Renegade (keep running). di Layla (/viewuser.php?uid=34356)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1)La figlia della rockstar. ***
Capitolo 2: *** 2) Stelle piene di alieni (o forse no). ***
Capitolo 3: *** 3) Un cavaliere in disgrazia ***
Capitolo 4: *** 4)Come i bambini sperduti delle favole. ***
Capitolo 5: *** 5)Vancouver. ***
Capitolo 6: *** 6) Kate e Ramon. ***
Capitolo 7: *** 7)È lunga la strada per il para...MONTREAL. ***
Capitolo 8: *** 8)La mia fine con te. ***
Capitolo 9: *** Epilogo:San Diego, California. ***
Capitolo 1 *** 1)La figlia della rockstar. ***
1)La figlia della rockstar.
Una
melodia esce
lenta dalla mia chitarra.
La chitarra è la
mia migliore amica: quella che ci sarà sempre quando
avrò bisogno di aiuto,
quella che non mi sorriderà mai in modo falso, quella che
non mi cercherà solo
perché sono la figlia di qualcuno.
La chitarra è
sincera, se la tratti bene suona bene, se la tratti male ti ripaga con
la
stessa moneta.
Non ho mai
conosciuto sincerità nelle persone – eccetto nei
miei genitori e in tre persone
– ma ne ho sentita parecchia nella mia chitarra.
Se faccio un errore
suona male, non mi dice che non fa niente e che me lo perdona
perché mi chiamo
Ava DeLonge.
Sì, esatto, sono
la figlia di Tom DeLonge, chitarrista dei Blink-182.
Non posso
lamentarmi di lui come padre – solo ogni tanto è
possessivo – ma del peso del
suo cognome sì. Ci sono molti fan dei blink e degli AvA alla
mia scuola e tutti
vogliono conoscere il pazzo che corre nudo per strada o il poeta.
Nessuno vuole mai
conoscere me troppo a fondo, io sono solo il tramite, mio padre
l’obbiettivo.
Gli unici di cui
mi fido sono Jack, Landon e Alabama e forse lo faccio solo
perché anche loro
hanno lo stesso mio problema.
In ogni caso tra
me, Jack e Landon c’è una bellissima amicizia,
abbastanza forte da farci
decidere di creare anche noi una band. il nome l’ho scelto
io: Somewhere in
Neverland, come la canzone degli All Time Low.
Jack ha storto un
po’ il naso, dicendo che la mia cotta per Alex Gasgarth stava
raggiungendo
livelli paurosi, io l’ho zittito tirandogli addosso la mia
kefia.
A sedici anni
decido io cosa fare, visto che decido come vestirmi e posso guidare.
Mi vesto quasi
sempre di nero, cosa che si intona perfettamente al colorito pallido
della mia
pelle, ai capelli blu e ai piercing al labbro, uno su ogni lato.
Jack ha una bella
cresta bionda e si veste da skater, Landon invece si veste da vero punk
–
chiodo di pelle, pantaloni scozzesi stretti, anfibi alti – e
ha una testa di
capelli rosso semaforo molto
spettinata.
È bellissimo
Landon e suona la batteria divinamente, mi è sempre
piaciuto, ma non mi sono mai
fatta avanti. Anche Jack è molto bello, ma al momento per me
è solo un amico e
credo sia così anche per lui, sebbene – per un
motivo o per un altro – abbia
bocciato tutti i miei
ragazzi come ha
fatto mio padre.
Ora però non c’è
tempo per le farneticazioni, quei due stanno arrivando e
sarà meglio fargli
trovare il garage in ordine. Ho provato a convincere mio padre a farci
usare il
suo studio casalingo, ma la risposta è sempre stata no,o gli
serve per gli Ava
o gli serve per i blink.
Zio Mark mi ha
battuto una mano sulla spalla in segno di comprensione, dicendomi che
Tom è
molto geloso delle cose a cui tiene.
Uffa.
“Avaaa!”
Un urlo mi fa
cadere dallo sgabello su cui ero appollaiata. Dalla mia prospettiva
ribaltata
vedo Jack avanzare nella stanza.
“Stronzo! Perché
mi hai chiamata così?
Adesso mi aiuti
ad alzarmi!”
Lui mi tende una
mano mentre sbuffa.
“Come avrei
dovuto chiamarti?”
“In un modo più
civile, ad esempio. Sono sicura che tua madre ti abbia insegnato come
si
faccia.”
“Pensavi ancora
al tuo Alex?”
“Scemo.”
Lui si guarda
intorno e nota il caos che ancora regna nel garage, poi sospira.
“Dai, ti do una
mano a sistemare o Landon non ce la farà mai con la sua
batteria così.”
Io annuisco e
insieme cominciamo a spostare scatole e scatoloni, dando un assetto
più
ordinato al garage di casa mia, ora è abbastanza spazioso e
la batteria di
Landon dovrebbe starci.
“Cosa diavolo ha
questo tizio da mandarti fuori di testa?”
Io alzo le spalle
e accetto una delle ciambelle che mi porge Jack.
“È figo, ok?”
Lui scuote la
testa.
“Ti preferivo
nella fase in cui avevi in testa solo l’omicidio.”
“Guarda che
quella fase non mi è passata e abbiamo un giardino
abbastanza grande.”
Faccio io
ammiccando, lui deglutisce e il suo pomo d’Adamo fa su e
giù più velocemente.
“Scherzavo. Però
è bello sapere che non ho perso il mio tocco.”
Lui borbotta
qualcosa come un: “Vorrei sapere da chi hai ereditato questa
vena macabra!”,
che mi fa ridere.
“Ma il basso te
lo sei dimenticato a casa?”
“No, l’ho
lasciato fuori dal garage, non so perché ero quasi certo che
tu ti fossi
dimenticata di sistemare la baracca. Adesso vado a prenderlo.”
Poco dopo
riappare nientemeno che con il mitico basso rosa di Mark Hoppus e una
fitta di
invidia si fa sentire. Quanto vorrei che mio padre mi lasciasse usare
una delle
sue chitarre!
“Non sai quanto
ti invidio!”
“E tu non sai
quanto ho dovuto pregare mio padre perché me lo lasciasse.
Ho dovuto
rassicurarlo in centomila modi diversi che non l’avrei rotto
e che l’avrei
trattato bene!”
Io sospiro, però
alla fine Mark si è lasciato convincere, mio padre invece
è più testardo di un
mulo e mi ha sempre detto di no.
Non mi crogiolo
molto nel mio malumore perché arriva Landon e
automaticamente sorrido,
nonostante le occhiate esasperate di Jack. Perché si
comporta così?
“Ciao, ragazzi!
Scusate, ma mio padre non mi lasciava più andare.”
“Farti vedere con
una canna non aiuta certo.”
Sputa acido Jack,
io gli lancio un asciugamano per zittirlo.
“Non hai tutti i
torti, amico.
Beh, adesso sono
qui, proviamo.”
Jack annuisce ed
esce ad aiutarlo con la batteria, un quarto d’ora dopo
è tutto montato e le
prove possono iniziare. Per ora facciamo cover dei blink, degli All
Time Low e
dei My Chemical Romance, abbiamo pochi pezzi nostri e non sappiamo se
siano
buoni o meno.
A metà delle
prove il cellulare di Landon suona e siamo costretti a interrompere,
dal tono
battagliero con cui risponde suppongo sia sua madre, nemmeno Shanna ha
preso
bene la faccenda della canna.
Ritorna dieci
minuti dopo con una faccia furiosa e si rimette alla batteria senza
spiccicare
parola, sua madre deve averlo strigliato per bene e Landon odia le
strigliate.
Continuiamo a
provare per un’altra ora, poi smontiamo tutto. Vorrei
salutare Landon e
parlarci un po’ nella speranza che mi veda come una ragazza
interessante e
migliore di quelle che si porta a letto, ma non ne ho il tempo.
Lui schizza via,
lasciandomi come un’allocca sulla porta del garage. Jack
scuote la testa e se
ne va, trascinandosi dietro la sua roba.
Non riesco a
capire perché ultimamente sia così strano e
infastidito da Landon, sono amici
da una vita, cosa c’è che non va?
Sinceramente i
ragazzi non li capisco.
Con l’aria un
po’abbattuta porto la mia roba in camera mia e mi sdraio sul
letto guardando a
lungo il poster degli All Time Low in attesa di
un’illuminazione divina che non
arriva.
In compenso
arriva mia madre con il cesto del bucato.
“C’è niente da
lavare?”
Io guardo il
mucchio dei vestiti che c’è dietro la porta e lo
passo in rassega, alcune cose
sono effettivamente da lavare e gliele consegno, altre le
metterò all’aria
dopo.
“Come mai le
prove sono finite così presto?”
“Landon era
incazzato con i suoi genitori, non mi ha neanche parlato e nemmeno
Jack. Non so
cosa gli prenda ultimamente, sembra infastidito da Landon.”
Mia madre sorride
in maniera inesplicabile.
“Ti piace Landon,
eh?”
Io arrossisco,
lei mi guarda con lo stesso sorriso di prima.
“Stai attenta a
quello che fai, potresti ferire qualcuno senza volerlo.”
Se ne va
lasciandomi perplessa.
Chi dovrei
ferire?
Mi ributto sul
letto pensando che oggi sono tutti matti, spero che mio padre sia sano
almeno
lui oggi visto che stasera mi ha promesso lezioni di chitarra.
La
sera arriva
presto, ma quando entro nello studio di mio padre non trovo lui, ma
David.
“Ciao, David.
Dov’è mio padre?”
“Tra poco arriva,
i blink hanno fatto più tardi del solito, così ho
pensato di tenerti compagnia.”
Io sorrido e mi
siedo.
“Grazie è stato
davvero un bel pensiero.”
Lui sorride
ancora e io prendo in mano la mia chitarra, lasciando scorrere
pigramente le
mani sulle corde, lasciando che escano cose a caso.
“Bello, ma io lo
farei così.”
Si alza dalla
sedia e mi corregge la posizione delle mani, io riprovo a suonare
quello che
stavo suonando prima ed effettivamente è molto meglio ora.
“Grazie, David!”
Continuiamo così
ancora per un po’, tanto che quando mio padre effettivamente
arriva, non me ne
accorgo nemmeno perché sono troppo impegnata a scambiarmi
idee e consigli con
David.
Un “ehm ehm!” si
fa sentire e io mi volto, trovandomi davanti al sorriso ironico di mio
padre.
“Prego,
continuate pure senza di me!”
David sbuffa e si
alza dalla sedia.
“Ma piantala di
fare il geloso!”
Tom alza gli
occhi.
“E tu trovati una
ragazza, Kennedy!”
“Non credo di
doverlo fare visto che è stata lei a trovare me.”
“Che cazzo vuoi
dire? David? DAVID?”
L’eco dell’urlo
di mio padre si confonde con quello della risata di David che non ha
voluto
dirgli chi ha trovato come ragazza.
In ogni caso, io
e mio padre riprendiamo la lezione e – tra mille piccoli
attriti e litigi – la
finiamo.
Quando mi alzo
dalla sedia sono soddisfatta e schiocco un bacio sulla fronte di mio
padre.
“Buonanotte,
papà!”
“Buonanotte, tesoro!”
Tutto sembrerebbe
ok, solo che la mia testa decide di giocarmi dei brutti scherzi
stanotte.
Dormo malissimo,
ho la testa piena di incubi e la mattina dopo mi sveglio spaventata,
vorrei
rimanere a casa, mia madre però è inflessibile e
mi manda a scuola lo stesso.
Salgo sul pulmino
giallo con l’umore sotto i piedi e mi siedo vicino alla
teppista della scuola,
così sono sicura che nessuno mi rivolgerà la
parola.
Lei grugnisce.
“DeLonge, perché
cazzo ti sei seduta qui?”
“Perché non avevo
voglia di parlare con nessuno, nemmeno con te.”
Lei sbuffa e non
dice nulla per fortuna.
A scuola trovo
Jack vicino al mio armadietto e più in là Landon
si sta baciando con una
cheerleader, non so cosa ci trovi in quelle oche.
“Passato il
malumore?”
“Sì, ma vedo che
è venuto a te.
Non vedo perché
ti faccia il sangue amaro per Landon, lo sai come è
fatto.”
Io sbuffo.
“Forse perché mi
piace.”
Jack impallidisce
e mi lascia da sola, tanto lo becco a letteratura inglese dopo.
“Sei veramente
poco sensibile, DeLonge.”
La teppista della
scuola – Maria Gonzalez, detta Ginger– mi rivolge
di nuovo la parola.
“Scusa?
“Ho detto che sei
poco sensibile, DeLonge.”
“Perché
Gonzales?”
“Perché non vedi
un ragazzo meraviglioso, anche se ce l’hai sotto il
naso.”
“Ma chi? Landon?”
Lei sbuffa e i
capelli verdi che le erano caduti sugli occhi si alzano.
“Lascia perdere,
sei un caso perso.”
Se ne va, io non capisco.
So solo che
quando vedo Landon e la vacca passarmi davanti il mio progetto di
seguire la
lezione di letteratura con Jack salta completamente e mi rifugio in
bagno a
piangere.
Sfortunatamente
lo trovo di nuovo occupato da Ginger, che non appena vede le mie
lacrime sbuffa
e mi trascina sotto le gradinate dello stadio.
“Si può sapere
cosa vuoi?”
“Niente, ti ho
solo evitato domande imbarazzanti, dato che il bagno era pieno di
amiche della
cheerleader, qui puoi piangere quanto vuoi!”
Io non dico
niente.
“Cosa ci trovi in
Barker?”
“È figo e poi è
una brava persona.”
“Non è il ragazzo
adatto a una relazione seria, questo dovresti saperlo.”
“Posso fargli
cambiare idea.”
Lei non dice nulla e mi lascia da sola.
Rientro nella
scuola in tempo per la seconda ora, che è matematica e che
seguo con Jack.
“Si può sapere
dove eri? Ti ho cercata prima.”
Poi vede i segni
delle lacrime e smette di essere così aggressivo.
“Piangi ancora
per Landon?
Lascialo perdere,
è il mio migliore amico, ma non è adatto per
te.”
Io non dico
niente, è la seconda persona nell’arco di due ore
che mi dice di lasciarlo
perdere, io però sono testarda e quando voglio qualcosa lo
ottengo.
Otterrò Landon
prima o poi!
Matematica la
seguo piuttosto svogliatamente e durante la lezione seguente
– educazione
fisica – ricevo una pallonata in faccia che mi esonera dal
resto delle partite
di pallavolo.
Casualmente
finisco seduta proprio vicino a Landon.
“Ehi, Ava. Stai
bene?”
Io mi tocco la
faccia: è gonfia e rossa.
“Sono stata
meglio, tu come mai non giochi?”
“Ho una
giustificazione di mia madre che dice che ho una tendinite.”
Io sgrano gli
occhi e lui abbassa la voce.
“È falsa.”
“Ah, mi stava
venendo un infarto, visto che sei il nostro batterista.”
Lui ride.
“Sei un tesoro,
ma non ti devi preoccupare.”
Io arrossisco, mi
ha appena chiamata “tesoro”!
“Mi viene
naturale, siamo amici, no?
E a proposito,
come fai a stare con quella gatta morta?”
“Tette.”
Io guardo le mie
e mi rendo conto che sono praticamente piatta rispetto a quella, spero
che
cresceranno ancora!
“Cosa ne dici di
venire a vedere un film da me oggi?”
“Sì, va bene. A
che ora?
Alle quattro.”
“Perfetto, io
finisco le lezioni alle
due.”
Lui mi sorride e
io mi godo quella che per me è una visione paradisiaca, non
vedo l’ora di dirlo
a Jack.
Finita la lezione
vado a mensa e cerco il mio amico, lo trovo che sta parlando con Ginger.
“Ciao.”
Dico timida.
“Ciao, Ava.”
“Ciao Jack,
Ginger.”
“Ciao.”
Mi risponde lei
svogliata.
“Non sapevo che
conoscessi Jack.”
“Ci conosciamo
dalle medie, siamo amici.”
La cosa mi giunge
nuova, eppure credevo di conoscere tutto di lui, in fondo
però è giusto che
anche lui abbia delle amicizie al di fuori della nostra cerchia
ristretta.
“Come mai sei
così felice?”
“Landon mi ha
invitata da lui oggi, Jack.”
“Beh, buona
fortuna.
Andiamo a
prendere il rancio, dicono che oggi ci sia la pizza.”
È diventato di
nuovo freddo e non capisco il perché, ogni volta che nomino
Landon diventa
così.
Rimango con le
mie domande irrisolte e seguo Jack e Ginger dentro la mensa, prendiamo
tutti e
tre della pizza e occupiamo un tavolo, Barker si siede a un altro con i
suoi
amici punk.
“Come mai sei
così rossa, Ava?”
La domanda di
Jack mi distrae dalla mia contemplazione.
“No, niente ho
ricevuto una pallonata in faccia durante una partita di
pallavolo.”
“Mi dispiace.”
“Perché Landon
non si siede con noi?”
Chiedo a Jack.
“Perché lui non è
come te, riesce a farsi degli amici al di fuori di noi. Tu hai troppa
paura
degli altri per farlo.”
“Ho i miei
motivi, vogliono stare con me solo perché sono la figlia di
uno famoso, lo
sai.”
“Non tutti. Ginger
non mi ha mai chiesto di conoscere mio padre, nonostante senta i
blink.”
Io non dico nulla
e squadro la ragazza con i miei occhi blu, ereditati da mia madre.
“Se lo dici tu.”
Lui sospira.
“Ava…”
“Jack.”
“Sei un caso
perso.”
Io sbuffo.
“Può darsi che io
sia un caso perso, ma non voglio essere il tramite per nessuno. Non
voglio che
una volta conosciuto mio padre idolatrino solo lui lasciando indietro
me.”
Jack scuote la
testa.
“Vedi, Ginger,
lei ragiona così e non cambierà. È
troppo testarda per farlo.”
Lei dà una
sorsata alla sua coca.
“Ho visto, ma se
vuoi un consiglio, Delonge lascia perdere Barker come ragazzo.
Tienitelo come
amico e basta, altrimenti ne uscirai massacrata!
Io sbuffo.
Otterrò quel
ragazzo a ogni costo o non mi chiamo più DeLonge.
Finito il pranzo ci
dirigiamo alle nostre
lezioni, Ginger ha biologia in comune con me, così entriamo
insieme nella
stessa aula e – siccome nessuno vuole mai sedersi al suo
tavolo – sedute allo
stesso tavolo.
Oggi temo che
sarà una giornataccia perché il professor Milton
ha in mano un grosso scatolone
e giurerei che sia pieno di rane.
Che schifo!
“Bene, ragazzi!
Oggi sezionerete una rana per ogni tavolo.
Buon
divertimento!”
Cosa ci sia di
divertente nello squartare rane e segnarsi su un foglio
l’anatomia e quello che
sono non lo so, forse lo è se ti immagini che ci sia un tuo
nemico al posto
della rana.
L’uomo percorre i
tavoli e anche al mio e di Ginger, deposita una bella rana morta,
bianca e
flaccida.
“Non posso
credere che qualcuno queste cose se le mangi!”
Esclamo
disgustata.
“I francesi
mangiano le lumache.”
Mi risponde
Maria, sbuffando.
Iniziamo a dissezionare
la rana in silenzio, non abbiamo tanto in comune e questo lavoro non ti
invita
affatto alle chiacchiere, Milton le odia tra l’altro
Alla fine della
lezione passa tra i tavoli e si sofferma al nostro.
“Avete fatto un
buon lavoro, DeLonge e Gonzales. Complimenti!
Penso che avrete
una A.”
“Grazie,
professor Milton.”
“Di nulla, non
credevo che un’accoppiata eccentrica come la vostra avrebbe
funzionato, la vita
è strana.”
Io sorrido e non
dico nulla.
Ho preso il
massimo dei voti dissezionando una rana e oggi pomeriggio
andrò dal ragazzo che
mi piace e chissà che non succeda qualcosa, non potrei
chiedere di più.
Esco dall’aula di
scienze con un sorrisone, sto per andare agli armadietti quando Ginger
mi
blocca.
“Te lo dico per
l’ultima volta, DeLonge. Lascia perdere Landon, lui non fa
per te, lui usa le
ragazze e basta, ci staresti solo male e non pensare di riuscire a
cambiarlo.
Le persone come
lui non cambiano, a meno che non siano loro a volerlo e non credo che
Barker lo
voglia. Ne uscirai con le ossa rotte come tutte quelle che ci hanno
provato
prima di te.”
Io scuoto la
testa.
“Per me sarà
diverso!”
Esclamo prima di
andarmene, le mie parole sono suonate sicure, ma ora un piccolo tarlo
dentro di
me inizia a metterle in dubbio: e se Ginger avesse ragione?
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Capitolo 2 *** 2) Stelle piene di alieni (o forse no). ***
2) Stelle piene di alieni
(o forse no).
Ci
sono momenti
in cui è difficile decidere cosa si indosserà,
soprattutto se devi uscire con
un ragazzo e hai un padre geloso, molto geloso.
Rimango per un
po’ in piedi davanti all’armadio, poi decido di
mettermi un paio di pantaloni
da skater a tre quarti neri e una canottiera a righe rosse e nere che
arriva
sopra l’ombelico e un paio di anfibi.
Mia madre non
dice nulla, mio padre mi guarda come per dirmi se non è
troppo corta quella
maglietta.
“Io vado, ci
vediamo stasera.”
“Divertiti, Ava!”
Mi urla mia
madre.
“Stai attenta ai
ragazzi!”
Questo è mio
padre,
Io rido salendo
sulla mia macchinetta e poi mentre apro il cancello con il telecomando.
Non ho
paura dei ragazzi e ho intenzione di divertirmi oggi.
Guido fino alla
casa di Landon canticchiando vecchie canzoni dei blink e sentendomi
sempre più
eccitata e felice.
Forse – e
sottolineo forse – oggi lui la smetterà di vedermi
come un’amica e una compagna
di band per capire che sono una ragazza e anche carina, una di quelle
che
potrebbe sostituire le sciacquette che si porta a letto.
Parcheggio fuori
dalla villa e suono il campanello, il grande cancello in ferro si apre
lasciandomi entrare, io percorro lentamente il viale guardandomi in
giro.
Il giardino è curato
e molto bello, la nuova compagna di Travis ha un discreto pollice
verde, quando
c’era Shanna le piante e il prato sembravano messi a caso.
Landon mi aspetta
sulla porta, indossa una canottiera nera con delle scritte gialle che
sembrano
fatte attaccando pezzi di giornale e dei pantaloni scuri.
“Ciao, Ava! Stai
benissimo così!”
“Grazie! Ci sono
i tuoi?”
Lui scuote la
testa, i capelli rossi gli cadono davanti al volto.
“Papà sta
incidendo qualcosa con i blink e la sua compagna è al
lavoro. In una banca.
Mio padre il
punkettone per eccellenza, tatuato dalla testa ai piedi si è
scelto una donna
noiosa come poche, per non parlare delle sue due figlie che ci
detestano.”
“Mi dispiace, ma
non sembrava così quando la mia famiglia è venuta
da te.”
“Le due streghe
sono brave a nascondere quello che pensano veramente, ma prima o poi io
e
Alabama le tireremo dalla nostra parte!”
Mi risponde con
un ghigno insolente, leggermente maligno.
“Cosa vediamo
oggi?”
“Mh, non so. Oggi
un mio compagno della classe di letteratura mi ha prestato
“Shining”, ce lo
vediamo?”
“Va bene.”
È un horror e
questo mi fornirà una scusa per stare attaccata a lui e poi
chissà, magari per
altro, gli avvertimenti che Jack e Ginger mi hanno dato
si sono sciolti come neve al sole.
Non posso farci
nulla, Landon mi fa questo effetto.
Lui mette sul
tavolo delle patatine, pop corn, una bottiglia di coca e due bicchieri,
poi
infila il dvd nel lettore e si lancia sul divano.
“Speriamo sia
figo!”
Urla mentre
clicca “play” e le prime scene del film appaiono in
tv, che il divertimento
abbia inizio e che porti i suoi frutti!
Forse ne uscirò
con le ossa rotte, ma almeno ci avrò provato!
Le prime scene
sono tranquille, i guai iniziano quando Jack Torrance arriva in quel
hotel in
mezzo al nulla più assoluto e probabilmente posseduto.
Visioni, sangue
che erutta come una marea da un corridoi e io nascondo la faccia sul
petto di
Landon, almeno per un po’, poi sento il vuoto.
Si è spostato e
con una mano mi alza delicatamente il volto per far sì che i
nostri occhi si
incrocino, basta quello per dare fuoco alle polveri. In un attimo mi
ritrovo
Landon addosso e la sua lingua in bocca, gli orrori del film sono
dimenticati:
ora esiste solo lui.
Ci baciamo a
lungo, le nostre lingue sono impegnate in una lotta feroce e sono solo
vagamente consapevole delle sue mani che si infilano avide sotto la
canottiera,
le mie sono impegnate a esplorargli i capelli e il collo.
Lui si stacca e
mi guarda.
Poi lentamente mi
toglie la maglietta e il reggiseno e mi bacia il seno, io inizio a
gemere senza
ritegno: finalmente sta succedendo!
Gli tolgo la
maglia e contemplo il suo corpo magro, lui mi guarda con un ghigno, si
toglie
pantaloni e boxer e appoggia la mia mano al suo pene.
Detta lentamente
il ritmo, fino a che io non capisco come devo procedere. Continuo fino
a quando
lui non viene urlando e poi mi bacia ancora e ancora
“Sei stata
bravissima, piccola.”
Mi bacia ancora,
poi recupera le nostre cose e mi porge reggiseno e canottiera.
“Sei davvero
brava, Ava.
Mi piaci.”
“Anche tu mi
piaci.”
“E allora
continuiamo, amici con benefici, ti va?”
Io annuisco e lui
sorride, il film è finito.
Esco da casa sua
euforica e corro dalla prima persona che voglio che lo sappia: Jack.
Mi attacco al suo
campanello fino a che sua madre Skye non mi apre.
“Scusi, signora.
Vorrei parlare
con Jack.”
“È di sopra e
smettila con questo “signora!” mi fa sentire
vecchia!”
Mi sorride lei.
“Scusa,Skye.”
Salgo in camera
di Jack e lo trovo intento a trafficare con il suo skate, sembra
seccato di
sentire la porta della sua camera aprirsi, ma quando vede che sono io
sorride.
“Ehi, Ava!”
“Ehi, Jack!”
Depone con cura
lo skate sul pavimento di parquet e poi mi guarda incuriosito.
“Come mai qui?”
“Devo dirti una
cosa.”
Lui si siede sul letto e mi fa cenno di raggiungerlo, cosa che faccio
volentieri, mi lancio sul
letto e affondo nella morbidezza di coperte, lenzuola e materasso, poi
mi
rigiro e fisso il soffitto.
“Io e Landon ci
siamo baciati e io…”
“Gli hai fatto
una sega.”
Finisce piatto
per me, io mi alzo a disagio, come fa a saperlo?
“Come fai a
saperlo.”
“Perché fa così
con tutte. Le invita per un film, possibilmente horror, poi a un certo
punto le
bacia e poi riesce a farsi fare una sega.
La prossima volta
sarà un pompino, poi scoperete e lui scomparirà
dalla faccia della terra.”
Io deglutisco,
una parte di me sente che Jack ha ragione, un’altra non vuole
accettarlo.
“Con me
sarà diverso! Siamo compagni di band!”
“Si troverà
un’altra band, per lui la nostra band è solo un
passatempo, nulla di
importante.”
“Jack, non dire
stronzate!”
Le prime lacrime
minacciano di scendere, non posso credere che i Somewhere in Neverland
non
valgano nulla per Landon.
“Non sono
stronzate, è la realtà, Ava.
Mi dispiace
essere così brusco, ma è necessario che tu apra
gli occhi prima di distruggerti
la vita.”
“Smettila, sei
solo geloso! Lui ha avuto più ragazze di te!”
“Ava…”
“Ava, un cazzo!
Me ne vado. Non sarei mai dovuta venire qui, pensavo di trovarci un
amico non
un Savonarola vestito da skater!”
Me ne vado
sbattendo la porta e ignorando le sue urla che mi richiamano indietro,
saluto
di fretta sua madre e me ne vado a casa mia.
Sono amareggiata,
volevo qualcuno con cui dividere la mia gioia, non uno che mi
giudicasse
impietosamente!
Il
giorno dopo
vado a scuola di pessimo umore.
Sul pulmino mi
siedo accanto a Ginger e noto che i suoi capelli sono di un viola
accesso con
delle sfumature lillà.
Io non dico
nulla, lei non mi dice nulla, almeno sul pulmino.
Arrivate a scuola
mi tira in disparte e mi guarda fisso negli occhi, la cosa mi
infastidisce.
“Ho saputo che
ieri hai fatto una sega a Barker.”
Io arrossisco.
“Sì, e allora?”
“Allora fermati
finché sei in tempo, farà un po’ male,
ma credimi non è niente al male che
proverai tra un po’.
Ti chiederà un
pompino, farete sesso e poi lui scomparirà talmente
rapidamente dalla tua vita
che non sembrerà nemmeno che ci sia entrato.”
“Anche tu?
Jack mi ha detto
la stessa cosa, ma con me sarà diverso.”
“Ho sentito
pronunciare questa frase da tutte le ragazze che si è fatto
e una volta l’ho
pronunciata anche io. È una cazzata, i ragazzi come Landon
vogliono solo una
cosa.”
“Ma potrebbe
innamorarsi.”
“Sì, potrebbe, ma
io sono certa che non chiederebbe una sega alla ragazza che ama,
diciamo.”
Io divento quasi
viola.
“Perché mi
portate tutti sfiga?”
“Forse – e
sottolineo forse – è perché ti vogliamo
bene e siamo preoccupati per te, Ava.
Non è bello avere
il cuore in frantumi per uno stronzo.”
“Io lo farò
cambiare.”
Lei sospira e mi
lascia andare, io mi dirigo alla mia lezione di matematica avendo cura
di
sedermi lontano da Jack, che mi guarda ferito.
Forse sto
esagerando, ma lui ieri sera non avrebbe dure quelle cose su Landon,
sono
menzogne.
Landon si impegna
sempre tantissimo durante le prove, come possiamo non contare per lui?
È assurdo!
Questa è la
peggiore mattinata che il mio cervello ricordi, dovrei essere felice,
invece mi
sento triste e ferita dalle insinuazioni di Jack.
Ho l’impressione
di avere costruito, senza volerlo, un grande castello di carte e che
ora mi
stia per crollare addosso senza pietà.
No, mi dico poi,
non posso cedere allo scoraggiamento, io devo avere Landon Barker e lo
avrò o
non mi chiamo più DeLonge.
In ogni caso a
mensa è uno schifo, non mi siedo al tavolo con Jack e Ginger
e non ho il
coraggio di sedere al tavolo
di Landon,
che mi ha salutato e fatto l’occhiolino.
Ho sentito
qualche crepa nel mio piano, l’impressione che forse
– per la prima volta in
vita mia- non sarei riuscita ad avere quello che volevo.
Finito il pranzo
Landon mi ha trascinato in disparte.
“Ehi.”
“Ehi. Senti,
domenica ti va di uscire con me?”
“Sì, ma non devo
tornare troppo tardi. Lunedì c’è scuola
e i miei romperebbero.”
“Va bene. Ieri
sono stato bene con te.
Ciao, Ava.”
“Venerdì
ricordati che ci sono le prove.”
“ ‘k!”
Chissà perché
quell’ ‘k mi sembra troppo scazzato, non ci voglio
pensare e corro a
lezione.
Non ricordo
nemmeno quale sia e non me lo ricordo nemmeno quando la professoressa
mi butta
fuori dall’aula perché sono palesemente disattenta.
Controllo
l’orario e scopro che era una lezione di storia.
Wow.
L’ultima ora è
quella di ginnastica, facciamo una partita di pallavolo e io manco
tutte le
palle, tanto che anche qui la prof mi butta fuori e
io mi siedo mesta sulle tribune accanto a
Ginger. Lei ha saltato perché non aveva la roba e si
è presa un bel rimprovero.
Come me.
“Come mai così
distratta?”
“Fatti miei.”
“Ho visto Barker
che ti parlava dopo mensa, non sarà per quello?”
“E se anche
fosse?”
Rispondo piccata.
“Ti ha chiesto di
uscire, vero?”
“Sì.”
“Lo immaginavo e
smettila di ignorare Jack, lui ci sta male.”
“Beh, anche io.
Non smetto di parlare alle persone come hobby.”
“Cosa ti ha
detto?”
Io mi guardo
attorno per mascherare la battaglia interiore che
c’è in corso, da una parte
vorrei parlare con Ginger, dall’altra vorrei dirle di farsi i
cazzi suoi.
“Jack mi ha detto
che a Landon non importa nulla dei Somewhere in Neverland, che sarebbe
la
nostra band, e che se dovessimo rompere uscirebbe dal gruppo senza
nemmeno una
goccia di rimpianto.
Dice che noi
siamo solo un ho-hobby, nulla di più, che nono è
attaccato al progetto come me
e Jack.”
Lei non dice
nulla, rimane in silenzio per tanto – troppo –
tempo.
“Conosco jack da
tanto tempo, non è uno che mente e se ti ha detto questo
significa che
probabilmente è vero.
Barker è un tizio
molto strano, sembra che non gli importi di niente e di nessuno e non
mi
stupirei se non fosse poi così attaccato alla vostra band.
È un batterista
bravo per essere così giovane e non ci metterebbe nulla a
trovare un’altra
band.”
Le parole di
Ginger hanno scavato un buco enorme dentro di me, e se Jack avesse
ragione?
Mi sento in ansia
come se il mondo che io conosco stesse per sgretolarsi, non devo
pensare a
queste cose.
Devo pensare al
fatto che domenica uscirò con Landon, solo a questo.
Mia madre lo chiamerebbe
mettere la testa sotto la sabbia, ma in qualche modo uno deve
sopravvivere, no?
Domenica
sera
arriva troppo presto per i miei gusti.
Non so cosa
mettermi e finisco per mettermi un vestito a righe grigie e fucsia, con
qualche
scritta e un paio
di anfibi.
Landon arriva
puntualissimo, mio padre lo accoglie con uno sguardo severo e lo fa
entrare,
mentre io finisco di discutere con mia madre.
“Tratta bene mia
figlia, non farle fare quelle cosacce che tutti vuoi ragazzini avete in
mente.”
Lui annuisce e
sorride.
“Non si preoccupi
signor DeLonge.”
Chissà perché ho
la sensazione che menta.
Usciamo e ci
infiliamo nella sua macchina: una decapottabile da fighetti.
Non ho mai capito
perché l’abbia presa, ma in fondo non è
importante, no?
Sono qui con il ragazzo
che amo e stiamo per trascorrere una bella sera, perché
preoccuparsi?
Ci fermiamo a
mangiare qualcosa a un Mac e chiacchieriamo tranquillamente, lui mi
parla della
sua famiglia e della nuova compagna di suo padre.
Io gli parlo
delle mie lezioni di chitarra con mio padre, del fatto che sia geloso
dei
ragazzi con cui esco e cose così.
Finito di
mangiare, andiamo a passeggiare sul lungomare mano nella mano,
sembriamo
davvero due fidanzatini e lui sembra davvero interessato a me; forse
gli altri
si sbagliano.
“Ti va di andare
in spiaggia?”
“Sì, perché no?”
Scendiamo alla
prima passerella che incontriamo, io mi tolgo gli anfibi e cammino
accanto a
lui, che se ne frega della sabbia.
Sembra così
distante, eppure è così vicino che posso toccarlo.
Camminiamo per un
po’, poi lui stende e invita me a fare lo stesso, io eseguo.
Un suo braccio
passa intorno alla schiena e lui sorride.
“Che bella
serata, ci sono tante stelle.”
“Vero, speriamo
che non scenda un alieno a rapirci.”
“Speriamo,non mi
va di essere analizzato.”
“Tu ci credi?”
Gli chiedo
titubante.
“Perché no?
Insomma, lo spazio è grande non saremo i soli.”
Io annuisco.
Sinceramente ho un po’ paura degli alieni, quelli dei film
non sembrano tanto
ben disposti nei confronti dei terrestri. Ci considerano sempre come
dei gran
tontoloni da invadere, sembra che non siamo in grado di
proteggerci.
Forse è così,
chissà.
Un brivido di
freddo mi attraversa la schiena, Landom mi attira di più a
sé.
“Freddo,
piccola?”
“No, adesso no.”
Ci guardiamo un
attimo negli occhi e poi
iniziamo a
baciarci con foga, sotto le stelle che forse sono piene di alieni o
forse no.
Ci baciamo a
lungo, tanto che io perdo contatto con la realtà il
controllo di me stessa,
sono di nuovo caduta nella sua trappola.
Le sue mani sono
di nuovo su di me e mi accarezzano la pancia da sotto il vestito,
cercano di
salire più, ma non ci riescono. Io non voglio togliermelo,
non voglio beccarmi
una denuncia per atti osceni in luogo pubblico.
Lui invece si
slaccia la patta dai pantaloni e poi lo fa scendere per un
po’, giusto lo
spazio di togliersi i boxer per lasciare uscire il suo pene.
Io inizio a
massaggiarglielo, ma lui sposta la mano e me lo appoggia gentilmente
sulle
labbra.
Dovrei rifiutare,
l’eco delle parole di Jack e Ginger me lo consigliano, ma io
non riesco e così
finisco per accontentarlo.
Riesce a ottenere
il pompino che cercava e io sorrido mio malgrado, sono stata brava.
“Brava Ava, è
stato bello.”
Si pulisce alla
bell’e meglio e ci sediamo di nuovo a guardare le stelle, ora
sembrano meno
brillanti rispetto a prima, chissà perché.
Landon dà
un’occhiata all’orologio e si alza, stiracchiandosi
languido.
“È ora di andare
Ava o tuo padre mi ammazza!”
Mi tende una mano
e io mi alzo con una strana sensazione addosso, come se avessi fatto
qualcosa
che non dovevo fare, di sicuro se mio padre lo sapesse si arrabbierebbe
da
morire e chiuderebbe in casa fino ai ventuno anni.
In macchina non
parliamo molto, mi chiedo cosa gli passi per la testa e come ci
consideri, ma
ho paura a porre la fatidica domanda. Lui è un donnaiolo e
mi ucciderebbe
sapere di essere solo una della sua lunga serie di conquiste.
Mi lascia davanti
a casa, dandomi un casto bacio sulla guancia.
“Ci vediamo
domani a scuola, Ava!”
“Sì, ciao
Landon.”
Entro in casa con
uno strano sorriso in volto, tanto che mia madre mi guarda
interrogativa, io le
faccio cenno che va tutto bene.
Forse non mi è
piaciuto il modo in cui è successo quello che è
successo tra me e Landon,
magari un po’ di romanticismo ci sarebbe stato bene.
Vado a letto
pensando che non sono felice come dovrei e che domani
c’è scuola: che schifo!
La mattina dopo
vengo svegliata dalla mia sveglia, mi lavo e mi vesto e poi mi chiedo
come mi
devo comportare con Landon. Più affettuosa?
Come se non fosse successo nulla?
Faccio colazione
pensierosa e poi me ne vado, pensando a cosa fare lungo tutto il
tragitto, poi
penso che andrà come deve andare.
Jack questa volta
non tenta nemmeno di venirmi incontro, mi lancia un’occhiata
e rimane a
chiacchierare con Ginger, ignorandomi.
Forse è meglio così,
non ho voglia di litigare con lui.
Vedo Landon e mi
dirigo verso di lui, ma lui scarta volontariamente per andare dai suoi
amici,
lasciandomi come una fessa in mezzo al corridoio.
Sospirando, mi
dirigo al mio armadietto per prendere il necessario per le lezioni e
pensando
che oggi non sarà una bella giornata.
No.
Oggi promette di
essere una di quelle giornate di merda che difficilmente ti scordi e
che ti
segneranno per un po’.
Che palle.
Vado alla prima
lezione della giornata sperando ardentemente di sbagliarmi, non ho
bisogno di
giornate del genere. Nessuno ne ha davvero bisogno, sono solo una
seccatura che
il destino ti impone quando non ha niente di meglio da fare che
perseguitare
te.
Vediamo come
andrà!
Angolo di Layla
Ringrazio Carousel, staywith_me, ElaEla e LostinStereo3
per le recensioni.
|
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Capitolo 3 *** 3) Un cavaliere in disgrazia ***
3) Un cavaliere in
disgrazia.
Landon
si tiene
accuratamente alla larga da me per tutte le lezioni, in compenso fa il
cretino
con una di nome Stella, che ha un anno meno di me.
Cosa gli è preso?
Ieri sera invita
me e adesso ci prova con lei?
Mi deve delle
spiegazioni.
Alla fine delle
lezioni riesco a incastrarlo vicino alla sua macchina.
“Landon!”
“Ava…”
“Ti ho fatto
qualcosa? Mi hai evitato tutto il giorno!”
“Non mi andava di
parlarti, tutto qui.”
Mi risponde, poi
si infila in macchina e parte sgommando lasciandomi lì come
una fessa.
Vado a casa
masticando rabbia e delusione, non può essere come dicono
Ginger e Jack, mi
rifiuto ancora di crederlo.
Il giorno dopo
riesco a trascinare Landon in uno sgabuzzino e cerco di farmi dare
delle
risposte, ma lui mi bacia e come al solito il mio cervello si scollega.
Tutta la rabbia,
la delusione e le domande evaporano velocemente, lasciando solo un
vuoto
triste.
“Ci vediamo
domenica pomeriggio a casa mia.”
Mi sussurra, poi
se ne va tranquillo.
Perché ho la brutta
sensazione di stare per essere raggirata alla grande?
Non lo so, me ne
torno alla mia lezione di inglese con l’umore sotto i piedi e
la voglia di
sparire da questo mondo.
“Come mai quella
faccia?”
Mi chiede Ginger.
“Niente, Landon
mi ha invitato ad andare da lui domenica prossima, ma non mi ha
spiegato perché
mi evita.”
Lei non dice
niente e gliene sono grata, non sono dell’umore adatto per
sentire prediche.
Jack non mi
rivolge la parola, anche se io vorrei parlargli, mi sfugge anche lui e
vorrei
sapere perché, lo chiederò a Ginger.
“Ginger, perché
Jack non mi rivolge più la parola?”
“Perché è ferito
e non vuole sapere più nulla di te.”
Grande.
Vado a casa con
il cuore pesante e gli altri giorni non sono affatto migliori, mi sento
sempre
peggio, sempre più isolata.
Quando arriva
domenica mi sento depressa come pochi e vado a casa di Landon sperando
di
divertirmi almeno un po’.
Suono a casa sue
e mi viene ad aprire.
“Ciao, Ava!”
Il suo tono
sembra allo stesso più caloroso e più finto di
quando ci siamo visti l’ultima
volta.
“Ciao, Landon.”
Entriamo e ci
mettiamo a guardare la tv, ma lo sappiamo tutti e due che è
un pretesto, pochi
minuti dopo infatti inizia a baciarmi.
Ci togliamo la
maglietta e lui scende a baciarmi i seni, litigando con il gancino del
reggiseno,
sta per togliermi l’intimo quando la porta si apre.
Oh, cazzo!
Questo non era
minimamente previsto!
“Avaaaa!”
Urla una voce
conosciuta – quella di mio padre – da dietro la
figura di Travis.
Io mi rivesto
come posso e vado da lui che mi dà una sberla, fulmina il
primogenito del suo
amico e mi porta via.
“Papà..”
“Ava, non dire
niente!
Sei in punizione
per un mese.”
“Posso almeno
spiegarti?”
“Spiegarmi cosa?
Che mia figlia fa
la puttana con uno che è risaputo essere uno da una botta e
via?”
Mi domando come
faccia a saperlo, mentre mi tocco la guancia. Fa male fisicamente e
ancor di
più psicologicamente: mio padre non mi ha mai dato uno
schiaffo, nemmeno da
piccola.
Mia madre ci
guarda stupita, ma davanti allo sguardo scuro di mio
padre non osa dire una parola, io salgo in
camera mia e mi butto sul letto a piangere.
Piango per almeno
una settimana tutti i giorni, mio padre è freddo e non perde
occasione per
insultarmi sul fatto che stavo per farmi Landon, mia madre tace.
Non sa cosa fare
o cosa dire, non vuole prendere posizione.
La cosa peggiore
è che anche Jack a scuola mi ignora o fugge non appena mi
vede, come se avessi
la peste. Non posso credere di aver perso il mio migliore amico.
“Chi vorrebbe
avere come amica una puttana?”
Chiede retorico mio
padre, ogni volta che lo sento mille pezzi di vetro entrano nella mia
anima e
mi sento sempre peggio, dov’è finita la mia bella
famiglia?
Dove è finito il
padre comprensivo?
Dov’è il mio
migliore amico?
Forse la promessa
che ci sarebbe stato per sempre è stata una promessa vana,
da non rispettare
alla prima difficoltà seria.
Sto male,
malissimo.
Non riesco a
ricordare l’ultima volta che sono stata così,
credo solo quando hanno detto a
mio padre che aveva un cancro alla pelle.
In questo momento
avrei disperatamente bisogno di Jack, ma lui non
c’è e io non posso uscire per
ora. Forse stasera posso provare a sgattaiolare fuori, ma ho come
l’impressione
che lui non mi voglia vedere.
Se ci fosse stato
Jack al posto di Landon tutto questo non sarebbe successo.
Il pensiero mi
fulmina, tanto che smetto di piangere all’istante.
Io non sono mai
stata innamorata di Landon! Era solo una stupida cotta, quello che mi
piace è
Jack.
Come diceva
Ginger?
“Perché non vedi
un ragazzo meraviglioso, anche se ce l’hai sotto il
naso?”
Sono stata
davvero una stupida, ho confuso per tutto questo tempo
l’amore con l’amicizia,
era per questo che ero gelosa di Ginger e di tutte le sue ragazze.
Scendo a cena, il
clima è tesissimo, nessuno parla.
Non ho visto mio
padre così arrabbiato nemmeno quando i blink si sono presi
una pausa, se mi
scoprisse farebbe una strage, ma io ho bisogno di uscire.
Salgo di nuovo in
camera mia e aspetto che la casa sia davvero silenziosa, verso le tre
non sento
volare nemmeno una mosca. Con calma, facendo meno rumore possibile
metto un
paio di shorts sotto la maglietta nera che uso come pigiama e un paio
di
anfibi.
Apro piano la
finestra e poi prendo la rincorsa per saltare sull’albero
vicino a casa mia,
arrivo su un ramo e poi scendo.
Percorro il parco
facendo attenzione all’antifurto, di cui conosco i punti
ciechi e i cani di mio
padre, arrivo al cancello e lo scavalco con qualche
difficoltà.
Mark non abita
lontano da noi, così io corro verso casa sua con il vento
che mi passa tra i
capelli, è una sensazione piacevole.
Scavalco il muro
di casa Hoppus – che conosco come casa mia – e mi
porto sotto la finestra di
Jack, per iniziare a tirargli dei sassolini.
Dopo un tempo che
sembra infinito si affaccia, più scarmigliato del solito.
“Cosa c’è?”
“Ho bisogno di
parlarti!
“Non puoi
aspettare domani?”
“No!”
Lui sbuffa e io
prendo una scala abbastanza lunga che è appoggiata poco
lontano, con cautela
l’appoggio sotto la finestra di Jack e inizio a salire.
Come al solito
lui mi aiuta con gli ultimi gradini e poi
sono in camera sua.
“Cosa devi
dirmi?”
“Avevi ragione su
tutto riguardo a Landon, mi dispiace per come mi sono
comportata!”
La sua faccia
diventa gelida.
“È troppo
tardi.”
“Cosa?”
“Ho detto che è
troppo tardi, Ava. Non puoi trattarmi come una merda e poi pretendere
che io ti
dica che va tutto bene e che è tutto a posto tra di
noi.”
“Jack, io…”
“Vai via, Ava.
Hai sbagliato i tempi, io non ho voglia di rincorrerti come un
cagnolino. È
sempre stato così e sono stanco.”
“Jack.. Io Ti
amo.”
Il suo sguardo è
freddo, non c’è traccia di pietà in
quegli occhi azzurri.
“Troppo tardi,
sto con Ginger.
Se non hai altro
da dirmi, vattene!”
“Ok.”
Scendo mestamente
la scala e la rimetto al suo posto, poi torno a casa mia. Mi sento
sola, mi
sento delusa, mi sento non desiderata.
Arrivata in
camera mia mi butto a letto e piango di nuovo, tanto che la mattina
dopo ho due
occhi gonfi e una decisione in testa.
Basta, io me ne
ve da qui, prendo il primo autobus per il Canada. La mia macchina
sarebbe più
comoda, ma è più rintracciabile e io non voglio
che mi trovi nessuno.
Svuoto il mio
libretto postale e con un po’ di contanti tra le mani mi
dirigo alla stazione
degli autobus, forse è meglio scegliere una meta vicino al
Canada e poi attraversare
illegalmente il confine.
Prendo un
biglietto di sola andata per Seattle e mi addormento, il viaggio
sarà lungo,
risalire dal fondo della California fino ad arrivare a
quell’insenatura del
mare su cui si affaccia Vancouver non è uno scherzo.
Vancouver è solo
la prima tappa e non so nemmeno se la raggiungerò.
Mi
sveglio che
siamo arrivati a San Francisco.
L’autista si è
fermato per il pranzo in un autogrill, io mangio solitaria un panino,
nella mia
borsa militare e nel mio zaino ci sono tutte le cose che mi potranno
servire.
Vado in bagno e
poi ripartiamo.
Ora non più sonno
e la noia mi assale mentre guardo dal finestrino, fa male lasciare i
tuoi amici
e la tua famiglia?
Sì, ma se non ti
vogliono più, a volte è necessario.
Alla sera siamo
arrivati a Portland, facciamo una pausa per la cena e per il bagno,
probabilmente all’alba arriveremo a Seattle.
Wow! Potrò andare
nella patria del grounge!
Sì, e poi
ripartire subito per il Canada per passare la frontiera in modo
illegale per
non lasciare tracce, come una rinnegata.
“I’m a renegade
It’s in my blood!”
Canticchio io per
tirarmi sui l morale.
Risalgo di nuovo
sul pullman e come avevo previsto verso l’alba arriviamo alla
stazione degli
autobus di Seattle, fa freddo rispetto alla California.
Adesso cosa
faccio?
È inutile
prendere una camera in affitto in un motel, mi guardo attorno,
stringendomi nel
mio cappotto militare e mi guardo intorno.
Ci sono parecchi
uomini e donne e anche ragazzi che si girano per la stazione, un gruppo
in
particolare è riunito attorno a un fuoco di fortuna.
“Posso?”
Chiedo.
“Certo, mi fanno
posto e mi passano uno spiedino con della carne che io mangio
voracemente.
“Sapete come si
fa ad arrivare in Canada?”
Chiedo esitante.
“Canada, dove?”
“Vancouver, poi
penso di potermi muovere da sola e arrivare a Montreal.”
Un ragazzo dai
lunghi dread sporchi alza una mano.
“Vieni con me, ti
ci faccio arrivare io.
Ho la tua stessa
meta.”
“Come mai in fuga,
carina?”
Io rimango un
attimo zitta, non so cosa dire.
“Furto…”
Biascico infine.
Il rasta, che poi
si presenta come Derek, dice che è un fuga da
un’accusa di omicidio. Ha fatto
secco un cliente che non pagava l’erba da mesi.
Un brivido mi
attraversa la schiena, non è che farà secca anche
me?
Lo guardo meglio,
non ha più di diciotto anni ed è alto e magro, i
vestiti gli cascano addosso
troppo larghi, i suoi dread sono lunghi fino quasi al sedere e non
sembrano
molto puliti, ha la carnagione scura e gli occhi neri.
Non sembra così
cattivo, sembra solo uno skater in disgrazia, con il suo giubbotto a
fantasia
militare e lo zaino nero.
Finisco il mio
spiedino e poi Derek mi tende una mano.
“Forza, andiamo!”
Saluta gli altri.
“Come ti chiami,
piccoletta.”
“Ava, hai davvero
ucciso una persona?”
Lui alza le
spalle.
“Non ne vado
fiero, ma sì, l’ho fatto. Nel mio quartiere
è così o uccidi o vieni ucciso.”
“Da dove vieni?”
“San Francisco.”
“San Diego.”
“Viva la
California!
Mi dice
sorridendo.
“Ho ancora fame.”
“Entriamo lì, la
persona che devo incontrare non si farà viva prima di
mezzogiorno.”
“Chi è?”
Lui mi apre la
porta.
“Un camionista
che porta dentro gente senza farsi beccare, un mio amico dice che
è bravo e se
lo dice lui ci credo.
Tu, piuttosto,
non potresti rendere più anonimi i tuoi capelli?”
“Sì, ci stavo
pensando.
Biondo o nero?”
“Perché non
castano?
“È il mio colore
naturale, mio padre mi riconoscerebbe.”
Mi metto le mani
davanti alla bocca come se avessi parlato troppo e in un certo senso
è così.
“Tu non stai
scappando per il motivo che ci hai detto prima, tu stai scappando da
casa!”
Io abbasso gli
occhi sulla pancetta e le uova strapazzate.
“Sì, mi aiuterai
lo stesso?”
“Sì, non ti
preoccupare. Mi stai simpatica e qualcosa mi dice che non ti fermerai
finché
non ti troveranno loro, quindi tanto vale proteggerti. Là
fuori è un brutto
mondo, Ava.”
“Grazie, Derek. “
Finisco di
mangiare e paghiamo, poi bighelloniamo per la città fino
all’ora
dell’appuntamento.
Io mi compro una
tinta bionda e me la faccio in bagno pubblico, poi Derek me li acconcia
in
lunghe treccine stile afroamericano.
Così arriva l’ora
di pranzo e di incontrare chi ci porterà in Canada.
Non è altro che
un camionista, un grasso, grosso, camionista stronzo che non appena mi
vede fa
salire il prezzo alle stelle.
Lui e Derek
mercanteggiano un po’, ma lui vuole sempre troppo per i
nostri risparmi, fino a
che Derek tira fuori l’ultima cosa che mi aspettavo avesse:
una pistola.
“O abbassi il
prezzo a una quota non da strozzino o ti faccio un buco in pancia con
questa!”
“Così finiresti
in carcere o sulla sedia elettrica.”
Risponde
sarcastico il ciccione.
“Scommetto che
non ci finirò se io racconto alla pulizia di tutti i tuoi
traffici, droga
inclusa.”
Lui impallidisce
vistosamente.
“Va bene, cento
dollari ciascuno. Fatevi vedere a questo indirizzo stasera alle
sei.”
Porge un
biglietto che annuisce e lo fa scivolare in una delle tasche.
Io vorrei dire
qualcosa, ma sono come scioccata e non so come uscire da questa
situazione.
“Ava, cosa c’è?”
“Ni-niente!”
Lui sbuffa.
“Su, dimmi cosa
c’è?”
“Quella cosa di
prima la userai anche contro di me?”
“No.”
Io non dico nulla
e continuiamo a camminare.
“Ascolta, la
porto da quando avevo quattordici anni, perché il mio
quartiere non era bello,
ma il fatto che io l’abbia non vuole dire che
l’userò come te.
Voglio aiutarti,
non ucciderti.
Se vuoi sapere
altro te lo dirò lungo il viaggio.”
“Perché?”
“Perché dovremo
parlare e parlare perché là dentro
farà un freddo d’inferno e non vale la pena
di morire congelati.”
Io annuisco,
ancora leggermente spaventata.
“È che ho sempre
vissuto in una famiglia normale e non so come funziona stare per strada
e ho
paura di fare qualche errore e, non lo so, mi sembra tutto
così incasinato!”
Le lacrime
minacciano di uscire da un momento all’altro da quanto sono
nervosa e
spaventata, lui mi abbraccia. Questo gesto non me lo aspettavo proprio!
“Sta tranquilla,
finché ci sono io non ti succederà nulla. Ti ho
detto che ti avrei protetto e
lo farò.”
Io emetto un
sospiro tremulo e annuisco.
“Dai, andiamo a mangiare qualcosa. Non so te, ma sono
affamato.”
“Anche io sono affamata, andiamo.”
Ci avviamo verso
un Mac Donald lì vicino e mangiamo fino a scoppiare: ho il
sospetto che per un
po’ non potremo mangiare decentemente o a sazietà.
Usciti da lì,
andiamo verso la villa dove Kurt Cobain si è ucciso. Non so
se sia aperta al
pubblico, ma su di me suscita un fascino macabro che Derek non riesce a
capire,
anche se è messicano e ha festeggiato i dias de los muertos
fin da quando era
piccolo.
“Perché hai paura
dei morti, Derek?
È dai vivi che
bisogna guardarsi, un morto non ti insulterà, non ti
ferirà, non ti farà mai
del male fisico, un vivo sì.”
Lui non risponde
per un po’.
“Sei davvero
strana.”
“Anche J…”
Mi fermo prima di
pronunciare il nome di Jack, guadagnandomi un’occhiata
curiosa da parte del mio
nuovo amico.
“Che nome stavi
per dire?”
“Te lo dirò
stanotte, non hai detto che sarà una lunga notte?”
“Molto lunga e
fredda. Fottutamente fredda per due californiani come noi.”
“Ok.”
Visitiamo un
altro po’ la città e poi dopo un’altra
abbondante cena con annessa sosta al
bagno ci avviamo verso il luogo in cui mister simpatia ci aspetta.
È già fuori dal
camion che si guarda attorno attento, quando ci vede arrivare ci fa
segno di
avvicinarsi e salire sul camion.
Abbiamo a
disposizione uno spazio esiguo in cui stare in piedi, muovere qualche
passo o
stare sdraiati e siamo circondati da pesanti scatole che potrebbero
ucciderci
se solo ci cadessero addosso.
“Spero se ne
stiano ferme!”
Esclamo
preoccupata.
“Non ti
preoccupare, ce la faremo.”
Il camion si
mette in moto, Derek tira fuori una coperta e ci sediamo sopra.
“Avanti, dimmi un
po’ di te.”
“La tua vita è
sicuramente più interessante, diciamo.”
“Hai paura che
smetterai di aiutarti se scopro chi sei.”
Io annuisco
piano.
“Non ti
preoccupare, ormai ho giurato e manterrò quello che ho
promesso.”
“Va bene.”
Lo sguardo mi
cade sulla sua mano, ha tatuato un piccolo teschio messicano.
“E quello?”
“Me lo sono fatto
dopo che ho ucciso il tizio, volevo sempre ricordarmi
dell’errore che avevo
compiuto.”
“Ne vorresti
uscire, vero?”
“Sì, con tutto me
stesso, ma ormai non posso. Il passato è passato e non si
cambia.
Tu chi sei
invece?”
Io abbasso gli
occhi.
“Mi chiamo Ava
Elisabeth DeLonge.”
Lui sgrana gli
occhi.
“Quel DeLonge?
Quello dei Blink e degli AvA?”
Io annuisco
piano.
“Amo le band di
tuo padre.”
“Come tutti. Beh
ora ti racconterò le cazzate di una
ragazzina…”
“Posso vedere la
carta d’identità?”
Io gliel’allungo
sbuffando.
“Dimmi e scusa
per l’incredulità.”
“Ero innamorata
di Landon, il figlio di Travis, e lui ne ha approfittato per scucirmi
un
pompino e una sega con la storia che forse stavamo insieme o forse no.
Ho scoperto che
non stavano insieme, che io ero una delle tante esattamente come
Ginger, una
mia amica, e Jack Hoppus mi avevano detto. Senza contare che ho
scoperto che
loro avevano ragione anche per un’altra cosa: a lui non
importava nulla della
band che avevano fondato.
Mio padre ci ha
beccato mentre stavamo per scopare, mi ha mollato uno schiaffo,
chiamato troia
e messa in punizione per un mese.
Volevo parlare
con Jack per dirgli tutto questo, scusarmi ed essermi resa conto che
ero… ero…
sono… innamorata di lui, insomma.”
Le mie guance
diventano rosse.
“Solo che mi ha
detto che ero arrivata troppo tardi per tutto, per recuperare
l’amicizia e per
il suo amore. Lui ora sta con Ginger e così ho deciso di
andarmene.
Tutti staranno
meglio senza di me.”
Concludo amara,
incrociando le braccia davanti al corpo.
Inizio a sentirmi
stanca e vorrei tanto poter dormire, ma – come ha detto Derek
– sarà una lunga
e fottutamente fredda notte.
Angolo
di Layla
Ringrazio
ElaEla
e LostinStereo3
per le recensioni.
|
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Capitolo 4 *** 4)Come i bambini sperduti delle favole. ***
4)Come i bambini sperduti
delle favole.
La
notte a volte
è lunga, a volte si srotola davanti a te come un tappeto
scuro, morbido e
invitante, altre volte lo stesso tappeto è irto di spine e
per niente comodo.
È passato un bel
po’ di tempo da quando siamo saliti, scommetto che ora le
stelle sono alte in
cielo e splendono per guidare tutti quelli che viaggiano, ma non sono
perduti.
Ho raccontato a
Derek tutta la mia vita: i tour, la diffidenza, la mia cronica mancanza
di
amici, di come Landon e Jack fossero le uniche stelle che mi
accompagnassero
insieme a mio fratello Jonas.
Derek mi chiede
come è Jojo e io gli rispondo che è come tutti i
fratelli del mondo, a volte li
uccideresti nel modo più cruento possibile, a volte li adori.
Lui sorride e mi
dice che ha quattro fratelli più piccoli e sa cosa si prova
ad avere un
fratellino, ha anche dei fratelli più grandi, ma sono uno in
carcere e uno a
New York a fare non si sa bene cosa.
“Beh, siete sette
in famiglia. Com’è vivere
così?”
“Uno schifo. I
miei si sono sposati subito dopo il liceo perché mamma era
incinta di mio
fratello maggiore, quello che sta a New York.
Non si sa bene
cosa faccia lì, quando chiama è sempre vago, ho
il sospetto che sia coinvolto
in attività illegali, ma è la sua vita.
Ha ventiquattro
anni e scommetto che sa pulirsi il culo da solo, senza aiuto.
Si chiama Jose,
ha due spalle larghe allucinanti, sembra un armadio, hai capelli corti
ed è
pieno di tatuaggi, tanti se li è fatti al
riformatorio.”
“Per cosa è
finito dentro?”
“Furto e
spaccio.”
Io annuisco.
“Poi c’è Michael,
ha vent’anni ed è dentro per furto
d’auto. Ha tanti tatuaggi, ma non è
gigantesco come Jo. È mingherlino e ha i capelli tutti irti
tinti di azzurro,
gli piace il punk e il pop punk ed è stato lui a farmi
scoprire i blink.
Jo sa essere
cattivo, picchia a volte, Mike è una pasta d’uomo,
ha solo il dono di conoscere
brutta gente e mettersi nei guai.
Lui ha persino
preso il diploma. Sarà quello che mi mancherà di
più.
Poi sono arrivato
io e quando avevo quattro anni mia madre ha tagliato la corda, credo
sia andata
in Florida perché era stufa che mio padre spendesse tutti i
soldi al pub.
Non ha più
telefonato e non ha più scritto.”
“Come fai a
sapere che è ancora viva?”
Lui ride, io
rabbrividisco e mi stringo di più
nel suo abbraccio, la seconda coperta che ha tirato fuori basta a
malapena a
coprirci.
“Ho telefonato a
mia nonna e mi ha detto che è ancora viva, tanto mi basta.
Spero che ora
stia bene e abbia trovato la sua strada, con noi non è mai
stata felice.
Nemmeno sei mesi
dopo mio padre ha portato a casa la sua nuova compagna, avrà
avuto al massimo
vent’anni e con lei ha avuto quattro figli.
Reina, che ha
quattordici anni, Kevin dodici, Mia dieci e Jim cinque anni.
Con lei ho sempre
avuto un rapporto freddo, ma poteva capitarmi di peggio, anche
perché mio padre
non ha cambiato abitudini. Era sempre
e
comunque al pub.
Cosa posso dire
di questi quattro?
Reina, se non sta
attenta, rischia di finire incinta prima della Quinceañera e il padre sarebbe un avanzo di galera violento.
Abbiamo cercato tutti
di allontanarla, ma lei continua di ritornare da lui.
Ha quattordici
anni, è il suo primo amore e pensa che lui sia fantastico e
che possa cambiare
gli aspetti poco carini del suo carattere.
Mi fa un po’pena.
Kev è a posto, è
il più bravo di noi a scuola e spero che decida di andare
avanti e di lasciarsi
alle spalle quel casino che è la nostra famiglia.
Mia ha solo dieci
anni, ma temo farà la fine di Reina. Le starebbe bene dato
che è una mocciosa
viziata e piagnucolona; sua madre si spacca la schiena per farle avere le cazzate che deve
avere per essere
come le stronzette con cui è in classe e lei quasi le sputa
in faccia.
Jim ha solo
cinque anni, per ora sembra ok, spero non prenda una brutta
strada.”
“Spero che non la
prenda, dopotutto nemmeno tu sei cattivo.”
Lui sospira.
“Sì, sono solo
uno sfigato come Mike e non so cosa peggio.”
“Sono sicura che
andrà tutto bene.”
Lui sospira.
“Tu sei
fortunata, se anche ti ritrovassero la tua famiglia ti accoglierebbe in
lacrime, la mia se ne sbatterebbe.”
“Potresti tornare
da tua madre.”
“ Sono
quattordici anni che non si fa sentire. Quattordici.
Credo si sia
persino dimenticata di aver avuto dei figli.”
Io scuoto la
testa.
“Una madre non si
dimentica mai dei propri figli.”
“Parlami un po’
di Tom DeLonge, di tuo padre,
l’ho
sempre ammirato solo su un poster.”
“Beh, è, è stato
un buon padre.
Fa sempre il
cretino, mamma anche adesso lo rimprovera per certe battute che fa,
dice che
noi non dovremmo imparare queste cose. È fatica sprecata,
forse solo i
cavalieri dell’Apocalisse ridurrebbero mio padre al silenzio.
Non parla più
così tanto come prima con Mark, come i fan si aspettano che
faccia, ma sono
ancora buoni amici.
Più o meno due
volte al mese facciamo una grigliata e ci ritroviamo tutti in giardino
a
mangiare beatamente carne alla brace, tranne Travis che mangia la sua
erba.”
“Erba?”
“Sì, verdure
grigliate. È vegetariano, poverino.”
Nella mia voce
c’è una nota di compassione che fa ridere Derek.
“Mio padre mi ha
anche insegnato a suonare la chitarra, mi dispiace averla lasciata a
casa, ma
era troppo ingombrante da portare con me e poi non mi servirebbe
più.
Ho sempre creduto
di avere, essere parte, di una band in tutti questi anni, ma mi sa che
mi sono
sbagliata. La band esisteva solo nella mia testa.”
“Eravate bravi?”
“È una domanda a
cui non posso rispondere, questa è una cosa che
può dire solo chi ci ha
ascoltati.
Tu in cosa eri
bravo a scuola?”
Lui si gratta il
mento.
“A riparare le
cose e poi con i computer. Sai, ripararli, farli ripartire e
riprogrammarli di
nuovo.
Il mio insegnante
era molto felice, diceva che se non fossi messo sulla cattiva strada
avrei
potuto lavorare come tecnico. Diceva che avevo un dono per quelle cose,
ma mi
sono messo sulla cattiva strada e così è andato
tutto a puttane.”
“Hai una
ragazza?”
“L’avevo. Ci
siamo lasciati il giorno prima che io mi mettessi nei guai, voleva
qualcosa di
più serio e migliore che una vita nei bassifondi in
compagnia di un ladruncolo
e di uno spacciatore.”
“Mi dispiace.”
“Sì,è stata dura.
Ha bruciato, ma in fondo aveva ragione. Ora che futuro potrei offrirle?
Fuggire in Canada
con me da clandestina?
Si merita di
meglio.”
Io rimango in
silenzio.
“Beh, se tu fossi
stato ancora con lei non avresti incontrato me. Anche se non so se puoi
considerarla una bella cosa o l’ennesima noia.”
“Sei una brava
ragazza, Ava. Non sei una noia. È meglio per tutti che io ti
abbia incontrata o
avrebbe potuto finire male, molto male per te.
Fuori c’è della
brutta gente e tu hai una faccia da cucciolo che per loro è
un invito a nozze
per fregarti.”
Io abbasso gli
occhi e mi stringo le gambe tra le braccia, lui fa una cosa
sorprendente: mi dà
un bacio sulla fronte.
“Andrà tutto
bene.”
“Sei il mio
angelo custode.”
Continuiamo a
chiacchierare fino a
che il camion non
si ferma e qualcuno sposta tutte le scatole davanti a noi: è
il ciccione.
Con poca grazia
ci fa scendere dal camion: l’autostrada è deserta
e in cielo brillano alte le
stelle.
È una notte
limpida e gelida.
“Il viaggio è
finito, avete attraversato la frontiera. Se andrete in quella direzione
troverete un abitato e poi non lo so. Fate quello che volete e andate
dove
volete, a me non interessa.”
Io e Derek
mettiamo via le coperte, mentre il camion si allontana con un rumore
sordo, ma
almeno le stelle ci sono ancora e siamo in Canada, il cartello della
piazzola
di sosta indica come prossima area un posto con un nome francese.
Ci prendiamo per
mano – come i bambini sperduti delle favole – e ci
dirigiamo verso la direzione
che ci ha indicato l’uomo.
Le stelle ci guidano come hanno guidato i pellegrini mille e
più anni fa,
mentre l’erba ricoperta di brina scricchiola sotto i nostri
passi.
“Secondo te ci ha
tirato bidone?”
“No, è solo
incazzato perché sperava di avere più soldi. Le
pistole sono delle ottime
macchine della verità di solito.”
Lui sembra
tranquillo, camminiamo rabbrividendo sotto la luce della luna fino a
che un
cartello ci avvisa che siamo a Langley.
“Dobbiamo farcela
a piedi almeno fino al prossimo paese, Surrey. Lì potremo
mangiare.
“Qui non è sicuro?”
“No, troppo
vicino al confine. Da Surrey dovremmo avere abbastanza soldi per
arrivare a
Vancouver e una volta lì dovremo arrivare in qualche modo a
Montreal.
È abbastanza
lontano lì.”
Perfetto.
In silenzio
attraversiamo Langley, che è un paese abbastanza grande,
quando usciamo da lì
il sole sta per sorgere e Derek si guarda in giro freneticamente.
Siamo fuori dalla
cittadina, persino dalla zona delle roulotte e in mezzo ai campi.
“Dobbiamo trovare
un capanno degli attrezzi abbandonato o qualcosa del genere e dormire
almeno un
po’.”
“Va bene.”
Camminiamo per
una mezzoretta persi tra i campi fino a che io non noto una fattoria
che ha
l’aria di non vedere un proprietario da quando Noè
scese dall’arca.
Con cautela io e
Derek spiamo dentro, effettivamente sembra vuota ed entriamo anche
perché
intorno a noi i rumori del risveglio dei contadini si fanno
più forti.
Ci nascondiamo
dietro un vecchissimo divano e tiriamo fuori le nostre coperte.
Finalmente
riusciamo a dormire e ovviamente siamo abbracciati.
Non ho mai
incontrato una persona che mi facesse stare bene come lui.
Nella mia
sfortuna sono stata fortunata.
Ci svegliamo che
è pomeriggio, attorno a noi si sentono i rumori che
caratterizzano l’attività
dei campi, anche se ormai tra poco non faranno più nulla
perché saranno
sommersi dalla neve.
“Non possiamo
muoverci, vero?”
Chiedo sottovoce
a Derek.
“No, è meglio
muoversi di notte. Qui potrebbero fare domande e sarebbe un
casino.”
Io taccio per un
attimo.
“Derek, la pistola.”
“Vuoi uscire e
farli fuori?”
Mi chiede
divertito.
“No, te ne devi
liberare. Se siamo destinati a diventare senzatetto averla con noi
complicherebbe le cose. Metti che ci fermi la polizia?
Due senza tetto
non fanno notizia, ma uno armato sì. Potrebbero addirittura
risalire a cosa ci
hai fatto con quella pistola.”
“Hai ragione, ma
ci servono anche carte d’identità false, tu fai
DeLonge di cognome.”
Io sospiro.
“Sì, e lo sto
odiando in questo momento.”
“Non ti
preoccupare, sistemeremo questi problemi quando saremo a
Vancouver.”
“Sicuro?”
Lui annuisce.
“Conosco alcune
persone che fanno al caso nostro, non sono persone che le persone per
bene
dovrebbero conoscere.”
“Va tutto bene,
basta che ci levino da questo casino, Derek.”
“Va bene e adesso
cerchiamo di non fare rumore e aspettiamo che se ne vadano.”
Io annuisco e
aspetto che quei tizi là fuori la finiscano con i loro campi
in modo che noi
possiamo raggiungere Surrey, da lì raggiungeremo Vancouver e
probabilmente ci
fermeremo un po’ lì,
visto che ci sono delle
cosette da fare.
Alle sette i
rumori sono quasi del tutto spariti, probabilmente sono tutti a cena.
Alle otto si
sente lo sporadico rumore di qualche pazzo che fa le cose fuori fase.
Alle nove si
sente una tv in lontananza,un western a giudicare dalle battute e dagli
spari.
Alle dieci c’è un
perfetto silenzio, non vola neanche una mosca, la cittadina di Langley
sembra
essere caduta in un sonno profondo, come tutte le cittadine di campagna
dopo
una certa ora.
Io e Derek
usciamo, fa freddo e il cielo è coperto, spero non nevichi
perché farsela a
piedi sotto la neve non è il massimo. Mi ricordo di una
volta in cui mamma ha
insistito per passare il Natale a New York e quando siamo arrivati
là, c’era
una tempesta allucinante di neve. I fiocchi vorticavano rabbiosi e il
vento non
vedeva l’ora di sbatterteli in faccia, intanto la neve
depositata sui
marciapiedi o accanto alla strada ti imprigionava, rendendo difficile
camminare.
Io e Derek
rabbrividiamo nei nostri cappotti e ci teniamo per mano, il fiato si
condensa
subito in nuvolette.
Dopo un’ora di
cammino dal cielo iniziano a scendere piccoli fiocchi bianchi, con
lentezza si
depositano sull’erba gelata e rimangono lì.
Merda!
Dai campi di
Langley passiamo in quelli di Fleetwood, il paese è piccolo
e deserto e nessuno
si cura delle due figure incappucciate che camminano sotto la neve.
Ho una fame
allucinante, spero che a Vancouver potremo mangiare qualcosa,
però non mi
lamento.
Usciti da
Fleetwood entriamo a Surrey, che è grande come Langley e
altrettanto deserta,
nel frattempo la neve continua a cadere. Ora ci sono almeno cinque
centimetri
sul terreno.
“Derek, ci
fermiamo qui?”
“No, più avanti.
Mi hanno detto che a New Westminster c’è un
ricovero per senza tetto, ti danno
da mangiare e ti lasciano dormire.
È oltre un ponte.
Dopo c’è Burnaby e infine Vancouver.”
“Sei sicuro che
riusciremo ad arrivarci?”
“Sì!”
Attraversiamo
tutta la cittadina – il freddo è più
intenso e la neve cade a grandi fiocchi
bianchi – dopo di che finalmente vediamo il ponte e le luci
di New Westminster.
In mezzo alla costruzione c’è un cartello e
giurerei che segni i confini
municipali.
Lui mi prende per
mano e mi io mi faccio portare, percorriamo un ponte deserto su un
grande fiume
di cui ignoro il nome. In mezzo c’è il cartello,
come avevo previsto e lo
superiamo.
Entriamo in una
città leggermente più grande, sembra quasi un
quartiere periferico di
Vancouver, Derek borbotta qualcosa, io lo seguo.
Dopo avere
svoltato in parecchie vie – e probabilmente esserci persi un
paio di volte –
arriviamo davanti a un edificio grigio e imponente, tetro come certi
edifici
londinesi ottocenteschi. Per arrivare al portone bisogna salire una
rampa di
scalini, io e Derek lo facciamo e poi suona.
Poco dopo fa la
sua comparsa una suora.
“Possiamo
rimanere per la notte, sorella?”
Le chiede Derek,
lei ci squadra.
“Certamente,
entrate. Questa neve maledetta non vi fa certo bene.
Avete mangiato?”
“No.”
“Perfetto.”
La donna ci dà in
mano delle salviette e delle mutande.
“Fatevi la
doccia, poi vi serviremo gli avanzi della cena: stufato.”
Io e Derek
eseguiamo, devo dire che è piacevole stare sotto
l’acqua, pulirti accuratamente
e poi lasciare che lo sporco scorra via. È anche bello
potersi avvolgersi e
asciugarsi in un grande asciugamano bianco e cambiarti la biancheria.
Un leggero
bussare mi avvisa dell’arrivo della suora.
“Metti i panni
sporchi nel cesto, li avrai domattina, hai un cambio vero?”
Io annuisco e
quando lei esce mi spoglio.
I jeans lacerati
in più punti, la maglia nera, la camicia a scacchi rossa e
nera, la felpa
pesante dei Sex Pistols e i miei calzini finiscono lì dentro.
Indosso un paio
calze fucsia, un paio di jeans neri strappati sulle
ginocchia, una maglietta azzurra, una
camicia nera pesante come quelle a scacchi e una felpa gialla a strisce
verdi,
calzini nuovi e delle ciabatte che trovo al posto dei miei anfibi. Il
mio
cappotto sembra sia sparito anche quello, probabilmente per farlo
asciugare.
Derek al piano di
sotto indossa i pantaloni pesanti di una tuta, neri con le strisce
bianche ai
lati,una felpa nera da cui si intravvede una camicia a scacchi uguale
alla mia.
Spero che
arrivino presto con la cena perché sto morendo di fame.
Poco dopo
arrivano con la cena, stufato come avevano detto.
Io e Derek ci
buttiamo sopra il cibo e lo mangiamo avidamente, è da un
po’che non mangiamo e
abbiamo camminato parecchio.
Finito quello,
mangiamo il pane e beviamo abbondantemente. Lo stufato ha tappato
qualche buco
nella nostra pancia, per ora stiamo bene.
“Adesso, ragazzi,
è ora di andare a letto. Solo abbiamo un piccolo problema.
È rimasto solo un
letto singolo.”
Derek alza le
mani.
“Sono troppo
stanco per fare qualcosa, sorella.”
“Non si
preoccupi, non vogliamo certo abusare della vostra
ospitalità.”
La donna sorride
e ci porta al dormitorio, è tutto pieno di gente che dorme,
camminando piano
arriviamo al nostro letto e ci spogliamo un po’ imbarazzati
davanti alla suora.
Ci infiliamo
sotto le coperte e Derek mi abbraccia subito, il ritmo calmo del suo
respiro mi
dà un leggero brivido, ma mi calma anche abbastanza da
addormentarmi subito.
Credo che anche
lui si sia addormentato subito, il mio è un sonno senza
sogni in ogni caso.
Alle nove circa
una voce ci sveglia, è la suora della sera prima che
organizza i turni per le
docce e per la colazione. Derek non si è svegliato e mi
tiene ancora
abbracciata con un’espressione tenerissima.
Io lo scuoto
dolcemente e finalmente si sveglia.
“Ehi, sei tra i
primi per i turni per le docce, vai e buongiorno.”
“Buongiorno anche
a te.”
Sembra
imbarazzato e la ragione la scopro guardando per caso in basso, si
è svegliato
con una bella erezione. Adesso sono imbarazzata anche io.
Lui esce dal
letto e si avvia verso le docce, poco dopo vado anche io, finito quello
scendiamo a fare colazione in uno stanzone con una lunga tavolata.
Ci viene servito
di tutto, dal caffelatte al bacon, io e Derek mangiamo tutto e poi
– come fanno
gli altri ospiti – prepariamo dei panini con il formaggio e
il prosciutto da
mangiare per cena.
Arraffiamo anche
qualche biscotto, un paio di pancakes e di brioches e poi ci alziamo
per andare
a ringraziare e salutare la suora.
“La ringraziamo
infinitamente, sorella.”
“Dovere, come
dice Gesù? Date da mangiare agli affamati e da bere agli
assetati.”
“Grazie lo
stesso.”
“Prego, ora
andate e non mettetevi nei guai.”
“Non si
preoccupi. Arrivederci, sorella.”
Usciamo
dall’edificio rabbrividendo nei nostri cappotti come due
bravi californiani,
poco avvezzi al freddo e alla neve. Stanotte ne sono caduti dieci
centimetri e
la cittadina è spazzata da un vento gelido e tagliente che
sembra volerti
togliere la pelle dalla faccia.
“Che freddo!
Neve! L’avrò
vista l’ultima volta a dieci anni.”
“Io forse una
volta, l’ho vista altre volte, ma non a San Diego.
Adesso che si
fa?”
“Partiamo in
direzione Burnaby e poi da lì saremo praticamente attaccati
alla periferia di
Vancouver.
Conosco un paio di
persone lì che risolveranno
i nostri problemi.”
“Perfetto. Meno
problemi avremo, più le cose andranno lisce.”
Lui rimane un
attimo in silenzio.
“Non ti mancano i
tuoi?”
A quell’unica
domanda una breccia si apre nel mio cuore e mi ricordo di tutti i
momenti
felici che ho passato con i miei, con Jack e Landon e dei Somewhere in
Neverland.
Mi mancano, ma
non posso tornare indietro.
“No.”
Il tono è un po’
forzato e spero che Derek non si sia reso conto che gli sto mentendo,
anche se
se ne è reso conto non mi dice niente comunque.
Continuiamo a
camminare con il vento che ci taglia la faccia.
Non tutti quelli
che vagano sono persi, Ava.
Ricordatelo.
Angolo di Layla
Ringrazio ElaEla, Carousel, staywith_me e
LostinStereo3
per le recensioni.
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Capitolo 5 *** 5)Vancouver. ***
5)Vancouver.
Passiamo
Burnaby
senza problemi e finalmente arriviamo a Vancouver.
La città si
stende tranquilla, coperta da un manto leggero di neve, io e Derek
rabbrividiamo e poi guardiamo ancora la città.
“Ascolta faccio
un paio di chiamate.”
Io annuisco, lui
tura fuori il cellulare e compone un numero.
Parla in
spagnolo, io capisco solo fino al punto in cui chiede un favore, poi
iniziano a
parlare così fitto che io sono tagliata fuori.
Lui gesticola
ampiamente e urla, alla fine chiude la telefonata stizzito.
“Tutto bene?”
“Non proprio,
la gente ha la memoria corta in
fatto di favori, però almeno i miei amici hanno detto di
andare da loro.”
Io annuisco e lo
seguo.
“Non te la stai
cavando male per essere una che non vive sulla strada, hai un buono
spirito di
sopportazione.”
“Grazie, ma ho
bruciato tutti i ponti, posso solo andare avanti.”
Lui tace e guarda
avanti.
“Ok, allora andiamo.
Dobbiamo farci la città a piedi, i soldi stanno
scarseggiando e saranno ancora
meno quando avrò pagato i miei cosiddetti amici.”
“Pensavi che
l’avrebbero fatto gratis?”
“Ci speravo. Gli
avevo fatto dei bei favori quando ero a Frisco, ma la memoria della
gente è
corta e i soldi sono un richiamo irresistibile.”
Percorriamo
stradine secondarie e poco pulite dagli spazzaneve, quasi deserte.
Incontriamo
solo senza tetto, ragazzi dagli occhi a spillo e ragazzini che hanno
saltato
scuola.
Più o meno alle due
Derek si ferma davanti a un palazzo fatiscente, un volta doveva essere
stata
una casa popolare, magari anche carina, ora invece è solo un
mezzo rudere.
Derek suona il
campanello ed entra nel portone aperto, dentro ci sono delle scale, un
ascensore che sembra guasto da secoli, l’intonaco cade dalle
pareti e ci sono
murales un po’ ovunque.
Io e lui saliamo
al secondo piano e Derek suona il campanello, ne esce un messicano
dalla faccia
truce, con un cappellino della New York.
“Fuentes.”
Con inchino della
testa saluta Derek.
“Ramirez.”
Derek fa lo
stesso.
“Hai una
ragazza.”
Constata Fuentes.
“Sì, si chiama
Kate. Katie, lui è Juan Fuentes.”
Entriamo e un
secondo uomo, con i capelli lunghi e la barba non fatta da parecchi
giorni, è
sdraiato su un divano macilento.
“Lui invece è
Pierre Delvoix.”
L’uomo alza
svogliatamente una mano.
“Pierre, alza il
culo. Devi accompagnare questo ragazzino
all’inceneritore.”
Pierre guarda
Derek.
“Faresti meglio a
venderla.”
“Non voglio più
avere a che fare con delle pistole, amico.”
Il canadese
scrolla le spalle e se ne va con Derek, lasciandomi con questo Fuentes
che non
mi piace per nulla. Mi guarda come se io fossi un ghiotto boccone.
“Ehm, posso bere
qualcosa?”
Gli chiedo così,
tanto per rompere il silenzio imbarazzante che si è creato.
Credo che Derek
abbia fatto un errore a lasciarmi con questo tipo. In ogni caso, lui mi
indica
una cucina sudicia.
“Prendi quello
che vuoi, bellezza!”
Io me la filo in
cucina e bevo un bicchiere d’acqua, ho una sorda sensazione
di pericolo, come
se quell’uomo emanasse brutte vibrazioni. Credo sia meglio
stargli lontana.
Peccato che lui
la pensi diversamente e mi raggiunga in cucina.
“Allora, Kate,
quanti anni hai?”
“Diciotto.”
Rispondo cercando
di mostrarmi sicura, in realtà ho una paura folle. Spero che
quello che Derek e
Pierre devono fare non li tenga lontano molto o qui finisce male per me.
“E così sei la
ragazza di Derek. Ti piace?”
“Sì molto.”
Lui si avvicinò
un altro po’.
“E non ti
andrebbe di provare un vero uomo?”
Se per vero uomo
intendeva un tizio a un passo dall’obesità con
un’aria lasciva che si fingeva
un gangster, no, non mi va.
“No. Derek va
benissimo!”
Rispondo il più
decisa possibile, ma le mie parole non sortiscono alcun effetto, lui
continua
ad avanzare con quella sua espressione da lupo e gli occhi pieni di
desiderio.
Merda, sono nei
guai!
In un attimo mi
stringe i polsi nelle sue mani, pur essendo piccole e grassocce hanno
una presa
molto salda, io provo a mollargli qualche calcio, ma non riesco a
beccarlo.
Prova a baciarmi,
ma gli sputo in faccia, questo lo fa infuriare ancora di
più, perché mi strappa
i vestiti e comincia a stringere
e
strizzare le mie povere tette.
Mi muovo ancora
di più, lui mi tira un calcio e si butta come un affamato
sui miei seni, io non
riesco a respingerlo per via del dolore.
Mi sta togliendo
i pantaloni con furia quando una mano lo allontana e sento il rumore di
una
zuffa, io mi lascio cadere a
terra e mi
porto le mani sulle orecchie, mentre le lacrime scendono sul mio viso.
Sono salva, sono
fottutamente salva!
Rimarrei così
all’infinito se una mano gentile non mi tirasse in piedi:
è Derek e ha i segni
di una lotta in faccia.
È lui che mi ha
salvata! Senza pensarci due volte gli butto le braccia al collo e lo
abbraccio
con tutta me stessa. Dietro di noi Pierre sta prendendo a pugni il suo
compare
urlando frasi in francese.
“Mi dispiace per
quello che è successo.”
Ci dice
finalmente.
“Non pensavo
potesse fare una cosa del genere o l’avrei fatto venire con
me. Scusami ancora
Kate.”
Io non dico nulla
e il francese non sembra molto sorpreso.
“Potete rimanere
a cena e a dormire, domani dopo colazione ve ne andrete.”
“Avremo quello
che ci serve?”
Pierre annuisce.
“Li faccio io
questa notte per scusarmi dell’inconveniente a cui siete
andati incontro.”
Derek annuisce e
mi porta in salotto, mi fa sedere sul divano e mi abbraccia.
“Va tutto bene,
lui non ti farà più del male.”
“Grazie.”
Rispondo con una
voce sottile che non sembra nemmeno la
mia.
“Mi dispiace che
lui ti abbia fatto del male, avrei dovuto portarlo con me e con
Pierre.”
“Mi hai salvato,
va bene così.”
Lui sospira.
“Devo ricordarmi
che tu sei più fragile delle mie ragazze
precedenti.”
“No.”
Rispondo decisa.
“Il coraggio non
mi manca.”
Lui mi
scompiglia.
“Ok.”
Alle sette
mangiamo e il messicano mettono un canale che trasmette un telegiornale
e mi si
ghiaccia il sangue nelle vene.
“È ancora un
mistero la scomparsa di Ava DeLonge.”
Recita la
giornalista.
“La figlia
maggiore del noto chitarrista Tom DeLonge, leader dei Blink -182 e
degli Angles
and Airwaves, sembra sparita nel nulla.
Sono due
settimane che della ragazzina non si hanno notizie, in un primo momento
si era
pensato a un rapimento, ma la
famiglia
non è stata ancora contattata da eventuali rapitori.
La polizia
propende ora per un allontanamento volontario, il cellulare
è stato trovato al
confine con il Messico e Ava ha ritirato i soldi dal suo conto postale
prima di
sparire.
La famiglia spera
non sia incappata in qualche maniaco e invita chiunque la veda a
recarsi ad una
stazione di polizia.
Questa è la foto
di Ava.”
La giornalista
mostra una foto, ora sono più magra e con i capelli biondi,
non sembra quasi io
con la faccina paffuta e i capelli blu. Forse ce la posso fare a
passare
inosservata.
I tizi che hanno
guardato il servizio poi non hanno guardato me, solo Derek mi ha dato
un’occhiata di soppiatto.
“Forza, ragazzi.
Dopo aver mangiato come disperati non c’è niente
meglio di un bagno e di una
bella dormita.”
Derek è il primo
a lavarsi, io guardo Pierre estrarre gli strumenti del mestiere, poi
arriva il
mio turno e mi godo la doccia.
Una volta lavati,
Pierre ci mostra una stanza con un letto a una piazza e mezza.
“Buonanotte.”
Io e Derek ci
spogliamo e ci mettiamo a letto, abbracciati come l’altra
volta. Sto bene tra
le sue braccia, mi sento protetta.
Dio solo sa
quanto ho bisogno di protezione in questo periodo.
La
mattina dopo,
una mano poco caritatevole ci sveglia alle nove.
È Pierre e ha gli
occhi cerchiati di nero.
“Il lavoro è
fatto, mangiate qualcosa per colazione preparate i panini per dopo e
andatevene.”
“Va bene.”
Ci laviamo,
mangiamo e prepariamo dei panini, poi Pierre ci consegna una cosa e
dà una
pacca sulle spalle di Derek, a me invece tende una mano.
“Arrivederci e
scusa ancora per Ramirez, ha molte buone conoscenze, ma è
anche
un’irrimediabile…”
Non dice nulla,
ma capisco lo stesso.
“È ok, grazie per
averci ospitati e per il resto.”
“Di niente e
adesso andate.”
Li salutiamo e ce
ne andiamo, Vancouver è ancora fredda e coperta di neve.
“Cosa facciamo
adesso?”
Chiedo a Derek.
“Cosa ne pensi di
Montreal?”
“Uh! La città dei
Simple Plan! Comunque è ok, nessuno dovrebbe cercarci
lì, solo che sarà molto
difficile attraversare il Canada.”
“In qualche modo
faremo e adesso andiamo alla stazione.”
“Va bene.”
Lo seguo lungo le
vie che percorre, sembra conoscere questa città almeno un
pochino, forse ci è
già stato. Devo chiederglielo.
“Sei già stato
qui?”
“Ci ho vissuto un
paio d’anni da piccolo, per il lavoro di mio padre. Quando
l’ha perso siamo
tornati a Frisco.”
“Come mai dobbiamo
andare in stazione?”
“Per vedere se
c’è qualche treno merci che va verso
Montreal.”
“Pensi di farcela
in una tratta?”
“No, rischiamo di
morire prima. Dovremo fare tutto a tappe.”
“Ho capito.”
Arriviamo in
stazione e con lui mi intrufolo nella zona riservata alle merci,
ascoltiamo per
un po’ chiacchiere insulse e poi finalmente una notizia
interessante: stasera
alle dieci parte un convoglio per Calgary.
Io e Derek
usciamo.
“Calgary è un
buon posto, secondo la cartina, speriamo che facciano qualche pausa,
almeno per
pisciare.”
“Lo spero.”
Rabbrividisco
all’idea di doverla tenere per giorni e giorni, non credo ce
la farei e sarebbe
poco dignitosa farsela sotto.
“Non fare quella
faccia, sei una dura, ce la farai. Altra gente sarebbe crollata prima
di te.”
“Ok, adesso cosa
facciamo.”
“Gironzoliamo e
poi non so. Dovremo trovare un modo per tirare le nove e
mezza.”
Camminiamo
silenziosi in una città coperta di neve tra una massa di
persone dirette in
luoghi diverse, qualcuno va al lavoro, qualcuno a scuola, qualcuno a
riprendersi dopo la sbornia notturna.
Facciamo un giro
nella città sotterranea e riusciamo a fregare due panini a
un venditore
ambulante senza che lui ci veda.
E questo è il
nostro pranzo, consumato con calma su una panchina mentre guardiamo la
gente
che va avanti e indietro.
Che bello.
Sa quasi di
normalità!
Sembriamo due
ragazzini in pausa dalla scuola e non due giovani barboni in attesa di
un treno
che li porterà lontano.
Al pomeriggio
andiamo in un grande parco e ci divertiamo come scemi sulle altalene e
sui
giochi, quando inizia a calare la sera e a fare freddo
ci rifugiamo in stazione e lì mangiamo uno
dei panini che ci ha dato Pierre.
Le ore passano
lente, alle nove e mezza con cautela ci dirigiamo verso la zona merci,
vediamo
il nostro treno e ci saliamo sopra approfittando della distrazione di
uno degli
operai.
Il posto è
stipato di cose, ma siamo le uniche persone.
Meglio, non ho
voglia di sentire i racconti altri vagabondi, ho un sonno terribile e
non vedo
l’ora che Derek tiri fuori le coperte.
Fa anche freddo,
tra l’altro.
Rimaniamo in
attesa fino a quando il treno inizia a muoversi e le voci degli operai
e i loro
passi spariscono. Solo allora Derek tira fuori le coperte e ci mettiamo
a
dormire. Siamo entrambi stanchi e non vediamo l’ora che
finisca questa
giornata.
Cadiamo in un
sonno senza sogni che viene interrotto quando il treno si ferma in una
stazioncina, io e Derek saltiamo giù per rubacchiare del
cibo e per pisciare.
Miracolosamente ci riusciamo e risaltiamo sul treno che riparte verso
Calgary.
“Cavolo, ce
l’abbiamo fatta.”
“Almeno siamo
riusciti a pisciare!”
Dice allegro lui,
poi tira fuori il sacchetto che ha preso: acqua, due brioche, un altro
panino.
Mangiamo le
brioches e beviamo l’acqua, fuori il passaggio scorre
innevato, lo vediamo
dalle lame del legno che riveste il vagone.
“Ti piace la
neve?”
Gli chiedo.
“Abbastanza, ma
ho il sospetto che presto la odierò.”
Io rido.
“Forse finirò per
odiarla anche io, ma per ora mi piace.
Ci facciamo una
partita a carte?”
Io annuisco e lui
tira fuori un mazzo di carte, fino a mezzogiorno giochiamo a scala
quaranta,
vorrei giocare a poker, ma nessuno me lo ha insegnato e Derek non me lo
vuole
insegnare.
Dice che giocare
a scala quaranta gli ricorda sua nonna ed è un bel ricordo.
Va bene.
A mezzogiorno
mangiamo i panini che ci ha dato Pierre e poi ci stendiamo, dalle lame
entrano
gli spifferi d’aria fredda e qualche fiocco di neve. In
effetti fuori ha
ripreso a nevicare, che palle.
“Che freddo!”
Esclamo
sottovoce, lui mi sente e tira fuori una coperta in cui mi avvolge.
“Ma non rimanere
lì, vieni qui!”
Apro le braccia e
lui mi raggiunge.
“Quando quello
stronzo di Ramirez ti stava per…. Volevo
ucciderlo.”
Io rabbrividisco.
“Grazie per avermi
salvato. Posso chiederti una cosa?”
Divento
immediatamente rossa.
“Ma io ti
piaccio?”
Lui rimane in
silenzio per un po’.
“Sì, un po’ sì e
non so se sia un bene per te.”
Io non dico
nulla, è la prima volta che mi succede qualcosa del genere.
“Derek… Ti voglio
bene.”
“Anche io e
adesso lasciamo che questo viaggio verso l’ignoto
prosegua.”
“Non è un viaggio
verso l’ignoto. Non tutti quelli che viaggiano sono persi,
ricordatelo.
Noi sappiamo dove
vogliamo andare e perché ci vogliamo andare.”
Lui sorride.
“Hai ragione, noi
dobbiamo andare a Montreal e iniziare una nuova vita, dimenticando il
nostro
passato.”
Ci sorridiamo e
poi guardiamo il paesaggio innevato che ci
scorre davanti dalle aperture delle sbarre, in qualche
modo ce la
faremo.
Il viaggio
trascorre tranquillamente fino a Calgary –
c’è qualche sosta di mezzo e ne
approfittiamo per pisciare e recuperare del cibo – e
lì scendiamo dal treno
senza farci vedere.
Arriviamo in
stazione e lì troviamo un gruppo di barboni.
“Quando passa il
prossimo treno per Montreal?”
Derek lo chiede a
una donna che avrà sessant’anni circa.
“Ne passa uno per
Regina tra due giorni. Avreste fatto meglio a rimanere su quello in cui
stavate, sareste arrivati a Regina.”
Derek scuote la
testa.
“Troveremo
qualcosa da fare.”
Il sole sta per
tramontare e fa freddo, io e il mio amico andiamo alla ricerca della
mensa per
i poveri, ammesso che qui ce ne sia una.
Dopo mezz’ora la
troviamo e ci mettiamo in coda con gli altri senzatetto, che
chiacchierano
allegramente, nonostante il vedo gelido che ci taglia la faccia.
Il cibo è
stranamente buono e dentro fa caldo, i volontari sono gentili e ci
trattano da
esseri umani, il che è strano. In America i barboni sono
scansati come se
avessero la peste e non credo che nelle mense la gente sia gentile.
Mangiamo in
abbondanza e poi dobbiamo cercare un posto per dormire, dobbiamo
tornare in
stazione che ora è diventato un brutto posto. Ci sono
barboni, spacciatori e
drogati, io stringo istintivamente la mano di Derek e lui sorride
impercettibilmente.
Qualcuno ci
chiama, sono degli ubriachi, noi facciamo finta di non sentire, io
inizio ad
avere paura, l’unica cosa che ha il potere di calmarmi
è la stretta di Derek.
Ci inoltriamo
dentro la stazione, che passa dall’essere eccessivamente
illuminata della sala
d’attesa, al buio dei binari.
Io e lui ne
attraversiamo un po’ prima di arrivare in una zona
abbandonata, Derek tira
fuori una pila e illumina un paesaggio desolato fatto di vecchi binari
con
traversine che mancano, ferro e vecchi vagoni che non trasporteranno
più
nessuno.
“Andiamo in uno
di quelli e passeremo la notte lì. Non credo che ci
disturberanno lì.”
“Ne sei sicuro?”
Chiedo con una
voce così tremula che non sembra nemmeno la mia.
“Sì. E se
arrivasse qualcuno ci penso io.”
“Inizio a pensare
che avresti dovuto tenere quella pistola.”
Lui ride
nervosamente, mentre forza la porta per poter entrare, non credo sia
l’unico a
essere nervoso per la situazione e si sforza di rimanere calmo per me.
Che amore.
Adoro questo
ragazzo!
Forzata la porta
entriamo , lui tenda di richiuderla in qualche modo, per non fare
entrare il
freddo o qualcosa di peggio.
Alla luce della
pila estrae le coperte e cerchiamo di sistemarci sui sedili, anche
questa volta
abbracciati.
Chissà se Jack
avrebbe fatto tutto questo per me?
Chissà se lo sta
facendo con Ginger.
Ginger.
E io che pensavo
fosse quasi un’amica!
Vatti a fidare
degli amici, l’unica persona che sta facendo di tutto per
farmi stare bene, per
quanto in brutte condizione è uno che nemmeno conoscevo e
che forse troverebbe
più conveniente consegnarmi alla polizia.
Derek invece non
solo non lo ha fatto, ma mi sta proteggendo come meglio può
e senza di lui
sarei stata persa e forse chissà morta.
Devo ringraziare
qualsiasi cosa ci sua lassù per aver mandato lui sulla mia
strada.
Questi sono i
pensieri che mi vorticano in testa prima di cadere in un sonno senza
sogni né
incubi: un sonno che serve solo a far riposare il corpo.
Angolo
di Layla
Ringrazio ElaEla e _staywithme_ .
|
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Capitolo 6 *** 6) Kate e Ramon. ***
6) Kate e
Ramon.
Ci
sono certe
mattine in cui ti svegli con strani presentimenti: questa è
una di quelle.
Derek si
stiracchia pigramente – ci siamo svegliati quando i primi
raggi del sole sono
entrati dai vecchi vetri rotti e sporchi – io invece sono
piuttosto nervosa e
ho freddo.
Usciamo dal
vagone per ritrovarci faccia a faccia con due tipi dall’aria
piuttosto cattiva,
ci sono dei guai in arrivo.
“Avete dormito in
quel vagone?”
Derek annuisce
guardingo.
“Non sapete come
vanno le cose qui? Se vuoi dormire nei vagoni devi dare dieci dollari a
noi, ci
devi venti dollari.”
Derek vorrebbe
replicare, ma io gli stringo la mano e scuoto la testa. Ho il sospetto
che
questi due siano persone che non accettino un “no”
come risposta.
Il mio amico gli
sgancia venti dollari con aria truce.
“Non fare quella
faccia, amico. La tua puttana è stata molto più
intelligente di te nel
fermarti, noi non accettiamo risposte negative.
Se volete dormire
ancora qui dovrete pagarci, noi saremo all’ultimo binario
fino all’una di
notte.”
Detto questo si
allontanano ridendo.
“Perché mi hai
fermato, Ava?”
“Chiamami Kate,
ti ho fermato perché altrimenti quei tizi ti avrebbero
ammazzato. Quella donna
ieri sera aveva ragione, saremmo dovuti rimanere sul treno e arrivare
fino a
Regina, Ramon.”
Derek scuote la
testa e poi sbuffa.
“Hai ragione,
quando siamo in pubblico è meglio usare i nomi dei documenti.
Andiamocene ora.”
Io annuisco e lo
seguo, ci avviamo verso l’ultimo binario usato dai pendolari
e poi ci infiliamo
nel sottopassaggio. Nella stazione c’è un bar con
delle meravigliose brioches,
peccato non poterle mangiare perché dobbiamo risparmiare in
modo da trovarci
quasi subito un buco a Montreal.
Usciamo dalla
stazione e veniamo fermati dalla polizia. È un normale
controllo dei senzatetto
e della gente di passaggio nella cittadina, ma il cuore mi batte come
se
volesse uscirmi dalla cassa toracica. E se scoprissero che sono
documenti
falsi?
E se scoprissero
che io non sono Kate Leight, ma Ava Elisabeth DeLonge?
Dopo il breve
controllo ci lasciano andare.
“Mi raccomando
non fate casino, non ci piacciono gli stranieri che fanno casino qui a
Calgary.”
Noi due annuiamo,
io penso che farebbero meglio a tenere d’occhio e
possibilmente sbattere in
galera quei due loschi figuri che si fanno pagare l’affitto
per far sì che gli
altri possano dormire in un vecchio vagone ferroviario in disuso.
Camminiamo per le
strade mediamente affollate della cittadina tra la neve, abbiamo fame,
ma
dobbiamo resistere almeno fino a mezzogiorno.
“Dici che ci sarà
una mensa dei poveri anche a mezzogiorno?”
“Non lo so, io spero
di sì, ma è molto probabile che dovremo aspettare
fino a questa sera prima di
mettere qualcosa sotto i denti.”
“Ok.”
Passiamo davanti
a una tavola calda e improvvisamente sentiamo una voce urlare dietro di
noi,
guardandoci confusi torniamo indietro.
“Cosa c’è,
signora?”
Le chiedo
confusa.
“Entrate, vi
offro la colazione gratis.”
“Wow, grazie!”
Lei scuote le
spalle.
“Avete l’età dei
miei figli, a quest’ora dovreste essere a scuola, non a
vivere per strada.”
Io arrossisco,
Derek abbassa gli occhi, la donna ci fa entrare nel locale e ci serve
una
colazione abbondante di caffelatte, muffins, brioches, bacon, uova e
persino un
hamburger.
Noi mangiamo
tutto senza lasciare sul tavolo nemmeno le briciole.
“Grazie, signora!”
Le urliamo prima
di andarcene, lei sorride e ci mette in mano un sacchetto.
“Sono panini, per
quando ne avrete bisogno.”
Noi annuiamo.
“Grazie mille,
signora!”
Usciamo dal bar
con la pancia piena e di buon umore, ora possiamo esplorare la
città più tranquillamente.
Andiamo in
centro, io guardo le vetrine insieme a Derek e ci divertiamo facendo
commenti
stupidi o gesticolando ampiamente davanti alle facce sconvolte dei
clienti e
delle commesse che ci sono nei negozi.
Al pomeriggio
esploriamo il parco, mi piacerebbe poter suonare qualcosa, ma la mia
chitarra è
rimasta in camera mia a San Diego.
“Ah, se avessi la
mia chitarra…”
Esclamo sognante
a un certo punto.
“Beh, magari
quando saremo a Montreal potrai comprartene una.”
“Lo spero, mi
manca la mia chitarra.”
Ammetto esitante.
“Un giorno sono
sicuro che mi farai sentire come suoni.”
“Lo spero, anche
se non sono ancora bravissima, mio padre mi dava lezioni, ma poi
ecco…”
La mia frase
sfuma nel nulla, poi mi ha detto che sono una puttana.
Derek non dice
nulla, credo che abbia capito
i
sottointesi del mio silenzio.
“Puoi sempre
tornare indietro.”
“NO. E poi mi
mancheresti.”
Lui non dice
nulla, ma sul suo volto affiora un sorrisetto e mi prende per mano ed
è bello.
Mi sento protetta, mi piace come la stringe, mi ricorda Jack.
Al suo nome
qualcosa trema dentro di me, potranno esserci migliaia di chilometri
tra me e
lui, ma lui – come dice una delle canzoni dei blink
– è la voce nella mia
testa, il fantasma insepolto che vaga nella valle.
Non potrò
ignorarlo ancora a lungo.
“Ti mancherei
come ti manca Jack?”
Io lo guardo
stupita.
“Come fai a
sapere che mi manca.”
“Non so, è la
faccia che fai. Non te ne rendi conto, ma ogni tanto il tuo volto
diventa di
pietra e ti stacchi dal mondo e quando fai così so che stai
pensando a lui.
Lui è un grande
idiota ad averti lasciato andare, tra parentesi.”
Io sorrido.
“Con lui mi sono
comportata in modo orribile, non c’è nemmeno da
chiedersi il perché abbia
scelto Ginger e non me.
Non importa, non
fa niente.
Lontano da lui e
da tutti mi dimenticherò di questa storia e un giorno nel
nostro appartamento a
Montreal ci riderò sopra.”
“Io non credo
sarà così facile, ma la vita è la tua,
Kate.”
“Perché dici
così?”
“Perché non hai
messo fine a tutto questo fuggendo,l’hai solo messo da parte
e prima o poi
tornerà a chiederti il conto.”
Io sbuffo, non
può avere ragione.
La
sera siamo di
nuovo in coda alla mensa dei poveri, il cibo è buono e
troviamo un gruppetto di
ragazzi con cui parlare. Sono quasi tutti o scappati di casa o gente
che ha
perso il lavoro e la casa.
Non hanno
prospettive dicono perché nessuno prende seriamente in
considerazione la gente
che vive dalla parte sbagliata di qualsiasi città
d’America.
Forse hanno
ragione, quando si parla della gente che vive nella zona delle roulotte
c’è
sempre una sfumatura di paura nella voce della gente.
Rimaniamo a
chiacchierare fino alle undici attorno a un fuoco improvvisato, poi ci
dividiamo, ognuno alla ricerca del proprio vagone.
Paghiamo i dieci
euro ai due stronzi e poi ci infiliamo nel vagone della sera prima, ci
avvolgiamo stretti nelle coperte, abbracciati, eppure abbiamo ancora
freddo.
A movimentare la
serata qualcuno fa irruzione nel vagone verso le tre di notte, Derek
estrae
rapido un coltello a serramanico prima che lo faccia lui.
Si scrutano per
un po’ in cagnesco alla luce tenue dell’accendino
che ho in mano.
“Cosa vuoi?”
“Dammi i soldi,
devo mangiare!”
“Non raccontarmi
palle, bucomane. Li conosco quelli come te, volete soldi per la
droga.”
“Dammeli!”
“Fuori o ti apro
in due!”
Che bella
situazione di stallo, qui serve un diversivo. Afferro Derek per la
maglia e poi
gli indico un punto
imprecisato.
“Arriva la
polizia, cazzo! Arriva la polizia!”
Alla parola
“polizia”il drogato sparisce alla
velocità della luce, il mio amico sorride.
“Ottima pensata!”
“Eravate in una
situazione di stallo e mi sembrava l’unica cosa che lo
potesse far scappare!”
“Grazie, Ava.”
Un po’ scossi e
sicuramente più guardinghi di prima ci rimettiamo a dormire,
quel tossico
maledetto ci ha fatto venire un infarto.
Domani, per
fortuna, prenderemo un treno per Regina e daremo addio a Calgary.
Ai primi raggi di
sole ci ritroviamo con i ragazzi della sera prima e grazie a loro
rimediamo un
pasto mattutino, il che è assolutamente una buona cosa.
Sono esperti,
sanno a chi rivolgersi e a quale commercianti i ragazzi di strada fanno
pena e
li nutrono, è stato meraviglioso averli trovati.
Con loro
trascorriamo un pomeriggio bellissimo, sembra quasi di essere tornati
in una
gita scolastica, era da un po’ che non mi sentivo
così bene.
Alla sera siamo
di nuovo in fila per la mensa dei poveri.
“Stasera c’è un
treno merci per Regina, io e Kate lo prendiamo.”
“Veniamo anche
noi.”
Ci dice una
coppia, lei è visibilmente in dolce attesa.
“Siamo originari
di Regina e speriamo che i suoi ci aiutino ora che lei è
incinta.”
“Dovrebbero
farlo.”
Rispondo cauta
alla ragazza,che si chiama Ashley.
“Non è detto,
quando ho detto loro che stavo con Mickey mi hanno buttato fuori di
casa senza
pensarci due volte. I miei sono abbastanza conservatori.”
“Ma sei incinta!
Per quanto conservatori possano essere non potranno ignorare
questo!”
Lei scuote la
testa con uno strano ghigno.
Alle undici
prendiamo il dannato treno e ci organizziamo per la notte, Mickey si
preoccupa
che Ashley stia al caldo e alla fine si addormentano abbracciati, lui
ha una
mano sulla pancia della sua compagna, come per proteggere il piccolo.
“Che carini che
sono!”
Dico al mio
amico, che annuisce.
“Sono una bella
coppia, spero che non la caccino di nuovo.”
“Sarebbero dei
genitori di merda.”
“Il mondo è pieno
di genitori di merda.”
Mi risponde lui
prima di addormentarsi.
Ha ragione, mi
dico, non ci avevo mai pensato prima con l’esempio degli
Hoppus e dei Barker
sempre sotto gli occhi.
Che strana la
vita, mi dico prima di addormentarmi anche io.
La mattina dopo
ci svegliamo insonnoliti e affamati, il treno non accenna a fare una
sosta,
forse la farà per il pranzo o almeno lo speriamo con tutto
il cuore.
Fuori il
paesaggio è innevato e verso le dieci inizia a nevicare,
fortunatamente non
entra nel vagone, ci mancherebbe solo questo.
“Dici che si
fermeranno per il pranzo?”
Chiede Ashley al
nulla.
“Io devo andare
in bagno.”
“Spero di sì,
piccola, ma non ne siamo sicuri.”
Risponde Mickey,
guardando fuori dalle lame che ci fanno da finestre sul mondo esterno.
Alle due si
fermano in una stazione e scendiamo tutti, per una sosta bagno e per
sgraffignare del cibo da mangiare una volta ripartito il treno.
Sono riusciti a
rubare dei panini e – cosa più importante
– dell’acqua. Mangiamo e chiacchieriamo.
“Voi cosa fate
dopo essere arrivati a Regina?”
Ci chiede Mickey.
“Proseguiamo per
Winnipeg e poi ci fermeremo a Montreal. La meta è
quella.”
“Buona fortuna.
Montreal è grande, troverete qualcosa da fare e anche un
appartamento, credo.”
“Ma sì.”
“Al massimo vi
raggiungiamo, temo proprio che i miei mi ricaccino di casa.”
Ride amara
Ashley.
“Rimarremo in
contatto.”
Lui annuisce e
poi decidiamo di fare una partita a carte tutti insieme, in attesa che
il tempo
passi e che il treno raggiunga Regina.
Lo sappiamo che
ci vorrà un po’, ma io voglio allontanarmi sempre
di più dalla California, dal
sole, dalle palme, dalla gente che parla spagnolo, da mio padre e dai
miei
amici.
Voglio correre
più forte di loro e lasciarli indietro, in un posto dove non
possano farmi del
male.
Forse è sbagliato
e sto solo agendo come una codarda, ma davvero non ce la faccio
più a
ricordarmi di loro e pensare a come sia finita: in un completo disastro.
Landon a quest’ora
si sarà già fatto un’altra ragazza e
Jack sarà felice con Ginger,che saprà
dargli quello che io non sono stata in grado di dargli.
Saranno tutti
felici senza di me.
“Kate, sei tra
noi?”
La voce di Ashley
mi richiama alla realtà, io annuisco.
Li guardo: i
capelli biondi di Ashley sono ormai ridotti a rasta disordinati, ma non
faccio
fatica ad immaginarmi la ragazza che era. Probabilmente una di quelle
dai
lunghissimi capelli con una madre sadica che le fa vestire fuori moda,
con
camicette, gonne oltre il ginocchio e mocassini.
Mickey invece è
pieno di tatuaggi – qualcuno gemello con Ashley –
ed ha i capelli neri e
disordinati con qualche ciocca bionda segno di una passata colorazione
accesa,
un piercing al labro e gli occhi verdi vagamente truccati di nero. Deve
avere
finito la matita da poco, forse l’ha lasciata solo ad Ashley
perché lei è una
ragazza.
Non è esattamente
il ragazzo che una madre come quella di Ashley vorrebbe accanto a sua
figlia.
Può esser il
ragazzo migliore del mondo – dolce, simpatico, comprensivo,
con la testa a
posto in fatto di soldi – eppure a lei non piacerà
mai.
Povera Ashley.
“Ashley, se i
tuoi non vi danno una mano, fateci sapere, cercheremo
qualcosa.”
La mia voce esce
da sola e colgo l’occhiata positiva che mi lancia Derek:
approva.
“Va bene. Come
mai questa offerta?”
Mi chiede Mickey.
“No, niente. Ho
pensato a come potessero essere i genitori di Ashley e mi è
venuta spontanea.”
Lui sorride.
“Ne hai di
cervello, piccoletta.”
Io arrossisco.
“Ehi, non sono
piccola, ho solo la crescita
ritardata!”
Ridiamo tutti.
Dopo
qualche giorno
di viaggio arriviamo a Regina, scendiamo tutti.
Camminiamo verso
l’ultimo binario attivo e poi imbocchiamo un sottopassaggio
pieno di graffiti,
che fanno sorridere Ashley e Mickey.
“Questo l’abbiamo
fatto noi!”
Esclamano a un
certo punto indicando un ragazzo e una ragazza stilizzati che si
tengono per
mano,sorridendo.
“Bello.”
Arrivati fuori
dalla stazione, le nostre strade si devono dividere. Con una punta di
tristezza
abbraccio Ashley e saluto Mickey.
“Buona fortuna,
ragazzi.
Ricordatevi di
noi.”
Ash sorride.
“Puoi giurarci,
Katie. Molto presto saremo coinquilini, credo.”
“Spero di no, non
che non mi stiate simpatici, ma speri che i vostri genitori non siano
così
bastardi da lasciarvi in mezzo a una strada.”
Li salutiamo e
dopo la solita sosta in bagno e di rifornimento di cibo saliamo su un
treno
diretto a Winnipeg, guardando la cartina, abbiamo deciso che dopo
Winnipeg ci
fermeremo a Thunder
Bay,
Il tratto
Winnipeg-Montreal è troppo lungo.
Le giornate sul
treno sono monotone, ma arriviamo a Winnipeg e da lì
partiamo per Thunder Bay.
I problemi
iniziano quando scendiamo da quel treno. Non ci sono treni per Ottawa,
ci sono
solo salendo più a nord, il che significa autostop o
più probabilmente giornate
di marcia nella neve.
Il paese che
dobbiamo raggiungere è Nipigon.
A malincuore
usciamo dalla stazione di Winnipeg e cerchiamo un posto dove sia
possibile
rimediare da mangiare in modo da metterci in forze.
Troviamo un
proprietario gentile verso la marina del Superior Lake e mangiamo come
se non
ci fosse domani, come al solito ci portiamo via qualcosa da mangiare
più
avanti.
Con il cibo negli
zaini iniziamo ad attraversare Winnipeg, è un posto carino,
ma non è ancora la
Meta. La Meta è Montreal e ci arriveremo, parola mia.
Ci vuole quasi un
giorno per attraversare Winnipeg, per cena usufruiamo delle varie mense
dei
poveri sparse per la città e dormiamo anche lì
quando troviamo posto.
Qui fa più freddo
rispetto alle altre città, non ci volevano delle giornate di
marcia proprio
ora!
La faccia di
Derek è scura, nemmeno lui sembra contento della situazione.
“Questo è un
casino, ho il sospetto che dovremo farcela tutta a piedi e sperare che
non ci colga una tempesta, altrimenti siamo fottuti, rischiamo di
morire congelati.”
Io annuisco,
prego il Signore – sebbene siano anni che non lo faccia
– di farci raggiungere
quel fottuto posto.
Ci mettiamo in
marcia e all’inizio sembra procedere tutto bene, troviamo
persino una macchina
che ci dà un passaggio per un pezzo, il peggio deve ancora venire.
“Hold on the worst is yet to come.”
Cantava Mark ed è
in effetti così, quando manca poco a Nipigon iniziano a
cadere larghi fiocchi di
neve che poi iniziano a vorticare sospinti da un vento gelido che ulula
feroce.
Iniziamo a non
vedere più in là del nostro naso, è
iniziata una tempesta, io stringo la mano
di Derek, ma la sua presa mi sembra debole.
“Cosa c’è?”
Urlo per
sovrastare il vento che è sempre più forte.
“Sono stanco,
Ava, e ho fame.
Lasciami qui che
mi faccio una dormita!”
“Sei matto?
Rischi di morire! Andiamo!”
Lo trascino, mi
sembra che lui sia diventato una bambola inerte e non il ragazzo forte
che ho
sempre conosciuto.
“Forza Derek,
troveremo un posto per riposare!”
Urlo, più per
spronarlo che per reale convinzione.
Non ho idea di
dove trovare un posto per riposare riparati, in ogni caso arriviamo a
una
piazzola e tra la neve che vortica, grazie alla pila di Derek mi pare
di
scorgere un capanno poco lontano.
“Forza, c’è un
capanno, andremo lì!”
Inizio a essere
stanca anche io e non
mi piace il fatto
che lui ormai non mi risponda più.
Scavalchiamo il
guardrail e ci dirigiamo verso un capanno di legno, con un
po’ di fatica forzo
la serratura ed entriamo.
È pieno di paglia
e fieno, siamo fortunati. Tiro fuori le coperte e ci avvolgo Derek,
appoggio
una mano sulla sua fronte e mi accorgo che scotta: ha la fronte che
scotta.
Merda! Ha la
febbre.
Tiro fuori la
cassetta del pronto soccorso dal mio zaino, fortunatamente
c’è anche
dell’aspirina.
Ora sono agitata,
verso un po’ di acqua in un bicchiere di plastica e poi
l’aspirina che inizia
subito a fare quel caratteristico fischio che ha.
Io guardo il mio
amico, è pallido e stanco.
Una volta che la
pastiglia ha finito di sciogliersi, faccio bere Derek.
“Starai meglio,
tranquillo.”
Lo copro con un
po’ di paglia e poi mi sdraio al suo fianco sotto la paglia e
le coperte e lo
abbraccio più forte che posso, pregando che domani stai
meglio.
Mi addormento
così.
La mattina dopo
la sua fronte sembra meno calda e la tempesta di neve è
cessata, con fatica
rimettiamo le nostre cose negli zaini.
Usciamo dal
capanno con fatica – vista la neve caduta – e ci
troviamo davanti a un
paesaggio bianco e puro e se non fossimo in questa situazione direi che
è quasi
incantato.
Per noi non lo è,
non adesso.
Torniamo sulla
strada che stavamo seguendo e proseguiamo lentamente, Derek
è ancora debole, ma
non siamo lontano.
Al tramonto
iniziamo a vedere le prime case in lontananza e questo ci rincuora e
sprona ad
andare avanti.
“Siamo quasi
arrivati a Nipigon, laggiù troveremo qualcuno che ci
aiuterà. Ti prego, Derek,
cerca di resistere.”
Lui annuisce,
troppo stanco per parlare.
Entriamo a
Nipigon sotto un cielo limpido trapuntato di stelle che sembrano
così vicine da
poterle toccare, nonostante il bel tempo la notte rimane comunque
gelida e il
vento soffia contro di noi impietoso.
Con grande
difficoltà arriviamo a quella che sembra la mensa dei
poveri, io busso con
vigore e dopo un po’ una donna in vestaglia ci apre.
“La prego ci
aiuti, il mio amico sta male.”
Lei annuisce, ci
fa fare la doccia, mangiare e poi ci dà un pigiama e ci
accompagna ai letti, a
Derek dà un’altra aspirina visto che la febbre gli
è risalita.
Dio, fa che ce la
faccia.
Poco dopo cado in
un sonno senza sogni né incubi che mi fa riposare fino alle
nove, quando vengo
svegliata dalla donna in vestaglia della sera prima.
“Come sta Ramon?”
Chiedo con una
voce ancora intontita per il sonno.
“Oggi verrà un
medico, la febbre non scende.”
Io impallidisco.
“Come ti chiami?”
“Kate.”
Rispondo con un
filo di voce.
“Kate, il tuo
amico ce la farà. È stato fortunato
perché qualcuno deve avergli già dato
qualcosa per far scendere la febbre.
“Io.. Io gli ho
dato un’aspirina.”
“È stata una
buona mossa. Adesso scendi a fare colazione e poi potrai andare a
trovarlo.”
Io annuisco e mi
cambio i vestiti, i miei sono probabilmente a lavare. Indosso un paio
di jeans
stretti neri, una maglietta dei Sex Pistols, una felpa dei Rancid e
– visto che
nell’edificio fa abbastanza caldo – tralascio la
camicia felpata a quadri neri
e rossi.
Mangio di fretta
per vedere Derek.
In effetti non è
conciato tanto bene, è pallidissimo, ma sorride quando mi
vede.
“Ehi, scricciolo!
Sembra che io ti debba la vita.”
“Così siamo pari
adesso, oggi pomeriggio verrà un medico a
visitarti.”
Poi scoppio a
piangere senza averlo premeditato.
“Ho avuto tanta
paura che morissi, non giocarmi mai più un tiro del
genere!”
Urlo tra le
lacrime, lui me le asciuga e poi mi cenno di stendermi accanto a lui.
“Andrà tutto
bene, Ava.”
Mi sussurra in un
orecchio.
“Ce la faremo, te
lo giuro. Non abbiamo attraversato mezzo Canada solo per fermarci
adesso.”
Io annuisco, lui
mi scompigli i capelli.
Se lui dice che
andrà bene gli credo, lui è l’ultima
persona che mi è rimasta.
Ce la faremo, me
lo ripeto mentre mi addormento di nuovo tra le sue braccia.
Ce la faremo.
Angolo di Layla
Ringrazio DeliciousApplePie
per la recensione.
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Capitolo 7 *** 7)È lunga la strada per il para...MONTREAL. ***
7)È
lunga la strada per il para...MONTREAL.
La
malattia di
Derek continua per una settimana, è un’influenza
seria e alla fine anche io ne
vengo contagiata.
Quando usciamo
dalla mensa dei poveri siamo entrambi pallidi e smunti, stanchi da
morire, ma
decisi a proseguire il nostro viaggio.
Prendiamo il
primo treno merci per Ottawa e
poi a
Ottawa uno per Montreal.
Quando finalmente
scendiamo dall’ultimo treno mi sento leggera, così
leggera che potrei volare
via trasportata dal vento freddo della città.
Montreal ci
accoglie con una bella giornata limpida, ma fredda.
Noi siamo di buon
umore e ci trasciniamo alla prima agenzia immobiliare per trovare
subito un
posto per vivere.
Le case nei
quartieri residenziali sono fuori dalla nostra portata, ma riusciamo ad
avere
in affitto una casetta che confina con i quartieri poveri e che nessuno
vuole
per questo.
Ci sono anche
leggende che dicono che in quella casa un uomo abbia fatto a pezzi la
sua
famiglia e che lì si aggirino ancora i loro fantasmi.
Fa niente, io
sono abituata al soprannaturale, anche a casa mia ci sono i fantasmi e
li vedo
solo io, per somma rabbia di mio padre.
Pensando a lui mi
rabbuio e non posso permettermelo.
Da questo momento
in poi la nostra vita accelera, sistemiamo le nostre cose in casa e poi sistemiamo la
casa stessa: ridipingiamo
le pareti, restauriamo le sedie scompagnate e troviamo le loro sorelle
in
soffitta, sistemiamo il divano e la tv che non va.
Derek sistema gli
elettrodomestici con il mio aiuto, io invece restauro le varie cose.
In un mese la
casa è tornata ai suoi antichi fasti e io e Derek abbiamo un
lavoro: lui lavora
in un negozio aggiusta tutto, io come cameriera da Mac Donald, sperando
che
presto mi promuovano e mi mettano in cucina.
Lì lavori come
uno schiavo, ma vieni anche pagato di più.
La mia vita sta
prendendo una direzione calma e senza scossoni e io non chiedo di
più.
All’inizio di
dicembre ci raggiungono anche Ashley e Mickey, i loro genitori li hanno
di
nuovo buttati fuori e noi li ospitiamo nella stanza di quello che
doveva essere
un bambino, solo che ora ci abbiamo messo un letto a una piazza e mezza
trovato
alla discarica e sistemato da me.
La pancia di
Ashley è bella grossa e – grazie a
un’ecografia fatta su un camper di
prestazioni sanitarie gratuite ai senza tetto – hanno
scoperto che sarà un
maschio.
Fila tutto per il
meglio insomma, oggi è una domenica tranquilla. Ashley
guarda la tv con Derek e
commentano ironicamente uno mielatissimo film d’amore.
Io invece finisco
di decorare la casa con Mickey, l’albero l’abbiamo
fatto ieri tutti insieme.
Il campanello
suona all’improvviso e ho un bruttissimo presentimento: non
mi piacerà la
persona che ci sarà dall’altra parte della porta.
“Kate, non vai ad
aprire?”
Mi chiede Mickey.
“Sì, sì, vado.”
Mi avvio verso la
porta bianca che ho dipinto io stessa e la apro.
Sbianco non
appena vedo chi c’è.
Jack.
“Jack?”
Gli domando con
una voce flebile.
“Sì, sono io.
Ava, ti ho trovato finalmente!”
Io gli sbatto la
porta in faccia prima che possa infilarci un piede per costringermi a
parlare
con lui, cosa che non voglio.
Lui inizia a
tempestare la porta di pugni, che io ignoro.
“Ava! Apri,
cazzo!”
Io me ne torno in
salotto, tra lo stupore di tutti.
“Chi è?”
“Uno che ha
sbagliato porta.”
“Non sembrerebbe,
sembrerebbe conoscere bene chi vuole e sembri proprio tu.”
“Io non voglio
parlare con lui. Forza, continuiamo con le decorazioni!”
Dico secca.
Mickey mi guarda
perplesso, ma alla fine annuisce e continuiamo come se nulla fosse,
come se non
ci fosse un pazzo che continua a tempestare la nostra porta di pugni e
a
chiamare il mio nome.
“Se ne andrà
prima o poi, vero?”
“Sì, ma è
probabile che ritorni.”
Sono seccata, ma
cosa vuole da me?
Non ha Ginger?
Non ha una vita a cui pensare?
Non ero la
stronza? Perché venirmi a cercare?
Da quel momento
mi chiudo in un silenzio ostile e furioso, come ha fatto a trovarmi?
Eppure abbiamo
lasciato pochissime tracce!
“Kate, non c’è
qualcosa che ci devi dire?”
Mi chiede cauta
Ashley.
“No, non ho nulla
da dire.”
Rispondo funerea,
lei e Mickey si lanciano due occhiate incredule, sembra che
all’improvviso non
sappiamo cosa dire o fare.
È questo il
prezzo da pagare quando dici una bugia e la verità viene a
scovarti.
Finalmente dopo
mezz’ora si stanca e se ne va, ma ho l’impressione
che tornerà domani.
“Per fortuna se
ne è andato, eh ragazzi?”
La voce di Derek
ha un tono leggero per evitare domande.
“Sì, ma sembrava
che ti conoscesse davvero, Kate.”
Io scuoto la
testa.
“Non conosceva
neppure il mio nome, ha continuato a chiamarmi Ava tutto il
tempo.”
“Forse Kate non è
il tuo verro nome.”
Azzarda Mickey.
“Ci sono tanti
senzatetto che entrano illegalmente in Canada e si cambiano il nome,
adottando
quello dei documenti falsi.”
Io mi alza in
piedi nervosa e sbatto un pugno contro lo stipite della porta.
“Non fatemi domande
su questa storia, non ho intenzione di rispondere, ok?
E adesso esco a
mangiare!”
Raccatto la
giacca e la borsa e mi metto gli anfibi, in soggiorno Ash e Mickey
stanno
tempestando il povero Derek di domande.
Idiota di un
Jack!
Doveva proprio
venire a scovarmi ora che ho trovato un po’ di pace?
Cammino di
pessimo umore, masticando amaro fino al Mac più vicino,
lì ordino un bel menù
di quelli che ti ammazzano di calorie e cerco di darmi una calmata.
Sono furiosa,
nelle settimane di punizione che ho scontato – per modo di
dire perché alla
metà della seconda sono scappata di casa – non mi
ha mai mandato nemmeno un
messaggio e ora si
fa vivo.
Come se fosse mio
amico
Come se gli
importasse.
Forse Ginger l’ha
mollato o ha chiuso le gambe.
Non lo so e non sono
certa di volerlo sapere, in fondo non mi interessa granché.
Bugia!
Quando me lo sono
trovato davanti il mio cuore ha iniziato a battere troppo veloce e
questo non
va affatto bene, lui non può farmi questo effetto. Non
ancora.
Quanti chilometri
devo mettere tra me e Jack Hoppus?
E anche se ne
mettessi degli altri chi mi assicura che non mi segua?
Potrei
trasferirmi in Europa e lasciare la mia casettina, anche se mi
mancherà insieme
a Derek, Ashley e Mickey.
“Non dirmi che
vuoi scappare ancora?”
Una voce maschile
ironica mi riscuote dalle mie elucubrazioni: è Derek.
“Sì, stavo
pensando di fuggire in Europa, non nel Regno Unito, però.
Jack ha vissuto
per un po’ a Londra e conosce il posto.”
“Non sarebbe
meglio parlargli invece di scappare?”
Io sbuffo.
“Non me la sento,
lui mi fa incazzare da morire, ma anche sentire debole da morire.
Mi fa scoppiare
il cuore e non gliene frega nulla, dato che ha una ragazza.”
Lui scuote la
testa.
“Sei innamorata,
ma non vuoi metterti in gioco.”
“L’ho già fatto e
guarda cosa è successo: sono scappata in Canada e
l’ho attraversato tutto pur
di non vedere più lui e la mia famiglia. Non credo sia una
bella idea
rimettermi in gioco di nuovo.”
“Dipende da come
gliel’hai detto e poi le circostanze ora sono diverse, che ti
piaccia o no lui ha
attraversato il Canada per venirti a riprendere.”
Io faccio un
verso indefinito tra lo sbuffo e quello tsch che amano tanto i padrini
mafiosi.
“Avrebbe potuto
avermi a San Diego.”
“La situazione
era diversa: prima ti scopi il suo migliore amico e lo fai soffrire
perché lui
ti ama e tu non voluto parlargli, poi te ne vieni fuori di botto con il
fatto
che lo ami.
Penso sia quasi
normale che una persona reagisca male in questa situazione.”
“Se lo dici tu.”
“Non ti ho
convinta, eh?”
Io scuoto la
testa.
“Sei così forte
da attraversare uno stato, sopravvivendo al gelo, agli avanzi di galera
e senza
farti trovare da nessun poliziotto eppure sei anche così
debole da non voler
riflettere sul rapporto che c’è tra te e Jack e
dargli la possibilità di dire
la sua.”
Io sto zitta,
questo argomento non mi piace per niente e io taccio quando qualcosa
non mi
interessa.
“Ava, non è
scappando che questa cosa si risolverà, anzi si
ingigantirà fino a travolgerti.”
“Non esageriamo,
Derek!”
“Non è quello che
sta succedendo?
Tu pensavi di
esserti liberata di quel ragazzo, ma lui è qui e deciso a
parlarti e lo sarà
ovunque tu decida di andare.
Fallo parlare,
mandalo a fanculo e chiudi questa situazione, eviterete di soffrire
entrambi.”
“Mah, se lo dici
tu.”
“Sì e sono certo
di quello che dico, ti voglio troppo bene per vederti comportati
così senza
fare niente.”
Io arrossisco.
“Grazie Derek.”
“Figurati.”
Derek ordina
anche lui da mangiare e alla fine finiamo per mangiare insieme due
hamburger,
penso che Ashley sia in grado di cucinare qualcosa al suo ragazzo.
Torniamo a casa e
li troviamo intenti a sparecchiare la tavola, non ci dicono niente e
passiamo
la serata a guardare la tv.
Apparentemente
sembra tornata la normalità, ma so che è solo
momentanea.
Il
giorno dopo
Jack si ripresenta e io devo uscire dalla porta sul retro insieme agli
altri
per andare al lavoro.
Seccatore
maledetto!
Al lavoro sono
svogliata e sull’attenti, non vorrei mai che capitasse nel
locale e facesse una
scenata, non voglio essere licenziata per colpa sua.
Arrivo a casa e
lo vediamo accoccolato sul portico, io mi avvicino cauta e gli tocco la
fronte:
è gelida.
“Derek,
portiamolo dentro prima che congeli.”
Io lo prendo per
le spalle, lui per i piedi e con l’aiuto di Mickey lo
mettiamo sul divano, gli
togliamo giaccone e scarpe e lo avvolgiamo in due coperte.
Un quarto d’ora
si sveglia, ancora mezzo intontito, e mi individua subito.
“Ava!”
“Jack.”
Dico priva di
allegria.
“Finalmente ti ho
trovata, stavano diventando matti.”
“Ma davvero?”
La mia voce ha
una sfumatura feroce.
“Sì, cosa ti è
saltato in mente?
Come mai sei
scappata di casa?”
“Forse perché mio
padre mi considera una puttana, la band ha cessato di esistere, per
Landon ero
solo una scopata, mancata direi e tu avevi Ginger.
Per chi sarei
dovuta rimanere?
Per la mia
famiglia? Per il mio migliore amico che mi ha mandata a
fanculo?”
Lui scuote la
testa.
“Ero solo
arrabbiato con te perché mi sembrava di essere un burattino
tra le tue mani.”
Mi risponde con
voce debole.
“Bene, il
burattinaio ti ha tagliato i fili, puoi andartene.”
“Ava, non abbiamo
ancora finito di parlare.”
“Io non ho
nient’altro da dirti, vattene.”
Lui si alza
barcollante, si rimette scarpe e giacca e mi guarda.
“Tornerò, non è
finita qui.”
Se ne va curvo e
io lo seguo con lo sguardo.
Di cos’altro
dobbiamo discutere?
“Testardo il
ragazzo!”
Commenta Derek
divertito.
“Sì, è una delle
sue peggiori qualità.”
Lui ride.
“Poverino, si è
fatto tutto il Canada, potresti essere meno gelida.”
“Come ho già
detto poteva dirmi tutte queste cose ed essere gentile in California
invece che
qui.
Qui dà solo
fastidio a tutti.”
Derek smette di
ridere.
“Non è vero,
cerca solo di farsi ascoltare, un’impresa non facile, quando
si ha a che fare
con una testona come te.”
Io sbuffo e
incrocio le braccia davanti al petto, non sono poi così
testona e non ho
voglia di discutere.
“Io vado a
letto.”
Lui annuisce e mi
raggiunge poco dopo.
“Vuoi davvero
dare nessuna possibilità a quel ragazzino?”
“Sì..”
Mormoro stanca.
“Pensa a cosa ha
fatto per te – in ritardo, d’accordo – e
non essere così affrettata.”
“Va bene, Derek.”
Io mi addormento
tra le sue braccia, nel mio cervello vorticano le immagini di me e Jack
insieme
e poi quelle con me e Derek.
Che casino.
La mattina dopo
mi sveglio intontita, non vedo l’ora che sia Natale per
dormire un po’ di più,
mi sento veramente stanca.
Mangio
svogliatamente la colazione e poi mi reco al lavoro, di solito non mi
pesa, ma
rivedere Jack mi ha sconvolto. Frammenti della mia vecchi vita si sono
conficcati in quella nuova e non è piacevole.
Ora mi sento in
bilico tra due dimensioni, quella in cui ho sempre vissuto –
rappresentata da
Jack – e quella nuova, rappresentata da Derek, Ash e Mickey.
Cosa devo fare?
Ascoltare Jack o
ignorarlo?
Cosa significa
che il nostro discorso non è finito?
Non ne ho idea e
la cosa mi preoccupa non poco, mi piace avere le cose sotto controllo.
La mattina dopo
mi sveglio nervosa, nessuno mi può parlare senza ricevere
una critica o un
insulto gratuito. Certe mattine mi gira così e non
c’è niente che possa fare per
cambiare questa cosa, anche se so che è fastidiosa per chi
vive con me.
Vado al lavoro e
verso mezzogiorno trovo in coda Jack, evviva. Decido di trattarlo come
un
normale cliente, lui ordina un menù e poi mi guarda.
“Stasera
usciresti a bere qualcosa con me?”
“No, non vedo
perché dovrei.”
“Abbiamo
parecchio in sospeso io e te.”
“Ecco il suo
menù, buon appetito.”
Gli porgo il suo
vassoio e lui si allontana deluso.
Il resto del
turno procede tranquillamente, il brutto arriva alla fine ed
è Jack appoggiato
al muro davanti all’uscita sul retro.
“Cosa vuoi?”
“Parlare con te,
dobbiamo chiarire.”
“Ti ricordi cosa
mi hai detto la notte che sono venuta da te?
No, vero?
Beh, io sì, era
più o meno così: “Ho detto che
è troppo tardi, Ava. Non puoi trattarmi come una
merda e poi pretendere che io ti dica che va tutto bene e che
è tutto a posto
tra di noi”.
Ecco, Jack, è
esattamente così.
Non puoi
pretendere che io torni da te dopo che tu mi hai detto di andartene.
Non puoi
dire a una persona che ha disperatamente bisogno di te di andarsene e
poi
pretendere che torni da te a tuo piacimento.
Non funziona
così, Jack Hoppus.
E adesso, scusa,
ma devo andare a casa.”
“Casa tua è a San
Diego.”
“Casa mia è a
Montreal.”
Rispondo fredda
io.
“Smettila di
scappare! La vera Ava non l’avrebbe mai fatto!”
“E tu smettila di
rincorrermi! Il vero Jack non mi avrebbe mai lasciato nella merda fino
al
collo.”
Me ne vado e lui
non mi segue, ho parlato di un vero Jack, ma forse non esiste, forse ha
solo
finto bene in tutti questi anni.
Arrivo a casa di
malumore, ma cerco di non esternarlo questa volta. Nessuna delle
persone
presenti può pagare per la stupidità di Jack ,
solo Derek intuisce qualcosa.
“È tornato alla
carica, vero?”
“Sì, ma non
voglio cedere. È facile presentarsi qui e fare
l’eroe romantico della
situazione, ma dov’era prima?”
“Tutti sbagliamo,
ma come possiamo rimediare se nessuno ci dà una seconda
possibilità?
Come possiamo
dimostrare di essere cambiati se tutte le porte ci vengono sbattute in
faccia?”
Io non dico nulla
e preparo la cena, le parole di Derek hanno aperto una piccolissima
breccia
dentro di me.
Servo la cena e
mi chiedo se forse non dovrei davvero parlare sul serio a Jack, niente
frecciatine, niente acidità, solo un confronto pacifico.
La mia mente dice
che è una buona idea, ma l’istinto – il
cuore, la pancia – è ancora arrabbiato.
Come diceva
quella frase?
“Io sto bene,
sono i miei sentimenti a essere arrabbiati.”
Ecco, sintetizza
perfettamente la mia situazione.
La ferita che mi
ha inferto sanguina ancora troppo per far sì che sia un
confronto pacifico.
Lavo i piatti,
sistemo la cucina e poi salgo in camera mia buttandomi sul letto.
“Fa male ancora?”
“Fa male ancora.
Sono ancora ferita, arrabbiata, non lo so.
Quando si parla
di lui sento come se ci fosse un gomitolo di lana incastrato in gola,
che non
mi fa parlare, urlare e respirare. Quando voglio rompere qualcosa per
sfogarmi
le mie braccia diventano pesanti.
Il mio corpo non
risponde ai miei comandi quando c'è lui nelle vicinanze,
sono sempre stata
fredda con lui per tenere a bada questo corpo che vorrebbe solo
saltargli in
braccio e baciarlo.
Non posso, non
posso dopo quello che mi ha fatto!”
All’improvviso si
apre la porta della camera si apre e Jack fa irruzione, trattenuto da
Mickey.
“Scusate, non ce
l’ho fatta a trattenerlo!”
Jack lancia
un’occhiata di fuoco a Derek che risponde con
un’occhiata di sfida aperta, che
fa stringere i pugni al mio ex migliore amico.
“Ava, dobbiamo
parlare!”
“Ancora? Lasciami
in pace, Jack!
Ne ho le palle
piene di te e dei tuoi appostamenti!”
“Parlami e finirà
tutto.”
Io guardo lui e
poi Derek, poi dalla mia bocca esce una specie di ringhio.
“Va bene. Domani
vieni qui e poi ce ne andiamo in un posto che conosco io, adesso
vattene.
Non voglio vedere
la tua faccia da cazzo fino a domani!”
Urlo fuori di me.
Domani si
prospetta un giorno di merda e soprattutto un confronto non facile con
una
persona che per me – un tempo – rappresentava tutto.
Che Dio me la
mandi buona e mi assista o rischio di ammazzare quella testa bionda e
non mi va
di finire in carcere per lui.
Dannazione!
Angolo di Layla.
Ringrazio staywith_me e
DeliciousApplePie
per le recensioni.
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Capitolo 8 *** 8)La mia fine con te. ***
8)La mia fine con te.
E
così il gran
giorno è finalmente arrivato.
Gran giorno dà
persino troppa importanza all’evento – che
è solo una gran seccatura – e mi
mette di malumore.
Non voglio incontrarlo
o forse sì.
Non lo so.
In ogni caso mi
vesto normalmente, saluto i ragazzi ed esco. Ha iniziato a nevicare e
lui se ne
sta sotto un lampione guardando in alto, che scemo!
“Eccomi.”
“Eccoti.”
Ci incamminiamo
lungo il marciapiede, la neve attacca già da subito, domani
avremo un manto
bianco.
Entriamo in un
Mac Donald e ordiniamo da mangiare, non c’è molta
gente così troviamo subito un
tavolo. Mangiamo in silenzio, la bomba verrà sganciata dopo
il pasto, temo.
“E così eccoci
qui.”
“Sì, cosa devi dirmi?
Vuota il sacco.”
“Come sei
diventata fredda.”
Io scuoto le
spalle.
“Ava, io sono
innamorato.
Sono anni che
sono innamorato di te e ogni volta che tu mi parlavi di Landon con
quella
faccina persa e gli occhi a cuore, il mio di cuore si spezzava sempre
di più.
Non sapevo come
fare a farti capire che Landon, pur essendo il mio migliore, non era
certo la
persona che credevi tu.
Stavo dando di
matto, l’unica con cui parlavo di questo era Ginger e nemmeno
lei sapeva cosa
fare.
Quando hai
accettato l’invito di Landon credo di essere semplicemente
esploso, ho
detto troppo in un
modo sbagliato.”
Io annuisco
piano, ma non dico nulla.
“Il fatto che tu
ti fossi arrabbiata e che non mi rivolgessi più la parola mi
ha fatto
arrabbiare. Io ti stavo aprendo gli occhi e tu non mi ascoltavi e anzi
non
volevi nemmeno parlarmi.
Ero
arrabbiatissimo, così ho chiesto a Ginger di metterci
insieme.
Quando sei
ricomparsa quell’ultima notte dicendo che avevo ragione e che
ti eri accorta di
essere innamorata di me mi sono sentito usato e ho reagito
così.”
“Non hai mai
pensato che così mi stavi ferendo?”
Lui abbassa gli
occhi.
“No, non ci ho
pensato al momento, ma nei giorni seguenti quando non ti ho vista a
scuola e
Tom non voleva dirmi dov’eri sono stato sommerso dal senso di
colpa.
Forse avevo
sbagliato tutto, forse ti avevo fatto del male, volevo parlarti, ma tu
eri
sparita.
Ava mi
dispiace, non
possiamo ricominciare
tutto da capo.
Io… io ti amo.”
Io guardo il
bicchiere della coca cola, pervasa da un senso di irrealtà.
Jack non può amarmi
o non si sarebbe comportato così.
“Non puoi dire
sul serio, Jack.
È solo un modo
per farmi tornare a casa.”
“No, credimi, ti
sto dicendo la verità.”
“Comodo così! Dov’eri
quando per mio padre ero una puttana con cui non valeva nemmeno la pena
di
parlare? Hai perso
la tua occasione
quella notte.
Quella notte sono
venuta da te con il cuore in mano, in cerca di aiuto, visto che pensavo
fossi
l’unica persone in grado di darmi un po’ di
conforto, invece…
Invece te ne sei
fregato e non solo, mi hai cacciata come si fa con
un’estranea un po’
importuna!
Avresti dovuto
pensarci meglio, adesso è tardi.
Adesso la mia
vita è qui e non so se voglio che tu ne faccia ancora
parte.”
Mi alzo
sconvolta.
“Cia… Addio,
Jack!”
Scappo via dal
Mac Donald come se il diavolo mi inseguisse, in realtà
è solo Jack.
Faccio pochi
metri quando lui mi afferra per un polso e mi fa girare verso di lui,
io sono
nel panico, cosa vuole fare?
Mi bacia con
passione, io ricambio – malgrado tutte le volte che ho
desiderato prenderlo a
calci in questi mesi – presa totalmente in contropiede.
Tornata in me,
gli mollo una sberla e scappo.
Arrivo a casa
senza fiato e corro in camera, per buttarmi sul letto e scoppiare
istericamente
a piangere.
Poco dopo Ashley
bussa alla porta ed entra. Ha un passo un po’ strano vista la
pancia che porta
orgogliosamente, non l’avevo mai notato prima.
Si siede sul
letto e mi guarda.
“Cosa è successo,
Ava?
Sembri
sconvolta.”
Questa semplice
frase ha il potere di farmi aprire completamente, la mia diga personale
è
crollata e le racconto tutto quello che mi è successo.
Sa chi sono, sa
di Landon e di Jack e della mia fuga da casa, di come ho incontrato
Derek e
della nostra amicizia.
Adesso riesce a
capire meglio come mai ero così fuori di testa quando ho
visto Jack e le
racconto di stasera e del bacio.
Una volta finito
lei mi guarda triste e poi mi abbraccia.
“Andrà tutto
bene.”
“Come?”
“Se ami Jack così
tanto passa sopra ai suoi errori, tutti ne facciamo o
c’è qualcosa che non mi
hai detto?”
“Temo che Derek
sia cotto di me e un po’ mi piace, ma non voglio farlo
soffrire.”
“Il miglior modo
per non farlo soffrire è essere sincera con lui, ammettendo
che ti piace Jack,
altrimenti sarete infelici in tre. Tu perché non sei con
Jack, Derek perché sa
di essere un ripiego e questo Jack che crederà di averti
persa per sempre.”
Io sospiro.
“In un certo
senso mi ha persa, non sono più la Ava che lui
conosceva.”
“Ma a lui non
sembra interessare, gli piace anche la nuova Ava o altrimenti non ti
avrebbe
cercato con tanta ostinazione.”
“Non lo so, può
averlo fatto per tanti motivi, tra cui il senso di colpa e poi ha
già una
ragazza.”
“Sei sicura? Può
avere rotto con Ginger.
Gliel’hai
chiesto?”
Io scuoto la
testa.
“Il pensiero di
Ginger non mi ha nemmeno sfiorato.”
“Male, avresti
dovuto chiederglielo.”
Io sbuffo.
“E cosa sarebbe
cambiato?”
“Se ha mollato
quella ragazza per cercarti significa che è sincero, che ti
ama davvero.”
Io taccio.
Sì, forse avrei
potuto chiederglielo, ma cosa sarebbe cambiato?
Io non sono
sicura di volerlo di nuovo nella mia vita, non so se mi va di tornare
indietro.
Certo, la vita
che faccio adesso è dura se paragonata a quella di prima, ma
mi sento in un
certo senso realizzata. Quello che ho lo ottengo grazie a me e non a
mio padre
o alla sua fama.
“Pensaci, Ava.
Buonanotte.”
Ash esce e mi
lascia da sola con i pensieri.
Poco dopo sono
già addormentata.
La mattina dopo è
domenica e posso
dormire un po’ di più.
Solo alle dieci scendo
in cucina e trovo un biglietto verde vergato da una grafia familiare
attaccato
al frigo: Jack.
“Ciao, io parto
per san Diego con il volo di stasera alle sette.
Nel caso avessi
cambiato idea o volessi parlare con me, te l’ho scritto.
Ciao, Ava.
Jack.”
Io stacco il
biglietto e lo guardo meravigliata, se ne va dopo un solo tentativo?
Non so perché la
cosa mi fa stare male e mi butta in uno strano senso di stordimento.
Dovrei
essere felice – mi lascerà in pace –
invece sto male perché mi sento ancora una
volta ignorata.
“Ava, va tutto
bene?”
Mi chiede Ashley,
io le passo il biglietto.
Lei lo legge
perplessa, poi sorride.
“Secondo me
dovresti andarci.”
“Ha ceduto dopo
solo un tentativo, perché dovrei farlo?”
“Perché per una
volta, se vuoi che le cose vadano bene, devi metterti in gioco e
rischiare.”
Io non dico nulla
e mi butto sul divano stordita.
All’improvviso
scoppio a piangere e prendo a pugni un cuscino.
“Ava!”
Io scatto in
piedi e mi chiudo in camera mia, ho il cervello che mi sta scoppiando.
Da una parte
mi dice di correre da Jack, dall’altra di stare qui con Derek
e gli altri. Sono
entrambi impulsi fortissimi e mi dilaniano, mi spaccano a
metà e mi lasciano
assolutamente spossata.
Cosa devo fare?
Andare da Jack
significherebbe perdonarlo e non so se sono pronta, lasciarlo partire
invece
darebbe origine a una serie di rimpianti con cui fare i conti.
Sono sdraiata sul
letto e guardo il soffitto senza vederlo, nel mio cervello rivivo i bei
momenti
passati con lui e la mia famiglia e poi quelli con Derek e gli altri.
Sono alla
pari.
Entrambi mi hanno
salvata e aiutata in un certo senso,
come posso scegliere?
Le ore passano
lente ed inesorabili.
Alle sei ricevo
una scossa dal mio corpo, devo parlare con Jack.
DEVO.
Mi alzo in piedi
e mi metto un paio di anfibi e un cappotto, poi corro al piano di sotto.
“Qualcuno può
portarmi all’aeroporto?”
“Io, ma c’è solo
il motorino. Mickey è andato a fare la spesa con la
macchina.”
“Merda, va bene
il motorino. Grazie Derek, sei un tesoro.”
Lui sorride in
modo strano.
“Di niente,
piccola, adesso andiamo.”
Io annuisco, lui
prende le chiavi e ce ne andiamo.
Il suo motorino
non è il massimo come mezzo, ma è
l’unico che abbiamo e Derek lo lancia a
velocità folle in direzione aeroporto.
Zigzaghiamo come
matti tra le macchine in coda, facendo attenzione al ghiaccio e alla
neve, non
vogliamo finire all’ospedale.
Il percorso mi
sembra eterno, i minuti passano troppo veloci.
Non riuscirò a
parlargli, cazzo!
Finalmente
intravediamo la grande struttura dell’aeroporto di Montreal e
mi sento
sollevata, Derek entra come un razzo e si ferma davanti alle porte
scorrevoli.
Io scendo
immediatamente, senza neanche togliermi il casco.
“Grazie Derek!”
Urlo prima di
entrare di corsa e dirigermi verso il gate delle partenze
internazionali, ignoro
tutte le hostess che cercano di fermarmi. In questo momento sono un
folletto
capace di saltellare ovunque pur di parlare con Jack, ma tutti i miei
sforzi
sono vani: da una grande vetrata vedo il volo per San Diego decollare.
“Nooo!”
Urlo mettendomi
le mani sugli occhi, mentre le prime lacrime iniziano a scendere.
Ho perso la mia
occasione, sono una stupida.
Non so quanto
rimango così, so solo che a un certo punto sento una voce
familiare chiamarmi e
io ho quasi paura a voltarmi: è quella di Jack.
“Sei davvero tu?”
Gli chiedo, prima
di voltarmi.
“Sì, sono io. Non
potevo partire senza fare ancora un tentativo.”
Io mi volto e lo
abbraccio piangendo.
“Ava…”
“Mi sei mancato,
maledetto coglione.
Pensavo di
essermi costruita un equilibrio e poi arrivi tu e lo distruggi in un
secondo.
Dovrei odiarti, ma non ci riesco.”
“Significa che
ancora un pochino ti importa di me?”
Per tutta
risposta lo bacio con passione.
“Ti basta come
risposta?”
Lui mi accarezza
i capelli.
“Direi di sì. Ti
amo, Ava!”
“Ti amo anche io,
razza di coglione.
E ora cosa dirai
a Ginger?”
“Non sto più con
Ginger, da quando ho capito che eri sparita abbiamo deciso insieme di
lasciarci, lei sapeva che non l’avevo mai amata.”
Io lo guardo con
gli occhi spalancati.
“Questo significa
che sei libero?”
“Liberissimo e
con una gran voglia di averti come ragazza!”
Io seppellisco la
mia testa nel suo petto e piango senza dire niente.
“Andrà tutto
bene, Ava.”
“Lo spero, ho
così paura di stare facendo la cosa sbagliata.”
Lui non dice
nulla, mi prende per mano e mi trascina fuori dall’aeroporto,
mentre sta
arrivando Derek. Sorride quando ci vede.
“Ce l’avete
fatta, vedo!”
“Sì, ce l’abbiamo
fatta. Jack starà da noi questa notte.”
Lui annuisce.
“Beh, dovrete
cercarvi un altro mezzo per tornare a casa, sullo scooter non ci stiamo
tutti e
tre.”
“Prenderemo un
taxi.”
Risponde pratico
Jack, Derek annuisce e se ne torna verso il parcheggio, noi invece
fermiamo una
delle vetture gialle e dettiamo l’indirizzo al taxista.
È un viaggio
strano, Jack mi ha preso una mano tra le sue e la accarezza leggero, io
penso
che tutto quello che è successo sia del tutto folle e
incredibile.
Magari è un
sogno, senza farmi vedere da lui mi do un pizzicotto: fa male, quindi
è reale.
“Sei sempre la
solita tizia strana.”
Ridacchia Jack.
“Sai com’è,
abbiamo appena vissuto una scena da film, un pizzicotto mi sembra il
minimo.”
“Giusto, ma con
te le cose normali non funzionano, sei molto teatrale.”
Io sbuffo.
“Teatrale, ma
sentilo!”
Lui ride.
“Non negarlo, sei
teatrale!”
“Va bene, non
continuo questa discussione perché siamo quasi arrivati a
casa.”
Poco dopo il taxi
si ferma, lo paghiamo e io e Jack entriamo in casa. Mickey lo guarda
sospeso,
con in mano un pacco di biscotti e una scatola di cereali, sta mettendo
via la
spesa.
“Ciao, Ava, tizio
sconosciuto che importuna la gente.”
“Mi chiamo Jack.”
“Ciao, Jack!”
“Lui si ferma per
la notte, ci sono problemi?”
Lui scuote la
testa.
“No, no ci sono
problemi.”
Risponde Ashley.
“Loro sono Mickey
e Ashley.”
“Piacere, hai già
pensato a un nome per il bambino?”
“Sarà una bambina
e no, non ci abbiamo ancora pensato.”
Si accarezza
dolcemente il pancione.
“Capisco, beh,
buona fortuna.”
“Ne avremo
bisogno.”
Gli risponde
mesta lei.
“Beh, io vado a
cucinare.”
Mi avvio verso la
cucina, lasciando Mickey, Ashley e Jack a chiacchierare, poco dopo
sento la
porta della casa aprirsi e anche Derek si unisce alla conversazione. Mi
sento
in colpa verso di lui, lui di sicuro prova qualcosa per me e io per
mesi l’ho
illuso che fosse più o meno lo stesso, certo non siamo mai
stati insieme, ma
sembrava che lo fossimo.
Dopo gli parlo,
non si merita di essere trattato male.
Mangiamo e poi
Jack chiama qualcuno dal suo cellulare.
“Ciao, papà. Sono
a Montreal.”
“Sono qui con
Ava, esatto l’ho ritrovata. Appena sarà possibile
torneremo a san Diego.”
C’è un attimo di
silenzio.
“Ciao, Tom.”
Al nome
rabbrividisco.
“Sì, sono qui con
Ava, prenderemo il primo volo per la California.
Vuoi parlargli?”
Io scuoto
freneticamente la testa.
“No, per ora non
se la sente di parlarti, ma sono certo vi chiarirete una volta tornati
a casa.
Buonanotte.”
Chiude la
telefonata e poi mi guarda.
“Perché non hai
voluto parlare a tuo padre?”
“Perché non me la
sento.”
“Capisco, ma sai
che dovrai affrontarlo prima o poi.”
“Sì e penserò a
cosa dirgli per tutto il viaggio di ritorno.”
Lui annuisce.
“Ascolta, ho
bisogno di parlare con Derek, potresti far finta di guardare la tv o
qualcosa
del genere?”
Lui annuisce, io
vado in cucina, il mio amico sta bevendo una birra appoggiato al piano
di
lavoro.
“Ciao, Ava. Sono
tanto felice per te.”
Io sospiro.
“Non mi mentire,
per favore.”
“Ok, la verità è
che non sono affatto felice di vederti partire e sono geloso di Jack,
perché
lui è riuscito dove io ho fallito.”
“Tu hai una cotta
per me.”
Lui annuisce e
beve un altro po’ di birra.
“Mi dispiace,
vorrei tanto poter ricambiare, ma non posso. Sappi che ti voglio bene,
comunque
sei una delle persone più belle che io abbia incontrato.
Io non volevo
illuderti e se l’ho fatto in qualche modo mi dispiace molto,
avevo bisogno di
affetto e sono stata egoista: non ho pensato a come avresti reagito tu.
Mi dispiace.”
Dai miei occhi
sfugge qualche lacrima, lui si avvicina e me le asciuga.
“Ssh! Buona!
Non è colpa tua,
sapevo perfettamente che il tuo cuore apparteneva a quel ragazzino, ma
speravo
che ci mettesse di più a trovarti, così magari
tu ti saresti accorta di me come possibile ragazzo.
Abbiamo fatto un
buon lavoro, ma non abbastanza, lui ti ha trovata ed è
naturale che tu sia
tornata da lui.
In fondo ho
sempre saputo che sarebbe finita così, ma volevo illudermi
del contrario.
Va’ e sii felice,
e se quel cretino ti manca di rispetto o ti tratta male chiamami, ci
penso io a
insegnarli l’educazione.”
Io sorrido e lo
abbraccio con tutte le mie forze.
“Ti voglio bene,
Derek. Hai fatto tanto per me, vedrò di restituirti il
favore appena posso.”
Lui scuote la
testa.
“Non ti devi
preoccupare, va bene così.”
Io non dico
nulla, poco dopo entra Jack. È imbarazzato, ma cerca di non
darlo a vedere.
“Ehm, ragazzi. Ho
prenotato un volo per domani sera alle otto.”
“Ok, grazie mille
Jack.”
Lascio il mio
amico in cucina e seguo Jack, abbiamo entrambi una faccia stanca e
così filiamo
a dormire.
Il giorno dopo
facciamo le valige e io sono in preda alla malinconia, mi
mancherà questo
posto, più di quello che Jack possa immaginare. È
il primo posto dove
mi sono sentita a casa e
indipendente, non ero più la figlia di Tom DeLonge, ma una
persona qualunque.
Finite le valige
ci portano in aeroporto, io abbraccio con calore Ashley, Mickey e
Derek,
augurando loro buona fortuna con le lacrime agli occhi.
Addio parentesi,
si torna alla mia vecchia vita.
La mia fuga è
finita per lo stesso motivo per cui è iniziata.
Buffo.
Angolo di Layla.
E così siamo arrivati
all'ultimo capitolo, lunedì prossimo metterò
l'epilogo e poi daremo addio anche a queste storia.
Ringrazio staywith_me,
DeliciuosApplePie
e giulss182 per
le recensioni.
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Capitolo 9 *** Epilogo:San Diego, California. ***
Epilogo:San Diego,
California.
Tornare
a San
Diego non è stato facile.
Al nostro arrivo
in aeroporto c’erano quasi tutti: mio padre, mia madre,
Jonas, Mark e Skye,
della famiglia Barker nemmeno l’ombra.
Immagino che mio
padre abbia vietato a Landon di avvicinarsi a me, cosa inutile dato che
non ho
intenzione di rivedere quel ragazzo più dello stretto
necessario.
Lo vedrò a scuola
forse o forse no. Visti i guai in cui si caccia continuamente mi hanno
detto
che Travis è indeciso se continuare a farlo frequentare la
nostra scuola o
spedirlo in una scuola privata severissima, se non
all’accademia militare.
La cosa non mi
causa nessun dispiacere, Landon mi ha presa, usata e buttata via.
La mia cotta per
lui si è sciolta come neve al sole e la mia amicizia anche,
stando così le cose
i Somewhere in Neverland hanno un problema: non hanno più un
batterista.
Io e Jack abbiamo
già affisso l’avviso a scuola, speriamo che
qualcuno si presenti ai provini, io
non voglio smettere di suonare nella band.
La musica è
l’unica cosa che mi è mancata di questo posto,
quando ho finalmente potuto
suonare di nuovo la mia chitarra è stato come ritrovare una
vecchia amica, mi
sono sentita benissimo.
Finalmente ho
ritrovato una parte di me stessa che mancava, mi sono detta ed
è così, non
posso stare troppo a lungo senza la musica. A Montreal Derek stava
riparando
una chitarra per me, perché stressavo tutti.
Con mia madre le
cose si sono messe a posto quasi subito, è bastato un
abbraccio e l’ho
perdonata all’istante, so che lei ha capito tutto: dalla
storia con Landon alla
mia fuga da casa.
Povera mamma,
chissà che spavento si è presa! Non era nemmeno
del tutto d’accordo con la
punizione che mi aveva dato mio padre.
Mio padre..
Al momento i
nostri rapporti sono educati più che altro,
dell’antica complicità è rimasto
poco.
Nel cuore ho un
grumo di rabbia e dolore che non riesce a sciogliersi, per farla breve
non
riesco ancora a perdonarlo per come mi ha trattata dopo avermi beccata
con
Landon.
Non me
l’aspettavo, era sempre stato un padre affettuoso e
giocherellone con me, non
mi è piaciuto scoprire questo lato di lui.
Jack dice che
sono troppo severa nel giudicarlo e che era davvero preoccupato per la
mia
sparizione, il senso di colpa non lo lasciava vivere.
“Tu non c’eri
Ava, ma ti posso assicurare che era fuori di testa dalla paura.
Quando non era in
qualche sperduto villaggio messicano, suonava continuamente la tua
chitarra per
sentirti vicina.”
Io ho alzato un
sopracciglio quando me l’ha detto. Mio padre che suona la mia
chitarra?!
Impossibile!
Jack sembra
incredulo davanti al fatto che non gli credessi. La vecchia Ava
l’avrebbe fatto
probabilmente, la nuova Ava sa che le persone possono mentire,
nascondere bene
i loro veri sentimenti, fare qualcosa solo per soldi o chiederti soldi
per
poter fare anche le cose più ovvie.
Stare per strada
mi ha temprato e levato parecchie illusioni sulla bontà
della gente, ad alcune
persone sono grata – le suore, quelle che stavano alle mense
dei poveri, a qualche
barbone – a Derek voglio bene, ma suppongo che lui sia quella
che chiamano
eccezione alla regola.
In ogni caso, ora
sono in casa da scuola, mia madre mi ha lasciato delle lasagne nel
forno a
microonde e io le ho scaldate e mangiate.
Sto per salire in
camera mia – per fare i compiti e cercare disperatamente di
recuperare quello
che ho perso durante il mio stare a Montreal durante le vacanze di
Natale –
quando sento una melodia familiare.
Qualcuno sta
suonando la mia chitarra! Jonas è un microbo morto!
Entro in camera
come una furia – decisa a dare una lezione a mio fratello
– ma quando vedo chi
la sta suonando quasi cado per terra per lo shock: è mio
padre.
Smette non appena
mi vede e appoggia la chitarra sul letto, come se avesse preso la
scossa, e mi guarda
colpevole.
“Papà, come mai
stavi suonando la mia chitarra?”
Articolo io a
fatica, forse è meglio se mi siedo sulla sedia della
scrivania.
“Beh, è
un’abitudine che ho preso quando tu non c’eri, mi
faceva sentire meno solo.
Non lo farò più,
promesso.”
Rimaniamo un
attimo in silenzio.
“Ava, non puoi
perdonarmi?
Non possiamo
tornare come prima?”
“Non voglio che
tu mi ferisca ancora e mi faccia sentire una puttana se faccio qualcosa
con un
ragazzo, Jack.”
Lui sospira.
“Ava, per me è
difficile accettare che tu sia cresciuta. Tu per me sei e rimarrai
sempre la
bambina con le ginocchia sbucciate che veniva a farsi consolare da me
perché
non riusciva a imparare ad andare con lo skate. Faccio fatica a vederti
come
un’adolescente che ha certi bisogni.
Cercherò di
essere meno invadente e più comprensivo, ma, ti prego, dammi
un’altra
possibilità.”
Non so cosa dire,
così lo abbraccio
e ritrovo il padre che
conoscevo, il mio porto sicuro.
“Sì, papà ti darò
un’altra possibilità, basta che tu non impazzisca
quando Jack verrà a casa.”
“Non lo farò, te
lo prometto.
Perché non mi
racconti un po’ quello che ti è successo durante
la tua assenza?”
Io mi lancio in
un racconto particolareggiato della mia fuga, di Derek, di Ashley e
Mickey e
della nostra casa a Montreal e di come vorrei fare qualcosa per
ricambiare.
Lui ascolta e poi
mi scompiglia i capelli.
“Qualcosa ci
inventeremo, adesso cerchiamo di festeggiare il Natale bene,
ok?”
“Ok.”
Sospiro io.
Spero non si
dimentichi della sua promessa, mi sento molto in debito con quei tre
ragazzi e
in ansia per Ash e il bambino. Come faranno a crescerlo?
Riusciranno a
pagare l’affitto senza il mio aiuto e mio padre
farà veramente qualcosa per
loro?
In passato non
avrei dubitato delle sue parole, ora sono un po’ scettica, ho
il sospetto che
mi dica quello che voglio sentirmi dire solo per non vedermi scappare
un’altra
volta.
In ogni caso il
giorno dopo è Natale ed è uno strano Natale, non
siamo dalla nonna, ma a casa
nostra insieme agli Hoppus. Mio padre dice che è per
rinsaldare l’amicizia tra
di loro, io sono convinta che abbia paura della reazione di mia nonna.
Non appena vedo
Jack dimentico tutte le mi congetture, lo abbraccio e lo bacio,
è sempre bello
rivedere il proprio ragazzo,
no?
Mio padre mi
lancia un’occhiata di rimprovero, ma mia madre gli rifila
rapidamente una
gomitata nello sterno facendolo piegare in due.
Ci sediamo tutti
a tavola, iniziamo a mangiare e chiacchierare, c’è
una bella atmosfera, quasi
come quella che c’era prima che me ne andassi. Immediatamente
mi vengono in
mente Derek, Ashley e Mickey, come staranno festeggiando il Natale?
Spero bene.
Jack mi guarda
interessato.
“Stai pensando a
loro?”
Io annuisco.
“Se la caveranno
e poi sbaglio o tuo padre ha promesso di aiutarli?”
“Non so se
fidarmi. Penso mi prometterebbe la luna pur di farmi rimanere, qualcuno
ha
risposto al nostro annuncio per la band?”
“Un paio di
persone, prima dell’ultimo dell’anno potremmo fare
loro un provino.”
“Ok, sta bene.”
Continuiamo a
mangiare.
Gli Hoppus
rimangono fino alle quattro di pomeriggio, poi se ne vanno e io ne
approfitto
per uscire con Jack, ho voglia di stare da sola con lui.
Non appena
abbiamo superato il nostro isolato alzo le mani in uno strano gesto di
vittoria.
“Finalmente, non
ne potevo più!”
“Perché? Tuo
padre è stato bravo.”
“Se escludi le
occhiate omicide che non è riuscito a trattenere un paio di
volte, sì.”
Lui ride.
“Ava, è Tom
DeLonge e questo significa che è geloso delle sue
donne.”
Io sbuffo.
“Dai, non
pensarci! Quella panchina riparata dalla neve sotto quel pino del parco
aspetta
solo noi.”
“Hai ragione!”
Mano nella mano
entriamo nel parco silenzioso, solo i nostri passi fanno scricchiolare
la neve,
stranamente caduta per il Natale. Una volta era una piacevole
novità, adesso ci
sono abituata in un certo senso.
Ci sediamo e lui
mi fa sedere in braccio a lui e appoggia la testa nell’incavo
del mio collo.
“Mi sei mancata
in questi mesi e mi sono dato dello scemo trecento volte al giorno per
averti
lasciato andare.”
“Adesso sono qui
però e non ho intenzione di scappare, al massimo scappiamo
insieme.”
Lui ride, alza il
volto e mi bacia.
“Non riesci
proprio a stare calma, eh Ava?
Prima la
misantropia, ora questo volere scappare.”
“Sono
un’adolescente nel pieno periodo delle cazzate,
ricordatelo!”
“Giusto, sto con una
ragazza pericolosa, me lo devo ricordare.”
“Uff, non è così
difficile! Basta assecondarmi e poi saremo come Bonnie e
Clyde!”
Lui sbuffa.
“Oh, è sempre
stato il sogno della mia vita finire crivellato di
proiettili!”
“Ma prima della
morte avresti vissuto avventure incredibili!”
“Che ne dici di
Bette Davis e Gary Grant?
You're
my Bette Davis; I'm your Cary Grant.”
“Lets make love all night; forget about the
prohibition.”
“The great depression's over, lets have a drink to that. “
“We'll stay young forever, living in a Silver Screen Romance.”
Concludiamo
insieme una canzone dei Good Charlotte e poi scoppiamo a ridere nello
stesso
momento.
“Anche così va
bene, ti amo, Jack!”
“Anche io, Ava!”
Il
giorno dopo
Natale lo passiamo da mia nonna e come previsto rimprovera Tom per
essere il
solito impulsivo ed esagerato e poi rimprovera me per aver ereditato
questo
tratto del suo carattere.
Finite le
prediche ci offre un pranzo da urlo, è sempre stata brava a
cucinare, ma questa
volta ha superato sé stessa. Non ho mai mangiato cose
così buone.
“Spero che
nessuno decida di scappare di casa l’anno prossimo.”
“Quello dopo
posso?”
Lei mi guarda e
il sorriso sparisce dalla mia faccia, mi dico che è meglio
evitare altre
battute del genere, sono fuori luogo.
“Beh, sarebbe una
fuga legale. Andrai all’università.”
“Devo? Papà ha
avuto successo e una bella vita anche senza fare
l’università.”
“Il fatto che tuo
padre sia stato fortunato non ti autorizza a non andarci.”
“Ok.”
In fondo potrebbe
essere divertente andare all’università, potrei
trovare un batterista alla band
nel caso fallissi ora.
Il resto del
pranzo prosegue tranquillamente, l’argomento della mia fuga
viene totalmente
accantonato e si parla di altro.
È un clima
sereno, natalizio e mi piace molto.
A fine pasto ci scambiamo
i regali e io ricevo da mio padre la sua vecchia chitarra rossa e
bianca, piena
di adesivi, mi metto a urlare dalla gioia e gli salto praticamente in
braccio.
“Grazie papà! È
un regalo meraviglioso!
Non vedo l’ora di
poterla suonare!”
Lui sorride.
“Ti lamentavi
sempre che non ti lasciavo usare le mie chitarre, adesso questa
è tua e spero
ti porti tanta fortuna.”
Le lacrime
iniziano a scendere senza controllo dai miei occhi, ci abbracciamo e in
questo
momento sento che tutto è andato a posto tra di noi.
Abbiamo fatto
pace.
Alle cinque
arriviamo a casa e sul cellulare arriva un messaggio di Jack, mi dice
che ha
fissato le prove per i batteristi per domani alle dieci di mattina nel
suo
garage.
Credo che a
qualcuno cadrà la mascella quando si vedrà
ammesso a casa Hoppus.
“Che succede,
Ava?”
“No, nulla. Jack
mi ha appena avvisata che domani ci saranno i provini per i batteristi
e mi
sono immaginata la mascella di qualcuno cadere vedendo dove
proveranno.”
Mio padre scoppia
a ridere.
“Mark sarà felice
di avere tanti ammiratori, gli è sempre piaciuto parlare con
i fan.”
“Tu no, tesoro.
Tu sei timido quando si tratta di parlare con loro.
“Ognuno è fatto a
modo suo.”
Mio padre scrolla
le spalle e si siede a guardare la tv.
Io sono eccitata
ai limiti del possibile, prima la chitarra, poi il messaggio di Jack,
la band
sta ritornando!
Il mio pensiero
va per un attimo a Landon, poi se ne torna sulla prova dei batteristi.
Landon
mi ha ferita e usata, ha mostrato di non tenere alla band e di non
tenere
nemmeno a me come amica, per me ha cessato di esistere.
Che esca con le
sue sgualdrine, noi andremo avanti senza di lui!
Il giorno dopo mi
alzo prestissimo, alle sei per la precisione. L’unica volta
che mi sono alzata
così presto è stato quando mio padre mi ha
portato a Disneyland e non riuscivo
a stare a letto per l’eccitazione.
Oggi è la stessa
cosa, mi faccio una lunga doccia, faccio colazione, guardo una replica
mattutina di Naruto e poi mi alzo lentamente dal divano.
Esco, fumo
lentamente una sigaretta e poi non so cosa fare.
Preparo la
colazione per tutti e vengo ringraziata, finalmente arrivano le nove e
mi
sembra un orario decente per cambiarmi e andare da Jack.
Mi metto un paio
di jeans scuri e stracciati, una maglia a righe nere e bianche con lo
scollo ampio
e una felpa dei Rancid. Carico in macchina la chitarra acustica, la mia
nuova
chitarra elettrica , ampli, jack e tutti quello che serve.
Arrivo a casa del
mio ragazzo alle nove e mezza e non appena lo vedo ci baciamo
appassionatamente, poi lo prendo per mano e lo trascino alla macchina.
“Guarda che
regalo mi hanno fatto!”
Con aria di
trionfo tiro fuori la chitarra rossa di mio padre lasciandolo di stucco.
“Vuoi dire che
quella meraviglia adesso è tua?”
“Esattamente,
Jack.”
“Dio, è
meraviglioso!”
Entriamo in casa
e ci buttiamo sul divano, alterniamo il giocare alla play con baci e
dispetto
sotto lo sguardo benevolo di Mark.
“Skye, non sono
assolutamente adorabili?”
“Sì, ma se
continui a fissarli così sembri un guardone.”
Mark sbuffa, fa
qualche passo per allontanarsi, poi nota la chitarra.
“Tom ti ha
finalmente concesso di usare una delle sue chitarre?”
“Non proprio, me
l’ha regalata.”
Mark mi guarda incredulo.
“Papà, potresti prendere esempio da lui.”
“Assolutamente, no.”
Jack sbuffa e incrocia le braccia, io gli do un bacetto sul naso e il
malumore gli passa subito.
Alle dieci suona il campanello, si presentano due ragazzi: uno alto e
magro, con dei lunghi capelli scuri raccolti in un coda e uno con una
faccia da
bambino, piccoletto, con i capelli biondi e gli occhi blu.
Li accompagniamo in garage e ascoltiamo come suonano, il moro sembra a
disagio e non riesce a combinare granché, alla fine ammette
che gli piacerebbe
di più suonare in un gruppo metal.
Ora resta solo il biondino che ci offre un’ottima
prestazione, niente
di troppo complicato, ma perfetto per un gruppo punk da garage senza
troppe
pretese.
“Come ti chiami?”
Gli chiedo curiosa.
“Benji Raynor.”
Io e Jack sgraniamo gli occhi nello stesso momento.
“Raynor?!”
“Uhm sì. Perché siete così
sconvolti?”
“Non sarai il figlio di Scott, il primo batterista dei
blink?”
Lui sorride.
“Sì, sono io. Che cosa curiosa riformare i blink,
eh?”
“Abbastanza, chissà cosa diranno i
nostri?”
Lui alza le spalle.
“Chissenefrega,no?
In fondo sono cose passate.”
“Come sta tuo padre?”
“Se vuoi sapere se beve ancora, è da sei mesi che
non tocca alcool,
alla fine io e mamma siamo riusciti a riportarlo sulla retta
via.”
“Beh, buon per voi, magari anche i nostri saranno felici di
saperlo.”
“Non lo so, cosa ne dite se proviamo?”
“Io dico che è una buona idea.”
Esclamo spavalda. Ci mettiamo ai nostri strumenti e cominciamo a
suonare una cover dei My Chemical Romance, giusto per ambientarci.
Funzioniamo
bene come gruppo, pensavo peggio.
Dopo un paio d’ore la porta del garage si apre e Mark fa la
sua
comparsa.
“Allora, ragazzi, trovato il batterista?”
Noi annuiamo.
“È lui, si chiama Benji Raynor.”
“Raynor?”
“Sì, sono il figlio di Scott.”
Mark si appoggia pericolosamente a una parete e guarda Benji come se
fosse un alieno.
“Certo che la vita è strana.”
Borbotta tra sé.
“Beh, divertitevi, anzi no, cosa sto dicendo?
Jack, dobbiamo andare dai nonni. Sali e fatti una doccia.
Ava, ha chiamato tuo padre e ha detto che oggi dovete andare a pranzo
dai genitori di Jen.”
Io sospiro.
“Quindi non ci rimane altro che smontare gli strumenti e
metterci
d’accordo per le prossime prove.”
“Esattamente.”
“Ok, visto che Mark dice che questa sessione è
finita cosa ne dite del
29 o qualcuno ha impegni?”
Sia Jack che Benji scuotono la testa.
“Bene, e che il 29 sia. Adesso vado, ciao ragazzi!”
Jack e Benji mi aiutano a caricare in macchina le cose, io sono felice
mentre guido verso casa mia.
Lentamente le cose si stanno sistemando, ora devo solo sperare che mio
padre si ricordi di Ashley, Mickey e Derek.
Mi mancano e vorrei che anche loro si sistemassero, non voglio essere
io l’unica fortunata del gruppo.
Arrivata a casa sento mio padre e mia madre confabulare tra di loro,
smettono non appena arrivo io, che strano.
Cosa staranno combinando?
La cena dai nonni e le prove vanno bene, Benji si integra perfettamente
con me e Jack, sembra nato per suonare con noi.
Mark ci chiama scherzosamente i blink 2.0, mio padre dice che il
destino alle volte è davvero strano. In ogni caso tra di noi
va bene ed è solo
questo che conta.
La vigilia dell’ultimo giorno dell’anno mi sveglio
piuttosto tardi e
mentre scendo le scale per fare colazione sento delle voci familiari,
ma che
non possono essere qui,
Ash, Mickey e Derek dovrebbero essere a Montreal.
Mi affretto a
scendere le scale e li trovo in salotto, li abbraccio tutti e tre.
“Come mai siete
qui?”
Ashley sorride.
“Tuo padre ha
offerto a Mickey il posto di giardiniere e io mi occuperò
della casa quando
sarò in grado di farlo.”
“Ma è
meraviglioso! Grazie, papà!”
“Di nulla, piccola.”
“E tu Derek?”
“Visto che tu mi
hai detto che sa fare più o meno di tutto ho deciso di
dargli una possibilità
come apprendista tecnico del suono degli Ava.”
“Grazie mille,
papà!”
Abbraccio di
nuovo Derek che sorride.
Ecco così è tutto
perfetto.
Qualche mese dopo
mi rendo conto che è effettivamente perfetto, Mickey e
Ashley si sono
ambientati benissimo e tra qualche giorno Ash partorirà e
mio padre sembra
soddisfatto di Derek.
C’è anche
un’altra persona soddisfatta di lui: Ginger.
I due hanno iniziato
a uscire insieme e sembra che la cosa funzioni, così come la
mia con Jack.
La band va alla
grande.
Meglio di così
non poteva andare e io finalmente mi sento felice.
Che bello!
Angolo di Layla
Ringrazio staywith_me
e DeliciousApplePie
per le recensioni.
Ringrazio per aver messo questa
storia tra le preferite: Carousel,
DeliciousApplePie,
Destroyer Cactus
e _Stupid Wise_.
Ringrazio per aver messo nelle
seguite: FamousLastWords,
LostinStereo3
e Rachel DeLonge.
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