Oma e Shu – la vera storia dei due amanti

di Marge
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


I



I rami secchi in terra scricchiolavano sotto i suoi passi. Lei cercava di centrarli con il piede, per sentirne il rumore spezzato; ah, come avrebbe voluto calpestare a quel modo suo padre!
Scostò con un braccio un rovo che le ostruiva il passaggio e continuò a camminare spedita.
Se solo avesse saputo dove stava andando, sarebbe stato ancora più furioso, ma nulla in quel momento, neanche la più grande furia di suo padre, l’avrebbe fermata. Non avrebbe mai più rimesso piede al villaggio! O almeno, non prima di quella sera. Che sentissero la sua mancanza, che si preoccupassero pure.
Uno spino si conficcò nella manica della veste; automaticamente lei si fermò a disincagliarlo, e controllò che la stoffa fosse ancora intatta.
“Oh, ma chi se ne importa!” esclamò. Scosse la testa per mandare i capelli dietro la schiena. Quanta scomodità!
“Questo non si fa, quest’altro è vietato… sono stufa!” mormorò ancora a mezza bocca.
Attorno a lei gli alberi si diradarono, rimasero solo bassi cespugli. L’aria era più tersa, e si scoprì affannata. Mancava poco, ancora qualche passo…
La sommità della montagna la stupiva ogni volta. Sembrava sempre che dopo l’ennesima cima ci sarebbe stata un’altra, e poi un’altra ancora, fino su al cielo. Ed invece, all’improvviso, il sentiero si apriva in un piccolo slargo, al centro del quale cresceva solitario e stento un alberello; ed oltre, solo la ripida discesa verso l’altro villaggio. Non vi era sentiero per scendere: nessuno avrebbe voluto andar lì, ma solo sterpaglia, cespugli e più in fondo la foresta brillante.
Oma si guardò attorno soddisfatta, e decise di riposarsi per un momento. In barba a qualsiasi educazione ricevuta, si lasciò cadere a terra, braccia e gambe spalancate come due spade incrociate, e sorrise al cielo.

Era praticamente assopita sotto il sole quando un rumore improvviso la fece alzare di soprassalto. Si voltò con il cuore in gola, la mano stretta attorno al ramoscello che aveva portato con sé.
Alle sue spalle vi era un ragazzo, che la fissava a bocca aperta.
“Chi sei?”
“Chi sei tu?” ribatté lei, e si alzò in piedi.
“Non volevo spaventarti, mi dispiace” disse lui. “Me ne vado subito.”
Oma sbuffò e scrollò le spalle: “Non è mio, questo posto, puoi rimanere.”
Perfetto, pensò, ora di sicuro questo qui lo andrà a dire a mio padre.
Solo quando lui fece due passi avanti, e la sua armatura scintillò sotto il sole, Oma se ne rese conto: non era del suo villaggio.
Il cuore le si bloccò. Ora mi ucciderà, pensò. Non tornerò a casa, e mio padre si dispererà. La paura le bloccava le gambe, ma una parte del suo cuore gioì, perché lo avrebbe fatto preoccupare, e disperare, e finalmente avrebbe pensato a lei.
“Uccidimi” disse allora.
Il ragazzo la guardò come se fosse uno spirito sceso direttamente dal cielo.
“Ma cosa dici?”
“Io non sono del tuo villaggio. Anzi, sono del villaggio nemico. Te ne sarai accorto da solo.” Alzò la testa altezzosa, facendo volare nel vento i lunghi capelli neri. Lo fissò con la fierezza che sperava si addicesse a lei, la figlia del capo villaggio. Oh, che storia! Uccisa da un guerriero nemico in quel posto così romantico! Le avrebbero dedicato lunghe storie, leggende da narrare attorno al fuoco. Le sembrava davvero una fine degna.
“Uccidimi, fallo subito, non ho modo di difendermi.” Fece un passo avanti, il ramoscello di boccioli rosa ben stretto in mano, sfidandolo con lo sguardo anche se i palmi le sudavano e le gambe tremavano.
Lui si mise a ridere.
“Per carità!” esclamò. Oma si bloccò, stupita e vagamente offesa.
“Come?”
“Non ho intenzione di ucciderti. Non ha alcuna importanza di quale villaggio tu sia. Sono venuto qui solo per stare un po’ in pace. Possiamo dividere questo spazio senza ucciderci a vicenda, ti pare?”
“Io non ti ucciderei mai” replicò lei, senza neanche sapere perché.
“Perfetto” disse lui. “Allora continua pure a fare ciò che stavi facendo, io farò lo stesso.”
Si sedette sotto l’albero e tirò fuori un coltello. Oma temette ancora per un momento, ma lasciò andare ogni velleità di morte romantica quando lui si mise a scolpire un pezzo di legno.
Si avvicinò quindi ancora un po’.
“Come ti chiami?”
Lui rispose senza alzare gli occhi: “Shu.”
“Io sono Oma. Cosa ci fai qui?”
Lui sospirò: “Te l’ho detto: volevo solo stare tranquillo per un po’.”
“Non puoi stare tranquillo nel tuo villaggio?”
“No” rispose il ragazzo storcendo la bocca. “Vogliono farmi fare ciò che non voglio. Ed io preferisco starmene qui da solo.”
Allontanò il pezzo di legno, per rimirarlo. Riprese subito ad intagliarlo: “E tu, invece? Non mi pare di ricordare che al vostro villaggio sia permesso girare da sole, per le fanciulle.”
“Sono fuggita” rispose Oma. Cercò di dirlo con aria noncurante, come se non fosse effettivamente così grave. “Neanche io ho voglia di fare ciò che mi vogliono far fare.”
Aveva le mani svelte, e pian piano tra le sue dita stava fiorendo qualcosa di più definito.
“Cosa stai facendo?”
“Un fischietto.”
Cominciava a sentirsi imbarazzata di stare lì in piedi accanto a lui, a fissarlo.
“Rimarrai qui a lungo?” chiese lui.
“Finché mi andrà.” Poi notò la sua bisaccia: “Hai delle pietre focaie?”
Nella rabbia frettolosa che le era presa mentre fuggiva da casa sua, se ne era completamente dimenticata. Aveva preso il ramoscello, ma non le pietre, che scema.
“Sì, certo.”
Shu le tirò fuori e gliele porse, ma quando lei fece per prenderle si insospettì ed allontanò la mano: “Cosa vuoi farci?”
Oma gli mostrò il ramoscello: “Devo bruciare questo.”
“E perché mai?”
“Non ho intenzione di dirtelo.”
“Allora non avrai le tue pietre.”
Si morse il labbro, contrariata. “D’accordo, te lo dirò, ma dammele. Ne ho bisogno.”
“Prima dimmelo.”
Fece un respiro, prima di parlare, e cercò di avere una voce decisa, ritmata, come la sua insegnante quando raccontava una storia: “Nel mio villaggio c’è la tradizione di esibire un ramo con boccioli rosa sullo stipite della porta, quando vi abita una fanciulla in età da marito. Da quel momento, i giovani che vogliono sposarla possono visitare la casa, e chiedere al padre di lei di frequentare la ragazza. Ieri mio padre ha appeso questo fuori dalla porta.”
“E questo non va bene?” chiese Shu, ma sembrava conoscere la risposta. Le tese le pietre.
“Ti aiuto” disse, e radunò qualche ramoscello. Pochi momenti dopo, un fuocherello ardeva tra di loro, ed il coltello giaceva abbandonato accanto al fischietto in divenire, ai piedi dell’albero.
“Non voglio sposare qualcuno scelto da mio padre.”
Shu annuì.
“Non voglio sposarmi affatto” continuò lei. Lanciò il ramo tra le fiamme. I boccioli, invece di prendere fuoco, cominciarono ad arricciarsi ed a scurirsi.
“Non devi farlo, se non vuoi” disse lui.

Quando il sole cominciò a calare, Oma decise che era ora di tornare a casa.
“Mio padre sarà furioso.”
“Magari è preoccupato, e sarà sollevato di vederti.”
“Oh, sì, per i primi cinque secondi. Poi urlerà nuovamente che sono la rovina della famiglia, ma che ci penserà lui a trovarmi un marito che sappia gestirmi per bene.”
Shu raccolse le sue cose nella bisaccia.
“Torni anche tu?”
“Sì, ormai gli allenamenti saranno terminati.”
“Allenamenti?”
“Quest’anno ho cominciato l’addestramento come guerriero. Il mio villaggio è in guerra e…” si interruppe imbarazzato. “Ovviamente lo sai bene.”
“Sì” disse lei. Contro il villaggio di suo padre, da anni ormai.
“Non ho voglia di prendere parte a questo conflitto. Non voglio essere un guerriero.”
“Non devi farlo, se non vuoi” si affrettò a dire lei.
“Non credi che io sia un codardo?”
Oma sorrise, e scosse nuovamente la testa: i capelli lunghi, neri e lisci ondeggiavano attorno a lei, e lei lo sapeva. Gli mise un mano sul braccio: “No. Sei molto coraggioso, invece, a volerti opporre alle regole del tuo villaggio.”
Shu le sorrise.



***
Che ve ne pare? Ho rivisto questo episodio per caso e sono stata folgorata dall'idea di narrare la storia dei due sfortunati amanti. Se vi va, lasciatemi un commento! Il prossimo capitolo arriverà molto presto. See ya!

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


II


All’unisono, Oma e Shu alzarono le mani, saltarono in aria e caddero con il piede destro dinanzi. Al movimento delle braccia in avanti seguì il rumore di un crollo. “È fatta!” esclamò lei, e fece una giravolta di felicità. Shu la osservò di sottecchi con un sorriso: era bella, pur impolverata e sporca dei calcinacci che spostavano da ore, e la luce del tunnel ormai aperto la inondava come una cascata.
“Ora sarà tutto più semplice” continuò lei, e gli volò tra le braccia. Shu la strinse ed affondò il viso tra i lunghi capelli neri, raccolti in una treccia spettinata.
“Torniamo dentro” disse ancora lei, e nei suoi occhi brillava una luce maliziosa.
Anche ora che la loro grande opera era terminata, Shu continuava a chiedersi come fossero giunti a quel punto. Mentre Oma lo strattonava per incitarlo ad andar più veloce, muovendosi in quei cunicoli bui senza alcun dubbio, Shu cercava di capire quando avevano oltrepassato il confine invisibile.
Forse fin dal loro primo incontro, quando lei voleva essere uccisa, ed invece lui l’aveva aiutata a dar fuoco a quel ramoscello carico di boccioli rossi; non sarebbero dovuti essere lì, nessuno dei due.
E non vi erano tornati, infatti, a lungo. Non era saggio incontrare nuovamente quella ragazza del villaggio nemico: e se avesse fatto la spia? Se ad attenderlo avesse trovato un manipolo di guerrieri?
La prima volta che vi era tornato l’aveva fatto in maniera guardinga, mettendo in atto le tecniche che gli venivano insegnate, e che tanto odiava. Sull’altura vi era solo il vento, e così anche nei giorni successivi: Shu aveva ripreso ad andarvi ogni qual volta voleva fuggire dalla sua vita, ed ogni volta osservava quelle ceneri chiare, poco distanti dall’alberello, e si chiedeva che fine avesse fatto la ragazza di nome Oma. Suo padre si era davvero arrabbiato tanto? Forse ormai era già moglie di qualcuno che lei non amava.
Ma un giorno era apparsa: sembrava avesse corso, e Shu non aveva fatto altro che spalancare le braccia.
“Sei sposata?” le aveva chiesto, prima di ogni altra cosa. Lei aveva scosso il capo, stretta al suo petto. Poi, quasi si fosse scottata, si era ritratta di scatto.
Non avrebbe dovuto stringerla a sé, quella volta. Forse quello era il confine invalicabile: toccare la fanciulla dell’altro villaggio. Ma non era successo altro, per mesi: si erano solo incontrati, ed avevano parlato, tanto, delle rispettive tribù, delle usanze, di quelle odiose ma anche di quelle belle. I balli, aveva detto lei. L’artigianato, aveva risposto lui. E poi lei aveva insistito per danzare assieme, anche se non c’era musica ma solo il vento, attorno a loro, e per la seconda volta si erano trovati così vicini che lui poteva soffiare sui capelli di lei e vederli fremere.
Era stato quello, il confine?
Abbassare il volto e sentire la sua pelle salata sotto le labbra, le rughe della fronte corrucciata, le sopracciglia folte, scendete fino alla punta del naso. Forse quello era stato sbagliato, ma in quel momento non vi aveva certo pensato. Gli era sembrato di avere un mondo da scoprire, di fronte a sé, ed Oma lo guardava quasi a sfidarlo, con le labbra impudenti ad ipnotizzarlo.
Una volta avevano anche discusso. “Lo fai solo per far impazzire tuo padre!” le aveva detto lui. Oma, colpita ma anche molto offesa, aveva ribattuto qualcosa sull’essere uomini, sull’essere donna e sulla libertà. Shu non aveva capito del tutto, eppure poco dopo si stavano strappando i vestiti di dosso, ed Oma subito dopo l’amplesso si era messa a piangere e si era stretta a lui, biascicando che avrebbero dovuto essere dello stesso villaggio, così lei non avrebbe dovuto bruciare alcun ramoscello, ma solo aspettare pazientemente che lui andasse a chiederla in sposa.
Lei aveva detto una cosa del genere. E Shu aveva capito che quel confine era dietro le spalle, ormai da tempo.


L’idea di Oma era stata quella di cospargere il soffitto di cristalli; in quel modo di sarebbero trovati senza utilizzare alcuna torcia, sarebbero stati più al sicuro. Alla luce tenue che emanavano la pelle di Oma sembrava quasi trasparente.
Shu scostò la veste e gli apparvero i fianchi larghi di lei, la vita morbida. Vi affondò i polpastrelli, stringendo con forza la sua carne. Lei mugolò.
Il desiderio si mescolava sempre alla rabbia, per esser costretti a nascondersi a quella maniera, ed alla paura di essere scoperti. Consumavano amplessi veloci, senza neanche spogliarsi, all’ombra di qualche cespuglio, avvinghiati come animali.
“Shu, aspetta” disse lei. Gli prese le mani e ne baciò i palmi ruvidi. “Qui non può trovarci nessuno.”
Lui si fermò, confuso. Oma sembrava sempre saperne una più di lui, e lo faceva impazzire di gelosia.
Lentamente, si alzò in ginocchio davanti a lui, lasciando cadere a terra del tutto la veste. Cominciò a baciarlo sul petto, scostando con il naso la stoffa della maglia, come un tassotalpa fa con la terra.
“Abbiamo tempo” sussurrò ancora Oma. “Tutto il tempo del mondo…”
Se Shu chiudeva gli occhi, poteva sentire solo le sue mani accarezzarlo, così lentamente da farlo uscire di testa.
“Da oggi in poi tutto sarà diverso.”
Lei lo privò di qualsiasi cosa avesse indosso; Shu quasi si vergognò, nonostante la tenue luce verde, ma un momento dopo lei era tra le sue braccia, ed aderiva a lui completamente.
“È come se fosse tutto nuovamente da scoprire” mormorò ancora lei, e Shu decise di non preoccuparsi affatto dei confini, della guerra tra i villaggi, dei suoi doveri come guerriero, e men che meno di quelle strane abilità che avevano recentemente imparato dai tassitalpa. Davanti a lui c’era Oma, un mondo da esplorare con tutto il tempo necessario.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


III



Oma correva quasi senza fiato.
Aveva quasi terrore a sforzarsi di più, per quanto volesse vedere Shu.
E se gli facesse male?
Si fermò ad ansimare un momento, piegata in due sulle ginocchia. Non aveva più quindici anni! La voce di suo padre le rimbombava nella testa, quasi non sentiva i suoni della foresta accanto a sé.
“Ho sopportato fin troppo a lungo le tue stranezze! Non voglio neanche sapere cosa hai combinato!”
Ovvio che preferisse la menzogna.
“Ti troverò un uomo che sorvolerà su tutto il resto. E guai a te se ne farai parola con alcuno!”
Quanto avrebbe voluto sbandierare in tutto il villaggio ciò che stava accadendo, solo per ripicca verso di lui!
Non dovresti pensarlo, si era detto un attimo dopo.
Per giorni l’aveva tenuta chiusa in casa, sorvegliata a vista.
Riprese a correre. Le pesava il ricordo di ciò che aveva appena fatto: la zia, sorella di suo padre, che la guardava con tanto disprezzo – sicuramente sapeva – intrappolata nella roccia. Chissà se riusciva a respirare, chissà se l’avevano trovata ed ora sapevano della sua fuga…
Non mancava molto alla loro grotta. Con un gesto istintivo si coprì il ventre nel passare tra le fronde di un cespuglio. Sul piazzale alzò le braccia in un sol gesto e la roccia si aprì. Si gettò a capofitto nel cunicolo.

Doveva trovare Shu! Doveva dirgli tutto, che suo padre sapeva, che le aveva trovato uno sposo, che in lei palpitava ora un'altra vita che era di Shu, sua e di nessun altro. Cadde, ad un certo punto, graffiandosi le ginocchia, e si strinse la pancia. Tutto bene? chiese, non a se stessa.
Chiuse gli occhi, posò le mani in terra ed impresse una lieve scossa; se ne era accorta qualche tempo prima: sentiva i passi di Shu avvicinarsi anche quando era troppo lontano per essere udito, e si era divertita ad allenarsi in quella nuova abilità. Sondò con cura la montagna: Shu non era lì. La loro grotta era vuota.
A volte capitava che, per un motivo o per l’altro, non potessero presentarsi agli appuntamenti presi. Oma aveva atteso diverse volte da sola, per poi tornarsene a casa dopo ore; non era mai stato un problema, ma in quel momento l’assenza di Shu, l’assenza del suo corpo sulla terra che lei percepiva tra le dita, la fece boccheggiare. Affondò le unghie nella polvere, a bocca aperta favorì un conato e fremette, in balia della nausea che da giorni non la lasciava andare.
Non si mosse, ma lasciò che il suo istinto guidasse il blocco di terra sotto di sé, trasportandola fuori dalla grotta; non si sorprese neanche di quell’altra abilità, acquisita in pochi momenti di disperazione e prostrazione.
Il blocco si fuse con il terreno all’esterno, e lei si alzò in piedi. La nausea, per un momento, era passata.
“Shu” si ordinò. Doveva trovarlo. Avrebbe potuto avvicinarlo di soppiatto, magari alla periferia del suo villaggio? Era rischioso muoversi fino lì, ma aveva una nuova, sinistra fiducia in sé: poteva plasmare la terra a suo piacimento, dunque perché non utilizzarla per nascondersi, mascherarsi, stordire chiunque si fosse presentato sulla sua strada?
Si gettò nuovamente carponi, quattro arti a contatto con la terra che poteva darle informazioni, e chiuse gli occhi per concentrarsi. Ad ogni pressione l’onda arrivava più lontano, e la informava dei sentieri, i cespugli e gli alberi attorno a lei.
Non è abbastanza.
Riprese a muoversi, la terra in flussi polverosi che sotto i suoi piedi la spostavano rapida nella foresta, senza alcun contraccolpo. Le sembrava fosse meglio, addirittura, per il bambino.
Shu, abbiamo un bambino! È nostro, Shu!
Al villaggio mancava poco.
Andiamo via, Shu! Possiamo farlo: il mondo è così grande! Perché deve crescere in mezzo all’odio?
Avrebbero scavato un’altra grotta, da qualche altra parte, più grande e più bella. Avrebbero scavato tutta la loro casa nella roccia. Forse anche lui sarebbe stato capace di farlo. Perché no? Era loro figlio.

D’un tratto, trovò Shu.
Non sapeva neanche come era riuscita a capire che fosse lui. Attorno vi erano diverse persone, un centinaio quasi, ed i piedi incalzavano impazziti sull’erba schiacciata; nuvole di polvere nascondevano la battaglia, ma le urla arrivavano distinte fino a lei.
Accucciata dietro ad un cespuglio, ai limiti della radura, tremava. Improvvisamente aveva paura, non per sé, ma per l’uomo che amava e quell’altro essere dentro di lei, che amava ancora di più perché sapeva che anche Shu l’avrebbe fatto ogni oltre limite.
Senza controllo la terra le restituiva le immagini imprecise della battaglia, mentre lei si copriva occhi ed orecchie per non vedere, non sentire. Passi, tonfi, frecce che si infilavano nel terriccio, il vibrare costante di un terreno sconquassato dai soldati che si facevano guerra.
Fu così che sentì: i passi di Shu che correvano decisi, uno dopo l’altro, e poi un arresto brusco, un solo piede a terra, l’altro che giungeva malfermo con ritardo, mancava l’equilibrio, e il tonfo inequivocabile del corpo che cadeva.
La terra si erse in una colonna in un sol movimento assieme a lei. Pallida, gli occhi sbarrati, cercò con la vista e, senza che avesse dato nessun ordine, si ritrovò a correre verso di lui, la terra ancora una volta obbediente sotto i suoi passi, rispondeva ad ogni suo bisogno come un pezzo del corpo.
Quando arrivò da lui, la vita se ne era già andata dai suoi occhi. Le mani non stringevano più la freccia che lo trapassava nel torace, ma erano scomposte ed innaturali, abbandonate alla rinfusa come se non gli appartenessero più.
Atterrò vicino a lui, mentre la roccia si fondeva con la terra sotto di lei. Non si accorse neanche del silenzio attorno a sé: il suo arrivo aveva congelato la battaglia, atterrito gli uomini.
Prese il capo di Shu tra le mani, si meravigliò di quanto fosse arrendevole. Il respiro le si mozzò in gola, ne uscì strozzato, un verso rude, come una roccia scagliata contro un’altra.
Urlò, e scatenò la sua furia.


***
Il prossimo capitolo sarà l'ultimo. Buona lettura ed a presto :)

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