same love

di Lynn Lawliet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dove Lovino incontra il sosia di Antonio Banderas ***
Capitolo 2: *** Dove si scopre che in Belgio non producono solo cioccolata ***
Capitolo 3: *** Dove una festa è fuori controllo ***
Capitolo 4: *** Dove Lovino cerca l'ispirazione, e questa gli cade in testa ***
Capitolo 5: *** Dove Antonio e Lovino improvvisano uno spettacolo ***



Capitolo 1
*** Dove Lovino incontra il sosia di Antonio Banderas ***


DOVE LOVINO INCONTRA IL SOSIA DI ANTONIO BANDERAS
 
 
Fino a quel momento Mary non aveva compreso che sentirsi sola era una di quelle cose che la rendevano così scostante e arrabbiata: parve rendersene conto solo quando il pettirosso la guardò e lei guardò il pettirosso.
-Il giardino segreto, Frances Hodgson Burnett.
 
 
Feliciano e Lovino Vargas erano fratelli, gemelli per la precisione, eppure non avrebbero potuto essere più diversi. Quanto uno era espansivo e amichevole l’altro era maleducato e perennemente nervoso. Feliciano aveva sempre un sacco di amici attorno, e i parenti facevano a gara per tenerlo sulle ginocchia ai pranzi di famiglia e alle feste comandate. Lovino rispondeva male, faceva a botte una volta alla settimana ed era l’incubo delle maestre, a scuola.
Non era difficile indovinare chi fosse il preferito di tutti, fra i due.
Ma per quanto fossero diversi, i gemelli Vargas si erano sempre voluti bene, più che a chiunque altro conoscessero, ed erano sempre insieme.
Certo, volevano bene anche ai genitori, ma questi, per un motivo o per l’altro (viaggi, affari, vita mondana, …) si fermavano sempre poco nella bella villa veneziana sul canal grande, e Lovino e Feliciano erano stati cresciuti da una serie di tate e istitutrici. È vero, forse non avevano una famiglia molto presente, ma avevano l’un l’altro, e questo pareva bastare.
Quando i due gemelli avevano compiuto i quattordici anni il padre li aveva iscritti ad una scuola privata, la più esclusiva della città, un posto che chiedeva rette altissime ma garantiva una preparazione impeccabile. I due anni a seguire erano stati un bel periodo per Feliciano, il quale, ancora una volta, si era immediatamente circondato di un folto gruppo di amici, e dopo poco, anche di parecchie ragazze (specie una certa biondina tedesca …). Lovino invece, come volevasi dimostrare, era ritenuto antipatico da tutti, e passava la maggior parte del proprio tempo da solo, quando non era con il fratello. Nel giro di poco si era anche costruito una certa fama come teppista, e dopo un paio di sospensioni e altrettante punizioni, gli stavano tutti alla larga ritendolo (a ragione, forse) un poco di buono.
E suo padre non faceva che ricordarglielo. Ogni volta che i ragazzi Vargas tornavano a casa e i genitori erano presenti, fra loro e Lovino scoppiavano sempre dei tremendi litigi; ogni cosa che il ragazzo faceva pareva essere sbagliata agli occhi del padre, e per quanto si impegnasse, era sempre un passo indietro a Feliciano. Ovviamente il fratello negava convinto, ma dentro di sé Lovino sentiva che quelle parole erano vere. Era peggiore nello sport, a scuola … l’unica cosa che sapeva di fare bene era scrivere. Nei temi di italiano prendeva sempre il massimo dei voti, ma non era quello il punto: a Lovino piaceva scrivere per conto proprio; storie di avventure, soprattutto, che sognava di vivere lui stesso, un giorno. Gli sarebbe anche piaciuto diventare scrittore.
Ovviamente però la suddetta attività era un segreto, e Feliciano era l’unico ad aver letto i suoi racconti. Questo perché, Lovino ne era certo, il padre non avrebbe apprezzato: avrebbe liquidato la cosa come “da checca”, stesso discorso che applicava alla lettura. Già, perché era questo il più grande terrore del padre dei due ragazzi Vargas, e il fatto che Lovino non avesse mai avuto una ragazza in sedici anni di vita lo preoccupava parecchio. Lovino però non sentiva il bisogno di una ragazza: quelle della sua scuola erano frivole, superficiali, e non facevano che ridacchiare e parlottare sottovoce per tutto il giorno. Certo, i ragazzi non erano da meno: il loro concetto di divertimento era un asciugamano bagnato sbattuto sul sedere di qualcuno nello spogliatoio, dopo l’ora di ginnastica.
Insomma, all’apparenza si sarebbe potuto dire che a Lovino non piacesse proprio nessuno. Ed era sicuramente vero, senza alcun dubbio … o perlomeno lo era stato fino a che non era arrivato lui. “Lui” si chiamava Antonio Fernandez Carriedo, e, a detta della professoressa di matematica, che lo aveva presentato alla classe il primo giorno di scuola di terza, si era appena trasferito a Venezia da Madrid, Spagna.
Inizialmente, in realtà, a Lovino, lo spagnolo non piaceva proprio per nulla. Con quello stupido accento che lo faceva sembrare il suo omonimo Banderas e per via del fatto che ogni singola ragazza nei paraggi vedendolo passare sospirava qualcosa sui suoi pettorali, o sui suoi magnifici occhi verdi, Antonio gli risultava intollerabile. E la cosa non era cambiata quando la professoressa di matematica lo aveva fatto sedere vicino a Lovino, nell’unico banco libero dell’aula. Antonio si era immediatamente presentato e aveva iniziato una sorta di conversazione a senso unico con Lovino, il quale rispondeva a monosillabi. In un primo momento il ragazzo aveva avuto l’incredibile voglia di dire allo spagnolo di chiudere quella sua boccaccia, ma in pochi minuti era passato dall’irritazione, all’indifferenza, fino ad arrivare ad una sorta di apprezzamento.
Non che gli piacesse, eh! Però, forse, era un po’ meno insopportabile degli altri. Anche se parlava un po' troppo; infatti nel giro di dieci minuti di monologo, Lovino sapeva sull’altro ragazzo tutto quello che avrebbe mai potuto desiderare, e anche di più. Sì, era cresciuto a Madrid ma si era trasferito con la famiglia per il lavoro dei genitori, che erano entrambi fisici e lavoravano ad un importante progetto. Si era iscritto a quella scuola grazie a una borsa di studio. Aveva due fratelli più grandi e due più piccoli. Amava la musica rock, il basket, i pomodori, le passeggiate e i film d’azione. Odiava la corrida e era vegetariano. Suonava la chitarra. Era assolutamente incapace in cucina. E soprattutto gli piaceva leggere. Forse era stato proprio questo a far cambiare idea a Lovino sul conto dello spagnolo. Cavolo, gli piaceva leggere!
Lovino non conosceva nessun altro, della sua età, a cui piacesse leggere, a parte lui stesso, ovviamente. Anche suo fratello aveva una cultura letteraria che si fermava Winnie the Pooh, sebbene leggesse e apprezzasse le sue storie. E ora veniva fuori che a quel bastardo di Antonio piaceva leggere! Lovino lo aveva rivalutato. Improvvisamente non era più così brutto averlo in giro. Entro la fine del primo giorno di scuola, in cui lo spagnolo non lo aveva mollato un attimo, Lovino si era aperto, e due ragazzi avevano parlato dei propri libri preferiti, dei generi che leggevano più volentieri, degli scrittori più bravi. Ma non solo: anche dei loro altri interessi, della scuola, delle rispettive famiglie.
Alla fine del primo giorno di scuola si stavano simpatici. Dopo una settimana erano diventati amici. Nel giro di un mese erano inseparabili. Era tutto assolutamente perfetto.
Poi però nella mente di Lovino si era presentato un problema. Non che Antonio avesse iniziato a piacergli di meno … piuttosto, forse, era che aveva iniziato a piacergli un po’ troppo.

Angolo dell’autrice
Tanto per chiarire un po’, la storia si chiama same love per via dell’omonima canzone di Macklemore (che ho ascoltato mentre scrivevo) e che parla dei diritti degli omosessuali. È una canzone molto bella, vi consiglio di ascoltarla, soprattutto per il messaggio che contiene. Legalizziamo il matrimonio gay con il nostro potere di fangirl yaoi!
p.s. lo so che Lovino e Feliciano non sono gemelli nell‘anime, ma chissà perché mi è sempre piaciuto pensare che lo fossero.
p.p.s. capisco che un Lovino a cui piace leggere sia un po’ strano, ma mi ispirava così …

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Capitolo 2
*** Dove si scopre che in Belgio non producono solo cioccolata ***


DOVE SI SCOPRE CHE IN BELGIO NON PRODUCONO SOLO CIOCCOLATA

 
Vi sono secondi che durano secoli. Il colpo di fulmine è un secolo che dura un secondo.
-Tutta una vita, André Dussolier.
 

Antonio era con il naso a pochi centimetri dal suo e lo guardava. Quei suoi stupendi pozzi color smeraldo era piantati negli occhi di Lovino, che poteva distinguere ogni singolo particolare del viso dell’altro ragazzo. Poi Antonio fece un respiro profondo e, sempre squadrandolo con serietà assoluta, si sporse leggermente in avanti.
driiiiiiiin!
Lovino si svegliò di soprassalto nella semioscurità della sua camera, e cercò a tentoni di spegnere la sveglia che continuava a suonare.
Ma che accidenti di sogni faceva? Ormai erano un paio di settimane che sognava Antonio; Antonio che lo portava al cinema, Antonio che mangiava pomodori, Antonio che lo aiutava a studiare chimica … tutte cose, che, in effetti, facevano anche nella realtà; però mai, nella vita vera o in un sogno, Antonio gli era stato così vicino. Certo, a volte lo abbracciava (e Lovino lo spingeva subito via), ma non gli si era mai, mai,  avvicinato in quel modo, proprio come se stesse per … ma cosa stava pensando! Antonio non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere, e di certo lui nemmeno.
E con questa traballante convinzione in mente, Lovino si alzò e si avviò sbadigliando verso il bagno.

 


Nonostante fosse solo novembre faceva già un gran freddo, e Lovino e Feliciano si strinsero a fondo nei rispettivi cappotti mentre camminavano verso il portone della scuola, cercando di proteggersi dal vento.  A quanto pareva, però, il freddo non disturbava Feliciano, che come sempre chiacchierava allegramente del più e del meno, ormai senza neanche aspettarsi delle risposte dal fratello. Chissà come faceva ad essere sempre così allegro? Lovino se lo chiedeva da sempre; come faceva a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno? Come faceva risultare sempre così simpatico a tutti? Infondo, forse, sarebbe piaciuto anche a lui saperlo fare …
I pensieri di Lovino furono bruscamente interrotti dall’assalto di un paio di braccia che gli circondarono la vita e lo strinsero finché non fu prossimo al soffocamento. Lovino si divincolò scalciando e riuscì ad liberarsi dall’abbraccio, per poi girarsi e trovarsi faccia a faccia con Antonio. Lui era vicino, troppo vicino. Quasi come nel suo sogno; forse, con l’unica differenza che in questo caso lo spagnolo non era serio proprio per nulla: Antonio, anzi, scoppiò a ridere.
“oh, Lovinito, dovresti vedere che faccia hai!”
Cosa? Che faccia aveva? Arrabbiata, ecco quale! E adesso, per di più, ci si metteva anche con quello stupido soprannome! Lovino mise il broncio e, senza degnare l’amico di una sguardo, allungò il passo, camminando svelto verso la scuola.
“ehi! Lovino, aspetta! Non ti arrabbiare, stavo scherzando!” Antonio lo rincorse e lo prese per mano, facendo immediatamente arrossire come una ragazzina.
“scusami Lovinito, non volevo offenderti. Eri così carino con quell’aria imbronciata.”
Evidentemente Lovino aveva fatto bene a paragonarlo a Banderas, a inizio anno, perché ora il suo sguardo era tale quale quello del gatto con gli stivali di shrek: una delle cose più tenere che avesse mai visto. Come accidenti faceva a rimanere arrabbiato con lui?
Lovino sbuffò, e alzò gli occhi al cielo, ma un piccolo sorriso sulle sue labbra fece capire ad Antonio che era appena stato perdonato.

 


“Lovino!Lovino?! Hey, Lovino!”
Lovino finalmente si girò verso la fonte della voce che aveva finto di non sentire fino a quel momento; d’altronde se avesse continuato a ignorarla lo avrebbero preso per sordo. La voce in questione apparteneva ad Antonio, il quale si sbracciava nella sua direzione, seduto ad un tavolo gremito di gente.
Era piuttosto strano che Antonio lo cercasse proprio all’ora di pranzo: certo, loro due passavano molto tempo insieme, durante le lezioni, durante la ricreazione, e anche fuori da scuola, ma mai, mai avevano pranzato allo stesso tavolo. E questo perché in mensa Antonio era sempre circondato da un mucchio di persone; non che non avesse invitato Lovino ad unirsi a loro, ma il ragazzo aveva sempre rifiutato, per nulla desideroso di fare nuove conoscenze, specie tra quegli idioti dei suoi compagni di scuola.
Quel giorno Antonio era seduto fra due dei suoi più grandi amici (dopo Lovino, ovviamente): Francis, un ragazzo di quinta famoso per l’attitudine a flirtare con qualsiasi forma di vita animale o vegetale, e Gilbert, il fratello malvagio della ragazza di Feliciano.
“ehi, Lovinito, vieni a sederti con noi!” esclamò allegro Antonio, la voce evidentemente qualche decibel più alta del necessario, visto che fece girare l’intera mensa nella sua direzione. La scolaresca guardò Lovino con tanto d’occhi. Come era possibile che proprio lui, l’asocialità in persona, venisse invitato al tavolo dei ragazzi più popolari della scuola? Lovino stava, come sempre, per rifiutare, quando qualcosa attirò la sua attenzione. Quel “qualcosa”, o meglio qualcuno, era una ragazza, seduta di fianco a Gilbert. E che ragazza! Era di gran lunga una delle più belle che Lovino avesse mai visto; non era di una bellezza provocante (come Katyusha,una ragazza ucraina a cui tutti guardavano sempre il se… gli occhi.), ma piuttosto era bella in modo discreto: anche senza trucco o vestiti attillati riusciva a sembrare stupenda. Era bionda, i capelli lisci tagliati appena sopra le spalle, e squadrava sorpresa Lovino con dei meravigliosi occhi verdi, quasi più belli di quelli di Antonio. Quasi.
Lovino venne distolto dalla sua estatica visione da un paio di braccia muscolose che lo abbracciarono da dietro, proprio come quella mattina. E, proprio come quella mattina, Lovino tentò inutilmente di liberarsi dalla presa dello spagnolo, il quale però non accennò a mollarlo ma anzi, lo trascinò al tavolo e buttò su una sedia. Ad essere precisi proprio la sedia accanto alla ragazza bionda e, beh, Lovino non poteva dire che la cosa gli dispiacesse. Poi Antonio si sedette a sua volta e iniziò a parlare rapidamente:
“Lovinito! Allora, ti presento i miei amici! Lui è Francis, credo tu lo conosca di fama!”
“piacere cherie!” Francis si era sporto in avanti e aveva fatto a Lovino un’elegante baciamano, subito prima di essere centrato in un occhio da un gancio destro del ragazzo.
“e lui- aveva continuato imperterrito Antonio, ignorando le lamentele del francese, - è Gilbert!”.
Il ragazzo albino aveva replicato arrabbiato : “il fantastico Gilbert, vorrai dire!” e aveva iniziato anche lui a lanciare una serie di epiteti poco simpatici allo spagnolo.
Antonio lo aveva ignorato, ed era passato a presentare a Lovino la ragazza bionda.
“e adesso… Maia, lui è Lovino… ma supponga che ormai tu lo abbia anche capito… e, Lovino, lei è Maia, si è appena trasferita da Bruges”
E la ragazza, sorridendo timida, con le guance tinte di rosso, gli aveva stretto la mano.

 


Lovino camminava in fretta verso casa, un sorriso da idiota stampato in faccia. Si rendeva perfettamente conto di essere ridicolo, così, a ridacchiare da solo fuori da scuola, eppure, qualunque cosa facesse, quello stupido sorriso non voleva saperne di andarsene. E un motivo c’era: si era divertito. A pranzo, con gli amici di Antonio, si era divertito. D’accordo, forse, Francis e Gilbert potevano sembrare un po’ esagerati… ma tutto sommato erano simpatici, anche se non l’avrebbe mai ammesso davanti a loro. E Maia… beh, lei era perfetta. Lovino sapeva che un libro non va giudicato dalla copertina, e conosceva Maia solo da poche ore, ma lei era così simpatica, e dolce, e gentile, e tutto quello che lui non era. In un modo o nel’altro, però, Lovino sapeva di piacerle. Dopotutto avevano chiacchierato un sacco a pranzo, anche con Antonio, e avevano scoperto di avere molto in comune. Sarebbe potuti essere un perfetto trio di amici, si disse Lovino.
Poi sentì una voce che lo chiamava attraverso la folla di studenti urlanti. Inizialmente deciso ad ignorarla, cambiò idea quando si rese conto che apparteneva a Maia. La ragazza lo raggiunse ansimando per la corsa (“caspita se corri, Lovino!”). Portava un montgomery blu e i capelli biondi le spuntavano spettinati da sotto un berretto di lana grigio. Così, con le guance arrossate dal freddo invernale, era proprio carina, si disse Lovino.
“ciao Maia”
“senti Lovino…-iniziò lei titubante- lo so che ci siamo conosciuti solo questa mattina… ma tu mi sei molto simpatico, e mi chiedevo se ti andasse di fare qualcosa insieme ogni tanto… tipo, non lo so, andare al cinema, o…”
“mi stai chiedendo di uscire?” l’aveva interrotta Lovino
“beh… si.”
Lovino era rimasto sinceramente sorpreso, non si sarebbe aspettato nulla del genere. Eppure Maia gli aveva appena chiesto di uscire. Da una parte avrebbe voluto dire subito di sì senza alcun ripensamento, ma dall’altra sentiva quasi di stare facendo un torto nei confronti di Antonio. Ma la cosa non aveva senso, si disse Lovino; dopotutto lui e Antonio non stavano mica assieme, il solo pensiero era ridicolo. E per quanto riguardava il sogno di quella mattina… beh, appunto, era solo un sogno. Lovino ricacciò giù quella sensazione di tradimento e guardò Maia negl’occhi.
“va bene.”
“davvero?” chiese lei sorpresa.
“certo.”
“wow! Beh… allora ci vediamo, Lovi!” Maia gli schioccò un bacio sulla guancia e si incamminò sventolando una mano.
Lovino la guardò allontanarsi sorridendo. Era felice, molto felice; però, appena lei svoltò l’angolo, il sorriso gli morì sulle labbra. Per un qualche motivo si sentiva come se in tutto quello ci fosse qualcosa di sbagliato. Solo che non avrebbe saputo dire cosa.

 


Il mio angolino
Salve a tutti! Se state leggendo queste righe significa che siete arrivati in fondo, quindi complimenti, gente! Dev’essere stato faticoso.
Vabbè… tanto per cominciare chiedo umilmente perdono per il terribile ritardo, ma sono stata tre settimane in vacanza da mia nonna su una sperduta isoletta svedese dove la parola “computer” è ostica quanto la fisica quantistica. Ma prometto che recupererò! Parola di scout.
Per quanto riguarda questo capitolo, mi scuso, è un po’ più corto di quanto avessi programmato… e, in caso non lo aveste capito, Maia sarebbe il Belgio. Non mi sembra avesse un nome nell’anime, così gliel’ho  dato io. In caso mi fossi sbagliata fatemelo sapere! A proposito… non arrabbiatevi troppo con Lovino, non è che ha una cotta per lei… il poveretto è solo confuso. Dategli tempo e capirà.
E con questo è tutto!
Spero vi sia piaciuto
Baci,
Lynn.
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Dove una festa è fuori controllo ***


DOVE UNA FESTA E’ FUORI CONTROLLO

 

Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: "Non c'è altro da vedere", sapeva che non era vero. La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro.
-Viaggio in Portogallo, José Saramago.



Era passato quasi un mese da quando Lovino aveva iniziato ad uscire con Maia. E, tutto sommato, era stato un bel periodo, fatto di sarete al cinema, cene e baci.
Baci.
Era stata Maia a prendere l’iniziativa, fosse stato per lui non sarebbe mai successo. Però, sì, Lovino non lo avrebbe negato: era stato bello … ma non tanto bello come lui si sarebbe aspettato. Deludente, in un certo senso.
Il che era parecchio strano, pensò Lovino, appollaiato con il sedere fra una tegola e l’altra del tetto di casa sua (andava sempre lassù quando aveva qualcosa su cui riflettere). Insomma, avrebbe dovuto essere felice; dopotutto aveva una ragazza fantastica e, per la prima volta in vita sua, anche qualche amico. Da quel primo pranzo in compagnia di Antonio, aveva iniziato a frequentare qualche coetaneo: prima c’erano solo gli amici più stretti dello spagnolo, Gilbert e Francis, ma poi al gruppo si erano uniti Feliciano e Monica;  Arthur, un ragazzo inglese, il suo amico americano Alfred, e il fratello di quest’ultimo (di cui Lovino non riusciva a ricordare il nome); poi Kiku, un primino giapponese, e suo cugino Yao; a volta c’era anche Ivan, l’inquietante diplomando russo.
Non che a Lovino piacessero, però, forse, era disposto ad ammettere che non erano tutti così superficiali come aveva creduto all’inizio (finendo per essere superficiale lui stesso). E, nonostante tutte le volte che glielo chiedevano rispondeva seccamente di no, in loro compagnia, a volte, finiva addirittura per divertirsi.
Però erano momenti rari; qualcosa nella vita di Lovino non andava per il verso giusto: Antonio. O meglio, non Antonio in sé (lui era sempre fantastico), ma i sogni che faceva su di lui… non passava una notte senza che finisse per sognarlo. E la cosa iniziava a stressare Lovino parecchio, tanto che il ragazzo aveva addirittura smesso di scrivere: era come se avesse perso l’ispirazione, si disse Lovino.
Poi sussultò, distolto improvvisamente dai suoi pensieri dal tono del cellulare, che annunciava l’arrivo di un messaggio. Era da parte di Gilbert: Questa sera festa a casa mia. Vieni? Lovino si rigirò in mano il cellulare, poi, controvoglia, scrisse: non lo so, forse, cosache però, e lo sapevano sia lui che Gilbert, significava sì. 

 


Lovino, già visibilmente irritato, suonò per la terza volta il campanello della casa di Gilbert. Suo fratello, accanto a lui, suggerì che magari i partecipanti alla festa non sentivano per via della musica. Ed aveva chiaramente ragione: da dentro la casa di Gilbert proveniva un baccano assurdo, e da dietro le finestre si potevano vedere luci colorate da far invidia ad una discoteca. Lovino si chiese come mai i vicini non avessero ancora chiamato la polizia, visto tutto quel casino. Probabilmente perché ci erano abituati, trattandosi della casa di Gilbert.
Finalmente, a quello che doveva essere il decimo tentativo o giù di lì, la porta venne aperta da un ragazzo biondo con un materassino gonfiabile sottobraccio e un cappello con due lattine appese ai lati in testa. Pareva anche abbastanza ubriaco.
“wow, siete, tipo, totalmente in ritardo! Cioè, la festa è iniziata da tipo due ore… credo.”
D’accordo, era abbastanza ubriaco. E Gilbert, come sempre, sembrava non essersi smentito, organizzando la festa più assurda dell’anno. Entrando nell’appartamento, infatti, i fratelli Vargas si ritrovarono nel bel mezzo del caos più totale: Kiku era stato rapito da un gruppo di ragazze che tentavano di truccarlo; una tizia che Lovino non conosceva tirava delle frecce contro una testa d’alce impagliata; Francis spalmava panna montata sulle teste delle persone nelle sue vicinanze; Gilbert si baciava con Elizaveta in un angolo, sotto lo sguardo furioso Roderich, l’ex ragazzo di lei; Arthur piagnucolava sulla spalla di Alfred, una bottiglia in mano, borbottando qualcosa a proposito di un centrino all’uncinetto. A cercarla bene, ci sarebbe dovuta essere anche Maia, da qualche parte. 
E poi c’era lui, Antonio. Non era ubriaco, forse solo un po’ allegro, al massimo. Aveva i capelli leggermente sporchi di panna (Francis doveva essere passato da quelle parti) e ballava in mezzo ad un mucchio di gente. Però spiccava tra la folla come la Gioconda tra i disegni di un bambino di terza elementare.
Decisamente, si disse Lovino, quella era la festa più bella a cui fosse mai stato.

 


Lovino riemerse lentamente dal sonno, un dolore martellante alla testa e uno strano sapore in bocca; si sentiva come se lo avessero appena usato per pulire il pavimento. Sollevò piano le palpebre e, sebbene la giornata fosse grigia e piovosa, la luce proveniente dalla finestra gli ferì gli occhi, facendolo arrotolare più a fondo nelle coperte ed emettere un mugugnio di protesta . Apparentemente era nel suo letto (per fortuna non in compagnia di qualcuno), con l’unica stranezza di essersi addormentato al contrario, con i piedi sul cuscino e la testa sul fondo. Un rumore alla sua destra lo fece sussultare, ma poi si rese conto che si trattava solo di Feliciano, addormentato, per chissà quale motivo, sul pavimento di camera sua, e intento a russare  sonoramente.
Evidentemente aveva bevuto quanto lui, la sera prima.
La sera prima! Che diavolo era successo la sera prima? Lovino ricordava vagamente il loro arrivo alla festa e le ore seguenti: avevano ballato (o meglio, Feliciano aveva ballato; lui si era seduto su un divano e non si era mosso da lì) e si erano divertiti parecchio. Almeno fino a che Francis, verso l’una del mattino, non aveva proposto il gioco della bottiglia. E, a quel punto, i ricordi di Lovino che ancora erano confusi, tornarono prepotentemente nella testa del proprietario, anche se quest’ultimo avrebbe preferito non l’avessero fatto. Ricordò la bottiglia di vodka usata per il gioco, la ricordò girare e girare, la ricordò fermarsi su Antonio, e poi, con sommo orrore, la ricordò fermarsi su di lui. Poi ricordò le proprio guance farsi rosse, e quelle di Antonio altrettanto. Lo rivede avvicinarsi a lui, chinarsi, e poggiare le proprie labbra, leggere, sulle sue. Risentì le grida allegre dei loro amici, come attutite, nelle proprie orecchie, e provò di nuovo l’euforia di quel momento. Ricordò di come il tutto gli fosse parso così bello, così giusto… Lovino sapeva solo di volere che il bacio non finisse mai, e si era comportato di conseguenza, gettando le proprie braccia attorno al collo di Antonio, affondando le dita nei suoi capelli morbidi… e poi tutto era finito. Si erano staccati piano, guardandosi negli occhi, entrambi con un’aria vagamente stupita, e Lovino aveva realizzato che le mani di Antonio erano poggiate delicatamente sui suoi fianchi. E, per un attimo, tutto era stato perfetto. Poi il mondo era tornato al proprio posto, e i rumori della festa aveva invaso prepotentemente le orecchie di Lovino, giusto un attimo prima che Gilbert li abbracciasse entrambi, lui e Antonio, e gridasse forte per sovrastare l’allegro caos: ragazzi, cercatevi una stanza!
Solo a ripensarci le guance di Lovino si arrossarono di nuovo. D’accordo, era solo un gioco, e per di più si trattava solo di uno stupido bacio a stampo, ma pur sempre aveva baciato Antonio. Aveva baciato Antonio e gli era anche piaciuto. Parecchio.
E questo era un gigantesco, orribile problema. Aveva bisogno di pensare, aveva bisogno di farsi un giro sul tetto.
Lovino si alzò di scatto dal letto e, incespicando su suo fratello (che si svegliò, biascicando confuso qualcosa che somigliava vagamente a “ve?”) si diresse verso la porta, l’ aprì e … si ritrovò davanti Maia, il pugno alzato, come fosse lì lì per bussare. Come sempre era molto carina, con il montgomery aperto su un pullover e una minigonna scozzese. Ma come diavolo faceva ad essere così in ordine a quell’ora del mattino? Lovino pensò imbarazzato alle proprie ascelle puzzolenti e ai propri capelli spettinati; per di più portava ancora i vestiti della sera prima. Bah, doveva trattarsi di un qualche superpotere femminile, per forza.
Maia lo fissò stupita per un attimo, poi abbassò la mano e sorrise leggermente.
“stavi per uscire?”
“ehm, no… tu come mai sei qui?” Lovino non aveva proprio idea di che ci facesse Maia a casa sua, a quell’ora.
“oh, volevo parlarti. Mi ha fatta entrare tua madre”
“mia madre? E qui?”
“sì, lei e tuo padre sono appena arrivati, da quanto ho capito. Sono molto carini, erano contenti quando ho detto che ero la tua ragazza.”
“ah sì? Bene… hai detto che mi volevi parlare, giusto?”
“sì, infatti… ti va di fare un passeggiata fuori?”
“certo …”
Lovino, sorpreso, si avviò dietro Maia, che lo precedette lungo le scale. Quel giorno c’era qualcosa di diverso in lei, e Lovino credeva di saperne il motivo. Vedendola gli era tornata in mente la faccia che aveva fatto quando lui aveva baciato Antonio. In quel momento, troppo preso dai proprio tumulti interni, non ci aveva prestato troppa attenzione, ma col senno di poi si rese conto che con quel gesto doveva averla turbata. L’espressione dal suo viso, la sera prima, faceva trasparire un tristezza profonda; Maia però non gli era parsa sorpresa, ma piuttosto… rassegnata. Come se non potesse farci nulla.
“… e quindi è per questo che ho pensato che … Lovino, mi stai ascoltando?” la voce di Maia giunse improvvisamente alle sue orecchie, distogliendolo dai suoi pensieri, e Lovino si rese conto che la ragazza parlava ormai da un po’, camminando a fianco a lui nel campiello, a pochi metri dall’acqua scura del canale. Una pioggia leggera aveva iniziato a cadere, lasciandole sui capelli piccole gocce d’acqua.
“ecco, ehm… -borbottò Lovino- no. Scusami”
“non fa nulla. Tanto mi stavo solo arrampicando sugli specchi. Il fatto è che non esiste un modo bello per dirlo… io… io credo che sia ora di chiuderla qua.”
“chiudere qua cosa?”
“ecco… noi. La nostra relazione.” iniziò Maia, poi, notando la faccia di Lovino, si affrettò a continuare: “Lovino, tu mi piaci, ma … io non piaccio a te.”
“cosa? Che dici?, certo che mi piaci”
“sì, forse … però non mi ami, vero?”
E Lovino non se la sentì di risponderle. Perché aveva ragione, aveva dannatamente ragione: lui non la amava. Certo, era una ragazza fantastica, ma le aveva già fatto fin troppo male. Non poteva continuare a mentirle, e non poteva continuare a mentire a se stesso. Maia, però, lo sorprese riprendendo a parlare:
“sai, l’ho visto come lo guardi…”
“cosa? Guardo chi?”
“Antonio, no?-la voce le tremava appena- lui … lui ti piace.”
“cosa? N-non è vero!”
“no, Lovino. Va bene così. Dopotutto al cuor non si comanda, no? E, ti sembrerà un po’ stereotipato, ma, per favore, promettimi che rimarremo amici…”
“c-certo…- riuscì a borbottare Lovino, la voce spezzata- Maia, io… mi dispiace così tanto…”
“non ti preoccupare. Io starò benone.” gli sorrise. Si trattava si un sorriso triste, però, e Maia aveva gli occhi lucidi.
Poi si sporse in avanti e gli schioccò un bacio su una guancia, proprio come quando si erano conosciuti; si girò, e con un sospiro si avviò verso il molo, dove era appena arrivato il traghetto che l‘avrebbe portata a casa.
Lovino la guardò allontanarsi, sotto la pioggia che si faceva più insistente, nel cuore la triste sensazione di averla persa per sempre.
Però, e Lovino lo sapeva perfettamente, quando un periodo della tua vita finisce, non può che iniziarne un altro. E tutto sommato il nuovo periodo non prometteva poi così male.




il mio angolino
Evvai! Tre hurrà per Belgio, che finalmente si leva dalle pal… ehm, dalle scatole.
Vi giuro che ho provato a farla più carina possibile, ma finiva lo stesso per starmi antipatica da morire, per via del fatto che interferisce con le mie (nostre) perverse idee yaoi. ;) comunque, per chiarire, Monica sarebbe la versione femminile di germania (mi sembra di aver capito che si chiami così..)
Per quanto riguarda il capitolo, spero vi piaccia, anche se l’ho scritto e pubblicato subito dopo (quindi spero perdonerete eventuali errori di battitura)… a proposito di errori, io non sono di Venezia, quindi chiedo scusa per eventuali casini riguardo i trasporti pubblici XD
E su questa nota allegra, concludo.
Che lo spamano sia con voi. Amen.
Lynn.
p.s. l’avete riconosciuto il tizio con il materassino alla festa di Gil, vero?
 
 
 

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Capitolo 4
*** Dove Lovino cerca l'ispirazione, e questa gli cade in testa ***


DOVE LOVINO CERCA L’ISPIRAZIONE, E QUESTA GLI CADE IN TESTA
 

Tra i numeri primi ce ne sono alcuni ancora più speciali.

I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini. Se si ha la pazienza dì andare avanti a contare, si scopre che queste coppie via via si diradano. Ci si imbatte in numeri primi sempre più isolati, smarriti in quello spazio silenzioso e cadenzato fatto solo di cifre e si avverte il presentimento angosciante che le coppie incontrate fino a lì fossero un fatto accidentale, che il vero destino sia quello di rimanere soli.

Poi, proprio quando ci si sta per arrendere, quando non si ha più voglia di contare, ecco che ci si imbatte in altri due gemelli, avvinghiati stretti l'uno all'altro.

-La solitudine dei numero primi, Paolo Giordano.

 
Lovino camminava nervosamente avanti e indietro, ignorando suo fratello che, ancora addormentato sul pavimento, smaltiva la sbornia della sera prima.
Com’è che la sua vita pareva così semplice? Lui poteva starsene tranquillamente a dormire sul pavimento delle altrui camere, mentre Lovino si era svegliato da neanche mezzora e già  aveva realizzato di aver baciato Antonio, era stato scaricato dalla sua ragazza, ed era anche stato sgridato da suo padre, quando quest’ultimo aveva saputo del punto numero due della personalissima lista di Lovino su come rovinasi una giornata fin dal primo mattino.
Insomma, Maia lo aveva appena mollato, lasciandolo da solo, sotto la pioggia, in una scena da film strappalacrime, ma non era quello il problema. Cioè, all’inizio Lovino l‘aveva presa male, ma dopotutto Maia aveva ragione: lui non la amava, e tanto di cappello alla ragazza per averglielo fatto notare. Però, era l’altra cosa che lei aveva detto, a proposito di un certo ragazzo spagnolo, a preoccupare Lovino… anche se infondo non aveva assolutamente senso, a lui Antonio non piaceva per nulla. Beh, gli piaceva, almeno un po’… ma come amico! Dove diavolo andava a pescarle Maia certe idee così assurde?
Ah, paranoie femminili! Il vero problema però era un altro: Antonio si ricordava di quello che era successo alla festa di Gil? E se sì come l’avrebbe presa? Gli avrebbe ancora rivolto la parola o lo avrebbe bollato come una specie di idiota con una cotta per il migliore amico? No, non era possibile che lo facesse… il gioco della bottiglia della sera prima aveva causato parecchi imbarazzanti baci fra due ragazzi (e altrettanti fra due ragazze, ma chissà perché, a loro non sembrava importare molto), e, anche se il loro era stato un filo più appassionato degli altri, non era nulla di più che uno stupido gioco. Poi non aveva minimamente importanza il fatto che a Lovino fosse piaciuto. E soprattutto il fatto che gli fosse piaciuto baciarlo, non significava automaticamente che gli piacesse anche Antonio stesso.
Cazzo.-fu l’ultimo pensiero di Lovino prima che Feliciano si svegliasse e lo trascinasse a fare colazione-questo ragionamento sta in piedi da far schifo.

 


Lovino procedeva spedito lungo il corridoio della scuola verso la sua aula, sperando tuttavia di poterci non arrivare mai. Perché sapeva che lì ci sarebbe stato Antonio ad aspettarlo (sempre che si fosse ripreso dalla sbornia di sabato sera). Lovino aveva mollato Feliciano al piano di sotto, nella classe del gemello (il padre aveva insistito nel metterli in due sezioni diverse, dicendo che passavano troppo tempo insieme) ma ora, dirigendosi verso la propria, per una volta, avrebbe desiderato veramente di averlo al suo fianco, perché l’idea di vedere Antonio lo terrorizzava oltremodo. La parte più razionale del suo cervello gli diceva che non era possibile che lo spagnolo lo odiasse per un motivo così stupido, ma in fondo alla coscienza una vocina malevola gli sussurrava che di sicuro adesso Antonio non sarebbe più voluto essere suo amico.
Lovino arrivò all’ingresso dell’aula, dalla quale provenivano i soliti gridi e schiamazzi mattutini, prese un profondo respiro ed entrò. Tempo di fare appena due passi dentro alla classe, e due braccia lo avvolsero da dietro stritolandolo nel solito abbraccio da boa constrictor.
“Lovinitoooo!!!” gli strillò nell’orecchio una voce famigliare.
 Tutto bene, Lovino sapeva a chi appartenevano quelle braccia e quella voce. E sapeva che significavano che Antonio non ce l’aveva con lui neanche un po’ (a meno che, abbracciandolo così, non tentasse di farlo morire per asfissia; l’ipotesi però era talmente assurda da poter essere esclusa a priori). Come tutte le mattine Lovino si divincolò dall’abbraccio, lanciando all’indirizzo dello spagnolo parecchi epiteti non troppo carini, ai quali il ragazzo rispose con una risata allegra. Poi però si fece scuro in viso:
“di un po’ Lovinito, ma perché non hai risposto ai miei messaggi ieri? Non è che mi stai evitando?”
Ahi. Lovino aveva passato la giornata precedente a ignorare i messaggi e le chiamate di Antonio, pensando volesse rinfacciargli quello che era successo alla festa di Gilbert. E ora ne avrebbe pagato le conseguenze:
“che cosa?! Nooo… certo che no. Perché avrei dovuto?”
“ah, non lo so. Sei tu la mente criminale qui”
“ah ah… buona questa.” Borbottò Lovino sarcastico, per poi andare a sedersi al suo posto.
“oi, Lovi! Guarda, ieri ti volevo parlare di una cosa…” lo rincorse l’altro ragazzo.
Oddio. Di che mai avrebbe voluto parlare se non di… quello? Lovino desiderò ardentemente che una voragine si aprisse sotto di lui e lo inghiottisse per sempre, ma, come volevasi dimostrare, con la sua solita fortuna, l’unico avvenimento degno di nota fu Heracles, lo studente greco, che, addormentato sul banco, se la fece nei pantaloni dopo che i compagni gli avevano immerso la mano in una bacinella d’acqua fredda.
Antonio però riprese a parlare e distolse Lovino dai suoi pensieri:
“ecco, Lovino, vedi, ieri un amico di mio fratello mi ha detto che suo zio conosce un tizio che fa da portinaio a uno che lavora per casa editrice. Il tizio ha detto che la casa editrice bandisce una specie di concorso per giovani scrittori, tipo che bisogna inviare un racconto breve, loro scelgono i cinquanta migliori e li pubblicano in un libro! Tu sei così bravo a scrivere, ho pensato che potresti partecipare.”
… eh?
Antonio aveva parlato tutto di un fiato, e per questo era quasi cianotico, ma lo stesso Lovino non aveva capito una parola. Non aveva intenzione di parlare del bacio? Sembrava quasi che non se ne ricordasse nemmeno… ma certo! Infondo Antonio era ubriaco quando era successo il tutto… e magari aveva dimenticato che cosa era successo.
“dunque?-la voce di Antonio interruppe i suoi pensieri- vuoi partecipare?”
“ehm… no… insomma Antonio, non sono abbastanza bravo…”
“e invece lo sei eccome! Le ho lette le tue storie, sono fantastiche!”
“ma dai, Antonio…- borbottò Lovino arrossendo- e poi lo sai che ho il blocco dello scrittore…”
“non ti preoccupare, Lovi, sono sicuro che farò in modo che tu riesca a trovare l’ispirazione, fosse l’ultima cosa che faccio!”

 


La porta di casa Vargas venne aperta da Marta, la cameriera, e Lovino e Feliciano furono accolti da un sommesso Bentornati, signorini.
Feliciano puntò dritto verso la cucina, sperando in uno spuntino pomeridiano (sul serio, ma la smetteva mai di mangiare, quel ragazzo?) mentre Lovino si diresse verso il salone. Non pensava di trovarci nessuno, perciò si sorprese vedendo sua madre seduta sul divano, in mezzo ad un mucchio di vecchie fotografie. Lei, sentendolo arrivare alzò lo sguardo:
“oh, Lovino, sei tornato. La nonna mi ha chiesto di nuovo di darle una fotografia del matrimonio mio e di tuo padre… non riesco proprio a capire come faccia a perdere tutte quelle che le do.” Sospirò pesantemente. Poi riprese a parlare: “ora è meglio che vada. Mi aspettano a casa di Vanessa per il bridge. Lovino, metti a posto tu queste fotografie, ti va?”
Lovino mugugnò qualcosa di indefinito, che la madre prese evidentemente per un sì, siccome gli schioccò un bacio su una guancia e si avviò facendo risuonare i tacchi a spillo.  
Lovino raccolse le fotografie del matrimonio dei suoi genitori e si avviò verso la soffitta. Salì le scale strette e polverose dell’ultimo piano della villa, ed entrò in una stanza altrettanto polverosa. Si avvicinò ad uno scaffale, quello dove conservavano le fotografie, si allungò sulle punte dei piedi per raggiungere una scatola poggiata sull’ultimo piano, l’afferrò per un angolo, tirò, e la scatola cadde. Peccato che insieme a quella che avrebbe voluto Lovino, precipitò (sulla sua testa, per la precisione) anche una seconda scatola. Massaggiandosi la fronte, dove stava già spuntando un bernoccolo, Lovino scorse una scritta sul coperchio della scatola: Lovino e Feliciano. L’aprì lentamente e si ritrovò in mano un mucchio di fotografie, tante quante non ne aveva mai viste, tutte sue e di suo fratello. Gettò un’occhiata al mucchio e, eccoli sorridere sdentati il primo giorno di elementari. O mangiare un gelato, con le manine grassottelle tutte sporche di cioccolato. O in piscina, con indosso il costume da bagno.
Ovunque, lui e Feliciano, sorridevano all’obbiettivo, tenendosi per mano. Erano insieme da sempre, loro due, e per tutta la vita, Lovino non aveva avuto che lui. Certo, ultimamente aveva fatto altre amicizie, ma Feliciano era Feliciano e non ci sarebbe mai stato nessuno come lui. E anche se era logorroico, rumoroso, appiccicoso e perennemente felice senza un motivo apparente, era suo fratello ed era la persona a cui Lovino voleva più bene al mondo.
Dopotutto, si disse Lovino, Antonio non si sarebbe dovuto sforzare poi così tanto per ridargli la sua ispirazione perduta: ci avevano già pensato quelle fotografie.

 

Salve gente!
Sono tornata! Lo so che questo capitolo è un po’ cortino, ma… non vi preoccupate, il prossimo sarà più lungo, e ho già in mente di inserirci alcune cosette spamanose (?) che so per certo vi piaceranno parecchio! XD
Detto questo, come gli avevo promesso, dedico questo capitolo al mio nii-san (fratellone in giapponese, per chi non lo sapesse) che insiste ad essere chiamato così, anche se in realtà ha la mia stessa età. (lui è fermamente convinto di essere il maggiore perché è nato qualche ora prima di me… bah.). Infatti l’amore fraterno fra Feli e Lovi  evidenziato in questo nei prossimi capitoli è ispirato allo specialissimo rapporto fra gemelli che lega me e il mio nii-san * inserire musica commuovente a piacere * (tutte balle, in realtà litighiamo anche per cose stupide come “chi ha mangiato l’ultimo biscotto”).
So, aufwiedersehen und liebe grüße,
Lynn

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Capitolo 5
*** Dove Antonio e Lovino improvvisano uno spettacolo ***


DOVE ANTONIO E LOVINO IMPROVVISANO UNO SPETTACOLO

 
Vola solo chi osa farlo.
-Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, Luis Sepùlveda.
 


Lovino aveva saputo all’improvviso, alle due del mattino, di aver trovato quello che cercava. Fino qualche momento prima batteva furiosamente le dita sui tasti del computer, sul cui schermo si andavano a formare rapidamente frasi una dietro l’altra, ma poi, quando aveva scritto la parola FINE, ne era stato certo: quello era il racconto perfetto. Non sapeva il motivo di tale trasporto verso quel breve testo, che non era altro che la versione romanzata di quella volta in cui lui e Feliciano erano scappati di casa, però aveva qualcosa di speciale.
Era più di una settimana che Lovino non faceva altro che scrivere, ma quel breve racconto… era come se contenesse anche tutti gli altri.
Per un qualche motivo vedere le vecchie fotografie sue e di suo fratello gli aveva riportato l’ispirazione, e il ragazzo si era deciso a iscriversi al concorso consigliatogli da Antonio. Lui, quando aveva saputo della sua decisione, gli era saltato addosso, abbracciandolo forte, gridandogli che avrebbe vinto, cosa che  aveva provocato al ragazzo brividi lungo la schiena e farfalle nello stomaco. Tutte cose ovviamente dovute al fatto che Lovino era affamato e infreddolito (anche se aveva appena mangiato, e dentro casa c’era il riscaldamento) e NON al fatto che Antonio gli piaceva. Perché lui non gli piaceva. Assolutamente no.
E poi, comunque fosse, in quei giorni non aveva certo tempo di pensarci, no?
Il termine era la settimana seguente, e Lovino aveva deciso di procedere buttando giù tutte le storie che gli venivano, per poi scegliere, al momento giusto, la migliore.
E quel momento era arrivato: in qualche modo sapeva che non ne avrebbe potuta scrivere una più bella, e che quella era l’unica con la quale avrebbe potuto avere una chance nel concorso.
Così lui e Antonio avevano inviato il racconto all’indirizzo della casa editrice, e avevano aspettato. Avevano aspettato per tre settimane, ad essere precisi, che, per un qualche motivo, erano stato al contempo le più belle e le più brutte della vita di Lovino. Certo, era fantastico sperare che se ancora non era arrivata una risposta negativa era perché il racconto era piaciuto, ma al contempo l’attesa lo stava uccidendo: controllava maniacalmente la buca delle lettere (dalle tre alle cinque volte al giorno) e sobbalzava ogni volta che suonava il telefono. Insomma, Lovino aveva passato quelle tre settimane diviso fra le disperazione più totale (se non ce la faceva con quel racconto, che era il suo migliore, quando mai avrebbe potuto farcela?) e un’allegra ansietà (ma forse, chi lo sa, c’era ancora tempo per sperare!). L’unico, o meglio, gli unici, motivi per cui non era impazzito erano Antonio e Feliciano: suo fratello, come sempre, gli era molto vicino, a modo suo, mentre Toni… aveva un po’ cambiato atteggiamento nei suoi confronti; era più protettivo, sempre attento a quello che faceva… non che prima non lo fosse, ma, da quando Maia e Lovino si erano lasciati, gli era stato molto d’aiuto nel superare la cosa.
E così, in qualche modo, le tre settimane più assurde della vita di Lovino si erano concluse con l’arrivo di una lettera. Ormai, guardando tra la posta, Lovino non sperava neanche più di trovare qualcosa per se, e si era sorpreso vedendo il proprio nome stampato in un sottile carattere arcuato, su una busta che riportava il logo della casa editrice. Aveva strappato in fretta la carta e aveva scoperto di essere stato convocato una settimana più tardi, per un colloquio con un editore. Lovino, lì per lì, era stato felice, ma poi si era reso conto che quella lettera non significava automaticamente che avrebbero pubblicato il suo racconto; il risultato era stato che la settimana in questione si era rivelata tristemente somigliante alle tre che l’avevano preceduta: un’altalena tra felicità esagerata e preoccupazione più nera.
E poi, poi il momento era arrivato. Lovino si era fatto accompagnare da Antonio alla sede della casa editrice (inizialmente sarebbe dovuto venire anche Feliciano, ma poi aveva cambiato idea insistendo con Lovino che, così facendo, lui sarebbe potuto rimanere solo con Toni. Chissà che intendeva?) ed ora aspettava in ansia il momento in cui sarebbe arrivato il suo turno: la segretaria chiamava man mano le persone nella sala d’attesa e le indirizzava verso una data stanza ed un certo piano dell’edificio. Lovino se ne stava completamente zitto, ascoltando attentamente i nomi pronunciati dalla ragazza, mentre Antonio cercava di coprire il silenzio chiacchierando nervosamente del più e del meno. Era seduto accanto a Lovino, e le loro spalle si sfioravano, mandando al ragazzo brividi freddi lungo la schiena (non perché Antonio gli piacesse, ovviamente).
Poi, all’improvviso, la segretaria rispose al telefono, borbottò qualcosa nel ricevitore, avvicinò le labbra ad un microfono, e con voce chiara e squillante, disse:
“Lovino Vargas!”
Il cuore di Lovino perse un battito. Si alzò traballando, e a malapena sentì Antonio augurargli buona fortuna; si diresse verso la reception, e la ragazza gli disse di recarsi alla stanza 23, secondo piano. Lovino eseguì meccanicamente le istruzioni, salendo lentamente le scale, il cuore in gola. Improvvisamente non aveva più tanta voglia di sapere se l’avessero pubblicato o meno, perché, se l’esito fosse stato negativo, sarebbe stata la fine dei suoi sogni. Se invece se ne fosse andato subito, certo, gli sarebbe rimasto il dubbio, ma almeno avrebbe ancora avuto una misera speranza.
Però non poteva andarsene. Per nessun motivo.
E così, quando arrivò davanti alla stanza 23, respirò profondamente, e, dopo aver bussato, alla risposta avanti, abbassò la maniglia ed entrò. Si ritrovò in una stanza ampia e luminosa, piena di libri alle pareti; sul fondo della stanza c’era una scrivania, e alla scrivania sedeva un uomo calvo e con un’un abbondante pancia. L’uomo ignorò il suo arrivo per qualche secondo, continuando a guardare i suoi documenti, ma poi iniziò a parlare:
“il signor Vargas, imagi…- si interruppe bruscamente una volta alzato lo sguardo su Lovino- ah… mi scusi, non sapevo che Lei fosse così giovane. Si sieda.”
Beh, non pareva proprio un mostro di simpatia… con quel fare imperioso, si disse Lovino, somigliava vagamente a suo padre. Poi si accomodò sulla sedia di fronte alla scrivania dell’editore, e aspettò che questo gli prestasse attenzione.
“si, bene, Lovino Vargas…- disse l’editore- il Suo racconto è stato selezionato tra quelli vincenti, e…”
Lovino si perse il resto del discorso: era estremamente occupato ad esultare interiormente. Lo avevano pubblicato! O quella ero uno scherzo crudele ed estremamente ben congegnato, o il sogno della sua vita si stava avverando.
“…perciò ci sarebbero alcune questioni burocratiche da discutere- Lovino riprese ad ascoltare l’editore, adesso con un sorriso entusiasta dipinto in faccia- visto che Lei è minorenne, avremmo bisogno della firma di un Suo tutore.“ L’editore consegnò a Lovino un foglio, indicandogli dove porre la propria firma, e dove quella dei genitori. Poi riprese a parlare, apparentemente inconsapevole del tumulto interno di Lovino, che dentro di sé continuava ad esultare:
“bene, La farò chiamare dalla mia segretaria per segnare un altro appuntamento. Giusto perché Lei lo sappia, il libro potrebbe andare in stampa fra circa sei mesi. Arrivederci.” e detto questo tornò alle sue carte. Beh, era chiaramente uno (sgarbato) invito ad andarsene, ma a Lovino non importava.
Lo avevano pubblicato, e non c’era assolutamente nulla che potesse rovinare quel momento!
Così si alzò, salutò gentilmente l’editore, e uscì dall’ufficio. Poi si precipitò lungo il corridoio: per quanto prima lo avesse percorso lentamente e con il cuore in gola, adesso correva rapido verso l‘uscita, felice quanto non era mai stato in vita sua. Saltando i gradini due a due, scese in un attimo i piani di scale che aveva impiegato un sacco a salire , il tutto con una stupida espressione entusiasta stampata in viso. Passò di fronte alla reception, che all’andata gli era parsa tale e quale i cancelli dell’inferno, e fece un sorriso a trentadue denti alla segretaria. E poi, finalmente, arrivò alla sala d’attesa, dove, come nel rallenty di uno stupido film romantico, vide Antonio alzare lentamente lo sguardo, osservarlo stupito, interpretare la sua espressione, e reagire di conseguenza, facendosi comparire in faccia un sorriso entusiasta quanto quello di Lovino:
“ti hanno pubblicato!“
Poi lo spagnolo si alzò gli corse incontro, e Lovino, vedendolo così, sorridente, bellissimo, felice, non seppe trattenersi: prima di rendersene conto aveva stretto tra le mani il viso di Antonio e lo aveva baciato.
Non era stato un bacio romantico, lento, e nemmeno un bacio passionale: era stato un semplice, stupido bacio a stampo, dato di fretta, senza troppe pretese, eppure per Lovino aveva significato il mondo. Finalmente capiva le farfalle nello stomaco e brividi lungo la schiena quando Antonio gli si avvicinava, la voglia di renderlo orgoglioso, e la paura di non riuscire a farlo, la sensazione di poter toccare il cielo con un dito quando era con lui, quel perdersi nei suoi occhi ogni volta che ne incrociava lo sguardo… erano tutti pezzi di un puzzle che finalmente Lovino era riuscito a comporre: Antonio gli piaceva, e non come amico. Per tutto il tempo aveva cercato di negarlo a se stesso, per cui si sorprese rendendosi conto che non gli importava se Antonio era un ragazzo, se gli altri non lo avrebbero accettato. Capendo di amarlo aveva trovato il suo posto nel mondo: la soluzione del puzzle erano loro due, lo erano sempre stati; e questo era tutto quello che contava.
E Lovino, in un modo o nell’altro, sapeva che per Antonio era lo stesso: per chi amava in quel modo, con quel trasporto, l’invecchiare insieme non poteva che essere destino.
Lovino ruppe piano il bacio, allontanandosi dal viso di Antonio, ma lasciando le braccia attorno al collo dello spagnolo. Curiosamente, non si sentiva minimamente imbarazzato: era stato tutto così naturale che pareva non essercene bisogno. Antonio invece sembrava un po’ in difficoltà:
“ma tu… Maia… i-io credevo di non piacerti, e… Lovi, perché?” balbettò, gli occhi sgranati. Non sembrava arrabbiato, però. Più sorpreso.
“Perché ho una cazzo di cotta per te, ecco perché.”
Lovino si sorprese ad ammettere candidamente davanti ad Antonio quello che provava, ma dopotutto non c’era molto altro che quel bacio potesse significare.
E con sua grande sorpresa, Antonio sgranò gli occhi ancora di più, rimase a fissarlo per qualche secondo e poi, tanto velocemente che quasi Lovino non se ne rese conto, gli afferrò il viso e unì di nuovo le loro labbra. E Lovino si sentì rinascere mentre affondava le dita nei capelli di Antonio e lo sentiva aggrapparsi con forza alla sua schiena, mentre il bacio si faceva più profondo di momento in momento. Quando si staccarono, con dolcezza, lentamente, Antonio gli sorrise, gli occhi umidi:
“anch’io, Lovi.”
Ecco, lo ha detto.- pensò Lovino-Non c’è assolutamente nulla che potrei desiderare più di questo. 
Lo spagnolo si strinse a lui, poggiando la propria fronte sulla sua, così che potessero guardarsi negli occhi, dicendosi cose che ad alta voce non avrebbero saputo esprimere. Era tutto così perfetto…
“oh, ma che carini!” li interruppe all’improvviso una voce, appartenente ad un’anziana signora che fece loro un grande sorriso, quando si voltarono a guardarla. E a quel punto i due ragazzi si resero conto che tutte le altre persone nella sala d’aspetto non facevano che osservarli: chi stupito, chi schifato, chi imbarazzato… dovevano aver offerto loro proprio un bello spettacolino.
“Lovi, ci stanno guardando tutti…” borbottò Antonio
“che  guardino, non mi importa. Io ho tutto quello che mi serve.” rispose ad alta voce Lovino.
Poi intrecciò le proprie dita con quelle di Antonio e lo trascinò fuori dall’edificio, sotto il pallido sole invernale di una giornata che, per quanto bene fosse cominciata, non prometteva che di migliorare.
 


Salve!
Sono o non sono brava? Ho aggiornato dopo tre giorni!
Comunque, signore, un bell’applauso per Lovino e Antonio, che ce l’hanno fatta (finalmente)!!!
Detto questo, mi dileguo.
Come sempre, che lo spamano sia con voi,
Lynn
p.s. vi prego in ginocchio di lasciarmi una recensione... sul serio, gente, le vostre recensioni sono la mia vita! XD

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