Renegade (keep running).

di Layla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1)La figlia della rockstar. ***
Capitolo 2: *** 2) Stelle piene di alieni (o forse no). ***
Capitolo 3: *** 3) Un cavaliere in disgrazia ***
Capitolo 4: *** 4)Come i bambini sperduti delle favole. ***
Capitolo 5: *** 5)Vancouver. ***
Capitolo 6: *** 6) Kate e Ramon. ***
Capitolo 7: *** 7)È lunga la strada per il para...MONTREAL. ***
Capitolo 8: *** 8)La mia fine con te. ***
Capitolo 9: *** Epilogo:San Diego, California. ***



Capitolo 1
*** 1)La figlia della rockstar. ***


1)La figlia della rockstar.

Una melodia esce lenta dalla mia chitarra.
La chitarra è la mia migliore amica: quella che ci sarà sempre quando avrò bisogno di aiuto, quella che non mi sorriderà mai in modo falso, quella che non mi cercherà solo perché sono la figlia di qualcuno.
La chitarra è sincera, se la tratti bene suona bene, se la tratti male ti ripaga con la stessa moneta.
Non ho mai conosciuto sincerità nelle persone – eccetto nei miei genitori e in tre persone – ma ne ho sentita parecchia nella mia chitarra.
Se faccio un errore suona male, non mi dice che non fa niente e che me lo perdona perché mi chiamo Ava DeLonge.
Sì, esatto, sono la figlia di Tom DeLonge, chitarrista dei Blink-182.
Non posso lamentarmi di lui come padre – solo ogni tanto è possessivo – ma del peso del suo cognome sì. Ci sono molti fan dei blink e degli AvA alla mia scuola e tutti vogliono conoscere il pazzo che corre nudo per strada o il poeta.
Nessuno vuole mai conoscere me troppo a fondo, io sono solo il tramite, mio padre l’obbiettivo.
Gli unici di cui mi fido sono Jack, Landon e Alabama e forse lo faccio solo perché anche loro hanno lo stesso mio problema.
In ogni caso tra me, Jack e Landon c’è una bellissima amicizia, abbastanza forte da farci decidere di creare anche noi una band. il nome l’ho scelto io: Somewhere in Neverland, come la canzone degli All Time Low.
Jack ha storto un po’ il naso, dicendo che la mia cotta per Alex Gasgarth stava raggiungendo livelli paurosi, io l’ho zittito tirandogli addosso la mia kefia.
A sedici anni decido io cosa fare, visto che decido come vestirmi e posso guidare.
Mi vesto quasi sempre di nero, cosa che si intona perfettamente al colorito pallido della mia pelle, ai capelli blu e ai piercing al labbro, uno su ogni lato.
Jack ha una bella cresta bionda e si veste da skater, Landon invece si veste da vero punk – chiodo di pelle, pantaloni scozzesi stretti, anfibi alti – e ha  una testa di capelli rosso semaforo molto spettinata.
È bellissimo Landon e suona la batteria divinamente, mi è sempre piaciuto, ma non mi sono mai fatta avanti. Anche Jack è molto bello, ma al momento per me è solo un amico e credo sia così anche per lui, sebbene – per un motivo o per un altro – abbia bocciato tutti i  miei ragazzi come ha fatto mio padre.
Ora però non c’è tempo per le farneticazioni, quei due stanno arrivando e sarà meglio fargli trovare il garage in ordine. Ho provato a convincere mio padre a farci usare il suo studio casalingo, ma la risposta è sempre stata no,o gli serve per gli Ava o gli serve per i blink.
Zio Mark mi ha battuto una mano sulla spalla in segno di comprensione, dicendomi che Tom è molto geloso delle cose a cui tiene.
Uffa.
“Avaaa!”
Un urlo mi fa cadere dallo sgabello su cui ero appollaiata. Dalla mia prospettiva ribaltata vedo Jack avanzare nella stanza.
“Stronzo! Perché mi hai chiamata così?
Adesso mi aiuti ad alzarmi!”
Lui mi tende una mano mentre sbuffa.
“Come avrei dovuto chiamarti?”
“In un modo più civile, ad esempio. Sono sicura che tua madre ti abbia insegnato come si faccia.”
“Pensavi ancora al tuo Alex?”
“Scemo.”
Lui si guarda intorno e nota il caos che ancora regna nel garage, poi sospira.
“Dai, ti do una mano a sistemare o Landon non ce la farà mai con la sua batteria così.”
Io annuisco e insieme cominciamo a spostare scatole e scatoloni, dando un assetto più ordinato al garage di casa mia, ora è abbastanza spazioso e la batteria di Landon dovrebbe starci.
“Cosa diavolo ha questo tizio da mandarti fuori di testa?”
Io alzo le spalle e accetto una delle ciambelle che mi porge Jack.
“È figo, ok?”
Lui scuote la testa.
“Ti preferivo nella fase in cui avevi in testa solo l’omicidio.”
“Guarda che quella fase non mi è passata e abbiamo un giardino abbastanza grande.”
Faccio io ammiccando, lui deglutisce e il suo pomo d’Adamo fa su e giù più velocemente.
“Scherzavo. Però è bello sapere che non ho perso il mio tocco.”
Lui borbotta qualcosa come un: “Vorrei sapere da chi hai ereditato questa vena macabra!”, che mi fa ridere.
“Ma il basso te lo sei dimenticato a casa?”
“No, l’ho lasciato fuori dal garage, non so perché ero quasi certo che tu ti fossi dimenticata di sistemare la baracca. Adesso vado a prenderlo.”
Poco dopo riappare nientemeno che con il mitico basso rosa di Mark Hoppus e una fitta di invidia si fa sentire. Quanto vorrei che mio padre mi lasciasse usare una delle sue chitarre!
“Non sai quanto ti invidio!”
“E tu non sai quanto ho dovuto pregare mio padre perché me lo lasciasse. Ho dovuto rassicurarlo in centomila modi diversi che non l’avrei rotto e che l’avrei trattato bene!”
Io sospiro, però alla fine Mark si è lasciato convincere, mio padre invece è più testardo di un mulo e mi ha sempre detto di no.
Non mi crogiolo molto nel mio malumore perché arriva Landon e automaticamente sorrido, nonostante le occhiate esasperate di Jack. Perché si comporta così?
“Ciao, ragazzi! Scusate, ma mio padre non mi lasciava più andare.”
“Farti vedere con una canna non aiuta certo.”
Sputa acido Jack, io gli lancio un asciugamano per zittirlo.
“Non hai tutti i torti, amico.
Beh, adesso sono qui, proviamo.”
Jack annuisce ed esce ad aiutarlo con la batteria, un quarto d’ora dopo è tutto montato e le prove possono iniziare. Per ora facciamo cover dei blink, degli All Time Low e dei My Chemical Romance, abbiamo pochi pezzi nostri e non sappiamo se siano buoni o meno.
A metà delle prove il cellulare di Landon suona e siamo costretti a interrompere, dal tono battagliero con cui risponde suppongo sia sua madre, nemmeno Shanna ha preso bene la faccenda della canna.
Ritorna dieci minuti dopo con una faccia furiosa e si rimette alla batteria senza spiccicare parola, sua madre deve averlo strigliato per bene e Landon odia le strigliate.
Continuiamo a provare per un’altra ora, poi smontiamo tutto. Vorrei salutare Landon e parlarci un po’ nella speranza che mi veda come una ragazza interessante e migliore di quelle che si porta a letto, ma non ne ho il tempo.
Lui schizza via, lasciandomi come un’allocca sulla porta del garage. Jack scuote la testa e se ne va, trascinandosi dietro la sua roba.
Non riesco a capire perché ultimamente sia così strano e infastidito da Landon, sono amici da una vita, cosa c’è che non va?
Sinceramente i ragazzi non li capisco.
Con l’aria un po’abbattuta porto la mia roba in camera mia e mi sdraio sul letto guardando a lungo il poster degli All Time Low in attesa di un’illuminazione divina che non arriva.
In compenso arriva mia madre con il cesto del bucato.
“C’è niente da lavare?”
Io guardo il mucchio dei vestiti che c’è dietro la porta e lo passo in rassega, alcune cose sono effettivamente da lavare e gliele consegno, altre le metterò all’aria dopo.
“Come mai le prove sono finite così presto?”
“Landon era incazzato con i suoi genitori, non mi ha neanche parlato e nemmeno Jack. Non so cosa gli prenda ultimamente, sembra infastidito da Landon.”
Mia madre sorride in maniera inesplicabile.
“Ti piace Landon, eh?”
Io arrossisco, lei mi guarda con lo stesso sorriso di prima.
“Stai attenta a quello che fai, potresti ferire qualcuno senza volerlo.”
Se ne va lasciandomi perplessa.
Chi dovrei ferire?
Mi ributto sul letto pensando che oggi sono tutti matti, spero che mio padre sia sano almeno lui oggi visto che stasera mi ha promesso lezioni di chitarra.

 

La sera arriva presto, ma quando entro nello studio di mio padre non trovo lui, ma David.
“Ciao, David. Dov’è mio padre?”
“Tra poco arriva, i blink hanno fatto più tardi del solito, così ho pensato di tenerti compagnia.”
Io sorrido e mi siedo.
“Grazie è stato davvero un bel pensiero.”
Lui sorride ancora e io prendo in mano la mia chitarra, lasciando scorrere pigramente le mani sulle corde, lasciando che escano cose a caso.
“Bello, ma io lo farei così.”
Si alza dalla sedia e mi corregge la posizione delle mani, io riprovo a suonare quello che stavo suonando prima ed effettivamente è molto meglio ora.
“Grazie, David!”
Continuiamo così ancora per un po’, tanto che quando mio padre effettivamente arriva, non me ne accorgo nemmeno perché sono troppo impegnata a scambiarmi idee e consigli con David.
Un “ehm ehm!” si fa sentire e io mi volto, trovandomi davanti al sorriso ironico di mio padre.
“Prego, continuate pure senza di me!”
David sbuffa e si alza dalla sedia.
“Ma piantala di fare il geloso!”
Tom alza gli occhi.
“E tu trovati una ragazza, Kennedy!”
“Non credo di doverlo fare visto che è stata lei a trovare me.”
“Che cazzo vuoi dire? David? DAVID?”
L’eco dell’urlo di mio padre si confonde con quello della risata di David che non ha voluto dirgli chi ha trovato come ragazza.
In ogni caso, io e mio padre riprendiamo la lezione e – tra mille piccoli attriti e litigi – la finiamo.
Quando mi alzo dalla sedia sono soddisfatta e schiocco un bacio sulla fronte di mio padre.
“Buonanotte, papà!”
“Buonanotte, tesoro!”
Tutto sembrerebbe ok, solo che la mia testa decide di giocarmi dei brutti scherzi stanotte.
Dormo malissimo, ho la testa piena di incubi e la mattina dopo mi sveglio spaventata, vorrei rimanere a casa, mia madre però è inflessibile e mi manda a scuola lo stesso.
Salgo sul pulmino giallo con l’umore sotto i piedi e mi siedo vicino alla teppista della scuola, così sono sicura che nessuno mi rivolgerà la parola.
Lei grugnisce.
“DeLonge, perché cazzo ti sei seduta qui?”
“Perché non avevo voglia di parlare con nessuno, nemmeno con te.”
Lei sbuffa e non dice nulla per fortuna.
A scuola trovo Jack vicino al mio armadietto e più in là Landon si sta baciando con una cheerleader, non so cosa ci trovi in quelle oche.
“Passato il malumore?”
“Sì, ma vedo che è venuto a te.
Non vedo perché ti faccia il sangue amaro per Landon, lo sai come è fatto.”
Io sbuffo.
“Forse perché mi piace.”
Jack impallidisce e mi lascia da sola, tanto lo becco a letteratura inglese dopo.
“Sei veramente poco sensibile, DeLonge.”
La teppista della scuola – Maria Gonzalez, detta Ginger– mi rivolge di nuovo la parola.
“Scusa?
“Ho detto che sei poco sensibile, DeLonge.”
“Perché Gonzales?”
“Perché non vedi un ragazzo meraviglioso, anche se ce l’hai sotto il naso.”
“Ma chi? Landon?”
Lei sbuffa e i capelli verdi che le erano caduti sugli occhi si alzano.
“Lascia perdere, sei un caso perso.”
Se ne va, io non capisco.
So solo che quando vedo Landon e la vacca passarmi davanti il mio progetto di seguire la lezione di letteratura con Jack salta completamente e mi rifugio in bagno a piangere.
Sfortunatamente lo trovo di nuovo occupato da Ginger, che non appena vede le mie lacrime sbuffa e mi trascina sotto le gradinate dello stadio.
“Si può sapere cosa vuoi?”
“Niente, ti ho solo evitato domande imbarazzanti, dato che il bagno era pieno di amiche della cheerleader, qui puoi piangere quanto vuoi!”
Io non dico niente.
“Cosa ci trovi in Barker?”
“È figo e poi è una brava persona.”
“Non è il ragazzo adatto a una relazione seria, questo dovresti saperlo.”
“Posso fargli cambiare idea.”
Lei non dice nulla e mi lascia da sola.
Rientro nella scuola in tempo per la seconda ora, che è matematica e che seguo con Jack.
“Si può sapere dove eri? Ti ho cercata prima.”
Poi vede i segni delle lacrime e smette di essere così aggressivo.
“Piangi ancora per Landon?
Lascialo perdere, è il mio migliore amico, ma non è adatto per te.”
Io non dico niente, è la seconda persona nell’arco di due ore che mi dice di lasciarlo perdere, io però sono testarda e quando voglio qualcosa lo ottengo.
Otterrò Landon prima o poi!
Matematica la seguo piuttosto svogliatamente e durante la lezione seguente – educazione fisica – ricevo una pallonata in faccia che mi esonera dal resto delle partite di pallavolo.
Casualmente finisco seduta proprio vicino a Landon.
“Ehi, Ava. Stai bene?”
Io mi tocco la faccia: è gonfia e rossa.
“Sono stata meglio, tu come mai non giochi?”
“Ho una giustificazione di mia madre che dice che ho una tendinite.”
Io sgrano gli occhi e lui abbassa la voce.
“È falsa.”
“Ah, mi stava venendo un infarto, visto che sei il nostro batterista.”
Lui ride.
“Sei un tesoro, ma non ti devi preoccupare.”
Io arrossisco, mi ha appena chiamata “tesoro”!
“Mi viene naturale, siamo amici, no?
E a proposito, come fai a stare con quella gatta morta?”
“Tette.”
Io guardo le mie e mi rendo conto che sono praticamente piatta rispetto a quella, spero che cresceranno ancora!
“Cosa ne dici di venire a vedere un film da me oggi?”
“Sì, va bene. A che ora?
Alle quattro.”
“Perfetto, io finisco le lezioni  alle due.”
Lui mi sorride e io mi godo quella che per me è una visione paradisiaca, non vedo l’ora di dirlo a Jack.
Finita la lezione vado a mensa e cerco il mio amico, lo trovo che sta parlando con Ginger.
“Ciao.”
Dico timida.
“Ciao, Ava.”
“Ciao Jack, Ginger.”
“Ciao.”
Mi risponde lei svogliata.
“Non sapevo che conoscessi Jack.”
“Ci conosciamo dalle medie, siamo amici.”
La cosa mi giunge nuova, eppure credevo di conoscere tutto di lui, in fondo però è giusto che anche lui abbia delle amicizie al di fuori della nostra cerchia ristretta.
“Come mai sei così felice?”
“Landon mi ha invitata da lui oggi, Jack.”
“Beh, buona fortuna.
Andiamo a prendere il rancio, dicono che oggi ci sia la pizza.”
È diventato di nuovo freddo e non capisco il perché, ogni volta che nomino Landon diventa così.
Rimango con le mie domande irrisolte e seguo Jack e Ginger dentro la mensa, prendiamo tutti e tre della pizza e occupiamo un tavolo, Barker si siede a un altro con i suoi amici punk.
“Come mai sei così rossa, Ava?”
La domanda di Jack mi distrae dalla mia contemplazione.
“No, niente ho ricevuto una pallonata in faccia durante una partita di pallavolo.”
“Mi dispiace.”
“Perché Landon non si siede con noi?”
Chiedo a Jack.
“Perché lui non è come te, riesce a farsi degli amici al di fuori di noi. Tu hai troppa paura degli altri per farlo.”
“Ho i miei motivi, vogliono stare con me solo perché sono la figlia di uno famoso, lo sai.”
“Non tutti. Ginger non mi ha mai chiesto di conoscere mio padre, nonostante senta i blink.”
Io non dico nulla e squadro la ragazza con i miei occhi blu, ereditati da mia madre.
“Se lo dici tu.”
Lui sospira.
“Ava…”
“Jack.”
“Sei un caso perso.”
Io sbuffo.
“Può darsi che io sia un caso perso, ma non voglio essere il tramite per nessuno. Non voglio che una volta conosciuto mio padre idolatrino solo lui lasciando indietro me.”
Jack scuote la testa.
“Vedi, Ginger, lei ragiona così e non cambierà. È troppo testarda per farlo.”
Lei dà una sorsata alla sua coca.
“Ho visto, ma se vuoi un consiglio, Delonge lascia perdere Barker come ragazzo. Tienitelo come amico e basta, altrimenti ne uscirai massacrata!
Io sbuffo.
Otterrò quel ragazzo a ogni costo o non mi chiamo più DeLonge.
 Finito il pranzo ci dirigiamo alle nostre lezioni, Ginger ha biologia in comune con me, così entriamo insieme nella stessa aula e – siccome nessuno vuole mai sedersi al suo tavolo – sedute allo stesso tavolo.
Oggi temo che sarà una giornataccia perché il professor Milton ha in mano un grosso scatolone e giurerei che sia pieno di rane.
Che schifo!
“Bene, ragazzi! Oggi sezionerete una rana per ogni tavolo.
Buon divertimento!”
Cosa ci sia di divertente nello squartare rane e segnarsi su un foglio l’anatomia e quello che sono non lo so, forse lo è se ti immagini che ci sia un tuo nemico al posto della rana.
L’uomo percorre i tavoli e anche al mio e di Ginger, deposita una bella rana morta, bianca e flaccida.
“Non posso credere che qualcuno queste cose se le mangi!”
Esclamo disgustata.
“I francesi mangiano le lumache.”
Mi risponde Maria, sbuffando.
Iniziamo a dissezionare la rana in silenzio, non abbiamo tanto in comune e questo lavoro non ti invita affatto alle chiacchiere, Milton le odia tra l’altro
Alla fine della lezione passa tra i tavoli e si sofferma al nostro.
“Avete fatto un buon lavoro, DeLonge e Gonzales. Complimenti!
Penso che avrete una A.”
“Grazie, professor Milton.”
“Di nulla, non credevo che un’accoppiata eccentrica come la vostra avrebbe funzionato, la vita è strana.”
Io sorrido e non dico nulla.
Ho preso il massimo dei voti dissezionando una rana e oggi pomeriggio andrò dal ragazzo che mi piace e chissà che non succeda qualcosa, non potrei chiedere di più.
Esco dall’aula di scienze con un sorrisone, sto per andare agli armadietti quando Ginger mi blocca.
“Te lo dico per l’ultima volta, DeLonge. Lascia perdere Landon, lui non fa per te, lui usa le ragazze e basta, ci staresti solo male e non pensare di riuscire a cambiarlo.
Le persone come lui non cambiano, a meno che non siano loro a volerlo e non credo che Barker lo voglia. Ne uscirai con le ossa rotte come tutte quelle che ci hanno provato prima di te.”
Io scuoto la testa.
“Per me sarà diverso!”
Esclamo prima di andarmene, le mie parole sono suonate sicure, ma ora un piccolo tarlo dentro di me inizia a metterle in dubbio: e se Ginger avesse ragione?

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Capitolo 2
*** 2) Stelle piene di alieni (o forse no). ***


2) Stelle piene di alieni  (o forse no).

 

Ci sono momenti in cui è difficile decidere cosa si indosserà, soprattutto se devi uscire con un ragazzo e hai un padre geloso, molto geloso.
Rimango per un po’ in piedi davanti all’armadio, poi decido di mettermi un paio di pantaloni da skater a tre quarti neri e una canottiera a righe rosse e nere che arriva sopra l’ombelico e un paio di anfibi.
Mia madre non dice nulla, mio padre mi guarda come per dirmi se non è troppo corta quella maglietta.
“Io vado, ci vediamo stasera.”
“Divertiti, Ava!”
Mi urla mia madre.
“Stai attenta ai ragazzi!”
Questo è mio padre,
Io rido salendo sulla mia macchinetta e poi mentre apro il cancello con il telecomando. Non ho paura dei ragazzi e ho intenzione di divertirmi oggi.
Guido fino alla casa di Landon canticchiando vecchie canzoni dei blink e sentendomi sempre più eccitata e felice.
Forse – e sottolineo forse – oggi lui la smetterà di vedermi come un’amica e una compagna di band per capire che sono una ragazza e anche carina, una di quelle che potrebbe sostituire le sciacquette che si porta a letto.
Parcheggio fuori dalla villa e suono il campanello, il grande cancello in ferro si apre lasciandomi entrare, io percorro lentamente il viale guardandomi in giro.
Il giardino è curato e molto bello, la nuova compagna di Travis ha un discreto pollice verde, quando c’era Shanna le piante e il prato sembravano messi a caso.
Landon mi aspetta sulla porta, indossa una canottiera nera con delle scritte gialle che sembrano fatte attaccando pezzi di giornale e dei pantaloni scuri.
“Ciao, Ava! Stai benissimo così!”
“Grazie! Ci sono i tuoi?”
Lui scuote la testa, i capelli rossi gli cadono davanti al volto.
“Papà sta incidendo qualcosa con i blink e la sua compagna è al lavoro. In una banca.
Mio padre il punkettone per eccellenza, tatuato dalla testa ai piedi si è scelto una donna noiosa come poche, per non parlare delle sue due figlie che ci detestano.”
“Mi dispiace, ma non sembrava così quando la mia famiglia è venuta da te.”
“Le due streghe sono brave a nascondere quello che pensano veramente, ma prima o poi io e Alabama le tireremo dalla nostra parte!”
Mi risponde con un ghigno insolente, leggermente maligno.
“Cosa vediamo oggi?”
“Mh, non so. Oggi un mio compagno della classe di letteratura mi ha prestato “Shining”, ce lo vediamo?”
“Va bene.”
È un horror e questo mi fornirà una scusa per stare attaccata a lui e poi chissà, magari per altro, gli avvertimenti che Jack e Ginger mi hanno dato  si sono sciolti come neve al sole.
Non posso farci nulla, Landon mi fa questo effetto.
Lui mette sul tavolo delle patatine, pop corn, una bottiglia di coca e due bicchieri, poi infila il dvd nel lettore e si lancia sul divano.
“Speriamo sia figo!”
Urla mentre clicca “play” e le prime scene del film appaiono in tv, che il divertimento abbia inizio e che porti i suoi frutti!
Forse ne uscirò con le ossa rotte, ma almeno ci avrò provato!
Le prime scene sono tranquille, i guai iniziano quando Jack Torrance arriva in quel hotel in mezzo al nulla più assoluto e probabilmente posseduto.
Visioni, sangue che erutta come una marea da un corridoi e io nascondo la faccia sul petto di Landon, almeno per un po’, poi sento il vuoto.
Si è spostato e con una mano mi alza delicatamente il volto per far sì che i nostri occhi si incrocino, basta quello per dare fuoco alle polveri. In un attimo mi ritrovo Landon addosso e la sua lingua in bocca, gli orrori del film sono dimenticati: ora esiste solo lui.
Ci baciamo a lungo, le nostre lingue sono impegnate in una lotta feroce e sono solo vagamente consapevole delle sue mani che si infilano avide sotto la canottiera, le mie sono impegnate a esplorargli i capelli e il collo.
Lui si stacca e mi guarda.
Poi lentamente mi toglie la maglietta e il reggiseno e mi bacia il seno, io inizio a gemere senza ritegno: finalmente sta succedendo!
Gli tolgo la maglia e contemplo il suo corpo magro, lui mi guarda con un ghigno, si toglie pantaloni e boxer e appoggia la mia mano al suo pene.
Detta lentamente il ritmo, fino a che io non capisco come devo procedere. Continuo fino a quando lui non viene urlando e poi mi bacia ancora e ancora
“Sei stata bravissima, piccola.”
Mi bacia ancora, poi recupera le nostre cose e mi porge reggiseno e canottiera.
“Sei davvero brava, Ava.
Mi piaci.”
“Anche tu mi piaci.”
“E allora continuiamo, amici con benefici, ti va?”
Io annuisco e lui sorride, il film è finito.
Esco da casa sua euforica e corro dalla prima persona che voglio che lo sappia: Jack.
Mi attacco al suo campanello fino a che sua madre Skye non mi apre.
“Scusi, signora.
Vorrei parlare con Jack.”
“È di sopra e smettila con questo “signora!” mi fa sentire vecchia!”
Mi sorride lei.
“Scusa,Skye.”
Salgo in camera di Jack e lo trovo intento a trafficare con il suo skate, sembra seccato di sentire la porta della sua camera aprirsi, ma quando vede che sono io sorride.
“Ehi, Ava!”
“Ehi, Jack!”
Depone con cura lo skate sul pavimento di parquet e poi mi guarda incuriosito.
“Come mai qui?”
“Devo dirti una cosa.”
Lui si siede sul letto e mi fa cenno di raggiungerlo, cosa che faccio volentieri, mi lancio sul letto e affondo nella morbidezza di coperte, lenzuola e materasso, poi mi rigiro e fisso il soffitto.
“Io e Landon ci siamo baciati e io…”
“Gli hai fatto una sega.”
Finisce piatto per me, io mi alzo a disagio, come fa a saperlo?
“Come fai a saperlo.”
“Perché fa così con tutte. Le invita per un film, possibilmente horror, poi a un certo punto le bacia e poi riesce a farsi fare una sega.
La prossima volta sarà un pompino, poi scoperete e lui scomparirà dalla faccia della terra.”
Io deglutisco, una parte di me sente che Jack ha ragione, un’altra non vuole accettarlo.
 “Con me sarà diverso! Siamo compagni di band!”
“Si troverà un’altra band, per lui la nostra band è solo un passatempo, nulla di importante.”
“Jack, non dire stronzate!”
Le prime lacrime minacciano di scendere, non posso credere che i Somewhere in Neverland non valgano nulla per Landon.
“Non sono stronzate, è la realtà, Ava.
Mi dispiace essere così brusco, ma è necessario che tu apra gli occhi prima di distruggerti la vita.”
“Smettila, sei solo geloso! Lui ha avuto più ragazze di te!”
“Ava…”
“Ava, un cazzo! Me ne vado. Non sarei mai dovuta venire qui, pensavo di trovarci un amico non un Savonarola vestito da skater!”
Me ne vado sbattendo la porta e ignorando le sue urla che mi richiamano indietro, saluto di fretta sua madre e me ne vado a casa mia.
Sono amareggiata, volevo qualcuno con cui dividere la mia gioia, non uno che mi giudicasse impietosamente!

 

Il giorno dopo vado a scuola di pessimo umore.
Sul pulmino mi siedo accanto a Ginger e noto che i suoi capelli sono di un viola accesso con delle sfumature lillà.
Io non dico nulla, lei non mi dice nulla, almeno sul pulmino.
Arrivate a scuola mi tira in disparte e mi guarda fisso negli occhi, la cosa mi infastidisce.
“Ho saputo che ieri hai fatto una sega a Barker.”
Io arrossisco.
“Sì, e allora?”
“Allora fermati finché sei in tempo, farà un po’ male, ma credimi non è niente al male che proverai tra un po’.
Ti chiederà un pompino, farete sesso e poi lui scomparirà talmente rapidamente dalla tua vita che non sembrerà nemmeno che ci sia entrato.”
“Anche tu?
Jack mi ha detto la stessa cosa, ma con me sarà diverso.”
“Ho sentito pronunciare questa frase da tutte le ragazze che si è fatto e una volta l’ho pronunciata anche io. È una cazzata, i ragazzi come Landon vogliono solo una cosa.”
“Ma potrebbe innamorarsi.”
“Sì, potrebbe, ma io sono certa che non chiederebbe una sega alla ragazza che ama, diciamo.”
Io divento quasi viola.
“Perché mi portate tutti sfiga?”
“Forse – e sottolineo forse – è perché ti vogliamo bene e siamo preoccupati per te, Ava.
Non è bello avere il cuore in frantumi per uno stronzo.”
“Io lo farò cambiare.”
Lei sospira e mi lascia andare, io mi dirigo alla mia lezione di matematica avendo cura di sedermi lontano da Jack, che mi guarda ferito.
Forse sto esagerando, ma lui ieri sera non avrebbe dure quelle cose su Landon, sono menzogne.
Landon si impegna sempre tantissimo durante le prove, come possiamo non contare per lui?
È assurdo!
Questa è la peggiore mattinata che il mio cervello ricordi, dovrei essere felice, invece mi sento triste e ferita dalle insinuazioni di Jack.
Ho l’impressione di avere costruito, senza volerlo, un grande castello di carte e che ora mi stia per crollare addosso senza pietà.
No, mi dico poi, non posso cedere allo scoraggiamento, io devo avere Landon Barker e lo avrò o non mi chiamo più DeLonge.
In ogni caso a mensa è uno schifo, non mi siedo al tavolo con Jack e Ginger e non ho il coraggio di sedere al  tavolo di Landon, che mi ha salutato e fatto l’occhiolino.
Ho sentito qualche crepa nel mio piano, l’impressione che forse – per la prima volta in vita mia- non sarei riuscita ad avere quello che volevo.
Finito il pranzo Landon mi ha trascinato in disparte.
“Ehi.”
“Ehi. Senti, domenica ti va di uscire con me?”
“Sì, ma non devo tornare troppo tardi. Lunedì c’è scuola e i miei romperebbero.”
“Va bene. Ieri sono stato bene con te.
Ciao, Ava.”
“Venerdì ricordati che ci sono le prove.”
“ ‘k!”
Chissà perché quell’ ‘k mi sembra troppo scazzato, non ci voglio pensare e corro  a lezione.
Non ricordo nemmeno quale sia e non me lo ricordo nemmeno quando la professoressa mi butta fuori dall’aula perché sono palesemente disattenta.
Controllo l’orario e scopro che era una lezione di storia.
Wow.
L’ultima ora è quella di ginnastica, facciamo una partita di pallavolo e io manco tutte le palle, tanto che anche qui la prof mi butta fuori e  io mi siedo mesta sulle tribune accanto a Ginger. Lei ha saltato perché non aveva la roba e si è presa un bel rimprovero. Come me.
“Come mai così distratta?”
“Fatti miei.”
“Ho visto Barker che ti parlava dopo mensa, non sarà per quello?”
“E se anche fosse?”
Rispondo piccata.
“Ti ha chiesto di uscire, vero?”
“Sì.”
“Lo immaginavo e smettila di ignorare Jack, lui ci sta male.”
“Beh, anche io. Non smetto di parlare alle persone come hobby.”
“Cosa ti ha detto?”
Io mi guardo attorno per mascherare la battaglia interiore che c’è in corso, da una parte vorrei parlare con Ginger, dall’altra vorrei dirle di farsi i cazzi suoi.
“Jack mi ha detto che a Landon non importa nulla dei Somewhere in Neverland, che sarebbe la nostra band, e che se dovessimo rompere uscirebbe dal gruppo senza nemmeno una goccia di rimpianto.
Dice che noi siamo solo un ho-hobby, nulla di più, che nono è attaccato al progetto come me e Jack.”
Lei non dice nulla, rimane in silenzio per tanto – troppo – tempo.
“Conosco jack da tanto tempo, non è uno che mente e se ti ha detto questo significa che probabilmente è vero.
Barker è un tizio molto strano, sembra che non gli importi di niente e di nessuno e non mi stupirei se non fosse poi così attaccato alla vostra band.
È un batterista bravo per essere così giovane e non ci metterebbe nulla a trovare un’altra band.”
Le parole di Ginger hanno scavato un buco enorme dentro di me, e se Jack avesse ragione?
Mi sento in ansia come se il mondo che io conosco stesse per sgretolarsi, non devo pensare a queste cose.
Devo pensare al fatto che domenica uscirò con Landon, solo a questo.
Mia madre lo chiamerebbe mettere la testa sotto la sabbia, ma in qualche modo uno deve sopravvivere, no?
 

Domenica sera arriva troppo presto per i miei gusti.
Non so cosa mettermi e finisco per mettermi un vestito a righe grigie e fucsia, con qualche scritta  e un paio di anfibi.
Landon arriva puntualissimo, mio padre lo accoglie con uno sguardo severo e lo fa entrare, mentre io finisco di discutere con mia madre.
“Tratta bene mia figlia, non farle fare quelle cosacce che tutti vuoi ragazzini avete in mente.”
Lui annuisce e sorride.
“Non si preoccupi signor DeLonge.”
Chissà perché ho la sensazione che menta.
Usciamo e ci infiliamo nella sua macchina: una decapottabile da fighetti.
Non ho mai capito perché l’abbia presa, ma in fondo non è importante, no?
Sono qui con il ragazzo che amo e stiamo per trascorrere una bella sera, perché preoccuparsi?
Ci fermiamo a mangiare qualcosa a un Mac e chiacchieriamo tranquillamente, lui mi parla della sua famiglia e della nuova compagna di suo padre.
Io gli parlo delle mie lezioni di chitarra con mio padre, del fatto che sia geloso dei ragazzi con cui esco e cose così.
Finito di mangiare, andiamo a passeggiare sul lungomare mano nella mano, sembriamo davvero due fidanzatini e lui sembra davvero interessato a me; forse gli altri si sbagliano.
“Ti va di andare in spiaggia?”
“Sì, perché no?”
Scendiamo alla prima passerella che incontriamo, io mi tolgo gli anfibi e cammino accanto a lui, che se ne frega della sabbia.
Sembra così distante, eppure è così vicino che posso toccarlo.
Camminiamo per un po’, poi lui stende e invita me a fare lo stesso, io eseguo.
Un suo braccio passa intorno alla schiena e lui sorride.
“Che bella serata, ci sono tante stelle.”
“Vero, speriamo che non scenda un alieno a rapirci.”
“Speriamo,non mi va di essere analizzato.”
“Tu ci credi?”
Gli chiedo titubante.
“Perché no? Insomma, lo spazio è grande non saremo i soli.”
Io annuisco. Sinceramente ho un po’ paura degli alieni, quelli dei film non sembrano tanto ben disposti nei confronti dei terrestri. Ci considerano sempre come dei gran tontoloni da invadere, sembra che  non siamo in grado di proteggerci.
Forse è così, chissà.
Un brivido di freddo mi attraversa la schiena, Landom mi attira di più a sé.
“Freddo, piccola?”
“No, adesso no.”
Ci guardiamo un attimo negli occhi e  poi iniziamo a baciarci con foga, sotto le stelle che forse sono piene di alieni o forse no.
Ci baciamo a lungo, tanto che io perdo contatto con la realtà il controllo di me stessa, sono di nuovo caduta nella sua trappola.
Le sue mani sono di nuovo su di me e mi accarezzano la pancia da sotto il vestito, cercano di salire più, ma non ci riescono. Io non voglio togliermelo, non voglio beccarmi una denuncia per atti osceni in luogo pubblico.
Lui invece si slaccia la patta dai pantaloni e poi lo fa scendere per un po’, giusto lo spazio di togliersi i boxer per lasciare uscire il suo pene.
Io inizio a massaggiarglielo, ma lui sposta la mano e me lo appoggia gentilmente sulle labbra.
Dovrei rifiutare, l’eco delle parole di Jack e Ginger me lo consigliano, ma io non riesco e così finisco per accontentarlo.
Riesce a ottenere il pompino che cercava e io sorrido mio malgrado, sono stata brava.
“Brava Ava, è stato bello.”
Si pulisce alla bell’e meglio e ci sediamo di nuovo a guardare le stelle, ora sembrano meno brillanti rispetto a prima, chissà perché.
Landon dà un’occhiata all’orologio e si alza, stiracchiandosi languido.
“È ora di andare Ava o tuo padre mi ammazza!”
Mi tende una mano e io mi alzo con una strana sensazione addosso, come se avessi fatto qualcosa che non dovevo fare, di sicuro se mio padre lo sapesse si arrabbierebbe da morire e chiuderebbe in casa fino ai ventuno anni.
In macchina non parliamo molto, mi chiedo cosa gli passi per la testa e come ci consideri, ma ho paura a porre la fatidica domanda. Lui è un donnaiolo e mi ucciderebbe sapere di essere solo una della sua lunga serie di conquiste.
Mi lascia davanti a casa, dandomi un casto bacio sulla guancia.
“Ci vediamo domani a scuola, Ava!”
“Sì, ciao Landon.”
Entro in casa con uno strano sorriso in volto, tanto che mia madre mi guarda interrogativa, io le faccio cenno che va tutto bene.
Forse non mi è piaciuto il modo in cui è successo quello che è successo tra me e Landon, magari un po’ di romanticismo ci sarebbe stato bene.
Vado a letto pensando che non sono felice come dovrei e che domani c’è scuola: che schifo!
La mattina dopo vengo svegliata dalla mia sveglia, mi lavo e mi vesto e poi mi chiedo come mi devo comportare con Landon. Più affettuosa?  Come se non fosse successo nulla?
Faccio colazione pensierosa e poi me ne vado, pensando a cosa fare lungo tutto il tragitto, poi penso che andrà come deve andare.
Jack questa volta non tenta nemmeno di venirmi incontro, mi lancia un’occhiata e rimane a chiacchierare con Ginger, ignorandomi.
Forse è meglio così, non ho voglia di litigare con lui.
Vedo Landon e mi dirigo verso di lui, ma lui scarta volontariamente per andare dai suoi amici, lasciandomi come una fessa in mezzo al corridoio.
Sospirando, mi dirigo al mio armadietto per prendere il necessario per le lezioni e pensando che oggi non sarà una bella giornata.
No.
Oggi promette di essere una di quelle giornate di merda che difficilmente ti scordi e che ti segneranno per un po’.
Che palle.
Vado alla prima lezione della giornata sperando ardentemente di sbagliarmi, non ho bisogno di giornate del genere. Nessuno ne ha davvero bisogno, sono solo una seccatura che il destino ti impone quando non ha niente di meglio da fare che perseguitare te.
Vediamo come andrà!

Angolo di Layla

Ringrazio Carousel, staywith_me, ElaEla e LostinStereo3 per le recensioni.

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Capitolo 3
*** 3) Un cavaliere in disgrazia ***


3) Un cavaliere in  disgrazia.

 

Landon si tiene accuratamente alla larga da me per tutte le lezioni, in compenso fa il cretino con una di nome Stella, che ha un anno meno di me.
Cosa gli è preso?
Ieri sera invita me e adesso ci prova con lei?
Mi deve delle spiegazioni.
Alla fine delle lezioni riesco a incastrarlo vicino alla sua macchina.
“Landon!”
“Ava…”
“Ti ho fatto qualcosa? Mi hai evitato tutto il giorno!”
“Non mi andava di parlarti, tutto qui.”
Mi risponde, poi si infila in macchina e parte sgommando lasciandomi lì come una fessa.
Vado a casa masticando rabbia e delusione, non può essere come dicono Ginger e Jack, mi rifiuto ancora di crederlo.
Il giorno dopo riesco a trascinare Landon in uno sgabuzzino e cerco di farmi dare delle risposte, ma lui mi bacia e come al solito il mio cervello si scollega.
Tutta la rabbia, la delusione e le domande evaporano velocemente, lasciando solo un vuoto triste.
“Ci vediamo domenica pomeriggio a casa mia.”
Mi sussurra, poi se ne va tranquillo.
Perché ho la brutta sensazione di stare per essere raggirata alla grande?
Non lo so, me ne torno alla mia lezione di inglese con l’umore sotto i piedi e la voglia di sparire da questo mondo.
“Come mai quella faccia?”
Mi chiede Ginger.
“Niente, Landon mi ha invitato ad andare da lui domenica prossima, ma non mi ha spiegato perché mi evita.”
Lei non dice niente e gliene sono grata, non sono dell’umore adatto per sentire prediche.
Jack non mi rivolge la parola, anche se io vorrei parlargli, mi sfugge anche lui e vorrei sapere perché, lo chiederò a Ginger.
“Ginger, perché Jack non mi rivolge più la parola?”
“Perché è ferito e non vuole sapere più nulla di te.”
Grande.
Vado a casa con il cuore pesante e gli altri giorni non sono affatto migliori, mi sento sempre peggio, sempre più isolata.
Quando arriva domenica mi sento depressa come pochi e vado a casa di Landon sperando di divertirmi almeno un po’.
Suono a casa sue e mi viene ad aprire.
“Ciao, Ava!”
Il suo tono sembra allo stesso più caloroso e più finto di quando ci siamo visti l’ultima volta.
“Ciao, Landon.”
Entriamo e ci mettiamo a guardare la tv, ma lo sappiamo tutti e due che è un pretesto, pochi minuti dopo infatti inizia a baciarmi.
Ci togliamo la maglietta e lui scende a baciarmi i seni, litigando con il gancino del reggiseno, sta per togliermi l’intimo quando la porta si apre.
Oh, cazzo!
Questo non era minimamente previsto!
“Avaaaa!”
Urla una voce conosciuta – quella di mio padre – da dietro la figura di Travis.
Io mi rivesto come posso e vado da lui che mi dà una sberla, fulmina il primogenito del suo amico e mi porta via.
“Papà..”
“Ava, non dire niente!
Sei in punizione per un mese.”
“Posso almeno spiegarti?”
“Spiegarmi cosa?
Che mia figlia fa la puttana con uno che è risaputo essere uno da una botta e via?”
Mi domando come faccia a saperlo, mentre mi tocco la guancia. Fa male fisicamente e ancor di più psicologicamente: mio padre non mi ha mai dato uno schiaffo, nemmeno da piccola.
Mia madre ci guarda stupita, ma davanti allo sguardo scuro di mio  padre non osa dire una parola, io salgo in camera mia e mi butto sul letto a piangere.
Piango per almeno una settimana tutti i giorni, mio padre è freddo e non perde occasione per insultarmi sul fatto che stavo per farmi Landon, mia madre tace.
Non sa cosa fare o cosa dire, non vuole prendere posizione.
La cosa peggiore è che anche Jack a scuola mi ignora o fugge non appena mi vede, come se avessi la peste. Non posso credere di aver perso il mio migliore amico.
“Chi vorrebbe avere come amica una puttana?”
Chiede retorico mio padre, ogni volta che lo sento mille pezzi di vetro entrano nella mia anima e mi sento sempre peggio, dov’è finita la mia bella famiglia?
Dove è finito il padre comprensivo?
Dov’è il mio migliore amico?
Forse la promessa che ci sarebbe stato per sempre è stata una promessa vana, da non rispettare alla prima difficoltà seria.
Sto male, malissimo.
Non riesco a ricordare l’ultima volta che sono stata così, credo solo quando hanno detto a mio padre che aveva un cancro alla pelle.
In questo momento avrei disperatamente bisogno di Jack, ma lui non c’è e io non posso uscire per ora. Forse stasera posso provare a sgattaiolare fuori, ma ho come l’impressione che lui non mi voglia vedere.
Se ci fosse stato Jack al posto di Landon tutto questo non sarebbe successo.
Il pensiero mi fulmina, tanto che smetto di piangere all’istante.
Io non sono mai stata innamorata di Landon! Era solo una stupida cotta, quello che mi piace è Jack.
Come diceva Ginger?
“Perché non vedi un ragazzo meraviglioso, anche se ce l’hai sotto il naso?”
Sono stata davvero una stupida, ho confuso per tutto questo tempo l’amore con l’amicizia, era per questo che ero gelosa di Ginger e di tutte le sue ragazze.
Scendo a cena, il clima è tesissimo, nessuno parla.
Non ho visto mio padre così arrabbiato nemmeno quando i blink si sono presi una pausa, se mi scoprisse farebbe una strage, ma io ho bisogno di uscire.
Salgo di nuovo in camera mia e aspetto che la casa sia davvero silenziosa, verso le tre non sento volare nemmeno una mosca. Con calma, facendo meno rumore possibile metto un paio di shorts sotto la maglietta nera che uso come pigiama e un paio di anfibi.
Apro piano la finestra e poi prendo la rincorsa per saltare sull’albero vicino a casa mia, arrivo su un ramo e poi scendo.
Percorro il parco facendo attenzione all’antifurto, di cui conosco i punti ciechi e i cani di mio padre, arrivo al cancello e lo scavalco con qualche difficoltà.
Mark non abita lontano da noi, così io corro verso casa sua con il vento che mi passa tra i capelli, è una sensazione piacevole.
Scavalco il muro di casa Hoppus – che conosco come casa mia – e mi porto sotto la finestra di Jack, per iniziare a tirargli dei sassolini.
Dopo un tempo che sembra infinito si affaccia, più scarmigliato del solito.
“Cosa c’è?”
“Ho bisogno di parlarti!
“Non puoi aspettare domani?”
“No!”
Lui sbuffa e io prendo una scala abbastanza lunga che è appoggiata poco lontano, con cautela l’appoggio sotto la finestra di Jack e inizio a salire.
Come al solito lui mi aiuta con gli ultimi gradini e poi  sono in camera sua.
“Cosa devi dirmi?”
“Avevi ragione su tutto riguardo a Landon, mi dispiace per come mi sono comportata!”
La sua faccia diventa gelida.
“È  troppo tardi.”
“Cosa?”
“Ho detto che è troppo tardi, Ava. Non puoi trattarmi come una merda e poi pretendere che io ti dica che va tutto bene e che è tutto a posto tra di noi.”
“Jack, io…”
“Vai via, Ava. Hai sbagliato i tempi, io non ho voglia di rincorrerti come un cagnolino. È sempre stato così e sono stanco.”
“Jack.. Io Ti amo.”
Il suo sguardo è freddo, non c’è traccia di pietà in quegli occhi azzurri.
“Troppo tardi, sto con Ginger.
Se non hai altro da dirmi, vattene!”
“Ok.”
Scendo mestamente la scala e la rimetto al suo posto, poi torno a casa mia. Mi sento sola, mi sento delusa, mi sento non desiderata.
Arrivata in camera mia mi butto a letto e piango di nuovo, tanto che la mattina dopo ho due occhi gonfi e una decisione in testa.
Basta, io me ne ve da qui, prendo il primo autobus per il Canada. La mia macchina sarebbe più comoda, ma è più rintracciabile e io non voglio che mi trovi nessuno.
Svuoto il mio libretto postale e con un po’ di contanti tra le mani mi dirigo alla stazione degli autobus, forse è meglio scegliere una meta vicino al Canada e poi attraversare illegalmente il confine.
Prendo un biglietto di sola andata per Seattle e mi addormento, il viaggio sarà lungo, risalire dal fondo della California fino ad arrivare a quell’insenatura del mare su cui si affaccia Vancouver non è uno scherzo.
Vancouver è solo la prima tappa e non so nemmeno se la raggiungerò.
 

Mi sveglio che siamo arrivati a San Francisco.
L’autista si è fermato per il pranzo in un autogrill, io mangio solitaria un panino, nella mia borsa militare e nel mio zaino ci sono tutte le cose che mi potranno servire.
Vado in bagno e poi ripartiamo.
Ora non più sonno e la noia mi assale mentre guardo dal finestrino, fa male lasciare i tuoi amici e la tua famiglia?
Sì, ma se non ti vogliono più, a volte è necessario.
Alla sera siamo arrivati a Portland, facciamo una pausa per la cena e per il bagno, probabilmente all’alba arriveremo a Seattle.
Wow! Potrò andare nella patria del grounge!
Sì, e poi ripartire subito per il Canada per passare la frontiera in modo illegale per non lasciare tracce, come una rinnegata.
“I’m a renegade
It’s in my blood!”
Canticchio io per tirarmi sui l morale.
Risalgo di nuovo sul pullman e come avevo previsto verso l’alba arriviamo alla stazione degli autobus di Seattle, fa freddo rispetto alla California.
Adesso cosa faccio?
È inutile prendere una camera in affitto in un motel, mi guardo attorno, stringendomi nel mio cappotto militare e mi guardo intorno.
Ci sono parecchi uomini e donne e anche ragazzi che si girano per la stazione, un gruppo in particolare è riunito attorno a un fuoco di fortuna.
“Posso?”
Chiedo.
“Certo, mi fanno posto e mi passano uno spiedino con della carne che io mangio voracemente.
“Sapete come si fa ad arrivare in Canada?”
Chiedo esitante.
“Canada, dove?”
“Vancouver, poi penso di potermi muovere da sola e arrivare a Montreal.”
Un ragazzo dai lunghi dread sporchi alza una mano.
“Vieni con me, ti ci faccio arrivare io.
Ho la tua stessa meta.”
“Come mai in fuga, carina?”
Io rimango un attimo zitta, non so cosa dire.
“Furto…”
Biascico infine.
Il rasta, che poi si presenta come Derek, dice che è un fuga da un’accusa di omicidio. Ha fatto secco un cliente che non pagava l’erba da mesi.
Un brivido mi attraversa la schiena, non è che farà secca anche me?
Lo guardo meglio, non ha più di diciotto anni ed è alto e magro, i vestiti gli cascano addosso troppo larghi, i suoi dread sono lunghi fino quasi al sedere e non sembrano molto puliti, ha la carnagione scura e gli occhi neri.
Non sembra così cattivo, sembra solo uno skater in disgrazia, con il suo giubbotto a fantasia militare e lo zaino nero.
Finisco il mio spiedino e poi Derek mi tende una mano.
“Forza, andiamo!”
Saluta gli altri.
“Come ti chiami, piccoletta.”
“Ava, hai davvero ucciso una persona?”
Lui alza le spalle.
“Non ne vado fiero, ma sì, l’ho fatto. Nel mio quartiere è così o uccidi o vieni ucciso.”
“Da dove vieni?”
“San Francisco.”
“San Diego.”
“Viva la California!
Mi dice sorridendo.
“Ho ancora fame.”
“Entriamo lì, la persona che devo incontrare non si farà viva prima di mezzogiorno.”
“Chi è?”
Lui mi apre la porta.
“Un camionista che porta dentro gente senza farsi beccare, un mio amico dice che è bravo e se lo dice lui ci credo.
Tu, piuttosto, non potresti rendere più anonimi i tuoi capelli?”
“Sì, ci stavo pensando.
Biondo o nero?”
“Perché non castano?
“È il mio colore naturale, mio padre mi riconoscerebbe.”
Mi metto le mani davanti alla bocca come se avessi parlato troppo e in un certo senso è così.
“Tu non stai scappando per il motivo che ci hai detto prima, tu stai scappando da casa!”
Io abbasso gli occhi sulla pancetta e le uova strapazzate.
“Sì, mi aiuterai lo stesso?”
“Sì, non ti preoccupare. Mi stai simpatica e qualcosa mi dice che non ti fermerai finché non ti troveranno loro, quindi tanto vale proteggerti. Là fuori è un brutto mondo, Ava.”
“Grazie, Derek. “
Finisco di mangiare e paghiamo, poi bighelloniamo per la città fino all’ora dell’appuntamento.
Io mi compro una tinta bionda e me la faccio in bagno pubblico, poi Derek me li acconcia in lunghe treccine stile afroamericano.
Così arriva l’ora di pranzo e di incontrare chi ci porterà in Canada.
Non è altro che un camionista, un grasso, grosso, camionista stronzo che non appena mi vede fa salire il prezzo alle stelle.
Lui e Derek mercanteggiano un po’, ma lui vuole sempre troppo per i nostri risparmi, fino a che Derek tira fuori l’ultima cosa che mi aspettavo avesse: una pistola.
“O abbassi il prezzo a una quota non da strozzino o ti faccio un buco in pancia con questa!”
“Così finiresti in carcere o sulla sedia elettrica.”
Risponde sarcastico il ciccione.
“Scommetto che non ci finirò se io racconto alla pulizia di tutti i tuoi traffici, droga inclusa.”
Lui impallidisce vistosamente.
“Va bene, cento dollari ciascuno. Fatevi vedere a questo indirizzo stasera alle sei.”
Porge un biglietto che annuisce e lo fa scivolare in una delle tasche.
Io vorrei dire qualcosa, ma sono come scioccata e non so come uscire da questa situazione.
“Ava, cosa c’è?”
“Ni-niente!”
Lui sbuffa.
“Su, dimmi cosa c’è?”
“Quella cosa di prima la userai anche contro di me?”
“No.”
Io non dico nulla e continuiamo a camminare.
“Ascolta, la porto da quando avevo quattordici anni, perché il mio quartiere non era bello, ma il fatto che io l’abbia non vuole dire che l’userò come te.
Voglio aiutarti, non ucciderti.
Se vuoi sapere altro te lo dirò lungo il viaggio.”
“Perché?”
“Perché dovremo parlare e parlare perché là dentro farà un freddo d’inferno e non vale la pena di morire congelati.”
Io annuisco, ancora leggermente spaventata.
“È che ho sempre vissuto in una famiglia normale e non so come funziona stare per strada e ho paura di fare qualche errore e, non lo so, mi sembra tutto così incasinato!”
Le lacrime minacciano di uscire da un momento all’altro da quanto sono nervosa e spaventata, lui mi abbraccia. Questo gesto non me lo aspettavo proprio!
“Sta tranquilla, finché ci sono io non ti succederà nulla. Ti ho detto che ti avrei protetto e lo farò.”
Io emetto un sospiro tremulo e annuisco.

“Dai, andiamo a mangiare qualcosa. Non so te, ma sono affamato.”
“Anche io sono affamata, andiamo.”
Ci avviamo verso un Mac Donald lì vicino e mangiamo fino a scoppiare: ho il sospetto che per un po’ non potremo mangiare decentemente o a sazietà.
Usciti da lì, andiamo verso la villa dove Kurt Cobain si è ucciso. Non so se sia aperta al pubblico, ma su di me suscita un fascino macabro che Derek non riesce a capire, anche se è messicano e ha festeggiato i dias de los muertos fin da quando era piccolo.
“Perché hai paura dei morti, Derek?
È dai vivi che bisogna guardarsi, un morto non ti insulterà, non ti ferirà, non ti farà mai del male fisico, un vivo sì.”
Lui non risponde per un po’.
“Sei davvero strana.”
“Anche J…”
Mi fermo prima di pronunciare il nome di Jack, guadagnandomi un’occhiata curiosa da parte del mio nuovo amico.
“Che nome stavi per dire?”
“Te lo dirò stanotte, non hai detto che sarà una lunga notte?”
“Molto lunga e fredda. Fottutamente fredda per due californiani come noi.”
“Ok.”
Visitiamo un altro po’ la città e poi dopo un’altra abbondante cena con annessa sosta al bagno ci avviamo verso il luogo in cui mister simpatia ci aspetta.
È già fuori dal camion che si guarda attorno attento, quando ci vede arrivare ci fa segno di avvicinarsi e salire sul camion.
Abbiamo a disposizione uno spazio esiguo in cui stare in piedi, muovere qualche passo o stare sdraiati e siamo circondati da pesanti scatole che potrebbero ucciderci se solo ci cadessero addosso.
“Spero se ne stiano ferme!”
Esclamo preoccupata.
“Non ti preoccupare, ce la faremo.”
Il camion si mette in moto, Derek tira fuori una coperta e ci sediamo sopra.
“Avanti, dimmi un po’ di te.”
“La tua vita è sicuramente più interessante, diciamo.”
“Hai paura che smetterai di aiutarti se scopro chi sei.”
Io annuisco piano.
“Non ti preoccupare, ormai ho giurato e manterrò quello che ho promesso.”
“Va bene.”
Lo sguardo mi cade sulla sua mano, ha tatuato un piccolo teschio messicano.
“E quello?”
“Me lo sono fatto dopo che ho ucciso il tizio, volevo sempre ricordarmi dell’errore che avevo compiuto.”
“Ne vorresti uscire, vero?”
“Sì, con tutto me stesso, ma ormai non posso. Il passato è passato e non si cambia.
Tu chi sei invece?”
Io abbasso gli occhi.
“Mi chiamo Ava Elisabeth DeLonge.”
Lui sgrana gli occhi.
“Quel DeLonge? Quello dei Blink e degli AvA?”
Io annuisco piano.
“Amo le band di tuo padre.”
“Come tutti. Beh ora ti racconterò le cazzate di una ragazzina…”
“Posso vedere la carta d’identità?”
Io gliel’allungo sbuffando.
“Dimmi e scusa per l’incredulità.”
“Ero innamorata di Landon, il figlio di Travis, e lui ne ha approfittato per scucirmi un pompino e una sega con la storia che forse stavamo insieme o forse no. Ho scoperto che non stavano insieme, che io ero una delle tante esattamente come Ginger, una mia amica, e Jack Hoppus mi avevano detto. Senza contare che ho scoperto che loro avevano ragione anche per un’altra cosa: a lui non importava nulla della band che avevano fondato.
Mio padre ci ha beccato mentre stavamo per scopare, mi ha mollato uno schiaffo, chiamato troia e messa in punizione per un mese.
Volevo parlare con Jack per dirgli tutto questo, scusarmi ed essermi resa conto che ero… ero… sono… innamorata di lui, insomma.”
Le mie guance diventano rosse.
“Solo che mi ha detto che ero arrivata troppo tardi per tutto, per recuperare l’amicizia e per il suo amore. Lui ora sta con Ginger e così ho deciso di andarmene.
Tutti staranno meglio senza di me.”
Concludo amara, incrociando le braccia davanti al corpo.
Inizio a sentirmi stanca e vorrei tanto poter dormire, ma – come ha detto Derek – sarà una lunga e fottutamente fredda notte.

Angolo di Layla

Ringrazio ElaEla e LostinStereo3 per le recensioni. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** 4)Come i bambini sperduti delle favole. ***


4)Come i bambini sperduti delle favole.

 

La notte a volte è lunga, a volte si srotola davanti a te come un tappeto scuro, morbido e invitante, altre volte lo stesso tappeto è irto di spine e per niente comodo.
È passato un bel po’ di tempo da quando siamo saliti, scommetto che ora le stelle sono alte in cielo e splendono per guidare tutti quelli che viaggiano, ma non sono perduti.
Ho raccontato a Derek tutta la mia vita: i tour, la diffidenza, la mia cronica mancanza di amici, di come Landon e Jack fossero le uniche stelle che mi accompagnassero insieme a mio fratello Jonas.
Derek mi chiede come è Jojo e io gli rispondo che è come tutti i fratelli del mondo, a volte li uccideresti nel modo più cruento possibile, a volte li adori.
Lui sorride e mi dice che ha quattro fratelli più piccoli e sa cosa si prova ad avere un fratellino, ha anche dei fratelli più grandi, ma sono uno in carcere e uno a New York a fare non si sa bene cosa.
“Beh, siete sette in famiglia. Com’è vivere così?”
“Uno schifo. I miei si sono sposati subito dopo il liceo perché mamma era incinta di mio fratello maggiore, quello che sta a New York.
Non si sa bene cosa faccia lì, quando chiama è sempre vago, ho il sospetto che sia coinvolto in attività illegali, ma è la sua vita.
Ha ventiquattro anni e scommetto che sa pulirsi il culo da solo, senza aiuto.
Si chiama Jose, ha due spalle larghe allucinanti, sembra un armadio, hai capelli corti ed è pieno di tatuaggi, tanti se li è fatti al riformatorio.”
“Per cosa è finito dentro?”
“Furto e spaccio.”
Io annuisco.
“Poi c’è Michael, ha vent’anni ed è dentro per furto d’auto. Ha tanti tatuaggi, ma non è gigantesco come Jo. È mingherlino e ha i capelli tutti irti tinti di azzurro, gli piace il punk e il pop punk ed è stato lui a farmi scoprire i blink.
Jo sa essere cattivo, picchia a volte, Mike è una pasta d’uomo, ha solo il dono di conoscere brutta gente e mettersi nei guai.
Lui ha persino preso il diploma. Sarà quello che mi mancherà di più.
Poi sono arrivato io e quando avevo quattro anni mia madre ha tagliato la corda, credo sia andata in Florida perché era stufa che mio padre spendesse tutti i soldi al pub.
Non ha più telefonato e non ha più scritto.”
“Come fai a sapere che è ancora viva?”
 Lui ride, io rabbrividisco e mi stringo di più nel suo abbraccio, la seconda coperta che ha tirato fuori basta a malapena a coprirci.
“Ho telefonato a mia nonna e mi ha detto che è ancora viva, tanto mi basta.
Spero che ora stia bene e abbia trovato la sua strada, con noi non è mai stata felice.
Nemmeno sei mesi dopo mio padre ha portato a casa la sua nuova compagna, avrà avuto al massimo vent’anni e con lei ha avuto quattro figli.
Reina, che ha quattordici anni, Kevin dodici, Mia dieci e Jim cinque anni.
Con lei ho sempre avuto un rapporto freddo, ma poteva capitarmi di peggio, anche perché mio padre non ha cambiato abitudini. Era sempre  e comunque al pub.
Cosa posso dire di questi quattro?
Reina, se non sta attenta, rischia di finire incinta prima della
Quinceañera e il padre sarebbe un avanzo di galera violento. Abbiamo cercato tutti di allontanarla, ma lei continua di ritornare da lui.
Ha quattordici anni, è il suo primo amore e pensa che lui sia fantastico e che possa cambiare gli aspetti poco carini del suo carattere.
Mi fa un po’pena.
Kev è a posto, è il più bravo di noi a scuola e spero che decida di andare avanti e di lasciarsi alle spalle quel casino che è la nostra famiglia.
Mia ha solo dieci anni, ma temo farà la fine di Reina. Le starebbe bene dato che è una mocciosa viziata e piagnucolona; sua madre si spacca la schiena per farle  avere le cazzate che deve avere per essere come le stronzette con cui è in classe e lei quasi le sputa in faccia.
Jim ha solo cinque anni, per ora sembra ok, spero non prenda una brutta strada.”
“Spero che non la prenda, dopotutto nemmeno tu sei cattivo.”
Lui sospira.
“Sì, sono solo uno sfigato come Mike e non so cosa peggio.”
“Sono sicura che andrà tutto bene.”
Lui sospira.
“Tu sei fortunata, se anche ti ritrovassero la tua famiglia ti accoglierebbe in lacrime, la mia se ne sbatterebbe.”
“Potresti tornare da tua madre.”
“ Sono quattordici anni che non si fa sentire. Quattordici.
Credo si sia persino dimenticata di aver avuto dei figli.”
Io scuoto la testa.
“Una madre non si dimentica mai dei propri figli.”
“Parlami un po’ di Tom DeLonge, di tuo  padre, l’ho sempre ammirato solo su un poster.”
“Beh, è, è stato un buon padre.
Fa sempre il cretino, mamma anche adesso lo rimprovera per certe battute che fa, dice che noi non dovremmo imparare queste cose. È fatica sprecata, forse solo i cavalieri dell’Apocalisse ridurrebbero mio padre al silenzio.
Non parla più così tanto come prima con Mark, come i fan si aspettano che faccia, ma sono ancora buoni amici.
Più o meno due volte al mese facciamo una grigliata e ci ritroviamo tutti in giardino a mangiare beatamente carne alla brace, tranne Travis che mangia la sua erba.”
“Erba?”
“Sì, verdure grigliate. È vegetariano, poverino.”
Nella mia voce c’è una nota di compassione che fa ridere Derek.
“Mio padre mi ha anche insegnato a suonare la chitarra, mi dispiace averla lasciata a casa, ma era troppo ingombrante da portare con me e poi non mi servirebbe più.
Ho sempre creduto di avere, essere parte, di una band in tutti questi anni, ma mi sa che mi sono sbagliata. La band esisteva solo nella mia testa.”
“Eravate bravi?”
“È una domanda a cui non posso rispondere, questa è una cosa che può dire solo chi ci ha ascoltati.
Tu in cosa eri bravo a scuola?”
Lui si gratta il mento.
“A riparare le cose e poi con i computer. Sai, ripararli, farli ripartire e riprogrammarli di nuovo.
Il mio insegnante era molto felice, diceva che se non fossi messo sulla cattiva strada avrei potuto lavorare come tecnico. Diceva che avevo un dono per quelle cose, ma mi sono messo sulla cattiva strada e così è andato tutto a puttane.”
“Hai una ragazza?”
“L’avevo. Ci siamo lasciati il giorno prima che io mi mettessi nei guai, voleva qualcosa di più serio e migliore che una vita nei bassifondi in compagnia di un ladruncolo e di uno spacciatore.”
“Mi dispiace.”
“Sì,è stata dura. Ha bruciato, ma in fondo aveva ragione. Ora che futuro potrei offrirle?
Fuggire in Canada con me da clandestina?
Si merita di meglio.”
Io rimango in silenzio.
“Beh, se tu fossi stato ancora con lei non avresti incontrato me. Anche se non so se puoi considerarla una bella cosa o l’ennesima noia.”
“Sei una brava ragazza, Ava. Non sei una noia. È meglio per tutti che io ti abbia incontrata o avrebbe potuto finire male, molto male per te.
Fuori c’è della brutta gente e tu hai una faccia da cucciolo che per loro è un invito a nozze per fregarti.”
Io abbasso gli occhi e mi stringo le gambe tra le braccia, lui fa una cosa sorprendente: mi dà un bacio sulla fronte.
“Andrà tutto bene.”
“Sei il mio angelo custode.”
Continuiamo a chiacchierare fino  a che il camion non si ferma e qualcuno sposta tutte le scatole davanti a noi: è il ciccione.
Con poca grazia ci fa scendere dal camion: l’autostrada è deserta e in cielo brillano alte le stelle.
È una notte limpida e gelida.
“Il viaggio è finito, avete attraversato la frontiera. Se andrete in quella direzione troverete un abitato e poi non lo so. Fate quello che volete e andate dove volete, a me non interessa.”
Io e Derek mettiamo via le coperte, mentre il camion si allontana con un rumore sordo, ma almeno le stelle ci sono ancora e siamo in Canada, il cartello della piazzola di sosta indica come prossima area un posto con un nome francese.
Ci prendiamo per mano – come i bambini sperduti delle favole – e ci dirigiamo verso la direzione che ci ha indicato l’uomo.
Le stelle ci guidano come hanno guidato i pellegrini mille e più anni fa, mentre l’erba ricoperta di brina scricchiola sotto i nostri passi.
“Secondo te ci ha tirato bidone?”
“No, è solo incazzato perché sperava di avere più soldi. Le pistole sono delle ottime macchine della verità di solito.”
Lui sembra tranquillo, camminiamo rabbrividendo sotto la luce della luna fino a che un cartello ci avvisa che siamo a Langley.
“Dobbiamo farcela a piedi almeno fino al prossimo paese, Surrey. Lì potremo mangiare.
“Qui non è sicuro?”
“No, troppo vicino al confine. Da Surrey dovremmo avere abbastanza soldi per arrivare a Vancouver e una volta lì dovremo arrivare in qualche modo a Montreal.
È abbastanza lontano lì.”
Perfetto.
In silenzio attraversiamo Langley, che è un paese abbastanza grande, quando usciamo da lì il sole sta per sorgere e Derek si guarda in giro freneticamente.
Siamo fuori dalla cittadina, persino dalla zona delle roulotte e in mezzo ai campi.
“Dobbiamo trovare un capanno degli attrezzi abbandonato o qualcosa del genere e dormire almeno un po’.”
“Va bene.”
Camminiamo per una mezzoretta persi tra i campi fino a che io non noto una fattoria che ha l’aria di non vedere un proprietario da quando Noè scese dall’arca.
Con cautela io e Derek spiamo dentro, effettivamente sembra vuota ed entriamo anche perché intorno a noi i rumori del risveglio dei contadini si fanno più forti.
Ci nascondiamo dietro un vecchissimo divano e tiriamo fuori le nostre coperte.
Finalmente riusciamo a dormire e ovviamente siamo abbracciati.
Non ho mai incontrato una persona che mi facesse stare bene come lui.
Nella mia sfortuna sono stata fortunata.

 
Ci svegliamo che è pomeriggio, attorno a noi si sentono i rumori che caratterizzano l’attività dei campi, anche se ormai tra poco non faranno più nulla perché saranno sommersi dalla neve.
“Non possiamo muoverci, vero?”
Chiedo sottovoce a Derek.
“No, è meglio muoversi di notte. Qui potrebbero fare domande e sarebbe un casino.”
Io taccio per un attimo.
“Derek, la pistola.”
“Vuoi uscire e farli fuori?”
Mi chiede divertito.
“No, te ne devi liberare. Se siamo destinati a diventare senzatetto averla con noi complicherebbe le cose. Metti che ci fermi la polizia?
Due senza tetto non fanno notizia, ma uno armato sì. Potrebbero addirittura risalire  a cosa ci hai fatto con quella pistola.”
“Hai ragione, ma ci servono anche carte d’identità false, tu fai DeLonge di cognome.”
Io sospiro.
“Sì, e lo sto odiando in questo momento.”
“Non ti preoccupare, sistemeremo questi problemi quando saremo a Vancouver.”
“Sicuro?”
Lui annuisce.
“Conosco alcune persone che fanno al caso nostro, non sono persone che le persone per bene dovrebbero conoscere.”
“Va tutto bene, basta che ci levino da questo casino, Derek.”
“Va bene e adesso cerchiamo di non fare rumore e aspettiamo che se ne vadano.”
Io annuisco e aspetto che quei tizi là fuori la finiscano con i loro campi in modo che noi possiamo raggiungere Surrey, da lì raggiungeremo Vancouver e probabilmente ci fermeremo un po’ lì,  visto che ci sono delle cosette da fare.
Alle sette i rumori sono quasi del tutto spariti, probabilmente sono tutti a cena.
Alle otto si sente lo sporadico rumore di qualche pazzo che fa le cose fuori fase.
Alle nove si sente una tv in lontananza,un western a giudicare dalle battute e dagli spari.
Alle dieci c’è un perfetto silenzio, non vola neanche una mosca, la cittadina di Langley sembra essere caduta in un sonno profondo, come tutte le cittadine di campagna dopo una certa ora.
Io e Derek usciamo, fa freddo e il cielo è coperto, spero non nevichi perché farsela a piedi sotto la neve non è il massimo. Mi ricordo di una volta in cui mamma ha insistito per passare il Natale a New York e quando siamo arrivati là, c’era una tempesta allucinante di neve. I fiocchi vorticavano rabbiosi e il vento non vedeva l’ora di sbatterteli in faccia, intanto la neve depositata sui marciapiedi o accanto alla strada ti imprigionava, rendendo difficile camminare.
Io e Derek rabbrividiamo nei nostri cappotti e ci teniamo per mano, il fiato si condensa subito in nuvolette.
Dopo un’ora di cammino dal cielo iniziano a scendere piccoli fiocchi bianchi, con lentezza si depositano sull’erba gelata e rimangono lì.
Merda!
Dai campi di Langley passiamo in quelli di Fleetwood, il paese è piccolo e deserto e nessuno si cura delle due figure incappucciate che camminano sotto la neve.
Ho una fame allucinante, spero che a Vancouver potremo mangiare qualcosa, però non mi lamento.
Usciti da Fleetwood entriamo a Surrey, che è grande come Langley e altrettanto deserta, nel frattempo la neve continua a cadere. Ora ci sono almeno cinque centimetri sul terreno.
“Derek, ci fermiamo qui?”
“No, più avanti. Mi hanno detto che a New Westminster c’è un ricovero per senza tetto, ti danno da mangiare e ti lasciano dormire.
È oltre un ponte. Dopo c’è Burnaby e infine Vancouver.”
“Sei sicuro che riusciremo ad arrivarci?”
“Sì!”
Attraversiamo tutta la cittadina – il freddo è più intenso e la neve cade a grandi fiocchi bianchi – dopo di che finalmente vediamo il ponte e le luci di New Westminster. In mezzo alla costruzione c’è un cartello e giurerei che segni i confini municipali.
Lui mi prende per mano e mi io mi faccio portare, percorriamo un ponte deserto su un grande fiume di cui ignoro il nome. In mezzo c’è il cartello, come avevo previsto e lo superiamo.
Entriamo in una città leggermente più grande, sembra quasi un quartiere periferico di Vancouver, Derek borbotta qualcosa, io lo seguo.
Dopo avere svoltato in parecchie vie – e probabilmente esserci persi un paio di volte – arriviamo davanti a un edificio grigio e imponente, tetro come certi edifici londinesi ottocenteschi. Per arrivare al portone bisogna salire una rampa di scalini, io e Derek lo facciamo e poi suona.
Poco dopo fa la sua comparsa una suora.
“Possiamo rimanere per la notte, sorella?”
Le chiede Derek, lei ci squadra.
“Certamente, entrate. Questa neve maledetta non vi fa certo bene.
Avete mangiato?”
“No.”
“Perfetto.”
La donna ci dà in mano delle salviette e delle mutande.
“Fatevi la doccia, poi vi serviremo gli avanzi della cena: stufato.”
Io e Derek eseguiamo, devo dire che è piacevole stare sotto l’acqua, pulirti accuratamente e poi lasciare che lo sporco scorra via. È anche bello potersi avvolgersi e asciugarsi in un grande asciugamano bianco e cambiarti la biancheria.
Un leggero bussare mi avvisa dell’arrivo della suora.
“Metti i panni sporchi nel cesto, li avrai domattina, hai un cambio vero?”
Io annuisco e quando lei esce mi spoglio.
I jeans lacerati in più punti, la maglia nera, la camicia a scacchi rossa e nera, la felpa pesante dei Sex Pistols e i miei calzini finiscono lì dentro.
Indosso un paio calze fucsia, un paio di jeans neri strappati  sulle ginocchia, una maglietta azzurra, una camicia nera pesante come quelle a scacchi e una felpa gialla a strisce verdi, calzini nuovi e delle ciabatte che trovo al posto dei miei anfibi. Il mio cappotto sembra sia sparito anche quello, probabilmente per farlo asciugare.
Derek al piano di sotto indossa i pantaloni pesanti di una tuta, neri con le strisce bianche ai lati,una felpa nera da cui si intravvede una camicia a scacchi uguale alla mia.
Spero che arrivino presto con la cena perché sto morendo di fame.
Poco dopo arrivano con la cena, stufato come avevano detto.
Io e Derek ci buttiamo sopra il cibo e lo mangiamo avidamente, è da un po’che non mangiamo e abbiamo camminato parecchio.
Finito quello, mangiamo il pane e beviamo abbondantemente. Lo stufato ha tappato qualche buco nella nostra pancia, per ora stiamo bene.
“Adesso, ragazzi, è ora di andare a letto. Solo abbiamo un piccolo problema.
È rimasto solo un letto singolo.”
Derek alza le mani.
“Sono troppo stanco per fare qualcosa, sorella.”
“Non si preoccupi, non vogliamo certo abusare della vostra ospitalità.”
La donna sorride e ci porta al dormitorio, è tutto pieno di gente che dorme, camminando piano arriviamo al nostro letto e ci spogliamo un po’ imbarazzati davanti alla suora.
Ci infiliamo sotto le coperte e Derek mi abbraccia subito, il ritmo calmo del suo respiro mi dà un leggero brivido, ma mi calma anche abbastanza da addormentarmi subito.
Credo che anche lui si sia addormentato subito, il mio è un sonno senza sogni in ogni caso.
Alle nove circa una voce ci sveglia, è la suora della sera prima che organizza i turni per le docce e per la colazione. Derek non si è svegliato e mi tiene ancora abbracciata con un’espressione tenerissima.
Io lo scuoto dolcemente e finalmente si sveglia.
“Ehi, sei tra i primi per i turni per le docce, vai e buongiorno.”
“Buongiorno anche a te.”
Sembra imbarazzato e la ragione la scopro guardando per caso in basso, si è svegliato con una bella erezione. Adesso sono imbarazzata anche io.
Lui esce dal letto e si avvia verso le docce, poco dopo vado anche io, finito quello scendiamo a fare colazione in uno stanzone con una lunga tavolata.
Ci viene servito di tutto, dal caffelatte al bacon, io e Derek mangiamo tutto e poi – come fanno gli altri ospiti – prepariamo dei panini con il formaggio e il prosciutto da mangiare per cena.
Arraffiamo anche qualche biscotto, un paio di pancakes e di brioches e poi ci alziamo per andare a ringraziare e salutare la suora.
“La ringraziamo infinitamente, sorella.”
“Dovere, come dice Gesù? Date da mangiare agli affamati e da bere agli assetati.”
“Grazie lo stesso.”
“Prego, ora andate e non mettetevi nei guai.”
“Non si preoccupi. Arrivederci, sorella.”
Usciamo dall’edificio rabbrividendo nei nostri cappotti come due bravi californiani, poco avvezzi al freddo e alla neve. Stanotte ne sono caduti dieci centimetri e la cittadina è spazzata da un vento gelido e tagliente che sembra volerti togliere la pelle dalla faccia.
“Che freddo!
Neve! L’avrò vista l’ultima volta a dieci anni.”
“Io forse una volta, l’ho vista altre volte, ma non a San Diego.
Adesso che si fa?”
“Partiamo in direzione Burnaby e poi da lì saremo praticamente attaccati alla periferia di Vancouver.
 Conosco un paio di persone lì che risolveranno i nostri problemi.”
“Perfetto. Meno problemi avremo, più le cose andranno lisce.”
Lui rimane un attimo in silenzio.
“Non ti mancano i tuoi?”
A quell’unica domanda una breccia si apre nel mio cuore e mi ricordo di tutti i momenti felici che ho passato con i miei, con Jack e Landon e dei Somewhere in Neverland.
Mi mancano, ma non posso tornare indietro.
“No.”
Il tono è un po’ forzato e spero che Derek non si sia reso conto che gli sto mentendo, anche se se ne è reso conto non mi dice niente comunque.
Continuiamo a camminare con il vento che ci taglia la faccia.
Non tutti quelli che vagano sono persi, Ava.
Ricordatelo.

Angolo di Layla

Ringrazio ElaEla, Carousel, staywith_me e LostinStereo3 per le recensioni.

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Capitolo 5
*** 5)Vancouver. ***


5)Vancouver.

 

Passiamo Burnaby senza problemi e finalmente arriviamo a Vancouver.
La città si stende tranquilla, coperta da un manto leggero di neve, io e Derek rabbrividiamo e poi guardiamo ancora la città.
“Ascolta faccio un paio di chiamate.”
Io annuisco, lui tura fuori il cellulare e compone un numero.
Parla in spagnolo, io capisco solo fino al punto in cui chiede un favore, poi iniziano a parlare così fitto che io sono tagliata fuori.
Lui gesticola ampiamente e urla, alla fine chiude la telefonata stizzito.
“Tutto bene?”
“Non  proprio, la gente ha la memoria corta in fatto di favori, però almeno i miei amici hanno detto di andare da loro.”
Io annuisco e lo seguo.
“Non te la stai cavando male per essere una che non vive sulla strada, hai un buono spirito di sopportazione.”
“Grazie, ma ho bruciato tutti i ponti, posso solo andare avanti.”
Lui tace e guarda avanti.
“Ok, allora andiamo. Dobbiamo farci la città a piedi, i soldi stanno scarseggiando e saranno ancora meno quando avrò pagato i miei cosiddetti amici.”
“Pensavi che l’avrebbero fatto gratis?”
“Ci speravo. Gli avevo fatto dei bei favori quando ero a Frisco, ma la memoria della gente è corta e i soldi sono un richiamo irresistibile.”
Percorriamo stradine secondarie e poco pulite dagli spazzaneve, quasi deserte. Incontriamo solo senza tetto, ragazzi dagli occhi a spillo e ragazzini che hanno saltato scuola.
Più o meno alle due Derek si ferma davanti a un palazzo fatiscente, un volta doveva essere stata una casa popolare, magari anche carina, ora invece è solo un mezzo rudere.
Derek suona il campanello ed entra nel portone aperto, dentro ci sono delle scale, un ascensore che sembra guasto da secoli, l’intonaco cade dalle pareti e ci sono murales un po’ ovunque.
Io e lui saliamo al secondo piano e Derek suona il campanello, ne esce un messicano dalla faccia truce, con un cappellino della New York.
“Fuentes.”
Con inchino della testa saluta Derek.
“Ramirez.”
Derek fa lo stesso.
“Hai una ragazza.”
Constata Fuentes.
“Sì, si chiama Kate. Katie, lui è Juan Fuentes.”
Entriamo e un secondo uomo, con i capelli lunghi e la barba non fatta da parecchi giorni, è sdraiato su un divano macilento.
“Lui invece è Pierre Delvoix.”
L’uomo alza svogliatamente una mano.
“Pierre, alza il culo. Devi accompagnare questo ragazzino all’inceneritore.”
Pierre guarda Derek.
“Faresti meglio a venderla.”
“Non voglio più avere a che fare con delle pistole, amico.”
Il canadese scrolla le spalle e se ne va con Derek, lasciandomi con questo Fuentes che non mi piace per nulla. Mi guarda come se io fossi un ghiotto boccone.
“Ehm, posso bere qualcosa?”
Gli chiedo così, tanto per rompere il silenzio imbarazzante che si è creato. Credo che Derek abbia fatto un errore a lasciarmi con questo tipo. In ogni caso, lui mi indica una cucina sudicia.
“Prendi quello che vuoi, bellezza!”
Io me la filo in cucina e bevo un bicchiere d’acqua, ho una sorda sensazione di pericolo, come se quell’uomo emanasse brutte vibrazioni. Credo sia meglio stargli lontana.
Peccato che lui la pensi diversamente e mi raggiunga in cucina.
“Allora, Kate, quanti anni hai?”
“Diciotto.”
Rispondo cercando di mostrarmi sicura, in realtà ho una paura folle. Spero che quello che Derek e Pierre devono fare non li tenga lontano molto o qui finisce male per me.
“E così sei la ragazza di Derek. Ti piace?”
“Sì molto.”
Lui si avvicinò un altro po’.
“E non ti andrebbe di provare un vero uomo?”
Se per vero uomo intendeva un tizio a un passo dall’obesità con un’aria lasciva che si fingeva un gangster, no, non mi va.
“No. Derek va benissimo!”
Rispondo il più decisa possibile, ma le mie parole non sortiscono alcun effetto, lui continua ad avanzare con quella sua espressione da lupo e gli occhi pieni di desiderio.
Merda, sono nei guai!
In un attimo mi stringe i polsi nelle sue mani, pur essendo piccole e grassocce hanno una presa molto salda, io provo a mollargli qualche calcio, ma non riesco a beccarlo.
Prova a baciarmi, ma gli sputo in faccia, questo lo fa infuriare ancora di più, perché mi strappa i vestiti e comincia a  stringere e strizzare le mie povere tette.
Mi muovo ancora di più, lui mi tira un calcio e si butta come un affamato sui miei seni, io non riesco a respingerlo per via del dolore.
Mi sta togliendo i pantaloni con furia quando una mano lo allontana e sento il rumore di una zuffa, io mi lascio cadere  a terra e mi porto le mani sulle orecchie, mentre le lacrime scendono sul mio viso.
Sono salva, sono fottutamente salva!
Rimarrei così all’infinito se una mano gentile non mi tirasse in piedi: è Derek e ha i segni di una lotta in faccia.
È lui che mi ha salvata! Senza pensarci due volte gli butto le braccia al collo e lo abbraccio con tutta me stessa. Dietro di noi Pierre sta prendendo a pugni il suo compare urlando frasi in francese.
“Mi dispiace per quello che è successo.”
Ci dice finalmente.
“Non pensavo potesse fare una cosa del genere o l’avrei fatto venire con me. Scusami ancora Kate.”
Io non dico nulla e il francese non sembra molto sorpreso.
“Potete rimanere a cena e a dormire, domani dopo colazione ve ne andrete.”
“Avremo quello che ci serve?”
Pierre annuisce.
“Li faccio io questa notte per scusarmi dell’inconveniente a cui siete andati incontro.”
Derek annuisce e mi porta in salotto, mi fa sedere sul divano e mi abbraccia.
“Va tutto bene, lui non ti farà più del male.”
“Grazie.”
Rispondo con  una voce sottile che non sembra nemmeno la mia.
“Mi dispiace che lui ti abbia fatto del male, avrei dovuto portarlo con me e con Pierre.”
“Mi hai salvato, va bene così.”
Lui sospira.
“Devo ricordarmi che tu sei più fragile delle mie ragazze precedenti.”
“No.”
Rispondo decisa.
“Il coraggio non mi manca.”
Lui mi scompiglia.
“Ok.”
Alle sette mangiamo e il messicano mettono un canale che trasmette un telegiornale e mi si ghiaccia il sangue nelle vene.
“È ancora un mistero la scomparsa di Ava DeLonge.”
Recita la giornalista.
“La figlia maggiore del noto chitarrista Tom DeLonge, leader dei Blink -182 e degli Angles and Airwaves, sembra sparita nel nulla.
Sono due settimane che della ragazzina non si hanno notizie, in un primo momento si era pensato a un rapimento, ma  la famiglia non è stata ancora contattata da eventuali rapitori.
La polizia propende ora per un allontanamento volontario, il cellulare è stato trovato al confine con il Messico e Ava ha ritirato i soldi dal suo conto postale prima di sparire.
La famiglia spera non sia incappata in qualche maniaco e invita chiunque la veda a recarsi ad una stazione di polizia.
Questa è la foto di Ava.”
La giornalista mostra una foto, ora sono più magra e con i capelli biondi, non sembra quasi io con la faccina paffuta e i capelli blu. Forse ce la posso fare a passare inosservata.
I tizi che hanno guardato il servizio poi non hanno guardato me, solo Derek mi ha dato un’occhiata di soppiatto.
“Forza, ragazzi. Dopo aver mangiato come disperati non c’è niente meglio di un bagno e di una bella dormita.”
Derek è il primo a lavarsi, io guardo Pierre estrarre gli strumenti del mestiere, poi arriva il mio turno e mi godo la doccia.
Una volta lavati, Pierre ci mostra una stanza con un letto a una piazza e mezza.
“Buonanotte.”
Io e Derek ci spogliamo e ci mettiamo a letto, abbracciati come l’altra volta. Sto bene tra le sue braccia, mi sento protetta.
Dio solo sa quanto ho bisogno di protezione in questo periodo.
 

La mattina dopo, una mano poco caritatevole ci sveglia alle nove.
È Pierre e ha gli occhi cerchiati di nero.
“Il lavoro è fatto, mangiate qualcosa per colazione preparate i panini per dopo e andatevene.”
“Va bene.”
Ci laviamo, mangiamo e prepariamo dei panini, poi Pierre ci consegna una cosa e dà una pacca sulle spalle di Derek, a me invece tende una mano.
“Arrivederci e scusa ancora per Ramirez, ha molte buone conoscenze, ma è anche un’irrimediabile…”
Non dice nulla, ma capisco lo stesso.
“È ok, grazie per averci ospitati e per il resto.”
“Di niente e adesso andate.”
Li salutiamo e ce ne andiamo, Vancouver è ancora fredda e coperta di neve.
“Cosa facciamo adesso?”
Chiedo a Derek.
“Cosa ne pensi di Montreal?”
“Uh! La città dei Simple Plan! Comunque è ok, nessuno dovrebbe cercarci lì, solo che sarà molto difficile attraversare il Canada.”
“In qualche modo faremo e adesso andiamo alla stazione.”
“Va bene.”
Lo seguo lungo le vie che percorre, sembra conoscere questa città almeno un pochino, forse ci è già stato. Devo chiederglielo.
“Sei già stato qui?”
“Ci ho vissuto un paio d’anni da piccolo, per il lavoro di mio padre. Quando l’ha perso siamo tornati a Frisco.”
“Come mai dobbiamo andare in stazione?”
“Per vedere se c’è qualche treno merci che va verso Montreal.”
“Pensi di farcela in una tratta?”
“No, rischiamo di morire prima. Dovremo fare tutto a tappe.”
“Ho capito.”
Arriviamo in stazione e con lui mi intrufolo nella zona riservata alle merci, ascoltiamo per un po’ chiacchiere insulse e poi finalmente una notizia interessante: stasera alle dieci parte un convoglio per Calgary.
Io e Derek usciamo.
“Calgary è un buon posto, secondo la cartina, speriamo che facciano qualche pausa, almeno per pisciare.”
“Lo spero.”
Rabbrividisco all’idea di doverla tenere per giorni e giorni, non credo ce la farei e sarebbe poco dignitosa farsela sotto.
“Non fare quella faccia, sei una dura, ce la farai. Altra gente sarebbe crollata prima di te.”
“Ok, adesso cosa facciamo.”
“Gironzoliamo e poi non so. Dovremo trovare un modo per tirare le nove e mezza.”
Camminiamo silenziosi in una città coperta di neve tra una massa di persone dirette in luoghi diverse, qualcuno va al lavoro, qualcuno a scuola, qualcuno a riprendersi dopo la sbornia notturna.
Facciamo un giro nella città sotterranea e riusciamo a fregare due panini a un venditore ambulante senza che lui ci veda.
E questo è il nostro pranzo, consumato con calma su una panchina mentre guardiamo la gente che va avanti e indietro.
Che bello.
Sa quasi di normalità!
Sembriamo due ragazzini in pausa dalla scuola e non due giovani barboni in attesa di un treno che li porterà lontano.
Al pomeriggio andiamo in un grande parco e ci divertiamo come scemi sulle altalene e sui giochi, quando inizia a calare la sera e a fare freddo  ci rifugiamo in stazione e lì mangiamo uno dei panini che ci ha dato Pierre.
Le ore passano lente, alle nove e mezza con cautela ci dirigiamo verso la zona merci, vediamo il nostro treno e ci saliamo sopra approfittando della distrazione di uno degli operai.
Il posto è stipato di cose, ma siamo le uniche persone.
Meglio, non ho voglia di sentire i racconti altri vagabondi, ho un sonno terribile e non vedo l’ora che Derek tiri fuori le coperte.
Fa anche freddo, tra l’altro.
Rimaniamo in attesa fino a quando il treno inizia a muoversi e le voci degli operai e i loro passi spariscono. Solo allora Derek tira fuori le coperte e ci mettiamo a dormire. Siamo entrambi stanchi e non vediamo l’ora che finisca questa giornata.
Cadiamo in un sonno senza sogni che viene interrotto quando il treno si ferma in una stazioncina, io e Derek saltiamo giù per rubacchiare del cibo e per pisciare. Miracolosamente ci riusciamo e risaltiamo sul treno che riparte verso Calgary.
“Cavolo, ce l’abbiamo fatta.”
“Almeno siamo riusciti a pisciare!”
Dice allegro lui, poi tira fuori il sacchetto che ha preso: acqua, due brioche, un altro panino.
Mangiamo le brioches e beviamo l’acqua, fuori il passaggio scorre innevato, lo vediamo dalle lame del legno che riveste il vagone.
“Ti piace la neve?”
Gli chiedo.
“Abbastanza, ma ho il sospetto che presto la odierò.”
Io rido.
“Forse finirò per odiarla anche io, ma per ora mi piace.
Ci facciamo una partita a carte?”
Io annuisco e lui tira fuori un mazzo di carte, fino a mezzogiorno giochiamo a scala quaranta, vorrei giocare a poker, ma nessuno me lo ha insegnato e Derek non me lo vuole insegnare.
Dice che giocare a scala quaranta gli ricorda sua nonna ed è un bel ricordo.
Va bene.
A mezzogiorno mangiamo i panini che ci ha dato Pierre e poi ci stendiamo, dalle lame entrano gli spifferi d’aria fredda e qualche fiocco di neve. In effetti fuori ha ripreso a nevicare, che palle.
“Che freddo!”
Esclamo sottovoce, lui mi sente e tira fuori una coperta in cui mi avvolge.
“Ma non rimanere lì, vieni qui!”
Apro le braccia e lui mi raggiunge.
“Quando quello stronzo di Ramirez ti stava per…. Volevo ucciderlo.”
Io rabbrividisco.
“Grazie per avermi salvato. Posso chiederti una cosa?”
Divento immediatamente rossa.
“Ma io ti piaccio?”
Lui rimane in silenzio per un po’.
“Sì, un po’ sì e non so se sia un bene per te.”
Io non dico nulla, è la prima volta che mi succede qualcosa del genere.
“Derek… Ti voglio bene.”
“Anche io e adesso lasciamo che questo viaggio verso l’ignoto prosegua.”
“Non è un viaggio verso l’ignoto. Non tutti quelli che viaggiano sono persi, ricordatelo.
Noi sappiamo dove vogliamo andare e perché ci vogliamo andare.”
Lui sorride.
“Hai ragione, noi dobbiamo andare a Montreal e iniziare una nuova vita, dimenticando il nostro passato.”
Ci sorridiamo e poi guardiamo il paesaggio innevato che ci  scorre davanti dalle aperture delle sbarre, in qualche modo ce la faremo.

 
Il viaggio trascorre tranquillamente fino a Calgary – c’è qualche sosta di mezzo e ne approfittiamo per pisciare e recuperare del cibo – e lì scendiamo dal treno senza farci vedere.
Arriviamo in stazione e lì troviamo un gruppo di barboni.
“Quando passa il prossimo treno per Montreal?”
Derek lo chiede a una donna che avrà sessant’anni circa.
“Ne passa uno per Regina tra due giorni. Avreste fatto meglio a rimanere su quello in cui stavate, sareste arrivati a Regina.”
Derek scuote la testa.
“Troveremo qualcosa da fare.”
Il sole sta per tramontare e fa freddo, io e il mio amico andiamo alla ricerca della mensa per i poveri, ammesso che qui ce ne sia una.
Dopo mezz’ora la troviamo e ci mettiamo in coda con gli altri senzatetto, che chiacchierano allegramente, nonostante il vedo gelido che ci taglia la faccia.
Il cibo è stranamente buono e dentro fa caldo, i volontari sono gentili e ci trattano da esseri umani, il che è strano. In America i barboni sono scansati come se avessero la peste e non credo che nelle mense la gente sia gentile.
Mangiamo in abbondanza e poi dobbiamo cercare un posto per dormire, dobbiamo tornare in stazione che ora è diventato un brutto posto. Ci sono barboni, spacciatori e drogati, io stringo istintivamente la mano di Derek e lui sorride impercettibilmente.
Qualcuno ci chiama, sono degli ubriachi, noi facciamo finta di non sentire, io inizio ad avere paura, l’unica cosa che ha il potere di calmarmi è la stretta di Derek.
Ci inoltriamo dentro la stazione, che passa dall’essere eccessivamente illuminata della sala d’attesa, al buio dei binari.
Io e lui ne attraversiamo un po’ prima di arrivare in una zona abbandonata, Derek tira fuori una pila e illumina un paesaggio desolato fatto di vecchi binari con traversine che mancano, ferro e vecchi vagoni che non trasporteranno più nessuno.
“Andiamo in uno di quelli e passeremo la notte lì. Non credo che ci disturberanno lì.”
“Ne sei sicuro?”
Chiedo con una voce così tremula che non sembra nemmeno la mia.
“Sì. E se arrivasse qualcuno ci penso io.”
“Inizio a pensare che avresti dovuto tenere quella pistola.”
Lui ride nervosamente, mentre forza la porta per poter entrare, non credo sia l’unico a essere nervoso per la situazione e si sforza di rimanere calmo per me.
Che amore.
Adoro questo ragazzo!
Forzata la porta entriamo , lui tenda di richiuderla in qualche modo, per non fare entrare il freddo o qualcosa di peggio.
Alla luce della pila estrae le coperte e cerchiamo di sistemarci sui sedili, anche questa volta abbracciati.
Chissà se Jack avrebbe fatto tutto questo per me?
Chissà se lo sta facendo con Ginger.
Ginger.
E io che pensavo fosse quasi un’amica!
Vatti a fidare degli amici, l’unica persona che sta facendo di tutto per farmi stare bene, per quanto in brutte condizione è uno che nemmeno conoscevo e che forse troverebbe più conveniente consegnarmi alla polizia.
Derek invece non solo non lo ha fatto, ma mi sta proteggendo come meglio può e senza di lui sarei stata persa e forse chissà morta.
Devo ringraziare qualsiasi cosa ci sua lassù per aver mandato lui sulla mia strada.
Questi sono i pensieri che mi vorticano in testa prima di cadere in un sonno senza sogni né incubi: un sonno che serve solo a far riposare il corpo.

Angolo di Layla

Ringrazio ElaEla e _staywithme_ .

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Capitolo 6
*** 6) Kate e Ramon. ***


6) Kate e  Ramon.

 

Ci sono certe mattine in cui ti svegli con strani presentimenti: questa è una di quelle.
Derek si stiracchia pigramente – ci siamo svegliati quando i primi raggi del sole sono entrati dai vecchi vetri rotti e sporchi – io invece sono piuttosto nervosa e ho freddo.
Usciamo dal vagone per ritrovarci faccia a faccia con due tipi dall’aria piuttosto cattiva, ci sono dei guai in arrivo.
“Avete dormito in quel vagone?”
Derek annuisce guardingo.
“Non sapete come vanno le cose qui? Se vuoi dormire nei vagoni devi dare dieci dollari a noi, ci devi venti dollari.”
Derek vorrebbe replicare, ma io gli stringo la mano e scuoto la testa. Ho il sospetto che questi due siano persone che non accettino un “no” come risposta.
Il mio amico gli sgancia venti dollari con aria truce.
“Non fare quella faccia, amico. La tua puttana è stata molto più intelligente di te nel fermarti, noi non accettiamo risposte negative.
Se volete dormire ancora qui dovrete pagarci, noi saremo all’ultimo binario fino all’una di notte.”
Detto questo si allontanano ridendo.
“Perché mi hai fermato, Ava?”
“Chiamami Kate, ti ho fermato perché altrimenti quei tizi ti avrebbero ammazzato. Quella donna ieri sera aveva ragione, saremmo dovuti rimanere sul treno e arrivare fino a Regina, Ramon.”
Derek scuote la testa e poi sbuffa.
“Hai ragione, quando siamo in pubblico è meglio usare i nomi dei documenti.
Andiamocene ora.”
Io annuisco e lo seguo, ci avviamo verso l’ultimo binario usato dai pendolari e poi ci infiliamo nel sottopassaggio. Nella stazione c’è un bar con delle meravigliose brioches, peccato non poterle mangiare perché dobbiamo risparmiare in modo da trovarci quasi subito un buco a Montreal.
Usciamo dalla stazione e veniamo fermati dalla polizia. È un normale controllo dei senzatetto e della gente di passaggio nella cittadina, ma il cuore mi batte come se volesse uscirmi dalla cassa toracica. E se scoprissero che sono documenti falsi?
E se scoprissero che io non sono Kate Leight, ma Ava Elisabeth DeLonge?
Dopo il breve controllo ci lasciano andare.
“Mi raccomando non fate casino, non ci piacciono gli stranieri che fanno casino qui a Calgary.”
Noi due annuiamo, io penso che farebbero meglio a tenere d’occhio e possibilmente sbattere in galera quei due loschi figuri che si fanno pagare l’affitto per far sì che gli altri possano dormire in un vecchio vagone ferroviario in disuso.
Camminiamo per le strade mediamente affollate della cittadina tra la neve, abbiamo fame, ma dobbiamo resistere almeno fino a mezzogiorno.
“Dici che ci sarà una mensa dei poveri anche a mezzogiorno?”
“Non lo so, io spero di sì, ma è molto probabile che dovremo aspettare fino a questa sera prima di mettere qualcosa sotto i denti.”
“Ok.”
Passiamo davanti a una tavola calda e improvvisamente sentiamo una voce urlare dietro di noi, guardandoci confusi torniamo indietro.
“Cosa c’è, signora?”
Le chiedo confusa.
“Entrate, vi offro la colazione gratis.”
“Wow, grazie!”
Lei scuote le spalle.
“Avete l’età dei miei figli, a quest’ora dovreste essere a scuola, non a vivere per strada.”
Io arrossisco, Derek abbassa gli occhi, la donna ci fa entrare nel locale e ci serve una colazione abbondante di caffelatte, muffins, brioches, bacon, uova e persino un hamburger.
Noi mangiamo tutto senza lasciare sul tavolo nemmeno le briciole.
“Grazie, signora!”
Le urliamo prima di andarcene, lei sorride e ci mette in mano un sacchetto.
“Sono panini, per quando ne avrete bisogno.”
Noi annuiamo.
“Grazie mille, signora!”
Usciamo dal bar con la pancia piena e di buon umore, ora possiamo esplorare la città più tranquillamente.
Andiamo in centro, io guardo le vetrine insieme a Derek e ci divertiamo facendo commenti stupidi o gesticolando ampiamente davanti alle facce sconvolte dei clienti e delle commesse che ci sono nei negozi.
Al pomeriggio esploriamo il parco, mi piacerebbe poter suonare qualcosa, ma la mia chitarra è rimasta in camera mia a San Diego.
“Ah, se avessi la mia chitarra…”
Esclamo sognante a un certo punto.
“Beh, magari quando saremo a Montreal potrai comprartene una.”
“Lo spero, mi manca la mia chitarra.”
Ammetto esitante.
“Un giorno sono sicuro che mi farai sentire come suoni.”
“Lo spero, anche se non sono ancora bravissima, mio padre mi dava lezioni, ma poi ecco…”
La mia frase sfuma nel nulla, poi mi ha detto che sono una puttana.
Derek non dice nulla, credo che abbia  capito i sottointesi del mio silenzio.
“Puoi sempre tornare indietro.”
“NO. E poi mi mancheresti.”
Lui non dice nulla, ma sul suo volto affiora un sorrisetto e mi prende per mano ed è bello. Mi sento protetta, mi piace come la stringe, mi ricorda Jack.
Al suo nome qualcosa trema dentro di me, potranno esserci migliaia di chilometri tra me e lui, ma lui – come dice una delle canzoni dei blink – è la voce nella mia testa, il fantasma insepolto che vaga nella valle.
Non potrò ignorarlo ancora a lungo.
“Ti mancherei come ti manca Jack?”
Io lo guardo stupita.
“Come fai a sapere che mi manca.”
“Non so, è la faccia che fai. Non te ne rendi conto, ma ogni tanto il tuo volto diventa di pietra e ti stacchi dal mondo e quando fai così so che stai pensando a lui.
Lui è un grande idiota ad averti lasciato andare, tra parentesi.”
Io sorrido.
“Con lui mi sono comportata in modo orribile, non c’è nemmeno da chiedersi il perché abbia scelto Ginger e non me.
Non importa, non fa niente.
Lontano da lui e da tutti mi dimenticherò di questa storia e un giorno nel nostro appartamento a Montreal ci riderò sopra.”
“Io non credo sarà così facile, ma la vita è la tua, Kate.”
“Perché dici così?”
“Perché non hai messo fine a tutto questo fuggendo,l’hai solo messo da parte e prima o poi tornerà a chiederti il conto.”
Io sbuffo, non può avere ragione.
 

La sera siamo di nuovo in coda alla mensa dei poveri, il cibo è buono e troviamo un gruppetto di ragazzi con cui parlare. Sono quasi tutti o scappati di casa o gente che ha perso il lavoro e la casa.
Non hanno prospettive dicono perché nessuno prende seriamente in considerazione la gente che vive dalla parte sbagliata di qualsiasi città d’America.
Forse hanno ragione, quando si parla della gente che vive nella zona delle roulotte c’è sempre una sfumatura di paura nella voce della gente.
Rimaniamo a chiacchierare fino alle undici attorno a un fuoco improvvisato, poi ci dividiamo, ognuno alla ricerca del proprio vagone.
Paghiamo i dieci euro ai due stronzi e poi ci infiliamo nel vagone della sera prima, ci avvolgiamo stretti nelle coperte, abbracciati, eppure abbiamo ancora freddo.
A movimentare la serata qualcuno fa irruzione nel vagone verso le tre di notte, Derek estrae rapido un coltello a serramanico prima che lo faccia lui.
Si scrutano per un po’ in cagnesco alla luce tenue dell’accendino che ho in mano.
“Cosa vuoi?”
“Dammi i soldi, devo mangiare!”
“Non raccontarmi palle, bucomane. Li conosco quelli come te, volete soldi per la droga.”
“Dammeli!”
“Fuori o ti apro in due!”
Che bella situazione di stallo, qui serve un diversivo. Afferro Derek per la maglia e poi gli indico  un punto imprecisato.
“Arriva la polizia, cazzo! Arriva la polizia!”
Alla parola “polizia”il drogato sparisce alla velocità della luce, il mio amico sorride.
“Ottima pensata!”
“Eravate in una situazione di stallo e mi sembrava l’unica cosa che lo potesse far scappare!”
“Grazie, Ava.”
Un po’ scossi e sicuramente più guardinghi di prima ci rimettiamo a dormire, quel tossico maledetto ci ha fatto venire un infarto.
Domani, per fortuna, prenderemo un treno per Regina e daremo addio a Calgary.
Ai primi raggi di sole ci ritroviamo con i ragazzi della sera prima e grazie a loro rimediamo un pasto mattutino, il che è assolutamente una buona cosa.
Sono esperti, sanno a chi rivolgersi e a quale commercianti i ragazzi di strada fanno pena e li nutrono, è stato meraviglioso averli trovati.
Con loro trascorriamo un pomeriggio bellissimo, sembra quasi di essere tornati in una gita scolastica, era da un po’ che non mi sentivo così bene.
Alla sera siamo di nuovo in fila per la mensa dei poveri.
“Stasera c’è un treno merci per Regina, io e Kate lo prendiamo.”
“Veniamo anche noi.”
Ci dice una coppia, lei è visibilmente in dolce attesa.
“Siamo originari di Regina e speriamo che i suoi ci aiutino ora che lei è incinta.”
“Dovrebbero farlo.”
Rispondo cauta alla ragazza,che si chiama Ashley.
“Non è detto, quando ho detto loro che stavo con Mickey mi hanno buttato fuori di casa senza pensarci due volte. I miei sono abbastanza conservatori.”
“Ma sei incinta! Per quanto conservatori possano essere non potranno ignorare questo!”
Lei scuote la testa con uno strano ghigno.
Alle undici prendiamo il dannato treno e ci organizziamo per la notte, Mickey si preoccupa che Ashley stia al caldo e alla fine si addormentano abbracciati, lui ha una mano sulla pancia della sua compagna, come per proteggere il piccolo.
“Che carini che sono!”
Dico al mio amico, che annuisce.
“Sono una bella coppia, spero che non la caccino di nuovo.”
“Sarebbero dei genitori di merda.”
“Il mondo è pieno di genitori di merda.”
Mi risponde lui prima di addormentarsi.
Ha ragione, mi dico, non ci avevo mai pensato prima con l’esempio degli Hoppus e dei Barker sempre sotto gli occhi.
Che strana la vita, mi dico prima di addormentarmi anche io.
La mattina dopo ci svegliamo insonnoliti e affamati, il treno non accenna a fare una sosta, forse la farà per il pranzo o almeno lo speriamo con tutto il cuore.
Fuori il paesaggio è innevato e verso le dieci inizia a nevicare, fortunatamente non entra nel vagone, ci mancherebbe solo questo.
“Dici che si fermeranno per il pranzo?”
Chiede Ashley al nulla.
“Io devo andare in bagno.”
“Spero di sì, piccola, ma non ne siamo sicuri.”
Risponde Mickey, guardando fuori dalle lame che ci fanno da finestre sul mondo esterno.
Alle due si fermano in una stazione e scendiamo tutti, per una sosta bagno e per sgraffignare del cibo da mangiare una volta ripartito il treno.
Sono riusciti a rubare dei panini e – cosa più importante – dell’acqua. Mangiamo e chiacchieriamo.
“Voi cosa fate dopo essere arrivati a Regina?”
Ci chiede Mickey.
“Proseguiamo per Winnipeg e poi ci fermeremo a Montreal. La meta è quella.”
“Buona fortuna. Montreal è grande, troverete qualcosa da fare e anche un appartamento, credo.”
“Ma sì.”
“Al massimo vi raggiungiamo, temo proprio che i miei mi ricaccino di casa.”
Ride amara Ashley.
“Rimarremo in contatto.”
Lui annuisce e poi decidiamo di fare una partita a carte tutti insieme, in attesa che il tempo passi e che il treno raggiunga Regina.
Lo sappiamo che ci vorrà un po’, ma io voglio allontanarmi sempre di più dalla California, dal sole, dalle palme, dalla gente che parla spagnolo, da mio padre e dai miei amici.
Voglio correre più forte di loro e lasciarli indietro, in un posto dove non possano farmi del male.
Forse è sbagliato e sto solo agendo come una codarda, ma davvero non ce la faccio più a ricordarmi di loro e pensare a come sia finita: in un completo disastro.
Landon a quest’ora si sarà già fatto un’altra ragazza e Jack sarà felice con Ginger,che saprà dargli quello che io non sono stata in grado di dargli.
Saranno tutti felici senza di me.
“Kate, sei tra noi?”
La voce di Ashley mi richiama alla realtà, io annuisco.
Li guardo: i capelli biondi di Ashley sono ormai ridotti a rasta disordinati, ma non faccio fatica ad immaginarmi la ragazza che era. Probabilmente una di quelle dai lunghissimi capelli con una madre sadica che le fa vestire fuori moda, con camicette, gonne oltre il ginocchio e mocassini.
Mickey invece è pieno di tatuaggi – qualcuno gemello con Ashley – ed ha i capelli neri e disordinati con qualche ciocca bionda segno di una passata colorazione accesa, un piercing al labro e gli occhi verdi vagamente truccati di nero. Deve avere finito la matita da poco, forse l’ha lasciata solo ad Ashley perché lei è una ragazza.
Non è esattamente il ragazzo che una madre come quella di Ashley vorrebbe accanto a sua figlia.
Può esser il ragazzo migliore del mondo – dolce, simpatico, comprensivo, con la testa a posto in fatto di soldi – eppure a lei non piacerà mai.
Povera Ashley.
“Ashley, se i tuoi non vi danno una mano, fateci sapere, cercheremo qualcosa.”
La mia voce esce da sola e colgo l’occhiata positiva che mi lancia Derek: approva.
“Va bene. Come mai questa offerta?”
Mi chiede Mickey.
“No, niente. Ho pensato a come potessero essere i genitori di Ashley e mi è venuta spontanea.”
Lui sorride.
“Ne hai di cervello, piccoletta.”
Io arrossisco.
“Ehi, non sono piccola, ho solo la crescita ritardata!”                           
Ridiamo tutti.
 

Dopo qualche giorno di viaggio arriviamo a Regina, scendiamo tutti.
Camminiamo verso l’ultimo binario attivo e poi imbocchiamo un sottopassaggio pieno di graffiti, che fanno sorridere Ashley e Mickey.
“Questo l’abbiamo fatto noi!”
Esclamano a un certo punto indicando un ragazzo e una ragazza stilizzati che si tengono per mano,sorridendo.
“Bello.”
Arrivati fuori dalla stazione, le nostre strade si devono dividere. Con una punta di tristezza abbraccio Ashley e saluto Mickey.
“Buona fortuna, ragazzi.
Ricordatevi di noi.”
Ash sorride.
“Puoi giurarci, Katie. Molto presto saremo coinquilini, credo.”
“Spero di no, non che non mi stiate simpatici, ma speri che i vostri genitori non siano così bastardi da lasciarvi in mezzo a una strada.”
Li salutiamo e dopo la solita sosta in bagno e di rifornimento di cibo saliamo su un treno diretto a Winnipeg, guardando la cartina, abbiamo deciso che dopo Winnipeg ci fermeremo  a Thunder Bay,
Il tratto Winnipeg-Montreal è troppo lungo.
Le giornate sul treno sono monotone, ma arriviamo a Winnipeg e da lì partiamo per Thunder Bay.
I problemi iniziano quando scendiamo da quel treno. Non ci sono treni per Ottawa, ci sono solo salendo più a nord, il che significa autostop o più probabilmente giornate di marcia nella neve.
Il paese che dobbiamo raggiungere è Nipigon.
A malincuore usciamo dalla stazione di Winnipeg e cerchiamo un posto dove sia possibile rimediare da mangiare in modo da metterci in forze.
Troviamo un proprietario gentile verso la marina del Superior Lake e mangiamo come se non ci fosse domani, come al solito ci portiamo via qualcosa da mangiare più avanti.
Con il cibo negli zaini iniziamo ad attraversare Winnipeg, è un posto carino, ma non è ancora la Meta. La Meta è Montreal e ci arriveremo, parola mia.
Ci vuole quasi un giorno per attraversare Winnipeg, per cena usufruiamo delle varie mense dei poveri sparse per la città e dormiamo anche lì quando troviamo posto.
Qui fa più freddo rispetto alle altre città, non ci volevano delle giornate di marcia proprio ora!
La faccia di Derek è scura, nemmeno lui sembra contento della situazione.
“Questo è un casino, ho il sospetto che dovremo farcela tutta a piedi e sperare che non ci colga una tempesta, altrimenti siamo fottuti, rischiamo di morire congelati.”
Io annuisco, prego il Signore – sebbene siano anni che non lo faccia – di farci raggiungere quel fottuto posto.
Ci mettiamo in marcia e all’inizio sembra procedere tutto bene, troviamo persino una macchina che ci dà un passaggio per un pezzo, il peggio deve ancora venire.
“Hold on the worst is yet to come.”
Cantava Mark ed è in effetti così, quando manca poco a Nipigon iniziano a cadere larghi fiocchi di neve che poi iniziano a vorticare sospinti da un vento gelido che ulula feroce.
Iniziamo a non vedere più in là del nostro naso, è iniziata una tempesta, io stringo la mano di Derek, ma la sua presa mi sembra debole.
“Cosa c’è?”
Urlo per sovrastare il vento che è sempre più forte.
“Sono stanco, Ava, e ho fame.
Lasciami qui che mi faccio una dormita!”
“Sei matto? Rischi di morire! Andiamo!”
Lo trascino, mi sembra che lui sia diventato una bambola inerte e non il ragazzo forte che ho sempre conosciuto.
“Forza Derek, troveremo un posto per riposare!”
Urlo, più per spronarlo che per reale convinzione.
Non ho idea di dove trovare un posto per riposare riparati, in ogni caso arriviamo a una piazzola e tra la neve che vortica, grazie alla pila di Derek mi pare di scorgere un capanno poco lontano.
“Forza, c’è un capanno, andremo lì!”
Inizio a essere stanca anche io e  non mi piace il fatto che lui ormai non mi risponda più.
Scavalchiamo il guardrail e ci dirigiamo verso un capanno di legno, con un po’ di fatica forzo la serratura ed entriamo.
È pieno di paglia e fieno, siamo fortunati. Tiro fuori le coperte e ci avvolgo Derek, appoggio una mano sulla sua fronte e mi accorgo che scotta: ha la fronte che scotta.
Merda! Ha la febbre.
Tiro fuori la cassetta del pronto soccorso dal mio zaino, fortunatamente c’è anche dell’aspirina.
Ora sono agitata, verso un po’ di acqua in un bicchiere di plastica e poi l’aspirina che inizia subito a fare quel caratteristico fischio che ha.
Io guardo il mio amico, è pallido e stanco.
Una volta che la pastiglia ha finito di sciogliersi, faccio bere Derek.
“Starai meglio, tranquillo.”
Lo copro con un po’ di paglia e poi mi sdraio al suo fianco sotto la paglia e le coperte e lo abbraccio più forte che posso, pregando che domani stai meglio.
Mi addormento così.
La mattina dopo la sua fronte sembra meno calda e la tempesta di neve è cessata, con fatica rimettiamo le nostre cose negli zaini.
Usciamo dal capanno con fatica – vista la neve caduta – e ci troviamo davanti a un paesaggio bianco e puro e se non fossimo in questa situazione direi che è quasi incantato.
Per noi non lo è, non adesso.
Torniamo sulla strada che stavamo seguendo e proseguiamo lentamente, Derek è ancora debole, ma non siamo lontano.
Al tramonto iniziamo a vedere le prime case in lontananza e questo ci rincuora e sprona ad andare avanti.
“Siamo quasi arrivati a Nipigon, laggiù troveremo qualcuno che ci aiuterà. Ti prego, Derek, cerca di resistere.”
Lui annuisce, troppo stanco per parlare.
Entriamo a Nipigon sotto un cielo limpido trapuntato di stelle che sembrano così vicine da poterle toccare, nonostante il bel tempo la notte rimane comunque gelida e il vento soffia contro di noi impietoso.
Con grande difficoltà arriviamo a quella che sembra la mensa dei poveri, io busso con vigore e dopo un po’ una donna in vestaglia ci apre.
“La prego ci aiuti, il mio amico sta male.”
Lei annuisce, ci fa fare la doccia, mangiare e poi ci dà un pigiama e ci accompagna ai letti, a Derek dà un’altra aspirina visto che la febbre gli è risalita.
Dio, fa che ce la faccia.
Poco dopo cado in un sonno senza sogni né incubi che mi fa riposare fino alle nove, quando vengo svegliata dalla donna in vestaglia della sera prima.
“Come sta Ramon?”
Chiedo con una voce ancora intontita per il sonno.
“Oggi verrà un medico, la febbre non scende.”
Io impallidisco.
“Come ti chiami?”
“Kate.”
Rispondo con un filo di voce.
“Kate, il tuo amico ce la farà. È stato fortunato perché qualcuno deve avergli già dato qualcosa per far scendere la febbre.
“Io.. Io gli ho dato un’aspirina.”
“È stata una buona mossa. Adesso scendi a fare colazione e poi potrai andare a trovarlo.”
Io annuisco e mi cambio i vestiti, i miei sono probabilmente a lavare. Indosso un paio di jeans stretti neri, una maglietta dei Sex Pistols, una felpa dei Rancid e – visto che nell’edificio fa abbastanza caldo – tralascio la camicia felpata a quadri neri e rossi.
Mangio di fretta per vedere Derek.
In effetti non è conciato tanto bene, è pallidissimo, ma sorride quando mi vede.
“Ehi, scricciolo! Sembra che io ti debba la vita.”
“Così siamo pari adesso, oggi pomeriggio verrà un medico a visitarti.”
Poi scoppio a piangere senza averlo premeditato.
“Ho avuto tanta paura che morissi, non giocarmi mai più un tiro del genere!”
Urlo tra le lacrime, lui me le asciuga e poi mi cenno di stendermi accanto a lui.
“Andrà tutto bene, Ava.”
Mi sussurra in un orecchio.
“Ce la faremo, te lo giuro. Non abbiamo attraversato mezzo Canada solo per fermarci adesso.”
Io annuisco, lui mi scompigli i capelli.
Se lui dice che andrà bene gli credo, lui è l’ultima persona che mi è rimasta.
Ce la faremo, me lo ripeto mentre mi addormento di nuovo tra le sue braccia.
Ce la faremo.

Angolo di Layla

Ringrazio DeliciousApplePie per la recensione.

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Capitolo 7
*** 7)È lunga la strada per il para...MONTREAL. ***


7)È lunga la strada per il para...MONTREAL.

 

La malattia di Derek continua per una settimana, è un’influenza seria e alla fine anche io ne vengo contagiata.
Quando usciamo dalla mensa dei poveri siamo entrambi pallidi e smunti, stanchi da morire, ma decisi a proseguire il nostro viaggio.
Prendiamo il primo treno merci per Ottawa  e poi a Ottawa uno per Montreal.
Quando finalmente scendiamo dall’ultimo treno mi sento leggera, così leggera che potrei volare via trasportata dal vento freddo della città.
Montreal ci accoglie con una bella giornata limpida, ma fredda.
Noi siamo di buon umore e ci trasciniamo alla prima agenzia immobiliare per trovare subito un posto per vivere.
Le case nei quartieri residenziali sono fuori dalla nostra portata, ma riusciamo ad avere in affitto una casetta che confina con i quartieri poveri e che nessuno vuole per questo.
Ci sono anche leggende che dicono che in quella casa un uomo abbia fatto a pezzi la sua famiglia e che lì si aggirino ancora i loro fantasmi.
Fa niente, io sono abituata al soprannaturale, anche a casa mia ci sono i fantasmi e li vedo solo io, per somma rabbia di mio padre.
Pensando a lui mi rabbuio e non posso permettermelo.
Da questo momento in poi la nostra vita accelera, sistemiamo le nostre cose  in casa e poi sistemiamo la casa stessa: ridipingiamo le pareti, restauriamo le sedie scompagnate e troviamo le loro sorelle in soffitta, sistemiamo il divano e la tv che non va.
Derek sistema gli elettrodomestici con il mio aiuto, io invece restauro le varie cose.
In un mese la casa è tornata ai suoi antichi fasti e io e Derek abbiamo un lavoro: lui lavora in un negozio aggiusta tutto, io come cameriera da Mac Donald, sperando che presto mi promuovano e mi mettano in cucina.
Lì lavori come uno schiavo, ma vieni anche pagato di più.
La mia vita sta prendendo una direzione calma e senza scossoni e io non chiedo di più.
All’inizio di dicembre ci raggiungono anche Ashley e Mickey, i loro genitori li hanno di nuovo buttati fuori e noi li ospitiamo nella stanza di quello che doveva essere un bambino, solo che ora ci abbiamo messo un letto a una piazza e mezza trovato alla discarica e sistemato da me.
La pancia di Ashley è bella grossa e – grazie a un’ecografia fatta su un camper di prestazioni sanitarie gratuite ai senza tetto – hanno scoperto che sarà un maschio.
Fila tutto per il meglio insomma, oggi è una domenica tranquilla. Ashley guarda la tv con Derek e commentano ironicamente uno mielatissimo film d’amore.
Io invece finisco di decorare la casa con Mickey, l’albero l’abbiamo fatto ieri tutti insieme.
Il campanello suona all’improvviso e ho un bruttissimo presentimento: non mi piacerà la persona che ci sarà dall’altra parte della porta.
“Kate, non vai ad aprire?”
Mi chiede Mickey.
“Sì, sì, vado.”
Mi avvio verso la porta bianca che ho dipinto io stessa e la apro.
Sbianco non appena vedo chi c’è.
Jack.
“Jack?”
Gli domando con una voce flebile.
“Sì, sono io. Ava, ti ho trovato finalmente!”
Io gli sbatto la porta in faccia prima che possa infilarci un piede per costringermi a parlare con lui, cosa che non voglio.
Lui inizia a tempestare la porta di pugni, che io ignoro.
“Ava! Apri, cazzo!”
Io me ne torno in salotto, tra lo stupore di tutti.
“Chi è?”
“Uno che ha sbagliato porta.”
“Non sembrerebbe, sembrerebbe conoscere bene chi vuole e sembri proprio tu.”
“Io non voglio parlare con lui. Forza, continuiamo con le decorazioni!”
Dico secca.
Mickey mi guarda perplesso, ma alla fine annuisce e continuiamo come se nulla fosse, come se non ci fosse un pazzo che continua a tempestare la nostra porta di pugni e a chiamare il mio nome.
“Se ne andrà prima o poi, vero?”
“Sì, ma è probabile che ritorni.”
Sono seccata, ma cosa vuole da me?
Non ha Ginger? Non ha una vita a cui pensare?
Non ero la stronza? Perché venirmi a cercare?
Da quel momento mi chiudo in un silenzio ostile e furioso, come ha fatto a trovarmi?
Eppure abbiamo lasciato pochissime tracce!
“Kate, non c’è qualcosa che ci devi dire?”
Mi chiede cauta Ashley.
“No, non ho nulla da dire.”
Rispondo funerea, lei e Mickey si lanciano due occhiate incredule, sembra che all’improvviso non sappiamo cosa dire o fare.
È questo il prezzo da pagare quando dici una bugia e la verità viene a scovarti.
Finalmente dopo mezz’ora si stanca e se ne va, ma ho l’impressione che tornerà domani.
“Per fortuna se ne è andato, eh ragazzi?”
La voce di Derek ha un tono leggero per evitare domande.
“Sì, ma sembrava che ti conoscesse davvero, Kate.”
Io scuoto la testa.
“Non conosceva neppure il mio nome, ha continuato a chiamarmi Ava tutto il tempo.”
“Forse Kate non è il tuo verro nome.”
Azzarda Mickey.
“Ci sono tanti senzatetto che entrano illegalmente in Canada e si cambiano il nome, adottando quello dei documenti falsi.”
Io mi alza in piedi nervosa e sbatto un pugno contro lo stipite della porta.
“Non fatemi domande su questa storia, non ho intenzione di rispondere, ok?
E adesso esco a mangiare!”
Raccatto la giacca e la borsa e mi metto gli anfibi, in soggiorno Ash e Mickey stanno tempestando il povero Derek di domande.
Idiota di un Jack!
Doveva proprio venire a scovarmi ora che ho trovato un po’ di pace?
Cammino di pessimo umore, masticando amaro fino al Mac più vicino, lì ordino un bel menù di quelli che ti ammazzano di calorie e cerco di darmi una calmata.
Sono furiosa, nelle settimane di punizione che ho scontato – per modo di dire perché alla metà della seconda sono scappata di casa – non mi ha mai mandato nemmeno un messaggio  e ora si fa vivo.
Come se fosse mio amico
Come se gli importasse.
Forse Ginger l’ha mollato o ha chiuso le gambe.
Non lo so e non sono certa di volerlo sapere, in fondo non mi interessa granché.
Bugia!
Quando me lo sono trovato davanti il mio cuore ha iniziato a battere troppo veloce e questo non va affatto bene, lui non può farmi questo effetto. Non ancora.
Quanti chilometri devo mettere tra me e Jack Hoppus?
E anche se ne mettessi degli altri chi mi assicura che non mi segua?
Potrei trasferirmi in Europa e lasciare la mia casettina, anche se mi mancherà insieme a Derek, Ashley e Mickey.
“Non dirmi che vuoi scappare ancora?”
Una voce maschile ironica mi riscuote dalle mie elucubrazioni: è Derek.
“Sì, stavo pensando di fuggire in Europa, non nel Regno Unito, però.
Jack ha vissuto per un po’ a Londra e conosce il posto.”
“Non sarebbe meglio parlargli invece di scappare?”
Io sbuffo.
“Non me la sento, lui mi fa incazzare da morire, ma anche sentire debole da morire.
Mi fa scoppiare il cuore e non gliene frega nulla, dato che ha una ragazza.”
Lui scuote la testa.
“Sei innamorata, ma non vuoi metterti in gioco.”
“L’ho già fatto e guarda cosa è successo: sono scappata in Canada e l’ho attraversato tutto pur di non vedere più lui e la mia famiglia. Non credo sia una bella idea rimettermi in gioco di nuovo.”
“Dipende da come gliel’hai detto e poi le circostanze ora sono diverse, che ti piaccia o no lui ha attraversato il Canada per venirti a riprendere.”
Io faccio un verso indefinito tra lo sbuffo e quello tsch che amano tanto i padrini mafiosi.
“Avrebbe potuto avermi a San Diego.”
“La situazione era diversa: prima ti scopi il suo migliore amico e lo fai soffrire perché lui ti ama e tu non voluto parlargli, poi te ne vieni fuori di botto con il fatto che lo ami.
Penso sia quasi normale che una persona reagisca male in questa situazione.”
“Se lo dici tu.”
“Non ti ho convinta, eh?”
Io scuoto la testa.
“Sei così forte da attraversare uno stato, sopravvivendo al gelo, agli avanzi di galera e senza farti trovare da nessun poliziotto eppure sei anche così debole da non voler riflettere sul rapporto che c’è tra te e Jack e dargli la possibilità di dire la sua.”
Io sto zitta, questo argomento non mi piace per niente e io taccio quando qualcosa non mi interessa.
“Ava, non è scappando che questa cosa si risolverà, anzi si ingigantirà fino a  travolgerti.”
“Non esageriamo, Derek!”
“Non è quello che sta succedendo?
Tu pensavi di esserti liberata di quel ragazzo, ma lui è qui e deciso a parlarti e lo sarà ovunque tu decida di andare.
Fallo parlare, mandalo a fanculo e chiudi questa situazione, eviterete di soffrire entrambi.”
“Mah, se lo dici tu.”
“Sì e sono certo di quello che dico, ti voglio troppo bene per vederti comportati così senza fare niente.”
Io arrossisco.
“Grazie Derek.”
“Figurati.”
Derek ordina anche lui da mangiare e alla fine finiamo per mangiare insieme due hamburger, penso che Ashley sia in grado di cucinare qualcosa al suo ragazzo.
Torniamo a casa e li troviamo intenti a sparecchiare la tavola, non ci dicono niente e passiamo la serata a guardare la tv.
Apparentemente sembra tornata la normalità, ma so che è solo momentanea.

 

Il giorno dopo Jack si ripresenta e io devo uscire dalla porta sul retro insieme agli altri per andare al lavoro.
Seccatore maledetto!
Al lavoro sono svogliata e sull’attenti, non vorrei mai che capitasse nel locale e facesse una scenata, non voglio essere licenziata per colpa sua.
Arrivo a casa e lo vediamo accoccolato sul portico, io mi avvicino cauta e gli tocco la fronte: è gelida.
“Derek, portiamolo dentro prima che congeli.”
Io lo prendo per le spalle, lui per i piedi e con l’aiuto di Mickey lo mettiamo sul divano, gli togliamo giaccone e scarpe e lo avvolgiamo in due coperte.
Un quarto d’ora si sveglia, ancora mezzo intontito, e mi individua subito.
“Ava!”
“Jack.”
Dico priva di allegria.
“Finalmente ti ho trovata, stavano diventando matti.”
“Ma davvero?”
La mia voce ha una sfumatura feroce.
“Sì, cosa ti è saltato in mente?
Come mai sei scappata di casa?”
“Forse perché mio padre mi considera una puttana, la band ha cessato di esistere, per Landon ero solo una scopata, mancata direi e tu avevi Ginger.
Per chi sarei dovuta rimanere?
Per la mia famiglia? Per il mio migliore amico che mi ha mandata a fanculo?”
Lui scuote la testa.
“Ero solo arrabbiato con te perché mi sembrava di essere un burattino tra le tue mani.”
Mi risponde con voce debole.
“Bene, il burattinaio ti ha tagliato i fili, puoi andartene.”
“Ava, non abbiamo ancora finito di parlare.”
“Io non ho nient’altro da dirti, vattene.”
Lui si alza barcollante, si rimette scarpe e giacca e mi guarda.
“Tornerò, non è finita qui.”
Se ne va curvo e io lo seguo con lo sguardo.
Di cos’altro dobbiamo discutere?
“Testardo il ragazzo!”
Commenta Derek divertito.
“Sì, è una delle sue peggiori qualità.”
Lui ride.
“Poverino, si è fatto tutto il Canada, potresti essere meno gelida.”
“Come ho già detto poteva dirmi tutte queste cose ed essere gentile in California invece che qui.
Qui dà solo fastidio a tutti.”
Derek smette di ridere.
“Non è vero, cerca solo di farsi ascoltare, un’impresa non facile, quando si ha a che fare con una testona come te.”
Io sbuffo e incrocio le braccia davanti al petto, non sono poi così testona e non ho voglia di discutere.
“Io vado a letto.”
Lui annuisce e mi raggiunge poco dopo.
“Vuoi davvero dare nessuna possibilità a quel ragazzino?”
“Sì..”
Mormoro stanca.
“Pensa a cosa ha fatto per te – in ritardo, d’accordo – e non essere così affrettata.”
“Va bene, Derek.”
Io mi addormento tra le sue braccia, nel mio cervello vorticano le immagini di me e Jack insieme e poi quelle con me e Derek.
Che casino.
La mattina dopo mi sveglio intontita, non vedo l’ora che sia Natale per dormire un po’ di più, mi sento veramente stanca.
Mangio svogliatamente la colazione e poi mi reco al lavoro, di solito non mi pesa, ma rivedere Jack mi ha sconvolto. Frammenti della mia vecchi vita si sono conficcati in quella nuova e non è piacevole.
Ora mi sento in bilico tra due dimensioni, quella in cui ho sempre vissuto – rappresentata da Jack – e quella nuova, rappresentata da Derek, Ash e Mickey.
Cosa devo fare?
Ascoltare Jack o ignorarlo?
Cosa significa che il nostro discorso non è finito?
Non ne ho idea e la cosa mi preoccupa non poco, mi piace avere le cose sotto controllo.
La mattina dopo mi sveglio nervosa, nessuno mi può parlare senza ricevere una critica o un insulto gratuito. Certe mattine mi gira così e non c’è niente che possa fare per cambiare questa cosa, anche se so che è fastidiosa per chi vive con me.
Vado al lavoro e verso mezzogiorno trovo in coda Jack, evviva. Decido di trattarlo come un normale cliente, lui ordina un menù e poi mi guarda.
“Stasera usciresti a bere qualcosa con me?”
“No, non vedo perché dovrei.”
“Abbiamo parecchio in sospeso io e te.”
“Ecco il suo menù, buon appetito.”
Gli porgo il suo vassoio e lui si allontana deluso.
Il resto del turno procede tranquillamente, il brutto arriva alla fine ed è Jack appoggiato al muro davanti all’uscita sul retro.
“Cosa vuoi?”
“Parlare con te, dobbiamo chiarire.”
“Ti ricordi cosa mi hai detto la notte che sono venuta da te?
No, vero?
Beh, io sì, era più o meno così: “Ho detto che è troppo tardi, Ava. Non puoi trattarmi come una merda e poi pretendere che io ti dica che va tutto bene e che è tutto a posto tra di noi”.
Ecco, Jack, è esattamente così.
Non puoi pretendere che io torni da te dopo che tu mi hai detto di andartene. Non puoi dire a una persona che ha disperatamente bisogno di te di andarsene e poi pretendere che torni da te a tuo piacimento.
Non funziona così, Jack Hoppus.
E adesso, scusa, ma devo andare a casa.”
“Casa tua è a San Diego.”
“Casa mia è a Montreal.”
Rispondo fredda io.
“Smettila di scappare! La vera Ava non l’avrebbe mai fatto!”
“E tu smettila di rincorrermi! Il vero Jack non mi avrebbe mai lasciato nella merda fino al collo.”
Me ne vado e lui non mi segue, ho parlato di un vero Jack, ma forse non esiste, forse ha solo finto bene in tutti questi anni.
Arrivo a casa di malumore, ma cerco di non esternarlo questa volta. Nessuna delle persone presenti può pagare per la stupidità di Jack , solo Derek intuisce qualcosa.
“È tornato alla carica, vero?”
“Sì, ma non voglio cedere. È facile presentarsi qui e fare l’eroe romantico della situazione, ma dov’era prima?”
“Tutti sbagliamo, ma come possiamo rimediare se nessuno ci dà una seconda possibilità?
Come possiamo dimostrare di essere cambiati se tutte le porte ci vengono sbattute in faccia?”
Io non dico nulla e preparo la cena, le parole di Derek hanno aperto una piccolissima breccia dentro di me.
Servo la cena e mi chiedo se forse non dovrei davvero parlare sul serio a Jack, niente frecciatine, niente acidità, solo un confronto pacifico.
La mia mente dice che è una buona idea, ma l’istinto – il cuore, la pancia – è ancora arrabbiato.
Come diceva quella frase?
“Io sto bene, sono i miei sentimenti a essere arrabbiati.”
Ecco, sintetizza perfettamente la mia situazione.
La ferita che mi ha inferto sanguina ancora troppo per far sì che sia un confronto pacifico.
Lavo i piatti, sistemo la cucina e poi salgo in camera mia buttandomi sul letto.
“Fa male ancora?”
“Fa male ancora. Sono ancora ferita, arrabbiata, non lo so.
Quando si parla di lui sento come se ci fosse un gomitolo di lana incastrato in gola, che non mi fa parlare, urlare e respirare. Quando voglio rompere qualcosa per sfogarmi le mie braccia diventano pesanti.
Il mio corpo non risponde ai miei comandi quando c'è lui nelle vicinanze, sono sempre stata fredda con lui per tenere a bada questo corpo che vorrebbe solo saltargli in braccio e baciarlo.
Non posso, non posso dopo quello che mi ha fatto!”
All’improvviso si apre la porta della camera si apre e Jack fa irruzione, trattenuto da Mickey.
“Scusate, non ce l’ho fatta a trattenerlo!”
Jack lancia un’occhiata di fuoco a Derek che risponde con un’occhiata di sfida aperta, che fa stringere i pugni al mio ex migliore amico.
“Ava, dobbiamo parlare!”
“Ancora? Lasciami in pace, Jack!
Ne ho le palle piene di te e dei tuoi appostamenti!”
“Parlami e finirà tutto.”
Io guardo lui e poi Derek, poi dalla mia bocca esce una specie di ringhio.
“Va bene. Domani vieni qui e poi ce ne andiamo in un posto che conosco io, adesso vattene.
Non voglio vedere la tua faccia da cazzo fino a domani!”
Urlo fuori di me.
Domani si prospetta un giorno di merda e soprattutto un confronto non facile con una persona che per me – un tempo – rappresentava tutto.
Che Dio me la mandi buona e mi assista o rischio di ammazzare quella testa bionda e non mi va di finire in carcere per lui.
Dannazione!

Angolo di Layla.

Ringrazio staywith_me e DeliciousApplePie per le recensioni.

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Capitolo 8
*** 8)La mia fine con te. ***


8)La mia fine con te.

E così il gran giorno è finalmente arrivato.
Gran giorno dà persino troppa importanza all’evento – che è solo una gran seccatura – e mi mette di malumore.
Non voglio incontrarlo o forse sì.
Non lo so.
In ogni caso mi vesto normalmente, saluto i ragazzi ed esco. Ha iniziato a nevicare e lui se ne sta sotto un lampione guardando in alto, che scemo!
“Eccomi.”
“Eccoti.”
Ci incamminiamo lungo il marciapiede, la neve attacca già da subito, domani avremo un manto bianco.
Entriamo in un Mac Donald e ordiniamo da mangiare, non c’è molta gente così troviamo subito un tavolo. Mangiamo in silenzio, la bomba verrà sganciata dopo il pasto, temo.
“E così eccoci qui.”
“Sì, cosa devi dirmi?
Vuota il sacco.”
“Come sei diventata fredda.”
Io scuoto le spalle.
“Ava, io sono innamorato.
Sono anni che sono innamorato di te e ogni volta che tu mi parlavi di Landon con quella faccina persa e gli occhi a cuore, il mio di cuore si spezzava sempre di più.
Non sapevo come fare a farti capire che Landon, pur essendo il mio migliore, non era certo la persona che credevi tu.
Stavo dando di matto, l’unica con cui parlavo di questo era Ginger e nemmeno lei  sapeva cosa fare.
Quando hai accettato l’invito di Landon credo di essere semplicemente esploso, ho detto  troppo in un modo sbagliato.”
Io annuisco piano, ma non dico nulla.
“Il fatto che tu ti fossi arrabbiata e che non mi rivolgessi più la parola mi ha fatto arrabbiare. Io ti stavo aprendo gli occhi e tu non mi ascoltavi e anzi non volevi nemmeno parlarmi.
Ero arrabbiatissimo, così ho chiesto a Ginger di metterci insieme.
Quando sei ricomparsa quell’ultima notte dicendo che avevo ragione e che ti eri accorta di essere innamorata di me mi sono sentito usato e ho reagito così.”
“Non hai mai pensato che così mi stavi ferendo?”
Lui abbassa gli occhi.
“No, non ci ho pensato al momento, ma nei giorni seguenti quando non ti ho vista a scuola e Tom non voleva dirmi dov’eri sono stato sommerso dal senso di colpa.
Forse avevo sbagliato tutto, forse ti avevo fatto del male, volevo parlarti, ma tu eri sparita.
Ava mi dispiace,  non possiamo ricominciare tutto da capo.
Io… io ti amo.”
Io guardo il bicchiere della coca cola, pervasa da un senso di irrealtà. Jack non può amarmi o non si sarebbe comportato così.
“Non puoi dire sul serio, Jack.
È solo un modo per farmi tornare a casa.”
“No, credimi, ti sto dicendo la verità.”
“Comodo così! Dov’eri quando per mio padre ero una puttana con cui non valeva nemmeno la pena di parlare?  Hai perso la tua occasione quella notte.
Quella notte sono venuta da te con il cuore in mano, in cerca di aiuto, visto che pensavo fossi l’unica persone in grado di darmi un po’ di conforto, invece…
Invece te ne sei fregato e non solo, mi hai cacciata come si fa con un’estranea un po’ importuna!
Avresti dovuto pensarci meglio, adesso è tardi.
Adesso la mia vita è qui e non so se voglio che tu ne faccia ancora parte.”
Mi alzo sconvolta.
“Cia… Addio, Jack!”
Scappo via dal Mac Donald come se il diavolo mi inseguisse, in realtà è solo Jack.
Faccio pochi metri quando lui mi afferra per un polso e mi fa girare verso di lui, io sono nel panico, cosa vuole fare?
Mi bacia con passione, io ricambio – malgrado tutte le volte che ho desiderato prenderlo a calci in questi mesi – presa totalmente in contropiede.
Tornata in me, gli mollo una sberla e scappo.
Arrivo a casa senza fiato e corro in camera, per buttarmi sul letto e scoppiare istericamente a piangere.
Poco dopo Ashley bussa alla porta ed entra. Ha un passo un po’ strano vista la pancia che porta orgogliosamente, non l’avevo mai notato prima.
Si siede sul letto e mi guarda.
“Cosa è successo, Ava?
Sembri sconvolta.”
Questa semplice frase ha il potere di farmi aprire completamente, la mia diga personale è crollata e le racconto tutto quello che mi è successo.
Sa chi sono, sa di Landon e di Jack e della mia fuga da casa, di come ho incontrato Derek e della nostra amicizia.
Adesso riesce a capire meglio come mai ero così fuori di testa quando ho visto Jack e le racconto di stasera e del bacio.
Una volta finito lei mi guarda triste e poi mi abbraccia.
“Andrà tutto bene.”
“Come?”
“Se ami Jack così tanto passa sopra ai suoi errori, tutti ne facciamo o c’è qualcosa che non mi hai detto?”
“Temo che Derek sia cotto di me e un po’ mi piace, ma non voglio farlo soffrire.”
“Il miglior modo per non farlo soffrire è essere sincera con lui, ammettendo che ti piace Jack, altrimenti sarete infelici in tre. Tu perché non sei con Jack, Derek perché sa di essere un ripiego e questo Jack che crederà di averti persa per sempre.”
Io sospiro.
“In un certo senso mi ha persa, non sono più la Ava che lui conosceva.”
“Ma a lui non sembra interessare, gli piace anche la nuova Ava o altrimenti non ti avrebbe cercato con tanta ostinazione.”
“Non lo so, può averlo fatto per tanti motivi, tra cui il senso di colpa e poi ha già una ragazza.”
“Sei sicura? Può avere rotto con Ginger.
Gliel’hai chiesto?”
Io scuoto la testa.
“Il pensiero di Ginger non mi ha nemmeno sfiorato.”
“Male, avresti dovuto chiederglielo.”
Io sbuffo.
“E cosa sarebbe cambiato?”
“Se ha mollato quella ragazza per cercarti significa che è sincero, che ti ama davvero.”
Io taccio.
Sì, forse avrei potuto chiederglielo, ma cosa sarebbe cambiato?
Io non sono sicura di volerlo di nuovo nella mia vita, non so se mi va di tornare indietro.
Certo, la vita che faccio adesso è dura se paragonata a quella di prima, ma mi sento in un certo senso realizzata. Quello che ho lo ottengo grazie a me e non a mio padre o alla sua fama.
“Pensaci, Ava.
Buonanotte.”
Ash esce e mi lascia da sola con i pensieri.
Poco dopo sono già addormentata.

 
La mattina dopo è domenica e  posso dormire un po’ di più.
Solo alle dieci scendo in cucina e trovo un biglietto verde vergato da una grafia familiare attaccato al frigo: Jack.
“Ciao, io parto per san Diego con il volo di stasera alle sette.
Nel caso avessi cambiato idea o volessi parlare con me, te l’ho scritto.
Ciao, Ava.
Jack.”
Io stacco il biglietto e lo guardo meravigliata, se ne va dopo un solo tentativo?
Non so perché la cosa mi fa stare male e mi butta in uno strano senso di stordimento. Dovrei essere felice – mi lascerà in pace – invece sto male perché mi sento ancora una volta ignorata.
“Ava, va tutto bene?”
Mi chiede Ashley, io le passo il biglietto.
Lei lo legge perplessa, poi sorride.
“Secondo me dovresti andarci.”
“Ha ceduto dopo solo un tentativo, perché dovrei farlo?”
“Perché per una volta, se vuoi che le cose vadano bene, devi metterti in gioco e rischiare.”
Io non dico nulla e mi butto sul divano stordita.
All’improvviso scoppio a piangere e prendo a pugni un cuscino.
“Ava!”
Io scatto in piedi e mi chiudo in camera mia, ho il cervello che mi sta scoppiando. Da una parte mi dice di correre da Jack, dall’altra di stare qui con Derek e gli altri. Sono entrambi impulsi fortissimi e mi dilaniano, mi spaccano a metà e mi lasciano assolutamente spossata.
Cosa devo fare?
Andare da Jack significherebbe perdonarlo e non so se sono pronta, lasciarlo partire invece darebbe origine a una serie di rimpianti con cui fare i conti.
Sono sdraiata sul letto e guardo il soffitto senza vederlo, nel mio cervello rivivo i bei momenti passati con lui e la mia famiglia e poi quelli con Derek e gli altri. Sono alla pari.
Entrambi  mi hanno salvata e aiutata in un certo senso, come posso scegliere?
Le ore passano lente ed inesorabili.
Alle sei ricevo una scossa dal mio corpo, devo parlare con Jack.
DEVO.
Mi alzo in piedi e mi metto un paio di anfibi e un cappotto, poi corro al piano di sotto.
“Qualcuno può portarmi all’aeroporto?”
“Io, ma c’è solo il motorino. Mickey è andato a fare la spesa con la macchina.”
“Merda, va bene il motorino. Grazie Derek, sei un tesoro.”
Lui sorride in modo strano.
“Di niente, piccola, adesso andiamo.”
Io annuisco, lui prende le chiavi e ce ne andiamo.
Il suo motorino non è il massimo come mezzo, ma è l’unico che abbiamo e Derek lo lancia a velocità folle in direzione aeroporto.
Zigzaghiamo come matti tra le macchine in coda, facendo attenzione al ghiaccio e alla neve, non vogliamo finire all’ospedale.
Il percorso mi sembra eterno, i minuti passano troppo veloci.
Non riuscirò a parlargli, cazzo!
Finalmente intravediamo la grande struttura dell’aeroporto di Montreal e mi sento sollevata, Derek entra come un razzo e si ferma davanti alle porte scorrevoli.
Io scendo immediatamente, senza neanche togliermi il casco.
“Grazie Derek!”
Urlo prima di entrare di corsa e dirigermi verso il gate delle partenze internazionali, ignoro tutte le hostess che cercano di fermarmi. In questo momento sono un folletto capace di saltellare ovunque pur di parlare con Jack, ma tutti i miei sforzi sono vani: da una grande vetrata vedo il volo per San Diego decollare.
“Nooo!”
Urlo mettendomi le mani sugli occhi, mentre le prime lacrime iniziano a scendere.
Ho perso la mia occasione, sono una stupida.
Non so quanto rimango così, so solo che a un certo punto sento una voce familiare chiamarmi e io ho quasi paura a voltarmi: è quella di Jack.
“Sei davvero tu?”
Gli chiedo, prima di voltarmi.
“Sì, sono io. Non potevo partire senza fare ancora un tentativo.”
Io mi volto e lo abbraccio piangendo.
“Ava…”
“Mi sei mancato, maledetto coglione.
Pensavo di essermi costruita un equilibrio e poi arrivi tu e lo distruggi in un secondo. Dovrei odiarti, ma non ci riesco.”
“Significa che ancora un pochino ti importa di me?”
Per tutta risposta lo bacio con passione.
“Ti basta come risposta?”
Lui mi accarezza i capelli.
“Direi di sì. Ti amo, Ava!”
“Ti amo anche io, razza di coglione.
E ora cosa dirai a Ginger?”
“Non sto più con Ginger, da quando ho capito che eri sparita abbiamo deciso insieme di lasciarci, lei sapeva che non l’avevo mai amata.”
Io lo guardo con gli occhi spalancati.
“Questo significa che sei libero?”
“Liberissimo e con una gran voglia di averti come ragazza!”
Io seppellisco la mia testa nel suo petto e piango senza dire niente.
“Andrà tutto bene, Ava.”
“Lo spero, ho così paura di stare facendo la cosa sbagliata.”
Lui non dice nulla, mi prende per mano e mi trascina fuori dall’aeroporto, mentre sta arrivando Derek. Sorride quando ci vede.
“Ce l’avete fatta, vedo!”
“Sì, ce l’abbiamo fatta. Jack starà da noi questa notte.”
Lui annuisce.
“Beh, dovrete cercarvi un altro mezzo per tornare a casa, sullo scooter non ci stiamo tutti e tre.”
“Prenderemo un taxi.”
Risponde pratico Jack, Derek annuisce e se ne torna verso il parcheggio, noi invece fermiamo una delle vetture gialle e dettiamo l’indirizzo al taxista.
È un viaggio strano, Jack mi ha preso una mano tra le sue e la accarezza leggero, io penso che tutto quello che è successo sia del tutto folle e incredibile.
Magari è un sogno, senza farmi vedere da lui mi do un pizzicotto: fa male, quindi è reale.
“Sei sempre la solita tizia strana.”
Ridacchia Jack.
“Sai com’è, abbiamo appena vissuto una scena da film, un pizzicotto mi sembra il minimo.”
“Giusto, ma con te le cose normali non funzionano, sei molto teatrale.”
Io sbuffo.
“Teatrale, ma sentilo!”
Lui ride.
“Non negarlo, sei teatrale!”
“Va bene, non continuo questa discussione perché siamo quasi arrivati a casa.”
Poco dopo il taxi si ferma, lo paghiamo e io e Jack entriamo in casa. Mickey lo guarda sospeso, con in mano un pacco di biscotti e una scatola di cereali, sta mettendo via la spesa.
“Ciao, Ava, tizio sconosciuto che importuna la gente.”
“Mi chiamo Jack.”
“Ciao, Jack!”
“Lui si ferma per la notte, ci sono problemi?”
Lui scuote la testa.
“No, no ci sono problemi.”
Risponde Ashley.
“Loro sono Mickey e Ashley.”
“Piacere, hai già pensato a un nome per il bambino?”
“Sarà una bambina e no, non ci abbiamo ancora pensato.”
Si accarezza dolcemente il pancione.
“Capisco, beh, buona fortuna.”
“Ne avremo bisogno.”
Gli risponde mesta lei.
“Beh, io vado a cucinare.”
Mi avvio verso la cucina, lasciando Mickey, Ashley e Jack a chiacchierare, poco dopo sento la porta della casa aprirsi e anche Derek si unisce alla conversazione. Mi sento in colpa verso di lui, lui di sicuro prova qualcosa per me e io per mesi l’ho illuso che fosse più o meno lo stesso, certo non siamo mai stati insieme, ma sembrava che lo fossimo.
Dopo gli parlo, non si merita di essere trattato male.
Mangiamo e poi Jack chiama qualcuno dal suo cellulare.
“Ciao, papà. Sono a Montreal.”
“Sono qui con Ava, esatto l’ho ritrovata. Appena sarà possibile torneremo a san Diego.”
C’è un attimo di silenzio.
“Ciao, Tom.”
Al nome rabbrividisco.
“Sì, sono qui con Ava, prenderemo il primo volo per la California.
Vuoi parlargli?”
Io scuoto freneticamente la testa.
“No, per ora non se la sente di parlarti, ma sono certo vi chiarirete una volta tornati a casa.
Buonanotte.”
Chiude la telefonata e poi mi guarda.
“Perché non hai voluto parlare a tuo padre?”
“Perché non me la sento.”
“Capisco, ma sai che dovrai affrontarlo prima o poi.”
“Sì e penserò a cosa dirgli per tutto il viaggio di ritorno.”
Lui annuisce.
“Ascolta, ho bisogno di parlare con Derek, potresti far finta di guardare la tv o qualcosa del genere?”
Lui annuisce, io vado in cucina, il mio amico sta bevendo una birra appoggiato al piano di lavoro.
“Ciao, Ava. Sono tanto felice per te.”
Io sospiro.
“Non mi mentire, per favore.”
“Ok, la verità è che non sono affatto felice di vederti partire e sono geloso di Jack, perché lui è riuscito dove io ho fallito.”
“Tu hai una cotta per me.”
Lui annuisce e beve un altro po’ di birra.
“Mi dispiace, vorrei tanto poter ricambiare, ma non posso. Sappi che ti voglio bene, comunque sei una delle persone più belle che io abbia incontrato.
Io non volevo illuderti e se l’ho fatto in qualche modo mi dispiace molto, avevo bisogno di affetto e sono stata egoista: non ho pensato a come avresti reagito tu.
Mi dispiace.”
Dai miei occhi sfugge qualche lacrima, lui si avvicina e me le asciuga.
“Ssh! Buona!
Non è colpa tua, sapevo perfettamente che il tuo cuore apparteneva a quel ragazzino, ma speravo che ci mettesse di più a trovarti, così magari  tu ti saresti accorta di me come possibile ragazzo.
Abbiamo fatto un buon lavoro, ma non abbastanza, lui ti ha trovata ed è naturale che tu sia tornata da lui.
In fondo ho sempre saputo che sarebbe finita così, ma volevo illudermi del contrario.
Va’ e sii felice, e se quel cretino ti manca di rispetto o ti tratta male chiamami, ci penso io a insegnarli l’educazione.”
Io sorrido e lo abbraccio con tutte le mie forze.
“Ti voglio bene, Derek. Hai fatto tanto per me, vedrò di restituirti il favore appena posso.”
Lui scuote la testa.
“Non ti devi preoccupare, va bene così.”
Io non dico nulla, poco dopo entra Jack. È imbarazzato, ma cerca di non darlo a vedere.
“Ehm, ragazzi. Ho prenotato un volo per domani sera alle otto.”
“Ok, grazie mille Jack.”
Lascio il mio amico in cucina e seguo Jack, abbiamo entrambi una faccia stanca e così filiamo a dormire.
Il giorno dopo facciamo le valige e io sono in preda alla malinconia, mi mancherà questo posto, più di quello che Jack possa immaginare. È il primo  posto dove mi sono sentita a casa e indipendente, non ero più la figlia di Tom DeLonge, ma una persona qualunque.
Finite le valige ci portano in aeroporto, io abbraccio con calore Ashley, Mickey e Derek, augurando loro buona fortuna con le lacrime agli occhi.
Addio parentesi, si torna alla mia vecchia vita.
La mia fuga è finita per lo stesso motivo per cui è iniziata.
Buffo.

Angolo di  Layla.

E così siamo arrivati all'ultimo capitolo, lunedì prossimo metterò l'epilogo e poi daremo addio anche a queste storia.

Ringrazio staywith_me, DeliciuosApplePie e giulss182 per le recensioni.

 

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Capitolo 9
*** Epilogo:San Diego, California. ***


Epilogo:San Diego, California.

 

Tornare a San Diego non è stato facile.
Al nostro arrivo in aeroporto c’erano quasi tutti: mio padre, mia madre, Jonas, Mark e Skye, della famiglia Barker nemmeno l’ombra.
Immagino che mio padre abbia vietato a Landon di avvicinarsi a me, cosa inutile dato che non ho intenzione di rivedere quel ragazzo più dello stretto necessario.
Lo vedrò a scuola forse o forse no. Visti i guai in cui si caccia continuamente mi hanno detto che Travis è indeciso se continuare a farlo frequentare la nostra scuola o spedirlo in una scuola privata severissima, se non all’accademia militare.
La cosa non mi causa nessun dispiacere, Landon mi ha presa, usata e buttata via.
La mia cotta per lui si è sciolta come neve al sole e la mia amicizia anche, stando così le cose i Somewhere in Neverland hanno un problema: non hanno più un batterista.
Io e Jack abbiamo già affisso l’avviso a scuola, speriamo che qualcuno si presenti ai provini, io non voglio smettere di suonare nella band.
La musica è l’unica cosa che mi è mancata di questo posto, quando ho finalmente potuto suonare di nuovo la mia chitarra è stato come ritrovare una vecchia amica, mi sono sentita benissimo.
Finalmente ho ritrovato una parte di me stessa che mancava, mi sono detta ed è così, non posso stare troppo a lungo senza la musica. A Montreal Derek stava riparando una chitarra per me, perché stressavo tutti.
Con mia madre le cose si sono messe a posto quasi subito, è bastato un abbraccio e l’ho perdonata all’istante, so che lei ha capito tutto: dalla storia con Landon alla mia fuga da casa.
Povera mamma, chissà che spavento si è presa! Non era nemmeno del tutto d’accordo con la punizione che mi aveva dato mio padre.
Mio padre..
Al momento i nostri rapporti sono educati più che altro, dell’antica complicità è rimasto poco.
Nel cuore ho un grumo di rabbia e dolore che non riesce a sciogliersi, per farla breve non riesco ancora a perdonarlo per come mi ha trattata dopo avermi beccata con Landon.
Non me l’aspettavo, era sempre stato un padre affettuoso e giocherellone con me, non mi è piaciuto scoprire questo lato di lui.
Jack dice che sono troppo severa nel giudicarlo e che era davvero preoccupato per la mia sparizione, il senso di colpa non lo lasciava vivere.
“Tu non c’eri Ava, ma ti posso assicurare che era fuori di testa dalla paura.
Quando non era in qualche sperduto villaggio messicano, suonava continuamente la tua chitarra per sentirti vicina.”
Io ho alzato un sopracciglio quando me l’ha detto. Mio padre che suona la mia chitarra?! Impossibile!
Jack sembra incredulo davanti al fatto che non gli credessi. La vecchia Ava l’avrebbe fatto probabilmente, la nuova Ava sa che le persone possono mentire, nascondere bene i loro veri sentimenti, fare qualcosa solo per soldi o chiederti soldi per poter fare anche le cose più ovvie.
Stare per strada mi ha temprato e levato parecchie illusioni sulla bontà della gente, ad alcune persone sono grata – le suore, quelle che stavano alle mense dei poveri, a qualche barbone – a Derek voglio bene, ma suppongo che lui sia quella che chiamano eccezione alla regola.
In ogni caso, ora sono in casa da scuola, mia madre mi ha lasciato delle lasagne nel forno a microonde e io le ho scaldate e mangiate.
Sto per salire in camera mia – per fare i compiti e cercare disperatamente di recuperare quello che ho perso durante il mio stare a Montreal durante le vacanze di Natale – quando sento una melodia familiare.
Qualcuno sta suonando la mia chitarra! Jonas è un microbo morto!
Entro in camera come una furia – decisa a dare una lezione a mio fratello – ma quando vedo chi la sta suonando quasi cado per terra per lo shock: è mio padre.
Smette non appena mi vede e appoggia la chitarra sul letto, come se avesse preso la scossa, e mi guarda colpevole.
“Papà, come mai stavi suonando la mia chitarra?”
Articolo io a fatica, forse è meglio se mi siedo sulla sedia della scrivania.
“Beh, è un’abitudine che ho preso quando tu non c’eri, mi faceva sentire meno solo.
Non lo farò più, promesso.”
Rimaniamo un attimo in silenzio.
“Ava, non puoi perdonarmi?
Non possiamo tornare come prima?”
“Non voglio che tu mi ferisca ancora e mi faccia sentire una puttana se faccio qualcosa con un ragazzo, Jack.”
Lui sospira.
“Ava, per me è difficile accettare che tu sia cresciuta. Tu per me sei e rimarrai sempre la bambina con le ginocchia sbucciate che veniva a farsi consolare da me perché non riusciva a imparare ad andare con lo skate. Faccio fatica a vederti come un’adolescente che ha certi bisogni.
Cercherò di essere meno invadente e più comprensivo, ma, ti prego, dammi un’altra possibilità.”
Non so cosa dire, così lo  abbraccio e ritrovo il padre che conoscevo, il mio porto sicuro.
“Sì, papà ti darò un’altra possibilità, basta che tu non impazzisca quando Jack verrà a casa.”
“Non lo farò, te lo prometto.
Perché non mi racconti un po’ quello che ti è successo durante la tua assenza?”
Io mi lancio in un racconto particolareggiato della mia fuga, di Derek, di Ashley e Mickey e della nostra casa a Montreal e di come vorrei fare qualcosa per ricambiare.
Lui ascolta e poi mi scompiglia i capelli.
“Qualcosa ci inventeremo, adesso cerchiamo di festeggiare il Natale bene, ok?”
“Ok.”
Sospiro io.
Spero non si dimentichi della sua promessa, mi sento molto in debito con quei tre ragazzi e in ansia per Ash e il bambino. Come faranno a crescerlo?
Riusciranno a pagare l’affitto senza il mio aiuto e mio padre farà veramente qualcosa per loro?
In passato non avrei dubitato delle sue parole, ora sono un po’ scettica, ho il sospetto che mi dica quello che voglio sentirmi dire solo per non vedermi scappare un’altra volta.
In ogni caso il giorno dopo è Natale ed è uno strano Natale, non siamo dalla nonna, ma a casa nostra insieme agli Hoppus. Mio padre dice che è per rinsaldare l’amicizia tra di loro, io sono convinta che abbia paura della reazione di mia nonna.
Non appena vedo Jack dimentico tutte le mi congetture, lo abbraccio e lo bacio, è sempre bello rivedere il proprio  ragazzo, no?
Mio padre mi lancia un’occhiata di rimprovero, ma mia madre gli rifila rapidamente una gomitata nello sterno facendolo piegare in due.
Ci sediamo tutti a tavola, iniziamo a mangiare e chiacchierare, c’è una bella atmosfera, quasi come quella che c’era prima che me ne andassi. Immediatamente mi vengono in mente Derek, Ashley e Mickey, come staranno festeggiando il Natale?
Spero bene.
Jack mi guarda interessato.
“Stai pensando a loro?”
Io annuisco.
“Se la caveranno e poi sbaglio o tuo padre ha promesso di aiutarli?”
“Non so se fidarmi. Penso mi prometterebbe la luna pur di farmi rimanere, qualcuno ha risposto al nostro annuncio per la band?”
“Un paio di persone, prima dell’ultimo dell’anno potremmo fare loro un provino.”
“Ok, sta bene.”
Continuiamo a mangiare.
Gli Hoppus rimangono fino alle quattro di pomeriggio, poi se ne vanno e io ne approfitto per uscire con Jack, ho voglia di stare da sola con lui.
Non appena abbiamo superato il nostro isolato alzo le mani in uno strano gesto di vittoria.
“Finalmente, non ne potevo più!”
“Perché? Tuo padre è stato bravo.”
“Se escludi le occhiate omicide che non è riuscito a trattenere un paio di volte, sì.”
Lui ride.
“Ava, è Tom DeLonge e questo significa che è geloso delle sue donne.”
Io sbuffo.
“Dai, non pensarci! Quella panchina riparata dalla neve sotto quel pino del parco aspetta solo noi.”
“Hai ragione!”
Mano nella mano entriamo nel parco silenzioso, solo i nostri passi fanno scricchiolare la neve, stranamente caduta per il Natale. Una volta era una piacevole novità, adesso ci sono abituata in un certo senso.
Ci sediamo e lui mi fa sedere in braccio a lui e appoggia la testa nell’incavo del mio collo.
“Mi sei mancata in questi mesi e mi sono dato dello scemo trecento volte al giorno per averti lasciato andare.”
“Adesso sono qui però e non ho intenzione di scappare, al massimo scappiamo insieme.”
Lui ride, alza il volto e mi bacia.
“Non riesci proprio a stare calma, eh Ava?
Prima la misantropia, ora questo volere scappare.”
“Sono un’adolescente nel pieno periodo delle cazzate, ricordatelo!”
“Giusto, sto con una ragazza pericolosa, me lo devo ricordare.”
“Uff, non è così difficile! Basta assecondarmi e poi saremo come Bonnie e Clyde!”
Lui sbuffa.
“Oh, è sempre stato il sogno della mia vita finire crivellato di proiettili!”
“Ma prima della morte avresti vissuto avventure incredibili!”
“Che ne dici di Bette Davis e Gary Grant?

You're my Bette Davis; I'm your Cary Grant.
“Lets make love all night; forget about the prohibition.” 
“The great depression's over, lets have a drink to that. “
“We'll stay young forever, living in a Silver Screen Romance.

Concludiamo insieme una canzone dei Good Charlotte e poi scoppiamo a ridere nello stesso momento.
“Anche così va bene, ti amo, Jack!”
“Anche io, Ava!”
 

Il giorno dopo Natale lo passiamo da mia nonna e come previsto rimprovera Tom per essere il solito impulsivo ed esagerato e poi rimprovera me per aver ereditato questo tratto del suo carattere.
Finite le prediche ci offre un pranzo da urlo, è sempre stata brava a cucinare, ma questa volta ha superato sé stessa. Non ho mai mangiato cose così buone.
“Spero che nessuno decida di scappare di casa l’anno prossimo.”
“Quello dopo posso?”
Lei mi guarda e il sorriso sparisce dalla mia faccia, mi dico che è meglio evitare altre battute del genere, sono fuori luogo.
“Beh, sarebbe una fuga legale. Andrai all’università.”
“Devo? Papà ha avuto successo e una bella vita anche senza fare l’università.”
“Il fatto che tuo padre sia stato fortunato non ti autorizza a non andarci.”
“Ok.”
In fondo potrebbe essere divertente andare all’università, potrei trovare un batterista alla band nel caso fallissi ora.
Il resto del pranzo prosegue tranquillamente, l’argomento della mia fuga viene totalmente accantonato e si parla di altro.
È un clima sereno, natalizio e mi piace molto.
A fine pasto ci scambiamo i regali e io ricevo da mio padre la sua vecchia chitarra rossa e bianca, piena di adesivi, mi metto a urlare dalla gioia e gli salto praticamente in braccio.
“Grazie papà! È un regalo meraviglioso!
Non vedo l’ora di poterla suonare!”
Lui sorride.
“Ti lamentavi sempre che non ti lasciavo usare le mie chitarre, adesso questa è tua e spero ti porti tanta fortuna.”
Le lacrime iniziano a scendere senza controllo dai miei occhi, ci abbracciamo e in questo momento sento che tutto è andato a posto tra di noi.
Abbiamo fatto pace.
Alle cinque arriviamo a casa e sul cellulare arriva un messaggio di Jack, mi dice che ha fissato le prove per i batteristi per domani alle dieci di mattina nel suo garage.
Credo che a qualcuno cadrà la mascella quando si vedrà ammesso a casa Hoppus.
“Che succede, Ava?”
“No, nulla. Jack mi ha appena avvisata che domani ci saranno i provini per i batteristi e mi sono immaginata la mascella di qualcuno cadere vedendo dove proveranno.”
Mio padre scoppia a ridere.
“Mark sarà felice di avere tanti ammiratori, gli è sempre piaciuto parlare con i fan.”
“Tu no, tesoro. Tu sei timido quando si tratta di parlare con loro.
“Ognuno è fatto a modo suo.”
Mio padre scrolla le spalle e si siede a guardare la tv.
Io sono eccitata ai limiti del possibile, prima la chitarra, poi il messaggio di Jack, la band sta ritornando!
Il mio pensiero va per un attimo a Landon, poi se ne torna sulla prova dei batteristi. Landon mi ha ferita e usata, ha mostrato di non tenere alla band e di non tenere nemmeno a me come amica, per me ha cessato di esistere.
Che esca con le sue sgualdrine, noi andremo avanti senza di lui!
Il giorno dopo mi alzo prestissimo, alle sei per la precisione. L’unica volta che mi sono alzata così presto è stato quando mio padre mi ha portato a Disneyland e non riuscivo a stare a letto per l’eccitazione.
Oggi è la stessa cosa, mi faccio una lunga doccia, faccio colazione, guardo una replica mattutina di Naruto e poi mi alzo lentamente dal divano.
Esco, fumo lentamente una sigaretta e poi non so cosa fare.
Preparo la colazione per tutti e vengo ringraziata, finalmente arrivano le nove e mi sembra un orario decente per cambiarmi e andare da Jack.
Mi metto un paio di jeans scuri e stracciati, una maglia a righe nere e bianche con lo scollo ampio e una felpa dei Rancid. Carico in macchina la chitarra acustica, la mia nuova chitarra elettrica , ampli, jack e tutti quello che serve.
Arrivo a casa del mio ragazzo alle nove e mezza e non appena lo vedo ci baciamo appassionatamente, poi lo prendo per mano e lo trascino alla macchina.
“Guarda che regalo mi hanno fatto!”
Con aria di trionfo tiro fuori la chitarra rossa di mio padre lasciandolo di stucco.
“Vuoi dire che quella meraviglia adesso è tua?”
“Esattamente, Jack.”
“Dio, è meraviglioso!”
Entriamo in casa e ci buttiamo sul divano, alterniamo il giocare alla play con baci e dispetto sotto lo sguardo benevolo di Mark.
“Skye, non sono assolutamente adorabili?”
“Sì, ma se continui a fissarli così sembri un guardone.”
Mark sbuffa, fa qualche passo per allontanarsi, poi nota la chitarra.
“Tom ti ha finalmente concesso di usare una delle sue chitarre?”
“Non proprio, me l’ha regalata.”
Mark mi guarda incredulo.
“Papà, potresti prendere esempio da lui.”
“Assolutamente, no.”
Jack sbuffa e incrocia le braccia, io gli do un bacetto sul naso e il malumore gli passa subito.
Alle dieci suona il campanello, si presentano due ragazzi: uno alto e magro, con dei lunghi capelli scuri raccolti in un coda e uno con una faccia da bambino, piccoletto, con i capelli biondi e gli occhi blu.
Li accompagniamo in garage e ascoltiamo come suonano, il moro sembra a disagio e non riesce a combinare granché, alla fine ammette che gli piacerebbe di più suonare in un gruppo metal.
Ora resta solo il biondino che ci offre un’ottima prestazione, niente di troppo complicato, ma perfetto per un gruppo punk da garage senza troppe pretese.
“Come ti chiami?”
Gli chiedo curiosa.
“Benji Raynor.”
Io e Jack sgraniamo gli occhi nello stesso momento.
“Raynor?!”
“Uhm sì. Perché siete così sconvolti?”
“Non sarai il figlio di Scott, il primo batterista dei blink?”
Lui sorride.
“Sì, sono io. Che cosa curiosa riformare i blink, eh?”
“Abbastanza, chissà cosa diranno i nostri?”
Lui alza le spalle.
“Chissenefrega,no?
In fondo sono cose passate.”
“Come sta tuo padre?”
“Se vuoi sapere se beve ancora, è da sei mesi che non tocca alcool, alla fine io e mamma siamo riusciti a riportarlo sulla retta via.”
“Beh, buon per voi, magari anche i nostri saranno felici di saperlo.”
“Non lo so, cosa ne dite se proviamo?”
“Io dico che è una buona idea.”
Esclamo spavalda. Ci mettiamo ai nostri strumenti e cominciamo a suonare una cover dei My Chemical Romance, giusto per ambientarci. Funzioniamo bene come gruppo, pensavo peggio.
Dopo un paio d’ore la porta del garage si apre e Mark fa la sua comparsa.
“Allora, ragazzi, trovato il batterista?”
Noi annuiamo.
“È lui, si chiama Benji Raynor.”
“Raynor?”
“Sì, sono il figlio di Scott.”
Mark si appoggia pericolosamente a una parete e guarda Benji come se fosse un alieno.
“Certo che la vita è strana.”
Borbotta tra sé.
“Beh, divertitevi, anzi no, cosa sto dicendo?
Jack, dobbiamo andare dai nonni. Sali e fatti una doccia.
Ava, ha chiamato tuo padre e ha detto che oggi dovete andare a pranzo dai genitori di Jen.”
Io sospiro.
“Quindi non ci rimane altro che smontare gli strumenti e metterci d’accordo per le prossime prove.”
“Esattamente.”
“Ok, visto che Mark dice che questa sessione è finita cosa ne dite del 29 o qualcuno ha impegni?”
Sia Jack che Benji scuotono la testa.
“Bene, e che il 29 sia. Adesso vado, ciao ragazzi!”
Jack e Benji mi aiutano a caricare in macchina le cose, io sono felice mentre guido verso casa mia.
Lentamente le cose si stanno sistemando, ora devo solo sperare che mio padre si ricordi di Ashley, Mickey e Derek.
Mi mancano e vorrei che anche loro si sistemassero, non voglio essere io l’unica fortunata del gruppo.
Arrivata a casa sento mio padre e mia madre confabulare tra di loro, smettono non appena arrivo io, che strano.
Cosa staranno combinando?
La cena dai nonni e le prove vanno bene, Benji si integra perfettamente con me e Jack, sembra nato per suonare con noi.
Mark ci chiama scherzosamente i blink 2.0, mio padre dice che il destino alle volte è davvero strano. In ogni caso tra di noi va bene ed è solo questo che conta.
La vigilia dell’ultimo giorno dell’anno mi sveglio piuttosto tardi e mentre scendo le scale per fare colazione sento delle voci familiari, ma che non possono essere qui,
Ash, Mickey e Derek dovrebbero essere a Montreal.
Mi affretto a scendere le scale e li trovo in salotto, li abbraccio tutti e tre.
“Come mai siete qui?”
Ashley sorride.
“Tuo padre ha offerto a Mickey il posto di giardiniere e io mi occuperò della casa quando sarò in grado di farlo.”
“Ma è meraviglioso! Grazie, papà!”
“Di nulla, piccola.”
“E tu Derek?”
“Visto che tu mi hai detto che sa fare più o meno di tutto ho deciso di dargli una possibilità come apprendista tecnico del suono degli Ava.”
“Grazie mille, papà!”
Abbraccio di nuovo Derek che sorride.
Ecco così è tutto perfetto.
Qualche mese dopo mi rendo conto che è effettivamente perfetto, Mickey e Ashley si sono ambientati benissimo e tra qualche giorno Ash partorirà e mio padre sembra soddisfatto di Derek.
C’è anche un’altra persona soddisfatta di lui: Ginger.
I due hanno iniziato a uscire insieme e sembra che la cosa funzioni, così come la mia con Jack.
La band va alla grande.
Meglio di così non poteva andare e io finalmente mi sento felice.
Che bello!

Angolo di Layla

Ringrazio staywith_me e DeliciousApplePie per le recensioni.

Ringrazio per aver messo questa storia tra le preferite: Carousel, DeliciousApplePie, Destroyer Cactus e _Stupid Wise_.

Ringrazio per aver messo nelle seguite: FamousLastWords, LostinStereo3 e Rachel DeLonge.

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