Ice and Fire

di Aching heart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pain ***
Capitolo 2: *** Anomaly ***
Capitolo 3: *** Salem, the Witches City (part I) ***
Capitolo 4: *** Salem, the Witches City (part II) ***
Capitolo 5: *** Memories ***
Capitolo 6: *** Ice and Fire ***
Capitolo 7: *** Never go back ***



Capitolo 1
*** Pain ***


1.Pain

Jane non aveva mai disobbedito ad un ordine di Aro, mai. Non ne aveva mai avuto il motivo né tantomeno la tentazione: adorava Aro, e qualunque cosa lui le avesse ordinato di fare, lei l’avrebbe fatta. Anche per questa sua particolare devozione, oltre che per il suo devastante potere, era così in alto nella scala gerarchica dei Volturi.
E allora perché, improvvisamente, si sentiva così… estranea alla voce di Aro e a ciò che le stava ordinando di fare?
- Jane, cara? – le chiese lui, vedendo che la vampira era come assente – Ti senti bene?
Jane si riscosse. Era a Volterra, nella sala in cui i tre anziani amministravano la giustizia. Lei si trovava di fianco allo scranno di Aro, che la stava guardando stupito e in attesa di una sua reazione. Anche Caius la guardava nello stesso modo, ma nei suoi occhi c’era anche una nota di minaccia che lei ignorò completamente.
- Sto bene, Signore, perdonatemi.
- Non importa, cara, non importa. Stavo dicendo al nostro amico – e si rivolse ad un vampiro inginocchiato davanti ai tre troni di legno e tenuto fermo da Felix e Santiago – che è davvero poco gentile da parte sua mancarci di rispetto come ha fatto lui mentre noi proteggiamo le leggi, in favore di tutti i nostri simili. Per questo merita una punizione.
Guardò nuovamente Jane con quella sua espressione falsamente gentile, e lei seppe cosa doveva fare. Fissò negli occhi il vampiro processato. Si chiamava Joel e ed era chiaramente un neonato; forse era stato creato per sbaglio, perché nessun adulto gli aveva spiegato nulla della segretezza – lo avevano dedotto dalle numerose vittime che aveva mietuto nel giro di una notte sola – e dei Volturi. Infatti attendeva la punizione con sguardo incerto, guardando senza capire la figura minuta e il viso all’apparenza innocente di Jane: non sapeva cosa lei era in grado di fare, ma lo avrebbe saputo subito. Ingentilì la sua espressione e sorrise amabilmente al neonato, e in quel momento il vampiro inarcò la schiena repentinamente, urlando per il dolore. Jane gli stava infondendo nella mente le dolorose immagini di lui torturato, trafitto da milioni di denti affilati come i suoi, dilaniato dall’interno da un fuoco inestinguibile, e questo era ciò che il neonato avvertiva su di sé, anche se era solo un’illusione. Le sue urla disperate suonarono come musica alle orecchie di Aro e Caius; solo Marcus sembrava impassibile, come al solito.
Lei aveva sempre goduto del male illusorio che infliggeva alle sue vittime, non sapeva se fosse perché stava compiacendo Aro o perché lei fosse sadica, ma in quel momento non era così, perché da qualche parte nella sua mente una voce lontana e piena d’odio le sibilò: “Strega!”.

***

Chelsea sapeva che si stava preoccupando troppo, ma del resto aveva quasi rischiato di perdere Afton, il suo compagno.
Era successo due giorni prima: i Volturi erano stati informati da una fonte attendibile che i due rumeni, Stefan e Vladimir, stavano organizzando una specie di ribellione, con qualcosa come una ventina di vampiri. Sciocchezze, per loro, ma gli anziani avevano preso la decisione di partire immediatamente con alcune delle guardie per poter finalmente annientare i due rumeni, che erano stati una spina nel fianco per secoli, perciò oltre a Jane, Alec, Felix e Demetri erano partiti anche Aro, Caius e Marcus seguiti da Renata, Chelsea e Afton. La presenza di Chelsea era stata richiesta da Aro nel caso avessero trovato qualche vampiro dal talento interessante: lei avrebbe dovuto manipolarne i legami per favorire l’eventuale acquisizione, mentre Afton… lui non aveva un ruolo in particolare. Di solito non faceva niente, ma all’occorrenza aiutava Felix. Non aveva nessun talento ed era stato ammesso nel corpo di guardia solo grazie all’importanza che aveva lei, e quando veniva mandata in missione la seguiva sempre e comunque, sebbene i Volturi non fallissero mai. L’episodio avvenuto ad Olympia con la famiglia Cullen era stata un’eccezione, e comunque erano usciti tutti illesi.
Quella volta, però, era stato diverso. Era una trappola: dei rumeni non c’era traccia e ad attenderli c’erano invece un piccolo esercito di neonati e, con grande stupore di tutti, dei Figli della Luna. Caius era quasi impazzito e aveva iniziato a sbraitare ordini a destra e a manca, ma Aro aveva riportato la calma. Jane, Alec e Demetri insieme avevano facilmente avuto la meglio sui neonati che erano stati annientati senza pietà, fatta eccezione il vampiro che sembrava più maturo degli altri e che era stato interrogato per avere informazioni, ma i tre Figli della Luna erano stati un problema. Felix, Chelsea e Afton ne avevano uno per ciascuno, e né lei né il suo compagno erano molto esperti nei combattimenti con i licantropi. In breve, uno di questi aveva staccato un braccio ad Afton e gli avrebbe staccato anche la testa se Felix, ucciso il lupo con cui si stava battendo, non fosse intervenuto. Afton si era poi riattaccato il suo braccio e aveva continuato a lottare, stavolta in aiuto della sua donna, ma Chelsea era rimasta come pietrificata: aveva dato il suo amore per perso, e per un attimo aveva sentito il mondo fermarsi e se stessa estraniarsi da esso. Se il suo cuore fosse stato ancora attivo, la vampira era certa che si sarebbe fermato. I suoi occhi terrorizzati vedevano ancora il lupo che feriva Afton, e solo quando lui la prese per le spalle e la scosse, preoccupato, lei ritornò alla realtà. Mai da quando lo aveva conosciuto aveva pensato poterlo perdere.
Ed era stato proprio in quel momento che, senza accorgersene, aveva perso mentalmente la presa su alcuni dei legami che manipolava; subito dopo averlo scoperto non gliene era importato molto, occupata com’era ad accertarsi che il suo uomo stesse bene, ma dopo si era resa conto che quell’errore avrebbe potuto comportare la distruzione dei Volturi. C’era Marcus, per esempio, che lei teneva costantemente in quello stato di indifferenza totale per permettere ad Aro di sfruttare il suo potere. Se quel legame fosse sfuggito dal suo controllo, Marcus avrebbe potuto tentare di uccidere Aro, con conseguenze che nemmeno lei immaginava. Oppure c’era Demetri, il cui clan era stato distrutto solo perché i tre anziani potessero annettere lui alle loro fila. O ancora i gemelli, con dei poteri così grandi e una così grande devozione per Aro che si sarebbe potuto trasformare in odio, se lei non fosse stata attenta. Lei, Chelsea, era come un burattinaio che maneggiava a suo piacimento i suoi burattini. Beh, in realtà li maneggiava a piacimento di Aro: lui era il capo. Se lei avesse voluto, avrebbe potuto piegare lui e gli altri due anziani ai suoi piedi, ma non le sarebbe piaciuta quella posizione di potere. Preferiva stare dietro le quinte, dove si stava più larghi, a muovere i suoi fili dei suoi burattini all’oscuro di tutti. In fondo la sua era una posizione invidiabile, ed Aro la trattava come si tratta un tesoro dal valore inestimabile: le aveva addirittura concesso di indossare il mantello nero che indossavano solo gli anziani e le mogli, e lo stesso era stato concesso ad Afton, perché lui era importante per la permanenza di Chelsea. Lui sapeva quale grande potere avesse la sua vampira, ma condivideva la sua idea su come sfruttarlo. Comunque era il solo, oltre agli anziani, a sapere del potere della rossa: tutto il resto della guardia ne era all’oscuro. Questa era una delle cose che piacevano maggiormente a Chelsea, il sapere tutto di tutti ma non far sapere niente di lei a nessuno. Aro non aveva raccontato tutto volentieri alla manipolatrice, ma aveva dovuto farlo perché lei potesse decidere in che modo stringere i diversi legami.
Dopo quell’incidente, aveva provveduto subito a ristabilire l’ordine nella sua mente: fortunatamente, il legame di Marcus non aveva risentito dell’accaduto, la sua mente era troppo attenta su di lui, c’era soltanto qualche piccolo danno qua e là, e aveva sistemato tutto. Ciò di cui non si era accorta, però, era che nel momento in cui il legame di Jane con Aro si era indebolito, la vampira bionda era rimasta come fulminata. Era in piedi, immobile, a guardare i cumuli fumanti di quelli che erano stati i suoi nemici, con gli occhi cremisi assenti. Lei guardava, ma non vedeva, perché i suoi occhi vedevano altro: vedevano un cielo scuro, quasi nero, con qualche debole stella e la luna coperta, vedevano un mare di gente con abiti di un’altra epoca che la fissava con facce incattivite, alcune terrorizzate, ma la maggior parte crudeli; lei vedeva le fiamme sotto di sé farsi sempre più alte e intense, e sentiva il loro calore insopportabile, sentiva dentro di sé la paura, la rabbia, il dolore, l’odio, e la folla urlare: “A morte la strega!
Quando Chelsea aveva riparato il legame tutte quelle sensazioni erano sparite, Jane era tornata alla realtà e aveva sentito potente come prima la sua devozione per Aro, ma sentiva altrettanto potente il ricordo di un tempo in cui lo aveva inspiegabilmente odiato.
Nei due giorni successivi Jane aveva riscontrato dei cambiamenti in se stessa, che fortunatamente non erano stati notati dagli altri. Spesso si perdeva nei propri pensieri, che la portavano sempre a rivedere quelle immagini che non ricordava di aver mai visto prima, ed era cosciente di provare per il capo dei Volturi due sentimenti diametralmente opposti, ma non sapeva perché. Per la prima volta da quando era entrata nella guardia si chiedeva perché adorasse tanto Aro, che cosa avesse fatto di buono per lei da meritare la sua devozione. E si domandava perché invece lo avesse tanto odiato e perché non se ne fosse ricordata prima. A volte sentiva di conoscere la risposta, ma quando stava per arrivarci questa scivolava via lasciando un senso di incertezza insopportabile. Quando ciò accadeva – ma questo Jane non lo sapeva – era segno che Chelsea stava avendo problemi col suo talento. Infatti da quando aveva perso il controllo terrorizzata per la sorte di Afton, esso si comportava in maniera strana, come se fosse dotato di volontà propria, o come se fosse il segnale di una radio male sintonizzata. Diminuiva d’intensità di colpo, soprattutto su Jane, e la manipolatrice doveva concentrarsi seriamente per qualche minuto per rimediare. Non aveva che due possibili spiegazioni per quel fenomeno: che con quel forte spavento il suo potere fosse stato irreversibilmente danneggiato, eventualità alla quale non osava neanche pensare, o che quegli sbalzi fossero dovuti alla sua preoccupazione per il compagno, e allora cercava disperatamente di calmarsi, senza riuscirci. Era terrorizzata dalla possibilità che Aro la scoprisse, ma fortunatamente lui non aveva ancora sospettato niente né aveva voluto toccarle la mano per conoscere i suoi pensieri, e sperava di risolvere il problema prima che questo succedesse.

***

Alec fissò sua sorella alla luce tremolante delle fiaccole accese sulla terrazza, in cima alla torre del Palazzo dei Priori.  Era da un po’ che era strana. Di solito parlava sempre con lui di ogni cosa, dalla più importante alla più insignificante, eppure da un paio di giorni Jane era fin troppo silenziosa e pensierosa, e non sembrava più lei. La sua abituale serenità sembrava essersene andata, e se lui la guardava attentamente negli occhi identici ai suoi riusciva a vedere lo spettro di un ricordo: fiamme roventi che lambivano due figure legate ad un palo. Non sapeva se fosse reale o solo un’impressione, ma era ciò che vedeva e lo faceva riflettere. Se provava a pensarci molto a lungo riusciva a vedere quelle immagini nella sua testa, ma subito dopo non avvertiva più niente, come se la vista gli si fosse oscurata insieme a tutti gli altri sensi. Quello era l’effetto della specie di nebbia che era il suo talento, e davvero non sapeva cosa c’entrasse.
Non aveva chiesto nulla alla sua gemella perché non voleva invadere la sua privacy e contava sul fatto che prima o poi lei si sarebbe confidata, ma era venuto a sapere che quel giorno esitato ad obbedire ad un ordine di Aro. Oltre ad essere molto strano da parte di Jane, era anche pericoloso, perché se avesse continuato così e Aro si fosse arrabbiato, sua sorella avrebbe anche potuto rimetterci la vita. Per questo aveva deciso di parlarle.
- Jane? – le chiese rompendo il silenzio.
- Sì, Alec? – rispose lei continuando a guardare il panorama sotto di sé.
- Non mi racconti nulla?
Jane si voltò verso di lui e lo fissò attentamente per qualche secondo per poi rispondere:- Suppongo che tu sappia già ciò che vuoi sapere da me. Perché me lo chiedi?
- Perché non è normale, ed è pericoloso.
- Ero un po’ sovrappensiero, Alec, tutto qui.
-No, non è tutto qui, perché tu non sei mai sovrappensiero quando Aro parla, e non esiti mai ad eseguire un suo ordine, ed è bene che sia così, perché se dovesse credere ad una tua insubordinazione…
-Insubordinazione?! – sbottò improvvisamente Jane, che anche se si arrabbiava facilmente fuori manteneva sempre il controllo. – Non gli ho mai dato motivo di crederlo, l’ho sempre servito fedelmente, e non credo che un piccolo errore possa mettermi in pericolo.
-Io sono solo preoccupato per te, ecco tutto.
- Non ce n’è bisogno, Alec – disse seccata. Poi aggiunse:- Voglio stare un po’ da sola.
Alec sospirò, ma decise di accontentarla, e un secondo dopo era già sparito.
Jane rimase immobile, appoggiata alla merlatura della torre mentre una brezza fresca le lambiva piacevolmente il viso. Era sera, quindi non si esponeva a nessun rischio. Guardava la città sotto di lei, che svolgeva la sua vita inconsapevole del suo sguardo malinconico. Quella notte la luna sarebbe stata impossibile da vedere, e per questo avvertiva come una sensazione di tristezza e di solennità, perché nelle immagini che rivedeva in quei giorni, mentre il fuoco bruciava, la luna era completamente coperta dalle nuvole.
Era dispiaciuta di aver trattato così male suo fratello, la persona più diversa da lei ma che la conosceva meglio di chiunque altro al mondo, il suo migliore amico da sempre, ma voleva davvero stare sola e non avrebbe tollerato neanche la sua compagnia. Aveva bisogno della solitudine per riprendere il controllo di se stessa e per provare a lasciare fuori dalla mente le strane sensazioni di quei due giorni.
Disobbedienti, i ricordi le rilanciarono nelle orecchie le grida di dolore di quel neonato, quel Joel, che ormai era stato distrutto. Non sapeva perché, ma quando l’aveva sentito urlare un tipo di dolore a lei estraneo si era fatto strada nel suo cuore morto.
Un dolore che si chiamava rimorso. 


*Angolo Autrice*
Dunque, questa è la prima fan fiction che scrivo nel fandom di Twilight. La saga in sé per sé non mi piace, ma ho trovato molto affascinanti alcuni dei personaggi... i Volturi, ovviamente. Non chiedetemi perché io sia sempre attratta dagli antagonisti, non lo so neanch'io, ma un personaggio fantastico come quello di Jane non si può non amarlo! Vi starete chiedendo come mai io faccia il tifo per una coppia impossibile come la JanexJacob, ebbene, me lo chiedo anch'io. Ho sempre odiato Jacob e se possibile lo odio ancora di più da quando ha avuto l'imprinting con Renesmee (pedofilia! pedofilia! pedofilia!), ma tempo fa ho letto una OS su lui e su Jane e mi sono semplicemente innamorata di questa coppia, perciò eccomi qui. A dire il vero questa storia ho iniziato a scriverla mesi fa ma non sono mai andata oltre il quinto capitolo per mancanza di ispirazione, ma oggi ho deciso di fare un tentativo e di pubblicare il primo capitolo per vedere come questa storia sarebbe stata accettata. Se piacerà mi metterò d'impegno e cercherò di andare avanti. 
Comunque per adesso abbiamo visto solo Jane, Jacob entrerà in scena dal prossimo capitolo, ma i due non si incontreranno subito: prima del loro incontro voglio gettare le basi del loro cambiamento, e Jane deve scoprire qualcosa di più sul suo passato, perciò, se siete interessati, abbiate pazienza.
Bene, se siete arrivati a leggere fin qui vi faccio i complimenti e vi ringrazio, e vi ringrazio il doppio se mi lascerete una recensione, anche piccola piccola o anche negativa. Ho bisogno di commenti per migliorare.
A presto, se vorrete!
P.S. Ho messo l'avvertimento OOC perché, essendo la prima volta che tratto questi personaggi, non sono certa di riuscire a rimanere fedele ai loro caratteri originali, perciò se qualche volta sforerò dall'IC sarete avvisati.

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Capitolo 2
*** Anomaly ***


2. Anomaly

Un’anomalia, ecco che cos’era quell’episodio. Jacob ne era stupito, e se ne vergognava.
Stava guidando per le strade di Forks per andare da Charlie: doveva dirgli di stare alla larga da casa Cullen per un paio di giorni a causa di una visita non proprio adatta a presenze umane (anche se certo questo non poteva dirglielo), e aveva portato con sé Renesmee per farla stare un po’ con il nonno, in modo da fargli accettare meglio la lontananza da lei nei prossimi giorni, anche se forse a lui e alla piccola sarebbe stato concesso di nuovo di andare da Charlie durante la permanenza dell’ospite. I Cullen avevano ricevuto la visita di Alistair, l’amico di Carlisle che li aveva abbandonati prima dell’arrivo dei Volturi. Era stato avvisato del mancato scontro e della “assoluzione” dei Cullen, così dopo circa un anno era tornato da loro a chiedere scusa con l’intenzione di fermarsi lì per due giorni.
I due erano nella Volvo di Edward, Jacob che guidava con aria distratta e Renesmee seduta sul sedile del passeggero, con la cintura di sicurezza, anche se le sarebbe servita a poco, che canticchiava allegramente. Normalmente, Jacob sarebbe stato contagiato dall’allegria di Nessie e l’avrebbe assecondata. Normalmente (quella cosa dell’imprinting si poteva poi definire “normale”?). Da qualche tempo, però, Jacob era in qualche modo sempre più indifferente all’umore e ai progressi di Renesmee, così quella volta in macchina mentre lei canticchiava da far invidia agli usignoli lui rimaneva impassibile. Poi, mentre era fermo davanti alle strisce pedonali ad aspettare che il pedone attraversasse la strada, una ragazza di Forks che non conosceva gli era passata davanti agli occhi, ancheggiando ad ogni passo, e aveva attirato la sua attenzione con i suoi vestiti aderentissimi che mettevano in risalto ogni singola curva del suo corpo. Lui aveva trattenuto l’impulso di fare un fischio di apprezzamento, ma si era sentito indubbiamente attratto da quella figura femminile, come era attratto dalle altre ragazze prima di conoscere Bella. Era stato quello a farlo vergognare e a scatenare la sua incredulità: aveva avuto l’imprinting con Nessie, diavolo! A parte il fatto che non era giusto nei suoi confronti, una cosa del genere non sarebbe neanche dovuta accadere. Era un’anomalia in una cosa anomala.
Insomma, negli ultimi tempi si era praticamente trasferito a casa Cullen, e sebbene questa fosse stata e fosse tutt’ora piena di vampire avvenenti, in confronto a cui quella sconosciuta che era passata sarebbe scomparsa, non le aveva mai degnate di un’occhiata di apprezzamento. E non dipendeva dal fatto che le disprezzasse per la loro natura o per il loro odore ripugnante, ma dal fatto che per lui non esisteva nessuna all’infuori di Nessie. Era lei il suo sole, la sua luna, il suo tutto… e ora? Jacob scosse la testa e parcheggiò davanti a casa di Charlie. Cercò di lasciare ogni pensiero fuori da lì mentre faceva scendere l’ignara bambina e suonava al campanello dell’ispettore Swan – alla cui porta, naturalmente, comparve Sue Clearwater. Doveva passare un bel pomeriggio con loro, si ripromise, e oltretutto doveva esercitarsi a non pensare a quella stranezza, perché era certo che se Edward, e di conseguenza Bella, avesse sentito quel pensiero, sarebbe stato un licantropo morto.

***

Alistair “Cuor di Leone”: era così che era stato soprannominato l’amico nomade di Carlisle dopo aver dato forfait. Non sembrava che il suo coraggio fosse migliorato, osservò Bella, eppure doveva essere veramente dispiaciuto, e Edward gliel’aveva confermato.
In quel momento il vampiro dagli occhi rossi era fuori, fra gli alberi, a parlare con Carlisle mentre gettava frenetiche, preoccupate occhiate a Seth e Leah, sotto forma di lupi ai piedi del suo albero con espressioni decisamente poco amichevoli sui loro musi, e Bella lamentava dentro di sé tutto quel tempo che passava lontano da sua figlia, tempo perso.
Quando Alice aveva visto Alistair arrivare aveva insistito perché almeno tutti i Cullen adulti fossero presenti, e infatti lui era parso apprezzare la cosa. Bella guardava la scena dalla finestra della vecchia stanza di Edward mentre lui le cingeva la vita con le braccia.
-Alistair non riesce proprio ad abituarsi ai lupi, eh? – fece lei.
-Dubito che qualche altro vampiro a parte noi ce la farebbe.
-Eppure noi riusciamo ad andare così d’accordo con loro… Rosalie esclusa, ovvio.
-Beh, i nostri rapporti con loro sono così fuori dall’ordinario principalmente per due motivi altrettanto non ordinari: la nostra dieta vegetariana, e l’imprinting fra Jacob e Renesmee. Ti sei già dimenticata com’era tesa la situazione prima della nascita di Nessie?
-Più o meno. I ricordi umani sono così… labili. Io mi concentro solo su quelli che voglio tenere per l’eternità.
-Beata te che di quel periodo non ricordi quasi niente, allora. Vorrei poter dimenticare certi spiacevoli episodi…
-… che hanno come protagonista Jacob, immagino.
-Beh, co-protagonista. Ma in effetti, sì, è principalmente lui che voglio eliminare dalla mia memoria, anche se adesso posso soffrirlo un tantino di più.
-Lo spero bene, grazie a lui ci siamo tirati fuori da un bel guaio. Io personalmente gli sono molto grata.
-Lo sono anch’io. Ma tu non eri così accomodante quando hai scoperto il fatto dell’imprinting.
-Sì, lo so, ma ormai mi sono abituata all’idea, anche se… tu non lo vedi strano, ultimamente? Jacob, intendo.
-A dire la verità, sì. E’ molto sulle sue, un po’ meno solare e attaccabrighe del solito. E’ molto pensieroso, ma è diventato bravo a tenermi alla larga dei suoi pensieri. Quando provo a sentirli è tutto così confuso! E sembra che più passi il tempo più diventi strano…
-Credi che stia pensando a quando Renesmee crescerà? Credo che avrà un rivale in amore… - Bella sospirò.
-Credo anch’io. Nahuel è un bel tipo, ma a dirla tutta preferisco Jacob.
-Questo sì che è un gran bel passo avanti!
-Grazie – fu la sorridente risposta di Edward, ma quel sorriso si spense subito per fare spazio ad un’espressione dubbiosa. –Alice? – chiamò.
Dopo un paio di secondi anche Bella riuscì a sentire il passo leggero e la fragranza della sua sorella preferita, che entrò nella stanza tenendo in mano con espressione preoccupata una lettera.
-E’ per voi due. Da parte di Nahuel – detto questo, lanciò un’ultima occhiata preoccupata alla lettera (preoccupazione dovuta sicuramente al fatto che non riusciva a vedere quali sarebbero state le conseguenze di quella lettera, essendo mandata da un mezzovampiro come Nessie) e si dileguò.
-Però, che coincidenza… - disse Edward, tenendo la busta di carta in mano.
-Quando si parla del diavolo… - disse a sua volta Bella, che prese la busta, la aprì e iniziò a leggerne il contenuto.
Cari Edward e Bella Cullen,
spero che voi, Renesmee ed il resto della famiglia stiate bene. Io e mia zia Huilen abbiamo ripreso la nostra solita vita nella foresta, ma sentiamo la mancanza di compagnia. Vorremmo invitare voi due e vostra figlia a passare un po’ di tempo qui da noi, se a voi fa piacere. Decidete voi la data e la durata della visita, per me e mia zia andrà comunque bene. Datemi al più presto vostre notizie.
Vostro

Nahuel

-Bene – esclamò Edward quando Bella ebbe finito di leggere – Nahuel è passato subito all’azione. Bella mossa, la sua, ma l’invito non è esteso anche ai lupi, e dubito che Nessie vorrà venire senza Jacob.
-Prevedo triangoli amorosi – fu la cupa risposta di sua moglie.

***

Jane credeva di impazzire con tutti gli sbalzi d’umore di quei giorni. Non sapeva cosa le stesse succedendo, ma si sentiva sempre in balìa di una tempesta, e la testa sembrava essere sul punto di esplodere. Quella mattina aveva visto Aro e si era sentita invadere dall’odio, aveva provato l’impulso potente di ucciderlo, e circa un’ora dopo pensando a lui, si ritrovò a guardarlo con gli stessi occhi adoranti di sempre. Avrebbe voluto poter dormire per sfuggire almeno per qualche ora a quegli umori altalenanti… magari erano dovuti proprio all’assenza di riposo, ma lei non era certo il vampiro più  anziano fra i Volturi, e non le risultava che qualcun altro avesse i suoi stessi problemi. Dunque non sapeva cosa pensare. Un’altra cosa che la faceva stare male era il non potersi confidare con Alec, che fino a quel momento era stato il suo migliore amico e confidente, la sua metà. Non sapeva come dirgli tutto quello che provava, e se anche l’avesse saputo, avrebbe potuto rischiare molto. A Palazzo dei Priori anche i muri avevano orecchie, Jane lo sapeva bene, e dire ad Alec che c’erano momenti in cui avrebbe voluto uccidere il capo degli anziani avrebbe quasi sicuramente significato la sua morte; oltretutto non voleva neanche mettere nei guai il suo gemello.
Infine, c’era il sentimento che più di tutti l’assillava: il rimorso. Mai in tutta la sua vita l’aveva provato, e perché proprio ora questo venisse a tormentarla era un mistero. Chi era per lei quel neonato prigioniero che aveva torturato? Nessuno; eppure nel risentire le sue urla, la sua espressione sofferente e spaventata, si era sentita un mostro orrendo per la prima volta dalla sua rinascita. Nella sua lunga vita da vampira aveva esercitato il suo talento innumerevoli volte: aveva seguito Napoleone per avere nuove vittime, aveva preso parte alla Seconda Guerra Mondiale e a quella dell’Indocina a quello stesso scopo, e ogni volta era stata crudele e spietata, e nessun rimorso l’aveva mai sfiorata. Ricordava di essere gonfia di un odio bruciante, sconfinato, verso tutto il genere umano, qualcosa che aveva ben poco a che fare con la sete. Eppure per quanto si sforzasse di ricordare non le veniva in mente il perché, ma solo quell’immagine di fuoco e quel sibilo insiodioso che cresceva d’intensità fino a diventare un grido impietoso.
Strega!


*Angolo Autrice*
Eccomi qui! Come promesso, Jacob è entrato in scena e come potete vedere ha dei dubbi sull'imprinting con Renesmee... dubbi che non dipendono dalla sua volontà, ma che verranno chiariti meglio più avanti. Jane invece è sempre torturata dagli stessi pensieri dello scorso capitolo e non fa passi avanti, ma per questo bisognerà aspettare il prossimo aggiornamento. Se vi state chiedendo quando lei e Jake si incontreranno, ebbene, non sarà subito, ma potete immaginare come a questo proposito l'invito di Nahuel caschi a fagiuolo... per quanto riguarda Edward e Bella, abbiate pietà! Sicuramente non sarò riuscita a caratterizzarli bene, ma li detesto così tanto che per me è impossibile scrivere di loro decentemente.
Spero che questo capitolo non vi abbia deluse; ringrazio tutti quelli che hanno messo fra le ricordate/seguite/preferite/ questa ff, i lettori silenziosi se ci sono e mila theodora, francy voltura potter e Beauty per aver recensito. 
A presto!

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Capitolo 3
*** Salem, the Witches City (part I) ***


3. Salem, the Witches City (part I)
-Aro, ti devo parlare – esordì Caius con la solita aria feroce. Non abbandonava praticamente mai quel suo cipiglio minaccioso, specialmente se c’era qualcosa che non andava come avrebbe dovuto e che quindi lo urtava in maniera considerevole; evento che, a dire il vero, si verificava abbastanza spesso.
-Dimmi, fratello – rispose Aro, perfettamente impassibile di fronte al malumore dell’altro, tendendo in avanti le mani come ad invitarlo a condividere i suoi pensieri. Caius le toccò con la punta delle dita, come aveva sempre fatto, e trasmise le sue preoccupazioni all’anziano. Preoccupazioni che riguardavano Jane.
Da qualche giorno la vampira bionda era strana, meno attenta agli ordini che le venivano impartiti; sembrava – per quanto fosse possibile per un vampiro – sovrappensiero, con la testa fra le nuvole, quasi in un altro luogo, e non sempre Caius riusciva a scorgere in lei quell’atteggiamento adorante nei confronti di Aro che l’aveva sempre contraddistinta in mezzo agli altri membri della guardia.
Il capo degli anziani si impossessò di quei pensieri in un secondo solo, e quando parlò nuovamente anche il suo tono era preoccupato.
-Comprendo ciò che ti turba, fratello. In verità, il comportamento di Jane turba anche me. Non riesco a immaginare cosa possa esserle successo, a meno che non ammettiamo la possibilità di uno sbaglio da parte di Chelsea.
-Impossibile! – ruggì l’anziano dai capelli bianchi come la neve. – Chelsea non può sbagliare, non l’ha mai fatto, altrimenti non avrebbe l’onore che le abbiamo concesso!
La sua risposta era prevedibile: era stato Caius a scoprire Chelsea quando non era altro che una neonata senza alcun punto di riferimento, una pietra grezza, e quando Eleazar gli aveva detto qual era il talento della vampira dalla liscia chioma rossa aveva subito capito il potenziale che poteva avere all’interno dei Volturi; Aro lo ammetteva, era stato Caius, in quel modo, ad aver dato i natali alla loro potenza, e lui ne era sempre stato molto orgoglioso. Era invece sempre stato poco accomodante nei confronti di Jane, forse perché era stata trovata e trasformata da Aro, o perché il suo talento, combinato a quello del gemello, era riuscito ad offuscare quello di Chelsea agli occhi dell’anziano dai lunghi capelli corvini.
-Calma, fratello – disse con tono estremamente conciliante il capo degli anziani. – Ho solo esposto una possibilità. In ogni caso, fa’ chiamare Jane, così potrò sapere direttamente da lei cosa è successo.
***
Jane era inginocchiata davanti ai tre scranni, ma solo uno, quello di Aro, era occupato. Non sapeva perché l’avesse fatta chiamare, ma quando aveva visto che nella sala di pietra c’erano solamente loro due si era preoccupata notevolmente.
-Mi avete fatta chiamare, Signore? – disse, rialzandosi, cercando di non lasciar trapelare nulla dalla sua voce.
-Sì, Jane. E’ da qualche giorno che ti osservo, e con me i miei fratelli. Abbiamo notato che recentemente hai un comportamento strano, insolito. Non da te. C’è qualcosa che ti turba?
 -No, Signore – . La sua espressione rimase quella fredda di sempre, come se stesse indossando una maschera, ma dentro l’agitazione cresceva. Era una fortuna che non avesse un cuore umano che avrebbe potuto tradirla mettendosi a battere furiosamente. A tradirla però furono comunque i suoi occhi.
-Cara, cara Jane, – disse infatti Aro con un sospiro che aveva un qualcosa di teatrale – mi addolora che tu fra tutti mi menta. Proprio tu, la mia prediletta…
-Non era mia intenzione arrecarvi dolore, Signore. In realtà c’è qualcosa che mi preoccupa, ma non è nulla di grave. E’ qualcosa di… molto personale.
-Così personale da non farlo sapere neppure a me?
-Mi dispiace, Signore – si limitò a dire lei, sperando che Aro non insistesse oltre.
-Capisco. Spero solo che questo problema non ti impedisca di svolgere il tuo dovere.
-No, Signore – lo rassicurò.
-Molto bene, puoi andare.
Jane si inchinò leggermente, in segno di rispetto, poi sparì.
***
Chelsea stava male, molto peggio di quanto non si fosse sentita in quegli ultimi giorni. Avvertiva una forte pressione nella testa e un suono talmente acuto da farle male le risuonava nelle orecchie sensibilissime, rendendole incredibilmente difficile concentrarsi. Era sicura che dipendesse dai problemi che il suo talento le stava dando ultimamente, ma questo non la aiutava a riprendere il controllo né a sentirsi meglio, e anzi rendeva il tutto molto frustrante. Quel che era peggio, non sapeva neanche quali sarebbero state le conseguenze di quel malore: era probabile che i legami fossero rimasti come li aveva impostati lei, ma era probabile anche il contrario.
Non sapeva che dell’improvviso malessere che l’aveva colta aveva risentito la stabilità di un solo legame, quello che già da un po’ stava avendo – e le stava dando –  problemi. Quello di Jane.
***
Due ragazzini, una ragazza ed un ragazzo, di non più di quindici anni correvano a perdifiato nel bosco con l’aria disperata di chi sta scappando dalla Morte in persona. Ogni tanto rischiavano di inciampare a causa delle radici che sporgevano dal terreno, e i rami intricati graffiavano loro il viso mentre scappavano. La ragazza soprattutto era ostacolata dalla lunga gonna, che teneva sollevata in una maniera che sarebbe stata giudicata decisamente oscena in una situazione normale, ma se avesse fatto altrimenti avrebbe potuto definitivamente dire addio alla sua ultima speranza di salvarsi.
Fu lei a voltarsi indietro quando alle sue spalle sentì un tonfo e un grido di dolore. L’altro ragazzino era caduto disteso a terra e sembrava incapace di muoversi. Quando la ragazzina capì cosa era successo, gridò: -Alec! No!
-Jane, scappa, vai via di qui! – gli disse lui, cercando di non mettersi a urlare.
-Io non ti lascio! –. Il tono della ragazza bionda era lacrimoso e infinitamente disperato.
-Vai, ti ho detto! Presto saranno qui, e se ti prendono…
Alec cercò ancora una volta di liberarsi il piede dalla tagliola in cui era incappato, ma più si divincolava, più si feriva. In lontananza udì i cani da caccia abbaiare, pericolosamente vicini. Stavano cercando loro due.
Anche Jane li aveva sentiti ed era in preda al panico: non voleva essere presa, né voleva lasciare suo fratello nelle mani di quelle persone orribili. Era lei che volevano, era lei la strega. Se i cacciatori avessero preso Alec avrebbero potuto torturarlo per avere informazioni su di lei, oppure avrebbero potuto ucciderlo: entrambe le opzioni erano troppo terribili per poter anche solo pensare di lasciarlo al suo destino. Tornò indietro, verso di lui, si inginocchiò sullo strato di foglie secche che ricoprivano il terreno del bosco e iniziò ad armeggiare con la trappola per cercare di aprirla.
-Cosa fai? Vattene! – cercò di spronarla lui.
Nel buio della foresta si intravedevano già le luci delle fiaccole dei cacciatori di streghe. Lei ignorò tutto, la voce del fratello, quelle degli uomini che si avvicinavano, il latrare dei cani sempre più vicini e cercò di sbrigarsi, ma aprire quella dannata tagliola non era per niente facile.
-Jane, attenta!
La ragazza ebbe appena il tempo di alzare lo sguardo che un segugio le balzò addosso, facendola finire distesa a terra e ferendola alla spalla. Lei si rialzò, afferrò un bastone e lo brandì davanti al cane, cercando di tenerlo lontano da Alec che, in quel momento, era più vulnerabile di lei.
Fu una questione di secondi: subito dopo i cacciatori li raggiunsero, e loro seppero che avevano perso la partita. Gli uomini richiamarono i cani e presero i due gemelli, non senza infierire brutalmente sulla ferita alla caviglia di Alec. Un energumeno che aveva afferrato Jane la guardò con odio e poi disse: - Strega, hai finito di tormentare la gente di Salem!

Salem… Salem… quel nome non era nuovo a Jane.
 Aveva appena avuto una specie di flashback, ma era tutto così confuso… c’erano lei e suo fratello, questo lo ricordava con chiarezza, e degli altri uomini. Non riusciva a ricordare distintamente le immagini, però ricordava le sensazioni di terrore e disperazione che l’avevano assalita, e  ricordava che qualcuno aveva detto la parola “Salem”.
Qualcosa le diceva che lei conosceva quel posto. Posto? Salem era un luogo? Certo che lo era. Si trovava nel New England. Come facesse a saperlo, non ne aveva idea, ma sentiva che quello era un luogo molto importante per lei. Doveva andarci.
E ci sarebbe andata.


*Angolo Autrice*
*Fa capolino lentamente, temendo di essere linciata* Dunque, non so cosa dire dopo un ritardo del genere, a parte farvi le mie profonde scuse (e implorarvi di non linciarmi, vista anche la brevità del capitolo). In mia discolpa posso dire solamente che il rientro a scuola, pur non essendo stato traumatico come mi aspettavo, è stato comunque molto impegnativo e non ho avuto molti momenti liberi per aggiornare.
Detto questo, faccio qualche precisazione: la storia di Jane e Alec che scappano dai cacciatori di streghe di Salem l'ho presa da Wikipedia, infatti è stata proprio la Meyer a rilasciare queste informazioni, così come l'ha detto lei che è stato Aro a trasformarli... comunque di questo parleremo meglio nei prossimi capitoli; il fatto che sia stato invece Caius a trovare Chelsea me lo sono inventato io di sana pianta.
Povera Chelsea... la sto letteralmente martirizzando in questi capitoli, e fra lei e Jane non so chi se la stia passando peggio. Comunque, i prossimi due capitoli saranno decisivi per Jane, e vi prometto che cercherò di aggiornare quanto prima. Spero che il flashback vi sia piaciuto.
Ringrazio tutti quelli che hanno inserito fra le ricordate/seguite/preferite questa storia, i lettori silenziosi e _Louki__ e mila theodora per aver recensito.
Alla prossima!

 

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Capitolo 4
*** Salem, the Witches City (part II) ***


4. Salem, the Witches City (part II)
Fare parte del corpo di guardia dei Volturi non voleva dire essere prigionieri. Tutti i membri, quando non erano in servizio, potevano fare quel che volevano e andare dove volevano, purché rispettasse le poche regole imposte dai tre anziani. Questo voleva dire rispettare la legge della segretezza, non stare via troppo a lungo, salvo casi eccezionali, ritornare immediatamente a Volterra in caso di pericolo per i Volturi e chiedere il permesso ad Aro per assentarsi proprio come un dipendente chiede un permesso al datore di lavoro. Tuttavia era questo permesso a costituire il problema, per Jane: dal momento che era fuori discussione rivelare il vero motivo del suo viaggio al capo degli anziani e mentire ad Aro era pressoché impossibile a causa del suo talento, l’unica soluzione praticabile era quella di uscire di notte, durante la quale il corpo di guardia godeva di una certa privacy, proprio come gli umani, anche se di certo non dormivano. Ma andare fino in America a nuoto, cercare Salem e vedere cosa ci fosse lì di tanto importante e poi tornare a Volterra non era roba da farsi in una sola notte… a meno che non partisse il sabato sera per poi ritornare il lunedì mattina. In tempi pacifici come quelli, infatti, le guardie potevano usufruire di alcuni weekend liberi, e molti ne approfittavano per uscire dalle mura di Volterra e viaggiare un po’. 
Jane non aveva mai sentito il bisogno di farlo – partecipando a tutte quelle guerre aveva visto fin troppo, del mondo, senza contare che lasciare Aro per quasi tre giorni senza essere in missione le sembrava un’idea terribile – ma stavolta avrebbe sfruttato quell’opportunità. La parte più difficile sarebbe stata lasciare da solo Alec, non tanto per il timore che il fratello non si sarebbe lasciato convincere, ma per paura di ferirlo. Quel pensiero aveva dell’incredibile e anche del ridicolo per un vampiro, ma Alec era il suo gemello, e anche prima della loro rinascita erano sempre stati due parti di una unica entità. Lasciarlo indietro adesso avrebbe significato rompere quel legame, tenere l’altro all’oscuro di qualcosa avrebbe voluto dire ritenerlo indegno della propria fiducia, e sebbene non fosse quello il motivo che spingeva Jane a partire da sola si sentiva ugualmente in colpa.
Ma quella era una cosa che sentiva di dover fare da sola: lei aveva avuto le visioni, lei era tormentata dal rimorso, e ancora lei era quella che portava guai, sempre. 
Perciò decise che il sabato successivo sarebbe andata nel Massachusetts, New England.
***
L’alba era vicina, e Jane si godeva lo spettacolo del sole nascente dalla finestra della camera che aveva affittato in un Bed and Breakfast in una zona periferica, vicino al porto di Salem.
Era arrivata quella notte, zuppa d’acqua dopo aver attraversato a nuoto l’oceano, ma aveva salvato i soldi – che poi avrebbe provveduto a cambiare – , i vestiti di ricambio e i documenti (che, per evitare guai, la davano per maggiorenne) in uno zaino impermeabile. Niente cellulare: non voleva essere rintracciata, anche se questo contravveniva ad una delle regole. 
Prima di addentrarsi nel porto aveva atteso, al riparo fra gli scogli della costiera, di asciugarsi quasi del tutto, in modo da non attirare troppo l’attenzione. Per lo stesso motivo aveva tenuto il più possibile lo sguardo basso mentre parlava con la ragazza della reception, nel B&B, più tardi, ma forse la ragazzina aveva notato lo stesso i suoi occhi rossi, perché la guardava comunque con aria inquieta.
Una volta in camera si era fatta una doccia calda, si era data una sistemata e aveva indossato gli abiti di ricambio, per poi andare a sedersi sul divanetto incassato nella parete sotto la finestra e guardare attraverso il vetro il mondo che cambiava, ora dopo ora.
Si era appuntata mentalmente le cose che avrebbe dovuto fare l’indomani, prima di tutto cambiare gli euro in dollari e poi procurarsi un paio di lenti a contatto, e aveva stilato accuratamente tutto il programma della giornata, ma presto le cose con cui occupare la sua mente erano finite, e lei si era ritrovata a riflettere malinconica sulla sua solitudine, su ciò che non andava nella sua non-vita. 
Finalmente il sole sorse, timido e coperto dalle nubi. Era gennaio, e le previsioni meteo annunciavano una nevicata, perciò i raggi solari non sarebbero stati un problema; in ogni caso aveva con sé l’armamentario completo: pantaloni grigio scuro, stivali neri, maglioncino grigio a collo alto, guanti e giubbotto di pelle neri, e un ampio cappuccio. Con un ombrello e una sciarpa, sarebbe stata completamente al sicuro. Diede un’ultima occhiata allo specchio, arrendendosi all’evidenza che non avrebbe potuto mascherare i alcun modo i suoi occhi rossi finché non avesse messo le mani sulle lenti a contato, e scese al pian terreno.
Lì la ragazzina, che non aveva ancora concluso il suo turno, la guardò con una certa sorpresa. Jane si maledisse per non averci pensato, ma d’altra parte le serviva tutto il tempo a sua disposizione. In fin dei conti se un’ospite aveva abitudini molto mattinieri non era affare della receptionist, no?
Si avvicinò al bancone, con l’intento di consegnare le chiavi, ma la ragazzina la anticipò chiedendole cosa volesse per colazione che lei le avrebbe servito al più presto, rigorosamente in camera.
Jane non aveva pensato neanche a questo, presa dalla frenesia sei suoi programmi, e l’ultima cosa che voleva era perdere del tempo prezioso per ingerire quella che per lei era spazzatura, ma se non avesse mangiato avrebbe insospettito ancora di più la receptionist, perciò ordinò un toast e del bacon e ritornò in camera ad aspettare, impaziente. Una decina di minuti più tardi la ragazza si presentò col vassoio, augurandole buon appetito, e quando la porta di fu richiusa Jane buttò tutto nella spazzatura, ma dovette attendere ugualmente almeno altri quindici minuti, per dare almeno l’impressione che avesse mangiato. In quel modo aveva già perso venticinque preziosi minuti del suo tempo, e non aveva fatto ancora nulla di ciò che si era prefissata.
 Passando davanti al bancone per consegnare – finalmente! –  le chiavi, vide delle brossure sul percorso turistico di Salem, e ne prese una. In fin dei conti non sapeva dove andare né cosa fare, e magari nei luoghi turistici della città avrebbe trovato qualcosa. La prima tappa segnata dal percorso era il Witches Museum. Chissà perché, il nome non le piaceva.
In realtà era solo un settore del Museo cittadino, ma era molto più visitato del resto dell’intero edificio. Nel 1692 a Salem c’era stata una celebre caccia alle streghe, di cui qualche informazione effettivamente Jane ricordava, e con il passare del tempo il sanguinoso evento aveva reso la cittadina nel Massachusetts un'ambita meta turistica. 
Così s’incamminò verso il Museo, a passo d’uomo. Odiava misurare così la sua velocità, ma non poteva certo dare nell’occhio, e poi quando finalmente riuscì a raggiungere la sua meta erano già le sette e c’erano anche altri turisti.
Senza guardare niente di ciò che era esposto, si diresse direttamente verso il settore dedicato alla caccia alle streghe.
Era di sicuro ben fornito: c’erano statue di cera e ritratti dei più celebri cacciatori, riproduzioni delle armi e degli strumenti di tortura che erano stati usati, informazioni sui giudici e sul tribunale istituito apposta per i casi di stregoneria, abiti semidistrutti di quel periodo, registri storici, documenti, tomi sulle streghe, testimonianze scritte, miniature della caccia e oggetti vari. Alcuni erano appartenuti ai cacciatori, altri alle donne impiccate con l’accusa di essere streghe. Povere donne innocenti che avevano visto i propri amici rivoltarsi contro di loro, persone con cui avevano lavorato, mangiato, scherzato, vissuto, che chiedevano la loro morte con forconi e torce levate al cielo.
Ecco perché Jane detestava gli esseri umani: sprofondavano nella loro stupidità e ignoranza. Erano dominati dalla paura o dall'avidità, o a volte da entrambi, e queste due cose li spingevano a compiere azioni orribili contro i propri simili. Ne erano una prova tutti i monumenti ai caduti in guerra, ne erano una prova tutti quegli oggetti esposti che erano appartenuti a presunte streghe. Oggetti di donne comuni: sacchetti di tela grezza, pietre portafortuna, ciocche di capelli, bambole di pezza… solo un monile risaltava nell'insieme, perché era la cosa più preziosa che fosse stata esposta nel mucchio. Era una collanina d’argento, sul cui ciondolo circolare e minuto era stata realizzata una rosa dei venti blu e rossa smaltata. Il gioiello era di deliziosa fattura, ma non solo per quello Jane era rimasta affascinata: era sicura di averlo già visto, ma era altrettanto sicura di non riuscire a ricordare quando o a che proposito. Si avvicinò alla teca e lesse il biglietto che accompagnava il gioiello, che recava la scritta:
“Collana in argento e smalto realizzata nel 1617 a Salem, tramandata di generazione in generazione nella famiglia Welsh. La sua ultima proprietaria è stata la strega sedicenne morta sul rogo Jane Welsh”.
Jane trasalì. Jane Welsh. Il suo nome.
***
Era ormai lontana da Salem. Era arrivata a Boston da più o meno un’ora e stava gironzolando per il parco. Aveva le mani in tasca e con la destra giocherellava segretamente con la collana che custodiva al sicuro nel giubbotto nero. L’aveva rubata al Museo di Salem, sì, ma loro l’avevano rubata a lei.
Dopo aver letto il biglietto accanto al gioiello aveva consultato i registri: Jane Welsh, cioè lei, era stata l’unica accusata di stregoneria ad essere giustiziata sul rogo come le streghe medievali, il 26 novembre del 1691. Ed insieme a lei avevano bruciato anche suo fratello Alec; o meglio, credevano di averli bruciati, perché era evidente che le cose non fossero andate proprio così.
Aveva quindi rubato la collana, sempre attenta a non lasciare traccia alcuna né destare sospetti, ed era ritornata al suo alloggio così veloce che nessuno l’aveva vista; aveva pagato, preso le poche cose che erano rimaste in stanza e poi aveva lasciato Salem correndo al massimo della sua velocità, senza una meta, godendosi solo l'ebbrezza della velocità e la sensazione del vento fra i capelli. Si era fermata a Boston perché ancora non aveva voglia di tornare a Volterra, e sapeva di non poterlo fare prima di aver chiarito tutta la situazione, che era abbastanza oscura. Non era sicura di come si sentiva al riguardo. Al momento ogni emozione sembrava sopita, come sempre, ma sapeva che dopo lo iniziale shock causato da quella nuova consapevolezza avrebbe dovto fare i conti con i suoi sentimenti, anche se proprio non immaginava come avrebbe potuto. E quel ciondolo non poteva darle delle risposte, ma significava tanto per lei.
Si sedette su una panchina, lo tirò fuori dalla tasca e fissò lo sguardo su di esso. Percepì chiaramente al tatto ogni fibra del metallo, mentre gli occhi colsero ogni imperfezione, ogni singolo dettaglio del gioiello; poi abbassò le palpebre, concentando tutta se stessa nello sforzo di ricordare qualcosa, qualsiasi cosa la potesse aiutare a capire il caos che si stava insinuando nella sua vita. Le sembrò di lottare contro una bruma che le intorpidiva la volontà e la immobilizzava; ogni suo sforzo sembrava essere reso vano, ma stavolta sapeva qualcosa di più ripetto a prima: sapeva qual era il suo nome da umana, sapeva dove aveva vissuto i primi sedici anni della sua vita, e per cosa era morta. Ma serntiva che era soprattutto la collana che stringeva nel pugno a fare a differenza, perché lei ci era affezionata.
Fece un ultimo, grande sforzo per imporsi sulla bruma che le oscurava la memoria e la volontà.
E alla fine ricordò.
***
Chelsea fu colta da un terribile mal di testa e, priva di forze, cadde carponi a terra, piegata su stessa. Era come se una lama affilata si fosse fatta strada nel suo cervello e qualcuno la stesse rigirando in una lenta agonia, tanto da farle perdere ogni cognizione spazio-temporale. La pressione sembrava schiacciarle la testa e le orecchie fischiavano, mentre lei soffriva in silenzio. 
La ribellione di Jane al suo controllo la stava distruggendo dall’interno.


*Angolo Autrice*
Scusate il ritardo nel pubblicare, ma i professori si stanno proprio divertendo a caricarci di compiti...
Ad ogni modo, lo so che vorrete strozzarmi per non avervi detto qualcosa in più in questo capitolo, ma vi prometto che nel prossimo si saprà di più del passato di Jane. Questo era solo un capitolo di transizione.
Vi prego di segnalarmi gli errori che sicuramente avrò commesso per la fretta, ma proprio non ho avuto il tempo di rileggere.
Ringrazio quelli che hanno isnerito fra le ricordate/seguite/preferite questa storia, i lettorisilenziosi e Sylphs per aver recensito.
A presto!

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Capitolo 5
*** Memories ***


5. Memories

Ora Jane ricordava. Ricordava che quel ciondolo le era stato regalato dai suoi genitori il giorno del suo decimo compleanno. Ricordava quanto amasse la sua famiglia e quanto fosse stata felice la sua vita, quando era umana. Ricordava persino i volti dei suoi genitori, e se si sforzava un po’ le sembrava perfino di risentire le loro voci. Ricordava la sua casa, il suo villaggio, le sue amiche, e ricordava che da quando c’era stato l’incendio aveva paura del fuoco. Quell’incendio aveva distrutto la sua villa, la vita dei suoi genitori, ma anche la sua e quella di Alec, perché da quel giorno era iniziato il conto alla rovescia per la loro rinascita da vampiri. Ricordava tutte le cattiverie che aveva subito nell’orfanotrofio in cui era finita e come aveva scoperto il suo talento, sperimentandolo sulle sue aguzzine. E quando la caccia alle streghe era iniziata, ricordava un terrore che non aveva mai provato prima, e che mai più avrebbe provato.
Nei suoi ricordi c’era anche Aro, ma allora ai suoi occhi appariva strano e spaventoso, e il sorriso che aveva mostrato quando aveva conosciuto Jane e Alec era stato inquietante. Come se loro due fossero stati due pezzi ambitissimi di una collezione; lei allora non poteva saperlo, ma era proprio così.
Aro era stato ospite nella loro villa con un suo servitore, che lei avrebbe poi conosciuto come Eleazar nella guardia dei Volturi, quando ancora lei e suo fratello erano umani. A quell’epoca lei poteva avere dieci anni, ed era decisamente impaurita dal misterioso ospite che veniva dall’Italia e che, a detta dei suoi genitori, era una persona di nobile lignaggio e amava viaggiare e scoprire nuovi tesori in terre straniere. Da quella prima visita, lui e i suoi genitori erano rimasti in contatto, e spesso veniva a far loro visita, finché, tre anni dopo, non era scoppiato quel maledetto incendio che aveva posto fine a tutto. Jane ricordò che Aro si era offerto di prendere sia lei che suo fratello in custodia, ma entrambi erano invece stati portati in un orfanotrofio, dove avevano subito varie angherie. Era stato così che Jane aveva scoperto il proprio talento: era sempre stata brava a ferire con le parole, quando voleva, ma quando raggiunse il limite di sopportazione dei soprusi delle ragazze più grandi il suo potere sovrannaturale si manifestò, lasciando sconcertate le sue aguzzine tanto quanto lei. Ne era spaventata, perché sapeva che poteri del genere erano opera del demonio, e non sapeva come controllarlo. Per questo ogni volta che si arrabbiava persone intorno a lei cadevano a terra doloranti, anche se lei non voleva, e non passò molto tempo prima che la gente iniziasse ad accusarla di stregoneria. Alec, da parte sua, le aveva confessato di aver scoperto da un po’ il proprio potere, e di essere anche in grado di controllarlo, ma di non averle detto niente per paura. 
E sempre Aro li aveva salvati dalle fiamme del rogo e trasformati in vampiri, anche se non sapeva più se fosse un bene o un male.
Più tardi, durante i suoi numerosi viaggi nelle guerre più sanguinose, aveva indagato e scoperto che era stato lo stesso Aro ad appiccare l’incendio che aveva ucciso i suoi genitori nella speranza di scatenare i poteri dei gemelli, di cui era misteriosamente già a conoscenza anche prima di loro, e suo fratello era addirittura al suo servizio! Così si era diretta a Volterra con l’intento di entrare nella guardia e contemporaneamente indagare a fondo in quella faccenda e avvisare suo fratello; le cose però erano andate in maniera abbastanza diversa dai suoi piani.
Era strano, adesso, trovarsi su una panchina di un parco di Boston, in mezzo alla gente comune che non aveva pensieri se non quello riguardo a che mangiare per cena, mentre lei ricordava il suo passato tormentato e ricco di intrighi e insidie. E ancora c’erano cose che non si spiegava: come era riuscito il capo degli anziani a tenerla all’oscuro del suo passato per tutto quel tempo, e perché proprio ora era tornato tutto a galla? Sarebbe di sicuro impazzita se non avesse ricevuto dei chiarimenti al più presto, ma chi poteva darglieli? Naturalmente chiedere al capo degli anziani era fuori discussione – meno sapeva di quella faccenda, meglio era –, ma allora chi? Nel corpo di guardia dei Volturi non c’era nessuno che avesse tutte quelle informazioni, eccetto forse Chelsea, ma non poteva chiedergliele senza che Aro lo venisse a sapere… quindi chi la poteva aiutare? Nessun vampiro esterno ai Volturi sapeva tante cose su di loro… eccetto Eleazar.
Aveva sempre guardato con sospetto a quel vampiro, che fin dagli inizi della sua vita vampiresca si era messo al servizio dei Volturi. Diceva sempre che non avrebbe potuto esserci per lui onore più grande, e sperava che il suo talento potesse rivelarsi utile. Il talento di Eleazar consisteva nel riconoscere i talenti altrui, e per Aro era stata una vera manna dal cielo. Era stato lui, dunque, ad avvisare Aro riguardo a lei e Alec. Per secoli aveva contribuito ad incrementare la forza dei Volturi trovando nuovi vampiri talentuosi, poi aveva conosciuto Carmen, che l’aveva cambiato e convinto ad andarsene per cercare un nuovo stile di vita – e l’avevano trovato, a quanto pareva, seguendo la dieta vegetariana degli amici dei Cullen che vivevano in Alaska.
Anche Eleazar aveva avuto l’onore di indossare il mantello nero degli anziani, e tutti sapevano che godeva di particolari privilegi ed era a conoscenza di molte cose a proposito della congrega. Forse poteva anche rispondere alle sue domande, ma se voleva raggiungerlo doveva fare in fretta.
Determinata, si alzò, si allacciò il ciondolo al collo e partì di corsa.
***
-Cosa? – chiese Jacob quando Bella gli ebbe comunicato l’ultima novità. Sentiva dentro di sé solo un decimo dell’irritazione che avrebbe provato se avesse avuto la notizia un anno fa, quando ancora il suo imprinting con Nessie era molto forte, ma si sforzava di fingere.
Edward, Bella e Renesmee erano stati invitati da Nahuel, il mezzovampiro che li aveva tratti d’impaccio contro i Volturi, a passare un po’ di tempo con lui e con sua zia in Sudamerica. Senza Jacob.
Era un chiaro tentativo di accattivarsi Nessie, e Jacob scopriva di non esserne poi molto colpito, anche se sentiva il bisogno di mantenere in piedi la finzione e soprattutto di “difendere” il suo territorio. Roba da lupi.
Non credeva di cavarsela poi bene, ma fortunatamente Edward e Bella sembravano non averci fatto caso. Avevano l’aria di chi si è preparato ad affrontare tuoni e fulmini, perciò erano passati subito al contrattacco.
-Jake, so bene che sarà molto difficile per te stare lontano da Nessie, ma non possiamo dimenticare che è stato Nahuel a salvare la situazione con i Volturi. Se non fosse stato per lui saremmo finiti inevitabilmente con lo scontrarci, e non so chi di noi ne sarebbe uscito vivo…
-Per favore, Bella, non ricominciare con le paranoie!
-Paranoie? Paranoie?! Hai dimenticato… – stava per scoppiare un litigio, ma Edward intervenne.
-Non è di questo che dobbiamo parlare. Il fatto è, Jacob, che non tutti sarebbero disposti a mettersi contro i Volturi come ha fatto Nahuel. Noi gli siamo grati, dovresti esserlo anche tu malgrado la gelosia, e saremmo disposti a tutto pur di rendergli il favore, anche se non faremo mai abbastanza. Senza contare che lui è l’unica fonte certa di informazioni riguardo alla natura di Nessie… magari un giorno potremmo avere bisogno di lui, non possiamo offenderlo rifiutando il suo invito. Oltretutto, Renesmee ne è entusiasta.
– Sa che non verrò?
-A dire il vero no – sospirò Bella.
-Allora riprenderemo la questione quando lei ne sarà al corrente.
-Spero che Nessie ti lasci col guinzaglio ben stretto – intervenne Rosalie facendo il suo ingresso nella stanza. Ovviamente aveva sentito tutto ed ovviamente non era riuscita a farsi gli affari suoi, soprattutto se in mezzo c’era Nessie e se si presentava l’occasione di poterne dire una a Jacob.
-Nessuno ha chiesto il tuo parere, bionda.
In quel momento il resto della famiglia Cullen rientrò. Alice e Jasper erano andati a caccia, mentre Carlisle, Esme, Rosalie ed Emmett erano andati a Port Angeles a portare Renesmee in giro.
Quest’ultima entrò nella stanza quasi danzando. Era cresciuta molto, perciò i suoi familiari erano giusto un tantino meno iperprotettivi nei suoi confronti. Era sempre più incantevole ogni giorno che passava, ma man mano che il tempo scorreva Jacob sentiva sempre più debole il legame che li univa. Non che non le volesse ben, ma Nessie non era più il centro del suo mondo, ormai… e non sapeva come affrontare la cosa. Per il momento Renesmee era ancora una bambina e ciò di cui aveva bisogno era solo un fratello maggiore, un amico, e lui poteva tranquillamente esserlo, ma quando sarebbe cresciuta – e non mancava poi molto tempo – avrebbe voluto qualcuno di diverso al suo fianco. Avrebbe voluto un amante. E lui sentiva che non poteva esserlo, né avrebbe sopportato di ingannarla.
Perciò forse non era una cattiva idea lasciare che lei conoscesse meglio un suo simile, un potenziale fidanzato... magari le cose si sarebbero messe a posto da sole. E, in fondo, stare per un po’ da solo non gli avrebbe fatto per niente male.
-E va bene –  concesse Jacob a Bella, sotto lo sguardo interrogativo di chi si era perso la prima parte della conversazione.
***
Carmen sentì un profumo estraneo nell'aria fredda e tumultuosa di neve. Era intenso, magnetico, ma anche dolce, femminile... e decisamente vampiresco.
Attorno a sé, nel vasto paesaggio ghiacciato e coperto da tumuli di neve, non vedeva ancora niente che fosse fuori posto, ma aveva la sensazione di essere osservata,  e il suo sesto senso sembrava gridare “pericolo!”.
Istintivamente scoprì i denti ed emise un ringhio quando, vagando con lo sguardo, scorse la chioma bionda e il viso angelico di Jane Volturi. Contro ogni sua spettativa, la vampira sedicenne si fece avanti lentamente con le mani alzate, come a dire che era venuta in pace. Ma Carmen non poteva dimenticare che circa un anno prima aveva sentito dire da Aro le stesse medesime parole quando invece aveva intenzioni opposte.
-A cosa dobbiamo la visita di un membro dei Volturi? – chiese Carmen senza mascherare la sua ostilità.
-Non sono qui in qualità di membro dei Volturi. Sono qui a titolo personale.
-Personale? – fu la stupita risposta di Carmen. Non sapeva se crederci o meno. Certamente se fosse venuta accompagnata da qualche altro membro della guardia non avrebbe avuto dubbi sulla falsità di quelle parole, ma era effettivamente sola e sembrava sincera. In fondo Carmen era una persona fiduciosa, e finché restava ad una certa distanza Jane non avrebbe potuto toccarla col suo talento.
-Ho bisogno di parlare con Eleazar… per questioni personali – riprese Jane.
Sulle prime Carmen si rifiutò fermamente di accontentarla, un po’ per gelosia, un po’ per istinto protettivo verso il compagno, ma poi la sua indole ebbe la meglio.
-Seguimi, ma mantieni questa distanza e mettiti in un punto in cui possa vederti bene. Ti porterò da Eleazar, ma ti avviso che se proverai a fargli del male…
-Non lo farò – tagliò corto lei.
Dopo uno scambio di occhiate cupe, le due vampire partirono alla volta della famiglia Denali ed in capo a qualche secondo furono arrivate. In casa non sarebbe stato possibile mantenere la distanza di sicurezza, rifletté Carmen, ma ci avrebbe pensato Kate a tenere a bada Jane.
La spagnola entrò per prima in casa, ma gli altri puntarono lo sguardo sull’intrusa dietro di lei, balzando in posizione chi dia attacco, chi di difesa. La reazione più violenta la ebbero Kate e Tanya, che ancora non erano riuscite a superare la morte della loro sorella Irina ad opera dei Volturi.
-Che ci fai lei qui? – ringhiò Tanya minacciosa.
-Jane ha bisogno di parlare con Eleazar di questioni personali.
-E tu ti fidi di lei?! – esclamò incredula Kate.
-Mi è sembrata sincera, e comunque vorrei mettere delle cose in chiaro – disse Carmen rivolgendosi a Jane -  Qualunque sia la questione che ti interessa, noi rimarremo qui. Può essere personale quanto vuoi, ma se davvero ci tieni a parlare ad Eleazar dovrai farlo in nostra presenza. E Kate starà accanto a te durante tutta la durata del colloquio. Al minimo segnale di un attacco da parte tua, ci penserà lei a sistemarti.
A quelle parole Kate si posizionò a fianco a Jane, spalla a spalla. Quest’ultima ebbe solo un momento di esitazione, ma poi accettò. La questione era troppo importante, e lei non aveva cattive intenzioni. Raccontò tutto, dalle sensazioni che aveva avuto ai flashback fino alla visita fatta a Salem.
-Tu sei l’unico che può sapere se i Volturi hanno davvero il potere di controllare così la memoria e i ricordi di un vampiro, Eleazar. Ti prego, aiutami.
Eleazar era sorpreso dal tono accorato di Jane e ancora di più lo era dal suo racconto. Aveva le informazioni di cui Jane aveva bisogno e poteva rivelarle, ma era poi una decisione giusta soddisfare così la sua richiesta, alleviare il suo tormento, quando lei aveva torturato – non fisicamente, certo, ma pur sempre provocando sofferenza – centinaia di vampiri e umani? Tuttavia decise di risponderle.
-Tu sai cosa Chelsea è in grado di fare?
-No, nessuno lo sa. Tu sì, però, giusto?
-Chelsea riesce a manipolare i legami fra le persone: può indebolirli fino a spezzarli o rafforzarli fino a renderli indissolubili, ma solo finché lei mantiene il controllo. Da quando Aro ha lei nella guardia, la usa per annettere più facilmente vampiri alle sue fila, ma nessuno può sapere qual è il suo talento, altrimenti si insospettirebbero troppo…
-Ma allora… anche io… - bisbigliò Jane debolmente. – Tutta la devozione per Aro, per i Volturi, per la causa… era tutta opera sua? – In cuor suo, Jane sapeva già la risposta.
-Sì.
-E allora come mai sono ritornata… normale? Perché i ricordi della mia vita umana sono così nitidi, e perché non è successo a tutti?
-Non ne ho la più pallida idea.  – rispose pensieroso Eleazar – O Chelsea ha ricevuto l’ordine di farlo, ma non vedo perché gli anziani avrebbero voluto farlo, o deciso di propria iniziativa di manipolare a proprio piacimento i legami, oppure… non lo so, sta avendo problemi con il suo talento.
-Chelsea ha avuto qualche problema, ultimamente – confermò Jane. – E’ rimasta scioccata quando ha rischiato di perdere Afton e da quel giorno ha l’aria preoccupata e affaticata, ed è da quel giorno che ho queste sensazioni – spiegò suonando sorpresa anche a se stessa. Dunque i talenti potevano dare problemi così gravi?
-Beh, allora il motivo deve essere questo. – Silenzio. Dopo un momento di esitazione, Eleazar chiese a Jane:- E adesso cosa farai?
-Non lo so – ammise. Ora che sapeva tutto, ora che sapeva che era stato Aro a far appiccare l’incendio in cui erano morti i suoi genitori, ora che sapeva che era stato lui a trasformarla e ad usarla a suo piacimento per quei secoli, tornare fra le fila dei Volturi era fuori discussione. Doveva dire la verità anche ad Alec , ma prima aveva bisogno di stare un po’ da sola e di riflettere. Sapeva, visto ciò che aveva fatto Eleazar a suo tempo, che in teoria avrebbe  dovuto essere libera di lasciare il corpo si guardia, ma non riusciva ad immaginare come avrebbero potuto reagire gli anziani. Aro era molto astuto e determinato ad avere il potere assoluto, ne aveva già dato prova. Jane non riusciva a pensare cosa sarebbe arrivato a fare pur di riportarla dalla sua parte, e poi, finché Alec era in mano loro, avevano un’arma contro di lei. Non che il gemello non fosse in gradi di difendersi, era tutt’altro che sprovveduto, ma era comunque da solo contro tutti gli altri Volturi. A meno che anche gli altri membri del corpo di guardia non si fossero ribellati come lei. In fondo, anche loro dovevano avere storie simili alla sua, o potevano essere stufi di essere manovrati come burattini, e se fosse riuscita a smascherare Aro e Caius… i Volturi non sarebbero esistiti più.
Rabbrividì a questa eventualità: certo il capo degli anziani aveva commesso azioni orribili, e lei lo odiava, ma aveva pur sempre fatto rispettare la legge nel corso dei secoli. Un mondo senza leggi è un mondo nel caos… senza controllo alcuno, i vampiri si sarebbero sentiti liberi di fare ciò che volevano, sarebbero ricominciate le guerre fra clan come era successo nel Sud, e avrebbero potuto essere scoperti dagli umani. Il caos totale.
Dovresti smetterla di pensare a scenari catastrofici, Jane , si disse.
Guardò il panorama desolato dell’Alaska. Si era allontanata da qualche ora dalla famiglia vegetariana sotto gli sguardi ancora sorpresi delle donne. Avevano avvertito che era sincera, e il loro stupore le aveva fatto male. Tutti i sentimenti che non l’avevano minimamente toccata in duecento anni erano tornati con la sua personalità e i suoi ricordi umani. Riusciva, chissà per quale miracolo, a rivivere i suoi ricordi come se appartenessero al giorno precedente e non a secoli prima. O forse non era un miracolo, forse era la sua tortura personale, la punizione per aver fatto soffrire innumerevoli persone.
Si chiese con dolore cosa avrebbero pensato i suoi genitori di lei se l’avessero vista, se avessero saputo cosa era diventata. Ripensare a loro faceva ogni volta più male.
Suo padre era stato un uomo grande e forte, con i capelli castani e un paio di baffi che le facevano sempre il solletico quando la baciava. Si chiamava Anton e aveva una voce cala e ruvida che Jane associava all’inverno, al crepitio della legna secca divorata dal fuoco, ai lunghi pomeriggi senza luce passati davanti al grande camino del salotto a cucire e ascoltare storie. La somiglianza con i suoi figli era fenomenale, ma sui volti di Jane e Alec c’erano anche i tratti delicati della madre.
Sua madre si chiamava Isobel e aveva i capelli biondo miele e caldi occhi nocciola. Era una donna elegante e dolcissima che profumava di vaniglia, e Jane si chiedeva come fosse stato possibile farle dimenticare la sua voce melodiosa quando cantava nei giorni di primavera.
La vampira sentì l’aria inciamparle in gola e gli occhi pungere, e si accorse di star remando. Capì che se fosse stata umana avrebbe pianto, e invece era peggio che morta, fredda più di quella maledetta neve.
Per la prima volta si ritrovò ad odiare ciò che era, si odiava perché era ancora lì, perché era sopravvissuta. Soprattutto, si odiava perché l’incendio era stata colpa sua: era lei che Aro voleva, era lei la strega dal potere malefico. Se solo fosse stata più grande quando lui l’aveva trovata avrebbe potuto semplicemente trasformarla e portarla con sé, invece non aveva potuto farlo subito, per non dare origine ad una pericolosa bambina immortale che avrebbe poi dovuto distruggere.
Si sentì debole, fragile e sola, e sentì prepotente il bisogno di avere la sua famiglia attorno.
Famiglia… da quanto tempo il significato di quella parola le era rimasto nascosto, sepolto in un angolo del suo cuore, dimenticato? Ora aveva dei significati nuovi quella parola, forse perché era lei stessa ad essere cambiata… la sua famiglia apparteneva a duecento anni prima, ad un’altra Jane. Ora, nel mondo vampiresco, non c’era qualcosa di neanche lontanamente simile ad una famiglia, neanche il clan di Denali lo era,  per quanto i suoi membri se sentissero legati. Una famiglia era composta da una madre, un padre e dei figli ed ogni vampiro era destinato a non averne una. Tranne i Cullen. Loro si erano sempre chiamati – anche a detta di Aro – “famiglia Cullen”, non clan,  famiglia. Ora, con Renesmee, lo erano davvero.
 Provò un moto di invidia nei confronti di quella bambina: era immortale, dotata di bellezza e abilità dei vampiri ma anche di sentimenti umani, e avrebbe avuto la sua famiglia attorno a sé, per sempre. Non avrebbe mai conosciuto il significato della perdita, il dolore della morte, sarebbe stata felice in eterno.
 Cosa avrebbe dato lei per un giorno con la sua famiglia… ne sentiva terribilmente la mancanza. Così, alla fine, furono i suoi sentimenti a decidere per lei, a muovere le sue gambe senza farla riflettere, a farla arrivare a Forks, nei pressi di casa Cullen.



Angolo Autrice:  Non mi sembra vero di essere riuscita finalmente ad aggiornare, questo capitolo è stato un parto. Non è uscito fuori proprio come volevo, in particolare non mi piace la parte in cui ho descritto gli intrighi e i complotti di Aro. Perdonatemi se è troppo riassunta e veloce, ma non mi sembrava il caso di dilungarmi troppo, considerato che questo è il quinto capitolo e ancora i nostri protagonisti non si sono incontrati. Perciò, per chi se lo stesse chiedendo... sì, nel prossimo capitolo si incontreranno finalmente! ^_^
Chiedo venia per eventuali errori di battitura; ditemi tutto quello che pensate del capitolo, se ci sono parti poco chiare chiedete, segnalatemi le imprecisioni se ci sono. Il vostro parere per me è importantissimo. 
Ringrazio tutti quelli che hanno inserito fra le ricordate/seguite/preferite questa storia, i lettori silenziosi e sunrise_1000 e Sylphs per aver recensito.
Alla prossima!

 

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Capitolo 6
*** Ice and Fire ***


6. Ice and Fire

Forks era un città piovosa e perennemente grigia. Le giornate di sole erano una rara benedizione e,  quando i raggi solari riuscivano a fare capolino fra le nuvole, Jacob e gli altri ragazzi della riserva trascorrevano la giornata sulla spiaggia, fantasticando di trovarsi in California. Inutile dire che era un’illusione molto mal riuscita.
Da quando si era trasformato e si era unito al branco di Sam, però, quel genere di divertimento era stato completamente dimenticato: tutti nella riserva temevano il gruppo di Sam, a parte gli anziani che custodivano le antiche leggende, perciò farci parte equivaleva un po’ ad essere considerati dei paria, ad essere evitati da tutti e guardati con sospetto.
Adesso, invece, in quella giornata di sole senza Nessie né Bella, le uniche due amiche che avesse fra i vampiri, Jacob non aveva trovato altro passatempo che andarsene in giro per i boschi.
Si trovava decisamente a disagio fra gli altri Cullen: certo, Alice era simpatica, ma Jasper era decisamente inquietante, e se anche Emmett poteva andargli a genio, la sua presenza voleva dire automaticamente anche quella di Rosalie. Meglio evitare, decisamente. Trascorrere il tempo con Carlisle ed Esme sarebbe stato troppo imbarazzante, come stare con dei genitori, e poi non se la sentiva proprio di imporre ancora la sua presenza – considerando anche che sarebbe stato l’unico “spaiato” in mezzo a tre coppiette –, perciò aveva lasciato casa Cullen ai loro legittimi abitanti. Per quanto riguardava Leah e Seth, erano andati a trovare Sue, e di conseguenza anche Charlie. Leah non ne era proprio entusiasta.
Jacob avrebbe potuto seguire il loro esempio e fare una capatina da suo padre, ma non ne aveva voglia. Non che fosse un figlio ingrato, ma da quando aveva avuto l’imprinting con Nessie aveva avuto delle discussioni con lui. A Billy non andava a genio la cosa, nonostante questo avesse garantito la pace fra i licantropi e i vampiri. Come se Jacob avesse avuto scelta! Era successo e basta, come a tutti gli altri a cui era capitato. E pensare che era stato proprio lui a spiegargli il concetto di imprinting!
Il ragazzo scosse la testa. No, preferiva di gran lunga starsene un po’ da solo, anche perché fra la connessione mentale dei lupi, Edward che leggeva nel pensiero e la casa affollata, avere un po’ d’intimità era un’occasione più unica che rara.
Bella, Edward e Nessie erano partiti per il Brasile quella mattina. Jacob contava che fossero già arrivati a destinazione, e infatti poco dopo ricevette una loro chiamata sul cellulare che aveva imparato a portare con sé, non si sa mai.
-Bella?
-Jake! – gli rispose invece la vocetta entusiasta di Renesmee.
-Nessie! Come è andato il viaggio? Hai mangiato senza fare i capricci?
-Sì, Jake, ho mangiato tutto, anche le verdure – rispose lei, e gli sembrò quasi di vedere la smorfia disgustata sul visetto incantevole di Nessie. Rise a quell’immagine mentale.
La piccola lo tenne a lungo al telefono, descrivendogli tutto il viaggio e i paesaggi che aveva visto. Poi gli passò Edward per salutarlo e infine fu il turno di Bella.
-Ehi, Bells.
-Jake! Come te la passi senza la tua metà?
-Sto soffrendo, Bella, neanche ti immagini quanto – scherzò. Sentì la risata dell’amica dall’altro capo del telefono. – Ti sembrerà incredibile, ma qui c’è il sole.
-Addirittura! Questo sarà il terzo giorno di sole in tre mesi, di questo passo Forks diventerà la nuova Sidney! – scherzò anche lei. Poi, tornando seria, gli chiese come se la passasse, per davvero.
-Bells, non sono depresso, se è questo che temi. Posso stare qualche ora lontano da Nessie senza andare in paranoia – disse, esasperato, riferendosi all’inquietudine dell’amica quando era lontana da Edward. Sperava che la frecciatina l’avrebbe fatta tacere. Speranza vana.
-Adesso che stai facendo?
-Sto riempiendo d’acqua la vasca da bagno per annegarmi.
-Jake…
-Scherzo, sto passeggiando per i boschi.
-Non dovresti isolarti – disse lei in tono di rimprovero.
-Scherzi? Isolarsi è quanto di più difficile si possa fare, qui!
A quella protesta lei ridacchiò un po’, ma non mollò. – Da quanto tempo non vai a fare visita a Billy?
-Uffa! Non sei mia madre!
-Devo dedurre che neanche oggi sei andato a trovarlo?
-Però, sei un genio, Sherlock! – ironizzò il licantropo.
-Jacob Black! – esclamò Bella assumendo un tono autoritario – Ti ordino di andare a fare visita a tuo padre il prima possibile.
-D’accordo, d’accordo – disse lui, scocciato.
-Bravo. Ora devo andare. Ci sentiamo più tardi. Ciao.
-Ciao, Bells.
Dopo un ultimo saluto a Nessie, Jacob chiuse la chiamata e sospirò.
Il cielo si era rannuvolato poco a poco durante la telefonata, ma in quel momento un colpo di vento spinse le nuvole a coprire del tutto il sole. Quella ventata gli portò anche un odore del tutto fuori posto, intenso e dolciastro, che gli colpì forte le narici. Odore di vampiro, inconfondibile. Credeva di averci ormai fatto l’abitudine, vivendo a stretto contatto con così tanti di loro, ma questo era in qualche modo più forte, più sgradito ed estraneo, ma non del tutto. Jacob era convinto di averlo già sentito da qualche parte.
Quando voltò il capo nella direzione da cui proveniva l’odore, capì dove l’aveva sentito.
Neanche due metri dietro di lui, appoggiata contro il tronco di una quercia con aria arrogante e un po’ incuriosita, c’era Jane Volturi.
Jacob assunse immediatamente una posizione di difesa e un’espressione ostile, tuttavia era confuso: la vampira aveva l’aria di trovarsi lì da un po’, forse abbastanza da aver sentito tutta la telefonata, e non aveva ancora attaccato. Ciononostante ringraziò mentalmente il fatto che Nessie fosse ben lontana da Forks.
-Cosa vuoi? – ringhiò minaccioso.
***
Jane non rispose, ma mantenne la sua solita calma.
Non aveva mai visto quel ragazzo prima, ma l’odore non lasciava adito ad equivoci: licantropo. Doveva essere uno di quelli che avevano aiutato i Cullen contro i Volturi. E, a giudicare dalla telefonata che aveva sentito – grazie alla quale sapeva che il nome del licantropo era Jacob Black –, era pronta a scommettere che si trattava dell’enorme lupo rossiccio che aveva protetto la piccola Cullen in previsione di uno scontro. Già da allora l’aveva colpita. Aveva visto dei Figli della Luna, prima di allora, ma quelli erano più selvaggi, mostruosi, brutali… i licantropi dei Cullen erano invece meravigliosi esemplari di lupi, in particolare quello della presunta bimba immortale. Era più grande degli altri, più massiccio, e il suo sguardo era un misto di aggressività e autorità. Anche il suo pelo era fuori dal comune: fulvo con striature castane, incredibilmente folto, mentre gli occhi scuri erano caldissimi. Jane mai avrebbe pensato di potersi più meravigliare di qualcosa, eppure non esisteva altra parola per descrivere quell’esemplare: meraviglioso. E così anche la sua forma umana non la lasciava indifferente. Certo, Jane aveva avuto molti amanti, sia vampiri che umani (quando aveva voglia di sangue caldo, dopo), e se li sceglieva tutti abbastanza piacenti, ma nessuno l’aveva mai colpita tanto. Forse erano la forza, il senso di sicurezza che le trasmettevano quelle spalle grandi, quelle braccia muscolose; forse era la pelle scura, così diversa dalla sua; forse era quello sguardo minaccioso che avrebbe fatto ribollire il sangue nelle vene a chiunque.
In quel momento, un pensiero la colpì: Jacob Black era fuoco, fuoco allo stato puro.
E, si sa, il fuoco scioglie il ghiaccio.
-Cosa vuoi? – le ripeté il licantropo, facendola ritornare alla realtà.
-Niente che tu possa darmi – rispose freddamente, e fece per andarsene. Del resto aveva scoperto che coloro che le interessavano erano in viaggio, non aveva nulla da fare lì.
Jacob però non la lasciò allontanare: a grandi falcate la raggiunse e le tagliò la strada.
-Sei venuta per fare del male a Renesmee? – le chiese come se l’avesse avuta in pugno. – Una mossa stupida, visto che Bella avrebbe bloccato i tuoi poteri con il suo scudo.
-Sei tu lo stupido, se davvero pensi che io non lo sapessi – rispose lei, piccata. Jacob Black poteva anche essere meraviglioso, ma era anche decisamente irritante.
-E allora perché sei qui?
Jane non rispose. Il motivo per cui era lì era davvero stupido, e non lo riguardava minimamente .
-Non importa, non sono venuta per fare del male a qualcuno – disse infine.
-E ti aspetti che ti creda?
-No, credi pure quello che vuoi, a me non importa. – Mosse un passo in avanti, sempre con l’intenzione di andarsene, ma di nuovo venne fermata.
-Senti un po’, fredda, di’ ai tuoi padroni… - esordì Jacob con l’intento di darle un avvertimento, e le afferrò saldamente un polso, ma appena le sue dita toccarono la pelle ghiacciata della vampira, un brivido – no, una vera e propria scossa elettrica – si diramò da essa e lo percorse da capo a piedi. Anche Jane fu completamente attraversata da quel brivido, mentre sentiva bruciare la pelle attorno alla quale erano avvinghiate le dita del ragazzo. Entrambi erano rimasti come folgorati da quella scintilla: Jacob era senza fiato, e la stessa Jane avrebbe fatto pagare caro al licantropo l’ardire che aveva avuto, se non fosse stata così sorpresa. Tuttavia lei si riprese in fretta, ritraendo furibonda la sua mano.
-Io non ho padroni. – gli sibilò – E non osare mai più toccarmi.
La pelle candida continuava a bruciare, ma non era una sensazione sgradevole.
-Non hai padroni? E quei tre succhiasangue vestiti di nero che ti tengono al guinzaglio allora chi sono?
Quella frase centrò in pieno l’orgoglio di Jane, specie alla luce di ciò che aveva scoperto recentemente.
-Non rivolgerti a me in questo modo! – gridò in preda alla rabbia, e improvvisamente Jacob si accasciò a terra, colpito da un dolore indicibile, mai provato prima. Capì che era lei a torturarlo, e impegnò tutto se stesso nello sforzo di non urlare, per non darle soddisfazione, ma in compenso tremava violentemente. Jane continuò a gridare, fuori di sé. – Tu cosa ne sai dei Volturi, eh? Tu non sai perché si serve nel corpo di guardia, o perché io sono entrata al loro servizio! E poi tu non sei certo in una posizione migliore della mia: sei il cagnolino di una mocciosa, di vampiri neanche degni di questo nome. Come funziona, lei ti dà una carezza e tu scodinzoli?
Le sue parole vibravano di disprezzo, ma la rabbia che provava era rabbia verso se stessa, verso Aro.
Jacob alzò il viso e guardò Jane negli occhi. Era l’immagine stessa della sofferenza, e all’improvviso Jane rinsavì, vergognandosi di aver perso il controllo. Distolse lo sguardo e cessò di torturare il licantropo, cercando di ricomporsi.
Jacob si sentì subito meglio, ma rimase accovacciato a terra ancora qualche secondo, per riprendere le forze. Si rialzò che respirava a fatica. Avrebbe dovuto staccare la testa dal collo a quella succhiasangue, ma era troppo provato e non aveva la forza di tramutarsi in licantropo. Avevano ragione, dunque, tutti quelli che temevano quella piccoletta bionda! E pensare che a vederla non sembrava minimamente pericolosa…
-Ho solo sprecato il mio tempo qui. Meglio che vada. – disse Jane. Era davvero rimorso quello che stava trapelando dalla sua voce? Jacob rimase sbalordito. Per un fugace attimo lei gli ricordò se stesso i primi tempi della sua mutazione: senza controllo, impaurito e perennemente arrabbiato, pronto a sfogare la sua frustrazione su chiunque gli capitasse a tiro. In quel periodo aveva perfino rischiato di fare del male a suo padre.
-Aspetta – le disse, senza sapere neanche lui il perché. Quella parola gli era sfuggita dalle labbra prima di passare per il filtro cervello-bocca. Era sempre stato impulsivo, del resto.
Lei, inaspettatamente, si fermò ad ascoltare cosa aveva da dire. Non riusciva però a guardarlo negli occhi: si sentiva in colpa. Da quando aveva recuperato i ricordi umani aveva scoperto di non riuscire più a torturare la gente impunemente come prima: persino quando ricordava ciò che aveva fatto in passato il rimorso le attanagliava lo stomaco, e lei si sentiva ogni volta di più un mostro. Per di più aveva perso il controllo, cosa che non le era mai capitata, neanche quando aveva riacquistato i primi ricordi umani. Perché ora non riusciva a mantenere la calma?
Il fuoco scioglie sempre il ghiaccio, non poté fare a meno di pensare.
-Se non sei qui per Renesmee né per conto dei Volturi, cosa sei venuta a fare?
-Non sono affari che ti riguardano.
-Ma dev’essere senz’altro qualcosa di importante se sei venuta fin qui da sola, col rischio di farti ammazzare.
Jane inarcò le sopracciglia. Se aveva un punto debole, era l’orgoglio. – Non credi che io sia capace di difendermi da sola? Non ti è bastata la dimostrazione di poco fa? Ne vuoi ancora?
-No, per carità – si affrettò a dire. – Ma Bella col suo scudo avrebbe protetto tutti, e allora saresti stata sola contro i Cullen e noi lupi.
-Per favore, cane, non farmi ridere. Anche senza il mio potere sarei stata in grado di annientarvi. Io ho secoli di esperienza, mi nutro di sangue umano, quindi sono più forte e più veloce… come potrebbero farmi paura i Cullen?
-E di noi lupi che mi dici, succhiasangue?
-Io non vi definirei nemmeno lupi. Ho visto i veri Figli della Luna, al confronto voi non siete che cani ammaestrati.
La vampira parlava come se avesse intenzione di sterminarli, ma non era una minaccia, Jacob lo sentiva.
-Allora? Perché sei qui?
Jane lo maledisse mentalmente, pensava di essere riuscita ad evitare la domanda.
-Era una cosa importante – ammise infine. – Ma non ti dirò qual era. Posso andare, ora?
-Prego – disse, alzando le mani come a volerle dire che nessuno la tratteneva.
-Bene. E’ stato un piacere conoscerti, Jacob Black – disse freddamente.
-Vorrei poter dire lo stesso, ma… - lasciò la frase in sospeso, alludendo all’attacco subito poco prima.
Jane corrugò per un istante le sopracciglia, apparendo contrita, poi fece un sorriso che avrebbe voluto essere di superiorità, ma che sembrava solo infinitamente triste, e per un attimo Jacob si sentì strano. Come se il suo cuore si fosse fermato. Un secondo dopo Jane era già sparita.
Il licantropo abbassò lo sguardo sulla propria mano. Le punta delle dita, che avevano toccato la pelle ghiacciata della vampira, formicolavano ancora.


Angolo Autrice: Rieccomi. Spero di non avervi fatto aspettare troppo, ma soprattutto spero che il primo, atteso incontro dei nostri protagonisti vi sia piaciuto. Io personalmente sono soddisfatta di come è venuto... c'è ancora poco di romantico, naturalmente (anzi, direi che sono proprio partiti con il piede sbagliato XD), ma già ci sono le basi che andranno a formare la loro storia. A proposito, non so se leggendo si sia capito, ma quando Jane pensa che il fuoco scioglie sempre il ghiaccio, il fuoco è riferito sempre a Jacob, e il ghiaccio a lei. E, sì, ogni doppio senso alle frasi "niente che tu possa darmi" o "non osare mai più toccarmi" è puramente intenzionale
:3
Fatemi sapere cosa ne pensate; io ringrazio quelli che hanno messo fra le ricordate/seguite/preferite questa ff, i lettori silenziosi e sunrise_1000 e Sylphs per aver recensito.
A presto!

 

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Capitolo 7
*** Never go back ***


7. Never go back

Il letto della sua stanza nel Palazzo dei Priori non era mai sembrato così morbido e comodo a Jane. Immaginava che fosse così che si sentivano gli umani al termine di una lunga giornata. La sua situazione era ben più tragica, perché nessuna giornata aveva termine, da quando era una vampira: non avrebbe mai potuto sfuggire alla tristezza o alla spossatezza con il sonno, e sapeva Dio se ne aveva bisogno, in quel momento. Era tornata a Volterra da un paio d’ore, ma prima di potersi ritirare in solitudine si era imbattuta in tutto il corpo di guardia, che aveva iniziato a chiederle della sua escursione. Dopo essersi liberata di tutti aveva dovuto annunciare il suo ritorno anche agli anziani, e solo allora aveva potuto abbandonarsi sul letto.
Non aveva ancora avuto modo di parlare con suo fratello, e non sapeva se fosse un bene o un male. Indubbiamente doveva aggiornarlo con le sue ultime scoperte – riguardavano lui tanto quanto lei – ma d’altra parte non se la sentiva di parlarne. Si sentiva esausta come mai le era successo. Era stanca, stanca per il peso di quei secoli di non-vita che le erano improvvisamente crollati addosso, lasciando a nudo una realtà orribile con cui si ritrovava a dover fare i conti. Era comprensibile, in fondo, che avesse avuto quel crollo psicologico con Jacob Black. Era stato tutto troppo da tenere dentro, anche per lei, di solito così fredda e controllata. Magari non se la sentiva, però doveva parlare con Alec, se non altro per il proprio benessere psicologico.
Recuperò il suo cellulare e premette il tasto di chiamata rapida. Dopo un paio di squilli, suo fratello rispose.
-Jane?
-Alec. Che bello sentirti.
-Stai tornando a Volterra, sorellina?
-Sono già tornata, e non chiamarmi “sorellina”. Abbiamo la stessa età.
Alec rise, non senza suscitare un sorriso anche a Jane. Provata com’era, era davvero un sollievo sentir ridere il suo gemello. Almeno lui era al riparo da quella valanga di eventi, anche se ancora per poco.
-Alec, devo parlarti – gli disse quando ebbe smesso di ridere.
-Dimmi tutto, ma fai in fretta: sono con Heidi a caccia di turisti.
-Non adesso. Quando torni ne parliamo.
-Va bene, sorellina.
Jane alzò gli occhi al cielo con finta esasperazione, mentre sorrideva affettuosamente, anche se lui non avrebbe potuto vederla. Chiuse la chiamata e rimase distesa sul letto a fissare il soffitto. Cercò di non far vagare troppo liberamente i pensieri ma quelli si ribellarono, beffardi, indugiando sull’incontro col licantropo. Che senso aveva ripensarci? Aveva ben altri problemi ora. Primo fra tutti, come comportarsi con gli anziani. Li odiava con tutta la forza che aveva dentro di sé, ma era costretta a non far trapelare nulla. In passato aveva torturato ed ucciso per molto meno, ed ora quella quiete forzata, quel rancore mascherato stavano torturando ed uccidendo lei. Senza contare quanto fosse a dir poco destabilizzante odiare coloro che fino a qualche giorno prima erano stati le colonne portanti della sua vita.
Pensò ad Aro. Lo aveva sempre considerato il suo Sole, ma quella non era che un’illusione. Quell’essere spregevole l’aveva ingannata e presa in giro per secoli, aveva distrutto la sua famiglia e la sua vita e l’aveva incatenata lì a Volterra. Ma giurò a se stessa che avrebbe avuto la sua vendetta, non importava quanto le sarebbe costata. Ancora non sapeva né come né quando, ma Aro gliel’avrebbe pagata cara, molto cara.
Avrebbe avuto bisogno di Alec al suo fianco, perché se lei da sola era letale, loro due insieme erano invincibili. Avevano costituito la fortuna dei Volturi, ma adesso… adesso sarebbero stati la loro rovina.
Insieme avrebbero vendicato la loro famiglia.
***

-Jacob, ci siamo riuniti tutti qui come avevi richiesto, ora dicci: cosa è successo? – chiese Carlisle quando sia vampiri che licantropi si trovarono nella sala da pranzo di villa Cullen. Tutti avevano in viso un’aria tesa, e non si poteva dar loro torto, visti gli ultimi avvenimenti. Persino in Rosalie si poteva scorgere una traccia di preoccupazione, dietro la sua aria insofferente.
-Andrò dritto al punto: nel bosco, qualche ora fa, ho incontrato Jane Volturi.
La reazione a quel nome fu unanime. Istintivamente i vampiri emisero sibili minacciosi e scoprirono le zanne, mentre i licantropi si tesero in avanti, come se fossero pronti a balzare addosso a qualcuno.
Leah sbottò:- Ancora?! Ma ci lasceranno mai in pace?
Fu Carlisle a rispondere. – A quanto pare no. Aro non è mai stato un tipo di parola, ma pensavo che avrebbe avuto troppa paura di uno scontro per riportare le sue mire su di noi così presto.
-Calmi – intervenne Jacob – Jane non era accompagnata da nessun altro membro della guardia e ha detto di trovarsi lì per conto suo.
-E tu le hai creduto? – chiese minacciosa Rosalie.
-Il mio fiuto e il mio udito funzionano bene quanto i tuoi, bionda, e non hanno percepito nessun altro. Almeno non nelle vicinanze.
-Qui noi non abbiamo notato niente di insolito – intervenne Alice.
-Non mi ha detto per quale motivo si trovasse qui, ma aveva già origliato una telefonata fra me e Bella, quindi probabilmente saprà che sono in Brasile. Ha detto di essere venuta per motivi personali, ma mi sembra alquanto improbabile.
-Hai fatto bene ad avvisarci, Jacob – fece Carlisle mettendogli una mano sulla spalla con uno dei suoi sorrisi paterni. – Adesso dobbiamo mettere al corrente Edward di questo episodio. Se i Volturi sanno che sono in Brasile e il loro obiettivo è Nessie, potrebbero aver già mandato qualcuno sulle loro tracce.
Tirò fuori il cellulare e chiamò Edward, poi mise il vivavoce.
-Carlisle? – disse il vampiro dall’altro capo del telefono.
-Edward. Spero che lì vada tutto bene. Sei in vivavoce con noi e il branco di Jacob, dobbiamo parlarti.
-E’ successo qualcosa?
-Forse. Ti racconterà tutto Jacob.
Il ragazzo narrò nuovamente l’incontro con la vampira, e subito i presenti si lanciarono in ipotesi e sospetti.
-Piano, ragazzi – fece Edward. – Non credo che ci sia molto di cui preoccuparsi.
-E’ quello che dico anch’io – intervenne Emmett. – Li abbiamo già cacciati una volta, possiamo farlo di nuovo. E magari stavolta ci scappa anche un mezzo combattimento.
-Emmett! – lo riprese Esme.
-Non è questo che intendevo – disse paziente Edward. – Credo che davvero Jane non sia stata mandata dai Volturi. Ho ricevuto una chiamata dal clan di Denali: lei è stata da loro prima di venire da voi. Ha parlato con Eleazar a proposito di Chelsea e del suo talento nel vincolare le persone le une alle altre o, all’occorrenza, nell’allontanarle.
-Ma nessuno del corpo di guardia dovrebbe sapere qual è il suo talento – obiettò Jasper. Al che Edward dovette raccontare nei dettagli tutto quel che sapeva circa la conversazione.
-Quindi – cercò di ricapitolare Carlisle – l’influenza di Chelsea su Jane è misteriosamente svanita, lei ha recuperato dei ricordi umani e poi è venuta fin qui. Mi chiedo quale sia il nesso, visto e considerato che si è fatta scoprire da Jacob e non si è presentata da noi.
-Forse cercava me, Bella o Nessie.
-Ma possiamo comunque mettere una mano sul fuoco che non sia stata mandata dai Volturi? Io dico di no – fece Leah, abbastanza ostile.
-Neanche io mi fiderei di lei – rincarò Emmett.
Con sorpresa di tutti, Edward si schierò invece a sua difesa. – Eleazar ha detto che gli è sembrata sincera e turbata, e io mi fido del suo giudizio. Oltretutto Jane non avrebbe potuto fingere i sintomi che ha manifestato: come ha detto Jasper, nessun membro della guardia è a conoscenza dei poteri di Chelsea. Quindi deve soffrirne veramente.
-E siamo assolutamente certi che gli anziani non abbiano deciso di rivelare quest’informazione a Jane per mettere a punto una qualche trappola?
-Eleazar lo esclude completamente, e anche io.
-Bella cosa sa di tutto questo? – chiese Esme, piena di materna preoccupazione.
-Ha ascoltato con me la telefonata da Denali. Adesso è di là a far addormentare Renesmee, ma credo che stia sentendo tutto.
-Quindi cosa facciamo? – Rosalie riportò tutti sull’argomento principale.
-Niente, per il momento – rispose Edward. – Non c’è un vero e proprio pericolo, e in ogni caso Bella ha il suo scudo, quindi qui siamo protetti. Voi…
-Noi staremo bene – gli assicurò Carlisle. – Se qualcosa dovesse cambiare, Alice potrà sempre avvertirci in tempo. Non credo ci sia bisogno che torniate, per ora.
Alice confermò, dicendo che non vedeva nulla per il quale preoccuparsi.
-Allora direi che per il momento è tutto… Jacob, cosa ti è successo? Pensavo che la tua voce sarebbe stata quella che avrei sentito di più, e invece sei stato insolitamente silenzioso. Per quanto mi costi ammetterlo, la sicurezza di Renesmee è anche una tua priorità, quindi cosa ne pensi?
Jacob sussultò a quelle parole, si sentì in colpa. Certo, era preoccupato per Nessie e aveva seguito con ansia la discussione, ma non sentiva più quel sentimento che fino ad una settimana prima l’avrebbe spinto ad urlare contro chiunque avesse detto che non c’era pericolo, e magari lo avrebbe fatto salire sul primo aereo per il Brasile, e al diavolo Nahuel e chi altri. Ma quel sentimento, a ben pensarci, non era mai esistito: ciò che di diverso dal semplice affetto aveva provato per Nessie non era davvero amore, era solo dovuto all’imprinting.
-Stavo pensando a tutta questa situazione, Edward – disse con tono grave. – Credo che tu abbia ragione, per ora non c’è pericolo. E’ inutile allarmare inutilmente Nessie, vorrei che vivesse questi giorni in tranquillità.
Probabilmente aveva lasciato tutti  i presenti di stucco con quel suo discorso così pacato. Neanche lui si sarebbe riconosciuto, guardandosi dall’esterno.
-Sono contento che tu la pensi così, Jacob. Anche io voglio solo serenità per Nessie. Grazie, immagino quanto debba costarti.
Una nuova ondata di senso di colpa investì il licantropo al pensiero di quanto poco gli fosse costato dire quelle parole, considerato il suo interesse personale nel fatto che Edward e il suo potere rimanessero ben lontani da lui.
Si salutarono e chiusero la chiamata, poi Emmett, Jasper e un paio di licantropi si riunirono a parlottare di quel che era successo e sicuramente pianificare una qualche strategia, nonostante le rassicurazioni di Edward. Jacob decise di lasciarli fare e di andarsi a cercare qualche posto in cui poter rimuginare in santa pace su Jane Volturi. Prima che potesse uscire, Carlisle gli diede un’altra pacca comprensiva sulla spalla.
Non si era accorto che Seth e Leah lo avevano seguito fuori finché non udì la voce del giovane Clearwater.
-Certo che più tempo passa, più l’imprinting ti rende saggio e riflessivo.
Se soltanto sapessi, pensò lui. Ma Seth non poteva sapere, nessuno poteva. E lui non poteva sopportare di più: si trasformò in licantropo e in un lampo di vestiti strappati corse via nella foresta.
***

Quando sentì i passi familiari di suo fratello nel corridoio, Jane balzò in piedi e in una frazione di secondo fu ad aprire la porta della stanza, senza neanche dargli il tempo di bussare. Il sollievo nel vederlo fu così palese che sul viso di Alec si dipinse un’espressione preoccupata.
-Jane, vuoi dirmi cosa sta succedendo? Sono giorni che ti comporti in modo strano, e ora questo…
-Non qui, Alec. Vieni con me.
Insieme ritornarono in cima alla torre più alta del Palazzo dei Priori, dove già una volta avevano parlato in sicurezza. Alec le prese le mani e la guardò negli occhi.
-Ora puoi dirmi cosa succede?
Jane prese un respiro profondo, per farsi coraggio, e cominciò il suo racconto da quando aveva recuperato il primo ricordo umano. Gli raccontò del viaggio a Salem, della verità sulla loro famiglia, sui Volturi. Non escluse neppure l’incontro con Jacob Black, ma per qualche motivo non ebbe il coraggio di dirgli quanto il suo tocco l’avesse scossa e turbata nel profondo. Alec non batté mai ciglio, niente sul suo volto lasciava intravedere cosa pensasse. Rimase in silenzio per alcuni secondi, durante i quali Jane iniziò a temere di aver sbagliato a raccontargli tutto in una volta sola, forse era troppo da elaborare, da accettare.
-Non ci credo – disse, com’era prevedibile. Jane era preparata a quell’evenienza.
-So che è molto da accettare. Sì, sembra incredibile, perché rende una menzogna tutto quello in cui abbiamo creduto per secoli, ma…
-Jane, non sto dicendo che sembra assurdo. Sto dicendo che non credo ad una sola parola di quello che hai detto.
Fu come una lapidata per la vampira.
-Pensi che ti stia mentendo? Su di noi… sulla nostra famiglia!
-No, Jane. Credo che tu sia in buonafede, ma non credo a ciò che ti è stato detto da Eleazar, e neanche tu dovresti. E’ un traditore, nulla di più, farebbe di tutto per gettare fango sui Volturi. Ricorda che si è schierato al fianco dei Cullen.
-I Cullen sono stati dichiarati innocenti.
L’espressione di Alec divenne imperscrutabile. – Del crimine di aver creato una bambina immortale, forse, ma sappiamo benissimo entrambi che la loro è stata una sfida bella e buona alla nostra autorità che purtroppo non abbiamo potuto punire. Sono dei ribelli, dei sovversivi. Non devi permettere loro di confonderti le idee.
-Le mie idee sono chiarissime… ti assicuro che è tutto vero, Alec. Pensa solo a tutto ciò che ho ricordato e capirai che è così.
-Già, i ricordi… sai bene, Jane, che noi vampiri non abbiamo chiari ricordi della nostra vita umana, quindi come fai a dire che è Aro quello che hai visto, come puoi accusarlo di una cosa tanto ignobile? Non hai mai ricordato nulla fino a questo momento, poi all’improvviso nella tua testa compaiono queste immagini…
-Corrisponde tutto alla perfezione, non vedi? La memoria umana mi è tornata quando Chelsea ha avuto un calo.
Alec prese Jane per le spalle. – Non puoi neanche sapere se è vero che Chelsea abbia questo fantomatico potere di manipolare i legami fra le persone! Per quel che ne sai è una menzogna inventata da Eleazar per farti cadere in fallo. Hai mai pensato che quei ricordi possono essere stati infilati nella tua testa contro la tua volontà? I Cullen potrebbero aver trovato un alleato con questo potere, non credi? Già uno di loro può entrarti nella testa e leggere i tuoi pensieri, cosa impedisce che un altro vampiro abbia il potere di inculcartene di nuovi senza che tu te ne accorga?
-Se non posso fidarmi di me stessa, di chi posso fidarmi? – sibilò allora.
Le mani di Alec scesero sulle sue. – Di me, sorella. Di me e di Aro. Siamo noi la tua famiglia, Jane. E’ sempre stato così, cosa è cambiato ora?
Senza alcuna ragione apparente, un’immagine di Jacob Black le passò davanti agli occhi, ma lei fu rapida a scacciarla dalla mente. Non era proprio il momento adatto, quello.
Pensò a quello che aveva detto Alec. Certo, la sua teoria era plausibile dal suo punto di vista, ma se anche lui avesse visto, se avesse ricordato, non avrebbe potuto dubitare. Le faceva male il pensiero che lui non si fidasse di lei… fidarsi… si era sempre fidata di se stessa, ma già una volta era stata tratta in inganno, da Aro. E suo fratello diceva di fidarsi di lui.
Lo guardò negli occhi. Erano di una vividissima sfumatura cremisi, ma c’era qualcos’altro… c’era qualcosa che mancava, in effetti. Non sapeva spiegarselo su due piedi, ma…
-Alec – provò a chiamarlo. Lui fece un movimento impercettibile con la testa, ma i suoi occhi… i suoi occhi rimasero vacui, inanimati, come se eseguisse i gesti meccanicamente. Un guizzo di rabbia la attraversò da capo a piedi. Fidarsi di Aro, diceva lui! Jane si sottrasse alla sua presa con un ringhio.
-Quando ti ha fatto il lavaggio del cervello, eh? Prima o dopo che io ti chiamassi?
-Di cosa stai parlando?
-Se anche prima avessi avuto dei dubbi su quale fosse il talento di Chelsea, ora qualsiasi dubbio è svanito. Dovresti vederti, fratello: sei la prova vivente di quello che dico!
Credeva di essere stata discreta, di non aver destato sospetti, ma evidentemente non era così ed Aro aveva agito di conseguenza. Oppure, semplicemente, Chelsea non voleva correre il rischio di perdere anche Alec dopo di lei e aveva serrato ancora di più la stretta su di lui. Comunque stessero le cose, Aro aveva segnato un punto a suo favore.
-Sei persa nelle tue convinzioni, sorella! Cerca di tornare in te, oppure mi vedrò costretto ad informare Aro della tua defezione.
La rabbia invase Jane completamente, e dovette trattenersi dal prendersela con Alec. La colpa non era sua, rammentò a se stessa. Ma sapeva chi incolpare per questo. Prima che suo fratello potesse fare qualsiasi cosa, la vampira corse verso la scalinata della torre e in un secondo fu davanti alla stanza di Chelsea, pronta a buttare giù la porta e a torturarla finché non avesse lasciato in pace Alec.
-Jane! – si sentì chiamare alle spalle – Cosa credi di fare?
Cosa credi di fare? Pensa alle conseguenze, Jane!
Se avesse attaccato un altro membro della guardia avrebbe potuto essere giustiziata per tradimento. Forse l’influenza su Alec sarebbe svanita e lui non avrebbe testimoniato contro di lei, ma avrebbe cercato di difenderla, facendosi condannare a sua volta. E non avrebbe avuto la sua vendetta su Aro.
No, attaccare Chelsea su due piedi non era la cosa giusta da fare. Doveva affrontare la situazione con la sua solita freddezza e avrebbe trovato la soluzione. Ma di una cosa era sicura: non avrebbe passato al servizio di Aro un secondo di più. Proseguì fino alla sua stanza e spalancò la porta con furia. Recuperò la borsa che ancora non aveva disfatto e la riempì velocemente con ciò che di suo era rimasto nella stanza, poi indossò la mantella da viaggio. Nel farlo, toccò il ciondolo con il simbolo dei Volturi che ognuno di loro portava. Con il tempo si era talmente abituata alla sua presenza da essersene perfino dimenticata… ma se non poteva sfogare la sua rabbia contro gli anziani, lo avrebbe fatto con qualcosa di simbolico. Serrò il ciondolo in una morsa così stretta da accartocciare il metallo con un sinistro stridio, e poi tirò forte la catenella, strappandosela via dal collo. Con un gesto elegante lo scagliò lontano, dando il suo addio a quel luogo.
Questa è la fine che farò fare alla tua testa, Aro, pensò con rabbia. Poi chiuse la porta dietro di sé, per sempre.





Angolo Autrice: Per la serie "a volte ritornano", rieccomi qui. Come al solito mi devo scusare per il ritardo, siete le lettrici più pazienti del mondo a sopportarmi.
Non sono per nulla soddisfatta della riuscita di questo capitolo, spero che almeno a voi piaccia. Lo so che volete veder interagire Jane e Jacob: non abbiate paura, dal prossimo capitolo quei due passeranno insieme molto tempo ;) 
Ringrazio tutti quelli che continuano a seguire e a leggere la storia, e in particolare sunrise_1000 e Sylphs per aver recensito.
Fatemi sapere cosa pensate della storia e di come si sta evolvendo.
Un bacio a tutti!

 

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