jloveh.

di hale
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** hi? ***
Capitolo 2: *** die. ***
Capitolo 3: *** helpless. ***
Capitolo 4: *** nightmare. ***
Capitolo 5: *** hate. ***
Capitolo 6: *** the past. ***



Capitolo 1
*** hi? ***


1.

Hi?
 

 
 
 


Julie.

Vi è mai capitato di sentirvi estranei alla propria vita? Di trovarvi, da un momento all’altro, davanti ad un muro non scavalcabile, un muro che solo abbattendolo si sarebbe potuto eliminare dal proprio cammino. Io mi ritrovavo in questa scomoda, scomodissima situazione. Ma dopotutto dovevo aspettarmelo, dopo anni e anni di problematiche e disagi. Disagi soprattutto causati, involontariamente, da me.
E’ da tempo che la decisione di scappare mi perseguitava. Volevo fuggire, da tutto e da tutti. Ma, ogni volta, mi chiedevo dove mai sarei potuta andare.
Adesso che ho trovato la risposta, non posso far altro che coglierla e seguirla, nel bene e nel male, coi pro e coi contro.  
Sarebbe stata dura salutare la mia unica famiglia, ossia mia madre, e la Francia ma è ciò che dovevo fare.
Insomma, dopo tutti i sacrifici che mia madre è stata disposta a fare per me, io potevo fare tutto questo, almeno per lei.
Farmi mantenere avrebbe causato ulteriori problemi, perciò era meglio liberarsi del peso.
Davanti a me mi aspettava un futuro in California, una città dove hai delle opportunità. Sarei andata a vivere momentaneamente da un’amica di mia madre di nome Susanne; sapevo già chi fosse. Per il resto non ero al corrente di nulla, era tutto una sorpresa. Un’ abominevole sorpresa.
Mi guardai attorno, la mia piccola camera da letto che mi aveva accolto fin da piccola, non la riconoscevo più. La carta da parati era rovinata e leggermente strappata in alcuni angoli dove si riusciva ad intravedere il muro biancastro. I mobili erano gli unici oggetti che riempivano questo vuoto, tutte le mie strambe cose erano inscatolate e pronte per essere trasferite. Tutto era pronto, tutto tranne che me.
“Julie, è ora di andare.” Udii la voce di mia madre alle mie spalle, mi voltai dalla sua parte per poi annuire. Tristemente diedi un’ultima occhiata a quella stanza, la quale non l’avrei più rivista per chissà quanto tempo. Presi la mia borsa e me la portai alla spalla. Assieme a mia madre raggiunsi il portone e prima di salirle sul taxi la guardai malinconica.
“Mi mancherai.” Mi disse con voce tremante lei, cercando di trattenere le lacrime. Vederla così mi terrorizzava, vedere la propria madre debole non ti da alcuna tranquillità. Notai un sorriso sforzato comparso sul suo volto e cercai di ricambiarlo.
“Anche tu, mamma.” Le dissi, anche se non era tutto ciò che avrei voluto dire. Era poco confessarli che mi sarebbe mancata, mi sarei sentita sperduta senza la sua presenza giornaliera.
“Tornerai presto.” Si assicurò lei, non voleva che me ne andassi per quelle ragioni. Era convinta che ce l’avrebbe fatta a sistemare tutto ma io non ero più una bambina, sapevo che sarebbe stato complicato. In quella circostanza, ero un peso. Dovevo farmi da parte per un lungo periodo anche se sarebbe stata dura.
Ci abbracciammo ed io me ne andai con il suo profumo sulla mia pelle. Salii sul taxi e guardai la figura di mia madre fino a quanto non la riconobbi più. Il paesaggio scorreva velocemente, ogni determinato luogo mi regalava un ricordo e una lacrima sul viso.
Per giungere all’aeroporto passai davanti a parchi, scuole e ristoranti. Passai davanti a mille momenti passati in diciotto anni che avrei sempre conservato in me.
Non era un addio, avrei fatto ritorno in un lontano ma giusto giorno.

Harry

Vi è mai capitato di ritrovarsi dei genitori che non ti considerano per quello che sei ma per quello che dovresti essere? Dei genitori che in realtà non gli importano nulla di te, che ti educano a loro modo, solo per fare la figura della famiglia modello con l’alta società.
Sono capitato in una famiglia benestante, così ha voluto il destino. Vivo in una bella villa californiana e tutto ciò che voglio lo posso ottenere. Può sembrare un sogno quando in realtà è solamente un futile incubo. La gente mi giudica come un ragazzo viziato, non per un ragazzo che preferisce dare che avere, il vero ragazzo che sono, il quale oramai nessuno conosce realmente.  
Sono capitato in una famiglia che comanda in maniera impulsiva sulla mia vita sociale. Per i miei genitori, dovevo frequentare solo a chi pareva a loro, altrimenti erano guai per me.
Mi costrinsero a farmi accomodare sul divano del soggiorno, dovevano parlarmi seriamente un’altra volta.
“Perché sei uscito con Jack e quegli altri ragazzi? Ti avevamo detto che lui non è un bravo ragazzo, non puoi frequentarlo.” Mi rimproverò mio padre. Michael Styles, uomo ben rispettato in tutta la regione, piuttosto conosciuto e commentato da tutti i californiani. Aveva una buona reputazione, sia sul suo conto che sul suo aspetto da tipico uomo da affari. Capelli scuri, assai corti, sistemati sempre all’indietro con del gel. Occhi chiari, chi li incrociava dicevano che apparivano furbi e attenti, per me erano ingannevoli e freddi. Un mostro mi piaceva definirlo, uno stallone alto due metri dalle spalle larghe e possenti. Doveva sempre apparire al meglio, non aveva mai un capello fuori posto e il suo modo di vestire era, diciamo, sempre azzeccato. Chiunque nel vederlo avrebbe osato dire che era l’uomo perfetto, il quale qualsiasi donna avrebbe voluto possedere. Carattere deciso, altruista, benevolo e speciale. Già, speciale dovrei dire, se non particolare. Particolarmente autoritario e sfruttatore.
Alzai lo sguardo dalle mie scarpe bianche sul suo viso, infastidito. Ero davvero stufo di questi ordini, non ne potevo più di frequentare gente che piaceva a tutti, me escluso.
“Con lui hai chiuso, punto.” Terminò di nuovo lui. Io tacqui, alla fine non potevo fare nulla, intervenire oramai era inutile.
Feci per alzarmi ma un altro argomento mi frenò.
“Oggi arriverà la ragazza francese, te ne abbiamo già parlato.” Iniziò mia madre con tono fermo. Susanne Styles, la ben nota sposa di Michael Styles. La donna più bella e invidiata della città, tanto sicura e sorridente esteriormente ma anche piuttosto sottomessa e incoerente interiormente. Aveva una personalità così determinata e unica, non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, finché non si innamorò follemente del suo futuro marito e da lì, tutto il suo mondo, girava attorno a lui.
A stento la guardai, sapevo di chi stessero parlando, la figlia di un’amica di mia madre sarebbe venuta a vivere per un impreciso periodo in casa nostra. Ovviamente anche su di lei mi avevano imposto ordini, chiunque sia stata la ragazza io sarei dovuto stargli lontano.
Nel caso mi sarebbe piaciuta, non sarebbe mai potuta essere mia.
Ad ogni modo la vorrò accogliere nei migliori dei modi, posso capirla, posso capire quanto sia difficile cambiare. Anche io sono stato vittima di numerosi cambiamenti.
Mi chiedo, però, come sarà avere questa nuova presenza femminile in giro per la casa. Una presenza impossibile da avvicinare.
Ero sdraiato sul letto della mia camera, preso a canticchiare e a lanciare una pallina di gomma contro il soffitto. Intanto mi ripetevo le solite cose, oltre agli obblighi imposti dai miei genitori.
“Harold, è arrivata!” Il richiamo di mia madre risuonò per tutta la casa, la voce proveniva dal piano terra. Mi alzai dal letto e decisi di raggiungere l’ingresso, la famosa ragazza era arrivata. Sarà bene presentarsi.

Julie.

Ammirai la differenza dell’aria californiana da quella francese, così come la differenza della città e della gente. Raggiunsi l’abitazione, un po’ isolata dalle altre, la quale la riconobbi subito. Pareva più una sorte di castello che una villa.
Mi avvicinai alla porta d’ingresso e, incerta, suonai il campanello. Mentre attendevo che qualcuno mi aprisse, presi a guardami attorno.
L’abitazione era circondata da un immenso giardino ben curato, riuscivo già ad intravedere le piante più alte. Vidi comparire regolarmente un arco d’acqua causato da un annaffiatore dietro i recinti.
Ad un certo punto, la porta d’ingresso si aprii e la figura di una donna giovane e radiante mi apparse davanti.
“Eccoti, ben arrivata!” Mi sorrise facendomi accomodare. “Ti ricordi di me, vero?” Domandò porgendomi la mano la quale strinsi. Era Susanne, erano diversi anni che non la rivedevo eppure non era per niente cambiata. Sempre la solita signora splendente e piena di vita.
“Certo.” Ricambiai il suo sorriso cortesemente. Ascoltai per un po’ i classici discorsi da ‘questa è casa tua ora, non sentirti a disagio.’
“Harold, vieni a presentarti!” Esclamò poi. Mi paralizzai, chi era costui? Mi tranquillizzai all’idea che potesse essere un suo presunto marito.
Immobile e muta attesi questo ‘Harold’.
“Arrivo, arrivo.” Sentii dire in maniera scocciata dal piano superiore. Istintivamente girai il volto da dove proveniva quella voce, una voce maschile e profonda. Non poteva essere suo marito.
Osservai quelle scali così particolari e curate in ogni minimo dettaglio. Vidi questo ragazzo scenderle velocemente, facendo dei piccoli saltelli da un gradino all’altro.
Si avvicinò a noi quella meraviglia. Lo guardai intimidita, aveva una folta chioma castana e riccia la quale gli copriva gran parte della fronte. Guardò sua madre e poi me, incrociai per sbaglio il suo sguardo. Cercai di non immergermi nei suoi occhi verdi, più affascinanti dello smeraldo, i quali mi stavano scrutando.
“Ora devo lasciarvi ragazzi, Harold mostra tu la casa.” Susanne ruppe il silenzio che si stava creando e, dopo averci salutato, uscii frettolosamente di casa.
Rimasi sola in quella enorme e lussuoso dimora, con di fronte la perfezione in persona.
“Piacere, io sono Harry.” Mi porse la mano senza espressioni in viso.
“Piacere, Julie.” Gliela strinsi e sfoggiai un mezzo e insicuro sorriso giusto per sdrammatizzare quella imbarazzante situazione.
Stanza per stanza, egli mi fece vedere l’intera casa. Salimmo le scale fino a giungere all’ultimo piano. Esso era costituito solamente dal corridoio e delimitato da due stanze. Le mura del corridoio erano piene zeppe di vari e numerosi dipinti e ritratti.
“Quella è la mia stanza, per qualsiasi cosa puoi chiedere a me.” Disse lui indicandomi la stanza alle sue spalle. “Questa invece è la tua camera.” Continuò dirigendosi verso l’altra porta del corridoio per poi aprirla.
Entrai e guardai tutto meravigliata, la camera era davvero molto più grande di quella che avevo in precedenza. Le mura erano di un colore tendente al marrone, molto chiaro, il quale trasmetteva calma. L’arredamento era molto moderno e non troppo complicato.
Harry sistemò le mie valigie dentro la mia stanza per poi guardare divertito la mia espressione in viso.
“Ora ti lascio sistemare le tue cose.” Disse avviandosi verso la porta. Attese un mio cenno per poi scomparire dietro chiudendola.
Passai le successive ore a svuotare ogni singola valigia e scatolone, sistemando tutti i miei oggetti e vestiti ordinatamente.
Sistemai la mia pianola in un angolo della stanza, assieme a tutti i miei spartiti e canzoni scritte. Per me, tutti questi oggetti, sono essenziali.
Spolverai la pianola con cura, la avrei accesa e suonata ma il timore di creare baccano mi fermò.
Mi voltai di scatto non appena sentii bussare alla porta.
“Sì?” Chiesi non vedendo nessuno entrare.
“Signorina, la cena è pronta.” Mi sorrise un’altra signora quando spalancò la porta. La guardai stranita per poi ringraziarla. Solitamente ero abituata agli strilli di mia madre quando mi si doveva avvisare di un pasto pronto.
Posai sul comodino situato al fianco del letto una piccola foto la quale ritraeva me e mia madre per poi guardarla malinconica, sentivo già la sua mancanza.
Dopo aver emesso un profondo respiro uscii dalla camera per raggiungere la sala da pranzo. Scesi le scale un po’ intimorita, non avevo idea su come comportarmi.
Mi aggirai sperduta per la sala principale fino a quando una signora non troppo anziana mi chiamò dalla presunta cucina.
“Julie, è di qua.” Mi fece cenno di avvicinarmi lei, accennando quasi una risata. Sforzai un sorrido e le andai incontro. Intravidi la cosiddetta sala da pranzo dove Susanne e un uomo sconosciuto, molto probabilmente suo marito, erano già seduti a tavola.
“Tu sei la domestica?” Le chiesi incerta, non sapendo a che ruolo attribuirle. Lei posò gli utensili da cucina i quali stava utilizzando per poi lavarsi le mani.
“Diciamo di sì, ma chiamami Anne.” Mi sorrise lei porgendomi una mano dopo essersela asciugata sul  grembiule la quale strinsi.
Lentamente mi avvicinai alla tavole per poi sedermi su una sedia a caso.
“Buonasera.” Esordii imbarazzata. Susanne ricambiò presto il saluto, seguita da suo marito il quale fece presto a presentarsi. Parevano persone per bene, solari e tranquille.
Ma mai giudicare un libro dalla copertina, è ciò che ho imparato dall’esperienza.
Successivamente vidi arrivare frettolosamente il ragazzo, Harry. Casualmente si sedette di fronte a me.
Lo stavo guardando, forse anche troppo, senza neanche rendermene conto. Salutò di malavoglia di genitori per poi spostare lo sguardo su di me, lui mi sorrise mentre io abbassai subito lo sguardo.
Sentivo i suoi occhi puntati addosso a me, era una situazione la quale trasmetteva una certa tensione però non potevo negare che mi facesse piacere.
“Harold.” Disse fermo quasi sussurrando il padre di Harry. Quest’ultimo, infastidito, smise di guardarmi, rimanendo a testa bassa per il resto del pasto.
Guardai entrambi leggermente confusa fino a quando Susanne non iniziò a farmi domande su domande.
Io garbatamente risposi con un falso sorriso sputato in faccia. Per quanto possa essere gentile quella gente, io mi sentivo ad ogni modo più sola e imbarazzata che mai.
Non riuscii a finire il mio piatto, la fame mi aveva abbandonata.
Non sapevo come fare a tornarmene in camera e rimanere chiusa lì per il resto dei miei giorni.
“Se non ti va più, lascia pure.” Mi salvò Susanne. Senza esitare ringraziai e mi alzai, non avevo idea di come comportarmi con queste famiglie perfette, ero proprio imbranata.
Salii le scale e andai a passo spedito nella mia nuova camera.
Scrutai la tastiera per una manciata di secondi decidendo poi di suonarla. Tenni il volume basso, in modo da non disturbare nessuno, mi sedetti composta sullo sgabello ed iniziai ad emettere diversi suoni.
Nel bel mezzo di un brano sento ribussare alla mia porta. Agitata mi alzai e spensi la tastiera per poi far entrare chi mai avesse bussato.
“Sei tu che suoni?” Vidi comparire la figura di quel ragazzo, Harry, alla porta. Come diamine aveva fatto a sentire?
“Ehm, sì. Scusa, non volevo fare casino.” Risposi quasi balbettando, evitando di guardarlo.
Si avvicinò alla tastiera per poi ammirarla.
“Ma quale casino, ti sentivo a malapena.” Sorrise sedendosi sullo sgabello. “Ma da quel poco che ho sentito mi sembravi brava.” Continuo poi. 
Io lo guardai di scatto sorpresa, lui lo notò e mi porse un altro sorriso, accompagnato da adorabili fossette. Nessuno mi faceva complimenti per come suonavo, se non mia madre la quale aveva poco tempo per ascoltarmi, non mi sono mai reputata brava. Io suonavo e basta, il pianoforte è la mia sorte di passione. Ciò che suono è tutta la mia anima in melodia, è il mio sfogo e bisogno sotto forma di musica.
“Oh.. Davvero? Oddio, grazie.” Gli dissi con un grande sorriso in viso. Lui scosse la testa divertito.
“Figurati, dai insegnami qualcosa.” Egli mi lasciò un minimo spazio sullo sgabello facendomi cenno di sedermi, cosa che feci. Sentii il mio cuore iniziare a battere un po’ più velocemente ma non ne capii il motivo. Allungai la mano per accendere la tastiera ed abbassare il volume, ma Harry frenò la mia mano con la sua. La mia era gelida, la sua calda. Quel contatto mi fece rabbrividire, arrossii leggermente.
“Puoi tenere anche il volume alto.” Mi avvertii lui senza togliere la sua mano sopra alla mia. Io lentamente la tolsi posandola sui tasti.
Lui iniziò a spingere tasti bianchi a casaccio per poi ridere, lo osservai meravigliata quando scoppiò in quella piccola risata.
“Faccio pena, suonami qualcosa te.” Disse ancora divertito. Accennai una risata e agitata iniziai a suonare uno dei miei brani preferiti.
Il suo sguardo mi distraeva, mi tremavano le mani e di conseguenza sbagliai le prime note.
“Non ce la faccio.” Balbettai abbattendomi. Fermò la mia mano tremante tenendola con due dita.
“Ehi, stai tranquilla, non ti faccio niente.” Rise dolcemente dandomi un leggero pizzicotto sulla guancia. Gli sorrisi spontaneamente, stava mandando il mio stomaco in subbuglio.
Mi concentrai e ripresi a suonare il brano, a modo mio, più libera che potevo.
Lui seguiva con lo sguardo ogni movimento delle mie mani, io cercai di non farci caso altrimenti mi sarei nuovamente agitata errando grande parte del brano.
Terminai lasciando il suono delle ultime note sospese, tenei le mani ancora appoggiati ai tasti e mi rivolsi a lui in attesa di un qualsiasi commento.
“Sei fantastica.” Mi guardò sorpreso. Gli sorrisi un’altra volta.
“Grazie.” Dissi quasi sussurrando, questa volta riuscii a guardarlo negli occhi realizzando di quanto potesse essere meraviglioso.
Cercai di riprendermi, non dovevo guardarlo sotto quell’aspetto.
La porta si aprii di colpo, cosa che mi fece sobbalzare.
“Harold, fila in camera tua.” Il padre lo fulminò con lo sguardo, mentre lui si limitò ad annuire come se fosse abituato.
Attese che l’uomo alla porta se ne andò.
“Devo andare, scusa.” Sbuffò lui per poi alzarsi dallo sgabello. Avevo un dubbio però e non avevo intenzione di tenermelo per tutta la nottata.
“Perché sei venuto qui da me?” Dissi di conseguenza. Gli venne come un lampo di genio.
“Ti dovevo dire una cosa ma adesso non riesco a dirtela, mio padre mi ammazza. Buonanotte Julie.” Concluse frettolosamente lui mentre io lo accompagnavo alla porta, sorrisi come un’ebete del sentire le ultime parole.
Ne approfittai e lo guardai per l’ultima volta, prima che se ne andasse definitivamente.
“Va bene, buonanotte Harry.” Riuscii a dirglielo, nonostante l’insicurezza. Mi concesse un altro sorriso prima di scomparire dietro la porta.
Rimasi per un po’ in piedi, appoggiata alla porta. Egli mi aveva lasciato con il dubbio, non mi farà dormire. Che mai avrebbe dovuto dirmi? E poi, perché suo padre era sempre severo nei suoi confronti? Non capivo perché mai lo avrebbe ammazzato, non credo che Harry avesse un orario stabilito per dormire.
Mi svestii e mi coprii solamente con il lenzuolo, n era meglio se tentavo di non pensarci.
Spensi la luce e chiusi gli occhi, il volto di lui non ci mise molto ad apparire nella mia mente.





Buonasera cari lettori.
Ecco qui l'ennesima fanfiction sui ben amati 'OneDirection'. Questa è una storia che ho scritto l'anno scorso ma che ho praticamente abbandonato datosi che non mi convinceva per nulla in modo in cui l'avevo scritta e tirata avanti. Ed ora eccomi qua, è da un po' che la sto riscrivendo e sarà la quinta volta che pubblico questo capitolo.
Che dire, vi ho già trattenuto abbastanza, spero vi abbia incuriosito almeno un po', appena avrò uno straccio di recensione insisterò per pubblicare il successivo capitolo.
Cosa pensate intanto dei personaggi? Fatemi anche sapere. :)

Un bacio, hale. xx
twitter - @pianorauhl

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Capitolo 2
*** die. ***


2.

Die.
 

 
 
 


Julie.

Per un momento mi pareva di essere tornata indietro, che tutto ciò che era accaduto fosse stato solamente un sogno, oppure un incubo. Mi ritrovavo sul quell’enorme letto, comodo e accogliente, senza il coraggio di aprire gli occhi. Immaginavo di essere nuovamente a casa, assieme a mia madre, nella mia camera, nella mia casa e nella mia città.
La luce del sole proveniente dalla mia finestra picchiettava sulla mia fronte, il sudore causato da questa stagione estiva brillava sulla mia pelle.
Mi diede un leggero fastidio e, dopo essermi stiracchiata, decisi di spalancare lentamente le palpebre in modo da abituarmi a quella vista.
Niente da fare, non era un sogno, non era frutto della mia immaginazione, era la pura realtà. Di fronte ai miei occhi mi si presentò quella nuova e sconosciuta stanza e, fuori dalla finestra, un paesaggio del tutto diverso e più verdeggiante.
Scostai lo sguardo verso l’orologio digitale, i simboli rossi mi fecero capire che erano solamente le sette del mattino.
Notai che il caldo era molto meno insistente rispetto al luogo in cui mi trovavo prima, solitamente facevo fatica a dormire visto l’estrema alta temperatura che, regolarmente, accompagnava l’intera estate francese.
Qua era tutto più fresco. Ancora devo rendermene conto del clima in cui andrò incontro in questa nuova cittadina.
Andai in bagno e, senza neanche accorgemene, cominciai a sistemarmi nei minimi dettagli per poi decidere che capi indossare, anche se dovevo rimanere in casa.
Insomma, se fossi stata a casa mia, sarei scesa con i capelli arruffati e vestita di una leggera canotta.
Giusto, qui non potevo fare così. Non potevo presentarmi in quel modo in una famiglia del genere.
In più, non avrei voluto farmi vedere in quello stato da quel ragazzo.
Penso che impazzirò davvero qua dentro, non so per quanto tempo riuscirò a cercare di fare tutto quanto alla perfezione, io poi, che ho sempre la paura di sbagliare.
Dovevo smetterla di crearmi tutte queste problematiche forse, perciò mi infilai una maglietta chiara non troppo scollata e mi diressi in cucina per fare colazione.
Andai incontro ad Anne, pronta e raggiante anche a quella presta ora del mattino.
“Buongiorno Julie.” Esordì lei non appena mi vide entrare nella sua pregiata cucina, era curata in ogni minimo dettaglio.
“Buongiorno.” Ricambiai io guardandomi attorno, non avevo idea di cosa fare, di dove andare e di cosa mangiare.
“Hai dormito bene?” Mi chiese lei porgendomi un piatto ben fornito di diversi cibi, cose mai mangiate a colazione fino ad ora.
“Sì, grazie, e lei?” Richiesi a mia volta prendendo il piatto sorridendole. Dopo avermi annuito e risposto, andai a sedermi nella sala da pranzo dove avevo cenato la sera prima.
Sul tavolo trovai posato un telecomando, quello del televisore. Dato che il silenzio era piuttosto angosciante, accesi la televisione trovandomi su un canale di cartoni animati.
Lentamente gustavo ciò che Anne mi aveva gentilmente cucinato.
Vidi arrivare, poco dopo, quel ragazzo. Portava solamente dei corti pantaloncini della tuta ed era nudo di petto. Evitai di guardarlo, ero decisamente in forte imbarazzo.
“Buongiorno.” Disse lui dopo essersi strofinato bene gli occhi, sedendosi di fronte a me.
Tenei lo sguardo basso, ricambiando il saluto.
“Guardi i cartoni animati?” Mi domandò guardando la televisione. La sua voce era davvero profonda e dannatamente provocante, deglutii cadendo nella tomba dell’imbarazzo.
Affermai balbettando, guardando sempre il mio piatto.
“Anche io li guardo.” Disse accendo una risata la quale mi tranquillizzò. Alzai lo sguardo per ammirarlo, lo trovai a sorridermi ed io gli sfoggiai un piccolo sorriso.
Non riuscivo a parlare, ero una completa idiota, riuscivo a malapena a mangiare.
“Allora.. Come hai dormito la prima notte?” Mi chiese entusiasta guardandomi.
“Bene, grazie, e tu?” Risposi semplicemente, come feci con Anne poco prima.
Lui incominciò a ridere da solo, io lo guardai intenerita. La sua risata era semplice, melodica e mi fece strappare un sorriso.
Notò la mia espressione e mi sorrise, mostrandomi delle leggere fossette. Mi sentii quasi sciogliere nel vederle, era bellissimo.
“Bene, anche se ho fatto un incubo.” Ammise dopo la risata. Tentai di cambiare espressione, diventando da un’ebete ad una seria.
“Mi dispiace, che hai sognato?” Gli chiesi smettendo di mangiare per ascoltarlo.
Lui finse di farsi serio e, dopo aver trattenuto un’altra risata, parlò.
“Praticamente, pensavano che fossi gay.” Confessò, lo guardai stranita per poi scoppiare a ridere. Cercai di trattenermi ma continuai per un po’ seguita dalla sua espressione divertita.
“Mi avevano trascinato in questo gay club. Ragazzi su ragazzi non facevano altro che pedinarmi. Io non sapevo che fare..” Continuò a narrare con un’espressione variata allo spavento e allo stupito.
“Si dice che, nella realtà, accade il contrario di ciò che sogni.” Affermai una volta ripresa dalla risata.
Lui alzò le spalle e sospirò mostrandomi un simpatico sorriso sghembo. Mi resi conto che stavamo tenendo per la prima volta una sottospecie di conversazione.
Notai anche che lui non era fornito di alcun pasto, eppure si era fermato a sedersi lì.
“Non mangi nulla?” Gli chiesi posando il bicchiere dopo aver fatto un sorso di aranciata.
Lui smise di osservare lo schermo della televisione e riprese a guardarmi. Si limitò a scuotere la testa, facendo un segno di negazione.
“E perché sei qui?” Richiesi tentando di essere più delicata possibile. Egli abbassò lo sguardo e, senza trattenere alcun sorriso, prese a giocherellare con la tovaglia.
“Ti ho vista e non volevo lasciarti fare colazione da sola, tutto qui.” Rispose semplicemente per poi alzare il viso.
I nostri sguardi si incrociarono e rimasero uniti come se fossero una cosa sola per una manciata di secondi.
Lui non voleva sciogliere questo momento e, proprio come immaginavo, fui io a cedere per prima, scostando subito lo sguardo altrove.
La mia pancia aveva qualcosa che non andava, una sensazione strana si era presentata.
Storpiai il naso alla ricerca di un qualsiasi argomento il quale sarebbe stato in grado di riempire quel silenzio con qualcosa di sensato.
Ricordai la serata precedente e il dubbio che non mi aveva fatto quasi dormire.
“Qual era la cosa volevi dirmi ieri?” Chiesi con un filo di voce.
Lui mi guardò confuso per la domanda improvvisa, ci rifletté un attimo per poi illuminarsi del tutto.
“Giusto, volevo avvertirti che oggi i miei genitori organizzano una cerimonia per te.” Rispose deciso con un sorriso compiaciuto.
Guardandolo con un sopracciglio alzato, mi chiesi di che diamine stesse parlando.
Mi feci spiegare e venni alla conclusione che, i suoi genitori, vollero organizzare una cerimonia dove ci sarebbero venuti amici e parenti in modo che essi avrebbero potuto conoscermi.
Solo all’idea di ciò mi pietrificai.
E poi, oggi? Quanto preavviso mi era stato dato.
“Vestiti più elegante possibile e non aspettarti chissà cosa, queste cerimonie sono uno strazio.” Commentò lui con una chiara espressione schifata in viso.
Volevo dire tante parole, pronunciarle una dietro l’altra alla velocità della luce in modo da tirare fuori ogni mia ansia e paura.
Con gli occhi quasi fuori dalle orbita presi a fissarlo, decisi che era meglio correre e rinchiudersi in stanza, in modo da potermi iniziare a preparare in modo dignitoso per quell’evento presto a venire.
Chiesi l’ultima cosa ad Harry, l’orario della presunta cerimonia. Dopo aver saputo il poco tempo che avevo a disposizione, lo abbandonai lì su due piedi per recarmi quasi correndo verso la mia camera, accompagnata dalla sua espressione più che divertita.
Studiai il mio armadio, non ancora finito di sistemare del tutto, e ricercai un abito adatto che avrebbe soddisfatto sia me stessa e sia chi mi avrebbe notata.
Però, uno era troppo corto, uno troppo lungo, uno di un brutto colore, uno fuori luogo, non avevo la più pallida idea di che diamine indossare.
Eppure io non mi ero mai posta problemi di questo genere, mentre invece quella mattina sì, ero in una confusione pazzesca, non avevo intenzione di fare brutte figure in questo nuovo ambiente.
Dopo quasi mezz’ora di ricerca continua, feci sbattere un’anta del mio armadio con fare nervoso.
“Cos’è caduto?” La porta si aprì all’improvviso la figura di Harry irruppe nella stanza.
Sobbalzai nel vederlo ed inciampai nella valigia alle mie spalle, cadendoci all’interno.
Lui scoppiò a ridere, mentre io sfoggiai un’espressione impazientita cercando di rialzarmi.
“Aspetta, ti aiuto.” Si avvicinò lui sorridendo porgendomi la mano. Lo guardai incerta per poi afferrarla risollevandomi con la sua presa.
Mi sistemai la maglia e mi massaggiai la schiena, dove mi ero fatta male.
“Grazie.” Mormorai imbarazzata.
“Figurati, cos’era quel tonfo? Si è sentito dal piano di sotto.” Rise lui reggendomi ancora con la sua grande e calda mano.
Gli spiegai dell’anta sbattuta mortificata, seguita da un suo sorriso tranquillo e pacificante.
“Come mai tutto questo furore?” Domandò guardando la mia espressione in viso.
“L’abito.” Gesticolai. “Non ho nulla da indossare.” Continuai osservando l’armadio apparendo una ragazza snob, indecisa su cosa mettersi nonostante avesse tanti vestiti.
Mi sentivo una bimba, tutta quell’ansia per apparire al meglio mi faceva salire i nervi. Non potevo comportarmi così con lui, parlare apertamente con lui, non lo conoscevo.
Non volevo iniziare a sentirmi a mio agio con lui, altrimenti avrei iniziato ad affezionarmi ed io, beh, so come andrebbe a finire. Mi tirerei indietro per poi gettarmi nel buco nero del mio passato.
Mi ripresi e finsi un sorriso giusto per tranquillizzarlo.
“Mettiti quello.” Disse indicando verso la mia valigia in cui ero caduta poco prima.
Mi voltai per vedere a che cosa si stesse riferendo. Lo guardai interrogativa, prendendo in mano un vestito non troppo corto, chiaro e semplice.
Lo osservò compiaciuto e annuì convinto.
“E’ perfetto, preparati e scendi tra un paio d’ore.” Diede un ultimo sguardo sia all’abito che a me, per poi ritornarsene da dove era venuto.
Io non ero affatto convinta, ma se lui lo aveva considerato perfetto allora forse c’era un motivo.
Mi stavo facendo influenzare troppo, eppure dopo quel suo commento, trovai quel vestito giusto per la cerimonia.
Non mancava molto all’inizio della cerimonia, evento di cui non ne avevo idea di come funzionasse. Perciò, una volta preparata, decisi di recarmi da Anne, la domestica, per informarmi.
Era sempre lì, nella sua cucina a preparare gli antipasti.
Non appena mi vide sorrise e mi salutò entusiasta, cosa che ricambiai. Ammirai tutta quella euforia, per me era già tanto non essermela fatta sotto per la paura.
“Scusi, lei sa cosa succede a queste cerimonie?” Chiesi un po’ disagiata, non sapendo se aprire un discorso o no con lei.
“Dammi pure del ‘tu’, cara.” Iniziò lei garbata. “Comunque è solo una cerimonia dove il galateo è d’obbligo, è piena di gente con la puzza sotto il naso.” Fece una smorfia evidenziando il fatto che la cosa non le piaceva affatto.
Non poteva andare peggio.
“Fantastico, ci sarà musica?” Feci una risata sdrammatizzante. “Classica.” Commentò secca lei.
Se prima avevo paura, adesso potevo anche ammettere di essere seriamente terrorizzata.
La cerimonia era iniziata ed io non avevo idea se avrei avuto il coraggio di immischiarmi in tutta quella massa di persone sconosciute che si era creata.
La gente era tutta simile, a stendo le distinguevo. Tutti quanti si erano impegnati ad apparire al meglio, nessuno aveva un capello fuori posto.
Quando il Signore distribuiva la semplicità, molto probabilmente quelle persone erano presi a fissarsi allo specchio.
Camminai a testa bassa fra la gente, senza farmi notare, eppure la gente continuava a fissarmi come se fossi un alieno.
Ero quasi tremante a causa dell’angoscia che tenevo addosso, mi sentivo completamente fuori luogo.
Ero nella sala principale, in qualche angolo, ad un certo punto sentii chiamarmi alle spalle.
“Julie, potresti farmi un favore?” Era Susanne, sempre con il suo sorriso stampato in faccia. Io annuii aspettando la richiesta.
“Potresti andare a cercare Harold? Non è ancora arrivato.” Mi disse, io le risposi che lo avrei fatto all’istante. D’altronde volevo scomparire da lì.
Guardate tutte le stanze della casa, mi ritrovai sfinita all’ultimo piano con la mia camera come ultima stanza da controllare.
Non poteva essere lì. Ad ogni modo tentai, stavo impazzendo per trovare quel ragazzo scomparso nel nulla.
Aprii la porta e quasi sobbalzai nel vedere Harry seduto sul mio letto con dei fogli in mano.
Era in smoking, già pronto per la cerimonia. Lo riguardai inghiottendo la saliva, era bellissimo.
Si voltò dalla mia parte e mi guardò, cosa che feci anch’io. Caspita, era meraviglioso.
Scrutai bene quei fogli che manteneva nelle sue mani.
Quei fogli.
Mi innervosii di punto in bianco, mi avvicinai a lui e glieli strappai via con un colpo secco.
“Che ci facevi con le mie canzoni in mano?” Chiesi guardandolo male. Erano testi che scrivevo e componevo io, detestavo che qualcuno li leggesse, non li mostravo mai a nessuno.
Erano cose che tenevo per me, non li avrei mai fatto vedere a qualcuno che li avrebbe certamente giudicati e criticati.
“Scusa, non volevo violale la tua privacy.” Rispose lui facendo il gesto delle virgolette con le dita sulla parola ‘privacy’.
La sua risposta non mi accontentò per nulla.
“Ora mi spieghi che ci facevi in camera mia a leggere i miei testi.” Tentai di mostrarmi più severa possibile, anche se notare il suo sguardo dispiaciuto mi stava facendo sciogliere.
Lui si grattò il braccio non rispondendo, con fare agitato.
“Allora?” Ribattei io spazientita.
“Ero curioso, tutto qui. Non volevo andare a quella cerimonia, contenta?” Ammise lui guardandomi e osservandomi.
Non potevo reggere quello sguardo, gli occhi chiari su di me.
Sospirai, indietreggiai e riposi i vari brani sullo scaffale accanto alla pianola, dove si trovavano i vari libri di musica.
“Comunque, sei meglio di un poeta.” Commentò lui. Mi girai immediatamente verso di lui, guardandolo sorpresa.
“C-che?” Balbettai stupita. Era nuovo per me ricevere tutti questi complimenti.
“Sei bravissima a scrivere.” Ridisse lui indicando il luogo dove avevo riposto le canzoni.
Non contenni l’entusiasmo e lo ringraziai esaltando come una bimba.
Lui rise quasi intenerito nel vedermi, mentre io mi ricordai il valido motivo per cui ero finita nella mia camera.
“Tua madre ti cercava.” Lo informai guardando verso la porta. Lui alzò gli occhi al cielo tirando un sospiro, e non di sollievo.
“Che palle.” Commentò. “Non mi va di sprecare un pomeriggio in questo modo.” Mi spiegò poi. Disse che a cerimonie di questo genere si trovavano ragazzi montati con dame più che sapute, gente le quali ad Harry non andavano affatto giù. In più non aveva una compagna e non gli andava di sopportare le varie battutine su di lui.
Non sapendo che dirgli, alzai le spalle attendendo una sua decisione.
“Vuoi essere la mia dama?” Mi domandò di getto, alzando lo sguardo e posandolo sul mio.
Deglutii, sentii come se qualcuno mi avesse dato un pugno nello stomaco e come se mi si fosse stata rubata l’aria necessaria per vivere.
“Io?” Domandai a mia volta, portando l’indice verso di me. Chi mai avrebbe voluto una come me al proprio fianco.
Si alzò in piedi per sorridermi da vicino.
“Sì, tu. Sei bellissima.” Mi riguardò, di nuovo quella sensazione. Che stava succedendo? Era troppo poco distante quel ragazzo. Notai ancora di più quanto potessero essere perfetti quei suoi lineamenti, quanto potessero essere attrattive quelle labbra rosee e sghembe.
Non appena riuscii a pronunciare qualche sillaba, accettai.
Mi prese sottobraccio e, insieme, ci dirigemmo, costretti, a questa cerimonia che a nessuno dei due interessava minimamente.
Mentre scendevamo le scale, realizzai che tutti gli sguardi degli ospiti si alzarono su di noi, tutta quella attenzione mi fece davvero perdere le forze facendomi tremare le gambe e le mani.
Non so se Harry se ne accorse, eppure mi prese sottobraccio e mi fece scendere le scale stretta a lui. Stranamente, quel suo tocco mi fu d’aiuto e tutta la calma che avevo perso nelle ultime ore ritornò dentro me.
Ci imbattemmo subito in un gruppo di ragazzi, ciascuno accompagnato da una dama. Erano vestiti, anche loro, in smoking.
“Oh Harold, chi è? La tua sorellina?” Un ragazzo dai capelli color del grano frenò Harry, chiedendogli ciò quasi ridendo. Io lo guardai stranita e mi chiesi che problemi avesse.
Harry sospirò guardando altrove per poi scrutarlo scocciato.
“Lei, è la mia ragazza.” Disse lui deciso, stringendomi.
Il mio universo smise di girare, per cadermi addosso, finendomi dritto nello stomaco e causandomi sensazioni mai sentite prima.
Che diamine stava blaterando?
“Molto carina.” Ammise il ragazzo biondo, guardandomi. Percepii un senso di maliziosità del suo sorriso, era patetico. Aveva gli occhi chiari, precisamente azzurri, a vederlo mi sembrava un ragazzo docile e timido e invece aveva molta fiducia in se stesso e in quello che faceva a quanto pareva, forse anche troppa.
“Lo so.” Commentò Harry per poi portarmi via da lì e dal quel gruppo. Mi lasciai trascinare da lui. Era un po’ nervoso ed io non sapevo più che comportamento avere nei suoi confronti.
“Stai bene?” Gli chiesi, non me lo sarei mai aspettata da me.
Lui continuò a guardare in giro.
“Certo.” Rispose deciso anche se a me quella convinzione non rendeva affatto. Riconoscevo che, in realtà, non stava bene.
Io mi limitai a non dire nulla, non volevo farmi gli affari suoi, facendogli domande e cercandolo di aprirsi con me. Ci conoscevamo appena, che senso avrebbe avuto?
Lo abbandonai lì per un secondo, con la scusa di andare in bagno. Andai verso il soggiorno, alla ricerca di un qualsiasi in bagno, ancora non avevo memorizzato le stanze.
Mi sentii afferrare per il polso, mi voltai di scatto.
“Ehi, chi si rivede.” Era il biondo, che mi sorrideva. Ancora lui? Eravamo soli, avevo appena trovato il bagno, eravamo al di fuori della porta.
“Piacere, Niall.” Disse lui porgendomi la mano. Stringendogliela gli diedi la mia mano ancora confusa.
Era decisamente troppo vicino per i miei gusti. Tenemmo una conversazione normale, domande su domande, domande del tipo ‘chi ero’ oppure ‘che mi piace’ oppure ‘cosa non mi piace’ e discorsi via dicendo.
“E quindi, sei la ragazza di Harold?” Mi chiese, posando una mano sul mio fianco, ero finita con le spalle contro il muro.
Che dovevo rispondere? Forse era meglio tenere il gioco ad Harry, in che guaio mi ero cacciata. Non guardandolo, annuii.
“Sei una delle tante..” Domandò quasi sussurrandomi. “..Insomma, una notte e addio?” Sbarrai gli occhi, scossi la testa negando convinta. Ma per chi mi aveva presa?
Gli tolsi la mano dal mio fianco e feci per andarmene.
Lui mi bloccò di nuovo.
“Dai, non volevo.” Si scusò lui mortificato, probabilmente recitava. Non mi andava affatto a genio costui.
Mi chiesi per quale motivo perdevo ancora tempo con lui, quando potevo benissimo andare in bagno, cosa di cui ne avevo decisamente bisogno, per poi tornare da Harry.
Giusto per togliermi la curiosità, gli domandai che cosa voleva.
“Beh nulla, ti ho vista e devo dirti che mi piaci molto cara Julie.” Rispose maliziosamente in modo anche sfacciato.
Gli sorrisi, lui fraintese.
Fraintese troppo.
Posò entrambe le mani sui miei fianchi, per poi avvicinare il viso e guardarmi dritto negli occhi. Non sentivo nessun legame nei nostri occhi color del ghiaccio.
Prese a baciarmi il collo lentamente, spingendomi contro il muro.
Si sarebbe mai fermato?
Credo di no.
“Oh ma sei cretino?” Esclamai quasi schifata, staccandolo da me con una forte spinta.
“Dai, so che lo vuoi. Harry non saprà nulla.” Ancora quel sorriso malizioso.
Lo scrutai, voleva uno schiaffo? E schiaffo sia. Gliene tirai uno dritto sulla guancia per liberarmene del tutto e chiudermi in bagno.
Convinta di aver chiuso a chiave la porta, andai verso lo specchio per sistemarmi i capelli arruffati, ma non feci neppure in tempo a sfiorarli che la porta si riaprì.
Era ancora quel ragazzo biondo di capelli, quel Niall, nonostante lo schiaffo e le mie parole egli non decise di lasciarmi perdere e andarsene.
“Hai osato darmi uno schiaffo? Ora ci penso io a te.” Il suo relativo sorriso malizioso non era ancora scomparso, prima riuscivo a reggerlo con aria disprezzata ma anche leggermente divertita per quell’espressione ridicola, mentre ora quel suo sguardo fisso su di me andava oltre il fastidio. Iniziava a spaventarmi, non riuscivo a sopportare il suo atteggiamento.
Incosciente su cosa fare, lo guardai con tutta la sicurezza che mi era rimasta, assai poca dovrei ammettere.
Lui si leccò il labbro inferiore, riprese i miei fianchi e mi schiantò in pochi istanti contro il muro. Cercai di allontanarlo ma la sua presa era ferma, potente e decisa.
“Vuoi fare la difficile, Julie?” Quasi sussurrava, il suo tono mi fece rabbrividire. Spinse il suo bacino contro il mio, prese a baciarmi il collo con troppa passione.
Con le mani tentai di spingerlo per il petto, ma più cercavo di allontanarlo, più lui continuava.
Il mio corpo era bloccato dal suo, non riuscivo a liberarmi, iniziai ad agitarmi. Prese ad accarezzarmi i capelli con mancata delicatezza.
Alzò il viso per raggiungere le mie labbra, io lo scostavo da una parte all’altra per non sfiorarlo.
Volevo scappare, non riuscivo. Volevo piangere, non riuscivo.
Tesa e pietrificata, subii le mosse di lui. Muoveva il bacino violentemente contro il mio, incrociando le sue gambe con le mie fino a farmi male.
“Julie, sei qui?” Udii. Stavo sognando? Era la mia immaginazione. Forse speravo così tanto un minimo aiuto che la sua voce profonda e calda risuonò nella mia testa.
Niall si slacciò la cintura.
“Julie?” Udii di nuovo. Era davvero lui, concretamente lui, non era surreale. Sentii Harry chiamarmi, mi sentii salvata. Urlai il suo nome, in modo da farmi trovare ma non appena tentai Niall prese a baciarmi sulle labbra. Io, disgustata e contraria, non riuscivo a seguire il movimento delle sue labbra secche. Lui mise una sua mano dietro il mio capo e mi costrinse a seguire il suo bacio.
Scossi la testa ma le sue labbra si erano cucite alle mie, era impossibile staccarsi. E non perché entrambe le bocche desideravano l’altra.
Mi alzò il vestito ed iniziò a toccarmi qualsiasi parte del mio corpo, fino a giungere il mio seno.
I suoi jeans erano liberati dalla cinta, la cerniera era abbassata. Persi un battito quando notai che stava tentando di abbassarsi boxer, mentre una mano massaggiava la mia intimità.
Bussarono alla porta, Niall si girò di scatto.
“Si può?” Era lui, ancora lui. Harry, salvami, salvami, ripetei nella mia testa.
Il biondo si riallacciò la cintura dei jeans, si risistemò i capelli e la camicia intento a lasciarmi lì su due piedi.
“Vedi di stare dalla mia parte o tornerò.” Disse lui per poi aprire la porta. Vidi Harry in tutto il suo splendore e il suo viso candido preso in una espressione confusa.
“La tua ragazza è brava.” Gli fece l’occhiolino Niall. Quelle parole arrivarono dritte al cuore, tagliandolo a metà.
Se ne andò, lasciando Harry più confuso di prima. Quest’ultimo si avvicino a me ed entrò in bagno, io lentamente scivolai e mi feci cadere a terra, con la schiena contro il muro.
Volevo piangere, ma oramai non avevo più le lacrime per farlo.
“Non volevo interrompervi, ma datosi che sei tu la mia dama, ti stavo cercando.” Commentò scocciato lui. Lo guardai, non trovando il suo sguardo, forse era la prima volta che tentavo di interagire con il verde dei suoi occhi.
Aveva frainteso la mia immagine, non poteva pensare ciò. Una ragazza facile, la ragazza di tutti, non potevo apparire così, tantomeno ai suoi occhi. Forse la sua considerazione era l’unica che mi importava ora. Io non ero così, io ero l’opposto.
Non riuscivo a parlare, avevo un freno in gola, i pianti accumulati avevano affogato tutto dentro di me in quel momento.
“Alzati e sistemati, dobbiamo presentarti.” Disse per poi grattarsi il naso. Debole, sia di corpo che di mente, mi rialzai con un leggero dolore dal bacino in giù. Aggiustai il vestito e i capelli in un paio di secondi per poi seguire Harry per tornare alla cerimonia.
Mentre camminavamo tra la folla sfiorai le mie labbra con le dita, si erano seccate, erano anche state morse dal quel ragazzo.
Harry era più distaccato che mai, pareva deluso da me. D’altronde non capivo il motivo, anche se fossi stata ciò che lui pensava, cosa gliene importava?
Mi portò al centro della sala, da sua madre Susanne. Gli invitati si posero in cerchio ed io mi sentii quasi svenire quando avvertii tutta quella attenzione addosso.
“Salve a tutti carissimi signori e signore.” Disse Susanne, rivolgendosi ai numerosi invitati. Dopo una breve conversazione si voltò verso di me.
“Lei è una nuova arrivata, Julie Martin, è una giovane e in gamba studentessa venuta qua per procedere gli studi a in California.” Spiegò lei. Bella scusa, pensai.
Tutti mi guardarono, non potevano dare tante attenzioni a me, io, che sono sempre stata quella emarginata da tutti. Io, la bambina che non veniva considerata da nessuno per giocare a nascondino. Io, la ragazzina che nessuno voleva avere come compagna di banco. Io, la ragazza che non veniva mai scrutata dai ragazzi. Io, che ero isolata dal mondo esterno. Io, la figlia più insensibile che potesse esistere.
“Dì qualcosa, diamine.” Mi disse Harry infastidito, mi sentii ancora più male. Cominciai a scorticarmi il braccio, conficcando le unghie nella pelle.
Guardai quella folla di persone eleganti, pulite e all’apparenza gentile, tutte prese a sorridermi. Trovai Niall, davanti a tutti, ben visibile a me. Prese a farmi gesti perversi con le mani, sorridendomi ancora maliziosamente.
“Salve, grazie per avermi ospitato.” Fu l’unica cosa che riuscii a dire, con un filo di voce tremante.
Harry non badò a me, Susanne mi sorrise giusto per mostrarsi carina e disponibile. Anne mi osservava sospetta e la folla si commentava.
Resistetti per un po’ per poi indietreggiare e scomparire, correndo nella mia camera, la mia nuova tana.
Mi tolsi quel vestito di dosso, ricordando il momento in cui Harry me lo consigliasse. Indossai una leggera canotta nera accompagnata da una camicia a quadri blu e delle pantacalze scure.
Perché dovevo apparire quella che non ero? Mi ritrovavo sempre con immagini costruite da altri addosso, personalità false e montate, lasciando la vera me chiusa e nascosta fin dalla nascita.
 Ero timida, ma la gente mi rese ancora più chiusa di quello che già ero, dandomi della emarginata.
Ero sola, ma la gente mi fece sentire più inutile e sola che mai ignorandomi, regalandomi insulti su insulti.
Per gli altri ero depressa, malata, sconsiderata e molto altro. Mancava poco per essere schifata da tutti. L’immagine di ‘puttana’ sarebbe stata la goccia che avrebbe traboccato il vaso, era una cosa così lontana a me, quella non ero io.
O forse ero io che tendevo ad attaccarmi a questi aspetti, per nascondere o dimenticare quel che davvero ero o ero stata?
Ero finita sul tetto, presa a riflettere su tutto ciò che avevo passato, lì nessuno mi avrebbe trovato.
Osservavo il rossore che si era creato nel cielo, sfumato al roseo e azzurro colorito che lo accompagnava. Il tramonto era uno spettacolo meraviglioso da quella visuale, ma non mi affascinava abbastanza quanto quel ragazzo.
“Voglio morire.” Qualcuno sbuffò rumorosamente non poco lontano da me. Era ancora lui, nuovamente lo incontrai casualmente. Non volendomi far vedere, cercai di nascondermi da lui per pensare a cosa aveva detto. Voleva morire? 





Buongiorno cari lettori.
Sono quasi le nove del mattino ed io sono già sveglia da ben due ore. Ho finalmente postato questo nuovo capitolo, anche se in realtà avevo intenzione di farlo due giorni fa. Ammetto che ero in attesa di altre recensioni e riceverne così tante mi ha fatto un piacere immenso, davvero.
La storia inizia a prendere senso, vi ho tolto l'interrogativo su Harry, ma penso di avervene messo altri ancora eh?
Perché Julie ha così tanti aspetti e immagini negative puntate addosso? 
Perché Harry viene preso di mira da quel gruppetto e, soprattutto, perché reagisce così nei confronti di Julie?
Infine faccio notare che è entrato in scena il caro biondino irlandese, che ha assunto la parte di 'personaggio cattivo' diciamo.
Il finale è alquanto deprimente, è vero, mi scuso.
Muahahah spero tanto che vi sia piaciuto e spero che qualche buona anima mi faccia il grande gesto di lasciare un parere.
Okay, concludo perché ne sta uscendo fuori un poema.

Un bacio, hale. xx
twitter - @pianorauhl

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Capitolo 3
*** helpless. ***


3.

Helpless.
 

 
 
 


Harry.

 “Voglio morire.” Sbuffai con un senso di stanchezza salendo una volta per tutte sul tetto. Era un’abitudine salire lì, era un posto dove nessuno mi avrebbe mai trovato, dove nessuno avrebbe interrotto i miei pensieri, un posto dove potevo parlare con qualcuno liberamente, senza la paura di dire qualcosa di sbagliato. Eppure, non c’era nessuno al mio fianco e comunque non parlavo da solo e neanche con un amico immaginario. Parlavo a me stesso, era l’unico modo e momento per essere sincero almeno con me, cosa che stavo lasciando in sospeso nell’ultimo periodo. 
Mi sedetti sul tetto, lasciandomi avvolgere dalla tranquillità e dalla calma che solo quel paesaggio e il canticchio degli uccelli sapevano donarmi. Alzai gli occhi al cielo e, a bassa voce, cominciai a parlare, forse come un idiota. 
Pensi che la figura del cornuto ci mancava proprio, ma d’altronde me la ero cercata. Avevo ritenuto Julie la mia ragazza con uno dei tanti gruppi i quali non fanno altro che peggiorarmi la mia penosa vita sociale, senza neppure avvertirla che lo avrei fatto. Non sapevo il vero motivo per cui lo ebbi fatto, mi venne spontaneo confessarlo, forse era l’eccessivo bisogno di sentirla mia. C’è qualcosa che mi attrae di lei, e non sto parlando di fisico, ma è inutile pensarci. Oppure volevo semplicemente far capire che anche io potevo avere una persona accanto, anche io ero voluto bene da qualcuno. O forse volevo convincere più me stesso che gli altri. 
Capii che tipo di ragazza era e, anche se volevo rischiare il cuore, non mi sarebbe mai potuto permettere di frequentarla. In fondo erano i miei a decidere, è inutile perderci tempo a rifletterci. 
Sono arrivato ad un punto dove la mia vita è tutta condizionata da altre persone, tante influenzata che ho perso la persona che io davvero sono. 
Harry, tu chi sei in realtà?
Morirei, ma non mi è stato imposto di farlo. 
Sono arrivato ad un punto dove non trovo motivi per cui andare avanti. Ho bisogno di una persona da rendere felice, una persona a cui dare il mio amore, affetto ed altro. Ho bisogno di una persona trovata da me, non scelta dai miei parenti per non rovinare l’immagine famigliare. 
Ho bisogno di qualcuno che mi voglia bene, anche se oramai è dura trovarla. Mi sono ritrovato con un carattere che non sopporto, non faccio altro che odiarmi. 
Sono chiuso in me stesso, mi sono rifugiato in una piccola bolla pensando di proteggermi dal mondo esterno, facendo fuoriuscire solamente il lato freddo e duro che si era creato, apparendo così un ragazzo montato dai tanti soldi nelle tasche. 
Le ragazze fanno presto ad accompagnare il mio nome con la parola ‘donnaiolo’ o ‘puttaniere’. Riesco ad avvicinarmi solamente spilungone, a ragazzine viziate le quali chiedono ai cari padri di passare del tempo con il figlio di Michael Styles. Non riesco mai ad andare oltre al sesso, nessuna riesce a strapparmi il cuore ed io, beh, non mi fido. 
Da quel che ero, si sono costruiti aspetti su aspetti negativi che mai mi sarei immaginato. 
Ho bisogno di una persona, conosciuta per caso, che voglia conoscere il vero Harry che c’è in me, dissi tra me e me. 
“Voglio essere quel che davvero sono, e non l’immagine che la gente ha costruito su di me.” Disse una voce poco distante da me.
“Esatto.” Commentai per poi sobbalzare. Mi voltai stordito, con il battito cardiaco accelerato. Nessuno poteva avermi sentito, nessuno poteva. Dovevo avere delle spaventose allucinazioni.
Mi alzai e analizzai il luogo da dove proveniva quella voce. 
Trovai una ragazza nascosta in una parte del tetto, rannicchiata nel suo angolo. Mi si illuminò la vista nel vederla e mi si sciolse il cuore, era Julie.
“Hai sentito tutto?” Sbraitai d’un tratto, pentendomene subito, quello non ero io. Lei non alzò il viso, sembrava avesse paura di guardarmi. 
Si limitò ad annuire con la testa per poi alzarsi lentamente reggendosi a qualsiasi cosa trovasse. 
“Scusa.” Mi guardò facendomi formicolare la schiena. “Mi sembrava di parlare con me stessa.” Continuò per poi scendere dal tetto e ritornarsene nella sua camera passando dal suo balcone. 
Quelle sue parole rimbombavano nella mia testa all’infinito, ebbi una sensazione mai sentita magari fino ad ora. Mi sono sentito ascoltato ed anche addirittura capito. 
Lei, sembrava un’altra. Quando vidi Niall uscire dal bagno, lo stesso bagno in cui si trovava lei, non sapevo che fare. Non potevo credere che, un’altra volta, mi fosse ricapitato. 
Ormai erano poche le ragazze che mi interessavano davvero e, una dopo l’altra, esse mi scappavano via, soprattutto a causa di lui. 
Julie era una ragazza che volevo considerare mia, una ragazza da custodire. Forse una ragazza da amare. 
La vedevo così semplice, diversa. C’era un legame che mi stringeva a lei, è come se qualcosa mi dicesse che il suo era un disperato bisogno. Eppure, non ne capito il perché.
Non l’avrei mai immaginata come una delle tante ragazzacce condizionate dal sesso, le quali non perdono tempo e vanno con il primo che le capitano. 
In quell’istante l’ho vista così e non potevo non sentirmi deluso. Non da lei, d’altronde non mi ha fatto nulla, la conoscevo appena. Ero io il povero puledrino che si stava illudendo. 
In quel momento, invece, quando la vidi rannicchiata con la testa china pareva la ragazza che avevo immaginato io. 
Ma, alla fine, qualsiasi tipo di ragazza Julie sia, non potrà mai essere mia. La famiglia ha detto che era severamente vietato toccarla o avvicinarmi minimamente. 
Scossi la testa e, stanco di tutto questo, tornai anch’io nella mia stanza. 
Mi svestii e aprii l’acqua nella doccia. Mi squadrai nello specchio, cosa ero diventato? 
Se mai sarei sparito, scomparso, scappato, a qualcuno sarebbe interessato? Probabilmente il problema più grave sarebbe stato lo shock e lo stupore in famiglia. Insomma, la mia famiglia non farebbe bella figura dicendo che il proprio figlio ha tentato il suicidio oppure è scomparso. 
E’ difficile andare avanti, con questa inutilità in testa. 
Mi infilai sotto il getto d’acqua fredda, feci scivolare lungo il mio corpo, insieme al sapone, anche una scia di pensieri negativi che sarebbero ritornarti nell’arco di breve tempo. 
Cominciai a cantare, a voce non troppo alta, una delle mie canzone favorite, canzoni che mi descrivevano alla perfezione.
Cantavo, di nascosto lo facevo, in fondo non potevo farlo di fronte a qualcuno, non avevo alcun talento.
Una volta finito, mi lanciai sul letto per poi prendere il cellulare. Lessi sul display il messaggio che non avevo ancora considerato. 
Mi ricordai dell’appuntamento che avevo a casa di una ragazza. Caroline si chiamava. Scelsi dei vestiti a caso per poi indossarli, tanto non avrebbero fatto la differenza. 
Uscii di casa, senza avvertire nessuno, chi mai si sarebbe accorto della mia assenza? In auto mi diressi a casa di quella ragazza che tanto mi attendeva. 
Mi innervosii con me stesso, quei pensieri mi stavano perforando la mente. Mi concentrai sulla guida, tentando di non riflettere più su nulla, invano. 
Arrivai presto a destinazione e, con un falso sorriso sghembo stampato in faccia, scesi dall’auto e andai per suonare al campanello. 
“Tesoro mio.” Esclamò lei non appena aprì la porta e mi vide, perché diamine doveva chiamarmi così? Oltre al fatto che quel nomignolo lo detestavo, non capito il motivo per cui si era abituata a soprannominarmi così, non ero il suo ragazzo o tantomeno il suo fidanzato.
“Ehi piccola.” Le sorrisi facendole l’occhiolino. Mordendosi lentamente il labbro, mi fece entrare in casa. Presi da una piccola chiacchierata, ci ritrovammo presto nella sua camera da letto, ormai conosciuta per le volte in cui ci sono stato. 
Il suo profumo eccessivo mi pervase, come se mi dovesse stregare. Mi sdraiai sul letto e lei, una volta toltasi il vestito, si mise seduta sopra di me. 
Il suo intimo era provocante, nero e tutto fatto di pizzo, in maggior parte. Lentamente muoveva il bacino sopra al mio, guardandomi maliziosa.
“Che vogliamo fare, Styles?” Disse lei, provocandomi, chiamandomi per cognome. 
Io ricambiai lo sguardo, seguendo il suo movimento e accarezzandole i fianchi.
“Qualsiasi cosa tu voglia.” Le risposi. Lei, sorridente, si avvicinò a me e prese a baciarmi sulle labbra. Sognai un bacio dolce, ma fu una cosa contraria. Ci baciammo lentamente fino a quando non schiudemmo le nostre labbra. Lei penetrò la sua lingua, cosa che feci anche io. Ci divertimmo a inseguire le nostre lingue e a giocarmi, baciandoci sempre con più passione. Le morsi il labbro e lei premette il bacino contro il mio. 
Procedemmo con le solite cose, era sempre la stessa storia. 
Eravamo nel momento del pieno culmine della passione. Nudi, sudati, i nostri corpi condivisi così come le nostre parti più intime e sensibili. Tanto uniti fisicamente, quanto distaccati.
Lei ansimava e mi istigava ad aumentare, cosa che feci. Con i movimenti coordinati, aumentai la velocità del mio bacino, dando spinte più forti e decise mentre le baciavo il collo, il petto e il seno. 
Lei venne, poco dopo anche io. 
Lei urlò il mio nome, io quello di Julie. 
Ci fermammo di scatto, ci guardammo. Mi scusai mortificato, ma cosa stavo facendo? Non poteva esserci momento più imbarazzante di quello. 
Lei scosse la testa e sorrise. ‘Uscii’ dal suo corpo per poi stendermi accanto a lei nel letto. La coprii delicatamente con il lenzuolo leggero color miele, così come i suoi capelli. 
Velocemente mi rinfilai i boxer scuri e mi ristesi al suo fianco. 
Le accarezzai dolcemente i capelli, cercando di spazzare via la tensione che si era creata. 
La guardai, il suo respiro era tornato regolare e i suoi occhi scuri erano chiusi. 
La osservai. Caroline era figlia di una delle più benestanti famiglie californiane, ergo aveva una buonissima reputazione. I miei genitori sin dall’inizio mi avevano spronato a frequentarla, ripetendomi che non mi sarebbe più capitata una ragazza del genere. 
In un anno di persone conosciute, volute bene, allontanate, dimenticate, lei è l’unica che mi è rimasta accanto, ma non in senso amichevole. Era l’unica persona che alla fine ho avuto la possibilità di frequentare, senza che un maggiore di me potesse distruggere il legame. 
Non avevo idee sui sentimenti di lei nei miei confronti, non ho mai pensato di chiederlo. Io, invece, per lei provavo soltanto una semplice attrazione fisica. Ovviamente ci tenevo a lei, ma il suo bisogno non esisteva per me. 
Però non avrei mai potuto farla soffrire, dovevo fare di tutto per rendere felice la cara e dolce figlia di papà. 
Era tardi, lei mi invitò a dormire, così passai la nottata con lei, anche se quel che volevo era tornarmene a casa e rivedere un’altra ragazza. 
Il mattino seguente mi ritrovai solo nel letto, di conseguenza mi spaparanzai su di esso occupando tutto lo spazio disponibile. 
“Svegliati, tra poco tornano i miei genitori.” Caroline si sedette sul letto ed iniziò a scuotermi ed agitarmi. 
Io emessi diversi lamentii per poi coprimi il viso col cuscino per evitare la fastidiosa luce del sole.
Lei continuò a scuotermi, esasperata.
“Harry, alzati. Il tuo cellulare ha squillato diverse volte.” Mi avvisò lei, presa dalla fretta. 
Ci impiegai un po’ di tempo per captare ciò che lei mi aveva detto. Mi tolsi il cuscino dalla faccia per poi strofinarmi gli occhi. 
Il mio cellulare? Diamine. 
Mi sedetti di scatto, provocandomi un lancinante mal di testa, e, senza neanche guardare la ragazza al mio fianco, presi il cellulare sul comodino posato. 
Lo sapevo, pensai, i miei genitori mi avevano cercato. Ero scomparso senza avvertire nessuno e, stranamente, notarono la mia assenza. 
Però, ero nei guai. 
“Merda.” Esclamai. Caroline mi lanciò i vestiti che successivamente indossai in modo indaffarato.
Mi sciacquai il viso con l’acqua ghiacciata nel suo bagno, presi ciò che era mio e mi feci accompagnare alla porta di casa, strada che oramai conoscevo a memoria.
Salutata con un bacio a stampo, lasciai Caroline al cancello per poi avviarmi a passo spedito verso la mia auto. 
“Sono morto.” Ripetevo fra me e me con fare frettoloso mentre giungevo a casa. 
Era da molto che non compivo un atto del genere, pareva una ragazzata, una sciocchezza. Insomma, che c’è di male ad uscire autonomamente senza avvisare i propri genitori di dove si stia andando e da chi? 
Per me, ogni volta, era la fine.
Le ultime volte, le ultime conseguenze furono profonde e indimenticabili. 
Per uno come me, che dovevo frequentare gente scelta, era una delusione per i propri genitori sparire senza avvertire nessuno. 
Per uno come me, che ha gli occhi di tutti fissi addosso, era un disastro andare da un sconosciuto, un anonimo ai parenti. 
Me ne pentii amaramente. 
Parcheggiai l’auto nel vialetto e raggiunsi la porta d’ingresso dove, con aria inquietante, mi attendeva mio padre. Era immobile, a braccia conserte, a scrutare la strada privo di espressioni sul volto. 
“Entra in casa, Harold.” Mi ordinò con tono fermo lui prendendomi la maglia per la schiena. Io mi limitai ad abbassare lo sguardo, seguendo i passi di quell’uomo tanto odiato, consapevole di quello che sarebbe successo. 
Fui trascinato presto nella cantina, mi lasciavo portare via. Aprì la porta violentemente, come se volesse romperla, in modo da raggiungere quella stanza il prima possibile. 
Essa era piccola, nascosta, forse la stanza meno considerata della casa. 
Era trascurava, vuota e fredda, come me.
Potrò essere un ragazzo dalle misure grandi, ossia alto, forzuto, spalle larghe e tutto il resto. Eppure, il potere di quell’uomo permette che tutta la mia forza sparisca nel nulla. 
Non ci mise nulla a buttarmi per terra con una terribile spinta. 
Tentai di alzarmi, per difendermi, inutilmente. 
“Non osare a ribellarti.” Mi urlò contro, slacciandosi e togliendosi la sua cinta di pelle dal pantaloni scuri. Non potevo fare nulla, solamente subire e starmene in silenzio. 
I suoi rimproveri andavano sempre oltre le parole, sempre.
Diceva che avrei memorizzato tutto più facilmente, o meglio, ricordato tutto con le cicatrici. 
Urlava, mi sbraitava contro, dicendomi le peggio parole. 
In più, mi spintonava e mi cinghiava qualsiasi parte del mio corpo riusciva a beccare.
Sentii la mia schiena bruciare, così come le mie braccia e le mie gambe. 
Ero forte, con lui debole. 
Poteva uccidermi, direttamente, ma non mi avrebbe fatto soffrire abbastanza. 
La sua mano si affondò sul mio viso, come se dovesse oltrepassarmi. 
Mi passai una mano sul labbro, per poi ritrovarmi sangue sulle mie dita. 
Continuò per un po’, maltrattandomi, sputandomi tutto l’odio addosso, tutto il suo furore sul mio corpo. 
Mi diede un calcio, nello stomaco, io ero ancora steso a terra non in grado di reagire.
“Vedi di riprenderti e di imparare per una buona volta.” Terminò lui, rimettendosi la cinta nei pantaloni per poi andarsene lasciandomi lì.
Cercai di sedermi, lentamente, abbandonando il mio corpo dal quel freddo e sporco pavimento. 
Sulla mia pelle percepivo solamente calore, calore maledetto, calore perfido. La distruzione mi aveva invaso, un’altra volta. 
Cercai di riprendermi e di alzarmi, per nascondermi in camera mia, un’altra volta.
Ancora tremante, mi incamminai dolorante, non alzando mai lo sguardo dal pavimento. 
Per le scale, le quali portavano alla mia stanza all’ultimo piano, mi scontrai contro qualcuno per quanto fossi a pezzi e distratto. 
“Scusa.” Ci dicemmo a vicenda voltandoci verso l’altro. Era lei, quella ragazza, Julie, con i suoi occhi accessi e splendenti rifletti sui miei.  
Ad entrambi ci scappò un sorriso, ma a lei scomparve subito. Iniziò a scrutarmi. 
“Stai sanguinando.” Notò lei osservando il mio labbro, probabilmente spaccato. 
Annuii e finsi un sorriso senza dire altro. 
Lei mi guardò confusa e, muta, mi portò con se prendendomi la mano.
Quel tocco mi fece illuminare, mi sentii protetto per una volta. Quel suo semplice gesto mi colmò qualcosa dentro di me. 
Spontaneamente, le strinsi la mano. 
Da lei, mi feci trasportare con tutto il piacere che potessi provare. 
Ero anche leggermente stupito da quel gesto così improvviso ma comunque certo e sicuro. 
Mi ritrovai nel suo bagno, nonostante il poco tempo, tutto il posto era stato invaso da quel suo profumo candido e semplice. 
Non pronunciava frasi, comunicava con il suo sguardo, il quale mi coglieva sempre impreparato. 
Si liberò del sangue sul mio labbro e disinfettò quest’ultimo per poi tamponarlo. Dopodiché prese a guardarmi dritto negli occhi. 
“Sei tremante, il tuo labbro è gonfio.” Affermò lei. Pareva preoccupata ma non pensai che lo fosse sul serio. Doveva essere in pensiero per me? Non ci volevamo neppure bene. 
“Soliti giochi eccessivi fra amici.” Dissi sembrando più sicuro possibile. 
Lei guardò in basso scuotendo la testa, distruggendo il legame fra i nostri sguardi. 
“Non sai affatto mentire.” Commentò. Io deglutii, come aveva fatto a notarlo?
Ad ogni modo non sapevo se volevo che se ne accorgesse o meno che il motivo per un altro. 
Forse era meglio di no. 
Lei ripose il disinfettante e oggetti vari da dove li aveva presi, non incontrando più il suo sguardo. 
Volevo stare con lei, non volevo andarmene, ma rimanere lì impalato a fissarla sarebbe stato da stupidi. 
“Guardiamo un film?” Dissi su due piedi senza pensarci troppo, fu la prima cosa che mi passò per la testa. 
Lei si fermò, richiuse la mensola senza voltarsi, rimanendo in quella posizione per una manciata di istanti. 
Non la conoscevo, eppure riuscii a percepire dello strano nel suo atteggiamento. Pareva fredda, fredda come il ghiaccio. Mi sembrava di vedere me, lì, davanti ai miei occhi. Una persona tanto presa a sforzarsi di essere forte, sicura. Una persona che non ha bisogno di nessuno, ma che in realtà urla, urla tutto il tempo senza nessuno che la senti. Urla la solitudine, la urla con tutto il fiato che possiede. Però nulla, nessuno la sente, nessuno la vede tremare, nessuno vede la paura dei suoi occhi.
Julie stava male, aveva qualcosa, e lo vedevo nel suo atteggiamento. 
Rispose annuendo semplicemente per poi girarsi dalla mia parte. Le sorrisi in modo spontaneo per poi farla venire con me nella mia camera. 
Questo non avrei mai potuto farlo, ma lei era l’unica persona, anche se semisconosciuta, che mi avrebbe potuto dare una sana compagnia.
La feci entrare e chiusi la porta alle sue spalle. Tesa, lei si sedette al margine del letto, evidentemente non sapeva come comportarsi. 
“Puoi sdraiarti.” Le dissi divertito. Lei sorrise e si sedette lungo il materasso appoggiandosi allo schienale del letto. 
Mi recai lungo la numerosa pila di dvd che mi ritrovavo, non avevo idea di quale film scegliere. 
“Uhm, che ne dici di Titanic?” Proposi voltandomi e mostrandole il cd del film. 
Lei lo scrutò bene, non soddisfatta.
“No, ne ho abbastanza di depressione.” Ammise ridendo ed io concordai con lei seguendo la sua risata, una risata chiusa, logorata. Non so per quale motivo mi abbia risposto così, ma qualsiasi sia il perché ero d’accordo con lei. 
Scelsi un film del tutto diverso, sul comico e lo infilai direttamente nel lettore dvd. 
Mi buttai immediatamente nel letto, accanto a Julie, era più forte di me, io non mi sedevo ma mi buttavo. 
“Come sei delicato.” Commentò lei, notai la sua risata trattenuta. Io annuii e, continuando a ridacchiare, appoggiai il capo sulla pancia di lei senza neanche accorgemene. 
Bastava guardare in alto, davanti a me, per incontrarla. Lei aveva la testa china, piegata verso il basso, verso di me. 
Ci guardammo sorridendo fino a quando il film non iniziò.
Se il ridere a crepapelle non mi avrebbe preso così tanto, avrei passato l’intera durata del film ad ammirare i lineamenti, le espressività di lei ed ad ascoltare la sua semplice risata.
Vederla divertirsi, ridere e stare bene faceva un effetto positivo su di me, è come se il suo stare bene facesse stare bene me, era possibile in così poco tempo?
Risposta non mi diedi, osservarla era più importante in quel momento.
Lei scelse un film horror, lo infilò lei stessa nel lettore dvd. Io ero appoggiato allo schienale del letto a braccia conserte, lei si sedette un poco distaccata da me. 
Prendemmo  a guardare il film, mostrandoci l’uno meno spaventato dell’altro, anche se entrambi ce la stavamo facendo sotto.
“Io ho paura, tu no?” Confessai io, con tono divertito.
“No.” Rispose immediatamente. Ci guardammo. “A dire il vero, sì.” E scoppiamo a ridere.
Finché il film non era piuttosto pauroso, rimanemmo a quella distanza.
Ad un certo punto, il protagonista del film entrò in una stanza sospetta e di conseguenza Julie si catapultò su di me, poggiando il viso sul mio petto per perdersi tale visione.
“Lo uccideranno.” Ripeteva spaventata come una bambina. Si era sistemata al mio fianco, appiccicata a me, come un cucciolo di cane. La guardai e risi intenerito, avvolsi la sua schiena con il braccio e la strinsi a me come se volessi proteggerla.
“Dai che si salva, ora scappa.” Esclamai commentando le scene. Lei di solito sbirciava per poi coprirsi il volto con le mani. Le dissi di guardare, che non sarebbe successo nulla come scusa per prenderle le mani con le mie per scoprirle gli occhi.
“Non aprire quella porta!” Urlai io.
“Sono morti.” Urlò lei.
Era pomeriggio tardo, quasi sera perciò oramai era quasi buio al di fuori della finestra e così come nella stanza in cui ci trovavamo. Ciò rendeva tutto ancora più raccapricciante. 
La porta bussò, ci paralizzammo, urlammo.
“La cena è pronta.” La porta si aprì e Anne ci avvertì del pasto assai perplessa.
“Arriviamo.” Risposi per poi aspettare che la domestica richiuse la porta. Julie ed io ci guardammo e scoppiamo nuovamente a ridere.
Lei arrossì dall’imbarazzo e riappoggiò il viso sul mio petto per poi ridere ancora di più. Io la abbracciai senza neanche accorgemene, preso dalle tante risate. 
La sollevai e la presi in braccio, spensi la tv e la feci scendere di fronte a me. 
“Ti sei divertita?” Commentai sarcastico accennando una risata. Lei annuii mostrando un sorriso a trentadue denti. 
Ci dirigemmo verso la porta, feci per aprila ma lei frenò davanti a me e si voltò. I nostri visi si trovarono a pochi centimetri l’uno dall’altro.
“Niall non mi ha fatto passare alcun bel momento, tu invece un pomeriggio meraviglioso.” Il suo viso era tornato quello di prima, serio e scavato. Fu quasi un sussurro, forse così lo percepii io. Parole dolci e leggere scivolate via delicatamente nella mia mente. 
Non potei non sorriderle. Stavo così male, ero così indifeso, debole, impotente. Eppure stavo così bene.
 
 



Buonasera cari lettori.
Inizio subito col dire che mi schifo quasi da sola, questo capitolo non mi convince per niente mi sembra solamente un grande casino. Fa un caldo madornale, non ho neanche un maledetto ventilatore, non riesco a concentrarmi. Penso che opterò per la vita notturna, almeno non fa caldo e posso concentrarmi per poi scrivere materiale decente.
Spero comunque che vi sia piaciuto questo capitolo scritto dal punto di vista del caro Harry. Avete visto che anche lui ha dei punti deboli, tra cui forse uno ne è Julie? Non so se vi ho traumatizzato o meno la scena del padre.
Ho cercato di dare un finale meno drammatico, diciamo che mi commuovevo da sola nel rileggerlo.
Concludo perché non riesco a collegare neanche tre parole, so che è tutto un casino e che magari molte cose non hanno senso, capitemi, sto sudando peggio di un cavalo e tra poco mi si esplode il cervello.
Grazie mille per le recensioni, vi adoro. :)


Un bacio, hale. xx
twitter - @pianorauhl

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Capitolo 4
*** nightmare. ***


4.

Nightmare.
 

 
 
 


Julie.

Mi nascosti sotto le coperte, stringendo fortemente le lenzuola con le mani. Scattai nel letto nell’udire il tonfo della sedia cadere violentemente contro il pavimento. Feci per avvolgere il capo nel cuscino, in modo da alleviare e allontanare quei rumori dalle mie orecchie. Ripensai al viso di mia madre, così pallido dallo spavento, così tremante. Se ne andò con passo insicuro dopo avermi dato la buonanotte, chiudendomi a chiave in camera. Sentii la voce di mio padre alterarsi, era un tono feroce, fuori di sé. La voce di lei, mia madre, invece, era calma, docile. Lui e lei erano come un toro e il torero. I rumori oltrepassavano ogni mio ignoro. Mi alzai, spiai dalla fessura. Lei era arresa, sul pavimento, con le tracce di sangue visibili dalla sconfitta.

Sobbalzai nel letto, mi ritrovai seduta in modo immediato. Ero sudata, ero agitata, tremolavo. Strinsi le gambe al petto cercando di capacitarmi nella realtà. Era solo l’ennesimo incubo, l’ennesimo ricordo. Richiusi gli occhi per poi appoggiare la fronte sulle mie ginocchia. L’immagine di quel sorriso malvagio, così famigliare, di quel corpo così pericoloso sul mio, si fecero luce nella mia mente offuscata e buia. La sua voce, così potente e aggressiva, la sentii così viva e vicina. Pensai alle sue parole, ero nelle sue luridi mani. Mi strinsi ancora più a me stessa, come per proteggermi dal male che mi avvolgeva, inutilmente. Ero sola, non avevo nessuno che potesse salvarmi. Il biondo dagli occhi chiari, dall’aspetto angelico, mi stava facendo ricadere nel passato, un passato sbagliato e completo di paure. Ma io mi sarei retta alla mia forza.
Erano appena le sei del mattino, nonostante la poca forza in corpo tentai di alzarmi. Entrai in bagno, era strano vederlo riempito di soltanto cose proprie, senza esser condiviso con nessuno. Lo specchio era enorme, occupava l’intera parete non troppo stretta. Uno specchio in grado di mostrare quello che sembravo ma che non sapeva mai guardare dentro di me. Mi scrutai, il viso pallido e spento. Me lo sfiorai appena con le dita, mi pareva di vedere lei, mia madre. Mi pareva di vedere la sua paura, la sua espressione finta, rassicurante. Guardai le mie occhiaie solcate. Male, dormivo. Continuamente mi svegliavo. Gli incubi mi perseguitavano, mi imprigionavo fino al mio terribile risveglio.
Buttai un getto d’acqua fredda sul viso, chiusi gli occhi. Ciò che dentro vedevo era un continuo reprimere, un continuo andare avanti. Un dimenticare, invano.
Aprii gli occhi dopo essermi asciugata, mi passai una mano tra i capelli mossi e disordinati.
Harry sapeva distrarmi.
Pensavo che lui, il male, quel ragazzo, Niall, fosse sempre alle mie spalle, pronto a rovinarmi. Pronto a farmi ricadere. Invece Harry era quella mano pronta a reggermi in piedi, al suo fianco. Eppure anche di lui avevo timore, timore del suo giudizio, della sua persona.
Non avrebbe mai conosciuto la vera Julie, o non ero io pronta a conoscermi realmente?
O forse, la vera Julie, aveva smesso di vivere parecchio tempo fa?
Uscii dalla mia camera tentando di fare meno rumore possibile. Scesi le scale lentamente per poi dirigermi verso la cucina. Vidi Anne rientrare tramite la porta sul retro. Osservai il suo sguardo teso ma allo stesso tempo colmo di controllo. Tornò ai fornelli, con un sospiro forse stanco o forse rassegnato. I capelli sottili e ondulati si posavano leggeri sulle sue spalle, secche come tutto il suo minuto fisico. Era una donna di bassa statura, davvero magra. Doveva lavorare molto, pensai. Il viso a punta, labbra strette in un sorriso cordiale e accogliente, gli occhi scuri e penetranti. Anne era obbligata agli ordini degli Styles da più di dieci anni, da quel che avevo saputo. La vedevo felice, la stessa felicità che Susanne vedeva in me tutti i giorni, giorni dove avrei voluto mostrare il mio dolore, senza più fingere a nessuno.
“Siamo già sveglie?” La sua docile voce mi colse all’improvviso. Mi avvicinai a lei, per poi scambiarle quel gentile e immancabile sorriso. Non era sorpresa, la mia compagnia le si faceva viva sempre intorno alle sei del mattino, assieme all’alba. Era l’abitudine, le spiegai.
Ma non era un’abitudine questa, era un angoscia soffocante. Ogni notte rivivevo il passato, tornavo indietro di anni, di ricordi, di dolori. Ed io ero troppo avanti a loro per sopportarli, per risentirli. Facevo fatica a prendere sonno, la paura dell’ennesima scena mi perseguitava. Mi risvegliavo sudata nel cuore della notte, tremante e a volte anche in lacrime. Il sorgere del sole mi salvava da quella paura, così lontana eppure così presente. Le occhiaie volevo evidenziare il fatto che avevo qualcosa che non andava, un qualcosa che nessuno avrebbe notato. Un qualcosa che non avrebbe interessato qualcuno.
E, senza volerlo, a quel pensiero comparve il viso candido di Harry. L’immagine e il gesto improvviso di lui, il suo portarmi con sé mi sembrò come un aiuto. Era come se avesse compreso, se avesse visto lui in me. Lui vedeva quel mio qualcosa? Lo sentiva, lo percepiva, lo capiva?
“Come sempre.” Risposi con un tono allegro, facendo trasparire un velo di amarezza. Lei mi guardò comprensiva.
“Perché non provi a risposarti un po’ di più? Ne hai bisogno cara.” Fece Anne, posando lo uno strofinaccio giallastro sulla maniglia del forno. Fu come risentire mia madre, la sua voce, la sua preoccupazione remota.
Scossi la testa. “Non riesco.” Finsi un sorriso per poi prendermi un piatto nascondendomi dal suo studiarmi, per poi passarlo nelle mani di lei. Non insistette e si impegnò con la colazione.
Non riuscivo a mangiare, neanche quella mattina. Sarei voluta andare al mare che poco distava dalla dimora Styles, come le mattine precedenti. Oppure avrei voluto rimanermene sola, chiusa nella mia stanza, come i primi giorni in California. Eppure, quella calda mattina di luglio, non volevo né rifugiarmi nel rumore delle onde e né farmi risucchiare dalla fredda solitudine. Non so per quale assurdo motivo, ma volevo sentire ancora quella risata, ancora troppo trattenuta per essere considerata viva. Non so quale sia il perché, ma mi ritrovavo davanti alla porta della camera di quel ragazzo, Harry. Dopo quel pomeriggio, dopo la vista del suo corpo distrutto, dopo quell’avvicinarsi, non ci era stato più nulla.
Non hai un cuore Julie, non meriti la felicità di nessuno. Quella voce rinchiusa nella mia testa comandava su di me ogni ora della mia esistenza.
Feci per abbassare la maniglia. Gli darai solo del male. Ma ancora quel suono regnava su di me, una voce feroce e alterata.
Sospirai e, per la prima volta, mi resi sorda a quel richiamo maligno.
Lentamente aprii la porta, evitando di fare alcun rumore, e, una volta entrata, la richiusi.
Lui era lì, steso nell’angolo di quell’enorme letto. Mi avvicinai e delicatamente mi sedetti in quello spazio vuoto che aveva lasciato. Lo guardai: occhi chiusi, viso rilassato, respiro regolare. Gli accarezzai la mano, appoggiata maldestramente sul cuscino, e sorrisi.
Poco dopo si mosse e scontrò il braccio sulla mia gamba. Aprì gli occhi, riducendoli a due piccole fessure, si svegliò. Ed io mi chiesi che diamine ci facevo lì.
Mi guardò appena. “Julie?” Io annuii.
Non appena riprese i sensi, si alzò di scatto, furibondo.
“Che cazzo ci fai tu qui, nella mia camera?” Non alzò la voce, ma il suo tono era più che impazzito. Scese dal letto e si incamminò agitato verso la porta, la aprì e guardò fuori, come per controllare se ci fosse qualcuno. E lì capii, capii che non avrei mai dovuto smettere di seguire quella voce nella mia anima. Sentii il cuore chiudersi di colpo, ogni mio sentimento spezzarsi e cadere nel vuoto. Il mio volto riprese quel grigiastro, così come ogni parte di me. Mi alzai e senza dire nulla raggiunsi la porta di legno, la quale avevo dannatamente sbagliato a solcare poco prima.
“Tu non vai da nessuna parte se prima non mi spieghi che ci facevi qui, tu non hai idea di in che guaio potresti cacciarmi.” Mi frenò ostacolandomi il passaggio, guardandomi cupo e severo. E in quello sguardo vidi l’ultima cosa che avrei mai voluto ricordare, l’ultimo incubo che avrei mai dovuto rivivere.
Mio padre. Era di nuovo lì, con me, di fronte ai miei occhi.
E risposi come sempre avevo fatto, senza mostrarmi debole, senza mostrare interesse. Perché io non tolleravo più nessuna compassione, nessuna reazione.
Alzai lo sguardo dal pavimento per fissarlo su quello del ragazzo. Scavai quel verde incandescente fino a spaventarlo. Lo vidi rabbrividire e la sua freddezza di allentò.
“Avevo bisogno di te.” Dissi senza nessuna espressione in volto, anche se dentro non facevo che provare disgusto per me stessa.
Riconobbi il senso di colpa, ma non mi sfiorò. Gli diedi le spalle e me andai da lì, lasciando Harry nel suo qualcosa, quel qualcosa che io percepivo ma che non ero ancora pronta a capire.

Rigirai la penna tra le dita, incisi sulla carta e rilessi. Un altro testo, un altro sfogo, un altro respiro. Eccolo lì, uno dei pezzi della mia vita marchiato dall’inchiostro e circondato dagli scarabocchi. Era lì, chiuso in un quaderno viola consumato, insieme a tutto l’altro puzzle della mia esistenza. Non era finito nelle mani di nessuno, se non che nelle mie. Lì dentro c’erano segnate tutte le mie avventure, tutti i miei alti e bassi, tutte le mie paure, tutto ciò che nessuno avrebbe dovuto scoprire su me. Le parole conservate da quelle righe grigie ricordavano quella me nascosta, era un modo per salvarla, per tenerla in viva. Tra quelle pagine viveva una Julie, descritta dalle note di una melodia e dal significato una canzone.
L’aprire di quel quaderno allontanava quella voce assassina da me, mi permetteva di respirare.
Spinsi i tasti della tastiera, creando una leggera armonia continua. Avevo davvero bisogno di lui? Scossi la testa e aumentai la velocità del brano cercando di scacciare quel pensiero.
Non avevo bisogno di nessuno.
Ma non avevo nessuno per cui andare avanti.
Le mie mani si fermarono, spensi la tastiera e mi alzai.
Dovevo uscire da quella casa, stavo impazzendo.
Era pomeriggio tardo, il sole tramontava, i gabbiani abbandonavano gli scogli e l’aria marittima accompagnava il fresco vento. La spiaggia si stava liberando, rimanendo sempre più vuota e silenziosa. Era la spiaggia californiana più frequentata, dai giovani soprattutto, mi raccontò Anne. Sin dalla mattina si poteva trovare qualcuno, anche ad orari estremi. C’era chi la raggiungeva alle cinque passate della mattina, per godersi l’alba memorizzandola in uno scatto di fotografia. C’era chi veniva presto apposta per guadagnarsi un posto vicino alla riva. C’era chi rimaneva lì per l’intera giornata, senza stancarsi mai. Infine c’era chi non se ne andava fino di essersi goduto il tramonto, oppure una successiva alba.
Il rumore delle onde era così spedito che lo sentii quasi oltrepassarmi. Le poche voci rimaste erano lontane da me, io ero seduta sulla riva, assieme all’acqua che ogni tanto azzardava a sfiorarmi le dita dei piedi.
Eppure una voce si era avvicinata nel frattempo, ed era una di quelle voci che riusciva ad accapponarti la pelle, lasciandoti con il fiato sospeso.
E no, non era nella mia mente, era lì, accanto a me.
“Chi si rivede!” Esclamò lui.
Non mostrarti debole Julie, tu sei fatta di pietra. Ero immobile, non so per quanto tempo lo fossi stata. Alzai lo sguardo verso quel ragazzo in piedi, al mio fianco, preso a sorridermi amichevolmente, come se fosse quell’amico d’infanzia il quale non vedevi da anni ormai.
Da parte mia non ci fu nessun segnale, nessuna risposta, nessuna paura. Ero fredda, protetta da una bolla sottile, ma lui non me l’avrebbe mai fatta scoppiare.
Nonostante ciò, lui si sedette vicino a me. Fu come se un getto d’acqua mi avesse investito dopo una doccia bollente.
“Il gatto ti ha mangiato la lingua?” Rise lui.
“Dimmi cosa vuoi.” Frenai la sua risata, senza distogliere lo sguardo dal mare.
Lui rispose rivolgendomi uno sguardo confuso, ma sapevo che aveva inteso benissimo ogni mio pensiero.
“Qual è il tuo piano?” Insistessi allora.
Lui tentò di sfiorarmi, con piccoli gesti innocui, ma lo ignorai.
“Forse siamo partiti con il piede sbagliato.” Sorrise.
Era pazzo, mi alzai. Era tranquillo lui, ma la situazione non poteva diventare tale, forse non se ne rendeva conto.
Conosco questa mente perversa, contorta. Voleva farmi sentire inferiore, lui comandava.
“Niall, tu non mi farai del male.” Lo guardai con aria non più gelida, ma più pacifica.
E di nuovo rise. Julie, non perdere il controllo, tu sei il male.
“Mi faresti un favore, torturandomi. Se vuoi che stia ad un tuo gioco, dillo e basta.” Ripresi, non considerando alcuna sua reazione.
E per la prima volta, lo vidi serio, quell’essere che tanto mi terrorizzava. Sarei potuta crollargli da un momento all’altro, sentivo il sangue pulsarmi forte nelle vene.
“Harry ti rovinerà.” Mi disse, guardandosi le infradito rosse. “Era il mio migliore amico e mi ha tradito.” Continuò con voce strozzata, come se la ferita fosse ancora aperta, con il bruciore del dolore e il cedere del cuore.
Pareva sincero, ma poteva illudermi, lui è colui che mi stava portando nel mio inferno più remoto. Non avrebbe mai potuto salvarmi. Nessuno sarebbe mai stato in grado di rovinarmi.
“E mi ha rovinato.” Concluse, con voce così debole e fioca la quale a stento riuscii a sentire.
Riconoscevo la tristezza, ma non la volli percepire.
“Tu mi vuoi rovinare.” Ribattei, evitai di pensare a quell’episodio. Ero arrivata da neppure un giorno, spaventata dalla vita la quale mi si stava rivoltando contro, e il suo corpo si era impossessato del mio senza nessuna richiesta. E me lo avevo abbandonato senza forze, senza più certezze.
“La gente si fa prendere facilmente da Harry, magari tu eri già caduta nella trappola e spaventandoti ti avrei convinto di stargli alla larga.” Si spiegò.
Questo è pazzo davvero, pensai.
“Che ti importa di me?” Sputai più stranita che mai.
E lì, alzò le spalle.
C’era una storia sotto.
“Ti meriti il male che hai ricevuto, datosi che sei riuscito a dare un male così profondo a me.” Dissi, forse troppo schietta o forse troppo egoista.
Allora Julie, dopo il male permanente che tu hai dato, tu dovresti ricevere doppio di quel che hai appena inghiottito.
La voce nella mia mente mi immobilizzò e mi fece sprofondare.
“C’è un motivo, dietro tutto, dietro tutti. E tu non sai il mio.” Si difese.
Persi ogni mio equilibrio, ogni forza e ogni autonomia che conservavo in me.
“Starò al tuo gioco.” Me ne uscii fuori.
Non mi fidavo.
Ma se mi avrebbe portato del male, sarebbe stata la cosa giusta.

Era quasi l’ora di cena, era quasi del tutto buio. Suonai alla porta, sperando di essere arrivata appena in tempo per il pasto.
Harry mi aprì la porta, non volevo vederlo, non volevo parlargli. E non dovevo.
“Dove cazzo sei stata?” Lui iniziò ad alterarsi, a sputare parole una dietro l’altra senza fermarsi mai. “Se saresti arrivata anche solamente dieci minuti più tardi, non hai idea in che guaii mi avresti cacciato. Ti ho cercata. Ma dove diamine eri?” E continuava, senza calmarsi.
Richiusi la porta, mantenendo la calma.
Chi era lui per urlarmi addosso? Chi era lui per farmi una stupida ‘ramanzina’? Mi stupii solamente sentendo il fatto che mi avesse cercato.
Qua sono tutti pazzi, pensai.
Ero stanca, non solo fisicamente.
“Ero con il mio ragazzo, Niall.” Risposi mettendolo a tacere.
Sotto il suo sguardo scioccato, salii le scale.
Poteva essere nervoso, ferito o preoccupato.
Ma a me non avrebbe più importato. 
 
 



Buongiorno cari lettori.
Inizio con il scusarmi per l'abominevole ritardo, sono giorni che volevo aggiornare ma non trovavo l'ispirazione per terminare questo capitolo. Che poi è pure corto. Spero comunque che sia di vostro gradimento, ci ho messo tutta la mia intera tristezza questa volta. Diciamo che il mio umore è di uno stato pietoso, sto davvero male. Vi è mai capitato di far del male ad una persona che ami, la quale faresti di tutto per proteggerla da ogni dolore? Ecco, io mi ritrovo in questa situazione e non potete capire che schifo mi sento. Ad ogni modo, parliamo di questa storia e non della vostra poveva autrice. Insomma, potete vedere che la nostra piccola Julie, a causa di Niall, sta rivivendo il passato in un modo che ha sempre voluto evitare. Forse stava cercando di cambiare, di tornare alla nuova vita che stava iniziando in california, ma in questo capitolo si vede come il tutto sia completamente finito. Julie è tornata la ragazza con l'anima spenta di sempre. E, pur di ricevere questo male che tanto dice di meritare, si avvicina al perfido Niall, il quale anche lui a quanto pare ha un ricordo nascosto che lo ha fatto cambiare.
Okay, dopo questo spazio autrice infinito, concludo. Vi ho tormentati abbastanza direi.
Spero davvero che vi sia piaciuto, sto a pezzi e qualche buona recensione mi migliorebbe davvero l'umore.
Grazie mille per le altre recensioni, grazie, grazie.


Un bacio, hale. xx
twitter - @pianorauhl

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Capitolo 5
*** hate. ***


5.

Hate.
 

 
 
 


Harry.

Odio te. Te che sei mio padre. Te che non ti stanchi mai del male che mi dai e del dolore che non fa altro che riempire la stanza. Te che non ti stufi mai del sangue e del sapore sbagliato che scivola sul mio corpo. Te che non hai mai provato ad incrociare questo mio sguardo, così arreso e finito. 
Odio te. Te che sei mia madre. Te che mi hai creato senza volermi, dando vita a questo mostro che ora sono diventato. Te che non mi hai mai fatto sentire amato, e mai mi hai fatto credere la perfezione che tutti pensano di vedere. Te che non hai avuto il coraggio di diventare quella madre che hai sempre desiderato di essere. 
Odio me. Me che sono un essere triste. Un’anima sola, rassegnata. L’oggetto abbandonato in fondo ad un piccolo cassetto, tutto impolverato, il meno considerato della stanza. Me che più mi guardo, più non mi accetto, più mi desidero morto, scomparso, andato. Me che sopravvivo lungo un’infinità di aspetti falsi, personalità sbagliate. 
“Avevo bisogno di te.” Sentivo da un orecchio.
“Ero con il mio ragazzo, Niall.” Sentivo dall’altro. 
Posai il capo sulle mattonelle gelide e bianche del bagno. Era come se mi stessero prendendo delicatamente da un braccio, mentre qualcuno mi strappava via tirandomi dall’altro.
L’immagine di lei era così perfetta, così piacevole. I suoi occhi chiari puntati addosso, la sua dolce presenza al mio fianco, la sua voce così calma e pacata, diversa dalle altre. La sua persona, lei, Julie. Volevo tenerla lì, tra le mie braccia e non farla andare via mai più. Perché lei sarebbe stata la mia più grande occasione. 
Però tutto veniva cancellato, solcato da uno sfondo nero pieno di terrori. Tutto veniva contrastato, tutto era invisibile a causa di lui. Gli urli, lo sguardo colmo di furore, l’immancabile cintura di pelle, i pugni. E quel sangue, così rosso, così vivo. 
Era insieme a me, nel mio letto. Volevo dormire ancora un po’, accompagnato dal suo lieve profumo. Ma lui sarebbe entrato, lui avrebbe saputo, lui avrebbe reagito. 
Era scomparsa senza dire nulla. Volevo preoccuparmi per lei, cercarla e chiederle se aveva qualcosa che non andava. E invece mi preoccupavo per lui, avrebbe scatenato la sua ira su di me, in ogni caso. 
Volevo piangere, volevo urlare. Ma non riuscivo, ero del tutto sotterrato dalla confusione. 
Pioveva, c’era vento, era tardi. Scesi le scale per andare in cucina, sperando che Michael e Susanne fossero già andati e chiusi nella loro camera. 
“Harry, ancora non dormi?” Una voce alle mie spalle mi fece sobbalzare. Mi voltai di scatto, come se fossi appena stato beccato nel bel mezzo di un furto. 
“Anne.” A stento sorrisi. “No, non ho sonno.” Risposi con un filo di voce. La guardai, era l’unica persona con un’anima buona in quella casa, sempre con il sorriso sulle labbra. La invidiavo, pareva sempre felice, che tutto le andasse bene e che nulla potesse buttarla giù. Ero tentato di considerare più lei una madre, che Susanne. Era così buona, forse ero affezionato a lei. 
Forse le importava di me.
No, lavorava per me. Recitava, ero l’ennesima persona che doveva sopportare in quella casa. 
“Tra te e Julie non so chi abbia meno sonno.” Sogghignò lei mentre si ripuliva le mani al lavello. Avevo provato qualcosa nel sentire quel nome. Ulteriore odio? Non sapevo chi stavo odiando. Lei, forse. 
Oppure me, di nuovo. 
Abbassai lo sguardo e, a peso morto, mi sedetti su una sedia qualsiasi della cucina. 
“Tutto bene, Harry?” La donna posò malamente lo straccio giallastro sul mobile di marmo, per poi sedersi anche lei su una sedia. 
Stavo per scoppiare, stavo per venire a galla. 
Non risposi e affondai le unghie nella mia pelle. 
“Perché non riesci a dormire?” Posò una mano sulla mia spalla. Non avevo neanche motivi per mostrarmi forte, non avevo più motivi per nessuna cosa. Ero davvero privo di resistenze. 
Feci un rumoroso sospiro. 
“Bevo troppo caffè, penso.” Eppure insistetti. Non volevo mostrarmi un malato, un debole dalle lacrime facili. 
Harry Styles, l’adorato figlio modello degli sposi Michael e Susanne Styles, non era depresso. Non vedeva il suo corpo morto in ogni angolo della sua mente. Non veniva maltrattato in ogni modo possibile dalla sua meravigliosa famiglia.
“Vai via da questa casa.” Mi guardò seria, ero così penoso a mentire? “E portati Julie.” Terminò. 
L’idea sembrava così bella.
Ma io ero destinato a quella vita, ad altre decisioni. 
Il giorno dopo la pioggia non aveva ancora abbandonato il limpido cielo californiano. Fu il rumore di un tuono a svegliarmi quella mattina. Quando aprii gli occhi, la mia camera non era accecante e accesa ma cupa e grigia. Mi misi seduto sul letto ed ammirai il paesaggio al di fuori della finestra, pioveva a catinelle. Sorrisi, adoravo la pioggia. 
il mio cellulare segnava le dodici passate e dei nuovi messaggi, i quali non ebbi voglia di leggere. Mi alzai, andai in bagno per sciacquarmi il viso e me ne scesi nuovamente in cucina per consumare non so quale pasto, o colazione o pranzo. 
Ma quando raggiunsi la sala da pranzo non mi sembrò di vedere la lunga e solita tavolata in legno, ma bensì la terza guerra mondiale sottoforma umana. 
Che diamine ci facevano a tavola i miei genitori, Julie, Caroline e i genitori di Caroline? 
Era un incubo. Doveva essere un incubo. 
“Amore!” Esclamò Caroline non appena mi vide. Io ero troppo preso a fissare il tutto con un’aria sconvolta. Caroline mi venne addosso, stringendomi forte. Ero appena sveglio, avevo i nervi alle stelle, l’avrei rasata a zero, insieme al suo stridulo ‘amore’. 
“Finalmente Harold, buongiorno!” Mi esordì John, padre di Caroline, se non migliore amico di mio padre, ergo l’ennesima persona che non riuscivo a vedere senza sputargli in un occhio. 
“Buongiorno..” Risposi confuso, facendomi accompagnare a tavola da Caroline. Capitai, come sempre del resto, di fronte a Julie. Non potevo dormire altre tre, quattro o cinque ore? Mi maledii. 
Stavano succedendo troppe cose contemporaneamente. 
Caroline che non faceva altro che sorridermi, prendermi la mano e chiamarmi ininterrottamente ‘tesoro, amore, cucciolo’. 
I miei genitori ripetevano la solita scenetta da famiglia perfetta, seguendo i modi di fare della famiglia Stewart, ossia quella di Caroline. 
Julie se ne stava lì, al suo posto, senza dire nulla. La stavo letteralmente fissando, anche troppo. Ogni tanto mi degnava di qualche sguardo, era decisamente a disagio. 
Non poteva esserci momento peggiore. 
Come se non bastasse, Caroline mi porse la forchetta per imboccarmi. Ma per chi cazzo mi avevo preso? Per il suo orrendo barboncino? 
Almeno Julie scoppiò a ridere, senza farsi notare. Dio, quanto la adoravo.
“Penso che sia ora di spiegare il motivo di questo ritrovo.” Sorrise mio padre Michael, dopo essersi ripulito con il fazzoletto. Roteai gli occhi, era ora. 
“Penso che sia giusto lasciarlo dire alla mia pargoletta.” Ribatté il Sig. John. 
Caroline sorrise illuminata, come se avesse visto la Madonna calare dal cielo. 
Lo riguardai male, la cosa si stava facendo fin troppo lunga. Presi il mio bicchiere per fare un sorso d’acqua. 
“Spero di non arrossire.” Si alzò Caroline. “Innanzitutto, grazie mille per averci invitato Signori Styles.” Ed iniziò il discorso, loro sorrisero. “E volevo dirvi che vostro figlio è l’amore della mia vita, sono davvero felice di dire che siamo ufficialmente una coppia.” Continuò senza freni. Sputai all’istante l’acqua e riguardai Caroline con gli occhi fuori dalle orbita. 
“Harold!” Mi rimproverò mia madre.
“L’ho colto di sorpresa, lo sapevo.” Disse soddisfatta Caroline guardandomi con gli occhi a cuoricino. 
“Esatto.” Mi ricomposi all’istante mostrandomi pateticamente contento. Ma che diamine stava succedendo? 
No, ci mancava il fidanzamento programmato. Ci mancava solo stare con una ragazzina che aveva fatto i capricci con il papà per avere questa relazione. Ci mancava quell’amore finto, costruito da altri, deciso da tutti tra che da te. Era la mia vita d’altronde, che mi aspettavo? Compagnia scelta, amore scelto. 
Non sapevo se accoltellare tutti oppure semplicemente me per terminare il prima possibile questa sceneggiata. Mi sentivo come un burattino, guidato e tirato da fili retti dall’alto, da persone le quali avevano più potere di me e su di me. E giocare con me era dannatamente divertente.
Brindammo e Caroline mi baciò a stampo sulle labbra. 
Rimanemmo a parlare, mentre io me ne stavo silenzio, scambiando si e no qualche sorriso alla mia ‘fidanzata’. 
Guardai Julie. I suoi occhi erano chinati verso il piatto, il quale era quasi completamente pieno. Faceva quasi impressione vederla così. Era come se si fosse rintanata in un modo tutto suo, cose se non esistesse realmente. 
Perché stava male? 
Continuai a scrutarla fino a quando lei non se ne accorse. Alzò lo sguardo e lo posò timidamente sul mio viso attento e teso. Ci guardammo, finalmente, dopo giorni i quali parevano mesi. Ed era uno sguardo vero, desiderato. Mi godei l’azzurro dei suoi occhi, così grandi e curiosi, per poi farle un cenno con il capo. 
Lei scosse la testa e distrusse quel legame che si era creato. Diamine, lo adoravo così tanto. 
La famiglia Stewart tolse cortesemente il disturbo, per mia fortuna, poco dopo. Caroline mi salutò con i suoi sdolcinati modi di fare e con l’immancabile bacio.
Julie sparì ed io mi ritrovai solo con i miei genitori. 
“Qualcuno mi spiega questa novità?” Azzardai io fiondandomi in soggiorno, dove si trovavano comodamente seduti loro, presi a guardare un programma televisivo. 
“Harold, siediti pure.” Mi invitò Susanne. Erano così calmi, fastidiosamente calmi. Era una situazione così normale. Sì, era decisamente normale manipolarmi in tale modo, perché così avrei frequentato gente corretta, la quale non mi avrebbe mai cacciato nei guai. 
Mi sedetti sulla poltrona bianca di cotone, senza accomodarmi più di tanto, volevo andarmene il prima possibile. 
“Ti ama, hai finalmente trovato qualcuna disposta a farlo.” Incominciò Michael. “John non vorrebbe mai sentirsi dire che mio figlio ha spezzato il cuore della sua piccola figliola. Perciò, caro Harold, falle versare una sola lacrima e saremo noi due a fare i conti poi.” Finì, minacciandomi. 
Voleva spaventarmi, difatti i miei peggiori incubi e debolezze mi accerchiarono presto. 
Ma ero talmente a terra che, questi pensieri, non mi importavano già più. 
“Ossia? Se vuoi picchiarmi, fallo pure ora.” Mi alzai furioso dalla poltrona, i nervi risalirono nuovamente alle stelle. Stavo per scoppiare, avevo perduto ogni ragione, ogni paura. Era la prima volta che mi ribellavo, perché mi stavo rendendo conto che il mio odio era quello giusto, non il suo. Perché mi stavo rendendo conto che in una vita intera non ho fatto altro che subire, ed io non ne potevo più. Perché mi sentivo a pezzi, ed ogni parte di me rivolgeva odio verso qualcuno. 
“Puoi anche uccidermi Michael. Io non desidero altro.” Ammisi, fermo, impassibile. 
Susanne mi guardava, affranta. Era delusa, penso. Lei non aveva mai saputo di tutta quella violenza, o meglio, non ha mai avuto il coraggio di vederla. Era troppo perdutamente innamorata del marito, per vedere quale dolore potesse causare. Ed ogni volta che mi vedeva ferito, sanguinante, gonfio, si aggirava attorno ad un’altra teoria, ridicolamente falsa. Michael diceva che non sempre rispettavo le regole, a volte frequentavo gente sbagliata con la quale finivo nei casini più assurdi. A volte mi cacciavo in piccole risse davanti scuola, facevo a botte con quale mio amico oppure facevo le peggio cadute giocando a calcio con il vicino di casa. 
Ed io mi chiedevo quanta fantasia potesse avere un uomo.
Io ero solo e, l’unica motivazione del mio corpo distrutto, era lui. 
Ma Susanne si fidava ciecamente di lui. Di conseguenza, in quel momento stavo apparendo bugiardo? Un figlio che, pur per difendersi, dava la colpa al proprio genitore? 
La vidi sospirare ed andarsene via, come se non avesse più speranze per me. 
Rimanemmo soli io e lui. Se poco prima tremavo al pensiero della mano sul mio viso, in quel momento non desideravo altro che i peggio calci nel mio stomaco. Volevo farmi massacrare, fino a svenire. 
“Ti conviene fare il bravo, se non vuoi mettere in mezzo Julie.” Mi sorrise lui. 
Indietreggiai, quelle parole furono peggio di uno sparo. Serrai la bocca, abbassai lo sguardo. 
“Scusa papà.” Dissi con voce tremante. 
Lui sarebbe stato sempre più forte.
E io il più debole.
Ma non mi sarebbe importato. 
Lui non farà del male a Julie, non poteva.
 
 
 



Buonasera cari lettori.
Finalmente ho aggiornato questa fan fiction, perdonatemi se sto diventanto sempre più lenta. Non voglio tendere ad essere una lumaca, è solo che è davvero complicato entrare nella mente di questi personaggi. Tra Julie e Harry, non so chi sia il più a pezzi, mi faranno cadere in depressione. Allora ammetto che ho fatto di tutto per rendere il capitolo meno drammatico possibile, difatti a metà svolgimento si può cogliere un pizzico (davvero piccolo) di ironia. E' impossibile fare una scena tranquilla, o forse sono io piuttosto tragica. Ad ogni modo, Harry è una sottospecie di misantropico, dentro di te ha un odio così grande che non riesce più a trattenere, eppure non lo tira fuori perché non ne trova i motivi e le forze. Immagino con quanta allegria accoglierete la nuova coppia. La tenera Caroline, tenera si fa per dire, è una tipica figlia di papà che riesce ad ottere ogni singola cosa. E' alquanto patetica. E, ovviamente, il signorino Styles non può ribellarsi. Julie si dimostra strana. Chissà cosa avrà eheh.
Scusate se ci sono errori, ma ho riletto veloce visto che in tv è iniziato 17 again, lo devo assolutamente vedere.
Datosi che il umore non è uno dei migliori (penso che si noti dalle cose deprimenti che scrivo in questi capitoli) spero di ricevere sempre le vostre amorevoli recensioni, vi amo tanto. Spero che vi piaccia questo capitolo, forse è un tantino corto ma mi farò perdonare.


Un bacio, hale. xx
twitter - @pianorauhl

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Capitolo 6
*** the past. ***


6.

The past.
 

 
 
 


Julie.

Harry Styles era un ragazzo particolare. Egli viveva in una grande, moderna villa californiana, situata sulla costa, a pochi metri dall’oceano pacifico, un paesaggio che tutta la famiglia Styles aveva sempre ammirato. Crescendo, non gli era mai mancano nulla. Tutto ciò che necessitava lo aveva sempre ottenuto, non se ne era mai lamentato. Entrambi i suoi genitori erano sempre stati lì presenti per lui, non si era mai sentito solo. Non gli mancava nulla, aveva un aspetto meraviglioso, corporatura perfetta e un sorriso da farti mancare il respiro. Era un figlio perfetto, tutti non facevano altro che parlare bene di lui. Ha chi lo ama, una ragazza splendida la quale pare vivere per lui. Harry Styles era un ragazzo fortunato e davvero felice, non voleva cambiare assolutamente nulla della sua vita. Eppure era particolare, perché tutto ciò che lui stava sembrando agli di occhi di tutti, per me non era soltanto che una maschera consumata. Leggevo nei suoi occhi un’altra vita, un’altra anima la quale non si era mai azzardata ad uscire fuori. Intravedevo che il suo verde non era più così acceso e vispo, anzi. Era grigiastro, triste. Notavo l’oscurità nel suo viso così candito e spudoratamente forzato, sereno. Traspariva un carattere suo, colmo di difetti, forse un po’ sbagliato a suo parere, però vero. Sentivo dietro un suo lieve sussurro, un grido, un urlo disperato che, col tempo, aveva smesso di farsi sentire. Non aveva più voce, non aveva più forze. Capivo che quel ragazzo non era forte, aveva le mani tremanti e le gambe pronte a cedere, così come il suo lui nascosto. Quando guardavo Harry Styles, non vedevo il ragazzo modello dal sorriso presente. Quando guardavo Harry Styles, vedevo il dolore, il tormento, l’angoscia, la disperazione. Vedevo la richiesta, sentivo il bisogno di aiuto.
Quando ammiravo Harry Styles, vedevo me stessa. Vedevo tutto ciò che nascondevo, che divoravo. Tutto ciò che era morto dentro di me. E lui me le faceva rivivere con uno sguardo, sentendo afflizione e l’amaro in bocca.
Eppure non capivo, non trovavo il collegamento tra quelle due realtà.
Michael e Susanne Styles sembravano dei genitori fantastici, cordiali e gentili. Ma lui voleva scappare da loro, non voleva sentirli, li vedeva lontani anni luce da lui. Caroline Stewart era una ragazza da una bellezza invidiabile, dal carattere dolce e amorevole, era follemente innamorata di lui. Però lui non combaciava con lei, non riusciva, sembrava contrario a tutto.
Perché ai miei occhi sembrava così innocentemente bugiardo? Si adattava a quel che li si veniva dato, viveva in un mondo realizzato da altri, morendo nel mondo che non lo aveva mai accolto.
Harry Styles era un ragazzo particolare, perché mentre io vedevo che bene non stava, tutto ciò che girava intorno a lui continuava a farlo soffocare in quella realtà mai voluta e desiderata.
Era metà agosto, il caldo insisteva sulla giornata e il sole brillava nel cielo, accompagnato da qualche nuvola, ed io ero sdraiata sul dondolo presa dai pensieri. Oramai Harry ed io non avevamo alcun legame e conversazione, lui evitava di avvicinarsi mentre io mi sentivo completamente attratta dal suo strano modo di fare. Ricordai quando venne da me per farmi compagnia, la mattina in quella casa. Mentre adesso faceva di tutto per mantenersi alla larga, come se fossi materiale pericoloso. E, non so per quale motivo, a me quella situazione mi dispiaceva.
Guardai sul display del mio cellulare quali ore fossero, quel pomeriggio avrei dovuto incontrare Niall, nascondeva un passato e avevo bisogno di conoscerlo, datosi che con i suoi acerbi ricordi aveva rischiato di distruggere il mio presente.
Ho sempre voluto il male per me stessa e l’insensata, se non falsa, relazione con Niall, sentivo che non mi avrebbe portato nulla di buono. Però, se ci pensavo meglio, mi rendevo conto che avrei rischiato di avvicinarmi troppo, mostrando il dolore e il disgusto che bolliva dentro me. Ed io non volevo, così come non volevo ricadere nel mio incubo, oppure stavo cambiando idea?
Volevo davvero di nuovo il male, ricadere nel mio buio e isolarmi da questa delusione chiamata normalità, chiamata vita.
Scossi la testa e mi alzai dal dondolo per poi uscire di casa. Erano giorni che mi sentivo dannatamente confusa, non facevo altro che pensare ed io desideravo liberarmi di tutto. Con lui, con Harry.
Mi recai al solito posto, alla spiaggia vicina, era lì che incontravo solitamente Niall, il quale era già lì ad attendermi. Non appena mi vide, si alzò dallo scoglio e sorrise.
“Ehi.” Si avvicinò, tentò di baciarmi mentre io girai il volto.
“Ciao.” Risposi sorridendo, leggermente turbata.
Lui mi afferrò il polso, serio.
“Sei la mia ragazza, lascia che ti baci.” Insistette, per poi posare le sue labbra sulle mie. Erano così disconnesse, non era un bacio legato, desiderato e provato. La relazione con lui si stava spingendo oltre ed era troppo tardi per tirarmene fuori. Per lui, non era una cosa finta, ma ufficiale. Ero sua e non me ne potevo andare da nessuna parte, altrimenti sarebbe riaccaduto.
Tutto l’incubo sarebbe tornato a galla.
Ma io non volevo sottomettermi.
Scegli Julie, o passato o presente.
Di nuovo udii la voce nella mia mente frastornarmi. Ricevere il male, vivere il male e tornare nel mondo passato, nel tunnel infinito e buio, questa era una fine. Oppure potevo insistere, difendermi e rimanere impassibile anche con colui che poteva distruggermi.
“Niall, che è successo fra te e Harry?” Gli chiesi, sedendomi sulla riva senza rivolgergli alcun gesto o sguardo. Lui rimase in piedi, come se solamente toccare l’argomento potesse fargli salire i nervi alle stesse. Ma non mi interessava ferirlo, provocarlo, innervosirlo, non mi interessava la sua reazione.
Mi importava sapere.
Ecco il male, ecco Julie.
Ignorai.
“E’ una cosa nostra.” Rispose freddo.
“Non riesci a parlarne?” Ribattei. Lui deglutii, stava cedendo.
“Sì che riesco, posso parlarne anche adesso.” Disse spazientito scrutandomi. Allora lo incitai a continuare e lui, senza neanche accorgersene, si lasciò andare abbassando il suo scudo.
“Caroline mi lasciò per lui.” Ammise secco. “E lui non la rifiutò neanche.” Terminò.
Lo riguardai impietrita, non capivo.
Lui continuò a parlare, senza freni, come se non ci fosse nessuno lì ad ascoltarlo. Erano innamorati, o almeno, lui amava lei con tutto il cuore. Aveva detto di non aver mai amato nessun’altra in tale modo. Era stata l’unica alla quale aveva dato tutto ciò che ella poteva ricevere. Avevano organizzato un futuro insieme, credevano che sarebbe durato per sempre, non era mai stato così tanto felice in tutta la sua vita. Fin a quando tutto questo non ebbe una fine, da quel momento in poi aveva smesso di credere in tutto. Nell’amore, nell’amicizia, nella fedeltà, nelle persone. E qualsiasi persona si sarebbe avvicinata ad Harry, Niall l’avrebbe portata via, così come stava facendo con me, in modo da fargli provare quanto sia doloroso perché tutto ciò che consideri la propria vita, l’amore della tua vita.
E, guardandolo, sentii il dispiacere dentro me. Harry e lui erano migliori amici, davvero aveva compiuto un gesto simile? Non riuscivo a capire, a realizzare.
Ero persa, intanto notai delle lacrime scivolare sul volto di Niall.
“Non piangere.” Gli sussurrai, invitandolo tra le mie braccia. Si sedette al mio fianco ed io lo strinsi a me. Fu una sensazione strana, era così strano per me consolarlo. Era normale, eppure così stupidamente nuovo.
Lui singhiozzava e, forse, mi stavo sentendo leggermente in colpa per aver sputato fuori quell’ argomento talmente delicato in quel modo così brusco.
E, per la prima volta, era Niall Horan il debole.
“Scusa.” Disse tra un singhiozzo e l’altro. “Scusa se sfogo la mia rabbia con te, che sei così buona.” Finì.
Io ero buona? Diceva così, forse, perché mi ero sempre mostrata pari ai suoi modi duri di fare, senza reagire mai, ma neppure cedendogli.
“Ti capisco.” Gli dissi. Lo tranquillizzai per poi asciugargli delle lacrime. “Tu non tieni nessun rancore dentro te.” Puntualizzai. In fin dei conti, io e lui avevo un ricordo mai raccontato. Lui lo teneva fuori, mentre io dentro.
Mi abbracciò forte, io sorrisi.
“Deve morire.” Sputò tirando su col naso. Sentii come un nodo alla gola e un pugno dello stomaco.
Deve morire, aveva detto.

Era tardi, categoricamente tardi. Il vento si abbatteva contro le foglie del pesco di fronte casa. Il freddo gelava ogni cellula del mio stanco corpo. La porta venne sbattuta con violenza,era finalmente tornato. Scesi le scale saltellando, ero allegra. Era il mio decimo compleanno,  non vedevo l’ora di ricevere gli auguri dal mio papà. Subito fui frenata da mia madre, la quale mi ordinò di corrermene in camera mia, come ogni sera facevo. Era pericoloso avvicinarsi a lui, ma quella era una notte speciale. Lo vidi, barcollava. Disse cose volgari e spinse via mia madre. Cercai di abbracciarlo, mi era mancato, ma con un fermo gesto del braccio, mi gettò a terra contro il muro. Era sempre cattivo, ma aveva promesso che come regalo non lo sarebbe più stato. Invece era ancora strano, nervoso, arrabbiato. Lo seguii in cucina. Lui buttò violentemente una sedia a terra, accompagnando il tonfo con un spaventoso verso. Sentii mia madre afferrarmi da dietro.
“Papà, papà! E’ il mio compleanno.” Urlai. Lui urlò, dovevo starmene zitta, disse. Lei si avvicinò a lui, per calmarlo, lui la spinse contro il mobile.
“Papà!” Urlai, di nuovo.
“Zitta, vuoi che ti faccia male?” Esclamò, era sempre più fuori di sé.
Perché era stato cattivo anche quella notte? Aveva promesso che non lo sarebbe stato più.
“Devi morire.” Dissi, cominciando a piangere. “Devi morire papà.”


“Julie.” Sentii Niall scuotermi per la spalla. “Julie, ci sei?” Mi chiese guardandomi preoccupato, con il volto ancora umido e gli occhi lievemente arrossati. Scossi la testa e abbassai lo sguardo, quelle due parole mi trafissero come una lama, sentivo le lacrime ribollirmi dentro, così come il dolore di quel passato così remoto ai miei occhi.
Ricordai quei lunghi momenti in pochi istanti, fu come un abbaglio, un flashback. E fu orribile.
Niall mi riabbracciò, sembrava un piccolo bambino impaurito nel vedere la propria mamma triste. Ma ancora non ero lì, affianco a lui. Ero ancora in quella vita, in quella paura, immersa dai sensi di colpa e di nausea.
Steven Martin era un uomo fragile, impotente e delicato, non avevamo mai avuto nulla in comune. Era un padre assente, anzi, non era mai stato un vero padre. I ricordi che mi legano a lui sono ben pochi e, la maggior parte, evito di pensarli. Aveva sposato mia madre quando aveva solamente ventidue anni e non se ne era mai pentito, però l’idea di costruire una famiglia lo aveva sempre un po’ impaurito. Lavorava in una fabbrica, parecchie ore al giorno, non guadagnava molto. Perse la testa quando arrivai io, la mia nascita diede inizio a quella serie di problemi che lo fecero cambiare. Quando scoprì il mondo del casinò, si butto con tutto se stesso nel gioco d’azzardo, perdendo ogni sua fortuna. Le cose non fecero che peggiorare, diventò dipendente dall’alcool, soffriva di depressione, una forte depressione. In più, cominciò ad essere una persona violenta. Mia madre fece di tutto per proteggere entrambi, sia lui da quella routine e sia me dalle sue crisi. Ma io non capivo. Volevo solo un papà da abbracciare, un papà con cui andare a prendere un gelato ogni tanto, un papà che venisse a prendermi da scuola non appena ne avesse avuto il tempo.
Non capivo, ero una stupida bambina, priva d’infanzia. Mi sentivo anormale, ero isolata da tutti i gruppi che si creavano a scuola, ero una stranezza ambulante ed io ricordavo quanto male stavo. Mi vergognavo, perché vedevo tante famiglie perfette attorno a me, mentre io vivevo in una casa piena di pericoli, con l’abitudine di chiudere sempre la porta a chiave prima di dormire.
“Stai bene?” Mi sussurrò Niall. Prese la mia mano e la strinse con la sua.
Ero inciampata, ero caduta. E quella volta non mi sarei più potuta aggrappare a nulla.

Ero contenta quel fresco pomeriggio di mezza estate. Ero andata al mercatino con mia madre, avevo comprato un vestitino azzurro e delle caramelle al gusto di frutta. Stavamo tornando a casa, dovevo finire i compiti di matematica. Non vedevo l’ora di far vedere il vestito al mio papà. Corsi per le scale raggiungendo il nostro piccolo appartamento. Aspettai che mia madre aprisse la porta di casa, per poi precipitarmi  nella camera matrimoniale. Lui stava dormendo, eppure il letto non era disfatto. C’erano palline bianche sparse per il pavimento, erano delle pasticche, pensavo. Forse si era sentito un po’ male.
“Papà, papà svegliati!” Lo scossi per il braccio. Non si muoveva. Arrivò mia madre, la quale si sbianchì del tutto non appena vide la scena.
Lei piangeva.
Venne l’ambulanza.
Lui non si svegliò, se ne andò via.
Papà non risvegliò più quella volta.


Sentii il volto andarmi in fiamme, le lacrime solcarlo e il cuore morirmi dentro. Sentii il male della mia anima venire fuori, affacciandosi sulla realtà. La voce dentro me si era impossessata di ogni ragione e controllo. E fu così che, ancora una volta, mi sentii il male in carne ed ossa. Avevo desiderato così tanto la morte di una persona, per poi ottenerla. Lui, doveva morire e morto era diventato. Questo perché ero stata io a chiederglielo, ad urlarglielo. E, senza saperlo, lo avevo rovinato ancora di più. Perché io non capivo, pensavo solamente a me e alla normale felicità che mi aspettavo di vivere.
Tu lo hai ucciso, Julie, tu lo hai portato a questo.
Rividi quel corpo freddo, pallido, senz’anima. Tentai di asciugarmi il viso, affogato da un’irrefrenabile pianto. Ero stata completamente inghiottita da quel che si poteva considerare un incubo, quando invece era una pura e sofferente realtà.
Niall mi guardava, pietrificato. Mi accarezzò la schiena, mi parlava, ma io non lo sentivo.
Vidi il sangue di mia madre, il corpo di mio padre, i medicinali, la barella.
Mi alzai di scatto per poi fare pochi passi e rimettere, vomitai cose se volessi eliminare via ogni traccia del mio passato. Volevo liberarmene di quel gesto, che mi portò via mio padre. Volevo dimenticare i dodici anni privi di una vera infanzia. Volevo liberarmene degli anni a venire, dove cambiai, dove anche tutto il resto ebbe una fine. Quando Julie Martin cessò di vivere.
Vidi la grande distesa di verde, gli alberi alti e scuri, la gente in nero e la bara. E poi vidi il viso di mia madre. E di nuovo lui, Steven.
Vomitai nuovamente. Niall si precipitò su di me, lo sentii appena. Mi tenne i capelli e posò una mano sulla mia schiena, reggendomi a lui. Era praticamente sconvolto, di sicuro.
Mi ero ripromessa che mai avrei ceduto così, di fronte a nessuno.
Però sapevo che Niall Horan era un rischio, ed io ho rischiato fin troppo.
“Julie, che ti è successo?” Balbettò lui, pallido in viso.
“Portami a casa.” Fu tutto ciò che riuscii a dire.
Non mi lasciò, il suo braccio circondò il mio fianco, mi portò a casa senza dire nulla.
Quando arrivammo a quell’enorme cancello, però, mi guardò dritto negli occhi.
“Se hai bisogno di me, scrivimi.” Mi disse, era preoccupato per me. Ma odiavo quello sguardo, gli facevo pena. Oppure era semplicemente ansioso, non voleva che stessi male. Si era affezionato a me?
Io annuii, ricordandomi di avere il suo numero, per poi salutarlo e rientrarmene in casa.
Varcai la porta, non mi reggevo in piedi, avevo gli occhi gonfi e le immagini erano ancora chiare nella mia mente.
“Julie, la cena è pronta.” La voce di Harry mi venne addosso come un brusco tornado, stava scendendo le scale. Non lo guardai.
“Non mi sento bene, dì ai tuoi che mi metterò a letto.” Gli risposi posando una mano sul mio stomaco, avvicinandomi alla ringhiera d’acciaio, rigorosamente rifinita e dettagliata.
Lui si fermò e mi scrutò stranito.
“Che succede, Julie?” Abbassò il capo per tentare di guardare i miei occhi. Erano rossi, si vedeva. Il volto era a pezzi, si vedeva. Lui non doveva vedere.
“Non sto bene, Harry.” Ribattei ferma per poi scappare da lui, prima di cedere anche davanti alla sua persona.
Non mi guardai indietro, non volli. Avrei indietreggiato e sarei morta tra le sue braccia.
Ma ci pensavo. Pensavo al fatto che, un momento insieme ad Harry, avrebbe cambiato le cose. Una sera assieme a lui, a quella risata, a quella voce. Insieme a quei suoi improvvisi tocchi, in grado di farti venire la pelle d’oca. Una sera passata a vedere film, stretta tra le sue braccia.
Ma il legame tra noi non si era creato, forse è stato il destino a decidere.
Ricordati che tu sei il male Julie, non puoi trascinare nessuno via con te.
Mi chiusi in camera mia.
A chiave.
Mi feci una doccia e mi buttai sul letto.
Rimani lì, è il tuo posto. Sola e perfida.
Volevo stare con lui, volevo stare bene.
Non te lo meriti, non ti meriti lui, non ti meriti il bene.
Avevo bisogno di Harry, stavo tornavo a riva. Stavo allontanando quella voce? La mia compagnia, il mio essere marcio.
Feci per alzarmi ma fu il bussare alla porta a precedermi. Mi recai per aprire, piuttosto confusa.
E fu così che lo vidi, finalmente, di fronte a me.
“So che te ne vorrai stare sola ma eri parecchio strana prima ed io..” Lo abbracciai, frenando ogni sua parola. Mai lo avevo fatto, difatti ne rimase sorpreso. Lo strinsi e lui ricambiò.
Strano, ero nel dubbio se raggiungerlo o meno, e fu proprio a lui a cercarmi per primo.
Mi cercò, Harry era stato così adorabile, pensai.
Lo feci entrare. Mi ristesi sul letto, lui si sedette accanto ai miei piedi, a gambe incrociate.
“Perché sei qui?” Dissi guardandomi i piedi.
Lui abbassò lo sguardo e cominciò a giocherellare con il suo braccialetto.
“Ero in ansia per te, tutto qui.” Rispose. Aprirsi, non voleva aprirsi troppo, ecco come si comportava.
Ecco come mi comportavo.
Ecco come ci comportavamo.
Ecco perché, forse, ci siamo allontanati senza mai avvicinarsi.
Sorrisi, posai le mie gambe sopra le sue.
Sorrise, cominciò a solleticarmi i piedi.
Incominciai a ridere piegandomi in due, soffrivo esageratamente il solletico. Lui seguì la mia risata per poi tapparmi la bocca con il palmo della sua mano.
“Svegli tutti.” Mi zittì continuando a ridere. La sua mano era grande, calda. Volevo stringerla con la mia, intrecciare le nostre dita per poi formare una cosa sola.
E così feci. Presi la sua mano posava sulle mie labbra, la quale aveva lentamente allentato la presa. Feci scorrere il mio palmo contro il suo per poi allargare lo spazio delle dita, il quale lo completai con le sue. Mi strinse la mano, sembravano fatte per essere unite.
Posò il suo sguardo sul mio, annegai nel suoi occhi, non volevo lasciarli. I nostri lenti respiri si fusero.
Sorrise arrossendo, ricambiai.
Era così perfetto, eravamo solamente lui ed io.
“Posso chiederti una cosa?” Ruppi quel magico silenzio, tenendo però stretta la sua mano.
Lui annuii.
Gli chiesi di Niall, perché le cose non tornavano. Lui sbuffò e distolse lo sguardo.
“E’ una storia lunga.” Rispose. “E complicata.” Aggiunse.
Mi voltai per guardare l’ora segnata sull’orologio poggiato sul comodino.
“Sono solamente le nove e mezza, hai tempo per raccontarmi.” Gli dissi.
Fece un sospiro e mi spiegò.
Niall era il suo unico vero amico, perché lui non aveva amici. E lo aveva perso, ma non ne sapeva il perché.
Caroline era l’unica che frequentava, ma non la amava. E no, non stava insieme a lei per suo volere.
Tutto ciò non aveva senso per me finché lui non si confidò, mi stupii. Mi sorpresi nel vederlo aprirsi con me. Mi sorprese sentire quella vita soffocata che sopportava da sempre. Mi sorprese, ma capii finalmente perché Harry Styles era così particolare, così falsamente felice, così forte senza rendersene conto. Lo stavo conoscendo ed io ero così dannatamente felice.
Mai giudicare il libro dalla copertina, avevo fatto bene a ricordarmelo. I signori Styles non li avrei mai immaginati così opprimenti. Non avrei mai immaginato Harry così sofferente.
E lì, mi sparii il sorriso.
Gli accarezzai la guancia, aveva qualcosa dentro che avrebbe potuto rivelato prima o poi. Ma era troppo presto per sapere il vero perché del suo dolore. Lo capivo, capivo che mostrarsi già così era dura. Si era ricoperto di corazze, di orgoglio, di facce false. Ed io mi rispecchiavo così tanto.
Sbuffò ancora, per poi stendersi sul mio letto. Lo seguii, appoggiai la testa sul suo petto e lo abbracciai. Sentii il suo braccio circondarmi, seguito da un uragano nel mio stomaco. Stavo impazzendo.
“Anche io sto male.” Sussurrai. “E non mi è mai capitato di capire talmente tanto una persona.” Continuai.
“So che stai male.” Sussurrò. “E non mi è mai capitato di vedere me stesso in un altro corpo.” Concluse.
Chiusi gli occhi e sorrisi. Lui spense la luce.
“Posso dormire con te?” Mi chiese, mormorandomi all’orecchio.
Sentii dei brividi pizzicarmi ogni parte del mio corpo. Annuii perché a rispondere non riuscivo.
Incominciò ad accarezzarmi lentamente la schiena fino ad arrivare al mio fianco sinistro. Alzai il mio viso, sentii le sue morbide labbra posarsi sulla mia fronte, mi lasciò un piccolo e caldo bacio. Mi morsi il labbro inferiore, mi ritrovai a sfiorare il mio naso con il suo, lui me lo strofinò contro ed io ricambiai. Odorai il suo profumo, così lieve e delicato da attirarmi. Gli accarezzai il collo, affondai la mia mano nella sua chioma riccia. Lui strinse la presa su di me e mi avvicinò ancor di più a lui. Sentii ancora quelle labbra, quella volta si posarono sulla mia guancia. Una, due, tre volte. Le sentii sull’angolo delle mie labbra e lì il mio cuore perse un battito. I nostri sorrisi si scontrarono ed io poggiai la mia mano sul suo petto, il suo battito era accelerato. Era come essere cullate, mi proteggeva.
Sarei rimasta nelle sue braccia per sempre.
Mi addormentai con il suo respiro sul mio viso e con il battito del suo cuore sul mio petto.

 




Salve cari lettori.
Sono praticamente le 02:29 del mattino, non avevo intenzione di andare a dormire senza pubblicare finalmente il sesto capitolo. Mi scuso per averci impiegato una intera settimana, ero completata priva di idee su come incominciare questo capitolo. Il passato di Julie è venuto finalmente a galla e s riesce (spero) a capire il perché si consideri il male. C'è stata anche una scena con il pazzo Niall, anche lì si è scoperta una verità. Non so voi, ma Carolino non la sopporto proprio. Ringraziate il cielo, il capitolo si stava terminando solamente con la scena del ritorno a casa, però veniva troppo corto, perciò ho aggiunto un'altra scena. Finalmente, non triste, e si, con il carissimo Harry. Vi giuro che stavo morendo nel scriverla, ci ho messo l'anima in questo capitolo. Se interessa a qualcuno, il mio umore sta migliorando, mi sto sfogando molto sullo scrivere e voi che seguite la storia non fate altro che regalarmi mille soddisfazioni, perciò vi ringrazio per le recensioni, vi amo.
Concludo col dirvi che ho fatto una specie di trailer per questa ff, questo è il link: 
http://www.youtube.com/watch?v=da_531NnBVw
Io li amo troppo.

Un bacio, hale. xx
twitter - @pianorauhl

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