The Black Stone

di Macross
(/viewuser.php?uid=33971)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Falling into Chaos ***
Capitolo 2: *** Raising fear ***
Capitolo 3: *** Daemons & Rooms ***
Capitolo 4: *** Escape ***
Capitolo 5: *** Prelude to Firestorm ***
Capitolo 6: *** Annihilation ***



Capitolo 1
*** Falling into Chaos ***


5120380M39 - Mondo Agricolo di Hephaestus

Sistema Alpha Trinarius. Sottosettore Gamma. Settore Fortius, Segmentum Tempestum.

Il sole giallo riscaldava con i suoi raggi la pianura coltivata. Gli occhi stanchi del vecchio contadino guardavano con fare affabile le volute di nebbia che lentamente s'innalzavano, liberando i colli dal loro sudario. Piccoli volatili innalzavano i loro canti in onore dell'alba, mentre il carretto si muoveva lentamente su una strada sterrata.
Un misto di odori colpiva con intensità le narici dell'uomo, ma fra tutti spiccava quello del grano appena tagliato, segno che il tempo della mietitura era ormai giunto.
Udì chiaramente l'aprirsi della porta del cascinale lontano alcune centinaia di passi, e vide la giovane contadina, sua nipote, recarsi verso di lui sorridendo.
L'anziano era molto felice della sua vita, fatta di duro lavoro e piccole gioie familiari. Sorrise alla ragazza, prendendo il piccolo cestino dal quale emergeva un forte odore di cibo speziato, che avrebbe consumato durante la pausa pomeridiana. Poggiò il cestino sul retro del carro, mormorando dei ringraziamenti nel suo stretto dialetto, che ormai erano rimasti in pochi a parlare.
Mentre riprendeva il suo cammino, la seguì con lo sguardo mentre si allontanava a passo veloce e rientrava in casa, chiudendo la porta leggermente per non svegliare gli altri occupanti. Tuttavia il suono della chiusura riecheggiò per la pianura silente.
L'anziano proseguì ancora per circa una lega o due, lungo le strade di pietrisco assolutamente desolate, solamente l'occasionale cinguettio degli uccelli mattutini lo distraevano dai suoi pensieri.
Come di consueto si fermò brevemente alla fontana di pietra costruita molto tempo fa, e dopo le consuete abluzioni, alzò il suo sguardo.
Come sempre, gli occhi puntarono automaticamente in direzione del monolite immobile, che stagliava la sua figura nera nel cielo brumoso: la Pietra Nera. Egli provava una forte inquietudine tutte le volte che si trovava in presenza della pietra.
Non sapeva né chi l'avesse piazzata lì né chi l'avesse costruita. Sostanzialmente, era un grosso monolito alto circa quattordici piedi e largo tre alla base. La superficie, completamente liscia e levigata in maniera impossibile, non rifletteva la luce né nessun tipo di immagine; sembrava quasi assorbire i raggi del sole. Con un brivido, si affrettò a rimontare sul carro ed allontanarsi: non gli era mai piaciuta e tutte le volte provava un grosso disagio a passare di lì.
Scacciò i pensieri inquieti e tentò di concentrarsi sul lavoro della giornata, ma scoprì di non riuscirci. Quello che aveva visto la sera prima, al ritorno, l'aveva lasciato con una sensazione di amaro in bocca.
La nipote era vedova, il marito che amava molto era morto tempo prima in un disgraziato incidente, anche se le malelingue insinuavano che era stato ucciso per via di una non meglio specificata maledizione.
Da un po' di tempo, uno dei giovani del villaggio, un poco di buono, aveva preso a fare la corte alla ragazza, ma lui si era opposto.
Lo conosceva bene: era un violento e un vagabondo. Era arrivato addirittura a minacciarlo, e lui aveva promesso di fargliela pagare.
La sera precedente l'aveva sorpreso mentre tentava di forzare l'ingresso di casa della nipote. Allora l'aveva minacciato con il forcone, intimandogli di non farsi più vedere, altrimenti l'avrebbe infilzato.
- Me la pagherai, vecchio -, aveva urlato.
La giornata passò senza intoppi, ma mentre tornava al suo cascinale, vide una figura umana accanto alla pietra. Era il giovane della sera prima, lo scapestrato.
Aveva i capelli arruffati, era sporco, ma non di terra e puzzava, ma non di sudore. Riusciva a percepire il puzzo di vino provenire da lui. “Pensa di darsi coraggio con l'alcool. Se crede di spaventarmi si sbaglia di grosso.”
- Salute, vegliardo.-
- Cosa vuoi?, - esclamò rudemente l'uomo. - non voglio avere nulla a che fare con un rifiuto come te, vattene. -
- Non me ne andrò fino a quando non avrai dato il consenso per il matrimonio! -
- Che le mie orecchie non debbano più ascoltare una blasfemia del genere! Mia nipote non si risposerà mai con uno come te. -
Il vegliardo era fuori di sé. Mai, prima d'allora, aveva provato un odio così atroce e annichilente. Lo voleva morto e l'intenzione omicida appariva nei suoi occhi stanchi come una nube vulcanica.
- Allora...MUORI! - aveva esclamato il giovane, più un ruggito che un urlo.
Con uno scatto felino saltò sul carro, facendo cadere l'uomo. I due si scambiarono alcuni colpi, mentre rotolavano in direzione della pietra.
Il vecchio sapeva il fatto suo e per una persona della sua età aveva un'eccellente forma fisica, ma il giovane aveva dalla sua un corpo atletico e una bramosia di morte che all'anziano mancava.
C'era qualcosa di innaturale nel combattimento: i contendenti sbavavano come cani rabbiosi, quasi non fossero in sé. Non era una semplice lotta, sembravano quasi posseduti da entità che i vegliardi narravano solamente nelle notti più tenebrose ed oscure.
Il ragazzo prese la testa del vecchio tra le mani, che era sotto di lui e non poteva muoversi.
I colpi dell'osso cranico sulla pietra nera risuonavano come rintocchi di una campana mortuaria, il sangue imbrattò la superficie di basalto. Sogghignando di gioia, egli pensava di avere l'uomo in pugno, ma all'improvviso il giovane si fermò, cacciando un urlo e tenendosi le budella.
Uno squarcio di grosse dimensioni s'apriva ora sul suo addome, facendo intravedere le viscere tra il sangue che colava copioso.
Rantolò ancora, ma il vecchio fu sopra di lui e lo accoltellò ancora ed ancora, fino a che non la vista non gli si appannò per scivolare in un sonno senza sogni.
Nessuno vide il sangue che lentamente veniva assorbito in un'oscena parodia di un uomo assetato d'acqua dalla pietra. Nessuno si accorse che la pietra aveva cominciato a brillare di un chiarore vermiglio, certamente ad un osservatore casuale sarebbe sembrato il piacevole effetto dei raggi del sole morente sulla superficie, ma nell'aria era possibile avvertire un lamento lontano, di anime fagocitate nell'Immaterium che reclamavano i sacrifici a loro dovuti.
Il sole calò ma la luminosità rossastra persisteva, simile al fuoco degli inferi e monito di sciagure imminenti.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Raising fear ***


La luce del giorno riusciva stancamente ad oltrepassare la solida coltre di nubi dall'aspetto opalescente che ormai ricopriva la troposfera di Hephaestus da alcuni giorni.
Gli animali sembravano spariti dalla circolazione, perfino la fauna selvaggia non dava segni di vita.
L'unica presenza costante era quella degli insetti, che volavano in sciami numerosi tormentando gli uomini. Le ombre degli oggetti sembravano sparire e riapparire ad intervalli regolari, l'aria era satura di un'umidità asfissiante, ma soprattutto era pregna di un odore dolciastro.
La prima analogia che sovvenne all'uomo fu di cadaveri in avanzato stato di putrefazione, ma non vi erano carcasse di animali negli immensi campi abbandonati.
Non c'era traccia di attività umana; gli indigeni che non erano fuggiti con le navi spaziali si erano rintanati nelle proprie abitazioni.
La paura li inchiodava sul posto: quella popolazione non era avvezza alla violenza che permeava l'universo conosciuto e reagiva come una massa di topi spaventati; nonostante i ripetuti appelli a mettersi in salvo, non volevano saperne di abbandonare le proprie case.
L'uomo bevve qualche sorso del tonico rinfrescante, cercando di fare chiarezza nei suoi pensieri; non avrebbero mai fatto in tempo a salvare tutti, non avevano abbastanza uomini e non potevano certo mettersi a controllare tutte le case su quel mondo vastissimo: da sempre tra i più pacifici del settore, aveva registrato un incremento vertiginoso degli omicidi nelle ultime ore.
L'uomo scacciò una mosca con un movimento stizzito della mano, un insetto piuttosto grosso e dotato di grosse ali iridescenti.
Alcune stentoree invocazioni al Dio Imperatore capitalizzarono per un attimo la sua attenzione, distogliendolo dai propri pensieri.
L'uomo si affacciò alla finestra, il suo sguardo era totalmente indecifrabile mentre seguiva la processione.
- Tremate, perché il tempo dell'Espiazione è giunto!
Confessate i vostri peccati nell'ora più buia. Pentitevi! Pentitevi! -
Le bianche tuniche degli predicatori erano lordate di fango e i segni di numerose vergate facevano somigliare le schiene ad un campo arato di recente.
Con ogni probabilità, le punizioni corporali erano auto-inflitte.
“Fanatici. Hanno una loro utilità.”.
Sapeva che alcuni suoi confratelli li usavano nelle loro missioni, egli stesso ne aveva approfittato in qualche occasione, ma nonostante ne riconoscesse l'utilità non gli piacevano. Erano scarsamente controllabili, da utilizzare più come una mandria di Grox inferocita che come seguaci.
Riportando ordine nei propri pensieri, riprese a leggere il patapad poggiato scarno tavolo di cucina, costringendo quasi le parole verdi sul monitor nero a fornigli una spiegazione.
Vide il riflesso del suo volto sul monitor: un viso scarno e incavato, ma con lo sguardo vivido e brillante, “da imputare all'effetto degli stimolanti. Sicuramente”.
Dette un'ennesima occhiata intorno, ma tutto sembrava al suo posto.
Aveva infatti preso residenza nell'abitazione del vegliardo barbaramente ucciso pochi giorni prima, tentando di scoprire una traccia che lo aiutasse nelle indagini.
Ma non aveva trovato nulla.
L'ispezione effettuata sul monolito, invece, aveva dato dei risultati migliori: aveva chiaramente percepito una presenza maligna. L'aveva sentita sempre più forte, ad ondate di marea, mentre si avvicinava. Era svenuto ed aveva perso sangue dal naso: un chiaro esempio di attività psionica avversa.
Ripresosi, non aveva perso tempo ed aveva inviato una richiesta di soccorso via astropatica.
Poi, si era racchiuso in preghiera, implorando il suo Dio affinché ascoltasse il grido d'aiuto del suo umile servo. Sentì bussare alla porta. Istintivamente afferrò la pistola pesante poggiata anch'essa sul tavolino, prima di invitare l'ospite ad entrare.
- Avanti -
La porta si spalancò per lasciar entrare un tozzo soldato, sulla quarantina, con i capelli brizzolati ed indosso un'armatura pesante della Guardia. Appoggiato sulle spalle con fare non curante aveva un pesante fucile laser.
Puzzava di sudore.
- Novità? - - Altri dodici omicidi nelle ultime due ore. Due nel quadrante rurale 12-45. Gli altri nella capitale. Nonostante la legge marziale, il fenomeno non accenna a diminuire -
L'uomo chiuse gli occhi, meditando per alcuni minuti. Si lisciò il pizzetto curato con un movimento lento, quasi lo aiutasse a riflettere.
- Mio signore, se posso permettermi, - il soldato si bloccò, riprendendo a parlare al sottile segno di assenso dell'altro: - tutto questo mi sembra una replica di quello che è successo su R'maninan Primus. -
- Già -
- Se così fosse, questo mondo è condannato -
- Non è ancora detto. Dalla produzione agricola di Hephaestus dipende la maggior parte dei mondi del sottosettore. Hai idea di cosa significhi perdere questo pianeta, Gus? Miliardi di persone destinate a morire di fame. Carestia, rivolte, mondi in stato di agitazione per decenni -
L'ex Guardia chinò la testa di lato, grattandosi con una mano assai tozza. Evidentemente faceva fatica ad afferrare tutte le implicazioni del caso. Non era stato reclutato dall'Inquisizione per le sue doti mentali, rifletté.
“Pensare che questo doveva essere un periodo di riposo”. L'uomo si alzò. Era alto e di corporatura snella, con il cranio completamente rasato e il volto nascosto da un cappuccio. Indossava una tunica beige senza nessun segno di riconoscimento.
- Seguimi, Gus. Andiamo dal Governatore Planetario. Ammesso che non sia già troppo tardi -
I due uscirono senza curarsi di chiudere la porta alle proprie spalle.
Saliti su un piccolo veicolo a sei ruote, si diressero in direzione della Capitale a tutta velocità.
Giunti nei pressi della sede del Governo Imperiale, furono fermati da una pattuglia delle Forze di Difesa Planetaria, che li lasciò passare appena videro il piccolo amuleto a forma di “I” che l'uomo estrasse dalle pieghe della tunica. Furono ricevuti in una piccola sala adiacente al palazzo in brevissimo tempo.
Nonostante fosse giorno, le candele erano state accese e si respirava un forte profumo d'incenso, di cui l'Inquisitore fu sommamente grato.
Da una parte, un piccolo altare dedicato a San Josmane, il Protettore di Hephaestus, era stato decorato con fiori e ai piedi della statua raffigurante il santo giacevano alcune primizie.
Nel mezzo del pavimento della stanza spiccava un grosso mosaico con l'Aquila Bicefala, simbolo dell'Imperium, gialla su fondo rosso.
Il Governatore li stava aspettando nel centro della sala.
Egliera un uomo sulla sessantina, grasso e con una chierica. Sembrava sommamente a disagio: l'Inquisitore poteva percepire l'aura di disperazione e di inquietudine che ricopriva l'anziano come un sudario, anche senza bisogno dei suoi poteri.
Era sufficiente guardarlo negli occhi per leggere la sua angoscia.
- I-inquisitore...? -
- Governatore Kasparov -
- Inquisitore, abbiamo incominciato l'evacuazione come ci avete richiesto. Circa il sessanta percento della popolazione è già in orbita. Abbiamo requisito le navi da trasporto dei mercanti, come ci aveva richiesto, però questi hanno protestato vivacemente -
- Non mi interessa, questo è un ordine inquisitorio - esclamò secco l'Inquisitore.
- Capisco la sua posizione, ma i raccolti, le merci... - incominciò a farfugliare, asciugandosi il sudore con una manica del lungo abito color porpora. -
- Governatore, si rende conto che se non agiamo in fretta...-
La discussione fu interrotta da un boato simile ad un tuono. Il Governatore cadde in ginocchio, portandosi le mani al volto e iniziando a piagnucolare. L'Inquisitore corse fuori e vide uno spettacolo orrendo: il cielo a sud era diventato totalmente rosso sangue. Non aveva certamente bisogno di un cartografo per sapere che il fenomeno era localizzato proprio sopra la Black Stone.
Tutt'intorno, le guardie della FDP (Forze di Difesa Planetaria) si facevano il segno dell'Aquila e pregavano per non cedere al panico.
“E' cominciata.”

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Daemons & Rooms ***


La notte non aveva portato quella tranquillità tanto agognata dal piccolo gruppo di superstiti, rifugiatosi dentro l'oscuro dedalo del sotterraneo del palazzo. Essi si trovavano sotto alcune decine di metri di terra e roccia, incastrati tra muri di mattoni pregni di muffa e corridoi umidi di condensa.
Nonostante questo, non erano isolati ermeticamente; sottilmente, tra l'aria stantia era possibile avvertire l'odore dolciastro di putrefazione, che non aveva smesso di accompagnare l'Inquisitore da quando la situazione era degenerata.
Fuori, il cielo ruggiva in lontananza di tuoni e lampi, ogni colpo una bestemmia nei confronti del Divino Imperatore dell'Umanità.
Il silenzio, assoluto, mortale, era interrotto ogni tanto da un grido o da un ruggito che di umano non aveva nulla. - Questa umidità ci ucciderà prima dei... -
- Fate silenzio. E' un'ordine. -
Se chiudeva gli occhi poteva vedere i muri sanguinare, o forse era solamente una sua impressione?
In un angolo,accucciato e con la testa fra le grasse gambe giaceva il Governatore, prostrato mentalmente e fisicamente. L'attempato uomo singhiozzava rumorosamente, causando l'irritazione degli altri presenti.
Nessuno però osava dirgli nulla: rimaneva sempre il Signore Supremo di Hephaestus. “Forse, solamente per qualche ora ancora.”, rifletté l'Inquisitore con un sorriso amaro.
Sembravano destinati a morire lì, tra quei corridoi bui.
Da devoti servi dell'Imperatore, avevano pregato affinché trovassero il coraggio di affrontare la propria sorte.
Avevano pregato affinché il Divino Maestro dell'Umanità concedesse ai Suoi servi la possibilità di trovare una morte onorevole.
Avevano pregato per una fine veloce e gloriosa, ma probabilmente non l'avrebbero ottenuta.
Un rumore di passi colse tutti di sorpresa... - l-lo hai sentito anche tu? -
- Zitti! Allinearsi in due file, armi puntate verso la porta, muoversi! -
Sembrava provenire da uno dei corridoi esterni, ma, rapido com'era stato avvertito, era sparito.
Le Guardie formarono due linee, la prima inginocchiata e la seconda subito dietro, in piedi, con le armi puntate in direzione della porta.
Perfino il Governatore aveva estratto la sua arma, una pistola laser riccamente decorata, un pezzo assai pregiato patrimonio della sua famiglia da secoli.
Gli intarsi placcati d'oro brillavano di una pallida luce assassina tra le ombre proiettate dalle elettro/candele presenti nel piccolo rifugio, ma la presa era tutt'altro che salda; lo scintillio causato dal tremore innervosiva ancora di più i soldati.
Di nuovo un rumore di passi, stavolta più vicino.
L'espressione dell'Inquisitore si fece preoccupata: il suono non era riconducibile a quello di un paio di stivali, bensì assomigliava maggiormente al rumore dei passi dei cavalli sul selciato in pietra della cittadina.
Un rumore provocato da zoccoli e non da un piede umano.
Adesso era possibile avvertire i respiri degli uomini, somigliante alla risacca delle onde che si infrangevano sulla scogliera e tornavano indietro.
- Oh, Santissimo Imperatore... -
Il Governatore batteva i denti, senza riuscire a fermarli. La sua pistola laser tremava vistosamente, l'abito porpora annerito dalla fuliggine e dall'umidità persistente, il viso contratto in una smorfia di paura.
- Si controlli. -
Gus invece sorrideva, sulla sua faccia era chiaramente leggibile un forte senso di anticipazione.
A lui piaceva combattere. La sua mente era piccola, pratica, mossa da istinti e devozione in uguale misura. Una mente “semplice”, facilmente controllabile.
Soprattutto, una mente che non dubitava mai, e quella era una vera e propria benedizione. “La strada della dannazione è lastricata dai dubbi”.
Di nuovo silenzio, ma questa volta nell'aria c'era un forte odore metallico, di rame.
L'odore del sangue.
Non ci voleva un particolare acume per sapere che quell'odore veniva dall'ospite inatteso nel corridoio.
“Probabilmente ancora non riesce a manifestarsi appieno da questa parte.”
L'Ordine a cui apparteneva l'Inquisitore si occupava di manifestazioni sovrannaturali.
Si trattava del temuto Ordo Malleus, oscuro perfino rispetto agli standard dell'Inquisizione.
L'addestramento che aveva ricevuto prevedeva una conoscenza approfondita dei mezzi e dei metodi con cui le creature maligne dell'Immaterium, una dimensione di spirito ed energia, si manifestavano della dimensione reale: il luogo di nascita delle creature che avrebbero affrontato nelle prossime ore.
Probabilmente la Black Stone non era altro che una sorta di portale tra i due mondi, dimenticato su questo pianeta chissà da quanto tempo. Un portale che apriva una fenditura nell'Immaterium e consentiva ai Demoni di manifestarsi liberamente.
L'uomo chiuse gli occhi per un attimo, un'istante che durò un'eternità.
- Arriva. Pronti al fuoco. -
Era pienamente consapevole che questo mondo era condannato. Una persona comune non poteva osservare le malevole entità del Warp (altro nome con cui veniva chiamato l'Immaterium) e rimanere con la propria sanità mentale intatta. Solo le menti più forti erano in grado di preservare la propria integrità.
Quando aveva visto il cielo squarciarsi e tingersi delle tinte più fosche del sangue, aveva compreso la portata del fenomeno; non si era fatto illusioni, no. Sapeva benissimo cosa li attendeva.
L'unica cosa che potevano fare era aspettare, e cercare di rispedire il maggior numero di Demoni dall'altra parte. La porta uscì dai cardini con violenza inaudita.
Sì udì un urlo inumano, nemmeno cento leoni avrebbero ruggito così.
Un lampo vermiglio irruppe nella stanza e i fucili laser fecero fuoco all'unisono, attraversando solamente l'aria e bruciando la parate del muro. - Ma dov'è? DOV'E'? -
- Attenti! A destra! A DESTRA!!! -
L'Inquisitore rotolò al suolo, mentre due guardie esplodevano, dilaniate a metà e imbrattando con il loro sangue la faccia del Governatore, che urlò e cominciò a sparare all'impazzata, ferendone una terza.
Adesso potevano vederlo abbastanza bene: una forma trasparente di colore rosso, che si muoveva avvolta da una nebbia vermiglia, attraverso la quale si intravedevano occhi e artigli senza ordine logico.
L'Inquisitore sapeva che la sola presenza della creatura avrebbe turbato i suoi sogni, ma doveva agire.
Estrasse la sua arma, un'ascia intarsiata di colore bluastro, con due grossi sigilli di purezza sul manico.
Percosse più e più volte il Demone, fino a quando un colpo ben assestato lo mandò a gambe all'aria con un grosso squarcio sul fianco. Gus fece fuoco, ed in qualche modo contribuì a farlo indietreggiare, dilaniandogli il petto e facendo uscire uno strano liquame somigliante a pus.
L'Inquisitore si rialzò, aiutato da una Guardia, mentre il Demone ringhiava ferocemente seminando lo scompiglio nella piccola stanza. L'odore del sangue sembrava rinvigorirlo.
Altre guardie caddero, la stanza era diventata un mattatoio.
Le membra venivano strappate dalla loro sede e proiettate con voli circolari tutt'intorno. Il sangue schizzava dalle ferite e le urla del mostro si confondevano con quelle degli uomini, innalzando una preghiera al più grande degli Dei oscuri.
La bestia ruggiva e rideva sguaiatamente, beandosi del massacro che stava seminando, fino a che l'Inquisitore ebbe la meglio colpendola alle spalle con la sua ascia.
Ci fu un lampo vermiglio e uno scoppio ovattato, e la creatura sembrò sparire come era venuta.
Rimanevano soltanto i cadaveri degli uomini, sparsi lungo la pavimentazione. Un sottile strato di liquame organico si spandeva per la stanza, mescolandosi al sangue dei caduti.
“Dobbiamo andarcene da qui. Ammesso che ci sia un posto dove rifugiarci”.


Note dell'Autore

Grazie a tutti per le recensioni, passo qui sotto a rispondere ai commenti di questo capitolo:

@Solitaire: una delle cose belle di Warhammer 40.000 è proprio il senso di sollievo che si prova quando ci rendiamo conto di come siamo fortunati a vivere in quest'epoca :)
@Atlantislux: per ora non ti posso anticipare nulla perchè scrivo volta volta i capitoli, cmq l'azione degenererà ulteriormente.
@let: terrò in considerazione i tuoi suggerimenti. Di certo non finisce così (ih ih ih)

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Escape ***


I passi di quattro persone risuonavano nel corridoio deserto.
Avevano cercato disperatamente riparo in un altra stanza, fuggendo dal carnaio e dal tanfo dei cadaveri in decomposizione; poi in un'altra ed in un'altra ancora, fino a che il Governatore aveva farfugliato qualcosa, a proposito di una navetta dismessa in un hangar a sud di dove si trovavano attualmente.
C'erano voluti alcuni minuti, accompagnati dalle minacce dell'Inquisitore, prima di riuscire ad estorcere una descrizione sommaria della zona di lancio.
Probabilmente l'Imperatore aveva donato loro una flebile speranza: il palazzo non era eccessivamente grande. Le sue dimensioni ridotte rispetto alle grandi opere dei mondi industrializzati lo rendevano più che adeguato ad un mondo agricolo.
Tuttavia, l'Inquisitore era preoccupato a proposito della presenza o meno di una strada sotterranea, in modo da evitare la superficie e i pericoli che in essa si celavano. Il puzzo di putrido si era fatto ancora più forte, mentre percorrevano i piccoli cunicoli, infestati da ogni sorta di parassiti.
La Guardia sanguinava da un braccio, era stata medicata sfruttando alcuni stracci ricavati dai vestiti dei caduti. L'Inquisitore lo scrutò per un attimo,prima di rivolgere nuovamente la sua attenzione alla strada. “Anche con un braccio fracassato, costui è assai più utile di questo signorotto da quattro soldi”.
Il gruppo procedeva il più speditamente possibile, abbandonando quasi del tutto la cautela.
Sapevano dove erano, era perfettamente inutile nascondersi. Una piccola torcia illuminava a stento il corridoio, l'oscurità sembrava risucchiare la scarsa illuminazione presente.
- Cosa c'è? -
- L'hai sentito anche tu? Sembrava un suono come di gocce che cadono sulla pietra. -
- M.ma...
- Si controlli, ho detto. -
Più avanti, li attendeva uno spettacolo sconcertante: la parete ovest stava letteralmente sudando sangue. Il suono che avevano udito precedentemente proveniva da lì. In terra si era formata una piccola pozza. Avvicinatosi per osservarla meglio, l'Inquisitore notò che la pozza non aveva una forma tondeggiante, ma spigolosa. Sembrava quasi che il suo insieme formasse un simbolo.
- Non guardatela e non avvicinatevi -
Passarono oltre, ma il suono continuava, assumendo tonalità cupe di una campana di bronzo.
Il Governatore stringeva la sua pistola ferocemente, come se essa potesse salvarlo in qualche maniera. Le nocche delle dita erano bianche e la fronte imperlata dal sudore.
Sembrava ancora più pallido, quando la luce della torcia lo illuminava fugacemente.
L'Inquisitore si voltò nuovamente a scrutare la Guardia, avendo udito il suo respiro affannato. Al minimo segno di possessione demoniaca l'avrebbe giustiziato senza pietà. Lo sguardo dell'uomo era spento, probabilmente era sotto shock per aver visto i propri compagni, con cui aveva riso e bevuto fino al giorno precedente, trucidati inumanamente da una cosa che non esisteva. Fortunatamente, temeva abbastanza l'Inquisitore da non abbandonarsi all'isteria più completa. Inquisitore, ci siamo. Quella è la porta di uscita. - - Gus, aprila. -
Il grosso ex-Guardiano riuscì ad aprirla, facendola cigolare rumorosamente.
- Fai piano, maledizione -
- Perdonatemi, mio signore -
Si affacciarono cautamente: ai loro occhi si presentò un grande piazzale. Le strisce gialle delle baie d'atterraggio erano diventate arancioni a causa dell'atmosfera tinta dei colori di un tramonto iridescente. L'aria sembrava totalmente sterile, forse leggermente carica di ozono, il che non era necessariamente un bene.
In lontananza era avvertibile un rombo, una sorta di basso brontolio che minacciava di esplodere da un momento all'altro.
Nel mezzo al piazzale era parcheggiata una navetta di tipo civile, le insegne imperiali con l'aquila bicefala brillanti nel sole morente del tardo meriggio.
Si avvicinarono correndo e salirono a bordo, mentre il rombo saliva di intensità fino a diventare un boato.
L'Inquisitore si mise ai comandi ed effettuò una partenza rapida, facendo ruggire i motori di vita e puntando direttamente verso lo spazio profondo a massima velocità. La superficie planetaria si faceva sempre più piccola, le case abbandonate diventarono presto puntini privi di significato.
La navetta entrò in uno strato di nubi opalescenti. L'Inquisitore avvertì la pressione del cranio aumentare, due leggeri rivoli di sangue fuoriuscirono dal suo naso. I sigilli di purezza che aveva con se incominciarono a fumare copiosamente. Presto l'aria dell'abitacolo si saturò dell'odore di ceralacca fusa mista a zolfo. Scintille comparivano e scomparivano dalle pareti, mischiando fumi verdastri all'ambiente già saturo di odori. Gli scoppiettii ricalcavano fedelmente una risata emessa da una gola non umana. Dalla consolle di comando ci fu un forte sfrigolare. Ma l'inquisitore aveva altro a cui pensare:
- ...stanno...stanno tentando di...ma non glielo permetterò... -
Inquisitore? -
- Quasi non ce la fece a rispondere, l'entità stava attaccando. Invisibili aghi perforavano il suo cervello, provocandogli un dolore lancinante e oscurandogli la vista. - Presto, iniziate a recitare le Litanie di Purezza. Tutti! -
Presto, quattro voci si misero a salmodiare un canto di liberazione dalle oscene entità dell'Immaterium. La pressione diminuì subito, anche se l'entità lottava ferocemente per non perdere il controllo. La consolle cominciò a bruciare, e Gus fu costretto a spegnere l'incendio con il piccolo estintore portatile. Fiamme verdi minacciavano di trasformare l'ambiente in un rogo.
Dopo pochi minuti l'Inquisitore sentì la pressione del cranio diminuire.
“La prossima volta non saremo così fortunati”, pensò, osservando brevemente la cera dei sigilli che gocciolava, ormai inservibile, ai propri piedi. Passato lo strato di nubi, diede potenza ai motori al plasma raggiungendo così la velocità di fuga.
La Guardia vomitava silenziosamente in un angolo, il Governatore invece giaceva svenuto sul suo seggiolino: lo stress e delle forze gravitazionali avevano avuto la meglio sul suo fisico opulento. “Almeno non daranno fastidio”. Li accolse lo spazio nero della notte, immobile ed eterno. Alle loro spalle, Haephestus era solo una palla multicolore che sembrava gonfiarsi e sgonfiarsi, in un'oscena parodia di un cuore umano, con tanto di vene purpuree e violette formate dai fulmini.
- Santissimo Imperatore... -
Gus vedi se riesci ad aprire un canale di comunicazione. - - Non posso. L'attraversamento dello strato di nubi deve aver danneggiato l'apparato. - , disse l'uomo mentre armeggiava goffamente ai comandi, il fucile a pochi metri dallo schienale con la sicura inserita.
- Sei in grado di ripararlo? -
- Mio signore, non sono un tecnoprete. -
Allora possiamo solo affidarci nelle mani dell'Imperatore. - Passarono alcune ore. La navetta si allontanava dal pianeta silenziosamente, verso lo spazio esterno.
Nessuno a bordo osava fiatare. Il Governatore si era ripreso, aveva chiesto subito cibo ed acqua. Ne avevano approfittato per fare una piccola pausa, razionando le poche scorte che avevano trovato.
Poi avevano ripreso ognuno i propri posti. La Guardia pregava, il Governatore dormiva.
Nessuno aveva tentato di fare conversazione, tutti erano chiusi nei propri pensieri.
- Signore...i sensori...stanno facendo qualcosa di strano... -
- Fammi vedere - Era inequivocabile: qualcosa stava uscendo dal Warp.
Qualcosa di molto grosso. “Una nave. Speriamo solo che sia imperiale”.


L'angolo dei commenti

Risponderò in questo piccolo angolo alle recensioni e alle domande.

cassiana: sono lieto che ti sia piaciuto l'attacco mentale, ci ho studiato un po' per renderlo credibile, inoltre mi sono basato su un fumetto di WH40K e su un racconto (sempre di Warhammer)

let: devo ancora decidere. C'è anche la possibilità che non sia ne l'una nell'altra cosa.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Prelude to Firestorm ***


La luce delle elettrocandele proiettava ombre tremolanti sul tavolo al centro della stanza.
Ampi pannelli rettangolari di vetro/acciaio consentivano la vista del panorama antistante il vascello stellare, anche se quelle a sinistra erano chiuse ermeticamente, occludendo lo sguardo dalla visione del pianeta corrotto.
Davanti una delle finestre aperte, si stagliava alta una figura avvolta nella semi oscurità, dalla quale sembrava espandersi, ad ondate concentriche un senso di potere difficilmente associabile ad un comune essere umano.
All'estremo del tavolino, un uomo incappucciato sorseggiava da un bicchiere un liquore dal colore violaceo, che macchiava le labbra di numerose costellazioni purpuree.
L'odore degli aromi nocivi alle creature del Warp si spandeva per tutto il salone, in maniera debole ma persistente, impregnando i vestiti dell'uomo del solito odore che respirava regolarmente durante il suo indottrinamento.
Una cortesia del suo graditissimo padrone di casa, anche se probabilmente era inconsapevole di causare all'Inquisitore un piacevole senso di “familiarità”. - Inquisitore? -
La voce proveniva dall'uomo in penombra, come se fosse filtrata da spessi panneggi. Un luccichio proveniva dalla sua mano.
L'Inquisitore poggiò il calice sul tavolo, con più forza del previsto. Sembrò attendere qualche attimo prima di rispondere:
- Approntate le misure necessarie e facciamo finire questa Eresia il prima possibile, Fratello-Capitano. -
- Saranno necessarie due ore. I nostri Techmarine stanno lavorando alle testate. I rituali richiedono tempo, abbiamo iniziato appena abbiamo ricevuto al vostra richiesta.-
- Siate benedetti per aver risposto così solertemente, Fratello-Capitano. -
L'Inquisitore si alzò in piedi e cominciò a passeggiare. -
L'Inquisitore si prese un po' di tempo per rispondere: rimirò innanzi tutto la stanza, come se la vedesse per la prima volta, poi il pavimento, di marmo nero, ed infine l'armatura del Fratello-Capitano, soffermandosi ad osservarne i dettagli con occhio critico e da esperto.
- Siete dei Leali servi dell'Imperatore. -
- Noi esistiamo solo per Servire, lo sapete bene. La nostra lealtà va all'Imperatore, - la figura in penombra abbassò leggermente il capo, e si portò la mano stretta a pugno sul petto, - benedetto sia il Suo Nome nei secoli eterni. -
- Veramente, sia benedetto e porti disperazione alle entità maligne. Quando sarete pronti? -
- Due ore. Volete accompagnarmi in Cappella per pregare? -
- Molto volentieri, Fratello-Capitano. -

Qualche centinaio di metri più sotto, stava avvenendo una specie di interrogatorio. In due sale separate, il Governatore e la Guardia superstite stavano subendo un esame accurato da parte di uno staff di esseri che di umano avevano poco.
La Guardia era spaventata: aveva sentito parlare dei “servitori” ma non en aveva mai visto uno da vicino. La tecnologia lo metteva in soggezione, specie quando guardava nelle orbite dei loro occhi, completamente vuote e prive di qualsiasi traccia di umanità.
Dietro di lui avvertiva la presenza incombente di altre creature, ma non gli era stato possibile girarsi: aveva il collo saldamente bloccato ad una specie di trono, con alcuni tubi di drenaggio collegati al braccio sinistro.
Gli facevano male, ma non osava parlare o lamentarsi, per paura che gli accadesse qualcosa di orribile.
Senti poggiare delle mani immense sul cranio. Avvertì un formicolio, poi una sensazione di calore pulsante.
Perse per un attimo al vista, abbagliato da una luce violetta come di un fulmine, mentre percepiva che non era più solo all'interno della propria testa.
Una presenza irresistibile frugava ogni ricordo, ogni traccia di memoria, senza pietà. La determinazione nello scoprire i suoi segreti da parte dell'altro lo fece sbavare e sobbalzare, come se fosse stato colto da un attacco di epilessia.
All'improvviso si senti nuovamente libero. Gli strani ibridi tra macchina e uomo lo liberarono dai cavi.
- Sembra libero dall'infezione del Warp. -
- Scortatelo alla sua cella. -
Senza troppe cerimonie, due dei costrutti lo rialzarono di peso e lo spinsero sgarbatamente avanti, lungo dei corridoi alimentati da fiaccole, fino ad un piccolo loculo. Lo invitarono ad entrare e poi lo chiusero a chiave dentro. Nella cella c'era un letto e una brocca d'acqua, ma di cibo nemmeno l'ombra.
- Ehi, scusate, - Ma non lo fecero finire di parlare.
- Silenzio. -
Era nuovamente prigioniero, ma adesso nella solitudine della sua stanza poteva piangere i compagni caduti in libertà. Non osava farlo di fronte all'uomo incappucciato: lo temeva come giustamente la sua organizzazione andava temuta. E così fece, con la testa reclina sul piccolo letto duro, inzuppando le lenzuola di tela grezza del suo pianto.

Trovò Gus nella sua cella, che dormiva rumorosamente. Lo guardò dalla feritoia della porta per alcuni istanti, poi si diresse verso il suo alloggio, per riposare alcune ore. Il bombardamento interplanetario sarebbe iniziato presto. Si sentiva stanco, carico del fardello di mille e mille anime morte per mano del Chaos. Sarebbe andata peggio.
Era stato addestrato a quell'atto di genocidio, il suo Maestro, l'Inquisitore Sabathius era stato chiaro a tal riguardo: “La parola dell'Imperatore è la legge dell'Imperium.".
E la parola dell'Imperatore contro l'Abominio era Morte.
Nonostante questo, sapeva che avrebbe portato il peso di quelle morti sempre con lui. Entrato nel suo alloggio, la prima cosa che colpì la sua attenzione fu un dipinto appeso ad una parete. Rappresentava un Martire dell'Imperium, uno sconosciuto, di cui probabilmente esisteva sempre qualche culto in qualche angolo remoto della Galassia. Era di squisita fattura e per un attimo si perse nella contemplazione dell'opera. Si spogliò e si fece una doccia frugale, indossando poi abiti di lino grigi. Ma nemmeno la doccia allontanò dai suoi pensieri l'orrore imminente.
Sogno morti, cadaveri urlanti risucchiati in un turbinio di fiamme, volti distorti dal dolore, demoni ghignanti nell'oscurità che si beavano del sangue sparso.
Nel sonno avvertiva una risata metallica, inumana, profonda come un abisso in un mare di sangue.
Si sentiva avvolto da una cappa di sudore marcio e putrescente, camminava in una valle rossa, sotto un cielo scarlatto e mille teste cornute che ridevano e ringhiavano in una cacofonia assordante. Poi vide in lontananza, assisa su un trono di avorio, una figura dorata che puntava la sua spada verso il cielo.
Sembrava sospesa in mezzo a quel cielo impossibile, non sostenuta da alcuna forza tangibile. La presenza di quella figura sul trono trasudava potenza e spietatezza, un volere più alto di qualunque altro individuo avesse mai attraversato la sua strada.
La luce, quella luce, lo accecava e gli faceva male.
Si sentì trafitto da mille aghi. Si girò e mirò Haephestus, avvolto dalla nebbia. Dalla spada parti un raggio accecante che squarciò il sogno in due e lo gettò urlante sul pavimento di freddo marmo.
Perdeva un sottile filo di bava dalla bocca, avvertiva l'odore di sangue e si asciugò la faccia con un lembo del vestito, per scoprire che aveva effettivamente perso sangue dal naso.
- Inquisitore? -
La voce proveniva da un teschio attaccato alla parete destra, un apparato per le comunicazioni che portava impresso il numero otto. "Ma che senso ha?".
- Inquisitore? Risponda. -
- Sì -
Sono passate le due ore richieste. Siamo pronti. I siluri Ciclonici sono armati.
Eccellente, Fratello-Capitano., vi raggiungo sul ponte.- esclamò con rinnovata convinzione l'Inquisitore, riaggiustandosi il cappuccio sulla testa e scostando una ciocca di capelli bianchi davanti al volto.


PS:

@Cassiana: ho corretot, grazie :)

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Annihilation ***


Imperturbabile, il pianeta, ormai diventato un occhio di carne purulenta e marcescente, compiva la sua orbita regolare, chilometro dopo chilometro. Lasciava dietro di se una striscia di gas venefici e mefitici, mentre la superficie ribolliva di cento e più colori impossibili.
Lontano alcuni parsec, una lancia di luce si stagliava contro l'oscuro manto del vuoto cosmico, quasi un ago perso su una superficie di raso nero costellata di diamanti.
Immobile tra stelle immobili, il contrasto era reso ancora più stridente dale numerose guglie placcate in adamantio e bronzo, mentre sulla pompa brillava come un sole nascente una gloriosa aquila bicefala, scolpita con abilità certosina circa millecinquecento anni prima.
A prua si aprirono tre portelloni corazzati, all'interno dei quali sfolgorava una luce rossa carica di vendetta e risentimento.
Nel silenzio dello spazio, lentamente, dalle enormi baie di lancio emersero tre lance rilucenti, spinte da enormi motori a combustione solida. Le lance si allontanarono sempre più velocemente dall'astronave, solcando il vuoto dello spazio in una maniera non dissimile a quella con cui gli uomini primitivi lanciavano le loro rozze armi contro le bestie preistoriche.
Certe cose rimanevano uguali nella storia dell'Umanità, anche se adesso il vero motivo che stava alla base del desiderio di genocidio planetario era esclusivamente la volontà di Purezza Assoluta.
Non si poteva tollerare ulteriormente la corruzione. Non si poteva lasciare che il cancro si espandesse.
Bisognava estirparlo.
Sempre più veloci, le lance si trasformarono in saette e arrivate a poche centinaia di km dal pianeta si frantumarono in una pioggia argentata di folgori.
Ogni goccia cadeva sulla superficie, traforando la carne infetta dell'atmosfera in un tripudio di scintille.
Toccarono il suolo dopo alcuni minuti, causando una serie di esplosioni sequenziali. La crosta iniziò a spaccarsi, i demoni cominciarono a dissolversi, urlando le loro maledizioni dove ormai nessuno poteva raggiungerle. La forza del Warp che li manteneva era stata distrutta.
La Pietra era stata frantumata e carbonizzata.
L'atmosfera corrotto fu sconvolta fa una tempesta di fuoco e acido, mentre la poca vita rimasta inalterata veniva liquefatta ed istantaneamente bruciava spontaneamente.
L'aria era letteralmente un oceano di inferno liquido. I monti si spaccarono prima in due parti, poi in cinque e più, poi in massi giganteschi e alla fine in polvere fine, che cadeva nelle voragini, nel magma, nel mantello, fino al nucleo fratturato.
L'integrità era compromessa, ormai da lontano era possibile vedere le faglie di dimensioni di continenti aprirsi e collassare su se stesse. Haephestus stava vivendo i suoi ultimi attimi di agonia, prima di andare in frantumi.
L'Inquisitore svenne a causa della risonanza psionica.
Quando riprese i sensi, la presenza del Chaos era ormai stata debellata: al posto del mondo agricolo ora c'era una nebulosa di gas incandescenti, assolutamente innocui, che si sarebbe raffreddata nel tempo.
Si concesse un sorriso, mentre si ritirava nei suoi quartieri. La minaccia della Pietra Nera era stata debellata, ma a che prezzo? “Non importa, l'Umanità deve soffrire se vuole sopravvivere. E' una lezione che ho imparato bene”, pensò mentre si toccava luna vecchia ferita sul petto, acquisita anni prima. Sul ponte dell'incrociatore il Fratello-Capitano osservò la sua mano bionica per un attimo. Un attimo solo, prima di tornare a guardare il vuoto.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=207758