Where you think you're going baby!

di Dragonfly_7
(/viewuser.php?uid=171714)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Who are you? ***
Capitolo 2: *** What, if I'm wrong? ***
Capitolo 3: *** My Ninja baby! ***
Capitolo 4: *** I can't go on! ***
Capitolo 5: *** Are you kiddin' me? ***
Capitolo 6: *** Broken. ***
Capitolo 7: *** I'm in love with you, but it's not easy to admit it.. ***
Capitolo 8: *** C'mon. C'mon. Fight for this shit! ***
Capitolo 9: *** Fuck you destiny, give me my friend back! ***
Capitolo 10: *** One. Two. Three. Kaputt. ***
Capitolo 11: *** Hope never really leaves us. ***
Capitolo 12: *** It's only totally so damned confused. ***
Capitolo 13: *** Action-Reaction. ***
Capitolo 14: *** You lied. ***
Capitolo 15: *** We are...wow! ***



Capitolo 1
*** Who are you? ***


Image and video hosting by TinyPic

Guidava mio padre, io non ne avevo voglia, stranamente. Quello era un chiaro segno della mia stanchezza. Stanco di tutto. Della vita, della gente, della famiglia e degli amici. Presi il lettore mp3, vecchio quanto me quasi, ma sempre fedele. Misi le cuffie e chiusi gli occhi. Mi rilassava un po' distanziarmi dal mondo. Tanto i miei parlavano di fatti loro e le mie sorelle litigavano per le solite stupidaggini infantili.
"Nathan..."
, sentii pronunciare il mio nome e il susseguirsi di altre parole. Noemi, la più piccola della famiglia, mi chiedeva per l'ennesima volta qualcosa. Feci finta di non sentirla. Semplicemente non avevo voglia di ascoltarla. Non era cattiveria, ma ancora una volta, stanchezza. Finalmente arrivammo a casa. Mi catapultai in camera mia. Non volevo essere disturbato e lo sapevano. Posai cellulare ed mp3 sullo scaffale e mi buttai a pancia in sù sul letto. Portai le mani dietro la testa e con un gesto automatico mi tolsi le scarpe con i piedi stessi, facendole andare chissà dove. Avrei dovuto mettere un po' a posto in camera mia, ma ero il tipico ragazzo che non ne aveva voglia, e vive felicemente beato nel suo caos. Osservai le stelle appiccicate al soffitto da quando avevo quattro anni. Ormai la notte non illuminavano più. L'infanzia, che bel periodo della vita. Spensieratezza pura. Adesso, invece, mi toccava pensare a studiare per me, per i genitori, per non deludere le persone. Dovevo pormi un obiettivo e pensare al mio futuro. Ovviamente, evitavo il più possibile simili pensieri, soprattutto dopo una giornataccia come quella. Avevo detto a mia madre che non volevo andarci al compleanno di Margherita, ma contro le mamme non si vince mai, o va a finire che te ne penti. Che poi Margherita che razza di nome era? Sapevo che che fosse italiana lei, ed immagino anche il suo nome che era complicatissimo da leggere e da pronunciare e anche da scrivere. La conoscevo perché avevamo frequentato le scuole elementari insieme ed ogni tanto capitavamo nella stessa compagnia di amici. Niente di che. Era carina, sì, ma non il mio tipo, e quando lo capì prese un po' le distanze anche lei. Meglio così. Mi dispiaceva ferire o spezzare il cuore di una ragazza. Si sa come sono fatte. Quando è arrivato il momento in cui si dichiarano sanno già tutto di te, vita morte e miracoli. O per lo meno così facevano in molte. Non era giusto generalizzare, come non è giusto quando loro ci definiscono tutti stronzi e insensibili. Non è vero che siamo così, ma questa è un'altra storia. Non mi accorsi che il tempo era volato via più in fretta di quanto pensassi. Fuori era già buio. Mi alzai di scatto e cercai il telefono.
"Ehi senti che si fa sera?"
, chiesi io appena Loris mi rispose. Il mio migliore amico si poteva dire. Ci confidavamo tutto e ci consigliavamo tanto.
"E che ne so, mi passi a prendere e vediamo poi?"
, rispose lui.
"Andata. 10 minuti e sono lì"
, e riattaccammo. Non ero mai stato puntuale, e lui sapeva che sarei stato lì almeno dopo 20 minuti. Dovevo ancora fare la doccia, vestirmi, cercare le chiavi della macchina. Avrei potuto prendere la moto, ma non era serata. La mia adorata compagna di vita non andava sciupata, ed io non ero dell'umore giusto. Se la sarebbe sicuramente presa. Mi preparai con calma e come previsto arrivai con un ritardo di 15 minuti più o meno.
"Allora dove si va?"
, mi chiese Lori, perché preferivo chiamarlo così io, era più sbrigativo, mentre si accendeva una sigaretta.
"E che ne so io"
, risposi ridendo.
"Andiamo a rimorchiare un po' dai"
, concluse facendomi ridere ancora di più. Quello poteva significare solo una cosa. Andare al nostro pub, dove incontravamo sempre qualche tipa. Lui sì che era uno stronzo. Non voleva cose serie, e quando incontrava una ragazza metteva subito le cose in chiaro: niente impegni. Voleva solo del sano puro sesso. Ovviamente aveva le sue ragione. Si era preso una bella sbandata per Eleonor, una storia che durò ben sei anni, poi lei gli diedi il ben servito e lui ne rimase quasi traumatizzato inizialmente. Non volendo cadere in depressione, di buttò nel sesso. Ora si era ripreso e non. Non dove essere facile dare di nuovo fiducia a qualcuno dopo che è stata tradita in un modo così brutto. Arrivammo al pub e notammo che era un po' pieno. Entrando notai una ragazza che aspettava all'entrata col cellulare in mano, tutta agitata e scocciata. Sembrava più che altro irritata. Mai vista prima, eppure conoscevo quasi tutti quelli del pub. Sarà straniera, pensai. Lori come al solito iniziò a scherzare con la barista che ormai ci conosceva troppo bene.
"Cosa vi offro oggi?"
, chiese lei.
"Se offri tu qualcosa di costoso, altrimenti una birra"
, risposi io facendole l'occhiolino.
"Questa sera festeggiamo il nostro quinto anniversario, quindi offre la casa un cocktail a scelta"
, disse lei sorridendo e porgendo una birra ad un altro signore.
"Allora vada per il cocktail, scegli tu"
, disse Lori. Arrivarono anche altri amici poi. Passò così la solita serata della domenica sera in quella piccola cittadina vicino Londra. Non tardammo molto, perché l'indomani dovevamo tutti alzarci presto. Infatti, la sveglia suonò e anche mia madre.
"Nathan dai non farmi urlare come al solito. Muoviti!", urlò, invece, lei. Con malavoglia abbandonai il letto che mi implorava di restare. Passai un quarto d'ora sotto la doccia bollente e scelsi cosa mettere. Mangiai qualcosa al volo mentre le mie piccole sorelline mi aspettavano spazientite. Ero io l'autista di casa, e le portavo io a scuola. Arrivammo puntuali però. Dopo averle accompagnate, infatti, mi diressi verso l'edificio di educazione fisica dove Lori già mia aspettava e restammo ancora un po' fuori a parlare. Al suono della campanella entrammo tutti dentro. Velocemente ci spogliammo e indossammo la tuta. Fare sport alla prima ora di lezione era una vera rottura per alcuni, ma per noi due era uno spasso. Almeno non era noiosa. Notai che le ragazze erano tutte riunite in gruppo intorno a qualcosa, o forse era meglio dire
qualcuno. L'insegnante richiamò immediatamente all'ordine e ci presentò la nuova arrivata.
"Signorina Green, vuole presentarsi lei o vuole che lo faccia io?"
, disse il signor Morgan. La ragazza rispose scuotendo il capo arrossendo un po'. Aveva gli occhi di tutti puntati contro. Eppure mi sembrava di conoscerla.
"Bene, allora ragazzi lei è la vostra nuova compagna. Delilah Green. Per favore qualcuno si prenda la briga di aiutarla in caso ne abbia bisogno e non siate i soliti broccoli vestiti!"
, e subito dopo prese a spiegare la lezione. Delilah Green.
"Carina vero?"
, commento subito Lori.
"Sì. Ma a te non pare di averla già vista da qualche parte?"
, chiesi io.
"Non è la tipa che sclerava ieri sera davanti al pub?"
, a quelle parole gli diedi subito una pacca sulle spalle. Ma certo! Era proprio lei! Quanto era piccolo il mondo a volte. Tutta la osservavano, era la nuova curiosità della scuola. A fine lezione andammo tutti a fare la doccia riprendendo già a parlare delle solite cose e delle prossime lezioni. A me toccava Storia ora. Entrando in classe notai Delilah sedere tra i banchi. Presi posto accanto a lei allora.
"Ciao"
, le dissi mentre lei voltandosi mi sorrise. Era davvero carina. Chissà, sarebbe potuta diventare una mia nuova preda, o magari una buona amica.
"Salve"
, disse lei poi interrompendo i miei pensieri.
"Allora tu sei Delilah, eh? Quella che ieri sera aspettava il principe azzurro davanti al pub."
, dissi io facendomi sfuggire uno strano risolino. Lei però sgranò gli occhi sorpresa e successivamente irritata. Avevo forse detto qualcosa di sbagliato?
"Sì, ero io. Sì, aspettavo. No, non il principe azzurro."
, rispose secca volgendo lo sguardo altrove.
"Scusa, non volevo essere invadente"
, mi scusai io. Che poi per cosa mi scusavo? Che ne potevo sapere io che fosse un tasto dolente. Mi alzai e mi misi al mio posto, lasciando quello accanto a lei ad un'altra ragazza. Lei si voltò per guardarmi un attimo e poi si presentò ancora una volta alla sua nuova compagna di banco. Quella tipa che sembrava tanto carina non mi piaceva poi più di tanto. Se la tirava un po' troppo, ma magari mi sbagliavo. Il primo giorno è brutto un po' per tutti in fin dei conti, no? La vidi di nuovo nella mensa insieme a delle ragazze che la invadevano di domande. Lori aveva detto che voleva provarci con lei, nonostante gli avessi detto che la tipa non fosse poi tanto gentile come sembrava. Ma a lui piacevano le sfide, e così scommettemmo 50 sterline: lui diceva che l'avrebbe conquistata, io no. Così, alla fine delle lezioni, fuori dall'edificio, la fermò invitandola a bere qualcosa quella sera con una stupida scusa, ma lei rifiutò e io no potei fare a meno che godermi la faccia di Loris mentre la guardava andarsene via. Non riuscivo più a smetterla di ridere.
"Allora me le vuoi dare già ora o preferisci torturarti ancora un po'?"
, gli dissi io ancora preso dalle risate.
"Non sono mai stato rifiutato con tanta sfacciataggine. Sarà mia! E tu mi darai le 50 soldini bellini bellini."
rispose lui tutto eccitato al solo pensiero di quella sfida.
Andai a raccogliere le mie sorelle e tornai a casa con la testa piena di filastrocche nuove che avevano imparato e numeri nuovi che avevano scoperto.
A volte la vita poteva essere meno spregevole di quanto pensassi. A me bastava avere Noemi e Natalie, i miei due piccoli angeli, per ringraziare il mondo.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** What, if I'm wrong? ***


Image and video hosting by TinyPic

Una settimana era passata ormai ed io aspettavo impaziente le mie 50 sterline. Loris, però, non si decideva ad arrendersi. Diceva che era solo questione di tempo, che lei stava già ai suoi piedi. A volte non lo capivo nemmeno io, ma quando si metteva una cosa in testa era peggio di un ciuco! Delilah lo aveva capito ormai che Loris sbavava dietro lei solo per testardaggine. Infatti, durante una lezione di inglese che avevamo in comune, mi disse di dire al mio "amichetto" che con lei era una causa persa quella, quindi era inutile sforzarsi tanto. Quella ragazza aveva sempre un tocco di acidità nel suo tono che però contrastava col suo viso dolce e i suoi lineamenti delicati. Non vestiva stravagante come le altre, che per farsi notare sarebbero andate in giro anche nude. No. Lei indossava sempre jeans o pantaloni colorati, con magliettine particolari e una giacchettina sopra. La si notava fra le altre proprio perché era diversa con la sua semplicità. La mattina in cui Loris finalmente pagò per la scommessa persa, lei indossava la maglia di Superman. Era stretta ed andava a mostrare le sue curve ben definite. Era quel tipo di ragazza non fissata con l'aspetto fisico, si vedeva. Ma secondo me, tutta quell'aria da spavalda mascherava qualcosa, perché spesso arrossiva per delle sciocchezze in classe, nonostante l'avessi vista solamente qualche volta nelle lezioni che avevamo in comune. Era difficile non notarla dato che le stavano tutti ancora attorno. Comunque, quella mattina io e Loris stavamo seduti sulla panchina in cortile come al solito, lui a fumare la sua sigaretta ed io a raccontargli qualche cavolata. D'un tratto lo sentii strattonarmi e sorridere a più non posso. Delilah stava venendo verso di noi con un'aria a dir poco irritata, ma non credo di averla mai vista diversamente da quando era arrivata.
- Guarda guarda chi mi viene a trovare
, disse Lori tutto contento. Lei alzò un sopracciglio e lo guardò quasi disgustata incrociando le braccia al petto. Io trattenni una risata.
- Senti Don Giovanni, non so cosa tu ti sia messo in testa, ma se ti vuoi evitare una figura di merda davanti a tutti allora è meglio che molli la presa, ok?
, rispose lei senza scomporsi più di tanto. Io osservavo la faccia di Loris che per l'ennesima volta si beccava un suo "NO" netto. Non riuscivo quasi a trattenermi dalle risate.
- Ok, ok. Dimmi solo perché almeno. Ti faccio così schifo?
, replicò il mio amico non riuscendo a darsi una spiegazione a tutto ciò. Lei si abbassò quasi inginocchiandosi, parlando così faccia a faccia con lui.
- Ma no, scemo! È solo che qui tutti mi si vorrebbero fare essendo la nuova arrivata, e non so come funzioni da queste parti onestamente, ma dalle mie non vai con mezza scuola solo perché sei un po' carina. Sei un bel ragazzo, anche il tuo amico lo è, ma non per questo io devo venire con voi. Capisci?
, disse lei sorridendo. Non capii se fosse sincera o ironica. E poi mi aveva pure definito un bel ragazzo. Allora non era così vipera come sembrava. Il discorso poi filava. In effetti Loris non era l'unico a farle la corte. Immagino che appena arrivata non si aspettava una tale accoglienza.
- Beh, mi sei costata 50 sterline cara, ma per farmi perdonare che ne dici se questa sera andiamo a bere qualcosa insieme?
, disse lui sinceramente. Lei lo guardò sbuffando.
- Non capire male. Viene anche lui dai. Puoi portare chi vuoi tu. Possiamo diventare almeno amici?
, si corresse poi Lori. Lei mi guardò come cercando conferma. Io accennai un sì e lei si convinse.
- Va bene. Ti lascio il mio numero. Fanne buon uso ti raccomando! Fammi sapere. Ciao!
, disse lei mentre già aveva preso un pennarello per scrivere il suo numero sulla mano di Loris. Se ne andò sorridendo e raggiunse le sue nuove amiche. Immediatamente lui tirò fuori il cellulare e salvò il nuovo contatto. Mi diede i soldi della scommessa e mi disse che la "tipa" poteva essere una buona amica. Quasi non credevo alle mie orecchie. Usò parole come "non sarebbe giusto" o "merita un amico sincero" o altre frasi simili. Quella Delilah doveva avere poteri magici se era riuscita a risvegliare l'animo gentile del mio migliore amico. Incredibile. Aveva un non so che di misterioso che attirava l'attenzione di tutti, come una calamita. Non riuscivo a definirla simpatica o antipatica, ma entrambe le cose. Non si era mai scomposta più di tanto la "tipa", come diceva Lori. In classe sembrava sempre molto attenta e preparata. Suonò la campanella e io mi diressi all'ora di disegno, mentre Loris aveva matematica. Mentre mi dirigevo verso l'aula incontrai la mia ex per i corridoi. Feci finta di non vederla. Non avevo voglia di sentire le sue lagne ancora una volta. Aveva preso una decisione, aveva sbagliato, bene, fine. Ora che voleva da me? Mi credeva davvero così stupido? Lei però mi corse dietro e mi afferrò per un braccio.
- Nathan, ti prego. Parliamo.
, disse lei.
- E di cosa vorresti parlare Lisa?
, risposi io mentre scostavo il braccio dalla sua presa. Non sopportavo essere toccato così.
- Perché mi eviti? Non possiamo restare in buoni rapporti?
, mi supplicava quasi. Quanto era bella. Lei, il mio primo vero amore, durato troppo a lungo. Evidentemente non ero fatto per i rapporti a lunga durata io, o forse era semplicemente qualcosa che andava avanti da tempo, troppo tempo, destinata a finire. Lei se ne era accorta prima di me, perché le donne sono così, loro le cose le capiscono prima di noi. Sbagliano nel momento in cui cercano di trovare un rimedio pur di non fare finire una storia, anche se nemmeno loro nutrono più speranze. E poi cadono in una di quelle tante loro strane crisi, e sbagliano. Lisa fece l'errore di lasciarsi andare con un altro. Beh, era ormai finita sicuramente, ma non lo avevamo ancora né confessato né deciso. Quindi la finii io. Ora, dopo così tanti mesi, cosa cercava da me? Avevamo tentato di sentirci e vederci ancora, ma la cosa era inutile, ci facevamo solamente del male. Quindi troncammo anche quel post-rapporto. Lei non riusciva ad accettare che la evitassi, io ero nella fase di ricostruzione, quindi non potevo permettermi di chiudermi di nuovo in me stesso per colpa sua. Per questo capivo Loris quando si comportava da stronzo. Anche noi ragazzi soffrivamo a modo nostro.
- Ne abbiamo già parlato. Non facciamo scenate inutili davanti a tutti dai. Ciao.
, furono le mie parole mentre già mi allontanavo di nuovo. Certo, mi dispiaceva lasciarla così lì, ma era la vita che andava avanti. Prima o poi se ne sarebbe fatta una ragione, di certo non sarebbe caduta in depressione per me. Durante la lezione, il professore ci aveva assegnato il compito di disegnare solo con la matita la prima cosa che ci fosse venuta in mente in quel preciso istante. Io dovetti fare un sforzo per trovare quella giusta. Prima pensai a Delilah, non so perché, poi a Lisa, poi a Loris. Infine mi venne in mente Natalie, mia sorella. Almeno lei non era compromettente. Aveva otto anni, ma sapeva già come farsi valere. Iniziai dal volto, quei lineamenti simili a quelli di mia madre, i capelli lisci e biondi come quelli di mio padre quando da giovane li portava lunghi fino al collo. Ovviamente non riuscii a terminare in un'ora, ma ero soddisfatto del lavoro già fatto. Consegnai il mio ritratto e mi diressi alla prossima lezione, dove Loris sicuramente mi aspettava già. Incontrai di nuovo Delilah durante la lezione di Storia, e stranamente mi sorrise. Non la capivo proprio, ma la cosa non mi importava più di tanto poi. Alla fine delle lezioni andai a prendere le mie sorelle come al solito e una volta a casa mi accasciai sul divano. Avevo una fame incredibile, quindi mi feci un panino con quello che trovai e una volta sazio me ne andai in camera.

Erano le otto già, e Loris non si decideva a chiamarla. Di punto in bianco gli era passata la gentilezza e gli girava la strana idea per la testa di darle buca, come per vendicarsi di tutti quei rifiuti che aveva ricevuto da parte sua. Io stavo seduto in macchina accanto a lui e aspettavo che si decidesse quando bussarono al finestrino. Caspita che non l'avevo riconosciuta. Abbassai il vetro.
- Ehi, aspettate qualcuno? Sono uscita in giardino e ho riconosciuto l'auto...e sono venuta. Non mi hai più chiamata, hai cambiato idea Don Giovanni?
. Delilah. Tuta, maglia larga e capelli legati in un “tuppo” largo anche quello. Era bella comunque. Bella?! Alt! Carina. Ecco, già meglio. Intanto aspettavo la scusa che voleva inventarsi Loris ora.
- Ehm, no, stavo proprio per chiamarti vedi?
, e mostrò il cellulare.
- E come mai state fermi in auto davanti casa mia?
, rispose allora lei indicando la casa di fronte alla mia. Ma dov'ero stato io nelle ultime settimane che non mi ero accorto di gente che traslocava, di lei?!
- Perché io abito qui
, dissi io indicando la mia, lei si voltò e ammiccò un sorriso.
- Volete entrare mentre io mi preparo?
, ci invitò lei poi. Era diversa, era gentile. Forse non stava più sotto stress-scuola quindi si sentiva più a suo agio ora. Io e Loris ci guardammo e poi la seguimmo. In casa c'erano lei e sua madre. Beh che dire se non "tale madre tale figlia". Era una bellissima donna, certo quarant'anni non li aveva, e se così fosse, li portava molto bene. La signora Green ci fece accomodare in cucina al bancone e ci offrì qualcosa da bere. Intanto urlava alla bambina piccola che scorrazzava per casa di non combinare guai. Pensai che fosse la sorellina. La madre notò il nostro imbarazzo e ci chiese un po' di cose, le solite domande sulla scuola, famiglia, ecc., così da farci sciogliere un po'. Delilah ci mise un po' per prepararsi, ma noi non ce ne rendemmo nemmeno conto, persi nelle chiacchiere ormai. Scoprii che mia madre aveva già fatto conoscenza con la famiglia Green. Di certo non si potrebbe dire che Delilah avesse preso dalla madre in quanto gentilezza e dolcezza, o forse ancora non avevamo avuto l'onore di conoscere quel lato di lei.
- Dov'è che mi portate sta sera?
, urlò poi dal piano di sopra Delilah. Avevamo pensato di portarla al nostro pub, magari avrebbe fatto anche nuove conoscenze, e poi comunque già lo conosceva, no?
- Andiamo al pub, sai quello..
, ma non terminai la frase. Ricordai cos'era accaduto al nostro primo incontro, a causa di quel pub. Preferii cucirmi la bocca ed aspettare.
- Sono pronta!
, un gran pezzo di ragazza in mini gonna, calze nere che lasciavano perfettamente trasparire la forma delle sue lunghe gambe, maglia attillata al corpo e larga sulle braccia, scarpe alte. Mozzafiato! Fu come svegliarci da un sogno. Il brutto anatroccolo, che comunque brutto non era, si era trasformato non in cigno, ma aquila che afferra le sue prede e le porta con sè in un mondo di illusioni. Sì, perché lei non sarebbe mai stata di nessuno se non per sua spontanea volontà, e quella sarebbe stata di certo una lunga serata. Era certamente consapevole dell'effetto che aveva su di noi, sugli uomini. Sentii la madre ridere sotto sotto e mi ripresi un attimo. Loris aveva reagito come me.
- Andiamo
, disse lei rompendo quel breve e allo stesso tempo lungo silenzio che si era creato in un attimo, vi dispiace se vengo con voi? Non ho voglia di venire in moto, aggiunse poi. Aveva detto moto? Quella ragazza continuava a sorprendermi ogni giorno di più. Io avrei tanto voluto vedere il suo gioiellino, ma non potevamo metterci a perdere tempo col mio hobby preferito. Arrivammo al pub e inevitabilmente tutti ci guardavano, o meglio, tutti guardavano la nostra nuova amica. Nessuna domanda né da parte nostra né da parte sua sulla vita privata. Parlavamo delle cose più stupide, di scuola, di Londra, di gusti personali sulla musica. Ecco forse la cosa più privata che venne detta furono proprio i nostri gusti musicali. Delilah rideva sempre, e quando non rideva sorrideva. Il suo sguardo catturava quello di chiunque le ruotasse attorno. Loris aveva rinunciato a provarci con lei ormai, anche se lei non perdeva occasione per prenderlo in giro. È proprio da ammettere che ci divertimmo tantissimo quella sera. La riaccompagnammo a casa augurandoci un buon week-end e scesi anch'io dall'auto per salutare di nuovo Loris. Quando entrai in casa venni accolto da Noemi che mi saltò letteralmente al collo come una scimmietta. Come mai fosse ancora sveglia a quell'ora non lo sapevo, ma sapevo che quella notte avrebbe dormito con me. Era un'abitudine che ormai aveva: quando non riusciva a dormire stava a letto con me, le piaceva essere coccolata dal fratello. Diedi la buona notte ai miei che stavano guardando un film in salotto e mi diressi con mia sorella ancora appesa a me verso camera mia. Arrivato sul letto, si lasciò cadere. Non potei fare a meno di lanciare un'occhiatina fuori dalla finestra, alla casa di fronte. Potevo vedere la luce accesa in una camera al piano superiore. Chissà se lì dormiva Delilah. Che strane coincidenze a vole che capitano nella vita, anche se mai avevo creduto alle coincidenze. Era pure e semplice caso, che da sempre governava l'intero universo. Abbandonai quei pensieri e mi spogliai rapidamente. Non avevo problemi a dormire con mia sorella in boxer. Lei era già tutta contenta e non la smetteva di saltellare dappertutto. Ma che aveva bevuto quella sera, una bottiglia intera di Coca-Cola per caso? Ci volle un po' prima di poterla finalmente calmare. Non so quando si addormentò, io lo feci sicuramente per primo. L'indomani mi aspettava una lunga giornata di relax sul mio tesorino, non vedevo l'ora di risvegliarmi!


Hello everybody!
Questa è la mia seconda storia che pubblico, ben diversa dall'altra direi :)
In questa il protagonista come si è ben capito è Nathan e parla in prima persona. Spero che finora questi due capitoli vi siano piaciuti. Recensite per favore :( Altrimenti che senso ha scrivere il terzo capitolo. Su dai non fatevi pregare. Vi lascio qui sotto il link dell'altra storia per che non l'avesse letta, e il link della pagina di facebook così per eventuali domande o richieste mi trovate anche lì!
Grazie per essere sempre in tanti a leggere!
Kisses my dears!
/WithLoveLù.


Link: I've lost my self
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** My Ninja baby! ***


Image and video hosting by TinyPic

Il vento che mi schiaffeggiava mi faceva sentire libero. Non importava quanto pericoloso potesse essere, a me piaceva così la mia vita. Mia madre aveva rinunciato da tempo ormai all'idea che suo figlio un giorno potesse diventare un avvocato o che so io cosa. No, ero il tipico figlio maschio che non aveva voglia di studiare, ma che lo faceva per il bene proprio e soprattutto dei genitori; non avevo insufficienze a scuola tranne alcune, le solite, che andavano sempre recuperate poi agli inizi di un'estate che si sperava restasse indimenticabile. Preferivo lavorare, guadagnare qualche soldo e spenderlo per i miei vizi, se così si potevano chiamare: le moto, le maglie di Hollister ed infine come non nominare le mie Winston blu. Stavo cercando di smettere ultimamente, ma sembrava una sfida contro il diavolo. Lori mi tentava ogni volta che baciava una sigaretta. Il sapore roco che accarezzava la gola potevo percepirlo dal ricordo che ne avevo. Ero sicuro che avrei ricominciato, ma aspettare ancora un po' non noceva di certo. Mi fermai in una grande prateria, non mi ero nemmeno accorto di come era passato in fretta il tempo. Il sole stava già sorgendo. Noemi voleva venire a tutti i costi con me quella mattina, ma era troppo presto, così mi aveva costretto a prometterle che l'avrei portata quel pomeriggio stesso a fare un giro con la mia Ninja, la mia moto. Riflessi rosso fuoco andavano a contornare ogni suo angolo, tranne quelli dei motori, che scintillavano di un color argenteo sempre splendente. Ci tenevo più della mia stessa vita, e non tolleravo che me la si toccasse o guardasse troppo. Ne ero perfidamente geloso. Mi perdevo ad osservarla parcheggiata lì, appoggiata a quel cavalletto laterale che la sosteneva leggermente inclinata sotto i raggi del sole che pian piano iniziavano ad illuminarla in tutta la sua linea aggressiva, quasi cattiva. Quella linea che mi sussurrava ogni volta "guidami". Elegante, persino il codone corto a punta un po' all'insù. La mia Ninja aveva curve morbide e delicate che toccavano ogni sua singola parte, quasi si muovessero sensuali sfiorando il serbatoio non troppo imponente, che veniva seguito da un cupolino molto inclinato che stava ad evidenziare la sua vocazione sportiva e la mia per lei. Poi il sellino imbottito con cura per dargli le dimensioni perfette, su cui accomodarsi era ogni volta un piacere nuovo. Ricordavo ancora quando la comprai, i miei occhi vennero immediatamente attirati da quei grandi dischi a margherita e da quelle sospensioni che avrebbero catturato l'attenzione di chiunque, come anche le sue gomme e i suoi cerchi dalle finissime razze delicate ma robuste. Ancora ora, dopo tanto tempo, il mio cuore batteva forte al girare della chiave, quando il quadro si illuminava. Ripensando a tutto ciò sentivo come un formicolio nelle mani e mi alzai di scatto. Guardai un attimo che ora fosse sul cellulare e notai che avevo ricevuto un messaggio. Ero indeciso se leggerlo o meno, quasi non avevo voglia di tornare alla normalità. Lo infilai di nuovo in tasca decidendo così di escludermi dal mondo, come spesso accadeva. Montai in sella e premetti il pulsante rosso dell'accensione e ciò che sentii fu come un canto di una sirena, qualcosa che mi trasmetteva sicurezza. Tolto il cavalletto premetti prima la leva della frizione, morbida al punto giusto, quasi per non farle male, e inserita la prima marcia la mia Ninja partiva già, lentamente. Le mani mi tremavano dall'eccitazione e sentivo la spinta del motore. Non volevo ancora tornare a casa, troppi pensieri iniziavano a sorgermi in testa. Scelsi di percorrere il tratto con più curve dove riuscivo a sentirmi un tutt'uno con la moto, con la mia moto. Potevo sentire la voce dei miei genitori, un rimprovero continuo quando gli dicevo che tra me e la moto c'era un feeling. Non capivano, non avevano mai capito nulla in fin dei conti loro, non gliene importava molto di ciò che sarebbe stato di me in qualunque caso. Il motore e le gomme erano in temperatura ed io non resistevo più. Quasi come reazione a quei pensieri ruotai il polso sentendo immediatamente una spinta forte, ma delicata. La mia Ninja diventa quasi cattiva e l'adrenalina ancora una volta era arrivata a mille. Il mio cuore era in sintonia con il motore. Qualcosa che in pochi capivano. Forse era quello il motivo per cui tra me e Lisa non funzionò a lungo. Non accettava il mio amore eterno per la moto, ne era gelosa. Senza nemmeno accorgermene ero arrivato già ai 190 km/h e una curva stava arrivando; così mi aggrappai ai freni, potenti ma progressivi, e uniti come fossimo una cosa sola, anzi una persona sola, affrontammo la curva in piega. Lei, che aveva un'anima per certo, in quel momento faceva sì che la mia vita, la mia felicità, fosse legata a quel pezzettino di gomma che mi separava dall'asfalto. Ero certo che non mi avrebbe tradito, che non ci avrebbe tradito! In uscita da quella curva infinita aprii il gas e la mia Ninja in coppia alza leggermente il muso, quasi potesse godere di quell'attimo di eccitazione anche lei. Con occhi lucidi, abbassai la velocità, tornando a quel mondo che preferivo evitare. Un'altra giornata con la mia principessa era passata, ma non potevo che sorridere al solo pensiero di quante avventure avrei ancora passato insieme a lei.
- Si può sapere dove sei stato di prima mattina?!, furono le parole di mia madre che mi accolsero calorosamente.
- Vuoi che ti risponda sinceramente ed iniziamo a litigare o vuoi che menta?, e detto ciò me ne andai direttamente in camera mia. La sentii sbuffare e lamentarsi. Noemi se ne stava ancora a letto, sorrideva nel sonno. Cercai di essere il più silenzioso possibile così da non svegliarla. Cacciai il cellulare dalla tasca e mi appoggiai sul divano che avevo vicino alla finestra. Mi venne in mente di aver ricevuto un messaggio, e quindi andai a leggerlo. "Dove te ne vai di mattina presto con quella panterona? xoxo", numero sconosciuto. C'era qualcuno che mi spiava per caso? A primo impatto pensai a Lisa, ma lei non avrebbe mai definito "panterona" la mia Ninja. Allora chi diamine era? Pensai e ripensai a chi potesse essere, fino a che non decisi di fare la cosa più semplice, chiamare a quel numero.
- Pronto?, quella voce mi sembrava così familiare, così dolce e calorosa. Ma chi era?
- Ciao...ehm, ho ricevuto un tuo messaggio ma non ho il tuo numero, quindi non ho la più pallida idea di chi tu possa essere, dissi molto sinceramente mentre cercavo di non svegliare mia sorella.
- Ahh, bene bene, quindi non sai chi sono eh?, rispose la voce molto divertita dal mio status di ignorante. Sembrava avere una certa confidenza con me, eppure non riuscivo riconoscerla.
- Mi sa proprio di no, risposi quasi seccato, forse troppo. Più che altro ero curioso di scoprire chi mi osservava così presto al mattino, chi mi pedinava. Va bè non esageriamo ora, ma chi vuoi che ti pedini Nathan.
- Affacciati alla finestra, a quelle parole fu come vedere la lampadina accendersi sopra la mia testa. Allungai il collo e spostai la tenda, ma dovetti allungarmi tutto per aprire anche le persiane. Ed eccola lì, seduta sul tetto della casa di fronte, a ridere, potevo ancora sentirla. Delilah. Era lì che mi salutava con la mano.
- Allora sei tu che mi spii, dissi io ricambiando il saluto ed aprendo la finestra.
- Io non ti spio affatto. Mi rilassavo sul mio tetto e ti ho visto, disse lei scrollando le spalle e sorridendomi.
- Stai lì su da questa mattina?, constatai poi io rendendomi conto di ciò che mi aveva appena detto. Noemi si mosse appena, disturbata da me e dalla troppa luce che iniziava ad illuminare la camera. Mi voltai appena e quando tornai a fissare la casa di fronte, lei non c'era più. Istintivamente cercai un cadavere nel suo giardino, ma poi la vidi alla finestra.
- Allora?, mi ero disconnesso per un attimo, totalmente perso tra i miei pensieri.
- Come scusa?
- Ti ho chiesto se ti va di venire da me così non spendi troppo in telefonate
, fu la sua risposta seguita da una fragorosa risata. Si sarà accorta del mio non essere presente. Feci sì con la testa e chiusi la chiamata. Feci in modo che in camera tornasse di nuovo il buio e molto silenziosamente uscii di nuovo. Per fortuna mia madre non era più in giro, ed io potevo sgaiattolare via senza troppe domande. Delilah mi aspettava già davanti al suo cancello. Mi aspettava con un sorriso che non le avevo mai visto in viso. Credo che non l'avevo mai vista così gentile fino ad allora. Mentre attraversavo la strada mi fermai a pensare un attimo. Perché stavo andando dalla ragazza scorbutica che il mio migliore amico ancora mal vedeva? Era riuscita ad attirarmi a sé con quel suo sguardo magnetico.
- Rischi di morire sotto quell'autobus se non ti muovi, mi svegliò ancora una volta la sua voce. In effetti mi ero fermato proprio in mezzo alla strada e in lontananza si poteva già vedere l'autobus avvicinarsi sempre di più. Quasi correndo la seguii entrare in casa, in quella casa che già conoscevo. Ma questa volta mi fece strada per andare in giardino. Ciò che vidi non era un semplice prato verde con le solite sedie intorno ad un tavolo e qualche fiore qua e là, come il mio ad esempio. No, io mi ritrovai catapultato in un altro mondo. Chiunque avesse costruito quel posto doveva essere un artista nato. Sembrava essere nel mondo di Alice nel paese delle meraviglie. C'erano davvero funghi alti quanto me e altri piccolissimi ovunque. Lo stesso valeva per fiori di ogni genere. Mi ero perso ad osservare ogni dettaglio mentre lei si era accomodata su una panchina a forma di bruco gigante. Mi lasciò perquisire quel posto senza fare domande, mentre io ne avevo sicuramente tantissime, come un bambino.
- Questo posto è incredibile!, dissi infine quando terminai il mio giro escursionistico.
- Ti piace?, chiese lei ammirando il giardino.
- È...come dire...diverso, non sapevo in quale altro modo descriverlo. Lei mi regalò un sorriso molto sincero e si alzò. Fece delle piroette canticchiando qualcosa, io la guardavo bizzarro. Si sentiva certamente a casa sua. È a casa sua deficiente!
- L'ho creato io, disse poi mentre si accomodava sull'erba viola, sì perché l'erba era viola.
- Tu hai creato questo posto?, mi prendeva forse in giro? Ma lei si limitò ad annuire. Fu una tale sorpresa per me scoprire che avevamo non solo la passione per le moto, ma anche quella per l’arte in comune. Mi stava già più simpatica “la tipa”. Da una casetta su un albero sbucò fuori, facendomi letteralmente prendere un colpo, una bambina, la stessa che avevamo già visto la scorsa volta.
- Lei è mia sorella, ha quattro anni ed è una peste, non farci troppo caso, disse quasi sbuffando. Mi limitai a sorridere pensando che io in casa dovevo sopportarne due di pesti, non vuoi accomodarti?, ma non riuscivo proprio a sentirmi a mio agio, così con una scusa banale le dissi che ero passato solo a salutarla perché mia madre mi aspettava. Lei non fece troppe domande, quasi avesse intuito il mio disagio. Tornai a casa mia dove mi ricordai di non aver più chiesto nulla su quella mattina, quando mi aveva visto. Dovevo aver fatto la figura del perfetto idiota. Ma che ti prende, ti sei rincretinito appresso a quella per caso? Se Lori m’avesse visto si sarebbe certamente fatto la risata dell’anno. Non c’era nulla di strano in fin dei conti se Delilah mi sarebbe piaciuta, cose che capitavano tutti i giorni. NO! Non a me, non ora che finalmente ero di nuovo libero. Scossi la testa per scacciare quegli stupidi pensieri. Sei ridicolo Nathan. Ma quale ridicolo! Era meglio tornare a casa e chiamare Lori per un giro in città. Ovviamente era disponibile come sempre per una fuga da quel quartiere dove stava, pieno di gente ricca, come la sua famiglia, in cui lui però non si rispecchiava affatto. Saremmo andati a Londra secondo i suoi piani. Il tempo come spesso accadeva, prometteva pioggia, ma non ci sarebbe stato di intralcio di alcun modo. Londra mi avrebbe regalato certamente un’altra di quelle giornate indimenticabili, come solo lei sapeva fare, magari seduto sulla mia Ninja, se non fosse per quel “cagasotto” di Loris che urlava come una femminuccia appena sfioravo i 100 km/h, aggrappandosi a me fino a soffocarmi. Noemi era già sveglia e mi ricordò la promessa fattale. Decisi di portarla il giorno dopo, il che le fece portare il broncio con me per quasi tutto il pomeriggio, mi bastò un bacino e un po’ di gelato per farle tornare il sorriso in viso, e ovviamente il giro in moto il giorno dopo. Mentre aspettavo che il tempo passasse sentii come un rombo, che mi fece tremare tutto. Un suono così familiare eppure non mio. Mi voltai di scatto verso la finestra della cucina e feci giusto in tempo. Vidi solo dei capelli sventolare al vento e due gambe nude appoggiate ad un gioiello color cielo. Caspita! Era proprio bella. Lei o la moto Nathan? Ma che discorsi sono questi! La moto, ovvio, almeno credo. Lei la conoscevo appena poi. Però una donna su una moto era proprio un sogno, una combinazione che non aveva rivali. Delilah non era la tipica ragazza vanitosa, questo si era già capito, ma chi avrebbe mai pensato che fuori dalle mura scolastiche si trasformava in una motociclista. Stavo decisamente iniziando a farmi troppi filmini mentali, con lei vestita in pelle, sexy come non mai. Stavo letteralmente iniziando a dare i numeri. Ancora una volta mi ritrovai a scuotere il capo, sentendomi ancora più idiota di prima. Finalmente Loris arrivò, senza preavviso come al solito, quindi dovette aspettare che mi preparassi. Uscii di casa congedandomi con un semplice “esco, faccio tardi”, ma non credo che ai miei importasse poi tanto, considerando che erano rinchiusi da ore nello studio di mio padre a litigare come pazzi. Per fortuna le bambine erano dai vicini a giocare con le loro amichette. Loris fece finta di niente; conosceva bene ormai la mia situazione familiare, non servivano parole per descrivere quella vergogna. Sì perché io me ne vergognavo. Mi vergognavo ogni volta che ci ritrovavamo tutti e cinque a fingere di essere la famiglia perfetta e felice che tutti vorrebbero, mentre a casa scoppiava la guerra tra coloro che avrebbero dovuto insegnarci a vivere. Ma che vita fantastica che avevo! Se facevo qualcosa, era solo per i miei due piccoli mostriciattoli, che non meritavano di subire ciò che avevo già subito io. Aspettavo con ansia il giorno in cui ci avrebbero tutti riuniti intorno al tavolo dopo una buona cena, una di quelle che preannunciano una brutta notizia. Attendevo il momento in cui mi avrebbero chiesto “Nathan, ci dispiace ma è meglio per tutti noi prendere strade separate. Tu potrai scegliere la vita che vorrai.”, e boom, in quel momento io scoppierò a sbraitare come un matto dalla rabbia, o forse no, vorrò evitare quella scena alle piccole. Si sarebbe tutto deciso nel momento in cui sarebbe accaduto, perché sapevo che quel momento ormai stava arrivando. Ringraziai il cielo ancora una volta, di avermi almeno regalato persone come Loris, che con una pacca sulle spalle mi disse “te la caverai vedrai”, come se avesse intuito i miei pensieri, come un vero amico, un fratello. Entrai in macchina e lasciai che mi portasse dove voleva, dove volevamo: Londra aspettaci!




#Tadaaaa!!!
Lo sooooo vi ho fatto aspettare tanto, ed è imperdonabile!!! Però scusate..la mia motivazione era zero date le vostre recensioni inesistenti (tranne una..cucciola grazie...sei la mia salvezza!!!). Quindi vi prego..lasciate un commentuccio tanto per sapere che vi fa cagare quello che scrivo..eh? ;) sudddddai che non vi chiedo mica la Luna.. *gne gne*
Cooooooooomunque..spero sia di vostro gradimento..davvero..soprattutto la parte della moto, che ovviamente non ho fatto da sola ma con l'aiuto di un mio caro amico (Lorenzo..mio caro tessssoooro! Grazie!) fanatico di moto, quindi chi meglio di lui poteva aiutarmi???? NESSUNOOOO :D (*leccatina-time*).
Babeh! Se questa volta mi lascerete na recensione qui..più di una..posterò entro i prossimo giorni, altrimenti non lo terrò una priorità..non deludetemi dai!
/WithLoveLù.

A voi i rompibolllsss link:

Link: I've lost my self
Link: Lucy (pagina facebook)
Link: sto anche su Twitter

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** I can't go on! ***


Avevamo deciso di starcene in auto, a fumare. Già, avevo ufficialmento ripreso. La pioggia sbatteva contro i vetri del veicolo, creando quel suono che ci infondeva tranquillità. Avevamo acquistato delle birre e due menu al Burger King. Chi passava nemmeno ci notava, tanto indaffarato era a proteggersi con borse, giornali o ombrelli dal bagnarsi. D'un tratto squillò un cellulare e istintivamente sia io che Loris ci apprestammo a cercare ognuno il suo. Senza nemmeno accorgercene, avevano suonato entrambi contemporaneamente. Un messaggio da un numero sconosciuto. Diceva: "Salve a tutti amici ed amiche. Io sarò il vostro nuovo incubo da...ORA! Non tentate di rintracciarmi, saranno sforzi vani. Limitatevi a sapere... ;)".
- Leggi un po' qua che strano sms mi è arrivato, mi stava dicendo il mio amico, mentre stavo per dirgli la stessa cosa io. Lo guardai un po' perplesso e iniziando a convincermi di una strana idea, la confermai quando lessi le prime righe sullo schermo del telefonino.
- Che scherzo è questo?, risposi io mostrando a Lori i due messaggi che avevamo ricevuto. Chiunque fosse costui o costei, ci dava già sui nervi. E poi cosa voleva dire con "il vostro nuovo incubo"? Ognuno di noi aveva la coscienza pulita quindi non poteva ricattarci proprio con nulla. Inizialmente pensai addirittura a qualche casino dei miei genitori, ma poi ragionando non capivo cosa c'entrasse Lori. Quindi di certo era uno scherzo. Poi nel messaggio c'era scritto "amici ed amiche". Forse lo aveva ricevuto anche qualcun'altro. Ci bevemmo qualche birra sopra e presto lo dimenticammo. Sulla via del ritorno, però, di nuovo i nostri cellulari squillarono all'unisono. Ancora una volta perplessi ci guardammo in viso, quasi sospettassimo la stessa cosa. Il sospetto venne ben presto sostituito da certezza. Di nuovo il numero sconosciuto ci mandava lo stesso sms: "Non ho voglia di aspettare! Se non avessi qualche informazione non inizierei in fin dei conti. Quindi all'opera! Come notizia d'apertura vorrei parlarvi della fame nel mondo, o meglio, dell'anoressia. Approposito di anoressia, quindi, potrei iniziare con la testimonianza di Cindy Styles, che ancora va vomitando in giro per raggiungere il peso perfetto che mai avrà. P.s.: ops, era forse un segreto? ;)".
- Cindy Styles anoressica?, commentò Lori. Ma che diavolo significava tutto ciò? Qualcuno che andava a spifferare i segreti altrui in giro quindi? Era forse una specie di "Gossip Girl" in chiave reale? Non ci credevo. Poteva davvero diventare un incubo per qualcuno tutto questo.
- Ma cosa ci importa, avrà i suoi problemi. Chissà che altro verrà fuori e che casino succederà a scuola. Ma chi cavolo ha avuto un'idea così stupida?!, non che mi preoccupassi di me, ma ero quasi certo che prima o poi sarebbe arrivato il mio turno con chissà quale idiozia.
Quel brutto scherzo non aveva affatto alleggerito la mia giornata. Mi facevo sempre più problemi del dovuto. Loris già lo aveva dimenticato, mentre io continuai a rimuginarci sopra per tutta la notte. Quegli ultmi giorni non erano certamente stati i più belli della mia vita, perché non riuscivo a smettere di pensare a che situazione di disagio c'era in casa. Non so bene quando mi addormentai, ma so benissimo quando mi svegliai, anzi, quando mi svegliarono. Le urla di mia madre e le porte che sbatteva dietro di sè avevano lentamente infastidito il mio sonno. Cercai di attenuare quel fastidiosissimo rumore prima con la coperta, poi aggiungendovi il cuscino, che però non portò a nulla se non a togliermi l'ossigeno. Volevo solo poter scappare da quella vita che non mi ero scelto. Sapevo che presto la situazione sarebbe sfuggita dal controllo. I litigi si stavano facendo sempre più frequenti negli ultimi mesi e noi stavamo subendo troppo. Egoisti, parte integrante del loro stupido mondo ideale, si erano dimenticati di amare i loro figli. Chi? Le due persone che mi avevano concepito. Con uno scatto più che irritato, rabbioso, lanciai coperta e cuscino dall'altro lato del letto, colpendo appena il porta CD vicino alla finestra. Mi alzai quindi già con la luna storta. Quel giorno non sarei andato da nessuna parte. Non ero in vena di ciondolare qua e là per l'istituto come un depresso, con tutti gli occhi addosso. Aprii di poco la persiana per vedere che tempo facesse, e l'occhio mi cadde sulla finestra illumiata, da cui di si vedeva avvolta in una specie di manto un corpo minuto ed esile. Delilah. Iniziavo lentamente a sorprendermi io stesso di quanto fossi interessato ed attratto da quell’essere così misterioso. La vedevo andare avanti e indietro per la camera, con quella vestaglia che a stento la seguiva, tanto rapida era nei movimenti. Per un attimo mi aveva rapito, facendomi dimenticare il putiferio che si stava scatenando in camera mia. Mi voltai di scatto quando vidi Natalie entrare abbracciata alla sua copertina preferita, piangendo. Anche lei era stata disturbata quella mattina. Non ne potevo più. Mi corse incontro barcollando. La presi in braccio accarezzandole i capelli, ma era talmente stanca che si riaddormentò fra le mie braccia immediatamente. Dopo averla sistemata nel mio letto, chiusi lentamente la porta alle mie spalle e decisi che quel giorno sarebbero state molte le cose che avrei lasciato alle mie spalle. Pieno di rabbia che lentamente cresceva dentro me, spalancai la porta che fino a un attimo prima ci aveva separato dalle urla di quei due estranei in casa mia.
- Smettetela!!!, gli urlai contro io, interrompendoli bruscamente. Mi guardarono quasi offesi di essere stati interrotti. Non si rendevano davvero conto di quanta sofferenza avevano portato in quelle mura.
- Separatevi, divorziate, ma lasciateci vivere in santa pace per favore! Non vi sopporto più! Fate schifo come genitori!!! Credete che le Noemi e Natalie non soffrano! Ma che razza di persone siete! Giuro che chiamo un’assistente sociale o quel che sia se vi sento anche solo una volta litigare ancora!, il mio tono era rimasto duro, tagliente, fermo. Mi guardavano con rimprovero. Mai avevo alzato la voce così contro loro due, ma ora ero davvero stanco di quella vita che non mi ero cercato. Uscii sbattendo la porta. Corsi in bagno e mi chiusi dentro. Avevo ancora il fiatone per le scale fatte di corsa. Nemmeno un giro in moto sarebbe stato capace di eliminare tutta l’ira che conservavo dentro in quel momento. Mi appoggiai al lavandino in legno. Avevo quasi voglia di spaccarlo a furia di calci. Quanta accuratezza nel scegliere l’arredamento, per poi farne cosa? Calmati. Ma cosa c’è da calmarsi?! Nessuno poteva capirmi, nessuna ci aveva mai provato! Mi spogliai e mi precipitai sotto la doccia. Ogni gesto era frettoloso. Cosa rincorrevo? La felicità forse. Ma sarei mai stato veramente capace di provare una gioia tale? L’ultima volta che ero riuscito a stare bene completamente è stato grazie Lisa. Qualcosa gliela dovevo in fin dei conti; era riuscita a scavare dentro me portando alla luce sorrisi e dolcezza che neanche io conoscevo. Dopo, tutto era tornato di nuovo noiosamente cupo intorno a me. Esistevano solo gli amici, la moto, l’alcool, la famiglia sconquassata dai problemi continui, la scuola… Spinsi la leva verso il lato che mi avrebbe inondato d’acqua gelida, e così fu. Sentii le vene congelarsi dentro, la pelle in un attimo si era irrigidita facendomi venire brividi di freddo. Spinsi la leva verso il muro, per fermare quella tortura. Perché vuoi farti del male? Perché non mi resta altra scelta! Avvolsi l’asciugamani intorno ai fianchi e andai a vestirmi. D’un tratto fu come se quel getto d’acqua ghiacciata mi avesse reso più forte. Fu come sentire una scossa dentro attraversarmi tutto. Uscii di casa e misi in bocca una Winston Blu accendendola, riscaldandomi appena l’aria che filtrava nei polmoni, lasciandovi chissà quanta roba cancerogena. Non riuscivo proprio a capacitarmi di come potessi sopravvivere a quelle giornate tristi. Ancora una volta, però, il mio sguardo venne catturato da una figura dalle curve tutte al posto giusto. Smettila di guardarla così e chiudi la bocca che stai sbavando. Possibile che neanche ci conoscevamo bene e già mi piacesse tanto? Lo avevo davvero appena pensato? Avevo appena ammesso che Delilah Green mi piacesse? Impossibile. Sarà stata la rabbia e il nervosismo che ancora mi stavo portando dentro quella mattina.
- Tutto bene?, dovevo essermi dimenticato di toglierle lo sguardo da dosso, perché nemmeno mi ero accorto che aveva attraversato la strada per venirmi in contro.
- Certo, risposi con tono più deciso di quanto pensassi. Continuando a fumare la mia sigaretta e non togliendole gli occhi di dosso. Lei si voltò sbuffando, palesemente a disagio. Mi sorpresi dell’effetto che potevo ancora avere sulle ragazza, soprattutto se la ragazza in questione era Delilah. Non era facile metterla in soggezione, e se c’ero riuscito io, qualcosa doveva pur valere.
- Ti va di farmi vedere di nuovo il tuo magnifico giardino incantato?, non so perché lo feci, ma pensavo fosse un buon modo per farmi perdonare la scortesia della volta scorsa e per distrarmi un po’. Si voltò facendo ondeggiare quelle delicate chiome castane sopra la spalla.
- Andiamo…, e tirandomi per un braccio mi trascinò con sé fino dentro casa sua. La seguii, ma non nel giardino, bensì in camera sua. Salimmo le scale in silenzio, e io avevo ancora la sigaretta in mano. Accese le casse collegate all’iPod e prese un tiro dalla mia sigaretta lanciandola fuori dalla finestra poi. La guardavo perplesso. Vidi nei suoi occhi una strana scintilla. Si accomodò su una poltrona rosa in fiori e incrociò le gambe come in attesa di qualcosa. Io come un idiota ero rimasto lì impalato senza batter ciglio. Poi qualcosa in me mi attirò a lei che non smetteva di guardarmi in modo a dir poco invitante. Non pensai se fosse giusto o sbagliato, se avesse avuto conseguenze o meno, mi avvicinai solamente tirandola per una mano verso di me, facendo scontrare i nostri corpi. Come calamite che si attraggono anche da lontano, unimmo istintivamente le nostre labbra in un bacio passionale che ci trascinò sul suo letto. I nostri corpi continuavano a sfiorarsi in modo pericoloso, le mie mani avevano iniziato ad esplorare sempre di più sotto la sua maglietta. Le sue avevano percorso la mia schiena giocherellando.
Cosa stai facendo Nathan! È un gioco pericoloso questo, rischierai di bruciarti!

 
 

 
Cucuuuuuuus! Ispirazione improvvisa. Periodo un po’ no per me, quindi non ho avuto né tempo né “voglia” di scrivere. Ma ora, dopo taaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaante settimane, ecco che vi aggiorno la storia. Non è un capitolo troppo lungo, perché il prossimo lo sarà un po’. Ho già in mente cosa succederà.
Ok lo so mi odiate perché ci ho messo tanto, ma spero mi perdoniate xD
Va be, qui di sotto i soliti link.

Pleaseee leggete! :(
KissKiss
Lù.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Are you kiddin' me? ***


Image and video hosting by TinyPic


- No!, e due mani veloci scattarono contro il mio petto, sbattendomi contro il muro.
Troppo bello per essere vero! Non dissi nulla. Quella era decisamente una brutta giornata.
- Scusa, non volevo, è che... Voglio, ma, non toccarmi..., rimasi alquanto confuso a quelle parole. Mi voleva ma allo stesso tempo non voleva, o almeno era ciò che avevo capito, anzi, non capito.
- Non preoccuparti, è stato uno sbaglio venire qui, e feci per alzarmi. Ma due mani mi tirarono facendomi dolcemente cadere sul suo seno. Quell'elettricità che prima ci attraeva l'un l'altra era scomparsa, e un senso di incompletezza e tristezza aveva preso quel posto. Con Delilah era sempre tutto una sorpresa, ci si poteva aspettare di tutto. A lezione poteva arrossire improvvisamente oppure rispondere con tono disprezzato al professore. Era imprevedibile. Ma d'un tratto ripensai alle sue parole. "Non toccarmi". Mi aveva allontanato non appena avevo tentato di toccarle la schiena. Immediatamente pensai che forse si vergognava. Ma allora perché non aveva reagito fin da subito. Allora pensai che si vergognasse di qualche cicatrice o qualcos'altro. Temevo a chiederglielo, ma volevo poter rimediare all'errore fatto, seppur involontario. Mi alzai ritrovandomi con i suoi occhi che vagano distratti da chissà quali pensieri. Non si era nemmeno accorta che la stavo guardando da minuti ormai. Poi si voltò quasi furiosa per poi addolcire di nuovo quel suo viso palesemente teso e nervoso.
- Vuoi parlarne?, le chiesi solamente. Ero pronto anche ad una sberla, ma ricevetti indecisione.
- Non saprei dove iniziare, confessò poi, ma non volli interromperla. Voleva parlare e l'avrei ascoltata, perché solamente poterle stare accanto mi infondeva tranquillità e tornare nella mia casa mi rabbuiava la mente al solo pensarci.
- Credi che il mondo sia giusto?, e mentre lo diceva scattò in piedi. Iniziò ad andare avanti e indietro per la stanza. Si fermava, mi guardava, annuiva poi negava; sbuffava e tornava a sedersi. Era decisamente in uno stato confusionale.
- Non è mai stato facile. Non l'hai notato? Non hai visto che manca qualcuno? Quella specie di essere umano che mi ha concepita e che continuamente mi fa sentire sbagliata! Non hai notato che non ci sono nemmeno foto sue?!, continuava ad insultare questa persona, che iniziavo a capire fosse il padre. Doveva averle fatto tanto male per reagire così. Poi d'un tratto collegai le due cose.
- Ti ha picchiata?!, dissi sorpreso. Era più un'affermazione che una domanda. I suoi occhi si spalancarono e divennero lucidi. Colpita e affondata.
- Mi ha picchiata? No. Mi picchiava! È diverso! Ero il suo più grande errore e probabilmente lo sono ancora. Se fosse stato un drogato o un alcolizzato... Ma che assurdità dico??!! Non lo giustificherei nemmeno in un'altra vita! La sua vita si era illuminata all'improvviso diceva, ma io ero una macchia perenne nel suo tragitto verso non so quale dio. Voleva iniziare una vita religiosa, ma io gli sporcavo la coscienza! Come se l'avessi deciso io di scopare e rimanere incinta di me!, gridò forse con tutte le sue forze, per poi cadere fra le mie braccia e scoppiare in lacrime, che aveva trattenuto fino ad allora.

- Sei sicuro di stare bene?, chiese Loris. In effetti non potevo dire di aver passato una bella giornata. Dopo lo sfogo di Delilah ero tornato a casa, per altro vuota. Un bigliettino con su scritto "cucinati", mi invitava a cucinarmi appunto. Essendo quindi solo feci l'unica cosa giusta da fare, chiamare il mio migliore amico. Ovviamente, lui era corso da me senza troppe domande, doveva aver già capito che qualcosa non era andata per il verso giusto. Alla sua domanda annuii solamente, continuando a mangiare quel pezzo di pizza ai funghi e olive che avevamo ordinato.
- Ho capito, per questa sera niente discorsi seri, e diede un boccone anche lui al suo trancio di pizza. Ci incamminammo verso il salotto, e preso posto entrambi il più comodamente possibile, guardammo tutti quei programmi tipo "takeshi's castle", dove non ridere era praticamente impossibile. Senza rendercene conto poi, la notte era iniziata a calare, la luna luccicava alta attorniata da tanti puntini bianchi. Loris doveva andarsene, e io sarei rimasto di nuovo solo, con solo la Luna a farmi compagnia. Non pensai nemmeno a dove potessero essere i miei. Quasi non m'importasse. Salutai il mio amico e preso dalla noia ripulii la cucina dal casino fatto con le pizze. Da solo quei programmi in TV non facevano più ridere, e la spensi. Mi ritirai in camera, sperando che la musica potesse offrirmi la giusta compagnia, ma quella sera nemmeno la musica voleva stare dalla mia parte. Così presi una delle mie vecchi amiche, l'accesi e appoggiatomi coi gomiti sul davanzale della finestra, feci un bel tiro, inebriandomi i polmoni di quella sensazione pungente. Nemmeno la finestra di Delilah era illuminata ancora. Chissà cosa stesse facendo, e chissà quanta forza le era costata andare avanti in questi anni, fingendo sempre che tutto andasse bene. Ma io quella sensazione la conoscevo anche fin troppo bene. Era un gioco teatrale tutti i giorni per me. Dal dare il buon giorno a dare la buona notte, ammesso che venissero dati. Le uniche due ragioni che ci facevano andare avanti, erano quelle due pulci che correvano tutto il giorno per casa sbraitando come matte. Ora litigavano, ora cantavano, ora danzavano. Piene di energia e piene di vita. Già, ma dov'erano rimasti che non tornavano? Decisi di provare a chiamare, ma stranamente mi rispondeva la segreteria telefonica sul numero di entrambi i miei genitori. Fuori poi un temporale aveva iniziato a lanciare fulmini e tuoni, il che non creò affatto una bella atmosfera intorno a me. Strani pensieri iniziarono a percorrermi la testa. E se fosse capitato qualcosa? Non avrei mai potuto perdonarmelo! Volli aspettare una mezz'ora ancora, tempo che sembrava non volere finire mai. Silenzio. Nessun cenno di esistenza. Allora fumai un'altra sigaretta, e affacciandomi alla finestra vidi Delilah in camera sua che si muoveva frettolosa come sempre. Immerso in quei pensieri, sobbalzai quando il telefono di casa suonò. Penso che in così tanti anni quella doveva essere la terza volta che lo sentissi squillare. Quasi non mi ricordavo di avere un telefono fisso in casa. Risposi. Riagganciai. Avevo sentito troppo. Rabbia e solo rabbia, lentamente, iniziava a ribollirmi nelle vene. Sentivo il calore del sangue affluirmi in viso. Avrei potuto ucciderlo se fosse stato lì! Prendere Ninja ora, sarebbe stato un suicidio. Necessitavo urgentemente di una distrazione. Chiamai Delilah e le chiesi se poteva venire  a farmi compagnia, ne avevo tanto bisogno. Quando arrivò trovò la porta aperta. Non chiese nemmeno dove fossi. Sentii solo la porta chiudersi e poi bussare a quella di camera mia.
- Mi hai trovato, pensavo te ne fossi andata, dissi io sinceramente.
- Non è stato difficile. E poi mi hai chiamata, sembravi piuttosto turbato, e lo sembri ancora. Qualcosa che non va?, certo che non si lasciava sfuggire nulla lei.
- Ti andrebbe di fare una cosa fuori dalle righe?, chiesi io poi notando nella sua espressione uno strano sorriso.
- Intendi continuare ciò che avevamo iniziato?, caspita! Non so come faceva, se leggeva nel pensiero o altro, ma era davvero formidabile quando capiva al volo! Io d'altra parte, annuii solamente guardandola dall'alto verso il basso. E mentre mi stava già addosso e i nostri baci ancora una volta si confondevano nell'ansia e nella voglia, squillò il telefono. Istintivamente ci staccammo, ma non volli rispondere e l'attirai di nuovo a me, gesto al quale lei non si oppose. Il suo respiro si faceva sempre più affannoso, come anche il mio.
- Siamo sicuri? Voglio dire, non ci conosciamo nemmeno, disse lei preoccupata e insicura. Forse per la prima volta vidi insicurezza nei suoi occhi.
- Io so che sei una ragazza mozzafiato e guidi una moto, hai progettato il tuo giardino e hai sofferto molto; aggiungo altro?, in risposta mi regalò un dolce sorriso e le sue labbra sulle mie. Poi però pensai che il sesso per rabbia non avrebbe giovato a nessuno dei due, e avrebbe solo potuto complicare le cose tra me e lei, che non aveva colpe in fin dei conti. Allora mi fermai.
- No, hai ragione. Vieni qui, e feci appoggiare la sua schiena contro il mio petto. Non aveva replicato, sapeva anche lei che era la cosa giusta da fare. A un certo punto bisogna capire che la vita ci mette di fronte a delle scelte e non c'è destino o dio che decida per noi. Noi creiamo le situazioni e solo noi possiamo decidere come proseguirle. Si capisce a una certa età che crescere non significa essere sempre seri e noiosi, ma essere maturi e divertirsi comunque. Ecco, quella era una di quelle situazioni in cui ragionai da maturo. Negare l'attrazione fisica che c'era tra me e Delilah sarebbe come dire che il Sole gira intorno alla Terra. Ma sapevo che conoscendoci meglio forse poteva piacermi aldilà dell'aspetto fisico. Poteva nascere un'amicizia o magari qualcosa in più. Ma in quel momento mi bastava averla lì accanto a me. Sapevamo entrambi a cosa correvamo in contro e inconsapevolmente lei mi aveva fatto sentire di nuovo vivo. Se fosse giusto o sbagliato non lo sapevo, ma ero certo che portandomi così oltre al confine della serenità, lei aveva risvegliato il Nathan che tanto Lisa aveva amato. Ero così esausto di fare quella corsa agli ostacoli che la vita che non mi ero cercato mi aveva fatto affrontare, che persino il pensiero di potermi innamorare ancora non mi spaventava. Per quella creatura misteriosa che ora abbracciavo, sentivo di poter rischiare tanto. Per la prima volta nella mia vita, seguii il mio istinto senza curarmi dalle conseguenze. Avevo perso tutto e l'amore era la mia ultima spiaggia. Quella telefonata mi aveva letteralmente spiazzato. Ora c'era solo Nathan e nessun altro; o forse qualcun altro c'era. Vita, perché ti diverti a giocare con me se sai che non ho via di scampo?




Link: I've lost my self
Link: Lucy (pagina facebook)
Link: sto anche su Twitter

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Broken. ***






Image and video hosting by TinyPic






 

Era la musica che la rendeva felice più di ogni altra cosa. Un sorriso le nasceva non forzato, su quel viso sempre imbronciato , teso, ma comunque sempre sognante. Delilah era così, viveva in un mondo tutto suo, e lentamente ci trascinava dentro anche me. Non riuscivo ancora a capire però, se quel suo modo di fare con tutti, me compreso, nascondesse una maschera che nascondeva la vera lei. Era sincera e diretta, ma chi aveva imparato a conoscerla e a "conviverci" ogni giorno (Loris ed io), sapeva che ogni suo sorriso non arrivato dalla musica o da un bel pensiero, era voluto. Voluto così spesso da venirle ormai naturale sorridere sempre alla vita di tutti i giorni, quella stessa vita che la stava turbando. Ma Delilah era maledettamente introversa e mai avrebbe parlato delle sue emozioni. Aveva delle amiche, le altre le criticava tutte, perché tutte troppo vanitose. Le chiamava "le tipiche cheerleader". Non aveva tutti i torti, ma essendo uomini, o forse sarebbe meglio dire essendo maschi, il mio migliore amico ed io annuivamo solamente quando lei sclerava; il che non faceva che peggiorare le cose, dato che capiva che noi annuivamo perché disattenti. Era divertente vederla aguzzare lo sguardo e minacciarci di prenderci a sberle. Era dolce e buffa. Ci volevamo bene, ci capivamo.

Nell’ultima settimana eravamo spesso usciti insieme tutti e tre, finendo sempre le serate nel suo giardino. Verso le dieci, dieci e mezza, Loris se ne andava e noi restavamo soli. Ci facevamo le coccole, ma mai di più. C’era tanta di quell’attrazione che saremmo potuti saltarci addosso da un momento all’altro, ma avevamo troppa paura entrambi, così ci limitavamo a piccoli abbracci e a dolci carezze. Mi piaceva poterla stringere fra le braccia e accarezzarle i capelli, mentre lei chiudendo gli occhi mi raccontava qualche nuova storia presa da chissà dove.
Tutto questo feeling fra noi tre, e soprattutto il flirt continuo fra me e lei (che Loris stranamente accettò senza obiezioni; doveva avere già qualche altra preda sotto tiro), ci portò un giorno ad una furiosa discussione in cui qualcosa si ruppe irrimediabilmente.
Pioveva e al solito entrammo in mensa per sederci al tavolo triangolare, come ormai d'abitudine da qualche settimana. Lisa passò e, senza che io me ne accorgessi nemmeno, mi lanciò un occhiataccia (secondo le testimonianze: Loris e Delilah). Delilah involontariamente si lasciò sfuggire un pensiero ad alta voce.
- Che stronza!!!
Nonostante Lisa fosse la mia ex ormai da tempo, scattai in avanti.
- Cosa hai detto?, il mio tono era irritato e me ne meravigliai da solo.
- Cosa?, rispose lei seccata come al solito; non si era davvero accorta del suo commento.
- Non permetterti mai più di chiamarla stronza!, fu la mia risposta, sporgendomi ancora di più in avanti.
- Chi?, disse ancora lei, non capendo subito di chi si trattasse. Evidentemente per lei “Lisa” era un nome come un altro e non era associato per forza alla mia ex.
- Lisa!!!, urlai allora io, tanto da far girare chi stava seduto ai tavoli vicini…e lontani. Come se non s’impicciassero già abbastanza dei miei affari. E come se non bastasse si girò anche Lisa. Molto probabilmente si era sentita chiamare, il che la fece tornare indietro. Si avvicinò a me, ma prima squadrò bene chi era seduto con me al tavolo. Poi, con una certa naturalezza di fece posto e si accomodò su di me. Negli occhi di Loris vidi il terrore. Aveva già capito prima di me cosa sarebbe successo da lì a poco, infatti scuoteva la testa desolato e rassegnato. Delilah mi guardò sospetta. Feci spostare Lisa sulla sedia accanto, nonostante lei si opponesse. Non capii quel suo comportamento. Cosa voleva ora da me?
- Mi hai chiamata? Non c’era bisogno di farti sentire da tutti, sarei venuta comunque tesoro, e così dicendo vidi la fura scatenarsi negli occhi di Delilah. Gelosia. Era gelosa? Sembrava essere furiosa perché qualcuno stesse invadendo il suo territorio. Era interessante vedere quella nuova reazione in lei. Non credevo, fino ad allora, che ci tenesse tanto a me. Ma ben presto mi resi conto che ci teneva molto di più.
- No, scusa, cioè sì, cioè no…, e conclusi con la mia mano che mi colpì la fronte, come per auto schiaffeggiarmi. Che cretino! Non riuscivo a mettere due parole insieme. Come me ne sarei uscito ora? Dov’era finita la mia sicurezza, la mia determinazione?
- Ti senti bene?, chiese allora ancora Lisa, ridendo di me e appoggiando la testa sulla mia spalla. Quello che provavo era disagio, non potevo descriverlo altrimenti. Non volevo che ci fosse lei accanto a me, era sbagliata tutta quella situazione, eppure non riuscivo a reagire. Loris e Delilah non avevano aperto bocca. Potevo solamente percepire la gamba di Delilah che accelerava il ritmo sempre più. Quel breve silenzio venne interrotto bruscamente poi.
- E tu saresti?, senza far intendere di volersi staccare da me, lanciò quella domanda fredda e tagliente. Fu la dichiarazione di guerra. Delilah scattò in piedi senza smettere di fissarmi. Mi stava uccidendo con lo sguardo, mi stava implorando di fare qualcosa. Ma io non riuscivo a reagire, mi chiedevo perché.
- Io sono non sono affari tuoi, tu chi sei che ti presenti qui e fai come se fossi a casa tua?!, il tono era decisamente cambiato; sì era decisamente salito di quale decibel.
- Cara, e una risata fragorosa ed ironica venne sprigionata dalle labbra di Lisa, tu dici a me che sono fuori posto? Amore, ma non le hai detto che io e te siamo stati insieme? Stiamo cercando di risolvere le cose sai?
“Amore”??? Come mi aveva chiamato???
Delilah mi lanciò un’ultima occhiataccia di rabbia, che presto si trasformò in dolore, quando vide che io non mossi ciglio. Vi lessi delusione, e vidi per la prima volta quel muro cadere. Purtroppo, a causa mia. Restai ancora immobile.
- A quanto pare sono io quella di troppo qui allora. Ci vediamo Loris., e se ne andò. 
- Risolvi questo problema coglione!, mi disse poi Loris prima di rincorrere Delilah. Con quest’ultimo rimprovero rimasi solo con la mia ex, e gli occhi di tutti puntati addosso.
Lascia cadere la testa tra le mani, sperando che voltandomi Lisa non ci fosse più, ma le mie speranze erano vane. Lei se ne stava lì, sorridente, compiaciuta, con un’aria di vittoria in viso. Che stronza. Ero proprio un coglione allora! Delilah aveva ragione, e tutto quello era accaduto per averla minacciata su qualcosa che a quanto sembrava condividevo pienamente. Mi alzai per andarmene, ma una leggera presa mi riportò giù.
- Dove pensi di andare? Finalmente siamo soli, senza il tuo amichetto o quella stronzetta., se prima avevo sentito irritazione per il commento di Delilah, per quello di Lisa sentii rabbia.
- Non provarci nemmeno Lisa! Cos’è, per caso hai un problema? Non riesci ad accettare che finalmente io mi sia ripreso dalle tue cazzate trovando qualcun altro?, fui tagliente come non mai, e me ne andai. Sentivo lo sguardo di tutta la sala puntati addosso. Prima che potessi allontanarmi del tutto sentii Lisa imprecare “Cosa avete tutti da guardare così, eh?”.
Da bravo codardo, qual ero, sarei dovuto scappare, ma il mio cuore voleva cercare lei. Loris aveva detto di risolvere la questione, e lo avrei fatto. I problemi sembravano volermi perseguitare. Mi amavano. Ero una calamita per loro. Questa volta, però, non avevo intenzione di lasciarmi sopraffare.
Mentre correvo verso casa mi chiedevo ancora perché non avessi trattenuto Delilah, come mai avevo lasciato che Lisa la umiliasse. Perché era quello che era successo no? L’aveva trattata come se fosse lei l’intrusa. Conoscevo Delilah e sapevo dove poterla trovare. Quando arrivai a casa sua ero indeciso se suonare o passare dal giardino furtivamente. Loris mi rese le cose più facili aprendo la porta di casa.
- Ti odia per averla fatta sentire una nullità. E per questo si odia. Non vuole più vederti e vuole vendicarsi contro Lisa. Sta sotto il fungo viola.
- Grazie, fu l’unica cosa che gli dissi. Lui se ne andò lasciando me indeciso sulla porta. Entrai chiudendola lentamente. Potevo sentirla singhiozzare. Mi sentii male. Era colpa mia. La facevo stare male. Corsi istintivamente in giardino e quando la vidi andai ad abbracciarla. I miei occhi volevano piangere con lei, ma io protestai e stringendoli il più che potevo rimandai le lacrime da dove erano venute. Non era il momento di piangere, ma quello di raccogliere le lacrime della ragazza che amavo. L’amavo davvero? Non ci pensai più di tanto. Lei protestava insultandomi e picchiandomi, ma nessuna delle due cose era fatta con troppa forza. Era esausta e si arrese presto sotto la mia stretta.
- Lasciami andare, tornatene dalla tua Lisa!, urlò. La sia gelosia mi faceva impazzire, impazzire d’amore. Era così dolce mentre nascondeva il viso nel mio petto.
- No, non ti lascerò andare. L’ho fatto una volta. Sono uno stronzo lo so, ma io non ti lascerò andare., protestai io prendendole il viso fra le mani e guardandola negli occhi. Erano neri e bagnati, come il trucco che aveva messo per mascherare la sua bellezza e che ormai le colava lungo il viso.
- Cosa vuoi da me ora? Perché non te ne vai?, disse lei mentre mi inchiodava con lo sguardo, freddo e distante. Ma io non risposi. Il mio atto eroico e coraggioso finì lì, per non so quale motivo. Abbassai il viso ormai disarmato dai suoi occhi feriti.
- Già, ormai il tuo silenzio va di moda. Vattene, sparisci, altrimenti ti giuro che ti prendo a calci!, disse lei mentre col naso tirava su e una lacrima silenziosa le scappava. Le credevo, eccome se le credevo.
- Vattene, mi implorò un’ultima volta Delilah, mentre io cercavo il suo viso, sprofondato ormai nelle sue mani, fra le sue ginocchia. Mi alzai deluso di me stesso, odiandomi per quello che le stavo facendo. Me ne stavo andando di nuovo? Ero un vero coniglio. Ma restare lì non sarebbe servito a nulla. Anche lei mi odiava no? Probabilmente anche Loris la pensava così, e anche Lisa, e chiunque altro. Attraversai la strada senza nemmeno guardare, poteva passare anche un TIR e investirmi, non avrebbe avuto alcuna importanza. La mia vita era uno schifo totale, facevo stare male le persone, io stavo male. Ero un depresso del cavolo. Girai la chiave nella serratura, mi diressi in cucina e osservai quanti oggetti taglienti ci fossero intorno a me. Per un attimo l’idea mi sfiorò, poi tornai in me e pensai che ero doppiamente coglione. Salii in camera aprii la finestra e osservai la casa di fronte. Il garage si aprì e come un razzo quella moto sfrecciò verso il bosco. Immediatamente ebbi la sensazione che qualcosa di brutto sarebbe successo se non l’avessi seguita. Presi la giacca e le sigarette e corsi dalla mia Ninja. Quel rombo mi era mancato. Tanto. Misi il casco e partii anch’io seguendo la sua scia. Non sapevo dove lei fosse esattamente andata, ma qualcosa mi diceva che voleva stare sola e quindi non si sarebbe diretta in posti affollati. Il solo pensiero che le potesse accadere qualcosa mi sfiorò il cuore pugnalandolo. Sarebbe stata colpa mia, e io non potevo permetterlo! Diedi un’accelerata facendo lievemente impennare la moto. Non mi avrebbe fermato niente…
Dimmi amore, perché vuoi giocare con noi? Lascia stare lei, prendi me…







Saaaaaaalve mon cheeeeers! Mi odiate, volete uccidermi..lo so -.-' MA! Ho avuto taaaaaaanti problemi, anche se non sono perdonabile. Cercherò di scrivere con regolarità, tipo una volta a settimana. Ma voi leggete e commentate, recensite soprattutto. Vi prego. Non sapete quanto mi possa essere di aiuto! Comunque non mi perderò d'animo e continuerò a pubblicare.
Spero vi piaccia come la storia stia proseguendo. Ora basta che mi starete già mandando insulti da ogni lato! :'D
A presto col prossimo capitolo!
/Lù.


Qui di sotto i soliti link! :)


Link: I've lost my self
Link: Lucy (pagina facebook)
Link: sto anche su Twitter

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** I'm in love with you, but it's not easy to admit it.. ***








Image and video hosting by TinyPic





 
Delilah

Percepivo le lacrime insinuarsi tra le fessure che si erano create tra il casco e la mia pelle. Scendevano, calme e tranquille, calde e bagnate. In netto contrasto col fuori: freddo, asciutto, tagliato dal vento che la velocità del mio gioiellino creava intorno a me. Diedi un altro colpo di accelerazione, Nolldzh scattò in avanti. Stupida deficiente! Ma cosa ti piangi ora? Già, non c’era proprio nulla per cui valeva la pena di piangere. O magari si. Scorsi dallo specchietto una moto che mi inseguiva. La riconobbi subito. Spesso mi ero intrufolata in quel garage di nascosto, per ammirare quella moto, per provala… Mi sentii quasi in colpa per  aver approfittato di lui in un certo senso. Ma lui aveva fatto ben peggio. Mi aveva umiliata. Mi aveva illusa. Perché meravigliarsi, in fondo a lui cosa poteva importare di una come me? Una ragazzaccia scontenta dalla vita penosa. Ma no, non mi interessava la sua pietà. Credevo che per una volta nella mia vita avessi raggiunto la felicità!
 


*flashback

- Corri, corri! Tanto ti prendo! Dove sei finita ora?, a volte sembravamo due bambini. Nell’ultima settimana ci eravamo provocati, pizzicati, guardati, attratti. Ma mai una parola che dicesse “ti voglio”. Sempre tutto nei limiti. Io portavo tutto dentro, e lui portava tutto dentro. Troppo orgogliosi entrambi per cedere a quel gioco, che sapevamo, ci avrebbe scottati certamente.  
- Lumacone! Non sei capace di raggiungermi, e gli saltai addosso da dietro prima che potesse accorgersene. Cademmo entrambi a terra sull’erba ancora fresca e bagnata del mattino. Il silenzio regnava intorno a noi, solo le nostre risate unite alle nostre corse, interrompevano quella quiete. Con uno scatto si piazzò su di me con in viso ancora i resti di una risata. Mi guardava, mi penetrava l’anima. Sentivo il mio cuore accelerare i battiti, il viso colorarsi certamente di rosso. Percepivo il mio petto andare su e giù per il respiro irregolare. Calmati. Continuavo a ripetermelo, inutilmente. Avrei voluto dirgli di smetterla di fissami in quel modo, ma la verità era che anche io stavo ammirando quei suoi occhi color nocciola che mi facevano andare in tilt ogni volta che si poggiavano su di me. Distolsi lo sguardo, non riuscivo più a reggere i suoi occhi che mi scrutavano così intensamente. Sapeva che effetto aveva su di me, e se ne approfittava, perché aveva capito ormai la mia debolezza per lui. Mi sentivo come una bambina coccolata, una bambina grande però. Fino a quel momento non era su di me col corpo, ma stava sospeso reggendosi sulle braccia. Nell’attimo in cui mi girai però, sentii lentamente il calore del suo corpo invadere il mio. Chiusi gli occhi sperando che quello strazio così piacevole non finisse più. Lo odiavo, odiavo i suoi momenti così maledettamente sensuali. Il vento aveva preso il posto delle nostre voci. Non sapevo se era il vento o le sue labbra che si erano poggiate sul mio collo che mi fecero venire dei leggeri brividi lungo tutta la schiena. Era una sensazione nuova quella. Non era semplice volersi. Lui mi bramava, lui mi desiderava, ma non mi prendeva. Temevamo di farci male. Lascia che lui continuasse a baciarmi lungo il collo, la spalla scoperta, per poi salire al mento e fermarsi lì. Volevo morire. Così per me era solo più difficile. Mi accarezzò il viso e lo portò verso di lui. Aprii gli occhi e notai che sorrideva soddisfatto. Per quanto potesse sembrare sbagliato tutto quello, io restai comunque immobile lì per altri cinque minuti. Mi beai di quella visione, di quel tocco, dei suoi muscoli che premevano su di me, e avrei potuto giurarlo, ma anche qualcos’altro premeva dalle parti basse. Poi il mio orgoglio si fece sentire e mi fece scivolare via da sotto il suo corpo. Corsi alla mia moto senza voltarmi. Misi in moto e partii. Lui non mi seguì. Non mi avrebbe comunque raggiunta. Scappai, sì, scappai perché avevo paura, e lui non mi seguì per lo stesso motivo. L’amore ci spaventava. Amore? Dopo tanto tempo finalmente credevo di essermi innamorata, sì. Ne ebbi la conferma quando iniziavo ad attendere le sue chiamate con ansia, quando una mattina al suo messaggio “Buongiorno principessa brontolona! Dormito bene questa notte?”, balzai in piedi sul letto ancora incredula. Il cuore che sembrava Nolldzh quando sfrecciava e le urla che sembravano quelle di un’adolescente esaurita che attirarono l’attenzione di mia madre.
- Cosa succede???!!!, esordì mia madre col fiatone ancora in gola e gli occhi sbarrati. Ops. Doveva aver corso per le scale.
- Niente, risposi semplicemente io, cercando di trattenere il più possibile il sorriso che andava a crearsi sulle mie labbra. Maledizione, mi scopre così! Difatti con uno sguardo più assassino che altro, venne a sedersi accanto a me.
- Allora? Chi ti ha scritto il buongiorno da renderti tanto squillante oggi?, certo, non era difficile capirlo dato che tenevo ancora lo sguardo fisso sullo schermo del cellulare, su quelle parole, stupide ma mai ricevute prima di allora. Ma cosa diamine andavo a pensare? Mi stavo innamorando cazzo! No, non era possibile, non potevo permettermelo… Ma forse era troppo tardi, lo avevo già permesso evidentemente, ricordandomi della reazione di 30 secondi prima.
- Nessuno, mentii ancora, come se potessi davvero essere credibile agli occhi di quella donna, agli occhi di mia madre.
- Questo “nessuno”, e mimò le virgolette con le dita in alto, per caso si chiama Nathan?, BINGO! Non mi piaceva parlare di me, e lei lo sapeva benissimo. Ma quella volta era diversa, avevo bisogno di un consiglio. Mi sentivo in difficoltà, e non volevo più commettere errori. Ero arrivata in quella città felice, e la prima sera già mi pentii di esservi. Volevo tornare a Londra senza più ritorno, mai più. Frequentare una nuova scuola e nuova gente era per me diventato automaticamente un contro-senso e soprattutto snervante. Non volevo conoscere nessuno, odiavo tutto e tutti. Litigavo con mia madre tutti i giorni. Tutto a causa di quel bastardo che mi accolse, dandomi il benvenuto facendosi scoprire a letto con un’altra. Disgustoso. Non mi sentivo solo tradita, ma mi sentivo completamente sola. Non avevo nessuno. Niente amiche, niente più amore, niente niente. Capii solamente dopo che mia madre mi era stata accanto più di quanto immaginassi. Ma non riuscii mai a dirle scusa davvero, anche se lei lo capì comunque. Ed ora ero lì che avevo imparato la lezione, e chiedevo consiglio. Così le raccontai più dettagliatamente di Nathan e Loris che lei aveva già avuto occasione di conosce molte volte.
- Sono le uniche due persone di cui riesco a fidarmi almeno quanto basta. Mi accettano per come sono e non danno fastidio.
- Uhmmmm, disse semplicemente lei. Attesi qualche secondo prima di ricominciare. Giustamente non capiva ancora come fossi arrivata a sbraitare per un messaggio.
- Sostanzialmente Loris ci provava con me, ma non è affatto il mio tipo, troppo sicuro di sé, come coppia litigheremmo sempre. Come amico invece, credo sia fantastico, anzi, non riuscirei quasi più a fare a meno di lui e dei sui consigli stupidi e divertenti. Però c’è sempre, e questo mi rende felice. . Non mentii affatto. Loris per me era diventato davvero come un migliore amico. Potevo fidarmi di lui e lui di me. Uscivamo quasi tutti i pomeriggi insieme, con o senza Nathan, e perdeva tutte le scommesse. Sostanzialmente, però, giravo intorno al discorso, Loris di qua, amicizie di là, ma Nathan non compariva sulle mie labbra.
- Quindi è Nathan il tuo tipo? State insieme o no? Ti ha baciata?, interruppe mia madre d’un tratto in una delle mie pause. Sbarrai gli occhi fissandola incredula. Ma cosa diavolo andava a pensare?
- Ma sei matta!!, ma la voce mi si ruppe in gola, quando ricordai cosa in realtà era accaduto tra me e lui. Certo che mi aveva baciata, o io avevo baciato lui? Merda! Era ancora più grave di quanto pensassi.
- Quindi?, ripropose mia madre attendendo ancora una risposta sincera questa volta.  
- Quindi, non lo so mamma. Sto in una fase di trans. Credo...che...mi…piaccia?
- Lo chiedi a me?
- Hai ragione. Non lo so, anzi sì lo so, ma non credo di piacere a lui. O forse sì. Beh sì ci siamo baciati, ma… ahia!, e uno scappellotto mi arrivò in pieno centro dietro la testa.
- Vi siete baciati ma ancora stai in questo stato? Ma insomma!!! SVEGLIATI!!!!, mi urlò contro quella cosa che non riconoscevo come mia madre. Mi faceva quasi paura. Rivoglio la mia mammaaaaaa!
- In che senso scusa? No, aspetta ti spiego, non lo volevamo, eravamo entrambi in uno stato di rabbia per affari nostri, e ci siamo visti e quasi per sfogarci ci siamo baciati, ma ci siamo fermati subito, non lo volevamo davvero. , confessai imbarazzata. Odiavo parlare di queste cose, e sentivo il viso riscaldarsi lentamente. Cercai di nascondermi dietro i capelli.
- Qual è il problema allora tesoro?, si fece d’un tratto seria notando il mio disagio. Mi spostò i capelli e si abbassò per guardarmi meglio in viso.
- Ho paura di essermi innamorata. , ammisi infine portandomi le mani in viso.
- È una bella cosa, non c’è nulla di cui vergognarsi, mi rassicurò lei, ma non era certo quello il mio problema.
- Non credo che lo sia anche lui però.  Non quanto me. Mi ha inviato un messaggio è vero, dolce per giunta, ma poi non so, è come se si frenasse. Entrambi lo facciamo. Stiamo lì per saltarci addosso, eppure alla fine uno dei due fugge sempre. È straziante! , ed era anche vero. Sapevamo di volerci e nessuno dei due voleva ammetterlo né a se stesso tanto meno all’altro. Davanti a lui ogni forma di sfacciataggine che ero riuscita ad avere le prime settimane, scompariva. Crollava ogni muro, ogni difesa, ogni sensazione. Mi spogliava dei miei sentimenti lasciando spazio solo a quelli che provavo per lui, quelli che mi riempivano di brividi e giramenti di capo, di eccitazione e desiderio.  
- Capisco. Dovresti dirglielo allora, consigliò saggiamente mia madre. Ma certo, come no, andiamo a dirgli che sono innamorata di lui così mi ride in faccia!
- Allora sei davvero matta eh?, conclusi io voltandomi verso la finestra. Ne avevo già abbastanza, volevo concludere quella conversazione.
- Non sei più una bambina Delilah, bensì una Donna, comportati da tale allora. Vado a preparare la colazione. E preparati, perché oggi andremo a Londra., alla parola “Londra” tutto il resto della frase era caduto da qualche parte nel Tamigi che già scorreva nella mia testa, accanto casa mia che mi aspettava. Corsi in bagno, accesi lo stereo e mi infilai sotto la doccia. I’m in love with you…and all your little things”. Cantavo felice di tornare a Londra. In dieci minuti, tempo da record, avevo fatto due volte lo shampoo e riempito la stanza di odor di fragole, come il mio bagnoschiuma.  

*end of flashback
 



Mi fermai accanto al quel prato che una volta era solo mio, prima che decidessi di condividerlo con lui. Lo avevo scoperto casualmente una sera. Ma se aveva deciso di seguirmi allora quello sarebbe stato anche il posto perfetto per ammazzarlo e seppellirlo magari da qualche parte. Purtroppo quell’idea dettata dalla rabbia non avrei mai potuto metterla in pratica. Sapevo che con molta probabilità mi avrebbe incollato a sé con i suoi maledetti occhi bellissimi. Ma non senza resistere prima. Avrei lottato, gli avrei vomitato addosso tutta la mia rabbia. Attesi in piedi col casco ancora in mano, magari glielo avrei lanciato in testa in caso di complicazioni. A quel pensiero lo lasciai cadere sull’erba. Sono le occasioni che rendono gli uomini criminali, si sa. Non che potessi farlo sul serio, ma prevenire era pur sempre meglio che curare, ed io non avevo affatto voglia di curare una sua ferita sulla testa e sentirmi anche in colpa. Perché se qualcuno lì doveva sentirsi in colpa era proprio lui. Dapprima lo vidi scendere dalla moto e lasciare il casco lì, si avvicinava con  passo sicuro. Gli ultimi metri li percorse a testa bassa però. Si fermò davanti a me e il solo il silenzio regnava.
- Già, anche tu!, disse d’un tratto.
- Già, anche tu, hai capito benissimo. Anche tu sei sempre fuggita, non dare la colpa solo a me, cosa??? Voleva forse prendermi in giro?
- Che stronzo!!! Tu mi hai umiliata davanti a quella stronza della tua ex! E non dirmi di non chiamarla così perché non me ne fotte un cazzo di lei è chiaro???
- Lo so, ho sbagliato, e hai ragion…
- Certo che ho ragione, certo che lo sai! È questo che mi fa arrabbiare più di tutto Nathan!, ma le lacrime furono più forti di me e senza che nemmeno mi fossi accorta che già piangevo, mi piegai in due. Non volevo dargliela vinta. Ma lui come se non bastasse mi abbracciò.
- Non puoi abbracciarmi, non puoi farmi soffrire così, io…io ti amo lo capisci questo, maledizione Nathan!!!, accidenti! Non so quale parte del cervello avesse ordinato di pronunciare quelle parole, o forse semplicemente nascevano dal cuore. Forse semplicemente avevo seguito il consiglio di mia madre.
- Oh Delilah…, “oh Delilah” era tutto quello che aveva da dire? Naturalmente, non poteva certo dirmi “sì Delilah ti amo da morire sposiamoci alleluia!”; che sciocca che ero stata, una povera illusa.
- Io, credo che, io credo che, credo che…credo che…io…io so, che ti amo Delilah., O MIO GIOVE! Non volli credere alle mie orecchie. Ma mi costrinsi a farlo, per una volta avevo il diritto di sentirmi bene ed amata davvero anche io. Ma non era così facile, non bastava un ti amo, non questa volta.  
- Nathan, perché lo hai fatto allora? Perché non l’hai mandata via, perché hai permesso che la gelosia mi distruggesse?, volevo sapere, lo pretendevo.
- Io non lo so, davvero, furono le sue uniche parole. Valutando attentamente ogni cosa…c’era poco da valutare. L’avrei perdonato a prescindere. Lo amavo, avrebbe anche potuto mollarmi ed andarsene in quell’istante. Sapevo che non sarei riuscita a portargli rancore più di un settimana forse. Quindi decisi di ascoltare il mio cuore, senza però essere irrazionale. L’amore può rendere euforici, ma non rincoglioniti. Quello lo si è di natura.
 


 
Nathan

Quando la vidi dirigersi verso il nostro prato mi rassicurai. Forse voleva parlare. Forse dovresti essere tu a parlarle, che ne dici? In effetti avrei dovuto parlarle io, ero io che l’avevo seguita fondamentalmente. Parcheggiai accanto alla sua moto, elegante come lei che se ne stava immobile lontana a fissarmi. Mi aspettava. Il vento le scompigliava i capelli, ma lei non mosso dito per toglierseli dal viso. Mi odiava decisamente, come biasimarla d'altronde. Ero stato un vero verme. Il suoi occhi erano come ghiaccio, e mi costrinsero a piegarmi, a cedere. Mi fermai difronte a lei, ancora immobile. Le spostai i capelli per poter ammirare la sua bellezza ancora meglio. Riusciva a togliermi il fiato anche se arrabbiata. La fronte tesa in un’espressione decisamente poco felice. Ma mi aveva lasciato fare. Non volevo approfittarmene, volevo scusarmi. Mi sforzai in tutti i modi ma le labbra non vollero dischiudersi. Solo un immenso desiderio di avventarmi sulle sue labbra, invece, mi stava divorando dentro. Lei muoveva solo gli occhi. Mi spaventava quasi. Erano passati diversi minuti già. La situazione per me diventava quasi imbarazzante. Sospirai, desolato. Volevo andarmene. Fuggire, di nuovo, come avevo sempre fatto, come aveva sempre fatto anche lei. Già, anche lei era fuggita ogni volta.
- Già, anche tu!, dissi io lasciandomi sfuggire quei pensieri ad alta voce. Un guizzo nei suoi occhi le illuminò lo sguardo. Dischiuse lo sguardo come per dire qualcosa, ma immediatamente si fermò. Allora continuai io, che ormai avevo preso coraggio.
- Già, anche tu, hai capito benissimo. Anche tu sei sempre fuggita, non dare la colpa solo a me., ma quella risposta da autodifesa fu pessima. Io stesso mi resi conto di quanto patetico ero nel volermi arrampicare sugli specchi.
- Che stronzo!!! Tu mi hai umiliata davanti a quella stronza della tua ex! E non dirmi di non chiamarla così perché non me ne fotte un cazzo di lei è chiaro???, e una lacrima iniziò a colarle lungo il viso. Come inizio non era certo uno dei migliori, e mi sentivo tremendamente male a vederla stare così.
- Lo so, ho sbagliato, e hai ragion…
- Certo che ho ragione, certo che lo sai! È questo che mi fa arrabbiare più di tutto Nathan!, e un singhiozzo la porto a voltarsi, imbarazzata dal farsi vedere piangere. Si piegò sulle sue ginocchia cercando di mandare indietro le lacrime portando indietro la testa. Soffrivo nel vederla così, stava male a causa mia. Mi chinai a terra e l’abbracciai.
- Non puoi abbracciarmi, non puoi farmi soffrire così, io…io ti amo lo capisci questo, maledizione Nathan!!!, urlò allora lei voltandosi con il viso completamente bagnato da quelle lacrime versate ancora una volta a causa mia.
- Oh Delilah…, mi aveva appena confessato il suo amore e l’unica cosa che riuscivo a dirle era “oh Delilah”???
- Io, credo che, io credo che, credo che…credo che…io…io so, che ti amo Delilah., riuscii ad ammettere infine. Abbassai lo sguardo per lo sforzo enorme che avevo appena fatto, la braccia mi caddero penzoloni . Lei da parte sue alzò lo sguardo sorpresa invece. Mi fissava con stupore. Quando tornai a guardarla sorrideva dolcemente.
- Nathan, perché lo hai fatto allora? Perché non l’hai mandata via, perché hai permesso che la gelosia mi distruggesse?, mi chiese allora lei rattristandosi in viso, desolata e delusa.
- Io non lo so, davvero, e a quelle parole lei si perse ad osservare il cielo riempito di soffici nuvole bianche qua e la. Chissà a cosa stava pensando. Forse stava decidendo se perdonarmi o meno.
- Ti preferisco sicuro di te e sensuale, non sopporto quel tuo sguardo triste, disse tornando voltarsi verso di me. Non potei far altro che sorridere lievemente. Era davvero straordinaria.
- Ti tratterò come una regina d’ora in poi, le promisi allora prendendola per mano.
- Non prendermi in giro. Lo faresti anche davanti a Lisa?, chiese allora lei. Sapevo che era troppo bello per essere vero. Il suo sguardo non prometteva nulla di buono. Conoscevo quell’espressione, ed ero certo che stava tramando qualcosa.
- Immagino che non mi hai perdonato ancora quindi, chiesi arrendendomi definitivamente a lei. Le sarei corso dietro ogni giorno se fosse servito.
- No, ancora no, confermò lei, con il viso di nuovo teso. Semplicemente non voleva lasciarmi andare, ma l’avevo ferita, e questo lo avevo capito. Avrei trovato il modo di rimediare, e sapevo che con molta probabilità avremmo dovuto ricominciare tutto un po’ da capo. Ma ne sarebbe valsa la pena. Non avevo mai provato tanta attrazione per una persona, e non si trattava di attrazione fisica. Io volevo vederla, io volevo averla accanto a me, odiavo quando i ragazzi a scuola la fissavano da dietro quando lei passava lasciando stupidi commenti, odiavo quando il sorriso non le illuminava il viso. Proprio come in quel momento.
- Voglio andare a casa, disse poi alzandosi. Non avrei replicato, non l’avrei trattenuta. Forse avrei dovuto, ma non lo feci. Mi passò davanti dirigendosi verso le moto. Quando mi alzai era lì che mi aspettava col casco già messo e in sella al suo Nolldzh. Era così che lei chiamava la sua moto. Nolldzh. Per lei era maschio, il suo compagno ideale di vita che non l’avrebbe mai tradita. Per me Ninja era donna e valevano le stesse regole. Mi sono innamorato di lei, e di ogni sua piccola cosa che mi ha fatto innamorare.

 
 






Carissimiiii!!! Credo che questo sia un capitolo lungo e intenso, ma per me era un capitolo importantissimo. Il numero 7! Ha un significato speciale per me, e di conseguenza volevo che lo fosse anche un po’ per voi. Ho voluto dare eccezionalmente spazio anche a Delilah. Era il modo più semplice per farvi conoscere questo personaggio che ha una sua importanza nella storia, non solo perché è diciamo la co-protagonista, ma proprio per il suo carattere. Nathan finalmente sembra aver mostrato un po’ di sicurezza anche se per confessarle quell’amore ci ha messo 2 ore. Ma Nathan è così, tremendamente provato e testardo, sicuro di essere un fallito a volte. E sarà sempre così, quindi non aspettatevi rose e fiori. Beh, come promesso sono stata abbastanza puntuale :D
Ci vediamo settimana prossima! Fatevi vedere, sentire, leggere anche voi please! :)

Qui i soliti link che ormai conoscete a memoria ^^


Link: I've lost my self
Link: Lucy (pagina facebook)
Link: sto anche su Twitter


La vostra /Lù.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** C'mon. C'mon. Fight for this shit! ***











Image and video hosting by TinyPic







Loris
 
La campanella suonò. Uno spintone mi fece riemergere dal mondo dei sogni. Quanto poteva essere noiosa la chimica, e quanto poteva essere noioso quel professore che indossava sempre pantaloni stretti e camice a quadri infilate dentro ad essi. Aveva uno strano accento sassone, e a non ricordare male, doveva essere del Lussemburgo. Con tante scuole nel mondo proprio a nord doveva venire. Nathan mi diede un altro spintone e per poco non finivo di faccia a terra. Lo guardai male e sbruffai. Era ingestibile a volte. Ma mi aveva raccontato tutto davanti a una pizza la sera stessa in cui c'era stato l'incontro con Delilah. Sapevo che vegetava in uno stato di semi-depressione. Non avevo preso parti, anche se per Nathan dovevo essere assolutamente d'accordo con lui. Da tanto tempo ormai non ci confidavamo. Era stato strano infatti riprendere a parlare di cose serie.
- Ti vuoi alzare o no bradipo mal venuto!, urlò di nuovo il mio migliore amico.
Di malavoglia allora alzai la testa dal banco, constatando che non c'era più nessuno in classe. Con la mano sinistra feci leva per far muovere il mio corpo che non ne voleva proprio sapere invece, e con la destra afferrai lo zaino da un angolo. Non c'era rischio che tutto fuoriuscisse, perché non c'era proprio nulla dentro, se non le cuffie legate al lettore mp3, le sigarette e l'accendino.
- Andiamo in mensa?, chiesi speranzoso ed affamato.
- No, fu la risposta atona e secca.
- Ma ho fame!, protestai io allora. Che motivo c'era per non andarci? Voleva evitare Lisa? Il rischio di incontrarla era alto anche solamente uscendo di casa, quindi non capivo perché era il mio stomaco a doverci rimettere.
- Allora andrai solo, disse Nathan con franchezza e menefreghismo. Il suo comportamento infantile mi infastidì. Mi diressi verso il mio armadietto e attesi con pazienza che anche Delilah arrivasse.
- Andiamo in mensa?, chiesi per la seconda volta io, a Delilah.
- Non era ovvio?, rispose lei sorridendomi e lasciandomi un bacio sulla guancia.
Sogghignai ripensando a quando arrivò la prima volta e tutti la fissavano, a come mi odiava e a come io odiavo lei. Ora era tutto diverso, eravamo quasi inseparabili.
- Nathan non vuole…, dissi allora io molto sinceramente. E lei reagì inaspettatamente male.
- Ah non vuole, eh? Vorrà dire che mangerà da solo, girò i tacchi e s’incammino verso la grande porta della mensa.
Risi quando mi accorsi che avevano usato la stessa espressione, solo che Nathan voleva lasciare solo me, mentre Delilah voleva lasciare solo Nathan. Vuole lascare solo Nathan? Oh oh. L’ultima cosa che volevo era trovarmi in mezzo ai due litiganti. Il terzo non gode affatto, anzi la prende sempre a quel posto di solito. Appena quella porta venne spalancata un odorino di cibo invitante mi accarezzava i sensi. Avrei voluto che mi trasportasse come nei cartoni animati verso il piatto. Ma fui io a dover dare l’ordine al mio cervello di camminare. In quell’istante arrivò anche Nathan. Merda, non posso più scappare. E ora?
- Quindi hai deciso, non era una domanda la sua. Però non aveva il diritto di mettermi in quella situazione, io avevo fame dannazione!
- Delilah mi aspetta…, ammisi io.
- Aha.
- Ci vediamo a lezione dop…
- No, non ci vediamo a nessuna lezione dopo, stattene con Delilah dato che ti piace tanto, ma non illuderti, tanto non te la da., interruppe poi lui.
Prima ancora che potessi rendermene davvero conto se ne stava già andando voltandomi le spalle. Quando misi a fuoco le sue parole vedevo Delilah che mi fissava da lontano incuriosita e infastidita. Odiava aspettare. Lei non sentiva da lì, ma un senso di protezione verso di lei mi invase, o forse era semplicemente rabbia per le parole usate; era pur sempre un’amica e Nathan non aveva alcun diritto di offenderla. Così feci la cazzata di urlargli dietro, rincorrerlo e dargli un pugno in faccia. Proprio come si fa nei film. E proprio come nei film il preside era già lì in agguato in attesa di prede da rinchiudere in ufficio.
- LORIS!, sentii urlare una da una voce in fondo al corridoio, e dei passi veloci la seguivano. Iniziavano anche già a crescere un brusio e un cerchio intorno a Nathan che stava ancora stordito a terra, strofinandosi la mascella.
- Voi due! Seguitemi!, soddisfatto e tagliente fu l’ordine del preside. Delilah mi guardava con occhi sbarrati, incredula.
- Che diavolo ti ha preso???!!!, mi sbraitò contro abbassandosi su Nathan per vedere come stava.
L’ematoma iniziava già a comparire. Lo aiutò ad alzarsi, mentre io non me ne capacitavo invece. Ma lei cosa ne poteva sapere, io l’avevo difesa ed io ero lo stronzo alla fine. Non dissi nulla. Seguii solamente l’uomo occhialuto col pancione da birra e la giacca orrendamente verde nel suo ufficio. Presi posto senza nemmeno chiedere, infatti - Ho detto che può accomodarsi signorino? – fu il primo rimprovero della serie. Quindi mi alzai aspettando non so cosa.
- Lei ha fatto parte della rissa signorina Green?, chiese poi il preside Jefferson rivolgendosi a Delilah che si ostentava a voler aiutare Nathan nel camminare. Gli ho dato solo un pugno diamine, ne ha ricevuti di peggiori! Quanta scena che facevano, e quanto risultavano patetici!
- Non c’è stata nessuna rissa!, sbruffai io intromettendomi e beccandomi già il secondo rimprovero.
- Le ho per caso chiesto qualcosa? Si sieda e stia in silenzio per favore. Attenda il suo turno.
- Sì e magari prendo anche un ticket già che ci sono, ma lo dissi più fra me che altro; nessuno mi sentì, credo...
- Sono…una cara amica di Nat… di entrambi, signore.
- Bene allora può accomodarsi fuori e attendere in segreteria. Grazie.
- Ma le ho appena detto che…
- E io le ho appena detto di uscire mi pare!, e quel tono non ammetteva repliche. Delilah lanciò un ultimo sguardo di sfida e uscì, sbattendo quasi la porta.
Il signor Jefferson scuoteva soltanto la testa, come segno di disapprovazione.
- Non c'è più rispetto oggi, incredibile, commentò sconsolato. Come se la colpa fosse ovviamente sempre la nostra. Ma io mi chiedevo, si rendeva conto di quanto fosse pesante lui? I professori avevano sempre la risposta pronta a tutto. Ma credo che noi studenti avessimo sempre la domanda compromettente giusta a tutto invece. Solo che non potevamo mai porla, perché a prescindere avevano ragione loro, sempre e comunque.
- Oggi me lo sentivo che sarebbe successo qualcosa sapete? Ma io nella mia scuola non tollero nessuna forma di violenza, di alcun tipo. Ora, chi dei due vuole iniziare?, io non mi voltai nemmeno per guardare in faccia il mio migliore amico. Non capivo come eravamo arrivati a quello, ma ci eravamo arrivati, e la cosa mi faceva stringere i pugni dalla rabbia non poco. Perciò non avevo nemmeno nessuna riposta da dare.
- Non ho nulla da dichiarare, fu la risposta di Nathan. Me lo sarei aspettato. Certe questioni vanno risolte in privato e non davanti a un improvvisato psicologo moralista della scuola.
- Immagino che lei sia dello stesso parere, sbaglio?, chiese a me Mr. Quattrocchi.
- Come sempre ha ragione lei direi, ironizzai io.
Ormai ci conosceva fin troppo bene; era come una regola dello studente: mai parlare con gli insegnanti di questioni prettamente studentesche, MAI. E quella era decisamente una di quelle situazioni.
- Hmmmm…, rifletté ancora un po’ tamburellando con le dita sulla cattedra e poi disse,bene, faremo così questa volta, vi impegnerete in un’attività scolastica.
- Cosa??!!!, esclamammo all'unisono. Ci voltammo di scatto fissandoci. Lui esprimeva palesemente odio nei miei confronti, io ritornai impassibile.
- Sceglirete voi stessi cosa fare, la segretaria vi farà avere una lista e un foglio da compilare in giornata. Avete domande? No. Bene, potete andare., e iniziando ad occuparsi di altri documenti, ci liquidò così, senza nemmeno più degnarci della minima attenzione.
Mi alzai per primo e uscii. Delilah alzò la testa come in attesa di qualcosa.
- Immagino che aspetterai lui, commentai io, quasi fosse scontato. Invece...
- Ehmm...no, verrò con te, fu la sua risposta. Lanciò un'occhiataccia a Nathan che stava venendo verso di noi. Si fermò a squadrarmi in silenzio, poi rivolgendosi alla nostra amica disse - Andiamo - non aspettandosi ovviamente la reazione di lei...
 





 
 
Nathan
 
Era accaduto tutto in una frazione di secondo infinitesimale. Il mio nome, un pugno, le stelle che mi roteavano davanti agli occhi. Avevo davvero visto degli strani luccichii. Quel pugno fu così forte che persi l'equilibrio cadendo all'indietro, sbattendo la testa contro il pavimento. Doppia botta. Cazzo che male! Appena aprii gli occhi vidi Loris. Il dolore era talmente acuto che un mal di testa improvviso mi invase il cervello, tanto da non voler più funzionare, tanto da non farmi reagire, tanto da non saltare addosso a Loris e ritornargli il favore. D'un tratto Delilah era lì, accanto a me, evidentemente preoccupata. E purtroppo c'era anche il preside. Maledizione! Non di nuovo! Conoscevo già la procedura, e anche la strada che portava in quella specie di "stanza del preside". Era tutta rivestita di carta parati marrone, c'erano le tende marroni, le poltroncine marroni, la scrivania marrone, le librerie marroni, tutto era marrone. Non si sarebbe detto, ma il marrone doveva essere il suo colore preferito. Era quasi raccapricciante. Doveva essere una sorta di mania.
Molto inaspettatamente la punizione questa volta non consisteva in nessuna sospensione, anzi, tutt'altro. "Attività scolastica" aveva gentilmente proposto ed approvato da solo. Meglio mille sospensioni piuttosto che frequentare una di quelle orripilanti lezioni di educazione, cucina, attività fisica o accompagnare i bambini dell'elementari nel loro "percorso" tra i grandi. Non avevo nessuna intenzione di fare da babysitter a nessuno, né tantomeno qualcos'altro. Ma sembrava che non avessi scelta. Nessuno dei due replicò. Uscii non appena si fu alzato Loris. Dovevo chiarire assolutamente quella questione, e magari anche pareggiare i conti.
Lo trovai a parlare con Delilah, allora mi passò la voglia. Avrei chiarito poi con lui. Volevo solo stare con lei, uscire dal mondo e farmi coccolare proprio come facevamo fino a qualche settimana prima. Mi mancava il profumo che ogni volta indossava, lasciando sempre una scia piacevole e fresca, sensuale e unica, dietro di sé. Mi mancavano le sue dita che mi accarezzavano dolcemente il viso, i suoi occhi che mi scrutavano centimetro per centimetro, il suo continuo analizzare ogni situazione e, come se non bastasse, non voler mai prendere una decisione però. Mi mancava lei tutta. Notavo il suo disagio, il suo stare male, a causa mia, da come si vestiva, dal suo sguarda stanco. Semplicemente la conoscevo fin troppo bene, anche in così poco tempo. Semplicemente l’amavo. Non mi era mai successo prima d’allora.
- Andiamo, le dissi avvicinandomi, cingendola per la vita. Appoggiai il mento sulla spalla inebriandomi del suo profumo, che immancabilmente le restava sulla pelle. Quanto avrei voluto poterla accarezzare io quella pelle. Trattenni per un attimo il respiro al solo pensiero di me e lei soli.
- Lasciami! Andiamo Loris!, e scostandosi bruscamente afferrò Loris per un braccio e se ne andarono. Io rimasi immobile a bocca aperta. Ancora una volta ero rimasto come un imbecille lì, fermo, senza rendermi davvero conto di cosa stesse accadendo. Ma cosa diavolo stava accadendo? Il destino aveva deciso di prendersela con me? Come se non bastasse quello che già mi aveva fatto passare con i miei. Maledizione, dove siete andati voi invece? Bastardi!!! Scacciai immediatamente quel pensiero. Non dovevo preoccuparmene. Avevo ancora abbastanza cibo in casa da andare avanti per qualche settimana senza problemi. Poi, sarebbero certamente tornati. Avete un figlio a cui pensare stronzi, quello che avete abbandonato!!! Scacciai di nuovo quest'altro pensiero. Scappavo, scappavo ancora come un codardo dalla realtà, ma era l'unica cosa che mi riusciva davvero bene. E me la tenevo stretta. Come avrei dovuto tenere stretta a me Delilah, e avevo puntualmente fallito invece. Ma era questo che lei dunque voleva? Era questo che avevano progettato col mio migliore amico? Ebbene così sia allora. Gli avrei dato quello che volevano. Non avrei sofferto ancora per stare ai loro giochi stupidi. I miei piani vennero immediatamente sconvolti però. I due piccioncini mi aspettavano fuori dalla porta. Loris aveva un sorrisino fastidioso stampato in faccia, mentre se ne stava dietro a Delilah, appoggiato al muro. Non era lui che mi aspettava. Aveva forse cambiato idea Delilah? Lei mi stava decisamente aspettando, perché aveva gli occhi fissi su di me e le braccia tese sui fianchi, il respiro ansioso. Prima ancora che potessi solamente pensare a un "dopo" intimo e piacevole fra noi due, mi arrivò un ceffone dritto in faccia.
- Ma che cazz..,e massaggiandomi la parte sinistra della mia faccia iniziai a rendermi conto di stare per perdere le staffe. Non so quale dio dell'olimpo volle salvarmi e lasciarmi paralizzato lì. O forse, mi avevano fermato i due occhioni luccicanti, pieni di lacrime, di Delilah, pieni di dolore, quell'espressione che avevo già visto; per colpa mia, ancora una volta.

Una lacrima le solcò il viso.

Perché riesco solo a ferirti, tu che mi hai voluto dare un'altra occasione?






My dear friends! Ecco a voi il capitolo #8!!! Spero sia di vostro gradimento come al solito. Il capitolo era pronto già in realtà da qualche giorno (forse anche più), ma non l'ho pubblicato perché non vedo nè lettori, nè apprezzamenti, nè altro.
Ho deciso di pubblicare comunque, ma bho...spero che un giorno riuscirò a vedere anche io qualche recensione qui... :'(
Faccio tanto schifo? Vabbè...
Non ho altro da dire purtroppo..mi dispiace...
A presto, col #9 che sarà pieno di sorprese.
Spero di non stare qui a parlare da sola...

La vostra /Lù.


Link: I've lost my self
Link: Lucy (pagina facebook)
Link: sto anche su Twitter

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Fuck you destiny, give me my friend back! ***






Image and video hosting by TinyPic






 

Nathan

 
Natale. Un periodo dell’anno stupendo. Appena passato Halloween si avvertiva l’ansia, l’attesa nella gente, nei bambini, che non desideravano altro che il Natale. Per me voleva solamente dire un altro periodo di vacanze a casa sul divano tra pizze e TV e il mio migliore amico…almeno fino all’anno precedente.
Da quando Delilah mi aveva dato lo schiaffo non ero più riuscita a parlarle, e non ci avevo nemmeno davvero provato. Avevo lasciato che tutto restasse fermo. Questa volta non ero scappato, ero rimasto fermo, paralizzato. Loris aveva tentato di scambiare qualche parola con me, ma la mia rabbia per lui non era stata ancora smaltita del tutto, così si era allontanato lentamente anche, o forse ero stato io ad allontanarlo da me.
Mi alzai di malavoglia dal letto colpendo la sveglia troppo violentemente. Cadde a terra, e si ruppe la lancetta delle ore. Dannazione! E va bene, la giornata iniziava evidentemente male, non osai immaginare cosa mi sarebbe aspettato. Era venerdì, il che significava gente euforica per i corridoi a scuola.
Girai la manovella dell’acqua calda e poi quella dell’acqua fredda, non ero amante della sauna; orinai e poi entrai in doccia. Il getto d’acqua mi colpì bollente sui genitali! Maledizione questa mattina! E la seconda disgrazia del giorno era stata servita. Ora dovevo solo essere cauto nello scendere le scale, altrimenti rischiavo anche di rompermi l’osso del collo.
Uscii dalla doccia facendo attenzione a non scivolare. Afferrai l’asciugamani e l’avvolsi intorno alla vita. Mi soffermai per un attimo a scrutarmi. La figura nuda allo specchio sembrava un’altra persona, quello non ero io. Solo allora mi accorsi delle tremende occhiaie che mi circondavano gli occhi. Istintivamente aprii il rubinetto alla massima pressione sul lato freddo e mi gettai l’acqua fresca in viso. L’effetto ovviamente non fu quello desiderato, perché quando tornai a fissarmi avevo ancora la stessa faccia. Cominciavo a capire perché le donne usassero tutto quel trucco il mattino. Dovrebbero renderlo legale anche per gli uomini.
Tornai in camera e prima che potessi vestirmi uno strano rumore arrivò dalla cucina al piano di sotto. Mi bloccai immobilizzandomi. Un leggero tremore iniziò a pervadermi. Afferrai i primi boxer che trovai aprendo il cassetto infilandoli frettolosamente e probabilmente anche al contrario, e la mazza da baseball che mio zio mi aveva regalato qualche anno prima.
Poi d’un tratto la mazza mi cadde a terra, più o meno nello stesso istante in cui sentii il mio nome pronunciato da una voce squillante. Natalie.La porta di camera mia si spalancò, e la bambina, la mia piccola, finalmente tornava ad abbracciarmi. Non mi ero reso conto fino ad allora quanto mi fosse realmente mancata. La presi in braccio stringendola forte a me, profumava. Mi inebriai di quel odore così familiare, così rilassante. Tremavo e piangevo. Erano tornate. Erano tornati. Vidi Noemi starsene col viso tristo e impaurito sulla soglia della porta, mi osservava ma non entrava. Aveva paura, perché mai?
- Noemi! Vieni qui dal tuo “Nanata”, corri, dai…, ma lei non veniva. Abbassò lo sguardo e scosse piano la testa. Negativo.
Natalie era ancora aggrappata a me. La feci scivolare con un solo colpo sulla schiena, con le braccia che girarono intorno al mio collo come un enorme anello.
Mi avvicinai lentamente abbassandomi all’altezza di Noemi.
- Piccola, vieni qui, porgendole la mano le sorrisi. Lei si ritrasse e scappò.
- Natalie, perché scappa?, mi venne spontaneo chiedere. Ma lei fece solo spallucce, presa troppo dalla felicità del rivedermi.
Certamente non erano arrivate sole fin lì. Quel pensiero mi fece ribollire il sangue nelle vene. Sentii il cuore accelerare il battito e il respiro farsi più lento e pesante.
Era l’ora dell’affronto dunque. Erano tornati.
Scesi le scale lentamente, calibrando ogni passo, mirando lo sguardo ad ogni angolo della stanza. Finché non li vidi, entrambi accomodati sul divano, e con loro altre due persone. Da lì avrei dedotto un’altra coppia data la vicinanza che li teneva uniti. Scrollai mia sorella dalle spalle e le dissi di cercare Noemi. Poi mi diressi nel salone e presi posto sulla poltrona che sedeva di fronte ai quattro personaggi. Non ero affatto calmo, ma mi stavo impegnando a non esplodere, perché in tal caso sarei stato un vulcano in piena eruzione! Analizzai bene i due sconosciuti. Potevano essere zii che mai avevo conosciuto, l’età era quella dei miei genitori bene o male. Mia madre aveva gli occhi gonfi, aveva pianto. Mia madre non piangeva, non piangeva mai.
- Mi sono stufato di questa farsa! Dove cazzo siete stati per tutto questo tempo si può sapere?? Eh???!!! E ora tornate senza spiegazioni, senza preavviso, senza niente, proprio come quando ve ne siete andati! Devo mandarvi un fax per chiedere spiegazioni o pensate di farcela da soli? E poi, chi sono questi qua?, sbottai comunque alla fine, anche se non del tutto. Mi ero controllato, avrei potuto non finire mai con le offese, ma preferii limitarmi per ora, quello era solo il primo round.
Lo sguardo di mia madre si riempì di lacrime. Mio padre le strinse la mano, triste, cupo. Non li avevo mai visti così. Doveva essere successo qualcosa per davvero. Ma anche in tal caso, perché terne me fuori?
- Sto ancora aspettando, mi lamentai ancora io, con un tono più duro di quanto avessi voluto. Quel scenario mi faceva pena, ma la rabbia provata in quelle troppe settimane abbandonato, non la si poteva cancellare così.
- Nath..an…noi...perdonaci…, riuscì ad articolare la donna ignota. Non li conoscevo nemmeno e avrei dovuto perdonarli? Ma per cosa???
- Noi ti vogliamo bene, disse poi mio padre con voce rauca.
- Da quando?, commentai io sbuffando e incrociando le braccia al petto.
- Tesoro non puoi dire questo! Noi ti abbiamo sempre amato, sempre! Non ti abbiamo mai fatto mancare nulla!, rispose mia madre scoppiando in lacrime.
D’un tratto la rabbia aveva preso il posto della compassione, non c’era più, e io non riuscivo più a dispiacermi nemmeno di mia madre che ora si disperava con il viso nascosto dalle mani.
- Beh, vuoi saperla una cosa mamma? A me non serviva tutto questo benessere di cui vi vantate tanto! A ME NON SERVIVA IL DENARO! IO VOLEVO SOLO UN PO’ D’AMORE DANNAZIONE!!!!. Così anche il round due era stato avviato.
In quel momento Natalie corse con Noemi in braccio; a malapena riusciva a sorreggerla, mancava poco e non si facevano male cadendo entrambe a terra.
- Vai muoviti Noemi! Noemi vai da Nanata! Noemi ferma! Uffa Noemi!, ma Noemi piangeva divincolandosi, non voleva venire da me. E scappò di nuovo, lanciandomi uno sguardo terrorizzato. Natalie tornò a rincorrerla. Volevo andare dalla mia piccolina e capire cosa stesse succedendo, ma ero abbastanza convinto che fosse legato a tutto il resto, a quella strana scena patetica in salotto.
- Perché non mi vuole vedere?, chiesi titubante senza rivolgermi a nessuno in particolare.
Il silenzio ovviamente tornò a regnare. Natalie poteva non sapere o non voler rispondere, ma loro no. Mi dovevano una spiegazione per la miseria!
- Noi siamo i tuoi genitori biologici Nathan, sparò fuori come una cannonata poi d’un tratto il signore mai visto prima d’allora.
I miei occhi uscirono dalle loro orbite.
- Ma cosa cazzo sta dicendo?? Ma mi prendete per il culo? BASTAAAA!!! NE HO ABBASTANZA!!! Smettetela, no, non è vero, non è vero!, due braccia forti, familiari mi afferrarono prima che potessi calciare contro il tavolino lì affianco.
- Mi dispiace, ma è vero. Siamo qui per te, per riportarti con noi., continuò l’omone.
- Lasciami, lasciami papà! Lasciami!, iniziai a piangere fino allo sfinimento, continuando a sbraitare e ad agitarmi da ogni lato, mentre mio padre, o almeno quello che credevo lo fosse fino a pochi attimi prima, mi stringeva a sé, piangendo a sua volta.
Non potevo crederci. Li odiavo, sì, perché non mi avevano mai mostrato affetto, non erano genitori modello, affatto. Ma lui mi aveva insegnato ad andare in bici la prima volta, a guidare una macchina, una moto, la mia moto. Lui mi aveva dato lezioni di vita da uomo a uomo, lui mi aveva cresciuto, mi aveva reso quello che ero.
- Mi dispiace aver esagerato, non lo farò mai più papà, te lo giuro! Ma non lasciarmi solo, ti prego. Non le pensavo sul serio quelle cose, ero solo arrabbiato, ti prego papà…, e un’altra cascata di lacrime mi inondò il viso mentre pregavo mio padre di stringermi ancora di più a sé. Mi sentivo come un bambino abbandonato.
Ora la rabbia non c’era più, in un attimo mi ero sentito trafitto da una coltellata al cuore, allo stomaco, alla testa, ovunque.
C’era solo dolore ora.
Mi pentii di qualsiasi cosa detta e pensata, era colpa mia se volevano liberarsi di me ora e lasciarmi andare a due sconosciuti.
Era tutto così confuso, non riuscivo a controllarmi; all’improvviso delle fitte mi fecero piegare in due e cadere a terra. Mio padre fece in tempo ad afferrarmi per il collo della maglia prima che la mia testa potesse colpire lo spigolo del tavolino lì vicino. Mi raggomitolai a  terra tremolante, tenendomi le gambe strette al petto e dondolandomi da solo. La testa pulsava forte, faceva male. Sentivo la terra allontanarsi dal mio corpo, come se stessi fluttuando fra le nuvole. Continuavo a dondolarmi, ma il dolore sembrava lentamente sparire. Chiusi gli occhi, smisi di piangere. Sentivo solo le urla di mia madre minacciare chi le stava vicino mentre mi accarezzava. Come sei dolce mamma. Perché non mi coccolavi anche prima di andartene? Non fa niente io ti voglio bene mamma. Resta con me. Ero fuori di senno. Non capivo nemmeno dov’ero più. D’un tratto tante voci parlavano intorno a me, e la mia testa sembrava voler scoppiare. Loris? Delilah? Perché mi guardate? Delilah perché piangi? Non voglio che tu pianga.
- Oddio Nathan cosa ti hanno fatto. Nathan mi senti? Ti prego Nathan!, il suo tono divenne sempre più impaurito, triste, preoccupato.
 



Delilah
 
- Andiamo, muoviti. È colpa tua, e ora andremo a scusarci. A me queste scenate d’asilo non piacciono per niente!, chiamai per l’ennesima volta Loris, eccitatissimo all’idea di poter salire sul Nolldzh.
Dallo schiaffo che gli avevo dato, Nathan non si era fatto né sentire né vedere. Mi odiava. Certo, come biasimarlo; dopotutto, le uniche persone rimastegli vicine gli avevano voltato le spalle. Mi ero accorta già da un po’ che i “viveva” solo in casa. La sua famiglia non c’era, la sua famiglia lo aveva abbandonato. E nonostante sapessi il dolore che stava affrontando, da egoista lo avevo trascurato.
Avevo permesso alla rabbia del momento di prendere possesso di me, innescando una catena di dubbi verso l’unica persona che mi aveva accolto fra le sue braccia senza secondi fini.
- Credi davvero che ci perdonerà? E poi non dovrebbe essere lui a scusarsi con te? Devo ricordarti le sue parole?, era vero, in parte. Nathan mi aveva offeso, ma solo per gelosia. Loris lo aveva conciato già abbastanza bene per quel che aveva detto.
E se ciò che gli aveva dettato quella frase era stata la pazza gelosia, voleva dire che a me ci teneva, che forse mi amava davvero. Certo che ti ama stupida! Te l’ha confessato! Sì, me l’aveva confessato,  e quasi mi sveniva a terra per lo sforzo che aveva fatto. Mentre io…io glielo avevo confessato, perché dannazione sì, mi ero perdutamente innamorata del ragazzo che ogni sera osservavo alla finestra ammirandolo in tutto il suo splendore. Il suo corpo nudo ormai lo conoscevo in ogni dettaglio, scolpito da qualche muscolo sull’addome e sulle braccia. Quel tatuaggio che nascondeva un po’ più sotto dell’ascella, sotto quelle maglie troppo larghe per lui.
 - Loris, vuoi che ti scriva un copione per fartelo capire? Noi andremo lì e ci scuseremo per quello che è successo, giusto o sbagliato che sia. Lo conosci meglio di me. Usa quel cervello da canarino ogni tanto., gli dissi scherzando mentre metteva il casco e si sedeva dietro di me.
- Così mi offendi però eh, ribatté lui dandomi un colpetto sul fianco.
- Sta zitto e tieniti forte fifone, ti faccio vedere le montagne russe ora, e così dicendo accelerai di colpo facendolo sobbalzare e urlare…dalla paura.
- Vuoi ammazzarci? Rallenta psicopatica!, iniziò a protestare Loris. Sapevo che era già stato in moto molte volte, anche se preferiva l’auto, dove poteva starsene comodamente anche sdraiato. Con Nathan non aveva certamente sperimentato mai nulla di simile prima d’allora. Sapevo anche come guidava la sua Ninja Nathan, e non si spingeva mai troppo oltre se non era solo. Faceva il perbenista, ma dentro di lui, voleva certamente sentirsi libero e partire a razzo proprio come avevo fatto io poco prima per far venire un infarto al mio amico.
- Piuttosto stai fermo e tieniti forte altrimenti sarai tu a farci ammazzare, cercai di urlargli da davanti io, col vento che mi scuoteva tutta. Non portavo mai un casco di riserva, Nolldzh non era il taxi di nessuno. Quindi dovetti dare il mio casco a Loris che si lamentò anche del fatto che era stretto.
- La prossima volta ci vado io senza casco cara, mi ha ristretto il cervello questo dannatissimo coso, brontolò mentre scendeva dalla moto e cercava di sfilarsi il casco troppo stretto davvero.
Lo aiutai e poi gli risi spudoratamente in faccia. I suoi ricci sconvolti avevano preso una strana piega. Non riuscivo più a trattenermi.
- Tanto tu il cervello non ce l’hai, di che ti preoccupi, la buttai lì io prima di voltarmi di scatto verso la finestra della casa.
Mi ero fermata in cortile a pochi metri dalla porta quando ciò che udimmo ci fece ammutolire di colpo.
L’urlo di una donna.
- Andiamo., disse Loris prendendomi per mano e tirandomi verso la porta di casa di Nathan. Io ero ancora dubbiosa sul da farsi.
- Forse non dovremmo…, mi arrestai io allora, frenando anche lui.
- È il mio migliore amico! Pensi che me ne starò qui fuori a guardare o ascoltare? Può essere successo di tutto. Io entro., il suo tono così deciso mi diede sicurezza. Aveva ragione. Non potevo abbandonare la persona che amavo a chissà quale destino, dovevamo entrare.
- Io ti seguo, gli dissi convinta e affermando ancora di più la stretta delle nostre mani.
- Apro…, disse lui aprendo molto lentamente la porta. Non so dove avesse trovato la chiave; probabilmente conosceva quella casa come il padrone.
Lo scenario che ci ritrovammo di fronte fu sconvolgente. Sbarrammo entrambi gli occhi. Le bambine che correvano avanti e indietro per la cucina, senza che si fossero accorte del casino in salotto.
Nathan era a terra che piangeva, rideva, blaterava qualcosa, si dondolava con le braccia che gli stringevano le gambe forte al petto.
Loris strinse la mia mano ancora di più, fino a non sentire più il sangue che ne fluiva attraverso. Mollai immediatamente la presa, sentendo il calore tornare a riempirmi la mano.
- Che sta succedendo qua? Che cazzo ha Nathan?!, esordì Loris. Otto occhi puntati tutti contro di noi. Ops.
- Loris! Loris ti prego vattene. Andate via. Vi prego…, ci supplicò la madre di Nathan mentre lo teneva fra le braccia anche lei a terra.
Non potei resistere e corsi da lui, che sembrava un pazzo in preda a una crisi.
- Oddio Nathan cosa ti hanno fatto. Nathan mi senti? Ti prego Nathan!. Lo scuotevo, cercavo di attirare la sua attenzione, di riportarlo alla realtà, ma ormai non c’era più. Era in piena crisi mentale.
Stava subendo un esaurimento mentale.


 
 
Loris
 
Erano già le dieci e mezzo, fuori era già buio, e aveva anche cominciato a nevicare. Mancava poco al Natale, forse poco più di un mese. Non ricordavo nemmeno che giorno fosse.
La giornata più brutta della mia vita.
Poi il telefono squillò. Troppo breve per essere una chiamata, dev’essere un messaggio.
“Non vi eravate mica dimenticati di me? Sapete, anche io mi godo le vacanze. Oh, voi no? Che peccato… Certo che sono mancata solamente 2 mesetti e già ne combinate delle grosse? Volete le ultime notizie? Va bene, se mi pregate così vi accontenterò…”.
Maledizione!
Lo sapevo che questa vipera sarebbe tornata. Aveva detto che non c’era stata per due mesi. Chi poteva essere…? Chiunque!
Maledizione un’altra volta!
*Bip Bip* - “New message” – “Open”
“Non ci crederete mai, ma proprio oggi, mentre noi tutti eravamo impegnati nello studio, qualcuno ha saltato le lezioni per finire in ospedale. Reparto? Psichiatria! Nathan tranquillo, vedrai che passerà tutto. Forse Lisa ti ha mandato fuori di testa? O è stato il ceffone di Delilah? xoxo”.
Questa non ci voleva cazzo!
In quell’istante vidi Delilah con i lacrimoni correre verso di me, il cellulare in una mano, e la mano libera occupata fra i capelli: disperazione. 
- È tornata! Maledizione Loris, hai letto?!, mi urlò lasciandosi sfuggire una lacrima sul viso stanco.
- Sì, dissi sconsolato, accogliendola accanto a me con un braccio, credevamo tutti che fosse un brutto scherzo la prima volta, ma a quanto pare….
Si appoggiò con la testa sulle spalle quando la madre di Nathan uscì fuori dalla porta bianca. Ma negli ospedali tutto ero bianco. Non c’era un minimo di colore.
- Ragazzi perché non andate a casa, non serve stare qui., ci disse sforzandosi a mantenere un tono deciso, ma distrutto dal dolore e dalla stanchezza, come tutti noi.
Rivolsi lo sguardo a Delilah che però aveva fatto finta di non vedere, né sentire. Volevo dire qualcosa, ma in realtà nemmeno io avevo intenzione di muovermi da lì, quindi accennai semplicemente ad un no con la testa. Infatti bastò a far abbassare il capo della signore e mandarla via. Si diresse verso l’automatico del caffè. Si voltò mimandomi la tazzina, ma riaccennai il mio no. Non volevo bere né mangiare. Volevo solo che il mio migliore amico uscisse da quella dannatissima stanza e mi parlasse come sempre, mi guardasse dicendomi di andare a Londra, di andare al pub, di fare un giro in macchina. Qualsiasi cosa, pur di non vederlo delirare in preda al panico o chissà quale altra nevrosi. Nulla aveva senso, proprio nulla.
Da quando lo conoscevo, Nathan non aveva mai passato un periodo così terribile.
Quando tutto sembrava essersi risolto con Lisa, e finalmente aveva anche conosciuto quel gran pezzo di ragazza che mi ritrovavo di fianco, ecco che il destino le rimette tra le scatole la ex. Come se non bastasse la sua ragazza, o quello che Delilah rappresenta insomma, si allea col migliore amico e gli fanno muro. I genitori che scompaiono e poi riappaiono sdoppiati. Bho. Nemmeno nei film erano mai accadute certe cose. Vaffanculo destino, ridammi il mio amico, ridacci le vita.








*MI STO ADDORMENTANDO*
Mi spiace se ci saranno MOLTI errori, domani correggerò il prima possibile.
Vi lascio, altrimenti mi cade la testa sulla tastiera! xD
Enjoy!
/Lù.




Link: I've lost my self
Link: Lucy (pagina facebook)
Link: sto anche su Twitter

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** One. Two. Three. Kaputt. ***








Image and video hosting by TinyPic

 




Delilah

 

Abbassai lo sguardo quando vidi l’infermiera iniettargli l’ennesimo tranquillante nelle vene.
Ogni mattina entrava, controllava la cartella clinica, mi guardava di sottecchi, sorrideva, preparava la siringa, e iniettava il farmaco.
Ormai era drogato.
Ero in quell’ospedale da alcuni giorni. Dall’ultima volta che c’ero stata erano passati ben diciannove anni. Avevo saltato la scuola facendomi spedire i compiti per e-mail da una compagna.
In fin dei conti qualche amicizia ero riuscita a costruirla.
Forse era meglio dire che andavo d’accordo con la ragazza punk-rock-dark della scuola. Mi ispirava fiducia, per quello le parlai un giorno, e lei con mio grande stupore rispose.
Mi piaceva la sua cerchia di amicizie. Non erano tutti come lei, piuttosto lei era come una calamita per gli altri, attirava tutti coloro che si sentivano un po’ diversi, un po’ soli…
Io mi sentivo così, diversa e sola. Incompresa.
- Perché non esce a prendere una boccata d’aria signorina? Restare qui non lo farà stare meglio., disse la signora anziana. Me lo diceva ogni volta che entrava. Mi aveva anche già portato qualche rivista da leggere e qualche cracker per riempire lo stomaco. 
Ma io avevo bisogno di ben altro per riempire il vuoto che sentivo dentro. Avevo bisogno di lui che in così poco tempo mi aveva riempito, aveva invaso la mia anima lasciandomi ora sola. Ma lo ero sempre stata e non era un problema ripiombare in quel baratro di pensieri assurdi e imperfetti.
Scossi la testa accennando ad un mezzo sorriso, che venne accolto con una leggera carezza.
- Per qualsiasi cosa sai come cercarci, premi quel pulsante, e indicò il pulsante rosso che penzolava affianco a Nathan.
Sembrava morto.
Quel pensiero mi fece rabbrividire. Presi la giacca e il cellulare e uscii con l’infermiera che mi guardò vittoriosa.
Cercai l’ascensore e scesi al primo piano, da dove si poteva accedere ad un ampio terrazzo. Mi sedetti sul muretto che affacciava su di un laghetto artificiale. Pogai la schiena contro la colonna dietro di me.
Tutto sembrava così tranquillo, così invitante, così bello, già…così bello per chi sta rinchiuso in quell’ospedale per matti.
Nathan non era un matto però, era solo un ragazzo che aveva subito più di quanto potesse mai sostenere il suo cervello.
Misi le mani in tasca. Trovai il pacchetto di sigarette di Nathan. Aveva iniziato a fumare, di nuovo, per quanto avevo potuto capirne.
Lo guardai facendolo girare più e più volte fra le mani. Non ricordavo nemmeno come ci era finito nella mia giacca.
- Stai cercando di smettere?, non ebbi mai sentito voce più dolce e vellutata di quella.
Alzai gli occhi verso lo sconosciuto che aveva parlato.
Non ebbi mai visto nemmeno visione più divina di quella.
Rimasi a bocca aperta per qualche secondo credo. Poi misi in moto il cervello, o almeno tentai, perché dalla bocca uscì di tutto tranne che una frase sensata .
Ricomponiti Delilah!
- Ecco, no, non sono mie, riuscii a dire infine, col rossore che iniziava già a scaldarmi il viso.
- Quindi non posso fregartene una, ho capito, e si sedette accanto a me sconsolato, sorridendo, portando le braccia all’indietro, gustandosi il sole che gli colpiva il viso.
Che fai mi provochi?
- Non credo che il proprietario abbia qualcosa in contrario, non se ne ricorderà nemmeno di questo, e gli lanciai il pacchetto che afferrò molto prontamente, quando si risveglierà, se si risveglierà, e l’ultima frase la dissi più a me stessa che a lui, rabbrividendo ancora a quell’orrendo pensiero.
- Capisco, disse infilandosi la sigaretta tra le labbra in un modo troppo sexy.
È solo una sigaretta dannazione! Mi sta decisamente provocando!
- Avrei bisogno anche dell’accendino però, blaterò lui con la sigaretta ancora in bocca.
Scossi la testa e alzai le spalle.
Era un caso che le sigarette di Nathan fossero nella mia giacca, di certo non c’era anche un accendino.
- Sono sicuro che nella giacca del tuo amico se c’erano queste, e mi rilanciò il pacchetto indietro che non afferrai con la sua stessa prontezza, ci sarà anche l’accendino.
Raccolsi le Chesterfield da terra, lanciandogli un occhiataccia, prima di rielaborare ciò che aveva detto.
“Sono sicuro che nella giacca del tuo amico…”. Mi guardai le maniche, e solo allora capii.
Avevo preso per sbaglio la giacca di Nathan, senza nemmeno notare che mi stesse troppo larga.
Ero notevolmente stanca.
Frugai nelle tasche e, in effetti, trovai una scatola di fiammiferi. Tipico di Nathan.
- Vanno bene anche questi?, e glieli lanciai. Sembrava che stessimo giocando a ping-pong.
Non appena ebbe acceso la sua droga mattutina, mi guardò col fiammifero ancora acceso.
- Esprimi un desiderio e soffia, cosa? Lo guardai stupita.
- Possibilmente prima che mi bruci un dito, disse lui. Allora senza pensarci soffia immediatamente.
- Brava. Cosa hai desiderato?, Ops! Avevo completamente dimenticato di esprimere il desiderio, presa dalla paura che lui si potesse incendiare.
- Beh, in realtà, l’ho dimenticato…, ne conseguì una lunga e fragorosa risata.
- Hai dimenticato cosa hai espresso?, e un’altra lunga risata mi invase i timpani.
- No, cretino, ho dimenticato di esprimerlo, e mi voltai imbronciata a guardare una donna che aiutava la propria figlia a tenere dritta la forchetta fra le mani, mentre la ragazza non ne voleva sapere e non smetteva di riderle in faccia.
Ancora una volta rabbrividii al pensiero che Nathan potesse diventare così.
Non ti accadrà nulla amore!
- Oho, è aggressiva la tipa, ah già, lo sconosciuto era ancora lì.
- Cosa vuoi?, dissi infine.
- Niente. Devo per forza volere qualcosa?, mi rispose lui sorridendo. Aveva un’aria così sfacciata, quel sorriso arrogante stampato in viso che la sua bellezza tanto attraente non valeva nulla in confronto.
- Non dovresti parlare con una sconosciuta. Potrei essere una pazza psicopatica. Potrei ucciderti.
- Chi ti dice che il pazzo non sono io qui fra i due?. Già, chi me lo diceva?
Sembrava un normalissimo ragazzo, avrebbe portato un camice se fosse stato ricoverato lì.
Tornai ad osservare la ragazza che aveva iniziato a mangiare un po’ del pollo che aveva nel piatto sotto insistente aiuto della madre.
Era vestita come me, con jeans e maglietta.  
Tornai ad osservare il ragazzo difronte a me.
Automaticamente cercai un braccialetto o una qualsiasi cosa che potesse farmi capire che fosse un potenziale paziente.
O cavolo, sei un pazzo!
- Aha, dissi osservando il braccialetto che portava al polso destro.
- Carino vero? Un omaggio della casa., commentò ironico… com’è che si chiamava?
- Come ti chiami?, chiesi allora io, affascinata tutto d’un tratto, curiosa di voler conoscere la sua storia.
- Il mio nome è Zayn.
 
 





Loris


Accesi il motore, beandomi di quel rombo così familiare, così “normale”, così sano.
Non ne potevo più di muri bianchi, camici bianchi, letti bianchi, finestre bianche, lenzuola bianche.
Rischiavo di averlo io un esaurimento lì.
Non fare il patetico, in quel letto c’è il tuo migliore amico non tu!
Quella vocina odiosa mi tormentava ormai da giorni. Mi sentivo in colpa per aver lasciato di nuovo Delilah solo in quel manicomio. Ma qualcuno doveva pur scontarla la punizione del preside, no?
Non è un manicomio!
No certo che no, è solo un ospedale per chi ha problemi nevrotici. Lì i pazzi vengono curati e rispediti a casa…se possibile.
Delilah mi aveva contagiato con le sue paranoie. Si ostinava a voler credere che per Nathan c’erano poche speranze, che erano degli incompetenti, che lui doveva essere già cosciente e invece risiedeva ancora in un mondo a noi sconosciuto.
E non ha ragione?
Dannazione, fatti i cazzi tuoi stupida vocina! No che non ha ragione!
Lei è solo spaventata, esageratamente spaventata.
Io conosco Nathan più di chiunque altro, so che è un combattente, che non molla mai. Lui è più che cosciente, solo che ancora non lo sa…
 È assurdo ciò che dici.  
Ero in piena crisi personale. Accelerai. La macchina morì lì di colpo.
Dovresti staccare il piede dalla frizione e premere quello dell’acceleratore simultaneamente.
Se quella vocina si fosse materializzata lì accanto a me avrei commesso certamente un omicidio. Ma non potevo uccidere me stesso. Strinsi i pugni sul volante, tanto da far diventare bianche le nocche. Allentai la presa, rigirai la chiave e accelerai di nuovo. Questa volta, con  più calma, l’auto partì.
Come prima cosa dovevo fermarmi all’asilo. Controllai che le sorelle di Nathan stessero bene, e al loro posto. Più che altro, dovendo scontare la mia pena, cioè quella di seguire il gruppetto dell’asilo durante la ricreazione, ma anche all’arrivo e all’uscita da “scuola”, ne approfittavo per non perdere di vista le due piccole pesti. La più piccola faceva parte del gruppo di bambini che avrei dovuto seguire per due settimane. Ben due lunghe e infinite settimane.
-Lollo!, mi urlò da lontano Noemi. Mi chiamava così da sempre. Da “Lolo” era passata a “Lollo” e così rimase. Io la salutai sventolando le mani nell’aria.
La maestra che mi vide e mi riconobbe, ricambiò anche lei il saluto e fece entrare tutti i bambini in classe.
Natalie invece era già dentro, quindi proseguii fino all’istituto del nostro liceo, che comprendeva anche le scuole medie ovviamente. La maggior parte degli studenti era ancora fuori, aspettando che la campanella suonasse. Parcheggiai accanto all’auto della professoressa di storia. Sapevo che era la sua, perché dopo l’incidente che ebbe proprio lì, la conoscevamo tutti.
Una mattina, mentre faceva retromarcia per uscire dal suo parcheggio, senza guardare in alcun specchietto, stava per mettere sotto Nialler, il ragazzo che tante desideravano ma che nessuna otteneva. A mio parere era gay, ma magari era semplicemente sfigato. Come se non bastasse poi, per lo spavento, ingranò la prima marcia accelerando di colpo, senza guardare dove stesse andando a finire. Difatti finì per tamponare la Mercedes del preside, che si affacciò immediatamente alla finestra rimanendo basito.
La macchina della signora Cortez conservava ancora una leggera ammaccatura vicino al faro sinistro davanti.
Guardai l’orologio digitale che portavo al polso.
Le 08:24.
Avevo giusto il tempo di fumarmi una sigaretta, passare per il mio armadietto e entrare in ritardo per la lezione della Cortez.
Direi che come inizio vada bene oggi.
Soddisfatto, accesi quel tubicino di nicotina, respirandone tutto il male.
Era una sensazione unica.
Come quella che sentii sul naso quando ci cadde qualcosa sopra. Lo storsi portandovi istintivamente la mano. Poi alzai lo sguardo verso l’alto. Neve.
Sorrisi appena, forse per la prima volta dopo quella settimana estenuante.
Un tiro, due tiri, tre tiri, quattro tiri, filtro.Spensi quel che rimaneva della mia sigaretta contro il cestino che c’era lì affianco e ce la lanciai dentro. E nello stesso istante sentii la campanella suonare. Non ero l’unico ad essere rimasto fuori, a quanto pareva anche Kate stava schiacciando i resti del suo mozzicone sotto lo stivaletto.
Mi passò di fianco, e mi sorrise.
E tu dov’eri stato bocconcino, finora? È ora di riprendere forchetta e coltello!






Hi guys!
Here we are, again!  xD
Soh, let's go.
Come potete vedere Nathan dorme (xD) quindi non può parlare, ma pensa quindi nel prossimo... SPOILER!
Poi...Delilah sembra aver conosciuto un nuovo amico dunque, che per giunta è paziente del manicomio (si lo so, non è un maicomio! xD).
Ho voluto dare un po' di spazio anche a Loris, perché è un personaggio chiave anche lui e lasciarlo solo e isolato mi faceva sentire in colpa :'((.
Mi sono impegnata tanto a scrivere questo capitolo, anche se forse un po' breve. Spero che apprezzerete e fatemi sapere magari, mi farebbe piacere come al solito, anche se come al solito non ricevo mai recensioni o commenti o insomma qualsiasi cosa che mi faccia capire: CI SIAMO, TI LEGGIAMO, CI PIACE, CONTINUA.
Ma vabbè, so che alcune lettrici ci sono quindi continuerò a pubblicare :)
Alla prossima readers!
Sarò puntuale, come lo sono stata ultimamente, eh eh eh, visto che brava? ;)
xoxo
/Lù.
Non vorrei annoiarvi troppo con i miei discorsi.


Aqui, i miei soliti pochi link per voi:


Link: I've lost my self

Link:   Amore è Sognare. Sognare è Crederci   (pagina facebook)
Link: sto anche su Twitter

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Hope never really leaves us. ***







Image and video hosting by TinyPic







Nathan

 
Mi sento strano. Come se stessi sottovuoto. Come se stessi in un corpo morto.
Volevo muovermi, ma avevo capito che pur tentando non ci riuscivo. Lo capii quando aveva iniziato a prudermi la fronte e il comando inviato dal mio sistema nervoso non si realizzò, il che lo fece collassare. Sentii uno strano bip in lontananza, come se fosse dall’altra parte della strada, accelerare il ritmo.
Poi il buio che avevo davanti a me divenne ancora più buio.
I sensi, i pensieri, che almeno quelli forma e colore ce l’avevano anche se solo in modo astratto, iniziarono a roteare.
No! Non abbandonatemi di nuovo!Non lasciatemi solo, vi prego!
 
Tentai di aprire gli occhi, ma qualcosa mi trattenne, qualcosa mi tirò giù. Mi sentii precipitare, per l’ennesima volta. Scalare quella parete di…di cosa poi? Era estenuante. Sentivo che non ero solo, ne ero certo, ma non sapevo cosa mi stesse accadendo. E ogni qualvolta mi convincevo che fosse solo un sogno e volevo aprire gli occhi, il panico si impossessava di me. Deliravo dal mio interno, perché un fuori non esisteva.
Non c’era rumore se non quello della mia paura.
Non c’era colore se non quello delle mie speranze.
Subito quello strano bip ritornava a perseguitarmi e di nuovo tutto diventava un mal di testa martellante fino a portarmi al sonno.
Ma non stavo già dormendo?
Capii di essere rinchiuso in qualche strano meccanismo del cervello. Che fossi diventato pazzo per caso?
Dio ti prego aiutami!
 
Anche le speranze in Dio ormai erano cadute in quel fosso in cui stavo non solo con un piede, ma con tutto me stesso.
E dire che non capivo cosa diavolo mi stesse capitando.
Avrei potuto giurare di aver sentito qualcuno, ma rincorrerlo era impossibile. Non avevo gambe.
Non avevo corpo.
E così Dio ti sei voluto prendere gioco di me? Sai cosa allora? Al diavolo anche tu. Me la caverò da solo.
Bip.…bip.…bip.…bip..bip..bip..bip..bip bip bip bip...
 
 


 
Delilah

 
Un’altra crisi aveva paralizzato il corpo di Nathan.
Quel dannato macchinario era come un campanello d’allarme ogni volta.
Prima ancora che potesse arrivare l’avviso all’infermiera, premevo quel pulsante che l’avrebbe fatta correre da me, da lui.
Appena la porta si spalancò uscii dalla stanza.
Me ne andai ancora una volta su quel terrazzo. Non c’era nessuno, il che non era una novità considerando l’ora.
Il cielo non era stellato e la Luna era nascosta da una coltre di nubi.
D’un tratto tutto divenne ancora più buio e sobbalzai al contatto freddo di quelle mani col mio viso.
- Ma che diavolo!, dissi roteando su me stessa e ritrovandomi difronte quella figura bella anche alla luce della notte.
- Scusa, non volevo spaventarti, indietreggiò immediatamente lui.
Era diverso dalla prima volta in cui lo avevo incontrato. Sembrava più…tranquillo.
Dondolava sui piedi.
- Tutto bene?, chiesi tornando a volgergli le spalle.
Non mi importava realmente di lui, ma il suo sguardo spento mi fece provare dispiacere.
- Perché sei ancora qui? È un parente?, odiavo quando mi si rispondeva con un’altra domanda.
E poi perché tutti volevano che me ne andassi?
Loris mi pregava di tornare a casa, dicendomi che era inutile stare lì, non avrebbe certamente cambiato la situazione.
Mia madre mi implorava invece, perché aveva bisogno di me in casa e con mia sorella.
I genitori di Nathan anche, come se non bastasse.
E per concludere l’infermiera ogni giorno, anzi ogni volta che entrava, mi guardava con occhi tristi, quasi le facessi pena.
E ora ci si metteva pure lui?
- Non mi pare di invadere i tuoi spazi, sputai fuori più acida di quanto volessi.
- Perché ti metti subito sulla difensiva?, chiese con tono pacato venendosi a sedere di fronte a me, proprio come la prima volta.
Il suo viso ora era circondato dal buio, ma i miei occhi si erano già abituati, e fare qualche sforzo non mi dispiaceva affatto.
Quel che non capivo era perché mi stesse seguendo.
- Perché mi seguivi?, chiesi allora io, ignorando completamente la sua domanda. Non avevo voglia di parlare di me, figuriamoci con uno sconosciuto poi.
Al primo incontro mi aveva solamente detto il suo nome e che erano passati più di quattro mesi da quando stava lì dentro; nessuno andava mai a trovarlo, ma la cosa ormai non lo turbava più. Poi iniziò a fare domande lui, tagliai corto e tornai in camera da Nathan, che dormiva, o insomma, stava lì.
- Non rispondere con una domanda, disse lui mentre tentavo di togliermi dalla testa l’immagine di Nathan in quel dannato lettino.
- Hah! Senti chi parla!, gli dissi io dandogli una leggera spinta alla spalla.
Accadde tutto così in fretta poi che non ebbi il tempo di realizzare. Mi sentivo solamente il cuore in gola.
Lui al mio tocco cadde all’indietro, urlando; stava per cadere giù!
Io istintivamente lo afferrai per la manica della sua maglietta tirandolo verso di me e tirandoci poi a terra.
Quando mi voltai ancora tremolante, lo vidi piegarsi in due dal ridere.
Mi guardai intorno; nessuno ci aveva sentiti.
Mi portai a sedere poggiando la schiena contro il muro freddo. Le mani sulla fronte e tra i capelli.
Lui rideva ancora.
- Ma che cazzo ti ridi deficiente??!! Stavi per ammazzarti!, gli sbraitai contro, in silenzio però.
- Semmai tu stavi per ammazzare me, e poi, io stavo solamente scherzando. Non stavo cadendo., si ricompose per qualche secondo lui, per poi tornare a ridere.
- Sei un coglione! Ecco cosa sei! E ora smettila di ridere, che non è affatto divertente!, avrei voluto tanto saltargli addosso e prenderlo a pugni, andarmene via da lì, ma qualcosa mi incatenava in quel posto.
Il pensiero fisso che lui non l’avrei più potuto vedere mi trafisse il cuore come un fulmine a ciel sereno. Mi alzai per tornare in camera, quando una mano mi afferrò per il polso portandomi all’altezza del suo viso.
- Non andare, ti prego., mi disse d’un tratto. Il silenzio che in un attimo aveva avvolto le sue risate era inquietante quasi.
- Dammi una ragione per cui dovrei restare, gli dissi io mentre mi accomodavo già a terra, ancora sotto la sua stretta. Ma perché gliel’ho detto?!
E mentre mi meravigliavo ancora di quel contatto, di quella mia cedenza, lui allentò la presa, senza però staccare davvero le dita dal mio braccio.
- Tu mi basti come ragione, sospirò alzandosi, portando le mani in tasca.
Lo osservai dal basso, e mi chiesi qual era il motivo per cui stava lì dentro. Ma mi importava davvero? Perché d’un tratto m’interessava? Non lo conoscevo nemmeno. Delilah perché non chiudi la bocca e torni in camera da Nathan? La mia coscienza mi stava lentamente facendo sentire in colpa. Mi alzai anche io.
- Devo andare, gli dissi mentre mi dirigevo verso l’entrata. Mi accorsi che mi stava seguendo, ma non mi voltai.
Mi seguì fino alla stanza, poi mi voltai e non lo vidi più. Eppure ero convinta che fosse stato lì fino a quel momento. Forse avevo solo bisogno di qualche ora di riposo.
Entrando in camera notai un’espressione quasi di rabbia sul viso di Nathan.
- So che da qualche parti lì dentro puoi sentirmi amore mio, lo so che ci sei. Ti prego svegliati…, ma svegliarsi non volle, e con un bacio gli diedi la buona notte, andando ad accomodarmi sulla poltrona scomoda lì affianco.
Mi sentivo vuota, depressa, stanca, inutile.
Forse Loris aveva ragione, stare lì non giovava affatto, a nessuno dei due. Nathan non voleva svegliarsi e i medici non riuscivano a capire come diamine avesse fatto una crisi nervosa a portarlo in quello stato. Avevano fatto risonanze su risonante, tutte le analisi possibili, ma era saltato fuori nulla di nulla.
Mi voltai dando le spalle a Nathan. Poi ripensai a Zayn. Quel ragazzo era davvero strano, e non lo capivo. Non mi aveva detto perché fosse lì, mi seguiva ed era pure carino. Mi rigirai verso Nathan, e mi venne un colpo al cuore quando vidi la sua mano muoversi! Nathan!
 



 
Loris


Avevo appena chiuso gli occhi quando il cellulare fece partire una suoneria assordante. In più vibrava anche!
Voglio dormire dannazione!Ma allungai comunque il braccio per sbirciare chi fosse il disturbatore del momento. Quando lessi Delilah mi misi immediatamente a sedere continuando a fissare quel piccolo schermo. Rispondi! Certo, rispondere, dovevo solo premere un tasto…Dannazione Loris premi quel tasto!
Lentamente portai il telefono all’orecchio, spaventato.
Poteva darmi una notizia anche brutta volendo.
Ma la voce silenziosa e bisbigliante di Delilah mi chiedeva cosa fare.
- Si è mossa capisci? SI È MOSSA!!!! Oddio Lori che faccio ora? Che faccio?, ansimava silenziosa la mia amica.
- E io che ne so. Parlagli magari ti sente, no???!!!, era la cosa più ovvia che riuscii a dire. Gli occhi stavano combattendo per restare aperti.
- Ma ho paura!, disse spaventata per davvero.
- Esci, c’è sicuramente qualche infermiera in giro, dai muovi quelle chiappe sode!, cercai di tirarla un po’ su, anche se sicuramente non sarebbe servito a molto. Sentii solo un “tutututututu” continuo dall’altra parte della cornetta poi. Lasciai cadere l’aggeggio a terra e chiusi gli occhi.
Ero stanchissimo, in quella giornata erano arrivati nuovi ragazzi, e io avevo avuto il compito di farli integrare e lasciar perdere i bambini dell’asilo.
Feci lentamente scivolare il mio corpo di nuovo in posizione supina e mi addormentai subito.
 
 
Uno strano rumore mi portò a tendere l’orecchio verso quella direzione. Volevo aprire anche gli occhi ma c’era poco fare, non ne volevano proprio sapere.
Ripiombai in men che non si dica nel sonno più profondo, e questa volta nemmeno un carro armato avrebbe potuto svegliarmi!
 
 
- Non si preoccupi signora, ci penso io, disse una voce sottile e rasserenante allo stesso momento, ma, piuttosto sconosciuta.
- Va bene, ma io l’avevo avvisata, rispose invece la vellutata voce di mia madre.
Ma sembrava tutto così lontano e così sfocato nella mia mente che ero convinto di stare sognando, fino a quando almeno non venissi scaraventato letteralmente giù dal letto.
Sgranai gli occhi e per poco non andavo a finire con la capoccia sullo spigolo del comodino. Nialler??!!
- Che diamine ci fai tu qua?!, chiesi sorpreso e incazzato. Mi aveva buttato giù dal letto e stava in camera mia per la miseria!
Ma lui sembrò non dirmi affatto, anzi, sembrava concentratissimo ad evitarmi.
- Esigo una risposta, insistetti io vedendolo ispezionare la mia stanza.
Non c’era un granché, se non qualche poster dei Green Day, tanta robaccia e spazzatura, un disordine sovrumano e anche qualche foto che Delilah aveva voluto appiccicare ad ogni costo pur di costringermi a vederle ogni giorno. Erano buffe, e notai Nialler che sorrideva divertito nell’osservarle.
- State insieme?, evitò la mia domanda lui, chiedendo.
 Chi? Io e Delilah? Ma figurati se stiamo insieme. Ci sopportiamo già poco, stare insieme sarebbe impossibile e irreale, risposi non curante io.
- Uhmmm. Non c’eri a scuola, e sono tenuto ad avvisarti che alle cinque e cinque iniziamo il corso di biologia, e siamo nello stesso gruppo. Non sapevo come trovarti, quindi ho fatto la cosa più semplice che ci fosse., si giustificò andandosi a sedere sulla sedia da dove aveva gettato a terra ogni panno che vi si trovava sopra. Andava bene così. Inoltre non credevo che Nialler fosse un tipo così esposto.
Mi alzai con indosso solo dei boxer, andai in bagno e ci persi dentro più di mezz’ora. Quando uscii era ancora lì.
- Allora compagno, cos’è che succede? Si va?, prima mi guardò con un sopracciglio inarcato, poi mi sorrise.
- Caccia quella camicia dai pantaloni, sei orrendo, e così dicendo si alzò guidandomi verso l’uscita di casa mia.
- Wow! Non ci credo Niall, sei riuscito e cacciarlo di casa in meno di...aspetta che guardo…quaranta minuti!!! Sorprendente! Dovresti farci visita più presto, disse poi mia madre quando ci vide scendere dalle scale.
- Lo farò sicuramente signora. Arrivederci.
- Ciao ma., dissi io scocciato da quel suo commento.
- Loris metti quella camicia nei pantaloni!!!, mi urlò dietro mia madre mentre chiudevo la porta.
Nialler mi guardò di soppiatto, trattenendo a stento un sorriso.
- Allora Nialler, che si fa ora?, chiesi impaziente io, evitando domande stupide.
- Si va al laboratorio di biologia, cosa vuoi che si faccia., fu invece la sua risposta secca ma soffice.
Non sembrava turbato, imbarazzato, infastidito o che so io, ma non lasciava trapelare nemmeno un qualche accenno di sorriso o insomma di una qualsivoglia forma di felicità o almeno di serenità, approvazione. Insomma, di qualsiasi cosa che non lo facesse sembrare impassibile.
Ma da quel che potevo ricordare non era mai stato di molte parole con nessuno.
Poi d’un tratto ricordai la chiamata di Delilah. Non potevo lasciarla sola ora, e non potevo non esserci al risveglio di Nathan.
- Dovremmo fare una breve sosta se non ti dispiace, tanto abbiamo ancora quasi un’ora di tempo no?, pregai il ragazzo che avevo a fianco prima di entrare in auto. Sapevo che saremmo arrivati in ritardo, anzi, probabilmente non saremmo proprio arrivati a quella prima lezione insieme, ma lui non lo sapeva e quindi non me ne sarei preoccupato; almeno fino a quando non mi avrebbe ammazzato per l’odio.
Si diresse verso la mia macchina allora, aspettando che sbloccassi le sicure per farlo entrare.
Lui era solo un piccolo contrattempo; in quel momento il pensiero che Nathan potesse essere sveglio, cosciente di nuovo del mondo intorno a lui, mi inquietava tutto.
Mi mancava, e l’unica cosa che desideravo era solamente la sua guarigione da…da qualsiasi cosa avesse o avesse avuto.



Hiiiiiiiii my lovely guyyyyyyys!!!! *ü*
Mi sono fatta desiderare eh?
Beh mi dispaice un sacco davvero, ma ho avuto da fare..domani parto; il che significa che cercherò di aggiornare il prima possibile, ma non posso promettervi puntualità assoluta =/ ce la metterò tutta promesso.
Fatto sta che questo capitolo l'ho scritto. xD
So che non è un granché, non lo so, questo è uno di quei capitolo che non ti convince una volta finito di scriverlo. Era già pronto ma lo trovavo corto, e quindi l'ho lasciato in un angolino lì nella cartella sul desktop, ma ora eccolo qua, che ho completato. Anche se appunto..non me harba >.<
Beh pra vi lascio, che sono quasi le 4 U.U
Buone feste ragazzi, ma dovremmo sentirci già prima ;)

Come sempre, la vostra
/Lù.



Link: I've lost my self
Link: Lucy (pagina facebook)
Link: sto anche su Twitter

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** It's only totally so damned confused. ***









Image and video hosting by TinyPic









Loris


- Hai presente tutto quello che succede nei film quando loro due escono e iniziano a frequentarsi?
- Si.
- Dimentica tutto. Il periodo iniziale di frequentazione è il periodo in cui generalmente tutto va a puttane. Ci sono dei punti salienti che faresti bene a conoscere per prepararti al peggio, disse il moro quasi incuriosendomi.
- Del tipo?
- Regola numero uno: il fatto che siate usciti una volta non implica che uscirete automaticamente una seconda. Anche se lei è stata benissimo e tu sei carinissimo e tutte quelle boiate là. Ergo, non farti film e soprattutto non aspettarti che lei ti chieda di uscire di nuovo di sua volontà., lo guardai un po’ meravigliato tornando a concentrarmi sulla mia sigaretta poi.
Regola numero due: non mandarle messaggi subito dopo esservi visti. Primo, perché è inutile. Secondo, se poi non ha credito per risponderti cominci a chiuderti in tunnel mentali dai quali non esci più e impazzisci., proseguì Niall.
Regola numero tre: o trovi il coraggio di baciarla, oppure potrete continuare ad uscire in eterno, lei non ti bacerà mai per prima. E forse è anche giusto così. Al massimo ti concedo di fare un buon 90% in modo da lasciare a lei il restante 10. Se fai il 95% è meglio., continuò ancora il moro.
- Ma è una tortura!, commentai sbuffando e meravigliato.
- Regola numero quattro: se vi baciate non è detto che è fatta. Può farle schifo come baci o capire che per qualche assurdo motivo non sei il suo tipo., non hanno ancora finito, pensai.
- Anche se ci baciamo?, chiesi dopo qualche minuto di silenzio.
- SOPRATTUTTO se vi baciate., dissero in coro marcando con tono deciso il “soprattutto”.
- Ah...
- Ultima regola: tutte queste regole sono destinate a saltare. E forse questa è la peggiore di tutte.,che???
- Ma allora a che servono tutte queste regole?, ma Niall si limitò a sorridere e voltarsi ad osservare dalla finestra due infermiere che passeggiavano sul terrazzino.
Era passato dalla fase “ti odio da morire per avermi fatto perdere un giorno di scuola” a “potresti starmi simpatico” a “forse mi stai simpatico dopo tutto”.
Ma non era stata colpa mia se quello di Nathan era stato solo un falso allarme e ci aveva condotto ad incontrare lui.







Qualche ora prima…



Loris


I medici dicevano che c’erano stati dei cambiamenti ed annotavano ogni cosa; però di visibile, oltre a leggeri movimenti degli occhi e delle mani, non c’era nulla. “Almeno è cosciente a nostro parere” aveva commentato il primario. Delilah che stava rintanata su quella dannata poltrona era scattata come un fulmine, saettando l’uomo con il solo sguardo. Il dottore era rimasto immobile, quasi preoccupato per la ragazza.
- Lasci stare, gli avevo detto io alzandomi.
Uscendo dalla stanza avevo chiesto a Niall di seguirci, anche se ancora non si era deciso a rivolgermi la parola. Si alzò senza rispondermi, lanciando anche lui un’occhiataccia all’uomo che sembrava mostrare davvero poco interesse per il paziente, per Nathan.
- Giuro che lo ammazzo quell’incapace! Lo ammazzo!, continuava a ripete Delilah quasi urlando per quei corridoi intossicati di disinfettante mentre usciva in quel che sembrava voler essere un terrazzino. Non eravamo riusciti a placarla nemmeno per un attimo. Eravamo finiti col starcene ognuno perso nei proprio pensieri, separati anche se vicini. Niall immagino mi odiasse ancora, invece la mia amica stava sicuramente pensando a ciò che pensavo io. Era tutto troppo vero per essere…vero. E tutta quella situazione era troppo per Delilah, per tutti noi. Non capivo poi perché si ci stava imbattendo tanto. Nemmeno io che conoscevo Nathan più di chiunque altro ero così afflitto. Forse perché mi ero autoconvinto che era tutto un brutto sogno. La seconda opzione era che fosse il mio miglior amico a sognare e a non volersi svegliare. Non volevo accettare la realtà, quella che i genitori di Nathan non lo erano, quella in cui lui si era addormentato d’un tratto senza più avere intenzione di svegliarsi. I genitori… Il solo ripensarci mi provocava una rabbia inquieta addosso. Ma come diavolo si può mentire ad un figlio per tutta la vita e poi pretendere che d’un tratto, dopo tutto quello che gli avevano fatto, lui potesse anche accettare il tutto. E ci credo che ci rimane secco. Scacciai immediatamente quel pensiero! Nathan sarebbe sopravvissuto; stava solo riposando da tutto il casino che la vita aveva voluto tanto gentilmente regalargli. Basta, avrei dovuto parlare con loro il più presto possibile. Dovevo capirci qualcosa, avevano preso in giro tutti noi, e poi non venivano nemmeno mai a trovarli. Le bambine ormai avevano fatto amicizia anche con Delilah, e a turno le portavamo dal fratello in coma. No, dormiente Loris! Non è in coma, sta dormendo, capito?! Trattenni le lacrime chiudendo gli occhi e aspirando altra nicotina dalla mia sigaretta.
Poi i miei pensieri vennero interrotti da un ragazzo che venne a sedersi sul muretto tra a me e Delilah. Le buone maniere vedo che vanno a farsi benedire da queste parti, eh? Stavo quasi per cacciarlo via se non fosse stato per lei.
- Ciao, gli aveva detto.
- Beh? Non mi presenti al tuo amici? O sei troppo di malumore oggi?, aveva risposto lo sconosciuto fin troppo ironico per i miei gusti.
- Senti non ho voglia di parlare, ok? Fai da solo se tanto ti interessa. Lasciatemi in pace cavolo!, e così dicendo si alzò e se ne andò.
Nessuno di noi accennò a seguirla. Lo sconosciuto prese il suo posto appoggiandosi alla colonna seguendola con lo sguardo. Poi si presentò da solo.
- Sono Zayn, un paziente della clinica, e tu?, rimasi sorpreso quando disse di essere un paziente. Lo guardavo da cima a fondo, scrutandolo, non sapendo se fidarmi davvero o no. Poi sentii la sedia dietro di me raschiare con le mattonelle a terra e un Niall agitato si materializzò di fronte a me. Mi dava le spalle, che vedevo alzarsi e abbassarsi con un ritmo troppo irregolare, ed ero certo che ce l’aveva con quel Zayn.
Che si conoscessero?
- Niall., disse sorpreso Zayn senza scomporsi nemmeno di un centimetro. Il suo viso era rimasto impassibile, ma la voce lo aveva evidentemente tradito. Sì, si conoscevano.
Quanto era piccolo il mondo pensai. Pensai anche di dovermene andare, di doverli lasciare soli, ma la curiosità mi teneva incastrato su quel pezzo di cemento e feci solamente per cercare il mio pacchetto di sigarette per accendermene un’altra. Sembrava la scena di uno di quei film in cui tutto si ferma d’un tratto, per qualche secondo. Niall, palesemente nervoso, non si decideva a rispondere, né a smuoversi. Sembrava piuttosto che si stesse controllando. Lo vidi stringere i pugni e quasi temetti che voleva sferrargliene uno in pieno viso.
- Niall, a quanto pare sei tu a dovermi presentare a lui ora. Perché non prendi la sedia e ti avvicini a noi?, cercai di rompere quel silenzio io allora, nonostante la consapevolezza che fosse un azzardo pericoloso.
- Forse è meglio che vada…, aveva detto Zayn, ma…
- Non ce n’è bisogno, aveva risposto Niall andando a prendere subito la sedia per metterla accanto a me.
- Allora, io sono Loris, e a quanto pare sono l’unico a non conoscerti qui. Non sarai uno famoso ed io non lo so?, la mia domanda fu seguita da una fragorosa risata dell’interrogato che non smetteva di fissare Niall.
- Mi meraviglia il fatto che tu non stia insieme a Delilah. Lo sai che il tipo nel lettino è il suo ragazzo vero?, aveva detto il ragazzo rivolgendosi a Niall, ignorando totalmente la mia domande e anche me. E poi cosa voleva dire tutta quella frase?
- Smettila! Non sono interessato a lei, e non dovresti esserlo nemmeno tu se non ti è chiaro., rispose prontamente l’altro. Mi sentivo come il terzo in comodo, ma andarmene ormai non potevo. Era chiaro che si lanciavano frecciatine amare perché c’ero io lì, e sapevano anche che non capivo una beata mazza di quel che dicevano. Piuttosto gliel’avrei sferrata in testa una mazzata in quel momento.




Niall


Non volevo crederci, e non ne ero nemmeno certo. Avevo immediatamente riconosciuto quella figura, quella camminata con le mani in tasca pronte a cacciare un pacchetto di Benson & Hedges che tanto adorava. Le aveva iniziate a fumare quando aveva solo diciassette anni, perché gli piacque troppo il pacchetto che si apriva di lato anziché da sopra. Ora ne aveva ventidue ed era quasi un anno che non lo vedeva più ormai. Ma che ci faceva lì? Quindi no, non era lui. Poi però…
- Sono Zayn, un paziente della clinica, e tu?, e così la sua domanda era stata risposta. Quasi non ci credeva. Il suo istinto lo portò immediatamente ad alzarsi, per andargli incontro ed abbracciarlo. Appena lo fece, però, si pentì, rimanendo immobile di fronte a lui, incapace di dire anche una sola parole. In un attimo rivide quell’incidente, il suo amico ricoperto di sangue, le urla di Zayn affianco e le sue mani sul volante dell’auto che non aveva nemmeno avuto il tempo di mettere in moto. Da quel giorno loro due non si erano più visti. Ognuno dei due rinchiusi in casa propria, col divieto di potersi anche solamente vedere. Due famiglie che avevano preso ad odiarsi, mentre loro non desideravano altro che potersi vedere e vedere ancora, come avevano fatto fino ad allora. Ogni possibile metodo di comunicazione era stato abolito. Far parte di una famiglia ricca aveva i suoi svantaggi evidentemente. Per quello conosceva anche Loris, che invece non conosceva lui. Abitavano nello stesso quartiere. Lo aveva spesso visto andare via e non tornare a casa; aveva sentito la madre che gli urlava contro per poi finalmente rassegnarsi raggiunta una certa età. Lo sapeva perché era stata a casa sua, data l’amicizia con la madre nata da qualche tempo. Era stato così che aveva deciso di presentarsi a casa sua quel mattino. Non avrebbe certo creduto che tutto ciò avrebbe portato a Zayn. Non credeva nel destino, ma in qualcosa di simile sì. E se ora stava lì, di fronte al suo vecchio amico, lo doveva a Loris, quindi che se ne andasse all’inferno pure biologia.
- Niall., aveva detto l’altro del tutto impreparato a quell’incontro. Dopo tutto, non era l’unico.
- Niall, a quanto pare sei tu a dovermi presentare a lui ora. Perché non prendi la sedia e ti avvicini a noi?, disse Loris. Non avrei saputo dire se per allentare la tensione creatasi o per il disagio che comunque provava.
- Forse è meglio che vada…, aveva detto Zayn senza mostrare una vera intenzione a muoversi.
- Non ce n’è bisogno, gli dissi io allora andando a prendere la sedia.
- Allora, io sono Loris, e a quanto pare sono l’unico a non conoscerti qui. Non sarai uno famoso ed io non lo so?, Loris era il mio ultimo problema in quel momento, e lo stesso valeva per Zayn che infatti ignorò la sua domanda anche se non riuscì a trattenersi dal riderne.
- Mi meraviglia il fatto che tu non stia insieme a Delilah. Lo sai che il tipo nel lettino è il suo ragazzo vero?, mi provocava, esattamente come aveva sempre fatto. Non ero interessato a Delilah, anche se ra davvero un bel bocconcino. Semplicemente non ci avevo fatto troppo caso, anzi, non l’aveva mai vista prima d’allora.
- Smettila! Non sono interessato a lei, e non dovresti esserlo nemmeno tu se non ti è chiaro., avevo puntualizzato. Ero certo che le aveva già messo gli occhi addosso, era proprio il suo tipo, e quando voleva qualcosa la otteneva sempre. Allora perché non sei venuto a cercarmi? Non mi volevi più? Già, quanto valeva per lui quindi la nostra amicizia? Ammesso che eravamo ancora amici…
- Piuttosto, perché sei qui?, chiesi io temendo la risposta.
- Ma volete prendermi in giro per caso? Se volete mi tolgo proprio dalle scatole no?, aveva sbuffato infastidito Loris.
In effetti non aveva tutti i torti. Sorrisi al suo piccolo sfogo e mi voltai verso lui.
- Loris, ti presento il mio am… un mio vecchio amico.
- Caspita, ventidue anni e mi chiami vecchio?, e quelle furono le parole più belle che avessi mai sentito. Erano il lasciapassare alla nostra amicizia che in lui era ancora viva. Mi limitai a sorridergli ringraziandolo col capo.
- Oh! Finalmente. Quindi, Zayn…come mai stai qui dentro?, forse non volevo conoscerne la risposta, ma ormai il danno era fatto.
Il mio migliore amico mi guardò di soppiatto, poi notai una strana smorfia in lui. Attesi che fosse lui a parlare per primo. Non volevo costringerlo a dirlo, a ricordare, anche se ero certo che i pensieri erano tornati indietro di mesi appena mi aveva visto.
- Tu perché sei qui?, gli chiese invece.
- Beh, immagino che lo sai già. Il mio migliore amico è…è qui anche lui ecco. Sono qui per lui., era stato come se avesse dovuto confessare un crimine.
- Anche io. Sono qui per il mio migliore amico., la faccia interrogativa di Loris si rivolse a me come in cerca di spiegazioni, ma io non smisi di fissare Zayn nemmeno per un attimo.
Sapevo che al suo posto dovevo esserci anche io, sapevo che dovevamo essere in due in quella clinica, sapevo che l’avevo abbandonato, che ci eravamo abbandonati.
- È una lunga storia, dissi solamente.




Delilah


Mi chiesi perché fossi ancora lì, a svuotarmi ogni giorno di più per un amore che non avevo nemmeno mai veramente vissuto. Cosa c’era stato tra di noi? Promesse? Confessioni? No, io sapevo che era il senso di colpa a tenermi lì. Non lo avrei abbandonato, dovevo aspettarlo, perché al suo risveglio ero certa che mi avrebbe cercata. Come ero certa che lui avrebbe aspettato me. Ti innamori sempre delle persone sbagliate, sei patetica. Forse era vero, Nathan non era la persona giusta, ma anche se così fosse eravamo buoni amici, e non potevo lasciarlo solo.
Ero scappata da Zayn, perché la sua presenza mi metteva a disagio, e difronte a Loris non volevo rischiare di destare strani sospetti. Non sapevo nemmeno da quanti giorni stavo in ospedale ormai. Una? Due settimane? No, una settimana…o almeno credo. Non guardavo più l’orologio, non facevo caso alle chiamate perse di mia madre, ai suoi messaggi. Temevo che sarebbe diventata un’abitudine. Sarei dovuta comunque andare a scuola il lunedì, e la cosa mi terrorizzava un po’. E se l’avessi dimenticato? Non volevo, sentivo dentro me che lui fosse speciale. Per Venere, Marte e tutti gli dei che casino in testa!, basta! Avevo bisogno di aria nuova. Dovevo uscire da quel posto.
Tornai sul terrazzino e notai che i Zayn aveva fatto presto amicizia. Li trovai che ridevano, e tutti e tre fumando.
- Mi fa piacere vedervi sorridere. Loris tu puoi stare qui se vuoi, Niall mi porteresti a casa per favore?, domandai al ragazzo biondo di cui conoscevo solamente il nome. Ma non mi importava, forse era un amico di Loris di cui non mi aveva mai parlato, chi sa.
- Ti porto io, disse invece Loris, che si alzò immediatamente. Niall lo ringraziò mentre Zayn non smetteva di fissarmi col capo chino. Sapevo di essermi persa qualcosa e dato che a casa non avevo comunque nulla da fare, cambiai idea. Il mio malumore era stato nettamente scartato via dalla curiosità.
- Andiamo?, disse Loris aspettandomi già quasi alla porta. Mi voltai a guardarlo per poi voltarmi a guardare i due ragazzi seduti a fissarmi. Avevo la sensazione che Niall mi stesse mandando via, mentre Zayn m’implorasse di restare. Non ne potevo più! Avevo bisogno di riposo, quello vero, nel mio letto. Mi voltai senza nemmeno salutare, ricacciando all’indietro le lacrime che oramai non resistevano più. Stavo per scoppiare e quello non era il luogo adatto per farlo.
Loris mi cinse le spalle tirandomi a sé e ci incamminammo così uniti verso l’uscita della clinica. Ero fuori finalmente, per conto mio, per mio volere. Subito un senso di colpa mi invase. Come potevo esserne felice? Nathan stava nel letto a soffrire ed io gioivo nell’allontanarmi da lui? Ero troppo stanca anche solo per rispondere a me stessa. Seguii Lori verso l’auto e allo scattare della serratura mi fiondai sul sedile. Appena mise in moto sbuffò per poi spegnerla. Si accasciò all’indietro sul sedile tenendo le chiavi che erano ancora attaccate al cruscotto. Le sfilò e mi guardò.
- Cavolo, non ho il numero di Nialler. Come faccio a sapere quando tornare per portarlo a casa?, era piuttosto una richiesta, una supplica quasi.
- Quindi? Non torno lì dentro. No. Scordatelo proprio. Mi è già entrata nelle scarpe la neve!!!, ma il suo viso aveva già preso a disegnare lineamenti teneri, pregandomi di andare.
- Ti odio, riuscii a dire prima che la portiera sbattesse forte facendo cadere la neve che già si era poggiata sull’auto. Non potevo crederci. Non facevo in tempo ad andarmene di lì che già dovevo tornarci. Doveva essere una specie di scherzo del destino. Ce l’aveva con me per caso? Quella giornata non sarebbe mai finita, ed io ero piena di domande e…ed ero stanca; stanca di tutto.
Accelerai il passo sperando che in quei cinque minuti non si fossero mossi da dove li avevamo lasciati. Sospirai di sollievo quando li vidi esattamente dov’erano prima.
- Scusate l’interruzione, mi intromisi io mentre corsi verso di loro; si voltarono entrambi sorpresi, avrei bisogno del tuo numero Nialler, altrimenti come torniamo a prenderti dopo?
- Oh, sì certo. Solo che non lo conosco a memoria. Non puoi darmi tu il tuo così ti mando un messaggio o ti lascio uno squillo?
- Sei fortunato che io il mio me lo ricordo invece, commentai sarcastica.
- Simpatica eh?, commentò Zayn, come se non bastasse. Non volli nemmeno voltarmi per un occhiataccia, non avevo voglia nemmeno di quello. Volevo solo scapparmene, sentivo proprio una stanchezza, una pesantezza assurda percorrermi tutta e tirarmi giù. Se avessi chiuso gli occhi sarei potuta cadere a terra addormentata e non accorgermene. Resistetti alla tentazione di farlo e mi concentrai a ricordare le cifre del mio numero.
- Scrivi. Zero sette sette otto tre otto quattro sette uno tre. Manda., e attesi che il messaggio arrivasse. Qualche secondo dopo il mio cellulare vibrò. Lessi il messaggio “Antipatica”. Sospirai per l’ennesima volta costringendomi a tenere la bocca chiusa. Me ne andai senza aggiungere altro. Senza un saluto ancora una volta.
- Ehi!, mi sentii chiamare. Avrei riconosciuto quella voce ormai ovunque, tanto era unica. Ma non volli fermarmi. Corsi velocemente verso l’uscita. Aveva ripreso pure a nevicare. Cercai un attimo l’auto e subito vi entrai.
- Parti ora., dissi senza nemmeno guardarlo e lui partì.




Loris


Un telefono che vibrava mi svegliò improvvisamente. Scattai in avanti andando a sbattere col ginocchio contro il volante e facendomi scappare un “Cazzo che male!” troppo forte. Svegliai Delilah infatti.
- Mmmm…è il mio, disse lei senza schiudere gli occhi.
- Lo so, dissi io mentre cercavo di stiracchiarmi e non colpirla.
Fuori era già buio. La neve aveva coperto tutto il vetro difronte a noi e ai lati.
- È la prima chiamata che ti sta facendo vero?, chiesi inizialmente. Ma non ottenni risposta. Delilah! Dammi quel telefono del cazzo per la miseria!, e le strappai il cellulare che stringeva senza forza nella mano.
“3 lost calls” lessi. Poi lessi anche sopra a destra nell’angolino dello schermo “21:48”.
- Cazzo dobbiamo immediatamente tornare in clinica, chiamalo e digli che stiamo arrivando! Delilah cazzo svegliati, non è più ora di dormire, dai!!!, le urlai contro lanciandole il telefono addosso.
- E ho capito dannazione Loris! Che rompipalle che sei oh! Sai solo dire “cazzo”! Sta squillando non vedi? Non rispond…Ehi! Senti stiamo arrivand…, e con uno sbadiglio interruppe la chiamata.
- Sei pessima. Te lo devo proprio dire.
- Perché vuoi farti mandare a quel paese ogni volta? Io proprio che non lo capisco., non potei non sorridere a quel suo tono così acido e purtroppo sincero. Ma era proprio per quello che l’adoravo. Non credo che avremmo mai potuto avere un rapporto serio io e lei era troppo poco delicata per i miei gusti, ma come amica sapevo che valeva più di quanto dava a dimostrare.
Regnò il silenzio per i successivi dieci minuti. Quando arrivammo alla clinica scendemmo dall’auto e ci fermammo entrambi un attimo ad osservarla. Le luci delle finestre accese dietro quello strato di opacità che la neve creava, mentre scendeva incessantemente su di noi, creavano una strana atmosfera malinconica. Quando vidi Delilah già quasi alle porte, mi incamminai anche io. Entrò per prima lei.
- Signorina mi scusi, potrebbe scrollarsi la neve di dosso prima di entrare?, chiese cortesemente ma con tono infastidito la signora seduta allo sportello delle informazioni.
Temetti il peggio. Invece Delilah si limitò semplicemente ad ignorarla e proseguì verso il corridoio. Io educatamente sorrisi alla signora e tornai fuori per togliermi un po’ di neve dalla giacca. La signora però non parve gradire più di tanto, e così la ignorai anche io.
Non mi aveva aspettato ovviamente, anzi, l’avevo vista accelerare il passo. Non resisteva più di qualche ora a stargli lontana. Era troppo afflitta da quella situazione. Aveva lasciato la porta della camera aperta, e si era già tolta la giacca. Se ne stava seduta accanto al letto e lo teneva per mano sussurrandogli qualcosa.
Sapevo che lui non l’avrebbe sentita, non poteva, eppure lei era convinta che in quel modo lui si sarebbe svegliato prima, come richiamato dalla realtà. Ma quella è la realtà amica mia, lui non ti sente. Mi si stringeva il cuore nel vederla così. Per fortuna quella clinica non aveva orari per le visite, se non in situazioni determinate, anche se a volte speravo che quelle restrizioni ci fossero state.
Non sapevo cosa fare, volevo solo andarmene al pub a bere una birra. Avevo paura che mi chiedesse di lasciarla lì, come aveva già fatto in precedenza. La cosa non mi era piaciuta affatto, ma vederla in lacrime aveva vinto la mia decisione.
- Potresti vedere dov’è Niall?, sussurrai lentamente.
- Certo, disse lei scattando in piedi e abbandonandolo con troppa freddezza. Strano.
La seguii procedendo qualche metro, qualche stanza più in là da quella di Nathan. Bussò e attese il permesso. Si sentì un lontano “avanti” ed entrammo.
Niall se ne stava sdraiato sul lettino di fianco a quello di Zayn. Era bizzarro vederli così. Non avrei mai immaginato una situazione del genere.
- Io torno di là, scusate., e così dicendo richiuse la porta dietro di sé e ci lasciò soli nel più profondo silenzio; tutti con gli occhi puntati alla porta.
Nessuno ebbe il coraggio di parlare per primo, così fui io a rompere il silenzio.
- Chi le capisce le donne. A volte credo che sia proprio vero quando dicono che siano più sentimentali loro., ne seguì una lunga risata comune.
- Accomodati pure dove preferisci. Sapete, è la prima volta da quando sono qui che c’è così tanta gente in questa stanza. E comunque le donne non sono affatto complicate secondo me., disse Zayn invitandomi a prendere posto.
- Io credo invece che a noi sembrino complicate quando non ci sappiamo fare. Perché in fin dei conti uomo o donna facciamo tutti le stesse cose., replicò Niall.
La mia voleva solo essere una battuta, che a quanto pareva si stava trasformano in una vera e propria conversazione serale.
- Beh proprio le stesse cose no, abbiamo comportamenti diversi, come dire, istinti diversi ecco., aggiunsi poi io sentendomi in dovere di dire qualcosa.
Seguì un altro, ma breve, silenzio. Come se stessimo tutti meditando su una risposta esatta, saliente.
Mi avvicinai alla finestra per aprirla ed accendermi una sigaretta. Sapevo che era vietato, ma non me ne curai. E nessuno replicò del mio trasgredire le regole.
- In effetti hai ragione, mi appoggiò Zayn, mentre si spostava il ciuffo moro al lato.
- Hai presente tutto quello che succede nei film quando loro due escono e iniziano a frequentarsi?, mi chiese poi mentre si avvicinava per accendersi una sigaretta anche lui.
Ne seguì un breve elenco di spiegazioni sul rimorchiare fatte da lui e Niall.
Quei due dovevano essere stati davvero buoni amici, si comprendevano al volo. Come succedeva tra me e Nathan.
Per un attimo li invidiai sentendomi a disagio. Poi tornai coi piedi per terra e pensai che era ora di andare a casa. Quella sigaretta sembrava infinita. Amico mio, è dura ammetterlo, ma mi manchi più del previsto.



Ragazziiiiii! Non odiatemi sù! È passato..troppo tempo lo so. Ma...non ho scuse. E non ne cercherò nemmeno, sapete che non sono il tipo. Quindi, spero mi perdonerete. Sto già scrivendo i prossimo capitolo quindi arriverà con puntualità fra una settimana se non proprio fra qualche giorno. Perdonatemi ancora e grazie per la lettura e le eventuali recensioni.
Per quanto riguarda il capitolo, bhe...è un po' lungo lo so ma è anche abbastanza importante come capitolo. Conosciamo nuovi personaggi e li conosciamo un po' più a fondo. Iniziamo a vedere come Delilah, forte come sembrava, inizi ad avvertire forme di cedimento e debolezza e Nathan poraccio che se ne sta per i cacchi sua nel mondo dei pooh...no..non erano i pooh..gli who..no..vabbè!
Loris sembra deciso a voler affrontare i genitori del suo migliore amico, lo farà?
Zayn mette disagio a Delilah, ma perché?
Cosa sarà mai accaduto nel passato di Niall per mandare in clinica Zayn?
Lo scoprirete la prossima puntata! MUAHAHHAHAHAHHAHA Ah! Prima che lo dimentichi, ci tengo a precisare che il primo dialogo, quello che apre il tutto (Loris) non è mio ma è di Tommaso Fusari che troverete sulla sua pagina facebook Tempi Duri Per I Romantici (che scommeto conoscete già perché è praticamente l'uomo che tutte vorremo!); quindi grazie Tommaso! Mi sei stato d'ispirazione!

I love you too guys!

xoxo
/Lù.



(qui di seguito i soliti link ^.^)

Link: I've lost my self
Link: Lucy (pagina facebook)
Link: sto anche su Twitter

Link: a brave girl on tumblr.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Action-Reaction. ***








Image and video hosting by TinyPic








Delilah





Qualcosa di morbido mi accarezzava il viso, quasi a solleticarmi. Infastidita mi rigirai su me stessa scorgendo con gli occhi appena socchiusi un’ombra davanti a me.
- Alicia per favore, non ho voglia di giocare ora, ma quel tocco dolce non volle sparire.
Scattai sventolando il lenzuolo infuriata. Stavo con gli occhi chiusi seduta sul letto, e mi sentivo dondolante per il sonno ancora padrone di me.
- Alicia dannazione…, e sentii solamente uno strano sogghignare, troppo maschile per poter essere di una bambina di quattro anni.
Mi voltai e sforzai lentamente l’occhio destro ad aprirsi. La luce accecante di tutto quel bianco mi aveva subito costretta a richiuderlo, ma ero certa di aver visto lui. Così spalancai per lo stupore entrambi gli occhi. Il cuore stava battendo all’impazzata, credevo potesse uscirmi fuori dal petto per correre nel suo.
- Buongiorno principessa, disse esitando.
Io riuscii solo a scoppiare in una valle di lacrime raggomitolandomi nel lenzuolo finito per metà a terra. Avevo dimenticato di non essere a casa, di essermi addormentata ancora una volta in quella dannata clinica…
- Non piangere ora, è tutto finito Delilah, puoi tornare a casa…, e per un non so quale assurdo motivo quelle parole mi irritarono più di qualsiasi altra cosa. Ma riuscii solo ad alzare il viso e ad abbracciarlo, stringerlo forte a me.
- Bentornato…Nathan, furono le uniche due parole che riuscii a dirgli. Dopo settimane chiusa in quella stanza per lui, a piangere, a urlare contro medici, a spazientire chiunque, lui mi mandava via? Era uno scherzo vero? Avevo atteso quel momento più di qualunque altra cosa nella mia vita, eppure era esattamente il contrario da come l’avevo immaginato in ogni sogno e in ogni incubo in quell’ultimo breve periodo. Sarei dovuta saltare dalla felicità, sarei dovuta correre dall’infermiera, dai dottori, da Loris…
- Io…io non so cosa dire…heh. Beh? Come ti senti allora? Cosa…come hai fatto ad alzarti dal letto? Potevi chiamarmi…, stavo pensando troppo iniziando a farfugliare sciocchezze.
- Mi sento…come il bello addormentato dopo cento anni di sonno profondo, svegliatosi dopo un brutto sogno. Non lo so…è tutto, così strano, così normale ma allo stesso tempo così nuovo. È…come tornare ad andare in bicicletta dopo averla lasciata anni e anni in soffitta. Sì…così, proprio così., fu la sua risposta frettolosa eppure chiara.
Il lettino in cui io dormivo dava proprio sotto la finestra. Mi accostai al davanzale per sporgermi ad aprirla ed affacciarmi a vedere chi ci fosse sul terrazzino. Non c’era nessuno. Ma che ora era?
Lui era già andato via, a sedersi sul suo letto, osservandomi in modo strano, come se fossi una sconosciuta. Ma si ricordava cos’era accaduto vero?
- Nathan, scusa, che ora è?
- Sono le otto quasi. Lo so è presto, non dovevo svegliarti…, si stava scusando con me per avermi svegliata, per avermi avvisata che era uscito dal coma o da quel che lo aveva intrappolato fino a poche ore prima?
- Nathan vuoi smetterla per favore?! Non ne posso più! Non era così che me l’aspettavo. Tu…tu sei così distante così… Ricordi cosa ci siamo detti prima di…dell’inc…di quel giorno insomma?, mi voltai furiosa, più di quanto volessi, verso di lui. Lentamente mi avvicinai per tenergli la mano, stretta fra le mie, con le lacrime che sarebbero esplose da lì a poco se lui non avesse affermato la presa guardandomi in viso con quei suoi grandi occhi impenetrabili come il ghiaccio. Cosa mi stai nascondendo amore…perché lo sei ancora vero?
- Delilah, io so di aver detto di amarti, e non mentivo…ma devi darmi del tempo per realizzare cosa sta succedendo con te, con i miei genitori soprattutto, e con me. Non è normale che io abbia avuto una crisi talmente forte. Potevo restarci secco.






Nathan





Non sapevo cosa sarebbe accaduto d’ora in avanti. Avevo aperto gli occhi e quasi inconsapevolmente mi ero eretto sul lettino, chiedendomi che cavolo stesse succedendo. Mi faceva male la testa, ma i ricordi sfogliavano come un fascicolo infinito davanti a me. Non seppi da dove cominciare. Certamente avrei dovuto chiamare il medico, perché quello che avevo addosso non era roba da carnevale. Il bip del mio cuore nel macchinario alla mia destra mi aveva saldamente tenuto inchiodato in quella stanza quindi.
Nel voltarmi vidi un corpo steso sul lettino di fianco al mio. Si scorgevano dei lunghi capelli scuri raccolti in una treccia sfatta. Il silenzio regnava, interrotto regolarmente solo dal mio battito cardiaco. Potevo sentire il respiro della ragazza. Poi nella mia mente balenò un ricordo, e poi un altro. La scuola, la moto, Delilah…
In un attimo mi alzai per andarle accanto e sfiorandole il viso la stavo svegliando. La reazione non fu quella che mi sarei aspettato. La sentivo distante, la sentivo non mia. Le chiesi solamente di darmi tempo per riprendermi appena il terrore aveva cominciato ad inondarle gli occhi.
Così lei alzandosi barcollante, troppo stanca, uscì fuori a chiamare l’infermiera. Solo qualche attimo dopo la rividi entrare con una signora anzianotta vestita completamente di bianco. Mentre l’infermiera controllava la mia cartella chiedendomi come stessi, Delilah si allontanò per chiamare qualcuno.
- Torno subito, disse con lo sguardo cupo e uscì dalla stanza, di nuovo. Per un non so quale motivo i suoi occhi sembravano dirmi addio. Scossi la testa a quello stupido pensiero e quel movimento mi ricordò che ancora non mi ero ripreso del tutto.
- Bene signore, fra poco arriverà il medico. Io vado ad avvisare i suoi famigliari intanto., e così dicendo rimasi solo, di nuovo.
Andava ad avvisare i miei famigliari aveva detto la donna. Sì, quali dei quattro? Non potevo ancora crederci. Non sapevo nulla di quei tizi, e a quanto pareva ciò implicava che non sapessi nulla nemmeno di me. Tutto ciò non poteva essere reale, no. Eppure, lo era eccome. Cerca di essere felice! Almeno non sei morto. Oh, grazie vocina interiore, sei così confortante a volte.
I miei pensieri vennero poi distratti dal bussare alla porta. Mi raddrizzai subito nel letto pensando fosse il medico, ma una testa sconosciuta e troppo giovane per essere laureata stava sbirciando da dietro la porta.
- Oh, fu la sua sorpresa nel vedermi sveglio. Passai velocemente in rassegna le immagini di tutte le persone che conoscevo mentalmente, ma no, lui proprio che non lo ricordavo. La cosa mi fece preoccupare e non poco.
- Ehm…entra, chiunque tu sia., azzardai. Lui si guardò un po’ intorno, perlustrando la camera, come se stesse cercando qualcosa. O forse qualcuno? Cerchi Delilah?, azzardai ancora una volta.
Bingo! I suoi occhi scattarono nei miei e il suo sguardò si stava accigliando.
- Sì, ho avuto modo di conoscere la tua fidanzata mentre tu sonnecchiavi qui dentro nelle ultime settimane., fu la sua risposta molto franca.
Ehi ma chi si crede di essere! E poi Delilah non è la mia ragazza!
- Guarda che ti stai sbagliando amico. Delilah ed io non stiamo insieme., poi riflettendo meglio sulle sue parole aveva detto anche “ultime settimane”, scusa ma da quanto tempo sto rinchiuso qui dentro?.
- Ah, questo io non lo so. Ma credo che due o tre settimane ci sei rimasto di sicuro., e mentre parlava si stava affacciando alla finestra. Aprendola si sedette sul davanzale cacciando una sigaretta.
- Sta per arrivare il medico, fossi in te non rischierei, lo avvisai io. Accennando un sorriso mi ringraziò, dirigendosi verso la porta.
- Beh, buona fortuna, è stato un piacere. Adios., e così dicendo se ne uscì, senza nemmeno darmi la possibilità di controbattere. Che strano tipo quel…non sapevo nemmeno come si chiamasse.

Dopo la visita del medico non passò molto e i miei due genitori adottivi, o insomma quelli che mi avevano cresciuto, si presentarono in lacrime e disperati. Erano soli. Di Delilah ancora nessuna traccia.
Compilando gli appositi documenti, il medico aveva detto che ancora un giorno e sarei potuto tornare a casa, il che aveva reso mia madre iper-euforica. Io, d’altro canto, stavo semplicemente fingendo che tutto andasse bene, per non dover pensare ad un’altra eventuale crisi. I medici ancora non capivano cosa mi era preso. Ma la mens umana nasconde mille sconosciuti meandri.

Loris si catapultò su di me quando uscendo sul terrazzino mi vide. Ma era solo.
- Amico mio! Finalmente! Ce ne hai messo di tempo eh? Sempre a farti desiderare! E che cavolo! Lo sapevo, lo sapevo che eri forte! Andiamo, domani ci aspetta una giornata di recuperi!!!, la sua gioia era così contagiosa che non potetti evitare di ridere insieme a lui. Non potetti evitare nemmeno di chiedere però.
- Delilah non c’è?, e alla mia domanda Loris si voltò ad osservare il panorama. Dopo qualche minuto di silenzio rispose.
- Nathan, lei…mi ha parlato dopo che tu ti sei svegliato., si stava sforzando a dire qualcosa cercando di usare le parole giuste. Perché? Cos’era successo adesso? Non volli interromperlo, aspettando la sua confessione, Era preoccupata. No, anzi sì. Cioè, lei era felice ecco, contenta che tu ti fossi finalmente risvegliato, ma…non le sei sembrato convincete ecco.
- Che vuol dire “convincente”?, dissi io mimando le virgolette.
- Vuol dire che lei sei sembrato freddo.
- Mi ero appena svegliato dal coma! Che cavolo si aspettava che le portavo i fiori?
- È quello che le ho detto anche io, ma non mi ha dato retta. Ha detto di riferirti che le dispiace tanto, ma che ora tocca a lei starti lontano.
- Ma io non le sono stato lontano per la miseria! Ancora una volta, sono stato in coma! Dannazione Delilah!, che cavolo significava tutto ciò? Perché stava scappando. E con quel pensiero mi tornò alla mente come lei, ed anche io, scappavamo sempre dai problemi, dai nostri problemi. Era questo dunque il nostro destino? Non dovevamo stare insieme? E va bene, sarebbe stato così. Poi sul terrazzino arrivò il tipo che era entrato in camera mia e lo osservai mentre si dirigeva a sedersi su un muretto accanto a una colonna. Lo vidi accendersi una sigaretta e giocare con un braccialetto. Istintivamente guardai il mio braccialetto e allora capii che anche lui era un paziente.
Cosa voleva da Delilah allora? E come un fulmine, un brutto presentimento mi attraversò la mente. E se si fossero conosciuti in clinica ed era nato qualcosa? Non potevo stare col dubbio.
Alzandomi presi un bel respiro e mi diressi verso lo sconosciuto.
- Io sono Nathan comunque., e subito Loris scattò per seguirmi.
- Sì, lo so che sei Nathan., rispose lui senza voltarsi.
- Ciao Zayn. Come va oggi?, disse Loris lanciandomi un occhiataccia. Che voleva dire?
- Senti…Zayn. Io volevo solo chiederti qualcosa su Delilah. Mi pare di capire che vi siate frequentati., dissi sorprendendomi io stesso dell’audacia. Loris accanto a me rimase a bocca sentendo la mia domanda. Zayn invece continuò a fumare la sua sigaretta come se non mi avesse sentito.
- Sai, non credo che io e la tua tipa ci potessimo frequentare qui dentro. Comunque stai tranquillo, non fa per me, né io per lei. Ci siamo semplicemente conosciuti, come con Loris., rispose poi gettando la sigaretta nel posacenere lì accanto.
Voltandomi a guardare Loris, lo sorpresi a testa bassa. Bene, mi ero davvero perso un bel po’ a quanto pareva. Voleva dire che me ne sarei tornato nella mia stanza a starmene da solo e tranquillo.
Difatti girai i tacchi e me ne andai. Ovviamente Loris mi raggiunse quasi nell’immediato.
Non avevo voglia di parlare però, quindi sapevo già che avrei dovuto ascoltare. Tanto valeva mettersi comodi allora.
Arrivato in camera mi sdraiai sul lettino attendendo che il mio migliore amico facesse luce su ogni fatto a me ancora sconosciuto e mi desse delle risposte razionali a tutte le mie domande.






Delilah





Dopo la conversazione con Loris, la vita mi era sembrata d’un tratto più complicata ed orrenda che mai. Quando arrivai a casa non c’era nessuno. Mia madre doveva aver portato sicuramente Alicia al parco giochi a giocare nella neve. Quanto avrei voluto essere così spensierata anch’io. E invece no. Ma chi me lo impediva? Ero io stessa il mio problema, ma non volevo ammetterlo. Non volevo ammettere che mi ero presa una cotta per un ragazzo e che mi ero avventata contro quel sentimento definendolo troppo velocemente amore. Anche lui ti ha detto di provare le stesse cose però! Già, anche lui evidentemente si era precipitato. Forse entrambi stavamo scappando dai nostri problemi di vita, dalle complicazioni e dalle conseguenze delle nostre scelte, gettandoci ognuno nelle braccia dell’altra per dimenticare la realtà. O forse stavamo semplicemente correndo troppo. Ma in una corsa agli ostacoli non sempre si riesce a saltare abbastanza in alto da superare la posta in gioco. La sensazione che mi percorreva era quella di una dannatissima insicurezza, del terreno instabile sotto i piedi, del non sapere più cosa fosse giusto e cosa no.

- Delilah sei tu? Sei in casa?
- Sì mamma, stavo preparando qualcosa per la cena.
- Ah. È successo qualcosa?, perché doveva per forza esserci qualcosa di strano se preparavo la cena? Beh, effettivamente non era poi così scontato che io mi mettessi ai fornelli. Alicia corse in cucina ad aggrapparsi alle mie gambe, mentre mia madre sorrise al vedermi, anche se la sorpresa, e la preoccupazione, in viso non la convincevano affatto.
Mi stava scrutando, e sapevo che cercava tracce o residui di un pianto che però non aveva avuto luogo. Non avevo bisogno di piangere, avevo bisogno di capire, di risposte.
- Non vuoi dirmi niente allora?, mia madre aveva atteso fin troppo, quello era il suo avviso “o parli o parli”. E sapendo che comunque mi avrebbe estorto la verità dalla bocca, decisi di prendere la via più facile raccontandole tutto. In fin dei conti la mamma è sempre la mamma e lei sapeva come gestire una situazione simile, soprattutto perché era la persona che mi conosceva meglio, più di chiunque altro.
- Nathan si è svegliato…ed io sono scappata., avevo ammesso senza scompormi.
- E ora non sai perché tu l’abbia fatto?, aveva chiesto la mamma per cercare di capire la mia affermazione e la mia reazione, data la mia impassibilità.
- No. Io so perché l’ho fatto, credo. Lui, era freddo. E sì lo so si era appena svegliato ma questo non vuol dire proprio nulla. Lui era freddo proprio con me, non mi ha abbracciata non mi ha sorriso non ha mostrato un briciolo di entusiasmo per il ritorno alla realtà.
- O per il ritorno da te…, aveva aggiunto mia madre colpendomi ed affondandomi. Già, era quello il motivo. Il silenzio regnò per qualche attimo, venendo interrotto solamente dalle grida di Alicia che aveva fame.
Portammo la cena in tavola. Avevo preparato una ceasar salad con salsa di yoghurt.
- Stai dubitando dei tuoi o dei suoi sentimenti Delilah?, chiese mia madre poi di punto in bianco.
La mia risposta non arrivò. In realtà non la conoscevo proprio. Mi chiesi se non dovessi sentirmi in colpa per ciò, ma non riuscii a rispondere nemmeno questa di domanda.
- Sai, tesoro, io credo che tu debba semplicemente trovare il coraggio di ammettere che lui ti piace sul serio, e anche tanto, ma che ancora non sia scattata la scintilla dell’amore. Dovresti darti del tempo, non serve correre e precipitarsi. L’amore è un vortice di emozioni e casini che porta a qualsiasi cosa., la saggezza di mia madre mi spiazzò per un attimo.
Annuii alla verità delle sue parole però. Ma le cose non cambiavano poi di molto. Cosa avrei dovuto fare quindi ora? Aspettare e chiedergli scusa?
- Cosa suggerisci di fare quindi? Dovrei…andare da lui? Io non credo di volerlo davvero…, non volevo tornare lì e dovermi sorbire anche quell’impiccione di un Zayn. Non dare la colpa a lui, è inutile che cerchi di evitarlo. Lo sai che ti piace. Cavolo se mi piaceva Zayn. Oh no! No, no, no. Questo non andava affatto bene.
- Vedi cosa fa lui ora., la saggezza di mia madre ovviamente non poteva avere tempi così lunghi, infatti si era già esaurita dandomi un suggerimento più che inutile.
Aspettare, aspettare ed aspettare ancora.

Nolldzh. Ringhiava forte, si faceva sentire, io lo stavo mettendo in mostra. Spensi il motore ed entrai per l’ennesima volta in quella stupida clinica. Evitai lo sguardo della signora all’entrata. Ormai eravamo diventate nemiche, e a me la cosa non faceva che divertire.
Passando accanto al terrazzino non potetti evitare di lanciare un’occhiata fuori. E allora lo vidi, mentre se ne stava solo ed appoggiato a quel muretto che tanto mi aveva tenuto compagnia. Non riuscii a resistere alla tentazione e proseguire. Diedi un piccolo calcio al muro, come per punirmi di qualcosa, e uscii all’aria aperta.
- La Luna sembra più grande del solito questa sera., affermai rimproverandomi immediatamente di quella sciocchezza detta.
- Non dovresti essere qui, mi rispose lui evitandomi del tutto.
- Ti disturbo per caso?, e mi sedetti di fronte a lui, proprio come avevamo fatto la sera prima e quella prima ancora.
- No, ma la cosa credo di sturbi il tuo ragazzo che ti sta guardando dalla finestra, continuò lui senza voltarsi. A quelle parole raggelai. Avevo paura di voltarmi e guardare in su.
Il mio istinto era in conflitto. Non sapevo che fare. La compagnia di Zayn mi piaceva, ma Nathan mi piaceva ancora di più.
Senza pensarci un secondo di più mi alzai senza voltarmi né alzare lo sguardo. Mi diressi velocemente in camera di Nathan, e lo trovai ancora alla finestra.
- Hai finito di spiare?, commentai sorridendo, sperando che cogliesse l’ironia del mio tono.
- Osservare è segno di spiare ora?, rispose tranquillamente lui contraccambiando il sorriso.
In quel momento capii che mi era mancato. Mi era mancato scherzare con lui e sentirmi bene fra le sue braccia. In quel momento capii che il nostro non era amore, non ancora, ma era scintille che scoccavano infiammandosi allo sfiorarsi. Ed io e lui eravamo lì, a qualche metro di distanza, col cuore in fiamme e la voglia di scontrarci.
Senza pensarci gli corsi fra le braccia, che mi accolsero speranzose.
Quello doveva essere un nuovo inizio ed io volevo essere lì con lui mentre insieme avremmo affrontato i suoi e i miei problemi. Io volevo sentirmi bene, e sapevo che sul suo petto potevo farlo.

Quante emozioni si possono provare scaturite da un solo sentimento. Ti starò vicina Nathan, e non ti permetterò nemmeno un attimo di dubitare.







La storia come sempre prosegue. In ritardo come sempre, ma tanto nessuno si è lamentato quindi. Vi avviso che manca pochissimo alla fine, non più di tre capitoli e non meno di uno (maddai?!).
In questo capitolo vediamo la coppietta combattuta ma alla fine Delilah si lascia andare alle sensazioni e preferisce toranre dal suo Nathan. Certo, ha avuto un millesimo di secondo di incertezza a causa di Zayn (che è strafigo strabello stagnocco secondo lei) ma alla fine l'istinto ha deciso.
That's it guys. See you "soon".

/Lù.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** You lied. ***







Image and video hosting by TinyPic











Nathan



- Dobbiamo parlare, queste famose parole dette da una donna fanno sempre paura. Ma sapevo che questa volta almeno aveva ragione.
- Lo so, fu infatti la mia risposta sospirata.
- Io non ti amo Nathan, quelle parole furono peggio di qualsiasi fulmine a ciel sereno. Mi colpirono dritto al petto  facendomi mancare il respiro per un attimo. Ero senza parole. La sua stretta intorno alle mia mani si fece più forte ed io non potei evitare di abbassare lo sguardo su quell’intreccio di dita. Che significa?
- Aspetta. Prima che tu possa pensare qualsiasi cosa di sbagliato devi capire. Io credo che nemmeno tu mi ami.
- Cosa stai insinuando Delilah?
- Assolutamente niente, si era affrettata a rispondere chinandosi leggermente per osservarmi meglio. Non riuscivo a seguire il filo del suo discorso. Io l’amavo e come! L’amavo vero?
- E allora?
- Nathan, io credo che tra di noi possa funzionare, che ci piacciamo davvero tanto e che ci siamo affezionati l’uno dell’altra, ma semplicemente ancora…non è scoccata la scintilla dell’amore ecco., sembrava spaventata, nervosa, timorosa.
Rimasi in silenzio, ancora con lo sguardo basso, ad osservare quella strana situazione. Non ci amavamo. Non ci amiamo? Quella confessione mi aveva letteralmente spiazzato, ma non scioccato. Ero senza parole, ma non preoccupato. Ha ragione allora. Mi ritrovai a concordare perfettamente con le sue parole. Non era scoccata la scintilla, non c’era amore. Certo, non c’era da meravigliarsene, eravamo partiti come gazzelle buttandoci direttamente nella fosse del leone. Staccai le mie mani dalla sua presa osservando i suoi occhi dubbiosi. Non sapevano cosa aspettarsi. Mi alzai e guardai fuori dalla finestra.
Zayn. Era un mio rivale per caso? Cosa c’entrava lui in tutto questa storia? Si voltò a guardarmi da laggiù e mi salutò con un cenno della testa. Non ne ero certo ma mi sembrava di aver visto uno strano sorriso su suo volto, quasi a volermi sfidare. Mi stava dichiarando guerra per caso? Forse ero solo io che volavo troppo di fantasia. Mi voltai dandogli le spalle. Delilah era lì che mi osservava con le mani incrociate al petto. Ora il suo sguardo dichiarava attesa, e sapevo quanto lei odiasse attendere.
- Chi è Zayn?, chiesi cambiando totalmente discorso. La sua reazione non fu quella che mi aspettavo. Anziché coglierla di sorpresa la infastidii solamente di più.
- Che cavolo centra Zayn ora?! Non cambiare discorso diamine! Io ti parlo di cose serie che riguardano noi due e tu mi viene a chiedere chi è Zayn? Vuoi scherzare?, Oh, oh. L’avevo fatta arrabbiare. Quella scena mi stava divertendo però. Perché non sapevo se quella reazione fosse dovuta davvero al cambio di tema o al fatto che Zayn la infastidisse. E se ci fosse stato qualcosa? Chiediglielo Nathan! Allora lo feci, rischiando.
- Ti piace vero?, azzardai lanciando un’occhiata alle mie spalle. Lui era ancora laggiù, immobile, nella stessa posizione di prima.
Vidi Delilah arrossire e lanciarmi uno sguardo infuocato, sembrava un toro imbestialito. Sorrisi a quell’immagine che mi si era creata in testa, ma questo non fece che peggiorare le cose.
- Ora basta. Io ci ho provato. Sono stufa! Sono davvero stufa!, stava urlando ora, stava decisamente perdendo le staffe. Era fuori controllo. Ed io non riuscii a dirle nulla. Rimasi accanto alla finestra ad osservarla mentre la sua rabbia si manifestava in ogni suo gesto e parola. Mi odiava.
Ti meravigli? La mia coscienza stava facendo risalire uno strano senso di colpa in me. “Prima mi spingi a spronarla a confessare e poi mi rimproveri?” pensai tra me e me rimbeccando la mia coscienza.
Delilah si stava infilando la giacca, asciugandosi una lacrima scesa furtivamente. Era davvero stufa.
Ti meravigli? Mi rimbeccò di nuovo la mia coscienza. Ora basta!
- Dove vai?, feci per avvicinarmi a lei ed afferrarle un braccio ma la sua fu tutt’altro che una reazione comprensiva.
Mi scacciò via bruscamente la mano guardandomi con occhi di ghiaccio. Impenetrabili. Non sapevo cosa stesse pensando, non lasciava trapelare nulla, solo odio.
- Non toccarmi, fece confermando la mia ipotesi. Mi odiava. Mi odiava davvero. I suoi occhi mostravano disprezzavano con ogni cellula possibile.
Ti meravigli? Ancora una volta la mia coscienza riaffiorava, e il senso di colpa questa volta mi colpi come un pugno in faccia.
Mi allontanai istintivamente guardandola allontanarsi. Era stata una sensazione di dolore e disgusto contemporaneamente. Dolore per lei che mi stava lasciando senza mezzi termini e disgusto per me che avevo causato tutto ciò.
Uscita dal mio campo visivo feci qualche passo verso destra. Poi verso sinistra. Dove volevo andare? Non avevo mete. Avevo solo una vita incasinata. Mi girai verso la finestra e la vidi, la vidi fra le braccia di quel traditore. La stava consolando.
Non è un traditore. Già, chi lo conosceva? Delilah? Loris? E chi altro?
Ero l’unico a non sapere un bel niente. E lei ora se ne stava fra le sue braccia. Dovevo esserci io lì, a tenerla stretta a me, a tranquillizzarla. Ero io quello giusto per lei! Allora provai rabbia, ma non gelosia.
Ma allora perché l’hai lasciata scappare? Perché l’hai presa in giro? La mia coscienza aveva deciso di non darmi tregua quel giorno, ma come sempre, aveva ragione.
Forse era quel il nostro destino, stare divisi. Probabilmente io non le avrei mai potuto dare quello che quel tizio evidentemente le dava. Voleva la guerra? Beh io no, poteva tenersela Delilah. Non ero in condizioni di combattere. Avevo già tanti di quei problemi per la testa che una ragazza in più non poteva che essere solo un sassolino in più nella scarpa.
L’aveva detto lei no? Non ci amavamo. Non eravamo legati. E aveva ragione. Quindi mi sarebbe bastato togliere la scarpa e scuoterla un po’, e il sassolino sarebbe uscito via senza problemi.
Presi il cellulare e cercai tra le ultime chiamate.
- Amico mio, mi serve un favore.
 


 


 
Loris


 
La chiamata di Nathan mi sorprese un po’, ma dal suo tono di voce capii che qualcosa era andato storto. Non aveva avuto molte richieste. In realtà ne aveva fatto solo una: “vienimi a prendere” aveva detto.
Così prima di andare da lui dovetti passare prima da casa sua.
Bussai tre volte prima che qualcuno mi aprisse.
Una figura piccola ed esile mi sorrideva dal basso. Natalie. Assomigliava molto al padre, anche se dopo gli ultimi eventi capitati in quella famiglia non ne ero più tanto sicuro.
La bambina aprì la porta facendomi entrare e dopo averla richiusa mi si parò al fianco.
- Ciao Natalie. Come stai?, chiesi rompendo quel silenzio e guardandomi intorno. Era sola?
- Come mai non sei passato oggi a scuola? Cazzo! Me ne ero totalmente scordato! Merda, merda, merda!
­- Ecco…io ho avuto un po’ da fare. Spero non sia successo nulla di grave., dissi quasi chiedendoglielo sperando che mi rassicurasse.
- No, nulla., tagliò corto lei andandosene con una certa non curanza in camera sua. E adesso?
Mi diressi in salone aspettando che arrivasse qualcuno. Meno di un minuto dopo la madre di Nathan emise un urletto piuttosto spaventato nel vedermi in piedi in mezzo alla stanza.
­- Loris! Che diavolo ci fai qui?, mi chiese mentre finiva di sistemarsi un orecchino. Voglio dire…scusami. Non sapevo fossi qui. Non ho sentito il campanello. Come sei entrato?, si corresse poi per nascondere quasi un’accusa dietro quelle sue parole.
- Signora, non sono entrato di soppiatto, stia tranquilla. Mi ha aperto Natalie. Sono qui per prendere alcune cose di Nathan per andare a prenderlo., al termine della mia frase la madre di Nathan smise di giocare col lembo della sua giacca.
- Cosa intendi con “andare a prenderlo” esattamente Loris?, il mio nome lo pronunciò quasi fosse una minaccia.
- Ecco…io vado a prenderlo perché oggi è il suo giorno d’uscita.
- Questo lo so anche io., puntualizzò come per rimproverarmi di non aver risposto alla sua domanda.
Dannazione Nathan!
- Credo che questi non siano affari che mi riguardino signora. Io sto solo facendo un favore ad un amico. E ora se mi vuole scusare vado a prendere la roba di Nathan., dissi io alzandomi e dirigendomi nella camera del mio amico. Non seppi nemmeno io dove trovai quella sfacciataggine nei confronti di quella donna. Forse era stato il pensiero che quella stessa donna ci aveva mentito per anni interi.
 
Le porte si aprirono ed una giovane donna stava tenendo sotto braccio la figlia mentre la accompagnava sul terrazzino.
Splendeva qualche raggio di sole. Nathan mi aveva detto di aspettarlo lì fuori.
Guardai verso il muretto con le colonne, come per cercare qualcuno, ma non lo vidi. Feci spallucce quasi deluso. Avrei dovuto aspettare da solo, e la cosa non mi piaceva molto.
Presi posto su una sedia lì accanto e osservai le persone. Due infermiere chiacchieravano. Un uomo anziano accarezzava la mano di una donna giovane. Sua figlia? Sua sorella? Sua nipote? Chissà. C’era così tanta sofferenza in quei falsi sorrisi. Ognuno di loro voleva far credere che andasse tutto bene, che sarebbe tutto passato, che presto sarebbero diventati solo ricordi quei brutti momenti. E invece io sapevo che questa storia ce la saremmo portata dietro per sempre. Non si sarebbe persa occasione per ricordarla, per farne oggetto di critica, esempio, difesa, accusa. Nulla sarebbe più stato uguale, nulla.
Attesi ancora. E ancora. Nathan non arrivava. Mi preoccupai per un attimo. Che fosse successo qualcosa? Ma poi lo vidi oltre il vetro delle porte farmi cenno di andare. Mi alzai facendo raschiare il metallo della sedia sul pavimento grezzo. Lo seguii uscire da quel posto e lo vidi voltarsi un’ultima volta, quasi si dispiacesse.
- Andiamo, ordinò con tono deciso ma triste. Lo seguii verso la mia auto e feci scattare il telecomando che ne tolse la sicura. Presi posto al volante e attesi. Nathan non entrava. Mi voltai a guardare dove fosse e non lo vidi. Dove diavole è andato ora?! Scese frettolosamente e spaventato dall’auto e mi guardai bene intorno.
Poi lo scorsi.
Stava parlando con qualcuno all’entrata dell’edificio. Zayn. Rimasi lì ancora qualche secondo ad osservarli per poi tornare nel veicolo. Non era affar mio, ma la curiosità stava già lentamente iniziando a divorarmi.
La portiera scattò cinque minuti più tardi, o forse dieci. Non lo sapevo. Avevo chiuso gli occhi, acceso una sigaretta e fatto partire il disco.
- Scusami. Mi ha chiamato appena sei entrato. Grazie di aver aspettato., si giustificò immediatamente col fiatone. Avrà corso.
- No problem! Niente di grave spero., la buttai lì io, tastando il terreno.
- Delilah!, disse lui quasi arrabbiato.
- Dove?, frenai di colpo io, e cercandola per la strada. Ma l’espressione di Nathan mi scrutava dubbiosa.
- Ma no! Zayn intendevo. Cammina riparti che formerai una coda altrimenti., non avevo ancora ben afferrato cosa c’entrasse Delilah, ma ripartii.
 





 
Nathan


 
Guardai Loris andarsene e mi voltai verso la porta. Voleva accompagnarmi, starmi vicino, ma quella era una cosa che avrei dovuto affrontare da solo.
Ebbi la tentazione di suonare il campanello, ma poi cercai la chiave dentro il vaso coi fiori ed aprii. C’era silenzio in casa. Richiusi la porta fortemente, ma senza sbattere.
Mia madre comparì sulla soglia della cucina dopo pochi attimi. Mi fissava incredula, nervosa, e decisamente arrabbiata. Molto, molto arrabbiata. Ma a me importava poco, perché tra i due, chi davvero aveva il diritto di stare male, ero io; per ogni menzogna detta, per ogni speranza distrutta, per ogni illusione falsa. Decisi di optare per il menefreghismo. Mi lasciai cadere sul divano con gli occhi chiusi. E attesi.
- Cos’è, non ti abbiamo insegnato niente in questa casa?, esordì lei. Me l’aspettavo quel rimprovero, dopo tutto lo avevo provocato io stesso.
- Sì, in effetti mi avete insegnato tante cose. Ne vuoi sapere una in particolare, mamma? Posso chiamarti ancora così vero?, non avevo intenzione di mollare, neanche minimamente. Ero certo che stava incrociando le braccia al petto, inarcando il sopracciglio destro guardandomi con lo sguardo assottigliato, incazzato direi, ma non mi voltai a guardarla.
- Ne parliamo sta sera, quando ci sarà anche tuo padre., sentenziò lei, con quel tono che non avrebbe ammesso repliche. Ma ora era diverso, ora io avevo diritto di poter fare il figlio stronzo perché loro erano stati genitori stronzi. Sapevo che non sapevano come gestire la cosa, rimandandone il boom ancora e ancora. Questa volta, però, io non avevo intenzione di rimandare proprio nulla. Io ora sapevo.
­- E l’altra mamma e l’altro papà non verranno, mamma?
- Quella non è tua madre!!!, strike.
- Davvero? Credevo fosse stata lei a portarmi nove mesi dentro di sé, o forse mi sono confuso un attimo e ho passato settimane al buio in un manicomio per puro diletto, mamma?, provavo uno strano e malato benessere nel rinfacciarle tutta quella merda. Sapeva che sarei esploso, ma optò per il silenzio, altro silenzio ancora. Sentii solo la porta sbattere con veemenza. Non mi mossi da dov’ero, né aprii gli occhi. Mi piaceva stare al buio, ormai mi ci ero abituato negli ultimi tempi. Solo in casa, nell’assoluto silenziom sentivo solo qualche macchina fuori e…il campanello.




Ci ho messo tanto neh? Sorry.
Comunque, la storia sta per finire, mancano due tre capitoli massimo (se non di meno). Vi lascerà proprio così :O (spoiiiiiiler! muahhahahhaha >]). E comunque ancora pure un'altra cosa, il capitolo è breve, i know.
Finita questa storia non so quando ritornerò, vedrò. Credo che farò una lunga pausa qui su efp (lunga per davvero), almeno fino a quando non mi verrà in mente di pubblicare qualcosa di davvero originale e non queste cacchette che ho scritto finora.
Detto ciò, orevuàààr (lo so che non si scrive così -.-') ciccinos miei.

/Lù.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** We are...wow! ***


Image and video hosting by TinyPic

Tutto ha una fine e tutto ha un inizio.








Delilah



Quante volte ancora avrei dovuto sopportare quella scena? La mia vita stava diventando noiosa. Ero riuscita a stabilire certe regole nella mia testa, ma come al solito tutto deve andare in fumo. Non potevo permetterlo ancora. Non di nuovo. Questa volta avrei dovuto prendere la situazione davvero in mano senza accontentarmi di nulla.
Suonai quel maledetto campanello. Mi sembrava scottasse per come avevo rapidamente tolto il dito dal pulsante.
Forse non c’è. Che fortuna. Non feci in tempo nemmeno a pensarlo però che la serratura scattò.
- Ma che sorpresa. E non sono ironico. Non riesci proprio a starmi lontana eh? Non lo sono nemmeno ora. Accomodati., non conoscevo quel Nathan, ma sembrava piuttosto seccato. E arrogante. Quel suo tono arrogante non mi era affatto piaciuto. Forse tornare a casa non gli aveva fatto così bene dopo tutto.
Si andò a sdraiare sul divano con le mani dietro la nuca. Non gliene fregava nulla di me in quel momento, o almeno così voleva farmi credere.
- Non sono qui per litigare ancora. Nemmeno per chiederti scusa o ringraziarti di chissà cosa. Sono qui perché voglio capirci qualcosa. Ma voglio anche aiutarti. E non sparare stronzate del tipo che non ti serve aiuto., dissi con una certa sicurezza accomodandomi sulla poltrona di fronte.
- Wow. Sai tante cose a quanto pare. E vediamo, come intendi aiutarmi?, si era alzato e ora mi fissava.
- Di cosa hai bisogno, Nathan?, ora mi ero alzata anche io, e nel mio tono c’era un non so che di perverso.
Il suo sguardo mi scrutava. Mi voleva. Oh, eccome se mi voleva.
- Vieni, con me. Ora., lo seguii su per le scale, in camera sua. Tremavo. Tremavo per l’eccitazione. Lo volevo anche io ora.
Chiuse la porta a chiave. Due giri. Chiuse le tende della finestra, e mi si parò di fronte, con le braccia tese lungo il corpo. Era troppo calmo.
Delicatamente mi sfiorò il braccio destro con un dito, disegnandone il contorno, fino ad arrivare al collo.
- Vuoi?, mi chiese. Ma a me sembrava più un invito. Così senza pensarci due volte mi fiondai sulle sue labbra che mi accolsero più che volentieri. Mi stringeva le braccia lungo i fianchi. Non potevo muovermi. Ma non me ne curai. La sua lingua era sufficientemente buona come distrazione.
Lentamente mi spinse col suo corpo verso la porta. La percepivo, la sua erezione che spingeva contro i suoi jeans. E percepivo le mie fitte.
D’un tratto si stacco dalle mie labbra e mi voltò. Le sue mani mi stingevano i fianchi ora, e continuando a stringere il mio corpo risalì lungo la schiena fino al seno. Lo strinse forte, fino a farmi gemere.
Infilò una mano sotto la maglietta attraverso lo scollo a “V” della maglietta. E come se il reggiseno non ci fosse mi sfiorò il capezzolo e raccolse il seno nella sua mano. Il mio respiro ormai era andato in tilt.
Non riuscivo a pensare. Ero distratta da quella mano, dal suo fiato sul collo, dalla sua voglia che spingeva contro di me, dall’altra mano che…stava abbassando la zip!
Un forte brivido mi percorse la schiena. I suoi baci umidi mi coprivano la spalla.
- Ora., disse lui quasi mi stesse avvisando. La sua voce era così decisa e sensuale. Mi piaceva quella parte di lui.
Mi lasciai totalmente andare. I miei pantaloni si erano fermati alle ginocchia. Poggiai la testa contro il legno freddo della porta quando percepii le sue mani spostarmi gli slip. Ma prima ancora che potessi provare una qualsiasi altra sensazione estasiante, sentii la porta sotto di me tremare. M’irrigidii all’istante. Ma lui mi strinse i fianchi.
- Shhh., mi zittì tranquillo, Si?, chiese poi al disturbatore.
- Nathan apri?, Natalie!
- Ho da fare, cosa ti serve?, la sua voce era dolce ma al tempo stesso non ammetteva repliche.
- Mi serve il tuo aiuto. Apri Nathan!, sentii la stretta sui fianchi farsi più decisa.
- Natalie. Non voglio ripeterlo. Vai., e questa volta davvero che non voleva ripeterlo. Mi voltai a guardarlo.
Mi stava sorridendo, in modo quasi, malato. Mi afferrò il viso fra le mani e mi baciò, con delicatezza. Si chinò e nel tirarsi su tirò su anche i miei jeans.
- Vieni, gli dissi allora io, sedendomi sul letto dopo aver risistemato il tutto, cosa hai deciso di fare quindi?
- Andare a Londra e stare in macchina con la pioggia fuori. E fumare erba.
- Non male come inizio. Solo che non piove oggi.
- Lo so. Per quello avevo pensato di riempire il mio vuoto riempendo te., disse poi lui divertito.
- Dovresti vergognarti Nathan, non sei per niente da esempio per tua sorella così.
- Lei non farà mai queste cose.
- Ah davvero? Ne sei proprio certo?
 
 



 
Nathan



Non ci ero mai andato senza Loris. Per un attimo mi ero sentito un traditore, ma voltandomi quella sensazione svanì subito. Lei era lì, con quella sigaretta in mano. Fumava occasionalmente, e per tenermi compagnia mentre fumavo la mia di sigaretta. Certo, la sua conteneva nicotina e la mia no, la sua la manteneva lucida e la mia iniziava a farmi sorridere quel tantino di troppo, ma meglio così. Mi sentivo meno solo con lei, era quella la verità. Mi eccitava da morire, ma quell’effetto lo faceva a mezza scuola senza che se ne rendesse davvero conto. E poi mi teneva testa, e quello mi piaceva più di ogni altra cosa. Ma sapevo che aveva di nuovo innalzato un muro tra di noi. Sembravamo più due amici che due… Non siete nulla Nathan, nulla. Già, non eravamo nulla. Non stavamo insieme, o sì? Queste domande da femminuccia non mi piacevano proprio. Forse era l’effetto di quella droga che iniziava a circolare per bene nelle vene che mi faceva fare certi pensieri.
Mi voltai a guardarla ancora, avvolta in una nube di fumi. Era bella, davvero bella. Neanche un filo di trucco, o almeno non che io ne vedessi. Magari usava uno di quei fondotinta speciali mimetizzanti di cui noi maschi non capiamo una beata mazza. Indossava sempre gli stessi orecchini di perle bianche. Spesso ci abbinava un bracciale anch’esso di perle bianche, altrimenti portava i polsi sempre nudi. Niente collane, niente accessori tipicamente femminili. Un maschiaccio insomma. Quel pensiero mi fece ridere.
- Ti faccio ridere signorino?, mi rimbeccò lei osservandomi a sua volta. Sorrideva.
- Sembrerebbe che tu sia un maschiaccio., le parole mi uscirono senza controllo. Temetti il peggio. Il suo sguardo si inarcò ma immediatamente tornò a sorridere.
- Cosa c’è in quella roba? Ti fa dire parecchie cazzate., e scoppiò in una risata.
Forse il fumo che io espiravo lei lo stava ispirando, provocando qualche effetto anche su di lei. Anzi dentro. Dentro. Quanto avrei voluto che mia sorella non fosse venuta a rompere le palle quel giorno. Avrei sfogato la mia rabbia dentro di lei, sbagliando, ma l’avrei fatto. Ormai da quando la conoscevo non ero più stato con nessuna. Loris mi sfotteva in continuazione. Diceva che mi ero dato alla fedeltà. Figuriamoci. Poi vibrò il telefono di entrambi. Nello stesso istante si illuminarono entrambi gli schermi, poggiati sul cruscotto.
- Tieni, mi porse il mio vecchio rottame e lesse il suo messaggio ad alta voce. Ed io potei farle coro nella mia testa, poiché le parole erano le stesse. La misteriosa persona aveva colpito ancora.
“Dicono che il piccolo Nathan sia tornato in piazza. Chissà cosa gli è capitato. Magari una gita dai nonni in montagna? O forse all’inferno, Nathan? Bye Bye. ;)”
- Ancora lei, commentai schifato. Ogni giorno una novità. Era diventata una specie di Gossip Girl. Ed era pesante. Non eravamo mica a Manhattan noi.
- Cosa ti fa pensare che sia una lei? Magari è uno stupido ragazzino che si diverte a giocare Gossip Girl., mi aveva letto nel pensiero. Guardai fuori dal finestrino. Solo nebbia. Lo aprii leggermente e lanciai nel freddo della notte quel che rimaneva del mio spinello. Richiusi velocemente, perché nel caldo che avevamo creato coi nostri respiri quel filo di aria gelida penetrato nel veicolo ci fece rabbrividire rapidamente. Girai le chiavi e il quadro dell’auto si accese.
- No. Aspetta., posò la sua mano sulla mia e rigirò all’indietro le chiavi. Il motore non risuonava più. Aspettavo cosa volesse dirmi. Perché voleva dirmi qualcosa giusto?
Si avventò su di me e mi baciò. Con frenesia.
 
Quella notte facemmo l’amore. Quella notte mi prese per mano e mi chiese di scappare via con lei, ovunque avessi voluto io.  E lo facemmo, scappammo davvero. Avvisammo le persone più care con un semplice messaggio che saremmo andati via. Non c’erano motivi. Ne avevamo voglia. Volevamo viaggiare, vagabondare, stare soli e ovunque. Chiunque ci avrebbe conosciuti, e nessuno avrebbe saputo chi fossimo.
Quella notte ci unimmo in una folle corsa che la vita ci aveva offerto su un piatto d’argento. Invitante.
Quella notte decidemmo che la vita è solo una, ed è stupido sprecarla in cosa serie. È più bello viverla come si vuole e come si può. Senza recare danni a nessuno, ma solo piacere a se stessi.
Quella notte segnò l’inizio di un amore che non finì mai. Come la vita.






E così finisce questa mia seconda storia. Forse un po' forzata (eh direi!), ma l'ho amata. :)
Ciao Nathan. <3
E naturalmente grazie a tutti i lettori.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1060538