Amore e Guerra - tutto è lecito

di Sheloveslife
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ghiaccio ***
Capitolo 2: *** Kory ***
Capitolo 3: *** Nascondiglio e pericolo ***
Capitolo 4: *** Realtà ribaltata ***
Capitolo 5: *** Brillanti studenti alla facoltà di anatomia ***
Capitolo 6: *** Senza argini ***
Capitolo 7: *** Luce e Ombra - Nikolai's POV ***
Capitolo 8: *** Inspiegabile fiducia ***
Capitolo 9: *** Via la polvere ***
Capitolo 10: *** Tutto bene ***
Capitolo 11: *** Continuare a combattere ***
Capitolo 12: *** Quando tutto è nuovo ***
Capitolo 13: *** Una svolta ***



Capitolo 1
*** Ghiaccio ***


Esco dall’aula con i libri in mano e stiracchio la schiena.
Il lavoro di ieri sera mi ha procurato qualche livido e parecchi graffi. Al pensiero la rabbia scorre veloce nel sangue e mentre digrigno i denti e chiudo gli occhi vado a sbattere contro un muro. Un alto e possente muro di muscoli.
Ok, è la seconda volta nell’arco di otto ore. La cosa inizia a farmi arrabbiare seriamente.
Butto fuori aria dal naso, pronta a mandare a quel paese quell’ammasso decerebrato di addominali, pregando di non perdere il controllo e farlo finire gambe all’aria. “Mantieni il controllo. Sarà uno della squadra di rugby che non si cura nemmeno di guardare dove cammina” penso mentre preparo la sfuriata. Oggi non è giornata.
Sto per sputare fuori tutti gli insulti e le cattiverie che mi passano per la testa, anche perché per non farmi cadere mi ha sorretto dalla schiena. Che è tutta coperta da graffi aperti, dopo ieri sera. Non so se fa più male il corpo o l’orgoglio, feriti entrambi dalla serata.
Mi preparo a dirgliene quattro ma quando alzo lo sguardo mi aspettano due occhi ghiaccio e le parole mi muoiono in gola: è lui.
 
È buio, la finestra è socchiusa, come al solito.
Tutto procede secondo i piani, questa sarà un’operazione facile ed indolore.
Mi arrampico con agilità sulla staccionata e salto nella finestra vicino. “Dovrebbero ricordarsi di chiuderla, se non vogliono che qualche ladruncolo entri a rubare” penso ghignando.

Mi ricompongo e torno in Modalità-Lavoro, ML come la chiama Luke.
Non ci sono allarmi in questa stanza, devo solo trovare la cassaforte. E poi digitare la combinazione. Questa volta il lavoro è semplice, quando Luke  mi ha dato il fascicolo temevo si trattasse di uno scherzo. Un gioco da ragazzi, non avevo dovuto scoprire combinazioni, infiltrarmi come promoter di qualche ditta, calarmi dal tetto. Niente. Solo entrare dalla finestra del secondo piano, spostare il quadro dall’altra parte della parete, digitare il codice e prendere la valigetta. Il mio orgoglio era stato ferito. Quando mi lamentavo della noia, che non c’erano più molti incarichi nell’ultimo mese, non mi riferivo a faccende di questo tipo, da bassa manovalanza.
Le informazioni provenivano direttamente dalla figlia del riccone, che a quanto pare si sentiva in colpa per il modo in cui il suo vecchio sprecava i soldi. O forse era venuta a conoscenza dell’aitante, bionda, giovane russa che scaldava il letto di suo padre ormai stabilmente. Chissà perché la figlia non aveva detto la verità, tanto l’avrei scoperta in ogni caso.
“Concentrati. Quadro. Cassaforte. Ora.”
Inizio a camminare con passi leggeri verso il quadro quando sento un rumore dietro di me. Mi volto per vedere un’agile figura entrare nella stanza.

Non era previsto. Non era previsto che ci fosse qualcuno a quell’ora, figurarsi qualcuno che entrasse dalla finestra.. Anche lui – dev’essere un lui per avere una corporatura così - sembra sorpreso.
Per fortuna il mio corpo agisce più velocemente del cervello perché mi sono già tuffata verso quell’alto muro di muscoli che si è presentato al posto sbagliato, nel momento sbagliato.
“Ok, ladruncolo da quattro soldi. Non hai capito. Ora ti mostro contro chi ti sei messo” penso mentre faccio partire un calcio volante verso la sua faccia.
Lo colpisco ma nemmeno un grugnito esce dalla sua bocca, si gira lentamente e riesco a vederlo negli occhi. Sono azzurri. Azzurro ghiaccio, proprio come quelli che ti gelano sul posto. “Chissà come diventano quando si arrabbia davvero” penso divertita. “Ok, angioletto. È l’ora di farti il culo a strisce”

Riparto all’attacco, sferro un pugno alla guancia destra ma lui si sposta con un’agilità sorprendente per uno alto quasi due metri e molto spesso. Il pugno va a vuoto e ritento, ma mi blocca il polso e mi spinge con forza indietro. Mi alzo immediatamente, gli corro a fianco, faccio una finta di sinistra e poi sferro un calcio dietro al ginocchio. Appena le ginocchia toccano il pavimento alzo la gamba, colpendogli la faccia.
-Non sai contro chi ti sei messo- Sputo tra i denti
- Sei tu a non capire, gattina. Sembra che cerchiamo entrambi la stessa cosa – dice sorridendo.
Non ho tempo per ribattere perché in un attimo è già in piedi. Non può essere un semplice ladro. Ha un’agilità e un modo di combattere fuori dal comune. “Non preoccuparti dolcezza, la gattina ti fa il culo comunque. Fa comodo qualche avversario che non cada dopo due secondi ogni tanto!”

Mi scaglio verso di lui; probabilmente se qualcuno entrasse, vedrebbe due corpi danzare con colpi precisi e mirati che non vanno mai a segno. Colpi bloccati, parate, scivolate, salti. Una danza oscura, ammaliante. Due corpi che si avvicinano e si allontanano ad un ritmo scandito da ogni movimento.
Il combattimento sembra non finire mai, non c’è vincitore.

Faccio scivolare il coltello di riserva giù per la manica, rigirandomelo tra le mani. Questione di esperienza. Esperienza un fico secco, visto quello che succede dopo: mi avvicino lentamente e faccio uno scatto in avanti. Non se lo aspetta, il bastardo! Spingo il coltello verso il suo torace con tutta la mia forza ma probabilmente è una mossa prevedibile perché entra solo pochi centimetri prima che la sua grande mano si posi sulla mia e inizi a stringere, obbligandomi a lasciare la presa sull’arma. E ovviamente coglie l’opportunità per calciarla via. La situazione iniziava a darmi davvero sui nervi.
Ok, è un degno avversario. È da tanto che qualcuno non mi mette in difficoltà.

Ho sentito la sua voce ma non sono riuscita ancora a scorgere le fattezze del suo viso se non per gli occhi. È abile, la cosa è voluta. Esattamente come sono stata addestrata a fare io.
-Ok, ci siamo riscaldati. Ora però devi tirare fuori gli artigli, gattina!- replica sorridendo.
Improvvisamente scatta in avanti, mi prende alla sprovvista. Mi afferra per il bacino e mi spinge indietro con forza, mandandomi a sbattere contro la parete di vetro che separa la stanza dall’area relax.

La missione è saltata e probabilmente lo capisce anche Mister Muscolo Occhio Di Nuvola perché grugnisce e corre dalla finestra, sparendo nell’oscurità.
Ho qualche minuto prima che il riccone, proprietario del bersaglio, si presenti in vestaglia da notte con una mazza da baseball.
“Tipico” sbuffo.
Mi alzo, scrollandomi di dosso le schegge. Alcune si sono infilate nella schiena e non riesco a toglierle. Sollevo la mano sul viso, una scheggia, due, tre. Le estraggo, serrando i denti. So come fare e Kory, il medico sexy e capace della Tribù mi guarirà. E dopo potrò ricompensarlo a dovere!
Con calma, attenta a muovermi cautamente per non far entrare le schegge troppo in profondità,raccolgo il coltello, arrivo alla finestra e salto fuori sulla strada, soffocando un gemito di dolore.

Si, è un po’ troppo che non torno a casa sconfitta e dolorante. E non solo nel fisico.
“Mister Muscolo 1 – Selena 0” visto che io sono tutta sanguinante e lui ha un taglietto sul torace. Almeno ho girato un po’ il polso, spero stia soffrendo un po’.
Me la pagherà. Scoprirò chi è e quando succederà.. Allora ci divertiamo.
 

-Micetta! Chi l’avrebbe mai detto!- esclama lui, nemmeno fossimo amici per la pelle.
Mi lancia una lunga occhiata, sfidandomi a replicare, magari ad attaccarlo.
Lo guardo e basta, senza fare una mossa, l’espressione calma.
Poggio CASUALMENTE la mano sull’addome duro del mio amicone, un gesto molto dolce.
Lui sembra non essere d’accordo, il suo volto è sempre sorridente ma gli occhi si stringono impercettibilmente quando il pollice, nascosto dalle altre dita che sembrano accarezzarlo, schiaccia la pelle tumefatta, allargando la ferita.
Quando mi sembra abbia provato abbastanza dolore, mi avvicino al suo orecchio e sussurro

-Chi l’avrebbe mai detto?!
Piacere comunque, io sono Selena – dico sorridendo. Lui non sorride, forse ha percepito i lembi della ferita allargarsi sempre di più. Penso che stia per reagire invece rimane a fissarmi. Non fa niente.
Ok, non mi piace infierire o combattere contro chi non reagisce. "Perchè non reagisci? Non avrai mica paura di farmi male, angioletto?!"
Basta così per ora.
Gli batto una pacca sulla spalla e mi allontano.

“Ci rincontreremo”. Una sussurro, una promessa.





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Ciao a tutti!
Questa è una delle prime storie che scrivo, sono emozionata!
Lo so, non è un granchè ma volevo pubblicare per sapere cosa ne pensate, per cui se avete voglia, volete chiedere o criticare, io sono qui :)
Bè, spero che la storia vi incuriosisca un pò,
un bacione!

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Capitolo 2
*** Kory ***


“Calma Sel, devi smetterla di scalpitare. Sento la tua tensione, non riesci a stare ferma e così manderai all’aria tutto il mio lavoro”. Il tono divertito di Kory mi riporta alla situazione attuale.

Dopo qualche imprecazione riesco a formulare una frase coerente .

- Porca miseria. Sono dieci giorni che sono calma. DIECI. FOTTUTI. GIORNI. Non ce la faccio Kory, devi firmare quel pezzo di carta, dichiararmi idonea. Non ce la faccio a stare qui con le mani in mano, lo sai.-

 Le parole mi escono spezzate tra i denti, sia per la rabbia sia per il dolore. Perché in effetti la schiena fa ancora male, probabilmente una botta interna. Non mi piace esternare il dolore, non sono il tipo. Preferisco “Soffri in silenzio”.

-Non posso fare quello che mi chiedi Sel, devi riprenderti. E anche se potessi, l’ordine di tenerti ferma è arrivato direttamente dalla alto- sussurra mentre applica un unguento appiccicoso sui tagli.

-Dall’alto? Vuoi dire da Luke. Ok, senti. So come mi sento, sono a posto. Sul serio, posso tornare in servizio anche ades.. Ah!-

In questo momento il mio medico di fiducia mi osserva con superiorità, come a dimostrare di avere ragione. Detesto quando lo fa, detesto avere torto. Aumenta leggermente la pressione sul taglio, una tecnica che conosco anche io piuttosto bene. Il dolore aumenta ma neanche un sibilo esce dalla mia bocca, mi mordo la lingua: non sono abituata a cedere.

-Dicevi Sel?!- mi chiede ironicamente levandosi i guanti in lattice.

-Lo sai che ho ragione. Non potete tenermi in gabbia. Ho bisogno di lavorare, di sfogarmi..-

Sto quasi piagnucolando ma mi accorgo di aver sbagliato parola quando incontro il suo sguardo. Gli occhi verdi si stanno scurendo, sulla sua bocca compare un ghigno e si avvicina a me velocemente, trascinandomi nello salottino di fianco allo studio.

-Vuoi sfogarti? Sfogati Selena- sussurra ad un centimetro dalla mia bocca appena prima di assalire le mie labbra.

-Sicuro, dottore, che il sesso non farà peggiorare le mie ferite?- chiedo innocentemente, negandomi.

-Non si preoccupi, signorina. C’è un medico preparato qui, pronto ad alleviare il dolore- ghigna lui, ritornando all’assalto. Certo, ho davvero bisogno di sfogarmi e quale maniera migliore
di questa? D’altronde, il dottore dice che non posso combattere! Rispondo al bacio con la stessa passione e ci troviamo subito senza vestiti e senza pensieri.
 

Un’ora dopo mi sto infilando i vestiti, pronta ad uscire. D’altronde devo anche pensare agli studi..

-Usciamo stasera?- mi giro per trovarmi un bel ragazzo soddisfatto, stravaccato nudo sulla poltrona. Il ricciolo nero gli ricade sulla fronte e se al mio posto ci fosse stata un’altra ragazza, si sarebbe avvicinata per levarglielo dolcemente. Peccato per lui che si tratti solo di me. Gli occhi verdi mi osservano, esaminano ogni mio movimento in modo clinico e sicuro ma in fondo sa già cosa gli risponderò.

-Non ricominciare, Kory-  dico con voce stanca. Sempre la stessa storia.

-Andiamo Sel, ogni tanto possiamo anche uscire, fare qualcosa di alternativo oltre al sesso! Non fraintendermi, io adoro fare sesso con te!- il solito luccichio orgoglioso negli occhi – ma a volte sarebbe carino comportarsi come una vera coppia- insiste.

-Basta Kory, non vuoi iniziare un’altra volta questo discorso. L’hai detto tu: è sesso quello che facciamo. Sesso e basta. Niente coinvolgimenti sentimentali, ricordi? Avevamo concordato così: amici.-

Sembra di avere a che fare con un bambino.

-Tu hai concordato così, non vuoi rischiare di iniziare una relazione vera e propria! Ci fidiamo l’uno dell’altro, tu ferisci chi si mette contro di te e io guarisco. Siamo come due facce della stessa medaglia. Stiamo bene insieme, pensaci. E non parlo solo della nostra intesa tra le lenzuola.. Hai paura di soffrire e io lo capisco..-

-TU NON CAPISCI NIENTE!- urlo, perdendo il controllo

-Tu non capisci niente- ripeto con voce più bassa e controllata.

-Non dirmi che sai cosa provo, cosa voglio, perché non è così. Non devi psicanalizzarmi, devi solo curare questo corpo.  Amici, siamo amici che ogni tanto vanno a letto insieme per sfogarsi e per trarre piacere dall’altro. L’ “intesa tra le lenzuola” è fantastica? Si, ma questo non cambia cosa provo o cosa voglio. O questo o niente, Kory. Fine del discorso-

Me ne vado, sbattendo la porta, appena prima di sentire un pugno abbattersi sul muro.

Sono cambiate un po’ di cose da quando l’avevo conosciuto..
 

-Selena, vieni su- mi ordina Luke.

Senza rispondere, chiudo la chiamata e salgo le scale velocemente, pensando a quale possa essere la prossima missione. Sono a quota nove, la prossima dovrebbe essere il test, quello per vedere se sono in grado di continuare ad alti livelli o se “sono più adatta a stare dietro una scrivania”. Assolutamente no! Io voglio azione nella mia vita, voglio aiutare. Entro nell’ufficio di Luke senza bussare, come al solito e rimango ferma, dritta sulla porta.

-..Perchè è un settore necessario all’interno della nostra organizzazione e voglio solo i migliori, come te-

Quando il capo si accorge della mia presenza, senza girarsi fa le presentazioni – Kory questa è Serena, la ragazza di cui ti ho parlato. Selena, questo è Kory, il nuovo medico della Tribù.
Ti ho chiamato per accompagnarlo nella sua area appena ristrutturata, così che possa mettersi subito al lavoro e dare un’occhiata alla tua caviglia-


-Certo Luke, a dopo. Se vuoi seguirmi- dico al dottore senza guardarlo. Mi incammino verso l’ascensore emi fermo dentro, dopo aver schiacciato il tasto del primo piano. Il medico, Kory, è sorridente proprio li di fianco a me, sembra ansioso di parlare, come un bambino.

Uno, due tre. Calma Sel, ci siamo quasi.
Per non pensare all’effetto di stare in una cabina chiusa, che seppur enorme mi metteva oppressione, osservo il medico. Niente da dire, è davvero attraente. Alto, occhi verdi allegri e riccioli castani, l’eterno ragazzino. E sicuramente assiduo frequentatore della palestra, visti i muscoli che sembravano essere trattenuti a stento dalla camicia. Non aveva nessuna esperienza sul campo, quei grandi bicipiti erano il risultato di ore di ripetizioni alla sbarra, sicuramente.

-Ti piace quello che vedi, Selena?- la sua voce divertita ha una nota graffiata, probabilmente quella che convinceva una donna a saltargli addosso se avesse avuto inspiegabilmente qualche dubbio dopo averlo visto. Lui non mi conosceva, non sapeva che a me le sfide erano sempre piaciute. E ora era peggio per lui, avevo proprio bisogno di un “amico” così.

-Direi che non è male, dottore- ribatto io tranquillamente mentre mi avvicino a lui e in punta di piedi schiaccio il mio corpo contro il suo e attacco la mia bocca alla sua. Non è un bacio dolce, non voglio dolcezza. Voglio solo sentire l’adrenalina, la passione, riuscire a scaricare la tensione. E questo è l’unico modo che conosco.

Lui in ogni caso sembra gradire, quindi mi stacco e torno in posizione di attesa, composta e con un atteggiamento freddo, a due passi da lui che sembra disorientato.
 

E da li, è nata una profonda amicizia. So di potermi fidare di Kory, gli voglio bene, è come un fratello. Ok, no. Luke è come un fratello, una via di mezzo tra un fratello ed uno zio e da che mi ha trovato sulla strada, a cinque anni, raccogliendomi e portandomi via, è stato l’unico a cui appoggiarmi. Mi ha dato tutto. Una vita, la possibilità di studiare, un obbiettivo da raggiungere, uno scopo nella vita. Ora ho anche Kory: un amico con cui a volte condivido il letto. Non riuscirei a vederlo in maniera diversa.

Anzi, ci stavo pensando, fino a dieci giorni fa. Ora, ho capito che non è lui ciò che voglio. Tutto quello a cui ho pensato negli ultimi dieci giorni sono due grandi occhi azzurri ghiaccio, per alimentare la rabbia che sento, per evitare che si spenga.

Con questo pensiero in testa esco sorridendo dalla vecchia villa, sede segreta della Tribù, domandandomi quando potrò fare due chiacchiere con il mio Mr Muscolo.

Perché, volenti o nolenti il mio dottore e il mio mentore, ora avevo davvero bisogno di fare a pugni con qualcuno e si da il caso che quel qualcuno fosse casualmente la causa del mio riposo forzato e della mia irritazione.

Non era perché ero stata sbattuta con il sedere per terra. Non era per l’orgoglio ferito.

No, affatto. O forse si.

In ogni caso, una vendetta, se violenta ancora meglio, era quello che faceva al caso mio in quel momento.



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Ciao!
Premetto che questo è un capitolo di stallo, l'ho usato per spiegare un pò chi è questo personaggio e che ruolo ha nella vita della nostra Selena, che sembra fare molta fatica a fidarsi di qualcuno e non riesce assolutamente a farlo con tutta sè stessa per motivi relativi a traumi infantili.
Nel prossimo capitolo ne succederanno delle belle, Selena dovrà fare i conti con qualcosa - e qualcuno- di fronte a cui si sente indifesa..
Mi farebbe molto piacere se lasciaste una recensione!
Un bacio

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Capitolo 3
*** Nascondiglio e pericolo ***


Ci sono, il riposo è finalmente terminato e stasera ho una nuova missione.

Alle tre, dopo le lezioni, rientro nel lussuoso appartamento che Luke mi ha gentilmente fornito per cambiarmi. È il momento di una stancante corsetta e un caffè nel locale all’angolo di Baconty Street, ormai la routine prima di ogni incarico.
Mi vesto in fretta e furia: pantaloncini, maglietta dei Lakers, coda alta, sneakers. Odio chi corre con l’I-pod, è una bufala, un modo per barare. Ascoltando musica il corpo non percepisce lo sforzo, invece io ne ho bisogno, DEVO sentirmi stanca per spingermi fino al massimo e ancora più in la.

Esco camminando, inserendomi nel flusso di persone della città, faccio lo slalom e riesco ad arrivare correndo per il parco. Amo Hilk Park, è grande, verde e profumato. Migliaia di profumi che assalgono l’olfatto tutti insieme. E poi le persone. Mi fermo a guardare ogni uomo, donna, bambino che passa, i gruppetti di adolescenti, le ragazze in costume, i ragazzi emo, i nonni che fanno giocare i nipoti. Ognuno ha amici, parenti, persone vicine.

Correndo in mezzo a tutto questo, mi sento un po’ parte di questo tipo di mondo, per un attimo normale e non un’agente segreto orfano che va all’università, con una relazione prettamente sessuale con un medico sexy che ogni donna vorrebbe avere, un attaccamento da sociopatica al capo-mentore e una dipendenza da occhi blu.
Sorrido, la fredda verità è questa ma non mi lamento. Di sicuro c’è gente che sta peggio di me!

Il mio posto preferito nel parco è nascosto. Passando per il grande prato c’è un vialetto in ombra, tra gli alberi alti. Sette, otto, nove, dieci e..
Scatto a sinistra, saltando tra le radici dei due alberi vicini. C’è una rete con un buco in basso. Sono minuta, riesco a sgusciarci in mezzo e con una
capriola sono dentro il mio giardino segreto.

Sono rannicchiata e, sorridendo, alzo lo sguardo. Un fantasma. Un ragazzo con pantaloncini larghi e felpa nera si muove con impressionante velocità al ritmo di una danza nascosta, proibita.
Il cappuccio è tirato su ma io, nel profondo, so a chi appartiene quel corpo. È aggraziato ma contenuto, sa come muoversi e ogni movimento è perfetto e controllato. È lui.

Il tempo sembra fermarsi per un attimo quando entrambi ci guardiamo. So che ha percepito la mia presenza fin dall’inizio quando il suo sguardo non è sorpreso. È curioso, piuttosto.
Ci osserviamo, apparentemente rilassati. In realtà, siamo come due leoni, calmi a studiare l’altro, ad aspettare una mossa e pronti a scattare. Di sicuro non aspetto altro, ho bisogno di un allenamento pomeridiano, ho bisogno di una vittoria soprattutto.

All’improvviso scattiamo insieme, avventandoci sull’altro con violenza. Dopo anni di allenamento, i nostri corpi si muovono elegantemente perché l’arte del combattere è ben nota ad entrambi.

-Micetta, che ci fai qui?- chiede, come se, invece di tentare di sgozzarci a vicenda, ci fossimo incontrati in un bar. La sua voce è normale, nessuna nota di sforzo.
Non parlo, aumento la velocità dei miei movimenti. Ho una muscolatura potente ma non ho possibilità di vincerlo con la forza. “Bene, bestione. Vediamo se riesci a prendermi!”

Inizio a muovermi in maniera esplosiva, colpendo tutti i punti più dolorosi velocemente, senza mai restare ferma.
Sembra in difficoltà, ma solo per un attimo, perché fa scattare un pugno sul costato. Vengo sbalzato via. Sembra di essere appena passata sotto un tir e non riesco a respirare. Spalanco gli occhi e digrigno i denti dalla rabbia. Mi ha atterrato. Di nuovo. “Mr Muscolo 2-Selena 0”. Così non va.

La mia rabbia accresce quando lo vedo fermo a fissarmi dall’alto, con le sopracciglia corrugate e lo sguardo preoccupato. Oddio, devo essere pietosa.

-Mi dispiace, ok? Possiamo  solo p..- inizia.
Mi dispiace? Gli dispiace?! Ma non sono una ragazzina indifesa, sono una donna e stiamo combattendo e mi hai atterrato e mi dici che ti dispiace? Non siamo nel Medio Evo! Maschilismo delle balle.

L’ira divampa dentro il mio corpo come un fuoco inestinguibile e, incurante delle fitte lancinanti al petto mi scaglio violentemente su di lui. Questa volta lo prendo di sorpresa e riesco a colpirlo dietro il ginocchio e farlo atterrare, per poi sparare un bel calcio in faccia mentre lo spingo indietro premendo sulla spalla sinistra.
Direi che dopo questa siamo pari!

Il mio sorriso soddisfatto scompare quando tutto diventa nero. Ho appena il tempo di cadere sulle ginocchia e mettermi le mani davanti alla faccia.
 

 
Apro gli occhi lentamente e un dolore lancinante mi assale la testa, dietro sulla nuca.
Non ricordo cos’è successo, mi guardo intorno. Sono nel mio giardino segreto, distesa sul prato, di lato e due mani grandi lavorano delicatamente sulla mia nuca. Il tocco è piacevole e ho la tentazione di riaddormentarmi, non voglio più sentir dolore.
“No, Sel. Non farlo. Ho bisogno che tu stia sveglia.” Sento una voce calda dietro di me.

Mi sveglio all’improvviso, come se mi avessero vuotato addosso un secchio di acqua ghiacciata.
Mi muovo e tento di mettermi in piede velocemente, ma i miei movimenti sono fiacchi, senza energia e mi sembra che ogni singolo muscolo pesi un quintale. Una fitta tremenda mi assale il petto e mi ricordo tutto in un momento.

Anche lui è messo male. Piegato per terra sulle ginocchia, è sporco e pieno di piccoli tagli. La spalla sinistra è piegata in fuori in posizione innaturale, il naso e la bocca colano sangue, ma lui incurante si pulisce con il braccio destro. Anche in quel momento, con le mani insanguinate, inginocchiato a terra vicino ad un kit simile a quelli della sala operatoria sembra emanare potenza e coraggio.
Forse sono gli occhi. Più blu del solito.

Una fitta, un’altra. Non so se alla testa o al petto, mi fa male tutto. Balza in piedi e fa un passo in avanti, verso di me, ma mi metto in posizione di difesa e lui sembra essere uno di quei domatori di leoni che si avvicinano al felino cautamente, come per non spaventarlo.
Io non mi spavento, mai. Un’altra prima volta perché ora sono terrorizzata. Non posso difendermi e sono in balia di una spia molto ben addestrata. Ma non mi arrenderò senza combattere, questo no di sicuro.

Deve aver colto il flusso dei miei pensieri, perché mi guarda negli occhi, impedendomi di spezzare il contatto visivo, alza le mani e dice:

-Che ne dici di una tregua?-
Lo scruto attentamente, nonostante ogni piccolo movimento mi costi un immane sforzo. Sembra sincero e in questo momento non sono nella condizione di poter controbattere. In queste situazioni, di norma, noi spie siamo leali.
-Facciamo che per ora questo è il nostro posto neutrale, va bene? Sei ferita, Selena. So come aiutarti.-

Mi accorgo di aver abbandonato la posizione di difesa, stare con i muscoli contratti era troppo doloroso. Oppure il mio corpo traditore si fidava eccessivamente del mio aguzzino.
Non mi fido di lui, è chiaro.

-Micetta, nessuno ti troverà qui perché è un posto nascosto e quasi insonorizzato. Sono la tua opzione migliore, la tua unica opzione a questo punto. Lo so che è incredibile ma giuro che non ti farò del male. Posto neutrale.-
Non so se per lo sguardo sincero nei suoi occhi ghiaccio, o per il tono preoccupato, o perché davvero lui era la mia unica soluzione, in quel momento gli dico:
-Ok.

Una sola parola e ho compiuto uno dei gesti di fiducia, seppur obbligato, più grandi della mia esistenza. In quel momento la mia stessa vita è nelle sue mani e io non posso fare altro perché all’improvviso tutto si oscura di nuovo e sento le sue braccia forti cogliermi prima di cadere a terra.


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Ciao a tutti!
Prima di tutto, prego per il vostro perdono. sono stata molto molto molto impegnata ultimamente e non ho avuto il tempo di pubblicare il capitolo. Spero che vi piaccia e che mi lascerete una recensionina per dirmi cosa ne pensate!
Grazie a tutte quelle fantastiche ragazze che hanno inserito la storia tra preferiti, seguiti e ricordati, o a chi posta recansioni, sempre molto apprezzate!
Cosa succederà nel prossimo capitolo? Selena è in mani sbagliate? Mr Muscolo approfitterà di questa situazione? E con Kory? E le verità sul passato di Sel?

Un bacione a tutte, a presto!

 

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Capitolo 4
*** Realtà ribaltata ***


NB: questo capitolo ha contenuti appena rosseggianti.


“Selena, devi resistere.”

Silenzio.

“Non puoi mollare, capito? Non puoi.”

Buio.

“Ci siamo quasi, solo un ultimo sforzo.”

Dolore.

Sembra passare un’eternità e le mie palpebre sono troppo pesanti affinchè io possa sollevarle, sembrano dei macigni. Sento il dolore diffondersi dappertutto, fitte lancinanti che scuotono il mio corpo.

Caldo e freddo. Caldo e freddo mentre una bassa e piacevole voce musicale infonde un dolce suono nell’aria e due mani ruvide mi accarezzano. Non può esser Mr Muscolo. Devo essere al Quartier Generale e Kory starà facendo di nuovo il sentimentale, eppure il tocco è gradevole. Vorrei non svegliarmi mai.

“Miciotta, ora basta. È ora di svegliarsi.” Ok. Sicuramente non si tratta di Kory, ma del mio più acerrimo nemico.
Apro gli occhi lentamente, una miriade di profumi invade il mio naso e il mal di testa diventa inspiegabilmente più docile. Mi guardo intorno, alla ricerca di qualche segno caratteristico nella stanza. I profumi, solo i profumi e l’arredamento in legno. Ordinato, pulito e semplice.
È un sogno. Deve per forza esserlo.

Mi giro finalmente verso..
-Qual è il tuo nome?- gli chiedo, realizzando solo in quel momento che non lo so.
-Sono Nikolai- risponde lui, con voce stanca ma un grosso sorriso. Ok, perfetto. Sto sognando.
-Perché mi hai salvato, Nikolai?- non uso un tono arrogante, la mia è semplice curiosità.
La domanda sembra non piacergli e i lineamenti si induriscono visibilmente.
-Perché non voglio che altri innocenti muoiano se posso evitarlo- dice lapidario.
Lo osservo sorpresa. Da un membro dei M.A.N. proprio non me l’aspettavo. Sono un’organizzazione criminale senza scrupoli, che trae guadagno dalla sofferenza degli innocenti.

Sto per ripartire con una raffica di domande ma lui si alza e per la prima volta lo osservo da vicino.
Ha corti capelli biondi, mascella squadrata, penetranti occhi ghiaccio ma pelle abbronzata e tesa sui muscoli. È a petto nudo, indossa solo i pantaloncini dell’allenamento di prima. È alto, molto più di me. Un alto muro di pura forza e virilità. L’unico tratto che addolcisce il volto è la linea delle labbra carnose e rosse.

Niente da dire, nonostante al momento fosse ridotto piuttosto male: piccoli tagli si incrociavano su tutto il petto, la spalla era ancora lussata e la faccia era sporca e insanguinata. L’unica parte pulita erano le mani, con cui mi aveva medicata. Di che forza sovraumana era dotato per riuscire ad alzarmi con un solo braccio e trasportarmi dentro quella casa? Ah già, quello era il mio sogno! Come mai dovevo scegliere prioprio lui come Macho Man?!

Mentre scuoto la schiena, capisco che è stato li con me fino a quel momento, senza curarsi delle sue condizioni.
-Quanto tempo sono stata incosciente?- domando confusa. Sono davvero incerta, non so se sto vivendo nella realtà o sono ancora addormentata.
-Più o meno cinque ore. Sono le nove di sera. Non devi preoccuparti, sono capace di ricucire una ferita e di rimettere al proprio posto le costole. Ho fatto un buon lav..- Stiracchia la schiena – Ahhh – sussurra con il volto contratto in una smorfia di dolore.
Cinque ore. È rimasto in quelle condizioni per cinque ore, per tenermi in vita senza pensare al suo dolore.

Gratitudine. Sollievo. Ammirazione. Confusione. E altri sentimenti a cui non sapeva dare il nome e che preferiva per ora ignorare. Era il momento di ricambiare, almeno in parte.

Mi alzo dal materasso duro, scosto la coperta e mi avvicino a lui. Indosso le mie mutandine sporche e una maglietta che non mi appartiene. E sotto sono nuda. Alzo lo sguardo sdegnata con lui per avermi spogliata mentre non potevo combattere.

-Scusa micetta, se volevo salvarti la vita dovevo impedire che la costola traforasse il polmone o schiacciasse il nervo. Il pudore non era esattamente nei miei pensieri. Niente male comunque, peccato non averci prestato molta attenzione in quel momento – scherza lui, cercando di sdrammatizzare.

Ancora non capisco perché mi ha salvata, la sua giustificazione sembrava celare un motivo più profondo. O forse la mia immaginazione mi giocava brutti scherzi.

-Ora tocca a me aiutarti, Mr Musc.. Nikolai- mi correggo subito. Ho ancora la testa un po’ pesante ma sto cominciando a ragionare lucidamente.

-Siediti qui sul letto- gli ordino e lui obbedisce con un sorrisino sfacciato.

-Sono tutto tuo piccola!- Alzo gli occhi al cielo ma la situazione mi fa sorridere perché per qualcuno dall’esterno, sembriamo una coppia di innamorati appena usciti dalle lenzuola.

Lo osservo. Si fida di me, è curioso di vedere come me la cavo, esamina ogni mia mossa.

“Anche io so qualcosa sul pronto soccorso, Mr Muscolo” lo rimbecco nella mia testa.

-Stai fermo, farà male- lo avverto. Mi siedo a cavalcioni su di lui e sento quanto lui gradisca la posizione. E l’enormità del suo gradimento, anche se attraverso i pantaloncini, mi lascia interdetta. Lui mi guarda con un sorriso, sfidandomi a replicare o a fare commenti ma in quel momento ho la bocca asciutta.

-Hai qualche anestetico? Qualcosa contro il dolore?-domando con voce fredda, nonostante tutto il mio corpo sia in ebollizione.
-Non prendo nulla contro il dolore, i farmaci mi stordiscono e ho bisogno di essere vigile-  risponde lui, sempre percorrendo con gli occhi il mio corpo, come se stesse parlando di buste della spesa riciclabili.

Ok, così non può andare. Non riesco a concentrarmi.
-Ok, come preferisci. Ti fidi di me?- chiedo con un sorrisetto, aspettando una frecciatina cattiva che non arrivava.
-Si- risponde semplicemente guardandomi negli occhi. Gli sguardi si incrociano, sembra di guardare nelle profondità del mare, al momento i suoi occhi sono enormi pozze blu.
-Puoi urlare-. Mi guarda, confuso per quell’affermazione.
Senza preavviso metto una mano sul petto, l’altra sulla spalla e do uno strattone per rimetterla in sede.
Un solo soffio fuoriesce dalle sue narici, poi serra i denti e gli occhi, aspettando che quel dolore indicibile passi. Lascio andare il respiro e poggio la testa sul suo petto, accorgendomi di essere io stessa esausta.

La situazione sembra irreale.
Sto seduta in grembo alla spia che mi ah fatto il sedere a strisce, che è mia avversaria, che mi ha salvato la vita e mi fa ribollire il sangue. “Brava Sel, bella situazione quella in cui ti sei cacciata stavolta” mi rimprovero. Comincio a pensare che questa sia la cruda realtà.. no, non può essere.
Intanto lui torna a respirare normalmente, poggia il mento sulla mia testa e mi avvolge tra le sue braccia.
-Devi lavarti, questi tagli faranno infezione- lo ammonisco.
-Si mamma!- ha ancora la forza di scherzare.

Scendo dalle sue gambe e lo lascio alzarsi, andando ad aprire l’acqua nella vasca del bagno adiacente alla stanza. Gli lascio i suoi spazi, è orgoglioso, è forte, non vuole esser visto debole ne esser aiutato. Esattamente come me.
Quando si abbassa i pantaloncini rimango a bocca aperta. Non porta le mutande. Pensavo di non aver neppure più la forza di arrossire ma non è così, perché all’improvviso sono paonazza. Vedere corpi nudi non mi disturba. Nelle palestre sono abituata alla promiscuità negli spogliatoi, alle docce per maschi e femmine insieme.. E non sono esattamente una pudica vergine. Ma sembra che ogni parte di lui faccia effetto sul mio corpo. “Grande” mi riprendo senza entusiasmo, uscendo dal bagno per sedermi sul letto, poggiata alla spalliera con le gambe distese.

Potrei scappare. D'altronde è il mio avversario. Potrebbe farmi del male. Non so perché mi ha salvata. Non so nulla e potrebbe aver approfittato di me.
Eppure qualcosa mi convince a restare li, immobile ad aspettare Nikolai. Mi dico che è solo frutto della mia malata fantasia e perché deve rispondere a delle domande ma in realtà so che c’è di più. Semplicemente, non sono disposta ad ammetterlo a me stessa.

Esce dal bagno con un asciugamano in vita e anche se sono stanca e mezza addormentata rimiro i suoi addominali luccicanti.
-Ti piace quello che vedi?- mi sfida mentre indossa delle mutande nere.
-Molto- rispondo con gli occhi socchiusi. Non ha senso continuare a negare l’evidenza. Siamo attratti l’uno dall’altra. Qui in questa dimensione del mondo dei sogni, si intende. Il mio tono sembra un invito ma siamo entrambi esausti. Basta combattere anche contro quest’attrazione fisica, per stasera. Non riesco a controllarmi, sono stanchissima e sembro dimenticare che mi sto per addormentare tranquilla come un gattino vicino ad un leone.
-La tregua è valida anche in questa casa, non devi temere per la tua sicurezza- il suo tono è un po’ offeso. Si è reso conto della mia paura. Non ha il diritto di offendersi, probabilmente quando mi sveglierò dopo questo strano momento mi starà puntando una lama alla gola, elencandomi i 99 modi più terribili per torturarmi. E sono così stanca che, pensandoci, quasi sorrido.

Gli occhi si chiudono, non riesco a tenerli aperti, è tutto in silenzio.
-Grazie- sussurra.
-Tu hai fatto lo stesso per me, anzi, sono ancora in debito- dico io piano di rimando.
-No, grazie per fidarti di me- una lunga pausa fa aleggiare le parole nell’aria. “È  solo un sogno. È solo un sogno”
-Non ti illudere, è solo il luogo neutrale- lo rimbecco. La minaccia non subisce l’effetto voluto, a causa del mio tono strascicato
-Lo so, Selena- risponde lui. La sua voce suona stanca, non solo per la giornata pesante. Un eco di tristezza pervade la stanza, attorno a quei suoni, riesco a percepirla e non ribatto.

“Peggio di così non può andare” mi ricordo. In questo momento non mi interessa di niente e per di più sono ancora in debito. Ed è solo uno stupido sogno concepito mentre soffro come un cane tra le grinfie di una spia criminale. O almeno è quello che mi dico mentre mi giro e poggio la mia testa nell’incavo della sua spalla alzata. È come se fossi senza freni inibitori, sento una vocina dentro di me che mi avverte del pericolo ma viene soffocata sempre più. Mi sento ebbra, libera per la prima volta da tempo e voglio che anche lui si senta così. Almeno per un istante.

All’inizio è interdetto dalla mia mossa, poi si mette comodo e mi avvolge con il braccio.
“Non importa se è un sogno” penso.
Mi addormento sorridendo per la prima volta da quando possa ricordare.


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Salve a tutti!
Vorrei abbracciare-stritolare tutti quelli che hanno messo la mia storia tra le seguite, le preferite e le ricordate. E soprattutto a chi mi lascia un pensiero nelle recensioni. Sul serio, è una cosa bellissima!
Nel prossimo capitolo si ricostrurà un muro tra i due protagonisti, saranno un pò diffidenti nei confronti dell'altro a causa di questo "legame" che si sta creando. Spero di non deludervi,
un bacione!

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Capitolo 5
*** Brillanti studenti alla facoltà di anatomia ***


Mi sorride e io gli sorrido di rimando. Mr Muscol, cioè Nikolai ha un bellissimo sorriso. In realtà è tutto molto affascinante, soprattutto mentre mi tende una mano, invitandomi ad avvicinarmi. Mi avvicino raggiante, mi arrampico sul suo corpo scultoreo e inizio a baciarlo con passione mentre la sua presa forte mi tiene incollata al suo corpo. Questa è felicità.
 
Mi sveglio di soprassalto, spaesata per il luogo in cui mi trovo.
Ci metto un po’ ad ambientarmi, ma alla fine tutti i ricordi mi assalgono con il vigore di un fiume in piena.

Allenamento. Combattimento. Sconfitta. Dolore. Vita. Nikolai.

Mi giro e vedo il letto vuoto, in quel momento mi accorgo dell’acqua della doccia che smette di scorrere.

Mi alzo in un batter d’occhio e, incurante delle fitte di dolore, frugo in un cassetto ordinato per infilarmi un baio di boxer neri e una canotta che potrebbe farmi da vestito.

“È quasi uscito, sbrigati Sel..” penso lucidamente. Non so perché ieri sera mi abbia risparmiato ma non voglio restare qui per scoprirlo.

“Veloce, veloce, dai..” sussurro a me stessa, aumentando la velocità dei movimenti. Infilo le scarpe da ginnastica e mi guardo intorno alla ricerca del mio coltello. La maniglia si abbassa.

“Al diavolo, mi forniranno un coltello nuovo” rifletto prima di correre fuori dalla porta.

-Selena..- sento la voce roca in lontananza. Sembra un lamento, una preghiera ma non mi fermo né mi giro indietro per vedere la sua espressione.

So che se volesse potrebbe raggiungermi e me lo aspetto, fino a quando non arrivo al parco. È mattino presto, saranno le sei ed è tutto deserto. Continuo a correre, concentrandomi solo sul mio battito in continuo aumento. Non so quanto sono andata avanti, ne quanta strada ho percorso ma ad un certo punto mi ritrovo davanti a casa mia. Apro la porta, entro, la richiudo e mi lascio scivolare contro la parete dura, cercando di rischiarare la mente.
 


“Perché mi ha salvata?”

“Perché non uccidermi quando ne aveva la possibilità?”

“Perché non mi ha inseguito? È un M.A.N. e nessuno di quella maledetta organizzazione lascia mai un lavoro incompiuto. Che stia solo seguendo gli ordini?”

Tutti questi interrogativi si presentano alla mia mente in un colpo solo e sfinita, cerco una soluzione.
Magari pensa che io non sia a conoscenza della sua appartenenza ai M.A.N.

No, impossibile. Il tatuaggio mezza stella-mezza sfera parlava chiaro. Lui sapeva che io sapevo.
Magari voleva uccidermi, ma era troppo debole per farlo e mi ha lasciato vivere. No, improbabile anche questo. Una spia sarebbe sempre in grado di terminare l’incarico.

Magari vuole avvicinarsi e fare il doppio gioco.
Ecco, questa sembra la possibilità più reale. Ora so come comportarmi e una situazione così non ricapiterà, io non lo permetterò.
Elimino quella labile vocina dentro di me che mi ricorda quanto piacevole sia stato avere per la prima volta qualcuno a prendersi cura del mio corpo in modo disinteressato. Al momento dovevo tirare giù il tasto coscienza.

“Sono una spia. Non una qualche ragazzina infatuata. Sono una spia, combatto per quello che è giusto.”
E con questo pensiero scrollo la testa e con passo risoluto, entro nella doccia.
 


Due ore dopo sono seduta a lezione, intenta a prendere appunti sulle possibili lacerazioni del tessuto vaginale. Seguo un corso avanzato di anatomia, il corpo umano ha sempre destato il mio interesse e quando Luke mi ha offerto la possibilità di studiare, l’ho colta al volo.
All’improvviso qualcuno bussa sulla porta. Non ci faccio caso, molte volte si tratta di qualche tecnico di laboratorio che porta strumenti in aula e non alzo nemmeno il volto dal foglio, fino a quando sento le risatine delle mie oche, frivole e raccomandate compagne di corso.

Alzo di malavoglia lo sguardo, cercando di capire il motivo di tanto entusiasmo e il respiro mi si strozza in gola. È lui, è una persecuzione.
-E lei, signore? Da dove viene, così in ritardo?- esordisce il professore, abbassando gli occhiali per scrutare il nuovo arrivato con aria di sufficienza.

-Mi scuso per il ritardo, professore. Ho avuto un problema stamattina che mi ha impedito di arrivare puntuale alla sua lezione. Non succederà più. Sono
Nikolai Pochoskvy- dice lui, con un sorriso sghembo e la solita calma.

A sentire il nome, il professore, il nostro integerrimo e rigido professore sbianca e balbettando aggiunge: - Signor Pochoskvy, si.. ehm, certo. Si accomodi pure..- ma poi, accorgendosi dell’insicurezza si riprende: - E cerchi di essere puntuale la prossima volta-

Non posso crederci. Il potere dei M.A.N. è giunto fino a qui, all’università. Per scatenare una simile reazione ad un così composto e severo professore, chissà cosa sarà stato detto..

Nikolai segue le indicazioni del professore e si siede nell’unico banco libero in fondo alla classe, fortunatamente lontano da me. Si muove in modo fluido ma io che l’ho visto combattere riesco a notare come la spalla lussata sia leggermente ricurva o come i respiri risultino spezzati.

“Accidenti, avrei dovuto restare a medicarlo stamattina”. Il pensiero mi colpisce come una mazza, inaspettato.
“Ma cosa dico? È il nemico e io mi sento in colpa per non averlo medicato?!”
“Cavoli, Selena. Quel ragazzo ti ha curato. Glielo devi”
“Gli devo un bel calcio in mezzo alle gambe. Non fosse stato per lui non si sarebbe creata quella situazione” mi ricordo, ponendo un punto al mio conflitto interiore.

Nel frattempo la lezione volge al termine e velocissima, ritiro le mie cose e mi dirigo verso l’uscita, mischiandomi con la folla. Non devo più rimanere sola con lui perché al corpo a corpo è più forte..
Una mano cade sul mio braccio, impedendomi di proseguire. La presa è salda ma non troppo stretta. Mi giro con lo sguardo furioso.

-Selena..- inizia lui.
Senza dargli tempo di continuare lo spingo fuori dal flusso di persone, fino a ritrovarci nell’ampio cortile, riparati sotto un albero ma sempre vicini alle altre persone.
-Smettila. Smettila ok? Non so perché mi hai salvata né perché ieri sera quando ne hai avuto la possibilità non mi hai uccisa. Non so quali sono i tuoi piani ma ti avviso. Non sono senza risorse. Fino ad ora abbiamo solo giocato, ma adesso sono stanca. Non so cosa tu voglia da me, ma è arrivato il momento di lasciarmi stare o tirerò fuori gli artigli. Basta seguirmi, basta frequentare i miei corsi, basta prendermi alla sprovvista, bast..- non faccio in tempo a finire che lui si fionda sulle mie labbra.
Sono soffici e si posano sulle mie, cercando di aprirle.
Lo odio. La sua lingua percorre la linea delle mie labbra e un brivido mi corre giù per la schiena.
Come si permette a baciarmi?! Le sue grandi mani si serrano sui miei fianchi e mi attirano vicina a lui. Per la sorpresa separo le labbra e lui ne approfitta per infilarci la lingua.

È questione di un attimo, una scintilla che si accende all’improvviso.
Non so cosa mi succede, non so più se voglio prenderlo a calci nel sedere o attirarlo ancora più vicino per continuare a baciarlo, ma quando mi solleva e mi trovo appiccicata a lui, l’istinto prende il sopravvento e gli circondo le anche con le gambe, facendo vorticare la lingua con la sua.
“Non significa niente. Niente..” mi ripeto serrando sempre di più le cosce attorno a lui.
È pura passione, fuoco puro e in un bacio so di essere persa.
 
 
SPOILERS:
-Selena- qualcuno mi sta chiamando.
-Selena- la voce è spazientita e mi riscuote dai miei pensieri che avevano assunto l’aspetto di un uomo dalle sembianze scultoree, con occhi ghiaccio e capelli platino.
“Accidenti a me e a questi ormoni scatenati”
-Si Kory, ti sto ascoltando- rispondo con tono annoiato.
-Sono quattro volte che ti chiamo. Cosa ti passa per la testa?-
“Nikolai”.




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Salve a tutti!
Eccovi qui un nuovo capitolo!
Ho già pronto il prossimo ma aspetto di sentire cosa ne pensate di questo :)
Nel prossimo si scoprirà qualche verità sul passato di Sel!
Spero di non deludervi, sempre grazie a chi recensisce o segue, o ha messo la storia tra ricordate e preferite. Grazie col cuore.
 

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Capitolo 6
*** Senza argini ***


Ma come ha osato?
Cioè, come si è permesso?! E io, come ho potuto permetterglielo?
 

La sua lingua continua a guizzare attorno alla mia, con movimenti prima veloci e poi lenti, dolci, sensuali. Le sue mani vagano sotto la mia maglietta, esplorando il mio corpo o sorreggendomi sotto il sedere.

È una tortura dolce ma insopportabile, lenta ma continua. E io non ho alcuna intenzione di fermarla.

Questa sicurezza però mi stordisce, mi fa vacillare un secondo: il tempo necessario affinchè lo sdegno e la rabbia riescano ad entrare in questa coltre di passione.

Riacquisto in un attimo la lucidità, slaccio le gambe nel tentativo di scendergli di dosso ma lui non molla la presa e mi osserva con occhi ancora annebbiati.

-Selena- la voce roca quando pronuncia il mio nome-che succede, piccola?-

-E me lo chiedi?- dico con i denti serrati.

Continuo a scalciare perché mi lasci andare ma confronto a lui sembro una bambina e non ottengo risultati.

“Bene, passiamo alle maniere forti allora”.

Senza far presagire il mio movimento scaglio la mia mano tesa verso le sue scapole, proprio nel punto in cui l’ho colpito ieri e il colpo gli mozza il respiro. Allenta un attimo la presa e io ne approfitto per uscire dalla sua morsa e allontanarmi.

-Non toccarmi mai più, o te ne pentirai- affermo con espressione truce.

-Sei spaventata perché ti ho toccata o perché ti è piaciuto, micetta?- mi risponde lui sorridendo. E il senso di colpa che sentivo dopo averlo colpito nel suo punto debole svanisce all’istante, sostituito da una rabbia a stento controllata.

Sbuffo, senza cambiare espressione e, sistemandomi i vestiti, dopo un bel respiro rientro a lezione.
 
 
-Selena- qualcuno mi sta chiamando.

-Selena- la voce è spazientita e mi riscuote dai miei pensieri che avevano assunto l’aspetto di un uomo dalle sembianze scultoree, con occhi ghiaccio e capelli platino.

“Accidenti a me e a questi ormoni scatenati”

-Si Kory, ti sto ascoltando- rispondo con tono annoiato.

-Sono quattro volte che ti chiamo. Cosa ti passa per la testa?-

“Nikolai”

-Nulla, continua pure- gli dico invece, notando che se è fermato con le forbici da sala operatoria in mano.

-Se mi avessi prestato attenzione, ti saresti accorta che ti ho chiesto come ti sei procurata queste ferite. E come hai fatto a curarti così da sola- chiede con
curiosità.

-Durante una missione. Frequento medicina, Doc. Non sei l’unico che riesce a rattoppare qualche taglietto- rispondo sarcastica. Odio gli interrogatori. Soprattutto quando sono a disagio nel rispondere.

-Non ti è più stata affidata alcuna missione, Selena. E uno studente del terzo anno non potrebbe mai sapere come “rattoppare” ferite di questo calibro. Non mentirmi- mi intima, il tono più basso e serio.

-Non. Sto. Mentendo- sillabo io a denti stretti –Non osare mettere in dubbio quello che dico, Kory. Non sono una bugiarda.
Il senso di colpa mi attanaglia ma non posso rivelare niente anche perché non saprei come spiegare tutto. Soprattutto non al medico del mio gruppo/amante.

Seguono dieci minuti di silenzio, ma di silenzio carico di cose non dette che aleggiano nell’aria.

-Si, scusa Sel, non volevo insistere. È che ultimamente mi sembri distante- sussurra, avvicinandosi alla mia bocca, una volta terminato il controllo e ricucito tutto.

“Perché no?” penso. “In fondo potrebbe aiutare a scaricarmi un pò”. Ma non appena le sue labbra si schiudono l’immagine del bacio con Nikolai si avventa sulla mia mente e con un sussulto mi allontano.

-Oh merda- esclamo. Stiamo parlando di Kory. Il sexy Kory. Il medico Kory, quello che sta dalla parte dei buoni e che riusciva a portarmi per qualche ora in un universo edonistico. E ora quando lo tocco penso a Nikolai. La spia che invece combatte per i cattivi. Perfetto. Ma che problemi ho?!

-Selena, mi stai preoccupando. Stai bene?- Kory si avvicina lentamente con le mani sollevate.

-Io.. Si, sto.. No. No, non sto bene. Io.. Devo andare, scusa. Ci sentiamo- e senza voltarmi esco dalla sala e salgo in ufficio.

Uscendo dall’ascensore incontro Luke. Lui rimane interdetto e mi abbraccia.

-Selena - la voce colma di affetto –come stai, piccola mia?- mi sussurra.

Il suo comportamento passa ormai inosservato da tutti i miei colleghi: tutti si sono abituati all’atteggiamento quasi paterno e tutti sanno la mia storia. A volte sospetto che sappiano più loro che io riguardo ciò che mi è successo prima che Luke mi trovasse. Lui mi ha raccontato solamente di avermi raccolta da davanti al cancello della Tribù.

-Una bambina di cinque anni, piena di graffi e lividi, ma con lo sguardo fiero e combattivo- così mi aveva detto – Ti ho guardata negli occhi e ho capito che eri dei nostri. E così è stato- terminava con orgoglio.

Questo è tutto ciò che so e finora mi è bastato. Luke è stato tutto per me: padre, fratello, zio e ogni tanto anche amico. Gli devo tutto, lui mi ha dato tutto e io ho legato la mia esistenza alla Tribù.

Non so chi siano i miei genitori né perché mi abbiano abbandonato, ma Luke è la figura più vicina ad un padre che io abbia mai avuto, gli voglio bene.

-Sel, stai bene?- mi chiede preoccupato, sciogliendo l’abbraccio.

-Si certo, Luke. Perché me lo chiedi?- domando di rimando.

-… Stai piangendo- afferma a disagio.

Ne abbiamo passate tante, io e Luke. Abbiamo risolto molti problemi, molte situazioni adolescenziali imbarazzanti ed è passato sopra ad alcune cretinate da liceale (che non sono rimaste impunite, comunque) ma non mi ha mai vista piangere. Mai. Mai ho pianto, che io mi ricordi.

Incredula mi tocco in faccia e mi accorgo che le punte delle dita sono bagnate: sto piangendo.

Non so cosa provare. Non è mai successo, io non ho mai pianto per niente e nessuno. Non so nemmeno perché sto piangendo.

Luke mi nasconde con la sua statura imponente dagli occhi indiscreti nell’ufficio, mi mette una mano sulla spalla, ma è rigido, imbarazzato. Mi alzo in punta di piedi e gli schiocco un bacio sulla guancia, sorridendo per rassicurarlo, prima di entrare nell’ascensore e correre fuori da quell’edificio, senza sapere che cosa fare.

Corro. Corro senza fermarmi. Corro fino a non avere più fiato in corpo. Non so nemmeno dove vado, vedo le macchine sfrecciare vicino a me e sento le lacrime che continuano a scorrere sul mio volto, come un fiume in piena.

Mi fermo quando arrivo in quel giardinetto. Lui è li, mi ha sentito arrivare e ha smesso si allenarsi per guardarmi, confuso. Io poggio le mani sulle cosce, cercando di riacquistare ossigeno e le ginocchia mi cedono. Il pianto continua, incessante e non so cosa fare per fermarlo. Sembra davvero un corso d’acqua che, una volta in moto rompe ogni diga e inizia a scorrere senza fine. Come se dovessi recuperare ogni volta in cui le ho trattenute, come se avessi il diritto anche io di provare dolore, nonostante ciò che gli insegnamenti della Tribù affermavano.

Lui si avvicina, con espressione sempre più confusa e si inginocchia davanti a me.

-Piccola- mi dice circondandomi tra le braccia.

E così anche l’ultimo argine si rompe e inizio a singhiozzare, colpita dalla potenza di quell’insieme di sensazioni soffocate o tenute a bada in tutti questi anni. Tutto ciò mi tramortisce per qualche minuto, mentre poggio la testa sulla sua spalla e sento le sue mani abbracciarmi e accarezzarmi la testa.

-Sei tu-  singhiozzo –è colpa tua!- dico iniziando a battere pugni sul suo petto.

La sua sorpresa aumenta ma mi stringe a se e sopporta i miei pugni, sempre più convinti.

-È colpa tua!- ripeto urlando – Tu hai provocato tutto questo-

Pugno.

-Tu mi hai battuta. Nessuno mi ha mai sconfitta-

Pugno. Mi fermo un attimo, cercando di mettere un po’ di ordine nel mio cervello. È come se tutti i piccoli scompartimenti rigidi e sicuri che avevo creato e cementificato nel corso degli anni avessero deciso all’improvviso di aprirsi e rovesciare il loro contenuto nello stesso momento. Era tutto così incasinato.

Eppure era tutto così.. giusto.

In un istante il tassello mancante arriva a completare il disegno d’insieme, come se una cosa che già sapevo avesse assunto un particolare tutto nuovo.

-E mi hai anche salvato-

Ho smesso di colpirlo. Sono sorpresa da questa mia rivelazione interiore ma tutto è ancora caotico dentro di me e le lacrime riprendono a scorrere inesorabili sulle guance e la rabbia e l’insicurezza macchiano il mio tono lamentoso.

-E io davvero non capisco perché- dico – perché dovremmo essere nemici e invece mi hai curato. Nessuno si è mai preso cura di me così- sussurro quasi a me stessa. Sollevo la testa e lo guardo negli occhi.

-Perché mi hai salvato?-

Apre la bocca per parlare, continuando ad accarezzarmi con lo sguardo intenerito, fisso nei miei occhi.

-No, non parlare- lo blocco, mettendogli un dito sulla bocca –perché ogni volta che parli riesci a farmi cambiare idea. E io non posso cambiare idea-

Sono costretta a fermarmi, la voce è lamentosa e roca per il pianto che non accenna a smettere.

- La mia vita è questa, ci sono delle regole. Poi arrivi tu e sconvolgi tutto.-

Pausa inutile per riprendermi.

- E ora continuo a piangere e nemmeno io so il motivo. So solo che è colpa tua. Sei stato tu a provocare questo e ora non so come uscirne- lo guardo, come se potesse darmi una soluzione.

Scoraggiata, poggio i pugni sul suo petto e la testa sulla spalla.

- Mi hai sconfitta. Mi hai curata. Mi hai baciata. E io non capisco più, sul serio. Cosa vuoi? Che cosa vuoi da me?- lo supplico.


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Ciao a tutti!
Volevo mandare un bacio enorme a tutte coloro che hanno recensito e mi hanno lasciato i loro pensieri. La sera, quando finisco di studiare e mi connetto, rileggo tutto ciò che avete scritto e penso che siate i miei angioletti!
Volevo fare un unico capitolo, insieme con il quinto ma poi l'ho diviso a metà.
Sarei molto contenta di continuare a sentire ciò che pensate di questo capitolo e quello che succederà nei prossimi. Sono curiosa!
Un bacio anche a tutte quelle che seguono la storia o l'hanno inserita tra le preferite e le ricordate. Grazie di cuore.

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Capitolo 7
*** Luce e Ombra - Nikolai's POV ***


Nikolai’s POV:
 
- Mi hai sconfitta. Mi hai curata. Mi hai baciata. E io non capisco più, sul serio. Cosa vuoi? Che cosa vuoi da me?- mi chiede con sguardo supplice.

-Voglio solo che tu sia al sicuro- le dico.

La preoccupazione emerge dal mio tono di voce: l’ho vista crescere, diventare donna chiudendo e segregando tutte le emozioni superflue in una scatola, permettendo loro poche volte di esprimersi.

Ho visto cambiare il suo corpo, l’ho osservata da lontano per proteggerla mentre imparava a farlo da sola, con costanza, dedizione e freddezze. Erano caratteristiche che stavamo acquisendo entrambi e lei costituiva, insieme ad Elise, ciò che restava della mia innocenza.

La guardavo combattere, migliorare, portare a termine missione dopo missione, perseguendo i suoi obbiettivi e abbattendo gli ostacoli, avvicinandosi alla perfezione e,mentre i muscoli andavano delineandosi, si trasformava sotto i miei occhi da bambina a donna sensuale.

Ammiravo di nascosto i suoi rari sorrisi, concessi solo raramente a coloro che si erano faticosamente guadagnati la sua fiducia, e immaginavo di essere anche io tra i destinatari di quei pochi attimi in cui sembrava una ragazza della sua età e non una macchina.

D’altra parte io imparavo come spezzare il collo a qualcuno a mani nude, come entrare di soppiatto nelle case, come usare le armi e come sviluppare piani e missioni. Eppure, anche quando mettevo in pratica tutto ciò con distacco quasi disinteressato, come fosse la normalità, rimaneva dentro di me una briciola di umanità: lei, il risultato di ciò che, di buono, avevo fatto nella mia vita.

Alla mia risposta i suoi occhi si sgranano, come segno della confusione che sta provando.

È esausta, travolta da un oceano di emozioni soppresse che qualcuno, anzi io, aveva liberato.

Come spiegarle che in questi anni c’era qualcuno che si preoccupava per lei?

Come ammetterle che era stata la mia ancora in mezzo alle tempeste che infierivano dentro di me?

Come giustificare quel legame tanto forte che entrambi sentiamo nei confronti dell’altro, che esiste di proprio volontà?

Come ricordarle il modo in cui il suo corpo mi aveva riconosciuto e accettato prima della sua mente?

Come raccontarle tutta la verità senza metterla in pericolo?

Non potevo, semplicemente non era possibile e io lo sapevo bene.

-Sei stanca, Selena. Vieni con me- . Non ha nemmeno la forza di ribattere come al suo solito, come se fosse tanto piena, da sentirsi vuota.

Ora rimpiango perfino quei momenti in cui cercava di uccidermi, rimpiango quelli in cui si allenava, incurante di ferite, dolore o cedimenti, in cui stringeva i
denti e andava avanti.

Eppure sono consapevole del fatto che prima o poi questo momento sarebbe arrivato, seppur sorpreso, come ogni volta, da questa connessione che ci lega: il primo posto in cui le sue gambe l’hanno condotta, probabilmente involontariamente, è stato da me.

Non si può vivere troppo tempo senza emozioni: più tenti di reprimerle e più emergeranno violente. E  Selena aveva passato più di quindici anni a reprimerle.

Sono una spia e un assassino. Nel corso della mia vita ho fatto cose che nessun ragazzo della mia età si immaginerebbe e i miei demoni mi seguono ovunque vada, avvolgendomi nelle tenebre che mi merito.

Ma c’è lei. L’unica fonte di luce, il faro.

La fune che mi ha sorretto quando volevo lasciarmi cadere nel vuoto.

Rappresenta l’unica cosa buona che ho fatto nella mia vita.

È il sole che mi indicava il percorso quando stavo per arrendermi alle tenebre, il motivo per cui era giusto continuare a lottare. Involontariamente, quella ragazza tanto piccola e minuta rispetto a me, era stata la mia luce di speranza, l’esempio vivente che ero capace a fare qualcosa di buono per una volta.

E ora era il momento di lottare per lei e ripagare il favore.



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Buonasera a tutti!
Come al solito, grazie alle ottime recensioni che mi lasciate, siete proprio dei tesori!
In questo capitolo ho provato ad entrare nella testa di Nikolai e non so se è venuta fuori una cosa verosimile o se sono fuoristrada. In ogni caso è così che me lo immagino: un bravo ragazzo che viene perseguitato dalle ombre di queste brutte azioni che in qualche modo è obbligato a fare.
Lo so, è molto corto. La mia intenzione è quella di fornire qualche particolare in più su questa loro connessione che risale a..
Mi frego da sola!

Ho già il capitolo 8 pronto!
Mi farebbe molto piacere sapere la vostra opinione su questo esperimento!
Un bacione

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Capitolo 8
*** Inspiegabile fiducia ***


La tempesta di emozioni in infuria dentro di me, senza darmi tregua e le lacrime scendono inesorabili senza che nemmeno me ne accorga più.
Non so più chi sono, che cosa sto facendo. Non so se quello che faccio è giusto e non capisco perché ogni cosa, ogni piccolo dettaglio mi riconduca a lui.
È come se fossimo legati alle estremità di un elastico e tanto più cerchiamo di allontanarci, tanto più immediato e violento è l’impatto quando ci scontriamo.
Sono confusa. Confusa e stanca.
Sembra che all’improvviso, avendo sfogato tutto il fiume di pensieri che mi scorreva in testa, la stanchezza sia calata su di me. Esausta, non ce la faccio più nemmeno ad alzarmi.
Premo le mani sull’erba e tento di sollevarmi ma le gambe non mi reggono.
Senza dire una parola, Nikolai mi prende tra le braccia, si alza e si dirige verso la casa senza smettere di guardarmi. I suoi occhi trasmettono determinazione e.. un’altra emozione che non riesco a definire.
È silenzioso, dopo quella risposta criptica e insensata. Cosa voleva dire che “voleva che io fossi al sicuro”?
Al sicuro da chi? E perché lui voleva che io fossi al sicuro?
Non riuscivo più a collegare, sentivo la testa dolorante e le palpebre pesanti e in un attimo mi addormento con la testa sul petto della causa dei miei problemi.
 
 
Il frastuono nella mia testa è svanito, ora rimane solo il subbuglio in mezzo al petto da sistemare.
Prima ancora di aprire la palpebre sento una voce bassa parlare:
-Muoviti piano-
Ovviamente, come al mio solito, sono testarda come un mulo e pensando che “So io cosa devo o non devo fare” mi giro di scatto, appena prima di sibilare per la fitta alla testa.
Il proprietario delle pillole di saggezza se ne sta sdraiato comodo dietro di me, avvolgendo le sue braccia dietro la mia schiena e osservandomi in attesa di una reazione, con un sorrisino orgoglioso stampato in faccia. Sapeva che un movimento improvviso, appena sveglia dopo quel tipo di pressione mentale mi avrebbe fatto quell’effetto e la sua espressione sembrava sogghignare: “Te l’avevo detto!”
-Spiegami- lo guardo negli occhi e senza preamboli metto in chiaro la mia esigenza di informazioni. Sono ancora molto scossa, ho gli occhi gonfi di nuovo prossimi a lacrime involontarie, ma sono determinata a sapere la verità.
-Non posso, Sel- ha ovviamente inteso ciò di cui parlo. E lui non..  non può?!
-Non puoi? NON PUOI?! Che diavolo significa che non puoi?!
Ma mi hai vista prima? Preferirei essere picchiata a sangue che sentirmi ancora così insicura e debole. Tu non hai nemmeno idea di quello che sto passando io, non sai come sono confusa né che cosa devo sopportare. Ma d’altronde, come potresti? Sei un M.A.N.- dico con disprezzo.
Le mie parole sembrano ferirlo, o forse è solo una mia impressione perché chiude gli occhi e quando li riapre sembra freddo e controllato.
-Se pensi che solo perché eseguo missioni per conto di quell’organizzazione, io non abbia avuto periodi di confusione o non abbia sentito quel dolore sordo che tu provi ora non hai capito nulla. Di me, di te stessa e della vita- dice allora, sollevandosi dal letto e dirigendosi verso l’armadio.
-Io.. Senti, per me è tutto nuovo. Tutte queste cose, io.. ti sembrerà una pazzia ma io.. diciamo che non sono una ragazza emotiva. E anche questo.. legame, che tu ed io abbiamo.. Io non capisco. E ti sono riconoscente per quello che hai fatto: mi hai salvato per ben due volte e.. Si, insomma, devo ricredermi su di te, anche se lavori per quella società … - queste parole sono ciò che di più simile ad una scusa io abbia mai pronunciato.
Sono orgogliosa di me: ho usato un tono fermo, senza far tremare la voce nonostante l’enormità del mio turbamento.
Non sbaglio mai, quindi non c’è mai stata occasione per porgere delle scuse. Però in quel momento avevo bisogno di risposte e dovevo mettere da parte l’orgoglio.
-Per me è sempre stato tutto o bianco o nero, o una cosa o il suo opposto. Niente vie di mezzo. E poi arrivi tu e ogni cosa sembra a metà tra vittoria e sconfitta, ogni parola sembra una rivelazione ed un segreto che nascondi allo stesso tempo. Ma io HO BISOGNO di sapere-
Un’altra prima volta. Sono stupita da me stessa, non mi apro mai con nessuno, nemmeno Luke. E ho raccontato a quest’uomo una buona parte di cose che non permetto quasi mai alle persone di scorgere di me.
Lui, d’altra parte, sembra attonito. Come se la mia frase lo avesse tramortito e dentro di me  scoppiano gli applausi: Mr Muscolo/Mr ho-sempre-la-risposta-pronta è rimasto senza parole per una volta.
Purtroppo si riprende in fretta e, senza nemmeno girarsi, mi risponde:
-Sembra che tu ti sia ripresa, dopotutto-
Entrambi sappiamo che non è così, ma.. Guardo fuori dalla finestra, è notte fonda. Ho dormito dalle cinque del pomeriggio a
-Le due- dice.
La sua voce mi riscuote dai miei pensieri e quando mi volto verso di lui rimango ad ammirare il panorama: la sua schiena nuda e muscolosa si muove, mentre alza il braccio su un ripiano posizionato in alto per prendere una chiave.
-Ti sarai chiesta che ore sono, no? Sono le due-
Oh, accidenti. Ora sapeva anche cosa pensavo. La cosa inizia ad essere inquietante.
Apre il cofanetto e ci mette dentro un ciondolo. Sembra d’argento e ben rifinito, con disegni e incroci ben definiti. Sparisce subito dalla mia vista, quando chiude la scatoletta e la mette sul ripiano.
-Senti. Non so cosa sta succedendo. Io non ne ho idea e.. ho paura- ammetto.
All’improvviso si volta e inizia a camminare verso di me, sollevandomi il viso di nuovo in lacrime e costringendolo a guardarlo negli occhi.
-Non devi aver paura, piccola. Non piangere- sussurra prima di sollevarmi e abbracciarmi.
-Io non so più niente. Non so chi sono. Non so perché faccio quella che faccio. Non so perché ho la sensazione di conoscerti da sempre e perché il mio corpo si fida così di te. Io non so più nulla- termino singhiozzando.
La sua mano è sulla nuca e l’altra massaggia la schiena.
-Hai ragione. Meriti di sapere chi sei, almeno una parte- lo sento dire.
Mi stacco e lo guardo con occhi spalancati, mentre mi asciuga le lacrime con il pollice e mi accarezza la guancia.
-Ma non piangere..- continua, come se vedermi così gli provocasse dolore. Ok, tutto ciò era assurdo. Probabilmente avevo la febbre e le visioni.
-Io.. Non so nemmeno perché continuo a piangere..- gli confido.
-Io si. Hai tenuto le tue emozioni strette e impossibilitate ad influenzarti per così tanto tempo che ora stai sfogando tutto quello che è stato trattenuto- mi spiega. La verità delle sue parole mi colpisce come un pugno e alzo lo sguardo all’istante.
-E tu come lo sai che ..- inizio.
-Alt- e alza la mano – niente domande. Ho promesso di raccontarti lo stretto necessario- mi dice lui.
-Ma..- riprovo.
-No, niente “ma”. È così, o questo o nulla- mi interrompe ancora.
Emetto un sonoro sbuffo e mi avvicino a lui, quando si siede sul letto, attaccato alla spalliera. Ma mi ferma, mi gira di schiena e mi fa sedere davanti a lui.
Confusa, mi giro per vedere cos’ha intenzione di fare ma sento le sue grandi mani calde iniziare a massaggiare le spalle. Finalmente la tensione inizia a sciogliersi e le lacrime iniziano a diventare più rade.
-Raccontami quello che “puoi”- pretendo tra un mugolio e l’altro. Non mi vergogno, dopotutto quest’uomo sa cose di me che di cui io non sono a conoscenza, per non parlare dell’ “elastico” che ci tiene uniti.
Le cose stanno così, e prima ancora che io ne sia consapevole, il mio cervello ha già catalogato Nikolai come persona di cui potersi fidare. Accidenti, corpo e mente traditori.
-I tuoi genitori - comincia lui. E il cuore mi salta in gola.

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Capitolo 9
*** Via la polvere ***


-I tuoi genitori- dice con calma.

I muscoli, prima rilassati sotto le sue dita, si irrigidiscono. Non mi muovo.

Niente scatti. Niente urla. Solo migliaia di pensieri che infuriano nella mia testa, senza darmi tregua.

Sono immobile, concentrandomi sul silenzio attorno a noi, aspettando che lui continui.

Passano secondi, minuti, forse ore e Nikolai continua ad accarezzarmi su e giù la schiena fino a che, senza accorgermene, divento creta sotto le sue abili dita.

La mia mente sforna centinaia di supposizioni e il cuore batte come se dovesse uscire dal petto.

Finalmente si decide a continuare.

-Erano due ottimi agenti. I migliori- sussurra piano piano.

Agenti? Di polizia? Della sicurezza nazionale?

Da bambina immaginavo sempre come sarebbero potuti essere i miei genitori. Mia madre alta, occhi azzurri e bionda. Mio padre, occhi scuri e capelli corvini come i miei. Oppure una mamma casalinga, un po’ paffuta. Una di quelle che sorride, che abbraccia sempre la figlia e che accoglie con le lasagne fumanti il marito, uomo molto impegnato con il lavoro.

Mi fermavo al parco, appena riuscivo a sfuggire agli allenamenti imposti da Luke, per osservare le mamme che sgridavano i bambini spericolati, i papà che giocavano a calcio con i loro figli o che facevano far loro l’aeroplanino. E ogni tanto sognavo di essere al loro posto.

Tutto questo ovviamente prima di capire che erano solo stupide lagne da bambina, e che dovevo lasciare andare simili idiozie per diventare un’ottima spia.

-Erano come me e te, Selena- spalanco gli occhi e lo guardo allibita.

Erano spie? Della Tribù o dei M.A.N.? Com’è possibile?

-Loro.. Loro erano della Tribù?- chiedo infine, trattenendo il respiro.

-No, non erano di qui. Erano agenti impegnati con il governo, cose dai piani alti- Mi sembra una spiegazione un po’ vacua, di sicuro c’era qualcosa sotto.

-E quindi? Cioè, com’è andata poi, quando sono nata io?- insisto, trattenendo le lacrime.

-Non ti è dato di sapere tutto Selena,- il tono afflitto mi induce a non fargli ulteriori domande – sappi solo che la loro vita era dedicata al lavoro, sempre il lavoro prima di tutto-

Il suo tono rassegnato mi lascia perplessa e mi concentro sulle sue dita, che hanno stretto la presa sulle spalle, rinvigorendo il tocco.

-Si sono innamorati, ma il tipo di vita della coppia non poteva fare per loro. Avevano giurato di essere fedeli al loro paese e non potevano prendersi cura di una bimba, per quanto la amassero-

Il silenzio che segue è denso di significati. È troppo poco rispetto a quello che avrei il diritto di sapere, ma troppo per quello che alla fine volevo sapere.

Non c’è bisogno che Nikolai continui, saprei farlo benissimo da sola. So che ha probabilmente indorato la pillola, so che in realtà non mi avevano amata tanto, se erano riusciti ad abbandonarmi. Quello che invece non so è..

-E tu come sai tutte queste cose?- chiedo, apparentemente incurante mentre sintonizzo le orecchie sulle sue parole.

-Io ero li. Ero li il giorno in cui ti hanno abbandonata sulle scale di quella villa-

Sembra quasi a disagio a pronunciare il nome della Tribù. Si sa che quella è una delle sue sedi. Ufficialmente è un’agenzia investigativa, ufficiosamente coloro che hanno il potere sono consapevoli di mezzi che usiamo per agire, anche se non tutti sanno per che cosa lottiamo. Così come noi della Tribù sappiamo dove si trovano alcune sedi dei M.A.N. Ma una delle tacite regole che da sempre hanno valore tra questi due titani, è la segretezza. Nessuno attacca l’altro, nessuno svela segreti o macchinazioni dell’altro. È una lotta intestina, niente terzi organi.

-Puoi dirlo. La Tribù.- gli ricordo stancamente.

-Selena, quella non era la Tribù. Hanno lasciato il tuo fagotto vicino a qui. Vicino a casa mia-

-Ti assicuro che mi hanno ABBANDONATA davanti alla sede della Tribù. È lì che Lu.. è lì che mi hanno trovata- eppure il dubbio inizia a scivolare tra le centinaia di pensieri in testa.

-E io invece ti assicuro che hanno depositato il tuo piccolo corpicino sul portone di casa della villa qui dietro. Puoi non credermi, posso aver omesso qualcosa, ma questa è la verità. Te lo giuro-

In un attimo mi trovo faccia a faccia con lui e i suoi occhi ghiaccio sembrano stanchi, eppure decisi, determinati. Veri.

-Avevo sette anni. Sono uscito verso il parco, ma mentre sgusciavo vicino al viale alberato ho visto una figura coperta e incappucciata con una coperta bianca tra le braccia- . Ora ha lo sguardo perso nel vuoto, richiamando alla mente vecchi ricordi.

-Camminava veloce, senza guardarsi indietro, verso quella villa enorme. L’ho seguito, incuriosito, pensando fosse un adulto che giocava a nascondino. Anche io ero bravo a nascondermi. E a non farmi sentire. Sono sempre stato bravo ad essere invisibile- la malinconia nella sue parole mi spinge vicina a lui. Solitudine, tristezza. Mi immagino un piccolo Nikolai, un bambino pieno di energia, abbandonato ai M.A.N. che abbandonava piano piano la sua innocenza per diventare una macchina da guerra.

Senza dire una parola, mi accosto a lui, mi accoccolo sul suo petto e senza battere ciglio lui mi avvolge con il braccio. E la cosa più strana è che mi sento a casa, come se quel gesto fosse la cosa più normale del mondo. Come se non stessi per cadere a pezzi, come se ogni giorno, il mio potenziale acerrimo nemico mi raccontasse dei miei genitori, del mio passato oscuro e io gli credessi. No, non gli credo. Dipende. Ora non riesco, non posso pensare. E questa pace improvvisa vicino a lui non dovrebbe esistere.

Eppure, per quanto possa sembrare impossibile a entrambi, stiamo naturalmente abbracciati, come se lui fosso il tronco e io la sua corteccia.

-Avevo sette anni, non sapevo la storia che tutto ciò celava. Ho seguito quella persona e l’ho vista mentre posava per terra una bambina. Avrai avuto tre anni o poco più. Non piangevi, niente urla o lacrime- spontaneamente mi accarezza il braccio, con tenerezza –Ha suonato il campanello ed è scappato. Poi la porta si è aperta e una donna ha aperto la porta. Ti ha guardata, si è sporta per vedere se c’era qualcuno nei paraggi e poi ti ha portata dentro casa.-

La confusione regna sovrana nella mia testa e non capisco più nulla. Con fatica, riesco a formulare una frase: - Io non sono cresciuta li – aspettandomi il seguito.

-Non ti so dire cosa sia successo nei sei mesi dopo. Io.. io non ero lì – dice semplicemente.

Un flash. Un’immagine improvvisa. Non ho alcun ricordo da bambina, solo allenamenti, sedute dallo psicologo, scuola. Qualche riunione con Luke, ma nulla di particolarmente significativo.

E poi eccola qui, come se fosse stata sempre nella mia testa, sotto una montagna di polvere. E un tornado, in qualche istante l’avesse ripulita e portata alla luce.

 

 

Un pomeriggio al parco. Quel parco. Devo avere più o meno cinque anni. Corro lungo il viale alberato, spensierata. Un uomo massiccio e pelato sbuca da dietro un albero, una decina di metri più in là, fissandomi. Mi blocco, incuriosita, sorridendo. “Magari vuole giocare con me”. Una palla rimbalza vicino a me e vedo un bambino biondissimo corrermi incontro, con aria preoccupata.

-Ti ho colpita?- chiede raggiungendomi.

Ci voltiamo insieme a guardare nella direzione del grande uomo di prima, ma non c’è più nessuno. Io scuoto le spalle, “non avrà avuto voglia di giocare” penso. L’angioletto biondo davanti a me invece osserva quell’albero preoccupato.

-No, non mi hai colpita- gli rispondo sorridendo.

-Dai, vieni a giocare con me!- mi prende la mano e corriamo insieme nel grande prato.

 

 

Mi ricordo cosa successe dopo. Arrivò Tyler, l’uomo che mi portava in giro. Il mio Tyler, il ragazzone che mi controllava da piccola. Burbero e rigido, ma gli volevo un gran bene. Mi aveva protetta. Mi aveva insegnato come difendermi e si era occupato di me per anni, mentre Luke lavorava. Era ciò che di più simile ad un fratello avevo avuto. Era della Tribù, come appresi più tardi. È rimasto al servizio personale di Luke, ma ora non è più la mia guardia del corpo.

Comunque, ho impressa nella mente l’immagine di Tyler che mi prende per mano, squadra l’Angioletto e mi chiede: - Dov’eri finita? Non giochiamo più a nascondino qui al parco, d’ora in poi-. Mi ricordo del tono severo che aveva usato, ma sapevo che era stato davvero in ansia per me. Da quel giorno le misure di sicurezza si sono raddoppiate.

-Io.. Io mi ricordo.- sussurro, sollevandomi di scatto.

-Tu.. quel pomeriggio, al parco. Eri tu. Mi hai protetto da.. – inizio.

-Non dire stupidaggini, Selena- dice serio, lui. Si è irrigidito tutto, ma io lo so.

-Puoi negare, puoi dirmi che non è vero. Ma io mi ricordo!- le parole mi escono di bocca tutte d’un fiato, con lo sguardo perso. Cerco di sforzarmi, di vagare nei recessi della mia memoria e appaiono un sacco di immagini di un bambino e poi un ragazzo biondo che ogni tanto compariva nella mia vita. Una comparsa, come quelle persone che sembrano non centrare nulla con la trama di un film e poi si rivelano essere l’anello cruciale.

-Io.. Non ci posso credere. Io mi ricordo- ripeto ancora una volta, portandomi le mani sulle tempie, sempre sorridendo. Gli devo sembrare pazza. D’altra parte, chi potrebbe aver perso dei ricordi?

-Cosa ricordi, Selena?- chiede lui, agitato.

-Io.. Ho delle immagini. Sei tu. Sei l’Angioletto-

Ok, la situazione è decisamente surreale e lui non sa se ridere di ciò che dico o essere confuso.

-Te lo giuro, sarà una pazzia ma io mi ricordo. TI ricordo! Ci sei sempre stato, sei rimasto in disparte, ma ti sei sempre preso cura di me- dico alla fine. Il sorriso scompare piano, mentre realizzo ciò che sto dicendo.

Alzo lo sguardo e incontro i suoi occhi, che mi guardano inteneriti.

-Sei tu. Tu mi hai protetta-



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Ciao!
Scusate per l'immenso ritardo ma è stata una settimana pienissima.
Ho un sacco di idee per il prossimo capitolo e sto iniziando a metterle giù. Spero che questo vi piaccia, l'ho fatto un pò più lungo per farmi perdonare!
Grazie mille a tutte quelle fantastiche persone che recensiscono, seguono o mettono la storia tra i preferiti o i ricordati.

Vi voglio bene, 
un bacio!

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Capitolo 10
*** Tutto bene ***


Cammino per i corridoi dell’università, con le cuffiette della musica nelle orecchie.
Senza pensieri, lascio semplicemente la musica scorrere fluida, i suoni ripetersi e le armonie succedersi.
Mi sento come se un grosso macigno si fosse improvvisamente sollevato dal mio cuore, come se almeno ora, avessi avuto modo di conoscere la verità, almeno in parte.
Per ora non mi preoccupava nemmeno il fatto che Luke mi avesse mentito, che le cose non erano andate come mi aveva sempre raccontato. E non ha importanza che ad aprirmi gli occhi sia stato il mio più acerrimo nemico. L’HO SENTITO, ho capito che quella era la verità.
E, ripensando alla scorsa settimana, a quel momento, a quella sera abbracciati sul suo letto, sorrido inconsciamente.
Continuo ad andare avanti, lo sguardo perso nel vuoto, ma quando giro l’angolo l’impatto mi fa cadere i libri di mano e un mare di fogli si sparpaglia in aria.
-Oddio, scusami!- mi sento dire da una voce femminile.
Alzo lo sguardo e mi trovo davanti una splendida ragazza bionda, alta come me, occhi blu e un enorme sorriso. Basta con le persone bionde, un angioletto è già abbastanza. Ma il suo sorriso è contagioso e mi trovo a sorriderle di rimando.
-È colpa mia, non stavo guardando dove camminavo!-
Il suo sorriso si allarga ancora di più, prima di guardare sconsolata il suo caffè che si è ritrovato spalmato ben bene sul pavimento. Lo osserva indispettita, come se il bicchierino potesse rialzarsi e ridarle la sua bevanda.
Presa dall’allegria le chiedo, ancora ridacchiando: -Dai vieni, ti offro il caffè che ti ho fatto cadere!-
-Oh- mi guarda sorpresa. –Ok!- e mi trotterella vicino come una bambina mentre mi incammino verso la caffetteria.
Si, Nikolai ha una buona influenza sul mio umore.
 
 
-Allora Maya, che corso frequenti?- le chiedo, sorseggiando il mio caffè espresso.
Ho appena scoperto di amare questa bevanda tanto quanto lei. Evidentemente la caffeino-dipendenza è diffusa. La osservo mentre mi racconta della sua scelta di fare medicina, di sua madre che non voleva lasciarla partire, della sorellina che le manca tanto e del giardino della vicina di suo fratello.
Non è il tipo di persona con cui di solito cerco un approccio. In realtà solitamente cerco di evitare qualsiasi tipo di approccio, eppure questa ragazza mi ispira simpatia.
Sembra tutta immersa nel suo mondo, mentre mi racconta dei pasticci che combinava con il cugino nella cucina della nonna a otto anni, e io scaccio immediatamente la malinconia dalla mia mente. Non devo essere gelosa, ma felice che questa ragazza abbia avuto dei genitori amorevoli e una bella infanzia.
-Oh perdonami!- mi dice, vedendomi evidentemente turbata – non intendevo straparlare- termina, imbarazzata.
-No no, mi fa piacere ascoltarti- dico timidamente. Mi sento a disagio. E io evito sempre le situazioni di disagio, in cui non riesco a controllare ciò che accade. Accidenti all’Angioletto.
-Ehi- una voce roca mi giunge da dietro.
Mi volto e, parlando del diavolo..
-Ciao!- non riesco a fare a meno di sorridergli, ma i suoi occhi sono incollati su Maya, con sguardo minaccioso. Il mio tono si smorza e mi giro per vedere la stessa espressione sul volto della ragazza.
-Uhm. Nikolai, questa è Maya. L’ho inavvertitamente urtata in corridoio e il suo caffè era deceduto sul pavimento, così..- la tensione non accenna a smussarsi, così continuo – Maya, Nikolai-.
Non si stringono la mano, ne interrompono la loro lotta di sguardi.
-Scusa Sel, devo proprio andare ora- mi dice lei con un accenno di sorriso. –Piacere di averti conosciuto- rivolgendosi a Nikolai.
Si allontana velocemente, apparentemente senza quel sorriso tanto contagioso.
-E questo cos’era, esattamente?- gli chiedo innervosita.
Lui mi guarda, come riscosso improvvisamente dai suoi pensieri, e dice: - Questo?-
-Si, sguardi minacciosi e atmosfera gelata. Cosa succede con Maya?- domando con finta noncuranza.
-Nulla, semplicemente non mi piace che la gente ti si avvicini troppo- mi risponde, prendendomi sotto braccio e stampandomi un bacio in fronte.
So che non si tratta solo di questo. Ma la tenerezza del suo gesto mi fa tornare il sorriso, come se fosse una cosa normale.
Non so cosa siamo io e lui, ma non ne ho bisogno. Solo questo, noi due, insieme. Non sono mai stata una ragazza insicura e nemmeno questo era il caso. Sono felice, e questo per il momento basta.
-Lo sai che detta così sembra una minaccia da un pazzo psicopatico, vero?- gli chiedo, sogghignando.
-Scommetto che tu potresti ridurre a pezzettini un uomo anche solo con questo sospetto, piccola!- ormai tutta la tensione si è dissolta dal suo sguardo.
Incredibile come possano cambiarti due settimane. Luke ha capito che non è un momento opportuno e mi ha “liberato da ogni incarico” fino a quando non mi sarei sentita pronta. Non aveva fatto domande, ma di sicuro sapeva qualcosa.
Due settimane e mi sento un’altra persona. E non intendo fare discorsi sdolcinati su Nikolai, né comporre un inno alla forza dell’amore o altro. Si tratta di me. Ovviamente, la causa scatenante è stata Nikolai, è lui che mi ha aperto un po’ gli occhi. Ma tutto quello che ciò ha originato in me è affar mio, uno scombussolamento tale che in due settimane sono diventata una nuova persona. Mai mi sarei sognata prima, di invitare una ragazza sconosciuta a bere qualcosa. Mai mi sarei fatta vedere per il campus abbracciata ad un ragazzo. Non sono innamorata, sono felice.
 
 
È il momento di tornare al lavoro. Non so cosa farò, non so come potrò comportarmi con Luke e l’intera Tribù. Dentro queste mura mi sento un’estranea eppure queste persone che mi circondano e mi sorridono sono la mia famiglia.
So già che fare, ho preparato questo momento come fosse una missione importante. Fredda e cinica, così devo essere mentre lavoro, in attesa di scoprire di più sul mio passato.
Mi reco verso la palestra, mi cambio in silenzio e programmo il mio allenamento. Qualcosa di tosto, come al solito, per portarmi oltre al limite. Questa è una parte di me che sicuramente non è cambiata, così come l’indole determinata, la testa dura, la soddisfazione della vittoria, la tendenza a primeggiare e l’amore verso lo sforzo fisico, appunto.
Pantaloncini, reggiseno sportivo, trainers e coda alta.
Inizio a correre sul tapis roulant, riflettendo sugli appunti di anatomia. Potrei chiedere a Nikolai di spiegarmi.. No. Nikolai deve restare fuori da ogni pensiero mentre sono qui.
Inizio a spingere con il bilancere, poi jump squat, flessioni, salto con la corda, trazioni sulle spalliere, equilibrio sulle mani. Una, due, tre, quattro. Dopo tre ore il mio corpo è sfinito, faccio fatica persino a camminare ma mi ritengo soddisfatta. Ho migliorato di qualche millesimo la velocità.
Ecco, per una volta nella mia vita posso dire che tutto sta andando bene.



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Eccomi qui!
Prima di tutto, scusatemi. Non aggiorno da un mese, lo so.
So anche che non è una scusa, ma sono stata impegnatissima, senza un secondo libero.
Oggi pomeriggio ho buttato giù questo capitolo, nella speranza che vi piaccia.
Chiedo perdono!
Un bacione

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Capitolo 11
*** Continuare a combattere ***


Ho provato ad inserire un pò di azione, perchè ne mancava un pò ultimamente!
Spero di non ver esagerato!




NIKOLAI’S POV.

Dovrei ripassare a quest’ora, domani ho una lezione importante all’università. Eppure con tutti gli sconvolgimenti che la mia vita ha subito in qualche mese, devo per forza rimettermi a pensare.

Non devo cedere, devo continuare a lottare.

Ormai è quasi una cantilena che ogni giorno mi ripeto. Selena è il mio ostacolo e il mio punto di riferimento allo stesso tempo. E non appena realizzo ciò, capisco di essere fottuto.

Driiiiiiin. Driiiiiiiiiin.

Il cellulare suona. Non mi sorprende ricevere chiamate alle undici di sera, sono ancora capitato bene e per le quattro dovrei essere a casa.

Rispondo e la voce baritonale mi dice, senza convenevoli:

-Nikolai, ho una missione per te-

Silenzio. Magari si aspetta che io dica qualcosa, ma ovviamente non lo faccio. Sono una sua pedina ed Elise è il filo che muove per manovrarmi.

-Ti verranno mandati immediatamente i dati sul computer. Mettiti in azione il prima possibile-

-Si, Signore- chiamata chiusa.

Il disprezzo che provo per la sgradevole voce di quest’uomo non è nemmeno lontanamente paragonabile al disgusto per la sua persona. Stringo i denti, osservo i dati sul computer. Mi sembra un lavoretto facile, poi il mio occhio cade sulle note. “Codice giallo: il soggetto è molto abile nell’uso del coltello”.

Visto che il mio compito sarebbe dovuto semplicemente essere quello del fattorino, speravo che non saremmo arrivati ad uno scontro diretto.

Mi alzo dal letto e mi preparo. Spingo il lato della parte di parete adibita ad una sommaria libreria e mi ritrovo nel mio vero nascondiglio. Guardando la casettina da fuori nessuno si aspetterebbe qualcosa così.

Inizio a cambiarmi, tuta mimetica, coltello a serramanico legato all’avambraccio, dardi nel sacchetto vicino al petto, piccoli coltelli legati alle cosce e al polso, piccoli attrezzi per la scassinatura, ago e filo. Non ho bisogno di molto altro. Passamontagna e guanti. Terminati i preparativi, mi allontano velocemente dall’abitazione e inizio a correre nel parco senza essere visto.

Mi avvicino al condominio, la porta è aperta. È un quartiere povero, le case sono disastrate e la strada ha molti solchi. Immondizia dappertutto e uomini che dormono sulle panchine.

Entro e mi dirigo di soppiatto verso il seminterrato. C’è un’unica porta chiusa, mi avvicino e srotolo i ferri dalla cintura. Scassinare questa serratura però, non è facile come con le altre. Brutto segno.

Serratura complessa ergo segreti da nascondere.

Non appena valico l’uscio della porta sento un fruscio e mi scosto di mezzo passo per vedere un coltello conficcarsi nella parete a poco più di due centimetri da me.

Non aspetto che quello riprenda l’attacco, non gliene do la possibilità, poiché nel tempo che ha per alzare il braccio e scagliare il secondo coltello, lancio il mio. Colpito. La maglia bianca e sporca dell’uomo inizia a colorarsi di sangue all’altezza dello stomaco, mentre quello alza lo sguardo dalla ferita con espressione attonita.

-Chi.. Cosa vuoi?- mi domanda terrorizzato.

-Oh, non posso dirti il mio nome. Ma sono sicuro che avrai già capito per chi lavoro-il mio tono roco diventa impassibile. E questo è il momento di spegnere l’interruttore “umanità”.

Mi avvicino e vedo meglio il suo viso. È anch’esso sporco di fuliggine, i capelli unti e la pelle nella parte sinistra e sulle braccia è deformata, come se fosse stata esposta ad una esplosione da molto vicino.

-Io.. Io ho quasi concluso.. Io..- balbetta, toccandosi la ferita, per estrarre il coltello.

Mi avvicino ulteriormente e quello, con velocità strabiliante, mi pianta un coltello nell’avambraccio prima che io posso scostarmi.

-Ahhh..- sussurro. Estraggo la lama in un solo colpo e grugnisco dal dolore. Mi giro e lo inseguo. Quel poverino non ha idea di cosa abbia appena fatto. Non riesce a superare l’uscio, lo afferro e lo sbatto per terra, mi chino e con la mano spingo il coltello ancora più in profondità nel suo stomaco. So fino a quando posso andare giù e preferirei fermarmi prima di fare un bagno di sangue. L’uomo inizia ad ansimare dal dolore e gli si mozza il respiro. In un ultimo istinto di sopravvivenza, mi afferra convulsamente l’avambraccio e pianta le dita nella mia ferita, lacerando la carne viva.

Ok, era ora di finirla.

Giro il coltello nel torace e quello sviene.

Quando finalmente si risveglia è legato alla sedia con mani e gambe e tenta invano di divincolarsi.

Io prendo uno sgabello e ci monto a cavalcioni.

-Allora James, parliamo un po’- se non fossi tremendamente stanco e dolorante, non riconoscerei nemmeno il tono della mia voce.

-Non è pronto, non posso..- inizia lui, a bassa voce.

-Eppure i termini stabiliti erano quelli- una velata minaccia nelle mie parole.

-È troppo rischioso, non è ancora pronto- bisbiglia disperato.

-Ti è stato dato un intero condominio, con le macchine e gli strumenti adeguati per lavorare. E non hai rispettato i tempi. E sai cosa succede se non rispetti i tempi?- chiedo distrattamente, sfiorando con un dito il coltello a serramanico.

Secondo i documenti quest’ uomo aveva tolto la vita alla figlia poiché non c’era cibo a sufficienza per entrambi. I M.A.N. avevano scoperto la sua straordinaria capacità nella chimica, salvandolo dalla prigione e permettendogli di sopravvivere, a patto che questo lavorasse per loro. Mi disgustava. Avevo letto il suo fascicolo, sembrava un personaggio viscido, che conduceva addirittura alcuni esperimenti sulla figlia stessa. Incredibile.

-Mi serve ancora un po’ di tempo.. Ti prego- mi supplica.

-Dov’è la formula?- gli intimo.

-Sul tavolo nella sala degli esperimenti- dice tutto d’un fiato.

Lo guardo. Quest’uomo sembra competere con me per quanto riguarda le ombre nello sguardo. Sembra avere una storia da raccontare e per la prima volta da quando sono entrato nello scantinato, vedo il dolore e la stanchezza nel suo sguardo.

Forse non è tutto come sembra, come è scritto.

Tiro fuori un boccettino, lo apro sotto il suo naso.

-Grazie..- dice prima di svenire ancora.

Devo agire velocemente. Lo slego, lo distendo sul tavolo li vicino. Non c’è tempo né la possibilità di disinfettare tutto.

Estraggo il coltello e strappo la maglietta. Il medaglione che ha al collo cade di lato e si apre, mostrando una giovane ragazza. Ha gli occhi scuri, come i suoi, e lo stesso sguardo.

No, nulla è come sembra e questa è solo un’altra vittima.

Tiro fuori il piccolo sacchetto. Disinfetto la ferita sommariamente e inizio a ricucire in fretta. Rimane svenuto ma si muove convulsamente. Avrebbe fatto parecchio male quando si fosse svegliato ma quello era il massimo che potevo fare.

Salgo velocemente le scale dell’edificio abbandonato e raccolgo dal tavolo la formula.

Missione compiuta.

Esco sulla strada e l’aria fresca si abbatte sul mio volto. Mi tolgo il passamontagna e sento le sferzate della gelida brezza. Mi incammino verso casa lentamente, è stata una lunga nottata. Sono stanco. E non solo per questa piccola missione, sono stanco per tutto. Sono stanco di vedere persone minacciate, stanco di vedere il dolore, di essere costretto a causarne. Non so che cosa fare.

 

Manca un isolato al parco. Sollevo per l’ennesima volta il bordo lacerato della tuta. La carne viva fa uno strano sibilo e il dolore aumenta. A casa avrei potuto dare una bella ricucita.

Passo per un vicolo buio, ma sento dei grugniti provenire da dietro l’angolo. Svolto e vedo un’ombra saettare velocemente. Riconosco in un attimo i movimenti aggraziati ma potenti. Sembra essere in vantaggio ma l’altro è più grande di lei e nonostante i numerosi colpi inferti, riesce a braccarla per terra, con un braccio sulla sua gola per impedirle di respirare.

Mi avvicino velocemente, preoccupato. Solo Selena si accorge della mia presenza e spalanca gli occhi verdi. Intuisco al volo il messaggio nel suo sguardo. No, ce la faccio da sola. Questione di un attimo, il nostro scambio visivo.

La solita gattina orgogliosa, sbuffo divertito.

Non appena l’altro si convince di star concludendo lo scontro a suo favore e diminuisce la forza sul suo collo, lei solleva il ginocchio e pianta una bella testata subito dopo al suo avversario. Stordito, si dondola in ginocchio, tenendosi la testa tra le mani e con un calcio nella pancia questo cade a terra, sconfitto.

Selena si alza in piedi e mi osserva.

-Goduto lo spettacolo?- chiede con l’accenno di un sorriso.

Indossa una tuta nera, come la mia. Il suo corpo è fasciato in un involucro che tiene insieme le sue forme potenti ma sensuali. È sporca in faccia e sulla tuta, ma rimane ugualmente bellissima. È ferita anche lei, ma solo qualche taglietto.

Non le chiedo quale fosse stata la sua missione, così come lei non lo fa con me, come se avessimo un tacito accordo.

Si avvicina a me ed io, scostandomi dal muro a cui ero poggiato, le prendo la mano e le sussurro:

-Andiamo piccola.

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Capitolo 12
*** Quando tutto è nuovo ***


Sento qualcosa brontolare. Perfetto, il mio stomaco!
Apro gli occhi e rispondo al sorriso che mi si staglia di fronte. Come fosse normale. Come se fosse normale svegliarsi insieme, tornare a casa dopo un incarico, dormire abbracciati. Come se fosse normale che due persone che si conoscono da poco più di due mesi si comportino come se si conoscessero da una vita. È tutto normale, lo sembra davvero. Anche quando mi stampa una bacio sulle labbra prima di alzarsi.


-Preparo la colazione!- mi dice, sollevandomi scherzosamente per poi lanciarmi sul letto.
-Cucini?!- chiedo stupita, stiracchiandomi in quella maglietta enorme e stringendo l'elastico dei pantaloncini. Mi osserva stranito, come avessi detto una sciocchezza.
-Certo, e la mia cucina non è nemmeno male!- mi risponde piccato.
-Ah si?! E questo chi l'ha detto?- non appena pronuncio queste parole vorrei ritirarle.

Non abbiamo mai parlato di lui, io non so nulla. Non so se ha avuto o ha una famiglia, una compagna.. Spero di no, a questo punto.
Il suo volto si incupisce e mi dice: - Me lo dirai tu, tra poco!- recuperando il tono allegro.
-Contaci, sarò spietata- sbuffo divertita, alzandomi dal letto.

In un attimo mi si avvicina e mi blocca contro il muro.
Probabilmente riuscirei a liberarmi se volessi ma in quel momento questo è l'ultimo pensiero che ho in testa. Avvicina la testa ala mia, lentamente e sempre guardandomi fisso negli occhi.
-Potrei diventare spietato anche io, sai?- sussura piano. Se non stessi imparando a conoscerlo una frase del genere mi avrebbe fatto rabbrividire un po'
-Fai la brava bambina- bisbiglia, prima di tuffarsi sulle mie labbra.

Io bambina?! Ora ti faccio vedere.

Indietreggia tenendosi il labbro appena sanguinante tra le dita e mi guarda sorpreso.
-Mi hai morso..-
-Perspicace, il signorino- dico di rimando, con un sorrisetto di sfida – chiamami ancora una volta bambina, Angioletto, e..-
Mi solleva di peso sulla spalla, come un sacco di patate e mi ritrovo bloccata al letto, le sue mani che bloccano le mie braccia e una figura enorme che mi sovrasta.

Game over, Selena. Leggo nei suoi occhi.

-Come la mettiamo ora?- dice lui sorridendo.
Gli faccio una smorfia e lui si avvicina di nuovo per baciarmi. A pochi centimetri dalla mia bocca si ferma.
-Cosa c'è?- gli chiedo, aspettando speranzosa.
-Mi piace quando mordi, come una micetta.. O una leonessa-

In un attimo mi sollevo e unisco le nostre lingue in una danza infuocata che ci trascina entrambi.
Mani che scorrono sui nostri corpi, il desiderio di stare vicino, di toccarsi, sentire. Più nessuna inibizione.
-Selena..- inizia con voce roca. Non lo ascolto e rinizio a baciarlo.
-Selena fermati- sento la sua voce ma mi arriva lontana, smorzata dalla coltre di passione che abbiamo creato.

Fermarmi? Perchè dovrei fermarmi ora?

Lo guardo confusa, io lo voglio e lui lo vuole. E sento come lo vuole, lo sento proprio sulla mia coscia. E allora perchè fermarsi?
-Non adesso, non qui. Te ne pentiresti.- Ecco le ultime parole che pensavo sarebbero potute uscire da quelle labbra così soffici. Sembrava quasi che gli costasse dirglielo, come se..
Mi avvicino piano a lui, lentamente. Con un espressione confusa negli occhi lui mi guarda dolcemente, aspettando di vedere cosa avrei fatto.
Non lo sapevo nemmeno io in realtà, che cosa avrei fatto.
Non ho mai avuto limiti, ho sempre potuto disporre della mia vita sentimentale come decidevo.
E nessuno dei miei ragazzi se ne è mai lamentato.

Mi fermo quando sono ormai ad un centimetro dalla sua bocca ma lui si irrigidisce.
Lo bacio e in n attimo i suoi muscoli si distendono e io mi ritrovo bloccata sotto di lui, la sua bocca affamata sulla mia e le mani che stringono i fianchi.
Quando si stacca sono senza respiro e rimango ancora più sorpresa quando si alza e inizia a cambiarsi come se io non fossi li.
-Vieni micetta, ti porto a casa- mi dice sorridendo e tendendomi la mano.


Stiamo camminando da qualche minuto e io non accenno a parlare, ormai il silenzio si fa imbarazzante ma di sicuro non sarò io a romperlo.

-Sel- mi chiama lui.
Nessuna risposta.
-Selena, non fare così..- dice sbuffando.
-Oh scusa se ti ho offeso restando in silenzio, Nikolai. Capisco che tu non mi trovi attraente abbastanza per i tuoi standard, nemmeno tu sei così bello come credi, Angioletto- nemmeno il tempo di terminare questa frase che mi trovo con la schiena ad un albero con i polsi bloccati e la sua bocca vorace sulla mia.

Mi lascia di nuovo senza fiato e quando decide di separare le nostre labbra, poggia la fronte contro la mia e bisbiglia: -Tu sei molto attraente, Selena. Sei una delle ragazze più belle che io abbia mai visto e non hai idea di che fatica faccio a controllarmi quando ci sei tu vicino. Non ne hai idea. Ma tu non sei come tutte le altre- tutte le altre? Quante? - e stavolta io voglio fare le cose per bene-
Si stacca e mi lascia andare, intrecciando le dita alle mie. Io sono stupefatta, non so cosa dire.
Di sicuro mi ha colto alla sprovvista e inizio a vergognarmi per la piccola scenata infantile di poco prima. Poco male!

È una sensazione strana, quella della sua mano intrecciata alla mia. Ho avuto un po' di ragazzi, non un numero esorbitante ma mi sono divertita. Si trattava per lo più di compagni di università con cui uscivo per un po', abituata a reggere le redini della situazione sempre, anche tra le lenzuola. E non ho mai permesso a nessuno questo tipo di intimità fuori dal letto eppure il contatto non mi disturba. È quasi.. piacevole.

Si ferma proprio davanti alla porta della mia casetta.
-Come fai a sapere dove vivo?- chiedo distrattamente.
Mi sorride senza dire nulla e si gira ad osservare il giardinetto con l'erba tagliata corta.
Approfitto della sua distrazione per appoggiare il pollice al piccolo lettorino e spalanco l'occhio per la scansione.

-Wow. Vi trattate bene voi della Tribù- mi sorprende lui.
Sbuffo.
-È semplicemente una questione di sicurezza, Angioletto. Vuoi entrare? Devo solo farmi la doccia e poi andare al corso.-
-Stamattina frequento lo stesso tuo corso, devo dare l'esame di genetica che ho perso lo scorso semestre- mi spiega entrando in casa e osservandosi attorno.
-Com'è che ti sono permessi così tanti sgarri alle regole?- chiedo, già conoscendo la risposta.
-Potresti usufruire dei medesimi privilegi, micetta- sorride da sbruffone, sprofondando nel divano.
Sbuffo anche io, alzando gli occhi al cielo scherzosamente.
-Vado a fare la doccia, fai come se fossi a casa tua-
-Contaci!- sembra un bambino in mezzo ai giocattoli nuovi e mi fa tenerezza con quel sorriso contento.

Entro nella vasca e mi metto sotto il getto di acqua fredda. Sono di fretta e amo le gocce gelide che lasciano scie e brividi lungo il mio corpo. La doccia calda sarà per stasera.
Inizio a pensare allo splendido ragazzo che ora se ne sta disteso sul mio divano e mi meraviglio di due cose.

  1. Ho lasciato entrare il nemico in casa mia.

  2. La cosa non mi disturba.

Ok, sono nella cacca.

Chiudo l'acqua, mi avvolgo in fretta in un asciugamano e intanto lo sento parlare al telefono.
-Si.
Va bene, signore.- comunicazione chiusa.

Cambio le fasciature e dopo una decina di minuti esco dal bagno. Il salotto è vuoto.
C'è solo un bigliettino sul divano.
“Scusa, ho avuto un'emergenza.
Ci vediamo a lezione.
Ps: stasera ti porto fuori, micetta”

Non mi guardo allo specchio, tanto so che non vedrei un sorriso a trentadue denti. No, proprio no.

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Capitolo 13
*** Una svolta ***


Oggi non sono andata a lezione, ho preferito rimanere a casa e studiacchiare gli ultimi appunti per l’esame di chimica di mercoledì. Sono concentrata, tanto che non sento quasi il telefono squillare.
Appena realizzo la cosa, mi allungo sul tavolo per afferrare il telefono e premo il tasto verde, finendo di leggere la frase sull’anidride carboniosa.

“Dobbiamo parlare, apri la porta”

Mi dirigo a grandi passi verso la porta di ingresso, con il telefono ancora accostato all’orecchio nonostante la chiamata sia terminata senza nemmeno una possibilità di replica. Tipico di Luke. O almeno di un Luke arrabbiato.

Appena apro la porta il mio mentore varca la soglia e si dirige verso l’isola in cucina.
Con calma glaciale lancia la giacca sul divano e si siede sulla sedia bianca, i gomiti appoggiati al tavolo e lo sguardo gelido che mi invita a seguirlo.

-C’è una nuova missione per me?- chiedo, già sospettando la risposta negativa. In quel caso avrei ricevuto un dossier sul computer, non una visita a domicilio. La cosa mi preoccupa, ma non lo do a vedere.

-Tu sai cosa succede a chi mi mente, Selena?- chiede, osservando distrattamente la superficie liscia del tavolo.

-Perché me lo domandi?-

-Rispondi-

Lapidario. Gelido.

-Non lo so- rispondo, guardandolo con gli occhi strizzati.

-Io mi fido di te, noi ci fidiamo. Ricordati questo e fai in modo che la nostra fiducia sia sempre ben riposta. Siamo una famiglia noi. Di noi ti puoi fidare. Io e te, come sempre- sussurra con un accenno di dolcezza.

-Cosa sta succedendo, Luke?- chiedo sospettosa.

-Non ti è dato saperlo. Sappi che si tratta di un momento cruciale. La Tribù non si può permettere sbagli, siamo giunti ad un bivio importante. E abbiamo bisogno di avere tutti gli agenti migliori pronti all’azione.
Dobbiamo sapere di chi possiamo fidarci.- Fiducia. Fiducia. Continua a ripeterlo.

La domanda non viene espressa, ma lo sguardo è abbastanza eloquente.

-Hai capito, Selena?- mi domanda, nuovamente con sguardo di sfida.

-Si.- sputo fra i denti.
Mi osserva, inarcando le sopracciglia in attesa.

-Si, signore-.

Si muove aggraziatamente, alzandosi e dirigendosi verso l’uscita.

-Ti arriveranno presto i dettagli della prossima missione- sospira con voce distaccata prima di chiudere la porta dietro di sé.

Raramente ho visto Luke così freddo. Deve sospettare di Nikolai.
No, non sarebbe stato così distaccato in quel caso. Deve esserci sotto qualcosa di davvero grosso.

Ritorno ai miei libri ma dopo quell’inquietante conversazione non riesco più a mantenere salda la concentrazione e decido di andare a correre.

La fatica della corsa mi impedisce di pensare; mentre corro sono troppo assorta dal mondo attorno a me. Le case, i colori, il cielo, le persone, la strada. Si mescola tutto mentre scorro veloce tra di loro.
Quando torno a casa sono più tranquilla, accendo il computer e apro il file che mi è stato mandato.
Una nuova missione.
Questa volta si tratta di proteggere un importante alleato della Tribù, il capo del reparto di Biologia della società. Mark Gwintern.

Mi ricordo di lui: un allegro e sorridente ometto danese, con gli occhiali e l’aria sempre indaffarata.
Si occupa della ricerca di medicina alternativa il cui utilizzo è strettamente rivolto alla Tribù.
Il mio compito era solo quello del secondo cambio di sorveglianza, dalle 21 alle 4. Abbastanza semplice, Luke doveva essere abbastanza innervosito.

Merda. Merda merda merda. Nikolai.
Afferro il telefono e compongo il suo numero di casa.

-Pronto?- risponde con voce bassa.
-Sono Selena. Stasera non ce la faccio. Mi farò perdonare, lo prometto- dico tutto d’un fiato.
-Certo, un’altra volta. Ci sentiamo dopo-

Tuuut tuuut tuuut.
Oggi sono tutti di cattivo umore, deve esserci qualcosa nell’aria.

Mi stendo sul divano con le cuffiette, cercando di riposare prima del turno.
 
 
La sveglia suona e in un attimo apro gli occhi ed entro in modalità lavoro.

Entro nella doccia fredda. Ogni piccola goccia che scorre sul mio corpo. Sento i muscoli contrarsi e percepisco la pelle d’oca. Sento tutto. L’acqua fredda acuisce i miei sensi e il calore corporeo viene annullato. Sono pronta.

Apro velocemente il cassetto  della biancheria e infilo il primo perizoma nero che mi capita sotto le dita.

Poi è la volta  dei coltellini e dei pugnali attaccati alle gambe e alle braccia.  È come un rituale, tutto deve essere fatto in un certo ordine per garantire la mia serenità mentale. Non ho bisogno di armi particolari, queste mi danno una certa sicurezza. Indosso la tuta mimetica e gli stivali ed esco incappucciata da casa.

Giungo al laboratorio, un’altra struttura bassa e particolarmente insignificante. Nessun controllo o guardia visibile, nessuna persona si sarebbe mai immaginata cosa c’era all’interno.

Un ragazzo in tuta nera si avvicina e alza la mano in segno di riconoscimento. È uno dei nostri.

-Agente Marrel?-
-Sono io- rispondo secca.
-La aspettano di sotto- conclude prima di allontanarsi e scomparire di nuovo nel buio.
È buio ma prima di avvicinare l’iride al pannello di riconoscimento mi osservo intorno. I soldati nascosti dal buio mi fanno un cenno, eppure una brutta sensazione mi attanaglia lo stomaco. Brutto segno.

Scendo le scale e percorro il corridoio principale, senza curarmi dei laboratori scientifici estremamente avanzati che mi circondano. Ogni tipo di macchinario o campione immaginabile è presente in questo locale e probabilmente solo la Tribù e il Pentagono ne conoscono l’esatta ubicazione. Si tratta di un reparto altamente specializzato che vanta numerosi esperti. Molte altre società organizzate ne conoscono l’esistenza e tentano di scoprirne l’ubicazione. E questa è così ovvia da non scatenare alcun sospetto. Ovviamente sono state prese le dovute precauzioni di sicurezza.

Arrivo al laboratorio principale, digito il mio codice personale e le porte della capsula di sicurezza si spalancano. Entro e allargo le braccia mentre un fascio di luce si abbassa su di me. Terminato il controllo le porte dall’altra parte si spalancano ed entro nel laboratorio.
L’agente più vicino alla parete fa un passo avanti, alza la mano ritta sulla fronte in segno di saluto.

-Puoi andare, me ne occupo io- lo congedo.
-Sono stato incaricato di fornire i dettagli della missione, signora- afferma con espressione immutata.

Luke ha convocato il reparto dell’esercito. Guardo dietro la capsula. Poi dentro il laboratorio immenso.
Tutti soldati dell’esercito. La questione doveva essere davvero importante.

-Riposo. Ti ascolto soldato- affermo, attenta alle sue parole.

-Il dottor Gwintern sta lavorando ad un nuovo esperimento. Necessita di protezione 24 ore su 24 a tempo indeterminato. All’interno dell’edificio sono stati collocati trenta soldati e altri trenta fuori. La priorità è che il dottore rimanga al sicuro- continua lui, con voce ferma.

-Il signor Grey ha inoltre affidato a lei il comando, signora- aggiunge il soldato.

Tutto chiaro.
-..Aspetta. Ripeti soldato- pretendo.
-Il signor Grey ha affidato a lei il comando, signora. Questi sono gli ordini impartitoci- afferma, quasi come a scusarsi.
Rimango davvero allibita ma non lascio trasparire emozioni. Luke mi ha affidato il comando.

-Perfetto. Può tornare al suo posto, soldato- rispondo, incamminandomi tra i macchinari. Lungo tutto il perimetro di questa immensa sala sono disposti i soldati che a turno ruotano, si spostano all’esterno e comunicano tra di loro tramite auricolari. È probabilmente la più importante missione a cui io abbia mai partecipato. E di sicuro è la prima in cui devo occuparmi di così tanti soldati.

Ok, Sel. Vediamo come te la cavi.


Mi avvicino al centro della stanza, costituito da quattro pareti di vetro a forma rettangolare per un’area di una ventina di metri quadri. Tutti coloro che stavano all’interno indossavano una tuta bianca e una mascherina. Busso su di una parete e un omino basso con gli occhiali alza il volto e sorride in segno di riconoscimento. Il dottore.

Lo aspetto fuori dall’ennesima capsula di sicurezza e lo saluto con un sorriso.

-Buonasera dottore, sono l’agent..- inizio con le mani lungo i fianchi e la voce modulata.
-Selena, che piacere vederti!- sorride attirandomi in un abbraccio che mi lascia sorpresa.
Ero solo una bambina quando ci siamo visti l’ultima volta.
-Sei proprio una bella ragazza, sai? Proprio in gamba- dice ancora, guardandomi soddisfatto.

Sto per chiedere a questo signore affettuoso come fa a sapere che sono “in gamba”, ma soprattutto a quale esperimento si stanno dedicando, quando osservo una decina di soldati parlare freneticamente alla loro radio.

-Aspetti dentro- mi rivolgo al dottore, prima di avvicinarmi ad un soldato.
-Cosa succede?- chiedo, innervosita.
-Manca la corrente, signora- risponde il soldato, con sguardo preoccupato. È un ragazzo giovane, avrà vent’anni appena compiuti ma sembra spaurito adesso. Probabilmente è alla sua prima missione e se la sta facendo sotto. Non capisco come si deve sentire, io ho ricevuto un diverso allenamento, ma provo un impeto di compassione per lui. Ma non è il momento e questo ragazzo deve essere lucido.

-Non può mancare la corrente. Questo edificio ha un gruppo elettrogeno a sé stante che permette un funzionamento perenne di quei servizi. Cosa sta succedendo?- sussurro, più a me stessa che a lui.

Percepisco la paura nel suo sguardo e lo gelo con il mio. Non adesso. Abbatti quell’ostacolo. Non puoi avere paura adesso. Sembra recepire il messaggio.
All’improvviso un frastuono copre tutte le voci e i rumori del laboratorio e la luce della stanza si spegne. Solo quella del cubo di vetro rimane accesa.

-Tutti pronti- urlo. Ma nemmeno io so a che cosa dobbiamo prepararci.
Mi torna in mente l’aria seria di Luke, nel pomeriggio. Deve esserci sotto qualcosa di grosso.


-Posizione scoperta, ripeto, posizione scoperta. Allarme rosso, ALLARME ROS..- la radio emette le parole, ma la voce del soldato si interrompe prima del fruscio.
Il dottore è dietro di noi, lo sguardo preoccupato rivolto alla radio.

-Avete sentito? Posizione compromessa, portate via il dottore. Adesso!- urlo.
Inizio ad impartire ordini ai soldati, che raccolgono i materiali indispensabili e conducono il dottore verso l’uscita di emergenza.

Prendo la radio del soldato e parlo:
-Soldato. Chiedo conferma.-

Silenzio.

-Soldato!-

-Vi consiglio di non fuggire, o sarà peggio per voi- una voce cupa e sogghignante ha preso il posto di quella preoccupata che ha dato l’allarme prima.
-Abbiamo circondato l’edificio. Non c’è modo in cui possiate scappare. Arrendetevi, vogliamo solo il dottore- continua con un tono allegro.
-Potete fottervi- rispondo, digrignando i denti.
-Andate, andate! Portatelo via!- urlo ai soldati.

Osservo la botola che si apre verso il passaggio segreto, ma sgrano gli occhi.
I soldati iniziano a sparare ma vengono ingeriti in un’enorme nuvola di fumo. Corro verso di loro , prendo il dottor Gwintern per un braccio e lo trascino via nel caos e nelle urla, per rifugiarci sotto una scrivania mentre tiro fuori il trasmettitore.

-Rispondi. Luke rispondi..-
-Selena stanno arrivando- mi dice il mio mentore dall’altra parte, già informato dell’accaduto.
-Sono già qui-

-Non allontanarti dal dottore, ok? Non permettere che lo prendano. A qualsiasi costo. Arrivano i rinforzi-

Osservo di avere una direzione libera e corro con il dottore verso la scatola di vetro. Entriamo e attivo i codici di sicurezza. Le pareti di ferro si innalzano e non potrei vedere cosa succede nella stanza se non fosse per uno schermo in un angolo. Il  vapore ci circonda da ogni parte e vedo i miei soldati accasciarsi al suolo sotto i colpi di uomini con indosso una maschera nera, come i loro abiti.

Uno sterminio. E io non posso fare nulla.

Il ragazzo spaurito di prima gira gli occhi verso la telecamera, quasi come sapesse che ci sono io a vederlo.
Resta immobile un attimo e mi fissa. La paura che prima aleggiava nei suoi occhi svanisce piano piano e lascia il posto alla determinazione. È un attimo, una consapevolezza che abbiamo io e lui insieme, come se un filo invisibile ci avesse collegati per un istante. Poi si butta nella mischia e inizia a combattere, fino a quando lo perdo di vista.

A poco a poco tutti i soldati del mio reparto cadono a terra, una questione di pochi minuti.
Com’è possibile? Non sembrano nemmeno addestrati. Sembrano fatti di carta, spazzati via da un po’ di vento. Incredibile. Sembrano drogati..

Il pensiero è interrotto dalla figura che si staglia all’entrata. Pochi sono i superstiti tra le giubbe nere, la maggior parte dei miei soldati è a terra per il fumo e per le ferite. Non so quante sono state le perdite, ma in questo momento la mia mente è concentrata su altro.

È lui. Non ho riconosciuto la voce prima, così come lui non ha riconosciuto la mia per lo sfasamento di frequenza dovuto alla radio militare. ha gli stessi vestiti neri ma non indossa la maschera.
Si guarda intorno con aria distaccata, fredda e compiaciuta.

Il dottore, accanto a me, ha un’espressione confusa in volto, troppe cose sono accadute in troppo poco tempo e metabolizzare risulta difficile a entrambi.
Il monitor inquadra Nikolai, sulla porta, che a sua volta osserva le pareti di ferro che ci proteggono.

-Oh. Non è un granchè come nascondiglio, quello- sembra di giocare al gatto e al topo e a lui la caccia sembra piacere.
-Vi informo che tutti i soldati che proteggevano il perimetro sono feriti o morti. Inutili comunque. Una risatina di sufficienza.
-Oh. Tranne uno- senza nemmeno girarsi lancia un coltello dietro di sé e colpisce al petto un soldato che stava facendo capolino di soppiatto. È quello che mi si è avvicinato all’entrata, prima.

L’ha pugnalato a sangue freddo.

Il giovane è ormai accasciato a terra e il sangue inizia a spargersi.

Osservo distrattamente gli altri cinque soldati addestrati che hanno accompagnato il mio “amico” aggirarsi per la stanza. Le loro armi sono dardi, probabilmente cosparsi di veleno. I miei uomini sono spacciati se non si interviene in fretta.

Il dottore accanto a me si accascia terrorizzato sul tavolo, ma non ascolto i suoi lamenti.

Il mio sguardo si rivolge alla chioma bionda che si dirige con sicurezza verso il corpo a terra del soldato. Il petto di quest’ultimo si alza e si abbassa freneticamente.

La speranza mi invade. Non l’ha ucciso. È ferito. Gravemente, ma non è morto e significa che lui non l’ha ucciso. Non l’ha ucciso. Non è un assassino a sangue freddo.

Poggia un dito sul coltello e il soldato annaspa.
Allora si gira e punta gli occhi color ghiaccio nei miei, attraverso lo schermo.

-Adesso si parla- il sorriso che ha trasuda crudeltà-so che ci sei. Dico a te, li dentro con il Doc. facciamo un bel patto- propone, con finta gentilezza.
-La vita dei tuoi soldati che sono rimasti ancora vivi per il dottore. Sembra uno scambio equo-

Il dito passa di nuovo sul manico e il ragazzo stringe i denti nel dolore.

Nikolai volta lo sguardo verso di me, di nuovo, incredula. Il sangue mi si gela nelle vene appena sento la fine della frase.
-se non esce di li entro i prossimi due minuti saranno tutti morti-






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Saaaaalve a tutti!
Potrei dire un sacco di cose e tirare fuori un sacco di scuse, ma ecco la verità: ho avuto un periodo davvero.. intenso e ho fatto davvero fatica a superarlo. Ho messa la scrittura e la storia da parte e mi dispiace tanto. Ho scritto un capitolo lungo lungo, anche se so che non è abbastanza per farmi perdonare tutta questa attesa. Grazie a tutti quelli che hanno continuato a seguire la mia storia, che la hanno recensita e che l'hanno messa tra i preferiti.
Vi voglio bene davvero e prometto che la solfa cambierà d'ora in avanti.
Grazie di cuore, spero vi piaccia.
Sheloveslife

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