The Revenge of Nightmares

di SofiDubhe94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La normalità, di nuovo ***
Capitolo 2: *** Una routine quasi perfetta ***
Capitolo 3: *** I segni indelebili del passato ***
Capitolo 4: *** Ciò che accadde, come tutto iniziò ***
Capitolo 5: *** Le tenebre dell'Istituto ***
Capitolo 6: *** L'incubo del licantropo ***
Capitolo 7: *** Visite dal passato ***
Capitolo 8: *** Il segreto ***
Capitolo 9: *** La nuova vita di Clarissa Morgenstern ***
Capitolo 10: *** Una ricerca forse inutile? ***



Capitolo 1
*** La normalità, di nuovo ***


SIMON

 
Il tempo lo aveva torturato e temprato in quei due anni, lo stesso tempo che mai più avrebbe dovuto scalfirlo. Ma due anni di disperazione svuotano anche il più coraggioso. Svuotano anche chi è già vuoto.
Simon Lewis, conosciuto da tutta la popolazione di Figli della Notte come il Diurno, camminava solo per le vie di New York, in una sera buia ed umida di metà autunno.
Dopo essere stato al miglior ristorante cinese della città ed aver preso da mangiare era uscito e si era nuovamente incamminato per raggiungere l’Istituto, dove aveva appuntamento con Isabelle ed Alec Lightwood.
In due anni molte cose erano cambiate, molte vite erano state distrutte. Da quando Clary era sparita, molte poche cose avevano mantenuto un senso e tutto era crollato, come fosse stato costituito di cristallo già incrinato. C’era stata la disperazione, c’erano stati i pianti, le grida, c’era stata la rabbia.
Poi la vita era ricominciata.
Cacciare demoni, mantenere l’ordine, tornare vivi all’Istituto.
Simon aveva visto i suoi amici riprendere, poco a poco, le proprie vite così come le avevano lasciate e gettarsi alle spalle quella sparizione che li aveva sconvolti. Simon aveva visto la sua ragazza combattere e tornare a casa, agire come un automa per tutto quel tempo e le era stato accanto.
Compleanni, ricorrenze, senza Clary tutto sembrava sbiadito e impolverato.
Per non parlare poi di Jace. Era come impazzito. Un giorno aveva fatto i bagagli, aveva preso una moto ed era partito. Non una lettera, non una notizia. Quando poi era tornato all’Istituto si era rintanato in camera sua e non ne era uscito per giorni.
Simon sapeva dove era scappato e soprattutto sapeva perché.
Non l’aveva trovata.
E la speranza era scomparsa.
Ancora una volta.
 
Con la busta del cinese nella mano sinistra, Simon camminava a passo svelto per arrivare il prima possibile all’Istituto, Isabelle odia il cinese freddo, si ripeteva. Dopo due anni passati insieme, nella loro intimità e nella loro condivisione del dolore, Simon poteva affermare con sicurezza di amarla. Isabelle non era affatto una persona ordinaria – chi ammazza demoni per hobby può davvero esserlo?  – e riusciva a comprendere ogni suo bisogno fuori della norma. Era stato così fortunato ad incontrarla… ma c’era qualcosa nella loro quotidianità che iniziava a dargli il voltastomaco; c’era una certa staticità che lo irritava e lo faceva sentire inutile.
Nonostante tutto le era sempre rimasto accanto, in quei momenti difficili da sopportare riuscivano a darsi conforto a vicenda e questo li faceva stare bene.
Anche la vita di Isabelle, senza Clary, si era ingrigita e la caparbia e seducente cacciatrice era stata sostituita dall’ombra di se stessa, sebbene il coraggio non le mancasse mai, nemmeno durante le missioni più dure. 
 
Ogni volta che chiudeva gli occhi, anche solo per raccogliersi in se stesso e pensare, ecco che quelle immagini saltavano alla sua memoria, come fossero state gli unici ricordi che possedeva. E un senso improvviso di impotenza lo assaliva, seguito immediatamente dal panico e dal terrore.
L’esplosione è stata così violenta da spingere tutti contro la parete più a nord. Simon apre gli occhi, accecato e assordato dall’impatto dell’esplosione. Tra polveri e fumo non riesce a vedere nulla che non sia ad un palmo dal suo naso. Allunga una mano, tasta il pavimento, vi conficca le unghie e striscia, cercando invano di rialzarsi. Si sente tutto dolorante, come se fosse stato sballottato in una lavatrice per troppo tempo. Isabelle, alla sua sinistra, è immobile, scomposta, ma respira ancora ed è un sollievo. Simon guarda alla sua destra, dove fino a poco prima c’era Clary.
Dove adesso non c’è nessuno.
Alza la testa, sente il terrore che gli dà una spinta tanto forte da farlo schizzare subito in piedi, ma presto si accorge di non essere l’unico. Jace è a pochi metri da lui, con una ferita sull’occhio che sanguina terribilmente e un braccio lasciato inerte lungo il fianco. La sta chiamando. A squarciagola.
Simon ha paura, non vuole sapere cosa è accaduto a Clary, soprattutto se la verità si avvicina a ciò che si sta facendo strada nella sua mente.
            «Clary!» grida, unendosi a Jace «CLARISSA ADELE FRAY, dove diavolo sei?», ma non ottiene alcuna risposta dal fumo che va diradandosi.
C’è solo silenzio attorno a lui. E la voce disperata di Jace, che pian piano si fa roca, debole e piena di lacrime.
Poi ricorda. Ricorda cosa ha sentito un attimo prima che tutto si facesse fuoco, fumo e fiamme.
La risata di un uomo.
 

 
BACHECA DELL'AUTRICE: Eccomi qui, ciao a tutti! Bene, l'idea per questa nuova FanFic mi è venuta meno di un'ora fa e ho DOVUTO buttar giù il primo capitolo. Che dire? Spero vi piacca e spero che non vi sconvolga troppo (ma per adesso non dovrebbe). Vi ringrazio per aver letto e magari anche per aver recensito, le vostre opinioni sono davvero importanti per me. Ci vediamo con piacere al prossimo capitolo, che non dovrebbe tardare. Inoltre, presto avrete il punto di vista di tutti i personaggi principali della storia, devo solo capire bene come impostare il tutto.
A presto ^^

-Sofi

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Capitolo 2
*** Una routine quasi perfetta ***


JACE

 
Saltò indietro, sguainò la spada angelica e ne gridò il nome, guardandola brillare nella notte. Il demone era veloce, agguerrito e arrabbiato. Forse la battutaccia sull’aspetto poco gradevole di tutti i suoi simili avrebbe anche potuto risparmiarsela, data l’irascibilità di quella particolare specie, ma proprio non riusciva a trattenersi, talvolta.
Due anni non l’avevano cambiato tanto, era il solito, insopportabile Jace che era sempre stato. Tanto meglio, così almeno Alec non si sarebbe più potuto lamentare del suo muso lungo.
Alec. Chissà cosa avrebbe detto, vedendolo tornare dopo sei mesi durante i quali non aveva mandato nemmeno una notizia.
Si infurierà come fa sempre, si disse, schivando prontamente i denti del demone e cercando con gli occhi una via d’uscita.
Due anni che correva in giro per il mondo, senza mai trovare ciò che stava cercando. Due anni di lotte contro il vuoto che lo divorava di giorno in giorno, contro la disperazione. Due anni di ricerca di una speranza che continuava a morire e a svanire. Seguiva una traccia e, puntualmente, la perdeva.
Eppure Clary doveva pur essere da qualche parte, là fuori. Due anni e il suo pensiero fisso era stata lei. Sempre nella sua mente, con il suo sorriso, i suoi ricci rossi, i suoi occhi verdi. Non si era voluto arrendere, non aveva pensato neppure per un istante che potesse essere morta nell’esplosione.
No, Clary era viva, ed era da qualche. E, soprattutto, lo stava aspettando.
Se fosse morta, Jace lo avrebbe avvertito. Una fitta al cuore, o allo stomaco. Avrebbe avvertito il dolore di un amore che esala il suo ultimo respiro, di un futuro che viene soffocato dallo scorrere frenetico degli eventi.
Ma non aveva sentito nulla del genere.
 
Quel demone era proprio tenace. Attaccava con denti e artigli, non voleva saperne di dargli un attimo di tregua. Sì, quella battutaccia avrebbe potuto risparmiarsela, per davvero. Sentì la mancanza di Alec, del suo parabatai; gli mancava sua sorella, la sua Izzy e gli mancava persino Simon.
Taglio in due questo dannato demone e poi torno all’Istituto a farmi sgridare da Alec, oh sì, si disse, azzardando un affondo verso il demone, che riuscì però a schivarlo senza troppa fatica.
Scoprendo i denti piccoli ed appuntiti il demone si lanciò su Jace, riuscendo ad atterrarlo e a fargli perdere l’arma. Il ragazzo imprecò, alzandosi con una capriola all’indietro e mettendosi in guardia. Il demone sembrava essere stato inghiottito dalle tenebre del sudicio magazzino in cui l’aveva seguito. Dopo essersi guardato attorno con aria circospetta per un altro paio di secondi si scostò dalla fronte i capelli madidi di sudore e raggiunse la spada angelica.
Strinse le dita attorno all’elsa, ma non fu abbastanza veloce ad innalzarla che venne colpito alle spalle dal demone. Cadde sulle sue stesse ginocchia, la vista annebbiata ed il dolore alla testa in crescente aumento.
Strinse la spada, provò a rialzarsi, ma non riusciva a vedere che poche ombre sconnesse e sentiva le forze fluirgli via lentamente dal corpo.
            «Pff, Herondale» la voce che gli giunse alle orecchie, ovattata e lontana, apparteneva ad uno sconosciuto, ma decisamente non ad un demone «Tutti uguali, non cambiano mai».
Sentì una risata dolce, di una donna, e una presa salda afferrarlo per le spalle, poi sprofondò nell’oblio.

 

ISABELLE

 
            «Ho fame» si lamentò Isabelle Lightwood, tirando la manica del fratello Alec «Dove si è cacciato Simon?».
Il ragazzo fece spallucce, scostandosi dagli occhi i capelli neri e traendo un sospiro: «Non lo so, Izzy, è il tuo fidanzato. Perché non lo chiami?».
La cacciatrice si alzò dal divano e sbuffò, stiracchiandosi. I lunghi capelli neri e lisci, tali e quali a quelli del fratello maggiore, le scendevano oltre le spalle, lungo tutta la schiena, attorniandole il viso ovale e pallido, nel quale erano incastonati due occhi neri e profondi come l’oblio, molto diversi da quelli blu del fratello.
            «Non mi va di chiamarlo, ma sa benissimo che odio quando il cibo cinese si raffredda» ribatté, assumendo un atteggiamento di sprezzo e superiorità «Certo che tu proprio non sei capace di fare il fratello premuroso» lo rimproverò un attimo più tardi, sospirando di nuovo.
Alec, chino su un enorme tomo polveroso, alzò appena lo sguardo sulla sorella, lanciandole un'occhiata scettica.
            «Io studio, a differenza tua» sibilò.
            «Ed io faccio fuori demoni, a differenza tua» disse «Mi manchi sul campo, Alexander Gideon Lightwood» aggiunse, sedendosi nuovamente sul divano «Non è lo stesso senza te e... Jace».
Alec posò la mano su quella della sorella e la guardò con un certo dolore negli occhi brillanti; stava per rispondere, per consolarla, per fare il bravo fratello maggiore, quando Simon irruppe nel salone, brandendo il sacchetto del ristorante cinese.
            «La cena è arrivata!» cantilenò, con un sorriso.
Isabelle, lanciando un gridolino estasiato, saltò giù dal divano e corse ad abbracciarlo, scoccandogli un bacio su una guancia.
            «Spero sia ancora calda» sussurrò.
Lui, in risposta, la baciò sulle labbra, tirandola a sé: «Oh, sì che lo è» mormorò, la bocca accostata al suo orecchio.
Isabelle si staccò da lui e prese nuovamente posto accanto a suo fratello, mentre Simon scartava ogni pietanza e la disponeva sul tavolino al centro del tappeto, proprio di fronte al divano. Due anni prima, in una scena simile ci sarebbero stati di sicuro anche Jace, Clary, Magnus e, perché no, anche Maia e Jordan. Ma non quella sera. Non dopo quei due tremendi anni appena trascorsi. Non v'era giorno in cui Isabelle non pensasse al momento in cui Clary era scomparsa, senza traccia; aveva visto la vita sbiadire via dai volti di Jace e di Simon, li aveva sentiti gridare e disperarsi, fino a che non erano crollati l'uno sull'altro, troppo stanchi anche per addormentarsi.
E poi la vita era tornata quella di sempre, pian piano i giorni erano passati, portandosi via i mesi, poi un anno e poi un altro ancora; Jace andava e veniva, ossessionato dall'idea che Clary dovesse essere da qualche parte, là fuori; ma Simon era rimasto e, assieme a lei, aveva accolto una nuova normalità. Una nuova routine.
            «Solo una curiosità» disse all'improvviso Alec «Sei un vampiro, Simon, come hai fatto ad entrare?».
Simon guardò l'amico e rimase un istante in silenzio, come se ci stesse pensando solo in quel momento.
            «La... la porta era aperta» disse «Io... credevo l'aveste lasciata voi così».
            «Simon, noi non abbiamo mai aperto la porta dopo che te ne sei andato» fu Isabelle a rispondere, il panico che stava strisciando nel suo tono di voce.



BACHECA DELL'AUTRICE: Eccomi a stressarvi con un nuovo capitolo! E' un po' più lungo del precedente, quindi spero di non avervi annoiato. Come vedete, pian piano, la storia prende piede e, più si andrà avanti, più cose verranno svelate. Non ho molto altro da dire, in questa nota a piè di pagina, perché siete voi che, attraverso le vostre recesioni dovreste dirmi qualcosa xD
Ringrazio ovviamente le 6 persone che hanno recensito; le 10 persone che hanno inserito la storia nelle seguite e le 6 che l'hanno messa tra le preferite (spero che vorrete lasciarmi una recensione, in futuro). E poi, ringrazio i 210 visitatori silenziosi che hanno letto ma non hanno recensito; così tante visite in soli due giorni mi commuovono. Grazie <3

Al prossimo capitolo

-Sofi

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Capitolo 3
*** I segni indelebili del passato ***


JOCELYN

 
Due anni.
Due maledetti, maledettissimi anni.
Il bambino piangeva a più non posso nella sua culla di legno dipinto di verde smeraldo, la culla che era stata di Clary.
Jocelyn si alzò a fatica dal letto, trovando il posto accanto a sé vuoto, come spesso accadeva nelle notti di luna.
Si avvicinò alla culla e prese suo figlio fra le braccia, cullandolo perché smettesse di piangere. Era ancora così piccolo e così indifeso. Un piccolo cacciatore dai grandi occhi verdi e dai capelli scuri come la notte. Il bambino aveva ereditato i suoi occhi – e quelli di Clary – ma aveva preso i capelli di Luke.
Jocelyn non credeva avrebbe avuto il coraggio di mettere al mondo un secondo figlio dopo la sparizione di Clary, ma il piccolo Henry era arrivato per caso. Jocelyn credeva di aver riversato su di lui tutto l'amore e l'affetto che non poteva più dare a Clary, ma non solo, perché quel piccolino aveva dovuto asciugare anche tutte le lacrime e tutto il dolore.
Due anni.
Due maledetti, maledettissimi anni.
Chiunque me l'ha portata via pagherà, si ripeteva strenuamente ogni giorno, e quella frase era l'unica forza che le permettesse di alzarsi e vivere la sua vita.
Luke le era stato sempre vicino, l'aveva confortata, aveva condiviso con lei quel dolore così bruciante e aveva messo tutto il branco alla ricerca di Clary. Ma più il tempo passava meno tracce vi erano di lei. E presto la speranza era scemata, così come la volontà di cercarla davvero.
Così, Jocelyn Graymark aveva tagliato quasi ogni contatto con l'Istituto e con il Conclave, non aveva più visto Simon o Jace o i Lightwood. Stare a contatto con le persone che Clary aveva amato non faceva che aumentare a dismisura il suo dolore.
 
Il bambino aveva smesso di piangere e si stava già riaddormentando. Jocelyn lo cullò solo per altri pochi minuti prima di adagiarlo nuovamente nella culla e di tornare sotto alle coperte. Ogni volta che provava a dormire il pensiero di sua figlia perduta, chissà dove, la assaliva, togliendole il fiato ed il sonno. Solitamente Luke riusciva a calmarla, stringendola fra le braccia fino a che non si addormentava sfinita, ma quella notte lui non era lì e non sarebbe tornato prima dell'alba.
Stavano accadendo cose strane al branco, in quei giorni, e i lupi avevano necessità del supporto del loro capo per poter affrontare le difficoltà. D'altra parte, erano passati ormai due anni dalla sparizione di Clary e, se non era stata trovata in due anni, quante serie probabilità c’erano che lo fosse ancora?
Jocelyn tremava al pensiero che la sua bambina potesse essere morta, ma Luke le aveva detto ben più di una volta che era una possibilità da considerare.
Si portò le ginocchia al petto, avvolgendosi nella coperta in pile, e scoppiò in lacrime. Succedeva spesso, quando Luke non c’era e lei si fermava a pensare troppo a lungo a Clary e alla sua scomparsa.
In quel momento, più che mai, desiderava avere un modo per trovarla e riportarla a casa. Allungò una mano verso il comodino, afferrò il cellulare e se lo portò all’orecchio dopo aver digitato un numero che, negli anni, aveva imparato a memoria. Dopo un paio di squilli, rispose una voce ancora impastata dal sonno.
            «Chi può essere così barbaro da chiamare alle tre del mattino, eh?».
            «Sono io» disse secca «Ho bisogno del tuo aiuto. Di nuovo».
            «Jocelyn Fairchild, ne è passato di tempo! Non avevi chiuso con cacciatori e Nascosti? No, no, non dirmelo: immagino si tratti della tua adorata figlia».
 
 

MAGNUS

 
Magnus Bane, il Sommo Stregone di Brooklyn, si godeva l’aria fresca ed umida della notte dal balcone del suo appartamento, con un bicchiere d’acqua in mano. Non era il massimo avere un bicchiere d’acqua in mano, ma era il massimo della trasgressione che potesse permettersi in un momento come quello.
Era divorato dalla preoccupazione, tanto che aveva addirittura rinunciato a riempirsi di glitter o a vestirsi in maniera decente. Aveva tenuto il pigiama e non si era nemmeno pettinato i capelli. I suoi occhi felini, brillanti proprio come quelli di un gatto, scrutavano l’oscurità alla ricerca anche del più piccolo segno.
            «Quel maledetto ragazzo» bofonchiò rientrando in casa e chiudendosi la porta-finestra alle spalle «è di nuovo in ritardo».
Si lasciò cadere sul divano, accanto al suo gatto che, contrariato, dopo aver miagolato qualche istante balzò giù e sparì in una qualche stanza con il suo passo felpato.
            «Gli Herondale» protestò, a bassa voce «Vatti a fidare di un Herondale!».
Si stese sul divano, le braccia piegate dietro la testa e lasciò vagare i pensieri. Purtroppo per lui, ogni volta che aveva appuntamento con Jace Herondale – per qualsiasi tipo di affare – non poteva non pensare, irrimediabilmente, ad Alec Lightwood. Non poteva non pensare ai suoi arruffati capelli neri e ad i suoi occhi blu, magnetici e lucenti, sempre pieni di speranza.
No. Quel ragazzo lo aveva tradito! Aveva stretto un’alleanza con Camille, per cosa poi? Per dirgli: «Mi dispiace, non volevo, lo giuro. Io ti amo».
Cos’è, l’amore? Cosa ti dà l’amore? L’aveva lasciato, l’aveva cacciato, non aveva mai più voluto vederlo.
Eppure i suoi pensieri erano costellati di lui. Il viso di Alec Lightwood era in ogni piega della sua mente, e non voleva mai andarsene. Oh, no, no che non voleva. Rimaneva lì, appostato dietro ogni ricordo, dietro ogni frase. Magnus poteva quasi sentire la sua risata imbarazzata, poteva vedere con abbassava gli occhi quando erano così vicini da potersi sfiorare; provava ancora la sensazione delle labbra di Alec sulle sue… ed erano ormai passati due anni.  
Due anni da quando Clary era scomparsa e da quando Jace Herondale era del tutto uscito di senno. In quel periodo aveva chiesto il suo aiuto così tanto spesso che a Magnus pareva strano non averlo per casa a urlare frasi sconnesse. Quel ragazzo somigliava così tanto a William Herondale.
Il sangue non mente, si disse, ridacchiando, mentre sentiva il sonno penetrargli nuovamente nelle membra e si rilassò. Dormire qualche altra ora non gli avrebbe fatto male, soprattutto perché il ragazzo proprio non voleva arrivare.
 
Il telefono dovette squillare solo due volte prima che Magnus si svegliasse di soprassalto e lo afferrasse dal comodino adiacente al divano.
«Chi può essere così barbaro da chiamare alle tre del mattino, eh?» bofonchiò.
            «Sono io» disse secca «Ho bisogno del tuo aiuto. Di nuovo».
Magnus sorrise: «Jocelyn Fairchild, ne è passato di tempo! Non avevi chiuso con cacciatori e Nascosti? No, no, non dirmelo: immagino si tratti della tua adorata figlia».


BACHECA DELL'AUTRICE: Eccoci al terzo capitolo. Siamo ancora nella fase "scopriamo cosa stanno facendo i personaggi della loro vita", ma comunque spero non vi sembri noioso. Come era giusto che fosse ho dedicato parte del capitolo a Jocelyn, e l'altra a Magnus (anche perché avevo come l'impressione che molti di voi volessero leggere un suo POV). Btw, continuo a ringraziare chi recensisce la storia, chi l'ha inserita nelle preferite/seguite/ricordate, e ringrazio anche i lettori silenziosi. Nonostante ciò, mi piacerebbe che recensiste di più, proprio perché sono le vostre recensioni che mi spingono ad andare avanti. Ora come ora, la storia mi sembra talmente poco seguita che potrei anche smettere di scriverla. Fatemi capire se vi piace, se volete che io vada avanti. Non abbiate timore, potete scrivere qualsiasi cosa nelle recensioni, io accetterò ogni critica, ogni consiglio, ogni cosa che vorrete condividere con me. Vi ringrazio ancora una volta. 
Recensite, vi prego.

-Sofi

 

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Capitolo 4
*** Ciò che accadde, come tutto iniziò ***


CLARY

 
Due anni prima…
 
            «È fatta, no?» domandò, stringendo il braccio di Jace «Abbiamo vinto».
Il cacciatore annuì, sorridendole e guardandola come fosse la cosa più bella ed importante dell’intero universo. Clary amava sentirsi guardare in quel modo da Jace. E amava lui. Finalmente era giunto il momento della pace e di riprendere a vivere serenamente.
Si strinse a lui e si incamminarono insieme per raggiungere il resto del gruppo. L’edificio era grande ed imponente, con soffitti a perdita d’occhio e saloni illimitati. I resti del combattimento giacevano a terra, rovinando quel quadro idilliaco: assi spezzate, pezzi di cemento, cadaveri. Ma la battaglia era finita ed avevano vinto. Clary si tirò indietro i ricci rossi, resi crespi e disordinati dalla foga del combattimento, e raggiunse Simon.
Lui ed Isabelle stavano ridendo e, pochi metri più indietro di loro c’erano anche Alec, Maia e Jordan. Clary trasse un sospiro di sollievo: stavano tutti bene.
Quando lei e Jace erano stati separati dal resto del gruppo, aveva davvero temuto che potesse accadere qualcosa di terribile. Sapere che invece tutti stavano bene era un sollievo enorme.
In piedi alla destra di Simon, Clary si voltò verso Jace, che li stava raggiungendo, quindi gli sorrise.
Un attimo dopo fu l’inferno.
 
Il rumore dell’esplosione l’assordò per diversi minuti, abbastanza per sentire delle forti braccia afferrarla e trascinarla via nella foga del momento. Si ribellò, si dimenò, gridò, ma l’eco dell’esplosione, protratto dall’acustica dell’edificio annullò ogni suo sforzo. Sentì un dolore alla testa, del sangue colarle sugli occhi ed accecarla.
La risata sguaiata di un uomo.
Poi tutto finì.
 
Le lenzuola erano bianche e soffici, come le piume delle ali di un angelo, si trovò a pensare Clary, appena riemersa da un sonno agitato e confuso. Si guardò attorno, sperando di essere a casa, o all’Istituto, o da Simon, o da Luke. Ma la stanza che la stava accogliendo non aveva nulla di familiare nella sua memoria. Provò a muoversi, scoprendo di avere entrambi i polsi legati. Si sarebbe messa a gridare, ma non voleva che il suo rapitore – chiunque egli fosse – scoprisse che era già sveglia: le occorreva più tempo per mettere a punto un buon piano.
Se solo avesse avuto con sé uno stilo! Avrebbe disegnato una runa e sarebbe potuta scappare in un batter d’occhio. Avrebbe ritrovato Jace, e sua madre, e Simon. E la sua vita, probabilmente. Gemette debolmente nel vano tentativo di spezzare le cinghie che la costringevano a stare distesa su quel letto bianco e soffice.
Da quanto tempo si trovava lì, in quello stato di incoscienza? Si sentiva confusa, la testa le doleva terribilmente e non aveva idea nemmeno del perché si trovasse in quel luogo. Chi poteva averle fatto una cosa simile?
Lei e Jace avevano controllato di persona, dopo la battaglia: erano tutti morti. Tutti.
Qualcosa doveva essere sfuggito loro, un dettaglio così insignificante da divenire il più importante, ma proprio Clary non riusciva a ricordare.
Il primo ricordo presente nella sua memoria era il viso di Simon, poi quello di Jace. Un sorriso. E un’esplosione così violenta da averle fatto perdere l’udito per diversi secondi.
Jace l’avrebbe cercata e non si sarebbe mai arreso, almeno fino a che non l’avesse trovata.
Sei la mia ultima speranza, Jace Herondale, si disse, sforzandosi di non piangere, trovami, Jace, e riportami a casa.
La porta della stanza si aprì cigolando, e Clary fu di riflessi sufficientemente pronti per stendersi nuovamente e fingere di dormire, prestando singolare attenzione ad ogni rumore.
Udì dei passi sicuri ma lievi, proprio come se la persona che stava entrando non volesse destarla.
            «Hai visto, ragazzo? Dorme ancora» Clary sentì un uomo sussurrare, ma la sua voce era quanto di meno familiare avesse nella memoria «Sapevo che il mio piano avrebbe funzionato! Sono un genio, d’altronde!».
Una risata soffocata si unì alla prima voce.
Erano due le persone nella stanza, proprio come Clary aveva immediatamente intuito udendo i passi.
            «Sì, Magister, siete un genio. Mio padre ne sarà molto felice».
Clary dovette trattenersi per non mettersi ad urlare a squarciagola: sebbene non si decidesse nemmeno ad ammetterlo con se stessa, sapeva benissimo a chi apparteneva quella voce.


BACHECA DELL'AUTRICE: Siccome ieri è uscito il film in America ed Inghilterra ed io sono triste perché non potrò vederlo fino al 29, ho deciso di pubblicare il quarto capitolo della fanfiction. Finalmente - molti di voi penseranno - finalmente parla Clary e si sa qualcosa dal suo punto di vista. Ebbene, sì, questo è stato un capitolo di svolta, perché si comincia ad intuire chi sia stato a rapire Clary. Detto questo, spero che anche questo capitolo vi piaccia e spero che vorrete andare avanti a leggere. Come vi dico sempre, sono le vostre recensioni che mi spingono ad andare avanti quindi, se avete qualsiasi cosa da dirmi sul capitolo, fatelo, io accetterò qualsiasi commento e qualsiasi critica, perché mi aiuteranno a crescere e a migliorare. Non ho altro da aggiungere, perché ora voglio sentire i vostri pareri. Aggiornerò presto, ovviamente.
Grazie per aver letto, grazie alle 21 persone che hanno messo la storia nelle seguite, alle 16 che l'hanno inserita nelle preferite e anche a quelle 2 che ce l'hanno nelle ricordate. Poi, ovviamente, grazie a chi recensisce sempre, a chi mi fa notare cosa non va e cosa va. Grazie.

-Sofi

 

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Capitolo 5
*** Le tenebre dell'Istituto ***


SIMON

 
            «Quindi… se non avete aperto voi la porta chi può averlo fatto?» domandò Simon, mentre Izzy ed Alec si scambiavano occhiate allarmate.
            «Di certo deve essere un cacciatore» disse Alec, alzandosi dal divano e posando il suo libro «Altrimenti la porta non si sarebbe mai aperta. Forza, dividiamoci, perlustriamo l’Istituto».
            «Simon non ha un arma!» protestò Isabelle a gran voce, prendendo la sua frusta.
Il fratello le lanciò un’occhiata tagliente: «Isabelle, non essere sciocca. Simon è un vampiro».
            «Ma non ha più il Marchio!».
            «Ma è pur sempre un vampiro!» sbraitò Alec, che cominciava ad innervosirsi.
            «Ehi, voi due, basta. Come ha sottilmente puntualizzato Alec, sono un vampiro, quindi so difendermi e, soprattutto, sono molto più difficile io da uccidere di quanto non lo siate voi. Quindi, smettiamo di fare i bambini e perlustriamo».
Isabelle annuì, senza aggiungere altro, quindi imboccò il corridoio che portava nell’ala nord dell’Istituto; Alec prese le scale che conducevano alla zona notte; e infine a Simon toccò il pianterreno. Non poteva negare di essere spaventato, da quella perlustrazione notturna nell’enorme edificio vuoto. Chi poteva essere entrato? Come Alec aveva chiarito, soltanto chi avesse avuto sangue di cacciatore nelle vene avrebbe potuto aprire quella porta. Quindi, nella peggiore delle ipotesi, potevano essere entrati solamente dei cacciatori.
Perlomeno niente demoni, disse tra sé e sé, cercando di farsi coraggio.
Non aveva mai sopportato i demoni, che fossero stupidi o intelligenti, minuscoli o enormi. Lo terrorizzavano e gli facevano anche un po’ schifo, a dirla tutta. Ma nessun demone avrebbe potuto scavalcare le difese dell’Istituto, dunque non c’era nulla da temere.
Il pianterreno era avvolto dalle tenebre, fatta eccezione per qualche piccola stregaluce che brillava qua là; minuscole ma rassicuranti fonti di luce angelica.
Silenzioso solo come i vampiri potevano essere, Simon sgusciò fino alla cucina, senza trovarvi nulla di sospetto. Ripeté la stessa operazione per le altre innumerevoli stanze, riscontrando ogni volta il medesimo obiettivo.
Se non c’era nessuno al pianterreno, allora l’intruso doveva essere per forza in uno dei piani che stavano perlustrando Isabelle ed Alec. Silenzioso come suo solito, Simon salì velocemente le scale, per non lasciare soli un minuto di più i fratelli Lightwood.
 
Aveva appena messo piede al primo piano, dove fino a poco prima stavano per gustarsi una meravigliosa cena cinese, quando sentì un acuto grido provenire dalla parte nord dell’Istituto.
Isabelle!Gridò una voce nella sua testa, un istante prima che si mettesse a correre come mai prima d’ora per trovarla prima che fosse troppo tardi.
            «Isabelle, dove sei?» chiamò, a squarciagola, senza però ottenere risposta.
Non un’altra volta, ti prego, nonun’altra volta disse tra sé e sé, terrorizzato ed agitato. Se avesse perso anche lei la sua vita sarebbe finita. Se anche Isabelle fosse scomparsa in condizioni misteriose, esattamente come era accaduto a Clary, Simon non avrebbe avuto più nemmeno una ragione di rimanere in vita.
            «JACE!» di nuovo un grido di Isabelle, che questa volta non sembrava spaventata, né in punto di morte. Aveva appena detto Jace…? Possibile che quello sconsiderato fosse tornato all’Istituto senza dire una parola a nessuno.
Ed eccoli lì, abbracciati nel mezzo del corridoio.
Simon si appoggiò sfacciatamente alla parete e diede un colpo di tosse per attirare la loro attenzione. Quando i due sciolsero l’abbraccio, Jace lo guardò e gli sorrise.
            «Che c’è Simon, ti senti offeso? Volevi avere anche tu un saluto speciale dal tuo amico preferito?».
Il vampiro sbuffò, liquidandolo con un gesto della mano: «Oh, insomma, piantala. Solo Dio sa quanto io sia stato bene senza vedere la tua brutta faccia».
Jace fece qualche passo in sua direzione e lo abbracciò stretto: «Vedo che ti sei allenato a dire quella parola, ottimo lavoro, sei ufficialmente il mio vampiro preferito» detto ciò si voltò verso Isabelle «Possiamo tenerlo?».
La ragazza scosse la testa, esasperata.
            «Meglio che io vada a chiamare Alec. Certo che la prossima volta potresti anche chiudere la porta come si deve, Jace».
Il Cacciatore parve confuso.
            «Io l’ho richiusa, la porta. Sono arrivato solo pochi minuti fa».
Isabelle sussultò, poi cominciò a correre: «Devo trovare Alec!».
 
 

ALEC

 
I corridoi superiori erano bui e tranquilli come sarebbero dovuti essere, si trovò a pensare Alec, mentre si rigirava tra le mani la sua spada angelica. Sembrava così diversa dall’ultima volta che l’aveva brandita. Dedicarsi un po’ di più allo studio ed un po’ meno ai demoni era stata una sua decisione. Era un ottimo combattente, ma non desiderava passare la vita sul campo di battaglia; avrebbe voluto svolgere un ruolo altrettanto utile, ma più tranquillo. Ecco perché studiava: magari ad Idris avrebbe trovato ciò che faceva al caso suo. E poi, da quando Jace era diventato labile come un’ombra, non aveva trovato più nessun gusto nell’uccidere demoni, non senza il suo parabatai di tutta una vita.
Certo non poteva biasimarlo: perdere in quel modo la persona che amava doveva essere stato terribile per lui, ma forse avrebbe dovuto parlarne, prima di fuggire via. D’altronde Jace era sempre stato così, un impaziente, uno spirito libero. Doveva vivere d’azione, altrimenti sarebbe stato meglio non vivere affatto.
 
Non si soffermava quasi mai a pensare a lui, ma Magnus gli mancava più di quanto non desse a vedere. Anche se ormai non stavano insieme da due anni, Alec sapeva di amarlo ancora e che, forse, nella sua intera vita, non avrebbe mai amato nessun altro in quel modo. Ma cosa fare? Già due anni prima aveva provato e riprovato a far ragionare Magnus, gli aveva domandato scusa e gli aveva spiegato perché aveva agito in quella maniera. Lo stregone, però, non aveva voluto sentir ragioni. E, per la seconda volta, gli aveva detto di sparire, di non farsi mai più vedere.
Ecco perché Alec desiderava andare ad Idris, almeno sarebbe stato lontano per un po’ da quella New York che gli riportava alla mente dolorosi ricordi.
            «Alec!» la voce di sua sorella lo destò bruscamente dai ricordi nei quali stava annegando mentre continuava a perlustrare l’Istituto.
            «Izzy? Sono davanti alla porta della tua stanza» rispose, quindi si fermò ed attese che la sorella lo raggiungesse.
Pochi istanti più tardi, infatti, eccola lì che gli gettava le braccia al collo e lo stringeva tanto forte da togliergli il respiro.
            «Per fortuna stai bene» gli disse, lasciandolo «Guarda chi è tornato!» aggiunse poi, ritrovando la sua naturale allegria.
            «Ehi, ciao» disse Jace, alzando una mano in segno di saluto.
            «Jonathan Christopher Herondale, dove diavolo sei stato per tutto questo tempo e, soprattutto, ti sembra questo il modo di entrare?» sibilò Alec.
            «Anche tu mi sei mancato, sì» commentò Jace, amaramente «E, come già ho spiegato alla tua adorata sorellina, sono dentro all’Istituto da pochissimi minuti, non ho lasciato io la porta aperta».
            «Quindi non siamo soli» constatò Alec.
            «No, non lo siete».
I tre cacciatori ed il vampiro si voltarono verso il punto da cui avevano sentito provenire quella voce.
C’erano solo tenebre.


BACHECA DELL'AUTRICE: Ciao a tutti! Questi sono i capitoli di svolta, pian piano si arriveranno a scoprire moltissime cose interessanti. Come al solito, spero che vi sia piaciuto leggerlo e che, magari, vorrete lasciare una recensione per farvi sapere cosa ne pensate. Lo sapete ormai, sono le vostre recensioni che mi spronano sempre a scrivere e ad andare avanti, quindi non abbiate timore e scrivete, a me fa sempre molto piacere sapere cosa ne pensate della mia storia, soprattutto perché così ho occsasione di crescere e migliorare. Smetto di stressarvi, ora.
Ci vediamo al prossimo capitolo!
Baci.

-Sofi

 

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Capitolo 6
*** L'incubo del licantropo ***


LUKE
 
Due anni prima…
 
Lucian Graymark, capo del clan di licantropi di New York, conosciuto da molti con il nome di Luke Garroway, si svegliò di soprassalto, gridando. Era sudato, si sentiva la gola secca e la paura aveva preso il completo sopravvento su di lui.
Si mise seduto e si passò entrambe le mani sul volto. Cosa gli stava capitando? Ogni singola notte si svegliava in presa al panico, torturato dagli incubi. O meglio da un unico incubo, sempre lo stesso, sempre così terribile ed inaspettato come la prima volta. Era un ricordo, il ricordo che nell’ultima settimana lo aveva messo a dura prova.
 
Abbraccia Jocelyn e sente un’esplosione così violenta da far sobbalzare persino le pareti della stanza in cui erano stati rinchiusi. Attendono qualche istante, chiedendosi cosa possa essere accaduto di tanto tremendo là dove ci sono i ragazzi, là dove c’è Clary. Luke carezza le spalle di Jocelyn e cerca di sorriderle nella maniera più convincente possibile.
            «Resta qui, al sicuro, vado a controllare che di là stiano tutti bene» le dice, quindi apre la porta e sparisce.
Quando arriva nella sala grande, tutto è avvolto da una pesante nube di fumi e polveri, è così densa che non riesce a vedere nulla se non qualche ombra sconnessa. Tossendo si fa strada, fino a raggiungere la prima ombra: è Simon. E sembra completamente disperato.
            «Simon, dov’è Clary?» gli domanda. Sapere se lei sta bene è la sua unica priorità. Non ha interesse per il resto del mondo: in quel momento ha a cuore solo la salute di Clary.
Il ragazzo scuote la testa; se potesse, adesso si metterebbe a piangere a dirotto, Luke lo sente.
            «Lei…» dice, ma non riesce a concludere la frase.
            «Non c’è» lo interrompe Jace, con tono distaccato.
Luke si volta verso di lui: ha pianto fino a quel momento, perché ha le guance rigate, gli occhi rossi e l’espressione vuota.
            «Cosa vuol dire non c’è, Jace?».
            «È scomparsa, ecco cosa vuol dire. C’è stata l’esplosione e Clary non c’era più».
Il mondo si sgretola sulle spalle di Luke, quando sente quella frase, quando vede Jace che scoppia un’altra volta a piangere. Dà la schiena ad entrambi, scruta la nebbia.
No. Clary non può essere scomparsa. Lei deve essere ancora lì, da qualche parte.
Scatta, mentre la chiama come un disperato. Corre, tossisce, chiama, piange. Sono le uniche cose che riesce a fare. Trova una porta, la apre, esce di fuori, la notte è chiara e tersa, il cielo è pieno di stelle luminosissime. Ma il cortile è deserto.
No! C’è una voce graffiante che grida nella sua testa. Clary non può essere scomparsa davvero, la sua Clary, la sua bambina. Cade in ginocchio, tra un colpo di tosse e l’altro è scosso dai singhiozzi e accecato dalle lacrime che scorrono come un fiume in piena. Sente un paio di braccia afferrarlo e metterlo in piedi a forza.
            «Fatti coraggio, Lucian, non sarai quello che soffrirà di più» dice Magnus Bane «Lei ancora non lo sa».
Jocelyn.
 
Quello era il momento in cui si svegliava urlando, quando il nome di Jocelyn si faceva strada nella sua mente. Perché l’aveva abbandonata.
Sì. Appena aveva scoperto della sparizione di Clary aveva perso completamente ogni cognizione di sé: se non era in grado di badare a lei, di proteggerla, di custodirla, come avrebbe fatto in futuro a prendersi cura di lei e di Jocelyn ed, eventualmente, di un figlio suo?
Così era scappato anche lui, si era rintanato nel suo vecchio e piccolo appartamento come un topo di fogna e lì era rimasto a farsi torturare da incubi e sensi di colpa. Magnus Bane lo aveva chiamato ogni giorno, spesso anche più di una volta, e l’aveva pregato e supplicato di tornare da Jocelyn, ma Luke aveva il terrore di deluderla di nuovo.
Quella notte fu lui a prendere il telefono e comporre il numero di Magnus.
            «Magnus, sono io» disse appena l’altro rispose.
            «Certo che tu e la tua amata avete proprio lo stesso modo di fare. Se non siete fatti voi l’uno per l’altra, non lo è nessuno» biascicò lo stregone, sbadigliando «Lucian Graymark, a cosa devo l’onore?».
            «Come sta Jocelyn?».
            «Perché non vai a casa vostra e glielo chiedi tu stesso? Siete sposati».
            «Ho paura».
            «Non è colpa tua se Clarissa è sparita» disse lo stregone, con un tono più dolce.
Luke sospirò gravemente: «Io avrei dovuto proteggerla!» esclamò.
            «Ascoltami bene, cocciuto di un licantropo, Jocelyn ti ama ancora, ti ha sempre amato e – oh per tutti i demoni – ti amerà sempre. Quindi, potresti comportarti da persona matura e tornare, invece che marcire in quel buco» rispose Magnus.
            «Spero sia come dici tu» sussurrò Luke, un attimo prima di chiudere la chiamata.
Si girò su un fianco e chiuse gli occhi, sperando di riuscire a prendere nuovamente sonno.
E l’incubo ricominciò.


BACHECA DELL'AUTRICE: Buongiorno a tutti! Siamo già arrivati al capitolo sei, wow. Comunque, non ho molto da dirvi se non che Luke è il mio personaggio preferito e questo capitolo mi sta molto a cuore. Volevo trasmettere tutta la rabbia e la frustrazione che prova per non essere riuscito a salvare Clary, per non aver fatto il massimo di ciò che avrebbe potuto. Clary è come una figlia per Luke, questo lo sappiamo bene, e pensavo che un capitolo interamente dedicato a lui fosse d'obbligo. Come al solito spero di non avervi annoiato e spero che il capitolo vi sia piaciuto anche se, questa volta, non ci sono enormi colpi di scena. Vi ricordo che le vostre recensioni sono la cosa che mi sprona a continuare la storia, a renderla avvincente per voi. Sono sempre assolutamente disposta a leggere qualsiasi consiglio/critica che vogliate scrivermi. Le vostre recensioni mi permettono di crescere e capire cosa va e cosa no, Quindi, RECENSITE.

Vi adoro.
-Sofi

Ps: Voglio ringraziare le persone che recensiscono sistematicamente ogni capitolo, le 23 persone che hanno messo la storia fra le preferite e le 33 che l'hanno inserita nelle preferite. Grazie, davvero. Grazie.

 

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Capitolo 7
*** Visite dal passato ***


JACE
 
 
Jace sussurrò il nome della sua spada angelica, che si accese all’improvviso, sprigionando una forte luce azzurrognola in grado di rischiarare il corridoio dell’Istituto. Si guardò attorno, senza però trovare nessuno. Conosceva quella voce, l’aveva sentita anche nel magazzino in cui aveva seguito quel demone superiore, ma non aveva idea di chi potesse essere la persona alla quale apparteneva.
            «Dietro di me» sibilò «Tutti dietro di me».
Isabelle gli si affiancò: «Credi di essere un grande eroe, Jace? Combatto contro i demoni esattamente come te. Se ci sarà uno scontro non starò in disparte, né fuggirò».
            «La caparbietà è una tua grande qualità, Izzy».
Affrontarono l’oscurità, che tale rimaneva, come se il corridoio si fosse nuovamente svuotato o come se fosse stato tutto frutto delle loro menti. Jace si sentiva troppo stanco – ancora gli doleva la testa – per avere la pazienza adatta ad affrontare qualcuno che voleva giocare in quel modo.
            «Chi sei?» gridò allora Alec «Mostrati!».
Una risata aleggiò per il corridoio, espandendosi per esso come trasportata dal vento. Un attimo più tardi una decina di stregaluce cominciarono a brillare, rischiarando l’intera area e mostrando ai ragazzi chi erano le persone che si erano introdotte nell’Istituto.
La prima somigliava del tutto a quella di un Fratello Silente, perché indossava una logora tunica, provvista di un largo cappuccio calato sul volto. La seconda figura apparteneva ad una donna alta e snella, aveva lunghi capelli castani e lisci, arricciati sulle punte dall’umidità autunnale, e aveva un paio di enormi occhi grigi che animavano il suo volto allegro da ventenne.
Jace abbassò la spada angelica ed Izzy fece lo stesso con la sua frusta.
            «Un Fratello Silente ed una ragazza?» esclamò, stizzita «Questo non ha alcun senso».
            «Suvvia, placa la tua ira, Isabelle Lightwood» disse il Fratello Silente «Non siamo qui per farvi del male».
            «Fratello Zaccaria?» questa volta fu Jace a parale «Questo davvero non ha alcun senso. Perché possiamo sentirti come se tu parlassi normalmente?».
            «Perché è quello che sta facendo» spiegò la ragazza.
Allora il Fratello Silente abbassò il cappuccio del suo mantello consunto e i quattro ragazzi sussultarono all’unisono: era perfettamente umano. Aveva i capelli scuri ed arruffati, il viso pallido, gli occhi scuri, con un certo taglio orientale così come il resto del suo viso. L’unica cosa strana erano le due enormi cicatrici che gli solcavano entrambe le guance.
            «Sono colpito» interloquì Simon «Non avevo mai visto un Fratello Silente così… non trovo l’aggettivo adatto, scusami».
            «Sexy?» suggerì Isabelle.
Simon le lanciò un’occhiata obliqua: «Non era esattamente l’aggettivo che stavo cercando, ma rende piuttosto bene l’idea. Grazie per averci reso partecipi di ciò che pensi, Isabelle».
Il Fratello Silente e la ragazza ridacchiarono, poi tornarono a rivolgere la propria attenzione ai ragazzi basiti.
            «Mi chiamo James Carstairs, anche se tutti quanti mi chiamano Jem» disse l’uomo.
            «Io sono Theresa Gray, ma potete chiamarmi Tessa».
Jace li studiò per diversi secondi, prima di parlare di nuovo.
            «Eravate voi nel magazzino?» domandò.
Jem annuì, con un sorriso bonario: «Sei esattamente com’era Will, ma tutti gli Herondale lo sono» ridacchiò tra sé «E non credi che Isabelle somigli incredibilmente a Cecily, Tessa?».
            «Oh, sì» rispose Tessa, annuendo «D’altronde, un po’ di sangue Herondale bolle anche nelle sue vene».
Isabelle diede una gomitata nelle costole a Jace: «Visto testone, siamo davvero un po’ parenti» sibilò.
            «Sì, ma alla lontana» la corresse Jem «Comunque, non siamo certo qui per discutere delle vostre parentele».
            «Già, sarebbe proprio carino sapere perché avete voluto farci prendere questo spavento» disse Jace, acido, riponendo la sua spada angelica e lanciando un’occhiata di sfida a Jem.
            «C’è un posto in cui possiamo parlare tranquillamente?» domandò Tessa «Abbiamo molte cose da rivelarvi».
            «Noi stavamo per gustare una deliziosa cena cinese – che ormai si sarà raffreddata – ma possiamo comunque dividerla con voi» si fece avanti Simon.
Fu Alec a fare strada fino al salotto in cui, poco prima, lui, Isabelle e Simon stavano per mettersi a mangiare. Con la massima educazione fece accomodare Tessa e Jem sulle poltrone più comode, proprio di fronte al divano su cui si stiparono lui stesso, Jace, Simon ed Isabelle.
            «Allora, cos’è che dovete dirci?» esordì lo stesso Jace, impaziente come era sempre stato, guardando a fondo i due ospiti.
            «Sappiamo chi ha rapito Clarissa Morgenstern» risposero i due, all’unisono.



BACHECA DELL'AUTRICE: E va bene, dovrò il mio stilo a qualcuno... non importa, reclametelo ed io ve lo concederò. Anyway, mettendo da parte gli scherzi per un attimo, da questo capitolo in poi direi che si entra nel vivo vero e proprio della storia, anche se questo capitolo è un po' corto, mi piace farvi rimanere con il fiato sospeso. Ve lo aspettavate di trovare anche Tessa nascosta nelle tenebre dell'Istituto assieme al suo Jem? Fatemi sapere i vostri pareri tramite una RECENSIONE, sapete che mi fa sempre piacere leggere le vostre impressioni e le vostre opinioni sui capitoli che scrivo. Detto ciò, spero che anche questo settimo capitolo vi sia piaciuto come i precedenti e che vorrete continuare a seguire la storia.
Ringrazio tutti i meravigliosi più di 1.000 lettori (un po' troppo silenziosi) e le tante persone che hanno inserito la storia tra le preferite/seguite. E ovviamente, i miei recensori fissi che, come al solito, spero sempre aumentino.
Un bacio.

-Sofi

 

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Capitolo 8
*** Il segreto ***


TESSA
 
 
Le era mancato l’Istituto di New York. Dopo tanti anni passati in quello di Londra, dopo essere tornata poi nella sua città assieme a Magnus e a Jem e dopo essersene andata di nuovo, era felice di essere lì. Mentre camminava per i corridoi, sola, lasciava che i ricordi legati a quel luogo fluissero liberamente nella sua mente, portandola indietro nel tempo, facendole rivivere splendidi momenti assieme a Magnus e a Jem. Lo stregone le era mancato nel tempo durante il quale era stata lontana da New York e le sarebbe piaciuto vederlo di nuovo.
Sapeva che, alla fine, sarebbero rimasti lei e Magnus, infinitamente immortali, costretti a vagare senza una vera meta, costretti a veder morire i propri cari, uno dopo l’altro, costretti a vivere così tante vite e a bramarne una soltanto.
            «Se stai pensando che l’immortalità sia un grande dono, giovane cacciatore, rimangiati subito quel pensiero» disse all’improvviso, voltandosi parzialmente verso Jace, appoggiato sfacciatamente ad una delle pareti.
Il ragazzo si raddrizzò e la raggiunse: «Non era quello che stavo pensando, in verità» rispose «Come hai fatto a sentirmi? Sono il migliore cacciatore in circolazione, io».
            «E la modestia è una tua grande qualità» ribatté Tessa, riprendendo a camminare «Ho delle capacità particolari, Jace Herondale».
            «Dimmi chi ha rapito Clary, hai detto di saperlo, ma ancora non avete rivelato nulla» disse Jace, camminandole accanto, con le mani in tasca e gli occhi lampeggianti di rabbia e curiosità nello stesso tempo «Perché?».
            «Perché vi avevamo chiesto di dormire un po’, prima» rispose Tessa, tranquilla.
            «Oh, è così terribile?».
            «Peggio» sussurrò la ragazza, quindi si voltò a guardarlo «Hai gli stessi occhi di James».
Jace indicò dietro di sé: «Quello là? Cioè, il tuo compagno… ? Non mi sembra proprio» bofonchiò.
Tessa scoppiò a ridere come una ragazzina.
            «Non quel James. Mio figlio» disse.
            «Hai… un figlio».
            «È morto nel 1963, tre anni prima che tuo padre nascesse, Jace. Io sono Tessa Herondale».
Jace rimase immobile a fissarla. Quella donna – quella ragazza – era una sua parente? Come poteva essere possibile? Tessa non dimostrava più di una ventina d’anni: aveva il viso ovale e pallido con enormi occhi grigi, appena infossati; aveva i capelli castani, lunghi e fluenti, lisci. Era alta e snella, dal portamento fiero, come se nella sua vita avesse visto un numero tale di cose terribile da averla resa sazia di azione ed avventura. Ma, in fondo a quegli occhi spettrali e magnetici, Jace era riuscito a scorgere un frammento di sé ed era riuscito a capire che quella donna, chiunque ella fosse, stava dicendo la verità.
Tessa si rese conto che il ragazzo era scosso ma che, nello stesso tempo, aveva compreso una grande verità. Conosceva la storia di Jace Herondale, era stato lo stesso Jem a raccontargliela tutta, senza omettere le sue opinioni su quanto somigliasse a Will. Tessa sorrise fa sé e sé.
            «Tu… » cominciò Jace, ma non trovò le parole per andare avanti.
Nella sua vita aveva incontrato solamente un’altra persona che facesse parte della sua famiglia e gli era stata strappata. Ora si trovava innanzi Tessa, giovane e bella, quasi sua coetanea, ed arrivava a comprendere che era una sua parente, di chissà quante generazioni prima. Ma era lì, vera, non sabbiosa e labile come i sogni che agitavano la sua mente. Una donna, in carne ed ossa, la donna che aveva dato origine alla sua famiglia.
            «Una cosa per volta, Jace» sussurrò Tessa «Non c’è bisogno che tu dica tutto subito. In questo, sei assolutamente uguale a Will».
Jace tremava. Sebbene il suo contegno fosse ferreo, un occhio attento come quello di Tessa se ne rese conto immediatamente. Stringeva i pugni, le braccia abbandonate lungo i fianchi, e tentava in tutti i modi di non dare a vedere la sua debolezza.
            «Io… io voglio solo trovare Clary. È l’unica persona di cui ancora mi importi davvero qualcosa» sibilò «Io… ho fatto una cosa molto brutta, Tessa Gray, e me ne vergogno da due anni. Da due anni giro come un dannato sul suolo del mondo per trovarla ed ogni volta fallisco. Ma, lo vedo nei tuoi occhi, tu sai».
Tessa annuì: «Lo so» ammise «E lo sa anche Jem».
            «Allora perché non mi hai accusato subito?» domandò Jace, incredulo.
            «Perché sarai tu, a farlo. Quelle persone meritano di conoscere la verità, ma da te».
Jace scosse la testa, il tremore del suo corpo si fece più forte.
            «Non posso, non mi perdonerebbero».
            «Abbiamo mandato a chiamare anche Jocelyn Fairchild, Lucian Graymark e il mio vecchio amico Magnus Bane» lo informò Tessa «E tu dirai la verità davanti a tutti loro».
            «E se mi rifiutassi?».


BACHECA DELL'AUTRICE: Eccoci ad un altro capitolo. Sì, lo so, non vi aspettavate che Jace potesse fare una cosa brutta, dico bene? Sorprendervi è il mio lavoro e, ovviamente, si accettano scommesse: cosa ha combinato Jace Herondale di così terribile? So che vi sbizzarrirete, quindi scrivetemi pure tutti i vostri pareri in una recensione. Come al solito, spero vi sia piaciuto e siccome mi interessa sempre il vostro parere su ciò che scrivo, non abbiate timore, e lasciatemi una RECENSIONE al capitolo, così che io possa capire cosa migliorare o cosa mantenere. Oggi devo fare un grazie speciale alle 50 persone che hanno inserito la storia nelle seguite, davvero, non mi sarei mai aspettata che la storia piacesse a tante persone.
Al prossimo capitolo, angioletti.

-Sofi

 

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Capitolo 9
*** La nuova vita di Clarissa Morgenstern ***


CLARY
 
 
            «Clarissa,» la voce del Magister arrivò alle orecchie di Clary come un respiro o un sussurro, lontana ed ovattata «cosa stai facendo sola sul balcone?».
Clary guardava la cittadina, con i gomiti posati alla balaustra e i lunghi ricci rossi mossi dallo sferzante vento freddo. L’inverno si stava avvicinando rapidamente, si trovò a pensare, mentre osservava le tremule luci delle fiaccole agitarsi nella notte densa.
Si voltò verso la porta-finestra dalla quale era provenuta la voce del Magister ed attese: sapeva che prima o poi qualcuno sarebbe uscito ad assicurarsi che non scappasse. Nessuno dei tre aveva ancora capito che la sua lealtà era ferrea, che non sarebbe tornata all’Istituto di New York nemmeno se fosse stata costretta.
Nessuno dei tre capiva che, se anche forse amava ancora Jace, non avrebbe potuto perdonarlo e lo stesso valeva per Simon, per Isabelle, per Alec, per Luke e persino per sua madre. Nemmeno con un intervento diretto dell’Angelo avrebbe perdonato uno solo di loro.
Nei due anni che erano trascorsi, spostandosi da una città all’altra, da una nazione all’altra, aveva imparato chi era la sua vera famiglia, chi erano le vere persone di cui fidarsi. Tutto era stato chiaro, all’improvviso, come riapparso nitido dopo una tempesta.
            «Clarissa?» la seconda voce che la chiamò non apparteneva più al Magister, ma a qualcuno di cui Clary, fino a soli due anni prima, aveva temuto persino il nome.
            «Sono qui, non vado da nessuna parte» sbuffò la ragazza, tornando a rivolgere la sua attenzione alla cittadina.
Era piccola, nulla più di un esteso villaggio, le cui persone erano in parte disponibili e sospettose nei loro confronti. Si stava bene, lì, era un luogo così tranquillo e pacifico. Ci sarebbe rimasta per sempre.
Colui che aveva parlato la raggiunse e si posizionò accanto a lei, con il viso rivolto in basso. I suoi capelli biondi – così chiari da sembrare d’argento sotto la pallida luce lunare – erano mossi dalla brezza notturna.
            «Io mi fido di te, Clarissa» le disse.
            «Già, come no» ribatté la ragazza «Allora perché state sempre a controllarmi come se potessi scappare da un momento all’altro? Inoltre, siamo in un luogo sperduto ed impervio, avrei poche possibilità di riuscita».
            «Io mi fido di te, Clarissa. Se gli altri sono un po’… scettici è perché non ti conoscono bene quanto me» rispose lui «Dopotutto, sei mia sorella».
 
Clary guardò Sebastian, suo fratello, dritto negli occhi neri come la pece. Ribolliva l’ira dell’inferno in quegli occhi così inquietantemente piatti. Erano quelli gli occhi in cui Clary finalmente aveva scoperto tutta la verità: come Jace l’aveva tradita, come Simon non avesse fatto nulla per impedirlo, come Luke e sua madre avessero lasciato correre. Sebastian aveva sempre avuto ragione, su tutto. E non soltanto lui. Ascoltare le parole del Magister era stato illuminante, per Clary. Aveva finalmente capito di appartenere a quel posto, a quelle persone. Forse non era mai stata buona come i suoi amici pensavano, forse non c’era davvero il sangue di un Angelo, in lei. Forse aveva del sangue di demone come suo fratello.
Sebastian le carezzò una guancia e le sorrise; ormai Clary era abituata ai suoi sorrisi, sì, perché i suoi occhi non sorridevano mai, rimanevano neri ed impenetrabili.
            «Stai tranquilla, Clarissa» le sussurrò, dolcemente «Presto si fideranno di te, presto capiranno che la tua lealtà non è più per i Cacciatori, non avere timore».
Clary gli prese una mano nella sua: «Come lo capiranno? Sono stanca di vivere da prigioniera».
            «Partiremo, domani mattina presto. Un’auto ci porterà all’aeroporto della più vicina città: abbiamo un volo da prendere».
La ragazza sussultò e sgranò gli occhi, spaventata. Un volo. Così presto?
            «Ma… lui è già pronto? Come… ?».
Sebastian accennò alla porta-finestra da cui erano entrati e Clary seguì il suo sguardo, quindi sussultò una seconda volta, più violentemente di prima. Qui vi era un uomo che Clary e Sebastian conoscevano fin troppo bene e che avevano visto morire più di una volta.
L’uomo che aveva messo in ginocchio Idris.
 
            «Sono pronto, Clarissa».



BACHECA DELL'AUTRICE: Non uccidetemi, vi prego. Comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto. So cosa starete pensando: "Finalmente si è decisa a farci capire un po' di più che diavolo sta succedendo". Eh, lo so. Ci ho messo un po', anche se ancora non è del tutto chiaro. Bene, non ho molto altro da aggiungere, se non che il prossimo capitolo non l'ho ancora finito, quind ci metterò un po' di più ad aggiornare. Come vi dico sempre, non abbiate timore di lasciarmi una recensione, perché a me fa solo piacere sapere cosa ne pensate di ciò che scrivo e, inoltre, lo ritengo un importante momento di crescita, soprattutto per me ed il mio stile. Quindi, RECENSITE.
So, vi amo.
A presto <3

-Sofi

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Capitolo 10
*** Una ricerca forse inutile? ***


JOCELYN
 
La pioggia scrosciava furiosa giù dal cielo nero quando Jocelyn venne riportata alla realtà dal campanello quasi impazzito. Sussultò un attimo prima di alzarsi, indossare una vecchia ma calda vestaglia e avvicinarsi alla porta.
Era nervosa per quella visita, ma non aveva scelta: aveva bisogno dell’aiuto di Magnus Bane, di nuovo. Avevano fatto di tutto per ritrovare Clary, avevano seguito ogni pista, ogni traccia, ma pareva quasi che lei non volesse essere trovata. Ma forse non avevano fatto abbastanza, e la nascita di Henry l’aveva distolta dalla ricerca. Era il momento di rimboccarsi le maniche e darsi da fare, di nuovo.
Posò le dite sul pomello gelido, strinse e girò. La porta si aprì, mostrando a Jocelyn una nera figura ammantata. Da sotto il cappuccio scuro come la notte un paio di gialli occhi felini brillarono, colpiti dalla luce soffusa delle lampade.
            «Jocelyn Fairchild, che piacere» mormorò suadente la voce dello Stregone «Mi inviterai ad entrare o dovrò prendere ancora dell’acqua? Sai, questi pantaloni sono piuttosto costosi…».
Jocelyn sbuffò, ma si fece da parte. A quell’ora della notte non era in vena di battute di spirito, mentre Magnus lo sembrava proprio.
Lo Stregone fece due passi ed entro in soggiorno, calando il cappuccio e guardandosi attorno: «Questo posto è cambiato parecchio dall’ultima volta» commentò.
La donna incrociò le braccia sul petto e lo guardò di sottecchi: «Clary non è qui con noi da due anni, le cose cambiano» sussurrò.
            «Già» ribatté lo Stregone «Hai poi saputo, mia cara? Vogliono entrambi all’Istituto, anche Lucian, se possibile. Una vecchia amica potrebbe avere delle informazioni su tua figlia».
Jocelyn sussultò. Tutto quel tempo passato a sperare che l’Angelo le mandasse una soluzione… le sue preghiere stavano finalmente ricevendo una risposta? Non sapeva se essere felice o sconcertata o, a maggior ragione spaventata. Se la vecchia amica di cui parlava Magnus avesse avuto solo brutte notizie? Se le avesse detto che Clary… No! Clary non poteva essere morta. L’avrebbe sentito. Senza rendersene conto scoppiò in lacrime. Non le importava che Magnus Bane fosse lì a guardarla mentre faceva sfoggio della sua debolezza. Aveva sbagliato tante cose con Clary, quei due anni le avevano fatto piovere addosso ogni suo errore. Era terrorizzata all’idea di aver perso sua figlia senza averle potuto dire addio.
Magnus le si avvicinò e la accolse fra le braccia, stringendola forte.
            «Non temere, Jocelyn, la troveremo, dovessi rivoltare entrambi i mondi» le disse.
            «Verrai con noi? All’Istituto, intendo».
            «Certamente».
            «E Alexander Lightwood?».
            «Lui è il passato».
 
 
MAGNUS
 
Rimase a casa di Jocelyn quasi per tutta la notte, bevvero un tè assieme e chiacchierarono come amici di vecchia data. Con la mente ripensarono alla piccola Clary, a come Magnus l’avesse vista crescere, anno dopo anno, di come si fosse impossessato dei suoi ricordi e di come, in un certo senso, la conoscesse quanto un genitore.
Rimase seduto di fronte a Jocelyn per gran parte della notte, fino a quando Luke non rincasò, grondante d’acqua, con l’espressione afflitta e un profondo taglio che gli attraversava il torace. Si chiuse la porta alle spalle e per poco non cadde a terra.
Il fragore del vaso che si infrangeva fece sussultare Jocelyn tanto forte che persino Magnus se ne accorse.
            «Luke!» Jocelyn si alzò e corse fuori dalla cucina, un attimo più tardi lo stava aiutando a sedersi al tavolo, accanto a Magnus.
            «Cosa diavolo ti è successo, Lucian? Non ti si può lasciar solo un minuto che torni ricoperto di sangue?» domandò lo Stregone, sorseggiando il suo tè.
In tutta risposta Luke ringhiò, mostrando i denti.
            «Magnus, non provocarlo» s’intromise Jocelyn «Luke, tesoro, cosa è successo?».
            «C’è tensione in città, sono giorni che arrivano nuove creature da ogni parte dell’America, ma arrivano senza un apparente motivo. Sono tutti attratti da un grande potere di cui non riesco a identificare la provenienza esatta. Oggi un Figlio della Luna ha tentato di prendere il mio posto come capobranco, inutile dire che non è riuscito nel suo intento, ma ci è andato molto vicino» spiegò Luke, respirando rumorosamente e fermandosi ogni tanto per riprendere fiato.
Magnus scuoteva la testa, preoccupato.
            «Vi conviene andare all’Istituto al più presto e restarci» consigliò «Ciò che sta accadendo non è nulla di buono, almeno là sarete al sicuro».
            «Cosa sta accadendo esattamente, Magnus?» domandò Luke, guardandolo con i suoi liquidi occhi da lupo.
            «Pensateci un attimo! Che tipo di potere potrebbe attrarre tanto Nascosti e demoni?».
            «Valentine è morto» si affrettò a dire Jocelyn «E Sebastian anche».
Luke la guardò, poi annuì, rivolgendosi a Magnus.
            «Ne siete davvero certi?».


BACHECA DELL'AUTRICE: Per prima cosa devo chiedervi scusa per avervi fatto attendere così tanto per questo capitolo. Davvero, vi chiedo scusa dal più profondo del mio cuore, ma sono successe parecchie cose e soprattutto sono stata molto impegnata con i preparativi per l'università. Il 7 ottobre iniziano le lezioni ed io ancora non ho un materasso, nel nuovo appartamento. Btw, passiamo al capitolo. Spero vi sia piaciuto, anche se forse non è al livello degli altri, perché molte cose stanno accadendo ed è un altro di quei capitoli di passaggio. Basta annoiarvi, come ultima cosa vi dico solo che le vostre recensioni mi fanno solo piacere e soprattutto mi aiutano a capire cosa va e cosa non va, mi aiutano a migliorare insomma! Forza, forza, RECENSITE.

With love,
-Sofi

 

 

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