Condemnation

di evenwithmydarkside
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


“Non può lasciarmi qui, mi troveranno prima o poi”
“Ti sbagli. Anche se dovessero trovarti, sarà troppo tardi”
“Io non… capisco…”
“Oh cara, non è necessario che tu lo faccia. Come hai detto che ti chiami?”
“Non l’ho detto. Mi ha colpita e mi ha rinchiusa qui dentro, non ne avrei avuto il tempo!”
*bam*
Uno sparo sfiorò la spalla della ragazza, che contrasse il viso in una smorfia di dolore. I lunghi capelli rossi, fino a poco prima raccolti in una morbida treccia, ora erano spettinati e sporchi di polvere.
“NON FARE L’INSOLENTE, STUPIDA” gracchiò una donna bionda in tailleur “Sono sicura che sai perché ti ho rinchiusa qui”. I suoi occhi, piccoli e lucenti, erano particolarmente inquietanti.
“Ascolti, credo di essermi trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non l’ho seguita per un motivo preciso, mi ha solo incuriosito quella cartelletta che…”
“E cosa sai di quella cartelletta? Per chi diamine lavori?”
“Cos… Per nessuno, dannazione! Volevo solo scoprire il contenuto…”
“BUGIARDA!” *bam* Un altro sparo. La ragazza strinse i denti. “Mi stavi scattando delle foto!”
“Per conto mio!” Vide la donna impugnare di nuovo la pistola. “La prego la smetta!”
La donna ebbe un attimo di esitazione, poi sparò. La ragazza urlò, il dolore era insopportabile. Questa volta non l’aveva solo sfiorata, e il proiettile si era conficcato nella spalla destra.
“Se non mi dici chi ti ha mandata qui, tutto ciò che troveranno di te sarà cenere!”
La ragazza cercò di guardarsi attorno, ma non vedeva alcuna via d’uscita. La sua vista era annebbiata dal dolore. Semplicemente, non poteva fuggire. Avrebbe potuto temporeggiare fino a quando qualcuno non si sarebbe accorto della sua assenza? Non aveva nemmeno idea di che ore fossero.
*bam* Ancora un altro sparo.
Al centro del petto la macchia di sangue si allargò velocemente. Rossa, come i capelli della ragazza che aveva davanti. L’aguzzina stramazzò a terra.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1.
Sobbalzò. Ancora quel dannato incubo.
Dike si guardò attorno. Buio. Dopo un paio di minuti, i suoi occhi verdi si abituarono all’oscurità e scorse, seduto nell’ombra, qualcuno che la fissava.
“Gradirei che evitassi di stare qui quando dormo.”
“E’ casa mia.”
La ragazza non rispose. Tentò di alzarsi, ma la persona seduta nell’ombra si avvicinò e glielo impedì.
“Non ti conviene sforzarti. La tua spalla non è ancora guarita.”
Dike sospirò e si distese nuovamente sul letto, i capelli rossi sparsi sul cuscino.
L’altro si alzò, diretto verso la finestra. Aprì le persiane e le prime luci del mattino si riversarono nella stanza, rivelando una piccola camera da letto arredata con mobili antichi in legno d’ulivo. Dike fissò l’uomo che aveva davanti, illuminato anche lui dalla luce dell’alba. Alto, spalle larghe. Capelli e occhi neri, il viso con un’aria stanca ma per niente rassegnata alle continue sfide della vita.
Lui si girò verso la finestra e guardò fuori, sovrappensiero.
“Marco, quanto ho dormito?”
La domanda di Dike interruppe il flusso dei suoi pensieri. Si girò nuovamente, abozzò un sorriso e rispose.
“Diciotto ore. Dovresti stare meglio adesso.”
“E’ così. Ti ringrazio, ancora.”
“Mi stai ringraziando per un omicidio?”
Dike aprì la bocca per parlare, ma la richiuse subito. Era vero. Aveva davanti un assassino. Chi può arrogarsi il diritto di togliere la vita a un altro essere vivente? Ma le circostanze, le motivazioni del suo gesto, erano differenti. Nobili, le definì per un attimo, prima di rendersi conto che si parlava comunque di un assassinio.
Più si arrovellava il cervello su questa faccenda, più non riusciva a trovare una via d’uscita. Gli doveva la vita. E non solo lei. Con la morte di quella donna erano venuti a galla diversi retroscena.
Certo, era stato senza dubbio un gesto estremo, ma Marco non sarebbe mai arrivato a tanto se non si fosse trovato in quelle condizioni.
Ci sono momenti nella vita in cui non puoi fermarti a riflettere, devi solo agire. E Dike si sentiva anche un poco in colpa per essere finita in quella situazione senza via d’uscita, e aver “costretto” Marco a fare la sua scelta.
Rimanere a guardare un’innocente che muore, o diventare un assassino?

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


“Continua a riposare, Dike” riprese Marco.
Lei face un cenno di assenso, e abbozzò un sorriso per fargli capire che non lo giudicava per il suo gesto, anzi gliene era infinitamente grata, non solo perché le aveva salvato la vita, ma anche perché aveva agito
– per quanto assurdo possa sembrare una parola del genere in un contesto dove viene uccisa una persona – per amor di giustizia.
Legittima difesa, continuava a ripetersi in mente, perfettamente legale.
Posò la testa sul cuscino.
“Io esco. Se ti serve qualcosa, chiamami pure” disse Marco, scrivendo il suo numero su un post-it che posò sul comodino.
“D’accordo, vedrò di non disturbarti”
Questa volta fu Marco a sorridere. “Non c’è problema. A dopo”.
 
 
Dike intanto continuava a pensare a quanto assurda fosse questa situazione.
Si trovava in casa di uno sconosciuto, con una ferita da arma da fuoco alla spalla destra.
Non aveva mai perso, sin da quando era piccola, quella proverbiale curiosità che l’aveva sempre messa nei guai. Ma in guai minori di questi.
Guardò il calendario davanti a sé, 6 settembre. Erano già passati due giorni, il cadavere della donna bionda –a meno che non fosse già successo - presto sarebbe stato ritrovato. E se fossero risaliti a Marco?
Non aveva idea di cosa fosse avvenuto dopo la morte della donna, perché aveva perso conoscenza a causa dell’emorragia e del panico. Forse Marco aveva occultato il cadavere, o forse no, ritenendolo poco opportuno. Avrebbe voluto parlarne con lui, ma di certo non è una domanda facile da formulare.
Magari aveva cancellato ogni traccia, magari aveva…
Decise di smetterla con le congetture e di provare a riposare sul serio.
 
***
 
*Driiiiiin*
Il telefono di casa prese a squillare.
Rispondere, non rispondere, rispondere, non rispondere.
Smise all’improvviso di squillare. Una voce alla segreteria. 
“Marco, ehi, sono io, Giuseppe! Sono sicuro di aver visto un gruppo di poliziotti fare irruzione nel tuo vecchio appartamento, che adesso è disabitato. Forse pensavano vivessi ancora qui… Cosa diamine è successo? Marco, richiamami appena senti il messaggio! In che casini ti sei cacciato? Dannazione, sono ancora qui fuori…”
Il cuore di Dike prese a battere così forte che sarebbe potuto uscire fuori. Il respiro si fece difficile e la bocca secca. Ignorò il dolore alla spalla e si sporse per prendere telefono e post-it.
Doveva chiamare Marco.
***
Ci sono giorni in cui non puoi fare a meno di pensare e ripensare ai tuoi gesti, e in questi giorni la cosa più saggia da fare è  guidare, guidare lontano senza una meta, arrivare a un bar sconosciuto e sedersi al bancone per riflettere davanti a un bicchiere di whisky. Uno solo però.
E, in caso abbiate da ridire sul fatto che sia la cosa più saggia, forse avete ragione.


Ci tenevo a scusarmi per l'assenza e a ringraziare le due persone che hanno recensito la mia storia. So di non essere una cima, ma amo scrivere e spero che confrontarmi con persone nuove mi aiuti a migliorare.
Un abbraccio,
Mari :)

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Un uomo sulla trentina si alzò all’improvviso da un tavolino in fondo alla sala. Capelli biondi, barba incolta, probabilmente ubriaco. Si avvicinò barcollando al bancone, incurante delle occhiate della gente.
“Gin tonic” ordinò al barista.
Lui sospirò. “Signore, io sono sempre al servizio dei clienti, ma le consiglierei caldamente di smettere di bere”.
L’uomo sbuffò. “Non ha sentito? Un gin tonic”
Il barista deglutì. Poi annuì e si allontanò, per poi tornare un minuto dopo con l’alcolico richiesto.
Il tizio biondo si frugò in tasca, posò una banconota sul bancone e poi in un paio di sorsi svuotò il bicchiere e tornò a sedersi al suo tavolo.
 
Marco non badava molto a ciò che succedeva attorno a sé. Era in cerca di un modo per far pace con la sua coscienza. Iniziò a pensare alla sua vita, a come la sua concezione di giustizia fosse cambiata di fronte a quella situazione.
Fin da piccolo, preferiva il dialogo alla violenza nel risolvere un conflitto, ed era sempre stato un buon mediatore. Egli aveva sempre desiderato diventare un avvocato, come suo nonno. Ricordava i lunghi pomeriggi passati con lui a studiare, i suoi racconti su quanto fosse difficile andare avanti con i propri ideali, senza farsi condizionare dalla malavita che dilagava (e dilaga) nell’ambiente della giustizia. Che ossimoro.
Dopo la morte di suo nonno, quasi un anno prima, aveva creduto di non farcela. Aveva cambiato appartamento ed era diventato più chiuso e cinico.
Aveva perso la fiducia nella giustizia: la morte di suo nonno era stata archiviata come caso di suicidio.
Iniziò a cercare ovunque prove che dimostrassero si trattasse di un omicidio. Niente.
Nessuno avrebbe mai creduto a uno stupido giovane che studiava giurisprudenza. Nessuno.
Prese allora la decisione di riprendere a studiare, e intanto di continuare a indagare per conto suo. Quando avrebbe avuto la laurea in mano, forse qualcuno gli avrebbe dato ascolto. Davvero un pezzo di carta contava così tanto?
E così, seguendo una pista, si era ritrovato in un magazzino abbandonato. Secondo le informazioni che aveva carpito, il presunto assassino di suo nonno avrebbe dovuto incontrare qualcuno. Per questo, quando vide entrare una donna bionda trascinando una ragazza che aveva perso i sensi, non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
Stette ad ascoltare. La ragazza con i capelli rossi stava per essere uccisa.
Pensa, diamine, pensa. Ferma quest’abominio. Giustizia, cos’è la giustizia?
 
Quando Marco interruppe il flusso dei suoi pensieri, si accorse che stava succedendo qualcosa. Una rissa?
Sì, l’uomo biondo aveva scatenato una rissa. Dannazione, altri guai.
Decise di fermarlo.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


“La ringrazio davvero, signore. Sa com’è, un piccolo problema e mi costringeranno a chiudere bottega. Il mio bar non è visto di buon occhio nei dintorni…”
“Non si preoccupi, preferisco anch’io evitare casini”.
Detto questo, Marco si congedò, avvicinandosi al tavolo dove aveva lasciato l’uomo biondo dopo averlo separato dalla rissa.
“Le va di cambiare aria?”
L’uomo annuì. Camminarono spediti – il tipo biondo un po’ meno a causa dell’alcol – verso la porta, facendosi strada tra sedie e tavolini.
Fuori era ormai buio, Marco non aveva idea di che ore fossero né aveva voglia di controllare. Semplicemente voleva mettere a posto la situazione, cosa che sostanzialmente era incline a far sempre. In molti consideravano da impiccione questo suo comportamento, e spesso gli consigliavano caldamente di farsi gli affari suoi e tenersi fuori dai guai. Ma lui non ci riusciva, non poteva passare avanti e far finta di niente. Non poteva assistere a una rissa senza intervenire per calmare le acque, non poteva rimanere ad assistere inerme davanti a un omicidio.
 
“Qual è il suo nome?”
“Dammi del tu”
“Qual è il tuo nome?”
“Luigi. Ehi, amico, scusa per ‘sti casini ok? Non era mia intenzione creare problemi. Non sono stato io a iniziare. Ti giuro, io ero seduto e…”
Marco tirò un sospiro. “Ok, d’accordo. Non c’è problema. Preoccupati di chiedere scusa per l’accaduto al barista quando sarai sobrio. Dove abiti?”
“Via dei narcisi” mugulò l’uomo.
“Mi sembra sia parecchio distante. Non sei in buone condizioni… Qual è la tua auto? Troverò il modo di fartela recapitare, ti accompagno io”
Luigi guardò confusamente attorno a lui. Stette un po’ a riflettere, per poi concludere che la sua auto non si trovava lì.
“Come sei arrivato qui, allora? Ti ha accompagnato qualcuno?”
“Mmh… Non ricordo…”
“Sei parecchio confuso... Ti do un passaggio fino a casa, se prometti che non sarai di impiccio”
Luigi annuì e si trascinò fino alla macchina indicatagli. Salirono e Marco partì subito, ringraziando il fatto che il suo cervello fosse stato troppo occupato a pensare per dargli tempo  di bere il suo whisky.
 
“Che motivo c’è di bere così tanto?” disse Marco, più rivolto a se stesso che all’uomo che aveva a fianco. Ma a questa domanda, Luigi si risvegliò dal suo torpore, come se avesse ricordato qualcosa. Iniziò a piangere, dapprima silenziosamente, poi i singhiozzi si fecero talmente forti che Marco fu costretto a fermarsi. I piccoli occhi dell’uomo erano rossi e non smettevano di piangere. Era come se volessero esaurire tutte le lacrime.
 
 
 
Ciao a tutti!
Ho un paio di cose da dire. Innanzitutto volevo ringraziarvi per le recensioni. In secondo luogo, ho pensato - visto che ormai ho iniziato così - di mantenere questa lunghezza per tutti i capitoli. So che sono molto brevi e di questo mi dispiace... Spero di riuscire ad aggiornare frequentemente, anche se non sarà facile. 
Sostanzialmente questo è un capitolo di stallo, niente colpi di scena particolari, ma è necessario perché la storia vada avanti.
Un abbraccio,
Mari.
:)

 

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