducata.
“Lina, sei ubriaca” disse la chimera, dopo essersi avvicinato e aver cercato di togliermi di mano il bicchiere.
“Questa è una tua opinione” farfugliai, cercando di riafferrare il mio calice. Il mio amico lo tenne ben lontano dalla mia mano.
“Oh, al diavolo. Dato che scei coscì indisponente, Scel, berrò direttamente dalla bocciglia!” Esclamai, attaccandomi al collo. Ma Zelgadiss ancora una volta fu più veloce:
“Lina, per favore.” Mi rimproverò, togliendomi anche quella.  “Stai dando spettacolo.” Aggiunse poi, dopo aver appoggiato coppa e vino su un tavolo in cui non potevo raggiungerli dato che ero scivolata a terra, con la schiena appoggiata alla fredda parete. La mia testa ciondolò:
“Che problema hai, Scel? Parliamone.”
La chimera si piegò sulle ginocchia:
“Io non ho nessun problema, ma tu, a quanto pare, sì. Che succede, Lina? Amelia è molto preoccupata per te. Mi ha detto che ti ha vista irrequieta per tutta la sera, sempre con il bicchiere in una mano… Cosa ti prende? Non ti ho mai visto così.”
Sollevai lo sguardo su di lui:
“Amelia è preoccupata? E tu chi scei, il suo portavoce?”
Lo sguardo di Zel si fece duro:
“No, io sono tuo amico. E lei non poteva alzarsi dal tavolo in cui stanno intrattenendo degli ospiti importanti…”
“Ah, che bella squadra sciete! Sai, un tempo ce l’avevo anche io, una squadra.”
Zel sospirò:
“Ecco, appunto. Mi stavo proprio chiedendo dove accidenti si sia cacciato Gourry…” disse, scrutando tra i volti della sala.
Io emisi un gemito strozzato. Voleva essere una amara risata, ma risuonò come un sibilo gracchiante:
“Gourry… Lui non è più mio amico! È  amico di Joy, adesso. Loro sono grandi, insieme!” esclamai con voce impastata, tracciando con la mano un arco davanti a me.
Lo sguardo di Zel si fece cauto. Stava iniziando ad inquadrare il problema.
“Lina, aspettami qui.” disse, sollevandosi. “E non toccare né la bottiglia, né il bicchiere!” Mi ordinò, prima di allontanarsi.
Lanciai un’occhiata sconsolata alla coppa di vino che si trovava, mi parve, metri e metri sopra di me, su un tavolo troppo alto da raggiungere, e sospirando mi abbracciai le ginocchia, appoggiandovi la fronte.
Mi si stava spezzando il cuore, e non conoscevo nessun incantesimo che potesse rimetterne insieme i cocci. Sapevo tante cose, conoscevo il mondo, ma nulla mi era d’aiuto in quel momento. Maledizione.
Fu solo dopo quello che mi parve un tempo infinito che due voci mi raggiunsero nel mio angolo, fortunatamente abbastanza nascosto e riparato dal resto della sala:
“Eccola, è seduta là..” disse Zel, avvicinandosi insieme ad un paio di stivali neri.
Io sollevai un poco la testa, solo per scoprire che tutto girava come se fossi stata su una giostra.
Gli stivali neri si piegarono, e scorsi due occhi color del cielo scrutarmi con apprensione.
“Lina, ma che diavolo ti sei bevuta per ridurti così?”
Aggrottai le sopracciglia, confusa.
“Vino, credo. Parecchio vino” balbettai, coprendomi il viso con i palmi delle mani. Non volevo che vedesse i miei occhi lucidi.
Gourry e Zel si scambiarono un’occhiata.
“Credo sia meglio se la porto a dormire…” disse a quel punto Gourry, scuotendo la testa. “Ha proprio esagerato stasera.”
“Sì, lo penso anch’io…” Ribatté Zel, mentre lo spadaccino si chinava a prendermi tra le braccia.  “Vieni, passate da questa parte, così nessuno la vedrà in questo stato” aggiunse, aprendo davanti a Gourry una piccola porta nascosta, in cui ci infilammo senza che io avessi avuto modo di fare o dire alcun che.

“Lina, Lina…” sussurrò Gourry mentre avanzava nei corridoi bui, tenendomi stretta a sé. “Quante volte ti ho detto che i bambini non devono bere?”
“Ti prego, Gourry… non potrei sopportare una paternale, in questo stato.”
Lo sentii reprimere un sorriso:
“D’accordo, niente predica. Anche se… lo sai che non reggi più di due bicchieri.”
Appoggiai la fronte sotto al suo mento. Sentivo il suo profumo, il tocco delle sue mani calde sulla mia schiena nuda.
“Mi conosci così bene…” sospirai, chiudendo gli occhi e abbandonandomi contro di lui.
“Sì, è così.” disse Gourry che , una volta arrivato davanti alla porta della mia stanza, stava cercando di aprire la maniglia con il gomito.
“Ce l’ho con te, Gourry” dissi in quel momento, mentre la porta si apriva con uno scricchiolio.
Gourry avanzò nella stanza fiocamente illuminata dalle braci ardenti nel camino.
“E qual è la novità? Tu sei  sempre arrabbiata con me, per un motivo o per l’altro.”
Ci riflettei un attimo:
“Questa volta è diverso. Non credo di essere mai stata così arrabbiata come in questo momento…” farfugliai, agitando l’indice mentre Gourry mi adagiava delicatamente sul letto. Rimasi lì stesa, l’indice sollevato davanti a me, mentre tutto mi vorticava intorno. Poi lentamente voltai il viso: Gourry si era piegato sulle ginocchia, i gomiti sul letto, e mi osservava straparlare. I miei occhi incrociarono i suoi. Mi faceva male sentirlo così vicino e, allo stesso tempo, sapere di non avere più tempo per stare con lui.
“Sei un idiota” dissi, la voce che tremava per la rabbia e la frustrazione.
Lo spadaccino allungò una mano per scostarmi dagli occhi i ciuffi di capelli che mi erano sfuggiti dall’acconciatura:
“Lo so che sono un idiota. Me lo dici sempre” rispose, dolcemente.
Non aveva capito. Come faceva a non capire, maledizione?
Sbattei le palpebre e in quel momento mi chiesi se io stessa stessi capendo qualcosa, di quello che stava accadendo. Cosa stavo cercando di dirgli, esattamente?
“Perché non mi hai detto che partirai domani?”
Vidi il suo sguardo giocoso farsi improvvisamente serio. La sua mano indugiò vicino al mio viso.
“Non volevo rovinare questa serata. Anche se, beh… a quanto pare ci hai pensato da sola, a rovinartela.” Abbozzò un sorriso, ma era un sorriso distante. Spento.
Volevo dirgli tante cose. Cose che avevo sempre tenuto dentro di me temendo di esternarle. Ma la mia lingua era incollata al palato e la parte di me intorpidita dall’alcol si rifiutava di collaborare.
“Domani non venire a salutarmi. Starò dormendo, credo” sussurrai, con voce roca.
Gourry non smise di guardarmi e io sentii una lacrima rotolarmi sulla guancia. Voltai il viso per non dargli modo di vederla. “Forse un giorno le nostre strade si incroceranno di nuovo” aggiunsi.
“Lo spero” mormorò lui, con un filo di voce.
“Già.”
Chiusi gli occhi, e restammo entrambi in silenzio.
Non saprei dire quanto tempo passò, probabilmente pochi minuti, ma tornò a scorrere solo quando sentii Gourry sollevarsi piano, attento a non fare rumore. Forse era convinto che mi fossi addormentata.
Feci uno sforzo sui miei riflessi resi lenti dall’alcol e allungai mollemente un braccio, afferrandogli il polso. Lo spadaccino si arrestò, sorpreso:
“Credevo che dormissi…” disse, piano.
“Gourry…” mugugnai,  “resta.”
“Cosa?”
“Resta qui, con me. Non voglio stare sola…” supplicai, senza mollargli il braccio.
Gourry si arrestò; sul suo volto comparve uno stanco sorriso:
“Va bene, resterò qua con te… adesso dormi.” E prendendomi la mano sedette sul bordo del letto, lasciandomi con una grande amarezza nella testa confusa.
Non aveva capito.
Non volevo che rimanesse semplicemente a farmi compagnia mentre smaltivo la sbornia.
Volevo che restasse con me. Per sempre.
Dopo mille indugi ero finalmente riuscita a buttare fuori le parole che tenevo imprigionate dentro di me da giorni… ed era stato tutto inutile. Cercai di aggiungere altro, ma la sbronza colossale che mi ero appena presa ebbe la meglio sulla mia volontà, e ben presto mi fece cadere in un sonno profondo, mentre tutto svaniva velocemente intorno a me.

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Capitolo 8
*** Legame ***


legame
Legame

‘Tu, tu che sei diverso… Almeno tu nell’universo…
Un punto sei, che non ruota mai intorno a me, un sole, che splende per me soltanto… Come un diamante in fondo al cuore.
Tu, tu che sei diverso… Almeno tu nell’universo…
Non cambierai. Dimmi che per sempre sarai sincero e che mi amerai, davvero, di più, di più, di più…’ (‘Almeno tu, Mia Martini)


Quando riemersi dalle tenebre in cui ero precipitata senza nemmeno rendermene conto, il mio primo pensiero fu, credo, incredibilmente simile a quello di molte altre persone che si erano trovate in una situazione simile alla mia: ‘giuro che non berrò mai più una goccia d’alcol’ farfugliai confusamente, ancora prima di provare ad aprire gli occhi, che sentivo gonfi e arrossati sotto alle palpebre.
 Mi portai entrambe le mani sul volto, sfregandolo più e più volte, percependo sotto alle dita la trama del copriletto stampata sulla guancia sinistra. La testa mi doleva da morire e , ne ero certa, non solo per la sbronza: a sorreggere la mia monumentale acconciatura della sera prima ci dovevano essere decine e decine di fermagli a forma di stellina, che in quel momento si erano, con mio grande disappunto, conficcate nei punti più disparati del mio cranio. Insomma, mi sentivo uno straccio ancora prima di aprire gli occhi sul mondo, cosa che in ogni caso mi costrinsi a fare.
 E quando riuscii, finalmente, a sbirciare l’ambiente circostante, dovetti constatare con stupore che non dovevo aver dormito più di qualche ora: dagli scuri semi aperti riuscivo a scorgere ancora il buio della notte, rischiarato dal soffuso bagliore dell’alba ormai prossima. Mi puntellai su un gomito e scorsi un pezzo di legno che ancora crepitava nel caminetto, illuminando di bagliori rossastri la stanza buia.
‘Qualcuno deve averlo ravvivato…’ pensai di sfuggita, mentre il mio sguardo ricadeva a quel punto sulla figura che avevo fino a quel momento ignorato, semisdraiata al mio fianco.
 Mi trovai a sbattere più volte le palpebre: Gourry dormiva accanto a me, in posizione seduta, la schiena addossata alla spalliera del letto; notai che si era tolto la cinta con la spada, l’elegante mantello e gli stivali. Ero certa che non si era reso conto di essere caduto addormentato, scivolando di lato, con il mento che gli pendeva ciondoloni sopra al petto.
 Come un vero gentleman aveva mantenuto la sua parola alla mia richiesta della notte precedente, quando, ricordai in quel momento, sotto all’effetto della sbornia l’avevo pregato di rimanere al mio fianco. Forse non intendendo la cosa in modo tanto letterale, ma Gourry era così. Sempre pronto ad esaudire ogni mia richiesta.
Rimasi a fissarlo per alcuni secondi, nel silenzio che ci circondava, smorzato di tanto in tanto dai crepitii della legna tra le fiamme. Ne osservai la mascella squadrata, l’insolita perfezione del naso, la linea armoniosa delle chiare sopracciglia…
Il suo respiro, calmo e regolare, che gli faceva abbassare e alzare lentamente il petto, mi conferiva una strana, incredibile tranquillità. E io, che ero notoriamente un essere privo di qualsiasi forma di pazienza, mi ritrovai a formulare un pensiero che in un primo momento mi parve assurdo: ‘Potrei rimanere per delle ore a guardarlo dormire…’
Non sapevo esattamente cosa volesse dire, ma non ne fui spaventata. Era un concetto strano, eppure, in quel momento, mi sembrava estremamente giusto: era quello che provavo.
 Spinta da quella consapevolezza mi feci più vicina, tanto da sentire il soffio leggero del suo respiro. Se c’era una cosa di cui ero sempre stata grata a Gourry, le molte volte che ci eravamo trovati a condividere lo stesso limitato spazio per la notte, era la sua tranquillità nel sonno, quasi paragonabile alla sua pacatezza nella vita quotidiana: non russava, non parlava e non scalciava. Dormiva quello che molti avrebbero potuto definire ‘il sonno dei giusti’, il riposo cioè di coloro che si addormentavano senza preoccupazioni, consapevoli che l’indomani sarebbe arrivato indipendentemente da tutto, e che loro l’avrebbero affrontato come sempre, una caratteristica che gli avevo sempre invidiato.
 Cercai di arrotolare parte del mio ingombrante abito intorno alle gambe mentre mi sollevavo, appoggiando a mia volta la schiena contro la testata del letto, e sospirai.
 Il sonno mi era passato, il cerchio alla testa un po’ meno. Che diavolo mi era preso la sera prima da spingermi a scolarmi quasi due bottiglie di vino da sola?! I mie pensieri tornarono a Joy, e come una frustata mi colpì la chiara consapevolezza di quale fosse il problema. Il mio sguardo tornò a posarsi sullo spadaccino.
 Quindi, era davvero giunto il giorno in cui le nostre strade si sarebbero separate?
 Il mio cuore ebbe un sussulto.
 Non…
Deglutii. Certe cose ero davvero restia ad ammetterle, soprattutto con me stessa. Soprattutto quando di mezzo c’erano i sentimenti… I miei sentimenti.
 Però era così, maledizione, e in quel caso i miei sentimenti centravano più di quanto avessi desiderato.
 Finalmente, nel buio di quella stanza, riuscii a formulare il pensiero che ormai da giorni si affacciava di continuo nella mia mente, senza tregua, e che io puntualmente cercavo di relegare in un angolo buio: non ero pronta a lasciarlo andare. Non ancora. E, forse, non lo sarei mai stata. Non riuscivo a credere che le nostre strade si sarebbero separate dopo che ne avevamo passate così tante insieme, io e lui…
Era vero, viaggiare in compagnia di qualcuno tanto diverso da me, all’inizio mi aveva infastidito. Mi avevano irritato i suoi giudizi sui miei passatempi preferiti, così tanto lontani dai nobili ideali cavallereschi con cui Gourry era cresciuto. Il suo era un animo puro, contrariamente al mio, che era venato di oscurità.
Poi, però, mi aveva stupito e segretamente divertito il suo repentino cambio di rotta: se non poteva applicare i suoi ideali di ‘lealtà-coraggio-fedeltà’ alle missioni a cui partecipava volente o nolente… Li avrebbe votati alla persona che seguiva. Cioè io.
 Io che avevo avuto la fortuna di avere le sue doti migliori, senza avergli mai chiesto nulla.
 E se è vero che la fortuna è una ruota che gira, come era girata nella mia direzione mettendolo sul mio cammino, ora girava dal lato opposto, portandolo lontano da me. Avrei dovuto accettarlo, se era questo che davvero voleva…
E per quanto ritenessi Joy l’essere più infido del creato, sinceramente dubitavo che gli avesse premuto una lama alla gola per trascinarlo dalla sua parte.
Ma io…
Io non potevo vivere senza di lui, avevo bisogno di Gourry come dell’aria che respiravo.
 Ecco, l’avevo detto.
 Mi voltai verso di lui, amareggiata.
“Hai capito, cervello di medusa?” sussurrai. “Non andartene via, resta con me…”
Allungando la mano destra gli accarezzai con il dorso delle dita la guancia, piano, pianissimo…
Notai che aveva una pelle incredibilmente liscia e morbida, evidentemente doveva essersi fatto la barba la sera prima. Molte volte lo avevo visto compiere quell’operazione sul bordo di qualche ruscello quando eravamo in viaggio, ed ero rimasta sinceramente impressionata da come sapesse usare la spada anche per motivi tutt’altro che guerreschi. Quella lama di metallo sembrava a volte, tra le sue mani, cera liquida e malleabile.
 Mi chiesi se una simile abilità con le mani la conservasse anche in altri campi, e mi sorpresi ad arrossire dei miei stessi pensieri. Forse, anzi sicuramente mi trascinavo ancora qualche rimasuglio della sbronza.
Tornai ad osservarlo, le mie dita che scorrevano impercettibili sul suo volto non sembravano averlo turbato nel sonno, così, resa audace dalla  penombra che regnava nella stanza, mi azzardai a scendere di poco, arrivando a sfiorargli le labbra.
 Gli sfiorai il labbro superiore, morbido e sottile, passando poi a quello inferiore più pronunciato e carnoso. Sentii un  debole sospiro uscire dalla sua bocca e immediatamente mi irrigidii, sgranando gli occhi. Il cuore parve arrestarsi per una frazione di secondo nel mio petto, mentre la mia mente già pensava a qualche possibile scusa da appioppargli, del tipo: “L’ho visto, il colpevole, è scappato dalla finestra!” Ma dopo una manciata di secondi mi resi conto che non sarebbe stato necessario ricorrere a metodi tanto drastici: Gourry non si stava svegliando, respirava semplicemente. In fondo, non avrei dovuto rimanerne tanto stupita, dal fatto che respirasse. Però iniziavo a sentirmi a disagio.
 Ritirai velocemente la mano.
 Ma cosa mi stava prendendo? Dovevo essere ancora ubriaca.
 Considerai se non fosse il caso di riaddormentarsi fingendo che nulla fosse successo, però..
 Però erano gli ultimi momenti che passavo con Gourry, in fondo. Non mi era concesso stargli un po’ vicino per l’ultima volta? Un po’ più vicino…
Qualcosa che aveva cominciato a crepitarmi addosso prese in quel momento a bruciare con violenza, tanto da levarmi per qualche attimo il fiato. Sapere che qualcuno me lo avrebbe portato via… mi spezzava il cuore; accettare che non mi restavano altro che pochi istanti da passare con lui… mi rendeva chiaro qualcosa che sapevo esistere in me da tempo e che, fino a quel momento, avevo inconsciamente represso.
Io lo desideravo. Io… io lo amavo, maledizione.
Mi avvicinai.
“Resta…” mormorai ancora una volta, con un sussurro, sulle sue labbra “Io… Ho bisogno di te. Non sai quanto…”
Sapevo che le mie parole si sarebbero perse nelle quiete sommessa della stanza. Ma a quel punto mi ero spinta troppo oltre per tirarmi indietro.
La mia bocca si posò sulla sua, delicatamente, azzerando qualsiasi pensiero mi passasse nella testa. In quel momento sentivo solo il battito sordo del cuore che mi martellava nel petto. Rimasi immobile alcuni secondi, sempre tenendo le labbra premute contro quelle dello spadaccino, dimenticandomi persino di respirare. Non volevo chiedermi cosa sarebbe potuto succedere se Gourry avesse aperto gli occhi in quel momento…
E mentre cominciavo appena a sentire le prime ondate di imbarazzo per il mio comportamento molto poco corretto nei suoi confronti, percepii all’improvviso le labbra di Gourry schiudersi appena, rispondendo al mio bacio. Sgranai gli occhi, mentre avvertivo la sua mano che saliva a sfiorarmi il volto, e mi ritrassi.
 Eppure, nonostante fossi terrorizzata per essermi fatta cogliere in fallo come una bambina con le dita nel barattolo della marmellata in una situazione che non avrei potuto spiegare senza morire dall’imbarazzo, non mi allontanai del tutto da lui.
 Gourry abbassò la mano con cui aveva cercato di stringermi a sé e aprì gli occhi, lanciandomi uno sguardo spaesato.
 Per un lungo istante pensai che sarei morta dalla vergogna. Sentivo le mie guance friggere, e non sapevo veramente come cavarmene d’impaccio. Non era decisamente una situazione piacevole farsi beccare a baciare a tradimento il proprio migliore amico.
 “C-Credevo che dormissi…” farfugliai infine, rendendomi subito conto che questo equivaleva ad ammettere che pensavo di farla franca dopo il mio atto criminale.
 Gourry aveva un’espressione confusa.
“Lina…” balbettò, facendomi desiderare di sprofondare in quel momento.
“S-sì?...” Forse era il caso di fare gli indifferenti. Forse non se ne era veramente accorto…
 “Tu…” Gourry si portò una mano alla fronte “Tu mi stavi… baciando?”
E va bene, se ne era accorto. Pensai a quale bugia inventarmi per depistarlo, ma il mio cervello aveva azzerato qualunque pensiero di senso compiuto. Alla fine mi sorpresi a lanciargli un timido sguardo, mentre dalle mie labbra usciva una parola che non mi era molto usuale:
“Scusa…” dissi solo.
 Lo sguardo di Gourry parve sgranarsi ancora di più. Indugiò alcuni secondi, facendomi subito pentire di aver confessato con tutta quella facilità.
“N-N…No!” esclamò infine, davanti alla mia voglia evidente di lanciarmi fuori dalla finestra in quel preciso istante “ Non… Non ti devi scusare…”
Si era sollevato, e in quel momento mi stava ancora più vicino. Si passò più volte la mano sulla faccia:
“Te lo sto chiedendo perché…” sospirò “Temevo si fosse trattato solo di un sogno, in realtà” concluse infine, facendomi avvampare ancora di più.
“Non stavi sognando” mi costrinsi ad ammettere.
“Ah, ecco.”
Eravamo chiaramente a corto di argomenti.
 Avrei pagato qualunque cifra affinché in quel momento sopraggiungesse un diversivo, ma nulla accadde. Eravamo io e Gourry, solo io e Gourry, e probabilmente nel giro di qualche minuto mi sarei consumata nell’imbarazzo.
Fu la voce di Gourry a rompere il silenzio carico di tensione che si era creato:
“ Lina, forse non dovrei chiedertelo. Ma… Nayden?”
Nel sentire quell’affermazione mi parve di cadere dal cielo. Che accidenti centrava Nayden in quel momento? Io l’avevo appena baciato, beccata in castagna, e lui mi chiedeva di Nayden? Certe volte Gourry sapeva davvero andare contro a qualunque logica.
Sollevai su di lui uno sguardo confuso:
“Cosa c’entra Nayden in questo momento?” Ero davvero senza parole.
 Gourry mi parve sorpreso dal tono che avevo usato:
“Sai, beh, insomma, io…” Il suo sguardo si fece serio “Io pensavo che tra te e Nayden ci fosse qualcosa…” balbettò. Poi, davanti alla mia espressione stupefatta parve perdere le sue certezze, tornò a grattarsi la testa e aggiunse: “Si, cioè… Lo pensavo. Mi sono sbagliato?”
Pronunciò quell’ultima frase con una punta di speranza.
“Certo che ti sei sbagliato cervello di medusa!” sbuffai, scuotendo la testa. “Ma come ti vengono certe idee?” aggiunsi, levando le mani.
“Va bene, va bene!” esclamò “Sono un idiota, non te la prendere!”
 “Sicuro che sei un idiota!” Mugolai infine, incrociando le braccia al petto. “Non capisco come tu possa aver pensato una cosa del genere…”
Gourry si grattò una guancia:
“Il fatto è che, sai, vi vedevo molto in sintonia, sempre a parlare di incantesimi. Sì, insomma, credevo… Credevo che Nayden fosse, diciamo… Il tuo prototipo di ‘principe azzurro’” sussurrò infine, con un filo di voce.
Ci fissammo qualche attimo, sembrava tutto così assurdo. E infine, contro qualsiasi logica, nel momento più imbarazzante della mia vita, quella semplice affermazione ebbe l’incredibile effetto di… Farmi scoppiare a ridere!
Inizialmente non mi resi nemmeno conto dello sguardo perplesso che lo spadaccino mi rivolgeva, ridevo e basta.
 Sì, lo so. A quel punto avrei dovuto cominciare a preoccuparmi anche io per la mia labile sanità mentale.
 E forse Gourry, nel frattempo, si stava chiedendo se per caso non avessi tenuto nascosta sotto al letto un’altra bottiglia di vino.
“È  così divertente?” Ebbe infine il coraggio di chiedermi, levando un sopracciglio.
“Si, lo è” dissi infine, asciugandomi gli occhi con la manica del vestito. Il suo sguardo non mi abbandonò mentre cercavo di ricompormi; sembrava indeciso se lasciarsi andare lui stesso al sollievo che mi aveva invaso o sentirsi offeso per il mio inspiegabile comportamento.
 Alla fine optò per un sorriso tranquillo: “Beh… Sono contento di averti strappato almeno una risata. Da quando ci siamo imbarcati in questa missione, non mi sembra ci siano state molte occasioni di vederti così rilassata. Cominciavo a pensare che la mia presenza fosse diventata un problema per te, Lina…”
Il tono che aveva usato era calmo, assolutamente privo di note sarcastiche o recriminatorie, ma bastò per arrestare di colpo la mia ilarità.
 Mi ritrovai, mio malgrado, a incatenare di nuovo lo sguardo con il suo.
‘Semmai era la tua assenza a causarmi dei problemi, stupido testone’ Lo pensai, ma non lo dissi.
“Hai pensato che volessi ‘liberarmi’ di te per fuggire con Nayden?...” gli domandai con un sorriso e una punta di malizia. Ero imbarazzata, gli dei solo sanno quanto, ma mi divertivo da matti a stuzzicarlo come mi era già capitato di fare in passato. Anche se in situazioni molto meno tese.
 In quel momento avevo la strana sensazione che, per un tacito accordo, stessimo cominciando a girare tutte le carte in tavola per giocare allo scoperto.
 Il volto di Gourry si imporporò mentre, un po’ corrucciato, borbottava: “Qualcosa del genere, insomma…”
Io presi coraggio: “E questa cosa… ti preoccupava?” domandai, chiedendomi se la voce non mi avesse tradito risultando fin troppo speranzosa.
 Gourry abbassò lo sguardo e io mi scoprii a stringere il lenzuolo sotto alle mie mani con troppa forza.
“Sì” rispose infine. I suoi occhi azzurri tornarono nei miei, facendomi sussultare.
 Tuttavia, non ero ancora disposta a dargli tregua.
“Eri preoccupato come avrebbe fatto qualunque buona guardia del corpo nei confronti della sua protetta, giusto…?”
Era la sua ‘botte di ferro’. L’inespugnabile frase con cui il mio compagno di viaggio aveva sempre giustificato ogni suo atteggiamento protettivo nei miei confronti. ‘Sono la sua guardia del corpo, e non ti permetterò di torcerle nemmeno un capello….’ Sì, ero conscia di aver colpito molto basso.
 Avvertii Gourry indugiare davanti a me, pur non riuscendo a scorgere la sua espressione. Il crepitio della legna nel fuoco riempiva il silenzio intorno a noi.
“C’è qualcosa di male in questo?” domandò infine. Sentii che si era messo sulla difensiva e un leggero sconforto si impossessò di me.
“No” ammisi. “Anzi, è perfettamente normale che sia quella la tua preoccupazione.” Conclusi alla fine, fiaccamente.  “Sei un’ottima guardia del corpo.”
“Comunque, non era solo questo a preoccuparmi.”
Mi costrinsi a fissare il copriletto sperando che Gourry non leggesse nei miei occhi la stupida speranza che si era riaffacciata quando aveva pronunciato quelle parole. Mi sentivo così indifesa in quella situazione, così esposta.
 “Io…Tu…” Gourry sembrava a corto di parole. Avrei voluto aiutarlo, giuro. Ma il copriletto era quasi ipnotico. “Insomma… credo che il vero motivo per cui mi sentivo tanto preoccupato, era ecco… Mi stai ascoltando, Lina?”
Quella frase impacciata suscitò in me, nonostante tutto, un altro moto di ilarità, di cui però ritenni giusto tenerlo all’oscuro:
“Solitamente sei tu quello che non ascolta una parola dei discorsi altrui…” dissi vaga, tornando a guardarlo.
 I suoi occhi erano laghi liquidi color zaffiro. Non mi ero mai accorta di quanto fossero profondi. O forse sì?  Sentii che le mie guance bruciavano come il fuoco sotto quello sguardo. Ricordavo ancora come lo avevo definito vedendolo per la prima volta: una visione di meravigliosa meraviglia.
 Dovevo ammettere che il mio pensiero non era cambiato negli anni. Certo, escludendo il fatto che lo avessi scoperto ad avere della salsa di fagioli al posto del cervello. Anche se quello, per sua fortuna, non sembrava aver avuto ripercussioni sulla sua angelica bellezza.
 Beh, ognuno ha le sue fortune.
 Mi chiesi se anche il suo primo pensiero su di me non si fosse modificato nel corso del tempo. Le sue prime impressioni sulla sottoscritta, sapete, non le definirei del tutto lusinghiere.
“Ad ogni modo…” aggiunsi, per stemperare un po’ la tensione più che per dire realmente qualcosa.
“Mi saresti mancata” concluse Gourry, quasi nello stesso istante, lasciandomi a bocca aperta. Aveva usato un tempo verbale che mi faceva credere che la situazione non fosse affatto definitiva. ‘Mi saresti mancata’ non era ‘mi mancherai’. Era una possibilità, non una certezza.
 Lo spadaccino sorrise timidamente: “Se non altro sono riuscito a dirtelo. Mi sarebbe dispiaciuto andarmene senza averti detto che in questi anni… sono stato molto bene con te.” Sembrava più sereno ora. Le sue spalle si alzarono e si abbassarono lentamente in un sospiro, come se un grande peso si fosse spostato dal suo petto. “Certo, questo ovviamente non esclude che io pensi ancora a te come alla peggiore calamità esistente al mondo! Una vera e propria mina vagante…” Gourry ignorò lo sguardo di disappunto che mi si stava dipingendo sul volto. Si portò la mano al mento, assumendo uno sguardo pensieroso. “ Però a questo punto, visto che non ci sarà Nayden a vegliare su di te… Temo mi toccherà restare.”
“E cosa ti fa pensare che io non sappia cavarmela da sola?” finsi di imbronciarmi, cercando di contenere i battiti del mio cuore.
“Non è per te che temo, lo sai benissimo.”
 “Ah, certo. L’umanità corre un grave pericolo se tu non sei al mio fianco.”
 “Appunto.” Il suo indice si sollevò scherzoso a spostarmi una ciocca dietro all’orecchio, facendomi avvampare.
“Sei così sicuro di te stesso che non ti sei nemmeno chiesto se io ti riprenderei con me senza protestare.” riuscii solo a mormorare, paralizzata dalla sua mano calda così tanto vicina al mio volto.
 Vidi lo sguardo di Gourry soppesare lentamente quelle parole, e capii che era quello il momento di contrattaccare:
“Non sono un pacco che puoi lasciare e riprendere quando ti pare, sai Gourry?”
La mano di Gourry tuttavia non si spostò, si abbassò solo un pochino, posandosi sul mio collo. Sembrava turbato:
“Hai ragione, Lina. Hai tutti i diritti di avercela con me per il mio comportamento idiota. Perdonami.”
D’accordo, che fine aveva fatto tutta la mia saliva?
“Però…” Proseguì Gourry, senza spezzare quel contatto. “Spero comunque nella tua magnanimità. Non ho mai pensato a te come ad un pacco, credimi…”
 “Scordatelo.”
 Gli occhi di Gourry mi scrutarono, a lungo. Speravo non pensasse che stessi bluffando perché ero dannatamente seria, diavolo! Ma a quel punto un piccolo, odioso sorrisetto irriverente comparve sul suo volto:
“Ah, no? Non vuoi riprendermi con te?” si fece più vicino e le sue labbra si accostarono pericolosamente alle mie. Giocava sporco, accidenti a lui. Ma rimasi sulle mie postazioni:
“Nemmeno se mi implorassi in ginocchio” affermai, per quanto dovessi ammettere che sarebbe stato interessante vederlo supplicare.
 “Capisco.” Gourry distolse brevemente lo sguardo. Sentivo le sue dita muoversi piano sulla mia pelle. “Quindi…” proseguì “Questo è un addio.”
Deglutii.  Gourry inclinò il viso. Sembrava divertito: “Era per questo che mi hai baciato poco fa? Per dirmi addio?”
Maledetto! Stava decisamente giocando sporco!
 Mi sottrassi alla sua presa, guardandolo in cagnesco:
“Io? Ti sbagli, quello che cercavo di fare era solo soffocarti nel sonno brutto idiota!”
Gourry sorrise:
“Mi stavi baciando” disse ancora, con fare spudorato.
“Anche ammettendo che fosse vero… è forse vietato dalla legge?” Mi infervorai.
“Certo che no. Voglio solo sapere perché” sembrava deciso.
“Sono fatti miei.” Il discorso stava prendendo una piega surreale.
“Vuoi riprovarci?”
Uh… cosa?
 Rimasi senza parole. Il sorriso sul volto di Gourry, davanti alla mia espressione smarrita, si addolcì infinitamente. Contro qualunque previsione, mi prese teneramente tra le braccia. Io rimasi rigida e ammutolita.  
“Non volevo prenderti in giro, però mi chiedevo davvero se tu volessi riprovarci… non ero molto cosciente la prima volta, ma questo non esclude che non mi possa piacere, anzi…” sussurrò al mio orecchio, con una punta di malizia nella voce, mentre io mi chiedevo se fossero le sue braccia strette al mio corpo a farmi sentire, all’improvviso, così bene.
Rimasi in silenzio, soggiogata dall’emozione. Per la prima volta in vita mia mi ritrovavo incapace di formulare un pensiero razionale. Gourry dovette accorgersene, perché avvertii la pressione con cui mi stringeva diminuire, mentre il suo volto tornava a fronteggiarmi:
“Credevo che a questo punto della storia la mia testa fosse già appesa ad una picca…” mormorò, una traccia di incertezza nella voce, forse rendendosi conto lui stesso in quel momento di quanto eravamo vicini.
“Sì, infatti…” risposi.  “Ma forse…” Non pensai di averlo detto fino a quando non sentii le parole uscire dalle mie labbra: “Vorrei riprovarci, se non ti dispiace.”
Gourry sorrise; uno dei suoi sorrisi più dolci e rassicuranti:
“Non credo che mi dispiacerà…” sussurrò, sulla punta del mio naso.
 Mi prese il viso tra le mani, avvicinandosi. Le sue labbra morbide scesero e si incontrarono con le mie, tremanti. L’iniziale rigidità con cui le accolsi si sciolse tuttavia in fretta, quando lo spadaccino dischiuse le labbra e accarezzò la mia lingua con la sua.
Fu un bacio lungo, dolce. Il primo che avessi dato in tutta la mia vita, e lo stavo dando all’uomo giusto, lo seppi dal primo istante. Quando ci separammo riuscii solo a pensare che ne volevo ancora, di baci così. Non avrei più potuto farne a meno. Anche Gourry doveva essere giunto alla stessa conclusione.
“Come ho potuto pensare che sarei riuscito a vivere lontano da te? È assurdo.”
 Un lieve sorriso comparve sulle mie labbra. Nemmeno io riuscivo a credere di avergli dato ad intendere che, senza di lui, la mia vita sarebbe rimasta la stessa.
 “Evidentemente Joy deve averti posto la cosa in modo davvero interessante per convincerti a seguirlo…” considerai, reprimendo un moto di disgusto al pensiero del mercenario e delle sue minacce da quattro soldi.
 Sentii le dita di Gourry farsi strada tra i miei capelli, mentre prendeva ad accarezzarmi dolcemente la nuca.
“In realtà mi ha solo fatto notare qualcosa a cui non avevo mai pensato…” rispose. Si staccò da me, tornando a fronteggiarmi: “Sono certo che fosse in buona fede, perché non vedo che altri motivi avrebbe avuto di agire così… Però credo che anche Joy abbia sospettato che ci fosse qualcosa tra te e Nayden…” Un lieve imbarazzo comparve sul suo volto. “Il resto l’ho fatto tutto io, credendo che andarmene in silenzio ti avrebbe solo reso la vita più facile. Io… ti desidero da tanto, Lina. Ma ho sempre creduto che per te non fosse la stessa cosa. Che volessi un uomo diverso al tuo fianco… più intelligente, più in gamba. Nayden sembrava quello giusto” ammise, abbassando lo sguardo.
Presi il suo volto tra le mani, costringendolo a guardarmi.
“Ho poche certezze nella vita, Gourry. E una di queste è che non esistono uomini migliori di te. Tu sei il più buono, il più onesto… non ti cambierei con nessuno al mondo, perché nessuno vale quanto te” conclusi, posando la fronte contro la sua e chiudendo gli occhi. Restammo in silenzio a lungo, assimilando tutto quello che ci eravamo confessati l’un l’altro.
Possibile che Gourry, in tutta la sua beata innocenza, non si fosse accorto di tutte le macchinazioni che Joy aveva ordito alle sue spalle? Tuttavia, mi imposi di non fiatare.
Volevo che Joy uscisse dalle nostre vite per sempre, ero disposta a dimenticare tutto il male che ci aveva fatto, seminando zizzania tra di noi. Eppure, c’era una cosa che ancora faticavo a digerire.
Sollevai lo sguardo su di lui: “Gourry, quando abbiamo incontrato Joy, quella prima notte…”
Non ebbi il coraggio di proseguire. Deglutii, mi mancò il fiato, presi a torturarmi le mani. Gourry mi guardava preoccupato. Alla fine decisi che l’avrei affrontato di petto:
“Gourry” esclamai “Dove sei stato le notti in cui sei uscito con Joy?”
A quel punto qualcosa sul suo viso mi rivelò che, effettivamente, qualcosa che forse non avrei dovuto sapere c’era. Lo spadaccino mi squadrò alcuni secondi, pareva molto incerto. Poi, contrariamente a qualsiasi cosa mi fossi aspettata, disse:
“Io non… non posso dirtelo.”
Ah.
 Ecco.
 L’espressione sul mio volto doveva essere abbastanza esplicita, perché un improvviso lampo di comprensione passò negli occhi dello spadaccino:
“Comunque, non è come pensi… se è a quello che stai pensando…” Si grattò una guancia “Non avrei mai potuto fare quello che stai pensando.” Sembrava molto serio.
 Levai un sopracciglio:
“Che ne sai di quello che sto pensando?” commentai, sospettosa.
 Gourry mi sorprese:
“Stai pensando alla cosa più ovvia, me lo dicono i tuoi occhi. Ma…” Le sue braccia tornarono a stringermi la vita, nonostante non avessi ancora deciso se lasciarglielo fare o meno. “Per me non è mai esistita una ‘soluzione’ del genere…. Non da quando sto con te.”
Sembrava veramente sincero, e il suo volto, a pochi centimetri dal mio, mi fece imporporare le guance. Non sapevo ancora bene come interpretare la frase ‘da quando sto con te’, ma decisi di tacere. Sapere che per Gourry le cose potevano essere già chiare da prima che io me ne rendessi anche solo conto mi rendeva nervosa.
Ad ogni modo, non ero disposta a lasciare cadere la questione. Se non era ‘quello’… Cos’altro poteva esserci, di così privato, da non potermelo raccontare?
 Sentivo le sue braccia strette su di me, mentre le mie erano invece abbandonate sulle ginocchia. Per me era molto strana quella nuova, sconosciuta intimità.
“Gourry…” protestai “Perché non puoi dirmelo?”
Gourry sospirò:
“Lina, sinceramente penso che se tu sapessi di che si tratta, nemmeno ti importerebbe, credo… Non è niente di impressionante, ma ho promesso a Joy che non l’avrei detto a nessuno. È una sua questione privata.” Sentivo il suo respiro sulla mia fronte. Sbuffai e Gourry sorrise.
“Credi che andrei da Joy a dirgli che me l’hai detto? È qualcosa che mi lascerebbe così sconvolta?” Mi scoprii irritata dal loro cameratismo.
 Gourry parve considerare la questione:
“No, sconvolta no di certo. Si tratta solo di un piccolo segreto che c’è tra me e Joy, da molti anni… Fin da quando eravamo compagni d’arme.”
Oh, beh, se era un segreto… Insomma, un segreto è un segreto.
 Forse avrei dovuto lasciar perdere.
 Forse.
“Gourry….” sussurrai, in tono supplichevole. Ma Gourry conosceva le mie moine, perché per anni lo avevo assillato supplicandolo di regalarmi la Spada di Luce. Lo sentii reprimere una risata:
“Ti hanno mai detto che sei tremenda?” protestò, ma capii dal suo tono che ormai aveva ceduto. “E va bene, ti avviso però che rimarrai parecchio delusa: è una vera inezia. Dunque…” Gourry parve cercare le parole, tornando ad appoggiare la schiena alla spalliera e ne approfittai per sistemarmi meglio tra le sue braccia, appoggiando una guancia sul suo petto. Attraverso gli scuri vedevo il blu della notte tingersi di rosa.
“Quando ho conosciuto Joy facevamo parte della stessa comitiva… Eravamo entrambi giovanissimi e anche parecchio inesperti. Beh, io forse lo ero un po’ meno, ma Joy… Un vero disastro. Se ne era andato di casa dopo la morte della nonna, la donna che l’aveva cresciuto. Era parecchio arrabbiato, soprattutto con se stesso, e desideroso di farsi valere. Litigava in continuazione con chiunque, un vero grattacapo per il nostro capitano di allora. Era sempre nervoso, pronto a scattare per un nonnulla. Gli altri lo trovavano un tipo strano, ombroso. Dicevano che aveva il malocchio” concluse amaramente. I suoi occhi erano concentrati, rivolti verso un passato di cui ero completamente all’oscuro. Gourry proseguì:  “Con me però non aveva nessun problema. Forse perché non gli ho mai dato motivi concreti per attaccarmi. Alla fine raggiungemmo una buona sintonia. Fu in quel periodo che ci trovammo a condividere qualunque momento della giornata, e allora capii perché fosse sempre tanto nervoso. Non dormiva. O, se lo faceva, lo faceva in modo agitato, irrequieto. Qualcosa sembrava tormentarlo in ogni momento della giornata, ma più di tutto durante il sonno. Ovviamente non gli chiesi mai niente, non erano affari miei, dopotutto. Cominciai invece a fargli compagnia durante quei momenti neri, e fu lì che mi venne l’idea di distrarlo insegnandogli ad usare meglio la spada. Sai, unire l’utile al dilettevole. Così capitava spesso che la notte ci sentissero duellare, fino allo sfinimento. Io ovviamente dopo avevo un gran bisogno di rifarmi, dormendo più che potevo… Joy non so cosa facesse, ma so che quell’allenamento servì a dare un certo equilibrio alla sua persona. Quando lasciai quel gruppo di mercenari, per proseguire solo, era una persona diversa da quella che avevo conosciuto i primi tempi. E adesso, beh… Sono stato felice di vederlo finalmente realizzato, con una sua comitiva. Le notti in cui sono stato in sua compagnia non abbiamo fatto altro che rinvangare il passato, a colpi di spada… Tutto qua.” Gourry mi sorrise. “Sei delusa?”
Probabilmente lo ero, ma non glie lo diedi ad intendere. Un banale caso di insonnia e ‘cose da uomini’? Però adesso capivo; capivo perché Joy avesse quell’ossessione morbosa per Gourry, perché non vedesse l’ora di riaverlo con sé: Gourry era stato la sua ancora di salvezza. Lo aveva recuperato dalle tenebre, gli aveva dato un equilibrio, era stata l’unica persona in grado di trascinarlo fuori dai suoi incubi. Non era qualcuno a cui si poteva rinunciare a cuor leggero, chi poteva saperlo meglio di me?
Probabilmente a Joy doveva essere sembrato un dono degli dei il fatto di aver ritrovato il suo vecchio compagno d’arme.
O forse…
 Ripensai alle missive uguali.
 Ripensai ai miei due ‘incidenti’.
Riavere Gourry poteva essere un movente tanto forte da spingere qualcuno a cercarlo, dopo tanti anni, e a fare ‘qualunque cosa’ pur di riaverlo con sé?
Per una frazione di secondo le parole di Gourry si mescolarono a quelle che Nayden aveva speso per mettermi in guardia su Joy: “il suo cuore è pieno di ombre. E le sue intenzioni non sono sempre buone. Stagli lontana, è meglio.”
 Mi resi conto che stavo rabbrividendo e tornai al presente solo quando la mano di Gourry prese ad accarezzarmi dolcemente la schiena.
“A cosa stai pensando?” mi chiese, con tranquillità. Non pareva essersi reso conto di quanto il suo ‘innocuo’ racconto mi avesse realmente turbata.
“Pensavo a Joy. Gli dispiacerà molto non vederti andare via con lui…” dissi. ‘Molto più di quel che immagini’ aggiunsi mentalmente.
“Joy capirà” Gourry sembrava molto sicuro del fatto che il suo amico avesse riacquistato l’equilibrio, senza rendersi conto che invece, probabilmente, era ancora più instabile di quanto non fosse in gioventù.
 Il suo sguardo divenne poi improvvisamente serio:
“Se ti avessi persa per un equivoco del genere, Lina… non me lo sarei mai perdonato.” Posò la fronte sulla mia, mentre i suoi capelli mi sfioravano le guance. “Il mio posto è al tuo fianco. Da sempre. E per sempre.” Le sue labbra cercarono nuovamente le mie, combinandosi perfettamente con loro, come mi aveva già dimostrato poteva succedere. A quel punto, tutti i dubbi e le preoccupazioni si dispersero come farfalle intorno a me.
 Sprofondammo tra i cuscini, mentre il nostro bacio si faceva sempre più intenso. Non potevo credere che potesse essere così… Così.
‘Così’ era tutto quello a cui in quel momento riuscivo a pensare per definire quell’immensa sensazione di calore e stordimento che i movimenti della bocca di Gourry sulla mia, dentro la mia, stavano producendo in me. Sentivo solo… Gourry. Tutto era Gourry. Le sue mani, il suo profumo, le sue labbra, la sua lingua…
I suoi capelli che scendevano come una tendina dorata intorno a noi, il calore del suo corpo sopra al mio. Persino la sensazione delle sue vesti a contatto con la mia pelle sembrava entusiasmarmi. Non avevo mai provato qualcosa del genere in tutta la mia vita. Volevo solo stringerlo più forte, ancora più forte di quanto non stessi già realmente facendo… E in quel momento, un pensiero scoppiò come una bolla di sapone nella mia mente inebriata. Come avevo creduto di poter andare avanti, senza di lui? Era ovvio che non sarei sopravvissuta.
Era come immaginare una vita senza sole, senza calore, senza gioia. Era come immaginare una vita senza… vita. Lui era la vita.
“Gourry…” sussurrai, staccando le labbra dalle sue. Lui spostò la bocca sul mio collo, baciandomi sotto l’orecchio.
“Mmm”
“Io ti amo.”
Non potevo credere di averlo detto.
L’effetto fu immediato. Gourry si fermò all’improvviso, sollevando il volto, le sopracciglia aggrottate.
Per un breve istante mi fece temere di aver parlato a sproposito, facendomi arrossire violentemente. Poi però il suo sguardo si addolcì in un modo tale da farmi quasi sciogliere. Gli occhi gli brillavano di gioia come punti luminosi, irradiando splendore in tutto il suo volto.
 Mi sentii quasi mozzare il respiro in gola davanti alla reazione che avevo scatenato… E cominciai a chiedermi dove fossero le arpe e gli usignoli. Ma quando ormai era chiaro che nessun coro celestiale sarebbe sopraggiunto ad allietare quel momento, mi schiarii la gola:
“Uh… Gourry?”
Mi fissava imbambolato, sorridendo.
‘Perfetto, se volevi rendermi le cose più difficili ci stai riuscendo alla perfezione’ pensai, imbarazzata.
 Fortunatamente, dopo alcuni secondi Gourry sembrò uscire da quel momento di incanto. Le sue dita tornarono sul mio volto, e la sua fronte si posò sulla mia. Sospirò.
“Non… non pensavo di aver detto qualcosa di così terribile da lasciarti catatonico…” commentai, impacciata. “Anche se dovrei sapere che quello è più o meno il tuo stato normale” aggiunsi, sarcastica.
 Gourry sorrise:
“Lina…” mormorò “Ti amo anch’io. Non sai quanto.”
Oh…
Sospirò nuovamente: “Ho pensato talmente tante volte a come dirtelo che… Il fatto che tu l’abbia detto per prima mi ha preso in contropiede…” commentò poi, ridacchiando.
 Quella frase mi fece sorridere, disperdendo la tensione che si era accumulata nel mio petto dopo che avevo pronunciato le parole incriminate. Lo tirai verso di me. Ormai le mie sensazioni e il mio corpo parevano aver trovato una certa sincronia, e collaboravano alla perfezione senza che fossi io a decidere come muovermi. Mi lasciavo guidare dall’istinto. Tracciai il contorno delle sue labbra con la punta della lingua, e lo baciai. Gourry reagì con passione alla mia iniziativa e quando mi scostai, per seguire con le labbra la linea della sua mascella, sentii un lieve gemito uscire dalla sua bocca aperta, che respirava in modo discontinuo. Percepivo la morbidezza della sua pelle sotto alle mie labbra, inizialmente timorose, ma poi sempre più bisognose e avide di un contatto. Le sue mani scesero sulle mie braccia, quasi fino al gomito, per poi cambiare direzione e posarsi sui miei fianchi. Trattenni un attimo il fiato quando da lì sgusciarono fino alla mia schiena, insinuandosi tra il materasso e la mia pelle nuda. Gourry a quel punto mi strinse, sollevandomi appena. Le sue dita raggiunsero le mie scapole, e sentii alcune ciocche di capelli sfuggirmi dallo chignon e srotolarsi sulle spalle. Mi stava tirando verso di lui, e quando le sue labbra raggiunsero il mio orecchio, mi sentii mancare il fiato.
 Il suo respiro era caldo, spezzato.
 “Lina, vuoi…” indugiò, un solo istante. “Vuoi fare l’amore con me?”
Per un istante, un solo istante, pensai che mi si fosse fermato il cuore. Forse avrei dovuto controllare sul polso. Quel che è certo, è che rimasi assolutamente senza parole, e dopo quelli che mi parvero secoli, nel silenzio, sentii la mano destra di Gourry spostarsi dalla mia schiena per raggiungere la guancia. Scostò il volto dal mio, guardandomi, e mi trovai a pregare che non si accorgesse del panico che sicuramente avevo negli occhi.
 Diciamolo, non ero mai stata un mago nella mimica facciale.
 Il suo sguardo pareva invece molto serio:
“Non avrei dovuto chiedertelo, sono un idiota…” mormorò  “Perdonami…”
Colta di sorpresa davanti a quell’affermazione, mi sorpresi nel sentirmi rispondere:
“Sì.”
Gourry sorrise lievemente, inclinando la testa di lato:
“ ‘Sì’ sono un idiota?” Mi domandò.
 Io sbattei più volte le palpebre.
 E in quel momento mi resi conto di qualcosa che avevo sempre saputo.
 Io lo volevo. Volevo che la mia prima volta fosse con Gourry. Era un desiderio inconscio che era nato e cresciuto da quando mi ero scoperta a provare per lui qualcosa che andasse oltre il semplice affetto, e in quel momento, quel desiderio, pareva esplodermi dentro con una tale intensità da lasciarmi spaventata, ma non confusa. Sapevo quello che volevo.
 Scostai la sua mano, ma prima che il suo viso potesse assumere un’espressione afflitta, mi ritrovai io stessa a prendergli il volto tra le mani.
“No…” sussurrai. “Era: ‘Sì, voglio fare… l’amore…” deglutii. “Con te” mi trovai a precisare stupidamente, come se ci fosse stato qualcun altro in quella stanza.
 O forse meno stupidamente di quanto potessi immaginare. In effetti, anzi, il ‘con te’ era probabilmente la parte più importante dell’intera dichiarazione.
Con te, Gourry. Con nessun’altro. Perché con nessun altro potrei sentirmi come mi sento con te.
Gli occhi di Gourry mi scrutarono a lungo:
“No” disse infine, con tono sicuro.
 Per poco non mi caddero le braccia. Cosa avevo sbagliato nella mia affermazione?
 Dovevo avere un’espressione abbastanza delusa perché lo spadaccino mi sorrise teneramente, prima di allentare la stretta su di me quel tanto che bastava per riadagiarmi con delicatezza sul cuscino. Mi baciò la punta del naso quasi fossi stata una bambina da mettere a letto.
 Ecco, a quel punto avrei anche potuto ritenermi parecchio afflitta. Se non fosse stato che i modi di Gourry stavano contribuendo, in realtà, ad instillarmi una pacata tranquillità.
 “Perché no?” chiesi, incerta.
 Lo sguardo di Gourry trasmetteva solo dolcezza:
“Perché non devi farlo solo perché te l’ho chiesto. Sono stato uno stupido a metterti fretta per una cosa del genere, ero… ecco… molto preso, ma questo non significa…” cercò di riacquistare un certo controllo. “Non potrei mai perdonarmi di averti in qualche modo…‘forzata’.” Le sue dita scesero gentili ad accarezzarmi una guancia.
“Ma io…” cercai di protestare, inutilmente. Gourry mi portò un indice alle labbra.
“Non credo che tu sia ancora pronta, Lina. Prima, per un attimo, ti ho vista così spaventata…” Scosse la testa nel ricordare quel dettaglio che avevo sperato gli fosse sfuggito.
“Non ero spaventata, ero…” borbottai.
 Già, cos’ero?
 Gourry mi guardò e sorrise:
“Eri terrorizzata!”
Beh, forse ero un pochino intimorita, ma… chi non lo sarebbe stato, suvvia!
 Lanciai un’occhiata impotente nella sua direzione, e notai che il suo sguardo non ammetteva repliche.
 Sentivo il calore delle sue mani nelle mie. Gourry si piegò su di me:
“Quando sarai pronta, Lina… non sarai più tanto spaventata. Non voglio ferirti, ma ancora di meno voglio che tu abbia dei rimpianti a causa mia. Ti ho aspettato per tanti anni, non voglio rovinare tutto con la fretta.”
 “Sarò sempre spaventata…” provai a dissentire. Gourry parve rifletterci, ma io parlai per prima:
“Gourry, ascolta, prima, quando mi hai chiesto se… se volevo fare l’amore con te, lo ammetto, sono entrata nel panico…” Feci una pausa, notando come i suoi occhi mi seguivano attenti. “Ma mi sono anche sentita… pronta. Perché sei tu, Gourry. E io credo che aspettare un giorno, un mese, un anno… Non cambierà le cose. Sarai sempre tu Gourry, e io voglio fare l’amore con te e… Voglio farlo adesso.” Gli lanciai una timida occhiata, cercando di intuire i suoi pensieri in quel momento.
“So che è la scelta giusta, ne sono convinta…” mormorai infine, come ultima risorsa davanti al suo tentennamento.
 In effetti, era abbastanza ridicolo che fosse stato lui a chiedermelo e che in quel momento mi ritrovassi io ad indurlo ad accettare che era una buona idea.
 Alla fine lo spadaccino sospirò:
“Non sono sicuro che tu ne sia così convinta… ma, se è questo che davvero vuoi…” Le sue dita mi sfiorarono le labbra. No, decisamente non sembrava affatto persuaso.
“È  quello che voglio…” ribadii, sentendomi affluire il sangue alle guance sotto al suo tocco leggero.
 Gourry si chinò, sfiorandomi le labbra con un bacio:
“Testa dura…” mormorò, facendomi sorridere “Ricordati che possiamo fermarci quando vuoi, d’accordo?”
 “Sì…” bisbigliai, chiudendo gli occhi e preparandomi a baciarlo; ma, con mio grande stupore, lo sentii invece sollevarsi, alzandosi dal letto.
 Mi allarmai… Stava forse tentando la fuga?
“Gourry?” domandai, vedendolo avviarsi verso il camino.
 Lui si voltò con un sorriso:
“Voglio solo ravvivare un po’ il fuoco, sai… non vorrei ritrovarmi a battere i denti sul più bello!” esclamò, buttando qualche pezzo di legno tra le fiamme. Sembrava che volesse mantenersi tranquillo, ma riuscivo ad avvertire il turbamento nella sua voce. Non doveva essere meno spaventato di me, decisi.
 Quando si riavvicinò al letto mi rivolse una lunga occhiata, facendomi sentire di colpo indifesa, inerme.
 Ma sapevo che era una pensiero assurdo, perché con chi altro avrei potuto sentirmi tanto al sicuro se non con Gourry?
“Battere i denti mentre sei con me… Non sarebbe molto carino, in effetti.” considerai, strappandogli un debole sorriso. La forzata allegria con cui cercavamo di dialogare venne meno quando Gourry, con un gesto che non potrei definire altro che sensuale, si sfilò la tunica dalla testa.
Arrossii mentre la sua chioma bionda riemergeva dalla stoffa dell’indumento, che lasciò cadere su un angolo del letto, prima di venire a stendersi nuovamente al mio fianco. Dei, era così maledettamente bello.
 Probabilmente dovette rendersi conto del mio sguardo allibito, perché allungando una mano verso di me chiese: “Ci stai ripensando?”
 “N-No…” balbettai, incapace di dirgli che improvvisamente la sua vicinanza cominciava a crearmi qualche serio disagio. Mi stavo rendendo conto solo in quel momento che, in effetti, i vestiti per quello che ci accingevamo a fare erano un orpello decisamente inutile…
Gourry mi scostò la frangia dagli occhi e mi guardò come mai mi aveva guardato, prima di allora. Nel suo sguardo lessi il desiderio a lungo represso che aveva covato in segreto dentro di sé, forse per anni. E la paura di deludermi, di rovinare tutto.
“Non riesco a credere che stia succedendo tra di noi…” sussurrò con voce roca. Annuii nel sentire quelle parole; aveva ragione: Io e Gourry eravamo stati compagni di viaggio e amici inseparabili. Ora ci accingevamo a diventare qualcosa di più. Eravamo già qualcosa di più. E, per quanto avessi potuto sforzarmi, un legame come quello sapevo che non l’avrei mai trovato, mai. Era unico.
“Ti sembra… strano?” domandai, posando il palmo di una mano sulla sua guancia.
 Gourry rifletté un attimo “Sì… e no. Non ricordo nemmeno quanto tempo dopo averti conosciuta io abbia cominciato a sperare… a desiderare che succedesse una cosa del genere, tra di noi” mi disse, calmo. Poi il suo sguardo tornò a fondersi con i miei occhi: “A volte mi sono scoraggiato, e tu mi sei sembrata lontana e… irraggiungibile. Sei così forte, e così bella” sussurrò, mentre i miei occhi si sgranavano per lo stupore. Bella? Aveva detto proprio… Bella?
Cioè, non fraintendete. Sapevo benissimo di essere una creatura perfetta. Ma vedete, quando per anni si viene continuamente perseguitati da certi volgari appellativi, insomma… Si tende a perdere la speranza che qualcuno un giorno veda riconosciute le proprie doti.
 Ad ogni modo, era la prima volta che Gourry me lo diceva, in modo tanto esplicito. Mi fece arrossire.
 Il fatto che fossi avvampata dovette divertirlo molto, perché prese coraggio:
“E sai cosa mi piace più di tutto?” Mi chiese, con fare giocoso. Io scossi la testa. Gourry mi sollevò una ciocca di capelli: “Questi….” bisbigliò. Poi posò un indice sul mio naso: “Questo…” disse, prima di baciarne la punta. Appoggiò l’indice sulla mia guancia, nel punto esatto in cui mi compariva una fossetta tutte le volte che sorridevo. Evidentemente, doveva conoscere quel punto a memoria. “Questa fossetta…” proseguì, come un insegnante che elenca su una carta geografica.
“Quale fossetta?” Gli chiesi, e sorrisi. Gourry si chinò a baciare la minuscola fessura che si formò tra le pieghe della mia pelle. Poi il suo sguardo tornò alla ricerca: “Anche questa mi piace molto…” decretò, indicando le mie labbra socchiuse, in cui stava in bella mostra la piccola fessura che avevo tra gli incisivi.
 Io mi accigliai: “Ti piace quella?” Ero sorpresa. Detestavo quella fenditura, quell’imperfezione che correva tra i miei denti. Gourry annuì. “Mi stai prendendo in giro…” borbottai.
“No, la adoro. Quando sei pensierosa tieni le labbra socchiuse… A volte ti metti un dito in bocca, e non fai che torturartela…» sussurrò, prima di chinarsi a baciarmi le labbra.
 Dovevo ammettere che certi aspetti di me stessa erano più chiari a Gourry che alla sottoscritta.
 Quando si sollevò, mi guardò ancora a lungo, prima di aggiungere: “Ma più di tutto, mi piacciono questi…” Le sue dita accarezzarono dolcemente le mie palpebre, scorrendo sulle mie ciglia. Si piegò verso di me: “Bambina dagli occhi grandi…”
La sua bocca scese sulla mia, che la aspettava impaziente. Strinsi le braccia attorno al suo collo, mentre le nostre labbra si muovevano insieme, spinte da una nuova, improvvisa frenesia. Le sue mani indugiarono ancora a lungo sul mio viso, scendendo a volte verso il collo, accarezzandomi come non riuscivo a credere che un giorno avrebbe fatto.
Ad ogni suo movimento sentivo crescere in me il desiderio di non staccarmi mai da lui. Ne avevo bisogno quasi come dell’aria. Il suo respiro, il suo tocco, persino il suo cuore che batteva ritmicamente sotto alla pressione delle mie dita animavano in me nuove, sconosciute sensazioni. Quando le mie mani, fattesi coraggiose, presero a scendergli e risalirgli sulla schiena liscia e perfetta, lo sentii rabbrividire, e staccare le labbra dalle mie. Il suo respiro si fece più affannoso. Sembrava che cercasse di trattenersi, di contenersi.
“Lina…” farfugliò “Sei ancora sicura di…?”
Gli portai le mani sul volto e lo baciai, sperando così di distrarlo e fargli capire che non c’era nessun problema, nessun indugio…
Anche se, in effetti, di timori ne avevo parecchi. Uno su tutti il dolore. Ma ero sicura di aver fatto la scelta giusta per il semplice fatto che Gourry era la persona giusta. E questa convinzione era tanto forte da farmi superare tutto il resto.
 Quel bacio dovette rassicurarlo, perché la sua stretta su di me si fece improvvisamente più salda, quasi fosse anche per lui un bisogno. La sua mano sinistra continuava ad accarezzarmi una guancia, ma la destra si spostò dietro al mio collo. Sapevo cosa stava per fare, e il mio respiro accelerò mentre lo sentivo sciogliere il nastrino che teneva legato il mio vestito alla base della nuca. Mi sollevai quel tanto che bastava per permettergli di farlo. Poi trattenni il respiro e mi strinsi a lui, nel miserabile, ridicolo tentativo che il vestito superasse la forza di gravità restandomi pennellato addosso. Lui aspettò, paziente, che superassi i miei complessi.
Quando il vestito scivolò via dovevo avere le guance in fiamme, ma Gourry, ancora una volta, seppe infondermi tranquillità, stringendomi a sé e baciandomi la fronte, apparentemente incurante del mio seno nudo che premeva contro al suo petto.
“Ti amo” disse, distraendomi e confortandomi nello stesso tempo. “Sei bellissima.” La sua bocca tornò a baciarmi, con dolcezza e passione, e lentamente mi spinse di nuovo verso i cuscini. Solo a quel punto le sue mani scesero verso il mio seno, avvolgendolo.
 Gourry smise di baciarmi. Il mio respiro era corto, ed ero certa che sarei morta di vergogna, ma lo spadaccino si esibì in un sorrisetto malizioso:
“Allora esiste!” disse, strappandomi una risata che risuonò in un singhiozzo: tutto quello che era in grado di fare la mia coscienza in quel momento.
Mi accarezzò a lungo i seni, chinandosi a baciarli, succhiando i piccoli capezzoli rosa. Affondai le dita nei suoi capelli, inarcando la schiena per offrirmi ancora di più a lui. Quando il suo volto tornò verso il mio, sentii che aveva il respiro spezzato.
“Oh, Lina…” sussurrò. Mi resi conto che il mio nome, pronunciato in quel modo, suonava quasi come una supplica. Riuscivo quasi a distinguere i tonfi del suo cuore mentre la sua mano scendeva ad accarezzarmi una coscia, tracciandone delicatamente il contorno, per poi scivolare tra le mie gambe.
 Quella fu la fine.
 Ormai non possedevo più un briciolo di lucidità. Mi rendevo conto solo vagamente di essere come cera tra le mani di Gourry, che mi scioglieva e ricomponeva a suo piacimento. Respiravo convulsamente, ansimavo, gemevo… Sotto di me il copriletto era sparito, le lenzuola le tenevo strette in un pugno che aprivo e chiudevo aritmicamente, ad ogni tocco, carezza, bacio…
Non credevo possibile che mi stesse facendo una cosa del genere, era pura emozione. Quando la sua mano tornò sui miei fianchi, tuttavia, mi resi conto che mi stava sussurrando qualcosa all’orecchio:
“Sei pronta?” mi chiese, col fiato spezzato.
“S-sì…” biascicai, tornando improvvisamente conscia di dove fossi e di cosa stesse per accadere.
 Istintivamente gli portai entrambe le braccia al collo, mentre il suo sguardo preoccupato mi scrutava in volto.
“Sì” ripetei, più convinta, per non dargli modo di pensare che volessi tirarmi indietro. Le sue mani abbandonarono il mio corpo, e si spostarono sul cuscino ai lati della mia testa. Mi baciò la fronte:
“Ho paura di farti male…” confessò, protettivo.
 Mi morsi il labbro. Temevo anche io il dolore che avrei provato, ma non mi sembrava giusto rivelarglielo proprio in quel momento vista la sua preoccupazione nei miei confronti.
“Mi fido di te…” gli sussurrai quindi, guardandolo dritto negli occhi.
 Gourry mi sorrise:
“Ricordati che possiamo fermarci quando vuoi” ripeté ancora una volta.
“Lo so…” risposi, e lo baciai. Fu un bacio breve, nervoso, dopodiché Gourry sospirò e si sollevò, sfilandosi i pantaloni, mentre io guardavo dall’altra parte, innegabilmente imbarazzata, nonostante tutto.
 Sono una persona molto pudica, va bene?
 Quando tornò a stendersi su di me allargai le gambe per accoglierlo, questa volta senza nessuna difesa esterna a separarci. Le sue labbra si posarono sulla mia guancia, mentre i suoi gomiti si puntellavano saldamente sul materasso. Cercai di non pensare al dolore imminente. Cercai di non pensare a niente che non fosse Gourry. ‘Gourry-Gourry-Gourry…’ mi ripetei mentalmente, mentre tutto il suo corpo aderiva al mio, avvolgendolo di calore e desiderio, e lui scivolava dentro di me.
 Inizialmente pensai che non fosse così terribile come avevo sentito dire. Avvertivo il dolce respiro dello spadaccino sulla mia fronte, i suoi movimenti lentissimi…
Poi un’improvvisa, sorda fitta mi colpì come una scossa. Annaspai e, per alcuni istanti, rimasi senza fiato. Ma non durò che una manciata di secondi.
 La mano di Gourry si spostò gentilmente sulla mia fronte, scostandomi i ciuffi di capelli che erano rimasti appiccicati nel sudore che mi imperlava la fronte. Le sue labbra presero a vagare sul mio viso, schiudendosi in piccoli baci. I suoi movimenti dentro di me si fecero più intensi, e il dolore scemò, sostituito da una sensazione nuova e sconosciuta.
Lo attirai verso di me, avvertendo l’urgenza della sua bocca sulla mia. Mi baciò, e intanto si spingeva sempre più a fondo nel mio corpo, mentre con una mano mi avvolgeva un seno, stringendolo senza farmi male. I suoi fianchi presero ad alzarsi ed abbassarsi gentilmente, seguendo il ritmo della sua lingua e facendomi sussultare. Quando le sue labbra scesero a disegnare una lunga fila di baci umidi sulla mia gola rovesciai la testa sul cuscino, ansimando.
Sentivo i suoi capelli sfiorarmi le spalle, cadere su di me come pioggia dorata. Strinsi le gambe al suo corpo e affondai il volto nel suo collo. Non ero mai stata così vicina a nessuno, nella mia vita. Lo sentivo muoversi dentro di me e a ogni affondo pensavo che lo amavo. Che lo amavo come non avevo mai amato. Che lo avrei amato per sempre. Era come se tutta l’energia che mi aveva sempre animato, sin da bambina, si fosse incanalata in quell’unico proposito e adesso mi stesse scoppiando nel corpo e nella mente. Gourry era il mio tutto.
Iniziò a gemere. Singulti strozzati che sembravano costargli uno sforzo enorme e capii che era arrivato al limite estremo del piacere, e io con lui. Dietro quel confine si apriva un baratro sconosciuto e lo varcammo insieme. Gli strinsi le braccia al collo e lasciai che il piacere si gonfiasse in me come una bolla di infinita leggerezza, per poi esplodere violentemente in tanti piccoli e scintillanti puntini argentati, mentre, appagata, scivolavo verso la riva in uno stato di completo abbandono.
Dopo non parlammo molto, ci limitammo a restare abbracciati ad ascoltare i nostri respiri che tornavano regolari. Sentivo di dover assimilare molto di quello che mi era appena successo, dare un giusto ordine al caos che mi gravitava dentro, acquietare l’emozione violenta che mi pervadeva e che sembrava non diminuire d’intensità, tutt’altro. E immaginavo che anche per Gourry fosse così.
Fu lui a rompere il silenzio, dopo quelli che mi parvero secoli.
“A cosa pensi?” mi domandò, accarezzandomi piano i capelli. E in quella domanda scorsi una certa cautela. Forse temeva di avermi delusa.
“Penso all’universo. Al progetto che c’è dietro ogni cosa” dissi, sorprendendo me stessa per prima con quella risposta. “I satelliti ruotano attorno ai pianeti, i pianeti ruotano attorno al sole. Ogni cosa in questo cosmo ha un punto fisso, e tu sei il mio. Senza di te sarei perduta. Ti amo Gourry Gabriev” dissi, la guancia appoggiata al suo petto e i capelli che ricadevano in morbide onde sulle sue braccia abbandonate.
Dopo le mie parole restò in silenzio per un tempo così lungo che pensai non avesse niente da dire. Chiusi gli occhi, il sonno si stava impadronendo di me.
“Lina” disse infine Gourry, mentre le palpebre mi si facevano pesanti e il mio corpo andava illanguidendosi.
“Sei la cosa più incredibile che questa esistenza mi abbia donato. La più preziosa, la più pura. Tu mi hai riportato alla vita. Non riuscirò mai, per quante parole possa mettere in fila una dietro l’altra, a dirti ciò che sei per me.”
“Oh, Gourry” sospirai. “Lascia perdere, i discorsi ispirati non sono mai stati il tuo forte. Piuttosto… riguardo a quello che è appena successo tra di noi, dobbiamo assolutamente riprovarci. È stato fantastico” mormorai, con un lieve sorriso a incresparmi le labbra.
Lo sentii baciarmi lievemente la tempia, mentre il sonno si impossessava di ogni mio pensiero.
“Non credo sarà un problema…” disse. E anche se non potevo vederlo, sapevo che stava sorridendo.

Mi addormentai tra le sue braccia, nel riverbero del sole, vinta da emozioni troppo intense per poter essere descritte accuratamente. Volevo solo riposare un po’, nonostante fosse ormai mattina, e invece il sonno calò su di me come una tenda buia, assorbendo completamente ogni mio pensiero.
 Sognai.
 Nel sogno io e Gourry che camminavamo fianco a fianco, tenendoci per mano. Le spade ballonzolavano nei nostri foderi a ogni passo, l’aria era fresca, il cielo  luminoso. Non c’erano ostacoli sulla nostra strada, e avevamo tutto il mondo davanti. Mi sentivo felice e stringevo la mano di Gourry nella mia. Poi mi venne in mente di voltarmi indietro per vedere quanta strada avevamo già percorso, e rimasi stupita: il sole che ci illuminava frontalmente stagliava lunghe ombre alle nostra spalle, ma… mentre quella di Gourry si stendeva compatta, muovendosi ad ogni suo passo, la mia non esisteva. Provai a fermarlo, a indicargli quell’incongruenza, ma la sua mano sgusciò dalla mia, quasi come fosse stata d’aria. Provai a chiamarlo, ma Gourry non mi ascoltava, non mi sentiva… Continuava a camminare imperterrito sul sentiero, mentre io, senza ombra e senza voce rimanevo indietro, vedendolo rimpicciolirsi lentamente, come una sagoma nel cerchio infuocato del sole all’orizzonte. Un grande disco rovente, che per le lacrime che mi velavano gli occhi pareva quasi sdoppiarsi, stagliandosi in due perfetti tondi arancioni nelle tenebre in cui lo spadaccino era ormai scomparso.

“Gourry!” gridai, svegliandomi di colpo. I miei occhi ci misero qualche secondo per mettere a fuoco l’ambiente circostante davanti a tutto il chiarore che illuminava la stanza. Li chiusi e riaprii un paio di volte, sbattendo le palpebre, e alla fine, sgomenta, dovetti considerare un dato di fatto innegabile: ero sola nella stanza.
 Notai che il lenzuolo mi copriva dolcemente nella mia nudità, e che il vestito color glicine era stato ordinatamente posato sulla spalliera del letto, ma… Il cuscino a fianco del mio era intonso. Scrutai ancora un secondo attorno a me: il fuoco nel camino si era spento, e dagli scuri vedevo il cielo azzurro e il sole splendere alto. Ma i vestiti di Gourry, così come ogni segno della sua presenza al mio fianco, erano spariti.
 Mi morsi un labbro. D’accordo, niente panico.
Scostai le lenzuola, scendendo dal letto e cercai qualcosa da buttarmi addosso. Fortunatamente su una sedia trovai i pantaloni e la tunica che avevo addosso il giorno prima. Me li infilai velocemente, e stavo per uscire quando, passando davanti alla specchiera rimasi colpita dal mio riflesso. E non si trattava solo del fatto che i miei capelli finivano in tutte le direzioni tranne che in quella giusta. Ero sempre io, certo, ma… In qualche modo diversa. Mi sorrisi, vagamente imbarazzata, e vidi comparire sulla mia guancia e tra le mie labbra le due fossette che Gourry quella notte aveva dichiarato di adorare, baciandole…
Per essere onesti, non rimaneva una sola parte del mio corpo che non fosse passata sotto alle sue labbra.
 Rimasi incantata da quel pensiero, ma subito dopo mi ricordai che in quel momento lui non era lì con me e che non avevo la più pallida idea di dove fosse. Quello stupido sogno mi aveva turbato ma dovevo ammettere che non era il caso di fare tante storie. Probabilmente era solo tornato in camera sua, pensando che Amelia o qualcun altro sarebbe potuto salire a controllare se mi ero ripresa dalla sbronza della sera prima e non voleva correre il rischio che ci trovassero insieme, nudi e aggrovigliati. Non eravamo ancora pronti per gli annunci ufficiali.
 Sì, doveva essere andata così, decisi. E con più calma mi sedetti alla specchiera slegandomi i capelli, spazzolandoli e rilegandoli nuovamente in una coda bassa, dopodiché mi infilai gli stivali e mi chiusi la porta alle spalle.

 Quando uscii nel corridoio, però, mi resi conto che non avevo la più pallida idea di dove fosse la stanza di Gourry e inoltre, considerai guardando fuori dalla finestra, doveva essere ormai abbastanza tardi per starsene ancora a letto. Così cambiai programma e scelsi di raggiungere Amelia. Tanto prima o poi avrei dovuto sorbirmi le sue prediche per il mio insensato comportamento della sera prima.
In fondo, Gourry avrebbe potuto essere ovunque all’interno del palazzo. Mi resi conto che il cuore mi balzava in gola all’idea che avrei potuto incontrarlo da un momento all’altro. I miei pensieri erano ancora inebriati dal ricordo del suo profumo, del suo corpo, delle sue labbra…
Mi appoggiai con la schiena alla parete e sospirai.
 Ero innamorata di lui. Completamente, innegabilmente innamorata.
Non passò tuttavia molto tempo che sentii dei passi venire nella mia direzione, e voltando lo sguardo vidi una domestica che si avviava nella mia direzione.
“Mi scusi…” esclamai, quando mi passò a fianco. “Sa dirmi dove posso trovare la principessa?”
La donna annuì:
“La principessa è giù ai giardini” Mi informò. Poi mi guardò con sospetto: “Lei non parte con gli altri mercenari?” Mi chiese, cogliendomi di sorpresa e facendomi ricordare solo in quel momento che quella mattina Joy e il suo gruppo avrebbero levato le tende.
“Io? No, io…” Considerai un attimo la questione “Mi sa dire che ore sono?” Chiesi infine.
“Quasi mezzogiorno.”
Ah…
La ringraziai frettolosamente, e scesi gli scalini due alla volta. Forse Gourry si era alzato per andare a salutare Joy. Quando fui quasi sulla soglia, tuttavia, mi scontrai con… una felce.
 Persi l’equilibrio e caddi all’indietro, mentre la felce che avevo davanti traballava e cadeva a sua volta.
 Ora, non per essere pignoli, ma non mi risultava che le felci camminassero e che se ne andassero in giro solitarie per i giardini di un palazzo. Ma, mentre mi massaggiavo il fondoschiena dolorante, sentii un mugolio di protesta provenire dalla pianta: “Ahia!” Dalle foglie verdi spuntò il volto di Amelia.
La principessa mi guardò stupefatta:
“Lina!” Il suo sguardo divenne poi più pungente. “Ti sembra questo il modo di uscire da una porta? Mi hai praticamente travolto. E togli il praticamente.” Esclamò, facendomi sentire in colpa una volta che, dopo averla aiutata a rialzarsi, notai che il suo bel vestito giallo canarino era rimasto macchiato di terra. La felce giaceva ai suoi piedi mezza sradicata, e Amelia le lanciò uno sguardo di disappunto:
“Questo… Non credo gli farà molto piacere.” Commentò, mentre cercava di raddrizzarla rimettendo la terra nel vaso.
“Di cosa parli?”
 “Oh, Zelgadis… Lui sta facendo degli esperimenti con le piante…” Borbottò, lasciandomi capire che, per l’ennesima volta, si stava improvvisando la sua assistente personale mentre Zel cercava di recuperare un aspetto umano.
“Digli pure che sono stata io a causare il disastro…” tentai di abbozzare un sorriso.
 “Puoi scommetterci! Lo vedrà lui stesso visto che tu adesso mi aiuterai a portare questa felce…beh, quel che ne rimane almeno, nella serra!” E senza che me ne fossi resa conto mi aveva già messo il vaso in mano.
“Amelia… Io, veramente…” Cercai di divincolarmi, inutilmente, mentre la principessa mi trascinava con sé.
 Dannazione.
 Quando finalmente raggiungemmo la serra, stavo quasi per soccombere sotto al peso di quel maledetto vegetale. Ansimando lo posai sul balcone davanti al quale Zel aveva sparpagliato una lunga fila di attrezzi che avrebbero fatto impallidire il più esperto degli alchimisti.
“Ecco la tua dannata pianta…” farfugliai, ansimando.
Zel non parve per nulla impressionato dal mio sforzo titanico, il suo sguardo, dietro ad un paio di enormi lenti trasparenti, mi sembrò invece parecchio seccato quando si spostò sulla pianta che pendeva sbilenca dal vaso.
“Mmmh. Questo suppongo sia opera tua, Lina…” disse solo, prima di staccare una minuscola foglia dall’intera pianta e metterla dentro ad un ampolla.
 Sul mio volto comparve un chiaro disappunto.
 “Zel… voglio augurarmi che tu non mi abbia fatto portare questa maledetta pianta fino a qui solo per prelevarne una fogliolina?”
 Zel non si scompose.
“No, in effetti io avevo chiesto ad Amelia di portarmene un ramo. Non ho idea del perché mi abbiate portato tutta la pianta…” Borbottò, senza prestarci la minima attenzione.
 Il mio sguardo accigliato si spostò sulla principessa che arrossì immediatamente:
“Ho solo pensato che, se te ne fosse servita ancora, l’avresti avuta subito sotto mano…” disse, imbarazzata.
 Sospirai; era così tipico di Amelia lanciarsi in gesti eclatanti.
Cercai di sgranchirmi le braccia, e buttai un’occhiata alla poltiglia che bolliva in un pentolino davanti alla chimera. Chissà su quale testo aveva trovato quella nuova, probabilmente illusoria speranza… Zel, tuttavia, sembrava molto fiducioso, e osservando lo sguardo ammirato di Amelia mi ritrovai a sorridere. Forse quella era la volta buona, chi poteva dirlo…
 “EhiZel, non sapevo che avessi il pollice verde!” Esclamai, guardandolo mentre toglieva ad uno a uno dei petali da una povera margherita.
 Il suo sguardo scettico si posò a quel punto sulle proprie mani, per poi tornare seccato verso di me:
“Molto divertente…” disse, facendomi capire che la mia affermazione aveva scatenato inconsapevolmente la sua permalosità.
“Oh… Non intendevo nel senso letterale del termine…” Cercai di giustificarmi. Ovvio, Zelgadis era tutto verde se la si vedeva in quei termini.
A quel punto cercai di distrarmi, bighellonando un po’ davanti al suo tavolo. Non ero mai stata nelle serre del palazzo.
 “Emh…” mi schiarii la voce, cercando di sembrare il più normale possibile: “Per caso qualcuno di voi due ha visto Gourry, questa mattina?”
I miei due amici non parvero notare nulla di strano nella mia domanda.
“No…” rispose Amelia “Ora che mi ci fai pensare, Lina, non l’ho visto nemmeno a colazione. Gli altri mercenari con cui avete viaggiato c’erano tutti, ma Gourry… Tu l’hai visto?” Chiese a Zelgadis, il quale non si scompose più di tanto:
“No, ma dato che ieri notte deve essere rimasto a vegliarti mentre smaltivi la sbornia penso che sia ancora nel mondo dei sogni. Quell’uomo è un santo” concluse, senza rendersi conto che ero quasi caduta a terra quando aveva pronunciato le parole ‘ieri notte’.
Ad ogni modo, il fatto che Gourry potesse essere ancora addormentato era venuto in mente anche a me, e quindi mi tranquillizzai.
“Probabilmente quel cervello di gelatina sta facendo tardi a letto, giusto per tenere ancora un po’ a riposo quella brodaglia che ha nella testa…” commentai davanti ai miei amici, per non rischiare di insospettirli con un comportamento eccessivamente interessato.
 Dopo qualche istante vidi Amelia sfoggiare un sorriso a trentadue denti:
“Oh, sei qui… Vieni, vieni, non essere timida…” disse, facendo dei cenni verso l’entrata della serra, in cui comparvero i volti timorosi di Anouk e di Babette tra le sue braccia.
 Io, che mi ero appoggiata con i gomiti al tavolo, mi raddrizzai, mentre la paurosa bambina faceva il suo ingresso, trascinandosi dietro il suo animale.
 Era così minuta quella ragazzina… e aveva un’aria stranamente familiare. Mi ricordava qualcuno, ma non riuscivo a capire chi.
Amelia sembrava averla molto in simpatia. Le fece vedere svariate tipologie di piante e fiori, nel tentativo di distrarla, raccontandole storie su storie, mentre io ascoltavo un po’ annoiata, tenendo d’occhio Babette che ronfava sul tavolo, emettendo delle docili fusa.
“Questi sono giacinti, e queste sono peonie …” Snocciolava la principessa, trascinando intorno a noi le più svariate varietà di fiori a cui Anouk rispondeva solo approssimativamente con un gesto del capo.
 Io trattenni uno sbadiglio e senza pensarci allungai una carezza sulla testa della gatta; il manto era lucido come il pelo di una foca e in quel momento i suoi occhi screziati si aprirono, fissandomi sornioni, e provocandomi un immediato e strano senso di deja vou…
Due cerchi arancioni.
 Distolsi la mano e Babette saltò giù dal tavolo. In meno di un secondo Anouk prese ad inseguirla e sparirono entrambe fuori dalla serra, lasciando la povera Amelia con un cesto di lillà tra le mani, l’espressione smarrita. Zel, indifferente a tutto ciò che gli capitava a fianco, continuava imperterrito a sbriciolare foglie. Decisi di dare una mano alla principessa.
“Non sapevo che Anouk avesse un gatto…” disse a quel punto Amelia, sollevando un cesto.
“Si chiama Babette, ed è un animale abbastanza sconsiderato, tra l’altro…” risposi, ripensando ai grattacapi che mi aveva dato dall’inizio di quel viaggio.
 Amelia sorrise:
“Babette…” Sussurrò “Povera Anouk…”
 “Uh…?” La guardai stupita “Cosa intendi dire?”
La principessa scosse la testa:
“No, niente. Quando conobbi Anouk non era che una dolce bimba di tre anni, con i boccoli neri. Parlava ancora, sai Lina? Ricordo che non riusciva a pronunciare correttamente il nome della sua balia, Elizabeth, così usava un abbreviativo: Babette, appunto.”
Anouk aveva chiamato la sua gatta con lo stesso nome che era appartenuto alla persona che per lei doveva essere stata una seconda madre. Era abbastanza facile intuire la profonda tristezza e l’enorme solitudine che regnavano nel cuore di quella bambina.
Fu in quel momento che il profumo mi colpì come uno schiaffo. Un profumo dolciastro e nauseante. Disgustoso. Dovetti appoggiarmi con la mano al tavolo su cui stava lavorando Zel, in preda alle vertigini.
“Lina? Tutto bene?”
Annuii, sconcertata. Perché mi dava tanto fastidio? Non riuscivo a capire da dove provenisse, né tantomeno che profumo fosse.
 Sapevo solo che lo conoscevo, per qualche strano, irrazionale motivo. Lo conoscevo.
 Mi guardai attorno, alla ricerca di quell’odore. Lasciai che fossero le mie narici a condurmi a lui, e improvvisamente mi ritrovai davanti ad una cesta che conteneva mazzi e mazzi di strani e curiosi fiori gialli, le cui sfumature si perdevano nell’arancio.
 “Che fiori sono questi, Amelia?” domandai, ricacciando indietro la nausea.
 La principessa mi lanciò uno sguardo sospettoso:
“Sono calendule.”
Avevo forse sperato che sapere il nome di quei fiori mi avrebbe illuminato? Beh, non era così. Il nome ‘calendula’ non mi diceva nulla, ma quel profumo… Era come se lo avessi sempre respirato, mi ricordava in modo quasi doloroso qualcosa che lottava per riaffiorare in superficie. Dove lo avevo sentito, dove? Mi sembrava di impazzire nello sforzo di ricordare.
Alla fine rinunciai:
“Sono… davvero molto belli, ecco” borbottai, davanti allo sguardo curioso e partecipe di Amelia. Mi parve soddisfatta di quella soluzione: sapere che i fiori piacevano anche a un maschiaccio come me era la conferma che il mondo fosse, di fatto, un posto meraviglioso.
“Oh, Lina… Non pensavo che anche una dura come te potesse trovare belli i fiori!” Mi canzonò, lasciandomi sola davanti alle misteriose calendule.
Quando uscii dalla serra, mezz’ora più tardi, ero ancora stordita.
Camminai senza una meta fino al cortile principale, e fu lì che dovetti arrestarmi: i mercenari si stavano preparando alla partenza.
Caricavano i cavalli che Phil aveva donato loro come ringraziamento per aver scortato la sua amica a Sailunne, e si premuravano di attaccarci ben salde le armi e le provviste per il viaggio. Mi incamminai tra di loro con il solo scopo di passare a dare un rapido saluto all’omone Hermann, l’unico con cui avevo trovato una certa sintonia all’interno del gruppo, e quando lo vidi un sorriso mi comparve sulle labbra. Era tutto intento nel lucidare una scure abbastanza malmessa, e i suoi capelli ramati arano raccolti in trecce che gli ricadevano sulle spalle, fermandosi all’altezza della scombinata e ferrosa barba. Forse un pochino mi sarebbe mancato, nonostante tutto.
 Mi avvicinai a lui:
“Ehi, Hermann!” esclamai, mentre il suo sguardo stupito si tramutava in un sorriso:
“Bonsai!” gridò, mollando la scure e precipitandosi a stringermi in un abbraccio che mi sollevò dal suolo, facendo dondolare i miei stivali a dieci dita da terra.
“Va bene, va bene…” farfugliai, intimorita da quell’eccessiva forma di affetto.
“Oh, come sono contento che tu sia passata a salutarci prima della partenza!” disse, in tono sinceramente commosso… Fin troppo commosso. Vedevo una lacrimuccia affacciarsi all’angolo del suo occhio destro, sotto alle sopracciglia cespugliose.
 Oh, non vorrai metterti a piangere, vero bestione?
 Hermann riacquisì in tempo una certa compostezza:
“Mi dispiace molto che tu e il tuo amico bravo con la spada non farete più parte alla nostra squadra… prima pensavo fosse venuto a dirci che sareste partiti con noi, e invece…” commentò, dispiaciuto.
 Io mi accigliai:
“Gourry era qui?” domandai, levando un sopracciglio.
 Hermann annuì:
“Sì, è sceso qualche ora fa. È venuto a salutarci e a informare il capo che non sareste partiti con noi. E, beh… detto tra di noi suppongo che non l’abbia presa molto bene…” Mi raccontò, accennando col capo a Joy che, la schiena appoggiata ad una parete, fumava indifferente ai preparativi vestendo un’espressione tutt’altro che felice.
 Peccato. Avrei voluto essere io a dargli la notizia.
 Tuttavia, era giusto stringere la mano al perdente, la nostra era stata una ‘gara’ tra persone civili, no?
 Salutai Hermann chiedendogli di prestare attenzione ai guai in cui sarebbe potuto cacciarsi e mi diressi verso Joy.
 Quando lo raggiunsi, e lui si rese conto che mi stavo avvicinando, la sua espressione si fece tesa. Si voltò, intento a rimirarsi le unghie. Teneva un ginocchio piegato, la suola attaccata alla parete alle sue spalle e fumava aspirando lunghe boccate.
 Mi fermai a pochi passi da lui, aspettando con pazienza che si decidesse a rivolgermi la sua attenzione; quando lo fece, nel suo sguardo lessi un grande disappunto.
 Sì, stavo gongolando.
“Cosa vuoi?” domandò, sgarbatamente, buttandomi il fumo in faccia.
 Decisi di ignorare quella scortesia, nonostante detestassi la puzza schifosa della sua maledetta sigaretta.
“Sono venuta a salutarti, Joy… E beh, ovviamente a dirti che mi dispiace se i tuoi piani si sono rivelati, diciamo… un grosso buco nell’acqua.” Non potei trattenere un ghigno soddisfatto.
 Joy aspirò un'altra boccata di fumo:
“Già…” dichiarò semplicemente. Non voleva darmi soddisfazione e lo capivo. Giuro che lo capivo, nonostante tutto.
 “Naturalmente” Proseguii “ Questo è quello che succede a mettersi contro Lina Inverse, ma ci dovevi sbattere la testa per rendertene conto. Beh, mica tutti possono nascere intelligenti: se al mondo non ci fosse qualche idiota, sarebbe un gran noia.”
“Hai finito?”
 Stavo per parlare, ma lui mi precedette.
“Se sei venuta a sbandierarmi sotto al naso la tua vittoria, piccola strega, temo resterai parecchio delusa. So una cosa che tu non sai.”
“E cosa ti fa pensare che mi interessi saperla?” gli chiesi, il sopracciglio levato.
“Perché ha a che fare con Gourry e con la nostra piccola scommessa. Devo dartene atto, non partirà con me. Ma allo stesso tempo, non verrà nemmeno con te. Abbiamo perso entrambi: Gourry se ne è andato, da solo.”
Aggrottai le sopracciglia.
‘Lascialo perdere, è pericoloso. È una persona strana, Lina…’ mi fece eco la voce di Nayden.
 “Non so di cosa tu stia parlando…” mormorai infine, cauta.
 Joy aspirò l’ultima boccata, lasciando che il fumo si disperdesse lentamente dalle sue narici, dopodiché schiacciò il mozzicone sotto alla suola e si voltò verso di me:
“Non mi stupisce che tu non lo sappia, vossignoria dormiva ancora quando Gourry è salito a cavallo e ha varcato i cancelli di Sailunne. E dovevi vedere come correva.” Gli occhi grigi di Joy mi scrutarono a lungo, in cerca di uno sguardo deluso che mi affrettai a dissipare. Non potevo credergli. Non riuscivo credergli. Non dopo…
 “Andato…?” sussurrai. Sicuramente mi stava prendendo in giro, quell’odioso, viscido verme.
Joy sospirò:
“Sì, andato, Lina. Ha preso un cavallo ed è uscito dalla città. Puoi chiedere a chi vuoi. Il cavallo l’ha chiesto al tuo amico Philionell.”
Il mio cuore perse qualche colpo.
“Ad ogni modo…” proseguì Joy “A mai più rivederci.” La sua mano si tese senza che me rendessi conto davanti a me. La guardai in un misto di confusione e stordimento.
 Gourry se ne era andato? Ci doveva essere un errore.
 Joy attese qualche secondo, dopodiché ritirò la mano che mi ero rifiutata di stringergli:
“Beh, fa come ti pare. Addio Lina Inverse, spero che le nostre strade non si incrocino mai più.”
E così dicendo mi diede le spalle sparendo, speravo per sempre, dalla mia vista. E dalla mia vita.

 Il resto della giornata lo trascorsi in un depresso stato confusionale.
 Avevo chiesto ad Amelia ed avevo chiesto a Phil, ma a quanto pareva Gourry, che aveva veramente chiesto un cavallo per allontanarsi dalla città, non aveva lasciato dietro di sé uno straccio di spiegazione. I miei amici mi avevano rassicurato sul fatto che probabilmente aveva avuto qualche commissione da sbrigare fuori città, ma… Andiamo! Gourry non se ne sarebbe andato così. Non dopo quello che era successo tra di noi.
All’inizio avevo dovuto fingere che non mi importasse.
Insomma, lo spadaccino era libero di andare dove voleva, no?
 Di conseguenza avevo presenziato al pranzo con le duchesse, dove avevo appreso che Nayden si era fermato a Sailunne come aveva dichiarato di voler fare. Avevo passato il pomeriggio in stupide chiacchiere, bevuto tè insipidi e mangiato ancor più insipidi biscotti. Il sole che quel mattino brillava alto nel cielo si era lentamente eclissato, coperto da grosse nuvole plumbee che nel tardo pomeriggio avevano promesso pioggia, tuonando e brontolando a lungo. Infine, dopo cena, Amelia, resa nervosa dalla mia inquietudine, mi aveva spedito alle terme del palazzo, dichiarando che un bagno caldo mi avrebbe sicuramente disteso i nervi. Gourry era grande e grosso, sapeva badare a se stesso e, soprattutto, perché mai avrebbe dovuto importarmi se sceglieva di allontanarsi per qualche ora?
 Così mi ci ero diretta e come un automa mi ero immersa tra le bolle e il vapore sempre e solo con un unico pensiero nella testa: Perché? Come? Dove?
 Sapevo che avrei dovuto essere razionale, e aspettare. Fidarmi di lui come avevo sempre fatto. Ma dopo quello che c’era stato tra di noi solo una conclusione mi rimbalzava come una palla impazzita tra le pareti del cervello: se ne era andato per quello?
 Solo a sera inoltrata mi decisi finalmente ad uscire dalle terme. Mi avvolsi in un accappatoio caldo che la servitù mi aveva gentilmente fatto trovare e trascinando i piedi mi diressi verso la mia stanza. Non volevo ancora piangere. Anzi, non volevo piangere e basta. Mi rifiutavo categoricamente di piangere.
 Ripensai a come, quella mattina, ero stata emozionata al pensiero di rivederlo e mi diedi della stupida.
 Poi le mie viscere si attorcigliarono quando ricordai il sogno inquietante che avevo fatto quella notte.
Gourry che spariva, inghiottito nel riverbero accecante di due soli infuocati…
Scossi la testa, che idiozie, pensai e abbassai la maniglia della mia stanza.

 E lì, seduto sul mio letto, con lo sguardo più dolce del mondo, c’era lo spadaccino.
 Mi sorrise quando mi vide entrare e fece per venirmi incontro, ma dovette rendersi conto della mia espressione sbigottita perché si fermò a qualche passo da me.
“Lina?” Mi chiese, come se niente fosse “Che succede?” Aggiunse poi, vagamente allarmato.
 Io rimasi semplicemente a bocca aperta.
Quel cretino.
 Per un attimo temetti che i miei pensieri mi avrebbero tradito, ma Gourry non dovette accorgersi di niente perché si avvicinò senza aspettarsi di certo che…
 “AH!” gridò, dopo che lo ebbi colpito con tutta la forza che avevo nello stomaco.
“Stupido deficiente!” gridai, rilasciando in quel momento il gomitolo di ansia e rabbia che mi si era appallottolato dentro per tutta la giornata.
“L-Lina…” biascicò, mentre piegato in due cercava di riprendere fiato “M-ma che ti ho fatto?”
 “Che mi hai fatto? Tu…Tu… Dove accidenti sei stato tutta la giornata?” sbraitai non riuscendo più a trattenermi.
 A quel punto il suo sguardo venne illuminato da un lampo di comprensione:
“Oh. È per questo che sei arrabbiata?” chiese, provando a risollevarsi, rimanendo tuttavia a distanza di sicurezza. “Perché non ti ho detto dove andavo?”
Io lo fulminai con lo sguardo, e Gourry mi fece un timido sorriso, cercando nuovamente di avvicinarsi.
 Quando fu abbastanza sicuro che non l’avrei colpito una seconda volta, si accinse a prendermi tra le braccia. Io rimasi rigida, mantenendo un’aria truce.
“Lina…” Mi sussurrò all’orecchio “Mi dispiace” La sua fronte cercò la mia, e i suoi occhi si sforzarono di leggere nei miei. Dovettero leggervi qualcosa di terribile, tuttavia, perché il suo sguardo parve immediatamente mortificato:
“Non hai pensato che me ne fossi andato, vero? Intendo… Andato per sempre?”
Rimasi silenziosa.
 Ebbene, non mi era concesso spaventarmi a morte come tutte le persone normali del mondo?
 Sapevo che avrei dovuto avere fiducia in lui. E ce l’avevo, davvero. Ma… Dopo quella notte le mie prospettive erano leggermente cambiate, poteva darmi torto se in quel momento mi sentivo tanto scossa?
‘Credevo mi avessi abbandonato’ Pensai, senza tuttavia aprire bocca. ‘Stupido imbecille’ aggiunsi poi, come se potesse servire a sentirmi meglio.
 E Gourry, come sempre, centrò esattamente il punto della situazione. Le sue labbra si fecero vicine al mio orecchio:
“Sai che non ti avrei mai lasciato, vero? Lo sai, sì? Perché mi sembrava di averti detto quanto ti amo giusto questa notte…”
 “Sì…” mi costrinsi ad ammettere, con voce tremante. Non avevo ancora superato il panico che la sua sparizione, unita a quel brutto sogno, aveva trasmesso in ogni fibra del mio essere. “Ma dove sei stato?” Gli chiesi infine, staccandomi da lui e tirandomi meglio addosso i lembi dell’accappatoio, mentre i capelli ancora umidi mi ricadevano in ciocche scomposte sulla fronte.
 A quel punto Gourry mi sembrò abbastanza a disagio:
“Ecco, ora te lo spiego…” cominciò. “Prima di tutto, sono stato a dire a Joy che non sarei più partito con lui.” Mi annunciò.
“Lo so” dissi, secca.
“Dunque, sono uscito da Sailunne perché dovevo recarmi in quel villaggio che c’è poco distante da qui. Io, dovevo fare un acquisto, e...”
 Lo osservai scettica: Gourry che spariva per dedicarsi allo shopping? Mi risultava strano pensarla in quei termini. I miei pensieri, però, vennero rapiti da un piccolo oggetto che lo spadaccino si era appena levato dalla tasca.
Il suo acquisto, supponevo.
Lo guardai con terrore, mentre un groppo mi si formava nella gola.
 Gourry mi sorrise, timidamente, e una delle sue ginocchia toccò il pavimento in modo molto eloquente.
 Trattenni il respiro, mentre la sua mano mi poneva davanti al naso una piccola, graziosa scatolina di velluto rosso, che si aprì con un delicato scatto, mettendo in mostra davanti ai miei occhi sgranati uno splendido anello d’argento, con incastonata una trasparente pietra color del cielo.
‘Il colore dei tuoi occhi’  riuscii solo a pensare, mentre Gourry trovava appena il fiato per sussurrarmi:
“Lina… Mi vuoi sposare?”

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Capitolo 9
*** La linea di confine ***


capitolo 9
La linea di confine                                               


Save me.
Call my name and save me from the dark.
Wake me up.
Bid my blood to run.
I can't wake up.
Before I come undone.
Save me.
Save me from the nothing I've become.
('Bring me to life'  Evanescence)

Guardai l’anello, poi guardai Gourry.
Infine, con la coda dell’occhio, lanciai un’occhiata disperata verso la porta e calcolai quanto mi ci sarebbe voluto per precipitarmi fuori dalla stanza in tempi considerevolmente rapidi.
Ma dovetti mordermi le labbra: non potevo scappare.
Non in quel momento, non davanti a lui. Non davanti all’anello con il quale mi stava chiedendo di… S... p… Spo…
Sposarlo, maledizione! Mi stava chiedendo di sposarlo!
Mi sentii impallidire.
Tornai a concentrarmi sull’anello, poi guardai di nuovo verso lo spadaccino. Mi sentivo mancare il terreno sotto ai piedi.
Gourry mi osservava, inginocchiato davanti a me, e il suo sguardo pareva quasi volermi dire che anche lui era spaventato, timoroso, quasi sorpreso di se stesso… Ma che in quel momento non c’era nient’altro che gli importasse nella vita, se non la mia risposta.
Abbozzò un lieve sorriso:
“Lina, se aspetterai ancora a rispondermi… temo che l’ansia mi ucciderà”  provò a scherzare, nonostante il tremolio della voce ne tradisse il profondo nervosismo.
Io sbattei più volte le palpebre, rendendomi conto solo in quel momento che erano ormai  presumibilmente parecchi minuti che si trovava lì di fronte a me, sempre tenendo l’anello davanti ai miei occhi.
Ma tutta la saliva che ancora conservavo fino a pochi secondi prima pareva essere defluita in qualche luogo lontano, insieme con le mie capacità di raziocinio.
Diavolo, sposarlo. Sposata, io! Con Gourry, certo… ma pur sempre sposata.
Percepii che le mani avevano cominciato a tremarmi solo quando sentii la spazzola, che stringevo ancora convulsamente nella mano destra, sbattere sulla mia coscia. Non ero pronta per quello.
“Io…” balbettai, mi sembrava di avere dei vetri rotti tra le labbra, ogni parola poteva ferire me e lui allo stesso, terribile modo.
Gli occhi dolci e fiduciosi di Gourry non mi abbandonavano, inchiodandomi allo sgabello della specchiera davanti a cui sedevo, in preda alle emozioni più disparate.
Perché accidenti se ne era uscito con quella trovata del matrimonio? Dopo quella notte era chiaro che tra di noi ci fosse qualcosa di importante. E io lo amavo, sì… ma l’idea del matrimonio mi terrorizzava.
“Io… non…”
Gourry si accigliò:
“Non…?” ripeté, gettandomi nel panico più di quanto già non fossi. “Lina, ti prego…” mi implorò. “Mi stai dicendo… di no?” Si stava agitando.
“No!” Esclamai “Cioè…’Non’ non stava per no perché no, insomma… No è no, mentre non …No… Non era no, voglio dire…. non…” Boccheggiavo come un pesce sulla riva, a pochi passi dall’onda che avrebbe potuto riportarlo in salvo.
Mi mancava il respiro. Gourry vestiva un’espressione non meno angosciata della mia. La mano che teneva la scatola con l’anello aveva preso a sua volta a tremargli.
“Lina, così mi torturi…” implorò, come un condannato. “ Vuoi o non vuoi sposarmi?”
Un masso enorme mi opprimeva proprio all’altezza del petto, e davanti a quell’anello che si ergeva minaccioso davanti a me, l’ansia mi esplose dentro come un boato.
“Non... non…” gracchiai, sollevandomi di scatto, davanti all’incapacità di espressione che mi stava attanagliando; a quel punto, il danno fu irreparabile: la spazzola che tenevo in mano, brandendola quasi come un arma, colpì inavvertitamente, ma con violenza, la piccola scatola di velluto, e l’anello volò via, tracciando un lungo arco sulle nostre teste e ripiombando con un lieve ‘tlin’ sul pavimento a qualche metro da noi.
Rimanemmo immobili per alcuni secondi, io trattenendo il respiro, Gourry con un espressione indicibile sul volto.
Poi , velocemente e brutalmente, l’incantesimo si spezzò.
Lo spadaccino si sollevò, mentre io, che ero ricaduta a sedere sullo sgabello, sentivo profonde ondate di rimorso invadermi l’anima.
Gourry raccolse la piccola scatola, caduta anch’essa dalle sue mani, e compiendo qualche passo recuperò dal freddo pavimento l’anello. Non osavo guardarlo. Alla fine lo sentii sospirare, mentre richiudeva il coperchio, e si avvicinava a me, rigirandosi il suo fallimento tra le mani.
“Gourry…” sussurrai, in preda all’imbarazzo.
“No.” Mi bloccò lui, gentilmente. “Non dire niente, non devi giustificarti… Era una domanda con più di una possibilità di risposta, e tu mi hai dato quella che ti sentivi di darmi.” Non sembrava arrabbiato. Solo triste.
“Ma io…” Provai a protestare. In fondo, la mia non era stata una vera e propria risposta…
D’accordo, non avevo detto sì, ma non avevo detto nemmeno no. È così, giusto?
Avevo detto ‘Non’ che, d’accordo, a voler essere pignoli è più simile ad un ‘no’ che ad un ‘sì’ se si considerano le lettere che lo compongono e la vocalità della parola, ma… Non è un vero e proprio no.
Persino un idiota l’avrebbe capito…
O no?
“Io non volevo…” Tentai nuovamente.
“Lascia perdere” Gourry sembrava deciso a non riaffrontare l’argomento.
“Ma Gourry!” mi stavo irritando. Perché non voleva farmi parlare?
“Lina, non importa, va bene?” Ora il suo tono tradiva una lieve alterazione. Gourry lanciò una breve occhiata verso la scatola che probabilmente doveva pesargli tra le mani come un macigno.
“Invece sì che ti importa, altrimenti non me l’avresti chiesto!” Mi scaldai subito.
“Beh… Se fosse importato anche a te forse la tua risposta sarebbe stata diversa.” Disse, secco, lasciandomi sgomenta.
Evidentemente, non dovevo essere l’unica tanto scossa dalla piega che stavamo prendendo gli avvenimenti.
“Non sei corretto.” Sibilai.
Gourry sbuffò:
“Senti Lina, qual è il problema? Ti ho chiesto se volevi sposarmi, hai detto no, quindi perché insistere? Fingiamo che non sia successo nulla…” Si rigirò ancora una volta la scatola tra le mani, indeciso su cosa farne.
“Ma io non ho detto di no!” Mi ritrovai a gridare.
Vidi la mascella di Gourry irrigidirsi.
“Però non hai detto nemmeno sì. La tua faccia in quel momento non era esattamente quella che avrei definito ‘un’espressione estasiata dalla gioia’ quindi deduco che la cosa non ti abbia propriamente reso felice…” Mi fronteggiò, levando un sopracciglio. “Comunque non ti sto accusando di niente, se è no è no, posso capirlo.”
“Bene, bravo… Continua a mettermi in bocca parole che non ho detto!” Esclamai, al colmo dell’indignazione, alzandomi in piedi e sbattendo entrambe le mani sul ripiano della specchiera, mentre i vetri della finestra, nello stesso istante, tremavano scossi da un potente tuono che annunciava l’arrivo imminente di un temporale. Un fulmine illuminò la stanza e il mio riflesso imbronciato si rifletté su tutti e tre gli specchi che mi stavano dinnanzi.
Gourry trasalì.
“Certe volte sei proprio ottuso…” dissi, guardandolo male. Sentivo il senso di colpa bruciarmi come un fuoco nella gola, ma ero anche seccata per il modo in cui Gourry stava liquidando la situazione.
“Sarò anche ottuso, ma non sono io quello che ha le idee confuse…”rispose, dopo avermi a sua volta lanciato un’occhiata torva.
Io avvampai, colta in fallo proprio nel mio punto debole, e non seppi che altro dire.
Passarono alcuni secondi, in cui il silenzio ci avvolse come una morsa. Poi Gourry posò la scatolina sul ripiano della specchiera, a pochi centimetri dalle mie mani strette a pugno:
“Questo tienilo tu. L’ho comprato per te ed è tuo in ogni caso… Non importa se non vuoi sposarmi.” Non mi degnò nemmeno di un’occhiata dopo aver pronunciato queste parole, e lo vidi avviarsi mestamente verso la porta.
Sentivo le lacrime bruciarmi negli occhi, ma mi imposi di non farne scendere nemmeno una.
“Ah, non ti importa quindi?” esclamai, non sapendo più che altro dire per fermarlo e riportarlo di nuovo lì davanti a me, con quella dannata scatola tra le mani.
Lo sentivo scivolarmi via dalle dita.
Se solo mi avesse dato un po’ più di… tempo.
Gourry si arrestò, a pochi passi dalla maniglia. Quindi si voltò verso di me:
“Lina…” borbottò “Non voglio litigare. Dormiamoci su, va bene? Vuoi che ti faccia portare una camomilla?”
Cosa...? Camomilla? A me, camomilla? Gli sembravo forse un’isterica?!
Lo guardai con uno sguardo carico di risentimento:
“No! Voglio che tu te ne vada! Vattene!” urlai, mentre colpa, rimorso e rivalsa si mescolavano dentro di me in un groviglio doloroso.
Gourry non se lo fece ripetere, abbassò la maniglia e sparì dalla mia vista, lasciandomi sola nella stanza in penombra, mentre un altro cupo e sordo tuono all’esterno riempiva di nero sconforto ogni cosa intorno a me.

Deglutii più volte e sbattei furiosamente le palpebre guardando verso il soffitto, sperando che le lacrime rimanessero dove erano.
La pioggia aveva preso a ticchettare sommessamente sulle grandi vetrate, creando degli strani e multiformi riflessi bluastri sugli oggetti che mi circondavano. Non osavo muovermi.
Ero indignata, stizzita e una marea di altre cose. Ma soprattutto ribollivo di rabbia per il modo in cui Gourry mi aveva liquidata quando avevo provato a spiegargli il mio assurdo comportamento.
Mi ero spaventata, ecco tutto. Non starete pensando anche voi che io sia pazza, vero?
I miei occhi si posarono verso la piccola scatola di velluto, su cui si rincorrevano le ombre delle gocce di pioggia, e involontariamente le mie dita si stesero fino a sfiorarla.
Era morbida… Invitante.
Riuscivo quasi a vedere a vedere lo spadaccino che legava il cavallo davanti alla bottega dell’orefice, che entrava…
Le mie dita scorsero la dolce superficie dell’oggetto, e arrivarono alla chiusura.
Gourry adesso si trovava davanti un uomo di mezza età, e gli chiedeva di mostrargli degli anelli.
L’orafo cominciava con qualcosa di sfarzoso, forse tratto in inganno dalle vesti suntuose che Gourry indossava dalla sera prima, e lo spadaccino si trovava costretto ad ammettere che non poteva permettersi di spendere cifre importanti.
Il coperchio si aprì tra le mie mani con un leggero scatto.
Deglutii.
Ora Gourry stava osservando degli anelli più modesti, ma all’improvviso… Eccolo.
I miei occhi accarezzarono la liscia e lucente pietra azzurra, montata sul fine e prezioso anello d’argento.
Quell’anello era perfetto.
Per me.
Niente di troppo sfarzoso, ma allo stesso tempo niente di banale. Costoso quanto bastava, ma senza la pretesa di gridare ai quattro venti quale fosse il suo reale valore.
Gourry doveva essersi svuotato le tasche fino all’ultimo centesimo per comprarmelo.
E io… Avevo rovinato tutto.
Lo presi dalla scatola, rigirandomelo tra le dita. Era freddo e liscio, così rotondo, lucente… Incantevole.
Scivolò quasi da solo sul mio anulare sinistro, mentre con un groppo in gola sollevavo la mano davanti a me per osservarlo.
Era la mia misura. Era perfetto.
I miei occhi passarono oltre, posandosi sulla specchiera in cui mi riflettevo, la mano tesa in avanti.
E in quel momento capii. 
Volevo sposarlo.
Volevo indossare quell’anello per il resto dei miei giorni. Volevo diventare grande insieme a lui, continuare a viaggiare, vedere tutto quello che c’era ancora da vedere… E anche quello che non si poteva vedere.
Volevo addormentarmi ogni notte cullata dal suo respiro, e svegliarmi ogni mattina abbracciata a lui.
Volevo vedere la casa in cui un giorno avremmo vissuto, e le piccole teste ciondolanti dei nostri figli alle prese con i loro primi passi. Alle prese con i loro primi incantesimi, o giochi con la spada, o… o qualunque altra cosa avrebbero voluto essere (ai figli preferivo non pensare per il momento!)
Infine, volevo vedere i suoi capelli farsi d’argento, insieme ai miei. Il che significava, in poche parole, che volevo passare tutta la mia vita al suo fianco.
Non era forse questo che significava… ‘Sposarsi’?
‘Nel bene e nel male, in salute e in malattia, nella buona e nella cattiva sorte….’
Secondo quella logica, io e Gourry non eravamo più o meno sposati già da un pezzo?
Un incredibile calore prese a sfrigolarmi nel petto, acceso da quella consapevolezza, e mi sentii ancora più stupida per come avevo reagito alla sua proposta.
Sperai che non fosse troppo tardi per cambiare le cose, ma proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta.
Istintivamente mi sfilai l’anello richiudendolo nella scatola, mentre il cuore mi balzava in gola. A quell’ora chi poteva essere se non Gourry? Probabilmente lui stesso si era sentito un idiota per il suo comportamento sgarbato e stava venendo a chiarire la situazione. Mi sistemai l’accappatoio e andai ad aprire.
Tuttavia, quando abbassai la maniglia, non fu con lo sguardo prostrato dal dolore dello spadaccino che mi scontrai, ma con il volto pallido e smunto di una giovane e timorosa cameriera.
I miei occhi la osservarono per alcuni secondi, per poi abbassarsi stupefatti su quanto reggeva tra le mani.
Un vassoio con sopra una tazza fumante.
La cameriera sobbalzò quando tornai a scrutarla in viso:
“La signorina Lina Inverse?” Mi chiese con un sussurro. Annuii.
“Mi hanno incaricato di portarle della camomilla…” balbettò, davanti al mio sguardo che diventava truce.
Le mie labbra si strinsero.
Quel cretino.
Mi aveva veramente fatto portare una camomilla!
Per un breve istante fui tentata di sbatterle la porta in faccia, poi mi trattenni. In fondo quella poverina non centrava nulla con il nostro litigio, non era giusto che ne pagasse le conseguenze.
“Sì, certo… La metta là” esclamai, innervosita, lasciandola passare, mentre, tutta impaurita dal mio sguardo, la cameriera posava il vassoio sul comodino di fianco al mio letto.
Dopo che si fu richiusa la porta alle spalle, tuttavia, imprecai tra i denti, e chiusi con la chiave. Non volevo più avere a che fare con nessuno quella notte. È vero, io ero stata crudele con lui, poco prima. Ma Gourry stava esagerando a prendersi gioco di me in quella maniera! Mi aveva fatto portare la camomilla come se fossi stata una pazza isterica a cui serviva un rimedio per calmare i nervi, quando io invece cercavo solo di dirgli che… Al diavolo.
Sedetti sul letto in preda allo sconforto, incrociando le braccia al petto e guardando imbronciata verso la tazza, da cui uscivano lievi sbuffi di caldo vapore. Un altro tuono fece rimbombare la stanza, mentre l’acqua scrosciava ormai forte sui vetri; quando un fulmine rischiarò l’ambiente, tuttavia, notai un piccolo particolare che mi era sfuggito: un foglio di carta, accuratamente ripiegato, sporgeva da sotto alla tazza.
Allungando la mano la sollevai, tirandolo fuori, e quando lo aprii scorsi una sola parola:
‘Perdonami’
Oh… d’accordo. Poteva anche sforzarsi un po’ di più. Senza contare che farmi portare la camomilla non era precisamente un modo carino per farsi perdonare, Gourry avrebbe dovuto saperlo.
Ad ogni modo, parte del mio avvilimento si esaurì in breve, per far posto nuovamente al sentimento di affetto che provavo nei suoi confronti ogni volta che lo pensavo. Decisi che forse… forse, avrei potuto passarci sopra.
Gourry, nella sua ingenuità, doveva aver pensato che la camomilla potesse servire davvero a calmarmi, escludevo che l’avesse fatto con rancore.
‘Gli hai gridato di andarsene…’ Mormorò una vocina dalla mia testa. ‘E non hai preso molto bene la proposta di matrimonio…’
Mi rabbuiai a quel pensiero.
Sentivo la giustificazione, sulla punta della mia lingua, pronta a salvare la mia coscienza dai sensi di colpa: ‘Non mi ha lasciato abbastanza tempo per pensarci… Mi ha preso in contropiede, avrebbe dovuto sapere che io decido solo dopo un attenta valutazione dei pro e dei contro…’
Ma sapevo che erano parole inutili perché… Beh, perché ci sono scelte che seguono solamente la logica dell’istinto.
Eppure il mio istinto, in quel momento, doveva essersi assentato, perché davanti alla sua proposta ero rimasta semplicemente sgomenta, terrorizzata. Se mi avesse dato un po’ più di tempo… Se mi avesse lasciata parlare invece di chiudersi nel proprio orgoglio ferito…
Quasi senza rendermene conto allungai una mano verso la tazza, bevendo lunghe sorsate di quella bollente bevanda dolciastra che avrebbe dovuto ricondurmi alla ragione.
Nella mia mente i pensieri si inseguivano senza sosta. Mi avrebbe chiesto nuovamente di sposarlo?
Le mie labbra si soffermarono sul bordo della tazza, mentre sentivo il dolce sapore della camomilla diffondersi sul palato.
Detestavo sentirmi insicura ma, dovevo ammettere, quella situazione mi aveva paralizzata.
Io, Lina Inverse, colei che non aveva pensato a nessuna conseguenza quando si era ritrovata a scegliere se salvare Gourry, o rischiare di distruggere il mondo intero con uno degli incantesimi più potenti che esistano, mi ero ritrovata incapace di pronunciare un dannatissimo sì. Eppure Gourry era l’amore della mia vita, e lo sapevo da quando Phibrizio me lo aveva portato via.
Scossi la testa e lanciai un'altra abbattuta occhiata verso la scatolina di velluto, abbandonata sul ripiano della specchiera e considerai che, se fossi stata più risoluta, probabilmente in quel momento l’anello sarebbe stato sul mio anulare e io sarei stata su quello stesso letto tra le braccia dell’uomo che avrei sposato.
Invece di bere camomilla da sola come una povera squilibrata.
Sentii un lieve crampo percuotermi lo stomaco a quel pensiero. Riappoggiai la tazza e il biglietto sul vassoio, e tirai le gambe sul letto, cingendomi le ginocchia con le braccia. Alle mie spalle le grandi finestre erano scosse dalla pioggia ormai furiosa, mentre tuoni e fulmini si inseguivano nel cielo cupo, straziando Sailunne con quel tetro concerto.
Quale scenario migliore per il mio allegro stato d’animo?
Vedevo gocce di pioggia riflesse scivolarmi sulle gambe nude in rivoli d’ombra. Un altro crampo, più forte del primo, mi tolse il respiro. Mi chiesi se non fosse il caso di allarmarsi per un anticipato ciclo mestruale.
Eppure…
Scossi la testa e mi portai una mano sullo stomaco, massaggiandomi piano. Non potevano essere le mestruazioni. Non così anticipate.
Rimuginai ancora qualche minuto, sempre scossa da quelle leggere contrazioni; provai a stendermi, cercando di appoggiare la guancia al cuscino, ma dovetti constatare che era anche peggio. Sentivo i morsi di una ferita aprirsi senza fretta all’imbocco dello stomaco, un bruciore terribile.
Tornai a sedere, e, stupita, vidi vacillare ogni cosa attorno a me. Mi rannicchiai su me stessa, respirando a fatica. Non riuscivo a capire cosa potesse essere.
Non mi sembrava di aver mangiato niente di strano quella sera a cena, anzi… Si poteva quasi dire che non avevo toccato cibo. Un gemito di dolore mi uscì dalle labbra, distraendomi da quei pensieri e facendomi piegare: era come se mi si stessero attorcigliando tutti gli organi interni.
Presi a respirare più in fretta, sperando che i crampi passassero, mentre invece si facevano più lunghi e continui. Più il tempo passava, e più il dolore si faceva sordo, lancinante, insopportabile. Le mie mani si staccarono dal mio stomaco, rigide, e mentre con la sinistra afferravo il copriletto sotto di me, stringendolo con tutta la forza che avevo, la destra la portavo alla labbra, cercando di reprimere le grida che avrebbero squarciato il silenzio che avevo intorno.
Dentro di me qualcosa mi si stava aprendo, spezzando, lacerando…
I crampi non si susseguivano più: si erano ormai tramutati in un lungo, interminabile, acuto dolore.
La ragione rischiò di abbandonarmi a più riprese, mentre mi contorcevo tra le lenzuola cercando di gridare. Ma le parole mi morivano nella gola secca.
Scivolai giù dal letto, accasciandomi sul pavimento, tirando giù insieme a me le lenzuola e il copriletto, nel gesto impulsivo e irrazionale di avere qualcosa da stringere tra le mani mentre il dolore mi avvolgeva senza pietà. Appoggiai la fronte contro le piastrelle fredde e mi strinsi le braccia addosso.  Sudore gelato e vampate di calore. Le lacrime sgorgarono dai miei occhi come cascate, ma non un sibilo mi uscì dalle labbra, ormai livide. Stavo soffocando nel dolore, non avevo nemmeno più il fiato per gridare…
Non avevo più la lucidità per pensare, per ragionare su cosa mi stesse succedendo. Volevo solo che finisse, che finisse…
La pioggia sulle finestre, il buio della stanza, il freddo del pavimento… Tutto si faceva sfocato, tutto sembrava perdere di importanza, improvvisamente lontano, inutile. C’era solo dolore, dentro e intorno a me.
E in quel momento, quando pensavo che ormai avrei perso conoscenza, qualcuno bussò alla porta.
Sollevai debolmente le testa del pavimento per quanto il dolore me lo consentisse, e gettai un’occhiata disperata all'uscio, guardando attraverso le lacrime. Oltre la barriera che mi separava dal mondo esterno, la voce di Gourry riempì quella gelida stanza, in cui si stava consumando il mio personale calvario.
“Lina…?”
“Gou…” Le parole mi morirono sulle labbra.
Passarono alcuni secondi, dopodiché Gourry bussò nuovamente:
“Lina….?” chiese ancora, forse pensando che stessi dormendo. O che volessi ignorarlo di proposito.
Questa volta non provai nemmeno a sollevare la fronte dal pavimento, pregai solamente che entrasse da solo senza che gli fosse stato chiesto di farlo.
Ma Gourry non lo fece. Lo sentii indugiare, fuori dalla porta della mia stanza.
‘Non andartene ti prego…’ Pensai, mentre una nuova ondata di lacrime mi inzuppava le guance, colandomi giù per la mascella irrigidita.
A quel punto Gourry parlò:
“Lina… Lo so che non vuoi aprirmi. Sono stato un perfetto cretino poco fa, ti chiedo scusa…” mormorò.
Io rantolai, gli occhi verso la porta, cercando ancora di farfugliare qualche parola che suonò impastata e fievole.
Gourry proseguì:
“Me ne sono andato arrabbiato, senza pensare che… Insomma, io non ti ho dato nemmeno il modo di pensarci, e ti ho messo fretta per una cosa del genere, ma vedi, mi sono agitato, e… ” Lo sentii sospirare.
“Ad ogni modo” continuò lo spadaccino “ Se non vuoi aprirmi capirò. Ma sappi che… io ti amo. Quando ho detto che non aveva importanza se volevi sposarmi o meno, non volevo ferirti, e nemmeno sminuire la situazione. Volevo solo dirti che davvero non ha importanza. Starei con te sempre e comunque, nel bene e nel male… Fino alla fine dei miei giorni. Uno stupido anello non cambierebbe di certo quello che abbiamo già.” Gourry sospirò, mentre le lacrime mi bruciavano sulle guance arroventate dallo sforzo di gridare. “In ogni caso la proposta è sempre valida, ovviamente… Se vorrai avere ancora a che fare con me” Sembrava abbastanza a disagio e a corto di parole. Avrei anche potuto commuovermi, davvero, se non fosse che il dolore non mi dava tregua.
“Gourry…” farfugliai. Rotolai su un fianco, e allungai una mano sopra a me, stringendo la striscia di preziosa seta ricamata che adornava il mio comodino.
Gourry parlò nuovamente:
“Bene. Ora vado nella mia stanza, se cambi idea mi trovi lì.” Indugiò “Per quanto io sia idiota, sappi che potrai sempre contare su di me…”
Il panico si impossessò a quel punto di ogni mio pensiero.
‘No, non te ne andare… Non te ne andare…’ Pensai in preda al panico e, come ultima risorsa, tirai il lembo di stoffa che stringevo tra le mani, rovesciando qualsiasi cosa si trovasse sul comodino sopra alla mia testa.
Il prezioso candelabro in argento, la scatola portagioie, e il vassoio con la tazza caddero al mio fianco, in un fragore assordante. E mentre la tazza andava in frantumi, e la camomilla si rovesciava attorno alla mia figura agonizzante, inzuppando i capelli sparsi attorno a me come deboli lingue di fuoco ormai prossime a spegnersi, il biglietto che avevo letto distrattamente pochi attimi prima scendeva volteggiando, posandosi davanti al mio naso, mentre il liquido color canarino si infiltrava nella carta porosa, sciogliendo l’inchiostro che componeva quell’unica, disperata, parola:

‘Perdonami’

A quel punto, come un fulmine a ciel sereno, ricordai.
‘Zampe di gallina!’ Quante volte avevo rimproverato Gourry  vedendolo cimentarsi in pochi e insoddisfacenti scarabocchi? A un mercenario non era richiesto saper scrivere. Per un discendente della piccola nobiltà era un raro privilegio, e quel poco che Gourry sapeva fare lo doveva sicuramente alle sue radici nobili.
Ma quell’unica parola, scritta così elegantemente, con mano sicura, ferma, precisa… Non era certamente opera sua. Non poteva essere opera sua.
In un singhiozzo di lacrime e dolore realizzai che la fretta e la sconsideratezza mi avevano fatto scambiare quell’inconsolabile parola come una richiesta di Gourry, quando invece erano parole… Del mio assassino.
La camomilla era avvelenata.
Cominciai ad annaspare, in preda al panico, cercando di raddrizzarmi.
Dovevo vomitare.
Ogni mio pensiero, in quella poca lucidità che ancora conservavo venne scosso da quella consapevolezza, mentre la voce di Gourry mi arrivava nuovamente dalla porta:
“Lina…?” Chiese, insospettito dal rumore della tazza in frantumi e della ferraglia che era caduta sul pavimento. “Lina che succede?”
“G-…Ghh…”  Biascicai, mentre una fitta mi toglieva il respiro.
Sentii che lo spadaccino, vinta la titubanza dal mio silenzio alle sue domande, abbassava la maniglia e ringraziai gli dei, ma… La porta non si aprì.
In quel momento, come uno schiaffo mi colpì il ricordo di pochi istanti prima, quando in preda alla rabbia avevo chiuso a chiave la porta, e come una scossa mi attraversò un fremito, facendomi scoppiare in singhiozzi.
Gourry provò più volte ad alzare ed abbassare la maniglia, e prese a battere la mano sulla porta:
“Lina? Cosa succede?...” Si stava agitando, e non dubitavo che i miei deboli singhiozzi gli fossero finalmente giunti alle orecchie. Prese a scuotere l’uscio, con violenza.
Le porte delle stanze di Sailunne erano tuttavia in pesante mogano massiccio, non si trattava certo di buttare giù qualche scalcinata porticciola di osteria. Sentii che Gourry stava cercando di forzarla, mentre pesanti colpi e scosse la facevano vibrare, senza però riportare alcun concreto risultato.
Le lacrime continuavano a scivolarmi copiose sulle guance, mescolandosi con la saliva che mi colava sul mento, mentre provavo a concentrare un po’ di aria nei polmoni per chiamarlo. La morsa ferina che mi attanagliava lo stomaco si amplificò, facendomi contorcere su me stessa, mentre alle mie spalle i colpi sordi sulla porta si facevano più cupi e rimbombanti.
Gourry urlava il mio nome, invano.
Dovevo vomitare, ma come potevo se nemmeno riuscivo a girarmi? Probabilmente mi sarei soffocata da sola stando in quella posizione. Le mie mani si aprirono e richiusero a pungo, mentre mi conficcavo le unghie nel palmo, rantolando.
Sentivo che stavo per perdere conoscenza, e quasi lo speravo. Il dolore si era fatto talmente insopportabile che mai nella vita avrei pensato si potesse soffrire in quel modo.
Provai, in un ultimo, disperato tentativo, a rovesciarmi; e proprio mentre digrignavo i denti, nello sforzo immane di non svenire vittima delle fitte, sentii che la porta, in un sordo scricchiolio cedeva, mentre il rumore di assi spezzate mi giungeva alle orecchie lontano, quasi soffocato dal dolore che sentivo.
Ricaddi sulla schiena, e tra le lacrime che annebbiavano ogni cosa attorno a me vidi Gourry correre attraverso la porta forzata, e inginocchiarsi al mio fianco piegandosi su di me, ansimando, mentre nei suoi occhi lampeggiava l’orrore:
“LINA… cos… cosa? Dei…” Non riuscì ad articolare più di quelle poche inutili parole.
Io boccheggiai, allungando una tremante mano verso la sua maglia e stringendola debolmente:
“L…a….C…C-a….m…o” Riuscii solo a farfugliare, mentre un lampo di comprensione  e panico si impossessava degli occhi terrorizzati di Gourry nel vedere i cocci della tazza e il liquido chiaro che allagava il pavimento.
“Devi vomitare!” gridò, prendendomi tra le braccia e provando a voltarmi. Tuttavia, quando mi portò una mano sulla schiena, l’effetto fu immediato: una fitta dieci volte peggiore di quelle che mi avevano scosso fino a quel momento si ripercosse nel mio fisico provato, e sentii uno strappo lancinante dentro di me. Dopo alcuni secondi un sapore ferroso mi invase completamente la gola e il palato, mentre il sangue cominciava a colarmi dalle labbra, mescolandosi sul mio viso alle lacrime e alla saliva.
Gourry inorridì: “Dei… Dei!” gridò, mentre cominciavo ad ansimare soffocata dal sangue che avevo in bocca. Sapevo che ormai a quel punto vomitare non mi sarebbe servito più a niente: qualcosa si era rotto dentro di me, e conoscevo un solo rimedio per arrestare l’emorragia che avevo in corso. Sempre che a quel punto fosse ormai ancora possibile fare qualcosa.
“G….” Biascicai, con la bocca impastata “I…sa…c…e…r…” Ansimai, piegandomi tra le sue braccia per uno spasmo.
Gourry mi scostò i capelli dalla fronte, cercò di ripulirmi il mento dal sangue, macchiandosi le dita: il suo volto era una maschera di puro orrore.
“Cosa …?” Mi chiese, con voce incrinata.
Io piegai la testa di lato, rantolando:
“R…e..s…u…r…r…e…ction” Riuscii infine ad articolare, in un sussurro.
Dopo una frazione di secondo, sentii le braccia forti di Gourry sollevarmi tremanti da terra, mentre lo spadaccino si precipitava fuori dalla stanza correndo verso il tempio dove speravo che i sacerdoti di Sailunne, i migliori esperti di arti magiche curative, avrebbero potuto salvarmi da quella sofferenza immane.

La mia testa ciondolò inerme per i corridoi, mentre Gourry correva senza sosta tenendomi tra le braccia, e le mie urla non cessavano un solo attimo. L’invisibile coltello rovente che stava aprendo in due le pareti del mio ventre affondò maggiormente, diventando qualcosa di inspiegabile. Il sangue continuava a colarmi copioso dalle labbra, scendendomi sul collo, inzuppando il candido accappatoio che mi stava ancora appeso addosso in qualche maniera, e la lucidità mi abbandonò a più riprese.
Mi resi conto solo vagamente che stavamo varcando la porta del tempio quando sentii altre voci, oltre a quella disperata di Gourry, chiedere in modo concitato:
“Che succede? Che succede? Per gli dei….”
Aprii gli occhi velati dalle lacrime quel tanto che bastò per vedere diversi volti in apprensione guardarmi sconvolti, mentre sentivo Gourry gridare:
“L’hanno avvelenata… Resurrection, fate presto! Fate presto!” Anche lui pareva aver perduto la ragione e la lucidità mentale.
Sentii che le sue braccia mi adagiavano su qualcosa di duro, e capii che mi aveva steso nuovamente sul pavimento quando vidi parecchie gambe flettersi al mio fianco. Forse, considerai, raggiungere qualunque altro posto sarebbe stato troppo lontano a quel punto, e annuii tra me e me: in quel momento, che mi curassero su un letto di piume o su un tappeto di chiodi non avrebbe fatto differenza, volevo solo che mi togliessero quel dolore lancinante e insopportabile. Che placassero quel ferro incandescente che mi stava squarciando in due.

I sacerdoti, non dovevano essere più di quattro o cinque, si piegarono attorno alla mia figura scossa dalle convulsioni, sul volto espressioni sgomente ma decise, e iniziarono a cantilenare la formula del Resurrection. Un’aurea bianca e luminosa scaturì dalle loro mani, effondendosi sul mio corpo straziato. Il mio respiro si fece più tenue, si affievolì; sentii le dita gentili dello spadaccino risalire sulla mia fronte per scostarmi i capelli inzuppati di sudore, la voce gli tremava:
“Lina… Vedrai che andrà tutto bene….” Sussurrò, mentre le lacrime si affacciavano nei suoi occhi.
Allungai una mano verso la sua, stringendola. Tremava.
Pensai che non dovevo essere un bello spettacolo in quel momento: arruffata, stremata e insanguinata. Ma Gourry era lì con me. Con lui accanto, sapevo che ce l’avrei fatta.
Abbozzai un lieve sorriso, che si spense tuttavia quando una nuova fitta mi fece contorcere: l’incantesimo di guarigione lottava contro qualcosa di molto, molto potente. Qualcosa che non sembrava voler allentare la  presa, straziandomi le carni.
I sacerdoti si impegnarono con più veemenza, mettendo più energia nelle loro parole; sentii che uno di loro sussurrava a Gourry di andare a chiamare la principessa, ma lo spadaccino scuoteva la testa:
“Non la lascio sola…” dichiarò, stringendomi con più forza la mano. Glie ne fui grata, se si fosse allontanato mi sarei sentita persa. In quel momento la sua presenza al mio fianco era l’unica cosa ancora capace di darmi  la lucidità necessaria per combattere il dolore. Vidi uno dei sacerdoti sollevarsi dalla postazione, e una manciata di minuti più tardi, quando l’incantesimo si stava ormai diffondendo nel mio corpo, scorsi Amelia che entrava di corsa nel tempio, in uno svolazzo di vestaglia e camicia da notte, seguita a pochi passi da Zelgadis.
“Oh, dei…” Eruppe, avvicinandosi, e piegandosi verso di me. I suoi occhi erano pieni di paura mentre osservava il sangue che mi imbrattava l’accappatoio e il volto, e il mio aspetto sfinito.
“Che accidenti…” Sussurrò Zelgadis, mentre Amelia già si era tolta l’ingombrante vestaglia e, arrotolatasi le maniche della camicia da notte cominciava a sua volta a recitare la formula del Resurrection insieme agli altri sacerdoti.
“L’hanno avvelenata….” Mormorò Gourry, i cui occhi seri non si staccavano un solo minuto dal mio volto.
Zelgadis rimase rigido, alle spalle dello spadaccino:
“Avvelenata?” Ripeté, sgomento. Il suo sguardo si posò su di me, in un misto di orrore e confusione. “Ha in corso un’emorragia interna…” Sussurrò poi, con fare scientifico.
Gourry strinse con più intensità la mia mano.
“Non lo so Zel, non so più niente… Voglio solo che le tolgano questo dolore. Sembra che la stia spezzando a metà…” Mormorò a denti stretti, con voce incrinata.

La cantilena dei sacerdoti continuava, attorno a me; la sentivo ora farsi più concitata, ora farsi più debole, e allo stesso modo percepivo la lotta incessante della magia contro il male che avevo dentro.
Gourry mi sussurrava parole di conforto che non riuscivo ad afferrare. Iniziai ad allentare la presa sulla sua mano, il mio respiro si fece più lieve.
“Coraggio Lina…” implorò Amelia, mettendoci più energia. Io tentai di sorriderle, ma solo una smorfia di dolore si dipinse sul mio viso. Tutto diventò buio attorno a me, mentre sentivo arrivarmi da lontano le parole dei sacerdoti, come una nenia di inconsolabile pietà. Macchie argentate invasero il mio campo visivo, in quel mare di tenebra, e soffocato mi arrivò alle orecchie un lieve scrosciare d’acqua.
Provai a riaprire gli occhi, ma tutto era caliginoso, sfocato… vagavo in una spessa nebbia.
Sentivo solo l’acqua che mi bagnava le caviglie. Sorpresa, gettai un occhiata verso il basso: ero in pedi, e i miei piedi erano immersi in un flusso torrenziale ghiacciato e impetuoso. Non ero che all’inizio, a pochi passi dalla riva, e non riuscivo a scorgere la sponda avversa, mentre qualcosa di inevitabile mi attirava verso di essa.
Avevo paura, non volevo andare avanti, eppure sentivo che la risposta a tutto stava dall’altra parte di quel corso d’acqua...
Quella linea di confine.
Mossi un piede tra le onde, con fatica, ma subito arrivò uno strattone a trascinarmi indietro.
“Lina!” Chiamò la familiare voce di Gourry.
Sbattei più volte le palpebre, e la soffusa luce del Resurrection balenò davanti ai miei occhi affaticati. Gourry era piegato su di me, il volto contratto dal terrore:
“Guardami” ordinò,  mentre la sua mano libera, quella che non stringeva la mia, saliva al mio volto, sulla mia guancia inzuppata di lacrime e sangue:
“Rimani concentrata su di me… passerà presto, l’incantesimo sta funzionando” bisbigliò, cercando di tenermi vigile. Mi resi conto che avevo perso conoscenza. Non c’era nessun torrente di acqua ghiacciata, nessuna sponda che dovevo raggiungere. Ero stanca, sfinita. Volevo solo chiudere gli occhi e abbandonarmi a quel torpore… Strinsi debolmente le dita di Gourry. La sua mano era calda e morbida, e mi trasmetteva un infinito senso di benessere, nonostante tutto.
“G… Gou…” farfugliai.
Il dolore al ventre era diminuito e il sangue non colava più copioso dalla mie labbra, a dispetto del sapore ferroso che sentivo sul palato.
“Ssst...” bisbigliò lo spadaccino, accarezzandomi piano una guancia.
Sentii Amelia espirare:
“Funziona, la stiamo riportando indietro…” disse, esausta ma soddisfatta, mentre i sacerdoti, indeboliti, annuivano compiaciuti.
Volevo sorridere, ma non ne trovavo la forza.
“Gourry…” sussurrai, riaprendo gli occhi e guardando verso di lui.
“Lina... Non ti sforzare. Va tutto bene, tra poco starai meglio” disse. Avvertivo il suo fiato caldo sul viso, l’odore di sapone della sua pelle. Dovevo dirglielo, dovevo dirglielo in quel momento.
Sono una stupida, una stupida. Voglio sposarti, lo voglio davvero. Perché senza di te tutto quello che faccio e dico appare privo di senso. Perché non riesco a immaginare un futuro in cui tu non sei al mio fianco. Ho bisogno di te, ti amo. Ti amo…
“Gourry… non lasciarmi andare via” dissi invece, buttando fuori le parole con un singhiozzo. Una nuova ondata di sangue mi affluì alle labbra colandomi giù per il mento.
Un brusio di sorpresa si destò tra i sacerdoti che stavano completando l’incantesimo, mentre un ultimo violento e imprevisto strappo mi faceva sussultare:
“Tienimi” sussurrai, la voce roca. La sua mano stringeva la mia, ma la sentii scivolare via. “Non lasciarmi, tienimi” dissi ancora, con un ultimo respiro.
Le urla di Gourry si fecero lontane, sbiadite.
Ero di nuovo immersa nell’acqua gelida, mentre le tenebre inghiottivano la mia minuscola figura.
Mossi un passo verso la sponda, poi un altro…
Qualcuno recitava sommessamente la formula del Resurrection, in qualche posto lontano. Ma era troppo debole e io ero già lontana. Grida e suppliche mi arrivavano confuse e sbiadite ma non ci badai: dovevo raggiungere l’altra sponda, solo quello contava ormai. A fatica raggiunsi la metà di quel fiume impetuoso: non vedevo più nessuno dei due argini, ma qualcosa di irresistibile mi spingeva a proseguire. A quel punto, tornare indietro sarebbe stato impossibile. Ma, proprio mentre stavo per rituffare il piede nell’acqua gelida e proseguire, le tenebre attorno a me si rischiararono.
“Ferma” disse una voce sconosciuta, mentre un campanello iniziava a suonare nel buio.
Rimasi immobile, la gamba ancora sollevata a mezz’aria, indecisa.
Il campanellino continuò a tintinnare, incantandomi, ma all’improvviso, dal buio, risuonò un’altra voce, più cupa e minacciosa:
“Lasciala passare” intimò.
“Taci” ribatté la prima voce, più soave, ma decisa. “Lina Inverse, ti ordino di non proseguire il tuo cammino.”
Rimasi impietrita, sentendo oscure forze tirarmi da entrambi i lati. A seconda di come avessi appoggiato il piede, lo sapevo, il mio destino sarebbe stato inevitabilmente segnato: ero proprio nel mezzo della linea di confine.
Il suono del campanello si fece più acuto.
“Lasciala a me.” Tuonò, sinistra, la seconda voce, dalla riva in cui mi stavo dirigendo, cercando di trascinarmi.
“No. Lei resterà dov’è, vattene, torna nel tuo buio.” ordinò la prima voce, con un tono tanto risoluto che non potei fare a meno di ubbidire. Riabbassai il piede e rimasi esattamente com’ero: immobile nel mezzo della corrente.
“Non ti ingannare, prima o poi attraverserà” replicò la seconda voce, mascherando l’umiliazione della sconfitta, predisponendosi a una spietata pazienza. “E a quel punto sarà mia. Stai giocando un gioco troppo rischioso…”
“Vieni con me” Sussurrò a quel punto la prima voce, ignorando l’avversario.
Mi sentii trascinare, mentre dal buio passavo nuovamente alla luce, in una giravolta rocambolesca in cui tutto si mescolava davanti a me.
Quando quel giro di giostra fu finito, mi sentii vuota e abbandonata.
“Aspettami. Tornerò e ti spiegherò ogni cosa” disse semplicemente la prima voce, lasciandomi sola, con gli occhi chiusi, mentre nelle mie orecchie il suono di quel melodioso campanellino andava trasformandosi nella cantilena concitata dei sacerdoti di Sailunne, ormai sempre più debole.
Qualcuno chiamava il mio nome, vicino a me, con forza e disperazione.
Provai a riaprire gli occhi, mentre la formula dell’incantesimo si andava spegnendo nelle mie orecchie. Non sentivo più dolore, né torpore. Solo uno strano, inspiegabile silenzio attorno a me.
Mi allarmai, provai a riaprire gli occhi, nonostante la luce mi accecasse; quando lo feci, infine, riuscii a scorgere davanti al mio sguardo confuso le pareti del tempio di Sailunne, bianche, marmoree.
Cercai di mettere a fuoco: i sacerdoti tacevano, sfiniti, a qualche metro da me, inginocchiati a terra. Sbattei le palpebre, stranita, e a quel punto scorsi, in mezzo al gruppo dei sacerdoti, anche Gourry e Amelia, in silenzio, mentre Zelgadis, in piedi alle loro spalle, vestiva un’espressione di puro sgomento.
Che diavolo gli prendeva a tutti quanti?
Mi resi conto che ero in piedi, e mossi qualche incerto passo avanti, nonostante nessuno mi degnasse di uno sguardo. A quel punto avrei anche potuto offendermi, davvero, se non fosse stato che, mi resi conto, la loro attenzione era tutta concentrata su qualcosa che era sul pavimento. Barcollando mi avvicinai, incuriosita, ma quando arrivai alle loro spalle, per poco non mi sentii mancare.
In mezzo al gruppo dei sacerdoti, riversa al suolo in malo modo, con ancora addosso l’accappatoio insanguinato, c’ero… Io.
Istintivamente mi venne da distogliere lo sguardo, presa da un improvviso senso di repulsione e paura, ma poi mi detti dell’idiota.
Doveva esserci un errore, non si poteva spiegare il altro modo.
Tornai a guardare, e involontariamente spalancai la bocca, incapace di fare o dire alcun che.
Guardai il mio volto inclinato di lato, gli occhi aperti, fissi, vitrei… Sgranati nel dolore, mentre dall’angolo sinistro delle labbra colava un sottile rivolo di sangue, gocciolando sul mio collo fino ad infiltrarsi nella trama dell’accappatoio; l’unica cosa in movimento nell’intera sala del tempio.
Guardai con sgomento la mia mano, ancora stretta in quella di Gourry, pallida e priva di vita, e infine mi costrinsi a guardare il volto di chi mi circondava.
I sacerdoti erano sfiniti davanti all’inutilità del loro tentativo di salvarmi la vita.
Le loro braccia, fino a quel momento sospese su di me, si abbandonarono stanche lungo i corpi, toccando con le nocche il pavimento, dando il via ad una serie di movimenti inarticolati e privi di razionalità.
Zelgadiss fece un passo avanti, smarrito, assolutamente impreparato a quello che stava accadendo davanti al suo sguardo.
Le lacrime presero a scorrere sulle guance di Amelia.
Gourry  sbatté più volte le palpebre, incredulo.
“Lina…” Sussurrò. Nessuno ebbe il coraggio di guardare verso di lui.
Gourry strinse la mia mano, convulsamente, ma quando riaprì il palmo, le mie dita scivolarono via dalle sue, ricadendo come un peso morto, le nocche pallide che sbattevano sul gelido pavimento.
Lo spadaccino rimase impietrito; davanti a lui, i miei occhi sbarrati guardavano in un punto imprecisato del tempio, senza vita.
Mi sentii venire meno davanti a quella scena raccapricciante e provai a chiamarli, a fargli capire che era tutto un errore, che io ero lì, proprio lì, alle loro spalle. Ma ogni grido, invocazione, ogni mio movimento o tentativo di attirare la loro attenzione si perdeva in quel silenzio terribile che avvolgeva ogni cosa: nessuno mi vedeva, nessuno mi sentiva. Ero invisibile, ero diventata… il nulla più totale.
Amelia si portò entrambe le mani al volto, tremando, mentre le lacrime le bagnavano le guance.
“Non può essere vero…” disse, mentre Zelgadis si faceva più vicino, altrettanto sconvolto.
“L’incantesimo…” Continuò Amelia, guardando i sacerdoti, che allo stesso modo non se ne riuscivano a capacitare “L’incantesimo stava funzionando, lei…” Un nuovo singhiozzo la fece sussultare, e Zelgadis le posò una mano sulla spalla, in un gesto consolatorio.
Uno dei sacerdoti mi portò le dita al polso, poi scosse la testa in segno di diniego:
“Non c’è battito.” Concluse amaramente.
Gourry sollevò la testa, guardando confusamente il portatore di quell’infausta notizia, poi i suoi occhi tornarono disperati sul mio volto:
“No…” Mormorò “Lina…?” mi chiamò, in un sussurro.
Amelia e Zelgadis chiusero gli occhi, non volevano guardare, faceva troppo male.
Gourry portò una mano al mio viso; lentamente le sue dita scivolarono sulle mie labbra violacee, contratte nello sforzo di gridare parole che non sarebbero più uscite.
“No…” Mormorò di nuovo, con voce più acuta e incrinata. I sacerdoti si guardarono, vagamente allarmati.
Le dita di Gourry presero a scorrermi sulle labbra, macchiandosi di sangue.
“No, no, no… ti prego, no.”
Zelgadis si portò una mano alla bocca. Amelia scoppiò in singhiozzi che la scuotevano.
Io, alle loro spalle, non riuscii a distogliere lo sguardo da quell’agghiacciante spettacolo, sempre più confusa, sempre più angosciata.
“Sono qui…” Provai a sussurrare nuovamente, consapevole ormai che anche quelle parole si sarebbero perse nel silenzio.
Gourry provò a sollevare il mio viso, una mano dietro la nuca. I miei capelli erano ancora umidi dal bagno, aggrovigliati.  i suoi occhi cercarono un qualunque segno di vita nei miei, che risposero con il loro terrificante e sgranato mutismo. Il colore delle mie iridi si stava facendo nero, vacuo.
“Ti prego parlami, apri gli occhi…” supplicò.
I sacerdoti si agitarono ma nessuno aveva il coraggio di dire o fare alcun che.
Gourry prese a scuotermi con più vemenza.
“Non puoi essertene andata, parla, dì qualcosa… qualsiasi cosa, ti prego…” gridò. Ma la mia testa ciondolava inerte tra le sue mani; la mia pelle si stava facendo cerea.
“Gourry…” disse alla fine Zelgadis, cercando di mantenere un tono compassato: “Lasciala…” Lo spadaccino non gli badò. Io feci un passo avanti:
“Gourry!” Esclamai “Sono qua, sono qua, proprio accanto a te!”
Gourry sollevò il mio corpo per le spalle, e mi strinse a sé, mentre la mia testa ricadeva all’indietro e i miei capelli, morti fili per marionette, pendevano sfiorando il pavimento.
“Mi ha detto di tenerla, di non lasciarla andare. Non posso lasciarla andare!” gridò, fuori di sé.  Mi gettai al suo fianco, cercando di afferrarlo, mentre le mie mani lo attraversavano come fosse stato d’aria:
“Sono qua, Gourry, non me ne sono andata, sono qua!.” Strillai, disperata. “C’è un errore… Deve esserci un errore…” esclamai infine, sconfitta, mentre Gourry affondava il viso nel mio collo pallido e prendeva a singhiozzare convulsamente.
Ero terrorizzata; volevo piangere, ma non avevo lacrime; volevo gridare, ma non avevo una voce che potesse essere udita da altri oltre che da me; volevo afferrarlo, scuoterlo, farlo voltare e mostrargli che io ero lì, proprio lì, ma…
Come era potuta succedere una cosa del genere? Non me ne riuscivo a capacitare.
Forse era un incubo, un atroce incubo da cui mi sarei presto svegliata, trovando Gourry che dormiva placidamente al mio fianco.
Provai a chiudere e riaprire gli occhi, stringendoli più volte, ma nonostante tutto, le urla di Gourry continuavano a riempire di angoscia le mie orecchie.
Zelgadis si fece più vicino allo spadaccino, provando a scuoterlo:
“Gourry… Lo so che…” Provò a dire, ma dovette bloccarsi: non c’erano parole adatte per esprimersi in una situazione del genere.
I sacerdoti si guardarono con un misto di compassione e sfinimento, sollevandosi a loro volta, e mentre uno di loro aiutava Amelia a rialzarsi, un altro si allontanò, per tornare dopo pochi istanti con un drappo bianco.
Deglutii, guardandoli sconcertata.
“Siamo così addolorati maestà….” Si rivolsero alla principessa, la quale dovette reggersi al braccio di uno di loro per non venire meno mentre si sollevava tra le lacrime.
Solo Gourry era rimasto inginocchiato a terra, tenendomi tra le braccia; il suo sguardo si sollevò alle parole del prelato, e quando scorse il lenzuolo tra le sue mani, un’espressione di agghiacciante furia si dipinse nei suoi occhi:
“Allontanatevi” disse secco, digrignando i denti. Il guaritore fece un passo i indietro, smarrito: “Ma…”
Zelgadis lo fulminò con un’occhiata, poi tornò a rivolgersi allo spadaccino:
“Gourry, per quanto doloroso sia, devi lasciarla” disse, mettendo a tacere il dolore per ostentare il suo duro lato pratico.
“No” sibilò lo spadaccino, stringendo il mio corpo a sé. Zelgadis provò ad avvicinarsi, posandogli una mano sulla spalla; Gourry si divincolò:
“Non la lascio, Zel!” gridò, facendomi venire i brividi. Zegadis sussultò, poi tornò nuovamente a rivolgersi a lui:
“Lina è… Lina non c’è più” disse, aggirando la terribile parola che nessuno aveva il coraggio di pronunciare. Sapevo quanto gli costava essere duro in quel momento, ma sapevo anche che era l’unico modo che Zel conosceva per prendere in mano la situazione. Vidi che lanciava una rapida occhiata ad Amelia, alle sue spalle, e la principessa si portava entrambe le mani al volto.
Zel sospirò, e tornò a guardare verso Gourry, il quale, per reazione alle sue parole, aveva preso a stringermi con ancor più violenza.
“No…” Esclamò ancora una volta, cieco all’evidenza. Mi scosto lievemente da sé, e la sua mano tornò sulla mia guancia, sulla quale il sangue si era ormai rappreso:
“Lina… Lina, rispondimi….” Singhiozzò, prendendo a cullarmi con dolcezza.
Zel distolse lo sguardo, e si incupì. Io mi portai una mano alla bocca, straziata da quella scena.
“Non mi lasci altra scelta…” Sussurrò la chimera. “Sleeping” Esclamò, secco.
Gourry vacillò, senza lasciarmi.
“Sleeping” Tuonò il mio amico, con più energia.
Gourry cercò di resistere.
“SLEEPING!” Esclamò, un’ultima volta Zelgadis, mentre lo spadaccino crollava a terra, trascinandomi con sé.
A quel punto tutto tacque.
Rimasi immobile, dilaniata dal dolore che quella visione mi aveva procurato; poi, barcollando, mi sollevai e mi allontanai, indietreggiando.


Sbattei più volte le palpebre, e in quel momento, le porte del tempio tuonarono, spalancandosi, mentre una figura zuppa di pioggia faceva il suo ingresso trafelata.
Nayden arrivò correndo a pochi passi dal punto in cui si era consumata la tragedia, la tunica alla rovescia, i piedi scalzi, i capelli scarmigliati. Aveva tutta l’aria di chi era appena stato buttato giù dal letto.
Quando il suo sguardo cadde sul pavimento, e scorse il mio corpo riverso al suolo, insanguinato, contorto nella smorfia della morte, i suoi occhi si spalancarono, e vidi chiaramente le sue mani stringersi a pugno, mentre le nocche sbiancavano.
I presenti si voltarono, rivolendogli occhiate stanche ed indifferenti, Nayden posò uno sguardo rammaricato su ognuno di loro; quando i suoi occhi incontrarono quelli di Zelgadis, vi lesse più risoluzione, e si azzardò a domandare:
“Cosa è succeso? Non sarà…?”
Zelgadis annuì brevemente, poi distolse lo sguardo.
Nayden parve corrucciarsi ulteriormente:
“Ma come…?”
“Non sappiamo niente. Noi…” Zel guardò con disperazione la principessa, ridotta allo stremo della sofferenza, e Gourry, addormentato con la forza mentre ancora si rifiutava di lasciarmi andare.
Nayden annuì, comprendendo che non era quello il momento di fare domande inopportune.
Il suo sguardo si posò sui mie occhi vitrei, e lo vidi incupirsi:
“Maledizione…” Sibilò fra i denti, lasciandomi stupita da tanta rabbia.
 Nayden si fece avanti:
“Vi aiuto a portarlo nelle sua stanze…” Mormorò, accennando con il capo a Gourry.
Zel annuì fiaccamente.
Osservai la chimera e il mago che separavano il mio corpo straziato da quello addormentato di Gourry, e lanciai un’ultima disperata occhiata a quel che rimaneva di me: ero stesa a terra, le gambe scoperte fino alle ginocchia, piegate in un innaturale posizione, così come le braccia, che tenevo stese, aperte, come a invocare un aiuto insperato.
“Buffo, davvero buffo…” sussurrò in quel momento una familiare voce al mio fianco.
Mi voltai di scatto, e mi ritrovai faccia a faccia con il volto di Xellos.
Mi stava… Guardando? Sobbalzai:
“Xellos! Tu…Mi vedi??” Chiesi, più stupita di quel fatto che di ritrovarlo a mezz’aria in uno dei principali templi della magia bianca.
Xellos annuì, ma senza vestire il suo solito sorriso sornione:
“E dire, che ti avevo quasi pregata di stare attenta…” Mi rimproverò, guardandomi non senza una certa curiosità.
Ripensai al suo avvertimento di una settimana prima:
“Xellos, che accidenti sta succedendo? Ci sei tu dietro a questa storia?” urlai, perdendo qualsiasi razionalità.
Il demone tuttavia si limitò a lanciare un’altra intensa occhiata al mio corpo immobile.
“Davvero buffo..” Commentò nuovamente, irritandomi.
“Vorrei sapere cosa ci trovi di tanto divertente…” borbottai, accigliandomi.
Il priest mi lanciò un fuggevole sorriso:
“Divertente forse non è il termine esatto, ma trovo davvero singolare la situazione. Questo complica un po’ le cose ovviamente… ma a tutto c’è rimedio. Tranne, forse, alla morte.”
Lo fissai, torva. Ero dunque… morta? E cosa si sarebbe potuto complicare che già non fosse terribilmente complicato? Detestavo quel suo rigirare le frittate e parlare sempre senza dire realmente niente.
Xellos mi rivolse un’ultima occhiata:
“Su, non te la prendere… Ormai, il danno è fatto, pazienza.”
“Pazienza?... Pazienza?!” sbraitai. “ Xellos, guardami maledizione! Cosa diavolo significa tutto questo?!”
Lo sguardo di Xellos si fece divertito, quasi felino:
“Ti sto guardando, ed è proprio questa la cosa buffa Lina…” mormorò, sogghignando. “Come ti spieghi che tu sia lì…” Indicò con il bastone il mio corpo, poi lo rivolse verso me “E anche qui… Contemporaneamente?!” Esclamò infine.
Io rimasi sgomenta.
Xellos si lisciò la punta del mento:
“E non venirmi a dire che non ti avevo messa in guardia…” Mormorò infine, prima di svanire in uno sbuffo.
“Xellos!” gridai, vedendolo sparire, senza tuttavia ottenere nulla.
Il demone si era dileguato, lasciandomi confusa e piena di interrogativi. L’unica creatura che era in grado di vedermi mi aveva lasciata con solo poche, ambigue parole, senza nemmeno darmi il tempo di capire che accidenti stesse succedendo.
Deglutii, e tornai a guardare verso la me stessa stesa a terra. Zel e Nayden erano usciti dal tempio, trascinandosi dietro lo spadaccino, mentre Amelia li aveva seguiti a capo chino, diretta alle stanze di suo padre per avvisarlo di quanto era accaduto.
Guardai ancora una volta il mio volto contratto, su cui le mani disperate di Gourry avevano mescolato il sangue alle lacrime, e guardai un ultima volta i miei occhi vuoti; erano fissi e muti in uno sguardo di dolore e incomprensione, lo stesso che vestivo in quel preciso istante.
Uno dei sacerdoti calò su di me il candido lenzuolo, coprendomi la vista di quell’orrore in cui ero precipitata senza nemmeno rendermene conto, e piano piano, intorno a me si fece il silenzio più assoluto, rotto solamente dalla pioggia che scrosciava forte sul tetto del tempio.

In qualche luogo sconosciuto, l’acqua gelida bagnava le mie caviglie.
Immobile sulla linea di confine, non potevo andare avanti. E non riuscivo a tornare indietro.
La corrente mi investiva, su quel labile limite in cui stavo in bilico, tra le tenebre.
Il confine ultimo tra la vita e la morte.


Frozen inside without your touch,
without your love, darling.
Only you are the life among the dead.

My spirit's sleeping somewhere cold
until you find it there and lead it back home.
Bring me to life...

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Capitolo 10
*** Incomprensibile destino ***


capitolo 10
 Incomprensibile destino

‘Dite, dite che ella era il mio solo amore sulla terra! Dite che questo cadavere mi appartiene! E quando io dirò: tutte le mie speranze sono naufragate, il mio cuore è spezzato, la mia vita è spenta, intorno a me non c’è più che lutto e nausea, la terra è diventata per me un deserto, ogni voce umana mi strazia; quando dirò: è pietà lasciarmi morire, perché se non muoio impazzirò; quando dirò tutto questo, chi oserà rispondermi: ‘Avete torto’? Chi potrà impedirmi di essere il più infelice degli uomini? E chi oserà, dunque, impormi di vivere? Chi ne avrà il coraggio?’
(‘Il conte di Montecristo’ Alexandre Dumas)

La pioggia continuava a cadere su Saillune, incessantemente.
La sentivo ticchettare contro ai vetri dell'enorme finestra, nella stanza in penombra dove Gourry dormiva, sedato. Doveva essere da poco passata l'alba. Sedevo sulla cassettiera addossata alla parete, davanti al letto a baldacchino, e ancora non riuscivo a crederci. Portandomi la mani davanti agli occhi osservai attentamente i miei guanti, i miei amuleti. Ogni cosa era al suo posto, ogni cosa era al suo dannatissimo posto. Ma allora, come...? Sospirando pensai al sorriso beffardo di Xellos, a quel commento così ambiguo e inopportuno, bisbigliato poco prima di sparire chissà dove, e un nodo tornò a serrarmi la gola. In quel momento un gemito strozzato fuoriuscì dalle labbra di Gourry, riportandomi alla realtà. Si agitava nel sonno, come non gli avevo mai visto fare, e un amaro sorriso comparve sul mio volto: "A quanto pare Zel c'è andato giù pesante con quello Sleeping, eh cervello di medusa? Ma ti conviene dormire ancora un po', quando ti sveglierai...Tutto sarà diverso."

Dopo gli avvenimenti di quell’assurda nottata mi ero rifugiata lì come un derelitto perso nell’oceano, aggrappato a una tavola di legno. Avevo bisogno di riflettere. Riflettere.
Volevo evitare in tutti i modi di farmi coinvolgere. Di farmi coinvolgere come mi era successo giù al tempio, solo poche ore prima. Non era razionale. Non era normale, non era…
Sospirai. Mi stava succedendo di nuovo. L’ansia mi saliva in gola e mi esplodeva nel petto, togliendomi qualsiasi capacità di raziocinio. E io ne avevo bisogno. Avevo bisogno della mia lucidità, della mia obbiettività. Non era possibile che fosse realmente successo, eppure…
Scossi la testa.
No, non io, non a me, dannazione.
Ero Lina Inverse, per tutti i diavoli!
Avevo tagliato a fette Shabranigdu, avevo domato la magia del caos, avevo tenuto testa al Principe degli Inferi, e avuto la meglio sulla stessa Lord of  Nightmare. Avevo combattuto contro ogni genere di nemico, contro ad ogni creatura demoniaca, e avevo vinto, sempre.
Infine, ero… morta… bevendo camomilla.
Doveva esserci un errore, maledizione!
Mi portai entrambe le mani alle tempie e massaggiai. Già, come se potesse servire a qualcosa.
Divertente, vero? Voglio dire, quando sei… Morta… Che bisogno hai di calmarti i nervi, dico bene? Quella constatazione mi fece innervosire ancora di più, e imprecai silenziosamente fra i denti. In fondo, ero ancora lì. Non propriamente in vita, ma… Beh, c’ero, questo era ovvio. Ed ero sempre la stessa, lo capivo dal fatto che invece di sentirmi addolorata, prostrata, o spaventata per quanto mi stava accadendo, o per quanto mi sarebbe accaduto (avrei dovuto preoccuparmi per quei due o tre peccatucci che avevo commesso in vita?) Beh, alla fine di tutto, mi sentivo mortalmente (perdonate il gioco di parole) arrabbiata! E non contro quel farabutto che aveva messo del veleno nella camomilla, per quanto se lo avessi avuto sotto le mani in quel momento…
No, io ce l’avevo con me stessa, perché ero stata beffata come la più ingenua delle pivelle.
Morta in accappatoio. Io, la grande Lina Inverse.
Bevendo camomilla.
Non riuscivo ad immaginare niente di più umiliante, dannazione.
Mi passai la mano sulla fronte, e non sentii nulla. Il mio corpo, la mia voce, il mio respiro… svanito tutto. Ero come l’aria, ma ancora più inafferrabile. Non potevo influenzare in alcun modo le vite che vedevo scorrermi davanti al naso, né segnalare la mia presenza.
Lanciai una mesta occhiata a Gourry, che si rigirava nel sonno forzato in cui lo avevano relegato. Come se prendere tempo potesse servire ormai a qualcosa.
Ero scomparsa. O almeno, la scintilla di vita che bruciava nel mio corpo lo aveva abbandonato e inspiegabilmente aveva preso ad ardere lontano da esso. Io c’ero. Ma non ero dove avrei dovuto essere. E nessuno poteva accorgersene, nessuno poteva farci niente. Certo, tranne…
I miei pensieri si concentrarono cupi sul demone dagli occhi d’ametista. Quel maledetto.
Ci avrei giurato, Xellos si stava divertendo un mondo in quella situazione, crogiolandosi nel dolore delle persone che soffrivano per me e lasciandomi con nient’altro che le sue odiose mezze frasi, che invece di rischiarare i miei dubbi li offuscavano ancora di più.
Di fatto non lo ritenevo direttamente responsabile di quanto fosse accaduto.
State attenti, ho detto ‘non direttamente’. Il che non significava che lo reputassi innocente come un agnellino. Anzi.
Sicuramente ci era dentro fino al collo, visto che già a Solaria era stato in grado di lanciarmi un ammonimento su quanto sarebbe accaduto… E il suo salvataggio, in quell’occasione, non significava un accidente di niente.
Conoscevo Xellos abbastanza bene da poter affermare che la sua natura sibillina lo poteva portare a salvarti dalla padella per lasciarti cadere tanto amabilmente nella brace.
Incomprensibili disegni demoniaci, già.
Ad ogni modo, non pensavo fosse stato lui ad avvelenare la camomilla. Né tantomeno a fare crollare la torre, o a sciogliere il ghiaccio sotto ai miei piedi su quel maledetto laghetto. Ero certa che fosse coinvolto, per qualche sua misteriosa e segreta ragione, ma no, non poteva essere lui l’artefice di tutto. Uno come lui avrebbe potuto farmi fuori schioccando le dita, per quale motivo avrebbe dovuto perdere tempo con tutti quei tentativi?
L’assassino, colui che mi seguiva da ben prima che varcassi le mura di Sailunne, era un altro.
Un gemito di Gourry mi distolse da quei tetri pensieri. Ero addolorata per lui.
Qualche ora prima, giù al tempio, mi si era quasi spezzato il cuore (in senso metaforico, ovviamente, quello vero aveva smesso di battere già da un bel po’) nel vedere la sua disperazione.
Ma adesso, ora che ci ragionavo più lucidamente, percepivo che tutto il mio dolore per lui non era che una parte infinitesimale paragonato a quello che provava lui per me.
Perché la vita vibrava dentro di lui, nonostante tutto, e questo era per me di grande conforto.
Mentre per Gourry io, in quel momento, non ero che un cadavere freddo, abbandonato nella sua immobilità in qualche posto lì a Sailunne.
Se solo avessi trovato un modo per comunicare con lui…
I miei pensieri chiamarono subito alla mente il volto fugace di Xellos, ma mi trovai a scuotere la testa.
Non potevo aspettarmi che mi ricomparisse improvvisamente davanti al naso facendomi da tramite con quelli che erano suoi amici o nemici a seconda delle necessità.
Mai fidarsi di Xellos.
Avrei dovuto stare in guardia, e aspettarmi qualunque cosa da un tipo come lui…
Per un breve istante ripensai alla visione che avevo provato prima che l’anima, o qualunque cosa fosse, si separasse completamente dal mio corpo.
Due voci astiose, e un corso d’acqua.
Qualcosa mi diceva che non si era trattato solo di una visione, ma sorvolai, cercando di concentrarmi su una di quelle voci… ‘Aspettami’ aveva detto? Qualcosa del genere. Non ricordavo molto bene, ero parecchio confusa su quegli ultimi istanti.
“Lina…” Farfugliò in quel momento Gourry, strattonando le lenzuola nel pugno stretto.
Mi riscossi, mentre la pioggia continuava a scrosciare forte contro ai vetri. L’alba era passata, e una deprimente luce grigia filtrava attraverso la vetrata.
Mi resi conto che Gourry aveva aperto gli occhi e che fissava vacuamente il baldacchino che sovrastava il letto. Forse aveva perso la memoria. Non sarebbe stato strano per Gourry.
Lo sperai con tutta me stessa, e mi sporsi  verso di lui. Dal punto in cui ero non riuscivo a vederlo bene in volto, eppure non avevo il coraggio di avvicinarmi. Stare lontana, in qualche modo, mi dava quasi l’illusione di esserci ancora. Se mi fossi stesa al suo fianco, invece, avrei dovuto constatare che la sua mano non avrebbe più stretto la mia, e che i suoi occhi limpidi, quegli occhi che tanto amavo… Non avrebbero più incrociato i miei, nemmeno per sbaglio.
Deglutii, una pura formalità, un’abitudine che mi era rimasta attaccata addosso.
Del resto, come potevo deglutire per davvero? Andiamo… Non avevo più un corpo!
Con una certa insofferenza pensai allo spettacolo pietoso della sera precedente.
Dei, ero morta in accappatoio.
Forse sono da biasimare per quel mio attaccarmi a un particolare di assoluta irrilevanza, ma se non altro, sentirmi offesa per le modalità della mia morte mi evitavano di concentrarmi sul nocciolo della questione: non importava come. Ero morta.

Gourry si puntellò su un gomito, sollevandosi leggermente. Il suo sguardo era vuoto, smarrito. I capelli dorati gli ricadevano sulla fronte e sulle spalle in ciocche scomposte, arruffati. Sulle sue guance erano ancora visibili tracce di sangue rappreso, il mio sangue.
Ripensai a come le sue mani avevano vagato disperate sul mio volto, quella notte, senza volersi arrendere all’evidenza che qualcosa di più forte di tutto quello che avevamo affrontato fino a quel momento mi aveva strappato via da lui. Ripensai a come si era piegato su di me, in un ultimo, disperato tentativo di vedere una scintilla di vita sprigionarsi dai miei occhi spenti, e provai ad immaginare come avrei reagito io, se le parti fossero state invertite.
La riposta mi fece male.
Eppure, ancora non capivo, lo intuivo dallo sguardo di Gourry. Non ero ancora arrivata alla comprensione esatta di quanto gli stava costando la mia perdita.
La mia mancanza.

Gourry emise un debole sospiro. Il suo sguardo poteva ingannare: sembrava indifferente. Lo sguardo di qualcuno imbambolato nel vuoto.
Poi i suoi occhi presero a muoversi per la stanza. Stava tornando in sé. Stava realizzando…
Infine, dopo quelli che mi parvero secoli, il suo sguardo si posò su di me, e mi guardò a lungo, aggrottando le sopracciglia, mentre la sua mano si stringeva con forza su un cuscino.
Rimasi senza parole, la bocca spalancata.
Quindi mi vedeva?
Spalancai le braccia.
“Gourry!” esclamai, ancora seduta sulla cassettiera, indecisa se correre ad abbracciarlo oppure no.
Lo sguardo di Gourry, tuttavia, non mutò di una virgola.
Forse era lo shock?
“Gourry…?”
I suoi occhi si assottigliarono a una lama.
Ok, forse voleva dirmi che non era stato carino fargli credere che fossi passata a miglior vita. Dei, forse era stato tutto un errore, un incubo… Forse la camomilla era allucinogena e io mi ero immaginata tutto?
In quel momento Gourry chiuse gli occhi, come se una fitta dolorosa l’avesse appena attraversato. O un ricordo.
Ansimava. Tornò a guardare verso di me, ora con più rabbia. Vedevo le sue labbra fremere, le narici dilatarsi ad ogni respiro.
Mi spaventai. Mi stava davvero guardando con tutta quella collera, con tutto quell’odio? Non gli avevo mai visto uno sguardo del genere, nemmeno nelle situazioni peggiori.
Stavo quasi per saltare giù dalla cassettiera, la mano protesa in segno di calma verso di lui, ma appena mi mossi Gourry fu più veloce, e con un gesto tanto rapido e imprevisto da lasciarmi paralizzata, mi lanciò il cuscino addosso, con una furia disumana.
Io rimasi immobile, sconcertata,  mentre vedevo, come in una scena al rallentatore, il candido cuscino volteggiare roteando verso di me, senza mai arrivare a colpirmi. Fu solo quando un secco rumore di vetri infranti giunse alle mie orecchie con un boato che mi scossi, rendendomi conto confusamente che la persona che Gourry guardava, che la persona che Gourry detestava, non ero io.
Alle mie spalle, la grande specchiera, in cui non era mai comparsa la mia immagine, era andata in mille pezzi, facendo sparire dallo sguardo di Gourry l’unica persona che vi si fosse mai rilflessa. L’unica persona che accusava di quanto fosse successo e che non avrebbe mai perdonato: se stesso.

Rimasi immobile, esattamente come lo era lui, boccheggiante. Schegge e frammenti di vetro si erano sparsi per la stanza, passandomi attraverso esattamente come aveva fatto il cuscino pochi attimi prima.
Aria. Ero aria.
Gourry abbassò lo sguardo e strinse le lenzuola, poi, in una nuova ondata di furia le strattonò, lanciandole sul pavimento lontane dal letto. Io mi morsi le labbra. Se andava avanti così, del palazzo di Sailunne non sarebbe rimasto poi molto. Lanciai un’occhiata fulminea alla spada che pendeva nel fodero, appesa alla spalliera, e pregai mentalmente che Gourry non si facesse venire strane idee. Non era una buona idea che uno psicopatico di due metri e con la forza di un drago si aggirasse per il castello brandendo una simile spada…
Ma Gourry, dopo aver distrutto la specchiera e sgombrato il letto, sembrò afflosciarsi inaspettatamente. Il suo volto passò dall’odio alla disperazione e rughe profonde gli solcarono la fronte.
Di colpo, a ventisei anni sembrava un vecchio di sessanta. Non era un buon segno, senza contare che tutto questo non avrebbe giovato alla sua salute.
Insomma, lui una salute ce l’aveva ancora, accidenti non poteva immaginarsi che mi avrebbe mandato fuori dai gangheri vederlo in quello stato pietoso? Saltai giù dalla cassettiera ed incrociai le braccia:
“Andiamo, cos’è questo patetismo?” Provai a dire, autoritaria.
Gourry mi ignorò, come del resto non avevo dubbi che avrebbe fatto. Si portò una mano alla fronte e si accartocciò su se stesso. Rimase in quella posizione per parecchi minuti, nel silenzio più totale. Io sedetti al suo fianco:
“A quest’ora, ti avrei già fregato tutta la colazione… Stai diventando un po’ troppo riflessivo per i miei gusti, Gourry…” mormorai. Poi il mio stomaco sussultò. Era stata la parola colazione a risvegliare quell’inspiegabile istinto? In modo del tutto innaturale, data la situazione, mi scoprii ad avere fame.
Rimasi di stucco, lì per lì, ma poi mi ricordai che allo stesso modo, pur non avendo più di fatto un corpo, continuavo a provare ogni più piccola sensazione che non avesse a che fare col tatto.
Percepivo gli odori, udivo i rumori, vedevo le cose… Potevo ancora soffrire, indignarmi, spaventarmi, proprio come mi era successo pochi attimi prima quando avevo visto il cuscino piombarmi dritto in faccia. Solo che non potevo dare voce a tutti quegli stimoli che ancora continuavo a ricevere.
Certo, ero morta… ma in un certo senso continuavo a vivere. Guardai la mano di Gourry, abbandonata sul materasso a pochi centimetri dalla mia, e un’ondata di rimpianto mi colse all’improvviso: non avrei più percepito il calore e la gentilezza di quelle dita rese ruvide dalla dimestichezza che avevano con la spada e con le briglie? Eppure, tutto quello che volevo in quel momento era stringere quella mano, portarmela alle labbra…
I sapori. Non avrei mai più sentito nessun sapore?
Una nuova forma di angoscia mi asserragliò, nonostante cercassi disperatamente di tenermi a galla in quel mare confuso di assurdità.
Ero io, sempre io. Solo, senza la possibilità di esprimermi. Conservavo ancora intatti tutti i miei sensi, tutti i miei desideri, tutti i miei stimoli vitali… Ma ero sola. Nessuno mi poteva vedere, nessuno mi poteva sentire…
Chi mi aveva fatto questo? E perché? Perché ero ancora lì, se lo scopo era semplicemente quello di liberarsi di me. Perché ero costretta ad assistere impotente alla disperazione di chi mi stava accanto, e alla mia stessa impossibilità di riavere ciò che più desideravo?
La mia gola sarebbe stata arsa, e non avrei avuto acqua.
Il mio stomaco sarebbe stato vuoto, e non avrei avuto cibo.
Le mie parole si sarebbero perse nel silenzio, e il mio cuore si sarebbe chiuso nel dolore.
E nessuno avrebbe saputo che ero lì, ancora lì, a vedere e sentire tutto.

Persa com’ero in quei deliri, nemmeno mi resi conto che Gourry si era lentamente voltato, buttando entrambe le gambe giù dal letto. Era al mio fianco, ma io non ero al suo. Potevo sentire il suo respiro pesante, irregolare, che lasciava trapelare la frustrazione che aveva dentro. Il suo sguardo era duro, tagliente, una maschera di mutismo.
Non saprei dire come avrei reagito io al posto suo.
Gourry si sollevò; indossava ancora le vesti del giorno prima, ma tutto quello che lo circondava aveva smesso di avere importanza. Lo vidi allungare pericolosamente una mano verso la spada, e mi agitai, ma quando lo vidi allacciarla indifferente alla cinta, com’era sua abitudine fare, sospirai.
Forse non sarebbe uscito nel corridoio agitandola come un pazzo e gridando ‘voglio vendetta!’, e questo mi tranquillizzò.
Probabilmente, quello era il modo in cui avrei reagito io. Forse.
Rimasi seduta sul letto e lo osservai compiere qualche passo incerto per la stanza. I frammenti della specchiera sparsi sul pavimento scricchiolarono sotto le suole dei suoi stivali, ma Gourry non vi fece caso. Sembrava smarrito, come se non capisse bene da che parte si trovava l’uscita. O come se, pur sapendo dove imboccare la porta, non sapesse bene quale fosse la direzione da prendere una volta usciti da lì.
O ne avesse una grande paura.
Rimasi a fissarlo, e Gourry a sua volta si fermò, il volto duro, contratto:
“Questo è un un incubo, vero?”
Io sollevai la testa alle sue parole:
“Vorrei tanto che lo fosse…” Replicai.
Gourry chinò il capo:
“Lo so a cosa pensi…” La sua voce si stava facendo un sibilo. I miei occhi si sgranarono.
Gourry scostò un piccolo frammento di vetro dal pavimento, con la punta dello stivale. Sembrava volesse prendere tempo.
“…Sono stato un idiota, vero Lina?”
Sussultai.
“Gourry…” Sussurrai “Se c’è un idiota in questa stanza, beh… Per una volta non sei tu…”
Lo spadaccino rimase immobile. Non riuscivo a vedergli il viso, nascosto dai ciuffi biondi che gli ricadevano sugli occhi.
Era un peccato che, per una volta che ammettevo senza remore di essere io l’idiota della situazione, Gourry non potesse sentirlo. Anche se forse sarebbe stata una ben misera consolazione. Faceva male, tutto questo. Tanto, troppo male. Ma la cosa che più mi feriva era il suo senso di colpa.
Dei! Si sentiva in colpa, lui… Lui che non aveva mai mancato un’occasione per proteggermi, che era sempre stato attento, vigile, e soprattutto… pronto a tutto per me.
Si sentiva in colpa perché io avevo bevuto quella maledetta camomilla.
Sospirai.
Era quella la crudeltà estrema che rimproveravo al mio assassino, chiunque esso fosse. Era quello che me lo faceva detestare, che mi faceva desiderare di affondare una lama nella sua gola, più ancora del fatto di avermi tolto la vita…
Io non gli avrei mai perdonato il fatto di aver usato un espediente così subdolo. Lui, che appostato fuori dalla porta della mia stanza aveva origliato tutta la conversazione mia e di Gourry, lui che era poi sceso sogghignando nelle cucine, dopo aver capito quale fosse il punto debole su cui calcare la mano.
La camomilla me la mandava Gourry, apparentemente. Perché non avrei dovuto berla?

Fuori dalla stanza la pioggia non accennava a diminuire. Un pianto incessante.

Gourry parve infine decidersi, e senza più indugi abbassò la maniglia della porta, uscendo dalla stanza, mentre io scendevo velocemente dal letto e mi affrettavo dietro di lui.
Non volevo che restasse solo.
Cioè…
Non volevo restare sola, ecco.
Tanto a quel punto, che avrei potuto fare?
Forse avrei dovuto procurarmi un lenzuolo e delle catene, e chiedere a Phil il permesso di infestare il palazzo.
Umh…
Phil ci avrebbe indubbiamente guadagnato. Da che mondo e mondo si sapeva che i palazzi popolati di spiriti attirano i turisti come il miele le api. E, modestamente, un palazzo abitato dallo spirito della grande Lina Inverse avrebbe sicuramente avuto una eco di dimensioni sovraumane. Quanto si poteva far pagare di ingresso per la stanza in cui avevo sorseggiato la camomilla avvelenata?
Forse cinque monete d’oro andavano bene per visitare i luoghi della mia agonia e del mio trapasso. I sacerdoti, mi dispiaceva per loro, ma si sarebbero dovuti spostare, perché il tempio doveva essere adibito a sala monumentale…
Già mi sembrava di sentire le grida addolorate dei visitatori:
‘Oh, sì! Lì, proprio lì… Dove esalò il suo ultimo respiro la più grande, la più geniale, la più infallibile maga che il mondo abbia mai visto! Piangete tutti la prematura scomparsa di una creatura tanto straordinaria!’
Ecco, all’uscita si poteva anche mettere un venditore di fazzoletti. Magari con le mie iniziali ricamate sopra. Utili e pratici souvenir.
Noterete come il tutto abbia una sua logica, dico bene? Chi l’aveva detto che il fatto di essere morta mi impediva di fiutare un affare?!
Mi sarei dovuta ricordare, comunque, di precisare che tutto il ricavato sarebbe andato devoluto alla costruzione di una mia monumentale statua in oro massiccio. Giusto per ricordare ai miscredenti chi ero stata in vita.

Gourry , che procedeva con passo lento e pesante nel corridoio, svoltò, e io tornai alla realtà, accantonando momentaneamente i miei maestosi progetti.
Passammo davanti allo scalone principale, superandolo, e mi chiesi perché Gourry non fosse sceso, ma quando si fermò davanti ad una porta, improvvisamente sgranai gli occhi.
Era davanti alla porta della mia stanza.
Delle voci provenivano dall’interno, e fra le altre riconobbi quella di Zelgadis. Gourry sembrava indeciso se bussare o meno, la mano sospesa a mezz’aria; poi le sue dita si irrigidirono mentre le nocche sbiancavano. Mi bastò lanciargli un’occhiata per capire cose stesse attraversando i suoi pensieri in quel momento, e mi sentii agghiacciare mentre anche i miei occhi si spostavano sullo stipite scheggiato e sui cardini sgangherati.
Lontana, come un’eco, mi arrivò la sua voce che invocava disperata il mio nome, mentre io mi contorcevo in fin di vita al di là di quella porta. Quella dannata porta.
Da cui l’avevo lasciato uscire, gridandogli di andarsene.
Da cui era uscito, senza che il nostro battibecco della sera prima fosse stato chiarito.
Quella porta che io stessa avevo chiuso a chiave, proprio per impedirgli di tornare. E che, in un modo o nell’altro, aveva segnato la mia condanna a morte, perché se Gourry fosse arrivato a me solo qualche minuto prima, forse…
La fissavamo entrambi, sgomenti.
Bussare sarebbe stato oltre modo ridicolo, soprattutto visto che era completamente scardinata.
Gourry stese le dita, debolmente, e con il palmo aperto la spinse facendola cigolare; io mi sporsi alle sue spalle, sbirciando con una punta di paura in quella che era stata la mia personale stanza delle torture.
Non era più buia e sinistra, come mi era apparsa l’ultima volta. Ora le tende erano tirate, nascondendo le grandi vetrate, ma la luce filtrava ugualmente, colorando di un triste grigio ogni cosa.
Le lenzuola erano state raccolte da terra, dove ricordavo di averle trascinate quella notte, e portate via, lasciando il letto vuoto e spoglio.
Un letto in cui, ovviamente, non avrebbe più dormito nessuno: ecco ciò che gridava quell’asettico e squallido ordine.
Sbirciai Gourry, ancora fermo sulla soglia, e vi lessi la mia stessa impressione, davanti al letto in cui ci eravamo amati solo una manciata di ore prima. Mi sembrava passata un’eternità.

Davanti al mio letto una cameriera stava discutendo con Zelgadis, ed entrambi si bloccarono quando si resero conto della nostra presenza.
Cioè, della presenza di Gourry. Che cosa irritante.
La donna lanciò un’occhiata timorosa allo spadaccino, guardando poi Zelgadis per sapere come avrebbe dovuto comportarsi; la chimera, che aveva a sua volta l’espressione distrutta di chi non ha chiuso occhio tutta notte, annuì debolmente:
“Lasci qui, non si dia disturbo. Ha già fatto abbastanza.”
Fu solo in quel momento che notai cosa la donna reggesse tra le braccia, ingombro di cui si liberò posandolo su un angolo del letto. Deglutii, mentre la cameriera, dopo una rapida riverenza verso i due uomini, e un sussurrato ‘condoglianze’  rivolto a Gourry,  mi passava a fianco uscendo dalla stanza, e il silenzio calava tra di noi.
Zelgadis si passò stancamente una mano tra i ferrosi capelli, mentre Gourry, la cui espressione dura non l’aveva abbandonato un secondo, non accennava un singolo movimento.
Io guardai tristemente verso l’ordinata pila di tutti i miei effetti personali, che quella gentile cameriera si era presa la briga di piegare mentre ripuliva la stanza da ogni più piccola traccia della mia presenza al suo interno. Sulla cima del mucchio, da cui vedevo spuntare il mantello e gli spallacci, la mia bandana magica giaceva arrotolata su se stessa, ormai inutile.
Tutto ciò che mi apparteneva, tutto ciò che mi era appartenuto, era destinato all’oblio.
O al monumentale museo su di me che i posteri avrebbero fatto allestire.
Sì, la seconda ipotesi mi piaceva molto più della prima. Non volevo deprimermi più di quanto già non  fossi.
In quel momento, a spezzare il doloroso silenzio che ci avvolgeva, irruppe la voce di Gourry:
“Dov’è?” Chiese, duro.
Zel evitò il suo sguardo:
“Giù al tempio.” Disse, in un sussurro “Amelia si sta occupando di tutto…” Aggiunse, con voce triste.
Gourry fece un passo avanti:
“Perché mi avete… Perché mi hai fatto questo?” esclamò, il tono di voce basso e rabbioso, puntando un indice in faccia a Zel. “Io volevo starle accanto, volevo stare con lei!”
Zelgadis sollevò lo sguardo, mentre un’espressione più risoluta gli si dipingeva sul volto:
“Non eri in te Gourry. Non volevi lasciarla… Cosa avrei dovuto fare? Portartela via con la forza? Fa male, ne convengo, ma devi cercare di essere ragionevole. Ormai era chiaro che…” Si bloccò, turbato,  io vidi Gourry rabbrividire e fremere.
“Non dovevi farmi questo.” Recriminò, un’ultima, rassegnata volta. Zelgadis rimase silenzioso alcuni secondi, poi si passò nuovamente una mano sugli occhi:
“Io non sapevo che altro fare per… Calmarti. Non potevo fare nient’altro, capisci? Che tu sia rimasto incosciente un’ora, due, tre… Che differenza può fare,  Gourry? Arrivati a questo punto, che differenza può fare?”
Soffriva anche lui, lo capivo, e questo mi addolorò.
Vidi Gourry gettare con violenza la mano sull’elsa, in un gesto irrazionale. Ma in una frazione di secondo il suo impulso si sgonfiò e la sua espressione tornò neutra.
Zelgadis lo guardò, in un misto di durezza e compassione:
“Lo so che soffri, più di tutti noi probabilmente. Ma non avere la pretesa di essere il solo a provare dolore… Le volevamo tutti bene.”
Notate l’imperfetto: ‘volevamo’. Odioso, vero?
Quell’affermazione ebbe su Gourry l’effetto di una doccia ghiacciata. I suoi occhi si chiusero, in una smorfia di sofferenza, per poi riaprirsi e cercare Zel, velati di lacrime:
“Z-Zel… Scusami…” Biascicò. Deglutì e le braccia gli ricaddero penzoloni lungo i fianchi. Zelgadis gli posò una mano sulla spalla.
“Non ti scusare. È davvero dura…” Si schiarì la voce “Ad ogni modo, ora che sei qui, mi sembra giusto metterti al corrente di alcune cose che ho scoperto su quello che è successo questa notte.”
Gourry sollevò immediatamente lo sguardo:
“Quali cose…?”
Zel annuì:
“Subito dopo… Beh, lo sai, sono salito immediatamente e sono venuto qua, e… Ho trovato i cocci della tazza da cui presumo Lina abbia bevuto…”
Stava cercando di usare più tatto possibile, lo capivo, ma come si poteva pretendere che quelle parole non avessero l’effetto di una manciata di sale su una ferita aperta e bruciante?
Gourry si irrigidì.
Zel proseguì: “Sono riuscito a prelevare un po’ del liquido che non era andato perso, ho fatto qualche analisi, e…”
Guardò Gourry, a lungo, forse per capire se era il caso di proseguire. Ma davanti agli occhi ora implacabili dello spadaccino si rese conto che a quel punto non avrebbe  potuto tacergli più alcun che. Le sue parole uscirono come un sussurro:
“Stricnina. Ce n’era talmente tanta da ammazzare un cavallo. Lina pesava si e no cinquanta chili… Non poteva farcela, Gourry. Mi dispiace…”

…Mi dispiace…

Sapeste a me quanto dispiaceva.
Stricnina.
Un veleno da dilettanti, maledizione. Come avevo potuto non rendermene conto?
“Stricnina…” la voce di Gourry tremò. I suoi occhi si appannarono improvvisamente. Guardò oltre alla chimera. Guardò il mio letto vuoto, i miei effetti personali dimenticati… E la rabbia gli esplose dentro. Con una falcata superò Zelgadis, il cui sguardo saettò impaurito verso la sua mano stretta compulsivamente contro all’elsa, ma Gourry lasciò entrambi sgomenti, estraendo la spada e lanciandola lontana, quasi fosse stata infuocata, mentre le ginocchia gli cedevano e lui cadeva a terra, davanti al mio letto, afferrando i miei vestiti e stringendoli nei pugni chiusi.
“Ho rovinato tutto. Tutto” urlò, mentre la sua guancia si posava sul mio mantello. I suoi occhi erano asciutti e iniettati di sangue. “Io dovevo proteggerla. Dovevo proteggerla… l’hai sentita, Zel? Hai sentito cosa diceva? Non lasciarmi andare, tienimi… tienimi…” Gourry affondò il volto tra i miei vestiti. “Non sono stato in grado di difenderla.”
“Gourry, non addossarti colpe che non hai. Hai fatto di tutto per salvarla…Questo è qualcosa che ci colpisce tutti, che va oltre alla nostra comprensione…” Tentò Zelgadis.
Gourry non si voltò:
“Tu non capisci”
La sua sofferenza era come stridere di unghie su un vetro. Volevo smettere di ascoltare, tapparmi le orecchie e scuotere la testa, ma tutto era vano: sentivo ogni parola, contro qualunque volontà.
Zelgadis si incupì:
“Qualcuno ha ucciso Lina e tu l’amavi, cos’è che devo capire?”
Gourry sussultò. Lentamente si voltò, sollevandosi, e il mio mantello cadde ai suoi piedi in uno sbuffo:
“Si, l’amavo. Ma non è questo che non capisci! Sono… Sono io che l’ho uccisa.”
Zel scosse la testa:
“Non dire demenzialità, so chi…”
“Sono io che le ho detto di bere quella camomilla. L’ho avvelenata io.”
Zel lo guardò senza capire:
“Tu… Le hai detto di bere la camomilla?”
Gourry rimase immobile, tremando; lentamente annuì:
“Stavamo litigando, e… volevo ferirla, farle capire che stava esagerando. Che si agitava per nulla.” Si portò una mano alla fronte e singhiozzò, senza lacrime:
“Io non la facevo parlare, non la facevo spiegare… Me ne sono andato e prima di uscire le ho detto che le avrei fatto portare una camomilla, per farla calmare…”
Se mi avessero trafitto con una spada, probabilmente mi avrebbero fatto meno male.
Zel sembrò rifletterci sopra, cercando ignorare quello che lo spadaccino gli aveva appena rivelato, ovvero quanto era stato brusco e drammatico il nostro ultimo incontro:
“Però… non sei tu che glie l’hai fatta portare, giusto?”
Gourry rimase impassibile:
“E che differenza fa…?”
Zel si batté il pugno sul palmo:
“Ne fa eccome di differenza, Gourry! Io non ti ho ancora detto la parte più importante. Dopo aver analizzato la camomilla, mi è sembrato subito strano che Lina se la fosse bevuta così, senza problemi, a grandi sorsate… Sai, la stricnina ha un sapore molto amaro, ed è impossibile non rendersene conto…”
Mi feci vigile, ricordando perfettamente di aver trovato dolce e perfettamente normale il sapore di quella infausta bevanda. Dov’era il trucchetto che mi aveva fregata?
“Allora ho fatto un’analisi aggiuntiva al campione che avevo prelevato” Proseguì Zelgadis “ E ne ho capito la causa: polvere di Em. È una sostanza particolare, che si ricava da una pianta abbastanza rara, e serve a dare un gusto apprezzabile a intrugli e pozioni. O a coprire i veleni. Ma, e qui viene la parte interessante: è proibita. Qui a Sailunne come minimo. In quanto inibitore, viene considerata parte della magia oscura, e questo mi fa dedurre che sia praticamente impossibile procurarsela nel raggio di parecchi chilometri. Solo io ne possiedo… Anzi, ne possedevo una piccola scorta per la mia ricerca.” Zel si fermò e sospirò “Chiunque abbia ucciso Lina, prima si è preoccupato di attingere alle mie scorte. E quindi, chi mai poteva essere al corrente di questo particolare? Del fatto che io possedessi la polvere di Em?”
Gourry lanciò su di lui uno sguardo smarrito. Sembrava assorto in tutt’altri pensieri ed ero quasi convinta che non gli importasse poi molto sapere chi fosse realmente il mio assassino visto che era a se stesso per primo che attribuiva la mia morte.
Zel non si fece scoraggiare dal disinteresse di Gourry:
“Subito dopo aver appreso questo particolare, ho fatto convocare tutta la servitù addetta alle cucine, e sono riuscito ad individuare la cameriera che le ha portato la tazza…”
Sbattei le palpebre, ricordando quel volto pallido e smunto. L’ultima persona che mi aveva visto viva e vegeta, prima che di me non rimanesse che un mucchietto di dolore e spasmi.
Zel si avvicinò a Gourry, posandogli una mano sul braccio; Gourry non vi fece nemmeno caso:
“Io l’ho interrogata, su chi le avesse detto di mandare a Lina la camomilla e lei mi ha detto… Di aver trovato un biglietto con l’ordinazione.” Zel si fermò, e tirò fuori dalla tasca un foglietto accuratamente piegato. Quando lo aprì, tuttavia, mi scappò un gemito.
Con minuta a precisa calligrafia sulla carta spessa c’era scritto:
‘Una camomilla bollente per la signorina Lina Inverse, al terzo piano’
Eppure, a lasciarmi sgomenta, non erano quelle insignificanti parole… Ma il modo in cui erano scritte. La stessa precisa grafia del biglietto che inizialmente mi aveva tratto in inganno:
‘Perdonami

Perdonami…
Col cavolo che ti perdono, stronzo!

Zel, dopo aver mostrato il biglietto allo spadaccino proseguì:
“E sai chi era l’altra unica persona presente in quel momento, nelle cucine? La duchessa Anouk.”
Io sgranai gli occhi. Anouk? Nelle cucine, a quell’ora? Cosa ci faceva?
“Da quando le duchesse sono arrivate a Sailunne” Proseguì Zel “La servitù si è presa molto a cuore quella bambina. Così ogni sera, per farle compagnia, le preparano latte e cioccolato e la tengono lì per farla divertire… La madre del resto le è così indifferente da non rendersene nemmeno conto.”
La matrigna, lo corressi io mentalmente.
Zel a quel punto si fermò, guardando Gourry, il quale, dopo alcuni istanti sollevò il volto verso il suo:
“Non capisco dove vuoi arrivare…”
Zel sospirò:
“La bambina è coinvolta, Gourry. Come ti spieghi, altrimenti, che si trovasse nelle cucine quando è arrivato il biglietto? L’ha scritto lei, ne sono quasi certo, e ha anche versato il veleno nella tazza.”
Io spalancai la bocca. Zel si era forse bevuto il cervello? Capivo il dolore, capivo lo stress… ma forse il mio amico si era letto troppi romanzi gialli. Come si poteva accusare una bambina, muta per di più, di un simile efferato omicidio?
Gourry lo guardò storto:
“Zel, questo non prova proprio niente…”
“Sì invece, se si considera… Che la duchessina era anche la sola a sapere delle mie scorte di polvere di Em.”
“Ma come…”
“Ieri mattina. Ero giù alla serra, con Lina ed Amelia. Lei è entrata a curiosare. Io avevo tutti i gli strumenti con cui lavoro in bella vista, chi le impediva di buttare un occhio?”
Gourry soppesò quelle parole:
“Zel… ha nove anni…”
La chimera lo fissò, torva:
“C’è un'altra cosa, Gourry.” Attese qualche secondo, prima di mormorare “Questa notte, Anouk è scomparsa.”
“Scomparsa…?” Chiese Gourry, leggermente rianimato.
Zel si strinse nelle spalle:
“Quando Amelia è salita da Phil per informarlo di quanto era accaduto l’ha trovato già in fermento, la stanza delle duchesse sottosopra e la duchessina scomparsa. La…La versione ufficiale è che ‘un gruppo di uomini in nero’, come ha rivelato sconvolta la duchessa, si siano introdotti furtivamente, portandola via come ostaggio. Le guardie giù ai portali paiono confermare che questa notte dei cavalieri mascherati si sono effettivamente introdotti a palazzo con la forza, e con la magia.”
Io indietreggiai. Anouk coinvolta nel mio assassinio e poi rapita? Mi sembrava tutto cos’ assurdo…
“E tu credi…?” Anche Gourry sembrava avere delle difficoltà ad accettare quella versione.
Zel annuì:
“Credo che ci sia qualcuno dietro a tutta questa storia, e che la bambina non fosse altro che un mero pretesto per non esporsi in prima persona… Chi ha ucciso Lina sta giocando una partita sporca, e non ho la più pallida idea di dove voglia andare a parare. Ma lo scoprirò, stanne certo, e spero che tu voglia darmi una mano.”
Gourry scosse la testa.
“Una mano…” Ripeté, assente “Zel, io non posso dare una mano a nessuno, non sono capace di dare una mano a nessuno…Tutto quello che voglio, è chiudere gli occhi e riaprirli trovandomi lei davanti.”
Zel sospirò:
“Lo so che è presto, che il dolore è ancora troppo forte e reale per provare qualcos’altro… Ma Lina è morta assassinata. Merita giustizia, e io ho intenzione di andare fino in fondo a questa storia. Se sei con me, sai dove trovarmi…” Esclamò.
Uh, che anche Zel fosse stato fagocitato dai grandi ideali di giustizia della principessa? Non che io non ritenessi di dovergliela far pagare a chi non solo mi aveva fregata con tanta maestria, ma si era anche servito di una bambina per i suoi scopi malvagi, ma… Più che la vendetta, nell’immediato, mi interessava trovare un modo per tornare nel mio corpo.
Vidi che Zel si avviava verso la porta, quando la voce di Gourry lo richiamò:
“Zel…”
“Sì?”
“Era spaventata. Mi ha implorato di non lasciarla andare e io… non sono riuscito a tenerla. Non ci sono riuscito.”
“Gourry…” Disse piano la chimera, vedendo il dolore che si era dipinto negli occhi dello spadaccino. Forse avrebbe voluto aggiungere che avevamo già affrontato una situazione simile, quando Lon si era impossessata del mio corpo, trascinandomi nel mare del Caos. Nemmeno allora Gourry si era arreso. Mi aveva seguito gridando il mio nome e aveva ceduto la Spada di Luce, l’unica cosa preziosa che possedeva, l’unico ricordo della sua famiglia, per me. Avrebbe sacrificato anche la vita, se fosse stato necessario. Quella volta era riuscito a riportarmi indietro. Ma non si può sfidare la sorte troppo a lungo. Le seconde occasioni sono così rare…
“Voglio restare solo.”
“Bene, sai dove trovarmi.”
Dopo alcuni secondi Zel uscì dalla stanza e ci lasciò soli, immobili.
“Lina…” Sussurrò.
“…Sono qui.” Mormorai, stendendo una mano verso di lui senza riuscire a toccarlo.
Gourry si allontanò, tornando verso il letto mentre i suoi occhi si posavano ancora sui miei averi. Allungò una mano e sfiorò la mia tunica. Un lieve suono metallico lo fece sobbalzare, mentre si rendeva conto che uno dei miei orecchini era scivolato a terra, rotolando sul pavimento. Istintivamente mi portai la mano all’orecchio, ed eccolo lì, l’orecchino. Tutto ciò che avevo in quel momento davanti agli occhi, ce l’avevo anche addosso, come se la morte avesse scelto per me l’abbigliamento che mi era più consono, come ultima gentilezza per avermi strappato alla vita in ben altre misere vesti.
Gourry si piegò e recuperò l’orecchino, stringendolo nel palmo. Poi si girò verso la specchiera, per appoggiarlo sul ripiano.
Fu allora che la vide.
La vidi anch’io, e penso che i nostri cuori ebbero insieme il sussulto che li fece traballare.
Quella piccola scatola di velluto rosso, triste e abbandonata. Simbolo di sogni infranti e destini spezzati.
La scatola che conteneva tutto il nostro futuro strappato, su cui la polvere sarebbe caduta fino a ricoprirla, senza che nessuno venisse più a reclamare quella mancata occasione di felicità.

Il male che mi fece, guardarla, fu come il male che si può provare sbirciando la gioiosa intimità di una stanza calda e accogliente da una strada cupa e sinistra, in cui il ghiaccio ricopriva ogni cosa.

Gourry allungò mollemente una mano, poi la ritrasse, e aspettò. Aveva paura anche solo di sfiorare ciò che la sera prima aveva tenuto tra le mani trepidante, con il cuore in tumulto. Ciò che ora sapeva solo di lacrime amare e morte, rimpianto e senso di colpa.
Distolse la sua attenzione dall’anello per posarla sulla spazzola d’argento che la sera prima avevo brandito come un’arma. Giaceva ancora sul ripiano della specchiera, lì dove l’avevo lasciata, nell’immobilità di un tempo che per me si era crudelmente fermato.
“Lina…” Sussurrò di nuovo, come una supplica. E io non potei fare a meno di sentire una stretta nello stomaco: sapevo che quelli che stava rivivendo, in quell’istante, erano i miei ultimi attimi di vita insieme a lui.
Io che mi spazzolavo i capelli, lui che indugiava alle mie spalle e infine si decideva a fare la proposta.
Era stato tutto perfetto… Fino a quando la paura non mi aveva assalito, ed era lì che avevo messo un piede in fallo.
Ma diavolo, come poteva pensare che fosse colpa sua?
La triste verità, era che avevo fatto tutto da sola. Mi ero spaventata e riavuta, indignata e tranquillizzata. E infine avevo mandato giù tutto con quel sorso di fatale camomilla. Ecco.
Gourry lanciò una breve occhiata al suo riflesso nei tre specchi che gli stavano dinnanzi, e io sperai che non volesse portare gli anni della sua sfiga a ventotto, ma il suo sguardo, questa volta, mi sembrò solo enormemente stanco. Come se anche combattere contro  se stesso fosse diventato troppo sfibrante. O inutile.
Si staccò dalla specchiera e ripercorse la stanza fin dove giaceva la sua spada, raccogliendola mestamente, ma con mia grande sorpresa, invece di rinfoderarla, si avviò cupamente verso la finestra, tirando violentemente la tenda, mentre una tenue luce grigiastra faceva capolino dai vetri umidi di pioggia.
Non potevo vedere i suoi occhi, ma immaginavo dove stessero guardando: il tempio dei sacerdoti di Sailunne era proprio lì sotto.
Ecco dov’ero. Dove mi aveva lasciata.
Vidi la sua mano fremere sull’impugnatura, la sua schiena irrigidirsi… E lo immaginai perso nel ricordo della mia mano artigliata alla sua tunica, delle mie labbra coperte di sangue che farfugliavano parole di supplica.
Non lasciarmi, tienimi. Tienimi…
Poi, fu un attimo.
Un gesto talmente inaspettato, talmente rapido, che nemmeno i miei occhi ebbero il tempo di registrarlo.
Mi resi conto di quello che era accaduto solo quando vidi la sua mano destra, la spada vibrante tra le dita, fermarsi dallo scatto con cui aveva appena agito.
Veloce, deciso, netto. Le sue stesse doti, spietate, dirette contro se stesso.
Un groppo mi si fermò in gola, e i miei occhi si abbassarono meccanicamente al pavimento ai piedi dello spadaccino dove, come una nuvola dorata, giacevano recisi i suoi lunghi capelli biondi.
Tornai a guardare verso di lui, verso alle ciocche scomposte che ora gli sfioravano a malapena il collo, e una fitta di incomprensibile dolore mi attraversò da capo a piedi.
Oh, Gourry.
Potevo solo vagamente intuire perché l’avesse fatto: tutto era cambiato. Tutto stava scivolando via, lontano, in un posto da cui non avrebbe più fatto ritorno.
Le mie grida, i miei sorrisi, il mio dargli il tormento facendogli trecce e treccine per ingannare le attese quando mi annoiavo. La mia prepotenza quando lo afferravo per la bionda capigliatura intimandogli di ascoltarmi. La mia timidezza, quando arrossendo, ma con indifferenza, glie li portavo dietro alle orecchie con un rapido gesto della mano. La mia dolcezza, quando glie li avevo accarezzati a lungo, mentre facevamo l’amore.
Tutto finito. Tutto perduto.
Quel tempo, il tempo scanzonato e temerario, dolce e affettuoso che avevamo trascorso insieme era terminato, forse per sempre.
Gourry si voltò, lo sguardo sconfitto, e io stentai quasi a riconoscerlo. E non solo per i capelli corti.
Sembrava finito anche lui, in qualche modo… Come se la mia scomparsa lo stesse a sua volta portando via, ma pezzo per pezzo. La lucentezza dello sguardo, la dolcezza del sorriso, la fierezza della postura. Non erano ormai che un pallido ricordo.
Era annientato, e io mi sentivo morire altre cento volte ad ogni passò che percorreva in quella gelida stanza, ricurvo su se stesso.
Raggiunse il letto, e vi si sedette stancamente. La spada gli penzolava dalla mano destra, come un peso superfluo.
Io mi inginocchiai davanti a lui, cercando di leggervi un qualsiasi segnale di ripresa nello sguardo. Ma vedevo solo vuoto.
Poi, un tenue sorriso gli illuminò per un secondo il volto:
“Ti arrabbierai per i capelli” sussurrò.
“Puoi scommetterci. Ma se ti risvegli da questo stato catatonico nel giro di due secondi, la tua punizione sarà ragionevole.”
Gourry si passò la mano sulla fronte, poi estrasse dalla tasca la  piccola scatola di velluto rosso.
Non mi ero nemmeno resa conto che l’avesse presa dal ripiano della specchiera.
Gourry la osservò, poi la fece scattare, mettendone in mostra il contenuto. Restammo entrambi a fissarlo con sentimenti, suppongo, diametralmente opposti: io con desiderio, lui con repulsione.
“Non avrei mai dovuto chiedertelo. Sono rimasto ad aspettarti per anni, e poi, come uno stupido, mi sono fatto prendere dalla smania, dalla fretta di averti...” sussurrò.
“Gourry…”
Come poteva pensare che fosse stata una cosa sbagliata chiedermi di sposarlo?
Va bene, non ditelo. Bastava la mia semplice reazione a creare il dubbio che fosse stata una pessima idea, lo so. Ma io volevo davvero sposarlo, maledizione.
“Non potrai mai perdonarmi, vero?”
“Stupido imbecille! Se vuoi davvero che trovi una scusa per non perdonarti continuare a piangersi addosso mi sembra un ottimo sistema!” Lo rimbeccai.
Gourry richiuse la piccola scatola e la appoggiò sulla pila delle mie cose, poi notò che il mio mantello era ancora a terra, e lo raccolse.
In quel momento, qualcosa uscì da una delle mie numerose tasche magiche, e cadde a terra.
Gourry non se ne accorse nemmeno, ma io sì, e i miei occhi si sgranarono.
Dei, come avevo fatto a dimenticarmene?
Mi avvicinai e, nonostante non potessi interagire in alcun modo con l’oggetto, rimasi a fissarlo inebetita.
La missiva che mi aveva spinto a Solaria. La stessa che avevo poi trovato in mano a Joy, con il sigillo in ceralacca.
La scrittura, mi era in quel momento estremamente familiare.
‘Perdonami’
‘Una camomilla per la signorina Lina Inverse’
Dannazione.
Era stata una trappola fin dall’inizio. Una missione ‘fantasma’. Una stupida scusa per liberarsi di me.
Ripensai velocemente a Xellos. Quanto centrava in tutta quella storia? Era stato solo un modo subdolo per far fare ad altri qualcosa che i suoi superiori desideravano fare da tempo?
E Joy? Cosa centrava Joy?
Poi, in un secondo realizzai.
Ma certo… Come avevo fatto ad essere tanto stupida?  La missiva uguale alla mia era una scusa. Era lui che si era preso la briga di accollarsi l’ingaggio di farmi fuori solo perché gli era giunta voce che il mio compagno di viaggio fosse qualcuno che lui desiderava ardentemente da anni di rincontrare.
La scusa di una missione identica. La catena di strani incidenti… Ripensai alla torre che era esplosa e al ghiaccio che si era frantumato, e in quel momento i miei occhi misero a fuoco un altro viso: Nayden. Era lui il suo complice.
Altro che ‘viaggio con mio fratello solo per controllarlo’!
Quanto ci avrebbero guadagnato quei due da quell’incarico che i più avevano considerato impossibile?
Sentii un cupo ringhio invadermi la bocca dello stomaco.
Potevo chiaramente vedere Joy che si allontanava da Sailunne per non attirare sospetti e Nayden che rimaneva a controllare che l’ultimo attacco andasse a buon fine.
Poi ripensai a alla sua rabbia quando mi aveva vista riversa al suolo senza vita. Era vivida e reale… Beh, per quanto ne sapevo, quel tizio poteva anche avere doti di grande attore.
E Zel aveva decisamente preso un abbaglio. Non era Anouk la responsabile. E la sua sparizione, molto probabilmente, era semplicemente collegata ai timori che Rebecca aveva espresso  da subito sulla sorte della sua famiglia. Una vicenda reale che era servita da copertura a Joy e Nayden per attirarmi, eliminarmi, intascarsi i soldi e sparire in modo pulito.
Quanto ci avrebbe messo Joy a ricomparire e portarsi via Gourry?
I miei occhi si posarono sullo spadaccino e avvertii una fitta di angoscia, mentre rivivevo quel sogno allucinante che avevo fatto la notte prima: Gourry che spariva in un cielo nero, rischiarato da due roventi globi arancioni.
Era così quindi? Se ne sarebbe andato via? E di me… Che ne sarebbe stato? Sarei rimasta a Sailunne, a infestare il palazzo? O ero libera di esercitare la mia nuova professione di fantasma in qualunque posto?
Un’ondata di ansia mi invase e provai a risalire in superficie. Quanto tempo sarebbe durata quella mia condizione di sospensione? E soprattutto, c’era qualcosa, qualunque cosa che avrei potuto fare per tornare nel mio corpo? Per tornare… a vivere?
Ero talmente concentrata su quei pensieri che mi resi conto solo vagamente del riflesso di luce che mi attraversò quando Gourry sollevò la spada. Gli lanciai un’occhiata confusa e vidi il suo sguardo vacuo, rassegnato, da uomo finito.
“Lina, questo ti manderà fuori dai gangheri, lo so…” Sospirò  “Ma adesso, guardami, cosa vedi? Niente. Non sono più niente senza di te… Non posso andare avanti così. Non mi importa nemmeno darti vendetta. So che qualcuno lo farà al posto mio, e glie ne sono grato, ma io non ne ho la forza, ti chiedo scusa. Mi darai del vigliacco, ti arrabbierai, mi griderai addosso… Sono pronto a tutto quel che hai in serbo per me, ma non biasimarmi. Non posso vivere un secondo di più pensando di averti persa, ne morirei comunque. Non posso starti lontano Lina. Da solo non ce la faccio…”
Con orrore vidi la lama che gli premeva leggermente sulla pelle del braccio.
No, no, no… Non poteva anche solo credere di fare qualcosa del genere!
Poi la lama argentata scese, lentamente, e i miei occhi si sgranarono.
No! Maledizione! No, no, no…
Qualunque decisione avesse preso mentre io venivo illuminata sulla chiarezza degli avvenimenti, era meglio che la accantonasse se non voleva ritrovarsi due occhi neri nell’aldilà.
Si passò lentamente la lama, di piatto, sulla pelle tesa e sottile del polso, come a volerne assaporare il peso prima del gesto estremo. Potevo quasi immaginare il freddo metallo contro alle sue vene tiepide e pulsanti…
“GOURRY!” Gli gridai in un orecchio, talmente forte da rimanerne rintronata io stessa. Ovviamente lui non sentì nulla.
“Stupido zuccone metti giù quella dannata spada!” riprovai, mettendoci più impegno.
Il fatto che lui si aspettasse la mia rabbia era riduttivo: ero totalmente fuori di me. Se avessi potuto togliergli di mano quella maledetta spada e spaccargliela sulla testa forse mi sarei sentita meno frustrata.
Invece non potevo fare niente. Niente.
Solo guardare impotente, mentre la persona che mi era più cara al mondo considerava l’idea di togliersi la vita. Quella preziosa vita che io stessa avevo perso, ma che avrei scambiato con qualunque cosa mi avrebbero proposto per poterla di nuovo assaporare. Gourry non poteva permettersi di buttarla via così.
Ma più lo guardavo, più la realtà assumeva spessore: si era arreso.
Non avrebbe più combattuto. E non l’avrebbe fatto per il semplice motivo che tutto il suo futuro, il futuro che aveva sempre scorso davanti a sé, si era improvvisamente oscurato, lasciandolo al buio.
E sforzarsi di vedervi comunque qualcosa, anche un solo piccolo bagliore, non aveva alcun senso per lui. Non poteva sperare più in niente perché non desiderava più niente. Sarebbe impazzito, o sarebbe morto. Era questo che aveva deciso, glielo leggevo nello sguardo.
“Gourry…” Sussurrai, con voce rotta, cercando di posare le mani sulle sue ginocchia e di sporgermi verso il suo volto “Ti prego, non farlo… Ci sono ancora così tante cose che puoi fare…” deglutii “Anche senza di me.”
Per forza. Da quel momento non potevo più avere la presunzione che lui fosse mio, che noi fossimo una squadra, una… coppia.
Eppure continuavo a crederci, nonostante tutto.
Il sogno di una vita al suo fianco non mi aveva ancora abbandonato. Come non mi aveva abbandonato la speranza di riuscire a sistemare le cose. Era quella forza che avrei voluto infondere a Gourry. La forza di credere che una soluzione poteva ancora saltare fuori, come tante altre volte ci era già successo in momenti disperati.
Ma come facevo a dirglielo?
Gourry chiuse gli occhi, e io venni attraversata da un fremito.
Non poteva farlo. Non doveva farlo. Tutto il mio essere gli stava gridando di gettare a terra quella spada, mentre un ronzio insopportabile mi annebbiava ogni senso. Come diavolo ci si poteva sentire tanto impotenti?
Poi, nel silenzio, davanti alla mia incredulità, la lama sfiorò dolcemente il suo polso sinistro, come una carezza. Una carezza gelida e crudele, da cui sgorgò immediatamente un fiotto di sangue scuro.
“No!” Gridai, mentre lo spadaccino compieva la stessa macabra danza anche sull’altro polso.
“No, no!” Singhiozzai disperata, mentre il suo sangue sprizzava e colava tra le mie mani, raccogliendosi sul pavimento in una pozza densa e liquida.
Gourry sospirò, quasi appagato e posò entrambi i polsi recisi sulle ginocchia, la testa penzoloni sul mento. Sembrava calmo, sereno, in attesa del sollievo che sperava di trovare presto.
Aspettava.
Io scattai in piedi, cercai di correre verso la porta, poi verso la finestra…
Dovevo chiamare aiuto, dovevo trovare qualcuno!
Cosa potevo fare? Qualcosa doveva esserci!
Alla fine mi accasciai sul pavimento, schiacciata dalla consapevolezza della mia totale inutilità. Farfugliando il suo nome strisciai verso di lui, passando indenne tra la  pozza scarlatta che si andava allargando pian piano.
Vedevo le sue guance farsi sempre più pallide, esangui. I suoi occhi annebbiarsi progressivamente.
Presto avrebbe perso i sensi. Era così che la morte l’avrebbe trovato: addormentato.
Appoggiai la testa alle sue ginocchia e pregai tutti gli Dei di cui ricordavo il nome di non portarselo via. Non seppi nemmeno quello che provai.
Delirio, forse.
Probabilmente lo stesso tipo di dolore che Gourry aveva provato la sera prima davanti alla mia agonia.
Era come uno strappo lacerante all’altezza del cuore. Come il vano tentativo di respirare da una fessura troppo piccola per succhiare un po’ di aria.Volevo solo che vivesse. Non mi importava di nient’altro.
“Dici di amarmi…” Gli gridai “Se è così vivi. Vivi, maledizione! Fallo per me…”
Il mio volto si posò sulla sua mano, a un soffio dalla ferita aperta, e Gourry sollevò mestamente la testa, guardando confusamente attorno a sé.
Poi un rumore mi fece sobbalzare, e la speranza tornò a pervadermi: qualcuno stava aprendo la porta.
“Gourry, prima mi sono scordato di dirti…” disse Zel, entrando con un fascio di fogli in mano.
Io ringraziai gli dei. A quanto pareva, per il momento bastavo io nelle schiere celesti.

Quello che accadde dopo fu tutto molto concitato e confuso.
Lo ricordavo solo vagamente, e non vedevo l’ora di dimenticarmene. Sdraiata sul letto al fianco di Gourry, mi preoccupavo solo di rimanere concentrata sul suo respiro, che gli faceva debolmente alzare e abbassare il petto.
I suoi occhi erano fissi sul soffitto, le sopracciglia leggermente corrugate. Le sue braccia erano stese mollemente lungo i  fianchi, e una spessa fasciatura gli ricopriva entrambi i polsi, rendendo più che palese il suo tentato e scampato (per un pelo, aggiungerei) suicidio.
Mi aveva fatto veramente morire di paura.
Ovviamente tralasciando il fatto che morta lo ero già.
La punta delle mie dita scorse leggermente le sue guance pallide, e tentò invano di scostargli una ciocca scomposta dal volto.
Mi ci dovevo ancora abituare, ai suoi capelli corti.
Gourry sospirò:
“Va bene, hai vinto. Vivrò solo perché credo sia ciò che vuoi, non perché me ne importi qualcosa.” Borbottò, irritato.
Io gli sorrisi:
“Grazie, è molto gentile da parte tua…”
Insomma, non ne bastava uno di spirito in quella stanza per il momento?
Averla avuta vinta sulla morte, almeno quella volta, mi dava un incredibile senso di rivincita. Non che questo cambiasse le cose, no. Ma Gourry era vivo. Vivo.  Quella consapevolezza, in quel momento, era sufficiente ad alimentare la mia gioia e riaccendere una piccola speranza nel futuro.
Gourry aveva sentito le mie parole. E anche se non realmente, ma solo dentro di sé… Sapeva ciò che più desideravo, l’aveva intuito e aveva quindi deciso di abbandonare i suoi deliranti progetti per lasciarsi andare alla mia volontà: doveva vivere. Doveva farlo per me.
“Continui a dettare legge, da… Ovunque tu sia…” Mormorò. Io sospirai:
“La morte è una pura formalità, Gourry, perché io sono ancora qua.”
Gourry si mosse e si girò su un fianco; ora i suoi occhi erano davanti ai miei, e mi avrebbero potuto guardare… Se non fossi stata aria per lui. Allungai una mano e glie la posai sulla guancia, guardandolo con un misto di preoccupazione e serietà.
Lo amavo adesso più che mai, amavo tutto di lui, proprio tutto.
Che stupida.
Essere morta mi rendeva terribilmente sdolcinata… Non erano aspetti edificanti per qualcuno che si accingeva  a diventare un macabro spirito da castello diroccato.
Lo vidi chiudere lentamente gli occhi, rassegnato, e rimasi a guardarlo. Sapevo che non avrebbe dormito. Sapevo che avrebbe continuato a macerare dentro di sé sentimenti ostili e deliranti.
Eppure, molto egoisticamente, mi bastava solo che fosse ancora lì, vivo.
In fondo ero a conoscenza del fatto che prima o poi gli sarebbe passata.
Tutto passa, così si dice, no?

Qualche ora più tardi sentii un certo brusio provenire dal cortile. Guardai nuovamente verso Gourry, che era caduto in uno stato di agitato dormiveglia, vittima della stanchezza e del contraccolpo al suo gesto avventato, e mi sollevai dal suo fianco per precipitarmi alla finestra.
La pioggia aveva smesso di cadere, e una leggera cortina di vapore offuscava i vetri umidi. Provai a spannarli e mi diedi immediatamente della cretina quando la mia mano passò sulla vetrata senza lasciare segni.
Ok, era irritante. Molto irritante.
Se almeno avessi potuto interagire con l’ambiente circostante, pensai, sicuramente qualcuno avrebbe trovato una gigantesca scritta tracciata su quell’umido vetro: SONO ANCORA QUA, MALEDIZIONE!
Ad ogni modo trovai un piccolo buco in cui non si era creata condensa e lanciai un’occhiata al cortile, guardando seccata: due uomini a cavallo avevano appena fatto il loro ingresso dai portali del palazzo e , nonostante i mantelli col cappuccio, avrei detto che la loro figura mi era stranamente familiare.
Sentii una strana rabbia ribollirmi dentro: davanti agli occhi avevo la conferma delle mie supposizioni. Digrignai i denti, mentre uno dei due uomini si scrollava la pioggia di dosso e scendeva da cavallo, consegnando le briglie ad un garzone.
Joy ci aveva messo meno tempo del previsto a tornare per riprendersi Gourry.

Mi precipitai verso la porta, animata da un’incontenibile furia e… Ci sbattei il naso contro.
D’accordo, cosa c’era che non andava in me? I fantasmi non potevano attraversare muri e porte? Non era forse questa la loro prerogativa? Volevo un rimborso, maledizione! Dove si poteva trovare il dannato ufficio reclami?!
Provai a tirare calci e pugni alla porta, mi sgolai, inutilmente. Ero in gabbia.
In quel momento mi giunse un sospiro. Gourry si stava sollevando dal materasso, passandosi stancamente la mano sul volto.
Aveva gli occhi lucidi, notai. Eppure, dopo la notte al tempio, non gli avevo ancora visto versare una lacrima. Non che desiderassi ardentemente assistere a pianti disperati e urla furibonde, intendiamoci. Ma avrei preferito di gran lunga che si sfogasse in qualche modo. Qualunque modo, pur di non tenersi tutto dentro, per arrivare poi ai pessimi risultati a cui avevo assistito qualche ora prima.
Gourry si mise a sedere sul bordo del letto e i suoi occhi scesero debolmente sulla onnipresente scatola di velluto rosso, appoggiata sul comodino.
Zel aveva avuto una pessima idea a posargliela accanto, dopo che Gourry, che si era inizialmente rifiutato di farsi curare i polsi da un recovery, aveva urlato che se non fosse stato per la sua stupida e presuntuosa idea io in quel momento sarei stata ancora viva e vegeta. Alla chimera non c’era voluta una scienza per comprendere cosa la scatola contenesse e quali agghiaccianti implicazioni ci fossero dietro alla mia morte: ero passata a miglior vita proprio quando il rapporto tra me e Gourry, dopo anni di dubbi e incertezze, aveva finalmente ingranato la marcia giusta.
Beffe del destino, già.
Gourry sfiorò la superficie color porpora. Io mi feci vigile: sapere che gli avevano tolto qualsiasi ipotetica arma contundente non stava contribuendo a dipanare quel sottile filo di ansia che si annidava dentro di me. Ma dovetti ammettere che una cosa, in effetti, bastava a calmarmi notevolmente: quando Gourry prometteva, prometteva. E quel che mi aveva assicurato (a me o alla mia memoria, in quel momento non faceva molta differenza) era che si sarebbe tenuto lontano dai guai.
Così gli fui molto grata quando lo vidi sollevarsi e infilarsi la scatola in tasca, prima di venire gentilmente ad aprirmi.
Ok, ad aprire a se stesso, va bene. Come siete pignoli.
Sta di fatto che, non appena nella porta si fu aperto uno spiraglio sufficiente, sgattaiolai fuori, con un unico obbiettivo nella testa: correre ‘festosamente’ incontro a Joy. Nel senso che la festa sarebbe stata la sua.
Mi fiondai a rotta di collo per il corridoio e scesi a due a due i gradini dello scalone principale. Dovevo ammettere che c’era un vantaggio nel non avere più aria nei polmoni: niente fiatone!
Quando arrivai all’ingresso, per poco non rischiai di travolgere un cavaliere di cui riuscii solo a vedere la schiena e i lunghi capelli neri legati in una coda prima di arrestarmi sui talloni. Non l’avrei travolto in ogni caso, intendiamoci… Eppure quando mi resi conto di chi fosse desiderai ardentemente poter avere sotto mano una mazza chiodata.
Nayden era fermo davanti al portone di ingresso. Tenero, vero? Aspettava il suo caro fratellino prima di darsela a gambe.
I miei occhi dardeggiarono e lo aggirai ponendomi proprio davanti al suo naso. Eppure, quando lo feci, per un breve istante tutte le mie certezze vennero meno: Nayden aveva un’espressione di indefinibile stanchezza dipinta sul volto, mentre le occhiaie violacee indicavano che aveva passato la notte non nel più piacevole dei modi. Le sue mani erano strette a pugno, e le nocche sbiancate facevano chiaramente percepire la forza con cui li stava stringendo. Non dava precisamente l’immagine di qualcuno soddisfatto per la piega che avevano preso gli avvenimenti…
Batté nervosamente un piede a terra, due o tre volte, poi si voltò verso lo scalone, da cui stava scendendo Gourry. Le sue sopracciglia si corrugarono e lo vidi mordersi il labbro. La sua espressione era un misto tra diffidenza e… accusa? Non avrei saputo dirlo, soprattutto perché quella strana manifestazione si dipinse sul suo volto per l’attimo di un respiro, per poi uniformarsi immediatamente ad un volto più consono all’occasione: compassione e mortificazione.
Nayden si affiancò allo scalone, abbassando la testa in segno di rispetto:
“Gourry…”Mormorò “Non puoi immaginare quanto io sia addolorato per quello che è successo…”
Gourry rimase del tutto indifferente alla cerimoniosa dimostrazione di solidarietà che Nayden stava mettendo in scena… O forse no. Chi poteva dirlo? La sua posizione era talmente ambigua  nei confronti di Joy che i miei sospetti si stavano facendo confusi. Nayden sembrava spaesato come tutti quanti.
“Sono appena stato da lei, è bellissima, sembra un angelo” disse, regalandomi una magra consolazione per quella fine infelice.
“L’hai vista?” domandò Gourry in un sussurro. Nayden annuì.
“L’hanno deposta nel tempio principale di Sailunne. L’intera sala è stata allestita per lei. Tutto questo è così ingiusto, era davvero una persona speciale.” Disse, con sguardo serio.
Gourry abbassò gli occhi.
“Si, lo è…” Constatò, semplicemente, mentre io provavo una fitta di rimorso per il modo in cui parlava di me.
Al presente.
“Posso accompagnartici…” Aggiunse Nayden, vedendo che Gourry sembrava incerto su dove dirigersi. Lo spadaccino rimase silenzioso alcuni secondi, poi annuì.
Uscii dalla porta dietro di loro, incamminandomi sotto al cielo plumbeo di Sailunne, diretta alla mia monumentale cappella funebre.
Il problema Joy poteva aspettare ancora qualche secondo. Prima volevo vedere come e dove mi avessero sistemato. Se fossero venuti adepti e fan a visitarmi, dovevo assicurarmi che la mia situazione fosse abbastanza decorosa.
Quando raggiungemmo le monumentali porte bianche del tempio, tuttavia, ebbi qualche incertezza.
Per la seconda volta in quella giornata mi sarei trovata davanti al mio corpo senza vita. Questo non avrebbe giovato molto al mio umore. Però, constatando che il mio umore difficilmente avrebbe potuto raggiungere sfumature più tetre, mi decisi ad entrare.
Del resto dovevo studiare il problema se volevo venirne a capo.

La prima cosa che sentii, appena messo un piede dentro alla sala, fu la dolce voce di Amelia, che accoglieva piena di premure lo spadaccino appena scampato lui stesso alla morte. Era stata nella sua stanza qualche ora prima, ad assicurarsi che le bende non fossero troppo strette sui polsi...O forse semplicemente ad assicurarsi che non stesse facendo nuovamente qualche sciocchezza. Era già a pezzi per aver perso un amica, non le sembrava proprio il caso di assistere anche alla dipartita di un altro caro compagno di avventure. Lo accolse con la massima dolcezza e comprensione, posandogli teneramente una mano sul braccio e stringendoglielo per fargli forza.
Quanto li invidiavo. Loro almeno potevano continuare a confortarsi l’un l’altro. Io ero sola, se si escludeva Xellos. Sola, appunto.
Poi, improvvisamente, i miei pensieri vennero annebbiati da un inconfondibile, quasi nauseante, profumo.
Feci qualche passo avanti, attratta da quel profumo, e superai il piccolo gruppo dei miei amici che ancora sostavano davanti alla porta, incamminandomi verso il centro del tempio.
Fu allora che le vidi.
Calendule. Ce n’erano a centinaia, a migliaia…
Poste dentro a vasi e grosse ceste, appese in ghirlande alle pareti, tante, troppe…
Il loro profumo era stomachevole. Le odiavo, quelle maledette calendule. Fu in quel momento che mi vidi.
Al centro esatto di quel tappeto di fiori gialli e arancioni, su un marmoreo altare anch’esso rivestito di calendule… C’ero io. Il mio corpo. Quel che rimaneva di me…
Mi avvicinai quasi ipnotizzata e gettai uno sguardo al mio volto bianco. Tutto era bianco, anche il vestito che mi avevano fatto indossare per l’occasione. Un elegante e prezioso abito in seta candida, dalle larghe maniche cangianti.
L’avevo già visto, quel vestito, ne ero consapevole, così com’ero consapevole di aver già sentito l’odore delle calendule prima che Amelia me ne parlasse nella serra.
Quando ero quasi affogata, a un passo dalla morte, io… Avevo avuto una vaga premonizione di ciò che sarebbe accaduto.
Una visione del mio letto di morte, ora lo sapevo.

Guardai il cereo pallore del mio volto, le labbra bianche e rigide, le palpebre chiuse, che non mostravano più quello sguardo di dolorosa incomprensione che mi aveva tanto spaventato la notte prima. I miei capelli conservavano ancora il loro bel colore, e ricadevano morbidi sulla mia fronte e intorno al mio capo adagiato su un cuscino ricamato. Le mie mani stavano immobili in una innaturale posizione di riposo, sul mio petto.
La posizione di un morto, appunto. Che orrore.
Eppure, a parte quello, non ero poi così… Disgustosa. Certo, escludendo il fatto che fossi senza vita, ma l’impressione che davo, in parte,  era più quella di una bambola di porcellana a dimensioni naturali. Una statua marmorea finemente cesellata.
Ero davvero come mi aveva descritta Nayden: un angelo addormentato, quieto, sereno. Qualcosa di molto lontano dal cadavere contorto e insanguinato a cui avevo lanciato sguardi di puro terrore quella notte, prima che i sacerdoti calassero su di me quell’orribile sudario.
Eppure di me, di quella che era stata la vera Lina Inverse, oltre a tutta questa bellezza, non ritrovano niente in quel corpo: il rossore delle guance, il riflesso di un sorriso, il battito del cuore…Tutto era cessato.
 Rimasi a fissarmi, sgomenta, ancora qualche secondo, poi mi resi conto di non essere sola: Gourry, Nayden e Amelia mi si erano affiancati e guardavano silenziosi il mio corpo che giaceva tra le calendule.
Vidi che Nayden sospirava e che le palpebre di Amelia cominciavano a tremare. Gourry invece mi osservò come se non fossi realmente io quella che aveva davanti, ma qualcosa di sconosciuto e lontano. Poi Amelia parlò:
“Io non posso ancora crederci.” Una lacrima le rigò silenziosa la guancia. “Solo ieri pomeriggio era qui, e adesso….” La voce le tremò al punto che dovette fermarsi. Nayden estrasse un fazzoletto pulito dalla tasca e glie lo porse gentilmente mentre Amelia ci strombazzava dentro.
Gourry continuava a fissarmi, indifferente a quanto gli accadeva intorno.
“Grazie…” Disse Amelia restituendo il fazzoletto fradicio a Nayden, il quale, da vero gentiluomo, se lo rimise in tasca senza dire una parola.
“Perché avete messo tutte queste calendule?” Domandò alla principessa.
Amelia si guardò attorno e il labbro inferiore prese nuovamente a tremolarle: “Beh, perché… Erano i suoi fiori preferiti. O almeno credo…” rispose, prima di tirare su rumorosamente con il naso. Nayden annuì, io spalancai la bocca. Da quando avevo dei fiori preferiti? E soprattutto, anche ammesso che ne avessi, non sarebbero mai state quelle calendule puzzolenti…
In quel momento collegai.
Avevo visto le calendule in quella specie di premonizione, senza conoscerle. Poi ne avevo riconosciuto il profumo nella serra e avevo domandato alla principessa che fiori fossero. E per sviare l’attenzione avevo poi detto che erano fiori che mi piacevano molto….Così Amelia li aveva usati per addobbare il mio letto di morte.
Un cerchio perfetto, che si chiudeva dove iniziava.
Guardai nuovamente verso il mio corpo. L’odore delle calendule, sin dal primo momento, mi aveva inspiegabilmente nauseata. Ora forse potevo intuire il perché: ci ero immersa, totalmente. Questo poteva significare una cosa, azzardata probabilmente, ma non da scartare: il mio corpo sentiva l’odore delle calendule, e ne era infastidito visto che ci stava steso in mezzo senza potersele scrollare di dosso.
Io non ero morta, non del tutto… E supponevo che un sottile filo vitale mi tenesse ancora ancorata al mio corpo mortale. Erano solo speranze e supposizioni, naturalmente, ma già capaci di darmi forza e speranza.
Dopo alcuni minuti Amelia e Nayden si allontanarono con discrezione, per lasciare a Gourry il tempo di dirmi addio.
Restammo immobili, fianco a fianco.
Gli occhi chiari dello spadaccino si annebbiarono per qualche secondo, come se ricordi troppo dolorosi gli stessero passando davanti per svanire infrangendosi contro al freddo pallore della mia pelle. Era proprio quel corpo che aveva difeso, che aveva stretto, che aveva adorato, con tutto se stesso? Non c’era più niente da amare lì, non c’era più nulla da proteggere.
Gourry si scrollò, sbattendo le palpebre. I suoi occhi erano asciutti,  aridi. Si portò una mano alla tasca e ne estrasse la piccola scatola di velluto rosso, poi ne fece scattare con un lieve ‘tic’ il coperchio. Al suo interno l’anello splendeva di cangianti riflessi. Gourry lo prese, poi ripose la scatola e dalla tasca tirò fuori un minuscolo e delicato filo d’argento. Una catenina.
Mi lanciò un’altra dolorosa occhiata, poi sorrise lievemente: “Per anni ti ho comprato regali che non ho mai avuto il coraggio di darti…” Sospirò “O che tu non hai mai notato, scambiandoli con la refurtiva di qualche bottino…” Parve pensarci sopra qualche secondo “Beh, spero che ovunque tu sia in questo momento… Ci siano banditi da saccheggiare. Ti annoieresti molto altrimenti…”
Le sue parole si persero come un’eco nel tempio.
Gourry fece passare la catenina dentro all’anello, poi, con un tenero e delicato gesto me la lasciò scivolare intorno al collo. Indugiò qualche secondo, ancora chino su di me, e mi sfiorò la guancia con il dorso dell’indice: “Lina…” Mormorò “Avrei tanto voluto mettertelo al dito questo, gli dei solo sanno quanto… Ma non era così che doveva andare. Fammi questo favore, portalo con te, ovunque tu vada. Così magari non ti scorderai di me. Così saprai sempre quanto ti ho amato, e quanto ti amo ancora. Io non posso tenerlo, è tuo, ti appartiene, così come la mia vita. Anche se io non so più che farmene.”
Lentamente le sue labbra scesero e si posarono piano sulle mie, fredde e marmoree, in uno straziante addio.
Io indietreggiai.
Se avessi avuto delle lacrime da versare, probabilmente ne avrei avuto le guance inzuppate. Ma non ne avevo, di lacrime. Non avevo nemmeno le guance…
E tutto quello che potei fare, in quel momento, fu di voltare le spalle a Gourry, e correre là dove non potevo vedere e sentire ciò che in quel momento mi feriva più del fatto di non essere più in vita. Mi accasciai contro una colonna e mi lasciai scivolare seduta, tremando.
Non seppi dire quanto tempo rimasi lì, senza avere il coraggio di guardare mentre Gourry si allontanava dal tempio.
Mentre si allontanava da me.

Forse in realtà non furono che pochi minuti. Me ne resi conto quando sentii delle voci provenire dai portali.
Le mie orecchie si drizzarono e i miei pugni si serrarono. Conoscevo quella stramaledetta voce. Quella viscida e detestabile voce, che in quel momento stava sciorinando frasi false e strappalacrime a Gourry.
“Non ci posso credere, non è possibile, ma come…?” Stava blaterando quel dannato ipocrita. Poi, più nitida e affranta, sentii un'altra voce:
“Terribile, terribile…” Singhiozzò il vocione di Hermann.
Per alcuni istanti regnò il silenzio, dopodiché Joy parlò con voce rauca:
“Capisco. Gourry, non so cosa dire, amico. Fatti forza. Mi dispiace molto, mi sembra assurdo.”
Che attore, signore e signori! Che essere ignobile!
Sentii Gourry mormorare qualcosa a voce troppo bassa perché potessi udire, dopodiché udii Joy accomiatarsi ed entrare nel tempio con Hermann. Inconsciamente mi appiattii contro alla colonna, sentendo i loro passi pesanti procedere lungo il corridoio fino alla sala centrale.
Era venuto a festeggiare davanti al suo trofeo, quel verme?
Sentii Hermann tirare su col naso:
“Povero… Povero bonsai!”
Joy gli tirò una pacca sulla spalla:
“Su, Hermann, lo so che ti eri attaccato a quella mocciosa, ma ora cerca di tornare in te. Lina Inverse in questo momento probabilmente sta meglio di noi.”
Hermann tirò su col naso ancora un paio di volte:
“Sai, mi ci ero affezionato, capo… era così buffa…” La frase venne interrotta da un'altra brutale tirata di naso. “E poi era così giovane, questo stecchino…”
Joy sbuffò:
“Certo, certo… era giovane, in gamba e promettente, bla-bla-bla. Ora basta, Hermann. Sinceramente abbiamo cose più gravi a cui pensare, e a questo proposito…”
Hermann si soffiò rumorosamente il naso in una manica, dopodiché si ricompose:
“Sì, certo capo, vado… Vieni con me?”
Joy rimase silenzioso ancora qualche secondo:
“Ti raggiungo subito…” rispose, sovrappensiero. Hermann annuì e lo sentii lasciare il tempio con passo pesante; lanciandogli una rapida occhiata prima che varcasse la porta notai che zoppicava dalla gamba sinistra.
In quel momento, tuttavia, la mia attenzione era concentrata su Joy. Quel verme viscido stava cantando vittoria davanti al mio letto di morte.
Ora Gourry era tutto suo.
Ma si sbagliava se pensava che gli avrei lasciato campo libero: un sistema per rivalermi su di lui l’avrei trovato anche da morta.
Strisciai fuori dalla colonna e mi avvicinai a lui. Il mercenario mi dava le spalle e mi scrutava, assorto. Mi chiesi quali euforici pensieri gli stessero passando per la testa. Poi, però,  rimasi impietrita, quando Joy allungò una mano verso di me, posandomi il dorso dell’indice e del medio sul collo.
Il contatto lo fece rabbrividire:
“Sei proprio stecchita….” Disse, in un sussurro. “Mi domando come abbiano fatto a fregare una come te…” mormorò poi, lasciandomi sgomenta.
Quel tizio mentiva anche quando sapeva benissimo di trovarsi solo? Era proprio un dannato vizio!
Gli arrivai alle spalle:
“E scommetto che tu sai anche come abbiano fatto a fregarmi, non è così?” sibilai, con cattiveria, prima di aggiungere “E levami quelle mani di dosso, maledetto bastardo!”
Quello che accadde dopo, mi colse del tutto impreparata.
Joy si irrigidì di colpo alle mie parole e la sua mano restò sospesa a mezz’aria. Rimasi a fissarlo, perplessa, mentre si voltava. Notai solo distrattamente che aveva un occhio nero e un labbro spezzato su cui si era raggrumato del sangue. Quando il suo sguardo incrociò il mio mi mancò il respiro. Joy sgranò gli occhi, indietreggiando di un passo e io capii che sì, non c’erano dubbi, mi stava guardando. Mi stava vedendo.
Feci un passo avanti, spalancando la bocca, ma lui posò una mano tra me e lui, in un istintivo gesto di difesa. O repulsione.
Poi entrambi lanciammo un lungo strillo.

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Capitolo 11
*** La notte negli occhi ***


capitolo 11
La notte negli occhi

‘Mettere una persona davanti alla propria ombra equivale a mostrarle anche ciò che in essa è luce.’ (C. G. Jung)

“Tu!” Entrambi ci puntammo addosso un indice, sgomenti. “Tu…” Proseguimmo poi sempre all’unisono, con una punta di incertezza.
Ma come diavolo…? Doveva essere la mia solita sfortuna: l’unica persona che poteva vedermi e con cui potevo interagire sembrava essere proprio quel verme di Joy. Che fosse la sua giusta punizione per avermi fatto fuori in modo così subdolo? Se era così, l’avrei tormentato per l’eternità.
Stavo per aggredirlo verbalmente, quando una voce esterna ci fece sussultare entrambi:
“Capo, il principe Phillionel dice possiamo rimanere tutto il tempo che ci sarà necessario …” disse Hermann, facendo capolino dalla porta principale.
Vidi Joy irrigidirsi mentre Hermann ci raggiungeva zoppicando e mi aspettai che si lanciasse verso di lui strillando: ho visto un fantasma!  Ma, con mio grande stupore, non accadde nulla di tutto ciò. Joy si limitò a sbattere un paio di volte le palpebre, riacquisendo immediatamente il controllo di se stesso. A quel punto si voltò verso il suo uomo e assumendo un’espressione neutra si infilò distrattamente un guanto, mormorando: “Bene, ma non ritengo più necessario fermarmi qui a Sailunne.”
Herman si accigliò: “Ma, capo… io non sono in grado riprendere subito il cammino!” disse, cercando di suscitare la compassione di Joy indicando la sua gamba ferita. “Avevi detto che sarebbe stato più saggio tornare indietro, piuttosto che proseguire in queste condizioni…”
Joy lo fulminò con un occhiataccia: “Beh, Herman, quando l’ho detto non immaginavo di certo che saremmo capitati nel mezzo di questa baraonda, con Lina Inverse stecchita e tutto il resto. Quindi ce ne andremo immediatamente.” disse, evitando di guardarmi. Mi ignorava come se in realtà mi fossi solo immaginata di aver avuto un contatto con lui solo pochi istanti prima. Era veramente irritante.
Herman indugiò qualche istante, guardando il suo capo con aria torva. Se avesse voluto, avrebbe potuto avere ragione di Joy in pochi istanti. Ma era troppo fedele per farlo. O forse solo troppo stupido.  Joy sbuffò infilandosi anche l’altro guanto: “Cerca due cavalli in buone condizioni, ce ne andiamo oggi stesso. Io ti raggiungo subito, ora vai.”
“Ma cap…”
“Non voglio più discuterne. Ho detto ‘vai.” Tuonò il mercenario a quel punto, facendomi sobbalzare insieme a Hermann, che dal canto suo si affrettò a lasciare il più in fretta possibile la sala del tempio.
“Nervi a fior di pelle?” gli domandai, una volta rimasta sola con lui. Joy fece un respiro profondo e mi finse indifferenza.
“Non fare di finta di non aver sentito, verme che non sei altro!” Lo insultai, mettendomi davanti a lui: “Lo so che puoi vedermi e sentirmi, molto probabilmente perché questa è opera tua…” urlai, indicando il mio corpo immobile a pochi passi da noi. Joy continuò a fare finta che non esistessi, ma notai che gli tremavano le mani.
“Non puoi ignorarmi, Joy! Tu devi…” cominciai, ma prima che potessi concludere la frase Joy mi rivolse un’occhiata gelida.
“Io ‘devo’? Io non ti devo niente, siamo intesi?” I suoi occhi erano pieni di furore.  “Tu per me non esisti, hai capito? Non mi parlare, non mi comparire davanti. Tu…” Sembrava in procinto di avere una crisi isterica. “Tu sei un dannatissimo niente, e io non ho nulla da spartire né con te, né con la tua morte, e adesso sparisci dalla mia vita!”
Io rimasi ammutolita, per una volta. Ma che problema aveva quel tipo? Beh, a parte quello di essere in grado di interagire con i morti?
“Ma che accidenti…” cominciai, ma il mercenario mi diede le spalle dirigendosi a grandi passi verso l’uscita.
Oh, non crederai di cavartela così a buon mercato, vero?
Lo seguii.
“Joy!”
“Sparisci!”
“Joy, devi ascoltarmi!” esclamai, allungando una mano verso di lui.
“Non mi toccare!” gridò, fermandosi e scansandosi come se si fosse ustionato.
Quindi era anche in grado si sentire il mio tocco?
“Tu devi spiegarmi…” Incominciai, ma lui mi zittì:
“Io non spiego niente a nessuno. Tu-non-esisti. Chiaro il concetto? Mi sono spiegato?”
Lo guardai, scettica:
“Se non esisto, perché mi stai parlando?”
Le sopracciglia di Joy si aggrottarono e uno sguardo esasperato comparve sul suo volto.
Ha-ha. Touchè.  
Si portò una mano al viso, sfregandosi la fronte, in un gesto che ne tradiva il profondo nervosismo.
“Joy…” Continuai, con calma. “Voglio solo capire che diavolo sta succedendo. Perché ti assicuro che proprio non ci riesco.”
Lui si tolse la mano dalla faccia:
“E cosa ti fa pensare che lo sappia io? L’unica cosa che posso constatare è che tu sei....” farfugliò, guardando verso il mio corpo rigido.
“Morta.” Conclusi io la frase per lui.
Joy annuì stancamente:
“Già. Bene, hai avuto la tua risposta? Adesso puoi lasciarmi in pace? Addio”
fece per voltarsi ma io lo fulminai: “Maledizione, Joy, fin lì c’ero arrivata anche da sola, grazie tante!”
“E allora cosa pretendi da me? Perché mi dovete perseguitare tutti in questo modo, maledizione!” Sembrava veramente sfinito.
Mi concentrai su quel ‘dovete’.  I casi erano due: o aveva iniziato a darmi del Voi, oppure… non ero l’unico spirito con cui aveva avuto a che fare.
“Voglio sapere cos’è successo, me lo devi! Sei stato tu?”
“Io?” Sembrava veramente sconvolto. “Sarei stato io fare cosa?” domandò, prima di capire dove volessi andare a parare: “Certo. Tu pensi che sia stato io a ucciderti. Ne sei convinta.” Gli occhi gli si strinsero a due fessure. “Sei fuori strada, dolcezza!” Scosse la testa, offeso.
Io mi accalorai “E allora perché sei il solo che può vedermi, spiegamelo!”
Il volto di Joy divenne cinereo e il suo sguardo si incupì:
“Questa conversazione finisce qui per quanto mi riguarda.”
“Non penso proprio!”
“Io invece penso proprio di sì. Come ti ho già spiegato, non ho nulla da spartire con te, né con questa storia.”
“Sei un essere spregevole!” Lo accusai.
“Una ragione in più per starmi lontana!”
Mi diede le spalle e uscì nel cortile sotto alla pioggia scrosciante, mentre io rimanevo sugli scalini del tempio a fremere di rabbia. Ma se pensava di cavarsela così facilmente aveva proprio sbagliato a capire. Ero sempre Lina Inverse, dopotutto.

Attraversai a mia volta il chiostro diretta a palazzo, mentre l’acqua mi passava attraverso, raccogliendosi a terra in pozze scure e fangose. Almeno non mi sarei presa un raffreddore. Certo, non che questo potesse essermi di qualche consolazione, visto che ero morta.
Joy era senza dubbio uno degli esseri più egoisti e meschini con il quale avessi avuto a che fare.
Ma era anche il solo che, mi scocciava terribilmente ammetterlo, potesse darmi una mano.
Escludendo Xellos.
Che dire? Ero in buona compagnia. Un demone bastardo e… Un bastardo e basta. Ottimo.

Mi ci vollero pochi minuti, una volta entrata a palazzo, per scoprire che Phil si era opposto alla partenza immediata di Joy ed Hermann: erano conciati talmente male che il paladino dei deboli per eccellenza li aveva praticamente obbligati a fermarsi per la notte.
Ignorando cosa fosse successo a quei due per tornare a Sailunne ridotti in quello stato, e cosa invece fosse accaduto al resto dell’esercito, cercai di capire al più presto in quale stanza fosse stato sistemato Joy. Se sperava di essersi sbarazzato di me così facilmente, si sbagliava di grosso.
Sarei stata il suo tormento.
Una volta davanti alla porta presi un profondo respiro. Joy sapeva essere maledettamente scostante. Mi ci sarebbe voluta tutta la pazienza di cui ero capace per convincerlo ad aiutarmi. E io, diciamolo, di pazienza ne possedevo pochissima. Ma Joy era la mia unica speranza per far sapere a tutti quello che stava succedendo. Per far sapere a Gourry che non me ero andata, non del tutto. Non potevo farmi sfuggire quell’occasione. A costo di supplicare. Storsi il naso a quel pensiero. Ovviamente supplicare sarebbe stata l’ultima carta che avrei giocato. A mali estremi, estremi rimedi.
Presi fiato e gridai: “Joy! Lo so che sei lì dentro!”
Silenzio.
“Joy!”
Un’imprecazione attutita mi arrivò all’orecchio da dietro alla porta.
“Jooooooooooooooy….”
“Vattene, maledizione, vattene!”
“Voglio solo parlare…”
Nuovamente silenzio.
Cominciavo ad arrabbiarmi. Se fossi stata in me, quella porta, in quel momento, non sarebbe stata altro che un mucchietto di schegge di legno. Ma, non avendo più i miei poteri, mi rimaneva giusto l’ingegno.
“E va bene, Joy. Se non vuoi aprirmi, sei libero di non farlo.” Gli accordai “Io rimarrò qui fuori e, per far passare il tempo…Ti canterò una canzone! Da bambina dicevano tutti che avevo una voce meravigliosa, avrei potuto fare la cantante se non fossi diventata la più grande maga che il mondo abbia mai conosciuto!”
Sentii un singulto provenire da dentro alla stanza ma a quel punto ero già lanciata:
“Vediamo, cosa potrei cantarti? Ah sì, ne conosco una carina. Fa più o meno così…”
Iniziai a cantare a squarciagola. Ero stonata come una campana e ben consapevole di esserlo. Da bambina mi elargivano sempre qualche moneta per convincermi a non partecipare ai cori di bambini di Zephilia.
Portai le mani ai lati della bocca, per amplificare il suono, e mi appoggiai alla porta della stanza, immaginando Joy che si premeva il cuscino sulle orecchie maledicendomi. Fu solo alla decima strofa che l’uscio si aprì di scatto, rivelando un Joy esasperato, i riccioli scuri scarmigliati sulla fronte e gli occhi iniettati di sangue:
“C’è voluto un bel coraggio per dirti che potevi essere promettente nel canto. Una cornacchia gracchia meglio di te, dannazione!”
Gli sorrisi, per nulla umiliata dalle sue parole. Da tempo avevo messo una pietra sulle mie ambizioni canore:
“Vuoi che continui?”
“Entra” disse in tono sbrigativo, sbirciando nervosamente il corridoio per assicurarsi che nessuno lo vedesse parlare con il nulla.
“Bene, vedo che alla fine ti sei dimostrato una persona ragionevole. Più o meno” dissi, mentre entravo in quella che risultava la stanza più anonima e squallida di tutto il palazzo. Un letto e una finestra erano tutto ciò che riuscivo a distinguere tra l’oscurità. Joy non si era preoccupato di accendere nemmeno un lume.
“Dimmi cosa vuoi e facciamola finita” disse, incrociando le braccia al petto senza smettere di guardarmi con aria greve. Vedevo i rigagnoli della pioggia strisciare lentamente sui vetri, proiettando ombre sinistre in tutta la camera. Il corpo di Joy era a strisce bluastre, sul mio non compariva nulla.
Il mio sguardo si fece serio:
“Voglio che tu mi faccia da tramite” rivelai. Joy mi fissò inespressivo, dopodiché sedette sul letto, dove aveva lasciato una sigaretta appena arrotolata, e la prese tra le dita.
“Certo. Vuoi che vada a dire a tutti che sei in realtà uno spirito che aleggia sul castello. Fantastico, come credi che la prenderebbe la gente?”
Mi morsi il labbro: “Gourry ti crederebbe…”
Joy sussultò. Passò qualche secondo, in cui ci scrutammo diffidenti. Gourry era il nodo al centro del rapporto mio e di Joy. E vedevo che lentamente si andava affacciando nella sua mente lo stesso pensiero che io avevo formulato solo qualche ora prima: adesso che ero stata messa fuori gioco, il campo era a sua completa disposizione.
Poi Joy scrollò la testa:
“Gourry penserebbe che sono pazzo. Penserebbe che…” Rimase soprappensiero per alcuni secondi, poi mormorò: “E in ogni caso, mi spieghi a cosa servirebbe? Non c’è soluzione alla morte.”
“Se la cosa non ti fosse chiara, Joy, io sono stata assassinata!” esclamai, cercando di ignorare le sue ultime parole, che mi avevano colpito più di quanto volessi dare a vedere. “Non mi sembra di chiederti così tanto…” proseguii, imbronciata.
“Beh, per me lo è, chiaro?” Il suo tono non ammetteva repliche.
“Non lo faresti nemmeno per Gourry?”
D’accordo, avevo colpito basso. Ma puntare sui sentimenti era l’unica arma che mi rimaneva.
Joy spostò lentamente lo sguardo su di me: “Per Gourry? Non capisco di cosa stai parlando….”
Lo sapeva bene di cosa stavo parlando, maledizione! Voleva a tutti i costi rendermi le cose difficili.
“Gourry è il mio migliore amico, e non si darà pace fino a che non saprà come sono andate veramente le cose…” buttai lì. Joy si portò la sigaretta alle labbra, ma non l’accese.
“Joy, ho bisogno di parlare con Gourry…” Il mio sguardo si fece serio, la mia voce divenne quasi un sibilo “Ti prego…” aggiunsi abbassando lo sguardo.
L’umiliazione di dover supplicare davanti ad un essere tanto spregevole mi avrebbe sicuramente fatto avvampare le guance di rabbia, se avessi avuto ancora sangue nelle vene. Per mia fortuna non era così. Senza contare che per raggiungere Gourry mi sarei abbassata a qualunque livello. Non volevo più assistere a scene come quelle che avevo avuto sotto agli occhi quella mattina. Mai più.
“Senti, senti… Lina Inverse che mi implora” mormorò il mercenario. Ma non c’era compiacimento nella sua voce. “Deve essere davvero importante Gourry, per te. Più di quanto tu mi abbia dato a intendere.”
Mi morsi le labbra: “Sì, lo è…”
Joy rimase a fissarmi, sul volto dipinta un’espressione combattuta:
“Lina…” disse, piano. “Credi davvero che sia stato io a ucciderti?”
Sussultai nel sentire quelle parole ma, proprio in quel momento, una voce femminile, dall’angolo più remoto e buio della stanza, rispose con tranquillità:
“Non è stato Joy a farti questo, Lina Inverse, smettila di tormentarti nel dubbio.”
Trasalii, indietreggiai e per poco non finii stesa a terra. A quanto pareva come fantasma non avevo guadagnato un perfetto equilibrio, altra cosa da annotare tra i reclami. Joy, dal canto suo, non se la stava cavando meglio di me: era balzato in piedi, brandendo la sigaretta spenta davanti a sé, e aveva esclamato: “I-Indietro! Stai fermo dove sei. Chiunque tu sia!”
Era penoso e se non fossi stata così terrorizzata mi sarebbe scappato da ridere. Invece rimasi rigida, mentre frugavo con lo sguardo tra l’oscurità in cerca del proprietario di quella voce sinistra, che improvvisamente trovavo stranamente familiare…
Avevo già sentito quella voce, ne ero sicura.
Qualcosa si mosse nell’oscurità. Poi, nel mite scrosciare della pioggia sui vetri, il nitido e melodioso tintinnio di un campanellino risuonò nella stanza, mentre una piccola ombra scura, molto più piccola di quel che avevo immaginato, si fece sinuosamente strada verso di noi.
Era la gatta di Anouk, Babette.
Io e Joy strabuzzammo gli occhi, mentre il felino dal manto argentato ci guardava sornione:
“Buon pomeriggio ad entrambi, spero di non avervi resi troppo nervosi. Ho qualcosa della massima importanza da discutere con voi” Ci annunciò, mentre sia a me che a Joy rischiava di staccarsi la mascella per il troppo stupore.
D’accordo, manteniamo la calma. Niente panico.
Ne avevo viste davvero di tutti i colori nella mia vita. Mi ero anche trasformata in svariati esseri, ed ero momentaneamente priva di un vero corpo ma….Da quando i gatti parlavano?!
Joy rilassò il braccio con cui aveva cercato di difendersi, armato di una sigaretta floscia. “Vi prego, ditemi che è un incubo…” balbettò.
Io deglutii. Sentivo gli occhi arancioni di Babette scrutarmi con gravità e decisi che a quel punto avrebbero anche potuto piovere asini e non me ne sarei stupita più di tanto.
“Così… Tu parli?”
“Sì” La sua voce era placida e mielosa. Ma con qualcosa di autorevole.
Improvvisamente ricordai dove avevo già sentito quella voce: tra la vita e la morte, sulla linea di confine… Babette era la voce che mi aveva riportato indietro, e il campanellino che mi aveva ossessionato da quando ero caduta nel laghetto ghiacciato era lo stesso campanellino che portava appeso al collo.
“Ehi, aspetta un attimo… hai detto che Joy non centra niente con la mia morte. Vuol dire che sai chi è stato a farmi questo?” Feci un passo avanti, impaziente.
“Ovvio.”
“Parla, allora!”
“Io, naturalmente. Con un piccolo aiuto da parte della duchessa Anouk.”
Il mio fervore si spense di colpo. Mi stava prendendo in giro quel gatto parlante?
Persino Joy parve riprendersi dalle sue sofferenze per assumere un’espressione sbigottita.
“Ti prendi gioco di me?” dissi, accigliata.
“Niente affatto, Lina Inverse. Pensavo che una mente astuta come la tua ci fosse arrivata già da tempo… Del resto questa spiacevole situazione non si sarebbe protratta così a lungo se ogni volta tu non avessi trovato qualche astuto stratagemma per salvarti…”
“S-Salvarmi?...” balbettai, sempre più confusa.
“Ovvio. Sei riuscita a scappare dalla torre, e  a riemergere dal lago. Sei stata molto furba, o forse solo molto fortunata. Ma alla fine sei caduta nell’ultimo tranello, quello del veleno. Ora finalmente sei pronta.”
Mi voltai quel tanto che bastava per lanciare un’occhiata interrogativa a Joy. Se era uno scherzo, era davvero di pessimo gusto. Ma il mercenario rivolse i palmi al soffitto, facendomi intuire che lui non ne sapeva nulla di tutta quella storia. Quel gatto doveva essere pazzo, eppure…
Ero salita sulla torre per inseguire Babette.
Ero finita nel bel mezzo del laghetto ghiacciato per riprendere Babette.
E Anouk era l’unica persona presente nelle cucine quando era stata preparata la camomilla avvelenata.
Ricordai il biglietto e la missiva per Solaria, scritte con la stessa minuta calligrafia:
“Quindi anche la missiva…”
“Esatto. Anouk l’ha scritta e l’ha inviata col sigillo in ceralacca del ducato. Non dovevi sapere nulla fino a quando non saresti stata pronta per l’incarico che intendo affidarti, e ora lo sei.”
Volevo prendere a testate il muro. Un gatto e una bambina avevano assassinato la più grande maga che il mondo avesse mai visto?!
Ma questa era follia!
“Pronta? E per cosa, si può sapere? Per la tomba, semmai!” esclamai, adirata.
“Era necessario, Lina Inverse. Ci serve il tuo aiuto.” La gatta non fece una piega davanti alla mia furia omicida.
“Vi serve il mio aiuto? Per questo mi avete fatto fuori, perché vi serve il mio aiuto?!”
“Proprio così.”
“Non vedo proprio come potrei aiutarvi dato che sono… MORTA!”
“Appunto.”
Ma non si scomponeva mai quel gatto?
“Appunto! Ap… ehi, che diavolo significa? Vi servivo… morta?”
Non ci stavo capendo niente. Iniziavo a comprendere come doveva sentirsi Gourry per la maggior parte del tempo.
La gatta scosse la testa:
“Ma tu non sei morta. Non ancora, almeno. Sei sulla linea di confine, ed è lì che devi rimanere affinché tu possa aiutarci. Io ti ho riportato indietro in tempo.”
Rimasi a bocca aperta.
Davanti a me avevo un felino con più di una rotella fuori posto, dovevo andarci cauta.
“Giuro che ci sto provando, a seguirti. Ma temo di non riuscire proprio ad afferrare quello che stai dicendo.”
I baffi di Babette vibrarono:
“Se mi permetti, Lina Inverse, vorrei farti un disegno completo della situazione.”
“Prego” esclamai, secca. Non solo mi aveva fatto fuori, ma mi parlava anche come se fossi ritardata! I gatti…
“Per prima cosa vorrei che tu sapessi che non c’è niente di irreversibile nella tua situazione, ma a questo ci arriveremo a tempo debito. Ora, per quanto riguarda la missione, non potevamo di certo dirti da subito quale sarebbe stato il tuo compito. Dubitavamo che avresti accettato.”
“Perspicaci.” Non potei trattenere il mio sarcasmo.
“Data la natura del nemico che ci troviamo ad affrontare, ci serviva una persona potente ed astuta. Qualcuno di imbattibile…” proseguì Babette. “E le voci che circolano sul tuo conto sono quantomeno significative.”
Fantastico. Ancora una volta mi ritrovavo vittima della mia stessa fama. Quando si dice schiacciati dal successo…
“L’ideale sarebbe stato agire subito, a Solaria. Ma purtroppo sei rimasta illesa dal crollo della torre. E sei stata fortunata anche per quanto riguarda il lago.”
“Io credevo…” La interruppi “Insomma, mentre ero là sotto, nell’acqua, ho sentito una voce. Eri tu che parlavi?”
“Sì, mi stavo preparando a bloccarti sulla linea di confine. Ma qualcuno ti ha riportato alla vita.”
Sussultai, mentre lo sguardo dolce e gentile di Gourry mi passava davanti agli occhi. Quante volte mi aveva strappato alla morte l’ostinazione di quell’uomo? Infinite.
La voce di Babette mi riportò bruscamente alla realtà:
“Mentre procedevamo verso Sailunne il tempo a nostra disposizione si assottigliava a vista d’occhio, così ho consigliato alla principessa la via del veleno. E ora tu sei qui, Lina: non sei viva, ma nemmeno morta. Diciamo… sospesa? E questo ti da il vantaggio che volevo tu avessi. Ora devi ascoltarmi e devi aiutarmi.”
Guardai Babette. Mi sentivo talmente abbattuta dopo quel breve riassunto che, contro a tutti i miei principi, mi sarei volentieri fatta un piatto di spiedini di gatto.
“Perché mai dovrei volerti ascoltare ancora, e soprattutto… perché mai dovrei volerti aiutare?” Ero fuori di me.
“Perché è l’unico sistema che hai per riprenderti la tua vita. Ma, soprattutto, è anche l’unico sistema che hai per evitare che il mondo, il tuo mondo, venga distrutto. Ora pensi di volermi ascoltare?”
Aprii la bocca per replicare, ma ero rimasta senza argomenti.
“Ti ascolto.”
Babette sollevò la zampa, indicando Joy:
“Ascoltami anche tu, cavaliere, perché sei parte di quanto sto per chiedere alla maga.”
Joy, che fino a quel momento aveva ascoltato rimanendo sulle sue, fece un salto:
“Io?”
“Sì, Joy.”
“E io cosa diavolo centro in queste storie di maghi e demoni? Non sono che un mercenario, lasciatemi in pace!”
Babette lo guardò intensamente:
“Io lo so chi sei, Joy Shadow. È tutta la vita che ti nascondi, ma non potrai farlo ancora a lungo. Non si può essere qualcosa di diverso da ciò che si è… Non si fugge da se stessi.”
Mi aspettavo che Joy facesse fuoco e fiamme davanti a quell’affermazione, che sparasse qualche demenzialità sul fatto che lui non aveva certo il tempo di ascoltare i vaneggiamenti di un gatto psicopatico, invece rimase ammutolito, vestendo un’espressione astiosa.
A quel punto drizzai le orecchie:
“Cosa centra lui in tutta questa storia?”
Babette mosse leggermente la coda:
“Non te lo domandi, Lina Inverse? Non ti chiedi perché il cavaliere che hai davanti sia la sola persona in grado di comunicare con te?”
Restai in silenzio e lanciai un’occhiata sospettosa verso Joy. Il buio della stanza nascondeva parte del suo volto, eppure riuscivo a vedere il suo sguardo cupo e riuscivo a distinguere il fremito che gli faceva stringere la mano attorno alla smilza sigaretta. Poi, con rabbia, Joy estrasse un fiammifero dalla tasca, sfregandolo contro la pietra del davanzale, e fece scaturire la fiamma.
“Tutto questo è assurdo” disse, lugubre, espirando nebulosi anelli di fumo.
Babette si rivolse a me:
“Il motivo della tua condizione attuale è semplice: non è nel nostro mondo che dovrai agire, perché il male si trova ad un altro livello. È stato commesso un errore, anni fa. Le barriere che separano il Regno dei Vivi da quello delle Ombre sono sottili come carta, ormai. I custodi incaricati di vegliare il confine non sono più al loro posto. Non possiamo permettere che il Signore di quelle terre invada questo mondo.”
A quelle parole avvertii un brivido percorrermi la schiena.
“Il signore di quelle terre sarebbe…”
Lo scrosciare della pioggia riempì quegli attimi di silenzio. Poi Babette mormorò:
“La terra dei morti.”

Rimasi attonita. Dopo il Principe degli Inferi, il Signore delle Ombre. Che meraviglia.
“C’è un'altra cosa, Lina Inverse…”
Guardai afflitta verso Babette. Cos’altro ci poteva essere di peggio?
La gatta mi fissò con i grandi occhi arancio:
“Le questioni dei morti, riguardano i morti. Nessun vivo dovrà essere a conoscenza di quanto ti è stato rivelato questa sera, nessun vivo dovrà sapere cosa sei e cosa succederà.”
“Ma…” cominciai subito a protestare.
“Si tratta del loro bene, Lina Inverse. I vivi che vengono coinvolti nelle questioni dei morti vengono esposti ad un grave pericolo. Questi due mondi devono rimanere separati per il bene dell’umanità, tu capisci…”
Il mio pensiero andò subito a Gourry. E ad Amelia, e a Zelgadiss. Stavano soffrendo, e questo non mi dava pace. Ma il pensiero di saperli in pericolo a causa mia era ancora peggiore. Del resto, se la mia non era una situazione irreversibile…
In quel momento presi la mia decisione.
C’era ancora una cosa però che non capivo:
“Cosa centra lui in tutta questa storia?” domandai, indicando il mercenario che fumava gettando occhiate nervose dalla finestra.
“Joy sarà la tua mano, Lina. Ma dovrà essere una sua scelta. Io in questo non posso interferire”
“La mia mano? Perfetto, se Joy dovrà essere la mia mano questa battaglia è già persa in partenza” dichiarai, incupendomi.
“Senza Joy le cose per te saranno molto più difficili. E ti conviene averlo dalla tua parte, perché è su di lui che i nostri nemici contano per far passare in questo mondo il Signore delle Ombre. Ma il libero arbitrio è un suo diritto. Come ti ho già spiegato, non posso interferire con le decisioni del cavaliere. Anche se, ovviamente, spero nella sua collaborazione.” Babette lanciò un’occhiata apprensiva a Joy.
“No, aspetta, fammi capire… Joy ha il libero arbitrio mentre io sono stata arruolata con l’inganno?” ero fuori di me. “Ma, soprattutto, chi accidenti è Joy per meritarsi tutto questo rispetto?!” .
La pioggia scrosciava sui vetri appannati mentre Babette sedeva composta ai piedi del letto.
“Joy ci vincola a sé, Lina. Non lo percepisci?”
Fu solo a quel punto che compresi due fatti di indubbia importanza.
‘Le questioni dei morti riguardavano i morti’ aveva detto la gatta. Questo significava che Babette  era uno spirito. Probabilmente occupava semplicemente il corpo di un gatto, ma quel ‘Ci vincola a sé’ era abbastanza inequivocabile.
In quanto a Joy…
Lo guardai socchiudendo le labbra. Joy poteva vedermi, parlarmi, sentirmi…
“Joy…” mormorai, soppesando bene ogni parola. “Tu… Sei un negromante?”
Il mercenario non rispose, lunghe spirali di fumo avvolgevano il suo volto pallido. Eppure mi parve, proprio in quel momento, di aver visto una lacrima scivolargli lentamente lungo la guancia.

Qualche ora più tardi me ne stavo seduta sull’ultimo gradino dello scalone principale del palazzo, mentre cameriere e maggiordomi mi passavano davanti portando le vivande del banchetto commemorativo che Phil aveva indetto per me. Sospirai:
“E così è un negromante. Ma non riesce ad accettarlo. Perché?” domandai alla gatta che mi sedeva accanto.
“Certe cose non sono facili da comprendere. Essere diversi comporta sempre un notevole senso di responsabilità, ma bisogna essere pronti ad accoglierlo. O se ne avrà sempre timore.” Babette mi parlava senza muovere un muscolo, il che la faceva sembrare semplicemente un felino appisolato sulla scala.
Io sospirai:
“Se Joy non collabora cosa succederà? Le cose saranno molto più difficili?”
“Il problema, Lina Inverse, non è tanto se collaborerà o no. È se collaborerà con noi, o con il nemico…”
“Deduco che con la parola ‘nemico’ tu ti riferisca a Rebecca, non è così? Dopotutto è lei che ha chiamato Joy a palazzo…”
Il pelo della gatta si rizzò leggermente:
“Quella donna è molto più astuta di quanto tu immagini. Ma ogni cosa ti verrà spiegata a tempo debito. Ora ci occorre la parola del cavaliere, la sua collaborazione è necessaria per noi.”
Io roteai gli occhi al cielo. Dannato Joy, perché avere a che fare con lui doveva essere così difficile? Dovevo ammettere che da quando lo conoscevo lo avevo sempre detestato cordialmente, mentre invece ora, alla luce di quanto avevo scoperto, mi faceva solo una grande pena. Ricordavo ancora le parole di Gourry, in cui lo descriveva come un ragazzo taciturno e solitario, tormentato da incubi e strane visioni che lo tenevano sveglio la notte. Ma ora sapevo che a popolare le ore notturne del giovane Joy dovevano essere gli spiriti dei guerrieri caduti in battaglia che gli chiedevano aiuto. Joy disponeva di un potere enorme, quello di poter comunicare con il silenzioso popolo delle tenebre. E io sapevo bene quanto potesse spaventare l’idea di avere tra le mani  una forza così immensa. Quante volte ero stata braccata da demoni e affini desiderosi di sfruttare la più potente delle mie magie?
Joy voleva solo dimenticare di essere quello che era. Io lo capivo, perché c’erano stati momenti in cui  avrei volentieri fatto a cambio con qualunque normale ragazza pur di togliermi di dosso la responsabilità di essere la più potente fra i maghi della penisola. Ma in fondo mi stimavo anche abbastanza da poter tutte le volte prendere un respiro e affrontare le mie paure. Joy, invece, dopo il colloquio con Babette, si era chiuso in se stesso. Voleva solo essere lasciato in pace e l’aveva fatto capire in modo abbastanza esplicito.
“Se il cavaliere non si alleerà con noi” disse la gatta “Dovrai cavartela da sola…”
“Grazie tante!” Ribattei “A questo non avevi pensato quando hai pianificato il delitto perfetto?”
Babette parve punta sul vivo:
“Ho fatto quello che dovevo! Arruolare te come paladina, era questo l’obbiettivo. Joy… come ti ho già spiegato, non ho il potere di persuaderlo. Deve scegliere da solo.”
“Se Joy è il nostro asso nella manica, Babette, siamo tutti spacciati.”
Babette sembrava offesa. Restammo sugli scalini in silenzio, dopodiché mi alzai e mi diressi verso la sala da pranzo:
“Dove vai, Lina Inverse?”
“Vado a vedere cosa stanno mangiando. Se devono banchettare in mio onore, sarà meglio per loro che lo stiano facendo in modo adeguato! E visto che a breve, a quanto pare, saremo tutti allegramente morti su questo pianeta, spero che si godano la cena: potrebbe essere l’ultima per loro.” E con quest’ultima affermazione le diedi le spalle giurando a me stessa che non avrei mai più guardato un gatto con sguardo amorevole in tutta la mia vita. O morte. O quel che era, accidenti!

Il banchetto in mio onore, dovetti constatare non appena misi piede nella sala da pranzo, sembrava un vero e proprio funerale.
Alla tavolata sedevano solo le persone che mi erano più vicine. Tutte meno una, notai con sgomento. Amelia sedeva al fianco di Phil, entrambi avevano lo sguardo stanco e gli occhi rossi. Era la prima volta che vedevo quei due in quello stato. Sembravano sconfitti, e questo mi fece male.
Davanti ad Amelia c’era Zelgadiss, composto e silenzioso come sempre, ma il suo aspetto non era meno trasandato di quello dei regnanti di Sailunne. Aveva solo la fortuna di essere fatto di pietra, cosicché su di lui non risaltavano i segni della stanchezza. Più discosti c’erano Nayden, Hermann e Joy, che sollevò lo sguardo su di me per poi riabbassarlo subito dopo, nero in viso. Davanti a lui era apparecchiato un posto vuoto.
Un nodo mi strinse lo stomaco.
“Dov’è Gourry?” gli domandai, avvicinandomi.
“Hermann, mi passeresti il pane?” Chiese Joy, ignorandomi.
L’omone sollevò il cesto del pane e lo passò al suo capo.
“Sono lieto di vedere che vi siate rimessi in salute…” Disse in quel momento Phil ai due mercenari, nel penoso tentativo di avviare una conversazione.
“Vi dobbiamo molto, maestà. La vostra ospitalità è pari solo al vostro buon cuore” disse Joy. Una frase che risuonò stranamente vuota e fasulla nella sala. O, forse, solo alle mie orecchie.
Phil annuì: “Non vi preoccupate, è mio dovere aiutare i bisognosi! E subire un ammutinamento dal proprio esercito deve essere veramente un’esperienza tremenda…”
Drizzai le orecchie. Ammutinamento? Quindi era per questo che Joy ed Hermann erano ridotti in quello stato al loro ritorno a Sailunne? L’esercito si era rivoltato contro al proprio capitano?
Herman emise un sospiro triste.
“Certo, tornare e scoprire quello che è accaduto è stato terribile…” balbettò, gli occhi lucidi.
Joy roteò gli occhi al cielo e tirò un calcio negli stinchi al suo soldato, l’unico che era rimasto al suo fianco:
“Cerca di ricomporti, Hermann! Siamo in presenza di un principe!” sibilò.
Lo sguardo di Phil si rabbuiò:
“Questa tragedia inaspettata è stata un vero colpo per tutti noi. Ma sappiate che farò di tutto per trovare e punire il colpevole. Lo giuro sulla corona di Sailunne!”
Vidi Amelia asciugarsi una lacrima e Zel assumere uno sguardo rispettoso. Nayden scrutava il principe con occhi attenti, mentre sentii Joy borbottare tra sé e sé:
“Statene certo maestà, le occorreranno però una ciotola di latte e un gomitolo di lana per catturare questo feroce assassino…”
“Non è divertente!” lo apostrofai.  
“Lo sai cosa non è divertente?” sussurrò Joy, tra il rumore dei coltelli e delle forchette. “Avere a che fare con te e con questa faccenda. Io e te non abbiamo altro da dirci, Inverse, e dillo anche a quel dannato gatto.”
Aggrottai le sopracciglia:
“Sei un vigliacco, Joy. L’ho sempre sospettato, ma adesso finalmente ne ho le prove. Hai avuto l’occasione, per una volta, di fare qualcosa di buono… e l’hai sprecata. Perfetto, chi lo vuole il tuo aiuto? Me la sono sempre cavata da sola, lo farò anche questa volta.” E così dicendo mi voltai ed uscii a grandi passi dalla sala da pranzo.
Con o senza Joy, ero Lina Inverse. E Lina Inverse trovava sempre una soluzione.

Cercai Gourry nelle sue stanze, nei giardini e nel tempio, ma di lui non c’era traccia. A quel punto un sottile filo di apprensione cominciò a pervadermi. Camminavo sotto alla pioggia scrosciante, quando la voce di Babette mi raggiunse:
“Il tempo stringe, Lina Inverse. Cosa pensi di fare?”
Sospirai:
“Potrai contare su di me, Babette. Sappi che non approvo assolutamente il modo in cui hai deciso di coinvolgermi in questa faccenda, ma ormai ci sono dentro e rivoglio indietro la mia vita, costi quel che costi. Ma su Joy non farei troppo affidamento,  anche se al contempo non mi preoccuperei affatto che passi al nemico: è troppo codardo per farlo.”
“Io posso ridarti ciò che ti ho sottratto, Lina Inverse, ma solo a patto che tu vinca. La strada è lunga e ci saranno molte prova da affrontare…” Il pelo argentato della gatta si andava inzuppando di pioggia.
“Sono disposta a tutto per riavere la mia vita.”
Babette mi rivolse uno sguardo penetrante.
“Bene. E… grazie.”
“Non ringraziarmi, Babette, lo sai come si dice? Non dire gatto finchè non ce l’hai nel sacco…”
“Mi sembra appropriato. Allora ti ringrazierò quando tutto sarà finito.”
Ci scambiammo una lunga occhiata, dopodiché la gatta aggiunse:
“Se stai cercando il tuo amico, si trova su una delle torri.”
Mentre lo diceva stavo già correndo verso il palazzo.
Quando raggiunsi la cima della torre, per poco non mi mancò il fiato. Gourry, indifferente alla pioggia e alle raffiche di vento, stava appoggiato al parapetto guardando verso il vuoto. E lui odiava il vuoto. I capelli, corti e scomposti, si erano appiccicati alla fronte e al collo, mentre la tunica e i pantaloni erano completamente zuppi di acqua. Per un istante temetti che fosse salito fin lassù per lanciarsi di sotto. Ma poi dovetti ricredermi. Gourry non aveva più lo sguardo folle e  iniettato di sangue  che gli avevo visto quando si era tagliato le vene davanti ai miei occhi. Sembrava solo… Sconfitto.
“Gourry…” dissi, avvicinandomi a lui. “Che ci fai qua? Tu detesti l’altezza…”
E che altezza! pensai, buttando un’occhiata di sotto e rabbrividendo io stessa.
Ma Gourry, per una volta, sembrava indifferente al fatto di trovarsi a parecchi metri da terra. Come se anche la più terribile delle sue paure fosse diventata un’inezia davanti al buio che aveva dentro.
Mi sedetti sul parapetto, al suo fianco. Il suo sguardo era smarrito.
“Coraggio Gourry, tornerò. Dovrò sconfiggere un cattivo un po’ rognoso, come al solito. La solita solfa, insomma. Devi fidarti: passerà anche questa” dissi, provando a posare una mano sulla sua.
Una lieve increspatura si formò tra le sue sopracciglia, e per un momento ebbi l’impressione che mi avesse sentito, ma poi dovetti ricredermi: Gourry sollevò la mano destra, portandosela alle labbra, e bevve da una bottiglia dal contenuto inequivocabile. Oh, fantastico.
Ora, non che io abbia qualcosa in contrario alla sbronze, credetemi. Ma vedete, quando si ha già tentato il suicidio una volta e ci si trova sulla cima di una torre molto, molto alta, con una bottiglia in mano… Non è una buona cosa. Davvero no.
Gourry bevve una lunga sorsata, poi appoggiò con calma la bottiglia sul parapetto:
“Lo sai Lina, non fa così paura l’altezza…” un sorriso triste comparve sul suo volto. Era orribile vederlo sorridere in quel modo. “Non fa paura per niente, anzi! Io ti ho sempre mentito, Lina” gridò, rivolto al buio “Ti ho sempre fatto credere di temere l’altezza più di ogni altra cosa, ma non era così. Io avevo paura di perdere te, più di tutto. E ora che è successo, beh… Me ne frego dell’altezza!” urlò, e riprendendo la bottiglia la sollevò al cielo. “Alla vostra salute, potenti dei: ci schiacciate come mosche solo per il vostro divertimento. Che voi siate dannati!”
“Gourry falla finita! Ci manca solo che ci si mettano pure gli dei a incazzarsi in questa storia!”
Gourry si pulì la bocca con la manica zuppa della tunica, respirando affannosamente: “Ora mi direte anche voi che dovrei lasciarla andare, non è così? Ma io…” infilò una mano in tasca, estraendone uno sgualcito pezzo di stoffa nero: la mia bandana magica. Se lo portò alle labbra, inspirandone a fondo il profumo.
“Ma io non posso. Non posso lasciarla andare.” Strinse la bandana nel pugno chiuso fino a farsi sbiancare le nocche.
“Mi avete sentito? Non la lascerò andare. Continuerò a chiamare il suo nome, e voi… voi dovrete riportarla da me. Dovete riportarla da me…” La sua voce si incrinò. Era come se improvvisamente gli si fosse formato un nodo in gola. E quel nodo non si era ancora sciolto da quando ci eravamo lasciati, la sera prima. Appoggiò la fronte contro alla bandana, e lo vidi contrarre la mascella con violenza.
“Lina…” balbettò. “Torna da me… torna da me…” si piegò sullo strapiombo e il suo palmo slittò sulla superficie scivolosa del parapetto. Per un attimo trattenni il fiato, credendo che sarebbe precipitato, ma Gourry si limitò a inciampare e cadere a terra. Nel tentativo di rimanere aggrappato al muro merlato, però, aprì la mano e la mia bandana volò via, perdendosi nel buio della notte.
“No!” gridò, cercando di rimettersi in piedi e sporgendo il braccio nel vuoto, inutilmente.  “Non te ne andare, non lasciarmi! Lina!”
Il mio cuore si accartocciò. Le urla di Gourry sovrastarono il frastuono della pioggia.
“Perché mi hai fatto questo? Perché te ne sei andata? Come pensi che possa continuare a vivere senza di te?”
Le lacrime cominciarono finalmente a sgorgare dai suoi occhi e Gourry si afflosciò sotto alla muratura della torre. Si piegò su se stesso, singhiozzando convulsamente. Io mi inginocchia al suo fianco:
“Gourry, ti prego, non fare così: io non ti ho lasciato!” Cercai di scuoterlo, ma le mie mani lo attraversavano e lui si rannicchiava sempre di più, fino a ritrovarsi sdraiato tra la fanghiglia del suolo. Non smetteva di tremare e singhiozzare, biascicando parole senza senso. Beh….Bisogna dire che era anche parecchio sbronzo. Pensai ad un modo per convincerlo ad alzarsi e tornare in sé, e in quel momento vidi che due braccia che,spuntate dal nulla, lo stavano sollevando da terra.
All’improvviso mi resi conto che Joy era al mio fianco e stava aiutando Gourry a rialzarsi. Lo guardai con la bocca spalancata, ma Joy mi esortò a farmi da parte:
“Lascia stare ragazza-prodigio, ci penso io” disse, secco, incurante del fatto che Gourry potesse sentirlo, cosa che in effetti era abbastanza improbabile, dato lo stato in cui si trovava.
“È ubriaco fradicio” dissi, indicando la bottiglia vuota che era caduta poco più avanti.
“Già.”
“Come sapevi dove eravamo?”
“Me l’ha detto lo stramaledetto gatto parlante. Ti aiuto a portarlo in camera, niente di più.” chiarì Joy.
Che dire? Da lui non mi aspettavo niente di più. Annuii energicamente, cercando di non dare a vedere quanto fossi scossa nel vedere Gourry ridotto così.
La mia valorosa guardia del corpo si stava disfacendo un pezzo alla volta sotto i miei occhi impotenti. Dovevo sbrigarmi a tornare prima che di Gourry non rimanessero che briciole.
Joy riuscì a mettersi un braccio dello spadaccino intorno alle spalle e a trascinarlo fino alla sua stanza, dove lo adagiò sul letto, stremato.
“Coraggio amico, fatti una dormita…” cercò di confortarlo, dandogli una pacca sulla spalla. Gourry aprì gli occhi, ancora umidi di lacrime, guardandosi attorno smarrito.
“Joy…” balbettò. “Perché è successo a lei?”
Joy inspirò.
“Succede a tutti, Gourry. Presto o tardi, succede a tutti.”
Gourry non colse il senso profondo contenuto nelle parole del mercenario.
“Non ce la faccio. Non posso vivere senza di lei…” singhiozzò, affondando la testa nel cuscino. Joy mi parve particolarmente turbato.
“Gourry…” disse, piano. “Che vai farneticando? Certo che ce la farai… Fino all’altro ieri pensavi di farcela, almeno. Non volevi partire e lasciartela alle spalle?”
Era la cosa sbagliata da dire, Joy se ne rese conto quando vide l’amico impallidire e scuotere la testa, il viso rigato di lacrime.
“Che idiota sono stato. Pensare di vivere senza Lina… io la amo, l’ho sempre amata. Senza di lei non sono niente.”
Solo a quel punto una scintilla di comprensione si accese nello sguardo del mercenario. Rimase silenzioso alcuni secondi, seduto sul letto accanto all’amico, poi si alzò lentamente e si avviò nella mia direzione, superandomi per uscire.
Solo quando fu un passo dietro di me lo sentii sussurrare:
“Non mi avevi detto che ti amava.”
Non dissi niente, non ce ne era bisogno. Joy si era accorto prima di me quanto forti fossero i miei sentimenti per Gourry, ma aveva volutamente ignorato quelli che Gourry provava per me.  
“Questo cambia le cose” proseguì Joy. “Ti aiuterò. Lo farò per Gourry, perché gli devo molto…”
“Bene” Fu tutto quello che riuscii a dire. Volevo solo andare da Gourry in quel momento, e fu quello che feci non appena Joy ebbe varcato la porta.
Mi raggomitolai al suo fianco, posandogli la fronte sotto al mento, mentre i suoi singhiozzi si andavano acquietando:
“Tornerò da te Gourry, te lo giuro. Dovessi mettere sottosopra questo mondo e gli altri esistenti. Io… ti appartengo. È buffo, sai? Ho sempre creduto di appartenere solo a me stessa, ma non è così: da sola non ce la faccio nemmeno io. Io sono tua, e tornerò da te. Te lo giuro.”



***


Corsi giù dagli scalini scendendoli due a due. Negli occhi avevo ancora quell’immagine… Nelle orecchie la sua voce mi martellava ancora i timpani.
“Io sono tua.” Gli aveva detto la ragazza fantasma. “Sono tua.”
Come potevo, a quel punto, tirarmi indietro? Persino per uno come me, per uno che non era mai appartenuto a nessuno e che nessuno aveva mai voluto… era chiaro il concetto.
Non potevo tirarmi indietro.
Corsi sotto alla pioggia del cortile, fermandomi, senza fiato, sotto alla tettoia di uno dei templi del palazzo.
Sentivo che le mani mi tremavano.
Ma perché proprio a me? Perché non potevo essere lasciato in pace?
Cercai tra le tasche una sigaretta e la presi fra le dita.
Era la mia condanna, quella. E questa volta non avrei potuto sottrarmi al destino. Lo dovevo a quell’uomo che mi aveva dimostrato amicizia e lealtà negli anni più cupi della mia vita. E lo dovevo a chiunque gli appartenesse.
Presi un fiammifero e cercai di accenderlo, ma le mani mi tremavano talmente tanto che la sigaretta mi cadde nell’acqua di una pozzanghera. Fu quello il momento in cui cedetti. Mi portai le mani agli occhi e mi lasciai scivolare lungo la parete viscida del tempio.
Forse, quella volta, lo dovevo anche a me stesso. Per una volta non sarei scappato. Avrei affrontato il mio buio, l'ombra che avvolgeva il mio cuore.
Se quello che ero significava avere la notte negli occhi, vedere cose che non dovevano essere viste, conoscere mondi che la luce e la vita ripudiavano… L’avrei accettato.
E avrei riportato a casa quella pestifera maga dai capelli di fiamma.

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Capitolo 12
*** Noi ***


capitolo 11
Noi

"Non è così raro per un uomo avere un problema,"
"Sì, hai ragione.” Disse l’uomo dai capelli neri, sporgendosi in avanti verso Gourry.
"Ma, visto che anch’io sono un uomo, ti do un consiglio. Non mostrare mai i tuoi problemi alla ragazza di cui ti innamori."
(‘Ciò che riesce a vedere oltre la punta della sua spada’, Hajime Kanzaka)

In quanti punti può strapparsi un’anima quando il cuore va in pezzi?
Ve lo siete mai chiesto? Io no. Non fino a quel momento, almeno.
Un soffuso chiarore rischiarò la stanza. Finalmente, dopo giorni, una mattina senza pioggia.
Come se la cosa potesse importarmi. Ma almeno, l’alba era arrivata. C’erano stati momenti, durante quella notte, in cui ne avevo dubitato.
C’erano state lacrime, quella notte; c’erano stati singhiozzi, grida disperate e un’anima che si sgretolava davanti ai miei occhi. Era così che Gourry mi aveva detto addio, consapevole finalmente della mia assenza, ma all’oscuro  del fatto che fossi al suo fianco.
E in quel momento, stremato, dormiva tra le lenzuola sfatte: le palpebre gonfie a nascondere gli occhi rossi, le vesti stazzonate, l’anima lacerata.
Perché le cose che sono cucite insieme, le devi strappare per dividerle.
Guardai Gourry e sospirai al pensiero di quello che mi aspettava una volta varcata la soglia di quella stanza: un gatto con manie omicide e un negromante con la fobia dei morti.
Fantastico.
Sconfortata da quel pensiero considerai fosse giunto il momento di cominciare a darsi da fare per risolvere quel problema: prima avrei rispedito questo Signore delle Ombre nel suo regno di anime defunte, prima quella situazione non sarebbe stata altro che uno spiacevole ricordo.
Per me e per tutti quelli che amavo.
Mi chinai verso Gourry, sfiorandogli la guancia con la punta del naso. Le lacrime salate si erano cristallizzate sul suo bel volto.
“Tornerò da te” ripetei ancora una volta, quasi a volermelo imprimere a fuoco nell’anima, come un mantra incoraggiante. Sapevo che quel pensiero mi avrebbe confortato persino davanti ad ostacoli insormontabili.
“Tornerò da te.”

Joy mi fissava. Era fastidioso. Molto fastidioso.
Seduto davanti a me, consumava la sua colazione masticando lentamente, mettendoci il triplo del tempo che ci avrei messo io davanti allo stesso piatto.
Era odioso e lento. Non capivo in che modo saremmo mai potuti andare d’accordo io e lui.
“Si può sapere che diavolo hai da guardare?” Sbottai infine, esasperata.
Joy scrollò le spalle, e si cacciò in bocca una forchettata di uova strapazzate, facendomi venire l’acquolina in bocca.
“Allora?” lo sollecitai, non sapendo se ero più irritata dai suoi modi o invidiosa dal suo stomaco che poteva riempirsi.
“Niente, sei strana” disse alla fine, stando bene attento a non farsi sentire dagli altri commensali che conversavano qualche sedia più in là.
“Sono morta, non sono strana” sbuffai, appoggiandomi contro allo schienale della sedia. Amelia, Zel e Phil avevano consumato una colazione veloce e silenziosa poco prima, alzandosi quasi subito per andare ad occuparsi dei numerosi problemi che incombevano su Sailunne: una duchessa scomparsa, un pericoloso assassino ancora a piede libero, ed una cara amica morta stecchita.
Da quando Anouk era sparita senza lasciare tracce, Rebecca e Camelia non si facevano più vedere a palazzo, rimanendo barricate nell’ala del castello che Phil aveva messo loro a disposizione.
Forse pensavano che mostrare il proprio dolore non fosse degno del loro rango. O forse temevano qualcosa… In fondo erano venute a Sailunne per cercare protezione.
Io ero solo dispiaciuta per Phil, perché quei due giorni terribili erano bastati a fargli perdere il suo consueto entusiasmo: pareva invecchiato di vent’anni mentre di districava tra tutte quelle tragedie.
Joy bevve una sorsata di caffè, dopodiché aggiunse: “Per strana non mi riferisco al fatto che sei morta. O mezza-morta.”
“Quindi?” Gli chiesi alzando un sopracciglio. Non mi piaceva che mi si ricordasse la mia attuale condizione, in quel momento.
“Mi hanno raccontato cose terribili su di te. Cose che avrebbero fatto rizzare i capelli sulla testa persino a un demone; cose leggendarie, oserei dire.” Il tono di Joy si fece ancora più basso, quasi cospiratorio. “Sai cosa si dice sul tuo conto?” Mi domandò. Io roteai gli occhi al cielo: “Fammi indovinare: sterminatrice di banditi, ammazza draghi, sacro terrore dell’associazione dei locandieri…” Cominciai ad elencare, cercando di ricordarmi ogni fantasioso appellativo con la quale ero stata definita.
Joy scosse la testa: “Stronzate a parte” specificò.
Feci spallucce: “Impressionami.”
Joy spostò il piatto, ormai vuoto, e si mise ad arrotolare una sigaretta sul tavolo. Sapeva che trovavo vomitevoli le sue maledette sigarette. La sua voce uscì dalle sue labbra come un soffio:
“Si dice che tu abbia in te la potenza del caos. Che avresti potuto distruggere questo mondo, e gli altri esistenti… Solo per un capriccio”
Rimasi di sale. Poi, vedendo che Joy non aggiungeva altro, domandai:
“Chi te lo ha detto?”
“Un uccellino” replicò sarcastico il mercenario, sigillando con la saliva la carta della sigaretta. Poi, vedendo il mio cipiglio, si limitò ad aggiungere: “Me l’ha detto la gatta, stanotte.”
 Rimasi in silenzio, pensierosa. A quanto pareva Babette sapeva sul mio conto molte più cose di quanto avrei desiderato. Ovviamente si era informata a dovere prima di scegliermi come alleata. Ma questo non mi faceva decisamente saltare di gioia: cosa prevedeva che avrei dovuto affrontare se aveva rivelato a Joy che ero in grado di castare un Giga Slave?
Ma, proprio in quel momento, a disturbare i miei pensieri, intervenne una voce nota, accompagnata da un sorriso sfavillante: “Siamo mattinieri, vedo” disse Nayden, che era apparso in tutta la sua scintillante bellezza al fianco di Joy, il quale grugnì in risposta.
Nayden non parve offeso dalla scortesia del fratello; scostò una sedia dal tavolo e sedette al suo fianco: “Allora Joy, hai intenzione di mettere radici a Sailunne?”
“Se anche fosse?”
“Dimmi quali sono i tuoi progetti. Il tuo uomo di fiducia, l’unico che ti è rimasto del tuo esercito di traditori, mi stava dicendo che ieri scalpitavi per andartene il prima possibile. Cos’è, hai cambiato idea?”
“No.”
Nayden si appoggiò allo schienale della sedia, fissando suo fratello con gli occhi ridotti a due fessure.
“Io rimango a Sailunne. Voglio scoprire chi ha assassinato la maga” disse quindi, facendomi trasalire. Joy levò un sopracciglio: “Non mi pare di avertelo chiesto. Ma dato che sembri in vena di confidenze, posso chiederti perché?”
“Rispetto… credo” Nayden parve rifletterci. “Stimavo Lina Inverse. Non riesco ancora a credere che qualcuno possa averla avuta vinta così facilmente. E poi ci sono le duchesse: hanno bisogno di aiuto e protezione.”
“Che animo nobile” commentò sarcastico Joy.
“Ti infastidisce, vero?”
Joy sbatté le palpebre: “Perché dovrebbe infastidirmi? Di quello che fai e pensi, con rispetto parlando, non me può importare di meno.”
 “Io credo di sì, invece. Ti infastidisce che io possa avere una buona causa, vero? Perché è questo che tu non hai mai avuto, in tutti questi anni di vagabondaggi: una buona causa.”
Supponevo che Nayden avesse appena toccato un nervo scoperto. Joy diventò rosso di rabbia, cercò di ribattere, poi ci rinunciò e si sollevò dalla sedia.
“Te le lascio volentieri le buone cause, del resto in famiglia sei sempre stato tu quello con la vocazione da eroe.”
Nayden scosse la testa: “Tu invece sei sempre stato quello con la vocazione al martirio. Ti sto solo dicendo che apprezzerei molto il tuo aiuto in questa situazione.”
“Di quale aiuto può avere bisogno il grande Nayden?”
Il mago attese qualche secondo, poi afferrò il braccio di suo fratello, con un gesto talmente rapido da farmi sobbalzare, sussurrando:
“Se sai qualcosa, qualunque cosa, sulla morte di Lina Inverse…” Ma Joy non lo lasciò nemmeno proseguire. Si divincolò, lanciando a Nayden un’occhiata gelida.
“Non contarci” replicò. “Me ne frego di tutta questa situazione, e dovresti farlo anche tu.”
Nayden non mollò la presa che aveva su di lui, e avvicinando il viso al suo sibilò: “La nonna aveva ragione. La tua anima è nera come i demoni che la abitano.”
Il volto di Joy si fece cinereo. Tuttavia la sua espressione rimase neutra.
“Cosa vuoi che ti dica, fratellino? Il nero mi ha sempre donato” disse solo, prima di darci le spalle e andarsene a grandi passi.

Quando finalmente riuscii a raggiungerlo, lo trovai che fumava furibondo appoggiato a una delle colonne del tempio. Mi affiancai a lui, silenziosa. Non avevo bisogno di chiedergli per quale motivo avesse taciuto tutto a Nayden: Babette aveva specificato che le questioni dei morti riguardavano i morti, e dopotutto Joy non doveva detestare poi così profondamente suo fratello visto che in fondo voleva solo risparmiargli dei guai.
Sedetti su uno scalino, e aspettai che Joy finisse la sigaretta. Dovevamo trovare Babette per poterci, finalmente, mettere in viaggio verso Solaria. Prima partivamo e prima quell’incubo avrebbe avuto fine.
“Non dici niente?” mi domandò, guardando verso il cielo. Gli rivolsi un’occhiata perplessa. Joy buttò la cicca, si scrollò e sedette al mio fianco: “Non ci siamo mai presi. Lui è così… perfetto. Mentre io… sono solo io ” mormorò.
“Nessuna famiglia è perfetta” dissi, cauta, pensando alla mia famiglia. “Se ti può consolare, nemmeno io sono mai andata troppo d’accordo con mia sorella. Me ne sono andata di casa presto, proprio per questo motivo. Per fortuna, Luna non ha mai avuto l’impulso di seguirmi per sapere se stavo bene. Nayden, quantomeno, si preoccupa per te” aggiunsi, fissandomi la punta degli stivali.
Joy attese qualche secondo, poi mi domandò: “Perché te ne sei andata?”
Sollevai lo sguardo e i miei occhi si persero nel cielo.
“Per andare dove nessuno aveva mai avuto il coraggio di andare. Per imparare. E per essere una persona diversa e… Migliore, suppongo”
“E ci sei riuscita?”
I miei occhi si riabbassarono.
“Non lo so. Però ho conosciuto qualcuno che mi ha insegnato che, in fondo, andava bene anche così. Ero perfetta così come ero.”
“Già.”
“Già.”
Rimanemmo in silenzio alcuni secondi.
“Joy…” Non sapevo perché, ma improvvisamente sentii il bisogno di dirglielo. “Tornando al discorso di prima… quella volta, sai, il mio non è stato un capriccio. E non me ne pento, anche se le conseguenze avrebbero potuto essere… disastrose. L’ho fatto per un motivo ben preciso.” Se dovevamo essere compagni d’avventura era bene che sapesse che non consideravo il mio più grande errore un errore. L’avrei rifatto mille volte ancora, se fosse stato necessario.
Joy sospirò: “Lo sospettavo, ed è proprio questo il problema, Lina. È questo che ti rende diversa dalla maggior parte delle persone: chiunque, nella tua situazione, si sarebbe imposto dei limiti. Tu no. Ma la tua posizione, in questo momento, non te lo consente. Lo sai quanto rischi? Sei in bilico su una linea: un passo avanti, e sei fregata.”
Quelle parole fecero riaffiorare qualcosa nei miei ricordi… Un fiume freddo, i miei piedi immersi nell’acqua, e una voce suadente e inquietante al tempo stesso che mi spingeva a proseguire.
“Come lo sai?” Strabuzzai gli occhi, guardando Joy “Asp… Aspetta. Tu puoi vedere la linea di confine? Riesci a scorgere il punto in cui sono bloccata?”
Joy distolse lo sguardo dal mio: “Più o meno, e in maniera molto confusa.”
“Ma quindi…” Il mio sguardo si sgranò “Puoi anche riportarmi indietro? Joy, tu lo puoi fare?”
Ma prima che potessi udire la risposta del mercenario, una voce miagolante si intromise nel discorso:
“Potrà farlo, ma ad una sola condizione.”
La gatta aveva uno sguardo e sornione e placido, gli occhi appena dischiusi sotto al riverbero del sole che faceva splendere la sua pelliccia argentata. Si accoccolò sullo scalino sopra a quello su cui sedevamo noi.
“Dobbiamo considerare una tua prerogativa quella di spuntare sempre dal nulla e senza il minimo preavviso?” chiesi, non ancora abituata del tutto a rivolgermi ad un gatto.
“No, a quanto pare è tipico di ogni gatto” rispose lei, lasciandomi ammutolita.
In effetti, anche io avevo sempre sospettato che i felini possedettero il dono del teletrasporto oltre a quello dell’ubiquità. O forse, semplicemente, potevano rendersi invisibili e visibili a loro piacimento, chi poteva dirlo? Era meglio non indagare.
“D’accordo, lasciamo perdere… Quale condizione?”
Ovviamente, resuscitare non poteva essere così semplice come chiedere a Joy di farlo.
Peccato.
Babette dischiuse  appena gli occhi, scoprendo una sottile mezzaluna d’ambra.
“In questo momento Joy possiede solo la vista. Può vedere te Lina, e può vedere oltre la membrana che separa il mondo di sopra dal mondo di sotto. È il suo dono, quello di avere la notte negli occhi e indagare le ombre.”
Sentii Joy che si irrigidiva al mio fianco. Evidentemente, il fatto di aver accettato di aiutarmi non significava che avesse accettato anche  il lato scuro del suo essere.
Babette gli rivolse un’occhiata pensierosa.
“Joy è potente, molto più di quanto immagina” disse, parlando di lui come se lui non fosse lì. “tuttavia… Nessun negromante può compiere un sortilegio come quello di risvegliare dalla morte senza l’Akan.”
Non avevo la più pallida idea di cosa stesse parlando Babette. Mi voltai verso Joy, sperando di cogliere una scintilla di comprensione nel suo sguardo, ma rimasi delusa. Il mercenario, a quanto pareva, ne sapeva quanto me.
“Akan?” Chiesi, perplessa.
Babette mosse la coda. Cattivo segno.
“L’Akan è uno dei sette strumenti magici più potenti del nostro mondo. È  il richiamo che può attirare da qualunque distanza, la melodia capace di risvegliare il sonno più profondo, come quello eterno. L’Akan è il bastone del negromante, ed è stato sequestrato anni fa al suo possessore, per essere custodito qui a Sailunne, la sacra città della magia bianca.”
Io e Joy ci scambiammo un’occhiata perplessa:
“Sequestrato?”
“Proprio così. L’ultimo negromante a impugnarlo è stato il duca di Solaria, l’ultimo discendente di una lunga stirpe di negromanti. L’Akan è appartenuto a quella famiglia per lunghi secoli. Fino all’incidente che ha reso i confini di questo mondo e quell’altro troppo fragili e sottili. Il principe di Sailunne, a quel punto, ha ritenuto necessario allontanarlo dalla porta di specchi. Venne stipulato un accordo tra questo regno e il ducato di Solaria: l’Akan doveva essere custodito, nascosto, tenuto segreto, perché il suo potere era troppo grande e pericoloso.”
 “La porta di specchi?”
“La porta di specchi è un passaggio, Lina. Il passaggio tra il mondo dei vivi e quello dei morti: l’imbocco è situato proprio a Solaria, e tutti i negromanti che si sono susseguiti nei secoli, uno dopo l’altro, hanno giurato di custodire quel confine. Da quando il duca è morto senza eredi, non c’è nessuno a guardia della porta. Venti malvagi spirano da quel passaggio e l’Akan, adesso, servirà a noi per impedire che ne fuoriesca qualcosa.”
“Hai detto che tutti i duchi che si sono susseguiti avevano il dono della negromanzia?”
“Sì, il fatto di poter comunicare con gli spiriti è un dono che si trasmette col sangue, di generazione in generazione.”
“Quindi, riassumendo: niente eredi maschi, niente custodi, dico bene? Dobbiamo necessariamente accontentarci di Joy.”
Il mercenario mi rivolse un’occhiata offesa.
“Joy può farcela. Il suo potere è molto forte, ma prima, dovrete rubare l’Akan” proseguì Babette. Sembrava nutrire una fiducia assoluta in Joy, contrariamente alla sottoscritta.
“Rubare? Non avevi specificato che si trattava di un furto!”
“Credevo fosse implicito” Babette non si scompose.
D’accordo, in effetti dovevo ammettere che non si poteva semplicemente mandare Joy a chiedere questo benedetto Akan a Phil. Ve la immaginate la scena?
“Salve principe, sono un apprendista negromante e mi chiedevo se non potessi fare un po’ di pratica con il prezioso e potentissimo strumento che lei tiene confiscato qui a Sailunne per ragioni di sicurezza. Prometto di riportarlo, dopo che l’avrò usato per salvare il mondo da una terribile minaccia.”
“Ma certo figliolo, lascerò volentieri l’Akan nelle mani del primo che passa se è per la pace e la giustizia!”
Mmmh… Pensandoci bene Phil avrebbe potuto veramente pronunciare una frase del genere.
Ad ogni modo…
“Ricapitoliamo: rubiamo l’Akan, ci dirigiamo a Solaria, sconfiggiamo i cattivi, ripristiniamo l’ordine e riportiamo l’Akan a Phil. A quel punto Joy mi farà tornare normale? È una questione che mi preme chiarire, se mi capisci.”
“Naturalmente, Lina.”
Avete mai fatto caso a quanto può essere ambiguo il sorriso di un gatto?
Sospirai.
“Affare fatto. Dov’è questo Akan?”
“Ti ringrazio per avermi interpellato!” Si inalberò Joy “Ti ricordo che sarò io quello che dovrà avere a che fare con questo affare.”
“Taci, Joy. Se non te ne fossi accorto, ormai siamo in ballo: dobbiamo ballare! Allora, andiamo a prenderlo?”
Joy incrociò le braccia al petto e sprofondò in un silenzio imbronciato.
Babette aveva proprio l’aria del gatto che ha mangiato il canarino.
“Ci penseremo questa notte. Questo è un lavoro che va fatto con il favore dell’oscurità”
In quel caso, mi scocciava ammetterlo, i canarini eravamo proprio io e Joy.

“Ci hai messo in un bel casino, Inverse.”
“Parla per te, io ero già in un bel casino!”
Babette ci aveva lasciati e io scalpitavo, in preda all’impazienza. Avere l’Akan significava avere un vantaggio, e avere un vantaggio significava moltiplicare le probabilità di uscire vittoriosa da tutta quella storia.
“Certo che è proprio una bella gatta da pelare. Senza offesa per quella bestiaccia, ovviamente.”
Roteai gli occhi al cielo.
Ma un negromante affabile e intraprendente che facesse il lavoro al posto di Joy secondo voi ero ancora in tempo a trovarlo?
Stavo per ribattere, quando una voce assai nota mi distrasse, facendomi perdere il filo del discorso.
Gourry saliva stancamente gli scalini del tempio. Si era cambiato d’abito, notai, ma supponevo non l’avesse fatto volontariamente. Ci vedevo dietro lo zampino e l’insistenza di Amelia.
Era Gourry, maledizione, bello come un dio, ma…
Fu quello che aveva tra le mani a spezzarmi il cuore: un piccolo mazzo di fiori, bianchi. Se aveva deciso di portarmi dei fiori, voleva dire che per lui ero proprio andata. Scivolata via per mai più tornare.
Voi portereste fiori sulla tomba di qualcuno se pensaste di riuscire a rivederlo?
Appunto.
“Ciao, Gourry. Dove te ne vai di bello?”
Le parole del mercenario caddero nel vuoto. L’idiozia di quella domanda era evidente. Joy provò a rimediare.
“Ti va di farmi compagnia mentre fumo una sigaretta?”
Gourry sospirò e sedette esattamente tra me e Joy. Beh, lui probabilmente era convinto di essere seduto solo al fianco di Joy.
“È proprio necessaria la sigaretta?” domandai, irritata.
“Taci” replicò Joy.
“Cosa?” chiese Gourry.
“Ecco, dicevo… Taci? Sono fiori ‘taci’, quelli?”
Gourry sembrava confuso: “Non saprei. Non li ho mai sentiti nominare, questi fiori… Come sono fatti?”
“Oh, beh… ecco, è una specie molto rara” Joy era in difficoltà. “Ma, no! Mi sono sbagliato, i fiori taci non sono di queste parti…”
Roteai gli occhi al cielo. Due imbecilli, ero circondata.
Gourry osservò il mazzolino che aveva in mano:
“Ad essere sincero non so che fiori siano… Li ho raccolti nelle serre del palazzo. È  strano, ma non riesco a ricordare quali siano i suoi fiori preferiti…” La voce gli si smorzò un po’.
“Sono fiori molto belli…” Intervenne Joy, rollando il tabacco tra le agili dita. “Ad ogni modo, se fossi in te non le porterei dei fiori. Non mi sembrava il tipo, dopotutto.”
Gourry abbassò lo sguardo:
“Forse hai ragione. Non so nemmeno cosa mi sta passando per la testa. Sono così confuso…”
Joy espirò una nuvola di fumo dalle labbra.
“Comunque” proseguì Gourry “Volevo ringraziarti per questa notte. Ero fuori di me e… credo di aver perso il controllo.”
“Niente ringraziamenti” Joy scosse la mano davanti a sé. “Siamo stati compagne d’arme. Per i  compagni d’arme certe cose sono dovute”
“Già” Gourry sospirò. Ci fu un attimo di silenzio. Avrei tanto voluto poter posare la mia mano su quella dello spadaccino.
“Non so proprio cosa farò senza di lei.”
Joy aspirò una lunga boccata dalla sigaretta. La cenere divenne incandescente.
“Allora non fare niente. Passerà”
Gourry scosse la testa:
“No. Non passerà. Non passerà mai. Lei per me era… Tutto. Tutto.” Lo ripeté due volte. Doveva essere un concetto ben chiaro. Mi sentii inconsolabile per lui, quando avrei dovuto esserlo più per me: in fin dei conti, anche lui per me era tutto.
Il mercenario si accigliò.
“Perdona la mia crudezza, Gourry, ma… perché non me ne hai parlato prima? Non ti avrei mai chiesto di seguirmi se avessi sospettato che la tua vita aveva un senso solo accanto a Lina.”
Gourry si morse un labbro:
“Non me ne volere, non ne ho mai parlato con nessuno. Non ne avevo bisogno, mi bastava starle accanto per sapere che tutto aveva un senso. Tutto sembrava possibile con lei al mio fianco. Tutto sembrava accettabile, persino il mio passato. Lina era l’unica persona in grado di farmi vivere il presente, solo il presente.”
Faticò a pronunciare il  nome che non era più nemmeno un nome; era un ricordo, doloroso.
“Eppure saresti partito.” Joy non demordeva. Lo lasciai fare, in fondo quello era il confronto che non aveva mai avuto con Gourry.
“Sì, sarei partito. Pensavo di doverle rendere una libertà di cui mi ero appropriato ostinandomi a starle accanto, ma…”
Sapevo a cosa stava pensando. La morbidezza delle sue labbra indugiava ancora sulle mie, come una dolce carezza. Che stupida ero stata a metterci degli anni per ammettere di amarlo. Quando si dice morire pieni di rimpianti…
“Ma hai scoperto che non c’era nessuna libertà da restituire perché anche lei voleva stare con te.” Terminò la frase Joy, lanciandomi una breve occhiata. Gourry non replicò, ignaro del fatto che quella fosse la dichiarazione di definitiva sconfitta da parte del suo amico nei miei confronti. Joy sapeva dall’inizio che non volevo lasciarlo andare, sapeva che ero innamorata di Gourry ancora prima che io stessa me ne rendessi conto. E, nonostante questo, aveva fatto di tutto per portarmelo via.
Ora, finalmente, aveva capito di aver combattuto una battaglia persa in partenza. Io e Gourry eravamo una cosa sola.

Restammo immobili sotto al tiepido sole di fine inverno. Uno spadaccino spezzato, una maga fantasma e un negromante particolarmente imbranato.
Che squadra, ragazzi.
Fu la voce di Joy a rompere il silenzio:
“Sai Gourry, secondo me ti sottovaluti. Quando eravamo compagni di ventura, nemmeno io avrei voluto che tu te ne andassi. Credo che tu abbia la rara capacità di creare legami: è stata dura vederti partire da solo, con quella spada troppo grossa sulle spalle. Ti consideravo un vero amico.”
“Lo sai perché l’ho fatto…” La voce di Gourry era quasi un sussurro impercettibile.
“Sì, desideravi la pace che non avevi mai avuto. Era la stessa cosa che volevo anch’io. Ma tu, a differenza mia, devi averla trovata… Per un po’. ” Joy aspirò l’ultima boccata di fumo dalla sua sigaretta.  “Sai, quando ti ho rivisto, in quella taverna, all’inizio di questo viaggio… Ti ho riconosciuto a stento. Qualcosa, nei tuoi occhi, sembrava aver ripreso vita. Eri diverso, sembravi felice. Ti ho invidiato.”
Gourry sorrise amaramente
“Mi invidi ancora?”
“No. Ora ti sono vicino.”
Joy posò una mano sulla spalla di Gourry. Un commovente quadretto di solidarietà maschile.
“Posso farti solo una domanda?” Chiese a quel punto il mercenario, gettando lontano il mozzicone.
“Dimmi…”
“Quando è successo?”
“Cosa?”
“Quando hai detto addio alla tua sanità mentale innamorandoti di lei?”
Evviva la schiettezza! Forse Joy non aveva ancora capito a quali rischi andava incontro con una persona suscettibile quanto la sottoscritta. Gli lanciai un’occhiata che sarebbe bastata ad incenerire un drago: primo, perché non erano assolutamente fatti suoi, e secondo, perché non mi sembrava carino estorcere a Gourry la verità sui propri sentimenti davanti alla diretta interessata.
Ma Joy non colse la ‘lieve’ sfumatura di rabbia nel mio sguardo, oppure scelse deliberatamente di ignorarla.
Quanto a me, d’accordo, ero adirata. Ma anche curiosa.
Mi voltai verso Gourry e, inaspettatamente, per la prima volta da quando era successo quello che era successo, vidi affiorare l’ombra di un sorriso sul suo volto. “Perché lo vuoi sapere?”
Joy fece spallucce “Sei sempre stato uno che rimorchiava, di questo devo dartene atto. Ricordo ancora gli sguardi adoranti delle ragazze che incrociavamo mentre attraversavamo i villaggi durante la guerra: le donne cadevano ai tuoi piedi come mosche. E avresti potuto avere le più belle dame della penisola: occhioni azzurri, fisico atletico, modi da gentiluomo e una famiglia nobile alle spalle. Quando sei partito ho immaginato spesso che ti avrei ritrovato sposato a qualche altolocata nobildonna, invece…” Joy scosse la testa, mentre io provavo l’irresistibile impulso di farlo tacere con una bastonata. “Invece ti ho trovato ancora più squattrinato e vagabondo, ma felice… al seguito della persona più egocentrica e folle che potessi mai conoscere. Perché, Gourry? Cos’aveva Lina per meritare la tua devozione? Come ha fatto lei ha donarti la pace?” Sentivo una leggera sfumatura di rammarico nella sua voce. Ma questo non sarebbe bastato a fermare la mia rabbia nei suoi confronti. Volevo che Gourry si alzasse e se ne andasse. Non volevo sentirlo parlare di me, del nostro rapporto, di quello che ci aveva legato negli anni. Era troppo intimo. Era troppo… doloroso.
Forse avrei potuto andarmene io, a quel punto. Ma quando Gourry parlò, rimasi inchiodata allo scalino del tempio.
“Lina era… la mia casa.” Sorrise debolmente. “Una casa che aveva per tetto il cielo stellato e per pareti il mondo. Che aveva come camera da letto locande e foreste e come cucina osterie alla buona. Una casa in cui potevi sentirti sempre al caldo, persino sotto alla neve. Lina, all’inizio, è stata la ragione al quale mi sono aggrappato per dare un senso al mio vagabondare con quella stupida spada. Avevo bisogno di sentirmi utile, in qualche modo, di sentirmi vivo… E lei era una ragazzina di quindici anni, che attraversava da sola una foresta infestata di banditi.”
Vidi che Joy sollevava un sopracciglio, scettico: “La fanciulla bisognosa e il prode cavaliere?” chiese, con un sogghigno.
“Già, detto così può sembrare il più banale degli stereotipi. Ma la realtà è che lei non aveva affatto bisogno di me, ero io quello che aveva bisogno di aiuto.” Gourry sospirò: “Fino a quel momento mi ero ritenuto un uomo con abbastanza esperienza per poter dire di averne viste tante, ma a lei sono bastate poche ore per ridimensionare drasticamente la visione che avevo del mondo. Non avevo mai conosciuto una persona del genere… E, incredibilmente, mi ha lasciato viaggiare al suo fianco. Finalmente, dopo anni, avevo uno scopo. E lei sembrava così piccola e indifesa, con quella pelle bianchissima e gli occhi grandi, da bambina.  Ma  sapevamo tutti e due che le mie erano solo scuse: se c’era una persona al mondo che poteva dire di sapersela cavare da sola, beh, quella era Lina.”
Gli occhi di Gourry cercarono il cielo: “Sapevo quanto fosse potente, quanto fosse ostinata e caparbia. È  stata l’unica persona al mondo che abbia mai visto prendere un demone a padellate. Eppure, stavo male se si faceva un graffio. Col passare del tempo mi sono reso conto che stavo travalicando quello che doveva essere il mio ruolo. E più la conoscevo, rendendomi conto del suo reale potere, più, nonostante tutto, diventavo apprensivo. Ho cominciato a dormire armato solo per poter essere pronto ad irrompere nella sua stanza in caso di pericolo e ho sviluppato al massimo ogni mio senso, per essere sempre vigile. Anche nei momenti in cui sembravo più rilassato, avrei potuto inchiodare al suolo in meno di due secondi chiunque le si fosse avvicinato più del dovuto.”
Oh, Gourry. E io che pensavo dormisse con la spada per evitare che glie la rubassi nel sonno…
“All’inizio non me ne sono reso conto. Vegliavo su di lei come avrebbe potuto fare un fratello maggiore. Mi inteneriva, volevo che vedesse in me qualcuno di cui fidarsi e a cui ricorrere nel momento del bisogno, ma anche un amico con cui confidarsi, se mai ne avesse avuto voglia.”
‘E ci sei riuscito, cervello di medusa…’ pensai con un sorriso triste. Mi mancavano le nostre chiacchierate.
“Così sono riuscito a ingannarmi, per i primi mesi. Mi ripetevo che Lina era una mina vagante lanciata per il mondo, e che qualcuno doveva assumersi l’arduo compito di salvare il salvabile, dopo il suo passaggio. Ma sapevo che la scusa non poteva reggere ancora per molto…” Gourry fece una pausa, e in quel momento mi resi conto che mi piaceva essere raccontata dalla sua voce. Forse avrei potuto chiedergli di scrivere una ballata su di me, non appena ne avessi avuta l’occasione. Insomma, concorderete con me che le leggende vadano tramandate, no?
Ora anche Joy guardava il cielo, immerso nei suoi pensieri.
“Una sera di fine estate, dopo alcuni mesi che viaggiavamo insieme, eravamo seduti al tavolo di una locanda. Mi piaceva mangiare con Lina, era sempre una sfida: non sapevi mai a quali guai potevi andare incontro. In genere pranzi e cene finivano sempre con una zuffa. Il problema vero si presentava quando a questa zuffa prendevano parte anche altre persone, di cui involontariamente invadevamo il tavolo con pietanze che prendevano il volo nei nostri tira e molla. Sai, in genere non frequentavamo ristoranti di alto livello, era una cosa abbastanza comune ritrovarci seduti al fianco di mercenari e banditi della peggior specie. E ti assicuro che non la prendevano bene: a nessuno piace ritrovarsi una costoletta mangiucchiata nel bicchiere della birra.
“Fu esattamente quello che successe quella sera, quando il volo di un succulento ossobuco centrò in pieno la faccia dell’energumeno a capo della banda di briganti che ci sedeva a fianco. Ovviamente non ne fu affatto contento, ma, e qui viene il bello, la più adirata era proprio Lina, l’autrice del lancio, che cominciò a lamentarsi dicendo, a voce nemmeno troppo bassa, che ora l’ossobuco era rovinato e che quello era il pezzo migliore dell’intera portata.
“Gourry vai a riprendere quell’ossobuco, forse se lo puliamo con un tovagliolo possiamo ancora mangiarlo!”
“Lina, abbassa la voce!” Io ero diventato tutto rosso, un po’ per la figuraccia, un po’ per il tentativo di non scoppiare a ridere in faccia a quel bandito che, tutto sporco di sugo, ci fissava con gli occhi ridotti a due fessure.
“Cos’è, non avrai mica paura di quei quattro bifolchi?! Ho pagato per mangiare in questo posto che pare faccia i migliori ossibuchi della penisola!”
A quell’affermazione, le teste dell’intera tavolata si levarono della nostra direzione.
Ecco, quello era il momento del: ‘Oste, ci porti il conto, il resto lo incartiamo e lo mangiamo per strada! ( se facciamo in tempo a levare le tende prima che il suo locale venga disintegrato.)’
Succedeva più spesso di quel che avrei voluto. Con Lina non si poteva mai stare tranquilli.
“Ehi, mocciosa! Come ti permetti di insultare il nostro capo lanciandogli i tuoi scarti?!” Eruppe uno di quei rozzi individui.
“Gourry, hanno sentito bene le mie orecchie?” L’espressione di Lina non prometteva niente di buono.
Io la guardai vagamente spaventato. Temevo il resto della frase.
“Sbaglio, ma non solo ho sentito la parola ‘mocciosa’, ma ho sentito anche che chiamavano il pezzo migliore del mio vassoio di ossibuchi scarto?”
Si scrocchiò le dita, e non era mai un buon segno quando lo faceva. Sentivo odore di guai, così decisi di prendere in mano la situazione:
“Beh, è possibile che questi signori abbiano usato questi due termini, ma, Lina, perché non lasciamo perdere e continuiamo a mangiare come se niente fosse successo? Guarda, ti lascio il mio ossobuco migliore…”
Le mie buone intenzioni ovviamente vennero troncate sul nascere.
“Non è per l’ossobuco, dannazione! Nessuno parla così a Lina Inverse e vive abbastanza a lungo da raccontarlo!”
“E chi sarebbe Lina Inverse, tu, piccola carota?”
Si profilavano grossi guai in vista.
Allungai una mano proprio mentre Lina stava per scattare, afferrandole il polso prima che potesse scagliarsi su quegli uomini.
“Oste!” gridai “Può portarci il conto?”
Quando finalmente riuscii a trascinarla fuori dalla locanda era recalcitrante e profondamente offesa.
“Lasciami Gourry! Perché abbiamo dovuto andarcene noi?!” esclamò, divincolandosi con uno strattone.
“Lina” Tentai di farla ragionare. “Tu hai lanciato un ossobuco sulla faccia di quel bandito dall’aria poco raccomandabile, e io questa notte non voglio dormire nel bosco inseguito da tutti gli abitanti di questo villaggio perché qualcuno di mia conoscenza ha disintegrato l’unica locanda del paese!”
Pestò un piede a terra e si voltò, a braccia conserte, tenendomi il broncio.
Io sospirai. Mi dispiaceva vederla arrabbiata, ma almeno avevo evitato che la locanda e i suoi avventori fossero spazzati via da uno dei suoi incantesimi.
Lina non scherzava mai su due cose: gli sprechi e il cibo.
L’aria stava rinfrescando mentre le prime stelle già rischiaravano il cielo. Guardai la schiena di Lina, le ciocche ramate che le sfioravano le spalle. Sapevo che nel giro di dieci minuti le sarebbe passata, ma in quel momento mi sentivo infelice ripensando all’espressione contenta che aveva avuto quando, seduti al tavolo, mi aveva indicato il menù rivelandomi che aveva sempre desiderato assaggiare i famosi ossibuchi di quella zona.
Pensai di entrare e fargliene preparare un’altra porzione ma, quando infilai la mano in tasca, mi resi conto che il mio borsello non era dove avrebbe dovuto essere… L’avevo lasciato sul bancone dell’oste!
“Lina, ho lasciato i soldi nella locanda!” esclamai, strabuzzando gli occhi.
Lei non si prese la briga di voltarsi:
“E cosa stai aspettando, testa di fagiolo, che qualcuno metta un cartello con scritto ‘trovato borsellino pieno zeppo di quattrini’?”
Mi voltai di scatto, pronto a correre verso la locanda, ma proprio in quel momento scorsi i tipi poco raccomandabili con la quale era nato lo spiacevole diverbio uscire dalla porta. A quel punto mi bloccai, incerto. Cosa dovevo fare? Recuperare i miei soldi o impedire che Lina staccasse a morsi la testa di uno di quei tizi, tanto incoscienti da uscire tranquillamente dalla locanda mentre lei era ancora nei paraggi?
Fu la voce di Lina a riportarmi alla realtà:
“Gourry, sappi che non ti farò prestiti.”
Dimenticavo: Lina non scherzava mai nemmeno sui soldi.
‘Entro, recupero il borsello ed esco’ Pensai al volo, mentre imboccavo l’entrata della locanda. In fondo supponevo che quei briganti da quattro soldi non fossero davvero così incoscienti da andare a stuzzicarla quando era ancora furibonda.
Beh, mi sbagliavo.
Non saprei dirti quanto ci misi a riprendermi il borsellino, pochi secondi probabilmente. Ma erano stati sufficienti: davanti ai miei occhi si stava svolgendo una vera e propria rissa. Non indagai su chi l’avesse provocata, sospettavo già di sapere il suo nome.
Mi feci avanti, cercando di distinguere le figure aggrovigliate che si stavano accapigliando. Sapevo solo una cosa: Lina se le stava dando di santa ragione con quattro uomini che erano tre volte lei, e non aveva ancora fatto esplodere nulla.
Sfoderai la spada e, dalla nuvola di polvere che mi avvolse quando mi unii alla mischia, riuscii a recuperare la maga mettendo fuori gioco i suoi avversari. Dovevo dire che si era difesa bene anche da sola, ma…
“Lina, stai bene?” Le chiesi preoccupato, quando la rimisi in piedi. Il suo sguardo sprizzava scintille.
“Gourry! Perché ti sei intromesso? Stavo dando a quei villani quello che si meritavano per aver offeso così brutalmente una donna della mia classe!” Esclamò, dando un calcio nello stomaco a uno di quei tizi che ancora si rotolava nella polvere.
“Si, hem… vedo” balbettai, leggermente intimorito. Gentilmente la presi per le spalle e la feci allontanare. Quando Lina era ancora carica di energia distruttiva era meglio trattarla con un certo riguardo. Fu solo in quel momento che notai il labbro spaccato e l’occhio tumefatto che le adornavano il viso, e subito mi sentii colpevole.
“Sei ferita…” Le feci notare.
“Al diavolo!” rispose, tastandosi il livido sotto all’occhio e trasalendo. Nel frattempo una piccola folla si stava radunando attorno ai quattro uomini ancora stesi al suolo.
“Andiamo alla locanda” dissi, rinfoderando la spada, mentre Lina mi precedeva con un diavolo per capello, ma senza obbiettare.
Quando arrivammo alla locanda, comunque, il malumore della mia compagna di viaggio, se possibile, peggiorò ulteriormente: c’era una sola camera disponibile.
“Dormirò sulla poltrona” precisai subito, una volta varcata la porta della stanza.
Lina si guardò intorno con sguardo tetro. A quanto pareva non si poteva optare per soluzioni alternative, ma sapevo che la cosa la infastidiva.
“Vado a farmi un bagno” mugugnò soltanto, e io concordai sul fatto che fosse un’ottima idea.
Più tardi, me ne stavo anch’io a mollo nelle terme della locanda. Riuscivo a vedere un sottile spicchio di luna risplendere da una finestra alta. Mi infondeva pace quel luogo, c’era solo il pensiero di Lina a sprofondarmi in una segreta angoscia. Non sopportavo l’idea che qualcuno avesse potuto farle del male.
E non mi era di alcun conforto sapere che poteva guarirsi le ferite con un Recovery. Avrei dovuto proteggerla con più riguardo. Al diavolo il mio stupido borsello portamonete, pensai, stringendo la spugna e gettandola lontana.
Ma perché non aveva usato la magia?
Quando, mezz’ora dopo, rientrai nella stanza, lei era già a letto. Ma non stava dormendo; sedeva tra le lenzuola tenendosi le ginocchia sotto al mento, le braccia attorno alle gambe nude. Indossava solo una leggera camiciola di cotone estivo. Non si voltò a guardarmi, così, nella stanza in penombra illuminata solo dal pallido riflesso della luna, solo quando mi avvicinai potei notare, con sgomento, che aveva ancora il labbro tumefatto, mentre attorno all’occhio il livido si stava facendo violaceo, contrastando fortemente con la sua pelle pallida. Per di più, stava piangendo.
“Lina…” mormorai.
Lei cercò subito di asciugarsi le lacrime, assumendo uno sguardo torvo. Macerava qualcosa dentro. Era da quando eravamo usciti dalla locanda, ancora prima della rissa, che l’avevo notato.
Sedetti sul letto al suo fianco.
“Vattene” Mi apostrofò, con voce strozzata. Detestava che la vedessi in quello stato.
Io sospirai. Mi era bastato vederla ancora con i lividi addosso per capire come mai non aveva fatto ricorso alla magia con quei tizi.
Era quello a renderla nervosa e insofferente e a farla piangere di rabbia: il fatto di sentirsi indifesa e disarmata per quel certo periodo del mese. Era già capitato, durante lo scontro con Rezo, che le capitasse di tutto in ‘quei giorni’.
“Potevi dirmelo: non ti avrei lasciata sola…” sussurrai, in preda ai sensi di colpa.
“Per favore Gourry!” Esclamò, lanciandomi un’occhiata di fuoco “Non ho bisogno di una balia che mi sta costantemente col fiato sul collo! E poi saranno fatti miei, no?”
“Sì, ma…” protestai debolmente.
“Posso farmi sentire benissimo anche senza magia, dannazione, soprattutto con quei quattro imbecilli!E adesso lasciami in pace! Vattene sulla tua maledetta poltrona e lasciami perdere.”
Io mi sollevai dal bordo del letto, ma non andai verso la mia ‘maledetta’ poltrona. Raggiunsi il suo mantello e glie lo indicai.
“Cosa stai facendo?”
“Voglio che tu mi dica in quale tasca del mantello tieni le tue erbe curative, e che mi spieghi come usarle.”
Il coro di proteste che seguì non bastò a scoraggiarmi dal mio intento. Non potevo di certo mandarla a dormire così o il mattino successivo non sarebbe nemmeno riuscita ad aprire l’occhio. E dato che Lina non sembrava per nulla disposta a collaborare, per una volta mi imposi.
“Vuoi farmi pentire di aver smesso di chiamarti ragazzina?” Le chiesi, brusco, mentre mi avvicinavo con il decotto che avevo fatto macerare secondo le sue monosillabiche istruzioni.
Miracolosamente, questo riuscì a zittirla. Sedetti nuovamente al suo fianco, sul bordo del letto, sentendo il suo sguardo che mi divorava mentre intingevo la pezzuola di lino nel decotto curativo. Quando allungai una mano verso il suo viso, però, non si ritrasse come avevo inizialmente temuto. Le tamponai delicatamente l’occhio gonfio e bluastro.
“Sei un’attaccabrighe” La apostrofai con tenerezza.
“Tu invece sembri mia nonna!” Sbuffò esasperata.
Le sorrisi “Per me questo potrebbe anche essere un complimento, sai? Io adoravo mia nonna, si è sempre presa cura di me, e mi ha insegnato moltissime cose. La ricordo sempre con affetto.”
Lo sguardo di Lina si posò nei miei occhi; era uno sguardo intenso, che non mi aveva mai rivolto: uno sguardo incuriosito, come se mi stesse mettendo a fuoco solo in quel momento, dopo mesi che ci conoscevamo.
Inaspettatamente, mi sentii a disagio.
“Non me ne hai mai parlato…” mormorò. Io immersi nuovamente la pezzuola nel decotto.
“Sai, non è una storia così interessante…” sussurrai. In quel momento sollevai nuovamente la mano per tamponarle il labbro, e mi sentii impacciato.
Di colpo mi resi conto che le mie dita erano pochi centimetri dalle sue labbra. Non ero mai stato così vicino a lei.
I capelli rossi le scendevano arruffati sulle spalle, incorniciandole il viso come fiamme, mentre la sua pelle lattea sembrava ancora più eterea sotto al riflesso della luna.
Non sapevo come avevo fatto a ingannarmi per tutti quei mesi, ma in quel momento mi fu chiaro: la trovavo bellissima. Per un attimo, mi trovai travolto da questa consapevolezza, e non seppi cosa fare.
Passarono alcuni secondi.
“Gourry… stai facendo gocciolare questa schifezza dappertutto.” Mi informò lei, spazientita. “Visto che ti sei voluto improvvisare  infermiere di fortuna a tutti i costi, ti conviene almeno darti una mossa, questa poltiglia ha un odore tremendo.” A quel punto ripresi il controllo di me, e avvicinai la pezzuola alla sua pelle. Ma in pochi secondi, ogni cosa era cambiata. Io ero cambiato, finalmente consapevole di ciò che mi ero a lungo taciuto. Mi resi conto che stavo quasi male seduto con lei su quel letto, ad accarezzarle le labbra attraverso quella sottile striscia di stoffa, nell’oscurità della notte. Per la prima volta da quando la conoscevo, ebbi paura a starle accanto; paura per lei.”
Gourry fece una pausa, deglutendo.
Ero stordita da quelle affermazioni.  Ricordavo anch’io quella notte in cui Gourry mi aveva praticamente obbligata a sottopormi alle sue cure, mentre io avrei solo voluto sprofondare sottoterra per essermi fatta malmenare da quei tizi e per essermi fatta sorprendere il lacrime. In ‘quei giorni’, solitamente davo sempre il peggio di me. Come aveva potuto Gourry trovarmi bellissima con i capelli arruffati, l’occhio nero e il labbro tumefatto?
Joy sorrise ironicamente:
“E così te ne sei innamorato?” Scosse la testa “Suppongo che se fosse stata un'altra donna, la serata si sarebbe conclusa diversamente, dico bene?”
Gourry scosse la testa: “Non saprei, in quel momento non mi è nemmeno passato per l’anticamera del cervello il pensiero di ‘provarci’ con Lina. Era tutto troppo strano, confuso. Più tardi poi, nel silenzio della notte, sprofondato nella poltrona, la ascoltai respirare nel sonno. Ovviamente non riuscivo a dormire, ero troppo terrorizzato: cosa avrei dovuto fare a quel punto? Fino a quel momento l’avevo ammirata, stimata e avevo guardato meravigliato quello che era in grado di fare; avevo sviluppato un attaccamento sempre più forte nei suoi confronti, ma adesso… Come potevo conciliare il desiderio di proteggerla dal mio desiderio di… averla? Ipotizzai di andarmene, ma il solo pensiero di lasciarla bastava a farmi soffrire. Fu una notte lunga. Ma mi servì per riflettere: decisi che non l’avrei mai lasciata, e che se il mio destino doveva essere quello di proteggerla, beh, l’avrei protetta anche da me stesso. Ne ero innamorato, ed era la prima volta che amavo qualcuno in quel modo: mi toglieva il respiro. E mi terrorizzava, al punto da temere quello che avrebbe potuto pensare di me se avesse anche solo sospettato quello che provavo nei suoi confronti…
Ma anni fa, qualcuno mi diede un saggio consiglio: mi disse di non far mai intuire i mie problemi alla ragazza di cui mi sarei innamorato, di qualunque natura essi fossero stati. Così Lina non seppe mai che mi tormentavo la notte pensando a quanto potesse essere sottile una parete, o che era quasi una sfida con me stesso starle accanto, seduti davanti ad un fuoco, nell'oscurità di una foresta. Mi parlava per ore di incantesimi, mi raccontava storie e leggende… e io pensavo solo a come sarebbe stato baciarla.
Avrei dato cento volte la mia vita per la sua. Invece…” La sua voce si spezzò  “L’ho vista morire davanti ai miei occhi, l’ho vista soffrire, gridare disperata… E non c’è stato niente, niente che potessi fare per salvarla, per riportarla indietro. Con che coraggio potrò mai continuare a vivere adesso? Dove andrò, cosa farò… Chi sarò, senza di lei?”
Gli occhi di Gourry erano lucidi e i fiori che tormentava tra le mani, ormai, completamente sgualciti.
Avrei pianto anch’io, se solo avessi potuto. Ma poi mi diedi della supida: io non ero morta, maledizione! Ero solo momentaneamente ‘non viva’, ecco tutto.
“Le cose si aggiusteranno” Mormorò Joy, che sembrava particolarmente scosso
Gourry sospirò:
“Puoi riportare in vita chi non lo è più?”
Per un attimo mi sentii gelare il sangue.
“Beh…” balbettò Joy, evidentemente preso in contropiede.
Gourry scosse la testa.
“Lascia stare Joy, la mia battaglia è persa. Senza di lei combattere non ha più senso, sono un uomo finito, a cui non sono concesse proroghe. Quando l’ho riportata indietro dalle tenebre che volevano risucchiarla, la prima volta, sapevo che non mi sarebbero state accordate seconde possibilità. Avrei dovuto essere più attento, proteggerla in modo diverso. Ma ho rovinato tutto.” Si sollevò, gettando attorno a sé un’occhiata smarrita. “L’ho persa, e stavolta per sempre.”
Aspettai che Gourry si fosse allontanato di qualche passo, per prendermela con Joy: “Adesso mi spieghi cosa hai voluto dimostrare? Non erano assolutamente affari tuoi, maledizione!”
Joy non si scompose: “Oh, sì che lo erano, mia cara. Ti ricordo che se ho scelto di aiutarti, non l’ho fatto di certo per il tuo bel faccino, ma per lui. Volevo almeno avere la certezza di averci visto giusto.”
Lo guardai storto: “E quindi? Cosa ha dedotto la tua mente geniale dalle parole di Gourry?” Gli domandai, scettica.
Joy mi guardò, serio: “Che se non riesco a riportarti indietro, non me lo perdonerò mai.”
Per una volta, non seppi cosa replicare.

Passai il pomeriggio a meditare sull’Akan. Pensai a dove potesse essere nascosto e a come raggiungerlo.
Mi sentivo colpevole al pensiero di trafugare da Sailunne qualcosa che Phil aveva personalmente sequestrato ai…  cattivi? Ma, in fin dei conti, lo facevo per una buona causa: la mia.
E non avrei di certo permesso che finisse nelle mani sbagliate. Ero più inconsistente di un refolo di vento, ma ero sempre Lina Inverse, dopotutto. Con me c’era poco da scherzare.
Quando fu ora di cena, raggiunsi Joy nel salone principale. Ci eravamo dati appuntamento lì, per evitare che la sua assenza a cena destasse sospetti. Poi saremmo andati in cerca di questo stramaledetto Akan. Speravo che Babette avesse altro da aggiungere, oltre a quello che ci aveva rivelato quella mattina, o non avremmo saputo dove sbattere la testa.
Nel salone principale c’erano già Amelia e Zel. I miei poveri migliori amici erano scavati in volto e stanchi. Sapevo che Zel aveva passato la giornata a fare ricerche e domande all’interno del palazzo, e glie ne ero grata. Ma dubitavo che avrebbero mai potuto incolpare un gatto per il mio premeditato omicidio.
Fuori aveva preso a tirare un forte vento, che faceva sbattere le imposte e sibilava nei camini.
Era strano stare lì con loro senza esserci veramente…
“Gourry!” esclamò a quel punto Amelia, mentre tutti ci voltavamo all’entrata dello spadaccino.
“Sono felice di vedere che le mie minacce hanno avuto gli effetti sperati…” Mormorò la principessa, andando ad accoglierlo. “Stai cominciando a diventare trasparente, devi assolutamente mangiare qualcosa!”
Presi nota del fatto che, quando sarei stata di nuovo in grado di farlo, l’avrei ringraziata di tutto cuore per come si stava prendendo cura di lui. Come minimo, d’ora in poi mi sarei sorbita tutte le sue arringhe pacifiste senza obbiettare.
Alcuni secondi dopo al gruppetto si aggiunse anche Nayden; lui e Joy si scrutarono in silenzio dai due opposti lati del tavolo, ostentando reciproca indifferenza. Quando infine arrivarono le pietanze, ognuno si servì in silenzio.
Evidentemente, a quella tavolata solo io stavo morendo di fame. Dannazione, era un tormento vederli mangiare… Era questo quello a cui si riferivano col termine ‘dannazione eterna’?
Stavo giusto seguendo il viaggio di una polpetta dal piatto di Gourry alle sue labbra, quando la voce di un paggio irruppe in quella cena silenziosa.
“Maestà… C’è uno straniero ai cancelli. Ha esibito una lettera con il simbolo reale, dobbiamo lasciarlo passare?”
Amelia alzò il viso. Quella sera Phil, assorbito dagli impegni di corte, aveva disertato la cena.
“Sì, lasciatelo passare.”
La mia amica mi sembrava parecchio turbata e la cosa mi incuriosì. La vidi pulirsi bene le mani sul tovagliolo e notai che le tremavano. Lei e Zelgadiss si scambiarono un’occhiata, poi Amelia si alzò. L’intera tavolata ammutolì, mentre l’uomo, annunciato pomposamente dal paggio, faceva il suo ingresso tenendo nervosamente tra le mani un elegante cappello da viaggio e una busta stropicciata.
“Mi avete scritto, Maestà…”
“Sì” La voce di Amelia era rotta, si avvicinò lentamente allo straniero “Vi ho scritto…”
Joy, al mio fianco, mi rivolse una brave e nervosa occhiata, che io notai a malapena: tutti i miei pensieri, tutta la mia attenzione, in quel momento erano concentrati su quel viso familiare, dall’espressione affranta ma dignitosa, incorniciato dai lunghi capelli neri.
Sapevo che era venuto per me.
Erano anni che non lo vedevo…
“Papà…” Sussurai soltanto.

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Capitolo 13
*** Meglio un buon piano oggi che un piano perfetto domani ***


capitolo 13
Meglio un buon piano oggi che un piano perfetto domani

‘Voglio più vita, non posso farne a meno.
Lo so, ho vissuto dei momenti terribili; e c’è gente che ne vive di molto, molto peggiori.
Ma quando loro  sono più spirito, che corpo;
Più piaghe, che pelle;
Loro vivono.
Non so se questo sia più istinto animale, non so se sia più coraggioso morire, ma io riconosco l’abitudine. La dipendenza dell’essere a sopravvivere.
Viviamo nella speranza di qualcosa…
Se riesco a trovare una speranza anch’io è fatta, è il meglio che posso fare, non potrei chiedere di più.
Non ne sono all’altezza.
Perciò ancora, io chiedo di vivere.
Io. Voglio. Più. Vita.’ (Angels in America)


“Papà…”
Mio padre si guardò intorno, leggermente spaesato davanti all’intera tavolata che era ammutolita al suo ingresso. Notai che lievi rughe a me sconosciute solcavano i suoi lineamenti pressoché perfetti, ma in fondo era normale, quanti anni erano passati da quando le nostre strade si erano incrociate l’ultima volta?
“Signor Inverse…” Amelia sospirò. Le poche frasi che si era preparata per l’occasione le stavano rapidamente scivolando via dalla mente. Non era facile affrontare il padre della tua migliore amica appena deceduta.
“Vi prego di scusarmi se ho interrotto il vostro desco, maestà…” La salvò lui dall’impaccio di dover cominciare la conversazione. “Sono consapevole che questo non è un momento piacevole nemmeno per voi, tuttavia, non vi ruberò molto tempo. Sono qui per mia figlia.” Era sempre stato bravo con le parole e con le persone a cui erano destinate. Mi piacerebbe poter dire di aver preso da lui in questo, ma, credetemi, in questo il vero mago era proprio mio padre.

‘Saper mercanteggiare è un arte, Lina, non dimenticarlo’
I lucidi capelli neri gli ricadevano sulle spalle, sottili anelli di fumo si levavano dalla sigaretta che aveva tra le labbra, mentre con il coltello ripuliva un ramo dalla corteccia.
‘Stai facendo una canna da pesca?’ Sdraiata sull’erba al suo fianco giocherellavo distrattamente con i trucioli di legno che ricadevano dalle sue abili mani. Il sole del tramonto illuminava di riflessi rossastri il retro della bottega, davanti a cui sedevamo.
‘Proprio così. Ti piace?’ Aveva domandato, mostrandomela.
‘Sì, è bella. Ma non ci sono laghi qui.’
L’ovvietà della mia affermazione l’aveva fatto sorridere.
‘Il fatto che non ci siano laghi in queste zone, Lina, non costituisce un problema. È sufficiente che esistano, da qualche parte.’
‘Così, quando la canna da pesca sarà finita, partirai per cercare un lago?’
Non l’avrei mai ammesso, ma soffrivo molto ogni volta che partiva.
Mio padre si era fermato, scrollando la cenere dalla sigaretta.
“Può darsi. Dimmi, ti piacerebbe accompagnarmi qualche volta? Potrei mostrarti i laghi, le montagne, le foreste, le città….C’è un mondo intero là fuori per te: ti interesserebbe conoscerlo?’
Avevo raddrizzato la schiena, scattando a sedere ‘Sì! Papà, portami con te, ti prego!’
Lui aveva sorriso. Amavo il suo sorriso, limpido e sincero. Più che un padre, molte volte mi era sembrato un fratello maggiore per quanto era incredibilmente giovane.
‘Bene, la prossima volta, Lina, verrai con me a scoprire il mondo’ aveva detto, riprendendo il suo lavoro.
‘Dici sempre così, ma poi non mi porti mai.’ Mi ero incupita, incrociando le braccia al petto. Il fumo della sigaretta mi aveva fatto tossire.
‘Ora sei troppo piccola. La prossima volta…’

Non era mai arrivata la prossima volta. Stava via giorni, spesso interi mesi. E quando tornava era sempre impegnato. Era un uomo curioso, conosceva le novità del mondo e al suo ritorno voleva che tutti avessero la possibilità di ammirarle. Il suo lavoro gli portava via sempre un sacco di tempo. E intanto, io crescevo.
Quando fui cresciuta abbastanza non ebbi più la pazienza sufficiente di aspettare che tornasse dal suo ultimo viaggio, per portarmi a vedere le meraviglie del mondo. Se volevo vedere i laghi, e le altre cose stupende di cui mi aveva parlato, bisognava che facessi a modo mio.
E a modo mio avrei fatto.

Nel frattempo Amelia si era ripresa: “Una sedia per il mio ospite” chiese con garbo ad un servitore che si era affiancato a mio padre per prendere la cappa e il cappello. Lo sguardo di mio padre vagò per la tavolata, raccogliendo comprensione e solidarietà, dopodiché lo vidi indugiare in modo particolare sul volto di Gourry. Lo spadaccinò lo sostenne per alcuni secondi, dopodiché abbassò gli occhi al piatto che aveva davanti.
Quando arrivò la sedia prese posto al fianco di Zelgadiss, che si fece da parte per fargli spazio. Vennero portati piatti fumanti e vassoi con l’arrosto, ma mio padre si limitò a versarsi un calice di vino. Notai con sgomento che, nonostante l’eleganza del gesto, gli tremava la mano.
“Così voi siete… Eravate… i suoi migliori amici?”
“Sì” Amelia si asciugò con l’angolo del tovagliolo una piccola lacrima che stava per abbandonare le sue ciglia. “Lina era la persona più incredibile, più straordinaria…”
“Era una carissima amica” Intervenne Zelgadiss “Nonché la migliore esperta di arti magiche che io abbia mai avuto l’onore di incontrare…”
Ecco, ora voglio che sappiate una cosa: quando sarete morti, tutti si metteranno a parlare bene di voi. Non importa quanti appellativi e odiosi soprannomi vi abbiano affibbiato nel corso degli anni, la morte vi trasformerà automaticamente in quelle brave e care persone di cui tutti conservano un bellissimo ricordo. Vidi mio padre sorridere, un sorriso lieve e un po’ triste:“Sì, ci sapeva fare con quei trucchetti mia figlia. Uno o due me li ha anche insegnati…” Il suo sorriso si spense subito dopo. Avevamo avuto troppo poco tempo insieme, io e lui.
Mio padre indugiò : “Ha sofferto?” domandò infine, in un sussurro. La sua voce era rauca.
Vidi Gourry stringere il manico della forchetta fino a farsi sbiancare le nocche.
Un silenzio pesante scese sulla tavolata. Va bene, non era stata la più felice delle morti. Quale tipo di morte lo è, in fondo?
Beh, a mio padre almeno avrebbero potuto dire che me ne ero andata stroncata dai feroci artigli di un temibile drago contro cui stavo combattendo. Una cosa rapida e gloriosa, insomma. Ma supponevo che l’infamante e patetica storia della camomilla avesse già travalicato i confini di Sailunne, purtroppo per me. Rabbrividivo al pensiero di quello che ne avrebbe pensato Luna.
“Ho capito…” mormorò infine, davanti al silenzio generale. “Chi tace acconsente, così si dice, no?”
“Signor Inverse…” Amelia cercò di recargli un po’ di conforto, allungando una mano verso la sua.
“No.” Mio padre scostò la mano, cercando di darsi un contegno “Va bene così. Evidentemente, era quello che volevano gli dei. Ora io…” La voce gli si incrinò e lo vidi  ricacciare indietro le lacrime. “Ora io sono qua per riportarla a Zephilia, dove starà… vicino alla sua famiglia.”
Mi guardai intorno piena di sgomento, e vidi che le mani di Gourry avevano preso a tremare.
“Signor Inverse…” Amelia deglutì. “Noi avevamo pensato di… di svolgere un breve rito funebre, per dirle addio, qui a Sailunne. Ma naturalmente seguiremo i suoi desideri, se lei desidera riportare il cor… il corpo di Lina a Zephilia….”
Mio padre sollevò due occhi vuoti verso di lei.
Dov’era finito lo sguardo libero e spensierato dell’uomo che costruiva canne da pesca sul retro della sua bottega raccontando le sue fantastiche avventure alla figlia di cinque anni?
Annuì debolmente: “Non ho intenzione di riportare a Zephilia il corpo di mia figlia. È  molto bello che siano i suoi più cari amici a dirle addio, e la trovo una cosa giusta. Così vorrei che il rito sia svolto qua. Questo era un luogo che lei amava, e in cui le piaceva tornare. Quando la riporterò a Zephilia, sarà per liberarla nel vento delle sue terre. Sono certo che capirete…”
Dei… No.
“Lei intende…” Amelia rivolse una breve occhiata a Zelgadiss, per poi tornare a guardare verso mio padre “Intende…”
No, no, no, maledizione no!
“Non avrebbe mai sopportato di essere rinchiusa.” Mio padre abbassò lo sguardo “Mia figlia era una creatura libera, e non voglio che la morte le imponga dei limiti, che le imponga la permanenza in un luogo. Voglio che sia leggera come l’aria. Voglio che l’ultimo elemento a vedere il suo volto non sia la dura e fredda terra, ma il vivace calore delle fiamme. Credo che l’avrebbe voluto anche lei.”
Mi sentii mancare. Guardai il volto di mio padre, sull’orlo delle lacrime, poi guardai verso Gourry, irrigidito di colpo nel sentir pronunciare quelle parole. Zelgadiss abbassò lo sguardo, così come fece Nayden, rimasto silenzioso ma partecipe fino a quel momento, ma su tutti, solo una voce si alzò dalla tavolata, eruppendo in un’esclamazione tutt’altro che fine:
“Oh, mer…!”
Naturalmente, tutti si voltarono con aria perplessa verso Joy, il quale, resosi conto della gaffe,  tossicchiò un paio di volte, prima di aggiungere: “Emh, volevo dire: oh, meraviglioso, davvero meraviglioso! Immagino che Lina ne sarebbe stata entusiasta! Hehehe…” Poi, quando l’attenzione dei presenti, dopo esservi brevemente posata sul suo calice di vino, si spostò altrove, si voltò sconvolto verso di me, bisbigliando: “Vogliono farti alla griglia! Per gli dei… ci mancava solo questa!!”
Io ero ancora sbigottita.
Volevano bruciarmi… Viva! Qualcuno avrebbe dovuto fermarli!
Mio padre riprese la parola: “Maestà, mi duole darvi tanto disturbo mentre anche voi soffrite. Tuttavia,  vorrei che fosse fatto al più presto. Devo tornare a Zephilia, da mia moglie e dall’altra mia figlia. Voi capirete…”
“Domani mattina, non vi preoccupate.” Amelia mi sembrava parecchio turbata. Non mi ero dimenticata che aveva già sepolto sua madre, anni addietro. Mi chiesi se il lutto per me le avesse riportato alla mente quei ricordi dolorosi. “Questa notte darò ordine affinché tutto sia pronto per domani mattin…”
Mentre finiva la frase, un rumore di sedia stridette sul pavimento. Gourry si sollevò e, senza una parola per nessuno, lasciò la sala.
Rimanemmo tutti immobili, frastornati.
Non potevo sopportarlo.
Corsi fuori dalla stanza. Non avevo nemmeno vent’anni, maledizione, e dovevo assistere impotente ai preparativi del mio funerale. A chiunque sarebbe venuta una crisi di nervi…
Tranne forse per il fatto che chiunque, nella mia stessa situazione, non se ne sarebbe reso conto perché sarebbe stato… beh, morto! Mentre io non lo ero, non del tutto. Non potevo lasciare che mi mettessero a grigliare su una pira funebre!

“Babette!” urlai, con tutto il fiato che avevo in gola “Babette!”
Joy doveva avere la possibilità di dire a qualcuno quello che sapeva, ovvero che non me ero andata e che il corpo mi serviva ancora. Al diavolo le regole del regno dei morti! Qualcuno doveva sapere che stavano per fare un terribile e tragico errore!
“Babette!!”
Corsi fuori, lanciandomi a perdifiato nel cortile.
Accidenti a mio padre, non poteva ricomparire nella mia vita dopo quasi sette anni che non avevo sue notizie e mandare tutto a rotoli. Pensando di fare una cosa giusta, mi stava condannando senza nemmeno saperlo…
D’accordo, d’accordo. Non potevo prendermela con mio padre. Non sul serio. In fondo non se la stava passando bene. Nessuno se la stava passando bene, nemmeno io me la stavo passando bene.
“Babet…” Mentre chiamavo a squarciagola l’artefice di tutti i miei mali, per poco non mi scontrai con Gourry.
Oh, ecco dove si era cacciato…
Se ne stava fermo in mezzo al cortile, a pochi passi dal tempio in cui giaceva il mio corpo immobile. Vidi che stringeva forte i pugni, e che il suo sguardo era un misto tra rabbia e disperazione.
Tremava.
Tremavamo.
Di tutte le assurde prove a cui ci aveva sottoposto il destino in quegli anni, avevo sempre creduto che niente di peggio del suo rapimento e del mio Giga Slave avrebbe potuto accaderci. Ci avevo messo mesi a riprendermi dalla sensazione di panico e impotenza che quell’esperienza atroce aveva lasciato in me.
Ma come potevo sapere che avrei dovuto ricredermi sul detto ‘Al peggio non c’è mai limite’?!
A me era toccato vederlo andare quasi in pezzi, e avevo fatto quello che avevo fatto.
A lui sarebbe toccato assistere alla mia cremazione: la mia pelle di seta sarebbe avvizzita sotto ai suoi occhi fino a ridursi in cenere, dei miei occhi da bambina non sarebbero rimaste che vuote e scure cavità. Ci si poteva riprendere da qualcosa del genere?
Preferivo non pormi il problema. Una soluzione doveva esserci, il corpo mi serviva ancora, maledizione!
La pallida luna illuminava d’argento il volto diafano di Gourry. Vedendoci vicini, in quel momento, chiunque avrebbe benissimo potuto scambiare anche lui per uno spettro da quanto era bianco.
Avrei voluto rimanergli accanto, ma dovevo assolutamente trovare una soluzione per lo spinoso problema che da lì a qualche ora mi avrebbe ridotto in un mucchietto di polvere. Stavo per procedere nella disperata ricerca di quel malefico gatto, l’artefice di tutti i miei guai, quando un’ombra si avvicinò.
“Tu devi essere quel giovane, Gabriev. Mi ricordo di te, anche se ti rammentavo più… capellone.”
Il profilo di mio padre si accostò a quello dello spadaccino, entrambi alti, entrambi belli, con qualche anno di differenza.
Gourry rimase silenzioso. Passarono alcuni secondi, in cui mantenne lo sguardo ferito fisso davanti a sé, poi lentamente si voltò.
“Anch’io mi ricordo di lei. Non aveva voluto dirmi il suo nome…”
Ehi, aspettate un momento… Da quando mio padre e Gourry si conoscevano?!
“È così che va il mondo…” replicò pacatamente mio padre. Sentivo il dolore vibrare nella sua voce, nonostante cercasse di mantenere la conversazione su toni leggeri.
Capii che dovevano essersi incrociati quando Gourry era ancora un mercenario alla ricerca della propria vocazione.
“È quello che aveva risposto anche l’altra volta.”
“Già… Ora però suppongo tu sappia chi sono. Non avrei voluto rincontrarti in una simile occasione. Dovevi esserle molto vicino.”
Gourry tornò a guardare fisso davanti a sé.
“Ero… La sua guardia del corpo” sussurrò.
Mio padre si voltò a osservarlo, studiandolo con più attenzione.
“E allora credo che dovevi esserle molto fedele. Non tutte le guardie del corpo arriverebbero a tanto per la loro protetta” disse, indicando i polsi fasciati di Gourry.
“Ad ogni modo non sono fatti miei. Non sentirti obbligato a parlarmi del tuo rapporto con lei. Lo vedo che soffri. Sto molto male anch’io, un genitore non dovrebbe seppellire i propri figli: è contro natura.”
Passarono altri secondi, dopodiché Gourry espirò: “Mi manca così tanto” ebbe infine il coraggio di dire.
“Manca molto anche a me. Era speciale, vero? Mia figlia era una forza della natura, lo è sempre stata, fin da bambina. Mi sarebbe piaciuto incontrarla in questi anni, per vedere che persona era diventata…” Un velo di rimpianto passò nel suo sguardo. “Ma siamo sempre stati troppo simili, io e lei. Era impensabile immaginarla ferma da qualche parte, eppure, in tutti questi anni, non abbiamo avuto la fortuna di incontrarci casualmente…”
Vidi una lacrima brillare nell’occhio sinistro di mio padre. Gourry rimase rigido.
“Gli dei solo sanno quanto io stia soffrendo. E il pensiero di… di…” Mio padre si prese un po’ di tempo per calmarsi. “Non aveva lasciato nessuna volontà in merito, suppongo…”
Gourry si voltò verso di lui, con espressione ferita:  “Lina aveva diciannove anni. È  vero, il pericolo era il suo mestiere. Ma credo che il pensiero reale della morte non l’avesse mai sfiorata, non seriamente. Senza contare che…” Deglutì, a fatica:  “Si fidava di me. Avrei dovuto proteggerla, invece…”
Già, invece? Gourry non avrebbe dovuto rimproverarsi nulla di quella morte insensata, eppure non faceva che perdersi nel rimorso di avermi lasciata sola la notte in cui tutto avrebbe dovuto tenerci uniti, ma che le mie stupide paure avevano trasformato in una tragedia.
‘Se solo avessi avuto la prontezza di spirito di rispondere un dannatissimo sì…’
Ma sapevo che erano vane illusioni. A Babette serviva il mio aiuto, volente o nolente, e avrebbe sicuramente escogitato qualche altra diavoleria per avermi dalla sua, anche a costo di farmi fuori sull’altare il giorno delle nozze. Era meglio non indagare.
“Eppure…” proseguì mio padre “Non è stata una disgrazia…”
“No.” Gourry fissò intensamente un punto imprecisato davanti a sé. In quel momento la rabbia sembrò prevalere sul dolore, e una scintilla di furia balenò nel suo sguardo: “Lina è stata vittima di una lunga serie di incidenti non casuali nel percorso da Solaria a Sailunne. Il suo assassino viaggiava con noi, ne sono certo. E sebbene tutti lo stiano cercando all’interno del palazzo, io credo che facesse parte della schiera di mercenari che si è poi dileguata in quella maledetta notte.”
Mio padre fissò meditabondo il volto di Gourry : “Hai in mente qualcosa?”
Gourry abbassò lo sguardo. La sua voce si fece un sibilo: “Dopo la cerimonia funebre partirò da Sailunne. Viaggerò per terra e mare e non importa quanto ci metterò, dovesse volerci anche tutta la vita. Troverò il colpevole e… e non avrò pietà.”
Un brivido mi percorse la spina dorsale.
‘Non avrò pietà’
Non era Gourry, quello. Non ce lo vedevo proprio nei panni del vendicatore solitario e non mi piaceva la ferocia del suo sguardo in quel momento. Non mi piaceva affatto.
“La vendetta logora inutilmente, ragazzo” mormorò mio padre “Ma non posso giudicarti. Gli dei solo sano cosa agita il tuo cuore in questo momento. Quanto a me, il mio cuore si è spento. Dopo il funerale tornerò a Zephilia e rimarrò accanto a quel che resta della mia famiglia.”
“Io non ho più nessuna famiglia da cui tornare.”
A quel punto, il  silenzio calò su di noi come una cappa soffocante.

Fu solo dopo quelli che mi parvero secoli che udii indistintamente, tra la vegetazione che ci circondava, un sussurro insistente:
“Lina… Lina!”
Quando mi voltai vidi Joy acquattato tra le frasche, nel buio della notte.
“Ho trovato la gatta, sbrigati!”
Babette stava seduta eretta su una colonna decorativa spezzata a metà, assumendo le sembianze di un amabile felino ad una mostra espositiva. Quanto ci si poteva illudere sui gatti…
“Mi hanno detto che ci sono dei problemi, Lina Inverse”
“Beh… diciamo di sì. Anche se il termine problema mi sembra abbastanza riduttivo!”
“Dunque, hanno deciso di cremarti.” Non sembrava che la cosa la toccasse più tanto, come se stesse dicendo: “Domani mangeremo omelette per colazione”.
“Sì, a quanto pare hanno optato per il barbecue, e non mi sembra una cosa saggia dato… Che il mio corpo mi serve integro, non di certo carbonizzato! Maledizione!”
“Piuttosto comprensibile.”
D’accordo, stavo iniziando a innervosirmi.
“Sono lieta che tu sia d’accordo con me, Babette. Adesso dimmi… che diavolo possiamo fare per evitare questo disastro?!”
I baffi di Babette vibrarono impercettibilmente:
“La soluzione al problema c’è, Lina. Sinceramente avevo pensato che i tuoi congiunti optassero per un funerale più tradizionale, una cripta, o qualcosa del genere insomma. Il tuo corpo non pone il problema della conservazione finché rimarrai in questo stato di sospensione, dal momento che la vita scorre ancora impercettibilmente sotto alla tua pelle. È ancorata da un filo sottile, tanto da permettere al tuo spirito di essere libero, ma quel filo basta a tenerti legata alla carne e al sangue; il tuo involucro mortale si preserverà intatto, di questo non ti devi preoccupare. Tu e il tuo corpo siete ancora parte l’una dell’altro. Per questo conservi i ricordi e desideri di un vivo: la fame, la sete, la paura, il desiderio del contatto fisico…” I suoi occhi arancioni si fissarono nei miei. Erano inquietanti, Molto, molto inquietanti. “Ma se il tuo corpo venisse in qualche modo danneggiato, Lina Inverse… Il filo della tua vita, della tua vita mortale, potrebbe farsi sempre più sottile, fino a spezzarsi. Continueresti a vivere da sospesa, finché a poco a poco, se non troverai un posto dove tornare, un corpo ‘alternativo’, passerai senza volerlo dall’altra parte, e tutto sarà finito.”
La mia faccia doveva essere abbastanza eloquente, tanto che Babette si affrettò ad aggiungere:
“Ovviamente eviteremo che questo accada. Un sistema c’è, Lina Inverse. Sono necessari quattro  elementi: un luogo appartato, il tuo corpo, l’Akan e un negromante che possa eseguire l’incantesimo.” Si guardò intorno, fissando lo sguardo su Joy. “Per ora, tuttavia, sembra che abbiamo a portata di mano uno solo di questi elementi…”
Lo guardai a mia volta.
“Joy…”
“Lina… No. Qualunque cosa tu stia per dire, la mia risposta è no. Diavolo, tutta questa storia sta diventando sempre più assurda!”
“Joy…”
Il mercenario sospirò. Stava diventando più intuitivo di quel che avrei creduto.

Mezz’ora più tardi stavamo setacciando ogni angolo del palazzo alla ricerca del fantomatico Akan, e dovevo ammettere che le spiegazioni di Babette lasciavano un tantino a desiderare. Senza contare che non avevo la più pallida idea di come fosse fatto questo stramaledetto strumento di potere.
“Tu sei un negromante, dovresti averne sentito parlare almeno una volta!” Mi lamentai.
Joy si accigliò, mentre scassinava l’ennesima porta per sbirciarci dentro: “Sono un negromante per uno sfortunato caso, non di certo per vocazione. Cosa vuoi che me importi di un vecchio bastone pulcioso buono solo a riportare in vita qualche cadavere rinsecchito?!”
Roteai gli occhi al cielo: “Non puoi parlare seriamente! Il tuo è un dono, maledizione, dovresti sfruttarlo invece di ostacolarlo in tutti i modi. Se non lascerai fluire la tua energia…”
“Lina, falla finita. Dono o maledizione che sia per me è una solo una grande seccatura. Sono nato così… Per me è come avere una grossa macchia scura in mezzo alla faccia: me ne vergogno, se non ce l’avessi starei meglio, ma ce l’ho, me la devo tenere. E per quanti sforzi io faccia per nasconderla a me stesso e agli altri so che è lì, e che non se ne andrà. Sarà pronta a sbattermi in faccia il suo orrore ogni volta che mi guarderò allo specchio…”
“Per questo fai di tutto per tenerti lontano dagli specchi e da te stesso?”
“Mi sopporto a stento, sì, contenta adesso? Ora possiamo continuare la ricerca senza che tu psicoanalizzi ogni mio gesto?!”
Feci spallucce:
“Lo dicevo per te… Sei tu che devi convivere con te stesso, non di certo io per grazia divina! E il fatto di non riuscire ad accettarti alla lunga…”
Joy si fermò di colpo.
“Sai cosa mi chiedevo, Lina?”
Interdetta, lo fissai: “Cosa?”
“Mi chiedevo… Se tagliassi quella tua linguaccia dal  tuo corpo, credi che la cosa si ripercuoterebbe su di te, ponendo finalmente fine a questo tuo sfiancante chiacchiericcio? Se non te ne fossi accorta, sto cercando di concentrarmi.”
Lo fulminai con lo sguardo.
“Ecco, vedo che ci siamo intesi a meraviglia!” commentò soddisfatto, prendendo a ripercorrere il corridoio buio e deserto di un ala quasi in disuso del palazzo, mentre io lo seguivo profondamente indignata.

“Fermo!”
Il mio richiamo bastò a gelare Joy sul posto.
“Che diavol… Oh.” Il mercenario, una volta fissato lo sguardo su una delle innumerevoli porte alla nostra sinistra, fu costretto a tornare sui propri passi.
“Potrebbe essere” sussurrò.
“Non ‘potrebbe essere’. È” puntualizzai, esaminando da vicino il pomo dorato della maniglia, intorno alla quale si notavano nitidamente, tra la polvere, segni di dita.
Qualcuno ci aveva preceduto, a quanto pareva.
Eppure…
Prima che potessi fermarlo, Joy aveva allungato una mano verso la maniglia.
“Ferm…!”
“Aaah! Maledizone!” Il mercenario ritrasse immediatamente la mano, ustionata. “Che accidenti…”
“Stavo giusto per dirtelo” Scossi la testa. “C’è un incantesimo di protezione su questa porta.”
Joy chiuse la mano ferita a pugno, coprendola con l’altra rimasta illesa.
“Come lo sai?”
Lo guardai scettica.
“D’accordo, ritiro la domanda. Il punto è…”
“Il punto è che qualcuno ha avuto la nostra stessa idea di venire a farsi un giro nell’ala in disuso del palazzo questa notte.”
Ci guardammo, vagamente preoccupati.
“Ad ogni modo, ci sono due notizie” Lo informai “Una buona e una cattiva.”
“La cattiva è che forse non riacquisterò l’uso della mano destra.”
“Non riusciresti a mantenerti serio per almeno mezzo minuto? Non mi sembra di chiedere troppo.”
“Sono più che serio, dannazione! Fa un male cane e…” Il mio sguardo accigliato dovette costringerlo a contenersi. “E allora, qual è la buona notizia?”
Sospirai: “La buona notizia è che chiunque abbia tentato di impossessarsi dell’Akan prima di noi, ha evidentemente fallito, visto che l’incantesimo è ancora in azione.”
“Fantastico” esclamò con scarso entusiasmo Joy,osservando le minuscole vesciche che gli si erano formate sul palmo.  
“Già… La cattiva notizia, invece, è che per il medesimo motivo potremmo rimanere a mani vuote a nostra volta.”
“Davvero fantastico.”
Tornai con lo sguardo verso il pomo della maniglia, cercando di spremermi le meningi in cerca di una soluzione.
Conoscevo centinaia di incantesimi per scongiurare altri incantesimi, ma senza un corpo non potevo evocarne nemmeno uno. Senza un corpo, di fatto, non ero una maga. Perché la magia aveva a che fare con il cuore e il sangue, con l’energia. Tutte cose che avevo perduto, speravo non per sempre. Sapere la formula e non poterla azionare era decisamente frustrante.
Non starete forse pensando che pronunciare quattro versi magici significhi automaticamente ‘fare magia’, vero?
Avrei avuto bisogno di vigore, di spiritualità, di concentrare le forze in me per poter far funzionare un qualsiasi incantesimo. Ma non avendo nemmeno un cuore pulsante, sarebbe stato tutto inutile.
“Senza contare che…” constatai, “Questo incantesimo mi sembra ben fatto e di alto livello; non è roba da pivelli, tutto sommato.”
Joy trattenne a stento un’imprecazione.
“E cosa pensi di fare, quindi? Ti ricordo che mancano meno di una manciata d’ore al falò dell’anno…”
“Non c’è bisogno che me lo ricordi!” esclamai, digrignando i denti e cercando di concentrarmi.
Avanti Lina, pensa. Pensa.
Ero entrata da porte chiuse ancora più ermeticamente; ero passata da porte sorvegliate, incatenate, piantonate .
Ma avevo i miei attrezzi: incantesimi, ferri del mestiere, la forza bruta di Gourry…
Lanciai una breve occhiata a Joy che tastava con cautela, e con una smorfia di dolore, le vesciche sul palmo della sua mano.
No, decisamente no.
Come si può passare da una porta impossibile da varcare?
Sembrò quasi che Joy mi leggesse nel pensiero quando affermò:
“Passaci attraverso. Almeno controlliamo che l’Akan sia ancora lì. Poi penseremo a come tirarlo fuori.”
Io scossi la testa “Non ci riesco. Ho già provato altre volte, è inutile.”
“Sciocchezze. Ho visto molti spiriti farlo.”
Quel suo tono supponente mi fece innervosire:
“Ti dico che non posso!”
“E io ti dico che puoi!” Ci guardammo in cagnesco. Certo, avremmo potuto rimanere ore lì a dirci: “Sì!” “No!” “Sì!” “No!”
Ma il tempo era prezioso.
“Joy, fammi il favore di piantarla. Ti dico che non passo attraverso gli oggetti, quindi falla finita. Ora devo pensare ad una vera soluzione.”
“Se tu non fossi così prepotente e sicura di te stessa, probabilmente ascolteresti la spiegazione del motivo per cui invece puoi passare attraverso quella porta. Ma fai come vuoi. Sei tu che stai per essere infornata, non di certo io!” Detto questo Joy si mise a braccia conserte e guardò ostinatamente la punta dei suoi stivali.
Oh, maledizione!
“E va bene, va bene” esclamai, irritata. “Illuminami!”
Sentivo il tempo a mia disposizione che scivolava via un secondo dopo l’altro. Quanto mancava all’alba?
Joy si schiarì la gola: “È per quello che ha detto la gatta poco fa. Sei ancora legata al tuo corpo, probabilmente è per questo che, coscientemente, trovi impossibile attraversare un corpo solido. Ma adesso tu non devi ragionare in questi termini: lo spazio ha assunto un nuovo significato, dal momento che, in effetti, tu non occupi spazio. Non materialmente almeno. Di conseguenza nessuno spazio reale è un ostacolo per te. Ma tutto dipende dalla tua ragione: quando dimentichi di essere puro spirito, una parte del tuo corpo reale torna in te, ancorandoti come una zavorra. Quando invece sei cosciente della tua immaterialità, allora le cose sono quelle che sono. Chiaro?”
Mi scocciava terribilmente ammetterlo, ma sì, era chiaro.
“Quindi basta che io, coscientemente, mi dica: sono un fantasma, e per magia passerò attraverso muri e porte. È questo che mi stai dicendo?”
“Non semplificare. Hai capito cosa intendo, ti occorrono concentrazione e consapevolezza. Ma in linea di massima, sì.”
Beh, non sembrava difficile.
Guardai verso la porta. Il legno massiccio non mi poteva fermare. L’incantesimo di protezione non mi poteva toccare.
Sono un fantasma, sono un fantasma, sono un fantasma, sono un…

Quando riaprii gli occhi, tutto intorno a me era cambiato. Non mi trovavo più nel tetro corridoio, ma in un angusto stanzino lievemente illuminato dall’alone della luna che si intravedeva dai vetri di una piccola finestra.
Ero dentro.
Un lieve moto di gioia si mescolò dentro di me al pensiero di avercela fatta. Ma immediatamente il ricordo di quello che ero venuta a fare prese il sopravvento.
Akan. Quella era la cosa importante.
Lanciai uno sguardo a quanto mi circondava: pile su pile di vecchi libri impolverati, scatoloni e pergamene arrotolate. Mi accostai ad un testo, e attraverso l’opaca pellicola di polvere riuscii a capire di cosa si trattava: magia nera.
Così, quella era la stanza proibita in cui veniva confinato il ‘materiale scottante’. Se si teneva in considerazione la reputazione di Sailunne, non c’era da stupirsi che fosse così accuratamente celato. Nessuno avrebbe mai potuto essere a conoscenza di quei tesori (beh, per me lo erano almeno…) Certo, nessuno a parte qualcuno che aveva tentato di entrare nella stanza proibita prima di noi. Emisi un sospiro.
“D’accordo Lina, tanto vale rimboccarsi le maniche e cominciare a cercare.”
Dalla porta mi giunse una voce nota:
“Allora, l’hai trovato?”
“Come pretendi che possa averlo trovato! Sono dentro da meno di due secondi!” esclamai irritata, rendendomi conto in quel momento che non avevo la più pallida idea della forma che poteva avere l’Akan. Babette non aveva detto nulla, in proposito.
Esaminai più accuratamente ogni angolo con lo sguardo. Certo non potevo pretendere che Phil avesse messo un etichetta sulla custodia con scritto ‘Akan’, anche se in effetti questo mi avrebbe facilitato non poco le cose. Cercai di sollevare il coperchio di un bauletto, ma le mie mani ci passarono attraverso un paio di volte.
‘Concentrati’ mi ripetei mentalmente, ma il pensiero che di lì a poco avrei rischiato di ritrovarmi in cenere mi impediva di farlo. Stavo per riprovarci quando, all’improvviso, la vidi.
In un angolo della stanza, appoggiata al pavimento, c’era quella che avrei potuto definire la custodia di una bacchetta. Lunga, in pelle di capretto, con lacci e fibbie per la chiusura.
Deglutii.
In quel momento, potevo notare solo due cose: era stata maneggiata, perché recava i segni recenti di una mano.
Ed era vuota.

Il mio attimo di avvilimento, tuttavia, non durò che un istante, per tramutarsi velocemente in un sobbalzo di paura. Qualcuno parlò, alle mie spalle, e la sua voce mi colse del tutto di sorpresa.
“È sempre un piacere rivederti, Lina! Una tazza di tè?”
Voltandomi di scatto mi ritrovai a osservare il sorriso beffardo di Xellos, che gravitando mollemente sopra di me, stava comodamente rimestando in una tazza da tè con quello che a prima vista mi sembrò un grosso cucchiaio di legno.
“Che diav…!”
Xellos sorrise amabilmente. “Anche per me è un piacere rivederti, e noto con interesse che hai già imparato a  cavartela nella tua nuova, condizione!” Ammiccò. “Sei sempre stata una ragazza in gamba.”
“Condizione un corno!” sibilai. Ero fuori di me, tanto arrabbiata con lui che non trovavo nemmeno le parole con cui chiedergli spiegazioni. Del resto, sarebbero state parole vane: quando mai Xellos dava qualche spiegazione? Di solito era più sibillino di una sfinge. La voce di Joy mi arrivò attutita attraverso la porta incantata:
“Lina, che succede? Con chi stai parlando?”
“Con nessuno!”
“Nessuno? Così mi offendi, amica mia.” Xellos fece sventolare l’indice davanti al naso con aria contrariata. “E pensare che ero qui proprio per aiutare te…” disse poi, fingendosi risentito.
“Ah!” esclamai “Aiutare me! Ma senti un po’… adesso vuoi aiutarmi? L’ultima volta sei sparito senza darmi uno straccio di spiegazione. Mi sembra fin troppo ingenuo, da parte tua, credere che io ti presti fede senza pensare che dietro non c’è qualche trappola” dichiarai, con un sorriso cattivo.
Mi credeva davvero tanto fessa?
“Sappi che sono sempre più offeso da questa tua diffidenza nei miei confronti!” mi sentii rispondere “Ma fortunatamente per te la natura mi ha dotato di un animo generoso…” Accompagnò questa frase con un sorriso e un’occhiata assassina. Io deglutii.
 Xellos estrasse quello che supponevo essere l’Akan dalla tazza di tè, bevve una lunga sorsata e fece sparire tazza e piattino. Dopodiché mi fece sventolare davanti alla faccia la bacchetta-cucchiaio, mentre io, osservandolo, mi rendevo conto che dove avrebbe dovuto esserci la conca del cucchiaio c'era invece spazio vuoto, mentre sulla sommità dell'arco, all'interno, spuntava qualcosa che aveva tutta l'aria di essere un gancio .
“Qualcosa nel tuo sguardo mi dice che sei interessata all’articolo…”
“Può darsi” dissi, indifferente, distogliendo lo sguardo. Forse, se mi fossi mostrata disinteressata, Xellos mi avrebbe lasciato l’Akan senza troppe storie…
Sì, certo. E poi ci saremmo scambiati consigli sull'amore e avremmo danzato in mezzo ai fiori. Non si poteva ingannare un tipo come Xellos. Uno che aveva fatto le scarpe alla maggior parte dei suoi illustri colleghi.
“Ad ogni modo…” presi fiato “Immagino che se tu fossi tanto gentile da darmi quello che cerco, ci sarà un prezzo da pagare. E ho come il sentore che sarà un prezzo caro e salato, dico bene?”
Ci fissammo per un attimo negli occhi.
“Ho sempre adorato la tua sagacia, Lina. Ma in questo caso ti sbagli: sono qui solo per aiutarti.”
Feci un passo indietro: “Come no…” borbottai.
Xellos rimirò e soppesò l’oggetto che teneva tra le mani, mentre una striscia di luce argentata, entrando dalla finestra, faceva risplendere i suoi serici capelli scuri. Stare con lui in quello stanzino buio, senza avere nemmeno un asso nella manica, era vagamente inquietante. Molto vagamente inquietante.
“Quando ti ho tirato fuori da quella torre, prima che tu venissi ridotta in briciole, non l’ho fatto aspettandomi qualcosa in cambio, dico bene?”
“Non lo so. Non so mai niente con te… Non so mai cosa aspettarmi.”
“E mi sembra anche di averti avvisato più e più volte, durante questa ‘missione’…”
“Dove vuoi arrivare?” tagliai corto. Quel suo dilungarsi mi innervosiva.
“Da nessuna parte, Lina. Sono qui per darti l’unico oggetto in grado di salvarti. Mi interessa che tu sia ‘salva’, capisci?”
Tentennai. Dov’era la fregatura, maledizione?
“Qualcuno ha tentato di scardinare la porta, prima di noi….Voglio sapere chi è e perché.”
Xellos sorrise: “Oh, mi dispiace mia cara, ma come bene potrai immaginarti…”
“Lasciami indovinare: è un segreto?”
“Appunto.”
Il suo sorriso, nell’oscurità, faceva pensare ad un enorme felino intento a pregustarsi la paura della propria preda, prima di saltargli alla gola.
“Ci sei dentro fino al collo, non è così?”
“L’ho sempre detto che adoro la tua perspicacia.”
“Solo non riesco a capire… Perché? Cosa ci guadagnate tu e la tua combriccola se io rimango in vita?”
“L’informazione è riservata.”
“Ovviamente.”
Mi stavano trattando tutti come se fossi una marionetta priva di una propria volontà: i demoni tiravano da una parte, Babette e Joy dall’altra, mentre io ballavo senza sosta quella macabra danza.
“Lina? Si può sapere cosa diavolo sta succedendo là dentro?” Joy stava cominciando a spazientirsi.
“Il tuo amico comincia a preoccuparsi per te, forse è il caso di continuare questa conversazione in un altro momento.” Xellos mi indicò la porta “Torna con i tuoi mezzi, io porterò fuori questo per te.”
“Xellos!”Gli lanciai un’occhiata di fuoco “Lo so che non fai mai niente per niente, e so anche che, se dovessi sacrificarmi in nome di qualche tuo sporco affare, non ci peneresti due secondi, perciò sappi che starò in guardia: non mi fido di te.”
Il demone non mi degnò di una risposta. Con un gesto della mano fece levitare verso di sé la custodia dell’Akan, e lui e il suo sorriso sornione sparirono prima che avessi avuto il tempo di dire o fare alcun che.
Quando, dopo svariati tentativi, riuscii a riattraversare la porta, trovai Joy, solo nel corridoio, con uno sguardo sconcertato:
“Uno strano tizio con una parrucca viola mi ha dato questo…”disse, mostrandomi la custodia dell’Akan .“Ha detto che come cucchiaio da tè non vale niente, ma che può fare cose più interessanti…”
Roteai gli occhi al cielo.
“Andiamo” esclamai bruscamente, superandolo con sguardo truce.
Bisognava vedere cosa questo Akan potesse fare di così interessante da convincere Xellos a servirmelo su un piatto d’argento.


“Bene, è quasi l’alba e noi abbiamo l’Akan.” Joy mi sbandierò la custodia dell’Akan davanti al naso, come se fosse tutto merito suo.
“Abbiamo il negromante” Gli fece eco Babette. “E abbiamo il lugo appartato” concluse, riferendosi alla radura non lontano dal tempio in cui ci eravamo appartati.
“Ora manca soltanto…”
Ci guardammo tutti e tre.
“Manca il mio corpo” mormorai. Non avevo ancora capito cosa avesse intenzione di fare Babette, ma una cosa era certa: meglio nelle sue grinfie che a cuocersi lentamente davanti a tutta Sailunne. Del resto, il mio futuro in quel momento mi appariva troppo distante e confuso per permettermi di riflettere sulle conseguenze delle mie azioni. Sapete come si dice, no? Meglio un buon piano oggi che un piano perfetto domani.*
Il mio sguardo vagò verso il vasto cortile di Sailunne. Il cielo cominciava a rischiarare, sottili strisce purpuree annunciavano l’alba imminente. In lontananza si sentivano le voci concitate dei servi che trascinavano grandi quantità di legname verso la pira funebre in allestimento. Ehi, non capita mica tutti i giorni di assistere ai funerali della grande Lina Inverse.
“Joy…”
Joy fece ricadere la testa all’indietro, lasciandosi sfuggire un sospiro esasperato.
“Devi rubarlo. Devi rubare il mio corpo”
La testa gli ricadde ciondoloni contro al petto.
“Era proprio quello che temevo” disse soltanto. E non sembrava contento, per niente.


* Legge di Murphy

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Capitolo 14
*** Di errori, illusioni e mezze verità ***


capitolo 14
 Di errori, illusioni e mezze verità

‘Such a lonely day
Shouldn’t exist
It’s a day that ill never miss
Such a lonely day
And it’s mine
The most loneliest day of my life
And if you go
I wanna go whit you
And if you die
I wanna day whit you
Take your hand and walk away.’ (Lonely day, System of a down)

“D’accordo, strisceremo fino alla scalinata del tempio…”
“Lina, io striscerò. Tu puoi anche camminare normalmente, visto che nessuno può vederti! Cosa che non si può in tutta onestà affermare per il sottoscrit…”
“Vorrei ricordarvi che avete meno di mezz’ora” Babette si intromise nel discorso sventolando elegantemente la sua coda argentata. Ci fissò tranquillamente con i profondi occhi color ambra, e altrettanto tranquillamente affermò: “Se passerete tutto il vostro tempo qui a litigare, Lina verrà portata via da un corteo e poi verrà bruciata.” Sollevò delicatamente una zampa e si rimirò i polpastrelli dotati di unghie retrattili: “Laggiù” Concluse quindi, indicando con un cenno della testa il poco lontano manipolo addetto all’allestimento del mio funerale.
Deglutii mentre Joy si massaggiava le tempie.
“E va bene, andiamo…” borbottò. Fece qualche passo, quindi si girò di scatto verso di me, che mi stavo apprestando a seguirlo: “E senza storie!” mi ammonì.
“Vorrei ricordarti che si tratta del mio corpo! Se farai qualcosa che riterrò inopportuno, io…”
Joy mi fissò levando il sopracciglio, scettico.
“Io ti strillerò nei timpani tutte le notti fino a che questa storia non sarà finita” conclusi, soddisfatta nel vedere una smorfia di disgusto comparire sul suo volto.
Joy si voltò, stringendosi nel mantello, e, dopo aver sbuffato per l’ennesima volta, proseguì. Standogli alle calcagna potevo vedere l’Akan sporgergli dalla cintola a cui teneva appesa la spada.
Col favore di quel che rimaneva della notte, e cercando di battere sul tempo l’alba ormai imminente, raggiungemmo un lato del tempio. Ma, quando mi sporsi per dargli il via libera, dovetti mordermi la lingua: all’ingresso c’erano due guardie impettite, vestite come si conveniva ad una grande occasione.
“Maledizione…” imprecò Joy. “Siamo arrivati troppo tardi.”
“Fai qualcosa!”
Joy strabuzzò gli occhi: “Cosa vuoi che faccia?!”
“Qualsiasi cosa!”

“Emh… salve!”
Le guardie scrutarono sospettose Joy, che stava salendo gli scalini del tempio.
“Nottataccia, vero?”
Le guardie si scambiarono una breve occhiata, Joy fece un passo avanti. “Deve essere penoso starvene qua, a sorvegliare un… cadavere, dalle prime ore dell’alba…”
“Abbiamo degli ordini precisi, signore.”
“Sì, certo, capisco… Come se quella tizia potesse andarsene da qualche parte! Hahaha…”
Le guardie non colsero la sua sottile ironia.
“Che diavolo stai facendo?” Lo rimproverai, affiancandolo, “Ti ho detto ‘Fai qualcosa’ non: ‘mettiti a fare l’idiota e facci perdere altro tempo’!”
“Schhh!” Mi scacciò Joy, come se fossi stata una mosca fastidiosa, dopodiché proseguì:
“Beh, lo dicevo per voi; immagino dovrete rimanere molte ore qui, sull’attenti, senza un attimo di pausa…” Lanciò una breve occhiata alle guardie, poi, con calcolata indifferenza, estrasse una delle sue  sigarette arrotolate dalla tasca, e se la mise in bocca con un gesto teatrale.
Vidi lo sguardo dei due uomini farsi più attento.
A quel punto Joy prese un fiammifero, facendolo strisciare contro alla suola dello stivale, e accese la sigaretta con uno sfrigolio che vibrò nell’aria silenziosa della notte; doveva essere molto invitante per i due piantoni impalati lì già da diverse ore.
Il mercenario, senza alcuna pietà per gli sguardi ora quasi supplichevoli dei due uomini aspirò una grande boccata di fumo, per poi espirargliela in faccia senza troppi complimenti.
“Ah! Proprio quello ci vuole per rilassarsi!” disse, vestendo un’espressione di puro godimento.
Io annusai l’aria fumosa intorno a noi e, con una smorfia, mi resi conto che quell’odore non assomigliava per niente al comune odore che dovrebbe avere una sigaretta.
“Joy, cosa stai…?”
Joy sorrise alle due guardie: “Naturalmente, ritengo sia inutile chiedere a due integerrimi uomini di fiducia come voi se…” porse la sigaretta verso di loro, incoraggiante.
Le guardie sudavano freddo.
“No, ovviamente n…” Joy stava per ritrarre la mano, quando…
“No! Asp… Aspetti!” Uno dei due soldati aveva ceduto.
“Ed! Che stai facendo?” Lo rimproverò il compagno “Noi non possiamo, siamo in servizio…”
“Ash, andiamo, solo una boccata, per rinfrancarci un po’… non lo saprà mai nessuno…”
“Sì Ash, nessuno vuole fare la spia…” Joy sorrise in modo diabolico. All’improvviso riconobbi in lui il mercenario che mi aveva ingannato e fatto inciampare nei suoi tranelli per tutto il tragitto da Solaria a Sailunne. Infido che non era altro…
Però dovevo ammettere che non se la stava cavando affatto male. Ma considerando che era un imbroglione professionista, non avrei dovuto stupirmene più di tanto, giusto?
Ash, tuttavia, era ancora titubante.
“Ma se ci vedesse qualcuno…”
Joy scrollò le spalle: “Ragazzi, sapete cosa vi dico? Ash ha ragione. Se qualcuno dovesse scoprire questa, a detta mia, innocente pausa che vi concedete, potrebbe pensare che non svolgiate onestamente il vostro lavoro… Come si può fare?” Così dicendo si portò una mano al mento, fingendosi pensieroso. “Ah! Ci sono! Potreste nascondervi dietro quei cespugli e rilassarvi qualche minuto, come dovrebbe fare ogni buon lavoratore per svolgere egregiamente il proprio servizio! Però resterebbe il problema che voi qua dovete sorvegliare un corpo… Come si può fare? Ascoltate, e se ve la curassi io la ragazza per qualche minuto, cosa ne dite? Del resto, dubito che si alzi sulle sue gambe per andarsene chissà dove.”
Le guardie si insospettirono. Ash in particolar modo:
“E perché dovresti fare tutto questo?” Chiese, poco convinto.
Joy roteò gli occhi al cielo, e scoppiò in una risata ‘da-veri-uomini’, molto, molto calcolata.
“Amico! Andiamo, che domande! Sono stato anch’io un piantone, lo so come ci si sente! Paghe misere, orari impossibili fermi immobili nella stessa posizione, se non ci si aiuta tra fratelli…”
Si portò la sigaretta arrotolata davanti agli occhi “E fidatevi, questo è il miglior aiuto che si possa avere in un lavoro come questo.”
Gli occhi delle guardie brillarono.
Joy lanciò loro un piccolo sacchetto di lino grezzo, che teneva ben custodito in una tasca:
Oppio.
“Fate con calma, qui ci penso io!” sussurrò, con fare cospiratorio, mentre i due piantoni scivolavano furtivi e silenziosi ai lati del tempio, impazienti di provare quel che Joy gli aveva rifilato.
Dovevo dire che ero vagamente disgustata, ma anche decisamente impressionata.
“Li hai drogati!” esclamai. Joy fece spallucce. “E tu stesso ti droghi! Da quanto fai uso di quella… roba?”
“Non ti facevo così bigotta.”
“Non è per quello, è che tu…” I miei occhi incrociarono i suoi “Perché?”
Joy si sfregò la punta del naso,  un gesto che faceva spesso quando voleva chiudere un discorso il più in fretta possibile:
“Perché? Domanda interessante, vediamo… Forse perché le mie notti sono popolate di incubi e le mie giornate di spiriti?”
Non seppi cosa replicare. Joy non distolse lo sguardo dal mio:
“Sai, è consolante sapere che esiste qualcosa capace di… Offuscare la mia mente per un po’. Tutto qua. Oh, ma non preoccuparti per stasera. Quella sigaretta conteneva una quantità minima di oppio, a differenza di quanto ho lasciato a loro. Sono lucido.”
Continuai a rimanere in silenzio. Joy parve contrariarsi:
“D’accordo, continui a fissarmi senza parlare. Deduco che questa volta devo aver toccato proprio il fondo della tua stima nei miei confronti. Beh, non so che dirti. Non voglio giustificarmi, d’accordo? Si tratta della mia vita, in fondo. Naturalmente il tuo Gourry non farebbe mai qualcosa del genere. Sai, lui è un raggio di sole, io invece… beh, adesso andiamo, il tempo stringe” concluse la frase sbrigativamente e si infilò nel tempio ormai incustodito. Io lo guardai con le sopracciglia aggrottate.
Ovviamente non mi sarebbe mai passato per l’anticamera del cervello di dirglielo, ma ero rimasta senza parole perché, per la prima volta, avevo scorto l’abisso celato nel suo sguardo. Non doveva essere facile vivere nei panni di Joy. Iniziavo a capire perché si trincerasse dietro quell’atteggiamento sprezzante e arrogante e, per quanto mi costasse ammetterlo, lo comprendevo. Capii che stavo iniziando a conoscerlo e... ad apprezzarlo per quello che era. Per quello che era davvero.

Entrai nel tempio, ma dovetti arrestarmi alle spalle del mercenario.
Oh, non per il mio corpo. Quello c’era ancora, figuratevi.
Bianco e marmoreo, circondato da fiori ambrati di cui una settimana prima ignoravo addirittura l’esistenza, ma che ora tutti pensavano fossero i miei preferiti. E lì, accasciato tra quegli stupidi fiori, con la schiena addossata al freddo altare che mi faceva da letto di morte, c’era Gourry.
Teneva lo sguardo fisso davanti a sé, guardando un punto imprecisato. Non muoveva un muscolo. Il respiro regolare non avrebbe potuto tradirlo.Se non fosse stato per le lacrime che gli scorrevano silenziose lungo le guance, l’avrei  pensato semplicemente assorto in qualche complicato rompicapo.
Non si trattava più dei singhiozzi disperati a cui avevo assistito la notte precedente, né tanto meno dello sguardo folle che gli avevo visto solo poche ore prima, quando aveva affermato che si sarebbe vendicato.
Era molto, molto peggio. La sua anima si stava scucendo davanti ai miei occhi.
“Gourry…” mormorò Joy, non trascurando di lanciarmi una breve e nervosa occhiata.
Sapevamo entrambi che il tempo stringeva. Che di lì a poco sarebbero venuti a prendermi per cominciare la grigliata. Ma in quel momento, per quanto mi sforzassi, non trovavo il coraggio di reagire.
Come uno schiaffo mi colpì il ricordo di come mi ero sentita io il giorno dopo il rapimento di Gourry ad opera di Phibrizio. Disperata… E sola. Perduta.
E, allo stesso modo, avevo pianto silenziose lacrime.  Tuttavia, quella volta avevo avuto in me la forza di scuotermi per andarlo a cercare. Per riaverlo con me. Perché io una speranza ce l’avevo.
Ma se mi avessero detto che Gourry era…?
Se irrompendo nel covo di Phibrizio l’avessi trovato così come ora lui vedeva me, bianco e freddo?
Scossi la testa; faceva troppo male immaginarlo.

Gourry non reagì all’avvicinarsi di Joy. Non tentò nemmeno di asciugarsi le lacrime e di darsi un contegno, come forse avrei fatto io.
“Gourry, che ci fai qui? Dovresti essere…” Joy mi sembrava veramente a disagio.
“Io le sto tenendo compagnia, un ultima volta, prima che...”
Io mi sentii tremare le gambe. Non andavo da nessuna parte, maledizione!
“Sì, lo vedo, ma…” Joy si torse le dita. Era il re dei bugiardi, ma in quel momento gli mancavano le parole. “Non pensi che magari Lina abbia bisogno di un po’ di, ecco… privacy? Sai, prima del viaggio eterno…”
Gourry lo ignorò. Probabilmente era una forma di cortesia nei confronti di Joy: privacy?!
“Joy…” Gourry scosse la testa, gli occhi lucidi e gonfi. “Ho fatto uno sbaglio. Un enorme sbaglio…”
“Può succedere, Gourry. Sei umano anche tu, dopotutto…” Joy fremeva per estrometterlo dal tempio. Si voltò verso di me e bisbigliò: “Ma di cosa sta parlando?”
Io levai le spalle. Non ne avevo la più pallida idea. Sapevo solo che stare davanti al mio cadavere e a Gourry ridotto così faceva più male di una coltellata.
La voce di Gourry interruppe i miei pensieri:
“Non dovevo restare con lei, Joy. Sarei dovuto partire con te dopo Solaria…”
A Joy per poco non cascavano le braccia a terra. A me era come se avessero tirato un pugno in pieno stomaco.
Joy si avvicinò all’amico “Senti, lo capisco che sei fuori di te… Ma ti sembra il caso di dire simili idiozie davanti a…” I suoi occhi mi cercarono, poi indicò il mio corpo: “Lei?”
“Perché? Tanto ormai che importanza può avere?” Gourry puntò gli occhi rossi in quelli di Joy. “L’ho uccisa io.”
“Gourry finiscila!” Joy lo afferrò per le spalle e lo scosse, cadendo a sua volta in ginocchio tra le profumate calendule. “Si può sapere che ti passa nella testa?”
“Quella notte è stato un errore!” gridò a quel punto lo spadaccino, divincolandosi. “Un maledetto, orribile errore! Capisci?”
Joy assunse un’espressione confusa: “Ma di cosa?...”
Io mi sentii gelare. Un errore?, era così che la vedeva?
“Se non le avessi riempito la testa di sciocchezze, se non le avessi chiesto… E adesso è troppo tardi. Lei è morta! È morta…” Ora era Gourry che aveva afferrato le spalle di Joy, il quale lo guardava pieno di sgomento. “Vorrei cancellare quello che ho fatto, vorrei cancellare tutto e ricominciare da capo, ma non posso! Perché è a causa mia che…”
Quelle furono le ultime parole che sentii, prima di girare i tacchi e correre fuori dal tempio, mentre le parole di Gourry mi aprivano una ferita dentro, più profonda e dolorosa di quella che mi aveva inferto Babette.
Corsi giù per gli scalini, passai davanti alla pira, ormai completata, e attraverso il corteo dei sacerdoti di Sailunne che uscivano dal tempio maggiore per presenziare alla cerimonia.
Non sapevo dove stavo andando. Era una cosa stupida, irrazionale. Avrei dovuto preoccuparmi di portare in salvo la pelle… Quella che ancora possedevo, seppur in un'altra sede. Ma non potevo stare un minuto di più in quella sala del tempio.
Era più di quel che mi si poteva chiedere; abbiamo tutti dei limiti, dopotutto.

Quando Joy mi raggiunse, ero seduta in uno dei giardini botanici del palazzo; tenevo le gambe al petto e tremavo. Se avessi potuto avrei pianto.
Ebbene sì, io, la grande Lina Inverse.
Era così umiliante.
“Lina! Anf… Anf… Per gli dei, dannazione…” Ignorai il fatto che a Joy stesse per venire un infarto. Essere fantasmi almeno faceva risparmiare fiato.
“Tu…” Mi indicò col dito tremante mentre, una mano al cuore, cercava di riprendersi. “Tu… Sei pazza! Cosa pensi di risolvere così? Torniamo là dentro, forza…”
Scossi la testa, senza smettere di guardare davanti a me.
“Lina! Gourry è sconvolto, farneticava, l’hai sentito anche tu… noi adesso dobbiamo sbrigarci perché…”
“Abbiamo fatto l’amore.”
Joy sbatté le palpebre. Io sorrisi amaramente.
“È questo l’errore di cui parla Gourry.”
Non sapevo esattamente perché l’avevo detto. Forse avevo bisogno anch’io di credere che fosse stato un errore, e raccontarlo a Joy era il modo migliore per pentirsene, dopotutto…
O forse avevo semplicemente bisogno di raccontarlo a qualcuno, e Joy era l’unico che poteva accogliere le mie confidenze.
Passò qualche secondo, poi Joy venne a sedersi al mio fianco.
“Non ho fazzoletti da prestarti.”
“Non sto piangendo.”
“Sì, invece. Non si piange solo con le lacrime.”
Mi voltai, guardandolo da sopra alla spalla. Joy scosse la testa.
“Gourry ti ama, Lina.” Sospirò. “Ricordi la conversazione che abbiamo avuto in riva al fiume, più o meno all’inizio di questo viaggio?”
“Quella simpatica conversazione in cui hai affermato che Gourry era un uomo frustrato grazie a me, e che io costituivo un limite per lui? Ho un vago ricordo, sì” risposi, senza capire se Joy stesse cercando un modo per confortarmi o farmi sentire ancora più giù di morale.
“Beh, mentivo.”
“Strano: non è da te,mentire, Joy” replicai, levando un sopracciglio.
“Lina, il punto è… che la gente si racconta delle cose. Ma non è detto che queste cose corrispondano alla realtà. Volevo che Gourry partisse con me perché, mi dicevo, con me sarebbe stato meglio. Non era vero, così come non è vero che Gourry pensa che quello è successo tra di voi sia un errore. Se lo racconta solo per punirsi, perché pensa di meritarselo.”
“Perché mi dici queste cose, Joy? Tu mi odi.”
Joy fece spallucce. Stava per fare qualche commento idiota, lo capii da come atteggiava il mento, ma qualcosa lo fermò. Tornò serio.
“Tu sei la mia occasione, Lina.” Sospirò. “Se c’è del buono in me, in questo dono maledetto, posso scoprirlo solo aiutandoti. E aiutando Gourry. Lui l’ha sempre fatto, per me. Permettimi di aiutarvi.” Mi guardò dritto negli occhi: “Ti prego, lascia che io ci provi.”
Non l’avevo mai visto tanto sincero. Avrei potuto commuovermi, giuro, ma Joy proseguì, imperterrito: “Senza contare che…” con un rapido gesto estrasse l’Akan dalla cintola. “Non avremo trafugato questo affare per pettinarci le bambole, spero!” Sventolò la custodia dell’Akan davanti al mio naso, poi con una smorfia aggiunse: “Inoltre, lascia che te lo dica: quell’aria funesta non ti si addice… Devi forse presenziare a qualche funerale?”
Un lieve sorriso si dipinse sul mio volto. Joy mi strizzò l’occhio, poi assunse un’espressione esasperata:
“Andiamo, coraggio. Per quanto mi scocci ammetterlo… cosa sarebbe il mondo senza Lina Inverse?”

I lievi rintocchi di una campana accompagnarono la nostra seconda sortita al tempio. Questa volta, volente o nolente, Gourry o non Gourry… Lina Inverse doveva uscire da quelle porte, con o senza le sue gambe.
Avevo detto a Joy di non farsi problemi a stendere Gourry se fosse stato necessario. Uno, perché non avevamo più tempo, e due perché, lo ammetto, non gli avevo perdonato di aver definito la nostra prima volta un errore. Glie la avrei volentieri fatta pagare personalmente, se avessi potuto.
Tuttavia, quando raggiungemmo l’altare, notammo con sollievo che dello spadaccino non c’era più traccia. Guardai Joy, il quale aggiunse, con un’alzata di spalle: “Deve avermi creduto quando gli ho detto che tuo padre lo stava cercando per parlargli di una questione che concerneva le tue ultime volontà…”
“Joy… Non vedevo mio padre da più di sei anni, che diavolo vuoi che ne sappia delle mie ultime volontà?”
“Oh, beh… deve esserselo chiesto anche Gourry, per questo è andato a chiarire.” L’aria seria non abbandonò il volto di Joy. Un bugiardo nato.
Levai gli occhi al cielo. “Comunque non ha importanza; diamoci una mossa.”
Studiai il mio corpo. Nonostante tutto, era davvero interessante essere me ed essere fuori da me… ma non era quello il momento di perdersi in chiacchiere.
“Cosa pensi di fare?”
Joy non perse tempo: “La cosa più ovvia: ti ‘rubo’!” E così dicendo afferrò il mio cadavere, o quel che era, insomma, e, assai poco gentilmente, se lo issò in spalla, mentre la mia testa gli ricadeva ciondoloni lungo la schiena
“Ehi…!”
 La sua mano…..
“Leva immediatamente quelle sporche mani dal mio fondoschiena!”
“Oh, ti prego! Non abbiamo tempo per queste idiozie! Piuttosto… corri!” E così dicendo si catapultò verso la porta, mentre la mia povera testa sbatacchiava ovunque.
“Joy!” gridai, “Fa attenzion…”
Proprio in quel momento, nell’esatto istante in cui stavamo per imboccare l’uscita, una alta ed imponente figura si stagliò davanti alla porta, impedendoci il passaggio.
Io frenai di colpo, Joy fu meno fortunato e si schiantò contro al possente torace di Herman.
“Maledizione, ci mancava solo questa…”esclamai, levando gli occhi al cielo.
Il mio corpo era a terra, di fianco a Joy, e sembravano entrambi piuttosto malmessi.
Herman, il quale era invece rimasto in piedi ed illeso guardava la scena costernato, quasi stesse rimirando un massacro.
“Capo, cosa stai combinando? Stai… stai trafugando il corpo!”
“Herman! Piano con le parole!“ Joy si massaggiò la schiena, rimettendosi in piedi. “Trafugare! Non mi sembra questo il termine corretto per definire… ecco…” Mi lanciò un’occhiata disperata. Ma io non avevo soluzioni da offrire.
“Dobbiamo sbrigarci!” dissi, indicando l’uscita. “I sacerdoti saranno qui da un momento all’altro!”
 “Giusto. Herman, caro Herman… Tu lo sai che ti ho sempre ritenuto un buon soldato, vero?”
“Sì, capo, ma questo cosa c’entra adesso? Tu stavi scappando con il corpo di Lina Inverse…”
“Ah! Ma è qui che ti sbagli, caro Herman. Perché, sai, io non stavo scappando con il corpo di nessuno. Anche se ad una prima occhiata potrebbe sembrare così ti assicuro che le apparenze ingannano.” Mentre parlava Joy mi ‘raccolse’ da terra. “Quello che stavo facendo, in effetti, era… Liberare Lina Inverse! Appunto! Hai mai sentito parlare della setta di liberazione dei corpi destinati all’oblio?”
Questo era troppo, perfino per Herman.
“Sei impazzito, capo? Di quale setta stai parlando?”
“Di una setta religiosa!” rispose prontamente Joy. “Una setta religiosa a cui ho aderito, che si occupa di… di… non far soffrire inutilmente i corpi! Insomma, avrai sentito che volevano cremare la poverina.”
“Si, venivo appunto per quello…”
“Ah, è così dunque?” Joy assunse un’aria indignata. “Tu sapevi che la Inverse sarebbe stata cremata, è non hai fatto niente per impedirlo?! Devo sempre pensare a tutto io, come al solito.” Detto questo superò lo sconvolto Herman e cominciò a discendere gli scalini.
“Ma capo!” Gli gridò dietro l’omone “Io credevo che cremare i morti fosse una cosa giusta. Io non potevo immaginare… Ma di cosa si occupa questa setta, esattamente?”
Joy, che stava mettendo piede sull’ultimo scalino, senza degnarsi di guardarlo si limitò a biascicare: “Oh, dolce trapasso, cose così” balbettò.
“Ma Lina Inverse è già trapassata…” Fu la sensata obbiezione. Joy non si fece scoraggiare dalla logica dell’affermazione, e proseguì nei suoi ragionamenti degni di un folle. Se Herman non fosse stato l’anima candida che era avrebbe fiutato odore di menzogne già da un pezzo.
“Per il trapasso del corpo! Maledizione, devo sempre spiegarti tutto?”
Contro ad ogni previsione, Herman cominciò a seguirci:
“Ma, scusa, perché non ne parli con il principe… La famiglia reale è davanti alla pira con tutti gli amici di questa ragazzina: non puoi agire di nascosto! Se si tratta di una cosa giusta, sono sicuro che ascolterebbero quello che hai da dire….Vuoi che vada ad avvisarli?”
“NO! Ecco, no, ti ringrazio, caro Herman. Ma vedi, questa setta è segretissima e poi è… illegale!”
Herman sbiancò.
“Illegale?”
“Sì. No. Cioè…” Joy deglutì. “Illegale solo qui, a Sailunne, perché questo è il regno della magia bianca, mentre vedi, questa associazione che si occupa di non far soffrire… i corpi… si avvale di tecniche poco ortodosse, quindi tu capisci che…”
Herman assunse un’espressione saggia:
“Oh, sì, allora è tutto chiaro…” Il suo viso si addolcì “Capo, non immaginavo che fossi così religioso…” Si sciolse in un sorriso affettuoso, dopodiché si ricompose. “In questo caso, capo, voglio aiutarti!”
Io e Joy ci guardammo atterriti:
“NO! Beh, vedi, il fatto è che… Tu non hai avuto la benedizione della confraternita. Mi dispiace, ma non puoi assistere alla… alla cerimonia.”
Nel frattempo eravamo quasi arrivati in prossimità del luogo in cui ci attendeva Babette. Ancora pochi minuti e il lieve rossore del sole avrebbe rischiarato l’atmosfera intorno a noi, il che voleva dire che da lì a poco avremmo corso il serio rischio di essere scoperti. Bisognava tagliare corto.
Herman sembrava parecchio deluso. Joy tentò la sua ultima carta:
“Senti Herman, niente storie, sono o non sono io il capo, dopotutto? Non ti immischiare in questa faccenda, fammi il favore…”
“Ma la gente che aspetta il funerale…? Cosa penseranno?”
Joy ci pensò su un secondo, dopodiché vidi una scintilla balenare nel suo sguardo:
“A loro ci penso io, tu non ti preoccupare. Solo una cosa: se ti fai sfuggire qualcosa su quanto ci siamo detti fino ad adesso, una qualsiasi cosa… Saranno grossi guai per te, ci siamo capiti?” Gli occhi di Joy divennero due fessure “Non una parola!”
“Non una parola…” Ripetè Herman, vagamente intimorito.
“Bene, ora torna… Anzi no, resta nei paraggi, e non farti vedere: più tardi verrò a cercarti per spiegarti cosa fare, fino a quel momento…”
“Acqua in bocca e resto nei paraggi senza farmi vedere” ripetè Herman, che aveva memorizzato l’ordine.
“Bene, a più tardi!” E detto questo Joy scivolò silenzioso tra le siepi, portandosi dietro il mio corpo ammantato di bianco.
“Credi che Herman abbia creduto alla marea di idiozie che gli hai propinato?” Gli chiesi, non appena fummo soli.
“Herman è un brav’uomo, ma decisamente ingenuo. Senza contare che si fida ciecamente di me.” Joy mi rivolse un’occhiata storta. “Sei pesante però, Lina Inverse!” Io lo fulminai.
“Perché gli hai detto di rimanere qua e non farsi vedere?” Proseguii, tanto per cambiare discorso.
“Sarà il mio alibi quando si chiederanno che fine abbia fatto il corpo di Lina Inverse. Dirà che era nelle cantine con me a farsi un cicchetto.”
Mi voltai a fissarlo: “Non sei poi così idiota come sembri, dopotutto…”

“Ebbene, ce l’avete fatta, a quanto vedo…” Babette ci aveva raggiunto nel luogo stabilito, un angolo di giardino sufficientemente riparato da sguardi indiscreti. Joy si fermò, e senza troppi complimenti scaricò il mio corpo sull’erba bagnata di rugiada.
“Fai attenzione!” abbaiai. Il mercenario mi ignorò deliberatamente.
“Dunque, adesso cosa facciamo?” chiese, incrociando le braccia davanti a Babette. La gatta frustò l’aria con la coda un paio di volte, scrutando il mio corpo con interesse.
“Ho fatto proprio un buon lavoro” si compiaque.
Io roteai gli occhi al cielo.
“È la frase che potrebbe dire solo un assassino psicopatico.”
Cosa che Babette, in effetti, era. Un gatto pazzo con manie omicide.
Posai lo sguardo sul mio povero corpo, abbandonato tra l’erba, inerme, vuoto…
Quella ero io.
Quel volto ovale, quel fisico minuto, quei lunghi capelli ramati. Le mani dalle dita sottili, i gomiti leggermente appuntiti, la frangia sempre disordinata…
Non avrei potuto essere in un'altra maniera; io e il mio corpo ci appartenevamo, insieme avevamo convissuto per vent’anni e insieme ci eravamo modificati, evoluti.
Avevamo vissuto.
Cosa sarebbe stato di me, senza… me? Come aveva potuto, Babette, pretendere il mio aiuto a costo di farmi perdere quanto di più importante avevo, la vita? La possibilità di poter parlare con la mia voce, di poter correre con le mia gambe, di poter usare la mia magia?
“Mangerò arrosto di gatto quando tutta questa storia sarà finita…” Borbottai tra me e me, digrignando i denti.
Joy intanto aveva sfoderato l’Akan dalla cintola, estraendolo dalla custodia, e guardava sospettoso quella sottospecie di grosso cucchiaio cavo. Il gancetto dorato che pendeva all’interno splendeva luminoso.
“Quindi, ecco…” disse, rimirandolo da ogni lato, nel vano tentativo di scoprire un meccanismo segreto che l’avrebbe portato alla comprensione del misterioso oggetto. Poi ci rinunciò: “D’accordo, come funziona e a cosa serve questo aggeggio?”
Babette si avvicinò, poggiando una zampina vellutata sulla custodia, che era scivolata a terra: “Qui dentro c’è la risposta. Voi uomini vi concentrate troppo sul superfluo, il vero Akan, è ancora nella custodia”
“Ah” Joy sembrava interdetto. “E questo allora che accidenti è?”
“Il suo supporto” fu la pronta ed immediata risposta. Io mi avvicinai incuriosita, mentre Joy sollevava la custodia, da cui emersero, in ordine, quattro sacchetti di seta, ognuno di un colore diverso. Sembravano molto gonfi, e molto morbidi.
Notai che Babette guardava talmente fisso quei quattro involucri, che mi domandai cosa diavolo potessero contenere; ma i miei dubbi vennero subito fugati da Joy, il quale, senza prendere nessuna precauzione, slacciò il cordino che teneva chiuso il primo sacchetto di colore grigio.
Quello che gli rotolò sul palmo della mano, fu un piccolo campanello di argento opaco, che, toccando appena la punta dell’indice di Joy, emise un impercettibile tintinnio.
Fu come se una scossa mi passasse per la spina dorsale, intontendomi, e voltandomi vidi che anche il pelo sulla schiena di Babette era leggermente irto.
“Cosa stai facendo? Mettilo via!”soffiò, perdendo l’abituale autocontrollo. Joy coprì immediatamente il campanello con la mano, e il ronzio che sentivo nelle orecchie si fermò. Mi sentivo  intorpidita ed era bastato un semplice tintinnio…
Cominciavo a capire perché Phil avesse tenuto accuratamente segreto e nascosto quell’arnese.
“Mettilo subito via, il campanello grigio è…” Babette si fermò di colpo “Mettilo via e basta. Ogni campanello ha la sua funzione precisa: rosso per risvegliare, giallo per chiamare e comandare, verde per plasmare la materia, e grigio… Per riportare nell’ombra.”
Joy non se lo fece ripetere, richiudendo quel maledetto campanello nel suo sacchetto, che era gonfio di bambagia per impedirgli di tintinnare.
“Dovrai fare la massima attenzione con quello…” Lo ammonì Babette, che non si era ancora del tutto ripresa dall’attimo di poco prima, e lo guardava con sospetto.
Joy invece aveva lo sguardo di un bambino il giorno di Natale: “Vuoi dire che con questo io potrò influenzare gli spiriti, e… i corpi?”
“Sei un negromante, dopotutto. Fa parte del tuo destino. Ma dovrai impratichirti, non mi sembra che per ora tu sia propriamente a tuo agio con uno strumento del genere…”
Joy non la stava nemmeno ascoltando: “Ma certo, ora ho capito cosa vuoi che faccia!” Si batté una mano sulla fronte. “Rosso per risvegliare… Tu vuoi che io risvegli Lina, così saremo sicuri che non finirà sulla pira, mentre noi ti aiutiamo con quel tizio…” E prima ancora che io e Babette potessimo impedirglielo, Joy slacciò il sacchetto rosso, prelevando con le dita un lucente campanello di rame.
“Joy…”
Joy,in maniera intuitiva, attaccò il campanello al gancio che pendeva dalla bacchetta, e ignorando qualsiasi tipo di protesta si diresse verso il mio corpo.
“Lina Inverse, ti ordino di svegliarti!” esclamò, facendo tintinnare tre volte il melodioso campanello, il quale, contrariamente al precedente, aveva un richiamo irresistibile.
Tuttavia, il comando non era eseguito alla volta del mio spirito, ma al mio corpo terreno, il quale, in maniera abbastanza raccapricciante, levò la testa con uno scatto.
“Ommiedei!” gridai, rabbrividendo. Sembravo una marionetta impazzita. “Fallo smettere… subito!”
Babette prese in mano la situazione, saltando addosso a Joy, che sembrava vittima lui stesso di quella melodia inquietante, e graffiandogli il volto fino a farlo rinsavire.
Gettò a terra l’Akan, sbattendo le palpebre, e sembrò tornare in sé. Capii che lo strumento l’aveva posseduto. Non era un giocattolo e Joy non era affatto avvezzo alla magia.
“Che diavolo…” Farfugliò, poi, rendendosi conto di quello che aveva combinato, si affrettò a porvi rimedio.
“Fermati!” intimò al mio corpo, ma quello sembrava non sentirlo e stava tentando di sollevarsi sulle gambe malferme. Una scena degna del peggior horror di serie B.
“Devi usare il campanello nel sacchetto giallo, solo così potrà ascoltarti!” Gli soffiò la gatta. “Quello non è altro che un inutile corpo vuoto!”
Joy non se lo fece ripetere due volte, sganciando quello di rame e appendendo alla bacchetta un bel campanello dorato.
Al secondo tintinnio la mia testa si fermò. Alle parole “Torna com’eri prima” ricadde tra l’erba bagnata, come se nulla fosse accaduto. Tutto questo era decisamente inquietante.
“Per gli dei. È dannatamente difficile usare questo affare!” Si lamentò Joy, tirando un sospiro di sollievo.
“Sono sicura che con un po’ di pratica ce la farai…” Gli sussurrò Babette “Sei nato per questo, dopotutto.”
“Sentite, non vorrei interrompere la vostra lezione sull’autostima, ma… Adesso come si procede? Vi vorrei ricordare che il mio corpo è ancora qua, e…”
“Ci rimane un solo campanello da sperimentare…” mormorò la gatta, mentre Joy sfiorava la superfice del sacchetto verde.
“Verde: per plasmare la materia…” Ripeté Joy “’Plasmeremo’ il corpo di Lina?”
“Esattamente” Fu l’unica risposta che ricevemmo.

Ce ne stavamo tutti e tre accovacciati accanto al mio corpo.
“Non capisco…” dissi, sospettosa.
“Metteremo il tuo corpo in un altro corpo. Al sicuro, capisci?”
“Non ne sono sicura…”
“Il campanello verde ha l’enorme potere di controllare l’involucro di ogni anima. Sarà come una sorta di ‘reicarnazione’, ma non dello spirito, bensì della materia. In alcuni casi…” Babette fece una pausa “In alcuni casi è anche possibile mutare l’involucro e rimetterci dentro l’anima, capisci?”
“Devo ammettere che è una cosa agghiacciante!” dissi, indignata al pensiero di questo taglia e cuci tra corpo e spirito.
“Abbastanza. Ma questo è un caso estremo. Sono ormai molti anni che questa magia non viene praticata, e ti vorrei ricordare che l’Akan venne sequestrato anche per questo. Al vostro principe queste sembravano pratiche occulte estreme, macabre.”
“Perché lo sono, Babette!”
Babette si limitò a sollevare le scapole ricoperte di pelliccia.
“Comunque sia, l’incantesimo è reversibile, perciò quando avrai concluso la missione che ti ho affidato, se il risultato sarà quello che spero, il tuo corpo tornerà ad essere come lo vedi ora, e tu potrai tornare ad abitarlo…”
“Questa cosa mi puzza…”
“Se hai altre soluzioni, sono tutta orecchi. Ma ti ricordo che sta per sorgere il sole, e non sono nemmeno certa che la tua sparizione non sia ancora stata notata…”
“E va bene, va bene….” Sospirai “Come si procede con questa, emh… cosa?”
Babette si guardò intorno, poi squadrò a lungo il mio corpo riverso. Un pallido raggio di sole sbucò in quel momento dalle nubi, facendo scintillare la pietra appesa al mio collo. Il pegno d’amore di Gourry.
“Quello andrà benissimo!” dichiarò.
“L’anello? Vuoi mettermi nell’anello?” Ero dubbiosa.
“Mi pare ovvio. Il tuo corpo sarà al sicuro nell’anello che ora porti al collo, e l’anello lo terrà Joy, fino a quando non verrà il momento di ridarti il tuo vero aspetto.”
Io mi morsi il labbro.
L’anello di Gourry, che io avevo così brutalmente rifiutato, sarebbe diventato la mia casa, il mio rifugio segreto, la mia ancora di salvezza.
Guardai Joy, che stava già agganciando un campanello di rame ossidato alla bacchetta, e chiusi gli occhi.
Non volevo sapere come o cosa sarebbe successo. Sarei stata al sicuro, nell’anello che Gourry mi aveva regalato. Solo questo era importante in quel momento… Che andasse come andasse.
Quando li riaprii, Joy stringeva tra le mani l’anello e la catenella che solo pochi secondi prima portavo appesa al collo. Aveva una faccia sconcertata, come di uno che non ha idea di come sia riuscito a fare una cosa del genere; eravamo entrambi scossi.
Di me non c’era più alcuna traccia, salvo qualche riflesso ramato che la pietra assumeva a seconda della luce che ne illuminava le diverse sfaccettature.
Joy si rigirò il cerchietto con la pietra incastonata sopra tra le dita, poi, come mosso da un impulso irrazionale, si legò la catenina al collo, e lo fece scivolare sotto alla tunica, celandolo al mio sguardo. Io deglutii.
“Bene, ora tutto è pronto per la partenza…” Miagolò Babette, soddisfatta di essere riuscita a risolvere anche quell’impedimento.
“No…” Replicò Joy, “Prima c’è una cosa che devo fare, aspettatemi alle stalle, non mi ci vorrà molto.”
“Joy…”
“Ti spiego tutto più tardi, Lina.”
“Joy” Questa volta era stata Babette ad intromettersi. “Se perderai quell’anello, Lina sarà perduta, lo sai questo, vero?”
“Ci starò attento…” Mormorò Joy, tastandosi la stoffa della tunica sotto a cui sapevo brillare quello che doveva essere il mio anello di fidanzamento. I suoi occhi cercarono i miei: “Te lo giuro, Lina…”
Mi morsi il labbro. Potevo considerare valido il giuramento di un uomo che mentiva ogni volta che apriva bocca? Purtroppo, non avevo altre alternative.
Ora la mia vita, letteralmente, era nelle sue mani. Le mani di un individuo che non avevo mai potuto reggere, che mi aveva beffata ed imbrogliata svariate volte, e che non aveva la più pallida idea di come interpretare il ruolo che gli era appena stato assegnato in quella delicata questione.
Il che era decisamente poco rassicurante, dannazione.

Le grida dei sacerdoti non tardarono a farsi sentire, mentre io e Babette emergevamo dai cespugli, dirette alle stalle secondo le direttive di Joy.
“Il corpo! È sparito il corpo della ragazza! Avvisate il principe!”
“Ho sempre sognato un funerale ad effetto…” dissi, osservando i religiosi che saettavano fuori dall’ingresso del tempio come macchie bianche impazzite.
Poco lontano, davanti alla pira, potevo scorgere il palchetto allestito in onore della famiglia reale,e degli amici e parenti della defunta, ovvero io. Quando la notizia li avrebbe raggiunti, sarebbero indubbiamente rimasti sconcertati…
Effettivamente, chi diavolo avrebbe mai dovuto rapire un cadavere? Naturalmente escludendo la legittima proprietaria del corpo in questione. Anche se dubitavo che qualcuno avrebbe formulato questa ipotesi.
Ad ogni modo, non li avrei delusi da morta come non avevo fatto da viva: con me c’era sempre da stupirsi.
“I tuoi parenti non la prenderanno bene…” Mormorò la gatta, che camminava sinuosa al mio fianco.
“Tornerò a sistemare le cose, non appena tutto sarà finito.” Sussurrai, cercando di convincermene io per prima. Era maledettamente difficile pensare a come avrei potuto prenderla io al posto loro. Ma non potevo fare altrimenti: Anouk aveva bisogno del mio aiuto; gli dei solo sapevano dove poteva essere in quel momento… e non era che una bambina. Mentre Gourry e gli altri, beh, se la sarebbero cavata.
Sarei tornata, lo dovevo a loro e anche a me stessa. Doveva essere così e basta.

“Ma siete sicuri di quello che…?” Phil vestiva un’espressione sconvolta, mentre a grandi passi si dirigeva verso il tempio, preceduto da un sacerdote paonazzo in viso. Dietro di lui Amelia, Zel, Nayden, mio padre e Gourry  li seguivano con espressioni sconcertate.
Babette mi scrutò: “Non abbiamo tempo per seguire la scena, sbrighiamoci.”
“Ma chi c’era di guardia al tempio?! Avevo chiesto espressamente che fossero messe due guardie per…” domandò, furioso, Phil.
“Sì, maestà, sono loro…” disse uno dei sacerdoti, indicando Ash ed Ed, fermi ai piedi della scalinata, con gli sguardi rivolti al suolo. Non sembravano del tutto padroni di loro stessi.
“E dunque? Come vi spiegate l’accaduto?” Phil usò un tono che raramente gli avevo sentito usare.
“Ecco, maestà…” cominciò Ed, decisamente in imbarazzo.
“Il fatto è che…” Si scambiarono una breve occhiata. “Le sembrerà impossibile, ma…”
“Parlate dunque!” sbottò Phil. Alle sue spalle Gourry seguiva la scena con un ansia disperata stampata in volto.
“Maestà, sembra assurdo ma la ragazza è…” Ed aveva difficoltà a dirlo, Ash venne in suo aiuto.
“Scappata!”
Il silenzio calò sui presenti e io per poco non caddi a terra dallo stupore.
“Scappata?” Phil sembrava dubbioso. “Impossibile, era…” ma non ebbe il coraggio di finire la frase.
“Forse un caso di morte apparente…?” Provò a ipotizzare timidamente Ash.
“Maestà, maestà!” Esclamò proprio in quel momento una nuova voce, poco distante. Phil non si era ancora ripreso.
Uno stalliere arrivò fino alla scalinata del tempio, fermandosi con le mani sulle ginocchia per riprendere fiato:
“Qualcuno ha… ha rubato lo stallone bianco!”
“Ma… ma…” Phil era senza parole. “Hai visto chi è stato?”
“Indistintamente… Ho visto che portava un mantello con il cappuccio calato. Era tardi quando sono sopraggiunto, il mantello… il mantello era nero! Ha imboccato l’uscita senza che riuscissero ad impedirglielo.”
“Alle stalle!” gridò Zel, e prima che potessi rendermene conto, stavo correndo insieme agli altri verso le stalle del palazzo.
Ad ogni modo, sarei dovuta andarci lo stesso.

Quando raggiungemmo le stalle, Gourry era ormai in testa al gruppo; le porte erano spalancate e i cavalli nitrivano agitati dai loro box. Non vi era anima viva.
Mi resi conto, con un certo disappunto, che lasciandomi travolgere dalla foga mi aspettavo io stessa, come gli altri, di capire che fine avesse fatto Lina Inverse, pur sapendo benissimo di essere io Lina Inverse, e di non essere fuggita da nessun posto.
Suggestioni dettate dall’ansia.
Stavo per chiedere a Babette se per caso avesse visto Joy da qualche parte, quando Amelia, inciampando, si lasciò sfuggire un’esclamazione. Con le sue scarpe dal tacco alto, aveva messo il piede su qualcosa di rotondo e dorato, che giaceva semi nascosto dalla paglia.
“Questo…”
Gourry si chinò e raccolse da terra uno dei miei orecchini, ora completamente impolverato. Il suo sguardo non riuscì a mascherare lo stupore, mentre una sagoma si affacciava all’ingresso.
Joy sembrava abbastanza trafelato, al suo fianco Herman vestiva un’espressione di puro imbarazzo, come qualcuno che sta cercando a stento di nascondere un’ovvia e triste verità.
“Voi non crederete a quello che abbiamo visto…” cominciò Joy, con il suo tono più bugiardo, mentre dava una lieve gomitata nel costato ad Herman, il quale sussultò:
“Sì, ecco, la ragazza… è… emh, viva” borbottò l’omone con un tono assai poco convinto, che tuttavia nessuno parve notare.
“Non può essere…” Non mi sfuggì il lampo di luce negli occhi di Gourry.
Oh, no.
Joy si avvicinò a lui, frontaggiandolo.
“L’ho vista con questi occhi” esclamò, indicandosi le pupille. “E se non dovessi fidarti dei miei di occhi, chiedi ad Herman…”
Il mercenario trasalì: “Oh, l’ho vista, come no. Era proprio… viva.”
“Guardate qua…” La voce di Zel ci giunse dal box in cui avrebbe dovuto trovarsi il cavallo scomparso.
Nel legno della staccionata era conficcato un pugnale lungo, il mio pugnale lungo, attorno alla quale era legata la mia bandana magica; la bandana che avevo visto volare giù dalla torre quando Gourry aveva perso la ragione per il dolore della mia scomparsa. L’avevo vista perdersi nel vento e nella pioggia, ma a quanto pareva Joy era stato in grado di recuperarla.
Sotto il pugnale c’era un foglio di pergamena con poche righe annotate sopra, nella mia impeccabile scrittura:

Ragazzi, ora non ho tempo per spiegarvi niente.
Sto bene, sto andando a risolvere la cosa, che è più grossa di quanto possiate immaginare, ma non ho intenzione di coinvolgervi.
Fidatevi di me e basta.
Papà, non stressarti.
Gourry, parla ancora di errori davanti a me e ti attorciglio la lingua.
A presto, Lina

Gourry lesse e rilesse il biglietto e, dopo giorni in cui sul suo volto si erano consumate rabbia e disperazione, finalmente nacque un sorriso, un sorriso luminoso e speranzoso.
Già, speranza…
Indietreggiai, lentamente, fino a trovarmi al fianco di Joy.
“Joy, sei…”
“Un genio?” Mi sussurrò lui, compiaciuto.
“No! Sei un ladro, e un bugiardo, e… e anche un falsario! Li stai ingannando, tu…”
“Senti Lina, non era quello che volevi? Far sapere a tutti che sei ancora viva e che stai risolvendo la cosa e che tornerai da loro?!”
“Sì, ma… Non così!” Deglutii “Come accidenti hai fatto?”
“Facile, ho convinto le guardie a mentire per non perdere il posto, dubito che il principe l’avrebbe presa bene sapendo che invece di sorvegliare te stavano fumando oppio. Ho sparpagliato ad arte i tuoi effetti personali che hai visto qui, e nascosto gli altri, ho indotto Herman ad aiutarmi a rubare quel cavallo e a dire questa piccola ed innocente bugia per te. Ora è fatta, tu sei viva e stai andando personalmente ad occuparti della cosa, i tuoi amici possono stare tranquilli, e noi possiamo finalmente levare le tende.”
“E cosa mi dici di quel biglietto?” Lo guardai storto.
“Nel mantello avevi qualche appunto scritto di tuo pugno. Sono bravo con queste cose…” Mormorò con finta modestia, come se essere un abile contraffattore fosse un’arte.
Beh, se non altro dovevo ammettere che era stato credibile, niente toni strappalacrime, solo duro pragmatismo. Forse anche lui stava imparando a conoscermi un po’ meglio.
Mi morsi il labbro, mentre vedevo i volti delle persone che mi volevano bene rischiararsi progressivamente e… avere fiducia, confidare in quello che Joy li aveva indotti a credere.
Già, la gente si racconta delle cose. La gente vuole illudersi…
Joy si chinò a prendere in braccio Babette: “Bene, approfittiamone per…”
Ma proprio in quel momento un’ombra lo affiancò:
“Joy, hai veramente visto Lina Inverse fuggire da questo palazzo?” Nayden lo scrutò sospettoso.
“Ho qualche motivo per mentire?” c’era astio nella voce del mercenario.
“Non saprei… Cosa mi dici del fatto che fino a qualche ora fa era decisamente morta?”
“Dico che molto spesso l’apparenza inganna, caro fratello.” Joy si sistemò Babette su una spalla. “Ora se non ti spiace…” esclamò, superando Nayden, il quale lo seguì con lo sguardo.
“Stai andando a cercarla?” gridò il mago, attirando l’attenzione dei presenti.
Joy rimase gelato. “Stai andando a cercare Lina, vero? E so anche dove pensi di trovarla: a Solaria. Non è lì che sono incominciati quegli inspiegabili incidenti?”
“Joy…” Lo sguardo di Gourry si spostò verso l’amico. “Sai qualcosa di questa storia?”
“Io…”
“Io dico di andare a cercarla!” esclamò a quel punto Nayden, infervorandosi “Non so cosa stia succedendo, ma non è prudente lasciare che una ragazza sola vada ad affrontare una situazione misteriosa e complicata come quella che circonda questo enigma… Chi viene con me?” Scandì le ultime parole con l’aria dell’eroe pronto a lanciarsi in una disperata impresa per salvare la bella fanciulla.
Bravo Nayden, vuoi un applauso?
Joy si voltò di scatto: “Lina ha detto di non immischiarsi. L’ha scritto chiaramente su quel pezzo di carta…”
“Sei forse il suo avvocato?” Fu l’acida risposta del fratello. Ma prima che scoppiasse una lite in famiglia la voce ferma di mio padre sovrastò le loro.
“Se mia figlia è viva, io ho il dovere di andarla a cercare. Ho già perso anche troppo tempo qua con le mani in mano…” Cercò Gourry con lo sguardo. “Immagino che la sua guardia del corpo non possa tirarsi dietro a questo punto…”
Gourry sorrise:
“Nemmeno se tentassero di trattenermi con la forza!”
“Ma…” balbettò Joy, a cui la situazione stava rapidamente sfuggendo di mano.
Nayden, mio padre e Gourry si avvicinarono fra di loro.
“Bene, a questo punto non mi resta che incoraggiare la vostra partenza, se è per una giusta e nobile causa come quella di salvaguardare la vita della nostra cara Lina, che credevamo perduta e invece, diavolo, quella ragazza ha nove vite come i gatti!” Esclamò Phil. “Usate pure i miei cavalli, saranno sellati in meno di un minuto!”
“Zel, Amelia, siete dei nostri?” domandò Gourry, con ritrovato entusiasmo.
Amelia, a cui pure brillavano gli occhi di gioia dovette trattenersi: “Gourry, credo che qui ci sia ancora molto da fare… Sai, le duchesse, la scomparsa della duchessina, il funerale da annullare… Ma col pensiero sarò con voi!”
“Resto anch’io, voglio cercare di vederci meglio in questa situazione…” disse Zel, affiancandosi alla principessa.
“Bene, allora signor Inverse, saremo solo noi tre…”
“Ehi, aspettate” Joy si fece largo tra gli uomini “Ci sono anch’io, vengo con voi. Alla fine, mi avete convinto” disse, in tono rassegnato.
“E io.” Intervenne il vocione di Herman, dietro alle spalle di Joy. “Non lascio solo il mio capo…”
“Fantastico!” sbuffai.
Era una missione dannatamente pericolosa, e io mi trascinavo dietro tutta la corte dei miracoli.
Ma come si poteva fermare un gruppo di uomini armati dalla voglia di trarre in salvo una fanciulla bisognosa?!

Quando i cavalli furono pronti, i cavalieri si apprestarono alla partenza.
Io sedevo dietro a Joy. Dopotutto, un passaggio non si nega nemmeno a un fantasma.
“Hai messo in piedi un bel casino, Joy…” Borbottai “Preferivo saperli qui a Sailunne a disperarsi per la mia dipartita che a Solaria davanti al pericolo…”
“Possiamo sempre depistarli strada facendo…” mormorò il mercenario, afferrando le briglie con sicurezza.
Io, alle sue spalle sospirai, mentre Babette si affacciava dall’interno del cappuccio di Joy, scrutandomi sorniona.
Mi aspettava un lungo, lungo viaggio.
Eppure, mentre la speranza e la gioia riaccendevano magicamente i cuori dei miei amici, di mio padre, di Gourry…
Il mio animo si faceva sempre più scuro.
Joy era apparentemente riuscito a far credere a tutti che fossi ancora viva; aveva trasmesso le mie volontà  senza che nessuno sospettasse cosa ci fosse realmente dietro, e aveva ridato loro fiducia.
Era quello che avevo desiderato da quando mi ero ritrovata ad essere più inconsistente di un alito di vento, che tutti sapessero che non me ne ero andata, che una parte di me, la parte più importante, continuava a vivere.
Ma, in fondo, quello che realmente aveva fatto, era stato creare aspettative ed illusioni.
Non dubitavo di poter tornare a spiegare a tutti come fossero veramente andate le cose.
Sono Lina Inverse, dopotutto, e Lina Inverse riesce sempre in quello che fa, giusto?
Eppure, mentre scrutavo accigliata il volto risoluto ma finalmente sereno di Gourry, che cavalcava impaziente al fianco di mio padre, mi ritrovai per un istante a provare una sinistra ed inspiegabile sensazione...
Le bugie hanno le gambe corte, così dice, no?
E se... se non fosse andato tutto per il verso giusto?

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Capitolo 15
*** La promessa ***


capitolo 15
La promessa

‘Certezza di morte. Scarse possibilità di successo. Che cosa aspettiamo?’ (Gimli, Il Signore degli anelli)

Dovevo ammettere di aver sottovalutato il problema. La situazione era molto, molto peggio di quanto potessi immaginare. Innanzitutto, avrei dovuto sapere che troppi uomini psicologicamente provati ed emotivamente fragili formavano un grosso gruppo di individui con i nervi tesi, pronti a scattare e accapigliarsi per la minima inezia. Il primo giorno di viaggio fu uno strazio. Ogni rumore nel bosco diventata un attacco di forze misteriose, ogni impronta sul sentiero un chiaro segno della presenza di nemici. Erano indecisi su quale fosse il percorso più sicuro e sulla strada più breve da prendere, e se qualcuno dissentiva gli altri se la prendevano e ne uscivano lunghe e inutili discussioni. Ah, uomini. Stavano inseguendo un fantasma, ovvero io, che in realtà cavalcavo insieme a loro senza che ne avessero il minimo sospetto. D’altronde, come si potevano immaginare una cosa del genere? Andava al di là di qualunque logica comprensione. E così cavalcavamo, al limite delle forze dei nostri destrieri, senza tregua, inseguendo un alito di vento. Seduta dietro a Joy riuscivo a scorgere la determinazione sul volto di Gourry, così diverso senza i suoi lunghi capelli biondi, così concentrato, teso nello sforzo. Nel giro di qualche giorno tutto il mondo che avevamo conosciuto fino a quel momento si era capovolto più di una volta: da semplici amici ci eravamo scoperti innamorati, ci eravamo dichiarati i nostri sentimenti e, nel giro di poche ore, forze oscure mi avevano strappato a lui e a me stessa, gettandoci in una confusa disperazione. O in una disperata confusione. Che differenza faceva? Ora nei suoi occhi, quegli stessi occhi che per giorni erano stati pozzi bui privi di qualunque emozione, si era riaccesa la speranza. Ma era una speranza falsa, illusoria, che Joy aveva voluto elargire nemmeno fosse LoN in persona. Una speranza fragile e sottile come il filo di una ragnatela, quella stessa ragnatela in cui tutti eravamo ormai invischiati.
Non avevo fiatato in quella prima parte di viaggio. Nessuno aveva parlato molto, tutti storditi davanti alla prospettiva che, quello che fino a poche ore prima sembrava una condanna inconfutabile, il mio decesso per avvelenamento, fosse ora un’ipotesi da scartare davanti alla mia presunta fuga. Frasi smozzicate, stralci di parole erano usciti dalle loro labbra solo per dare ordini ai cavalli o indicarsi a vicenda la strada. Nayden correva in testa al gruppo, il cavallo che montava era nero come le ombre della notte, come quei suoi capelli corvini e sfrontati di cui si faceva vanto. Era possente, muscoloso, vedevo i tendini delle zampe tendersi a ogni balzo. Dietro c’era mio padre. Quel padre vagabondo che avevo conosciuto poco, e che mi conosceva poco, ma che sentivo di amare e, in qualche modo, di voler proteggere da ciò che avrebbe dovuto affrontare in questo viaggio dall’esito incerto. Gourry e Joy cavalcavano fianco a fianco. Sentivo l’energia di Gourry spandersi attorno a noi come luce, e avvertivo la rigidità di Joy che respingeva quell’energia, greve di dubbi e di timori. Se avessi appoggiato i palmi inconsistenti delle mie mani sulla sua schiena avrei percepito l’ansia della responsabilità che gli era stata affidata, e l’incertezza, il timore di fallire. Ma non volevo farlo perché le sue paure erano anche le mie e, per quanto mi scocciasse ammetterlo, dato che fino ad allora avevo voluto contare sempre e solo su me stessa, da quel momento in poi ero in tutto e per tutto nelle sue mani. Come era possibile sopportare una simile situazione quando quelle stesse mani, fino a qualche tempo prima, avevano complottato contro di te? Era difficile, dannatamente difficile fidarmi di lui. Dover ammettere e accettare che da lui dipendeva non solo il mio futuro, ma anche quello di Gourry. Ci riuscivo a stento e non avevo altre alternative.
Chiudeva la fila Hermann. L’ingenuo Hermann, che si era bevuto le menzogne del suo capo senza battere ciglio e chissà cosa stava macchinando in quella sua enorme testa vuota. Doveva esserci un unico pensiero, molto semplice, quasi elementare, che cozzava nel nulla: perché Joy mi aveva ‘rubato’? Quali erano le sue intenzioni?
L’unica che non sembrava avere pensieri di alcun tipo era Babette, che dormiva raggomitolata nel cappuccio di Joy. Ah, la capacità dei gatti di addormentarsi nei posti più assurdi!
Verso sera fummo costretti a fermarci per la stanchezza. Avevamo sfiancato i cavalli fino al limite delle forze, non c’era modo di proseguire. Ci accampammo in una radura di conifere, ai margini del sentiero. Mentre Hermann e Gourry raccoglievano la legna per il fuoco io seguii Joy che scivolò indisturbato verso il fitto della foresta. Camminammo in silenzio per alcuni minuti, lui che smuoveva foglie e aghi di pino con la punta degli stivali e io che non producevo il minimo suono. Ero più inconsistente dell’aria.
«Il gatto ti ha mangiato la lingua?» sbottai infine, esasperata dal suo mutismo.
«Se va avanti così sarò io che dovrò mangiare la sua» borbottò Joy, in riferimento alle continue puntatine di Babette dal suo cappuccio per sussurrargli all’orecchio. Babette si era dissolta nell’istante in cui eravamo scesi da cavallo. In quel momento poteva essere a caccia di animali tra gli alberi, appostata a spiarci o da qualche parte a stringere accordi segreti con i nostri nemici. Tutto era possibile con un essere così subdolo ed enigmatico e non avremmo mai dovuto abbassare la guardia con lei.
Joy sedette su un vecchio tronco ritorto ed estrasse da una tasca la scatola del tabacco. Stavo per dissentire su quel suo detestabile vizio, ma dovetti mordermi la lingua (metaforicamente parlando) e tacere. Sembrava distrutto. Occhiaie profonde segnavano i suoi occhi, la pelle del volto era cerea e tirata sugli zigomi. Da quante notti non toccava un letto? I riccioli scuri gli ricadevano di continuo sulla fronte mentre si arrotolava la sigaretta e lui li scostava con uno scatto rabbioso del braccio. Doveva essere esausto. Sedetti al suo fianco e rimasi a guardare le sottili spirali di fumo azzurrino che dalle sue labbra si perdevano nell’oscurità.
«Ho paura» disse infine. Avrei dovuto stupirmi, non era da lui mostrarsi così sincero, privo di difese. Ma non fu così. Sapevo già quanto tutta quella situazione lo stesse mettendo a dura prova. Per qualche strano caso di osmosi i suoi pensieri sconfinavano nei miei e viceversa. Doveva essere una conseguenza dei poteri dell’Akan, che ci aveva vincolato in un oscuro patto tra il mondo delle ombre e quello della luce.
«Ho paura anch’io» confessai. «Sono terrorizzata, e non parlo di me, per quanto anche la mia situazione non sia delle più rosee. Ho paura per Gourry, e per mio padre, e…»
Per te.
Lo pensai, ma non lo dissi. Certo, avevo paura che potesse succedergli qualcosa, e che quindi non avrebbe potuto aiutarmi a tornare nel mio corpo. Era l’unico negromante che avessi a disposizione e di sicuro era un aspetto da non sottovalutare. Eppure, non si trattava solo di quello. Per quanto continuassi a non fidarmi  di lui fino in fondo (e tuttavia, quando mai mi ero fidata totalmente di qualcuno che non fosse Gourry, in vita mia?), una parte di me, una parte molto piccola di me, talmente piccola che stentavo a intravederla, si era presa a cuore quel bugiardo patentato, arrogante e presuntuoso, a cui era toccato in sorte un dono difficile da comprendere e accettare come tale.
«La grande Lina Inverse teme dunque il pericolo?» disse a questo punto lui, tornando a usare il tono strafottente che conoscevo bene, per quanto fiaccato dalla stanchezza. «Devo dedurre che le leggende sul tuo conto sono solo una marea di sciocchezze?»
«Ne riparliamo quando potrò finalmente metterti le mani al collo. Non puoi neanche immaginare quanto desideri farlo. Appena sarò tornata mi toglierò tanti di quegli sfizi che nemmeno ti immagini…»
«Accidenti, sto già tremando!» esclamò lui, fingendo di ritrarsi da me.
«Per il momento mi limiterò a insultarti verbalmente» dissi, lanciandogli un’occhiataccia. Mi abbracciai le gambe e sospirai. «Brutto idiota» aggiunsi, per dimostrargli che non scherzavo affatto.
«Quanto pensi che ci metteremo a tornare a Solaria?»
«A giudicare dall’andatura di mio fratello mi stupisco che non siamo arrivati oggi stesso» borbottò Joy, aspirando ed espirando un'altra boccata di fumo. Per un attimo desiderai poter sentirne l’odore, anche se era una cosa che detestavo. Volevo sentire tutti gli odori che mi circondavano: l’odore di terra umida e quello degli aghi di pino sparsi ai nostri piedi. L’odore di resina degli alberi e il sentore di muschio che emanava dalla foresta. Quante volte mi ero addormentata con quel profumo addosso, avendo per coperta nient’altro che la coltre stellata? Mi stupivo e rammaricavo insieme per tutto quello che avevo vissuto senza assaporarlo nella giusta maniera. Il fuoco che riscalda le mani, il caffè che brucia la gola, l’acqua che rinfresca le guance… e il caldo abbraccio di Gourry. Scrollai le spalle nel tentativo di liberarmi di quelle sensazioni. Gourry. Sentivo la sua mancanza in un modo che mi feriva e mi sconcertava. La sentivo fisicamente e faceva male, troppo. Avevo vissuto per tanti anni accanto a lui senza mai desiderare un contatto più profondo. La sua amicizia mi bastava, mi avvolgeva come qualcosa di soffice. Ma da quando avevo capito di amarlo… la sua assenza mi disorientava al punto da togliermi ogni equilibrio.
In quel momento un rumore di passi ci fece sobbalzare. Joy si irrigidì, ma a sbucare dagli alberi fu la sagoma familiare e rassicurante di mio padre. Si avvicinò lento, le braccia cariche di ramoscelli secchi.
«Non volevo disturbarla…» esordì. E mi accorsi, turbata, che la sua attenzione era concentrata sul fumo della sigaretta.
«Non mi disturba affatto» disse Joy, facendogli posto sul tronco.
Mio padre sedette, posando la legna davanti a sé, poi, incerto, si rivolse al mercenario.
«Ne ha un’altra, di quelle?»
«Certo.»
Joy rimise mano alla scatola del tabacco, incurante del mio sguardo assassino.
«Joy, no!» sibilai, ignorata.
Arrotolò in pochi secondi una sigaretta, che tese a mio padre, sul cui volto comparve un sorriso colpevole.
«Grazie. Avevo smesso, sa… per amore delle mie figlie, a cui ha sempre dato fastidio…» balbettò.
«Le donne sanno come dare il tormento a un uomo quando ci si mettono» disse Joy, con tono partecipe e fingendo di non vedere la mia espressione.
Mio padre prese un tiro, incerto. La mano gli tremava. Espirò il fumo con un’aria mesta e sollevata insieme.
«Penso a Lina e mi chiedo dove sia adesso…» confessò, con gli occhi lucidi. «Non la vedevo da tanti anni e mi sento in colpa per non essere stato un padre più presente» si rammaricò.
«Mi creda, signor Inverse, sono convinto che ovunque sia in questo momento sua figlia, stia dando il tormento a qualcuno. È poco ma sicuro.»
Mio padre sollevò le sopracciglia, mentre io mimavo con le mani cose che gli avrei volentieri fatto se avessi potuto. Cose molto brutte, ovviamente.
«Lei parla come qualcuno che la conosce molto bene. Le è affezionato?»
«Chi, io? Ci mancherebbe!» esclamò Joy, prima di rendersi conto che era con mio padre che stava parlando e, fino a prova contraria, io ero la sua figlia appena deceduta e poi miracolosamente risorta. «Voglio dire… affezionato? No, molto… molto di più. Non ci sono parole per esprimere quanto io voglia… bene a vostra figlia» concluse a denti stretti e facendo un notevole sforzo su se stesso.
«Capisco» rispose mio padre, ma dalla sua espressione appariva chiaro che non capiva fino in fondo. Aveva creduto che tra me e lo spadaccino, la mia fedelissima guardia del corpo, ci fosse del tenero. Ora scopriva che anche un altro giovanotto sembrava provare dell’affetto per sua figlia. Qual era la verità?
Joy era diventato color vinaccia.
«Signor Inverse, la prego di non fare menzione di questi miei… sentimenti con nessuno. Non sarebbe giusto nei confronti di Gourry Gabriev che, come lei forse avrà saputo, è il legittimo fidanzato di sua figlia» tentò di chiarire Joy, ingarbugliando ancora di più la situazione. Perfetto, ora mio padre era convinto che avessi un fidanzato ufficiale e un amante e che entrambi mi stessero cercando per capire chi volessi dei due. Joy aveva una naturale tendenza a rendere ancora più complicato ciò che già lo era abbastanza di suo.
«Sarò una tomba» disse mio padre, prima di rendersi conto che forse si trattava di una risposta fuori luogo vista la situazione.
Calò un silenzio imbarazzato. Joy finì di fumare e spense il mozzicone sotto alla suola dello stivale, prima di sollevarsi fingendo di stiracchiarsi.
«Credo che andrò a stendermi un po’, è stata una giornataccia.»
«Sì, è stata una giornataccia» confermò mio padre. «Se non le spiace rimarrò qui ancora qualche minuto.»
Poi, mentre il mercenario si allontanava, aggiunse: «Mia figlia è una ragazza speciale, vero?»
Joy parve riflettere sulla domanda.
«Sì, lo è» disse dopo qualche secondo. «Non ho mai incontrato nessuno come lei, nel bene e nel male» concluse. E nel dirlo sembrò sorpreso delle sue stesse parole.
Mio padre annuì, come se avesse avuto conferma di qualcosa che da tempo occupava i suoi pensieri. Joy si allontanò a grandi passi e io andai con lui.
«Joy, posso farti una domanda?»
«Se proprio devi.»
«Ti ringrazio. La domanda è: ti sei bevuto il cervello?!» esclamai, alle sue spalle.
Lui non parve intenzionato a rallentare e io continuai a rincorrerlo.
«Perché hai detto a mio padre quelle cose? Gli hai confuso le idee! E lo hai fatto fumare! Erano anni che non toccava una sigaretta e tu, tu… Joy, mi senti quando parlo?»
Si fermò di colpo e, se avessi avuto ancora un corpo, di sicuro gli sarei andata a sbattere contro.
«Ti sento, Lina, forte e chiaro» dalla sua espressione traspariva tutto il malumore e lo scontento che doveva provare in quel momento. «Ti sento a tutte le ore del giorno e della notte. Io. Ti. Sento. Non c’è bisogno che urli, perciò.» Si passò una mano tra i capelli arruffati, un gesto rabbioso, quasi furibondo. «Sai che c’è? Non ho mai preteso di essere una brava persona, come è Gourry. Io non sono un uomo onesto, non sono un tipo raccomandabile, non sono un cavaliere senza macchia e senza peccato. Faccio degli sbagli, un mucchio di sbagli. Ci provo a essere una persona migliore, ma finisce sempre allo stesso modo: sono e rimango uno stronzo. Non lo so perché ho detto quello che ho detto a tuo padre. Mi sono confuso, mi ha preso in contropiede. Creda quello che vuole, che mi importa, che ti importa? La verità sappiamo entrambi qual è.»
Stupita da quel suo improvviso sfogo rimasi senza parole.
«Quale verità?» riuscii solo a dire, sbattendo le palpebre.
«Lascia perdere» disse lui, distogliendo lo sguardo. Si voltò e ricominciò a camminare. Poi sembrò ripensarci, e si voltò un’ultima volta.
«La verità è che mi sono imbarcato in questa follia per fare un favore a Gourry. Invece, adesso, mi sto chiedendo se non farei invece un favore a me stesso mandando tutto al diavolo. Non sai quanto la prospettiva mi tenti. Nemmeno lo immagini.”
Ero allibita. Rimasi immobile, incredula. Stavamo litigando. O meglio, Joy all’improvviso sembrava essersi riscosso e avermi rovesciato addosso tutta la sua frustrazione. Sì, ma perché?
Mi diedi della stupida per aver anche solo pensato, pochi istanti prima, di provare un pizzico di affetto per lui.
«Sei solo un idiota» urlai. «Il più grande idiota di sempre!» Ma lui era già sparito tra le ombre della notte.

Non andai all’accampamento quella notte. Preferii vagare tra la boscaglia senza una meta. La solitudine non mi spaventava, non correvo rischi. Cose come l’attacco di qualche bestia notturna o la perdita dell’orientamento smettevano di avere importanza davanti all’evidenza di non possedere un corpo. Però ero indispettita dal fatto di non potermela prendere con nulla. Tirare calci e fare esplodere qualcosa mi avrebbe di certo fatto sentire meglio. Camminai fino all’alba, e molto probabilmente girai in tondo. Non mi resi conto di nulla, se non dell’aria che andava rischiarando e del sole che faceva capolino dalla cima degli alberi. A quel punto tornai sui miei passi e mi diressi all’accampamento. La cenere del fuoco era riscaldata dagli ultimi tizzoni ardenti, un sottile filo di fumo si innalzava verso il cielo. Scorsi mio padre e Nayden che dormivano avvolti nei mantelli e Joy, poco distante, raggomitolato su se stesso. Lo osservai con una punta di astio. Perché doveva essere così maledettamente difficile avere a che fare con lui? Non poteva toccarmi in sorte un negromante gentile e disponibile, sarebbe stato chiedere troppo? Probabilmente sì. Ma, diavolo, Joy era così dannatamente indisponente! Cercai Gourry con lo sguardo e lo scorsi poco distante, la schiena appoggiata al tronco di un albero. Lucidava la spada con un panno, lo sguardo serio e concentrato. Mi avvicinai e mi lasciai scivolare seduta al suo fianco. Era chiaro che quel suo cervello di medusa stava elaborando qualche astruso piano per tirarmi fuori dai guai. Ma non ero sicura di volere che accadesse. Non avevo dimenticato il modo in cui aveva dichiarato che mi avrebbe vendicato facendosi giustizia da solo, e non era da Gourry, per gli dei! Metteva i brividi pensare a un uomo come lui, così buono e gentile, che si inaspriva in quel modo. Per un attimo nei suoi occhi avevo letto lo stesso vuoto che riflettevano quando Phibrizio si era impossessato di lui, governandone la mente e tramutandolo in uno spaventoso strumento di morte. Una marionetta senza sentimenti pronta a scagliarsi su chiunque il Principe degli Inferi gli avesse ordinato di attaccare. Non volevo che Gourry diventasse la persona che non era a causa mia, non l’avrei permesso.
«Tu non sei così, Gourry…» mormorai, posando una mano sulla sua.
Per un istante pensai che mi avesse sentito. Smise di lucidare la lama della spada e sollevò il viso. I suoi occhi color del cielo si rispecchiarono nell’acciaio e scorsi il suo sguardo farsi per un attimo dubbioso, meno sicuro. Io non comparvi nel riflesso, eppure ero proprio lì, accanto a lui. Gli sfiorai la guancia con la mano, rimpiangendo tutte le volte in cui avrei potuto farlo e invece mi ero persa in chiacchiere inutili, scappellotti sulla nuca e sfuriate. Quante volte il mio sguardo l’aveva oltrepassato senza notarlo davvero? Come avevo potuto essere così cieca?
Era vero quello che si diceva: capivi quanto contava una persona solo quando stavi per perderla, o quando era ormai troppo tardi.
In quel momento nella radura fece irruzione Hermann, tenendo per le orecchie una coppia di conigli morti.
«Colazione?» disse soltanto.

Ripartimmo di buona lena, e come sempre Nayden guidava il gruppo.
Non mi piaceva, non mi piaceva affatto. Non capivo la sua foga, né il suo interesse. Per quanto avessimo potuto legare durante il nostro precedente viaggio non ritenevo ci fossero i presupposti per cui Nayden avrebbe dovuto preoccuparsi in quel modo per me. È vero, si era mostrato dispiaciuto per la mia morte, e si era incaricato di aiutare i miei amici a scoprire il colpevole. Eppure, il mio istinto mi diceva che qualcosa non quadrava in tutta quella faccenda. E il mio istinto raramente sbagliava, camomille a parte.
Controvoglia mi ero dovuta riaccomodare dietro a Joy. Non ci eravamo più parlati dalla sera prima, solo qualche occhiata di sbieco era passata tra di noi. Non era la prima volta che litigavamo, anzi, si poteva tranquillamente affermare che da quando ci eravamo conosciuti non avessimo fatto altro. Non ero mai stata una persona famosa per la pazienza, ma Joy sapeva davvero come tirare fuori il peggio di me. Eppure, sentivo che qualcosa era sul punto di spezzarsi definitivamente tra di noi e non capivo cosa. Forse Babette lo aveva caricato di una responsabilità eccessiva. Forse i suoi nervi stavano per cedere e la sfuriata del giorno prima ne era un chiaro indizio. Da quello che mi aveva raccontato Gourry, Joy non aveva mai accettato la sua parte più oscura. La rinnegava da sempre, e la contrastava. Sarebbe stato facile, per lui, decidere all’ultimo secondo di sottrarsi a quell’obbligo che aveva scelto di assumersi più o meno volontariamente e a quel punto, di me cosa ne sarebbe stato?
Decisi che dovevo provare almeno a parlargli.
Tuttavia, alla prima sosta che facemmo, sgusciò via tra gli alberi talmente rapido che non ebbi modo di seguirlo. Ci provai, inutilmente. Sembrava essersi dileguato. In compenso sulla mia strada trovai Babette.
«Non riesco a trovare Joy» sbottai, davanti al suo sguardo felino.
«Lascialo perdere» disse la gatta. «Ha bisogno di stare solo.»
«Oh, certo, lui ha bisogno di stare solo! Babette, ti ricordo che quello che ha appeso al collo è il mio corpo! Se dovesse succedere qualcosa…»
«Non succederà» disse Babette. «Joy non è uno sprovveduto.»
«Tu dici?» domandai, scettica.
«Lo conosco meglio di quanto immagini.»
«Lo conosci esattamente da quando lo conosco io, e ti assicuro…» mi bloccai di colpo, scrutando la gatta con più attenzione. «C’è qualcosa che non mi hai detto, Babette? Perché queste tue convinzioni nei confronti di Joy… sono quantomeno sospette, ecco.»
«Ogni cosa a tempo debito, Lina Inverse.»
«Certo, come no. Come quando hai pensato: Be’, prima facciamola fuori e dopo spieghiamole ogni cosa!»
«Ho agito nell’unico modo che ho ritenuto giusto.»
«È proprio questo tuo concetto di giusto e sbagliato che mi preoccupa.»
Gli occhi di Babette si strinsero fino a ridursi a due sottili fessure.
«Le forze del male stanno diventando più forti, ogni giorno che passa. Su Solaria si ammassano nubi oscure, i confini sono sempre più labili. Joy è l’anello di congiunzione tra i due mondi, e adesso che l’Akan è nelle sue mani, la sua forza è triplicata. Ma c’è un prezzo da pagare per ogni cosa, Lina. L’Akan trae energia dal negromante che lo maneggia e questo implica…»
«Non serve che mi spieghi come funziona» la bloccai. «Anche la magia è così» conclusi, rivedendo i miei capelli che diventavano candidi come la neve quando ne abusavo. Bianchi come quelli dei vecchi. Mi ero spesso chiesta se gli incantesimi più potenti mi avessero sottratto anni di vita. A quel punto, tuttavia, che differenza faceva? Ero comunque morta, o quasi morta, fin troppo giovane. Maledizione.
Le vibrisse di Babette vibrarono impercettibilmente.
«Dato che capisci, suppongo tu possa immaginare quanto lui sia sfinito in questo momento.»
Sospirai e ripensai a quando avevo pensato che io e Joy, tutto sommato, non eravamo così differenti. Entrambi avevamo per le mani un potere enorme, capace di consumarci fisicamente e mentalmente. Capace di annientarci, se non avessimo opposto la dovuta resistenza alle sue lusinghe.
«Sei stata chiara Babette, cercherò di non stressarlo. Di lasciarlo in pace…»
«Sei una ragazza intelligente, Lina Inverse» commentò la gatta, prima di aggiungere, con tono più greve: «C’è anche un’altra cosa. Ricordi quando ti dissi che la collaborazione di Joy ci era indispensabile, ma doveva essere una sua libera scelta? Non tiriamo troppo la corda con lui, perché se per qualche motivo dovesse scegliere di combattere contro di noi…»
Non concluse la frase e, del resto, non c’era bisogno che lo facesse. Non ero nata il giorno prima, sapevo da me come andavano queste cose.
Solo quando fu scomparsa tra la vegetazione ricordai una cosa che mi aveva detto tempo addietro, la notte in cui mi aveva rivelato il suo piano e il ruolo che io e Joy avremmo avuto in quel terribile disegno.
Quella notte, mentre Joy fumava nervoso e io ancora non riuscivo a capacitarmi di quello che mi era appena successo, Babette aveva detto: “Io so chi sei, Joy Shylow. È tutta la vita che ti nascondi, ma non si può essere qualcosa di diverso da ciò che si è.»
Parole indubbiamente piene di buon senso, certo. Ma… Cosa ne sapeva Babette della vita di Joy?

La giornata volgeva di nuovo al termine e, dopo aver cavalcato per tutta la giornata, trovammo un altro posto per accamparci. Non mancava molto a Solaria e, guardando verso l’orizzonte, non scorgevo altro che un cielo rosso sangue minacciato da nubi scure che si andavano ammassando le une sulle altre.
Un rumore di passi, alle mie spalle, mi comunicò che non ero più sola.
«Pensavo non volessi avere niente a che fare con me» dissi, senza bisogno di voltarmi. Mi costrinsi invece a rimirare la punta dei miei stivali. I miei evanescenti stivali.
«Infatti è così. Sei insopportabile e io ti detesto da quando ci siamo parlati la prima volta.» La sua voce, roca, conservava una lieve sfumatura di sofferenza mentre pronunciava quelle parole.
«Il sentimento è reciproco, non preoccuparti.»
«Sai, più ci penso e meno capisco come faccia Gourry a volerti. Come faccia ad… amarti.»
Capii che il suo attacco era solo una difesa. Se la prendeva con me per non prendersela con se stesso.
«Gourry è una persona molto migliore di te. E anche di me, se è per questo. Immagino che lui riesca a soprassedere su molte cose. Noi, invece… siamo così bassi, così meschini.»
«Sì. Siamo uguali, io e te.»
Solo a quel punto mi voltai, guardandolo negli occhi. L’Akan era un peso insostenibile, lo leggevo nel velo sottile che gli offuscava lo sguardo, nel pallore del viso e nella smorfia della bocca. Aveva paura di usarlo ma allo stesso tempo ne era segretamente affascinato. Poteva essere rischioso, ma era proprio quel rischio a renderlo così irresistibile. E intanto la sua magia lo consumava e lo avrebbe consumato fino a quando non avesse imparato ad opporvi la necessaria resistenza.
Oh, sì. Siamo uguali, più di quanto immagini.
Joy non distolse lo sguardo dal mio, sembrò anzi cercarvi una conferma di quanto appena affermato.
«Può darsi di sì. Può darsi che ci sia una somiglianza tra di noi. Per questo non riusciamo a prenderci: ognuno vede nell’altro ciò che detesta di sé» dissi piano, scandendo bene ogni parola.
E Gourry… Gourry ci salva da noi stessi, da ciò che siamo nel profondo. Illumina il nostro buio, ci rende migliori.
Joy annuì piano: capiva più di quanto avessi espresso a parole. Io scrollai le spalle e tornai a scrutare il cielo ormai scuro.
«Ovunque ci porterà questa follia, c’è una cosa che devi promettermi Joy, indipendentemente dal fatto che mi odi o meno. Devi giurarmelo e non accetterò un'altra risposta che non sia ‘lo prometto’.»
Lo guardai e mi sembrò di scorgere un muto consenso nel fondo delle sue iridi grigie.
«Gourry» dissi solo, come se il solo fatto di nominarlo fosse sufficiente a fugare ogni dubbio. «Non deve cambiare. Gourry deve restare Gourry, qualunque cosa succeda. Non lasciamo che tutto questo rovini l’unica cosa bella che la vita ha regalato a entrambi.»
«Te lo prometto Lina.» Non ebbe esitazioni. La sua voce era un soffio che si andava disperdendo tra le tenebre che ci avvolgevano. «Te lo prometto.»

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Capitolo 16
*** Segreti ***


capitolo 18
Segreti


‘Tu sei mio - ansimò. - Mio, come io sono tua. Se moriamo, moriamo. Tutti gli uomini devono morire, Jon Snow. Ma prima, dobbiamo vivere.’ (George R. R. Martin - I fiumi della Guerra)


Solaria era vicina, riuscivo a percepirlo in mille modi diversi. Babette era diventata sempre più silenziosa e guardinga. Joy si era fatto  irrequieto e irritabile. Nayden spronava il cavallo come se fosse questione di poco, ormai. Gourry era vigile, attento a ogni cosa. Mio padre sembrava capirci molto poco, ma era determinato a scoprire cosa mi fosse accaduto. Hermann non si accorgeva assolutamente di nulla, e mi sarei stupita del contrario.
Quanto a me, io stessa avvertivo brividi sottili percorrermi il corpo che non avevo più, e questo bastava ad allarmarmi. Sentivo un’eco lontana, come una musica, chiamarmi a sé. Resistervi era difficile. Avevo provato a parlarne a Joy ma lui si era allarmato. Avvertiva anche lui quel richiamo, era suadente, mi disse, ma aveva l’odore acre della morte. Ci avvicinavamo al confine estremo tra la terra dei vivi e quella delle ombre. Il momento dello scontro non era lontano.
«Joy, devo parlarti» dissi, durante una sosta. In lontananza si intravedevano le guglie del castello di Solaria che svettavano contro il cielo livido. C’era aria di temporale e persino i cavalli si erano fatti nervosi e scalpitanti.
«Ti ascolto» rispose, senza guardarmi, arrotolandosi una sigaretta.
«Dobbiamo depistarli.»
Lui sollevò lo sguardo, le sopracciglia corrugate.
«Mio padre, Gourry, Nayden… Non voglio che ci seguano» proseguii, seria.
«E glielo dici tu, a mio fratello, che si è precipitato fin qui a rotta di collo solo per sbagliare strada all’ultimo secondo?» replicò, sarcastico. Si infilò la sigaretta fra le labbra e sfregò il fiammifero sotto alla suola dello stivale. La scintilla che scaturì si tramutò in fiamma e io provai una bruciante nostalgia per i miei poteri. Dei, quanto mi mancava la magia.
Joy espirò una lunga boccata di fumo e mi guardò scettico.
«Come speri di riuscire a depistarli proprio ora? Solaria è laggiù, la vedo io, la vedi tu, e di sicuro la vedono anche loro. A meno che non rimangano tutti vittima di un’improvvisa e repentina cecità, cosa che dubito accadrà.»
«Lasciamo delle tracce. Il loro obbiettivo sono io, se penseranno che non sono diretta a Solaria non vedranno la necessità di raggiungere la città…»
Joy si sfregò la fronte con il palmo della mano, riflettendo.
«Tracce…» borbottò. «Che tipo di tracce?»
«Non lo so, sei tu l’esperto in queste cose! Sbaglio o è stata una tua idea quella di lasciare quel messaggio nelle scuderie di Sailunne? Fatti venire in mente qualcosa!»
«Ma certo, perché sforzarsi cercare di spremersi le meningi quando qui c’è Joy, che risolve ogni tipo di problema? Sai una cosa, Lina, sono stufo marcio di ‘farmi venire in mente qualcosa’! Risolviteli da sola i tuoi problemi!» sbottò, esasperato.
«Stiamo litigando di nuovo?» domandai solo, con calma.
«Così pare» disse lui, imbronciato.
«Cos’hai Joy?» chiesi dunque, spiazzandolo.
Lui sembrò sorpreso dal mio improvviso interesse nei suoi confronti.
«Cosa ti fa pensare che io abbia qualcosa? È il mio solito umore tetro, nulla di strano.»
«Tu non sei tetro, Joy. Sei arrogante, prepotente e tormentato. Però sì, ultimamente sei anche tetro, e vorrei sapere perché.»
«Devo farti un riassunto?»
«So anch’io che siamo in un grande pasticcio. Voglio dire, basta guardarmi. O meglio, guardarmi attraverso, per capire in che situazione ci troviamo. Ma voglio sapere se c’è qualcosa d’altro. Perché più ci avviciniamo a Solaria e…» deglutii. «Non so, ti vedo sempre meno convinto, insicuro.»
«Credi che stia pensando di filarmela?» mi domandò, aggressivo.
Sì.
«No, ma vorrei che tu mi dicessi cos’è che ti spaventa tanto. Voglio solo sapere se anche io devo averne paura, tanta quanta ne hai tu.» Lo guardai e poi aggiunsi, con noncuranza: «Siamo una squadra in fondo, no?»
La mia ultima affermazione dovette colpirlo in qualche modo, e ci contavo. Io e Gourry eravamo una squadra. Lui e Gourry erano stati una squadra. Ma io e lui? Volevo fare appiglio sul suo spirito di gruppo, sempre ammesso che ne avesse uno. E io ritenevo di sì.
Passò qualche secondo prima che Joy sospirasse.
«L’Akan è una bussola. Punta dritto a Solaria e io… mi sento trascinato, contro ogni volontà. Se anche volessi scappare non potrei. Mi sta portando là, e lo farebbe anche contro la mia volontà; sono sfinito. Non credevo sarebbe stata così dura. I morti… con loro convivo da sempre ma questo, questo è terribile da sopportare. Vorrei liberarmene ma, allo stesso tempo, sento che ne sarei annientato.»
Fece quella confessione tutta d’un fiato, lo sguardo basso e la sigaretta che si consumava tra le dita.
Mi piegai sui talloni e mi avvicinai a lui, posandogli una mano sul ginocchio. Sapevo che poteva sentire il mio tocco. Per lui era come se fossi viva, sentiva la mia voce e il mio odore. Avvertiva la pressione delle mie dita addosso.
Per un attimo temetti che volesse scansarmi, il suo sguardo si rabbuiò ulteriormente, ma non si ritrasse.
«Joy, tu sei più forte. L’Akan è lo strumento, non tu. Questo ricordalo sempre. L’energia con cui ti chiama è la stessa che prende da te. Ci sei tu, prima di tutto, e poi c’è la magia. Tu la controlli, non il contrario: non lasciarti sopraffare» dissi, tornando con la mente alle mie prime lezioni alla Gilda. Improvvisamente mi resi conto che Joy non aveva avuto un Maestro o una guida che, nella vita, gli dicesse come fare a gestire quell’immenso potere che gli derivava dal riuscire a entrare in contatto con il regno delle ombre. Era nato con il dono di poter parlare con i morti, ma nessuno gli aveva mai insegnato a fare il negromante.
Nemmeno io avrei potuto, ma potevo aiutarlo a controllare i suoi poteri, a incanalare la sua energia.
Passò qualche secondo, poi, inaspettatamente, Joy posò la mano sulla mia e strinse le mie dita tra le sue. Fu un contatto breve, ma sufficiente a farmi sentire un po’ più viva, un po’ meno sola.
«Potrebbe finire tutto in un gran casino. Non sono certo di avere la forza per impedire che accada” rivelò, in un sussurro.
«Sì, potrebbe finire tutto in un gran casino. Ma dobbiamo quantomeno provarci. Se moriamo, moriamo. Ma prima, dobbiamo vivere.»
Joy annuì. «Sì, prima dobbiamo vivere*. Grazie per avermi ascoltato. Avevo bisogno di dirlo a qualcuno.»
«Non ringraziarmi, io non faccio mai niente per niente.»
«Lo so, vediamo se riusciamo a mettere insieme qualche traccia che riesca a depistare Gourry e tuo padre. Per Nayden non posso garantire. Non so cosa si sia messo in testa di fare, ma dubito che riusciremo a distoglierlo dal suo obbiettivo che, ormai appare chiaro, non sei certo tu» disse, confermando qualcosa che in fondo sapevo già. Qualcosa che forse avevo sempre saputo.
Nayden aveva un suo personalissimo scopo in tutta quella vicenda, e non era da escludere che fosse proprio lui uno dei burattinai che muovevano gli invisibili fili del destino che ci aveva catapultato in quell’orribile incubo.

Il cielo si era fatto plumbeo e grosse nubi gonfie di pioggia si ammassavano  oltre le cime degli alberi. In lontananza si avvertiva il basso brontolio dei tuoni, e un lampo aveva già squarciato l’oscurità con la sua luce improvvisa e abbagliante. L’aria era elettrica e i cavalli muovevano nervosamente le code e scuotevano le criniere. Sotto di noi gorgogliava, impetuoso, il torrente che ci separava dal confine di Solaria.
«Ssst…» Gourry si era avvicinato al suo destriero facendogli una delicata carezza sul muso. «È solo un po’ di pioggia.»
Fu in quel momento che Joy gli si avvicinò e, con aria preoccupata, gli mise sotto al naso uno dei miei orecchini. Aveva conservato tutte le mie cose nel caso potessero servire, e a quanto pareva era proprio così.
Gourry impallidì.
«Cosa… dove lo hai trovato?» domandò, con un filo di voce.
«Sul sentiero. Ma non quello che porta a Solaria» fece una pausa ad effetto e alzò il tono di voce, per farsi sentire anche da mio padre.
«Credo che Lina non fosse diretta a Solaria. O, se anche lo fosse stata, deve essere successo qualcosa che le ha fatto cambiare idea.»
Gourry sembrava confuso. Prese il mio orecchino tra le dita, e lo maneggiò come se scottasse a avesse paura di bruciarsi la mano.
«C’è un’altra strada» proseguì imperterrito Joy. «Che porta a Tenar. E se Lina fosse lì? E se stessimo prendendo la direzione sbagliata?»
Gourry corrugò le sopracciglia.
«Questo non ha alcun senso. Perché sarebbe dovuta andare a Tenar?»
Un cupo boato rimbombò intorno a noi, subito dopo un lampo squarciò il cielo.
«Non ha senso, infatti. Ma l’orecchino l’ho trovato sul sentiero che porta in quella direzione» continuò Joy, imperterrito. Il più grande bugiardo di tutti i tempi. Sul suo viso non c’era traccia di rimorso, solo una stupefatta preoccupazione. E avrebbe convinto anche me, se non fossi stata a conoscenza delle sue menzogne.
«Dovremmo dividerci» affermò infine.
Quello era il momento in cui Gourry e mio padre, secondo i nostri piani, avrebbero iniziato a farsi venire dei dubbi. Volevano ritrovarmi più di qualsiasi altra cosa, avrebbero abbandonato qualunque razionalità, come avevano fatto davanti alla prospettiva che non fossi morta veramente, nonostante avessero avuto davanti agli occhi il mio corpo cereo e rigido, ma mi fossi dileguata per portare a termine qualche misteriosa missione. Le persone credono quello che vogliono credere, era questo quello su cui puntavamo io e Joy.
Ma Gourry mi stupì. Il suo sguardo si fece duro come l’acciaio.
«Dove hai preso questo orecchino, Joy?»
«Te lo ho detto, Gourry! Ma allora non ascolti. L’ho trovato…»
«Stai mentendo.»
Joy sbatté le palpebre, basito.
«No, io…»
«Joy» il tono di voce di Gourry era monocorde, non stava alzando la voce, eppure metteva i brividi. Per un istante intravidi in lui il mercenario che era stato, l’uomo abituato a sopravvivere nel caos delle battaglie senza bandiere. E mi fece paura.
«Gourry, forse il tuo amico ha ragione» intervenne in quel momento mio padre, più calmo, compassato. «Dovremmo ascoltarlo.» Nei suoi occhi leggevo l’incertezza. Là dove Gourry aveva subito fiutato l’imbroglio, lui vedeva solo possibilità.
«Il signor Inverse ha più buon senso di te, amico» si intromise Joy, trovando nelle parole di mio padre uno spiraglio a cui aggrapparsi per portare avanti la sua teoria.
Ma Gourry mi lasciò di nuovo stupefatta, perché lasciò cadere a terra il mio orecchino e afferrò Joy per la giubba.
«Te lo chiedo un’ultima volta: dove hai preso quel maledetto orecchino?»
Fu in quel momento che intervenne Nayden.
«Che diavolo sta succedendo qua, si può sapere?»
Joy approfittò della distrazione per sgusciare via dalla presa di Gourry.
«C’è che Gabriev ha i nervi sottosopra, ecco cosa c’è!» esclamò, arretrando di un passo.
Nayden si fece avanti e raccolse il mio orecchino da terra.
«E questo da dove salta fuori?» chiese, incuriosito.
Glie lo spiegarono.
«Non vedo quale sia il problema: dividersi è un’ottima idea, moltiplicheremo le possibilità di trovare Lina» affermò sicuro Nayden, tanto che per un attimo sembrò che quell’idea ce l’avesse avuta lui per primo. Si voltò a guardare il resto del gruppo.
«Signor Inverse, lei preferirebbe battere la pista di Tenar?»
«Dato che l’orecchino è stato ritrovato su quella strada, sì, prenderò quella direzione.»
«Molto bene» disse Nayden, che sembrava un maestro di scuola soddisfatto dalla buona condotta dei suoi alunni. «Hermann l’accompagnerà. Gourry, tu che strada preferisci prendere?»
«Andrò a Solaria» affermò Gourry, senza neanche un accenno di esitazione.
Se per un attimo avevo sperato di sentire una risposta diversa, dovetti ammettere con me stessa che non ci avevo mai realmente creduto. Il cervello dello spadaccino  era disattivato per la maggior parte del tempo, ma il suo intuito era quasi sempre vigile e raramente sbagliava un colpo. Ma detto questo… Quanti colpi di genio poteva avere avuto Gourry nella sua vita: uno? Due? Voglio essere ottimista, tre. Bene. Il quarto doveva averlo proprio in quel momento, per gli dei?
Gourry attese che gli altri si avvicinassero ai loro cavalli per prendere Joy da parte e sibilargli: «Voglio la verità, Joy. Basta bugie.»
Joy era seriamente in difficoltà.
«Cosa ti fa pensare che menta?»
Gourry lasciò passare qualche secondo.
«È da quando siamo partiti che ti tengo d’occhio. Stai nascondendo qualcosa, ne sono certo. Quando ci fermiamo sparisci nel bosco, non ti fai vedere, proprio come se avessi dei segreti da mantenere.»
«Forse ho solo bisogno di stare solo, è così strano?»
«Ieri ti ho seguito» disse a quel punto Gourry, lasciandoci di stucco. Joy non si era accorto di niente e nemmeno io me ne ero resa conto. Dovevo ammettere di essere molto orgogliosa di lui, si stava rivelando ancora più in gamba di quello che avrei creduto. Del resto, aveva imparato dalla migliore.
Joy si limitò a guardarlo con malcelato astio.
«Parlavi con qualcuno.» Lo sguardo di Gourry era duro. «Non ho capito quello che dicevi, e nemmeno a chi lo dicevi. Ma adesso voglio che tu la smetta di prendermi in giro e mi dica la verità. Penso che tu me lo debba.»
Joy sembrava combattuto.
«Vorrei» disse solo. «Credimi, vorrei… ma non posso. È per il tuo bene. Se puoi fidarti di me, bene. Altrimenti non so cosa altro dirti.»
«E io cosa dovrei dedurne?» esclamò Gourry, arrabbiato. «Cosa dovrei fare?»
«Andare a Tenar, e restarci.»
Gourry sgranò gli occhi.
«Te lo ha dato lei questo?» sbottò a quel punto, indicando l’orecchino. «Era con Lina che parlavi? O le hai parlato a Sailunne?»
«È più complicato di quanto immagini, Gourry.»
«Te lo ripeto, Joy… è stata Lina a darti questo?» La sua voce vibrava di una straziante disperazione.
Il mercenario tenne le labbra serrate e a quel punto, solo a quel punto, lo spadaccino perse veramente la pazienza. Lo riafferrò e lo scosse, facendogli tremare i denti.
«Hai idea di quello che significhi questo per me? No, non ce l’hai! Quando mai hai tenuto a qualcuno nella tua miserabile vita?» gli gridò in faccia, gettandogli addosso tutta la frustrazione covata in quei giorni. «Hai la minima idea di cosa significhi non sapere nulla, assolutamente nulla, della persona che ami più della tua stessa vita? Se è viva, se sta bene, se è ferita o sta soffrendo…» Poi lo lasciò andare di colpo e Joy barcollò, cadendo a terra.
Sarebbe finita lì? Forse sì, se nella caduta la tunica di Joy non si fosse aperta rivelando l’unica cosa che non avrebbe mai dovuto mostrare: la catenina appesa al suo collo, con infilato il mio anello di fidanzamento.
La pietra azzurra scintillò, mostrandosi in tutta la sua trasparente bellezza.
Gourry sbatté le palpebre e Joy tentò disperatamente di nascondere l’anello al suo sguardo, rimettendolo sotto alle vesti, ma ormai il danno era fatto. Iniziò a piovere, grosse gocce di acqua simili a proiettili. Mi attraversavano senza sfiorarmi, eppure sentivo comunque freddo. Un freddo insopportabile.
«Non è come credi…» balbettò Joy, ancora a terra. Sembrava che i suoi muscoli fossero paralizzati. Gourry era rimasto senza parole. Cercava di dire qualcosa, ma dalle sue labbra non uscivano altro che rapidi sbuffi di fiato opalescente.
Mi guardai attorno, sperando che qualcuno ci raggiungesse, ma gli altri avevano già imboccato la strada di Tenar, compreso Nayden che aveva detto di volerli accompagnare per un tratto. Temevo che Gourry, sopraffatto dalla rabbia, si scagliasse su Joy con tutta la forza di cui era capace. Ed era una forza tale che avrebbe potuto ucciderlo senza nemmeno rendersene conto. Fece un passo avanti, sempre senza parlare. Gli tremavano le mani e, quando infine parlò, mi resi conto che gli tremava anche la voce.
«Questo cosa significa?»
Si piegò su Joy, con una mossa talmente fulminea che quasi non lo vidi agire, e strappò dal suo collo la catenina, stringendo l’anello nel pugno chiuso.
«No!» gridò Joy. «Gourry, no…!» esclamò, tendendo una mano verso lo spadaccino. «Fai attenzione con quello, fai molta attenzione… è più prezioso di quanto immagini.»
«Cosa le hai fatto?» chiese a quel punto Gourry, con una voce che non sembrava nemmeno la sua. «Cosa hai fatto alla mia Lina? Sei un bugiardo, un ladro e… un assassino.»
«Non l’ho uccisa io!» gridò Joy, mettendosi in ginocchio. «Lina, lei…»
La pioggia scrosciava su di lui, appiccicandogli i riccioli scuri alla fronte e rendendo le sue guance lucide d’acqua. Gourry scosse la testa. I suoi stivali affondavano nella terra bagnata.
«Era tutta una menzogna. La fuga, la lettera… l’hai scritta tu quella lettera?»
«Sì» confessò Joy. «Ma… posso spiegarti.»
«Non c’è più niente da spiegare.»
«Gourry, ti prego, non fare mosse azzardate…»
Ma Gourry era troppo furioso. Era accecato dalla rabbia, dal dolore e chissà da quali altri sentimenti. La speranza che lo aveva animato in quei due giorni si era dissolta, colando ai suoi piedi come un veleno amaro. Tutto ciò che lo aveva riportato alla vita sembrava ora spingerlo indietro, nella disperazione più assoluta.
Non lo biasimo per ciò che fece, anche se qualcosa si strappò dentro di me nell’esatto istante in cui lo fece.
Si portò il pugno chiuso agli occhi, mentre le lacrime gli rigavano le guance, mescolandosi alla pioggia. Poi allungò di colpo il braccio e gettò l’anello nel torrente che schiumava rabbioso sotto di noi.
 
*per gentile concessione di George R.R. Martin, il Sommo Scrittore.

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Capitolo 17
*** La porta di specchi ***


borderline la porta di specchi
La porta di specchi
 
‘Immortale è chi accetta l’istante. Chi non conosce più un domani.’ (Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò)
 
Quanti di voi possono dire di aver mai visto la propria vita volare via, nel senso più letterale del termine?
Mentre l’anello che conteneva il mio corpo plasmato dall’Akan spariva tra i flutti ero rimasta immobile, paralizzata dalla paura. Del tutto impotente. Solo indistintamente avevo visto Joy rimettersi in piedi e correre verso il letto del fiume. Senza pensarci due volte si era tuffato, riemergendo poco dopo e scomparendo di nuovo sott’acqua. Ma la corrente era forte e l’anello era già rotolato via, spinto dalle onde. Ricordo solo che pensai che era finita. Sì, ormai era veramente finita. Sarei rimasta un fantasma per sempre e, a quel punto, davanti a quella prospettiva, avrei preferito varcare la linea di confine e passare nel regno delle ombre. Cosa me ne sarei fatta di quell’eterna vita-non-vita? Quanto all’idea di incarnarmi in un altro corpo, come doveva essere successo a Babette… sentivo di volerla escludere con fermezza. Non sarei mai più stata Lina Inverse, e Lina Inverse era l’unica persona che volevo essere. Che potevo essere. Era finita, finita, finita.
Caddi in ginocchio e mi portai le mani davanti alla bocca, per reprimere l’urlo che sentivo premermi contro le labbra. Non potevo più accampare pretese di umanità. Non ero più un essere umano, né mai più lo sarei stato.
Gourry era rimasto sconcertato dalla reazione di Joy. Per quanto disperato e confuso, quando il suo amico si era tuffato nell’assurdo tentativo di recuperare l’anello che lui stesso mi aveva donato come pegno di eterno amore, era corso verso il fiume e aveva teso una mano a Joy che annaspava per resistere alla corrente. Il mercenario si era trascinato fuori dal torrente, lasciandosi cadere sulla terra melmosa dell’argine, spuntando acqua e saliva. Poi aveva picchiato il pugno per terra con ferocia, più e più volte, gridando ingiurie, fino a quando Gourry non aveva bloccato la sua mano che ormai sanguinava.
«Cosa sta succedendo? Per gli dei, Joy! Parla!»
«Tu non capisci, tu non sai… quello che hai appena fatto!» gridò rabbioso il mercenario. Si sollevò e spintonò Gourry. «Dovevi proprio lanciarlo nel fiume? Perché?! Perché diavolo l’hai lanciato nel fiume?!»
Solo a quel punto mi alzai e mi decisi a intervenire. Scesi lungo l’argine con gambe malferme.
«Adesso basta!» strillai, afferrando la mano di Joy e allontanandolo da Gourry, che lo guardava con un misto di spavento e costernazione. «Basta! È finita…»
«Non sarebbe finita affatto se lui…» gridò Joy, furibondo, indicando lo spadaccino.
Mi parai davanti a lui e il mercenario ricambiò il mio sguardo, fremendo di rabbia. «È finita» ripetei. «Accusarsi a vicenda non cambierà quello che è successo.»
«Come puoi parlare così, non ti rendi conto di quello che è appena successo?» urlò Joy, indifferente al fatto che Gourry fosse lì con noi. Non gli importava che lo vedesse parlare con il nulla.
«Certo che mi rendo conto. Mi rendo conto meglio di quanto tu possa immaginare. Ma stare qui ad accapigliarvi e a insultarvi, incolpandovi a vicenda, non cambierà le cose: sono spacciata. Nessuno potrà più riportarmi indietro ormai.»
Lo dissi con una tale freddezza e una tale lucidità che Joy mutò la sua espressione. La rabbia scivolò via dai suoi occhi e lasciò spazio a un’aria smarrita che avrebbe potuto stringermi il cuore, se ne avessi avuto ancora uno.
«Lina…» disse solo, ansimando. «Io non…»
Prese un respiro e scosse la testa, voltandosi verso Gourry.
Quello che era stato il mio migliore amico e compagno, per un'unica, indimenticabile, notte, sembrava non avere la più pallida idea di quello che stava succedendo. Come avrebbe potuto, del resto? Le questioni dei morti restavano tra i morti. Ma in quel momento sentii che gli dovevamo delle spiegazioni. Io gli dovevo delle spiegazioni, perché ormai era evidente che non avrei avuto altro modo di farlo. Non sarei potuta tornare da lui, anche se avevo giurato di farlo.
Anche il mercenario sembrava pensarla allo stesso modo.
«Quell’anello…» iniziò Joy, ma io lo bloccai.
«No. Non raccontargli la verità, Joy. Non la sopporterebbe. Raccontagli il resto della storia, ma non fare parola di quello che è appena accaduto.»
Joy si rabbuiò ma annuì. Sapeva tanto quanto me che Gourry non si sarebbe riavuto dal senso di colpa. L’avrebbe tormentato per sempre e, ora che sapevo con certezza di non poter tornare, volevo più che mai che almeno lui, da quella situazione, uscisse senza troppe ammaccature.  
«Non capisco…» balbettò lo spadaccino, lanciando attorno a sé occhiate confuse. «Con chi stai parlando, Joy?»
«Lina è qui.»
Gourry si accigliò, lanciando occhiate sospettose attorno a lui. Joy fece un passo verso di me e mi cinse le spalle con un braccio.
«È qui. Non puoi vederla, e non puoi sentirla. Ma io sì. È sempre stata con te, con noi, fin da quella che tutti avete scambiato per la sua morte. Ma lei non è mai morta per davvero. È sempre stata solo mezza-morta, in effetti.»
Lo spadaccino assunse un’espressione ferita.
«Non è divertente.»
«Ne convengo» concordò Joy. «Di divertente non c’è proprio niente. Ma ti assicuro che lei è qui, proprio accanto a te.»
Gourry scosse la testa, le labbra socchiuse e gli occhi che frugavano intorno, senza trovare qualcosa su cui posarsi.
«Lina? Sei davvero qua?» mormorò, incerto.
Le sue parole erano attutite dal rumore della pioggia. L’aria che respiravo, all’improvviso, aveva un sapore ferroso e salmastro. Il sapore dell’acqua dentro cui mi stavo perdendo.
«Sì Gourry, sono sempre stata al tuo fianco. Non mi sono allontanata nemmeno per andare alla toilette, pensa un po’!»
Joy ripeté le mie parole e qualcosa sembrò scivolare via dal volto dello spadaccino. Un velo di dolore che aveva fino a quel momento offuscato i suoi lineamenti.
«Tutto questo è assurdo. Come posso credere a una cosa del genere?» chiese poi, tornando a incupirsi. Si sentiva uno stupido accecato dalla speranza.
«Saresti riuscito a credere a tutto quello che ci è successo in questi anni se non l’avessi visto con i tuoi occhi? Draghi, Demoni, Zel usato come ancora?» dissi. Poi, con un sussurro, aggiunsi: «Quella notte?»
Joy abbassò lo sguardo e ripeté le mie parole. Iniziava a sentirsi un intruso. Solo a quel punto qualcosa di simile a un sorriso rischiarò il volto dello spadaccino.
«È davvero qui» disse, guardando Joy. Il mercenario fece una smorfia.
«È dannatamente difficile liberarsi di lei.»
Joy spiegò a Gourry ogni cosa. I suoi poteri e il mio averlo angustiato fino ad assicurarmi la sua collaborazione. Il piano di Babette, la sparizione di Anouk e il fatto che avevamo sottratto a Phil l’Akan, con mezzi più o meno leciti.
«Digli che è un dannato zuccone, che non avrebbe dovuto tagliarsi i capelli e… e i polsi!»  Sbottai, alla fine. Erano giorni che desideravo togliermi quelle parole dalla bocca.
Gourry sembrò a disagio. Si passò una mano sui ciuffi corti che gli coprivano la fronte. Si stava rendendo conto che avevo sempre vigilato su di lui, che avevo seguito la sua lenta discesa nella disperazione più totale, l’avevo visto annientarsi. E no, non mi era piaciuto.
«Non le è piaciuto vedermi ridotto così» mormorò, pieno di sensi di colpa. «Lei avrebbe saputo gestire meglio la cosa.»
Quelle parole mi colpirono. Mi chiesi cosa avrei fatto io, se a morire sotto ai miei occhi fosse stato lui. Nelle orecchie avvertii il rumore del vetro che andava in pezzi.
«No» dissi. «Tu sei più forte di me. Io, l’ultima volta che ho anche solo rischiato di perderti, ho quasi distrutto il mondo. Ma non voglio più vederti annullarti in questo modo.»
Gourry sospirò.
«Ma quindi, adesso… cosa succede? Stiamo andando a Solaria per fermare questo… Signore delle ombre? E Lina, Lina tornerà com’era prima?»
Io e Joy ci scambiammo una breve occhiata.
«Proveremo a fare del nostro meglio» disse Joy, e lo disse a denti stretti, per una volta gli costava mentire.
Ma, in fondo, quella non era una menzogna. Avremmo davvero fatto del nostro meglio. Avremmo dato il massimo, come sempre. Avremmo salvato il mondo, come più di una volta avevamo fatto.
Solo… io non sarei più potuta tornare. E questo più niente poteva cambiarlo, ormai.
Guardai Gourry, gli occhi accesi da un insperato sollievo, e sentii che già mi mancava. Avrei voluto allungare una mano e stringere la sua, dirgli che gli avevo sempre voluto bene, forse sin dalla sua prima comparsa in quella radura infestata di banditi, quando pensava di prestare i suoi servigi a una fanciulla in pericolo e invece aveva trovato solo… me. Volevo dirgli che sarebbe stato difficile, dannatamente difficile lasciarlo andare. Guardarlo allontanarsi, e stavolta per sempre. Imboccare strade sulle quali io non avrei più potuto camminare. Vedere la mia ombra, alle sue spalle, sfumare sino a diventare un ricordo lontano. Io lo avrei amato per sempre, ma lui sarebbe andato avanti senza di me. Ed era giusto così.
Mentre Joy definiva gli ultimi dettagli mi alzai e mi allontanai. Non ce la facevo.
Quando il mercenario mi raggiunse evitai di incrociare il suo sguardo. Lui allungò una mano verso la mia e io mi divincolai. Joy mi riafferrò il braccio.
«Perdonami» disse solo, brusco. «Avrei dovuto averne più cura. Avrei dovuto proteggerti. Io…»
«Pensate tutti di dovermi proteggere, maledizione! Perché?» esclamai, esasperata. Poi, inaspettatamente, iniziai a singhiozzare. Era orribile piangere senza avere lacrime da versare. Joy mi attirò a sé e mi lasciò sfogare contro il suo petto.
«Volevo più tempo» gemetti. «Volevo fare tante cose. Ho solo diciannove anni… non riesco a credere che sia finita, Joy, non riesco ad accettarlo!»
«Non è ancora finita, Lina. Troveremo un sistema…» La sua mano salì ad accarezzarmi i capelli.
«No!» di colpo mi ritrassi da lui, vergognandomi per essermi lasciata andare in quel modo. «Non prenderò in considerazione soluzioni ‘alternative’. Non c’è più niente da fare» esclamai, lapidaria.
«Ma…»
«Penserai a Gourry» tagliai corto. «Quando tutto sarà finito, ti prenderai cura di lui.»
Sollevai lo sguardo e scorsi gli occhi di Joy scrutarmi con un’espressione che non gli avevo mai visto prima. E non mi piacque, lo preferivo cinico e strafottente. «Non ce l’ho con te, Joy. E adesso andiamo, al diavolo i sentimentalismi.»
Ero terrorizzata e disperata. Ma ero pur sempre Lina Inverse, per gli dei. Lina Inverse non si piangeva addosso ma, soprattutto, non piangeva addosso a nessun altro. Questo era poco ma sicuro.
 
Babette era sparita, me ne accorsi solo quando riprendemmo i cavalli e di lei non trovammo traccia. Joy la chiamò, poco convinto, poi fece spallucce e salì a cavallo.
«Ci avrà preceduto» fu la sola conclusione a cui giunse.
Ma non ci era sfuggita anche la sparizione di Nayden, che si era svincolato con la scusa di accompagnare mio padre ed Herman per il primo tratto e non aveva più fatto ritorno. Iniziavo a pensare di essere in ritardo a una festa a sorpresa di cui non sapevo nulla.
«Lina non vorrebbe che tu ci seguissi a Solaria» disse Joy a Gourry quando lo spadaccino afferrò le briglie del suo destriero.
«Non la lascio sola.»
«Non è sola» replicò Joy, piccato. Non aveva perdonato allo spadaccino di aver gettato via l’unica speranza che avevo di tornare in vita.
Gourry però era irremovibile, così partimmo.
 
Piovve per tutto il tempo e raggiungemmo il cuore della città sotto un cielo tempestoso. Solaria era deserta e fatiscente. Sembrava abbandonata e in disfacimento da tempo, come se la morte avesse già iniziato a diffondere il suo sospiro attorno a sé. Le case avevano i tetti di paglia sfondati e i vetri opachi di polvere. Nei giardini le piante erano cresciute fino a invadere ogni cosa. Un’aria gelida spirava lungo la strada per il palazzo e la imboccammo senza indugi.
Il castello era come lo ricordavo, cupo e minaccioso. Le torri svettavano imponenti nel cielo grigio, i merli sembravano voler trapassare le nuvole gonfie di pioggia che si ammassavano sopra le guglie. Metteva i brividi. Sentivo gli zoccoli dei cavalli battere contro il selciato mentre attraversavamo il ponte levatoio abbassato. Era evidente: ci stavano aspettando. Mi chiesi quanto avrei apprezzato il comitato di benvenuto che di certo ci attendeva oltre quelle mura e, istintivamente, feci scrocchiare le dita. Una piccola abitudine che non mi aveva abbandonato con il trapasso: smaniavo dalla voglia di mettere le mani al collo di qualcuno.
Prima di raggiungere la corte Joy arrestò il suo cavallo.
«Lo senti?» mi chiese, con un sussurro.
Io annuii. Sì, era un vento gelido. Un sibilo insistente. L’ombra della morte che si allungava su Solaria. I cavalli si fecero recalcitranti e persino Gourry, che non riusciva ad avvertire ciò che era celato alla vita, capì che qualcosa non andava.
Vidi la mano di Joy tendersi involontaria verso l’Akan, che teneva in una tasca del mantello.
«Non farlo» dissi, con voce perentoria. «Non adesso. Andiamo» aggiunsi, nervosa.
Varcammo il portale e fu allora che lo vidi. Che li vidi.
Nayden sedeva al centro dello spiazzo, su quello che aveva tutto l’aria di essere un trono sradicato e gettato nel piazzale al solo scopo di fare uno sfregio. Le gambe accavallate, il mantello gettato di lato, vestiva il suo sorriso più smagliante. Solo che in quel momento la sua mano stringeva un lungo pugnale, e lo teneva puntato alla gola di Anouk.
«Ce ne avete messo di tempo… non trovavate la strada?» domandò, sarcastico.
Vidi Gourry mettere mano all’elsa della spada. Nemmeno al mago sfuggì quel gesto.
«Piano con quella, spadaccino. Non vorrai che questa dolce fanciulla ci lasci prima del tempo, vero?» chiese, premendo la lama sulla pelle delicata della bambina.
Anouk tremava. Riuscivo a scorgere solo parte del suo viso, l’altra metà, quella ustionata, era nascosta dai capelli. Teneva i piccoli pugni serrati e sembrava ancora più pallida di come la ricordassi. La guardai e, per quanto non avessi dimenticato che era stata la sua mano a versare il veleno nella camomilla, spedendomi in quell’incubo senza risveglio, non riuscivo ad odiarla. Era solo una pedina, una bimba innocente che era stata trascinata dentro a un gioco troppo pericoloso.
«Che diavolo significa, Nayden?» sbottò a quel punto Joy, scendendo da cavallo, subito imitato da me e Gourry. «Lasciala, per gli dei, è solo una bambina…»
Gli occhi scuri di Nayden si fissarono in quelli del fratello e vidi una scintilla di perfidia brillare nel suo sguardo. Quella cattiveria, mi resi conto in quel momento, era sempre stata lì, l’avevo scorta senza realmente vederla. Mi rimproverai mentalmente per non aver prestato maggiore attenzione ai segnali contraddittori che Nayden aveva sempre lanciato attorno a sé. Troppo brillante, troppo altruista, troppo… disinteressato.
«E tu sei solo uno stupido, Joy: stai combattendo dalla parte sbagliata della barricata, al fianco dei perdenti. Ma non dovrei stupirmene più di tanto. La nonna lo diceva sempre, che ti mancava qualche rotella.»
Joy accusò il colpo senza fare una piega. Doveva essere abituato a ben altro da parte di quel fratello ‘amorevole’ e all’improvviso scorsi ciò che ci rendeva tanto simili: eravamo gli eterni secondi; figli minori inadeguati, sempre in fuga da fratelli (o sorelle) maggiori che ci schiacciavano e da cui cercavamo di staccarci per rivalsa. Ci eravamo lasciati la famiglia alle spalle nel tentativo di dimostrare che potevamo farcela da soli. Che potevamo essere come loro, se non migliori. Ma quel senso di inadeguatezza ce lo eravamo portati dietro sempre, e ci aveva reso aggressivi al solo scopo di celare quanto eravamo fragili dentro; fragili e bisognosi di conferme.
«Oh, Joy, piccolo Joy…» Nayden, davanti allo sguardo smarrito del fratello, proruppe in una risata che aveva una nota sguaiata. La risata di un folle.
«Credevi di esserti riscattato? Capo di una banda di mercenari pronti a seguirti e rispettarti? Povero ingenuo, non lo sai che un mercenario, per definizione, non ha padroni? Eccoli, i tuoi valorosi uomini: mi è bastato elargire loro qualche moneta in più per averli dalla mia parte» disse, indicando con la mano che non teneva il coltello un gruppo di uomini in nero che si facevano largo tra le rovine della torre. Gli uomini di Joy; quegli stessi uomini che, la notte in cui si era consumata la mia personale tragedia, avevano rapito la duchessina Anouk e malmenato senza alcun rimorso il loro capo fuori dalle mura di Sailunne. Era Nayden il mandante del rapimento. C’era sempre stato lui, dietro ogni cosa. Guardai quei mercenari senza onore e senza scrupoli; sporchi, arruffati, gli sguardi duri privi di qualunque sentimento. Uno di loro teneva un braccio teso davanti a sé, le dita strette al laccio di un sacco di tela che si muoveva e contorceva come se fosse stato vivo.
«Non dire gatto finché non ce l’hai nel sacco… giusto?» Nayden sembrava divertirsi un mondo.
Io e Joy ci scambiammo una rapida occhiata. Se non altro la sparizione di Babette era spiegata; ora, però, dovevamo rispondere a una questione di più urgente importanza: come avremmo fatto a cavarci da quel pasticcio?
«Mi vuoi spiegare che accidenti significa tutto questo?» domandò di nuovo Joy. Gli tremavano le mani dalla rabbia e forse anche dalla paura. Era pur sempre suo fratello quello che teneva in ostaggio una bambina di dieci anni. «Che cosa vuoi? Perché stai facendo tutto questo?»
«Che cosa voglio? Oh, è molto semplice. Voglio che tu apra una porta, per me. Non dovrebbe costarti fatica. E poi…» il suo ghigno si fece malefico. «Accoglieremo con tutti gli onori il Signore delle Ombre. Il suo regno gli stava un po’ stretto, così io e la duchessa abbiamo preso qualche accordo. Io la aiuto ad espandere i confini di Solaria e lei mi ringrazia con la corona e con una moglie degna di tutto rispetto» rispose, riferendosi a Camelia. Capii che Rebecca era sempre stata a conoscenza del piano, fin dall’inizio: era stata una sua idea. Si era liberata del marito, e promettendo la mano di sua figlia a Nayden aveva trovato in lui un alleato naturale: un uomo tanto egoista da sacrificare il suo fratello minore sull’altare dell’ambizione personale. Nayden aveva mentito quando aveva detto di non sapere cosa, sin dalla giovinezza, tormentasse Joy. Lui conosceva, o forse aveva scoperto solo di recente, quali fossero le ombre che gravitavano sul suo cuore. E se ne era servito per i suoi scopi. Dei, quanto lo odiavo.
«Gli affari si fanno così, caro fratello» stava dicendo in quel momento, davanti all’aria, nonostante tutto, incredula di Joy.
«Quello che dici non ha alcun senso. Temo che tu abbia perso il senno, Nayden.»
Nayden non sembrò toccato dalle parole del fratello.
«Ti assicuro, invece, che non sono mai stato tanto lucido. È tutto pronto, ormai, mancavi solo tu a questa allegra festicciola. All’inizio avevo pensato di potermela cavare solo con la bambina, ma lei non ha di certo i tuoi poteri. E quando ho scoperto che avevi addirittura rubato l’Akan… che fortuna, non trovi?»
Ricordai che, quando io e Joy avevamo tentato di entrare nella stanza protetta che custodiva l’Akan, la maniglia recava i segni di qualcuno che ci aveva preceduto. Nayden. Voleva l’Akan per sé, pensava di farlo usare ad Anouk per aprire la porta del regno delle Ombre. Ma Anouk era troppo giovane e Joy, senza saperlo, aveva fatto il gioco di suo fratello.
Solo in quel momento, con sgomento, venni colta da un dubbio: se Nayden aveva pensato di servirsi della figlia del duca per i suoi scopi, questo significava che Anouk era a sua volta una negromante? Avevo creduto, piuttosto ingenuamente, che il dono si trasmettesse solo agli eredi maschi. Guardai con più attenzione la bambina, con quei capelli neri, i grandi occhi grigi e quell’aria stranamente familiare che mi aveva ossessionato sin dalla prima volta che l’avevo vista. C’era qualcosa che mi sfuggiva...
 In quel momento Nayden la strattonò.
«E allora, Joy. A te la scelta, venirmi incontro con le buone o… con le cattive, scegli tu.»
«E se dovessi rifiutarmi?»
«Ucciderò la bambina. È molto semplice.»
«Perché sei così convinto che mi importi?»
Nayden sogghignò.
«Certo che ti importa. Ti è sempre importato, sei uno stupido sentimentale, anche se cerchi di non darlo a vedere.»
«D’accordo» acconsentì Joy. «Ma a una condizione.»
«Sentiamo.»
«Lascia libera la gatta» disse Joy, indicando il mercenario che reggeva il sacco in cui era imprigionata Babette.
Sul volto di Nayden apparve un sorriso compiaciuto.
«Sapevo che quella bestiaccia era coinvolta, non te la saresti portata dietro da Sailunne altrimenti.»Fece un cenno al mercenario che slegò lo spago. Babette ruzzolò fuori dalla tela strappata, il pelo argentato irto sulla schiena e gli occhi spalancati.
Quando la vide, Anouk si lasciò sfuggire un gemito. Era pur sempre la sua gatta.
«Adesso andiamo» tagliò corto Nayden, alzandosi dallo scranno senza accennare a diminuire la sua presa sulla bambina.
Non potemmo fare altro che seguirlo. Il coltello dalla parte del manico ce lo aveva lui, in tutti i sensi.
Attraversammo il cortile, superando un lungo corridoio buio, e ci immergemmo nelle profondità di Solaria. L’aria era umida e malsana, ed era talmente scuro che faticavamo a vedere dove stessimo mettendo i piedi. Solo Babette procedeva spedita, come se conoscesse la strada a memoria.
«Giocheremo d’anticipo» disse a me e a Joy, mentre ci inoltravamo nelle viscere della terra. Sembrava sicura di sé e capii che sapeva più cose di quelle che ci aveva rivelato fino a quel momento.
«Sapevi tutto, vero? Nayden, Rebecca… il loro accordo? Conoscevi ogni, maledetta, mossa.»
«Nayden è solo un fantoccio e Rebecca… non si rende conto di quello che sta facendo. Non si è mai resa conto di nulla, è accecata dall’ambizione, vuole solo il potere. Non sanno che quando il Signore delle Ombre attraverserà il confine, non ci sarà più spazio per loro. Credono di poterlo tenere a bada ma non hanno la più pallida idea di quello che accadrà.»
«Nayden sarà anche un fantoccio, ma tiene Anouk in ostaggio» le feci notare.
«Anouk non corre rischi, non fino a quando il cavaliere resterà convinto che la sua vita valga come moneta di scambio.»
Sembrava sicura di sé e né io né Joy ritenemmo opportuno dissentire. Non eravamo nella posizione per farlo.
Raggiungemmo un’ampia sala circolare. Sembrava che nessuno mettesse piede lì dentro da decenni. Le pareti erano nere di fuliggine e nell’aria aleggiava un vago odore di bruciato. Nayden creò un lighting, illuminando un’ampia porzione di ambiente. Fu allora che la vedemmo.
Sembrava una porta, una semplice porta, coperta da una tenda scura.
Nayden fece un segno impaziente a Joy.
«Togli il drappo.»
Joy fece un passo avanti. Era nervoso, lo capivo da come fletteva e contraeva le dita della mano destra. Con un gesto brusco scostò il panno scuro, rivelando un grosso specchio montato dentro a una cornice di ebano.
Restammo tutti in silenzio, per alcuni secondi, a osservarlo. All’apparenza non aveva nulla di strano. Ma emanava un’energia incredibile. Sentivo ogni parte di me formicolare.
Nayden, sempre tenendo Anouk stretta a sé, si avvicinò per studiarlo. E quando si riflesse nella liscia superficie, per poco non mi mancò il fiato. Il suo riflesso non aveva nulla di umano. Sembrava che la pelle del volto e delle mani gli si fosse asciugata addosso, lasciando in evidenza solo le ossa. Il teschio aveva profonde orbite oculari e un ghigno malvagio. Anche Joy lo vide e rabbrividì. Solo Nayden parve non rendersi conto di nulla.
«Che significa?» domandò, tastandone la superficie. «È solo un dannato specchio! Doveva esserci una porta, qui!» Oltre il vetro vidi le sue dita scheletriche tendersi e combaciare con la sua mano e repressi un urlo.
Joy gli si affiancò e io mi aspettai di vederlo rattrappirsi fino a diventare a sua volta uno scheletro, ma non accadde. Joy, nello specchio, era semplicemente Joy. Solo che appariva più luminoso di quanto non fosse nella realtà. Più nitido. Anche lui allungò una mano verso il vetro, e quando arrivò a sfiorarlo la superficie iniziò a vibrare, divenendo liquida. Le dita di Joy la oltrepassarono, sparendo parzialmente alla vista, come se le avesse immerse in un corso d’acqua. Ritrasse subito la mano, spaventato. Fu a quel punto che Babette si fece avanti.
«È il momento. Verrò io con te, Lina. Joy, prendi l’Akan con la mano sinistra e la mano di Lina con la destra.»
«Aspetta, io…» rivolsi una breve occhiata a Gourry, alle nostre spalle, ma Babette non mi diede il tempo di dire ciò che avrei voluto dire.
«Non c’è più tempo, Lina. Le forze del male premono per entrare in questo mondo, sono a un passo da noi. Sarà la fine se non fermiamo tutto questo…»
Distolsi lo sguardo dallo spadaccino e mi feci avanti, afferrando la mano destra di Joy. Qualcosa sprofondò dentro di me e ci misi alcuni secondi a rendermi conto che si trattava del mio cuore.
«Diglielo tu, Joy. Digli che è stato la cosa più preziosa della mia vita. La più vera. L’unica che abbia dato un senso a ogni mio giorno.»
«Glielo dirai tu stessa quando sarà tutto finito»  rispose Joy, senza guardarmi. Guardava verso lo specchio. E mentre Nayden cercava ancora di capire come potesse un semplice specchio costituire un varco tra due regni, Joy impugnò l’Akan.
Avvertii una forte scossa. La mano di Joy bruciò contro la mia, ma non riuscii a sottrarre le dita dalla sua presa. Il bruciore si intensificò fino a diventare insopportabile. Stavo morendo di nuovo.
Spalancai gli occhi e, inaspettatamente, vidi me stessa, al mio fianco, con gli occhi chiusi. Quando guardai la mia mano vidi che era la mano di Joy. Ero Joy. All’improvviso venni risucchiata in un vortice di emozioni e sensazioni, di colori e immagini.
Ero Joy il giorno del suo terzo compleanno. Nayden mi aveva appena spinto giù dalle scale e mi ero rotto il polso. Piangevo, e una vecchia signora dall’aria rassicurante si chinava su di me, prendendomi tra le braccia e sussurrandomi parole di conforto. Il suo profumo non l’avrei mai dimenticato.
Ero Joy il giorno del funerale della nonna. La gente piangeva intorno a me, ma la nonna mi sedeva accanto e teneva la sua mano appoggiata alla mia. Nessuno poteva vederla, nessuno sapeva che era lì, solo io. Mi sentivo all’improvviso lontano da tutto e da tutti. Diverso.
Ero Joy il giorno in cui era partito per diventare soldato di ventura. Smarrito, avevo vagato tra soldati sporchi e rissosi, che mi spintonavano insultandomi in tutte le lingue che conoscevano. Stanco e sconfortato mi ero seduto su un ceppo di legna, cercando di deglutire il rancio immangiabile dell’esercito, fino a quando un ragazzo dall’aria gentile si era avvicinato, porgendomi un pezzo di carne tra due fette di pane.
«Questo è meglio, fidati. Non fare complimenti. Sei nuovo? Non dovresti aggirarti per il campo con quell’aria smarrita, questi uomini non aspettano altro che una scusa per attaccare briga, e i novellini sono le vittime designate» mi aveva spiegato un giovane Gourry, con un sorriso confortante, di cui gli sarei stato grato a vita.
Infine, ero Joy la notte in cui aveva deciso di accettare quel dono maledetto e provare ad aiutare quella indisponente maga dai capelli di fuoco, perché il suo amico Gourry, il ragazzo che l’aveva fatto sentire a casa il suo primo giorno lontano da casa, ne era perdutamente innamorato.  Cercavo di accendermi una sigaretta senza riuscirci. Alla fine la lasciavo cadere a terra imprecando e prendevo la decisione che ci avrebbe portati lì, a quel momento.
Tornai violentemente in me, battendo i denti e spalancando gli occhi. Joy aveva un’aria non meno sconvolta della mia e mi domandai se anche lui aveva vissuto tutta la mia vita in pochi secondi: le cattiverie di Luna, la fuga da casa, l’incontro con Gourry, il potere della magia, il rumore del vetro che andava in frantumi, il Giga Slave e il Mare del Caos…
A giudicare dalla sua aria terrorizzata, supponevo di sì. Ci eravamo compenetrati, attingendo l’una dai segreti dell’altro. Eravamo una cosa sola, ormai. E così avremmo combattuto: come una cosa sola, mente e cuore, i miei poteri sommati ai suoi.
Lo guardai negli occhi e sentii che i nostri pensieri erano in sintonia. Lasciai andare la sua mano e, seguita da Babette, attraversai la porta di specchi.

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Capitolo 18
*** La bambina di ombra e il bambino di luce ***


borderline la bambina di ombra
La bambina di ombra e il bambino di luce


‘C’è un luogo in cui il mondo della luce incontra quello delle tenebre. È lì che avviene ogni cosa: nella terra delle ombre, dove tutto è rarefatto, confuso, incerto. Tu eri un guardiano posto a difesa di quel confine. Perché ogni tanto qualcosa riesce a passare. Il tuo compito era ricacciarlo indietro.’ (Il cacciatore del buio, Donato Carrisi)

Quando aprii gli occhi, vidi solo tenebre intorno a me. Sbattei le palpebre, aspettando di abituarmi all’oscurità. Confini dapprima incerti si fecero lentamente più nitidi. L’aria aveva un odore salmastro, di cose marce. Era umido e avvertii dell’acqua gocciolare, nel buio. Un brivido di freddo mi percorse la schiena e all’improvviso mi resi conto di un fatto inquietante. Sulle mie braccia si era formata una sottile pelle d’oca. Mi passai la lingua sulle labbra e le scoprii salate.
Avevo di nuovo un corpo.
«Babette?» sussurrai, nel silenzio.
«Sono qui, Lina» rispose una voce, al mio fianco. Non riuscivo a vedere nulla così allungai il braccio davanti a me, volgendo il palmo verso l’alto.
«Lighting» dissi, avvertendo la punta delle dita formicolare. La sfera luminosa apparve nella mia mano, illuminando l’ambiente circostante. Per un istante fui talmente felice di riavere di nuovo i miei poteri da dimenticare dove mi trovassi e per quale motivo fossi lì.
Mi voltai verso la gatta, cercandola nel lieve chiarore prodotto dall’incantesimo. E rimasi a bocca aperta.
Davanti a me c’era una giovane donna. Indossava una abito lungo e scuro. I capelli erano una cascata di riccioli neri che le scendevano fino alla vita e i suoi occhi erano grigi come il cielo di novembre. Al collo portava un nastrino con legato un campanello.
Mi guardò, con occhi finalmente umani, ma riconobbi lo sguardo felino che si celava dietro quelle iridi.
«Babette…»
«Sì, Lina» disse lei, aprendo le braccia per mostrarsi a me. Aveva un’aria terribilmente familiare.
«Babette è il nomignolo con cui mi ha sempre chiamato Anouk. Ma il mio vero nome è Elizabeth.»
In quel momento ricordai che Amelia mi aveva parlato di lei. Era la balia di Anouk, morta nell’incendio che aveva sfigurato il volto della duchessina. Aveva dato la sua vita per quella della bambina. Rimasi a fissarla, incapace di parlare. E mi diedi della stupida.
«Tu…»
Guardandola, alla luce tremolante dell’incantesimo, all’improvviso ebbi la chiara impressione che ogni pezzo di quel complicato rompicapo andasse al suo posto. Non potevo credere di non averlo capito prima.
«Tu sei…»
«La sorella di Anouk e… di Joy. La sua gemella» concluse lei la frase per me. Io, del resto, non avevo più parole per esprimere il mio stupore. «Sì: noi siamo i custodi del confine.»

Ci misi qualche istante ad assimilare quelle informazioni. Ero frastornata. Elizabeth si avvicinò a me, e io potei scorgere Joy in ogni espressione del suo viso. Gli stessi occhi grandi e grigi, lo stesso naso affilato e le sopracciglia scure come ali di corvo. Sembrava più giovane di lui, e probabilmente lo era. La sua anima aveva smesso di invecchiare quando il suo corpo era andato perduto.
«Come è possibile…?»
«È una lunga storia, Lina, e abbiamo poco tempo. Ma tu meriti delle risposte e io, me ne rendo conto, fino ad ora sono stata fin troppo evasiva.» Sospirò, abbassando lo sguardo. «Io e Joy abbiamo un legame che va oltre la morte. È il mio fratello gemello, ma non ci eravamo mai incontrati prima di qualche settimana fa e lui non ha mai saputo nulla di me. Fino ad ora, suppongo.»
Solo in quel momento mi resi conto che Joy era in contatto con me e stava, probabilmente, ascoltando ogni parola. Mi chiesi come l’avesse presa. Non bene, immaginavo. Gli tremavano le mani, mi resi conto, guardando il tremito che scuoteva i miei palmi.
Elizabeth proseguì:
«Io e Joy siamo stati separati alla nascita e cresciuti lontano da Solaria. Un oscuro presagio gravava su di noi, una profezia che, se si fosse compiuta, avrebbe avuto gravi conseguenze. Siamo venuti alla luce legati indissolubilmente l’uno all’altra, tenendoci per mano. I Sacerdoti lo interpretarono come un cattivo segno, e indagarono gli oracoli. Il responso fu un colpo tremendo per i nostri genitori: uno dei bambini era destinato a cedere alle lusinghe del lato oscuro, e avrebbe condizionato l’altro. Insieme saremmo stati troppo potenti,  rappresentavamo una minaccia per il ducato. Questo scorsero nel nostro destino e suggerirono al duca di dividerci e farci crescere senza memoria delle nostre origini. Tutto preannunciava morte e distruzione, in uno di noi. Se fossimo cresciuti così vicino al confine, avremmo potuto subirne l’influsso; con il potere che avremmo sviluppato, se in noi fosse prevalso il lato oscuro, avremmo potuto causare ciò che Nayden si sta adoperando per fare accadere: rompere i sigilli e permettere al Signore delle Ombre di sconfinare in questo mondo. Nostro padre non avrebbe potuto fermarci, da neonati eravamo già più forti di lui. Rappresentavamo un grande pericolo, così ci allontanarono.» Elizabeth fece un sospiro. «Sono cresciuta con una famiglia calorosa, che mi ha riempito d’affetto. Ma non mi sono mai sentita parte di essa, come se avvertissi che qualcosa non andava. Qualcosa che era troppo radicato in me perché potessi ignorarlo. Mi sentivo diversa… ero diversa. Il primo spirito venne a farmi visita il giorno del mio ottavo compleanno. Solo allora compresi quale fosse la mia vera natura.»
Si guardò il dorso delle mani. Aveva mani bellissime, con dita lunghe e affusolate. Anche Joy, mi resi conto in quel momento, aveva belle mani.
«Joy non si è mai accettato per quello che è» proseguì Babette. «Ha rinnegato il Dono che ci perviene dal sangue, combattendolo con tutte le sue forze. Io, invece, me ne sono servita per cercare la verità. Ho interrogato tutti gli spiriti che sono venuti a farmi visita, fino a quando non è arrivata lei.» I suoi occhi si velarono di un’improvvisa tristezza. «Anouk, nostra sorella, è venuta alla luce il giorno in cui e Joy compimmo quindici anni. Quello stesso giorno, nostra madre si spense. Ma, prima di varcare il confine, venne a cercarmi. Mi spiegò ogni cosa, chiedendomi di perdonare lei e mio padre per come avevano agito nei miei confronti e in quelli del fratello che scoprivo solo quel giorno di avere. Un fratello gemello, dotato delle mie stesse capacità. Mi spiegò che lei e il duca ci avevano allontanato credendo di fare il nostro bene. Che separarsi da noi gli aveva spezzato il cuore, ma che non avevano avuto alternative. Ora, però, c’era Anouk. Era nata da poche ore e lei, nostra madre, non avrebbe potuto vegliare su quella creatura indifesa. ‘Pensaci tu’, mi disse. ‘Te la affido’. E così tornai. Tornai a Solaria, a quella che era la mia vera casa, e chiesi di essere assunta come balia. Nessuno mi riconobbe. Non subito, almeno. Furono anni felici, quelli. E poi, ci fu l’incendio.»
Mi riscossi, rendendomi conto solo in quel momento che Elizabeth aveva smesso di parlare.
«Il richiamo del confine era forte. Vivendo a Solaria lo subivo senza riuscire ad opporgli la dovuta resistenza e, finalmente, compresi la scelta sofferta dei miei genitori. Oltre la porta di specchi qualcosa mi chiamava con voce suadente, chiedendomi di liberarlo dalla prigionia in cui era relegato. Avvertivo la sua voce nella mia testa, giorno e notte, ed era davvero difficile ignorarne la melodiosa cantilena. Così, alla fine, cedetti.»
Il suo sguardo si spostò nel mio. C’era amarezza nei suoi occhi.
«Ero io, Lina. La predestinata, colei che portava il marchio della disfatta impresso addosso. La bambina d’ombra, mentre mio fratello era il bambino di luce. E ora è il solo che può salvare questo regno e gli altri esistenti.»
Pensai a Joy, a come il suo riflesso, nella porta di specchi,mi era apparso nitido e luminoso. Solo in quel momento comprendevo che l’oscurità, in lui, era una diretta conseguenza del chiarore che emanava. Anche la notte più buia ha luci fisse. Così erano Joy ed Elizabeth, due facce della stessa medaglia, luce e ombra, indissolubilmente legati. Ma Elizabeth sbagliava a pensare di essere fatta solo d’ombra, così come Joy non era solo luce. Non siamo mai una cosa sola, noi. Siamo tante cose, e tutte insieme.
«Cosa ti è successo, Elizabeth?» domandai, cercando di conciliare l’immagine della donna che avevo davanti con quella del gatto che mi aveva causato tanti problemi da quando era iniziata quella storia.
Un sorriso triste comparve sulle sue labbra.
«Ho quasi infranto i sigilli della porta. Quando mi sono resa conto del mio errore, ho provato a ritrarmi, ma era troppo tardi. Avevo una candela in mano e…» prese tempo, respirando con affanno. «Le fiamme hanno avvolto ogni cosa. Il fuoco è divampato troppo veloce perché riuscissi a fermarlo. Così, ho pensato ad Anouk, solo ad Anouk. Mia madre me la aveva affidata perché la proteggessi: dovevo mantenere almeno quella promessa. Per me non ci fu niente da fare, il fuoco mi consumò» concluse, rabbrividendo. Chiuse gli occhi, sospirando, poi tornò a guardarmi. Uno sguardo più diretto, senza rimpianti.
«È stato il duca a fermarmi, prima che attraversassi il confine. Ero la figlia che aveva perduto anni prima, non voleva perdermi di nuovo. Ma del mio corpo umano non restava nulla. Mi chiese di scegliere, e io scelsi. Scelsi perché avevo un compito da portare a termine, un errore da riparare.  Mio padre chiamò la mia anima. Con l’Akan, che a quel tempo era ancora nelle sue mani, la trasferì in un altro corpo. Il corpo di un gatto. Mi salvò, ma allo stesso tempo mi condannò alla prigionia. Non è stato facile, credimi, ma adesso che Joy è qui…» si morse le labbra. «Sarò libera. Quando tutto questo sarà finito, sarò finalmente libera.»
«Questo significa che…»
«Joy è il successore più prossimo, in quanto erede diretto. Il ducato gli spetta per diritto di nascita: solo chi possiede il Dono può regnare su Solaria. Il mio compito era riportarlo qui.»
Joy, un duca! Ero davvero senza parole.
Scossi la testa.
«Sono… davvero tante informazioni da assimilare tutte insieme!»
«Mi dispiace, Lina. Sono consapevole di averti trascinato dentro questa vicenda senza il tuo consenso, di averti spiegato poco e niente e… beh, so anche dell’anello. Sono addolorata, credimi. Non avrei voluto che andasse così.»
Mi incupii, ma dopo aver ascoltato tutta la sua storia non mi sarei messa a frignare come una mocciosa. Nemmeno la vita di Elizabeth era stata una passeggiata. Ci sono cose che ti sfuggono di mano, semplicemente. Pensi di avere la situazione sotto controllo ma basta un attimo, solo un attimo… chi poteva saperlo meglio di me?
«Quando fai del pericolo il tuo mestiere non puoi aspettarti di morire di vecchiaia nel tuo letto, dico bene? Se avessi voluto vivere una vita cauta e sobria sarei rimasta a bottega dai miei.» replicai, cercando di dare alle mie parole un tono noncurante. Da persona coraggiosa.
Elizabeth annuì.
«Non si diventa una leggenda vivente stando dietro al bancone di un negozio, sono d’accordo. E tu sei una leggenda, Lina. Il tuo nome non sarà dimenticato.»
Già, beh… era una magra consolazione.
«E quindi, adesso cosa dovrei fare? Perché mi hai trascinato fin qui?»
«Per combattere» fu la pacata risposta di Elizabeth. «Contro al Signore di un regno tanto potente può opporsi solo una leggenda.»

Avevamo ripreso a camminare. Presto mi ero resa conto che l’acqua gocciolava dall’altro perché stavamo attraversando una galleria scavata nella roccia. Il terreno, ai nostri piedi, era viscido e fangoso e più di una volta mi ero dovuta aggrappare alle pareti per evitare di scivolare.
«Ho sempre immaginato l’aldilà come un luogo più… asciutto» commentai, pulendomi i guanti sui pantaloni. All’improvviso, mi sembrava di avere fango ovunque. E poi c’era quell’aria umida e salmastra che toglieva il fiato. «Com’è che continua a piovermi in testa?»
«Non è pioggia, sono lacrime» rispose Elizabeth, continuando a guardare fisso davanti a sé.
«È… piuttosto deprimente» commentai, accigliata.
«Ssst» sussurrò la mia compagna di viaggio, portandosi un indice alle labbra. La vidi sollevare gli occhi e, seguendo il suo sguardo, rimasi a bocca aperta. Sopra di noi brillavano centinaia di piccole fiammelle bianche. Sembravano galleggiare immobili sopra l’oscurità, in un tremulo bagliore.
«Quelle cose diavolo sono?» bisbigliai, agitata.
«Anime nuove, rigenerate. Questo non è l’aldilà, Lina. È solo un passaggio: da qui tornano le anime che hanno terminato il loro viaggio e partono quelle pronte a intraprendere il cammino. Non siamo ancora sul confine.»
Osservai quella fiumana di piccole fiamme luccicanti.
«Anime… rigenerate?»
«Sì. La morte, come la vita, è un ciclo che si ripete. Alla fine della morte c’è sempre la vita.»
«Suona… surreale.»
«Perché sei abituata a vedere le cose da un’unica prospettiva, Lina.»
Levai un sopracciglio.
«Significa che, fra qualche anno, fra parecchi anni… potrei tornare nel mondo?» domandai, scettica.
«Nel mondo al di là dello specchio, sì. Ma non prima che si sia concluso il ciclo delle altre anime, quelle che ti gravitano attorno.»
«Non sono sicura di capire…»
«Non viaggiamo mai soli: ci sono anime che non si separano mai. È quello che gli uomini chiamano destino. Ma non è destino, è solo una fortunata alchimia. Siamo creati per stare insieme, e ritrovarci sempre, in ogni vita.» Elizabeth si fermò, voltandosi verso di me. «Genitori e figli, fratelli e sorelle, migliori amici, amanti… non importa la definizione. È il legame che conta. Le anime percorrono i secoli insieme, ed è solo in casi molto sfortunati che non riescono a ritrovarsi.»
Non potei fare a meno di pensare a me e Gourry. Al modo in cui ci eravamo subito trovati a nostro agio, l’una con l’altro. A come molto di lui mi fosse apparso, fin dai primi momenti, estremamente familiare. E capii. Viaggiavamo insieme da più tempo di quello che riuscissi ad immaginare. Viaggiavamo insieme da sempre. E quello era un bel pensiero perché significava che ci saremmo ritrovati. Non importava come, né quando. Ci saremmo ritrovati perché il nostro legame andava al di là di qualunque umana definizione. Era un legame eterno.  
Niente mi era mai parso più bello di quelle piccole luci che mi gravitavano sopra, diffondendo speranza attorno a loro. Nulla era definitivo, nemmeno la morte.
Fate buon viaggio, augurai ad ognuna di loro. Ritrovatevi.
Io ed Elizabeth riprendemmo il cammino. Ben presto ci lasciammo alle spalle le fiammelle luminose e l’oscurità tornò ad avvolgerci. L’aria si fece più tersa, respirabile. Capii che stavamo uscendo dal tunnel per entrare nella Terra delle Ombre. Presto avremmo raggiunto il confine. Fu in quel momento che sentii Joy chiamarmi.

***

Ero senza parole.
Nayden, davanti a me, continuava a tastare lo specchio in cerca di una spiegazione. Gourry mi fissava accigliato, aspettandosi che facessi o dicessi qualcosa.
Ma io… ero senza parole. Guardai la bambina che mio fratello teneva in ostaggio. Mio fratello. A quel punto, la situazione si era ribaltata. Quello non era mio fratello mentre lei… lei era mia sorella. E anche Babette lo era. O Elizabeth. O come diavolo si chiamava.
Sapevo che era umana, l’avevo sempre saputo. Le anime degli uomini scintillano di una luce diversa e quel gatto non aveva affatto l’aria di un gatto. Ma, una sorella gemella…? Questo andava contro qualunque previsione.
Mi portai una mano alla fronte. Sentivo il sudore colarmi dalle tempie. Le gambe erano molli come se me le avessero disossate. Non mi ero mai sentito a mio agio, nella mia vita. Spesso mi era sembrata la vita di qualcun altro, qualcuno che non ero io. Che non volevo essere io.
Non avevo scelto il Dono. Non volevo quella responsabilità. Mi spaventava essere in grado di fare quello che sapevo fare. Nessuno mi aveva mai spiegato perché lo sapessi fare.
Ora, finalmente, ogni cosa trovava una spiegazione. Ce l’avevo nel sangue, il Dono. Perché il mio sangue veniva da lì, da Solaria, la Terra di passaggio. E mio padre, il padre che non avevo mai conosciuto, era stato a sua volta un negromante. E suo padre prima di lui. Le rivelazioni di Elizabeth mi avevano, improvvisamente, regalato delle origini. Delle radici. E quando hai delle radici ai piedi è più facile resistere al vento che cerca di spostarti.
Nayden scorse i miei movimenti e si voltò di scatto.
«Fermo. Che diavolo stai facendo?» domandò, brusco.
Io abbassai la mano. L’Akan l’avevo lasciato scivolare sotto la manica, come un asso da estrarre nel momento giusto. Era una fortuna che fossi bravo a barare a carte. O a barare su qualsiasi altra cosa, pur di averla vinta.
«Non mi sento bene» dissi. «Mi manca l’aria.»
«Sì, certo, raccontalo a qualcun altro. Come accidenti si apre, questa porta?»
«Non lo so» mentii. Scorsi Gourry, con la coda dell’occhio, irrigidirsi. Gourry capiva sempre quando raccontavo balle. Quasi sempre, almeno.
«Ah, non lo sai eh?» Nayden strinse Anouk a sé, premendole la lama alla gola. «Vedo che sei proprio intenzionato a lasciare che la bambina muoia, dico bene?»
Deglutii.
«Posso farti una domanda, Nayden?»
Gli occhi di quello che avevo creduto un fratello si strinsero a due fessure.
«Niente scherzi.»
«Non ho nessuna voglia di scherzare, credimi. Vorrei solo sapere… cosa pensi che accadrà, quando il Signore delle Ombre sarà qui? Credi che ti lascerà regnare su Solaria come se nulla fosse? Perché se è questo che credi, Nayden, devo dedurre che sei più ingenuo di quanto pensassi.» Feci un passo avanti. «Il mondo diventerà una landa desolata. Una terra di spettri. Tutto quello che vedi non esisterà più. Su cosa dovresti regnare, esattamente?»
Nayden scosse la testa.
«Non hai capito proprio niente, fratellino. Ma non mi stupisce: non hai mai brillato per arguzia. Quando il Signore oscuro sarà qua… ogni cosa cambierà. Non esisteranno più vita e morte. Ci saranno solo gerarchie. E io sarò su un gradino appena più basso del suo, sarò il suo braccio destro. Nulla potrà toccarmi, ogni cosa diverrà eterna. Anche la vita, perché non ci sarà più morte. Sarò immortale. Un Re immortale.»
«E Lina Inverse? Cosa aveva a che fare Lina Inverse, con tutta questa storia?»
Nayden sbatté le palpebre. Sembrava confuso.
«Cosa centra la maga, adesso?»
«Mi è venuto in mente che, in tutta questa storia, Lina è l’unica per cui hai avuto un po’ di riguardo. Ci hai usati tutti per i tuoi scopi, ma Lina… a lei sembravi tenere davvero.»
Nayden fece una smorfia.
«Se fosse stata ancora viva, sarebbe stata utile» disse, voltandosi poi verso lo spadaccino. «Era anche piuttosto carina, non ti nego che non mi sarebbe dispiaciuto approfondire la sua conoscenza, se fosse capitata l’occasione» aggiunse, con fare beffardo.
Gourry inspirò profondamente, ma si mantenne calmo. Era sempre stato più bravo di me a mantenere l’autocontrollo. Io, al suo posto, mi sarei scagliato su Nayden per farlo a pezzi. E, in effetti, avevo voglia di farlo. Tenevo anche io a Lina, in qualche modo. In un modo che non mi era del tutto chiaro. Ma ci tenevo. O non sarei stato lì.
«Lina Inverse era una maga potente, e una ragazza intelligente. Non sono caratteristiche semplici da trovare, nella stessa persona. Ma, soprattutto, Lina avrebbe ceduto al lato oscuro. L’ha fatto, in passato. Contavo su di lei. Invece…» Tornò a guardare Gourry. Questa volta sul suo volto c’era uno sguardo deluso. «Niente rammollisce come l’amore. E tu, amico mio, l’hai rovinata, lasciatelo dire. Se non le avessi riempito la testa di idiozie romantiche, sarebbe stata invincibile. Invece guarda che brutta fine che ha fatto…»
Gourry si morse le labbra.
«Taci, per gli dei. Non voglio sentire una parola di più!» sbottò, buttando di nuovo la mano sull’elsa della spada ed estraendola dal fodero. Alla fine, aveva perso la pazienza anche lui.
«Calma amico, calma.» Nayden allungò una mano davanti a sé, mentre una sfera luminosa iniziava a sfrigolare nel suo palmo. «Non vorrai essere il primo ad andartene, vero? O forse…» sul suo viso apparve un ghigno orribile. «Forse sì. Vorresti raggiungere la tua maga, non è così? Beh, potrei anche decidere di accontentarti…»
«Nayden, lascialo in pace. Non centra niente» provai a dire, innervosito dalla  palla di fuoco che vibrava vicino a lui. La magia mi metteva a disagio. Nayden riusciva sempre a mettermi in difficoltà, quando usava i suoi poteri. E, su di me, li aveva usati più volte di quello che volessi ricordare. Ne portavo ancora addosso le cicatrici.
«Chiudi la bocca, Joy. In questa stanza iniziamo ad essere in troppi, non trovi?»
Fu un attimo.
La sfera infuocata attraversò crepitando l’aria, così veloce che la vidi passare come una scia luminosa. Come la coda di una cometa. Anouk gridò, Gourry schivò la prima, spostandosi di lato appena in tempo. Ma non vide la seconda.
Io sì, però. O meglio, non io. Qualcuno di incredibilmente più rapido di me in queste cose.
La mia voce parlò, recitando una formula di cui non compresi il significato. L’incantesimo si sprigionò dalle mie dita lasciandomi completamente stordito. Sentii le braccia formicolare e una vaga puzza di bruciato sulle dita quando tutto fu finito.
Gourry era illeso. Nayden basito.
Mi squadrò, sgranando gli occhi, e quel momento di smarrimento diede modo a Gourry, che era uno che, quando si trattava di agire, non si era mai posto troppe domande, di farsi avanti e sottrargli dalle mani la bambina. La prese in braccio, stringendosela addosso, e indietreggiò tenendo la spada tesa davanti a sé.
Io sentii Lina, dentro di me, imprecare.
«Era ora che vi decideste a darvi una mossa, larve che non siete altro!»
Era stata lei, non io, a lanciare l’incantesimo che aveva salvato Gourry e che adesso ci forniva quell’insperato vantaggio. La chiamavano la maga geniale e, per quanto mi scocciasse ammetterlo, dovevo riconoscere che lo era davvero. Geniale. Almeno un pochino. E maledettamente svelta: aveva i riflessi e la mira di un cecchino, uno di quelli bravi.
«Finalmente lo ammetti!» disse la sua voce, da qualche parte nei miei pensieri.
«Oh, quanto la fai lunga, per gli dei! Non mi sembra questo il momento per glorificarsi!»
Nayden, davanti a me, scosse la testa. Aver perso il controllo su Anouk era l’ultimo dei suoi problemi in quel momento.
«Da quando sai usare la magia?» domandò, incredulo, squadrandomi sospettoso.
«A quanto pare, mio caro, ci sono tante cose che non sapevamo l’uno dell’altro. Nemmeno io sapevo che tu fossi uno schifoso bastardo.»
O forse sì, aggiunsi mentalmente.
«Bene, bene» Nayden si era raddrizzato, e non sembrava di buon umore. Tutt’altro. Levò una mano e vidi qualcosa scintillare nel suo sguardo. Qualcosa che non mi piacque.
Mi voltai verso il mio amico.
«Gourry, porta via la bambina, portala fuori di qui. Vattene!»
Gourry, lo sguardo attento che saettava tra me e Nayden, sembrava combattuto. Da un lato sentiva la responsabilità di quella piccola vita che stringeva tra le braccia. Dall’altro… beh, dall’altro c’era lei, Lina. E lui non voleva lasciarla, lo leggevo nei suoi occhi. Non l’avrebbe lasciata per niente al mondo.
C’era da diventare matti, ma matti sul serio, con quei due.
«Gourry!» lo incalzai.
«Sì, Gourry, fa come dice Joy. A questo punto, immagino sia diventata una questione privata tra me e lui. Noi avremo modo di finire il discorso più tardi, quando avrò sistemato questo idiota di mio fratello.»
Gourry indietreggiò di un passo, poi sembrò ripensarci.
«Ti dai una mossa, cervello di medusa?! Vai via da qui!» disse la mia voce, anche se a parlare non ero stato io. Ma il tono con cui l’avevo detto non lasciava spazio a dubbi: Gourry mi guardò sgranando gli occhi. L’aveva riconosciuta. E quando lei parlava, lui ascoltava. Si voltò e corse via portando Anouk con sé. Sentii Lina tirare un sospiro di sollievo. Ora, finalmente, potevamo iniziare a usare le maniere forti.
«Allora, spiegami un po’» disse Nayden. «Adesso sei un mago? O è solo uno dei tuoi trucchetti da quattro soldi?»
«Giudica tu» risposi, mentre Lina, usando la mia mente, castava un incantesimo e usava le mie mani per scagliarlo. Non c’era modo di fermarla, era inarrestabile.
Volarono scintille e schegge di ghiaccio. Scariche elettriche e folate di vento.
Nayden era un bravo mago, sapeva difendersi e contrattaccare. Ma Lina… Lina era una furia.
Mi stavo rapidamente rendendo conto che le leggende che giravano sul suo conto… non erano affatto leggende. Era potente, aggressiva, implacabile. E c’era una ferocia, in lei, che mi gelava il sangue. Sentirla in me, come la sentivo in quel momento, mi toglieva il fiato. Non riuscivo a contenerla. Se avessi voluto contrastarla, non ce l’avrei mai fatta. Mi aveva completamente soggiogato, e si serviva di me per buttare fuori la sua rabbia.
La magia scaturiva da me come un fiume in piena, come energia liquida e incandescente. Vedevo Nayden schivare colpi e cercare, a sua volta, di colpirmi, inutilmente. Lina macinava formule su formule, la mia mente ne era piena. Si era impadronita di ogni mio pensiero.  
«Basta!» provai a ribellarmi, quando Nayden cadde a terra premendosi la mano sul braccio destro, da cui scaturiva un fiotto di sangue scuro. Volevo sconfiggerlo ma non ucciderlo. Nonostante tutto, continuavo a considerarlo un fratello.
«Basta?» gridò lei, nei miei pensieri. «No che non basta!»
Strinsi i pugni, talmente forte che le nocche sbiancarono.
«Sì, invece: basta. Mi stai assoggettando, non puoi usarmi in questo modo!» gridai a mia volta, cercando di scacciarla dalla mente.
Lei provò a resistere. La sentivo fare forza per avere la meglio. Si aggrappava ovunque, era come avere i suoi denti piantati dentro, da qualche parte. Faceva un male cane.
«Hai perso il controllo, Lina! Stiamo sprecando energia inutilmente: non è Nayden il problema.»
«Nayden è parte del problema. E voglio liberarmi di lui» disse. Le sue parole echeggiarono dentro di me. Era furibonda, con me, con lui. Soprattutto con lui. L’aveva imbrogliata. Ci aveva imbrogliati tutti, in effetti. Ma Lina non era una a cui piaceva essere presa per il naso, soprattutto adesso che un naso non ce lo aveva più. La capivo, giuro che la capivo. Ero arrabbiato anche io, gli dei solo sanno quanto. Eppure… non volevo che si servisse di me per straziare le carni di Nayden. Per ridurlo a brandelli.
«Ti prego» la implorai. «Ti prego, non così.»
Lina si dibatté e imprecò e affondò le unghie nella mia mente. Bestemmiava come uno scaricatore di porto quella ragazzina che era alta un metro e uno sputo. Non accettava la resa.
«Maledizione, Joy! Nayden ha ragione, sei davvero uno stupido sentimentale!» esclamò. Ma capii che, alla fine, si era placata.
Tornai a respirare, mentre Nayden sollevava mestamente il capo, deglutendo. Doveva avere dolori ovunque. Lina l’aveva fatto a pezzi. L’avrebbe finito, se non l’avessi supplicata.
«Tu… sai essere spietata» sussurrai, sgomento.
Scorsi i suoi occhi nei miei. Erano duri, privi di compassione. Ma anche rassegnati. Era uno sguardo che non le avevo mai visto, la faceva sembrare più vecchia di cent’anni.
«Sì» rispose, soltanto. Non c’era orgoglio nella sua voce, nessuna traccia di vanto. Solo una stanca consapevolezza.
Il suo nome bastava a terrorizzare la gente. Ora capivo il perché. Lina Inverse era davvero pericolosa. E non aveva importanza che fosse gracile come un uccello, con quelle braccia magrissime e i polsi tanto sottili che avrei potuto spezzarglieli con una mano. Il suo potere era tutto nella mente. Poteva piegare il mondo, la sua volontà glie lo consentiva. Con un brivido ripensai a quello che avevo provato quando, per un breve istante, ero stato lei. L’energia del caos, quella che consuma ogni cosa, nel palmo della mano. E la facoltà di disporne a proprio piacimento, decidendo le sorti di un intero pianeta. Di un universo.
Eppure, quella volta, la volontà non era bastata. L’incantesimo le era sfuggito di mano, avrebbe potuto essere la fine, per tutti noi. E non perché Lina non fosse tanto forte da governarlo. Qualcosa aveva interferito. Qualcosa che aveva a che fare con le emozioni, con i sentimenti. Con l’amore. E io l’avevo sentito nelle ossa e nel sangue, così come l’aveva provato lei: un dolore insopportabile, lacerante, alla bocca dello stomaco; nel cuore, ovunque. Il terrore di perdere, con Gourry, tutto ciò che di buono c’era al mondo. Tutto ciò che di buono c’era in lei. Era umana anche lei, dopotutto, e Gourry era il suo limite.
«Come diavolo…» biascicò in quel momento Nayden, sputando un grumo di saliva e sangue. Si raddrizzò, appoggiando la schiena al muro.
«Ti sei messo contro le persone sbagliate, tutto qua» risposi, cupo.
«È Lina, vero? Non puoi essere tu. Quelli che hai usato non sono incantesimi per dilettanti, ci vogliono anni per perfezionarli. Solo, mi chiedo come sia possibile…» Sul suo volto si dipinse una smorfia di dolore e lo vidi premere le dita sulla manica strappata della tunica. Il sangue colava copioso sul pavimento e il suo volto era bianco come il gesso.
«Perché, Nayden?» domandai. «Era proprio necessario, tutto questo?»
Lui sorrise. Un sorriso spento, l’eco di quei sorrisi abbaglianti in cui era un maestro indiscusso.
«Tu non hai mai capito, Joy. Ti sei sempre rifiutato di capire.»
«Di capire cosa, esattamente?»
«Me.»
Lo guardai, sbattendo le palpebre. Nayden scosse la testa.
«Io mi ricordo di quella notte, sai? La notte in cui ti portarono a casa della nonna.» Mi guardò, indagando la mia reazione. «Immagino che, arrivati a questo punto, tu ormai sappia che non sono tuo fratello.»
Annuii. Un cenno breve, nervoso. Nayden sospirò.
«Non avevo mai visto tanti soldati, tutti insieme. Erano abbigliati con vesti preziose, i loro cavalli erano neri come l’inchiostro e sbuffavano nuvole di fiato tiepido nell’aria gelida della notte. Uno di loro consegnò un fagotto alla nonna. C’era una lettera, con il sigillo di un ducato lontano. E c’erano dei soldi, per permettere alla donna a cui ti stavano affidando di crescerti dignitosamente. Io e la nonna non avevamo mai navigato nell’oro, sai? Dentro quel fagotto c’eri tu. Un bambino pallido e sfinito, che non piangeva, ma guardava tutto con occhi attenti, curiosi… ti ho odiato da subito, sin dal primo momento» confessò, gli occhi ridotti a due fessure sottili.
Le sue parole facevano male. Affondavano in me come la lama di un coltello. Se avevo avuto qualche certezza, nella vita, in quel momento si stava sgretolando come sabbia asciutta lambita dal vento. Non restava più nulla.
«Io, invece, te ne ho sempre voluto. Ti ho amato come un fratello, Nayden. Ti ho ammirato e temuto. Avrei voluto assomigliarti.»
Nayden sogghignò. Sul suo volto si dipinse un’espressione orribile, mentre un sottile rigagnolo di sangue gli colava da un angolo delle labbra.
«Volevi assomigliarmi? Che idiota. Io facevo di tutto per umiliarti e tu volevi essere come me. Questo è così tipico di te!»
«Sei la mia famiglia» dissi, tetro.    
Lui scosse la testa.
«No. Questa è la tua famiglia» rispose, indicando con un gesto della mano quanto ci circondava. «I tuoi genitori si sono liberati di te appena sei venuto al mondo. Ti hanno abbandonato perché in te c’era qualcosa di marcio. E tu… tu ti sei preso la mia, di famiglia. Erano i miei genitori, quelli che hai rimpianto di non aver conosciuto. I miei. E tu ti sei preso il loro ricordo. E la nonna… la nonna ha sempre preferito te, inutile negarlo. Sapeva chi eri, e nonostante questo ti preferiva a me, che ero sangue del suo sangue. Eri un bambino sconosciuto, un estraneo, marchiato dall’ombra. E ti sei preso la mia vita.»
Avrei voluto fare e dire tante cose. Ma sentivo la lingua incollata al palato. Nella gola, un nodo difficile da sciogliere. In quel momento, un rumore di passi catturò la mia attenzione. Gourry sbucò nella stanza, solo.
«Dov’è la bambina?» domandai, allarmato.
«L’ho lasciata con il padre di Lina e con Herman. Quando sono tornato in superficie ho visto che avevano già messo fuori gioco i mercenari incaricati di sorvegliare il cortile. Si erano resi conto che la strada di Tenar era  solo un modo per depistarli e così si sono precipitati qui…» Gourry aggrottò le sopracciglia, guardando Nayden. «Pensavo che avessi bisogno di aiuto, ma vedo che la situazione è sotto controllo…»
«Più o meno» dissi, stancamente. «Ora viene la parte più difficile: dobbiamo rimettere i sigilli allo specchio e…»
Fu un attimo. Una questione di pochi secondi, al punto che nemmeno Lina riuscì a prevederla e ad agire di conseguenza.
Nayden, al limite delle forze, non avrebbe potuto servirsi della magia. Ma aveva ancora un asso nella manica, e scelse di sfruttare il mio momento di distrazione per agire.
Il pugnale corto che teneva infilato nella cintura attraversò l’aria con un sibilo, dritto verso il mio cuore. Mi avrebbe colpito, Nayden non sbagliava un colpo, soprattutto se era l’ultimo che aveva a dispozione.
Chiusi gli occhi, ma non sentii dolore. Uno schizzo di sangue mi colpì a una guancia.
Poi Lina iniziò a urlare, e le sue urla terrorizzate riempirono il silenzio.
Gridava il nome dello spadaccino.


Una piccola nota su questo capitolo: la teoria delle anime che attraversano insieme i secoli, vita dopo vita, non è farina del mio sacco, ed è spiegata molto bene nel libro 'Molte vite, un solo amore', dello psichiatra americano Brian Weiss.
Grazie di cuore a tutte le persone che leggono e commentano. E anche a quelle che leggono silenziosamente: il contatore delle visite dice che siete tanti! Mancano due capitoli alla fine, ci siamo quasi^^

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Capitolo 19
*** Vita ***


Vita
Vita

'Quando hai paura di qualcosa, ma la fai comunque, quello è coraggio.' (Coraline, Neil Gaiman)


Oh, che sfortuna maledetta, è solo una bambina dai capelli arruffati! E io che pensavo di prestare i miei servigi a una bella fanciulla. Senti, ragazzina, dove sono i tuoi genitori? Non ti sarai persa, spero…


Cadde come un peso morto tra le mie braccia, gli occhi sgranati nel dolore. Dalle sua labbra colò un filo di sangue che disegnò un arco cremisi sulla sua guancia, infiltrandosi nei corti capelli che gli sfioravano il collo. Lo sostenni, ma non avevo forza sufficiente e mi accasciai con lui, mormorando il suo nome. Anche Joy lo chiamava. Le braccia che lo stringevano erano le sue, ma in quel momento ero io, solo io, a tenerlo contro di me, supplicandolo di non lasciarmi, di non andarsene, che non si azzardasse a fare scherzi, che l'avrei odiato per sempre se se ne fosse andato. Quasi quanto lui aveva odiato me per aver fatto la stessa cosa.
Allungai le mani sulla sua schiena, le ritirai umide di sangue. Il pugnale era penetrato in profondità, forse aveva perforato un polmone. Sentivo il respiro di Gourry farsi sempre più rauco, gorgogliante. I suoi occhi di cielo si offuscarono, facendosi opachi.
«Gourry!»
«Joy» biascicò lo spadaccino, le labbra impastate di sangue. Poi sussurrò il mio nome. Venne fuori con un sospiro, prima che il suo sguardo diventasse di vetro.
«Sta attraversando il confine» gridò Joy. La sua voce mi arrivò lontana. Mi sembrava di avere dell’ovatta nelle orecchie, faticavo a respirare, non riuscivo a pensare a nulla.
«Dobbiamo usare l’Akan» continuò Joy. Le sue parole erano confuse. Ero dentro di lui e, allo stesso tempo, lontana anni luce.
«Dobbiamo usarlo prima che sia troppo tardi!»
Ma la sincronia perfetta con cui avevamo collaborato io e lui fino a quel momento sembrò dissolversi di colpo, proprio quando ne avevamo più bisogno. Forse fu il mio dolore, o la paura di Joy. La nostra sinergia si disperse, ci intralciammo, ci scontrammo. Diventammo, all'improvviso, incapaci di unire le nostre forze. Come se fosse stato davvero Gourry a tenerci uniti fino a quel momento e adesso, davanti alla prospettiva che lui svanisse dalle nostre vite alla stessa velocità con cui l'acqua evapora dal terreno brullo, ci riscoprissimo due estranei che non avevano nulla in comune.
Vidi qualcosa brillare, scintillare un'ultima volta, prima di svanire per sempre. Lacrime salate bagnavano le guance di Joy. Era catatonico, incapace di reagire. Solo in quel momento mi resi conto che non dipendeva da lui. Era il richiamo del confine. Gli era penetrato sottopelle e lo stava attirando a sé. Lo stesso richiamo che aveva rovinato Elizabeth.
Nayden, davanti a noi, si stava alzando. Gourry era prossimo al confine.
Mi resi conto che, se non avessi reagito, sarebbe stata la fine di ogni cosa. Con tutta la forza che avevo andai contro Joy, penetrando nel profondo dei suoi pensieri. Era paragonabile a una violenza fisica. Lo stavo violentando. Ma avrei fatto qualunque cosa. Qualunque.
Staccai le sue mani insanguinate dal corpo di Gourry e, con tutto il vigore che riuscii a strappare dalle sue braccia, lo schiaffeggiai. Mi schiaffeggiai.
Colpivo con brutalità. Presto avvertii un sapore ferroso tra le labbra e mi resi conto che il naso di Joy sanguinava e che il sangue gli colava tra le labbra.
«Svegliati, Joy! Resistigli, tu sei più forte! Devi prendere l’Akan…»
Nayden era in piedi, adesso. Si teneva il braccio ferito, guardando con un misto di stupore e divertimento suo fratello che, inginocchiato davanti al corpo dello spadaccino, si schiaffeggiava da solo, gli occhi vuoti e senza espressione.
«Devo ammettere che si tratta di uno spettacolo interessante» mormorò, scoprendo una fila di denti bianchi e perfetti. «Ma, purtroppo, non ho più tempo da perdere con queste sciocchezze…» la sfera infuocata brillò nel palmo della sua mano.
Io richiamai un incantesimo, ma Joy non mi sentiva. Non avevo energia sufficiente per servirmi di lui.
Nayden scosse la testa.
«Addio» disse solo, lanciando il globo verso di noi.
Chiusi gli occhi. Davanti avevo solo il sorriso di Gourry. Il suo sorriso… mi faceva sentire viva. Viva.
Aspettai il colpo finale che avrebbe chiuso la partita. Ma non arrivò.
Quando riaprii gli occhi, davanti avevo sempre Nayden. Il suo volto però, già molto pallido, adesso sembrava di marmo. L’espressione era sgomenta. Ci misi qualche istante a realizzare che, sopra me e Gourry, gravitava qualcuno. Qualcuno con cui era meglio non scherzare, questo era poco ma sicuro.
Il Mazouku sorrise, un sorriso che piegava le ginocchia e gelava il sangue nelle vene.
«E va bene, ci siamo divertiti» concesse, rimbalzando nel palmo della mano la sfera infuocata che Nayden aveva scagliato su Joy. «Adesso basta, però» disse, rilanciandola verso il mago con un movimento distratto, sprezzante.
Il fuoco divampò, consumando velocemente il corpo del mago. Le sue urla non durarono che pochi istanti, poi di lui non rimase altro che cenere nera.
«Xellos…» sussurrai.
Il demone si voltò verso di me. L’espressione divertita aveva abbandonato il suo volto. Per una volta, sembrava maledettamente serio.
«Ho bisogno che risolvi questa situazione, Lina. Dai piani alti non sono contenti. Per niente.»
«Cosa?»
«L’universo ha le sue regole. Se esistono ruoli e gerarchie non è per divertimento, ma per un motivo ben preciso. Il Signore Oscuro ha già ciò che gli spetta, non è un suo diritto pretendere di più.»Xellos scosse la testa. «Non avremmo voluto coinvolgerti in questa situazione. L’ultima volta hai rischiato grosso. Lei si è dovuta scomodare di persona e non le è garbato, affatto» disse, riferendosi a LoN, la Signora di tutte le cose. «Ma, a malincuore, abbiamo dovuto ammettere che… sei la persona adatta per questo lavoro. L’unica che possa risolvere la situazione. Perciò, per favore, Lina: aiutaci.»
«Come, esattamente?»
«Sbarazzati del traditore. Penseremo noi a ripristinare l’ordine. Tutto quello che devi fare è eliminarlo senza pietà.»

Oltre lo specchio Elizabeth mi aspettava dove l’avevo lasciata. Sembrava preoccupata.
«Ci hai messo più tempo del previsto.»
«Sono successe più cose del previsto» replicai, accigliata. La afferrai per un braccio. «Devi portarmi sul confine. Adesso: Joy è già lì. E anche Gourry.»
Elizabeth non fece una piega. Si voltò e iniziò a correre. La seguii fino a un ampio spiazzo, diviso a metà da un fiume. In quel fiume stavo ferma, immobile. Gourry mi stava raggiungendo. Vidi la sua mano tesa, il tentativo di resistere alla corrente impetuosa. Sulla sponda, Joy lo chiamava.
«Dobbiamo fermarlo!» esclamai. Ma voltandomi verso Elizabeth la scorsi, rigida, fissare un punto alle mie spalle.
«Sapevo che saresti tornata» mormorò una voce. Conoscevo quella voce, aveva chiamato anche me. Aveva invocato il mio nome, voleva la mia vita. Ora era giunto il momento di regolare i conti.
Mi voltai, piano. Qualunque cosa mi fossi aspettata, era di certo meglio di quello che mi trovai davanti.
Il Signore delle Ombre era una sagoma indistinta, avvolta in un pesante sudario scuro. Il volto era smunto, scheletrico; aveva cavità oculari vuote e un ghigno sinistro. Ripensai a Phibrizio, a quanto il suo aspetto fanciullesco mi avesse tratto in inganno, all’inizio. In questo caso non c’era possibilità di equivoco: l’aspetto e la fama di quel demone oscuro coincidevano alla perfezione.
«Ti faccio paura, Lina Inverse?» mi domandò.
«Paura? No. Ribrezzo… un pochino, forse» minimizzai. In realtà ero terrorizzata. Ma non a causa sua. Temevo che la sua presenza lì, in quel momento, avrebbe impedito a Joy di fare ciò che doveva fare: fermare Gourry prima che fosse troppo tardi.
Il Signore oscuro si passò una mano sul volto, e al posto di quel teschio orribile apparve un viso umano di fattezze gradevoli. Era quello di un uomo dalla mascella pronunciata, con sopracciglia folte e occhi scuri.
«Così va meglio?»
Storsi il naso.
«Non fa alcuna differenza, credimi. Ho parlato con creature ben più sgradevoli di te. Piuttosto, dimmi cosa vuoi e facciamola finita. Anzi no, quello che vuoi lo so già. Facciamola finita e basta.»
«Sei una che va dritta al punto, vedo.»
«Perché perdere tempo in chiacchiere inutili?»
«Sono d’accordo.»
Sorrise, un sorriso terrificante. Quando la morte ti sorride, non è mai piacevole.
«Joy ed Elizabeth» disse, allungando le mani verso di loro. Quando strinse i pugni, i gemelli vennero trascinati da una forza invisibile, arrivando dritti al suo cospetto. «Vi ho aspettato a lungo, fate in modo che la mia attesa non sia stata vana.»
Joy era tornato in sé e lo guardava come una bestia selvatica guarda il cacciatore che la sta braccando. Elizabeth era ammutolita, lo sguardo sgranato.
«Sono così stufo di questo scenario» proseguì il Signore delle ombre, indicando quanto ci circondava con un gesto della mano. «Sempre le stesse facce… una noia mortale, come potrete ben immaginare. Le anime vengono e se ne vanno. Qua sono solo di passaggio. Ma se sconfinassi, rendendo il mondo al di là dello specchio e questo una cosa sola… non esisterebbero più vita e morte. Pensateci. Tutto ciò che è mortale è destinato a scontrarsi con la parola fine. E ogni fine comporta dolore. Io potrei evitare tutto questo. Vi renderei immortali. Esseri eterni e perfetti, che non avrebbero bisogno di confrontarsi con la sofferenza.»
«Mai» sputò fuori Joy.
Il demone sospirò, sembrava annoiato. Joy si portò le mani alla gola e iniziò a tossire. Qualcosa lo stava soffocando.
«Joy!» gridò Elizabeth, cercando di aiutarlo. Ma anche lei venne fermata e cadde in ginocchio.
«Chi vi ha creato, non vi ha fatto poi così intelligenti. Perché non riuscite a vedere i privilegi che vi offro?»
«Forse perché non sono così vantaggiosi» dissi, facendomi avanti. Mi piegai, aiutano Elizabeth a rialzarsi, poi mi avvicinai a Joy.
«Se lo uccidi, resterai qui per sempre, isolato. Joy è l’unico successore al ducato: non avrai altri intermediari. Solaria verrà abbandonata, rimarrai escluso da tutto.»
Lui fece schioccare le dita con un gesto irritato e Joy riprese a respirare.
«Datemi quello che voglio.»
«No.»
«Siete così sciocchi… così attaccati alla vostra ridicola vita. Non dura che una manciata di anni, così pochi che non fate nemmeno in tempo a rendervi conto di averla vissuta.»
«Questo lo può pensare solo qualcuno che con la vita non ha mai avuto nulla da spartire. Tu non sai niente di noi esseri umani.»
«Vi osservo da millenni. Vi vedo tornare da me sfiniti, sfibrati. Annientati dal dolore. Alcuni vengono di loro spontanea volontà, tanto insopportabile si rivela la vostra esistenza. E voi volete farmi credere che tutto questo… vi rende felici? Che sareste disposti a soffrire ancora, pur di vivere?»
«Sì, è così.» Feci un passo avanti, prendendo la mano di Joy. «Siamo più complicati di quello che puoi immaginare. E siamo ostinati, non sai quanto. Vuoi eliminare la sofferenza, renderci immortali? Ci renderesti solo inumani. Siamo stati creati per provare gioia e dolore. Per essere appassionati  e tenaci. Coriacei. Ci abituiamo a tutto, sopravviviamo aggrappandoci alla vita con le unghie e con i denti. Impariamo dagli errori, evolviamo. Andiamo avanti, un passo dopo l’altro, con caparbietà. Soffriamo, è vero. Ma è la sofferenza che ci tempra. A volte cadiamo. Facciamo errori, tanti errori. Chi ci ha creato, per fortuna, ci ha creato imperfetti. O avremmo perso parte del divertimento. Perché è per questo che viviamo: cerchiamo qualcosa. Una scintilla di luce in questo buio. Rendici immortali, e ci toglierai il gusto per la vita.» Scossi la testa e presi anche la mano di Elizabeth nella mia. Joy estrasse l’Akan.
Il Signore delle ombre fece un passo avanti.
«Siete degli stolti.»
«Combattici. Non abbiamo paura di te: non ci avrai, nemmeno se rompi i sigilli ed estendi il tuo dominio oltre lo specchio. Avrai una landa desolata di anime erranti. Noi esseri umani siamo un’altra cosa.»
Il demone congiunse le mani. Alle sue spalle apparve una schiera di spettri pallidi. Aleggiavano leggeri come bruma.
«Togliete i sigilli. Vi concedo un’ultima possibilità, poi farò di voi degli schiavi ai miei ordini.»
«Mai.» A parlare, questa volta, erano stati Joy ed Elizabeth insieme.
Joy sollevò l’Akan. Il Signore oscuro si preparò al contrattacco. Non avrebbe ceduto, sembrava determinato a portare avanti il suo piccolo progetto di demolizione del mondo.
Ma non glie lo avremmo permesso. A nessun costo.
Iniziai a salmodiare una formula. Avremmo congiunto la mia magia ai poteri dell’Akan, combattendo su due piani astrali.
Il Signore oscuro sollevò le braccia sopra alla testa, scoprendo i polsi ossuti. La falsa parvenza umana che si era dato era scomparsa. Un forte vento iniziò a soffiare contro di noi. Il fiume si gonfiò, diventando impetuoso, e io pensai a Gourry.
«Lina, non deconcentrati» mi intimò Elizabeth, stringendo la mia mano.
Tornai a recitare la formula. Pezzi di terreno si sollevarono in volo, piombandoci addosso. Li schivammo con l’aiuto della magia. Le forze oscure si fecero più potenti, e gli spettri avanzarono.
Solo allora capii che nessun incantesimo sarebbe stato tanto potente da arrestarlo. Nessuno, eccetto uno.
Per questo Elizabeth mi aveva scelto. Perché ero l’unico essere umano ad averlo castato, in passato. Perché era mio, il mio incantesimo originale. Un incantesimo così potente da sprofondare il mondo nel mare del caos. I rischi erano enormi. Già una volta avevo fallito.
Ma non avevo appena detto che gli esseri umani erano fatti per sbagliare e imparare dai propri errori? Che erano ostinati e decisi a superare i propri limiti?
Che quello che cercavano era una scintilla nel buio?
E l’altro nome del Giga Slave non era forse Luce nelle Tenebre?
Gourry, dammi la forza, pensai, sollevando le mani di Joy ed Elizabeth nelle mie. A scagliarlo, questa volta, non sarei stata io. L’Akan avrebbe incanalato il potere del Giga Slave. Io, Joy ed Elizabeth ne avremmo avuto il controllo. In tre sarebbe stato più facile gestire il suo potere. O almeno speravo che andasse così.
«Più oscuro dell’oscurità, più cupo della notte…»
L’Akan iniziò a vibrare nella mano di Joy. Un filo di sangue iniziò a colargli dal naso e capii che lo strumento gli stava sottraendo più energia del previsto. Con la coda dell’occhio scorsi Elizabeth chiudere gli occhi e concentrarsi. Lei e Joy erano una cosa sola, dopotutto.
«Io qui invoco il tuo potere. Io qui me stessa ti prometto…»
Il Signore Oscuro rovesciò la testa all’indietro. Dalle sue orbite vuote uscì una nebbia fitta, che ci avvolse. Gli spettri ci circondarono. Chiusi gli occhi, recitando l’ultima parte della formula. Il cuore mi martellava furioso nel petto. Mi costrinsi a respirare a fondo, mentre completavo l’incantesimo. Mi stavo giocando tutto.
«…E tutti coloro che saranno tanto folli da ostacolare il tuo potere…»
Sopra le nostre mani tese vibrava una nube scura, satura di energia. Al suo interno gravitava la magia del caos. Gettai la testa all’indietro. I miei capelli vorticavano furiosamente su di me, sembravano fiamme vive.
L’Akan, nella mano di Joy, divenne incandescente. Stava assorbendo l’incantesimo. Eravamo riusciti a governarlo, ma ci stava sfinendo. Era troppo potente. Elizabeth strinse i denti, cercando di resistere al vento furioso che ci investiva a folate e che aveva già spazzato via la schiera di spettri chiamata dal demone.
Forse mi ero sbagliata. Forse non avremmo avuto la forza necessaria per dominarlo…
Fu come essere catapultai indietro nel tempo, quando l’incantesimo aveva preso il sopravvento su di me e mi aveva fagocitato. Provai la stessa paura, un terrore così sordo da non poter essere spiegato a parole. Poi, inspiegabilmente, il suo peso divenne più sostenibile. Riaprii gli occhi e mi accorsi che, oltre alle nostre mani saldamente strette all’Akan, se ne era aggiunta una quarta. Era una manina piccola e delicata. La mano di una bambina.
Mi voltai di scatto, guardando Anouk, e lei ricambiò il mio sguardo, annuendo.
Tre custodi, pensai. Tre fratelli. Era così che doveva andare: il sangue è più forte di qualsiasi cosa.
Inspirai, chiudendo gli occhi, poi li riaprii di colpo.
«Giga Slave

Quello che accadde dopo fu molto confuso. So solo che funzionò. Contro a qualunque previsione, riuscimmo a controllare l’incantesimo, a farne uno strumento al nostro servizio.
C’era silenzio, intorno. Un silenzio innaturale. E buio. Poi, lentamente, sentii l’acqua scorrere. I contorni delle cose si fecero più nitidi.
Solo allora mi resi conto di essere a un passo dal confine. E ricordai di avere una cosa molto importante da fare. Iniziai a guadare il fiume, sentendo solo indistintamente le urla di Joy, alle mie spalle. Gridava il mio nome, ma io non volevo ascoltarlo.
Afferrai la mano di Gourry e lo tirai verso di me. L’acqua scorreva impetuosa intorno a noi. Ci stringemmo l’una all’altro, sul confine che separa la vita dalla morte. Affondai il volto nel suo collo, mentre lui mi accarezzava i capelli.
«Gourry» dissi solo. «Gourry.»
«Lina…»
Sentivo Joy e Anouk trattenerlo, dalla riva. Elizabeth, dopo aver rivolto un sorriso malinconico ai suoi fratelli, era passata oltre. Finalmente libera.
«Se fossimo cresciuti insieme, saremmo stati inseparabili» aveva detto a Joy, facendogli una breve carezza sulla guancia, prima di dirgli addio. «Sii un duca giusto. Governa con saggezza, e non temere il Dono. È parte di ciò che sei. Prenditi cura di Anouk, lei ha solo te, adesso. Addio, fratello mio.»
Sollevai il viso verso quello dello spadaccino e premetti le labbra contro le sue, stringendolo a me. Lui non lo sapeva ancora, ma quello era un addio.
«Devi andare» sussurrai sulla sua bocca, incapace, però, di lasciarlo.
«Torna con me.»
«Non posso.»
Solo a quel punto Gourry si staccò da me, guardandomi negli occhi.
«Cosa…? Perché?»
«Non ho più un corpo in cui tornare, Gourry. E lo so che ti sembrerà egoista, e forse anche un po’ pretenzioso, da parte mia. Ma io non posso essere diversa da ciò che sono. Senza il mio corpo non sarei la stessa persona che hai conosciuto. Che hai… amato.»
«Ti amerei sempre e comunque» disse lui, serio.
«Può darsi. Sì, tu lo puoi fare, hai questa capacità. Tu, Gourry, sai guardare oltre. Io, invece, no. Non saprei riconoscermi. Puoi capirlo?»
Gourry mi osservò per un lungo istante.
«Sì» disse infine. «Posso capirlo. Ma non credo che riuscirò ad accettarlo…»
«Invece sì. Andrai avanti, Gourry. Vivrai. E, quando sarà il momento, tornerai da me. Ma, nel frattempo, vivi. Cadi e rialzati. Innamorati ancora. Invecchia. E poi torna da me.»
«Mi stai chiedendo troppo, Lina. Senza di te… niente ha senso.»
«Ti sto chiedendo quello che mi chiederesti anche tu se fossi al mio posto. Io ti amo, Gourry. Voglio che tu viva. Per noi c’è tempo. Ci sarà un’altra vita. Rinasceremo, ci ritroveremo. Rinasceremo, e vivremo ancora.»
Gourry posò la fronte contro la mia, stringendomi la nuca, affondando le dita tra i miei capelli.
«Non chiedermi di lasciarti andare» sussurrò, chiudendo gli occhi. «Non farlo, ti prego. Tutto, ma non questo.»
«Ci vuole coraggio, Gourry, per fare ciò che non ci va di fare. E io voglio che tu vada avanti, senza di me. So che lo puoi fare: mi sono innamorata di un uomo che di coraggio ne ha da vendere, non deludermi.»
Quelle parole dovettero colpirlo. Lo sentii deglutire. Cercare di tenere a bada le lacrime. Non era un codardo, e io mi fidavo di lui. Sapevo che sarebbe stato difficile, ma che ci avrebbe provato. L’avrebbe fatto per me, perché mi amava. Perché era sempre stato bravo a mantenere le promesse e quella era la più importante che potesse farmi.
«Ora devi andare, Gourry» dissi. E mi costava dirlo, gli dei solo sapevano quanto.
«Io non ti dimenticherò mai» confessò lui, in un sussurro.
«E come potresti?» chiesi, con un sorriso, mentre le lacrime mi rigavano le guance. «Una come me non si dimentica.»
Lo sentii soffocare un singhiozzo e mi staccai da lui, guardandolo negli occhi.
«Gourry Gabriev» mormorai. «Grazie per aver incrociato il mio cammino, quel giorno. Insieme a te la vita è stata un viaggio bellissimo. Tu… mi hai salvato.»
Lui scosse la testa.
«Non ti ho mai salvata. Ti sei sempre salvata da sola.»
«Invece l'hai fatto. Mi hai salvato da me stessa, da quello che sarei potuta diventare, se non ti avessi avuto accanto. Tu mi hai reso migliore. Hai sciolto le mie resistenze, smussato i miei angoli, scaldato il gelo che avevo dentro. La tua luce ha illuminato il mio buio. Il mio unico rimpianto è quello che di non essere riuscita a dirti sì, quando avrei dovuto. Volevo essere tua, più di qualsiasi cosa. Ma in fondo, non ha importanza: sono sempre stata tua, e lo sarò per sempre. Adesso vai, prima che io diventi troppo sdolcinata. Non voglio che il tuo ultimo ricordo di me sia così stucchevole. Addio, Gourry, e ricorda che non voglio vederti da queste parti prima che i tuoi capelli non siano completamente bianchi.»
Poi, senza dargli tempo di replicare, lo spinsi via. Incespicò all’indietro e cadde sulla sponda opposta, dove lo attendeva Joy.
I miei occhi si posarono nei suoi per un ultimo, breve istante. Lasciarlo andare era la cosa più difficile che avessi mai fatto. Lo guardai, un’ultima volta, e lo vidi, fermo in una radura illuminata dal riverbero del sole, lamentarsi perché ero solo una ragazzina con i capelli arruffati e non una dama bisognosa d’aiuto.
So cavarmela da sola, avevo risposto quella volta. Ma non era vero. Lui aveva fatto di me quella che ero.
Lo guardai, e mentre lo guardavo iniziò a dissolversi e svanì. Tornò alla vita.

Solo allora mi sentii davvero perduta. E capii che era tempo di accomiatarsi.
Mi voltai, pronta ad andare oltre, ad attraversare il confine. Quando, inaspettatamente, la mano di Joy strinse la mia.
«Lina. Ti prego» disse solo. La sua era una supplica.
Io sospirai.
«Joy, ne abbiamo già parlato. Non rendermi le cose più difficili: lasciami andare.»
«Cercheremo l’anello. Non può essere svanito… ripensaci, non arrenderti. Non gettare via questa occasione.»
Occasione? Oh, Joy. Di occasioni ne ho avute fin troppe, in questa vita, credimi. Nemmeno le ho meritate. E no, non mi sto arrendendo.
Ho riso nelle tenebre. Ho danzato sull’abisso, guardando in esso, e l’abisso ha guardato in me. Sono una creatura di luce e d’ombra, come tutti. Ma la mia ombra è più estesa. Ho scelto la magia nera, e non me ne sono mai pentita. Non ho mai preteso di essere una brava persona. Ho rubato, mentito e agito per tornaconto personale. Di me resterà il ricordo di qualcuno troppo cocciuto per ascoltare un consiglio, per piegare la testa, per scendere a compromessi. Racconteranno che ero una testa calda, una di quelle persone che hanno sempre una battuta velenosa sulla punta della lingua e non sono capaci di tenere ferme le mani. Una di quelle che si irritano al minimo contrattempo e ottengono sempre quello che vogliono. Talvolta con le buone, più spesso con le cattive. Elencheranno i miei difetti come si contano le pecore prima di addormentarsi, e non saranno mai abbastanza per ricordarli tutti: egocentrica, permalosa, avida, orgogliosa, arrogante. Sì, mi riconosco in tutto, ho davvero un pessimo carattere. Gli dei si metteranno le mani nei capelli quando arriverò.
Non sono mai stata l’eroe, nella storia. Quando si è trattato di scegliere, ho sempre scelto guardando al mio profitto. Anche davanti alla decisione più difficile ho agito con egoismo: salvare una vita, una sola vita. A qualunque costo, a qualunque prezzo. Fregandomene di tutto il resto. Sono stata sconsiderata, impulsiva e inarrestabile. Incontrollabile. Ho valicato tutti i limiti, aggirato i divieti, Incapace di arrendermi. Sempre incapace di arrendermi
Ma adesso… adesso è finita. Questa è la resa, e non per mancanza di coraggio. Il coraggio, a me, non è mai mancato. Il coraggio, questa volta, è arrendersi.
Joy mi guardò. I suoi occhi erano grigi come la nebbia. Stava diventando più inconsistente di un refolo di vento.
«Sei stato un buon amico, Joy. E ti sei rivelato una persona molto migliore di quanto potessi immaginare. Sei rimasto al mio fianco, nonostante tutto, e di questo ti sono grata. Non scordare la promessa che mi hai fatto, è l'ultima cosa che ti chiedo.»
Joy si rabbuiò.
«Lina, ti prego… non lasciarci» disse. «Non lasciarmi. Io…»
Chiusi gli occhi. Le sue dita, strette alla mia mano, erano calde. L’acqua scorreva impetuosa, sembrava volermi portare via con sé.
Se mai vi chiesti come sia morire, credetemi, è un tormento. Di vivere non se ne ha mai abbastanza. Anche quando si vorrebbe mollare, perché andare avanti sembra impossibile. Anche quando esistere è una condanna. La vita è la cosa migliore che possa capitarvi, nonostante tutto. Fidatevi.
La vita, io, l’ho amata più di qualunque altra cosa. E il suo sorriso… il suo sorriso lo porterò ovunque andrò. Il suo sorriso sarà la mia pace.
Con un sospiro lasciai andare la mano del duca di Solaria e varcai il confine.

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Capitolo 20
*** La strada di casa ***


la strada di casa
La strada di casa

‘So open your eyes and see
The way our horizons meet
And all of the lights will leave
Into the night with me
And I know these scars will bleed
But both of our hearts believe
All of these stars will guide us home.’
(All Of The Stars, Ed Sheeran)

Dicono le leggende che un tempo, su questa penisola, vivesse una geniale maga dai capelli di fiamma. Una ragazza prodigio, in grado di compiere le più ardue magie.
Per lei non esistevano cose impossibili.
Dicevano che aveva coraggio da vendere, che aveva combattuto contro a draghi e demoni, e che aveva vinto, sempre.
Sostenevano che la sete di conoscenza l’avesse portata oltre i limiti concessi agli uomini. Che avesse invocato la magia del caos e che Lon in persona si fosse impossessata del suo corpo, per governare il più temibile degli incantesimi e impedirle di sprofondare il mondo nel Mare del Caos.
Avevano ragione, su ogni cosa.
Infine, si vociferava che fosse morta tra atroci sofferenze, bevendo una camomilla.
Beh, su questo si sbagliavano, per fortuna.

Ho la gola secca, le palpebre incollate e dolori ovunque. Se questo è l’aldilà, voglio un dannato risarcimento. Provo ad aprire gli occhi, ma qualcosa li ferisce. Una luce abbacinante. Li richiudo, frastornata. Sulle labbra sento il sapore del sale. Ci passo piano la lingua. Sono secche e screpolate. Le mie dita affondano in qualcosa di soffice e zuccheroso. Nelle orecchie ho lo sciabordio dell’acqua. È diverso dal rumore che farebbe il gorgogliare di un fiume. Questo assomiglia, piuttosto, al paziente ripetersi delle onde che si infrangono sul bagnasciuga. Prendo un respiro e provo di nuovo a guardarmi attorno. Il sole ferisce le mie iridi, al punto che sono costretta a portarmi una mano alla fronte, riparandomi gli occhi. È tutto incredibilmente bianco. La spiaggia su cui sono seduta, la schiuma delle onde che si infrangono ai miei piedi, l’abito che indosso. Solo il cielo è azzurro. Di un azzurro così intenso da lasciare senza fiato.
Non credevo che l’aldilà potesse essere così simile a ciò che mi sono lasciata alle spalle. Mi sollevo, mettendomi seduta. Il vestito che indosso è umido, e la sabbia si è appiccicata sul corpetto e sulla gonna. Una manica è strappata. Lo guardo meglio, sbattendo le palpebre, e solo in quel momento lo riconosco.  È l’abito con cui mi hanno vestito a Sailunne, l’abito che indossavo quando Joy mi ha rubato dal tempio. Avvicinando un pezzo di stoffa al viso scopro che puzza di pesce in una maniera disgustosa.
Un gabbiano plana al mio fianco, squadrandomi con interesse. Lo stesso sguardo con cui guarderebbe una sardina gigante.
«Sciò, bestiaccia!» esclamo, prima di rendermi conto di un fatto inquietante. Questo mondo è terribilmente simile a quello da cui vengo. Simile in maniera quantomeno sospetta.
Provo a sollevarmi, ma le gambe non mi reggono. Sono rigide, come se le avessi tenute ferme a lungo. Compio qualche passo, barcollando, poi cado sulle ginocchia. All’improvviso, un’ombra mi sovrasta.
«Piano, Lina. Non vorrai rischiare di ammazzarti proprio adesso, vero?»
Mi volto di scatto, verso quella voce così familiare.
Il demone mi osserva con un sorriso divertito, galleggiando nell’aria.
«Xellos?»
«È un piacere rivederti, Lina. Ne è passato, di tempo.»
Le sue parole mi lasciano allibita.
«Questo vuol dire che… non sono morta?»
«Non più di quanto lo sia io.»
«Ma come…?»
Xellos infila una mano in tasca e ne estrae qualcosa di piccolo e lucente. Qualcosa che lancia verso di me con un movimento aggraziato. Sulla sabbia, davanti al mio naso, atterra l’anello di Gourry. La pietra è liscia e trasparente. Lo fisso, incapace di parlare. La mia mano si tende a sfiorarlo. È freddo, perfetto. È come lo ricordavo.
«Come diavolo…?» Scuoto la testa, sollevando lo sguardo su Xellos. Lui fa spallucce.
«Accordi, cara Lina. Tu lo sai, io non faccio mai niente per niente.»
«Che tipo di accordi?» non posso fare a meno di domandare, sospettosa, stringendo l’anello nel palmo della mano. Nonostante tutto, sono diffidente.
«Domandalo al tuo amico Joy. O forse dovrei dire, al duca di Solaria.»
Scuoto la testa, ma sto sorridendo. Testardo, ostinato Joy. Non si è arreso.
Mi lascio cadere all’indietro, sulla sabbia tiepida di sole, l’anello stretto al petto, e scoppio in una fragorosa risata. Sopra di me i gabbiani si librano leggeri, le ali spiegate, lanciando grida stridule.
Sono viva. Viva.
Poi, vengo colta da un dubbio. Mi sollevo di scatto, rivolgendo la mia attenzione a Xellos.
«Dove siamo, Xellos?»
«Sulla costa occidentale del Continente, Lina. Non è stato facile recuperare quell’anello, sai? Abbiamo dovuto chiedere l’intervento dei demoni marini. C’è voluto del tempo…»
«Quanto tempo?»
Xellos sospira.
«Centoventicinque anni, Lina.»
Spalanco la bocca. Il mio cuore perde un colpo.
«Cosa?!» Lo guardo, attonita. «Stai scherzando, spero! Non può essere trascorso tutto questo tempo…»
Il mio pensiero va a Gourry. Centoventicinque anni… anche considerando la minima percentuale di sangue elfico che scorre nelle sue vene, a quest’ora Gourry dovrebbe essere più vecchio di Matusalemme. Se è ancora vivo.
Mi porto una mano alla fronte, sgomenta. Poi, sollevando lo sguardo sul demone, lo vedo ridere sotto i baffi.
«Ti stai prendendo gioco di me, Xellos?»
Lui sorride, scuotendo l’indice davanti a sé.
«In effetti sì, Lina. Ah, quanto mi sei mancata, ci siamo sempre divertiti un mondo, insieme!»
«Parla per te!» rispondo, irritata. «E sputa il rospo, quanto è passato dal combattimento a Solaria?»
Xellos finge di contare sulle dita di una mano.
«Fammi pensare, dunque… a occhio e croce, direi poco più di sette mesi.»
Tiro un sospiro di sollievo. Sette mesi persi, certo. Ma davanti alla prospettiva di un’intera vita gettata alle ortiche, cosa volete che siano?
La gioia esplode tutta insieme dentro di me. Sono viva, posso riprendere in mano la mia esistenza. Sollevo l’orlo del vestito e corro, corro verso il mare. Le onde si sbriciolano sulla riva in scintille argentate. Spalanco le braccia e mi lascio cadere nell’acqua, ridendo. Tutto mi inebria, tutto mi entusiasma. Scuoto la testa e dai miei capelli si staccano gocce minuscole che brillano al sole. Prendo a calci la schiuma, spruzzo schizzi ovunque. E grido, grido di felicità.
«Sono viva! Vivaaaaa!»
Xellos, dalla riva, mi osserva perplesso. È un essere millenario, eppure non riuscirebbe a capire questo momento nemmeno se si sforzasse. Esco dall’acqua e mi precipito verso di lui, gettandogli le braccia al collo, senza smettere di ridere. Gli stampo un bacio a schiocco sulla guancia.
«Sono viva, Xellos! Non sono mai stata così felice!»
Lui sbianca di colpo, indietreggiando, e si porta una mano alla bocca. Sembra che stia per vomitare.
«Non. Farlo. Mai. Più» dice, respirando a fatica. «Puah! Che orrore, tutta questa allegria… mi sento male.»
«Noioso!» dico, dandogli una pacca sulla spalla che lo fa traballare. «La vita è una cosa meravigliosa!»
Xellos arriccia il naso, guardandomi storto.
«Mia cara, posso chiederti di contenere l’entusiasmo? Il tuo buon umore sta mettendo a dura prova il mio self control.»
«Non ci posso fare niente. Sono spudoratamente felice. Vuoi un altro bacio?»
Xellos rabbrividisce.
«Sono tentato, ma… no, grazie! Mantieni una certa distanza, anzi» risponde, tendendo il bastone tra me e lui.
Faccio spallucce, strizzandogli un occhio. Dei, quanto mi era mancato tutto questo.
Inspiro e sospiro. L’aria ha un profumo buonissimo. Sa di sale e vento. Di viaggi e di speranza.
In questo momento un rumore di zoccoli, alle mie spalle, cattura la mia attenzione. Un meraviglioso stallone bianco sta correndo sulla spiaggia, nella nostra direzione. Si ferma a qualche passo da noi, nitrendo e scrollando la criniera. Non ha cavaliere, ma ha magnifiche bardature e una sella di cuoio lucido. Mi avvicino, tendendo una mano e facendogli una carezza sul naso morbido. Lui scuote la testa, gli occhi grandi e acquosi. Le sue briglie hanno impresso lo stemma del ducato di Solaria. Le sfioro piano, poi mi rendo conto che, dalla bisaccia che c’è attaccata alla sella spunta una pergamena arrotolata.
«Credo che quello sia un messaggio per te» azzarda Xellos, senza smettere di guardarmi sospettoso. Se avessi saputo che era così facile fargli saltare i nervi, l’avrei sbaciucchiato più spesso.
Sfilo la pergamena e la srotolo. Solo due parole sono vergate sulla carta ingiallita: Ti aspetto.
La sua firma, sotto, è un pretenzioso svolazzo di inchiostro. Da quando è diventato duca, deve essersi montato la testa.
«Come faceva a saperlo?» domando, voltandomi verso Xellos.
Il demone inclina la testa di lato.
«Come ti dicevo, Lina, si è creata una collaborazione interessante con il ducato di Solaria. Il tuo amico ci sa fare e devo ammettere che non è stato difficile venire incontro alla sua unica richiesta: ritrovarti. Del resto, eravamo tutti d’accordo: sarebbe stata una gran noia, quaggiù, senza di te.»
Aggrotto le sopracciglia. Non mi piace pensare che Joy si sia dovuto sporcare le mani con i demoni per me. E, soprattutto, non mi piace quel ‘tutti d’accordo’. Tutti chi, esattamente?
«Prima hai parlato di accordi. Che tipo di accordi?»
«Oh, mia cara, ormai dovresti conoscermi e sapere che questo…»
«Fammi indovinare, è un segreto?» lo anticipo.
Xellos sorride, sventolando l’indice della mano destra davanti al naso.
«Proprio così!» dice, sollevandosi in volo. «A presto, Lina Inverse. Sono sicuro che le nostre strade si incroceranno molto prima di quanto immagini…» e così dicendo scompare nell’azzurro terso del cielo.
Sto ancora guardando il punto in cui il demone si è eclissato quando sento il cavallo posare la fronte sulla mia schiena e darmi qualche colpetto leggero.
«Hai ragione, è del tutto inutile farsi domande, da lui non otterremo mai nient’altro che risposte sibilline» dico, afferrando le briglie e infilando un piede nella staffa. L’abito di seta bianca è un intralcio inutile così strappo la gonna, facendone un indumento più comodo per il lungo viaggio che mi aspetta. Le mie gambe nude sono quasi più bianche della stoffa che ho appena stracciato e sento il pelo ispido dell’animale strusciare contro la pelle tesa delle cosce. Ma non importa. Sono tanto entusiasta che affronterei anche un viaggio a dorso di mulo. Mi isso sulla sella, le redini strette nel pungo.
«Coraggio, portami a Solaria» esclamo, indicando l’orizzonte.

Le guglie del castello di Solaria svettano contro il cielo arancione del tramonto. Ho cavalcato senza sosta, sfiancando il destriero, i capelli che si srotolavano sulla mia schiena come lingue di fuoco, le gote rosse per l’aria sferzante. Con i talloni colpisco piano i fianchi del cavallo e percorro l’ultimo tratto di strada, raggiungendo il ponte levatoio.
Il ducato è diverso da come lo ricordavo. In sette mesi Joy l’ha rivoluzionato. Osservo ammirata le case del borgo ridipinte di fresco. I tetti di paglia delle abitazioni sono stati riparati e, dove necessario, sostituiti; i giardini appaiono curati e rigogliosi. Ho sempre sospettato che quello che mancava davvero a Joy fosse uno scopo. Ora che l’ha trovato ci si è immerso anima e corpo. Sono orgogliosa di lui.
Arrivo nel cortile principale e scendo da cavallo. Si sta facendo scuro. Il sole è un disco infuocato all’orizzonte e proietta ombre multiformi sui muri del palazzo. Joy mi aspetta seduto ai piedi della scalinata principale. Ha un mantello nero buttato su una spalla, e veste la solita espressione corrucciata. Solleva il viso e mi guarda. Un lungo sguardo. Io sono indolenzita, arruffata e sbrindellata. E inizio ad avere freddo. Lui si solleva, piano, venendo verso di me.
«Ce ne hai messo, di tempo» dice, arrivandomi davanti.
«La colpa non è mia: mi hai mandato il cavallo più lento che avevi. Facevo prima a piedi, credimi.»
Lui rotea gli occhi al cielo.
«Ci avrei giurato. Torna dal regno dei morti, e la prima cosa che fa è venire qui a lamentarsi! Lina, Lina… bentornata, eh. Vieni qui» mormora, spalancando le braccia. Contro qualunque previsione lo lascio fare. Lascio che mi stringa a sé, e lo stringo a mia volta. Affondo il viso nei suoi vestiti. Sono morbidi, sanno di buono.
Non sarei qui, se non fosse per lui. Per la sua tenacia e la totale incapacità di arrendersi. E, di certo, per la sua faccia tosta.
Il pizzicotto che gli faccio al braccio lo fa saltare via come una molla.
«Ahi! Sei impazzita?» esclama, sgranando gli occhi.
«Io? Sei tu quello pazzo! Come ti è saltato in mente di metterti a fare affari con i demoni? Non lo sai che, quando entri nel giro, uscirne poi è praticamente impossibile?» lo rimprovero, incrociando le braccia al petto.
Lui sbuffa.
«Senti da che pulpito! E poi era l’unico sistema che avevo, per ritrovare quel maledetto anello. Nel continente, era finito!A chi altro avrei dovuto rivolgermi per ripescarlo?»
Sospiro.
«Perché, Joy? Ti avevo chiesto di lasciarmi andare, ero pronta…»
«Tu, forse. Io no» dice, con disarmante sincerità, scuotendo la testa. Solo in questo momento mi rendo conto dei fili grigi che sporcano le sue tempie. I suoi riccioli scuri sono striati di bianco. Allungo una mano, sfiorandoli. Lui mi lascia fare, un po’ sulle spine.
«Joy…» sussurro. «Come hai fatto a riportarmi indietro?» dico, tanto piano che potrebbe non avermi sentito. Invece ha sentito.
«Ti ho semplicemente tenuto.»
«Ma io… io ho lasciato andare la tua mano. Credevo di aver attraversato il confine…»
«Non hai mai attraversato il confine. Io… ti ho tenuto per un lembo del mantello» confessa, in un sussurro. «Quando ti sei voltata per andartene…» scuote la testa, «io non potevo sopportarlo, sai? Non sarei riuscito a lasciarti andare. È stato più forte di me.»
Socchiudo le labbra. Questa spiegazione mi lascia senza parole. Perché dice più di quello che vorrei sentire.
«E hai continuato a tenermi… per tutto questo tempo?» domando, incerta.
«Il tempo necessario a ritrovare l’anello.»
Aggrotto le sopracciglia, stringendo in un pugno le dita con cui ho accarezzato i suoi capelli.
«Che prezzo hai dovuto pagare, Joy?»
«La cosa non ti riguarda» risponde, asciutto.
«Mi riguarda eccome!» la mia voce è sporcata da una sfumatura di rabbia. «Che prezzo? C’è sempre un prezzo da pagare, qual è stato il tuo?»
«Anni» sussurra lui, infine, distogliendo lo sguardo. «Anni di vita.»
«Sei pazzo.» Sono sconvolta. E arrabbiata. E…
Lui riporta il suo sguardo su di me. Qualcosa brucia nel fondo delle sue iridi grigie. Qualcosa che mi disorienta. Qualcosa che, me ne rendo conto solo adesso, non posso in nessun modo ricambiare, se non con l’amicizia.
«Non l’ho fatto per te, Lina. L’ho fatto per me. Per non dover trascorrere quegli anni che ho ceduto nel rimpianto di non essere riuscito a riportarti indietro. L’avevo promesso, in fondo.»
«Joy…»
«Lo so, Lina. Credi che non lo sappia? Se mi sono imbarcato in questa impresa è stato per lui. So qual è il mio posto. Perciò fingi che non abbia detto niente, per favore.»
Deglutisco.
«Grazie, Joy» dico, mordendomi il labbro inferiore. «Grazie.»
Lui fa spallucce, sul volto ha stampata la sua aria più indifferente, quella che nasconde la sua fragilità.
«Figurati. Non è questo che fanno gli amici?»
«Solo quelli veri» rispondo, facendo un passo avanti e prendendo il suo volto tra le mani. «Solo quelli veri» ripeto, posando la mia fronte alla sua.
Chiudiamo gli occhi e restiamo così per un tempo che mi sembra infinito. È la voce di Joy a spezzare il silenzio.
«Lina, il dovere di un vero amico è anche quello di essere sincero sempre e comunque, vero?»
«Sempre e comunque.»
«In questo caso… credo che tu abbia bisogno, con una certa urgenza, di fare un bagno: puzzi più di una pescheria. Senza offesa, eh.»

Anouk è diversa da come la ricordavo. Sembra più alta, o forse è solo perché tiene la testa dritta invece di starsene china su se stessa lasciando che i capelli le coprano il volto. Adesso che la guardo bene, mi chiedo come possa non aver notato prima l’incredibile somiglianza che la lega a suo fratello. Hanno gli stessi occhi grigi e profondi. Occhi che possono vedere ciò che al resto degli uomini è precluso. Occhi che sanno indagare oltre la membrana invisibile che separa la vita dalla morte. Occhi pieni di ombre, ma anche, e soprattutto, pieni di luce.
È mattino, e un tiepido sole autunnale riscalda l’aria. Camminiamo nei giardini del palazzo, mentre la bambina mi mostra l’aiuola di piante aromatiche e il muro con i rampicanti di rose di cui si occupa personalmente. Joy, alle nostre spalle, ci segue in silenzio. Tutto questo gli appartiene, adesso. E io so che saprà farne qualcosa di grande. C’è qualcosa di abbagliante, in lui. Qualcosa che non ho scorto subito, ma che è sempre stato lì. Gourry, invece, ha colto al primo sguardo il buono che c’è in lui. Gourry guarda dentro alle persone e vede ciò che sono, non si lascia ingannare dalle maschere che indossano. Una dote che è sempre stata prerogativa dei bambini, e dei puri di cuore.
Gourry.
Anouk si ferma davanti a un cespuglio di rose. Hanno petali rosso rubino, e un intenso profumo di lampone si solleva dalle corolle aperte.
«R... ros…a» dice, incerta. Da qualche mese ha ricominciato a parlare. Le sorrido, per incoraggiarla. «Li… Lina» conclude, indicando i fiori.
«Cosa? Si chiamano come me, queste rose?»
La bambina annuisce, poi guarda suo fratello. Il suo sguardo deciso mi suggerisce che si aspetta che lui mi spieghi perché.
«È per il colore» borbotta Joy, fingendo di levarsi un pelucco invisibile dalla manica della tunica. «Il colore di queste rose ci ricordava i tuoi occhi. Così, quando le abbiamo piantate, le abbiamo chiamate come te. Spero non ti dispiaccia.»
Mi rendo conto che sto arrossendo. Mi hanno paragonato a tante cose, in questa vita. Mai, però, a un fiore tanto bello.
Quando Anouk si allontana con l’annaffiatoio stretto nella manina, tra me e Joy cala un silenzio improvviso. Ieri sera abbiamo parlato a lungo. Davanti a un fuoco che ardeva vivace abbiamo mangiato e bevuto, e sorriso, anche. Mi ha raccontato del suo regno, di quello che vorrebbe fare per migliorarlo. Ha accennato al Dono, al fatto che, da quando è diventato il duca di Solaria, tutto ha assunto un senso.
Poi, mi ha raccontato di Gourry.
«Ha vissuto qui, per un po’. Si è leccato le ferite» aveva detto Joy. «L’abbiamo fatto tutti. Tuttavia, dopo qualche tempo, mi ha rivelato di non potersi fermare. Aveva bisogno di muoversi, di viaggiare. “Mi sono abituato, ormai” ha detto, quando gli ho chiesto di ripensarci. “Se mi fermo, impazzirò.” Così l’ho lasciato partire, non avrei potuto trattenerlo. Ma non ho mai smesso di vegliare su di lui. Ha viaggiato da solo, per un po’. È stato a Zephilia, dai tuoi genitori. Poi è ripartito e, da un paio di mesi, si è aggregato a una compagnia di ventura. Svolgono piccole missioni, niente di pericoloso. L’ho tenuto lontano dalla guerra. Adesso sono… piuttosto influente. Non lo dico con vanto, ma è senza dubbio utile. Gourry non è mai stato in pericolo, in questi mesi. Come vedi, ho mantenuto la promessa che ti ho fatto.» Joy aveva bevuto un sorso di vino dal suo calice. «Quanto al suo cuore… per quello, come puoi immaginare, non ho potuto fare molto. Ha sofferto e soffre ancora adesso, non poteva essere altrimenti. Non gli ho rivelato che ti stavo trattenendo sul confine: se non fossi riuscito a recuperare quell’anello, l’avrei illuso inutilmente. Ho imparato dai miei errori.»
, penso. Da questa storia abbiamo imparato tutti qualcosa.
Guardo Anouk che, in fondo al giardino, annaffia con cura i suoi fiori.
«È una bambina speciale» dico.
«Sì, lo è. Stiamo imparando a conoscerci. Lei ha bisogno di me e questa, per me, è una cosa nuova. Nessuno ha mai avuto bisogno di un tipo me» dice, e nelle sue parole scorgo un filo di tristezza per quello che ha sempre creduto, erroneamente, un fratello. Nayden era un uomo crudele, ma Joy gli ha sempre voluto bene. So che, nonostante tutto, gli manca. Ci sono ferite che non si rimarginano mai.
«Ti sottovaluti, Joy. Senza di te, io…»
Lui sorride, scuotendo la testa.
«Ah, se mi avessero detto che saremmo finiti così, io e te! Non ci avrei mai creduto, probabilmente. Tu che mi lusinghi e io… io che sentirò la tua mancanza. Perché adesso devi andare da lui. So che non vedi l’ora di iniziare a cercarlo, ed è giusto così.»
Si volta verso di me. I suoi occhi sono malinconici.
«È il momento di dirsi addio. Gourry ha fatto parecchia strada da quando è partito. Ha messo tra lui e questo ducato quanta più distanza è riuscito a percorrere. Ti ci vorranno giorni, forse settimane, per raggiungerlo. Devi andare, Lina.»
Lo guardo negli occhi, incapace di parlare. Ha ragione, devo andare. Il mio posto non è qui.
Eppure… è difficile dirgli addio.
L’uomo che mi sta davanti mi ha odiata, schernita e osteggiata con caparbietà. Poi, però, mi ha aiutata e salvata. In tutti i modi in cui può essere salvata una persona.
L’uomo che ho davanti ha sacrificato una parte della sua vita per me.
«Non potrò mai ripagare il debito che ho con te, Joy.»
«Aspetta a parlare, Inverse. Chissà, può darsi che arriverà il giorno in cui avrò bisogno del tuo aiuto. Mai dire mai.»
Sospiro, pronta a voltarmi. Poi ci ripenso.
«Tu mi hai riportato alla vita. Qualunque cosa io possa fare per te, non sarà mai abbastanza.»
Joy si avvicina, infilandosi una mano in tasca.
«Ma tu hai già fatto qualcosa per me. Mi hai permesso di accettarmi, di comprendermi. Senza di te non sarei mai riuscito a guardare in me stesso. Tu mi hai costretto a confrontarmi con i miei demoni, e a vincerli. Mi hai restituito le mie origini. Non ti sembra abbastanza? Ora, se posso avanzare un’ultima pretesa, ti chiederei di restare lontana dai guai, ma sarebbe come chiedere a un gatto di non farsi le unghie sul divano nuovo: impossibile. Perciò, cerca di essere felice. Questo lo puoi fare?»
Dalla tasca estrae un lungo pezzo di stoffa nera. La mia bandana magica. L’ha conservata, per tutto questo tempo.
«Credo di sì» mormoro.
Joy si avvicina, legandomi la fascia sulla nuca. Poi mi stringe a sé, baciandomi la fronte. Sento le lacrime premermi agli angoli degli occhi.
«Una volta ti ho detto che non capivo come potesse, Gourry, amarti così tanto. Mi sembrava assurdo. Ora, invece, mi domando come si possa non farlo. Non amarti… è dannatamente difficile Lina Inverse.»
Il suo respiro caldo mi sfiora le guance.
«Vai da lui, Lina. Ha bisogno di te. E tu hai bisogno di lui. Voi vi appartenete, io in questa storia ci sono capitato solo per sbaglio. Addio…»
Quando mi volto, un’ultima volta, lo vedo fermo in mezzo al roseto di rose rosse che ha creato per la sua sorellina. Una figura pallida, abbigliata di scuro, i riccioli neri che si muovo leggeri spinti dalla brezza. Poi Anouk gli corre incontro, prendendogli la mano. Sorridono entrambi. E allora capisco che anche lui proverà a essere felice.

La locanda si trova a un crocevia di confine, ed è gremita. Non serve che vi spieghi che tipo di avventori frequentano un posto come questo, vero?
Ho viaggiato per dieci giorni, fermandomi solo il dovuto necessario. Ho chiesto a tutti quelli che ho incontrato sul mio cammino e ho seguito le sue tracce fino a qui.
Mi avvicino alle vetrate, il cappuccio ben calcato in testa, e scruto attraverso i vetri impolverati con le mani intorno ai lati del viso per vedere meglio. E, finalmente, lo scorgo. Il mio cuore perde un colpo.
Gourry.
È seduto a una tavolata di uomini, un boccale di birra in una mano, e sembra davvero interessato a quello che il suo vicino di posto sta raccontando, gesticolando a più non posso. Ma lo conosco abbastanza per sapere che non sta ascoltando una parola. Il suo cervello è in modalità off. Un po’ mi viene da ridere, vedendo con quanta partecipazione il suo amico sta snocciolando il suo racconto. Deve trattarsi di un’impresa eroica. Ma Gourry è perso nel suo mondo. Sorride, ogni tanto annuisce, ma è completamente scollegato. Se ci fossi io, davanti a lui, gli avrei già dato una manata in mezzo alla fronte.
Lo osservo ancora qualche minuto, prendendomi i miei tempi. L’ho cercato a lungo, credevo di averlo perso per sempre, ma adesso sono curiosa di vedere come se la sta cavando senza di me. Voglio capire se ha tenuto fede alla promessa che mi ha fatto.
È più magro di come lo ricordavo, e ha ombre scure sotto agli occhi. Ma il suo colorito è sano, anzi, mi sembra addirittura abbronzato. Segno che ha passato parecchio tempo all’aria aperta. Questo mi consola, perché significa che ci sta provando. Nonostante tutto, sta provando a vivere, come gli avevo chiesto di fare. Noto che si sta facendo ricrescere i capelli. Adesso gli sfiorano le spalle e li tiene raccolti in una coda, legati da un laccio di cuoio.
A un certo punto, qualcuno dal fondo della tavolata, fa una battuta. Ridono tutti di gusto e Gourry si unisce a loro. Questa volta sembra che abbia colto il senso del discorso. Mi sento più leggera. Mi sarei infuriata se, ritrovandolo, l’avessi scoperto intento a piangersi addosso. O, peggio, a farsi del male.
Cosa? Pensate che dovrei offendermi, credere che mi abbia dimenticato? No. Io sono felice. Sono felice perché lui ha trovato un sistema. Un modo per sopravvivermi.
Non è facile, sapete, quando si tratta della grande Lina Inverse.
Resto dietro questa vetrata fino a quando i mercenari non finiscono di pranzare. Lo guardo finire il suo pasto mangiando di gusto, scuotere gentilmente la testa quando la cameriera, una tizia decisamente procace, si offre di versargli altra birra, e ignorare le conseguenti battute salaci dei suoi compagni di viaggio.
«Gabriev, sei peggio di un monaco!» grida qualcuno, e io tolgo la mano dall’elsa del pugnale che tengo infilato nella cintura. Tutto sommato, mi sarebbe dispiaciuto fare finire il loro amichevole pranzo in un bagno di sangue. E non guardatemi così. Non è che sia così gelosa, insomma… solo un pochino.
Quando ti innamori di qualcuno che darebbe del filo da torcere a un dio e diffonde bellezza attorno a sé semplicemente respirando, tendi a diventare un po’ paranoica, ecco.
Quando si alzano, uscendo dalla locanda, estraggo una pergamena dalla tasca e fingo di guardarla con interesse. Il mantello e il cappuccio mi nascondono, facendomi apparire un anonimo viaggiatore indeciso su quale strada imboccare.
I mercenari si sistemano le spade nelle cinte, stiracchiandosi, poi tra loro cala il silenzio.
«E quindi… ci si saluta qui, Gabriev?» domanda uno di loro, guardando Gourry con aria seria.
«Temo di sì» risponde lo spadaccino, con un’alzata di spalle. «Vado a Nord, ormai è deciso.»
«Potremmo accompagnarti per un tratto di strada…» azzarda qualcuno.
Gourry scuote la testa.
«Vi ringrazio, ragazzi, ma non dovete preoccuparvi per me. Penso di sapermela cavare da solo.»
Un lieve sorriso compare sulle mie labbra nel sentire quelle parole. Sono le stesse che ci siamo scambiati durante il nostro primo incontro.
I mercenari sembrano ormai rassegnati a perdere il più in gamba del loro gruppo.
«E va bene, se hai deciso non insistiamo. Anche se ci dispiace lasciarti andare, ci sai proprio fare con quella» dice qualcuno, accennando alla spada che Gourry tiene in un fodero sulla schiena.
Lui sorride, un sorriso gentile e tranquillo. Non si è mai fatto vanto delle proprie qualità.
Si accomiatano con grandi pacche sulle spalle e raccomandazioni di ogni tipo. Suggerimenti tipicamente maschili che non riporto per il bene delle vostre orecchie.
Quando Gourry, infine, si avvia sulla strada opposta a quella che imboccano i mercenari, arrotolo la pergamena e me la infilo in tasca, pronta a seguirlo.

Camminiamo in silenzio per parecchi minuti. Gourry percorre un tratto di strada principale, poi si inoltra nella foresta che costeggia il sentiero, scomparendo tra le conifere. Ha un passo svelto, ma allo stesso tempo rilassato, a cui mi adeguo senza problemi: è anche il mio passo. Siamo abituati a camminare insieme, io e lui. Il sole filtra tra gli alberi, disegnando ombre multiformi sul terreno ai nostri piedi. Sotto le suole sento scricchiolare foglie secche e aghi di pino, l’aria profuma di muschio e resina. Non mi stancherei mai di respirarla: sa di vita.
Gourry fiancheggia un gruppo di betulle dai tronchi bianchi e nodosi, e svanisce tra di esse. Lascio passare qualche minuto, poi mi avventuro a mia volta nel fitto della boscaglia. Attorno a noi c’è un silenzio innaturale, rotto solo dal cinguettio degli uccelli e dal pigro frusciare delle foglie sugli alberi.
Quando lo scorgo, finalmente, vedo che si è fermato in mezzo a una radura. È immobile, ma riesco a percepire la tensione nei muscoli delle spalle. Lascia scorrere la mano sull’elsa della spada, sfilandola lentamente dal fodero.
Mi stavo chiedendo quanto ci avrebbe messo a rendersi conto di essere seguito. Non molto, evidentemente.
«Chi sei?» domanda, voltandosi senza fretta. Il sole ferisce le sue iridi. In controluce scorge solo la mia sagoma. Vedo il dubbio affacciarsi sul suo volto. Lentamente abbassa la spada.
E so cosa sta pensando, accidenti a lui.
«Ti serve aiuto, ragazzina?... ti sei persa?»
Faccio un passo avanti, lasciando cadere il cappuccio sulle spalle. I miei capelli catturano i raggi del sole, infuocandosi.
«Sì, in effetti. Mi ero persa» dico, guardandolo negli occhi. «Ma ho appena ritrovato la strada di casa.»
Gourry sbatte le palpebre, trattenendo il respiro. Sono gli unici movimenti che si concede, per il resto sembra fatto di marmo. Dopo alcuni secondi la spada gli cade di mano, affondando tra le foglie secche che ricoprono il sentiero.
«Lina» sussurra. Chiude gli occhi e li riapre. Poi scuote la testa, incredulo. Il fatto che io sia qui, davanti a lui, va contro qualunque logica.
Faccio un altro passo verso di lui. Mi tremano le mani.
Gourry deglutisce.
«Non è vero, non può essere vero.»
«L’avevo promesso, che sarei tornata da te. E tu lo sai che io mantengo sempre la parola data.»
Solo quando sono davanti a lui vedo una lacrima che, piano, gli sta rigando una guancia.
Gourry si morde il labbro inferiore, poi socchiude le labbra, lasciando uscire un flebile sospiro.
«Ma tu sei vera, o sei un sogno?»
Sorrido.
«Piuttosto vera, direi, a giudicare da come brontola il mio stomaco.»
Tento di scherzare ma sono tesa quanto e più di lui. Perché c’è una cosa che devo fare e non posso più rimandare.
Lui si muove verso di me, forse vorrebbe abbracciarmi, toccare la mia pelle per sapere se sono reale. Ma lo blocco posando una mano tra me e lui.
«Aspetta. Prima c’è una cosa che devo… che voglio fare. E se mi interrompi adesso, non troverò più il coraggio di farlo» dico, infilando una mano in tasca.
Sospiro, poi piego una gamba, inginocchiandomi davanti a lui. Tra l’indice e il pollice stringo l’anello che ha dato inizio a tutto, nel bene e nel male.
«Gourry Gabriev» esclamo, davanti al suo sguardo allibito. «Vuoi sposarmi? Vuoi sposare una ragazza con un pessimo carattere, un po’ prepotente, poco virtuosa, spesso manesca, che con tutta probabilità si rivelerà una pessima moglie, ma che ti ama più di ogni altra cosa?» dico, tutto d’un fiato, senza smettere di guardarlo.
Lui apre la bocca, ma non esce alcun suono. Il silenzio è assordante e inizio a capire cosa deve aver provato quando, tenendo in mano questo stesso anello, ha aspettato che gli rispondessi. Se avessi una lama che mi pende sopra la testa, sarei meno angosciata.
Poi, inaspettatamente, Gourry si lascia cadere in ginocchio davanti a me, e mi prende tra le braccia, sprofondando il volto tra i miei capelli. Sta piangendo. Sento le sue lacrime sciogliersi sul mio collo.
«Oh, Lina» sussurra. «Lina.»
È tutto molto commovente, d’accordo, ma… mi sposa o no?
«Emh… Gourry?»
«Cosa?»
«Mi sposi o no?»
«Vediamo, fammi pensare» dice lui, staccandosi da me e portandosi un indice alle labbra. «In effetti, dalla dichiarazione che mi hai appena fatto, sembrerebbe più vantaggioso, per me, non sposarti. Chi mai vorrebbe una moglie manesca e prepotente? Inoltre, scommetto che non sai cucinare, che non rammendi calzini e che non sai rifare nemmeno un letto.»
«Sono una maga, non una colf» puntualizzo, guardandolo male.
«Lo so. Sei una maga, la mia maga.»
Prende l’anello dalle mie mani e, dopo averlo guardato un’ultima volta, lo scaglia lontano, nel folto della foresta.
«Al diavolo. Ci ha portato più guai che altro. Io ti sposo, Lina. Ma giurami che non avremo più a che fare con gli anelli.»
«Per una volta, Gourry, mi trovi pienamente d’accordo.»
Gourry sorride, mi prende il volto tra le mani e mi bacia. Un bacio che mi toglie il fiato. Poi mi spinge tra le foglie che ricoprono il terreno e il loro profumo di autunno riempie l’aria intorno. C’è una frenesia quasi disperata nei nostri movimenti. Un bisogno fisico che fa male da quanto è intenso. Mi sfila gli stivali, mentre gli slaccio la cintura dei pantaloni. Ci spogliamo a metà, perché non abbiamo tempo. Devo sentirlo sopra di me, dentro di me, adesso.
È doloroso, come e anche più della prima volta. Non c’è spazio per la tenerezza. Le dolci attenzioni con cui ha sciolto le mie resistenze quella notte le riserveremo ad altri momenti. Ora c’è solo questa urgenza che ci scuote dentro, che ci lacera la carne, che ci divora. Grido, tirando la sua testa verso il mio seno, e lui mi morsica attraverso la stoffa. E lo sento, finalmente, riempire il mio vuoto, riversarsi in ogni angolo come luce nel buio. Colmare quell’abisso che si è spalancato dentro di me quando pensavo di averlo perso per sempre.
Gli strappi si ricuciono, le ferite si rimarginano.
I cocci rotti tornano al loro posto, ricomponendosi, saldandosi assieme. Ogni cosa si aggiusta, ritrova un senso.
E io riprendo a respirare. Torno a vivere.
Siamo io e te, Gourry. Solo io e te. In questa radura nel bosco, fusi insieme, talmente intrecciati che pare impossibile stabilire dove finisce l’una e incomincia l’altro.  
E questo è il nostro secondo inizio.



Manca solo l'epilogo, dopodiché anche The Borderline sarà conclusa. Quasi non ci credo. Che dire, se non che anche per me è stato un viaggio bellissimo? Un viaggio con una sosta piuttosto lunga, è vero. Ma spero di essermi fatta perdonare.
Alla prossima, con l’epilogo e la colonna sonora dell’intera storia, capitolo per capitolo. E grazie, come sempre, a chi legge e commenta. Le vostre parole mi hanno spinto avanti. Vi devo un doveroso inchino.

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Capitolo 21
*** Epilogo ***


epilogo
Epilogo

Io non lo so
Quanto tempo abbiamo
Quanto ne rimane
Io non lo so
Che cosa ci può stare
Io non lo so
Chi c’è dall’altra parte
Non lo so per certo
So che ogni nuvola è diversa
So che nessuna è come te.
(Ligabue, Sono sempre i sogni a dare forma al mondo)


Amelia è disperata. Il termine disperata è addirittura eufemistico, nel suo caso. Mi guarda con occhi supplichevoli, sull'orlo delle lacrime. Lo sguardo di un martire. O di un potenziale assassino.
«Cosa significa... Niente abito bianco?» esclama, con voce tremula.
Sbuffo, spazientita, e incrocio le braccia al petto, irremovibile.
«Quello che ho detto, Amelia: niente abito bianco. Non insistere, tanto è inutile.»
Ho accettato che si occupasse del matrimonio ponendo tre, imprescindibili, condizioni:
Niente abito bianco. Dopo averne indossato uno per otto, interminabili, mesi, ho un netto rifiuto.
Niente anelli. Gli anelli, abbiamo stabilito io e Gourry, portano sfiga. Meglio evitare.
Infine, niente fiori. Se vedo una calendula nel raggio di un chilometro, faccio una strage. E vale per qualsiasi cosa abbia dei petali.
Amelia è scoraggiata. Ma dovrebbe quantomeno essermi grata: se fosse stato per me, mi sarei sposata indossando gli abiti di sempre, in un giorno qualunque, senza troppo clamore. Il fatto che abbia affidato il compito ad Amelia, che non è mai stata famosa per la sobrietà, dovrebbe farle capire quanto, in fondo, le voglio bene. Lei, però, ha preso le mie condizioni come un affronto personale. Se le lasciassi carta bianca, trasformerebbe questo giorno in una confettosa nuvola rosa, con putti alati che scoccano frecce e una pioggia di cuori che cade dall'alto. Ho i brividi al solo pensiero.
«Amelia, tesoro, so che puoi creare qualcosa di grandioso venendo incontro a queste mie semplici richieste» le dico, alzandomi dal tavolo su cui sono sparsi scampoli di stoffa, nastri colorati, confetti e alzatine colme di dolci. Il campo di battaglia di Amelia. Lei scuote la testa, prendendosi il volto tra le mani.
«Niente abito bianco, niente anelli e niente fiori! Che razza di matrimonio è?» la sento borbottare mentre esco.
Cammino piano nei corridoi del palazzo, attardandomi davanti alle grandi finestre che affacciano sui giardini botanici. La luna illumina dolcemente il profilo delle palme e dei cespugli di bouganville, gli archi di rose si tendono verso il blu della notte. Per un istante, un solo istante, mi sembra di scorgere Joy sul prato bagnato di rugiada. Guarda in su e i  nostri occhi si incrociano. Scuoto la testa e quando torno a guardare Joy è scomparso.
Sono passati sei mesi, dall'ultima volta che l'ho visto. Poco più di un anno dalla notte della mia morte. O presunta morte. E ho ancora gli incubi. Una cosa è certa: per tutta la mia vita non berrò mai più una goccia di camomilla.
Mi stacco dalle finestre e, dopo aver lanciato un ultimo sguardo ai giardini muti e immobili, mi dirigo verso la mia stanza.
Nel camino ardono alcuni pezzi di legno, prossimi a consumarsi. Gourry dorme sul letto sfatto, una mano infilata sotto al cuscino e i capelli biondi sparpagliati attorno a lui come fili d'oro. Sono ricresciuti, adesso gli arrivano tra le scapole. Abbastanza lunghi per permettermi di ricominciare a dargli il tormento facendogli trecce e treccine. Mi sfilo la vestaglia, buttandola sulla poltrona di fianco al letto, e mi infilo tra lenzuola accanto a lui. Il soffitto, rischiarato dalle braci morenti, è color vermiglio. Dopo qualche istante sento la mano di Gourry stringermi con delicatezza un fianco, attirandomi verso di lui.
«Sei tornata, finalmente» mormora, la voce impastata di sonno. «Allora, come è andata? Amelia si è rassegnata ad avere a che fare con la sposa più scorbutica della penisola?»
«Amelia non si rassegna mai, Gourry» dico, con un sospiro. «Il giorno in cui Amelia si rassegnerà a qualcosa, preoccupati: la fine del mondo sarà vicina, probabilmente.»
Lui sorride, affondando il viso nel mio collo.
«Mmmh… hai un buon profumo, sai di panna e zucchero filato. E fragole, anche» sussurra, baciandomi piano una spalla.
«Sono tutte quelle torte che ho assaggiato» rispondo, pensando che, per ora, l’unico cosa che mi ha entusiasmato nell’organizzazione del matrimonio è stata la scelta della torta nuziale.
Gourry mi abbassa una spallina della camicia da notte, mordicchiandomi una clavicola, disegnando una lenta fila di baci sulla mia gola, e io non posso fare a meno di rovesciare la testa all'indietro, sospirando.
Mi prende i seni tra le mani, accarezzandoli, e in un attimo è su di me è mi sta baciando con passione,
«Credevo che avessi sonno» sussurro con il fiato spezzato, quando le sue labbra si separano dalle mie.
«Infatti, ma il profumo di dolci che hai addosso mi ha svegliato e adesso ho parecchia fame. Credo che ti mangerò» dice, prima di impadronirsi nuovamente della mia bocca.
Oh, beh. Non è che mi dispiaccia, farmi mangiare da lui.
Lascio che mi sfili la camicia dalla testa, affondando il viso tra i miei seni, baciandomi l'ombelico e l'interno delle cosce. Mi accarezza con la lingua, tra le gambe, e io stringo i suoi capelli tra i pugni chiusi, respirando con affanno. In sei mesi mi ha insegnato sull'amore più di quanto sia riuscita a imparare in una vita. È  stato un maestro generoso di elargire il suo sapere e io un'allieva desiderosa di apprendere. Ormai conosco ogni singolo centimetro della sua pelle, ogni neo, ogni piccola cicatrice. E lui conosce il mio corpo, lo conosce come nessuno lo ha mai conosciuto. Lo conosce come conosce la mia anima. Mi sono donata a lui in un modo in cui non credevo sarai mai riuscita a fare con qualcuno. Totalmente. Abbiamo imparato ad amarci in maniera diversa, più intima, più completa.
Forse, non sarò poi una moglie così disastrosa. Lo spero, almeno. Perché amo quest'uomo con tutta me stessa.
Quando si stacca da me siamo entrambi senza fiato. Ho le gambe indolenzite e le labbra congestionate di baci. Il piacere si diffonde a ondate nel mio corpo, come un'eco che va scemando. Gourry si copre il volto con il braccio, vedo il sudore luccicare sulla sua fronte e sul torace liscio e scolpito. Ha un corpo che piega le ginocchia da quanto è perfetto. Ed è mio, penso con segreta soddisfazione.
«Dei» mormora lui, cercando di tornare a respirare normalmente. Io sorrido tra me e me. Sì, sono diventata piuttosto brava. Sono sempre stata una che si applica, in fondo.
Mi addormento cullata dal suo respiro e, per una volta, non sogno l'acqua.

Il giorno dopo Amelia è di nuovo sul piede di guerra. Mi assilla a colazione, a pranzo e praticamente per tutto il giorno, fino a quando non sopraggiungono ospiti importanti che non può esimersi di accogliere personalmente. Torno in camera con un diavolo per capello, sbattendo la porta dietro di me. Gourry è seduto allo scrittoio e quando solleva il volto per poco non scoppio a ridergli in faccia. Ha uno sbaffo di inchiostro che gli disegna un arco nero dal mento fino all'attaccatura del naso. Ai suoi piedi ci sono svariati fogli di pergamena strappati e accartocciati.
«Hai di nuovo litigato con Amelia?» mi domanda, riponendo il pennino nel calamaio.
Mi siedo sul letto, sfilandomi gli stivali e lanciandoli lontani.
«Già. Ricordami, Gourry, perché abbiamo deciso di sposarci a Sailunne e affidare l'organizzazione ad Amelia?»
«Perché è la tua migliore amica?» suggerisce lui, pacatamente. «E, probabilmente, perché se non le avessimo affidato l'incarico avrebbe trovato il modo di farcela pagare con qualche sermone infinito sul valore dell’amicizia e altre cose che ti avrebbero mandato fuori di testa.» conclude, stringendosi nelle spalle. Ha i capelli sulla fronte completamente arruffati, come se ci avesse passato svariate volte la mano. Lo osservo alcuni secondi, sospettosa.
«Cosa stai combinando, Gourry?»
«Niente» risponde, assumendo un’espressione cauta.
«A me non sembra. Credo di non vederti con un pennino in mano da... Mai.»
Lui aggrotta le sopracciglia, titubante. Ha le dita completamente nere e i fogli, sotto le sue mani, sono pieni di impronte sbavate.
Come sia possibile che un uomo che sa usare una spada con tanta perizia si riveli poi del tutto incapace di tenere un pennino in mano, è uno dei grandi misteri che non riuscirò mai a svelare.
Mi alzo in piedi, pronta a indagare, ma lui è più veloce e fa sparire tutti i fogli nel cassetto dello scrittoio.
«Gourry Gabriev» esclamo, puntandogli l’indice contro. «Tu mi nascondi qualcosa: avanti, sputa il rospo.»
Lui sbuffa.
«È praticamente impossibile farti una sorpresa» dice, sconsolato.
Sbatto le palpebre, stupita, e lui si appoggia allo schienale della sedia, distogliendo lo sguardo dal mio e rivolgendolo al soffitto.
«È la mia promessa» ammette infine, imbarazzato. «La sto scrivendo perché, beh... Non sono famoso per la memoria, come ben sai.»
Questa confessione mi stringe il cuore.
«Non credo tu abbia bisogno di prendere appunti, Gourry. Le promesse sono sempre state il tuo forte, in fondo» mormoro, sorridendogli.
Dopo qualche istante sentiamo le trombe degli araldi che annunciano un nuovo arrivo a Sailunne. Mi lascio ricadere sul letto, coprendomi gli occhi con le mani. Quanta gente hanno invitato Amelia e Phil a questo benedetto matrimonio?
 Gourry, pulendosi le dita su un fazzoletto, si avvicina alla finestra, lanciando un’occhiata al cortile.   Vedo il suo sguardo indugiare, pensieroso. Quando si volta verso di me sul suo volto c'è un sorriso tranquillo.
«È arrivato Joy.»
Mi sollevo di scatto, trattenendo il respiro, poi lo lasciò andare lentamente.
«Oh. Bene.»
Gourry mi scruta.
«Non scendi a salutarlo?»
Deglutisco, distogliendo lo sguardo.
«Lo farò dopo, c'è tempo, in fondo.»
Anche se non lo sto guardando sento i suoi occhi indagarmi a lungo. Mi chiedo se si sia accorto che mi mordo nervosa l'interno di una guancia. Ma certo che se ne è accorto. Gourry si accorge di tutto, anche se sembra distratto.
«Lina» dice, dopo qualche istante, «vai da lui.»
Riporto i miei occhi nei suoi e ci guardiamo per alcuni secondi, in silenzio. Gourry annuisce e allora scatto in piedi e, senza prendermi il disturbo di infilare gli stivali, corro verso la porta, e poi nel corridoio.
Il cortile brulica di servitori che sono rimasti con le mani in mano. Joy non ha un corteo e nemmeno una carrozza. Lo vedo scendere da un cavallo nero e rifiutare con garbo l'aiuto che qualcuno sta porgendo alla piccola Anouk. Le si avvicina e la solleva personalmente dalla sella del suo pony come se fosse fatta d'aria, posandola a terra con un movimento aggraziato. È un fratello affettuoso e pieno di premure.
«Joy Shadow» esclamo alle sue spalle, avvicinandomi. Lui si irrigidisce, poi si volta lentamente. Dietro di lui svetta, maestoso, il tempio in cui è cominciato il nostro strano rapporto. Un sodalizio che si è trasformato in qualcosa di indefinibile e imprescindibile.
Perché, per quanto ami l'uomo che sto per sposare, qualcosa di Joy si è incastrato dentro di me, tra le costole e il respiro, e non se ne andrà. Perché per un breve istante siamo stati la stessa cosa, la stessa persona. Perché ogni istante della mia vita, ogni sorriso, ogni battito di cuore, lo devo a lui. Solo a lui.
«Lina Inverse» risponde lui, ricambiando il mio sguardo. E in un attimo siamo l’una nelle braccia dell’altro e ci stringiamo, aggrappandoci come se dovessimo ricomporre qualcosa che è stato a lungo separato.
Gourry ci raggiunge dopo qualche minuto. Sento i suoi passi tranquilli alle mie spalle e mi stacco da Joy. Il cuore mi martella furioso nelle tempie mentre li vedo avvicinarsi e guardarsi a lungo.
Si abbracciano, scambiandosi pacche sulle spalle. Gourry lo trattiene un secondo più del dovuto.
«Grazie, Joy. Hai salvato la sua vita e... La mia. Ti devo tutto.»
«Ho solo ricambiato quello che tu hai fatto per me. Finalmente ci sono riuscito.»

È quasi notte quando io e Gourry ci ritiriamo. Insieme a Joy, Amelia e Zel abbiamo mangiato, bevuto e ricordato, soprattutto ricordato. Anche ciò che fa male ricordare. L’abbiamo ricordato perché è solo attraversando tutto quel dolore che oggi possiamo essere qui a ridere e scherzare insieme.
Ci scrutiamo a lungo, nel corridoio pieno di ombre. Questa notte non dormiremo insieme, Amelia è stata categorica. Pare che porti una sfortuna tremenda che lo sposo veda la sposa la sera prima del matrimonio e non ci è sembrato il caso di sfidare nuovamente la sorte. Anche se, in effetti, in questo momento siamo l’una di fronte all’altro. Tenerci separati è praticamente impossibile.
Allungo una mano, sfiorandogli una guancia, e lui la copre con la sua, portandosela alle labbra. Sento la sua bocca calda contro alla pelle e un brivido mi percorre la schiena. Mi chiedo se mi farà sempre questo effetto, anche quando sarò sua moglie.
«Domani è il grande giorno» mormoro. «Sei sicuro di non avere ripensamenti? Pare non sia proprio una passeggiata fuggire dal Tempio di Sailunne…»
Eh, già. Io e Joy ne sappiamo qualcosa.
«Non sono mai stato tanto certo di voler qualcosa come voglio te, Lina.»
Questo mi conforta. Perché anche io voglio lui, più di qualsiasi altra cosa.
«Lina...» dice all’improvviso Gourry. «Tu e Joy, sai... Credo di essere un po' geloso» confessa, in un sussurro.
«Gourry…»
Lui sventola una mano davanti a sé.
«Lo so, lo so. È stupido e immotivato. Non sono geloso di lui, comunque, non nel senso tradizionale del termine. È  per quello che avete vissuto insieme. Per quello che lui ha fatto per te. È qualcosa con cui non posso competere» dice, amareggiato.
Scuoto la testa, con un sorriso.
«Sai qual è la cosa buffa , Gourry? Che all'inizio ero io quella gelosa di Joy, del vostro rapporto, di quello che avevate condiviso. Mi sembrava assurdo credere che avevi avuto un'intera esistenza senza di me. Una vita in cui io non ero al tuo fianco... mentre lui c’era. Lui c’era prima di me, e aveva il tuo affetto. Questa cosa mi mandava fuori di testa.»
«Beh, i ruoli si sono decisamente invertiti» commenta lui, cercando di mantenere un tono tranquillo. Io torno a scuotere la testa.
«No, Gourry. C’è una grossa differenza, sai? Nel rapporto tra me e Joy, tu ci sei sempre stato. Sempre. Siamo diventati amici grazie a te; se abbiamo combattuto insieme, l’abbiamo fatto per te. Sei tu che hai mosso i nostri passi, che hai motivato le nostre azioni.» Lo guardo, nella penombra del corridoio, e all’improvviso sento che tutto quello che ci circonda, non ha poi molta importanza. Contiamo solo io e lui, ciò che siamo l’una per l’altro. «Tu, Gourry, ci sei sempre. Sei in tutto quello che faccio. Sei parte di me, la parte migliore.»

Quando rientro nella mia stanza, dopo avergli augurato la buona notte, sul ripiano della toletta trovo un meraviglioso bouquet di rose. Sono rosse come il sole infuocato del tramonto.
«Non si è mai vista una sposa senza fiori» dice una voce alle mie spalle. Sollevando gli occhi scorgo, nel riflesso dello specchio che ho davanti, Joy disteso sul letto. Ha le braccia dietro la testa e le caviglie incrociate. Sembra del tutto a suo agio. Tra le labbra tiene quello che, a una prima occhiata, sembra un bastoncino di legno.
Mi volto verso di lui, le sopracciglia aggrottate.
«Ho sbagliato stanza?» chiedo, con un sorriso.
Lui si solleva, facendo spallucce.
«Le serrature non sono mai state un problema per me, lo sai. Inoltre, è lo sposo che non deve vedere la sposa, non di certo il testimone.» Mi guarda, nella penombra della stanza, e mi rendo conto che mi è mancato, più di quello che sono stata disposta ad ammettere fino ad adesso. «E poi dovevo portarti i fiori: senza i fiori, non è la stessa cosa.»
«I fiori si usano ai funerali…» mormoro, distogliendo lo sguardo.
«E ai matrimoni» dice, togliendosi dalle labbra il bastoncino e tenendolo tra le dita come se fosse una sigaretta. Nel riflesso della specchiera, lo vedo avvicinarsi. «Domani non pensare alla morte, pensa alla vita.»
«Come lo sai?» sussurro. «Come sai che, da allora, non faccio che pensarci?»
«Sarebbe strano se non lo facessi, Lina. Quando l’hai toccata con mano non riesci più a levartela di dosso. È successo anche a me, sai? Ma un giorno qualcuno mi ha detto che sono io a controllare la mia mente, non il contrario.»
«Doveva essere una persona molto saggia.»
«Assolutamente no: era impulsiva, sconsiderata e decisamente folle.»
«Una bella spina nel fianco…»
«Puoi dirlo forte. È per questo che le rose sono i fiori perfetti per lei.»
Joy si piega su di me, tanto vicino che riesco a sentire il suo respiro sfiorarmi il collo. Un profumo pungente mi avvolge per intero.
«Cos’è questo odore?»
«Liquirizia» risponde Joy, sventolandomi davanti al naso il bastoncino che aveva tra le labbra. «Ho smesso di fumare. O almeno, ci sto provando.»
«Davvero?»
«Sì. Qualcuno ha definito le mie sigarette ‘vomitevoli’ e mi ha fatto restare male.»
Gli sorrido, scettica, attraverso lo specchio. Il suo viso, vicino al mio, è pallido come la luna.
«Tu che tieni in considerazione la mia opinione? Sei forse impazzito?»
«È probabile. Anzi, quasi certamente è così…» sussurra. La sua espressione si fa improvvisamente seria. «Ora devo andare. Prendi quei fiori, fammi contento.»
«Va bene.»
La sua voce mi arriva come un sussurro, mentre sta varcando la soglia della mia stanza. Talmente fievole che non sono certa di averla sentita per davvero.
«Ti avrei amato, più di qualunque altra cosa. Ma non saresti mai stata mia.»

È una giornata di sole quella in cui dico, finalmente, sì.
Indosso un meraviglioso abito di velluto verde, un ragionevole compromesso che ho raggiunto con Amelia dopo interminabili trattative: suntuoso quanto basta  ma verde, come la speranza. Porto i capelli sciolti sulle spalle, un sottile filo dorato a cingermi la fronte, e in mano ho un bouquet di rose rosse. Stringo il braccio di mio padre, mentre attraverso la navata del tempio, e scorgo i sorrisi dei miei amici riscaldarmi il cuore.
Amelia, Zel, Herman, Anouk.
Joy.
E, infine, Gourry.
Ha un mantello blu drappeggiato attorno alle spalle, l’elsa della spada scintilla di riflessi cangianti. Mi sorride, come mi sorrise cinque anni fa, quando si offrì di accompagnarmi fino ad Atlas city per difendermi dai briganti. Quanta strada abbiamo percorso insieme, da allora. E quanta ancora ne percorreremo. Nemmeno la morte può separarci, ora lo so.
Mio padre mi bacia su una guancia.
«Fai la brava, non interrompere il sacerdote durante la funzione» sussurra, apprensivo. Per lui, avrò sempre cinque anni.
«Ci proverò, papà.»
Quando arriva il momento della promessa, si fa avanti Anouk. Su un cuscinetto di raso sono adagiati due braccialetti gemelli con un ciondolo di smeraldo.
Gourry mi strizza l’occhio: «Come vedi, niente anelli. Inoltre, ho avuto una soffiata sul colore del tuo abito, così ho pensato…»
«Sono perfetti» rispondo, con un sorriso.
Ci leghiamo a vicenda i braccialetti al polso, poi Gourry prende un respiro. È arrivato il momento della sua promessa e sono sollevata nel constatare che non ha foglietti macchiati di inchiostro che gli spuntano dai polsini della tunica.
«Lina» dice, guardandomi negli occhi. Le sue iridi hanno il colore del cielo in inverno, quando è terso e respirare risulta difficile, e il fiato esce come un nuvola, e quando sorridi ti si ghiacciano i denti, ma tu ridi lo stesso perché sta per nevicare e non conosci niente di più bello della neve. «Non sono mai appartenuto ad altri che a te. Questa vita ci ha insegnato che niente è regalato; che andare avanti, un passo dopo l’altro, costa fatica e sacrifici; che le salite sono più delle discese, e anche più lunghe. Ma se tu sarai al mio fianco, io accetterò tutto ciò che il futuro mi riserverà con animo lieve, perché tu sei la mia forza. E non ci saranno sfide impossibili e strade impraticabili: se stiamo insieme, possiamo affrontare ogni cosa, anche la più difficile. Io ti amo, come non ho mai amato. E credo in te, come non crederò in nient’altro: sei l’unica verità che conosco. Sei l’unica vita che voglio vivere. E ti prometto che resterò al tuo fianco fino al mio ultimo respiro.»
Prendo il suo volto tra le mani, e il ciondolo di smeraldo si illumina di riflessi.
«Sì, Gourry, fino all’ultimo respiro. E anche oltre, perché non c’è confine che possa separarci, ora ne ho la certezza assoluta.»


E così, anche The Borderline ha avuto la sua conclusione. Avrei voluto proseguirla ancora, credetemi, ma, per restare in tema con la storia, ogni cosa ha una fine. Avevo promesso che l'avrei finita per Natale, ma tra vacanze rocambolesche, connessioni assenti e influenza, il finale ve lo regalo per la Befana. Sono comunque soddisfatta di essere riuscita a  mantenere fede a ciò che mi ero proposta^^ Voglio ringraziare tutte le persone che l’hanno seguita dall’inizio, e quelle che si sono aggiunte dopo. Ma, soprattutto, grazie a chi non ha mai smesso di incoraggiarmi a scrivere: siete voi che da date un senso alle mie parole. Qua sotto trovate una lista di canzoni che ho ascoltato e riascoltato mentre scrivevo, ognuna di loro è legata a una scena particolare o a un determinato capitolo. L’ordine  in cui le ho inserite segue quello della storia.
Vi abbraccio^^

 Borderline playlist
1-    Boadicea, Enya
2    Bad Day, Daniel Powter
3    Disarm, Smashing pumpkins
4    Labyrinth, Elisa
5    Shadow of the day, Linkin Park
6    Bonfire heart, James Blunt
7    Almeno tu, Mia Martini
8    Bring me to life, Evanescence
9    Snuff, Slipknot
10    Look after you, The Fray
11    Sally’s song, Nightmare before Christmas
12    Let her go, The Passenger
13    Skyfall, Adele
14    Your guardian angel, Red jumpsuit
15    Life after you, Daughtry
16    All  of the stars, Ed Sheeran
17     Sono sempre i sogni a dare forma al mondo, Ligabue

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