Il mio grande, grosso matrimonio

di Luly Love
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 08:45 am ***
Capitolo 2: *** 10:20 am ***
Capitolo 3: *** 11:50 am ***



Capitolo 1
*** 08:45 am ***


08:45 a.m.
 
Non poteva mordicchiarsi le labbra sennò poi le avrebbero fatto male e quel giorno le servivano sane, non poteva tormentarsi le mani perché lo smalto trasparente doveva ancora asciugarsi, non poteva giocherellare nemmeno con una ciocca di capelli perché le era stato raccomandato fino alla nausea di non toccarli. Non aveva nessuno con cui parlare, e anche se qualcuno ci fosse stato, dubitava che un suono più articolato di “ajghehb” le sarebbe uscito dalla bocca.
In poche parole, doveva starsene seduta, ferma e in silenzio come una bambola, mentre mille pensieri le si agitavano nella testa. Se solo le avessero permesso di dipingere!
E invece no, perché correva il rischio di sporcarsi il viso, le mani o qualche altra parte del corpo e quel giorno era indispensabile che lei fosse impeccabile.
Come se metà degli invitati non mi avessero mai vista imbrattata dalla testa ai piedi...
Anzi, Naminè era fermamente convinta che delle macchie di colore non avrebbero fatto altro che rallegrare la giornata. Ma questo era solo il suo di parere, ed è noto che il parere della sposa conta poco o niente. O almeno, è così quando le tue damigelle e organizzatrici sono Kairi, Aqua e Larxene.
Detto tra noi, la ragazza non aveva voluto includere Larxene da subito, ma dopo un summit a cui avevano partecipato troppe persone, si era giunti alla conclusione che l’energico ed elettrico carattere di Larxene sarebbe servito affinché tutto filasse liscio.
Certo, perché gli invitati saranno terrorizzati da lei!
Scattò in piedi, nervosa, e si mise a girare in tondo per la stanza, lanciando occhiate ora al suo vestito appeso alla porta, ora alla propria figura riflessa nello specchio, ora alla finestra da cui si aveva una visuale del giardino dove si sarebbero tenuti cerimonia e rinfresco. Il pranzo e il resto dei festeggiamenti, invece, avrebbero preso luogo nell’enorme salone della villa che Vanitas aveva messo gentilmente (e per gentilmente si intende sotto minaccia di Aqua e Larxene) a disposizione.
Andò ad aprire la finestra per poter respirare la fresca aria estiva e subito le voci dei camerieri e degli altri del catering (sempre offerto da Vanitas) le arrivarono alle orecchie, insieme agli ordini di Larxene e alle lamentele del padrone di casa.
– Larxene, cribbio, avresti fatto meno danni alla guida di un bulldozer. Attenti ai girasoli, voi!
Oh, ma chi me l’ha fatto fare? –
Molto probabilmente, se si fosse trattato un un’altra persona, Naminè si sarebbe sentita in colpa, ma dato che si parlava di Vanitas, la sua coscienza continuava ad essere leggera come una piuma.
La bionda di sotto, nel frattempo, continuava ad ignorare bellamente le lamentele del moro, urlando anzi ancora più forte per sovrastarle.
La futura sposa si affacciò per vedere come stessero andando le cose ma Larxene, che evidentemente stava guardando verso l’alto, si affrettò ad abbaiarle di rientrare.
Le organizzatrici, infatti, avevano categoricamente proibito a chiunque, meno ovviamente che a loro stesse e all’esiguo ma efficiente staff di preparatori, di vedere la sposa nelle ventiquattro ore precedenti al matrimonio.
– Ma la tradizione non voleva che fosse vietato solo allo sposo? – aveva protestato inutilmente Naminè.
– Già, ma tu non sei una semplice sposa. Tu vai al di là delle tradizioni. – aveva replicato gentilmente Aqua.
Capendo che era una partita persa in partenza, non aveva insistito oltre, rassegnandosi al suo destino.
Facessero quello che vogliono, a me basta diventare sua moglie!
Tornò a sedersi, sconfortata e nervosa più di prima; rimase un po’ a fissare il vestito, poi lanciò un’occhiata all’orologio a muro: una ventina di minuti e sarebbe arrivato il parrucchiere.
Tanto per ingannare il tempo, cambiò l’acqua ai fiori del bouquet, composto da viole blu, a simboleggiare la fedeltà, nontiscordardime, simbolo di amore vero, e giacinti bianchi, simbolo di bellezza.
Era stato Marluxia ad occuparsene, sulla base dei colori del vestito, e del resto delle decorazioni floreali che profumavano e coloravano la casa e il giardino.
Respirò a pieni polmoni l’odore del suo bouquet, e quando era sul punto di espirare sentì un lieve ma deciso bussare sulla porta.
Corse ad aprire, lieta che qualcuno fosse arrivato a farle compagnia, ma quando si ritrovò davanti Riku ci rimase di sasso.
Lui si infilò veloce e furtivo nella stanza prima che lei avesse anche solo il tempo di dire “ehi!” e richiuse dolcemente la porta alle sue spalle.
Si guardò attorno e quando vide la finestra aperta, da cui provenivano gli improperi della ninfa selvaggia e di Vanitas, sussultò leggermente, forse immaginando cosa la ragazza gli avrebbe fatto se l’avesse beccato. Saggiamente, chiuse la finestra.
Naminè, che per tutto il tempo rimase immobile davanti alla porta troppo sbigottita per dire o fare qualcosa, si riebbe.
– Ci tieni alla vita? – chiese accigliata.
– Meno di quanto tenga a te, e questo spiega la mia presenza qui. – rispose lui con la calma di sempre.
A quel punto, incapace di trattenersi oltre, lei gli si gettò tra le braccia, con un tale impeto da farlo barcollare leggermente; lui iniziò ad accarezzarle i capelli e a mormorare parole d’incoraggiamento.
– Tranquilla, è normale che tu sia nervosa, ma fidati, è tutto apposto, le tue guardie del corpo - pardon, le tue damigelle - stanno facendo un lavoro splendido. Non manca niente, siamo in perfetto orario, tutto è al suo posto o sta per esservi messo. Sarà il matrimonio dell’anno. Indimenticabile. Impeccabile. Te lo prometto. –
Seppur rinfrancata, la ragazza rimase ancora un po’ ad ascoltare il cuore di Riku battere; fu lui a spezzare l’abbraccio, lanciando occhiate preoccupate all’orologio.
– Tra poco arriveranno qui una mezza dozzina di persone per trucco-e-parrucco, vero? –
Lei annuì, perplessa.
– Non ho molto tempo, devo sparire subito. Tieni. – disse allungando una scatolina quadrata di velluto nero.
Naminè la prese, esitante, e la aprì: al suo interno vi era un bracciale tempestato di piccoli swarovski blu che rifletteva la luce mandando tenui bagliori attorno a sé.
– Riku è... io... – ansimò senza parole.
– È blu, nuovo e regalato. Una cosa blu, perché anticamente questo era il colore che simboleggiava la purezza ed era il colore dell’abito della sposa; una cosa nuova che simboleggia la nuova vita che sta per iniziare, indica tutti i nuovi traguardi e le novità che porterà con sé; una cosa regalata a ricordare il bene delle persone care. – spiegò lui tutto d’un fiato.
– Tre in uno. Questo è parte del mio regalo. Si intona al vestito. Lo so perché Kairi mi fa fatto una sommaria descrizione. – aggiunse.
Lei avrebbe voluto abbracciarlo di nuovo, dirgli quanto gli fosse grata, ma era impietrita dalla gioia, senza contare che le lacrime rischiavano di arrivare da un momento all’altro.
– Mi ringrazierai un’altra volta; ora scappo, che devo andare a prendere la fontana di cioccolato, una delle graaandi idee di Aqua. Ci vediamo sull’altare! – e dandole un ultimo bacio sulla fronte, andò via, silente come era arrivato.
Lei rimase lì al centro della stanza ancora per un po’, osservando ora il bracciale ora la porta.
Alla fine, con un gran sorriso, andò a posare il regalo sul comodino vicino al letto, poi si asciugò gli occhi e fece un profondo respiro, riuscendo finalmente a calmarsi.
Giusto in tempo, perché Kairi entrò trafelata parlando a raffica con quattro persone che, Naminè lo capì subito, si sarebbero occupate dei suoi capelli e del trucco.
Meno di mezz’ora prima, sarebbe sprofondata nel veder entrare quelle persone, ma dopo aver parlato con Riku e aver ricevuto quel così inaspettato e stupendo regalo, non potè che andare incontro agli ultimi, fondamentali preparativi con un gran sorriso in volto e una trepidante quiete nell’animo.
 
 
 
Angolo autrice:
*rullo di tamburi e squilli di trombe*
Rieccomiiii!! Era tempo che non mi facevo sentire, eh? Vi sono mancata?
Andiamo al dunque: questo è il primo di tre capitoli. L’idea mi è venuta mentre mia madre mi costringeva a guardare “Say yes to the dress” (che tra l’altro non mi dispiace nemmeno come programma, ma avendo io una repulsione profonda e radicata verso il concetto di matrimonio civile/religioso, non risulta nella top ten dei miei programmi preferiti)
Comunque, bando alle ciance. Nel caso in cui ve lo stiate chiedendo, il futuro marito non è Riku e non sarà certo qui e ora che vi dirò chi sia. Dovete arrivare alla fine per capirlo. Lo so, sono stronza.
Inoltre, alla fine di queste note allego l’immagine del vestito da sposa (immagine presa da qui) e del
bracciale regalato da Riku.
Per i prossimi due aggiornamenti, non vi faccio promesse: l’ISPIRAZIONE va e viene, per questo capitolo ci ho messo due giorni, per il prossimo ci potrei mettere due mesi. Spero solo che i lunghi tempi non vi scoraggino dal seguirmi e dal recensire.
Detto questo, credo di aver detto tutto. Il titolo fa alquanto cagare, ma dalla vita non si può avere tutto.
Recensite copiosi e rendetemi felice!
Un bacio,
Luly 

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Capitolo 2
*** 10:20 am ***


10:20 am
 
Si specchiò ancora una decina di volte prima di decidere che sì, avevano fatto un lavoro splendido: i capelli le ricadevano in morbide onde sulla schiena (“Un po’ scontato” aveva borbottato Larxene, ricevendo immediatamente una gomitata da parte di Aqua e un’occhiataccia da Kairi) mentre il viso, la cui pelle era prima stata resa liscia come raso, risplendeva di una luce che sembrava naturale e che, in parte, lo era per davvero; le ciglia erano state allungate ma non appesantite, un leggero strato di ombretto argentato era stato steso sulle palpebre e una sottile striscia di eye-liner grigio perla aveva perfezionato il tutto; sulle labbra, un vivace gloss rosa.
Avevano puntato su un make-up fresco e naturale, che valorizzava i punti forti senza eccessi e nascondeva con maestria i pochi punti deboli.
Era soddisfatta come non mai.
Lanciò un’occhiata all’orologio, constatando che a breve, questione di una mezz’ora, avrebbe indossato il vestito, per poi iniziare con parte del set fotografico, offerto da Demyx, il quale era proprio il fotografo.
Era stata lei a chiedere un po’ di tempo tra il trucco e l’abito, per evitare di stressarsi troppo; non aveva voglia di fare tutto in una volta, preferiva affrontare le cose step-by-step.
Sorseggiò il tiepido the verde che  Kairi le aveva preparato, attenta a non danneggiare troppo il gloss, anche se, avendo visto Aqua farne scivolare la boccetta in tasca, sapeva che prima di andare sull’altare glielo avrebbero sicuramente ritoccato, insieme anche al mascara.
Sorrise, ringraziando il cielo che quelle tre fossero lì per lei ad aiutarla. Stava andando tutto a meraviglia, tutto...
Un violento colpo, come di una testa che sbatte contro il muro, seguito da una colorita imprecazione, la fece sobbalzare e le mandò il cuore su e giù per l’esofago. Per poco non si era rovesciata il the addosso, e, con le mani tremanti, posò velocemente la tazza sulla scrivania, per poi alzarsi e guardarsi intorno, preoccupata. Cosa era stato?
– Nami! Nami sono io! – disse una voce che conosceva bene.
Immediatamente, un sorriso le si aprì su volto e si tranquillizzò, anche se non totalmente: dove diamine si era ficcato? E perché quel colpo?
Si guardò intorno, frenetica, perché per un motivo o per un altro le sue damigelle sarebbero potute entrare e se l’avessero beccata in compagnia di un invitato non autorizzato, per di più maschio, sarebbero andate su tutte le furie.
– Dove sei? Non ti vedo! E cos’è stato quel rumore? Ti sei fatto male? –
– Niente più del solito, tranquilla. Comunque mi trovo dietro l’armadio. –
– Dietro... l’armadio? – chiese incerta, dubbiosa su ciò che aveva appena sentito.
– Senti, – sbottò lui – fammi uscire e ti spiego tutto, ok? È abbastanza stretto. E tetro. In fin dei conti è casa degli antenati di Vanitas. –
Naminè immaginò che Sora stesse rabbrividendo, così di precipitò ad aprire le ante dell’enorme armadio a muro che ricopriva quasi l’intera parete; vi entrò, scostando gli innumerevoli vestiti: prendisole, camicie, cappotti, giacche, perfino un abito da sera.
Dovrebbe fare ordine, quello spilorcio. Spende tanti soldi per feste, donne e compagnia bella e lascia che il posto dove vive sia un ricettacolo di ricordini del decimo secolo dopo Cristo!
Finalmente, arrivò al fondo dell’armadio; si guardò attorno, ma non vide altro che legno, nessun segno a rivelare una porta nascosta.
– Sora, parla, senza fermarti, così capisco dove sei. – disse, in tono perentorio.
– Oh, ehm, oook. – rispose lui, poi iniziò a parlare del rinfresco. Lei, seguendo la sua voce, si spostò a destra, le mani poggiate sulla parete di legno in cerca di qualcosa che segnalasse l’apertura della porta, magari un foro, un avvallamento o cose del genere.
Eccolo!
Una scanalatura verticale nella parete che, a causa della poca luce e delle venature del legno, non era visibile. Spinse con tutta la forza che aveva e la porta fece un leggero scatto verso sinistra, lasciando uno spazio di tre o quattro centimetri.
Un occhio azzurro si affacciò dalla fenditura.
– Bravissima, ci sei riuscita! –
Lei sbuffò, pregando che tutti gli sforzi fatti dallo staff di preparatori non andassero buttati alle ortiche, e continuò a spingere la porta. Per fortuna, Sora intervenne.
– Fermati, lascia fare a me. Questo è un lavoro da uomini. –
Lei si scansò, lieta che il ragazzo si fosse ricordato della galanteria, e lo guardò mentre faceva scivolare lateralmente la porta. Indossava un normale smoking nero (aveva sentito le minacce di Kairi, che prometteva uno sciopero del sesso della durata di sei mesi nel caso in cui lui si fosse presentato in jeans, converse e maglietta) a cui però mancava la cravatta.
Lui, barcollando in avanti, uscì dall’armadio, seguito a ruota da Naminè; si guardò intorno fino a che il suo sguardo non si soffermò sul vestito, appeso alla porta.
– Non vedo l’ora di vederti. Scommetto che sarai bellissima. – disse, poi, dopo un pausa, aggiunse: – Scusa il gioco di parole. –
– Tranquillo. – rispose lei ridacchiando. – Anche tu non sei male. –
Sora fece una smorfia e allargò le braccia, poi roteò lentamente su se stesso.
Quando ebbe finito, la fissò con sguardo penetrante e la ragazza, a quel punto, non riuscì a trattenersi e avvolse le mani di Sora tra le sue.
Chiuse gli occhi, per trattenere le lacrime.
– Eh no, eh, eh no!  Che fai, ti metti a piangere anche tu? Oggi ho dovuto sopportare le crisi di sette - sette! - persone, tra cui due maschi. Mi hanno rovinato il colletto, toccalo, è ancora umido! Non me ne importerebbe neanche tanto, ma Kairi mi lascia a secco se per colpa mia le foto vengono male. –
Naminè rise, mentre Sora riprendeva fiato.
– Olette, tua madre, la madre dello sposo, Alice, tua cugina, Roxas e Vanitas!
Non fare quella faccia, quest’ultimo era depresso per via di Larxene, è tutta la settimana che gli sta col fiato sul collo. Se ora ti metti a piangere anche tu, il prossimo sarò io! Per cosa mi avete preso, un’orchidea assetata? – il tono del ragazzo rasentava l’isterico; Naminè capì che era Sora il primo ad essere emozionato e commosso per via del matrimonio.
Lo abbracciò e lui tacque, accarezzandole la schiena. Quando entrambi si calmarono, ruppero l’abbraccio.
– Perché sei qui? E chi ti ha parlato del passaggio segreto? – chiese, curiosa. Va bene che era la sposa, ma perché tutti scalpitavano per vederla?
– Ho estorto l’informazione al padrone di casa, dopo che mi aveva lavato la spalla. La gente è facile da corrompere quando è a un passo dall’omicidio/suicidio. Comunque tranquilla, – si affrettò a dire davanti alla sua espressione scandalizzata – non alzerà un dito su nessuno, non finchè tu non diventerai la signora Feuer. E credo che, dato che il ricevimento l’ha offerto lui, mangerà e farà magiare in santa pace. Perciò, rilassati! Andrà tutto bene, oggi non ci saranno stragi, te lo prometto. – concluse battendole una leggera pacca sul braccio, un sorriso alla Sora stampato in volto.
– Ora, veniamo al motivo per cui sono qui. – disse, in tono solenne, e Naminè sentì la curiosità crescerle nel petto.
Lui, nel frattempo, si stava frugando le tasche con aria concentrata, borbottando frasi come “Dannati smoking” e “Ma dove diamine...?” poi, dopo un tempo che alla ragazza sembrò troppo, finalmente cacciò qualcosa.
– Ta-daaaa! – trillò, agitandole sotto il naso la mano contenente l’oggetto; lei gli afferrò il polso per poter vedere e, dolcemente, prese quello che si rivelò essere un bracciale con un ciondolo a forma di metà paopu.
Se lo rigirò tra le mani, senza capire, poi alzò uno sguardo interrogativo sull’amico.
– L’altra metà ce l’ha il tuo futuro sposo. – disse semplicemente il ragazzo, e Naminè finalmente comprese; gli gettò le braccia al collo mormorando parole di ringraziamento, sopraffatta dall’emozione. Si impose, tuttavia, di non piangere.
– Bada, però: non è un regalo. È un prestito. – specificò Sora. – Primo, perché una metà è mia e l’altra di Kairi, secondo perché a te serve una cosa prestata ad indicare l’affetto delle persone care che rimangono vicine in questo passaggio dal vecchio al nuovo. Me lo ridarai dopo il ricevimento. –
Lei annuì, stringendo in mano il ciondolo come se fosse la cosa più preziosa del mondo, quasi più preziosa del bracciale di Riku.
– Kairi crede che io te lo abbia fatto avere tramite una ragazza del catering, perciò nel caso tienimi il gioco. Altrimenti... –
– Sì, lo so. – lo interruppe. – Altrimenti ti lascia a secco. –
Luì annuì serio e teso: non era abituato a certe privazioni e neanche alla minaccia di queste.
Si riscosse dai suoi pensieri e poggiò le mani sulle spalle della bionda, guardandola negli occhi con intensità.
– Oggi è il tuo giorno, anzi il vostro, e sarà perfetto, il più felice sia della tua vita da single che da sposata. Non che il resto del tuo percorso da moglie sarà brutto, oddio!
Oh, non sono io quello bravo con le parole. Il succo è che sono felice di essere qui oggi e spero di poter continuare ad essere al tuo fianco per... per sempre. –
Concluse il non proprio illuminante discorso con una confortante stretta sulle spalle, ma questo bastò alla ragazza per sentirsi felice.
Si abbracciarono nuovamente, ma fu un abbraccio veloce perché lui aveva fretta: doveva infatti aiutare Ventus e Terra a spostare i divani per rendere più spaziosa una delle innumerevoli sale da pranzo.
Le diede un buffetto sulla guancia e si infilò dapprima dell’armadio e poi nel cunicolo; aveva però appena fatto tre passi che si era fermato, voltandosi a guardarla con la sua migliore faccia da Gatto con gli stivali.
– A dir la verità, non sono venuto solo per darti il ciondolo. Io... ecco... – balbettò, torcendosi le mani.
– Sì? – lo incoraggiò lei.
Sora cacciò fuori dalla tasca un involtino di stoffa nero tutto stropicciato.
– Mi faresti il nodo alla cravatta? – chiese, con una voce e uno sguardo da bambino.
 
 
 
Angolo autrice:
Chi non muore (io) si rivede!
Dai, che per i miei standard sono tornata relativamente presto.
Nemmeno Sora è il futuro sposo e così il campo si restringe. Sono aperte le scommesse. Fossi in voi, oh immaginari lettori curiosi, farei caso al futuro cognome di Naminè. Non dico altro per non rovinarvi la sorpresa.
L’immagine del ciondolo di Sora la trovate a fine di questo sclero queste note.
Nel prossimo cap la nostra sposa riceverà un’altra visita e (FINALMENTE!) diventerà moglie.
Grazie a tutti quelli che hanno letto, a chi ha messo nelle seguite/preferite/ricordate e a chi ha recensito. Anche se gradirei più recensioni, oh silenti lettori. (?)
A presto (si spera)
Lux 

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Capitolo 3
*** 11:50 am ***


11:55 am
 
Cominciò a credere che quella situazione, ovvero lei da sola in quella dannata stanza mentre fuori altre persone organizzavano il suo matrimonio, sarebbe diventato il suo nuovo frequente incubo.
Aveva appena finito la prima, stressante parte del set fotografico offerto e realizzato da Demyx; avevano girato per ogni angolo, esterno ed interno, della villa.
Le organizzatrici, ovviamente, avevano di volta in volta sgomberato le varie aree perché - testuali parole - la segretezza era la parola d’ordine della mattinata (non oso immaginare quale sia quella del resto della giornata...) e poi un pizzico di suspense non guastava.
Ma per chi l’avevano presa? Per la figlia di 007 e di una diva del cinema?
Ma, suo malgrado, doveva ammettere che senza quelle tre non sarebbe riuscita a fare un passo senza avere intorno minimo quattro persone, amici, parenti o imbucati che fossero. Tanto per chiarire, gli imbucati erano stati invitati dal padrone di casa e, un paio, anche da Larxene e Demyx, perciò non erano poi tanto imbucati.
Si sedette sulla cassapanca a piedi del letto e lanciò un’occhiata all’orologio, gesto divenuto il cliché della giornata. Mancavano trenta minuti, pardon, quaranta (perché secondo Kairi dieci minuti di ritardo erano d’obbligo. D’obbligo verso cosa o chi ancora non lo aveva capito, e molto probabilmente non lo sapeva nemmeno la rossa) e poi sarebbe entrata in chiesa. Sapeva già che della funzione non avrebbe capito un’acca, nonostante le innumerevoli prove fatte nelle due settimane precedenti al matrimonio: sarebbe stata troppo concentrata su lui e su se stessa sul fatto che presto sarebbero diventati loro. A tal pensiero, le sue spalle si rilassarono e sul suo volto compare un sorriso, un riflesso involontario sviluppato negli ultimi quattro mesi.
Un lieve bussare alla porta la riportò al presente.
– Avanti. – disse, preparandosi a ricevere una delle tre organizzatrici.
Ti prego fa che non sia Larxene, non Larxene, non Larxene...
La porta, tuttavia, rimase chiusa.
– Avanti! – gridò
– Naminè, sono io. Fammi entrare. –
Nel sentire quella voce, scattò in piedi e si precipitò verso la porta, che - se ne era dimenticata - aveva precedentemente chiuso a chiave dall’interno; le guance le si imporporarono e il cuore accelerò bruscamente. Per quanto gradite, le visite che aveva ricevuto fino a quel momento erano niente in confronto a quella.
Era così emozionata che ci mise più secondi del necessario per girare la chiave e sbloccare la serratura a causa del cervello che non connetteva bene; una volta portata a termine l’operazione, aprì la porta con un colpo così secco e poderoso che una piccola corrente d’aria le mosse i capelli e tirò dentro Roxas per un braccio.
Lo abbracciò così strettamente da mozzare il respiro a entrambi e chiuse lo porta con un calcetto.
– Ehi, non respiro! Senza di me il matrimonio non si può fare. – rantolò il ragazzo.
Lei rise e gli diede del cretino, ma allentò la presa, senza però staccarsi.
– Allora, – fece lui senza interrompere l’abbraccio – come ti senti? Hai la nausea? I giramenti? Voglia di qualcosa in particolare? –
– Mi devo sposare, non sono incinta. –
– Lo so, lo so, ma Vanitas mi ha raccontato che al matrimonio di sua cugina, la sposa ha vomitato in macchina e all’uscita dalla chiesa. E credo abbia minacciato di morte buona parte degli invitati più te, lo sposo e le organizzatrici se una cosa del genere dovesse accadere in casa sua. Ma non mi preoccuperei troppo: se tu dovessi vomitare, Larxene ammazzerebbe Vanitas giusto per scaricare il nervoso, perciò ci sarà una sola morte. –
– Confortante. – sibilò sarcastica Naminè staccandosi da lui e andando a sedersi sul letto.
Roxas la raggiunse e la prese per mano; rimasero così, in silenzio, per una decina di minuti, poi il ragazzo ruppe il silenzio.
– Dai serio, come ti senti? Hai bisogno di qualcosa? –
– Mi sento in gabbia. Voglio una macchina del tempo per arrivare a domani, così posso saltare tutta la parte difficile, svernante e orribile e svegliarmi già come signora Feuer. –
Roxas rise e le passò un braccio attorno le spalle.
– Spiacente, le macchine del tempo le abbiamo finite. Se lo sapevo prima l’avrei inserita nella lista nozze! Però ho la chiave della gabbia, se può interessarti. –
Lei si voltò a guardarlo, gli occhi scintillanti.
– Davvero? – chiese speranzosa.
Lui annuì, mise una mano in tasca e ne cacciò...
– Sbaglio o è una giarrettiera? – domandò Naminè a metà tra lo stupore e l’imbarazzo.
– Era di mia nonna. – rispose lui.
– Tua nonna ti ha regalato una giarrettiera? – non sapeva se ridere o preoccuparsi.
Vedendo la sua faccia, Roxas avvampò.
– Che cavolo pensi? Me l’ha data per il mio matrimonio! Aveva paura che non ci sarebbe arrivata e così mi affidato la giarrettiera. Però la voglio dare a te, poi nel caso la presterai alla mia futura sposa quando verrà il momento.  È una cosa vecchia, che simboleggia la vita che si lascia alle spalle e l'importanza del passato che non deve essere dimenticato nella transizione verso la nuova. –
– Sono più importante io che la tua futura moglie? –
Lui fece spallucce, imbarazzato.
– Non dimentichiamoci che saresti potuta essere tu la mia sposa. – rispose senza guardarla in faccia.
Un sasso scese nello stomaco di Naminè: lei e Roxas erano stai insieme per tutti i quattro anni del liceo, poi a causa di una serie di incomprensioni, in seguito ampiamente chiarite, si erano lasciati e lei aveva iniziato a frequentare il ragazzo che, quel giorno, sarebbe diventato suo marito.
– A volte l’amore non basta. – mormorò – Lo so che sembra una frase dei cioccolatini, ma è la verità. Evidentemente noi messi insieme funzioniamo solo come amici, come fratello e sorella. Non come amanti. –
– Quando penso a quel periodo, sorrido sempre e non mi dispiace per come sia finita. Siamo ancora insieme, no? In modo diverso, ma sempre bello. Sono felice e so che lo sei anche tu. –
Si chinò a baciarle la fronte; nel punto in cui le labbra di Roxas toccarono la sua pelle, Naminè sentì irradiarsi il calore e una sensazione di pace e nostalgia la invase. Cercò di non pensarci, così buttò fuori la prima cosa che le venne in mente.
– Dimmi un po’, perché oggi tutti smaniano per potermi vedere? E perché tutti mi ricoprono di regali? –
Davanti alla fronte aggrottata del ragazzo, raccontò in breve delle altre due visite che aveva ricevuto quella mattina; il biondo rise di gusto.
– Credo che sia per due motivi: primo, tutti ti adorano e vogliono dimostratelo. Secondo, è la prima volta che qualcuno di così vicino a noi si sposi, perciò sono tutti un po’ disorientati. Scommetto che Riku e quel bambinone di mio fratello hanno chiesto consigli o su Yahoo Answer oppure alle nonna. Ecco spiegato il loro comportamento da tradizionalisti. – commentò.
– Beh, anche il tuo, di comportamento, - gli fece notare lei – è da tradizionalista, perciò fossi in te non criticherei tanto. –
– Non sto criticando! – scattò Roxas – Sto spiegando il perché delle visite. –
– Vanitas è davvero sull’orlo di compiere uno o più omicidi? Anche Sora mi ha accennato ad una crisi isterica con tanto di pianto... –
Lui si strinse nelle spalle, dicendo che Vanitas era più isterico delle madri degli sposi.
– Dopo questa, – aggiunse – fidati: è sicuro al cento per cento che non convolerà mai. Sembra lui, la sposa! –
Risero.
– A proposito di pianti, un uccellino mi ha detto che anche tu hai aperto i rubinetti oculari. – fece, maliziosa.
– Che cosa? Io? Oh andiamo, ma ti pare? –
– ... –
– Sora ha le ore contate. –
Naminè lanciò un’occhiata alla pendola e per poco non ebbe un colpo: era mezzogiorno e un quarto!
– Rox, devi andare, Larxene starà radunando il “cast” ovvero damigelle - Alice, Kairi, Aqua e se stessa -,  testimoni - tu e Riku - e mio padre, che mi dovrà accompagnare sull’altare. Se ci tieni alla vita, fila subito via. –
Lui trasalì, forse immaginando quello che gli avrebbe fatto la ninfa selvaggia se lo avesse scoperto.
Raggiunse la porta, si fermò e si girò a guardarla.
– Ci vediamo tra poco. – le disse, poi aprì la porta e andò via, lasciandola di nuovo sola.
 
 
L’area di giardino destinata alla funzione religiosa era gremita; ogni singola sedia era occupata e c’era anche gente in piedi. Tutti parlottavano eccitati, alcuni mangiavano, altri bevevano; qualcuno aveva già iniziato a fare le prime foto e le prime riprese.
Lo sposo, sull’altare in mezzo ai due testimoni, parlava con il prete e lanciava, ad intervalli regolari, occhiatine alla direzione da cui Naminè sarebbe arrivata, rimanendo però puntualmente deluso nel constatare che nessuno, né sposa né damigelle, si vedeva.
– E se avesse cambiato idea? – mormorò.
– Smettila di fare il paranoico. Conoscendola, ti avrebbe avvertito, in un modo o nell’altro. – rispose Riku.
– Forse si è sentita male. Per forza, non è da lei fare ritardo. –
– Sta benissimo, fidati. Di sicuro, meglio di te, o di Vanitas. – disse distrattamente Roxas occhieggiando alla scollatura di una delle invitate che passava a pochi metri da loro.
– E se durante la cerimonia io o lei sveniamo? – lo sposo non riusciva proprio a tranquillizzarsi.
– Axel, hai rotto il cazzo. – sbottò in tutta la sua finezza Riku.
Il rosso non ebbe il tempo di controbattere perché la sua attenzione fu catturata da una figura che, correndo, si avvicinava dalla casa.
– È Sora o sbaglio? – chiese Roxas – Se cade e si sporca Kairi si mette le mutande di ghisa. Anzi, le fa mettere a lui. –
Si sentì un urlo provenire proprio dal castano.
– Arriva! Arriva! –
Riku e Roxas scoccarono un’occhiata in stile “te l’avevo detto, sciroccato” ad Axel, che però non li stava guardando, impegnato com’era a raccomandare al vicario di tagliare i pezzi superflui e arrivare subito al dunque.
L’uomo parve offeso, ma siccome in quel momento si avvicinò Vanitas non ebbe il coraggio di dire niente.
La piccola orchestra attaccò a suonare A thousand years di Christina Perry, canzone richiesta da Naminè, non appena Sora, ancora col fiatone, prese posto; tutti si alzarono.
Pochi minuti dopo, il corteo delle damigelle sfilò lungo il corridoio, seguito, a quindici passi di distanza (numero imposto dalle organizzatrici) dalla sposa e da suo padre. I flash scattarono, le lacrime sgorgarono e i sospiri risuonarono.
La ragazza arrivò davanti all’altare; suo padre la baciò sulla fronte e consegnò la sua mano a quella di Axel, poi andò a sedersi; i due ragazzi, che non si vedevano da settantadue ore (merito ovviamente delle organizzatrici), si studiarono a vicenda.
In barba alle direttive di chiunque, Axel si sporse a baciarla delicatamente e velocemente sulle labbra, strappando un singhiozzo commosso e un po’ contrariato a tutti, poi avvicinò le labbra all’orecchio di Naminè e mormorò due semplici parole.
– Sei bellissima. (*)
 
– Vuoi tu, Axel Feuer, amare, confortare, onorare e avere cura (*) di Naminè, nella buona e nella cattiva sorte, in salute e malattia, povertà e ricchezza, finchè morte non vi separi? –
– Cavolo, se lo voglio! –
– E tu, Naminè, vuoi amare, confortare, onorare e avere cura di Axel, nella buona e nella cattiva sorte, in salute e malattia, povertà e ricchezza, finchè morte non vi separi? –
– Lo voglio. –
– Per i poteri conferitimi... – un’occhiata di Axel lo convinse ad accorciare – ehm sì, io vi dichiaro marito e moglie! –
I due si baciarono con passione, sorridendo, mentre gli applausi scrosciavano, ma loro erano troppo presi l’uno dall’altra per accorgersene.
 
 
[Per la cronaca, nessuno morì, né ucciso da Vanitas né da Larxene; Kairi ricompensò lautamente Sora (se capite cosa intendo) durante il ricevimento dentro una delle innumerevoli camere della casa; Roxas fece amicizia con la ragazza cui aveva scrutato la scollatura prima dell’inizio della celebrazione e pianificarono di uscire insieme; sempre in tema di ricompense, Larxene fece sfogare per bene il padrone di casa (capite a me) e gli sposi... beh, direi che qui un bel “E vissero per sempre felice e contenti” ci vuole proprio.]
 
(*)  Ho preso ispirazione dal matrimonio di Kate e William sia per la frase che per la formula
 
 
 
Angolo autrice:
Ce l’ho fatta! Mi merito un applauso, che dite?
Santi numi, sono così felice di aver terminato questa fic! Non perché mi stesse sul groppone, ma perché si meritava una fine. E, non so voi, sono molto, molto contenta del risultato.
Lo sposo è Axel, siete sorpresi? (porgo la domanda a tutti tranne che a Rex ed AxXx che avevano già capito. Geniacci, pff)
Non credo di avere molto da dire, perciò passo ai ringraziamenti:
un enorme grazie a Red Cloud ed AxXx che hanno recensito: i vostri complimenti mi hanno illuminato le giornate; un abbraccio a Shikichika, Terranort_the_dark e _Atreius_ che hanno messo nelle seguite: mi avete dato la scossa per muovermi ad aggiornare.
E, ultima e più importante, la mia cara amica antocharis_cardamines che con le sue adorabili minacce e le sue splendide recensioni mi ha resa davvero felice. Ti voglio bene, te l’ho mai detto? :’)
Bene, è tutto. Anzi no: ho intenzione di tornare con almeno altre tre fic riguardanti questa long, tre missing moments. Siccome però al momento ho Mors-Amor (fate un salto se volete), una long e due OS su PJ da finire/scrivere, senza contare che il 29 ho l’esame di riparazione e devo finire di rivedere quel dannato libro di biologia, sarà una cosa che andrà mooolto per le lunghe. Se avrete pazienza, però, non rimarrete delusi.
Bene, adesso vado.
Un bacione e a presto,
JD
 
Ps: ero così eccitata per averla finita che non ho riletto, perciò se trovate errori fatemelo presente, please 

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